Quel che resta delle leggende

di Jeremymarsh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I — Il peggior giorno della mia vita ***
Capitolo 3: *** II — La proposta ***
Capitolo 4: *** III — Fraintendimenti ***
Capitolo 5: *** IV — Il castello a Ovest ***
Capitolo 6: *** V — Una strada irta di pericoli ***
Capitolo 7: *** VI — Cuore Folle ***
Capitolo 8: *** VII — Ultimatum ***
Capitolo 9: *** VIII — Il villaggio degli sterminatori ***
Capitolo 10: *** IX — Immaturità ***
Capitolo 11: *** X — Destino Infausto ***
Capitolo 12: *** XI — Arroganza ***
Capitolo 13: *** XII — Terrore nella notte ***
Capitolo 14: *** XIII — La lingua dei demoni cane ***
Capitolo 15: *** XIV — Famiglia ***
Capitolo 16: *** XV — L'alba di un triste giorno ***
Capitolo 17: *** XVI — Izayoi ***
Capitolo 18: *** XVII — Verità scottanti ***
Capitolo 19: *** XVIII — Ricatto ***
Capitolo 20: *** XIX — Luna Nuova ***
Capitolo 21: *** XX — Mettersi in gioco ***
Capitolo 22: *** XXI — Fianco a fianco ***
Capitolo 23: *** XXII — Ritorno a casa ***
Capitolo 24: *** XXIII— Il piano ***
Capitolo 25: *** XXIV — La fuga ***
Capitolo 26: *** XXV — Immagini ***
Capitolo 27: *** XXVI — Lasciarsi il passato alle spalle ***
Capitolo 28: *** XXVII — Un cuore umano ***
Capitolo 29: *** XXVIII — Traguardo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 


 
“Anche la storia della luna e i falò la sapevo. Soltanto, m'ero accorto, che non sapevo più di saperla.” 
 “La luna e i falò”, Cesare Pavese.  
 

 
 



 
 

Da che aveva memoria, Kagome aveva ascoltato tante leggende: ne aveva sentito parlare dalle bambine del villaggio che ancora sognavano e non conoscevano la dura realtà della vita, dalle vecchie che passavano il loro tempo a raccontare storie della loro gioventù e, soprattutto, dal nonno. 
 
Ichiro aveva dedicato la sua intera vita ad esse; alcune si erano rivelate vere, altre infondate. Questa sua passione aveva in un certo modo influenzato anche il figlio e i nipoti: da piccola, Kagome aveva amato sedersi sulle sue gambe, attorno al fuoco, e ascoltare, incantata, quei racconti su bellissime principesse che venivano salvate dal potente e affascinante demone o su contadine che trovavano l’anima gemella e trasformavano la loro comunissima esistenza in qualcosa di speciale. 
 
Tuttavia, crescendo, era stata messa di fronte alla realtà dei fatti e aveva imparato che le favole non erano altro che quello: favole. Cose che una volta l’avevano entusiasmata e rallegrata, ora la intristivano e influenzavano negativamente. La vita vera non era quella e l’altra metà non esisteva. 
 
Ciò era diventato ancor più vero in quei giorni in cui Kagome aveva visto la terra crollare sotto i suoi piedi ed era stata destinata a un sentiero così triste che nemmeno nei suoi incubi peggiori avrebbe immaginato. 
 
Erano anni che la giovane sacerdotessa non ripensava a quella leggenda sulla quale il nonno aveva tanto insistito, ma stranamente le era tornata in mente in quei momenti, come se certi ricordi volessero farsi beffe di lei. 
 
Giusto qualche ora prima aveva continuato a pensare che, se il fato le aveva riservato una sorpresa così crudele, era impossibile credere, allo stesso tempo, che potesse avere in serbo un’anima perfetta e modellata solo per lei. Dov’era, allora? Perché non era qui con lei? Purtroppo, il cinismo che l’aveva in parte caratterizzata crescendo si era solo esacerbato a causa degli ultimi avvenimenti. Le anime gemelle non esistevano, specialmente non per le giovani donne vittime di una società che non le lasciava essere libere, tanto meno proprietarie del proprio corpo. 
 
Ma la vita era imprevedibile e, di nuovo, le verità a cui si era fermamente aggrappata – anche per la propria sanità – si erano dissolte. Senza darle nemmeno il tempo di piangere il proprio lutto e la perdita delle ultime illusioni infantili, la ruota del destino aveva continuato a girare, stravolgendola, ancora una volta nel giro di un giorno.
 
E in quell’istante, guardando dritto in quei grandi occhi dorati che la fissavano con altrettanto stupore si chiese che importanza avesse tutto quello in cui aveva sempre creduto, le sue conoscenze e le esperienze vissute. 
 
Chi era lei e cosa era destinata a essere? 
 
Sentì che soltanto quelle pozze dorate custodivano un segreto così importante e solo la persona detentrice di quello sguardo magnetico poteva svelarglielo. 
 
Attorno a lei, tutto scomparve e le sembrò che in quei secondi in cui il contatto durò anche il mondo avesse improvvisamente cambiato le proprie fondamenta. Dentro di sé sentì una forza nuova scuoterla e cambiarla, una sensazione di calore partirle dallo stomaco e dissiparsi in tutto il corpo mentre un’improvvisa e inspiegata attrazione la spingeva verso la figura che si erigeva di fronte a lei. 
 
La Kagome che era stata non esisteva più. Era il giorno della sua rinascita. 









 



N/A: Salve a tutti e benvenuti in questo nuovo viaggio. 
Era da un po' che i capitoli di questa Soulmate!AU se ne stavano a prendere polvere sul mio pc, ma in realtà prima di cominciare a pubblicarla stavo aspettando di aver finito di scrivere almeno una delle due long  già in corso sul profilo, così da non trovarmi con tante storie aperte e ancora in attesa di essere concluse.

L'idea mi è venuta quando stavo scrivendo la One-shot "Argento Vivo" e, inizialmente, anche questa era nata come una semplice storia a un capitolo. Tuttavia, il concetto alla base è diventato poi troppo grande per essere contenuto in poche parole, quindi eccoci qui. 
Il prompt da cui sono partita è "Incontri l'anima gemella dopo il peggior giorno della tua vita" che penso sia abbastanza chiaro a tutti, mentre le coppie principali saranno Inukag e Sessrin, e un po' più di nicchia ma sempre presenti la Mirsan e IzaToga (quest'ultima non esiste tra le coppie disponibili quindi non ho potuto inserirla nei dettagli). L'IC dei personaggi sarà sempre da considerarsi in relazione all'universo alternativo in cui ogni personaggio è stato calato. Di conseguenza, pur aver mantenuto le caratteristiche intrinsiche, alcune cose non saranno - ovviamente - come nel canon a causa delle variabili.  Maggiori informazioni sull'universo in cui è ambietata la storia saranno già date nel prossimo capitolo, questo per il momento è solo un breve prologo che funge da introduzione. I prossimi saranno molto più consistenti e considerando che molti sono già scritti, gli aggiornamenti saranno abbastanza regolari. 
Invece, l'aesthetic all'inizio è stato gentilmente realizzato da Trachemys dopo aver letto i primi capitoli di questa storia ❤. 

Spero di aver detto tutto e non essermi persa nulla per la strada, ma per adesso vi saluto. Mi auguro che questo prologo possa aver suscitato la vostra curiosità e di avere il vostro sostegno durante tutto l'arco della pubblicazione. Ringrazio in anticipo chiunque aggiungerà la storia alle seguite/preferite e/o vorrà lasciarmi un segno concreto del suo passaggio - vi leggo sempre con piacere e apprezzo ogni cosa che vorrete dirmi. 

Un abbraccio e a presto, 
Jeremy.

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Capitolo 2
*** I — Il peggior giorno della mia vita ***


Capitolo I: Il peggior giorno della mia vita



“Sometimes the system goes on the blink
And the whole thing, it turns out wrong
You might not make it back and you know
That you could be well that strong
And I'm not wrong.”

Bad Day, Daniel Powter






Quel mattino Kagome si svegliò con il mal di testa e gli occhi ancora gonfi dovuti a tutte le lacrime che aveva versato la sera precedente.

Il sole alto fuori dalla finestra le rivelava che era tardi e, probabilmente, nessuno l’aveva svegliata prima perché quello era il suo ultimo giorno da donna libera e padrona di se stessa; anche il fratellino. che si addormentato con lei per consolarla, era già fuori a compiere i propri doveri. E anche lei avrebbe fatto lo stesso se non fosse stata bloccata dai ricordi che la travolgevano come un fiume in piena.

Solo ieri aveva vissuto il peggior giorno della sua vita, ma presto altri lo avrebbero superato. D’altronde, con le prospettive che le erano state date c’era poco da fare.

Che speranze erano quelle di una donna che aveva assistito alla morte del proprio fidanzato per mano di un demone a pochi giorni dal proprio matrimonio? E quanto ancora meno rosee erano ora che le era stato imposto di sposare l’uomo più crudele del villaggio nello stesso giorno per mettere a tacere voci maligne sulla sua presunta sfortuna?

Era successo tutto così in fretta che Kagome faceva fatica a riordinare i suoi pensieri.

Ricordava com’era stata contenta quando Hojo, l’amico di sempre, aveva chiesto la sua mano; sapeva che la sua sarebbe stata una vita felice perché era un brav’uomo e l’avrebbe rispettata a differenza di tanti altri a cui le sue amiche erano state promesse. Tuttavia, ogni certezza era crollata nell’istante in cui il giovane si era trovato sulla stessa strada di un demone sanguinario ed era morto per difenderla. Era bastata quella manciata di secondi, aver preso una nuova scorciatoia durante la loro passeggiata e incontrato la persona sbagliata per aprire una voragine incolmabile.

Le dicerie e la cosiddetta ombra di sventura che portava con sé erano nate poco dopo: la famiglia di Hojo non aveva voluto ascoltarla, Hitomiko-sama l’aveva guardata con diffidenza e vergogna, così come il capo villaggio e tutte le più importanti famiglie. In breve, la sua era stata ostracizzata e, per salvare la faccia, la mamma e il nonno erano stati costretti ad accettare la proposta di Onigumo, l’unico uomo che si era proposto di sposarla nonostante la sua sfortuna. Kagome ancora rabbrividiva al pensiero di quegli occhi scuri e lascivi che soppesavano la sua figura e l’avrebbero presto avuta in controllo fino alla sua morte.

A quel punto, non le restava che pregare affinché questa arrivasse il prima possibile, proprio come era avvenuto per la prima moglie dell’uomo. Nel villaggio si diceva fosse morta a causa della violenza di lui, ma anche se fosse stato vero non sarebbe cambiato nulla: una donna diventava proprietà dell’uomo a cui era data in sposa.

Da un lato, Kagome non comprendeva come sua madre avesse potuto acconsentire a un’unione simile; avrebbe preferito rimanere nubile ed esiliata per tutta la sua vita piuttosto che finire nelle sporche mani di Onigumo. Dall’altro… sapeva anche che rifiutare quella richiesta in un momento simile avrebbe posto la sua famiglia in una posizione ancora più scomoda, ma anche che non era stata davvero data loro l’opportunità di farlo. Sospirò e, infine, si alzò dal suo giaciglio. Per consentire ai suoi cari di vivere in pace, soprattutto dopo le traversie che avevano già passato, valeva la pena sacrificarsi. Nonostante solo la sera prima si fosse opposta e avesse contrastato a lungo la madre, ora con più chiarezza sapeva che, per la sua famiglia, lo avrebbe fatto.

Strinse gli occhi mentre si preparava per il mattino e, prendendo un’ultima boccata d’aria, si fece coraggio. Cominciava il suo ultimo giorno di libertà e voleva goderne fino all’ultimo istante, nonostante le occhiatacce dei vicini o il bisbigliare che l’avrebbe seguita ovunque.

Indossò le vesti da sacerdotessa, consapevole che presto non sarebbero state più sue – Onigumo aveva posto come condizione quella di abbandonare il suo apprendistato; non che qualcuno l’avrebbe voluta ancora come tale – e decise che sarebbe andata a raccogliere alcune erbe medicinali. Era l’unico modo che conosceva per liberare la mente e smettere di vivere quella vita che si prospettava più infernale che mai.

***

Qualche ora prima, a miglia di distanza da quel villaggio ai margini della foresta, un mezzo demone dai lunghi capelli argentati, orecchie da cane e lo sguardo accigliato, ascoltava la tiritera arrabbiata di suo padre. L’uomo, un dai-youkai da cui entrambi i figli avevano ereditato i colori, era meglio conosciuto come Inu-no-Taisho e governava le terre a Ovest nel Giappone feudale coabitato da demoni e umani.

Non si sapeva esattamente quanti anni avesse, ma a nessuno interessava. Ciò che maggiormente viaggiava di bocca in bocca era il suo valore, il coraggio e, soprattutto, l’affetto per la categoria umana – per grande dispiacere dei puritani della sua razza. Per amore di una di loro, la sua seconda moglie, aveva addirittura rischiato di morire, banalmente bruciato insieme all’uomo che si era invaghito di lei, non ricambiato. Il fatto che fosse sopravvissuto, anche dopo aver ricevuto ferite mortali dal precedente scontro con Ryukotsusei, suo nemico storico, aveva confermato la sua forza e le sue abilità da combattente.

Quella vittoria, però, aveva permesso che la consorte umana e il figlio mezzo demone appena nato crescessero nel suo castello insieme agli altri youkai che lo abitavano, tra cui il suo primogenito. Costui era nato dall’unione dell’Inu-no-Taisho, altrimenti detto Toga, e la sua prima moglie, Kimi; un matrimonio d’interesse durato poco. Ed era proprio Sesshomaru ad essere la causa dell’umore più agitato del Generale e della situazione in cui si trovava attualmente Inuyasha.

Alle prime ore dell’alba era giunta la notizia che, in preda all’ennesimo scatto d’ira contro gli umani, il demone avesse ucciso a sangue freddo un giovane uomo che viveva nel villaggio al confine con le loro terre.

Toga aveva inutilmente tentato di condividere con lui le sue opinioni sulla coabitazione tra i due popoli, ma sfortunatamente il figlio aveva preso dalla madre, ereditando da lei il disprezzo e la presunzione in particolar modo. Sesshomaru non comprendeva come si potessero amare degli esseri inferiori e odiava il padre per la sua scelta di procreare con una di loro – non importa quanto il genitore ripetesse che quella fosse la sua anima gemella. Per quel motivo, aveva trascorso gli ultimi duecento anni a rendere la vita del mezzosangue e sua madre un inferno, scatenando ogni volta che gli andava la sua furia su persone colpevoli di condividere la loro razza. Peccato solo che iniziative di quel genere avessero spesso messo in pericolo la pace che il genitore portava avanti da secoli. L’uccisione del giovane era solo l’ennesima azione scellerata.

Ora, prima che qualcuno potesse far nascere una guerra, Toga avrebbe dovuto pagare i danni fisici e morali alla famiglia dell’uomo e della donna che avrebbe dovuto sposarlo a breve. Chiunque lo avrebbe definito uno sciocco per preoccuparsi di una cosa tanto futile e nessuno si sarebbe mai adoperato tanto per le riparazioni. Tuttavia, Toga non era ricordato anche per il suo buon cuore per nulla.

Ma la notizia giungeva in un momento per nulla propizio; sarebbe stato impossibile per lui allontanarsi dal castello. Ed era proprio per questo che aveva mandato a chiamare il suo secondogenito, un mezzo demone dal cuore sicuramente più aperto di Sesshomaru, ma dalla testa altrettanto calda. Senza considerare l’esser disprezzato dalla maggior parte degli abitanti della valle per la sua natura lo aveva reso diffidente di chiunque a parte suo padre e sua madre.

Toga aveva previsto che Inuyasha non avrebbe accettato facilmente un compito che includeva visitare un villaggio umano ed essere il bersaglio di altrettante angherie. Dopo tutto, il giovane hanyou aveva imparato a sue spese che essere nel mezzo lo rendeva odiato da quasi tutti ed era solo grazie all’amore dei propri genitori – l’unico che avesse mai conosciuto – se non era cresciuto con l’odio nel cuore. Alla fine, però, non aveva dubbi avrebbe acconsentito.

Ciò li riportava in quella stanza, dove Toga stava facendo avanti e indietro, spiegando al figlio la gravità di cosa era appena accaduto. Inuyasha lo ascoltava distratto, ma il suo interesse si risvegliò nel momento in cui le fatidiche parole del padre raggiunsero le sue orecchie canine, le quali si mossero freneticamente sul capo nel tentativo di capire se avessero davvero sentito bene.

“Cosa significa ‘mi aspetto che tu raggiunga quel villaggio entro sera’?” proruppe scattando in piedi e lanciandogli un’occhiataccia. “Io non vado da nessuna parte; che lo risolva quel bastardo di Sesshomaru il problema!”

Toga sospirò. “Inuyasha, ne abbiamo già parlato. Non ti aspet-”

“No,” sbottò ancora il mezzo demone, “tu ne hai parlato. Non ricordo di aver acconsentito a nessuna di queste stronzate. Non vedo perché devo sempre essere io ad andarci di mezzo ogni volta che quello stronzo ne combina una delle sue.”

Il padre strinse gli occhi. “Inuyasha,” ripeté in un tono che non ammetteva repliche, “sai che non mi piace quando parli di tuo fratello in questo modo.”

Fratellastro,” specificò l’altro, “e non mi pare che mi sia mai interessato, pa’, con tutto il rispetto.” Scrollò le spalle e tornò a sedersi.

“Non credere di cambiare argomento tanto facilmente,” continuò il Generale, leggendo nei suoi gesti le sue vere intenzioni. “Tu andrai in quel villaggio e porterai a quelle due famiglie l’oro e tutto ciò che possano desiderare per essere ripagati di questo torto,” sottolineò di nuovo con finalità.

Inuyasha sapeva che quando il padre usava quel tono non c’era da scherzare e, normalmente, avrebbe comunque continuato a scontrarsi con lui; non gli piaceva essere il galoppino di nessuno, tanto meno se si trattava di qualcosa che aveva a che fare con lui. Ma c’era una strana luce negli occhi del genitore e le sue spalle erano stranamente afflosciate, come se sentisse particolarmente il contraccolpo dell’ennesimo scherzo ad opera del primogenito.

“Keh,” sbuffò, già in parte rassegnato. “Non capisco perché devo andarci sempre io di mezzo,” ribadì.

“Perché, per mia fortuna, almeno uno dei miei figli mi obbedisce ancora qualche volta.” Gli sorrise e Inuyasha voltò lo sguardo, imbarazzato a causa dell’orgoglio che leggeva nella voce e negli occhi del padre.

“Keh,” ripeté a voce più bassa mentre lasciava la stanza, non aggiungendo altro. E mentre lo osservava andar via, Toga ebbe la certezza che tutto sarebbe andato bene.

Poco dopo, Inuyasha partì alla volta di quel villaggio che ricordava dai tanti viaggi solitari che aveva fatto. Ciò che non immaginava era che il destino aveva già messo in moto i suoi ingranaggi; non poteva nemmeno sapere che a farli muovere erano state proprio le azioni egoistiche del fratello. In ogni caso, non c’era più scampo.

Il destino aveva già deciso al posto suo.

A breve sia Inuyasha che una donna a lui ancora sconosciuta avrebbero perso ogni certezza e si sarebbero ritrovati di fronte a un percorso che non avevano mai progettato, ma non per questo meno attraente.

***


Inuyasha era molto veloce per essere un mezzo demone, ma con un padre come il suo non era nemmeno una sorpresa che fosse non solo più rapido ma anche più forte di molti altri. Impiegò dunque poco ad arrivare. Il sole di mezzogiorno era alto nel cielo e ogni abitante era nel pieno delle sue attività: il vociare dei contadini, le urla delle madri e i pianti dei bambini rischiarono di renderlo sordo e inasprirono solamente il suo umore già nero.

Con un cipiglio scuro sul volto scese dal ramo su cui era appollaiato a osservare l’agglomerato di capanne sporche e campi mezzo arati, appoggiando saldamente le piante dei piedi a terra. Gli stivali neri che suo padre lo costringeva a indossare ogni qualvolta che lo mandava a compiere questo e quello attutirono l’impatto, ma anche da scalzo non si era mai fatto male saltando da un albero all’altro. Aveva appena oltrepassato la linea che stabiliva il confine tra le terre di suo padre e quelle umane quando una freccia, velocissima, gli sfiorò la guancia. Fece appena in tempo a spostare il viso per non essere colpito in pieno.
Annusò immediatamente l’aria e ringhiò.

Come non detto, non era nemmeno arrivato e già gli mandavano la gente contro. “Donna, vedi di mettere via quelle tue frecce se non vuoi rogne.”

Mentre parlava, un’alta figura femminile uscì dal suo riparo: indossava un paio di hakama rossi sotto un kosode bianco, tipici delle sacerdotesse, aveva lunghi capelli color dell’ebano legati da un nastro altrettanto bianco, pelle candida e un’espressione per nulla amichevole.

“Dovresti vedere meglio dove poggi i piedi, demone,” ribatté lei con una nota acida ma intrisa di sicurezza.

A Inuyasha salì quasi la bile in gola a causa dell’odore altrettanto acidulo che il suo odio e disprezzo emanavano. Ma invece di vomitare, sbuffò. “Mi stai dicendo di lasciare questo posto, ragazzina?” la provocò. “Faresti meglio a pensarci prima di metterti contro di me; sono sicuro che se il capo villaggio venisse a sapere di questa tua diffidenza nei miei confronti non sarebbe tanto contento.” Tutti coloro che vivevano ai margini delle Terre a Ovest – e oltre – sapevano chi era suo padre e quanti sforzi facesse per mantenere possibile la convivenza tra umani e demoni senza spargimenti di sangue. Di conseguenza, tutti erano anche consapevoli di non dovergli mettere i bastoni tra le ruote. Il fatto che questa ragazzina non lo avesse riconosciuto dal colore dei capelli la diceva lunga sulla sua ignoranza – e dire che le donne come lei venivano anche considerate le più istruite.

Non aveva nemmeno finito di parlare che un’altra persona, vestita uguale, l’espressione e l’olezzo identici, comparve accanto a lei. Lo guardò con sdegno, soffermandosi in particolar modo sulle sue orecchie, e poi si rivolse alla compagna. “Kikyo, ti serve aiuto per liberarti di quest’essere?” Arricciò il naso per maggior enfasi.

L’altra, Kikyo, aveva ancora una seconda freccia incoccata e lo sguardo puntato su di lui. Il sorriso derisorio che Inuyasha le stava rivolgendo non le piaceva affatto e stava valutando se qualcosa di ciò che aveva appena detto fosse da considerarsi vera. Anche se, in realtà, le era sempre stato insegnato che ogni cosa che usciva dalla bocca di un demone era falsa.

Ignorò la compagna e si rivolse nuovamente a Inuyasha. “Questo sarò io a stabilirlo, demone,” sibilò. “Resterai buono e fermo accanto a quell’albero mentre io vado a chiamarlo per constatare che tu abbia davvero un minimo di importanza.” Fece per scoccare la seconda freccia e immobilizzarlo al tronco dietro di lui quando, in un secondo, apparve accanto a lei, gli artigli puntati contro la sua giugulare.

“Oh, non credo proprio, Kikyo. Sarò io stesso a trovarlo e credo mi divertirò molto a raccontargli cosa tu e la tua amichetta avete cercato di fare,” ghignò. “E se tu provi anche solo a incoccare quella freccia,” continuò riferendosi all’altra dietro di lui, “alla tua compagna non resterà nemmeno il tempo di cominciare il suo grido di aiuto.”

In realtà, non avrebbe mai pensato di uccidere una delle due né credeva potessero fargli veramente qualcosa – troppe lente –, ma amava vedere i sorrisi compiaciuti sparire dai volti di gente come loro. D’altronde, l’unico divertimento a sua disposizione quando il padre lo mandava in missioni del genere era proprio farsi beffe di umani tracotanti e altezzosi, oltre che assurdamente ignoranti.

Un attimo dopo, senza che le due sacerdotesse potessero fare qualcosa, era sparito in direzione del villaggio e mentre cercava di individuare la dimora del capo villaggio stava ancora sbollendo la rabbia. Si era appena inoltrato maggiormente nel bosco quando gli capitò sotto tiro un’altra di quelle. Era accovacciata a terra e gli dava le spalle, ma Inuyasha captò l’esatto momento in cui le sue spalle si irrigidirono percependo la sua presenza. Non sapeva se definirla una stupida perché continuava a dare le spalle a un demone che, per quanto ne sapesse, poteva volerla ucciderla o più intelligente perché non gli stava già dando contro come le sue compagne.

E mentre lui pensava a un modo per liberarsi di lei ancora più facilmente, Kagome ne riconosceva l’aura.

La giovane non era mai scappata di fronte ai pericoli e sapeva che restare immobile non l’avrebbe aiutata, ma in quel momento era paralizzata dalla paura: l’individuo alle sue spalle aveva un’aura così familiare a colui che aveva ucciso Hojo e l’evento era ancora così fresco da non riuscire a razionalizzare. Passati i primi secondi, si chiese come mai non l’avesse ancora uccisa. Non era forse tornato per quello? Quando altri infiniti attimi passarono e nulla accadde, Kagome si fece forza e si alzò, cercando di nascondere il tremolio del suo corpo.

Intanto, Inuyasha continuava a osservarla con un sopracciglio arcuato; non riusciva proprio a catalogare quella donna il cui atteggiamento risultava diverso da tutto ciò che si era immaginato. Quando si voltò, il suo sguardo indugiò un po’ troppo sui suoi capelli, sul suo vestiario e sulle sue braccia, ma l’hanyou percepì chiaramente il battito del suo cuore accelerare e vide le sue pupille dilatarsi. Quella non era di certo la reazione che si aspettava da una sacerdotessa.

Non poteva di certo sapere che lei aveva riconosciuto il colore della sua chioma e l’aveva collegato a Sesshomaru. Solo la sua veste rossa e la mancanza di marchi color magenta sui polsi lo avevano reso diverso agli occhi di lei.

Kagome stava giusto chiedendosi se fosse stato mandato dal demone del giorno prima quando alzò ancora di più lo sguardo e incrociò i suoi occhi. In un attimo tutte le domande e i dubbi sparirono, insieme a ciò che li circondava, i contorni e tutti i dettagli. Ogni cosa andò sfumando.

All’improvviso, Inuyasha sentì come una forza insormontabile spingerlo verso quella donna sconosciuta e delle catene – no, dei lacci; indistruttibili sì, ma non costringenti – legarlo a lei. Sentì il cuore battergli impazzito nel petto mentre esplorava le sue iridi marroni, cercando il segreto del mondo, sicuro – e non comprendeva nemmeno da dove venisse tale sicurezza – che vi avrebbe trovato almeno il significato dell’esistenza che aveva condotto fino a quel momento. Schiuse le labbra e fece per parlare, ma nulla uscì. Si chiese perché all’improvviso il suo corpo non gli rispondesse e perché quella donna, la stessa che avrebbe dovuto essere sua nemica naturale, lo osservasse con lo stesso stupore. E fu allora che lo capì.

Per tutta la vita si era sentito ripetere che per lui non esistevano in quanto essere indegno, e nessun Dio lo avrebbe mai graziato con una cosa tanto speciale. Ma da piccolo aveva amato ascoltare sua madre raccontare il suo incontro con Toga e ogni volta che le aveva chiesto “Quindi quello prima è stato il giorno peggiore della tua vita?” con la tipica innocenza da bambino, lei gli aveva risposto con sorriso dicendo che non ricordava più cosa era accaduto: la gioia nell’incontrare l’altra metà aveva cancellato ogni attimo triste. Però, aveva smesso definitivamente di fare domande il giorno in cui aveva chiesto se fosse sempre la donna a sperimentare l’incidente fatidico o se accadesse anche agli uomini. Suo padre era scoppiato a ridere e Inuyasha era sicuro che qualsiasi cosa avrebbe detto sarebbe stata incoraggiante. Eppure, Sesshomaru lo aveva anticipato e con tono sprezzante gli aveva detto: “Che ti importa, mezzosangue? Perché continui a fare domande di questo genere? Per quelli della tua razza non esistono anime gemelle. Nessuno vorrebbe essere costretto a posare gli occhi su qualcuno come te, tanto meno esservi destinato.” E poi era scomparso, ancora prima che Toga potesse riprenderlo.

Ma a Inuyasha non importava, non voleva che suo padre punisse Sesshomaru; ci era abituato. Quello che avrebbe tanto voluto da lui, in quel momento, era una parola, anche solo uno sguardo, che smentisse il fratellastro. Invece, la compassione che lesse in quegli occhi dorati come i suoi gli confermarono ciò che Sesshomaru gli aveva appena rivelato.

Negli anni aveva scoperto che non vi era alcuna certezza, nessuno sapeva davvero quale fosse il destino dei mezzo demoni perché quei pochi che nascevano erano ostracizzati da tutti e non avevano mai nemmeno l’occasione di incontrare la propria anima gemella. E se nel mondo esisteva qualcuno che ce l’aveva fatta, di certo la notizia non era mai arrivata alle orecchie della sua famiglia. C’era anche chi era arrivato a dubitare del legame tra i suoi genitori, nonostante la stessa longevità di sua madre fosse la prova inconfutabile. Intanto, lui si era rassegnato alla vita di solitudine che lo aspettava, grato di aver conosciuto almeno un tipo di amore: quello del padre e della madre.

Ma in quell’istante, trovandosi di fronte alla persona che confutava tutte le sue convinzioni, Inuyasha si sentì scosso dentro. La sua mente vivisezionò ogni ricordo e racconto dei genitori, studiò ogni probabilità e incognita, le sensazioni provate e le reazioni che il viso di lei gli rimandava; tutto parlava chiaro e non lasciava spazio al dubbio: l’aveva trovata.

Non ebbe modo di rifletterci troppo perché poco dopo la voce di lei, delicata e al tempo stesso carica di determinazione, gli chiese: “Chi sei?” La sua postura era rigida e la ragazza incontrò il suo sguardo con aria di sfida. Inuyasha, però, capì subito che quella che stava mandando avanti era una messinscena: era terrorizzata e lui non capiva perché. Le sue pupille si dilatarono al pensiero che lo fosse di lui, che anche la sua anima gemella – quella destinata a lui – fosse spaventata al pensiero di un essere tanto impuro.

Era davvero come aveva sempre detto Sesshomaru?

Nello stesso momento Kagome faceva simili considerazioni, ma continuava comunque a osservare guardinga l’uomo destinatole. Era possibile che proprio lui fosse incaricato di ucciderla? Il terrore che il suo corpo continuava ad emanare e stava pizzicando le narici di Inuyasha non era dovuto alla natura di ibrido di quest’ultimo, quanto all’idea che il fato si stesse facendo beffe di lei, la stesse illudendo di avere una possibilità per poi strappargliela crudelmente dalle mani.

Ricomponendosi e cancellando dal suo viso ogni traccia di stupore o meraviglia, Inuyasha parlò per la prima volta, mantenendo la propria voce priva di qualsiasi inflessione che potesse rivelare cosa nascondesse nel cuore. “Sono il figlio dell’Inu-no-Taisho,” annunciò, sperando che almeno lei non fosse ignorante quanto la sacerdotessa che aveva incontrato poco prima.

Nell’udire quel titolo, Kagome sgranò gli occhi e dimenticò per un attimo il possibile collegamento con il demone che aveva ucciso Hojo solo il giorno prima. Ovviamente conosceva bene il Grande Generale Cane, colui che si impegnava a mantenere la pace in quelle terre. Un secondo dopo, ricordò anche cosa si dicesse sul suo aspetto: lunghi e lucenti capelli d’argento, solitamente legati in una coda alta, marchi sul viso e sui polsi, orecchie appuntite, occhi dorati… tutto lo riconduceva a lui. Kagome sentì il corpo cominciare a tremarle incontrollabile. Ma c’era da avere paura? Se davvero era stato lo stesso Generale a ordinare la sua morte, per qualche inspiegabile motivo, valeva la pena provarne? Abbandonare quel mondo non sarebbe stato così male, dopo tutto; le avrebbe risparmiato molto dolore.

Inuyasha percepì immediatamente il cambiamento. Era possibile che il nome di suo padre le suscitasse terrore? Il tanfo era aumentato a dismisura rispetto a prima e poteva vedere la sua facciata crollare. “Ehi, stai bene?” le chiese, preoccupato.

Kagome continuò a mantenere il contatto visivo nonostante tutto. “C-cosa vuole da noi l’Inu-no-Taisho?” chiese di rimando, non riuscendo a ricomporsi.

Il mezzo demone la guardò scettico, ancora incapace di inquadrare la donna che lo stava mandando in crisi a pochi minuti dal primo incontro. Continuava a tentennare tra terrore e determinazione – per quanto debole – e sembrava voler mantenere un minimo di contegno sebbene le costasse fatica. Ma il motivo gli era ancora oscuro. E quella doveva dovuto essere la sua anima gemella? Una sacerdotessa intimorita da un nome o dal suo aspetto? Che fosse quello un altro scherzo? Strinse gli occhi e rilanciò un proprio sguardo di sfida. “Keh, non che siano fatti tuoi, ma mio padre mi ha mandato a risolvere un incidente diplomatico avvenuto ieri da queste parti. I dettagli li rivelerò soltanto al capo villaggio.”

Kagome sentì un fuoco aggressivo divamparle dentro a quelle parole, davanti alla sfacciataggine di quella persona. L’unico incidente avvenuto era la morte di Hojo e lui osava liquidarlo con tanta facilità? “Diplomatico? Dettagli?” sibilò a denti stretti, incredula. “E vorresti dirmi che un demone che uccide a sangue freddo un umano indifeso, di proposito, è da considerarsi incidente?”

L’altro fu colpito dall’odio con cui erano intrise quelle parole e gli venne naturale associarlo alla concezione che la maggior parte degli umani aveva dei demoni. Non poteva sapere che il risentimento con cui Kagome aveva caricato la sua domanda era dovuto all’espressione di disprezzo che Sesshomaru aveva esibito quando aveva artigliato Hojo e alla facilità con cui se n’era andato via, l’altezzosità con cui l’aveva guardata quasi a intendere che avrebbe dovuto essergli grata per averle risparmiato la vita.

“Oi, non so che problema tu abbia, ragazzina, ma come ho già detto discuterò la cosa solo con il capo villaggio. Se non vuoi dirmi dove trovarlo, lo farò da solo, senza dovermi subire le tue accuse insensate.” Cominciava a scocciarsi della situazione e se non fosse che quella donna era collegata a lui e, per questo, lui sentisse il peso di quei nuovi lacci incollargli i piedi al suolo, l’avrebbe già abbandonata da tempo.

“Insensate!” Kagome alzò la voce per esprimere maggiore disappunto. “Come puoi parlare in questo modo?” lo accusò. “Non so chi fosse per te quel demone di ieri o a quale gioco state giocando voi dall’altra parte di queste terre – e forse alla fine mi ucciderai per portare a termine il vostro lavoro sporco –, ma ti assicuro che per me, che ho dovuto assistere all’assassinio del mio fidanzato, queste cose non sono assolutamente insensate,” urlò a pieni polmoni.

Inuyasha fece istintivamente un passo indietro nell'udirla, cominciando a comprendere tutto.

Il terrore che il suo aspetto, così simile a quello del padre e del fratello nei colori, suscitava in lei.

La rabbia a sentirlo parlare di un semplice ‘incidente’.

L’aver trovato la sua anima gemella senza che, allo stesso tempo, avesse sperimentato il peggior giorno della sua vita.

Quella che aveva davanti era la donna che avrebbe dovuto sposare l’uomo assassinato da Sesshomaru e, a quanto pare, era stata presente durante il fatidico momento; aveva guardato gli occhi gelidi e sprezzanti del fratellastro e ora li stava associando a lui. Era possibile che quel terrore che tanto emanava non fosse dovuto al suo essere un hanyou quanto al fatto che fosse imparentato con Sesshomaru?

Cosa andava farfugliando, poi? Ucciderla? Perché mai avrebbe dovuto? Ma aveva parlato di portare a termine un compito e rivedendo nella sua mente ogni singolo frangente del loro incontro, sin da quando, ancora di spalle, si era irrigidita, Inuyasha comprendeva sempre di più in che modo Sesshomaru gli avesse nuovamente rovinato la vita. E non importava se le sue azioni inconsiderate avevano reso possibile incontrarla, le condizioni era disastrose e, forse, loro due non avrebbero mai avuto nemmeno una possibilità.

“Non potevo saperlo,” sussurrò infine, pur consapevole che quelle parole non avrebbero potuto molto.

Kagome gli lanciò un’altra occhiataccia. “Cosa sei venuto a fare?” chiese di nuovo, ignorando le sue pseudo-scuse. “O non puoi ancora discuterne con me?” aggiunse, ironica.

“Mio padre è venuto a sapere del crimine compiuto dal mio fratellastro,” rispose Inuyasha, cercando di essere quanto più diplomatico possibile e di non comportarsi come suo solito, anche se l’ostilità di lei rendeva il compito più complicato. “Vorrebbe rimediare laddove possibile. Mi ha mandato a discutere di un compenso con la famiglia della vittima e della sua fidanzata… beh, della tua.”

Kagome sbuffò, sebbene ora fosse leggermente più tranquilla. “Come se un compenso fosse abbastanza.” Dentro di sé cercava di riordinare il proprio tumulto: la sua anima gemella era il fratello di colui che aveva assassinato il suo fidanzato, era imparentata con la persona colpevole di averle rovinato la vita e, allo stesso tempo, messo in moto il destino… se la leggenda del nonno era corretta. Avrebbe voluto ridere per l’assurdità di quella vita, del fato, del gioco sporco del destino; ridere tanto da sembrare pazza e perdere fiato, perché forse, in fondo, pazza lo stava diventando davvero. Gli diede le spalle e raccolse il cestino abbandonato prima. “Seguimi,” gli ordinò con un tono meno tagliente, prima di incamminarsi.

Inuyasha sospirò, osservando in che modo la donna continuasse a cambiare atteggiamento. In che razza di situazione l’avevano cacciato? Come ne sarebbe uscito? E come avrebbe risolto la faccenda delle anime gemelle?

Sapeva che, mettendo da parte rabbia e paura, anche la ragazza aveva sentito gli stessi lacci legarli nel momento in cui i loro sguardi si erano incrociati; glielo aveva letto sul viso. Ma saperlo non avrebbe reso la situazione più semplice né alleggerito i mille dubbi che gli attanagliavano il cuore.






N/A: Benritrovati!
Come avete visto in questo capitolo si scoprono già più cose sulle circostanze dietro l'incontro tra Inuyasha e Kagome e anche la società in cui vivono. Il periodo è sempre il Sengoku ma per il resto ho cambiato un po' di cose e Kagome è nata e cresciuta lì. Per il resto, Sesshomaru continuerà a essere poco simpatico per un po' di tempo ma ovviamente non vi dico per quanto - non voglio rovinarvi mica la sorpresa.

Spero vi sia piaciuto e di essere riuscita a fare luce su alcuni dei vostri dubbi. Non vi resta che scoprire come procederà la situazione ora che i due si sono incontrati.
Grazie a tutti coloro che hanno già aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite e chi mi ha lasciato/lascerà un pensiero.

Un abbraccio e a presto 💖.

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Capitolo 3
*** II — La proposta ***


Capitolo II: La proposta



“Ma nel suo petto il cuore era pesante e colmo di un dolore complicato, strano e indecifrabile.”

Il vino della solitudine, Irène Némirovsky





I sussurri cominciarono appena uscirono dal folto bosco e imboccarono una delle stradine principali. Nonostante la cosa andasse avanti da a malapena un giorno, Kagome ignorò tutto come se fosse l’abitudine. Non poté evitare, però, di calare lo sguardo non appena notò le orecchie del demone accanto a lei drizzarsi in testa, agitarsi come nel tentativo di comprendere meglio ciò che stavano ascoltando. Kagome immaginò potesse udire tutto molto più chiaramente e le sue gote si imporporarono per la vergogna.

Non importava in quale circostanza si fossero incontrati o chi fosse suo fratello, se davvero il ragazzo era la sua anima gemella, lei non avrebbe mai voluto che ascoltasse tutto ciò che avevano cominciato a dire sul suo conto. Per quanto le loro voci fossero lontane e le arrivassero come un sussurro, Kagome le udiva chiaramente nella sua testa; rimbombavano e le causavano dolore al petto ogni volta che una nuova si aggiungeva alle altre.

“Spostati, non toccarla nemmeno per sbaglio,” una madre sussurrava al figlio. “Non voglio che la sua sfortuna ti sfiori.”

“E pensare che solo una settimana fa le avevo fatto benedire la nascita di Akito,” inveiva un uomo, sputandole ai piedi. “Ho dovuto chiamare immediatamente Kikyo-sama per contrastare qualsiasi maledizione avesse lasciato su mio figlio.”

“Quei poveri genitori sono distrutti,” piangeva un’anziana donna, “e pensare che Hojo era così contento al pensiero di sposarla; ne andava fiero. Ma come avrebbe potuto sapere che l’avrebbe condotto alla morte?”

“Come abbiamo mai potuto considerarla l’erede di Hitomiko-sama? Ha nascosto fino ad oggi la sua vera natura, ma è evidente che è sempre stata una sacerdotessa nera,” continuava la sua amica accanto.

“Quell’Onigumo è l’unico che potrebbe mai sposarla ora,” aggiungeva una terza vecchia. “Avrà ciò che si merita quando farà la fine della prima moglie.”

E mentre Kagome calava il capo dall’imbarazzo, nascondendo le lacrime che le erano inevitabilmente scese sulle guance agli altri ma non all’olfatto fine di un demone, Inuyasha ascoltava tutto scioccato, cercando di controllare la rabbia che tanto odio gli suscitava. Si trattenne dal dirne quattro a quel trio di comari che non avrebbe riconosciuto una sacerdotessa nera nemmeno se avesse maledetto la loro intera discendenza e guardò fisso davanti a lui, preoccupandosi della ragazza.

Strinse i pugni, conficcando gli artigli nei palmi della mano per trattenersi, e continuò a camminare ringhiando sottovoce. Comprendeva anche meglio il rancore di lei, soprattutto dati i risvolti che l’azione di Sesshomaru aveva portato.

Fu colpito dalla cattiveria degli umani che, in quel momento, superava di gran lunga anche quella che i demoni gli avevano sempre riservato. Rifletté che preferiva essere ignorato che sentire certe dicerie sul suo conto. Eppure, quelle lo toccavano comunque nel profondo, non poteva ignorarle, soprattutto non quando doveva sentire delle vecchie arcigne che auguravano la morte della sua anima gemella per mano di un vecchio uomo che aveva già ucciso la prima moglie.

Se poco prima aveva avuto dubbi e l’incertezza si era impossessata di lui mentre pensava a come avrebbe potuto risolvere la situazione, ora si sentiva rinvigorito da una nuova determinazione. Gli era bastato udire alcune delle cose di cui la gente sparlava per avere il quadro della situazione. Aveva rinsaldato il proprio proposito e capito ciò che doveva fare. Suo padre gli aveva detto che avrebbe potuto effettuare riparazioni nel modo che riteneva più opportuno, dopo tutto, e lui aveva compreso quale.

Arrivarono, infine, dopo quella che a entrambi sembrò un’eternità, all’abitazione del capo villaggio, la più vistosa e ricca. Quando l’hanyou vide uscire da essa le sacerdotesse che aveva incontrato poco prima, si rese anche conto di aver perso la concezione del tempo con Kagome. Se le due erano già lì, il loro confronto era durato più di quanto avesse creduto.

Entrambe non lo degnarono di uno sguardo, ma non gli sfuggirono i sorrisetti maliziosi e cattivi che riservarono alla donna accanto a lui; l’invidia e la soddisfazione che provenivano a ondate da loro gli bruciarono le narici, provocandogli l’impulso di starnutire per liberarsi del tanfo.

“Hai coraggio a farti vedere ancora in giro, soprattutto con queste vesti,” disse quella che non si chiamava Kikyo, avendo cura di non farsi sentire da altri. “È una vergogna per noi che siamo vere miko.”

Inuyasha le osservò oltrepassarla vittoriose e altezzose, come se a tutti dovesse essere evidente la loro superiorità, ed essere accolte con gioia dalle stesse persone che avevano infangato Kagome. Un secondo dopo, dallo stesso ingresso, uscì una terza sacerdotessa. Il suo portamento, i lineamenti più maturi e la maggior fiducia che la sua aura emanava rivelarono a Inuyasha che si trattava di quella a capo di tutte. Accanto a lei, l'uomo che Inuyasha aveva tanto cercato.

La donna guardò con indifferenza Kagome, poi si soffermò sulle vesti che quest’ultima ancora indossava. “Tsubasa ha ragione,” mormorò atona, “lavale e riportale al tempio entro questa sera; non ne hai più diritto.” Detto questo, si aggiunse alle sue due allieve nel cercare di confortare gli abitanti destabilizzati dal passare di Kagome, tranquillizzandoli sull’eventuale malaugurio che avrebbe potuto richiamare su di loro.

Inuyasha ringhiò ancora sul punto si abbandonare le buone maniere e suonarne due a quella massa di sciocchi, ma a quel punto non sarebbe stato migliore del fratellastro e avrebbe complicato tutto, deludendo il genitore che lo aveva mandato confidando in lui. Lui era l'unico che credeva fermamente in Inuyasha e conosceva la verità sul suo carattere solitamente burbero e scontroso.

Eppure, a bloccarlo non fu il pensiero del padre né l'idea di provocare un dispiacere alla madre, piuttosto il singhiozzo sommesso proveniente da Kagome che ancora teneva il volto calato.

Il mezzo demone strinse i denti e decise di chiudere la questione il più velocemente possibile. Prima avrebbe lasciato la piazza affollata di ignoranti, meglio sarebbe stato per tutti.

Alzò lo sguardo verso il capo villaggio che lo stava osservando dall’uscio della sua abitazione, in attesa; evidentemente quelle due arpie lo avevano già avvisato con la loro personale versione dei fatti. Inuyasha avrebbe avuto cura di aggiungere i dettagli che mancavano, facendo anche uso del nome di suo padre senz’altro necessario per spaventare tutti quei babbei.

“Va’ a casa,” ordinò infine a Kagome, pur non avendone alcun diritto. Il tono fu più brusco e tagliante di quel che avrebbe voluto, ma in quel momento trovò impossibile controllare la sua furia. “Saprò trovare la tua capanna anche senza di te.”


***



Kagome imboccò la via di casa mantenendo il volto basso e ignorando le lacrime che le rigavano il viso, cadendo sotto il peso di tutti quegli avvenimenti. Dentro di sé era ferita ancora di più dal tono che il demone aveva usato nei suoi confronti dopo aver ascoltato ciò che si diceva sul suo conto. Non lo conosceva, è vero, lo aveva incontrato solo minuti prima, eppure si sentiva tradita: se ciò che aveva provato era la verità, perché l’aveva trattata in quel modo?

Raggiunse la propria abitazione senza fare nemmeno caso a dove metteva i piedi e, una volta entrata, non si annunciò ma si nascose immediatamente dietro il paravento che utilizzavano la notte, stendendosi sul futon che non aveva nemmeno posato da quella mattina. Portò le gambe al petto e si piegò su stessa, soffocando i propri singhiozzi tra le ginocchia. Era arrivata alla conclusione che qualsiasi cosa avesse visto in quegli occhi dorati doveva sicuramente averla sognata. Il tutto probabilmente era uno scherzo della sua mente che cercava una via di fuga da un destino tanto crudele.

Qualsiasi altra cosa sarebbe stata meglio che andare in sposa a Onigumo e, spinta dal proprio dolore, doveva addirittura aver pensato che il primo straniero giunto da loro potesse essere la sua anima gemella. Stava delirando. In quello stato aveva ricordato la leggenda del nonno e si era lasciata influenzare da speranze vane.

La sua famiglia poté solo ascoltare la sua disperazione, percepirla mentre si univa all’aura funesta che aleggiava sulla loro capanna dal giorno precedente. Né il nonno né la madre avrebbero voluto darla in sposa a quell’uomo viscido, ma quale sarebbe stata l’alternativa? Il capo villaggio aveva fatto capire chiaramente che non avrebbero dovuto rifiutare e che, anzi, qualsiasi risposta avrebbero dato la scelta non era davvero loro.

Il nonno, in particolare, se ne faceva una colpa perché stava letteralmente sacrificando Kagome per salvare almeno gli altri membri della famiglia. Che razza di persona poteva definirsi se da lì a breve avesse lasciato che lei sposasse quell’essere, sapendo anche qual era il destino che l’aspettava come sua moglie? Era davvero arrivato a quell’età, sopravvissuto alla moglie e al figlio, per vedere quell’orrendo spettacolo? Gli Dei avevano decretato per lui quella vita, lo avevano condannato a osservare quel declino e anche la morte della nipote a lui tanto cara? Perché, se anche Kagome fosse sopravvissuta a quell’Onigumo, Ichiro era sicuro che sarebbe presto morta nello spirito; già adesso poteva vederne i segni.

L’umore non migliorò nel corso dell'ora successiva e come avrebbe potuto altrimenti, ma quei pensieri funesti furono interrotti improvvisamente da un leggero bussare e da una voce maschile che si annunciava.

L’anziano uomo alzò il volto, sorpreso, dal tè ormai freddo mentre la nuora andava ad accogliere chiunque fosse alla porta. Poco dopo, nella capanna entrò un giovane alto e robusto, folti e lunghi capelli d’argento in mezzo ai quali spiccavano due candide orecchie canine, un’espressione seria e due occhi dorati e determinati; indossava una veste rosso fuoco e sul fianco portava una katana dall’aspetto abbastanza malconcio.

Gli occupanti della dimora lo osservarono per un momento a bocca aperta, non credendo ai propri occhi, ma si ripresero non appena sentirono un’altra persona schiarirsi la voce. Solo allora notarono il capo villaggio accanto a lui.

“Il qui presente è il figlio hanyou dell’Inu-no-Taisho. Per ordine di suo padre è venuto a parlarvi di quanto accaduto ieri.” A nessuno sfuggì il disprezzo con cui calcò la parola hanyou o cercò con lo sguardo la quarta persona che mancava all’appello ed era ancora nascosta dietro il paravento. “Credo sia tutto; lascio a voi le discussioni,” aggiunse infine, prima di voltarsi e lasciare la capanna senza nemmeno l’accenno di un saluto, probabilmente per paura che dilungarsi anche un secondo di più avrebbero potuto portargli sfortuna.

Ichiro scosse la testa, desolato. E dire che in passato lo avrebbe definito un buon amico. “Vi prego di ignorare i modi poco educati del nostro capo villaggio,” parlò, “posso assicurare che non è stato sempre così; c’era un tempo in cui l’educazione era considerata un valore fondamentale.” Detto ciò, si alzò e si inchinò al mezzo demone, facendo cenno al nipote e alla nuora di fare lo stesso.

Inuyasha ricambiò immediatamente poi prese posto dove gli indicava la donna. Non cercò nemmeno con gli occhi Kagome: aveva sentito i suoi singhiozzi mentre si avvicinava all'abitazione e il momento in cui i suoi battiti erano diventati irregolari sentendolo arrivare.

“Kagome, vieni a salutare il nostro ospite,” ordinò ancora l’anziano uomo, il capofamiglia. E solo allora Inuyasha conobbe il nome di quella che era la sua anima gemella. Si rese conto con sgomento che, fino ad allora, non si erano nemmeno presentati.

Poco dopo, volto ancora calato, la ragazza comparve da dietro il paravento. Gli offrì solo un inchino in segno di saluto e, immediatamente dopo, corse ad aiutare la madre a preparare qualcosa da offrire, lasciando il nonno e il fratello a discutere con Inuyasha.

“Bene, ragazzo,” ricominciò Ichiro. “Di cosa vorresti parlarci?” Il capo villaggio aveva fatto riferimento a ciò che era accaduto il giorno prima, ma non aveva idea di cosa potesse volere il Generale delle terre ad Ovest da loro. Non aveva idea di chi fosse colui che aveva ucciso Hojo; lui, come tutto il resto degli abitanti, non aveva avuto modo di vederlo e ciò aveva anche contribuito ad aumentare le voci sulla colpevolezza di Kagome. C’era anche chi diceva che non esisteva alcun demone. Potevano essere collegate le due cose?

“Se non le dispiace, vorrei aspettare che anche sua figlia e sua nipote possano partecipare alla conversazione visto che riguarda l’intera famiglia,” rispose educatamente Inuyasha, cercando di fare una buona impressione, ma agitato per ciò che stava per fare.

Ichiro lo osservò con occhio critico, notando la sua postura e i modi, apprezzando il fatto che non facesse un vanto della sua posizione superiore in quanto figlio di un Comandante di quel calibro e anche ricordando che non si era lasciato scalfire dalle parole offensive del capo villaggio.

Il silenzio scese nella capanna dopo che l’uomo ebbe annuito, spezzato solo dai rumori che provenivano dalle due donne e la tensione aumentò inevitabilmente. Quando infine anche Kagome e la madre si unirono ai tre, Inuyasha non poté non notare il modo in cui la ragazza evitava il suo sguardo e faceva finta di non averlo mai visto prima.

La cosa gli diede immensamente fastidio e lo portò a chiedersi cosa avesse fatto per meritare quel comportamento. Era vero che il loro primo incontro non era andato nei migliori dei modi, ma pensava almeno avesse capito che lui non avesse nulla a che fare con ciò che era accaduto. In ogni caso, quell’atteggiamento non sarebbe potuto continuare per sempre, non se voleva che tutti i suoi piani si realizzassero.

“Presumo che sua nipote le abbia già detto del nostro incontro poco fa e del motivo per cui sono giunto al vostro villaggio,” proclamò, prevedendo il suono strozzato che provenne da Kagome un attimo dopo. Lei alzò il viso per un attimo, sorpresa e tutta rossa, ma lo riabbassò non appena incontrò lo sguardo determinato di Inuyasha.

Gli altri tre componenti della famiglia si voltarono a guardarla ugualmente sorpresi. “Cos’è questa storia, Kagome?” volle sapere il nonno.

“Ho incontrato il figlio del Generale mentre ero fuori a raccogliere erbe. Mi ha detto che il padre vuole offrire riparazioni per ciò che è accaduto,” spiegò debolmente, non aggiungendo, però, che aveva evitato di farne parola perché non credeva che lo avrebbe mai rivisto. Infatti, era stata convinta che dopo aver sentito le dicerie sul suo conto non si sarebbe presentato alla loro capanna.

“E perché mai il Generale vorrebbe offrire riparazioni alla nostra famiglia per la morte di Hojo? Perché dovrebbe sapere di ciò che accade qui?”

“Vede,” cominciò Inuyasha, girandosi verso l’uomo dal quale, fortunatamente, sentiva provenire un’aura ancora calma e tranquilla, totalmente opposta a quella del capo villaggio e degli altri abitanti. Si chiese anche se suo padre fosse al corrente di quel tipo di atteggiamenti in un insediamento tanto vicino al confine. O, forse, Toga ne era ben consapevole e lo aveva mandato apposta per evitare che la situazione degenerasse. “Siamo venuti a conoscenza solo questa mattina di ciò che mio fratello maggiore ha fatto e ci rincresce sapere di ciò che le sue azioni sconsiderate hanno causato. Mio fratello Sesshomaru,” aggiunse sforzandosi di non utilizzare la parola ‘fratellastro’ e di non calcare la sostituta con odio per mantenere le apparenze, “è il demone responsabile della morte del giovane Hojo. Sua nipote ha riconosciuto subito il nostro legame di sangue grazie ai colori identici.”

Un sussulto provenne dalla madre della ragazza, mentre il ragazzino lo guardava a bocca aperta e il vecchio con occhio critico.

“Quindi che vuole fare tuo padre?” continuò Ichiro, per nulla colpito dalle parole di circostanza o dalla rivelazione. “Provare a questo villaggio di ignoranti che un demone sanguinario ha davvero ucciso senza vergogna quel povero ragazzo e che mia nipote non c’entra assolutamente nulla con l’accaduto? Come intende ripagare all’onta che è scesa su di lei o alla perdita di quella famiglia?” Le sue parole erano dure, ma l’uomo voleva far capire che nessun oro o discorso preparato avrebbe potuto ripagare loro dei torti subiti. Non se Kagome era ora costretta a sposare Onigumo nello stesso giorno in cui sarebbe dovuta diventare la moglie di Hojo.

Inuyasha fu colpito da tale durezza, ma si riprese immediatamente dopo aver fatto un cenno con il capo. “Capisco il suo discorso, signore, e per questo che-”

Ichiro lo interruppe. “Lo capisci? Cosa capisci esattamente? Lo sai che ne sarà di lei nel giro di un paio di giorni per ciò che tuo fratello ha fatto probabilmente per semplice divertimento? Le tue orecchie sono solo per decorazione o hai avuto modo di ascoltare ciò che vanno dicendo sul suo conto? Per anni si è allenata per mettere a disposizione di ogni membro di questa comunità il proprio potere spirituale, senza mostrare un minimo di egoismo e sacrificando ogni secondo del suo tempo. E cos’ha ricevuto in cambio? Nel momento del bisogno tutti le si sono rivoltati contro; forse per invidia e gelosia o influenzate dalla cattiveria di alcuni di loro, non lo so. Il fatto è che quando aveva bisogno di loro è stata condannata e sono costretto a darla in sposa a un uomo che ha già ucciso la sua prima moglie per salvare almeno mia nuora e mio nipote. Credi che qualsiasi offerta tuo padre avesse in mente quando ti ha mandato qui possa diminuire il peso che porto sul petto o rendere più felice il futuro di Kagome ora che ogni sua speranza è andata in frantumi?” La voce era carica di scetticismo e gli occhi si era ridotti a due fessure durante tutto il discorso. “Ti prego di capirmi e di non fare a caso all’animosità delle mie parole perché è dovuta solo agli ultimi e inattesi sviluppi che hanno inasprito il mio animo e non a una maleducazione da parte mia. Però, devo chiederti di lasciare questa capanna e non tornare se l’unica cosa che hai da offrire è un po’ di oro per alleggerire le vostre coscienze sporche.” Detto questo, abbassò lo sguardo sulla tazza di tè di fronte a sé e prese un lungo sorso.

Invece di essere scoraggiato da un discorso del genere, Inuyasha guardò stupito l’anziano uomo, sentendo nel suo tono, anche nella sua aura, tutto il dolore che quelle circostanze gli avevano portato, ma soprattutto tanto senso di colpa per il destino di Kagome. Gli altri membri della famiglia non fiatarono, ma avevano tutti e tre gli occhi colmi di lacrime; Inuyasha era convinto che anche il nonno stesse facendo uno sforzo immenso per non crollare davanti a lui.

“A dire il vero, signor Ichiro, credo proprio di essere in grado di offrire qualcosa che possa alleggerire il peso che porta sul petto e offrire a sua nipote una prospettiva di vita migliore di quella che ha adesso. Non posso ridarle ciò che ha perso, ma qualcosa di meglio sicuramente,” parlò sicuro e per nulla intimidito.

Kagome alzò gli occhi lucidi su di lui, guardandolo davvero per la prima volta da quando era arrivato. Quel demone la lasciava senza parole: incrociando il suo sguardo sentiva nuovamente la connessione che aveva percepito solo qualche ora prima, come a volerle dire che non era frutto di un delirio, che era davvero la sua anima gemella. Tuttavia, il terrore che si potesse illudere e non riuscire davvero a scappare dal suo destino crudele le aveva fatto voltare il viso, ignorandolo per tutto il tempo. Ma ora, dopo quelle parole, le tornava un briciolo di speranza. Cosa mai voleva dire?

“Spiegati, giovanotto.”

“È semplice, davvero. Le chiedo la mano di sua nipote e il permesso per portarla con me a Ovest. Ho avuto modo di osservare questo villaggio e la gente che lo abita e non so com’era la vita qui prima di qualche giorno fa, ma non credo sia il luogo adatto a lei. Se me lo permette, le offrirò una vita più degna e cercherò anche la migliore figura spirituale che possa aiutarla a portare a termine il suo addestramento da sacerdotessa visto che, come mi è parso di capire, è stato interrotto.” Mentre parlava, all’esterno Inuyasha appariva completamente sicuro di sé, ma dentro era roso dall’incertezza. Era consapevole che Kagome poteva anche non volerlo sposare, esserne disgustata a causa della sua natura, ma era la migliore possibilità che aveva per scappare da questo villaggio e da un uomo che le avrebbe reso la vita un inferno.

In realtà, Inuyasha aveva intenzione di lasciarla libera di decidere, consentirle di scegliere il percorso che avrebbe preferito. Era una possibilità che lo faceva soffrire perché, pur conoscendola appena, il solo fatto che lei fosse la sua anima gemella lo aveva inevitabilmente legato a lei; avrebbe voluto avere il tempo necessario a conoscerla e approfondire il loro legame, così come avevano fatto i suoi genitori e come lui mai aveva immaginato di fare prima d’ora. Tuttavia, non sapeva quali erano i suoi pensieri, non capiva se lei sentisse la stessa forza che spingeva lui verso di lei o se solo lo accettasse come suo predestinato. E per quanto l’opzione non lo rendesse felice, era disposto a tutto pur di allontanarla da quel tipo di cui aveva sentito parlare; non l’aveva trovata solo per perderla in quel modo.

Con la coda dell’occhio vide Kagome continuare a osservarlo, stupita, gli occhi ancora colmi di lacrime che lui non sapeva come interpretare – la disgustava davvero l’idea di sposarlo? Avrebbe preferito rimanere con quell’uomo crudele perché umano? –, ma mantenne lo sguardo puntato sul nonno che avrebbe avuto l’ultima parola.

“Vuoi mia nipote in sposa perché credi che altrimenti nessuno potrebbe accettarti per quello che sei?” gli chiese l’anziano, più diretto che mai e senza lasciar cadere la sua maschera dura.

“Non mi permetterei mai di essere così meschino. Posso comprendere che essere in parte imparentato con il demone che vi ha causato tanti guai mi pone in una posizione di svantaggio, ma posso prometterle che desidero il meglio per lei nonostante l’abbia conosciuta solo oggi.” Volse un mezzo sorriso alla ragazza nel tentativo di rassicurarla mentre lo diceva. “Sono rimasto allibito dalle voci che circolano e so che questa è la soluzione migliore. È vero che il nostro castello è abitato principalmente da demoni e che alcuni potrebbero non accettare la sua presenza, così come non hanno mai accettato la mia o quella di mia madre, anch'ella umana, però posso garantirle che la sua sicurezza sarà sempre assicurata, cosa che non posso dire, invece, se rimanesse qui. Mi corregga se sbaglio. Inoltre, sono sicuro che non ci sia bisogno di aggiungere nulla sull’opinione che mio padre potrebbe avere sulla nostra unione.”

“Certo che no, giovanotto, altrimenti tu non ti troveresti nemmeno qui con noi,” convenne Ichiro. Inuyasha annuì.

“Caro,” parlò per la prima volta la madre di Kagome. L’hanyou si voltò verso di lei e la osservò: era una donna ancora abbastanza giovane e bella, che condivideva molti tratti con la figlia, ma la cosa che lo colpì maggiormente fu il sorriso sincero che gli riservò, uno di quelli che aveva visto solo sulle labbra di sua madre. Aveva anche lei le guance rigate e gli occhi ancora lucidi, ciò nonostante, incrociò il suo sguardo con quanta più fierezza potesse. “La tua è una proposta onorevole e mi commuove sapere che saresti disposto a salvarla, ma avrai sicuramente saputo che abbiamo già promesso la mano di Kagome al signor Onigumo.”

“Basta così, Kaori,” la interruppe secco Ichiro, “sai anche tu il motivo per cui abbiamo accettato.”

“Sì, papà, ma non vorrai mica venire meno alla parola data?” chiese, preoccupata.

Ichiro, in tutta risposta, continuò a guardare serio Inuyasha, scrutandolo e cercando di capirlo. Percepiva provenire da lui qualcosa a cui non sapeva dare nome, qualcosa che lo collegava alla nipote… e chi era lui per spezzare quel legame, qualunque cosa fosse? Non poteva sapere con certezza se i suoi sospetti erano fondati – la sua forza spirituale era sempre stata minima e gli permetteva solo di avvertire appena certe cose, non vederle appieno –, ma non avrebbe buttato al vento questa possibilità di felicità per Kagome né la sua via di fuga.

“Le cose stanno così, ragazzo,” si rivolse a Inuyasha. “Accetterò che tu prenda in sposa Kagome a due condizioni. Devi ripagare quest’uomo di qualsiasi cosa abbia messo a disposizione per il matrimonio, come d’altronde credo tu abbia già fatto con la famiglia di Hojo, e soprattutto, devi portare via Kagome questa sera stessa.”

A quell’ultima richiesta tutti lo guardarono a bocca aperta.

“Ne è sicuro?” chiese Inuyasha. “Vuole affidarla a me anche se non siamo nemmeno sposati e pur sapendo cosa sono?”

“So leggere le persone, ragazzo, e finora ho avuto poche delusioni. Sapevo che Hojo sarebbe stato un buon partito per mia nipote perché era una brava persona, come so che quell’Onigumo porta solo guai. Ma non starò qui a spiegarti le dinamiche di un villaggio e il motivo per cui mi sono ritrovato costretto a dargli Kagome. Tuttavia, sento qualcosa di ancora più positivo provenire da te e so che sto facendo la scelta giusta. Sta a te ora trattarla nel modo più consono e so che non te ne approfitterai, ma la porterai in salvo il prima possibile.” Inuyasha annuì. “Per quanto riguarda la seconda cosa, non mi mettere allo stesso livello di certe persone. Per quanto in passato abbia avuto idee contrastanti, vivere al confine con le terre di tuo padre, conoscere alcune delle sue imprese e la sua storia, mi ha aperto gli occhi. Se fossi spaventato all’idea di ciò che un mezzo demone è in grado di fare o delle voci sulla loro presunta instabilità non avrei mai accettato e non ti avrei nemmeno fatto entrare in questa capanna.”

“Certo, lo capisco,” annuì ancora Inuyasha. “E accetto entrambe le condizioni.”

“Ma, nonno!” sbottò Kagome, parlando per la prima volta. “Come puoi chiedermi una cosa del genere?” domandò con nuove lacrime a rigarle il volto. E in quel momento, anche solo per un secondo, Inuyasha ebbe la conferma che la ragazza trovasse disgustoso il solo pensiero di sposarlo. Però, le sue successive parole lo contraddissero del tutto. “Come puoi chiedermi di lasciarvi tutti qui, da soli, in balia di quella gente?” esclamò puntando il dito verso l’esterno. “Vi trovate in questa situazione per colpa mia e non sappiamo cosa potrebbe farvi Onigumo appena saprà che sono scappata; l’intero villaggio vi si rivolterebbe contro. È un uomo violento, nonno,” continuò, aggrappandosi alla sua veste e guardandolo con occhi imploranti. “Non potrei mai abbandonarvi sapendo che potrebbe accadervi qualcosa di terribile.”

Ichiro le carezzò amorevolmente una guancia con la mano rugosa, asciugandole contemporaneamente le lacrime. “Tesoro, abbi fiducia in me. Sarò in grado di difendere la mia famiglia, ma dammi la possibilità di proteggere anche te e rimediare alla codardia che ho dimostrato ieri accettando la proposta di quel vile. Proprio perché so che è violento non potrei mai sopravvivere al pensiero di te nelle sue grinfie.” Detto ciò, la strinse forte a sé, lasciando che lei sfogasse il proprio dolore sul suo petto.

Inuyasha distolse lo sguardo, avendo la sensazione di star assistendo a qualcosa di troppo personale. Le sue orecchie non gli impedirono comunque di ascoltare le successive parole mormorate. “Ti prometto che saremo al sicuro; penseranno tutti tu sia scappata. Ma non ti toglierò anche questa volta la possibilità di scegliere: se non vuoi partire con Inuyasha, rifiuterò la sua offerta, anche se l’alternativa è darti a Onigumo.”

Il cuore del mezzo demone perse un paio di battiti mentre aspettava cos’altro avesse da dire.

Sentì Kagome tirare su con il naso e poi il suono attutito della sua risposta. “No, nonno, no, grazie per avermelo chiesto, ma accetto la tua decisione. Andrò via con Inuyasha. Ma promettimi… promettimi che ci rivedremo, che vi salverete.”

A quel punto, in parte rincuorato dalla risposta decisa di lei, Inuyasha si intromise. “Se posso permettermi, a questo proposito vorrei aggiungere la mia.” L’anziano gli fece segno di proseguire. “Credo anch’io che questo non sia più il luogo adatto a voi e so che, probabilmente, sarà difficile lasciare il posto in cui siete cresciuti tutti, ma vorrei tornare a prendervi una volta che Kagome sarà al sicuro con i miei genitori.”

La madre di Kagome sussultò. “Non vorrai mica dire…”

“Sì, signora, assolutamente. Quando sono partito mio padre mi ha chiesto di fare tutto ciò che ritenevo possibile per ripagare il torto subito e, lo ammetto, non avrei mai immaginato di trovare questo…” figurarsi poi la propria anima gemella. “Quindi sono sicuro che sarebbe d’accordo con la mia decisione. Anche voi siete in pericolo, soprattutto una volta che si verrà a sapere che Kagome è scomparsa. Dovete pensare a voi e al bambino,” aggiunse indicando Sota.

Ichiro fu colpito da quell’offerta; non aveva messo in conto quell’evenienza ed era stato sincero quando aveva detto che avrebbe protetto la propria famiglia. Tuttavia, si rendeva conto che la proposta era allettante. Con l’aiuto di Inuyasha avrebbero potuto trovare facilmente un luogo più adatto a vivere, uno dove ricominciare a offrire anche a Sota una prospettiva migliore.

“E sia, ragazzo, se ci assicuri che non sarà troppo problematico per te, accetteremo volentieri; sarei uno sciocco a rifiutare,” affermò, mentre la nuora, accanto a lui, annuiva d’accordo. “Questa notte, quando il sole sarà calato ormai da un pezzo e nessuno più sarà in giro, ritornerai da noi. Nel frattempo, vorrei che tu facessi finta di aver lasciato per sempre il villaggio, avendo cura di farti vedere da più di una persona.”

“Certo, lo avrei fatto comunque. È la mossa più saggia. Se nessuno mi vedesse andar via, potrebbero poi collegare a me l’assenza di Kagome. Sarà già tutto molto sospetto, questo mi sembra il minimo. Tornerò a notte fonda e la porterò via. Con i miei sensi e la mia velocità non corriamo rischi. Per l’alba potrete stare sicuri che saremo al castello. E nel giro di un paio di giorni sarò di ritorno per prelevarvi,” assicurò ancora.

L’anziano uomo allungo le mani e, senza troppe cerimonie, afferrò impavido quella artigliata di Inuyasha. La strinse tra le sue e poi lo guardò fisso, pieno di speranza, ma anche più serio che mai, facendogli capire l’importanza del momento. “So che non è una coincidenza il tuo arrivo in questo villaggio proprio oggi; sono pronto a scommettere che il destino ci abbia messo il suo zampino. Ma sappi che ciò che ti sto affidando vale più della mia vita stessa: i miei nipoti sono ciò che di più importante ho e, dopo la morte di mio figlio, non potrei superare un’altra perdita del genere. Quindi ti prego di perdonare il mio atto di codardia e di aiutarmi a riparare ai miei errori. Ti affido Kagome sapendo che nelle tue mani sarà al sicuro.” Kagome, che nel frattempo non si era allontanata, gli strinse il braccio nel sentire quelle parole.

“Ha la mia parola, signore, che farò tesoro di ciò che mi sta affidando e ringrazierò il destino che mi ha portato su questa via.” Inuyasha avrebbe ancora dato la possibilità a Kagome di scegliere la propria strada e aveva mille dubbi sul modo in cui lei aveva accettato di partire con lui. Intanto, però, l’avrebbe portata via dal villaggio e non avrebbe lasciato che cadesse nelle mani sbagliate.



N/A: Buongiorno e bentornati alla rubrica degli sproloqui di Jeremy 🤣.

Siamo al secondo capitolo ma già c'è un importante sviluppo: avevo contemplato l'idea di finire il capitolo con la proposta di Inuyasha ma sarebbe stato poi troppo piccolo per i miei standard e non avrebbe avuto lo stesso effetto. Comunque, se sono riuscita a sorprendervi, mi fa piacere lo stesso!
Cosa succederà adesso? E cosa starà pensando Kagome? Diciamo che vi ho mostrato più i pensieri di Inuyasha sulla questione e sapete già cosa gli frulla per la testa a riguardo, ma nel prossimo potrete scoprire un po' di più. Tenete sempre a mente, però, che siamo ancora all'inizio.

Un ultimo plauso al caro nonnino perché sì; mi è piaciuto scriverlo in questo modo, per una volta dalla parte di Inuyasha e non in conflitto. Non sarà l'ultima volta che lo vedrete e, chissà, potrebbe diventare anche il vostro preferito 😉.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e grazie a coloro che vorranno farmelo sapere. Un abbraccio e a prestissimo! 💕


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Capitolo 4
*** III — Fraintendimenti ***


Capitolo III: Fraintendimenti





“A voler essere precisi, noi veniamo in effetti generati in mezzo ai malintesi, e fintanto che esistiamo da questi malintesi non riusciamo a tirarci fuori, possiamo sforzarci e far di tutto per tirarcene fuori, ma non serve a nulla.”

Il soccombente, Thomas Bernhard.






Quel pomeriggio, nel momento in cui Inuyasha si recava da Kagome, la seconda delle sacerdotesse che lo aveva ostacolato al suo arrivo si dirigeva verso il lato opposto, in una radura poco frequentata e mal tenuta.

Era da tempo ormai che nessun tipo di erba medicinale vi cresceva, gli alberi da frutto erano appassiti e le erbacce dominavano, insieme a qualche famiglia di topi che vi aveva costruito il proprio insediamento. Tra bambini ci si sfidava a chi aveva il coraggio di raggiungerla mentre i genitori intimavano loro di non avvicinarsi; lo stesso capo villaggio se ne teneva alla larga per quanto possibile. Al centro vi era un’unica abitazione, una volta l’invidia di tutti. Era una delle più grandi, ma ormai il legno era marcio, le assi cadevano a pezzi, così come la porta d’ingresso e il capanno degli attrezzi. La riserva di legna per il fuoco era molto esigua e, lì accanto, un ragazzo poco più grande di lei stava di malavoglia cercando di rimpinguarlo.

Quando Tsubaki apparve nello spiazzo, i due si fissarono e lui lasciò che il suo sguardo si posasse lascivo sulle curve di lei, prima di alzarlo sul suo viso e sogghignare maligno all’espressione di disgusto che vi trovò. Poi, come se nulla fosse accaduto, tornò a tagliare i pochi pezzi di legna che aveva di fronte a sé senza il minimo entusiasmo.

La giovane continuò dritta davanti a sé, badando bene a dove metteva i piedi e distorcendo il volto alla sporcizia che la circondava, ma prima ancora di raggiungere l’abitazione, un uomo ne uscì come richiamato dalla sua presenza.

Doveva essere stato abbastanza alto una volta, ma ora la sua postura oltre che a ingobbirlo lo aveva reso più basso. I capelli, già radi alle tempie e ingrigiti, erano tirati indietro e legati in un codino come la maggior parte degli uomini di quel periodo e la bocca era distorta in una smorfia arcigna che accentuava ancor di più le rughe sul viso da tempo non più giovane. Tsubaki lo ricordava così da quando era bambina: anche allora aveva avuto il contegno di un vecchio e non riusciva a comprendere le anziane donne che parlavano di come fosse stato un bellissimo uomo. Essersi guadagnato il titolo di ‘stregone’ con il passare degli anni e il diffondersi delle paure degli abitanti non avevano aiutato la sua predisposizione verso la gente. In seguito, la povertà ricaduta sulla sua famiglia e la morte della moglie avevano solo peggiorato il tutto. Ciononostante, pur non essendo il partito migliore, Tsubaki conosceva benissimo il motivo per cui il capo villaggio aveva accettato la sua richiesta di prendere in moglie Kagome; era stata lei a convincerlo.

Infatti, al di là di ciò che era accaduto con Hojo il giorno precedente, Haruto aveva avuto ancora abbastanza rispetto per Ichiro per rifiutare la proposta di Onigumo che, da sempre invaghito di Kagome, aveva colto la palla al balzo quando Tsubaki lo aveva informato degli ultimi avvenimenti. Egli sapeva benissimo di cosa fosse capace l’uomo e che chiunque lo avrebbe sposato avrebbe fatto la stessa fine della prima consorte. Tsubaki, però, fingendo di badare solo al benessere della loro comunità, aveva illustrato in che modo sarebbe stato benefico per tutti se Onigumo avesse avuto di nuovo una donna che lo soddisfacesse e distraesse. A quel punto, pur di acquietarlo, Haruto aveva accettato e dato la propria benedizione, dimenticando ogni cosa che la famiglia di Kagome avesse fatto per quel villaggio nel corso delle generazioni.

“Tsubaki, che altro vuoi?” Onigumo sibilò sgarbatamente non appena la vide.

“Accidenti, come sia maleducati. È così che tratti una sacerdotessa e colei che devi ringraziare per le tue nozze imminenti?” chiese lei di rimando.

“Non me ne frega nulla di ciò che hai fatto, e lo sai bene. Come se poi potessi davvero definirti sacerdotessa con tutte le sordide cose che trami giorno per giorno,” esclamò, sputando a terra. “Se anche il capo villaggio avesse rifiutato la mia proposta, avrei preso la ragazza in ogni caso. Non che abbia poi così tante aspettative; sia a lei che ai parenti è convenuto accettare con le buone maniere.”

“Ah, Onigumo, la tua sposa è proprio una donna fortunata,” sorrise lei, malefica, “deve solo capire quanto. Piuttosto, non credi che si stia già prendendo troppe libertà? Fossi in te le ricorderei di chi è ora e in che modo ci si comporta. Non vorrai mica avere in moglie una persona ancora più indisciplinata della prima, vero?” gli chiese fingendosi preoccupata. “Alcune cose vanno subito messe in chiaro e insegnate.”

“Che diamine vai blaterando? Evita i tuoi soliti giochetti di parole e vai dritta al sodo prima che decida di insegnare le buone maniere anche a te. Sono sicuro che a mio figlio non dispiacerebbe divertirsi un po’; non è vero, Susumu?”

Quest’ultimo, che stava osservando attentamente lo scambio, ghignò ancora più apertamente di prima. “Potrei insegnarti più di una cosa, Tsubaki-chan.”

La sacerdotessa non nascose il suo disgusto ed evitò anche di incontrare lo sguardo del ragazzino. “Sempre così aggraziato; è dire che ero venuta ad informarti di ciò che combina la tua bellissima fidanzata e di come passa il tempo con altri uomini, impuri per di più. Ma se proprio non ti interessa…” Si voltò e fece per andarsene, ma una mano le afferrò rudemente il braccio e la bloccò.

Onigumo continuò a fare pressione fino a che Tsubaki non tornò a guardarlo. “Se sai cos’è buono per te, ti conviene continuare a parlare,” la minacciò, il volto una maschera di rabbia.

Lei gli lanciò uno sguardo di sfida e gli fece capire che non avrebbe parlato se prima non le avesse tolto le sue sudicie manacce da dosso. Si pulì poi la veste, nauseata, prima di ricominciare. “Un mezzo demone è giunto da noi affermando di voler discutere di ciò che è accaduto ieri. La cara Kagome ha pensato bene di intrattenersi con lui prima di scortarlo dal capo villaggio. È stato sicuramente gentile da parte sua fargli da guida, ma che avranno pensato tutti coloro che l’hanno vista parlare amichevolmente con uno sconosciuto, un mezzosangue, senza la tua approvazione? Mi sono preoccupata delle conseguenze che avrebbe avuto sulla tua reputazione e ho pensato che, forse, dovresti ricordarle a chi apparterrà a breve.”

“Smettila con le tue stronzate, Tsubaki,” sibilò Onigumo, il corpo che gli tremava dalla furia a causa di ciò che aveva appena sentito. “Hai avuto ciò che desideravi: ti sei liberata della competizione, non credi che continuare a mostrare così liberamente la tua gelosia faccia una brutta impressione sul tuo bel visino? Beh, non bello quanto quello della mia promessa sposa; ma come ho già detto, mio figlio saprà accontentarsi,” ghignò, maligno, sapendo bene quali tasti premere con la donna. Non era una novità che Tsubaki covasse odio e invidia per Kagome e che, per questo, aveva da tempo cominciato a spargere voci malevole sul suo conto.

Onigumo aveva sopportato di buon grado i suoi modi pur di ottenere ciò che desiderava e, per entrambi, la morte di Hojo era stato solo un benedetto colpo di fortuna. Altrimenti, lui aveva già avuto intenzione di prenderla con la forza, anche da sposata, e Tsubaki avrebbe diffuso voci sul tradimento perpetuato nei confronti del povero ragazzo. In un modo o nell’altro, dunque, entrambi avrebbero avuto ciò che desideravano: Onigumo la giovane che aveva puntato dal giorno in cui aveva cominciato a mostrare le prime forme e Tsubaki si sarebbe liberata di chi era solo un ostacolo alla sua sete di potere. Ma gli ultimi avvenimenti avevano solo facilitato le cose.

“Non farmi ridere,” sbottò l’altra cominciando a perdere la pazienza, “non so che ci trovi in quella ragazzina, ma di certo non ho paura di lei. Sbrigati a levarmela dai piedi, piuttosto; vederla girare ancora con quegli abiti da sacerdotessa è solo una vergogna per chiunque altro faccia parte della categoria.”

Lui cominciò a sghignazzare in tutta risposta. “E tu, invece, li indossi meglio? Quel tuo potere impuro è degno di portarli? Ribadisco che l’invidia non ti sta per nulla bene. Ti ringrazio per il modo in cui mi hai facilitato le cose e stai sicura che insegnerò bene a mia moglie qual è il suo posto, ma sono proprio curioso di cosa farai per liberarti di Kikyo.”

“Non so di cosa tu stia parlando,” ribatté lei, punta in viso.

“Oh, lo sai bene,” mormorò lui avvicinandosi ancora di più e respirandole addosso; Tsubaki fece un passo indietro e non nascose il conato di disgusto. “Sai bene che subito dopo Kagome, la più dotata tra le tre è Kikyo e ora che la prima non è più l’erede, Hitomiko sceglierà la seconda. Dopo tutto ciò che hai fatto, non avrai ancora ciò che più desideri.” Poi le diede le spalle e fece per rientrare, ridendo di cuore.

La sacerdotessa strinse i pugni dalla rabbia e si ripeté che non valeva la pena farsi provocare da quello sporco uomo. Tuttavia, prima di lasciare la radura, ritenne saggio ribadire, urlando, che sarebbe stata lei a succedere a Hitomiko e che, non appena l’avrebbe sostituita, avrebbe fatto pressione sul capo villaggio per cacciare sia lui che la sua sudicia discendenza.


***



Arrivata la sera e assicuratosi che tutti fossero andati a dormire, Inuyasha si recò silenzioso verso la sua meta. Raggiunta la capanna, si guardò bene attorno e, poi, bussò per chiedere di entrare.

Il fratellino di Kagome sporse la testa oltre l’entrata e gli afferrò frettolosamente il braccio per fargli segno di muoversi. Quando entrò, i suoi occhi si aggiustarono subito al buio e non fecero fatica a individuare gli altri tre componenti della famiglia. Kagome stava piangendo silenziosamente tra le braccia del nonno mentre la mamma sistemava i pochi averi che avrebbe portato con sé; Inuyasha aveva consigliato loro di preparare il minimo per poter viaggiare leggeri. Odorare le lacrime di lei non ebbe un effetto positivo su di lui: gli riportò alla mente i propri dubbi e la possibilità che Kagome fosse spaventata da lui tanto quanto da Onigumo. Ciò nonostante, si schiarì la voci e annunciò la sua presenza.

Kagome alzò immediatamente il volto dal petto del nonno e fece per asciugarsi le lacrime con la manica del kimono che aveva indosso; Ichiro la bloccò e le passò un fazzoletto sul viso. “Ricordati a chi stai andando in sposa,” la redarguì. “Ti abbiamo insegnato le buone maniere, non dimenticarle a causa di ciò che è accaduto.” Lei annuì silenziosa, prima di abbracciarlo un’ultima volta e procedere a salutare anche la madre e il fratello.

L’addio, per quanto intenso e doloroso, fu altrettanto quieto per evitare che eventuali suoni giungessero ad orecchie poco discrete. Per lo stesso motivo, era stato deciso di rimanere al buio, nonostante gli occhi umani facessero fatica ad abituarsi ad esso. Infine, l’anziano uomo si voltò verso di lui e gli fece un cenno con la testa. “Ricorda bene ciò che ti ho detto, giovanotto, e che gli Dei possano guidarvi,” disse prima di girarsi ancora e baciare il capo della nipote.

Ancora una volta, Inuyasha ebbe l’impressione di partecipare a qualcosa di troppo personale e pensò che non aveva il diritto di osservare quei momenti. Purtroppo, però, la fretta e l’agitazione impedì a tutti di procedere come avrebbero voluto. Così, dopo aver promesso di tornare presto ed essersi raccomandato, Inuyasha lasciò la capanna prendendo il polso della ragazza, facendo bene attenzione a non spaventarla con gli artigli, e conducendola per la strada da cui era giunto. Per loro fortuna, poco dietro la capanna iniziava un sentiero che conduceva direttamente alla foresta e avrebbero potuto allontanarsi da lì senza dover passare davanti a troppe abitazioni. Appena poco lontano dall’ultima, Inuyasha si bloccò e si posizionò di fronte a lei, dandole la schiena. Kagome rimase interdetta dal gesto, ma ancora di più quando lui le ordinò senza troppi preamboli di salirgli in groppa.

“Scusami?” sussurrò, allibita.

“Ho detto sali,” ripeté Inuyasha, spazientito e agitato. L’aria che si respirava non gli piaceva per nulla e nonostante si fosse assicurato che fossero soli, avrebbe voluto lasciarlo il prima possibile.

“Non che non lo faccio,” continuò intestardita Kagome. “Hai promesso a mio nonno che non ti saresti approfittato di me e ora vuoi che ti salga in spalla? Che faccia tosta che hai!”

“Taci, ragazzina,” sbottò rude lui, “vuoi farti scoprire da tutti? Non l’ho fatto mica per poterti toccare; per quale pervertito mi hai preso! Dobbiamo essere il più veloci possibile e se dobbiamo stare al tuo debole passo umano non lasceremmo il villaggio nemmeno per l’alba, altro che essere di ritorno al castello.” Detto ciò, si alzò di nuovo in piedi e senza aspettare che ricominciasse a blaterare e urlasse a tutti la loro presenza, la prese in braccio e saltò sul primo albero. Le coprì la bocca per evitare le grida e cominciò a correre il più veloce possibile di ramo in ramo. La rimise a terra solo una volta che furono al sicuro oltre il confine. A quel punto, la guardò in cagnesco e prima che potesse anche solo parlare, le disse: “Allora? Vuoi continuare così fino alla nostra destinazione o vuoi deciderti a salirmi in spalla? A te la scelta!”

“Avresti potuto chiedermelo in modo più gentile; sei solo un maleducato!” sibilò Kagome.

“È quello che ho fatto,” chiarì Inuyasha. “Quanto ancora avresti voluto rimanere lì? Vuoi essere riportata indietro e sposare quel mostro?”

I loro volti erano ormai a un centimetro di distanza e si stavano lanciando saette con gli occhi.

“E quello lo chiami chiedere gentilmente?”

“Non avevamo mica il tempo necessario a seguire tutte quelle regole insulse su cui vi basate voi stupidi umani. Te ne sei resa conto che quello che stai facendo non è un gioco?”

“La smetti di insultarmi? È così che vuoi trattarmi anche quando ti avrò sposato? Beh, allora non è che ci sia tanta differenza tra te e Onigumo.” Non ebbe nemmeno finito di dirlo che se ne pentì. In realtà, Kagome sapeva di non poter confrontare i due e che se anche Inuyasha l’avesse sposata per pietà, sarebbe stato comunque più gentile e amorevole di Onigumo. Tuttavia, quella giornata era stata troppo tesa per lei, senza contare che il dolore della separazione e per la morte di Hojo era ancora fresco. Il risultato era che il tutto stava tirando fuori il peggio di lei e aveva finito per prendersela con chi non lo meritava.

Inuyasha indietreggiò e trattenne il fiato, come se quelle parole lo avessero fisicamente schiaffeggiato. Un attimo dopo, stringendo denti e pugni, si voltò, inginocchiandosi e dandole la schiena di nuovo. Abbassando ancora di più la voce, disse: “Se questo è quello che pensi, sei libera di tornare dalla tua famiglia in questo istante. Ti darò solo qualche altro secondo; non ho voglia di perdere altro tempo inutile. Se vuoi venire con me mi salirai in spalla, altrimenti fa ciò che più desideri.”

Vergognandosi del modo in cui si era comportata e colpita dalla freddezza con cui il mezzo demone aveva parlato, Kagome si avvicinò a lui e, il più gentile possibile, si posizionò su di lui, circondandogli il collo con le braccia per mantenersi. Un secondo dopo, sentì le sue mani stringerle le cosce, sfiorandola il meno possibile, e partirono. Inuyasha prese la spinta senza rivolgerle una parola di avvertimento e cominciò a saltare di albero in albero. Kagome si guardò un’ultima volta indietro, il cuore pesante e un brutto presentimento alla bocca dello stomaco, e poi nascose il viso nell’incavo del collo per proteggersi dal vento violento che le sferzava intorno, ringraziando la cortina di capelli argentati che le faceva ugualmente da scudo.

Per entrambi si prospettava un viaggio per nulla confortevole; speravano solo potesse concludersi presto.


***


Per quanto Inuyasha stesse andando veloce, stava anche cercando di adeguarsi al passeggero che portava in spalla e, per questo, dopo un paio di ore erano ancora a metà tragitto. Decise di prendere una pausa e far riposare Kagome che stava anche tremando a causa del freddo della notte e del vento che la colpiva. Si fermarono in una piccola radura e accese un piccolo fuoco. “Riscaldati,” le disse più gentile che poté. “Non possiamo rimanere troppo tempo o attirare ospiti indesiderati. Quando ripartiremo ti darò la mia veste: è più pesante di quel che possa sembrare.”

Kagome, che si era avvicinata subito al fuoco allungando le mani per riscaldarle, restò colpita dall’offerta, soprattutto dopo il modo in cui si era comportata prima. “Non c’è bisogno e non voglio che sia tu poi a soffrire il freddo.”

“Keh, non mi fa nulla. Inoltre, non era una domanda; lo prenderai e basta. Ci manca solo che ti ammali,” sbuffò.

Lei gli lanciò un’altra occhiataccia. Non c’era proprio verso di parlare con lui; era ancora più testardo del nonno e mancava decisamente di grazia o gentilezza. Si chiese dove avesse nascosto quei modi educati che aveva mostrato prima: erano stati solo una messinscena per convincerli ad accettare? No, si ripeté, non avrebbe fatto due volte lo stesso errore accusandolo ingiustamente. Inuyasha era l’opzione migliore e Kagome non dimenticava comunque ciò che aveva scoperto su di lui. Tuttavia, non poteva non pensare al tono con cui le parlava, tutt’altro rispetto a ciò che si sarebbe aspettato dalla sua anima gemella, e all’idea che lui avesse chiesto la sua mano solo per salvarla e perché si sentiva in colpa, non per ciò che avrebbe potuto legarli.

Se solo avesse lasciato che il nonno le raccontasse di più su quella leggenda, se casualità del genere non fossero così rare e ne avesse saputo di più, magari avrebbe potuto confrontare la propria situazione con altre. Invece, si trovava a combattere con un mezzo demone rude e testardo che non sembrava per nulla grato di quel dono che gli Dei gli avevano concesso, per utilizzare le parole che aveva usato con il nonno. Sbuffò tra sé e sé; tutto sembrava tranne che grato.

“Non c’è bisogno che tu faccia quella faccia disgustata,” commentò Inuyasha che nel frattempo aveva mal interpretato le sue espressioni facciali e aveva tratto le proprie conclusioni, continuando quel susseguirsi di incomprensioni tra i due. “Non è colpa mia se non ti sei vestita in modo adeguato al viaggio.”

“Sei tu che hai detto che avrei dovuto viaggiare leggera!”

“Intendevo le scorte, stupida, non i vestiti da indossare!”

“Ancora con gli insulti?”

“Oh, maledizione,” sbottò Inuyasha alzando le mani in aria. “Per quanto vuoi continuare ad assordarmi? Non ti preoccupare, ti libererai presto di me visto che chiaramente è quello che desideri più di ogni altra cosa. Non ne hai fatto un segreto!”

Kagome rimase a bocca aperta, terrorizzata dall’idea di conoscere il significato di quelle parole. Non voleva mica abbandonarla? Allora erano davvero tutte fandonie quelle che aveva raccontato al nonno? “C-che vuoi dire? Hai promesso che mi avresti portata al castello!” lo accusò.

“Certo che l’ho fatto, ma non sono io quello che viene meno alla parola data. Per di più, non voglio mica condannarti a una vita accanto al povero e disgustoso mezzosangue,” sottolineò, sardonico. “Non mento mai ed ero sincero quando ho detto che volevo liberarti di quella feccia a cui il villaggio voleva darti in pasto. Eppure, non voglio come sposa una donna che odia solo il pensiero di me o che deve costringersi solo perché sono il male minore. Quindi, se è ciò che desideri, arrivati al castello e dopo che ti avremo provvista di abiti migliori, ti accompagnerò da persone che godono della mia fiducia e in una comunità dove le tue doti potranno essere utili. Così potrai costruirti una vita migliore.”

Lei lo aveva ascoltato allibita per tutto il tempo e la sorprese ancora di più l’espressione soddisfatta del mezzo demone quando concluse, come se fosse fiero della sua idea. Eppure, il solo pensiero le riempì gli occhi di lacrime e il cuore di rabbia. Un attimo dopo, lo stava colpendo senza remore e lui, colto di sorpresa, cercò di coprirsi il volto e la testa al meglio. “Oi! Che diamine ti prende?”

Kagome continuò a piangere e a prenderlo a pugni, quindi lui le bloccò i polsi e la immobilizzò. “Ragazzina, smettila immediatamente; che cosa credi di fare?”

“Io? E tu? Vuoi abbandonarmi!” strillò a pieni polmoni. “Dopo tutti i discorsi che hai fatto a mia madre e mio nonno vuoi abbandonarmi!”

“Ma che accidenti hai capito?” le urlò contro. “Io ti stavo aiutando a liberarti di me come ho fatto con quell’altro. È chiaro che l’unico che volevi sposare era il ragazzo che Sesshomaru ha ucciso.”

“Non nominare Hojo!” gridò ancora Kagome, dopo che nuove lacrime le ebbero bagnato le guance. “E io che mi ero anche ricreduta e pensavo tu potessi essere una persona gentile e non prevenuta.” Lo strattonò per liberarsi della sua presa e quando lui la lasciò andare si coprì il volto con le mani, continuando a singhiozzare.

Inuyasha era sempre più stupito dai cambiamenti di umore di quella donna e dalle sue incongruenze. Si poteva sapere che diamine voleva? Prima lo trattava di merda e poi si arrabbiava se le concedeva libera scelta. Non era quello che voleva? Senza contare che vederla piangere, ancora e ancora, gli spezzava pian piano il cuore. Sentì l’istinto di confortarla, ma allo stesso tempo non sapeva come avrebbe potuto reagire e quindi, dopo aver allungato la mano per carezzarla, la ritrasse.

“Senti,” cominciò con un tono più mitigato, “forse abbiamo cominciato tutte e due con il piede sbagliato e ci siamo incompresi a vicenda. Non so che idea tu ti sia fatta di me, ma di sicuro non sono prevenuto. Hai idea di chi sono? Conosco benissimo che danni può causare il pregiudizio, quindi ti pregherei di non mettermi alla stregua della gente con cui hai vissuto finora. Non può fregarmene un fico secco di ciò che dicono sul tuo conto; so riconoscere una sacerdotessa nera a occhi chiusi e di certo non credo alle stronzate sulla gente che porta sfortuna. Quindi se le tue lacrime sono per quello, puoi anche evitare di versarle.”

Kagome alzò finalmente il volto, sorpresa, tirando su con il naso per un paio di volte. “N-no?” chiese per conferma, come se non potesse credere alle sue orecchie. “N-non hai sentito ciò che dicono su di me?”

“Certo che l’ho sentito, ma non ho mai dato retta alle malelingue. È tutta la vita che me le tirano contro e so che sono solo cazzate.” Poi recuperò il fazzoletto dalla sua sacca e glielo porse, voltando il viso imbarazzato quando lei lo ringraziò.

“Quindi non vuoi abbandonarmi perché credi che io sia maledetta?” gli chiese ancora con voce timida, facendolo sentire ancora peggio.

Come poteva pensare di essere maledetta? Chi poteva anche credere che una persona con un’aura così pulita e brillante potesse esserlo? “Ti hanno detto anche questo?” le chiese, cercando di non mostrare in volto quanto la possibilità lo facesse stare male.

Lei annuì con il capo. “Le voci erano cominciate già prima della morte di Hojo, ma io le avevo sempre ignorate perché avevo una famiglia che mi voleva bene e a gran parte della comunità bastava sapere che svolgevo il mio compito con eccellenza. Non so come possano essersi convinti così facilmente, ma il fatto che nessuno abbia visto davvero tuo fratello u-uccidere Hojo e che una morte così violenta non accadeva da decenni ha aiutato.” La sua voce flebile si ruppe in più di un punto mentre parlava.

“Non penso tu sia maledetta, Kagome, non potrei mai,” le sussurrò, dolce, trattenendosi dal raggiungerla e stringerla fra le braccia per offrire al meglio il proprio conforto. Avrebbe voluto almeno allungare la mano e asciugarle le lacrime silenziose che continuavano a rigarle il viso, ma strinse i pugni per resistere all’impulso, ripetendosi che anche se ora stavano parlando tranquillamente, fino a poco prima gli insulti erano volati senza difficoltà.

Lei annuì ancora, rincuorata, ma non aggiunse altro sulla questione o sulla sua proposta di matrimonio, lasciando vivi ancora gran parte dei dubbi. “P-posso avere la tua giacca, ora? Se… se vuoi ancora.”

Lui se la sfilò senza fiatare e gliela appoggiò addosso. Poco dopo, confortata dal calore e, inconsapevolmente, dall’odore di Inuyasha che la circondava, Kagome si addormentò stremata dagli eventi e dalla mancanza di riposo. Solo una volta che il suo respiro gli ebbe confermato che stava dormendo, osò allungare le dita – pericolose e mortali per qualsiasi umano – per pulirle il più delicatamente possibile le guance.

La osservò per qualche secondo, facendo particolare attenzione alle labbra semiaperte da cui fuoriusciva il suo respiro caldo, le ciglia lunghe e bagnate, l’espressione triste che ancora conservava e il rossore sulle sue gote. Inuyasha non aveva mai visto qualcosa di così delicato e bello. Nonostante non riuscisse a capire perché certi sentimenti si fossero sviluppati così velocemente o se fosse l’effetto di quei lacci che erano apparsi durante il loro primo e recente incontro, pregò di poterla proteggerla per sempre e non soltanto per quel poco tempo che lei gli avrebbe concesso. Facendo attenzione a non svegliarla, se la caricò in spalla e, silenzioso, riprese il viaggio verso casa.







N/A: Salve a tutti, come state? Spero questo terzo capitolo vi sia piaciuto. Credo abbia risposto ai dubbi di chi, magari, pensava che la proposta fosse arrivata troppo velocemente, e inoltre Inuyasha torna a essere più IC; la volta scorsa aveva tirato fuori le buone maniere che i genitori gli hanno insegnato, adesso le ha dimenticate.

Ringrazio come sempre tutti coloro che stanno seguendo questa storia e ci rileggiamo presto. Un abbraccio 🥰.

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Capitolo 5
*** IV — Il castello a Ovest ***


Capitolo IV: Il castello a Ovest




“La cecità è un’arma contro il tempo e lo spazio; la nostra esistenza è tutta una mostruosa cecità, tranne quel poco che riusciamo a cogliere con i nostri miseri sensi – miseri sia per la loro natura sia per la loro accuratezza.”

Auto da fé, Elias Canetti




Proprio come promesso, i due viaggiatori raggiunsero la destinazione all’alba. Inuyasha poteva vedere il sole appena sorto dietro il castello paterno che si stagliava davanti a loro in tutta la sua magnificenza e nonostante le persone sgradite che lo abitavano da secoli, come ogni volta che vi tornava, non poté fare a meno di sorridere ed essere grato di avere un posto da chiamare casa. Sapeva che il destino avrebbe potuto essere molto più crudele con lui, come con tanti altri mezzo demoni; suo padre sarebbe potuto morire e non salvarsi per miracolo la notte in cui era nato e sua madre sarebbe stata costretta a tornare alla tenuta paterna, dove con ogni probabilità si sarebbe consumata giorno dopo giorno a causa del compagno scomparso. Volse appena lo sguardo verso Kagome che ancora dormiva tranquilla con la guancia appoggiata nell’incavo tra il suo collo e le spalle, le labbra distese in un sorriso più sereno, e gli fu impossibile non sentirsi felice, sebbene la strada davanti a lui si presentasse non poco irta di pericoli. Strinse la presa su di lei e si voltò di nuovo a guardare il castello. Lentamente e sentendo la fatica del giorno appena trascorso – non tanto quella fisica ma quella emotiva –, uscì dalla penombra che lo aveva nascosto agli occhi delle guardie al cancello principale. Si avvicinò ad esse e ringraziò il fatto che non fossero di quelle che lo odiavano e tentavano sempre di ostacolarlo; la presenza di Kagome avrebbe suscitato parecchie lamentele da parte loro, come se davvero potessero obiettare. I due lo guardarono sorpresi, ma non accennarono al passeggero che portava in spalla quando lo salutarono.

“Inuyasha-sama, la aspettavamo prima; sua madre è molto preoccupata,” lo informò quello a destra. Il mezzo demone non fu sorpreso di sentirlo: la principessa si agitava in continuazione per lui, nonostante avesse ormai 200 anni e fosse diventato un guerriero esperto sotto la guida di suo padre.

“Ci sono stati alcuni imprevisti al villaggio,” concesse come unica spiegazione. Fece per attraversare i cancelli, ma quello a sinistra lo trattenne.

“Spero nulla di grave, Inuyasha-sama. Sta bene?”

L’hanyou non seppe dire se era sinceramente preoccupato per lui, per la ragazza umana che portava in spalla e non dava segni di vita, o volesse impicciarsi di cose che non lo riguardavano. Si bloccò e inspirò profondamente, pregando di trovare un briciolo della pazienza che aveva perso da tempo già per stare dietro ai ragionamenti contorti di Kagome e ai suoi dubbi. Riuscì a non rispondere in modo rude, ma preferì tenere comunque la bocca chiusa. Riprendendo a muoversi, offrì solo un cenno della testa, senza nemmeno voltarsi a guardarlo e tenendo lo sguardo fisso di fronte a sé.

Erano passati solo pochi secondi quando, dalla parte opposta del lungo viale principale, l’enorme portone in legno si aprì di botto, rivelando un’alta figura femminile.

Come richiamata dal proprio istinto materno, forse percependo la sua presenza sebbene non avesse abilità demoniache, la principessa Izayoi era accorsa all’ingresso del castello. I tratti del viso ancora giovani, nonostante avesse superato da tempo l’età normalmente concessa a un essere umano, erano distorti in un’espressione agitata; le dita sottili mantenevano alzati gli orli del lungo e colorato kimono per impedirle di cadere mentre procedeva a passo veloce verso di loro e qualche goccia di sudore imperlava la sua pelle chiara a causa dello sforzo. Chissà da quale ala del castello giungeva, pensò Inuyasha, ma a giudicare dal battito accelerato e dal respiro pesante, doveva aver corso per un po’.

Era incredibile come dimostrasse ogni volta di essere in perfetta sintonia con lui, come se qualsiasi legame avessero avuto quando erano ancora tutt’uno nel grembo di lei fosse sopravvissuto alla nascita e continuasse a maturare negli anni. In altre parole, Izayoi aveva un istinto materno molto sviluppato che le permetteva questo e altro quando si trattava del suo unico e amato figlio.

“Inuyasha!” esclamò, angosciata, quando erano ancora a qualche metro di distanza e non aveva scorto Kagome dietro di lui. “Inuyasha, mi hai fatto stare così in pensiero! Tuo padre mi aveva detto che sarebbe stata una cosa velo-” Si bloccò non appena lui la ebbe raggiunta e vide finalmente che non era solo. “Tesoro?”

“Ciao, mamma,” le sorrise lui, “sono contento di rivederti.”

“Oh, tesoro, anche io!” Gli prese il viso tra le mani e gli baciò la fronte, non potendolo abbracciare come avrebbe voluto; i demoni attorno a loro ignorarono quella manifestazione di affetto, essendoci ormai abituati. “Ma vieni, vieni, parleremo dentro. Devo chiamare un guaritore?” chiese abbassando la voce e lanciando uno sguardo alla ragazza che non dava segni di essere disturbata dal saluto intimo dei due. Inuyasha doveva preoccuparsi perché ancora non si svegliava? No, si disse, alla fine dovevano essere stati giorni duri per lei e di certo non si poteva dire che avesse riposato a dovere.

Il mezzo demone scosse la testa e porse poi il braccio alla madre, camminando verso l’entrata. “Credo che sia meglio sistemarla in una camera, dopo averla magari aiutata a lavarsi e vestirsi. Potresti occupartene tu, mamma?”

Izayoi annuì immediatamente e Inuyasha le fu grato della mancanza di inquisizione, nonostante fosse consapevole del fatto che avrebbe voluto tanto tempestarlo di domande per sapere chi fosse quella ragazza e come mai avesse bisogno di un posto al castello. “La sistemerò in una delle camere degli ospiti nell’ala riservata a noi, così sarà al sicuro. Sceglierò di persona coloro che mi assisteranno nel compito. Vieni, vieni.”

Con la stessa velocità con la quale era accorsa fuori, la principessa cominciò a percorrere i lunghi corridoi del castello da vera esperta, conservando comunque la sua solita grazia e senza mostrare nemmeno per un secondo il turbamento interiore causato da quell’inaspettata sorpresa. Ma si fidava del figlio e sapeva leggere nei suoi occhi come nessun altro: Inuyasha era cambiato nell’arco di quella giornata in cui non l’aveva visto; non sapeva ancora come e perché, ma poteva vedere i segni di una trasformazione ormai in atto. Soprattutto, c’era una luce nuova che mai vi aveva visto. Per Izayoi era indubbiamente un segno positivo e qualsiasi novità o difficoltà la nuova arrivata avrebbe portato, qualunque cosa fosse successa, sapeva che tutto si sarebbe risolto per il meglio. Bisognava solo portare pazienza e credere negli uomini che amava.

***


Una volta assicuratosi che Kagome fosse in buone mani, Inuyasha si affrettò a dirigersi dal padre che, sicuramente, a quell’ora stava aspettando il suo reso conto. Quando arrivò nell’ufficio dove di solito si svolgevano le questioni pratiche, Toga aveva appena finito di parlare con un suo sottoposto. Alzò lo sguardo sul figlio minore, per nulla sorpreso di vederlo entrare, e fece segno all’altro di lasciarli.

“Ti stavo aspettando,” esordì una volta soli. “Ho sentito tua madre accorrere verso l’entrata un po’ di tempo fa. Ti ha trattenuto molto? Per questo hai ritardato?” Solitamente il mezzo demone si dirigeva senza indugi da lui quando tornava da una missione, ma capitava anche di essere rallentato più del previsto da Izayoi e dal suo bisogno di mostrargli quanto le fosse mancato.

“Non proprio,” fu la risposta di Inuyasha mentre si avvicinava. “Non vuoi sapere com’è andata?”

Toga arcuò un sopracciglio, ma non fece domande, sapendo che entro la fine della conversazione il figlio gli avrebbe spiegato tutto senza che glielo chiedesse esplicitamente. Era contento del rapporto che avevano e gli sembrava di avere avuto una seconda possibilità dopo il fallimento con Sesshomaru. Non che avesse preferenze tra i due, ma era innegabile la distanza a cui il maggiore si era sempre tenuto e che era solo aumentata dal giorno in cui lui aveva trovato Izayoi. “Certamente,” assentì.

“Lo sapevi che quel villaggio è pieno di gente che disprezza i demoni?”

Toga sorrise mesto. “Certo. Essendo il responsabile dei rapporti con gli umani che vivono al confine con le nostre terre sono ben consapevole di chi è più aperto e chi no. Perché credi ti abbia mandato urgentemente, di preciso? Non sono tutti così, da quel che ricordo, ma la maggioranza non ci vede di buon occhio. È una buona cosa che il capo villaggio mi tema come figura; non che mi piaccia giocare su questo tipo di sentimenti, ma altrimenti darebbero ancora più problemi.”

“Keh, lo avevo immaginato. Non ho manco messo piede oltre il confine che due sacerdotesse erano già lì pronte ad attaccarmi,” sbuffò, scocciato.

“Non hai creato casini, vero?” chiese ancora Toga.

“Papà! Ti ringrazio davvero della fiducia che hai in me.” Alzò gli occhi al cielo.

“Beh, non puoi biasimarmi; conosco mio figlio.” Sorrise.

“E nonostante tutto mi hai mandato al posto tuo,” continuò Inuyasha lanciandogli un’occhiataccia.

Toga gli diede una pacca sulle spalle, continuando a sorridere. “Certo, sapevo che in realtà non avresti cercato di peggiorare il problema e che in fin dei conti sai renderti conto quando vale la pena o no scontrarsi. Quindi, lasciando da parte queste due sacerdotesse delle quali spero tu ti sia liberato abbastanza presto, com’è andato l’incontro con il capo villaggio e le famiglie della vittima?”

“Beh,” il mezzo demone cominciò a grattarsi la nuca nervoso al pensiero di Kagome, ma decise di parlare prima del resto. “Il capo villaggio non mi è sembrato tanto dispiaciuto dell’accaduto, se vuoi la verità; era fin troppo contento dell’oro che hai mandato e non vedeva l’ora di sbarazzarsi di me. I familiari del morto, invece… non mi hanno fatto nemmeno entrare e non hanno voluto nulla. Sempre il capo ha accettato di farsi carico della loro somma e di parlarci al posto mio.” Sbuffò ancora. “Ma sapevo che se lo avessi fatto non avrebbero visto nemmeno un po’ del denaro che avevi mandato e, sinceramente, fosse stato per me non avrei dato nulla al tipo: lui e tanti altri abitanti apparivano troppo grassi e soddisfatti, oltre a gente della peggior specie.”

Il padre annuì, d’accordo. “E quindi quale decisione hai preso a riguardo?”

“Ho fatto sapere all’idiota che me ne sarei occupato da solo e ho aspettato che qualcuno si facesse vedere. Alla fine è comparsa una bambina. Mi è sembrata abbastanza spaventata all’inizio, ma sono riuscita a convincerla a prendere la ricompensa e le ho detto di non far sapere ai genitori da dove provenissero, di provare a nasconderlo in qualche modo. Può darsi che rimanga inutilizzato, ma almeno non servirà a ingrassare di più gente che non lo merita.” Sentì il sangue ribollirgli nelle vene al solo pensiero di ciò che era uscito dalla bocca di certe persone e il suo umore all’improvviso più nero non passò inosservato a Toga.

“Vedo che nessuno ti ha fatto una buona impressione. Non mi aspettavo una reazione così forte da te, nonostante tu non fossi entusiasta del compito.”

“Keh, ce l’ho eccome i motivi per odiare quei bastardi,” affermò alzando la voce e sorprendendo il padre.

“Cos’è che stai lasciando per ultimo, Inuyasha?” chiese, capendo che non era più il caso di rimandare. Il mezzo demone sospirò e passandosi una mano sul volto, si accasciò infine su un cuscino lì accanto, come se all’improvviso sentisse tutto il peso di quelle ultime ore sulle proprie spalle. Toga lo guardò preoccupato e gli si avvicinò, toccandolo con le dita per conforto. “Inuyasha, calmati, sai che possiamo risolvere tutto, qualsiasi cosa sia successa. Se è necessario mi recherò lì io stesso e rimanderò tutto il-”

“No, non capisci, papà, non ho combinato alcun casino. È che… dannazione, come te lo dico?” sbuffò tirandosi qualche ciocca di capelli.

“Comincia dall’inizio,” mormorò. “Da dove parte questa storia che vuoi raccontarmi?”

Il giovane sospirò una seconda volta. “Una sacerdotessa,” rivelò infine.

“Una sacerdotessa,” ripeté il padre. “Una di quelle che ti ha ostacolato al tuo arrivo?”

“No, no.” Inuyasha scosse la testa. “Una terza… quel villaggio ne è pieno!”

“Non mi stupisce,” confermò Toga. “Quindi si è comportata come le compagne?”

“Per nulla. Quando l’ho incontrata, era di spalle e l’ho vista chiaramente irrigidirsi e subito dopo l’odore della sua paura ha invaso tutta la radura. Papà, sembrava—no, era terrorizzata. La sua reazione è stata del tutto opposta a quella che mi sarei aspettato da una donna allenata a combattere demoni…”

Il dai-youkai fece una smorfia. “Mi dispiace, Inuyasha, ma purtroppo non possiamo dire sia la prima volta che la gente malinformata abbia una paura smisurata per i mezzo demoni.”

“No, no, lasciami finire, non è ancora tutto.” Toga lo guardò scettico, ma lo lasciò parlare. “Ma prima dimmi… ricordi com’è avvenuto l’incontro tra te e la mamma?”

“Non capisco che possa importare in questo frangente, sinceramente. Inuyasha, se permetti, sono preoccupato per te e vorrei capire cos’è che ti ha destabilizzato e provocato in te tanta rabbia,” rispose il padre che ora cominciava a spazientirsi.

“C’entra eccome, invece; devo saperlo!” sbottò Inuyasha, alzandosi all’improvviso e scacciando la sua mano. “A un certo punto avete smesso tutti quanti di parlarmene convinti che mi facesse male e credendo anche voi che per me non ci fosse tanta possibilità. Quindi ora voglio saperlo!”

Toga lo guardò, sorpreso da quello sfogo. “Perché mai vorresti saperlo, non vedo come-” Restò a bocca aperta non riuscendo a credere a quell’eventualità. “Non è possibile che… insomma, una sacerdotessa-”

“Papà,” lo implorò quasi Inuyasha che non riusciva più a vivere nell’incertezza e voleva sapere se ci fosse anche solo una possibilità di non essersi sbagliato, che quel primo incontro di sguardi era davvero ciò che aveva creduto fosse.

A quel punto fu Toga a doversi sedere, allibito. “Beh… è stata tua madre a far partire il tutto. Come sai, si deve prima sperimentare un evento particolarmente traumatico, qualcosa di catastrofico. Non possiamo sapere se ci sia una parte razionale dietro tutto il processo – personalmente non credo –, ma pare che chiunque abbia trovato la propria anima gemella lo abbia fatto a un giorno di distanza dall’accaduto. A quel punto, basta uno sguardo e lo capisci. Ricordo di essere rimasto immobile a osservarla, ero… incantato e al tempo stesso provai un’attrazione mai sentita prima, una forza spingermi verso di lei con un’intensità che non avrei mai creduto possibile. E allora ho capito che, beh, l’avevo trovata. Anche i miei sensi demonici non lasciavano dubbi. Quando mi raccontò ciò che le era accaduto ebbi l’ultima conferma. In più, mi confidò di aver percepito la stessa cosa nel momento in cui i nostri sguardi si erano incrociati."

“Una forza spingerti verso di lei…” Inuyasha era scioccato. “Cavolo, papà, è possibile, allora?” domandò fissandolo intensamente, speranzoso.

“Solo tu puoi saperlo davvero. Lo sai che nonostante tutte le ricerche che io abbia fatto non ho mai saputo di un mezzo demone che abbia trovato la propria anima gemella, ma questo potrebbe essere dovuto al fatto che sia gli umani che i demoni hanno molto pregiudizi. Ciò potrebbe aver impedito un qualsiasi tipo di incontro. Eppure, una sacerdotessa…” Scosse la testa per l’inverosimiglianza di tutto ciò. “Forse faresti meglio a ricominciare da capo, figliolo.”

Inuyasha annuì. “Forse non posso spiegarlo meglio di te… ma nel momento in cui ha alzato lo sguardo ho sentito proprio qualcosa che mi spingeva verso di lei, una sorta di laccio unirmi a lei. Però l’odore della sua paura mi ha destabilizzato: ho pensato che avesse capito lo stesso, anzi sono sicuro che abbia sentito anche lei qualcosa del genere e che quindi avesse paura di ciò che ero.”

“Ed è così?”

“Peggio, papà, peggio. Quella sacerdotessa era la promessa sposa dell’uomo che Sesshomaru ha ucciso… davanti ai suoi occhi,” confessò infine, lasciando ancora più di stucco il padre. “Ha assistito mentre lui lo uccideva a sangue freddo! Mi ha addirittura chiesto se ero tornato a finire ciò che quel bast-… Sesshomaru aveva iniziato,” concluse trattenendosi dall’inveire contro il fratellastro davanti al genitore.

Toga si passò una mano tra i capelli, disfacendo in parte la sua ordinata coda di cavallo. “Questo complica certamente le cose,” affermò. Il figlio lo guardò come a dire, ironico, “Tu credi?”

“Possiamo quindi comprendere il motivo della sua paura. Deve avervi collegato e tu, a un certo punto, dovrai averle spiegato come mai ti trovavi lì.” Inuyasha annuì. “E come dobbiamo connettere questa inaspettata scoperta con il resto degli abitanti del villaggio?”

Senza più tirarle per le lunghe, avendo perso già troppo tempo – soprattutto perché voleva tornare a vedere come stava Kagome, non riuscendo a starle troppo lontano –, Inuyasha raccontò tutto l’accaduto, dalle dicerie del villaggio a ciò che il nonno di lei gli aveva detto, non lasciando nemmeno un particolare fuori. A racconto finito, Toga si sentì come mai in tutta la sua lunga vita e niente di ciò che aveva imparato gli venne in aiuto. Alla fine chiese: “Quindi è qui al castello? Con Izayoi?” Il giovane annuì per entrambe le domande. Il demone sospirò. “Sono certamente un sacco di informazioni e nulla di ciò che mi aspettavo da questo incarico, ma… sono fiero di te. Hai gestito il tutto alla perfezione, soprattutto le tue emozioni, e avevi il diritto di essere arrabbiato o confuso.” Poi gli diede una pacca sulle spalle e scoppiò a ridere. “Oh, aspetta a vedere la reazione di tua madre, soprattutto quando scoprirà che non gliel’hai detto subito.” Poi si accorse che il figlio non sembrava per nulla felice. “Perché sembri ancora di cattivo umore? Pensavo saresti stato estasiato!”

“Lo sarei… lo sarei se la situazione non fosse così complicata,” ammise, mesto.

“Non lo è, Inuyasha. È qui e la sua famiglia ti ha dato il suo consenso. Hai idea di ciò che significa dati i precedenti con gli umani? Credi che io abbia avuto lo stesso dalla famiglia di tua madre o devo ricordarti di come è stata ripudiata?”

“Hai avuto quello della mamma, però, ed è ciò che maggiormente conta.”

A quel punto, Toga cominciò a capire. “Ti ha rifiutato? Ma non è possibile… sei la sua anima gemella! E allora perché è qui al castello?”

“Keh, no, niente del genere. Non ancora almeno.”

“Non ancora? Inuyasha! Vorresti dirmi che hai chiesto la sua mano, hai viaggiato con lei, è qui al castello e non avete ancora discusso della cosa? Questa storia diventa più assurda ogni secondo che passa.” Il demone cominciando ad attraversare la stanza a gran passi, avanti e indietro. “Io non capisco, figliolo, davvero aiutami a comprenderti meglio. Non ho mai avuto così tanta difficoltà.” Si avvicinò di nuovo a Inuyasha e gli poggiò una mano sulla spalla.

Lui chinò il capo, incapace di sostenere lo sguardo del genitore mentre diceva le successive parole. “Non potresti, d'altronde,” mormorò con un filo di voce, “non sai come ci si sente ad essere… me. Perché la mamma avrebbe dovuto rifiutarti, dopo tutto?” ridacchiò, per nulla divertito da quella confessione.

Il padre percepì con chiarezza il sentimento con il quale quelle parole erano state pronunciate e si sentì ancora una volta in colpa per peccati che non erano suoi. Aveva dedicato la sua intera esistenza alla coabitazione tra demoni e umani, ma alla fine del giorno chi viveva nel mezzo era sempre malvisto e scacciato. Suo figlio non aveva avuto vita facile ed era cresciuto senza amici al castello, trascorrendo tutto il tempo con la madre quando lui era fuori in missione. Maturando, Inuyasha aveva indurito la propria corazza e aveva conosciuto persone meritevoli della sua presenza durante i suoi viaggi, ma Toga aveva sempre sperato che fosse possibile per quelli come lui trovare una anima gemella perché, individui capaci di comprendere entrambe i lati della medaglia, i mezzo demoni erano speciali. Tuttavia, coloro che condividevano quel pensiero erano rari e i suoi studi non avevano fornito risposte. Alla fine, vedendo la sofferenza di Inuyasha, sempre chiara per quanto cercasse di nasconderla, lui e la compagna avevano deciso di non avere più figli. Il pensiero di condannare un'altra persona era inconcepibile. Eppure, ora Inuyasha aveva una possibilità e ancora il pregiudizio rischiava di fargliela gettare al vento. Poteva l'anima scelta per lui dagli Dei rivelarsi così meschina? Toga non credeva. Il difficile sarebbe stato farlo capire al giovane, nonostante comprendesse bene il motivo delle sue ultime parole e lo scetticismo dietro esse.

“Ho trascorso le ultime ore roso dal dubbio, non comprendendo i suoi gesti e dicendomi mille cose diverse. Alla fine sono arrivato alla conclusione che l’unico motivo per cui è venuta con me al castello è per fuggire da quell’uomo a cui il resto del villaggio voleva darla in sposa. E a un certo punto ho anche creduto che mi vedesse alla stregua di quell’essere.” Si coprì il volto con le mani, scuotendo la testa. “Mi sono detto che non sarei stato egoista, che l’avrei liberata e le avrei lasciato la possibilità di ricominciare altrove. Ma non ce la faccio, non ce la faccio,” esclamò, disperato. “Il solo pensiero di stare lontano da lei, anche in questo momento, mi logora dentro. È come se questa forza mi spingesse a stare sempre con lei, accertarmi che stia bene, che abbia tutto ciò di cui ha bisogno. Come posso anche solo pensare di lasciarle vivere una vita sua dove io non sono nemmeno contemplato?” concluse urlando, alzando infine lo sguardo sul padre.

Toga era contento che il figlio non stesse tenendo tutte quelle emozioni contrastanti dentro di sé, ma al tempo stesso desolato di apprendere quanti dubbi lo stessero lacerando. “Inuyasha, come puoi anche solo paragonarti a un uomo che ha ucciso sua moglie o a gente che per il proprio quieto vivere è disposto a vendere il proprio vicino?” La cosa che più lo uccideva era la consapevolezza che Inuyasha pensasse questo di sé. “Non vedi? Questa è la prova che il sangue non conta. Quelle persone sono i veri mostri, non tu! E se gli Dei hanno reputato giusto metterti sulla stessa strada di quella ragazza è perché sapevano che saresti stato la sua salvezza. Un altro uomo non ci avrebbe pensato due volte ad abbandonarla al proprio destino e, invece, senza nemmeno dar conto a te stesso e ai tuoi sentimenti, tu le hai offerto più di ciò che lei avrebbe mai creduto possibile – ne sono certo.”

“Continuo a dirmi che se la sposassi, lei vivrebbe pensando di essersi accontentata e finirebbe per odiarmi,” confessò. Mai, pur avendo loro due un ottimo rapporto, aveva messo a nudo la propria anima in quel modo. Tuttavia, non era mai stato così confuso né aveva provato certi sentimenti. Sentiva che se non li avesse rigettati subito, avrebbero trovato un modo per logorarlo da dentro, giorno per giorno, fino a rendergli la vita impossibile. Non era lucido, non riusciva a riordinare tutti quei pensieri così diversi e suo padre era l’unica persona di cui si fidava in quel frangente – magari lui avrebbe potuto dargli una mano.

“Oh, di questo ne dovrai parlare con lei. Eppure, credimi quando ti dico che la vita nei villaggi non è semplice come credi, soprattutto per quel che riguarda i matrimoni e l’amore – come in parte hai avuto modo di vedere,” sorrise empatico Toga. “Ma tutto ciò non avrà senso se prima non ti deciderai ad aprire l’argomento con lei. Hai paura e posso capire da dove nasce, ma hai mai pensato ai suoi dubbi, i suoi timori? Hai detto che era spaventata da te, dalla possibilità che tu ti comportassi come Sesshomaru… E intanto lei ha vissuto eventi indubbiamente traumatici e potrebbe credere lo stesso di te. Perché non potresti essere tu quello che si accontenta per lei? Ricorda cosa dicevano di lei e pensa a cosa avrebbe potuto pensare,” lo fece ragionare.

“Keh,” sbuffò Inuyasha. “Chi potrebbe mai pensare che io abbia così tante possibilità da dovermi accontentare? Sono un mezzo demone, dopo tutto.”

“Inuyasha,” sbottò il padre, scocciato. “Stai pensando ancora come il tuo nemico e ignorando quella parte di mondo che crede in te! Che ne è degli insegnamenti miei e di tua madre? Sei una persona come tutte le altre, con i tuoi sentimenti e i tuoi bisogni. Non posso credere che la tua anima gemella possa avere idee così meschine né le fai giustizia affibbiandogli certi pensieri.” Il tono era duro, come ogni volta che Toga udiva il figlio parlare così male di sé. “Sono sicuro che se sentisse queste parole lasciare la tua bocca ne sarebbe profondamente offesa.”

“E allora perché non mi ha parlato, non mi ha chiesto nulla di questo legame che entrambi abbiamo sentito?” Alzò le braccia in aria, come se volesse trovare un altro motivo per avere ragione e provare pietà per se stesso, mentre, allo stesso tempo, implorava il genitore di smentirlo.

Toga lo conosceva bene e lesse i suoi gesti senza problemi. “E tu perché non gliel’hai chiesto? Non gliene hai parlato? Hai paura di un rifiuto?” chiese prima di essere interrotto. “La situazione è delicata per entrambi, eppure è lei quella che ha vissuto il giorno peggiore della sua vita, non tu. Ricordalo, Inuyasha.”

A quel punto il mezzo demone rimase senza parole e, riavvolgendo ogni ricordo nella sua mente, rivide tutto con estrema chiarezza, leggendo una seconda volta i gesti e le parole di lei per analizzarli e comprenderli meglio. Ogni cosa sembrava dirgli proprio quello: Kagome aveva ancora più paura di essere rifiutata e, peggio, abbandonata. Ricordò la sua reazione quando le aveva proposto di andare a vivere in un altro villaggio e come gli era sembrato assurdo che lei piangesse e si disperasse al pensiero. Ma cosa avrebbe pensato un’altra persona al suo posto se l’uomo che aveva appena giurato di proteggerti ora proponesse di lasciarti in un luogo sconosciuto? “Sono stato un dannato stupido,” mormorò a conclusione di quelle riflessioni, rimanendo a bocca aperta.

“Sì, beh, non so a cosa tu ti stia riferendo di preciso,” assentì suo padre portandosi la mano al mento, “ma credo che come aggettivo possa andare. Per fortuna, hai ancora tutto il tempo di rimediare.”


***


Mentre Toga cercava di aiutare il figlio a ordinare il caos che attualmente governava il suo cuore e la sua mente, Kagome si svegliava improvvisamente in una stanza a lei sconosciuta. All’inizio pensò di trovarsi in un sogno, uno qualsiasi che le permettesse di scappare dalla triste realtà che era diventata la sua vita. Poi, tutto le ripiombò addosso d’un tratto: l’incontro con Inuyasha, la sensazione provata non appena avevano incrociato gli occhi, la leggenda del nonno e la proposta del mezzo demone, la paura di essere abbandonata. Però, prima che potesse scoppiare a piangere, ricordò le ultime parole di lui e guardandosi intorno si rese finalmente conto di non sapere dove si trovasse.

“Oh, sei sveglia, cara. Come ti senti?” Una voce proveniente dalla sua destra la fece sobbalzare. Kagome voltò di scatto la testa e davanti a sé trovò la donna più bella che avesse mai visto, la quale le causò non pochi complessi di inferiorità, sebbene non avesse mai veramente dato molta attenzione all’aspetto fisico; non era ciò che solitamente importava a una sacerdotessa. Tirò le lenzuola di seta che le coprivano le gambe fino al petto e si prese qualche secondo in più per studiarla al meglio, senza nemmeno rendersi conto che l’altra stesse aspettando una sua risposta. Aveva lunghissimi capelli color dell’ebano che le superavano la vita, il viso ovale, accompagnato da un sorriso sereno e degli occhi castani; non presentava nemmeno la minima traccia di imperfezioni. La pelle diafana la faceva sembrava quasi di porcellana, eppure Kagome ebbe subito la sensazione che quella donna fosse tutt’altro che debole. Non sapeva come e perché, ma quell’espressione gentile le diceva che il suo apparire fin troppo fragile era solo parte delle apparenze.

Kagome non poteva ovviamente sapere che la principessa aveva avuto due secoli di esperienza per indurire la propria corazza e vivere quanto più possibile in serenità con il compagno e il figlio. Né immaginava che, in quel momento, Izayoi stesse rivedendo in lei il fantasma di chi era stata una volta: donna realmente fragile e accudita sin da piccola per essere solo moglie e madre per il miglior acquirente.

Ripresasi dalla sorpresa, la giovane miko ricordò immediatamente il luogo in cui si trovava e, guardando di nuovo gli abiti che l’altra indossava, immaginò subito di trovarsi al cospetto con qualcuno di particolare rilevanza in quel castello. Abbassò il capo e con voce in parte tremolante disse: “Voglia scusarmi, mi sono fatta prendere per un attimo dal panico. Non l’avrei mai fatta attendere tanto altrimenti né avrebbe dovuto prendersi il disturbo di aspettare il mio risveglio. Le assicuro che-”

Dita sottili e l’eco di una risata cristallina la interruppero. “Di cosa ti stai scusando, cara? Non c’è bisogno. Ora, quello che davvero mi preme sapere è come ti senti dopo il lungo viaggio affrontato. Mio figlio mi ha accennato che gli ultimi giorni sono stato particolarmente difficili per te e che avresti potuto continuare a dormire ancora per un po’.”

“Figlio?” ripeté scioccata Kagome.

“Oh, che sbadata. Scusami, non mi sono presentata; non ho per nulla fatto gli onori di casa. Puoi chiamarmi Izayoi, sono la madre di Inuyasha, il mezzo demone con il quale hai viaggiato,” aggiunse infine, nel caso in cui la ragazza avesse un piccolo vuoto di memoria.

Quella risposta mandò Kagome del tutto in stato di panico. Madre? Pensò tra sé e sé allarmata, ma se Inuyasha è il figlio del Grande Generale Cane allora vuol dire che lei è… lei è…

“Tutto bene?” domandò ancora la principessa che cominciava a notare il pallore sul viso di Kagome e a immaginare diversi scenari, soprattutto sapendo in che modo la gente reagiva di solito alla menzione del figlio hanyou. “Inuyasha non mi ha rivelato le specifiche del vostro incontro, ma spero che non si sia comportato in modo rude. Non lo dico perché sono sua madre, ma posso assicurare che è un uomo a modo e gentile non appena getta via la maschera da ragazzaccio.” Si fermò immaginando bene in che modo avrebbe reagito Inuyasha se avesse saputo che aveva appena detto certe cose e realizzando che la ragazza non le stava comunque prestando attenzione. Inclinò la testa di lato, osservandola meglio e cercando di risolvere il mistero.

“Lei è sua madre?” esordì infine Kagome, stupefatta. “Mi dispiace, mi dispiace immensamente,” aggiunse stringendo saldamente il tessuto delle lenzuola tra le dita. “Mi dispiace arrecarle così tanto disturbo; non avrei mai voluto.”

Izayoi avrebbe tanto voluto ridere di quella reazione: tra tutte le cose a cui la giovane aveva pensato, nulla sembrava combaciare con i soliti pregiudizi umani che lei aveva tanto sperimentato in più di due secoli di vita. E dire che, nonostante il vecchio titolo – in realtà non era più una principessa da secoli, da quando suo padre l’aveva ripudiata – e la posizione che deteneva in quanto moglie di Toga, gli umani erano sempre veloci a denigrarla e trattarla come la più infima delle donne non appena apprendevano che aveva dato alla luce un mezzo demone, giaciuto accanto a un demone. Questa ragazza, invece, si preoccupava di averle recato un danno. Si coprì le labbra con le dita di una mano, mentre l’altra cercava quelle di Kagome e le districava, facendole allentare la presa. Erano fredde e bianche e Izayoi considerò quanto spaesata potesse essere in quel momento; dopo tutto, si era trovata anche lei in una situazione simile anni e anni fa. “Non ti devi scusare di nulla… Kagome. Posso chiamarti così, vero?”

“C-certo, Izayoi-sama.” Kagome annuì, non alzando ancora lo sguardo.

“Solo Izayoi va benissimo.”

L’altra annuì nuovamente, pensando allo stesso tempo a quanti anni questa donna al suo cospetto potesse avere nonostante il suo aspetto. “Inuyasha non si è comportato male con me,” mormorò con un filo di voce, consapevole che qualsiasi litigio ci fosse stato tra loro non era solo colpa del mezzo demone. Non sarebbe stato corretto far credere alla madre il contrario.

“Sono contenta di saperlo,” affermò Izayoi dandole un colpetto gentile sulla mano. “Io e suo padre non possiamo fare a meno di essere in pensiero per lui ogni volta che si reca in qualche villaggio umano. È esperienza, certo, ma quando diventerai genitore anche tu capirai ciò che si prova a sapere che il proprio figlio non è accettato per quello che è.”

Le guance di Kagome si fecero improvvisamente scarlatte e cominciò a balbettare, non sapendo nemmeno se Izayoi fosse a conoscenza del perché lei si trovasse lì. Il solo immaginarsi tale qualche giorno prima le avrebbe portato alla mente un bambino con un po’ di lei e un po’ di Hojo. Ora, a parlarle di questa cosa era la madre dell’uomo che aveva ricevuto dalla sua famiglia il permesso di sposarla, uno che non conosceva per nulla e, allo stesso tempo, sembrava essere il prescelto per lei dagli Dei. La faccenda delle anime gemelle non era così semplice da accettare o comprendere, non se per tutta la vita si era cresciuti pensando fossero storie alla stregua delle fiabe. E Kagome, nonostante il legame e l’attrazione che sentiva, faceva ancora fatica a raccapezzarsi del fatto che una persona sconosciuta fosse perfetta per lei, figurarsi qualcuno che la mandava segnali così diversi tra loro e strani – il fatto che la madre le avesse assicurato che era solo una maschera non l’aveva rincuorata.

Le successive parole di Izayoi le fornirono involontariamente la risposta al suo dubbio. “Quando vuole, mio figlio sa essere di poche parole. Prima mi raccontava tutto, da quando è diventato un uomo e ha cominciato a seguire le orme di suo padre un po’ meno. Quindi… da donna a donna, perché non mi racconti quali circostanze ti portano da noi?” le chiese, sorridendo, cercando di metterla suo agio e guadagnare la sua fiducia.

Tuttavia, la sua domanda sortì l’effetto contrario, facendo arrossire ancora di più Kagome e lasciandola senza parola. “E-ecco, io... V-vede…” Prima ancora che potesse formulare anche solo nella sua mente qualsiasi frase che potesse toglierla dagli impicci, le porte shoji della stanza si aprirono di botto, facendo sobbalzare entrambe e rivelando l’argomento della loro discussione: Inuyasha.

“Izayoi-sama, sono immensamente dispiaciuta,” giunse la debole voce di una domestica da dietro il mezzo demone. “Il signorino non ha voluto ascoltarmi. Gli ho detto che non era educato e proprio entrare senza annunciare, ma…”

“Non preoccuparti, Yuki, conosco mio figlio e so che non hai colpe. Potresti gentilmente portarci una colazione abbondante e variegata? La signorina mangerà in stanza,” la informò Izayoi, gentile. La giovane al suo servizio si lasciò andare a qualche inchino, salutò frettolosamente e chiuse le porte dietro di sé. Rimasti soli, Izayoi gli lanciò un’occhiata ricca di disapprovazione. “Entrare in quel modo nella stanza di una fanciulla non è assolutamente educato,” lo rimbeccò mentre lui roteava gli occhi e si sistemava accanto a lei, baciandola sulla guancia.

“Non c’era tempo da perdere,” rispose, cercando con la coda dell’occhio Kagome per accertarsi che stesse bene senza farsi notare troppo. La ragazza, intanto, era diventata se possibile ancora più rossa e aveva abbassato lo sguardo, imbarazzata al pensiero di essere stata quasi colta in flagrante. Gli era comunque grata per averla salvata dalla situazione. Complessivamente, il mix di odori che emanava però sembrò tranquillizzare Inuyasha che quindi si concentrò sulla madre. “Da quanto è sveglia? Ancora non mangia?”

“Da poco, tesoro,” lo informò Izayoi, sistemandogli una ciocca accanto all’orecchio e carezzando anche quello nel frattempo. Lui arrossì di conseguenza. “Stavamo giusto per parlare del motivo per cui Kagome si trova qui con noi. Vuoi cominciare tu il racconto?” L’imbarazzo che ne seguì, informò la donna che c’era decisamente qualcosa di importante che nessuno dei voleva ancora rivelarle. Non sapeva se temere brutte notizie o essere speranzosa.

“Oh, beh, vedi, mamma,” cominciò Inuyasha, “dovrai aspettare. Non appena Kagome avrà finito di mangiare, andremo nella sala comune. Papà ha espresso il desiderio di conoscerla.”

E se anche quell’affermazione aveva momentaneamente salvato di nuovo Kagome, il sollievo durò pochissimo. All’idea di trovarsi di lì a poco a cospetto dell’Inu-no-Taisho si agitò subito e qualsiasi appetito le era nato a sentir nominare la colazione le sparì di conseguenza.




N/A: Abbiamo conosciuto anche Inu Papa e Mama; non li amate già? Di Toga abbiamo già letto la reazione, mentre per quella di Izayoi dovrete aspettare il momento in cui lo scoprirà e presto - forse anche nel prossimo capitolo, chissà - incontreremo anche il principe dei ghiaccioli 😌. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e di sentirvi in tanti qui sotto nei commenti.

Qui la vita è piena di incombenze e imprevisti - che non mancano mai -, ma aggiornerò tra circa due settimane. Un abbraccio e a presto 🧡.

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Capitolo 6
*** V — Una strada irta di pericoli ***


Capitolo V: Una strada irta di pericoli



“Say what you wanna say
And let the words fall out
Honestly, I wanna see you be brave”

Brave, Sara Bareilles





Nello stesso momento in cui Kagome veniva informata del suo imminente incontro con l’Inu-no-Taisho, al villaggio la maggior parte degli abitanti si svegliava. I rumori erano quelli tipici di una giornata che si prospettava impegnativa e già molti uomini avevano salutato le proprie famiglie prima di recarsi al lavoro e le donne avevano seguito il loro esempio.

Ancora nella propria capanna, Ichiro osservava la nuora che cercava di nascondere la propria agitazione mentre preparava la colazione in ritardo e il nipote che sembrava non aver ancora superato la separazione dalla sorella né realmente compreso il motivo dietro essa. Lui stesso tentava di rimanere calmo e, nel frattempo, pensava a cosa dire nel momento in cui l’assenza di Kagome sarebbe stata rivelata. Aveva promesso alla nipote che si sarebbe preso cura della propria famiglia e aveva tutte le intenzioni di farlo. Tuttavia, non voleva nemmeno gettare altro fango sulla sua reputazione, nonostante lui sperasse che non dovesse più mettere piede in quel luogo quanto più maledetto ora. Strinse i pugni sulle ginocchia, non alzando gli occhi dal tè davanti a sé, e ripensò a ciò che Kagome lo aveva implorato di dire, noncurante delle conseguenze. Secondo quest’ultima, la soluzione migliore sarebbe stata far sapere subito al capo villaggio della sua scomparsa per scongiurare la possibilità che gli abitanti potessero rivoltarsi contro di loro. Il nonno avrebbe dovuto recarsi, preoccupato, dall’uomo e annunciargli che durante la notte lei aveva racimolato pochi beni essenziali per poi scappare senza lasciare nemmeno una parola. Era la soluzione più sicura e anche quella più plausibile; d’altronde, nessuno credeva che Kagome avesse voluto davvero sposare Onigumo. Eppure, c’era una falla, una che sarebbe stata fin troppo evidente agli abitanti come lo era per Ichiro: una ragazza come Kagome, generosa e sempre preoccupata per il prossimo e le persone a lei care, non avrebbe mai lasciato la famiglia nei guai né sarebbe venuta meno a una parola data.

Quanti avrebbero contestato il racconto? Quanti ci avrebbero creduto? Ichiro non aveva mai avuto problemi ad apparire credibile, sebbene nella sua vita fossero state poche le occasioni in cui aveva dovuto mentire, ma in quell’occasione c’erano tante incognite che potevano far andare male tutto. Inoltre, non era detto che se anche gli avessero creduto nessuno se la sarebbe presa con loro. Gran parte della gente lì aveva paura di Onigumo ed era stata più che soddisfatta di dargli in pasto Kagome per accontentarlo e mantenerlo tranquillo. Ma ora? Ora l’uomo sarebbe stato furioso e Ichiro non poteva nemmeno immaginare quali danni avrebbe potuto perpetuare ai danni di ognuno di loro, suscitando il malcontento generale che sarebbe ricaduto una seconda volta sulla sua famiglia.

Prese un gran respiro e infine si alzò, sorprendendo il nipote e la nuora giunta appena per porgergli la colazione. Sarebbe stato meglio non perdere troppo tempo a meditare sui tanti se della loro situazione complicata. Su una cosa Kagome aveva avuto ragione: prima avrebbe informato il capo villaggio dell’accaduto, più possibilità c’erano che gli avrebbe creduto.

“Non mangi, papà?” chiese Kaori, preoccupata, e senza più nascondere ciò che aveva nel cuore. Erano state notti dure per lei e il suo viso sciupato mostrava molti più anni di quanti ne aveva.

Ichiro si voltò a osservare anche Sota che aveva smesso di asciugarsi le lacrime ma non di tirare su con il naso e si disse che proteggerli significava anche assicurarsi che non fossero angosciati o vivessero nella paura per ciò che sarebbe potuto succedere loro o a Kagome. “Devo andare,” annunciò, “non ho tempo per mangiare. Mettimelo pure da parte, Kaori, cara; mi dispiacerebbe averti fatto lavorare inutilmente.” La donna comprese subito ciò che l’anziano uomo voleva dirle e annuì, mentre il bambino si allarmava a causa di quelle parole. “Non c’è bisogno, Sota: sto andando a parlare con il capo villaggio. Spero di essere presto di ritorno.”


***



Percorrendo la strada che lo avrebbe condotto dal vecchio amico di infanzia che ormai non avrebbe nemmeno più potuto chiamare tale, Ichiro non si accorse di essere seguito, troppo agitato per ciò che avrebbe dovuto fare a breve e per il benessere della propria famiglia. Si preoccupava, inoltre, anche di Kagome: sebbene fosse consapevole di averla lasciata in buone mani, sapeva anche che la giovane non avrebbe trovato pace tanto facilmente, non se era attualmente separata da loro. I tanti pensieri che gli affollavano la mente, dunque, gli impedirono di percepire un paio di occhi sospetti che seguivano le sue mosse e l’inquietudine che li accompagnava.

Onigumo aveva mandato di buon’ora il figlio a indagare su ciò che Tsubaki aveva detto il pomeriggio precedente, così che avrebbe potuto pensare ad una punizione adeguata senza nemmeno precipitarsi e accusare Kagome senza prove schiaccianti. Il ragazzo aveva accettato di buon grado anche perché, come il padre, non disdegnava mai una buona occasione per adocchiare le giovani ragazze inconsapevoli che giravano per il villaggio, una di queste proprie Kagome. D’altronde, Susumu aveva poco meno di venti anni e tanto bisogno di sfogare istinti che troppo spesso era costretto a reprimere. A volte gli capitavano tra le mani situazioni favorevoli che comprendevano ragazze innocenti prese alla sprovvista, altre si accontentava di spiare e immaginare come avrebbe potuto altrimenti approfittare di quei corpi che si presentavano nudi a lui. In breve, essere allevato da un uomo meschino e senza riguardo come Onigumo aveva insegnato sin da piccolo a Susumu come bisognava comportarsi con le donne e che la violenza era il modo migliore per far capire loro come andava il mondo. Avrebbe voluto che una ragazza come Kagome fosse stata destinata a lui che la superava in età di un solo paio d’anni, ma Onigumo era un uomo avido e non aveva voluto sentire obiezioni; il giovane sperava che averla in casa avrebbe comunque aperto le porte ad altre circostanze favorevoli.

Doverla spiare quella mattina, dunque, era un compito che non considerava per nulla un obbligo e che avrebbe portato a termine senza alcuna noia, anzi. Tuttavia, raggiungendo non visto la capanna della famiglia, aveva subito notato che qualcosa non andava. Sapeva che se fosse tornato a mani vuote il padre avrebbe trovato un modo molto crudele per punirlo. Decise, allora, di spiare il vecchio babucco e la decisione lo gratificò, infine, quando ascoltò la conversazione che ebbe con il capo villaggio – colui che lui chiamava l’idiota più grande del luogo. Come poteva altrimenti chiamare un uomo che non si rendeva nemmeno conto dei vari nascondigli e trappole che Susumu aveva seminato negli anni anche nella sua casa? C’era anche da dire che il figlio di Onigumo era un ragazzo parecchio scaltro e portato negli inganni; abilità che gli tornava utile ogni giorno. Ma ciò che udì era tutt’altro che positivo e la felicità che aveva provato nell’avere una possibilità di girovagare e spiare ragazze svanì. Che fosse o meno colpa di Susumu ciò che era accaduto, sapeva già che il padre sarebbe riuscito a sfogare la sua ira su di lui. E non sarebbe stata poca.


***



Inconsapevole dei pericoli che i suoi familiari avrebbero corso a breve non appena Onigumo fosse stato informato della sua scomparsa e avrebbe tratto le proprie conclusioni, Kagome agitava le mani nel grembo mentre attendeva l’arrivo dell’Inu-no-Taisho. Lì accanto, Inuyasha avrebbe tanto voluto essere così sfrontato da prendergliele e rassicurarla con un tocco, ma i dubbi che aveva discusso con il padre ancora lo trattenevano, senza considerare che non aveva idea di come ci si comportava con una donna se non attraverso ciò che aveva visto con i suoi genitori. Sapeva solo che vederla così preoccupata lo rendeva ancora più nervoso, perché era suo compito tranquillizzarla.

In aiuto venne sua madre che, ignara delle paure del figlio, al momento aveva occhi solo per la giovane della quale ancora non conosceva l’identità. Fece ciò che avrebbe tanto desiderato fare Inuyasha, che non poté impedire a un moto di gelosia di nascergli nel cuore: come mai sua madre poteva essere così libera di prenderle la mano e accarezzarla sorridente pur conoscendo Kagome da meno tempo? Perché meritava i sorrisi genuini che quest’ultima le regalava senza problemi? Perché, invece, lui era stato solo capace di litigarci finora? Scosse infine la testa, consapevole che questi pensieri erano del tutto fuori luogo e insensati, e l’alzò non appena le porte della stanza si aprirono, rivelando la figura del padre.

Toga era un demone ancora più alto di Sesshomaru e Inuyasha, robusto e sicuro di sé. Quando entrava in una stanza in molti rimanevano sorpresi dall’aura fiduciosa e soddisfatta che emanava e che spesso contagiava le persone più disponibili. Il viso dai tratti più spigolosi ricordava per lo più quello del figlio maggiore – il minore aveva ereditato quelli più morbidi della madre –, ma si differenziava per lo sguardo caldo e il sorriso incoraggiante che esibiva. Aveva un carattere gioviale e amava scherzare, ma serio ogni volta che la situazione lo richiedeva e sapeva essere molto duro nei confronti di nemici e traditori. I lunghi capelli argentati erano solitamente legati in una coda alta per evitare che lo intralciassero con la spada che portava tra le scapole o la mokomoko a due code che partiva dalle spalle e si divideva all’altezza dei fianchi. Con quell’acconciatura metteva ancora più in risalto le orecchie appuntite e i marchi violacei sulle guance, tratto distintivo dei demoni dal sangue particolarmente potente solitamente chiamati dai-youkai e che diventavano più rari con il passare degli anni. Un tempo, successivo al primo incontro con la sua anima gemella, aveva portato con sé altre due spade forgiate da una delle sue zanne. Ora, però, entrambe erano state passate ai due figli e lui era tornato a far uso unicamente di quella che portava appesa dietro di sé. Aveva pensato che facendo dono sia a Sesshomaru che a Inuyasha di armi di quel calibro avrebbe evitato di far nascere maggiori dissapori. Non era andata come sperato e da allora i tentativi di capire e avvicinarsi al maggiore erano diminuiti, sostituiti da quelli volti ad evitare che ferisse il fratellastro o la matrigna. Tuttavia, la smorfia che solitamente deturpava il volto di Toga ogni qualvolta che quest’ultimo pensiero gli attraversava la mente era assente quel giorno. La felicità nel sapere che finalmente Inuyasha aveva trovato la sua anima gemella era troppo per essere ombrata da determinati problemi, ed entrando nella stanza dove la sua famiglia lo stava aspettando non ne fece segreto. Persino Izayoi, che ancora ignorava quella scoperta, rimase piacevolmente sorpresa da quel genuino sentimento che lesse subito sul volto del compagno.

La donna si alzò per andargli incontro e lo salutò con un bacio leggero, prima di prendere il braccio che questi le porgeva e tornare dal figlio e da Kagome. Quest’ultima si alzò immediatamente, prima che Inuyasha potesse rassicurarla e dirle che non c’era alcun bisogno di formalità, e fece un inchino basso, mentre le guance le diventavano scarlatte solo per essere in presenza di un demone di quel calibro, del quale aveva sentito tanto parlare dal nonno e, quando era ancora in vita, dal padre. Rimase in quella posizione per tutto il tempo necessario, che per lei voleva dire fino a quando il Generale non le avrebbe dato il consenso per farlo. Tuttavia, dopo qualche secondo, invece delle sue parole sentì la sua grande mano posarsi sulla testa in un gesto amorevole e paterno – le lacrime la pizzicarono ai lati degli occhi per quella sensazione che non provava da anni, ma le ricacciò indietro testardamente.

“Kagome, sei la benvenuta fra noi. Ti prego, alzati, non c’è alcun bisogno,” le parlò con una voce calda e fragorosa che riempì l’intera stanza; per quanto potente e autoritaria, Kagome fu stupita proprio dal calore che emanava. Sollevando il viso, notò in primo luogo lo sguardo pieno di amore che Izayoi gli stava riservando e ammirò senza parole quel sentimento che – non ebbe dubbi nemmeno per un secondo – era ricambiato da lui. Quando, in seguito, avrebbe scoperto che ciò che li legava era lo stesso destino che aspettava lei e Inuyasha non ne fu per nulla stupita, sorprendendo ancora una volta la principessa per la sua mancanza di pregiudizi.

In quel momento, però, si riprese subito e ricacciando indietro l’istinto di inchinarsi ancora, ringraziò la persona che per prima aveva ritenuto necessario mandare qualcuno al villaggio per accertarsi della situazione. Certo, colui che era colpevole di tutto ciò che le era capitato era il figlio, ma tanti altri demoni non avrebbero avuto alcun riguardo per una semplice e povera comunità di contadini. “La ringrazio immensamente per la sua ospitalità, Generale, e per ciò che ha voluto fare non appena le è giunta la notizia della morte di Hojo,” cominciò formalmente. “Sia io che la mia famiglia le siamo estremamente grati.”

“Non devi ringraziarmi, Kagome,” le rispose porgendole un sorriso ancora più ampio e conducendo tutti verso il tavolo da tè. “Indirettamente è anche mia la colpa per ciò che è accaduto, non essendo stato in grado di inculcare in mio figlio i giusti valori morali e lasciando determinate lacune nella sua educazione. Di conseguenza, dovevo rimediare per quanto potevo. Purtroppo, non sono in grado di riportare Hojo in vita – presumo sia l’uomo ucciso da Sesshomaru – e mandare Inuyasha era soltanto il minimo che potessi fare. Bada bene, il minimo; non credo che possa davvero guarire determinate ferite.”

Il mezzo demone pensò bene di intervenire e interrompere il padre per evitare che continuasse a farsi carico di colpe non sue. “Non dire stupidaggini, papà; non è colpa tua se Sesshomaru è cresciuto in quel modo né se odia gli esseri umani.”

Toga alzò una mano per zittire il figlio, lanciandogli un’occhiata severa poco convinta, anche per fargli comprendere che non aveva apprezzato l’intervento. “Per quanto non abbia preso questo odio da parte mia, la mia colpa risiede nel non essere stato capace di cancellarla ma, anzi, per averla alimentata involontariamente. Dunque, vorrei essere io a porgerti formalmente le mie scuse, Kagome.” E così dicendo, inclinò il capo, pentito.

Izayoi che aveva osservato lo scambio di battute silenziosamente rimase sorpresa da quel gesto, per poi collegare infine la presenza di Kagome in quella stanza e la morte dell’umano di cui ieri erano stati informati. Si portò una mano alla bocca per la sorpresa, mentre allungò l’altra per raggiungere quella di Kagome e stringergliela – la sacerdotessa aveva già avuto modo di capire che Izayoi era una donna che si lasciava andare facilmente a quel tipo di gesti. “Oh, cara, non mi dire che! Oh, ma è terribile. Inuyasha!” esclamò voltandosi verso di lui, “Perché non me l’hai detto subito? Ora capisco la causa dei tuoi giorni difficili, tesoro. Non sai quanto sono stata dispiaciuta di sapere quanto accaduto.”

“Credo che ci sia altro che Inuyasha ti ha tenuto nascosto, cara, riguardo la presenza di Kagome in questo castello,” la informò Toga. Stava giusto per spronare il figlio riluttante a confessare alla madre la proposta che aveva fatto al nonno di Kagome quando le porte della sala si aprirono una seconda volta, più prepotentemente, rivelando una persona che avrebbe continuato a disturbare i sogni della giovane probabilmente per gli anni a venire. Sesshomaru era lì, una smorfia feroce sul viso e il corpo teso. La sua aura furiosa aveva contaminato l’atmosfera più rilassata di quel luogo e spaventato non poco la giovane. Per quanto Kagome fosse sempre stata una donna che non si lasciava intimorire da alcuna situazione e si fosse esercitata sin da piccolissima, si rendeva conto di quanto pericoloso fosse, ancora più del genitore che in quanto potenza lo superava. La cattiveria nel suo sguardo, la stessa che aveva letto due giorni fa quando aveva ucciso a sangue freddo il suo promesso sposo solo perché lo aveva intralciato, era diretta a suo padre e alla donna accanto a lui. Un attimo dopo, individuò anche il fratellastro e lei, e a quel punto mostrò le zanne per intimidirla, avendola subito riconosciuta, nonostante non fosse solito fare attenzione a esseri così inferiori.

Eppure, non era passato così tanto dal loro primo incontro, e il demone dai segni color magenta sul viso ricordava bene la presenza di una sacerdotessa e il modo sfacciato con cui l’aveva provocata, intimandole di provare anche solo ad attaccarlo per farsi giustizia. L’odore della sua paura lo aveva divertito in quel momento, ma ritornare quella mattina e sentirne il sentore nei corridori, che ne impregnava l’aria, non solo lo aveva disgustato, ma anche fatto infuriare senza limiti. Aveva immediatamente individuato il genitore nella sala comune, in compagnia della donna e degli altri due esseri dei quali da ormai due secoli doveva sopportare la presenza, e vi si era diretto senza alcuna esitazione. “Vedo, padre,” esordì, sputando disprezzo sull’appellativo, “che continui a circondarti con piacere di essere inferiori.”

“Sesshomaru,” Toga si alzò percependo immediatamente la paura di Kagome e cercando indiscretamente di creare un muro tra loro, “io vedo che sei sempre più incline alle entrate vistose.”

L’altro ringhiò dal dispiacere. “Esigo sapere perché mai devo essere sottoposto ad un olezzo simile di ritorno nelle mie stanze. Credevo che avessimo già toccato il fondo con la principessa ripudiata e il mezzosangue.”

“Figliolo, dimostri solamente come le tue credenze sono tutt’altro che affidabili man mano che continui questo tuo discorso poco educato,” lo redarguì il genitore che stava a sua volta trattenendo la propria aura non più serena per evitare di spaventare maggiormente la loro ospite. “Così come dimentichi che questa non è solo casa tua e che dovresti avere rispetto della tua famiglia.”

Sesshomaru rise malignamente. “Gli unici componenti della mia famiglia siete tu e mia madre e tu non fai molto per guadagnarti il mio rispetto vista la compagnia di cui continui a circondarti.”

“Ignorerò i tuoi ultimi commenti e riserverò una discussione più lunga ad un altro momento,” sibilò Toga che non si era ancora abituato a sentire il figlio maggiore parlare in quel modo della compagna e del minore. “Tuttavia, vorrei farti presente che sei tu il motivo per cui Kagome-sama è al nostro cospetto. Se tu non ti fossi macchiato dell’ennesimo crimine insensato non ci troveremmo in questa situazione.”

A quel punto Sesshomaru puntò di nuovo gli occhi gelidi su Kagome e sorrise diabolico. “La sacerdotessa che non ha avuto il coraggio di affrontarmi, come dimenticarla. Pensavo di averti fatto un favore, non credi anche tu? Quel debole umano non avrebbe potuto senz’altro soddisfarti. Senza considerare, poi, che secondo le vostre assurde credenze una come te dovrebbe rimanere pura e illibata fino alla morte, non è così? Chissà cos’avranno pensato i tuoi compaesani. Vedi?” si voltò di nuovo verso Toga, agitando in aria una pallida mano artigliata, altezzoso. “È così che stanno le cose.”

Un ringhio basso e ferale annunciò l’introduzione di Inuyasha nel discorso. “Smettila di sparare stronzate, Sesshomaru, e se le cose non ti vanno a genio, sparisci pure. Nessuno richiede la tua presenza!”

Sesshomaru gli riservò un’occhiata più gelida, stringendo le sue orbite dorate. “Credi ancora che a qualcuno importi della tua opinione, mezzosangue?” Poi, notando il modo in cui il corpo di Inuyasha si era eretto a protezione della ragazza, allargò il proprio sorriso. “Oh, ora ho capito cosa intendevi quando hai detto che ero il motivo per cui la sacerdotessa si trova qui, padre. Sono forse stato convocato per portare a termine ciò che ho iniziato l’altro giorno?”

Di fronte a quella minaccia così poco velata e non riuscendo più a mantenere la sua già labile pazienza, Inuyasha partì all’attacco, non stupendo per nulla il fratello maggiore che aveva previsto tutto. D’altronde, non era la prima volta che lo provocava così e la cosa lo faceva divertire e infuriare: come poteva suo padre aver contribuito alla nascita di un essere tanto immondo? I vari attacchi e affondi del mezzo demone furono facilmente evitati da Sesshomaru che continuava a ridere di quello spettacolo pietoso e a punzecchiare ancora di più Inuyasha. Cosa gli faceva credere che sarebbe riuscito anche solo a sfiorarlo? Come poteva anche solo immaginare di essere alla sua altezza?

“Come ti agiti, inutilmente. È questo ciò che sei stato in grado di insegnargli?” chiese a Toga che stava solo aspettando il momento giusto per intervenire. Purtroppo, sapeva che una delle cose che a Inuyasha ancora mancavano era il sangue freddo, soprattutto di fronte al fratello che si impegnava particolarmente nel provocarlo. Avrebbe dovuto imparare a tenere a bada il proprio temperamento irascibile, ma non sarebbe stato troppo chiedergli più pazienza proprio in quell’occasione? D’altronde, Sesshomaru aveva appena minacciato la sua anima gemella. Eppure, Toga si tratteneva; sapeva che intervenendo avrebbe umiliato ancora di più Inuyasha, dando involontariamente ragione a Sesshomaru. Mentre rifletteva su quale fosse l’azione migliore da intraprendere, quest’ultimo evitava l’ennesimo attacco fiacco di Inuyasha, che avendo già preso lo slancio, ritrovò l’equilibrio un secondo più tardi. A quel punto, il maggiore lo stava guardando di nuovo con sdegno, ridendo aspramente. “Cosa ti ha dato fastidio di ciò che ho detto prima? Temi per la ragazza?” Un’altra risata. “Non ti sei ancora scocciato di difendere patetiche donne umane?” lo aizzò, mantenendo il contatto visivo mentre gli mostrava chiaramente quale fosse il suo prossimo obiettivo.

Veloce e aggraziato come sempre, Sesshomaru non diede a Inuyasha nemmeno il tempo di spalancare gli occhi, spaventato, e un attimo dopo già era di fronte a Kagome. Aveva ignorato del tutto padre e matrigna e aveva raggiunto la ragazza che, sebbene non stesse tremando, mostrava in altri modi la sua paura, soprattutto quando la malignità era al suo picco nell’aura del demone. “Hai paura che io possa far male a questo fragile cucciolo d’uomo?” chiese ancora, allungando la mano per carezzarle la guancia con il dorso, in un finto gesto d’affetto. Non riuscì nel suo intento, però, avendo fin troppo sottovalutato Inuyasha e, soprattutto, ignorato i limiti del suo sangue misto.

Inuyasha non aveva notato la lentezza con cui Sesshomaru aveva mosso il polso o letto le ulteriori provocazioni nascoste dietro quel gesto; probabilmente, il fratello non avrebbe nemmeno osato ferire davvero Kagome, non davanti al padre. No, Inuyasha aveva solo visto degli artigli letali, normalmente capaci di secernere una sostanza velenosa, graffiare il volto della ragazza o peggio. Il suo corpo era scattato senza controllo in avanti, più veloce di prima, e un attimo dopo aveva alzato il pugno chiuso per colpire rudemente la guancia di Sesshomaru. Quest’ultimo, sorpreso dall’improvvisa agilità del mezzo demone, ebbe giusto il tempo di farsi indietro, ma non poté evitare che quelle nocche lo sfiorassero, lasciandogli un segno del loro passaggio, seppur lieve. Ringhiò, stringendo i denti a quell’affronto, mentre i suoi occhi cominciavano a cambiare colore, diventando rossi dalla rabbia. Poteva immaginare perché Inuyasha era stato inaspettatamente in grado di colpirlo come mai aveva fatto e pur non capendo del tutto cosa ci fosse dietro l’improvviso slancio, non lo stupiva più di tanto che un essere come lui si erigesse come protettore dei deboli o di una misera donna umana. Tuttavia, l’affronto subito era troppo anche per lui e non sembrava più disposto a giocare o ad accontentarsi di vedere il mezzo demone agitarsi e scaldarsi per un non nulla.

Fu in quel momento che il padre decise di intervenire, leggendo nelle nuove auree dei figli gli intenti combattivi e per nulla pacifici. Non solo quello non sarebbe stato il luogo adatto per uno scontro e avrebbe messo in pericolo le due donne, ma da genitore trovava sempre difficile assistere agli scontri tra i due, non avendo ancora accettato dopo due secoli che non ci fosse per loro alcuna speranza di avere un rapporto che non fosse basato su un sentimento come l’odio puro. Si frappose tra loro e con voce bassa e letale sibilò: “Pensateci bene prima di continuare questo conflitto; sono certo che le eventuali conseguenze non piacerebbero a nessuno dei due.”

Inuyasha ringhiò in risposta, senza nemmeno voltarsi e continuando a lanciare sguardi fiammeggianti al fratellastro, mentre raddrizzava il corpo ed erigeva un muro di fronte a Kagome. “Non sono io quello che ha cominciato con le minacce,” sbottò rabbioso, nonostante la sua sembrasse la lamentela di un bambino che deve provare a tutti i costi la sua innocenza.

“Non c’è nulla che tu possa dire per convincermi a non togliere dalla faccia della terra quell’essere e tutti gli umani che si ostina a proteggere. Cos’è, Inuyasha?” lo interpellò, “Perché ti scaldi tanto per lei? È l’unica che si è dimostrata disposta ad averti nonostante il tuo sangue immondo? Dopo tutto, a quell’età devi soffrire molto la solitudine.” Ghignò, incapace di interrompere davvero lo scontro pur sapendo che non poteva andare oltre. Pur avendo perso quasi tutto il rispetto che una volta provava per il padre, Sesshomaru sapeva di essergli purtroppo ancora inferiore e che se avesse osato attaccare davvero Inuyasha o le umane, Toga non avrebbe esitato a colpirlo per fermarlo. A conti fatti, dunque, gli erano rimaste solo le parole per farlo arrabbiare e divertirsi. Vide le guance del mezzo demone farsi sempre più rosse dalla rabbia e continuò: “Non mi fiderei molto comunque, quella è la stessa donna che due giorni fa doveva essere data in sposa ad un altro. Sicuro che sia così pura come dovrebbe essere? Il suo mi sembra un atteggiamento più comune alle donne dai costumi facili… o come gli umani amano chiamarle, a una puttana. Ma probabilmente questo tipo di donna è l’unico che potrebbe mai riscaldare il tuo letto.”

Più cose accaddero subito dopo.

Izayoi si portò le mani alla bocca, scandalizzata, non credendo possibile che Sesshomaru avesse davvero utilizzato una simile parola, lui che faceva della sua proprietà di linguaggio uno dei suoi tanti vanti.

Kagome si irrigidì non soltanto per essere stata calunniata in quel modo, ma anche per il dolore che certe verità nascondevano: come doveva essersi sentito Inuyasha, per tutta la vita, sapendo che attorno a lui quello fosse il pensiero comune? Non era stato suo nonno il primo ad assicurarsi che Inuyasha non avesse chiesto la sua mano solo per avere una possibilità?

Inuyasha scattò di nuovo in avanti, vedendo rosso, ferito più per quelle parole sporche che macchiavano la purezza di Kagome e non per gli insulti alla sua persona, ai quali era, purtroppo, più che abituato.

Toga dovette decidere subito se vedersela con il maggiore o bloccare il minore, ma visto che quest’ultimo stava perdendo la lucidità preferì frenare lui. Mentre teneva fermo Inuyasha che dalla rabbia cieca gli stava artigliando le braccia pur di liberarsi, Toga volse lo sguardo gelido verso Sesshomaru – ora così simile al suo. La delusione era il sentimento che più traspirava da quegli occhi. “Superi sempre il tuo limite, Sesshomaru, e sembra che questa cosa ti diverta molto. Mi costringi a prendere delle drastiche misure. Va’ via, ora, ma sappi che se non sarai presente quando vorrò discutere di ciò che è appena accaduto, agirò come meglio credo senza consultarti. E sono sicuro che le mie scelte non ti piaceranno.” Detto ciò volse lo sguardo, ignorandolo del tutto e dandogli le spalle.

Sesshomaru strinse denti e pugni, umiliato dai gesti del genitore e sentendosi di nuovo inferiore e sconfitto. Se c’era un’unica persona capace di farlo sentire in quel modo era Toga e quando accadeva la distanza tra i due non faceva che aumentare. Il Generale ne era consapevole e forse qualcuno avrebbe detto che il suo era un comportamento di preferenza, ma la verità era che tra i due figli era sempre Inuyasha quello che aveva bisogno di una mano per rialzarsi mentre l’altro l’avrebbe scacciata. Sesshomaru rimase dunque a fissare la schiena del padre per alcuni secondi, prima di mostrare il suo palese discontento con un ringhio che riverberò per l’intera stanza, per poi andarsene senza aggiungere più nulla.

Certo era che per nessuno quell’incontro era andato come avrebbe voluto.

Il silenzio scese sui quattro rimasti, rotto infine da Izayoi, preoccupata per il figlio e arrabbiata per i tanti dettagli che non le erano stati dati. Visto il modo in cui Inuyasha si era comportato, era evidente che qualcosa ancora le sfuggiva e non per una sua qualche mancanza. “Qualcuno avrebbe il buon senso di spiegarmi cosa sta succedendo senza lasciare nulla indietro?” chiese con tono inflessibile, prima di rivolgersi più dolce a Kagome. “E tu come stai, tesoro? Io sono ormai abituata al comportamento del mio figliastro, ma so qual è l’effetto che ha su coloro che non lo conoscono.”

“Sto bene,” rispose lei, debole. “Non vorrei che vi preoccupaste troppo per me; sono solo i ricordi che…” abbassò il capo improvvisamente, senza concludere la frase, ma i due demoni sentirono benissimo l’odore di lacrime nell’aria. Inuyasha sarebbe corso da lei, incurante di tutto il resto, se il padre non lo avesse trattenuto con una mano sul polso.

“Ma certo, cara, è normale,” l’assicurò Izayoi.

“Amore, penso sia meglio che sia io a spiegarti ogni cosa,” si propose Toga, “e nel frattempo daremo l’opportunità a Inuyasha di tranquillizzare Kagome. Che ne dici, figliolo? Rimanderemo i convenevoli e il nostro incontro di piacere a un’altra occasione, visto che siamo già stati interrotti.” Lanciò al mezzo demone un’occhiata carica di significato, intimandogli di non sprecare un’occasione del genere, soprattutto dato che gli stava evitando di dover essere lui a spiegare tutto alla madre. La situazione senza via d’uscita in cui l’aveva cacciato, però, non rassicurava Inuyasha, il quale aveva sperato di avere ancora un po’ di tempo prima di dover parlare faccia a faccia con Kagome, senza più nasconderle nulla. Anche quest’ultima sembrò sorpresa da quello sviluppo e, alzando lo sguardo, non nascose più le emozioni dipinte sul suo volto. Ma Toga ignorò qualsiasi diniego avessero potuto fare anche solo con gli occhi e condusse con grazia la compagna fuori dalla stanza. “Sono sicuro che saprete cavarvela egregiamente da soli. Lascerò delle guardie qui fuori per sicurezza,” aggiunse poi, prima di chiudere la porta dietro di sé.

A quel punto, Inuyasha e Kagome incrociarono gli sguardi, sapendo bene che non c’era più via di scampo. Qualunque fossero le condizioni sgradevoli in cui si erano conosciuti o il piede sbagliato con chi avevano cominciato quella loro relazione – o qualsiasi cosa fosse – non avevano più modo di scappare.

Bisognava mettete le cose in chiaro e dimostrare all’altro il proprio coraggio, nonostante, forse, era proprio nei sentimenti che a entrambi quella qualità mancasse.







N/A: Ed ecco la reazione di Sesshomaru che molti stavano sicuramente aspettando! è andato come vi aspettavate o avevate immaginato qualcosa di diverso? Fatemelo sapere nei commenti qui sotto!
Nel frattempo, il mini cliffhanger con cui vi ho lasciati dovrebbe farvi capire cosa ci aspetta nel capitolo 6 che pubblicherò tra due settimane.

Vi mando un abbraccio, come sempre, e vi auguro buon proseguimento di settimana 💕.

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Capitolo 7
*** VI — Cuore Folle ***


Capitolo VI: Cuore folle




“Deep down there’s a hope inside
Brighter than the fears in my mind
I keep looking for the blinding light
It’s the hope that keeps me alive.”

Blinding light, Switchfoot





Ogni forma di gioia o soddisfazione che Tsubaki aveva provato nell’ultimo paio di giorni sparì nel momento in cui mise piede nella radura che ospitava la casa di Onigumo e decretò la sparizione dell’uomo. Cosa poteva essere accaduto da farlo scappare così in fretta – e rabbiosamente, se il disastro che la circondava e che era stato lasciato dietro significava qualcosa – se soltanto poche ore prima l’aveva assicurata di essere perfettamente in grado di educare la propria promessa sposa? Niente di ciò che vedeva era di buon presagio. Troppo presa dalla propria rabbia e lasciando perdere ogni compostezza che manteneva soltanto per apparenza, la sacerdotessa lanciò un grido che nella radura da pochissimo abbandonata riverberò rumorosamente. Sentì i propri pugni stringersi, le unghie graffiarle i palmi e i denti premere sul labbro inferiore al punto da farlo sanguinare mentre riduceva gli occhi a due fessure e, per l’ennesima volta, malediceva il nome di Kagome.

Da quando era nata quella ragazzina non aveva fatto altro che causarle guai e anche quando aveva creduto di averla finalmente nel sacco, di averle chiuso una volta per tutte la bocca, trovava il modo di farla franca. In quel momento, sapeva che avrebbe dovuto correre ad accertarsi di cosa fosse realmente accaduto, il motivo per cui Onigumo avesse lasciato la propria casa in fretta e furia, ma la rabbia era troppa per essere contenuta e se si fosse fatta vedere in quello stato avrebbe perso ogni apparenza guadagnata faticosamente finora.

Tsubaki aveva lavorato da quando era piccola per ripulire il proprio nome infangato da un padre ubriacone e una madre di facili costumi che l’avevano concepita al di fuori dal matrimonio e non l’avevano desiderata dopo. La sua salvezza era arrivata il giorno in cui, inspiegabilmente, colei che era preceduta a Hitomiko aveva riconosciuto in lei del potenziale spirituale. Com’era possibile e da chi derivasse questo potere nessuno aveva saputo dirlo, ma Tsubaki aveva visto in quella scoperta l’occasione per farsi finalmente un nome e vendicarsi di tutti coloro che l’avevano guardata con sdegno, molti dei quali ancora abitavano in quella comunità. Tra quest’ultimi c’erano pochi che non l’avevano accettata nemmeno quando aveva cominciato ad allenarsi per diventare sacerdotessa e quindi essere d’aiuto. Erano coloro che non si erano lasciati abbindolare dalle sue parole e dalla sua maschera e compreso subito la sua fascinazione per il lato più oscuro delle sue capacità. Tsubaki non si vergognava ad ammettere a sé stessa che amava sperimentare con quelle formule speciali che erano rifiutate dalla comunità spirituale, ma sapeva anche che doveva tenerlo nascosto. Se qualcuno avesse cominciato ad additarla come sacerdotessa nera per lei sarebbe stata la fine, anche perché, purtroppo, non aveva ancora raggiunto un livello soddisfacente nel padroneggiare i rituali oscuri e avrebbe potuto fare poco per difendersi.

Tuttavia, a renderle il percorso ancora più difficile era arrivata la nascita di quella bambina odiosa e amata da tutti: sin da giovane, Kagome era stata proclamata da tutti la prossima capo sacerdotessa a causa delle grosse quantità di potere che provenivano da un’antenata che, si diceva, era stata la sacerdotessa più potente di tutti i tempi. Ciò significava che quando aveva cominciato il suo addestramento in tenera età aveva subito superato lei e Kikyo che pure erano più grandi ed esperte di lei. Qualsiasi cosa facesse, la faceva in modo migliore, qualsiasi idea avesse, era meglio sviluppata; Tsubaki le aveva provate tutte e non era mai riuscita a superarla. Per questo, mentre gli anni passavano e si avvicinava il momento in cui Hitomiko si sarebbe ritirata e avrebbe passato il proprio titolo a Kagome, aveva capito che doveva fare un ultimo sforzo e giocarsi il tutto per tutto.

Non era stato difficile portare Kikyo dalla propria parte, convincendola che c’era qualcosa che non andava in Kagome, anche perché il cuore della compagna era già in parte roso dall’invidia e Tsubaki aveva avuto terreno fertile per praticare i suoi incantesimi. Così era stato anche per i pochi che erano gelosi della famiglia Higurashi per il prestigio che aveva guadagnato durante le generazioni. D’altronde, in qualsiasi villaggio esisteva già quel tipo di dinamiche e a lei era bastato solo esacerbarle. Ma ancora Kagome resisteva e – ormai consapevole dell’odio, a sua detta ingiustificato, che le sue colleghe provavano nei suoi confronti – ignorava qualsiasi tipo di dicerie. Lei era la buona e tranquilla sacerdotessa che aiutava sempre il prossimo e perdonava anche colui che perdeva la propria strada; le faceva venire voglia di maledirla, se solo ne fosse stata già in grado! Per Tsubaki quelle erano stronzate che non portavano a nulla né potevano aiutare sulla via del successo... come faceva Kagome ad affermare di voler vivere per quello? Il fatto che poi fosse stata chiesta in sposa dall’erede della famiglia Hojo, un’altra di quelle fin troppo prestigiose e ben in vista per i suoi gusti, non aiutava gli intenti maligni di Tsubaki.

Pe quel motivo, aveva trovato un’ottima idea entrare in combutta con Onigumo che, aveva notato, aveva messo gli occhi sulla pura e innocente giovane sacerdotessa. Che male le avrebbe fatto fornire i mezzi all’uomo per farla sua se le avrebbe spianato la via per diventare capo sacerdotessa e ottenere ciò che da sempre aveva desiderato – il potere? L’arrivo di quel demone sanguinario lo aveva visto come un segno del destino, un aiuto che le era stato inviato dagli Dei e che poteva solo confermarle che era lei quella che avrebbe dovuto prendere il posto di Hitomiko.

Questi ultimi pensieri, però, si infrangevano con l’evidenza, ora che qualcosa era andato storto. Perché la sua felicità doveva durare così poco tempo da non darle nemmeno il tempo di gustarla per davvero?

Ma se c’era una cosa che aveva imparato nella sua vita era che non bisognava mollare facilmente e, soprattutto, lei non avrebbe rinunciato ai suoi progetti dopo tanto lavoro. Non avrebbe permesso a Kagome di rovinarle tutto ciò che si era guadagnata e, Onigumo o no, Tsubaki si sarebbe sbarazzata di lei una volta per tutte. Per far ciò, si sarebbe occupata di tutta la sua famiglia.

Non si diceva che per affondare una persona bisognava colpirla negli affetti? Questi erano la prima debolezza di una persona di buon cuore come Kagome che, però, in realtà, non era per nulla scaltra, non come lei che si era sempre assicurata di non aver alcun tipo di legame che la frenasse. Il fatto che quella sciocca ragazza non avesse ancora capito quali fossero le priorità della vita, la sua ingenuità stessa, erano l’ennesima prova che non era portata per essere al potere.

Tsubaki avrebbe fatto in modo che comprendesse la sua ultima lezione alla perfezione e lo avrebbe fatto con piacere.


***



Giunse dal capo villaggio nello stesso momento in cui il nonno di Kagome, un altro di quei vecchi che non l’aveva mai accettata e aveva sempre blaterato di leggende, profezie e spiriti maligni, la lasciava. Sia lui che Haruko indossavano espressioni meste e mentre quella di Ichiro era particolarmente addolorata, quella del capo villaggio tendeva più verso il preoccupato. Arrivò in tempo per sentire le ultime parole che si stavano scambiando.

“C’è motivo di credere che tornerà, Ichiro?”

“Vorrei tanto che lo facesse,” rispose il nonnino. “Fuori da questo villaggio si nascondono tante insidie. Allo stesso tempo, credo che non sia poi così plausibile se, quando è andata via, era così spaventata da non avvertirci nemmeno.”

“Lo capisco, ma come ho già detto la sua fuga ci pone in una situazione particolarmente difficile. Sai anche tu che Onigumo non è mai stata una persona facile con cui trattare e ora...” lanciò al suo interlocutore un sorriso dispiaciuto che uscì fuori più come una smorfia.

A quelle parole, Ichiro non nascose la sua disapprovazione e Tsubaki ne sorrise malignamente – non che avesse dubbi su cosa pensasse la famiglia di Kagome sul matrimonio che era stato deciso per lei. L’aveva solo stupita la facilità con cui il nonnino aveva accettato, senza obiettare; aveva pensato che per una volta il vecchio avesse compreso che sarebbe stato tutto inutile. “Certo che lo so, Haruki,” rispose atono, senza nemmeno aggiungere l’onorifico al nome. “La mia famiglia sta ugualmente attraversando un periodo difficile e la scomparsa di Kagome non aiuta ad alleggerire il peso che portiamo nel cuore. Sono sicuro che non avrai problemi ad offrirci la tua comprensione,” concluse tagliente, stringendo lo sguardo. Tsubaki vide chiaramente che si stava trattenendo dall’aggiungere altro, probabilmente qualche inutile arringa sull’ingratitudine del villaggio e stronzate simili.

La donna alzò gli occhi al cielo.

Poi, mentre osservava i due uomini salutarsi senza aver risolto nulla, rifletté su ciò che aveva appena ascoltato. Se Kagome era scomparsa, Tsubaki aveva motivo di credere che l’assenza di Onigumo era collegata. D’altronde, poteva immaginare la furia dell’uomo superare la sua, e se fosse rimasto chissà cosa avrebbe potuto combinare. Forse non era poi una così cattiva notizia che anche lui si fosse tolto di mezzo, ma non la soddisfaceva sapere che Kagome non avesse subito la sua vendetta: avrebbe voluto vederla soccombere, imprigionata in un matrimonio che le avrebbe tolto la voglia di vivere giorno dopo giorno, mentre Tsubaki raggiungeva il potere e il posto che una volta era stato promesso a lei. Quella sì che sarebbe stata una grande soddisfazione.

La sacerdotessa, però, non pensò nemmeno un secondo che Kagome fosse scomparsa perché rapita da Onigumo. L’uomo non era uno sciocco e se avesse voluto seguire quella strada, lo avrebbe fatto ancora prima della morte di Hojo. Ora che la giovane gli era stata promessa in sposa avrebbe potuto farla sua sotto gli occhi di tutti e senza sotterfugi, quindi perché rapirla? No, Tsubaki era sicura che Kagome fosse sparita da sola, forse con qualche aiuto esterno, e che Onigumo avesse lasciato il villaggio, chissà, per cercarla? Non le importava davvero tanto. Il tutto però, doveva essere accaduto in brevissimo tempo. Se il capo villaggio era stato appena informato, c’era motivo di credere che Onigumo avesse utilizzato qualche espediente per aver appreso la cosa altrettanto velocemente – o qualche spia, una in particolare.

Tuttavia, ciò che le interessava di più in quell’istante era la preoccupazione e il dubbio che affollavano il cuore e la mente di Haruki. Lei avrebbe sfruttato ancora una volta i sentimenti negativi di quel debole uomo per portarlo dalla propria parte e convincerlo che ciò che aveva in mente era il piano migliore per accontentare la maggior parte del villaggio ed evitare disordini. Le vittime di quel piano, quelle poche che ci sarebbero state, erano solo una conseguenza naturale, inevitabile. Ma, alla fine, era tutto fatto per il bene comune.

Sorrise ancora, diabolicamente, pensando che aveva ancora un paio di assi nella manica per dimostrare a quella ragazzina che sfidarla non era una buona idea. Chiunque intralciasse Tsubaki sulla strada del potere doveva sparire e lei preferiva che lo facesse in modo vistoso e doloroso.


***


L’aria era diventata quasi elettrica a causa della tensione che si respirava da quando Toga e Izayoi avevano lasciato la stanza. Inuyasha aveva cominciato a percorrerne incessantemente il perimetro, tirandosi i capelli o strofinandosi una mano sul viso, mentre tentava di trovare le parole per cominciare una conversazione per cui non era pronto – e probabilmente non lo sarebbe mai stato. Si era fermato qualche volta, aveva aperto la bocca come in procinto di dire qualcosa, ma poi aveva scosso la testa e l’aveva richiusa, ricominciando la serie di gesti all’apparenza senza senso.

Kagome osservava allibita, dentro di sé più agitata del mezzo demone, mentre si stropicciava le dita in grembo e si interrogava sul significato di quell’incontro. Le era chiaro che Toga li avesse lasciati volutamente da soli ed era sicura che quello sguardo che aveva lanciato al figlio dovesse significare qualcosa di importante. Cosa, però, non poteva saperlo. Immaginava gli scenari peggiori perché l’essere stata accolta con fiducia dai padroni di casa non aveva alleggerito il peso che le opprimeva il petto né l’idea che non si trovasse in quel castello per le motivazioni giuste. Quelle paure avrebbe potuto cancellarle solo Inuyasha che, però, era altrettanto roso dalle preoccupazioni.

Ma per quanto tempo quella pantomima sarebbe andata avanti?

Alla fine, scocciatosi, Inuyasha esclamò un ‘Al diavolo!’ sotto voce e si fermò, voltandosi di scatto verso la giovane e inchiodando il suo sguardo determinato con quello spaventato di lei. Ascoltò il suo battito accelerare pericolosamente e il suo volto farsi cinereo mentre si avvicinava e si sedeva su uno dei cuscini di fronte a lei. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e sbuffò più di una volta, senza distogliere lo sguardo. “Come dovrei cominciare?” chiese più a sé che a Kagome, passandosi un’altra volta la mano nei capelli bianco-argentei. “Non puoi capire quanto sia difficile.”

“Potresti… potresti cominciare dall’inizio,” mormorò debolmente lei, incapace di donargli un sorriso di incoraggiamento. I suoi nervi a fior di pelle, se avesse anche solo osato farlo, avrebbe dipinto una smorfia orrenda sul suo viso.

Lui ridacchiò, per nulla divertito, ripetendo il gesto nervoso. “L’inizio? E qual è? Dannazione. Ma, ecco… forse sì, potrei provare così.” Esalò un altro respiro. “Sai cosa sono?”

Kagome lo guardò spiazzata, inclinando la testa di lato. “Cosa? Un giovane uomo?” chiese non capendo dove volesse andare a parare e apparendo incredibilmente ingenua agli occhi dell’hanyou che fece fatica a non spalancare la mascella per lo stupore.

“No,” scosse la testa, anche se era in parte rincuorato dal fatto che lei non avesse risposto come si sarebbe aspettato, “cosa,” ribadì. Sì indicò, come se dovesse essere ovvio – e lo era, per tutti, tranne per coloro che non era abituati a guardare al mondo con lenti ricche di pregiudizi. “Un mezzo demone.”

“Oh,” fu la risposta brillante di Kagome che continuò a guardarlo ignorante e facendolo sudare. “Oh,” ripeté. “Sì, sei il figlio di un demone e un’umana, ma sei pur sempre un uomo, no? Nel senso, un maschio? Avresti potuto dirlo prima,” concluse, infine, spazientita, non capendo.

Inuyasha strabuzzò gli occhi. “Ma in che mondo hai vissuto finora? Hai presente con che branco di razzisti avevi a che fare ogni giorno?”

“Ehi,” si scaldò lei, “non generalizzare ora! Si saranno rivelati tutt’altro alla fine, ma non erano tutti così.”

Lui scoppiò a ridere. “Li difendi? Oddio, questa è bella. Cavolo, non è che sei di buon cuore, sei semplicemente troppo ingenua per capire come va avanti il mondo.” Si strofinò una mano sul viso. “Non posso crederci,” rise ancora.

“Ma come ti permetti!” lo rimbeccò lei, offesa. “Tu ti definisci con ‘cosa’ e non chi, denigrandoti da solo, e poi sarei io quella scema? Scusami tanto se continuo a vedere del buono nella società nonostante tutto quello che mi è capitato e il male che mi hanno fatto!” Incrociò le braccia e lo guardò in cagnesco, aspettando che rispondesse a tono, visto che evidentemente era l’unico modo che conoscevano per conversare.

“Oh, per l’amore del cielo!” sbottò Inuyasha. “Rilassati, non volevo mica offenderti.”

“E cosa mai avresti voluto intendere?” pretese lei ormai sul sentiero di guerra.

“Senti, è che non ho mai incontrato nessuno che mi abbia mai risposto in questo modo a parte i miei, va bene? Hai presente quanta gente in questo castello insiste sul mio essere un errore? È ovvio che do per scontato che tutti mi vedano solo per questo dopo duecento anni che questa solfa va avanti,” tentò di spiegare.

Kagome sbuffò. “Non eri tu quello che ieri mi ha detto che non avrei dovuto saltare a conclusioni affrettate imponendoti pensieri non tuoi? Non stai facendo lo stesso con me? Per quale motivo dovrei essere anch’io prevenuta?”

Lui alzò le mani in aria. “Va bene, va bene, ho capito. Possiamo tornare al punto della conversazione, ora?”

“Quale punto?” continuò lei, arcuando un sopracciglio.

Inuyasha esalò un respiro profondo e cercò di mantenere la pazienza visto che la giovane stava decisamente premendo tutti i tasti giusti per fargliela saltare. Tutto ciò sarebbe stata una sfida non indifferente. “Va bene ricominciamo da capo, Kagome,” mormorò. “Io sono un mezzo demone, sì, un figlio tra un’umana e un demone, e sono contento del fatto che tu non abbia pregiudizi nei miei confronti per quello che sono-” Lei lo guardò male e lui riformulò, “chi sono.” Kagome annuì e riprese.

“Bene, dunque, chi sono non c’entra nulla con il motivo per cui ti ho condotto a casa mia né ho intenzione di abbandonarti. Lo so che nonostante io ti abbia già rassicurato ieri sera i tuoi dubbi non sono spariti: te lo si legge in faccia; non serve nemmeno avere un olfatto come il mio per capire il tuo umore.” Lei fece per ribattere, ma lui alzò una mano per farle di segno di aspettare. “Tuttavia, ne capisco il motivo o, meglio, anch’io sono attualmente assillato da pensieri simili che… spero… entro la fine di questa conversazione potrai risolvere.”

Kagome annuì una seconda volta.

“Come ho già detto a tuo nonno, non ti avrei mai lasciato in balia di quel mostro, anche se non ti conosco. Ero sincero e, prima che tu lo dica, no, non è pietà né senso di colpa. Quello che quel bastardo del mio fratellastro fa non mi interessa né mi collega in alcun modo a lui,” ribadì ricordando anche come lei avesse avuto paura che Inuyasha volesse continuare il lavoro cominciato da Sesshomaru.

“Beh, scusami se comunque continuo a nutrire sospetti. Dopo tutto, non ci conosciamo, non siamo partiti con il piede giusto e hai un caratterino per nulla accomodante,” replicò lei.

“Chi parla; nemmeno tu scherzi in quanto a temperamento.” Le lanciò un’occhiata come a dirle ‘prova a ribattere se ci riesci’, ma Kagome rimase a bocca semi aperta non trovando le parole adatte e Inuyasha rispose con un sorrisetto soddisfatto.

“Va bene, va bene, prima di tornare a insultarci, arriviamo al punto,” lo spronò.

“Non è colpa mia se continui a interrompermi,” la punzecchiò; lei gli lanciò un’occhiataccia e Inuyasha rise, poi si schiarì la gola. “Ok, c’è un altro motivo.” Poi si interruppe perché si rese conto che era arrivato il momento della verità: spiegare la ragione per cui aveva deciso di portarla con sé voleva dire essere schietto come suo padre gli aveva consigliato di fare e lui aveva tremendamente fifa di fare. Lui, paura… sì. Kagome lo guardò con un sopracciglio alzato come a dire “Beh, che aspetti?” e lui prese un altro grosso respiro. “C’è una regola nella nostra società, una non scritta ma data per vera da tutti visto con quanta frequenza capiti – anche se, comunque, la vita di un demone è molto più lunga di un umano e quindi il parametro per calcolare la frequenza potrebbe cambiare e…” Ma stava divagando, quindi tossicchiò e poi proseguì. “Bene… vedi questa regola dice che… e-ecco, non so…” le guance si fecero rosse come la veste e fece per alzarsi di nuovo e ricominciare a camminare nervoso, salvo poi fermarsi con il sedere a mezz’aria e poi risedersi. “Non è facile dirtelo,” confessò senza guardarla in faccia.

Lei comprese, non capendo davvero il motivo ma l’emozione che c’era dietro. Non sarebbe stato altrettanto difficile per lei confessare ciò che stava celando? Ma come poteva sapere che, al momento, lui stava provando a rivelarle la stessa cosa? Si sarebbero risparmiati così tanto imbarazzo. Eppure, i loro caratteri così diversi e, per certi versi, simili, cozzavano e impedivano loro di venire subito al sodo.

“Beh, accade… accade questa cosa e, dopo… dopo, due persone si rendono conto che-” Fece l’ennesimo gesto nervoso. “Oh, insomma, non sono bravo a parlare, va bene, tanto più quando ci sono di mezzo cose importanti.”

Lei ridacchiò per stemperare un po’ la tensione. “Non fa nulla, prenditi il tempo che serve.”

“No, non abbiamo tutto il tempo di questo mondo. Insomma, è una verità nota tra i demoni che quando accade quella cosa poi ci si… ci si… ci si incontra.” Esalò l’ennesimo respiro pensando ‘ecco, l’ho detto’ quando in realtà non aveva spiegato nulla.

Kagome lo guardò come se avesse parlato in un’altra lingua. “Cosa accade? Chi si incontra?”

Lui strabuzzò gli occhi. “Non era chiaro?” Lei scosse la testa. “Oh, santo cielo. Sai, due persone, quando qualcosa di brutto ti capita… e beh, a te… a te è successo e poi noi… poi noi…” Oh, per l’amore del cielo, perché all’improvviso parlava come un poppante?

“Oh,” disse, infine, Kagome, cominciando a comprendere e diventando rossa come un peperone mentre lacrime che non sapeva se erano di sollievo, di tristezza di paura o quant’altro le pizzicavano gli angoli degli occhi.

“Hai capito?” le chiese speranzoso Inuyasha cercando di non farsi scoraggiare dall’odore delle sue lacrime.

Kagome annuì. “Lo so. So che cosa vuoi dire, ma tra umani è raro. Ho quasi sempre creduto che fosse una leggenda del nonno.”

“Tutto questo tempo lo hai saputo? Quindi quando ci siamo incontrati nella radura tu…”

“No, non lo sapevo. Ho sentito qualcosa e avevo un presentimento ma non ne sono mai stata sicura. Almeno non fino ad adesso. Sei tu ad avermelo confermato. Come avrebbe potuto essere altrimenti? Mettiti nei miei panni, dopo tutto quello che mi è successo e il modo in cui ci siamo conosciuti, come continuiamo a bisticciare. Che devo credere?” quasi urlò lei, frustrata.

“Ehi, ehi, calma ora, non ti sto incolpando ora!” Inuyasha alzò le mani.

“I tuoi occhi lo fanno!” lo accusò lei puntandogli il dito contro.

“Io? Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo? Tu hai diritto ad avere dubbi e io no? Per tutta la vita mi sono sentito ripetere che nessuno avrebbe mai voluto un mezzosangue e che quindi anime gemelle per me non ce n’erano. Non pensi che anch’io abbia le mie insicurezze?” Alzò la voce e poi le parole del padre risuonarono nella sua mente, gli ricordarono che al momento quella che era più instabile emotivamente era Kagome e che continuare in quel modo non avrebbe fatto bene a nessuno dei due.

“Sì, bene,” ribatté lei allora. “Cosa vorresti fare, dunque? Siamo entrambi messi male, un casino. Che soluzione ci resta? Hai chiesto la mia mano al nonno per portarmi via da Onigumo – e te ne sono grata –, ma cerca di capire che non ti conosco e non ti capisco. Le tue parole non corrispondono ai tuoi gesti e ho continue impressioni diverse e-”

“Ed è lo stesso per me,” aggiunse Inuyasha.

“Oh, bene,” sbuffò lei. Di quel passo non sarebbero mai arrivati a nessuna conclusione. Quindi cosa significava per loro sapere con certezza che erano anime gemelle? Nelle leggende non era così che sarebbe dovuta andare. Eppure, avrebbe dovuto essere abituata al fatto che nulla che era raccontato in esse fosse vero.

“Voglio solo una cosa da te,” continuò lui, bloccandola. Kagome voltò la testa di scatto. “Non quello, per carità. Mettiamo le cose in chiaro, ok? I miei modi non saranno i migliori – e non ci tengo nemmeno a diventare uno stoccafisso che parla in quel modo pomposo che utilizzate voi umani –, ma il rispetto è un’altra cosa e io non sono né sarò mai insolente verso chi non lo merita. Quindi non paragonarmi agli esempi maschili sbagliati con i quali sei cresciuta o-” Si interruppe quando Kagome scoppiò a ridere.

“Ehi, hai fatto tutto tu, io non intendevo quello. E per tua informazione, i miei modelli maschili erano ottimi, quelli attorno un po’ meno. Inoltre, il mio fidanzato era il perfetto gentiluomo.” Poi, vedendo la smorfia apparsa sul viso di Inuyasha, si pentì di aver nominato Hojo.

“Beh, io non lo sono né lo sarò mai, ma questo non vuol dire che sono violento o irrispettoso. Da te voglio solo la rassicurazione che non penserai mai che – qualsiasi accada tra noi, qualunque cosa ci unisca o ci sarà e non ci sarà tra noi – io possa essere alla stregua di quell’Onigumo. Non voglio nemmeno che tu ti accontenti o ti senta in dovere con me, costretta o qualsiasi stronzata simile.”

“Io… Io, Inuyasha, nonostante il modo in cui mi sono comportata finora, dovuto anche a tutto ciò che mi è successo – anche se non voglio farne una scusa –, non penso che tu sia come Onigumo; non potrei mai. Come ti ho già detto ti sono grata per la possibilità che mi hai dato, a me, alla mia famiglia. Però, ecco, io ora non ti conosco… la mia vita è stata stravolta, non posso darti certezze perché non ne ho io stessa.”

Il mezzo demone annuì, anche se non era per nulla rincuorato. Deviò lo sguardo e poi fece per alzarsi, considerando già la conversazione conclusa, quando la mano esile di lei lo fermò. Tuttavia, non si voltò. “Ma, forse…” riprese.

“Ma?” ripeté lui.

“Forse potremmo farlo insieme, cioè, imparare a conoscerci senza affrettare nulla? In teoria siamo sempre promessi sposi, il destino ci ha fatto incontrare… letteralmente, ma non voglio gettarmi in qualunque cosa questo rapporto sia senza sapere chi è la persona che ho accanto. Hai visto in che modo ci siamo comportati finora? Se non fossimo pieni di dubbi o ignoranti sull’altro, tutto questo non succederebbe,” gli spiegò, sperando che lui capisse il suo dubbio. “Non posso dirti cosa ne sarà di noi e se da questo casino uscirà qualcosa di buono, ma posso provarci. È qualcosa, no?”

Inuyasha lasciò andare un respiro che non sapeva di aver trattenuto fino a quel momento e, infine, si voltò a guardarla di nuovo. Non era un rifiuto quello, dunque? Gli occhi gentili di lei sembravano dirgli di no e lui volle fidarsi, sentendo la morsa che aveva stretto per un momento il suo cuore allentarsi. “Mi farebbe piacere,” confessò infine. “Senza pregiudizi né aspettative. Ora sei qui e io voglio mantenere la promessa che ho fatto a tuo nonno.”

“E io voglio ricominciare con il piede giusto,” continuò lei.

“E c’è questa sensazione che fa battere il mio cuore più velocemente, questa emozione a cui non so dare il nome e queste corde che mi spingono verso di te. Non so cosa sia esattamente questo legame che è nato quando ci siamo guardati negli occhi la prima volta, cosa significa essere la tua altra metà, ma non credo che potrei mai andarmene e lasciarti senza averci nemmeno provato. Ho paura e, allo stesso tempo, non posso rinunciare prima ancora di aver cominciato.” Entrambi omisero quest’ultimo segreto che attualmente non potevano rivelare, ma dentro di sé accettarono qualsiasi attrazione provassero per l’altro.

Anche se la strada era ancora lunga, si resero conto che avevano compiuto un grande passo. Sarebbe arrivato anche il momento in cui avrebbero trovato il coraggio di dichiarare cos’altro nascondevano in fondo al cuore.

***

Proprio come previsto, Tsubaki non ebbe problemi a portare nuovamente il capo villaggio dalla sua parte, non quando quest’ultimo era una persona debole e priva di giudizio. Sebbene, all’inizio, l’uomo avesse considerato la scomparsa di Onigumo come un’eccezionale nota positiva, la sacerdotessa gli aveva subito fatto intendere gli effetti che questo evento avrebbe potuto portare. Gli aveva esposto diverse possibilità, ma, soprattutto, gli aveva fatto comprendere la sfortuna che ancora aleggiava sulla loro comunità a causa di Kagome: se non avessero agito prontamente ne avrebbero subito tutti le sventurate conseguenze; non c’era tempo da perdere. Aveva tenuto il suo colto discorso, infarcendolo di paroloni e gesti, oltre che a un po’ della sua magia, e fare fesso Haruki era stato davvero un gioco da ragazzi. Tsubaki aveva anche fatto una fatica non indifferente nel nascondere un sorrisetto soddisfatto e calcolatore, coperto dalla sua finta espressione addolorata.

E così il suo piano era proseguito senza intoppi.

Mettendogli fretta e paura lo aveva convinto a cacciare quel giorno stesso la famiglia di Kagome e si era recata lei stessa con l’uomo e un altro piccolo corteo per dar loro la notizia. L’espressione del vecchio capofamiglia quando li avevano ricevuti non era stata soddisfacente quanto quella della donna accanto a lui: aveva indurito i propri lineamenti, mantenuto la testa alta e le spalle rigide senza dare nemmeno a vedere quanto quell’ordine lo destabilizzasse. Tsubaki avrebbe voluto sbuffare apertamente; aveva sempre odiato lui e i suoi modi di fare.

“Dunque non ci stai dando neanche un minimo di preavviso, Haruki?” chiese solamente, come se stesse discutendo di cose amene e non del fatto che fosse stato di punto in bianco cacciato da quella che era stata la casa della sua famiglia per generazioni.

“Non dipende da me, Ichiro, ma delle condizioni esterne. Purtroppo ciò che tua-”

“Mia nipote non c’entra nulla e qui ne siamo tutti consapevoli. Abbiamo ricevuto il tuo messaggio ed entro qualche ora lasceremo questo villaggio maledetto,” lo interruppe bruscamente. Poi gli diede le spalle e fece segno alla nuora e al nipote di rientrare. “Spero che tutti voi possiate vivere sereni e che gli Dei possano sempre guardarvi le spalle,” disse infine.

Tsubaki osservò come molti nel corteo trattennero il fiato come per paura che anche l’uomo potesse essere in grado di maledirli come la nipote e desiderò alzare gli occhi al cielo. Quel vecchio stava giocando con loro e nemmeno se ne rendevano conto – ma a lei che importava? L’importante era scacciarli e fare in modo che la notizia poi raggiungesse anche Kagome ovunque ella fosse. E lei non aveva dubbi che sarebbe successo. Kagome era scappata e sicuramente non lo aveva fatto da sola; i suoi familiari, per quanto volessero apparire innocenti, ci avevano messo lo zampino. Questo risvolto era ciò che meritavano. Senza di loro lei avrebbe fatto un altro passo in avanti e, infine, avrebbe avuto dei piantagrane in meno di cui preoccuparsi.








N/A: Chiarimento – forse non necessario, ma vabbé – sulla timeline: anche se siamo al capitolo sei, all’interno della storia è ancora la mattina del giorno dopo l’incontro tra Inu e Kagome. Quando Tsubaki arriva dal capovillaggio, questi ha appena concluso l’incontro con Ichiro che anche Susumu ha spiato, prima di riferire tutto al padre. Quindi Tsubaki e Onigumo non si sono scontrati per un pelo; lei è arrivata nella radura giusto poco dopo che padre e figlio se n’erano andati.

Detto ciò, mi scuso per l'incredibile ritardo, ma tra il caldo che mi ha fatto passare la voglia di fare qualsiasi cosa e una connessione che continua a fare schifo, non ho aggiornato né scritto nulla.
Spero che, comunque, il capitolo sia valsa l'attesa. Cercherò di essere puntuale con il prossimo, quindi tra due settimane.
Per chi, invece, sta seguendo 'L'erede', questa verrà aggiornata settimana prossima. Spero, in ogni caso, di leggere i vostri commenti ❤.

Un abbraccio e buon weekend ❤.









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Capitolo 8
*** VII — Ultimatum ***


Capitolo VII: Ultimatum




 

“Dico soltanto che la tua rabbia non è lunga abbastanza, non te ne fai nulla, purtroppo. Se tu avessi una rabbia lunga, ti stuzzicherei per farla crescere.”

Madre Courage e i suoi figli, Bertolt Brecht

 

 

“Si può sapere cosa hai detto alla mamma?” sbottò Inuyasha quando raggiunse l’Inu-no-Taisho nel suo ufficio privato. “Non fa che mandarmi occhiate melense e anche troppo eccitate da quando avete lasciato soli me e Kagome ieri. Senza contare che l’ha rapita alla prima occasione e di questo passo trascorrerà più tempo lei con la mia fidanzata che io!” Incrociò le braccia e alzò gli occhi al cielo mentre prendeva posto davanti alla scrivania, replicando un atteggiamento del se stesso bambino e facendo sorridere Toga a causa dei ricordi che suscitò.

Il padre rise. “Non sarai mica geloso di tua madre, vero?”

“Keh. Ovvio che no!” rispose subito, distogliendo lo sguardo e arrossendo, facendo capire che lo era eccome.

“Suvvia, Inuyasha,” continuò Toga incapace di smettere di ridacchiare. “Dopo tutto, lo sai che ha sempre desiderato una figlia; lascia che impari a conoscere l’unica che mai avrà.” A quel punto il mezzo demone divenne rosso fino alle punte delle orecchie e sembrò sul punto di cacciare fumo da quest’ultime.

“C-che c-osa?” farfugliò. “F-figlia?”

“Beh, lo hai detto tu stesso, no? È la tua fidanzata.” Gli sorrise sornione.

“Ma perché il nonno mi ha dato la sua mano e insomma... io e lei... n-noi. Insomma, hai capito!” sbuffò, distogliendo di nuovo lo sguardo.

Una risata fragorosa si impossessò di Toga. “No, non ho capito.” Inuyasha lo guardò storto. “Figliolo, non impari mai,” rise ancora. “Ma non comprendo questo tuo imbarazzo. Sei stato tu a chiedere la sua mano, siete anime gemelle, presto vi unirete e formerete una famiglia. È così che-”

“Papà! Per favore, non farmi ancora quel discorso!”

“Non ti vergognerai mica, vero, Inuyasha? Ormai sei grande. E dicevo che è così che vanno le cose. A proposito, tua madre voleva sapere quando cominciare a organizzare la cerimonia. Ha detto che avrebbe chiesto a Kagome se ne voleva una umana oltre che demoniaca e-”

“CHE COSA?” Balzò in piedi, questa volta cacciando veramente fumo dalle orecchie. “Come sarebbe a dire che avrebbe chiesto a Kagome? Che le salta in mente? È ancora troppo presto, non abbiamo parlato assolutamente di quello! Dannazione, lo sapevo che il suo essere troppo invadente avrebbe causato guai prima o poi. Devo assolutamente fermarla prima che sia troppo tardi.”

Toga lo fermò con una mano sulla spalla e lo costrinse a risedersi prima che potesse scappare via. “Calmati. Certo che da quando hai incontrato Kagome il sangue ti va ancora di più alla testa – ed è tutto dire! Mi spieghi, esattamente, che significa è troppo presto non abbiamo parlato di quello? Vi abbiamo lasciato spazio per un motivo; mi sembrava di essere stato chiaro. Non vi fa bene rimandare ancora.”

“Non intendevo che non ne abbiamo parlato. Abbiamo messo in chiaro che sappiamo chi siamo per l’altro,” sbuffò Inuyasha, contrariato e ancora in ansia.

“E perché è troppo presto allora?”

“Come perché! Insomma, ci siamo conosciuti due giorni fa e non nelle migliori condizioni; Kagome è ancora sconvolta; non sappiamo nulla dell’altro. Che ti aspetti?” sbraitò.

Toga mise le mani davanti. “Ok, ok, capisco, non siete temerari come lo siamo stati noi.” Lui e la sua Izayoi si erano sposati e uniti dopo solo una settimana e in più di due secoli non se n’erano mai pentiti. Dopo tutto, per loro era stato chiaro fin da subito. Certo, comprendeva anche che la loro situazione era leggermente diversa da quella di suo figlio e Kagome; lo era sempre.

Temerari,” sbuffò Inuyasha sotto voce. “È per questo che ora mamma si è messa in testa di poterle chiedere certe cose? Stamattina l’ho sentita parlare con le domestiche per andare a commissionarle un intero guardaroba e un corredo; ora capisco, dannazione! Devo fermarla,” esclamò, tentando di nuovo di alzarsi e scappare via. Toga lo fermò ancora.

“Calma, calma,” ribadì. “Non ha intenzione di parlare prima di averlo fatto con te. Tua madre non è invadente fino a questo punto; puoi stare tranquillo. Ora dimmi di più su ciò che vi siete detti ieri.”

“Per ora.” L’hanyou roteò gli occhi. Poi tossicchiò e cominciò a grattarsi la nuca, nervoso; il padre arcuò un sopracciglio in risposta. “È andato bene, tutto sommato.”

“Tutto sommato cosa?” Sembrava che dovesse cavargli le risposte da bocca.

“Beh, tutto.” Scrollò le spalle.

Inuyasha.” Toga lo guardò severo.

“Va bene, va bene. Intendevo che abbiamo chiarito che nessuno dei due deve dubitare dell’altro affrettando le conclusioni. E visto che non ci conosciamo bene ancora, ci prenderemo del tempo per imparare l’uno dall’altro. Nessuna cosa affrettata visto da dove partiamo,” ammise rillutante, senza incontrare lo sguardo del padre.

“Quindi alla fine non le hai rivelato come ti senti?” lo spronò ancora, apparendo deluso.

“Oi! Avevi detto che dovevo chiarire il discorso delle anime gemelle, non che dovevo confessarle chissà cosa. Sono passati a stento due giorni,” gli ricordò. “E poi non so a cosa tu ti riferisca,” aggiunse, arrossendo e facendo finta che i suoi sentimenti non si stessero sviluppando velocemente e che il padre non ne sapesse nulla.

“Lo so, figliolo, ma esseri sinceri non fa mai male – anche con se stessi.” Gli lanciò uno sguardo penetrante che Inuyasha ignorò senza difficoltà.

“Sì, se sei un mezzo demone e non vuoi essere rifiutato,” lo contraddisse. “In più, lei mi ha detto che è confusa – e sì, lo so che è normale – quindi perché dovrei metterle pressione se in realtà quello che voglio è evitare di forzarle la mano? Siamo arrivati a un buon accordo. Nonostante le paure e le ansie, credo che sia un inizio.” Dopo tutto, Kagome non era l’unica a essere un po’ confusa e in panico per l’intera situazione e per il ritmo a cui dovevano abituarsi in così poco tempo.

“Hmm,” meditò l’altro cominciando a fare avanti e indietro nella stanza. “Beh, devo ammettere che è un grande passo per te, soprattutto considerando quanto mi hai detto ieri e come ti senti. Vuol dire che ha accettato il tuo corteggiamento? Sì, sì, potrebbe essere in realtà ottimo per voi. Non siete come me e tua madre; non si può pretendere che per tutti sia uguale, d’altronde.”

“Ciò vuol dire che la mamma non farà domande imbarazzanti che potrebbero rovinare ogni mio progresso?”

Toga rise ancora. “No, tranquillo. Gliene parlerò più tardi. Oh, comunque non è molto contenta del fatto che non le hai rivelato subito chi fosse Kagome, ma è disposta a perdonarti e vuole che ne parliate non appena la situazione si tranquillizza.”

Inuyasha deglutì, sapendo bene cosa significasse. Poi, però, passò ad argomenti più urgenti. “E a proposito: vorrei partire subito per ritornare al villaggio.”

“Credi che sia saggio portate con te Kagome? Potreste essere visti o chissà che altro,” rifletté il dai-youkai.

“Lo so, nemmeno io ne sono entusiasta, ma ho scoperto che la ragazza sa essere più testarda di me,” sbuffò. “Non sono riuscito a farle cambiare idea!”

Il padre rise ancora più forte – quell'incontro certamente lo stava divertendo. “Oh, capisco; è proprio perfetta per te! Finalmente qualcuno che ti terrà testa.”

“Oi, sono serio qui!”

“Certo, certo.” Si schiarì la gola e riprese: “Allora credo sia più sicuro partire sul tardi e viaggiare di notte come avete fatto l’altra sera. Mantieni tutti i sensi all’erta e non comportarti in modo avventato. La posta in gioco è molto alta.”

“Lo so, papà,” sibilò Inuyasha, già preoccupato e in ansia. “Quel villaggio mi manda sensazioni per nulla piacevoli; non vedevo l’ora di lasciarlo.”

“Beh, questo è ciò che succede quando è abitato da persone tutt’altro che pure o in casi come quello dei giorni scorsi. Gli umani, talvolta, non reagiscono bene a certi eventi e non sanno gestire bene le loro emozioni; questo crea non poco scompiglio,” commentò con saggezza. “Però, hai ragione: se queste sono state le tue impressioni, dovete essere veloci. Viaggiate leggeri e ribadisci che non devono preoccuparsi di portare molto; gli affetti vanno bene, ma al resto ci penserò io. È il minimo per la famiglia della tua futura compagna.”

Inuyasha roteò un’ultima volta gli occhi prima di lasciare la stanza; suo padre si comportava come se lui e Kagome fossero già una coppia da tempo, in procinto di fare chissà cosa. Non osava pensarci.

Voleva bene ai suoi genitori, tanto, ma in quei giorni stava scoprendo ancora di più quanto fossero capaci di imbarazzarlo. Se non fosse stato già agitato e preoccupato per altro, avrebbe di certo speso qualche parolina in più per far sapere loro cosa pensava di quell’atteggiamento. Sospirò e poi cercò Kagome, sicuramente in compagnia della madre che si stava impegnando parecchio per distrarla e farla sentire un po’ meglio; Inuyasha gliene era davvero grato. Appena la vide si fermò un secondo in più ad osservarla e un sorriso si distese subito sulle sue labbra, cancellando il cipiglio che aveva indossato fino a quel momento.

Era vero che la sua vita era ora composta per la maggior parte da incognite, una delle quali rappresentata proprio da Kagome, ma in fin dei conti non ne era così dispiaciuto.

 

***

 

Toga convocò il figlio maggiore poco dopo che il minore ebbe lasciato lo studio, ben consapevole che la conversazione sarebbe stata molto più complicata della precedente. Era difficile ricordare i giorni in cui la relazione con Sesshomaru era stata semplice e naturale: lo ricordava come un bambino e un ragazzino determinato e pieno di idee, non si era mai fatto scoraggiare e aveva sempre avuto tanta fiducia nelle proprie capacità — anche troppa. Ciò che più gli mancava era il modo in cui lo guardava, fiero e pieno di ammirazione, con la voglia di seguire i suoi passi. Peccato solo che la stessa era sparita quando la sua strada si era separata da quella della madre, Kimi, e si era congiunta, un po’ di tempo dopo, con quella di un’umana.

Kimi non era proprio una cattiva persona, ma spesso troppo indifferente a ciò che le accadeva intorno e, soprattutto, alla maggior parte dei sentimenti. Questo le rendeva impossibile esternare ciò che provava davvero – non che si impegnasse o le interessasse farlo – ed era il principale motivo per cui Toga si era deciso a dividersi da lei. La loro era stata solo un’alleanza politica e nessuno dei due provava nulla di più del reciproco rispetto; a lungo andare la cosa aveva cominciato a pesar loro. Sesshomaru non era stato così d’accordo e sebbene la madre si comportasse allo stesso modo anche con lui, non aveva accettato di buon grado la loro separazione. Aveva più volte tentato di far capire al padre che non servivano i sentimenti per mandare avanti un’unione politica e che quella che lui aveva con Kimi era perfetta così com’era.

Purtroppo per Toga, Sesshomaru non aveva ereditato da lei solo i marchi demoniaci, ma anche quella predisposizione indifferente e il disprezzo per tutto ciò che era diverso da loro e, soprattutto, debole. Anche quando era rimasto al castello con lui dopo che Kimi se ne era andata per la sua strada, il Generale aveva fatto fatica a mostrargli la propria visione del mondo e man mano che le stagioni passavano la distanza tra i due aumentava: Sesshomaru non apprezzava il suo modo di condurre l'esercito o la sua ostinazione nel voler intrattenere rapporti pacifici con gente inferiore che, al massimo, poteva guadagnarsi il ruolo di schiavo. In breve, ciò che in Kimi era sempre stata indifferenza in lui si era trasformata in odio puro che era arrivato al culmine quando Toga aveva trovato la propria anima gemella: Izayoi.

Erano passati più di due secoli da quel giorno e l’Inu-no-Taisho trovava sempre più difficile venire a patti con gli scatti d’ira del figlio non più così giovane e che, in realtà, dimostrava un’immaturità non adatta a lui. Non aveva mai gettato la spugna, ma non poteva non ammettere che la cosa lo faceva star male e che, nonostante tutto ciò che si dicesse su di lui, Sesshomaru era diventato proprio il suo punto debole. Era pur sempre suo figlio, alla pari di Inuyasha, e per lui voleva il meglio — come ogni altro genitore —, ma ciò che stava per fare avrebbe potuto trasmettere il messaggio sbagliato.

Tuttavia, non aveva altre scelte: le aveva provate tutte e nulla era davvero servito. Quella era l’unica strada da intraprendere e se non avesse funzionato si sarebbe trovato davvero di fronte a un vicolo cieco. Sperava di riuscire a scuotere Sesshomaru e le fondamenta del suo essere, così da portarlo a una riflessione interiore che, forse, gli avrebbe fatto capire che i valori da lui scelti e seguiti finora erano conseguenza di sentimenti sempre repressi e non così giusti come credeva.

 

***

 

Quando Sesshomaru arrivò, lo fece portando con sé tutta la furia che stava ancora covando a causa degli eventi del giorno prima. Aveva aspettato la convocazione del genitore consapevole che non avrebbe davvero potuto andarsene senza averlo ascoltato: era stato chiaro e Sesshomaru sapeva cosa certi sguardi di Toga significassero. Sebbene ormai gli portasse rispetto raramente, c’erano alcune occasioni in cui gli era impossibile disubbidire.

Questa era una di quelle.

La rabbia era sua compagna ormai da anni e la nascondeva attentamente dietro una maschera fredda e composta che richiamava all’indifferenza della madre. Tuttavia, l’unico al quale non aveva mai potuto nasconderla era il padre: Toga sapeva benissimo cosa l’animo del figlio celasse e ciò indispettiva ancor di più Sesshomaru.

Nonostante tutti gli sforzi che avesse fatto non era mai riuscito a superarlo e tornava sempre da lui, consapevole che separarsi definitivamente non avrebbe portato nulla di buono. D'altronde, era rimasto in minima parte quel ragazzino che tanto ammirava il Generale e trovava difficile sbarazzarsene; forse, non voleva nemmeno farlo.

Ma era difficile venire a patti con il demone che Toga era diventato nel corso dei secoli e con i legami di sangue che lo univano a un essere inferiore come il fratellastro. Probabilmente, dentro di sé credeva ancora di non essere abbastanza per un genitore che si era sbarazzato della madre e aveva formato una seconda famiglia come se neanche lui bastasse –, ma Sesshomaru non lo avrebbe mai ammesso, neanche a se stesso. Quindi, quando raggiunse Toga poco dopo l’uscita di Inuyasha, non si sforzò nemmeno di nascondere la propria rabbia e gli fece sapere subito ciò che lo aspettava. “Cos’è? Avevi così fretta di parlare con me che ti sei intrattenuto prima con il mezzosangue?” lo schernì.

“Sappiamo entrambi che non è questo il caso,” rispose placido Toga, sistemando alcune carte davanti a sé e rimandando per qualche secondo il momento in cui avrebbe incontrato lo sguardo così simile eppure così diverso dal suo.

“Non so davvero nulla quando si tratta di te, padre,” commentò nello stesso tono.

“Naturalmente.”

“Potrai anche sprecare il tuo tempo con quella gente, ma io ho di meglio da fare che starmene qui in silenzio. Mi hai fatto chiamare per un motivo, qual è?” pretese quando vide che Toga non dava segno di voler dire di più.

“E cos’hai di così importante da fare da non poter restare qualche minuto in compagnia del tuo vecchio? Uccidere qualche altro umano a caso?” Alzò infine il viso per osservare il figlio.

Sesshomaru sibilò. “È un passatempo migliore del tuo.”

“Passatempo, eh? Beh, parliamo di questo, di come preferisci passare il tuo e di cosa tu credi sia giusto fare nella mia posizione.” Intrecciò le dita sotto il mento e lo fissò dritto negli occhi.

“Hai in mente un’altra delle tue solite morali? Puoi risparmiare il fiato; sai che non serve a nulla,” disse agitando in modo aggraziato il polso.

“Oh, no, tutt’altro. Prendi ciò che sto per dirti come un avvertimento e fai bene attenzione alle mie parole — più del solito — perché non potresti mai sapere quando potrebbero tornarti utili. Forse anche prima di quanto credi,” rispose Toga senza lasciarsi scoraggiare da quell’atteggiamento.

Sesshomaru strinse gli occhi e tentò di capire cos’altro si era inventato per avvicinarsi a lui. Il suo insistere nel volere un rapporto lo faceva apparire ancora più debole ai suoi occhi: lui non voleva qualcosa basato su effimeri sentimenti umani; desiderava una figura che lo aiutasse a diventare un vero guerriero, superare i propri limiti e che non si mettesse paura di sporcarsi le mani.

“Sesshomaru tu sei il mio erede e, come tale, quando avrò deciso di ritirarmi, occuperai il mio posto e diventerai il prossimo Inu-no-Taisho. È una posizione di grande rilievo, vero?”

“Hn,” fu l’unica risposta che ricevette.

“Sai quali sono le voci sul mio conto e sai quanto oltre queste terre i popoli mi temano e rispettino. Questi due sentimenti non sono facili da ottenere: per farlo bisogna dimostrare di essere in grado di guidare la propria gente, scendere a compromessi laddove necessario ed evitare conflitti ogni volta che è possibile – non cercarli.” Gli lanciò un’occhiata significativa. “Copro questo ruolo da secoli e ho combattuto per mantenerlo da molto prima che tu venissi al mondo, migliorandomi e adattandomi alla società che cambiava. Essere Inu-no-Taisho significa soprattutto questo.”

“Sei un guerriero, il più forte, e dovresti comportarti come tale, non sprecare energie in certi discorsi,” lo interruppe Sesshomaru.

Toga rise, per nulla divertito. “E come pensi di proteggere le tue terre se non credi che fare l’oratore sia necessario? Le parole sono più importanti dei tuoi artigli, Sesshomaru; infatti, le tue si sono dimostrate letali in più di un’occasione.”

Il figlio ghignò. “Qualcuno si è per caso offeso ieri?”

“Oh, no, non parlo di ieri. Il mio intento è chiarirti quali saranno i tuoi doveri un giorno... se vorrai.”

Sesshomaru assottigliò gli occhi. “Se vorrò?” 

“Ricorda ciò che ho detto all’inizio: tieni a mente ciò che sto per dirti. Il primo compito di un Generale è contrattare, essere comprensivi e, soprattutto, lavorare per la coabitazione per evitare spargimenti di sangue.”

In tutta risposta Sesshomaru scoppiò a ridere come mai aveva fatto. “Questo è l’avvertimento che volevi fare? Hai ancora paura di sporcarti le mani? Siamo demoni; gli spargimenti di sangue dovrebbero eccitarci.”

Toga sorrise. “Al contrario. Prendilo come un promemoria, piuttosto. Vuoi la guerra, figliolo?”

“Un conflitto facile per liberarci di gente indegna di queste terre,” rispose indifferente.

A quel punto Toga si infiammò, non più disposto a mantenere il controllo. “Bene, grazie per avermelo chiarito ancora una volta,” ringhiò. “Allora ascoltami: impara ad acquistare le caratteristiche di cui ho parlato finora, dimostrami che oltre gli artigli hai anche un cervello in grado di capire cosa significa assumersi determinate responsabilità invece di girovagare uccidendo e cercando nuove fonti di potere e il titolo sarà tuo un giorno. Ma se non ci riuscirai, continuerà a sfuggirti per sempre.”

Sesshomaru strinse i pugni e la mascella, ringhiando a sua volta. “Se vorrò, uh? Sembra che io non abbia poi così tanta scelta.”

“Al contrario,” ripeté. “Io rimango sempre disposto ad abdicare in tuo favore, ma non posso lasciare il popolo che ho guidato per secoli nelle mani di una persona che scatenerebbe la guerra alla prima occasione. Con ‘se vorrai’ intendevo proprio questo: è tutto nelle tue mani, ma devi dimostrare di essere degno.”

Il figlio scattò in piedi e avvicinò il viso a quello del padre sporgendosi oltre la scrivania che li divideva. “E chi metteresti al posto mio? Il mezzosangue?” lo derise. “Vedremo che fine farà: i demoni di questa valle non ci penserebbero due volte prima di ammazzarlo e io me ne resterò a guardare soddisfatto.”

Toga non si lasciò provocare, nonostante le parole lo avessero ferito. “Non ho mai sottointeso nulla del genere – provi per caso inferiorità nei confronti di tuo fratello? Hai paura che possa prendere il tuo posto? Per questo lo ostacoli da quando è nato? Non mi sembra di aver mai mostrato preferenze tra i due; sei tu che continui a sfuggirmi.”

Gli occhi di Sesshomaru gli lanciarono stilettate. “Inferiore a lui?” ripeté facendo una smorfia, come se le parole gli avessero lasciato un saporaccio in bocca. “Di un essere incapace come lui? Vuoi proprio farmi ridere oggi.”

“Sei tu che l’hai tirato in ballo, Sesshomaru. Ricorda che io ho una vita ancora lunga davanti a me e, a meno che qualcuno non mi tradisca e mi uccida, non avrò bisogno di essere sostituito. Ti ho convocato solo per ricordarti che potrebbero passare ancora più secoli di quel che credi prima di essere Generale se non vuoi imparare certe lezioni.”

Il silenzio li inghiottì per un attimo per poi essere infranto dal rumore del sangue che colava goccia a goccia sul pavimento. Gli artigli di Sesshomaru erano penetrati a fondo nei suoi palmi, ferendolo in continuazione senza dare al suo corpo modo di guarirsi. Padre e figlio iniziarono una battaglia di sguardi che sembrò durare in eterno, ma infine, con un ultimo ringhio e un’occhiata carica d’odio, Sesshomaru lasciò l’ufficio e dietro di sé un genitore profondamente disilluso.

Toga si accasciò sulla poltrona e si coprì il viso con le mani: aveva fatto la scelta giusta o aveva condannato per sempre la loro relazione? Era stato tremendamente difficile pronunciare quelle parole, ma in cuor suo sperava che sortissero l’effetto desiderato.

Solo il tempo lo avrebbe detto.

 

***

 

Inuyasha e Kagome partirono quando il sole stava per calare. Dopo le mille raccomandazioni dei genitori di lui e altre a Kagome, oltrepassarono le mura e si avviarono per la stessa strada che avevano percorso appena due giorni prima. Quando Inuyasha si accucciò, dandole la schiena, lei non si lamentò e gli salì in spalla senza problemi, tenendo la stretta salda attorno al suo collo e nascondendo il viso nel suo collo per ripararsi dal vento.

Non c’erano stati grossi cambiamenti tra loro due da quando si erano fatti quella promessa perché era passato poco tempo da allora, ma entrambi stavo cercando di evitare qualsiasi bisticcio inutile. Quel viaggio avrebbe già rappresentato una prova per loro.

Il primo paio d’ore trascorse tranquillo e con poche parole; Inuyasha andò più veloce e ben presto si trovarono a poco dal confine. A quel punto, Kagome provò a chiedergli di scendere.

“Non è una buona idea,” le sussurrò di rimando. “E prima che tu possa dire nulla, lo so che sei in grado di difenderti da sola, ma se resti sulle mie spalle, al minimo cenno di pericolo io posso portare entrambi lontani da occhi indiscreti. Se scendi, sarà tutto più complicato.”

“E come farai a proteggerci entrambi se le tue mani sono impegnate?” ribatté lei.

“Chi ha detto che tu non puoi fare nulla?” chiese di rimando, lanciandole un’occhiata e ammiccando, guadagnandosi qualche punto in più. Kagome aveva portato con sé il fedele arco e le stava dicendo che si fidava di lei nel caso in cui ce ne fosse bisogno; non stava dando per scontato che fosse una fragile donna bisognosa di essere salvata. Era un atteggiamento senza dubbio diverso da quello a cui era abituata con gli uomini del villaggio.

Pur essendo stata un’apprendista sacerdotessa, alcuni non aveva mai esitato a porsi al di sopra di lei a causa del loro sesso apparentemente superiore; altri non avevano avuto paura di sminuire le figure che in realtà li proteggevano, pensando che il loro compito principale fosse sempre essere moglie e poi madri. Si rendeva anche conto che quella fosse la mentalità comune e che nonostante i suoi poteri, la donna era percepita come inferiore all’uomo, ma ricordava come suo padre aveva trattato sua madre o la gentilezza di Hojo – sebbene anche lui avesse avuto il vizio di trattarla come delicata e ciò lo aveva condotto alla morte. Osservando le interazioni tra l’Inu-no-Taisho e la principessa Izayoi non aveva impiegato molto a capire che, nonostante lui fosse molto più forte di lei, non se ne faceva un vanto e trattava la compagna come suo eguale. Ciò le faceva sperare che Inuyasha fosse stato educato a comportarsi allo stesso modo e che nella società demoniaca i rapporti fosse diversi.

“E poi, nel peggiore dei casi, mi basta una sola mano, tranquilla. Fidati, meglio rimanere così.” Poi si bloccò e le fece segno di fare silenzio mentre oltrepassava cauto il confine, seguendo lo stesso percorso più disabitato che portava alla capanna della famiglia di lei.

Il tragitto sembrò durare all’infinito sebbene fosse in realtà molto breve e, per tutto il tempo, Inuyasha si sentì il cuore in gola e una brutta sensazione che sembrava accentuarsi ogni passo in avanti. Erano appena arrivati a una curva quando le sue orecchie cominciarono a muoversi frenetiche e si bloccò di nuovo, di colpo. Kagome ne fu sorpresa e fece per aprire la bocca, ma Inuyasha la anticipando alzando un dito per fermarla.

Sentiva chiaramente gente ancora sveglia che stava urlando e litigando e sebbene si trovassero al centro del villaggio e sarebbero stati incapaci di sentire loro due, non voleva rischiare. Rimase qualche secondo a controllare il perimetro e solo una volta assicuratosi che non vi era nessuno vicino loro riprese il cammino e raggiunse l’obiettivo. Da lì poteva capire chiaramente cosa stavano dicendo e il quadro della situazione. Ma la capanna vuota e il disordine che era visibile dall’esterno erano ancora più esplicativi.

Coloro che erano venuti a recuperare non si trovavano più lì e, se gli odori già un po’ vecchi non mentivano, lui e Kagome erano in ritardo di un bel po’ di ore.

“Non ci sono,” mormorò solo per le orecchie di lei, stringendo istintivamente la presa sulle sue cosce. Quest’ultima azione si rivelò un’ottima scelta perché il tempo di realizzare ciò che aveva detto e Kagome cominciò ad agitarsi.

Aprì la bocca pronta ad urlare, poi si rese conto dell’errore che stava per compiere e sussurrò concitata: “Che cosa? Dove sarebbero dovuti andare? Gli avevi promesso che saremmo tornati; lo sapevano!”

“Shhh,” disse di rimando lui. “Non dare di matto. Da quel che ho capito un corteo si è presentato qui oggi pomeriggio insieme al capo villaggio e a una delle sacerdotesse ordinando loro di andar via. Sembra che qualcuno li abbia convinti che la tua sfortuna sia passata a loro e di conseguenza all’intera comunità. Quel viscido vecchio a cui volevano darti in sposa è scomparso e pensano sia un brutto presagio – che un’intera nube di sventura ormai incomba su tutti loro. Keh; che scemenze!”

“Tsubaki,” sibilò lei, ricominciando ad agitarsi. “Quella donna ha cercato di mettermi i bastoni tra le ruote da quando ero piccola e c’era lei all’origine delle dicerie su di me – prima ancora che Hojo venisse ucciso. Sono sicura che c’entri lei anche adesso! Ha sempre avuto un’aura che non mi convinceva, ma ora. Ehi, lasciami, lasciami ho detto,” si lamentò cominciando ad alzare la voce.

Inuyasha l’aveva presa in braccio mentre parlava, percependo il turbamento sempre maggiore e volendo evitare di essere scoperto. Quando lei alzò la voce le coprì immediatamente la bocca. “Sei pazza? Vuoi farci scoprire? Cosa credi che succederebbe se trovassero entrambi qui? Se ci trovano sarò costretto a difenderci e in quel caso ci scapperebbe il morto e la guerra – e noi non vogliamo assolutamente questa evenienza,” sibilò! “Se tolgo la mano e ti lascio più libera prometti di restare calma?” Kagome gli lanciò prima un’occhiataccia e poi annuì, riluttante. Inuyasha la liberò un secondo dopo e la poggiò a terra.

“Potevi evitare di usare le tue buone maniere,” lo rimproverò.

“Preferivi che ci scoprissero?” ribadì lui, arcuando un sopracciglio.

“Pff. Ma che ne è della mia famiglia, che fine ha fatto?”

“Hanno lasciato questo covo di arpie, ma le loro tracce dovrebbe essere ancora fresche per il mio naso e credo di riuscire a individuare il percorso che hanno preso. Se la smetti di fare la stupida, possiamo andare anche ora.”

“Ma... Tsubaki...” tentò di dire.

“Chi sarebbe? La sacerdotessa nera?”

“Cosa?” Kagome strabuzzò gli occhi.

“Non hai appena finito di dire che la sua aura non te la contava giusta?”

“Sì, beh, ma... nera?”

“L’ho capito da subito che qualcosa non andava in lei a differenza dell’altra... Kyoko, Keiko, insomma quella!”

“Kikyo,” fornì Kagome.

“Sì, Kikyo è a posto, a parte le idee comuni ai più sulla mia razza. Qualcuno potrebbe dire che sei tu quella strana visto che non pensi io sia un essere immondo e bla bla bla.” Agitò la mano per enfasi poi vide Kagome guardarlo con il sopracciglio alzato. “Hai capito che intendo; non mi sto mica lamentando. Mi vai bene così come sei, anche se strana.”

“Ehi!”

“Andiamo ora o stai ancora aspettando di essere sorpresa da uno di quei matti o da quella Tsubasa?”

“Tsubaki!”

“Sì, come si chiama, insomma. Non è il momento delle chiacchiere o della vendetta, dobbiamo trovare la tua famiglia al più presto. È buio pesto ormai e se non hanno trovato una sistemazione – cosa difficile così presto – non si trovano certo al sicuro. Di notte queste foreste pullulano di demoni e non mi sembra che fossero in grado di difendersi da soli.” Si accucciò di nuovo davanti a lei e aspettò che gli salisse in spalle. Quando dopo secondi non lo fece, si voltò verso di lei. “Oi, non avrai di nuovi proble-” si interruppe nel vedere che era sbiancata e immobile e comprese immediatamente il suo errore. Come sempre aveva parlato troppo e l’aveva spaventata – cosa di cui lei non aveva bisogno perché era già preoccupata di suo.

“Oddio e se qualcuno li hai uccisi? Mio fratello è così piccolo e nonno non ha abbastanza poteri e-”

“Ehi, ehi, calmati. Non dovresti essere tu quella più capace di me a gestire la situazione? Sono io la testa calda qui e, invece, ho dovuto richiamarti all’attenzione più di una volta. Muoviti e vedrai che li troveremo presto.” Si colpì il naso con un dito artigliato e le sorrise, sincero. “Fidati di me.”

Kagome annuì, ingoiando un singhiozzo. Infine, gli salì in groppa e dopo un attimo partirono sulle tracce della famiglia di lei.





 


N/A: Bel capitolo ricco, che ne dite? 
Nel prossimo incontreremo vecchie nuove conoscenze che sono sicura aspettate con ansia. 

Ci rileggiamo tra due settimane, un abbraccio 🧡.

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Capitolo 9
*** VIII — Il villaggio degli sterminatori ***


Capitolo VIII : Il villaggio degli sterminatori




"Non camminare davanti a me, potrei non seguirti.
Non camminare dietro di me, non saprei dove condurti.
Cammina al mio fianco e saremo sempre amici."

Non camminare davanti a me, Albert Camu
s



Inuyasha seguì con attenzione le tracce dei tre scomparsi, i sensi all’erta nel caso in cui avessero incontrato qualche difficoltà, ma per fortuna all’inizio tutto proseguì liscio – per quanto si potesse considerare liscia l’intera situazione – e continuarono per una prima mezz’ora. Kagome stava ricominciando ad agitarsi quando il mezzo demone si bloccò di colpo e si guardò freneticamente attorno; la ragazza temette che avessero dei visitatori, ma la scintilla nei suoi occhi dorati parlava diversamente.

“Ho capito!” esclamò soddisfatto di sé.

“Li hai trovati? Sono vicini?” gli chiese stringendosi più a lui. Inuyasha le aveva prestato di nuovo la sua giacca rossa per difenderla dal freddo – l'aveva chiamata la veste di Hinezumi, fatta di un materiale capace di resistere al fuoco e all’usura – e il suo volto era quasi del tutto nascosto da essa.

“No, ma dopo aver seguito la loro scia per un po’ posso dire con certezza dove sono diretti. Non ho alcun dubbio!” Si voltò verso di lei sfoggiando un sorriso che metteva in risalto i suoi canini più appuntiti del normale e continuò: “Non devi più preoccuparti; la tua famiglia è al sicuro!”

Kagome trattenne il fiato. “Davvero?” domandò ancora, quasi non credendoci.

“Ti avevo detto che potevi fidarti di me, no?” Ammiccò.

In tutta risposta lei lo abbracciò ancora più stretto, senza pensarci davvero su e prendendolo in contropiede. “Beh, allora, che aspettiamo? Andiamo subito!”

“Non così veloce, ragazzina,” la bloccò quando si fu ripreso. “Non è prudente nemmeno per noi restare tutta la notte in giro da queste parti e tu hai bisogno di riposare.”

“Ma-”

“Niente ma, ho promesso ai miei e alla tua famiglia di proteggerti e non finiremo nei guai quando so per certo che loro sono al sicuro!” E senza aspettare nemmeno un’altra parola, cominciò a saltare da albero in albero cercando il rifugio più adatto a loro e sperando che l’alba arrivasse il prima possibile.

All’inizio, quando si posizionarono entrambi vicini a un tronco e Inuyasha le fece capire che avrebbe dovuto stare quanto più vicino possibile a lui per evitare di cadere mentre dormiva, c’era stato imbarazzo. Ma presto, confortata dall’odore e la presenza del compagno, proprio come due notti prima, si addormentò sapendo che la sua famiglia era al sicuro tanto quanto lei con il mezzo demone.

Anche quello si era rivelato un giorno difficile – non che avesse mai avuto dubbi – e Inuyasha non voleva che Kagome ne risentisse. Lui, invece, grazie alla sua natura demoniaca, poteva permettersi di rimanere a fare la guardia, anzi, doveva. Dopo tutto, era compito suo proteggere la sua anima gemella, anche se erano ben lontani dal raggiungere quello stato di coppia che, già dopo poco più di due giorni, desiderava ardentemente. Ma avrebbe avuto pazienza e, per il momento, proprio come aveva detto al padre, avrebbe considerato quella fase come un passo avanti. Nel frattempo avrebbe fatto il possibile per tenerla al sicuro e dimostrarle che aveva a cuore solo il suo benessere.


***



I raggi di sole avevano appena cominciato a infiltrarsi tra i tanti rami del fitto bosco quando Kagome si agitò accanto a Inuyasha prima di sollevare le palpebre ancora un po’ stanche; sbadigliò e poi strinse a sé la veste di Hinezumi inconsciamente prima di ricordarsi dov’erano e per quale motivo. Infine, scattò a sedere e Inuyasha dovette cingerle la vita per fermarla prima che capitolasse giù dall’albero e si rompesse più di qualche osso.

“Desideri morire così di prima mattina?” domandò lui a mo’ di buongiorno.

“Non sono mica abituata a dormire a 50 metri d’altezza,” rispose mentre si stiracchiava e poi arrossiva rendendosi conto dell’effettiva vicinanza tra loro.

Lui ammiccò. “Un’esperienza indimenticabile, vero? Dovremo rifarlo presto.”

“Uhm... magari ci penso. Possiamo andare ora? Sono ancora in pensiero per il nonno, la mamma e Sota.”

“Hai ragione. Mangeremo per strada. Andiamo!” E senza darle preavviso, strinse la presa su di lei e balzò a terra. Un urlo acuto gli fece appiattire le orecchie sul capo e lanciò un’occhiataccia alla responsabile.

“Sei pazzo?! Potevi almeno avvertirmi!”

“Come hai fatto tu con le urla? E poi sei tu che mi hai messo fretta dicendo che volevi partire subito; eccolo il mio avvertimento!”

“Sei impossibile,” commentò ancora lei, incrociando le braccia e sbuffando, prima di incamminarsi.

“Keh! Donne, chi le capisce,” mormorò tra sé e sé riprendendo a seguire le tracce dei tre scomparsi.


***



“Si è aggiunta una quarta traccia alla loro in questo punto,” annunciò indicando una zona del sentiero con un dito. “Si dà il caso che io la conosca molto bene. Conferma quello che avevo già sospettato: la tua famiglia è diretta in un villaggio di mia conoscenza ed ha anche incontrato un loro abitante sulla strada. Questo sì che è proprio un colpo di fortuna!”

“Mi sembra strano conoscessero un villaggio così lontano,” meditò Kagome. Dalla sera precedente avevano percorso un bel po’ di miglia e sembrava impossibile che due umani con un bambino a carico potessero fare lo stesso senza alcun tipo di aiuto.

“No, io credo abbiano avuto, appunto, fortuna. Hanno preso il sentiero che hanno ritenuto più sicuro e qualche passante li ha sicuramente aiutati in un certo momento, ma mentre seguivo la loro scia ieri mi sono accorto che la strada mi risultava più che familiare. Ho sperato che non deviassero e così è stato. Qui alle loro si aggiunge un’altra persona e andando avanti è evidente che non si sono più separati. Siamo vicini, Kagome!”

Lei gli regalò un sorriso smagliante che, finora, Inuyasha non aveva mai visto sul suo viso e rimase imbambolato a fissarlo per qualche secondo, prima che lei lo scuotesse dai suoi pensieri.

“Allora? Andiamo! Sono così sollevata che almeno una cosa sia andata per il verso giusto,” esclamò abbracciandolo entusiasta, di nuovo, senza rendersi conto di quanto dopo poco tempo fosse diventato normale per lei e quanto in realtà si trovasse già a suo agio con il mezzo demone. Lui ricambiò impacciato dopo l’iniziale shock e pensò che d’ora in poi avrebbe fatto di tutto per rivedere quel sorriso così sereno; era una sorpresa che a poca distanza da eventi così catastrofici che l’avevano colpita, Kagome fosse già in grado di tornare a sorridere, ma ciò gli confermò solamente che l’indole della ragazza fosse più tranquilla e pacifica di quel che il loro iniziale incontro gli aveva fatto credere.

Ora leggeva nella sua aura uno spirito puro e contento che, però, sembrava in netto contrasto con ciò che aveva visto in quei pochi giorni. Inuyasha avrebbe dovuto avere meno dubbi e più fiducia, ma a causa del suo passato e del cinismo di cui era sempre stato, suo malgrado, vittima, non ci era riuscito finora. Ma vedendola sorridere comprese che probabilmente ciò che stava intravedendo era la vera Kagome e che se fosse stato anche lui fortunato l’avrebbe avuta a sua disposizione per tutta la vita. Forse gli Dei non erano stato così stupidi nella loro scelta: sua madre avrebbe sicuramente detto che un’anima come quella era perfetta per la sua spesso più tenebrosa; che si completavano a vicenda. E chissà, forse era proprio così.

Poco dopo, Kagome lo lasciò andare imbarazzata e balbettando scuse, seguita a ruota dal mezzo demone. Infine, ripresero il cammino ancora più veloce, rincuorati dall’ultima scoperta e certi che, a breve, si sarebbero riuniti con la famiglia di lei.

Continuarono su sentieri per lo più nascosti e dopo un po’ arrivarono in una radura isolata alla cui fine si intravedeva una piccola salita e in cima un villaggio circondato da alte mura in legna che rendevo impossibile sbirciare all’aldilà di esse. Inuyasha cominciò a correre ancora più veloce non appena lo vide e Kagome fu certa che fosse la loro destinazione e che i suoi cari erano al sicuro dietro quelle stesse mura. Quando giunsero di fronte ad esse, notò immediatamente due guardie che stava azionando quella che poteva considerarsi una porta costruita all’interno del recinto per far passare un altro paio di persone vestite alla stessa maniera.

Queste ultime due erano appena passate oltre quando una delle guardie notò Inuyasha e Kagome e alzò un braccio in segno di saluto.

“Inuyasha!” urlò nonostante non fosse stato necessario. “Che sorpresa! Qual buon vento ti porta? Un’altra missione?” Poi notò anche la giovane sacerdotessa e alzò il sopracciglio interrogativamente. “Ah, vedo che sei in buona compagnia.” Inclinò la testa in segno di saluto, gesto ricambiato immediatamente dalla ragazza, e disse: “Benvenuta anche a lei.”

“Grazie mille, buon uomo,” rispose Kagome che stava osservando meglio la loro particolare armatura che, adesso, cominciava a ricordarle qualcosa che era certa avesse studiato qualche anno fa. Non riusciva però a collegarla ancora a un nome specifico, troppo impaziente di entrare e accertarsi che la sua famiglia fosse davvero lì.

“Osamu,” salutò Inuyasha. “Non la chiamerei esattamente una missione, ma spero non vi dispiaccia la mia compagnia per oggi.” Non aveva finito di parlare che accanto alle due guardie apparve un giovane uomo vestito da monaco con lunghi capelli scuri legati in codino alla base della nuca e penetranti occhi blu che scintillarono di malizia non appena scorsero Kagome accanto all’hanyou.

“Inuyasha, amico mio, che sorpresa!” esclamò abbracciando di slancio Inuyasha e scompigliandogli i capelli, guadagnandosi un paio di bestemmie non esattamente adatte alle orecchie di una sacerdotessa.

“Che scostumato. Ti sembra così il modo di salutare il tuo migliore amico? E che mi dici della fanciulla accanto a te? Non si dovrebbe mai parlare così in compagnia del gentil sesso! Non hai imparato nulla di quello che ti ho insegnato finora?” lo riprese, fingendosi deluso.

“Migliore amico un corno!” borbottò l’altro.

L’intero scambio lasciò spiazzata Kagome, per la quale sembrava impossibile che un uomo di Buddha fosse così in confidenza con un mezzo demone. Nello stesso momento, ricordò anche chi indossasse quelle particolari armature in pelle: gli sterminatori. Spalancò la bocca rendendosi conto che quello doveva essere uno dei pochi villaggi esistenti e ciò spiegava anche perché il sentiero che avevano percorso per raggiungerlo fosse più nascosto dagli altri e la quarta traccia che Inuyasha aveva trovato: senza quella, la sua famiglia non avrebbe mai potuto arrivare fin qui. Aveva avuto proprio ragione quando aveva detto che erano stati fortunati a incamminarsi in quella direzione e a incontrare degli aiuti. Ciò, però, non chiariva ancora come mai Inuyasha fosse così in confidenza con degli sterminatori – normalmente nemici dei demoni – e fosse trattato da questi come uno di loro.

Mentre rifletteva su queste cose, il monaco le si era avvicinato con un sorriso fin troppo cordiale per i suoi gusti e la stava osservando contemplativo. Fece per allungare le mani e prendere quelle di lei, quando, all’improvviso, Inuyasha si frappose fra i due, coprendo del tutto la ragazza e ringhiando in direzione del suo buon amico.

“Non ci pensare nemmeno, monaco pervertito,” abbaiò stringendo gli occhi.

“Monaco pervertito?” Kagome strabuzzò gli occhi e fu improvvisamente contenta che Inuyasha avesse impedito che le si avvicinasse. Come poteva un monaco essere pervertito?
L’uomo alzò le mani davanti a sé con fare innocente e poi se ne portò una al cuore. “Mi ferisci, Inuyasha,” affermò, melodrammatico. “Sai bene che il mio cuore appartiene solo alla mia dolce Sango e i miei occhi non potrebbero mai vagare lontano.”

“Conosco bene i tuoi occhi e, soprattutto, le tue mani maledette,” lo contraddisse l’altro. “Provaci solo e vedrò di allievarti di questo peso.”

Mentre Kagome arrossiva per la chiara possessività di quelle parole, sulle labbra del monaco si allungò un ghigno e tornò il luccichio malizioso nei suoi occhi. “Capisco,” disse solamente, accarezzandosi il mento. “È così, allora? Bene, venite, venite, vi ho trattenuto abbastanza. Tu e la tua fanciulla siete come al solito i benvenuti. Vi porterò dal capovillaggio e poi potremo aggiornarci davanti a una bella tazza di tè.” Li condusse oltre le cinta di mura – Inuyasha fu attento a frapporsi sempre tra i due per evitare che nessuna mano vagante potesse raggiungere territori che non le erano destinati – e, insieme, si incamminarono all’interno.

“Ho paura che non ci siamo ancora presentati, vero? Inuyasha, non vuoi fare gli onori?” parlò ancora l’uomo di Buddha mentre Kagome rimaneva a bocca aperta nell’osservare finalmente un villaggio di sterminatori.

Uomini, donne e bambini erano tutti all’opera e creavano una sinfonia di suoni che alle sue orecchie pareva molto più melodica di quella della sua vecchia comunità: vi erano risate, grida eccitate, altre di incitamento, armi che cozzavano e in lontananza poteva sentire – prima che vedere e odorare – i lavori della fucina. Si respirava un’aria più rilassata e cordiale a cui non era poi tanto abituata e la cosa la lasciò senza fiato. Fu riscossa dalla sua perlustrazione dalle parole del monaco.

“Keh,” sbuffò Inuyasha, incrociando le braccia. “Kagome, questo pervertito qui è Miroku: è sposato con la figlia del capovillaggio – una delle sterminatrici più eccellenti che potrai mai incontrare – e da allora è diventato il monaco residente. Partecipa spesso alle loro missioni. Ho incontrato lei qualche anno fa e, di conseguenza, sono stato sottoposto anche ai modi tutt’altro che appropriati di questo qui.” Indicò con il pollice l’uomo che ora si era nuovamente portato le mani al petto fingendo oltraggio. “Miroku, questa è Kagome, un’apprendista sacerdotessa,” offrì solamente, conciso, per nulla intenzionato a dirgli che era la sua anima gemella. Miroku non l’avrebbe mai lasciato in pace, altrimenti.

“Suvvia, Inuyasha, nient’altro? Divina Kagome,” si inchinò, “come le è accaduto di incontrare questo scorbutico mezzo demone? Non vorrà dirmi che apprezza la sua compagnia! Sono certo che possiamo offrirle un intrattenimento migliore; non deve essere costretta a restare con lui!”

“Ma veramente,” provò a dire lei.

“Oi!” si intromise Inuyasha lanciandogli uno sguardo omicida. “Smettila di fare il tuo solito.”

Miroku scoppiò a ridere e poi cinse le spalle del mezzo demone con un braccio. “Oh, lo sai che non penso davvero queste cose.”

Stranamente, Inuyasha non si liberò della stretta del monaco, sebbene Kagome fosse convinta che avrebbe potuto senza troppo problemi e capì con assoluta certezza che la confidenza e il continuo prendersi in giro di quei due in realtà tradivano un’amicizia al di fuori del comune. Si sentì sollevata, senza capire nemmeno perché, sapendo che esistevano persone che avessero veramente a cuore Inuyasha e nessuna paura a dimostrarlo. E non importava che fosse gente che avrebbe dovuto disprezzarlo; confutava ancora una volta tutte le dicerie razziste e provava che il lavoro di coabitazione dell’Inu-no-Taisho che andava avanti da secoli aveva il suo perché. In quel mondo non erano tutti prevenuti come in molti nel suo vecchio villaggio e questo la rincuorava tantissimo.

Erano appena arrivati nella piazza centrale quando, da dietro di loro, provenne una voce di bambino che, Kagome si rese conto, le era mancata come l’aria. Si voltò di scattò e le lacrime cominciarono a scorrerle libere sul viso senza che lei potesse fermarle nel vedere la piccola figura di suo fratello completamente in salute che le correva incontro.

“Sorellina! Sorellina!” urlava e, attorno, tutti sembravano essersi fermati per osservare quella riunione di famiglia così entusiasta e felice. “Sorellina!” ripeté una terza volta quando l’ebbe raggiunta e le ebbe buttato le braccia al collo. “Sei qui; mi sei mancata così tanto. Avevo tanto paura di non rivederti più.”

“Oh, Sota, mi sei mancato tanto anche tu. Sono stata così in pena,” gli disse stringendolo forte a sé e incurante delle loro reciproche lacrime. “Sono così contenta.”

Troppi presi dal loro abbraccio e dalla contentezza per essere di nuovi insieme perché sembrava che fossero passati anni e non giorni da quando si erano separati, non si accorsero dei sorrisi – e anche qualche lacrima – che li circondavano.

“Ah, sembra proprio che avremo un bel po’ da dirci, amico mio,” disse Miroku a Inuyasha guardando l’abbraccio dei due fratelli.

Il mezzo demone annuì. Li aspettava una mattinata piuttosto intensa.


***



“Ora capisco. Siete giunti qui perché avete seguito le tracce della sua famiglia,” disse il capo villaggio, Koji, grattandosi il mento. “Beh, è fortunata ad essere in compagnia di Inuyasha, Kagome-sama; ha un naso eccellente e non ho dubbi che li avrebbe trovati ovunque.”

“Così come la mia famiglia è stata fortunata ad essere ospitata da voi,” continuò Kagome, inchinandosi. “Non so come ringraziarla per quel che ha fatto.”

“La nostra è una comunità molto unita e laboriosa e la sua famiglia ha promesso di fare la sua parte in cambio di un posto dove vivere; non vedo perché avrei dovuto rifiutare. Siamo sempre ben accetti verso i giovani volenterosi,” spiegò indicando Sota che stava ancora accanto a Kagome. Quest’ultima arcuò un sopracciglio interrogativamente. “Sarà più indietro rispetto ai ragazzi della sua età, ma sono sicuro che, con la sua determinazione, Sota riuscirà ad unirsi agli allenamenti per diventare sterminatore senza problemi.”

“Sterminatore!” urlò senza pensarci. “Voglio dire, ehm… è sicuro per un bambino?” chiese timidamente.

“Ma certo, Kagome-sama,” assicurò la moglie di Miroku accanto al padre, Sango. “Di solito da noi cominciano ancora prima e a dieci anni non si è ormai più bambini.” Le sorrise gentilmente. “Inoltre, mio fratello ha la sua stessa età e ha promesso di aiutarlo laddove ne avesse bisogno.”

“Oh, ok,” rispose solo l’altra, ancora spaventata dall’idea che suo fratello potesse andare a combattere contro i demoni, nonostante fosse quello che si era allenata a fare anche lei da tutta la vita.

“Comunque è ancora ben lontano dal diventare membro attivo. In base ai suoi progressi, valuteremo quando sarà pronto, ma va da sé che il momento non è vicino,” aggiunse il capo. “Inoltre, Miroku è molto benvoluto e ci fidiamo tutti di lui e delle sue capacità di giudizio. È stato lui a trovare la sua famiglia e a offrirgli un posto da noi se fossero disposti a fare la loro parte; ci ha assicurato che non ci fosse motivo di diffidare e gli abbiamo creduto subito.”

A Kagome si riempirono gli occhi di lacrime nel sentire quelle parole così sincere e abbassò subito il capo cercando di asciugarsele senza farsi notare, ma era pressoché impossibile. Dopo aver sentito tutto ciò che dicevano sul suo conto e aver saputo che avevano scacciato la sua famiglia da quella che era stata la loro casa per generazioni le sembrava incredibile che esistessero ancora persone capaci di così tanta bontà.

Calò il silenzio su di loro e Sota le strinse la mano cercando di confortarla mentre Inuyasha, dall’altro lato, combatteva contro i suoi istinti per non fare lo stesso. Accanto a lui, Miroku lo osservava agitarsi divertito, capendo in parte il motivo della sua ansia.

“Non c’è bisogno di provare vergogna, Kagome-sama,” le disse Sango. “Siamo veramente dispiaciuti degli eventi che l’hanno spinta a commuoversi per così poco.”

Il padre annuì d’accordo. “Avevano cominciato ad accennarci la situazione ma c’è stato poco tempo e poi siete arrivati voi.”

Kagome si asciugò le guance un’ultima volta e poi alzò finalmente il capo, mostrando gli occhi arrossati. “Scusate,” mormorò ancora prima di schiarirsi la gola. “Vi prego, datemi anche del tu, non sono nemmeno una vera sacerdotessa; il mio addestramento è stato interrotto quando ho lasciato il villaggio.”

“Potrei sapere perché?” si intromise Miroku, guardandola interrogativamente. “Il potere spirituale che sento provenire da te è altissimo. Senza completare l’apprendistato potrebbe essere pericoloso gestirne così tanto.”

Prima che potesse rispondere, il nonno lo fece al posto suo, contrariato ancora da tutti gli eventi. “Mia nipote è stata allenata fin dalla tenera età per diventare capo sacerdotessa; il giorno in cui nacque quella all’epoca in carica venne a trovarci affermando che aveva sentito un’energia pura e forte come mai e che Kagome si sarebbe rivelata così potente da rivaleggiare un giorno Midoriko-sama.”

Tutti nella stanza trattennero il fiato, sorpresi; anche Inuyasha aveva sentito quel nome e suo padre gli aveva anche raccontato di aver conosciuto la famosa guerriera.

“Personalmente, ho sempre creduto che Kagome ne fosse la reincarnazione, ma non possiamo provarlo con certezza. Quel che posso dirvi, però, è che non ha mai deluso le aspettative di nessuno e si è sempre messa a disposizione del prossimo,” continuò, fiero.

“A maggior ragione, se mi permette, non capisco come mai possa aver deciso di interrompere i suoi studi,” si intromise ancora Miroku.

“Ci stavo arrivando, giovanotto,” bofonchiò Ichiro. “E rientra anche nel racconto che vi dobbiamo.” Tutti annuirono e lo lasciarono parlare. “Kagome era promessa in sposa a un altro ragazzo del nostro villaggio – un’anima buona e molto innamorata,” fornì. “Potrà sembrarvi strano, ma nessuno ha mai avuto dubbi sul fatto che il matrimonio potesse intaccare la sua risorsa di energia. Alcuni oggi credono che se l’anima è abbastanza pura, non serva esserlo nel corpo – ovviamente, non tutti sono d’accordo e questo ha scatenato voci contraddittorie.”

“Oh, immagino bene,” aggiunse Miroku che si stava dimostrando incapace di starsene zitto. “Nel mio vecchio villaggio non molti erano d’accordo con la mia decisione di sposare la dolce Sango, ma come vede non ho avuto alcun problema.”

Il nonno gli lanciò un’occhiataccia. “Vedo, vedo, come vedo che hai interrotto di nuovo il mio discorso.”

Inuyasha, Sota e un altro ragazzino che Kagome immaginò fosse il figlio del capo ridacchiarono, ma almeno il primo tentò di mascherare le risate con dei colpi di tosse. Miroku gli diede delle gomitate nei fianchi in risposta e il nonno li zittì ancora prima che i loro bisticci da bambini potessero intensificarsi.

“Come stavo dicendo,” ricominciò, “non tutti erano d’accordo, ma Kagome era amata dalla maggior parte della comunità ed era stato facile ignorare le poche voci maligne. Tuttavia, a pochi giorni dalle nozze che avrebbero dovuto tenersi proprio oggi,” tutti spostarono lo sguardo verso Kagome che aveva di nuovo il capo calato e poi tornarono da Ichiro, “il povero Hojo ha incontrato una fine che definirei... crudele.” Strinse i pugni sulle gambe, ma per il resto continuò a mantenere il suo contegno, a differenza di qualcun altro.

“NO!” esclamò Miroku a voce alta; Sango in tutta risposta lo schiaffeggiò dietro la nuca per farlo smettere. Funzionò subito e Kagome immaginò fosse una cosa più comune di quel che sembrava dalle reazioni della sua famiglia.

Il nonno la ringraziò, ma prima che potesse riprendere, Koji gli chiese il permesso di aggiungere qualcosa dopo aver lanciato un’occhiata di sfuggita al mezzo demone. “Considerando la presenza di Inuyasha in questa storia – sebbene non l’abbiate ancora nominato – e le voci che ci sono arrivate, posso immaginare il responsabile di un’azione così riprovevole. Dico bene?” Inuyasha fece una smorfia ma annuì: sapeva quali erano le opinioni su Sesshomaru tra gli sterminatori. “Purtroppo ci erano giunte notizie di qualche altra sua azione. Permettetemi di offrirvi le mie più sentite condoglianze.”

La famiglia accettò e poi Ichiro riprese. “Oltre al fatto che mia nipote fosse molto provata dall’accaduto, coloro che non erano molto contenti di lei e non lo avevano mai nascosto hanno cominciato a diffondere-” prese una pausa e si schiarì la gola, “a diffondere certe voci sulla sua presunta sfortuna.” Un singhiozzò provenne dalla madre di Kagome lì accanto e il nonno le colpì affezionatamente il ginocchio per confortarla. “Può comprendere che l’effetto non è stato positivo, soprattutto all’interno di una comunità provata da un simile evento e per calmare gli spiriti il capo villaggio... lui,” Ichiro strinse ancora di più i pugni tanto che le nocche gli divennero bianche, “ha accettato di dare Kagome in sposa a un uomo che abitava ai margini ed era altrettanto malvisto per le voci sulla morte della sua prima moglie. Quando la mia nipotina ci ha lasciati, ci è stato ugualmente intimato di fare lo stesso perché, secondo loro, ormai una nube di sventura incombeva su di loro a causa nostra,” concluse. “Questo è accaduto ieri e un po’ di tempo dopo abbiamo incontrato suo figlio.”

“Una nube tanto fasulla quanto quella vista da Miroku ogni volta che voleva scroccare un pasto gratuito e un posto per la notte all'epoca in cui viaggiavamo insieme,” sbuffò piano Inuyasha lì accanto.

“Mi duole dire che comprendo benissimo le condizioni: è capitato anche a noi di dover scacciare persone dal villaggio che avevano intrapreso la via sbagliata, ma è chiaro, da quanto dice Miroku, che non è il vostro caso,” affermò sicuro Koji ora che il racconto era per lo più concluso. Poi si voltò verso Kagome. “A questo punto, sono più che lieto di proporti di diventare parte di questa nostra comunità, se vorrai, per riunirti di nuovo alla tua famiglia. Miroku non avrà problemi a trovare un mentore adatto al tuo apprendistato e qui abbiamo un piccolo tempio che potrai gestire insieme a tuo nonno. Inoltre, come avrai capito, anche mia figlia – nonostante non sia usuale – prende attivamente parte alle missioni e, se in futuro te la sentirai, potrai fare lo stesso. Le doti di sicuro non ti mancano e a noi non dispiacerà affatto averti dalla nostra parte,” propose.

Inuyasha si irrigidì immediatamente immaginando gli scenari peggiori. Era pur vero che Kagome aveva accettato di conoscerlo ed eventualmente sposarlo come previsto, ma sarebbe venuta meno alla parola data ora che aveva una soluzione così allettante a sua disposizione, una che non prevedeva unirsi ad un essere impuro come lui? Dal suo improvviso pallore, Kagome percepì cosa gli frullava per la testa e, cercando di non attirare l’attenzione, gli sorrise e scosse leggermente la testa per fargli intendere che non avrebbe accettato. Tuttavia, prima che potesse dire lo stesso al capo villaggio, fu ancora una volta suo nonno a parlare.

“Si sarà chiesto come mai, dopo essere stata promessa in sposa una seconda volta, mia nipote abbia lasciato il villaggio, Koji-sama.”

“Beh, sicuramente. Ma in situazioni simili l’onore non è tutto,” rispose serafico.

“Ben detto, lei mi piace sempre di più,” annuì Ichiro, sincero. “Ma non è quello il motivo. Vede, Inuyasha qui è stato mandato da suo padre per compiere le dovute riparazioni e, tra queste, ha voluto offrire delle prospettive di vita migliori alla nostra Kagome che io non ho potuto rifiutare, soprattutto dopo avergli letto nell’anima. Sapete, non sarò un sacerdote potente, ma ho quel che basta per potere giudicare le persone.”

Koji annuì, preso dal racconto, serio, ma Miroku stava cominciando a collegarlo alle varie reazioni di Inuyasha e faceva ormai fatica a contenersi. Il mezzo demone, invece, stava scuotendo la testa, sapendo che nessuno lo avrebbe salvato e sarebbe stato presto nelle grinfie del monaco.

“Si è offerto di sposare Kagome e portarla via da lì,” concluse. “Quindi, come può comprendere, il suo posto non è qui, ma accanto al suo promesso sposo.”

Sango, che come suo marito aveva un ottimo rapporto con Inuyasha, trattenne il fiato e poi si commosse contenta per entrambi, mentre Miroku stava tentando in tutti modi di infastidire l’hanyou ora rosso come un peperone. “Lo sapevo; quella tua reazione di prima non era assolutamente normale. Quindi volevi nascondere la tua bellissima fidanzata, eh? Non si fa così con gli amici; sono offeso!” Poco dopo, il monaco fu messo k.o. dalla moglie che fece le sue congratulazioni insieme al resto della sua famiglia.

“Questa è un’ottima notizia,” esclamò il capo villaggio. “Con Inuyasha siete in buone mani: tante volte, in passato, c’è stato di aiuto e abbiamo collaborato insieme a lui e suo padre. Certo, suo fratello è colui che vi ha spinto in questa spirale di brutti avvenimenti, ma potremmo dire che non tutti i mali vengono per nuocere. Permettetemi di bere in nome di questa unione,” disse. “Sango, saresti così gentile da recuperare la nostra riserva speciale di sakè? L’occasione lo richiede assolutamente.”

Poco dopo, attorno ai due ancora rossi fino alla punta delle orecchie, tutti brindarono in loro onore e l’aria, che prima era stata funesta a causa dei racconti, si alleggerì di conseguenza.

E alla fine della giornata, quando Inuyasha e Kagome lasciarono il villaggio, lo fecero da soli nonostante la loro missione era stata portare al palazzo la famiglia di lei. Il nonno aveva assicurato che avrebbe incontrato con piacere i genitori del mezzo demone, ma che per il momento preferivano riposarsi e ambientarsi dopo i disordini degli ultimi giorni. Avrebbero mandato una lettera per informarli appena pronti e loro sarebbero tornati a prenderli e, in quell’occasione, avrebbero discusso anche dell’organizzazione del matrimonio – argomento che ancora imbarazzava i due promessi, com’era naturale. Kagome non ebbe problemi ad accettare quelle spiegazioni dopo essersi assicurata che si sarebbero mantenuti in contatto e che lì erano del tutto al sicuro.

Tuttavia, quando abbandonarono quella radura, tutta la felicità che aveva provato quel giorno nel riabbracciare i propri familiari sparì ingoiata da un presagio che era sempre stato lì ad aspettare il suo momento e che ora la lasciava in ansia e agitata. Aveva idea che, ben presto, avrebbero sentito nuovamente parlare di Onigumo e che la sua scomparsa non fosse, in realtà, alcuna buona notizia.





N/A: Salve a tutti!
Spero che il capitolo, insieme all'introduzione degli sterminatori, vi sia piaciuto e di leggere presto i vostri pensieri.

Un bacio e a presto ^^.

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Capitolo 10
*** IX — Immaturità ***


Capitolo IX: Immaturità







“Al buio, coi puntini rossi che mi nuotavano negli occhi, mi esaminai riguardo a quelle che si chiamavano questioni di coscienza, e non trovai ferita alcuna. Mi chiesi se, avendo scelto la mia strada, potevo mutar direzione o addirittura voltare la bussola di novanta gradi, e conclusi che potevo, ma non volevo farlo.”

L’inverno del nostro scontento, John Steinbeck






Lasciato l’ufficio del padre, Sesshomaru si era diretto immediatamente all’esterno e, senza che avesse bisogno di richiedere la sua presenza, il suo vassallo – un piccolo demone dal colore verdastro che somigliava un po’ a una kappa e un po’ a una rana – si materializzò al suo fianco.

“Jaken, andiamo!” ordinò perentorio, non aspettandosi alcun diniego. Infatti, Jaken era noto a noto a tutti per l’infinita fedeltà che aveva nei confronti del suo padrone e mai nessuno lo aveva visto andare contro a un suo comando o anche solo provare a esporre un'idea leggermente diversa dalla sua. Per lui, la parola di Sesshomaru era legge e il terreno sul quale camminava meritava d’essere baciato; in breve, nulla e nessuno era meglio di lui e guai a chi avrebbe osato remargli contro!

Ciò significava anche che non aveva un buon rapporto con il fratellastro del grande principe dei demoni e se quest’ultimo aveva un diverbio con il padre, era sempre pronto a difenderlo e a far partire sermoni infiniti durante i quali esponeva i motivi secondo i quali l’Inu-no-Taisho stava certamente sbagliando. Di solito, questi scenari si concludevano con Sesshomaru che lo calpestava senza troppi complimenti con i suoi pulitissimi stivali neri pur di farlo stare zitto. Tutto si poteva dire tranne che fosse davvero un’ottima compagnia e ciò aveva spesso sollevato dubbi sul perché il dai-youkai se lo portasse sempre dietro visto che era evidente non apprezzasse davvero la sua gracchiante presenza.

E invece, ogni volta partivano; ogni volta era Jaken l’unico a cui era permesso accompagnare Sesshomaru e ciò la diceva lunga su quanto il demone cane in realtà apprezzasse la fedeltà e la disponibilità del vassallo – perché altre buone qualità di certo non ne possedeva.

Negli anni, il kappa aveva anche sviluppato una cerca affinità nei confronti di Sesshomaru che gli permetteva di percepire i suoi stati d’animo o presentarsi da lui nel caso del bisogno, nonostante questa, abbinata alla sua poca intelligenza, non lo salvasse dai continui maltrattamenti. In quell’occasione, come tante altre, Jaken aveva previsto subito che Sesshomaru avrebbe voluto lasciare la valle e cominciare uno dei suoi viaggi senza meta che, per lo più, conducevano i due verso luoghi solitari o – nel caso in cui avrebbero incontrato ostacoli – bagni di sangue.

Si incamminarono oltre le mura difensive e non appena Jaken agitò il Nintojo, il bastone a due teste che portava con sé, e fece per aprire la bocca e cominciare la solita tiritera, Sesshomaru gli riservò un’occhiata glaciale che avrebbe fatto sprofondare sotto terra anche esseri molto più forti. Jaken deglutì e continuò a corrergli dietro, tentando in tutti i modi di mantenere il passo, ma inciampando più spesso che no come risultato.

“Non ho intenzione di aspettarti,” sibilò Sesshomaru, già arrabbiato di suo e – quindi – ancora più pericoloso del solito. “E non pensare nemmeno per un secondo di sprecare fiato per uno dei tuoi inutili monologhi.” Detto ciò, si librò in aria e il piccoletto fece appena in tempo ad aggrapparsi alla sua lunga e bianca mokomoko prima di essere lasciato indietro.

Volarono per un tempo indefinito e Jaken non osò chiedere quanto ancora avrebbero continuato, soprattutto perché l’aura del padrone continuava a vibrare di rabbia repressa. Questa volta stava dimostrando più buon senso del solito e non aveva intenzione di fare una brutta fine.



***



Tornarono a terra senza preavviso, apparentemente senza direzione: Sesshomaru sembrava non essere ancora in grado di pensare oltre il proprio risentimento, la rabbia e le ultime parole di suo padre. Non avrebbe mai creduto che si sarebbe arrivato a quel punto.

La discordia tra loro due, ormai, era una costante ed era passato un pezzo dall’ultima volta in cui si erano detti d’accordo o non avevano litigato per una delle sue decisioni ignobili o per una ramanzina che – chissà per quale motivo – Toga aveva sempre pensato potesse avere effetto. Era ormai evidente che la pensavano diversamente su tutto. Eppure, non aveva mai considerato il genitore come una persona capace di arrivare alle minacce o a mezzi così subdoli. Ma lui non era disposto a piegarsi a certi giochetti.

Sferrò d’improvviso gli artigli tranciando di netto tutti gli alberi intorno a lui e facendo scappare la fauna e i demoni inferiori, mandando anche a terra Jaken che non si era ancora staccato. Ma non servì a sfogare la propria insoddisfazione, non che avesse creduto anche solo per un secondo che avrebbe funzionato.

No, non era disposto a piegarsi alle richieste di suo padre, ma nemmeno gli avrebbe permesso di liberarsi di lui. Il suo obiettivo era dimostrarsi, un giorno, superiore a lui, sconfiggerlo ad armi pari e senza che nessuno potesse contestare la sua vittoria. Se Toga aveva deciso tutto d’un tratto di revocargli ciò che gli spettava di diritto – l’ennesima cosa, a ben pensarci, visto che aveva donato la Tessaiga a quell’essere inferiore – anche Sesshomaru sarebbe passato alle maniere forti.

Gli avrebbe dimostrato che non aveva bisogno del suo consenso per governare le terre che erano la sua eredità.

Ma quel pensiero non fece nulla per calmare il risentimento che covava dentro di sé, la sensazione di ingiustizia e l’essersi sentito – ancora – paragonato al mezzo demone. E ammettendo certe emozioni provava ancora più rabbia: avrebbe dovuto essere al di sopra di esse, dimostrare anche a se stesso che l’indifferenza era parte essenziale di lui e non solo una maschera da mostrare agli avversari e a chiunque tentasse di ingraziarselo solo per insulsi favori. Non avrebbe dovuto provare una collera bruciante dentro di sé al pensiero del padre che gli volgeva le spalle per difendere chi era venuto dopo di lui; non avrebbe dovuto covare un’invidia pari a quella di un cucciolo.

Si portò gli artigli letali al viso e li osservò stringendo gli occhi e chiedendosi se la stessa letalità fosse ciò che ogni persona vedeva davvero quando lo incontrava o se qualcuno potesse, invece, discernere ciò che aveva sempre nascosto con cura a tutti – tranne che al genitore.

Cosa c’era di male nel desiderare ardentemente il potere e volersi dichiarare sempre più potente di altri? Era nella sua natura di demone ambire a certe cose e, in quanto dai-youkai di una stirpe nobile come la sua, era maggiormente suo diritto erigersi come essere superiore, voler cancellare chi non era degno di essere in sua presenza. Cosa ci trovava, invece, suo padre nell’intrattenersi con quest’ultimi? Cosa se ne faceva di sentimenti così inetti? A lui serviva solo la sete di potere e la rabbia che lo bruciava dentro e lo spingeva ad andare oltre, a volere di più. Ma era bloccato da così tanto tempo in quel suo percorso che aveva cominciato a dubitare delle proprie azioni, a chiedersi se stesse davvero facendo di tutto per arrivare al prossimo passo o se avesse dovuto cambiare strategia. E ciò aveva provocato in lui così tanta insoddisfazione dall’intrattenersi, negli ultimi anni, in uccisioni sempre più numerose, un passatempo che finora aveva funzionato bene come distrazione. Ma per quanto ancora? Fino a quando avrebbe saputo tenerlo a bada? Forse aveva già smesso.

Purtroppo per lui, il suo prossimo obiettivo era stato sconfiggere il padre e sostituirlo nelle vesti di Generale perché sentiva di aver fatto già tutto – e dopo di che avrebbe ucciso il mezzo demone e si sarebbe impossessato finalmente di Tessaiga. Di conseguenza, l’ultimo incontro con Toga era stato come un bagno freddo.

Si trovava a un’impasse – e ciò lo rendeva ancor più furioso.

Era stato preso alla sprovvista, nemmeno in grado di rispondergli nel modo più adeguato, scappando poi come un codardo da palazzo. Avrebbe dovuto riflettere bene sulla sua prossima mossa ed evitare gesti azzardati; si sarebbe preso del tempo perché non aveva nessuna intenzione di tornare ed essere invaso dalla puzza di umani.

Presa quella decisione, si incamminò di nuovo, sempre senza una meta e senza attendere che il suo vassallo – che lo aveva fissato a bocca aperta fino a quel momento – si riprendesse e lo seguisse.

Un attimo dopo, la sua voce gracchiante lo implorò di aspettarlo.

Sarebbero passate settimane prima che qualcuno al castello avesse di nuovo notizie di lui.



***



Inuyasha e Kagome stavano attraversando lentamente i giardini, esplorando una sezione che lei non aveva ancora mai visto, com’era ormai diventata consuetudine da quando era diventata residente fissa a palazzo. Mentre lei osservava la natura attorno a sé, attratta da tutta quella bellezza, il mezzo demone preferiva concentrarsi sui raggi del sole pomeridiano che si infrangevano sulla sua chioma scura, sul sorriso sincero che le illuminava il viso o sui suoi occhi che brillavano; spesso era distratto dal rosso sulle sue guance, dalle sue labbra piene o dall’odore di lei che lo assaliva nel quale avrebbe voluto volentieri affondare. Ogni cosa di Kagome lo attirava e richiamava il suo demone interiore che non era tanto contento del periodo d’attesa che gli era stato imposto; lui avrebbe preferito farla subito sua, perdersi in lei e marchiarla a fondo.

Inuyasha non aveva mai fatto pensieri simili, ma ora si ritrovava ad esserne preda sempre più spesso: i dettagli non mancavano mai né le immagini che il demone gli mandava per indurlo in tentazione e abbandonare ogni buona intenzione o attesa; il suo corpo era preda di desideri a cui non aveva mai prestato attenzione e ai quali, però, si opponeva ancora, non dandogli alcun reale sfogo; la tensione era diventata ormai una realtà concreta, così come la lotta interiore. Tutto ciò lo coglieva impreparato.

A volte, provava vergogna nell’affiancare simili sensazioni al nome di Kagome. Sapeva che erano normali e che, se avesse osato parlarne al padre, questi lo avrebbe preso in giro prima di ribadire concetti che era stato abbastanza sentire anche solo una volta, ma aveva così tanto rispetto di lei e di chi era per riuscire ancora ad associare tanta innocenza alla passione che lo struggeva. Si diceva che non avrebbe dovuto preoccuparsi di cose del genere perché non avrebbe comunque potuto metterle in pratica presto – se mai – ma, nel frattempo, tentava di tenere a bada se stesso lasciandosi andare nella santità delle proprie camere, mentre si dava piacere da solo ripensando a quelle stesse labbra che desiderava baciare o al sangue che le affluiva sulle guance, rendendola ancora più desiderabile. E quando si separavano alla fine delle loro passeggiate, faceva fatica a trattenersi per non farle capire l’intensità di quelle emozioni sia fisiche che non, dicendosi che, in realtà, nemmeno lui era pronto per un passo del genere e che, in fin dei conti, il suo obiettivo non era di certo spaventarla.

Inuyasha era convinto che suo padre fosse ben consapevole di ciò che stava avvenendo in lui – poteva aver fatto qualche commento qua e là, non solo per farsi due risate, ma anche per fargli capire che era una reazione normale in quanto aveva trovato l’anima a lui destinata e il suo demone non ragionava in modo razionale, dunque, non capiva il motivo per cui aspettava –, ma in risposta lui sapeva solo lanciargli occhiatacce. Era facile per Toga ridere; dopo tutto, lui si era unito alla sua anima gemella dopo solo una settimana.

“Inuyasha? Qualcosa non va?” domandò Kagome vedendo la smorfia sul suo viso e distogliendolo da quei pensieri.

Lui si rese conto di essersi fatto prendere troppo da certe riflessioni e tentò di nascondere ogni sua reazione, anche se il rossore sulle sue guance non poteva sparire così facilmente. Scosse la testa e si grattò la nuca, nervoso. “Uh, ecco, stavo ripensando a una cosa che mi ha detto mio padre.” Non era una bugia, dopo tutto.

“Nulla di preoccupante, spero,” replicò lei.

“No, tranquilla.” Le sorrise e poi allungò il braccio cercando la mano di lei, per stringerla, come se fosse la cosa più normale del mondo. Ma proprio quando le loro dita stavano per sfiorarsi sembrò rendersi conto di quanto sfacciato fosse stato e la ritirò come scottato, arrossendo ancora di più e mormorando scuse incomprensibili. Entrambi volsero lo sguardo da parti opposte per nascondere l’imbarazzo che, ancora, certe azioni all’apparenza semplici provocavano in loro.

Stavano facendo passi da giganti e avevano già imparato molto l’uno dell’altra, ma molte altre cose erano ben lontane dall’essere raggiunte.

“Oh, beh, spero che sia rimasto soddisfatto dell’incontro con la mia famiglia,” commentò infine lei dopo un po’ per rompere il silenzio che era sceso su di loro. Quella mattina erano andati via dopo aver trascorso alcuni giorni a palazzo per conoscere i genitori di Inuyasha e discutere delle nozze imminenti – ma non così imminenti.

Dopo qualche settimana, durante le quali si erano scambiati missive, finalmente il nonno, la mamma e Sota erano giunti accompagnati da Miroku e Sango, i quali avevano portato anche una sacerdotessa che, a detta del monaco, era perfetta per continuare l’addestramento di Kagome.

Kaede era una donna molto stimata dalle parti in cui era cresciuto Miroku e siccome gli era giunta voce che aveva lasciato il proprio posto alla sua vecchia apprendista, aveva pensato bene di chiederle questo favore quando era andato a trovare il proprio mentore. L’anziana donna si era detta incuriosita dalle parole del monaco e aveva voluto accertarsi da sola del potenziale di Kagome; non era stata delusa e aveva accettato l’incarico quando le due erano state presentate. Tuttavia, le aveva fatto capire senza mezzi termini di essere una persona molto esigente e che non le avrebbe fatto sconti: i loro studi sarebbero stati impegnativi e avrebbero dovuto rimediare anche al tempo trascorso senza fare nulla. Kagome sapeva di essere all’altezza delle sue aspettative – non aveva mai dubitato delle proprie capacità –, ma sperava solo non le fosse fatta tanta pressione come accadeva al vecchio villaggio. Miroku, però, percependo quest’ultima reticenza, le aveva assicurato le buone intenzioni di Kaede; non aveva ragioni per temere, le aveva detto.

Erano stati giorni sereni e sia Inuyasha che Kagome erano stati contenti di vedere le loro rispettive famiglie andare d’accordo e lei sapeva che il nonno era stato particolarmente soddisfatto di osservare come stava conducendo la propria vita a palazzo, di come veniva trattata e delle opportunità che le erano state date. Ichiro era ancora più sicuro di aver preso la giusta decisione quello sfortunato giorno. Fu anche contento di constatare come la coppia si stava pian piano avvicinando e che Inuyasha non stava in alcun modo approfittando della nipote o andando oltre ciò che era consono. A volte, lontano da lei e roso dalla preoccupazione, aveva temuto che Kagome fosse entrata in una relazione che non prevedesse felicità, ma vederli insieme confermava solo la prima impressione che aveva avuto di Inuyasha.

E quando si erano separati quel mattino, l’aveva abbracciata stretta mormorandole che era fiero di lei e che tutto sarebbe solo migliorato da quel momento in poi. Aveva tutto il tempo e le ragioni per godersi la sua nuova vita.

L’unica nota negativa di quei giorni era l’umore non proprio felice di Toga, un contrasto anche troppo evidente rispetto a ciò che Kagome aveva imparato a conoscere da quando viveva lì. Tuttavia, l’assenza sempre più prolungata del primo figlio preoccupava il Generale e sebbene a lei non dispiacesse il non dover incontrare Sesshomaru per i corridoi, comprendeva anche i sentimenti del Grande Demone Cane. Non voleva nemmeno immaginare la sua reazione all’arrivo di altri umani in quelle terre.

“Ah, direi che questo è poco ma sicuro,” la rassicurò Inuyasha. “Non riesco a capire come sia possibile, visto quanto sono diversi, ma pare proprio che siano andati d’amore e d’accordo. E papà aveva solo cose belle da dire nei riguardi di tutta la tua famiglia stamattina.” Anche questo era vero: aveva parlato della serietà e degli apparenti buoni valori del nonno, della gentilezza e dell’affetto che la mamma esternava e sottolineato l’ottimo rapporto di Kagome e Sota – e Inuyasha aveva notato anche lo sguardo perso del padre mentre si soffermava su quest’ultimo punto, senza dubbio pensando a Sesshomaru e al legame inesistente tra i suoi due figli.

Kagome si stropicciò le dita, leggermente agitata, mentre lo osservava. “Sono davvero felice di sentirlo; ero preoccupata che qualcosa potesse andare storto e mi sarebbe sinceramente dispiaciuto. Non avrei voluto ci fosse alcun tipo di discordia o antipatia tra le nostre due famiglie.”

Inuyasha sorrise, notando immediatamente con che naturalezza la ragazza aveva parlato, e a suo modo sollevato di sapere che anche lei condivideva certe speranze come lui, speranze che conducevano sempre all’immagine di una loro vita futura. Insieme. Annuì. “Sarebbe stato difficile che qualcosa andasse storto,” la consolò – sebbene anche lui aveva nutrito dubbi a un certo punto, generati dalle proprie ansie immotivate. “Tuo nonno avrebbe dovuto essere un purista della razza umana affinché accadesse, ma siccome non ha avuto nulla in contrario quando ho chiesto la tua mano, direi che era impossibile.”

Lei ricambiò il sorriso. “Hai ragione. Ora dobbiamo solo sperare che lui e tua madre non ci mettano troppa pressione per il matrimonio.” Arrossì mentre lo diceva. “Vorrei avere l’opportunità di conoscerti ancora un po’ di più; ho apprezzato molto il tempo trascorso insieme in queste ultime settimane e sono sicura ci siano ancora tante cose da scoprire.”

E ce n’erano state di cose che avevano condiviso durante quelle pause pomeridiane.

Inuyasha le aveva parlato del senso di appartenenza che provava quando era con i suoi genitori che, però, era in contrasto con quello di alienazione che percepiva da solo o con demoni che non approvavano la sua stessa esistenza. Lo stesso era in parte diminuito, le aveva confessato, quando aveva conosciuto Sango e in seguito Miroku, i suoi primi veri amici e coloro che gli avevano donato un po’ di speranza. Era riuscito anche a spiegarle perché il loro incontro gli era ugualmente risultato sorprendente per quanto a lungo avesse creduto fosse impossibile.

Kagome, invece, raccontò del suo addestramento, delle giornate libere insieme al fratello e alle poche compagne che ricordava con affetto nonostante il modo in cui aveva dovuto allontanarsi da loro e dei ricordi del padre. Aveva accennato anche a una famiglia di kistune che aveva salvato e che aveva rivisto di tanto in tanto, stupendo ancora di più il fidanzato per quell’azione pura e altruista.

Condividere le proprie esperienze e ciò che di più caro avevano aveva contribuito a unirli ed avvicinarli mentre i lacci che avevano unito le loro vite quel primo giorno andavano stringendosi sempre di più fino a che, quando sarebbero diventati tutt’uno, niente più avrebbe potuto dividerli.

Arrivarono, infine, di fronte alla camera di lei e facendosi coraggio, Inuyasha riuscì a superare l’imbarazzo e a stringerle le mani tra le sue, guardandola fissa negli occhi e offrendole un sorriso che metteva in risultato la dentatura perfetta e affilata. “Troverò sicuramente qualcos’altro da dire per intrattenerti,” ammiccò. Poi, prima che l’ansia potesse impadronirsi di nuovo di lui, le spostò una ciocca che le cadeva sulla guancia e sfiorò la stessa con le labbra. Fu un contatto flebile e a malapena percepibile, ma per entrambi risultò alla stregua di un fuoco che divampa, improvviso e maestoso, da una piccola fiamma. Infine, dopo un saluto appena accennato, scomparve dalla vista di lei, lasciandola imbarazzata ma contenta.

Kagome sorrise continuando a osservare il corridoio verso il quale il mezzo demone era sparito e poi si ritirò nelle proprie stanze, incredula ma soddisfatta di tutti i progressi che stavano facendo.

Inuyasha era entrato nella sua vita in una fase tutt’altro che positiva e, per questo, si rendeva conto di non aver reagito nel migliore dei modi. Ma riflettendo ora sulla piega che tutto stava prendendo, non lo avrebbe sostituito per nessun altro. Il cuore un po’ le si stringeva per il rimorso e per il povero Hojo con il quale avrebbe dovuto essere già sposata, ma Inuyasha aveva risvegliato in lei sentimenti che non credeva fossero possibili e aveva ogni intenzione di farli fiorire e sbocciare. Era troppo tardi per tornare indietro né avrebbe voluto.



***



Jaken era stanco e troppo vecchio per mantenere quel regime; erano settimane che camminavano senza sosta e sostentamento – soprattutto perché il padron Sesshomaru non apprezzava il cibo degli umani – e non credeva avrebbe retto ancora a lungo.

Il dai-youkai lo aveva condotto lungo un percorso a lui sconosciuto, non sapeva quale fosse la meta o il loro obiettivo e, a dire la verità, non c’era stata nemmeno chissà quale attività. Certo, avevano sterminato qualche essere debole qua e là e Jaken aveva gioito per il suo padrone, agitando il proprio Nintojo come una clava prima di essere schiacciato per il troppo gracchiare, ma l’assenza di nemici e battaglie formidabili stava cominciando a stancarlo. Di solito, i vagabondaggi con Sesshomaru promettevano più avventura di quella attuale. Con suo grande disappunto, ammise tra sé e sé che forse l’umore ancora ombroso del demone stava condizionando tutto il resto.

Ma non era colpa sua, pensò Jaken fissando lo sguardo su quella maestosa figura, gli splendenti e setosi capelli d’argento che nessuno avrebbe eguagliato, la folta mokomoko e la regalità con la quale camminava; il signor padre e quel mezzosangue indegno erano gli unici responsabili dell’attuale situazione di Jaken.

Così occupato con quei pensieri che si erano concretizzati con una smorfia sul suo volto verdastro non si rese conto che Sesshomaru si era fermato all’improvviso, irrigidendosi. Il piccoletto finì ancora una volta per scontrarsi con le gambe del padrone e poi con il sedere a terra. Si rialzò immediatamente, si inchinò e fece per aprire la bocca e scusarsi, quando si rese conto del silenzio inquietante che li circondava e della mancanza dell’aura arrabbiata che di solito seguiva quegli incidenti. Alzò il volto di scattò e rivede Sesshomaru ancora fermo in quella posizione, spalle sempre più tese.

Poi, in un attimo, era scomparso e l’unica traccia che era rimasta a Jaken era l’ultimo bagliore del sole, ormai sul punto di tramontare, sulla chioma argentea che poco prima aveva ammirato. Il kappa rimase a bocca aperta, interdetto, non riconoscendo le azioni del dai-youkai. Poi si riprese, improvvisamente entusiasta: forse il suo padrone aveva fiutato qualche nemico degno di lode e avrebbe assistito a qualche massacro interessante! Ma non aveva nemmeno finito di formulare quel pensiero che dei ringhi dietro di lui lo scossero da quella fantasia. Voltandosi, e tremando di conseguenza, Jaken si ritrovò faccia a faccia con un branco di lupi affamati.

Sbiancò e poi, con una velocità che in condizioni normali non avrebbe mai raggiunto, scappò nella stessa direzione urlando “Signor Sesshomaruuuuuu” e cacciando fiamme dal suo fedele bastone nel tentativo di tenere a bada quelle bestie.

Questa volta il padrone lo aveva davvero lasciato nei guai e sperava di non rimetterci anche le penne!







N/A: Ma salve!
Come potrete notare le cose cominciano a farsi ancora più interessanti e la lancetta dell'orologio è andata un po' avanti. Focus ancora su Sesshomaru questa volta e presto scoprirete anche cosa gli è preso all'improvviso... mmmmh.

Ci rileggiamo tra due settimane, un bacio a tutti ❤

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Capitolo 11
*** X — Destino Infausto ***


Capitolo X: Destino infausto



 

 

“E questo più umano amore (che si compirà infinitamente attento e sommesso, e buono e chiaro nel legare e sciogliere) somiglierà a quello che noi con lotta faticosa prepariamo, all’amore che in questo consiste, che due solitudini si custodiscano, delimitino e salutino a vicenda.”

 

Lettere a un giovane poeta, Rainer Maria Rilke

 

 

 

Erano settimane che andava avanti in quel modo e non credeva che presto sarebbe cambiato qualcosa. Sesshomaru non osava tornare al castello perché non aveva avuto modo di sfogare la sua ira o di riflettere sul serio sull’ultimatum – essendo questo ingiusto ai suoi occhi – e perché sapeva benissimo che, tornato, quell’umana sarebbe stata ancora lì. E non aveva alcuna intenzione di condividere il suo spazio. Certo, non era da lui darla vinta a certe persone, ma il padre era sul piede di guerra e non avrebbe tollerato un altro incidente come quello dell’ultima volta; Sesshomaru doveva escogitare ancora un modo per risolvere quell’impasse a cui era giunto. Di sicuro non sarebbe rimasto a lungo lontano da quelle che erano le sue terre solo a causa di alcuni occupanti indesiderati.

Mentre rifletteva sulla piega che la sua vita aveva preso – anche prima degli ultimi eventi – un odore attraente, e al tempo stesso disturbante, lo colse di sorpresa. Non sapeva cosa lo avesse esattamente sorpreso, ma solo che dietro quel fascino percepiva il pericolo a cui sarebbe andato incontro nel caso in cui avesse deciso di inseguirlo. L’istinto di sopravvivenza sembrava dirgli di andare dalla parte opposta e dimenticare tutto, ma uno ancora più profondo e animale – che lo artigliava da dentro e scalciava – lo spingeva avanti. Rimanere lì fermo e immobile gli stava costando uno sforzo immane.

Quel che era peggio, e perciò lo sconvolgeva, era che la razionalità dietro quella lotta interiore gli sfuggiva.

Però, quando a quel profumo si aggiunse l’inconfondibile sentore di sangue, la sopravvivenza non ebbe più importanza e il secondo istinto ebbe la meglio su di lui. Si mosse prima ancora che il suo cervello potesse registrare il movimento e qualche secondo dopo era sparito dalla radura, raggiungendone a breve un’altra, non silenziosa, ma al contrario già occupata.

Davanti a lui c’erano gli esemplari di umani che più odiava, dei disertori diventati banditi. Non comprendeva come si potesse abbandonare l’esercito al quale si sarebbe dovuto essere devoti, andare contro i propri principi, fingere di averli o – peggio – l’assenza di essi. Quei ladruncoli si credevano potenti e superiori, peccato solo che per dimostrare la propria supremazia attaccavano esseri più deboli di loro. Quell’atteggiamento, purtroppo, era comune anche tra i ranghi demoniaci e la codardia era qualcosa che Sesshomaru non aveva mai sopportato. Quando si rese conto che erano anche la causa del sangue mischiato al profumo a cui tanto anelava la sua rabbia aumentò esponenzialmente. Non ne conosceva ancora la fonte, ma il fatto stesso che l’avessero contaminato gli tingeva gli occhi di rosso.

I banditi, insieme alle loro vittime, non si accorsero subito della presenza del demone, anche perché Sesshomaru era sempre molto silenzioso. Tuttavia, quando una delle ragazze loro prigioniere sussultò, l’attenzione si concentrò tutta sull’intruso e le teste scattarono in quella direzione.

Gli uomini erano sporchi, rozzi e senza un minimo di intelligenza, constatò Sesshomaru osservando le loro reazioni – non che avesse mai avuto dubbi. Delle smorfie si dipinsero sui loro volti, sostituite poi da maschere di rabbia.

Uno di loro – il leader, probabilmente – si avvicinò brandendo una katana di scadente fattura; l’unica che era riuscito a rubare o un simbolo della povertà dell’esercito che aveva disertato? La sua andatura voleva essere minacciosa, ma in realtà barcollava, le spalle erano cadenti e gli occhi per nulla lucidi. Il dai-youkai continuò a fissarlo impassibile, per nulla contento della sua presenza o del tempo che stava sprecando, ma conscio che quell’essere ignorante meritasse una lezione. Già in passato era stato scambiato per un semplice nobile a causa dei suoi lineamenti più aggraziati e del suo portamento fiero e sembrava che la cosa fosse destinata a replicarsi in quell’infausto giorno in cui tutto era già cambiato – solo, il demone non se ne era ancora accorto.

“Ti conviene portare via quel visino immacolato se non vuoi rogne,” sibilò l’uomo, il fiato puzzolente di sakè. “Questo non è posto per te, principino.” Ghignò, ma in un secondo quel sorriso venne cancellato. Ma non riuscì nemmeno a sgranare gli occhi, resosi finalmente conto di chi, o cosa, avesse davanti, perché la sua testa rotolò a terra dopo che – con un movimento altrettanto aggraziato del polso – Sesshomaru lo ebbe colpito.

Un silenzio inquietante scese nella radura, per poi essere rotto dalle urla dei banditi rimasti. Stranamente, furono proprio le donne a rimanere quiete, voltando semplicemente il volto da quel massacro e accucciandosi l’una contro l’altra.

In poco tempo tutto finì e Sesshomaru era ancora immacolato quando la voce gracchiante di Jaken, che aveva finalmente ritrovato il proprio padrone, raggiunse le sue orecchie e sostituì quella dei codardi ormai morti. Il demone non vi prestò attenzione e, invece, ridusse a due fessure gli occhi e li puntò verso la fonte dell’odore che l’aveva portato in quel luogo.

Una sola ragazza non aveva distolto lo sguardo da quella scena e ora stava incrociando i suoi occhi crudeli senza paura, la testa alta e un’espressione determinata sul volto mentre con le braccia circondava le spalle di quella che poteva ancora definirsi una bambina. Le altre stavano tremando, forse pensando che avrebbero fatto la stessa fine dei loro rapitori, e non avevano nemmeno il coraggio di voltarsi, ma lei era lì che lo fissava senza timore.

Quell’atteggiamento lo attraeva e disgustava allo stesso tempo, ma soprattutto lo lasciava basito la bestia che era rimasta assopita dentro di lui per secoli e ora scalciava e si dimenava, pretendendo di essere liberata. Perché mai quella ragazzina suscitava in lui quelle reazioni? Era un’umana, la stessa razza debole dalla quale si era allontanato lasciando il castello. Perché ora ne aveva, pur se inconsapevole, inseguita un’altra, salvata un’altra? Perché – e su questo non aveva dubbi – era lei il motivo per cui la presenza dei banditi gli aveva suscitato tanta ira. La guancia rossa e insanguinata era ciò che aveva contaminato il profumo di lei e, stranamente, a Sesshomaru non fece piacere.

La osservò meglio, con occhio critico, non capendo cosa nascondesse davvero o se fosse altro rispetto a ciò che l’apparenza dichiarava. Aveva lunghi capelli castani tenuti sciolti, mentre un piccolo codino spiccava a lato, più in basso, dopo essere stato chiaramente strattonato con violenza. Sesshomaru ringhiò nel constatarlo e il suono riverberò nella radura spaventando chiunque, anche Jaken, ma non lei. La sua pelle era leggermente dorata – come quella di un qualsiasi umano abituato a trascorrere le proprie giornate all’aperto – e il kimono di scarsa stoffa, a quadri arancioni e bianchi, era anch’esso sporco e insanguinato. In breve, portava i segni di quel che era stato il suo rapimento, eppure, solo il suo lo infiammò di rabbia; quello delle compagne non gli attraversò nemmeno la mente.

E mentre la osservava guardingo e severo lei non aveva distolto nemmeno per un attimo lo sguardo o dimostrato in alcun modo timore verso di lui. Sesshomaru dovette riconoscere il coraggio di quella donna, ma anche la sua insolenza. Tuttavia, anche se per ora dimostrava di avere più fegato di tanti altri prima di lei, le circostanze non cambiavano: era il primo essere umano a non disgustarlo con il proprio odore e ciò doveva pur significare qualcosa per lui.

Accanto a lei, le ragazze cominciarono a mostrarsi inquiete; non erano più disposte ad essere uccise. La bambina tra sue braccia le strattonò leggermente il kimono e sussurrò il suo nome, la voce vibrante di paura, non rendendosi conto che Sesshomaru avrebbe potuto ascoltarla comunque.

“Rin, andiamo via! Voglio tornare a casa!”

Lei non diede segno di averla sentita e la bambina la strattonò ancora.

Rin.

Sesshomaru pronunciò il suo nome in un mormorio che nessun orecchio umano avrebbe mai potuto udire. Non gli diceva nulla né spiegava quella sua reazione apparentemente immotivata, ma la cosa che più lo innervosiva era che nonostante cercasse di disprezzarla e trovare in lei dei difetti, sotto quelle considerazioni rimaneva l’attrazione, il volere inspirare ancora più da vicino quel suo profumo, analizzarlo meglio. Cosa stava accadendo? Che avesse davvero perso il senno?

“Rin, cosa succede?” pretese allora una delle più grandi tra loro. “Dobbiamo andar via; hai visto cosa ha fatto in così poco tempo? È un demone!” sibilò.

Sempre senza distogliere lo sguardo, Rin finalmente parlò e Sesshomaru costatò che avrebbe potuto ascoltare senza sosta quella voce, così come il suo odore non avrebbe mai potuto infastidirlo. “Lo so,” disse solamente, dimostrandogli ancora una volta il suo coraggio. “Voi andate.”

“Non se ne parla; vuoi restare indietro con questo mostro?”

“Questo mostro ci ha appena salvate! O avresti preferito essere venduta alla sala da tè che avrebbe offerto di più per il tuo corpo vergine?” chiese di rimando, voltandosi finalmente verso la compagna. “Scappa ora prima che decida di ucciderti per ciò che hai detto. Io vi raggiungerò.”

“Fai come vuoi,” esclamò allora l’altra, strappandole la bambina dalle braccia e allontanandosi di fretta, gettando solo un’occhiata di sfuggita a Sesshomaru e scuotendo la testa per la pazzia di Rin.

I due continuarono a fissarsi, studiandosi a vicenda, e senza dare all’altro la possibilità di vincere in quella battaglia di sguardi mentre pian piano la radura si svuotava a parte loro due e Jaken.

“Cosa sei?” le chiese infine quando le altre furono fuori dalla sua portata.

Rin sorrise e scosse anch’ella la testa. “Ancora non te ne sei reso conto? Eppure mi sembra abbastanza ovvio. O stai rifiutando inconsciamente la cosa?”

Sesshomaru strinse gli occhi. “Non usare quel tono con me o pretendere di conoscermi.”

“Oh, ma io ti conosco; so qualcosa su di te che tu evidentemente non vuoi accettare… Sesshomaru.” Aveva sentito anche lei il nome urlato dal suo vassallo e pensò scivolasse facilmente sulla sua lingua, con grazia, come qualsiasi cosa che lo riguardasse. “La domanda non è chi sono, ma piuttosto chi sono io per te.”

Sesshomaru si immobilizzò, comprendendo subito ciò che gli stava dicendo e non riuscì – per la prima volta in vita sua – a nascondere la sorpresa.

Lei lo guardò come se gli leggesse nella mente. “Ah, vedo che non è più facile far finta di nulla ora che l’ho detto ad alta voce.”

“Non credere di sapere qualcosa su di me,” ripeté lui sibilando, improvvisamente pieno di rancore nei suoi confronti. “Non so quale idea tu ti sia fatta di me, ma se non seguirai le altre umane presto potresti fare la stessa fine di chi ti aveva rapita.”

Il tono minaccioso era quello che aveva sempre impaurito chiunque lo sentisse e per questo fu ancora più stupito quando la risposta di lei fu un altro di quei sorrisi che stavano tanto bene sulle sue labbra rosee. “Lo sapevo, non appena ti ho visto, che non sarebbe stato così semplice. Ma ho fiducia in te e non la perderò così facilmente. Ti aspetto, Sesshomaru; saprai trovare la via,” concluse infine con tanta confidenza, dandogli le spalle e lasciandolo solo con Jaken che era confuso e scioccato da quell’umana solo poco meno del padrone.

Il suo profumo rimase ancora nell’aria per un po’, avvolgendo Sesshomaru e facendogli dimenticare, per qualche secondo, della rabbia e della sorpresa; gli solleticava le narici e istigava la bestia ancora agitata dentro di sé che gli intimava di seguirla e ignorare ogni briciolo di razionalità, ogni valore che aveva seguito religiosamente fino a quel momento. Ma il demone non si sarebbe fatto comandare nemmeno da quella parte di sé né avrebbe cambiato il suo modus operandi per un incontro del genere o abbandonato la propria morale.

Eppure, era innegabile la battaglia che stava combattendo interiormente e non era così sprovveduto da credere di poterla vincere con facilità. Conosceva le leggende e nonostante non avesse mai dato loro importanza sapeva che presto o tardi avrebbe potuto incontrare qualcuno che si sarebbe introdotto nella sua vita senza chiedere il permesso né dandogli alcuna scelta.

Quando era ancora un adolescente aveva sempre risposto al padre che, fin quando la cosiddetta anima gemella non avrebbe interferito nei suoi piani di conquista avrebbe potuto anche rimanergli accanto – senza dargli comunque troppo fastidio. All’epoca, Toga ne aveva riso, credendo senza alcun dubbio che il figlio non avrebbe saputo resistere a un impulso così primordiale, ma poi era rimasto scioccato dalla determinazione che Sesshomaru aveva dimostrato nei confronti del potere. Oggi, si disse quest’ultimo, la forza che aveva dovuto esercitare per stare lontano da colei che aveva appena trovato avrebbe ugualmente sconvolto il padre. Se l’istinto era così forte allora perché lui riusciva a sopraffarlo? Avrebbe dovuto abbandonarsi a esso ciecamente e invece riusciva a combatterlo. Non significava, forse, che dopo tutto le leggende erano semplici fandonie? A governare la vita doveva essere la razionalità non certe favole che anche gli umani condividevano.

Sicuramente tutta quell’attrazione che aveva provato per la ragazza era data dal destino che amava prendersi gioco di lui e metterlo in difficoltà in un momento in cui già non tutto stava andando secondo i suoi piani. Era solo un altro ostacolo, nulla che non avrebbe potuto superare. E se non ci fosse riuscito avrebbe potuto sempre ucciderla, si disse infine, ignorando il malessere che lo colse quando quel pensiero venne formulato o la bestia che ruggiva oltraggiata in risposta. Non avrebbe mai accettato che davanti a lui si prospettasse un destino intrecciato a quello di un’umana, qualcuno che aveva trascorso tutta la sua esistenza a odiare. Lui non era come suo padre e non era disposto ad esserlo.

Voltandosi e tornando sui propri passi, fece cenno a Jaken di seguirlo e cambiò del tutto rotta. Avrebbe risolto anche quel grattacapo, determinò certo e non si sarebbe fatto spaventare da un’inezia simile. Tuttavia, prima di prendere il volo, negò già quel proposito quando inconsapevolmente inspirò per far sì che quell’odore per lui paradisiaco lo avvolgesse un’ultima volta.


 

*** 


 

Era pomeriggio inoltrato e fuori, nei giardini, Inuyasha e Kagome erano seduti su una piccola panchina di pietra con pochi centimetri a dividerli mentre osservavano il cielo farsi sempre più arancio e una brezza leggera scompigliava loro i capelli, i quali si incontravano formando un contrasto e replicando l’intreccio del filo del destino.

Kagome continuava a sospirare contenta, mentre lui allungava e ritirava la mano in quel breve spazio che li divideva sfiorando quella di lei e provocandole brividi che viaggiavano per tutto il corpo. L’imbarazzo scemava man mano che i contatti diventavano più frequenti – anche se procedevano a piccoli passi – e la paura di fare qualcosa di sbagliato era sempre minore, sostituita dall’eccitazione per sentimenti nuovi che li coglievano e li facevano sorridere in vista del viaggio che li attendeva.

La giovane sacerdotessa si era integrata in quella ormai non più nuova routine con serenità e le ombre che l’avevano inseguita fino a poco tempo prima sembravano quasi del tutto sparite. Le lezioni con Kaede procedevano a gonfie vele e nonostante certe volte la stanchezza le impediva anche di godersi le passeggiate con il fidanzato, continuava ad eccellere e i progressi non mancavano. Il rapporto con i genitori di Inuyasha era saldo e sano e, soprattutto, era contenta di aver stabilito un’amicizia con Izayoi, la quale all’inizio le era sembrata un po’ una donna irraggiungibile. Kagome aveva imparato che nonostante la sua posizione e la longevità atipica per gli umani rimaneva una persona molto umile e aperta, oltre al fatto che non nascondeva l’affetto e l’ammirazione che nutriva per lei – ed era rimasta decisamente sorpresa la prima volta che aveva scoperto l’intensità di tali sentimenti nei suoi confronti. Ma non erano nemmeno questi aspetti della sua vita a renderla felice come non era mai stata, nonostante la distanza dalla famiglia, quanto rendersi conto del proprio cambiamento.

Sparito era il cinismo che l’aveva contraddista o quel servilismo che, pure con le migliori intenzioni, era sempre stato parte delle sue azioni precedenti la fuga dal villaggio. Aveva sempre dichiarato con fierezza di essere indipendente rispetto alle altre ragazze più inconsapevoli, ma in realtà non si era mai accorta della gabbia in cui aveva vissuto fino al momento della sua liberazione; le stesse lezioni con Hitomiko-sama ne erano state parte. All’inizio il rancore e il risentimento per essere stata scacciata da essa senza avvertimento o spiegazione l’avevano fatta reagire in modo più acerbo nei confronti del nuovo, ma era bastato intraprendere un percorso di meditazione e aprire gli occhi a ciò che la circondava per capire la verità. E comprendeva anche perché Izayoi, a così tanti anni di distanza dall’accaduto, ripensava con un sorriso a quello che era stato il peggior evento della sua vita. Ma Kagome sapeva anche che non era stata la fatalità a scatenarlo, piuttosto le conseguenze che l’avevano condotta fino a quel momento, dandole ora la possibilità di osservare la felicità sul volto dell’amato figlio.

Tuttavia, quella calma non era destinata a durare per sempre perché quella sera stessa, Toga informò loro di alcune voci per nulla confortanti che giungevano dai confini a Sud. L’Inu-no-Taisho aveva imparato anni prima che non conveniva tenere nascoste alla compagna certe notizie, per quanto spaventose potessero essere, quindi era abitudine condividere tutto. Questa volta si trattava di alcuni incidenti pochi chiari, ma troppo simili per potere essere definitivi coincidenze, che si stavano verificando ai danni delle terre che governava e, soprattutto, difendeva.

“Secondo il Comandante che mi ha riportato l’accaduto, questo gruppo di demoni che sta depredando e distruggendo i confini a Sud è capitanato da un individuo il cui volto nessuno ha mai visto perché gira ricoperto da una pelliccia da babbuino. È evidente che costui deve aver studiato molto bene le sue mosse e se oggi ne siamo a conoscenza è perché lui ha voluto farcelo sapere,” commentò Toga, grattandosi il mento. “Il vero problema è capire perché si sta comportando in questo modo, qual è la fiamma che ha scatenato questa sua volontà e il suo obiettivo.”

“Ho rinunciato da tempo a capire quale potrebbe essere il motivo alla base di ogni attacco che riceviamo, Pa’. C’è tanta di quella gente che ci odia là fuori che non ne usciremmo mai.” Inuyasha aveva un’espressione un po’ scocciata sul volto a causa dell’ennesimo attacco senza apparente motivo, ma in realtà aveva letto senza problemi il sottotono impensierito nella voce del padre e quello lo preoccupava più della notizia stessa.

“Sì, sì, ma è proprio questo quello che voglio farti capire, Inuyasha. Non è il solito attacco a caso o tentato nella speranza di un colpo di fortuna. È ben studiato e architettato, il che ci fa capire che chi c’è dietro ha trascorso un po’ di tempo a programmare tutto, ci ha studiati e ha un obiettivo ben preciso. Cosa ha scatenato tutto questo? Cos’è cambiato da garantire una risposta del genere?”

Il mezzo demone scrollò le spalle e tornò al suo riso; tutte quelle parole gli avevano fatto venire una fame da lupi. Izayoi, di fronte a lui, aveva un’espressione pensierosa sul volto; lanciò un’occhiata di sfuggita a Kagome che si stava mordicchiando il labbro e osservava Inuyasha che mangiava come se non ci fosse nessun problema al mondo, e poi si rivolse al marito. “Caro, forse c’entra l’assenza prolungata di Sesshomaru?”

Lui sussultò. “Non starai suggerendo che mio figlio si sia coalizzato contro di me?!”

La moglie allungò la mano e gli toccò il braccio per tranquillizzarlo. “Non lo farei mai, Anata. Per quanto Sesshomaru non mi abbia ancora accettato lo sai che gli voglio bene e ho stima di lui al di là delle scelte che non comprendo. Questa tuttavia non è un’ipotesi che collegherei mai a lui.” Toga annuì, rincuorato. “Ma non puoi negare che i suoi sostenitori potrebbero essere un po’ incolleriti; forse qualcuno è venuto a sapere della vostra ultima conversazione o ha immaginato chissà quale scenario vedendo Kagome qua e Sesshomaru via.”

“Di quale conversazione parlate?” si intromise Inuyasha agitando le orecchie.

“Oh, no, non sarà davvero a causa della mai presenza?” chiese Kagome ora cento volte più nervosa di prima.

“Sono cose riservate tra me e tuo fratello maggiore, Inuyasha, pertanto, non credo sia opportuno risponderti.” Inuyasha sbuffò, ma il padre lo ignorò prima di rivolgere un sorriso confortante a Kagome. “Figliola, non pensare mai che non apprezziamo e accogliamo con piacere la tua presenza qui a castello. Posso dire con sincerità che hai apportato serenità alla nostra vita quotidiana e te ne sono grato. Purtroppo, però, alcuni degli abitanti di queste terre non accettano ancora la mia compagna quindi non è una questione che devi prendere sul personale, ma piuttosto da ricondurre al razzismo che sia qui che nel tuo vecchio villaggio vige prepotente. Non voglio che tu ti preoccupi per una cosa del genere. Ora su, torna a mangiare.” Ammiccò mentre Inuyasha replicava il gesto della madre per consolarla.

Il resto della cena virò su argomenti più leggeri e tranquilli, ma per Kagome il danno era fatto e la pace che aveva provato qualche ora prima e nelle settimane precedenti era del tutto scomparsa, sostituita da un brutto presentimento tornato insistente. Più tardi si rese conto di non essere riuscita proprio bene a nascondere il proprio umore più tetro quando il mezzo demone indagò a riguardo dopo averla accompagnata nelle sue stanze.

In un gesto molto intimo le sfiorò il viso con le dita lunghe e la costrinse e incrociare il suo sguardo. “Ehi, non crederai ancora che tutto questo sia minimamente collegato alla tua presenza qui, vero? Pensavo che ti trovassi a tuo agio con molti degli abitanti; oserei dire che alcuni apprezzano più te che me,” rise nel tentativo di farla sorridere. E Kagome lo fece, anche se il suo non era proprio un sorriso molto convincente.

Scosse la testa. “No, ma…”

“Ma?” la spronò lui.

“Ecco…” Perché all’improvviso si sentiva così in difficoltà? Lui non l’avrebbe presa in giro anche se la sua fosse una paura immotivata, vero? Inuyasha le aveva dimostrato ampiamente che oltre lo strato burbero e grezzo, c’era quello morbido ed empatico; talvolta le modalità in cui lo dimostrava lasciavano a desiderare, ma si era resa anche accorta che non avrebbe cambiato nemmeno quel suo aspetto. Lo am-; scosse la testa non concludendo quel pensiero, non essendo ancora in grado di affrontarlo – non quella sera –, ma prima che potesse parlare sul serio fu interrotta.

“Cosa ti spaventa?” le chiese dolcemente, stupendola. Inuyasha era così, dopo tutto: quasi sempre anche le sue dimostrazioni d’affetto erano burbere, ma poi quando meno se lo aspettava la sorprendeva con una dolcezza che lo stesso mezzo demone avrebbe rinnegato a vita se glielo avesse fatto notare.

“È stupido, però-”

“Nah, le paure non sono mai stupide. Ognuno ha le proprie, non per questo andrei in giro a sminuire quelle degli altri,” le disse con saggezza.

Kagome abbassò il viso e cominciò ad agitarsi prima che Inuyasha glielo rialzasse spostando le dita lungo il suo mento. “Però ho questa sensazione che pensavo fosse scomparsa e invece è tornata appena tuo padre ha parlato di quegli attacchi. Da quando… da quando abbiamo saputo che Onigumo è scomparso continuo a pensare che è tutto troppo semplice. Non è mai stato quel tipo di persona che si arrende così facilmente e non posso credere che lo abbia fatto ora. Ho il presentimento che ricomparirà nel peggiore dei modi e che sarà troppo tardi e allora io, ecco, noi, la mia famiglia e-”

“Ehi, ehi, fermati prima che sia troppo tardi. Fammi capire, hai paura che Onigumo c’entri con questi attacchi?” Kagome annuì silenziosa. “Kagome,” ricominciò, “Papà ha parlato di demoni, Onigumo è sempre stato umano, giusto? Ti ha mai dato l’impressione che nascondesse qualcosa?”

“Beh, un’anima nera sicuramente,” borbottò arrabbiata al solo pensiero.

“Non l’ho mai incontrato, ma dubito che la nascondesse così bene,” la contraddisse lui. “Da quello che mi hai raccontato ne faceva un vanto. Ma ciò che voglio dire è che nel nostro mondo è praticamente impossibile che un umano diventi un demone da un giorno all’altro. Questo dovrebbe rassicurarti.” Le sorrise, ma lei non era ancora convinta.

“Praticamente non esclude la possibilità che possa accadere.”

“Va bene, te lo concedo, ma ti assicuro che se c’è sarebbe stato assolutamente impossibile per lui renderla praticabile. Per quanto ne sappiamo potrebbe essere già morto. Ti va bene così?” Ammiccò e la sua espressione alla fine la fece scoppiare a ridere.

“Va bene,” ripeté la giovane.

“Posso lasciarti sapendo che questa notte farai sogni tranquilli?” All’ennesimo cennò si sporse ancora verso di lei e le posò un casto bacio sulla fronte, prima di darle la buonanotte e andarsene suo malgrado – perché, se avesse potuto e avesse avuto il coraggio, sarebbe rimasto con lei tutta la notte.

E forse per quella sera ogni dubbio era stato messo da parte, ma il giorno dopo si sarebbero risvegliati preoccupati, ancora di più perché il futuro, anche se ignoto, non appariva più del tutto roseo. Non lo era mai, ma in seguito le nuvole sarebbero sembrate a tutti un po’ più infauste.




 


N/A: Salve a tutti e scusate se non sono riuscita a pubblicare ieri, ma spero comunque che l'aggiornamento vi sia piaciuto. 
Finalmente ho presentato Rin, ma se credevate che per lei e Sesshomaru ci sarei andata piano mentre Inuyasha e Kagome lavoravano duramente mi sa che vi ho appena rotto le uova nel paniere, per così dire. Anche loro si dovranno dare da fare perché, se non lo avevate ancora capito, questa sarà anche una soulmate AU ma il concetto di amore a prima vista non è stato preso nemmeno in considerazione. 
Vi mando un bacione e aspetto i vostri commenti. A presto 💖.

 

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Capitolo 12
*** XI — Arroganza ***


Capitolo XI: Arroganza

 

 

“If these clouds don’t clear

Then we’ll rise above it, we’ll rise above it

Heaven’s gate is so near, come walk me through”

 

Before the worst, The Script

 

 

“Bene, è deciso allora: partiremo all’alba domani,” proclamò Toga poco tempo dopo. Sarebbero andati con un piccolo contingente a indagare sui disordini a Sud e, magari, gli abitanti si sarebbero tranquillizzati nel vedere l’Inu-no-Taisho all’opera. Se era vero che la situazione stava per farsi più pericolosa, era quanto più importante cercare di portare conforto laddove possibile. Non desideravano, d’altronde, anche rivolte interne. Ovviamente, anche Inuyasha lo avrebbe accompagnato – e Sesshomaru, se solo fosse stato presente.

Il mezzo demone annuì soltanto, percependo la gravità della situazione e poi salutò la madre che era appena arrivata, prima di lasciare i genitori da soli e recarsi da Kagome per darle la notizia della partenza imminente.

Izayoi guardò il compagno che le dava ancora le spalle con occhi pieni di ansia e poi lo avvicinò con calma, cingendogli la vita da dietro e poggiando la guancia tra le sue scapole. L’effetto che quel gesto ebbe su di lui fu immediato: rilassò le spalle e rilasciò il fiato che non si era nemmeno accorto di aver trattenuto, poi coprì il braccio di lei con il suo e la strinse ancora più a sé, cercando di fondersi con lei e trarne quanto più conforto possibile. Perché, se c’era una persona in grado di farlo sentire meglio – anche in momenti del genere – era la sua amata Izayoi.

Rimasero in quella posizione per qualche minuto, in silenzio, poi Toga si voltò e senza sciogliere l’abbraccio, affondò il viso nella sua chioma scura, ispirando profondamente e godendo dell’effetto che quell’aroma così familiare e amato aveva sulla sua anima in giorni così tormentati. Rabbrividì di piacere, poi le poggiò le labbra sul collo e infine si allontanò quel tanto per guardarla in viso e leggere nei suoi occhi le emozioni che condividevano.

Si baciarono come se il tempo a loro disposizione fosse quasi finito e si aggrapparono l’uno all’altra tentando di far sparire ogni paura e minaccia esterna; accolsero il calore che andò espandendosi in tutto il loro corpo come risultato e lasciarono che l’intensità di quello scambiò parlasse per prima. Quando si separarono, Toga asciugò con il pollice una lacrima solitaria sulla guancia di lei, che nemmeno si era accorta di aver cominciato a piangere, e poi la trascinò dall’altra parte della stanza, accanto alla scrivania, facendola sedere tra le sue gambe e continuando ad abbracciarla.

“Sarà come ogni altro viaggio o perlustrazione che abbiamo fatto,” le sussurrò nell’orecchio.

“E allora perché sei così preoccupato? Potrò non avere sensi demoniaci, ma ciò non mi impedisce di accorgermi del modo in cui il tuo corpo parla,” ribatté lei incatenando il suo sguardo a quello di lui. “Tentare di minimizzare la cosa non fa che preoccuparmi ancora di più.”

Toga sospirò. “In realtà… sono più in pensiero per Sesshomaru. Non sappiamo cosa significhino questi attacchi, anche se è certo che non c’è un dilettante dietro, e il pensiero di lui lontano e disinformato non mi fa stare tranquillo.”

“Non è un ragazzino. In più, per quanto è possibile potrebbe saperne anche più di noi.”

“No, certo che no. E io so per primo quanto sia forte e capace. Tuttavia, quando è andato via da qui era in subbuglio e nonostante si vanti del suo sangue freddo, neanche lui è immune a certe emozioni. Non ricordo poi nemmeno l’ultima volta in cui è stato via così a lungo. Sono passate settimane, Izayoi, e non ha mandato alcun messaggio. Lo sapevo che avrebbe reagito male alla nostra ultima conversazione, ma non in questo modo; pensavo che avrebbe lottato non che sarebbe scomparso. In tutto questo poi, le notizie che arrivano non sono rassicuranti e non so più tra cosa devo dividermi.” Le sue spalle si afflosciarono e Izayoi alzò la mano per sfiorargli la guancia con delicatezza. Davanti a lei vi era un uomo e un padre in ansia, logorato dai dubbi; era scomparso il Generale sicuro di sé e imbattibile. Quell’immagine era riservata solo a lei, l’unica che fosse in grado di sollevarlo senza giudicarlo, la donna che lo amava più di ogni altra cosa e per lui avrebbe fatto di tutto.

“Sesshomaru non sarà un ragazzino, ma al momento si sta comportando come tale. Scappare e non farsi più sentire, andar via come se fosse in preda a un capriccio infantile; non fa altro che dimostrare la sua immaturità – motivo per cui credo tu abbia fatto la scelta giusta ad avere una conversazione sincera con lui. Non starò qui a dirti che non hai mai sbagliato, ma fa parte dell’essere genitore; d’altro canto, il suo errore sta nel non aver mai provato a fare un passo verso di te. Ha ancora bisogno di crescere e capire molte cose e non è in certo in grado di sostituirti se ce ne fosse il bisogno. Tuttavia, questo non significa che sia debole o incapace di cavarsela. Non devi aver paura per lui – semmai per coloro che incontrerà sulla sua strada.” Gli sorrise e poi si sporse per baciarlo ancora senza mai togliere la mano dalla sua guancia.

Lui sbuffò. “Quanta verità, Anata. Ma al momento giuro che preferirei avere notizia degli altri casini che ha combinato in preda alla furia piuttosto che non averne nessuna.”

“Tornerà,” lo rassicurò ancora lei, “e chissà, quando lo farà potrebbe anche stupirmi.”

“Dopo tutto quello che ti ha fatto passare in questi anni, non riesco ancora a capire come tu possa avere così tanta fiducia in lui, essere la prima a farmi aprire gli occhi su aspetti di Sesshomaru che io non avrei mai notato. Cosa ho fatto per meritarti? Mio figlio ti dà il tormento e tu lo ricambi dimostrandogli un amore senza misura e, di conseguenza, lo dimostri a me.” Il tono era reverenziale e nei suoi occhi vi era quello stesso luccichio che Izayoi ricordava dal loro primo fatale incontro.

“Hai detto bene, amore mio; è il sentimento che provo per te a farmi amare di conseguenza Sesshomaru. È tuo figlio, e per quanto possa aver sofferto in passato a causa sua, non posso smettere di credere che un giorno assisterò al suo cambiamento. È parte di te, dopo tutto.”

Il compagno rise. “Speriamo tu non debba attendere oltre allora,” le rispose, prima di chinarsi e catturarle le labbra, lasciando da parte per il momento ogni paura e dubbio.

 

*** 

 

Mentre suo padre e sua madre erano occupati altrove, Inuyasha giungeva da Kagome che, come sempre in quel momento della giornata, era fuori in giardino. Eppure l’aria fresca e pulita che si respirava così come lo scenario invidiabile non stavano avendo alcun effetto sul suo animo roso dalle paure e dai dubbi. Il mezzo demone la trovò con lo sguardo appannato e tormentato volto in direzione del sole che non era ancora alto, mentre torceva le mani in grembo e ignorava le lacrime che le avevano solcato le guance. Se anche fosse stato in grado nascondere quei segni, la sua aura altrettanto agitata gli avrebbe rivelato la verità sulle sue sofferenze.

Si avvicinò con cautela per non prenderla alla sprovvista e poi le si sedette accanto, senza sfiorarla davvero ma lasciando pochissimo spazio tra loro; in quel modo entrambi erano più che consapevoli dell’elettricità che traspirava ma non del tutto affetti da essa. Il silenzio, però, era pesante e presto si ritrovò a occuparlo: “Partiremo all’alba di domani.” Solo quando le parole ebbero lasciato la sua bocca si rese conto che forse non erano state quelle giuste per spezzare il silenzio, non quando voleva solo confortarla.

Kagome annuì, incapace di ingoiare il singhiozzo successivo o di rispondere in alcuna maniera. A quella reazione, Inuyasha ruppe del tutto la distanza e la strinse a sé, permettendole di lasciarsi andare e piangere liberamente con il viso nascosto nella sua chioma bianca, e lui si rese conto che anche se il silenzio continuava a fargli paura, nessuna parola avrebbe potuto consolarla tanto quanto la sua presenza – e il suo abbraccio – stavano ora facendo. Kagome aveva bisogno di lui, lì accanto, non solo in quell’istante ma anche il giorno dopo, tra una settimana, un anno e per tutto il tempo che avrebbe voluto. Ma lui presto sarebbe partito e allora non avrebbe più potuto nemmeno sfiorarla e lei sarebbe rimasta sola con le sue apprensioni e inquietudini.

Quando la loro presenza reciproca era effettivamente diventata essenziale? Quando così naturale da non doversi più soffermare su ogni loro piccola conquista? E perché quell’affetto sbocciato e nutrito finora tornava a far pagare loro il prezzo? 

Qualsiasi cosa la stesse rodendo viva dall’interno, Inuyasha sperava solo che presto anche quest’altro incubo potesse passare, senza rendersi conto però che, da quando si erano incontrati, entrambi stavano vivendo sempre lo stesso e che sarebbe passato ancora un po’ di tempo prima che sparisse del tutto.

Kagome lo sapeva bene, lei che aveva continuato ad avere l’animo inquieto anche nei momenti migliori e apparentemente spensierati.

Che cosa strana e triste doveva essere rendersi conto che ogni cosa, da quando aveva incontrato la propria anima gemella, voleva portarla sulla via della decadenza. Non era forse quello uno scherzo stesso del destino? Dover sopravvivere ad eventi brutali non doveva essere un prerequisito per incontrare la persona destinata. O, forse, rifletté in un secondo momento, era proprio per contrastare gli effetti di quella grande sfortuna che gli Dei avevano deciso di mandarle qualcuno come Inuyasha; forse, in fondo, loro sapevano già che senza di lui non ce l’avrebbe mai fatta – lo avevano sempre saputo, anche prima di lei.

 

*** 

 

Quella sera tutto proseguì apparentemente come nei giorni precedenti, eppure c’era una grande differenza: la tensione che si respirava nell’aria irrigidiva gli animi e le membra, impedendo loro di rilassarli davvero anche solo per un attimo; rendeva i sospiri più pesanti e i sorrisi tirati e falsi, uccideva qualsiasi luce negli occhi e le loro auree erano terribilmente tetre – e per coloro che erano in grado di percepirle, era ancora di più una tortura.

Quando Inuyasha accompagnò Kagome nelle sue stanze, dopo cena, e le diede la buonanotte, il loro saluto si protrasse qualche secondo in più. In seguito, anche se con molta reticenza – perché sapeva che non l’avrebbe vista l’indomani prima di partire – la lasciò andare e si avviò lungo il corridoio. Su di loro il non detto sembrava galleggiare pesante, opprimente, come un peso sul petto di cui però non riuscivano davvero a liberarsi. La guardò un’ultima volta e poi accelerò il passo, consapevole che temporeggiare non sarebbe servito a nulla se non ad aumentare la loro agonia – non se nessuno dei due si stava dimostrando abbastanza forte da scacciare quel peso.

Tuttavia, l’aveva sottovalutata perché prima di svoltare l’angolo si sentì richiamato. Si voltò di scatto, come se avesse atteso quell’azione per chissà quanto tempo, e non fu davvero sorpreso dell’emozione che lesse nei suoi occhi mentre gli correva intorno.

“Kagome?”

“No, lasciami parlare. Non riesco più a far finta di nulla. Queste paure che mi appesantiscono l’animo da quando tuo padre ci ha messo al corrente della situazione hanno soffocato qualsiasi altra cosa in me, lasciandomi anche dimenticare i momenti che abbiamo passato insieme da quando vivo in questo castello, ogni cosa che ho imparato e il sollievo – perché sono tremendamente sollevata di aver scelto di venire con te quel fatidico giorno, di aver accettato la tua proposta e di avere avuto la possibilità di conoscere piccole e grandi cose di te che nessun altro sa.” Mentre parlava, nuove lacrime avevano cominciato a rigarle le guance e continuava ad alzare i pugni chiusi per asciugarle senza però interrompere il contatto visivo tra loro.

Inuyasha aveva per un attimo smesso di respirare nel comprendere ciò che gli stava dicendo, ma quando ricominciò si sentì come se prima di allora non fosse mai stato così semplice e naturale. Nell’udirla, nel sentire lo stesso sollievo, si rese conto che ogni traccia di dubbio che era rimasta in fondo al suo animo, seppellita ma al tempo stesso sempre lì, era scomparsa, liberandolo del tutto. Era impossibile non leggere qualcosa di più nelle sue parole, qualcosa che non aveva mai davvero osato sognare per paura di illudersi. Eppure…

Eppure, Kagome non aveva nemmeno finito e ciò che seguì fu ancora più chiaro e diretto, una dichiarazione solo per lui: Inuyasha, il mezzo demone.

“Ci ho pensato e ripensato e mi sono detta che forse, se te lo dico, se lo sai… allora domani potrai partire più serenamente. Potrebbe essere arrogante da parte mia fare questa considerazione, ma perché non provarci?” Si bloccò un momento e fece un altro passo verso di lui, guardandolo come se volesse fargli capire il resto solo attraverso gli occhi. Poi alzò una mano e gliela avvicinò al viso, ma proprio quando Inuyasha era sicuro di sentire già il suo calore su di lui, si fermò e fece per ritirarla. Lui la bloccò, stringendole le dita attorno all’esile polso e appoggiandosela sulla guancia. Allora lei riprese: “Mi sembrava impossibile arrivare a provare un certo sentimento, e anche quando ero promessa a un altro, ho pensato che il massimo a cui avrei potuto aspirare era contentezza e serenità, niente di più. Ma Inuyasha… ora il terrore e lo scetticismo – anche la rabbia – che sentivo dopo averti incontrato sono spariti. Mi sono resa conto che senza di te non potrei più andare avanti, vivere, ed è questa l’origine della mia inquietudine, l’idea che tu possa andar via senza sapere davvero a cosa vai incontro. Non potevo lasciarti partire senza che tu conoscessi la natura dei miei veri sentimenti.”

Quando ebbe detto tutto si sentì come se avesse appena corso per chilometri e si appoggiò a lui, la mano libera stretta attorno al tessuto della sua veste rossa. Lacrime salate ancora le riempivano gli occhi e le bagnavano le guance, ma Inuyasha non vide altro che quel sentimento che aveva appena esternato luccicare potete nel suo sguardo; non sentì il suo respiro pesante o il battito accelerato, solo le sue parole ripetersi all’infinito nella sua mente.

Si chiese dunque perché si era sempre trattenuto e pensò che ci fosse solo un modo per ricambiare quella sua dichiarazione: la baciò. Ma non fu un bacio casto né qualcosa di delicato che, probabilmente, entrambi avevano immaginato per la prima volta. Inuyasha la baciò come se il mondo stesso dovesse finire, come se nient’altro a parte loro due esistesse.

Dopo l’iniziale shock, Kagome rispose con altrettanto fervore, premendo le labbra contro quelle di lui, aprendole e lasciando che il suo sapore le invadesse la bocca e la saziasse; le loro lingue si inseguirono senza mai lasciarsi andare mentre allo stesso tempo i loro corpi si facevano ancora più vicini nel tentativo disperato di essere un tutt’uno; le mani vagarono e cercarono di percorrere ogni centimetro di pelle scoperta e dovettero trattenersi per non infilarsi in luoghi che, però, speravano di poter scoprire presto.

E poi la tensione che portavano addosso sparì, si abbandonarono a ogni emozione e istinto primordiale che avevano finora represso e quel bacio divenne ancora più meraviglioso e intenso.

Infine – e con riluttanza – si separarono.

Inuyasha appoggiò la fronte a quella di lei mentre le teneva il viso a coppa e rifiutò di sollevare le palpebre per i primi secondi, cercando di rimanere in quello stato di euforia e noncuranza nel quale era stato trasportato. Quando aprì gli occhi, Kagome gli sembrò ancora più bella di quanto era mai stata, con le guance tutte rosse, le labbra gonfie e invitanti – come se non fossero state baciate abbastanza – le poche lacrime di gioia che ancora le rimanevano sul viso; le baciò a una a una prima di asciugarle. E poi parlò, il tono reverenziale e una gioia che Kagome non aveva mai udito.

“Era tutto ciò che desideravo udire prima di partire. Non capisci, Kagome? Ho sentito nascere in me questi sentimenti sin dall’inizio, senza darmi una risposta e non osando credere che, un giorno, potessero essere ricambiati o diventare così intensi. Potevo solo sperare che, almeno, tu potessi trovare serenità se avessi scelto, infine, di unirti a me, pur sapendo che forse non avrei mai potuto confessarti cosa provo. E ora non mi sembrerebbe vero se non fosse che ancora sento le tue parole ripetersi nella mia mente e vedo questo tuo sorriso sulle labbra che ho appena baciato e continuerei a baciare. Non è arroganza la tua, koishii; questo è davvero il migliore regalo che potessi farmi.” La baciò una terza volta, forse per nascondere i suoi occhi ugualmente lucidi e non soltanto perché gli sembrava impossibile non fare altrimenti. Tuttavia, entrambi erano consapevoli di aver appena superato un confine che finora non avevano osato nemmeno delimitare; ora che si erano lasciati andare, non sarebbe stato più possibile nascondere l’attrazione e la passione che provavano.

Non restava che sperare che ogni minaccia sparisse presto per poter finalmente amarsi senza restrizioni.

 

***

 

La mattina dopo, quando il figlio lo raggiunse dopo aver salutato la fidanzata, non fu difficile per Toga percepire il suo cambiamento – soltanto un cieco non ci sarebbe riuscito.

L’aura di Inuyasha vibrava, non soltanto d’amore ma anche di passione; sembrava quasi incontrollabile. Non aveva mai visto uno spettacolo simile se non in alcuni specifici casi che, per l’appunto, coincidevano con quello del figlio. A guardarlo lì di fronte a lui, incapace di stare fermo, scoppiò a ridere sebbene entrambi fossero di umore tutt’altro che piacevole.

“Che c’è?” scattò Inuyasha che da quando era arrivato non aveva proferito parola.

Toga gli si avvicinò e gli assestò una pacca sulle spalle, prima di cingergli le spalle con un braccio e portarselo al petto – senza che il mezzo demone potesse fare nulla per impedirlo. “Nonostante tutto ciò che sicuramente ci aspetta e l’incertezza del nostro viaggio, sono dannatamente contento per te, figliolo. Era anche ora.”

“Keh. Ti diverti a mie spese?”

In risposta il padre rise ancora più forte. “Oh, qualche volta sono giustificato. E non ti preoccupare; è normale sentirsi in questo modo. Avete finalmente capito che è inutile combattere l’attrazione e i sentimenti che provate e sembra impossibile allontanarsi, vero? Vorresti già passare al sodo.” Gli lanciò la tipica occhiata di chi la sa lunga e poi gli scompigliò i capelli.

“E dai, pa’; fai il serio.” Se lo scrollò di dosso e si sistemò i capelli solo per nascondere le guance scarlatte visto che, altrimenti, vi avrebbe dato poca cura.

“Ah, sei sempre il solito, Inuyasha. Non c’è mica bisogno di imbarazzarsi. Per lo più, visto che avete aspettato tanto, il tuo istinto ti starà dicendo di muoverti. Mi spiace proprio sia capitato in questo momento e mi raccomando non lasciare che questa questione – per quanto importante – ti distragga dal nostro attuale compito. Quando io e tua madre ci siamo incontrati, abbiamo avuto tutto il tempo per unirci, infatti, si potrebbe dire che non ci abbiamo messo molto a saltare a le-”

“Papà!” sbraitò Inuyasha interrompendolo prima che le sue orecchie potessero ascoltare qualcosa che la sua mente avrebbe tradotto in incubi. “Non dovremmo raggiungere gli altri e prepararci a partire?”

Toga non si fece distrarre e continuò a prenderlo in giro, assaporando quell’aria che per il momento era libera dalla tensione che li aveva contraddistinti. “Sei adulto, Inuyasha, sai bene come va il mondo. Non vorrai dirmi che ancora ti imbarazza il pensiero di me e tua madre insieme?” Ammiccò. “Tranquillo, tranquillo,” concluse infine, “quando verrà il momento quella sarà l’ultima immagine che ti passerà per la testa.” E lasciandolo indietro, si diresse verso la sala comune, dove tutti i Comandanti e i soldati che erano stati reclutati lo aspettavano prima di partire. Inuyasha perse qualche secondo per sistemare capelli e veste, aspettando anche che il rosso sulle guance e le punte delle orecchie si dissipasse e poi gli corse dietro.

Ma il padre, però, non aveva del tutto finito perché, per come la vedeva lui, ogni occasione era sempre buona per prendersi gioco dei figli e metterli in imbarazzo. Si voltò di scatto verso di Inuyasha e quest’ultimo riconobbe immediatamente l’espressione sul suo volto. Deglutì, rendendosi anche conto di quanto vicini fossero al resto dell’esercito e che qualsiasi cosa il padre gli avrebbe detto sarebbe stato ascoltato anche da loro; avrebbe voluto che una voragine si aprisse sotto i suoi piedi e lo ingoiasse prima ancora che tutto ciò accadesse, ma sapeva che non sarebbe stato così fortunato.

“Comunque,” iniziò Toga, lo sguardo ammiccante dritto davanti a sé e il tono divertito, “se hai bisogno di qualche minuto in solitaria per riprenderti e scaricare un po’ di quella tensione accumulata a causa della recente rivelazione, fai pure. Meglio ora che quando siamo in viaggio. Dopo tutto, non fa mica bene reprimere certi istinti.”

E se anche le parole che aveva utilizzato non erano state poi così esplicite, Inuyasha non ebbe dubbi che tutti gli altri nella stanza che avevano appena raggiunto avevano capito senza problemi a cosa il loro Generale si stava riferendo. Le risate che lo accolsero furono solo l’ultima conferma di cui aveva bisogno.

 

*** 

 

Poco dopo, Izayoi e Kagome si trovarono a osservare il corteo di uomini che lasciava le mura del castello e spariva pian piano verso l’orizzonte senza riuscire a nascondere le emozioni sui loro volti. La principessa aveva stretto la più giovane a sé, cingendole le spalle con un braccio, e stava cercando di essere più forte anche grazie alla maggiore esperienza e sapendo bene cosa si provasse a veder partire per la prima volta la persona amata senza poter fare nulla. E nonostante provasse dolore per la situazione in cui attualmente si trovavano lei e suo figlio, non poteva impedire al suo cuore di provare una gioia immensa nel sapere che questa volta non sarebbe stata l’unica ad attendere con ansia il ritorno di Inuyasha; questa volta, qualcun altro l’avrebbe aspettato con addirittura maggior trepidazione e sentimento.

Sperò che il suo abbraccio potesse essere di abbastanza conforto per la giovane sacerdotessa in quei momenti di incertezza. Tuttavia, lei, a differenza del compagno, non era in grado di scherzarci su e si limitò quindi a insegnarle qualcosa che – anni prima – avrebbe tanto desiderato ascoltare da chi era più esperto di lei. “So benissimo quello che provi, Kagome, cara. Tuttavia, ricorda sempre che questo peso che senti ora sul cuore, è sintomo dell’amore che provi per Inuyasha, dell’intensità del legame che vi unisce. Pensa a quanta strada avete fatto in così poco tempo e quanto ancora gratificante sarà il vostro riunirvi.” La lasciò andare e poi strinse le mani tra le sue, guardandola negli occhi. “Da questo momento in poi ogni cosa potrà solo migliorare,” concluse fiduciosa.

Tuttavia, quella sera stessa, raggomitolata su stessa e preda dei propri pensieri, le parole di Izayoi non riuscirono a essere di alcun aiuto per Kagome, per quanto lei ci provasse. Era vero, lei e Inuyasha avevano raggiunto tanto, eppure pensando a quanto si fossero detti il giorno prima – a quella dichiarazione che aveva lasciato finalmente le sue labbra – non riusciva a esserne felice.

Avrebbe dovuto essere contenta di scoprirsi innamorata, di aver trovato finalmente risposta alle domande che l’avevano assillata da che aveva incontrato il mezzo demone, ma tutto ciò a cui riusciva a pensare era quel senso di inquietudine che era aumentato in modo esponenziale.

Un unico presagio aveva sostituito tutti i dubbi che l’avevano tormentata finora e sembrava occuparle la mente senza lasciare spazio a niente altro, e Kagome non era sicura di poter sopravvivere se fosse diventato realtà.

Cosa ne sarebbe stato di lei se quella stessa dichiarazione si fosse infine trasformata in un addio?


 


N/A: Un Inuyasha così aperto e sicuro dei propri sentimenti non si è mai visto, eh? Ebbene, in questa storia lo è u.u Ogni tanto fa bene al cuore leggerlo tanto sicuro, ma anche perché ricordiamoci che sin dall'inizio quello più sicuro tra i due era lui e non Kagome; lui aveva solo paura che Kagome non lo avrebbe mai ricambiato.

Detto ciò, spero come sempre che il capitolo vi sia piaciuto e vi lascio i miei soliti saluti. 

A prestissimo ❤.

 

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Capitolo 13
*** XII — Terrore nella notte ***


Capitolo XII: Terrore nella notte 

 

 

“It's the best thing that you've ever had 
The best thing you have had is gone away” 

High and Dry, Radiohead  

 

 

Un paio di sere dopo, Izayoi stava accompagnando Kagome nella sua passeggiata per i giardini dato che ora entrambe cercavano di sfruttare quanto più possibile la compagnia reciproca per non dover restare sole con i propri pensieri. Tuttavia, pensò la giovane un po’ infastidita quando erano ormai di ritorno, non voler restare sola non significava dover essere costretta alla presenza di guardie personali in continuazione. L’esercito non era partito da così tanto, ma lei ne aveva già abbastanza della sicurezza che, a detta di Inuyasha, era solo per il suo bene.  

Izayoi colse il suo sbuffo e rise, ma Kagome era stata così silenziosa che si chiese se, dopo aver vissuto per così tanto tempo con dei demoni cane, la principessa non avesse sviluppato anch’ella alcuni tratti distintivi. Come l’udito fine, per esempio. O forse era l’aver portato in grembo uno di loro per nove mesi ad averla cambiata? Certo era, si disse, che nessuno avrebbe dovuto sentirla se non i diretti interessati del suo fastidio. Di conseguenza, calò il capo imbarazzata quando fu colta in fragrante dalla dama.  

“Non c’è bisogno di vergognarsene, Kagome. Credi che io non abbia sperimentato gli stessi sentimenti almeno una volta?” La sacerdotessa alzò lo sguardo sorpresa e Izayoi ammiccò di rimando – ammiccò.
Rimase senza parole.  

“Ebbene sì, l’istinto di protezione di un demone cane è una delle cose più belle che possa esserci, vero, ma, oddio, certe volte può essere davvero una fonte di fastidio per quanto asfissiante. Pensavo che Toga fosse terribile poco dopo averlo conosciuto, ma quanto mi sbagliavo. Dopo essere diventata la sua compagna si è amplificato tutto, per non parlare di quanto possa lasciarti interdetta il fatto che il tuo stesso figlio di a malapena cinque anni cominci a seguire le orme del padre. C’è da uscirne pazze ad essere l’unico soggetto di queste attenzioni. Per lo meno, ora che ci sei tu, la maggior parte del focus di Inuyasha sarà su di te. Senza contare che già poterne parlare con qualcuno che può capirmi è molto liberatorio.”  

Kagome spalancò la bocca, inorridita, quando Izayoi ebbe finito. Stava davvero dicendo che quando lei e Inuyasha sarebbero diventati compagni sarebbe stato ancora peggio? 

La principessa rise ancora. “Dalla tua espressione posso immaginare cosa ti stia passando per la testa.” Intrecciò le loro braccia e riprese la passeggiata, non prima di averle dato una pacca affettuosa sulla mano. “Ma non ti preoccupare troppo; ti abituerai al punto da scordarti anche di avere delle guardie personali.” Kagome alzò un sopracciglio, scettica. “Oppure puoi sempre lamentartene con mio figlio; ogni tanto serve imporsi su di loro. Ma sono certa che vivendo insieme imparerai tante cose da te mentre le altre… beh, è per questo che ci sono io, no?”  

Quando ammiccò una seconda volta e le sorrise, Kagome tirò un sospiro di sollievo. Non era meno infastidita di quanto lo era stata prima di sbuffare, certo – e non le sembrava impossibile che avrebbe potuto mai dimenticarsi delle guardie per quanto silenziose fossero – eppure le sue parole le erano state in qualche modo d’aiuto. Izayoi aveva un qualcosa che le rendeva impossibile non fidarsi, oltre al fatto che la sua aura irradiava nella maggior parte dei casi una calma che influenzava anche la sua. Soprattutto in momenti come quelli.  

Forse, un giorno, sarebbe arrivata ad eguagliarla e avrebbe imparato a essere più tranquilla e in comunione con quel luogo, ma per il momento le sembrava troppo strano guardare in avanti, soprattutto perché farlo presupponeva avere un animo leggero in grado di progettare e illudersi – e Kagome non lo aveva. Ciò nonostante, annuì. “Tenterò di ricordarmi che la loro missione non è procurarmi fastidio.” 

“Questo è scontato, cara. Meglio esserne infastidita che apprendere cosa significa la loro mancanza.” E per quanto fosse stata intesa come una frase confortevole, al tempo stesso quelle ultime parole nascondevano un presagio che nessuna delle due avrebbe conosciuto se non fino a notte fonda.  

 

*** 

 

 

Non fu una sorpresa faticare a prendere sonno più tardi ma lo fu destarsi dopo poco.  

Kagome si alzò di scatto e stropicciò gli occhi, ancora assonnata e per nulla cosciente, se non dei rumori che l’avevano disturbata. La stanza era avvolta nel buio totale tranne per la flebile fiammella che proveniva dalla parte opposta e che lei aveva incoscientemente dimenticato di spegnere quando era riuscita a lasciarsi andare. Sbatté un paio di volte le palpebre e si rese conto di non essersi sbagliata: era davvero troppo presto per poter udire determinati rumori. Quella scoperta la svegliò del tutto e un brivido le corse lungo la schiena; un secondo dopo si accorse di poter sentire anche il respiro di qualcun altro oltre al suo e quando volse lo sguardo nella direzione da cui proveniva una risata echeggiò.  

“Non avrei voluto svegliarti e rovinare il tuo sonno di bellezza. Mi spiace, cara Kagome. Sarebbe stato tutto più semplice anche per me se fossi rimasta ignara.” L’uomo le aveva parlato in un tono tranquillo, tentando di rassicurarla ma ottenendo l’effetto opposto: la sua voce poteva sembrare ammaliante e confortevole, ma anche ancora un po’ assonnata Kagome seppe leggervi il sottotono mellifluo che non lasciava predirre nulla di buono. Infine, accese anche una seconda candela, come se volesse farsi vedere di proposito, e lei riconobbe la divisa delle guardie del castello.   

Perché quel demone che nemmeno ricordava le aveva parlato con tanta confidenza? Cosa ci faceva nella sua stanza a quell’ora della notte? A loro era proibito entrare se non in casi di emergenza e solo a seguito di espressa richiesta. “Cosa ci fa lei qui? E perché sta deliberatamente ignorando gli ordini del suo Signore?” 

A quella domanda, la guardia fece una smorfia che cancellò per mezzo secondo ogni traccia di benevolenza dal suo viso. “Io non ho nessun signore,” sputò. “E per rispondere anche al tuo altro quesito, sono qui per portarti dove appartieni davvero.” 

Kagome avrebbe voluto dire che quelle parole le gelarono il sangue nelle vene e che nulla di ciò che avvenne in seguito avrebbe potuto spaventarla di più, ma quelle sensazioni impallidivano in confronto a ciò che avrebbe provato da lì a breve. Il suo turbamento interiore, quello che aveva sempre trovato posto in un angolo del suo cuore anche nei momenti più felici, trovava finalmente significato e, soprattutto, si avverava come il peggiore degli incubi.  

L’uomo abbandonò del tutto le sembianze e si rivelò a lei come colui che l’Inu-no-Taisho, Inuyasha e il loro esercito erano andati a cercare: una lunga e candida pelliccia bianca lo copriva dalla testa ai piedi, lasciando visibili solo alcuni tratti del viso, tra cui spiccavano due profondi e spaventosi occhi neri e un sorriso che Kagome era sicura avrebbe inquietato i suoi sogni a lungo ancora – se fosse sopravvissuta.  

Le si avvicinò porgendole una mano e invitandola ad andare con lui come se fosse la cosa più ovvia da fare e quando non gli diede segno di voler obbedire, l’essere non si rabbuiò. “Che sbadato, sicuramente così non mi riconosci e quale donna di buona educazione come te andrebbe con uno sconosciuto? Ma non devi temere, mia dolce Kagome, questo non è il nostro primo incontro. Non posso rivelare oltre ora, ma avrai tutte le tue spiegazioni presto. Ti basti sapere che sono venuto a liberarti da questa prigionia prima che tu potessi essere data in pasto a questi cani degenerati. Ha aiutato anche l’essere riuscito a inserire qualche traditore tra le loro file.” 

Kagome non riuscì a nascondere la paura dal volto, ma cercò di non tremare o dare a quell’essere motivi in più per capire quanto fosse spaventata. Si chiese se credesse davvero che parlandole in quel modo l’avrebbe convinta ad andar via con lui; quelle parole riuscirono soltanto ad immobilizzarla mentre ancora il suo cervello tentava di tracciare l’intero disegno dietro quella che appariva chiaramente come una trappola. Perché affermava di conoscerla e come mai quella sua sicurezza le metteva ancora più paura? Se soltanto non fosse stata preda di quelle sensazioni e più vigile magari avrebbe potuto difendersi o mettere in pratica ciò che aveva imparato negli anni per scappare, ma riuscì soltanto a farlo arrabbiare.  

Per quanto avesse tentato di mostrarsi gentile e amichevole con lei, la sua maschera crollò abbastanza presto, rivelando la sua mancanza di pazienza. Non appena si accorse che Kagome non era intenzionata a collaborare una seconda smorfia gli apparve sulle labbra. “Abbiamo già perso troppo tempo, Kagome; non ci vorrà molto prima che verrà scoperto l’inganno. Ho provato con le maniere dolci, ma a quanto pare il tempo trascorso in questo castello ti ha fuorviato al punto da non farti più vedere la ragione.” Strinse gli occhi e senza nemmeno darle il tempo di rispondere, agì.  

Un attimo dopo il buio totale era calato su di lei.  

 

*** 

 

Quella stessa notte, non molto lontana dalle stanze di Kagome, anche Izayoi faticava ad addormentarsi e per quanto avesse mantenuto un contegno calmo nel pomeriggio per non impensierirla ancor di più, era ben consapevole delle sue paure; nasconderle non aveva evitato a Izayoi di leggergliele in viso o nel comportamento. Sapeva anche di non essere riuscita molto bene a tranquillizzarla e che c’era, purtroppo, poco da fare se non attendere notizie o il ritorno degli amati. Quei pensieri, dunque, continuavano a frullarle nella testa impedendole di abbandonarsi del tutto alla stanchezza che provava sia nelle ossa che nella mente, non che quando era lontana da Toga riuscisse davvero a riposare.  

Negli anni la tensione e l’ansia ogni volta che si separavano non erano mai diminuiti, in più la necessità di essere sempre vigile e attenta quando era sola – al di là delle guardie che non la lasciavano mai – le aveva insegnato che proprio nei momenti di presunta debolezza bisognava accendere i propri sensi.  

Izayoi non era una sprovveduta e nonostante si fosse sempre dimostrata il ritratto della gentilezza e della calma nascondeva dentro di sé quel carattere forte e deciso che Kagome aveva intravisto la prima volta che si erano incontrate. Non era più la ragazza isolata e immatura che suo padre aveva formato e, per questo, nessuno quella stessa notte avrebbe potuto prenderla alla sprovvista come era accaduto con Kagome. Aiutava anche l’aver imparato a difendersi e che non faceva male tenere a portata di mano qualche regalo più particolare del compagno, come le bellissime armi che commissionava sempre al fabbro Totosai. Fu così dunque che quando degli strani rumori la destarono da quei pensieri più oscuri Izayoi era più che preparata ad accogliere l’intruso.  

Non era la prima volta che qualcuno tentava di attaccarla in assenza di Toga e se c’era una cosa che tutti quei traditori avevano in comune era l’ingenuità: credevano davvero che lei fosse così debole come appariva. E tutto ciò le era sempre di immenso aiuto. Dopo tutto, per quanto addestrata, Izayoi sapeva che in determinate situazioni non avrebbe mai potuto vincere e contava sempre nell’ottusità dei suoi nemici per far fronte a debolezze che non poteva eliminare in altri modi. Quando, poi, a intrufolarsi nella sua stanza fu un’unica guardia, la donna seppe di aver guadagnato più di un vantaggio che le sarebbe stato fondamentale.  

Il demone si immobilizzò nel non trovarla sul futon addormentata e quell’attimo di esitazione fu quel che bastò a Izayoi di bloccarlo in tempo per l’arrivo di guardie più fidate.  

“Izayoi-sama!” urlò una di loro non appena si fu assicurato che stesse bene mentre il suo compagno si occupava del traditore. “Per fortuna state bene.” 

Lei lo riconobbe subito ma invece di esserne sollevata vederlo la spaventò ancora di più: non era una delle sue. Quello e la presenza del traditore nella stanza lasciavano presagire che più di qualcosa era andata storta.  

“Jiro, dove sono gli altri?” volle sapere immediatamente mentre si copriva le spalle con una giacca ancora più pesante per nascondere i brividi che le stavano attraversando il corpo. Ma sebbene la paura minacciasse di impadronirsi di lei, Izayoi sapeva che non poteva lasciarsi andare ad essa: era lei a comando in questo caso e non poteva in alcun modo dimostrarsi impaurita davanti a dei demoni che avrebbero potuto approfittarne. Per questo motivo il suo sguardo era duro e il tono di voce tagliente e autoritario sebbene a venire in suo soccorso erano stati dei soldati che si erano sempre meritati la sua fiducia. Non poteva abbassare la guardia; non in quel momento.  

“Eravamo a difesa delle mura interne quando abbiamo sentito delle urla provenire dal villaggio insieme all’odore di fumo e carne bruciata.” La principessa non seppe nascondere un brivido di orrore nel sentire le ultime parole, ma il demone fece finta di nulla e continuò il racconto. “Ci siamo divisi, mia signora, e noi siamo giunti in tempo per liberarvi di questo traditore mentre gli altri accorrevano in aiuto di Kagome-sama.”  

“Kagome? È salva, dunque? Kagome è salva?” chiese febbrilmente, dimenticandosi per un attimo dell’assenza delle sue guardie e muovendosi dal punto in cui era stata ferma finora per uscire dalla stanza e raggiungere la ragazza così da sincerarsi in prima persona delle sue condizioni. Tuttavia, Jiro la bloccò e, se pur con dispiacere, la informò che non poteva lasciarla andare oltre fin quando non avrebbero saputo cosa stava accadendo mentre il suo compagno stordiva e legava il demone che si era introdotto per farle del male. Stava anche per dirle che loro due non erano ancora a conoscenza di ciò che era accaduto a Kagome, visto che si erano precipitati da lei, quando altri tre demoni entrarono nella stanza che non era mai sembrata così affollata come ora.  

“Izayoi-sama,” urlò quello che lei riconobbe come Kazuo o, come Toga scherzosamente lo definiva, la sua ombra personale – anche per questo motivo la principessa si era stupita della sua assenza. “Izayoi-sama,” ripeté. Il suo tono allarmato, l’espressione spaventata e le vesti insanguinate la fecero impallidire e il terrore che aveva sentito poco prima aumentò in modo esponenziale. “La giovane sacerdotessa è sparita.”  

In un attimo tutto il resto fu dimenticato.  

Izayoi non si accorse che qualcuno aveva dovuta sorreggerla prima che potesse svenire né udì altri demoni fare rapporto e riferire che la sua seconda guardia più quelle di Kagome erano state trovate morte o che i danni al villaggio e ai loro abitanti erano stati tremendi prima che avessero potuto spegnere l’incendio. Più tardi non rilevò la presenza di Kaede accanto a sé o sentì il sapore amaro della bevanda che l’anziana le somministrò per calmarle i nervi e indurla a riposare. Le uniche immagini che continuavano a registrarsi davanti ai suoi occhi erano l’espressione impensierita di Kagome quel pomeriggio e il sorriso che suo figlio aveva riservato alla giovane prima di lasciarla nelle sue cure. E prima che smettesse di combattere la stanchezza e lo shock e si arrendesse al buio, il senso di colpa la invase, seguito subito dall’orrore.  

Come avrebbe potuto accogliere Inuyasha al suo ritorno sapendo che non era riuscita nel compito che lui le aveva affidato? Ma, soprattutto, come avrebbe convissuto con se stessa se non avesse più potuto rivedere quella felicità sulle labbra del figlio?  

 

*** 

 

Il senso di inquietudine aumentava a mano a mano che proseguivano e la distruzione si faceva più chiara sebbene al momento la luce naturale fosse assente. Alzando gli occhi al cielo, Inuyasha notò le nuvole che lo ricoprivano farsi sempre più nere a causa del fumo che saliva dai vari villaggi insieme alla puzza di sangue e paura mentre le sue orecchie vibravano a causa delle grida e dei pianti in una notte per nulla silenziosa. Sospirò, pensando che a breve avrebbe dimenticato cosa significava respirare aria pulita o apprezzare la quiete; la disperazione stava diventando sempre più opprimente fino a soffocarlo. 

Chiunque stesse reclamando la loro attenzione lo stava facendo in modo molto preciso e seguendo uno schema: non solo stava lasciando loro un messaggio ma, allo stesso tempo, stava tentando di rovinare tutti gli sforzi che suo padre aveva fatto nel corso dei secoli. Ad essere stati attaccati, infatti, non erano solo i demoni che abitavano le loro terre sul confine ma anche i villaggi umani al di là di esso, assicurando quindi che il malcontento dilagasse. A loro non rimaneva altro che tentare di spegnerlo sul nascere, prima che a esso si accompagnasse anche la sete di vendetta e nuove guerre – di cui certamente non avevano bisogno – scoppiassero.  

Non si poteva certo dire che sarebbero rimasti presto con le mani in mano: cercare di soccorrere i sopravvissuti, ricostruire le loro abitazioni, offrire loro un riparo, consolarli e seppellire i morti erano attività che stavano risucchiando ogni loro secondo e non rimaneva tempo libero per catturare colui che era la causa di tutto. Non era difficile immaginare che il colpevole avesse architettato tutto con sapienza e che niente era una coincidenza – proprio come Toga aveva detto quando aveva parlato per la prima volta di ciò che stava accadendo lì più a Sud.  

Quando aveva lasciato il castello Inuyasha aveva immaginato che sperare di tornare presto sarebbe stato da illusi ma non aveva nemmeno pensato di trovare tutto ciò. Si rendeva conto ora, con la distruzione e il dolore costantemente davanti ai suoi occhi e nelle sue narici, che sarebbero passate settimane prima che avrebbe potuto rivedere Kagome. Proprio mentre stava formulando quest’ultimo pensiero e il nome dell’amata gli rimbombava nella mente, Inuyasha udì una voce sconosciuta chiamarlo. Sia lui che suo padre si voltarono nella direzione da cui proveniva e furono sorpresi di vedere proprio colui che erano venuti a cercare. L’Inu-no-Taisho aveva creduto che il demone avrebbe continuato a sfuggire loro per molto tempo e, invece, ora si presentava di sua spontanea volontà – e la cosa non gli piaceva.  

Era avvolto da una pelliccia di babbuino di un bianco candido, proprio come ogni avvistamento precedente aveva rivelato, che lo copriva quasi del tutto, lasciando scoperti solo gli occhi e le labbra, quel tanto perché loro potessero vedere chiaramente il sorriso maligno e la risata derisoria nelle sue orbite scure. Avanzò verso di loro a passo calcolato e con la schiena leggermente curva, lasciando dietro sé terra arida e bruciata, e quando si fermò era ancora molto lontano ma nel pieno della loro traiettoria.  

Toga lo studiò meglio e chissà perché non si sorprese quando scoprì che aveva l’aura più scura e malvagia che avesse mai incontrato – e ne aveva sconfitti di nemici crudeli nel corso della sua lunga vita. Ciò che invece lo scioccò fu l’odore che, seppur per molti versi simile a quello di altri demonî, nascondeva qualcosa di particolare a cui non seppe dare un nome su due piedi. Ciò gli fece capire che colui che aveva davanti era diverso da quel che avevano finora conosciuto: non era un semplice demone e bisognava scoprire la sua vera natura per poterlo affrontare.  

Le sue considerazioni non durarono che pochi secondi durante i quali il sorriso sbilenco non lasciò mai le labbra del demonio così come il suo sguardo non vacillò mai, sempre puntato sulla figura di Inuyasha. Quella consapevolezza spaventò Toga che si chiese perché mai quell’essere fosse interessato solo a lui. Inuyasha però, al contrario, non sembrava per nulla disturbato dalla cosa, anzi; nella sua postura e nei suoi movimenti il dai-youkai lesse subito eccitazione, adrenalina e voglia di combattere. Che il sangue gli fosse già andato alla testa? Sapeva che talvolta Inuyasha faticava ad analizzare propriamente una situazione perché partiva subito in quarta – un difetto che lui aveva tentato invano di migliorare.  

“Inuyasha!” lo richiamò, severo, prima che il figlio potesse fare un altro passo. “Ricorda ciò che ti ho sempre detto.”  

Il mezzo demone si voltò verso il padre e Toga vide un ghigno che prima era assente – e che non si addiceva al luogo in cui si trovavano – predominante sul suo viso. “Non ti preoccupare, pa’. Sembra che il nostro ospite qui abbia voglia di combattere con me e allora perché non accontentarlo?” 

Toga sospirò. Non ebbe modo di fermarlo ulteriormente né di ripetergli alcuna raccomandazione perché era già partito all’attacco – ancora una volta come uno sprovveduto, per quanto egli avesse cercato di evitare proprio uno scenario simile.  

Inuyasha, però, non aveva dimenticato le lezioni del padre e, iniziata la battaglia, sapeva che doveva mantenere i sensi all’erta e non lasciarsi comandare dall’adrenalina che gli scorreva potente nel sangue o dall’istinto naturale di sopraffare quel demone solo per dimostrare di essere migliore – pur essendo un mezzo demone, un sangue sporco. Era difficile e come ogni volta gli sembrò che non stesse solo combattendo contro quell’essere, ma anche contro se stesso, contro quelle due parti di sé che in queste situazioni, più di altre, erano in continua lotta. All’inizio fu facile lasciarsi andare suo malgrado alla parte più demonica, godere della potenza con la quale evitava gli attacchi del nemico e ne infliggeva altri, costringendolo a indietreggiare o mettendolo alle strette; la semplicità con la quale si trovò a dirigere il tutto lo inebriò e si sentì per qualche minuto onnipotente. Ma Inuyasha non era uno sciocco e ben presto si rese conto che qualcosa non andava. 

All’improvviso si bloccò con la spada a mezz’aria, sorprendendo sia suo padre che il demone con la pelliccia.  

“Sei già stanco, mezzosangue?” lo provocò quest’ultimo, ridendo in modo sguaiato e raddrizzandosi, rivelando che ogni colpo subito non gli aveva fatto nulla. 

Ed eccola la risposta che Inuyasha stava cercando.  

Era stato fin troppo facile, finora, sottomettere qualcuno capace di cotanta distruzione. L’euforia, per un po’, lo aveva accecato e non si era accorto che tanta facilità non era un buon segno né lo era il modo in cui veniva ora istigato. E perché ce l’aveva proprio con lui? Perché non suo padre? Era a lui che di solito i loro nemici si rivolgevano; nessuno prendeva mai in considerazione il mezzo demone, reputandolo un essere debole che non meritava nemmeno di combattere con loro. E per quanto quest’ultimo pensiero lo avesse sempre fatto infuriare, l’improvviso cambio lo disturbava.  

Raggiunse la stessa conclusione a cui era arrivato il padre e capì il demone di fronte a loro non era come gli altri né le sue azioni potevano essere ricondotte alla comune sete di potere o l’invidia nei confronti dell’Inu-no-Taisho. Allora cosa lo muoveva? Inuyasha aveva quasi paura di scoprirlo.  

“Oh, non mi dire che abbiamo davvero già finito, Inuyasha. Mi deludi. Avevo capito che fossi un tipo energetico, per così dire, sempre pronto a combattere.” Rise di nuovo e quella risata provocò a padre e figlio dei brividi. Toga affiancò Inuyasha, ma prima ancora che potesse parlare, il demone lo precedette. “Come vuoi,” riprese, per un attimo scocciato. “Ero disposto a farti allenare un po’ di più, ma così non fai che rendermi le cose più facili.” 

“Cos’è che vuoi?” pretese Toga, imponente. Era impossibile non fare il confronto tra loro due: Toga era più alto, robusto e calmo; l’altro sotto la sua maschera vibrava sempre più di rabbia ogni secondo che passava e non si accorgeva che essere dominato da tale sentimento lo rendeva così piccolo a confronto.  

“Il mio obiettivo qui questa notte era lasciare un messaggio ben preciso, ma non mi è dispiaciuto divertirmi un po’. In più, volevo un assaggio di ciò che mi aspettava e ora che l’ho avuto non credo che quando ci affronteremo davvero dovrò impegnarmi poi così tanto, Inuyasha.” Le sue parole miravano ancora una volta a provocare il mezzo demone che, però, a parte una presa più stretta sull’elsa di Tessaiga si mantenne tranquillo – almeno all’esterno.  

“Il tuo messaggio sembrava chiaro anche prima che ti presentassi a noi,” ribatté Toga riferendosi alla distruzione che li circondava. “E se ti ritieni così tanto superiore a mio figlio perché non lo affronti come si deve in questo momento? Perché invece ci fai perdere tempo con questi tuoi discorsi vuoti?” 

Il demone ghignò. “Non mentono sulla tua intelligenza, Generale, ma non ti servirà molto stavolta. Non ho più bisogno di guadagnare tempo perché ho avuto quel che desideravo: ho lasciato da tempo il tuo castello e ho recuperato ciò che mi apparteneva.” Le sue parole ebbero l’effetto desiderato: i due inu-youkai si immobilizzarono mentre prendevano finalmente consapevolezza di ciò che era accaduto e in quale trappola era caduti. Rise ancora più forte, tanto da coprire per qualche secondo ogni altro rumore in quella radura che ospitava i pochi resti rimasti di un villaggio distrutto. Infine, si alzò in volo e puntò un’ultima volta lo sguardo su Inuyasha, pronunciando parole che lo avrebbero perseguitato durante l’agonizzante viaggio di ritorno. “Ti saluterò la mia dolce Kagome non appena ci riuniremo… o forse no.”  

“Bastardo!” urlò Inuyasha lanciandosi contro di lui e tranciandogli la testa in un sol colpo; questa cadde e rotolò a terra senza lasciare nemmeno una traccia di sangue ma troncando del tutto la risata maligna che avevano udito finora. Il mezzo demone, non soddisfatto, lanciò un urlo ricco di rabbia che echeggiò attorno a loro, tentando di contenere la furia che lo stava infiammando dentro. Ogni tentativo fu però inutile quando scoprì l’ulteriore trappola in cui era caduto. 

Tra i resti del demone che sosteneva di aver rapito Kagome giaceva un piccolo fantoccio in legno ricoperto da un paio di capelli neri che suo padre raccolse con cautela mentre ciò che restava del corpo diventava infine polvere. “Un impostore,” rivelò Toga alzando il viso verso il figlio e leggendo nei suoi occhi il terrore puro.  

“Kagome,” sussurrò quest’ultimo in risposta prima di scattare nella direzione da cui era arrivati qualche ora prima e lasciando dietro di sé ogni altra cosa, senza nemmeno aspettare il genitore. Erano stupidamente caduti nella trappola di quel demone e temeva quel che avrebbe trovato al castello dove aveva lasciato le donne più importanti della sua vita. Tuttavia, la paura che sentiva non gli impedì di correre più veloce che poté verso di loro e sperare che tutto fosse solo un brutto incubo. Quelle vane speranze, almeno, gli impedirono di pensare all’odore che aveva riconosciuto quando suo padre aveva raccolto la statuetta, lo stesso che aveva sentito solo un’altra volta al villaggio di Kagome.  

Qualunque cosa significasse Inuyasha non voleva pensarci perché sapeva che, nel momento in cui lo avrebbe capito, tutto sarebbe peggiorato e sarebbe stato ancora più difficile uscire da quell’incubo in cui era precipitato.  

 

 


N/A: Buonasera a tutti ❤. 
Avevo già lasciato indizi quindi penso che non sia stata una grossa sorpresa questo capitolo, ma come sempre spero vi sia piaciuto. 

A prestissimo! 

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Capitolo 14
*** XIII — La lingua dei demoni cane ***


Capitolo XIII: La lingua dei demoni cane 
 



 

“Vedeva le persone come non le aveva mai viste, mai sentite prima. Ma le vedeva senza vederle, senza immagini, senza idee; come se solo la sua anima le vedesse; eppure erano così chiare che egli era mille volte trafitto dalla loro intensità. Però, come se si arrestassero su una soglia che non potevano varcare, esse arretravano e svanivano appena lui cercava le parole per dominarle.” 

I turbamenti del giovane Törless, Robert Musil 

 


 

La giovane sacerdotessa si svegliò stordita, lamentando un incredibile mal di testa e pensando, per un secondo, che il tutto fosse riconducibile ai pensieri che l’avevano tormentata da quando Inuyasha era partito, una notte difficile e un incubo particolarmente vivido. Tuttavia, quando riuscì con successo a strizzare gli occhi e poi a metterli a fuoco, si accorse di non essere nella sua stanza al castello, ma in una capanna a lei sconosciuta, dismessa e maleodorante. Tanto bastò a svegliarla del tutto e farle ignorare il continuo rimbombo nella testa e nelle orecchie che quasi la rendeva sorda. E come era accaduto qualche ora prima, fu presa alla sprovvista da una voce maliziosa che richiamò la sua attenzione. In un attimo, le tornò tutto alla mente e la paura la invase, rendendole impossibile cercare di calmarsi, ricordarsi in che modo avrebbe dovuto comportarsi in situazioni simili per mantenere il sangue freddo e avere la meglio sul proprio avversario. Non avrebbe potuto anche se avesse ricordato ogni lezione di Hitomiko-sama o Kaede-sama e non solo perché era consapevole di essere stata rapita nel bel mezzo della notte da un essere pericoloso che stava seminando distruzione nelle terre dell’Inu-no-Taisho chissà da quando, ma anche perché un attimo dopo scoprì di essere impossibilitata fisicamente.  

Tentò di muoversi, tirare calci e abbassare le braccia, ma fu tutto inutile. Il suo aguzzino le aveva legato le mani e i piedi come si fa come un qualsiasi criminale o condannato a morte, prevedendo che al suo risveglio il suo primo istinto sarebbe stato quello di scappare. Non poteva biasimarlo; al suo posto avrebbe fatto lo stesso. La differenza, però, pensò Kagome, era che lei non andava commettendo omicidi o rapendo persone per farne chissà cosa. Ecco… chissà cosa? Cosa voleva da lei quest’essere? E cosa aveva voluto intendere quando le aveva rivelato di essere una sua vecchia conoscenza? Sentì il corpo cominciare a tremarle a causa dei brividi improvvisi, mentre il presagio peggiore di tutti si faceva strada nel suo inconscio come l’opzione più plausibile – e temibile. Ma Inuyasha le aveva assicurato che non era possibile, vero? L’aveva confortata e consolata e non l’aveva presa per stupida quando aveva accennato a quella possibilità. Quindi perché ora quel pensiero le tornava in mente? Perché le sembrava così vero? Scuotendo la testa, si concentrò su ciò che quella voce raccapricciante le stava dicendo, riflettendo che forse avrebbe fatto meglio a prestare attenzione se voleva avere la minima possibilità di uscire viva e illesa dalla sua nuova gabbia.  

“…non vorrai mica ferirti, d’altronde. Mi dispiacerebbe molto se la tua candida pelle venisse macchiata a causa di quelle corde che ho dovuto utilizzare per semplice precauzione. Quindi, mia dolce Kagome, sarebbe meglio se non ti muovessi troppo.” Kagome non poteva vederlo, ma sentiva che stava armeggiando con qualcosa. “Più tranquilla sarai, prima ti ambienterai. Se lo farai, beh, tutto il resto sarà più piacevole… sia per me che per te.” Si girò nel pronunciare quelle ultime parole e se il suo tono di voce non le avesse già gelato il sangue, lo avrebbe fatto il ghigno viscido che gli adornava le labbra o quello sguardo affamato che stava ora vagando lungo tutto il suo corpo come se stesse…  

Impallidì.  

Conosceva quello sguardo, lo aveva visto tante volte in particolare su un uomo, quegli stessi occhi scuri che se la mangiavano ogni volta che lo incrociava, come se stesse pregustando il momento in cui Kagome sarebbe stata sua, come se fosse sempre stato sicuro che prima o poi lei sarebbe stata alla sua mercé. Faticò a reprimere un conato di vomito, chiuse gli occhi e scosse freneticamente la testa nel tentativo di scacciare a forza quella realizzazione che più si faceva vera più lei desiderava ignorare. 

Non poteva essere. Non voleva crederci.  

Ora anche l’aura gli sembrava troppo familiare, troppo sporca e malvagia, tanto che si chiese come avesse fatto a non riconoscerla subito.  

E mentre arrivava a quella conclusione e la sua anima piangeva di conseguenza, non si accorse che il demone si era avvicinato fino a farle sentire il suo fiato caldo e puzzolente sul viso. Mani gelide e callose le presero il mento con una certa fermezza – senza ferirla, ma allo stesso tempo lanciandole un chiaro avvertimento – per poter fermare quel movimento di testa e portare il viso alla stessa altezza, così che quando fu costretta suo malgrado a rialzare le palpebre riuscì a vedere il suo riflesso pallido in quelle pozze scure che l’avevano spaventata sin da che era una bambina.  

“Mi riconosci ora, vero? Lo sapevo che non ci avresti messo molto. Sei sempre stata intelligente. Anche se da te mi sarei aspettato un comportamento diverso e ora, pur non volendo, sarò costretto a punirti per assicurarmi che tu abbia imparato la lezione. È per questo che ti ho legata – non volermene, davvero –, temevo che il tempo trascorso con quei cani ti avesse condizionata, soprattutto dopo il tuo atteggiamento di qualche ora fa, e mi serviva una precauzione. Ma non aver paura, non appena avrò finito saremo liberi di riprendere la nostra vita insieme come avevamo progettato in precedenza.” Le sorrise, tra il condiscendente e l’affettuoso, come se credesse davvero al discorso che aveva appena fatto, come se Kagome fosse una bambina disobbediente che doveva solo dimostrare di aver imparato la lezione o – deglutì – come se lei avesse mai accettato di sposarlo o pianificato una vita con lui.  

Forse la sua mente viaggiava davvero su strade diverse da quelle normali, magari la vita da recluso e i continui accessi di rabbia che erano andati aumentando con il passare degli anni lo avevano danneggiato al punto da renderlo pazzo. O, cosa più plausibile, si disse infine, si stava prendendo gioco di lei. Probabilmente era così: era un uomo meschino e calcolatore, dopo tutto, e si divertiva sulla pelle degli altri. Perché ora non avrebbe dovuto esercitare la sua vendetta su di lei che aveva osato addirittura scappare e umiliarlo?  

Kagome non sapeva come aveva fatto a trovarla o in che modo era riuscito a trasformare in tal modo il suo aspetto, il suo essere, ma di una cosa non dubitava: il demone di fronte a lei non era nato tale; era stato concepito da padre e madre umana. Tuttavia, rifletté, la sua anima era sempre stata nera come quella del peggior demonio e, forse, era proprio in quel pensiero che si nascondeva la risposta al suo precedente dubbio.  

Era la sua malvagità innata ad aver concesso a Onigumo di trasformarsi in demone – o mezzo demone, constatò – e Inuyasha, purtroppo, aveva avuto torto. C’era riuscito ed era tornato da lei per dimostrarglielo.  

“Mi capisci, vero?” domandò dopo averle lasciato il mento e ad aver ripreso ad armeggiare con ciò che lei ancora non riusciva a vedere non potendo muoversi molto né tanto meno raddrizzarsi. “Sei intelligente, sì. In più, ora non dovrai preoccuparti del mio aspetto poco attraente. Ho rubato quello di un principe pensando solo a te.” Kagome trattenne il fiato, cercando di non pensare a cosa mai intendesse con quella frase.  

Lo osservò meglio: senza la pelliccia bianca i lunghi e mossi capelli neri cadevano sciolti oltre le spalle, mentre alcune ciocche gli inquadravano perfettamente il viso bianco e privo dei vecchi segni dell’età; anche il corpo era quello di un giovane, alto, robusto ma non troppo, tanto che sarebbe potuto passare per il fratello minore del figlio. Eppure, le labbra rosse e piene non avrebbero potuto cancellare quel ghigno maligno che aveva sempre indossato da che Kagome aveva memoria né il blu intenso delle sue iridi nascondere la sua anima buia. Sì, Onigumo era diventato un demone di bell’aspetto, ma in cambio la sua aura si era incupita ancor di più, in un modo che fino a ieri Kagome non aveva creduto possibile. Perché chi avrebbe mai detto che quell’essere sarebbe potuto arrivare a un tale livello di malvagità? E di cosa fosse capace toccava a lei scoprirlo – e non era un compito che avrebbe affrontato tanto volentieri.  

Onigumo continuò a guardarla in modo lascivo, facendola sentire sporca, poi le si avvicinò di nuovo e con quelle giovani mani – ma già ruvide e callose – cominciò ad accarezzarle i piedi nudi, le caviglie, salendo senza alcuna fretta verso ciò che era nascosto sotto la sottile vestaglia.  

Kagome non riuscì a ingoiare il singhiozzò che le scappò dalle labbra e rimbombò nella capanna. Ebbe paura che Onigumo si rabbuiasse e le intimasse di stare zitta, ma lui la ignorò, forse troppo preso a saggiare la sua pelle morbida o a pregustare ciò che avrebbe toccato a breve, ma quello non era un pensiero che la tranquillizzò, semmai riuscì solo a farla tremare ancora di più mentre polsi e caviglie tentavano inutilmente di liberarsi dai confini degli spessi lacci che li graffiavano. Strinse forte gli occhi, cercando di immaginare un qualsiasi altro scenario che la portasse via da lì anche solo con la mente, pregando di avere ancora un po’ di tempo e chiedendosi perché mai tutto fosse accaduto così in fretta.  

Ma proprio quando sentì i polpastrelli di lui premere più insistentemente sulla carne dell’interno coscia qualcuno rispose alle sue preghiere. I gesti di Onigumo, prima lenti e pian piano resi più rudi e agitati a causa dell'evidente eccitazione, si fermarono in modo brusco; alzò di scatto il volto e puntò i suoi occhi spaventosi su un punto imprecisato davanti a lei, perdendosi per un attimo in quel qualcosa che poteva vedere solo lui. Dopo un secondo, digrignò i denti e le mani che l’avevano toccata fino a quel momento la lasciarono per stringersi a pugno nel tentativo di trattenere la rabbia. Inutilmente visto che, a causa di questa, ora il suo corpo tremava come quello di Kagome.  

“Pensavo di avere più tempo,” sibilò tra sé e sé. “Avrei voluto consumare la nostra unione prima del dovere, così da poter svolgere la mia missione con più piacere. Invece, quei maledetti cani hanno mandato a monte di nuovo ogni piano!” La sacerdotessa sgranò gli occhi e la paura per se stessa si trasformò in paura per l’amato. “Ma anch’io ho fatto male i miei calcoli,” riprese con voce più calma, “forse sono stato uno sprovveduto a farmi prendere da questa energia positiva o dall’attesa.” Le sorrise di nuovo con finto affetto e poi si allontanò pur rimanendo nel suo campo visivo. Kagome lo vide calarsi per prendere la pelliccia di babbuino e, osservandolo, constatò che sebbene in quel modo fossero visibili solo gli occhi e il sorriso malefico, le faceva meno paura. La bellezza di quel principe a cui aveva rubato l’aspetto la inquietava di più, forse perché sapeva cosa si nascondeva sotto di essa.  

Sistemato il proprio aspetto si avvicinò di nuovo e, questa volta, quando le prese il mento tra le dita per accostare i loro volti, appoggiò le sue labbra su quelle di lei, rubandole con forza e violenza un bacio. Kagome si agitò di conseguenza, cercando di scostare il volto come una pazza, ma la presa di lui era ferrea e, anzi, la rafforzò premendo ancor di più con le dita e lasciando sulla sua pelle il segno del loro passaggio. E quando provò ad aprirle anche la bocca, lei ne approfittò per mordergli le labbra a sangue così da costringerlo a staccarsi. 

Kagome quasi non sentì il dolore cocente sulla guancia rigata dalle lacrime né il suono dello schiaffo rimbombare nella capanna perché se lo aspettava. Non si era illusa nemmeno per un momento che lui avrebbe potuto mantenere la sua apparente calma dopo che lo aveva rifiutato con tanta chiarezza; ne avrebbe ricevuti volentieri altri pur di interrompere quel contatto al quale era stata costretta e che ora le faceva desiderare di poter abbassare il capo e vomitare fino a che quel sapore sgradevole e marcio non l’avesse lasciata. 

“Maledetti cani,” sibilò lui sputando a terra mentre i suoi occhi fiammeggiavano d’ira. “Vedo che impiegherò molto più di quanto avevo sperato prima di poterti riportare a quella che eri prima che li incontrassi. Ma stammi bene a sentire, Kagome: che tu lo voglia o no, quando tornerò sarai mia, e se non sarai compiacente sarà solo più doloroso per te. Pensaci bene e rifletti se ti conviene.” Detto ciò, e lasciandola più impaurita che mai, le diede le spalle e si precipitò di corsa fuori da quel tugurio, muovendo così violentemente la debole porta di bambù da staccarla e offrirle uno scorcio di ciò c’era oltre la gabbia.  

Subito Kagome scoppiò a piangere senza più mutare i singhiozzi che le scuotevano il corpo, ma nemmeno quelli le impedirono di udire le successive urla del suo aguzzino. “Susumu!” urlò Onigumo. “Fa la guardia! Tornerò presto; mi serve solo il tempo per  liberarmi definitivamente di quegli scocciatori.” 

Il ragazzo era fermo lì fuori, nascosto tra rami secchi ed alberi spogli, l’aspetto sporco e logoro, tentando di sbollire la rabbia che nelle ultime settimane non lo aveva mai lasciato.  

Lui non aveva potuto approfittare della stessa trasformazione a cui suo padre era andato volontariamente incontro e, di conseguenza, nemmeno del suo nuovo e bellissimo aspetto. Semmai, era peggiorato: la stanchezza e la fatica lo avevano ingobbito, la pelle si era indurita e scurita a causa del continuo restare sotto il sole e le numerose escoriazioni che aveva guadagnato erano ancora ben lontane dal guarire del tutto, molte gli avrebbero lasciato cicatrici che non lo avrebbero più abbandonato. E se tutto ciò non era abbastanza, se l’aver trascorso le ultime settimane ad obbedire a quel demone che era diventato come se fosse il suo schiavo non fosse una punizione necessaria, ora doveva attendere lì fuori sapendo che dentro la capanna lui avrebbe preso con la violenza una ragazza giovane e matura come Kagome. Ma non era l’atto in sé che scatenava la sua collera né il sapere che sarebbe stato perpetuato nel modo più vile, piuttosto l’impossibilità di fare lo stesso.  

Desiderava essere al suo posto; credeva di meritarselo, dopo tutto. Suo padre era vecchio ormai, e chiaramente pazzo, ma lui non aveva alternative ed era costretto a sottostare ai suoi ordini. Se prima, quando erano ancora al villaggio, aveva contemplato l’idea di farlo fuori ed avere la ragazza tutta per sé, ora che era diventato così forte sapeva di non avere speranze – e ancora nessun piano alternativo gli si affacciava alla mente.  

Infine, proprio mentre stava per sfogarsi sulla natura, la voce irata di Onigumo lo raggiunse e Susumu si precipitò da lui con la mezza idea di infischiarsene e contrastarlo. Tuttavia, non appena sentì ciò che aveva da dirgli, si accorse di quale grossa possibilità gli era capitata tra le mani e un sorriso così simile a quello del genitore si fece largo sul suo viso sporco e ferito. Un secondo dopo, lo nascose sotto l’espressione indifferente che aveva padroneggiato per non insospettirlo e assentì alle sue richieste ridicole cosicché se ne andasse quanto prima lasciandolo – anzi, lasciando entrambi – solo.  

Il padre lo squadrò mantenendo sulle labbra una smorfia arcigna per tutto il tempo, forse riflettendo se fosse davvero una buona idea fidarsi di quel buono a nulla del figlio. Tuttavia, non poteva soffermarsi troppo sulla cosa perché il suo inganno gli aveva fatto guadagnare meno di quel credeva e – dopo ciò che Kagome aveva osato fare, rifiutandolo ancora – non vedeva l’ora di sbarazzarsi di quei demoni che per primi avevano rubato ciò che era suo. Con quel nuovo corpo che si ritrovava e potendo giocare ancora sull’effetto sorpresa, li avrebbe raggiunti e fatti fuori entrambi. Prima, però, si sarebbe divertito un po’ con Inuyasha; dopo tutto, era sicuro che il suo olfatto sopraffino non avrebbe avuto problemi a riconoscere l’odore che lo permeava tutto. E anche se avrebbe preferito fosse ancora più forte – come lo sarebbe stato se fosse riuscito ad averla in tempo – sapeva per certo che il sangue caldo del mezzo demone gli avrebbe assicurato comunque un po’ di divertimento.  

Così, infine, lasciò la radura e il figlio dietro di sé, non notando il sorriso sinistro che Susumu aveva malcelato né il modo in cui suoi occhi continuavano a saettare tra lui e la capanna dove era tenuta prigioniera Kagome. 

Il giovane tirò suo malgrado un sospiro di sollievo quando percepì la sua assenza, ma aspettò comunque un po’ di tempo prima di arrischiarsi ad entrare nella malridotta abitazione. Nell’attesa cominciò a sudare copiosamente – non sapeva se per l’ansia o per l’eccitazione – mentre il cuore accelerava e la mente riproduceva fantasie a cui si era lasciato andare ultimamente e che ora sembravano sempre più concrete.  

Di lì a poco, avrebbe avuto quello che desiderava e se già la prospettiva del piacere carnale e violento lo riempiva di anticipazione, così come le urla di lei che già gli sembrava di sentire, il sapere che avrebbe fregato il padre – avuto la meglio su di lui, laddove più gli premeva – rischiava di farlo venire lì seduta stante.

Oh, sì, davanti a lui si prospettavano delle ore molto più che piacevoli e, per la prima volta nella sua vita, avrebbe imparato cosa fosse la soddisfazione al di là del sesso.  

 

***

 

Le ultime parole di Onigumo prima di lasciare la capanna fecero sì che l'abisso in cui si trovava Kagome diventasse sempre più profondo, eppure sentiva che le cose sarebbero potute peggiorare ancora se lo avesse permesso. Questo significava che non poteva permettere a quel mostro di avere la meglio su di lei o di spaventarla al punto da non agire.

Aspettando che la porta di bambù la coprisse almeno un po', Kagome ricominciò a muovere le mani, incurante delle ferite che le provocavano le corde, ma facendo del suo meglio per allentarle. Poi piegò i gomiti e girò la testa in modo da poter afferrare i lacci con la bocca.

Trattenne il respiro, ascoltando le loro voci all'esterno per capire quanto tempo le rimaneva o per stare all'erta nel caso in cui uno di loro avesse deciso di tornare, poi lo lasciò uscire.

Sudava così tanto da sentire le gocce salate bruciare le ferite che aveva aperto, ma strinse i denti e continuò, consapevole di doversi muovere in fretta e di non potersi distrarre.

Quando fu sicura che stessero ancora discutendo là fuori, mosse di nuovo la testa e finalmente afferrò le corde con i denti, desiderando di avere le zanne di Inuyasha.

In bocca avevano un sapore sgradevole, di polvere e terra, ma non cedette ai conati di vomito e continuò a masticare. Dopo quelle che le sembrarono ore, un pezzo si ruppe e lo sputò, poi un altro, poi si fermò bruscamente quando sentì qualcosa di più morbido incontrare le sue labbra: pelle.

Il sollievo fu tale che fece un altro grande respiro, cercando di prendere tanta aria come se fosse stata sott'acqua fino a quel momento.

Non sarebbe stato così difficile liberare le mani ora, eppure aspettò di nuovo e si rese conto che non stavano più parlando. Dalla nuova fessura della porta di bambù poteva ancora vedere le spalle di Onigumo che coprivano il figlio e decise di muoversi, di liberarsi e di trovare un'arma prima che avessero l'opportunità di intrappolarla di nuovo.

Una volta in piedi le occorsero un paio di secondi per ritrovare l'equilibrio, poi i suoi occhi si mossero freneticamente dappertutto, alla ricerca di qualcosa da usare come arma; lo trovò in uno dei quattro angoli. Afferrò un pezzo di legno lungo e spesso, ma non così pesante da non poterlo sollevare, e si preparò a quella che probabilmente era la parte più difficile del suo piano.

Il cuore le batteva così forte nel petto che temeva potesse uscire prima che riuscisse a dirgli di rallentare, sentiva il battito rimbombarle nelle orecchie tanto da coprire i rumori esterni, ma non si lasciò fermare nemmeno da quello. Era troppo tardi per tirarsi indietro.

Quando vide Onigumo uscire dalla radura, si immobilizzò contro il muro e si disse che non doveva avere paura di un viscido ragazzo. Era più forte di lui, poteva sconfiggerlo. Ma l'altra parte del suo cervello, quella ancora alle prese con tutto quello che le era successo in così poco tempo, la fece dubitare di se stessa.

Fece un altro grande respiro, chiuse gli occhi, mise a tacere la codardia e si preparò a lasciare la capanna per sempre.

Susumu, però, era stato più veloce del previsto, perché lo incontrò sulla soglia non appena fu uscita.

La sorpresa li fermò entrambi per un paio di secondi, come se i due stessero cercando di inviare le immagini al cervello per dirgli che quello che stavano vedendo era vero, ma fortunatamente per Kagome, lei si riprese con più velocità e prima che lui potesse anche solo pensare di muoversi, alzò il ginocchio e lo colpì tra le gambe. Non si fermò a vedere la sua reazione, ma lo sentì trattenere il fiato e cadere a terra.

Fece per correre verso la foresta con ancora in mano il legno che non aveva usato per colpirlo, ma Susumu non sembrava incline a lasciarla andare così facilmente, anche se stava ancora soffrendo per quel colpo. Allungò il braccio e le afferrò la caviglia prima che fosse troppo lontana, facendo inciampare e cadere anche lei.

Kagome sussultò e, per coprirsi il volto, lasciò andare l'arma mentre il ragazzo esercitava pressione sul suo piede. La caduta era stata brusca e inaspettata e sentiva già dolori in tutto il corpo, ma quando lo sentì sghignazzare, pensando di averla in pugno, qualcosa scattò di nuovo in lei.

Con la forza che non credeva di avere ancora, non dopo la pressione sul suo corpo e sulla sua mente, Kagome si alzò il più velocemente possibile e, stringendo i denti, strappò il piede dalle grinfie di quel viscido essere umano. Non contenta, usò lo stesso piede per calpestargli le mani e scacciarlo via, prima di iniziare una folle corsa verso la foresta.

Aveva il fiatone e cominciava a vedere sfocato e annebbiato, non ce la faceva più, ma non si arrese e non si voltò per vedere se lui era ancora a terra; doveva seminarlo e mettere più spazio possibile tra loro. Doveva perdersi nella foresta, far perdere le sue tracce in modo da avere il tempo di riprendersi e pianificare il resto della fuga.

La gola era secca, i muscoli protestavano e i piedi volevano fermarsi, ma lei non glielo permise.

Lo sentì alzarsi e ancora non si voltò, non poteva; ogni secondo era prezioso.

Poi altri alberi apparvero nel suo campo visivo e lei accelerò, motivata, e fece per girare a sinistra, dove poteva vedere ancora più verde, e improvvisamente si bloccò, dimenticando chi la stava inseguendo.

Vide l'argento scintillare sotto il sole e il suo cuore batté all'impazzata... finché non riconobbe il volto che quei capelli incorniciavano.

Sesshomaru.

Kagome lo guardò stringere gli occhi, riconobbe lo sguardo omicida in essi e sussultò. Seguì i movimenti del braccio di lui mentre lo sollevava e d’un tratto tornò a un paio di mesi prima, a una passeggiata nel villaggio, a un ragazzo che conosceva da una vita accanto a lei e a un sorriso sulle labbra così diverso da quello che condivideva con l'uomo che amava ora.

Lo vide ripetere quelle azioni e non osò più muoversi.

 

***

 

Non era passato molto dal suo incontro con la ragazzina – Rin – ma Sesshomaru già comprendeva che sarebbe stato complicato dimenticare quel nome, e forse per questo si sforzava di pensarla sempre e solo con quell’appellativo. Se non fosse che la sua mente traditrice lo correggeva puntuale, proprio come era appena accaduto, ricordandogli che quella ragazzina aveva, infatti, un nome. 

Da quel giorno, aveva cambiato più e più volte il proprio percorso, esplorato luoghi del suo passato che aveva dimenticato o talmente cambiati da sembrare nuovi; si era tenuto lontano da ogni comunità, cercando il silenzio nella speranza che, con esso, si sarebbe spenta anche la sua mente e quel turbine di pensieri che lo inseguiva ovunque e gli faceva sembrare di essere circondato anche se in realtà era solo – ma con la voce gracchiante di Jaken. 

Non aveva raggiunto il suo scopo, però, ed era ben lontano dal farlo, e questo lo aveva portato a farsi alcune domande, a contestare se stesso o a guardare al passato, cercando di analizzare ogni piccolo segmento sperando di trovare almeno una risposta – o scoprire se davvero ognuno di questi eventi era solo la prova che egli aveva sbagliato, dopo tutto. Ma quest’ultima, era una verità troppo cocente da poter accettare, e Sesshomaru non vi si era soffermato troppo.  

Per quanto fosse vero che per la prima volta il glaciale principe dei demoni si fosse messo in dubbio, sarebbe passato ancora un po’ prima di poter accettare i propri errori, consapevole di dover cambiare rotta – in ogni senso.  

All’inizio del viaggio che lo avrebbe portato in quella direzione, anche se lui non lo sapeva ancora, Sesshomaru si trovava a un’impasse. Ma che si guardasse indietro o avanti, la soluzione stava tutta nel suo naso o – per dirla un po’ più poeticamente – nel suo olfatto sopraffino che aveva saputo stravolgere d’improvviso il vecchio percorso che si era prefissato, senza che lui potesse davvero obiettare.  

Da che il mondo era nato e i demoni erano stati generati, l’odore era sempre stato di fondamentale importanza per quelli di razza canina e loro ne avevano fatto un vanto. Era come parlare una lingua in più, che solo loro conoscevano, e attraverso la quale era possibile scoprire mille e mille cose che a ogni altro essere era preclusa. Ma, come ogni altra lingua, per poterla parlare bisognava padroneggiarla.  

E Sesshomaru ne era diventato maestro sin da che era un cucciolo.  

Sembrava, dunque, che il destino ora volesse farsi beffe di questo demone fiero e orgoglioso ed utilizzare proprio una delle sue qualità migliori per deviare il suo cammino e mostrargli dove aveva sbagliato finora. Lui però non se ne sarebbe accorto subito, così come aveva avuto bisogno di qualche istante per comprendere di chi era quel profumo che lo ammaliava e al tempo stesso spaventava.  

Ma il secondo odore che lo colse di sorpresa, a meno di una settimana dal primo evento, era dannatamente familiare e, sebbene fosse accompagnato da alcune sensazioni spiacevoli, non esitò nemmeno un momento. Troppe cose strane era accadute in così breve tempo per ignorarlo.  

Scattò verso il punto che il destino gli aveva velatamente indicato e, così facendo, lasciò ancora una volta il suo povero vassallo indietro che, stremato e senza più voce, si accasciò a terra semi-svenuto, prima di riprendersi spaventato e riconcorrerlo come se, di nuovo, fosse inseguito da un branco di lupi selvaggi.  

Arrivò giusto in tempo per udire parole che gettavano odio su suo padre e su tutta la loro razza. Non conosceva colui che le aveva pronunciate né il suo interlocutore, ma aveva sentito le storie che circolavano nelle ultime settimane così come sapeva che suo padre era attualmente impegnato in una missione di ricerca per sbarazzarsi dell’essere che aveva minacciato i confini a Sud. Non se ne era poi tanto curato, non fino a quel momento.  

Sesshomaru sapeva di essere un demone orgoglioso e se c’era un’altra cosa di cui era andato sempre fiero erano i suoi antenati, il sangue che scorreva nelle sue vene e che proveniva direttamente da uno dei dai-youkai più potenti mai esistiti. E anche se negli ultimi due secoli quello stesso lo aveva profondamente deluso e aveva perso una grande porzione del suo rispetto, non avrebbe mai permesso che lo calunniassero né era mai nessuno che avesse avuto l’ardire di parlarne in quel modo davanti a lui era sopravvissuto. Così, quando suo malgrado si trovò a sentir certi piani, sapeva che avrebbe dovuto uccidere entrambi.  

Colui che era rimasto in silenzio era chiaramente un umano, ma il secondo, quello che credeva scioccamente di essere all’altezza di suo padre, appariva misterioso ai suoi occhi – e, ancor più importante, al suo naso. Non era un umano ma neanche un demone. Eppure, Sesshomaru conosceva bene l’odore di un mezzosangue e non ne aveva mai incontrato uno simile. La sua aura poi, era così malvagia che anche la sua – che non era limpida – sarebbe stata considerata la più pura in confronto.   

Strinse gli occhi e rifletté sul da farsi, ma quando l'hanyou lasciò la radura decise che, prima di inseguirlo, avrebbe investigato l’odore che lo aveva attratto, oltre a far fuori l’umano.  

Dire che fu sorpreso quando davanti a sé ritrovò la giovane sacerdotessa fonte dei suoi guai sarebbe stato un eufemismo, ma Sesshomaru non si scompose né per un secondo lasciò andare la sua fidata maschera. Vide l'umano cercare di raggiungerla – mentre lei rimaneva immobile, essendosi bloccata una volta notatolo – e si lasciò scappare un suono di disgusto.

Poi, con un movimento agile e aggraziato del polso, troncò di netto la testa dell’essere inferiore che aveva davanti e così, con tanta semplicità, anche quell’incubo da cui Kagome aveva provato finora – e senza risultato – a svegliarsi e che aveva superato addirittura quel fatidico giorno che aveva messo in moto gli ingranaggi del destino.  

La sacerdotessa non ebbe nemmeno il tempo di spalancare la bocca e urlare e, con il senno di poi, ne fu sollevata. Invece, strinse gli occhi e subito dopo sentì una sostanza calda e viscosa sul viso che troppo tardi riconobbe come sangue.

Era bastato
 quel mezzo secondo che passò durante il quale cercò di considerare se l’arrivo di Sesshomaru fosse una fortuna o una maledizione a mettere fine alla vita di Susumu. 

A quel punto, per la sua mente che aveva tentato in tanti modi di sopravvivere agli eventi di quella giornata fu troppo e Kagome si lasciò andare senza combattere a quella sensazione che la inghiottì, trascinandola ancora una volta nel buio totale.  






 


N/A:  Buonasera a tutti!
Abbiamo un secondo cliffanhanger qui, ma spero mi perdoniate. Sono sicura che gli sviluppi di questo capitolo non ve li sareste aspettati, quindi sono curiosa di sapere quali sono state le vostre reazioni. Ma ricordate che siamo ancora nel bel mezzo della storia e ci saranno ancora un sacco di sorprese. In breve: nulla è ancora detto! E se per qualche motivo l'ultima parte (da quando S. raggiunge la radura) vi è sembrata accelerata è perché volevo sottolineare il modo veloce in cui accade tutto per i personaggi. 

Vi abbraccio; a presto ^^. 

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Capitolo 15
*** XIV — Famiglia ***


Capitolo XIV: Famiglia 

 

 

 

“Cosa ti fa sentire meglio quando ti senti giù? 

La mia famiglia.”  

—La fabbrica di cioccolato 

 

 

“Inuyasha, fermati un attimo.”  

Non stava correndo da molto quando il padre lo raggiunse, trasudando calma nonostante lui sapesse che, dentro, il suo animo fosse ugualmente in subbuglio. Tuttavia, le parole che pronunciò per attirare la sua attenzione lo fecero infuriare al punto da fare proprio quello che il genitore gli aveva chiesto per urlargli contro.  

“Fermarmi dici? Come—Come puoi chiedermi una cosa del genere?” Scosse la testa. “Lo hai sentito anche tu ciò che ha detto quel bastardo, no? Non chiedermi di stare fermo né di fermarmi perché in questo momento la donna che… Kagome è in pericolo!”  

In risposta, il padre sorrise – anche se il suo era un sorriso amaro – nel vedere quanto fosse cambiato il figlio che, non molto prima, non si sarebbe mai azzardato a mettere a nudo i suoi sentimenti, anche se in altri modi rimaneva sempre lo stesso. Ma quella scoperta era adombrata dagli ultimi eventi e non voleva assolutamente contemplare la possibilità che la felicità appena trovata potesse essere spazzata via. Chissà quali sarebbero state le conseguenze, poi.  

“Lo so, figliolo. Cerchiamo solo di mantenere il sangue freddo, ok? Non sappiamo ancora cosa ci aspetta al castello e ci siamo mossi così di fretta da aver lasciato il resto dell’esercito al confine. So che sei preoccupato – lo sono anch’io – ti chiedo solo di essere ragionevole.” Gli strinse la spalla in un gesto affettuoso e poi gliela lasciò andare, puntando lo sguardo verso Ovest. “Andiamo ora,” riprese quando notò che, sebbene la furia di Inuyasha non fosse scemata, almeno sembrava un po’ più in controllo di sé. “Nulla è ancora perduto.” 

Il viaggio proseguì silenzioso e per quanto i due demoni andassero veloci, estremamente lento; non si lasciarono distrarre da nulla che accadeva loro intorno e aumentarono pian piano il passo. Nonostante questo, però, il castello continuava a essere ancora troppo lontano. Quando Inuyasha era ormai convinto che sarebbe uscito pazzo il padre all’improvviso si bloccò, vigile, gli occhi assottigliati in direzione di un punto in lontananza. Per un attimo, pensò anche di redarguirlo salvo accorgersi, poi, che quel punto si stava dirigendo verso di loro e che non era tanto sconosciuto. Un attimo dopo, alle orecchie gli giunse il grido disperato di una loro guardia che chiamava a gran voce il padre. La cosa non lo consolò per nulla né il fatto che, raggiuntoli, fece molta attenzione a non incrociare il suo sguardo, quasi avesse paura di lui.  

“Toga-sama!” Si inchinò a lui e aspettò un suo cenno prima di rialzare il capo.  

“Kenichi, parla pure. Perché sei arrivato fin qui?” Il suo sguardo era severo ma non troppo.  

“Mi ha mandato la signora, Toga-sama; è una questione di vitale importanza. Mi aspettavo di dovermi recare al confine, ma è una fortuna avervi incontrato prima; non c’è tempo da perdere.” 

“Allora non lo perdere, Kenichi. Vai dritto al punto.” 

Kenichi annuì, osò spostare lo sguardo a sinistra e se ne pentì immediatamente, ritrovandosi come obiettivo dell’ira di Inuyasha; lo distolse subito e poi riprese. “Signore, siamo stati attaccati durante la notte. Il villaggio ha subito vari danni a causa di incendi dispersi, ma siamo riusciti a contenere le vittime e abbiamo messo in salvo i più. Anche l’ala reale del castello è stata presa di mira e-e…” Deglutì e si fece forza. “La signora sta bene, Toga-sama, ma la giovane sacerdotessa è scomparsa. Abbiamo ragione di credere che sia stata portata via perché le sue guardie sono state trovate senza vita.” Detto ciò, calò il viso e non osò più rialzarlo aspettandosi una forma di rimprovero.  

“Maledizione!” sbraitò Inuyasha vedendo ogni sua paura realizzarsi. “Tutto quello che aveva detto è vero; dobbiamo andare subito.” 

Toga lo trattene per un braccio mentre continuava a guardare la guardia con occhi duri. “Kenichi, dato che sei arrivato fin qua vorrei che ti recassi a Sud e aiutassi gli altri. Non preoccuparti per il resto.” Poi annuì e lasciò andare il figlio che riprese a correre ancora più veloce di prima, se possibile.  

Non c’erano dubbi sull’artefice dell’attacco e se loro fino a quel momento avevano seguito un impostore era logico pensare che la sua intenzione fosse sempre stata creare un diversivo per attaccare il castello quando meno difeso. Un’azione del genere dimostrava scaltrezza, certo, ma anche codardia. Quell’uomo li aveva presi di mira ma non aveva avuto il coraggio di affrontarli sul serio e finora aveva agito in maniera subdola, assicurandosi la vittoria senza dover mettere a rischio la propria persona. Certo, finora aveva vinto una partita, ma Toga non era diventato quello che era per nulla. Aveva a disposizione già abbastanza informazioni per farsi un’idea su quell’essere ed era certo che, giunto a casa, ne avrebbe raccolte ancora di più.  

Ovunque fosse in quel momento Kagome, loro l’avrebbero salvata. Non aveva dubbi sulle proprie possibilità e avrebbe utilizzato ogni mezzo a sua disposizione per portare a termine la missione. Conclusasi quella, poi, avrebbe scoperto una volta per tutte l’identità del demone e se ne sarebbe liberato – come aveva fatto con chiunque avesse cercato di interferire con la felicità della propria famiglia. 

 

***   

 

Sesshomaru rimase fermo e impassibile a osservare la sacerdotessa sull’orlo di un attacco di panico e fu visibilmente soddisfatto quando perse i sensi. Sarebbe stato più semplice portarla via da lì e non avrebbe dovuto fare i conti con la sua paura – che in quel momento sarebbe stata solo irritante – né con la sua voce fastidiosa. 

Non seppe nemmeno lui perché l’aiutò né perché la prese con sé visto che fino a poco prima aveva desiderato che sparisse dal castello così che lui potesse finalmente essere libero dall’incessante puzza di umano. Ma, se qualcuno glielo avesse chiesto, non avrebbe esitato a rispondere che a distruggere la felicità del fratello – e, soprattutto, il suo animo – doveva essere lui e nessun altro. Non gli piaceva quando estranei si intromettevano nei suoi affari personali o prendevano di mira le sue prede e quindi era logico presupporre che il motivo fosse solo quello.  

Non c’era nessuna altra spiegazione dietro il suo gesto né alcun tipo di debole emozione che a lui faceva solo storcere il naso. E se qualcuno avesse osato attribuirgliela avrebbe fatto a pezzi anche loro.  

Mentre usciva da quella capanna squallida vide corrergli incontro Jaken che finalmente lo aveva raggiunto e di fronte al suo sguardo sbigottito e alla sua mancanza di parole rispose con l’ennesima occhiata impassibile. Quando fece per parlare e chiedergli un’inutile domanda lo zittì all’istante. “Jaken.” Il suo tono più gelido e minaccioso del solito fece immobilizzare il vassallo, il quale deglutì e capì che anche quella volta non c’era da scherzare. Infine, Sesshomaru si librò in aria senza preavviso e Jaken fece appena in tempo ad aggrapparsi alla coda della sua mokomoko prima che potesse sparire di nuovo.  

Arrivarono presto al castello e il dai-youkai non fu per nulla contento della visione che gli si parò davanti. Sebbene i danni non fossero eccessivi erano pur sempre stati attaccati e da quello che aveva sentito prima, poteva bene immaginare chi fosse stato l’artefice.  

Digrignò i denti mentre scendeva a terra e poi guardò colei che gli aveva impedito di inseguire quell’essere misterioso: oltre che dal sangue di quel ragazzo umano era ricoperta dall’odore dell’altro, in alcuni punti anche marcatamente, e Sesshomaru non dovette nemmeno rifletterci per comprendere qual era stato l’obiettivo di entrambi. Si chiese solo quale attrattiva esercitasse su di loro al punto da scatenare un conflitto del genere; era, dopo tutto, una scialba sacerdotessa. Era forse il brivido del divieto ad attirarli? Il fatto che sarebbe dovuta rimanere pura? Ma, soprattutto, era davvero lei la causa di tutto o c’erano altre ragioni che gli sfuggivano? Non sarebbero rimaste domande a lungo, però, perché lui aveva intenzione di venire a capo del problema quanto prima. E avrebbe chiuso i conti con colui che aveva osato spingersi fino a tanto.  

Quei pensieri fecero sì che quando giunse infine alle porte di casa, dopo tutte quelle settimane, il suo stato d’animo era ancora più in subbuglio di quando era andato via. Se quello non fosse stato già abbastanza per spaventare le guardie che stavano supervisionando le operazioni di restauro e salvataggio, guardarlo trasportare la sacerdotessa li avrebbe sconvolti. Non tutti erano a conoscenza dei motivi per cui Sesshomaru aveva lasciato l’Ovest, ma alcuni erano stati abbastanza percettivi da comprendere che l’arrivo di un’altra umana a castello aveva contribuito. Ma, proprio quando tutti erano in agitazione per l’attacco e la scomparsa della suddetta, eccolo che tornava e, per di più, la riportava a casa. In ogni caso, furono abbastanza furbi da non fare domande, lasciandolo passare con un breve e sussurrato saluto ed evitando di soffermarsi con lo sguardo sull’aspetto tutt’altro che rassicurante di Kagome.  

Il suo percorso, però, si bloccò poco dopo aver attraversato il portone principale.  

Izayoi era lì, che dirigeva ogni operazione e aiutava laddove possibile, cercando di tenersi il più possibile occupata per non pensare alle sorti di quella che aveva cominciato a considerare come la figlia che non aveva mai avuto. Quando i demoni attorno a lei si bloccarono d’improvviso e il silenzio piombò su di loro, si voltò verso l’entrata e ciò che vide le tolse il fiato.  

Sesshomaru, glaciale e impeccabile come sempre, era ritornato dopo così tante settimane. Non poté nascondere il sollievo che provò nel vederlo sano e salvo perché, nonostante lui serbasse solo odio e disprezzo nei suoi confronti, lei non poteva volergliene male. Così come aveva detto al compagno tempo addietro, il fatto stesso che fosse il figlio della persona che amava, fratello del suo unico figlio, faceva sì che quell’amore si estendesse anche a lui. E anche se fosse rimasto per sempre un sentimento unilaterale a lei andava bene così. A quel sollievo, infine, si unì quello dato dal vedere una ragazza che non faticò a riconoscere tra le sue braccia.  

Non gli fece domande; lo conosceva troppo bene per aspettarsi una qualsiasi risposta. Invece, si affrettò a raggiungerlo e spronando un paio di guaritori a seguirla chiese loro di occuparsi di Kagome. Ci mancò poco che svenisse nel vedere tutto il sangue che la ricopriva, il rosso scuro in contrasto con l’inusuale pallore del suo viso, ma subito venne rassicurata.  

“Non è suo,” dichiarò uno dei guaritori dopo averle dato una veloce occhiata, “ma sembra che abbia comunque bisogno di cure. Dove dobbiamo portarla, Izayoi-sama?” 

“In infermeria,” rispose lei senza esitazione. “Vi raggiungerò subito, voi andate avanti.” Infine, si voltò verso Sesshomaru che le aveva già dato le spalle e stava ritornando sui suoi passi e, suo malgrado, sentì l’impulso di trattenerlo, anche se sapeva che c’erano basse – se non nulle – possibilità che lui le desse ascolto. “Sesshomaru, aspetta!” 

Il dai-youkai si fermò, ma non si girò né le parlò. Quando poi Izayoi non pronunciò altro riprese il suo cammino per poi rifermarsi quando lei lo ringraziò. Sbuffò in risposta, nient’altro; non gli interessavano i ringraziamenti per aver salvato qualcuno che non aveva nemmeno a cuore. E quando ancora Izayoi gli chiese se volesse aspettare il ritorno del padre che sarebbe arrivato a breve lui la ignorò e proseguì per la sua strada.  

Aveva già sprecato abbastanza tempo.  

 

 

***   
 

 

Izayoi raggiunse Kagome non appena la figura di Sesshomaru scomparve oltre l’orizzonte e prima ancora di vederla sentì le sue urla. Quando entrò nella stanza la ragazza era raggomitolata in un angolo mentre un paio di guaritori cercavano di avvicinarla, ma nonostante avessero usato modi gentili e rassicuranti non riuscirono né a fermare le sue grida né a toccarla. Nell’accorgersi di lei, i due demoni tirarono un sospiro di sollievo.  

“Izayoi-sama, non siamo riusciti a far nulla. Appena siamo arrivati si è destata ed è scattata, cominciando ad urlare. A niente sono valse le nostre rassicurazioni.”  

Lei riservò loro un sorriso dolce e un cenno e poi li pregò di lasciare da sole, rassicurandoli che quando sarebbe riuscita a calmarla si sarebbe occupata lei di lavarla e curarla; solo se ci fosse stato bisogno di qualcuno più esperto li avrebbe chiamati. Mentre chiudeva le porte e metteva da parte il necessario, con la coda dell’occhio la vide ciondolare avanti e indietro, gambe al petto e occhi chiusi e stretti, come se stesse cercando di cancellare dalla sua mente immagini troppo vivide e invadenti. Piano piano, senza fare troppo rumore ma assicurandosi che Kagome fosse consapevole della sua presenza, Izayoi si avvicinò fino a che non le fu possibile accucciarsi a terra accanto a lei. A quel punto aveva smesso di urlare e silenziosamente le porse un po' d’acqua che la giovane accettò subito, rompendo la posa.  

Izayoi l’ascoltò deglutire con foga mentre cercava di placare la sete, la gola arsa e chissà quali demoni. Poi, quando reputò sicuro parlare fu interrotta.  

“Mi d-dispiace.” La voce era rotta e flebile, in netto contrasto con quella sicura che aveva avuto anche solo il giorno prima, e molto più debole di quella che Izayoi aveva sentito quando si erano presentate la prima volta. Sentì qualcosa stringerle il petto in una morsa ferrea. Le porse la mano e aspettò che Kagome si sentisse abbastanza sicura da stringerla e quando lo fece aumentò la presa. Non osava ancora toccarla senza permesso e anche se avrebbe voluta stringerla a sé come si fa con il proprio bambino, cullarla fino a quando non fosse caduta in un sonno senza incubi, sapeva che avrebbe dovuto procedere a tentoni. D’altronde, ricordava benissimo cosa significasse sentirsi tradita, sconvolta, impaurita e senza àncora e, se avesse potuto, avrebbe rivissuto le emozioni più nere per far sì che Kagome non le sperimentasse mai.  

Ma ora era troppo tardi e ciò che poteva fare era starle vicino e insegnarle in che modo avrebbe potuto trarre forza da quell’esperienza, diventando più forte e temprando il suo animo. Se lei era stata relativamente sola durante le sue notti più buie, allora si sarebbe assicurata che Kagome non lo fosse mai. “Scommetto che ora stai pensando a quanto tu sia un peso per noi, che sarebbe stato molto meglio se Inuyasha non ti avesse mai conosciuta o che Sesshomaru ti avesse uccisa insieme al tuo fidanzato così da non dover più dar fastidio a nessuno. A cominciare dalla tua famiglia,” le disse dopo un po’, mantenendo salda la presa e fissando lo spazio davanti a sé. Quando la sentì sussultare ebbe la conferma, non che avesse poi davvero dubitato.  

“Lo so che è così,” rispose Kagome ritrovando per un attimo il suo spirito combattivo, come se volesse dimostrarle a forza la sua ragione e che tutti loro stavano meglio senza di lei.  

Izayoi scosse la testa sorridendo mesta e poi si voltò verso di lei che la stava fissando seria. Alzò la mano libera e le mostrò chiaramente il suo intento, aspettando che lei si ritraesse o le desse qualche altro segno che le facesse capire che il suo tocco non era accettato e quando non lo vide, si sporse in avanti per spostarle una ciocca dietro l’orecchio. “Mi permetteresti di lavarti il viso mentre parliamo?” 

Kagome strinse di nuovo gli occhi e Izayoi non ebbe dubbi che stesse ricordando l’esatto momento in cui il sangue sporco l’aveva toccata, ma non poteva sapere che la sua smorfia di dolore non era dovuta tanto all’atto di Sesshomaru quanto nell’immaginare che cosa sarebbe accaduto se lui non fosse arrivato in tempo. E poi pensò a quanto quel demone tanto fiero e sprezzante avesse influenzato finora la sua vita, capovolgendola ogni volta che questa sembrava stabilizzarsi. Alla fine, annuì e Izayoi non perse tempo, bagnando subito una pezzuola e cominciando a lavarla con cura, quasi con reverenza; il suo tocco era materno e Kagome faticò a trattenere le lacrime perché in quel momento avrebbe desiderato tanto l’abbraccio di sua madre.  

“Perché non sei una persona egoista, Kagome, il tuo primo pensiero non appena ti sei sentita di nuovo un minimo al sicuro è stato preoccuparti per coloro che avrebbero potuto risentire di ciò che è accaduto la scorsa notte. Non è stato difficile per me capirlo perché credo di aver imparato più di una cosa su di te da quando vivi in questo castello. Allo stesso tempo, la tua mancanza di egoismo è andata sempre di passo con una modestia che diventa negativa quando ti impedisce di riconoscere i tratti che ti rendono più forte. Se poi rammentiamo gli eventi traumatici che hai subito da quando la tua strada si è scontrata con quella di Sesshomaru, è normale che quella fiducia che avevi in te stessa ne è stata affetta. Come sacerdotessa ti è sempre stato insegnato che non è bene essere superficiali e vanitosi e quindi fatichi anche a vedere alcune delle cose meravigliose che porti dentro.” Le passò il panno poco sotto l’occhio e poi le prese il mento con due dita per guardarla meglio. “Ho ritratto un quadro più o meno veritiero?” 

Kagome annuì suo malgrado e Izayoi riprese, afferrando un asciugamano per asciugarle le guance bagnate dalle lacrime e dall’acqua; poi risciacquò il panno in una bacinella e cominciò a pulirle il collo e la parte alta del petto.  

“Allora perché dovresti sentirti meritevole dell’amore che Inuyasha prova per te? Di quello che noi sentiamo nei tuoi confronti?” Scosse la testa e prese una pausa per finire il lavoro. A parte delle macchie scure sul viso non era ferita e questo la rincuorò; quindi, mise via tutto prima di voltarsi di nuovo verso di lei. Lesse nei suoi occhi scuri una sorta di permesso o, meglio ancora, una richiesta implicita, perché finalmente le prese il volto tra le mani e se lo portò al petto, cullandola come aveva voluto fare non appena l’aveva vista raggomitolata su stessa. Il respiro più greve della giovane si diffuse nella stanza mentre Izayoi le baciava i capelli e le parlava con amore, facendo sparire alcuni dei suoi dubbi ma soprattutto ricordandole proprio le braccia che aveva desiderato fino a poco prima. 

“La verità è, tesoro, che senza di te la nostra vita sarebbe ora più spenta e difficile; hai portato colore e gioia nelle nostre giornate e la tua assenza renderebbe tutto più grigio. Non voglio nemmeno contemplare l’idea che tu non faccia più parte di questa famiglia.” Kagome si aggrappò alla donna, circondandole la vita e spingendosi ancora di più verso di lei come se avesse voluto fondersi in quell’abbraccio. “E c’è un motivo se gli Dei hanno reputato saggio farti incontrare Inuyasha; qualunque esso sia non dubitarne mai. Anche se la vostra relazione ha ancora strada da fare, se dovrete lavorare duramente e conoscere molti altri dei vostri difetti, non vuol dire che non vale la pena. Pensi ancora che Inuyasha desidererebbe tornare indietro? Riflettici bene e, ti prego, non fargli un torto del genere,” le sussurrò infine, quasi rievocando le parole che il suo compagno aveva detto a suo figlio quando quest’ultimo gli aveva rivelato i suoi dubbi sull’anima gemella appena incontrata. “E la tua famiglia preferirebbe condividere il tuo dolore piuttosto che vivere una vita tranquilla senza di te – la tua intera famiglia,” aggiunse sperando che comprendesse il vero significato delle sue parole. 

A quel punto non era rimasto molto da dire e quando Izayoi fu sicura che gran parte del suo discorso era stato assimilato, la aiutò a rialzarsi e la condusse in una stanza diversa da quella in cui era stata finora. Rimase con lei fino a che non si fu addormentata e anche un po’ dopo e quando infine la lasciò il peso nel suo petto si era allievato solo di pochissimo.  

Quel giorno l’aveva salvata da un crollo nervoso mentre Sesshomaru l’aveva sottratta a chissà quale mostro, ma era consapevole che non tutte le ferite sarebbero state così facili da lavare come il sangue che l’aveva macchiata.  

 

***    

 

Izayoi non era riuscita ancora a calmare il suo battito irregolare o a nascondere l’espressione preoccupata sul volto quando, finalmente, compagno e figlio furono di ritorno. Prima ancora di sentire le voci alzarsi percepì chiaramente la sensazione di calore che si irradiava in tutto il suo corpo ogni volta che Toga le era vicino – anche maggiore, di ritorno da un viaggio – e bastò per tranquillizzarla un minimo. Ma non fu lui a vedere per primo, piuttosto il figlio che arrivò travolgendo chiunque gli intralciasse la via e che si fermò solo quando la vide in mezzo alla sala. Lei trattenne un singulto quando si accorse del suo aspetto e lo raggiunse a metà strada.  

“Mamma!” Non lo aveva mai sentito così disperato e agitato e si chiese come sarebbe sembrata la sua voce quando avrebbe visto in che stato era Kagome, poi si ricordò del messaggero e realizzò che per loro era ancora scomparsa. “Come è potuto accadere?” 

“Tesoro,” gli prese le braccia e ridusse ancora la loro distanza mentre con la coda dell’occhio notava il compagno comparire dietro di lui; per il momento lo ignorò in favore di Inuyasha. “Ne parleremo dopo, ma prima devo dirti una cosa importante. Anzi, forse è meglio che te la mostri.” Strinse la presa su di lui e cominciò a trascinarlo nella direzione da cui era venuta poco prima; si fermò poi accortasi che lui stava opponendo resistenza. Quando si voltò, Inuyasha aveva il capo calato ma le era ancora possibile notare la sua espressione cupa.  

“Mamma, mi dispiace, ma non ho tempo per tutto questo. Voglio sapere ogni dettaglio della notte scorsa perché devo ritrovare al più presto Kagome. Non possiamo sapere cos-” 

“Ascoltami ho detto,” lo interruppe alzando la voce e cominciando a perdere pazienza. Si dispiacque anche per il tono brusco, ma prima che continuasse a struggersi pensando a dove fosse la ragazza voleva che la vedesse con i suoi stessi occhi. Inuyasha la guardò sorpreso, ma non osò ribattere nel vederla reagire in quel modo. “Fidati di me.” 

Dietro di loro, Toga arcuò un sopracciglio osservando le interazioni, ma se la compagna stava agendo in quel modo, rimandando anche le importanti spiegazioni, c’era per forza una motivazione valida. Dunque, seguì silenzioso i due quando Inuyasha accettò di essere condotto e fu ancora più sorpreso quando si fermarono davanti a una stanza dell’ala reale di solito inutilizzata. Due secondi dopo, percepì l’odore di Kagome provenire da essa e per un nanosecondo si chiese se per uno strano motivo non ne avesse fatto uso prima di essere rapita, salvo poi accorgersi che l’odore era fin troppo marcato per essere vecchio di quasi un giorno. Sgranò gli occhi e comprese il motivo del comportamento della moglie cosa che Inuyasha, ancora troppo agitato, impiegò più tempo a fare. Quando anche il mezzo demone si bloccò di botto, diventando rigido, fu evidente che era arrivato alla stessa conclusione.  

Un attimo dopo si introdusse nella stanza come un tifone e solo quando trovò il corpo dell’amata disteso e addormentato sul futon che la occupava osò tirare un sospiro di sollievo. Le spalle persero tutta la rigidità e il peso che era stato posato finora su di loro sparì fino a farlo rilassare del tutto; riprese colore e cominciò anche a respirare meno laboriosamente. Infine, la sua aura finora cupa si schiarì.  

Rimase bloccato in mezzo alla stanza, a pochi metri, continuando a osservarla come se volesse studiare ogni centimetro di lei fino ad assicurarsi che fosse reale e non un frutto della sua immaginazione. I suoi sensi si spensero e rimase ignaro di ciò che lo circondava anche quando il padre prese per mano la madre e la trascinò fuori dalla stanza per lasciarli soli.  

Si avvicinò a lei con cautela e osservò il suo petto alzarsi ed abbassarsi ritmicamente, come se fosse per lui una fonte di conforto, il modo in cui le sue pallide dita stringevano il tessuto che la ricopriva e si fermò di botto quando i suoi occhi notarono le strisce violacee che le deturpavano il viso. Non gli ci volle molto per riconoscerle come segni di dita – dita che le avevano stretto il volto con una violenza tale da lasciare traccia del loro passaggio. Strinse i pugni lunghi i fianchi e digrignò i denti, sforzandosi di trattenere il ringhio che voleva lasciargli le labbra; non voleva svegliarla né spaventarla perciò fece meno fatica del solito – per lei – quando si trattò di ritrovare l’autocontrollo.  

Il sonno di Kagome, però, non era tranquillo e guardandola mentre si agitava nella sua mente si affacciò una verità assoluta e quanto più dolorosa: aveva pensato che il difficile sarebbe stato accettare i sentimenti che gli erano nati nel cuore, eppure, ora che era accaduto, ora che finalmente le cose sembravano andare nel verso giusto, le vere difficoltà si rendevano note. Quei mesi in cui si erano conosciuti, trascorsi per lo più nel dubbio, erano serviti, sì, a rendersi conto di chi era davvero Kagome per lui, ma gli unici ostacoli che aveva dovuto superare erano stati quelli che si era autoimposto da solo. Adesso, invece, arrivava la vera sfida, anche se lui aveva ingenuamente pensato di poter godere di ciò che aveva scoperto.  

Stringendo gli occhi e prendendo un respiro profondo, inalando l’odore di lei che permeava nella stanza, giurò che sarebbe stato forte abbastanza per Kagome e avrebbe fatto di tutto per sbarazzarsi di colui che aveva fatto l’errore di incrociare le loro strade.  

 

 

 


N/A: 
Buonasera, buonasera! 

Che dite? Non vi aspettavate che Kagome tornasse così presto? Tutto è stato risolto facilmente? 
... 
Vedremo 🙊. 

Intanto, se avete letto con attenzione, avrete visto che per un motivo o un altro tutti e tre gli uomini della famiglia Taisho hanno giurato vendetta a Onigumo 
– o colui che è diventato. Si prospettano quindi un po' di scintille. 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto perché il prossimo sarà pubblicato direttamente nel 2023. Quindi ne approfitto per augurarvi buone feste, buone mangiate e se vi va, tenete d'occhio il profilo che oltre a quelle già pubblicate potrebbe spuntare un'altra one-shot natalizia. 

Un abbraccio! 🎄

 

 

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Capitolo 16
*** XV — L'alba di un triste giorno ***


 

Capitolo XV: L’alba di un triste giorno 



 

“When I get lost, will you come back around? 
Things don't look up when you're goin' down 
I know your arms, they are reachin' out 
From somewhere beyond the clouds” 

Celestial, Ed Sheeran 

 

 

 

La battaglia con Onigumo non era nemmeno all’inizio, ma prima ancora di prepararsi ad essa, Inuyasha e Kagome avrebbero dovuto affrontarne una ancora più difficile. Era impossibile, infatti, credere che sarebbero usciti illesi dalla traversia dell’ultima notte e mentre il mezzo demone osservava dormire l’amata con uno sguardo preoccupato, attendeva ansioso anche il momento in cui si sarebbe risvegliata per paura della sua reazione. Il fatto di non avere idea di come avrebbe potuto reagire lo angustiava ancor di più.  

Con il senno di poi, si rese conto che tenerla a sé mentre aspettava non era stata la scelta migliore, ma quando l’aveva vista lì, in mezzo alla stanza, il suo unico pensiero era stato assicurarsi che fosse vera e aveva voluto stringerla più per rassicurare se stesso che lei. Quando finalmente Kagome riprese coscienza non ebbe il tempo di ricordare i dettagli del suo salvataggio perché sentirsi stretta – e senza riuscire davvero a svincolarsi da quell’abbraccio – la riportò indietro a quella sensazione di impossibilità in cui Onigumo l’aveva costretta quando l’aveva legata. Di conseguenza, cominciò a urlare e scalciare, ogni pensiero razionale assente.  

Inuyasha si spaventò e anche quando tentò di calmarla e farle capire che era al sicuro le sue parole non raggiunsero la sua mente e quindi continuò a dimenarsi pur essendo ora libera. Attirò subito le attenzioni delle nuove guardie, ma Inuyasha le cacciò via e solo allora Kagome sembrò calmarsi e rendersi conto di ciò che davvero era accaduto.  

“Inu-Inuyasha?” balbettò, insicura.  

Lui si riavvicinò cauto, le mani davanti a sé, e poi riprese posto sul futon senza però tentare di riportarla alla posizione di prima. “Sono io, Kagome,” annuì. Dopo la sua reazione, tuttavia, non si aspettava che fosse lei a gettarsi tra le sue braccia resasi conto di chi aveva davanti. Qualche secondo dopo lo stava baciando e Inuyasha, preso in contropiede, non rispose, ma si accorse comunque che il modo in cui lei lo stava facendo non era normale così come non lo era quell’atteggiamento. Provò ad allontanarla gentilmente facendole una lieve pressione sulle spalle, ma Kagome si spinse ancor di più verso di lui non curante del fatto che lui non stesse rispondendo. A quel punto fu costretto a forzarla e anche se l’espressione che lesse sul suo volto rischiò di distruggere ogni suo proposito, resistette perché sapeva che quella era la scelta giusta.  

“Kagome, che stai facendo?” 

“C-credevo che fosse ovvio. Ho avuto paura di non rivederti più, Inuyasha, volevo rimediare.” 

“Non così, Kagome, non così.” Scosse la testa, incredulo, cominciando a prendere percezione di quanto gli avvenimenti l’avessero disturbata. “Dobbiamo parlare, dobbiamo… non lo so, cercare di fare il punto, ma non possiamo lasciarci andare ora.” Senza contare che gli sembrava così sbagliato approfittare di lei quando era chiaramente vulnerabile.  

“Ma io non voglio discutere, Inuyasha! Hai cambiato idea per caso? Dopo ciò che è successo?” 

“Cosa diamine dici?” sbottò lui in risposta, rabbuiandosi prima di riprendere il controllo con una velocità invidiabile. “Ma è evidente che devo essere io tra i due a prendere una decisione più razionale.” 

“Non capisci, Inuyasha? Presto potrebbe essere troppo tardi. Onigumo ritornerà e questa volta non aspetterà per ciò che ha promesso di fare con me. Ho avuto così paura che ci riuscisse.” Ricominciò a singhiozzare, nascondendo il volto tra le mani, e mandando un’altra stilettata al cuore di Inuyasha. 

Sconvolto da quelle parole e da quella involontaria rivelazione, Inuyasha le lasciò andare le spalle come scottato.  

Onigumo? Cosa c’entrava in tutto questo. Non voleva mica dire che… 

E cosa intendeva dire con la sua ultima frase? 

All’improvviso tutto attorno a lui divenne più opprimente e, per un attimo, fece fatica a respirare mentre tentava di riordinare le sue emozioni aggrovigliate. Non aveva mai dubitato del fatto che quell’essere l’avesse rapita per un motivo ben preciso e non aveva riflettuto molto sul come lei fosse già di ritorno, sul perché tutto fosse accaduto così in fretta, ma la rivelazione al momento era troppo anche per lui. Due domande però rimbombavano nella sua testa: sarebbe stato capace di farsi forza per affrontare ciò che questo significava per il bene di Kagome? Doveva, si rispose, perché altrimenti le basi che avevano gettato così duramente sarebbero crollate come castelli di sabbia. Ma, cosa più importante, come avrebbe reagito lei nel sentire la sua risposta? Non era sicuro di volerlo scoprire e, allo stesso tempo, sapeva di non potersi tirare indietro.  

Inuyasha chiuse gli occhi e mentre il suo petto si alzava e si abbassava troppo velocemente, cercò di trovare dentro sé un po’ di contegno per non scoppiare come avrebbe davvero voluto. Ma lui non era mai stata una persona tranquilla e, per quanto non gli piacesse ammetterlo, era proprio come il padre aveva sempre detto: il sangue gli andava troppo alla testa, non rifletteva, era impulsivo e non dava importanza alle conseguenze. In molti modi, dunque, la sua giovane età ancora si manifestava. Tuttavia, c’era in ballo molto più del solito e lui, pur di non perdere ciò che di più caro aveva mai avuto, si stava sforzando di ignorare i lati più negativi del suo carattere e dimostrarsi più maturo.  

Kagome era lì, una sorpresa inaspettata che aveva accolto più che volentieri; tutti gli scenari che aveva contemplato mentre correva accanto al padre non avevano mai presupposto il ritorno così repentino della giovane e sebbene non sapesse ancora chi o cosa dovesse ringraziare per quel dono, allo stesso tempo stava realizzando che la situazione era in realtà tutt’altro che rosea. Sì, Kagome era lì accanto a lui, fisicamente, ma con la mente? Con la mente era ancora prigioniera di quell’uomo e qualunque cosa lui tentasse per liberarla, non era sicuro di poterlo fare senza ferirla.  

Avrebbe potuto continuare a rimuginare sul perché un umano era stato in grado di trasformarsi in demone, correre da suo padre e pretendere che gli fosse data una risposta sensata o poteva, invece, restare lì con lei e tentare di farla ragionare. Ma che ipocrisia, si disse non appena ebbe formulato quell’ultimo pensiero: nemmeno lui sarebbe stato in grado di essere davvero lucido in quell’istante.  

“Kagome,” cominciò con una dolcezza che gli era ancora estranea, “cosa stai dicendo? Cos’è successo?” Magari fare un po’ più luce su ciò che le era capitato lo avrebbe aiutato a gestire la situazione.  

A chiudere gli occhi, stavolta, fu lei; scosse la testa e tornò a raggomitolarsi su stessa e Inuyasha si pentì immediatamente di averla fatta regredire. Allora le si avvicinò, non osando ancora sfiorarla, ma sperando che il calore che il suo corpo emanava, la sua aura familiare, potessero darle conforto. Funzionò, perché subito dopo lei lo guardò e gli si gettò addosso, stringendosi a lui in una muta richiesta; lui l’abbracciò e cercò di fondere i loro corpi, strapparle quel dolore che la stava dilaniando così come ogni ricordo di ciò che era avvenuto nelle ultime ore.  

“Non voglio che capiti più,” pianse, come una bambina che si rifugia dal padre a seguito di un incubo. “Porta via quei ricordi, Inuyasha, e fa in modo che non possa capitare più.” Poi lo baciò di nuovo e in quel bacio non c’era nulla di casto: si concentrò sul suo sapore, la morbidezza delle sue labbra e sul calore che si sprigionava in lei ogni qualvolta era con il mezzo demone. Era sicura che quello fosse l’unico modo per cancellare definitivamente Onigumo.  

Ma Inuyasha aveva altri piani e memore del proprio obiettivo, non si lasciò distrarre; si staccò da lei, pur mantenendola sempre tra le proprie braccia, e indurì lo sguardo. Per quanto potesse cercare di negarlo per un proprio beneficio, i piani di quell’essere erano più che ovvi e non biasimava Kagome se ora voleva dimenticarli, ma non le avrebbe fatto fare un errore di cui poi si sarebbe pentita non appena fosse tornata lucida; non avrebbe permesso a Onigumo di macchiare la loro relazione e un momento tanto importante. La desiderava come non aveva mai desiderato nulla, il suo demone interiore si dimenava per uscire fuori e lasciarsi andare alla richiesta della ragazza e per Inuyasha fu più difficile di ogni sfida che avesse mai affrontato rifiutarla, ma lui era razionale, a differenza di quella parte più primitiva che si nascondeva dentro di lui, e non avrebbe fatto quell’errore.  

“Kagome,” ripeté, “non vuoi che accada così, non vuoi che una persona come lui si intrometta nella nostra relazione.” 

Lei in risposta si rabbuiò. “Sei tu che non capisci, Inuyasha. Non lo vedi? Si è già intromesso e se glielo permetterai lo farà ancora, nel peggiore dei modi!” Gli rimandò indietro lo stesso sguardo duro e poi si allontanò bruscamente per fargli capire quanto quel rifiuto la ferisse, forse anche più di tutto il resto.  

“Se glielo permetterai,” aveva detto. Inuyasha strinse denti e pugni, dicendosi che non doveva fargliene una colpa, che doveva essere il più forte dei due, ma ciò non significava che, allo stesso tempo, quelle parole non facessero male.  

Ma non era ancora finita.  

“Va via!” gli urlò contro un attimo dopo, raggomitolandosi ancora e scappando da lui, come se fosse lui il cattivo.  

Inuyasha sgranò gli occhi e pensò di poter udire il suono del suo cuore che scappava dalla gabbia toracica e si frantumava al suolo; si portò una mano al petto, come a voler impedire che uscisse per davvero, e la fissò, incapace di risponderle o consolarla.  

Era davvero così inutile? Era normale sentire tutto quello dolore? E perché gli faceva più male l’incapacità di proteggerla che ciò che gli era stato appena detto? Non lo sapeva ancora, ma faceva tutto parte dell’essere innamorati e sarebbe passato del tempo prima che potesse sperimentare l’amore nelle sue forme più felici. Prima, lui e Kagome avrebbero dovuto superare gli ostacoli che erano stati sapientemente piazzati sul loro percorso. 

E per quanto ora non fosse semplice, non rimpianse quella confessione fatta prima di partire: sapeva che quello stesso sentimento che ora minacciava di metterlo in ginocchio gli avrebbe dato anche la forza per affrontare tutto. Risoluto, allora, lasciò che quelle fredde parole dette in un momento di debolezza gli scivolassero addosso, ammorbidì lo sguardo e le donò un sorriso mesto. Poi, in silenzio, se ne andò, non prima di averle ricordato che non l’avrebbe mai abbandonata.  

 

***  

 

Nello stesso momento e nello stesso castello, un’altra coppia stava discutendo uguali argomenti ma incontrando difficoltà differenti. 

Toga aveva accolto la compagna tra le sue braccia non appena erano rimasti soli, avendo riconosciuto già prima l’inquietudine e la sofferenza che gli eventi della notte scorsa avevano suscitato in lei e, prima che fosse costretta a riviverli, cercò di darle quanto più conforto possibile. Il silenzio non dispiaceva loro, anzi: bastava stare insieme e non importavano le parole o qualsiasi occupazione. Si stringevano l’uno all’altra e con solo il linguaggio del corpo si confessavano tutto. A vederli, si sarebbe potuto dire che stavano insieme da millenni e non poco più di due secoli, per quanto il loro legame era forte.  

E così, anche in quell’occasione, Toga percepì il dolore dell’amata e condivise con lei quel carico così che non gravasse sulla sua anima; le sue mani percorrevano con un movimento calmo e confortante la sua schiena e le sue spalle, la spingevano a sé; le sue labbra le lasciavano baci sul capo e, solo quando fu pronta, le sussurrarono rassicurazioni all’orecchio.  

“Ho avuto così tanta paura,” confessò infine nell’incavo tra la spalla e il collo. “Non ho mai avuto dubbi che l’avreste ritrovata, ma guarda com’è tornata, dopo aver trascorso a malapena poche ore con quel mostro.” 

Toga le stampò un altro bacio sui capelli e poi le fece la prima delle tante domande che gli premevano per arrivare a un quadro più sensato dell’intera situazione: “Come?” 

Lei alzò finalmente il viso e lo guardò fisso negli occhi per poter leggere bene la sorpresa che, sapeva già, vi avrebbe trovato. “Sesshomaru.”  

La prima reazione fu quella di ripetere la domanda precedente – come? – la seconda fu apprensione. Toga non aveva notizie di lui da settimane e in mezzo a quel casino ora spuntava per salvare la stessa donna per la quale finora aveva avuto solo profondo odio? Se c’era una costante in quel loro rapporto complicato era sicuramente l’incapacità del padre di comprendere il figlio: per quanto lo desiderasse e ci provasse, sembrava che Sesshomaru si impegnasse per apparire un mistero impossibile da risolvere.  

“Ed è andato subito via?” Izayoi annuì. “Non ha detto nulla?” 

“Sai meglio di me, Anata, che se pure glielo avessi chiesto lui non mi avrebbe fornito alcuna risposta. L’ho pregato, però, di aspettare il tuo ritorno; non è servito a nulla.” 

“Credi che io abbia sbagliato?” Non ebbe bisogno di dirle a cosa si riferisse perché per Izayoi era implicito.  

“Credo che in qualsiasi modo tu avessi deciso di agire, Sesshomaru si sarebbe ribellato comunque. Non ti avrebbe mai dato ascolto né sarebbe rimasto per cercare un confronto sincero o un accordo. So che ti ha ferito dover ricorrere a un ultimatum così come conosco ogni pentimento che nascondi nell’animo a causa degli errori che hai fatto nei suoi confronti in passato, ma, caro, se avessi deciso di non agire, sarebbe stato ancora peggio.” 

“Spesso mi chiedo se siamo arrivati a un punto di non ritorno e se mi sto ostinando per nulla, poi si comporta così, in modo talmente estraneo a lui e mi ritorna la speranza.” Si nascose il viso nella mano libera, poi la fece scivolare nei capelli.  

“È più che normale.” Gli sorrise. “Non sappiamo quali sono le condizioni che l’hanno portato a scontrarsi con Kagome, ma dubito che quando è successo lei fosse già libera da quel mostro. Inoltre, quando è arrivata era coperta di sangue – non suo.” 

Toga sgranò gli occhi e poi la lasciò andare per alzarsi e cominciare a percorrere avanti e indietro il perimetro della stanza. “Finora sappiamo che chiunque abbia rapito Kagome ha un conto in sospeso con Inuyasha – o per lo meno è quello che ha fatto capire da quel poco che ci ha detto – e che è abbastanza arrogante da credere di poter vincere questa battaglia facilmente. Ha mandato da noi una sua copia con il chiaro intento di istigare Inuyasha e, al tempo stesso, vantarsi dei suoi risultati mentre, contemporaneamente, lui stesso la rapiva.” Si fermò e, per la prima volta da quando era partito, sorrise, ma non alla leggera: era il sorriso di chi ha compreso tutto e sa di avere un vantaggio. “Questo mi dice che al di là delle mie prime impressioni e di ogni sua scena, abbiamo davanti a noi un dilettante e so già dove e come colpirlo: la troppa fiducia che ha in sé sarà la sua rovina.” 

“E che ne dici del sangue? Non credi che Sesshomaru lo abbia già sconfitto?” 

Lui scosse la testa senza riflettere sulla domanda un secondo di più. “No, se quello fosse stato il caso Sesshomaru sarebbe rimasto, anche solo per dimostrare di essermi superiore.” Sorrise di nuovo. “E per quanto ci siano ancora molti buchi nella nostra storia, sono assolutamente certo di una cosa: Sesshomaru è a caccia e questo ci tornerà utile. Che non si dica che non conosco mio figlio poi,” concluse ridendo di cuore. Per un attimo sembrava che l’apprensione fosse sparita.  

“E così avrai anche un’occasione per fare fronte comune con lui,” continuò Izayoi.  

“Vedremo, Anata, vedremo,” le sussurrò prima di riabbracciarla e baciarla, desideroso adesso di perdersi in lei.  

 

***  

 

Più tardi, quando il Generale convocò Inuyasha e Kagome per discutere insieme di ciò che era appena accaduto e preparare un piano di azione, si ritrovò davanti due persone completamente diverse da quelle che aveva lasciato – e da ciò che aveva immaginato.  

Notò subito che qualcosa non andava solo osservando il linguaggio dei loro corpi: erano entrati insieme, certo, ma si tenevano a distanza come se avessero paura di sfiorarsi anche accidentalmente. Kagome tenne la testa bassa anche quando mormorò il proprio saluto e poi andò a sedersi vicino a Izayoi, ben lontana dal mezzo demone. Quest’ultimo, dal canto suo, aveva un’espressione feroce sul volto e sembrava facesse fatica a controllare i tremori che lo stavano scuotendo, senza contare poi che la sua aura – che prima di partire era apparsa serena e limpida – ora manifestava tutto il suo subbuglio interiore.  

Quando li aveva lasciati soli non aveva avuto dubbi che i due si sarebbero confortati a vicenda perché sapeva, ormai, che avevano superato la fase dei dubbi e delle incertezze che li aveva contraddistinti quando si erano appena conosciuti. Eppure, a vederli ora anche quella sembrava un’alternativa migliore: erano regrediti, ma non solo, sembravano due amanti che si erano traditi e non sapevano più come ritrovare la strada verso l’altro. Com’era potuto accadere in così poco tempo?  

Scomparsa era quella felicità e l’imbarazzo positivo che aveva letto sul volto del figlio e tutto per colpa di un demone comparso all’improvviso nelle loro vite. A pensarci, Toga indurì lo sguardo e il proprio spirito: lì, in quel momento, ripromise a se stesso che non solo avrebbe fatto in modo che i due abbracciassero di nuovo i loro sentimenti, ma soprattutto si sarebbe vendicato. Chiunque fosse quell’essere, aveva i secondi contati.  

“Padre, qual è il motivo per cui ci hai convocati?” domandò infine Inuyasha formalmente, interrompendo i suoi pensieri.  

Toga scambiò un’occhiata significativa con la compagna e poi si concentrò su di lui. “Converrete con me che non c’è tempo da perdere: non sappiamo se e quando il demone agirà di nuovo e per questo dobbiamo essere pronti a ogni evenienza. Per far ciò, dobbiamo mettere insieme tutto ciò che sappiamo di lui.” 

“Onigumo,” rispose Kagome con una voce flebile, scioccandolo e alzando lo sguardo su di lui. “È Onigumo.” 

“Onigumo, cara? È questo il nome con cui si è presentato a te?” Izayoi era per lo più spaventata dal brivido che aveva percorso la ragazza quando aveva pronunciato quel nome.  

Kagome scosse la testa. “No, non c'è stato bisogno di presentazioni. Lo conoscevo già.” Toga si voltò di scattò verso di lei, ignorando per un secondo la rabbia che attraversò lo sguardo del figlio e aspettando che continuasse. “Io... io non so come sia possibile e allo stesso tempo mi dico che ha senso ciò che sta accadendo. Quel demone, quell’essere con la pelliccia di babbuino che mi ha rapito e voi stavate inseguendo, è in realtà l’uomo a cui ero stata promessa dopo la morte di Hojo,” confessò tutto d’un fiato per paura che i ricordi della notte precedente potessero impedirle di concludere. “Avevo questo presentimento da quando abbiamo lasciato il villaggio degli sterminatori, ma non avrei mai pensato che fosse possibile, anche I-Inuyasha mi aveva rassicurato.” La voce vacillò nel pronunciare il nome dell’anima gemella, ma Toga e Izayoi erano troppo sconvolti dalla rivelazione precedente per rendersene conto.  

“Ma non è possibile,” concordò Toga sgranando gli occhi. “A nessun uomo è permesso di diventare demone e viceversa.” 

“Siamo proprio sicuri, papà?” gli chiese Inuyasha. “Sei certo di non aver mai incontrato un caso simile prima o anche solo sentito o letto qualcosa in particolare?” 

Il dai-youkai si passò una mano tra i capelli mentre rifletteva. Per qualcuno che aveva vissuto tanto a lungo quanto lui e attraversato epoche più burrascose di quella nella quale si trovavano adesso non era stato difficile incontrare alcuni casi più pericolosi di altri. La malvagità si nascondeva in ogni angolo e se ci si abbandonava a essa i risultati potevano essere disastrosi; altri ancora, invece, pensavo di risplendere più nel buio che nella luce e per questo la cercavano volontariamente, gioivano in essa. Toga aveva sempre cercato di tenersi alla larga da persone simili, ma riconosceva anche che a volte nella vita si era costretti ad affrontarle per il bene comune ed era in quei momenti che lui aveva davvero conosciuto il male. Non era nemmeno la prima volta che sentiva di uomini che avevano provato a diventare demoni; la maggior parte di essi aveva creduto di poter diventare più forte e quindi invincibile e, invece, era solo andato incontro a una morte dolorosa. Tuttavia, nel sentire la domanda del figlio e del presentimento della sacerdotessa, gli tornarono alla mente le parole di un vecchio saggio che aveva incontrato quando era anche lui un cucciolo, per lo più inesperto e molto avventato.  

Non ricordava nel dettaglio l’occasione, ma solo che in quel periodo il giovane Toga era sempre molto frustrato a causa del pregiudizio della gente che lo circondava: perché gli umani davano per scontato che fosse cattivo solo perché demone e perché, viceversa, coloro che condividevano le sue origini insistevano nell’essere crudeli? 

Il saggio, a quel punto, aveva parlato di malvagità, rivelandogli che non tutti erano in grado di riconoscerla – anzi, in pochi avevano il privilegio – e ciò spesso conduceva alle guerre e le rivolte che affliggevano le loro esistenze. Toga, che non aveva mai avuto grandi difficoltà a leggere l’aura delle persone, se ne stupì e ascoltò con attenzione le sue parole proprio perché ne voleva sapere di più per farne tesoro.  

Egli – o ella, sinceramente non ricordava – gli disse di fare sempre molta attenzione all’oscurità che si celava nell’animo di una persona perché era quello a determinare il demonio che ne sarebbe nato. E, soprattutto, lo mise in guardia: l’alba del giorno in cui un uomo l’avrebbe sfruttata per diventare ciò che non era destinato a essere, per accrescere il proprio potere, sarebbe stata molto triste.  

All’epoca aveva scosso la testa e, sebbene non avesse creduto a quell’ultima frase, lo aveva ringraziato con un inchino e poi aveva continuato per la sua strada. Ma il fatto che, dopo tanti secoli, quelle parole gli tornassero alla mente proprio ora non era di buon auspicio. Poteva davvero essere possibile?  

“Se fosse davvero così, se quel demone fosse nato da colui chiamato Onigumo, allora il nostro nemico sarebbe la persona più malvagia che io abbia mai incontrato,” sentenziò, aggrottando le sopracciglia. La sua determinazione, però, non vacillò mai e, soprattutto, valeva ancora di più ciò che aveva detto poco prima alla compagna: se davvero come demone era appena nato, avrebbero potuto approfittare della sua inesperienza. Bisognava solo fare attenzione a quell’animo tanto scuro da permettergli di arrivare laddove mai nessuno era riuscito.  

 

*** 

 

Quando ebbero finito, Izayoi si offrì di accompagnare Kagome nelle sue nuove stanze e passare un po’ di tempo con lei di modo che non dovesse restare sola. Era sicura, infatti, che quella fosse l’unica cosa che la ragazza desiderasse e dato il modo in cui lei e Inuyasha si erano tenuti alla larga l’uno dall’altra, era presumibile che suo figlio non potesse aiutarla al momento.  

Giunte a destinazione, scoprirono che mentre loro erano occupate delle domestiche avevano acceso un fuoco per riscaldare l’ambiente, preparato delle coperte e delle bevande così che tutto fosse pronto per il loro ritorno. La cosa non stupì la principessa: coloro che lavoravano in quel castello erano più che abituati ai suoi bisogni diversi in quanto umana e non di rado si assicuravano di avere per lei qualche riguardo in più rispetto al Generale. Per lei quei gesti avevano sempre significato molto, le ricordavano che non tutti la odiavano per quel che era e ringraziava sempre di cuore coloro che l’aiutavano; era sicura che presto anche Kagome si sarebbe abituata.  

Infine, si sistemarono e Izayoi non lasciò che il silenzio regnasse poi molto su di loro. “Kagome, mi chiedevo se ti andrebbe di ascoltare una storia.” 

La sacerdotessa si riscosse dai propri pensieri e la guardò a bocca aperta. Si era aspettata di tutto, anche dei rimproveri nel caso Inuyasha avesse già raccontato alla madre ciò che era accaduto, ma non una domanda così casuale e innocente. “Una storia.” 

“Sì, qualcosa che penso potrebbe tornarti molto utile.” 

“Io... beh.” Che male poteva farle, d’altronde? Annuì.  

Izayoi le sorrise prima di darle un colpetto affettuoso sulla mano. “Allora lascia che ti racconti di qualcuno che mi hai ricordato la prima volta che ci siamo incontrate.” 

 
 




N/A: 

Ed eccoci al primo aggiornamento dell'anno!
Spero che la resa sia stata migliore dell'idea che ho io al momento in testa, perché ultimamente sto avendo così tanti dubbi su ciò che ho scritto, voglio scrivere e ho pubblicato che sto anche andando a rilento sulla stesura dei prossimi capitoli. Ah la dura vita di una fanwriter 😆. 

Piuttosto, qualche idea sulla storia che Izayoi racconterà nel prossimo? Fatemelo sapere nei commenti! 👇

Un abbraccio e a presto!

 

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Capitolo 17
*** XVI — Izayoi ***


Capitolo XVI: Izayoi 

 

 
 

 

“Nei momenti di crisi, non si combatte tanto contro un nemico esterno, quanto contro il proprio corpo.”  

1984, George Orwell 

 

 

Duecento anni or sono  
 

 

La giovane principessa percorreva i corridoi del castello a passo cadenzato e con un sorriso per ognuno dei suoi abitanti che si inchinava al suo cospetto o aveva per lei una parola di buon augurio; accanto una dama di corte che sembrava apprezzare di più i benefici che provenivano da quella posizione che la sua compagnia e dietro le immancabili guardie, le sue ombre personali. Mentre svoltava l’angolo che l’avrebbe portata un passo più vicina al giardino e a un po’ di aria fresca, fece fatica a ricordare il compito che aveva concluso appena qualche minuto prima. Qualcuno avrebbe potuto dire che, ripetendo ogni giorno gli stessi gesti e le stesse attività senza che questi cambiassero mai, avrebbe dovuto conoscere a memoria la sua routine, ma non era così semplice. Era proprio in mezzo alla monotonia che si perdevano i ricordi, e gli unici che serbava nel cuore e nella mente erano quelli del vento che le sfiorava i capelli e il viso, dandole il refrigerio necessario nelle giornate calde in cui era comunque costretta a indossare troppi strati; l’odore dei fiori che era riuscita a convincere suo padre a far piantare solo per lei; quegli attimi in cui la luce del sole si infrangeva sulla sua pallida pelle. Passavano in sottofondo le chiacchiere vuote e incessanti della donna che l’accompagnava o i soliti rimproveri delle guardie che sembravano voler prevalere su di lei, nonostante avesse una carica maggiore. Rimaneva, infatti, pur sempre una donna, e loro, come sue guardie e uomini, avevano ricevuto il permesso di ordinarle cosa fare e quando farlo nel caso in cui avessero creduto che fosse in pericolo.  

Izayoi era, in quelle terre, come l’oggetto più prezioso e venerato che esistesse: andava adorata e soddisfatta, protetta e servita, elogiata e ammirata. I suoi lunghi capelli color dell’ebano erano i più morbidi e setosi e incorniciavano il viso a forma di cuore, la pelle liscia e bianca, le labbra rosse e invitanti e gli occhi grandi e scuri che guardavano al mondo pieni di speranza e nascondevano a tutti la malinconia.  

Era bella, Izayoi, e come figlia del signore, ricca. Non le era mai mancato nulla sin dalla sua nascita – o almeno questo era ciò che credevano tutti coloro che la invidiavano.  

L’apparenza a cui si prostrava la tranquilla e servile principessa si infrangeva, però, con la realtà ogni sera quando, prima di andare a dormire, desiderava scappare dalla sua gabbia dorata, rinascere vento per poter essere libera almeno una volta. Eppure, il giorno dopo tutto ricominciava da capo, ed educata a seguire ogni ordine senza se e senza ma, Izayoi calava la testa in segno di assenso e li eseguiva tutti – senza esclusione. Almeno fino a quando non fu messa alla prova.  

Avrebbe continuato ad essere docile e perfetta, così come la vedevano, o finalmente quella fiammella che aveva sempre celato insieme alla malinconia sarebbe divampata scontrandosi con tutti?  

Quel giorno niente era andato diversamente e, per questo, nessuna emozione in particolare aveva scosso l’animo di Izayoi né lei pensò nulla della chiamata improvvisa del genitore nel tardo pomeriggio. Anche quello, infatti, accadeva spesso: l’uomo aveva sempre qualcosa da comunicarle o un ordine da impartirle e lei eseguiva il copione alla perfezione. Non di rado, lo trovava in compagnia mentre discuteva affari di ogni genere; ce n’erano sempre di nuovi e più vantaggiosi, e lui non se ne faceva scappare nemmeno uno. Anche quella sera era lo stesso, solo, Izayoi non avrebbe potuto sapere che in ballo c’era la poca libertà che avesse mai conosciuto e quando lo scoprì era troppo tardi: era già stata barattata.  

Fermatasi fuori dagli uffici del padre, fu un caso ascoltare ciò che questi stava discutendo con un ospite la cui voce lei non riconobbe – e ciò che udì la sconvolse così tanto da non accorgersi nemmeno degli sguardi contemplativi che una delle sue guardie le stava lanciando.  

Sì immobilizzò nel mezzo del corridoio, le labbra semiaperte, la gola troppo secca e il battito così forte da risuonarle nelle orecchie e oscurarle ogni altro suono – anche il resto del discorso che aveva accidentalmente origliato. Per un attimo, dimenticò anche che non era sola e che il suo comportamento non sarebbe passato inosservato, ma si riebbe in fretta, tanto da sbloccarsi e annunciarsi per entrare nella stanza del genitore.  

La mente e il cuore ancora in subbuglio, Izayoi si assicurò di tenere la presa ferrea sulle proprie emozioni così da non tradire alcun turbamento mentre si inchinava ai due uomini. Le costò altrettanta fatica – tanta che ebbe paura di non farcela – ignorare la spiacevole sensazione che la percosse quando gli occhi cupi e affamati dello sconosciuto soppesarono la sua figura. Non era ignara di cosa significassero – le era stato insegnato che erano una normalità e che, anzi, doveva essere fiera di riceverne tanti in quanto donna di eccezionale bellezza –, ma non per questo dovevano piacerle. Sentiva il modo insistente con cui lui la fissava, pur avendo il capo calato, e trattenne i brividi che le suscitò, e quando infine si rialzò, ebbe cura di incontrare solo lo sguardo del padre.  

“Izayoi, era anche ora,” bofonchiò Katashi. Da quel poco, la giovane capì immediatamente che l’aria che tirava non era delle migliori, nonostante solo pochi secondi prima aveva avuto l'impressione che fosse più che soddisfatto dei programmi che stavano facendo. Che fosse preoccupato dell'immagine che lei avrebbe dato al suo ospite? Se le fosse stato possibile, si sarebbe assicurata di essere tutto tranne che buona, ma incorrere nella furia del genitore non era nei suoi piani e, quindi, quando le fu ordinato di sedersi proprio accanto allo sconosciuto, acconsentì senza fiatare e trattenne i brividi che volevano scuoterla tutta.  

Con la coda dell’occhio, lo osservò meglio. Le rughe e le macchie sul suo volto, il colore della pelle, il bianco che si perdeva a sprazzi nei suoi capelli, erano tutti segni che le indicavano che fosse anche più grande di suo padre. Non voleva credere, infatti, che fossero dovuti a una vita dura; dopo tutto, Katashi non avrebbe mai intrattenuto rapporti con persone al di sotto di lui, ciò voleva dire che doveva essere abituato a una vita di ricchezza e di benessere – l'opulenza delle sue vesti lo confermava.  

“Masao e io stavamo concludendo degli affari,” cominciò Katashi attirando la sua attenzione, e la leggerezza con la quale pronunciò quell’ultima parola le rivelò anche che non era per nulla incline a spiegarle meglio in cosa consistessero quegli affari. E se Izayoi non lo avesse scoperto da sé, non le sarebbe sembrato strano: suo padre non aveva mai fatto segreto di quali erano i suoi pensieri sul ruolo di una donna. Tuttavia, il fatto stesso di essere stata convocata avrebbe potuto suscitare dei sospetti, non essendo quello un luogo per lei, se non fosse stato per le successive parole che vennero pronunciate all’interno della stanza.  

“Ho sentito parlare molto bene di te, principessa Izayoi,” si intromise a quel punto l’ospite, la voce melliflua che voleva essere ammaliante ma senza risultato. “E non avevo dubbi che tutte le cose che si dicono sul tuo conto fossero corrette, conoscendo la persona giusta che è tuo padre. Ciò nonostante, non potevo farmi sfuggire quest’occasione e l’ho pregato affinché mi permettesse di conoscerti. È un onore.” Chinò leggermente il capo e attese che lei ricambiasse. 

Izayoi deglutì e costretta ora a incrociare gli occhi dell’uomo si paralizzò ancora una volta, tanto da dimenticare ogni buona maniera e la paura verso il padre. La lingua si era attorcigliata e la mente era così vuota che sarebbe stato impossibile accostare una parola all’altra.  

Entrambi gli adulti si rabbuiarono di fronte a quella risposta – o piuttosto a causa della mancanza –, ma mentre Masao tentò di nasconderlo dietro una maschera, Katashi intervenne all’istante. “Izayoi!” urlò, fumante, riscuotendola e facendola tremare prima che la giovane rinvenisse e piegasse l’intero busto in direzione del loro ospite, mormorando frasi di scuse e di benvenuto che si mescolarono quando lasciarono le sue labbra. “Cosa significa tutto questo? Dopo le belle parole che Masao ha avuto per te hai intenzione di contraddirlo?” Lo sguardò che le lanciò le fece capire subito che quella era solo una domanda retorica che aveva un’unica possibile risposta – e per il suo bene, Izayoi avrebbe dovuto coglierla senza alcun fraintendimento.  

“Sono desolata.” Ancora non ebbe il coraggio di rialzare il capo e non osò nemmeno arrancare un’altra scusa, consapevole che il padre non avrebbe voluto sentirle.  

“Oggi il sole era molto caldo, non deve averti fatto bene,” continuò il genitore. “Forse dovresti limitare le tue passeggiate.” E anche se il tutto fu formulato fingendo preoccupazione e amore paterno, Izayoi colse subito l’ordine e la minaccia implicita. Si sentì mancare il fiato di conseguenza, ma non osò controbattere data la sua già precaria situazione.  

La tensione che minacciava di travolgerli fu spezzata dall’improvvisa e divertita risata di Masao che agitò la mano con tranquillità, quasi a voler rinnegare quanto appena detto dal padrone di quelle terre. “Suvvia, Katashi, non c’è bisogno di essere così duri con la principessa. Dopo tutto, sono sicuro che si sia trattato solo di errore. Non è vero, mia cara?”  

Questa volta Izayoi non attese nemmeno un secondo prima di rispondere, incrociando ancora il suo sguardo e ringraziandolo. L’uomo le sorrideva incoraggiante, eppure non fece altro che spaventarla con quegli occhi scuri che contenevano più minacce delle parole del padre.  

Katashi si unì alle risate, dimenticando per un istante la rabbia, poi si concentrò un’ultima volta su Izayoi. “Ora va’, non c’è più bisogno che resti.” 

Trattenendo un sospiro di sollievo, Izayoi si mosse di scatto, ringraziando gli Dei che, per il momento, quella tortura fosse finita e perché a breve avrebbe potuto far ritorno nelle sue stanze e lasciarsi andare al dolore che la stava dilaniando. Tuttavia, un’ultima occhiata di Masao la tenne incollata al pavimento. “Se posso permettermi, apprezzerei ancora la compagnia. Dopo tutto, non ho avuto ancora modo di approfittarne. Non ti dispiace, vero?” 

Ingoiando un singulto, la principessa calò ancora il capo e con un filo di voce disse: “No, mio signore.”  

 

***  

 

Rientrata nelle sue stanze e fatto sapere a suoi servitori che non avrebbe avuto bisogno di nulla per la notte, Izayoi chiuse le porte dietro di sé e si accasciò a terra senza aspettare di raggiungere il futon, si coprì il volto con le mani e infine scoppiò a piangere, mantenendo le sue lacrime silenziose così che nemmeno le guardie lì fuori avrebbero potuto sentirla. Le sue spalle continuarono a tremare, scosse dai singhiozzi, per lungo tempo, fino a che non le mancò l’aria per respirare, e anche allora non smise. 

Con la mente, stava portando avanti un altro tipo di battaglia, cercando di dimenticare ciò che aveva udito di nascosto e di provare a immaginare la sua vita secondo i piani di suo padre, oggetto tra le mani di qualcun altro che le faceva ancora più paura. Forti e lunghi brividi la scossero tutta mentre proiettava le immagini di una debole donna data in sposa a un uomo molto più vecchio di lei e che sfioriva giorno dopo giorno. L’orrore fu così tanto da interrompere per un attimo i singhiozzi.  

A quel punto, le sembrava di essere stata sciocca a desiderare la libertà, quel poco che aveva avuto era già stato tanto. D’altronde, aveva sempre saputo che il genitore premeditava di venderla al migliore acquirente: non avendo avuto il figlio maschio che desiderava, l’utilità di una femmina si racchiudeva in quel semplice concetto, e a lei non era mai stato nascosto. Soltanto una stolta si sarebbe concessa di sognare e lei lo era stata. E non era forse stato un atto di immensa crudeltà farle conoscere quei pochi sprazzi di felicità per poi strapparglieli violentemente dalle mani, mostrarglieli mentre le scivolavano via dalle dita? 

Libertà. 

Avrebbe voluto non conoscere mai il significato di tale parola che appariva tanto distante e che era certa non avrebbe mai appreso a fondo.  

Scosse la testa e, vacillando, si alzò finalmente in piedi per prepararsi alla notte. 

Quando era ancora più giovane, quello era un rituale che non aveva mai fatto da sola e per lei era stato normale – o almeno era ciò che le era stato insegnato. Tuttavia, con il tempo e un po’ di osservazione, aveva imparato a replicare i gesti degli altri e compreso che lo spazio tra quelle quattro mura era l’unico in cui non si sentiva davvero in gabbia e, di conseguenza, voleva rimanere sola. Certo, amava il sole, il vento, l’odore di fresco, ma diventava tutto più opprimente quando veniva seguita ovunque e chiacchiere vuote sopprimevano il rumore della natura; di contro, invece, si abbassavano le sbarre di uno spazio così ristretto come una camera da letto quando rimaneva sola con i suoi pensieri, per quanto tristi a volte potevano essere. Ma era proprio la tristezza che li contraddistingueva a darle spesso l’impressione di essere libera: se davanti a tutti doveva mostrarsi felice e serena, nascondere chi era davvero, c’era un che di gratificante nel mostrare, anche solo a stessa, la parte più avvilita. 

Ora, però, non avrebbe avuto nemmeno più quella possibilità, e solo l’idea di immaginare la vita che le sarebbe stata imposta minacciava di gettava sull’orlo della pazzia.  

Non voleva sposare quell’uomo, rimanere una semplice pedina mentre gli altri la trascinavano e spostavano a loro piacimento senza alcuna considerazione verso la sua persona. Aveva sempre saputo a quale ruolo era destinata, eppure, realizzarlo ora che stava per diventare realtà era diverso dall’immaginarlo e non era più sicura di voler rimanere quella donna servile e docile che era sempre stata.  

Sarebbe stata in grado di cambiare e ribellarsi? Poteva farlo? Mille e mille domande simili continuarono a vorticarle nella mente prima di andare a dormire e anche i suoi sogni ne furono pieni, ma quando si svegliò, la mattina dopo, era sicura che a qualunque costo avrebbe cambiato quel percorso che le era stato imposto.  

 

***  

 

Non si diventa forti nell’arco di una sola notte né la semplice determinazione basta a cambiare una persona, Izayoi lo sapeva. Ciò, però, non le impedì di fare piani che, se fossero falliti, l’avrebbero buttata ancora più giù perché sperare – più spesso di quanto si creda – diventava un’arma a doppio taglio.  

Era ingenua, la principessa, e credere di poter scappare facilmente ora che non erano solo gli uomini di suo padre a sorvegliarla ma anche quelli del suo promesso sposo era da pazzi. Così, quando Takemaru, una delle sue fedeli guardie, scoprì quello che aveva intenzione di fare, ne fu per alcuni versi sollevata: condividere un segreto che la stava opprimendo tanto quanto il futuro che l’aspettava era gratificante; non era più sola. Fu anche più felice quando le fece capire di essere dalla sua parte e si offrì di aiutarla a mettere in atto ciò che da sola non avrebbe mai potuto realizzare. Dopo tutto, essere una guardia aveva anche i suoi lati positivi e poteva giungere là dove Izayoi non poteva allungarsi.  

Così, non ci volle molto per attuare un piano mantenendo un basso profilo: di giorno, Izayoi continuò a seguire la sua routine in modo impeccabile, mostrandosi docile e compiacente, mentre dentro pian piano la fiammella cresceva e si dimenava, e di notte ripeteva mentalmente ogni passo da seguire così che nulla potesse andare storto.  

Il giorno della programmata fuga, tutto era completato e perfetto – forse troppo per essere vero –, e Izayoi, per una volta, non si lasciò abbattere da dubbi, ansie o paure. Era troppo vicina al suo obiettivo per smettere di crederci davvero.  

Ore più tardi, le arrivò il segnale che stava aspettando, e prima di lasciare definitivamente la tenuta del padre – la sua gabbia dorata – per quella che sperava fosse l’ultima volta, si voltò ad osservarla. Era maestosa, ed era certa che molti osservandola dall’esterno ne invidiassero la ricchezza, ma era facile essere gelosi senza conoscerne i misteri e i peccati. Il sentimento che provava in quei momenti, all’idea di abbandonare quella che era stata la sua unica casa, era dolceamaro: per lungo tempo, lei stessa non si era accorta delle mille contraddizioni che la circondavano e l’ingenuità aveva fatto da padrona, impedendole di vedere il mondo per ciò che era davvero. Ora non si illudeva di aver scoperto ogni segreto, tutt’altro, ma le era rinata nel cuore la speranza e voleva andare alla ricerca di ognuno di essi.  

Così, ogni paura e dubbio soffocato dall’entusiasmo e dall’adrenalina, Izayoi mosse il capo in un ringraziamento muto in direzione di Takemaru e si voltò per seguire la via che le era stata indicata, nelle mani una piccola mappa che l’avrebbe portata alla prima tappa sicura di quel viaggio che era solo all’inizio.  

 

***  

 

“Mio signore!” Takemaru irruppe con facilità negli uffici del padrone attualmente in subbuglio a causa della fuga della principessa. Non ci era voluto molto affinché venisse scoperta e fosse dato l’allarme: tutte le truppe erano in movimento, nessun escluso, e Katashi sembrava intenzionato a ritrovare la figlia a qualunque costo – dopo tutto, in ballo c’era troppo per poterla perdere così facilmente.  

“Takemaru!” l’urlo scosse il corpo dell’uomo e si diffuse lungo i corridoi adiacenti mentre la rabbia gli deformava il viso. “Siete addestrati per far sì che nulla del genere possa accadere e invece... invece devo essere informato del fatto che il tuo compagno sia stato abbattuto come un novellino e che tu ti sei lasciato scappare mia figlia altrettanto ingenuamente? Esigo delle risposte!”  

La guardia aspettò che il padrone si acquietasse almeno un minimo, per nulla sorpreso della sua reazione né del fatto che il suo compagno fosse ancora senza conoscenza, essendo stato lui stesso a mandarlo giù per scortare Izayoi senza scocciatori tra i piedi. Ora che ci era riuscito, però, iniziava la seconda parte del suo piano, quella che aveva aspettato da tempo, troppo. “Vi prego di non preoccuparvi, mio signore,” azzardò infine.  

Non devo preoccuparmi? Non sei tu a dirmi come devo sentirmi, devi solo obbedire ai miei ordini!” sbraitò ancora Katashi.  

Il capo ancora calato, Takemaru non si fece turbare. “Non dovete perché io so esattamente dove si trova la principessa e quale sia la sua meta.” 

Katashi smise di camminare avanti e indietro e indirizzò il suo sguardo di fuoco sulla guardia che ancora non dava segni di essere perturbata o scossa dagli avvenimenti di quella notte. “Come sarebbe a dire?” fremette, poi si voltò verso coloro che erano rimasti immobili sulla soglia della porta. “Preparate subito una spedizione, andremo a riprenderla all'istante.” 

Rimasti soli, Takemaru si arrischiò infine ad avanzare la propria richiesta, ignorando quella del padrone che stava ancora aspettando una risposta. “Ve lo dirò, mio signore, ma a una condizione.” Solo allora alzò il capo e sul suo volto c’era un sorriso compiaciuto che a Katashi non piacque nemmeno un po’.  

“Osi porre delle condizioni? Quale parte del tuo lavoro non ti è chiaro?”  

Takemaru continuò a sorridere. Sapeva che non poteva fargli nulla, dopo tutto non era un guerriero e pur potendo chiamare altre guardie per liberarsi di lui, al momento aveva le mani legate: lui era l’unico a sapere dove si trovava Izayoi. “Se non ci sbrighiamo la principessa si allontanerà sempre più e se giungerà a destinazione non potrei essere d’aiuto nemmeno io.” 

Katashi lo guardò carico di odio, stringendo denti e mascella, ma sapeva anche lui di essere stato messo al muro.  

“Sarò io stesso a condurre la spedizione e non dovrete preoccuparvi di alcuna umiliazione perché insabbierò la faccenda e sembrerà che Izayoi-sama si sia semplicemente persa durante una passeggiata che si è protratta troppo a lungo. Dopo tutto, sappiamo tutti quanto lei apprezzi restare sola e vagabondare. In cambio, vi chiedo solo la sua mano.” 

Il signore scoppiò in una risata isterica. “Tutto questo è ridicolo! Come osi spingerti a tanto? Non sei altro che un umile guardia che è arrivata a tanto per la fiducia che mia figlia riponeva in te. Non dimenticare le tue origini!” Non poteva credere a ciò che stava udendo. “Senza contare che il tuo piano è altrettanto insulso.”  

“Funzionerà, ma solo se mi concede il permesso prima che sia troppo tardi.” Il sorriso non accennava a sparire dalle labbra di Takemaru e, anzi, si allargava man mano che Katashi diventava preda della rabbia. “In quel caso, tutti gli abitanti delle terre adiacenti così come gli altri signori verranno a sapere come vostra figlia vi abbia imbrogliato con tanta facilità.”  

“Stavi architettando qualcosa di simile da tanto, non è vero?” Katashi gli chiese ancora, fremente di rabbia.  

“Sto solo approfittando di una situazione a me proficua,” fu la risposta sfacciata di lui.  

 

*** 

 

Izayoi si concesse la libertà di fermarsi a prendere fiato dopo tanto cammino. Non sapeva quanto tempo fosse passato dalla sua fuga o se già avesse qualcuno alle calcagna, ma lei non si dava per vinta, confidando nelle parole di Takemaru che le aveva assicurato quanto poco frequentato dai demoni fosse il percorso. 

Sarebbe stato di cattivo gusto morire per le mani di uno di loro dopo tanta fatica.  

Prese un grosso respiro e si appoggiò a un masso piò grande, passandosi il dorso della mano sulla fronte per asciugare le gocce di sudore. Nonostante il freddo della notte, era partita indossando pochi strati per non essere appesantita e non se ne pentiva; non aveva voluto essere rallentata ora che non poteva permetterselo. Bevuto un sorso d’acqua si rialzò, pronta a percorrere quel poco che le rimaneva per raggiungere la prima tappa, quando sentì dei rumori sempre più forti dietro di lei; si immobilizzò e poi fece per nascondersi, per precauzione, ma non ebbe modo perché un istante dopo numerose torce le illuminarono il viso, inquadrandola nel mezzo della foresta e spaventandola.  

“Ma cosa?” provò a dire, prima di riuscire a mettere a fuoco i suoi assalitori e riconoscerne le divise. Non riuscì a trattenere un singulto e non capì come gli uomini di suo padre avessero potuto trovarla così facilmente. Poi, tra di loro ne vide una farsi più avanti, calare il capo dinanzi a lei e poi allungare una mano. La luce che ancora la circondava le rese semplice identificarla. “Takemaru!” esclamò.  

“Principessa, l’abbiamo trovata prima che fosse troppo tardi. Ho l’ordine di scortarla al castello: suo padre è tremendamente preoccupato. Quando si è allontanata troppo nessuno è riuscito a trattenere la sua paura; siamo grati che non le sia accaduto nulla.”  

E mentre Takemaru portava avanti la sua recita a beneficio del resto della spedizione, Izayoi poteva solo fissarlo scioccata, non credendo alle sue orecchie. 

Non era durata poi tanto la sua felicità o, forse, era meglio dire che era stata tutta un’illusione sin dal principio: non aveva mai avuto alcuna possibilità. Intanto, però, aveva conosciuto il significato di un’altra parola, il tradimento, e per quanto ci provasse, non poté negare a se stessa il dolore che le provocò, gettandola in un baratro ancora più profondo.  

 

 ***

 

Nel presente, Kagome ascoltava altrettanto sbigottita: era stata così presa dal racconto da dimenticarsi per un attimo del proprio dolore. “La tua guardia ti aveva ingannata sin dall’inizio?” 

Izayoi annuì, sul suo volto nessuna traccia della ragazza ingenua che era stata; aveva superato da tempo quel tradimento anche se, all’epoca, per lei aveva rappresentato la ferità più grande. 

“E cosa è successo poi? Voglio dire, ora sei qui, hai sposato la tua anima gemella, come hai fatto a fuggire?” 

L’ex principessa scoppiò a ridere. “Sai cosa pensai quella notte mentre scappavo prima di essere trovata?” Kagome scosse la testa. “Che sarebbe stato proprio un crudele scherzo del destino imbattermi in un demone. A ripensarci ora, se fossi ancora quella persona ignara delle gioie del futuro, avrei preferito morire per mano di uno di loro piuttosto che tornare da mio padre. Avrai capito che non era certo un uomo benevolo, ma in realtà era anche molto debole; era stato fortunato a ottenere tutte quelle ricchezze tra le quali ero cresciuta.” 

“E Takemaru?” 

“Takemaru era un illuso. Le sue origini erano molto umili e invece di imparare da esse, il fatto di essere riuscito a fare carriera e a conquistare la fiducia di un’ingenua principessa gli aveva fatto credere di poter puntare sempre più in alto. Mio padre non aspettò nemmeno che le mie stanze fossero state chiuse a chiave prima di farlo uccidere per tradimento – a quanto pare Takemaru non aveva messo in conto che potesse liberarsene ottenuto quello che voleva da lui.” Izayoi scosse la testa e distolse lo sguardo per concentrarsi sul piccolo spicchio di luna visibile dalla finestra, persa nei ricordi. “Nonostante tutto, però, il destino è stato clemente con me: il giorno dopo uno scontro tra demoni giunse alle porte del nostro castello; vivevamo al confine con le terre governate da un giovane e brillante dai-youkai che era bravo a far parlare di sé.” 

Kagome trattenne il fiato. “Mi stai dicendo che la tua casa paterna è poco lontana da dove ci troviamo?” 

“Non la definirei così,” la contraddisse Izayoi tornando a concentrarsi sulla sua bevanda ora fredda e agitando una mano. “Io persi ogni interesse dopo essere diventata la compagna di Toga, ma lui, al contrario, era affascinato dall’idea di seguire il declino dell’uomo che un tempo avevo chiamato padre. Quelle terre non sono rimaste sue per molto e ora fanno parte anche dei nostri territori, anche se non saprei più riconoscere i giardini dove ho fatto tante passeggiate. Ironico, no?” 

“Quindi successivamente al giorno peggiore della tua vita il destino ha messo sulla tua strada Toga?”  

“Oh, sì. Mi notò subito, nonostante fosse nel bel mezzo di una battaglia; io stavo approfittando della confusione per tentare una seconda fuga.” Sorrise. “Ah, Kagome, se potessi descriverti l’emozione che provai nell’istante in cui lo vidi per la prima volta: non avevo mai visto niente di così bello... e il modo in cui mi guardò!” Sospirò. “Potranno passare secoli e secoli e non lo dimenticherò mai. Deve essere stato lo stesso per te, no?” La sacerdotessa annuì. “E per non parlare della faccia di mio padre quando Toga interruppe lo scontro per avvicinarlo e comunicargli che mi avrebbe portata via.” Scoppiò a ridere di nuovo, dimentica di ogni dolore del passato, e lasciò andare la tazza fredda. Poi si alzò e andò ad aggiustare il fuoco che era divenuto ormai carbone, aggiungendo qualche pezzo di legna per ravvivarlo, per nulla preoccupata di sporcarsi le mani.  

A quel punto, Kagome pensò che la favola fosse conclusa e che Izayoi fosse giunta al suo lieto fine, ma si sbagliava.  

“Se provassi a chiedere ai miei fedeli servitori quale fu la loro prima impressione su di me avrebbero difficoltà a dirtelo. Ero così spaventata, nonostante tutto, che all’inizio feci di tutto per mimetizzarmi e scomparire; era come se non esistessi. Quando tu sei giunta da noi ho potuto riconoscere senza alcun problema il tuo dolore e, allo stesso tempo, ero contenta di constatare che eri molto più forte di me che all’epoca non sapevo nemmeno cosa significasse esserlo. Anche quando divenni la compagna di Toga e sebbene percepissi senza alcun dubbio l’amore che provava per me, rimasi quella persona docile e impaurita della propria ombra: camminavo a capo calato, lo chiamavo “marito” o “mio signore” senza osare pronunciare il suo nome e chiedevo il permesso per ogni cosa. Puoi immaginare quale possa essere stata la sua reazione?” Rise, nonostante tutto. “Mi prese da parte e mi intimò di raddrizzare le spalle, alzare la testa e parlare a voce alta perché anche con il suo udito fine faceva fatica a sentire ciò che avevo da dire. O, forse, è meglio che dimentichi quest’ultima cosa; non sono sicuro di voler ascoltare altre sciocchezze che ti sono state insegnate nel luogo in cui sei nata,” lo scimmiottò mentre tornava a sedersi.  

Kagome sorrise, non avendo problemi a immaginare la scena.  

“Io ero pietrificata. Per giorni avevo avuto paura di deluderlo e di non essere in grado di incontrare le sue aspettative nonostante il destino ci avesse fatto incontrare e, invece, desiderava il contrario di ciò che mi era stato sempre insegnato. Per un attimo pensai di essere spacciata.” 

“Ma lui te lo lesse in volto, vero?” 

Izayoi annuì. “Mi disse che quando stavo tentando di scappare in mezzo alla confusione aveva intravisto in me determinazione e coraggio; sapeva che erano lì sepolti sotto cumuli di sciocchezze impartitomi da un uomo senza spina dorsale e che avrei fatto meglio a dissotterrarli perché in quanto nuova signora dell’Ovest era mio dovere. Credo che se non ne fossi stata già innamorata, in quel momento avrei cambiato idea.” Gli occhi le brillavano di una luce che Kagome sapeva riservava solo al compagno e non dubitava che da allora il sentimento si fosse solo rinforzato. “Che risveglio brusco che fu, ma non meno piacevole,” ammiccò.  

“Bada bene, non sono diventata quella che sono in una sola notte, eppure non cambierei nulla del mio passato. È grazie alla ragazza che ero se oggi sono in grado di riconoscere il dolore altrui, se sono capace di amare e di lasciarmi amare. Non ho più pietà per lei, ma solo per coloro che si fanno sopraffare dai sentimenti negativi che, invece, dovrebbero essere utilizzati come strumenti per andare avanti e superare gli ostacoli. Sarebbe un peccato, infatti, sprecare certe lezioni che la vita ci manda.” Incrociò il suo sguardo lanciandole un’occhiata significativa e poi si alzò. “Ma ti ho trattenuto abbastanza: è tardi e Toga si starà chiedendo che fine abbia fatto, senza contare che sono stata maleducata a non lasciarti riposare. Fai sogni d’oro, tesoro,” le augurò prima di lasciarla sola.  

Kagome continuò a fissare il punto in cui era stata fino a poco prima, ripetendo nella mente tutto ciò che le era stato narrato, soprattutto le ultime parole, e le fu impossibile non fare un paragone.  

La persona che Kagome le aveva ricordato era stata proprio la versione più giovane di sé e, sapendolo, era difficile non cogliere il messaggio che aveva voluto trasmetterle o il motivo per cui si era aperta a quel punto con lei.  

Da un lato la confortava sapere che la donna avesse tanta fiducia in lei da credere che si sarebbe rialzata, dall’altro la montagna davanti a lei le sembrava davvero insormontabile. Eppure, riconosceva anche che mollare prima di provarci sarebbe stato alla stregua di un’offesa nei confronti di coloro che l’avevano accolta a braccia aperta. Doveva loro almeno quello.  

Non si illudeva che sarebbe stato facile o che le sue paure sarebbero sparite in una notte, ma per Inuyasha doveva almeno provarci.  

Spegnendo ogni candela e muovendosi solo grazie alla luce proveniente dalle braci, Kagome si preparò infine per la notte, sperando che il mattino dopo avrebbe ricordato ancora le ultime parole che le erano state impartite.  

 

 


N/A: 

Qualcuno ci era arrivato, qualcun altro no, ma come avete visto la storia che Izayoi aveva da raccontare era proprio la sua e il giorno peggiore della sua vita non è dato dal matrimonio combinato quanto dal tradimento che ha sperimentato. Volevo darle una storia e un carattere un po' più complesso, mantenendo però alcune 'banalità' dell'epoca. Spero vi sia piaciuta, così come l'espediente con cui l'ho narrata e il collegamento con Kagome. 
 
Un bacio e a presto!
 

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Capitolo 18
*** XVII — Verità scottanti ***


Capitolo XVII: Verità scottanti


 


 

“Vedi, ci sono alcune cose che non sai di sapere, finché qualcuno non te le chiede.”

Un uomo solo, Christopher Isherwood


 

 

 

 


 

Kenichi starnutì, prima di alzare il volto e osservare il cielo, reso nero pece a causa del fumo che ancora continuava a salire, segno della terra che a lungo aveva bruciato e di cui non rimaneva nulla se non cenere e vite spezzate. Starnutì ancora, nascondendo il naso sensibile nel gomito, sperando di dargli quel sollievo che ricercava da quando era arrivato sul luogo.

Quando il Generale gli aveva comandato di raggiungere il resto dell’esercito occupato ad evacuare i villaggi della zona, Kenichi aveva potuto solo immaginare ciò che vi avrebbe trovato – e anche in passato, a seguito di attacchi volti a infrangere la fragile pace tra umani e demoni, si era trovato a doverne ripulire tanti. Tuttavia, odiava quando c’era di mezzo il fuoco.

Oltre a trovare ripugnanti azioni vigliacche come quella del loro attuale nemico, poneva parte di loro in una posizione di grande svantaggio. Infatti, i demoni che come lui – come il generale stesso – facevano grande affidamento sull’olfatto venivano travolti dal forte odore e, se non preparati, rischiavano anche di svenire a causa del sovraccarico. Nel migliore dei casi, invece, l’avversario riusciva comunque a mettere fuori gioco il loro senso più utile e sfruttato, e a loro risultava impossibile seguire tracce o anche solo restare all’erta – proprio come in quel momento.

Guardandosi attorno, notò molti dei suoi compagni nella stessa situazione e sperò di poter lasciare al più presto quel cumulo di terra bruciata. Nemmeno l’udito era messo meglio – non se le voci erano troppe, si sovrastavano, e tra di esse spiccavano i pianti dei bambini e le urla dei vecchi che avevano deciso di sfidare la sorte e restare a morire lì dove erano nati e cresciuti.

Forse, non era poi una scelta sbagliata, forse, chiunque li aveva attaccati avrebbe ricominciato in un altro luogo – anche se questa possibilità prevedeva ancora più attacchi e morti –, ma allo stesso tempo Kenichi era inquieto. Per questo, non vedeva l’ora di andar via, anche perché non aveva nient’altro su cui basarsi se non un’impressione, dato che orecchie e naso erano fuori uso. E a ben pensarci, neanche gli occhi serviva tanto se l’unica cosa che riuscivano a vedere erano le grosse nuvole di fumo nero che li circondavano.

Tutti gli altri, come lui, condividevano la stessa inquietudine: con almeno la metà dei soldati fuori uso, si trovano in pericolo costante. Se qualcuno li avesse attaccati di sorpresa, loro se ne sarebbero accorti troppo tardi e, a quel punto, avrebbero potuto contenere solo le perdite.

Quel giorno, tutti loro, si trovavano nel tipo di situazione da cui, da sempre, erano stati addestrati a tenersi alla larga.

Kenichi non poté far altro che continuare il suo lavoro e sperare, perché non conosceva alcun Dio e non poteva pregare.


 

***


 

Nel viaggio che lo portò dal suo rifugio al luogo in cui il suo fantoccio si era scontrato con Toga e Inuyasha, il demone in bianco provò a chiedersi cosa fosse andato storto nel suo piano sapientemente orchestrato.

Aveva creduto che la marionetta avrebbe potuto intrattenere abbastanza a lungo i due cani, così da dargli il tempo di finire con Kagome. Solo dopo, si sarebbe presentato ai loro occhi, mostrando la sua vittoria e godendosi il terrore nello sguardo del mezzo demone: vederlo sconfitto, dopo che gli aveva portato via la promessa sposa, era, infatti, la cosa che più desiderava al momento, dopo la ragazza. Invece, quella testa calda era riuscita a rivelare il suo trucchetto prima del tempo e ciò era bastato a mandare tutto all’aria.

Forse, il fantoccio non gli era riuscito così bene come aveva creduto all’inizio; dopo tutto, era stato il primo che aveva creato e lui non poteva ancora definirsi esperto. Non vedeva alternative o altre falle.

Infatti, ora che aveva ricevuto un nuovo corpo e nuovi poteri – ora che mille demoni albergavano dentro di lui dandogli l’opportunità di sfruttare tutte le loro diverse qualità – nessuno era più potente di lui. Anche il Grande Generale Cane non poteva competere con lui.

Preso com’era dalla rabbia causata dai piani interrotti troppo presto e dall’arroganza data dal suo nuovo io, il demone non pensò per un secondo che le ragioni potessero essere altre; non lo sfiorò nemmeno l’idea di essere stato troppo avventato, troppo sicuro di sé, mentre ancora doveva prendere piena coscienza del corpo che abitava e dei suoi nuovi poteri.

Così, sulla scia di quei pensieri influenzati dall’ardore dei suoi sentimenti, raggiunse il luogo dello scontro, sperando che l’odore di Kagome sulle sue labbra fosse abbastanza forte da essere sentito dal mezzo demone. Certo, inizialmente avrebbe voluto divertirsi di più con lui, e l’odore che avrebbe dovuto sentire doveva essere un altro – più forte –, ma si sarebbe accontentato. Dopo tutto, era certo che la faccia che avrebbe fatto sarebbe stata comunque soddisfacente.

Ghignò nel constatarlo e la rabbia per un secondo evaporò, lasciando di nuovo posto all’arroganza e ai piani di conquista, prima di tornare con prepotenza quando, arrivato, si accorse che Inuyasha era assente.

In mezzo a quella landa ora desolata e bruciata distingueva i colori dell’esercito dell’Inu-no-Taisho, demoni insulsi che si affaccendavano per aiutare coloro che non avrebbe avuto nemmeno una parola di ringraziamento, restii ad accettare il loro aiuto perché diversi; utilizzavano la propria velocità per salvare vite, senza perdere un secondo, inconsapevoli di qualcuno che li stava osservando, troppi presi da quell’inutile operazione di altruismo di cui il Generale faceva un vanto.

Sbuffò mentre dall’alto, il bianco della sua pelliccia semi-nascosto dietro nuvole di fumo, seguiva con gli occhi ognuno di loro, e un ringhio basso gli nacque nel petto quando si accorse che nessuno aveva l’inconfondibile chioma d’argento con cui era nato il suo obiettivo. E a quel punto la rabbia non poté che aumentare, dominandolo tutto, senza lasciare alcuno spazio alla razionalità – di cui lui, anche quand’era stato solo carne e sangue umano, non aveva mai abbondato.

Aveva lasciato la promessa sposa, appena ritrovata, per venire a liberarsi di quei nemici che rappresentavano l’ostacolo numero uno ai suoi piani, solo per scoprire che non c’erano più, che, come codardi, erano andati via, abbandonando anche i loro sottoposti.

Ebbene, se la loro scelta era la fuga, lui avrebbe mandato un messaggio ben chiaro – più di uno, ci ripensò con un ghigno. E, fatto ciò, sfogata anche la sua rabbia, sarebbe tornato ad attività più piacevoli, ottenendo infine colei che aveva desiderato troppo a lungo.


 

***


 

Non aveva sprecato tempo Sesshomaru e, lasciato il castello paterno, si era messo alla ricerca di quello strano mezzo demone che aveva imprigionato la compagna del fratellastro. Tuttavia, l’impresa stava risultando più difficile del previsto, soprattutto se si considerava che ormai aveva memorizzato quel nauseante odore.

A parte quello – e l’odio per suo padre e Inuyasha –, però, non aveva altri indizi. Dubitava che qualsiasi altro codardo piano avesse in mente presupponesse un viaggio nelle terre che lui aveva appena lasciato, e anche per questo non si era soffermato troppo dopo aver riportato la sacerdotessa. Non gli dispiaceva nemmeno continuare a vagare – al momento era quella la sua occupazione principale –, ma non amava lasciare a piede libero un essere che aveva giurato di uccidere; preferiva finire subito il lavoro.

E mentre seguiva le piccolissime tracce del demone in bianco, non si accorse, allo stesso tempo, che i suoi piedi stavano prendendo tutta altra strada, senza che lui potesse opporsi o anche solo accorgersene. Inconsapevolmente, aveva cominciato a seguire un’altra fragranza – che per la sua bestia interiore aveva ben più importanza di un nemico con cui non aveva mai avuto a che fare –, una ancora più forte e, soprattutto, ammaliante. Se anche se ne fosse accorto, Sesshomaru non avrebbe potuto contrastare quella parte più primitiva di sé, e forse non lo desiderava nemmeno.

Era quello odore che ormai lo tormentava giorno e notte, che rimaneva sempre in un angolo della sua mente e stava mettendo in dubbio ogni sua certezza – ancor più dell’arrivo della sacerdotessa a castello o dell’ultima discussione con suo padre. Per di più, la verità dietro di esso lo spaventava come niente aveva fatto prima d’ora, gli rivelava che anche lui non era un essere invincibile e, come altri che aveva giudicato in precedenza, era soggetto ai sottili e infallibili ingranaggi del destino.

Lui, che aveva più volte denigrato suo padre per la scelta di legarsi a un’umana per assecondare una sciocca leggenda, ne era diventato a sua volta vittima. E se prima si era creduto intoccabile, ora era costretto a ricredersi – ma erano cose che sarebbero rimaste ancora per molto nella sua mente, che avrebbero tormentato solo lui, perché mai avrebbe osato farne parola con qualcuno, tanto meno suo padre.

Nessuno avrebbe dovuto sapere che anche lui, il glaciale principe dei demoni, era diventata vittima di una leggenda e che il fato gli aveva giocato lo scherzo più crudele di sempre: gli aveva destinato un’umana.

Nel mentre, coloro che aveva annodato quel filo rosso ridevano di lui, guardandolo avvicinarsi sempre di più alla ragazza che riempiva i suoi pensieri. Il richiamo era troppo forte anche per lui e più lo avrebbe negato, più dopo ne avrebbe sentito un bisogno maggiore; più avrebbe cercato di allontanarsi e più sarebbe stato strattonato nella sua direzione – proprio come stava accadendo in quel suo vagabondare.

Sesshomaru stava per andare a sbattere contro quel muro che avrebbe infranto ogni valore e credenza a cui si era aggrappato finora e, rialzarsi, avrebbe potuto essere doloroso e difficile se si fosse ostinato.

Anche Jaken, che si stava trattenendo dal fare domande per preservare se stesso, aveva capito che qualcosa stava cambiando nel suo signore e proprio quel cambiamento lo inquietava: per lui, Sesshomaru era perfetto così com’era, e qualsiasi cosa lo stesse turbando era certo avrebbe portato solo rogne. Il suo comportamento non era normale e aveva paura di quel che tutto ciò significava – anche per lui. Avrebbe voluto metterlo in guardia, avvertirlo che immischiarsi con gli umani – così come aveva fatto già ben due volte – portava solo guai, ma sapeva che aprire la bocca sarebbe stato l’equivalente di una condanna a morte.

Quindi cos’era meglio? Starsene zitto, sopravvivere e assistere a quel cambiamento che lo faceva inorridire, o morire, sapendo però di aver salvato l’orgoglio di Sesshomaru? Il rospetto rabbrividì riportando gli occhi su Sesshomaru e alla fine decise che avrebbe salvato la pelle; dopo tutto, morire non avrebbe assicurato comunque che Sesshomaru si salvasse da qualsiasi cosa a cui stava andando incontro. Un secondo dopo, il dai-youkai voltò di scatto la testa verso di lui, assottigliando lo sguardo e incenerendolo, e Jaken si fece ancor più piccolo sotto di esso, temendo che avesse percepito i pensieri che gli erano passati per la testa. Quando poi gli diede di nuovo le spalle e si librò in volo, Jaken esalò un respiro di sollievo prima di rincorrerlo e acciuffare la coda della mokomoko per non essere lasciato indietro.


 

***


 

Dopo aver sorvolato lande per lo più desolate, Sesshomaru cominciò la propria discesa, mentre il suo vassallo si aggrappava nel vano tentativo di scendere con altrettanta grazia. Non ci riuscì. Ma dopo essersi raddrizzato e aver pulito le proprie vesti, si accorse che erano giunti ai margini di un villaggio povero e con molti abitanti.

Le loro urla gli riempivano le orecchie così come la loro puzza il naso e, facendo una smorfia, si chiese come il suo Signore potesse sopportare tutto ciò con dei sensi molti più sensibili dei suoi. E dire che era lui che aveva scelto di fermarsi lì!

Alzò lo sguardo verso di lui e lo vide immobile, teso, gli occhi puntati verso una figura in lontananza. Si voltò allora verso di essa e tentò di metterla a fuoco, cercando di capire l'attrattiva che poteva avere; magari questa volta per davvero avrebbe assistito a una battaglia interessante. Quella fantasia durò poco, però, perché subito si infranse con la realtà quando riconobbe l’umana che il signor Sesshomaru aveva salvato in uno straordinario, quanto raro, slancio di magnanimità, quella che lo aveva ringraziato con la sua sfrontatezza e che aveva poi fatto passare un brutto quarto d'ora a Jaken, a causa dell’umore che aveva scatenato.

Si allarmò, non riuscendo a capire. Sesshomaru era giunto in quel villaggio cercando proprio lei? E perché mai avrebbe dovuto? Forse era solo un caso – un caso davvero sfortunato. Ma era opportuno credere alle coincidenze dopo tutto ciò che era accaduto da quando avevano lasciato le terre dell’Ovest?

Jaken continuò a osservare lo scenario, facendo attenzione ai movimenti impercettibili di Sesshomaru e più i secondi passavano, più gli si gelava il sangue nelle vene. Non poteva udire ciò che la ragazza stava discutendo con il giovane accanto a lei, ma non credeva fosse poi così interessante; quindi, perché stava avendo questo irrazionale effetto sul suo padrone?

I suoi grandi occhi passavano dall’uno all’altro, senza smettere, così tanto che Jaken cominciò ad avvertire un grosso mal di testa nato da quel movimento continuo. Eppure, quando Sesshomaru fece un passo avanti e la ragazza qualcuno in più nella loro direzione, Jaken dimenticò ogni malessere per cacciare suddetti bulbi oculari fuori dalle orbite tanto fu la sua sorpresa.

Non avevano mica intenzione di interagire? Agitò il Nintojo in un gesto disperato, come se avesse potuto fermare Sesshomaru o qualsiasi disastro stava per compiersi, ma poté solo assistere, incapace, all’inizio della tragedia. Anzi, al proseguire di essa: era già troppo tardi, rifletté con la bocca aperta dallo stupore, le cose erano già a un punto di non ritorno e lui aveva miseramente fallito nel suo compito.

Le cose erano più tragiche di quel che avrebbe mai potuto immaginare e il suo fiero e maestoso padrone già vittima di un crudele incantesimo!

“Non ti aspettavo così presto, Sesshomaru,” esordì la ragazza con sfacciata confidenza.

Il demone la ignorò, preferendo continuare a fissarla con sguardo severo ancora per un po’. “Cosa ci facevi in compagnia di quello sporco umano?” chiese poi di rimando, stupendo prima se stesso e poi Jaken – che sarebbe potuto cadere morto stecchito a terra da un momento all’altro.

Era come se dentro Sesshomaru albergassero due entità completamente opposte e quella più strana e nuova avesse preso il sopravvento del corpo, mentre l’altra assisteva, incapace, non riuscendo a impedire ciò che lasciava le sue labbra. Istinti mai conosciuti prima lo manovravano, sentimenti irrazionali gli scoppiavano nel petto e ispiravano la bestia dentro di lui – ma non per i soliti motivi, non per la sete di potere che era stata l’unica fiammella dentro di sé per tutti quei secoli.

Il sorriso scomparve dalle labbra di Rin nell’udire quella domanda. “Anch’io sono una sporca umana,” rispose arcuando un sopracciglio. “Te ne sei forse dimenticato?” Capiva, come non riusciva a fare Sesshomaru, che la domanda era scaturita dalla gelosia, che il demone sentiva bene gli effetti del legame nato quando si erano visti la prima volta, del filo del destino che li aveva già uniti senza scampo. Tuttavia, era anche evidente che non avesse ancora smesso di combatterlo né lo aveva accettato.

Quando lo aveva notato ai margini del proprio villaggio aveva ingenuamente creduto che il momento fosse arrivato prima del previsto. Ma si era sbagliata. Conosceva, dopo tutto, le voci sul suo conto; lo aveva riconosciuto subito, dato il suo aspetto per nulla comune, e nemmeno la sua sorpresa era stata poca quando aveva compreso che quella rara leggenda che si tramandava tra gli umani aveva messo sul suo cammino proprio lui.

Eppure, era impaziente. E quella impazienza le aveva fatto credere che sarebbe bastato un incontro a cambiare uno dei demoni più crudeli del loro paese.

Certo, già ora che era passato così poco notava un cambiamento – altrimenti perché sarebbe giunto così presto da lei? –, ma per un attimo si chiese se tutta la sua vita da umana sarebbe bastata a completare il processo.

Sesshomaru intanto ringhiava, anche se il rumore era così basso da non essere udito da Rin, ringhiava così tanto che dovette sforzarsi per non digrignare i suoi canini perfetti o stringere forte i pugni, manifestando un’incontrollabilità che era degna solo del suo fratellastro. Le due entità che erano al momento dentro di lui combattevano un’ardua lotta e lo sforzo lo stava mettendo a dura prova. Ma, alla fine, sempre quella che non riconosceva vinse.

“Ti ho fatto una domanda,” ripeté, per nulla contento della risposta di lei. E intanto si chiedeva perché il considerarla un’umana alla stregua di tutti gli altri che aveva conosciuto – e disprezzato – finora lo ferisse tanto. Non riusciva a metterli sullo stesso piano, la sua mente rifiutava quel paragone, e per lui nessun altro poteva essere al livello di Rin. Annusò l’aria, disposto a inspirare anche la puzza che circondava quel luogo pur di venire a capo di quei dubbi, ma l’odore di lei, per quanto paradisiaco, continuava a sembrargli quello di un essere umano. Quindi, se nella carne e nel sangue lei non era in apparenza diversa dagli altri, perché il suo cervello rifiutava ancora il confronto? Cos’aveva di speciale quella donna? Sesshomaru credeva di impazzire.

“E io non ti devo alcuna risposta,” ribatté lei, avvicinandosi ancora di più, senza paura, alzando il mento e raddrizzando le spalle. Non aveva intenzione di dargliela vinta, non se era lei quella che aveva le risposte che Sesshomaru tanto cercava. “Né devo giustificare le mie azioni.”

Jaken trattenne il fiato rumorosamente nel sentirla, mentre, nello stesso istante, Sesshomaru perdeva del tutto la battaglia con la razionalità e quella nuova parte di se stesso riprendeva del tutto il controllo. Vide le sue mani alzarsi, i suoi piedi spingerlo avanti, il viso abbassarsi, ma non poté fare nulla per fermare il suo corpo.

In breve, si trovò a sentire sotto i suoi palmi il corpo caldo e invitante di lei, stringeva le sue spalle con forza, pur senza farle del male, e sentiva il suo respiro mentre si chinava su di lei con prepotenza, cercando di intimidirla. Non accettava quella sfrontatezza, da nessuno, soprattutto non da lei. La fissò dritto negli occhi, riconoscendo il suo riflesso in essi, stupendosi di quel pazzo che era diventato. Infine aggiunse: “Lo sai perché devi rispondere. Non voglio che uomini senza controllo desiderino ciò che è mio né dover sentire l’odore disgustoso di quegli istinti che non sanno controllare su di te. Devi starne alla larga!”

Un secondo dopo si ritrasse, scattando all’indietro come un fulmine e ritrovandosi dalla parte opposta della radura rispetto a lei. La maschera era finalmente caduta e, gli occhi sgranati, la bocca semi-aperta, Sesshomaru spostò lo sguardo da Rin alle sue mani, quasi come si aspettasse di vederle marchiate a fuoco, come se il contatto con lei l’avesse bruciata – e non fossero state, invece, le parole che aveva pronunciato a dargli uno shock.

Fece ancora un passo indietro nello stesso istante in cui Rin scoppiava a ridere, scuotendo la testa per ciò che aveva appena visto. “Ancora rifiuti la verità, Sesshomaru? Eppure, mi pare di capire che parte di te ha compreso perfettamente cosa ci è accaduto. Sei orgoglioso come dicono? Ma non così intelligente,” dedusse, “altrimenti non ti comporteresti in questo modo.” Poi, come se non fosse stata già abbastanza sfacciata, considerando la letalità del demone che aveva di fronte, osò ancora di più: “Dato ciò che avevo sentito sul tuo conto, mi sarei aspettata di più. Certo è, Sesshomaru-sama, che non sarà un demone a dirmi cosa devo fare, di sicuro non uno che rifiuta verità chiare come il sole. Scappa ancora se vuoi, continua a farlo, oggi, domani, il giorno dopo ancora, ma nulla cambierà, e ogni volta sarà sempre peggio.”

Poi, lasciandolo a bocca aperta, gli diede le spalle e fu la prima ad andarsene.

L’eco delle sue parole continuò a rimbombare nella mente di lui, come se fosse ancora lì a ripetergliele per assicurarsi che accettasse ciò che li legava. E trafitto com’era da esse, Sesshomaru non si accorse di avere degli spettatori indesiderati sotto forma di tante piccole api ronzanti.


 


N/A: Avevamo lasciato qualcosa, o meglio qualcuno, in sospeso mentre Inuyasha e Kagome affrontavano i loro problemi, quindi era giusto fare un passo indietro per vedere che fine avevano fatto. 
Qualche idea su cosa accadrà adesso? 
Se volete dirmelo, lasciatemi pure un commento ❤. 

A presto con il capitolo 18!

 

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Capitolo 19
*** XVIII — Ricatto ***


 


Capitolo XVIII: Ricatto
 

 

If the sun don't shine on me today
And if the subways flood and bridges break

Will you lay yourself down and dig your grave
Or will you rail against your dying day

Sleep on the floor, The Lumineers


 

In quei giorni durante i quali Kagome cercava il coraggio di approcciare Inuyasha, lui sfogava la rabbia e il nervosismo negli allenamenti. Si svegliava all’alba e cominciava un rituale che aveva seguito sin da piccolo, ossessivamente, aggiungendo esercizi, restando fino a tardi e non prendendosi mai un attimo per respirare. Temeva, infatti, che se lo avesse fatto le paure che covava dentro di sé avrebbero preso il sopravvento, quindi, preferiva cacciare fuori ogni sentimento rabbioso, affinare la tecnica di spada sconfiggendo quanti più demoni possibili e immaginando di avere davanti a sé colui che aveva causato tutto. In non poche occasioni gli era stata chiesto di diminuire la foga se non avesse voluto mandare in infermeria troppi soldati e lasciare l’esercito – già a corto a causa di coloro che erano ancora a Sud – con meno numeri. E così facendo non solo si distraeva, ma si allenava anche per lo scontro che ora più che mai desiderava. Tuttavia, non riusciva mai a raggiungere il suo obiettivo del tutto: in fondo alla mente rimaneva un tarlo che sembrava voler restare con lui come un compagno fedele; si chiedeva se e quando la situazione con Kagome si fosse spianata e come ne sarebbero usciti.

Fu durante uno di quegli allenamenti solitari che la sacerdotessa lo trovò quando, infine, decise di smettere di temporeggiare e raggiungerlo.

Arrivò mentre stava praticando dei kata, concentrato e metodico, e notando i muscoli che si flettevano e la sua espressione determinata fu ancora una volta sorpresa dalla sua bellezza. Si chiese come avessero fatto tutti gli altri attorno a lui a ignorarla così a lungo in favore del suo sangue misto che perdeva ogni importanza di fronte alla bontà del suo animo, che pure brillava in mezzo a un’apparenza scontrosa; si disse che probabilmente nessuno aveva mai voluto vedere veramente Inuyasha per colui che era e, di sicuro, non lo avevano mai osservato con gli stessi occhi con cui lo guardava lei ora.

Inuyasha, intanto, resosi subito conto di avere una spettatrice, sbagliò più di un kata e se un occhio più esperto lo avesse visto non avrebbe esitato a correggerlo. Ma Kagome non poteva saperlo e per lei Inuyasha stava solo continuando a eseguire un allenamento rigido e composto, troppo concentrato per accorgersi di ciò che lo circondava; un pensiero un po’ sprovveduto, senz’altro, visto che i demoni esercitavano sempre ogni senso, non dimenticandone mai uno in favore di un altro. Eppure, lui continuò e non si fermò, aspettando che fosse lei ad avvicinarsi.

Era sorpreso, certo, del suo arrivo – ed era, appunto, la sorpresa a fargli compiere il primo passo sbagliato –, ma non di meno contento. Rimaneva l’apprensione data dalle incognite e sperava che Kagome non restasse troppo tempo ad osservarlo per paura che i suoi nervi si logorassero ancora di più nell’attesa.

Infine, quel silenzio interminabile fu rotto dai passi di lei che si facevano più vicini e Inuyasha inspirò ed espirò lentamente prima di rilassare il corpo e voltarsi verso di lei.

Il sudore che gli imperlava il viso e macchiava la veste colpì Kagome più del dovuto, la quale lo intese come manifestazione più tangibile della lotta interiore che il mezzo demone stava combattendo e delle ansie di cui lei era in parte responsabile. Si sentì più in colpa, ma era anche conscia di non saper controllare davvero le sue reazioni ed era con questa consapevolezza che doveva parlargli, chiedergli di perdonarla anche se avrebbe compiuto gli stessi errori e, in cambio, lei avrebbe sempre ricordato che Inuyasha era lì accanto a lei per sostenerla e fermarla laddove ce ne fosse bisogno – proprio come le aveva già dimostrato. Non per farle del male o ferirla.

“Se non ti spiace attendere qualche minuto, c’è un ruscello qui dietro che posso usare per lavarmi,” prima di cominciare. Inuyasha la guardò eloquente.

“No,” rispose lei, sporgendosi in avanti come per fermarlo. Sentiva come se la sicurezza di qualche istante prima sarebbe scomparsa se non avesse più visto i segni della sua fatica; voleva continuare a vedere cosa aveva contribuito a provocare.

Inuyasha fu sorpreso dalla sua veemenza, ciononostante, l’accontentò e si limitò a utilizzare un panno per asciugare le gocce che dalla frangetta gli cadevano sugli occhi.

“Ti devo delle scuse.”

Senza farla continuare, lui arcuò un sopracciglio mentre altra rabbia gli nasceva nel petto per quella scelta di parole – non rivolta a lei, ma a colui che le faceva attribuire colpe non sue. “Non mi devi niente,” ribatté secco per poi pentirsi del tono. Ammorbidì lo sguardo, mise da parte l’asciugamano e la guardò dritta negli occhi. “Le circostanze attuali non sono colpa nostra e le nostre reazioni sono frutto di queste. Certo, parlano anche le nostre paure, ma non ce l’ho per te per quello che è successo l’altro giorno – non te ne ho fatto una colpa nemmeno per un instante.”

Kagome annuì, sorpresa, forse a causa delle esperienze passate al villaggio o perché, in fondo, ancora non conosceva del tutto Inuyasha, ma aveva avuto temuto una sua reazione e anche per questo aveva rimandato tanto il confronto. La sua risposta, tuttavia, le fece tirare un sospiro di sollievo e guardare al resto della conversazione con più fiducia in se stessa, consolata anche dalla maturità che Inuyasha stava dimostrando. Si chiese anche se si rendeva conto di aver ammesso di aver paura.

“Ti chiedo scusa lo stesso,” ripeté comunque, “perché so che finirò per commettere gli stessi errori – errori che, come hai appena detto, sono dovuti anche a delle mie paure.” Notò i suoi pugni stringersi e da quello che aveva imparato di lui – e dei demoni in generale – sapeva che si sentiva in parte responsabile per non essere in grado di cancellarle. Si avvicinò e allungò la mano verso di lui per aprire il pugno e intrecciare le loro dita. A quel punto incrociò di nuovo i suoi occhi. “Però, se continuerai a darmi il tuo sostegno, se mi perdonerai per quanto ti farò ancora soffrire, sono convinta che supererò pian piano ognuna di esse.”

“Kagome,” mormorò, colpito e angosciato allo stesso tempo. Anche se l’intera situazione lo faceva penare, non avrebbe mai voluto che lei si sentisse in colpa anche per quello – aveva già troppi pensieri che la opprimevano e non era necessario angosciarsi per lui. Tuttavia, non si rendeva conto che lo stesso sentimento che lo faceva disperare per l’amata portava quest’ultima a preoccuparsi per lui e che a quello scambio non c’era soluzione, se non il giurarsi sostegno reciproco. Entrambi dovevano imparare a dividere il peso che gravava sulle loro spalle e a non aver paura di fare un danno all’altro condividendo la propria pena.

Ma lo avrebbero capito presto.

“Non devi nemmeno chiedermelo. Fin quando me lo permetterai, resterò accanto a te. E non solo per domani e il giorno dopo ancora, ma per il resto della nostra vita.”

La sacerdotessa annuì di nuovo. “Non c’è più bisogno di dubitare allora,” gli sorrise, per la prima volta dopo quella notte con un sorriso sincero e iniziando a comprendere ciò che avrebbe dovuto fare per superare la sfida ardua che le si parava di fronte.


 

***


 

La tranquillità che il confronto di quel giorno aveva instillato nelle loro anime, tuttavia, non durò molto: arrivò, infatti, presto notizia di un evento che avrebbe ricordato loro che c’erano ancora molti ostacoli da superare prima di poter abbracciare la loro relazione con la serenità che era loro dovuta.

Era intenti a desinare quando un soldato fece irruzione nella stanza, trafelato, senza nemmeno aspettare di essere annunciato. E così facendo mise subito in allarme i commensali.

Toga scattò immediatamente in piedi, dimenticando ciò che stava per dire un secondo prima e con occhi da rapace studiò il suo sottoposto, leggendo sul suo viso ogni segno che gli indicava una tragedia imminente – un'altra.

Il demone, che mancava all’appello da quando era partita la spedizione diretta a Sud, era sporco di fango e di sangue, ma Toga non seppe dire subito se quest‘ultimo apparteneva a lui o a qualcun altro: erano troppi gli odori che si mescolavano sul suo corpo, tanto da mandare in sovraccarico il suo olfatto, cosa che gli accadeva di rado. Eppure, ciò che lo spaventò di più erano gli occhi spaventati e quel petto che si alzava e abbassava con fatica, come se il soldato facesse fatica a stabilizzare il proprio respiro, anche solo a catturare l’aria che gli serviva. Non era una reazione normale per un demone che, rispetto a un semplice essere umano, era abituato a sforzi maggiori – e i suoi sottoposti ancora di più. Sapeva, dopo tutto, che di fronte a lui non vi era un inesperto youkai di basso rango.

Aspettò, comunque, alcuni secondi, cosicché il giovane rivelasse il motivo di quell’arrivo irruento prima di interrogarlo egli stesso. Non dovette aspettare a lungo.

“Signore, avevamo quasi completato l’evacuazione dei villaggi a Sud che erano stati colpiti, quando il nemico ci ha colto di sorpresa e attaccati. Abbiamo fatto il possibile.”

“Chi era il vostro nemico?” chiese il Generale, pur sapendo già la risposta.

“Il demone vestito di bianco, Toga-sama.”

Ed eccola, infine, la notizia che avevano atteso in quei giorni, il ritorno di quell’essere: Toga aveva passato le notti a chiedersi quando si sarebbe rifatto vivo, a cosa la rabbia lo avrebbe condotto una volta scoperto che la sua preda gli era stata portata via così presto. Ora temeva il resto del messaggio che il soldato era venuto a comunicargli.

“In quanti siete tornati? Siete riusciti a salvare gli abitanti che ancora non avevano lasciato quelle terre?”

“Sì, mio signore, abbiamo salvato tutti, a parte qualche anziano che si ostinava a non voler lasciare la sua casa.” Poi la paura tornò potente negli occhi del messaggero e prima ancora che aprisse la bocca Toga aveva già udito la sua frase funesta: “Molti dei nostri, purtroppo, sono stati presi alle spalle. Mi rincresce darle notizia di tale inettitudine; eravamo tutti addestrati per fronteggiare un’evenienza simile.” Calò il capo mentre, allo stesso tempo, faceva lo stesso con la voce. “Il fumo ci ha riempito le narici mettendo fuori funzione il nostro olfatto, mentre il pianto dei bambini e le urla degli adulti-”

L’Inu-no-Taisho alzò il braccio per interromperlo e poi, facendo uno sforzo immane, prese un respiro profondo e gli fece un cenno di testa, congedandolo. Non gli disse nulla, ma il giovane capì lo stesso.

Si inchinò un’ultima volta e poi lasciò la stanza, richiudendo lesto la porta dietro di sé.

A quel punto, Toga abbandonò ogni apparenza e si accasciò di nuovo sulla sedia, prendendo grandi e lente boccate d’aria per controllarsi, ma incapace di continuare a reggere l’immagine del guerriero forte di fronte alla sua famiglia. Non che ne avesse bisogno. Non aveva timore di crollare con loro che – nell'evenienza – lo avrebbero supportato. Inoltre, se non lo avesse fatto in quell’istante, avrebbe rischiato di lasciarsi andare di fronte al proprio esercito ed era l’ultima cosa di cui i suoi sottoposti aveva bisogno. Per loro doveva essere forte, ma i suoi cari, nel frattempo, lo avrebbero sorretto nel privato senza fargliene una colpa.

O quasi tutti, sorrise tra sé e sé, perché già immaginava le parole e l’espressione ripugnata Sesshomaru se lo avesse visto in quel momento.

“Anata?” lo chiamò Izayoi vedendolo così sopraffatto, mentre Inuyasha e Kagome osservavano silenziosi.

Nell’udire la sua voce, Toga incontrò il suo sguardo, poi quello del figlio e della compagna di lui, quasi temendo ciò che vi avrebbe visto. “Forse non avrei dovuto lasciarli da soli, forse saremmo dovuti tornati subito, non appena abbiamo visto che Kagome era sana e salva. Non sappiamo quanti siano davvero rimasti...” e lo spaventava saperlo, lo spaventava quel senso di colpa che sarebbe aumentato di conseguenza e di cui lui ora non aveva bisogno. Doveva essere lucido e reagire come un Generale degno del suo titolo per potersi preparare alla prossima mossa di quell’essere di cui sapevano ancora poco, se non che era un novizio – un novizio comunque in grado di uccidere senza scrupolo pur di far arrivare il proprio messaggio.

Ed era certo che quello non sarebbe stata l’ultima volta.

“Non è niente di nuovo,” intervenne infine Inuyasha. “Hai comandanti addestrati a questo tipo di situazione e, in passato, hai affrontato nemici ben peggiori di questa bestia. Io potrò non aver preso parte alle tue campagne più pericolose, ma conosco i racconti, così come ho spesso udito le testimonianze di quegli stessi demoni che sono nel tuo esercito da secoli. Ogni volta che partiamo corriamo il rischio di non tornare, ogni volta potremmo incontrare qualcuno che supera le nostre aspettative, che ci coglie di sorpresa, perché questa è la terra che abitiamo: ancora inesplorata e piena di mistero, non importa quanto a luogo l’abbiamo perlustrata da capo a fondo. Quindi, per favore, padre,” il figlio lo fissò più serio che mai e Toga riconobbe l’espressione severa che aveva visto spesso sul volto di Sesshomaru, rimanendone sorpreso. “Non voglio sentirti parlare di colpe in questo momento, visto che ciò che è accaduto non è nulla di nuovo e tu dovresti essere, invece, già a organizzare il rientro di quei corpi nel modo più veloce possibile, così da poter poi preparare una degna risposta al messaggio che quel demone ha voluto recapitarci. Sei stato tu ad insegnarmi cosa vuol dire essere un Generale e, anche se non lo sarò mai, ho ancora molto da imparare. Ciò vuol dire che non puoi permetterti di mostrarmi debolezze quando non ce n’è reale bisogno.” Le sue parole erano state dure – più dure di quel che avrebbe immaginato Inuyasha stesso quando era intervenuto – eppure, nonostante comprendesse a pieno i sentimenti del genitore, sapeva che non era ancora arrivato il momento di lasciarsi andare. Aveva bisogno di lui per vedere come stavano davvero le cose e, per farlo, non aveva paura di osare. Suo padre gli era sempre stato d’aiuto, gli aveva mostrato la verità tutte le volte in cui era stato troppo cieco per vederla o, all’occorrenza, lo aveva trascinato con la forza quando Inuyasha aveva rifiutato di alzarsi. Ora doveva ricambiare il favore.

Dopo tutto, per le parole rassicuranti ci sarebbe stata sempre sua madre.

“Inuyasha!” esclamarono a bocca aperta sia Izayoi che Kagome, non potendo credere alle loro orecchie. Lui le ignorò, gli occhi ancora fissi su Toga, il quale, dopo aver ricambiato lo sguardo per mezzo secondo, scoppiò a ridere, sorprendendo tutti.

Non si era aspettato la predica proprio da lui, era stato sicuro fino a un istante prima di potersi mostrare debole dinnanzi a lui, eppure, non poteva non trovarsi d’accordo con ciò che gli era stato detto – e aveva letto anche il suo messaggio implicito in quelle parole, la schiettezza con cui gli aveva dichiarato che non avrebbe ricevuto conforto da parte sua. L’appoggio, però, lo aveva tutto.

“Hai ragione,” annuì. “Ho peccato di ingenuità credendo che, di fronte a un nemico di cui sappiamo ancora così poco, eventualità del genere non sarebbero potute accadere. Hai ragione,” ripeté, “devo prendermi le mie responsabilità e lo farò seduta stante.” Si rialzò repentino, sul volto nessuna traccia del sentimento che lo aveva colpito fino a qualche secondo prima. “Non abbiamo tempo per piangerci addosso né è nel mio stile.” Si voltò poi verso la moglie e la sacerdotessa. “Izayoi, Kagome, per questa sera credo che dovremo finire prima. Inuyasha, tu verrai con me invece,” comunicò al figlio che non si era aspettato altro.

Nulla era andato come previsto quella sera, sebbene si fosse aspettato una mossa del nemico da un momento all’altro, eppure, non tutto era andato storto al di là delle notizie per nulla rassicuranti.

Aveva notato, infatti, l’aria più serena e, soprattutto, gli sguardi che si erano scambiati Inuyasha e Kagome, i quali avevano fatto intendere che qualsiasi cosa li avesse divisi dal loro ritorno a palazzo era stata appianata o, per lo meno, stava per essere risolta. I pochi giorni che erano passati erano stati così pregni di angoscia e attesa da far quasi credere che in realtà di tempo ne era passato molto di più, e ora che li rivedeva di nuovo sereni si sentiva sollevato nonostante i sensi di colpa che per il momento aveva accantonato. E questo perché una piccolissima parte di lui aveva davvero temuto che il nemico si fosse intrufolato senza scampo nella neonata relazione tra i due. Ma gli avevano dimostrato il contrario e questo confermava che chiunque li avessi presi di mira li stava davvero sottovalutando. Loro erano troppo forti per essere abbattuti da mosse così codarde.

E, infine, quell’espressione che aveva letto sul volto di Inuyasha, la determinazione e anche la severità nei suoi occhi, gli avevano rivelato quanto fosse cresciuto il suo secondogenito da quando gli ingranaggi del destino si erano messi in moto.

A ben vedere, quei pochi mesi erano nulla in confronto ai 200 anni del mezzo demone, eppure, le esperienze che aveva vissuto ultimamente lo avevano fatto maturare come tanti anni di lezioni ed esercitazioni non erano riusciti. E lui lo aveva visto tutto in quello sguardo, che gli aveva anche rammentato qualcosa di buono di Sesshomaru.

Ora poteva solo sperare che mentre erano occupati a sconfiggere Onigumo – o chiunque egli fosse diventato – anche il primogenito avrebbe avuto modo di imparare da suo fratello, di vedere presto negli occhi di Sesshomaru qualcosa di buono che gli ricordasse Inuyasha.

Le cattive notizie non erano finite, però, e nei prossimi giorni ne sarebbe arrivata una anche peggiore ai loro cancelli.


 

***


 

In un giorno apparentemente normale, quando ancora la valle era in subbuglio a causa degli ultimi avvenimenti, due guardie se ne stavano in riga a difendere la loro parte dei cancelli esterni.

La prima delle due si agitò all’improvviso, notando qualcosa in lontananza. Assottigliò lo sguardo in direzione della figura che si stava avvicinando e prima ancora di poterla mettere a fuoco arricciò il naso in disgusto a causa dell’odore che portava con sé: morte e decomposizione. Si mise subito all’erta e fece un cenno al suo compagno. Infine l’uomo fu vicino abbastanza per permettere loro di distinguere le sue forme, i suoi vestiti erano quelli di un contadino, logori e sporchi, il viso stanco in contrasto con il sorriso inquietante che sfoggiava, e dietro di sé trascinava un carretto; alle due guardie servì poco a capire che l’odore di morte proveniva proprio da lui e non dalle due persone che stava trasportando. Ciononostante, prima ancora di indagare, gli puntarono le lame alla gola e gli intimarono di allontanarsi.

Lui rise, maniacale, e alzando le mani in gesto di resa lasciò ai due la visuale che finora aveva oscurato: due donne erano accasciate sul mezzo del contadino, ma se pur malconce, potevano sentire i loro deboli battiti e i respiri laboriosi. Erano ancora vive, ma non lo sarebbero state ancora per lungo senza intervento. La seconda guardia lanciò un sottile segnale acuto – uno utilizzato solo in casi di emergenza – e così facendo si assicurò che arrivassero degli aiuti mentre lui, insieme al compagno, avrebbe ancora tenuto sott’occhio l’uomo misterioso affinché non scappasse.

Dopo tutto ciò che era accaduto era naturale essere scettici di fronte a un’evenienza simile, soprattutto se gli umani non avevano alcun motivo per arrischiarsi da quelle parti e in quelle condizioni. Per di più, loro due erano troppo ben addestrati per credere che quella visita fosse innocente. Eppure, nonostante la sicurezza di quelle riflessioni, sebbene si reputassero in grado di mantenere la situazione sotto controllo, il sorriso costante dell’uomo mise loro ancora più apprensione degli ultimi eventi; temevano un capovolgimento improvviso a cui non sarebbero riusciti a rispondere.

Dopo quelli che sembrarono secondi interminabili sentirono dei passi avvicinarsi e subito dopo l’arrivo dell’Inu-no-Taisho insieme al secondogenito. Era per loro che avevano mandato il segnale e non furono delusi dalla prontezza del loro capo, soprattutto in giorni così tesi.

“Cosa sta succedendo qui?” esordì Toga, più per apparenza visto che aveva già posato gli occhi sulle donne e percepito l’odore disgustoso dell’uomo. La cosa non lo faceva sentire per nulla tranquillo e aveva idea che la sensazione non sarebbe cambiata una volta ricevute le informazioni.

“Oh, proprio le persone che stavo aspettando,” rispose ridendo lo straniero, la voce squillante in contrasto con il suo apparente stato di morto. “Il signore di queste terre e il figlio mezzosangue.” Si inchinò ma per scherno – non per altro. “Siete stati molto gentili a chiamarli per me; mi avete evitato perdite di tempo,” continuò rivolto alle guardie che ancora puntavano le spade alla sua gola, e quando una di esse la fece scivolare per intimargli di stare zitto, il sangue che ne sgorgò era nero pece e mischiato a una strana schiuma.

Mentre Toga faceva segno ai due guaritori giunti con loro di recuperare il corpo delle donne, guardò l’uomo con occhio duro e impassibile di fronte alla sua recita. “Chi saresti tu e perché parli e ti muovi ancora?”

Un'altra risata riverberò attorno a loro. “Il tuo naso non ti sta mentendo, Generale, io sono già morto, ma ho ancora abbastanza fiato per riferirti il messaggio del mio padrone.”

Inuyasha mise mano alla Tessaiga, stanco di quell’atteggiamento e desideroso di ricevere subite risposte, ma il padre fu più veloce e in un attimo aveva allontanato i suoi sottoposti e si era avvicinato al punto da troneggiare imponente sul non-morto. La sua reazione confermò ciò che aveva teorizzato non appena aveva posato gli occhi su di lui: quel cadavere era utilizzato come semplicemente contenitore per colui che lo stava comandando che, purtroppo, non sembrava essere nelle vicinanze. Aveva solo un nome in mente, ma non fu quello che l’altro pronunciò.

“Porto un messaggio da Naraku,” continuò quello senza essere per nulla turbato dalla vicinanza di Toga o dalla sua aura minacciosa.

“Naraku?” ripeté Inuyasha che non riconobbe il nome.

“È così che si fa chiamare ora colui che era stato Onigumo? Non gli è bastato cambiare aspetto e natura. Dico bene?” chiese subito Toga, come se non fosse per nulla sorpreso.

Il sorriso della marionetta si accentuò. “Naturalmente. Dopo tutto, di Onigumo non è rimasto più nulla, nemmeno il figlio.” Toga rimase impassibile mentre Inuyasha tirava il fiato. “Ma c’è una cosa che era appartenuta a lui quando era ancora umano e vorrebbe riavere indietro. Una cosa che, si dia il caso, gli abbiate rubato voi. La rivuole indietro.” Il tono ora era diventato minaccioso, indicando che colui che lo stava manovrando – Naraku – era più che affetto dal discorso.

“Non abbiamo niente che appartenga a quell’essere.”

“E sia, fai anche finta di niente, Generale.” Sorrise ancora di più, tanto da mostrare i denti marci. “Tuttavia, se entro tre giorni non gli sarà ridata indietro, le vostre compagne – la tua, quella del tuo primogenito – più tutte le donne del villaggio degli sterminatori faranno la stessa fine di quelle che avete appena accolto. Oh, ve l’ho detto che qualsiasi cosa proviate sono spacciate?” E con un’ultima inquietante risata si accasciò a terra, definitivamente morto, senza che nessuno dei due demoni potesse più cavargli altro da bocca se non quella stessa schiuma che era fuoriuscita prima insieme al sangue nero.

Naraku aveva avuto ciò che voleva e ora il pover’uomo non gli serviva più a nulla; aveva già concluso i suoi giochi. Toga voltò le spalle al corpo, fece segno alle guardie di sollevarlo – anche lui meritava una sepoltura, ancor più perché vittima di Naraku – e poi trascinò di peso Inuyasha dentro le mura. C’era troppo da discutere per permettersi di diventare preda dei sentimenti; era tempo di agire sul serio.


 

***


 

La scena che li accolse tornati al castello non fu rassicurante: Kagome era china sulle due donne e stava abbassando loro le palpebre – un gesto che Toga sapeva gli umani facevano solo con i morti – mentre i due guaritori stavano mettendo via i loro strumenti mentre scuotevano la testa sconsolati. Non ci era voluto molto affinché la profezia del morto si rivelasse vera.

“Non c’è stato nulla da fare, Toga-sama,” spiegò uno dei due demoni non appena lo notò. “Le due povere donne hanno cominciato ad avere delle convulsioni non appena le abbiamo poggiate a terra e tempo alcuni secondi ed erano morte.”

“Una scena tremenda,” aggiunse la compagna che si era avvicinata. “Vorrei non avessero incontrato un simile fato.”

“Mi dispiace,” si scusò Kagome, che nel frattempo si era rialzata, “nemmeno le mie conoscenze avrebbero potuto fare molto.”

“Sciocchezze,” sbottò Inuyasha, i cui nervi erano già da tempo logorati. “Non hai di che scusarti quindi smettila con queste stronzate. Con tutta probabilità erano state maledette.” Poi, prima di continuare e rivelare cos’altro avevano scoperto, chiuse la bocca. Se le avesse detto che dietro la loro morte c’era l’ossessione malata di quel mostro nei suoi confronti Kagome non si sarebbe perdonata e i sensi di colpa l’avrebbero distrutta.

Il padre gli rivolse un’occhiata penetrante, comprendendo il motivo dietro il suo silenzio, ma non per questo pensava che avrebbero potuto mantenere il segreto a lungo, non se c’era l’impellente bisogno di un piano ben strutturato.

Poi, tutti gli occhi dei presenti tornarono sulle due sfortunate: si chiesero chi fossero, da dove provenissero, chi le stesse aspettando e nel frattempo provarono a immaginare di quali altre torture erano state vittime solo perché Naraku aveva voluto portare loro un messaggio. Ancora una volta, rifletté Toga, quell’essere aveva giocato sporco, servendosi di altre persone e senza mai farsi avanti. C’era da aspettarsi che sarebbe rimasto un codardo fino alla fine; dopo tutto, dubitava che fosse in grado di fare altro o affrontarli faccia a faccia. E su quello avrebbero dovuto fare leva: dovevano metterlo alle strette e strappargli quell’arrogante senso di sicurezza da sotto i piedi. Mentre ragionava in quel modo sentì Inuyasha tirare il fiato all’improvviso e, come lui, tutti si voltarono verso il mezzo demon con gli occhi sgranati fissi sulla prima delle due vittime, la più grande.

Sarebbe stato impossibile nascondere il terrore che tutta la sua figura improvvisamente trasudava e lui nemmeno ci provò, troppo preso da ciò che aveva scoperto. Gli altri avrebbero voluto chiedere cosa avesse scatenato la sua reazione, ma allo stesso tempo erano sconvolti da quel cambio repentino, da quello sguardo scuro e pieno di paura e dal tremolio involontario di cui lui, forse, nemmeno si era accorto.

Senza alzare il volto, il mezzo demone parlò: “Mamma.”

Non era una richiesta di aiuto né un richiamo e Toga lo comprese subito. Riportò gli occhi sulla donna e, in un secondo, comprese la maschera d’orrore indossata dal figlio. Come non se fosse accorto prima era un mistero, ma non importava molto, non se il quadro si era fatto mille volte più inquietante e le azioni di Naraku più spaventose.

Tutto nella figura della donna, dalla lunghezza dei capelli, il loro colore, l’acconciatura, il colore della pelle – che non aveva ancora assunto i connotati della morte – la forma degli occhi e delle labbra, ricordava ai due demoni cane madre e moglie; erano pochi i particolari che le distinguevano e passavano in secondo piano davanti a tanta somiglianza. Era chiaro che la vittima fosse stata scelta con cura e ciò metteva ancora i più brividi.

“Sì, tesoro?” rispose nel frattempo Izayoi che non si era accorta ancora di nulla e si stava chiedendo come mai Inuyasha l’avesse chiamata in quello stato o il perché del cambiamento del marito.

“La situazione è più grave di quel che sembrava anche solo un minuto fa,” aggiunse Toga, ignorandola per un momento e rivolgendosi a Inuyasha.

“Cosa avrà voluto dire quell’uomo quando ha parlato della compagna di Sesshomaru?” Ora stava guardando la seconda vittima, ma i suoi tratti non gli ricordavano nessuno né Sesshomaru aveva mai approcciato l’argomento. Certo, non sarebbe mai andato a dirlo a lui, eppure non aveva mai fatto segreto del suo disprezzo per qualcosa di ridicolo come le anime gemelle o inutile come una compagna. Non se ne era mai interessato quindi faticava a immaginare che l’avesse trovata.

“Non ne sono certo,” rispose Toga mentre, accanto a loro, Kagome e Izayoi continuavano a guardarli, perplesse e ancora al buio. “Ma dubito che la ragazza sia stata scelta per caso.” Con il mento fece un cenno alla più giovane che appariva anche più piccola di Kagome che non aveva più di diciassette anni.

“Come fa quel Naraku a sapere così tanto? Cose che nemmeno tu sai? E, soprattutto, perché un’umana?” Gli risultava impossibile credere che Sesshomaru fosse diventato lui stesso vittima del destino, anche se una piccola parte di lui – quella che al momento non era impegnata a preoccuparsi per la sorte dell’amata e della madre – rideva. Proprio a colui che aveva sempre disdegnato il sangue umano era stata destinata un’umana.

“Il destino ha in serbo per noi regali che non avremmo mai immaginato,” commentò serafico Toga. “Pensavo lo avessi capito ormai.” Gli lanciò un’occhiata significativa dopo aver guardato brevemente Kagome. “Ma non è ciò di cui dobbiamo preoccuparci ora; è arrivato il momento di mandare una squadra a cercarlo. Prima che sia troppo tardi dobbiamo trovare Sesshomaru e metterlo a conoscenza delle minacce fatte alla sua presunta compagna. E questa volta, che lui voglia o meno, mi ascolterà.” Del terrore provato poco prima non v’era più traccia e ora rimaneva solo il padre intransigente e il Generale che aveva sconfitto nemici più temibili di un umano trasformatosi in mezzo demone.

Tuttavia, aveva appena finito di parlare quando si udirono dei rumori alle loro spalle e il figliol prodigo annunciare il proprio ritorno nel peggiore dei modi.

“Non ci sarà bisogno di mandare alcun soldato,” cominciò. “E visto che sono stato io a riportare qui la sacerdotessa, sarò io stesso a ricondurla da quel Naraku,” annunciò con solennità, rivelando a tutti che era stato sempre in ascolto, almeno per quel che bastava.

Toga si stupì di non essersene accorto prima. Avrebbe potuto castigarsi per non aver prestato attenzione a ciò che lo circondava o avanzare mille scuse, ma con il senno di poi avrebbe ammesso che, dopo tutto, il figlio lo aveva già superato da tempo. Peccato solo che l’arroganza che lo contraddistingueva ancora lo frenava e annullava i suoi progressi. Sul momento, però, pensò solo a come la situazione continuasse a precipitare, secondo dopo secondo, senza che lui potesse davvero fare molto per fermare la caduta.




 


N/A: Le cose cominciano a farsi serie per davvero. Come andrà a finire? Non lo so nemmeno io o, meglio, le idee ci sono, vedremo poi le dita sulla tastiera dove mi porteranno. 
Nel frattempo, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e spero di leggere i vostri pareri qui sotto nei commenti. 

Un abbraccio!

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Capitolo 20
*** XIX — Luna Nuova ***


Capitolo XIX: Luna nuova

 

 


 


 

“Le incomprensioni sono così strane,
sarebbe meglio evitarle sempre
ed 
evitare di aver ragione,
che la ragione non sempre serve.”

Per me è importante, Tiromancino.


 


 


 

Le ultime parole di Sesshomaru risuonarono per qualche secondo nella stanza. Il suo arrivo era stato scioccante, ma ciò che aveva avuto da dire ancora di più e il silenzio sembrò una risposta adeguata, considerando anche ciò che avevano scoperto in precedenza.

Com’era prevedibile, però, fu Inuyasha il primo a sbloccarsi. “Stai scherzando!” sbottò mentre si lasciava prendere da una risata isterica. “Sbuchi all’improvviso dopo chissà quanto tempo e poi pretendi di avere qualcosa da dire sul destino della mia compagna? Ritorna pure da dove sei venuto se le tue intenzioni sono queste.”

Sesshomaru non si fece intimidire. “Questo sarebbe il tuo modo di ringraziarmi? Non mi aspettavo di meglio.” Poi alzò lo sguardo e lo puntò dietro loro, e osservando il sole che spariva senza essere sostituito dalla luna sorrise beffardo.

Il padre aveva appena fatto un passo avanti per intromettersi nella conversazione quando notò la stessa cosa e si voltò di scatto verso Inuyasha. Accanto a lui, sia Izayoi che Kagome tirarono il fiato, sorprese, anche se per motivi diversi.

Sotto gli occhi di tutti i presenti, Inuyasha stava andando incontro a una trasformazione: i capelli passarono dal bianco al grigio e al nero ebano in un attimo, le orecchie dal capo scesero agli angoli della testa diventando umane, zanne e artigli si ritrassero e, per ultimo, il dorato degli occhi sparì per far posto a un altrettanto intenso nero. Il demone era sparito ed era rimasto solo un semplice umano.

E se Izayoi si sorprese di essersi dimenticata di un appuntamento tanto importante, pietrificata, Kagome non riusciva a capire cosa mai fosse accaduto. Inuyasha non aveva occhi che per lei, aveva dimenticato anche il fratello, resosi conto di aver omesso un dettaglio importante.

“Non le hai nemmeno rivelato il tuo segreto più importante, mezzo demone?” gli chiese Sesshomaru, che si era ugualmente accorto della reazione di lei. “E che ne è della fiducia?” lo prese in giro. Poi agitò la mano in aria, come a scacciar via un moscerino, e aggiunse: “Comunque, visto che in queste condizioni risulti più ingombrante del solito, mi occuperò io di lei. Stai tranquillo, me ne prenderò cura fin quando sarà nelle mie mani.”

Inuyasha scattò nella sua direzione, pronto a ostacolare il fratello anche da umano, noncurante delle sue maggiori debolezze, ma il padre fu più lesto. “Sesshomaru,” cominciò senza alcuna parola di benvenuto per lui. Dopo tutto, rivederlo e subito rendersi conto che qualsiasi cosa fosse successa lo aveva solamente incattivito di più non gli piacque per nulla. “Non sei nelle condizioni di fare minacce. Fatti indietro,” lo avvertì.

“E cosa farai se non assecondo la tua richiesta, padre?”

Toga ignorò la sua provocazione. “Kagome non andrà da nessuna parte,” proclamò secco. “Inuyasha, portala nelle sue stanze, Izayoi va’ con lui; io e Sesshomaru andremo nelle mie a discutere,” continuò senza mai distogliere lo sguardo da quest’ultimo. Quello era ancora il luogo dove le due sfortunate donne erano state portate e non sembrava adatto al tipo di conversazione che avrebbero avuto. Senza dunque aspettarsi alcun diniego, si voltò e si incamminò lungo un corridoio fin troppo conosciuto, sapendo, senza nemmeno accertarsene con gli occhi, che Sesshomaru lo avrebbe seguito. Sentiva il suo subbuglio interiore, capiva che c’erano dubbi che lo tormentavano e che, suo malgrado, era consapevole di chi fosse l’unico a poterli risolvere. Non credeva che si sarebbe messo a nudo facilmente, no, a prima vista la sua dura maschera era ancora lì, ma Toga era intenzionato a cavargli quante più risposte possibili da bocca e, magari, nel frattempo, evitare un altro scontro tra fratelli.


 

*


 

Sesshomaru rise, sprezzante, a ritrovarsi di nuovo nella stessa situazione che aveva causato la sua partenza. Però, sapeva che suo padre non era uno stupido e perciò non si aspettava da lui una ramanzina.

Ritornare nuovamente al castello e trovarlo in subbuglio non lo aveva sorpreso più di tanto; sapeva cos’altro era accaduto in quegli ultimi giorni, ma lo aveva spiazzato sentire quei discorsi che facevano riferimento a Rin – la sua Rin.

Avrebbe desiderato lasciarla un segreto per sempre, tenerla lontana da ogni pericolo che circondava il suo mondo, ma non si rendeva conto che dal momento in cui le loro strade si erano incrociate, lei non era mai stata al sicuro. E questo lo faceva impazzire.

C’erano tanti, troppi sentimenti che gli affollavano la mente e il cuore senza che lui riuscisse a dar loro un nome, figurarsi capirne il senso, e per una persona come lui che era vissuto per secoli senza sarebbe stato fin troppo facile diventare pazzo.

Subito dopo il suo ultimo incontro con la ragazza, non aveva più saputo come reagire. Era evidente, ormai, senza che potesse più mentire a se stesso, che aveva sbagliato più di una cosa – per quanto lo ferisse ammetterlo – e forse la scelta più saggia sarebbe stata tornare sui suoi passi. Non lo aveva mai fatto, e se ne vergognava, ma sarebbe stato pur sempre meglio che restare in bilico fino a perdere il senno.

Per quel motivo, si era ritrovato di nuovo nelle terre paterne a udire di minacce rivolte a colei che aveva stravolto il mondo che fino ad allora aveva conosciuto. Non sapeva come quell’essere fosse venuto a conoscenza di Rin, ma ammetteva la sua colpa: se non si fosse fatto sopraffare ancora una volta dalle sue manie di potere, non si sarebbe immischiato in quella faccenda e Rin non sarebbe stata in pericolo; se non si fatto distrarre magari sarebbe stato più attento e avrebbe capito di essere stato spiato.

“Dalla tua espressione non so se al momento provi più rabbia per te stesso o per Naraku,” esordì Toga, riscuotendolo. “Prima mi era difficile interpretare il tuo viso, ora comincio a vederci una certa familiarità, anche se rimani la persona più enigmatica che io abbia mai conosciuto.” Lo aveva osservato da quando si era accorto che era perso in chissà quali pensieri, ma aveva deciso di parlare non vedendo alcuna inclinazione da parte sua.

In risposta, Sesshomaru gli rivolse una smorfia arcigna.

“Riconosco le difficoltà che stanno annebbiando la tua mente,” ricominciò.

“Non ne sai nulla,” sibilò il figlio. “Puoi smetterla con questa aria di accondiscendenza, e non provare nemmeno a rivolgermi un sorriso. Non sai nulla.”

“Ah,” sospirò Toga, rendendosi conto di quanto già tardi fosse. “Sei arrivato a questo punto? Ti sei lasciato governare dal tuo istinto più bestiale perché hai continuato a fuggire da ciò che avevi davanti agli occhi?” Ora il suo tormento era ancora più chiaro: Sesshomaru aveva perso la sua bussola di riferimento e non riusciva più a ritrovare la via di casa, quella che lo avrebbe riportato a ciò che credeva essere il suo vero Io.

Ma quello non esisteva più.

Il Sesshomaru che era stato era cambiato nel momento in cui aveva incontrato la sua anima gemella, e anche se non se ne era accorto, il cambiamento era già quasi ultimato. Ma perché aveva ignorato ogni segnale, era regresso allo stadio di un bambino che non sa quali scelte prendere.

Sospirò una seconda volta, un bambino con la testardaggine e l’arroganza di Sesshomaru era difficile da gestire – lo sapeva bene lui che già lo aveva cresciuto una volta.

Visto che comunque continuava a non ricevere risposta, andò avanti: “Data la minaccia di poco fa e la tua presenza in questo castello, deduco che finalmente hai deciso di accettare la verità. Devo anche immaginare che la difficoltà sia nata soprattutto dalla natura della tua anima gemella; è umana anche lei, vero? Non ti saresti opposto in questo modo se fosse stata una demone come tua madre.” Sesshomaru continuò a guardarlo inferocito, ringhiando, come se non potesse credere di essere di nuovo al cospetto del padre da perdente. Toga sembrò riconoscerlo. “Non ti ho chiamato qui per ridere di questa tua sorte: che tu ci creda o no, nutro molto affetto e rispetto nei tuoi confronti. Voglio che ritrovi la via che hai attualmente smarrito, ti rivoglio a casa. Ma questo non è possibile se rifiuterai un confronto tra noi e, soprattutto, la mano che ti sto porgendo.”

“Credi che io sia così patetico?” si infuriò.

“No-”

“O sei contento perché finalmente ho avuto ciò che mi meritavo?”

Toga scosse la testa. “Stai guardando ancora tutto nel modo sbagliato. In più, non sono io quello venuto in cerca di risposte.” Se anche non avesse già capito, dallo stato in cui si trovava, che Sesshomaru era profondamente cambiato – sebbene non per sua scelta –, lo avrebbe capito dai suoi successivi movimenti. Quel figlio una volta tanto fiero e impeccabile ora non riusciva più a nascondere la sua agitazione, anche la mokomoko sulle sue spalle si muoveva, seppur impercettibilmente.

Lunghe e pallide dita si infilarono nella sua chioma, perdendosi al suo interno, mentre Sesshomaru distoglieva lo sguardo incapace di sostenere quello del padre. Ancora non capiva come fosse stato capace di arrivare a quello stato; la sconfitta bruciava, ma bruciava ancor di più non riuscire a prendere una decisione che avesse senso, il sentirsi perduto, e forse per questo che alla fine aveva ingoiato il proprio orgoglio e si era deciso a tornare, sicuro che il padre avrebbe avuto delle risposte. Era consapevole della possibilità che non fossero di suo gradimento, ma sarebbero sempre state delle risposte.

“Forse la mossa giusta sarebbe cominciare a vedere la situazione da una prospettiva diversa, correre ai ripari per far sì che né tu né tuo fratello dobbiate soffrire. Ho bisogno di sapere cos’è successo per capire le minacce di quel Naraku.”

Sesshomaru rise ancora. “Inutile che ci giri attorno, perché non mi chiedi direttamente: è vero che hai trovato una compagna umana?”

“Non ci stavo girando attorno, figliolo, cercavo di farti capire che continuare con questa condotta ci farà soffrire tutti inutilmente. È possibile trovare una soluzione.”

“E saresti disposto a sacrificare la vita della donna che ami per qualcuno che conosci da così poco?” ribatté, riferendosi a Izayoi, che pure era stata inclusa nella minaccia.

“Non sacrificherò nessuno,” rispose il padre con uno sguardo duro.

“Ah, ma a voler troppo, poi, si perde tutto. Non è questo che mi hai sempre detto?” Sesshomaru sorrise beffardo.

“E desiderare che entrambe le donne che sono importanti per i miei figli si salvino è voler troppo?” Toga scosse la testa. “E da quando ti dimostri così debole da cedere ai ricatti di un essere come quello?”

Sesshomaru digrignò i denti, rendendosi conto del significato di quella domanda. Solo ora capiva che, facendo certe affermazioni, era caduto nei trucchetti di un demone subdolo e codardo. E qualunque fosse stata la sua risposta, si sarebbe dimostrato debole.

Per essere caduto nella trappola di Naraku.

O per aver ceduto alle sue meschine richieste – aver cercato di.

Un tempo non avrebbe fatto un errore così grossolano. Se solo la sua mente non fosse stata offuscata da sentimenti irrazionali.

“Vuoi scendere al suo livello?” Toga continuò a gettare sale sulle ferite.

In risposta, Sesshomaru gli diede le spalle, tremando da capo e piedi per la rabbia, l’insoddisfazione, la confusione. “Mi fraintendi, però, non ho mai detto di voler arrivare alla decisione più giusta. Non mi interessa.”

“Ma se prosegui per la strada che ti sei prefissato ora, se il tuo intento è rapire Kagome per riportarla dal suo carceriere, ti andrà bene poi scoprirti uguale a Naraku? Il tuo orgoglio non ne risentirà?”

Oh, suo padre sapeva davvero bene dove colpirlo.

“E chi ti dice che otterrai la tua compagna in cambio? Lei non è qui, non sai in che condizioni è o se Naraku davvero porterà a termine le sue minacce, e tu già vuoi portar via Kagome senza accertarti che ne valga la pena o che non farai esattamente ciò che vuole lui? Suvvia, Sesshomaru, sono le basi, no? Sei sempre stato attento quando ti ho spiegato certe cose e non mi aspetto che tu cada su queste trappole sciocche.” Questa volta Toga stava davvero sorridendo, ma Sesshomaru non poté vederlo.

“Hn,” sospirò con tono altezzoso. “E tu, padre, non perdi mai il vizio di darmi per scontato. Certo è,” riprese guardandolo con la coda dell’occhio, “che ora Naraku è diventato una mia preda e nessuno dovrà essermi d’intralcio.” Detto ciò, sparì come era arrivato, lasciando il genitore in uno stato di maggiore ansia.

Toga lo inseguì, ma quando, uscito dal castello, lo vide già in cielo capì che rincorrerlo sarebbe stato vano. Eppure, aveva capito quali erano le sue intenzioni: lui era riuscito a farlo desistere dal portare via Kagome, ma voleva ancora liberarsi di Naraku, e voleva farlo da solo. Forse per dimostrare di essere forte – e non debole – o per una questione di orgoglio. Tuttavia, in quel modo lasciava molte aperture pericolose.

Nonostante il suo animo serio e la sua fierezza, infatti, c’era una cosa che non era mai riuscito a nascondere del tutto a lui, una cosa che lo accomunava al fratellastro e anche al Toga più giovane, a cui gli errori non erano mai mancati: l’avventatezza.

E l’ultima cosa che l’Inu-no-Taisho desiderava era che il figlio potesse pagare il prezzo per essere diventato preda della fretta.


 

*


 

Izayoi lasciò soli il figlio e la fidanzata lanciando loro uno sguardo preoccupato e, chiusasi la porta alle spalle, a Inuyasha non rimase più tempo per indugiare.

Nel frattempo, Kagome era rimasta in silenzio a fissarlo, come se facesse fatica a riconoscerlo, come se avesse davanti a sé un’altra persona e non solo una versione modificata di colui che aveva imparato ad amare.

“Kagome,” cominciò lui titubante, ma lei non lo fece finire.

“Cosa è successo?” lo incalzò. “Perché tutti ne sembrano al corrente tranne me?”

“Beh, perché è tutta la vita che accade... una volta al mese, ogni novilunio,” confessò infine. “Ogni mezzo demone ha un momento di debolezza durante il quale si trasforma in umano e per me questo momento è questa notte. E siccome sono ore di estrema vulnerabilità, ognuno tende a tenerlo segreto.”

Non ci fu nemmeno bisogno di un rapido calcolo per rendersi conto che da quando Kagome viveva al castello, vi era già stata una notte di luna nuova. “Ma quindi...” provò a chiedere, ferita – e i suoi sentimenti apparvero sul suo viso chiari come la luna che quella sera non si sarebbe mostrata.

“Non ero ancora pronto! Non è una cosa che sono abituato a condividere con leggerezza,” esclamò Inuyasha, non riuscendo a vedere tale espressione rivolta a lui, a sopportare l’idea di averla ferita. “Tra noi ogni cosa è successa così in fretta che questa volevo almeno andasse secondo i miei ritmi.” Si passò una mano tra i capelli, frustrato, poi si fece avanti, costringendola a guardarlo negli occhi. “Hai idea del perché ogni mezzo demone nasconde questo segreto? L’odio che riceviamo anche per quel che siamo ci pone in una posizione di grande svantaggio; molti vorrebbero ucciderci solo per il nostro sangue sporco. Quindi prova solo a immaginare cosa potrebbero voler fare al figlio hanyou del signore di queste Terre! È tutta la vita che lo nascondo e mi è stato difficile rivelarlo, anche a te.” Che sei la cosa più importante ora, avrebbe voluto aggiungere, ma non vi riuscì. Non voleva che Kagome credesse lo avesse detto per ingraziarsela o distoglierla dal torto che le aveva fatto.

“E Sesshomaru? Perché lui lo sa? Trovo incredibile pensare che non ne abbia mai approfittato. Perché non sei riuscito a dirmelo anche dopo ciò che ti ho confessato?” Anche lei, come lui, fermò più di una parola prima che lasciasse le sue labbra. Voleva sapere se avesse ancora problemi a fidarsi di lei, ma la sola idea di una risposta positiva la lasciava senza fiato.

“Era impossibile tenerlo nascosto a Sesshomaru – anche se mio padre ci ha provato –, ma allo stesso tempo sa che uccidermi, mentre ancora entrambi viviamo in questo castello, non gli gioverebbe. Ha avuto altri modi per rendermi la vita un inferno.” Kagome annuì; aveva senso da ciò che aveva potuto vedere. “E so che ti sembrerà una scusa ridicola, ma dopo quella sera, prima della partenza, è stato tutto così difficile e caotico che mi sono completamente dimenticato di ciò che ti tenevo nascosto. Kagome,” la voce carica di sentimento mentre azzerava la distanza tra di loro e le prendeva il viso a coppa, “credimi se ti dico che mai avrei voluto ferirti o dimostrarti una mancanza di fiducia. Ora sei tu la persona a cui affiderei la mia stessa vita. Non mio padre, non mia madre, ma tu.”

A quel punto, senza aspettare una risposta, la baciò. Fu un bacio disperato e per questo ancora più carico di sentimenti: c’era l’amore, ma anche il dolore per il passato e il presente, il rimorso, la paura, l’incertezza e, in ultimo, l’insicurezza. E tutto questo Kagome lo lesse senza alcun problema mentre premeva le labbra contro quelle di lui e ricambiava.

Quando si separarono, Kagome poggiò il capo sul petto di Inuyasha e riuscì a sentire il suo cuore che ancora batteva impazzito. Riconosceva le sue paure e i motivi dietro di esse e si chiese se anche lei, nelle stesse condizioni, si sarebbe comportato in quel modo; le sembrò di essere stata immatura a reagire con violenza a quella apparente mancanza di fiducia. Eppure, senza che avesse esternato ciò che provava, Inuyasha lo aveva capito, dimostrandole di nuovo quanto fosse attento a lei e quanto l’amasse.

Tutto ciò ancora non le sembrava vero, anche se Inuyasha la stava stringendo a sé o se sentiva le sue dita scorrerle tra i capelli e le sue labbra posarsi sulla sua fronte con tenerezza, per rassicurarla.

“Grazie,” gli disse infine.

“Per cosa?” Semmai, era Inuyasha che avrebbe dovuto ringraziarla per essere stata così comprensibile.

“Per amarmi, per capirmi, per scusarmi.”

Inuyasha si staccò da lei per guardarla bene in volto. “Ehi, non devi farlo, non devi ringraziarmi, così come non lo farò io – anche perché potrei continuare per il resto della nostra vita se cominciassi. Sei qui ora, siamo qui; tanto basta.”

Kagome annuì, poi cominciò a mordersi il labbro inferiore, pensierosa. Inuyasha capì che aveva ancora qualche dubbio da risolvere e le fecce un cenno d’incoraggiamento. “Ecco,” cominciò, le guance rosse. “Torneranno, vero?”

In risposta ricevette uno sguardo perso. “Cosa?”

Gli occhi di Kagome viaggiarono sul viso di lui, su e giù, soffermandosi in particolar modo sulle orecchie umane e sul capo. Allora Inuyasha capì e scoppiò a ridere, e Kagome si sentì ancora più imbarazzata.

“Sciocca ragazzina,” le disse affettuosamente, stringendola a sé e baciandole i capelli. “Appena il sole sorgerà tornerà tutto.”

“Anche le orecchie?” chiese per una seconda conferma.

Lui scosse la testa, incapace di credere che qualcosa che per anni aveva suscitato il disgusto in gran parte delle persone che aveva conosciuto, ora incontrasse il favore di lei. “Anche le orecchie,” sorrise.


 

*


 

Quando, poco dopo, Toga venne a chiamarli con urgenza, li trovò ancora in quella posizione. Tuttavia, non ebbe modo di esserne felice perché questioni più importanti avevano la precedenza.

Inuyasha si accorse subito dello stato del padre. “Cosa è successo?” gli chiese, stringendo d’istinto la ragazza più a sé per paura che Sesshomaru potesse arrivare da un momento all’altro.

“Sesshomaru è andato via,” lo informò il padre.

“Beh, tanto meglio,” sbuffò. “Abbiamo già abbastanza problemi senza doverci preoccupare dei suoi capricci.”

Toga scosse il capo. “Ha veramente trovato la sua anima gemella,” continuò, “ed è umana.” Tutti i presenti in quella stanza trattennero il fiato. Quello scherzo del destino non doveva essere stato appreso da Sesshomaru con tanta facilità. “Sì, è difficile anche per me crederlo, e per quanto da un lato sono contento di sapere che c’è ancora una possibilità per mio figlio, che finalmente qualcuno potrebbe aiutarlo a cambiare, la notizia non giunge in un momento propizio.”

“Naraku ha intenzione di usare anche lei,” dedusse Izayoi da dietro il compagno. Lui annuì.

Inuyasha, che cominciava a capire il motivo dietro l’improvvisata del fratellastro, ringhiò, senza intenzione di voler lasciare andare Kagome. “Quindi la sua intenzione era di utilizzare Kagome come moneta di scambio? È per questo che si è dato la pena di ritornare a casa?”

Il padre gli lanciò uno sguardo contrito. “Sono riuscito a fargli cambiare idea, ma nel mentre ho appurato in che situazione si trova. Non pensavo lo avrei mai visto così disorientato, eppure è successo. Tuo fratello non è lucido in questo momento, Inuyasha, e ciò ci porterà solo guai. Nel suo tentativo di scappare al destino, ignorare ciò che il proprio Io gli voleva dire, ha reso tutto più complicato.”

“In più si è fatto scoprire da Naraku – chissà come poi.”

Toga annuì. “È partito per andare a sconfiggerlo personalmente, senza alcun piano, senza nessuna idea di chi Naraku davvero sia o quali armi nascoste abbia.”

“Stupido!” reagì il mezzo demone. “Mi aspettavo di più da una persona orgogliosa come lui, e Naraku non farà che approfittarne. È una persona subdola, dubito che qualsiasi cosa abbia in mente di fare, lo farà mettendo a rischio la sua persona.”

“Hai centrato il punto, figliolo, e proprio perché so quanto Sesshomaru possa essere avventato – proprio come te – sono preoccupato.”

“Non paragonarmi a quel demone pomposo!” sbraitò Inuyasha, ignorando per un secondo la preoccupazione del padre.

“Non ho il tempo di badare ai vostri stupidi litigi o al vostro orgoglio, te ne rendi conto? Devo raggiungerlo al più presto prima che sia troppo tardi!”

“Ma, Anata, Inuyasha è umano ora,” si intromise Izayoi. Toga non aveva mai lasciato il castello in una notte di luna nuova perché la protezione del figlio minore era esclusivamente compito suo. Nessun altro aveva mai scoperto la sua debolezza né l’avevano mai rivelata, ciò significava che le guardie non potevano essere messe al corrente per difenderlo.

“E anche al villaggio sono in pericolo,” mormorò Kagome.

L’Inu-no-Taisho abbassò il capo, frustrato, poi guardò la sua famiglia. Invero, quella minaccia era arrivata nel peggiore dei momenti: avrebbero dovuto agire subito per evitare quanti più danni, ma con Inuyasha umano erano costretti a subire una battuta d’arresto.

“Non crederai mica che abbia scoperto anche la mia notte di debolezza così come ha scoperto della compagna di Sesshomaru?” chiese Inuyasha, quasi leggendogli nella mente.

“Ho avuto questo dubbio, poi mi sono detto: una persona codarda come questa non avrebbe approfittato meglio dell’opportunità? Dopo tutto, ci eravamo dimenticati di che notte fosse questa e avrebbe potuto allontanarti e sbarazzarsi di te con facilità. A lui piacciono le cose facili. Preferirei continuare a pensare che non sia arrivato a tanto; non ne avrebbe avuto comunque possibilità visto che è la tua prima trasformazione da quando ci ha attaccati la prima volta.” Il mezzo demone annuì. “Ma intanto, dobbiamo decidere cosa fare. Inuyasha,” lo guardò dritto negli occhi, quella notte gli stessi di cui si era innamorato duecento anni prima, “sai già cosa fare, vero?”

Lui annuì di nuovo. “Sì, padre,” rispose formalmente, “conta su di me. Il tuo posto non è qui al momento.” Sapeva di non essere colui che aveva bisogno del suo aiuto in questa emergenza.

Izayoi guardò padre e figlio preoccupata, poi strinse il braccio al marito. “No, Toga, non puoi andartene ora. Nessuno sa di Inuyasha, e se accadesse qualcosa che è oltre le nostre possibilità non avremmo scampo.”

“Devo andare, Izayoi, lo capisci?” Le sorrise. “Non posso perdere tempo. Inuyasha, anche se da umano, è allenato, così come lo è Kagome. Per le prossime ore sarete al sicuro, all’alba, invece, vi recherete immediatamente al villaggio con parte dei soldati per fornire aiuto agli sterminatori, sperando che non siano già stati attaccati. Nel frattempo, non lascerete questa stanza. Sarò io stesso a parlare con alcuni dei Comandanti prima di andar via.”

Sebbene Izayoi fosse stata minacciata allo stesso modo della compagna sconosciuta di Sesshomaru, Toga non aveva alternative. Poteva contare sulla sua famiglia, anche se lo stesso Inuyasha era più mortale che mai in quella notte, come le due donne. Se si fosse fatto prendere dalla paura per le persone amate avrebbe fatto il gioco di Naraku, il quale aveva voluto principalmente intimidirli. Era certo, infatti, che non sarebbe passato subito all’attacco ed è per questo che loro dovevano essere più veloci e, soprattutto, lui doveva raggiungere il figlio più grande.

La moglie non riuscì a trattenere le lacrime, probabilmente sopraffatta da ciò che stava accadendo. Non voleva separarsi di nuovo dal marito e sapeva che anche per lui era difficile farlo proprio questa notte, ma riconosceva ciò che le stava implicitamente dicendo ed era anche fiera dell’uomo risoluto e giusto che era.

“Torna a casa sano e salvo,” gli disse infine prima di baciarlo sotto gli occhi del figlio e della compagna di lui. “Tornate entrambi.”

“Verrò a prenderti il prima possibile,” le sussurrò a un centimetro dalle labbra, sfiorandole la guancia con dolcezza. “Aspettami lì e non metterti nei guai.”

“Questo dovrei essere io a dirlo.” Izayoi rise nonostante tutto. Lui ammiccò, poi fece un ultimo cenno a Inuyasha e Kagome, ripetendogli quanta fiducia avesse nelle loro capacità, e infine andò via, lasciandoli indietro, ma sperando di poterli riabbracciare tutti il prima possibile.

In quel momento, però, nonostante tutti i torti passati, i crimini commessi, e l’irrazionalità che lo aveva condotto, Sesshomaru era colui che aveva bisogno di lui. Il suo era stato un grido d’aiuto, anche se non se ne era accorto, e Toga non lo avrebbe deluso; non lo avrebbe abbandonato.



 


N/A: Spero che la storia continui a piacervi e che siate ancora qui a leggermi. 

Vi abbraccio tutti ❤.

 


 

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Capitolo 21
*** XX — Mettersi in gioco ***



Capitolo XX: Mettersi in gioco


 

“Long, as you run
I couldn't give you up
Forever run
I couldn't give you up “

A.M. Radio, The Lumineers


 

Sesshomaru non impiegò molto tempo a trovare Naraku. D’altronde, la sua aura e il suo odore non erano mai stati così facili da seguire, ma nemmeno per un secondo pensò che, forse, l’obiettivo del demone era proprio farsi trovare.

Ci sarebbe arrivato in qualsiasi altro momento – era lampante –, ma era ancora scosso dalla sua ultima discussione con il padre, da un cambiamento che gli era difficile accettare e soprattutto dalla scoperta che Rin, la persona da cui era scappato finora, si trovava in pericolo – e lui ne era in parte colpevole.

Era oltraggiato, tra le tante cose, perché un essere viscido e codardo aveva osato minacciarlo in quel modo, e la rabbia prendeva per un attimo il sopravvento su tutti gli altri sentimenti, annebbiando la sua mente e impedendogli di essere lucido come il padre gli aveva insegnato a fare tanto tempo prima.

Lo trovò infine davanti a un castello abbandonato, al centro di uno spiazzo, circondato da una cortina di miasma che però su Sesshomaru non aveva alcun effetto e da tanti piccoli demoni inferiori che per lui erano solo vermi.

Non si sarebbe nemmeno degnato di ucciderli.

“Ti sei dato tanto da fare, Naraku,” lo apostrofò con voce neutra, nascondendo alla perfezione la rabbia che covava dentro di sé.

“Volevo che il mio ospite fosse ben accolto,” rispose quello ridendo. Non era tanto stupito che fosse Sesshomaru il primo a raggiungerlo, grazie a ciò che aveva imparato osservandolo e a quello che le sue api gli avevano rivelato. “E avere il tempo per chiacchierare.”

Sesshomaru sentì l’impulso di alzare gli occhi al cielo, ma rimase impassibile. “Credi davvero che mi interessi parlare con te?”

“Beh, sei qui,” ribatté Naraku. “Vale la pena occupare il nostro tempo. O preferisci che vada dritto al sodo? Portami la sacerdotessa e nessuno si farà del male.”

In tutta risposta Sesshomaru sorrise. “Non ti conosco, Naraku, ma ne so già abbastanza per capire che sei troppo pieno di te. Ti sei impegnato tanto, mi hai spiato, hai minacciato mio padre, e per cosa? Per questa insulsa minaccia?”

“Oh, hai ragione.” Anche Naraku rise. “Il nobile Sesshomaru non segue gli ordini di nessuno né ha a cuore il destino di una debole ragazza umana. Non è così?”

Il dai-youkai sibilò piano tra i denti. “L’unico motivo per cui sono venuto qui stasera è per liberarmi di un essere immondo come te che non raggiungerà mai davvero lo status di demone; non sei nemmeno all’altezza di questi vermi di cui ti circondi. Perché non ti mostri per quel che sei veramente?” gli chiese poi e, senza aspettare una sua risposta, alzò la spada con un movimento aggraziato del polso e lo colpì dritto al petto.

Naraku non si mosse né fece per evitare l’attacco. La ferita aperta rivelò un ammasso di tentacoli e spine che si contorcevano e ostacolavano a vicenda, ma Sesshomaru ebbe poco tempo per osservarli – anche se non ne servivano di più – perché subito uno sciame di api arrivò a chiudere la ferita mentre i resti del corpo ormai tranciati e abbandonati restavano a terra a sguazzare come pesci senz’acqua.

Questa volta Sesshomaru non cercò nemmeno di nascondere il moto di disgusto. “È per questo che tanto di dai arie? Di essere un agglomerato di demoni inferiori? Tu oseresti pensarti superiore all’Inu-no-Taisho?” Con un secondo colpo di spada scacciò via quei resti viscidi che tentavano di avvicinarsi e toccarlo.

“Non mi illudo che tu possa capire la grandezza di questo corpo, Sesshomaru; di certo, non sei all’altezza di tuo padre né della sua intelligenza,” lo sbeffeggiò. “Ma non per questo ti rifiuterò. Hai ragione, infatti, non sono all’altezza di tuo padre, ma se tu… invece… ti lascerai assorbire senza fare tante storie, vedrai che insieme riusciremo finalmente a sconfiggerlo. Non desideri con tanto ardore superarlo?” La risata che seguì quel discorso infiammò ancora di più Sesshomaru che nel sentirsi preso in giro rischiò di perdere quel poco di lucidità che gli rimaneva.

“Sei giunto qui solo per questo, Sesshomaru – non per uccidermi; non ci riusciresti. La ragazza che cerchi non è qui, ma nelle mani del demone creato con i resti di mio figlio che tu stesso hai ucciso, e non posso garantire per la sua sicurezza. Non che ti importi poi tanto, vero? A Sesshomaru non importa degli esseri inferiori,” lo provocò, ottenendo infine l’effetto desiderato.

Con un sorriso ancora più malefico sulle labbra, Naraku osservò il bianco dei suoi occhi diventare rosso, la sua pelle cambiare tonalità fino a raggiungere un bianco puro, i suoi contorni allungarsi e ingrandirsi fino a prendere la forma di una maestosa bestia dal pelo argentato.

Era gigantesco, pensò osservandolo con occhi calcolatori, proprio come aveva immaginato; nemmeno nei suoi sogni più reconditi avrebbe potuto vedere un demone tanto feroce e potente. Le sue grandi zampe avrebbe potuto calpestare villaggi interi, le zanne dilaniare antichi draghi senza alcuno sforzo, anche solo la saliva che gli cadeva copiosa dalla bocca era più pericoloso del miasma che lui aveva imparato a controllare, mentre gli occhi iniettati di sangue contribuivano a dargli un’immagine bestiale anche se non erano letali come i lunghi artigli che decoravano le suddette zampe. Ma più di tutto, considerò Naraku, quello che lo lasciò senza fiato fu l’incremento della sua aura, tanto potente da metterlo in ginocchio e farlo tremare se non avesse reagito prontamente, se non stesse tenendo una presa ferma sul proprio io.

Cominciò a ridere ancora più forte in quei secondi in cui, per la prima volta, guardava quel demone tanto micidiale. Il suo piano avrebbe funzionato; avrebbe inglobato tale essere. E allora nessuno avrebbe potuto arrestare i suoi piani di conquista e i Taisho si sarebbero pentiti di essersi messi sul suo cammino.

Eppure, non era l’unico ad essersi reso conto della trasformazione di Sesshomaru. Un cambiamento del genere, un’aura tanto potente, era stata registrata per chilometri e chilometri e il primo fu proprio Toga, che era sul punto di raggiungerli ormai. Volò ancora più veloce percependo il figlio abbandonarsi alla sua forma originaria, sentendo che non c’era più tempo da perdere.

Il suo arrivo fu fortuito.

Naraku, che aveva creduto che Toga sarebbe rimasto a difesa della compagna, rimase sorpreso nel vederlo arrivare e affiancare il suo primogenito, abbastanza da distrarsi. Sesshomaru ne approfittò per lanciarsi contro di lui e afferrare il suo minuscolo corpo nella sua gigantesca mascella. Dal corpo del primo, allora, rapidi, fuoriuscirono altri tentacoli che si avvinghiarono stretti alla mole del demone cane, fino e a costringerlo a lasciare la presa.

Sesshomaru guaì sentendosi costretto e soffocato e sputò il corpo estraneo che stava masticando insieme a una quantità di saliva velenosa nel tentativo di liberarsi del sapore disgustoso che il conglomerato di demoni che Naraku era gli aveva lasciato in bocca. Tra quello e il dolore dato dai tentacoli spinati, Sesshomaru cominciò a dimenarsi e Toga, più veloce che mai, estrasse la spada dal fodero che portava sulle scapole e li tranciò uno a uno, spezzando così anche gli ultimi fili che ancora univano il figlio a Naraku, dando a quest’ultimo l’opportunità di scappare da un attacco che, nella sua sfrontatezza, non aveva preventivato.

Gli sciami di vespe non furono abbastanza per ricomporlo, però, e anche Toga vide con chiarezza ciò di cui era composto il suo corpo, arrivando finalmente a una risposta sulla sua nascita.

Anche ansimando, però, Naraku trovò quel poco di respiro che gli servì per parlare e provocare Sesshomaru quando vide quest’ultimo pronto a rilanciarsi contro di lui.

“Resterai qui a uccidermi come avevi promesso o, piuttosto, accorrerai in aiuto della tua Rin prima che quel che è rimasto di mio figlio metta le mani su di lei? Potresti essere ancora in tempo… forse.” E così dicendo, tentò di librarsi in aria e scappare, ma nemmeno la fuga andò come previsto. Vide Toga pronto a colpirlo ancora e capì che avrebbe dovuto reagire subito se voleva sopravvivere. Dopo tutto, sapeva di non poter reggere ancora uno scontro con lui, non dopo essere stato così ferito.

“È meglio se ti occupi di tuo figlio, Generale, perché non mi pare molto lucido,” lo schernì. “E perdere la sua anima gemella, proprio ora che l’ha incontrata, sarebbe un colpo ancora più duro per il suo ego già ferito.” Così, approfittando dell’attimo di esitazione, scappò definitivamente, cercando un luogo che potesse nasconderlo il tempo necessario a leccarsi le ferite e grato di essere stato tanto intelligente da rapire in anticipo la ragazzina e usarla come diversivo.

Dopo ciò che era accaduto quella sera, dopo anche questo secondo fallimento, Naraku sentiva la sua rabbia accrescere sempre di più, e giurò che avrebbe fatto di tutto per sterminare la discendenza di quei cani e far patire loro le sofferenze più atroci mentre lui, finalmente, avrebbe potuto riavere colei che gli era stata strappata dalle braccia.

 

*
 

Inuyasha e Kagome, insieme alla madre di lui e alcuni soldati scelti, furono sorpresi di arrivare al villaggio degli sterminatori e trovare la maggior parte degli abitanti in tenuta da combattimento anche se non vi era alcuna battaglia.

Il mezzo demone non aveva ancora messo piede a terra quando vide arrivare Miroku e il capo villaggio a passo accelerato verso di lui. “Inuyasha,” lo apostrofò il monaco, “mi chiedevo quanto ancora ci avresti messo ad arrivare.”

Lui arcuò un sopracciglio, non contento di quel saluto, quindi lo ignorò e si rivolse a Koji. “Siete già stati attaccati?”

L’uomo scosse la testa. “No, ma Miroku ha percepito qualcosa e ci ha avvertiti. Preferiamo essere preparati. Il tuo arrivo qui non fa che confermare i nostri sospetti.”

“Keh, è la prima volta che la tua nube di sventura si rivela corretta,” commentò diretto all’amico che, in risposta, sorrise sghembo.

“Speriamo che tu non abbia attirato l’ira di qualche Dio con tutte quelle chiacchiere in questi anni,” si intromise la moglie, lì accanto in prima fila. Kagome notò la sua tuta da sterminatrice, l’aria sicura e l’enorme arma che portava sulle spalle con una facilità che lei avrebbe creduto impossibile e ne fu impressionata. Soprattutto, vide come tutti attorno a lei sembravano pendere dalle sue labbra o aspettare qualche sua direttiva, anche più che dal capo, e si trovò a fare un confronto con gli abitanti del suo vecchio villaggio – anche se gli aspetti di quella vita li aveva quasi del tutto lasciati alle spalle. Ciononostante, non provò invidia perché non si sentiva più sottovalutata da quando era giunta al castello.

Miroku ridacchiò, nervoso. “Ma che dici, mia dolce Sango.”

“Sicuramente,” concordò Inuyasha, prima di rivelare il vero motivo per cui erano giunti, “ma non è oggi che la loro ira si abbatterà su Miroku. Il motivo per cui siamo giunti qui è un altro.” Abbassò lo sguardo su Kagome, che annuì in segno di incoraggiamento. Avrebbe voluto parlare in una sede più privata e senza gli occhi dell’intero villaggio addosso, ma sapeva che potevano essere attaccati da un momento all’altro e doveva sbrigarsi. Allora, come compromesso, decise che non avrebbe rivelato tutta la verità dietro gli attacchi di Naraku – sebbene conoscesse bene quella gente, sapeva anche che alcune persone, in momenti di pericolo, non si facevano scrupoli e diventavano egoisti. Avrebbe omesso alcuni dettagli per poi comunicarli solo alla famiglia del capo. Inoltre, era la prima volta che si trovava a fare da oratore o a gestire una situazione del genere; nei suoi due secoli di vita aveva partecipato a poche missioni e nessuna di quelle avrebbe retto il confronto.

Questa volta aveva qualcuno per cui combattere; questa volta in gioco c’era la sua stessa vita; questa volta gli era stato chiesto di essere a sua volta condottiero, abbastanza forte da mettere da parte le sue ansie e paure e prendere in carico quelle degli altri per poterli guidare. E anche se sapeva di essere ancora molto giovane, che non avrebbe mai potuto eguagliare la figura paterna, era deciso a non sbagliare. Non avrebbe ammesso sconfitte. Quel villaggio, per lui, era come una seconda casa, la prima che aveva conosciuto al di fuori dello stretto nucleo familiare, e non poteva permettere che pagassero per il legame che avevano con lui. Non avrebbe permesso a Naraku di giocare con loro.

“Recentemente abbiamo subito attacchi da un mezzo demone particolare, qualcuno che un tempo era umano e che si sta impegnando particolare per disseminare il suo odio e la sua cattiveria sulle terre del nostro paese; che siano umani o demoni non ha importanza. Il suo obiettivo è anche seminare discordia e annullare quanto fatto da mio padre negli ultimi secoli.” Molti sussultarono, altri sbuffarono, gridarono quanto fosse impossibile un’eventualità del genere, altri ancora chiesero dove fosse allora il Generale, e le sue orecchie cominciarono a fischiare di conseguenza, prima che Koji richiedesse il silenzio. “Mentre mio padre è impegnato a spegnere altre rivolte, io con la mia famiglia sono venuto qui a combattere al vostro fianco. Purtroppo, c’è da temere che presto qualcuno giunga ad attaccare anche voi.” Chiuse gli occhi per un secondo, inspirò e poi il suo sguardo cadde su tutti gli sterminatori che lo stavano fissando con tante differenti espressioni. “Abbiamo già combattuto insieme in passato, mi avete affiancato come altri non avrebbe avuto il coraggio di fare e siete stati miei amici – siete mie amici. Oggi vi dimostrerò che non avete riposto la vostra fiducia in me invano.”

Grida di incoraggiamento si sentirono in risposta, mentre Kagome gli stringeva la mano e poi incrociava le loro dita. Percepiva il nervosismo che ancora proveniva a ondate da lui e voleva fargli capire, anche solo con un gesto, quanto fosse fiera di lui, condividere quel peso.

“Bene, lo avete sentito. Dobbiamo essere pronti a tutto. Vi pregherei di finire gli ultimi preparativi il prima possibile,” dichiarò a gran voce Koji, mentre Miroku prendeva da parte il mezzo demone e Sango conduceva le due donne verso casa.

Quando si furono riuniti, assicuratosi che nessun altro era lì fuori, Miroku cominciò: “E ora dicci ciò che hai tenuto nascosto a tutti gli altri.”

Inuyasha sbuffò, avendo immaginato già che era impossibile nascondere nulla all’amico, mentre la mancanza di reazioni di Sango e del padre gli confermò che anche loro non erano stati imbrogliati dal suo discorso formale. Prima che potesse parlare, però, Kagome si intromise.

“Vorrei, se non fosse un problema, che questa cosa rimanesse tra noi. E con questo intendo che quanto diremo non fosse rivelato alla mia famiglia.” L’ultima cosa che desiderava era dar loro altre preoccupazioni, soprattutto se era destino che fossero attaccati anche in quel villaggio.

Tutta la guardarono con sguardi preoccupati e inquisitori, ma alla fine annuirono e solo allora Inuyasha si sentì liberò di continuare.

“Non avrei voluto mentire,” cominciò, “non dopo tutto quello che voi avete fatto per me, ma dopo essermi spiegato forse capirete la mia reticenza a svelare alcuni dettagli davanti all’intero villaggio.” Non ricevendo alcuna obiezione o sguardo contrariato, andò avanti. “Il mezzo demone che ci ha attaccato è lo stesso uomo da cui Kagome è scappata.”

Sango tirò il fiato, mentre accanto a lei padre e marito indurivano lo sguardo.

“Immagino che non sai dirci com’è avvenuta la trasformazione.”

Lui scosse il capo. “Non credevo nemmeno fosse possibile, ma…”

“Ma io l’ho incontrato,” continuò Kagome per lui. “E posso dirvi che il cambiamento c’è stato.”

“Cosa significa che lo hai incontrato?” Sango lanciò dardi a Inuyasha.

“Perché non rimandiamo le domande a un’altra volta? Ho ancora qualcosa di importante da dirvi,” ringhiò Inuyasha, che non aveva apprezzato la critica poco velata dell’amica; bastava lui a incolparsi per ciò che era accaduto a Kagome. Quest’ultima gli strinse di nuovo la mano, come a dirgli che non doveva, e lui le sorrise prima di riprendere. “Quest’essere – Naraku si fa chiamare – ci ha minacciato apertamente, intimando di consegnargli Kagome, altrimenti mia madre e la compagna di Sesshomaru-” Miroku fece per interromperlo, ma lui strinse gli occhi e lo fulminò con lo sguardo, ammutolendolo, “faranno una brutta fine. Loro due e, mi dispiace, anche tutti voi.” Abbassò il capo a quel punto, non vedendo come avrebbero potuto perdonarlo ora che aveva confessato di essere il motivo per cui la loro casa sarebbe stata presto invasa.

Fu Sango ad avvicinarsi per prima e a mettergli una mano sulla spalla in modo confortante. “Non vorrai mica fare il sentimentale ora, vero, Inuyasha? Sai bene che non è una minaccia a spaventarci né siamo poco allenati.”

“Infatti,” concordò il padre. “Questa sarà l’occasione per dimostrare quanto valiamo come sterminatori.”

“Non possiamo prevedere come andrà lo scontro, possiamo solo dirvi che finora si è comportato in maniera subdola e ha fatto uso di inganni. Inoltre, è probabile che non sarà lui a venire da voi, ma un suo fantoccio,” spiegò ancora.

“Codardo il tipo, eh?” commentò Miroku grattandosi il mento. Il mezzo demone non poté essere più che d’accordo. “Ciononostante, si capisce perché tu non abbia rivelato che è Kagome il suo obiettivo. Il panico e la paura cambiano anche le persone migliori.” Annuirono tutti, d’accordo.

“Non te ne facciamo una colpa, Inuyasha,” lo rassicurò Sango, stringendogli ancora la spalla. Poi si allungò verso Kagome, incrociando il suo sguardo. “E nessuno vorrebbe che accadesse qualcosa di brutto a tutti voi.”

“Ed è per questo,” riprese Miroku, “che prima dell’inizio della battaglia sia Kagome che Izayoi dovrebbero rimanere nascoste. Potremmo portarle accanto alla fucina. Lì, oltre ad essere al sicuro, potranno aiutare coloro che stanno dietro le quinte.”

Inuyasha si irrigidì sentendo quella proposta e, pur sapendo che l’amico l’aveva fatta con buone intenzioni, immaginava già la risposta che avrebbe ottenuto.

Il no secco da parte di Kagome non si fece attendere. “Con tutto il rispetto per voi, per coloro che hanno deciso di combattere e per la stessa Izayoi, io non resterò nascosta lasciando che qualcun altro rischi la vita per me.”

Miroku la guardò a bocca aperta, poi si voltò verso Inuyasha come per chiedere a lui spiegazioni, ma quest’ultimo scosse con veemenza la testa per dirgli che stava procedendo nel modo sbagliato. Kagome, infatti, che aveva ugualmente notato il gesto, si infuriò ancora di più. “Non ho bisogno di Inuyasha per decidere cosa fare né che qualcun altro mi tratti come un fiore delicato.”

“Non era mia intenzione, Kagome-sama.”

“Sì, invece,” ribatté lei. “Avrei pensato che, avendo una moglie combattente, potessi capire. E non sei stato tu, durante il nostro primo incontro, a commentare il mio potere spirituale? Quindi, dimmi, perché ora dovrei farmi da parte?”

“Cerca di ragionare. L’obiettivo qui sei tu e Inuyasha è il mio migliore amico. Tengo a entrambi e voglio assicurarmi che non ti accada nulla,” cercò di rabbonirla Miroku, senza risultato. Il massimo che stava ottenendo era maggiore rabbia.

“Miroku, potrei andare avanti raccontandoti tutte le volte in cui altri uomini, con buone scuse, hanno cercato di mettermi da parte nonostante io mi sia allenata tutta la vita per diventare una guerriera – proprio come tua moglie –, ma non abbiamo il tempo. Non avrei, invece, nulla da dirti se dovessi parlare di quanto ho fatto da quando ho incontrato Inuyasha. Sono stata salvata, in tanti modi diversi, non so quante volte e questo non ha fatto che peggiorare il mio stato d’animo già provato. Ora mi sono stufata di nascondermi o di persone che tentano di nascondermi, qualunque esso sia il motivo, giusto o falso, buono o cattivo. Mi sono allenata per anni, mi sono allenata per settimane con Kaede-sama, ora voglio combattere. Non avrò l’esperienza di Sango o di tutte le altre sterminatrici, ma per la prima volta voglio davvero mettere in pratica il potere per cui sono sempre stata lodata; non me ne faccio niente altrimenti.” Quando ebbe finito, non staccò lo sguardo dal monaco mentre, accanto lei, tutti gli altri la guardavano con sorrisi fieri e cenni d’assenso.

Sango fu la prima a interrompere quel quadro, mollando uno schiaffo dietro la nuca del marito. “Così impari a sottovalutare la gente.”

“Ma, mia cara Sango, io l’ho fatto a fin di bene.”

“Miroku, nemmeno a me fa piacere sapere che scendendo in campo Kagome possa essere più vulnerabile a qualsiasi piano di Naraku. Tuttavia, dall’altro lato capisco benissimo il bisogno di fare la sua parte, l’ammiro per questo e, non per ultimo, mi rassicura anche sapere che non è poi troppo lontana da me. Saperla nascosta mi avrebbe procurato, probabilmente, più ansia.” Il sorriso che scambiò subito dopo con l’amata sembrò illuminare l’intera capanna e tutti i presenti furono consapevoli del grande cambiamento che era avvenuto in loro, nella relazione, dall’ultima volta che si erano visti.

“E sia,” accettò Koji, che aveva sempre ammirato chiunque volesse mettersi in gioco al di là del sesso, “l’importante è che la presenza reciproca non vi distragga nel mezzo della battaglia. Penso che non ci sia bisogno di aggiungere quanto sarebbe pericoloso fare una cosa del genere.” Entrambi annuirono. “Però, vorrei fare una mia proposta che credo possa essere più ragionevole di quella del mio genero qui presente.”

Miroku fece per protestare ancora, ma Sango lo ammutolì con uno sguardo.

“Anche se hai parlato della possibilità che possa presentarsi un fantoccio e non il vero Naraku, sarebbe troppo pericoloso mandarti in prima linea, Kagome,” cominciò rivolgendosi direttamente a lei, evitando lo sciocco errore di Miroku. “Quindi proporrei di tenerti lontana da lì. In questo modo combatteresti e faresti la tua parte, ma Naraku – o chiunque al posto suo – non potrebbe trovarti con tanta facilità.”

I due fidanzati si scambiarono uno sguardo. “Non sappiamo quali spie abbia al suo servizio,” riprese Inuyasha, “ma è possibile che siamo stati seguiti fin qui senza rendercene conto.” Aveva già riflettuto su questa possibilità, considerando che lo stesso Sesshomaru era stato spiato senza che se ne accorgesse. E per quanto avesse fatto attenzione mentre giungevano al villaggio, non poteva ignorare l’eventualità. “Quindi non possiamo sapere con certezza se qualcuno sappia dove stiamo o se, venendo qui, si aspettino di trovare Kagome. Per questo, credo che essere incauti non sia il modo giusto di procedere.”

“E io non sono così stupida,” aggiunse Kagome. “Voler combattere non significa buttarmi nella mischia senza alcuna cautela. È un buon compromesso.”

Koji sorrise loro, contento di come stessero gestendo la situazione ma anche del loro affiatamento.

“È deciso, allora. Kohaku scorterà Izayoi al sicuro: lì potrà aiutare con i rifornimenti o con i feriti che vi saranno mandati nel mezzo della battaglia. Tutti noi combatteremo al meglio delle nostre capacità.” Il suo sguardo si posò su ognuno di loro. “Non deludetemi.”


 


N/A: Scusate il ritardo, ma l'importante è che il capitolo ora ci sia, no 😉? Anche il prossimo arriverà un po' più tardi del solito, ma non troppo, quindi spero di trovarvi sempre qui a leggerlo. 
Per qualsiasi informazioni, domanda, commento, mi trovate sempre disponibile. Un abbraccio a tutti!

 

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Capitolo 22
*** XXI — Fianco a fianco ***


 

Capitolo XXI: Fianco a fianco

 

 

 

“And if the house burns down tonight
I got everything I need with you by my side
Holding you and the wheel and it occurs to me
We're driving down the edge of eternity.”

If the house burn down tonight, Switchfoot

 

 

 

 

“Tieni, questa dovrebbe andarti bene.” Kagome si girò verso la voce e fu sorpresa di vedere Sango con in una mano una tuta da sterminatrice. “Non so quale sia la tua taglia, ma ho cercato di trovartene una della misura più giusta possibile. Non puoi certo scendere in battaglia con quel kimono,” continuò osservando il modo in cui era ancora vestita.

Kagome sorrise, timida. La imbarazzava ammettere che da quando Koji li aveva lasciati per permettere loro di prepararsi non era riuscita a trovare una soluzione al suo vestiario, ma ancora di più sapere che Sango aveva notato il suo problema.

Quest’ultima sembrò capire anche il suo stato d’animo. “Non c’è mica da vergognarsi. È stata una mia idea dal primo momento in cui hai affermato di voler combattere; queste armature sono create da noi sterminatori con i resti dei demoni che sconfiggiamo e ci proteggono da secoli. Indossarne una ti garantirà una cerca agilità di movimento oltre a una doppia protezione nei tuoi punti più deboli. Di sicuro meglio che indossare la veste del topo di fuoco, no?” Le ammiccò.

“Inuyasha ti ha detto che ha provato a darmela e ho rifiutato?” rise.

Sango annuì. “Ovviamente. Ma sarebbe stato stupido da parte sua abbandonare la sua armatura quando tu puoi averne una più adatta a te. Il rosso potrà anche starti bene, ma quelle maniche larghe potrebbero crearti qualche problema mentre scocchi una freccia dopo l’altra. Dopo tutto, la tua arma di preferenza è l’arco, giusto?”

La sacerdotessa lanciò un’occhiata alla faretra piena accanto a lei. “Riesco a incanalare meglio il mio potere e sono abbastanza brava.” Poi sembrò ripensarci su. “Almeno lo sono negli allenamenti.”

“Mmm.” Kagome sentì lo sguardo della sterminatrice su di sé e rialzò il suo. “Sarò schietta con te, Kagome… apprezzo molto il tuo spirito e la voglia di metterti in gioco, ma quella che ci aspetta lì fuori è roba seria. Non ci serve la tua titubanza o paura e in questo momento in te non vedo tutta la sicurezza che hai esternato quando hai detto a mio marito e mio padre di voler prendere parte a questa battaglia a tutti i costi.” Alzò la mano quando vide Kagome cercare di interromperla. “Non voglio sminuirti o dare ragione a Miroku, mi voglio solo accertare che tu sia sicura di quel che stai facendo perché lì fuori non ci sarà spazio per i ripensamenti, è chiaro?”

Le aveva parlato in modo deciso e severo, dimentica di tutte le parole gentili che aveva sempre avuto per lei quelle poche volte che si erano viste, e Kagome apprezzò anche la sincerità e la schiettezza.

Sapeva di essere terrorizzata, non tanto per i demoni che avrebbe dovuto affrontare, ma di sbagliare e mettere in pericolo gli altri, di essere un peso, e al tempo stesso non si era resa conto che con quei dubbi avrebbe corso il rischio di realizzare quelle paure. Sango aveva ragione: non c’era spazio per sentimenti deboli sul campo di battaglia e doveva essere decisa e sicura di se stessa.

Lo era, sapeva di avere quelle caratteristiche e di poter combattere senza essere di intralcio. Allora le sorrise. “Hai fatto bene a dirmelo, però ti assicuro che non dubiterò nemmeno per un istante delle mie capacità e che combatterò al vostro fianco per far sì che la battaglia finisca il prima possibile e in nostro favore.”

Sango ricambiò il suo sorriso. “L’ho sempre saputo, ma era in mio dovere dirti quelle cose. So che non ci deluderai né deluderai te stessa. E per quel che importa, so benissimo cosa stai provando – lo sa chiunque abbia combattuto almeno una volta – e la paura è un sentimento comunissimo. L’importante è sfruttarlo a proprio favore.”

“Questo è proprio quel che farò,” le assicurò ancora Kagome.

“Molto bene, allora indossa questa e fammi sapere se hai qualche problema. Nel frattempo manderò qualcuno a procurarti qualche freccia in più; ho idea che quelle lì non saranno abbastanza.”

 

*

 

La battaglia per tutti loro iniziò in modo brusco: un momento prima stavano controllando di avere tutto pronto, quello dopo erano sotto attacco. In seguito, Kagome avrebbe riflettuto che non c’era nulla di strano o sbagliato in quello; tutte cominciavano in quel modo e anzi loro avevano anche avuto un lusso che a molti non era permesso: un avvertimento.

Lei e Inuyaha, che le era rimasto a fianco fino all’ultimo, si erano scambiati un ultimo sguardo, una promessa silenziosa e un bacio frettoloso prima di separarsi e svuotare del tutto la mente se non per il loro obiettivo, ovvero la massa di demoni che stava oltrepassando le alte mura difensive del villaggio.

Kagome non lo vide più, ma non fu motivo di ansia: sapeva che Inuyasha era più che addestrato a quel tipo di situazione, piuttosto ora doveva solo dimostrare a se stessa di non essere debole e che quel potere che le fluiva nelle vene e del quale gli Dei l’avevano ritenuta degna non era andato sprecato.

Sango, nonostante fosse una delle guerriere migliori, si era assegnata alla stessa fila di Kagome, dicendole che siccome nelle prime c’erano già tanti sterminatori valorosi, lì dietro serviva qualcuno che potesse dare ordini e riprendere il controllo se ce ne fosse stato bisogno. Ma la sacerdotessa sapeva anche che aveva voluto combattere al suo fianco e darle forza, che altrimenti ci sarebbe stato qualcun altro al suo posto, e la ringraziò con un cenno della testa.

Vedere la sicurezza e la serietà che Sango emanava contribuiva a rinforzare il suo proposito così come quello di tutti gli altri che l’ammiravano e che avevano imparato da lei in missioni precedenti.

Così, Kagome fu più che pronta quando i primi demoni cominciarono ad arrivare: avevano i numeri dalla loro parte e, per questo, molti riuscirono a oltrepassare coloro che stavano in prima fila e a dirigersi senza scrupoli verso di loro. Calavano i loro capi e aprivano le loro fauci come se non vedessero l’ora di sentire la carne sotto quei denti lunghi e marci, allungavano le zampe storte, sporche, piccole e grandi tentando di afferrare quante più vittime potevano, sputavano fuoco e veleno, ma i loro avversari non erano i semplici umani di cui si cibano di solito, povere vittime che predavano nei luoghi più isolati e scuri, e il loro numero non avrebbe assicurato loro la vittoria.

Il primo obiettivo di Kagome fu un enorme millepiedi, la cui parte superiore del corpo era però umanoide, e che si diresse senza troppe esitazioni verso di lei, allungando le sue molteplici braccia tentando di stritolarla e leccandosi le labbra rosse pregustando già il suo pasto.

Kagome però era più veloce.

Il suo corpo era già in posizione, l’arco pronto e la freccia incoccata; aspettò che il suo bersaglio fosse al centro della traiettoria e poi scoccò una, due, tre frecce con invidiabile precisione. Lo colpì negli occhi, nel petto e nella pancia e per ogni colpo andato a segno si sprigionò una brillante luce rosa che anticipò di poco il momento in cui il demone venne purificato e polverizzato di conseguenza.

La sacerdotessa non aspettò e non lo vide disintegrarsi, né l’euforia o l’adrenalina che avevano cominciato a scorrerle nelle vene la distrassero per un attimo dal suo compito; passò subito al prossimo obiettivo. Non c’era tempo da perdere e non aveva bisogno di tenere gli occhi su ogni bersaglio per sapere che aveva fatto centro o che il demone non aveva più scampo.

Non vide il cenno di assenso di Sango, accanto a lei, che con il suo enorme boomerang stava uccidendo demoni più velocemente di ogni sua freccia, ma sentì per ogni tiro andato a segno il senso di sicurezza intensificarsi, la consapevolezza che ce l’avrebbe fatta.

Quando le frecce della prima faretra che aveva in spalla finirono, l’abbandonò, sentendosi molto più libera e quindi più agile. Nel frattempo, un demone fu anche più veloce di lei e registrò il dolore nel suo braccio portante quando i denti della bestia la toccarono.

Sibilò dal dolore e più di un epiteto lasciò le sue labbra, ma aveva ancora la freccia appena impugnata nella mano e si concentrò per incanalare la sua energia spirituale nella punta che conficcò con prepotenza nella gola della bestia prima che i suoi denti potessero affondare davvero nel suo avambraccio.

Inspirò una grossa boccata d’aria quando la vide disintegrarsi e controllò il proprio respiro cercando di aiutarsi con il dolore proprio mentre uno degli sterminatori, che aveva seguito lo scontro, l’affiancava. “Ce la fai ancora?” le chiese senza perdere di vista il suo opponente.

Kagome annuì. “Sì,” gli rispose poi quando si rese conto che non la stava guardando. Però, l’agilità che aveva avuto fino a qualche secondo prima sembrava sparita e sentiva il braccio molto più pesante. Il compagno accanto a lei se ne accorse quando le successive frecce furono scoccate con più lentezza.

Allora, dopo aver tranciato un’altra testa con la sua spada, l’afferrò per una mano e indietreggiò di qualche passo per allontanarsi quel tanto che bastava dal fuoco nemico. Lei l’osservò rimuovere la protezione al gomito e rivelare un compartimento segreto al suo interno, dove era conservato un piccolo tubicino. Glielo porse.

“Muoviti, applicalo sulla ferita. Non possiamo sapere se mordendoti ti ha iniettato qualcosa né possiamo nemmeno permetterci di mandarti in infermeria. Questa pomata servirà a rallentare quel che basta qualsiasi infezione anche se ti intorpidirà un po’ il braccio. Ma considerando il modo in cui ti ho visto muoverlo poco fa, forse è un bene.” Un attimo dopo era sparito e con la stessa velocità Kagome si applicò l’unguento e ritornò alla battaglia.

Continuò a mirare e tirare e nei momenti in cui sentiva di dover riprendere fiato, si circondava di una barriera rosa per difendersi ed evitare che i nemici potessero approfittare di quella debolezza. La sua capacità di generare barriere spirituali fu utile a più di un suo compagno e anche se duravano solo alcuni secondi – farle più resistenti l’avrebbe prosciugata subito – era abbastanza per riprendersi e ricominciare.

Intanto Sango, che aveva continuato a dirigere la battaglia da quel lato del campo, aveva osservato ognuno dei combattenti senza perderli di vista, nemmeno Kagome, e sebbene si fosse per un attimo preoccupata quando l’aveva vista ferita, era soddisfatta di come stava gestendo la situazione. Potevano farcela e Kagome sarebbe uscita da quella prima esperienza vincente.

 

*

 

Da un’altra parte del villaggio, un altro ragazzino scendeva per la prima volta in battaglia. Tuttavia, invece di seguire gli ordini e restare al suo posto dove altri più esperti di lui avrebbero potuto coprirgli le spalle se necessario, era andato avanti influenzato dalla vittoria che aveva avuto su alcuni demoni più deboli.

Non era consapevole del vero motivo per cui erano stati attaccati, avendo solo ascoltato il discorso ufficiale di Inuyasha, ma dentro di sé era più che intenzionato a farne fuori quanti più possibile per il legame che colui che aveva causato tutto aveva con sua sorella, per vendicarsi delle sfortune che si erano abbattute sulla sua famiglia da quel fatidico giorno.

Dopo solo qualche mese trascorso in quel villaggio, Sota era cambiato e non rassomigliava più quel bambino ingenuo e spaventato che vi era giunto una notte insieme alla madre e al nonno. Si era allenato a rafforzare il proprio corpo e nascondere le proprie debolezze e il bisogno di vendetta insieme all’adrenalina dovuta alle prime vittorie, al vedersi più forte, lo influenzava al punto da credersi già un uomo fatto.

Per questo, quando vide alcuni nemici proseguire nella direzione in cui sapeva si trovava Kagome non ci pensò più di una volta e li seguì, approfittando del caos e della distrazione dei suoi compagni.

Li osservò per un po’ e aspettò il momento più adatto per farli fuori entrambi in un colpo solo, ma era così preso da dimenticarsi una delle prime lezione che gli erano state impartite e ciò che lo circondava. E su un campo di battaglia essere così sprovveduto poteva rivelarsi fatale.

“Guarda, guarda, guarda,” arrivò una voce alle sua spalle che lo immobilizzò. “Qualcuno qui si è offerto volontario per essere il mio prossimo pasto?”

Sota sgranò gli occhi nel rendersi finalmente conto che per seguire i suoi due obiettivi si era isolato da tutti e che il demone che ora percepiva alle sue spalle aveva richiamato anche quelli davanti.

Si trovava circondato.

D’improvviso tutta l’adrenalina e la sicurezza scomparvero, lasciando il posto al terrore, anche se non abbandonò mai le armi che aveva in mano, anzi le strinse ancora più forte pronto comunque a giocarsi il tutto per tutto.

Sentiva il sudore cadergli dalle ciocche bagnate in faccia e bruciargli gli occhi, la presa allentarsi a causa delle mani altrettanto sudaticce, il battito accelerato del cuore rimbombargli in modo assordante nelle orecchie e deglutì, non riuscendo ancora ad ammettere la sconfitta e – soprattutto – il suo errore fatale.

Quanti altri secondi avrebbe avuto ancora? Doveva cominciare a contarli? E su chi doveva puntare lo sguardo? I due demoni davanti o quello dietro?

Non ebbe bisogno di rifletterci troppo.

Qualche secondo dopo sentì un grido di battaglia, il rumore di una lama che colpisce il suo bersaglio e una voce più che familiare urlargli: “Giù!”

Il ragazzo fece come gli venne ordinato senza esitazione, si appiattì a terra, tremando suo malgrado, e sentì poi una corrente improvvisa oltrepassarlo.

Cicatrice del vento!”

Quando infine ebbe il coraggio di riaprire gli occhi vide cinque lunghi e profondi solchi davanti a sé che cominciavano a solo qualche centimetro di distanza da dove si trovava la sua testa.

Si alzò di scatto e immediatamente dopo qualcuno lo colpì forte alla nuca.

“Cosa ti salta per la testa?” gli urlò contro Inuyasha che ormai lo aveva raggiunto. “Ci tenevi tanto a morire? E come ne sarebbe stato della tua famiglia se fossi davvero morto?” I suoi occhi dorati erano assottigliati e fiammeggianti di rabbia, le corte zanne sporgevano oltre il labbro inferiore quel che bastava per intimorirlo e le orecchie erano rizzate sul capo.

L’immagine era ben diversa da quella a cui Sota era abituato.

Ma pur realizzando di aver sbagliato, non riuscì a starsene zitto e accettare quel rimprovero. “Era per loro che lo stavo facendo!” ribatté. “Quei demoni si stavano dirigendo verso mia sorella, la tua fidanzata!”

“Kagome sa badare a se stessa e se avesse bisogno di aiuto non è sola perché ognuno di noi è stato assegnato a una squadra. Proprio come te! Cosa? Pensavi che due mesi di allenamento fossero abbastanza per affrontare dei demoni da solo? Non saresti nemmeno dovuto scendere in campo.”

Il ragazzo strinse i pugni rimandogli indietro l’espressione arrabbiata. “Voglio fare anch’io la mia parte, proprio come tutti voi.”

“E falla,” gli rispose il mezzo demone, “ma senza mettere in pericolo inutilmente la tua vita, restando lì dove ti è stato detto di restare. Se non fosse stato per me, a quest’ora saresti acido nello stomaco puzzolente di quell’oni!” Poi lo vide sgranare gli occhi e le sue orecchie si agitarono captando un rumore specifico.

Per un secondo fu come se il tempo si fosse fermato e avesse ricominciato a scorrere solo quando registrò il dolore.

Senza perdere tempo, allora, spinse con violenza Sota a terra, lontano, mentre qualcosa gli trapassava lo stomaco e gli toglieva il fiato, costringendolo a piegarsi a terra e a vomitare sangue senza poter davvero reagire. Il suo corpo non gli diede modo di alzare lo sguardo su chiunque lo avesse colpito alle spalle o utilizzare la zanna che ancora stringeva nella mano portante.

Per sua fortuna, fu Sota questa volta a venirgli incontro.

Dimenticando per un attimo che quella situazione era solo colpa sua – o forse per ricambiare il favore e dimostrare a Inuyasha che non era così inutile o sciocco – Sota si rialzò e lanciò un pugnale cosparso di veleno dritto al cuore del suo opponente. Lo colpì anche se il lancio mancava di precisione, ma la sostanza che era stata applicata alla lama bastò a far accasciare il demone che poco dopo cominciò a contorcersi.

“Fallo fuori,” rantolò Inuyasha dopo che Sota si fermò a guardarlo senza fare nulla. “Non puoi lasciarlo vivo,” continuò dopo aver vomitato altro sangue.

L’altro annuì. Si avvicinò con cautela per assicurarsi che non potesse colpirlo e prenderlo di sorpresa con uno di quegli stessi tentacoli che avevano colpito Inuyasha e poi, deglutendo, conficcò la spada lì dove il pugnale non era arrivato: nel cuore.

Quando fu diventato polvere, Sota si concesse finalmente di tirare un grosso respiro di sollievo ma poi, ascoltando Inuyasha tossire e soffocare, si affrettò a soccorrerlo.

“Mi dispiace, è tutta colpa mia.”

“Keh, non abbiamo tempo per le scuse,” gli sibilò di rimando Inuyasha, riuscendo a rialzarsi a fatica facendo leva su Tessaiga e poi asciugandosi la bocca sporca di sangue prima di mantenersi la ferita aperta con la stessa mano. “Ho sbagliato anch’io a non accorgermi di quel bastardo.”

Sota si morse la lingua per non ribattere, sapendo che comunque Inuyasha non sarebbe stato colpito se non si fosse distratto per causa sua.

“Ritorna al tuo posto,” lo sentì continuare, “io andrò avanti.”

“No che non lo farai,” si impose allora. “Riesci a stento a camminare. E che ne sarebbe di mia sorella se il nemico approfittasse di questa situazione per farti fuori?” gli chiese rigirandogli la stessa accusa che gli aveva fatto quando lo aveva salvato. “Ora saresti tu quello avventato. Ti accompagno in infermeria.”

Inuyasha gli strinse le dita attorno al polso e poi, mostrandogli le zanne, ribadì: “In caso tu non te ne fossi mai accorto, sono un mezzo demone; mi riprenderò a breve.”

Sota non si fece influenzare. “Con lo stomaco squarciato e mentre continui a sputare l’anima? Avrai anche sangue demoniaco nelle vene, ma non ti sarà d’aiuto se lo vomiti invece di tenertelo dentro.” Poi si liberò con forza dalla sua presa, incurante dei suoi artigli, e lo aiutò a reggersi. Per sua fortuna qualcuno poco dopo li noto, perché non credeva sarebbe riuscito a trascinare un demone cane ostinato quanto Inuyasha fino alla parte opposta del villaggio in circostanze normali, figurarsi quando erano ancora sotto attacco.

Con l’aiuto di altri due sterminatori che pure andavano nella stessa direzione, finalmente raggiunsero l’infermeria.

Nel frattempo Inuyasha era peggiorato e non appena Sota scostò la porta di bambù per passare, vomitò un’ultima volta prima di perdere del tutto i sensi.

“O mio Dio,” esclamò una voce femminile che subito raggiunse il ragazzo per assisterlo visto che il mezzo demone era diventato mille volte più pesante. Sota la riconobbe come la madre di quest’ultimo e le sorrise incerto anche se con il suo aiuto riuscì ad appoggiarlo su un lenzuolo lì a terra.

La vide allargare gli occhi inorridita mentre prendeva nota delle ferite del figlio e si sentì ancora più in colpa. “Non è troppo grave, vero?” le chiese.

Izayoi alzò lo sguardo su di lui, poi sbatté le palpebre come se stesse cercando di metterlo a fuoco. “Oh, no… no. Non troppo; per fortuna il suo lato demoniaco lo aiuterà a rimettersi in sesto, ma,” deglutì, “ma ammetto che non mi fa un bell’effetto.”

Considerando che vi era un buco della grandezza di un pugno nel suo stomaco, rifletté Sota, a nessuno avrebbe fatto piacere.

“Ma tra qualche ora avrà già cominciato a richiudersi da sola. Forse è meglio che venga fasciata adesso, però. Proverò a fermare l’emorragia,” gli disse ancora sforzandosi di sorridere. “Grazie per averlo portato qui.”

Nello stesso istante vide sua madre avvicinarsi, spaventata sia dalla visione di Inuyasha che dalla sua presenza lì. “Sota, cos’è successo?”

“Io, ecco-”

“Forse è meglio se resti qui, non hai una bella cera e sembri scioccato,” lo interruppe la donna.

“No, mamma, c’è ancora molto da fare e-”

“Ha ragione, signora,” si intromise uno degli sterminatori che li aveva accompagnati, rivolgendo a lui uno sguardo severo. “Sota non è più in grado di continuare.” Poi gli diede una pacca sulla spalla e gli sorrise. “Hai fatto il tuo dovere finora e te ne siamo grati; ora lascia che siano gli altri a concluderlo.”

Sì, bel dovere che ho compiuto; per colpa mia Kagome ha rischiato di perdere anche il secondo fidanzato,” pensò acido, mordendosi la lingua per evitare che quelle parole lasciassero la sua bocca. Poi sospirò ammettendo che non avrebbe potuto fare altro e si lasciò trascinare via dalla madre, lasciando Izayoi e altre donne più esperte a occuparsi dei feriti.

 

*

 

Qualche ora dopo, la battaglia si era finalmente conclusa con la vittoria degli sterminatori, ma mentre si asciugava la fronte imperlata di sudore e si recava all’infermeria per farsi vedere il braccio ferito ora più che mai pesante, Kagome non si sentiva poi tanto vittoriosa. Aveva l’impressione che lo scontro più importante doveva ancora avere luogo. Dopo tutto, Naraku non era ancora mai davvero sceso in campo.

Sospirando, le spalle cadenti a causa di tutto il peso che stavano sopportando, Kagome spostò la porta di bambù e finalmente entrò nella capanna affollata, sperando di trovare il modo di visionare la propria ferita anche da sola. C’erano casi molto più gravi che richiedevano assistenza.

Stava per voltarsi verso una donna e chiederle informazioni quando degli hakama di un rosso acceso catturarono la sua attenzione.

I suoi occhi prima e le sue gambe poi scattarono in quella direzione e subito riconobbe la figura distesa su una brandina con l’addome completamente bendato. Accanto, sua madre gli stava asciugando il viso, anche se lui stava cercando di farla desistere muovendo il braccio; lei non ne volle sapere e, anzi, lo riportò in posizione sdraiata non appena tentò di alzarsi.

“Inuyasha,” quasi gridò precipitandosi da lui. “Cosa?”

“Oh, bene,” esclamò Izayoi vedendola, l’espressione molto più rilassata di prima. “Ora che ci sei tu qui, Kagome, lo lascio nelle tue mani. Sono sicura che sarai un’ottima infermiera.”

“Un ottima carceriera vorrai dire,” mugugnò Inuyasha.

La madre lo colpì affettuosamente su una spalla. “Ti sembra il modo di accogliere la tua fidanzata?” Poi scuotendo la testa, passò a occuparsi di altri feriti.

Il mezzo demone allora alzò lo sguardo su Kagome e le porse un timido sorriso vedendola preoccupata. “Ehi,” la salutò, “non è nulla.”

“Mmm,” annuì lei poco convinta, prendendo il posto che Izayoi aveva appena liberato e afferrando l’unguento lì accanto. “Permetti che sia io a giudicare?”

“E sia,” le concesse, “ma prima…”

“Prima?”

Inuyasha alzò un sopracciglio in modo suggestivo e lei rise, suo malgrado, prima di calarsi verso di lui e baciarlo. Il mezzo demone ricambiò con fervore, alzando la mano per infilarla nei capelli di lei e sentirla ancora più vicina. 
“È bello rivederti, koishii,” le sussurrò affettuosamente, come se fossero stati lontani per settimane, mesi.

“Sì,” concordò lei, baciandolo una seconda volta e accarezzandogli la guancia.

Erano sempre così presi da quel che accadeva loro intorno che talvolta si dimenticavano di quanto fosse nuova la loro relazione e del poco tempo che avevano da dedicarle. Era raro riuscire a vivere momenti così semplici e Kagome non vedeva l’ora di poterlo fare in totale tranquillità, non in un’infermeria o con l’ansia di ciò che poteva accadere.

Lui annuì, come se le avesse letto nella mente, e poi si distese di nuovo, lasciando che Kagome si occupasse di lui.

Con cura, riprese il lavoro che aveva cominciato Izayoi, togliendogli le bende sporche e rivelando una enorme cicatrice rossastra e infiammata.

Fu difficile trattenere un singulto nel vederla.

Se pure era vero che una ferita mortale per Inuyasha si era chiusa nel giro di qualche ora, il segno che si era lasciata dietro le faceva capire quanto fosse stata grave anche per lui che era un mezzo demone.

Non distolse lo sguardo mentre con le dita ne tracciava i contorni. “Cos’è successo?” bisbigliò. Lo sentì irrigidirsi in risposta e alzò il viso, concentrandosi su quello di lui e notando che era ancora molto pallido. “Chi ti ha fatto tutto ciò?”

“Non mi crederai se ti dico che non è niente e che è già tutto passato, vero? La ferita non era nemmeno avvelenata, quindi il mio corpo non sta avendo alcun problema a riprendersi. Non capisco perché non dare il mio posto a qualcuno che ne ha davvero bisogno,” sbuffò lui guardandosi attorno.

Kagome scosse la testa e Inuyasha ci rinunciò.

“Un tentacolo mi ha trapassato,” ammise riluttante, “e ho perso un po’ di sangue. Ma non ero solo e sono riuscito ad arrivare qui in tempo. Anche se sarei comunque potuto tornare a combattere.”

Lei lo guardò scettica. “Un tentacolo ti ha trapassato?” ripeté. “Come ha fatto a prenderti alla sprovvista? Dà alle tue orecchie più credito di questo!” continuò lanciando un’occhiata a suddette appendici che appena richiamate erano diventate tutte rosse.

“Stavo uccidendo un altro demone e mi sono distratto,” borbottò con un’alzata di spalle e senza incontrare i suoi occhi.

“Inuyasha,” lo richiamò Kagome, per nulla persuasa.

“Senti, non voglio farti preoccupare, ok?” Ancora non la stava guardando e Kagome si spostò per rientrare nel suo campo visivo.

“Tenendomi le cose nascoste mi preoccupi ancora di più. Pensavo avessimo deciso di non farlo più per evitare fraintendimenti.”

I loro occhi si incontrarono. “C’è tanto di quel dolore che vorrei tenerti nascosto e non posso,” confessò, “e preferirei che queste piccole cose-”

“Piccole?” lo interruppe ritornando a fissare la sua ferita. “Che tu sia umano o no, questa non è piccola.”

“Te l’ho detto, si è già richiusa e tra qualche ora sarò come nuovo. Ti avrei dato ragione se stessi ancora sanguinando o se fossi stato avvelenato, ma-”

“Non c’entra niente la velocità con cui ti stai riprendendo! Non ti rendi conto della gravità della situazione in cui ti sei trovato. Se non fossi riuscito a raggiungere l’infermeria o se il demone che ti ha colpito non fosse morto, avresti potuto fare la sua fine. Senza contare che c’è qualcosa di importante che mi stai tenendo nascosto e che mi conferma che di tutto questo niente è piccolo,” sbottò Kagome, infastidita dalla sua testardaggine.

Kagome lo sentì sospirare, come se non avesse più modo di fingere, percepì l’esitazione rimasta ma anche la rassegnazione e nell’attesa che si decidesse cominciò a spargere l’unguento sulla pelle rossa e delicata, massaggiando per far sì che si assorbisse con facilità.

Inuyasha rabbrividì di conseguenza, ma non seppe dirsi se era stato per il contatto con le dita di lei o per il freddo della pomata, poi, non potendo più tergiversare, ammise: “Ero arrabbiato quando è accaduto e lo sai che, beh-”

“Che la rabbia è l’unico sentimento che può farti perdere sul serio la ragione?” continuò per lui.

Inuyasha annuì. “È stato stupido da parte mia, perché gli stavo facendo una ramanzina per essere così irresponsabile nel mezzo di una battaglia e poi sono stato io stesso a-”

“A chi, Inuyasha? A chi stavi facendo una ramanzina?” Kagome non poté fare a meno di interromperlo di nuovo, fermando per un attimo il movimento delle dita sulla sua pelle.

Lo vide deglutire, poi distogliere lo sguardo e infine udì l’unico nome che avrebbe potuto farla preoccupare più di quanto già non era: “Sota.”

“Sota?” Kagome sobbalzò, inorridita. “Cosa ci facevi tu vicino a mio fratello? Lui non è per nulla abituato a combattere, Koji mi aveva assicurato che fosse rimasto al sicuro nelle retrovie e tu eri in prima linea e-”

Il mezzo demone le afferrò le mani e la costrinse a guardarlo negli occhi per farla smettere di farfugliare. “Ehi, ascoltami bene, è proprio perché non volevo che reagissi in questo modo che non volevo dirtelo, ma devi solo sapere che Sota sta bene, molto meglio di me; è al sicuro e ha imparato una lezione importante.”

“Oddio.” Kagome sgranò gli occhi rendendosi conto di un’altra cosa. “È per colpa di Sota che sei stato ferito in questo modo?” Lo strattonò per liberare le mani e quando lui glielo concesse ricominciò a ispezionare la ferita già chiusa ma ancora delicata con più attenzione di prima. “Sei stato trapassato… dalla schiena alla pancia,” sottolineò con un filo di voce più per stessa che per lui. “Trapassato.”

Poi lo aiutò ad alzarsi e gli chiese di mettersi su un fianco così che potesse occuparsi anche di quella – e guardare, con orrore, l’origine di quella ferita che in altre circostanze avrebbe potuto essergli fatale anche se non era debole quanto un umano – e suo malgrado, Inuyasha la lasciò fare. Si rendeva conto, ora più che mai, che quelle dita che si muovevano frenetiche sulla sua pelle erano il tentativo di Kagome di sfuggire alla paura, toccarlo per assicurarsi che era davvero lì con lei e, più di tutto, anche un modo indiretto per chiedergli scusa.

Ma non ne aveva bisogno; Kagome non gli doveva nulla. E anche se qualche ora prima era stato tremendamente arrabbiato con Sota, sapeva che parte di quel sentimento era scaturito dal sollievo di essere riuscito a salvarlo in tempo da morte certa – e aver salvato lei dal dolore che l’avrebbe colpita.

Finì anche per rilassarsi sotto il tocco benefico di Kagome e non mosse più alcuna lamentela, apprezzando ciò che stava facendo. Il modo in cui sembrava venerare il suo corpo, in quei momenti, sembrò quasi aiutasse il suo sangue demoniaco a reagire, spronarlo a far tornare ogni cosa com’era prima perché, così, forse un po’ delle sue ansie sarebbero svanite.

Ma anche se non funzionava così, l’idea stessa aiutò Inuyasha a sollevarsi’, così come il medicarlo stava aiutando Kagome.

Infine, il silenziò che li avvolse parlò più delle tante parole che si erano scambiati finora e li incoraggiò a tenere duro un altro po’, perché tutto sarebbe finito prima o poi e loro, anche se feriti, ne sarebbero usciti integri. Insieme.

 


N/A: Spero il capitolo sia stato di gradimento ed è vostro dovere morale farmelo sapere 😜. 
Il capitolo prossimo sono riuscita a cominciarlo sul serio solo ieri (aaah), ma il mio obiettivo è pubblicarlo comunque entro le due settimane. Non temete. Tanto vogliamo sapere tutti che fine hanno fatto Sesshomaru, Toga e Rin, no? 

A prestissimo ❤. 

 

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Capitolo 23
*** XXII — Ritorno a casa ***


Capitolo XXII: Ritorno a casa




 

“Early morning, still in bed
You hate yourself for what you said
But you could never admit you were wrong.”

Big Shot, The Lumineers





 

Bastarono pochi secondi, Toga rimase fermo a fissare la direzione in cui era scappato Naraku solo una manciata di secondi, poi scattò.

A quel punto Sesshomaru si era già allontanato, dimentico del torto che il mezzo demone gli aveva fatto e di ogni desiderio di vendetta, sopraffatto da quanto gli era stato rivelato. L’Inu-no-Taisho non ebbe problemi a seguire le sue tracce e lo trovò dopo qualche minuto, poco distante dal luogo in cui il breve scontro era avvenuto.

Sollevato di vederlo ancora sano e salvo, scese con calma a terra, gli occhi assottigliati e puntati sulla scena davanti a sé che per ogni passo che faceva gli sembrava sempre più surreale.

Sesshomaru era inginocchiato accanto a un’esile e minuta figura, le mani occupate a toccarla con una delicatezza di cui Toga non lo avrebbe mai creduto capace, gli occhi che viaggiavano sul suo corpo per controllare più velocemente ciò che le dita ancora non riuscivano a fare, il respiro pesante e il petto che si alzava e abbassava con altrettanta fatica.

Se anche non gli fosse stato già detto chi quella ragazza umana era per suo figlio, Toga lo avrebbe capito da quei semplici e tanto esplicativi gesti. Non c’erano più dubbi: Sesshomaru aveva davvero trovato la sua anima gemella.

Percepiva il suo sollievo misto a rabbia dovuto a quella situazione, immaginava – per la prima volta da quando era diventato padre riusciva a percepire davvero le sensazioni di Sesshomaru, a comprenderlo – la battaglia ancora in corso dentro di lui, capiva la necessità di salvare la donna che per lui significava tutto e il motivo per cui aveva ignorato un nemico che fino a poco prima aveva giurato di uccidere.

Toga aveva vissuto tutto prima di lui e sperava che da quel giorno il conflitto che ancora, in minima parte, lo consumava si sarebbe affievolito fino a scomparire. D’altronde, dopo gli ultimi eventi, anche Sesshomaru doveva aver capito che non c’era modo di sfuggire, che rinnegare quel dono a lungo andare non gli avrebbe giovato. Sapeva, vedendolo prendersi cura della giovane, che il figlio aveva finalmente accettato il legame che lo univa a lei; gli restava solo da comprendere e abbracciare il cambiamento che era avvenuto in lui.

Non si illudeva che sarebbe stato facile – l’orgoglio era pur sempre una delle caratteristiche a cui Sesshomaru aveva sempre fatto affidamento –, ma forse il passo più grande era stato fatto, forse sarebbero riusciti a parlare infine come padre e figlio, forse il loro nucleo familiare sarebbe diventato più coeso e loro sarebbero stati in grado di affrontare la minaccia ancora presente con più facilità.

Naraku aveva tentato di attaccarli con trucchi diversi, sebbene ognuno di essi rivelasse la stessa codardia e ingenuità che Toga aveva percepito la prima volta, ma erano anche stati attacchi mirati a dividere ognuno di loro; non si era mai azzardato a colpirli insieme. Ma non era riuscito nel suo intento e questo tornava a loro favore ora che Toga era sicuro di poter portare Sesshomaru dalla sua parte, convincerlo a collaborare. Certo, sapeva anche che più il tempo passava e più Naraku sarebbe diventato pazzo e dunque pericoloso, ma avrebbero potuto fare in modo che la prossima carta fosse quella vincente.

Vide infine Sesshomaru prendere in braccio la ragazza svenuta e notò dietro di loro i resti che finora non aveva notato, riconoscendo quello che doveva essere stato un tempo il figlio umano di Naraku e che per una seconda volta era stato ucciso da Sesshomaru. Li osservò per una manciata di secondi e poi scosse la testa, non credendo che meritassero davvero la sua pietà ma non riuscendo a ignorare un breve moto di tristezza. Forse, in una prossima vita, il ragazzo sarebbe riuscito a crescere lontano da tanta malignità.

Così si avviarono entrambi verso casa, in silenzio, sapendo che giunti a destinazione nessuno avrebbe più potuto rinviare quella discussione e che da quel momento in poi la posta in gioco si faceva ancora più alta.

Eppure la determinazione e la speranza si erano solo rafforzate.


 

*


 

“Ehi, cosa credi di fare?”

Inuyasha alzò la testa per incontrare lo sguardo arrabbiato della propria fidanzata rivolto proprio a lui.

“Aiutare forse?” rispose con tranquillità, aggiustando il peso delle due assi che aveva appena raccolto sulle sue spalle.

“Certo, lo stiamo facendo tutti,” rispose lei, “ma ognuno fa quel che gli è possibile fare. Non va oltre le proprie capacità fisiche.”

“Appunto,” ribadì Inuyasha cominciando a camminare e lasciandola dietro di sé. Kagome lo seguì imperterrita.

“Inuyasha!”

Il mezzo demone sospirò e si voltò a guardarla. “Mi stai forse dando del debole?” Arcuò un sopracciglio e cercò di non innervosirsi.

“Inuyasha, solo ore fa avevi un buco nello stomaco, credi che sia saggio cominciare già a fare questi lavori manuali? Non dico che devi startene fermo, ma potresti fare qualcosa di leggero.”

“Kagome,” riprese lui, guardandola fissa senza mai vacillare. “Ti amo, davvero, ma stai mettendo a dura prova la mia pazienza. Vuoi che mi spogli qui davanti a tutti e ti faccia vedere quel poco che è rimasto della ferita? Rispetto a quando l’hai controllata stamattina è quasi inesistente.”

La ragazza arrossì al pensiero di Inuyasha che si spogliava davanti a tutto il villaggio e boccheggiò per qualche istante prima di riprendere il controllo. “Non vorrei che sforzandoti la riaprissi e peggiorassi così la situazione. So quanto sei testardo,” ricominciò con voce piccola.

“Mai quanto te,” ribatté lui scherzosamente. “Sai che non sono un umano. Una volta che una ferita si chiude non c’è rischio che si riapra per me.”

“Sì, ma-”

Inuyasha la guardò suggestivamente, poi tagliò la distanza e abbassò il viso al suo, sussurrando: “Non è che la tua è solo una scusa per avermi tutto per te? Magari fingendo di voler medicare le mie ferite in realtà...” Le sorrise sornione e poi agitò le sopracciglia.

Lei trattenne il fiato davanti a tanta sfacciataggine mentre il rosso si diffondeva sul suo viso, poi, più che mai imbarazzata, agitò le braccia per colpirlo e finì per fargli perdere l’equilibrio. Le assi che aveva mantenuto fino a quel momento caddero con un rumore fragrante mentre lui, per non fare la stessa fine, si aggrappò a Kagome prendendola per i fianchi, ma riuscì soltanto a tirarla giù con sé.

“Ehi, che state combinando voi due?” Uno degli anziani sporse la testa nella loro direzione con un’espressione contrariata sul volto, seguito a ruota dall’ultima persona che in quella condizione avrebbero voluto vedere: Miroku.

“Lasciali stare, Jiro-sama, quei due sono come due sposini novelli: non sanno tenere le mani a posto.”

“Cosa? Miroku, pervertito, che vai dicendo?” sbraitò Inuyasha lasciando andare immediatamente la fidanzata.

“Non ti preoccupare, amico mio, ho tutto sotto controllo.” Si avvicinò e raccolse ciò che Inuyasha aveva lasciato cadere. “Farò io il vostro lavoro e potrai ripagarmi in seguito. Vieni, Jiro-sama, finiamo qua e lasciamoli stare. Voi però potreste trovare un posto più appartato.”

Il mezzo demone rimase a boccheggiare osservando i due uomini andare via mentre Kagome aveva paura di alzare lo sguardo e scoprire che qualcun altro aveva udito lo scambio.

“Gliela faccio vedere io a quel bonzo pervertito.”

“Beh, non eri tu quello che aveva suggerito proprio ciò che Miroku ha insinuato?” ribatté Kagome, guardandolo e poi facendo retromarce. Lui la inseguì prendendola per un braccio.

“Un momento, Kagome, dove vai ora?”

“A dare una mano prima che qualcuno mi accusi di mettermi a fare certe cose in bella vista e mi faccia perdere ogni briciola di rispetto che ancora mi è concessa.”

“Andiamo, lo sai che stava scherzando!”

“Scherzo o no, quelle accuse potrebbero rovinarmi. Lo sai meglio di me.”

Lui si diede dello stupido per non averci pensato prima, dato il passato di lei e la sua storia con le dicerie. “Questo villaggio è diverso,” ribadì quando riuscì a fermarla sul serio. “Calmati prima di farti venire qualcosa. E poi, non hai ottenuto quello che volevi?”

“Cosa?” gli chiese, sbigottita, non riuscendo a credere alle sue orecchie. “Credi che-”

“Intendevo che ho smesso di maneggiare roba pesante, non sei contenta?”

Kagome sbuffò, scrollò le spalle e poi incrociò le braccia in risposta.

“Andiamo, dai,” le sorrise. “Andiamo a vedere dove si è cacciata mia madre. Conoscendola non sarà riuscita a combinare davvero nulla, ansiosa com’è di veder spuntare mio padre da un momento all’altro.”

 

“Pensavo stessi dando una mano agli uomini,” lo salutò Izayoi poco dopo quando lo vide arrivare insieme a Kagome.

Come previsto, aveva lo sguardo distratto e le mani erano impegnate a ripetere gesti senza senso invece di attivarsi sul serio. Anche nella voce si poteva sentire lo stesso tono assente.

“Sono venuto a vedere come se la cavava l’altra mia donna preferita,” rispose Inuyasha, chinandosi verso di lei e baciandole una guancia, ottenendo in risposta un sano rossore e un sorriso dolce.

“Oh, tesoro, non dovresti far credere alla tua futura moglie che io sia sul suo stesso livello. Quando ti sposerai le tue priorità cambieranno e-”

“Sciocchezze,” la interruppe Inuyasha mentre Kagome se la rideva. “Chi te le ha messe in testa?”

“Non ti preoccupare, Izayoi. Come se il vostro rapporto non mi facesse piacere.”

La donna annuì, rivolgendole lo stesso sorriso che aveva riservato al figlio.

“Quando torneremo al castello e tutta questa storia sarà finita, allora potremo finalmente cominciare a parlare di matrimonio?”

Quella domanda prese entrambi in contropiede e capirono di essere finiti nella trappola di Izayoi. Avevano ignorato le nozze per tutto quel tempo, soprattutto considerando che l’ultima volta che era stato accennato il discorso loro due non si erano nemmeno dichiarati.

Tuttavia, ora era diverso. Inuyasha e Kagome erano più che consapevoli dei proprio sentimenti e pronti a fare il prossimo passo, vedere dove li avrebbe condotti, ma allo stesso tempo c’era un grosso ostacolo che glielo impediva.

Il mezzo demone lanciò uno sguardo a Kagome che gli sorrise e poi insieme annuirono in direzione della madre di lui.

Izayoi strinse loro le mani. “Non vedo l’ora di poter dimenticare tutto questo e godermi il vostro amore,” disse con gli occhi appannati.

“M-mamma, ti sembra il caso di dire certe cose?” balbettò Inuyasha, grattandosi la nuca con la mano libero. “Insomma…”

“Beh? È vero. Vi amate e questo amore non è solo per voi, ma anche per tutti noi che possiamo osservarlo.”

“Sì, ma-”

Prima che Inuyasha potesse finire una frase coerente che esprimesse tutto il suo imbarazzo, Sango li interruppe, entrando nella capanna.

“Izayoi-sama,” salutò, per poi rivolgersi agli altri occupanti, “Inuyasha, Kagome, sembra che qualcuno vi stia aspettando fuori le mura,” sorrise.

La principessa trattenne il fiato, sentendo già il sollievo diffondersi in tutto il suo corpo e il calore avvolgerla mentre percepiva la presenza dell’amato poco distante. “Toga!” esclamò, lasciando loro le mani e abbandonandoli all’istante.

Inuyasha scosse la testa nel guardarla andar via, per nulla risentito di essere stato dimenticato in favore del padre e si unì alle risate di Sango e Kagome.

“Se certa gente potesse vedere l’amore che lega quei due,” sospirò la sterminatrice, prima di rivolgersi a loro due. “Quindi è arrivata l’ora di separarci, di nuovo.”

“Torneremo presto,” la rassicurò Kagome.

“Magari con un invito a nozze?” ammiccò.

Il mezzo demone sbuffò. “È tutto quello di cui sapete parlare oggi voi donne?”

Sango fece spallucce. “Ognuno di noi vuole concentrarsi sulle cose belle,” gli spiegò, “perché sappiamo che quello che ci aspetta è una montagna ancora più ripida da scalare.”

 

*

 

Erano da poco tornati al castello quando finalmente Toga rivelò loro cosa era accaduto dopo averli lasciati.

Era appoggiato alla scrivania, le braccia incrociate e la coda che oscillava leggermente alle sue spalle a causa dei piccoli gesti. Ma nonostante all’apparenza fosse il ritratto della tranquillità, Inuyasha non ebbe problemi a leggere l’instabilità che celava, come se stesse cercando di controllare le proprie reazioni o, meglio, i sentimenti dovuti agli ultimi avvenimenti.

Il sorriso era largo ma tirato, la mascella rigida quel tanto che bastava per notarla, gli occhi non riuscivano a focalizzarsi su uno di loro, ma continuavano a vagare come se avessero paura di rivelare troppo.

Inuyasha era sicuro che anche sua madre e Kagome – che non lo conosceva bene quanto loro – avessero letto quei segnali.

Eppure, ciò che lo colpì maggiormente fu che dietro l’ansia che suo malgrado Toga non riusciva a nascondere, vi era una sincera euforia, il sollievo.

“Come temevo,” esordì dopo un’iniziale pausa, “al momento Sesshomaru non è un simbolo di razionalità.” Inuyasha rise prima di sbuffare, ma un’occhiataccia lo ammutolì. “E probabilmente lo scontro con Naraku sarebbe andato in modo diverso se lo fosse stato – magari saremmo riusciti a liberarcene già; a quest’ora avremmo potuto festeggiare – ma non ha senso starsene a indugiare sui i tanti se e ma.”

“Che ne è di lui allora? Se voi siete qui e lui a quanto pare non è morto?”

“Ci arriverò, Inuyasha. Ma prima è importante che io vi metta a corrente di qualcos’altro.” Prese un respiro profondo e incrociò lo sguardo della moglie che gli sorrise incoraggiante e poi riprese: “Al termine dello scontro, abbiamo recuperato una ragazza umana che risiede in questo castello al momento e-”

“La compagna umana di Sesshomaru,” lo interruppe ancora il figlio minore, sbigottito.

“Sì,” assentì l’Inu-no-Taisho. “A quanto pare Naraku è ben intenzionato a sfruttare le nostre debolezze per i suoi miseri trucchi e a portare a termine le sue minacce.” Altro sguardo alla moglie.

“Non ci posso pensare, non ci posso pensare.” Inuyasha cominciò a camminare avanti e indietro. “Dopo tutti questi anni, dopo tutto quello è accaduto, Sesshomaru ha davvero portato qui al castello la sua compagna umana?”

“So che è difficile da comprendere, anch’io non me ne capacito ancora, ma non è questo l’importante. E perché immaginavo la tua reazione, ho voluto avvertirvi.”

“Avvertirci?” Il mezzo demone sbuffò. “Come se io potessi essere davvero un pericolo per la ragazza. E cosa sarebbe importante allora?”

“Questo è l’inizio del suo cambiamento, Inuyasha. Sesshomaru potrà ancora rifiutare parte di questa verità, ma non è più lo stesso e, soprattutto, a questo punto le probabilità che collabori invece di fare di testa sua sono alte. E a noi serve essere una famiglia.”

“Keh. Sesshomaru collaborare? Non ci sperare troppo. E chi ti dice che io voglia poi?”

“A differenza sua, anche se non vuoi, tu saresti disposto a farlo se le possibilità di liberarci di Naraku aumenterebbero,” ragionò Kagome al posto di Toga. “Quello che tuo padre sta cercando di dirti è che ora che Sesshomaru ha qualcuno da proteggere il suo orgoglio potrebbe essere messo da parte, potrebbe diventare anche più forte, oltre che ragionevole.”

Inuyasha smise di camminare e fece una smorfia nel sentire il paragone ma non la contraddisse.

“Non avrei potuto dirlo meglio,” sorrise Toga. “Adesso non abbiamo bisogno del tuo risentimento, Inuyasha, perché per Sesshomaru sarà già difficile così. Accoglieremo la ragazza come se fosse già parte della nostra famiglia e, nel frattempo, organizzeremo un piano per sconfiggere Naraku. Questa volta sul serio.”

Il mezzo demone avrebbe voluto controbattere, ribadire che a lui non interessava niente dei sentimenti o delle difficoltà del fratellastro, che per quanto gli riguardava avrebbe potuto continuare a soffrire perché era ciò che si meritava per essere stato sempre uno stronzo. Ma non lo fece. No, sapeva che non era quella la mossa giusta e, soprattutto, ancor più del risentimento che covava verso il fratello, gli interessava solo liberarsi di Naraku e di poter pensare a Kagome senza doversi preoccupare di vederla sparire da un momento all’altro.

Così annuì, suo malgrado, e il padre lo ringraziò con una possente pacca sulle spalle che lo fece imbronciare di più, prima che rimanesse da solo con la fidanzata.

 

*

 

Sesshomaru aveva riacquistato parte della sua calma nel momento in cui era arrivato al castello e aveva potuto sincerarsi ancora una volta che Rin stesse bene. Ma dopo averla lasciata su un futon, non gli rimase altro da fare che aspettare e nel frattempo considerare le sue possibilità, capire cosa dirle e come reagire quando si sarebbe svegliata.

Non dubitava che sarebbe stato un altro scambio difficile; aveva ormai capito che tipo fosse Rin – e se doveva essere onesto, non gli dispiaceva il suo tenergli testa. Tuttavia, ammettere un proprio torto era pur sempre qualcosa che non aveva mai fatto – né contemplato.

Sospirò nel silenzio della stanza, ma l’agitazione interna non si mostrò nei gesti, rimase immobile e in piedi alla finestra senza voltarsi a osservarla mentre dormiva. Sapeva di star osando già molto rimanendo da solo con lei, ma non poteva fare diversamente.

Non riusciva ad allontanarsi e l’unico modo in cui riusciva a mantenersi calmo – senza tornare a essere quella persona nuova e irrazionale che ancora non riconosceva – era sentire il battito regolare di lei che gli rimbombava nelle orecchie anche se i suoi occhi non si posavano sulla sua figura.

Quindi era sceso ad un compromesso e, poi, non gli importava cosa potessero dire gli altri, quanto dare a lei il rispetto che le era dovuto.

Aveva sentito da tempo il padre e gli altri ritornare quando percepì il respiro di lei cambiare. Voltò la testa di scatto e attese che si destasse.

Si sarebbe spaventata nel trovarsi in un luogo sconosciuto? Gli avrebbe intimato di lasciarla andare? E perché mai se ne preoccupava in tal modo?

I suoi occhi erano fissi sul viso di lei quando aprì piano le palpebre, sbattendole un paio di volte prima di emettere un basso gemito e poi alzarsi sui gomiti e guardarsi attorno disorientata.

Sesshomaru dovette incollare i piedi a terra con forza per evitare di precipitarsi ai margini del futon come uno sciocco – e così facendo, magari, spaventarla ancora di più. Almeno in quel modo avrebbe avuto qualche secondo per svegliarsi prima di rendersi conto di non essere sola.

La voce che gli arrivò alle orecchie, però, non era spaventata né irritata. “Sesshomaru?”

Lui incontrò il suo sguardo e anche lì non lesse quei sentimenti, solo spaesamento. “Hn.”

“Sesshomaru, cos’è accaduto? Non mi ricordo del tuo arrivo.”

In risposta il dai-youkai digrignò i denti al ricordo di ciò che aveva trovato arrivato sulla scena, una Rin incosciente e indifesa e quel vile essere chino su di lei. Gli aveva riportato alla mente l’episodio quasi identico avvenuto quando la sacerdotessa era stata rapita, ma non ricordava di aver sentito tanta rabbia per lei, semmai una quasi totale mancanza di interesse nei suoi confronti. E sapeva razionalmente a cosa era dovuta quella differenza, ma come poteva accostare la ragione a un evento dovuto dal destino? Non c’era nulla di razionale in quello.

E infatti lui era in quella stanza a preoccuparsi per Rin, una cosa che, ancora, non poteva essere razionale.

Ogni suo cambiamento non lo era.

Eppure adesso capiva i sentimenti scaturiti in lui quando si trattava di Rin. Li accettava? Era presto per dirlo, forse non avrebbe mai, ma fino a poco prima avrebbe anche affermato con sicurezza che la situazione in cui si trovava non sarebbe mai stata possibile.

“E cosa ci facevi tu in compagnia di quell’essere?” chiese di rimando, ignorando la sua domanda. Come se non sapesse già che lei era innocente e vittima.

La vide rabbuiarsi, prima di assicurarsi di essere vestita a modo – Sesshomaru non aveva osato cambiarla né chiedere a qualche dama di aiutarlo – e alzarsi. Con le spalle dritte e la testa alta si avvicinò a lui, le labbra strette in una linea tesa e lo sguardo duro. Poi, a qualche centimetro di distanza, si fermò e continuò a fissarlo senza lasciarsi condizionare dalla differenza di altezza tra loro due.

“Deduco, dall’opulenza di questa stanza, che ci troviamo nella tua residenza.” Agitò il braccio a indicare ciò che la circondava. “Quindi dimmi, Sesshomaru, perché mi hai portato qui se il tuo unico obiettivo era incolparmi ancora di cose che sai essere false? Sono certa che sai anche perché mi trovavo in quel luogo e quanto non fosse dovuto a una mia scelta.”

Il dai-youkai sorrise, contento di quella reazione. Nonostante all’inizio fosse rimasto oltraggiato dal modo in cui lei gli aveva tenuto testa nei precedenti incontri, ora sapeva di apprezzarla di più così.

Se davvero gli Dei aveva deciso di unirlo a qualcuno senza chiedergli alcun permesso, allora preferiva che fosse una persona forte e caparbia: non aveva tempo da perdere dietro ai deboli.

“Mi prendi in giro ora?” lo incalzò ancora Rin, accortasi del sorriso.

“Affatto, notavo solo come nemmeno questo incidente ti abbia fatto passare la voglia di alzare la voce con me.”

Lei sbuffò. “Come potrei? Sono particolarmente interessata a farti scendere dal piedistallo di cui tanto ti vanti.” Incrociò le braccia e aspettò che le rispondesse.

“Vorresti che io scendessi dal mio… piedistallo?” Fu Sesshomaru a sbuffare. “Potrei contemplare l’idea di lasciarti accesso, ma se credi che mi abbasserò mai al livello dei deboli che mi circondano...” Quell’ipotesi non lo divertiva per nulla.

Rin scoppiò a ridere, abbandonando per la prima volta la posa. “Come mi concederesti l’onore se ancora ti ostini a non accettare quello che è chiaro come il sole? No, anzi, non rispondermi. Credevo che valesse la pena farti cambiare idea, dimostrarti quanto ti sbagliassi, ma a quanto pare ero io l’illusa.” Sperò che la delusione che le stava stringendo il cuore non fosse chiara nella sua voce, ma era sicura che si fosse incrinata almeno una volta e non era quella l’impressione che voleva dargli. Non poteva. “Se questa è la tua risposta definitiva, non credo di voler salire su quel piedistallo. Preferisco la vista da qua.” Gli diede le spalle e marciò verso l’uscita. “Ignora anche le mie precedenti domande; non mi interessa più sapere come sono arrivata in questo castello. Troverò la strada di casa da sola.”

Sesshomaru si irrigidì e assottigliò lo sguardo. Ora si stava spingendo troppo oltre. Credeva di poter avere ancora una volta l’ultima parola? Prima di poterla raggiungere e risponderle, però, qualcun altro interruppe il loro acceso dibattito.

Rin aveva la mano alzata verso la porta quando questa si aprì, rivelando un altro demone dai lunghi capelli d’argento, marchi blu sul volto, orecchie appuntite e occhi dorati. Credette di scorgere un lampo di rabbia attraversare questi ultimi mentre si posavano su Sesshomaru, ma prima di poterne avere la certezza cambiarono direzione e incontrarono i suoi. A quel punto non ebbe dubbi sul calore che emanavano insieme al sorriso accogliente che le porse.

Rimase per un attimo interdetta nel trovarselo di fronte – e anche senza fiato nel constatare la sua bellezza –, ma si riebbe e rifletté che poteva essere solo una persona: l’Inu-no-Taisho. Eppure, non ebbe modo di capire se il suo improvviso arrivo la spaventasse o sollevasse perché subito il demone prese la parola.

“Oh, andiamo già via?” le chiese con finta sorpresa – Rin era certa che avesse sentito le sue ultime battute. “Spero che potrai cambiare idea. Ero giunto proprio a chiederti di restare a cena.”

Dopo un attimo di esitazione, Rin gettò uno sguardo a Sesshomaru con la coda dell’occhio per osservarne la reazione; non sembrava estasiato dalla proposta del padre, semmai… disgustato.

Dovette sforzarsi per non sbuffare davanti all’ennesima prova del suo enorme ego. Una ragione in più per farle credere che il destino aveva voluto davvero testarla nel darle un’anima gemella come quella.

Intanto, però, quell’ultimo sviluppo poteva non essere poi così malvagio.

Certo, aveva appena dichiarato a Sesshomaru di essersi scocciata di quel suo atteggiamento e voleva fargli capire quanto fosse seria, ma suo padre le aveva dato la perfetta scusa per restare e non sembrare indecisa – anche se dentro di sé lo era davvero.

Sapeva quanto fatica le fossero costate quelle ultime parole, sapeva che non erano quelle che il suo cuore avrebbe voluto urlare. Perché lei, Rin, non voleva gettare la spugna, non voleva contemplare l’idea di vivere una vita normale, sposare un contadino e morire nel tentativo di mettere al mondo i suoi discendenti mentre le era stata la possibilità di amare Sesshomaru.

Ma doveva anche accettare la possibilità che lui non si facesse mai amare.

Era quest’ultima che le aveva fatto pronunciare quelle parole, ma le erano costate tanto.

Infine, comprendendo che non sarebbe potuta rimanere immobile in eterno, annuì in direzione dell’Inu-no-Taisho, il quale la gratificò con un sorriso più largo e sincero e comunicò loro che erano attesi a breve. Detto ciò, lanciò un’occhiata significativa al figlio e uscì.

Rin prese un grosso respiro, chiudendo gli occhi, e quando li riaprì vide lo sguardo duro di Sesshomaru puntato su di lei. Ma non aveva intenzione di lasciarlo ribattere, riaprire un discorso che per lei, al momento, era più che chiuso e quindi senza parlare lo abbandonò.

Forse era da codardi; dopo tutto, sapeva che non poteva scappare in eterno. Eppure, per quel giorno ne aveva avuto abbastanza e avrebbe dovuto mantenere quel briciolo di forza che le rimaneva per affrontare la cena, non sprecarlo in dibattiti vuoti.

Non sapeva cosa l’aspettava e si chiedeva anche se avesse fatto bene ad accettare, facendosi influenzare da quella scusa perfetta per non lasciare il castello e, di conseguenza, Sesshomaru.

 

 

 



N/A: Spero sia valsa la pena attendere una settimana in più per questo capitolo. Non esitate a dirmi cosa ne pensate nei commenti. 
 
Vi abbraccio e a presto ❤. 

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Capitolo 24
*** XXIII— Il piano ***


 

 

Capitolo XXIII: Il piano

 

 

 

“Sometimes the hardest thing and the right thing are the same”

All at once, The Fray

 


 

Quando giunse nella sala da pranzo, seguita a ruota da Sesshomaru, Rin sentì subito più di un paio di occhi addosso e dovette sforzarsi per non abbassare i suoi e apparire debole. Si ripeté che non era quella l’immagine che voleva dare né al demone dietro di lei né a quelli davanti.

Riconobbe il Generale seduto a capo tavola che le stava sorridendo amabile, indicandole di prendere posto dove preferiva, e accanto a lui un altro giovane che condivideva gli stessi tratti a parte per le orecchie canine. Aveva sentito delle voci che parlavano di un mezzo demone che abitava il castello, ma a causa della diffidenza dilagante non aveva avuto mai alcuna conferma. Eppure, data la somiglianza, dovette dedurre che l’Inu-no-Taisho aveva davvero avuto un figlio da una donna umana.

Deglutì, spostando lo sguardo per capire in fretta dove sedersi e non rimanere immobile al centro della stanza e solo allora notò la presenza di non una, ma ben due donne.

Entrambe le sorrisero, prive dello sguardo contemplativo e scontroso che le aveva rivolto l’hanyou.

Doveva pur significare qualcosa, si disse; magari loro capivano il suo stato d’animo.

Poi sentì Sesshomaru fermarsi dietro di lei, così vicino da sentire il calore che il suo corpo emanava, e capì di doversi dare una mossa.

Senza pensarci troppo, andò a sedersi accanto alla più giovane delle due e notò che la sua mano sinistra stringeva quella del mezzo demone. Per conforto o per trattenerlo, non seppe dire, ma fu l’ultimo tassello che le mancava per mettere a fuoco l’intera situazione.

Il padre e il fratello di Sesshomaru avevano entrambi trovato un’anima gemella, una umana – proprio come lei –, e dubitava fosse qualcosa di positivo per lui. Semmai, ragionò, doveva essere parte dei motivi per cui detestava tanto la loro razza.

Si sedette di fronte a lei, lasciando il posto accanto alla matrigna vuoto, e Rin incrociò il suo sguardo senza far trasparire i dubbi e le difficoltà che stava incontrando per essere in un luogo sconosciuto. Non si lasciò intimidire dalla sua espressione feroce né dagli occhi carichi di disapprovazione e quando ne ebbe abbastanza ruppe il contatto visivo, spostandolo verso il padre di lui e lasciandogli intendere – di nuovo – che non aveva bisogno del suo permesso per andarsene e lasciarlo appena avrebbe voluto.

“Siamo molto contenti di averti con noi stasera,” esordì Toga, “e spero vorrai fermarti più a lungo possibile. Da oggi, è come se questo castello fosse anche casa tua, e mi aspetto che mio figlio sia stato un padrone degno di questo nome finora.” Lanciò un’altra occhiata a Sesshomaru, una che faceva intendere quanto in realtà dubitasse di quell’ultima affermazione, soprattutto dati i toni della discussione che aveva interrotto poco prima.

E Rin non ebbe dubbi che, in altri occasioni, quel luogo sarebbe potuto essere proprio quello: una casa. Di sicuro più del villaggio che la ospitava e dei parenti che l’avevano presa in carico controvoglia alla morte dei suoi e che probabilmente erano sollevati dalla sua improvvisa scomparsa. Non dubitava che le altre due donne l’avrebbero accolta e condiviso con lei le proprie esperienze, che in Toga avrebbe trovato un secondo padre e che anche il mezzo demone nascondesse un animo più buono di quello che il broncio che indossava ora lasciava trapelare.

Tuttavia, il fulcro di tutto rimaneva Sesshomaru.

Quel castello non sarebbe mai diventato più che un temporaneo luogo di riposo se lui non avesse cominciato a vederla come un’eguale, a considerarla una persona al di là del suo sangue e, soprattutto, ad abbandonare le sue insulse idee razziali.

“Sesshomaru,” riprese il padre, “perché non fai le presentazioni?”

Interpellato, il demone spostò la sua furia verso il genitore, ma non apparve incline a far ciò che gli era stato chiesto.

Così, accettando il rischio di apparire maleducata e sfrontata, Rin si intromise. Si alzò in piedi e calando il capo in segno di rispetto si presentò: “Il mio nome è Rin, Signore. Sono nata e cresciuta in un villaggio di pescatori ad Est da qui. Devo la vita a suo figlio per avermi salvata, insieme alle mie compagne, da una banda di banditi. La prego di accettare le mie scuse per il mio improvviso arrivo in questo castello; non era mia intenzione arrecare alcun disturbo né approfitterò della sua accoglienza.” Finito il discorso, fece un secondo inchino, decisa ad aspettare un cenno da parte del Generale prima di azzardarsi a riprendere posto.

Se Sesshomaru voleva continuare quella farsa, Rin avrebbe fatto a modo suo. Non aveva bisogno di essere presentata o del suo permesso; aveva imparato a cavarsela da sola da tempo, e da sola sarebbe tornata al villaggio se necessario.

“Non c’è bisogno di essere così formali, Rin,” l’apostrofò Toga. “Senza dubbio sarà difficile per te all’inizio, ma vorremmo che tu ti sentissi a tuo agio. Conosco le circostanze dietro il tuo incontro con mio figlio e sarebbe un onore considerarti già parte della nostra famiglia. Così come abbiamo accolto Kagome tra noi non poco tempo fa,” accennò alla ragazza accanto a lei, “così sarà lo stesso per te. Se vorrai,” aggiunse alla fine.

“Perché invece di perderti in inutili convenevoli non vieni al dunque?” parlò infine Sesshomaru.

“Stava facendo quello che tu sei troppo pomposo per fare,” sbuffò Inuyasha, già stanco dell’atteggiamento del fratello. “Si potrebbe pensare che con la tua compagna ti comportassi per lo meno in modo diverso, ma solo chi ti conosce davvero sa che non c’è nulla che possa farti perdere questo atteggiamento altezzoso. Se le chiacchiere ti annoiano, puoi andar via; nessuno ti trattiene.”

“E vedo che tu non hai ancora imparato il tuo posto,” sibilò Sesshomaru.

Toga sospirò, non credendo ai suoi occhi – e alle sue orecchie – e Rin immaginò lo avesse fatto per darsi la forza di affrontare quella che ai suoi occhi sembrava una lite immatura tra fratelli.

Le sembrava di essere tornata indietro a un periodo dimenticato della sua vita, ma i suoi fratelli, all’epoca, erano molto più piccoli dei due demoni nella stanza.

“Rin, prima che questa cena possa trasformarsi in altro, credo sia giusto cominciare con le spiegazioni,” riprese Toga, il tono di voce abbastanza alto da sovrastare quello dei figli. Poi, davanti all’espressione interrogativa di lei, non perse tempo e le raccontò tutto ciò che era accaduto nelle ultime settimane, facendole capire in poche parole che ora che era coinvolta, non c’era modo per lei di tornare alla vita di prima.

Il tono del Generale era stato comprensivo e le era sembrato anche in parte dispiaciuto per averla indirettamente coinvolta in quella situazione, ma non le fu di alcuno conforto. Anche le parole più dolci non avrebbero potuto nascondere la verità e se prima si era sentita spaesata, ora in un certo senso era come se fosse intrappolata.

Aveva voluto lasciare Sesshomaru per fargli capire che non avrebbe accettato il suo atteggiamento se non avesse cominciato a considerare gli essere umani suoi eguali, lo avrebbe fatto anche se gli fosse costato uno sforzo immane. Ma dopo quel racconto, dopo aver saputo di quell’essere instabile e vendicativo di nome Naraku, si rendeva conto che in stallo non c’era solo il futuro della sua relazione con Sesshomaru, ma la sua stessa vita.

“Mi spiace tu ti sia ritrovata coinvolta senza scelta,” le disse Kagome gentilmente, riscuotendola, “ma volevo almeno farti sapere che non sei sola.”

Rin ricambiò il sorriso mentre con la coda dell’occhio cercava di seguire la reazione di Sesshomaru, capire i suoi pensieri sulla situazione. “Non ne hai avuta nemmeno tu, Kagome. Non hai scelto di diventare l’oggetto delle ossessioni di un pazzo. Non mi devi alcuna scusa.”

“Gli Dei sanno il fatto loro,” si intromise Inuyasha. “Rin, mi sembri una ragazza molto intelligente e forse è per questo che hanno deciso di legarti a Sesshomaru. In qualche modo bisognava compensare la sua mancanza di cervello.”

Suo malgrado, la ragazza scoppiò a ridere e con lei anche gli altri si lasciarono andare a qualche risatina, stemperando per un attimo la tensione che si respirava. “Io credo che sia intelligente a modo suo, ma per dimostrarlo dovrebbe smetterla di credere a preconcetti vecchi tanto quanto il mondo.” Lo disse incontrando ancora il suo sguardo, sperando che cogliesse il messaggio – credendo che ci fosse ancora una possibilità per lui.

Inuyasha sbuffò mentre il padre rimarcava la necessità di agire al più presto.

“Domani finiranno i tre giorni di tempo che Naraku ci ha concesso,” ricordò Kagome, facendo riferimento all’uomo che aveva riportato le minacce del mezzo demone.

“Kagome, non crederai ancora a quel messaggio? Naraku ci ha attaccato a meno di un giorno dall’avvertimento. E poi da come dice papà, quando è scappato con la coda tra le gambe non era in condizioni di combattere. Sono passate a malapena delle ore; per domani non sarà guarito.”

“Ciò non vuol dire che non possiamo giocarcela a nostro favore,” continuò lei imperterrita.

“Cosa hai in mente?” le chiese Toga, che a quel punto era aperto ad ascoltare qualsiasi idea.

“Beh, a lui interesso io, no?”

Inuyasha capì immediatamente. “Cosa? Sei pazza. Ti sei dimenticata cos’è successo l’ultima volta che sei stata da sola con lui? Non esiste!” Le risolve uno sguardo carico di rabbia, come se ce l’avesse con lei per aver solo azzardato una proposta simile, ma Kagome non vacillò.

“Almeno fammi finire di spiegare, credo che potrebbe funzionare. L’ultima volta siamo stati presi in contropiede, la prossima, invece, avremo il fattore sorpresa dalla nostra. E io non starò da sola con lui. Non ci tengo per nulla, se proprio vuoi saperlo,” ribatté la fidanzata rimandandogli indietro uno sguardo altrettanto carico.

Sesshomaru sorrise contemplativo mentre la cena prendeva una piega inaspettata. “Se non vuoi, fratellino, potrei offrimi io di accompagnarla al tuo posto.”

Rin trattenne il fiato insieme a Izayoi per la velocità con cui Sesshomaru si era detto concorde, ma prima ancora che Toga o Inuyasha potessero ribattere, fu Kagome a parlare. Era la prima volta che guardava davvero Sesshomaru negli occhi da quel giorno – e la prima in cui il coraggio non le mancava. Era da un po’ che si era detta di cominciare a fare la sua parte, smetterla di trovarsi in situazioni in cui doveva essere salvata, perché voleva guadagnarsi quella vittoria quando sarebbe arrivata.

Così, stupendo anche se stessa, con un tono tagliente e sardonico gli rispose: “Oh, non ce ne sarà bisogno, Sesshomaru. Dopo tutto, sono certa che Naraku ha cambiato abitazione dall’ultima volta e non vorremmo che tu ti perdessi per fare un piacere a tuo fratello.”

“Insisto,” continuò lui. “Dopo tutto, ora potrai sentirti al sicuro con l’appoggio della tua famiglia, ma non vorremmo che ti spaventassi una volta rimasta sola.”

A nessuno sfuggì l’insulto poco velato e l’intento di sminuire la sacerdotessa, ma in risposta quest’ultima sbuffò.

“Il tuo perfetto udito ha smesso di funzionare per caso? Mi sembrava di aver detto che non sarò sola.” Si voltò verso Inuyasha. “L’ho detto, vero?” chiese per conferma, alzando la mano a tirargli scherzosamente un orecchio.

Inuyasha, che si stava godendo lo spettacolo, scoppiò a ridere. “Oh, certo che l’hai detto. Ma a quanto pare la vecchiaia gli sta tirando dei brutti scherzi.” Si sporse oltre Kagome per incrociare lo sguardo di Rin, che pure aveva un sorriso divertito sulle labbra. “Sei certa di volerti legare a un vecchietto come lui? Perché altrimenti potrei presentarti qualche giovane più nelle tue corde.”

Un ringhio proveniente dalla parte opposta del lungo tavolo lo interruppe. Inuyasha alzò il viso per incontrare l’espressione feroce di Sesshomaru e ghignò in risposta. Pensò che l’improvvisa comparsa di Rin nelle loro vite avrebbe potuto fargli comodo; era anche ora che Sesshomaru capisse come andava il mondo per tutti.

Così, ignorando il sopracciglio alzato del padre – che pure aveva seguito tutto lo scambio e di certo aveva fatto le stesse osservazioni – si fece indietro, riaggiustandosi con un’espressione rilassata, dimenticando anche la proposta che Kagome aveva avallato solo pochi minuti prima.

Il divertimento duro poco però, perché Kagome sembrava intenzionata a spiegare meglio il suo piano.

“Da quel che ho potuto vedere, Naraku è convinto davvero che io sia vittima di un vostro inganno, di trovarmi qui contro la mia volontà e in questa ottica, ogni cosa che sta facendo è volta a riportarmi da lui e unirmi a lui come avevamo concordato quando era ancora umano.” Rabbrividì a quel pensiero.

“Da quel che io ho potuto vedere, quel tipo è ossessionato e in questi casi, non ne esce mai nulla di buono,” sottolineò Inuyasha ribadendo il suo dissenso.

“Non stai vedendo la cosa dal mio stesso lato, Inuyasha. Lui crede che io rimanga qui contro la mia volontà, che sono stata plagiata… se tornassi da lui entro domani, apparentemente sola, potrebbe non comprendere la trappola.”

“Oppure, potrebbe approfittare della tua mossa scellerata e finire quello che ha iniziato la volta scorsa!” ruggì ancora Inuyasha.

“Credi che io sia tanto stupida da andare da lui impreparata? Secondo te perché ne sto parlando qui davanti a tutti? Possiamo organizzare un piano, coglierlo impreparato quando è ancora debole e porre fine alla sua vita una volta per tutte!” Anche Kagome alzò la voce, in parte ferita dalla mancanza di fiducia che Inuyasha le stava dimostrando.

Pur comprendendo perché non si dicesse d’accordo e i pericoli che un piano del genere comportavano, voleva dimostrare di essere in grado di cavarsela, avere la sua parte nella distruzione di quell’essere che aveva stravolto le loro vite e lasciato la sua famiglia senza una casa.

“Procediamo con calma,” li interruppe Toga. “Inuyasha, nessuno ha detto che Kagome deve fare da esca. Ho chiesto io di ascoltarvi, ma ciò non significa che faremo per forza in questo modo. Per ora, posso solo concordare che sarebbe saggio approfittare di queste convinzioni di Naraku, continuare a fargli credere che Kagome stia dalla sua, non dalla nostra.”

“Sì, e come pensi di fare? Quel suo piano fa acqua da tutte le parti,” sbuffò Inuyasha agitando le braccia. “Mi sta bene approfittare di tutto quel che volete, ma non a sue spese. Mi accusate di essere sempre avventato e ora chi è che lo è proponendo una cosa del genere?”

“Almeno io ho avuto un’idea!” Kagome stava cominciando a scocciarsi. “Non ho intenzione di restare ferma qui mentre Naraku ha tutto il tempo di pensare al prossimo piano che ci metterà in difficoltà o al prossimo modo per tentare di uccidere una di noi!”

“Nessuno vuole mettere a repentaglio la salute di Kagome, Inuyasha,” lo rassicurò Toga cercando di ritrovare un po’ di calma, ma senza ottenere grandi risultati. “Se anche finissimo per accettare qualcosa di simile, la sua sicurezza sarebbe la priorità.”

Le loro voci si stavano sovrapponendo, il mezzo demone e la sacerdotessa stavano litigando, non si era arrivato a nessun punto di incontro e la cena era nemmeno iniziata. Toga non aveva idea di come avrebbero resistito fino alla sua fine.

“Vedo che tutto sta andando secondo i tuoi piani, padre,” ironizzò Sesshomaru che aveva seguito tutto con uno sguardo freddo. “È per assistere a questa sceneggiata che ci hai fatto venire? O devo aspettarmi anche un altro dei tuoi sermoni inutili?”

Le orecchie di Inuyasha si agitarono sul capo e per un attimo, lasciò perdere la discussione con la fidanzata. “Per lo meno noi stiamo cercando di fare qualcosa. Tu, invece, Sesshomaru? Te ne starai lì impalato a darti arie, agendo solo quando ti fa più comodo o intromettendoti sul più bello per dimostrare a tutti che sei il più forte? O forse sei troppo impegnato a ripeterti che nulla è cambiato e che Rin non è nessuno? Giusto? Tu sei un dai-youkai, non hai bisogno di anime gemelle o compagne, tanto meno un’umana.”

“Non parlare di cose che non capisci, mezzo demone,” sibilò il fratellastro. “Continua a farti comandare da quella donna e lascia ai grandi certi discorsi.”

“Mezzo demone.” Inuyasha si voltò di nuovo verso Rin. “Lo sai che ogni vostro figlio sarebbe un mezzo demone, no? Beh, semmai vorrai permettere a quel pomposo di toccarti, tieni bene a mente che qualsiasi bambino nascerà dalla vostra unione verrà ripudiato dal padre a causa del suo sangue sporco, quello che gli passerai tu in quanto umana.”

“Inuyasha!” A parlare era stata Izayoi, scandalizzata dalle parole che gli avevano appena lasciato la bocca.

“Ho detto solo la verità e lo sai bene, mamma, visto che sono le stesse che il qui presente Sesshomaru ha rivolto a te più di una volta. Perché non dovrebbero valere anche per Rin? È umana proprio come te, e semmai avranno figli saranno mezzo demoni proprio come me. Le ho solo fatto un favore rivelandole tutto ora e non quando si troverà ad accudire un marmocchio senza il padre.”

“Ciò non toglie che non era compito tuo farlo,” si intromise Kagome che accanto a Rin poteva sentirla chiaramente tremare, vedere il pallore del suo viso.

“Ora basta!” urlò Toga, annoiato da quella messa in scena, prima che del sangue venisse versato. E dagli occhi rossi di Sesshomaru capì che gli mancava poco per perdere le staffe; era stupito, anzi, che avesse resistito così a lungo senza attaccare Inuyasha. Si alzò in piedi, troneggiando su di loro, e lanciò dardi ad entrambi i figli, intimando loro il silenzio. “Mi rendo conto di essermi illuso a credere che una cena del genere sarebbe potuta andare liscia, ma non siete dei poppanti, comportatevi come gli adulti che dite di essere.” Si voltò verso Inuyasha. “Non lasceremo che Kagome si immoli per la causa e se l’avessi lasciata parlare forse saremmo potuti arrivare almeno a una prima conclusione. E per quanto tuo fratello abbia sbagliato, non era compito tuo dire quelle cose crudeli. Ciò che accaduto tra lui e tua madre in passato non sono affari tuoi.”

Inuyasha aprì bocca per dissentire, facendo per alzarsi, ma Toga lo immobilizzò sul posto con uno sguardo. “Ora accompagna Kagome e Rin nelle loro stanze.” Quando non lo vide muoversi ripeté: “Ora ho detto.”

“Sì, padre,” gli rispose, digrignando i denti. Nei suoi occhi, Toga non ebbe problemi a leggere la delusione; immaginava quanto potesse sentirsi tradito, ma avrebbe avuto tempo per spiegargli le sue ragioni in seguito.

Anche Rin, ancora scossa, si alzò, non riuscendo a credere alle parole che le erano state dette, all’idea che Sesshomaru le avesse mai rivolte a Izayoi.

Quando i tre ebbero lasciato la stanza, anche Sesshomaru fece per andarsene così da poter raggiungere la ragazza, ma Toga lo fermò come aveva fatto con Inuyasha. Sesshomaru però lo ignorò e dandogli le spalle si avviò a passi lunghi verso la porta.

“Per quanto tu faccia finta che la situazione sia diversa, tuo fratello non ha torto. Rin non è diversa da Izayoi e anche se hai accettato il vostro legame e i tuoi sentimenti per lei – qualunque essi siano al momento – nulla cambierà se continuerai a considerare tuo fratello e la tua matrigna come esseri inferiori. Né lei ti accetterà mai; l’hai sentita anche tu stasera.”

Pur non ricevendo alcuna risposta da Sesshomaru, sapeva che le sue parole avevano colto il segno. Infine, quando sparì anche lui, si lasciò cadere sulla sedia, sospirando mentre la compagna allungava la mano per stringere la sua.

 

 

*

 

 

Quella sera, camminare lungo corridoi percorsi per raggiungere la sala da pranzo non fu cosa semplice.

Nessuno parlò e il silenzio era opprimente.

Rin era ancora scioccata da ciò che le era stato detto, anche se non avrebbe dovuto siccome aveva sempre saputo che Sesshomaru non era una brava persona. Eppure, non capiva come riusciva a fare la differenza tra lei e Izayoi e, soprattutto, quando avrebbe smesso. Era sicura, infatti, che qualcuno che pensava quelle cose avrebbe cominciato a odiare anche lei, prima o poi.

Accanto a lei, Kagome continuava a osservare il suo viso pallido, comprendendo parte del suo dilemma, chiedendosi se davvero ci fosse una possibilità per Sesshomaru. Non sapeva nemmeno lui cosa stava facendo, come potevano pretendere loro di capirlo? Poteva solo guardare e sperare che presto avrebbe capito cosa gli era stato affidato dal destino – qualcosa che Kagome non era certa meritasse; non meritava Rin, non se rimaneva lo stesso demone senza cuore che aveva incontrato quel fatidico giorno.

Non che la sua anima gemella fosse una persona facile, anzi.

Alcuni giorni era davvero difficile interagire con Inuyasha e lei ne aveva appena avuto un altro esempio.

Camminava davanti a loro, scortandole e dando loro una buona immagine delle sue rigidi e larghe spalle, della rabbia e del tradimento che provenivano a ondate da lui, e anche se non poteva vedergli il viso, Kagome era certa della sua espressione accigliata.

Ma lo aveva anticipato, sapeva dall’inizio che Inuyasha avrebbe reagito in quel modo: era estremamente protettivo nei suoi confronti, ancor di più dopo il suo rapimento, ma ciò a volte offuscava il suo giudizio.

Ciò che non aveva anticipato, tuttavia, era il sentirsi così ferita dalla sua mancanza di fiducia in lei. Aveva sperato che la lasciasse spiegare, per fargli capire perché aveva escogitato quel piano. Invece, non l’aveva nemmeno fatta finire, presumendo che si stava comportando in modo irrazionale e avventato.

La faceva arrabbiare – e la deludeva.

Oh, aveva intenzione di dirgliene due; non lo avrebbe dimenticato.

Infine, dopo essersi accertati che Rin stesse bene da sola, raggiunsero la stanza di Kagome e la tensione aumentò, forse perché rimasero al centro e in silenzio, nessuno dei due inclini ad avere la prima parola.

Fu Kagome poi a parlare per prima, con parole che era certa avrebbero ottenuto una reazione da parte di Inuyasha. “Se non hai intenzione di ascoltarmi, domani mattina ne discuterò con tuo padre. Almeno lui sembra disponibile a studiare un piano senza saltare a conclusioni affrettate. Se pensi che-”

Lui scoppiò a ridere, quasi maniacale, interrompendola. “Ah, sì, il mio caro vecchio papà,” sputò, la voce che indicava quanto si sentisse tradito. “Non sembrava vederci nulla di male nel rimandarti da Naraku, no?”

“Le tue orecchie devono avere lo stesso problema di quelle di Sesshomaru, presumo,” rispose Kagome, roteando gli occhi. “Visto che non ha detto nulla del genere.”

Inuyasha sbuffò. “Non ti ha comunque fermato quando hai sparato cose senza senso.”

“Perché è più intelligente di te e sempre disponibile ad ascoltare e organizzare un piano insieme. Non vuole fare il prepotente, decidere da solo cos’è meglio per me!”

“Ora sono anche prepotente, è vero?” Assottigliò lo sguardo. “Scusami tanto se non voglio che un viscido e violento si avvicini alla mia fidanzata dopo che ha già provato a stuprarla! Scusami tanto se sto provando a proteggerti visto che da quando sei tornata non sei più te stessa!”

Lei trattenne il fiato. “Credi che sia così stupida da non poter ragionare?”

“Se suggerisci qualcosa del genere, allora sì, lo credo!” Replicò senza esitazione.

“E ovviamente la tua miglior risposta è tenermi in una gabbia dorata dove puoi controllare che non faccia altro, decidendo per me cosa mi è permesso fare per la mia stessa sicurezza. Molto maturo da parte tua; immagino tu non sia tanto diverso da Sesshomaru in questo.” Scrollò le spalle, dandogli la schiena.

Inuyasha si infuriò, prendendola leggermente per le braccia e facendola voltare di nuovo verso di lui. “Questo è ciò che ottengo preoccupandomi per te? Essere chiamato uno stronzo come quel razzista?”

Lei deglutì, vedendo nei suoi occhi quanto ne fosse ferito, ma pur sempre risoluta. Doveva vedere che non si stava comportando bene nei suoi confronti.

“Potresti preoccuparti in tanti altri modi, senza essere prepotente o ignorando i miei tentativi di prendere parte in questa battaglia. Non sono la ragazzina debole che attende il suo cavaliere per essere salvata; sono stata addestrata per essere un guerriero. E cosa ho fatto finora? Cosa? Miroku ha portato qui Kaede per finire il mio apprendistato ma poi, non appena le mie abilità possono essere utili, è il primo a suggerirmi di nascondermi. E tu non stai facendo di meglio, Inuyasha. Voglio combattere, distruggere Naraku tanto quanto lo vuoi tu. Non sono debole,” ripeté, nervosa, arrabbiata e ferita, così tanto da cominciare a piangere nelle mani. “Lasciami provare che posso stare accanto a te, non dietro.”

D’improvviso, Inuyasha perse tutta la sua combattività, colpito dalle sue lacrime e dal sentimento nella sua voce. Non si era accorta che lei pensasse quello di lui e non poteva sopportarlo; non aveva mai voluto farle credere che stesse provando a tenerla in una bolla o a proibirle di essere se stessa. Certo, desiderava che non fosse mai in pericolo, ed era per questo che insisteva così tanto nel non lasciarla andare da Naraku. Eppure, allo stesso tempo, credeva in lei e nelle sue capacità.

Immaginò di non averlo dimostrato molto, allora, non se lei credeva quelle cose che aveva appena detto, ed era ciò che lo aveva colpito di più, ciò che lo stava facendo tornare sui suoi passi.

“Non piangere,” sussurrò, muovendo con cautela le dita verso il suo viso ma poi fermandole a mezz’aria. “Non piangere,” ripeté, non sopportando l’odore delle sue lacrime o l’idea di esserne la causa.

Kagome lo guardò attraverso le mani aperte, abbassandole leggermente. “Devo piangere,” ribadì, tra il pianto e un grido. “Devo piangere perché il mio fidanzato è un idiota!”

Lui rise, nervoso. “Sì, lo sono, sono un idiota, ma puoi biasimarmi?” Fece un altro passo avanti e finalmente le afferrò le mani per abbassarle del tutto e scoprirle il volto. “Puoi immaginare come mi sento all’idea di un mondo senza te? Me lo sento dentro, Kagome… se il peggio accadesse…”

“Non incolpo le tue paure, Inuyasha; sono spaventata anch’io. Ho paura di perdere ogni cosa che abbiamo costruito insieme finora e tutto ciò che abbiamo aspettato tanto di fare. Ma non sopporto più quest’attesa, non posso permettergli di avere un tale peso nella nostra vita. Ti incolpo per la tua mancanza di fiducia in me dopo tutto quello che abbiamo passato!”

Lacrime di rabbia e dolore le rigavano le guance e spezzarono il cuore di Inuyasha in un modo che non aveva creduto possibile. Le prese il viso a coppa e avvicinò le loro fronti, lasciando che la sensazione della sua pelle sotto le sue dita lo calmasse e che il suo respiro caldo lo avvolgesse. “Ti amo, Kagome, ma amo la donna forte che sei di più. Non devi provare niente al mondo, non devi farlo scegliendo la via più avventata.”

“Sei uno stupido, Inuyasha,” rise senza alcun divertimento.

“Pensavo lo avessimo già stabilito.”

“E lo dirò ancora e ancora se necessario. Sei uno stupido se pensi che mi consegnerei a lui così ciecamente. Sei ancora più stupido di Sesshomaru.”

“Non paragonarmi a lui. Ancora meglio, non fare il suo nome quando stiamo discutendo cose del genere!”

“Devo invece,” lo contraddisse. “Ti ho chiesto una cosa quando eravamo ancora a cena; ti ho chiesto se avevo, infatti, detto che sarei andata da Naraku da sola. E cosa hai risposto?”

Sorrise timido.

“Sì, avanti, sorridi quanto vuoi. A chi credi che mi stessi riferendo? Cosa credi che stessi implicando? Tu, stupido, tu!” sottolineò colpendolo al petto con un dito. “Parlavo di te tutto il tempo. Mi fido di te e so che mi terrai al sicuro se dovesse essercene bisogno, che resterai al mio fianco e mi darai una mano. So che mi guarderai le spalle così che non dovrò temere che un viscido demone diventi ancora più psicopatico. Voglio che tu venga con me,” concluse senza distogliere lo sguardo anche solo una volta.

“Volevi che venissi con te?” le chiese con voce sottile, non credendo alle sue orecchie.

Lei alzò gli occhi al cielo nel vedere quel sorriso stupido sulle sue labbra, la nuova luce nei suoi occhi e le sue spalle raddrizzarsi come se un grosso peso fosse stato appena rimosso. Gli aveva ripetuto quel concetto più e più volte negli ultimi cinque minuti, ma che importava? Se aveva bisogno di rassicurazioni, gliene avrebbe date sempre se glielo avesse chiesto.

“No, Inuyasha, non volevo, voglio che tu venga con me, e so che, anche se sei tu quello più avventato in questa coppia, sarai abbastanza intelligente da non farti scoprire nel bel mezzo del nostro piano. E tu ti fiderai di me, credendomi capace di restare al sicuro e coscienziosa anche quando i tuoi occhi non potranno vedermi,” gli disse con tenerezza, alzando le mani per accarezzargli le orecchie mentre Inuyasha abbassava la bocca verso la sua.

“Mi dispiace averti fatto pensare che dubitassi di te. Non volevo farti piangere.”

Kagome scosse la testa. “Ti conosco, Inuyasha, e so che non sarà sempre semplice, ma ciò non cambia i miei sentimenti per te.”

Allora la baciò con prepotenza, non sopportando più la distanza tra loro; gemette nella sua bocca quando lei rispose premendo le labbra contro le sue e toccandogli ancora le orecchie; provò a fondere i loro corpi mentre la sua lingua cercava quella di lei e i loro respiri si mischiavano. Eppure, quando l’aria si fece più calda e il controllo cominciò a mancargli, ruppe il bacio.

La voleva; diamine quanto la voleva. E ascoltando le sue dolci rassicurazioni, il modo in cui confermava il suo amore per lui, gli faceva quasi venire voglia di mandare all’aria ogni precauzione.

Ma non era un ingenuo e, ancora più importante, sapeva che non era il momento giusto. Quindi si accontentò di qualche altro bacio, di sentirla tra le sue braccia, della sua risposta e di quel suo dolce odore.

La guardò nei suoi occhi scuri e vi lesse comprensione, quindi la baciò un’ultima volta prima che si abbandonassero a quel confortevole silenzio, stretti in un abbraccio.

Nel frattempo, appena fuori la porta, un altro demone si lasciava andare a un sospiro di sollievo.

Toga aveva voluto spiegare le sue ragioni al figlio, fargli capire ogni cosa, ma era sollevato che tutto fosse andato bene anche senza il suo intervento.

Era abbastanza per ora, e Inuyasha e Kagome stavano bene anche da soli.


 



N/A: Non sono bellissimi Inuyasha e Kagome? 🥺❤. 

Comunque, prima che vi chiedate se ho dimenticato qualcosa, ovviamente il piano a cui fa riferimento il titolo è stato solo accennato, quindi dovete aspettare per avere qualche dettaglio in più. 

Vi ringrazio per essere arrivati fin qui, perché continuate a leggere e un grazie speciale a coloro che continuano a lasciarmi parole carinissime per incoraggiarmi: siete un po' come la benzina per la mia macchina, ma visto che non guido, forse è meglio cambiare paragone. 
Siete come il caffé che sto andando a prendere per far carburare il resto di questa giornata. 

Tanti, tanti baci ❤. 

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Capitolo 25
*** XXIV — La fuga ***


 

 

 

Capitolo XXIV: La fuga

 

 

 

“Intuiva di varcare solo adesso la soglia della vera età adulta, di mettere piede in un territorio in cui soltanto il risultato decideva dell’uomo, non la sua buona volontà e nemmeno i suoi sforzi, se restavano inadeguati.”

Il cielo diviso, Christa Wolf

 

 

 

“E come faremo a trovarlo?” esordì Inuyasha il mattino dopo, l’umore opposto a quello della sera prima. Se Toga non avesse ascoltato la fine della discussione con Kagome, si sarebbe stupito di quel cambiamento così repentino. “Non vuole farsi trovare, ciò vuol dire che nemmeno Kagome sarà in grado di raggiungerlo.”

“Pensi che sia andato a nascondersi senza preoccuparsi di ciò che accade dal nostro lato? Che crede di ricomparire tra qualche settimana con il piano perfetto pur non avendo mantenuto un occhio su ciò che accade? Sarò anche stato il primo a definirlo un ingenuo per certi versi, ma non così tanto. Ti posso garantire, infatti, che Naraku non ha mai smesso di tenerci sotto controllo,” asserì Toga, più tranquillo di quel che la situazione richiedeva.

“Rin,” continuò Inuyasha, comprendendo all’istante dove il padre volesse andare a parare. “Ha scoperto di Rin spiando Sesshomaru che non era nemmeno il suo obiettivo principale, e se stava spiando lui…”

L’Inu-no-Taisho annuì. “Non possiamo sapere come lo stia facendo, ma sono certo che lo scopriremmo se Kagome uscisse allo scoperto, al di fuori da queste mura.”

“Tutto ciò non mi tranquillizza affatto,” continuò Inuyasha.

“Lo so,” concordò il padre, “ma ho la massima fiducia in te e Kagome. E prima di partire, faremo in modo di preparare un piano senza falle.”

“Contate su di me, signorino Inuyasha,” arrivò una vocina stridula dalla spalla del padre. “Da questa parte faremo di tutto per aiutarla.”

“A questo proposito,” riprese Toga, sorridente, gettando un occhio al fedele vassallo, una piccolissima pulce che aveva il vizio di scappare da ogni situazione che si presentava anche minimamente pericolosa. “Ho giusto il compito perfetto per te, Myoga.”

Myoga incrociò le due paia di braccia e socchiuse gli occhi.

“Se vogliamo che il piano funzioni, dovremo essere pronti anche noi a scendere in campo non appena avremo scoperto il rifugio di Naraku. Non possiamo lasciare che se ne occupino solo Inuyasha e Kagome. Dunque, abbiamo bisogno di un messaggero veloce e che non dia nell’occhio.”

A quel punto, avendo capito dove il padrone volesse arrivare, la pulce cominciò a indietreggiare. “Sono c-certo che non avrete problemi a trovarlo.”

“Infatti,” sorrise Inuyasha, avvicinandosi. “Dopo tutto, qualcuno qui ha appena detto che avrebbe fatto di tutto per aiutarmi, no?”

“Ben detto, figliolo. Ed è per questo che ho pensato proprio a te, Myoga. Con la tua esperienza, sono certo che non avrai problemi. Viaggerai con Inuyasha e una volta scoperto il luogo in cui è nascosto Naraku, tornerai qui per comunicarmelo.”

“Ma, p-padrone, ne è sicuro? Io non sono altro che un debole demone, se dovesse accadermi qualcosa non potrei giungere qui a informarvi,” provò Myoga, allacciandosi un piccolo sacchetto al collo e preparandosi alla fuga.

Inuyasha allungò la mano e l’ho afferrò tra due dita nel momento stesso in cui fece per saltare. “Vai da qualche parte?”

“N-no. Io… io stavo andando a procurarmi l’occorrente per la missione, signorino.”

“Non ci sarà bisogno, Myoga, avremo bisogno solo della tua presenza,” lo rassicurò Toga. “E sai cosa succederà se provassi a scappare nel mentre, vero?” Lo guardò minaccioso, aumentando l’aura demoniaca intorno a sé e ricordandogli chi fosse il più forte dei due – non che ce ne fosse stato davvero bisogno. Lo vide deglutire, immobilizzato com’era tra il pollice e l’indice di Inuyasha che lo stavano stritolando, e continuò: “Se proverai a scappare, ti lascerò alla mercé di Sesshomaru. E sai benissimo che potresti nasconderti anche nell’angolo più remoto del Giappone, ma io troverei sempre. Ma non ce ne sarà bisogno, vero, Myoga?”

A quel punto, visto che aveva smesso di agitarsi, Inuyasha lo lasciò cadere di nuovo sulla spalla del padre e Myoga si prostrò in direzione dell’Inu-no-Taisho.

“Non potrei mai, mio signore.”

“Molto bene, discuteremo il resto del piano quando sarà presente anche Kagome,” concluse prima di congedarlo. “Ma ricorda ancora, Myoga, che Inuyasha mi riferirà ogni cosa e che ti conosco meglio dei miei figli.”

 

*

 

Prese un grosso respiro, incoccò un’altra freccia e tirò, poi un’altra e un’altra ancora a una velocità invidiabile. Ognuna di queste, così come tutte le altre mirate al bersaglio, erano state infuse con abbastanza forza spirituale da far sì che dopo diverse ore di allenamento Kagome si sentisse sfiancata.

Si rese conto di aver esagerato e che, a così poco dalla partenza, non poteva permettersi di esaurire troppa energia, così lasciò andare l’arco, rimosse le protezioni e si lasciò cadere a terra, senza fiato.

Si stava asciugando la fronte madida di sudore e spostando un paio di ciuffi che erano scappati dalla coda in cui li aveva legati quando sentì un suono di passi familiari dietro di lei.

“Rispetto a quando abbiamo iniziato ti sei fatta davvero molto veloce, ragazza,” l’apostrofò la sua mentore.

Kagome alzò lo sguardo su Kaede e subito dopo si rimise in piedi, raccogliendo l’attrezzatura a terra. L’anziana sacerdotessa, però, la interruppe.

“Lascia pure stare. Piuttosto, accompagneresti questa vecchia a fare una passeggiata? C’è un sole che vale la pena godersi invece di restare chiusi in questa stanza.” Poi, senza aspettare risposta, si incamminò.

Kagome la seguì senza fiatare e per qualche minuto le due presero un sentiero percorso mille altre volte da quando il loro rapporto di maestra e allieva era iniziato. Di solito, infatti, Kaede cominciava ogni sua lezione con una passeggiata a cui faceva seguire la meditazione per far sì che Kagome fosse concentrata al massimo prima di lavorare.

E qualcosa che le diceva che anche adesso Kaede stava per impartirle un’altra lezione.

“Come stavo dicendo,” ricominciò poco dopo, “hai acquisito una destrezza e una velocità che ti saranno molto utili in battaglia.”

“Grazie, Kaede-sama.”

“Allo stesso tempo, non serviranno a molto se perdi il controllo come hai fatto poco fa.” Kagome fece per replicare, ma Kaede non glielo permise. “Certo, sei stata molto veloce, ma l’ansia che ti attanaglia ha influito sia sulla tua precisione che sul modo in cui hai infuso il tuo potere nelle frecce. E se succede mentre stai combattendo, a cosa sarà servito aver imparato a tenere sotto controllo quello che ti fluisce dentro?”

La giovane strinse i denti e i pugni, ferita non tanto dalle parole della mentore, ma dalla consapevolezza che fosse tutto corretto: non era riuscita a essere precisa come avrebbe voluto e anche se ogni tiro si era avvicinato molto al bersaglio, non era sufficiente, non se c’era la sua vita in ballo.

“Capisco cosa possa passarti per la testa in questo momento, ma ricorda che hai già tutti gli strumenti necessari per evitare che l’ansia ti impedisca di dare il tuo meglio.” La guardò con un cipiglio serio e nonostante la gravità del discorso, Kagome sapeva che il suo era un incoraggiamento.

Quando annuì per farle capire che aveva colto il significato delle sue parole, Kaede le sorrise, più serena. “Bene. E dimmi, ti ha aiutato esercitarti stamattina?”

In risposta, Kagome si abbandonò a un sospiro di sollievo. “Molto. È come se ad ogni freccia scoccata una parte della tensione che mi opprimeva scivolasse via. So che non c’è da essere tranquilli, ma come hai ben detto, Kaede-sama, ho tutti gli strumenti a mia disposizione per essere più sicura e precisa quando arriverà il momento.”

Kaede si fermò a guardarla, prima di darle un buffetto sulla mano e annuire. “Forse è anche per questo che i tuoi tiri non erano perfetti,” rifletté, “forse quella tensione li ha rallentati, ma non è mia intenzione giudicarti. Anzi, è servito a farti sentire più leggera. Tuttavia, era mio dovere ricordarti certe cose.”

“E mi ha aiutato molto,” la rassicurò Kagome.

“Però, non dimenticare che che hai anche un ultimo asso nella manica,” le disse ricominciando a camminare.

Dietro di lei, Kagome impiegò qualche secondo in più a seguirla. “Ma sono riuscita a usare quella tecnica solo una volta, non l’ho padroneggiata e non so nemmeno se sarei in grado di sfruttarla di nuovo.”

“Sciocchezze. Non è questo il momento di dubitare delle proprie capacità. Se non ne fossi stata capace non ci saresti riuscita nemmeno una volta, e se ho deciso di insegnartela è perché ero sicura che ne fossi in grado. Te l’ho già detto prima di cominciare quella lezione.”

“Lo so, ma potrei ritrovarmi in difficoltà e-”

“Kagome!” Il tono autoritario bloccò la ragazza che aveva appena ripreso a camminare. “Non contraddirmi se ti dico che non avrai problemi e che capirai da te quando usarla al momento giusto.”

Kagome si morse le labbra per non ribadire che era un’indicazione molto vaga, ma conosceva abbastanza Kaede da sapere che non avrebbe ottenuto di più, quindi si limitò ad annuire.

La maestra non ebbe problemi a leggere il dubbio che ancora la perseguitava.

“Giovani,” bofonchiò, “cercate sempre di ribattere, ma dimenticate quanto peso hanno l’esperienza e la saggezza nella vita di tutti i giorni. Noi vecchi siamo al mondo da più tempo per un motivo,” concluse, prima di allungare il passo e lasciarla dietro, la lezione ormai conclusa.

Non aveva dubbi che quanto detto sarebbe stato assimilato senza problemi dall’allieva e che non l’avrebbe delusa, scoprendo da sé le sue vere capacità, quelle che solo nei momenti più critici sarebbero fuoriuscite.


 

*

 

 

Ore dopo, tutto era pronto per la partenza, e Toga stava ripetendo loro alcune raccomandazioni.

“Non voglio che facciate nulla di avventato.” Concentrò il proprio sguardo su Inuyasha, il quale sta fremendo tra l’ansia e la voglia di fare a pezzi Naraku. “Kagome, tu dovrai starei maggiormente attenta, lo sai, ma non dovrai in alcun modo ingaggiare uno scontro con Naraku a meno che non sia impossibile evitarlo. Solo – e sottolineo solo – in quel caso, Inuyasha dovrà venirti in aiuto. Lui verrà con te per assicurarsi che non ti accada nulla, e tu dovrai temporeggiare non appena avrai scoperto il luogo in cui si nasconde. A quel punto sarà fondamentale la parte di Myoga.”

La pulce, sulla spalla della sacerdotessa, affondò nella sua chioma per nascondersi dalle occhiate minacciose dei due demoni.

“Sarai veloce e verrai qui immediatamente, così che noi potremmo raggiungervi e cominciare l’ultimo scontro.”

Tutti annuirono.

“So benissimo che tante cose potrebbero andare storte, che muoversi di fretta non è sempre la scelta migliore, ma questa è quella abbiamo adesso e dobbiamo sfruttarla. Quindi facciamo in modo che vada tutto come abbiamo previsto così che presto si possano organizzare queste nozze!”

“Papà,” lo richiamò Inuyasha, oltraggiato. “Ti sembra il caso?”

Toga lo colpì sulle spalle, ridendo. “Beh? Che ho detto di male? Vi stavo ricordando quel che di bello vi aspetta dall’altra parte di questa insidiosa battaglia.”

“Non ce n’era bisogno,” mugugnò l’altro, gli occhi carichi di mille sentimenti puntati sulla fidanzata. “Ho tutto già chiaro.”

Toga seguì il suo sguardo. “Lo so, figliolo. Buona fortuna. E ricorda, se in qualsiasi momento vi trovate nei guai, non esitare a fare retromarce. Non permettere all’orgoglio di interferire.”

 

“Ho ancora dubbi sull’inizio di questo piano,” esordì Inuyasha una volta soli. “Ci stiamo basando su un’ipotesi.”

“È l’unica che abbiamo,” replicò Kagome. “Ed è per questo che dobbiamo essere cauti.”

Lui alzò gli occhi al cielo. “Sì, c’ero anch’io quando papà l’ha ripetuto mille volte. Avrei sperato di avere più tempo prima che ci separassimo, però.” Le prese la mano, stringendogliela.

C’era troppa gente attorno a loro per azzardare qualcosa di più; pur non avendo più problemi a lasciarsi andare a manifestazioni d’affetto quando erano soli, era tutt’altra cosa quando c’erano molte paia di occhi a guardarli.

Kagome lo trascinò per corridoi più isolati. “Anch’io,” rispose, “ma non possiamo rischiare che Naraku ci veda insieme. Dovrà sembrare a tutti là fuori che sto lasciando il castello da sola e indisturbata.”

Il mezzo demone guardò la luna alta nel cielo. Avevano deciso che l’opzione migliore sarebbe stata partire di notte, così da dare – a chiunque li stesse osservando per conto di Naraku – l’idea che Kagome stesse lasciando quelle terre di nascosto.

Non sapevano ancora chi o cosa facesse da spia, presumevano fosse qualcosa di piccolo e inodore per sfuggire alle attenzioni di Sesshomaru, ma speravano si rivelassero prima o poi per indicare la via a Kagome.

Era un piano azzardato, e stavano prendendo molti rischi, ma per non dare a Naraku il tempo di riprendersi dovevano agire in fretta; questa era certamente la cosa su cui Inuyasha più concordava tra tutte.

Come aveva detto il padre poco prima, molto poteva andare storto dato che il piano si basava su delle incertezze, ma l’alternativa sarebbe stata aspettare che Naraku si rivelasse e dunque lasciare a lui un vantaggio considerevole – e non volevano dargliene.

Razionalmente, prendere questi rischi era la scelta più saggia, ma ciò non significava che Inuyasha non fosse spaventato dall’eventualità che nulla andasse come speravano.

L’idea di dover affidare Kagome a una spia di Naraku, inoltre, lo rendeva inquieto anche se avrebbe fatto in modo di non perderla mai di vista.

A debita distanza.

Perché chiunque stesse spiando il loro castello, chiunque avesse riferito di Rin, non si sarebbe mai rivelato se avesse visto Kagome in sua compagnia né Naraku avrebbe creduto a una sua fuga, per quanto illuso si fosse dimostrato finora.

Inuyasha avrebbe dovuto guardarla da lontano compiere la prima parte del tragitto, accertarsi del momento giusto per cominciare a seguirla e stare attento a non fare mosse azzardate.

Si fermarono e Kagome gli strinse più forte la mano, prima di guardarlo negli occhi e alzarsi in punta di piedi per rubargli un bacio, mentre la mano libera saliva a toccargli la curva del collo e spingerlo più a sé.

Non incontrò alcuna resistenza da parte del mezzo demone che rispose con foga, imprimendo in esso tutta la passione e il sentimento che poté.

Le morse il labbro inferiore e quando Kagome gemette, aprendo la bocca, ne approfittò per approfondire il bacio e intrecciare le loro lingue. E intanto le sue mani ora libere percorrevano tutto il corpo di lei, mappandolo, sperando che sentirla sotto i polpastrelli potesse rassicurarlo, che quel ricordo tattile potesse mandarlo avanti nelle ore di agonia che gli si prospettavano davanti.

Kagome era davanti a lui in carne e ossa.

Assaporava i suoi baci, sentiva il suo odore e la sua eccitazione avvolgerlo, la sua pelle gli bruciava le mani e gli ricordava del sangue caldo che fluiva nelle sue vene.

E sarebbe stato così anche quando non l’avrebbe più toccata.

Alla fine, pur non volendo, si separarono e Inuyasha infilò le dita nei suoi capelli e avvicinò le loro fronti mentre i respiri affannati si mischiavano.

“Andrà tutto bene. Mi fido di te,” le disse.

Kagome si strinse più a lui, facendogli capire quanto apprezzasse quelle parole.

“Andrà tutto bene,” ripeté, “e finirà prima di quanto immaginiamo.” La baciò a stampo, poi un’altra volta, con più pressione, lasciando le loro labbra incollate un secondo di più e stringendo gli occhi come se stesse imprimendo nella memoria quella sensazione.

E non perché avesse paura di non poterla più riprovare – non avrebbe pensato a nulla del genere –, ma perché voleva ricordarla così come tutte le altre nelle prossime ore.

Continuarono a tenersi per mano fino a che non raggiunsero l’androne dell’uscita secondaria e poco utilizzata che avevano scelto per la fuga. Le poche persone presenti erano delle semplici guardie che preferirono ignorare il loro scambio.

Quando si staccarono del tutto, Inuyasha fece un passo indietro, nascondendosi nell’ombra, prima di incollare i piedi al pavimento e osservarla aprire il portone cercando di fare più attenzione possibile.

Voleva evitare la tentazione di afferrarla per le braccia e riportarla al sicuro, impedendole di andar via.

Lei non si voltò a guardarlo un’ultima volta e Inuyasha rimase a studiarne la schiena, sempre ignorando ogni suoi istinto primitivo.

“Come fa a guardarla andar via, signorino Inuyasha?” sussurrò dall’alto della sua spalla Myoga, ricordandogli la sua presenza.

Aveva le punte delle orecchie e le guance rosse dopo aver assistito al loro ultimo bacio, ma a Inuyasha non importava aver avuto un testimone a quel saluto. Tuttavia, quella sua domanda aveva reso improvvisamente il suo peso, per quanto piccolo, ingestibile.

“Taci,” gli disse solamente, schiacciandolo per assicurarsi che non dicesse nient’altro del genere e senza mai distogliere lo sguardo da Kagome che stava camminando lungo il viale che l’avrebbe portata fuori le mura difensive del castello.

Da lì a poco avrebbe cominciato a muoversi anche lui, lasciando da parte ogni sentimentalismo.

 

*

 

Kagome sperava che se davvero Naraku o qualcuno al suo servizio la stava osservando, avrebbe attribuito la tensione che emanava alla sua apparente fuga; le era impossibile nasconderla.

Sentiva le spalle rigide e dolenti, le gambe erano pesanti e lo diventavano sempre di più ad ogni passo che faceva così come l’arco e la faretra che aveva addosso, gli occhi le bruciavano dallo sforzo di mettere a fuoco i dintorni al buio, ma anche a causa delle gocce di sudore che le colavano dalla fronte.

Il silenzio attorno a lei esacerbava quelle sensazioni e pur sapendo che da qualche parte Inuyasha era lì a guardarla, fornendole supporto, si sentiva sola in balia del nemico. Rabbrividiva al pensiero di occhi che la osservavano senza sapere da dove venissero, a chi appartenessero, da quanto la seguissero.

Era tutto così snervante e lei non poteva fare nulla per evitarlo: doveva mandare avanti la recita.

Dopo quelle che sembrarono ore, si azzardò a lanciare un’occhiata alle sue spalle, apparentemente per assicurarsi che nessuno l’avesse seguita, e notò la sagoma del castello che aveva lasciato diventata ormai un punto nero all’orizzonte.

Non provò a cercare Inuyasha, era troppo pericoloso, ma sperò che lui, invece, l’avesse vista in volto.

Fu quando tornò a dargli le spalle che notò il primo ronzio.

Le sembrò strano perché finora, al di là dei rumori di qualche animale, non aveva sentito altro. Il ronzio, invece, era comparso all’improvviso, troppo forte e insistente, troppo per essere solo un caso.

Un secondo dopo tre vespe le riempirono la visuale e le bastò poco per capire che erano proprio loro coloro che Kagome aveva aspettato finora, le spie di Naraku.

Oltre al fatto che emanavano una minuscola quantità di aura demoniaca, il loro corpo era leggermente più grande degli insetti normali, così come i loro occhi che la stavano guardando con insistenza.

Non doveva essere stato difficile per loro spiarli fino a quel momento, ragionò, perché senza sapere della loro presenza e senza concentrarsi su di loro, era impossibile distinguerli dagli altri e percepire quella piccola aura che li contrassegnava come esseri demonici. Inoltre, considerando che non ne aveva sentito il ronzio fino a quando non si erano rivelate a lei, assunse che in qualche modo era capaci anche di rendersi silenziose.

Una mossa intelligente, dovette ammettere; un’arma molto prudente da utilizzare contro demoni di stirpe canina.

Non si fece spaventare dal loro sguardo e a parte la sua reazione iniziale, non diede segno di essere particolarmente colpita dalla loro presenza. Quando poi una di loro le fece segno di seguirle, fece come richiesto: riprese ad avanzare nella loro direzione, sperando che non ce ne fossero altre alle sue spalle e che, soprattutto, nessuna di loro avesse notato colui che la seguiva.

Lontano da lei, senza perderla di vista, Inuyasha giungeva alle stesse conclusioni.

Aveva visto il suo sguardo preoccupato quando si era voltata, ma anche se una grossa parte di lui avrebbe voluto correre a consolarla, sapeva che non era quello il momento, soprattutto dato che un attimo dopo le spie di Naraku si erano rivelate a lei.

Stava per ripetere a Myoga, in un sussurro, quanto fondamentale fosse il loro silenzio – ancora di più di prima, sebbene fosse sicuro che degli insetti così piccoli avessero seguito Kagome sin da quando aveva lasciato le mura difensive – quando gli arrivò alle orecchie un ronzio, lo stesso che aveva sorpreso Kagome.

Ma nonostante il silenzio che lo circondava e il suo udito molto fine, Inuyasha sapeva che le probabilità che riuscisse a percepire quel suono da così lontano erano minime e scattarono in lui dei campanelli d’allarme.

Myoga fu veloce a indicargli ciò che non andava prima ancora che lui potesse guardarsi intorno. “Signorino, lassù!” Le sue quattro mani si alzarono tutte per puntare una singola vespa che stava volando poco più sopra di loro, la vera fonte del ronzio che Inuyasha aveva udito.

“Maledizione,” sibilò Inuyasha lanciandosi all’attacco.

Accortasi di essere stata scoperta, la vespa cercò di fuggire, ma Inuyasha fu più veloce soprattutto perché sapeva che se l’avesse fatta scappare il loro piano sarebbe fallito prima ancora di entrare nel vivo, lasciando Kagome nei guai.

I suoi artigli tranciarono di netto l’insetto e subito dopo il suo piede si assicurò di ridurre in polvere ciò che rimaneva.

Tuttavia, averla distrutta non tranquillizzò Inuyasha, che temeva ce ne fossero altre in agguato, e continuò a tendere le orecchie e a guardarsi intorno sperando di sbagliarsi.

“Keh,” mugugnò infine, “sarà pure vero che sono ingegnose come spie. Piccole, silenziose. Ma sono anche piuttosto deboli; è facile sbarazzarsene.”

“Non ha paura che ce ne siano altre, signorino Inuyasha?” gli chiese la pulce, timorosa di trovarsi alla mercé di quegli insetti che per quelli come lui non erano poi tanto deboli.

“Certo che ne ho, Myoga, ma non possiamo restare troppo indietro.” L’essersi fermati quel poco aveva già allungato la distanza tra lui e Kagome. “Dovremo tenere le orecchie allungate per assicurarci che non ce ne siano altre.”

“E se avesse già fatto la spia?”

“Sei cieco forse? L’ho appena polverizzata.”

“Ma se Naraku fosse in grado di vedere ciò che vedono loro?”

Inuyasha digrignò i denti: se Myoga avesse continuato a dipingergli gli scenari peggiori mentre lui cercava, invece, di ignorarli, c’era il rischio che non sarebbe sopravvissuto a lungo per tornare dal padre al momento opportuno. “Dubito che questi esserini possano fare una cosa del genere. In più, se così fosse stato non avrebbe avuto tanta fretta di scappare nella stessa direzione in cui è diretta Kagome. Ora taci; mi stai dando sui nervi.”

Il piccolo demone comprese il messaggio e deglutì prima di tornare a nascondersi nei ciuffi argentati del padrone.

Per il resto del viaggio avrebbe fatto attenzione a non incorrere ulteriormente nella sua ira.

 

*

 

Quando finalmente gli insetti si fermarono, la luna era ancora alta nel cielo rivelando a Kagome che per quanto quel viaggio le fosse sembrato infinito, in realtà non era passato poi così tanto da quando era partita.

A quel punto aspettò che le vespe le dessero qualche altra indicazione o segnale perché rimanere ferma lì, in mezzo al nulla, non stava aiutando i suoi nervi già provati. Si chiese anche dove fosse Inuyasha e se si fosse già accorto di quello stop, sperando che fosse abbastanza cauto da non avvicinarsi, che riuscisse ad essere più paziente di lei per una volta.

Sapeva anche che in quell’istante si concludeva la fase più semplice del piano e cominciava quella più difficile, ma cercò di non farsi buttare giù da quella verità: era ora che doveva dimostrare – prima a se stessa che agli altri – quanto valesse e di essere in grado di gestire anche la situazione più complessa. Tuttavia, rifletté, non era da deboli sperare che Naraku si dimostrasse ancora ingenuo nei suoi confronti così che lei potesse sfruttare quella debolezza.

Una delle vespe si voltò verso di lei e Kagome quasi rabbrividì nel sentire quegli occhi tondi e vili su di sé, chiedendosi come fosse possibile che un insetto tanto minuscolo fosse in grado di guardarla in quel modo. Poi, insieme alle altre, ricominciò a volare, conducendola poco dopo in una caverna isolata e buia.

Così come la radura in cui si trovava.

Un luogo che qualunque essere umano avrebbe superato senza pensarci due volte se avesse avuto la sfortuna di trovarsi nei paraggi. Cosa che anche Kagome avrebbe fatto in un’altra occasione.

Prese infine un grosso respiro arrivata alla bocca della caverna e tentò di indossare la sua maschera migliore, ma non era troppo semplice, tanto da chiedersi cosa le avrebbe letto in volto Naraku una volta che si fossero trovati faccia a faccia.

Niente l’avrebbe potuta preparare a ciò che le si parò di fronte una volta entrata, però, e la sorpresa fu tanta da non riuscire a trattenere il singulto che le scappò una volta che lo vide.

Solo qualche istante dopo realizzò il suo errore e mentre tentava di darsi un contegno e affrontare ciò che aveva davanti, sperò che la fiducia che Inuyasha aveva in lei fosse abbastanza da non farlo correre subito in suo soccorso; che quel verso carico d’orrore non avesse rovinato i passi cauti che avevano compiuto finora.

 


 


 
N/A: Immagino abbiate capito, dai toni di questo capitolo, che ci avviciniamo alla resa dei conti (che speriamo venga bene come l'ho immaginata quando ho scritto le scalette, ma si sa... tra il dire e il fare 😱). 

Fatemi sapere se vi è piaciuto e intanto vi prometto che arriverò presto con il prossimo (l'ho già finito di scrivere). 

Un bacio grande!

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Capitolo 26
*** XXV — Immagini ***


 

 

Capitolo XXV: Immagini







“Che cosa vuoi capire? Non c'è niente da capire. Ci sono leggi che regolano il mondo e che non sono fatte né per noi né contro di noi. Quando scoppia il temporale, sai che il fulmine è il prodotto di due scariche elettriche opposte, le nuvole non sanno nulla di te. Non puoi prendertela con loro. Inoltre sarebbe ridicolo, non possono capirti.”

Suite Francese, Irène Némirovsky

 

 

Toga raggiunse il figlio quando ormai le presenze del minore e della fidanzata erano scomparse. Sperava che a un giorno di distanza da quella disastrosa cena, Sesshomaru avesse avuto modo di riflettere sull’accaduto e sulle parole che gli erano state rivolte da più di una parte.

Quando lo individuò, si assicurò che Rin non fosse con lui – immaginava, in realtà, che la ragazza non desiderasse tanto la sua compagnia al momento – e lo avvicinò.

“Sesshomaru, credo tu sia al corrente della situazione. Dopo la discussione di ieri, abbiamo ritenuto opportuno che Inuyasha e Kagome partissero stasera,” cominciò senza preamboli.

L’altro lo guardò come a chiedergli perché mai lo avesse reso partecipe, fulminandolo a causa dell’interruzione.

Tuttavia, a Toga non interessava: Sesshomaru poteva pure essere in balia di una crisi esistenziale, ma loro non avevano tempo. Per di più, in quelle settimane gli era stato dato abbastanza tempo per risolverla. Se ora si trovava davanti a quell’impasse, la colpa era solo sua. Quindi, i problemi che derivavano dalle sue assurde decisioni avrebbero dovuto aspettare, anche perché era certo che rimuginando e facendo come suo solito avrebbe solo continuato a far precipitare le cose.

Sesshomaru non sembrava dello stesso avviso, però.

“Se quei due vogliono fare da esca e andare in contro a morte certa, non è un mio problema.”

“Non sono andati in contro a morte certa,” sibilò il padre. “Ma noi non resteremo ad aspettare. Non appena Myoga tornerà ad informarci della posizione di Naraku, ci dirigeremo lì per liberarcene.”

“Ci? Non ricordo di essermi mai offerto di aiutarli. Ho già salvato una volta quella stupida donna, non mi interessa se è tornata di sua sponte da quell’essere. Mi dirigerò da Naraku, non temere, ma non voglio scocciatori tra i piedi e se quando arriverò Inuyasha sarà ancora lì, sarò io stesso a ucciderlo.”

Dopo tutto, non avrebbe comunque permesso a un essere come Naraku di togliergli la soddisfazione di eliminare il fratellastro. Quello era un suo compito.

L’Inu-no-Taisho alzò gli occhi al cielo in risposta. “Come dimenticarsi delle tue manie di protagonismo,” lo beffeggiò. “Non sono venuto qui per ricordarmi di questi tuoi difetti, Sesshomaru, né per convincerti. Il mio era un ordine e l’ennesimo avvertimento. Che però non ascolterai vero?” Sentì una presenza dietro di sé, quasi impercettibile, e immaginò che fosse lo stesso per Sesshomaru, ma la ignorò e continuò: “Avrai la possibilità di esercitare la tua vendetta su Naraku, ma non secondo i tuoi calcoli. Se ancora ti ostinerai ad andarmi contro, ricorda che hai tutto da perdere. Rin si sta dimostrando una ragazza intelligente e per quanto il destino possa averti scelto per starle accanto, non credo ci penserà molto prima di rinnegarlo quando capirà che non hai intenzione di cambiare i tuoi principi nemmeno per lei. E so che per noi demoni il tempo scorre molto più lentamente, ma non ne avrai ancora molto.”

Si voltò e gli diede le spalle senza aspettarsi alcuna risposta. Gli sembrava che da anni ormai le sue conversazioni con Sesshomaru rispettassero sempre lo stesso copione e in fondo era così. Quante volte lo aveva avvertito? Quante altre era stato ignorato? Quelle parole che tanto si ostinava a rivolergli erano diventate ormai vuote.

Eppure, forse stavolta avrebbero avuto un qualche effetto che si sarebbe aggiunto al caos che era la mente del figlio al momento. E non perché aveva finalmente cominciato ad ascoltarlo, perché per la prima volta Sesshomaru aveva qualcosa da proteggere – e da perdere.

O forse si stava illudendo come sempre.

Lasciando la stanza e svoltando l’angolo, fece in tempo a notare una figura che scappava via, la stessa presenza che aveva percepito poco prima.

Chissà per quanto tempo l’orgoglio del figlio gli avrebbe incollato i piedi al pavimento o se, invece, l’avrebbe seguita subito. Da quello dipendeva tutto.

“Sono sicuro che ti accorgerai senza problemi dell’arrivo di Myoga,” concluse lasciandolo solo.

 

*

 

Suo padre aveva detto il vero, questa volta aveva davvero tutto da perdere.

Sesshomaru faticava ad accettarlo, forse e anche perché ancora non aveva accolto del tutto ciò – o meglio colei – che aveva da perdere. E se avesse esitato, sarebbe stato troppo tardi.

Testardo com’era, però, si aggrappava al suo orgoglio per paura che accettando di aver sbagliato, ammettendo i suoi errori, non ne sarebbe rimasto più nulla – che di lui non sarebbe rimasto più nulla e avrebbe fatto ancora più fatica a riconoscersi.

Come poteva sperare di restare al passo con tutti quei cambiamenti che lo travolgevano e al tempo stesso capirne il reale significato?

Cosa avrebbe significato per lui accettare un qualcosa che aveva rifiutato per la sua intera e lunga esistenza?

Da che era nato, gli umani erano sempre stati essere inferiori, ancora di più i demoni che si intestardivano a dire il contrario, e ricordava di aver faticato molto, da giovane, a conciliare l’immagine del forte guerriero che era l’Inu-no-Taisho con quella del genitore sposato con una principessa umana.

Poteva dire di non esserci mai riuscito del tutto.

E ora il destino si faceva beffe di lui, pretendendo che facesse lo stesso con l’immagine di se stesso guerriero e del demone attratto da Rin – un’altra umana.

Pretendeva che lo facesse in poco tempo.

Chiuse gli occhi ed inspirò, e il suo corpo tremò di conseguenza, quasi impercettibilmente, mentre tentava di farsi carico di ogni pensiero che gli affollava la mente.

La stanza era avvolta dall’odore del padre e della cacofonia delle loro emozioni; era quasi soffocante. Eppure, non faticò a distinguere lì in mezzo uno sublime e attraente; era ancora fresco e gli rivelava che non molto prima – secondi, minuti – Rin era stata proprio lì.

Riaprì gli occhi di scatto e ricordò di aver percepito la sua presenza quando Toga era ancora nella stanza. L’idea che avesse ascoltato il discorso che gli era stato fatto era inconcepibile, perché sapeva che l’impatto su di lei sarebbe stato disastroso.

Ancora, sapeva che il padre non aveva avuto torto: Sesshomaru non aveva molto tempo e, soprattutto, non avrebbe potuto analizzare i sentimenti che lo travolgevano uno a uno prima di prendere una decisione.

Non aveva fatto altro da quel primo incontro: analizzare, riflettere, incanalare, e a cosa era servito?

Doveva agire d’istinto e lasciare perdere per una volta l’orgoglio a cui ancora si aggrappava con ostinazione. Dentro di sé la battaglia andava avanti ed era più sanguinosa di quella che avrebbe avuto luogo da lì a poco, ma non gli era concesso comunque il lusso del tempo.

Anzi, era corretto dire che gliene era stato concesso tanto ma lo aveva sprecato.

Se fosse rimasto in quella stanza, a riflettere sul da farsi, l’immagine che aveva di sé sarebbe rimasta ancora intatta – a parte le cicatrici che lo avevano inevitabilmente già segnato.

Se l’avesse lasciata, se avesse raggiunto Rin, si sarebbe infranta del tutto e in seguito avrebbe dovuto lottare più duramente per ricomporla da capo, smussare gli angoli e adattarla a ciò che di nuovo lo aveva colpito. Ma ne avrebbe guadagnato lei.

O, almeno, rifletté, avrebbe avuto più possibilità.

Scosse la testa per la sua stupidità, per non essersene reso conto prima, per aver preso in giro il fratello e non essersi rivelato migliore.

In un modo o nell’altro, avrebbe dovuto combattere con se stesso, qualunque fosse la sua decisione, perché quell’immagine di sé che aveva voluto tanto preservare sarebbe stata da ricostruire in ogni caso.

Si era già frantumata.

Però, ora capiva che se avesse scelto la seconda possibilità, non avrebbe dovuto farlo da solo.
 

Arrivato nella stanza di Rin, la ragazza non c’era.

Pensava di essere stato abbastanza veloce, che non fosse passato molto da quando Toga lo aveva lasciato, ma in realtà il suo dissidio interiore gli aveva rubato più di quanto credesse.

Di nuovo, la sua personale percezione del tempo lo aveva tratto in inganno.

Infatti, osservando con più attenzione la stanza, notò una pergamena poggiata sulla toletta.

In una grafia disordinata e frettolosa, poche parole gli comunicavano ciò che già il demone aveva temuto trovando la camera vuota: Rin aveva lasciato il castello, convinta che la mancanza di rispetto che Sesshomaru riservava al suo stesso sangue era indicativa di che persona era.

Come avrebbe potuto ancora sperare che rispettasse lei, allora?

Gli diceva di aver sperato – e sperato – in quelle ultime settimane che potesse dimostrarle anche una minima apertura, qualcosa che le facesse intendere che era disposto a lavorare con lei. Ma dopo gli ultimi risvolti credeva di essersi illusa.

La lettera si concludeva così.

Non lo informava di altro né tanto meno diceva dove fosse diretta, anche se lui avrebbe potuto seguirne le tracce senza problemi. Non pensava, infatti, che avesse avuto così tanto tempo per allontanarsi.

O almeno credeva.

Quanto era passato in realtà?

Era combattuto tra la rabbia per l’ennesimo affronto e la preoccupazione; non poteva dimenticare, infatti, che l’aveva portata lì al castello per la sua sicurezza.

E non c’era nessun altro luogo che riteneva più sicuro, non di certo quel villaggio umano dove era cresciuta e dove nessuno si interessava a lei.

Che scellerata era stata ad andar via, avventata; la rabbia che provava in quel momento era dovuta sicuramente al modo in cui aveva trascurato la sua sicurezza, e non per altro.

Si lasciò avvolgere un’ultima volta dall’odore di lei e poi abbandonò la lettera, prima di inseguirla, sperando non fosse troppo tardi.

 

*

 

Appiattito contro un tronco, nascosto tra i tanti alberi della foresta che nascondeva il luogo in cui la fidanzata era stata condotta, Inuyasha respirava faticosamente, il petto che si alzava e abbassava a un ritmo troppo veloce, mentre rifletteva su quale fosse la mossa migliore da compiere.

Myoga era già scappato ad avvisare Toga della loro posizione – entusiasta e più veloce che mai, a seguito di altre minacce nel caso in cui avesse sbagliato strada – e Inuyasha era rimasto solo, in tempo per udire l’esclamazione di sorpresa che aveva lasciato le labbra di Kagome non appena era entrata nella caverna.

Si trovava in difficoltà? Doveva accorrere?

Digrignando i denti e affondando gli artigli nella corteccia, il mezzo demone si era imposto di non essere avventato. Anche se ogni suo istinto gli urlava di correre più veloce che mai, aveva incollato i piedi a terra con una forza tale da scavare.

Nel frattempo le orecchie erano erette sul capo cercando di ascoltare qualsiasi indizio che lo aiutasse, qualcosa che giustificasse un suo intervento, ma il silenzio che lo circondava gli stava solo logorando i nervi.

Le aveva assicurato di avere fiducia in lei e perciò che stava impiegando tutta la sua forza per non lasciare quel nascondiglio improvvisato, ma ogni parte di lui gli ricordava cosa ci fosse in ballo, cosa sarebbe accaduto se avesse esitato e Kagome fosse rimasta ferita.

Si concentrò sul proprio respiro, tentando di rallentare il cuore che batteva impazzito e minacciava di uscirgli dalla cassa toracica, che lo stava rendendo quasi sordo; chiuse gli occhi e scosse con forza la testa come se quel gesto fosse abbastanza per liberargli la mente da ogni timore.

Era in grado di essere razionale, questa volta non c’era spazio per errori o per le sue scelte avventate.

Non poteva sapere che nello stesso istante Kagome si stava pentendo per non essere riuscita a ingoiare quella reazione istintiva.

Eppure, alla fine non deluse le sue aspettative: gli artigli affondarono ancora di più nell’albero, i piedi nel terreno umido e rischiò di scheggiarsi i denti, ma Inuyasha non si mosse.

Non era arrivato il momento.

Qualunque cosa avesse colto di sorpresa Kagome, per adesso non rischiava ancora nulla e lui non avrebbe mandato all’aria un piano già molto fragile.

 

*

 

“Kagome, sapevo che saresti tornata da me.”

La voce, un po’ roca, proveniva dall’alto e alzando leggermente il volto, Kagome riconobbe quella che era la testa di Naraku.

Dovette trattenere un conato di vomito così come il disgusto che lo scenario davanti a lei le aveva internamente provocato – lo stesso che aveva garantito la sua prima reazione appena entrata nella caverna.

Del mezzo demone che aveva incontrato dopo essere stata rapita non rimaneva più nulla se non il viso, bello e crudele come ricordava – e dunque inquietante.

Attorno a lui vi erano quelli che lei avrebbe descritto come resti e organi di mille altri demoni inferiori di varia natura che si muovevano e si univano sotto i suoi occhi; code e tentacoli strisciavano, cuori e fegati pulsavano, liquidi si mischiavano ed emanavano un odore così forte e repulsivo da mettere a dura prova la sua resistenza.

E nel mezzo di quell’ammasso di carne e tessuti, la testa di Naraku gravitava in alto, attaccata a un collo più sottile e allungato del normale, che la guardava con un ghigno sul volto e degli occhi che non avrebbe mai dimenticato.

Tutto ciò occupava gran parte della caverna in cui si trovavano e rendeva l’aria che respirava asfissiante e pesante insieme alla pressante aura demoniaca che Naraku emanava.

“Ti starai chiedendo cosa sia tutto questo,” continuò lui dato il silenzio di Kagome. La fissò dritta negli occhi e lei annuì con il capo per dargli una risposta ma ancora incapace di parlare. “Ebbene, sto rendendo più forte il mio corpo per te.”

Mosse un tentacolo a un indicare parte di quella massa incorporea e solo allora Kagome notò che in alcuni punti stava prendendo forma. Suo malgrado, la studiò più attentamente, e mettendo i vari tasselli insieme comprese che Naraku stava infatti realizzando ciò che le aveva detto.

Partendo dal corpo che era stato dilaniato nello scontro con Sesshomaru, ne stava ricostruendo uno ancora più forte e di sicuro con più armi a disposizione per il prossimo incontro con i demoni cane.

Sgranò leggermente gli occhi.

Tutto stava andando come avevano premeditato al castello; se avessero aspettato ancora, avrebbero dato a Naraku il tempo di rafforzarsi e attaccarli avendo dalla sua parte l’effetto sorpresa.

Tuttavia, sebbene lei si trovasse lì mentre ancora quel rinnovo non era stato completato, si rendeva anche conto che il tempo era limitato. Avrebbero potuto avere da ore a giorni prima che Naraku riprendesse le forze e li attaccasse con tutto ciò che aveva a disposizione.

Non potevano sapere quanto né lei poteva comunicare questa scoperta; doveva solo sperare che Myoga fosse veloce e con lui anche tutti coloro che dovevano assisterli dal castello.

Affinché tutto andasse a loro favore, dovevano ingaggiare Naraku in una battaglia prima che egli si riprendesse e quel corpo nuovo si riformasse.

Nel frattempo, lei avrebbe dovuto temporeggiare, ma era più facile a dirsi che a farsi.

Come avrebbe dovuto tenerlo occupato se non riusciva nemmeno a spicciare parola? Non era nemmeno sicura di riuscire a mentire, fargli credere che quello era il luogo dove voleva essere davvero.

“Ti vedo titubante, cara Kagome,” la interruppe ancora. “Non credi che basterà a sconfiggere quei cani?”

Lei scosse il capo. “No,” esclamò con la voce più ferma di quel che avrebbe creduto possibile. “Sono rimasta solo sorpresa; non mi aspettavo decidessi di fare... questo propria ora.”

Questo cosa? Avrebbe dovuto trovare parole migliori per non fargli capire di essere a conoscenza del vero motivo per cui si stava rendendo forte, motivo che era chiaro lui non volesse rivelare.

Il suo corpo era uscito sconfitto dallo scontro con Sesshomaru e ne aveva approfittato. Altrimenti non vi avrebbe mai messo mano, non data la sua arroganza e ingenuità. Ma a lei non avrebbe mai parlato della sua umiliante sconfitta.

Rifletté che nonostante avesse cambiato nome e aspetto, c’erano ancora molte cose che le ricordavano Onigumo.

Era uno sciocco, uno sciocco che però adesso aveva il potenziale di distruggere le loro vite.

Naraku ghignò. “Non devi preoccuparti. Non appena mi sarò sbarazzato una volta per tutte di loro, ti mostrerò meglio i piani che ho per questa forma evoluta. E dimenticherai questo scempio.” Mosse ancora un tentacolo mentre i suoi occhi rossi vagavano affamati su di lei. “Non ci sarà più bisogno di nascondere quelle smorfie.”

Kagome si immobilizzò. “La mia era semplice sorpresa. Mi aspettavo il Naraku che ho incontrato la prima volta.”

Il mezzo demone scoppiò a ridere, entusiasta. “Lo sapevo che avevo avuto un certo effetto. Dopo tutto, ho scelto il volto migliore solo per te.”

La sacerdotessa chinò leggermente il capo per non mostrare la sua espressione e con grande sforzò aggiunse: “L’ho apprezzato. È molto... carismatico.”

Non aveva dubbi che il povero uomo a cui Naraku aveva rubato l’aspetto lo fosse stato e, se si sforzava, poteva intravederne ancora l’ombra dell’attrattiva. Tuttavia, l’anima malvagia di Onigumo lo aveva imbruttito e ne era nato Naraku.

“Mi mostrerai presto il tuo apprezzamento,” ordinò sicuro di sé, senza notare il brivido che la percorse tutta, “ma intanto avrò bisogno di qualche altra rassicurazione.”

“R-rassicurazione?” Non poté evitare il balbettio.

“Ho bisogno di sapere con certezza che il tuo arrivo qui sia stato volontario. Sebbene le mie amiche mi abbiano tenuto al corrente del vostro viaggio, ho avuto troppe sorprese e non vorrei essere interrotto ancora una volta dai quei cani. Devo essere sicuro che le tue azioni non siano ancora controllate da loro.” Sul viso erano scomparsi i ghigni o le espressioni lascive, ora c’era spazio solo per gli occhi duri e le labbra contratte.

Stringendo la presa attorno all’arco che aveva ancora sulla spalla, Kagome non si fece intimorire. “Pensavo di avertelo dimostrato già venendo qui stanotte. Ho dovuto fare attenzione mentre scappavo e-”

“Non mi basta!” la interruppe alzando la voce. “Sono stato ingannato più di una volta da riconoscere che quei bastardi stanno progettando qualcos’altro e tu, mia dolce Kagome, sei il modo migliore per farlo.”

“Non mi avrebbero mai mandato da te,” cercò di farlo ragionare ancora lei. “Quel mezzo demone è esageratamente protettivo nei miei confronti, mi controlla sempre. Per assicurarmi di non essere seguita ho dovuto aspettare la notte, l’unico momento in cui lui non poteva tenermi d’occhio.”

Lo vide assottigliare lo sguardo e farsi sospettoso e si diede della stupida per aver insistito tanto.

Cominciava ad avere paura mentre attorno a lei i tanti tentacoli si muovevano; si rendeva conto che la posizione attuale di Naraku non gli impediva di colpirla.

“Non mi piace questo tuo modo di rispondermi, Kagome. Non sei mai stata così. Questa è un’altra colpa di quello sporco mezzo demone. Ho detto che dovrai fare qualcosa per me e lo farai, siamo intesi?”

Istintivamente, Kagome fece un mezzo passo indietro e quando se ne accorse sperò che Naraku non ci avesse fatto troppo caso.

Pregò anche che Inuyasha fosse in ascolto e che non intervenisse prima che Naraku rivelasse i suoi piani per lei.

Era disposta ad essere colpita nel frattempo, ma quello non era il momento giusto per un’azione da parte di Inuyasha.

Strinse ancora di più la presa sull’arco fino a far diventare le nocche bianche e Naraku seguì quel movimento.

“Quell’arma ti servirà a breve. Hai fatto bene a portarla.”

“Come ho già detto, ho dovuto fare molta attenzione,” azzardò Kagome. “L’ho portata per proteggermi se qualcosa andasse storto. Ma non pensavo di averne bisogno qui…” prese una boccata d’aria e aggiunse con grande fatica: “ora che sono al sicuro.”

Doveva sapere subito cosa mai avesse in mente e doveva farlo parlare. C’erano infatti poche cose per cui arco e frecce sarebbero potute servire e quelle possibilità non le piacevano per nulla.

Il vecchio Onigumo ghignò ancora. “Hai ragione, non ne avrai bisogno per proteggerti.” Poi spostò lo sguardo da lei e lo portò su qualcosa alle sue spalle.

Kagome ebbe paura a voltarsi, ma alla fine i rumori che sentiva la costrinsero a farlo. Quando posò gli occhi sui nuovi arrivati le fu impossibile non lasciarsi andare a un altro grido e per poco non fece cadere l’arco.

“Kagome, ti presento Byakuya, un mio nuovo fedele servitore.”

Il demone dai lunghi capelli neri avvolti in una coda di cavallo le fece un mezzo inchino, ma Kagome era troppo occupata a guardare con orrore la persona che portava in spalla per potergli prestare alcuna attenzione.

Se lo avesse fatto, avrebbe notato anche cosa non andava nel viso del nuovo arrivato.

“Sotto mia richiesta è andato a recuperare qualcuno che doveva unirsi assolutamente a questa festa.” Tornarono a guardarsi e fu in quell’istante che Kagome ebbe davvero paura; forse nemmeno nel suo primo incontro con Sesshomaru o nella notte del suo rapimento ne aveva avuta così tanta. “Tu, mia cara Kagome, dovrai ucciderla. Solo così avrò infine la certezza definitiva che sei libera di agire come preferisci e che nessuno ti sta controllando.”

 

*

 

Ancora con artigli infilati nella corteccia del tronco e i piedi affondati nel terreno, Inuyasha ascoltava senza perdersi una parola lo scambio tra Naraku e Kagome e comprendeva che il tempo era poco.

L’attuale trasformazione in corso di quell’essere poteva essere sia un bene che un male.

Sarebbe risultata una cosa favorevole se suo padre e gli altri sarebbero arrivati presto e avrebbero avuto la possibilità di attaccarlo quando era ancora vulnerabile.

Al contrario, un secondo di troppo e si sarebbero ritrovati di fronte un demone del quale non sapevano tutto, un’incognita.

Entrambi i casi, però, presupponevano uno scontro senza riserve: Inuyasha sperava che sarebbe stato l’ultimo e che ne sarebbero finalmente liberati. Lui sapeva che ce l’avrebbe messa tutta.

Al tempo stesso il discorso di Naraku lo stava agitando più del dovuto, sentiva che qualcosa non quadrava. Quel presagio era tutto fuorché rassicurante.

Così come Kagome, sapeva che se Naraku voleva che lei utilizzasse il suo arco per provare la sua lealtà nulla di buono poteva uscirne.

Mentre rifletteva su quelle cose, sentì qualcuno avvicinarsi a gran velocità e nascondendosi di più, fece appena in tempo per notare un demone nuovo che trasportava un’umana in spalla.

Assottigliò lo sguardo e annusò l’aria e prima che potessero scomparire dalla sua vita, riconobbe colei che veniva trasportata.

Lo shock fu tale da immobilizzarlo, ma quando si riprese, mezzo secondo dopo, erano già spariti e lui cominciò a mandare i peggiori epiteti al fratellastro.

L’orgoglio di Sesshomaru aveva ancora una volta rovinato i loro piani e ora Inuyasha era costretto a intervenire nonostante sia lui che Kagome fossero stati più che cauti nell’avanzare.

Perché la persona che aveva appena visto incosciente era Rin e il grido di Kagome gli confermò che l’aveva riconosciuta anche lei.

Non avrebbe più potuto permettere che Kagome continuasse da sola, non dopo aver finalmente capito cosa Naraku aveva in serbo per tutti loro.

Eppure, le sorprese non erano ancora finite e, di nuovo, a Inuyasha vennero strappate le poche opzioni che aveva a disposizione.

“Un momento, Naraku,” sentì una nuova voce parlare, una che presumette fosse quella del demone che aveva rapito Rin, “pare che qualcun altro voglia unirsi a questa riunione.”

Inuyasha si bloccò di nuovo, prima di sentire improvvisamente uno sguardo su di sé. Alzando lo sguardo, notò un singolo occhio svolazzare sopra di lui e poi sentì Byakuya dire: “Ho appena superato il mezzo demone nascosto nella foresta.”

 

 


N/A: 

Mi sono fatta attendere più del solito, ma spero che il capitolo abbia soddisfatto le vostre aspettative. Spero di riuscire a pubblicare il seguito quanto prima e che sarete ancora qui per leggerlo. 

Un abbraccio 💕.

 

 

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Capitolo 27
*** XXVI — Lasciarsi il passato alle spalle ***


 

Capitolo XXVI: Lasciarsi il passato alle spalle

 

 

 

“I don’t want to go among mad people,” Alice remarked.

“You can’t help that,” said the Cat, “we’re all mad here. I’m mad, you’re mad.”

“How do you know I’m mad,” said Alice.

“You must be, or you wouldn’t have come here.”

Alice in Wonderland, Lewis Carroll

 

 

 

Lasciato il castello e seguite le tracce di Rin, Sesshomaru non ci mise molto a comprendere che queste scomparivano non molto lontano dalle terre del padre.

L’odore era forte ma erano poche e non conducevano oltre il centro di una foresta vicina. Gli si gelò il sangue nelle vene mentre le sue paure diventavano realtà; tutto mostrava che Rin era ancora un bersaglio e che Naraku aveva più di una spia su di loro.

Proprio come aveva gli aveva detto il padre.

Lei era stata una sciocca a pensare di poter lasciare la sicurezza del loro castello solo perché avevano avuto una discussione o perché lui non si era arreso a lei. Come aveva potuto credere di poter essere al sicuro anche dopo ciò che era accaduto con il figlio di Naraku?

Sesshomaru strinse i pugni e digrignò i denti, incapace di mantenere la calma.

Un secondo dopo tornò sui suoi passi e decise di recarsi al castello, la mossa più saggia in quel frangente. Dopo tutto, nient’altro attorno a lui poteva aiutarlo a ritrovare Rin perché le sue tracce svanivano nel nulla.

Non aveva ancora raggiunto le mura interne quando notò l’Inu-no-Taisho che lo attendeva davanti al cancello principale.

Aveva uno sguardo severo che suggerì a Sesshomaru che già sapeva cos’era accaduto – e che non ne era per nulla contento.

Non sapeva dire se fosse perché suo padre teneva a Rin o perché Sesshomaru avrebbe potuto evitarlo, se avesse ascoltato i suoi consigli.

Sì, Sesshomaru comprendeva perfettamente che la scomparsa di Rin era dovuta a un suo errore – il suo stesso orgoglio non riusciva a trovare qualcosa che lo scusasse – eppure, non riusciva a capire perché suo padre potesse essere affranto per la perdita di una ragazza con la quale non aveva alcun tipo di connessione.

Rin non era legata a lui – non ancora – quindi non aveva legami con la sua famiglia.

Tuttavia, non era la prima volta che Sesshomaru tentava di capire il padre e ne usciva a mani vuote.

Lo raggiunse, incontrando il suo sguardo, ma non gli rivolse alcuna parola. Non gli sembrava fosse necessario.

Toga aveva già intuito cosa stava pensando il figlio. “Verrai con me?”

Sesshomaru si limitò ad annuire.

“Molto bene. Myoga è tornato da poco e il nostro tempo è contato.” Lanciò un’occhiata al demone pulce che russava sulla sua spalla, stanco dopo aver viaggiato di corsa sul primo volatile che aveva trovato a propria disposizione. E ora doveva riprendere il viaggio.

Myoga avrebbe richiesto una vacanza non appena tutto si sarebbe sistemato per il meglio.

Sesshomaru sbuffò; sembrava strano che la pulce non fosse già scappata, ma sapeva anche che nei suoi riguardi il padre sapeva essere molto convincente. “Non sarà di alcun aiuto in questo stato e noi ci ritroveremmo comunque a dover fare affidamento sulle tracce della sacerdotessa perdendo tempo prezioso.” Non cercò nemmeno di coprire la propria impazienza.

“Ti stavamo aspettando ed era meglio lasciarlo riposare prima che dopo.” Toga lo prese tra due dita lunghe e lo scosse. “Myoga, sei pronto? Questo sarà il tuo ultimo compito, poi potrai dormire quanto vorrai.”

Myoga sbatté le palpebre e incrocio le due paia di braccia. “La prossima volta partirò direttamente per il Continente e non potrete più trovarmi. Sono così stanco, padrone.”

Toga scambiò uno sguardo con il figlio ed entrambi pensarono la stessa cosa: Myoga riusciva a essere più melodrammatico di Jaken quando lo desiderava.

E a proposito di Jaken, Sesshomaru non lo vedeva da tempo.

Neanche un istante dopo, il demone dalle fattezze di un rospo gli apparve davanti, inchinandosi fino a toccare il suolo con la fronte.

“Muoviti, Jaken, partiamo adesso.”

“Sì, mio signore; certo, mio signore.”

Sbirciando il vassallo verde dal suo trespolo sulla spalla dell’Inu-no-Taisho, Myoga pensò che forse anche Jaken aveva bisogno di una vacanza, ma Sesshomaru non era il tipo da concederne. Il suo padrone era decisamente migliore, sebbene fosse più che capace di schiavizzarlo allo stesso modo.

“Myoga.” La voce di Toga lo richiamò, riscuotendolo. “È ora; pensi di essere in grado di farci da guida?”

“Subito, signore. Raggiungeremo il giovane padroncino e la sua compagna in men che non si dica.”

Padre e figlio si scambiarono un altro sguardo e quando anche i soldati scelti furono pronti, partirono infine per quel breve viaggio.



*
 

“Che vorrebbe dire che qualcun altro vuole unirsi a noi?” chiese Naraku, immobile e teso.

Byakuya fece un altro mezzo inchino. “Il mezzo demone figlio dell’Inu-no-Taisho è qui fuori,” ripeté.

La testa di Naraku scattò in direzione di Kagome, la quale era congelata sul posto chiedendosi come tutto fosse precipitato nel giro di pochi secondi. “Come?” ruggì.

“Io… io non lo so. Sono stata prudente e ho seguito le tue spie e-” Non riuscì a distogliere lo sguardo perché quello di Naraku e la rabbia in esso contenuto glielo impedivano ma nemmeno a concludere.

“Vuoi dirmi che non sapevi che ti stava seguendo?”

“S-sì. Io non riesco a vedere al buio e pensavo che loro si sarebbero occupate del problema se ce ne fosse stato uno e-”

“Bugiarda! Ti aspetti che ti creda?”

“Lo giuro.”

“Uccidila allora,” la interruppe di nuovo, indicando Rin. “Uccidi questa donna e dimostrami che non sei in combutta con i cani.”

Byakuya lasciò cadere il corpo di Rin ai piedi di Kagome prima di lasciare la caverna per tornare al suo avamposto e togliersi dai guai mentre la sacerdotessa cominciava a sentirsi sull’orlo di un attacco di panico.

E cosa stava combinando Inuyasha?

Naraku ghignò con perfidia davanti al suo silenzio. “Non puoi?”

“Lei…” Kagome sentì il cuore saltarle in gola, il sudore imperlarle la fronte e bruciarle gli occhi, “è umana e io-” Non riusciva più a sentire il suono della sua voce, il battito del suo cuore era assordente; non vedeva più con lucidità, il sorriso di lui era troppo folle.

Doveva agire, muoversi, salvare Rin; doveva dimostrare a se stessa che poteva farlo.

“Non ho mai ucciso nessuno, tanto meno un umano,” riuscì a concludere con più decisione e senza balbettare.

Lui mosse un tentacolo, incurante. “Sarà il tuo battesimo del fuoco.”

“Non ti mancano mai i trucchetti crudeli e disumani, non è vero, Naraku?” arrivò una nuova voce da dietro Kagome, che trattenne il fiato dalla sorpresa. “Ti assicuri sempre di avere la tua pedina posizionata bene così da usarla a tuo favore e senza mettere a rischio la tua stessa vita.”

Prima ancora che Kagome potesse mormorare il suo nome e tradirsi – anche se, a questo punto, sembrava impossibile che Naraku continuasse a credere alla loro copertura – Inuyasha si interpose tra loro, facendole da scudo e assicurandosi che facesse qualche passo indietro.

Anche il corpo di Rin era protetto e Naraku, troppo arrabbiato e concentrato su Inuyasha, non se ne rese conto.

Si stava dimostrando una vera e propria testa calda e Inuyasha, sapendo cosa significasse esserlo, voleva approfittarne fino a quando non sarebbero arrivati i rinforzi.

Sembrava che fino a quell’istante non avessero fatto altro che temporeggiare, ma se questo assicurava loro la possibilità di uscire vincitori, allora era disposto a continuare ancora in quel modo.

Inoltre, aveva i nervi già troppo provati per poter sperare di fare qualcosa di avventato come suo solito e doveva guadagnare del tempo prima di poter combattere quel mostro con lucidità.

Gli occhi del nemico, ormai ridotti a due fessure, erano concentrati unicamente su di lui e tutto il suo corpo – il collo, il viso, la parte ancora non completa – vibrava di rabbia e Inuyasha sapeva di essere sul filo del rasoio, che Naraku sarebbe potuto esplorare da un momento all’altro trascinando con sé tutti loro, ma allo stesso tempo, se non lo avesse distratto con la rabbia c’era il rischio che capisse cosa stava facendo o che il suo ostaggio gli stava sfuggendo di mano.

Inoltre, pur sapendo che se avesse attaccato per prima, ora che Naraku era ancora vulnerabile, aveva grandi possibilità di vittoria, non voleva mettere a rischio la salute di Kagome e Rin.

“Questa è la prima volta che ci incontriamo davvero,” continuò senza distogliere lo sguardo e assicurandosi che quello di Naraku fosse sempre puntato su di lui; sentiva che Kagome si muoveva dietro di lui, probabilmente cercando di portare con sé il corpo di Rin, e non voleva che l’altro se ne accorgesse, “ma il tuo burattino aveva un aspetto decisamente più interessante del tuo.”

“Non riderai più quando la mia trasformazione sarà ultimata e sarò io quello a staccarti la testa dal collo. Scoprirai che uccidermi non sarà così facile, non come hai fatto con la mia marionetta.”

“E perché l’hai mandato al posto tuo la prima volta? Se eri così sicuro di te, avresti potuto presentarti e ucciderci, ottenendo il tuo premio senza abbassarti a questi mezzucci.” Scrollò le spalle, poi sorrise sghembo. “O in fondo avevi paura di me?”

Kagome, che si era accovacciata a terra per ispezionare Rin, alzò la testa di scatto alla sua ultima affermazione, chiedendosi perché mai Inuyasha stesse tentando di provocare Naraku quando erano ancora tutti intrappolati in uno spazio tanto buio e ristretto.

Sentendosi come vicina a una bomba a orologeria, cercò di spostare Rin e se stessa il più possibile, ma anche se Rin aveva una figura piuttosto piccola, il compito si rivelò tutt’altro che semplice. Inoltre non aveva idea di cosa le fosse davvero accaduto, anche se dopo un rapido controllo era sicura che non rischiasse nulla di grave.

Forse, in realtà, il fatto che fosse svenuta poteva tornare loro utile. Infatti, se si fosse svegliata all’improvviso avrebbe attratto inevitabilmente l’attenzione di Naraku ed era meglio restasse incosciente.

Così, dopo essersi assicurata di poterle muovere il corpo senza ferirla di più, Kagome cercò di fare più spazio possibile tra loro e i due mezzo demoni, sperando che Inuyasha sapesse cosa stava facendo.

“Pff,” sentì Naraku che rideva. “Credo che tu sappia, Inuyasha, quante debolezze offre il tuo corpo di mezzo demone. Il tuo sangue è contaminato e nemmeno tuo padre potrebbe mai fare qualcosa per cambiarlo.”

“Il tuo corpo non è lo stesso?” Inuyasha chiese, inarcando un sopracciglio e stando al suo gioco.
Naraku scoppiò a ridere più forte. “Pensi che io sia come qualcuno nato da un amore patetico e disgustoso? Pensi che avrei potuto scegliere di essere debole come te? L'umano che mi ha dato il suo corpo era fatto di un altro tipo di debolezza, ma una volta prese le redini tutto è cambiato e ho scartato ogni briciola di umanità, tutto ciò che avrebbe potuto rallentarmi.” Sollevò un tentacolo per abbracciare la folla di demoni – o, meglio, ciò che rimaneva di loro – che stava lavorando per ricostruire il suo corpo. “Ho scelto ogni cosa che poteva rendermi più forte e che mi avrebbe aiutato nel mio obiettivo, ovvero uccidere voi. Naturalmente non prima di aver goduto della disperazione nei tuoi occhi vuoti.” Sogghignò. “E lasciami dire che sei molto fortunato ad assistere alla mia trasformazione, ma non illuderti: non ti aiuterà a capire come combattermi. Ogni tuo tentativo sarà vano.”

A quel punto, ascoltando il suo lungo discorso, Inuyasha capì che Naraku stava cercando di fare la sua stessa cosa: prendere tempo.

Il luogo che aveva scelto per recuperare le forze era piccolo e attualmente Inuyasha bloccava ogni sua via di fuga. Naraku sapeva che se avessero combattuto ora non aveva alcuna possibilità.

Nemmeno il suo sottoposto poteva aiutarlo; Inuyasha non aveva percepito tanto potere in lui.

Naraku voleva aspettare che la sua trasformazione fosse completata per poter attaccare Inuyasha a tutta forza, mentre Inuyasha aspettava che il gruppo di suo padre li raggiungesse in modo che qualcuno potesse almeno prendersi cura di Rin.
Era chiaro, quindi, che il vincitore sarebbe stato il più veloce di loro.

Non sapeva quanto tempo sarebbe passato prima che il nuovo corpo di Naraku fosse completo, ma da quello che poteva vedere aveva buone ragioni per credere che suo padre sarebbe arrivato per primo, anche se Naraku non poteva saperlo.
Ognuno cercava di fare il proprio gioco e ormai era questione di momenti. Non potevano temporeggiare ancora a lungo, qualunque fosse il loro obiettivo.
Inuyasha poteva solo sperare che le sue previsioni si avverassero e che suo padre arrivasse presto, perché in cuor suo sapeva che mancava poco prima che decidesse di attaccare infine Naraku, anche in quella grotta, anche se Rin non era ancora stata portata via.
Avrebbe lasciato tutto il resto a Kagome, mentre lui si sarebbe assicurato di finire il mostro una volta per tutte, prima ancora che egli avesse la possibilità di trasformarsi di nuovo.



*


“Siamo qui, padrone,” la vocina di Myoga ruppe il silenzio della loro piccola comitiva.
Sia Toga che Sesshomaru, che non si erano fermati nemmeno una volta da quando avevano lasciato il castello, si scambiarono uno sguardo prima di osservare il paesaggio davanti a loro.

“C’è una caverna nascosta poco dopo distante dall’entrata della foresta, basta addentrarsi per vederla. Il signorino stava aspettando il momento propizio per avvicinarsi, ma quando l’ho lasciato era nascosto in mezzo alla vegetazione. Kagome-sama è stata condotta al suo interno dalle spie di Naraku.”

“Non sento la presenza di Inuyasha tanto vicina,” commentò Toga. Era possibile che fosse già corso in aiuto di Kagome o che, semplicemente, si fosse avvicinato ancora di più, lontano dal punto in cui sostavano loro.

Sesshomaru si irrigidì e fece per precipitarsi nella direzione indicata da Myoga, ma Toga fu più veloce e lo bloccò. “Non fare lo stupido adesso, Sesshomaru. Ci siamo quasi.”

“Riesco a sentire il suo odore,” si limitò a rispondere.

“Anch’io, insieme a quelli di tuo fratello e della sua compagna, ma tu sei più intelligente di così. Analizziamo prima quello che ci circonda, cerchiamo di sentire cosa succede dentro, e poi ci muoveremo.”

Sesshomaru, irradiando rabbia e rancore, non sembrava molto incline a seguire il consiglio del padre, anche se la sua voce più razionale sapeva che sarebbe stato meglio farlo.

Purtroppo, però, era anche una voce che negli ultimi tempi era stata soffocata così tanto da diventare quasi muta.

Toga, intuendo ciò, scelse di girare il coltello ancora più in profondità. “A meno che tu non voglia rivelarmi qualcosa e dimostrarmi che Inuyasha ti ha davvero contagiato. D’altronde, ti stai comportando in un modo straordinariamente simile a lui.”

E poiché Sesshomaru non sarebbe mai giunto a un tale punto di confronto con il fratellastro né poteva sopportare che qualcuno lo notasse, rinunciò a ogni tentativo di schivare il padre.

Toga si trattenne dal sospirare, pensando che Sesshomaru aveva ancora molto da lavorare in futuro per quel che riguardava la sua maturità, ma nel frattempo ciò che aveva ottenuto era abbastanza.

“Padrone?” Myoga tentò quando il silenzio scese di nuovo su di loro.

“Sì, Myoga? Hai altre informazioni da darci?”

“No, signore, mi dispiace, signore.”

“E allora perché stai sprecando tempo prezioso?”

“Non volevo, signore,” assicurò la pulce, inchinandosi sulle mani e toccando la spalla di Toga con la fronte, “ma mi chiedevo se potessi andarmene ora che ho fatto il mio lavoro e-”

“No, Myoga,” lo interruppe Toga, secco, “e sai che non ti conviene nemmeno svignartela. Non sappiamo cosa troveremo in quella caverna e potremmo avere ancora bisogno del tuo aiuto.”

Ormai pallido, Myoga rimase a boccheggiare mentre Jaken, accanto a lui, sghignazzava pensando fosse giusto che nemmeno la pulce se la scampasse, ma si bloccò sentendo un’occhiata accesa sulla nuca.

Una volta che Toga fu certo che Sesshomaru non avrebbe osato altre mosse avventate, si avvicinò silenziosamente all’ingresso della foresta, consapevole che da un momento all'altro uno qualsiasi dei sottoposti di Naraku avrebbe potuto intercettarli.
Ne avevano già incontrati molti lungo la strada, ma erano deboli e lui aveva ordinato al suo esercito di occuparsi di loro e di seguire le loro tracce non appena avessero finito. Questo significava che ora erano solo loro due, dato che Myoga e Jaken non potevano fare molto e a Toga erano rimaste solo due opzioni.

Se fossero stati trattenuti, qualcuno sarebbe dovuto rimanere indietro a combattere. E a meno che il loro avversario non fosse debole come quelli che avevano incontrato poco prima, dubitava avessero potuto aspettare.

Sapeva che Sesshomaru si sarebbe rifiutato, il suo demone interiore stava lottando contro la sua parte razionale e vincendo, perché il suo unico obiettivo era salvare Rin. Eppure, allo stesso tempo, Toga sapeva che lasciare ai suoi due figli il compito di uccidere Naraku non era la decisione più saggia da prendere.

Non avevano mai combattuto insieme né collaborato; avrebbero potuto farlo adesso, d’improvviso, perché in gioco c’era la sopravvivenza delle due donne che amavano?

Un minimo errore sarebbe potuto essere fatale nel loro piano, lo sapeva dall’inizio, e già il rapimento di Rin non era mai stato contemplato e aveva mandato tutto all’aria, cosa che lo faceva preoccupare ancora di più per Kagome e Inuyasha.

Certo, riconosceva la voglia e il potere di Kagome, che sarebbe stata una risorsa preziosa in quella che sperava fosse l’ultima battaglia contro Naraku, eppure l’incompatibilità dei suoi due figli rischiava di peggiorare la situazione. Per questo motivo sussurrò: “Potremmo doverci dividerci.” Sesshomaru non diede alcun segno di averlo sentito, ma Toga sapeva che lo aveva fatto. “Se vengo trattenuto, ho bisogno di sapere che collaborerai con tuo fratello solo per questa volta.” Lo vide irrigidirsi, ma non smise di camminare. “Dimentica il vostro passato perché se perdi tempo a litigare con lui o a sminuirlo, Naraku ne approfitterà; stanne certo. E sai bene qual è la posta in gioco se gli lasci tempo e spazio per agire.”

Ancora, Sesshomaru non osava aprir bocca e Toga sperava che quanto detto fosse sufficiente. Dopo tutto, avendo accettato di venire con lui senza scegliere di agire da solo come aveva sempre fatto gli aveva dimostrato che avesse capito almeno in parte la gravità della situazione.

Non poteva sapere che, mentre lui taceva, Sesshomaru stava riflettendo sulle sue parole, per la prima volta sollevato dal fatto che il fratellastro – la persona che aveva speso tante energie e anni a odiare – fosse sul campo di battaglia.

Non poteva ancora proteggere Rin – e non aveva fatto un gran lavoro quando ne aveva avuto l’opportunità – eppure sapeva che anche se la priorità di Inuyasha era la sacerdotessa, non avrebbe comunque permesso a Naraku di toccare un capello di Rin prima del suo arrivo.

Sesshomaru era sicuro che suo fratello l'avrebbe protetta e, solo per questo, poteva dimenticare il loro passato per una notte e tirare un sospiro di sollievo.

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Capitolo 28
*** XXVII — Un cuore umano ***


 

Capitolo XXVII: Un cuore umano


 

 

“Per quanto una situazione sia disperata, c’è sempre una possibilità di soluzione. Quando tutto attorno è buio non c’è altro da fare che aspettare tranquilli che gli occhi si abituino all’oscurità.”

Norwegian Wood, Haruki Murakami

 





“Mia cara Kagome,” la interpellò Naraku, distogliendo infine lo sguardo da Inuyasha, “sembra che tu sia stata brava ad ingannarmi. Te lo concedo.”

La ragazza strinse i denti, lasciando andare Rin, mentre Inuyasha si frapponeva tra lei e Naraku; si alzò in piedi e raddrizzò le spalle mentre manteneva il suo sguardo, senza farsi intimidire. Mai più.

Dimostrazione che non piacque molto a Naraku.

“Ma se il tuo desiderio, infine, è quello di restare con questo mezzo demone, ti accontenterò. Vi spedirò all’inferno insieme!” continuò prima di sferrare il primo attacco, lanciando un tentacolo nella loro direzione a grande velocità.

Inuyasha fu più veloce e con un agile movimento della spada troncò quello e gli altri che lo seguirono.

“Ti sei stancato di aspettare, eh, Naraku?” lo provocò. A quanto pare non aveva altra scelta se non rispondere ai suoi attacchi, nonostante si trovassero ancora in quel luogo per nulla adatto e da soli, senza rinforzi.

Non che Inuyasha avesse davvero paura di soccombere a Naraku, ma l’ansia di non potere mettere al sicuro sia Kagome che Rin non giocava di certo a suo favore. Però, visto che non avevano alternative, sapeva di dover contare su Kagome e, per questo, la guardò con la coda dell’occhio sperando che lei cogliesse e capisse il messaggio.

“La mia trasformazione è oramai ultimata e non ho bisogno degli ultimi dettagli per uccidere un essere inferiore come te,” continuò ancora Naraku, mentre Kagome rispondeva al fidanzato con uno sguardo identico e si affrettava a raccogliere arco e frecce che erano stati abbandonati in precedenza.

Avrebbe fatto la sua parte, senza lasciare che Inuyasha si occupasse di Naraku da solo, e sapeva anche già come: avrebbe tentato di colpirlo nel punto in cui tutti i demoni che lo formavano si univano, il nucleo. Anche se ora era nascosto, aveva avuto modo di localizzare la sua posizione quando era arrivata, prima che il suo corpo ritrasformato lo coprisse, quando ancora stava facendo finta di essere tornata da lui.

La freccia che scoccò colse di sorpresa anche Inuyasha, ma era troppo occupata a tirare il fiato e osservare come colpiva e accecava il bersaglio con la sua luce purificante per accorgersene.

Eppure, proprio quando era sicura di avercela fatta, il sorriso e la risata maligna di Naraku la fecero ricredere.

“Credevi che qualcosa del genere bastasse a uccidermi, Kagome?” la pungolò mentre il buco che la freccia aveva creato si richiudeva sotto i loro occhi.

“Ma come…” provò a dire. “Inuyasha, quello è proprio il punto in cui la massa di demoni si unisce, non capisco. Pensavo fosse il suo punto debole.”

“Non hai sbagliato più di tanto,” la corresse lui, incrociando lo sguardo di Naraku che, sebbene sorridesse beffardo era anche parecchio disturbato dall’azione della sacerdotessa. Era chiaro fosse rimasto sorpreso dalla velocità con cui Kagome aveva mascherato un punto vitale – anche se non così vitale, se era ancora vivo. “Direi che nel frattempo vale la pena continuare a colpirti sempre in quel punto, vero Naraku? Per quanto puoi continuare a rigenerarti?” gli chiese mentre con la spada cercava di colpirlo e Naraku indietreggiava per schivarlo, accorgendosi di nuovo del poco spazio a disposizione.

“La differenza, mezzosangue, è che a me basterà tagliarti la testa per farti fuori!” gli urlò di rimando mentre rispondeva ai suoi attacchi. “Prova a colpirmi quanto vuoi, sarà tutto inutile, anche se sei troppo stupido per capirlo.”

Combattersi nella piccola caverna si stava rivelando faticoso e sia Inuyasha che Kagome stavano incontrando difficoltà a difendersi e attaccare mentre, allo stesso tempo, dovevano fare anche attenzione al corpo inerme di Rin. Sebbene i numeri e la lucidità fossero più dalla loro parte, sapevano che non avrebbero potuto continuare così all’infinito, soprattutto dato che Naraku sembrava davvero in grado di rigenerarsi all’infinito.

E mentre rifletteva sulla loro situazione a Inuyasha balenò in mente un’altra possibilità e inizio a chiedersi se avessero potuto uscirne vivi se avesse deciso di far crollare la caverna nel tentativo di scappare da quella gabbia. Valeva la pena provarci? Kagome sarebbe stata in grado di portare in salvo lei e Rin prima che le mura rocciose fossero cadute loro addosso?

Si voltò verso la compagna e cercò di trasmetterle un altro messaggio con gli occhi mentre impugnava Tessaiga e si preparava a lanciare l’attacco che avrebbe certamente distrutto tutto.

Kagome ne rimase inizialmente confusa, accanto alla determinazione cocente che lesse nei suoi occhi vi era un’indistinguibile paura che, nella loro attuale situazione, non presagiva nulla di buono. Voleva urlargli di non farlo – qualsiasi cosa avesse in mente –, di non agire in modo avventato, ma prima che potesse lui si era già voltato e aveva alzato la spada, pronto.

Allora, in un ultimo disperato tentativo, corse verso Rin, sperando che il compagno sapesse ciò che faceva.

 

*

 

Voltate le spalle al padre, Sesshomaru si era avviato a gran velocità verso la caverna, facendosi guidare dalle voci che provenivano da essa, ma proprio quando stava per raggiungerla un altro odore lo immobilizzò, prendendo il sopravvento e facendogli perdere infine l’ultimo briciolo di razionalità che gli restava, tanto da dimenticare anche la sua operazione di salvataggio.

A pochi passi da lui Byakuya stava scappando, cercando di mettersi in salvo proprio ora che le cose si stavano mettendo per il peggio. I suoi vestiti, le sue mani, però, portavano ancora l’odore di colei che aveva rapito e trasportato, proprio ciò che aveva provocato Sesshomaru.

Il demone cane gli si piazzò di fronte, rigido come non mai, mentre la sua rabbia aumentava man mano che il profumo di Rin su Byakuya solleticava le sue narici.

Quest’ultimo, cogliendo il pericolo e non essendo prono a combattere, fece un balzo all’indietro nel tentativo di sfuggirgli, ma la rabbia di Sesshomaru lo rendeva ancora più veloce e non fu abbastanza perché in un attimo gli aveva stretto il collo in una morsa cominciando anche a corrodergli la pelle attraverso il veleno che secerneva dalle unghie.

Byakuya era scaltro, però, e aveva dovuto imparare ad esserlo nella vita, non avendo grandi doti di combattimento ed essendosi trovato più e più volte in situazioni pericolose che necessitavano di una mente veloce e una soluzione che presupponesse il minor numero di danni. Così, adesso, ad un passo dall’essere sciolto dalle unghie di Sesshomaru, capì subito ciò che doveva fare per salvarsi: con un mezzo sorriso si trasformò, lasciando nelle mani del dai-youkai un misero fiore, mentre un origami a forma di uccello si allontanava il più veloce possibile nel cielo.

Sesshomaru ringhiò per la rabbia e l’orgoglio ferito, sentendo sotto il suo naso ancora l’odore del demone e quindi intenzionato a cercarlo ovunque si stesse nascondendo – era sicuro che non fosse andato poi così lontano. Eppure, prima che potesse rincorrerlo, un brivido freddo gli percorse tutta la schiena seguito dal rumore imminente di un crollo.

Voltandosi di scatto, ebbe a malapena il tempo di incrociare gli occhi terrorizzati della sacerdotessa prima di scattare nella sua direzione urlando un solo nome: “Rin!”

Kagome, che si era già vista sotterrata dalle macerie, si aggrappò con fatica alle braccia di Sesshomaru – parso davanti a lei come un miracolo – mentre queste si allungavano a sorreggere il corpo pesante di Rin che aveva trascinato con sé. Un attimo dopo era al sicuro, lontana dal crollo e dai detriti, libera di cacciare tutta l’aria che aveva trattenuto nei polmoni.

Il terrore, però, non voleva lasciarla andare; nei suoi occhi ancora un’immagine che l’avrebbe perseguita per sempre, nella gola l’eco delle urla che aveva cacciato appena si era resa conto di quali fossero le intenzioni di Inuyasha.

Aveva visto il vento circondare la sua spada alzata e sentito il suo grido di battaglia prima che l’abbassasse e colpisse Naraku con un attacco che, in un secondo, aveva fatto crollare tutta la grotta su di loro.

Aveva pensato fosse la fine, ma Sesshomaru l’aveva salvata perché aveva avuto Rin stretta a sé tra le braccia, ma che ne era stato di Inuyasha?

Con il viso bianco e gli occhi sgranati, tornò nella direzione in cui si trovava la grotta pensando solo al fidanzato che si trovava ancora sotto le macerie, al poco tempo che le restava per mettere in salvo anche lui. Tuttavia, quando fece per tornare indietro degli artigli la tennero per la manica della veste, bloccandola.

“Lasciami,” urlò a Sesshomaru con le lacrime che cominciavano a scenderle sul volto. “Lasciami andare da lui,” ripeté, non comprendendo per quale motivo volesse trattenerla se finora le aveva riservato solo odio.

Davvero non gli importava se Inuyasha morisse in quel modo?

Non ottenne risposta se non uno sguardo impassibile, ma la sua mano continuava a bloccarla e sebbene sembrasse che non vi stesse impiegando alcuna forza, Kagome non riuscì comunque a sfuggire dalla sua presa ferrea.

“Se non mi lasci andare Inuyasha morirà, davvero non ti interessa?” gli urlò contro, disperata. “Dopo aver salvato Rin lo abbandoneresti ancora?”

“Zitta!” sibilò infine Sesshomaru, lasciandola effettivamente senza parole, per poi riportare gli occhi verso il luogo del crollo e osservare qualcuno rialzarsi da sotto le macerie.

Kagome trattenne il fiato seguendo il suo sguardo. “Inuyasha!” urlò, prima di emettere un verso strozzato nel vedere Naraku e la sua espressione compiaciuta.

La risata sguainata e stridula che ne seguì avrebbe potuto renderla sorda.

“Non ti preoccupare, Kagome, lo raggiungerai a breve. Non ti avevo promesso di spedirvi insieme all’inferno, dopo tutto? Mi assicurerò di farti fare una fine migliore, però,” sorrise malignamente.

Il ringhio di Sesshomaru interruppe il suo discorso compiaciuto. “Come se qualcuno con il sangue dell’Inu-no-Taisho potesse incontrare una fine tanto ignobile. Devi essere più illuso di quel che credevo, Naraku,” mormorò, prendendo le difese del fratellastro e stupendo Kagome una seconda volta.

Che Inuyasha non corresse pericolo? La sicurezza che trasudava da Sesshomaru non poteva essere una messinscena, in qualche modo doveva essere certo delle sorti del fratellastro – o almeno questo era ciò che la sacerdotessa voleva a tutti i costi credere.

Non poteva accettare che Inuyasha perisse in quel modo dopo tanta fatica.

Naraku fece una smorfia. “Il tuo improvviso amore fraterno non cambierà la situazione, Sesshomaru. Inuyasha è morto, ucciso dal fendente della sua spada, e a breve tutti voi incontrerete una fine simile. Avrei voluto riservarti un posto migliore dentro di me, dopo tutto è vero che il sangue che scorre nelle tue vene è nobile e forte, ma dato il tuo rifiuto farò in modo di accontentare anche te.”

“Uh, vedo che non ti è ancora passata la voglia di chiacchierare,” arrivò una voce stentata da dietro di loro, prima che la figura di Inuyasha emergesse dalle macerie e cominciasse a tossire. “Forse è il caso che ti faccia riposare un po’ la bocca,” gli intimò prima di asciugare la propria con la manica della sua veste.

“Inuyasha,” Kagome mormorò, lanciando un’ultima occhiata a Sesshomaru e poi urlando una seconda volta il nome del fidanzato, salvo nonostante le ferite riportate. E sebbene sapesse di doversi dare una controllata, che la battaglia era tutt’altra che conclusa, non riuscì a fermarsi e cominciò a piangere ancora più forte tanto era il sollievo.

“Keh, chi altro sennò? Non avrai mica creduto che morissi per così poco e ora… ora posso uccidere questo mostro con quanta libertà voglio,” sogghignò impugnando meglio la Tessaiga.

Naraku rise ancora di più, sguaiato, guardando Inuyasha con superiorità. “Come vorresti farlo? La tua ultima trovata non mi ha minimamente danneggiato, ma lo stesso non si può dire di te. Sicuro di riuscire ancora a maneggiare quella tua inutile spada?”

Non aveva tanti torti, dal crollo della caverna Naraku sembrava essere uscito illeso, ma Inuyasha aveva riportato, oltre a molte escoriazioni, un braccio rotto, che ora gli ricadeva come un peso morto sul fianco. Per fortuna, però, non era quello portante e oltre alla sua normale sfacciataggine, era proprio questa informazione a rendere Inuyasha sicuro di sé. Fin quando avrebbe potuto utilizzare il braccio destro sarebbe stato in grado di sopportare il dolore e attaccare Naraku, soprattutto adesso che si trovavano all’aperto.

Nel frattempo Kagome gli si era avvicinata, l’arco stretto forte tra le sue dita e lo sguardo che voleva dividersi tra il fidanzato e il volto deformato dalla rabbia di Naraku. Voleva accertarsi dello stato di salute di Inuyasha, ma sapeva anche che fin quando non avrebbero ucciso Naraku non avrebbe potuto permettersi di ignorarlo. Così silenziò quell’altra battaglia che imperversava dentro di lei, così come quella parte che avrebbe voluto scomparire e riapparire in un altro mondo, uno dove contava solo l’abbraccio caldo della persona amata. Dopo tutto, sapeva che quanto prima avrebbero sconfitto Naraku, prima quel desiderio sarebbe divenuto realtà.

Allora, conscia di quella realtà, i suoi occhi smisero di vagare preoccupati per posarsi infine solo sul nemico.

Fu forse quella nuova determinazione mista alla rabbia a darle una nuova prospettiva con la quale guardare quell’ammasso di resti di demoni che era Naraku, una volta Onigumo; la sua vista spirituale si rafforzò e solo allora le parve di notare qualcosa di nuovo a cui prima non aveva fatto caso.

All’altezza della spalla sinistra una macchia scura pulsava e si contraeva, come un organo che però non apparteneva in quel punto, così nero da superare forse la stessa anima di Naraku. Kagome osserverò quel pulsare, senza lasciarsi distrarre dallo scontro verbale nel quale erano ancora ingaggiati gli altri, e cominciando a contare i secondi si accorse cosa fosse davvero quel movimento invisibile a tutti gli altri: il battito di un cuore.

Aprì di poco le labbra davanti quella scoperta che la bloccò per un istante prima che si riprendesse e afferrasse una freccia dalla faretra; agendo il più veloce possibile per non allertare Naraku, la scoccò mirando in quel punto, certa ormai che fosse quello il suo vero punto debole e non il nucleo come aveva precedentemente pensato.

Ma l’improvviso aumentare della sua aura spirituale aveva richiamato l’attenzione di Naraku che, lasciando perdere Inuyasha, si spostò appena in tempo per evitare la freccia, la quale si conficcò in un albero alle sue spalle.

Ancora più arrabbiato, Naraku si accanì su Kagome, deciso a ucciderla per prima visto che si stava rivelando una scocciatura maggiore del mezzosangue, ma Inuyasha prevedendo il suo attacco spostò sia lui che Kagome ben prima che potesse colpirli.

Ripresasi dallo shock e consapevole di essere stata ormai scoperta, Kagome parlò: “Il suo punto debole è quello, Inuyasha. Sulla spalla sinistra vi è un cuore umano, nero e marcio, che è senza ombra di dubbio apparteneva a Onigumo. Ne sono certa, bisogna colpire lì per ucciderlo.”

Inuyasha strinse gli occhi cercando di notare ciò che Kagome gli aveva indicato, ma per quanto si sforzasse l’unica cosa che continuava a vedere era l’armatura spinata di Naraku. “Non c’è nulla, Kagome. Io non-”

Come aveva immaginato, erano i suoi poteri spirituali ad aumentare la sua vista, ma anche se Inuyasha non riusciva a scorgere il vero cuore di Naraku non voleva dire che non avrebbe potuto aiutarla a colpirlo. “Dobbiamo colpirlo alla spalla sinistra; mira solo lì.”

“Ancora una volta mi stupisci, Kagome, ma averlo scoperto non ti aiuterà. Credi che vi lascerò colpirmi con così tanta facilità?” la schernì.

“Questo e altro, Naraku,” urlò a gran voce per farsi sentire in modo chiaro dal lato opposto della radura. Ce l’avrebbe messa tutta per finirlo ed era sicura che con Inuyasha accanto a lei avrebbe raggiunto anche l’impossibile, ciò che solo pochi mesi prima non avrebbe nemmeno osato immaginare.

Tuttavia si rese presto conto di quanto l’aver scoperto il vero punto debole di Naraku non avesse cambiato di tanto le sorti della battaglia.

Rispondeva a ogni loro attacco instancabilmente e non sembrava nemmeno provato dall’inferiorità numerica; la barriera che in precedenza aveva eretto attorno al suo nucleo per evitare che il suo corpo venisse fatto più volte a pezzi ora era stata trasferita alla spalla, facendo sì che qualsiasi attacco la sfiorasse non gli facesse nulla. E non importava che Inuyasha e Kagome fossero riusciti più volte a ridurlo a pezzi, Naraku si ricomponeva sempre poco dopo, pronto a rispedire loro quegli attacchi.

“Ne ho abbastanza di questa sceneggiata,” ringhiò Inuyasha, “non ho intenzione di farmi prendere ancora in giro in questo modo. Cosa farai, Naraku, continuerai a scansarci e difenderti la spalla sinistra?”

“Ho una soluzione per te, Inuyasha: lascia che ti uccida se vuoi che questo ridicolo teatrino finisca al più presto,” gli sorrise, tranquillo e sicuro della sua vittoria.

E Kagome poteva anche capire perché lo fosse; dopo tutto avevano scoperto la sua debolezza ma non stavano riuscendo a sfruttarla.

La determinazione che prima aveva rinsaldato i suoi propositi, dandole nuova forza, non sembrava ancora abbastanza, ma nemmeno voleva abbandonarsi alla disperazione perché sapeva che nel momento in cui l’avesse fatto tutto sarebbe finito. Eppure, proprio quando era sicura che non ci fosse nient’altro da fare se non continuare a provare, sentì nella mente una voce familiare che la incitava.

Mutando tutti i suoni esterni e concentrandosi solo su di essa, Kagome fu in grado di riconoscerla come un ricordo e solo in quell’istante le ultime parole di Kaede trovarono finalmente un significato così come la fiducia che aveva riposto in lei.

All’improvviso ogni suo senso si amplificò: sentiva il battito del suo cuore rimbombarle impazzito nelle orecchie, rendendola sorda a ogni altra cosa, la porosità del legno dell’arco sotto i suoi polpastrelli, l’odore della terra umida sotto i suoi piedi, il suo sapore in bocca, e vedeva con particolare chiarezza il suo obiettivo. No, non Naraku nel suo complesso, ma solo quella massa nera che continuava a pulsare e pulsare come per prendersi gioco di lei e dimostrarle che non sarebbe mai riuscita a bloccare per sempre il suo movimento.

Attorno a quello tutto il resto era sfocato, ma Kagome non aveva bisogno di vedere altro.

Sapeva che era quello il momento di cui Kaede le aveva parlato, quello in cui ogni dubbio doveva sparire per far spazio alla certezza e alla sicurezza: avrebbe scagliato quella freccia e colpito il centro del bersaglio, incurante di tutte le volte in cui non ce l’aveva fatta.

Non si rese conto che attorno a lei ogni attività era cessata e che anche Inuyasha e Naraku si erano accorti del cambiamento in lei, agendo entrambi a loro modo; anche Sesshomaru, che finora li aveva ignorati, si concentrò su di lei. Ma a lei non importava.

Invece scagliò il fendente affinché neanche un altro battito potesse scuotere quel cuore che una volta era stato umano, seguì la sua traiettoria fino a quando non raggiunse l’esterno della barriera che aveva respinto tutte le altre e, nel momento in cui vide la freccia sparire, tirò il fiato.






N/A: 

Non sembra vero nemmeno a me, ma ce l'abbiamo fatta. Dopo tanta attesa ecco il capitolo e, come avrete capito, ci avviciamo alla fine. Dopo il prossimo, prevedo un paio di capitoli più l'epilogo per chiudere ogni punto di trama. Diciamo che forse arriveremo a un totale di 32, 33 capitoli massimo? 
Spero di non farvi aspettare di nuovo troppo per il prossimo, ma nel frattempo mi farebbe tanto piacere rileggervi tutti nei commenti. 

Vi abbraccio 💕.

 

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Capitolo 29
*** XXVIII — Traguardo ***


N/A: Sono vivaaaa e porto con me il nuovo capitolo 🔥, spero non vi siate già dimenticati di me! 
Presto arriverò anche a rispondere alle vostre recensioni, per ora non mi resta che ringraziare voi tutti che siete ancora qui a leggere. Un abbraccio e un augurio di buon 2024!



 

Capitolo XVIII: Traguardo




 

 

“So turn right
Into my arms
Turn right
You won't be alone
You might
Fall off this track sometimes
Hope to see you on the finish line”

Turn right, Jonas Brothers

 

 

Invece scagliò il fendente affinché neanche un altro battito potesse scuotere quel cuore che una volta era stato umano, seguì la sua traiettoria fino a quando non raggiunse l’esterno della barriera che aveva respinto tutte le altre e, nel momento in cui vide la freccia sparire, tirò il fiato.

 

 

Nello stesso istante in cui Kagome tirò il fiato osservando la sua freccia sparire, attorno a lei tutti reagirono in modo diverso, non comprendendo subito cosa fosse accaduto e se era proprio Kagome la responsabile. Tuttavia, se Inuyasha aveva piena fiducia nelle sue capacità, Naraku si limitò a sbuffare, immaginando che il suo non fosse altro che l’ennesimo inutile e maldestro tentativo di colpirlo. Eppure, questa volta non ebbe modo di deriderli perché non appena ebbe aperto la bocca per farlo vide riapparire la stessa freccia all’interno della barriera che proteggeva la spalla sinistra, e di conseguenza il suo cuore.

Stavolta non poté fare nulla per impedirlo e con la consapevolezza – e la rabbia – di aver fallito anche nell’ultimo dei piani, senza essere riuscito né a ottenere Kagome né a ucciderla insieme ai demoni cane, Naraku si disintegrò sotto i loro occhi, portando con sé anche i resti della sua vita passata.

Toga raggiunse la raduna giusto in tempo per vedere la freccia sparire e ricomparire e, insieme ai figli, osservò con il fiato sospeso ciò che Kagome era riuscita a fare, raggiungendo un traguardo importante, qualche che – ora ne era sicuro – solo lei avrebbe potuto compiere. Anche se non poteva ancora sapere con certezza che fosse stata proprio lei l’artefice né cosa fosse davvero successo, non dubitò nemmeno per istante che era tutto dovuto a Kagome.

Perché nessun altro avrebbe mai potuto uccidere Naraku e forse per questo gli scorsi tentativi erano falliti per un motivo o un altro, forse per questo non era riusciti a metterlo definitivamente al muro; c’era solo un modo in cui tutto sarebbe potuto finire ed era proprio quello che aveva appena visto.

Solo quando anche l’ultima parte di Naraku si fu dissolta Kagome osò ricominciare a respirare, e realizzare davvero ciò che era accaduto fu una sorpresa così da grande da buttarla giù; ora che ogni peso l’aveva lasciata e si sentiva più leggera che mai lasciò che quella forza inspiegabile la trascinasse giù e facesse di lei ciò che credeva più appropriato. Abbandonò arco e frecce perché le braccia, come le gambe, era diventate improvvisamente molli e senza forza e si concentrò solo sul proprio respiro con i polmoni liberi di inglobare e cacciare tutta l’aria che volevano. Inspirò profondamente, a occhi chiusi, e sentì il calore invaderla mentre si riempivano e poi svuotano; a un certo punto durante quel processo calde lacrime cominciarono a scenderle sul viso e sentì il bisogno di cominciare a ridere.

Kagome rise e pianse e più il suo corpo tremava sotto la forza di quelle emozioni e più lei rideva e piangeva perché, adesso, nessun altro avrebbe più potuto dirle ciò che doveva fare o imporsi su di lei e se avesse voluto sarebbe potuta rimanere lì, libera di continuare fino a che il fiato non l’avesse lasciata e anche il suo cuore avesse smesso di battere,

Non l’avrebbe fatto, però, perché un secondo dopo un braccio le avvolse le spalle, stringendola contro un corpo, ricordandole che non era sola in quella vittoria e chi altri l’aveva resa possibile. Kagome allungò la mano a stringere il braccio sano di Inuyasha e chiuse ancora di più gli occhi sentendo lacrime diverse bagnarle il collo e unirsi alla sua celebrazione.

Piansero e festeggiarono insieme sentendo che finalmente avrebbero potuto amarsi senza se e senza ma ed esplorare a fondo i sentimenti che erano nati proprio nello stesso momento in cui era nato Naraku ma che, invece, avrebbero avuto una vita molto più lunga della sua.

Se Sesshomaru non fosse giunto nel suo vecchio villaggio, uccidendo Hojo e accelerando a suo modo il piano contorto di Onigumo, forse Inuyasha e Kagome non si sarebbero mai incontrati ed era questa consapevolezza che, alla fine, aveva permesso loro di abbracciare tutto il dolore dei mesi passati; senza non sarebbero stati in grado di sperimentare la libertà e la felicità che stavano vivendo ora.

Vecchie leggende erano state riesumate per permettere il loro incontro, il destino era stato chiamato in causa ed entrambi erano stati costretti a lasciare andare ciò che conoscevano per addentrarsi in terra sconosciuta, ma infine era lì e si amavano.

Forse erano le lacrime che continuavano a sgorgarle dagli occhi senza che lei potesse fermarle a farla parlare così o, ancora, quella sensazione di leggerezza che la possedeva, ma Kagome avrebbe rivissuto tutto da capo solo per avere la certezza di ritrovarsi lì con Inuyasha. Niente e nessuno avrebbe potuto riportarla indietro nel tempo per vivere la vita che aveva inizialmente progettato con qualcun altro.

Il destino aveva scelto per lei Inuyasha, facendo sì che le loro strade si incrociassero, ma doveva solo a se stessa quel momento; era lei che aveva deciso di amarlo e combattere per avere con lui un futuro.

Quel quadro si interruppe solo quando sentirono qualcun altro raggiungerli. Alzando entrambi lo sguardo videro Toga che sorrideva, prima di far loro un cenno della testa e poi voltarsi verso il punto in cui Naraku aveva incontrato la sua fine. Dietro di lui, senza essersi mosso di un millimetro, Sesshomaru osservava con fare impassibile mentre reggeva una Rin ancora inerme.

“Sei stava brava, Kagome,” la lodò Toga nello stesso momento in cui lei si asciugava le guance e Inuyasha si assicurava che non fosse ferita.

“Sto bene, Inuyasha,” lo rassicurò, “tu piuttosto dovresti stare fermo con quel braccio.”

“Keh, entro stasera sarà come nuovo; quante volte devo ripeterti che non ho bisogno di tutte le attenzioni che richiedete voi umani? Lasciami fare,” la rimbeccò.

Toga rise nel vederli e poi si rivolse al figlio: “Dovresti essere tu a lasciarla fare, invece. Ogni tanto è bene sottomettersi alle cure della tua compagna anche se non ce n’è bisogno; imparerai presto che è piuttosto piacevole,” gli disse ammiccando, facendo arrossire entrambi fino alla punta delle orecchie. Poi scosse la testa prima di ritornare a problemi più imminenti. “Tuttavia, c’è ancora un’ultima cosa di cui occuparsi,” ricominciò riportando lo sguardo verso la parte opposto della raduna, “dobbiamo accertarci una volta per tutte che Naraku sia morto.”

Inuyasha e Kagome si scambiarono un’occhiata significativa. “Vai pure avanti, papà,” acconsentì il mezzo demone. “Credo che per me e Kagome sia arrivato il momento di farci da parte.”

Così, sotto i loro sguardi leggermente tesi, Toga si avvicinò e accese un fuoco per bruciare il terreno sul quale Naraku aveva combattuto. Dei suoi resti non vi era più traccia, la freccia di Kagome era stata abbastanza per purificarlo insieme alle sue ceneri, ma per scrupolo Toga decise di sanificare al meglio la zona; dopo tutto dubitava che sarebbe mai ricresciuto qualcosa in quello spazio, non dopo l’aura maligna che l’aveva avvelenato.

Dopo un po’, Inuyasha, Kagome e anche Sesshomaru si avvicinarono al Generale per osservare quel falò e quest’ultimo ne approfittò per raccontare loro che si era occupato del resto dei demoni ingaggiati da Naraku, oltre a uno strano tipo che odorava di Rin, e di aver lasciato sia Jaken che Myoga a far da guardia lì – un modo carino per informarli che entrambi i vassalli erano stati troppo codardi per andare avanti con lui e che gli avevano fatto abbastanza pietà da lasciarli lì.

“Tipico di Myoga,” commentò Inuyasha, “ma pensavo che Jaken fosse troppo spaventato da Sesshomaru per rimanere indietro.” Quando non riuscì a ottenere una reazione dal fratello si voltò a guardarlo e fu sorpreso da trovarlo in contemplazione: qualsiasi cosa stesse accadendo nella sua testa, Inuyasha fu abbastanza rispettoso nei suoi confronti da lasciarlo perdere; forse tutto ciò che era accaduto e trovarsi di fronte a una situazione che gli aveva fatto rischiare di perdere Rin per davvero avrebbe contribuito a fargli abbandonare del tutto l’atteggiamento altezzoso e irrazionale. Non che a lui interessasse davvero; tutto ciò che gli importava era accanto a lui.

“Li raggiungeremo non appena sarete pronti per partire,” aggiunse l’Inu-no-Taisho, spostando il suo sguardo dal braccio rotto di Inuyasha, alla faccia esausta di Kagome e infine al corpo di Rin ancora addormentato.

“È tardi,” rispose Inuyasha, “sarà meglio avviarsi; anche la mamma sarà preoccupata,” concluse dando loro le spalle e accucciandosi mentre Sesshomaru già si incamminava.

Gli altri due rimasero a fissarlo per un secondo di più non capendo il perché di quell’azione, ma quando girò il volto e guardò Kagome come a dire “beh, allora?” fu tutto chiaro.

“Posso camminare, non sono mica invalida!” sbottò Kagome, che pure stava per addormentarsi in piedi a causa della fatica e per aver quasi del tutto prosciugato le sue energie spirituali. “Non puoi portarmi con il braccio rotto.”

Il mezzo demone roteò gli occhi mentre lì accanto il Generale seguiva tutto con occhi divertiti. “Guarda che è quasi guarito. Salta su e non perdiamo altro tempo.”

“Bugiardo, se lo fosse non lo porteresti ancora come peso morto sul fianco!”

“Non c’entra nulla, sono comunque un mezzo demone io; mi basta il braccio destro!”

Vedendo che non avevano intenzione di mollare la presa, Toga intervenì: “Se ti preoccupi tanto per la salute di Inuyasha, Kagome, posso essere io a portarti; dopo tutto è vero che non sarebbe saggio farti camminare tutta la strada del ritorno.” Le risolve un sorriso incoraggiante sebbene in realtà stesse ancora cercando di celare la sua risata.

Com’era prevedibile – suscitando ancora più ilarità nel dai-yokai – Kagome arrossì di colpo, calando lo sguardo e balbettando, incapace di formulare una risposta adeguata. Infine, ancora troppo imbarazzata, si arrampicò sulla schiena di Inuyasha senza parole, aggrappandosi al suo collo e dandogli l’implicito consento a partire; lui subito la sorresse con il braccio destro e poi con un cenno di gratitudine al padre, partirono fianco a fianco.

E anche se Kagome era conscia di essere caduta nella loro trappola, sapeva che non si sarebbe mai fatta portare in modo tanto intimo da niente di meno che il suo futuro suocero; arrossiva solo al pensiero.

No, a quel punto era meglio soddisfare il bisogno di Inuyasha e poi, nemmeno a lei dispiaceva viaggiare così; sentiva come se da quel momento, per un po’, tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno era l’abbraccio di Inuyasha per riportare tutto a uno stato di serenità.

Quindi, con quella consapevolezza, sapendo di essere finalmente al sicuro, si addormentò.


 

*
 

 

Il silenzio fece da padrone durante il viaggio di ritorno, ma nessuno se ne lamentò né tentò di riempirlo con parole vuote; si resero tutti conto che era ciò di cui avevano bisogno per cominciare a recuperare le forze. E così, prima di quanto si aspettassero, i contorni del castello si stagliavano già davanti a loro e Sesshomaru, che per tutto il tempo era stato avanti, tanto da non riuscire a vederlo, si era fermato ad attenderli prima di farsi vedere dalle guardie, gesto che sorprese entrambi ma che sapevano non avrebbe ammesso.

Qualcuno doveva aver già percepito la loro presenza e allertato tutti, soprattutto Izayoi, perché la prima persona che videro appena giunti davanti ai cancelli era la sua snella figura che batteva impaziente un piede e si torturava le labbra con i denti; gli occhi le si illuminarono non appena si accorse di loro e sembrò non riuscire più a contenersi, al punto che dopo un attimo abbandonò ogni decoro e corse loro incontro.

Non potendo decidere chi salutare prima, abbracciò marito e figlio contemporaneamente, entrambe le braccia strette attorno a loro, mormorando parole di sollievo e facendo loro sapere quanto le erano mancati – anche se erano stati via per meno di una giornata – e quanto era stata in pensiero.

“È tutto a posto, Izayoi,” le sussurrò in risposta il compagno, dolcemente, “è tutto a posto,” le ripeté prima di baciarla sotto lo sguardo imbarazzato di Inuyasha e Kagome che erano ancora, loro malgrado, stretti in quell’abbraccio.

Izayoi sembrò prendere quelle parole come il permesso per cominciare a piangere lacrime di sollievo e solo quando si fu ripresa parve accorgersi di Sesshomaru e Rin. Allora, senza perdere un battito, si avvicinò al figliastro e lo strinse a sé nello stesso modo in cui aveva fatto con Inuyasha.

Si immobilizzarono tutti, lo stesso Sesshomaru, aspettando con il fiato sospeso una reazione che sorprendentemente si fece attendere per qualche secondo in più del normale. Infatti, sembrava che lo stesso Sesshomaru avesse avuto bisogno di riprendersi da quell’improvviso slancio d’affetto. “Allontanati, ora,” sibilò poi, ma le sue parole mancavano anche dell’astio che aveva sempre riservato alla matrigna.

Quel suo comportamento, unito al gesto di poco prima, colpì Toga che lo guardò con un sopracciglio alzato, e infine lo osservarono dirigersi verso l’entrata senza più dire una parola, probabilmente diretto nell’infermeria, dove un guaritore gli avrebbe detto ciò che già sapeva, cioè che Rin si sarebbe svegliata solo quando il suo corpo avrebbe ripreso tutte le forze.

Se l’erano cavata, erano tornati, e Toga era certo che l’esperienza avrebbe avuto modo di insegnare loro più di una cosa.

Intanto, però, erano a casa e questo importava.


 

*



 

Quella sera, quando Inuyasha accompagnò Kagome nelle sue stanze non se ne andò subito, piuttosto entrò con lei, non intenzionato a lasciarla già andare e sfruttando ogni secondo che gli restava prima di abbandonare del tutto la razionalità – perché sapeva che se fosse rimasto troppo avrebbe ignorato del tutto i limiti che si era imposto finora per il bene di lei.

Senza troppi preamboli, si accasciò a braccia e gambe aperte sul futon preparato per la notte, sospirando forte; Kagome lo seguì, accucciandosi contro il fianco sinistro così che il mezzo demone potesse poi stringerla a sé. Per qualche minuto restare in quell’abbraccio fu abbastanza e nessuno dei due sentì il bisogno di riempire il silenzio, finché…

“Non mi sembra vero,” mormorò lui, lasciandosi andare a ciò che lo aveva roso dentro sin da quando aveva scoperto di Onigumo. “Non sembra vero essere finalmente liberi.”

Liberi dalla paura e dall’ansia, liberi di amarsi, liberi di vivere come volevano.

“Piani per l’immediato futuro?” gli rispose Kagome sorridendo.

Inuyasha abbassò gli occhi su di lei, ricambiando il sorriso. “Beh, se la persona che ho in mente accetta, vorrei organizzare una certa cerimonia. Qualcosa di piccolo e intimo, solo io, lei e le nostre famiglie. Credi che le piacerebbe?”

Non seppe definire subito quello che vide nel suo sguardo, poteva essere orgoglio – o forse ammirazione – misto all’ennesima conferma del suo amore per lui. Certo era però, che nessuno l’aveva mai guardato a quel modo, come se fosse la cosa più importante – sì, così lo faceva sentire quando lo guardava così – e che mai aveva sognato di essere l’oggetto di tanta attenzione.

E se all’inizio aveva dubitato, anche solo in minima parte, della sua veridicità, ora si ripromise che avrebbe fatto sempre in modo di essere la causa di quell’orgoglio nei suoi occhi.

“Sì,” annuì infine Kagome. “Credo proprio che le farà piacere.”

 

 

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