Deus ex machina

di H0sh1
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo- Abisso senza luce ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Il gioco dei curiosi ***



Capitolo 1
*** Prologo- Abisso senza luce ***


Abisso senza luce

- Prologo -

 

 

La notte aveva inghiottito l'ultimo spiraglio di luce e altro non faceva che enfatizzare un'angoscia di cui la gelida casa era pregna sino alle fondamenta. Così fredda lo era diventata, algidi erano anche i suoi abitanti, fantasmi bianchi e smunti che privi di qualsivoglia vitalità si trascinavano irrequieti, mendicando sollievo per le proprie pene. Trovavano conforto solo in ricordi consumati di risate infantili e scalpiccio di piedi in corsa appartenuti a bambini che, anche in quella gabbia oscura, erano riusciti a crearsi il loro piccolo mondo, fatto di eroi valorosi e indomabili avventurieri. Con la loro scomparsa, la dimora aveva smesso di essere una giungla, un deserto o un mare in burrasca, era tornata ad essere solo un pozzo in cui ogni desiderio andava a dissolversi nel vuoto, sparito agli occhi del mondo senza che nessuno potesse sapere fosse mai esistito. Investito da questa atroce consapevolezza, un uomo solitario sprofondò lungo lo schienale della sua sedia imbottita. La sua postura scomposta e il lungo tempo trascorso lì seduto gli aveva sgualcito il camicie grigio-blu; si reggeva la testa con una mano guantata di nero, le dita affondavano in una chioma fiammeggiante e cerulea, raccolta in una corta treccia che ricadeva morbida da una spalla. Con la sua aria distrutta, fissava stanco degli ologrammi al centro di un lungo tavolo ovale, senza tuttavia studiarli per davvero giacché la mente aveva risvegliato in lui la sensazione di sentirsi schiacciare e tutto era virato verso un'unica direzione.

«Ortho...»

Accadeva, alle volte, di avere come la sensazione di vederlo spuntare da dietro un angolo o da sotto il tavolo, e che il birbante lo guardasse con il suo largo sorriso sdentato. Aaah, cosa avrebbe dato per poterlo rivedere ancora una volta...

La porta alle sue spalle si era aperta e si era d'improvviso sentito riportare alla realtà da una voce sommessa. Era così familiare e rassicurante che non aveva bisogno di voltarsi per focalizzare la figura di una donna piuttosto anziana, che liquidò con un gesto pigro. «Te ne prego, Febe, pensaci tu, qualunque cosa sia.»

Ma pur di fronte all'irremovibilità dell'uomo, la vecchina si era ritrovata suo malgrado ad insistere. Mai prima della perdita del figlio più piccolo lo aveva visto così stanco, inerme e in balia del proprio destino: della forza con la quale custodiva i suoi tesori, così chiamava le sue piccole creature, facendo verso al loro regno magico, non era rimasto più nulla. E lei, come il resto dei ricercatori e di tutto il suo entourage, non poteva far altro che restare a guardare: aveva cresciuto quell'uomo ancor prima di accudire i suoi figli e mai prima di allora si era sentita tanto impotente. In virtù della sua sincera preoccupazione lo aveva esortato con quel suo fare calmo e dolce che infondeva una certa pace: «Lo so bene, Chidemo, ma credo che in questa circostanza dovresti fare uno sforzo» poi aveva stretto la morsa delle dita, qualcosa nella sua voce gracchiante lo aveva spinto finalmente a voltarsi. «per il bene di Idia.»

Finalmente, Chidemo si era rialzato dal suo torpore, tornando dritto sulla sedia. Sebbene fosse alquanto intimorito dalla risposta che l'anziana balia potesse dargli, gli aveva comunque avanzato la sua domanda, col groppo in gola. «Febe... che gli è successo?»

La donna aveva provveduto da subito a tranquillizzarlo, forse intuendo che la sua mente avesse partorito uno scenario ben più grave. «Lui sta bene, ma credo abbia bisogno di te.»

Stordito, era scattato in piedi forse con troppa foga poiché la sua vista si era oscurata per alcuni secondi. Ignorando il capogiro, aveva superato l'anziana, che aveva preferito restare dove era: aveva solo intravisto ciò che era invece rimasto del piccolo Idia, quando l'avevano chiamata, e a stento era riuscita a sostenerne la vista. Invece Chidemo aveva imboccato l'uscita della sala di controllo e aveva proceduto a marciare lungo il corridoio a grosse falcate mentre lottava per tenere a bada il tumulto di emozioni che lo stava devastando. Per due lunghi anni aveva cercato di abbattere il muro che Idia aveva innalzato tra sé e il mondo esterno, ma più forte aveva tentato più suo figlio si era chiuso a riccio. Era chiaro che in un certo qual modo si sentisse sollevato all'idea che fosse rinvenuto dal suo bozzolo di solitudine, ma quel conforto camminava a braccetto col terrore di scoprire cosa quel dolore avesse causato all'animo del suo ragazzo, così sensibile.

Voltato l'ultimo angolo che lo separava dalla sua stanza, si era avvicinato di gran carriera alla coppia di ricercatori che stazionavano sull'uscio aperto. Dall'interno provenivano frasi a loro dire sconnesse, faticavano a trovare il filo logico nel caos di un entusiasmo che in genere pareva innocuo ma che, in quel momento, sembrava solo sbagliato.

È tornato!

Ce l'ho fatta!

Finalmente è qui, è tornato!

Era la sua voce, dopo tempo la sentiva nuovamente chiara. La coppia, percependo la presenza del superiore alle loro spalle, si era ritratta per permettergli di passare e quando anche Idia si era accorto di lui lo aveva chiamato entusiasta. Era di fronte alla scrivania, che aveva spostato al centro della stanza, a braccia aperte nell'atto di celare allo sguardo quel che c'era dietro di sé. «Papà, guarda, ci sono riuscito!»

Quando il ragazzo si era fatto da parte, la prima cosa che Chidemo aveva sentito era stato il sangue ghiacciarsi nelle vene, d'improvviso era calato un freddo a dir poco disumano. Quella cosa se ne stava seduta sul bordo del tavolo tenendosi con le mani lungo il bordo, dondolava le gambe imitando in toto il comportamento di un bambino di circa cinque sei anni. I suoi occhioni gialli... erano come li ricordava, dolci e vivaci e proprio per questo era spaventato da ciò che la sofferenza di Idia aveva partorito. Era davvero a quello che aveva lavorato per quei due anni, ad una mera imitazione gelida e senz'anima?

«Cosa facciamo, signore?»

«Lasciatelo stare, ci penso io.»

La coppia di ricercatori si era lanciata uno sguardo preoccupato, ma senza ribattere alcunché si era congedata ed era andata via quasi correndo. Chidemo, dal canto suo, aveva preso un profondo respiro ed era entrato nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Tutto il consueto disordine era ammonticchiato lungo una parete, sotto il televisore e la grande libreria: le miniature e i giochi da tavolo erano abbandonati alcuni a terra e altri dentro grossi scatoloni, nei quali erano state abbandonate anche parte delle console che i ragazzi avevano sempre avuto premura di trattare con i guanti. Tutto messo da parte per far spazio a pezzi di ricambio, una capsula di contenimento, saldatori, cavi, alimentatori, che orbitavano intorno alla scrivania dalla quale l'androide, dall'esoscheletro bianco e i capelli fiammeggianti, giocherellava con Idia.

Anche la voce di quel bambino fantoccio era spaventosamente identica a come la ricordava e Idia... differentemente da “Ortho” era cresciuto, certo era più alto ma quando lo guardava gli restituiva solo uno sguardo vuoto, quasi spiritato, che non riusciva a riflettere l'inquietante entusiasmo di cui invece le sue parole erano piene. Il cuore dell'uomo faticava a vedere il modo in cui il dolore lo aveva sfigurato: anche quel bambino che sognava di diventare un avventuriere, di conquistare il mondo al fianco del suo fedele compagno era ormai morto, tutto ciò che aveva lasciato era un involucro di disillusione. Non era riuscito a salvaguardare nemmeno quello... era sua la colpa. Sciocco da parte sua pensare che quanto meno i suoi figli, i suoi tesori, potessero sfuggire al vortice di oblio e vuoto a cui da generazioni la loro famiglia era condannata. Lui, con il suo egoismo, li aveva portati a quel mondo e trascinati sul fondo di quell'abisso dove la luce non sarebbe mai arrivata.

«Idia... » aveva cercato di chiamarlo, era faticoso tenere la voce ferma, ma il ragazzo non faceva altro che tessere le lodi della sua creazione, gaio di aver riportato a se stesso e a loro ciò che avevano perso.

«L'ho ricreato in tutto e per tutto, ha tutti i suoi ricordi, anche se campionare la voce non è stato semplice. L'IA è completamente autonoma, self learning!» Il trasporto con il quale parlava era perfettamente tangibile, fermarlo prima di oltrepassare il limite era impossibile. «Sarà come se non fosse mai andato via!»

C'era stato un momento di silenzio nel quale il ragazzo aveva guardato suo padre dapprima confuso per poi percepire una certa irritazione: non era quella, la reazione che si aspettava, perché nessuno riconosceva la grandiosità della sua impresa?

«Come se non fosse...» Monotono, Chidemo aveva ripetuto quelle parole tra sé, prima di ricomporsi. «Non puoi credere sul serio che sia la stessa cosa.»

Idia aveva scrollato le spalle, irritato, come se volesse scrollarsi di dosso le parole del suo vecchio. «Anche tu la pensi come loro? Il taboo... nessuno se ne rende davvero conto, nessuno vede che sono riuscito-»

«A riportarlo dalla morte?»

Idia, nel sentire la severità nella voce con la quale Chidemo lo aveva anticipato, aveva mosso qualche passo indietro, finendo con addossarsi al tavolo. Travolto da una certa foga, l'uomo aveva proceduto a ridurre la distanza tra loro, sfogando la ripugnanza che la sola idea di quella bambola gli procurava. «Non importa quanto accurato sia, la sua vista» e indicando l'umanoide al suo fianco aveva continuato «la vostra vista... mi strazia. Pensi sia davvero questo che volevamo?»

Si era tuttavia bloccato quando Idia, incapace di alcun controllo, era scoppiato in una risata sguaiata e aveva lasciato che lo sfogo proseguisse finché il riso non si era tramutato in un pianto sommesso. «Non capisco... io l'ho riportato da noi... perché...»

Arrivati ad un tale punto, Chidemo aveva fatto l'unica cosa che da anni desiderava fare ma che Idia non gli aveva mai permesso. Si era mosso cauto verso di lui, lo aveva poi afferrato per un polso e lo aveva stretto a sé. Il ragazzo, inizialmente spiazzato, aveva lottato per liberarsi dalla sua presa: non aveva bisogno di qualcuno che non fosse in grado di comprenderlo. Si era arreso solo quando suo padre, col cuore in mano e arreso alle lacrime, gli aveva sussurrato: «Ti ho causato io tutto questo, ma spero arrivi il giorno in cui sarai abbastanza forte da riuscire a disfartene. Perdonami, Idia... perdonami...»

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Il gioco dei curiosi ***


Il gioco dei curiosi
- Capitolo 1 -


 

Un nutrito gruppo di studenti si era riunito sotto una bacheca colma di avvisi e moniti sulle regole da seguire per la buona convivenza. Avevano l'aspetto di una piccola colonia di formiche operaie, afflitta da una sinistra sensazione di ansia che ognuna cercava di contenere come meglio poteva. Per alcune di loro era sufficiente chiacchierare con i compagni di frivolezze, per distrarsi, per altre il miglior metodo di esorcizzazione consisteva nell'affrontare la situazione a viso aperto e, piuttosto che parlare del menù della caffetteria o del nuovo trend di Magicam, si confrontavano sui possibili risultati conseguiti nei propri esami. Tra tutte le formichine ce n'erano però alcune che, perché completamente distaccate dal resto del gruppo, attraevano maggiormente l'occhio. Una di queste restava nascosta in fondo al corridoio, dietro un angolo in perfetta solitudine. Era un ragazzo dall'aspetto alquanto singolare: i lunghi capelli di fiamme azzurre proiettavano un sinistro alone bluastro sulla pietra nuda del muro e fissava la piccola folla con i suoi occhietti gialli, vuoti e vagamente irritati; gli angoli delle labbra, blu anch'esse, che si stagliavano sulla pelle chiarissima, erano rivolti all'ingiù a disegnare un lieve broncio. A ben guardarlo era chiaro che se messo in mezzo alla calca, con la sua estetica inusuale e l'atteggiamento eccessivamente guardingo, avrebbe attirato più curiosità che se fosse rimasto in disparte, e chi lo conosceva sapeva bene quanto per lui sarebbe stata una seccatura.

Infatti aveva tirato fuori la testa quel poco che bastava per fare una stima delle persone presenti, e arrivato alla fine della conta si era ritratto con uno scatto e il desiderio impellente di scappare via. La voglia di rintanarsi nella propria stanza, così da evitare gli sguardi giudiziosi e maligni che avrebbe potuto attirare su di sé, era molto più allettante che gettarsi nella mischia allo scopo di leggere dei risultati che avrebbe potuto acquisire anche per vie traverse.

Ecco, lo sapevo... per di qua finisco dritto in un bad end. Se non fosse che Ortho ci resterebbe male resetterei la route senza pensarci un secondo di più.

Fu un pensiero simile che lo spinse a trovare la forza di non assecondare il proprio istinto, così si gettò sconsolato con la schiena al muro. Già una volta, negli ultimi giorni, aveva deluso le aspettative del fratello più piccolo che, profondamente preoccupato dal troppo tempo che il maggiore passava in solitaria, lo aveva pregato di stare un po' con lui all'aperto. Il piccolo Ortho aveva acconsentito anche alla sua richiesta di avere con sé quanto meno il proprio tablet, ma chissà come mai il ragazzo era riuscito a trovare una scusa e così sottrarsi alla promessa fatta. Lo sguardo deluso che gli aveva lanciato poco prima di uscire gli impose di trovare il coraggio necessario e mantenere il nuovo impegno di controllare i risultati di persona, avrebbe solo dovuto trovare un escamotage per evitare quella che sentiva di definire come una mandria impazzita.

Una coppia di ragazzi passò di fronte a lui e ciò interruppe le sue macchinazioni. Il primo parlava con fare spensierato mentre il secondo, sebbene avesse il naso incollato sul cellulare, gli rispondeva entusiasta, segno che stesse comunque porgendo l'orecchio alla conversazione. In quest'ultimo, il curioso ragazzo aveva riconosciuto uno dei suoi compagni di classe e, allarmato all'idea che una persona così solare e estroversa quale era il giovane Cater potesse essersi accorta di lui, si premette maggiormente contro il muro. Portò il tablet che aveva con sé di fronte al viso, come se quel gesto potesse renderlo immediatamente invisibile al mondo, e tirò un sospiro di sollievo solo quando li vide ormai lontani. Ringraziò il cielo che Cater fosse troppo concentrato sul proprio telefono per accorgersi di lui, ma il gesto di abbassare il tablet rimise in moto gli ingranaggi della sua mente. Lo staccò dal torace e lo fissò con un ghigno, compiacendosi del lampo di genio che gli era balenato nella testa.

Sono qui di persona, non abbiamo mica messo paletti su come vederli, i risultati... oooh, sì, geniale...

Portò velocemente la mano libera nel tascone frontale della felpa e agguantò il cellulare. Armeggiò con entrambi i dispositivi per alcuni minuti finché questi non si connetterono, e impiegò anche meno per verificare che la camera restituisse un'immagine chiara di quel che riprendeva. Lo lasciò fluttuare a mezz'aria e lo guardò con aria assai soddisfatta prima di guidarlo oltre l'angolo. Lo spinse fin sopra le teste degli studenti, ma gongolò per poco poiché il video gli mostrò l'immagine della bacheca ancora vuota. Le labbra si contrassero nuovamente in una smorfia infastidita.

Grandioso, l'evento sta per iniziare e io sono ancora qua... fosse mai che qualcosa filasse come si deve, devo assolutamente tornare in camera.

Rassegnato ad attendere, ridusse il video sul cellulare ad una finestra nell'angolo in basso e visitò per l'ennesima volta una pagina con gli ultimi aggiornamenti in tempo reale sul gioco in questione. E mentre lui navigava nel suo intimo fastidio anche un'altra piccola formica condivideva la sua stessa frustrazione. Questa aveva invece compagnia, ma anche così era chiaramente persa in un disagevole stato di noia dovuta all'attesa, e per stemperarla giocherellava con tre piccole farfalle che, instancabili, le volavano intorno in un moto circolare. Erano così piccole che un occhio poco attento avrebbe potuto scambiarle per vive: solo se ci si fosse accorti delle lucine oro e i riflessi metallici che proiettavano le alette si sarebbe rotto l'incanto, svelando così una natura robotica.

Strinse le maniche della giacca nera intorno alla vita e con uno sbuffo si proiettò a sedere su di un parapetto, sotto un'arcata di pietra. Si stava facendo pian piano strada l'idea di ripassare in un secondo momento, e sarebbe anche andata via se non fosse che la compagna non le avrebbe permesso di lasciarla da sola, quand'ecco che uno strano tablet si avvicinò piano, a mezz'aria. Diverse persone, inclusa lei, non restarono indifferenti e alzarono il naso all'insù, guardandolo avanzare con tale nonchalance da far restare di sasso coloro che non l'avevano mai visto aggirarsi per il campus.

Ma allora lo vedi che qualcosa di interessante esiste, in questa gabbia di matti?

Di certo pensò dovesse appartenere a qualche studente di Ignihyde giacché non aveva visto nessun altro, oltre gli inquilini di quel dormitorio, fare sfoggio di tecnomanzia. E un tablet svolazzante, per quanto fosse un'idea alla base molto semplice, non l'aveva ancora mai visto. Distratta dal suo rinnovato interesse, si era quasi dimenticata dell'insopportabile vizio della ragazza bionda, che attanagliata dall'agitazione si mordicchiava senza sosta l'unghia del pollice.

«Ada', te ne prego, la vuoi finire? Mi stai facendo impazzire!»

Colta alla sprovvista da quell'improvviso scatto furioso, la vittima trasalì vistosamente e, nel tentativo di fermare quel gesto compulsivo incrociò le braccia al petto. «Mi spiace, Sissi, è più forte di me» rispose Ada' dispiaciuta «come fai a stare tranquilla? Non ti agita neanche un po'?»

«A che ti serve uscire matta, cosa speri, che se ti agiti magicamente cambi qualcosa?» obiettò Sissi, portatrice di ben poco tatto. Ciò che ottenne in risposta fu una linguaccia sfastidiata e la sensazione che l'amica, offesa, la guardasse in tralice. Dopo averglielo fatto notare, Ada' smise per alcuni minuti, ma l'ansia era tanta da portarla, inconsciamente, a ricominciare poco dopo. Durante le sue visite a Octavinelle nelle ultime settimane, Ada' le aveva dimostrato di essere a dir poco stacanovista e instancabile, questo era il motivo per il quale Sissi mal sopportava la sua insicurezza: aveva studiato sodo per recuperare le proprie mancanze e, per come la vedeva, non c'era motivo di non essere ricompensati per il duro lavoro, avrebbe di certo avuto i risultati che meritava.

Senza preavviso, una delle farfalle si insinuò sotto la cortina nera che erano i suoi capelli e quando il metallo entrò a contato con la pelle, trasalì leggermente e indusse così l'esserino a riprendere il volo, riunendosi alle sue sorelle. Non appena la coppia di ragazzi che era passata di fronte alla presenza dietro l'angolo si palesò alla vista, Ada', che sembrò di colpo essersi dimenticata di star recitando la parte dell'offesa, iniziò a colpire ripetutamente Sissi sulla gamba con una certa urgenza. Iniziò a proferire qualcosa di reso troppo confuso dall'emozione e di molto simile a: «Oh, sta arrivando Trey, dai! Come sto?», prendendo a sistemarsi la lunga chioma bionda e a rassettare la propria divisa, già impeccabile, con fare concitato. Si sistemò meglio il fiocco lilla e viola sotto la coccarda dorata che aveva al braccio sinistro mentre Sissi guardava confusa prima lei poi la folla, fino a scorgere il proprio compagno di corsi.

«Incantevole.»

Ada' scelse deliberatamente di non cogliere il sorriso di circostanza dell'altra, che nascondeva un certo scherno, mentre la coppia si era già avvicinata.

«Ehi, Sinesi, Adane! Ancora niente?» Era stato proprio Trey, il primo a parlare, un ragazzo con insoliti capelli verdi e un trifoglio nero disegnato sotto l'occhio sinistro.

«Spero che Crewel esca prima che questa si cannibalizzi e si mangi un dito.»

«Ho capito che ti da fastidio ma non lo controllo, sai?!»

Non ci fu alcuna risposta da parte di Sinesi, solo un'alzata di occhi al cielo. La situazione destò un lieve riso imbarazzato da parte di Trey, che si raddrizzò gli occhiali sul naso.

«Comunque se è come si vocifera e ci accoppiano come classi, alla prova di difesa magica spero mi mettano con Cater» continuò Sinesi, questa volta tentando di parlare con il secondo ragazzo, che pareva non averla udita. Era ancora assorto dal proprio cellulare, digitava qualcosa con parecchia enfasi.

Adane, sventolandogli la mano di fronte al viso, cercò di ridestarlo. «Ehi, Cater, penso ce l'abbia con te.»

«Sì lo so» Cater, un ragazzo dai profondi occhi verdi e un rombo rosso che ammiccava da sotto l'occhio destro, alzò finalmente il capo e, con un ampio sorriso, abbassò il telefono e lanciò uno sguardo d'intesa verso la ragazza seduta. «ne abbiamo già parlato, sarebbe davvero elettrizzante!»

Il concitato chiacchiericcio cessò quando la porta della sala professori venne spalancata e finalmente uno di loro ne uscì con dei fogli in mano e delle puntine. Il professor Crewel si fece largo tra gli studenti, sventolando in aria il frustino a cui era appeso un collare da cani tintinnante, a voler esortare la folla a farsi da parte. La sua figura, slanciata e celata sotto un cappotto di pelliccia, venne trasmessa anche dal tablet al cellulare del ragazzo nascosto dietro al muro, rimasto in religioso silenzio mentre ancora sfogliava guide e anticipazioni sull'evento online a cui desiderava ardentemente partecipare. Stava spulciando il profilo del nuovo personaggio disponibile da quel giorno e a cui stava puntando da mesi, fantasticava su come poterlo utilizzare con quelli di cui era già in possesso quando se ne accorse. Su di giri all'idea di potersi finalmente ritirare, avvicinò il tab alla bacheca. Cercò velocemente il suo nome tra il mucchio e sogghignò ampiamente. Le ore di gioco che aveva sacrificato, per lo più spronato da Ortho, gli avevano permesso di ottenere dei risultati che lo soddisfarono.

Se non altro ora potrò dedicarmi completamente a buildare il nuovo pg! Non vedo l'ora di dirlo a Red Muscle, chissà cosa ne pensa della nuova patch...

Lieto di poter finalmente tornare indietro, comandò al tablet di fare ritorno ma si rese conto che il professore stava affiggendo qualcos'altro, proprio accanto alla lista dei risultati. Con una sinistra sensazione di disagio, si avvicinò ulteriormente ai molteplici fogli, che contenevano liste molto più brevi. Soffiò inquieto quando comprese fossero gli accoppiamenti per gli esami di difesa e pratica magica. Sfumata anche l'ultima speranza che nutriva in un cambiamento all'ultimo dei parametri di valutazione e intimorito all'idea di doversela vedere con qualcun altro anziché star da solo, cercò l'elenco della classe 1-B e segnò data e ora dei propri esami. Si sentì sollevato a ritrovarsi con un paio di ragazzi provenienti dal suo stesso dormitorio, con i quali provava meno difficoltà nell'interagire, ma non ricordava di aver sentito i nomi di tutti gli altri se non che, arrivato sull'esame di difesa, il nome della ragazza che gli avrebbe fatto da oppositore gli suonò alquanto familiare. Dov'è che lo aveva sentito?

«Oooh, è andata meglio di quanto pensassi» proruppe Sinesi, leggendo i propri risultati, ma senza sembrare del tutto sorpresa. Buttandosi sulla spalla di Adane, corse poi ad allungare un occhio sui suoi voti, che rasentavano quasi la perfezione. «Te lo dico di non agitarti, ti fai venire le paranoie per niente» la punzecchiò poi, sornione.

«Guarda lingua animale, mi aspettavo di meno.»

«L'abbiamo studiata in tempo zero, ci può stare.» Con fare teatrale, le circondò le spalle e si puntellò il petto con la mano, gonfiandolo in maniera davvero troppo esagerata per poter essere presa sul serio. «In fondo con un'insegnante meravigliosa come me non potevi che recuperare le tue lacune. Prego cara, non c'è di che.»

Adane rise e in risposta la spintonò via, alludendo al fatto di smetterla di sembrare un pavone che fa la ruota a coda aperta. Mentre sia lei che Trey discutevano sui rispettivi accoppiamenti, Sinesi lesse velocemente l'elenco tra 1-E e 1-B e richiamò l'attenzione di Cater con una gomitata sul braccio.

«Ehi, Cater, che mi sai dire di questo Shroud?»

Il ragazzo dalla chioma rossiccia, visibilmente deluso dal fatto di non essere finito in coppia con la ragazza come avevano sperato, scorse più in basso la lista, concentrandosi sotto i nomi poco sotto quello di Trey. Gli rivolse una sguardo desolato, senza sapere cosa dire. «Idia, dici? Mi spiace, non si presenta quasi mai a lezione, è piuttosto schivo ma– ehi!» Si fermò di colpo quando, con la coda dell'occhio, si accorse del tablet che aveva preso a sfrecciare lungo il corridoio e le indicò la direzione in cui era scomparso. «le segue sempre con quello.»

Sinesi si voltò di scattò, senza tuttavia riuscire a rivedere il dispositivo giacché era sparito come un razzo dietro l'angolo, in fondo al lungo corridoio, che osservava in un misto di frustrazione e sorpresa. Sebbene un incontro con Cater e la sua abilità unica di creare copie di se stesso fosse stimolante dal mero punto di vista del divertimento, conoscerlo rendeva la cosa estremamente più semplice. L'idea di confrontarsi con qualcuno su cui non conosceva neanche il minimo dettaglio era avvilente e di certo poteva metterla in una posizione di svantaggio. D'altro canto, non poteva ritenersi del tutto delusa poiché chiunque avesse sviluppato quella tecnologia aveva attratto la sua curiosità. Forse avrebbe finalmente trovato qualcuno abbastanza all'altezza con cui confrontare le proprie abilità e ciò la emozionò non poco.

Idia, dal canto suo, riprese al volo il tab e si incamminò a passo svelto. Di fronte lo Specchio Oscuro, ecco dove aveva sentito quel nome. La ragione per la quale gli era rimasto impresso era da ricercare proprio in quelle farfalle che aveva sempre intorno, chiaramente anche loro frutto di tecnomanzia. Una scelta a dir poco peculiare, era rimasto sorpreso quando lo Specchio l'aveva smistata tra i Pomefiore, ma poco importava. Era una partita facile, lo credeva sul serio: non esisteva nessuno a Ignihyde in grado di eguagliarlo, figurarsi se quel qualcuno potesse nascondersi tra le fila di gente così drammatica e pomposa.

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