Oltre il Congo

di Orso Scrive
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


CAPITOLO PRIMO

 

Il fiume limaccioso, tinto d’un intenso verde dovuto alle essenze vegetali che ne costellavano il fondale, scorreva lentamente, con le sue acque quasi ferme, nel mezzo della lussureggiante vegetazione africana, che si innalzava così fitta da creare quasi una sorta di tunnel attorno a entrambe le sue sponde.

Dai più reconditi recessi della foresta, si udivano provenire i richiami di numerosi animali, mentre gli incessanti versi e i canti striduli degli invisibili uccelli tropicali si susseguivano tra le fronde che si ergevano poco sopra le rive sabbiose, sulle quali pigri coccodrilli si riposavano nell’attesa di rimettersi a caccia. Ogni tanto, dalle acque sembravano sorgere degli isolotti che, ad un più attento esame, risultavano essere, invece, dei pasciuti ippopotami che cercavano un po’ di refrigerio dall’aria torrida ed immobile del pomeriggio.

La piroga avanzava rapida e leggera lungo il corso d’acqua, attraversando gli infiniti nugoli di zanzare che lo abitavano, manovrata con pochi e decisi colpi di pagaia dai due uomini che la montavano.

A prua sedeva un gigantesco e inamovibile congolese, dalla pelle scurissima, vestito con freschi e leggeri abiti colorati, il quale sembrava trovarsi a suo perfetto agio in quei luoghi, che d’altra parte gli erano congeniali; a poppa, invece, boccheggiando a causa dell’afa soffocante, con rivoli di sudore che gli solcavano le guance e il collo, Alan Knight sembrava soffrire parecchio per quel safari a cui aveva dovuto partecipare controvoglia. Di sicuro, il suo elegante completo all’europea, appesantito e infeltrito dall’umidità, non era certo tra i capi d’abbigliamento più adatti ad affrontare le difficoltà della foresta equatoriale: metro dopo metro, l’agente dell’Interpol stava considerando che alla giacca di tweed ed alla bombetta avrebbe di gran lunga preferito, in quel momento, una sahariana e un elmetto coloniale.

Dopo aver varcato i confini del Sudan, aveva continuato a seguire le tracce di Fournier e di Smith, i due ladri d’antichità a cui stava dando la caccia, attraverso vari stati, sempre più verso Sud, fino a superare persino la savana e ad incontrare le impenetrabili e oscure foreste dell’Africa nera. Knight aveva un certo timore, riguardo a quei luoghi che avrebbe preferito di gran lunga evitare.

Anni prima, infatti, un suo vecchio amico di Londra, Robert Park, un ardito esploratore che aveva solcato i luoghi più lontani ed esotici, accompagnando anche, in un paio d’occasioni, il famoso duca degli Abruzzi, era sparito senza lasciare alcuna traccia di sé mentre viaggiava in quelle lande. Erano state organizzate numerose squadre di soccorso, per poterlo rintracciare, ma pure con quelle si erano perduti tutti i contatti, finché il pover’uomo era stato definitivamente dato per morto, esattamente come si era concluso per gli sventurati andati alla sua ricerca.

Alla fine, però, Park era stato ritrovato, delirante e malato, ormai macilento, ai confini di una grande foresta inesplorata, nei pressi della costa marina; ricondotto a Londra, le sue condizioni erano apparse immediatamente irrecuperabili e, per questo motivo, era stato rinchiuso in un sanatorio. Knight era andato a trovarlo, in qualche occasione, ma ogni volta il vecchio esploratore non sembrava averlo riconosciuto né, tantomeno, aveva dato segno di rendersi conto di non essere più sperduto tra la fitta vegetazione dell’Africa misteriosa. Per tutto il tempo, il meschino aveva infatti continuato a starsene rannicchiato sulla sedia, le braccia strette al petto come se cercasse di proteggersi da qualche cosa, sussultando ad ogni minimo rumore e cianciando parole inconsulte riguardo a un regno delle scimmie giganti.

Aveva anche fatto un nome, a un certo punto, uno strano nome che era penetrato nel cervello a Knight e, chissà come mai, lo aveva spaventato a morte: Tumbili…

Consapevole della triste sorte dell’amico, il poliziotto aveva ripromesso a se stesso che mai e poi mai avrebbe messo piede nell’Africa equatoriale, dove chissà quali misteriosi eventi erano in agguato nell’oscurità delle boscaglie impenetrabili; a rassicurarlo era la consapevolezza che, in ogni caso, non avrebbe mai avuto alcun motivo per spingersi tanto lontano dal suo confortevole appartamento nel centro di Londra.

Ma la fuga dei due ladri di antichità proprio in quella direzione aveva, per forza di cose, rimescolato le carte in tavola; a Knight era stato affidato un compito preciso, quello di catturarli e trascinarli di fronte a una corte d’assise, e non poteva certo venirvi meno per una sua paura immotivata, poiché ne sarebbe andato del suo onore e della sua carriera. Se anche ci fossero voluti anni, se anche avesse dovuto compiere il giro completo del mondo (una buona metà, d’altra parte, poteva dire di averla già percorsa), alla fine avrebbe trovato Smith e Fournier, vivi o morti, oppure lui stesso sarebbe perito nel tentativo. E, di conseguenza, non sarebbero certo stati i deliri di un pazzo a fermarlo; eppure, non poteva affatto negare che, più si spingeva nel mezzo di quelle fitte foreste, più le sue inquietudini aumentavano.

Dal momento della sua partenza dall’Egitto, ormai, era trascorso quasi un anno intero; strano, come faccia presto a volarsene via, il tempo! E, quando quasi stava per perdere le speranze di riuscire a rintracciare i due inseparabili compagnoni, era capitato in un povero villaggio di capanne piantate nel mezzo delle savane, il cui capo, un uomo estremamente anziano dal nome per lui impronunciabile, gli aveva riferito di aver veduto i due europei, non molto tempo prima, e di sapere con esattezza verso quale direzione fossero diretti.

Per questo motivo, dunque, si era fatto assegnare una guida che, a bordo della piroga, seguendo il corso del fiume, avrebbe potuto condurlo in breve tempo nelle vicinanze dei due uomini. Andando a piedi, in effetti, Smith e Fournier non potevano essersi diretti troppo lontano.

Prima di inoltrarsi tra le boscaglie, avevano navigato nel mezzo delle immense praterie africane, dove il poliziotto aveva potuto scorgere numerosi e maestosi animali selvatici, come elefanti e bufali che, di sovente, si accostavano al corso d’acqua per bagnarsi e dissetarsi; branchi di gazzelle e di zebre si muovevano rapidamente tra quelle erbe rinsecchite, le quiete giraffe dal collo lungo strappavano le foglie dalle cime delle acacie mentre i rinoceronti ruminavano con calma, senza timore di essere attaccati da qualche predatore, protetti com’erano dalla loro spessa corazza e dal loro grande corno; a un certo punto, sdraiato all’ombra di un gigantesco baobab, gli era persino parso di vedere un leone, il più solenne di tutti i felini africani, intento a riposarsi ed a sfuggire alla calura pomeridiana, in attesa del sopraggiungere della notte per rimettersi in caccia.

Proseguendo con la loro tranquilla navigazione, infine, si erano lasciati alle spalle la savana e avevano intrapreso il viaggio attraverso la foresta, dove la calura opprimente, sebbene in parte mitigata dal fogliame, non era affatto diminuita. L’aria, satura di umidità, rendeva persino difficile la respirazione.

Il suo silenzioso accompagnatore, con cui viaggiava da ormai qualche giorno, si chiamava Mugambi; Knight ci aveva impiegato un po’ ma, finalmente, aveva imparato a pronunciarne il nome correttamente. Per fortuna, il congolese parlava il francese, ed era in questa lingua che i due comunicavano.

«Mugambi» domandò il poliziotto, «credi che ci stiamo avvicinando?»

Il possente nero rimase silente, guardando attorno a sé per alcuni istanti, cercando nella vegetazione qualche segno che solamente un esperto cacciatore come lui sarebbe stato in grado di riconoscere, poi rispose: «Sì. I due uomini che cerchi sono passati di qui, non più tardi di ieri.»

«Un giorno di vantaggio» borbottò Knight. «La distanza si riduce, ma è pur sempre tanta. Mi chiedo se riuscirò mai a raggiungerli… quando penso che, in Egitto, li ho avuti a portata di mano…»

«Non lasciarti scoraggiare proprio adesso, signore» gli disse Mugambi. «Loro viaggiano a piedi, camminano con mille difficoltà lungo le sponde del fiume. Sfruttando la corrente e la forza delle pagaie, noi andiamo più veloci. Presto avremo ridotto del tutto il nostro svantaggio e potrai raggiungerli.»

«Il cielo lo voglia. Mi pare una vita intera, ormai, che sto dando loro la caccia. Mi hanno fatto mangiare la polvere per mezza Europa e mezza Africa, quei maledetti!»

«Che cosa farai, quando li troverai? Li ucciderai?»

«Non ho intenzione di fare nulla del genere!» esclamò Knight, assumendo un cipiglio stizzito, colpito e indignato nella sua vecchia morale vittoriana che non aveva mai perduto. «E non userò le mie armi a meno che non siano loro stessi a costringermi a farlo. Sono un poliziotto, io, non un sicario. Il mio solo scopo è quello di stringergli le manette ai polsi e condurli in Europa, per affidarli alla corte di giustizia.»

Il congolese non aggiunse altro, ma continuò a remare, senza mai smettere di guardarsi attorno.

Anche Knight volgeva nervosamente qua e là i propri occhi, spinto in questo da una strana trepidazione. All’improvviso, infatti, gli era sovvenuto che, insieme a Robert Park, era stato rinvenuto pure il diario dell’esploratore. E le ultime note scritte dal poveretto, probabilmente le sue ultime parole sensate prima di perdere completamente il senno, erano state vergate proprio nella regione in cui, adesso, si trovava lui stesso. Knight rabbrividì e, istintivamente, portò una mano al calcio della pistola che gli sporgeva dalla fondina, cercandovi un poco di conforto.

Avanzarono ancora per qualche ora, poi Mugambi deviò verso riva e scese a terra.

«Il tramonto è prossimo. Ci fermiamo per la notte» spiegò, mentre Knight lo aiutava a tirare in secca la barca. «Domani raggiungeremo i tuoi due uomini.»

«Sperando che questa nostra pausa non gli conceda ulteriore vantaggio, però» dubitò il poliziotto.

«Non devi avere questo timore. La notte è tale per noi come per chiunque altro. Anche loro saranno costretti a fermarsi, poiché sarebbe da sciocchi proseguire lungo il fiume nell’oscurità che, a breve, sarà totale: rischierebbero di smarrire la via, di cadere in acqua o di finire tra le zanne di un animale feroce senza neppure rendersene conto. Dubito che quei due uomini, che da così tanto tempo ti sfuggono, potrebbero proprio adesso, senza alcun motivo apparente, rivelarsi tanto bietoloni. Inoltre, stanno camminando da parecchio, ormai, e anche loro avranno pur bisogno di recuperare le energie.»

Knight dovette ammettere che la sua saggia guida non poteva sbagliarsi; inoltre anche lui, adesso, sentiva il bisogno di riposare: le braccia gli si erano indolenzite e le gambe intorpidite. Dopo aver gettato una coperta sul terreno, si stiracchiò un poco e fece quattro passi nelle vicinanze, prima di mettersi a sedere. Mugambi, invece, batté forte e ripetutamente con un ramo il terreno tutt’attorno, per allontanare eventuali serpenti o altri rettili velenosi, come i letali mamba e i cobra, molto diffusi in quelle regioni; quindi, dopo essersi accertato che non ci fossero pericolo in agguato, accese con estrema maestria un fuoco e iniziò a cucinarvi sopra una zuppa, che sarebbe stata la loro cena.

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


CAPITOLO SECONDO

 

Più tardi, mentre - seduto sopra la sua coperta - mandava giù la zuppa insipida ma comunque gradevole e di buon sapore, Knight domandò al suo compagno di viaggio, che stava immobile oltre il fuocherello, le gambe incrociate: «Dimmi, ti dice nulla il nome Tumbili?»

Mugambi, senza aver avuto nemmeno bisogno di riflettere, scosse la testa.

«No, non ho mai udito pronunciare questo nome, prima d’oggi. Perché me lo domandi?»

«No, niente, così per sapere… e, invece, hai mai inteso parlare, anche solo per pura casualità, di un regno delle scimmie giganti?»

Udendo quella frase, invece, il possente congolese inorridì, scrutando il poliziotto come se avesse proferito una bestemmia. Questa reazione non sfuggì all’inglese, che lo incalzò: «Allora?»

«Che cosa ne sai, signore, del regno delle scimmie?» chiese Mugambi, con un tremito nella voce.

Knight scrollò le spalle. «Io? Proprio niente. Quasi niente, anzi. Altrimenti non te ne avrei mai chiesto.»

Mugambi portò il cucchiaio di legno alla bocca, sorbendo gli ultimi rimasugli della sua minestra, lentamente, come se non avesse alcuna fretta per riprendere il discorso. Tutt’attorno a loro, ormai, si era fatto buio completo e, se non ci fosse stato il fuoco scoppiettante a illuminare la scena, non si sarebbero neppure potuti guardare negli occhi.

Dalla foresta, i versi e i richiami degli animali notturni giungevano incessantemente, di volta in volta acuti e stridenti oppure bassi e cupi. I più terribili suoni erano i ruggiti, che si levavano con fierezza a coprire ogni altra voce, per fortuna sempre a notevole distanza dal loro piccolo campo. Eppure, nonostante la lontananza, Knight sollevava spesso lo sguardo e si guardava attorno con fare nervoso, in cerca di eventuali occhi fosforescenti che lo spiassero da poco lontano; ma la calma impassibile di Mugambi avrebbe dovuto tranquillizzarlo più di ogni altra cosa.

Alla fine, però, il congolese, riposte in bell’ordine le stoviglie accanto a sé, si decise a ricominciare a parlare.

«Esiste una storia molto antica, presso la mia tribù e le altre della zona circostante» spiegò, con la sua voce profonda. «Per te, che sei abituato a vivere in un mondo dove tutto appare sicuro e certo, potrebbe essere solamente una strana leggenda, ma per noi essa rappresenta realmente fatti accaduti nel passato. Si dice che, un tempo, questa parte di foresta fosse abitata da gigantesche scimmie, le quali svilupparono un’intelligenza tale da riuscire a scavare una città nella roccia ed a praticare l’allevamento. Esse, divenendo sempre più audaci e potenti, assoggettarono anche gli esseri umani: dapprima, iniziarono rapendo donne e fanciulli dai villaggi, dopodiché resero schiavi anche gli uomini, costringendoli a svolgere per loro i lavori più umili e pesanti. Questa drammatica situazione, che si protrasse per lunghi anni, trovò infine, però, il proprio epilogo: un fiero re degli uomini giunto dal Sud, un liberatore valoroso e senza paura, difatti, guidò i propri eserciti contro le scimmie gigantesche, per porre termine al loro regno del terrore. Fu una mattanza, un massacro senza eguali: molti eroici guerrieri caddero nell’immane combattimento, ma anche le scimmie subirono numerosissime perdite. Dopo un’aspra campagna militare durata dieci anni, esse furono ricacciate nel folto della foresta ed agli schiavi venne restituita l’antica libertà. Il grande re dell’emisfero meridionale, prima di tornare nelle sue terre, istituì un corpo di lottatori scegliendoli tra i più audaci e potenti e, lasciando a ognuno di loro una donna perché si creasse una famiglia, decretò che essi ed i loro discendenti avrebbero continuato a vivere tra queste boscaglie, per tenere a bada le scimmie qualora avessero osato ardire di tornare all’attacco; per governarli, nominò loro re il proprio figlio minore, dal quale discese la stirpe dei sovrani della foresta. Nessuno, da allora, rivide mai più né le scimmie giganti né i loro audaci oppositori ma, come puoi tu ben vedere, quella storia ha lasciato il segno, e non troverai mai nessun abitante di queste terre che non la ricordi con la giusta dose di paura.»

Mugambi si fece silente e anche Knight restò zitto, perso nei propri pensieri. Perché mai, si chiedeva, Robert Park era perseguitato dal ricordo delle scimmie giganti? Che le avesse incontrate veramente? Difficile a credersi, dopotutto. Si trattava solamente di una leggenda, alla fine. E Alan Knight era un uomo troppo pragmatico per lasciarsi suggestionare da quelle storielle.

Più probabilmente, concluse tra sé, Park, proprio come lui, ne aveva udito parlare da qualche indigeno e, successivamente, smarritosi nella foresta e perduto il senno a causa del lungo girovagare senza una meta, doveva essersi convinto di aver veramente incontrato quelle scimmie di cui, invece, aveva solamente sentito raccontare.

Non c’era proprio nulla da temere, in quel momento, se non il morso di un coccodrillo che sarebbe potuto sbucare da un momento all’altro dalle acque ormai tetre del fiume; questo pensiero indusse l’agente di polizia ad allontanare un po’ di più dalla sponda il suo giaciglio.

«Dormiamo adesso» ordinò Mugambi, con fare pratico. «Domattina ci sveglieremo prima del levarsi del sole e, ai primi raggi, saremo già in movimento. Ti assicuro che, ben prima del prossimo tramonto, raggiungeremo i tuoi due fuggitivi.»

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


CAPITOLO TERZO

 

La notte trascorse tranquilla e senza che alcun incidente arrivasse a disturbare i due viaggiatori; ogni tanto, un ruggito lontano o altri strani versi, simili a volte ad urla, altre a risate isteriche, ridestavano Knight dal suo sonno agitato, nel quale, spossato per le fatiche degli ultimi giorni, ripiombava dopo pochi istanti. Nessun animale, comunque, si avvicinò al loro campo rischiarato dal fuoco acceso e, a parte i suoni della natura, poterono dormire entrambi senza pensieri.

Era ancora buio quando si risvegliarono e iniziarono ad imbandire qualche cosa per fare colazione; mentre mangiavano alcune banane raccolte da un albero che cresceva nei pressi, il cielo si tinse di viola a oriente e, nel momento in cui ripresero a seguire il fiume, i caldi raggi del sole già alto attraversavano le fronde della verzura tutto attorno, creando giochi di luce nell’aria immobile.

Pagaiarono senza sosta fino a mezzogiorno. A quel punto, stancati dalla calura opprimente, si concessero una breve pausa per ristorarsi, dopodiché ricominciarono immediatamente la loro navigazione. La monotonia del paesaggio tutt’attorno era interrotta, di quando in quando, dall’aprirsi di una radura tra le piante, dall’elevarsi di qualche roccia lungo il corso d’acqua oppure dall’apparizione di qualche animale, specialmente gazzelle o bufali neri, venuto al fiume per dissetarsi.

Tra di loro scambiavano pochissime parole.

Mugambi, come già detto, era un uomo silenzioso e, se anche notava dei segni del passaggio dei due fuggiaschi, se li teneva per sé, senza avvertire la necessità di comunicarne la presenza a Knight. Il quale, dal canto suo, era perduto nei propri pensieri; non faceva altro, quasi, che immaginare il momento in cui avrebbe finalmente catturato i due ladroni, stringendo loro le manette ai polsi e mettendo così la parola fine a un estenuante inseguimento che durava da ormai troppo tempo. Aveva voglia di fare ritorno a casa propria, di mettersi un po’ tranquillo e di prendersi un periodo di meritato riposo; l’idea della calma che lo avrebbe atteso, quando avesse fatto rientro in patria, lo spronava a remare ancora più forte.

Nel tardo pomeriggio, quando già le ombre tendevano ad allungarsi, giunse alle loro orecchie un rumore indistinto, che si fece via via più forte mentre avanzavano. Per quanto sembrasse assurdo, sembrava che, da qualche parte nella foresta, fosse in corso una grande festa e che un gruppo di persone ubriache stesse ridendo sguaiatamente. Subodorando un pericolo, Mugambi deviò velocemente verso riva, saltò a terra e tirò in secca la barca.

«Che cosa succede?» domandò Knight, allarmato.

«Non lo so» bisbigliò l’altro, facendogli segno di tenere la voce bassa ed al contempo puntando lo sguardo attentissimo in direzione della fonte del rumore.

Dal loro punto d’osservazione, tuttavia, non poterono scorgere nulla, poiché alberi, rampicanti e cespugli celavano ogni cosa ai loro sguardi. Tuttavia, gli strani suoni erano adesso molto vicini, non dovevano distare più di venti metri.

«Arma il tuo fucile e seguimi» ordinò sbrigativamente il nero, dopo aver preso una vecchia carabina da caccia che teneva nella canoa.

Silenziosamente, si avviarono a piedi in direzione di quelle strane strida, decisi a scoprire che cosa fosse a provocarle. Entrambi avvertivano una tensione crescente, specialmente Knight, a cui era immediatamente tornato in mente il povero Robert Park.

Dopo aver aggirato un palmizio e aver strisciato per passare sotto ad alcuni rami bassi, i due uomini si trovarono a contemplare, al riparo di un albero del burro le cui frasche si allungavano fino a terra, uno spettacolo veramente inaudito.

Dinnanzi a loro, si ergeva un’antica casa colonica in rovina, costruita in legno e in pietra, ormai priva del tetto e completamente invasa da rampicanti ed alberi, probabilmente edificata da qualche europeo del secolo precedente. In mezzo alle sterpaglie e alle rovine dell’edificio, saltellavano e gridavano numerose scimmie. Ma la cosa più stupefacente era che, nel cortile di fronte all’abitazione, strettamente legati a un palo sormontato da alcuni teschi umani, gli sguardi terrorizzati puntati sulle scimmie che gli danzavano attorno come pazzi invasati e gli abiti ridotti quasi a brandelli, c’erano Smith e Fournier.

Quasi non riuscendo a credere ai propri occhi, Knight esclamò: «Mi prenda un colpo! Quei due sono gli uomini che sto inseguendo!»

Mugambi gli fece segno di tenere il tono basso per non farsi udire, poi aggiunse, bisbigliando in maniera quasi incomprensibile: «Te l’avevo detto che, entro oggi, saremmo riusciti a raggiungerli. Evidentemente si erano rifugiati in questa vecchia catapecchia per potervi trascorrere la notte, ma sono stati sorpresi.»

«Ma da chi? Chi è stato a legarli in quel modo?» domandò Knight, incredulo.

«Chi? Lo stai vedendo da te.»

Il poliziotto scrutò la guida come se fosse impazzita, poi scosse il capo, spingendo all’indietro la bombetta per grattarsi la fronte.

«Le scimmie? Non diciamo sciocchezze. Un primate non può fare questo.»

Il congolese indicò il cortile. «Giudica da te.»

In quel momento, infatti, come obbedendo a un comando repentino, tutte le scimmie simisero di urlare e di prodursi in quel loro strano balletto e si radunarono in fila davanti al palo a cui erano legati i due sventurati furfanti. Sembravano in attesa di qualcosa.

Un’attesa che, comunque, non durò a lungo. Dal vano che un tempo aveva ospitato la porta principale della casa, emerse un’altra bestia, molto più grossa delle altre. Questa nuova scimmia doveva essere alta quasi due metri, e pesare almeno centoventi chili, perlomeno a giudicare dalla muscolatura possente delle zampe e del petto. Immediatamente, lo scimmione cominciò ad agitare le braccia, emettendo versi striduli e gutturali, come se stesse tenendo un vero e proprio discorso alle compagne.

«Impossibile…» mormorò Knight.

Eppure, in quel momento, una scimmia, quasi avesse ricevuto un altro ordine, si staccò dal gruppo e, raccolto da terra un pugnale che era stato sottratto ai due uomini, si avvicinò con aria minacciosa al palo. Sembrava più che mai decisa a sgozzarli. Smith e Fournier, atterriti da quella visione, iniziarono a urlare disperatamente, invocando soccorso.

«Se me lo raccontassero, non potrei mai crederci…» grugnì Knight. Il suo naturale aplomb inglese, in quel momento, era decisamente a rischio. «Ma da quando ho messo piede in questo continente ne ho viste di cotte e di crude, talmente tante che potrei quasi scriverci un libro!»

«Questo, un tempo, fu il regno delle scimmie giganti» gli ricordò Mugambi, calmo e serafico. «I primati obbediscono loro. Significa solamente una cosa: quei mostri stanno tornando dalle profondità delle foreste in cui furono cacciati nei secoli passati.»

«Regno o no, quei dannati animali vogliono uccidere quei ladri, senza badare minimamente al fatto che io abbia attraversato mezzo mondo per prenderli miei prigionieri e affidarli al giudizio di una corte!» sbottò l’agente dell’Interpol, imbracciando il fucile e prendendo la mira. «Non posso permetterlo!»

Detto questo, premette il grilletto e, con un colpo estremamente preciso, fece saltare il coltello dalla zampa della scimmia, ormai giunta vicinissima ai due sventurati farabutti.

Urlando come se fossero impazzite, incitate dalla grande scimmia che doveva essere il loro capo, le altre bestie si gettarono subito verso il punto da cui era provenuto lo sparo, ma Knight fu rapido a correggere la mira e iniziò a bersagliarle, subito imitato da Mugambi, che gli diede man forte con la sua vecchia ma efficace carabina. Ferite e spaventate da quell’attacco inaspettato, con le scariche di fucileria che rimbombavano tutto attorno, le scimmie cessarono la corsa e si dispersero urlando in ogni direzione, come fece pure anche il grosso primate che li guidava. In breve le loro grida furono lontane e, nel giro di qualche istante, ogni rumore cessò.

Quando la calma fu totale, Knight si decise a uscire dal suo nascondiglio e, seguito da Mugambi, che non smetteva un solo momento di guardarsi attorno per scongiurare nuovi assalti, si avvicinò velocemente ai due uomini, mezzi svenuti per la paura.

Il primo a riconoscerlo fu Smith.

«Knight!» esclamò, sollevando il capo. «Alan Knight! Non sono mai stato tanto felice in vita mia di rivedere un poliziotto!»

Senza una sola parola, l’agente dell’Interpol abbassò la canna del fucile all’altezza dei loro stomaci.

«Ehi!» protestò Fournier. «Non avrà mica intenzione di ucciderci dopo averci salvati da quelle belve impazzite?!»

«Semplice precauzione» borbottò Knight, accennando al fucile. «Adesso, Mugambi vi slegherà. Questo arnese mi serve solo per assicurarmi che non cerchiate di fare scherzi.» Il poliziotto assunse un cipiglio autorevole. «Signori, è mio dovere informarvi che, nel nome della legge, siete dichiarati in arresto. Avete il diritto di rimanere in silenzio. Da questo momento in avanti, ogni cosa che direte potrà essere utilizzata contro di voi in tribunale. Avreste anche diritto a un avvocato ma, vista la situazione in cui ci troviamo, in questo momento non credo possiate trovarne uno. In ogni caso, fino a quando non avremo raggiunto un penitenziario, sarete miei prigionieri, e come tali vi diffido dal tentare alcunché.»

«Non si preoccupi» bofonchiò Smith, con il fiato corto. «Siamo entrambi troppo stanchi per tentare qualsiasi cosa.»

«Inoltre, non abbiamo alcuna voglia di allontanarci dal suo fucile e da quello del suo amico, sapendo che in giro ci sono quelle furie scatenate» aggiunse Fournier.

Senza rispondere, Knight fece un segno con la testa a Mugambi che, avvicinatosi al palo, si tolse un coltello dalla cintura e tranciò di netto le corde che trattenevano i due uomini. Appena furono liberi, entrambi si lasciarono scivolare a terra, sfiniti.

«Ma che cosa è successo?» domandò il poliziotto, guardandoli mentre a fatica si mettevano a sedere.

Smith, ansimando e massaggiandosi le braccia dolenti, borbottò: «Ieri sera abbiamo trovato questa vecchia casa e abbiamo deciso di passarvi la notte, prima di rimetterci in cammino. Ci eravamo appena addormentati che… che…» non riuscì a continuare, ancora sconvolto.

«…che quelle dannate bestiacce, spuntate fuori da chissà dove, ci sono piombate addosso da ogni parte» continuò Fournier al suo posto. «Avevano sassi e bastoni, ci hanno riempito di botte e, mezzi tramortiti, ci hanno trascinati fuori, legandoci a questo maledetto palo. Poi ci hanno lasciato lì per tutta la notte e per tutto quest’oggi, mentre gozzovigliavano e si ubriacavano con le nostre provviste. Alla fine, sembravano avere tutte le intenzioni di tagliarci la gola e, molto probabilmente, lo avrebbero anche fatto, se non fosse stato per il vostro tempestivo intervento.»

Mugambi guardò Knight con un’espressione atterrita, che mal si addiceva alla sua solita compostezza ed imperturbabilità.

«Adesso sono scappate, spaventate dalla nostra incursione, ma ritorneranno ancora» affermò, con sicurezza. «Andiamocene subito via. Sono nemici che non possiamo combattere.»

«Sì, sì, scappiamo finché siamo in tempo» implorò Smith, cercando di alzarsi in piedi. Allungata una mano, però, Knight lo trattenne.

«D’accordo, faremo subito ritorno alla barca, la metteremo nel fiume e risaliremo la corrente per tornare al villaggio» disse. «Prima, però, Mugambi, voglio che leghi le mani di questi due disgraziati.»

«Sei impazzito?» urlò Fournier. «Se quelle ritornassero, come faremmo a proteggerci, con le mani legate?»

«Basteremo noi due» spiegò il poliziotto, con un’alzata di spalle. «Inoltre, nel caso sia io sia Mugambi venissimo uccisi, potrò almeno avere la soddisfazione di sapere che nemmeno voi due vivrete molto più a lungo di me.»

«Ma…» protestò Smith.

«Niente ma!» sbottò Knight, con i baffi che fremevano. «Vi ho inseguiti per anni attraverso l’Europa, il Vicino Oriente e l’Africa, mi avete fatto sudare sangue con le vostre fughe continue da Londra fino all’equatore, e ora che finalmente vi ho presi non ho alcuna intenzione di correre rischi inutili. Vi conosco, ormai, siete troppo furbi per arrendervi facilmente! Anche adesso, facendovi vedere così deboli e senza forze, potreste star recitando una delle vostre ormai celebri commedie per cercare d’intenerirmi. Non ci casco! Questa volta vi riporterò in Europa, ad ogni costo! Vivi o morti!»

Il tono duro di Knight colpì molto i due briganti, che chinarono il capo con rassegnazione. Mugambi, senza provare alcuna empatia verso il loro misero aspetto, li rizzò entrambi in piedi e, tenendoli immobilizzati con le mani dietro la schiena, li legò così saldamente che non si sarebbero mai potuti liberare senza aiuto.

«E ora sbrighiamoci» disse il poliziotto, appena fu certo che i ladri non sarebbero più potuti scappare. «Mugambi, fai strada verso la barca. Voi, invece, seguitelo, ma senza provare a tentare uno dei vostri soliti giochetti: vi sto dietro, con il fucile pronto. E vi assicuro che, questa volta, non esiterò a ricamarvi un buco nel fondoschiena. Alla storia da imbastire per la corte di giustizia riguardo la vostra uccisione avrò tutto il tempo per pensarci.»

«Sei senza pietà» piagnucolò Smith, avviandosi di malavoglia dietro al congolese.

«Poche storie. Io…»

Ma Knight non poté terminare la frase perché, in quel momento, strida scimmiesche cominciarono a levarsi in ogni direzione, molto acute, rabbiose e, soprattutto, vicine.

«Sono loro!» urlò Mugambi, impaurito. «Corriamo!»

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


CAPITOLO QUARTO
 

 

Iniziarono immediatamente a correre, intenzionati a lasciare lo spazio aperto del cortile per potersi rifugiare al riparo della vegetazione che, almeno così speravano, li avrebbe potuti nascondere alla vista dei loro nemici. Troppo tardi.

Dall’alto delle cime che si innalzavano in tutte le direzioni, cominciarono a piovere da ogni parte pietre e pezzi di legno, scagliati con furia dalle scimmie, le quali avevano fatto repentinamente ritorno per vendicarsi dello smacco subito poco prima. I quattro uomini cercarono di difendersi come meglio poterono il capo da quella gragnola, ma intanto i loro nemici, sbucati dal folto della foresta o gettatisi dalle chiome degli alberi circostanti, si fecero avanti con intenzioni chiaramente irose. Gli animali, più furenti che mai, con i denti digrignati in bestiali smorfie d’odio, circondarono quasi completamente il gruppetto, ignorando i colpi subito sparati da Mugambi e Knight in un ultimo e vano tentativo di allontanarli.

«Presto, proviamo a rifugiarci nella casa!» urlò Knight, cercando di dirigersi in quella direzione. Ma non vi riuscì poiché, proprio dall’abitazione, fuoriuscì un’altra decina di scimmie, le quali lo assalirono con estrema violenza, disarmandolo e gettandolo in terra, dove provarono a cavargli gli occhi con le lunghe unghie delle zampe.

A salvarlo fu l’intervento di Mugambi, il quale sparò nel mucchio dei primati, disperdendoli. Anch’egli, tuttavia, era in estrema difficoltà: aggredito alle spalle, venne scaraventato al suolo e fu presto accerchiato. In quanto a Fournier e Smith, le loro condizioni parevano essere ormai disperate: impediti a difendersi dalle mani legate dietro la schiena, erano stati abbattuti e le bestie infierivano contro di loro con indicibile cattiveria.

Quella sarebbe potuta essere la fine per il valente poliziotto, per la sua guida e per i due audaci ladri che tanto a lungo gli erano sfuggiti dalle mani. Non sembrava esserci, ormai, alcuna possibilità di scampo.

Tutt’a un tratto, però, dalla foresta circostante cominciarono a rimbombare i cupi e ritmati colpi di decine e decine di tamburi, che fecero alzare in volo gli uccelli e bloccarono le scimmie come se un pericolo per loro mortale si stesse avvicinando.

Abbandonati i poveretti su cui si stavano accanendo, le bestie si allontanarono per la seconda volta dalla vecchia casa, questa volta con molta più convinzione di prima e, senza dubbio, maggiormente spaventate. Ma non tutte riuscirono a fuggire: sempre accompagnate dal rullare dei tamburi celati dalle frasche, lance e frecce acuminate cominciarono a piovergli addosso, colpendole senza possibilità di scampo. Le poche scampate, urlando dalla paura e dalla rabbia per la disfatta subita, si sparpagliarono in disordine per la foresta.

Non riuscendo a credere di essere ancora vivi, Mugambi e Knight si alzarono in piedi, feriti ma non troppo gravemente. Anche Smith e Fournier, in un modo o nell’altro, senza sapere in quale maniera, erano riusciti a sopravvivere all’attacco. Il quesito, adesso, era un altro.

«Che cosa succede, ora?» brontolò il francese, mentre il rullio incessante dei tamburi si faceva sempre più vicino.

Si volsero tutti verso la vegetazione, da cui videro emergere degli uomini neri possenti e muscolosi, vestiti di pelli di animali ed armati di lance, archi e frecce, scudi e reti. I loro volti esprimevano una fierezza rara, mai veduta prima.

Nello scorgerli, Mugambi chinò il capo con aria deferente.

«I guerrieri» mormorò. «I guerrieri del re del Sud! I figli della foresta!»

«I nemici delle scimmie giganti?» domandò Knight, al colmo dello stupore, osservando sbalordito la schiera di uomini ferma ai margini della giungla.

Nessuno gli rispose, ma in quel momento, incedendo con passo sicuro, un uomo più anziano degli altri li raggiunse, parlando nella propria lingua.

«Che cosa accidenti starà dicendo?» sbottò Smith, che non aveva capito una sola parola.

Mugambi, al contrario, doveva comprendere quell’idioma, poiché rispose: «Ci invita ad andare con loro.»

«Digli che lo ringraziamo tanto per averci salvati e che saremo loro debitori per tutta la vita, ma che preferiamo risalire subito il fiume fino al tuo villaggio» replicò il poliziotto, con decisione.

Mugambi tentennò un momento, forse cercando i vocaboli più adatti, poi riferì le parole di Knight. Udendole, l’anziano guerriero fece un segno di diniego con la testa, prima di pronunciare alcune secche frasi nella sua lingua, al contempo indicando la vegetazione lussureggiante alle proprie spalle.

«Dice che non possiamo tornare indietro, feriti come siamo» comunicò Mugambi. «Le scimmie faranno presto ritorno e, se ci sorprenderanno soli e in queste condizioni, non avranno alcuna pietà di noi. La nostra sola speranza di trovare scampo è quella di seguirli al loro villaggio, dove saremo al sicuro nell’attesa di guarire e di poter tornare indietro.»

«Allora non potrebbero scortarci loro, fino al tuo villaggio?» insistette ancora Knight.

Mugambi pose la domanda, ma il vecchio scosse nuovamente il capo, parlando ancora.

«No, non possono allontanarsi troppo dalle loro case» spiegò il congolese. «Le scimmie stanno riprendendo il potere di un tempo e le loro famiglie potrebbero trovarsi in grave pericolo se anche solo alcuni guerrieri si trovassero troppo distanti da loro. L’unica soluzione possibile, quindi, è quella che ci sta proponendo.»

Knight si osservò le mani, piene di tagli, e fece un rapido calcolo dei dolori che gli pervadevano il corpo in quel momento: parecchi. In una simile situazione fisica, non avrebbe potuto percorrere molta strada, prima di cadere stremato. Lo stesso valeva per i suoi due prigionieri; non voleva rischiare di lasciarseli scappare, o di vederseli morire davanti per lo sforzo, proprio adesso che li aveva finalmente in proprio potere. Aveva impiegato anni per giungere a questo momento; tanto valeva trascorrere ancora qualche giorno nella foresta, proprio per non mettere a repentaglio tutta la sua lunga caccia.

«E va bene» sentenziò infine, chinandosi a raccogliere la bombetta un po’ sgualcita che aveva perduto nello scontro. «Riferiscigli che andremo con loro.»

«Un momento!» protestò Smith, a viva voce. «A noi nessuno ha chiesto se siamo intenzionati o meno ad andare dietro a questa banda di selvaggi!»

«Esatto!» gli fece subito eco Fournier. «Abbiamo i nostri diritti, non ci si può obbligare a fare qualche cosa che non vogliamo fare!»

Il poliziotto li squadrò per qualche istante, prima di rispondere a tono.

«Vi sbagliate entrambi: in quanto miei prigionieri, voi ricadete sotto l’autorità delle corti giudiziarie di mezza Europa, per conto delle quali io sono qui in rappresentanza ufficiale. Pertanto, qualsiasi mia decisione, in questo momento, ha valenza giudiziaria, per tutto quello che vi riguarda. Tuttavia» e qui Knight sorrise malignamente, «capisco che il frangente non sia esattamente quello contemplato dai miei superiori, quando mi inviarono ad arrestarvi. Non voglio obbligarvi a venire con me nel villaggio di questi guerrieri, se non lo ritenete sicuro. Dal canto vostro, però, capirete che non possa neppure lasciarvi liberi, poiché sarebbe contrario ai miei ordini. Quindi, se non vorrete accompagnare me e Mugambi nella foresta, provvederò personalmente a legarvi nuovamente al palo dove vi ho trovati, e ci resterete fino al mio ritorno, beninteso se non saranno le scimmie a scoprirvi prima ed a farvi a pezzi: in quel caso, vi assicuro che tutte le accuse pendenti nei vostri confronti saranno archiviate dalle cancellerie.»

«Pazzo! Non puoi farci questo!» urlò Smith, in preda al terrore alla sola idea che l’agente mettesse veramente in pratica i propri propositi.

«Decidete!» ordinò il poliziotto, seccato. «Quale soluzione preferite? Venire con me o aspettare il mio ritorno?»

I due uomini, ovviamente, non ebbero neppure bisogno di rispondere e chinarono il capo, rassegnati e sconfitti.

Mugambi, nel frattempo, aveva riferito al comandante dei guerrieri, il cui nome era Nagwazi, che sarebbero andati con lui e i suoi uomini, per cui il vecchio, dopo aver assistito con un certo divertimento allo scambio di battute tra Knight e i due ladri, fece loro segno di seguirlo. Prima di partire, tuttavia, Knight ordinò a Mugambi di riferire a Nagwazi che i due uomini che erano con loro sarebbero dovuti essere sorvegliati con attenzione, in quanto molto infidi e pericolosi. Per questo motivo, allora, il vecchio ordinò a quattro dei suoi sottoposti di circondare Smith e Fournier e di non perderli di vista neppure per un momento.

Il lungo drappello si mise in marcia, al suono ritmato dei tamburi.

Lasciatisi alle spalle la casa in rovina, s’inoltrarono nella foresta, seguendo sentieri appena visibili nell’intrico della folta vegetazione. Ogni tanto, sul loro cammino, si levavano in volo degli uccelli colorati, ma delle scimmie non sembrava più esservi alcuna traccia. Non era facile avanzare nella fitta verzura, piena di insidie nascoste ma, dopo quattro ore di marcia, quando ormai l’oscurità era prossima, i viaggiatori giunsero finalmente in vista di una spianata priva di alberi, cosparsa di erbe secche e stoppose, nel cui mezzo s’ergeva un’alta e robusta palizzata, oltre la quale si levava il fumo delle torce e dei fuochi accesi per cucinare i pasti serali.

Essendo stati annunciati dal tambureggiamento, Knight e tutti gli altri trovarono le porte del villaggio già spalancate per accoglierli, guardate a vista da due impassibili e possenti guerrieri armati di lance; non appena anche l’ultimo di loro fu entrato, le porte vennero immediatamente richiuse e bloccate dall’interno con un pesante e lungo palo.

Oltre la palizzata, s’ergeva il villaggio dei guerrieri della foresta: dal lato destro si stendevano le capanne, di legno e di fango con il tetto di paglia, alcune circolari ed altre a forma di cubo, le quali servivano da abitazioni per le numerose famiglie che componevano la tribù; sul lato sinistro, invece, riposavano alcuni armenti incredibilmente magri che, probabilmente, durante il giorno venivano condotti al pascolo sugli aridi campi circostanti, dai quali dovevano ricavare un ben misero nutrimento. Nel centro esatto della piccola cittadella, invece, una spianata in terra battuta, dove già ardeva un invitante falò, limitata da due grossi edifici sempre di legno e fango, serviva da piazza e da punto di ritrovo.

Knight, Mugambi, Smith e Fournier, barcollanti e ormai quasi esausti per le ferite e la spossatezza, vennero condotti subito all’interno di uno dei due grandi edifici, dove furono seguiti da Nagwazi e dove furono raggiunti da due anziani uomini, i quali provvidero immediatamente a spogliarli ed a cospargerli di pomate che, nel giro di poco tempo, avrebbero guarito le loro lesioni, per fortuna tutte quante piuttosto superficiali. Infine, dopo aver offerto loro dell’acqua fresca con cui dissetarsi, li invitarono a sdraiarsi sopra alcuni comodi pagliericci.

«Adesso riposate tranquilli, amici miei, perché qui sarete al sicuro» disse Nagwazi, le cui parole vennero tradotte fedelmente da Mugambi. «Domattina, quando vi risveglierete, sarete ospiti al nostro banchetto e potrete incontrare il nostro re.»

Con un inchino, il vecchio guerriero si allontanò, anche se non prima di essersi assicurato che i due anziani medici avessero legato nuovamente le mani dei due ladri, le cui vivaci proteste rimasero inascoltate.

Knight, più che sicuro che né Smith né Fournier avrebbero potuto organizzare alcunché, considerati anche la loro prostrazione e il loro sfinimento, che dovevano essere superiori ai suoi, chiuse gli occhi e cadde quasi subito in un sonno molto profondo.

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


CAPITOLO QUINTO

 

 

Le ore della notte trascorsero placidamente e l’alba inondò di luce il villaggio fortificato senza che né le scimmie né altri pericoli ne avessero disturbato il riposo, proprio come il vecchio guerriero aveva assicurato.

Quando Knight si svegliò, Mugambi si era già ridestato e non era più nella stanza, mentre i due ladri, più svigoriti rispetto a loro, riposavano ancora. Il poliziotto si rivestì in fretta, quindi si diresse verso l’esterno, dove trovò la guida intenta a scambiare delle parole con Nagwazi. L’aria del mattino era fresca, ma lo sarebbe rimasta per poco tempo ancora, dopodiché il calore del sole africano sarebbe tornato a rodere la terra con la sua canicola quasi insopportabile.

«Prima di mangiare, il re del villaggio vorrebbe fare la tua conoscenza» gli disse il congolese, vedendolo arrivare. «Io farò da interprete.»

«Molto bene» approvò Knight e, subito, il vecchio li condusse in direzione dell’altro grande palazzo che racchiudeva la piazza sterrata. Sicuramente, lo si poteva considerare come l’edificio più sontuoso dell’intero villaggio: alle pareti esterne erano appese lance, scudi e maschere cerimoniali, intagliate nel legno, di incredibile bellezza e l’ingresso, vigilato da due guerrieri, era celato da una cortina di stoffa bianca. Per il resto, però, oltre alla grandezza, non differiva di molto da tutte le altre capanne circostanti.

Nagwazi li guidò all’entrata del palazzo dove, senza fermarsi a parlare con le guardie, scostò le tende per farli passare. Il vasto interno, illuminato dalla luce del sole mattutino che pioveva da alcune alte finestre prive di vetri, conteneva uno svariato numero di tappeti gettati qua e là sul pavimento di terra battuta, altri scudi, lance e maschere appesi alle pareti, oltre a diversi trofei di vario tipo e, contro il muro di fondo, in direzione Sud, un grande trono ottenuto da un unico blocco legno di teak. Alcune porte che si aprivano lungo le pareti dovevano certo condurre ai locali privati in cui viveva il re.

Nagwazi fece accomodare sui tappeti i due ospiti, quindi andò a porsi sul fianco sinistro del trono ed annunciò, ad alta voce, subito tradotto da Mugambi a favore di Knight: «Ecco Wamkulu Koposa, re dei guerrieri della foresta, signore del meridione, l’invincibile, della stirpe di Mefumu il grande!»

Immediatamente, dal lato destro del trono, da una porta che, essendo immersa nella semioscurità, il poliziotto non aveva notato, emerse un giovane e aitante uomo, di forse vent’anni o poco più, ma con lo sguardo saggio di una persona molto più anziana, il quale, dopo aver sorriso benevolmente ai suoi ospiti, andò a sedersi sopra l’alto scranno.

Il sovrano iniziò subito una conversazione, alla quale Knight poté rispondere con l’ausilio di Mugambi.

«Ti do il benvenuto al mio villaggio, straniero. So che tu, la tua guida e gli uomini che hai condotto con te siete scampati ad un attacco dei primati della foresta, resi schiavi dalle scimmie giganti, nostre secolari e mortali nemiche. Avete avuto fortuna a sopravvivere.»

«Ti ringrazio a nome mio e dei miei compagni, grande re. Se non fosse stato per l’intervento dei tuoi uomini guidati da Nagwazi, non saremmo qui, adesso.»

«Nagwazi è stato per lunghi anni il più devoto luogotenente di mio padre. Adesso, egli è per me un valente consigliere, un prezioso alleato ed un fedele amico. Dimmi, straniero, quale motivo ha condotto te ed i tuoi compagni ad attraversare le fitte foreste dell’Africa centrale?»

«Sono entrato con Mugambi nelle tue terre, signore, per poter catturare due malvagi uomini che si sono macchiati di innumerevoli crimini, nel loro lontano paese.»

«Sarebbe stato sufficiente che tu li avessi lasciati avanzare nella foresta e le scimmie non avrebbero dato loro alcuno scampo. Non è la prima volta che un uomo bianco entra in questi luoghi e non ne riemerge vivo. Purtroppo, non sempre siamo potuti intervenire in tempo per scongiurare il peggio.»

Il doloroso pensiero di Robert Park attraversò la mente di Knight, sul cui viso si dipinse un’espressione accigliata.

«Un mio amico, alcuni anni fa, si perse proprio in queste foreste. Creduto morto, venne invece ritrovato presso la costa, anche se ormai irrimediabilmente pazzo.»

Il re annuì gravemente.

«Credo di capire a chi tu ti riferisca. Non ero ancora divenuto sovrano, a quel tempo. Le scimmie lo catturarono e lo portarono al cospetto del loro signore, la gigantesca scimmia nera che vive nelle profondità più oscure ed irraggiungibili della foresta, in luoghi dove nessun uomo ha mai messo piede riemergendone poi vivo o, comunque, sano di mente. Per interi anni, il tuo amico fu schiavo delle scimmie, patendo indicibili tormenti; benché ne fossimo al corrente, non potemmo fare nulla per aiutarlo, poiché avventurarci nel pieno del regno di quelle bestie avrebbe senz’altro significato la nostra fine. Da tempo, infatti, la nostra società è in decadenza ed i nostri guerrieri non sono più numerosi quanto in passato, all’epoca del nostro splendore.» Il tono del sovrano si fece triste e amaro, mentre continuava a raccontare: «Alcune spedizioni di uomini bianchi giunsero sulle sue tracce, ma non potemmo fare nulla per impedire che anch’esse cadessero vittima delle scimmie. Tuttavia, in un modo incredibile, l’uomo di cui parli riuscì a sottrarsi da solo alla prigionia e fuggì, cercando scampo da quella misera sorte. Furibonde, le scimmie si misero sulle sue tracce ma, per sua somma fortuna, lo trovammo prima noi: mio padre, infatti, aveva sparpagliato per la foresta dei drappelli per contenere i nostri nemici, i quali stavano iniziando a minacciare di approssimarsi troppo al fiume. L’uomo fu condotto al villaggio e curato; appena fu nuovamente in grado di camminare, lo conducemmo ai confini della foresta, nei pressi del mare, dov’era all’ancora una nave europea, i cui marinai lo scorsero e lo recuperarono. Mi dispiace che non sia guarito dalla sua follia. Sono contento, tuttavia, che egli sia giunto a casa ancora vivo e spero che l’aver aiutato te, che sei un suo amico, possa in qualche modo aver contribuito a redimerci dal non aver osato tentare di salvarlo quando ancora la sua mente era sana; tuttavia, la fine miserabile di tutti gli atri uomini bianchi giunti in suo soccorso non potrà mai essere compensata. Sappi, però, che noi non abbiamo alcuna colpa: tutti i nostri tentativi di dissuaderli dal penetrare nelle foreste furono vani, di fronte alla loro ostinazione.»

Percependo il tono amareggiato di Wamkulu, Knight tentò di confortarlo.

«Non t’angustiare, re. Coloro che furono inviati alla ricerca di Robert Park avevano ordini precisi e nessuno, neppure un grande sovrano come te, sarebbe mai riuscito a distoglierli dai loro propositi. Sappi, però, che ti sono infinitamente grato per ciò che il tuo popolo si prodigò a fare per loro e per il mio amico Park.»

Wamkulu Koposa chinò il capo in segno di riconoscenza. «La tua gratitudine mi è d’infinito conforto, sappilo. Adesso, però, problemi più gravi mi angustiano: Nagwazi, difatti, mi ha riferito di avervi tratti in salvo dalle scimmie nella vecchia casa, lungo il fiume. È proprio così?»

«È esatto» confermò Knight, non riuscendo a comprendere perché quella notizia preoccupasse tanto il re. La risposta ai suoi dubbi non espressi, tuttavia, non tardò a farsi udire.

«E ciò è grave, parecchio grave, poiché da moltissimi anni, ormai, le scimmie non osavano avventurarsi così distanti dalle loro sedi. A lungo, infatti, siamo riusciti ad arginarle, impedendo loro di lasciare il cuore più profondo delle grandi foreste. La loro presenza sul fiume mi dice che, per il futuro, ci aspetteranno nuove guerre. Ma non voglio allarmarti con queste storie: abbiamo sempre contenuto quelle bestie e lo faremo anche questa volta, sebbene non nasconda che i miei guerrieri non sono più numerosi come furono in passato. Tu ed i tuoi compagni sarete nostri graditi ospiti finché non sarete tornati in buona salute, dopodiché potrete lasciare il villaggio con la mia assicurazione che non avrete più nulla da patire a causa di quelle maledette bestiacce.»

Il poliziotto scrutò il fiero volto del re della foresta, un volto giovane ma già segnato da incredibili esperienze, che di certo avrebbero vinto un qualsiasi suo coetaneo nato in Europa o in America; poi, guardò anche quello vecchio e sapiente di Nagwazi. Entrambi erano uomini ardimentosi, consapevoli di essere gli ultimi avanzi di un’antica potenza, ma non per questo remissivi a compiere il loro dovere. Non c’era alcuna traccia di rassegnazione, nei loro sguardi sicuri. Sapeva di avere un compito da portare a termine, quello di condurre in carcere Smith e Fournier; e, data la grande distanza che avrebbe dovuto percorrere prima di giungere a destinazione, era consapevole che non sarebbe stato per nulla facile, poiché i due astuti ladri avrebbero messo a segno qualsiasi tentativo pur di sottrarsi nuovamente alla sua stretta. Tuttavia, adesso, non voleva abbandonare a se stessi quegli uomini: lo avevano salvato da un atroce destino, avevano strappato il suo amico Robert dalla morte ed ora, pertanto, non poteva andarsene così, senza fare nulla.

«Mio re» disse, quindi. «Tu mi hai salvato dalle grinfie di quegli animali impazziti e mi hai offerto ospitalità, senza chiedere nulla in cambio. Ora, permetti che ti ricambi: mi offro come volontario per partecipare ad una spedizione contro le scimmie giganti.»

Wamkulu sorrise di fronte a quella proposta che rasentava la follia, pur dimostrando l’immenso coraggio di cui era dotato Alan Knight.

«Straniero, tu non conosci queste foreste. Io prendo atto con benevolenza delle tue intenzioni, ma non posso in alcuna maniera accettarle. Finiresti col metterti nuovamente in sommo pericolo. Lascia a noi questa oscura faccenda, come è sempre stato.»

Knight non rispose subito. Il fatto era che, per quanto lo riguardava, addentrarsi in quelle fitte boscaglie avrebbe finalmente significato vincere le proprie paure, persino quelle più recondite, che non avrebbe mai osato rivelare ad alta voce. Un agente della polizia internazionale come lui non poteva certo permettersi di provare spavento nei confronti dell’ignoto; superare quell’ultimo ostacolo lo avrebbe reso in grado, per l’avvenire, di affrontare qualsiasi pericolo.

«Insisto» affermò, con convinzione. «Intendo approfittare del periodo di forzata convalescenza dei miei due prigionieri per poter accompagnare i tuoi uomini nelle foreste. Poi, potrei esserti utile anche in un’altra maniera: ho lasciato delle armi da fuoco di riserva, nella mia imbarcazione, ed esse potranno esserti vantaggiose; insegnerò io stesso ai tuoi uomini ad utilizzarle. Sarà sufficiente tornare indietro per recuperarle. Così armati, pochi dei tuoi uomini potranno tenere efficacemente testa alle scimmie, molto più di quanto abbiano fatto finora con l’ausilio di lance e frecce. Il progresso tecnologico, ne sono certo, sopperirà facilmente al numero esiguo dei tuoi guerrieri.»

Il sovrano soppesò per qualche istante quelle parole. Accettare di utilizzare armi da fuoco avrebbe significato rinunciare ad antichissime tradizioni, certo, ma avrebbe anche reso molto meno penoso il compito dei suoi soldati. Alla fine, dunque, si decise a rispondere positivamente.

«L’aiuto che mi proponi, in questo caso, è bene accetto. Ti darò due guerrieri affinché possiate raggiungere la canoa nel punto in cui l’hai lasciata, ma non permetterò in alcuna maniera che tu esponga la tua vita al sommo rischio di cadere vittima delle scimmie giganti.»

«Re, devi capire che non è solo per dimostrare qualcosa a te ed al tuo popolo, che intendo inoltrarmi nelle boscaglie misteriose. Devi comprendere, signore, che è una faccenda anche mia personale: una paura mi affligge da tempo e, forse, affrontandola a viso aperto, potrò finalmente sconfiggerla. Sparare ad alcune di quelle bestie, poi, sarà un modo per vendicare il senno perduto del mio caro amico Robert Park. Inoltre…»

«Inoltre?» lo incalzò il sovrano, incuriosito.

Knight si torse i baffi, nervoso, quasi avesse timore a proseguire. Adesso, però, era infine giunto il momento di esprimersi, di rendere tramite le parole i dubbi che lo assillavano da tempo, perseguitandolo in ogni momento.

«Mio signore, quando parlai con Robert Park, dopo il suo ritorno a Londra, egli, nel mezzo del suo delirio, fece un nome. Un nome che m’insegue da tempo, incuneandosi nei miei sogni, un nome di cui neppure il fido Mugambi è a conoscenza. Ma esso era sulle labbra di Park e deve averlo udito qui e non altrove. Forse, se scenderò tra le foreste, ne scoprirò l’origine. Anche per questo, quindi, vorrei andare laggiù.»

«Favoriscimelo» lo invitò il re, conciliante. «Forse, io stesso potrò darti una risposta, senza che tu abbia bisogno di andare più lontano di dove già ti trovi.»

«Ebbene, il nome che da anni mi perseguita è questo: Tumbili!»

Al suono di quella parola, il re e Nagwazi si scambiarono un’occhiata contrita, poi il sovrano si coprì il volto con le mani, con aria afflitta. Knight fu stupito di osservare quella reazione inaspettata e rimase interdetto di fronte all’improvviso mutismo dimostrato dal re. Tuttavia, fu Nagwazi, con voce commossa, a rispondere per lui.

«Il nome che tu hai pronunciato è fonte, per tutti noi, d’immenso dolore e dispiacere.»

«Mi dispiace… Io non volevo offendere…» tentennò Knight, credendo di aver proferito, senza volerlo, il nome proibito di una qualche divinità locale. Si sentì decisamente in imbarazzo, ma Nagwazi l’interruppe.

«Hai frainteso. Non è un’offesa per noi, il nome di Tumbili, bensì è un ricordo doloroso. Vedi, è una storia triste ma, se lo vuoi, te le narrerò egualmente.»

Il poliziotto, effettivamente, non vedeva l’ora di udirla dalla viva voce di qualcuno che la conoscesse. Da troppo tempo, infatti, quel nome gli volava attraverso la mente, dandogli quasi una sensazione di paura o, comunque, restituendogli un senso di stranezza incomprensibile; neppure lui sapeva bene spiegare che cosa gli avesse originato quella sensazione, sebbene fosse quasi certo che il fatto di averlo udito proferire dalle labbra di un povero pazzo avesse contribuito decisamente al suo sgomento. Per anni, quindi, si era costruito stranissime immagini mentali riguardo al significato di quel nome, sulla storia che vi si nascondeva dietro. Finalmente, dopo tanto tempo, ogni cosa gli sarebbe stata spiegata e non avrebbe più avuto alcun motivo di temere quello strano epiteto.

Tuttavia, capendo che per gli uomini della foresta il nome Tumbili era qualcosa di molto concreto e deprimente, cercò di non mostrarsi impaziente, nel dire: «Ti ascolterò con molto interesse, grande guerriero. Ti prego di soddisfare la mia curiosità, se ciò non ti sarà troppo penoso. Ma se, per te, rievocare certe circostanze, non sarà fattibile, non vorrò insistere affinché tu continui a narrarmi le cose riguardo a Tumbili.»

Nagwazi lo fissò qualche istante negli occhi, come se volesse sondargli la sincerità nel fondo dell’anima poi, abbassato lo sguardo a terra, prese a raccontare, con voce secca, quasi rauca.

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


CAPITOLO SESTO
 

 

«Moltissimi anni fa, un colono europeo, un tedesco chiamato Klaus, si trasferì a vivere con la propria moglie, la signora Claudia, in quella casa diroccata che avete veduto lungo il corso del fiume, impiantandovi tutto attorno una piantagione di tabacco» disse. «A quel tempo, io ero solamente un bambino. Il figlio del colono, di nome Gunter, divenne per me un caro e buon amico e crescemmo insieme. Quando fummo ormai divenuti adolescenti, egli s’innamorò di mia sorella, Kukongola. Essendo a quell’epoca già morti i miei genitori, egli la chiesa in sposa a me ed io, naturalmente, fui felicissimo di concedere la mano della mia adorata sorella al migliore tra i miei amici. Il matrimonio venne celebrato dal nostro sciamano, proprio qui, in questa sala, alla presenza mia, del re Mitima e di parecchi invitati. Essi vissero a lungo felici nella casa sul fiume, dove nacque il loro primo ed unico figlio, che venne chiamato Tumbili.»

Quei ricordi avevano illuminato il volto del vecchio guerriero con un sorriso sincero, un sorriso che, però, scomparve non appena egli ebbe ripreso il suo racconto.

«Ma la loro felicità, a quanto pare, non era destinata a durare: quando il bambino, che divenne amico del nostro futuro re, aveva solamente sette anni, alcune scimmie, fattesi audaci, compirono un’incursione contro la casa colonica, distruggendola. Quando accorremmo, trovammo solo cadaveri. Il mio povero amico, la mia infelice sorella, tutti i loro famigliari e i lavoratori della piantagione… morti! Ma il bambino… il piccolo Tumbili… non c’era più. Rapito da quelle abominevoli bestie! La nostra reazione fu rabbiosa, incontenibile: inseguimmo quei mostri a lungo e infliggemmo loro perdite tali che, da allora, e sono passati oltre quindici anni, quasi non mostrarono più alcun segno di vita. Ma il povero e piccolo bambino… non lo trovammo mai più.»

Il re abbassò la mano che gli copriva gli occhi e puntò lo sguardo verso Knight.

«Come?» domandò, con tono atono. «Come può, il tuo amico, avere pronunciato il nome di Tumbili, il mio sventurato compagno perduto? Nessuno, in questo villaggio, per il triste e dolorso ricordo che ne consegue, pronuncia mai il suo nome. Di certo, non lo facemmo innanzi a quel povero pazzo.»

Il poliziotto scosse il capo. «Non lo so, signore. Egli pronunciò questo nome in un momento di delirio, sebbene, devo ammetterlo, con il sorriso sulle labbra. Ma se non lo ha sentito presso di voi, c’è una sola spiegazione possibile: a dirglielo dev’essere stata qualche scimmia.» Knight si rese conto troppo tardi di aver appena pronunciato una stupidaggine.

Nagwazi, che si era intristito nel raccontare la storia, udendo pronunciare quella frase ghignò divertito.

«Ma no, le scimmie non parlano. Per quanto evolute possano essere diventate, per quanto intelligenti si siano dimostrate, esse rimangono pur sempre degli animali, privi di parola. È impossibile che a fare il nome di Tumbili sia stato uno di quei bestioni.»

Knight era sul punto di ribattere qualcos’altro, ma il re lo prevenne, sollevando una mano.

«La notizia che ci hai portato è quasi incredibile. Eppure, non abbiamo alcun motivo di dubitare di te, poiché non avresti nessun motivo di mentire; il fatto stesso che tu conosca quel nome è segno della tua buonafede. Dovremo indagare su questo mistero, per svelare il perché l’esploratore pazzo fosse al corrente del nome di Tumbili. La risposta potrebbe essere semplicissima, magari una delle donne del villaggio, parlando con un’altra mentre si prendevano cura di lui, lo pronunciò per qualche motivo, lasciandolo impresso nella fragile memoria di Robert Park. Se sarà possibile, lo scopriremo. In quanto a te, non voglio trattenerti oltre. Mi è stato riferito che ieri sera, arrivati al villaggio, non avete cenato, perciò immagino che tu ed i tuoi amici sarete parecchio affamati. Ritornate pure nell’alloggio che vi abbiamo assegnato e, così, riceverete la vostra colazione. Sull’onorare la tua promessa di regalarci delle armi da fuoco ed insegnarci ad usarle, non voglio metterti alcuna fretta. Quando ti sentirai di farlo, potrai accompagnare due miei guerrieri a recuperarle.»

«Mio sovrano, io mi sento benissimo» replicò Knight, sicuro di sé. «Sarò lietissimo, quindi, di mettermi in cammino subito dopo avere mangiato.»

Wamkulu Koposa sorrise amabilmente, poi s’alzò dal trono e raggiunse rapidamente Knight, il quale si sollevò immediatamente dal pavimento per ricevere l’abbraccio fraterno del sovrano, che fu poi riservato anche a Mugambi.

«Ristoratevi, amici miei e non preoccupatevi più delle scimmie: esse sono state il nostro cruccio per intere generazioni, ma da esse non avrete null’altro da temere. Inoltre, grazie alle armi che ci hai così gentilmente concesso, sono sicuro che presto le sconfiggeremo definitivamente.»

Knight e Mugambi sorrisero al sovrano che, con un ultimo cenno del capo, si ritirò nei suoi alloggi privati.

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


CAPITOLO SETTIMO

 

 

Nella tarda mattinata, dopo aver consumato un lauto pasto, che fu loro servito da alcune sorridenti ragazze, Mugambi e Knight, in compagnia di due guerrieri, si misero in cammino. Il poliziotto, prima di partire, si raccomandò molto con Nagwazi, facendosi promettere che la sorveglianza su Smith e Fournier non sarebbe mai stata allentata.

Ripercorrere il sentiero già seguito il giorno precedente, questa volta, fu decisamente più agevole, poiché la luce solare del mattino illuminava molto meglio lo stretto percorso su cui avanzare, mostrandone in anticipo le eventuali insidie che avrebbero potuto rallentare il cammino. Oltre a ciò, il fatto che il congolese e l’inglese, questa volta, fossero riposati e rinfrancati permise di procedere assai più celermente, tanto che, dopo sole tre ore di marcia, il gruppetto giunse in vista della casa in cui, un tempo, avevano vissuto lo sventurato Tumbili ed i suoi genitori.

«Eccoci qui» annunciò Mugambi, fermandosi ai margini della boscaglia, avendo intenzione di dare un’occhiata alla zona, prima di addentrarsi nel cortile di pietra, sul lato opposto del quale scorreva lentamente il fiume. Tutto sembrava tranquillo, adesso, e non c’era più alcuna traccia delle folli scimmie del giorno addietro: il loro unico ricordo, ormai, era il palo sormontato da crani a cui erano stati legati i due ladri. Quindi, rivolgendosi ai due guerrieri, spiegò che avrebbero dovuto attraversare lo spiazzo e, fatto questo, seguire per un certo tratto la riva, dove avrebbero presto rinvenuto la loro canoa.

Uno dei guerrieri fece un segno affermativo con la testa, scambiò qualche parola con il compagno e, rapidissimo, scomparve tra i cespugli ed i rami bassi che li attorniavano da ogni lato. L’altro, invece, con un’agilità estrema, iniziò ad inerpicarsi lungo il fusto di un alto albero di acacia, dal quale, disturbato, si alzò in volo un malaconoto rosso e verde.

«Che diamine stanno combinando?» sbottò Knight, spiazzato da quel bizzarro comportamento.

«Stanno sondando la zona» spiegò Mugambi. «Prima di uscire allo scoperto, vogliono accertarsi che la scimmie non si trovino più nei dintorni, pronte a tenderci un agguato.»

«E salire sopra un albero a che cosa servirebbe?» domandò il poliziotto, con scetticismo.

Mugambi alzò le spalle, come a dire che lui, proprio, non ne sapeva nulla. Poi, però, aggiunse: «Immagino che le lotte secolari tra loro e le scimmie li abbiano portati ad affinare i metodi per rilevarne la presenza.»

«Sì, probabilmente hai ragione…» borbottò Knight, alzando lo sguardo per cercare di vedere che cosa stesse facendo il guerriero arrampicatosi sull’albero, ma non poté riuscire a scorgerlo, attraverso l’intrico dei rami.

I due uomini rimasero silenziosi, in attesa che accadesse qualche cosa. All’improvviso, il rumore di un ramo spezzato li fece voltare verso destra ma, dalla vegetazione, non emerse alcunché. Entrambi, con ancora negli occhi le immagini della sera precedente, si sentivano parecchio nervosi a rimanere fermi in quel luogo; ed il loro nervosismo aumentava di momento in momento, a causa del prolungarsi dell’assenza dei due guerrieri. Avrebbero di certo preferito sbrigarsi a recuperare le armi ed andarsene in fretta, anziché restare immobili nell’attesa che, magari, i primati li assalissero alle spalle.

«Dove saranno finiti?» borbottò Knight ad un certo punto, con l’impazienza nella voce.

«Ne so quanto te» replicò Mugambi, inquieto. «Ma una cosa la so per certa: questo luogo non mi piace affatto. Perché non raggiungiamo la canoa e non ce ne torniamo indietro?»

«E abbandonare tutto quanto?» chiese Knight, sorpreso. «Dimentichi che ho promesso a Wamkulu Koposa di armare i suoi uomini…»

«Non hanno bisogno dei tuoi fucili» proruppe la guida. «Non ne hai a sufficienza per armarli tutti e, inoltre, posseggono già le loro armi, le quali si sono sempre rivelate efficaci nella lotta alle scimmie. Il sovrano ha accondisceso che tu gliele consegni solo per farti contento, dato che ti dimostravi tanto impaziente di ricambiare la sua ospitalità. Ma a loro, le armi da fuoco, non servono. Io dico, invece, di fuggire da questa foresta maledetta, fintanto che siamo in tempo.»

Mugambi, il silenzioso ed audace congolese, in quel momento appariva realmente spaventato ed inquieto; evidentemente, contemplare il cortile di pietra, adesso con la consapevolezza dell’eccidio avvenutovi anni addietro e sapendo quali patimenti avrebbe potuto subirvi la sera precedente se non fossero giunti i guerrieri della foresta in loro soccorso, gli aveva risvegliato remote paure. Knight dovette ammettere con se stesso di non essere meno irrequieto, rispetto alla sua guida. Ma riuscì a celare i propri sentimenti, dicendo: «Non possiamo andarcene adesso. Hai scordato, forse, perché io mi trovi qui?»

«Per catturare i due ladri» rispose Mugambi.

«Esatto, i due dannati ladroni che sono rimasti al villaggio. Prima di andarmene, dovrei quantomeno tornare a recuperarli, non credi?»

«Ma se, invece, li lasciassimo per sempre prigionieri al villaggio? Non sarebbe la stessa cosa?»

«No, certo che no! Hanno anche loro dei diritti, cosa credi? Devo condurli di fronte ad una corte di giustizia, la quale emetterà un verdetto contro di loro. E, poi, solamente quando li saprò rinchiusi tra le quattro, solide ed inespugnabili mura di un qualunque penitenziario della vecchia Europa, avrò finalmente la certezza di non vederli scomparire per l’ennesima volta.»

Mugambi gettò una nuova occhiata, quasi rassegnata, verso il cortile e le rovine della casa poco discoste. Non sembrava essere molto convinto. Evidentemente, il ritrovarsi immischiato in una faccenda che riguardava le antiche storie, le più terribili, narrate dai vecchi della sua tribù, non faceva parte dei suoi piani, quando aveva accettato di guidare l’europeo lungo il fiume. Tuttavia, aveva dato a Knight la sua parola d’onore che lo avrebbe seguito ovunque avesse deciso di andare e che, a lavoro finito, lo avrebbe ricondotto al villaggio; di certo, non intendeva rimangiarsela proprio adesso.

«Allora, aspetteremo» disse, con voce calma. «Appena i due guerrieri ci diranno che non ci sono pericoli, recupereremo le armi, le porteremo al villaggio nella foresta e, quando avrai insegnato a quegli uomini ad adoperarle, ce ne andremo, conducendo con noi i due ladri.»

Knight sorrise.

«Così mi piaci, Mugambi!» esclamò.

Attesero per un’altra, interminabile, decina di minuti; nonostante all’apparenza si mantenessero quieti, dentro di sé sentivano entrambi crescere l’apprensione per la loro sorte e per quella dei due guerrieri. L’istinto di sopravvivenza gridava loro di lasciar perdere tutto e fare ritorno alla canoa. Era davvero difficile, in quel momento, riuscire a reprimerlo.

Ad un certo punto, tuttavia, un fruscio li avvisò dell’avvicinarsi di qualcuno e, dall’ombra, apparve finalmente uno dei due guerrieri, che scambiò rapidamente qualche parola con Mugambi.

«Via libera» annunciò la guida, con un lungo sospiro di sollievo. «Ha perlustrato le boscaglie per un buon tratto e non vi è traccia di potenziali pericoli.»

«E quello che s’era arrampicato sull’albero?» chiese Knight.

Come se avesse inteso le sue parole, il guerriero emise un leggero fischio, simile al verso di un qualche animale e, dall’alto delle fronde, gli rispose subito un identico richiamo. Il fiero abitante dei boschi disse due parole, che Mugambi tradusse: «Anche le cime degli alberi sono al sicuro. Mentre noi ci daremo da fare, comunque, lui resterà lassù per guardarci le spalle. In caso di pericolo, emetterà un suono come quello che abbiamo appena udito.»

«Bene, andiamo» rispose il poliziotto, che non ne poteva più di restare fermo.

Con prudenza, lasciò il relativo riparo dei cespugli che lo avevano celato fino a quel momento ed entrò nel cortile di pietra. Aveva immaginato di venire immediatamente assalito da centinaia di quelle scimmie urlanti e rabbiose ma, invece, non accadde nulla e poté continuare ad avanzare in tutta tranquillità. Per maggiore sicurezza, tuttavia, armò il cane del suo fucile e lo strinse fino a farsi sbiancare le nocche, gettando occhiate guardinghe a destra ed a sinistra. Mugambi ed il guerriero lo seguirono quasi subito, certi che non sarebbe potuto accadere loro nulla di male.

Rapidamente, i tre uomini attraversarono il cortile di pietra, senza badare ai resti dell’antica casa, e si gettarono nuovamente tra i cespugli fittissimi, avanzando fino in prossimità del fiume, le cui acque producevano un dolce e gorgogliante suono nel loro scorrere pacato. Nel giro di pochi minuti, furono in vista della spiaggia dove avevano tirato in secca la canoa; Knight, percorrendo gli ultimi metri, era stato assalito dal timore che le scimmie potessero aver trovato e distrutto l’imbarcazione con tutto il suo carico. Fortunatamente, non fu così.

Ogni cosa era ancora in ordine, proprio come l’avevano lasciata, salvo per qualche foglia caduta dalle piante soprastanti. Mugambi, spostate un paio di coperte e la cassa dove tenevano i viveri ed il pentolame, trasse dal fondo della canoa un involto di pelle conciata, che dispiegò sulla riva. Conteneva tre fucili Winchester, tre revolver, l’occorrente per la pulizia delle armi e svariati pacchetti di munizioni. In aggiunta alla vecchia carabina di Mugambi, al fucile che Knight stringeva tra le mani ed alla pistola che aveva infilata nella fondina, costituivano un arsenale piccolo ma che, comunque, si sarebbe potuto dimostrare efficace per tenere testa alle scimmie.

«Non è molto» ammise il poliziotto, richiudendo la sacca e mettendosela sulle spalle. «Ma per cominciare è sufficiente, immagino. Addestrerò i guerrieri migliori ad utilizzarli e, poi, per il futuro, potrà provvedere la tua tribù, Mugambi, a vendere nuovi fucili a quegli uomini.»

«Non abbiamo mai commerciato con i guerrieri della foresta» spiegò il congolese. «Però, potremmo iniziare a farlo.»

«Bene. Adesso…»

Ma Knight non poté continuare il proprio discorso, poiché venne interrotto dal levarsi di un fischio, come quello precedentemente emesso dal guerriero, il quale si allarmò subito e, afferrata con entrambe le mani la lancia che aveva portato con sé, assunse una posizione di difesa.

«Che cosa succede?» bisbigliò il poliziotto.

Mugambi ripeté la frase al guerriero, il quale rispose con una sola parola.

«Scimmie!» urlò atterrita la guida. Il guerriero gli rivolse un segno eloquente, per ordinargli di stare in silenzio.

«Calma, Mugambi, calma» lo invitò Knight, anche se senza riuscire a celare un tremito nella propria voce.

«Prendiamo la canoa e andiamocene!» scongiurò l’altro.

Ma Knight fu fermissimo nel replicare: «No, mai! Prima devo andare a recuperare Smith e Fournier! Se tu non te la senti, ti concedo di allontanarti da qui e di portarti al sicuro più a monte. Ti chiedo solo di tornare, ogni giorno per una settimana, nei pressi di questa riva, fino a quando non mi vedrai arrivare. Se, trascorsi i sette giorni, non mi avrai ancora veduto, potrai considerarti libero da ogni obbligo verso di me e tornare al tuo villaggio.»

Mugambi guardò con aria decisamente desiderosa l’agile canoa che, in breve tempo, lo avrebbe condotto lontano da quelle rovine infestate da scimmie impazzite. Poi, però, si rivolse a Knight, dichiarandosi per la seconda volta pronto a seguirlo ovunque, anche a costo di rischiare la propria vita.

«Andiamo, allora» ordinò Knight. «Restare qui in attesa che le scimmie ci trovino non mi pare una buona idea. Io direi di iniziare a correre, raggiungere l’altro guerriero e, poi, filarcela via, anche a costo di farci scoppiare i polmoni per lo sforzo. Domanda al nostro amico se è d’accordo.»

Mugambi rivolse la richiesta al guerriero, il quale annuì.

«Bene. Mugambi, prepara il tuo fucile e stai pronto a sparare contro ogni cosa che si muove. Al mio segnale, partiremo.»

Il poliziotto attese qualche secondo ancora, per accertarsi che la vecchia carabina di Mugambi fosse pronta a fare il suo dovere, poi guardò negli occhi i suoi compagni e sibilò: «Ora!»

Senza curarsi di fare silenzio, iniziarono a correre attraverso i cespugli, ferendosi il volto e le mani contro i rami contorti e spinosi. In un attimo, furono nel cortile di pietra, all’apparenza ancora deserto. L’illusione, tuttavia, durò pochissimi istanti, poiché da ogni direzione iniziarono a sbucare scimmie rabbiose ed inferocite; dovevano essersi mantenute abilmente nascoste, durante la perlustrazione dei due guerrieri, per poi poter attaccare all’improvviso. Di sicuro, se l’uomo rimasto di guardia in cima all’albero non si fosse reso conto in tempo della loro presenza, avvertendo gli altri tre di cominciare a fuggire, sarebbero riuscite ad accerchiarli e, allora, sarebbe stato troppo tardi per provare a scappare.

Le scimmie, quindi, erano estremamente furenti per il fallimento del loro piano di assalire di nascosto le vittime; a guardarle, mettevano spavento, poiché sembravano sprizzare rabbia da ogni singolo pelo che copriva i loro corpi. Quello che colpì maggiormente l’attenzione, però, fu la vista del comandante di quella strana brigata, un primate di razza sconosciuta, decisamente più grosso di un gorilla e, soprattutto, infinitamente più idrofobo e intelligente. Sembrava quasi che impartisse ordini, indicando i tre uomini ed incitando con alte strida le sue truppe a fermarli.

Knight e Mugambi, questa volta, non si fecero cogliere di sorpresa. Sapendo esattamente in quale direzione andare, aprirono il fuoco in direzione della foresta, colpendo le scimmie che provenivano da quella parte e facendosi strada con audacia tra i nemici. Al loro fianco, il prode guerriero attese di avere qualcuno di quegli scimpanzé a portata di mano, prima d’iniziare a mulinare la lancia con agilità per riuscire ad abbatterli. In loro aiuto, dall’alto delle fronde cominciarono a piovere le frecce scoccate dall’altro guerriero. Non appena ebbero varcato il confine della foresta, l’uomo che era salito sopra gli alberi si lanciò in basso, precipitando a sorpresa sulle scimmie ed abbattendone numerose.

«Presto, presto!» gridò Knight, incitandolo a raggiungerli. Il guerriero non se lo fecero ripetere e, liberatosi con pugni e calci di un paio di primati decisamente tenaci, fu lesto a mettersi all’inseguimento dei tre compagni, che già correvano per porre maggiore distanza possibile fra sé e le scimmie.

In un modo o nell’altro la scamparono tutti e, dopo un quarto d’ora di corsa, poterono fermarsi, sfiniti e senza fiato, in una piccola radura. Il poliziotto, più provato degli altri, tutti uomini assai robusti ed abituati a muoversi celermente in quei luoghi impervi, sedette sopra un masso, respirando profondamente per riuscire a reprimere il fiatone, avvertendo in bocca il sapore ferroso del sangue per lo sforzo esagerato a cui s’era sottoposto.

«Siamo riusciti a seminarle?» borbottò, stringendosi il petto dolorante per la mancanza d’ossigeno.

Prima di rispondergli, Mugambi si mise a sedere in terra, con le gambe incrociate sull’erba secca e polverosa, mentre i due guerrieri, a cui fu sufficiente una piccola pausa per rimettersi completamente in forma, andarono a piazzarsi di sentinella ai margini della radura. Uno dei due disse qualche cosa nella sua lingua, che Mugambi tradusse in fretta: «Per ora, siamo al sicuro, ma non possiamo concederci troppo tempo, per riposare, poiché non sappiamo se ci stiano inseguendo oppure no. Se lo stessero facendo, potrebbero raggiungerci da un momento all’altro.»

Knight si sentiva le gambe molli e tremanti; era davvero fuori forma, per quanto riguardava la corsa. Temeva che, se avesse ripreso a correre, non sarebbe riuscito a reggere troppo a lungo. Nonostante questo, però, riuscì a sollevarsi ed a dire con grande determinazione: «Riprendiamo la nostra marcia, allora. Ci riposeremo quando saremo al sicuro dietro alle palizzate del villaggio.»

Ricominciarono a camminare, questa volta senza correre, pur mantenendo un passo affrettato.

Un guerriero procedeva in testa, uno in chiusura, mentre Knight e Mugambi, quasi affiancati, camminavano nel mezzo, scambiandosi di tanto in tanto la sacca di pelle contenente le armi per sgravarsi a turno del suo peso. Nessuno parlava, per non sprecare ulteriore fiato, anche perché non c’era più molto da dire.

Il poliziotto, ansimando per la fatica della dura marcia, pensava a quante strane vicende gli stesse riservando la caccia ai due ladri d’antichità: prima un incontro con dei folli fanatici egiziani e la mummia rediviva di un antico faraone, poi anche queste scimmie impazzite.

Si domandò se, finalmente, le sue peripezie stessero per giungere alla conclusione o se, invece, il futuro non gli stesse per caso preparando altre bizzarrie in cui imbattersi. D’altra parte, quel polveroso scheletro, nelle profondità oscure della tomba egizia, non gli aveva forse scagliato contro una maledizione per la sua empietà? Come poteva sapere se, adesso, non fosse destinato, per espiare alla sua colpa di averne turbato il sonno millenario, a vagare ancora a lungo, prima di poter tornare a casa e riposare? Ma no. Erano tutte sciocchezze; quella della mummia urlante era stata un’allucinazione collettiva e nulla di più, dovuta probabilmente alla rarefazione dell’aria in quelle strette grotte. Peraltro, la maledizione avrebbe dovuto colpire anche gli altri profanatori della sepoltura, non solo lui; non aveva più saputo nulla di quelle persone, ma immaginò che stessero tutte benissimo. Dovevano essere stata la scarsità d’ossigeno dei cunicoli sotterranei e la suggestione di trovarsi in un luogo inesplorato da millenni ad indurre in tutti loro quella strana ed altrimenti inesplicabile visione.

Non doveva preoccuparsi di simili sciocchezze. Smith e Fournier, ormai, erano saldamente nelle sue mani e non se li sarebbe lasciati sfuggire un’altra volta, questo era ciò che contava davvero. Riflettendoci bene, non aveva neppure bisogno di portarseli appresso fin nel Vecchio Continente. Appena avesse terminato di insegnare ai guerrieri della foresta ad armeggiare con pistole e fucili - e, data la loro grande intelligenza, non ci avrebbero impiegato poi molto tempo ad imparare - avrebbe condotto i due ladri a Leopoldville, la capitale della colonia belga del Congo, e li avrebbe consegnati alle forze di polizia, affinché li facessero scortare in Europa o li consegnassero direttamente ad una qualche corte di giustizia; tanto, anche in Belgio, e di conseguenza in tutte le sue colonie, i due esimi signori erano ricercati per svariati furti e crimini di varia natura, quindi non avrebbe fatto alcuna differenza: se la sbrigassero tra loro le potenze europee, poi, sul decidere dove e quanto a lungo custodirli. In quanto a lui, a quel punto avrebbe finalmente compiuto il suo dovere e se ne sarebbe tornato a casa, infischiandosene di tutto il resto e senza più un solo pensiero al mondo. O, almeno, senza più alcun pensiero fino al successivo incarico che gli fosse stato affidato dall’Interpol.

Ad interrompere queste sue riflessioni, s’intromise Mugambi.

«Se quelle dannate scimmie non abbandoneranno la vecchia casa, come faremo a tornare alla nostra canoa?» domandò il congolese, evidentemente preoccupato, sebbene il tono della sua voce si mantenesse sempre calmo. «Non ci lasceranno attraversare ancora una volta quel cortile, né tantomeno ci sarà facile avvicinarci alla riva compiendo un altro giro, perché di sicuro quelle brutte bestiacce staranno all’erta e faranno di tutto pur d’impedirci qualsiasi movimento. C’è anche il rischio, inoltre, che trovino la barca e l’affondino.»

Knight dovette ammettere di non aver ancora prestato particolari pensieri, a quel problema. Tuttavia, non vedeva il motivo di doversi preoccupare prima del tempo.

«Ci faremo scortare dai nostri amici guerrieri» rispose. «E, se non ritroveremo più la nostra piroga, ne fabbricheremo un’altra o ne chiederemo una in prestito ai guerrieri. Ora non pensiamoci: non serve a nulla fasciarsi la testa prima di essersela rotta.»

Non trovando null’altro da aggiungere, Mugambi rimase zitto ed il gruppetto continuò ad avanzare in silenzio.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***


CAPITOLO OTTAVO

 

Camminando in fretta, bruciarono le tappe e, in un paio d’ore solamente, furono in vista del villaggio.

Non appena ebbero raggiunto il margine del grande spiazzo nel cui centro sorgeva l’insieme fortificato delle capanne, però, si resero conto che qualcosa di tragico doveva essere accaduto.

Da oltre le palizzate, infatti, si levava un fumo denso, non quello allegro ed invitante dei fuochi accesi per cucinare, bensì quello di parecchi incendi distruttivi; le porte, inoltre, erano divelte e l’erba tutto attorno era schiacciata come se fosse stata calpestata da centinaia di piedi.

I due guerrieri, atterriti da quella funesta ed inaspettata visione, spiccarono immediatamente una corsa disperata verso il loro villaggio, ignorando le voci di Mugambi e Knight che gridavano di fare attenzione e di essere prudenti. Il poliziotto ed il congolese, tuttavia, non vollero abbandonare i loro compagni e tennero loro dietro di gran carriera.

Appena ebbero varcato i resti delle porte del villaggio, i quattro uomini si resero istantaneamente conto che, durante la loro assenza, s’era compiuta una tragedia di immani proporzioni: molte capanne erano state abbattute, altre date alle fiamme, e numerosi corpi inerti giacevano in ogni dove. I due guerrieri, a quella vista, caddero in ginocchio ed iniziarono a piangere e ad urlare sconsolatamente, mentre Knight e Mugambi, imbracciati i fucili, si slanciarono in direzione della piazza principale.

Il palazzo reale, ormai, era ridotto in cenere, le vampe lo avevano già consumato completamente, mentre quello in cui avevano trascorso la notte stava lentamente finendo di bruciare. Knight si domandò se Smith e Fournier fossero ancora lì dentro.

«Ma che cosa è successo, qui?» mormorò il poliziotto, osservando la devastazione e la carneficina che li circondavano da ogni lato. Improvvisamente, i suoi occhi allenati scorsero un leggero movimento ad un angolo della piazza. Si precipitò in quella direzione e, sotto una pila di detriti fumanti, trovò un uomo mortalmente ferito, ormai prossimo ad andarsene. Era Nagwazi.

L’anziano guerriero, riconoscendo il poliziotto, sussurrò con estrema fatica alcune parole, poi reclinò il capo e chiuse gli occhi per sempre. Per fortuna, Mugambi non aveva mai abbandonato il fianco dell’agente di polizia e poté rapidamente tradurre le parole dell’abitante della foresta.

«Le scimmie, sono state le scimmie giganti. Non quelle che abbiamo affrontato noi giù al fiume, ma proprio quelle giganti, uguali a quella che incitava gli scimpanzé a venirci addosso. Li hanno attaccati all’improvviso, senza che nessuno se ne rendesse conto. Non hanno fatto neppure in tempo ad organizzare la difesa e molti dei guerrieri sono caduti uccisi prima ancora di poter imbracciare le armi, mentre altri si sono dispersi nella foresta per trovare scampo. Parecchi, poi, insieme alle donne ed ai bambini, sono stati fatti prigionieri e condotti nel fitto delle boscaglie. Tra loro, c’era anche il re Wamkulu Koposa.»

Mugambi chinò il capo, sconvolto. Gli ultimi resti dell’antico e fiero popolo guidato dal sovrano giunto dal meridione, erano stati spazzati via, dalla furia scatenata delle loro mortali nemiche. Alla fine, a quanto pareva, le scimmie giganti avevano vinto la loro guerra: adesso, avrebbero potuto rinforzarsi senza essere contrastate in nulla e, una volta tornate potenti come nei tempi antichi, chi le avrebbe più potute fermare? Avrebbero nuovamente sconvolto con il loro terrore quelle regioni, avrebbero ridotto per la seconda volta in schiavitù gli abitanti delle savane, compresa la tribù di Mugambi. Il solo pensiero lo terrorizzava.

«E Smith? E Fournier?» urlò Knight, come impazzito. «Ti ha detto che cosa ne è stato, di loro?» Non gl’importava niente delle scimmie, adesso. Aveva in mente solo il fatto che i suoi due prigionieri potessero essere stati trucidati da quelle bestie. Sconvolto, si guardò attorno, come per poterne individuare i cadaveri nel mezzo di tutto quel soqquadro. Ma la rovina era ovunque, gli ci sarebbero voluti giorni interi, per riuscire a rintracciarli. E se, poi, non fossero morti, ma fossero stati presi con gli altri e portati schiavi nelle foreste? Non poteva permetterlo!

«Dobbiamo inseguirle!» gridò, in preda alla rabbia. «Dobbiamo liberare i prigionieri!»

Mugambi lo guardò come se gli fosse dato di volta il cervello.

«Non possiamo farcela, siamo solamente in quattro» borbottò. «Finiremmo coll’essere sopraffatti molto facilmente.»

Il poliziotto scosse la testa e fece un cenno ai due guerrieri, che nel frattempo avevano iniziato a vagare in maniera sconsolata tra le rovine, affinché li raggiungessero. Poi, disse a Mugambi: «Spiega loro che cosa è accaduto, poi digli che, con molta prudenza, vadano alla ricerca di quelli che si sono dispersi e li radunino tutti qui. Qualche scampato lo troveremo di sicuro e, con i fucili e le pistole, potremo metterci in caccia senza farci troppi problemi.»

Mugambi sembrò dubbioso, poi, però, disse: «L’attacco delle scimmie ha messo in pericolo anche la mia tribù, forse non per l’immediato, ma di certo per l’avvenire. Sono pronto a rischiare la mia vita, per garantirne la libertà e la sicurezza future!»

I due guerrieri, ricevute tutte le informazioni, si misero immediatamente all’opera per rintracciare i loro compagni; anche Mugambi andò con loro, per aiutarli. Knight, invece, si mise a sedere sopra un masso, osservando lo scempio che gli presentava di fronte ovunque volgesse lo sguardo. All’improvviso, si vergognò di se stesso: per un momento, infatti, aveva voluto andare all’inseguimento di quel branco di scimmie giganti solamente per potersi accertare della presenza fra loro dei due ladri; del resto, invece, non gli era più importato nulla, quasi come se avesse dimenticato che i guerrieri lo avevano salvato da una fine orribile, il giorno precedente, offrendogli poi ospitalità e cure. No, non poteva correre dietro alle scimmie solamente per recuperare Smith e Fournier - ammesso, ovviamente, che fossero realmente stati rapiti e non giacessero, invece, lì da qualche parte, ormai morti. Doveva, al contrario, fare qualcosa per ricambiare i favori ricevuti, per potersi sdebitare appieno con il popolo della foresta e con il suo re. Insomma, avrebbe liberato coloro che erano stati tratti prigionieri oppure, se non fosse giunto in tempo per farlo, li avrebbe perlomeno vendicati. Il poliziotto si sentiva pronto a farlo, adesso. Non aveva più il timore di quelle remote foreste equatoriali, anzi le avrebbe sfidate senza più alcuna remora ed avrebbe fatto giustizia, giustizia per il re Wamkulu Koposa, per Nagwazi, per Tumbili e la sua famiglia, per il loro popolo, finanche per il senno perduto di Robert Park.

Il poliziotto rimase seduto su quella pietra, assorto nei propri profondi pensieri, per circa una mezz’ora. Trascorso questo tempo, gli si presentarono di fronte i due guerrieri e Mugambi, conducendo con sé altri cinque uomini, di cui uno gravemente ferito, e quattro donne.

«Non siamo riusciti a rintracciare altri superstiti» spiegò Mugambi. «Sono tutti propensi ad armarsi ed a seguirci, ma dubito che questo guerriero ci sarà di grande aiuto» aggiunse, accennando all’uomo ferito, il quale doveva essere sorretto da due compagni per potersi mantenere in piedi.

«Lo medicheremo e lo lasceremo qui con una delle donne perché si prenda cura di lui» sentenziò Knight. «Il loro compito sarà anche quello di rintracciare eventuali altri superstiti e, se ci riusciranno, di sistemare alla meglio il villaggio e le fortificazioni, in maniera che siano pronti ad accogliere tutti quelli che riusciremo a riportare indietro. Mugambi, oltre ai nostri due, disponiamo di tre fucili e di tre pistole. Anzi, quattro pistole, visto che ne ho una anche io. Distribuisci le armi ai nostri amici, poi spiegheremo loro come fare ad utilizzarle.»

Mentre una delle ragazze si occupava di curare il ferito, Mugambi consegnò le pistole ed i fucili ai sei guerrieri, mentre le donne, che avrebbero a loro volta preso parte alla spedizione, s’accontentarono di armarsi di archi e frecce. Come il poliziotto aveva previsto in precedenza, i guerrieri si rivelarono molto lesti nell’apprendere come fare ad utilizzare le armi da fuoco e, così, in meno di un paio d’ore, il drappello, composto da Knight, Mugambi, sei guerrieri e tre donne, fu pronto per partire. Il guerriero ferito e la giovane che sarebbe rimasta con lui li salutarono, colmandoli di benedizioni, poi gli undici cacciatori di scimmie si misero in marcia, senza sapere quale sorte avrebbe riservato loro l’avvenire.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***


CAPITOLO NONO

 

 

Non fu per nulla difficile rintracciare la pista seguita dalle scimmie nella foresta, poiché le bestie si sentivano tanto sicure di sé, ormai, da non aver fatto proprio nulla per mascherare i segni del proprio passaggio. Erbe schiacciate, rami spezzati, cespugli sradicati, indicavano chiaramente l’itinerario percorso dalla colonna di aguzzini e prigionieri.

Mentre avanzavano, Knight fece segno a Mugambi di avvicinarglisi.

«Hai saputo da qualcuno quante fossero le scimmie giganti?» chiese.

«Uno dei guerrieri dice che, secondo lui, erano almeno una cinquantina, ma che avrebbero anche potute essere di più, perché si muovevano tanto rapidamente che era una cosa quasi impossibile riuscire a contarle.»

Il poliziotto scosse il capo: «In ogni caso, parecchie. Dovremo riuscire a coglierle di sorpresa, altrimenti non avremo alcuna possibilità. Bah! Sono uscito vivo dalle trincee della Grande Guerra ed ho affrontato un manipolo di pazzi egiziani invasati, scamperò anche a questo incontro con primati troppo cresciuti.»

Continuarono a camminare in silenzio, seguendo il medesimo percorso delle scimmie e dei loro prigionieri; la strada sembrava non terminare mai e, ad un certo punto, dopo quasi quattro ore di cammino, Knight ordinò di fare una pausa per riposarsi. Sedettero in terra e, mentre le tre donne cercavano in giro qualche frutto commestibile da mangiare, un guerriero disse qualcosa a Mugambi, che tradusse per il poliziotto.

«Nessuno di loro si è mai avventurato così tanto, nel fitto della foresta, almeno non negli ultimi anni. Siamo, ormai, nel pieno del regno di quei mostri.»

«Prudenza, allora» bofonchiò Knight. «Potremmo essere sorvegliati.»

Sollevò gli occhi alla volta frondosa della foresta, tendendo l’orecchio ad ogni minimo rumore. Il suo istinto gli suggeriva che quella di essere controllati da qualcosa o da qualcuno, in questo momento, non era affatto una semplice possibilità. C’era davvero qualcuno nascosto nell’ombra delle fronde a tenerli d’occhio, e già da un bel po’, inoltre. Si chiese chi potesse essere: se fossero state le scimmie, ad averli scoperti, sarebbero già stati attaccati in massa, non avrebbero di sicuro avuto occasione di fermarsi per riprendersi dalla fatica. Con apprensione, rivolse uno sguardo alle tre donne che stavano cercando la frutta, ma le tre giovani si mantenevano in vista ed erano decisamente tranquille.

Fece un cenno a Mugambi e gli confidò i propri sospetti. Il congolese annuì.

«Me ne sono reso conto pure io» rispose. «Qualcuno ci sta seguendo. Qualcuno di molto silenzioso, non una scimmia.»

«Un uomo?» replicò Knight, con sorpresa.

«Sì, signore. È un uomo, quello che ci sta venendo appresso.»

Il poliziotto si alzò in piedi, sempre guardando verso l’alto, in direzione delle frondose cime degli alti arbusti, dove anni ed anni di addestramenti, indagini e affinamento dei sensi gli suggerivano essere celato il suo bersaglio; ma che fosse un amico od un nemico, questo non poteva saperlo.

«Non possiamo continuare a camminare nella foresta, che si fa via via più fitta, senza sapere chi sia a seguirci. Dobbiamo fare in maniera di attirare allo scoperto il nostro misterioso persecutore.»

Mugambi fu d’accordo con lui.

«Appena avremo mangiato qualcosa, dirò ai guerrieri di arrampicarsi velocemente sugli alberi. Chiunque ci sia lassù, sarà costretto o a scendere od a fuggire, per non farsi scoprire.»

Le donne, poco dopo, ritornarono con la frutta ed ognuno di essi ne ebbe una buona razione: c’erano banane, bacche di tamarindi e frutti del baobab, i quali rinvigorirono completamente gli undici membri della spedizione, restituendo loro ogni singola briciola di energia perduta; una delle donne, poi, trovò anche una sorgente d’acqua fresca, nelle vicinanze, dove poterono bere e riempire le proprie borracce. Dopo quel pranzo vegetariano ma sostanzioso, Mugambi radunò gli uomini attorno a sé e comunicò loro il piano, piuttosto semplice, certo, ma comunque l’unico che avrebbero potuto mettere in pratica in quelle condizioni. I guerrieri, peraltro, non ebbero nulla da ribattere e, come se nulla fosse, s’inerpicarono immediatamente lungo i fusti delle piante, guadagnandone in breve tempo le cime, mentre il congolese, il poliziotto e le tre donne li osservavano dal basso, in attesa.

Per alcuni minuti, non accadde assolutamente nulla. All’improvviso, tuttavia, si levò un grido acuto ed un corpo umano cadde dall’alto delle fronde, rialzandosi poi con estrema agilità e cercando di slanciarsi verso la folta vegetazione circostante per far perdere le proprie tracce. Mugambi, nonostante ciò, non glielo permise e, con un balzo prodigioso, si buttò contro l’uomo, afferrandolo per le spalle e tentando di tenerlo fermo. Quello, però, si agitò così forte da riuscire quasi a liberarsi dalla presa del possente congolese, e ci sarebbe molto probabilmente riuscito se Knight, all’ultimo istante, non glielo avesse impedito bloccandogli le braccia in una stretta degna di una tenaglia.

I guerrieri, scesi velocemente dagli alberi, vennero con le donne a dar loro man forte e l’uomo, vedendosi ormai inesorabilmente prigioniero, abbassò il capo, con aria sconfitta.

Con una certo sbalordimento, Knight l’osservò bene. L’uomo, vestito solamente di un corto gonnellino di foglie intrecciate, doveva essere un mulatto, a giudicare dal colore della sua pelle e dai lineamenti del suo volto; i capelli, lunghissimi, gli arrivavano fin quasi a metà schiena, mentre una barba arricciata gli copriva le guance ed il mento in maniera difforme. Era estremamente magro, ma le gambe e le braccia apparivano enormemente muscolose ed allenate, come se per anni quel tale non avesse fatto altro che arrampicarsi lungo le piante della foresta; molto probabilmente, per quanto incredibile, era veramente così. Nonostante l’aspetto selvaggio, la sua età si poteva facilmente quantificare attorno ai vent’anni o poco più.

«Che mi prenda un colpo!» esclamò Knight. «Un uomo scimmia! I naturalisti europei hanno sempre parlato della possibilità dell’esistenza di tali esseri ma, personalmente, credevo che queste storie fossero solo delle leggende!»

L’uomo sollevò il capo e fissò i propri occhi neri e lucenti in quelli di Knight. Poi, sorprendendo tutti, ma soprattutto il poliziotto, disse, in un buon inglese: «Da tanto tempo non udivo parlare questa lingua, signore.»

«Tu… tu conosci l’inglese?» si stupì Knight. «Ma com’è possibile?»

«Fu mio padre ad insegnarmi questa lingua, signore» replicò l’altro. «E non solo questa; posso parlarti, se lo preferisci, in italiano, in francese, in tedesco, in spagnolo ed in latino. Stavo cominciando ad apprendere anche l’antica lingua dei greci, ma fui costretto ad abbandonare i miei studi, quindi mi devi scusare se non potrò conferire con te attraverso tale idioma…»

In quel momento, uno dei guerrieri, che era più anziano degli altri, mandò un’esclamazione e cadde in ginocchio, in lacrime, alzando le mani verso il giovane come se lo stesse benedicendo.

«Iye Tumbili! Iye Tumbili!» urlò il guerriero, riconoscendo nell’uomo ormai adulto le fattezze del povero bambino. Knight non ebbe bisogno, questa volta, che Mugambi intervenisse a tradurre la frase.

«Davvero tu sei Tumbili?» disse con enfasi, senza riuscire a credere ai propri occhi, al culmine del proprio sbigottimento. «Tu sei il bambino che venne rapito dalle scimmie?»

Il giovane annuì: «Sono io. Non credevo che la mia storia fosse conosciuta da qualcuno.»

Knight lasciò andare le braccia di Tumbili, ma fece segno a Mugambi di continuare a mantenere la presa sulle sue spalle, affinché al giovane non venisse la tentazione di provare a darsi alla fuga.

«I guerrieri della foresta si ricordano ancora benissimo di te» spiegò Knight. «Il loro re, Wamkulu, era tuo amico, un tempo.»

«Wamkulu…» mormorò il giovane selvatico. «Me lo ricordo… lui ti ha parlato di me?»

«Non ne ebbe il cuore, poiché la tua triste storia risveglia in lui atroci ricordi. È stato Nagwazi, il fratello di tua madre, a raccontarmi quello che accadde, del tuo rapimento. Tutti, ormai, ti piangevano come morto da tanti anni.»

Udire i nomi di Wamkulu e di Nagwazi riempì di lacrime gli occhi di Tumbili. I suoi muscoli si rilassarono e, promettendo che non sarebbe fuggito, chiese che Mugambi lo lasciasse libero. Knight annuì ed il giovane andò a sedersi ai piedi di uno degli alberi. Gli altri gli si fecero tutt’attorno per ascoltarlo. Egli iniziò a parlare, sempre in inglese, e Mugambi, questa volta, fece da interprete a favore delle donne e dei guerrieri.

«Nonostante fossi molto piccolo, ho un ricordo indelebile di quella notte. Ero in casa, con mio padre, mia madre e mia nonna, oltre ad alcuni lavoratori che erano impiegati presso di noi. Stavamo cenando quando, improvvisamente, venimmo assaliti da quegli animali. Immagini atroci, come lampi, si susseguono nella mia mente, a proposito. Io solo fui risparmiato, ma venni strappato a forza dalle rovine della mia casa e condotto nella foresta, presso il luogo in cui le scimmie giganti comandavano sulle altre scimmie. Le scimmie, gli scimpanzé della foresta, sono sottoposte ad una sorta d’incantesimo, che le rende schiave delle scimmie giganti, asservendole al loro volere. Ma alcune, proprio in quel periodo, si ribellarono: e, fuggendo, mi presero con sé. Fui allevato dalle scimmie libere e, col tempo, sono divenuto amico intimo dei leoni e degli altri animali della foresta e della savana. Questo non mi ha fatto dimenticare le mie origini, anche se la paura d’imbattermi nuovamente nelle scimmie giganti mi ha sempre impedito di lasciare la compagnia delle mie salvatrici per tornare presso il popolo di mia madre. Io sono Tumbili, il figlio della foresta, e non l’abbandonerò mai.»

Knight, scosso da quelle parole, domandò: «Perché ci seguivi?»

«Perché ho assistito al rapimento degli abitanti del villaggio, poi ho visto arrivare voi ed ho capito che stavate andando in loro soccorso. Voglio aiutarvi. Dimmi: anche mio zio Nagwazi ed il mio vecchio amico Wamkulu sono tra quei prigionieri?»

«Wamkulu è tra di loro» rispose il poliziotto. «Nagwazi, purtroppo, non è sopravvissuto all’attacco.»

Tumbili chinò tristemente il capo e rimase in silenzio.

In quanto a Mugambi, una domanda l’assillava e, dopo qualche istante di attesa, non riuscì più a trattenersi.

«Hai detto che le scimmie della foresta sono sottoposte ad un incantesimo delle scimmie giganti. Ma, allora, questo sortilegio può essere in qualche maniera spezzato?»

Tumbili annuì: «Avendo imparato a comunicare con le scimmie che mi hanno cresciuto, ho appreso la verità.»

«Cosa?» sbottò il poliziotto. «Tu parli la lingua delle scimmie? Non sapevo nemmeno che ne avessero una!»

«Gli animali sono più intelligenti ed evoluti di quanto possa apparentemente sembrare» spiegò Tumbili. «E le scimmie che mi hanno allevato lo sono in maniera particolare. Esse mi hanno narrato la storia vera, riguardo alle scimmie giganti, nonché il modo di sconfiggerle definitivamente.»

Knight non riusciva a credere alle proprie orecchie; del resto, però, incontrare un uomo selvaggio, nel mezzo delle selve dell’Africa equatoriale, che fosse anche in grado di parlare correttamente l’inglese e svariate altre lingue, dopo essere sopravvissuto a due attacchi di primati guidati da uno scimmione in grado d’impartire ordini come un comandante militare, lo stava facendo ricredere su parecchie delle sue convinzioni. Perché, allora, non dare credito anche a questa faccenda? D’altra parte, al suo fianco, Mugambi sembrava essere profondamente attratto dalle parole del giovane. Se poteva prestargli fede il congolese, perché lui avrebbe dovuto essere da meno? Ascoltare il racconto non gli avrebbe fatto alcun male; avrebbe deciso dopo, semmai, se ritenerlo credibile oppure no.

«Va bene» bofonchiò. «Se conosci una qualsiasi maniera per aiutarci, allora dilla. Ti ascolto.»

Tumbili annuì una seconda volta, poi riprese a parlare: «Diversi secoli fa, visse in questi luoghi un esperto e potentissimo mago, chiamato Wamatsengal, un uomo capace di compiere qualsiasi artifizio desiderasse. Egli era buono e si prodigava per gli altri, ricorrendo ai propri poteri per fare il bene di chiunque ne avesse avuto bisogno. Ma, come tutti gli uomini, anche’egli, un giorno, venne vinto dalla passione: quella per una bellissima fanciulla, chiamata Matisikana, la figlia di un grande capo di una delle tribù della savana, un uomo per cui Wamatsengal aveva già compiuto decine e decine d’incantesimi prodigiosi. Egli, come compenso per i tanti servigi resi, domandò Matisikana come propria sposa, ma il grande capo gliela rifiutò e, dopo averlo fatto umiliare e battere dai propri sgherri, lo scacciò dal villaggio, imponendogli di non rimettervi piede mai più, pena la morte. Ciò che maggiormente fece soffrire Wamatsengal, però, non furono né le percosse né le umiliazioni ricevute, no, bensì il fatto che la stessa Matisikana avesse riso di lui, vedendolo gettato nel fango. Da questo momento, il suo amore si tramutò prima in immenso dolore e, poi, in odio, un odio profondo che, dapprima rivolto ad una sola persona, finì coll’avvelenare il sangue del mago verso qualunque altro essere umano. Lui stesso, vergognandosi di quella forma, perpetrò sopra di sé una potente magia, la quale lo tramutò in una gigantesca scimmia. In queste nuove vesti, schiavizzò i primati della foresta e li utilizzò per attaccare il villaggio di Matisikana: lo distrusse completamente ed ella sola sopravvisse al massacro. Trattala nella sua grotta, nascosta nelle interiorità della foresta, Wamatsengal la tramutò in una scimmia gigante come lui, e con ella generò una prole di scimmie giganti, non grosse quanto erano loro, ma decisamente più imponenti rispetto a qualsiasi altro primate. Egli, col tempo, creò il terrore presso le foreste e le savane, fino a quando un grande re del Sud…»

«Sì, sì, questa parte la conosciamo già» l’interruppe Knight, che aveva ascoltato con impazienza il racconto. «Ma dicci, invece, in quale maniera si possano sconfiggere queste scimmie e come mai tu, se lo sai, non hai mai agito?»

«Come potevo agire, io, da solo? Le scimmie con cui vivo sono troppo impaurite per seguirmi! Esse credono che, se si avventurassero troppo vicino ai luoghi abitati da Wamatsengal, finirebbero nuovamente vittima dell’incantesimo, a cui si sottrassero con fatica tempo fa!»

«Va bene, va bene» brontolò il poliziotto.

«E in quale maniera potremo sconfiggere questo mago divenuto scimmia?» chiese Mugambi.

Tumbili chiuse gli occhi: «C’è un solo modo per riuscire. Wamatsengal possiede una pietra magica, dalla quale derivano tutti i suoi poteri. Egli la tiene sempre con sé, nella grotta in cui vive ancora con la sua consorte Matisikana. Bisogna riuscire ad impadronirsi di quella pietra e distruggerla: solo così ogni magia operata da Wamatsengal sarà annientata, ed egli stesso riacquisterà la sua forma umana, privo, ormai, di ogni potere. A quel punto, le scimmie giganti, trovandosi in estrema minoranza, saranno costrette ad andarsene e le foreste saranno finalmente libere.»

«M’immagino quante ne dirà al povero Wamatsengal la sua cara mogliettina, quando riprenderà a parlare» commentò con ironia Knight. «Ma quanti anni possono avere, poi? Se egli è divenuto una scimmia secoli or sono…»

«Fintanto che saranno in quella forma, né Wamatsengal né Matisikana potranno morire, al contrario dei loro figli, i quali non hanno mai ricevuto il dono dell’immortalità. Se la tua intenzione è quella di rompere l’incantesimo, io ti seguirò. Dobbiamo fare attenzione, però, perché il mago e sua moglie difenderanno strenuamente la pietra magica e non sarà certo facile arrivare fino a loro, poiché dovremo affrontare tutti i loro schiavi.»

Il poliziotto ghignò, mostrando il proprio fucile all’uomo selvaggio.

«Con questi arnesi, non sarà difficile spianarci la strada» spiegò. «Ed ora, affrettiamoci!»

Con un cenno, segnalò ai suoi compagni che era giunto il momento di rimettersi in marcia. Anche Tumbili s’alzò in piedi e s’incamminò al suo fianco. Knight non sapeva se credere davvero alla storia di quel figlio della foresta; d’altra parte, però, ne aveva già vedute abbastanza, tra lì e l’Egitto, da poter essere pronto a qualsiasi cosa. Del resto, poi, non gl’importava più di tanto quale fosse la verità: che quelle scimmie fossero incantate, molto intelligenti o semplicemente impazzite, per lui non avrebbe fatto alcuna differenza. Ciò che contava, invece, era liberare il re Wamkulu, il suo popolo e, soprattutto, Smith e Fournier i quali, ne era certo, si trovavano saldamente nelle mani di quegli animali. Sperò solamente di arrivare in tempo: perché, se Wamkulu e gli altri guerrieri non avrebbero subito danni mentali dall’incontro con le scimmie giganti, abituati com’erano a scontrarsi con esse, non sarebbe stato lo stesso per i due ladroni. Non voleva certo rischiare di vederli fare la fine di Robert Park prima di aver ascoltato la propria sentenza di condanna.

Seguirono la pista aperta nella foresta per quasi due ore; ad un certo punto, tuttavia, Tumbili alzò un braccio per bloccare il gruppo.

«Che cosa c’è?» domandò Knight.

«Se proseguiamo lungo questa strada, ci ritroveremo in una vasta radura, dove i nostri nemici avranno gioco facile nell’individuarci.»

«Conosci una via alternativa?» chiese Mugambi.

«Sì. Entreremo nella foresta e, facendo un giro più lungo, seguendo un piccolo corso d’acqua, potremo giungere alle spalle della grotta di Wamatsengal senza correre il rischio di venire scoperti.»

«Quanto più lungo?» bofonchiò l’agente dell’Interpol. «Guarda che non ho molto tempo, a mia disposizione, se voglio riuscire a riprendere i miei due amici ancora sani di mente.»

«Non sarà una deviazione esagerata, rispetto alla strada che, comunque, dovremmo compiere» spiegò Tumbili. «Seguitemi.»

A fatica, il gruppo s’inoltrò tra gli alberi ed i cespugli, incuneandosi tra la vegetazione ancora intatta, mai toccata prima dalla mano dell’uomo, costruendosi, su quel suolo quasi impraticabile, una via che, nel giro di poche settimane solamente, sarebbe stata nuovamente riconquistata dalla foresta.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo decimo ***


CAPITOLO DECIMO

 

La marcia fu lunga ed estenuante. Mugambi, i guerrieri e le donne, per quanto abituati a muoversi tra le praterie e le fitte boscaglie, dopo un paio d’ore cominciarono a dare segni di cedimento. Dal canto suo, avvezzo a muoversi a cavallo o con vari mezzi di trasporto, non certo a piedi così a lungo ed in luoghi tanto impervi, Knight avanzava ormai quasi per inerzia, ben conscio che, se si fosse fermato a trarre un respiro, anche solo per un istante, non sarebbe più stato in grado di muoversi. Nondimeno, accolse come una benedizione il momento in cui Tumbili alzò un braccio, comandando di fermarsi.

«Adesso dovete riposare» disse l’uomo selvaggio. «Siete spossati.»

Knight avrebbe dato qualsiasi cosa per poter rimettersi in forze, ma allo stesso tempo non voleva perdere tempo, credendo che, qualsiasi minuti di ritardo, sarebbe potuto rivelarsi fatale.

«No, dobbiamo continuare!» protestò, col poco fiato che ancora gli rimaneva nei polmoni.

Tumbili scosse il capo.

«A che cosa servirà arrivare alla grotta di Wamatsengal, se nessuno di noi sarà abbastanza riposato da poterlo affrontare?» domandò. «È molto meglio fermarci, adesso. Tanto più che, ormai, manca pochissimo alla nostra meta.»

Knight non ebbe nulla da replicare e, quindi, si lasciò cadere, ormai sfinito, sopra un masso ricoperto di muschio secco; Mugambi e gli altri compagni, a loro volta, trovarono un posto in cui soffermarsi a riposare. Il poliziotto chiuse un momento gli occhi ed alle sue orecchie cominciarono a farsi più intensi i numerosi versi e richiami dei tanti animali che popolavano la folta vegetazione tutt’attorno. All’improvviso, gli parve d’udire un leggero tintinnare d’acqua provenire da qualche parte poco più avanti. Riaprì gli occhi e fece un cenno a Tumbili perché si avvicinasse.

«Mi sembra di sentire dell’acqua scorrere» gli disse.

«È vero» confermò l’uomo scimmia. «Stiamo per raggiungere il piccolo corso d’acqua di cui parlai prima. Seguendolo, giungeremo alla grotta del re delle scimmie.»

La notizia di essere ormai tanto vicino alla meta, sembrò restituire ogni energia all’agente dell’Interpol. Si alzò in piedi e, dopo essersi sgranchito le gambe e le braccia, domandò a Tumbili di mostrargli il ruscello.

«Seguimi» rispose l’altro, avviandosi in mezzo alle fitte piante circostanti. Knight gli tenne dietro, facendosi largo tra foglie di filodendro e robustissime canne di bambù e, in breve, con un po’ di fatica a causa del cammino non facile, raggiunsero alcune rocce, completamente ricoperte di vegetazione verdeggiante, da cui cadeva dolcemente dell’acqua, la quale formava un piccolo laghetto circondato da palmizi e cespugli di calle, dove scorsero, intenti a rinfrescarsi tra le acque cristalline, alcuni fenicotteri rosa. Tumbili spiegò che sarebbe stato sufficiente arrampicarsi sulle rocce e, poi, proseguire lungo il torrente, per giungere rapidamente a destinazione.

«Conosci bene questi luoghi, vedo» osservò Knight.

L’uomo selvatico chinò il capo, senza rispondere.

«Ci sei già stato, dico bene?» lo incalzò il poliziotto.

L’altro annuì tristemente, dicendo con voce cupa: «Ho scoperto io questa via per giungere di nascosto alla tana di Wamatsengal. Sono venuto qui parecchie volte, negli ultimi anni, con l’intenzione di vendicarmi. Ma non ho mai trovato il coraggio di entrare nella grotta.»

«Questa volta sarà differente» promise Knight. «Questa volta andremo fino in fondo.»

Individuò un masso e vi si sedette.

«Vai a chiamare gli altri» disse. «Credo che preferiranno riposarsi in questo posticino così tranquillo che in mezzo alla vegetazione.»

Tumbili obbedì e Knight tornò ad osservare il laghetto circostante. Era davvero un luogo incantevole, meraviglioso, quasi una specie di paradiso terrestre. I fiori bianchi delle calle contrastavano magnificamente con il verde rigoglioso delle loro foglie e di quelle delle sansevierie ed il rosa delle piume dei tranquilli fenicotteri creava un bel gioco di luci e di colori con l’acqua smeraldina. Il poliziotto non ricordava di aver mai veduto nulla di meglio, in vita sua, e decise sul momento che, quando fosse andato in pensione, avrebbe utilizzato i campi che suo nonno gli aveva lasciato nel Devon, e che attualmente erano incolti, per costruirsi una villetta e circondarla con un curatissimo giardino botanico, con fontanelle, cascatelle, laghetti e piante tropicali, le quali gli avrebbero sempre rammentato i giorni, ormai lontani, in cui aveva macinato migliaia e migliaia di chilometri ed attraversato deserti e foreste incontaminate sulle tracce dei due ladroni. Provò ad immaginare come sarebbe stato, ormai anziano e circondato da una marea di nipotini, sedere in mezzo a quel suo bellissimo giardino a contemplare con gli occhi della mente il suo avventuroso passato; magari, avrebbe fatto sedere attorno a sé tutti i numerosi nipoti ed avrebbe narrato loro quelle magnifiche storie.

Solo che, per adesso, quel passato di cui un giorno gli sarebbe piaciuto raccontare era ancora presente, un terribile presente fatto d’incertezze sul futuro.

Un rumore secco lo distolse dalle sue fantasticherie, riportandolo rapidamente alla realtà. Alzò gli occhi per cercare quale fosse stata la causa di quel rumore ed un brivido di paura lo scosse da capo a piedi. Sulla cima delle rocce che formavano la piccola cascata, infatti, era comparsa una scimmia gigantesca e possente, che lo osservava con occhi decisamente poco amichevoli. Knight scattò in piedi, portando le mani al fucile che teneva a tracolla. Ma il bestione non gli diede il tempo di fare alcunché: con un balzo che avrebbe fatto invidia ad una tigre dell’India, il grosso primate si lanciò a metà della cascata e, da lì, con un altro salto, si buttò sulle rive del laghetto, facendo alzare in volo spaventati i fenicotteri e scomparendo immediatamente alla vista in mezzo alle alte e rigogliose palme. Tremando di paura, il poliziotto riuscì ad imbracciare il fucile, tentando d’individuare dove si trovasse il nemico. Ma non poté scorgerlo e, neppure, riuscì a fuggire in direzione di Tumbili, Mugambi e degli altri guerrieri, poiché il terrore gli paralizzò le gambe, impedendogli di muoversi in qualsiasi direzione.

Knight tese l’orecchio, cercando di captare qualsiasi suono che lo avvertisse dell’avvicinarsi del mostruoso primate; non udì nulla. Forse, la scimmia, vedendo il suo fucile, aveva preferito battere in ritirata. Sperò che non fosse corsa ad avvertire le sue sorelle, o la loro spedizione sarebbe terminata prima ancora di aver potuto raggiungere la città di quei giganteschi primati. Tornò a sentire le gambe e, subito, si volse per andare a dare l’allarme ma, così, si trovò proprio di fronte la terribile bestia che, in qualche maniera, gli era giunta alle spalle.

Con un grido di terrore, il poveretto tentò di fare fuoco contro il mostro, ma la scimmia gli strappò dalle mani il fucile e lo gettò via, prima di colpirlo con un pugno enorme, che lo fece rotolare a terra. La vista di Knight si oscurò e poté solamente ascoltare il respiro profondo e caldo dell’animale, che gli s’avvicinava a passi rapidi e pesanti. Cercò di sollevarsi, ma un calcio della bestia lo gettò in mezzo ad un cespuglio di calle. Immaginò che, ormai, fosse finita, perché non sarebbe più riuscito a sfuggire alle grinfie di quella bestia. Nel giro di un attimo, però, un urlo di rabbia giunse alle orecchie di Knight, che riuscì ad alzare il capo quel tanto che fu sufficiente ad osservare uno spettacolo folle e sbalorditivo: un gigantesco pitone di colore giallo e bianco, lungo almeno sei metri e largo come la gamba di un uomo, era piovuto dall’alto di un albero, sui cui rami doveva essersi arrotolato in attesa del sopraggiungere di una vittima, ed aveva avvolto nelle proprie spire lo scimmione che, adesso, lottava disperatamente per liberarsi da quella presa fatale.

Knight si rialzò nel medesimo istante in cui, allertati dalle grida, Tumbili, Mugambi, i guerrieri e le donne sopraggiunsero di corsa, pronti ad affrontare qualsiasi minaccia. Ma l’enorme primate, ormai, era del tutto innocuo, impegnato nella sua lotta mortale con il terribile rettile.

Il poliziotto raccolse il fucile e borbottò: «Per un attimo, me la sono vista brutta.»

Con la mano libera si tastò le parti del corpo doloranti e, con sollievo, capì di non aver riportato fratture.

«Dobbiamo andarcene via di qui, subito!» disse Tumbili, senza badare ai due grossi animali avvinti che si contorcevano poco distante. Fece segno agli altri di seguirlo ed iniziò ad inerpicarsi sulle rocce della cascatella, seguito dai guerrieri e dalle donne. Mugambi, invece, come ipnotizzato, non sembrava più in grado di distogliere lo sguardo dallo stranissimo spettacolo della scimmia, ormai quasi sconfitta, sebbene ancora tentasse di liberarsi dalla salda presa dell’avversario, e del grosso pitone che si preparava ad aprire la bocca per riuscire ad inghiottirla tutta intera.

«Andiamo, Mugambi» bisbigliò il poliziotto, toccandogli leggermente il braccio.

Il congolese si riscosse e disse: «Sì, andiamo. Prima tu. Io ti guardo le spalle.»

E s’affrettarono entrambi ad iniziare la breve arrampicata per raggiungere gli altri che, intanto, avevano già guadagnato la cima.

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo undicesimo ***


CAPITOLO UNDICESIMO

 

 

Il gruppo, quindi, risalì la breve cascatella e si rimise in marcia nel mezzo della foresta, questa volta avviandosi lungo un breve torrentello che, scorrendo attraverso gli alberi con un leggero gorgoglio, andava poi a formare la piccola cascata che si trovava ormai alle sue spalle.

Guidati da Tumbili, i cacciatori avanzarono rapidamente in quei luoghi sconosciuti, in cui mai nessuno dei guerrieri della foresta s’era avventurato, almeno non di recente; qua e là, tra i fitti arbusti, infatti, di quando in quando emergevano punte di freccia o pezzetti di antiche ossa umane, segno che, in quel territorio, doveva essersi combattuta una delle tante battaglie che, secoli addietro, avevano contrapposto le scimmie giganti agli uomini del re venuto dal meridione.

Dopo circa una mezz’ora di marcia, qua e là tra la vegetazione cominciarono a distinguersi alcuni massi che sembravano essere stati rozzamente scolpiti in forma quadrangolare; certi erano piuttosto piccoli, altri davvero grandi, alcuni addirittura imponenti.

«Che cosa diavolo sono, questi affari?» domandò Knight, scrutando con circospezione le pietre lavorate.

«Sono i resti dell’antica città delle scimmie, costruita dai loro schiavi» spiegò Tumbili. «Quando le scimmie giganti furono sconfitte ed i prigionieri liberati, nessuno più si prese cura della città che, quindi, andò in rovina. Questo che vedi è tutto quello che ne rimane.»

Una città delle scimmie; se non fosse stato intento a guardarla con i suoi occhi, il poliziotto non ci avrebbe mai creduto. Eppure le rovine erano lì, tutt’attorno a loro. Gettò un’occhiata verso gli alberi, dove credeva che, adesso, vivessero i giganteschi primati.

«Qui non rischiamo di fare brutti incontri» lo rassicurò il figlio della foresta, rendendosi conto del suo nervosismo.

«E, allora, quel brutto muso di poco fa?» lo rimbrottò Knight, massaggiandosi i punti ancora doloranti in cui era stato colpito.

Tumbili non rispose.

Mugambi, però, si avvicinò e mormorò: «Ho chiesto ai guerrieri e non notano pericoli, qui attorno. Forse quello scimmione era capitato alla cascata per puro caso.»

«Speriamo» brontolò Knight.

«Dev’essere per forza così» aggiunse Tumbili. «Le scimmie hanno abbandonato questo posto e non lo abitano più; adesso, vivono un po’ in giù, di fronte della grotta di Wamatsengal. Ora silenzio. Ci stiamo avvicinando.»

Sulla loro destra, infatti, le piante avevano ceduto lentamente il posto alla roccia che, adesso, man mano che avanzavano, andava facendosi sempre più alta, come una piccola montagna. L’idea che nelle viscere di quel granito potessero celarsi due colossali scimmioni fece sentire un brivido freddo lungo la schiena a Knight. Dopo un’altra decina di minuti di cammino, Tumbili fece loro segno d’arrestarsi.

Avvicinatosi ad alcuni cespugli, li scostò, rivelando un pertugio che pareva essere l’imbocco di una bassa galleria.

«Questa l’ho scoperto io» spiegò il giovane. «È una via segreta che conduce alla grotta in cui Wamatsengal e Matisikana custodiscono la pietra magica.»

«Speriamo di non trovare un esercito di dannate scimmie antropofaghe ad attenderci dall’altra parte» borbottò Knight. Fece cenno a Tumbili di precederlo poi, come lo ebbe veduto varcare l’ingresso della galleria, fu lesto a seguirlo. Ormai, non aveva più paura di nulla; arrivato a quel punto, infatti, tanto valeva andare avanti fino in fondo, senza fermarsi troppo a lungo a riflettere su che cosa lo avrebbe effettivamente atteso, una volta che fosse veramente giunto in fondo. In ogni caso, si disse prima di cominciare a strisciare tra le stretti pareti di roccia, era più che sicuro che il suo stipendio da agente dell’Interpol non fosse abbastanza per quello che stava facendo. Come minimo, una volta ritornato in Inghilterra, avrebbe chiesto un aumento.

Strisciando l’uno dietro all’altro, i membri della spedizione di soccorso avanzarono lungo la malagevole galleria, il cui bassissimo soffitto non permetteva neppure di sollevarsi sulle ginocchia, mentre le pareti vicinissime tra loro rendevano praticamente impossibile tentare di girarsi all’indietro. Se avessero trovato un ostacolo, sul loro cammino, sarebbero certamente stati costretti a procedere all’incontrario per poter riguadagnare l’uscita.

Quando, ormai, Knight stava cominciano a divenire claustrofobico, vide Tumbili oltrepassare un secondo varco nella roccia e rizzarsi in piedi al di là; lo seguì e, finalmente, si ritrovò in una sala rocciosa parecchio ampia, nella quale gli fu possibile alzarsi e stiracchiarsi.

Mentre attendevano che tutti gli altri li raggiungessero, Tumbili disse sottovoce a Knight e Mugambi, il quale era sbucato dalla galleria subito dopo il poliziotto: «Ci siamo. Questa è la grotta in cui risiedono Wamatsengal e la sua consorte.»

L’agente di polizia, i cui occhi si erano già abituati all’oscurità nel tunnel, fece volgere tutto attorno lo sguardo, scrutando ogni angolo della caverna che, peraltro, era in parte illuminata da alcuni raggi solari che piovevano da fori presenti sull’alto soffitto. Notò scarti di ossa, mucchi di frutta marcescente, alcuni massi accumulati in un angolo, tutti segni che lì dentro avesse vissuto davvero qualcuno, ma nulla che facesse intuire la presenza del re delle scimmie giganti.

«Be’, qui, adesso, non c’è nessuno» constatò.

Tumbili annusò l’aria per qualche istante, prima di rispondere.

«Wamatsengal e Matisikana sono stati qui fino a poco fa. Qualcosa deve averli attirati all’esterno» disse, indicando il fondo della caverna, da dove si dipartiva un ampio corridoio che, salendo verso l’alto, doveva certamente condurre nella foresta.

«Probabilmente l’arrivo dei prigionieri» intuì Mugambi.

«Esatto» aggiunse Knight. «Il che ci da un vantaggio, poiché potremo cercare indisturbati la pietra magica e, con un po’ di fortuna, appropriarcene e distruggerla prima ancora di aver fatto la conoscenza con quella brutta bestiaccia. Mettiamoci subito all’opera.»

Essendo ormai tutti riuniti attorno a loro i guerrieri e le donne, Mugambi fece passare il messaggio e, in breve, si sparsero per la grotta, guardando in ogni angolo e, al medesimo tempo, tentando di fare il meno rumore possibile per non destare sospetti in qualche scimmia che, magari, fosse stata lasciata di guardia poco lontano. Purtroppo, però, la vastità della grotta faceva rimbombare ogni singolo passo come se fosse stata una cannonata.

Knight, consapevole di non avere molto tempo a disposizione prima che qualcuno li scoprisse, si dava da fare febbrilmente per cercare la pietra magica, con il fedele Mugambi sempre al suo fianco. Ma Tumbili non era certo stato prodigo d’informazioni, nel descrivere quell’oggetto e, considerando che, il fondo della grotta, era completamente cosparso di sassi di ogni forma e dimensione, non sarebbe certo stata una passeggiata.

«Come la troviamo, se non sappiamo neppure come sia fatta?» domandò Mugambi, come se gli avesse letto nel pensiero.

«Non ne ho idea. Vai da quella specie di australopiteco e domandagli come diamine è fatta, la dannatissima pietra» borbottò Knight, approssimandosi al mucchio di frutta marcia che aveva già osservato in precedenza e chiedendosi se valesse la pena esaminarlo. Storcendo il naso, pensò che quel compito avrebbe potuto benissimo sostenerlo uno dei guerrieri.

Si volse per chiamarne uno ma, in quel momento, un cupo rimbombo, che fece tremare tutta la volta, si diffuse nella grotta, subito seguito da un altro e un altro e un altro ancora. Passi. Passi di una creatura gigantesca che si stava avvicinando.

Ognuno dei presenti, come imbambolato, si volse verso il grande corridoio, da cui proveniva quei profondi suoni; ognuno, in realtà, a parte Tumbili, il quale fu lestissimo a riguadagnare con un’agile balzo la galleria da cui erano provenuti ed a scomparire.

«Che razza di vigliacco!» sbottò a mezza voce Knight, nel notare la sua manovra. Lo avrebbe volentieri imitato, ma era troppo lontano e, comunque, era troppo tardi. Sull’orlo della galleria era apparso un immenso e colossale animale, una specie di gorilla, alto, però, come un palazzo di tre piani. Le sue braccia erano enormi, i suoi pugni parevano macigni, i muscoli estremamente sviluppati e la sua testa, se fosse stata vuota, avrebbe di sicuro potuto agevolmente dare alloggio ad un uomo adulto in piedi. Ma quella testa non era affatto vuota, poiché sul viso del mostruoso scimmione brillava un’aria d’intelligenza che gli conferiva quasi un senso di umanità. Tuttavia, alla vista degli uomini che avevano invaso il suo regno, l’aria quasi pensierosa scomparve dai tratti del mostro, lasciando il posto ad una smorfia di brutale ferocia.

Con un ruggito angosciante, il gigantesco gorilla si batté i pugni sul petto, come per darsi forza.

A Knight non fu necessario impartire ordini. Contemporaneamente a lui, i guerrieri e Mugambi aprirono il fuoco contro la bestia, mentre le donne iniziarono a scagliare frecce a volontà con i loro archi. Tutto, però, fu inutile, poiché i proiettili ed i dardi erano un nonnulla, in confronto alla grandezza dello scimmione, sul cui corpo dovevano produrre, forse, gli stessi effetti delle punture fastidiose delle zanzare.

Il mostro si lanciò in avanti, urlando furiosamente, ignorando i colpi che continuavano a colpirlo. Knight, paralizzato sul posto, continuò a sparare finché ebbe a propria disposizione dei proiettili, poi gettò via il fucile e, estratta la rivoltella dalla fondina, la scaricò completamente contro l’avversario. Fu tutto inutile. Coprendo lo scoppio delle armi da fuoco con le proprie urla e con i propri passi pesantissimi, lo scimmione fu lesto nel raggiungere i guerrieri, che si trovavano riuniti in gruppo nel centro della stanza, e ad abbatterli tutti quanti con un solo manrovescio. I poveretti volarono in ogni direzione, come se fossero stati colpiti da un treno lanciato a tutta velocità, poi arrestarono con violenza i loro voli contro le pareti della grotta, per poi ricadere in terra, esanimi e morenti. Subito, il mostro, evitando per un soffio Mugambi, che era riuscito a gettarsi in terra, s’avventò sulle povere donne della compagnia, sopraffacendole in un attimo come aveva fatto con gli uomini.

Mentre l’essere mostruoso sfogava tutta la propria rabbia gettando qua e là i corpi delle misere giovani, Mugambi riuscì a rialzarsi ed a raggiungere Knight, strattonandolo per indurlo a fuggire. Tuttavia, non poterono correre vero la stretta galleria, dato che fra essa e loro si trovava il grosso scimmione, quindi cominciarono a correre lungo il corridoio da cui era sopraggiunto il mostro. Erano ben consapevoli, ovviamente, di essere del tutto inermi: Mugambi aveva perduto la carabina, mentre a Knight era rimasta solo la pistola, la quale, tuttavia, era ormai scarica e, se avessero incontrato dei nemici, non avrebbe certamente fatto in tempo a ricaricarla con gli unici sei proiettili che era riuscito a conservare in una tasca.

«Mi sa che, se anche riusciremo a sottrarci alla furia di quella brutta bestia, non potremo andare tanto lontano» constatò il poliziotto, ansimando nella corsa.

Mugambi non rispose, anche perché non ne ebbe né il tempo né il motivo. A replicare a Knight, infatti, furono le decine di scimmie che, sbucate all’improvviso da ogni dove, quando erano ormai giunti in cima al corridoio e già vedevano di fronte ai propri occhi gli alberi della foresta, li assalirono rapidamente e li misero fuori combattimento, gettandoli sul duro pavimento di roccia ed immobilizzandoli.

Knight si sentì sollevare da decine di braccia e, poi, trasportare all’esterno, dove fu gettato al suolo, all’ombra di una montagna. Mugambi, poco dopo, cadde al suo fianco. I due uomini sollevarono gli occhi e poterono vedere, con sgomento, seduti in cerchio, i guerrieri, le donne ed i bambini rapiti al villaggio, guardati dalle scimmie, che saltellavano tutto attorno. I poveretti erano visibilmente impauriti e rassegnati, ma sul volto di parecchi apparve anche un certo stupore, nel riconoscere i due uomini che già avevano veduto al villaggio.

Tra quei poveri prigionieri, Knight riconobbe anche Wamkulu Koposa e, seppure ormai stremato, riuscì a trascinarsi sull’erba ed a raggiungerlo. Il re, nel scorgerlo, sorrise debolmente.

«Mi dispiace, grande re, di non aver potuto aiutarti» mormorò Knight. «Siamo partiti per salvarti ma abbiamo fallito…»

Dette queste poche frasi, il poliziotto perse i sensi, vinto dal ribrezzo, dalle percosse e dalla fatica. Mugambi, che gli era accanto, tradusse le parole per il re, poi aggiunse: «Purtroppo, quando eravamo ormai vicini a spezzare la magia, siamo stati assaliti dal re delle scimmie giganti, il quale ha avuto gioco facile nel metterci fuori combattimento.»

«Ti sbagli» bisbigliò il sovrano. «Il re delle scimmie non si è mai mosso da qui, da quando siamo arrivati.»

Ed accennò col capo all’ombra in cui erano immersi.

Mugambi si voltò di scatto e, per poco, non gli prese un colpo per il raccapriccio. Quella che, prima, senza guardarla troppo, gli era parsa una montagna, era invece una bestia colossale, una scimmia enorme, un animale più grosso di qualsiasi altro. Era seduto, con le gambe incrociate e, solo così, raggiungeva i venti metri in altezza. Il suo antichissimo volto puntava uno sguardo di puro odio verso gli uomini, come se il mago ancora soffrisse per l’umiliazione fattagli soffrire dai suoi simili tanti secoli addietro e non fosse ancora pago, quindi, delle tante vendette già compiute.

Il mostro teneva la bocca semiaperta, mostrando i suoi denti grandi come macigni ed affilati come macigni. Era immobile, limitandosi a respirare rumorosamente, senza emettere altro suono che non fosse il risucchio e l’emissione del suo fiato. Ad un tratto, però, una scimmia gli si inerpicò lungo il corpo e gli raggiunse una delle orecchie, gridandovi dentro qualcosa, quasi come se gli stesse parlando. E la reazione dello scimmione fu scomposta: serrati i grossi pugni, li agitò nell’aria rabbiosamente ed emise delle grida che avrebbero potuto far concorrenza agli scoppi dei più potenti fulmini.

Mugambi comprese che Wamatsengal doveva essere stato informato del tentativo d’incursione nella sua grotta e, dalla sua reazione, non ne pareva affatto contento. Il congolese comprese che, quella volta, non ci sarebbe stato scampo, che tutti loro sarebbero stati puniti per quell’audacia. Ciò nonostante, non abbassò il capo con rassegnazione, ma continuò a tenere gli occhi fissi contro l’antico mago, senza badare alle ondate di paura che gli faceva provare la vista di quell’essere ributtante. E fu così, quindi, che la vide: dal collo del mostro pendeva una catena a cui era infissa una grossa pietra azzurra. La pietra magica! Forse non tutto era perduto. Ma come giungere fin lassù?

Quasi come se presagisse un possibile pericolo, Wamatsengal indicò Mugambi e gridò qualche cosa d’incomprensibile, comunque una specie di ordine, poiché alcune scimmie si gettarono subito contro il poveretto, cercando di strangolarlo. E la guida, in un ultimo tentativo di difesa, iniziò ad agitare calci e pugni, colpendo i propri avversari. Le scimmie, però, erano troppe e non sarebbe riuscito a resistere a lungo. Già una di quelle mani dai lunghi artigli gli si era stretta al collo, mozzandogli il respiro e facendogli vedere lampi di luce. Improvvisamente, però, un grido acuto e prolungato si levò nel mezzo della foresta e la presa sul collo di Mugambi si allentò. Tossendo per riprendere fiato, il congolese si volse per vedere che cosa stesse accadendo e per un momento credette di essere in un sogno.

Animali, decine di animali, si stavano riversando da ogni direzione contro le scimmie incantate ed il loro re: c’erano scimmie, decisamente libere, ma anche leoni, leopardi, giraffe, elefanti, coccodrilli, ippopotami, bufali, antilopi, gazzelle, pitoni… sembrava quasi che tutti gli animali della foresta e della savana, deposte le naturali inimicizie che, da sempre, li contraddistinguevano nella lotta per la sopravvivenza, si stessero riversando contro il mago malvagio in una coalizione fantastica.

I guerrieri della tribù, afferrati le donne ed i bambini, si scostarono ai margini della radura per non essere travolti e Mugambi li seguì, trascinando con sé anche Knight, ancora privo di conoscenza, per evitargli di essere calpestato da quella massa animalesca.

Incredulo, Mugambi raggiunse Wamkulu Koposa, sperando che egli potesse avere una spiegazione per quell’avvenimento inaspettato; ed il re, indicando un punto nel mezzo di quella carica degna delle migliori cavallerie, gridò, in preda all’entusiasmo: «Tumbili! Tumbili!»

Era vero. L’uomo selvatico era ritto sul dorso di un colossale rinoceronte, incitandolo ad andare alla carica. E, dopo che le scimmie incantate si furono disperse in ogni direzione per non essere maciullate, il rinoceronte continuò a correre ed andò a schiantarsi contro Wamatsengal, colpendolo al ventre con il suo formidabile corno. Con un balzo, Tumbili saltò sopra una spalla del mago, che gridava furente, incapace di vedere alcunché a causa di alcuni grifoni dal dorso bianco e di alcuni aironi che, volteggiandogli attorno alla testa, cercavano di colpirgli gli occhi con i loro lunghi becchi per accecarlo. Afferrato un coltello di pietra, Tumbili scivolò sul petto della bestia e glielo conficcò nel cuore. Ma la lama non era abbastanza lunga per riuscire a penetrare tanto in profondità ed il grosso scimmione continuò ad agitarsi come prima, emettendo delle grida disumane.

Gli animali, intanto, messe in fuga le scimmie incantate, stavano andando alla carica delle scimmie giganti, le quali furono sopraffatte facilmente dalla schiacciante superiorità numerica degli avversari; ogni difesa, ormai, sembrava vana, ma all’improvviso, dalla grotta, emerse Matisikana, la quale si gettò in difesa dei suoi discendenti. Tuttavia, i più robusti felini le saltarono immediatamente al collo, mordendola atrocemente, ed un elefante, con un calcio possente, la gettò a rotolare sulle rocce acuminate di cui era disseminato il terreno.

Tumbili, però, era in difficoltà. Wamatsengal, riuscito a liberarsi con un pugno degli uccelli che tentavano di accecarlo, lo aveva afferrato in una delle sue immense mani e lo stava lentamente stritolando; in suo soccorso, allora, i guerrieri della foresta iniziarono a bersagliare di pietre il mago.

Mugambi, invece, deposto in terra Knight, gli tolse dalla fondina la rivoltella e, dalla tasca della giacca, i sei proiettili che gli rimanevano. Ricarica l’arma, corse in direzione del mostro, risoluto a mettere fine una volta per sempre alle sue magie. Con un balzo, superò una scimmia gigante che gli si era avventata contro, lasciando che di lei si occupasse un bufalo africano, che la incornò dopo una spettacolare carica, poi superò di slancio i guerrieri e si approssimò allo scimmione che, sotto i colpi dei nemici, cominciava a perdere sangue da numerose ferite, senza però lasciare andare Tumbili, il quale stava divenendo paonazzo.

Arrampicatosi lungo il ventre sconquassato dal rinoceronte ed il petto del mostro, Mugambi raggiunse la pietra magica e, reggendosi ai ciuffi di pelo di Wamatsengal con la mano sinistra, la mirò tenendo ben salda la pistola con la destra. Dopo un solo secondo, premette il grilletto.

Il proiettile sembrò penetrare al rallentatore nel gioiello, che andò in frantumi. Nel momento stesso in cui il mago iniziava a stringere più forte per maciullare Tumbili, le sue sembianze mutarono ed egli, con una rapidissima metamorfosi, divenne un uomo, un uomo decrepito ed incredibilmente vecchio.

Tumbili e Mugambi rotolarono in terra, contusi ma salvi. Le scimmie giganti scomparvero all’improvviso, come se non fossero mai esistite e, in tutta la foresta, i primati, gli scimpanzé, le bertucce, i gorilla, tutte le scimmie, insomma, furono finalmente liberate dall’incantesimo che, tanto a lungo, le aveva tenute prigioniere. Anche Matisikana riassunse le proprie sembianze umane ma, per le ferite riportate, morì immediatamente, divenendo preda delle iene e degli altri animali spazzini che, poi, si dileguarono subito, insieme a tutti gli altri che avevano preso parte alla carica, ritornando ognuno verso le proprie aree.

Mugambi e Tumbili si rialzarono, ma non fecero in tempo a dire una parola che grida festose si levarono da ogni parte: erano i guerrieri, le donne ed i bambini, che festeggiavano la fine della magia che, troppo a lungo, avevano dovuto contrastare. Wamkulu Koposa, dopo aver inviato nella grotta alcuni uomini per recuperare i loro compagni caduti e sincerarsi che, magari, alcuni non fossero solamente feriti, raggiunse Tumbili e lo abbracciò fraternamente, senza dire nulla, poiché furono sufficienti le lacrime di entrambi a sostituire qualsiasi frase.

Mugambi, invece, corse da Knight che, risvegliatosi, aveva assistito alle ultime fasi del combattimento ed ora si guardava attorno con aria imbronciata.

«Non crucciarti per non aver potuto prendere allo scontro» lo consolò il congolese. «Hai comunque fatto la tua parte, dando inizio alla spedizione.»

«Non è per questo» borbottò il poliziotto, gettando occhiate in tralice in ogni direzione. «Il fatto è che non vedo né Smith né Fournier da nessuna parte.»

 

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Capitolo 12
*** Epilogo ***


EPILOGO

 

Il giorno seguente, fecero tutti ritorno al villaggio, che era stato risistemato alla meglio dal guerriero e dalla donna che vi erano stati lasciati. Di quelli partiti con Mugambi e Knight, solamente un paio sopravvissero, anche se feriti, mentre agli altri furono tributate grandi esequie, insieme a Nagwazi ed agli altri caduti.

Tumbili, salutate le scimmie che lo avevano cresciuto, volle tornare a vivere nella casa presso il fiume, dicendo che l’avrebbe fatta tornare grande e bella com’era stata un tempo. I guerrieri, invece, dopo essersi riuniti in assemblea, comunicarono al re che, nonostante il pericolo delle scimmie giganti fosse ormai cessato per sempre, non sarebbero tornati nel meridione, ma avrebbero continuato a vivere per sempre in quella parte della foresta. In quanto a Wamatsengal, reso innocuo dalla distruzione della pietra magica, sarebbe stato custodito in prigionia presso il villaggio, sorvegliato a vista giorno e notte fino a quando avesse avuto vita.

Tutti, quindi, erano felici: Tumbili e Wamkulu Koposa per essersi ritrovati, i guerrieri e le loro famiglie per aver finalmente annientato i loro secolari nemici, Mugambi per aver scongiurato il pericolo che la sua tribù potesse divenire preda delle scimmie giganti. Tutti, almeno, tranne Alan Knight, il quale s’era visto sfuggire ancora una volta dalle mani i due ladroni.

«Mi dispiace molto» gli aveva detto il re, interrogato in proposito. «I tuoi due prigionieri sono riusciti a liberarsi durante la tua assenza e, dopo aver assalito le sentinelle, sono fuggiti, lasciando le porte del villaggio aperte. È stato per questo che le scimmie sono riuscite a coglierci di sorpresa, perché si sono ritrovate la via aperta senza che noi ne sapessimo nulla.»

«Gli metterò in conto pure questa» aveva ringhiato il poliziotto. «Tanto, prima o dopo, li beccherò ancora e, questa volta, non mi sfuggiranno una terza volta, potete starne certi!»

Al momento della partenza, Wamkulu avrebbe voluto fargli un qualche dono, ma ogni cosa era andata distrutta nell’incendio e non poté ricompensarlo.

«Non ha importanza» rispose Knight. «Per me, avervi aiutato conta più di qualsiasi dono.»

Quindi, partì con Mugambi, diretto vero il fiume.

Raggiunte le rovine della casa sul fiume, i due uomini non vi trovarono Tumbili, quindi proseguirono fino alla loro canoa e partirono, risalendo la lieve corrente per fare ritorno al villaggio di Mugambi.

Nel superare un’ansa, sollevarono gli occhi e videro, ritto in cima ad una pietra, l’uomo selvatico, con un braccio alzato in segno di saluto. Ai suoi fianchi, come se fossero anche loro lì per prendere commiato, c’erano una scimmia ed un leone. La scimmia sollevò le lunga braccia e saltellò, prima di lanciarsi sopra un albero; il leone ruggì e si rituffò nella boscaglia, diretto alla savana; e Tumbili, il figlio della foresta, levò il suo alto grido e, afferrata una liana, superò agilmente i due uomini ed il fiume e scomparve tra gli alberi.

 

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