IL GIARDINO DELLE QUERCE

di Duevite
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Era il 4 Settembre del 2022 quando io e la mia famiglia ci trasferimmo nella nostra nuova casa a Salem, Cambridge Street.
Il quartiere era molto suggestivo, c’erano numerose case tutte più o meno uguali, con i tetti scuri, i recinti di legno nero e dei piccoli giardini alle spalle.
La via principale era lunga e adornata di alberi alti che d’estate donavano una fresca ombra piacevole, mentre d’autunno coloravano tutto di giallo e arancione.
In fondo alla via principale c’era una muraglia di pietre grigie chiusa da un grosso cancello nero e affiancato da due cancelli più piccoli.
Questa muraglia circondava quello che era uno dei più grandi tesori d’America: il giardino delle querce.
Il cancello principale, insieme ai due più piccoli, veniva aperto solo il sabato e la domenica fino alle 19 di sera, mentre gli altri giorni gli unici ad accedere a questo giardino erano i residenti del quartiere i quali una volta ricevute le chiavi della casa ricevevano anche le chiavi dei due cancellini adiacenti il cancello più grande.
Non mi dispiaceva essermi trasferito in quel posto.
Era confortevole, storico e molto suggestivo.
Mi piaceva l’idea di poter iniziare tutto da zero, per mia sfortuna avevo quasi finito il liceo, purtroppo quello era il mio ultimo anno e per questo non mi sarei goduto a lungo quel posto in quanto l’anno dopo sarei andato via per il college ma in ogni caso mi ero promesso di farmi tanti amici e di scoprire qualcosa su quel posto.
L’unica cosa che non volevo assolutamente era trovarmi una ragazza, dopo l’ultima esperienza traumatica decisi che sarei partito senza nessun legame.
La nuova casa era abbastanza grande e molto carina, era di un color grigio scuro e il tetto nero, le finestre grandi e bianche, c’era un vialetto di pietra che portava fino al portico e dietro la casa un piccolo giardino un po’ rovinato.
In totale c’erano quattro camere di cui due davano sullo stradone principale e due sul giardino, una piccola stanza che avremmo adibito a studio/libreria e tre bagni tra il piano inferiore e il piano superiore.
Il pavimento era un parquet scuro in tutta la casa e i pochi mobili che c’erano erano antichi e avevano un ottimo odore di legno curato.
I due caminetti che si trovavano in sala pranzo e in salotto rendevano il tutto ancora più accogliente e caldo.
Arrivati alla casa mia mamma subito iniziò a mettere in ordine tutte le cose più piccole e veloci, mentre urlò a me e mio fratello Luke di andare al piano superiore e scegliere le nostre stanze.
Inutile dire che io scelsi la più grande.
La mia stanza dava direttamente sullo stradone principale e per nostra fortuna da casa nostra potevamo vedere il cancello nero del giardino delle querce.
Non si vedeva altro, solo una fitta chioma scura e nera che invadeva l’area.
Ero curiosissimo di andare in quel posto.
C’erano tante storie al riguardo, ovviamente molte delle quali finte.
Chi diceva che fosse il posto in cui le streghe facessero i loro incantesimi e patti con il diavolo, chi che fosse il posto in cui le uccidessero, chi semplicemente che fosse un posto magico.
Certo un giardino di enormi querce antiche e tutte in ottima salute era una cosa molto strana.
Misi semplicemente alcuni dei miei libri sui primi scaffali della biblioteca, alcuni vestiti nell’armadio e poi corsi al piano inferiore.
“Mamma, papà io vado a vedere il giardino” urlai prendendo le chiavi dei cancelletti e infilandomi una camicia a quadri.
“Porta tuo fratello con te, Adam” disse mia madre uscendo dalla porta di casa mentre io ero già al cancelletto della staccionata.
“Va bene, chiamalo” dissi io aprendo il cancello e uscendo sulla strada.
Mia madre rientrò e chiamò Luke, io in quel momento tirai su la mia testa per guardare verso il giardino e vidi una ragazza sull’altro marciapiede che camminava in maniera svelta.
Era di una bellezza strana.
Aveva gli occhi verde scuro, i capelli quasi color rame, alcune lentiggini sparse sul viso.
Ricordo perfettamente come fosse vestita.
Aveva dei jeans scuri, una felpa grigia e le converse nere.
I capelli legati in una coda morbida.
In mano aveva quello che sembrava un quaderno e una semplice matita che teneva al petto.
Non guardava intorno ma solo davanti a sé stessa.
La seguii con lo sguardo fin quando non arrivò mio fratello che mi tirò una pacca sulla spalla.
“Andiamo fratello!” esclamò più felice di me.
Io e Luke ci incamminammo verso il giardino curiosi allo stesso modo.
Luke era più piccolo di me di cinque anni, era quasi alto quanto me, i capelli cortissimi e dei muscoli imbarazzanti.
Non era bello, ma era forte.
Voleva diventare un giocatore di football famoso, inutile dire che ci sarebbe riuscito senza problemi, aveva quindici anni ed era un colosso forte e veloce come il vento.
Si allenava tutti i giorni da quando aveva sei anni e nessuno l’avrebbe mai fermato.
Io ero tutto l’opposto, ero molto più magro di lui, molto meno forte e molto meno sportivo.
A me piaceva leggere.
Volevo seguire il corso di letteratura inglese al college e diventare uno scrittore o un giornalista per poi trasferirmi in uno dei nuovi appartamenti super di lusso a New York e comprarmi un golden retriever.
Persi la voglia di sposarmi e creare una famiglia proprio dopo quello che successe quell’anno nel giardino delle querce.
Il posto che doveva essere la mia rinascita, si mostrò alla fine come il posto che fu la mia morte e la mia rovina.
Mio fratello non faceva altro che parlare di quanto fosse emozionato, felice, euforico della nuova casa, della nuova città, della nuova squadra.
Anche io ero felice, ma di certo non quanto lui.
Il posto era stupendo e speciale, ma non ci sarei stato nemmeno un anno e la cosa mi faceva pensare che comunque non me la sarei mai goduta fino in fondo, o almeno non quanto stava facendo Luke.
Arrivammo al giardino in quattro passi, quelli di Luke erano quattro i miei molti di più, per fortuna era molto vicino alla nostra casa.
Una volta arrivati ci avvicinammo ad uno dei due cancelli più piccoli e alla sinistra c’era una targhetta dello stesso materiale dei cancelli in cui c’era scritto “Ai residenti di Salem alcune regole da seguire per visitare il giardino delle querce: utilizzare le sole chiavi che vi vengono consegnate al momento dell’acquisto della casa, una volta aperto il cancello ed entrati all’interno del giardino richiudere a chiave il cancello alle proprie spalle, portarsi un telefono cellulare dietro, chiamare subito la polizia nel caso in cui doveste vedere qualcuno all’interno che non fosse un residente, non staccare foglie o cortecce dagli alberi, non distruggere niente e non buttare niente in terra.”
Lessi ad alta voce per far sapere le cose anche a Luke e una volta finito di leggere ci guardammo quasi impietriti.
“Cosa cavolo c’è là dentro?” mi chiese Luke preoccupato quasi quanto me.
“Non ne ho idea, ma adesso sono ancora più curioso” risposi io sorridendo.
Mi avvicinai al cancelletto e lo aprii con la chiave che avevo portato, il cancello si aprì di botto e noi entrammo sentendoci quasi due ladri.
Chiudemmo il cancello a chiave alle nostre spalle come recitava la targhetta e improvvisamente ci ritrovammo in quello che sembrava veramente un enorme giardino di magia.
C’erano almeno 500 querce, una più grande dell’altra, magnifiche chiome che coprivano il cielo intero di un verde scuro sfavillante, c’era molto freddo infatti mi pentii di non essermi portato un maglione un po’ più pesante, mio fratello non avrebbe detto lo stesso dato che era in pantaloncini e maglietta a maniche corte e sembrava stesse benissimo.
Quel posto era spettacolare, tetro ma allo stesso tempo bellissimo.
C’era un profumo di quercia che inebriava l’aria, pochissime foglie in terra e un senso di umido che ti rinfresca le ossa.
Io e Luke iniziammo ad addentrarci all’interno del giardino molto lentamente quasi avessimo paura di distruggere una di quelle querce secolari.
C’era un silenzio impressionante, pensai subito a quanto sarebbe stato bello studiare o addirittura scrivere all’interno di quel giardino.
In quel momento sperai che mio padre non trovasse un altro lavoro in una città lontana, in modo da poter davvero andare a scrivere il mio primo romanzo all’interno di quel giardino meraviglioso.
Mi continuai a guardare intorno meravigliato e solo dopo almeno quindici minuti che ero lì mi resi conto che le querce erano posizionate tutte in cerchio, erano tanti cerchi uno più piccolo dell’altro, tutte una davanti all’altra, posizionate perfettamente in maniera speculare.
Proseguii verso il centro di questi cerchi curioso di sapere cosa ci fosse nel mezzo, e infatti a mia enorme sorpresa c’era qualcosa di speciale.
Una quercia enorme, più grande di tutte le altre, alta almeno 40 metri, con dei rami enormi e lunghissimi che formavano una corona intorno all’enorme tronco.
Era uno spettacolo veramente unico davanti ai nostri occhi.
Io e Luke ammirammo quella regina che si pavoneggiava davanti a noi mostrando le sue enormi braccia e i suoi lunghi capelli.
Il vento ci faceva arrivare il suo profumo inebriante in modo da dire “Sono io che comando qui” e lo sapeva lei e anche noi.
Non ebbi il coraggio di avvicinarmi ulteriormente a lei.
Mi sentivo quasi in imbarazzo al suo cospetto, sentivo di dovermi inchinare ai suoi piedi e lasciarle fare ciò che desiderava.
In quel momento mi resi conto che non avrei mai voluto essere in un posto diverso da quello in cui mi trovavo, mi resi conto che sarebbe stato per sempre il mio posto del cuore.
Decisi che mi sarei trovato anche io una casa lì, che avrei avuto anche io le chiavi per quel giardino, le chiavi del paradiso.
Io e Luke rimanemmo a lungo davanti a quella bellissima quercia, ad osservarla, in silenzio, fin quando quel bellissimo silenzio non si ruppe a causa dello stomaco di mio fratello che iniziò a lamentarsi.
Guardai l’orologio e mi resi conto che erano le 20 passate, eravamo rimasti dentro quel giardino per tre ore senza nemmeno rendercene conto.
Tornammo indietro sconsolati, quasi avessimo visto le nostre rispettive fidanzate con altri uomini, uscimmo da quel giardino e improvvisamente Luke ritrovò la parola.
Nella strada del ritorno lui non fece altro che parlare di quanto volesse tornare nel giardino, di quanta fame avesse, che avrebbe voluto fare un picnic là dentro e altre cose, io invece pensavo solo a quella quercia, me ne ero totalmente innamorato.
Aveva avuto su di me lo stesso effetto delle sirene sulla ciurma di Ulisse, mi aveva stregato, mi aveva cantato la sua canzone per farmi cadere fra le sue braccia, e io ci ero caduto con molto piacere.
Una volta tornati a casa ci aspettava già la cena, mia mamma aveva ordinato una pizza dato che dovevamo ancora mettere tutto in ordine e fare la spesa.
Ci chiese come fosse andata e mio fratello iniziò a vomitare tutte le parole possibili, mentre io rimasi in silenzio a pensare ancora a lei, la mia nuova amata.
Una volta finita la cena aiutammo mia mamma a mettere in ordine e volammo nelle nostre camere, sentivo mio fratello dalla sua fare i suoi soliti mille addominali e ottocento flessioni prima di dormire.
Io invece mi affacciai alla finestra e cercai di scorgere da lì la quercia reale, ma nulla.
Mi addormentai quella sera in pace, come se nulla potesse più farmi male.
O almeno così credevo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Il giorno seguente mi svegliai con una strana energia, mi sentivo riposato e pronto ad affrontare questa nuova avventura.
Mi preparai velocemente e feci colazione, presi i miei libri e lo zaino e volai in macchina di mio padre, il quale mi accompagnò a scuola molto velocemente.
La mattinata passò in maniera del tutto tranquilla, matematica le prime due ore, letteratura le altre due e spagnolo le ultime.
Quando arrivò l’ora di pranzo alcuni ragazzi dei miei corsi mi chiamarono per sedermi con loro.
In quel posto erano tutti diversi rispetto alla Florida, erano tutti simpatici, alla mano e accoglienti.
Mi fecero subito sentire a mio agio senza troppi problemi.
In quel momento mi girai e vidi la ragazza che avevo visto venire dal giardino proprio seduta in uno dei tavoli adiacenti il nostro.
Era di una bellezza maestrale, un po’ come la mia amata quercia.
Aveva i capelli raccolti e alcune ciocche le incorniciavano il viso, era sola ma dannatamente bella.
Scriveva qualcosa nel suo quaderno, lo stesso che avevo visto ieri tra le sue braccia.
Improvvisamente qualcuno mi tirò una pacca sul braccio, era Richard.
“Oh pollo, cosa stai guardando?” esclamò facendomi trasalire.
Mi girai ridendo “ma no nulla, guardavo quante alette di pollo si era strafogato Lewis.”
“Ah ah, simpatico anche lui… Guarda che ci siamo resi conto che fissavi la bella verginella.”
Mi girai subito verso di loro e li guardai un po’ accigliato.
“Cosa vuol dire questa cosa?” chiesi io infastidito.
“Tutta la scuola lo sa, quella ragazza non parla praticamente mai con nessuno. Lo so, è di una bellezza disarmante, ma cavolo non rivolge la parola a nessuno se non a qualche sua amica di infanzia. Sono state loro a dirci che è ancora vergine.” Disse Lewis fissandola a sua volta.
“Beh che c’è di male ad essere ancora vergine? Sempre meglio così che come me che l’ho fatto con una che mi cornificava con il mio migliore amico” dissi io facendo le virgolette con le dita alla parola migliore amico.
“Cavolo, che sfiga.” Disse Richard per confortarmi.
In quel momento la ragazza si alzò e si girò verso di me, mi resi conto che aveva gli occhi più belli che avessi mai visto in tutta la mia vita.
Brillavano come se avesse appena pianto, e allo stesso tempo ti facevano percorrere dei brividi lungo tutta la schiena.
Tutti e tre al nostro tavolo la fissammo come se fosse una Dea andare via lasciando una scia di profumo inebriante.
A vederci da fuori sembravano tre ebeti.
La giornata passò abbastanza bene.
Quando quel pomeriggio rientrai in casa non c’era nessuno, i miei erano a lavoro e mio fratello ovviamente era ad allenarsi così decisi di prendere le chiavi del giardino e tornare ad ammirare la mia quercia.
Quando chiusi il cancello alle mie spalle e mi girai un senso di gioia mi pervase lo stomaco.
Mi sentivo così bene in quel giardino, nemmeno quando mia madre ottenne la promozione che tanto desideravamo provai una gioia simile.
Mi avviai verso la quercia a passo molto svelto, volevo sentire il suo dolce profumo e ammirare a lungo le sue foglie.
Quando arrivai mi bloccai improvvisamente.
La bellissima ragazza del mistero era proprio lì, sempre con il suo quaderno al petto e i capelli raccolti.
In quel momento, l’immagine della quercia svanì e iniziai solo a pensare a quella ragazza.
Era il momento migliore per presentarmi.
Mi avvicinai silenziosamente e mi misi accanto a lei con le mani in tasca.
“Ehi.” Dissi guardando la quercia.
Lei si voltò lentamente e mi guardò, mi fece un leggero sorriso che mi fece sentire al settimo cielo.
“Ehi ciao.” Rispose con la voce più bella che avessi mai sentito in tutta la mia vita.
“Piacere, mi chiamo Adam.” Le porsi la mano destra togliendola dalla tasca dei miei jeans.
Lei mi porse la sua, così dolce, delicata e fredda.
“Io sono Heaven.”
Rimasi sbalordito dalla perfezione di quel nome.
Non avevo mai pensato ad un nome più bello di quello, e quanto le calzava a pennello lo sapevo solo io.
“Ti sei trasferito ieri, vi ho visti con il furgone. Io abito qui da quando sono nata, benvenuto a Salem.”
Il suo modo di parlare mi faceva sentire come se in quel momento fossi nel posto giusto.
“Oh ti ringrazio tanto, io ti ho vista oggi a scuola invece. Se vuoi qualche volta possiamo pranzare insieme.”
“Perché no, mi piacerebbe tanto.” Mi regalò un altro dei suoi splendidi sorrisi e la cosa mi fece sentire davvero a mio agio.
“Allora, qual è il mistero spaventoso che nasconde questo giardino?” chiesi io estremamente curioso di sapere qualcosa sulla mia vecchia amata quercia.
Lei mi guardò senza più sorridere e i suoi occhi si fissarono nei miei.
Non sapevo come mai ma la mia voglia irrefrenabile di baciarla iniziò a prendere il sopravvento, forse avrei dovuto dirle di smetterla di guardarmi con quegli occhi o altrimenti sarebbe finita male.
“Io e mio padre abbiamo sempre creduto solo ad una delle tante storie che girano sul conto di questo giardino, ma lui è molto più bravo di me a raccontarla.”
Rimanemmo lì a parlare per almeno due ore, immobili, in piedi davanti quella maestosa quercia.
Capimmo che dovevamo andare via solo quando il freddo iniziò a penetrare nelle nostre ossa.
Quando uscimmo dal cancello era già calata la sera, iniziammo a camminare lungo la strada principale e continuammo a parlare di tutto ciò che ci accomunava.
“Ehi senti, penso di doverti per forza accompagnare a casa. Non so se il posto sia o meno spaventoso, ma sono un ragazzo e il mio senso di dovere purtroppo è molto forte. Non me la sento a lasciarti andare a casa da sola.”
Le dissi quando arrivammo davanti casa mia, lei sorrise dolcemente e per mia sfortuna mi ritrovai di nuovo i suoi occhi nei miei.
“Sei molto gentile, credo di doverti a mia volta invitare a cena da me. Conosco perfettamente mio padre e te lo chiederà subito quindi se vuoi venire ti conviene chiedere subito ai tuoi genitori.”
Io la fissai e il mio cuore iniziò a battere così forte che pensai l’avesse sentito anche lei.
Senza dire nulla feci un salto dentro il mio cancelletto e salii le scale del portico a due a due.
Dopo quello che penso essere stato mezzo secondo mi precipitai di nuovo fuori e volai fuori dal cancello.
“Eccomi!” esclamai con un leggero affanno.
Lei rise e io mi sciolsi sentendo quella risata incantevole.
Ci incamminammo verso casa sua che era esattamente due vie dopo la mia.
Era identica alla mia casa con la sola differenza che le finestre erano di legno scuro, lei aprì dolcemente il cancellino e mi fece strada verso il portico.
Una volta entrati in casa si sprigionò un calore speciale, un forte odore di pollo e patate e una voce maschile profonda la chiamò.
“Heav, finalmente sei a casa! Pensavo avessi deciso di dormire nel giardino anche oggi!”
Suo padre si palesò dalla cucina e rimase impalato appena ci vide.
“Oh, questo spiega molte cose. Salve, io sono William il padre di Heaven, chiamami pure Will. Tu sei il ragazzo nuovo giusto? Ho conosciuto tuo padre ieri mattina.” Mi disse porgendomi la mano.
Il padre non le somigliava nemmeno nei sogni più nascosti.
Aveva i capelli brizzolati, gli occhi scuri ed era molto alto e possente.
Gli strinsi la mano sorridendo.
“Salve signore, mi chiamo Adam. Si ci siamo trasferiti ieri, sono nella stessa scuola di sua figlia.”
“Ovviamente ceni qui, giusto?” Mi disse facendomi strada verso la sala da pranzo.
“Certo papà, gliel’ho già detto io tranquillo. Se volete scusarmi, vado a posare le mie cose e a mettermi qualcosa di comodo.” Lei mi rivolse ancora quel maledetto sorriso.
Avrei tanto voluto prenderle il volto tra le mani e baciare entrambi i lati della sua bocca quando sorrideva.
Annuii e mi voltai verso il padre, il quale mi fece accomodare in sala pranzo.
Mentre aspettavamo Heaven mi raccontò che aveva sempre vissuto lì ma che lavorava a quaranta minuti di distanza, infatti, purtroppo stava tutto il giorno fuori, ma che Heaven per fortuna non viveva male la cosa.
Improvvisamente Heaven si palesò nella stanza con una felpa rosa cipria e dei pantaloni della tuta grigi che mi lasciavano viaggiare molto con la fantasia.
Si era levata il poco trucco che aveva ed era ancora più bella di prima.
Ci sedemmo tutti a tavola e iniziammo a mangiare.
Mi raccontarono l’infanzia di Heaven abbastanza tranquilla e felice fino a quando la madre non scappò con un altro uomo nel New Jersey quando Heaven aveva appena dieci anni.
Mi ritenni decisamente fortunato ad avere una famiglia abbastanza banale come la mia.
“Signore mi scusi, sua figlia oggi mi ha detto una cosa e credo di doverne approfittare ora che sono qui, qual è la storia di quel magico giardino?”
“Oh caro ragazzo, aspettavo tu me lo chiedessi con gloria!” Esclamò Will.
“Vedi come ben sai Salem è conosciuta come la città delle streghe da sempre.
Si dice che quel giardino sia stato il posto dove le streghe vendessero la loro anima al diavolo in persona per trasformarsi, o dove purtroppo siano state trucidate tante donne innocenti.
Ma io ho sempre creduto che semplicemente quel giardino sia una sorta di commemorale.
Ho sempre creduto che ogni quercia rappresentasse ognuna di loro, e che una volta morte veniva piantato un albero in loro memoria.
Penso sia semplicemente un cimitero diverso da quelli che conosciamo noi.
Tutte le persone che entrano in quel giardino si sentono diverse improvvisamente, più libere, leggere, energiche.
Sprigiona pace e tranquillità.
L’enorme quercia al centro credo che sia la strega madre di tutte loro, che si mostra florida come quando era in vita.
Non credo alla magia, ma credo al destino. Non so se mi puoi capire.”
Lo ascoltai senza rendermi conto di avere un sorriso compiaciuto sul viso.
Passammo la serata a parlare di querce, di Heaven, di scuola purtroppo e di libri.
Ricordo quella serata con enorme gioia.
Andai via pieno di felicità e di voglia di passare del tempo con quella ragazza.
E mi addormentai ancora più energico di quando mi ero svegliato.
Chissà che non fosse anche lei una strega?

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Da quel primo incontro io ed Heaven iniziammo a stringere una forte amicizia, ogni pomeriggio dopo la scuola ci incontravamo sempre nel giardino delle querce, sempre davanti la nostra solita quercia e passavamo lì la maggior parte delle nostre ore.
Ormai avevamo preso una confidenza tale da riuscire addirittura a sederci in terra, io portavo sempre un telo per evitare di bagnarci a causa dell’umidità che si creava in quello strano ecosistema a parte.
Pranzavamo tutti i giorni insieme a scuola, con forte invidia dei miei amici Richard e Lewis, inoltre ogni martedì e giovedì andavo a cena a casa sua con suo padre, erano gli unici giorni in cui riusciva a tornare presto a casa.
Presto arrivò il sabato mattina.
Mi ero ripromesso di dormire fino a tardi, ma alle 8 di mattina sentii qualcuno nel mio letto.
Spalancai subito gli occhi pensando che fosse quel colosso di mio fratello che voleva qualcosa e invece mi ritrovai gli occhi sorridenti di Heaven che mi fissavano.
Ringraziai il cielo che la sera prima per qualche motivo a me sconosciuto decisi di riordinare camera mia.
“Heav, che cosa ci fai qui?” Dissi io tirandomi su per potermi mettere a sedere cercando di aggiustarmi un po’ i capelli.
Lei rise togliendomi la mano dai capelli pensando che fosse abbastanza inutile quel mio tentativo.
“Dobbiamo assolutamente andare al giardino, insieme, devo farti vedere una cosa importantissima!” Disse lei con quella voce dolce e gentile.
Mi tolse le coperte di dosso velocemente e mi prese la mano per trascinarmi fuori dal letto.
In quel momento il mio cervello impazzì.
Mi venne voglia di tirarla a me nel letto e di dirle di rimanere lì tutta la mattina.
Avrei voluto stringerla e baciarla, sentire il profumo dei suoi capelli e guardarla negli occhi per tutto il giorno.
Invece mi feci trascinare fuori dalla stanza.
Mi portò giù e lì vidi mia mamma intenta a versarmi del caffè nella tazza e del tè nella tazza di Heaven.
“Nessuno è mai riuscito a buttarti giù dal letto come questa ragazza! Quasi quasi ti faccio venire tutte le mattine!” Esclamò mia madre per mettermi ulteriormente in imbarazzo, come se il mio pigiama con gli orsetti non facesse già abbastanza la sua figura.
“Signora Thompson mi creda, sarebbe molto più faticoso per me che per lui” Disse la mia musa.
Entrambe scoppiarono a ridere di me e io le guardai come se fosse lo spettacolo più bello della mia vita.
Presi il mio caffè senza dire una parola e mi diressi verso il frigo per poter capire cosa mangiare.
“Se vuoi ci sono delle briosce, Ad” disse mia madre.
Mi voltai e ne afferrai una al volo.
“Dieci minuti e sono da te” dissi ad Heaven dando un morso alla briosce e bevendo un sorso di caffè.
Anche in quel momento avrei voluto darle un bacio.
Mi piaceva averla in casa mia, che parlava con mia madre come se fossero delle grandi amiche, mentre mi guardava fare colazione.
Avrei tanto voluto dormire con lei, fare l’amore con lei, dedicarle un libro.
Stavo decisamente perdendo il cervello.
Mi preparai velocemente e mi diressi nuovamente in cucina dove trovai le due a chiacchierare sogghignando come se nulla fosse.
Posai la tazza vuota sul bancone e presi la mano di Heaven.
“Andiamo Heav?” lei balzò giù dallo sgabello e si avvicinò a mia madre.
“Arrivederci signora Thompson, è stato un piacere.” Disse dandole un bacio su ogni guancia.
Mia madre ricambiò molto felice e ci salutò dalla porta mentre noi iniziammo a camminare verso il giardino.
Io avevo sotto un braccio il solito telo, mentre sotto l’altro avevo le mani di Heaven che si tenevano a me.
Quella mattina aveva i capelli sciolti i quali rilasciavano un bellissimo profumo di cocco e vaniglia.
Ero molto più alto di lei e quindi potevo benissimo sentire quel profumo sotto il mio naso.
Raggiungemmo in poco tempo il giardino e lei aprì subito il cancellino, mi fece entrare e lo richiuse alle mie spalle.
Era impressionante come non riuscissi a toglierle gli occhi di dosso.
Potevo rimanere lì fermo a fissarla per giornate intere, non sarebbe mai stato abbastanza per me.
Ci avviamo verso la quercia, mentre lei continuava a parlarmi dell’ultimo libro che aveva letto in biblioteca.
Era l’unica ragazza sulla faccia della terra che ancora andava in biblioteca e che addirittura riusciva a leggere libri interi in quel posto.
Mi faceva ribollire il sangue nelle vene quando mi raccontava queste cose.
Avrei voluto spingerla contro una di quelle querce secolari e strapparle i vestiti di dosso in quel momento.
Mentre continuava a parlare decisi che glielo avrei detto.
Sotto quella quercia, avrei deciso che le avrei detto che ero innamorato perso di lei.
Una volta arrivati stesi il solito telo nel solito punto.
“Heav, io devo dirti una cosa” dissi senza nemmeno mettermi a sedere.
Lei non si girò nemmeno, si avvicinò alla quercia e si abbassò in un punto in cui la terra era più rialzata.
“Heav?” continuai io.
Lei prese qualcosa e si voltò verso di me sorridendo.
“Guarda Ad…”
Si avvicinò a me con una scatola.
Non sembrava troppo rovinata, al contrario sembrava che qualcuno l’avesse messa lì da poco.
Me la porse e si mise a sedere sul telo, io la imitai e mi misi a sedere mettendo la scatola tra di noi.
“Su, aprila” mi incitò facendo anche un gesto con la mano.
Io mi feci coraggio e la aprii.
Dentro c’erano una trentina di lettere e quattro foto.
Le foto ritraevano un ragazzo alto con i capelli ricci leggermente lunghi e una ragazza con i capelli scuri.
In due foto si baciavano e in altre due erano di spalle.
Non c’erano date, non c’era scritto nulla.
Heaven sfogliò velocemente le lettere, iniziò a leggerne una ad alta voce.
“Oggi siamo andati al giardino delle querce molto tardi, mi hai chiesto di baciarti al chiaro di stella.
Io ho aspettato quel momento come se fosse il mio ultimo respiro.
Quando ho finalmente toccato le tue labbra mi sono sentito vivo.
Sentire il calore del tuo respiro unirsi con il mio, le tue mani tra i miei capelli, il mio corpo attaccarsi al tuo.
Mi sono sentito come se finalmente i pezzi del mio puzzle fossero al loro posto.
Mi hai fatto sentire un bambino e un uomo allo stesso momento.
Il colore della tua pelle mi ha fatto ricordare il motivo per cui l’uomo può impazzire.”
Si fermò e io mi resi conto solo in quel momento che stavo trattenendo il respiro.
Mi resi conto improvvisamente che le stavo fissando le labbra.
Precisamente aveva una lentiggine sul labbro superiore.
Quella minuscola lentiggine mi faceva perdere il controllo.
La guardai negli occhi e lì vidi di nuovo quella splendida luce che brillava.
Sembrava che i suoi occhi parlassero, che mi dicessero di fare qualcosa, e il vecchio Adam, quello prima di aver passato quello che aveva passato l’avrebbe fatto.
Ma ora non avevo il coraggio.
Rimasi fermo, impietrito a fissarla.
Andò avanti e lesse altre lettere.
“Non capisci Adam? Questo era l’albero di qualcuno! Qualcuno veniva qui come facciamo noi adesso. Chi sono questi due ragazzi? E per quale motivo c’è questa scatola? Dove sono?”
Io non stavo capendo nulla in quel momento.
Non capivo perché pensava che dietro quella scatola dovesse per forza esserci un qualcosa di misterioso, io pensai solo che stessimo invadendo la privacy di due ragazzi normali.
“Questa mattina sono venuta prestissimo al giardino, ho notato immediatamente quella cunetta, non c’era ieri sera. Questa scatola è stata messa qui da poco. Guarda le foto dei ragazzi sono vestiti come noi.”
“Heav, saranno due ragazzini che hanno voluto ricordare la loro relazione così non vedo quale sia il problema e nemmeno cosa ci sia di così strano.”
“Perché venire qui? Io non ho mai visto ragazzi in questo quartiere, solo tu. Questo quartiere è vissuto solo da vecchi. Noi siamo gli unici. E ti ricordo che per entrare qui è necessaria una chiave che abbiamo solo noi.”
“Ma non il sabato e la domenica!” esclamai io cercando di farla ragionare.
“Heav andiamo, non c’è nulla di strano in questa scatola.”
“Io me la porto a casa”
In quel momento mi resi conto che avrei dovuto assecondarla, per poterle stare ancora più vicino.
Prendemmo la scatola e andammo a casa sua, suo padre il fine settimana dormiva fuori e quindi saremmo stati soli.
Entrammo in casa e sentii subito un forte profumo di biscotti appena sfornati.
Salimmo in camera sua e ci mettemmo sul suo letto, lei prese il portatile e iniziò a fare mille ricerche di strane scatole trovate sotto le querce.
O di qualche storia particolare di quel giardino magico.
Non trovò nulla e subito mi disse che era molto delusa.
“Ti va di rimanere qui stanotte?”
Mi chiese quando ci rendemmo conto che era passata un’intera giornata e noi non avevamo concluso nulla.
In quel momento mi ripresi dal coma del momento.
Mi ricordai per quale motivo fossi lì e subito dissi di sì.
Chiamai mia mamma e le dissi che avrei dormito da Heaven e stranamente la prese molto bene.
In quel momento la mia felicità era alle stelle.
Decisi che avrei cucinato io qualcosa per lei, preparai un po’ di pasta al sugo senza sbilanciarmi troppo, e poi mangiammo i biscotti che aveva fatto lei la mattina davanti al camino acceso mentre lei continuò fino a tardi a cercare informazioni sulla misteriosa scatola.
Improvvisamente appoggiò la sua testa sulla mia spalla.
“Sono molto stanca, Ad” aveva la voce più dolce che avessi mai sentito.
Mi feci in avanti per farla stendere su di me, lei lo fece con tutta la naturalezza che potesse esserci in un momento del genere.
Iniziai ad accarezzarle i capelli, mentre lei mi prese l’altra mano e la avvicinò al suo viso, dopo pochi minuti si addormentò con il volto sereno e rilassato.
L’avrei baciata anche in quel momento, ma mi limitai a guardarla incantato e a sentire il suo bellissimo profumo inebriarmi la mente.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


La mattina dopo ci svegliammo ancora in salotto, lei era completamente stesa sopra di me mentre il mio braccio destro le cingeva la vita.
Alzò lo sguardo verso di me e mi guardò negli occhi.
“Buongiorno Ad” mi disse con una voce ancora più dolce del normale.
“Buongiorno Heav” le risposi io subito dopo.
Si alzò e si avviò verso la cucina, sentii che iniziò a preparare del caffè.
Mi alzai anche io controvoglia e iniziai a mettere in ordine il salotto, ripiegai le coperte e rimisi le cose dentro la scatola.
In quel momento capii che lei ci teneva davvero a scoprire chi fossero i due ragazzi.
Presi una delle lettere che ancora non avevamo guardato e iniziai a far scorrere i miei occhi sulle parole.
Improvvisamente mi resi conto di un piccolo dettaglio.
Nella lettera c’era scritto “mia cara Heav, tu si che mi hai fatto scoprire cosa sia davvero il paradiso.”
In quel preciso momento iniziò a battermi il cuore ancora più forte.
Presi un’altra lettera e cercai di captare un nome per capire se ciò che stavo pensando era vero o solo una mia fantasia.
Ed eccolo lì “quando pronuncio il tuo nome Heaven, mi sento come se non potessi trovarmi in un posto migliore.”
La ragazza di quelle lettere si chiamava Heaven.
Corsi in cucina con le lettere in mano.
“Heav!” urlai per attirare la sua attenzione.
Heaven si girò subito verso di me e spalancò gli occhi.
“I ragazzi delle lettere, i ragazzi… si chiamano come noi, o almeno la ragazza si chiama come te!”
Quante probabilità c’erano che l’unica ragazza nel pianeta a chiamarsi Heaven trovasse una scatola con lettere d’amore dedicate ad un’altra ragazza di nome Heaven in un giardino di cui solo noi avevamo le chiavi?
Heaven iniziò a guardarsi intorno, confusa quanto me, iniziò a muoversi nervosamente per la cucina mettendosi le mani tra i capelli.
Io le andai dietro per cercare di capire come aiutarla.
“Heav?” dissi preoccupato cercando di farla calmare.
Le presi un gomito e la girai verso di me, la abbracciai per farla sentire al sicuro.
Lei ricambiò il mio abbraccio stringendomi forte come se avesse paura di crollare da un momento all’altro.
“Heav, va tutto bene” le dissi accarezzandole le punte dei capelli.
“Ad…” mi disse lei con la voce spezzata.
“Ho sempre pensato di averti conosciuto per un motivo particolare, e adesso ne sono ancora più convinta.”
Facemmo colazione in totale silenzio, lei era pensierosa, io ancora di più.
Adesso ero ancora più confuso di prima.
Chi aveva scritto quelle lettere? Qualche mio amico per prendermi in giro? Mio fratello? I nostri noi del futuro?
La aiutai a pulire e poi la guardai negli occhi.
“Heav, oggi ti va di venire a pranzo a casa mia? Sei sola e oggi è domenica, non mi va di lasciarti qui in questa casa.”
Lei mi regalò uno dei suoi sorrisi dolci e amorevoli e scosse dolcemente il capo.
“No Ad ti ringrazio tantissimo ma oggi non posso, devo andare in centro a comprare delle cose per mio padre o altrimenti quando rientra stasera e non le trova mi fa la predica.”
“Beh ma puoi venire a pranzo da me e poi andiamo insieme.” Replicai subito io, non mi andava per niente di lasciarla sola in quella giornata.
Lei mi mise una mano sul braccio e mi accarezzò dolcemente, in quel momento un brivido mi percorse tutta la schiena.
“Ad non posso davvero, vai e rilassati un po’ ci vedremo domani a scuola.”
In quel momento mi prese il panico, non voleva nemmeno andare al giardino più tardi?
Sarebbe stato il primo giorno senza andare al giardino da quando mi ero trasferito.
“Oh, va bene… Allora io vado, ci vediamo domani.”
Posai l’ultima tazza sul bancone e le diedi un bacio furtivo sulla guancia, andai in salotto e recuperai la mia felpa.
Mi precipitai fuori dalla sua casa e andai via a passo svelto.
Quella giornata fu per me buia e lunga.
Mia mamma se ne rese conto; infatti, si avvicinò a me e mi passò una mano tra i capelli in disordine.
“Tutto bene Adam?” mi chiese sedendomi vicino a me.
“Da quando ci siamo trasferiti non ti ho mai visto con un telefono in mano, un miracolo”
Rise piano e continuò a guardarmi.
Io ricambiai lo sguardo un po’ triste, le diedi un bacio sulla guancia per cercare di tranquillizzarla e mi alzai dal divano.
“Tutto bene mamma, ho dormito poco stanotte, vado in camera mia se non hai bisogno di me.”
“No, vai pure” mi disse lei piano.
Io salii le scale due a due, entrai in camera mia e chiusi la porta.
Potevo sentire mio fratello fare una sorta di incontro di boxe da solo in camera sua.
Mi misi le cuffie nelle orecchie e iniziai ad ascoltare un po’ di musica.
In poco tempo mi addormentai e mi lasciai cullare dalle canzoni del mio telefono.
Quando mi risvegliai fuori era già buio, c’era la luce del mio comodino accesa e avevo una coperta addosso.
Presi il telefono che si era spento nel mentre e lo misi subito in carica.
Mi alzai e mi affacciai, con la speranza di vedere Heaven di fronte che mi aspettava, invece nulla.
Quel suo modo di eclissarmi quel giorno mi destabilizzò, mi sentivo in colpa per qualcosa che non sapevo nemmeno io di aver fatto.
Sperai di trovare un suo messaggio, una sua chiamata, qualsiasi cosa.
Invece nulla.
Quella sera non cenai, mi rimisi sul mio letto e mi addormentai di nuovo, nello stesso modo in cui avevo fatto il pomeriggio.
Il giorno dopo mi svegliai di soprassalto.
Mi guardai intorno confuso come se nemmeno ricordassi dove mi trovassi.
Trovai un biglietto sul mio comodino, era di mia madre.
“Adam, hai dormito tutto il giorno ieri, pensavo tu non ti sentissi molto bene quindi ho preferito non farti andare a scuola.
Come sai oggi saremo tutti fuori e rientreremo per ora di cena, quindi puoi riposarti tranquillamente tutto il giorno. Un bacio, mamma”
Sorrisi per l’amore che mi arrivò da quel semplice messaggio.
Mi affrettai a prendere il telefono per vedere se c’era qualche notifica.
Nulla.
Scrissi a mia madre e la ringraziai per il pensiero che aveva avuto per me.
Decisi che quella sera avrei preparato una bella cena per tutti.
Mi alzai dal letto e cercai di aggiustarlo un po’, mi diressi verso il bagno e mi guardai allo specchio, avevo decisamente bisogno di una doccia calda e così feci.
Presi una tuta grigia e una felpa nera e mi vestii subito dopo.
Scesi le scale e mi preparai un caffè.
In quel momento diedi uno sguardo fuori la finestra, era lì.
Era seduta sulla sedia del mio porticato.
Mi affrettai ad aprire la porta.
“Heaven!” quasi urlai.
Lei era intenta a leggere un libro e appena sentì la mia voce trasalì.
“Ma sei impazzito! Così mi farai prendere un infarto!”
Si alzò e mi donò uno dei suoi sorrisi, si avvicinò a me e mi diede un bacio sulla guancia mettendosi in punta di piedi, passò sotto il mio braccio ed entrò in casa.
Io rimasi impietrito.
Che fine aveva fatto tutto il giorno ieri?
Improvvisamente una sensazione orribile iniziò a farsi strada nel mio petto.
Con chi era stata? Aveva visto qualcuno di nascosto? Era fidanzata e non mi aveva detto nulla?
Scossi la testa per togliermi quei pensieri orrendi ed entrai in casa chiudendo la porta.
Lei si era già seduta su uno degli sgabelli in cucina e mi aveva rubato il caffè.
Io mi avvicinai al bancone e la fissai.
Lei alzò gli occhi dalla tazza e li fermò sui miei.
“Dimmi” mi disse quasi scocciata.
“Che cosa ci fai qui?” Le chiesi scocciato a mia volta.
“Non eri a scuola, pensavo stessi male e sono venuta a trovarti.”
“Heaven, sono le nove del mattino, potevi venire oggi pomeriggio.”
Lei iniziò a sorridere di più.
“Ieri sono andata in biblioteca, ho cercato qualcosa su quei due ragazzi.”
“E?”
“E nulla, non ho trovato nulla.” Mi disse un po’ triste.
Io la guardai, quella mattina mi sembrava ancora più bella del solito.
Aveva un maglione rosso che le faceva risaltare sia gli occhi che la pelle, i capelli raccolti come sempre e per la prima volta aveva messo degli orecchini.
Avrei potuto disegnarla ad occhi chiusi per quanto ormai conoscessi perfettamente ogni singolo dettaglio sia del suo viso che del suo corpo.
Le presi una mano e la invitai a guardarmi negli occhi.
Per la prima volta da quando la conoscevo mi sembrò di vederla arrossire.
La cosa mi fece fremere ancora di più.
“Heav, cosa pensi?”
Lei scrollò le spalle e mi accarezzò il palmo della mano con il pollice.
“Non lo so più Ad, ma so che qualcosa non torna. In realtà tante cose non tornano, voglio capire chi sono questi due ragazzi.”
“Se fosse semplicemente qualcuno che ci sta facendo uno scherzo? Magari qualcuno che ci ha visto insieme a scuola, magari Ric o Lewis.” Le dissi per cercare di farla stare più tranquilla.
“Tu pensi che Richard o Lewis possano scrivere delle lettere simili? Pensi veramente che uno dei due possa anche solo sapere il significato di quelle parole? Ho letto quelle dannate lettere tutto il giorno ieri e fidati non potrebbero mai aver scritto niente del genere.”
In effetti non potevo darle torto in quel caso.
Decise di rimanere a casa con me tutto il giorno, mi aiutò a mettere un po’ in ordine, andammo in centro a piedi e pranzammo in un ristorante italiano, prendemmo dei caffè e li portammo a casa.
Discutemmo ancora della scatola misteriosa ma non tanto quanto credevo.
Mi aiutò a preparare la cena per i miei e poi andò via prima che tornassero.
Aveva riempito la casa con il suo profumo e questo mi faceva perdere la testa ancora più del dovuto.
Il giorno dopo tornai tranquillamente a scuola e pranzai di nuovo con lei, questa volta facemmo attenzione che nessuno ci guardasse in maniera leggermente più insistente.
La sera andai a cena da lei come facevo ormai tutti i martedì.
Quella sera mi sembrò un po’ distratta, vedevo che faceva particolare attenzione a non nominare la scatola e le lettere davanti a suo padre, ma non partecipava attivamente alle conversazioni come sempre.
Al contrario era quasi del tutto assente.
Quando fu il momento dei saluti capii cosa avrei dovuto fare per aiutarla.
Uscimmo nel porticato e mi girai verso di me.
“Heav, senti stavo pensando… Per te sarebbe un problema darmi la scatola? Volevo leggere anche io tutte le lettere per bene, in modo da poterti dare davvero una mano e capirci qualcosa.”
Improvvisamente rividi i suoi occhi brillare come prima, mi regalò un enorme sorriso e si buttò tra le mie braccia dandomi un bacio sulla guancia.
“Sapevo che eri diverso! Aspettami, arrivo!” Esclamò correndo in casa.
In meno di un minuto era tornata da me, mi porse la scatola e mi diede un altro bacio.
Ci salutammo e io mi avviai verso casa.
Era da sabato mattina che non tornavamo al giardino, iniziavo a sentirne la mancanza.
Arrivato a casa salutai mio padre che era sul divano con la sua solita tisana e mi precipitai in camera.
Avrei passato la notte a studiare le lettere, una per una, per poter capire qualcosa di tutta quella strana storia.
Per poter aiutare in qualche modo Heaven avrei fatto anche molto peggio.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Così feci, infatti.
Passai tutta la notte sveglio a osservare le foto, captare qualche piccolo dettaglio dei volti dei ragazzi ma non si poteva vedere assolutamente nulla.
L’unica cosa su cui si poteva studiare qualcosa erano i corpi dei due e i loro abiti.
Ma erano così simili a tante altre persone da non riuscire a ricavarne nulla.
La cosa particolare era che vestissero come ragazzi di quell’epoca.
Allora iniziai a leggere ogni singola lettera, ogni singolo dettaglio, ogni singola parola.
Le lettere erano circa una trentina e cercai di leggerle con calma tutte quante.
Mi resi conto che l’ultima lettera non terminava nella prima pagina, quindi girai il foglio e mi resti conto però che quella lettera non finiva, o meglio era stata lasciata a metà.
Sembrava quasi che fosse stata scritta sul momento, la punta della matita con la quale era stata scritta sembrava essersi spezzata a metà.
Non diedi peso alle parole scritte in quella precisa lettera ma a tutto il resto sì.
Iniziai a capire che i due ragazzi erano legati da un rapporto particolare, un amore unico e indistruttibile, un amore che avrebbe superato tutte le difficoltà e anche tutte le tentazioni del mondo.
Continuai fino quasi a impararle a memoria.
E poi mi resti conto.
Quelle lettere le avevo scritte io.
Le avevo scritte io per Heaven.
Le parole scritte su quelle lettere erano esattamente le parole che avrei voluto dirle, il modo di scrivere era il mio e non poteva essere assolutamente di nessun altro.
La scrittura anche era la mia.
Non capivo, ero confuso.
Io non avevo mai scritto quelle lettere eppure erano scritte da me.
Iniziai a cercare dei fogli che fossero simili ai fogli utilizzati per quelle lettere ma non ne riuscii a trovare neanche uno.
Quando la mattina andai a scuola non vidi Heaven per i corridoi e nemmeno a pranzo.
Non seguivamo gli stessi corsi quindi non riuscii a capire se ci fosse a scuola oppure no, ma sapevo perfettamente dove l’avrei trovata.
Il pomeriggio appena tornato da scuola volai al giardino delle querce portandomi dietro il solito telo.
Una volta entrato il freddo mi pervase lo stomaco.
Era ancora più umido dell’ultima volta in cui ci ero stato.
L’erba per terra era totalmente bagnata e mi resi conto che quella misera felpa che avevo addosso non avrebbe aiutato a nulla.
Arrivai a passo svelto davanti alla quercia reale, e lei era lì, con i capelli legati, una felpa rosa e dei jeans tanto attillati da farmi mordere le labbra.
Non sapevo come dirle quello che avevo scoperto da quelle lettere.
Era come dirle “voglio dirti questa cosa ma non ci riesco”.
Inoltre avevo paura potesse pensare che le avessi scritte davvero io e le avessi fatto una sorta di scherzo.
Sapevo che mi aveva sentito perché non appena arrivai davanti la quercia si strinse le braccia al petto.
Io mi avvicinai ulteriormente a lei.
Vicino alla quercia reale faceva ancora più freddo ma appena arrivai vicino ad Heaven il freddo sparì.
“Heav…” dissi io lentamente.
In quel momento lei si girò, mi guardò dritto negli occhi e si avvicinò a me.
Mise entrambe le mani sul mio viso e posò le sue labbra sulle mie.
Feci cadere il telo per terra e misi entrambe le mie mani sui suoi fianchi ricambiando quel bacio che sembrava per me una poesia unica.
Non credevo a quello che stava succedendo.
La avvicinai a me e feci aderire il suo corpo al mio, lei abbassò le mani e le porto al mio petto.
In quel momento si staccò leggermente, aprì gli occhi e mi guardò.
“Scusami se ci ho messo tanto a capirlo”
Non sapevo di cosa stesse parlando ma l’unica cosa che feci fu avvicinare di nuovo le mie labbra alle sue.
Ci baciammo a lungo forse per dieci minuti, non me ne resi conto nemmeno io.
Improvvisamente sciolse quel legame e avvicinò le sue labbra al mio orecchio.
“Voglio fare l’amore con te, Ad” sussurrò molto lentamente.
Io mi staccai e la guardai negli occhi come per avere una conferma di ciò che aveva appena detto, lei annuì e mi sorrise.
Stesi il telo in terra e ci stendemmo uno vicino all’altra, non avevo il coraggio di spogliarla.
Lei mi baciò di nuovo e mi tirò a sé in modo da spostare il mio corpo sopra il suo.
Improvvisamente mi tolse la felpa che avevo addosso e quel freddo che sentivo prima si fece lentamente strada sul mio corpo.
La imitai togliendo a mia volta la sua felpa e scoprii con molta sorpresa che oltre a non avere una maglietta sotto, non aveva neanche il reggiseno.
Rimasi quasi paralizzato, il colore della sua pelle così chiaro mi faceva pensare a cose assurde.
Passai un dito sul suo collo fino ad arrivare alla sua spalla, sulla sua pelle si crearono dei brividi che mi fecero impazzire ancora di più.
Posai le mie labbra sul suo collo e solo in quel momento mi resi conto che era mia.
Lei scese con le mani fino ai miei jeans e li sbottonò delicatamente, me li abbassò fino alle ginocchia e mi abbassò il bacino per far aderire il mio corpo al suo.
La guardai nuovamente negli occhi.
“Sei sicura?” Sapevo che era la sua prima volta, o almeno così avevano detto i miei amici.
Lei si morse il labbro sorridendo.
“Sicurissima.”
Quel suo sorriso mi fece star bene.
Le tolsi velocemente i pantaloni e mi stesi totalmente sopra di lei, cercavo di farle più caldo con il mio corpo data l’umidità che c’era nel posto.
In quel momento mi diede un bacio talmente bello che mi fece pensare che il suo nome fosse davvero perfetto per lei.
Mi allungai verso la tasca dei miei jeans, ma lei mi fermò e mi fece girare verso di lei.
“Prendo la pillola, tranquillo.” Mi disse sorridendo.
Io presi a baciarla ancora e passai la mano tra i suoi capelli per sentire il suo profumo.
Mi legai a lei provando una sensazione unica e mai provata prima d’allora.
Mi sentivo nel posto giusto, nel momento giusto e con la persona giusta.
Penso che la prima volta per tutti dovrebbe essere come quella.
Quando improvvisamente pronunciò il mio nome al mio orecchio così lentamente un piacere strano mi pervase il petto.
Posai una mano in terra e cercai di tirarmi leggermente su con il petto, con l’altra mano presi il suo viso e iniziai a baciarla mentre mi muovevo piano e con delicatezza.
Lei mise entrambe le sue mani sul mio bacino e mi spinse più in profondità.
Entrambi ansimammo sulle labbra dell’altro.
“Heaven…” ansimai io mentre lei continuava a spingermi più in profondità.
“Non fare così, mi fai perdere la testa.” Sorrisi io, lei fece lo stesso.
“Il mio obiettivo è quello.” La guardai negli occhi, mi sembravano ancora più luminosi del normale.
“Dimmi cosa vuoi.” Sussurrai lentamente.
“Non trattarmi come una bambina.” Disse lei quasi in tono di sfida.
“Non parlare più.” La zittii dandole un altro bacio mentre iniziai a muovermi più velocemente.
Lei spostò le mani sulla mia schiena e iniziò a dimenarsi sotto di me.
Mi muovevo sempre più velocemente quando entrambi raggiungemmo l’apice del piacere.
Lei cercò di trattenersi, io mi piegai sul suo seno respirando affannosamente.
Le baciai il petto numerose volte e uscii da lei accasciandomi al suo fianco.
Mi voltai a guardarla e le diedi un bacio lungo osservando il suo corpo nudo che fremeva quanto il mio.
L’avrei voluta avere di nuovo, subito, in quel preciso momento.
Mi resi conto in quel momento che quella ragazza per me era peggio di una qualsiasi droga.
Lei si avvicinò a me e posò la testa sul mio petto, iniziò a fare dei cerchi sul mio petto con il dito mentre io la strinsi a me cercando di riscaldarla.
Tirò su lo sguardo e mi baciò il mento.
“Grazie per essere arrivato qui da me.” Mi disse sorridendo.
Io la baciai ancora e ancora e ancora, quasi avessi paura che scappasse per sempre.
Ci appisolammo in quel modo, totalmente nudi e al freddo noncuranti del fatto che qualcuno avrebbe potuto vederci.
Improvvisamente mi svegliai, lei era totalmente rannicchiata vicino a me, eravamo freddi e il giardino era diventato più buio di prima.
Guardai l’orario ed erano le nove passate.
La svegliai dolcemente dicendole l’ora, ci rivestimmo e uscimmo velocemente dal giardino.
“Vuoi che stia con te stanotte?” Le chiesi mentre la riaccompagnavo a casa.
“C’è mio padre, non credo che sarebbe molto contento.”
“Ma io a tuo padre piaccio.” Dissi io felice come una pasqua.
Lei mi baciò divertita.
“Non credo che gli piacerai ancora se sapesse quello che abbiamo fatto.”
Io sbuffai sconsolato.
“Almeno posso rimanere fino a quando non ti addormenti?” Le chiesi come ultima spiaggia.
“Vai a casa a farti una doccia calda, ci vediamo domani a scuola.” Mi disse quando arrivammo davanti casa sua.
Si mise in punta di piedi e mi baciò di nuovo, dolcemente e come se anche lei avesse bramato quel momento per molto tempo.
Se fosse stato davvero così allora avrebbe voluto dire che ero veramente uno stupido.
Io la strinsi forte a me e continuai a baciarla, per me non era abbastanza, non sarebbe mai stato abbastanza.
Volevo portarla via con me, comprare una casa per noi in quel quartiere e avere le nostre chiavi personali, l’avrei sposata in quel giardino e avrei fatto con lei tre figli, nella speranza di avere tutte femmine che fossero identiche a lei.
Si in quel momento mi resi conto che lei sarebbe stata il mio futuro.
Quella sera vederla rientrare in casa così bella, con i capelli sciolti e le guance arrossate mi fece ancora più male.
Nella strada verso casa ripensai ai suoi occhi, al suo seno, alle sue gambe e alle sue mani su di me.
Non mi rendevo conto di aver appena fatto l’amore con la creatura più bella che ci fosse nell’universo.
Non potevo credere che avesse dato a me questo enorme privilegio.
Vederla nuda era veramente come entrare in paradiso.
E avrei voluto entrarci ancora tante volte.
Proprio mentre pensavo queste cose mi resi conto che erano le stesse identiche cose che dicevano alcune delle lettere trovate nella scatola, per tutto quel tempo non avevamo pensato nemmeno una volta a quella dannata scatola, dannata ma allo stesso tempo magica.
Tornai a casa e chiesi scusa a mia mamma per essere sparito, le dissi che io ed Heaven eravamo andati a casa sua e ci eravamo addormentati prima di cena.
Volai al piano di sopra e mi feci una doccia bollente, mi misi sotto le coperte calde e presi il telefono.
Scrissi un messaggio ad Heaven “Buonanotte piccolo paradiso, spero tu sia stata bene almeno un quarto di quello che sono stato io.”
Glielo mandai e mi addormentai dopo poco, con l’immagine degli occhi di Heaven che mi guardavano dopo aver fatto l’amore con lei. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Nelle settimane successive io ed Heaven ci avvicinammo sempre di più.
Passavamo intere giornate insieme, adoravo sentirla parlare.
Il fine settimana lo passavamo da lei visto che eravamo soli.
Un venerdì pomeriggio io ed Heaven tornammo a casa dopo la scuola, riuscimmo ad entrare giusto in tempo quando improvvisamente un temporale tremendo iniziò ad abbattersi su Salem.
Diventò impossibile anche solo aprire la porta di casa quindi decidemmo che sarei rimasto lì fin quando non fosse passata la tempesta.
Io chiamai mia madre mentre Heaven chiamò suo padre per sapere se anche da lui ci fossero problemi.
“Adam, tutto bene siete a casa di Heaven?” mi chiese subito mia mamma appena rispose al telefono.
“Si mamma per fortuna siamo arrivati in tempo, volevo solo dirti che come immagini tornerò a casa quando potrò.”
“Si immaginavo già, anche Luke è rimasto bloccato a casa del suo amico James. Vorrà dire che io e tuo padre dovremmo passare questi giorni da soli, dicono che la tempesta passerà martedì”
Dopo poco, infatti, arrivò una mail anche dalla scuola in cui ci annunciavano che sarebbe rimasta chiusa fino alla fine della tempesta.
Anche il padre di Heaven rimase bloccato per tutto il tempo.
Quando lei riattaccò il telefono mi guardò subito negli occhi.
“Sai che cosa significa tutto questo?” Mi disse avvicinandosi a me e togliendomi il telefono dalle mani.
Io la guardai curioso e divertito allo stesso tempo.
“Ho tante idee in testa Heav, spero davvero tanto che siano uguali alle tue.” Lei iniziò a ridere e scappò al piano superiore, io la seguii e la raggiunsi dopo appena quattro scalini.
La presi per i fianchi e spinsi con delicatezza il suo corpo contro la parete iniziando a baciarla come se non la baciassi da tantissimo tempo.
Lei mi passò le mani tra i capelli e mi spinse via.
Riprese a correre verso camera sua, io la lasciai correre via.
Quando entrai in camera sua mi appoggiai allo stipite della porta e la guardai spogliarsi lentamente.
Prima si tolse le scarpe, poi si tolse il maglione e la camicia, poi con calma tolse i pantaloni fino a rimanere in biancheria.
Si girò verso di me e andò a chiudere le tende delle finestre di camera sua.
Si avvicinò poi al suo letto e si tolse il reggiseno e le mutandine rimanendo completamente nuda davanti ai miei occhi, mi fece segno di raggiungerla ma io rimasi ancora un po’ lì a godermi quel bellissimo spettacolo.
“Potrei stare tutta la mia vita a guardarti così, lo sai vero?” Mi morsi il labbro inferiore vedendo le sue guance diventare più rosa.
Entrai in camera a chiusi la porta, iniziai a spogliarmi mentre mi avvicinavo al letto e poi mi stesi sopra di lei.
Iniziai a baciarle il collo e scesi fino al suo petto, aveva il seno più bello che avessi mai visto.
Le lasciai dei morsi leggeri.
Sentire il suono della pioggia che batteva forte sia sui vetri delle finestre che sul tetto mi faceva eccitare ancora di più.
Improvvisamente mi prese i fianchi e mi fece stendere sul letto mettendosi sopra di me.
“Non ci credo.” Dissi io strofinandomi un labbro con la mano e sorridendo compiaciuto.
Lei puntò i suoi occhi nei miei guardandomi come non mi aveva mai guardato.
Mi fece sentire quasi in imbarazzo.
Iniziò a baciarmi e prese lei il comando della situazione, mi prese le mani e le portò sopra la mia testa mentre iniziò a muoversi lentamente.
Volevo toccarla ma lei me lo impediva tenendomi le mani.
Sentivo l’odore dei suoi capelli e iniziai a perdere il controllo.
“H-Heav…” Faticai a far uscire quelle parole.
Lei iniziò a muoversi più velocemente, io facevo fatica a trattenermi.
“Heav! Aspetta, vai piano ti prego” iniziai a supplicarla.
Lei prese a muoversi ancora più velocemente sopra di me, io gemetti forte e mi lasciai andare.
Pessimo, dopo nemmeno due minuti ero già venuto.
Ma lei non si fermò, continuò a muoversi e contro ogni aspettativa il mio corpo rispose al suo gesto.
Era come se non fosse successo nulla.
Non mi era mai successo con nessuno, ma lei aveva un potere unico su di me.
Feci forza sulle sue mani e tirai su il busto mettendomi a sedere.
Lei mise le sue mani sul mio petto, io le mie dietro la sua schiena e iniziai a muovermi insieme a lei baciandole il seno avidamente.
Lei iniziò ad ansimare sempre più forte fin quando non la presi e la feci stendere sotto di me, ora era il suo turno.
In quel momento avrei potuto continuare fino alla sera e lei sembrò interessata alla cosa.
Aprì di più le gambe e io andai più a fondo con colpi più decisi e lei iniziò a tremare sotto di me.
Il suo petto diventò rosso fin quando non vidi che stava per raggiungere il massimo.
La seguii subito dopo stringendomi a lei.
Lei mi strinse a sua volta.
Stavo per spostarmi ma lei mi strinse ancora.
“Aspetta, rimani così ancora per un po’”
Io feci ciò che mi aveva detto, rimasi lì e posai la mia testa sul suo petto.
Sentivo il suo cuore rallentare battito dopo battito.
Era il suono più bello che avessi mai sentito.
Iniziò ad accarezzarmi i capelli e mi addormentai, come un bambino si addormenta quando gli viene raccontata una favola.
Mi svegliai dopo poco e mi ritrovai al suo fianco, ancora completamente nuda.
Mi avvicinai al suo seno e iniziai a baciarlo con dolcezza.
Vidi l’angolo della sua bocca formare una piccola curva.
Le lasciai un bacio sulla guancia e mi alzai.
Andai in bagno per controllarmi, sembravo rinato.
Da quando l’avevo conosciuta avevo preso un po’ di colore e sembrava che il luccichio dei suoi occhi fosse arrivato anche nei miei.
Decisi che avrei fatto una doccia calda, la pioggia continuava incessante, sembrava addirittura aumentata.
Presi un asciugamano lungo dal mobile e mi buttai sotto l’acqua calda della doccia.
Mi sentivo bene, mi sentivo felice, libero, non credevo che una singola persona potesse fare un effetto simile.
Dopo qualche minuto la doccia si aprì ed Heaven entrò insieme a me.
Io la guardai e sorrisi.
“Che bella sorpresa.” Le dissi dandole un bacio.
Facemmo l’amore anche sotto l’acqua bollente della doccia.
Non mi sarei mai stancato di tutto ciò.
Lei mi prestò alcuni vestiti puliti di suo padre e si vestì comoda, scendemmo al piano inferiore e mi chiese se potessi accendere il camino in salotto.
Feci ciò che mi aveva chiesto e accesi la televisione che stranamente funzionava.
Dopo poco si presentò in salotto con due tazze bollenti di tè e alcuni biscotti.
Erano appena le sei del pomeriggio.
Ci mettemmo sul divano con tre diverse coperte e iniziammo a vedere un film.
Lei si accoccolò a me mentre io iniziai ad accarezzarle le punte dei capelli.
“Mi fai stare davvero bene, Adam.” Mi disse lei improvvisamente.
“Per favore, non andartene mai.”
Quella frase mi lasciò di sasso.
Io e lei non avevamo mai parlato del dopo.
Entrambi eravamo all’ultimo anno di liceo ma non avevamo mai detto cosa volevamo fare l’anno prossimo.
In quel momento mi rabbuiai.
Prima di conoscerla ero convinto del mio futuro, sapevo che cosa avrei fatto, dove sarei andato e tutto il resto.
Ma adesso non sapevo più niente.
La strinsi a me e le diedi un bacio sulla testa.
“Non andrò da nessuna parte, ma non farlo neanche tu mi raccomando.”
Guardammo il film bevendo il nostro tè, con il calore del fuoco mentre fuori la tempesta iniziò a prendere il sopravvento.
Dopo il film lei si alzò per andare a preparare la cena.
Mangiammo sul divano in salotto ridendo e scherzando come se ci conoscessimo da sempre.
Erano passate due settimane dall’ultima volta in cui avevamo nominato la scatola che io ormai avevo definito miracolosa.
Era stata quella scatola a farci avvicinare così e io le ero molto debitore.
Passammo quel fine settimana in maniera impeccabile.
Dormivamo nudi nel suo letto o sul divano, ci svegliavamo quando volevamo e talvolta dormivamo anche dopo esserci svegliati.
Facevamo l’amore per ore intere e poi decidevamo di cucinare qualcosa di strano.
Una volta i biscotti, una volta una torta, una volta la lasagna.
Era come vivere insieme e se fosse stato sempre così sarebbe davvero stato un sogno ad occhi aperti.
Era domenica pomeriggio, eravamo sul divano nudi, avevamo appena finito di fare l’amore per la milionesima volta.
Lei era stesa su di me con la testa sul mio petto, io le toccavo i capelli guardandola negli occhi.
“Pensavo di tornare di nuovo in biblioteca appena il tempo si rimette.” Mi disse guardando fuori dalla finestra.
“Che cosa vuoi andare a fare ancora lì, Heav?” Dissi io sperando in realtà che il tempo non si rimettesse mai per poter stare così per sempre.
“Voglio capire qualcosa di quella scatola”
Ed eccola lì, quella maledetta scatola.
Speravo se ne fosse dimenticata proprio come avevo fatto io, invece, a quanto pare era sempre nei suoi pensieri.
“Magari la nostra amica quercia ha solo voluto darci una mano per farci mettere insieme, ha visto che eravamo innamorati ma che nessuno dei due aveva il coraggio di farsi avanti.” Dissi io arricciando una sua ciocca dei capelli tra le mie dita.
Lei sorrise dandomi un bacio sul petto, quel gesto mi fece sorridere subito.
“Si vede proprio che vuoi fare lo scrittore eh.”
“Dici?” Risposi sorridendo ancora di più e iniziando a farle il solletico.
Lei si dimenò un po’ e subito si alzò.
“Vado a preparare del tè!”
Si allontanò un po’ e io mi misi a sedere per poterla guardare, i miei occhi si muovevano sulla sua figura, sui suoi fianchi perfetti, sul suo seno nudo che mi faceva impazzire, sulle sue mani candide.
Prese la mia camicia che era su una sedia e se la mise.
Mi passai una mano sulle labbra, la mangiai con gli occhi e lei lo sentì, si girò e mi mandò un bacio.
Io mi ributtai giù sorridendo come un pesce lesso.
Presi il telecomando e accesi la tv, dopo poco tornò.
La mia camicia le stava enorme, aveva abbottonato solo alcuni bottoni.
Si mise a sedere vicino a me, intravedevo il suo seno dalla camicia.
Lei si rese conto che la stavo bramando, visto che ero ancora nudo.
Mi avvicinai a lei e infilai la mia mano sotto la camicia iniziando a toccarla.
Lei mi lasciò fare facendomi più spazio.
Le presi la testa con l’altra mano e la baciai con una foga mai avuta fino a quel momento.
Lei ricambiò ogni cosa senza nessuna esitazione.
Sembrava non essere mai abbastanza per me esattamente come lo sembrava per lei.
Iniziò a toccarmi anche lei fino a quando non mi allontanò con le labbra.
“Andiamo di sopra.” Sussurrò piano.
Non me lo feci ripetere due volte.
Andammo in camera sua, quella fu la notte più bella della mia vita.
Quando si addormentò iniziai a guardarla.
I capelli mossi le ricadevano sulla schiena nuda, aveva un viso così tranquillo, disegnai il suo corpo con il mio dito.
In quel momento mi resi conto che se fosse stato mai necessario avrei davvero dato la mia vita per quella ragazza.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Purtroppo, o per fortuna, quella tempesta finì il martedì mattina.
Non aveva fatto alcun danno a quanto pare era abbastanza comune a novembre in quel posto.
Tornammo alle nostre vite separate ma almeno per un po’ mi rimase il suo odore addosso.
La settimana passò abbastanza velocemente senza che succedesse qualche altra cosa eccessivamente particolare.
Il sabato mattina mi svegliai con calma, scesi in cucina per fare colazione e improvvisamente la porta si aprì portandosi dietro il baccano di mia madre che rideva come una matta, mi girai e insieme a lei vidi Heaven.
Le due entrarono in casa ridendo e scherzando.
Io rimasi a guardarle sbigottito con la mia briosce tra i denti.
Mi madre si girò e rise ancora di più.
“No scusa, guardalo ti prego!” Disse rivolgendosi ad Heaven.
Io mi girai lasciandole perdere e finii la mia colazione.
Sentii poi un braccio posarsi sulla parte bassa della mia schiena e qualcuno mi diede un bacio sulla spalla.
Mi voltai e vidi con piacere che si trattava di Heaven.
Presi un sorso di caffè facendole spazio sullo sgabello così da far sedere anche lei.
“Me la spieghi questa?” Dissi indicando lei e mia madre.
Lei rise piano.
“Ci siamo incontrate in centro, abbiamo preso un caffè insieme e mi ha invitato a pranzo.”
Io feci un finto applauso a mia madre.
“Ci volevi tu per convincerla a venire qui” Dissi rivolgendomi a mia madre.
“Veramente le ho nominato tuo fratello e ha insistito lei.”
Il mio cuore iniziò a battere più forte, subito diventai rosso di rabbia e mi girai verso Heaven infuriato.
“Sta scherzando, Ad!” Disse lei spaventata.
Mi calmai subito, non pensavo potessi essere geloso anche di mio fratello.
“Devo dirti una cosa importante.” Mi sussurrò all’orecchio.
Io finii di bere il caffè in un sorso e le presi una mano.
“Mamma noi andiamo su, almeno mi dà una mano a rifare il letto. Ciao, a dopo!” Dissi trascinando Heaven con me senza dare a mia madre il tempo di dire nulla.
La portai subito in camera mia e chiusi la porta, mi precipitai su di lei e iniziai a baciarla.
Lei iniziò a ridere e mi allontanò.
“Ma che cosa hai capito? Aspetta un attimo, devo dirti davvero una cosa.”
“Oh…” Dissi io dispiaciuto.
“Ho scoperto una cosa, sulla scatola.”
Io iniziai a cambiarmi mentre la ascoltavo.
“A quanto pare è successo anche a un’altra coppia, in Italia.”
Mi girai verso di lei e la guardai, pensavo mi stesse prendendo in giro.
“Di che cosa stai parlando Heav?”
Lei mi mostrò le fotocopie degli articoli di giornale che aveva trovato, io iniziai a sfogliare velocemente i fogli mentre lei continuava a parlare.
“A quanto pare, questo ragazzo e questa ragazza erano molto amici e si trovavano spesso sotto questa quercia maestosa in Italia, un giorno hanno trovato un sacchetto sotterrato vicino la quercia. All’interno del sacchetto c’erano esattamente quattro foto e trenta lettere.
Il ragazzo dopo aver capito che le lettere parlavano di loro si è dichiarato alla ragazza ma quest’ultima non ricambiava e quindi è scappata lontano.
Lui preso dallo sconforto si è ucciso.
Quando lei ha saputo di questa cosa ha deciso di parlare con la polizia in quanto pensava che qualcuno avesse fatto uno scherzo e che lui si fosse ucciso per colpa di questa persona.
La polizia ha pensato che avesse architettato tutto lei e quindi ha deciso di internarla in un ospedale psichiatrico.
Per fortuna è stata rilasciata dopo pochi anni in quanto non ha mai più parlato dell’argomento.”
Io ascoltai la storia quasi incredulo.
Si stava mettendo in una situazione troppo grossa per entrambi.
Non capivo perché volesse rovinare tutto.
Io ero totalmente perso di lei, lei sembrava persa quanto me.
Eravamo felici, ma lei doveva per forza trovare qualcosa.
Sembrava che il nostro amore non le bastasse.
“Perché fai tutto questo Heaven? Cosa c’è che non ti basta?” Chiesi io un po’ deluso.
“Non c’è niente che non mi basti, mi sembra solo una storia molto strana, non credi?”
“Heaven io ti amo! Non me ne frega nulla di quelle lettere, di questi due ragazzi, mi dispiace tanto per loro certo, ma io ti amo. Tu sei qui con me, e io ti amo. Stava andando tutto bene. Perché vuoi rovinare tutto?”
“Adam… Io”
“Lascia perdere.” Mi infilai le scarpe e corsi al piano di sotto.
Presi le chiavi del giardino e scappai fuori di casa.
“Adam! Ma dove vai?” Urlò mia madre dal pianerottolo, ma non mi girai nemmeno.
Arrivai al giardino a passo svelto, mi ero dimenticato che quel giorno erano aperti i cancelli.
Meglio così.
Entrai velocemente nel giardino e raggiunsi la quercia reale.
Mi fermai in piedi davanti a lei e iniziai a guardarla.
Mi sembrava più bella dell’ultima volta che l’avevo vista.
Era da un po’ che non tornavo, mi era mancata molto.
Misi le mani in tasca e mi lasciai cullare dal vento freddo di quel giardino.
C’erano molte persone quel giorno, la quercia reale sembrava vergognarsi un po’.
I suoi rami maestosi si erano alzati un po’ di più, non era distesa come tutte le volte in cui l’avevo vista.
Iniziai a pensare a tutto quello che era successo in così poco tempo.
Mi girai e guardai il punto in cui io ed Heaven trovammo la scatola, quella maledetta scatola che rischiava di rovinare tutto quello che c’era di più bello nella mia vita.
Mi resi conto che nei miei occhi si erano formate delle lacrime, le lasciai uscire tranquillamente senza preoccuparmi di niente e di nessuno.
Quel posto era capace di farti esternare tutte le tue emozioni anche se tu non volevi.
Ti faceva stare bene e allo stesso tempo ti distruggeva.
Chiusi gli occhi e rimasi lì, fermo, a pensare.
Dopo poco sentii qualcuno alle mie spalle.
Sapevo già che era lei.
Aprii di nuovo gli occhi.
“Tu non hai idea” Dissi io piano.
Lei si avvicinò a me e mi prese una mano.
“Io invece ho idea, ma devo assolutamente scoprire cosa c’entriamo noi in questa storia.”
“Non c’è nessuna storia Heaven, nessuna. Stiamo insieme e basta. Cosa c’è hai bisogno di pensare che stiamo insieme per volontà di una divinità o sennò non ti saresti mai avvicinata a me?”
“Ma che cosa stai dicendo?” I suoi occhi si fecero più cupi, vidi il suo bagliore sparire lentamente.
“Io lo faccio solo per noi!” Mi disse in preda al panico.
“Se tu volessi fare qualcosa per noi lasceresti perdere questa storia, stiamo bene, non capisco perché cercare per forza qualcosa.”
“Potresti essere in pericolo, o lo potrei essere io”
“Heaven, ma non capisci che darei la vita per te? Se fosse mai necessario preferirei morire io piuttosto che vivere senza di te!” Una lacrima mi rigò il viso improvvisamente.
Lei si avvicinò e mi prese il viso tra le mani.
“Ti amo, Adam” disse avvicinando le sue labbra alle mie.
Io la abbracciai e ricambiai subito il suo bacio.
“Ti amo, Heaven” dissi staccandomi leggermente.
Tornammo a casa dopo un po’, mi teneva la mano ma io non ero ancora del tutto tranquillo.
Vedevo che voleva andare avanti con tutta quella stupida storia.
Io invece volevo solo vivermi la nostra relazione come due persone normali.
Lei vedeva quel giardino come qualcosa che ci avrebbe distrutti.
Io lo vedevo come qualcosa che ci aveva creati.
Arrivammo a casa.
Pranzammo con tutta la mia famiglia.
Lei sprizzava gioia da tutti i pori, io rimasi in silenzio tutto il tempo.
Improvvisamente mi guardò e mise una sua mano sul mio ginocchio.
Io alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi brillanti come sempre, mi sorrise e ricambiai a mia volta.
Dopo pranzo salì in camera con me.
Io presi un libro dalla mia libreria e mi misi sul letto iniziando a leggerlo.
Lei si mise accanto a me e cercò di posare la sua testa sul mio petto, glielo lasciai fare.
“Io andrò in Italia.” Mi disse improvvisamente.
Io tolsi il libro dalle mie mani e la feci alzare.
“Cosa stai dicendo?” Le chiesi guardandola.
“Io devo parlare con questa donna, devo sapere che cosa sa.”
“Tu non puoi andare in Italia per parlare con una persona che non conosci”
“Se vuoi venire con me bene, altrimenti andrò da sola.”
“Heaven! Io non posso prendere e andare in Italia come se nulla fosse, solo per un tuo capriccio.”
Lei mi diede le spalle e si avvicinò alla porta di camera mia.
“Allora ci vedremo quando tornerò, addio Adam”
Uscì dalla mia camera come se non fossi mai esistito.
Mi sembrava tutto così assurdo.
Fino a due giorni prima eravamo nel suo letto insieme, e ora era andata via, per qualcosa che aveva letto su internet aveva deciso che era tutto più importante di me.
Passai i giorni dopo rinchiuso in camera, senza parlare con nessuno.
Controllavo il telefono in maniera insistente nella speranza che mi scrivesse.
Una sera ero a letto prima di dormire e mi resi conto che la stavo perdendo.
Rischiavo di perdere la persona più importante della mia vita per una cavolata assurda.
Scesi dal letto e mi misi di volata le scarpe e una felpa.
Uscii di casa lentamente per evitare di fare casino e corsi verso casa di Heaven.
La chiamai e mi rispose dopo poco.
“Mi apri per favore?” Le dissi appena mi rispose.
Dopo qualche minuto mi aprì la porta.
Era in tuta, struccata e bellissima come sempre.
“Scusami, ho capito di aver sbagliato tutto, io dovrei solo tranquillizzarti e invece ho solo peggiorato le cose.”
Lei mi sorrise, mi prese una mano e mi baciò.
Dopo poco si staccò e mi rivolse i suoi occhi magici.
“Ho sbagliato anche io, ma vorrei solo averti accanto.”
“Lo so, verrò in Italia con te se ancora vuoi andare, ma se non vorrai sarò molto più contento.”
Entrambi ridemmo.
Lei mi baciò di nuovo, e questa volta il suo bacio mi fece tremare.
Tirò fuori le chiavi del giardino dalla felpa e mi guardò negli occhi.
“Facciamo una visita alla nostra quercia?”
Era mezzanotte passata ma con lei sarei andato in capo al mondo.
Arrivammo al giardino in poco tempo ed entrammo silenziosamente.
Raggiungemmo subito la quercia reale e ci mettemmo a sedere ai suoi piedi.
Lei guardava la quercia, io guardavo lei.
“Per me è troppo importante tutta questa storia, Ad”
“Sì ma non riesco a capire il motivo.”
Lei si girò verso di me.
“Ho paura per te, la ragazza ha detto che lui si è ucciso.”
“Ma lui si è ucciso perché è stato rifiutato, non a causa delle lettere.”
Lei sospirò, mi avvicinai a lei e le presi una mano.
“Io non ho alcuna intenzione di uccidermi, per favore stai qui con me.”
Mi diede un leggero bacio sulla guancia e si girò di nuovo verso la quercia.
“Potrei provare a scriverle semplicemente una lettera, o una email.”
Io sorrisi, era bello il fatto che voleva in qualche modo venirmi incontro.
Annuii e mi avvicinai ancora di più a lei iniziando a baciarla.
Lei ricambiò i miei baci e iniziò a toccarmi una gamba.
Risposi alle sue provocazioni mettendole una mano tra i capelli, scesi con le mie labbra sul suo collo.
“Fa freddo qui” Le dissi scendendo ancora con i baci.
“E allora? Non mi sembra che per te sia mai stato un problema il freddo”
“Lei mi tenta signorina.”
Facemmo di nuovo l’amore sotto quella quercia, al freddo, fin quando non ci rendemmo conto che era un orario decisamente avanzato.
La accompagnai velocemente a casa e la salutai stringendola a me.
Quando tornai a casa ero talmente stanco da non riuscire ad arrivare alla mia camera.
Mi addormentai sul divano come uno stupido.
La mattina dopo mi svegliai con le urla di mia madre, convinta che io fossi scappato o mi fossi sentito male.
“Sono qui!” Urlai dal divano ancora in coma.
Lei scese le scale correndo in preda a un attacco di panico.
“Ma che diavolo hai fatto?” Mi iniziò a tirare delle botte sulle gambe e io sorrisi.
“Ho avuto una piccola discussione con Heaven ieri, sono andato a chiederle scusa.”
“Devi andare a scuola.” Mi disse calmandosi subito dopo aver sentito la mia motivazione.
Quel giorno faticai a star dietro alle lezioni, il mio pensiero era rivolto solo al corpo di Heaven.
Alle sue mani sul mio petto, alle mie mani sulle sue cosce, al suo ansimare nel freddo e ai suoi capelli sciolti.
Quando suonò l’ultima campanella ringraziai il cielo di poter andare a casa.
Misi il quaderno nello zaino e mi diressi verso la porta.
“Ehm Adam, scusami”
Era la mia professoressa di letteratura inglese.
“Mi dica professoressa Collins.” Dissi avvicinandomi alla cattedra.
“So che vuoi studiare letteratura inglese dopo la scuola, non so se lo sai ma dovresti iniziare a visitare qualche college. Ti ho portato dei volantini, la prossima settimana potresti iniziare a muoverti un po’, che dici?” Io guardai i volantini, da quando io ed Heaven stavamo insieme non avevo più pensato al college.
“La ringrazio molto professoressa, certamente ne parlerò con i miei genitori.”
Presi i volantini e uscii dalla classe.
Mi misi a sedere su una panchina aspettando Heaven che uscisse dalla sua ultima lezione e iniziai a sfogliare i volantini incuriosito.
Erano tutti ottimi college e offrivano degli ottimi programmi di studi, l’unico problema era che si trovavano tutti estremamente lontani rispetto a casa mia.
Heaven non mi aveva mai parlato di college, non sapevo cosa avrebbe voluto fare dopo il liceo, non sapevo se sarebbe andata via o se sarebbe rimasta lì per sempre.
Avevo così paura di perderla da avere anche paura di scegliere la strada giusta per me.
Improvvisamente sentii dei passi e chiusi i volantini posandoli nel mio zaino.
“Ehi Ad, che stavi facendo?” Alzai lo sguardo e vidi le forme perfette di Heaven.
“Ehm, guardavo un po’ di college, per l’anno prossimo. La professoressa mi ha consigliato di iniziare a guardarmi intorno per scegliere quello migliore per me.”
Lei si mise accanto a me e mi fece segno con la mano di farle vedere i volantini.
Glieli passai preoccupato di quello che potesse dire, iniziò a leggere attentamente tutti i volantini.
Ne mise alcuni da parte e ne lasciò solo tre tra le sue mani.
“Direi che questi sono i migliori, due sono un po’ lontani, ma tanto sapevamo che sarebbe successo. Non pensavi davvero che non ti avrei fatto andare al college.”
Io sorrisi e le misi un braccio attorno alle spalle avvicinandola a me.
La baciai numerose volte facendole spuntare un bellissimo sorriso.
“Cosa ho fatto io per meritarti?”
“Sei un figo spaziale, per esempio.”
Le diedi un lungo bacio stringendola a me, quando ci staccammo lei si alzò e mi prese la mano.
“Andiamo?”
Io annuii e presi tutti i volantini.
Guidai fino a casa mia e lasciai la macchina davanti casa per poi accompagnare Heaven a piedi.
“Domani ti va di andare insieme in biblioteca? Pensavo di scrivere l’e-mail per la ragazza dell’Italia, vorrei farlo con te.”
Mi disse appena arrivati fuori casa sua.
“Accidenti, domani non ci sono, c’è la partita di Luke. In realtà volevano invitare anche te i miei.”
“Domani mio padre voleva pranzare con me, a che ora finisce la partita?”
“Tardi, ceniamo lì. Possiamo andare sabato”
“Non ti preoccupare, al massimo vado domani e poi la rileggiamo insieme sabato.”
Io feci un sorriso un po’ dispiaciuto.
“Come preferisci tu.”
Ci salutammo e tornai a casa un po’ sconsolato, speravo mi avrebbe chiesto di stare con lei.
Quella sera a cena parlai con i miei genitori dei college e di quelli che pensavo fossero i migliori.
Mio padre fu entusiasta della conversazione e decidemmo che la settimana dopo saremmo andati a visitare i tre che preferivo.
Il giorno dopo andai alla partita di Luke, non appena finì uscii dallo stadio per aspettare i miei vicino la macchina.
Presi il telefono e chiamai Heaven.
“Ehi Heav!” Dissi non appena mi rispose.
“Come è andata la partita?” Mi disse lei con un tono felice.
“Bene, hanno vinto per fortuna, te come è andata con tuo padre?”
“Bene, mi ha parlato del fine settimana che lo aspetta e tutto il resto.”
“Ieri sera ho parlato con i miei dei vari college, la prossima settimana andiamo a visitare i tre che mi hai consigliato, ti va di venire con noi?”
“In realtà la prossima settimana parto, vado in Italia.”
Quella notizia fu una pugnalata enorme al cuore.
Rimasi in silenzio per qualche minuto, sentivo la preoccupazione di Heaven aumentare ad ogni secondo che passava senza sentire una mia risposta.
“Perché mi fai questo, Heaven?”
Lei sospirò piano.
“Mi dispiace, devo parlare con lei faccia a faccia.”
“Ti avevo detto che sarei venuto con te se avessi voluto.” Il mio tonò si fece più alto.
Iniziai a girare per il parcheggio nervosamente senza avere una meta precisa.
“Sapevo che in realtà non saresti voluto venire. Non voglio obbligarti a fare nulla.”
“No invece lo fai, tu hai già deciso per me, hai deciso che non mi interessa, che non voglio venire, che devo perderti per una cosa così.”
“Non è così Ad”
“Non chiamarmi Ad! Lo sai, hai tanta paura che possa succedermi qualcosa, ma facendo così mi succederà sicuramente qualcosa.”
Riattaccai subito il telefono e lo spensi.
Mi passai le mani tra i capelli tenendole ferme per un po’, chiusi gli occhi e feci dei respiri profondi.
Non sapevo più come comportarmi.
Volevo andare con lei in Italia, starle vicino, aiutarla.
Ma allo stesso tempo volevo andare a visitare i college, quello era il mio futuro.
Ma quale futuro era più importante?
Quello con Heaven, o quello al college?
Andai a cena con la mia famiglia controvoglia e quando tornammo a casa mi affrettai ad andare al piano di sopra.
Quella ragazza mi stava solo incasinando.
Andai in bagno e feci una doccia calda.
Quando uscii e andai in camera mia madre bussò.
“Dimmi mamma” Dissi mettendomi il pigiama.
“C’è Heaven.” Mia madre aprì la porta e l’immagine di Heaven si palesò davanti i miei occhi.
Io chiusi gli occhi e sospirai.
Mi misi a sedere sul mio letto e la guardai.
“Cosa c’è”
“Non voglio litigare” Mi disse lei rimanendo in piedi.
“E cosa pensavi sarebbe successo? Hai già preso i biglietti?” Dissi io infastidito.
“Sì, li ha presi mio padre.”
“Oh molto bene, puoi anche andare adesso.”
Lei si avvicinò a me e allungò una mano, io mi spostai.
“Non posso, Heav.”
Lei indietreggiò.
“Questo sarebbe il primo venerdì che non dormiamo insieme…” Disse con la voce rotta dalle lacrime che iniziarono ad uscirle a raffica.
Io alzai la testa e la vidi in piedi, tremante, con le mani al petto e il viso pieno di lacrime.
Allungai subito la mano e presi una delle sue, la tirai verso di me e la feci sedere sul mio letto.
“Se mi concedi l’onore, puoi dormire con me stanotte.”
Lei sorrise e annuì lentamente.
“Davvero?” Dissi io asciugandole le lacrime con il pollice.
“Ti amo, Ad.”
“Ti amo, Heav.”
“Scus…” La zittii dandole un lungo bacio.
Lentamente la spogliai, mi alzai e le presi un mio pigiama.
“Metti questo e vieni a letto con me.”
Lei mi sorrise e mise subito il mio pigiama, si intrufolò nel mio letto e io la seguii.
Si strinse a me mentre io iniziai a baciarle il viso delicatamente.
“Avrei solo voluto starti vicina, non voglio che tu vada da sola.”
“Tu devi pensare al college, è giusto che tu vada a visitare i college la prossima settimana.”
“E tu? Non ci pensi ai college?” Risposi io incuriosito della sua risposta.
“Io non ho intenzione di andare al college. Non mi è mai passato per la testa.”
“Come faremo il prossimo anno?”
Lei iniziò a giocare con le dita della mia mano.
“Semplice, ci prendiamo un appartamento fuori dal campus.”
Quella risposta mi fece perdere il controllo.
Iniziai a baciarla con passione, misi una mano sotto la maglietta del pigiama e iniziai ad accarezzarle un seno.
Lei ansimò tra le mie labbra e infilò una mano tra i miei pantaloni accarezzandomi delicatamente.
Mi spostai sopra di lei e le sfilai la maglietta, iniziai a baciarle i seni con avidità e a lasciarle dei morsi.
Lei mi spogliò delicatamente e io la imitai.
Entrai dentro di lei con poca delicatezza, iniziai a muovermi in maniera rude e lei ansimò stringendosi a me.
Le presi i polsi e la bloccai con una mano mentre con l’altra le torturai il seno.
Sentii la sua schiena inarcarsi, sapevo che voleva urlare ma il fatto che ci fossero i miei glielo impediva.
Alternavo la velocità per farla ansimare ogni volta che aumentavo.
Quando rallentavo si lamentava.
“Ti prego, non fermarti…” Iniziò ad implorarmi.
Questa cosa mi faceva impazzire ancora di più.
Continuai a muovermi velocemente fin quando le sue gambe non iniziarono a tremare.
Venimmo insieme, come sempre.
Lei si lasciò andare e mi strinse forte mentre io feci un gemito strozzato tra il suo seno.
Fare l’amore con lei era ogni volta un turbinio di emozioni impressionante.
Per fortuna il giorno dopo non avevamo scuola.
Facemmo l’amore tutta la notte, con intervalli di mezz’ora per potermi riprendere.
Era perfetta, sperai davvero che quel momento durasse per sempre.
Ci addormentammo con le prime luci dell’alba.
Totalmente nudi e abbracciati.



Buongiorno a tutt*,
come penso abbiate notato sto pubbliando un capitolo al giorno della mia storia.
Volevo avvisarvi del fatto che purtroppo questo fine settimana, più precisamente sabato e domenica, non riuscirò a pubblicare i capitoli 8 e 9 in quanto non sarò a casa mia e non avrò il computer dietro.
Per farmi perdonare però lunedì pomeriggio quando tornerò di nuovo a casa vi pubblicherò 3 capitoli insieme, quindi 8, 9 e 10!
Spero che passerete un buon weekend.
A lunedì!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Quel lunedì mattina fu totalmente diverso rispetto agli altri.
Heaven partì presto per andare in Italia mentre io e i miei genitori ci preparavamo a visitare il primo college, il Susquehanna University a Selinsgrove.
Partimmo subito dopo pranzo, il viaggio sarebbe durato all’incirca sette ore, infatti, la visita al college sarebbe stata il giorno dopo.
Durante il viaggio dormii per quasi tutto il tempo.
Quando mi svegliai mi ritrovai davanti l’albergo che si trovava a due passi dal campus.
Aiutai mio padre a scaricare le valigie e poi andai in camera mia.
Non mi ero ancora sentito con Heaven in quanto mi avrebbe scritto lei quando sarebbe arrivata.
Quella sera andammo a mangiare in un ristorantino molto caratteristico del posto.
Per fortuna io e i miei genitori avevamo due camere diverse infatti loro dopo cena tornarono subito in albergo mentre io invece feci un giro in città.
Ero seduto da poco in un bar quando mi chiamò Heaven.
“Ehi Heav!” Risposi io sollevato del fatto che il volo fosse andato bene.
“Ad, non hai idea di che volo assurdo sia stato, sembrava infinito te lo giuro. Mi hanno dato da mangiare praticamente ogni due ore e in più accanto a me c’era una ragazza che non ha fatto altro che russare mentre dormiva. Sono molto stanca, avrei tanto voluto averti qui.”
Io rimasi in silenzio per un po’, leggermente infastidito da ciò che mi aveva detto.
Aveva preferito fare questa cosa da sola, senza pensare al fatto che io avrei avuto bisogno di lei per visitare i college.
Aveva parlato di trovare un appartamento con me e invece era andata via.
“Il tuo viaggio?” Mi chiese per rompere quel silenzio glaciale che si era formato.
“Direi sicuramente meglio del tuo.”
“Dove sei adesso? Sento un po’ di casino” Mi disse lei mentre mi portarono una coca al tavolo.
“Sono in un bar in città, il posto è molto bello, anche se a dirti la verità mi sembra molto freddo.” Le dissi io, dopo poco una ragazza si avvicinò al mio tavolo.
“Scusa posso?” Mi disse indicando la sedia.
“Chi è?” Mi chiese Heaven dal telefono.
“Nessuno, Heav. Ci sentiamo domani appena posso, ti amo.” Dissi io attaccando la chiamata.
La ragazza si mise a sedere al mio tavolo.
“Ciao, mi chiamo Elise, sei nuovo? Non ti ho mai visto da queste parti.” La ragazza mi allungò la mano e io gliela strinsi lentamente.
“Mi chiamo Adam, no sono di Salem. Sono qui per visitare la Susquehanna University.”
“Dai, è la mia università!” Disse lei ridendo.
“Oh bene, allora puoi farmi da tutor domani”
Lei accettò volentieri, ci scambiammo i numeri di telefono per poterci rivedere la mattina seguente e mi diede qualche dritta e consiglio per riuscire a scegliere per bene l’università.
Rimanemmo a parlare per qualche oretta, poi mi avviai verso l’hotel.
Tornato in camera trovai un messaggio di Heaven in cui mi diceva che era stanca e che avrebbe riposato un po’ prima di uscire.
Io le diedi la buonanotte e mi addormentai dopo poco.
Il giorno dopo mi svegliai molto presto.
Da quello che mi aveva detto Elise le visite dei college era meglio farle la mattina presto in modo da riuscire a vedere il più possibile.
Quando uscii dalla camera i miei genitori mi stavano aspettando seduti su un divanetto.
“Che ore hai fatto ieri?” Mi chiese mio padre sorridendo.
“Sinceramente non lo so, ma ho conosciuto una ragazza del college, mi ha detto che poteva darci una mano per visitare il campus.”
I miei furono entusiasti quanto me della notizia.
Ci avviammo verso il campus, era enorme e ben curato.
Scrissi un messaggio ad Elise per informarla che eravamo arrivati e lei dopo poco mi rispose dicendomi di raggiungerla alla caffetteria.
Passammo tutto il giorno insieme a quella ragazza che si mostrò molto gentile e disponibile.
In tutto questo Heaven non mi aveva ancora risposto al telefono.
Una volta finita la visita del college e riempito fino all’orlo di volantini, coupon e tagliandi vari ci avviammo verso la macchina.
Arrivato in albergo mi feci una doccia bollente e preparai la valigia.
Quella sera saremmo partiti per il secondo college, la Trine University, che distava sette ore e mezzo dalla Susquehanna University.
Il giorno dopo avremmo visitato la seconda università e di conseguenza avremmo viaggiato di notte.
Avevo ancora mezz’ora di tempo così chiamai Heaven preoccupato che le fosse successo qualcosa.
Mi rispose a telefono dopo poco.
“Ehi, tutto bene?” Dissi io in apprensione.
“Certo, tu?” Mi disse lei come se nulla fosse.
“Perché non hai risposto ai miei messaggi?” Le chiesi con un tono leggermente più basso.
“Tu ti sei divertito con la tua amica ieri sera?” Subito sorrisi quasi compiaciuto, pensare che quella creatura spettacolare e unica potesse essere gelosa di qualche ragazza mi faceva perdere la testa.
“Heaven, così mi fai impazzire lo sai.” Dissi io in tono provocatorio.
“Non provarci nemmeno, stronzo!” Disse lei alzando la voce.
“Amore, non ho fatto nulla. Era una ragazza del college, oggi ci ha fatto una visita del campus, puoi chiedere ai miei genitori” Sorrisi cercando di tranquillizzarla.
“Ah bene, ha anche conosciuto i tuoi genitori?”
Io sospirai.
“Heaven, vuoi veramente rovinare del tutto questa relazione così?” Dissi io un po’ sconsolato.
Avevo passato una bella giornata e volevo solo sentire la sua voce.
“Scusami, mi sto solo rendendo conto che avrei dovuto essere lì con te.” Mi disse con una voce dolcissima.
“Si, avresti dovuto ma anche io avrei dovuto essere lì con te.”
“Perché sei così perfetto con me?” Sentii la sua voce spezzarsi, stava piangendo.
“Ehi, non piangere ti prego. Non ora, non posso fare nulla.”
Restammo a parlare a telefono fin quando mio padre non bussò alla mia porta per dirmi di dover andare via.
Anche per quel viaggio rimasi tutto il tempo nel mio angolino della macchina a dormire.
Quando arrivammo a destinazione ci trascinammo tutti e tre nelle nostre camere per dormire.
La mattina dopo visitammo il secondo college, ma mi piacque meno del primo.
I corsi erano un po’ scarsi e il campus un po’ spoglio.
Non finimmo nemmeno la nostra visita.
Approfittammo del fatto che non ci piacesse per partire prima e arrivare alla nostra ultima destinazione, il Loras College.
Il viaggio durava più o meno sei ore e mezzo.
Arrivammo per l’ora di cena, mangiammo un panino al volo e andammo nelle nostre camere.
Il giorno dopo arrivammo al campus presto come sempre.
Io e i miei ci dividemmo per fare prima.
Mi stavo dirigendo verso la biblioteca principale quando improvvisamente mi bloccai.
Lì, al centro del giardino del college c’era una quercia enorme, identica alla quercia reale del nostro giardino a Salem.
Non riuscivo più a muovermi.
Era recintata, al suo fianco c’era una targhetta.
Mi feci coraggio e mi avvicinai alla targhetta.
“La quercia di Salem, l’ultima superstite di un gruppo di querce che ergevano il tutto il campus, dopo una violenta tempesta furono abbattute le sue compagne mentre lei rimase intatta.”
Feci una foto e la mandai subito ad Heaven.
Volevo parlare con qualcuno che fosse di quel campus per sapere qualcosa su quella quercia.
Girai per tutto il giorno e ad un certo punto vidi una ragazza seduta su una panchina con un quaderno e una matita in mano, stava disegnando proprio la quercia.
Mi misi a sedere accanto a lei e guardai la quercia a mia volta.
“C’è qualche storia particolare dietro quella quercia?” Le chiesi io dopo poco.
Lei si girò verso di me, sembrava avesse visto un fantasma.
“Chi sei?” Mi chiese impaurita o infastidita.
“Scusami, mi chiamo Adam, sto visitando il campus per il prossimo anno. Vengo da Salem e sai, nel mio quartiere c’è un giardino di querce e una molto simile a lei. Vorrei capire se c’è qualcosa che le accomuna.”
Lei fece una risata isterica, ora mi stavo spaventando io.
“Il giardino delle streghe vorrai dire.” Affermò continuando a ridere.
“Come scusa?” Chiesi io guardandola male.
“Questi giardini delle querce in realtà sono i giardini delle streghe, non sono alberi normali ma sono streghe, cresciute grazie alla magia. Morirai se continuerai a indagare su questa cosa. Lascia in pace le querce.”
Io mi alzai di scatto e me ne andai.
Ma di cosa diavolo parlava? Come minimo avevo trovato l’unica matta di tutto il campus, come minimo non era nemmeno del campus ma solo una persona infiltrata per fissare quel dannato albero.
Mi allontanai il più possibile e chiamai Heaven.
Lei mi rispose subito.
“Heav, devo parlarti assolutamente!”
“Anche io, Adam. Domani prendo il primo volo per tornare a Salem, venerdì sera ci vediamo appena arrivi.”
“Non dovevi tornare sabato sera?”
“Non posso più aspettare”
Mi riattaccò subito dopo, io ero confuso da morire.
In tutto quel trambusto avevo perso i miei genitori e non avevo trovato nulla del college.
La sera partimmo per tornare a casa, il viaggio era troppo lungo da fare tutto in una volta, così facemmo una fermata a Cleveland.
Il venerdì arrivammo non troppo tardi.
Quando la macchina si fermò vidi che Luke ed Heaven erano nel portico a parlare.
Scesi subito dalla macchina e corsi verso di lei.
Lei fece la stessa cosa.
Ci abbracciammo come se non ci vedessimo da una vita intera.
Mi baciò numerose volte e io sorrisi ad ogni suo bacio.
“Ti amo!” Mi sussurrò piano tra un bacio e l’altro.
Aiutammo i miei a portare le valigie in casa, poi mi prese la mano e mi fece un gesto con la testa come per dire di allontanarci.
“Hai tu le chiavi?” Le chiesi riferendomi alle chiavi del giardino, lei annuì.
Andammo verso il giardino, lei si teneva a me come sempre mentre io avevo le mani in tasca.
Era un fiume di parole, non l’avevo vista per quasi una settimana e mi sembrava ancora più bella di prima.
Il suo profumo mi sembrava ancora più dolce, i suoi occhi ancora più brillanti e il suo corpo ancora più seducente.
Quando arrivammo al giardino ci mettemmo come sempre a sedere sotto la quercia.
“Allora, sei pronto?” Mi disse sorridendo.
“Dimmi tutto.”
“Ho incontrato la ragazza, è stata molto gentile ma allo stesso tempo molto triste. Mi ha parlato di quello che è successo quell’anno.
Ha detto che ha conosciuto quel ragazzo sotto la quercia, ti giuro identica a questa.
Diventarono molto amici, lui la guardava in un modo particolare, lei era molto più amichevole se così possiamo dire.”
Sapevo di cosa stesse parlando, era esattamente quello che avevo provato io con lei.
“Un giorno trovano questo sacchetto sotto la quercia, lo aprono e scoprono quattro foto e trenta lettere.
Tutte scritte a mano, con una matita.
Si divisero le lettere e ognuno lesse le sue quindici.
Passano delle settimane e loro non si vedono, improvvisamente si ritrovano sotto la quercia.
Lui si dichiara a lei, dicendo che quelle lettere le aveva scritte lui per lei, o meglio erano cose che lui provava per lei, la sua scrittura e tutto il resto ma lui in realtà non le aveva mai viste.
Lei presa dal panico scappa e va un mese da sua nonna al sud.
Quando torna lo cerca, aveva capito di provare qualcosa anche lei semplicemente non sapeva come gestire questa cosa visto che non era mai stata con nessuno.
Purtroppo però al suo ritorno lui era morto.
Si era ucciso proprio sotto la quercia.
Lei chiamò la polizia e denunciò la cosa.
Le lettere non potevano essere esaminate o altro, dato che loro le avevano toccate.
Per loro era stata lei a scrivere quelle lettere e ad incitare la sua morte, ma pensavano fosse una pazza che vedesse delle cose inesistenti.
Di conseguenza decidono di internarla.
Dopo qualche anno la rilasciano dato che semplicemente smise di parlare della cosa.”
Si fermò improvvisamente.
Io la guardai, praticamente aveva fatto un viaggio fino in Italia per sapere le cose che avevamo letto su internet.
“Heaven, non ti ha detto nulla di nuovo.”
Lei sorrise.
“Non ho mica finito.”
Fece un respiro profondo.
“A quanto pare, lei aveva ancora le lettere, un giorno sembra che l’ultima lettera, stranamente lasciata a metà, inizia a completarsi, totalmente da sola.
Lei guarda la scena da lontano, era il ragazzo che stava finendo di scrivere quell’ultima lettera.
Di conseguenza lei pensava che fosse ancora vivo da qualche parte.
Non era mai tornata dalla quercia, quella sera tornò e vide un piccolo albero di quercia esattamente davanti la quercia più grande.
Era lui.”
Io la fermai.
“Heaven, che cosa stai dicendo?”
Lei annuì incredula quanto me.
“Anche io non ci potevo credere, ma mi ha portato lì, vicino alla quercia più grande c’è una quercia più piccola, molto più piccola, sembra quasi un altro albero. Lei mi ha mostrato una foto di quel ragazzo e ha le sue sembianze.”
“Oh andiamo Heaven, ora ci trasformiamo anche in alberi.”
“Ma aspetta, fammi finire. Il giorno dopo lei ha preso a tornare in quel posto e l’albero ogni volta che lei arrivava si scuoteva da solo, come per rilasciare qualcosa.
Lei ha detto di sentire sempre un vento strano vicino alla piccola quercia.”
Io scossi leggermente la testa.
“Le ho parlato di noi, lei mi ha detto di bruciare le lettere, le foto, tutto. Di lasciar perdere questa storia il più possibile e di tornare il meno possibile, qui…” Disse indicando la quercia reale.
Io mi girai verso l’albero, in quel momento suggestionato dal racconto di Heaven mi sembrò di vedere un volto nella quercia, che ci guardava male.
Scossi la testa e mi girai verso di lei.
“Devo dirti anche io una cosa.”
Le presi la mano e la avvicinai a me.
“Quando sono andato al Loras College, ho visto… una quercia, al centro del campus. Esattamente come… lei.” Dissi indicando la quercia reale con la testa.
Heaven si girò a guardarla.
“C’era scritto che si chiamava la Quercia di Salem, querce provenienti da Salem, un gruppo di querce. Tutte le altre furono rase al suolo dopo una terribile tempesta, le sradicò tutte e le ritrovarono attaccate a quella più grande, come se volessero proteggerla.
Ho chiesto ad una ragazza del posto. Mi ha detto che non sono alberi, ma streghe legate alla figura della quercia per magia.
Mi ha detto di smettere di indagare oppure morirò.
Quell’incontro sinceramente mi ha messo molto sotto soggezione.
Mi sono sentito un po’ in difficoltà, non sapevo come comportarmi e mi ha spaventato, sono scappato via correndo praticamente.”
Heaven sembrò per la prima volta preoccupata quanto me della situazione.
“Cosa pensi che dovremmo fare?” Mi chiese guardando ancora la quercia.
Io le girai il viso per guardarla negli occhi.
“Andiamo via, Heav. Tu sei qui, io sono qui. Lasciamo perdere tutta questa stupida storia per favore. Io voglio solo stare con te.”
Lei mi guardò, si avvicinò di più a me e mi baciò delicatamente.
Si alzò e mi prese la mano.
Io la seguii e andammo via insieme.
Lei si girò un’ultima volta per poter guardare la quercia reale, io invece guardai lei.
Uscimmo da quel giardino e ci facemmo una promessa, non saremmo più tornati in quel posto.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Passò esattamente un mese dall’ultima volta che io ed Heaven andammo nel giardino, un mese da quando era andata in Italia e da quando io ero andato a visitare il college.
Ero ancora molto indeciso su quale tra gli unici due che mi erano piaciuti sarebbe stato quello giusto per me.
L’unica cosa su cui ero sicuro era che volevo trovare un piccolo appartamento per me ed Heaven per poter andare a vivere insieme subito dopo il diploma.
Quel pomeriggio tornammo da scuola più tardi del previso, lei era molto stanca quindi decise che avrebbe dormito da me.
Andammo in camera mia e si mise sul mio letto, dopo poco si addormentò in tranquillità.
Io andai in cucina e preparai un tè per me, dopo poco arrivò mia madre e mi salutò.
“Mamma, Heav dorme qui, ora è in camera mia ma penso non si senta molto bene perché è già svenuta.” Le dissi bevendo il tè.
Mia mamma mi guardò mentre si tolse il cappotto di dosso.
Era dicembre e a Salem faceva molto freddo.
“Ma suo padre l’avete avvisato?”
Io annuii guardando fuori dalla finestra.
“Si l’ha chiamato prima, ma penso sia ancora fuori città.”
Ci spostammo in salotto davanti al camino, c’era un tempo da lupi, quasi sembrava che volesse nevicare.
“Va bene, Ad. Fatemi sapere se volete mangiare qualcosa allora dopo.”
Io tornai in camera mia, Heaven era ancora sul mio letto che dormiva.
Mi misi a sedere vicino a lei ed iniziai ad accarezzarle i capelli.
La guardai per un po’ sorridendo.
Avevo voglia di darle il mondo, ma non sapevo come.
Così decisi che avrei scritto un libro per lei e che lo avrei chiamato “Heaven”.
Mi alzai e presi il mio computer.
In meno di un’ora scrissi quasi 100 pagine, buttai giù tutto quello che in quel momento mi passava per la testa.
Un amore unico, indistruttibile e indissolubile.
Il nostro.
Ero ancora intento a scrivere quando la sentii muoversi sul mio letto.
D’istinto chiusi il computer, volevo farle una sorpresa a libro finito.
Mi girai e la vidi sveglia.
“Ehi…” dissi alzandomi e andando vicino a lei.
“Ehi.” Rispose lei mentre io mi stendevo vicino a lei.
“Che ore sono?” Mi chiese un po’ confusa.
“Sono le sette e mezzo, come ti senti?”
“Mh, un pochino meglio ma penso di avere la febbre.”
Io le misi una mano sulla fronte, effettivamente era molto calda.
“Vuoi tornare a casa?”
“E stare senza di te?” Mi disse lei abbracciandomi.
“Se vuoi rimango io con te a casa tua. Sicuramente per te sarebbe meglio.”
Lei fece di no con la testa e si strinse più forte a me.
“Mi piace l’odore di camera tua, sa così tanto di te, voglio stare qui adesso.”
Io sorrisi e le diedi un bacio sulla fronte.
Cercai di coprirla il più possibile.
Quel mese insieme mi fece stare veramente bene, senza noie, senza problemi e senza cose strane.
L’unico problema rimaneva la scelta del college.
Lei si addormentò quasi subito e io la lasciai stare.
Dopo una mezz’ora mi alzai dal letto, le misi un’altra coperta addosso ed uscii dalla mia stanza.
Scesi le scale e raggiunsi mia madre in cucina.
“Allora, come sta?” Mi chiese preoccupata.
“Insomma, ha un po’ di febbre. Stanotte vuole stare qui.”
“Anche perché ha iniziato a nevicare, quindi mi sa che non sarebbe andata lontano.”
Io mi voltai e vidi uno spettacolo magnifico davanti ai miei occhi.
Tutto era improvvisamente diventato bianco.
La neve scendeva fortissima, un sorriso mi si formò automaticamente sul volto.
In Florida non avevo mai visto la neve, e pensare ad un Natale, con la persona che amavo di più al mondo e la neve mi fece subito scaldare il cuore.
Mi girai verso l’ingresso di casa mia e gli occhi mi caddero subito sulle chiavi del giardino, che erano rimaste lì da quando le avevo prese io l’ultima volta e in quel momento mi venne voglia di andare lì, di andare al giardino e vedere se la neve era arrivata fin lì, se la maestosa quercia era ricoperta di neve oppure no.
Mi avvicinai alle chiavi e poi guardai verso le scale.
Ci eravamo promessi di non andare più lì ma la mia tentazione divenne sempre più grande.
Presi le chiavi e mi misi il cappotto.
“Mamma torno subito.” Dissi uscendo velocemente di casa.
Mi avviai verso il giardino facendo attenzione che Heaven non fosse affacciata alla finestra di camera mia.
Raggiunsi il cancello in pochi minuti e mi fermai.
Ero sicuro? Volevo veramente infrangere la nostra promessa solo per vedere uno stupido albero con un po’ di neve?
Quella storia ci stava distruggendo e da quando non ne avevamo parlato tutto era migliorato e tutto era più bello.
Non volevo veramente farlo, non volevo veramente rischiare la mia relazione con Heaven ma una forza più grande sembrava spingermi ad inserire quella dannata chiave all’interno della serratura e ad andare a vedere la quercia reale.
Senza nemmeno rendermi conto feci proprio quello, mi ritrovai dall’altra parte del cancello con ancora le mani in tasca, come se non le avessi mai tolte da lì.
Rimasi sbalordito e confuso.
Mi guardai intorno e vidi che ero solo.
In terra c’era un pavimento di neve, le querce erano totalmente bianche e la neve riusciva a cadere estremamente fitta anche tra tutti quei rami.
Raggiunsi a fatica la quercia reale e mi fermai davanti a lei.
Sembrava che le chiome delle querce che la circondavano si fossero leggermente ritirate in modo da far passare oltre alla neve anche un raggio di luce che illuminava per intero la quercia reale.
Io rimasi immobile a guardarla.
Improvvisamente sembrò rendersi conto che ero lì.
Ci fu una folata di vento gelido che la fece scuotere un po’ e le fece cadere un po’ di neve dai rami.
Sembrò quasi aggiustarsi appena mi vide.
Io sorrisi, le ero mancato.
Mentre ero lì che la guardavo mi venne in mente il viso di Heaven.
Pensai a lei e a quanto sarebbe stata delusa se avesse saputo che ero lì con quella stupida quercia.
Mi sembrò di averla tradita.
Anzi peggio.
Mi voltai di scatto e andai via correndo.
Cosa cavolo avevo fatto?
Arrivai a casa in fretta e in furia ed entrai velocemente.
Salii le scale ed entrai in camera, lei dormiva esattamente come l’avevo lasciata.
Io feci un sospiro di sollievo.
Approfittai per fare una doccia bollente e poi la raggiunsi a letto.
Iniziai a baciarla ovunque, avevo così paura di perderla adesso.
Mi addormentai stringendola a me.
La mattina dopo quando mi svegliai Heaven non era nel mio letto.
Mi alzai di scatto e corsi al piano inferiore.
Lei era sul divano che con un caffè in mano che parlava con i miei genitori.
Mi avvicinai a lei preoccupato.
“Buongiorno.” Dissi entrando nella stanza, mi misi a sedere sul bracciolo del divano dove era lei e le misi una mano sulla fronte.
“Tutto bene, tua mamma mi ha dato una droga speciale ieri sera mentre tu russavi e infatti ora sto molto meglio.” Mi disse togliendo la mia mano dalla sua fronte.
“Io non russo.” Dissi alzandomi per prendere il mio caffè.
Lei dopo poco mi raggiunse, io sorrisi non appena la vidi entrare in cucina.
“Dove sei stato ieri sera?” Mi disse con un’espressione decisamente troppo seria.
Il mio sorriso sparì appena mi fece quella domanda.
“Da nessuna parte.” Risposi istintivamente.
“Adam, so perfettamente che sei uscito. Dove sei andato?”
Non sapevo cosa fare, mentirle e dirle che ero andato semplicemente a fare una passeggiata sotto la neve o dirle la verità e dirle che ero andato al giardino e quindi confessarle che avevo infranto la nostra promessa?
Avevo troppa paura di fare entrambe le cose.
“Sono andato al giardino.” Alla fine, confessai, non avevo intenzione di avere alcun segreto con lei, non se lo meritava.
“Lo sapevo.” Mi disse delusa.
Si girò e andò al piano di sopra.
“Heaven!” Urlai io in preda al panico.
Salii le scale velocemente e la raggiunsi.
Quando entrai in camera lei si stava cambiando.
“Dove stai andando?” Dissi io con le lacrime agli occhi.
“Dove vuoi che vada? A casa!”
Non l’avevo mai vista così, era infuriata e aveva tutte le ragioni del mondo.
“Ti prego, non andare.”
Mi avvicinai a lei e successe la cosa che più temevo.
Si allontanò da me, non voleva farsi toccare.
“Heaven, ti prego, sono rimasto solo due minuti. In realtà non volevo nemmeno entrare, mi ci sono ritrovato quasi per magia.” Ero davvero nel panico totale.
Lei mi guardò confusa.
Si mise a sedere sul mio letto e abbassò lo sguardo.
“Ci sono andata anche io…” Mi disse alla fine dopo un po’ di tempo.
Io la guardai senza parole.
Credevo di non aver capito bene.
Mi ero sentito in colpa come un ladro quando lei era già stata lì senza di me e non me l’aveva nemmeno detto.
“Cosa stai dicendo? Quando?” Le lacrime continuarono a scorrermi sul viso ma in quel momento si trattava di lacrime di rabbia.
“Heaven! Quando ci sei stata?” Urlai io pieno di odio.
“Non ci sono stata solo una volta.” Mi disse lei con la voce bassa.
Io indietreggiai lentamente, incredulo di quello che mi stava raccontando.
Lei alzò lo sguardo con il viso colmo di lacrime.
“Non capisco.” Dissi io in preda alla totale confusione.
“Per tutto questo mese, tu sei andata al giardino senza dirmi nulla?”
Lei annuii, io mi portai una mano alla bocca.
Sì effettivamente era peggio di essere tradito.
Il nostro amore era troppo forte per le bugie, troppo forte per infrangere le promesse, quindi perché lo avevamo fatto?
E perché lei era tornata in quel giardino?
“Mi dispiace” Mi disse alla fine.
Si alzò e si avvicinò, io indietreggiai istintivamente.
“Penso che tu debba andartene a casa” Dissi senza riuscire a guardarla negli occhi.
Lei annuì continuando a piangere.
Se ne andò senza dire nulla, io la lasciai andare via senza dire nulla.
Non capivo più niente.
La sera prima era tutto perfetto, avevo iniziato a scrivere un libro che parlava di noi, improvvisamente mi ritrovavo da solo nella mia camera in lacrime.
Sembrava impossibile riuscire a trovare la tranquillità con lei.
Ma era lei, ero io o era quella dannata quercia a rovinare tutto?

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Passò una settimana dall’ultima volta che io ed Heaven ci eravamo visti, da quel maledetto momento.
Era la settimana prima di Natale e io ero uscito con Luke per andare a prendere gli ultimi regali in centro.
Entrai nella libreria più antica del paese e mi iniziai a guardare intorno.
Improvvisamente vidi, sopra uno scaffale molto in alto, una prima edizione del ritratto di Dorian Gray, uno dei libri più belli che avessi mai letto.
La prima persona che mi venne in mente fu lei.
Presi il libro e lo comprai, senza pensarci due volte.
Chiesi un pacchetto regalo un po’ particolare e poi uscii dalla libreria.
Io e mio fratello continuammo gli acquisti, poi lo riaccompagnai a casa e lasciai la macchina parcheggiata.
Mi diressi verso casa di Heaven, quando arrivai lì vidi che era stata decorata in maniera impeccabile, si vedeva solo il suo tocco.
La macchina del padre non c’era, questo voleva dire che era sola.
Suonai il campanello una volta e aspettai ansioso di rivederla.
Dopo poco arrivò ad aprire, aveva un vestito rosso con il collo alto che le faceva risaltare ogni cosa, i capelli, gli occhi, la pelle, il seno, tutto, aveva delle calze leggere nere e dei calzini di lana rossi.
I capelli legati come sempre.
Appena mi vide sorrise e i suoi occhi iniziarono a brillare più del normale.
“Adam!” Disse saltandomi addosso.
Non mi aspettavo assolutamente quella sua reazione, al contrario credevo mi avrebbe sbattuto la porta in faccia o che avrebbe iniziato ad urlare come una pazza.
Io la abbracciai forte lasciandomi pervadere dal suo profumo spettacolare.
Dopo poco si staccò da me e mi invitò ad entrare.
Come sempre casa sua aveva questo bellissimo odore di biscotti appena sfornati, di tè e di camino.
Vidi l’albero di Natale addobbato in salotto e i tanti regali sotto di esso.
Le diedi subito il mio senza pensarci due volte.
“L’ho visto e ho pensato subito a te.”
Lei lo guardò e sorrise ancora di più.
“Non ci voglio credere”
Lei si allontanò da me e andò vicino all’albero, si piegò leggermente e mi fece sognare con quel vestito addosso.
Quando si tirò su vidi che in mano aveva un pacco, identico al mio, della stessa forma e con la stessa confezione.
Ci mettemmo entrambi a ridere.
“Come minimo è anche lo stesso libro.” Dissi io scherzando.
“No, non lo voglio sapere, voglio che sia una sorpresa.” Mi disse lei dandomi il mio regalo.
“Allora, sei venuto solo per questo?” Mi disse mettendo il regalo che le avevo portato io sotto l’albero.
Avrei tanto voluto dirle, no in realtà sono venuto per staccarti quel vestito di dosso ma se vuoi possiamo solo prendere un caffè, solo che sarebbe stato un po’ brutto e fuori luogo.
“Mi manchi, Heav…” Semplicemente dissi quello che in quel momento mi sentii di dire, senza troppo giri di parole, senza troppi pensieri e senza trattenermi.
“Scusami, siamo stati due stupidi, ci siamo fatti prendere la mano da tutta quella situazione e ci siamo comportati come due bambini” Lei mi fermò con la mano.
“Devi scusarmi tu, avevamo fatto una promessa, che per te era molto importante e io non l’ho mantenuta e peggio ancora ho fatto la vittima e me la sono presa quando hai detto che eri andato lì. Tu per lo meno sei stato sincero con me.”
“Heaven io ti amo davvero tanto, non ho mai provato una cosa simile per nessuno, perché non vuoi capirlo?”
Lei si avvicinò a me lentamente, mi prese una mano e me la mise sul suo fianco.
“Heav… Non fare così, lo sai...” Dissi io sentendo il cuore battermi sempre più forte.
“Mio padre è dall’altra parte dell’America, lo sai?” Mi sussurrò all’orecchio.
Andammo in camera sua e facemmo l’amore, come se fosse stato di nuovo la prima volta, come se non ci fossimo mai allontanati, come se nulla si fosse mai intromesso tra di noi.
Io la baciai ovunque, la strinsi a me, le diedi tutto me stesso perché era ciò che si meritava.
Tutte le cose migliori di me, tutti i miei pregi, tutti i miei sogni, tutto quello che avevo di più bello avrebbe dovuto averlo lei.
Le avevo donato la mia intera esistenza, ero totalmente suo.
Quel pomeriggio con lei mi ricordò tanto i giorni della tempesta.
Vederla dopo aver fatto l’amore mentre girava per casa, con la pelle leggermente arrossata sul petto, i seni nudi, le forme impeccabili del suo corpo, gli occhi che brillavano e i capelli arruffati.
Avrei voluto dipingere il suo corpo di baci, avrei voluto trascrivere la bellezza di quella ragazza attraverso le parole, ma mi resi conto che qualunque cosa avessi detto non sarebbe mai stato abbastanza, abbastanza forte, abbastanza veritiero, abbastanza corretto, abbastanza tutto.
Lei era capace di far tornare tutto al suo posto, bastava solo un suo sguardo e riuscivi a sentirti bene, riuscivi a dire “Okay, se lei mi guarda così allora vuol dire che sto facendo la cosa giusta”.
In quel momento, dopo aver fatto l’amore con lei, dopo averla vista raggiungere il bagno totalmente nuda e averla guardata mentre cercava di aggiustarsi i capelli allo specchio, solo in quel momento capii tutto.
Capii perché quel giardino ci stava distruggendo.
Quella dannata quercia, aveva capito che c’era qualcosa di più bello di lei, aveva capito che gli occhi di tutti non sarebbero mai più stati solo su di lei.
Mi alzai dal letto e la raggiunsi in bagno, le misi le braccia attorno alla vita e mi abbassai su di lei.
Lei mi strinse a sé e mi diede un bacio sul braccio.
“Che succede?” Mi chiese guardandomi dallo specchio.
“Tu non sai di essere l’essere più bello dell’universo, tu sei così speciale e nemmeno lo capisci. Perché hai così tanta paura di quel giardino, di quella quercia?”
Il suo sguardo si intristì leggermente, sciolse l’abbraccio e si girò verso di me.
“Lo sai, quando mia mamma è andata via mio padre era totalmente distrutto. Ci è voluto un anno prima che si riprendesse quasi del tutto, e dico così perché nonostante ormai sia passata una vita sono convinta che mio padre non si sia ancora ripreso.
Ha sempre fatto finta di stare bene, di essere forte, e l’ha sempre fatto per me, ma io in realtà sapevo perfettamente che fosse distrutto.
Mia madre l’ha sempre preso in giro, con tanti ti amo, tante promesse e tanti complimenti. E poi? Ci ha abbandonati così.
Sai non so nemmeno se stia ancora con lui, non ci siamo più parlate da quel giorno, e so che non ha più parlato nemmeno con mio padre.
Io non voglio che sia tutto finto tra di noi, io voglio che sia tutto il più vero possibile.
Voglio amarti come meriti, ma per farlo devo capire se quelle lettere hanno un significato.”
“Questo che cosa significa?” Dissi io allontanandomi di poco.
“Non voglio metterti in mezzo a queste cose, Adam. So che tu non ci credi, e so che hai il college a cui pensare adesso, ma io devo andare in fondo a questa storia.”
Mi sembrò che stesse cercando un modo carino e gentile di lasciarmi, ma ero molto confuso al riguardo.
“Mi stai lasciando, Heaven?” Le chiesi preoccupato.
Lei mi baciò dolcemente.
“Non ti sto lasciando, stupido. Ti sto solo dicendo che io dovrò tornare in quel giardino, e per farlo ho bisogno che tu capisca.”
Io annuii, in realtà non capivo il motivo, ma capivo che la nostra relazione non poteva chiudersi solo per una stupida promessa fatta ad uno stupido albero.
Ci baciammo di nuovo e passammo quei giorni insieme.
Il giorno di Natale arrivò molto velocemente.
Faceva veramente freddo, aveva nevicato per una settimana intera fermandosi solo di tanto in tanto.
In realtà io e mio fratello eravamo molto felici di questa cosa dato che quando abitavamo in Florida passavamo il Natale con il costume e l’aria condizionata accesa.
Per noi il Natale con la neve era un sogno e per fortuna quell’anno il nostro sogno si realizzò con molta facilità.
Quella mattina mi svegliai lentamente e controvoglia.
Anche solo mettere un piede fuori dalle coperte mi faceva soffrire.
Mi misi subito una felpa pesante sopra il pigiama e un paio di calzini caldi di lana e mi diressi lentamente al piano inferiore.
Lì vidi i miei genitori e mio fratello in pigiama sul divano con delle tazze di caffè e il camino già in funzione.
Mia madre si alzò e mi venne a dare un bacio sulla guancia augurandomi buon Natale per poi andare a prendere una tazza di caffè anche per me.
Io raggiunsi la mia famiglia davanti il camino e accettai la tazza con molto piacere.
Mio fratello si alzò improvvisamente gridando “Apriamo i regali finalmente!”
Iniziammo così ad aprire ognuno i propri regali.
I miei mi avevano regalato alcune cose per il college, mio fratello mi aveva regalato delle scarpe per andare a correre, non avevo mai corso in tutta la mia vita e non ero assolutamente intenzionato ad iniziare, infine arrivò il regalo di Heaven.
Lo presi e sorrisi istintivamente, aprii la carta da regalo e rimasi senza parole.
Vidi esattamente la stessa copertina dello stesso identico libro che avevo regalato a lei.
Scossi leggermente la testa continuando a sorridere, mia madre mi guardava e subito mi chiese quale fosse il problema di quel regalo.
“Ci siamo fatti lo stesso regalo, abbiamo comprato lo stesso identico libro.”
Anche mia mamma sorrise e mi passò una mano tra i capelli.
Io portai velocemente le mie cose in camera e mi cambiai.
Mi affrettai a raggiungere la casa di Heaven e bussai alla porta.
Nessuna risposta.
Bussai di nuovo.
Ancora niente.
Rimasi per almeno mezz’ora ad aspettare sul portico di casa sua.
La casa sembrava totalmente vuota.
Non mi aveva detto che sarebbe andata da qualche parte quindi ero un po’ confuso e anche deluso.
Improvvisamente pensai che l’avrei trovata al giardino delle querce e così mi avviai lì.
Quel giorno, nonostante non fosse sabato e nemmeno domenica il giardino era aperto.
L’avevano leggermente addobbato con delle luci natalizie e degli addobbi particolari ma si fermarono all’ingresso e non andarono oltre.
Mi introdussi abilmente tra le persone e le varie querce per raggiungere la quercia reale.
Una volta arrivato lì ero estremamente convinto di trovarla, invece mi resi conto che mi sbagliavo.
Non era nemmeno lì.
Mi guardai intorno preoccupato e presi il telefono.
Non mi aveva scritto nemmeno un messaggio.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Il giorno prima avevo cercato Heaven per tutto il paese, tornai a casa sua per controllare se ci fosse la macchina del padre ma niente.
Le scrissi un numero indefinito di messaggi ma non ricevetti nessuna risposta.
La sera intorno alle nove e mezzo persi le speranze e tornai a casa.
I miei genitori erano vicino al camino preoccupati quanto me.
Quando varcai la soglia e mi tolsi il cappotto mia madre si precipitò subito verso di me.
“Allora? Novità?” Mi chiese con uno sguardo preoccupato.
Io scossi la testa e mi girai verso mio padre che si avvicinò e mi abbracciò.
Ricambiai quel suo abbraccio così caldo e mi voltai verso mia madre.
“Credo che adesso mi farò una doccia e andrò a letto.”
“Magari è andata da sua madre, no?” Mi disse mio fratello dallo sgabello della cucina.
“Non si parlano da quando era piccola, ne dubito fortemente.”
Mi avviai lentamente verso il piano superiore sentendo gli occhi di tutta la mia famiglia su di me.
Entrai direttamente in bagno e mi buttai sotto la doccia bollente per tirare fuori tutti i pensieri che avevo.
Una volta fuori dalla doccia mi asciugai velocemente i capelli e mi precipitai a letto.
Presi il telefono in mano e accesi lo schermo, nulla.
Le scrissi un ultimo messaggio in cui le diedi la buonanotte, poi mi girai dall’altra parte e dopo poco mi addormentai, esausto.
Il mattino dopo mi svegliai in preda a un incubo orrendo e presi subito il telefono in mano.
Vidi che Heaven non mi aveva ancora scritto nulla.
Non sapevo che altro fare, non avevo nemmeno un contatto di suo padre.
Scesi le scale svogliato e assonnato.
Mi recai in cucina e presi una tazza di caffè.
In quel momento vidi ancora il libro che mi aveva regalato Heaven sul tavolino del salotto.
Non avevo nemmeno voglia di prenderlo e metterlo in camera mia.
Mangiai qualcosa e mi cambiai.
Chiesi a mio fratello se avesse voglia di accompagnarmi in paese a fare una passeggiata e lui accettò volentieri.
“Insomma, se la sua intenzione era quella di lasciarmi poteva farlo senza troppi giri di parole, no?” Dissi a mio fratello una volta seduti al tavolino del bar.
“Magari aveva solo bisogno di pensare un po’”
Mi disse lui guardando la schiuma del suo cappuccino.
“Poteva dirmi anche quello.”
Alzai lo sguardo e vidi una ragazza, stessa statura di Heaven, stesso colore di capelli, stesso cappotto blu scuro.
Mi alzai di scatto e mi precipitai fuori.
Rincorsi la ragazza sperando con tutto me stesso che fosse lei.
Allungai la mano e le afferrai con delicatezza il gomito per fermarla e per farla girare.
Quando la ragazza si girò mi calmai improvvisamente.
Era lei.
I suoi occhi brillanti si rifletterono nei miei.
Sorrideva, ma appena mi vide smise improvvisamente di sorridere.
“Che fine hai fatto?” Le chiesi io leggermente infastidito.
Lei si girò e guardò un ragazzo al suo fianco.
Un bellone alto, capelli biondi e occhi azzurri.
Un principino uscito da non si sa dove.
Mi crollò il mondo addosso.
“Heaven… Cosa stai facendo?”
Non mi rispondeva, la cosa mi fece impazzire.
Stava succedendo tutto di nuovo, ma questa volta era molto peggio.
Non avrei mai pensato che potesse succedere una cosa del genere, almeno non con lei.
Non le avrei mai dato la soddisfazione di vedermi distrutto, non dopo tutto quello che avevo provato per lei.
Annuii senza dire una parola, le lasciai il braccio e tornai a guardare lui.
Non aggiunsi altro, abbassai il mio sguardo su di lei, deluso come non lo ero mai stato.
Presi il telefono e cancellai il suo numero.
Fu una cosa estremamente istintiva.
Mi voltai e tornai verso il bar.
Vidi lo sguardo di mio fratello incredulo quanto il mio.
“Adam!”
La sua voce echeggiò nelle mie orecchie, ma io non mi voltai.
Entrai di nuovo nel bar e mi misi a sedere, fino a quel momento avevo trattenuto le lacrime, ma non appena vidi gli occhi di mio fratello su di me, mi lasciai andare.
Lui spostò la sedia al mio fianco e mi posò un braccio dietro le spalle.
Era il classico ragazzo grande e grosso che faceva il duro, ma in realtà aveva un enorme cuore d’oro.
Dopo qualche ora tornammo a casa, mi voltai verso la sala, quel libro dannato era ancora lì.
Lo presi e lo portai in camera mia.
Passai l’intero pomeriggio a leggerlo, tutto d’un fiato.
Una volta finito lo posai sul comodino e iniziai a pensare al motivo possibile per cui lei mi aveva fatto quella cosa orribile.
Mi cambiai e mi misi una felpa pulita e un paio di jeans scuri.
Scesi le scale, salutai mio padre che era intento a montare il suo nuovo mobiletto da mettere in ufficio che gli aveva regalato mia madre e mi avviai verso il giardino.
Era aperto anche quel pomeriggio.
Vidi sulla targhetta che il giardino sarebbe stato aperto al pubblico fino ai primi giorni dell’anno nuovo.
Mi sembrò un’idea carina anche per attirare un po’ di persone nel nostro paesino.
Per la prima volta feci un giro più lungo del giardino, vidi alcune querce che mi sembravano diverse, alcune più vecchie, altre più ordinate, altre ancora come se fossero annoiate.
Mi venne quasi da ridere a pensare a tutte le storie che mi ero fatto, che mi aveva raccontato Heaven.
In quel momento pensai a quanto fosse in realtà sbagliato quel nome per lei.
Si era comportata come il diavolo.
Mi aveva fatto vivere un sogno, e poi mi aveva distrutto.
Quando arrivai alla quercia reale ero dalla parte opposta rispetto alla mia visuale solita.
Ero alle sue spalle e notai numerosi tagli sul tronco.
Mi avvicinai lentamente e toccai quei tagli, mi sentivo ferito come lei in quel momento.
Sembrò accorgersi di me.
Una folata di vento fece sì che i suoi rami si muovessero e alcuni fiocchi di neve mi caddero vicino e addosso.
Io risi divertito, apprezzando molto quella sensazione.
“Ad?” Sentii improvvisamente dall’altra parte del tronco.
Mi bloccai subito.
I miei occhi erano spalancati, il terrore iniziò a scorrermi tra le vene.
Non avevo alcuna intenzione di affrontare una discussione, o una qualunque conversazione con lei adesso.
Rimasi vicino al tronco, era enorme e per questo speravo di riuscire a nascondermi da lei.
Ma ovviamente non era così stupida.
Fece il giro del tronco e me la ritrovai alla mia sinistra.
“Adam…”
Io non riuscii a muovermi, non riuscii a guardarla e nemmeno a risponderle.
Ero paralizzato.
“Adam, devo parlarti assolutamente.”
Mi toccò la mano e io trasalii.
“Cosa diamine vuoi ancora Heaven?”
Quel tocco leggero mi mandò in paranoia.
Mi sbloccai da quella fase di trance e indietreggiai lentamente mentre il mio cuore iniziò a battere sempre più forte.
“Non hai capito niente stamattina”
Mi disse lei in preda al panico, seguendo i miei passi.
Io ero ancora più in difficoltà, continuavo ad indietreggiare, lei continuava a seguirmi implorandomi di starla a sentire e improvvisamente arrivò una ventata fortissima di vento che si intromise tra noi due.
Fu talmente forte che entrambi ci fermammo per evitare di cadere.
Lei mi guardò, aveva gli occhi colmi di lacrime.
Io ero spaventato.
Mi voltai velocemente e scappai via, raggiusi il cancello velocemente, ma lei era subito dietro di me.
Mi afferrò una mano e me la strinse.
Mi tirò a sé e fece in modo che mi girassi, iniziò a camminare fin quando il mio corpo non incontrò le inferriate del cancello freddo.
Si mise davanti a me e mi spinse forte contro il cancello.
Mi salì un nodo alla gola, avevo così voglia di baciarla, ma allo stesso tempo avevo voglia di scappare.
“Che vuoi ancora da me? Hai fatto di tutto per rovinare la nostra relazione, adesso ci sei riuscita! Hai trovato un altro che non ti darà problemi, vai.”
Lei iniziò a tirarmi delle botte sulle braccia, non mi fece male ma mi fece zittire.
Mi guardò incupita e iniziò a piangere.
“Sei davvero un grandissimo idiota Adam Thompson!”
Non capivo più niente.
“Io non ti ho tradito, stupido!”
In quel momento il mio cuore si sciolse.
Sentii improvvisamente un calore pervadermi il corpo e un piccolo senso di soddisfazione si fece strada nel mio cervello.
“Quello è il figlio di mia madre, quello che ha avuto con l’altro uomo, hai presente?”
Io la guardai confuso.
Mi sentivo un cretino totale.
“Ieri si è presentato fuori casa nostra, dicendo che era mio fratello. Non ti ho risposto perché ero con lui, ho cercato di capirci qualcosa in tutta questa storia ma quando ho visto il tuo sguardo stamattina mi è crollato il mondo addosso.”
“Heav, per quale assurdo motivo non mi hai detto nulla ieri? Ti avrei lasciato il tuo tempo ma almeno avrei saputo che stavi bene.”
“Ero nel panico, non capivo più niente e non sapevo che fare.”
Lei allentò la presa dalle mie braccia e io mi sistemai il cappotto.
Le presi le mani e lei abbassò lo sguardo triste.
“Scusami.” Le dissi semplicemente senza aggiungere altro.
“Se non vuoi più vedermi lo capisco”
Lei mi guardò di nuovo e si avvicinò a me.
“Vieni a casa con me?”
Mi sussurrò all’orecchio lentamente.
Io annuii sorridendo e ci avviammo verso casa sua.
Restammo in silenzio per tutto il tragitto, pensai tutto il tempo alla prima volta che facemmo quella stessa strada insieme, a tutto quello che mi aveva raccontato e a tutto quello che le avevo raccontato io.
Pensai a quanto mi faceva impazzire il suo modo di parlare, a quanto mentre la guardavo camminare nella mia testa riuscivo solo a pensare a quanto mi sarebbe piaciuto sentire le sue labbra sulle mie.
E adesso? Sembravamo due completi sconosciuti.
Sentivo che ci stavamo allontanando in maniera quasi del tutto inevitabile.
La stavo perdendo per una cosa dannatamente stupida.
Una volta davanti casa sua lei aprì subito il cancellino, io ne rimasi fuori.
Lei si voltò verso di me e mi guardò confusa.
“Io… Credo di dover tornare a casa adesso.”
Dissi non muovendomi di un millimetro.
Lei mi guardò preoccupata, vidi i suoi occhi incupirsi leggermente, ma non disse nulla, semplicemente annuì e io lasciai che non mi dicesse niente.
Mi voltai velocemente, mi avviai verso casa mia e tirai un sospiro lasciandomi andare tutta quella strana agitazione che stavo provando.
Non mi girai nemmeno per un secondo.
Al contrario aumentai anche la velocità dei miei passi per poter arrivare prima a casa.
Una volta arrivato però mi fermai davanti il mio cancellino.
A quel punto mi voltai verso la strada che dava verso casa di Heaven.
Non sapevo più cosa fare.
Era la persona più importante di tutta la mia vita, eppure non sapevo più che scelte fare per poter farle capire che mi bastava così poco.
Mi bastava poter vivere tra le sue braccia, il suo profumo, i suoi occhi brillanti.
Lei sembrava cercare qualcosa di pericoloso, sembrava non le bastasse tutto quello che io volevo costruire con lei.
Sembrava che l’idea dell’appartamento fuori il mio campus fosse così di poco valore per lei.
Sembrava dire, sì sto con te ma non mi basti, deve esserci per forza qualcosa di mistico per questa relazione.
Mi chiedevo, se trovassimo una risposta a queste cose strane, dopo cosa succederebbe?
Sarebbe felice? Sarebbe in pace?
Mi voltai e salii in macchina.
Avevo bisogno di pensare, di pensare all’infinito.
Misi in moto e iniziai a guidare, senza alcuna meta, senza un perché.
Mi ritrovai a un’ora di distanza rispetto a casa, all’entrata di un bosco buio e innevato.
Scesi dalla macchina e iniziai a camminare a lungo fin quando non mi trovai di fronte una bellissima vista di un paese totalmente illuminato e coperto dalla neve.
Mi spuntò improvvisamente un sorriso sul viso.
Tutte quelle bellissime luci mi fecero ricordare gli occhi di Heaven.
Brillavano in quella maniera così speciale e perfetta.
Volevo combattere per noi, volevo averla per sempre, volevo che anche lei mi volesse per sempre esattamente come la volevo io.
Ma come potevo fare?
Sentivo che quella storia mi stava solo facendo allontanare da lei.
Non volevo abbandonarla per una stupidaggine del genere, ma lei mi aveva abbandonato così tante volte, in momenti importanti.
Mi aveva tagliato fuori da un momento che sicuramente l’aveva segnata.
Non sapevo come gestire queste cose.
Rimasi in quel posto per molto tempo fin quando non sentii il mio telefono vibrare.
Lo tirai fuori dalla mia tasca e vidi che mia mamma mi stava chiamando.
“Adam, dove sei? C’è Heaven qui a casa, ti cercava.”
“Scusa mamma, ho preso la macchina avevo bisogno di pensare. Dille che sto tornando, mi ci vorrà un po’”
Attaccai subito e salii in macchina velocemente.
Quando arrivai mi precipitai a casa e vidi mia mamma parlare con Heaven in cucina.
Io mi tolsi il cappotto e le scarpe e posai le chiavi.
“Che ci fai qui?” Le chiesi avvicinandomi al bancone della cucina.
Lei mi fece un piccolo sorriso e posò i suoi occhi dentro i miei.
“Pensavo ti avrebbe fatto piacere dormire con me stanotte.”
Io sorrisi a mia volta e annuii sentendo la sua proposta.
“Hai avvisato tuo padre?” Le dissi mentre mia mamma toglieva le tazze che avevano usato per posarle nel lavabo.
“Sì, è in ottima compagnia stanotte.” Io la guardai confuso e lei scrollò le spalle quasi a dire lasciamo perdere.
Le porsi la mia mano e lei la prese dolcemente.
“Buonanotte, mamma.” La salutai e lei salutò noi sorridendo.
Quando entrammo in camera mia chiusi la porta delicatamente e lei andò a sedersi sul mio letto.
Mi tolsi la felpa e la misi sulla sedia, mi allungai verso un cassetto che avevo svuotato per prendere uno dei miei pigiami che ormai usava sempre Heaven quando dormiva da me.
Glielo porsi e lei lo posò sul letto.
Mi fissava insistentemente, mi sentivo quasi in imbarazzo.
“Cosa c’è Heav?” Le dissi in difficoltà.
“Vieni qui.” La sua voce mi ammaliava come quelle delle sirene.
Non me lo feci ripetere due volte, avevo paura di lei.
Mi misi a sedere sul mio letto e lei si fece spazio tra le coperte per poi mettersi a sedere a cavalcioni sulle mie gambe.
“H-Heav…” Dissi io con la paura di toccarla.
“Stai zitto!” Mi ordinò lei.
Avvicinò il suo viso al mio e mi baciò come se non aspettasse altro da molto tempo.
Io risposi al suo bacio senza esitare.
Posai le mie mani sulle sue gambe e le strinsi fremendo dalla voglia di averla.
Iniziai a sentire velocemente i jeans diventare più stretti sotto di lei, oltre alla voglia matta che avevo in generale con lei era anche più di una settimana che non la toccavo.
Lei continuò a baciarmi ardentemente e io lasciai prendere a lei le decisioni.
Feci scorrere le mie mani lungo la sua schiena e le infilai sotto il maglione, le slacciai il reggiseno e iniziai a toccarle il seno.
Lei ansimò sulle mie labbra.
“Mio Dio, Heaven, mi fai impazzire.”
Dissi io sentendo sempre più voglia di averla.
Mi slacciò i pantaloni con grande maestria e si tolse i suoi senza esitare un secondo.
Io mi abbassai velocemente le mutande e lei iniziò a toccarmi.
Aveva le mani calde e morbide, si muoveva lentamente e con dolcezza.
Mi lasciai scappare un gemito strozzato e lei si inginocchiò.
Non sapevo come reagire a tutto quello che stava succedendo.
La lasciai fare e lei si avvicinò con la sua bocca, sentivo la sua lingua calda muoversi lentamente e i brividi percorrermi la schiena.
Giocò per qualche minuto fin quando non la presi per le braccia e la feci stendere sul letto.
“Adesso tocca a me.”
Mi abbassai su di lei e iniziai a baciarle l’interno della coscia destra, lei iniziò a ridere divertita.
Iniziai a stuzzicarla con la lingua fin quando non vidi che si sentiva più a suo agio.
Giocai a mia volta con la mia lingua e lei iniziò ad ansimare più forte.
Mi portò una mano al suo seno e io morivo dalla voglia di averla.
Mi tirò su e mi fece sdraiare su di lei.
La penetrai con dolcezza e lei si lasciò scappare il mio nome strozzato tra le sue labbra.
Iniziai a baciarla mentre mi muovevo piano e con delicatezza.
Non avevo alcuna fretta di finire quel momento speciale con lei.
Continuai a muovermi con calma, le misi una mano tra le gambe e iniziai anche a toccarla.
“Vieni Heaven, lasciati andare.”
Le sussurrai all’orecchio.
E lei così fece, si lasciò totalmente andare.
Mi bagnò ancora di più e la cosa mi fece perdere il controllo.
Le bloccai i polsi con le mani e spinsi più forte, più in profondità e con più cattiveria fin quando non mi lasciai andare anche io.
Gemetti nel suo orecchio accasciandomi su di lei.
Uscii da lei e mi stesi accanto a lei.
“Non mi basta mai.” Mi disse lei sorridendomi.
Io mi girai verso di lei e vidi i suoi occhi brillare come prima.
Le accarezzai il viso e le diedi un bacio leggero.
“Ti amo da impazzire, Heaven.” Le dissi guardandola.
Le mi sorrise e ricambiò il bacio.
“Ti amo anche io, Ad.”
Ci addormentammo dopo poco nel totale silenzio della mia stanza, mentre fuori riprese a nevicare forte e il vento iniziò a sbattere contro le finestre.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Quando quella mattina mi svegliai vidi Heaven vicino a me, nuda sotto le coperte, che dormiva beatamente.
Le diedi un bacio sulla schiena e sorrisi istintivamente.
Mi alzai e mi misi una felpa e un pantalone della tuta.
La coprii bene e scesi in cucina.
Non c’era nessuno, cosa molto strana.
Preparai del caffè e del tè per Heaven.
Improvvisamente vidi mio fratello apparire in cucina, ci salutammo con il nostro solito cenno della testa e io versai del caffè in due tazze porgendone una a lui.
“Allora, a quanto so c’è Heaven. Sei tu quello tradito, o il tipo di ieri?”
Mi disse senza troppi peli sulla lingua.
Io sorrisi bevendo un sorso di caffè.
“Calma tigre, nessuno dei due. A quanto pare è suo fratello.”
Lui alzò un sopracciglio leggermente stranito e confuso.
“Cioè ha un fratello e non ne aveva idea?”
“A quanto pare…”
Dissi io guardando fuori dalla finestra notando che la neve era ancora più fitta quel giorno.
“Peccato che sua madre sia morta molti anni fa, fratello.”
Disse sottolineando la parola fratello con la voce.
Io mi girai verso di lui confuso.
“Di che cosa stai parlando?”
“La mamma di Heaven, è morta quindici anni fa Adam.”
In quel momento la testa iniziò a farmi male da morire.
Come era morta, ma Heaven lo sapeva?
Magari era scappata per colpa di questo figlio.
Oppure mi aveva solo mentito fino a quel momento.
“Tu cosa diavolo ne sai?” Dissi io senza capire più niente.
“Pensi davvero che solo lei sia tanto intelligente da cercare informazioni sulle persone in biblioteca? Sua madre era Barbara Dennis, è morta quindici anni fa, qui a Salem.”
Tutte informazioni facilmente reperibili indubbiamente, ma cosa stava succedendo.
Sua madre, quindi, non era mai scappata con nessun uomo?
“E se lei non lo sa?”
Chiesi io a Luke cercando di trovare qualunque motivo per cui lei non sapesse niente.
Luke mi mostrò una foto sul suo telefono.
Nella foto c’erano Heaven e suo padre vicino alla lapide della madre.
Heaven era appena una bambina e aveva sempre quegli occhi brillanti e spettacolari.
Non sapevo cosa fare.
Guardai verso le scale confuso.
Cosa c’era che non andava in quella ragazza?
Perché mi mentiva in continuazione?
Presi il telefono di mio fratello e mi precipitai in camera mia.
Spalancai la porta in modo da farla svegliare, lei si svegliò di soprassalto coprendosi il più possibile.
“Che cazzo è questa storia, Heaven?”
Dissi io furioso.
Lei mi guardò confusa quanto me e poi guardò la foto nel telefono.
“Adam… Io…”
La guardai malissimo e misi il telefono in tasca.
“Vattene, immediatamente.”
“No! Aspetta!”
“No Heaven, basta, io ti sto dietro da settembre.
Mi hai fatto vivere un sogno, ma cazzo non fai altro che dire cazzate! A me, a tuo padre, a tutta la mia famiglia! Qual è il tuo problema?”
Lei mi guardò con i suoi occhi spettacolari pieni di lacrime, era in difficoltà evidente.
“Chi cazzo era quello di ieri?”
Dissi io distrutto.
“Adam, non ti ho detto nessuna bugia. Si è vero, mia madre è morta, ma è davvero andata via con un altro uomo. A quanto pare è morta per colpa di quel ragazzo, o meglio è morta dando lui alla luce.”
“Certo e voi non solo l’avete seppellita qui a Salem, ma avete anche fatto foto per il giornale come se fosse una persona importante per voi?”
“Lei era una persona importante per noi!”
Disse lei alzando la voce.
“Perché non mi hai mai detto che era morta?”
“Perché non volevo dirtelo. Non ho mai vissuto bene la morte di mia madre, mi ha distrutto mentalmente e anche solo dirlo mi fa star male.”
Mi passai una mano sul viso e tra i capelli.
“Heaven io non ne posso più, prima mi fai stare benissimo, poi mi fai stare malissimo.
Ero dannatamente tranquillo stamattina, ora non riesco nemmeno a guardarti.
Perché deve essere sempre così con te?”
Scoppiai improvvisamente a piangere, stanco di tutta quella situazione che si era creata con lei.
Mi accasciai a terra con la schiena alla porta e la testa tra le mani.
Lei si alzò velocemente e venne ad abbracciarmi.
Sentii il suo odore pervadermi le narici.
Il cuore iniziò a battermi più velocemente mentre le lacrime offuscavano la mia vista.
Lei mi iniziò a dare numerosi baci sulle braccia e sulla testa ma io rimasi immobile.
Rimanemmo lì per qualche minuto, fin quando non alzai la testa e la guardai dritto negli occhi.
“Adesso basta, se hai intenzione di stare con me dovrai smettere di dire bugie, dovrai smettere di cercare qualunque cosa in quel giardino e dovrai smettere di prendermi in giro.”
Le dissi molto serio.
“Non ti ho mai detto bugie e non ti ho mai preso in giro.”
Si avvicinò alle mie labbra e mi diede un bacio.
Io ricambiai iniziando a baciarla con più foga.
Lei mi fece alzare e mi mise le mani sulla sua schiena nuda.
Alcune lacrime rigarono ancora il mio viso ma continuai a baciarla senza fermarmi.
Mi allontanai appena e la guardai negli occhi, quegli occhi bellissimi e speciali che mi avevano fatto perdere la testa dal primo momento.
Quegli occhi che mi facevano sentire a casa, che mi facevano venire i brividi e mi facevano dimenticare tutti i problemi del mondo.
Vedevo i suoi occhi sorridermi e provai a sorriderle a mia volta.
“Che cosa c’è?” Mi chiese lei notando che i miei occhi non riuscivano a rispondere al suo sorriso.
“Credo… Credo di dover rimanere un po’ da solo.” Dissi io abbassando lo sguardo.
Lei si allontanò leggermente da me e si coprì il seno.
“Capisco…”
Mi disse lei a bassa voce, si voltò e prese i suoi vestiti.
Si rivestì velocemente, io non mi mossi di un millimetro tenendo la testa sempre bassa.
La lasciai andare via in quel modo, senza aprire bocca.
Riuscii a muovermi appena sentii la porta di casa mia chiudersi.
Mi avvicinai alla finestra e guardai fuori, la vidi attraversare correndo e scappare via dalla mia casa.
Mi buttai sul letto e chiusi gli occhi.
Quando mi ero trasferito mi ero ripromesso di non innamorarmi di nessuno.
Invece? Avevo solo fatto un enorme casino.
I giorni passarono lentamente, io non misi piede fuori casa per tutto il resto delle feste natalizie.
Non scrissi nessun messaggio ad Heaven, e lei non ne scrisse nessuno a me.
Mi mancava come mi mancava mangiare, ma non sapevo ancora come comportarmi con lei.
La scoperta della morte di sua madre mi aveva confuso ancora di più.
Non capivo perché mi tagliasse fuori da tutte le cose più importanti, e non capivo perché lei non volesse far parte delle mie cose più importanti.
Era il 4 Gennaio quando finalmente riuscii a mettere piede fuori casa.
Mio padre mi aveva convinto a fare un salto in paese per poter comprare alcune cose per quando sarei andato al college.
Da quando le cose con Heaven erano iniziate a peggiorare avevo totalmente dimenticato di pensare al mio futuro.
Per me il fatto che lei non volesse farne parte o che provasse in tutti i modi ad evitare di farne parte mi distruggeva.
Da quando l’avevo vista la prima volta avevo sempre pensato di voler rimanere accanto a lei per sempre, avevo pensato di volerla solo proteggere da tutto il schifo che c’era nel mondo.
Avrei fatto davvero ogni cosa per lei, ma sembrava non volerlo capire.
Salii in macchina contro voglia, mio padre mise un po’ di musica e mi iniziò a parlare di cose come mobili, macchine e altre cavolate che non mi interessavano per niente.
Arrivati in paese scesi dalla macchina e la prima persona che si palesò davanti ai miei occhi fu proprio lui, il padre di Heaven.
Sentii le mie guance diventare rosse e calde improvvisamente.
Lui mi fece un enorme sorriso, solo in quel momento mi resi conto che le pieghe che si formavano attorno ai suoi occhi quando sorrideva erano identiche a quelle che si formavano sul viso di Heaven, e lì mi sentii ancora peggio.
Si avvicinò a grandi passi a me e mi abbracciò forte.
“Caro ragazzo! Come stai? Sbaglio o è da parecchio che non ti vediamo più a casa?”
Rimasi un po’ confuso, Heaven non gli aveva detto che non stavamo più insieme?
Per quale motivo? Non capivo.
“Sì mi dispiace molto, so che era venuto il fratello di Heaven. Ho preferito lasciarle un po’ di tempo per pensare.”
Dissi io per cercare di capire qualcosa di quella storia.
Lui si incupì leggermente e annuii con il capo.
“Oh sì, parli di Jake.”
Beh, per lo meno adesso il biondo bello aveva un nome e inoltre si era scoperto che davvero era suo fratello.
“Lasciamo stare, sono stati dei giorni assurdi. Sai quando Evelyn è scappata con quel bellone me lo disse che aspettava un figlio. Ma mai avrei pensato che potesse morire per colpa sua.”
Aveva detto tutta la verità allora.
“Mi dispiace tanto signor Scott.”
Dissi io dispiaciuto davvero.
Lui scosse la testa e fece un sorriso riparatore.
“Oh ma figurati caro, è passato tanto di quel tempo. E come ti ho già detto chiamami Will, così mi fai sentire vecchio.”
Io risi insieme a lui e mi sentii in colpa da morire per come avevo trattato Heaven in tutto quel tempo.
“Sua figlia è a casa?”
Gli chiesi io improvvisamente.
“Sarebbe un miracolo se lo fosse, praticamente è fissa in quel giardino. Pensavo ci andasse con te.” Mi disse lui un po’ dispiaciuto del fatto che io chiedessi dove potesse essere la figlia.
Improvvisamente sentii una stranissima sensazione addosso.
Come mai tornava così tante volte in quel maledetto giardino?
Pensai subito che fosse in pericolo, dovevo essere accanto a lei.
Mi girai verso mio padre che era intento ad ascoltare la nostra conversazione sorridendo.
Quando vide la mia faccia si accigliò.
“Ehm… Io, mi sono appena ricordato che ci eravamo dati appuntamento lì oggi.
Papà, mi accompagneresti al giardino?”
Chiesi io leggermente impanicato a mio padre.
Lui accettò e salutammo velocemente il padre di Heaven.
Una volta in macchina dissi a mio padre di fare veloce.
In meno di quindici minuti mi trovai di fronte il cancello nero, presi le chiavi dal cruscotto e mi precipitai all’interno del giardino.
Raggiunsi con velocità e destrezza la quercia reale e la vidi.
Raggomitolata dentro due coperte, seduta per terra, che scriveva qualcosa in un quaderno.
Io sorrisi dolcemente.
Mi avvicinai e mi misi a sedere in silenzio vicino a lei.
Alzai lo sguardo verso la maestosa quercia e mi sentii piccolo.
Heaven si voltò verso di me e posò il suo sguardo su di me.
“Ho incontrato tuo padre.” Le dissi guardandola a mia volta.
“Mi ha parlato di Jake, mi dispiace così tanto di aver dubitato di te.”
Lei mi guardò in una maniera molto strana.
Sembrava preoccupata, spaventata da qualcosa.
Io mi accigliai.
Non capivo cosa stava succedendo.
“Heav? C-Cosa succede?”
Le chiesi spaventato dal suo sguardo.
“Ho paura, Ad…”
Io mi guardai intorno, controllai che non ci fosse nessuno attorno a noi e poi le misi un braccio attorno alle spalle.
“Ci sono io qui con te. Non ti lascerò mai più.”
Cercai di rassicurarla, quando in realtà non capivo cosa stesse succedendo.
“Portami a casa, ti prego.”

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Passarono numerose settimane dall’ultima volta che eravamo andati al giardino.
Heaven sembrava turbata da qualcosa che però aveva deciso di non dirmi, come al solito.
L’inverno stava iniziando velocemente ad allontanarsi dal paese, lasciando spazio a giornate soleggiate e che ti lasciavano un leggero tepore sul corpo attraverso i cappotti ormai troppo pesanti.
Gli alberi della mia via avevano iniziato lentamente a rinvigorirsi, sembrava che si fossero tirati su di morale e si fossero preparati ad essere i protagonisti.
Quel giovedì mattina mi alzai un po’ più felice del solito, sarei dovuto rimanere a casa fino al lunedì in quanto la nostra scuola aveva avuto dei problemi con la rete informatica e in quei giorni avrebbero cercato di risolvere tutto quanto.
Mi affacciai in cucina per vedere chi ci fosse e trovai il colosso di mio fratello, che nel mentre era diventato ancora più grande, versarsi del caffè in una tazza che per me era normale, per lui era minuscola.
“Luke, potresti dare una tazza anche a me per favore?”
Dissi io mettendomi a sedere su uno sgabello.
Lui lo fece con estrema velocità e maestria, come se fosse nel suo totale elemento.
Io risi guardandolo.
“Dovresti fare il barista, sai? Ti ci vedo bene.”
Lo presi in giro bevendo un sorso di caffè.
Il nostro rapporto era quello, io lo prendevo in giro e lui evitava qualunque contatto fisico con me per non spezzarmi in due.
Non avevamo mai litigato in tutta la nostra vita.
Eravamo sempre andati molto d’accordo, lui non aveva mai pensato ad altro se non allo sport, io non avevo mai pensato ad altro se non ai libri.
Mio fratello non aveva mai avuto nessuna ragazza, i miei genitori all’inizio pensavano che nessuno lo volesse per qualche motivo assurdo, in realtà semplicemente lui nemmeno le vedeva.
Era talmente tanto concentrato con il suo sport che tutte le ragazze che gli correvano dietro neanche le notava.
Mi faceva molto ridere, io mi ricordo perfettamente il momento in cui anche solo vedere una ragazza da lontano mi faceva perdere il controllo.
Lui niente.
Ogni tanto mi sarebbe piaciuto parlare con mio fratello di ragazze, ma lui niente, non voleva saperne.
Non lo faceva con cattiveria, era solo distratto dal suo obiettivo.
E con il senno di poi, mi viene da pensare, che forse faceva proprio bene.
Si mise a sedere allo sgabello accanto al mio e mi guardò dall’alto verso il basso.
Mi sentii in difficoltà e molto piccolo.
“Se dovessi fallire con il football, saprei cosa fare.”
Ci mettemmo entrambi a ridere e facemmo colazione parlando di cosa? Football.
Per lo meno piaceva anche a me, guardarlo e non praticarlo, ma almeno poteva parlarne liberamente.
Una volta finita la nostra colazione lui si precipitò in camera sua per prepararsi e andare agli allenamenti, io invece rimasi un po’ sul divano a girare tra i vari canali televisivi nella speranza di trovare qualcosa di super interessante, ovviamente nulla.
Quando Luke sfrecciò fuori di casa salutandomi mi trascinai al piano di sopra ed entrai in camera mia.
Alzai lo sguardo verso la libreria e vidi lei, la scatola maledetta.
Da quando Heaven l’aveva data a me l’avevo sempre tenuta io, nascosta, nella speranza che se ne dimenticasse totalmente.
Quella mattina per qualche motivo a me sconosciuto decisi di prenderla.
Mi misi a sedere sul mio letto e tolsi le lettere dalla scatola.
Ne passai alcune in rassegna, rileggendo parole che ormai sapevo a memoria e sorridendo lievemente ripensando ai miei momento con lei.
Alla fine presi l’ultima lettere, quella che non era mai stata conclusa.
Stranamente quella non l’avevo mai letta.
Iniziai a leggerla per la prima volta proprio quella mattina.
Dopo appena due righe mi resi conto che in quella lettera c’era qualcosa di strano, qualcosa che non tornava assolutamente.
Il ragazzo, o meglio io, non parlavo con Heaven, ma parlavo con la quercia.
Sembrava una lettera scritta di fretta, su due piedi, le parole erano confuse, scritte male, non aveva un senso romantico, non voleva dire qualcosa di speciale.
La girai per capire che cosa volesse significare tutto ciò.
Guardai le ultime parole “Ti prego, non farle…”
Fine.
Non c’era scritto altro.
Lessi velocemente la lettera con il cuore che iniziò a battermi più velocemente.
Appena arrivai a metà lettera capii.
Stavo supplicando la quercia, stava succedendo qualcosa ad Heaven e io supplicavo la quercia di lasciarla stare, di lasciarla vivere, di non farle del male.
Presi istintivamente il telefono e la chiamai.
Nessuna risposta.
Mi misi velocemente le scarpe e una felpa pesante e misi tutto mentre scendevo le scale.
Portai la lettera con me e mi precipitai fuori casa.
Mi misi a correre come non avevo mai fatto in tutta la mia vita e in meno di due minuti mi trovai davanti casa di Heaven.
Notai che la macchina di suo padre era parcheggiata fuori.
Suonai il campanello con insistenza, fin quando non si palesò la figura di suo padre sul pianerottolo.
Io avevo l’affanno ma cercai di ricompormi velocemente.
“Buongiorno signor Scott, mi scusi sua figlia è in casa?”
Lui mi guardò confuso e scese le prime scale per avvicinarsi a me.
“No Adam, pensavo fosse da te, non è tornata stanotte a casa.”
In quel momento il mio cuore mancò un battito.
Il sangue si gelò nelle mie vene, il panico iniziò a salire e l’ansia che le fosse capitato qualcosa mi pervase.
“Le chiavi… Signor Scott, le chiavi del giardino, dove sono?”
Dissi io cercando di pensare più velocemente della mia ansia.
“Non ci sono, lei le porta sempre con sé.”
Io mi girai di colpo e andai via, correndo a più non posso, senza nemmeno salutarlo.
Mi precipitai al giardino e tirai fuori le chiavi dalla tasca della felpa, le mie mani tremavano,  cercai di calmarmi per riuscire ad aprire il cancellino.
Quando ci riuscii non lo richiusi nemmeno, corsi abilmente tra le varie querce per raggiungere la quercia reale.
Una volta lì mi bloccai.
Vidi Heaven.
Stesa in terra, con i capelli sciolti e il suo solito quaderno lontano da lei di qualche metro.
Rimasi bloccato per qualche manciata di secondi, poi mi precipitai su di lei.
“Heaven!”
Urlai a pieni polmoni arrivando vicino a lei.
La presi per le spalle e la feci girare.
Quando vidi il suo visò mi sentii male.
Era pallida, i suoi occhi erano spalancati e avevano totalmente perso il suo bellissimo luccichio.
Le lacrime presero a rigare il mio viso velocemente, senza che io riuscissi a controllarle.
Continuai ad urlare il suo nome invano.
Mi alzai in piedi e mi avvicinai alla quercia, iniziai a prenderla a calci con una violenza che mai avrei pensato di poter tirare fuori.
Talmente forte da staccare alcuni pezzi di corteccia che iniziarono a volare vicino a me.
Mi fermai improvvisamente quando vidi che nell’angolo dove stavo calciando, sotto la corteccia c’erano incise due iniziali.
MS.
Indietreggiai lentamente.
Sotto la corteccia il tronco dell’albero era più chiaro e totalmente liscio.
Iniziai a staccare altri pezzi e scoprii un tesoro nascosto.
Sotto la corteccia c’era l’immagine di una donna.
Una donna bellissima, con gli occhi chiusi e un sorriso velato, le mani al metto e il corpo sinuoso coperto da un vestito lungo.
Sembrava intagliato nel legno del tronco.
Io rimasi sbalordito, con le lacrime agli occhi e la bocca spalancata.
“Cosa le hai fatto? Cosa diavolo le hai fatto?”
Iniziai ad urlare disperato all’immagine che avevo sotto gli occhi.
Mi avvicinai di nuovo ad Heaven e mi accasciai sul suo corpo riempiendolo delle mie lacrime.
Non c’era altro da fare.
Heaven era morta.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Erano passati sei anni da quel giorno.
Io mi ero diplomato ed ero andato alla Delta State University a Cleveland dove mi laureai in letteratura inglese con il massimo dei voti.
Il mistero della morte di Heaven mi accompagnò per tutto il mio viaggio.
Quando fecero l’autopsia sul suo corpo scoprirono che morì di un attacco di cuore, un po’ strano per una ragazza di 18 anni in piena forma, ma non c’era nessuna traccia di colluttazione o altro, non era stata toccata da niente e da nessuno.
L’unica cosa che riuscii a scoprire fu che quel giardino veniva chiamato il giardino delle streghe per un motivo.
Salem era conosciuto come il paese delle streghe, e quel giardino era il loro cimitero.
Ogni volta che una strega moriva, veniva seppellita lì con un seme di quercia.
Quando l’albero cresceva si legava al corpo della donna insieme alla sua anima.
La quercia al centro era la strega madre, che comandava tutte le altre.
Mary Sibley.
Era esattamente il 4 settembre del 2028 quando parcheggiai la mia macchina davanti casa dei miei a Salem, ormai nemmeno la definivo più casa mia.
Spensi il motore e feci un lungo sospiro.
Non avevo il coraggio di affrontare quella giornata.
Scesi dalla macchina e mi guardai intorno, in quel momento arrivò una folata di vento e mi sembrò di sentire perfettamente il profumo dei capelli di Heaven, o della sua bellissima pelle candida, i miei occhi si riempirono di lacrime, le lasciai scivolare come se nulla fosse.
La mia vita da quando Heaven era morta ormai non era più la stessa.
Entrai in casa dei miei genitori facendomi una forza disumana.
Mia madre era in cucina con una tazza in mano che aspettava agitata, mio padre era seduto sullo sgabello con la gamba che ballava.
Il profumo di legno della casa mi entrò nelle narici, così come le immagini di tutti i momenti vissuti lì.
Mi venne un nodo alla gola che cercai di buttare giù mentre lasciai la valigia nell’ingresso vedendo le due chiavi del giardino attaccate al portachiavi.
Mi voltai verso di loro e andai ad abbracciare entrambi.
“Oh Adam…”
Disse mia mamma con una voce strozzata.
Io li strinsi forte a me lasciando scivolare altre lacrime dai miei occhi.
Sciolsi l’abbraccio dopo un po’ e mio padre mi asciugò le lacrime sorridendo appena.
“Sarà molto dura eh…”
Dissi io cercando di smorzare la tensione.
Durante il pranzo parlammo di tutto meno che di Heaven o del giardino.
Mi stavo trasferendo a New York e avevo trovato lavoro in una casa editrice molto semplice che non mi chiedeva di scrivere un libro in tre giorni dal nulla.
Mi stavo lentamente sistemando ma non avrei più avuto nessuna ragazza.
Il solo pensiero di toccare una persona che non fosse lei, o di costruire qualcosa che non fosse con lei mi faceva girare la testa.
Quando finii di aiutare mia mamma a sistemare tutto li guardai entrambi e sospirai.
“Io… Credo di dover andare dal padre di Heaven.”
“Ovvio Ad, ci avevamo già pensato noi.”
Io sorrisi e li salutai.
Mi avviai verso casa sua molto lentamente.
L’ultima volta che feci quella strada fu quando lessi la lettera e andai a cercarla.
Non sapevo nemmeno cosa dirgli, ma almeno speravo di riuscire a trovare un po’ di conforto e di portarne un po’ a lui.
Arrivai prima di ciò che mi aspettai e suonai il campanello velocemente.
Dopo poco William Scott si palesò davanti ai miei occhi.
Era invecchiato in malo modo, sicuramente la perdita della sua unica e perfetta figlia non aveva aiutato.
Appena mi vide i suoi occhi si illuminarono, improvvisamente mi sembrò di rivedere il bagliore degli occhi di Heaven.
Mi fece un sorriso splendido e si precipitò ad abbracciarmi come non aveva mai fatto.
“Mio caro ragazzo! Che piacere che mi dai! Vieni dentro veloce, ti offro un bel caffè.”
Io accettai sorridendo a mia volta.
Subito mi sentii in colpa, io e suo padre eravamo felici senza di lei, stavamo ridendo senza di lei.
Come mi era venuto in mente?
Entrai di nuovo in quella casa e improvvisamente mi ritrovai catapultato a sei anni prima.
A quando andai per la prima volta a cena a casa loro, a quando ci fu la tempesta, a quando le portai il regalo di Natale.
Si sentiva sempre un buonissimo odore di biscotti appena sfornati e un profumo di lavanda pervadere la casa.
Entrammo in cucina e subito Will si mise a preparare un caffè.
“Allora? So che ti sei laureato a pieni voti e che ti sei trasferito a New York.”
Io mi misi a sedere su uno sgabello e lo guardai sperando che di lì a poco la figura di una più grande ma bellissima Heaven si palesasse davanti a me.
“Sì signor Scott, ho finalmente trovato un appartamento che non richieda la vendita di un rene e ho anche trovato un lavoro ben pagato e abbastanza decente.”
Rimanemmo a parlare per qualche ora, lui mi disse che era finalmente in pensione e stava cercando di godersi gli ultimi anni della sua vita in pace.
Per me era molto giovane ma lui diceva di essere bravo a nascondere la sua vera età.
Mi disse che aveva comprato un cane, un bel labrador marrone che in quel momento era dal veterinario perché aveva mangiato un calzino la sera prima.
Mi sembrò abbastanza tranquillo il che tranquillizzò anche me.
“Hai trovato la tua dolce metà?” Mi chiese improvvisamente dopo un momento di silenzio.
Io spalancai gli occhi e lo guardai stranito.
“No, penso l’avessi già trovata. Non ne esiste più di una, sa?”
Lui mi sorrise intenerito e si alzò, lo sentii andare al piano superiore e fare i passi precisi per andare in camera di Heaven.
Avrei tanto voluto entrarci di nuovo per sapere se ci fosse ancora il suo profumo in quella stanza, o per buttarmi di nuovo su quel letto e dormire abbracciato a lei.
Dopo poco lo sentii scendere e lo vidi con un quaderno in mano, con il quaderno in mano.
Me lo allungò e io lo presi iniziando a tremare.
“Non penso di doverti dire cosa sia. Questo ti appartiene Adam.
Sai avrei voluto dartelo subito, ma il mio lavoro mi ha sempre tenuto lontano da qui anche dopo la morte di Heaven e tu sei giustamente scappato appena ne hai avuto la possibilità.
Non l’ho mai nemmeno aperto, ma me l’hanno dato subito il pomeriggio in ospedale.”
Io fissai il quaderno totalmente terrorizzato da quello che poteva esserci.
Le lacrime si formarono velocemente nei miei occhi e iniziai a vedere tutto offuscato.
Lui mi mise una mano sulla spalla.
“Lei non avrebbe voluto tutto questo, lo sai bene.
Devi andare avanti. Ci sarà sicuramente un’altra persona che ti farà provare le stesse cose.
Adam…”
Io alzai lo sguardo e posai i miei occhi nei suoi.
“Lei non tornerà mai più.”
Ed era esattamente quello il problema, lei non sarebbe mai più tornata.
Si alzò di nuovo dal divano e dopo poco tornò con le chiavi del giardino in mano.
“Tienile tu, tanto io ho già le mie, in ogni caso non ci andavo mai.
So che le chiavi devono averle solo i residenti, ma tu ormai per me sei come un figlio.
Non ho nessun altro oltre a te. So che lei avrebbe voluto le avessi tu.”
Io le presi continuando a piangere come uno stupido.
“M-Mi dispiace molto signor Scott.
Io avrei dovuto proteggerla, sapevo che si stava infilando in una cosa più grande di tutti noi… Non ho fatto niente.
Ero così imbambolato da lei che non mi sono accorto di niente.”
Lui mi abbracciò, un abbraccio paterno, forte e rassicurante.
Io lasciai scorrere altre lacrime e rimanemmo così, in silenzio, per alcuni di minuti.
Rimasi con lui per qualche ora e poi lo salutai con un altro abbraccio.
Mi incamminai verso casa dei miei genitori con il quaderno in mano e le chiavi in tasca.
Arrivato davanti casa mi girai verso sinistra e vidi in lontananza il possente cancello nero.
Feci un respiro profondo e mi incamminai verso il giardino.
Una volta davanti il cancello iniziai a tremare e ad avere un freddo addosso strano.
Aprii lentamente, quasi come se volessi entrare ma allo stesso tempo avessi paura.
Richiusi il cancello alle mie spalle e mi diressi lentamente verso il centro del giardino.
Una volta arrivato davanti alla quercia provai una sensazione strana.
La prima volta che la vidi mi sentii meglio, adesso, dopo tutto quello che era successo appena me la ritrovai davanti l’avrei solo voluta abbattere.
Era sempre lì, che si pavoneggiava, come se fosse l’unica al mondo.
I suoi rami erano sempre più grandi e lunghi, le sue foglie sempre più rigogliose, intatta come se nulla fosse successo.
Le venature della corteccia sembravano formare un sorriso malvagio e maligno che mi fissava con soddisfazione dopo avermi rovinato la vita.
Mi misi a sedere nel nostro solito punto e aprii il quaderno.
La sua bellissima calligrafia mi fece sorridere amorevolmente.
Iniziai a leggere ogni singola pagina.
Mi aveva notato lo stesso giorno che l’avevo vista io e aveva iniziato subito a scrivere di me.
Di come le avevo cambiato la vita, di come l’avevo fatta sentire viva, di come la sua voglia di scoprire qualcosa di nuovo era tornata dal momento in cui mi ero trasferito.
La sua ossessione per la scatola, per le lettere e le foto.
La sua paura che potesse succedermi qualcosa.
Le volte in cui facevamo l’amore.
In due ore mi ero rivissuto tutta la nostra storia.
Fin quando arrivai alla fine del quaderno.
Heaven aveva scoperto la storia delle streghe sotterrate nel giardino.
Quando la trovai al giardino in preda alla paura aveva visto delle lacrime uscire dalla corteccia della quercia, aveva scritto di aver visto un volto nell’albero che la guardava male.
Non aveva scritto altro.
Si era fermata a quel giorno.
Probabilmente avrebbe voluto scrivere qualcosa, magari aveva visto qualcuno, era stata spaventata.
Ma non aveva avuto nemmeno il tempo di scrivere qualcosa.
Era morta sul colpo.
Chiusi il quaderno e guardai quella quercia maledetta.
Sembrava che i sorrisi maligni che avevo visto prima fossero spariti.
Sembrava anche a me che adesso stesse piangendo.
Ma io mi alzai e le voltai le spalle.
Non avrei mai più rimesso piede in quel giardino maledetto.
Tornai a casa velocemente e andai a farmi una doccia.
Mi misi nel mio letto e pensai a quanto la mia vita fosse cambiata in maniera radicale in così poco tempo e a quanto avrei voluto per un’ultima volta stringere Heaven tra le mie braccia e dirle che sarebbe andato tutto bene.

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


Quando finalmente il signor Scott fu seppellito accanto alla moglie e alla figlia tirai un piccolo sospiro di sollievo.
Adesso sapevo che era felice.
Erano passati 30 anni dalla morte di Heaven.
Io avevo 48 anni, il signor Scott ne aveva appena compiuti 85.
Presi la mano di mia madre e la aiutai ad alzarsi dalla sua sedia.
Ci avviammo lentamente verso la macchina e salimmo insieme.
La riaccompagnai a casa e salutai sia lei che mio padre.
Una volta lasciati loro, andai verso la mia nuova casa.
La casa di Heaven.
Avevo passato gli ultimi 30 anni nel mio appartamento a New York ma ogni fine settimana lo passavo a casa di Heaven con il signor Scott.
Dopo la mia ultima visita a casa sua mi sentii cambiato, capii che sì Heaven non sarebbe più tornata ma io sì.
Glielo dovevo.
Partivo tutti i venerdì sera e ripartivo la domenica pomeriggio, passavo le giornate con lui e tornavo a dormire la notte a casa dei miei.
Scrivevo i miei libri nel portico con lui e parlavamo del più e del meno.
Mi insegnò a curare l’orto e ad aggiustare la sua vecchia alfa romeo che teneva in garage.
Ogni volta che scrivevo un libro glielo portavo firmato e lui lo metteva nella sua libreria dove ormai aveva riservato un intero angolo solo per me.
Come se per lui fossi in grado di scriverne un’infinità.
Alcuni giorni prima che morisse arrivai a casa sua, con il manoscritto non ancora pubblicato di un libro e glielo diedi.
“Oh mio caro ragazzo, hai finito un altro libro?” Mi disse lui con gli occhi lucidi.
“Leggi il titolo Will.” Dissi io iniziando ad apparecchiare per la nostra solita cena.
“Heaven.”
Lui sorrise, un sorriso pieno di amore e pieno di gioia.
Per la prima volta da quando andavo da lui lo vidi triste per lei.
“Adam… Sarebbe così fiera di te.”
Io lo abbracciai.
“E noi lo saremmo di lei.”
Quando cinque giorni dopo morì mi chiamarono e mi dissero che aveva lasciato tutti i suoi averi a me, compresa la casa di Salem.
Rimasi un po’ fuori dalla porta non convinto di voler entrare ancora in quella casa senza nessuno.
Quando lo feci guardai immediatamente verso il piano superiore.
Feci le scale due a due fino ad arrivare alla porta bianca della camera di Heaven.
La aprii lentamente e il mio cuore iniziò a battere velocemente.
Non ci ero mai entrato da quando era morta.
Tutto era esattamente come lo ricordavo, il suo letto ancora con il copriletto rosa, i suoi pupazzi sul davanzale della finestra, la collezione di candele sul comodino e i suoi vestiti appesi con cura nell’armadio.
Vidi numerose boccette del solito profumo, tutte vuote tranne una.
Sperai vivamente che non fosse sparito e lo aprii.
Vidi che non c’era polvere sulla boccetta e capii subito.
William comprava quotidianamente il suo profumo per spruzzarlo nella camera.
E fu quello che feci anche io.
Spruzzai il profumo di Heaven nella sua stanza e mi misi a sedere sul suo letto.
Chiusi gli occhi e in quel momento la vidi.
La vidi entrare in camera sua con i suoi capelli sciolti e la sua tuta rosa.
La vidi mettersi a sedere accanto a me e guardarmi negli occhi, rividi i suoi occhi brillanti e lucenti e mi si scaldò il cuore.
La baciai, mi baciò e mi fece sentire di nuovo bene.
“Ti amo Heaven.” Dissi io con il cuore a mille.
“Ti amo Adam.” Mi rispose lei sorridendo.
E lì, in quel momento, con lei, mi sentii di nuovo come se fossi nel posto giusto e al momento giusto.

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