Eärendil- l'incontro di due mondi

di ClodiaSpirit_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aria di Guerra ***
Capitolo 2: *** Edhel ***
Capitolo 3: *** Mathar ***
Capitolo 4: *** Il richiamo di Ulmo ***
Capitolo 5: *** Canto di Battaglia ***
Capitolo 6: *** Volontà ***
Capitolo 7: *** Malaugurio e Tenebra ***
Capitolo 8: *** Anime nel buio e costellazioni ***
Capitolo 9: *** Bronad - Sopravvivenza ***
Capitolo 10: *** Spada ed Arco ***
Capitolo 11: *** Erusèn - Fiducia ***
Capitolo 12: *** Rivelazioni ***
Capitolo 13: *** Un diverso punto di vista ***
Capitolo 14: *** Ithil ***
Capitolo 15: *** Naturale ***
Capitolo 16: *** Fusione ***
Capitolo 17: *** Peth ah Lútho ***
Capitolo 18: *** Edhel's hun ***
Capitolo 19: *** Nienor ***
Capitolo 20: *** Richiami Notturni ***
Capitolo 21: *** Era di silenzi ***
Capitolo 22: *** Gadas ***
Capitolo 23: *** Moria ***
Capitolo 24: *** Ripresa ***



Capitolo 1
*** Aria di Guerra ***


Aria di Guerra
PROLOGO.




 


Le mura di Boscoverde nel regno a nord della foresta al di là delle montagne Nebbiose di Arda, non erano mai state così in fermento, soprattutto all’interno del palazzo del Re degli elfi silvani, Elrohir.
Il palazzo del Re in fondo alla foresta, riceveva ospiti inattesi preannunciando l’arrivo di una tempesta.
Non era una tempesta fisica però: il cielo reggeva un blu intenso, non dando nessun segnale di imbruttimento e un’altra giornata sembrava lasciar scivolare la quiete e la pace, solo sentimenti e sensazioni pure tra i vari visi e volti, grandi e piccoli del luogo.
Bambini, donne, uomini riuniti per celebrare infatti, la sera precedente una festa che aveva sigillato un'unione, aveva portato gioia. Calici di vino, frutta, tavole imbandite avevano riempito gli spazi, con musica e balli, vesti leggere che volteggiavano al rumore dei flauti popolari.
Ecco anche perché sembrava che il buio fosse quasi obbligato a non presentarsi più sulla vita del popolo elfico dopo anni di incidenti e minacce.
Boscoverde era stato in pace per ben settanta ere se si escludevano episodi indelebili e che avevano segnato per forza di cose, la storia del popolo.

O di alcuni di loro.

La tempesta difatti, invisibile, si presentò come una minaccia che prendeva forma via via che il tempo passava e sarebbe risuonata ben presto in un altro modo dentro quegli stessi visi quesiti, saggi, bianchi candidi e pieni di speranza. Il popolo discendente dagli antichi elfi Nandor, amante della natura che da secoli abitava la foresta e viveva con le rispettive famiglie e prole, subì un duro colpo proprio in quel mese della seconda delle sei stagioni, del lor anno: il mese di Tuilë, cioè la fine della Primavera. Nessuno si aspettava che in quell’Aprile, delle guardie arrivassero correndo, quel tardo pomeriggio, in cui il sole stava toccando appena le foglie dei faggi, delle alte querce, aceri e latifoglie sempreverdi e anche le coltivazioni e i giardini di erbe e piante naturali delle case della comunità del bosco.
Solo qualche passante le vide ma passò oltre, con i cesti pieni di fiori, ed erbe fra le mani o pensando sicuramente a ben altro.
Le due guardie elfiche sui due cavalli scattanti neri, arrivarono e scesero - allo stesso modo in cui erano arrivate - , di fretta dai loro stessi animali e accolta la loro voce irrequieta dalle altre due guardie a protezione del Palazzo a due piani di Boscoverde, sorgente nella parte più lontana della foresta, furono lasciati passare attraverso le grandi porte in legno di quercia dell'edificio.
Nessuno si aspettava di essere svegliato dal suo sonno – o almeno quello che stava cercando di fare – mentre avvertiva che suo padre, il re, accogliesse qualcuno dentro casa.
O almeno, quella che doveva sembrare una di quelle, anche solo fisicamente.
Dalle finestre bifore e dalle vetrate ampie e frastagliate con una decorazione a rombi, una volta scostate le tende lunghe e chiare, la luce filtrò e la prima cosa ad esserne colpita fu la sua mano. Poi quella stessa fonte luminosa, gli carezzò piano uno dei suoi occhi riflettendosi dentro l’iride e con quello soltanto, Simone osservò due grandi cavalli sellati, muniti di morso appostati proprio ai lati della residenza reale. Qualche passo indietro lo portò a sistemarsi la piega della lunga tunica color miele con pochi gesti delle dita. Le dita si mossero delicate, mentre le lunghe maniche, che ricadevano all’altezza dell’addome, proprio quel giorno, gli davano più fastidio del solito.
Abbiamo ospiti, pensò riluttante.
Avrebbe dovuto fargli piacere, se solo non fossero personalità mandate per comunicazioni al Re, cioè suo padre. Avere veri ospiti era inusuale per quella immensa casa. Simone avrebbe preferito di gran lunga arrivare fino alla piccola stalla adiacente al palazzo e fuggire via in sella alla sua cavalla, bearsi del rumore della foresta e allontanarsi dalla facciata che doveva prestare a palazzo.

E invece, quel giorno, non scelse quella opzione.
Come sempre, la curiosità si trovò a divorarlo anteponendo la libertà al dovere. In questo caso però il dovere sarebbe stato mascherato: avrebbe cercato di capire senza farsi vedere. Il sentimento di curiosità gli divorò il viso con un'espressione dubbiosa e poi, dall'interno, creando quasi una specie di ballo dentro al suo stomaco.
Quelle maniche lunghe della veste che gli cadeva addosso una tunica morbida, ricaddero all’opposto sulle braccia come un macigno, nonostante ormai ci fosse abituato. Simone non pensò dunque fosse dovuto unicamente a ciò che indossava, ma per lo più da una sensazione presente da un po’ di anni ormai. Perciò, sospirò e lasciò la sua stanza per recarsi al piano di sotto.
Simone attraversò il corridoio in pietra. Scese la lunga scala sinuosa e a chiocciola, senza davvero gran fretta. Calcolò ogni passo, controllando il respiro – come aveva imparato fin da piccolo - , finché fermo a metà, non si sentì colpire di un calore intenso, lì, proprio sulla nuca scoperta e dove i suoi capelli neri non arrivavano. Il sole stava facendo capolino da un’altra delle finestre bifore alta, incastonata nel muro. Sorrise verso la sorgente di luce, ma per qualche piccolo secondo, beandosi e vivendo addosso un’illusione effimera che così com’era nata, scomparve: come se quel sole potesse giovargli per qualche breve attimo il peso di qualche pensiero in meno.
Una volta attraversata la piccola sala inferiore, notò la porta della sala del trono lasciata socchiusa. Simone sbirciò: due guardie stavano discutendo con suo padre, seduto al centro sul suo trono.
Dalla mano sul mento e dallo sguardo chiuso e serio – non che Simone gliene avesse conosciuto altro addosso per anni – doveva essere una questione abbastanza importante. Le guardie lo portarono ad annuire, gesticolando appena e tutto quello che Simone sembrò cogliere perché uno dei due uomini non usò più un tono basso fu:

« Sire Elrohir, è richiesto il vostro aiuto »

Simone colse il sospiro di suo padre. Si alzò dal suo trono, le mani raccolte sul grembo, la corona d’oro e a spirale rovesciata sul capo, la barba e i suoi occhi consapevoli. La lunga veste verde scura, bordata oro, toccava terra e rendeva la figura del Re ancora più severa. Elrohir annuì, ponendosi di fronte ai suoi ascoltatori ed emissari.
L’udito di Simone fece il resto del lavoro, un occhio osservò dallo spiraglio ancora libero e suo padre, in un tono rispettoso e profetico quasi come stesse trattando di qualcosa di irreversibile, pronunciò la fine di quel mistero:

« Non mancherà la mia risposta a questa chiamata. Da ora, do l’ordine di radunare un adeguato numero di truppe, gli Elfi del Sud e dell'Est. Qualsiasi numero, non baderò a spese, se risponderanno tanto meglio. Risponderò, ma non andrò io. La mia età e le mie mani non sono più quelle di un tempo, non è mio compito. Dovrò parlarne con mio figlio »

Mio figlio.

Simone si strinse alla collana che portava al collo, afferrò la pietra al centro. Poi, vedendo o meglio, spiando per un’ultima volta i due uomini intenti a inchinarsi davanti a suo padre, diede le spalle alla sala del trono e risalì di corsa le scale con passo agile, avvertendo questa volta - il peso inesistente e causato dalla sua velocità, della veste leggera che portava indosso.
 
 
 
 
 
Chiamato, qualche ora dopo, Simone si presentò nella sala del trono, incontrando lo sguardo inchiodante di suo padre, Elrohir. Il suo arrivo gli disegnava come novità due tondi come occhiali, due lentine che portava appena visibili realizzategli apposta da un elfo artigiano, proprio sopra la punta del naso. Li usava per leggere, infatti aveva un tomo tra le mani, chiuso di scatto, una volta che Simone varcò la soglia della stanza. Lo accolse con un cenno del capo e posò il tomo da parte in equilibrio sul bracciolo del trono. Simone si fece avanti, raccolse del coraggio che aveva costruito nel corso di ere, le mani in grembo, una vaga aria di formalità come prassi abitudinaria.

« Padre, mi cercavate... posso sapere il motivo di tanta urgenza? »

Anche se sospettava il perché dopo aver spiato quella conversazione nel primo pomeriggio, Simone non aveva idea di cosa potesse essere successo in sole ventiquattro ore. La sera prima c’era stata aria di festa e adesso veniva convocato in chissà quali segreti o informazioni.

« Simone, siediti, per favore » il Re gli indicò la tavola lunga e arcuata in legno di quercia a lato destro della stanza, rivestita con una tovaglia leggera ricamata e qualche calice per bere e candelabro sopra « Hai fatto tardi » aggiunse.
« Chiedo scusa ero uscito per una passeggiata a cavallo » concluse il figlio.

Il silenzio aleggiò fin troppo a lungo prima che il Re riprendesse posto sul trono, lontano anni luce da suo figlio, annuendo di conseguenza.

« Non mi avete mai andato a chiamare se non prima di cena, cos’è successo? » chiese Simone con un filo di voce e abbastanza curioso.
Il Re corrugò le labbra in una smorfia, le cui labbra superiori erano appena nascoste dalla barba curata e con qualche filo bianco al suo interno.

« Hai ragione, se l'ho fatto è per una questione di estrema urgenza. E di sicuro, potevi avvertire le guardie o aspettare prima della tua passeggiata. »

Quel tono appuntito e spigoloso era solo l'inizio che preannunciava una fine.

Calma, Simone.


Simone annuì lentamente serrando appena la mascella. Una mascella simile a quella del padre, contratta nello sforzo di mantenere l’equilibrio instabile di un’aria già tesa. Suo padre non lo stava nemmeno davvero guardando. Non lo faceva davvero da anni, non lo faceva da quando erano rimasti soli entrambi. E se i suoi occhi indagatori si posavano, usavano un filtro sociale e formale: Simone non si sentiva considerato nel modo normale in cui si considerava un figlio.
Anche le pareti di pietra davanti a lui quindi, sembrarono cogliere di la sua presenza più che il suo stesso padre.
O forse era meglio chiamarlo solo Re.

« Voci di corridoio di giorni fa si sono rivelate vere. Non volevo crederci e pensavo fossero solo dicerie tra popolani, ma mi sono sbagliato. Sono venuti due messaggeri oggi a riferirmi di una minaccia incombente a nord delle terre dei mortali, » cominciò Elrohir con voce seria e importante « prossima meta saranno gli uomini dell’Ovest e del Vespro, non rimane molto tempo prima che questa minaccia si sposti sui nostri territori. Dobbiamo muovere le nostre truppe, al più presto e agire di conseguenza. »

Il volto di Simone si rabbuiò all'istante voltandosi verso gli occhi di suo padre, che questa volta sì decisero a pesare dentro ai suoi.

« State parlando di una... una guerra? »

Il Re annuì, si massaggiò appena le tempie liberando una mano, che alzandosi lasciò penzolare la lunga manica dell'abito. Le orecchie a punta erano nascoste dai lunghi capelli neri, ricadenti sulle spalle.

Guerra.

Il sapore gli risuonò amaro e nuovo in bocca al tempo stesso.
Simone non aveva mai conosciuto la guerra. Forse solo una guerra interna e il cui scrigno veniva aperto solo quando la nostalgia e mancanza erano troppo forti da sopportare.

« Non possiamo rispondere a questa minaccia se non con le armi. Il nostro popolo va difeso. »

« Sapete già di che si tratta? Chi la sta muovendo, chi ci sta minacciando? »

Elrohir spiegò quello che gli era stato riferito poche ore prima.

« Ci sono state delle razzie. Case bruciate, raccolti distrutti, sangue e molte famiglie di mortali hanno dovuto abbandonarle e rifugiarsi presso alcuni conventi e chiese. Sono diventati degli sfollati. Il fenomeno si sta spostando e in fretta. Questa cosa è potente, » continuò suo padre con un tono pieno di odio proveniente da un passato ancora vivido. Simone pensò a qualcosa che avrebbe dovuto sopprimere, ma ritornò comunque a galla « non è opera di un uomo né stregone. Nessun uomo oserebbe così tanto o sarebbe così vendicativo con la sua stessa specie. Qualsiasi sia il torto subito. No, questa è di sicuro la mano di un esercito di orchi, mostri e anche numeroso. »

Orchi.

Simone non ne aveva mai visti per sua fortuna o sfortuna in vita sua. Quelle strane creature le ricordava solo nelle storie raccontategli dagli elfi anziani o tramite le leggende o storie dei suoi genitori. D'altra parte, suo padre in giovane età, aveva affrontato varie battaglie, ma in nessuna di queste Simone aveva preso parte. Si limitò ad annuire.

« Quindi... dobbiamo...dovete partire? »

Non sapeva esattamente cosa sarebbe successo, ma sicuramente il palazzo non sarebbe stato più un luogo sicuro per loro. Per lui.
Il Re si alzò dal trono e di conseguenza Simone si sentì in dovere di alzarsi dalla seduta e porsi di fronte a suo padre. Toccò gli anelli vistosi che portava alla mano sinistra e desta.

« Sei un principe Simone » esordì Elrohir « e come tale è giunto il momento di prenderti le tue responsabilità. »

Simone cominciò a tremare e per tenersi calmo, coprì una mano che stava già sul grembo sopra l'altra. Annuì, senza effettivamente dare voce al pensiero nefasto che aveva appena formulato la sua mente.

« La mia età non mi permette di partire e attraversare più di una parte del confine. Non sarei di certo una mano d'aiuto a chi sacrificherà la sua vita per questa causa. Come mio erede, sarai tu a partire e prenderti carico delle truppe, dell'esercito. Tu, figlio mio, » e così gli si avvicinò ma senza toccarlo « andrai in guerra.»

Simone chinò il capo. Bisbigliò quasi.

« Decidete per me un cammino per cui non sono pronto, padre. »

Il Re sospirò esasperato, mantenne però la calma nel suo tono che suonò piatto, privo di emozioni.

« Così come non lo sei per il matrimonio? »

Non potete trattarmi così.

« Padre

« Simone la mia non è una richiesta. Ho interrotto la ricerca di una compagna che potesse favorire la successione del nostro sangue proprio perché non ne eri pronto. Questo è un dovere da cui non puoi sottrarti.»
Elrohir posò le mani sui fianchi, cercando di tenere se stesso saldo.

« Vi ho detto che non sposerò chi non conosco o chi non amo! » precisò Simone fermo, risoluto. « Io non sposerò qualcuno solo per continuare una linea di sangue reale o solo perché siete voi a deciderlo per me! »

Gli occhi del Re si riempirono di rabbia, mista a delusione. Serrò la mascella, indurendo ancora di più la sua espressione. Lasciò cadere il silenzio e si indirizzò al lungo tavolo di legno, dov’era seduto ancora il figlio. Il re afferrò un calice decorato pulito e ne verso all’interno del liquido porpora già pronto: vino.

« Prima o poi, dovrai sposarti, Simone e questo lo sai bene. La nostra stirpe dovrà continuare e dovrai regnare una volta che io me ne sarò andato o non ne sarò più in grado. E’ tuo dovere garantire tutto questo, come io l'ho garantito a te e mio padre a me. » continuò ore più il Re che il padre, duro e rigoroso.
Simone si accigliò. Sembrava inutile provare a respingere la posizione ostinata di suo padre, nonostante le proprie continue opposizioni. Suo figlio, l’unico che aveva. L'unico su cui verteva la linea di sangue, la responsabilità di negare se stesso o ciò che voleva veramente. L’unico che non gli avrebbe dato un nipote. Simone ne era sempre più sicuro. Molti degli elfi silvani – perché allontanati o per volontà - si distaccavano dalla comunità d’appartenenza per andare via e vivere in libertà. Se suo padre avesse continuato, lui stesso avrebbe preferito una vita lontana dalla sua stessa terra, pur di liberarsi da quella che sembrava sempre più una prigionia.

« Elanor, tua cugina, ne ha dato un esempio giusto ieri » continuò suo padre, nello stesso tono quasi di rimprovero « Siete sempre stati vicini fin da ragazzi, forse dovresti ascoltarla di più, dovresti seguire le sue orme o quanto meno cominciare a capire il peso della corona che porti sul capo. »
Il peso. Quel peso sono io per te, padre.
« Il tuo futuro, non è cosa di poco conto, figlio. » aggiunse poi, con tono saggio.
Il mio futuro, non il vostro.

« Vorrei ricordarvi che Elanor si è unita in matrimonio per amore, padre. E’ stata una sua scelta, così come è stato un caso fortuito che si sia unita a un conte. »
Non ha dovuto scegliere per la volontà di altri.
Simone avrebbe continuato a parlarne, a dire quanto Elanor non avesse subito il peso dei suoi genitori, di come la sua anima fosse stata lasciata libera di scegliere e scindere certe imposizioni sociali. Avrebbe voluto raccontargli che lei aveva svolto il suo lavoro di padre fino al momento delle nozze, perché lui non avrebbe mai capito suo figlio.
Simone era rimasto da solo a combattere quella battaglia.
« In ogni caso sembra avere più buon senso del mio stesso figlio » borbottò tra sé e sé Elrohir, ma il tono di voce non servì a non essere sentito da Simone.
Le loro orecchie erano fatte per ascoltare, per ricevere più attentamente i suoni, anche i più spiacevoli.
I suoi occhi si abbandonarono infatti poco dopo, serrandosi, concedendosi la poca forza che ancora possedeva in corpo, per non crollare davanti a quell’uomo. Inutile dire che il vuoto li avrebbe presto riempiti gli occhi di Simone, una volta conclusa quell’ennesima arringa inutile e formale. Il Re abbandonò riluttante il tentativo di forzatura, ondeggiò con il capo e riprese da dove aveva interrotto. Mosse il calice e ne mandò giù un sorso, poi lo posò e voltando le spalle al figlio, parlò:

« Ne riparleremo presto. Fin quando sarò in vita risponderai a me e solo a me. Ne riparleremo, ma non è questo il giorno. La nostra risposta è stata data, figlio. La nostra gente non dovrà gridare alla devastazione e alla morte. E’ già stato deciso ed entro oggi mi muoverò di conseguenza per organizzare la spedizione: tu andrai in guerra
Simone serrò i pugni lungo i fianchi dando libero sfogo alla sua voce anche questa volta.

« Padre sapete benissimo che non sono pronto! » Simone inghiottì saliva per proseguire, la paura nella voce lo sovrastò « Mi catapultate da un giorno all’altro in qualcosa che non conosco. La guerra…credo sia qualcosa di troppo grande. Chi sono io per poterne far parte? Io non ho le basi, non ho mai guidato un intero esercito di uomini o mai segnato o pianificato piani di conquista, non ho mai istruito nessuno, né ho mai attraversato il confine o sono uscito dai confini della foresta dopo la morte di... » il tono gli fece tremare la voce e si spezzò nell'esatto momento in cui fece la sua comparsa l'unica donna della sua vita che gli abbracciò il pensiero « la morte di mia madre » il tono gli fece tremare la voce e si spezzò nell'esatto momento in cui fece la sua comparsa l'unica donna della sua vita che gli abbracciò il pensiero.

« Sarà quindi un onore conoscere il mondo e farne esperienza dopo tutto questo tempo. Metterò a tua disposizione le mappe del regno di Arda, in modo che tu possa studiarle in questi giorni, verrai preparato a dovere dai migliori maestri elfi della guerra che abbiamo qui » suo padre cercò di addolcire il suo sguardo e solo per quel poco, Simone sembrò non riconoscere la scorza rigida e austera a cui si era abituato. « La mia non è una condanna, » precisò Elrohir corrugando la fronte « è mio compito lasciare che tu capisca davvero cosa significa essere a capo di un popolo, una comunità. E’ anche un’opportunità Simone, di capire, crescere, comandare. Hai l’età giusta. »
Parlava come se fosse una divinità onnisapiente, più parlava e più Simone pensava di voler scappare.

« Lo dobbiamo a chi ci rispetta, ci guarda, chi difendiamo. Il nostro popolo ha bisogno di una guida, fuori da queste mura, conta sulla nostra risposta. E tu, adempierai a questo grande compito come elfo e come reale. »

Simone cercò di controbattere alle parole del padre, ma sapeva che non ci sarebbe stato nulla in grado di fargli cambiare idea. Tantoché il Re emise l’ultima sentenza proprio lasciandolo a bocca aperta.
« Altri giovani come te, si uniranno alla missione. »
Il suo destino, era già segnato. Simone avrebbe lasciato la sua Terra e tutto ciò che amava. Forse però, la lontananza da quelle mura di pietra del palazzo gli avrebbe permesso di allontanarsi da tutto quel mondo che si era imbruttito, chiuso, come sporcato di nero dopo la scomparsa di sua madre. Il Valar Mandos gli era stato appena mandato come sicario e giudice e suo padre, il Re, ne aveva appena preso le veci e le sembianze. Non poteva avere altro ruolo migliore, date le sue inclinazioni.
Simone chinò dunque il capo a quelle due identità così ignote, di cui una visibile e fisica, e l’altra invisibile e leggendaria.

Sono un tuo sottoposto, non tuo figlio.

« Se pensate che io ne sia in grado, cercherò di fare del mio meglio e impegnarmi. Cercherò di non deludervi. »
Sembrò recitare quelle parole senza una punta di sentimento, ma solo per inerzia poiché Simone lasciò il posto al suo ruolo sociale, cancellando la sua persona. Avrebbe voluto ricevere un credo in te, ma sarebbe stato troppo. Suo padre aveva smesso di dirglielo e ripeterglielo tanto tempo fa.

Invece Elrohir si limitò a un breve cenno del capo e a una leggera smorfia, forse, un sorriso. Ma non poteva scommettere che fosse perché sentito, ma solo perché costretto dalla responsabilità.

« Molto bene, Simone, vedrò di far sbrigare i preparativi per la partenza » rispose Elohir. « Dirò a Fëanor e Beren di darti altre informazioni in questi giorni. Loro partiranno con te. Avrai bisogno di una qualche forma di protezione. »

Fëanor e Beren, sono loro i miei genitori adesso?
Il principe però non rispose stizzito, né con delusione, si limitò ad annuire verso quella figura sempre più lontana e assente dall’immagine paterna e congedandosi, ritornò di sopra, salendo le scale e chiudendosi nella sua stanza.
 
 
 

 
**
 
 
 


Era appena sicuro di aver cominciato a lasciarsi dietro di sé un altro pezzo della sua esistenza o quella che era stata la parte iniziale di quella che poteva chiamare tale.  Questa volta però, non pianse, anzi, come se una pietra si fosse incastonata tra il petto e il cuore, Simone osservò il buio coprire come un manto il cielo e insieme a lui, inglobare la luce che poteva essere rimasta.
Se mi avessero detto di dover andare prima in guerra, probabilmente sarei scappato.
Simone era uscito dopo cena, volendo assentarsi da quella piccola recita re-figlio come se non avesse saputo da qualche giorno cosa lo avrebbe aspettato da lì a un mese. Una parola a proposito e in lingua gli risuonava nelle orecchie, sentita dalle labbra delle guardie a palazzo: Lothron.
Era stato scelto il mese di Maggio per dare il via alla spedizione e lui aveva poco meno di due settimane per prepararsi a tutto quel nuovo universo. Tutto ciò che si era concesso per quel momento, erano brevi pomeriggi imparando le prime strategie di combattimento da grandi caporali che avevano combattuto per anni, memorizzato a malapena i nomi degli uomini – oltre che i nomi degli mezz’elfi ed elfi come lui (tra cui alcuni che non aveva mai conosciuto e sicuro di altri territori) che avrebbero eseguito ogni suo comando, ordine e volere.
Lui, che l’unico desiderio che ricercava lo avrebbe voluto riscattare nello sguardo si suo padre.
E’ per lui che sono in questa situazione.
Mamma, papà non era così anni fa.
Lui, che l’unico desiderio che ricercava era fargli capire che voleva scegliere per sé come condurre la sua vita.
Aveva rinunciato ad imparare o quanto meno, rifiutava le sessioni di lezioni con la spada. Il suo arco e le sue frecce erano gli unici strumenti con cui era cresciuto. Era riuscito a padroneggiarli nel momento in cui aveva compiuto i cinque anni: non li avrebbe sostituiti di certo con altro. Se il caso lo avesse richiesto, solo allora avrebbe impugnato una spada o avrebbe chiesto a qualcuno di insegnarglielo. E sarebbe stato difficile, perché una spada, era sinonimo di crudeltà, di sangue versato, di qualcosa che indossava con fierezza o con orgoglio solo per chi riusciva ad uccidere.
Io non ho mai ucciso nessuno.
Se non si teneva conto della caccia stagionale o di qualche uccello che sfrecciava nel cielo, Simone non aveva mai davvero ucciso. Non a sangue freddo, non un altro essere umano.
Si guardò le mani pulite, l’anello al mignolo e qualche altro sparso. Osservò la sua pelle chiara e intoccata, pensando a come si sarebbero riempite di cicatrici – sopportabili è chiaro, l’arco e le frecce gliene avevano segnate di piccole lungo i polsi o le braccia nel corso del tempo – ma soprattutto, si sarebbero macchiate inevitabilmente del sangue di qualcun altro, che si meritava quella fine, ma che sarebbe caduto attraverso un suo gesto, un’azione scaturita dal suo corpo, dai suoi nervi, dal istinto.
Lui che era abituato a controllare tutto ormai da troppo tempo.
Lui che si era fortificato dentro le mura del castello e che aveva vissuto solo attraverso le piante, le cavalcate, le poche chiacchierate con poche facce amiche del posto o con sua cugina prima che si sposasse.
"Sembra avere più buon senso del mio stesso figlio" – il tono di suo padre gli risuonò nelle orecchie appuntite e ben esposte alla brezza serale.
Buon senso sarebbe stato non partecipare proprio a quel matrimonio se avessi saputo che me lo avresti rinfacciato ancora una volta, pensò.
La pace e la gioia che trasudava da un viso innamorato e felice, quello di Elanor e del suo sposo – due personalità così diverse caratterialmente ma capaci di unire un filo rosso invisibile - forse non gli sarebbero mai appartenute come sentimenti.                                                                                      
Forse Simone avrebbe sempre affidato se stesso alla ragione, perché il verbo amare era un concetto un po’ impolverato e accartocciato come pergamene antiche con parole che si confondevano per creare un senso logico.
Lui che la parola amore la conosceva, la aveva conosciuta, ma gli era stata portata via troppo presto.
O comunque, si disse tra sé e sé, se fosse realmente successo, di trovare un briciolo di pace, di conforto, di fiducia in altri occhi, suo padre non glielo avrebbe mai concesso.
Simone si trovava quindi, seduto e perso nella frescura serale della foresta accanto a quella quercia secolare, distante dal castello e dal centro abitato, distante dalle luci delle case o da occhi indiscreti.
Distante dal suo Mandos.
La testa proseguiva come una spirale e andava via via percorrendone l’insolita struttura vorticosa e di risucchio. Le gambe erano portate al petto, la veste color pastello si era appena piegata e una mano, cercava di rilassare il corpo intero nel toccare la ruvidezza di un germoglio inumidito verde appartenente a un rampicante che stava crescendo proprio accanto a quell’albero. Simone lo guardò meglio: era una pianta di gelsomino. Ricordò che la prima fioritura stava pian piano accumulandosi lungo le zone più nascoste della foresta, insieme a tanti altri tipi di fiori ed erbe medicinali. Per l’estate quel rampicante sarebbe stato colmo di piccoli fiori profumati, simili a tante piccole fragili stelle fiorite sulla terra invece che in cielo.   Simone sospirò riluttante e stringendo gli occhi. Sarebbe voluto diventare una pianta, connettersi al terreno, trasformarsi in qualsiasi altra cosa e lasciare la sua stessa natura, il suo ruolo. Il pensiero di dover abbandonare il verde che lo circondava, i sorrisi della poca gente vicino al castello che non lo avevano mai fatto sentire un peso, un difetto, un errore. D’improvviso, un muso bianco e peloso si chinò con la sua criniera, giocoso e proprio davanti i suoi occhi, gli scompigliò i capelli ricci con i grossi denti e scuotendo appena il capo. Brontolò quel poco per manifestare l’evidente disappunto. Almeno, in tutto quello non era solo. Simone allungò una mano ad accarezzarne il pelo sopra il muso, proprio in mezzo ai due occhi neri e bisognosi di attenzione e affetto.

« Lossë » pronunciò lento, sfoggiando un piccolo sorriso. « Hai ragione, sono così perso nei miei pensieri, ma non mi sono certo dimenticato di te »

La cavalla sbuffò in stato di felicità appena riacquisita dal suo padrone. Simone poggiò il palmo della mano nello stesso punto del suo pelo bianco candido e sospirò di sollievo, poi tolse la mano e ci stampò sopra un piccolo bacio.

« Domani dobbiamo allenarci , sia mai che un “principe come voi cada da cavallo mentre è in battaglia” » sbuffò Simone, mentre la cavalla si strofinava con il muso contro la sua guancia. Il padrone provò un leggero solletico, incurvò la bocca creando due pieghe per via di un tenero sorriso e portò delicatamente la cavalla a scostare il muso e a guardarlo.

C’è lei.

« Beh, se non altro saremo insieme ad affrontare questa cosa. Almeno la mia compagna di avventure, ho potuto sceglierla »
La cavalla nitrì in risposta, come a suggerirgli un convinto.

« Mellon nîn » le sussurrò il principe strofinando il naso sul suo pelo provocando alla cavalla quasi lo stesso solletico.

Amica mia.

Poi Simone guardò il cielo: la luna era tagliata a metà, uno spicchio di un intero, un’unità divisa, proprio come la sua volontà. Carezzava ora la guancia di Neve, che si beava sbuffando di quei piccoli tocchi. La mano libera si portò al collo, sfiorò la pietra cristallizzata che quasi brillò ancora di più proprio quando Simone proferì parola, agganciando sempre i suoi occhi a quel corpo celeste fisso in cielo:

« Lo sai vero, che lei è l’unica cosa che ho adesso? »

Simone non credeva di essere pazzo. O forse era solo il primo Elfo di Boscoverde ad essere totalmente impazzito: sarebbe stato un ottimo motivo per sfuggire alla sua responsabilità. Anche se fosse sembrato pazzo, per lui era diventata un’abitudine comunicare in quel modo, cercare una via di scampo a quel mondo, invece che urlare fino a perdere la voce. O al posto di correre con il suo cavallo e sentire il vento accogliere la sua figura e la sua euforia.

« Ti prometto che farò ciò che posso » gli occhi ancora rivolti alla luna, le dita stringevano la pietra irregolare come il talismano più prezioso. « Per renderti fiera. Per renderlo fiero. »
Simone sembrò cercarci dentro e disperatamente, tutta la calma e la forza che il suo corpo o la sua anima non riuscivano più a trattenere. Eppure poteva dirsi in apparenza a una prima occhiata, solo e soltanto una pietra.

« Tu però non dimenticarmi. Cerca di indicarmi la strada, perché da solo non ce la farò, mamma »

Era qualcosa di più, era un ricordo, era una persona. La cosa più importante della sua vita, prima di Neve che ora gli si era accovacciata accanto, zoccoli ripiegati e fronte equina contro quella del suo padrone, in modo da poter stare comoda insieme a lui. Era stata la cosa più importante riassunta in un’unica stella.

Cora.

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Capitolo 2
*** Edhel ***


Edhel.

Elfo.


Hrívë - Inverno


Tanti anni prima.

Quando attraversò l'erba alta, le sue piccole gambe si nascondevano e solo i suoi ricci neri spuntarono come ciuffi ribelli e disordinati. In mezzo alla foresta, Simone si divertiva a osservare i piccoli bruchi o semplicemente le farfalle che si nascondevano con le ali chiuse - forse perché impaurite - da occhi di curiosi e indiscreti. Non sembrava sentire freddo avvolto in quella sua veste giallo scuro con una cintura ricamata in vita e con un orlo così delicato, che anche un esile ramo avrebbe potuto romperne e spezzarne la trama.
Seppur all’apparenza poteva trasmettere un’aria calma e pacata, ogni qual volta che usciva da Boscoverde per respirare quell’aria senza la necessità di dover vedere gli altri inchinarsi alla sua uscita o ritorno da palazzo oppure per guardare altrove con un certo sdegno in viso, il piccolo elfo si rabbuiava quasi, cercando di capire il perché di quei comportamenti.     
Simone, al di là del sangue nobile, era un elfo come tanti altri. 
Correva come ogni volta lungo quel solito cammino che collegava la valle che portava al ruscello - di acqua quasi sempre fredda - , alla prima radura ricoerta di verde e pioppi, larici, betulle, i castagni, i meleti. Sospirava nella pace davanti a quel verde che profumava di bagnato e fresco o almeno, che suggeriva con quel suo colore la speranza. Colore, che sarebbe rimasto fino alla prima dell’entrata del pieno mese invernale, e i cui pomeriggi che lo avrebbero preceduto, erano dedicati alla raccolta nelle zone più rigogliose della foresta con sua madre.
Simone era a tutti gli effetti, a discapito del pensiero degli altri, un elfo, nonostante fosse nato da una mortale e una creatura della sua stessa specie.
Non ne aveva mai subito però il peso della differenza, lui amava i suoi genitori e loro avevano sempre cercato di proteggerlo e crescerlo nell’amore.
Non aveva mai respirato la parola diversità dentro le mura del palazzo.                                                             
Simone era oltre che un elfo, proprio questo: una legittima e piccola anima curiosa che indagava attorno a sé, osservatrice di tutto quanto potesse trasmettergli un piacevole stupore e meraviglia. Alimentato da una grande sete di conoscenza e di scoperta.
La natura lo faceva sentire in pace e connesso col mondo.
 
Sua madre, lo richiamò con quella sua voce ovattata e dolce, mentre teneva due ceste per braccio per raccogliere erbe e farne poi dei decotti, dei filtri o per guarire i suoi clienti, attenta a non sgualcire o a rovinare la lunga veste rossa che portava addosso e il mantello più pesante che le avvolgeva la schiena e le spalle.Lo vedeva però, Cora. Vedeva perfettamente suo figlio che nel tentativo di farle uno scherzo, falliva miseramente per via di qualche riccio fuori posto sulla testa, in piena vista.
Sapeva anche che Simone stava ridendo sotto i baffi, trattenendo appunto un gorgoglio o qualsiasi rumore potesse darne la prova.

« Simone dove ti sei cacciato? » pronunciò la donna con finta apprensione.

Non era la prima volta che Simone ci provava: era uno dei suoi giochi preferiti insieme a quello di tagliare le mele a metà, solo usando una singola freccia tendendo il suo piccolo arco.
Il piccolo elfo ridacchiò nascosto in mezzo ai ciuffi d'erba, convinto che fosse appena diventato invisibile agli occhi di sua madre. Osservò una piccola coccinella su uno stelo, forse anche quella creatura si stava chiedendo cosa c'era di tanto buffo nello stare accovacciati, con le mani attorno alle gambe e un nascente ghigno che cercava di essere trattenuto.
Cora aggirò la sua posizione per raggiungere a passo di danza quasi, il punto dove l'erba cresceva più alta e più selvatica.
Si piegò appena dietro Simone e gli tirò una delle orecchie. Simone spalancò gli occhi.

« AH AH! Beccato! » esclamò soddisfatta mentre Simone si alzava e imbronciato si portava le mani sui fianchi.

« Mi ero nascosto così bene questa volta! » borbottò deluso e sconfitto.

« Potrai provare a nasconderti, stella mia, ma tua madre riuscirà sempre, » Cora se lo tirò al petto, e gli baciò rapida la testa riccia « sempre a trovarti »

Simone si attaccò ai fianchi di sua madre, osservando come i capelli lunghi e ricci le ricadessero quel giorno sciolti e liberi lungo la schiena. Ci aveva sempre visto la figura di una principessa, nonostante tutti gli altri avevano l'abitudine malsana di chiamarla strega o anche demonio. Certo, le sue erano orecchie normali, non appuntite come le sue da elfo perché da umana, ma questo non significava fosse un mostro.
I mostri esistevano solo nelle favole. O almeno così, a Simone piaceva credere.
Lui e suo padre la amavano molto così per com'era: libera e piena di vita, piena d'amore da dare e altrettanto da ricevere. Anche quando si scottava con un decotto oppure gli diceva cose che lui ancora non poteva ben capire, Simone la incorniciava come l’essere più vicino alla dedizione e cura degli altri. Sua madre era il suo mondo intero e Simone sapeva che il suo cuore sapeva bene che la avrebbe sempre voluta affianco.
Quelle parole fattucchiera o meretrice Simone non riusciva proprio a capirle. Sua madre non era una strega e gli aveva spiegato che l’altra parola non fosse altro che una cattiveria con cui la gente si riempiva la bocca perchè ignorante e invidiosa.  Gli altri non riuscivano a vedere la donna che vedeva lui. E forse era meglio. Così non gliela avrebbero portata via, nessuno avrebbe osato togliergli il suo mondo.
Era forse meglio che solo lui e suo padre, capissero quanto bella e rara fosse Cora.
Quel pensiero lo portò a chiedersi in modo inevitabile anche cosa volesse dire quel termine che invece usavano con lui, ben diverso però da principe. Aveva un suono meno lezioso, quasi più acido e pruriginoso, lamentoso. Di disprezzo.  Se lo chiedeva spesso la notte e tutte quelle volte in cui avrebbe voluto che le sue orecchie non fossero così sensibili agli suoni o il suo naso così pronto e veloce a sentire gli odori.

« Mamma, ma che vuol dire Thaurer? »

Simone pronunciò un elfico corretto, così come lo aveva sentito dire ad alcuni altri elfi, che però avevano diversi capelli rispetto a lui. I loro erano più lunghi, del suo stesso colore o semplicemente più chiari. Aveva solo sette anni all'incirca, ma sapeva che lo sguardo un po' ossessivo e certe volte anche accompagnato da un grugnito di alcuni suoi coetanei, non fosse una cosa tanto positiva.
Cora smise di carezzare la testa del figlio all'improvviso per guardarlo bene. I suoi occhi le rivelavano sempre tutto ciò che non andava.

« Simone, chi ti ha detto questa cosa?»

Il piccolo elfo lo bisbigliò impaurito.

« Nessuno »

Simone si mordicchiò piano le piccole labbra. Poi però due dita di Cora gli sollevarono il viso e sua madre guardò oltre quegli occhi già abbastanza pieni e grandi per la sua età. Suo figlio le rimaneva ancora abbracciato.

« E perché vuoi saperlo allora? » Cora alzò un sopracciglio.

Simone scrollò le spalle, cercando di dissimulare indifferenza, ma in realtà l'unica cosa che voleva era sapere il significato di quella parola. Non la aveva mai sentita pronunciare al palazzo, con i suoi genitori.

« L'ho sentita in giro, mentre giocavo » arricciò il naso.
 
« E’ davvero così importante per te saperlo? »
Simone annuì testardo e così a Cora non restò che sospirare consapevole, poi riprese ad accarezzare i ricci di Simone con un lento movimento della mano, lasciando che le dita fossero leggere come gocce di pioggia.

« Significa abominio, Simone. Alcune volte, viene usato come aggettivo: abominevole. »

La donna osservò l'espressione del piccolo cambiare disegnando una 'o' con le labbra e rattristandosi nello sguardo.

« Ma non è una parola che può descriverti, dovunque tu la abbia sentita, » poi si accovacciò, posando le due ceste a terra, le mani si portarono sul viso del figlio, aveva già un naso dritto e dei lineamenti così spiccati « tu sei molto di più stella mia, tu sei speciale »

Il sorriso di Cora riscaldò gli occhi di Simone che restrinse appena la boccuccia e poi incurvandola in un breve sorriso.

« Io non sono come tutti gli altri bambini, mamma » ammise cosciente.

Aveva sette anni e mezzo sì, ma non era stupido.

« No, appunto, » spiegò Cora portando le mani sulle sue piccole spalle « tu sei il bambino più luminoso che ci sia. E in più ti svelerò un segreto: nessuno è uguale a qualcun altro, anche se sembra sia così a volte. E' un impressione sbagliata che ci facciamo degli altri e che gli altri si fanno di noi, ma prima dobbiamo solo conoscerli. E loro devono conoscere noi. Non bisogna mai giudicare qualcuno perché diverso. O perché è speciale. »

Gli sguardi che i bambini gli riservavano mentre inseguiva una libellula oppure mentre giocava fingendo di trovarsi in chissà quale immaginario di fantasia col suo piccolo arco e frecce, sembravano gli stessi che gli adulti rivolgevano a sua madre. In quello, Cora e Simone erano diversi e simili insieme.

« Anche tu sei speciale, mamma » Simone le regalò un sorriso e afferrò una delle due ceste poggiate tra l'erba. « E non devi ascoltare nemmeno tu la gente e quello che dice » continuò prendendo coraggio Simone « io ti difenderò sempre. Papà è un re e anche lui lo farà con me. »

Gli occhi di sua madre avevano il suo stesso colore, il suo stesso taglio, la stessa propensione ad amare. Simone ci si specchiò: e subito si sentì meglio.

« Elemmírë » sussurrò Cora.

Stella splendente.

Cora gli diede un rapido bacio sulla fronte e vedendolo cambiare piano d'umore, cercò di fare anche lei di fare lo stesso. Prese la cesta alla sua sinistra e poggiò la mano sulla sua spalla, strizzandola appena.

« Dai, adesso aiutami a raccogliere almeno qualche altra bacca ed erba prima che cali il sole, mh? »

Simone annuì convinto, lasciandosi guidare da sua madre alla ricerca di fiori inediti, erbe speciali e curative non ancora ricoperte dalla prima nevicata o gelata della stagione invernale. « Prima ci sbrighiamo, e prima ritorniamo a casa da tuo padre, prima preparerò la cena »
Gli occhi di Simone si illuminarono a quelle parole e subito si mise in cammino, preso da un’energia vitale eccessiva per un bambino. Cora cercò di tenere il passo dietro suo figlio, alzando la gonna del vestito e sorridendo mentre guardava Simone girarsi ogni tanto, gridarle eccitato di sbrigarsi, che non vedeva l’ora di ritornare a casa per cenare tutti insieme, saltare superando qualche sasso sul cammino.                       

« Rallenta o ti farai male! »

Cora si reggeva la veste e sembrava danzare per inseguire il passo a saltelli di Simone.

« Se mi farò male ci sarai tu a curarmi » le rispose prontamente Simone arrestandosi per un secondo, una piccola fossetta gli bucava la guancia candida e gli occhi erano più vividi.

« Simone » mormorò sua madre a pochi metri allungando il passo. Poi lo osservò mentre si incantava a guardare lo stelo di un fiore bianco, Cora si chinò a prenderlo staccandolo delicatamente dal terreno e glielo donò. Il sorriso si fece larghissimo ora sul viso del piccolo « Io sarò sempre con te »
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Quando il sole toccò la punta delle montagne in lontananza, Cora sapeva che avrebbero dovuto sbrigarsi per percorrere la strada che avrebbe portato lei e Simone a casa. Si erano attardati a raccogliere qualche altra erba che ricordava di aver finito per ungenti e per filtri medicinali. Con entrambe le ceste ferme ai gomiti, afferrò la mano di suo figlio e cominciò quindi a camminare con lui rifacendo la stessa strada, ma al contrario. La pelle di Simone risultò fredda però al tatto, si mordeva un po’ le labbra e si strofinò il naso con il polso della mano sinistra.

« Mamma, ho freddo » si lamentò il piccolo elfo.

Cora avvolse il corpicino di Simone con un pezzo del suo mantello che il bambino, strinse a sé con la mano opposta. sapeva di lavanda.
Poi, la loro stretta tornò più solida di prima.

« Tesoro, manca poco e saremo a casa »

Lungo il cammino però, trovarono due carri con quattro cavalli a sbarrare la strada per più di un metro. Sicuramente era qualche ospite in visita o c’era stato qualche invito speciale a palazzo.
Che strano pensò Cora, suo marito il re non la aveva informata. Presa quindi da un’idea fulminea, Cora pensò a una possibile scorciatoia che tagliava per una via parallela. Avrebbero impiegato meno tempo ad arrivare e avrebbe risparmiato a suo figlio di congelarsi. La via era ricoperta di pioppi, abeti e betulle. Il verde li avrebbe protetti. Lo sguardo di Simone si fece quindi confuso una volta che sua madre lo trascinò per l’esatta via opposta, superando un piccolo ponte per inoltrarsi dentro un’altra area del bosco.

« Mamma ma dove stiamo andando? » la guardò, una smorfia sulla bocca.

« Pazienta stella mia, pazienta » sua madre gli scoccò un bacio sulle piccole nocche intrecciate alle sue e insieme proseguirono. Simone decise quindi di tramutare la punta del suo naso già più fredda, in un altro pensiero che lo tenesse occupato.

« Cosa mangeremo stasera? »

Cora sorrise, adocchiando la grande betulla dalle foglie sul verde freddo quasi violaceo per via del cambio di temperatura e dell’inverno ormai alle porte.

« Zuppa di patate e… »

Simone era già eccitato all’idea.

« E? »

« E carne di lepre. E forse anche il dolce.»

« Anche il dolce? » chiese sorpreso.

Cora annuì.
L’ultima volta che aveva mangiato il dolce per cena, era stato solo una settimana prima perché Cora si era ammalata ed era spettato alla servitù del palazzo preparare i pasti e a suo padre coordinarla. Sua madre amava cucinare e quando non lo faceva, lo addormentava con delle canzoni della sua infanzia.Quella era un’altra cosa che aspettava una volta ritornato a casa: addormentarsi sul suono della sua voce.
All'improvviso, quei pensieri vennero però bloccati perché le sue orecchie si attivarono. Simone sentì un rumore, come un fruscio rapido e nato così com’era morto. Qualcosa era nascosto vicino a loro. Forse un grosso animale. Qualcosa che produceva quel rumore si muoveva tra gli alberi, in mezzo ai cespugli, nella terra. Simone si sentì afferrare la mano ancora più forte e ritornò a guardare davanti a sé.
 
« C'è qualcuno... ho sentito qualcosa. Qualcuno ci sta seguendo » bisbigliò, ma sua madre sembrò non ascoltarlo. Stavano già cambiando strada, sarebbero arrivati a casa soltanto arrivando alla fine del percorso.
Altri quattro passi e il rumore si presentò di nuovo. Le sue orecchie erano fin troppo sensibili. Simone si girò di scatto.

« Mamm

Simone non ebbe il tempo di finire perché quattro uomini uscirono fuori dagli alberi e uno di loro afferrò sua madre tenendola per i capelli e l'altro le legò le mani dietro la schiena. Le ceste caddero a terra rovesciandosi e spargendo il loro contenuto ovunque. Quei tipi erano vestiti da vagabondi quasi, con lunghe tuniche nere e incappucciati sulla testa: Simone distingueva soltanto gli occhi, entrambi di colore grigio lucente, non come i suoi di colore castano.
 
« SIMONE VAI A CASA! » urlò Cora rapida, cercando di divincolarsi da quegli uomini, la gola le si contrasse « CORRI DA TUO PADRE »
 
Simone annuì veloce, nonostante il cuore - anche se troppo piccolo - , gli stesse già facendo male per quanto risuonava forte dentro la gabbia toracica, cominciò a correre. Le gambe si mossero scattando in avanti, spinto anche dalle braccia. Fece però pochi metri, raggiunse quasi la fine del percorso, poiché uno di quegli uomini riuscì ad acciuffarlo tenendolo per la veste.
 
« LASCIATE ANDARE MIA MAMMA! » urlò Simone scalciando e rifilando un morso sulla mano del tipo losco che lo aveva sollevato. Solo allora Simone capì che non era un uomo, e se ne accorse dalle orecchie: era un elfo, proprio come lui.

I capelli erano biondi e tesi in cima una specie di crocca, mentre quelli del balordo che stringevano sua madre, erano legati dietro da una stretta treccia e neri, neri come la pece e inoltre vestiva di una piccola voglia sulla mascella.
 
« Che facciamo col marmocchio? » sputò fuori l'elfo ben impostato.

« LASCIATE SIMONE, LASCIATE MIO FIGLIO! » cercò di divincolarsi Cora, sputando addosso al bastardi che teneva bloccato Simone contro la sua volontà « Lui è uno di voi! Non avete nulla contro di lui, è solo un bambino, per favore. Ha una vita da vivere, lui merita di vivere. Vi prego, non fategli male. » pregò Cora supplicando e guardando ogni elfo che lo aveva accerchiati.

L'elfo che teneva ferma Cora le puntò la lama di un pugnale alla gola. Simone urlò.
 
« Zitta, donna! » poi osservò il piccolo che si dimenava tra le braccia forzute dell'altro suo compare. Gli occhi di Simone erano già lucidi.
 
« Non fategli del male! » continuò Cora senza arrendersi. Delle lacrime le scendevano e le rigavano già le guance. Le labbra rosse della sua unica principessa si abbinavano ora ad altro: Simone notò che la lama del pugnale che quell'uomo le stava puntato addosso, le aveva disegnato un rivolo di sangue rosso lì, sul collo. « Ve ne prego, farò ciò che volete ma non fate male a mio figlio. Vi darò ciò che volete: oro, argento. Sapete chi è mio marito, no? Vi darò tutto ciò che volete. Gioielli, cibo… un lavoro! »

Cora corrugò la fronte e piegò la bocca.
L'elfo ghignò pieno di disprezzo e osservò meglio il piccolo elfo che cercava di liberarsi dalle mani dell'altro suo compare, strette attorno al suo piccolo collo.
 
« Non è certo l'oro o tuo figlio che ci interessa, strega, però anche se piccolo potrebbe parlare e noi questo non lo vogliamo! » disse duro il capo.

« LASCIATELA! » Simone scalciò con tutta la sua forza con le gambe, ma le braccia dell'elfo stringevano sulla sua vita stritolandola e un lamento affaticato e incrinato possedette il suo corpicino. « Mio padre è il re! E ve la farà pagare! »
Un altro elfo si avvicinò a Simone e sfoderò un piccolo pugnale affilato che indirizzò proprio sulla sua guancia.
 
« SMETTETELA! » urlò sgolandosi Cora, disperata.


L'elfo strinse le sue braccia dietro la schiena schiacciandole ancora di più e Simone morse ancora la mano del tipo che lo teneva. Al che l'elfo che teneva la donna le sussurrò forte all'orecchio.
 
« CONTROLLA TUO FIGLIO STREGA, ALTRIMENTI FARA' LA TUA STESSA FINE! »

Cora annuì deglutendo, serrò gli occhi ed emise un esile respiro. La sua stella più luminosa avrebbe continuato a vivere e lo avrebbe deciso unicamente lei. Cora sperava solo di avergli potuto dare e insegnare tutto ciò che necessitava per il resto della sua vita. Sperava di aver dato tutto l'amore che aveva potuto all'unico uomo della sua vita, suo padre.
 
« Simone, » Cora guardò suo figlio, gli occhi marroni gentili, la lama alla gola. Sua madre parlò con un tono fin troppo basso e forzato « sto bene. Vedi? Sto bene. » cercò di tranquillizzarlo ma Simone non le credeva.

Non aveva mia visto quegli elfi nella sua terra, ma il loro sguardo, il loro sguardo era simile al modo in cui altri avevano guardato lui e sua madre.

« Sto bene. Questi uomini ci lasceranno andare » annuì cercando di convincere più suo figlio.     
Lei, lei già sapeva a cosa sarebbe andata incontro. Ma suo figlio, suo figlio sarebbe vissuto. Suo figlio avrebbe visto ancora il sole sorgere e calare, la luna la sera, sarebbe cresciuto e sarebbe diventato un uomo che senza dubbio la avrebbe resa fiera.
« Dobbiamo solo fare ciò che ci dicono e ci lasceranno andare. Sta calmo, stella mia, torneremo a casa. Te lo prometto » concluse, mentendo.

Simone annuì lentamente.

« M-mamma » arricciò la piccola bocca. Simone, era sul punto di piangere e sua madre gli fece un sorriso.

« Quindi che facciamo con lui? » ripeté all'improvviso un altro di loro non lasciandosi per niente ammorbidire da quella scena.
Simone osservò quelle brutte facce, allungò una mano e sua madre la raggiunse. Cora guardò suo figlio nello stesso identico modo di poco prima.
 
Stella mia, sto bene, gli sussurrò.

L'elfo gli concesse unicamente questo per un solo secondo prima di allontanarli di nuovo. Poi rispose alla domanda.
 
« Il marmocchio verrà con noi. Sarà un monito, » ghignò l'elfo, gli occhi grigi si accesero brillando spietati « una testimonianza: per suo padre, il Re »
 
 
 
 
 
 
 
Se pensava che fosse stato meno difficile crescere con la presenza di sua madre, Simone in quel momento non aveva più dubbi. Quando vennero trascinati in una specie di paesino – forse dimenticato e indipendente – proprio a qualche chilometro di distanza, l’atmosfera fu subito chiara: una serie di sguardi accolsero Simone e Cora come due stranieri tra le grinfie di scellerati e traditori.
Se pensava sarebbe stato difficile spiegare ciò che avrebbe visto, Simone, non ne aveva idea.
Cora venne afferrata per i capelli e portata sopra una piccola struttura rialzata e rinforzata di legno, come un piccolo pulpito da cui prestare un dibattito. Al centro del palco, un lungo palo, più alto dei due rapitori, portava arrotolata una corda alla massima cima. 
I due elfi fecero un ampio discorso politico, da cui sembrava derivarne tutta la devozione e rivoluzione da parte del pubblico in ascolto: una trentina di elfi, per lo più. Intrattenerono seguiti da fischi, scrosci di appalusi, acclamazioni. Quel lungo discorso era pieno di verbi, vocaboli, imprecazioni in lingua che Simone registrò poche parole che aveva studiato e capito da poco scempio, innaturale, disordine, infezione, mostruosità e infine, quella che conosceva meglio se non l’unica, Istari.
Strega.

In tutto questo Simone si ribellò e dando una gomitata al suo rapitore, salì sul palco e i due uomini lo presero in giro. Cora con le lacrime a rigarle le guance sussurrò qualcosa a uno di loro e quello ci pensò per bene. Annuì incrociando le braccia e spintonò la donna, la quale cadde in ginocchio davanti al figlio.
Simone la guardò con occhi fin troppo grandi e Cora, lo avvolse a sé stringendolo più forte che poteva. Le manine di Simone si aggrapparono al suo collo.

« M-mamma ora possiamo andare, v-vero? » gli tremò la voce e più stringeva sua madre, più Cora non avrebbe voluto lasciarlo andare.

« Simone, ascoltami »

La voce di sua madre suonò come un canto, velluto, la più bella che Simone ricordava. Cercò di calmare suo figlio, accarezzandogli la schiena. « Devi promettermi che sarai forte » Cora deglutì e sganciando l’abbraccio, accarezzò piano anche la sua testa con entrambe le mani « che ti prenderai cura di tuo padre, » Simone cominciò ad oscillare con la testa ripetutamente, cominciò a piangere silenziosamente e Cora gli baciò la fronte « che non smetterai di vedere il sole o le stelle sorgere solo perché non riuscirai a vedermi. Ma soprattutto Simone, devi promettermi che non dimenticherai cosa significa amare. Perché tu hai un cuore grande e non devi lasciare che niente, niente lo annulli. Devi vivere. »
Simone incurvò le labbra, piazzò le due mani sul viso di sua madre e cercò di capire perché era accaduto loro tutto quello, perché proprio a sua madre, perché proprio a qualcuno che non aveva fatto niente di male.

« M-mamma »

« Promettimelo »

Simone annuì lentamente e parlo pianissimo.

« T-te lo prometto »

Cora sorrise in mezzo alle lacrime, poi passò le mani sul collo e sganciò la collana che aveva in dosso. La depositò tra le mani del figlio e le coprì con le sue.
« Io sarò sempre con te stella mia. »

Simone si fissò le mani e fu allora che i due uomini cominciarono a spazientirsi. Cora si girò un momento e giunse le mani mormorando.

Solo un altro minuto.

« Mamma, perché me la d-dai, è t-tua- » Simone fu attraversato dal primo singhiozzo.

Cora gli accarezzò il viso: cercò di percorrere un’ultima volta i suoi occhi grandi, il suo naso dritto, la sua bellezza esterna e la sua innocenza da cui scaturiva solo bisogno d’affetto, comprensione, amore, coraggio.

« Da oggi, appartiene a te. Qui dentro, » disse accarezzando la pietra e osservando poi suo figlio « ci siamo io e tu, anche se non riesci a vederci. » Simone si buttò al collo di sua madre un’ultima volta e Cora cercò di ricordare e registrare anche quella sensazione. « Ti voglio bene Simone. Ricordalo sempre. »

Simone stava già piangendo come un fiume in piena, le iridi liquide e la bocca completamente umida.

« Anch’io m-mamma, ti v-voglio bene »

Accovacciati così in un abbraccio che sarebbe stato eterno, passarono qualche istante, prima che Cora venisse trascinata per la veste e fatta salire su una sedia di legno marcio che a stento reggeva il suo stesso peso, trasportata di mano in mano, direttamente da un aiutante in mezzo alla platea.  A Simone invece, pensò lo stesso tipo robusto di prima, che lo tenne stretto per la vita mentre si dimenava.    
Durò pochissimo, ma fu efficace per segnare la sua piccola vita.
Simone venne tenuto stretto, mentre il suo viso venne costretto a guardare, alzato dalla mano del rapitore.
E così Simone osservò quella distruzione. Interna ed esterna.                                                    
Osservò in che modo gli uomini creavano un nodo della stessa larghezza per farlo passare oltre la testa di sua madre. Osservò come gli occhi di Cora lo guardarono cercando di sorridergli. Seguì il suo labiale.
Non avere paura.
Simone annuì lentamente, ma sapeva di stare mentendo a sua madre anche se da lontano, da spettatore.
Osservò anche come ad un certo punto, la sedia fu sottratta dai piedi della donna e le sue gambe cominciarono a cercare un appoggio.
Sua madre sembrò costretta a sfidare la gravità.
Simone credeva di fermare quel momento facendosi sentire, come se la sua voce potesse cambiare le sorti di una donna la cui immagine pareva quella di un angelo punito a causa dell’ignoranza e incapace di atterrare, dopo aver volato libero e spensierato.
Simone urlò, dimenandosi, si agitò contro le braccia dell’energumeno che lo tenevano. La gola gli faceva male, le piccole vene sporsero fuori spiccando sulla pelle candida. Ma non servì a nulla e lui non riusciva a fermarsi.                                                                 
In mezzo al clamore della platea che rideva e sorrideva sguaiatamente, la pioggia, invece, scendeva dai suoi occhi mentre osservava sua madre perdere conoscenza a poco a poco, la forza abbandonarla e i suoi occhi lasciare la vita e rimanere fissi, nel vuoto. Appannando il bel mondo che aveva descritto a suo figlio fino a quel momento.
Mamma, gridò senza che nessuno gli desse importanza.
Mamma, gridò Simone una volta che il corpo di sua madre venne adagiato per terra ed esibito, mostrato come premio di giustizia.
Mamma, gridò Simone quando qualcuno non distinse bene chi, per via dello sguardo appannato, di lasciare un messaggio per il Re, prima che due di loro lo prelevassero insieme al corpo di sua madre e lo lasciassero come ricordo, davanti le porte di Boscoverde.
Mamma, sibilò stringendosi senza più trattenersi, al corpo freddo e steso in mezzo all’erba di Cora, senza notare che qualche curioso abitante stava già inorridendo alla scena che stava vedendo.
 
 
 
 
 
 
 
Lossë
Un mese dopo.
 
I colpevoli vennero condannati circa un mese dopo dal Re. Le carrozze non erano mai arrivate a Boscoverde. Era tutto stato un piano architettato alla perfezione, simulando la presenza di ospiti che in realtà erano solo bugiardi. Si scoprì che il piccolo raduno di riottosi ad est della foresta, era parte di quei traditori del Regno che aveva disconosciuto da tempo la scelta del Re di sposare una mortale, - macchiando così la loro specie - e aveva operato in segreto. Coloro che avevano aderito rientrarono nella scelta politica del sovrano di comportarsi con giustizia in modo da riportare l'ordine. Perciò, il Re li aveva esiliati nello stesso modo in cui aveva fatto uccidere i rapitori con un’esecuzione pubblica.
Simone aveva aiutato suo padre in questo, ma riuscendo a descrivere ciò che aveva visto con difficoltà dopo giorni di silenzio e pianti. Non aveva parlato per più di due settimane, usando minimamente la sua piccola voce con e monosillabi e non aveva più osato allontanarsi dalla sua stanza. Aveva descritto, solo un mese dopo le fattezze di quegli stessi elfi, rispondendo ad ogni domanda che il padre gli chiedeva.
Giustizia era stata fatta davanti al popolo del Regno, ma da quel momento il Re si distaccò da suo figlio, lasciandolo a più momenti di solitudine che di compagnia.

Come se fosse un ricordo troppo vivido di ciò che aveva perso, suo padre preferì rintanarsi in un posto più antico e oscuro: il passato.

Ecco perché Simone, si concedeva quelle piccole fughe fuori dal Palazzo, dopo aver sentito suo padre piangere e singhiozzare per buona parte della giornata. Non osava avvicinarsi perché le prime volte che aveva provato a farlo, ad avvicinarsi, non era andata bene. Una volta suo padre aveva negato il suo dolore, e la seconda aveva ordinato a una delle sue guardie di riportarlo in camera.
Suo padre era diventato chiuso, schivo, rattrappito nella sua stessa sofferenza.

Non potendo condividere e unirsi entrambi nello stesso dolore, Simone trovò conforto nella natura. Inevitabilmente, ritornò nello stesso posto in cui era stato felice l'ultima volta: il campo d'erba all'aperto dove aiutava sua madre nella raccolta di piante.
Dopo un mese sembrò respirare di nuovo. Aria un po' più fredda però fuoriusciva dalla sua bocca, questa volta.  Quando Simone camminò sopra quell'erba, era già entrato l'inverno e al neve copriva gli steli, le chiome degli alberi, i petali dei fiori, di cui alcuni sradicati dal terreno. Una zona era stata recintata all'estrema destra adibita al pascolo, mentre per il resto, non era cambiato nulla. Gli sembrò di vederla proprio lì, con un sorriso dolce e dalle labbra rosse e calde: sua madre.
Fece fatica a credere fosse falsa, sembrava così reale. Ma era la sua testa che la teneva ancora con sé: i suoi cappelli, le sue fattezze, il suo sorriso. La voce di sua madre invece, gli era già cominciata a sfuggire come acqua, tantoché quando quel fantasma creato da Simone provò a parlare non ne uscì fuori alcun suono.
Simone si stropicciò gli occhi e sua madre sparì. Scacciò una lacrima col dorso della mano e cominciò a camminare avvolto nel suo mantello blu scuro. Indossava dei piccoli guanti e il ciondolo di una pietra gli pendeva sul collo.

Quel posto ricoperto di neve gli era sempre sembrato più magico, fino a un anno prima e invece ora, nella neve non ritrovava lo stesso stupore. La stessa gioia di stendersi sopra l'erba e lasciarsi ricoprire dal bianco o giocarci creando piccole palline da tirare a sua madre.
Simone si inoltrò lungo quell'immensa distesa bianca, pensando a come sua madre avrebbe decisamente scelto quella giornata gelida per preparargli un dolce tipico fatto in casa oppure per stare con lui abbracciato sopra il suo stesso letto.
A un attratto i suoi occhi vennero colpiti da qualcosa.
Notò qualcosa in mezzo a due grossi cipressi. In realtà non se ne accorse subito, per via del bianco totale che gli impediva di distinguerne subito la forma.
Si avvicinò piano e si accorse di una recinzione abbastanza strana, con un tronco appena d'albero incrinato e che si stava sradicando dal terreno. Le radici erano appena visibili poiché ricoperte dal manto bianco, le vene di quell’essere vivente stavano soffocando.Alzando lo sguardo, Simone aggrottò la fronte: attorno alla base del ceppo solido girava un filo spinato, la cui lunghezza proseguiva per un buon tratto fino a quando, non incontrò quattro zampe bianche - così come il manto dell'animale - di cui una bloccata insieme al collo della piccola creatura che ne era intrappolata.
Simone girò intorno al piccolo puledro inginocchiandosi nella neve. Il filo passava intorno al collo e ruotava lungo lo zoccolo sinistro, il volto dell'animale era paralizzato dalla paura e le narici si dilatavano costantemente.
Qualche cacciatore aveva voluto tendere una trappola a quella povera bestia e lei c'era finita dentro. Sicuramente nel tentativo di dimenarsi aveva abbattuto il tronco più fradicio dell'albero.
Simone si frugò dentro la piccola tasca della veste che portava quel giorno, quella che non usava mai per uscire, ma per stare comodamente a casa e ne uscì un coltellino dalla lama affilata.
Da almeno un mese, Simone aveva imparato a portarlo sempre con sé, casomai fosse successo qualcosa. Lo aveva rubato dall'argenteria del palazzo e nessuno ancora ne aveva fatto reclamo.
Molto delicatamente, Simone afferrò con la mano inguantata il filo che teneva bloccato lo zoccolo del puledro e puntando il coltellino dalla parte della punta iniziò a tagliarlo con un movimento orizzontale.
L'animale cominciò a emettere qualche suono e Simone provò a calmarlo, guardandolo negli occhi.

« Sta calmo, calmo »

Il cavallo però continuò, non volendo ascoltare Simone che d'un tratto si ricordò le parole di qualche saggio del paese.

"Le femmine di cavallo sono meno docili a volte anche più dei maschi. Te ne accorgi dalla tempra."

Effettivamente, Simone cercò di esplorare quegli occhi neri e profondi seppur fosse ancora una puledra e avesse pochi anni di vita per via della stazza esile e della lunghezza del suo corpo.
Ricordava ancora bene le lezioni di suo padre in merito.
E cercò anche di leggere bene il carattere irrequieto che portava ora, la puledra a scalciare con entrambe le zampe.
Finalmente, dopo un bel po', Simone riuscì a spezzare il filo e con la stessa mano e aiutandosi con l'altra liberò la zampa della poveretta, la quale provò ad alzarsi ma Simone la spinse giù delicatamente sulla neve.
Il bambino osservò il suo collo, tracce di rosso segnavano il bianco, segno che il filo aveva già iniziato il lavoro per cui era stato creato.
Simone si armò di pazienza e si dedicò al filo che le passava attorno al collo. Con estrema delicatezza taglio più punti, in modo che l'animale non ne restasse ferito una volta che si sarebbe mosso. Proprio allora la puledra ricominciò a nitrire e Simone riprese come poteva a tranquillizzarla.

« Calma, sta buona, ho quasi finito » mormorò dolcemente.

Strinse le labbra tra i denti, corrugò la fronte proprio nel momento in cui con più pazienza tagliò l'ultimo pezzo col piccolo strumento. Si ferì nel farlo, si lamentò appena bucandosi un guanto che si intinse di sangue, ma non mollò l'operazione.
Una volta che il filo spinato cedette, alzò delicatamente il collo dell'animale e lo fece passare sopra. Poi, Simone prese quel lungo filo con una mano e lo buttò a qualche metro di distanza.

« Ecco fatto! » esclamò Simone soddisfatto e asciugandosi la fronte col dorso della mano. « C’ho messo un po’, ma ora sei libera »

La cavalla restò però distesa, respirava restando inerme sul manto gelido.
 
Simone non aveva nulla con sé e pensò che se sua madre fosse stata viva, avrebbe saputo subito come curare quelle ferite che sarebbero rimaste come un segno indelebile sul suo corpo.
Piccole cicatrici per volere di una mente al di sopra della sua, più alta e stupida: che fosse di natura umana o di natura elfica, poco importava.
Perciò, afferrò qualche porzione di neve unendo le mani e la depositò sulle zone ferite, credendo di alleviare un po' il dolore dell'animale.
La puledra nitrì un po’ per lasciare poi un piccolo sbuffo e soffio e poi si tranquillizzò. 
Simone allungò con estrema lentezza una mano sulla guancia pelosa e bianca dell’animale e la guardò meglio, concedendosi la sua stessa calma riacquisita: le narici dell'animale si muovevano meno freneticamente e il respiro sembrava essersi fatto regolare.
I grandi occhi neri sembravano due grandi pozze spaventate e che a poco a poco, inglobarono la stessa figura del piccolo elfo, che ci si specchiò dentro.

Inaspettatamente, la fronte della puledra cercò il viso del suo piccolo liberatore, gli tirò qualche ricciolo con i denti, in segno di ringraziamento: il suo pelo era freddo, ma Simone avvertì tutt'altro. Fu il primo gesto di calore e affetto che Simone riceveva dopo un mese di dolore. Il primo che qualcuno gli manifestava come se gli stesse dicendo ci sono io con te adesso.
Simone guardò ancora dentro quelle iridi nere in mezzo a tutto quel bianco. Il bianco significava purezza, il nero invece gli sembrava disperazione.
Quelle iridi lo catturarono in modo premuroso: si sentivano sole. Così come lo era appena diventato lui da un mese.
Era un segno, era destino che fosse successo proprio lì, con l'ultimo posto, l'ultima presenza e momento di gioia con sua madre.

"Papà come si dice neve nella nostra lingua?"

« Lossë » sussurrò Simone accarezzando il manto della puledra « ti chiamerò proprio così, Neve. »
 
 






**





 
 
Lothron,
mese di partenze.
 
Il giorno della partenza arrivò, tutto era stato preparato e calcolato nei minimi dettagli: la spedizione prevedeva sette soldati, ognuno di età nettamente superiore a Simone, con lo specifico compito di proteggerlo. Suo padre sarebbe stato irremovibile solo al pensiero di dimezzarne il numero. Metà delle truppe di soldati elfi sarebbero partite con il principe e le sue guardie, mentre il resto dei combattenti - i migliori guerrieri mortali, reclutati circa due settimane prima - sarebbero stati raggiunti a metà confine tra la Terra di mezzo e le Terre degli elfi.
Pribora era a un'ora e mezza di cammino a piedi da Lórien - la terra dell'oro nonché foresta della terra di mezzo, posta tra tra due fiumi - e a un'ora seguendo il trotto dei cavalli. 
Dunque le guardie e il principe con i soldati di Boscoverde si sarebbero spostate a nord-est nella prima mattinata, facendo qualche piccola sosta lungo la strada.
Simone era abbastanza agitato e aveva deciso di fare una passeggiata, da solo, all’alba. Per ricreare un nuovo tempio, bisognava partire prima da se stesso: avrebbe dovuto issare ancora una volta, plasmarne le fondamenta da solo. E forse, la natura che da sempre lo aveva circondato, avrebbe potuto dargli un primo indizio su come fare. Il sonno era stato l’ultimo dei suoi pensieri.
La prima colazione la aveva fatta lontano dagli occhi di suo padre, in modo lento, davanti alla prima luca che batteva da una delle tante finestre.

Furono organizzati i bagagli del Principe tramite dei piccoli sacchi con tutto l'essenziale e sacchi più grandi contenenti i vestiti su un solo carro e almeno altri tre in legno massiccio usato per il trasporto dei viveri, delle risorse per i soldati e trainati davanti alla fila, da tre cavalli e da tre delle sue guardie. Tutto sembrava ormai pronto per l'imminente viaggio.
Una volta che Simone uscì fuori da Palazzo, osservò per l'ultima volta le grandi mura circondare da due grandi alberi per ogni lato. La struttura in pietra svettava e rampicanti naturali di piccoli fiori sbocciavano all'altezza della finestra della sua camera.
I cavalli dell'esercito erano già pronti e sellati e si stavano ammucchiando davanti la sua casa.
Una delle guardie gli tese il piccolo morso di gomma e la sella tra le sue mani. Poco dopo, la cavalla bianca si avvicinò al suo padrone.
 
« Grazie »
 
La guardia chinò brevemente il capo in segno di rispetto e portò una mano aperta sulla corazza dell'armatura.

« Quando siete pronto, Principe, aspettiamo un vostro comando. È tutto pronto per partire. »
 
Simone annuì, e vedendo la guardia allontanarsi verso gli altri soldati, sospirò. Mise delicatamente il morso a Neve, facendolo passare sulle orecchie, e poi fissandolo sul muso. Gli occhi di Neve erano così carichi, che Simone pensò che gran parte della sua forza sarebbe derivata anche quel giorno, soltanto dalla sua fedele compagna.
Poi, Simone posizionò la sella sul suo dorso.
Osservò meglio il grande portone di casa: non riusciva a pensare a quante volte aveva rifuggito quell'ambiente nella speranza di avere la sua occasione di scappare e adesso, poteva farlo solo andando in contro alla morte, in contro a una versione di sé che non conosceva.
Quello poi, per sua sorpresa venne aperto. La figura di suo padre si rivelò, leggermente accecata dal sole, con la sua veste lunga color cremisi, morbida sulle braccia e che gli fasciava un po' di più il busto. Simone notò che non indossava la sua corona, quella mattina.
Simone finì di sistemare la sella a Neve e poi si avvicinò alla figura del Re.

« Che ci fate già sveglio? »

Elrohir sembrò adirarsi a quella domanda.
 
« A un padre è forse vietato salutare un figlio che parte per la guerra? »
 
Simone si morse il palato.  Internamente quella sarebbe stata una frase piena di senso se solo non avesse passato anni a dover colmare da solo i suoi stessi vuoti. Il Principe annuì.
Gli occhi di Elrohir caddero con particolare attenzione sul suo collo. E Simone istantaneamente si portò proprio lì, la mano destra, a sfiorarne la base della pietra. Per un secondo, gli occhi dell'uomo sembrarono riempirsi di qualcosa vicina all'emozione e Simone pensò di star sognando a quella reazione.
 
« Hai deciso di portarla con te? » il tono di suo padre sembrò sincero, indicò quel ciondolo irregolare e Simone pensò che forse quel granello d'amore riusciva ancora a portarlo dentro al cuore.

« Lei è sempre con me »
  
Questa volta fu Elrohir ad annuire, giungendo le mani in grembo.
Restarono fermi come due estranei poi, senza sapere cosa dirsi. Simone si girò verso una delle sue guardie e fece un cenno d'assenso.
Poi ritornò a suo padre.
 
« Bene allora... è giunto il momento. » esordì, a bassa voce.

Elrohir sospirò e annuì, contrasse la mascella. Poi avvicinò a sé il figlio, portando le sue mani su entrambe le spalle di Simone. Parlò nella loro lingua natia, deciso e breve.

« Quel marth  »
 
Buona fortuna.

Simone avrebbe voluto rispondere grazie ma fece unicamente un breve sorriso verso suo padre. Quel sorriso sembrò essere recepito come l'ottima messa in mostra di una sicurezza che in realtà non c'era. Strizzò le sue spalle e Simone si diede il tempo per memorizzare l'unico gesto che suo padre gli concedeva dopo anni. Poi annuendo più per sé stesso, che per chiunque altro, gli diede le spalle.
Fortuna o no, sua madre lo avrebbe protetto. Sperò che sua madre, lo avrebbe accompagnato benedicendolo. Qualunque sarebbe stato l'esito di quel viaggio.
Simone montò sulla sua cavalla, accarezzò il pelo della sua criniera e un piccolo suo sbuffo, trovò il segnale che non poteva più sottrarsi a quella responsabilità.

« Miei soldati, è giunto il momento » intonò Simone alzando il tono, afferrò le redini del morso del suo cavallo e girandosi verso le sue truppe gridò con potenza « andiamo! »

Amin khiluva lle a' gurtha ar' thar risposero gli elfi.
 
Se mi seguirete fino alla morte e oltre, non lo so, so solo che da oggi inizia un'era nuova.

Il suo cuore si fece più veloce. Non seppe se perché metteva in dubbio quella stessa fiducia o se per l'ignoto in cui si stava inoltrando.
Simone incitò il cavallo e la carovana di soldati, con al vertice il principe affiancato dalle guardie, si mosse verso la sua missione.

 
 

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Capitolo 3
*** Mathar ***


Guerriero.





Lungo la strada per Pribora, lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli e il grande carro con la varia roba stipata sopra, riempivano il silenzio. Simone si trovava in ascolto più del filo dei suoi pensieri che della natura stessa. Per la prima volta, procedere al trotto con Neve, non gli dava quella sensazione di libertà che aveva respirato svariate volte nelle zone di casa. Gli dava sicurezza sapere di averla vicino, ma lei non avrebbe dovuto dare ordini agli uomini, né avrebbe dovuto impugnare un'arma. Se solo si fosse trasformato in una nuvola, una stella... una banale goccia d'acqua, forse avrebbe capito quale sarebbe stata la sua fine e come affrontarla. Sarebbe stato pronto. Ma poi, ricordò: la sua fine non era possibile.

Gli elfi, non muoiono, si spengono lentamente dopo troppi, tanti anni e attendono la chiamata al loro Paradiso, si disse tra sé e sé.

Era un dono, quanto una maledizione.

Qual è il mio di paradiso?

Simone strinse gli occhi e abbassò lo sguardo, negò i suoi occhi al sole.

Da bambino alla definizione rispondeva il nome di una donna, ora... ora non sapeva quale sarebbe stata l'immagine che corrispondeva al suo Valinor, c'era un vuoto al suo posto.

L'esercito oltrepassò un ponte in pietra e superò anche qualche paesino popolato da umani nelle vicinanze, il che portò il principe a distrarsi per poco tempo per osservarne i visi, il via vai indaffarato nel loro lavoro, l'espressione stupita di quella stessa gente che dal basso di quella piccola comunità, osservava quella carovana di gente in divisa, soldati, cavalli, lungo la collina.

Che fosse un errore buttarlo in una situazione del genere, era un dato di fatto.

Simone si sentiva tanto sbagliato così come incapace a gestire tutto quello. E più si allontanava da casa, più ne sentiva il peso, la responsabilità, più si chiedeva come qualcun altro sarebbe stato unicamente fiero a quel compito o che ambisse a raggiungere quella destinazione per il suo percorso di vita. Era così tanto perso nei suoi pensieri, che la sua guardia al suo fianco dovette ripetere la sua domanda.

« Principe, volete riposare? » chiese Fëanor, la sua guardia protettiva alla sua destra. Fece fermare le truppe con un solo gesto della mano, leggero ma risoluto affinché la fila dei soldati capisse.

Simone era risultato assente e forse anche di questo, teneva conto del pensiero della sua personale scorta.

« No, continuiamo. Se... se loro non sono stanchi, è ovvio » pronunciò flebile Simone, cercando di darsi un tono ma fallendo.

Fëanor lo guardò, un piccolo sorriso sollevò le labbra sottili e gentili. Gli occhi di un verde-grigio acceso contrastavano con la sua divisa grigia e bordata. Erano vestite tutte così: una sopravveste più o meno lunga, di tessuto comodo era fermata in vita da un cinturone pesante, e scendeva su dei pantaloni bombati e fermati da stivali. Sul petto della veste, era riportato lo stemma di palazzo.

Al contrario del suo, un vestito leggermente fuori contesto anche se sottolineava il suo lignaggio. Cosa c'entrava lui con quel destino lì?

« Principe, non hanno dato segno di stanchezza, ma se voi siete stanco, » continuò la guardia con voce tranquilla « possiamo anche fermarci per un po' di minuti. Non è un problema. »

Simone annuì ma pensò che fermarsi dopo nemmeno un'ora di cammino fosse da persone pigre. E anche che fosse egoistico non chiedere alla sua "folla" al seguito. Si girò verso gli almeno cinquecento visi di cui alcuni più visibili e altri meno e alzò la sua voce.

« Volete fermarvi per riposare? »

Il tono all'unisono dei soldati diede a Simone la conferma che cercava. Ricevette un no secco come risposta.

Le trecce biondo argenteo sui capelli di Fëanor si mossero mentre ridevano leggermente. Il principe ritornò alla sua guardia che chinò il capo. Forse non aveva appena capito qualcosa di quel meccanismo. D'altra parte metà della sua vita la aveva spesa a bastare a se stesso, rinchiuso nell'illusione di un rapporto che potesse funzionare con un padre che non aveva dato segno di amarlo ancora come persona, ma sopratutto come figlio.

« Come volete, allora,» Fëanor replicò il gesto della mano e mosse le redini del suo cavallo marrone « direi che possiamo continuare. »

L'esercito proseguì spedito lungo la strada e Simone continuò nel suo passatempo a ricamare insicurezze, domande e dubbi. Sentì gli zoccoli di Neve chiaramente quando scesero lungo un sentiero discosto. Lì, abitavano già degli elfi come loro, che infatti non prestarono attenzione al loro passaggio. In ogni caso però, quando una bambina alzò gli occhi, sulle labbra le si disegnò un'espressione di sorpresa. Bocca arcuata e aperta. Simone le fece un cenno col capo e la bambina sorrise, stringendo a sé quello che doveva essere una bambola di pezza o forse qualcosa di simile.
Fu allora che il Principe trasformò quel sorriso intenerito in nostalgico e ritornò a guardare dritto davanti ai suoi occhi.

Una sola pausa, la avevano fatta e Simone aveva discusso ancora una volta con Fëanor sul perché dovessero fermarsi data la sua mancanza di stanchezza. Forse esagerò a sottolineare che forse ne avevano più bisogno i soldati, che lui, ma lo sguardo della guardia non ammise repliche quando invece lasciarlo parlare e commentare ancora una volta, lasciò che si fermassero per fare bere i cavalli e sgranchirsi le gambe. Quando si rimisero in sella, il sole era già arrivato a indicare pressappoco le undici del mattino. Nonostante facesse caldo, e qualcuno bisbigliasse su come avrebbe preferito darsi una sciacquata - scambio di opinioni per cui il principe si era distratto un attimo - Simone sentì dei brividi formarsi lungo la sua spina dorsale all'ultima spiegazione dell'altra guardia, alla sua sinistra, Beren, che affermava che dovevano percorrere l'ultimo tratto di confine a cavallo.
E fu allora che il Principe si trovò davanti una schiera di altri uomini, mortali e umani, questa volta proprio a metà strada. Una via aperta e larga dove almeno altri cinquecento uomini erano riuniti, chi a cavallo, chi invece no. Li intravide da lontano, man mano che lui e le truppe si avvicinavano.

Sei un elfo, sei un soldato, sei un comandante.

Si ripete in testa prima di approcciarsi all'altra metà del suo stesso esercito. Invece che sciolto, Simone risultò rigido di fronte alla vista di quell'intero schieramento, composto da facce sconosciute, in aspettative, altre invece note perché di gente cresciuta nella sua Terra. Per la prima volta, avvertì dopo tanto tempo, la paura attraversargli ogni fibra del corpo dalla punta, delle orecchie fino ai piedi sospesi perché in groppa alla sua fidata cavalla.

Sei anche un principe, aggiunse.

Non fu però lui a parlare una volta arrivati al punto di raccolta. Fu Fëanor a parlare con voce impostata e importante, al suo posto.

« Uomini e anche donne, è un piacere sapere che siete accolti così numerosi. Il principe di Boscoverde, Simone Yondethil è qui per fare la vostra conoscenza! » annunciò scandendo per bene la voce.

Simone sospirò e cercò di darsi un tono cercando di riuscirci per davvero questa volta.

Il principe scoprì i suoi capelli ricci con entrambi le mani dal cappuccio del lungo mantello color blu cobalto che lo ricopriva interamente e scendeva a contrasto sul manto bianco del suo cavallo. Il lungo mantello che portava, era fermato da una spilla decorata da dei ghirigori, a mò di gancio alla fine del collo. Il gesto risultò lento delicato, meditato. I capelli risultarono liberi ai lati, segnati da una tiara ad incrocio e ricadente a punta sulla fronte. Simone respirò a fondo gonfiando e sgonfiando i polmoni.

Si inchinarono tutti, sui cavalli e non. O almeno, quasi tutti. Simone notò uno degli uomini in prima fila distrarsi appena per poi imitare tutti gli altri.

Forse non era l'unico a sentirsi nervoso quello stesso giorno.

Osservò il modo in cui il cavallo del soldato, dall'imponenza e dal manto nero e lucido contrastasse con la semplicità dei suoi vestiti: il soldato portava sopra una camicia ampia, una tunica rosso scarlatto lunga fino a metà coscia fermata con dei lacci sul davanti e una cintura di cuoio in vita. Semplici pantaloni larghi fermati da stivali per finire.
Senza altre distrazioni, - che riguardassero la perdita in altri dettagli - fu proprio allora che Simone parlò.

« Miei alleati, è un onore poter essere tra voi oggi. Sono lieto che ognuno di voi si sia presentato così tempestosamente e che abbia capito qual è la causa per cui siete stati chiamati. Spero di potervi guidare al meglio. » disse finalmente Simone.

Non sapeva che tono gli fosse uscito fuori, ma sicuramente risultò in qualche modo serio e professionale. Almeno ci aveva sperato. Quindi, Simone lentamente scese da cavallo, per lasciarsi vedere meglio dal suo esercito. Rimase in piedi accanto a Neve comunque, come a trovare sempre un po' di protezione nella sua amica.

« Mio principe » intonò Beren « permettete che vi rinfreschi alcuni nomi importanti che hanno deciso di aderire alla nostra missione. »

Simone annuì con un cenno del capo.

« Abbiamo Fridric Olivero, ha combattuto per almeno quattro guerre diverse, proveniente da Rohan »

L'uomo in questione si batte il petto e intonò un "è un onore, mio signore". Simone studiò la sua figura, la barba incolta e l'aspetto robusto.

« Elvira Rosedoom, per quanto giovane ha combattuto in ben due guerre e abile nell'uso di cinque armi diverse da Gondor »

La ragazza che fece un passo avanti, dalla capigliatura rosso rame e dagli occhi nocciola, fece un breve inchino e pronunciò una formula diversa "grazie mio signore, per questa opportunità".

Beren continuò così per una buona quantità di minuti fino a quando non presentò un nuovo soldato e gli occhi di Simone si spostarono proprio su uno di loro.
Lo stesso che poco prima aveva ritardato a inchinarsi. Simone notò il modo in cui roteò gli occhi come infastidito, in mezzo a quei ricci che gli ricadevano al di sopra delle ciglia. Il soldato sopra quel suo cavallo nero, imponente. Nonostante fosse in sella al suo animale, infatti, sembrava comunque risultare di bassa statura, ma aveva una buona forma fisica.
Simone pensò che non era certo necessaria poi una grande altezza per combattere. Si sapeva che i mortali avessero dei difetti, ma a quella distanza era difficile dire se quel tale ne avesse altri. Non che fosse importante in quel momento, perché fu altro a colpirlo e cioè il suo umore. Ecco perché il Principe interruppe il discorso della guardia, all'improvviso, facendo di testa sua.

« Tu, » chiese Simone puntando direttamente verso il soldato che si stupì sentendosi richiamato all'ordine « come ti chiami? »

Beren osservò il Principe e lo anticipò.

« Ah, sì, lui! Se non si è inchinato prima, scusatelo Principe, quel soldato è- »

Simone allargò e aprì completamente la mano, le dita con i pochi anelli in vista. Acquisì un tono determinato, sicuro. Era la prima volta che forse osava così tanto imporsi.

« Fate rispondere lui » ordinò.

Simone ancorò il suo sguardo al soldato in prima fila, alla sua sinistra. La sua mascella contratta fece svanire il sentimento di tranquillità dapprima presente nell'attitudine del soldato. Quello si inchinò appena, poi rialzò lo sguardo incontrando quelli dell'elfo.

« Manuel, mio signore. Mi chiamo Manuel. »

Simone prestò ascolto alle iridi di quel soldato, che sembrarono quasi tentennare all'interno dei suoi stessi occhi.

« In realtà Principe, Ferro è uno dei soldati più capaci mandati oltre il confine, » argomentò Beren « dovete scusarlo è la prima volta che si trova così lontano dalle sue terre. Da Roccabuia, eccelle per velocità e abilità con la spada. Sono sicuro che vi porterà il giusto rispetto »

Simone annuì, squadrando ancora Manuel. La sua tenuta, gli lasciava scoperta una porzione di pelle all'altezza del collo, lì vestiva una cicatrice.

« C'è posto per tutti nel mio esercito » ruppe il silenzio il principe, ammorbidì lo sguardo verso Manuel.

Le iridi seppur distanti che dall'alto andavano verso il basso, sembravano molto attente. Così attente che Simone ebbe paura di soffermandocisi fin troppo.

« Cerca solo di rimanere lucido, ti servirà sul campo. »

Il soldato annuì in risposta, una mano sul petto e il capo chino. I pochi ricci, ricaddero in avanti seguendo il suo stesso movimento.
Il principe pensò per un istante al modo in cui il sole ci filtrò dentro battendoci in mezzo.

« Scusatemi, non ricapiterà. Sono lieto di potervi servire, principe »

Simone portò le mani in grembo sul lungo mantello e accettò la sua promessa, fece un breve cenno con la testa e quel soldato sembrò già più tranquillo. Poi, ritornò in ascolto di Beren, che continuò il resto dell'elenco di uomini prodigiosi e chiamati per la guerra.







 

La zona per l'accampamento era stata stabilita a qualche kilometro di distanza, a qualche metro da Faundôr, il sole aveva appena dettato l'inizio del primo pomeriggio, calando a metà del cielo ed erano appena state distribuite le prime provviste di cibo: pan di via dalla consistenza simile a una galletta, frutta, miele, formaggio fresco, carne essiccata, legumi secchi da cuocere, frutta secca, piccole erbe essiccate per decotti.
Il principe non aveva badato a far mancare nulla: nei sacchi trasportati e scesi dai carri, vi erano delle bende e garze in cotone, qualche borraccia, del vino, dell'acqua, qualche calderone e scodelle, - nel caso qualche soldato avrebbe potuto perderla nel corso della campagna militare - per cuocere verdure e con cui riscaldare la cena.
Pensò che in ogni caso, qualcuno avrebbe cacciato della selvaggina nelle ore più morte delle giornate, per affrontare il giusto dispendio di energia anche dopo l'allenamento e gli appostamenti prima del vero e proprio scontro. Lungo la strada, doveva anche esserci sicuramente qualche locanda, quindi la scelta era ampia. Il digiuno non era previsto, ma tutti i soldati avrebbero razionato le loro porzioni.
Non che Simone sapesse esattamente come si vivesse in un bivacco, ma di certo era sicuro che la fame e la sete, non sarebbero mancate, così come le ferite. Ecco perché, ricordò tardi dopo aver osservato attentamente, che tra i vari volti arrivati in quel grande spazio aperto e verde, erano anche giunte delle donne tra cui, la più anziana, Ingrid, specializzate in cure mediche naturali. Quando arrivarono, ognuno di loro cominciò a montare la propria tenda, da soli o facendosi aiutare da qualcun'altro. Piano piano l'area circostante cominciò a prendere forma. Ovviamente, c'era una sostanziale differenza tra quelle dei soldati e quella del Principe. Le tende dei primi erano piccole e di cotone, formavano una specie di triangolo senza punta e grazie a delle lunghe stecche in ferro venivano piazzate a dei paletti sul terreno. Risultavano illusoriamente grandi ai lati, se aperte. Una volta che le tende erano montate, l'apertura centrale avveniva grazie a dei lacci - anch'essi in cotone - che creava un quadrato più o meno ad altezza d'uomo e lasciava entrare la luce. La tenda reale invece, consisteva in un'altezza di circa un metro e mezzo in più, seguiva una forma trapezoidale formando quattro angoli, una volta issata e montata, la porta veniva aperta e chiusa tramite dei passanti a occhiello di cotone. Questa proteggeva dal sole e dalla pioggia ed era tanto grande da ospitare più di due soldati. Simone passò almeno un'ora buona all'interno per sistemare le sue cose. Non che fossero molte, aveva preferito dispensare più risorse per i suoi uomini che per sé, ma c'erano alcuni oggetti da cui non poteva separarsi e quelli furono i primi a trovare un posto all'interno.

Quando uscì fuori, il sole era ancora lì, ma la valle di Faundôr era cambiata: quella si ricoprì ben presto sotto gli occhi di Simone di tanti piccoli punti bianchi montati qui e lì in mezzo al verde e di uomini che vociferavano e si guardavano tra loro forse per conoscersi o solo per scrutarsi meglio. Qualcuno rideva, qualcun altro forse non aveva mai montato una tenda e si vedeva. Arrivato il momento in cui ognuno ebbe finito, e ogni uomo cominciò ad alzarsi, Simone si chiese il perché del montaggio di un'altra tenda più piccola ma più centrale all'interno del campo e rispetto alla sua. Fu appunto Beren ad adocchiare la sua curiosità e a spiegargli che sarebbe stato il suo personale punto di controllo.

Come una torre d'avvistamento o la biblioteca di vostro padre, ma più semplice spiegò la guardia.

Ecco perché appena il principe vi entrò all'interno, notò lo stendardo della sua famiglia per terra a coprire il verde del terreno, cartine e mappe di varie dimensioni riportanti le Terre dei mortali e degli elfi su due tavolini in legno esili e lunghi, una bussola, qualche spada e arco e frecce riposti ai lati.
E fu quando Beren, la sua guardia, aggiunse che in quel punto avrebbe cominciato a studiare un eventuale strategia militare, che Simone annuì per inerzia sentendo ancora più il peso e l'inizio di quel viaggio. Non dovete pensarci oggi, concluse cercando di smorzare la tensione del suo padrone. Simone si dimostrò comunque grato e fu così che dopo che Beren tolse il disturbo inchinandosi, pranzò - anche se la fame lo aveva abbandonato -con due misere fette di pane elfico, un pezzetto di formaggio e si sedette fuori da quell'universo nuovo e confusionario, gambe incrociate sull'erba e Neve al suo fianco. Condivise con lei una mela, tirandola fuori da un sacco delle provviste affianco al suo fianco destro e rimasto ancora in giro.

Sono qui da sole quattro ore e già voglio scappare, pensò Simone mentre addentava il suo umile pasto.

Immerso in quella sensazione di costruzione personale, Simone capì che la notte insonne che aveva passato, non sarebbe stata nulla a confronto con la giornata seguente. I suoi occhi infatti, già aperti, avevano provato a serrarsi per pochi minuti, fino al tono fuori dalla tenda di Fëanor che lo costrinse ad alzarsi.
Non che facesse molta differenza, era soltanto il primo giorno di quella che sarebbe stata la sua vita in bivacco e da comandante. La pressione pensò gli fosse concessa, così come l'ansia.
Non che facesse differenza sentire un "Scusate ma le truppe sono già sveglie mie signore" uscire dalle labbra di un altro elfo. Proprio come lui. Una volta uscito dalla sua tenda, Simone indirizzò il suo sguardo sugli uomini che stavano consumando il primo pasto della giornata. Nonostante non avesse granché appetito, Beren gli portò una scodella con una zuppa calda di legumi e qualche patate in scatola. Simone non fece discussioni, si sarebbe adattato prima a quel cibo, che all'altra operazione: stravolgere interamente se stesso.

Reinventare. Ricostruire un nuovo Simone.

Sospirò brevemente e con una mano provò a sistemarsi i capelli, con gli occhi e un cenno del viso, regalò un saluto ai pochi uomini accovacciati su qualche rialzo roccioso, sull'erba, accanto alle loro piccole case di tela o semplicemente radunati attorno al focolare spento - le cui spire di fumo si levavano alte nell'aria mattutina -, sul quale erano stati issati due rami d'albero e conficcati nel terreno per issare il pentolone che conteneva il pasto che teneva fra le mani. Il suo cenno del capo venne accolto con le altre ciotole, almeno una ventina che si levarono in aria per mezzo secondo.

« Siete pronto quindi per oggi? » chiese la guardia con una vena di ottimismo nella voce.

Simone mandò giù un sorso di quella zuppa e quasi si ustionò per la presenza costante degli occhi verdi della guarda.

Disturbatore di pensieri e viene anche pagato per questo.

« Per... per cosa? »

« Beren non ve lo ha detto? Lui stesso si è proposto per restare con voi. Io e alcune delle guardie andremo in perlustrazione, Principe. »

Ah.

L'espressione di Simone fu tutta un programma, un misto di confusione e ansia perché fissò all'istante il contenuto denso della sua zuppa: due patate piccole ci stavano navigando.

« Oh, capisco » mormorò inghiottendo dell'altra brodaglia in modo che potesse lenire le sue perplessità e paure.

« Dobbiamo ispezionare la zona, capire se gli avversari sono nelle vicinanze. Vostro padre ha pienamente ordinato che qualcuno rimanga con voi, » continuò Fëanor « in modo da rimanere protetto. Ciò vuol dire che avrete pieno campo libero nell'elaborare una strategia per le truppe. »

Un modo, l'unico modo che foglio trovare è come scappare da qui.

Simone risultò scettico, lo stomaco gli si chiuse del tutto e d'improvviso ritornare a dormire anche se forzandosi non risultò una cattiva idea. Fëanor cercò di replicare in modo più ironico.

« Non disperate. Vi abbiamo preparato a dovere, certo in fretta ma avete tutto ciò che vi necessita. Il tempo non vi manca, soprattutto in vista del nostro ritorno. Abbiate solo l'accortezza di non allontanarvi dal campo. » consigliò l'elfo.

« Rimango comunque solo un elfo. » mormorò Simone tra sé e sé lasciando uscire quel pensiero ad alta voce.

Fëanor lo guardò attentamente e Simone si sentì pizzicato da quello sguardo che seppur premuroso, gli risultò invadente. Di sicuro, un insetto sarebbe risultato più delicato e meno irruento.

« Vi conosco da quando avevate cinque anni, ora siete cresciuto e il vostro pensiero deve proiettarsi oltre, espandersi ora che siete lontano da casa. Restate un elfo, sì, ma siete anche un capo adesso. Così come noi i vostri seguaci. Abbiamo il compito di proteggervi ma è anche importante che voi acquisiate sicurezza. Anche per quello, il tempo sarà dalla vostra parte, ne sono sicuro. »

Sicurezza, Simone rise amaramente a quella parola.

« E' così divertente quello che ho appena detto, signore? »

Simone lo guardò di sbieco.

« Si pretende forse un po' troppo. E se non ne avessi? Se la sicurezza non fosse parte di me, se vi siete illusi con il primo che avete trovato? » la zuppa fra le mani cominciò a irritargli la pelle, così come il tono più disincantato.

« Se io non fossi adatto a questo compito, se ci fossero altre persone più pronte e preparate di me? Esistono altri reali vicino al nostro regno. Loro sarebbero più competenti, loro, non io. Ringrazio dei vostri insegnamenti e di chi ha mandato il Re, ma Fëanor, lui ha deciso per me. Non ho avuto modo di fare una scelta. »

Gli occhi verdi dell'elfo diventarono meno rigidi e più sinceri, trasparenti quasi di una comprensione improvvisa. Scambiò la sua verità col suo padrone.

« Riconosco la pesantezza nelle vostre parole, neanche per noi è facile, ma è nostro dovere da anni ormai: combattere, sfidare chi ci minaccia, portare onore. Come con vostro padre, abbiamo la possibilità ora, con voi. Principe, voi siete nato per questo. Anche se adesso, non ci credete. Noi contiamo su di voi. »

Nessuna pressione, nessuna sicurezza, nessuna nascita reale pronta per affrontare un qualsiasi nemico.

Simone annuì lentamente e ritornò poco convinto alla sua zuppa. Restrinse e corrugò il viso cercando di non lasciar trapelare i suoi occhi pieni di ansia.
Dopodiché Fëanor chinò il capo e si batté la mano sull'armatura: la sua veste era cambiata. Così come quelle di tutti gli altri, notò con evidente stupore Simone.

Ora è davvero ufficiale.

« Volevo solo avvisarvi che partiremo in perlustrazione verso Ovest, appena il sole si sarà alzato. »

Simone non poté fare altro che sospirare e con una fugace occhiata, si rivolse al suo sottoposto.

« Attenderò vostre notizie allora. »

E poi così com'era arrivato, così come si allontanò di poco verso gli altri suoi compagni elfi in armatura, lasciando Simone alla sua colazione che continuava a fissare più irrequieto di prima.


 

**





 

Se c'era un modo una situazione che lo facesse sentire più ansioso, Simone non poteva saperlo. Tre delle sue guardie erano andate in ricognizione e ci sarebbe voluto anche più di quella giornata per capire bene la presenza di nemici nei dintorni. Avevano portato poche provviste e più acqua nelle loro borracce.
Quella giornata, sul tardo pomeriggio, il sole stava già toccando l'orizzonte e Simone dopo aver svolto il suo quotidiano rituale di domande e risposte, ne era uscito fuori con una sola possibilità: provarci.
Forse non era il comandante che si sarebbe aspettato, né tantomeno la persona adatta a rivestirlo, ma se Fëanor aveva spezzato una lancia in suo favore con il discorso della prima mattina, forse l'idea non sarebbe stata così catastrofica se messa in pratica.
Ecco perché, affidò a Beren l'incarico di radunare gli uomini - i migliori - all'interno dalla postazione di controllo che gli era stata mostrata a colazione. In realtà, Simone aveva raccolto una sintesi delle lezioni impartitegli pochi giorni prima di partire e sperava che questo bastasse a fornirgli un primo approccio.
Quando ben nove uomini si trovarono al suo cospetto e inchinandosi davanti a lui, il Principe ebbe la prova di stare davvero accettando il suo ruolo.

« Miei uomini » intonò con una voce abbastanza ferma Simone, le mani in grembo sulla lunga veste giallo ocra« vi ho convocati per cominciare a delineare un piano d'attacco. Le mie sentinelle hanno cominciato il giro di perlustrazione oggi, » si schiarì meglio la voce e proseguì osservando ognuno dei soldati davanti a lui, pregando di non risultare ridicolo per nessuno di loro « presto sapremo forse con chi o cosa abbiamo a che fare. »

Dicendo così, Beren gli aprì la mappa dell'intero territorio davanti gli occhi. La carta antica e a tratti anche stropicciata sui bordi, gli venne srotolata sotto gli occhi mostrando subito pezzi di storia con icone abbozzate di villaggi con i relativi nomi, montagne, laghi e qualche linea di tratteggio a guidare lo sguardo.

« Grazie Beren »

Le dita si mossero sul punto in cui si trovavano, l'anello sull'indice in bella vista che si adeguava alle sue dita affusolate, indicò proprio la zona tra Pribora e le montagne di Lórien. Si limitava a una breve chiazza, marchio che non era una zona poi così importante o estesa.

« Questa è la nostra esatta posizione. Se dovessimo ricevere le notizie che aspettiamo dovremmo muoverci di conseguenza, mh »

Simone si morse le labbra. Beren vedendolo titubante intervenne in suo aiuto.

« Mio signore, è probabile che lo spostamento avverrà da Ovest a Nord o che ci sposteremo a Sud »

Il principe annuì, mimando un breve accenno con lo sguardo come a ringraziare la guardia.

« Giusto. Quindi, se restassimo qui, dovremmo sfruttare un campo abbastanza pianeggiante. Non esistono percorsi di montagne rocciose se non a Nord, per l'appunto... Ci troviamo su terreni abitati, quindi lo scontro non prevederebbe punti per nascondersi. » chiarì Simone tutto d'un fiato.
Cercò con gli occhi l'incoraggiamento della sua guardia che lo lasciò fare. «Dovremmo operare al di fuori dei villaggi o quanto meno tenerli al sicuro se fosse il caso. »

Beh, non si può avere aiuto ogni volta.

Simone mise in pratica tutto ciò che sapeva allora.

« Avanguardia, centro, retroguardia. Queste sono le linee che bisogna seguire: essendo un grosso numero di uomini, penso sarebbe meglio disporre una formazione lineare. La cavalleria nei ranghi più serrati, quanto alla fanteria, sarà libera. »

Guardò per bene ogni soldato e qualcuno di loro cominciò a parlottare con il suo compagno. Simone cominciò ad avere il sospetto di aver sbagliato qualcosa.

« Ovviamente,» continuò il principe sovrastando il primo brusio « mi servirebbe capire effettivamente il numero di arcieri, spadaccini e coloro che coprono entrambe le fasce »

« Se non sbaglio signore, » riprese Beren interrompendolo « sono circa seicento unità di cavalieri e la restante unità unicamente fanteria.»
Simone annuì lentamente, portandosi una mano a grattarsi il mento e perdendosi a osservare un punto sulla cartina.

« Principe, se posso permettermi »

La voce provenne da uno dei soldati, un ragazzo riccio che aveva alzato leggero la mano e la aveva subito abbassata, facendo un passetto in avanti.
Il principe alzò gli occhi, tendendolo subito in considerazione.

Ti ho già visto.

« Parla pure soldato, ogni consiglio è ben accetto »
Il soldato annuì e parlò poco dopo.

« Non intendo mettere in contraddizione la vostra strategia, ma una formazione a blocco sarebbe più robusta. Soprattutto per un primo scontro con cui non conosciamo il nemico. » spiegò.

Quel soldato Simone lo aveva già visto, lo ricordava. Più guardava il suo volto, più si sforzava di venirne accapo. Gli elfi non peccavano di memoria, ma evidentemente Simone si trovò a corto di un rimando preciso. Il principe annuì.

« Vai avanti, ti ascolto. »

Il soldato annuì, guardando poi i suoi compagni: elfi e umani come lui.

« Comporterebbe un rallentamento delle file più arretrate, ma la formazione in blocco ci permetterebbe di avere qualche uomo di scorta in più nel caso- »

« Nel caso gli uomini in prima linea venissero colpiti. » completò Simone ricollegandosi alla sua spiegazione.

Il soldato annuì mostrando un sorriso chiarificatore e grattandosi poi la nuca, fece un passo indietro.

« E quale formazione ti sembrerebbe più adatta? » chiese di conseguenza il principe, appoggiando entrambe le mani sulla mappa e osservandolo meglio. In realtà voleva anche risalire al suo nome che gli sfuggiva al momento.

Il suo nome, qual è il suo nome, pensa.

« Beh se gli i fanti sono degli uomini ben addestrati, direi che una formazione a cuneo sarebbe l'ideale. » proseguì il soldato senza tentennamenti.

Ma certo!

Simone ebbe come un'illuminazione. Sorrise con sé stesso e annuì allo stesso modo.

« Creerebbe un punto perfetto con la disposizione dei cavalieri a triangolo...o potremmo disporli alternandoli ai fanti fungendo da scudo a cavallo. Ricreare una falla interna con un effetto sorpresa all'interno... »

Simone pensò a uno schema che seguiva l'andamento quasi secondo un vertice, ma più stretto. Ovviamente bisognava provarlo sul campo.

« Come se fosse un grande uovo di Pasqua » esordì Beren. Simone si rivolse a lui, girando il volto.

I suoi occhi grandi si caricarono di aspettativa.

« Secondo te può andare? » chiese però, risultanto con una punta di incertezza Simone.

« È già qualcosa signore, direi ottimo lavoro »

« Direi che il lavoro va diviso a metà, » Simone ritornò sul soldato riccio, sfoggiò uno sguardo risoluto, ma colmo di gratitudine.

Quella cicatrice, ne vedeva metà proprio alla base del collo, ma lo aiutò comunque. Simone si era appena ricordato chi fosse. Proseguì allora non usando un tono meno grato e uno sguardo soddisfatto.

« Ottimo lavoro allora, Manuel »

Manuel sorrise beccandosi gli sguardi dei suoi compagni cercando di non mancare troppo il suo entusiasmo dato che una sua idea potesse essere risultata efficace e che il resto di loro non era intervenuto con un suggerimento così semplice e anche tempestivo.

« Vi ringrazio, ma il resto è stato merito vostro, Principe. » terminò Manuel, non potendosi evitare di leggere un certo bagliore di interesse verso quella mascella che si contraeva e annuiva ora e di nuovo, verso le carte geografiche.

Al soldato era sembrato che per un attimo il principe avesse abbandonato la sua innata rigidezza, ma forse era stato solo un breve momento in cui pensava di essersi immaginato un accenno di un sorriso o qualcosa di vagamente simile.

Il principe giunse le mani e rialzò gli occhi su tutti i soldati convocati.

« Bene, se per voi suona buona, potremmo restare con questo schema che andrà perfezionato una volta avute notizie. »

I soldati non ebbero da ridire e Simone lo congedò. Uno a uno uscirono in ordine dalla tenda. Poi Beren, si rivolse a Simone in tutta confidenza.

« Davvero capace quel soldato di Roccabuia, uh? » abbozzò stupito.

Simone si lasciò andare, più sollevato rispetto a quando era entrato in tenda, sedendosi in un angolo del tavolino, facendo attenzione a non stropicciare la mappa col suo corpo.

« Non ne avevo dubbi, ma qui credo che ognuno sia capace, Beren. »

E soprattutto sa cosa fa, agisce sapendo di agire. Io procedo a caso.

« Sì, ma concordate con me che dobbiamo fidarci delle ottime voci che ci sono arrivate. E credo che questa ne sia la dimostrazione, Principe. »

Quegli occhi castani lampeggiavano mentre parlavano di una tattica, di uno studio calcolato. Simone non poteva negarlo, si era distinto. Gli veniva naturale. Manuel era un soldato nato per la guerra. Lui, invece, era nato in un bosco, a raccogliere erbe, imparare la cultura del suo popolo, tirare quando poteva con arco e frecce e cavalcare libero in mezzo al verde.

« Vedremo come renderà in battaglia, ma sicuramente, confermerà anche quell'aspettativa. Di sicuro, chiunque impugni una spada, la conferma. »

« Vi state pentendo di non averne imparato l'arte? »

« Non è questo che ho detto. Se sarà necessario, lo farò, l'ho già messo in chiaro con te, Fëanor, Amras e gli altri. »

« Dovete essere più fiducioso delle vostre capacità » sospirò Beren, portandosi una mano alla fronte « L'arte della guerra può anche essere imparata, anche vostro padre non era nemmeno istruito prima di mettersi all'opera, sapete? »

Mio padre sicuramente non mi avrebbe aiutato se fosse stato un mio soldato.

La smorfia sul suo viso portò Beren ad ammutolirsi di colpo.
Simone non aveva intenzione di ripristinare lo stesso discorso della mattina, così come non aveva voglia di sentirsi ripetere "ve lo avevano detto" solo perché la spada gli ricordava un cappio in qualche modo e quello lo rimandava a una forca, di molti anni prima.

« Credo sia arrivato il momento di riposare per te, Beren, » cambiò discorso Simone alzandosi e mettendo a posto la mappa, arrotolandola con cura, la veste toccava appena l'erba nascondendogli quasi del tutto i piedi « puoi anche andare. Io credo...credo che andrò a cavalcare un po'. »

Beren annui lentamente lasciando Simone all'unica cosa che desiderava davvero: smettere di recitare. Per prima cosa, decise di cominciare da ciò che indossava, doveva trovare qualcosa con cui si sentisse libero di girare in accampamento e allontanarlo dalla sua forma sociale.

Almeno questo, posso deciderlo.

 

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Capitolo 4
*** Il richiamo di Ulmo ***


Il richiamo di Ulmo

la divinità dell'acqua







L'immenso paesaggio si stendeva di fronte ai suoi piccoli occhi ma non riusciva a vedersi: spaesato in mezzo a ciuffi d'erba più alti di lui e un cielo incendiato dai colori fin troppo astratti e appartenenti a un tramonto.

« Se vaghi senza avere un posto dove andare, finirai col perderti, stella mia. Vieni! Sono qui »

Il richiamo di sua madre replicò il fruscio delle foglie, mosse dal tocco del vento e attirò subito l'attenzione del piccolo Simone che svelto, cominciò a correre lungo il sentiero dalla direzione opposta. Sua madre continuò a incitarlo e gli parlava a voce alta, mostrando il sorriso più prezioso che potesse regalargli.
Al contrario, la sua voce era così lontana. Suo figlio riusciva a vederla lì, Cora. La vedeva proprio con le braccia spalancate in attesa del suo arrivo, ma lui non riusciva a raggiungerla.

« Simone, un piccolo sforzo, ci sei quasi » lo invitò premurosa tendendo le sue mani in avanti.

Era così bella nella sua lunga veste bianca, in contrasto con la sua cascata di capelli lunghi neri. Più elegante e leggiadra di qualsiasi elfo. Più amorevole di qualsiasi altra creatura al mondo.

Sua madre era una visione d'amore.

Il piccolo Simone non riusciva a vedere se stesso, solo le sue gambe. Non riusciva a vedersi ma non era questo l'obiettivo mentre incespicava per riuscire a stringerla con quelle braccia corte che crescendo avrebbero dovuto spostare tutto il loro peso sulle spalle.
Si maledì perché ogni volta che superava un punto, quel tragitto sembrava prendersi gioco di lui, moltiplicarsi all'infinito come un labirinto degli orrori.

« Mamma aspettami » le gridò, sperando in una felicità che potesse esaurirsi da lì a poco.

La sua corsa poteva sembrare solitaria, perché a parte lui e sua madre non c'era nessuno. Ma in realtà gli alberi, l'eco del vento, anche qualche usignolo, l'intera natura ne era partecipe. Sembrava partecipare al suo urlo costante di pace, di calma, di affetto. La natura però non lo aiutò nel suo unico obiettivo: Cora sembrava inconsistente, come un miraggio.
Simone camminava veloce sull'erba, superava il prato di fiori arrivando a un piccolo sentiero di ciottoli e sassi, sua madre era lì ad aspettarlo.

« Ci...ci sono quasi » mormorò Simone, ripetendolo come un mantra in dormiveglia. Il sudore gli bagnava le tempie e qualche riccio sulla fronte.

Mancavano pochi passi. Pochissimi passi e il figlio si sarebbe ricongiunto finalmente a sua madre sotto quella che sembrava una giornata di sole, con le nuvole simili e fiocchi di neve più paffuti. Pochi passi delle sue gambe scoperte. Insolito, non usciva mai senza una veste che fosse una tunica o gli coprisse le ginocchia. L'abbraccio era lì ad attenderlo.

Abbraccio che mancò di realizzarsi poiché di colpò la bocca di Cora si dilaniò in un urlo. Proprio quando suo figlio raggiunse la madre, questa si accasciò a terra accanto al suo corpo e l'erba attorno a loro cominciò a scolorirsi perdendo vita, il suo colore vibrante, inaridendo a vista d'occhio.

« Mamma non lasciarmi solo » singhiozzò.

Neanche le guance solcate dall'acqua gli furono visibili, la vista del piccolo si annebbiò. Il volto di sua madre era ancora bello, pulito, neanche una goccia di sangue osava solcarlo. Ma l'anima, l'anima era spezzata dall'interno, il corpo ne risultava sfibrato e privato. Forse era rimasto solo un ultimo fiato a possederla.

« Simone, devi avere coraggio » la bocca di sua madre si muoveva alternando dei piccoli spasmi. Solo gli occhi ancora non le si erano spenti, diretti verso il frutto del suo amore.

Le pupille di Simone si mossero a scatto nel sonno, la fronte era già madida di sudore.

« Senza di te non lo avrò m-mai! »

In quelle parole Simone avvertì tutto quanta la sua mancanza di futuro, di realtà, di possibilità. Senza qualcuno a guidarlo, sarebbe stato perso. Il suo corpo adulto si irrigidì all'interno del materasso su cui poggiava.

« Tu sarai tutto, anche senza di me. »

Un ultimo sospiro in mezzo al gelo poi del corpo, lo spasmo le prese l'anima.

« Stellina mia, splendi per me »

E così si spense, l'intera energia della natura sembrò piangerla all'istante: il vento si arrestò e gli usignoli smisero di intonare il loro canto.

« NON LASCIARMI » urlò Simone nel sonno, scattando con la testa a sinistra e a destra su un cuscino sfatto.

Il piccolo bambino osservò i dolci lineamenti di sua madre lasciarlo, i suoi occhi si chiusero.

« Io non sono una stella. Mamma, mamma! »

« Coraggio » l'eco di Cora colorò l'aria mentre suo figlio avrebbe solo voluto raggiungerla in tempo.
Il piccolo si accasciò sulla madre, il cui corpo poco dopo si sgretolò volando via, lasciando fra le sue piccole mani solo un misero cumulo di foglie rinsecchite.

« MAMMA! NO! » urlò di nuovo.

Simone aprì all'improvviso i suoi occhi, svegliandosi.

Si portò seduto sulla sua brandina, reggendosi la testa con entrambe le mani. Le dita affondarono nei ricci, qualcuno di loro venne tirato senza pietà e senza cura. Le gambe arrivarono a stringersi al petto e la testa trovò un rifugio proprio in mezzo a quelle.
Dondolò appena col corpo, cercando di ricacciare quel sogno così reale o oscuro all'origine, in modo che venisse risucchiato. Simone strizzò gli occhi cercando di reprimere il sentimento di totale negatività, tristezza e rabbia che lo investivano e lo ricoprivano come un bagno ustionante dalla punta dei capelli a quella dei piedi.
Sua madre aveva cominciato a apparirgli in sogno per tre sere consecutive da quando era partito. Erano tutti momenti in cui lui la stringeva e poi sentiva svanire via il suo calore o episodi diversi dove non riusciva a ricordare i suoi lineamenti e all'improvviso si deformavano.
Simone scommetteva che fosse dovuto anche alla pressione e all'ansia della nuova situazione in cui si trovava.

Sua madre non gli aveva mai parlato di guerra come una possibilità.
Lei non ne aveva mai parlato, lei sarebbe stata positiva a tutto tranne che a quell'idiozia di allontanarlo da casa loro per incontrare una strada piena di pericoli o di fallimenti.
Era passato solo un giorno dalla partenza delle sue tre guardie e lui aveva già stabilito una strategia.

Posso farcela.

Cercò di smuoversi dal suo torpore mentale, visto che il corpo aveva già risposto e lo aveva portato ad alzarsi e aprire appena la sua tenda con tre dita. Il cielo era un misto colori tra il primo giallo e il rosa: l'alba. O forse qualche ora prima che il sole sorgesse.

Si stropicciò un occhio con il dorso della mano libera e adocchiò Neve accovacciata serena e dormiente in un angolo sull'erba, forse anche quello più pulito e distante dalla fanghiglia.
Simone uscì fuori dalla tenda e lentamente, si accovacciò ad accarezzarle il pelo: il respiro di Neve era una delle poche cose che davvero riuscivano a tranquillizzarlo.
Gli confermava che lei c'era ancora e sperava ci sarebbe stata ancora per molto tempo. Le scoccò un bacio affettuoso sul muso e l'animale sbuffò appena.
Simone sorrise ampio e proseguì a sussurrarle piano qualcosa all'altezza delle orecchie.

« Cuiva Lösse » mormorò Simone, continuando ad accarezzare il suo manto bianco.

Svegliati.

Neve in tutta risposta sbuffò annoiata, sprofondando ancora di più il viso peloso in mezzo all'erba. Simone si distese a osservarla, seguendone il rapido movimento. Era così rilassata, così tranquilla.

Magari fossi lei, pensò Simone.

Mantenendo davvero una distanza labile, non demorse e le sussurrò ancora.

« Buongiorno dormigliona, ti va di fare una passeggiata, mh? »

Simone giocò con una ciocca della sua criniera: sembrava fatta quasi di seta, d'altra parte, non mancava di spazzolarla ogni giorno. La cavalla sbuffò in risposta e molto piano, aprì gli occhi. Non aveva il broncio e Simone sapeva avrebbe voluto dormire, ma non se la sentiva di andare da solo. Quei grandi globi neri si specchiarono negli occhi del suo padrone e inclinando il muso, si avvicinò al suo viso. Neve brontolò qualcosa, nitrendo piano e Simone annuì.

« Staremo poco, promesso » e detto così Simone si alzò, lasciando alla cavalla il suo tempo per alzarsi. Simone rientro in tenda e frugò dentro un sacco con dentro delle provviste, decise di portare qualcosa dietro, dentro la sua di sacca di cotone. Dal sacco più grande invece, tirò fuori due mele rosse e mature e le sventolò davanti gli occhi neri di Neve.

« So che la vuoi » sussurrò Simone ritornando alla cavalla e quella prolungò subito il collo, mettendosi in piedi e poggiando sugli zoccoli per alzarsi.

Quando Neve fu in piedi, seguì Simone che indietreggiò un po' di proposito. E appena lei fece qualche passo, Simone le lasciò addentare la mela dalla sua mano, a morsi voraci. Simone le sorrise di conseguenza. « Brava, così.»

Mentre Neve masticava e sbocconcellava la sua mela con gusto, dei passi distrassero Simone. Si girò appena incurvando il torso.
La figura di una donna anziana avanzò verso di lui. La sua tenda era proprio a circa tre da quella del Principe. La donna si rimboccò lo scialle verde scuro attorno alle spalle sul petto. Contrastava sopra la tunica beige che portava dei ricami complessi come bordino sulle maniche. Le orecchie a punta erano ben in mostra per via dei capelli lunghi e bianchi, tirati indietro in una treccia.

« Ingrid » mormorò Simone sorpreso « buongiorno »

Neve aveva finito il suo frutto e annusava già l'altro identico nella mano destra di Simone.
Ingrid, l'infermiera anziana che si era occupata per quasi tutta la vita di curare la gente di Boscoverde ma principalmente Simone, a Palazzo, gli regalò un breve sorriso increspando la bocca. Nonostante l'età, era ancora una bella donna e la sua pelle era rimasta chiara, luminosa.

« Non è un po' troppo presto per essere svegli? » inclinò la testa la donna.

« Non riuscivo a dormire. » mormorò Simone, cedendo alla sua cavalla che spingeva il muso sul frutto rosso prelibato. Avvicinò la mano. « E immagino neanche tu.»
Ingrid si fece più vicina, sospirò.

« Lascia stare me, lo sai che tu hai bisogno di dormire quanto gli altri, se non di più? Non ti fa bene pensare troppo. » lo rimproverò Ingrid, ma con voce lenta e premurosa. I suoi occhi erano la custodia di un gran sapere e anche grande affetto.

« Ingrid, » rispose Simone scambiando uno sguardo nei suoi occhi grigi « non sono più un bambino, ma evidentemente non è chiaro perchè tutti qui vi ostinate a dirmi cosa devo fare » risultò più rassegnato che brusco nelle sue parole.

Purtroppo, aggiunse col pensiero.

« Oh lo so bene, » ridacchiò l'anziana, allungando una mano a stringergli una spalla « sei un adulto ormai, più ti guardo e più me ne rendo conto. »

Simone lasciò finire a Neve l'ultimo boccone di mela e ritornò a guardare Ingrid, aveva gli occhi accesi di malinconia.

« Assomigli tanto a lei. Ogni giorno. »

Simone annuì lentamente e la presa di Ingrid si spostò dalla spalla alla sua guancia, con fare protettivo.

« E ti manca, lo so. » ammise, toccando un tasto scoperto.

« Ogni giorno. »

Simone lo sussurrò piano, con un filo di voce. Ingrid cercò di consolarlo.

« E manca tanto anche a noi. A chi la ha capita e aiutata... a chi le ha teso sempre una mano. Ma anche lei ti diceva cosa fare e non hai mai contraddetto i suoi di consigli. »

Ma lei era mia madre.

Simone non replicò a quelle precise parole, perchè per metà, sapeva fossero vere. Neve si spostò, andando alla ricerca di coccole da parte di Ingrid indirizzandole il muso e la donna venne solleticata da quello, all'altezza delle orecchie.

« Non ho cibo da darti furbacchiona » la donna rispose in un tono determinato, ma si lasciò bellamente scompigliare la treccia dalla cavalla, sciogliendosi alle sua ricerca di attenzioni.

Simone incurvò le labbra osservando entrambi: la testimonianza di una vita che guardava al passato e quella invece, di un presente e forse futuro. Ingrid che aveva conosciuto sua madre, Neve che non ne aveva avuto il tempo.

« Mamma la avrebbe amata, ne sono sicuro »

« Oh, questo è sicuro, cespuglietto »

Simone corrugò lo sguardo, poi lo abbassò.

Ricordi, quando ancora eri felice.

« Ingrid, sono anni che non mi chiami così » arricciò il naso.

Ingrid aprì la bocca come se fosse sorpresa a quelle parole, ma lasciò andare un piccolo cenno divertito. Parlò con voce intrisa di spensieratezza, quella di un tenero ricordo ancora vivido.

« Non mi sono certo dimenticata, ho un età ma la mia memoria si difende, non credere» continuò Ingrid, spostando il suo sguardo dagli occhi della cavalla a Simone. Poi, la mano passò ad accarezzargli qualche riccio e Simone avvertì un brivido istantaneo.

Sembrava quasi il tocco di sua madre.

« E sono anni che non hai quell'aria serena di quando te lo dicevo. Hai quel fastidio dipinto su quel bel viso solo perché pensi di aver dimenticato tu quella parte di te. »

Simone oscillò con il capo, negando.

« Non c'è più quella parte di me. O almeno, sono sicuro che non viva più. »

Era così, il bambino che era adesso era un elfo adulto. Un elfo a cui era stato cancellato il diritto di essere cresciuto con cura, un elfo che avrebbe voluto sinceramente capire cosa significava essere di nuovo felice, ma per davvero.
Ingrid gli prese il viso fra le mani e lo guardò come si guardava la luce che sfrecciava in pieno giorno, rischiarando tutto il paesaggio. Lei riusciva a vederlo.

« È dentro di te, da qualche parte. Sei ancora cespuglietto, oltre i capelli. Quello spirito esiste ancora. »

E Simone aveva sentito tante di quelle voci in quei pochi giorni, voci per un reale, voci per un caporale dell'esercito, ma mai una voce famigliare che provasse a ricordargli che forse c'era una speranza ancora nascosta e a cui aggrapparsi.

« Mi chiedo cosa farebbe lui, quel bambino, al mio posto »

Ingrid sospirò, gli occhi di Simone si erano accesi per pochissimo e ora ritornavano a meditare vie complicate.

« Penserebbe molto meno, agirebbe d'istinto e si lascerebbe andare. »

Ingrid ridacchiò e Simone sembrò pensarci su.

Istinto.

« So che non è facile, Simone, ma non sei solo. » completò la donna con lo stesso tono di dolcezza.
Simone avrebbe tanto voluto continuare a parlarle, ma il sole si stava piano piano alzando nel cielo e lui aveva bisogno di ricomporre se stesso da un'altra parte, lontano dall'accampamento. « Se vuoi parlare, io sono qui... a meno che tu non ti voglia dimenticare di questa vecchia »

Ingrid lo guardò sincera e Simone annuì piano, incurvò le labbra poi in un sorriso sbilenco.

« Im avo awarthannen le »

Io non voglio dimenticarti.

Poi al sorriso più grande e maturo di Ingrid, Simone capì di doversi congedare. « Sarà il caso che tu ritorni a dormire adesso, iaur »

« Tutta questa formalità è molto strana, devo ammetterlo » sospirò la donna alzando un sopracciglio « Ma ci andrò solo se lo farai anche tu, Principe » rispose Ingrid decisa.

Che fosse testarda, Simone lo sapeva. D'altra parte, era sempre stata con lui a curargli i graffi o a curare il suo mal di pancia quando sua madre non poteva più.

« Temo che non riuscirei comunque a riprendere sonno anche se ci provassi.» Simone afferrò le mani di Ingrid ne carezzò il dorso con i pollici prima di allontanarle « Non preoccuparti, non scapperò via né dai miei doveri né dal mio popolo. »

Ingrid non poté che annuire, vedendo come Simone si chiudeva poco dopo, mettendo su un'espressione più contenuta. Prima però di lasciarlo andare, salutò la cavalla con una piccola carezza sul dorso. Simone si voltò verso quella donna amorevole.

« C'è un fiume, giù a fondo valle » gli disse Ingrid, recuperando il suo scialle e avvolgendolo al petto « non è distante da qui. Io e le donne lo abbiamo scoperto ieri, per capire se ci fosse qualche altro elemento da miscelare ai rimedi. La sorgente non è caldissima ma l'acqua è il rimedio più potente... almeno per qualche ora » suggerì, facendo un occhiolino.

L'acqua.

Da quanto Simone non faceva un bagno decente?

Certo, era ricorso a tinozze riempite, lavandosi a pezzi all'interno della sua tenda, ma non era esattamente la stessa cosa di avere dell'acqua fresca.

Forse un bagno lo avrebbe rilassato e calmato per un po'. Simone annuì e decise di accettare il suo consiglio.

« Buono a sapersi, grazie Ingrid » disse, poi guardò Neve e con un balzo salì sulla sua groppa, fece un breve cenno di saluto ad Ingrid e poi, Simone, proseguì per la sua direzione.



 

**



 

 

Quando Manuel venne svegliato da Elvira - una delle ragazze dell'esercito abbastanza peperina e decisa, che dormiva e condivideva la sua stessa tenda - per prendere della legna che sarebbe servita la sera per attizzare il fuoco, il ragazzo in realtà non si trovò infastidito.
Non aveva avuto un sonno continuato e la colpa forse era da dare a quel materasso scomodo e basso sotto il suo corpo. Nonostante fosse abituato a dormire all'aperto, c'era qualcosa che lo scombussolava nel suo nuovo spazio.
Sospirando, Manuel quindi si alzò e scostando il filo di cotone della tenda, si stiracchiò.
Le braccia si allungarono mentre gli occhi venivano colpiti dal primo sole del giorno che si trovava a metà della sua strada.
Si guardò appena nel riflesso della sua spada, che recuperò. I suoi capelli erano un disastro, ma quella non era una novità. La novità era la bava al lato della bocca - l'unica che poteva contare almeno due orette di sonno tardive - , che tolse subito aiutandosi col dorso della mano. Poi, ripose la spada tenendola dall'elsa, nella cintura apposita dei pantaloni. Al suo posto afferrò una piccola ascia nel reparto armi. Il legno non si sarebbero tagliato da solo.

Il suo stomaco chiese subito dopo qualcosa da mangiare. Manuel si portò infatti una mano alla pancia e quella come se avesse percepito la sua domanda, gorgogliò in risposta. Non che ci fosse poi molto con cui fare colazione, visto che l'addetto a quello per il giorno sarebbe stato Ronan - uno degli altri soldati arruolati e abbastanza scorbutico. Quindi, in assenza di una zuppa calda, Manuel si accontentò di un po' di miele, con due fette di pane elfico, qualche nocciolina e una mela. Si accovacciò per terra sull'erba, posò la piccola ascia e consumò il suo frugale pasto in questo modo, accavallando le gambe.
Era abituato a fare così, nella sua casa in campagna, l'unica differenza adesso era il fumo del fuoco spento che saliva verso il cielo e un silenzio fin troppo assordante per lui.
Era abituato a sentire i primi rumori della natura, tra cui quelli degli animali da cui la sua famiglia di contadini traeva sostentamento.
Percepiva benissimo però lo stesso momento libero del sole - che nonostante il diverso ambiente da quello contadino di casa - si faceva piano piano strada verso il nuovo giorno: quella era una visione che avrebbe allietato chiunque. Manuel finì le due fette di pane ricolme di miele quasi subito, così come la frutta secca, mentre la mela decise di mangiarla lungo il tragitto. Manuel non si era nemmeno scomodato a controllare meglio il suo cavallo, che placidamente dormiva in piedi al lato della sua tenda. Gli era bastata una rapida occhiata per capire che Maximus non si sarebbe svegliato facilmente.

Almeno qualcuno qua riesce a dormire.

E poi ci avrebbe messo davvero poco.
Gli era stato spiegato che la legna più robusta si trovava scendendo in fondo alla pianura dove l'accampamento ero stato allestito, una camminata di qualche minuto. Si grattò la nuca e si mise in cammino quindi, accompagnato dalla prima brezza del mattino.
Scendendo a fondo valle, Manuel si sentì già più a suo agio circondato dalla vegetazione, dalla terra più scura, da piccoli ciuffi di erba sparsi qua e là sul terreno.
Non avvertì il suo stesso passo mentre, ascia alla mano, spirito attivo, adocchiava il punto che gli era stata suggerito.

Alberi di pioppo bianchi.

E così, perdendosi un po' in mezzo a piante di diverso genere, tra cui distinse solo violette e ortiche, di cui le prime di un intenso e vivido colore, si inoltrò lungo un breve sentiero un po' discosto e tutto in discesa.
Il terreno mostrò anche qualche strato di fango, proprio oltre che l'erba e gli stivali si sporcarono di conseguenza, ma non ci diede peso.
Appena fu arrivato alla fine, un'immensa distesa di pioppi si stagliava davanti ai suoi occhi, nascondendo un fiume proprio dietro le fronde e chiome erbose. Manuel riuscì a vedere la metà di un tronco abbattuto la sera prima - opera di uno dei suoi compagni di tenda - proprio alla sua destra e subito si precipitò a impugnare l'ascia, sollevarla e batterci contro il legno per spaccarlo.
Ringraziò mentalmente le sue braccia forti e dopo nove-dieci colpi ben assestati, Manuel riuscì a ricavarne dei pezzi non troppo esili e di giusto spessore e robustezza.
Cercò a fatica posto sulla cintura per piazzarci il manico dello strumento da poco utilizzato e poi, sollevò i ciocchi legna circondandola con le braccia. Riprese a camminare nella direzione opposta, pronto a risalire da dove era venuto, ma qualcosa in mezzo a uno spazio creato da due di quegli immensi alberi, attirò la sua attenzione.

Lì, attraverso quel varco creato come uno squarcio apposito a una visione privilegiata, il fiume splendeva creando piccoli luccichii sull'acqua di un verde chiaro e pulito, lasciando spazio all'insenatura rocciosa ricoperta dalla vegetazione intorno.
Manuel avanzò appena, la punta del naso sfiorò una delle foglie dell'albero e senza indugiare oltre, si limitò a guardare.

In realtà ciò che notò Manuel, non fu tanto l'acqua naturale - che risultava tanto chiara, quanto fresca - quanto chi ci si stesse facendo il bagno dentro.
Era girata di spalle, una figura maschile e nuda, che lentamente raccoglieva l'acqua e si bagnava i capelli neri, portava le mani a toccarne la superficie e alzava il viso - nascosto agli occhi di Manuel - verso la fonte solare.
La pelle di quella bella creatura era di un bianco candido, così come lo era la forma fisica. Era alto, le sue spalle erano ampie e la sua vita leggermente più stretta. Così come la fine della schiena, il sedere seguiva una forma tonda e segnato all'altezza del bacino da due fossette di Venere.
Il resto del corpo di quel ragazzo questo almeno sembrò essere a Manuel, risultava interrotto dal pelo dell'acqua, che nascondeva il resto.
Nel momento esatto in cui Manuel dichiarò a sé stesso di non aver visto mai qualcosa di più bello di quello, la figura maschile si girò.

« Neve sei sicura di non voler venire anche tu a bagnarti un po'? » chiese quella figura mistica improvvisamente.

Il profilo si disegnò in controluce e Manuel aprì la bocca per lo stupore: Dal naso dritto, alla mascella, alla bocca disegnata, al collo esposto.

Non ci credo.

Manuel pensò che il Principe stesse dormendo nella sua tenda o che comunque non si sarebbe mai scomodato ad alzarsi all'alba. O che comunque non avrebbe mai scelto di lavarsi in un fiume.
Ma forse avrebbe dovuto rivedere quel concetto basato su un effimero pregiudizio.
E così, rapito da quella visione, depositò la legna a terra lentamente, inginocchiandosi e coordinando quel movimento - come un qualsiasi ladro dopo aver rubato - per evitare di fare rumore ed essere scovato. Poi le sue mani si aggrapparono lateralmente al tronco del pioppo. La figura del principe era abbastanza lontana dagli alberi e Manuel sfruttò quella specie di nascondiglio a suo favore.
Doveva solo mantenere il silenzio.
Al brontolio del cavallo bianco - che ora Manuel distingueva perché era in piedi vicino all'insenatura naturale e rocciosa - Simone rispose sospirando e mettendo le mani intorno ai fianchi.

« Sei la solita! Come vuoi, pensavo ti avrebbe fatto bene un po' d'acqua fresca »

E così, Manuel restò a guardare in silenzio e in sospensione.
Vide Simone bagnarsi i capelli i ricci con l'acqua e scompigliarli, poi passare al viso, procedere dentro l'acqua come se il suo corpo e quell'elemento fossero un'unica cosa. Aveva un'eleganza e una leggiadria che rispondevano perfettamente alle sue radici.

Non era umano.
E non solo per via delle sue lunghe orecchie da elfo.

Non se lo spiegò in quel momento, ma c'era qualcosa in ciò che vedeva, che non gli sembrava possibile esistesse.

C'era una parola che spesso aveva sentito pronunciare dai suoi: benedizione.
Benedizione se gli animali producevano e non si ammalavano, benedizione era se le intemperie non distruggevano il raccolto, benedizione se ritornava sano e salvo a casa.
Ma in quel momento Manuel diede un'altra definizione al significato di benedizione.

Era una perfezione intoccabile, anche per quel gesto che ora vedeva eseguire al principe.
Manuel credette di stare assistendo a una specie di danza segreta, perché Simone - volle distaccarsi per brevi attimi a quella disparità di ruolo - si rivolse al sole e cominciò a sussurrare qualcosa in lingua che lui stesso non sentì o recepì. Non era comunque la lingua che parlava comunemente, questo era evidente. Sembrò quasi un rituale, una cerimonia, una preghiera che portava il principe Simone ad alzare le braccia - quasi in forma di ringraziamento - verso quell'elemento. E poi sostare così, a lasciarsi toccare dal calore dei raggi.

Non si stupì a sussurrarla per sé quindi, quella stessa parola infatti, Manuel.

« Un dio »

Beh, in effetti loro vivevano in religione a delle divinità. Manuel non sapeva poi molto sugli elfi, ma quel particolare gli era ben noto per via di qualche incontro. Ne aveva visti alcuni prima, qualcuno si arruolava di sua sponte per combattere ed era abbastanza forte, ma di certo nessuno che lui ricordasse, aveva potuto vederlo in quel frangente. Gli elfi risultavano così, alcuni particolarmente freddi, imperturbabili, altri erano particolarmente difficili da capire.

Forse il principe sarà uno di quelli.

Poi, il principe avanzò nell'acqua e a poco a poco, la sua intera figura venne svelata come per incanto, l'acqua scoprì il suo corpo come se il velo che lo vestiva, si stesse sganciando: e in quel momento Manuel non poté che rimanere in silenzio e lasciare parlare soltanto la sua espressione.

Non c'era qualcosa di sbagliato in quello che stava vedendo.

Così come aveva cercato di spiegarsi metà di quella bellezza, così adesso che il quadro era completo, Manuel riuscì solo a ripetersi in testa che non sarebbe dovuto essere lì. Che al campo qualcuno forse si era già svegliato e aspettava di fare colazione con qualcosa di caldo, aspettava che lui portasse la legna con cui accendere il fuoco. Pensò che un soldato come lui doveva avere in mente ben altri pensieri che osservare in quel contesto, qualcuno di una levatura più alta socialmente.

Ma Manuel era pur sempre un soldato lontano da casa e quella visione era capitata per caso davanti ai suoi occhi.

L'altra scena che seguì dopo lo portò a distrarsi ancora una volta da una nuova riflessione.

Non gli sembrò vero il momento in cui, Simone si avvicinò alla sua cavalla bianca e cominciò a richiederle con pazienza di restituirgli i vestiti che teneva fra i denti.
Manuel cercò di non ridere o comunque di reprimere il risolino che stava per investirlo.

« Dorn roch! » esordì il principe - ancora bagnato - cercando di convincere la sua cavalla che oscillava la testa, svolazzava di qua e là con parte dei suoi vestiti alla bocca, a restituirgli ciò che gli apparteneva.

Più il principe Simone cercava di acchiappare i suoi indumenti, più quel suo animale sembrava impazzire dalla gioia nel prenderlo in giro.

« Molto divertente, davvero. » replicò lui che le stava di fronte.

Il nitrire della cavalla suonò proprio come una forte risata, si impennò con gli zoccoli in un atteggiamento di sfida. Per Manuel fu difficile trattenersi a quel punto e dovette chinare il capo. A quel punto, fu proprio il principe a sbuffare, le mani sui fianchi e piedi nudi sulla roccia, lo sguardo fintamente offeso.

« Sarà divertente anche quando qualcuno qui non avrà il suo zuccherino o la sua razione di mele serali. Questo se continuerà a fare i capricci, ovvio. »

Quel tono però non durò molto. In una manciata di secondi, la cavalla si ammobidì e avvicinando il viso al suo padrone si lasciò sfilare i pantaloni dalla bocca lentamente, mentre il resto dei suoi abiti di cui una maglia lunga verdina e la cintura erano stese ampie a terra, insieme a qualche altro accessorio.

« Quando si parla di cibo cedi sempre mh, mellon nîn? » mormorò dolce e in scherno il principe con un suono diverso, musicale, accarezzando il pelo della cavalla, la quale sbuffò contenta e incontrò gli occhi di chi le stava dedicando le dovute attenzioni.

Poi, l'animale strofinò il suo viso contro quello del suo padrone e fu la seconda volta che Manuel fu colto dallo stupore.

Un sorriso, stampato sul volto di Simone.

Il sorriso che forse non aveva fatto quando avevano escogitato il primo piano di attacco. O forse non era il contesto più giusto per mostrarlo.

In quei pochi giorni, non gliene aveva mai visto uno indosso. L'amore che provava per quell'animale gli arrivò tutto.

Doveva essere quella la chiave.

Manuel cercò di raccogliere quel piccolo pezzo di immagine, così innocente eppure d'impatto: il principe chiudeva gli occhi e lasciava le labbra aprirsi mostrando un intero sorriso che creava una fossetta su una delle due guance.
Il principe continuava a sussurrare qualcosa a quel gigante bianco ma osservando bene, sembravano fatti dello stesso cuore. La cavalla si lasciava toccare e sfiorare e lei poteva beatamente tirare qualche riccio bagnato del suo padrone, facendolo ridere.
Manuel pensò che forse gli era stata data l'occasione per capirci qualcosa di più o forse nulla.

Cosa doveva capire sul capo dell'esercito esattamente?

Non era ruolo che gli competeva, di certo. Ma non si evitò di guardare ancora meglio come la cavalla nitrisse d'assenso al modo in cui il suo padrone continuava a sussurrarle piccole parole - qualsiasi fosse il loro significato - e lei si sciogliesse quasi al loro suono.

Sarà una dote di ogni elfo. Anche il mio legame con Maximus è forte, ma lui sembra dipendere da lei.

In mezzo a quei pensieri, Manuel cercò di prendere la legna abbassandosi delicatamente e prima di alzarsi, si sentì un respiro caldo e che il ci odore sapeva vagamente di carote, sulla schiena.
Non era un respiro umano. Soprattutto perché il muso si spinse sulla sua spalla. Manuel finì quasi per imprecare contro il suo cavallo.

« Maximus, diamine! » sussurrò bassissimo Manuel indispettito verso quel musone nero « Stavo per avere un secondo infarto a causa tua! »

Maximus borbottò sulla sua spalla e Manuel sganciò la presa da un fascio di legna, portandola sotto il braccio, per indicargli di fare silenzio con il dito davanti la bocca.

« Vuoi farci beccare? Sssh » lo invitò Manuel, prendendogli il muso con una mano e tirandolo in basso.

In quel momento, Maximus obbedì. Poi volle farsi spazio in mezzo a quella scena e i suoi occhi caddero su tutt'altro soggetto per ovvi motivi. Manuel guizzò con la coda dell'occhio al primo segno di orecchie attente del suo amico e senza ombra di dubbio, l'immagine che riservava la loro attenzione poteva benissimo essere quella di due personaggi comici venuti fuori da chissà quale storiella medievale.

Storiella che se raccontata dalla sua sorellina, invece che da lui, sarebbe stata più che accurata.

Due scemi, Manuel si disse in mente.

« Non farci troppo il pensiero, quella, » indicò Manuel sincero, la fonte della sua curiosità di Maximus « non è una cavalla qualunque. Potrebbe essere una conquista difficile, non siamo reali noi. » concluse.

Poi Manuel ritornò a cosa stava guardando prima e forse avrebbe dovuto smetterla, perché il Principe si stava rivestendo e replicava la stessa eleganza del modo in cui pochi minuti prima nuotava. Sospirò, pensando alla fortuna di chi avrebbe potuto concedersi una bellezza come quella senza doversi limitare a spiare da due alberi.

Maximus borbottò di nuovo, sbattendo la sua fronte contro la spalla e facendosi avanti con quelle zampe scalpitanti al piccolo spazio, per andare in contro al suo improvviso sogno d'amore e Manuel allora capì di dover togliere il disturbo.

« Va bene, va bene, stallone, » gli si mise davanti Manuel « direi per oggi è finito lo spettacolo, mh? Ritorniamo, dai. Altrimenti cominceranno a fare domande. »

E così con uno schiocco leggero della lingua e il viso inclinato a richiamarlo, Maximus seguì a malincuore Manuel lungo la salita della valle di pioppi. Una cosa era certa, nessuno avrebbe potuto dire di aver visto un principe nudo farsi il bagno alle prime luci del giorno. E nemmeno Manuel che ne aveva avuto l'occasione, lo avrebbe fatto, decidendo di tenere quello scenario per sé.



 

**



 

Il pranzo in accampamento quel giorno prevedeva zuppa di patate bollite, legumi, qualche carota e delle interiora di selvaggina che ci navigavano dentro, cacciata da qualche soldato. Simone cercò di mangiare giù quella brodaglia, seduto in disparte vicino alla sua tenda. Vedeva i soldati disposti insieme, mentre accanto a lui, giravano le sue guardie, intente a discutere del più e del meno. Il cucchiaio affondava dentro il liquido caldo e il suo spirito sembrava essersi più o meno calmato dopo il bagno al fiume quella mattina.
Ingrid aveva ragione: l'acqua cura e porta via il dolore o i pensieri per un po'.
A parte l'acqua di quella mattina, la cosa su cui era concentrato adesso Simone erano le risate dei soldati seduti attorno al fuoco, in lontananza.
Quelle lo incuriosivano e non poco. E così, approfittando dello sguardo distratto delle sue guardie, Simone con molta nonchalance, si alzò e in piedi e camminando fino a quel piccolo spazio di comitiva, provò captare qualcosa.
Restò comunque un po' distante e in piedi, evitando di farsi notare.
Tese le orecchie quindi, affinché facessero il loro lavoro.

« Mi è bastato un colpo secco, e zac! Poco staccargli il collo! Vedessi come saltellavano felici questi piccoli cerbiatti » ridacchiò uno dei soldati più tarchiati, i capelli erano corti e sul biondo cenere e le mani callose.

Simone guardò la sua scodella. Ricordò come invece si trattasse di un diverso animale, il coniglio per l'appunto. Quell'immagine servì a rivivere il suo sorriso davanti a un piatto caldo, cucinato da sua madre.

Quindi sto mangiando cervo. Grazie per il tuo sacrificio.

« È sempre una squisitezza, e poi mandi giù meglio le verdure che a mio parere, sono tremende! »

« Chissà quando riusciremo ad entrare sul campo, Ronan » continuò uno più smilzo, i suoi occhi erano di un bellissimo blu, circondati da delle lentiggini, il pizzetto come barba, i capelli invece erano lisci sulle spalle.

Gli umani sono così diversi.

Simone studiò e ascoltò non solo la loro conversazione, ma osservò i loro tratti fisiognomici.

« Spero presto! Ci vorrebbe un po' d'azione in mezzo a questa noia. Non vedo l'ora di combattere. » rispose il soldato interpellato, battendo la mano sul ginocchio aperto.

I suoi capelli erano rossicci e lunghi, - così come la barba - tenuti su da un elastico di cotone, mettendo in evidenza le orecchie. Una delle due era segnata da una cicatrice ricurva dal lobo alla punta. Tra tutti loro, c'era anche una ragazza che roteava gli occhi per qualche battuta un po' più spinta che le era appena stata rivolta.
Anche i suoi capelli erano rossi, liberi e ondulati, e aveva due occhi verdi che davanti al focolare sembravano farsi gialli.

« Immagina scivolare in mezzo a quelle gambe che copri con così tanto pudore » proseguì un altro beccandosi il fischio di un suo compagno.

Ci furono altri due commenti minori e Simone sarebbe voluto intervenire, aveva il voltastomaco a sentire in che modo gli umani si divertissero con così poco e oggettificando un'altra persona.

« Elvira, scongelati dolcezza, » improvvisò Ronan, il soldato che aveva parlato poco prima « era un complimento »

« L'unico complimento che accetto è quando fermi quella lingua che ti ritrovi nella bocca, Ronan. »

Simone rimase stupito dalla scioltezza della ragazza e fermò il cucchiaio a mezz'aria, colmo di zuppa. Non ridevano tutti però, c'era qualcuno che aveva cercato di sollevare la ragazza tenendole la mano. Simone riuscì a scorgerne solo i ricci che gli coprivano gli occhi. Non c'era bisogno che li vedesse però, perché aveva capito che si trattava dello stesso soldato che gli aveva suggerito il primo piano di strategia.
Simone pensò che Elvira fosse davvero fortunata. La ragazza si distaccò da quegli occhi che volevano proteggerla, per sollevare lo sguardo e incontrare quello del principe.

« Principe » disse dunque lei con un tono più cortese e abbassando appena il capo e provando ad alzarsi.

Simone la fermò con un palmo di mano completamente aperto, facendola sedere di nuovo.

« Quindi non siete una leggenda. Esistete davvero e ci degnate della vostra presenza » ironizzò Ronan provocando la risata di qualche altro soldato.

Elvira, che era seduta non proprio lontano, gli lanciò un occhiata poco gradita e quello sospirò concentrandosi sul suo cibo.

« Avete avuto già qualche notizia? » continuò dunque la soldatessa, curiosa.

Di conseguenza parte degli uomini si girarono verso il nuovo soggetto a cui destinare attenzione. Gli altri soldati sollevarono la loro scodella mentre alcuni si limitarono a fissare l'elfo. Simone si limitò a non rispondere, mandò giù un sorso della sua zuppa che era ormai meno caldo.
Aveva ragione: lui non sapeva ancora come gestire tutto quello. Il principe rispose a nome di tutti, guardando solo la ragazza.

« Non ancora, mi dispiace. Ma credo davvero che a breve, sapremo qualcosa. Le mie sentinelle sono fuori già da due giorni, non tarderanno ancora molto. » rispose diplomatico il principe.

E come se fosse scritto o qualcuno lo avesse sentito, uno scalpiccio di zoccoli di cavalli irruppe con furia dentro l'accampamento. Simone mise da parte la sua scodella sul terreno: riconobbe le sue guardie più una che veniva sorretta a fatica da una di loro. Le sue braccia cadevano molli ma respirava poiché il petto sotto l'armatura si alzava e abbassava.
Simone corse da loro.

« PRINCIPE, AMRAS È FERITO, C'È STATA UN IMBOSCATA! » urlò Beren appena sceso da cavallo, in agitazione. I suoi capelli vennero fuori schiacciati dall'elmo. Il corpo di Aramis venne adagiato sul terreno con cautela dalle altre due guardie. Simone gridò in soccorso Ingrid e lei, seguita e insieme ad altre due donne cominciaro ad assistere il ferito.

« Quanti erano? » chiese Simone carico d'ansia nella voce, osservando il viso di Amras a terra contratto in una smorfia di dolore.

Ingrid lo stava aiutando a togliere la parte superiore dell'armatura: quello che vide le disegnò un sospiro sconsolato. Simone non potè fare a meno di notarlo.

« Erano almeno seicento unità, hanno occupato una vecchia fortezza e terrorizzato un villaggio di contadini fatto schiavo, proprio sopra l'altopiano di Erynlith verso i Monti di Eridor! » continuò Beren tenendo la mano al poveretto riverso a terra. Poi il suo sguardo cambiò facendosi buio.

Quella zona era stata colpita durante una battaglia antica e parte del territorio ne era rimasto sommerso dal mare e spaccato, mentre il resto che ne rimaneva si era salvato e si era popolato di almeno tremila contadini e famiglie. Erynlith era sopravvissuta e la sua costa era fatta di una terra fine, proprio come la sabbia e da questa caratteristica derivava il suo nome.

Beren riprese a spiegare.

« Avevamo appena visto in che modo stavano occupando il territorio: tra fiamme e sottomessi. Stavamo superando la costa per ritornare da voi e fare rapporto, ma credo che qualcuno di loro ci abbia visto e seguito. È proprio allora a metà strada che Amras nonostante la nostra copertura, è stato colpito. Vostro padre aveva ragione: orchi. »

Simone non ebbe il tempo di realizzare che un urlo spezzato uscì dalle labbra dell'elfo a terra, mentre Ingrid sussurrava qualcosa alla ragazza più giovane alla sua sinistra. La ferita era nera, più tendente al violaceo che al rosso e si estendeva per metà addome.

« Una freccia avvelenata, questo non è solo sangue. La ferita è infetta, non c'è tempo, bisogna purificarla, dobbiamo sbrigarci! » pronunciò l'anziana.

Simone e Beren annuirono verso la donna e le altre guardie trasportarono il corpo di Amras verso la tenda adattata a infermeria. Poi Simone guardò Beren negli occhi ed era certo che ci leggesse più paura e angoscia miscelate insieme, che coraggio.
Quel soldato era stato ferito e lui era rimasto fermo senza fare nulla, se non pensare e aspettare.

« Principe, ce la farà, le donne sono esperte in questo » cercò di risultare calmo ma in realtà la tensione gli mangiò le parole e il suo sguardo non smetteva insieme a Simone di rimanere fisso alla tenda dove avevano portato l'elfo. « Aspetto i vostri comandi »

Simone si ritrovò a fissare il vuoto. In quel momento, non sapeva che alcuni soldati seduti attorno al fuoco stavano festeggiando, altri meno. Non sapeva che anche qualcun'altro lo stava guardando e cercava di capire le sue emozioni o forse le stava già interpretando.

« Ci muoveremo domani, alle prime luci dell'alba, muoveremo l'intero accampamento se necessario. E ritorneremo ad Erynlith. »

Simone non capì com'era riuscito a dire tutte quelle cose senza fermarsi un secondo, senza dare tempo al suo cervello di elaborarne il significato. Pensava ancora all'urlo del soldato disteso a terra e della sua mano che si toccava l'addome prima che Ingrid analizzasse la sua ferita.

« State dando il via per l'attacco, mio signore? » ripeté Beren per ulteriore conferma.

Attacco. Guerra. Fine.

Simone annuì, ancora accovacciato com'era a terra a studiare la piccola pozza di sangue che bagnava i pochi ciuffi di erba.

« Mi chiedo se Amras riuscirà domani a...» si interruppe e la guardia al suo fianco si incupì e Simone decise quindi di eludere quella possibilità e rispondere alla domanda « Sì. Dobbiamo muoverci. Beren?... » pronunciò esistano con la voce morta e atona, lontana.

« Ditemi »

« Penso che lo abbiano già capito da sé, ma potresti comunicarlo tu all'esercito, magari per cena? »

Beren gli mise una mano sulla spalla, alzandosi in piedi.

« Sì, certamente, capisco. Lo farò appena avrò notizie del nostro compagno. Andrà bene, abbiate fede. » fece un breve inchino e corse verso la tenda, anche se fu inutile perché Ingrid non lo avrebbe fatto entrare prima di essere stata certa di aver concluso.

Fede.

La parola risuonò strana in bocca.
Simone aveva annuito, non riuscendo a rispondere allo stesso modo. Lui non aveva fede in quell'operazione fin dall'inizio, la sua fede era morta anni prima e con lei, la donna che gliela aveva data. Serrò gli occhi e si sentì invadere da un sentimento di impotenza talmente grande che non sapeva se avrebbe più voluto sotterrare la testa sotto quella poca terra insanguinata oppure trovare in lei un coraggio che non aveva mai avuto. O che comunque non aveva più.

Non sono pronto, padre.

Quella figura continuava a guardarlo, mentre alcuni soldati continuavano a parlare come se non fosse successo nulla. Quel soldato non stava nemmeno consumando più il suo pranzo. Quel tale avrebbe voluto fare qualcosa per destarlo dal suo stato di fissità, dal modo in cui il suo corpo restava fermo a terra senza esitare nella minima azione, senza muovere un singolo muscolo. Quel soldato voleva fare qualcosa, ma non sapeva che cosa.

Simone vide il vuoto davanti a sé, una schiera di volti ignoti e pronti a cenare con la loro carne tramutata in trofeo. Carne di chi lui doveva proteggere, incoraggiare. La pelle di gente su cui lui doveva fare affidamento e a cui lui doveva fare da guida.
Sospirò provando a cercare conforto solo stringendo la pietra che portava al collo.

Non sono pronto, madre.

Quella notte Simone avrebbe pregato ogni divinità che conosceva e gli era stata insegnata, quella notte avrebbe parlato con sua madre più e più volte per trovare la forza e la sicurezza che non possedeva.

 

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Capitolo 5
*** Canto di Battaglia ***


Canto di battaglia






Aveva saltato la cena quella sera.
Rivedeva un po' l'immagine sfocata di più soldati sul campo un po' sparsi qui e lì, che euforici si allenavano. Sentiva l'eco di rumore di spadoni, sforzi, grugni per tutto quel pomeriggio.
Ma in realtà erano immagini come frammenti che duravano relativamente poco, perché poi davanti ai suoi occhi appariva il volto del soldato solcato dal dolore, Ingrid che spremeva il veleno fuori spremendolo dalla pelle per purificarla e cercava poi, di ricucire la sua ferita tenendolo fermo.
Avrebbe potuto non assistere a tutto quello, Simone, ma in realtà glielo doveva.
Da reale, ma anche perchè era il suo capo.
Quel soldato era stato colpito anche per lui.
L'accaduto lo aveva scosso abbastanza e nonostante qualche ora dopo, Amras fosse stato dichiarato fuori pericolo da Ingrid, questo non era bastato a tranquillizzarlo.
Non del tutto, almeno.
Non del tutto, almeno.
Simone aveva cercato di sfogare tutto ciò che sentiva nella sua solita passeggiata con Neve, la quale non faceva altro che chiedergli in quella sua lingua speciale e segreta, perché fosse così giù. Come spieghi cosa ti tormenta senza risultare un peso per chi ascolta? E soprattutto, come fai a spiegare a una creatura così pura che in meno di ventiquattro ore, vedrà il caos davanti ai suoi occhi dopo anni di campi, di giochi, di fiori?
Perciò, quando era ritornato al campo da bivacco, aveva fatto un giro abbastanza lungo, aveva dato da mangiare e baciato Neve in mezzo a quegli occhioni neri e innocenti ed era ritornato in tenda. Aveva avvertito le guardie che non aveva appetito ed era rimasto così, a fissare le poche cose che aveva portato con sé in viaggio: una spazzola per Neve, una serie di piccoli fermagli per acconciarle la criniera, i suoi piccoli barattolini pieni di essenze ed erbe, qualche coperta di troppo, l’armatura che stava rinchiusa dentro un cassone in ferro che Simone non aveva voluto ancora aprire o rivedere – a parte il giorno in cui era stato chiamato da una delle sarte di Boscoverde, per prendergli le misure e farla realizzare dal migliore armiere che ci fosse - e lo scudo, la faretra con le frecce appoggiate accanto.
“Vi sta benissimo, Principe” aveva detto una delle sarte quando gli era stata fatta indossare.
La sua prima armatura e forse, anche l’ultima sperava.
L’unica cosa che Simone aveva visto davvero davanti a uno degli specchi del Palazzo, non era qualcuno che poteva andarne fiero. L’unica cosa che aveva visto era un estraneo che indossava un ruolo che non gli competeva dentro un corpo che ci stava fin troppo stretto. Come se stesse recitando una parte o qualcuno avesse preso spazio dentro la sua pelle diventando un nuovo lui.
E adesso, quello sguardo dietro le sue spalle, il riflesso di suo padre che guardava suo figlio mentre gli montavano addosso i vari elementi uno dopo l’altro, di una gabbia fatta in ferro e acciaio, gli ritornava come una lama. Simone riviveva la fierezza di una persona, un padre, o meglio un Re che non aveva voluto più conoscerlo e a che gli aveva dato assenza. Gli era sembrato lui il plasmatore dietro le quinte, di quell’essere nuovo a se stesso e che lui disconosceva.
Simone aveva provato a dormire al di là delle risate degli uomini, del loro canto goliardico fuori dal suo rifugio, aveva provato a non pensare. E così tra un rigirarsi da una parte all’altra della sua misera brandina, si era ritrovato ad accendere di nuovo quel fuoco a tarda sera in mezzo a un campo silenzioso e vuoto.
E sedendosi sul terreno umido, mani penzolanti sulle ginocchia e calore che gli arrivava diretto sulla pelle scoperta in parte sulle braccia, dal fiamma viva del fuoco sui tizzoni di legno, Simone rivolse lo sguardo verso il disco bianco latte pieno quella sera.

"Cosa vorresti essere se non fossi un bambino, allora stella mia?"

"Mi piacerebbe essere la luna, mamma."

Simone sorrise di conseguenza, un sorriso di quelli che nessuno gli vedeva indosso a parte la sua amica equina.

"Ottima scelta, ma lo sai che a lei puoi raccontare tutto?"

"Ma per quello ci sei già tu."

Chissà se avrebbe funzionato quella stessa notte, si chiese Simone. Chissà se avrebbe potuto davvero ascoltare ogni cosa che vorticava nella sua testa come una cascata di acqua rovente simile a un incendio.

E adesso non ci sei più.

Deglutì e cercò di appigliarsi a quel candore racchiuso in un cerchio così in alto e distante. E spense i pensieri, o meglio, cercò di inviarli direttamente a quella forma innocua, come se prendesse un altro nome e se potesse trasformarsi davvero nella figura che lui desiderava diventasse.
Simone cercò allora quel bambino, cercò l’istinto, cercò la semplicità. Si affidò alle parole di Ingrid, oltre che a quelle della sua cometa. E così, viso rivolto al cielo, occhi aperti, schiarì la voce e iniziò a lenire un po’ l’anima: cantò.



L’insonnia come la peggiore delle bestie, svegliò Manuel, che si ritrovò avvolto come una specie di bozzolo dentro la sua unica coperta a quadri. Il suo corpo era ancora caldo, ma Morfeo non voleva saperne nulla di trascinarlo e dargli la giusta ricompensa ed energia per l'indomani. Sospirò e stropicciò gli occhi. Era abituato a non dormire prima dell’arrivo di una battaglia, ma sperava quanto meno avrebbe resistito almeno un altro po’ prima di dover osservare come dormiva sonoramente la sua compagna di tenda.

Elvira, sei parecchio rumorosa.

Manuel si alzò osservando ancora un po’ la ragazza che in uno slancio di sicurezza aveva mosso il suo pugnale e la sua lancia fino all’ora di cena studiando movimenti e azzardando nuove mosse. E infatti, si era addormentata stringendo la prima arma all’altezza del grembo.
Sorrise intenerito da quella sua strana posizione da guerriera assopita e si decise ad alzarsi. Il soldato mosse quindi le gambe, scostò la tenda e non fu sorpreso di trovare anche Maximus rilassato e perso in chissà quali sogni. Pensò stesse borbottando, ma il suo muso era ben serrato sull'erba e solo le grandi narici si dilatavano a ritmo del suo respiro. Poi Manuel capì che i cavalli potevano correre, trottare, camminare ma non sapevano cantare. Quel dono era una cosa riservata solo agli esseri a due gambe. Girò lo sguardo verso il campo, osservando il fumo del fuoco acceso che si levava e una figura seduta sul terreno, gambe incrociate e con gli occhi concentrati sul cielo, catturò la sua attenzione.
Manuel cominciò a camminare, incuriosito dalle parole e da quel canto che cullava per la lentezza della pronuncia e quella melodia quasi venuta fuori da un sogno, una leggenda antica. Inquadrò bene il profilo di Simone, il principe.

Bene, quindi lo stai di nuovo spiando.

Manuel zittì quella vocina affioratagli come un pensiero fin troppo disciplinato e rigoroso in testa e decise di seguire soltanto le sue orecchie, addolcite da quel suono. I piedi calpestavano il terreno cercando di non fare rumore o disturbare quel momento di pura meraviglia.

« Sotto luna e sotto le stelle
vagò lungi dai nordici lidi,
esitando su strade incantate
oltre i dì dei mortali finiti.
Dallo Stretto di Ghiaccio stridente
dove gelida l'ombra si giace,
dai deserti, dagli inferi fuochi
ei si volse, ed ancor senza pace,
fuor di rotta, né stelle a guidarlo,
giunse infine alla Notte del nulla,
la passò, e mai ebbe visione
di costiera lucente o di stella.
»

E più Manuel si avvicinava, scorrendo da tenda a tenda di ogni soldato, la terza, la quarta, la quinta. Più si avvicinava e più pensava che non ci fosse un modo più bello per distrarre la sua insonnia, un modo più dolce per rimanere sveglio, un modo più bello se non quello di ascoltare Simone cantare.

« Fu portato attraverso la notte,
su onde nere e ruggenti correndo,
sopra leghe abbuiate e su terre
che annegar pria dei giorni del mondo,
finché udì, sopra spiagge di perle

dove il mondo finisce, suonare
una musica eterna, e la spuma
volger l'oro e le gemme del mare.

Un vascello poi fecero a lui,
di cristallo e di mithril forgiato;
nessun remo alla prora splendente,
oppur vela al pennone argentato.
»

In quel momento, i suoi piedi lo tradirono però, perché a un passo falso di quelli, inciampò su qualche oggetto riposto a casaccio. Due scudi poggiati erroneamente e in modo sbilenco su una cassa di legno, cominciarono a rotolare a poca distanza. E cadendo quei due oggetti, rotearono come se fossero due grandi monete preziose, indecise se gettarsi al suolo o continuare la loro corsa, prima che Manuel potesse arrestarne davvero il movimento.
Il canto s’arrestò proprio quando il soldato recuperò i due oggetti con fatica e i suoi occhi, mentre si alzava da terra, incontrarono quelli dell’elfo. Manuel si ritrovò quasi pietrificato e dopo aver appoggiato i due scudi sulle casse, chinò il capo.

« Scusate, non volevo interrompervi, » pronunciò come un ladro e pieno di vergogna, poi Manuel rialzò gli occhi « per favore, continuate. Non badate a me. »

Gli occhi di Simone si fecero curiosi tanto quanto quelli di Manuel.
Il principe cercò di parlare, quanto meno di rispondere ma in verità dalla sua bocca non uscì un fiato. Simone annuì soltanto, ritornando a guardare il fuoco questa volta, chiudendo gli occhi per terminare le ultime strofe.

« Ma su lui incombeva il destino,
finché luna sbiadisca, di andare
quale stella, e mai più attardarsi
sulle sponde di gente mortale;
e per sempre restar quale araldo
in missione che eterna perdura:
portar lungi il suo lume splendente,
lui, Flammifero dell'Ovesturia.
»

E così lasciandolo finire, Manuel avanzò lentamente fino a sedersi di fronte a lui. Il principe aveva ancora gli occhi chiusi, il profilo rivolto in alto, la pelle bianca accesa. Quando il principe li riaprì, notò subito quelli del soldato di fronte a lui e abbassò lo sguardo, come fosse stato colto alla sprovvista.

« Domani ci muoviamo presto da qui, il tuo sonno, » Simone poi si corresse « quello di ognuno di voi soldati è importante » mormorò, portando i palmi delle mani verso la fonte di calore per riscaldarla.

« È vero, ma neanche voi che ci guiderete, siete nella vostra tenda a riposare. » precisò.

Simone avrebbe quasi provato a incurvare le labbra, ma forse era troppo da mostrare.

Ha una voce così decisa e non ha paura di parlare, pensò invece. Una voce bella, anche se con un diverso timbro, una diversa sfumatura.
Simone annuì lentamente, riempiendo i polmoni e le narici, poi buttò fuori l'aria fuori svuotandoli.

« Posso chiedervi come state? » continuò con un tono sincero, quindi, il soldato.

Come sto.

Simone si concentrò su una fiammella che stava divorando il legno alla base del fuoco, facendolo incrinare e rimpicciolire, le mani chiuse l'una con l'altra penzoloni sulle ginocchia.

« Credo che un soldato sia più preparato di me a rispondere a questa domanda »

« La notte prima di conoscere il tuo nemico, è sempre la più difficile. Dovete scusarmi, non volevo indispettirvi o mancarvi di rispetto. »
Volevo solo cercare di capire il vostro umore.

Manuel lo guardava come qualcuno che avrebbe voluto capire di più, sapere di più. E Simone saettò con i suoi occhi solo per qualche secondo dopo il silenzio che lui stesso aveva creato.

« Nessuna scusa, è una domanda lecita. Credo di stare esattamente come qualcuno che sta andando in guerra per la prima volta nella sua vita. E ne sente tutto il peso. » confessò il principe senza altri giri di parole.

Come qualcuno che sente di non essere pronto.

Lo sconforto nella sua voce portò Manuel a non chiedere altro, solo rimasero un po' in silenzio dopo quella stessa domanda. C'era così tanta chiusura e forzatura nel suo sguardo, come se non riuscisse a farci entrare nulla se non il buio. Eppure...eppure quando lo aveva sentito cantare prima, Simone gli sembrava così libero, naturale.

« Di cosa...di cosa parlava la canzone che stavate cantando prima? » si interessò allora, il soldato, cercando di cambiare argomento.

« Non era...nulla di che. » provò a rispondere l'altro, senza realmente smettere di sentirsi strano, all'improvviso.

« Era molto bello » continuò Manuel senza tenere conto del suo corpo che si spostava e si affiancava a quello dell'altro. « Il vostro canto, intendo. »

Simone percepì lo strano imbarazzo di quel soldato di fronte a lui. Non cantava mai in verità, se non fuori da palazzo.
In quel momento pensò che erano due a sentirsi fuori posto o che fosse lui stesso a farlo sentire a disagio.

Sono davvero così pauroso?

Il soldato si morse le labbra, una delle mani si toccò dietro, sulla nuca.

« Perdonatemi, ma sono riuscito a capire solo una parola...chi è questo Earendil? »

Simone, spostò lo sguardo dal fuoco a quel soldato, Manuel.

Non aveva prestato attenzione a quei pochi peli di barba sopra le labbra e nemmeno come quei suoi capelli ricci fossero un po' più sistemati quella sera. Anche lui era, gli risultava diverso perché umano, ma non sapeva comunque perché non riusciva a vederlo uguale agli altri.
Era un enorme controsenso. Forse non aveva davvero un senso logico ciò che stava pensando, erano solo frammenti sparsi e lontani, che non avrebbe raccolto mai.
Manuel era uno dei pochi che aveva cercato di difendere una delle poche guerriere arruolate, quel giorno.

« Eärendil » pronunciò il principe con un particolare accento. Cominciò a raccontare perdendosi come avrebbe fatto un cantastorie « era un navigatore, un mezzelfo che arrivò nella terra di Valinor dove risiedono le divinità eliche. Navigando per mare, Eärendil chiese aiuto agli elfi e gli uomini durante la minaccia di un uomo oscuro Morgoth e riuscì ad ucciderne il drago. Per farlo, gli era stato concesso un oggetto in cui era racchiusa tutta la luce di Valinor stessa affinché nessuna mano impura, nessun essere malvagio potesse toccarlo. »
Manuel ne rimase colpito, si grattò il capo.

« È... una leggenda? »

« Può sembrarlo, ma è accaduto davvero » il luccichio negli occhi dell'altro fu qualcosa che Manuel registrò come particolare, affascinante - ma questo non lo disse, non era opportuno « È entrato nella storia del nostro popolo, lui e il suo nome. Il grande marinaio, ma significa anche la "stella più luminosa di tutte" » recitò il principe a memoria.

« Quindi fu lui stesso una leggenda »

Simone annuì sospirando. Quante volte aveva letto quei passi in un vecchio libro nella libreria di suo padre. E quante volte aveva avuto Cora a cantargli quella canzone prima di dormire.

« Ma nessuno sarà più come lui, una leggenda non si ripete nel tempo. Di queste ne nascono o muoiono come nulla, ogni era. »
Manuel percepì il ritorno a un tono dimesso, lontano, come se non stesse più parlando con lui.

« Non si combatte per diventare leggende. » esordì il soldato con tono pacato e incoraggiante « Si combatte per aiutare, affrontare un nemico comune, per fare la cosa giusta »

Io non voglio essere una leggenda. Io voglio essere solo me stesso.

Ma Simone non rispose in quel modo. Rispondere in quel modo significava rivelarsi troppo, significava ammettere di non avere una minima idea di dove stesse andando, del perché uno come lui si trovasse proprio su quell'accampamento militare e perché non qualcuno come suo padre con esperienza, non fosse lì al suo lavoro. Che cosa avrebbe potuto dire a Manuel che sembrava avere anche come tanti altri, fiducia in uno sconosciuto a capo di mille e più uomini come lui?

« Ma soprattutto si combatte per sfidare la nostra paura »

Simone vibrò come una corda tesa, per il modo in cui quel soldato aveva pronunciato quella stessa parola.

« Forse allora è una vita che combatto senza saperlo, ma non ho mai avuto bisogno di armi per farlo » confessò il principe amaro. Ritornò a guardare il fuoco che ardeva.

In quel momento Simone si sentì scoperto, il soldato aveva toccato un nervo sensibile. E Manuel desiderò tanto osservare i suoi occhi e vederli cambiare, prima di ritornare in tenda e riprovare a dormire. Non aveva mai visto un elfo dagli occhi scuri e si immaginò come potevano essere, quando non erano così spenti.

« Voglio che sappiate che ogni uomo combatterà insieme a voi domani, per voi, nel bene e nel male »

« Spero sia solo nel bene, allora » giunse le mani e questa volta, Simone restò per più tempo a guardare Manuel.

Per guardare così, ci vuole un cuore leggero.

Il soldato e il principe si guardarono in silenzio e uno dei due aggiunse quello alla strana sensazione di rivivere qualcosa di famigliare. Nonostante fosse uno sconosciuto, sembrò esserci come un ricordo del passato, un qualcosa che tanto passato non era.
Simone pensò di immaginarselo.
Stava navigando in acque ignote, che neanche lui capiva. Non voleva affogarci.
E così, da quegli occhi castani, Simone capì di doversi staccare perché l'indomani avrebbe dovuto combattere anche più di lui. Necessitava di dormire e lui, di smettere di vagare in pensieri che non erano possibili. Il principe allora si alzò, le mani che si aiutavano ad alzarsi dal terreno, scrollavano un po' di terra dai pantaloni e poi, tornavano giunte sul grembo.

« Beh, credo sia giunta l'ora di andare a dormire »

Per entrambi, domani, buona fortuna, pensò Simone dentro di sé.
Manuel seguì il suo gesto, annuendo velocemente in risposta. Il fuoco venne spento dal principe con una tinozza di ferro con un altro po' d'acqua all'interno. Si levò del fumo poco dopo, nell'aria.
Era così strano voler rimanere lì e continuare a voler stare in silenzio con quell'uomo. Non era nelle sue solite vesti reali, in quel momento non si era sentito parte del suo alto e gravoso ruolo e anche senza nessun'altra parola da scambiarsi, Simone sarebbe comunque rimasto. Al di là del combattimento, ma la testa fu più forte e dovette cederle.

« Buonanotte principe » mormorò Manuel, chinando leggermente il capo.

« Buonanotte » Simone non fece in tempo a concludere perché l'altro si era già voltato, quindi lo sussurrò prima che lo vedesse scomparire oltre la sua tenda « soldato »

Forse sarebbe riuscito a chiudere occhio per qualche ora quella notte, dopo tutto.




**









Il cielo non era ancora del tutto stato colpito dalla luce, ma si intravedeva già la prima striscia di colori pastello attraversarlo. Ingrid aveva fatto una piccola incursione nella tenda di Simone, e lui era già in piedi ad osservare - anzi - fissare l'armatura sopra il cassone. Aveva tirato fuori ogni singolo pezzo ed era in ginocchio, intento a sussurrare qualcosa.
Quando la donna si avvicinò circondandogli le spalle Simone capì subito chi fosse entrato, senza bisogno che parlasse.

« Ingrid, buongiorno anche a te » pronunciò piano Simone.

La risata della donna irradiò la tenda che subito sembrò riempirsi di calore.

« Come hai fatto a capire che fossi io? » chiese sorpresa.

« La lavanda » mormorò Simone abbozzando un breve sorriso « hai sempre profumato di lavanda fin da quando ero bambino. È un odore che non si dimentica. »

Girò il viso verso Ingrid, alzandosi e prendendole le mani. Accarezzò le dita e i dorsi ben curati nonostante avesse sempre a che fare con garze, essenze, medicine, piccoli strumenti appositi per curare ed estrarre corpi estranei dalle ferite.

« Immagino che tu non abbia dormito molto, fairë » sottolineò Ingrid, osservando il suo viso stanco.

Simone annuì piano, intenerito dal modo in cui lo aveva appena chiamato. Non sapeva più se fosse già un uomo o ancora un fanciullo così come lei lo vedeva ancora. Sicuramente dopo quel giorno, avrebbe tirato le somme e lo avrebbe finalmente capito.

« Vuoi un aiuto con quella? » Ingrid indicò l'armatura elaborata in alcuni punti, la veste laminata che sarebbe andata sotto come supporto al corpetto in acciaio che andava fermato sull'addome e il petto. Per non contare degli stivali e il resto.

Simone le strinse le mani e fece cenno di no.

« Credo di farcela da solo, Ingrid. »

La donna annuì, non prima di averlo stretto forte a sé in un abbraccio, in cui Simone vacillò quasi rischiando di lasciarsi trasportare dalla commozione mista alla paura che lo attanagliava. Ti voglio bene Ingrid.

« Simone » disse poi prima di uscire dalla tenda del principe « aa' lasser en lle coia orn n' omenta gurtha »

Che il vento possa gonfiare le tue vele.
Simone annuì lentamente. Era già la seconda volta in due giorni che il nome di Eärendil risuonava nelle sue orecchie.

« Non credo che il marinaio mi terrà in conto nei suoi pensieri proprio oggi, ma grazie Ingrid. »

Ingrid si imbronciò poco dopo, testarda.

« Qualcosa mi dice che sarà disposto ad ascoltare la voce di un amorevole anziana come me, invece »

Quando rimase da solo, Simone cominciò a venire a patti con tutti quei pezzi metallici e di acciaio.

Posso farcela da solo. Mi è stato mostrato come fare.

Per prima cosa, Simone iniziò dal basso. Infilò le varie parti che avrebbero sostenuto la parte inferiore del corpo iniziando dai cosciali, i gambali - che andavano a proteggere dal malleolo al ginocchio - e ginocchietti appunto, fermati e fissati ognuno da degli anelli metallici di chiusura. Aggiunse poi le solerette, dei solari in ferro per proteggere le piante dei piedi e infine gli stivali. Poi, Simone si dedicò alla parte superiore: lasciò passare dalla testa la cotta metallica, una sottoveste su cui poi andavano indossati i vari pezzi dell’armatura stessa. Quella gli ricadde all’altezza delle ginocchia e sul corpo come un guanto. Nonostante però calzasse liberamente, già sembrò pesargli. Passò poi alla parte più complessa, cioè la panziera fissata con dei ganci ai fiancali, riportava delle incisioni ricurve a falde, poi passò alla corazza per la protezione del petto, formata invece da piccole decorazioni in oro e decentrato lì, in alto a destra, lo stemma della sua famiglia: era incisa una luna capovolta al contrario, con uno stelo di boccioli che vi passava attraverso e poi tanti piccoli cerchi tutti intorno a quell’elemento.

Il terzo Yondethil, gemello della luna, il terzo per linea di sangue a combattere.

Sentì la voce austera di suo padre nella testa.
Simone sospirò pensando che almeno in armatura sarebbe stato uguale agli altri e invece, suo padre aveva richiesto che fosse portato alto il nome della sua stirpe. Cioè unicamente lui. Al rumore di ogni pezzo che assemblava, gli sembrava che quell’acciaio o metallo, andasse a sostituire il ritmo del vero organo pulsante che possedeva nel petto. Un sostituto più resistente, meno incline alle emozioni. Fermò la cotta dal gomito al polso con due parabracci di un materiale leggermente più elastico, che gli avrebbero concesso il movimento delle braccia. Per ultimo Simone montò le spallacce che crearono un rigonfiamento innaturale e arcuato dalle spalle fino a poco prima che iniziasse l’attaccatura del braccio. Una fascia – non meno importante del resto - gli passava davanti il petto, e terminava con la sacca ben stretta con dentro le frecce sulla schiena. Simone afferrò l’elmo, che riprendeva lo stesso motivo decorativo del pettorale e lo tenne fra le mani. Ci si specchiò in parte all’interno: sicuramente si sarebbe potuto confondere come un vero soldato che stava andando in guerra. Ma la verità era che si sentiva il cuore in subbuglio e quel suo aspetto militare e importante, era solo una recita.









Una volta schierati e radunati tutti gli uomini, chi provvisto di cavallo e chi n, in mezzo ai carri pronti furono caricati per partire, Simone si preparò ad aprire la lunga fila passando davanti agli altri. Gli occhi del principe si erano subito rivolti al soldato riccio della scorsa sera, prima di salire in groppa alla sua cavalla. Notò per pochi istanti due figure intente ad abbracciarsi prima che una di quelle salisse sul suo cavallo nero. Simone notò meglio la stazza di quello: un frisone robusto, dalle zampe pelose e la criniera ondulata e lunga. Al contrario di Neve, si mostrava fiero. Il suo soldato che lo teneva per una delle redini - lo stesso che si era incuriosito davanti a quel fuoco la sera prima, Manuel - aveva appena sussurrato qualcosa con quella guerriera che annuiva. Adesso i due, si stringevano forte in un potente abbraccio.

Chissà cosa si saranno detti, pensò Simone salendo in groppa a Neve.

E cominciando a passare lunga le file dei soldati, seguito dalle sue guardie protettive, cercò di mostrare un'espressione da cui non trasudasse nessuno sguardo curioso o perplesso.
Dopo qualche secondo, si maledì da solo per aver espresso quel pensiero la cui forma rimase solo un abbozzo striminzito. Non era qualcosa che lo riguardava. Era normale per i soldati legarsi tra loro in mesi di attese, allenamento, ansie e preparazione alla guerra. E soprattutto, a Simone non era concesso di elaborare un pensiero così sbagliato in un momento storico come quello. Soprattutto per un soldato.

Concentrati Simone.

Arco stretto in grembo e faretra e frecce pronte e fissate dietro la schiena, insieme al suo scudo circolare e ben custodito, Simone aveva più volte ripetuto il gesto per prenderne una cercando di memorizzarlo anche con quella veste ufficiale addosso.
Sperò solo di essere tanto rapido come in campo, poiché era l'unico dell'intera carovana, senza una spada con sé, per sua personale scelta. Il viaggio della mattina durò abbastanza a lungo, il sole si era già presentato illuminando il cammino dei cavalli e facendo risplendere le armature dei soldati in groppa a questi. Quella carovana militare si fermò soltanto una volta per una breve pausa nelle vicinanze di qualche villaggio, per riprendere poco dopo. Arrivati nei pressi di Eriador, per le sue pianure meno erbose e più umide - data la presenza del mare sulla costa - il principe insieme alle sue guardie decisero di appostare l'accampamento in una frazione di spazio disabitata e nettamente più stretta. Cercarono di essere abbastanza svelti e di non accendere nessun fuoco per non essere visti.
I soldati si organizzarono per la colazione, riducendo il numero di tende e facendo dei turni per riposare, mentre Simone fu forzato a mandare giù qualcosa di solido - da un ostinato Fëanor - e dopo di che si radunò con pochi scelti dell'esercito, per decidere il piano d'attacco. Da quel punto di vista, ed essendo una fortezza, gli orchi avrebbero attaccato anche da su se necessario e Simone pensò che il suo esercito di elfi per metà non sarebbero stato l'unico in possesso della dote di arciere. Rimase con la prima formazione: i soldati senza cavallo sarebbero dovuti rimanere nascosti e protetti dalla cavalleria, che avrebbe attaccato su fronti opposti una volta aperto il varco e lasciato correre i soldati.

Cos’era la guerra?

Quella parola trovò un suo significato quando arrivarono sul campo dopo che il sole scomparì dietro le montagne.
Era risaputo che gli Orchi non sopportassero la luce del sole. Avrebbero combattuto ad armi pari. Erynlith si presentò come frammento di condannati piuttosto che come un sereno villaggio vicino al mare: alcuni uomini, alcuni mezz'elfi – contadini molto probabilmente - erano già riversi sul terreno - in alcune zone più bruciato che vivo e verde - senza vita, mentre in lontananza alcune donne tenevano stretti i loro bambini come potevano, avendo entrambe le mani legate da delle catene. Alcune custodivano i loro piccoli e venivano tirate per i capelli e spinte in avanti come se fossero oggetti. A guidare quei poveri martiri e con delle spade puntate dietro la schiena per farli camminare, erano delle creature mostruose.
Simone non distinse bene dalla loro posizione nascosta, ma di certo quella scena lo rimandò a qualcosa di molto famigliare. L'esercito era rimasto un po' più a in disparte, a osservare quella scena da lontano, in mezzo al campo, indirizzando lo sguardo alla fortezza medievale in pietra, circondata da altre case umili e semplici, poche sopravvissute perchè molte di queste fatte a pezzi. Il fuoco ne aveva consumato di alcune il legno, di alcune le mura ne risultavano spaccate in macerie, altre riportavano quelle che una volta dovevano essere state stanze abitate da famiglie e con ancora poche pareti ancora in vista.
Proprio dentro quella struttura che si ergeva in pietra, un brulicare di altrettanti mostri come quelli - che adesso, brandivano altri uomini con loro senza aver paura di usare su loro la violenza – vigeva di guardia sulla torre principale e dalla struttura a merlo di difesa.
Qualunque cosa fossero, avevano assediato, fatto schiavi e schiave, accettato la brutalità. Come quegli uomini che avevano spento sua madre.
Nonostante la loro specie fosse diversa, nonostante lui non fosse più un bambino in cerca di una protezione, nonostante ogni cosa. Ora, sarebbe stato Simone a proteggere chi aveva bisogno d'aiuto, così proprio come sua madre aveva protetto lui.
Quando Beren e le altre guardie guardarono il loro capo cambiare espressione e quasi trasformarsi in qualcosa di simile alla consapevolezza e l'ostinazione, questo serrò gli occhi, la sua mano accarezzò il pelo della sua fedele amica Neve nitrì piano e il suo padrone le sussurrò un fatti forza con me. Simone aprì di scatto i suoi occhi e diede ordine di avanzare e cominciare ad attaccare. Fu il primo dunque, a portare il suo braccio dietro la schiena sulla faretra estrarne una freccia e incuccarla poi, sul suo arco.

E' davvero questa la guerra?

Il rumore degli zoccoli dei cavalli passò in pochi istanti dalla camminata al galoppo, cercando di schierarsi in file per chi vantava un destriero e una spada e per chi, vantava grandi archi e frecce ai lati. L'urlo che si sollevò in alto come un boato apparteneva agli uomini nascosti come una sorpresa dentro la scherma dei cavalieri. Catturò subito quello delle figure appostare sulle due torri merlate che subito, si mossero.
Avvenne tutto in un battito di ciglia.
Delle frecce vennero scagliare dalle feritoie sul campo, gli urli di bocche sguaiate e braccia alzate festeggiavano quando un combattente veniva colpito. Frecce cadevano dall’alto della fortezza, mentre i cavalieri si facevano spazio e cercavano come potevano di scansarle lungo le figure di orchi che correvano in contro loro, mostrando e sguainando le armi.
Simone tendeva l'arco e mirava verso quelle che gli sembravano le più strane creature mai viste in vita sua. I racconti, si disse, non rendevano giustizia a quelle forme di vita che con tanto orgoglio si lanciavano in mezzo al caos del combattimento. Esseri antropomorfi più bassi degli uomini, con gambe arcuate, di stazza rozza, ma robusta. Non camminavano tutti in modo corretto, ma questo poteva tradire in apparenza la loro potenza sul campo. Le orecchie erano simili se non meno accentuate degli elfi. Deformi per testa e viso, qualcuno di loro dalla testa tonda e pelata, chi invece possedeva pochi peli sul cranio.

Uruk.

Anche la parola in elfico suonava orrenda.

Grugnivano, sguainavano le spade e le mazze e mostravano i loro denti appuntiti su quella bocca sudici. E più quegli esseri immondi si avvicinavano, più lui e gli altri arciere caricavano le frecce e le scoccavano, mirando alla testa, al petto, alle braccia alzate nell'atto di trafiggere qualche loro soldato. Rumori di spade, d'acciaio, urla.
Simone registrò ogni mossa, ogni dettaglio. I suoi occhi nonostante l'elmo, sembravano aver preso parte a qualcosa a cui avrebbe dovuto fare l'abitudine.
Neve risultò irrequieta sotto di lui e Simone avvertiva sempre di più la sua rigidezza. Cercò di sussurrarle parole, tra lo scocco di una freccia e l'altra. Tuttavia, non era perché aveva paura, quanto avrebbe voluto muoversi come gli altri suoi compagni equini e dimostrare di che pasta fosse fatta. Più Simone osservava quelle spade trafiggere corpi e gettarli a terra, più avrebbe voluto avere un secchio - qualcosa a fianco a sé - e vomitarci dentro. Il sangue si sparse velocemente, ma non era un sangue rosso, quanto nero. Nero come la pece.
In mezzo al frastuono degli uomini, gli zoccoli della sua cavalla scalpitavano. Così fermandosi un attimo, con il cuore in gola, Simone provò a studiare la situazione. Si era aperto un varco largo, tra i primi corpi riversi a terra e quelli di alcuni soldati che riprendevano possesso - e in fretta - del loro cavallo. Se si fosse gettato in mezzo alla mischia, si sarebbe fatto trainare giù in un sol colpo. Però se non si sarebbe mosso, altri suoi uomini sarebbero continuati a cadere, nonostante il mantenimento della sua posizione.
Non seppe perché, ma in quel momento, con una delle due gambe spronò Neve e quella capì subito il suo ordine come se gli avesse letto nel pensiero. Doveva rendersi utile, doveva fare qualcosa. Pensò unicamente a una cosa, mentre il suo corpo seguiva il movimento di Neve: mamma spero ne valga la pena.


Allargò la corda del suo arco, incuccò veloce la freccia e colpi a distanza ravvicinata prima uno, poi due, tre orchi. Un viso dilaniato, un naso schiacciato e storto, una pelle verde-giallastra. E poi di nuovo, due occhi colore arancio e nero, come li avesse bruciati il sole e ingoiati, il sangue che si andava formando schizzando fuori dall'armatura in cuoio. Simone incitò Neve a cambiare direzione, accanto a lui sentiva e vedeva altrettanto sangue, altrettanta morte. Il bianco di Neve sembrò creare una via di luce in mezzo a quel trambusto. La sua compagnia si diresse verso la parte che più colpì l'elfo che la guidava: uno di quegli esseri in mezzo al frastuono e accanto alla fortezza, non stava combattendo, stava sventolando una torcia infuocata contro una donna indifesa. La poveretta era stata sicuramente molestata, o sul punto di esserlo poiché la sua veste era strappata in più punti, soprattutto la parte inferiore. Simone non esitò, la sua freccia si mosse rapida.
Pensò di avere in pugno quell’essere, ma l'orco si girò di scatto e la afferrò con pronti riflessi in una mano la freccia. Il sorriso sghembo e malefico che gli vide in volto, sicuramente sarebbe entrato a fare parte della sua memoria. Spezzò l’arma e l'orco si approcciò alla donna buttandola sull'erba e il fango.

« Lasciala andare! » gli intimò Simone carico di rabbia.

L'orco emise più un grugnito lamentoso piuttosto che una risata, si sollevò dai fianchi della donna che aveva circondato con le ginocchia tozze e sudicie. I suoi occhi erano gialli e le pupille triangolari, i pochi capelli grigi che aveva, era l'unico dettaglio normale che lo contraddistinguevano.

« Risparmierò la tua vita se lascerai andare quella donna! » continuò mostrando i denti aguzzi.

Gli occhi della donna lo guardarono tra l'orco e il principe carichi di ansia, mentre veniva strattonata con una mano dall'orco.

« Non riusciresti a prendere comunque la mia vita, hai solo un arco con te » lo derise l'orco.

Simone ripeté risoluto e a denti stretti, ciò che aveva detto poco prima.

« Lascia andare subito quella donna! »

« Altrimenti che mi fai, elfo? » rispose derisorio.

L'orco mosse la torcia infuocata contro Neve e quella si impennò spaventata. Simone finì a terra, disarcionato e cominciò a tastarsi lungo la cintola della cotta di maglia.

« Principe, grazie » azzardò Simone.

Il mostro questa volta si passò la lingua sui denti ed emise una risata carica.

« Che tu sia un elfo comune o un autorità, siete tutti uguali voi » avanzò mentre Simone indietreggiava sul fango. « Spavaldi, buffoni, illusi. Siete nel nostro territorio ormai, elfi o uomini. I tuoi compagni hanno bisogno di te e tu scappi, Principe » l'orco buttò la torcia a terra, la quale cominciò a bruciare dell'erba proprio lì vicino e sguainò la spada con un solo gesto. Il braccio peloso sotto la corazza in cuoio insieme ai suoi occhi, che scintillarono comunque senza la presenza del fuoco a illuminarli lo fecero muovere con orgoglio. « I tuoi compagni ti richiamano e tu pensi a una puttana. » tuonò incendiandosi beffardo.

« Neanche tu però stai combattendo con i tuoi, uruk » sputò fuori il principe.

Simone si alzò in piedi allora, era riuscito appena in piedi facendo forza sui piedi e sollevandosi subito. Stringeva in una mano l'unico pugnale che aveva portato con sé.

Auta i lóme, pensò Simone. La tua notte sta per finire.

« Vediamo quanto sei forte cordardo di un elfo »

Non scapperò da qualsiasi cosa tu sia.

Simone girò intorno a quel mostro dagli occhi carichi di eccitazione, schivando i primi attacchi con la spada. Era consapevole che non avrebbe retto chissà quanto, ma sperò di riuscire che donna riuscisse a non incappare in un altro amico di quell'essere e che in quel momento scappò. Neve cercò di mettersi in mezzo e Simone per difenderla, si fece in avanti.
Fu allora che sbagliando la mira, il pugnale risultò inutile e la lama della spada dell'orco si inclinò sotto la cotta di maglia metallica. Simone sentì la lama scalzargli e aprirgli la pelle in superficie, e la saliva venirgli meno in bocca.
Ecco com'era il tocco di una lama affilata, bruciante come fiamma viva.


La mia prima ferita.


Il sorriso dell'orco era compiaciuto e lo guardava con quegli occhi così gialli e irreali.
Peccato che la sua espressione tradì l'intervento dell'altro avversario. La lama non fece in tempo ad arrivare a un punto fondamentale e nevralgico e a spingere più a fondo nella carne per colpirne un organo vitale, perché Simone si aiutò poco dopo con la mano destra tirando i pochi capelli che aveva, esponendo il collo dell'orco e incidendo il pugnale proprio lì, lungo la gola in un gesto netto e secco. Incise senza timore. Solo dopo che il sangue sgorgò fuori, a Simone tremò la mano. La spada del nemico cadde sul terreno e l'orco ricadde ginocchioni e davanti a Simone, che si spostò indietro. Il sangue nero, si mischiò a uno decisamente meno anomalo e rosso.
Le dita reggevano ancora la piccola arma e la mano sinistra si passò sotto la cotta per quanto la corazza glielo permettesse. Il rosso gli macchiò le altre dita libere, colandogli sul palmo bianco della mano.
Il suo sangue.
Simone ebbe il tempo di vedere quello e Neve avvicinarsi a lui e buttare fuori dalla visuale un altro orco. O forse erano uno dei suoi soldati. Forse la sentì nitrire prima di abbandonarsi. Non seppe ben dirlo perché la vista si annebbiò, il pugnale cadde sul terreno, quasi senza più forza nello stringerlo e il corpo di Simone lo raggiunse abbandonandosi al fango e svenendo a terra.

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Capitolo 6
*** Volontà ***


Volontà









Appena aprì gli occhi, Simone dovette sbattere le palpebre più volte per capire dove si trovava. La confusione durò un breve attimo, giusto il tempo di percepire il bianco in cotone dello spazio che lo circondava, dell'odore tipico d'erba e il rumore del suo stesso respiro. Le dita toccavano una superficie sottile sotto di se e sopra il suo naso la struttura della tenda era riconoscibile. Ciò che invece gli sembrò strano fu recuperare le ultime immagini prima di cadere a terra, il buio in cui erano piombati i suoi occhi. Simone alzò un braccio e subito una forza esterna si oppose alla sua, una mano candida, con qualche ruga ma gentile. Gli occhi di Simone incontrarono quelli di Ingrid.

« Bentornato in questo mondo, fairë » gli rivolse appena uno sguardo di sollievo prima di armeggiare con quello che a Simone parve dapprima una lama sottile, poi osservò meglio.

La donna seguì i suoi occhi, alcune dita ricoperte di sangue che vennero sciacquate in una tinozza affianco alla sua figura, per terra. « Speravo che non ti svegliassi prima di farmi intervenire, volevo risparmiartelo » sospirò la guaritrice, asciugandosi le mani sulla veste e afferrando quello che aveva tutta l'aria di essere un ago ricavato dall'osso di qualche animale « e risparmiarmi i tuoi lamenti, ma qui c'è un bel taglio da ricucire e sono un'esperta in questo genere di cose. »

Taglio.

Simone sfuggì alla presa della donna - che non stringeva ma che era abbastanza salda sul suo polso - per tastarsi il fianco con la mano libera, salendo piano con le dita riuscì a toccare la propria pelle scoperta, ora fattasi ancora più fredda del solito: la corazza era stata tolta, così come la cotta di maglia. Un solco - non sapeva neanche lui affermare quanto fosse lungo o profondo - gli tracciava il costato destro.

L'orco che ho affrontato.

Annuì a se stesso e socchiuse gli occhi.

Hai salvato una donna. Nessun senso di colpa.

« Gli altri... gli uomini come stanno? » chiese invece.

« Se ne stanno occupando le altre, ma ne abbiamo persi pochi. Poco fa ho dovuto occuparmi di una situazione ben peggiore della tua, Simone »

« E gli orchi? »

« Credo di aver sentito che alcuni sopravvissuti abbiano battuto in ritirata...»

Simone cercò di sorridere pensando a quella piccola notizia. Non sapeva esattamente cosa potesse essere successo dopo che era venuto meno sul campo. Ecco perché, pensò quanto meno di alzarsi e mettersi seduto col corpo, ma Ingrid glielo impedì ributtando in giù il suo corpo, disteso alla bell'è meglio su un doppio lenzuolo.

« Sei svenuto, cerchiamo di evitare che si ripeta, mh? »

E così, con quel tono che gli ricordò la donna dai capelli neri e splendida nelle sue memorie, Simone obbedì, senza discutere. « Prima ti ricucio e prima potrai muoverti e mangiare. Lascia fare a me, non ci vorrà molto.»
Simone annuì lentamente.

« Dovrei vedere come stanno gli altri, devo sapere di Beren, Amras...»

La sua testa poi per uno strano scherzo del destino gli proiettò davanti l'immagine del soldato riccio che poco prima dell'inizio della battaglia aveva visto abbracciarsi con la sua compagna, confortarla o venire confortato.

« Lo farai dopo, se non chiuderò la ferita si infetterà. » ribadì diplomatica Ingrid, distraendolo poco dopo da quel pensiero.
Simone scosse la testa.

« Va bene ma Ingrid, parlami però...mentre lo fai » suggerì Simone con un tono abbastanza rassegnato. Sospirò poi, consapevole che tutte le sue ferite da bambino non consistevano in qualcosa di simile. Qualche livido, qualche piccolo taglio su un pollice... o una semplice storta.

« Questo lo sentirai tutto, Simone. Non c'è preparazione che ti insegni a sopportare questo dolore, ma ricorda, con me, sei in buone mani. »
Ingrid gli ricordò vagamente sua madre per quella assoluta premura e cercò di trattenere il tremolio istantaneo delle sue labbra.

Simone annuì di nuovo e serrò quindi gli occhi. Le sussurrò qualcosa e quello bastò ad Ingrid per fare altrettanto e mettersi all'opera. Afferrò lo strumento e dopo averlo posizionato nel portaghi cominciò a farlo passare sul lembo di pelle finale, proprio un po' più sotto al costato dove terminava la ferita. La punta dell'ago penetrò il tessuto e Simone urlò appena, riscuotendo una risata della sua infermiera.

« Ascolta la mia risata, cespuglietto, su » continuò Ingrid operando sulla pelle dell'elfo che cercava di dimenarsi il meno possibile. « Qualcun'altro dei nostri aveva delle ferite anche sulla testa, grazie al cielo, a te non è capitato.» applicò i primi punti con i fili in modo da suturare la ferita.

Potevo morire?

Si chiese da solo e come se avesse percepito il suo pensiero o leggendo la sua espressione eloquente, Ingrid lo guardò con più amore. Simone digrignò i denti, avvertendo quel corpo estraneo entrargli dentro la pelle e accostandolo quasi alla stessa lama che la aveva perforata quello stesso giorno.

« Non me ne volere, ma a confronto eri decisamente più calmo quando non mi arrivavi nemmeno alla coscia » inclinò la testa la donna, sfoggiando un simpatico sorriso.

« Non sono più un bambino e non credo che non abbia-no fatto t-tutto questo ru-RUMORE »

Simone urlò di nuovo, inclinò il corpo e Ingrid dovette ammonirlo, cancellando per qualche secondo la sua buona indole.

« Suvvia, sto quasi per finire, se ti muovi ricucirò male la tua pelle reale! E poi chi lo sente tuo padre? » lo prese in giro giocosamente la donna, le ciocche bianche di capelli le scendevano al lato del viso, rendendolo ancora più affascinante, nonostante la sua veneranda età.
Non credo che a lui importi molto.

Eppure all'entrata di quell'ago nella pelle si lasciò sfuggire un altro urlo.

« Ahia! » esordì in un altro lamento di dolore, l'elfo.

« Vedilo come un premio, una medaglia al valore » Ingrid tirò un altro filo cominciando a chiudere già per metà la ferita che si ostinava già rossa più per il trauma, che per il sangue il quale era stato lavato via del tutto.

« Valore? » mormorò Simone a voce bassissima, non c'era bisogno di pensarci molto, lui non aveva fatto poi molto sul campo « Non ho n-nessun merito, chi ha continuato a combattere l-lo ha, PER TUTTE LE STELLE E I VALAR, INGRID! » urlò  sentendo l’ago pungerlo.
« So che non dovrei dirlo e che li offenderò in questo modo, ma se aspettavamo il loro intervento, a quest’ora non staresti parlando con me » ribattè la guaritrice.

Simone gemette all'ennesimo punto della sua pelle che veniva attraversato, straziando non solo Ingrid ma altre figure poiché nello spazio adibito a infermeria, prestò occhio ad altri tre soldati all'interno della tenda, adagiati più comodamente rispetto alle due ragazze che si occupavano a turno di ciascuno di loro. I suoi occhi si concentrarono su uno di loro che teneva stretto in bocca il manico di un pugnale, le nocche erano chiuse in un pugno e bianche in mezzo alla sporcizia e al sangue secco.

« Ritornando al valore, questo ti va riconosciuto comunque, poco importa quanto tu abbia ucciso, Simone » fu diretta Ingrid, non tenendo conto del suo stato di fissità appena acquisito, gli occhi ridotti a una fessura « Non sarò la prima volta che lo farai: sono il tuo spirito, il tuo cuore, a renderti ciò che sei. E ora anche questa ferita qui »

« M-mh » mormorò senza convinzione Simone, come se non avesse proprio afferrato le parole di Ingrid, evidentemente distratto. La donna gli sussurrò altre parole ma quelle lo tranquillizzarono ben poco, poiché buttò fuori l'aria di continuo, lasciando finire Ingrid di ricucirlo.

Le urla e i lamenti destarono la sua attenzione, mentre con un panno inumidito d’acqua e passato dietro la nuca, passava verso le varie tende, controllando alcuni dei suoi compagni. Elvira aveva riportato solo una ferita al ginocchio, mentre Ronan era stato attraversato da una freccia all’altezza della spalla. Manuel se la era cavata con un taglio sul mento, sei punti di sutura sul ventre e una piccola ferita alla mano. Per il resto, si riteneva fortunato di poter ancora camminare, nonostante si tenesse il fianco coperto da una benda apposita, con una mano.
Camminando appena tra le varie tende adibite a infermerie adesso, spiccò un rumore acuto e qualche maledizione in una lingua delicata, non umana. Quale ragazza uscì di fretta dalla tenda con una tinozza vuota sul ventre da cambiare e con dentro strumenti appositi da lavare e panni sporchi sicuramente da lavare o strizzare.
E fu allora che Manuel avanzò e scostò appena un lembo della tenda. All’interno vi erano tre uomini in condizioni più o meno estreme, forse le più importanti.
E il lamento non proveniva da nessuno di loro, nessuna delle loro bocche si aprì. Poi, uno tra loro, uno di quelli che il soldato non aveva contato perché più distante, proprio al confine del lato sinistro della tenda, rapì i suoi occhi. I ricci erano bagnati sulla fronte, mentre il torso bianco veniva coperto dalle mani di una delle guaritrici, l’elfa più anziana.

Manuel lesse l’espressione di dolore dipinta sul volto del principe e pensò che anche in quel frangente, ci fosse qualcosa di armonioso sul suo viso, anche nella sofferenza. Forse era solo la stanchezza a dargli quel pensiero. Non poté fare a meno però, di stringere con prepotenza e forza con una delle mani il tessuto della stessa tenda, nel momento in cui l’elfo sembrò quasi piangere al tocco della donna che lo stava guarendo. D’altra parte, Manuel aveva cercato di tenerlo d’occhio prima della battaglia, perdendolo poi di vista durante il combattimento.
Era riuscito a malapena a vederlo combattere per via del diverso schieramento, ma aveva visto come lo aveva trascinato di corsa una delle sue guardie, trasportandolo a cavallo per riportarlo al bivacco.
Manuel sospirò, vedendo l’elfo annuire meccanicamente come a convincersi, verso la donna premurosa inginocchiata e chinata su di lui per ricucirlo. 

C’era qualcosa nelle sue mani che si conficcavano nel terreno, implorando quasi che quella tortura avesse fine, che portò Manuel a volere oltrepassare lui stesso quello spazio liminale avanzando con i suoi stivali all’improvviso, per potergli in qualche modo dare conforto. Ma cosa avrebbe potuto fare effettivamente, nemmeno lui lo sapeva.

Non sei la sua balia.

Non si diede modo di mandare avanti quei pensieri, perché una volta conclusa l’opera medica, la donna depositò una mano sulla fronte del malato, poi un bacio sulla sua fronte bagnata e scambiando appena qualche parola con Simone, questa si alzò, pronta per lasciare il suo posto a qualche altra donna.
Manuel allora si voltò, sentendosi di troppo in quella situazione. Ricordava la conversazione avuta solo una sera prima e come aveva provato ad approcciarsi a quella figura mistica che gli era parsa più umana e meno rigida. 
                                                                                                                            
Si poteva diventare amici in battaglia? 
Legare un'esperienza ad un'altra nonostante due origini diverse, lenire un’anima angosciata e stare vicino a un cuore – forse – non poi così tanto diverso dal proprio? Forse erano solo domande a cui non si poteva rispondere, labirinti da cui era difficile uscire nonostante le varie indicazioni date, considerando la necessità di rispettare dei ruoli e degli schemi. Ruoli che un soldato, era tenuto a rispettare, così come un principe.

Sicuramente Manuel avrebbe potuto chiedere sulla salute di quella creatura tanto affascinante, ma evitò di farlo. Per una questione di riservatezza, di rispetto e di ruoli.
Non gli era concesso di intromettersi in tutto quello, c’erano delle guardie, delle guaritrici, un intero servizio di gente che si sarebbe occupato di lui – che se ne stava disteso sicuramente ad occhi chiusi dopo essere stato curato. Eppure il pensiero che potesse quanto meno stare meglio era un tarlo e una premura che cominciarono a farsi strada in Manuel.
Gli bastò solo sentire parlare la guaritrice anziana con qualche altra donna lì fuori, dopo averle ordinato qualcosa, per intuire per minima parte che Simone fosse uscito fuori da ogni pericolo e che aveva bisogno solo di riposo.

Il principe, non Simone si corresse poi mentalmente e in ritardo, Manuel.

Sospirò e lasciando libere le mani lungo i fianchi per sciogliere la tensione, decise quindi di ritornare da Maximus - sotto l'occhio vigile di altri suoi compagni - per controllare se avesse avuto bisogno di cibo o delle sue cure.
 






 
**





 
La notte ogni uomo cercò come poteva di alzarsi e cenare con ciò che avevano preparato le donne davanti al fuoco. Il bivacco si era trasformato in un campo di piccoli rantoli, lamenti e ora anche sghignazzi.                                                                                                          Alcuni dei soldati vennero aiutati, altri si sforzarono da soli mostrando una loro cocciutaggine e spirito di iniziativa. Se non altro, Manuel sedette vicino a Elvira tenendo fra le mani la zuppa di verdure calda e del pane elfico che alcuni dei suoi compagni disegnavano. La selvaggina sarebbe stata cacciata l'indomani da chi ne avrebbe avuto la forza e avrebbe ripreso vigore dopo aver riposato. Se non altro, quella sera si sarebbero raccontati aneddoti della battaglia odierna, ognuno vantandosi dei propri meriti.
Il brusio di sottofondo era già un po' acceso, ma Manuel era impegnato a spiare con la coda dell'occhio il suo compagno a cui aveva dato un ottimo rifornimento di mele e carote: Maximus era in un angolo non molto distante, mansueto e tranquillo affianco a un albero. La lunga criniera nera e il pelo sugli zoccoli in evidenza al fascio di luce creato dalla fiamma alta del fuoco. Chissà se anche gli altri cavalli avevano la stessa tempra. Maximus c'era cresciuto con Manuel sul campo di battaglia, che da ben otto anni conosceva bene. Allungò lo sguardo torcendo il busto per captare subito l'attenzione del suo cavallo rivolto verso qualcos'altro. Qualcun altro. Con una mano reggeva la scodella e l'altra invece era piantata sulla coscia, il gomito sollevato.
Osservò come gli occhi scuri e globosi di Maximus catturarono un manto bianco e leggiadro e che piano, spostava il suo peso da tutt'altra parte per raggiugere un'altra persona, accanto a una tenda. Ora, si allontanavano appena. Il soldato sospirò, mentre il cavallo alzò prontamente le sue gambe e mosse la testa attirato in quella stessa direzione.

« Fai sul serio? » sussurrò a bassa voce Manuel come se il suo amico potesse davvero sentirlo. Maximus nitrì piano, scacciando della terra lì intorno con uno degli zoccoli. Manuel roteò gli occhi al cielo, sospirando. « Fa come vuoi testone, ma non verrò poi ad aggiustare il tuo cuore malandato »

Maximus non ascoltò proprio il suo padrone e cominciò a vagare lungo il campo come se la cavalla vista poco prima, potesse in qualche modo notarlo questa volta.

« Manuel » lo riprese Elvira dandogli una gomitata.

Manuel ritornò al fuoco, alla sua compagna di tenda nonché amica che lo guardava perplessa e lui spostò la mano sulla coscia per circondare con entrambe le sue dita, la ciotola.

« Tutto bene? »

« Sì » mormorò annuendo e ritornando alla zuppa. Elvira, che aveva osservato la scena si trattenne dal ridere e spezzò del pane per lui.

« Credo che Maximus se la caverà per una sera, senza bisogno che tu gli faccia da madre »

Manuel accettò il pane e ringraziò flebile. Prese un sorso della sua zuppa, lo scoppiettio del fuoco gli riempiva le orecchie.

« Se non avesse puntato al cuore sbagliato, sarebbe più facile lasciarlo libero » Manuel guardò la benda avvolta sulla mano sinistra ed Elvira provò a carpire qualcosa dai suoi occhi.

« Manuel » replicò la ragazza, i suoi occhi verdi divennero gialli per via del fuoco « sono sicura che starà bene. Al contrario del suo padrone, invece »

« Io sto bene, Elvira » le strinse piano un polso e la guardò sorridendo sbilenco.

« Avevi un'espressione un po' delusa prima... » gli fece notare mordendosi appena il labbro inferiore.

Manuel si grattò la nuca.

« Non devi preoccuparti, sto bene, davvero. Sono solo stanco e vorrei già essere in tenda a dormire » spiegò rapido.

Gli occhi della ragazza si fecero simili a due fessure, attenti e indagatori, la camiciona fermata da un corpetto in cuoio sul busto e i capelli legati in una crocca e delle ciocche libere ai lati del viso le davano un'aria intimidatoria, sicura. Come se dovesse trovarsi in un combattimento a mani nude in quel preciso istante.

« Sempre se mi permetterai di dormire con il tuo soave russare » abbozzò poi, beccandosi un'altra gomitata sul fianco.

« Ti avverto, se non stai bene ed è una bugia, ti ritroverai presto una benda anche sull'altra mano! » lo minacciò lei.

Ma il soldato sapeva che non era poi così seria, Elvira non gli avrebbe tirato giù un singolo capello dalla testa, così come lui non avrebbe sfilato contro di lei la più appuntita delle lame.
Manuel rise, accompagnando la voce poco più allegra con un movimento naturale delle spalle.
Ecco, forse serviva solo distrarlo un po'. Era la prima sera da quando erano partiti con gli altri per la battaglia, che Elvira lo vedeva un po' distante, come se qualcosa di più che un semplice pensiero turbasse il suo amico. Certo erano usciti più o meno illesi sul campo, ma nulla era più incurabile di un tormento interiore. E la notte, in tenda, oltre a scherzare su qualche loro compagno, riuscivano a raccontarsi anche altro.
Invece quel pomeriggio Manuel era come scappato dalle medicazioni, come fosse trascinato da un pensiero più importante che rimanere con i suoi compagni. Che rimanere con lei a condividere l'ennesima ferita.
Forse era davvero solo stanchezza. In ogni caso, non avendo altro su cui basarsi a parte un cavallo innamorato e vagabondo per il bivacco, la ragazza volle in qualche modo credergli, concedergli una tregua e proseguirono entrambi a mangiare. Si unirono alla conversazione dei loro stessi compagni, ognuno riportante una ferita diversa più o meno superficiale, ognuno bendato o fasciato ma con uno spirito che tradiva la bruttura di una ferita o un'incrinatura esteriore.

« E quindi orecchie a punta non si unisce a noi neanche stasera? » cacciò fuori Ronan battendo una mano sulla coscia. Reggeva con una mano, la cui grandezza occupò metà dell'oggetto con dentro la cena calda.

Orecchie a punta, l'eco di quel nomignolo gli risuonò aspro nella testa. Manuel cercò di tenersi saldo, calmo.

« Forse consumerà la sua cena nella sua regale tenda » ride l'altro compagno accanto a lui, Felix. Occhi di ghiaccio e capelli rasati ai lati, riportava lunga ferita, ormai in fase di chiusura dietro l'orecchio. « In fondo, non sarebbe più tanto una cattiva idea. Non lo biasimo, non credo voglia farsi vedere dopo essere svenuto sul campo dopo nemmeno due ore » rise un altro compagno accanto a lui, Felix.
Manuel li squadrò entrambi, suo malgrado, arrestando un pezzo di pane di via in bocca che faticò a mandare giù. Li vedeva ridere goliardici ed Elvira notò subito il suo cambio d'espressione.

« Beh di certo, non si sarà insanguinato la bella armatura, » bofonchiò Ronan schioccando la lingua « sarebbe stato uno spreco, soprattutto per tutte quelle frecce che ha scoccato. Potrà avere anche un ottima mira, ma è assurdo combattere senza una spada. »

Felix annuì, concordando con lui e sorseggiando rumorosamente dalla sua ciotola.

« Lo facevo più intelligente, sai? »

Manuel cominciò a montare dentro di rabbia, dilatando le narici e puntando i suoi occhi su entrambi, stringendo la ciotola con entrambe le dita come se fosse un'arma da usare sul momento.

« Eh beh cosa vuoi aspettarti da un reale? E poi così giovane, so che gli elfi dimostrano meno della loro età, ma forse un bambino sarebbe riuscito a resistere di piu. »

« Ronan, perché non continui a mangiare, evitando di dare fiato alla bocca? » sputò fuori Manuel, senza nemmeno pensare più a controllarsi.
Ronan s'agghindò del sorriso più falso e d'occasione che ci fosse. Assunse anche uno sguardo acceso, come se dentro ci ardesse la voglia di lottare ma usando unicamente la parola.

« Oh, Manuel, cosa c'è vuoi dirci anche la tua al riguardo? Prego, non vergognarti , fai pure, noi ti ascoltiamo. »

Ronan trangugiò l'ultimo sorso della brodaglia calda, poggiò la ciotola a terra e curvò il busto in avanti.

« Dovresti portare rispetto per chi ci guida. » continuò Manuel diretto, sostenendo lo sguardo del suo compagno « Dovremmo farlo tutti. Seguire il nostro capo. »

Gli occhi degli altri compagni si fecero subito più attivi e presenti alla conversazione, scambiandosi rapide occhiate gli uni con gli altri.

« È una grande parola "capo." » Ronan mise enfasi sull'ultima parola come se stesse pronunciando il nome di un dio sacro nominato invano.
« Ricordati che lui non è uno di noi. » sputò fuori senza timore  « Non sarà mai come noi. Ha fatto vergognare i suoi. E per di più lui non ha visto sangue scorrere, non si è macchiato eccetto oggi per la prima volta, quelli come lui sono nati nella bambagia e si sa che chi nasce tra la seta e le corone non è fatto per guidare nessuno, ne tantomeno combattere una guerra. » terminò affilato.
Manuel deglutì di fronte al volto di Ronan stravolto dal pregiudizio, non aveva colorato con nessuna risata. Era stato dritto e incisivo, come un coltello puntato alla gola.

« Vorrei averti visto la prima volta che hai combattuto, allora » Manuel posò la ciotola piena per meno di metà a terra e si alzò in piedi « se da ragazzo non hai esitato un solo secondo. O vuoi farmi credere che non avevi paura? Che le tue mani erano già pronte a uccidere o a scagliare morti sottoterra? »

Elvira lo guardò con gli occhi fieri e attenti, avrebbe tanto voluto stringergli una mano per fargli capire che non era il solo a pensarla come lui, ad essere umano. A provare empatia per qualcuno.

« Manuel ti stai scaldando tanto per un misero elfo, ma ti ascolti? » Felix intervenne poco dopo, ma si beccò una rapida occhiataccia di fuoco da Elvira che lo zittì subito.

« Ronan, non credo che la prima cosa che tu abbia fatto vedendo qualcuno morire sia stato vantarti e alzare in aria la sua testa come un trofeo! »

Manuel alzò le braccia in aria, alzando un po' di più la sua voce. Non tenne conto però della fasciatura all'altezza del ventre e subito si portò una delle mani in quel punto dolorante per via dei pochi punti di sutura che tiravano.

« Nessuno di voi ha preso l'armatura dei suoi nemici e la ha portata con sé e questo perché per combattere ci vuole comunque rispetto, lealtà. Le nostre prime volte sono state inesperte e soprattutto traumatiche. »

Ronan schioccò la lingua contro il palato e batte un piede sul terreno. La barba incolta, non rasata lo rendeva ancora più rude alla luce del fuoco.

« Posso anche concordare sulla verginità del colpire o schivare e che non tutti i nostri padri ci abbiano insegnato, ma almeno io non sono svenuto come un pollo sul campo. »

Ronan si beccò i fischi di almeno cinque, sei soldati e altrettante risate d'approvazione per cui il soldato ebbe modo di gongolare subito dopo.

« Ripeto che non è così che bisognerebbe trattare chi ha deciso di scegliere tutti noi per questa missione. » Manuel non diede peso al brusio basso ma comunque presente della fazione che si era creata attorno a Ronan che non smetteva di portare quella smorfia in viso rendendolo ancora più brutto ai suoi occhi « Siamo stati scelti. Uomini ed elfi, che importanza ha?  Siamo qui per lo stesso scopo, che valore ha sottolineare le nostre differenze? Io credo nelle capacità del Principe e credo che dovremmo concedergli la nostra fiducia, così come la abbiamo giurata fin dall'inizio! »

E in quel momento Manuel non aveva tenuto conto del suo tono di voce, non sapeva che lo aveva gridato. Così come non sospettava che una figura da sola, lì, nel buio dell'accampamento, lo avesse  ascoltato. Proprio quella figura, si portò una mano al petto e fermò i suoi passi all'istante, fermandosi in mezzo al campo.
Il soldato sembrò riacquistare piano la calma, svuotando i polmoni con un lungo respiro.

« Non ha senso rimanere così, disuniti. Non aiuterà nessuno, » Manuel respirò piano e abbassò il tono « gli orchi sono corsi in ritirata, ed è stata solo una battaglia. Credo sia affrettato esprimere subito un giudizio netto. »

La figura rimase in piedi nell'ombra senza il coraggio di venire avanti. Da quel punto, Simone, riusciva a vedere il profilo di Manuel. Non distingueva gli occhi, ma ne vedeva i contorni dei ricci, del naso. Non percepì il suo stesso piccolo sorriso che sfuggì al suo controllo ed era appena affiorato sulle labbra.

« Beh, la mia conclusione è che devi avere sbattuto forte la testa Manuel oppure ti sei rimbecillito tutto in una giornata. » completò Ronan.
Non c'erano più risate però da parte dei soldati, Manuel rimaneva fermo immobile, testardo e determinato accanto al fuoco per guardare meglio in volto quell'ammasso di ignoranza e cattiveria.

In quel momento Manuel tirò fuori l'unica cosa che poteva chiudere quel dibattito inutile, l'arma più potente: la verità.

« Non capirò mai il perché tu abbia deciso di unirti a questa causa, se non ci credevi dal principio. Ma forse è perché combatti per colmare qualcosa che ti manca o per te stesso. Solo per te stesso. »

Ronan fece per alzarsi ma la voce di un soldato in mezzo a loro ebbe modo di fermarlo.

« La speranza deve essere concentrata in ognuno di noi. » intervenne Elvira cercando di calmare i toni e gli animi. « Siamo qui e lui è stato scelto per guidarci. Sai che Manuel ha ragione, Ronan. »

« Quello che so è che la mia speranza, non risiede in un elfo » sputò ai suoi piedi e recuperò la sua borraccia di cuoio alla vita per bere « L'unica speranza sta nel mio corpo e nella sua forza »

A Manuel non restò che retrocedere lentamente, sentì la presa di Elvira tirarlo per sederle di nuovo accanto. E insieme a quel gesto, lei gli rivolse anche uno sguardo complice e d'affetto. I soldati avevano ripreso a parlare fra di loro e quei pochi seduti vicino a loro due, restarono a scambiarsi occhiate eloquenti e consapevolmente rassegnate. Manuel fissò il contenuto della sua ciotola, mandò giù a malapena qualche altro pezzo di pane, poi sospirò.

« Vuoi finire anche la mia? » allungò la cena verso Elvira e lei rimase interdetta.

Il tono gli risultò ancora inviperito e trafitto da una scheggia invisibile, ma questo non portò certo Elvira a izzarlo ancora di più.

« Sei sicuro? »

« Non ho più fame » rispose secco Manuel « e poi, ne hai bisogno più di me »

Elvira sospirò sommessamente.

« Quello di cui ho bisogno è che tu non ti faccia inacidire da quell'orco »

Manuel annuì rassegnato. Poi con la mano bendata le accarezzò lievemente la spalla.

« Hai ragione, tranne per un'unica differenza, » aggiunse abbastanza goliardico lui questa volta « lui non possiamo ucciderlo »
Elvira ridacchiò appena e accettò volentieri di finire la cena dell'amico che la guardò mangiare e che si perse nella nuvola di fumo e dalle fiammelle che scoppiettavano.
 



Simone si soffermò un'ultima volta quella sera a guardare quella scena silenziosa, adesso. La piccola guida era lì alta, luminosa, bianca e piena nel cielo. Si girò di schiena e in qualche modo, sentì il forte rumore farsi più intenso provenire da dentro il petto, mentre proseguiva verso la sua tenda. La mano si ancorò verso la fonte di quel frastuono interno, ci si piazzò sopra come uno scudo. Non registrò nessuna anomalia al movimento, le gambe si muovevano, il costato tirava per via dei punti, ma era normale, Ingrid gli aveva detto di fare attenzione nei movimenti e che avrebbe provveduto a cambiare il bendaggio ogni due giorni. Funzionava tutto quanto, solo non smise di sentire chiaramente le parole che erano state pronunciate poco prima. Le sue orecchie lo trassero in inganno.
Io credo nel Principe.
Una volta ritornato in tenda, disteso su quel materasso, Simone pensava di poter annullare il pensiero. Sua madre ci riusciva cantando o accarezzandogli la testa.
Quindi, aveva sviluppato da sé una piccola abitudine: si carezzava lentamente un braccio, ora scoperto dalla lunga vestaglia da notte bianca di lino che aveva messo addosso.
Ripeteva quel semplice gesto in ritmi lenti e accompagnava con i respiri per calmarsi, ma il cuore ostinato, non accennava a fermarsi.
E l'ultima volta che era stato così accelerato nemmeno lo ricordava più o se lo ricordava, lo aveva rimosso.
C'erano solo dei capelli rossi che si sarebbero spenti ingoiati dal buio e un sussurrato invito a non temere nulla.
Continuò a sentire la voce del soldato nella sua testa, la convinzione con cui lo aveva difeso - seppur non conoscendolo - il modo con cui non aveva esitato a lanciare contro centinaia di spade o frecce contro degli insulti o critiche che Simone non aveva ascoltato poi così attentamente perché abituato all'indifferenza di suo padre.
Il pollice ritornava sulla stessa porzione di pelle, su e giù, ma la testa non entrava in quel meccanismo di autocontrollo.
Simone continuò a sentire Manuel ripetere quelle poche parole.
Così chiuse gli occhi, addormentandosi con un cuore che fremeva, si contraeva e si allargava, ma questa volta non per un brutto ricordo.
 


 
Due giorni dopo aver parlato con le sue guardie e aver recuperato come minimo un po' più di forze, Simone si era svegliato con un altro spirito.
La verità era che aveva ripensato a quelle parole più del dovuto e aveva deciso che se c'era qualcuno che si fidava di lui, forse era il momento che anche lui si fidasse di se stesso.
Era da poco mattina, poteva essere un lunedì come un martedì - ormai non teneva più il conto dei giorni -  e mentre gli uomini facevano colazione vicino alle loro tende e il sole timido si affacciava nel cielo, Simone aveva deciso di alzarsi. Per prima cosa, prima del suo pasto, si diresse all'interno del posto di comando per avvisare della sua decisione meditata per ben un intero giorno. Ad aspettarlo, fuori, c'era già Fëanor che gli diede subito il buongiorno. Seguito da Amras e Beren che rimasero fuori, con le loro ciotole colme di miele, frutta e pane elfico in mano.

« Spero abbiate dormito bene » disse Fëanor, una volta che vide il Principe.

Questo annuì, ricambiando il saluto per posizionarsi poi dietro il grande tavolo con le mappe appena aperte, dove una sedia in legno era stata arrangiata dietro affinché si sedesse.
Simone però non si mise comodo, anzi, incurvò il busto in avanti e giunse le mani sotto il mento.

« Avete già mangiato? » chiese Fëanor con un velo di premura nella voce.

Simone sospirò, facendo cenno di no.

Pensa come un principe e un capo,  ricordalo.

« Il cibo può aspettare, » rispose, sentendosi carico e pronto « c'è una questione più importante prima,  dobbiamo scoprire chi c'è dietro gli attacchi, risalire al loro capitano. Solo in questo modo avremo un quadro più chiaro »

Fëanor annuì velocemente, portò una mano sull'elsa della spada. La estrasse e indicò con la punta su una delle mappe.
La forma di un terra più concreta e meno frastagliata.

« Dopo la ritirata credo che puntino a Nord, ma anche voi avete ragione. Per non sbagliarci l'unico modo possibile sarebbe recuperare informazioni e anche piuttosto in fretta »

Il principe annuì, alzando lo sguardo verso quello chiaro ed eloquente della sua guardia.

« Ci avevo già pensato » si portò una mano a sistemarsi un riccio dietro una delle orecchie, poi osservò gli stivali ai suoi piedi « Dovremmo chiedere in giro, anche a qualche contadino preso di mira o fatto prigioniero. »

« Principe, » Fëanor ricacciò la spada nella apposito fodero e lo guardò come se non fosse stato davvero lui a parlare, come se Simone non avesse potuto scegliere di mettersi alla prova. « Questo è un compito che spetta a noi. »

Il principe contrasse appena la mascella, i suoi occhi ricaddero verso il basso.

« Sono stato chiamato a prendermi la  responsabilità per questi uomini, » Simone si alzò dalla sedia e arrotolò la cartina aperta sul tavolo « verrò anch'io in ricognizione. È giusto che me ne interessi e poi, c'è tutto il tempo per esercitarsi ed allenarsi con l'arco più tardi. »
Sapeva quanto fosse pressoché ridicolo nominare quell'arma dopo che sicuramente qualche sera prima, gli era stato rinfacciato di non saperne usare una vera, ma non si sentiva ancora pronto.

Forse quella faccenda sarebbe finita prima di imparare a usarne per davvero una, di spada.
Fëanor annuì lentamente, sfoggiando un sorriso breve che non mascherò però la sua fronte aggrottata.

« Va bene, lasciate almeno che qualcuno vi accompagni però, per sicurezza. Vi ricordo che ci troviamo sempre in terre lontane da casa. »
Simone continuò risoluto e deciso. Proseguiva solo grazie a una vocina nella testa che gli stava dando coraggio.

« Mi bastano Gildor e Dorian. Partiremo subito dopo pranzo o se riusciamo, potremmo portarci qualche scorta dietro durante il tragitto. » finì di arrotolare la pergamena e metterla al lato opposto del tavolo « Tu, Beren e gli altri resterete qui di guardia. Sveglierò io Neve, questa volta. »

« Come volete »

Fëanor si inchinò appena, ma prima che se ne andasse effettivamente il principe pensò ad altro.
Forse era chiedere troppo, ma tentare non nuoceva a nessuno.

« E per favore, Fëanor, prima che vai, voglio chiederti un'altra cosa »

La guarda si girò di scatto, attendendo sue istruzioni.
Simone ci pensò a lungo, creando un silenzio pieno di aspettativa.

« Se dovesse succedere qualcosa tra i soldati, qualsiasi cosa, una rissa, un disordine, uno screzio, vorrei esserne informato »
Fu solo solo dopo aver liberato la sua curiosità - una curiosità che doveva essere assopita - di quanto sapesse relativamente poco dei suoi uomini.

Aveva intuito che uno di loro, un certo uomo ben piazzato, portasse un po' di discordia e che la maggior parte pendesse dalle sue labbra. Sapeva di Manuel Ferro perché aveva scambiato qualche parola con lui e gli era sembrato avesse un cuore nobile. In realtà la sua era più una curiosità che doveva assopire, il cui nucleo non riusciva a essere recuperato.
Eppure, gli uomini sapevano essere degli  esseri infidi e bugiardi e con doppi fini, alle volte.
Voleva solo assicurarsi che stessero bene, che quel Manuel stesse bene.

« Sara fatto, Principe. C'è qualcuno in particolare che dovremmo tenere d'occhio? »

So cosa vorrei rispondere, ma non sarebbe giusto.

Bastò un semplice gesto della mano, come a scacciare una mosca invisibile nell'aria, a lasciar cadere la risposta del principe.

« Nessuno, solo vorrei che ci fosse unione, tra tutti loro. »

Meglio tutti alleati contro di me, che uno in combutta per me contro ognuno di loro.

Si morse il palato, non potendo spegnere il suo cervello. Mantenne però il suo sguardo lucido.

« Perfetto, se non c'è altro che vi serve, comincio a radunare chi di dovere » concluse Fëanor, inchinandosi di nuovo e poi uscendo fuori dalla tenda.

Simone lo salutò con un cenno del capo e si lasciò andare di nuovo alla sedia, piombandoci sopra.

Ed anche questa è fatta.

Si preparò a mettere anche lui qualcosa sotto i denti, nella speranza di mantenere quello stesso spirito con cui si era svegliato per tutta la giornata.
E sperò anche in un pizzico di fortuna. Sfiorò la base della pietraluna che portava al collo e uscì fuori dalla tenda incontrando gli sguardi degli uomini che combattevano per lui.
Tra quelli, Simone distinse bene due sagome ridere tra loro, con della frutta in mano: una ragazza e un ragazzo.

Forse è un buon segno, si disse.

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Capitolo 7
*** Malaugurio e Tenebra ***


TW: abuso\molestie.


Malaugurio e Tenebra

Del pane elfico, del miele e una mela.

In realtà Fëanor lo costrinse a mangiare anche un po' della sua razione di pane e miele e formaggio dolce, comunicandogli solo con lo sguardo il suo disappunto per quella mancanza di appetito che giornalmente Simone affermava di avere. Da quel punto di vista la preoccupazione che gli veniva mostrata, tra la sua guardia maggiore e Ingrid, Simone avvertiva se stesso immerso in un posto famigliare. Poi, gli bastava guardare il reparto delle armi, il fuoco spento, i ciocchi di legno anneriti, i cavalli dormire, le tende, per capire che in realtà era cambiato ben poco.
Questa era stata quindi la sua colazione - se non si teneva in conto che metà del secondo frutto era stato abbondantemente donato a Neve che non si lasciò sfuggire l'occasione - prima di mettersi in viaggio per il piccolo paesino di Erynlith.
Quando Gildor e Dorian si presentarono fuori dalla sua tenda con i rispettivi cavalli, uno grigio e l'altro marrone, l'ultima cosa che il principe fece fu guardare il campo davanti ai suoi occhi. Non sapeva perché lo stava facendo in realtà, avrebbe voluto incontrare altri occhi e ringraziarli per qualche sera precedente. Un ringraziamento sentito e non forzato.

Gli era rimasto però sulla punta della lingua, quel grazie.
Simone come un codardo si era solo limitato ad osservarlo, tra un cambio di bende e l'altro, tra una cena e una passeggiata con Neve.

Forse, il soldato si trovava in mezzo a quegli altri suoi compagni, intento a parlare, era in buona compagnia e non si sarebbe aspettato di essere disturbato per una cosa di così poco conto. In ogni caso, se non in quell'istante, Simone avrebbe trovato un modo per ringraziarlo, sebbene forse non ce ne fosse davvero bisogno anche perché gli era dovuto rispetto e fiducia da ogni membro dell'esercito.

Forse stai esagerando.

Si sentiva di dovergli però qualcosa, in cuor suo.

Nessuno dei presenti, era costretto a pensarla per forza in quel modo. Erano stati invitati a partecipare a una missione per conto del Re, prima di tutto. Lui era solo il suo subordinato, Simone si sentiva come un sostituto scelto tra l'altro male, in mezzo a tante altre opportunità di scelta.
E poi si combatteva per più ragioni e non tutte dipendevano dalla fede o dalla speranza, dalla voglia di mettere la parola fine a una disgrazia. Molte volte era solo questione di responsabilità, di fierezza, di rigore.

Simone non avrebbe costretto nessuno a seguirlo se ne avesse avuto davvero scelta.
Così come non avrebbe indirizzato il pensiero di nessun'altro a portare in alto il suo nome.

Nessuno, eccetto Manuel appunto.

Smettila adesso, ci sono cose più importanti di cui occuparsi.

Riflettendoci bene, ciò significava anche dover ammettere di aver origliato una conversazione tra i suoi uomini e forse quello, non si addiceva molto a un capo, quanto a un elfo curioso.
Riflettendoci bene, parlava anche di un soldato. Non una sua guardia, non un suo conoscente, non qualcuno del suo popolo. Simone si sentì subito in colpa, combattendo contro quella voglia e portandola ad assopirsi immediatamente.

Ben presto quindi, aveva intuito che quella mattina non ci sarebbe stato ulteriori saluti - non che ce ne fosse davvero motivo, dato che sarebbero ritornati nel pomeriggio - e così, montando sulla sua cavalla che era stata già sellata e preparata, si avviò con le sue guardie che gli fecero strada abbandonando l'altopiano.
Pensò e provò a concentrarsi sulla strada, sul selciato tracciato dai cavalli che lasciavano loro godere il cammino. Gildor e Dorian erano ben diversi da Fëanor e Beren.

Innanzitutto, Gildor era solito agganciare i capelli di un nero brillante, con un nastro di cuoio attorno alla testa, lasciando soltanto in vista le ciocche più lunghe ai lati del viso e sulla schiena. In questo modo, il suo aspetto risultava più rigoroso, i suoi tratti erano meno eleganti rispetto a Fëanor o Beren, come il mento pronunciato con una fossetta al centro e gli zigomi più evidenti sulle guance, ma non per questo risultava poi tanto diverso nei gesti. Simone ci trovava comunque una bellezza pur sempre appartenente al loro mondo: il suo naso era dritto, non presentava nessuna imperfezione, l'incarnato era intatto alla vista se non forse qualche cicatrice nascosta che a Simone non era possibile vedere, per via dell'uniforme che aveva in dosso. Per quanto riguardava Dorian, da poco era entrato a fare parte dell'esercito di suo padre, forse cinque anni, ma trattandosi del tempo imperituro degli elfi, era difficile dire con certezza se quel tempo fosse stato sufficiente affinché si apprendesse tutto ciò che bisognava sapere sulla protezione e la sicurezza di un signore. Dorian, al contrario di Gildor, sembrava ancora più piccolo: la sua statura era meno imponente, le spalle più piccole, il busto risultava meno corposo, portava degli occhi blu, che sembravano imitare il colore del mare dove l'acqua risultava più profonda e i suoi capelli erano raccolti e intrecciati intorno alla fronte, lasciandone scoperte le orecchie. Risultava più giovane per fino di Simone stesso, forse erano il naso un po' a punta sul finale, la voce meno profonda, la fronte poco alta - che gli trasmettevano nell'insieme un incredibile tenerezza. Non sapeva se Dorian fosse stato costretto a seguire quel percorso come lui era stato costretto da suo padre, ma sapere che ci fosse qualcuno - forse - di inesperto quanto lui lo faceva sentire meno incapace.

« Principe » recitò quasi Gildor con una voce fluida, lasciando avanzare Neve con il suo padrone « credo che il paesino in cui ci stiamo per addentrare sia a pochi metri da noi, proprio a fondo di questa valle »

Simone annuì, notando l'arco di alberi che creavano apposta un sentiero. La luce filtrava attraverso le foglie creando sprazzi sul terreno e sui loro animali.

« Dobbiamo saperne di più, » si schiarì la voce Simone, avvertendo il calore del sole battergli sugli occhi, portò una mano in alto a coprirsi dalla fonte luminosa « dobbiamo capire chi è a capo di questa rivolta di orchi.»

Questa volta fu però Dorian a prendere parola, tenendo salde le redini del suo cavallo grigio.

« Come preferite procedere? Potremmo dividerci una volta arrivati a destinazione » suggerì Dorian, mordendosi appena il labbro inferiore.

« Non dire stupidaggini, Dorian! » lo interruppe Gildor sospirando « Separarsi è l'ultima delle opzioni, il pericolo è sempre dietro l'angolo e dobbiamo essere sempre pronti. »

« E se dovessero attaccarci? » ribatté Dorian « Potrebbero vederci come degli stranieri, forse è giusto mettere le cose in chiaro da subito. »

« Se sarà così, interverremo e faremmo di tutto per proteggere il principe. Anche a costo di doverli mettere alle strette. »
Quei due parlavano come se Simone non fosse proprio presente in mezzo a loro.

« Non conosciamo questa gente, » interruppe Simone con calma, intercettando lo sguardo irritato di uno di loro « credo che la soluzione migliore sia prima capire come approcciarci e poi, agire di conseguenza. Non siamo venuti per fare loro la guerra, » gli occhi di Dorian e Gildor si incontrarono, uno dei due abbassò il capo « quella la stiamo muovendo già a qualcun'altro. No, non li costringeremo a dirci nulla. Voglio credere che possano aiutarci senza minacciarli o cose del genere »

« Se permettete un consiglio, » Gildor guardò il principe con due occhi abbastanza eloquenti « c'è sempre del marcio anche tra i popolani, non saranno orchi, ma anche gli esseri umani sono pericolosi. Quindi, va bene essere cauti, avete ragione, » si passò la lingua sulle labbra, il sole questa volta illuminò i suoi occhi grigi battendoci dentro « ma alla prima mossa sbagliata, interverremo, com'è giusto che sia. Voi siete merce preziosa, » concluse poi, agganciando i suoi occhi a Simone, il quale si sentì subito a disagio « non dimenticatelo »

Merce.

« Non vogliamo vi accada nulla di male » cercò di intervenire Dorian, con una voce dolce che cozzò con quella di Gildor « e siamo grati che ci abbiate scelto, oggi. »

Simone annuì e accompagnò quel gesto, sospirando rassegnato. Il pensiero che gli attraversò la mente era sempre lo stesso, da un'infinità di tempo oramai: l'unico gioiello di valore che contava davvero era lì, oscillante sul suo collo. E il suo valore non risiedeva nemmeno tanto nella pietra, ma nel suo significato.

« Comunque, non è il caso di avventarsi subito su di loro. La gentilezza è l'arma migliore. » concluse il principe.

Poi, spostò gli occhi sulla strada davanti a loro, i cipressi in fila a destra e a i sinistra li scortarono fino alla fine del sentiero. Terminata la strada, gli alberi si interrompevano lasciando il posto al cielo aperto, a un brusio di voci di diverse tonalità e all'aria umida e fresca che arrivò subito, al primo respiro, dritta alle narici di Simone.

La parola Tollim, era riportata su un cartello malandato, scheggiato in legno, conficcato in un piccolo spazio, sul poco terreno che era rimasto. Sempre sul legno erano incisi degli esseri acquatici vagamente somiglianti a dei pesci, ma dalla forma meno precisa e più ambigua.

Piccoli mercati improvvisati con a capo i venditori, venivano riforniti da umani trafficanti nella loro attività di trasportare secchi pieni di nuova merce, che in parte quei commercianti tenevano esposta: pesce di ogni tipo, per l'appunto.

Ma certo, pensò Simone, isola dei pesci.

Era un modesto villaggio di pescatori. Per metà Tollim, presentava quel terreno persistente, dove attecchiva il suo cartello di benvenuto, e l'altra metà invece, era stata ingoiata da un cammino artificiale lastricato e riempito in pietruzze per favorire il passaggio di chi vi abitava. Simone immaginò dunque vi fosse anche un porto nelle vicinanze. Lui, Gildor e Dorian restavano immobili con i loro cavalli all'ingresso di quella piccola comunità, fino a quando uno di quei mortali indaffarati, non posò a terra un carico di ortaggi e frutti - più che pesce - e insospettito dalla loro presenza, si avvicinò.

« Chi diamine siete voi? » portò le mani sui fianchi.

Aveva due occhi scuri, capelli ondulati fermati dietro la testa, la fronte alta in evidenza appena imperlata di sudore, una barba incolta copriva interamente la mascella e una camicia lunga e appena aperta sul petto villoso, fermata alla bell'è meglio da un cinturone sulla vita, lasciava intravedere la sua tozza muscolatura.

« Buongiorno signore, » il principe venne in avanti con la sua cavalla, non indossava la sua tiara, ma un semplice mantello verdastro con bordature ricamate, sotto sua tenuta da arciere « veniamo in pace. Facciamo parte di un esercito di soldati che è accampato non molto lontano da qui. »

E fu allora che gli sguardi di Gildor e Dorian si incrociarono oltre le spalle del principe, guardandosi in cagnesco.

« Soldati? » grugnì l'uomo.

Simone pensò fosse la soluzione migliore
per evitare sguardi forzati, magari di sdegno.

Il principe sotto copertura, annuì.

« Sì. »

L'uomo si accigliò, alzando il sopracciglio sinistro.

« E che cosa vorreste, sentiamo? Provviste, denaro? »

Simone pensò che quell'uomo fosse legittimato a reagire in quel modo, dato ciò che avevano subito poche settimane prima.

« Nulla di tutto questo » e così dicendo, il principe scese da cavallo e si avvicinò piano, tenendo per le redini Neve. « Chiediamo, se possibile, il vostro aiuto »

« Gli unici che vorremmo davvero aiutare non si sono ancora mostrati » grugnì ancora l'uomo, muovendo la lingua sul palato e squadrando Simone dall'alto in basso. Rise amaramente poi, incurvando la bocca. « Gli stranieri come voi che vengono qui, non chiedono altro che qualcosa in cambio di più prezioso, » continuò con tono infastidito « ospitalità e molto più che quello a volte. Come faccio a sapere che non siete dei ladri, degli impostori? » poi si fece vicinissimo al suo interlocutore, quasi sputandogli addosso veleno « Come posso fidarmi del fatto che siete realmente chi dite di essere, che non brucerete le nostre case, prenderete le nostre donne, i nostri figli e ne farete ciò che volete? »

L'uomo posizionò una mano alla cintola, sull'elsa di quella che era una vecchia - ma non tuttavia arrugginita - spada.

« Fossi in voi non alzerei quell'arma » pronunciò Gildor in tono sicuro, con pronti riflessi.

« E perché mai? » l'uomo spostò il suo sguardo per un secondo, non diede retta all'elfo in uniforme, poi ritornò agli occhi di quello che gli stava a poche spanne dal viso.

L'uomo spostò il suo sguardo per un secondo, non diede retta all'elfo in uniforme, poi ritornò agli occhi di quello che gli stava a poche spanne dal viso.

Simone operò di sua iniziativa, facendo segno all'uomo di abbassare la mano stretta attorno all'elsa. Scoperchiò il cappuccio del mantello, lasciandosi vedere pienamente in volto. L'uomo sembrò tentennare per qualche secondo, indeciso se riprendere possesso della sua difesa e virilità.

« Non siamo venuti per combattere, » mise i palmi aperti delle mani in avanti « capisco il tuo dolore e capisco anche perchè stai reagendo così, ma se solo mi lasciaste parlare buon uomo- » rispose calmo il principe cercando una via diversa al contrasto.

« È proprio quello che direbbe un nemico, non siete venuti per combattere dite? Questo è ancora tutto da vedere! » alzò la voce l'uomo, alzando la spada, riscuotendo l'attenzione degli altri uomini e qualche donna che interruppero il loro lavoro.

Gildor scese in fretta da cavallo, seguito da Dorian, si misero davanti a Simone che venne spinto indietro.
Fu proprio la guardia più grande, a parlare imperiosa e intimidatoria.

« Perché è con il principe Simone di Boscoatro, capitano del nostro esercito, che state parlando! Il figlio del re, l'uomo che ha mandato via gli orchi che vi hanno rapiti e saccheggiati, non con un soldato qualunque! »

L'uomo lasciò cadere la spada sul terreno e bisbigli e sguardi sorpresi si disegnarono sui volti degli abitanti incuriositi.

« P-principe? » borbottò incredulo.

Simone riuscì a porsi a lato di Gildor e Dorian e ad abbassare le punte delle loro spade.

« Oh, scusatemi » piagnucolò l'uomo, inginocchiandosi sulla terra e chinando il capo. Cominciò a farfugliare altro « perdonatemi, principe. Ma la mia...la mia famiglia si è dimezzata e... e pensavo, io p-pensavo- »

Proprio quello che non volevo succedesse.

« Non volevo arrivare a questo » mormorò Simone, guardando prima le sue guardie che sembrarono non interpretare il suo umore e che riposero le armi nel rispettivo fodero e cercando di calmare l'uomo. « Non c'è bisogno, alzati, per favore » Il principe lo guardò con degli occhi grandi, buoni, per niente impauriti.

« Mio signore, » mormorò Dorian avvicinandosi al principe « perchè non avete detto prima chi eravate? »

Perché non volevo essere guardato così, né incutere timore, né niente di tutto questo.

« Non ha più importanza adesso » sussurrò Simone, cercando che il suo tono non risultasse troppo amareggiato.

« Scusatemi, signore, qual è l'aiuto di cui avete bisogno? » l'uomo che era in piedi adesso, interruppe i due e si grattò il capo.

Simone annuì, assumendo un'espressione più seria, diplomatica.

Simone annuì, assumendo un'espressione più seria, diplomatica.

« Volevo fare qualche domanda a chi è stato coinvolto e assediato, giorni fa » portò le mani in grembo « non vorrei creare dissapori o disturbi, ma ci serve per capire più dettagli sulla minaccia che incombe sul territorio di Arda e ora, anche della Terra di mezzo a quanto pare »

L'uomo annuì comprendendo la situazione.

« Nessun disturbo » fece un sorriso di convenienza e girò il busto, fece un fischio a due garzoni - proprio nelle vicinanze - e gli fece cenno di raggiungerlo.

« Voi due, portate a mangiare e a fateli riposare » ordinò loro. I due garzoni annuirono all'uomo e incerti su cos'altro fare oltre che lasciarci cedere le briglie dei cavalli dalle due guardie, osservarono la figura del principe.

« Mi raccomando, la cavalla bianca » il principe le lanciò un'occhiata, ma usò un tono morbido verso i due ragazzi « è la mia, ci tengo. »

« Non preoccupatevi, principe » al che i due ragazzi chinarono velocemente il capo verso di lui « li terremo in custodia mentre voi sarete ospite da noi e occupato chiedete in giro. »

I due ragazzi si dileguarono spostandosi con i tre cavalli, mentre i tre elfi e l'uomo si incamminavano verso il villaggio, venendo scrutati da alcuni occhi ancora più curiosi.

« Non c'è quindi davvero nessuno di certo a cui chiedere qualcosa? »

L'uomo si grattò poco dopo il mento, venendo osservato attentamente dalle altre due guardie. Decise di guardare solo quel tale allora, visto che il suo sguardo sembrava l'unico a non incutergli timore.

« Ci sarebbe in effetti, qualcuno che potrebbe aiutarvi... » l'uomo sembrò ancora pensarci su, poi, annuì quasi a convincersene del tutto. « Dovrebbe essere in casa, a quest'ora, seguitemi »




**





L'uomo che si presentò solo dopo col nome di Aron, scortò le guardie e il principe vicino a una serie di piccole case ognuna a poca distanza dalle altre. Li fece avvicinare a una piccola di quelle, un po' più discosta, fatta allo stesso modo da pietre incastonate in modo serrato tra loro e un tetto di tegole diversa per essere l'unica con poche piante interrate dentro dei vasi ai lati delle poche finestre. Aron si premurò di bussare alla porta, dopo solo tre tocchi, una creatura si affacciò davanti ai quattro sconosciuti: un bambino.

Aron sorrise al bambino ampio, forse volendo risultare fin troppo amichevole.

« Giorno, Ian, come stiamo? »

Il bambino osservò in realtà gli uomini dietro di lui mentre parlava. I suoi occhi erano scuri, lentiggini un po' ovunque sul viso e capelli ondulati con una strana frangia davanti, gli ricadevano sulla fronte.

« G-giorno » mormorò titubante.

« Spero di non disturbarvi. Sei solo o c'è tua madre in casa con te? » Aron curiosò con lo sguardo dentro l'abitacolo.

Lo spazio rivelava un piccolo e modesto ingresso che doveva anche essere una sottospecie di cucina, rivelava pareti scrostate, un tavolo rotondo in legno, un tappeto spelacchiato sul pavimento, un braciere nero al muro e qualche altro oggetto di poco valore.
Ian annuì, strofinandosi le mani contro un cappotto le cui maniche gli stavano larghe, il tessuto risultava vecchio e logoro.

« È uscita a comprare qualcosa per cena, prima di andare a lavorare... » disse, ma senza poterlo fermare Aron annuì ed entrò dentro casa, senza aspettare che fosse lui a farsi da parte.

Le guardie furono le seconde ad entrare, invece Simone fermò i suoi occhi grandi in quelli di Ian intento a osservare sicuramente l'armatura dei suoi protettori. Poi, come colto di sorpresa, il bambino mandò avanti la sua attenzione, che come una catapulta mirò dritto a lui. Non seppe perché, ma in quel momento sembrò riconoscersi, riconoscere qualcuno che non ricordava più, qualcuno che non scorreva più nelle sue vene. Il pensiero assopito di un ricordo felice.
Fu l'ultimo quindi ad entrare e Ian chiuse la porta dietro di lui.

« Ti chiederai cosa ci fanno questi uomini qui. Sono venuti a fare delle semplici domande su cosa hai visto o sentito, cinque notti fa. » spiegò Aron accovacciandosi per arrivare all'altezza del bambino.
L'espressione di Ian cambiò, prendendo consapevolezza diventando forse più vecchia di colpo e soffermandosi su ognuno di loro. « Loro sono parte dell'esercito che ci ha salvato, Ian. Potrei presentarteli io stesso, » l'uomo si girò torcendo il busto e le guardie vennero in avanti, il principe fece cenno di no con il capo, il che portò Aron a sospirare « ma penso che ci riusciranno benissimo da soli. Ho fiducia che saprai come aiutarli »

Ian annuì, storcendo appena il naso.

« Non preoccuparti, ricorda: qualsiasi cosa succeda, questi elfi hanno delle spade con loro, » bisbigliò nel suo orecchio « porta il mio saluto a tua madre » concluse Aron, salutando il bambino strofinando appena una mano sulla sua spalla, come fosse una carezza e con un inchino invece, gli uomini. Uscì fuori dalla porta, e la chiuse dietro di sé.

Simone poi, decise di farsi avanti - anche per evitare che Gildor e Dorian potessero in qualche modo spaventarlo o intimorirlo - allungò la sua mano, abbassandosi all'altezza del bambino.

« Ian, ehi, non ci conosciamo, io mi chiamo Simone. » il bambino guardò la sua mano bianca e affusolata, tre anelli in tre dita diverse - restò quindi in sospeso a guardarlo per un po', indeciso su cosa fare « Non devi stringerla per forza se uhm, se non ti va, non siamo qui per farti del male. » Simone gli sorrise lentamente, scandendo le parole con delicatezza « Possiamo aspettare la tua mamma, se vuoi. » strinse le labbra e lasciò ricadere la mano lungo il fianco.

Ian annuì, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, una bruciatura gli segnava il piccolo lobo.

« A-avete fame? »

Ian guardò sia Simone, che gli altri elfi ancora in piedi.

« Io no, » mormorò il principe, girandosi poi verso le sue guardie « ma credo che loro non rifiuterebbero del cibo » spiò poi senza pudore, ma per pura tenerezza, dentro quegli occhi piccoli.

Ian allora si assentò qualche secondo per portare sul tavolo una cesta di frutta - e non solo - tra cui arance, mele, uva, pane, e formaggio freschi. Poi ritornò dall'elfo che si era alzato adesso, ma non smise di parlare a bassa voce come se loro due fossero in confidenza.

« Tu sai per caso dove tengono i cavalli qui?»

Simone incurvò la testa e arricciò il naso, ed Ian sembrò farsi curioso. « Aron non ha voluto dirmelo. Non ho nulla in contrario, abbiamo fatto un po' di strada, ma ho paura che tengano il la mia cavalla in ostaggio: sai, non sarebbe un grande affare, la mia amica è proprio golosa - più di me e quegli spilungoni che vedi laggiù messi insieme - e ho anche paura possa farvi sparire mezza dispensa in un lampo »

Simone sapeva benissimo non fosse vero, ma in quel modo pensò di sciogliere la tensione di quella creatura.

E quella piccola cosa fece infatti ridere appena Ian, la cui bocca si dispiegò in un sorriso.

« Non c'è da p-preoccuparsi per quello, gli animali per noi sono sacri qui. » aggiunse scrollando le spalle, aggiungendo poi un piccolo cenno con il capo, Ian alzò gli occhi su tutti e tre quegli stranieri « Potete, mh, potete sedervi, se volete »

Per un lasso di tempo indefinito, la stanza venne riempita dal volto di Ian che faceva domande a Simone per sapere se fidarsi o meno e Simone che ne rivolgeva a lui; minuti, secondi, frammenti di questi vennero riempiti da occhi piccoli che non smettevano di incuriosirsi a quelle facce intoccate, prive di imperfezioni che andavano girando lungo il piccolo salotto di casa, addentando a turno un frutto diverso da quelli che il bambino aveva loro offerto. Oppure a come cercasse di capire che ruolo potesse vestire l'elfo che gli stava rivolgendo delle domande dato che lui, non portava un'armatura come loro. In quello scambio continuo, Simone si chiese se la madre di quella creatura esistesse davvero, se in realtà non si trattasse di un orfano e l'uomo che li aveva condotti lì non se la fosse sentita di dire loro la verità. Non che avrebbe cambiato le cose: quel bambino aveva assistito al devasto della sua gente, sarebbe rimasto sempre una facile pedina per chi voleva approfittarsene.

E non era giusto, che fosse nel suo mondo o in quello degli uomini: la sofferenza era un danno collaterale che ricadeva quasi sempre su chi cercava il buono della vita e chi cercava di insegnarlo.

Dopo un altro po' di tempo, Simone sembrò avere racimolato qualche indizio utile, fino a quando la porta di casa non venne aperta e la sagoma in controluce di una figura femminile non si fece chiara. La donna restò impalata alla porta, una cesta le cadde a terra alla vista di uomini che non conosceva dentro casa sua. Solo dopo aver pronunciato il nome di suo figlio, questo le corse incontro rapido e lei gli distese le braccia intorno.
Il principe sospirò, avvolto nel sollievo ma anche nella malinconia, nel sapere che Ian non fosse realmente solo al mondo.

Quando la donna si avvicinò e riuscì finalmente a vederne i tratti, capì ancora di più la genealogia: la donna portava gli stessi occhi del figlio, il naso largo e schiacciato, le labbra pronunciate e i capelli dello stesso colore, all'altezza delle spalle e gli altri, legati in una coda scomposta. La sua reazione però, non fu simile alla sua. Appena la donna lo vide, infatti, si portò una mano alla bocca incredula e andò subito a inginocchiarsi davanti ai suoi piedi, chinando il capo, nascondendo il suo viso. Simone rimase pietrificato e chiese l'aiuto di Gildor e Dorian, i quali esortarono la donna ad alzarsi.

« Non fate così davanti al Principe, ve ne preghiamo. Ci scusiamo se non ci siamo presentati, un vostro conoscente ci ha fatto entrare in casa vostra, signora, cercavamo solo possibili piste per la minaccia degli orchi. E quel tale ci ha condotti qui, per la fonte. » spiegò Gildor con un tono più morbido del suo solito.

Ma in risposta, la figura femminile alzò il viso, in mezzo alle lacrime, una dentatura un po' sgangherata ma sincera. Guardò solo verso uno solo dei presenti nella stanza. L'unico pietrificato che non sapeva come reagire, l'unico che non si era mai visto come un capo, ne tanto meno come un eroe.

« Voi quella notte mi avete salvato » la donna giunse le mani, un tono struggente ma grato « S-siete arrivato e io sono scappata! Voi avete salvato sia me che mio figlio, anche se non lo sapevate, la notte della battaglia »

Non può essere.

Simone la guardò meglio. La veste che indossava era fin troppo striminzita rispetto a quella sera, la cintura era logora e i segni sul collo diedero l'idea che qualcuno le avesse appena dedicato qualche attenzione non richiesta.
Ma Ian aveva parlato di lavoro. Simone serrò gli occhi e mandò giù quell'indizio scomodo.
Quella notte, un orco stava assalendo una donna - che fosse voluto o meno, come quel segno sul collo, non aveva importanza - nel frastuono delle armi, nel sangue e nel buio, Simone non avrebbe potuto dire per certo quali erano le sue precise fattezze fisiche, ma lo aveva realmente fatto, salvarla. E poi era svenuto.

« Alzati, per favore. »

E così la donna eseguì quell'ordine e si alzò sulle sue gambe, lentamente.

« Non inchinarti più per favore e dimmi, dimmi come ti chiami »

La donna si asciugò le lacrime sulla guancia destra.

« Delia, signore »

Ian si era avvicinato per farsi concordare la spalla e cingere la vita di sua madre.

« Tuo figlio ci ha ospitato in tua assenza, Delia, » le sorrise « e sono contento che tu stia... stia bene. »

Lei fece lo stesso. Guardò gli altri due uomini e chinò il capo. Ci fu un po' di silenzio, poi Delia ritornò a guardare il principe.

« Cosa vi porta qui? » chiese ricomponendosi.

« Abbiamo idea che gli orchi si stiano spostando velocemente, Ian ci ha raccontato qualcosa. »

Il principe continuò a parlare senza però perdere l'attenzione negli occhi del bambino nel guardalo, questa volta diversa.
« Ci ha detto di essere stato... che siete stati fatti prigionieri, per due settimane, insieme ad altra gente. Ha detto che prima di scappare, ha sentito parlare di un certo supremo che possa averli divisi tutti su suo comando per varie zone del territorio. »

Delia annuì ripetutamente. Sospirò.

« È stata dura, » sorrise amara « ma ora è passato, grazie a voi. Non dobbiamo più preoccuparci, per ora, almeno...Però se permettete, credo manchi un tassello al racconto di Ian... » poi ticchettò leggera sulla spalla del figlio. « Tesoro perché non vai a mettere su la pentola e riscaldare il pane e la zuppa rimaste di ieri? »

Ian annuì e scattò al bacio della madre sulla testa.

« Forse abbiamo dato troppo disturbo, è il caso per noi di andare » disse Dorian con tono incerto, ma la donna lo interruppe.

Sorrise, dopo essersi pulita il viso bagnato con un fazzoletto bianco, con più pieghe, dentro il cinturone stretto sulla vita.

« Oggi siete miei ospiti, è un piacere per me. E poi è quasi l'ora di pranzo e non credo che della semplice frutta possa bastare a saziare più di uno stomaco. Ne parleremo a pancia piena. »

Il principe non trovò nè una risposta adeguata all'occasione, nè scelse un rifiuto. Allora si mosse e l'unica cosa che gli venne d'istinto fu prenderle le mani - solo un istante - regalò a Delia un timido accenno di sorriso e la donna capì di potersi totalmente fidare. « Spero vi piaccia la zuppa di pesce »






« Sono stata catturata per puro caso. Non mi vergogno a dirlo: avevo un appuntamento con un uomo, era figlio di un ricco possidente e mi avrebbe ripagata bene. Ho sempre fatto questo mestiere, almeno fino a quando non mi sono innamorata. Quella è stata la mia condanna ma mi ha dato anche la cosa più grande: Ian. » Simone avrebbe voluto prenderle la mano, ma lei la strinse in quella piccola del figlio che le sedeva accanto per farsi forza. « Al mio ritorno, quella notte, sono stata colpita e trascinata via. Mi sono svegliata circondata da mura e da orchi che divoravano carne, selvaggina, affilavano armi. E' stato allora che dopo due giorni, Ian è venuto a cercarmi. Mi ha trovata, ma anche lui è stato fatto prigioniero. Sono riuscita a farlo scappare, mi sono fatta riconoscere per ciò che ero: una prostituta. Sapevo che poteva tornare a mio vantaggio, dissi loro che ero anche un indovina e che il denaro non mi necessitava, l'unica cosa che volevo è che mio figlio stesse bene. Loro mi chiamavano nella loro lingua, ma sapevo benissimo come suonava nella mia: "Puttana!".
Non era la prima volta che me lo sentivo dire, il disprezzo è un'abitudine cucita sulla mia pelle da anni, ormai. Potevo sopportarlo, per lui, ecco perché Ian non è stato quasi toccato - a parte questa bruciatura qui » aveva raccontato Delia, sfiorando l'orecchio di suo figlio, con una lacrima che combatteva per uscire fuori.

« Una madre può tutto per suo figlio. Gli ho chiesto di cercare aiuto al villaggio e alcuni uomini sono accorsi, molti hanno perso i loro cari, alcuni sono tornati per miracolo. Quando mi avete fatta scappare, infatti, non potevo crederci: dio vi benedica. »

Simone si era limitato ad annuire lentamente, ascoltandola nonostante la commozione che potente, lo aveva invaso.

« Ma tornando al punto, c'è di più: quando sono stata trattenuta dentro la fortezza, prima che quel mostro mi prendesse con la forza... ho ascoltato una loro conversazione. Quel supremo ha un nome, mi sembra di averlo sentito: Kelathon, ma loro preferiscono chiamarlo "demone". Lo venerano come un dio. »

Accarezzando con la memoria la paura ma anche la determinazione, nel tono di Delia, Simone proseguiva ora, con gli uomini per il ritorno al campo.
Si erano fermati più del dovuto a casa di quella piccola famiglia, il sole stava velocemente calando.

Pensava a come una donna, una madre potesse sopportare tanto per chi metteva al mondo. Non aveva nominato la sua nemmeno una volta durante quel racconto.

Ecco perchè con la vista già appannata, decise di concentrarsi solo sul passo di Neve sul terreno e sul modo in cui Gildor e Dorian sembravano scherzare su qualcosa davanti a lui. Avevano raccolto più informazione di quanto immaginava fosse possibile.
La meta a cui Delia aveva fatto voce al racconto era Har: sud. O almeno così si vociferava tra gli orchi, qualche giorno prima dello scontro. Questo significava muoversi il più in fretta possibile con i suoi uomini, studiare una nuova strategia d'attacco se necessario e sperare che sarebbe stato presente il loro capo.

« E' andata bene alla fine! »

« Direi anche troppo, » proseguì Dorian « è assurdo come gli umani siano disposti a tutto per i loro affetti, quella donna ne è la prova vivente. »

« Beh, anche la nostra comunità sarebbe ancora disposta a tanto per salvare il suo stesso sangue, se non fosse per certe regole fissate da un paio d'anni... » e il tono di Gildor era ben indirizzato a qualcuno, Simone contrasse la mascella « Sono casi notevoli, volte in cui gli umani sorprendono. »

Chissà se anche spostandosi verso sud, una madre avrebbe protetto a tutti i costi suoi figlio, decidendo di offrire la sua vita. E chissà se Simone avrebbe avuto per la seconda volta l'onore di conoscerla. Gli occhi di Delia erano occhi stanchi, ma non per questo privi di forza, ci si imponeva dentro la giustizia e un futuro migliore per Ian. Un futuro migliore del suo.

Chissà se lei sa cosa sto sacrificando. Se sa che pensieri, in che disastro mi sono cacciato.

Arrivati a metà strada, o forse anche meno di metà, gli uomini proseguivano placidi, tranquilli.
Fino a quando, Neve si immobilizzò e Simone passò la sua mano sul suo manto. Guardò da entrambe le parti del piccolo sottopassaggio boscoso, ma non trovò nulla di strano, le sue orecchie non captarono niente di anomalo. Spronò la sua cavalla a camminare e quella, dopo circa sei passi, si fermò di nuovo, irrequieta.
Lo sguardo si fece più apprensivo.

« Lösse, che c'è? »

Gildor sospirò allora lamentoso, girò appena il volto, credendo fosse un capriccio di un reale.

« Principe, dobbiamo muoverci, non possiamo fermarci adess-»

Poi una freccia, seguita da un'altra, lo colpì prima sulla spalla, poi, arrivò diritta sulla sua testa. Le sue guardie non avevano indossato l'elmo quel giorno. Cadde - perché sbalzato dal suo animale -, io corpo finì riverso a terra. Il cavallo di Gildor scappò veloce come il vento, senza voltarsi.

Gli elfi non possono morire, a meno che non vengano feriti mortalmente.

Dorian si voltò spaventato, osservando il cadavere del suo compagno: allora tremando appena, tirò fuori la spada dal fodero. Simone era pietrificato ma gli fece segno di fare silenzio, e quello non mosse un solo muscolo. Almeno fino a quando non si decise a fare qualcosa di più concreto. Dorian deglutì, lasciando gli occhi di Simone, fece alcuni passi avanzando con il cavallo, poi si girò lentamente, spostandosi. Al minimo nitrire della creatura, causato da qualcosa che sicuramente aveva visto, un'altra freccia si librò in aria e alla stessa velocità di quella del suo compagno, lo prese in testa. Bastarono pochi secondi: sangue bagnava di già il suo bel viso bianco.

Simone guardò gli occhi di Dorian prima che lasciassero la vita: spalancati, pieni di orrore, come un'icona di un libro antico colta nella morte.

La somiglianza con gli occhi di Cora lo fece rabbrividire.
Non ebbe tempo di pensare altro, il suo impulso fu quello di indietreggiare con Neve, la quale vedendo l'altro cavallo spaventato scappare di conseguenza, tremò. Simone avvertì il suo spasmo: come lei, il suo cuore batteva fortissimo in petto, riusciva a sentire solo quello.
Andò indietro anziché avanti, osservando ogni spazio in mezzo agli alberi, scrutando per bene ogni piccola fessura.
Decise di scendere da cavallo allora, seguendo l'istinto. Il pugnale che aveva usato in battaglia, era stato ritrovato e lo aveva ripulito: poteva fare affidamento su quello. Proseguì agganciando le dita su ogni corteccia, muovendosi sinuosamente tra l'una e l'altra degli alberi presenti, tenendo sempre d'occhio che Neve lo seguisse mentre controllava.

Silenzio. Troppo silenzio.

E allora aspettò, orecchie tese. Nemmeno il più piccolo rumore.
Orecchie ancora ben tese, in allerta: niente.

E allora, accarezzò neve sul dorso con tre dita, sgonfiando il petto come sollevato e fissando quei due corpi riversi a terra a pochi metri da lui.

Sollevato, convinto, speranzoso.

Convinto che la minaccia fosse scomparsa e che potesse ritornare all'accampamento. Convinto di essere al sicuro. Convinto di aver avuto una fortuna sfacciata e di aver mandato in un altro universo gli altri due elfi che gli avevano fatto da scudo.

Un colpo dritto arrivò preciso, esatto dietro la sua nuca. Non era una freccia, non una spada, ma qualcosa di forse pesante e spesso che lo stordì: Simone cadde a terra, perdendo i sensi.

Neve ebbe il tempo di nitrire e alzare gli zoccoli anteriori verso l'intruso.




**




Occhi aperti e testa pesante come un macigno, la prima cosa che Simone vide dopo il buio, furono delle facce distorte, verdastre che ridevano in modo sguaiato mostrando i denti storti, i nasi deformi, o impegnavano le loro bocche, riuniti a consumare un pasto. Simone provò a muoversi, ma si rese conto che le sue mani erano bloccate da una corda ben stretta e che il suo corpo, era stato bloccato come quelle, al tronco di un albero.
Si reggeva infatti, a malapena in piedi, il volto gli ricadeva verso il petto per la stanchezza della posizione a cui era costretto. L'elfo contrasse la mascella in una smorfia.

« Oh, si è svegliata la principessa » mormorò una di quelle facce alzandosi. Cominciò a prenderlo in giro parlando in lingua, aprendo la bocca e sorridendo. Non si sbagliò Simone a riconoscerne la razza, quando quello stesso mostro di basso ma tozzo di membra e dal viso spigoloso, dagli occhi triangolari gli si avvicinò.

Orchi.

« Uh, scusi sua maestà, ne volete un po'? » la voce nasale di quella creatura lo fece rabbrividire. Quella alzò e sventolò il pezzo di carne che teneva in una mano.

Simone guardò intorno a sé in cerca della sua amica. Non c'era.

« La mia cavalla, dov'è la mia cavalla? »

L'orco schioccò la lingua.

« Oh, quel bell'animale? Mancava poco che la uccidessimo. Peccato, sarebbe stata un ottimo antipasto...» dichiarò sogghignando « È scappata »

Simone sembrò sollevarsi, per un solo momento a quella notizia.

Ottimo lavoro, mellon nîn.

« Zagor » lo interruppe un altro orco, più alto di lui, si pulì le mani su quella strana armatura ricoperta di cuoio e pelliccia che portava addosso. Appena si alzò la cintura con le armi oscillò « Sei proprio sicuro di aver sentito bene, prima? »

« Certo, Nagar! Non avrò chissà quale vista, ma le mie orecchie funzionano ancora » l'orco si passò la lingua sui denti, guardando dritto negli occhi Simone « uno di loro l'ha detto chiaro e tondo: principe »

Simone sentì la saliva venire meno in bocca, ma si costrinse a guardarli negli occhi, sperando che il suo odio fosse chiaro, inciso sul suo volto. L'orco di nome Nagar si fece così vicino da stringergli il viso con una sola mano: il fetore arrivò alle narici dell'elfo in un batter d'occhio.

« Che cosa cercavate tu e i tuoi uomini, maestà? » grugnì Nagar « COSA TI HANNO DETTO QUEI FETIDI DEGLI UMANI? »

Simone si ostinò a non rispondere, lo fissò testardo e aspro. Nagar non mollò la presa e con la mano libera sfilò la spada, la lama gli fu puntata sulla pelle candida, bianca.

« Bene, vediamo se parli con questo puntato alla gola, adesso! » lo minacciò, respirando con affanno, le narici una più alta e una più bassa, si aprivano e chiudevano di continuo.

« Non sono chi pensate io sia! » mormorò a denti stretti Simone.

« Sta mentendo » ripeté l'altro orco, « guarda la collana che porta al collo, » indicò con una delle dita giganti, le unghia luride e appuntite « e non ha un armatura addosso, non può essere un semplice elfo »

« Non indosso un armatura perché sono un guaritore » Simone mentì « dovevo visitare q-qualcuno a Tomllin e quelli, quelli erano gli uomini del Re, » continuò sempre a denti stretti, cercando di costruire su una storia che avesse un senso « appena sapranno cosa avete fatto, non tarderà a farvi ammazzare! »

« Quante bugie » la voce di Nagar sembrò simile al ronzio di una mosca fastidiosa. Poi si inclinò verso il suo compagno, un sorriso di un assassino.
« Uccidilo » gli sussurrò.

Zagor non controllò più la sua furia.

« PARLA OPPURE TI INFILZO CON QUESTA STESSA SPADA » l'orco sembrò escludere la soluzione definita appena suggeritagli e premette ancora di più l'elsa contro il suo collo, in un piccolo punto perforò la pelle, venne fuori una goccia di rosso. « Te lo ripeto un'ultima volta altrimenti muori, cos'è che sai? »

Simone serrò gli occhi e li riaprì poco dopo, si caricò più di prima: i polsi cominciavano a fargli male, così come la schiena contro la corteccia. Sputò in faccia a uno di quei due bastardi.

« Ammazzatemi pure, non ho paura di voi! »

Zagor si toccò appena il viso, poi sorrise affilato. Il suo amico vicino aveva ripreso a sfilacciare con i denti la carne che teneva tra le mani e assisteva alla scena.

« Bene, maestà, vi accontentiamo subito »

Fa che sia veloce.

Simone sembrò sentire la punta che lo dilaniava, che metteva fine alla sua vita, immaginò l'ultima volta e come lo ricordava, il viso di sua madre. Ma fu tutto un gioco della sua mente, perché la lama non trapassò mai la carne.

« FERMI IDIOTI » tuonò un altro di loro, sollevandosi dalla terra.

Il suo viso era diverso: gli occhi violacei dalla forma più umana, il naso piccolo le cui narici formavano due linee oblique, grosse zanne come canini inferiori sporgevano dalla bocca, seguite da due paia più piccoli. Due corna sbucavano ai lati della fronte, così come le orecchie a punta svettavano fuori e si poggiavano su capelli tirati indietro sulla testa, terminavano sciolti e lunghi così come la peluria sul mento.
Sorrise aprendo le braccia, la sua veste era la più spartana, solo una striscia di tessuto e pelliccia partiva dalla spalla sinistra e gli attraversava tutto il resto del corpo creandogli una veste - dove da un cinturone erano appese diverse armi di diversa misura - terminante in metallo.

« Non è questo il modo di trattare gli ospiti » sorrise facendosi avanti. Buttò un occhio sullo straniero. « Che cosa ha detto l'elfo? »

« Che è un guaritore, ma non credo sia la verità. Azurok, » Zagor brontolò « a che ci serve se non ci dice nulla? »

Azurok.

L'orco venne guardato dal resto dei suoi compagni, si grattò il mento, sospirò. Pochi passi lo portarono al cospetto dell'elfo tenuto contro la sua volontà, imprigionato all'albero.
Osservò il suo viso e costrinse i due orchi a farsi da parte.
Allungò due dita e spostò il volto a destra e sinistra: respirava velocemente, le labbra ridotte a un leggero tremolio.
Poi, gli occhi del suo aguzzino vennero travolti dalla pietra che portava al collo, ne afferrò la punta con quelli che dovevano essere pollice e anulare.

« Se non è tua, la hai rubata » mormorò lentamente Azurok guardando dritto negli occhi l'elfo, due pozze scure « potresti essere chi dici o anche no, ma resta comunque il fatto che quei soldati erano con te, hanno sfidato il nostro territorio... E questo non va bene. » continuò ritornando alla pietra, chiuse poi di scatto gli occhi, inspirò e si sgranchì il collo a sinistra e a destra, replicando il gesto di poco prima ma con il suo corpo.

Simone sentì il bisogno impellente di stendersi o quanto mano sgranchirsi le gambe, che ora tremavano.
Da quella prospettiva il viso dell'orco gli parve molto meno gentile.

« Se hanno parlato, lo capiremo presto. Avremmo dovuto uccidere il resto di quegli umani quando ne avevamo l'opportunità, » disse rivolgendosi ai suoi compari che in risposta rivolsero i loro musi verso il basso. Azurok ritornò a guardare la sua merce inchiodata all'albero. « Potremmo decidere di lasciarti libero, ma sai, bocconcino, tutto ha un prezzo »

Simone pensò che fosse una decisione logica, seppur dall'aspetto non sembrava che una creatura del genere potesse pensare a una soluzione pacifica. Annuì stanco, ma la voce gli uscì tremula.

« Che c-cosa volete? »

Azurok soffiò a una spanna dal suo viso, Simone ne sentì tutto il sudicio fetore: « La tua collana »

Gli occhi dell'elfo si fecero grandi. Nagar si sfregò le mani.

« Bravo ottima idea! Potremmo venderla o portarla direttamente al sign-»

« SILENZIO! » tuonò il maggiore tra loro.

Simone tremò un secondo solo, gli sarebbe venuto naturale il gesto di portarsi la mano al collo, se solo non fosse stato legato.
L'unica cosa che non avrebbe dato via per niente al mondo, l'unico ricordo di sia madre era condesata tutta lì, attorno al suo collo.

« No » rispose deciso, Simone.

Azurok lo guardò, la fronte piccola diventò piena di pieghe e microscopica.

« No? » grugnì.

« No, vale più del suo valore apparente per me, » mormorò l'elfo, restringendo le labbra « è l'unico ricordo che ho di... di una persona. » vibrò nel tono perdendo il focus.

Silenzio, l'orco sembrò studiarne lo sguardo che da nostalgico, ritornò risoluto.

« Chiedimi qualsiasi altra cosa, ma non questa » strinse la mascella.

« Azurok, ho preso degli spicci dalla sella della sua cavalla, » pronunciò un altro orco scosse in aria una piccola sacca che produsse rumore « possono tornarci utili, fagli sputare la verità oppure sbarazzatene! »

Ma l'orco non sembrò ascoltarlo. Tenne alto il viso di Simone con le dita tozze.

« Qualsiasi altra cosa, huh? » ripeté pensandoci seriamente.

« AZUROK » venne ripreso dallo stesso che muoveva ancora la sacca.

L'orco si voltò appena lasciando la sua preda. Disse qualcosa in elfico ai suoi compagni, Simone lo capì perfettamente, parlavano di lui tra le righe.

"Non ha importanza, forse con le buone maniere no, ma con altri mezzi sì"

I due orchi si scambiarono uno sguardo eloquente.

"Sei sicuro? È un maschio."

Simone deglutì.

"Non dirmi cosa devo fare, vi ricordo sono stato messo io al comando di voi, da lui."

Il petto cominciò a fargli male per la paura e la saliva si azzerò completamente sul palato lasciandogli la bocca secca.

« Vi raggiungerò dopo, voi andate, » Azurok ritornò a Simone, che sembrò farsi più piccolo - volendo sparire all'istante - contro il tronco dell'albero per quanto possibile « voglio scambiarci altre due chiacchere »

Una serie di risate sguaiate e sospiri lasciarono il piccolo frammento boschivo, seguiti da mormorii non distinguibili. Simone guardò quelli andare via. Si concentrò sulle sagome che andavano sbiadendo, nella direzione opposta, verso est.
Lo stesso odore fetido dipoco prima, gli sussurrò all'orecchio.

« Sei proprio un bel bocconcino, sai? »

Una di quelle mani ruvide e tozze cominciarono a muoversi su di lui, il naso dell'orco si arricciò annusando il suo profumo ed in quel momento che Simone iniziò a lottare capendo cosa stava per succedere
Una delle ginocchia si svegliò dal torpore e si piantò andando a cozzare contro il torace - o almeno pensava lo fosse - dell'orco, riscuotendo in lui un leggero lamento e poi una risata bassa.
La mano forzò il muscolo ad abbassarsi, così da poggiarsi con due dita sul viso di Simone, il quale uscì fuori i denti per morderle.
A quello, gli occhi dell'orco si accesero ulteriormente.

« Ah, abbiamo anche un bel caratterino, vedo » guizzò con quegli occhi gialli l'orco.

Simone ripeté l'azione di poco prima, ribellandosi: sollevò una gamba, gli sputò addosso più e più volte, mentre l'orco cercava di insinuarsi dove non doveva con le mani.

« Non ti preoccupare, sarà veloce » ghignò, il giallo delle iridi luccicava.

Poi quel bagliore si accompagnò al luccichio di una delle lame delle tante spade che portava indosso, fece spalancare gli occhi a Simone.

« Uccidimi, adesso. » chiese a bassa voce Simone.

L'orco lo guardò seriamente, un sorriso poi sghembo gli incorniciò il viso, la punta della spada cominciò lento a muoversi dal petto squarciandogli la maglia. Simone cominciò tremare ancora di più.

« No, » sussurrò Azurok, la spada continuò il suo viaggio creando uno strappo completo e netto sul tessuto « sarebbe un peccato » la risata gli mangiò l'ultima parola.

« Uccidimi per favore » tentò di nuovo Simone, supplicandolo.

Era sul punto di piangere, sarebbe scoppiato così come il cuore per la paura dentro al petto.

Le mani dell'orco arrivarono ai pantaloni.

Uccidimi.

L'odore fetido gli entrò completamente dentro.
Un altro rumore, ma non fu la spada.
Sentì freddo, poco dopo.

Uccidimi.

Simone cominciò a urlare e scoppiò.
In mezzo ai singhiozzi, mosse le braccia in un movimento convulso, dimenandosi, facendosi solo più male, sperando che la corda si allentasse in qualche modo.

Mamma dove sei.

Pensò a Delia e al suo caldo sorriso, pensò a Cora e alle sue carezze, alla sua voce. Pensò a casa sua, pensò a suo padre.
Ma tutto questo non lo aiutò.
Quelle dita ruvide e violente gli aprirono le gambe, sentì il suo corpo tozzo che si sbottonava quella specie di veste.
Simone pensò che avrebbe preferito morire e gli tremarono le labbra.

Viscido, bastardo, porco.

Continuò a urlare sgolandosi nella sua stessa lingua in modo che quello lo capisse.

Viscido, bastardo, mi fai schifo.

Quando sentì l'orco portarsi le sue gambe attorno, le lacrime stanche di combattere uscirono fuori, bagnargli il viso. Si detestò con tutto se stesso, continuando a sentire la gola vibrare stanca per gridare un aiuto che non sarebbe arrivato.

La nausea lo investì.

Quel mostro si insinuò in lui rude, rabbioso e feroce come se non avesse pensato ad altro dal momento in cui lo aveva visto lì incatenato e inerme; quell'essere lo privò dell'unica cosa che Simone avrebbe voluto intatta, pulita, diversa. Quell'unica cosa che avrebbe voluto fosse speciale.

Mamma, quando finirà?

I suoi singhiozzi non lo placarono, le mani gli facevano male, così come le braccia, la voce diventò un sussurrò affievolendosi, stanca.

Per favore, uccidimi, sembrò dire senza più forza, né vita.

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Capitolo 8
*** Anime nel buio e costellazioni ***


Anime nel buio e costellazioni






Neve scappò via sfrecciando, senza nemmeno aspettare un attimo dopo essersi liberata di due orchi stendendoli a terra.
Zoccoli anteriori, corpo impennato, sguardo deciso lanciato a Simone.
Il suo padrone era ancora in un pessimo stato, aveva perso i sensi dopo la botta.
Uno dei due orchi, al contrario era rimasto a terra senza potersi più rialzare ed era stato anche morso.
Soddisfatta, la cavalla quindi era corsa via: attraversò l'intero tragitto a ritroso, cercando di riconoscere gli alberi, l'odore, la terra sotto gli zoccoli.
Finalmente, arrivata al campo da bivacco, nitrì forte, irrequieta.
Alcuni soldati attorno al fuoco si alzarono, mentre tre guardie si alzavano. Fëanor era tra queste. Appena riconobbe il cavallo, l'espressione si fece cupa e preoccupata.
Cercò di calmarla come poteva, afferrandola per le briglie e accarezzandole il pelo col palmo della mano. Le sussurrò, subito dopo, chiedendogli del suo padrone:

« Manke naa Iuel? »

Dov'è lui?

Neve non rispose, ma continuò a nitrire con più frequenza, come se cercasse di comunicare in una lingua a Fëanor ignota. « Calma, calma »

Quella scena, così come la precedente, aveva scosso Manuel, il quale si era alzato di scatto e stava osservando le altre due guardie parlare fra di loro completamente sbigottite.

« Dobbiamo fare qualcosa! »

« Se è arrivata fin qui da sola, vuol dire che lui è in pericolo » mormorò Fëanor serrando gli occhi.

« Non solo lui, Fëanor, » rispose Amras incupendosi « ti ricordo che non è andato da solo »

« Non significa nulla, anche se gli altri due cavalli non sono tornati! » alzò la voce Fëanor serrando una mano in un pugno.

Le altre due guardie inghiottirono saliva e si ammutolirono subito. Fëanor cercò di recuperare la calma, gli occhi verdi che diventavano due steli d'erba infuocati, mentre Neve stava guardando da un'altra parte.
Gli occhi globosi neri si specchiarono in quelli del soldato, ancora in piedi a guardare le guardie giocare con la vita del principe.
Manuel sembrò avvertire tutta la tensione nello sguardo della cavalla e distolse subito i suoi. Quella che doveva essere simile a un imprecazione in lingua elfica, uscì fuori dalle labbra della guardia.

« Dobbiamo pensare a un piano » continuò poi meno travolto, Fëanor, massaggiandosi una tempia « se fosse stato rapito, se fossero stati presi tutti e tre, ci toccherebbe partire coi rinforzi. È uno stupido, non ha portato con sé nemmeno un'arma... Preparate i soldati migliori! »

Diede l'ordine e Amras e l'altra guardia si mossero, almeno fino a quando Manuel non avanzò.

« Non credo sia una buona idea » mormorò diretto il soldato, non chinò neanche il capo mentre si rivolgeva direttamente a Fëanor « metteremmo a rischio gli uomini »

« Chi sei tu per dare ordini a noi? » buttò fuori Amras, il cui petto gonfio, venne fermato dal braccio di Fëanor.

« Dico solo che non c'è tempo! »

È già sera e la sua cavalla è qua.

« Potrebbe essere successo qualsiasi cosa »

Manuel si sfidò con gli occhi verdi di Fëanor, in uno sguardo che diventò eloquente in breve tempo. « Se mi fornite la direzione, lo spostamento, potrei andare io. Maximus, è già sveglio. » terminò cauto e deciso, Manuel.

Lasciatemi andare.

« Sei sicuro? »

Manuel annuì, portando una mano all'elsa della spada attaccata alla cintola.

« È più veloce, Maximus ha riposato e soprattutto se non dovessi tornare, rischiereste la perdita di un uomo solo » azzardò il soldato, le mani sui fianchi, ora. La testa da un'altra parte, invece.

Fëanor chiuse gli occhi, fece segno ad Amras di prendere la cavalla bianca, la quale prima di sparire via, sembrò volersi insinuare in quegli occhi umani.

« Portala via e dalle da mangiare, lei resta qui. » disse la guardia lasciando la cavalla in buone mani.
Amras eseguì l'ordine senza però evitare di scoccare uno sguardo infastidito al guerriero.

Fëanor guardò dritto il soldato negli occhi.

« Simone non lo sapeva, ma erano diretti principalmente a Tollim, per avere più informazioni sugli orchi. »

E quando lo chiamò per nome, Manuel capì quanto Fëanor andasse oltre il suo carico e ruolo sociale.
La guardia cominciò a dargli istruzioni.

« Devi scendere lungo la collina, a sud. Ma non devi arrivare fino in fondo, altrimenti ti imboccherai verso il mare. Riconoscerai un sentiero e un solo ponte e dio sa solo se ancora esiste, » sospirò Fëanor sperando e dando fiducia a chi aveva davanti « un cartello con l'ingresso al villaggio »

Manuel annuì rigoroso e chiamò Maximus con un fischio, due dita dentro la bocca, perché si avvicinare.
Il frisone rispose, arrivò muovendo la testa, le briglie già addosso, non sarebbe servita alcuna sella: sarebbe stato un viaggio veloce.
Manuel salì in groppa a Maximus.
La guardia gli rivolse un'ultima volta lo sguardo, i suoi capelli lunghi legati dietro, lo facevano più adulto. Disse soltanto una frase:

« Ferro, mi sto fidando di te »

Il soldato annuì, ma non rispose. Incitò il cavallo e partì.

Spero solo non sia troppo tardi.







"Non succede niente stella mia, è solo una ferita."

"Non succede nulla, ora la guarisco, tu però non piangere."

Lacrime in volto che facevano male e una voglia tremenda di smettere di ascoltare, di provare, di respirare, di vivere. Voglia di gridare che però non era più in circolo, voce arresa, perché la stanchezza non offriva più parola.

Non succede niente, mamma, ma quello che sta succedendo ora, lo sento.

Avrebbe voluto riuscire a non sentirsi più, Simone.

Annullare ogni cosa, mentre a riempirlo era qualcuno dalle sembianze di un mostro e non solo per una forma più grande e diversa da lui.

Se solo qualcuno avesse risposto al suo grido così stretto, dilaniato e perso, avviluppato a quella bestia il cui sudore gli si stava attaccando addosso.

Non succede niente.

Ma la guerra, il sangue, il sudicio, erano successe.

Non mi avevi avvertito, mamma.

Non succede niente.

Ma la violenza, non sentire più il proprio corpo, la voglia di vomitare, erano successi.

Lui era già diventato minuscolo, invisibile, privo di un anima importante, solo carne tramortita contro una carne più dura e più flaccida in altri punti.

Non succede niente, se non l'alito addosso, se non il suo corpo che avvertì una strana reazione contro producente e che non avrebbe voluto.

Non riusciva più a sentire i suoi pensieri, Simone.

Non succede niente, sì, perché in realtà succede tutto.

E quando sembrava essere arrivato allo stremo, quando i grugniti di chi gli stava addosso sembravano essersi associati all'infinito, in un tempo eterno che nemmeno lui riusciva più a distinguere nonostante per lui quello, fosse il suo orologio biologico, Simone sentì un rumore.

Del sangue venne fuori spaccando la carne che da verde, diventò nera. Una spada ne aveva perforato la copertura marcia e buia. Ed è così che quell'anima forviata cadde a terra: Simone non riuscì nemmeno a guardarla, tanto la vista era appannata; non riuscì a vedere gli occhi venire mangiati dalle pupille triangolari; non riuscì a vedere la bocca imbrattata dello stesso nero che gli aveva squarciato l'anima, anima che adesso era, con dispiacere, anche la sua perché gli era rimasta appiccicata.

Era rimasta appiccicata al suo incubo.

Non vide Simone come qualcun altro gli aveva appena sciolto le mani dalla corda che le teneva legato, e non vede come si accasciò a terra sfinito.
Privo di ogni forza, privo di luce.
Appena il corpo nudo, ridotto a brandelli di tessuto, toccò la terra, sembrò cercare subito il contatto con quell'elemento. Simone ci affondò le dita e i suoi occhi fissarono qualcosa. Simone non riusciva a mettere ancora a fuoco.

Non guardava Simone, ma ascoltava.

Non parlava Simone, ma c'era qualcosa che sembrava chiamarlo.

E sperò tanto fosse sua madre che lo chiamava a sé, che si trovasse in un altro luogo, un'altra terra, un sogno.

« Principe »

Rannicchiato contro la base dell'albero, si stava abbracciando il corpo. Le mani toccavano la pelle appiccicata e sembrava non importargli che stesse tremando. Continuava a fissare un punto indistinto nel suo stato di tranche.

La voce mormorò ancora più morbida, se possibile.

Un soffio di vento sarebbe stato più potente e una piuma meno leggera.

« Principe »

Simone capì di non stare più piangendo, così come capì recuperando appena la forza di spostare lo sguardo, che alla sua destra distesa, dormiva la forma del mostro che aveva provocato le sue lacrime. La spada con cui era stata uccisa, penzolava in mano a qualcuno, che adesso, era di fronte a lui. I suoi occhi ancora appannati, si sforzarono di fare il loro compito: alzò lo sguardo.

« Devo riportarvi al campo » mormorò Manuel, con estrema lentezza.

L'immagine cominciò da opaca a farsi nitida: i colori, i contorni, il luogo, il mondo venne fuori.
Simone era ancora nel mondo.

Ma che mondo era quello in cui succedevano cose come quelle?

Non sapeva dire da quanto tempo il soldato fosse lì in piedi, così come non si seppe dire quanto tempo fosse trascorso da quanto l'orco fosse stato ucciso e nemmeno quanto tempo quello fosse rimasto ancorato a lui.

Rabbrividì.
Poi diede qualche segno di coscienza.

Simone annuì all'immagine di Manuel, che si accovacciava piano con le ginocchia proprio di fronte a lui.

La prima cosa che si sentì addosso oltre i suoi occhi - e che lo portarono a sviare lo sguardo - fu una strana coperta, forse era un mantello, data la consistenza al tatto. Il soldato gliela avvolse poco dopo, infatti, attorno alle spalle, cercando di non toccarlo.

Si levò un vago odore di umido, come se la vegetazione lì attorno avesse partecipato al suo pianto, ma pensò che non ci fosse erba che non fosse stata contaminata.
Come tante anime senza potere di parola si erano macchiate di colpa, soprattutto quella bagnata dal nero del corpo ucciso a terra.

Simone sentì un singhiozzo farsi strada in bocca: deglutì per mandarlo giù.
Una delle mani ritornò prepotente a toccare, - quasi graffiare - la terra sotto di lui. Quasi a volere cercare una risposta o a connettersi di nuovo alla sua prima felicità.

Gli vennero offerte due mani. Simone fissò quelle, ruvide, libere. Le fissò e poi ritornò a guardare verso il basso, verso la terra, verso un cumulo scuro. Tenne strettp a sé il mantello e tirò ancora di più le gambe al petto, chiudendocisi dentro a riccio.

Il tono delicato che Manuel usò anche questa volta, gli arrivò alle orecchie.

« Prendetevi tutto il tempo che vi serve »

E da com'era accovacciato, si alzò e Simone rimase così, fermo, a sentire un altro peso addosso. Ma era diverso, questo peso non lo avrebbe superato, né dimenticato. Si portò una mano - quella sporca di terra - sotto il naso: provò ad immaginare casa, Neve che come lui si era ricoperta di quella, sua madre che lo lavava.

Terra.

La respirò una, due, tre volte.

"Non succede nulla, stella mia. E' solo una ferita."

Guardò oltre il suo involucro ridotto a pura merce di passaggio, guardò oltre la sua mano sporca di terra, guardò oltre il corpo della bestia.
Simone cercò di andare oltre lo stato di fissità, la voragine che lo stava per prendere.
Era il vuoto che allettante, lo stava chiamando, voleva prenderlo a sé.

Simone avrebbe voluto tanto fosse una qualche sua divinità, qualcosa di superiore che gli concedesse in quell'istante, l'invisibilità.

Manuel stava sistemando la sella al suo cavallo nero, più in là.
E allora Simone guardò quelli: la figura girata dando le spalle, priva del suo mantello, intenta a muovere le mani sul muso del suo cavallo, senza emettere un singolo suono.
Il suo pensiero a Neve fu istantaneo.

Avrebbe voluto chiamarla e dirle tutto, piangere con lei.
Avrebbe voluto dire a quel soldato di andarsene e di restare allo stesso tempo lì, in silenzio vivendo ancora quel controsenso assurdo.
Avrebbe voluto dire alla sua amica Neve di trasformarlo in lei.
Avrebbe voluto urlare a Manuel che non sarebbe riuscito a parlare, che voleva riunirsi al suolo, che non sarebbe riuscito a cantare. Avrebbe voluto dirgli tutto questo.

E invece non lo fece.

Qualcosa venne fuori, ma non era parola o suono.

Simone provò ad alzarsi, ma le gambe gli cedettero doloranti, così come la schiena e i piedi - troppo a lungo fermi - e si accasciò di nuovo a terra. Riprovò ancora, ma più cercava di stare in piedi, più ritornava a terra come se quella gli stesse suggerendo di rimanere lì, a venire risucchiato vivo.

O forse, mezzo vivo.

La terra glielo stava sussurrando alle orecchie, thaurer: abominio.

Qualcosa venne fuori, un paio di occhi attenti e un rumore di gambe che si precipitavano.

Due mani, gli vennero offerte di nuovo come sostegno. I suoi occhi si alzarono e ci vide dentro tutto tranne che pietà: da quella poca distanza, vide ancora la loro forma ricurva all'ingiù, le ciglia lunghe, ma più importante, Simone ci vide qualcosa di simile alla fiducia.

Allungò una mano, - quella pulita - mentre l'altra si stringeva l'unica coperta che poteva coprirlo, sopra gli stracci che aveva adesso, al posto dei suoi vestiti e gli stivali. Allungò la mano ed entrambe le mani di Manuel risposero, tirandolo su.

« Ce la fate a camminare? » chiese il soldato non slegando la presa.

Che domanda stupida, si disse da solo in mente.

Simone non emise un suono, annuì appena. L'espressione di Manuel non era sicura, sciolse appena le mani e aspettò che facesse qualche passo. Dopo mezzo, o la prova di quello che era sostenere il peso dei suoi stessi piedi, il principe barcollò e allora il soldato ritornò da lui.

« Poggiatevi a me, » fu cauto e lento, una sola mano venne presa, Manuel si trovò degli occhi puntati e ostinati al terreno in risposta, il viso annuiva al vuoto « giusto il tempo di arrivare fino al cavallo »

Simone si fece aiutare.
La mano era meno fredda, ma ancora sudata.
Quell'aiuto gli costò il tentativo di inghiottire un altro singhiozzo

Resisti per favore.

E non perché Manuel fosse un soldato, ma perché si vergognava.

Resisti.

Simone si vergognava di se stesso. Perché il vuoto ce lo aveva ormai addosso, lo aveva afferrato nel momento in cui il corpo aveva ceduto.

L'elfo non riuscì a contare i suoi passi, mentre sentiva brontolare il cavallo nero che li aspettava. Quando Manuel provò a farlo salire, sfiorandogli appena i fianchi, Simone sussultò, spaventato.

Manuel, ma che ti dice la testa.

Il soldato ingoiò saliva, lasciò che fosse Simone da solo a montare sul cavallo senza più toccarlo.
Era naturale reagisse così.
E Manuel non sapeva cosa fare, a parte riportarlo al campo; non sapeva cosa fare a parte offrirgli il suo mantello e la sua preoccupazione sincera.
Si sentiva impotente di fronte alla bestialità.

Così come lo era lo sguardo passivo e lontano che rivolse poco dopo, guardando dietro di lui.

Un solo piede si spinse sull'animale aggrappandosi con una mano al dorso. Simone non riuscì nel primo tentativo, ma al secondo sì.
Il corpo indolenzito e freddo, si tenne ancora più stretta addosso quella specie di vestito a quadri e più pesante.
Manuel saliva ora a cavallo dietro di lui, posizionò la sua coperta di scorta in mezzo al suo corpo e la schiena di Simone, in modo da evitare qualsiasi possibile contatto. E dopo aver sistemato ciò che doveva, afferrò le briglie e incitò Maximus a muoversi.

Simone fu grato per quell'accortezza.
Nella sua testa sarebbe stato Neve ad accompagnarlo, le avrebbe sussurrato parole dolci e di conforto.
Rimase fermo mentre il cavallo si muoveva, affondò una mano lungo la sua peluria come per istinto, accarezzandola e cercò di scacciare via l'acqua salata, che non chiedeva ora, gentilmente, di uscire fuori.
Fu grato al silenzio, anche.
Non avrebbe saputo dire nulla, né avrebbe trovato modo di dirlo, se non con il pianto.

Quando Manuel spronò il cavallo ad andare più veloce, Simone ebbe come un flash istantaneo, il cuore prese a vorticare come se fosse in stato febbricitante, serrò gli occhi.

Sentì il rumore del suo corpo che si univa costretto.
Senza consenso.
Senza permesso.

Non di nuovo.

« Andiamo piano » disse velocemente senza scandire bene, si toccò la pietra al collo nel suo solito rito, Simone rallentò « per favore »

E gli sembrò stupido collegare un'animale nobile e dall'animo gentile come quello, a una bestia rivoltante. Ma in quel momento, lasciò anche il pelo del cavallo, per evitare di fargli male.
Piuttosto conficcò le dita nella pelle.

La risposta di Manuel fu ovattata come prima, lenta.

« Va bene » il soldato emise un verso con la bocca a Maximus e il passo si fece più cadenzato, il cavallo soffiò « ci metteremo un po' di più a tornare, ma va bene.» completò.

Se tu stai bene, va bene.

Manuel vide il Principe immobile per tutto il tempo, girare il volto raramente per guardarsi intorno, stringersi la sua protezione attorno al corpo il più possibile.
La schiena si reggeva a fatica, stanca e quindi risultava più ingobbita.

Gli sembrava così fragile, eppure al tempo stesso così forte.

Gli sembrava così diverso, eppure così uguale a lui.

Era tutto sbagliato, il mondo. E sbagliato non era neanche la parola più giusta. Era sbagliato il mondo per aver scagliato contro qualcuno di così impotente la sua arma più letale: la violenza.

Era sbagliato, non c'era niente di giusto: niente in quegli occhi sicuramente vuoti, niente in quelle mani che sicuramente tremavano sotto il mantello e non poteva vedere, non c'era niente di giusto in un'anima persa per ciò che di sbagliato, non aveva commesso.

Se fosse stata un'altra circostanza, Manuel lo avrebbe abbracciato, ma non era quello il momento adatto. E la striscia di tessuto che li separava, nonostante fossero sullo stesso cavallo ne era la prova.

Non sarebbe stato naturale per l'altro, non dopo quello che era successo.
Non sarebbe stato naturale per nessuno.

Ed era ancora immerso in quei pensieri, quando Maximus decise di fermarsi, zoccoli fermi e sguardo dritto.
Manuel sospirò, si sentì solo lui.

« Non fare scherzi, testone »

Simone rimase in silenzio. Manuel diede un leggero calcio all'animale il quale nitrì appena, brontolando.

Manuel scese da cavallo e lo guardò per bene.
Simone sembrò distrarsi appena dalla tranche per osservare quei due. Gli occhi del soldato sembrarono farsi di fuoco con il suo animale. Sembrò intimargli qualcosa a bassa voce, ma il principe non riuscì a captare nulla.

« F-forse sono io » mormorò.

Puzzo.

D'altra parte se lo era sentito addosso, quello stesso fetore, sudore, misto a terra.
Lui stesso, era nauseante. Si sentiva come una scarpa lasciata troppo tempo dentro il fango.
Ed era normale che l'animale lo avesse percepito, l'olfatto dei cavalli era ben più sviluppato di umani ed elfi messi insieme.

« No, non siete voi, » disse tirando il muso dell'animale verso il basso, lo sfidò con lo sguardo, poi la mano di Manuel colpì due volte il pelo del cavallo prima di salire « è che certe volte gli piace fare di testa sua. È assurdo che non mi abbia ancora abbandonato per andare dietro a qualcun'altro »

Maximus sembrò capire Manuel e tutta la sua frustrazione, ma in tutta risposta, riprese a camminare brontolando spesso per se stesso, alternandosi alle parole del suo padrone.

« Sì, continua a brontolare, tanto lo sai che è vero. Siamo i numeri uno in questo, mh? » ribatté Manuel non facendo più caso all'altro passeggero.

Simone avrebbe voluto ridere, perché quella scena provocava ilarità, ma non ci riuscì.
Più che altro, si era girato appena per guardare il soldato portarsi una mano sul viso per la breve esasperazione.

C'era qualcosa di così naturale in quel gesto.

Ma ci stava rimanendo troppo, a guardare l'altro. Muto, senza parlare, nessun sorriso, nessuna espressione.

« Scusatemi » mormorò Manuel, abbozzando un sorriso che poi si ncurvò da una parte della bocca « ormai credo sia tardi per scegliersi un altro compagno di vita »

Anche Neve per me lo è.

Sì, Simone ci era rimasto decisamente troppo a guardare l'altro, così tornò a contemplare ciò che aveva davanti.

La cosa che vedeva meglio anche nella notte, in cui provò ad immergersi: la natura.
Era già sera, poche nuvole presenti a lasciare il cielo era scoperto e visibile.
L'unica cosa che Simone desiderava era vedere Neve, ascoltare la voce di Ingrid, sentire il calore del fuoco.
L'unica cosa che Simone vide, erano di nuovo delle mani che lo afferravano.

Rabbrividì di nuovo, ritornando ad accarezzare il pelo di Maximus, a cui sicuramente risultò indesiderata la sua presenza.
Gli chiese scusa con la testa.

Per fortuna, non mancò tanto per arrivare al bivacco.
Appena Simone riconobbe e distinse le tende, i braceri, il fuoco acceso ancora per poco e le sue spire di fumo che si levano al cielo scuro e le stelle già visibili, ringraziò mentalmente la sfera bianca lì in alto, per essere ancora vivo.
Ringraziò silenziosamente il cavallo su cui si trovava sopra.

Ringraziò silenziosamente Manuel.

Appena scese da cavallo, con non poca difficoltà e dopo Manuel, Fëanor gli venne in contro, lo abbracciò senza preamboli, sussurrandogli qualcosa in elfico.
Venne seguito da lui, quasi allo stesso modo da Beren, Amras, parte dei suoi soldati ancora svegli.

« Gildor e Dorian... » pronunciò Simone, le labbra gli tremarono. « L-loro hanno bisogno di... i loro c-corpi hanno bisogno di essere sepolti-»

Fëanor capì all'istante, annuendo. Manuel era ancora lì in piedi, la voce di Simone gli strinse il cuore.

« Domani all'alba, andremo a recuperarli » provò a fargli un sorriso rincuorante ma nemmeno lui capì se c'era riuscito.

« Sono già arrivati a Valinor, beati, nella luce. Si sono uniti agli altri. » continuò Beren, cercando di sollevare lo spirito del principe.

« Hanno cercato, loro... cercarti di... » Simone non riuscì a continuare, perché il tremolio divenne più forte e anche perché la mano di Fëanor si piazzò sulla sua spalla coperta.

« Sono morti per proteggervi. Sono morti con onore. »

Non è giusto.

Il principe abbassò lo sguardo.

Anziché tempestarlo di domande però, Fëanor e gli altri si limitarono a chiedergli se avesse voluto preparato qualche tinozza di acqua riscaldata per lavarsi.

« Sono stanco, credo... rimanderò a domani. »

Non lo disse nemmeno col coraggio di guardarli ancora negli occhi. E così, gli uomini gli diedero un lungo e ultimo saluto prima che arrivasse domani.
E con gli occhi verdi di Fëanor puntati addosso, il principe si sentì morire una seconda volta. La guardia non gli chiese se aveva avuto informazioni, se fosse servito a qualcosa.
Per quello ci sarebbe stato tutto il tempo.
Quello che non sarebbe successo ed era di buon auspicio fu quello che a Simone venne dato dopo, perché Fëanor gli augurò la buonanotte.

E così rimase lì.
Nel buio della notte, rimase lì a sentire la brezza pizzicargli i ricci.
Il principe non era però da solo: quel cavallo nero e il suo soldato erano ancora a pochi metri.
L'elfo non sapeva che altro dirgli, teneva le mani in grembo, ancorate a quella che sembrava sempre di più una coperta.
Era così difficile: aggrapparsi con una forza che non c'era a qualcosa che se ne era appena andata via da lui, qualcosa che non esisteva più in lui, qualcosa che lo avrebbe tormentato.

« Grazie » mormorò Simone.

I suoi occhi si posarono raccogliendo l'unica cosa che era in grado di fare ancora: riconoscerne ancora un frammento, una piccola scheggia.

Riconoscere la fiducia.

« Non so perché tu l'abbia fatto, non eri obbligato, ma » continuò atono, il principe, torturandosi la pelle con due dita « ti ringrazio.»

Manuel teneva per la briglia Maximus e lo guardava, stanco, vero, fragile, in piedi nonostante la burrasca.
E non vide un principe, non un ruolo, non una maschera, ma una persona.

Stanco, vero, fragile, in piedi.
Una stella aveva anche quei momenti in cui brillava di meno, ma non per questo, era meno stella. Non per questo, era meno preziosa.

Manuel non seppe che altro dire, mentre lo guardava, quel pianeta.
Non poteva ribollire di rabbia, ma la sentiva tutta raccolta, posando ancora troppo i suoi occhi sull'altro.
Non poteva dare modo alla sua rabbia di venire fuori, ma non per questo riuscì a frenare ciò che pensava.

« Qualsiasi persona con un minimo di cuore, lo avrebbe fatto, signore. Che fosse un ordine o meno »

Era un dovere morale, un dovere del cuore.

La piuma nella sua voce, era appena diventata d'acciaio.

Il principe non replicò nulla. Annuì verso la terra, si guardò i piedi e poi, poi sentì le palpebre pesanti, gli occhi prudergli, il petto fargli ancora male.

Il principe si limitò a forzare un sorriso sul volto, uno di quelli che avrebbe imbruttito anche un angelo.

« Buonanotte, soldato »

« Buonanotte principe »

Raggiunse la sua tenda a fatica, a piccoli passi, non guardandosi più indietro.
Appena Simone arrivò, gli bastò un secondo per notare che Neve dormiva all'interno della tenda e non fuori.
Si distese piano, raggiungendo solo un angolo della brandina e la guardò a pochi metri da lui.
Non riuscì a toccarla perché un po' distante, ma la sua presenza lenì un po' il peso del petto, i singhiozzi che si presentarono dopo.

Simone si rattrappì dentro il mantello, senza prendere altra coperta e pianse.

Pianse, senza nessun freno che potesse mettere fine a quella poca liberazione che gli era concessa, finalmente.

Pianse, reggendosi con tutto il corpo, a quel tessuto, che stranamente non aveva preso il suo odore.

Non era sporca.
Stranamente sapeva di erba e di cuoio. Stranamente gli ricordò qualcosa di famigliare, pronto ad accoglierlo.

Ma non fu per niente strano sentirla addosso.

Ecco perché Simone, dopo aver lasciato sfogarsi il cuore e le lacrime lo sfinirono, ci si addormentò dentro.
Senza avvisare, Morfeo lo accolse grato che fosse riuscito a incontrarlo e gli chiuse gli occhi stanchi.








**







Incubi lo avevano portato a svegliarsi continuamente durante la notte.
Occhi spalancati, bocca ridotta a una smorfia, petto doloroso come se dentro ci si stesse scavando una voragine, di cui Simone non avrebbe mai conosciuto la profondità.
Girato a destra per guardare come Neve dormiva invece, tranquilla. Giratosi a sinistra per fissare la tenda, in uno stato di fissità continuo.
Ormai. il corpo aveva raggiunto il giusto calore, ma ansimante dentro quella specie di coperta, Simone, non aveva avuto altro modo che arrendersi e restare sveglio. Così, aveva visto arrivare l'alba.

Gambe che si levarono in piedi, ancora un po' stanche, dita che aprivano uno squarcio tra i lacci di cotone. Non pensò fosse il caso di forzarsi ancora a provocare un sonno che non gli avrebbe dato nessuna pace, quindi lo vide arrivare: quel momento in cui il sole stava per salutare e dare inizio al giorno successivo.
Stretto in un mantello che sapeva ora un po' di sale, cuoio ed erba, serrò gli occhi e lasciò che la poca brezza mattutina gli toccasse i capelli.

Quello, era naturale.

Lasciò che la palla luminosa e aranciata lo guardasse, per posare uno spicchio di luce - un solo breve attimo.

Quello, era naturale.

Il suo odore, invece no. Lo repelleva, il conto di vomito lo assalì alla gola: necessitava di lavarsi, così, con il campo silente e che ancora dormiva, Simone ritornò all'interno della tenda e afferrò un'altra tunica e afferrò un sacchetto per buttarci dentro gli stracci che aveva addosso.

Lasciò un bacio, a sfiorare appena il pelo della sua amica. Neve era tranquilla, scalciava con una delle zampe: sognava. Simone la baciò evitandosi che una lacrima infetta, proprio incastrata nel suo occhio, la bagnasse.

Quando cominciò ad allontanarsi dal campo, non seppe effettivamente dove fosse un luogo tranquillo, ma pensò che non ci sarebbe voluto molto per raggiungere il mare.

Trovò una piccola spiaggia, camminando per un po'. Quella era costellata da poche piante e qualche albero di mirto e acacia, il selciato che lo aveva portato in quella zona, scendeva per un piccolo tratto in mezzo a quegli odori.
A un cielo il cui colore doveva ancora del tutto nascere.
Simone aveva cominciato veloce a togliersi quei brandelli di tessuto, che fino a ventiquattro ore prima erano intatti.
Li gettò senza cura, come se scottassero tra le sue mani, desiderando che fossero divorati dal terreno.
Avrebbe preferito in realtà bruciarli, ma avrebbe dato nell'occhio al campo e lui non era ancora pronto a parlare di cosa fosse successo la notte scorsa.

Deglutì e tornò a guardare la distesa salata davanti a sé.
Poi, avanzò verso l'acqua senza timore, senza paura.
Era abbastanza fredda e il contatto lo fece rabbrividire, ma non per questo decise di ritrarsi. Le mani si posarono sul pelo dell'acqua cominciando a bagnarsi la pelle. Inizialmente, Simone si beò di quella sensazione, il sale gli salì alle narici e il colore più scuro, ma non spaventoso, riempirono la sua visuale.

Poi, però, il movimento delle sue mani perse la delicatezza, l'eleganza, la lentezza che si riservano alla cura di un corpo.
Quel tocco diventò ossessione e, maniacale: si strofinò le spalle, le dita passarono poi al collo, al petto, ma soprattutto, si dedicarono e insistettero con forza sui fianchi, le cosce, le gambe.
In modo ossessivo, cominciò a strofinarsi la pelle con l'acqua - che non era più considerata tale - e sembrava insinuarsi dappertutto. In fondo a ogni fessura, ogni parte, frammento che gli risultasse infetto, esposto.

Posso diventare acqua?

Simone avrebbe voluto che il sale lavasse via ogni ferita, interna ed esterna, non solo quell'odore fetido che aveva addosso, ma tutte le sensazioni che aveva provato.

L'acqua non ha memoria.

Altra acqua lo bagnò, ma non sul corpo.

Eseguiva quel rituale di purificazione ossessiva, seguito da spasmi, singhiozzi e occhi che si offuscavano.
Non era più controllato, non era più leggero, diventò aggressivo su se stesso, sentendo l'eco di un grugnito che non esisteva più; avvertendo la presa di mani grosse e tozze che non c'erano; vedendo il sorriso perverso di una forma grande e buia.

Nudo, fragile, sporco.

La pelle all'altezza dello stomaco si arrossò in poco tempo dato il lavoro delle dita e la ferita che aveva al costato - i cui punti erano ormai caduti -, appena avanzò di poco nell'acqua, prese a bruciare. Non era poi del tutto guarita, ma aveva formato una crosta.
Le dita di Simone si muovevano da sole, grattando quasi l'epidermide in modo da liberarsi.
Arrivò a toccarsi il fondoschiena, rabbrividì e anche lì, strofinò con energia, senza farsi nessuno scrupolo.

Gli faceva male.

Deglutì.

Quella zona, già delicata, gli doleva mentre camminava per raggiungere quel posto, ma adesso, il dolore sembrava essersi amplificato. E allora l'elfo non riuscì più ad evitarsi di piangere più forte.
Simone pianse e mentre il sole si alzava, pregò.
La sfera infuocata sorse superando un po' il livello della linea immaginaria del mare. Simone usò a stento ed in singhiozzi, la lingua con cui era nato, come a comunicargli l'urgenza di essere riscaldato.

Pregò che quel supplizio potesse finire.

Voglio dimenticare.

Che il sale lo stava aiutando solo in parte, che non era il corpo, ma l'anima che doveva dimenticare, annullare, cancellare.

Mamma, dirgli di farmi dimenticare.

Simone si lasciò portare dall'acqua, la pelle ormai arrossata in più punti: ebbe l'impressione di annegare invece che galleggiare. Avrebbe preferito che il sale lo ricoprisse intero, mentre gli donava ancora, un po' del suo.

Non mi sono potuto difendere.

L'incontrollabile voglia di lasciarsi andare all'acqua, lo stava tentando.

È colpa mia.

Sono sporco.

Sono sporco.

Le lacrime e l'acqua si mischiarono, scivolando via dalla sua pelle che stava avendo la tregua dalla battaglia.
Le labbra tremarono ancora tra i singhiozzi e il sole si stava alzando definitivamente nel cielo.

Sono sporco.

Aprì di colpo gli occhi e fissò il cielo: era appena nato il giorno. Ed era appena morto qualcos'altro all'interno.

Papà, te l'ho detto che tutto questo era più grande di me.





**





Quella sera sarebbe stato solo, come sempre.

La solitudine non sapeva se fosse un valore aggiunto, non sapeva se un uomo poteva conviverci serenamente, ma sicuramente Simone ne aveva fatta una doppia pelle. La sua amica bianca ormai dormiva - era stata con lui fino a qualche ora prima - le aveva passato dolce le dita tra i capelli e i suoi sussulti, erano stati in parte calmati da lei.

La solitudine faceva un gran rumore dall'interno, si depositava dentro senza che se ne accorgesse, spargendosi un po' ovunque, seminando i suoi germogli per poter crescere.

Il sale dentro l'organismo si era già sciolto, aveva bruciato e adesso non ve ne era più traccia.

La notte, era forse rimasta l'unica entità che poteva aiutarlo. La notte con i suoi occhi tenuti spalancati su di lui e il suo sonno che non li vedeva posarsi, anche quella sera.

Solo, in mezzo al solo frastuono di sé stesso, Simone si distese in punta di piedi senza fare rumore lungo l'erba, il terriccio. Respirò piano col timore di spezzare il fragile equilibrio che lo circondava. Il buio notturno dava una sensazione di pace, coi suoi tanti piccoli corpi celesti fermi proprio lì, a condividere in sonoro silenzio il suo stesso spazio da un'altra prospettiva, senza dargli fastidio.

L'intera giornata a raccontare delle informazioni avute, ad osservare i corpi ormai freddi di Gildor e Dorian rinvenute nello stesso identico posto dove li avevano lasciati.

In questo, forse solo in questo, quelle bestie erano state misericordiose.

Quei corpi erano stati lavati, spogliati - così come prevedeva la tradizione - Ingrid aveva passato con due ragazza sulla loro pelle degli oli profumati e poi, con una breve preghiera, quei corpi erano stati calati nella terra, a poca distanza dal campo, il più possibile vicino al mare. Per essere accolti non si sapeva esattamente da chi.

Simone non aveva pensato ad altro a cosa il mare avesse visto quel giorno.

Non aveva pensato ad altro che ai suoi occhi che non riuscivano a versare una singola lacrima, stanchi.

Non aveva pensato ad altro, che la sua fine era cominciata con la loro.

La pelle era poi stata ricoperta dalla terra, gli altri elfi e le guardie in preda a un sentimento generale di unione e lutto. Simone, invece, impassibile.

Non era da lui svuotarsi d'emozione; non era da lui saltare il comando del cuore.

Ecco perché, fisso a guardare il cielo, si domandava se adesso quelle anime fossero parte di un mondo diverso, magari migliore. Se si fossero uniti a qualche costellazione, insieme a sua madre che lì, in una sfera luminosa e bianca alta, guardava suo figlio a sua volta.

Non parlava però il figlio, cercando di praticare quel rito che riservava solo a loro due: si era immaginato che proprio lei, potesse raccogliere tutti i suoi pensieri, le sue preoccupazioni, sgonfiarlo di ogni cosa.

Bisognava pur credere in qualcosa per andare avanti.

Lui, credeva in lei e credeva nella luna.

Non si aspettò che un filo d'erba si muovesse, a parte i ciuffi e le punte mosse da un po' di brezza, né che un solo canto venisse fuori, a parte quello di qualche animale. Le sue orecchie a punta però, si mossero spontanee, percependo un movimento seppur minimo, di piedi che calpestavano la terra.

Non si sorprese a vedere chi fosse, una volta che il notturno si fece vedere meglio a poca distanza.

Quello, non disse nulla e in realtà, così nemmeno il principe: fu come un saluto tacito e condiviso. Manuel si sedette soltanto sull'erba, tutto il peso del corpo sulle mani dietro la schiena.

La scena famigliare, si replicò poco dopo quando, l'aria sospesa sfumò appena con la voce.

« State pensando ad oggi? » mormorò il soldato.

Anche a ieri.

Simone ci impiegò un po' a rispondere. Non sia spettava che la sua solitudine venisse riempita, non quella notte.
Fu colto alla sprovvista.

« In realtà, sto cercando di liberarmene...» rispose l'altro.

Il principe gli sembròpiuttosto combattuto, serrò la mascella per poi rilassarla poco dopo. Gli occhi di Manuel riccaddero lungo le mani, aperte, l'una sopra l'altra sul grembo, assumendo quasi la posizione di unsaggio. « È una cosa che ho presol'abitudine di fare » deglutì, fissando sempre il cerchio luminoso sopra il suo naso.

Il soldato lo osservò con una punta di curiosità, sempre in silenzio. Simone continuò, sospirando sonoramente « Penso che la luna possa prenderseli tutti quanti, i pensieri, i dubbi, le domande... »

Le disgrazie.

« Quindi, » Manuel si distese per lungo sull'erba, lentamente, accanto a lui senza però toccarlo « come funziona esattamente? »

« È una cosa stupida » risucchiò le labbra. Pensò che il giudizio fosse dietro l'angolo, anche se si trattava di qualcuno che poteva sembrare diverso da tutti.

Manuel non si schiodò da quell'espressione in attesa, scrollò le spalle, girando il volto. Il principe si sentì quell'incoraggiamento addosso.

« Di solito mi metto fermo, la fisso, lascio andare tutto ciò che affiora, qualsiasi cosa mi venga in mente, poi... lascio fare tutto a lei. »

Il soldato si mise quindi nella sua identica posizione, tranne forse per le braccia che risultarono leggermente incrociate al petto. L'elfo lo guardò solo un attimo, cercando di capire se l'altro lo stesse scimmiottando o stesse facendo sul serio.

« Le parlate anche? » chiese.

Sembrava sincero, non c'era ironia nel suo tono.

« Dipende. » sospirò Simone. « Qualche volta, quando voglio farlo, sono completamente da solo. »

La bocca di Manuel si dispiegò in una smorfia, ma il principe continuò a parlare per evitare fraintendimenti.

« Questa non è una di quelle volte » disse piano come asvelare un segreto.

L'altro annuì semplicemente. Poi però Manuel non riuscì a fermare la sua curiosità, guardava proprio davanti a sé, i ricci gli ballarono sugli occhi.

« Perché proprio la luna? »

Quella curiosità gli non gli colorò la voce che ancora morbida si posava per non risultare invadente.

Perché mi ricorda di lei.

« Yondethil » preferì non parlare del reale motivo, per non intristire chi gli stava affianco « il mio cognome significa gemello della luna » il principe sospirò « e poi, ho sempre preferito parlare a lei, piuttosto che a qualcos'altro »

Manuel annuì lentamente, afferrando il piccolo moto di amarezza nella voce dell'altro. Non chiese poi più nulla, domandando più che altro a sé stesso se ci esistesse davvero un'altra ragione.

Si voltò a guardare Simone, com'era solito fare da settimane ormai, com'era solito fare soprattutto dopo quello che era successo. Guardarlo, perché c'era qualcosa che come un'ostinazione si muoveva sempre più, in lui, ad attrarlo.

C'era sempre il desiderio che lo spingeva a raccogliere come per intero, la sfera bianca che stava contemplando, ora, riflessa sul suo viso.

Era lo spettacolo più bello a cui stava assistendo senza scomodare nessuna stella. Non aveva i suoi occhi in una visione perfetta, Manuel provò ad immaginare anche quelli: la luna era fortunata.

« Chissà perché sono sempre le cose più misteriose e affascinanti, ad essere lontane da noi »

Non sapeva di essere guardato, finché Simone non scosse il viso alla sua destra e si ritrovò due occhi scuri.

« Forse le si cerca solo per fuggire, per illudersi »

Perché la vita terrena non è come vorrei che fosse.

Nella notte Simone avvertiva ancora quella sensazione presente di paura, ma per sua fortuna, la luna spegneva appena quel fastidio nascosto tra le pieghe della pelle e del cuore. E al cerchio luminoso s'era aggiunta anche la presenza Manuel.

« All'uomo è concesso sognare » il soldato arricciò il naso.

Simone sospirò appena, rompendo il contatto visivo.

Chinò quindi il capo, annuendo piano. La lentezza lo accompagnò in quel gesto, pesando se stesso, pesando la testa. Tenendo in conto tante cose e nessuna.

All'uomo. Io però, non sono un uomo. E i miei sono solo immagini o buchi neri.

« Magari si potesse vivere nei sogni, allora, anche non essendo un uomo » mormorò pianissimo Simone. Ritornò a guardare in alto. Prese a giocare con una delle mani poggiate sul grembo, nervoso e pensieroso.

Manuel lo osservò afferrarsi più volte l'indice e il pollice, trincerandosi nel silenzio. Nonostante fosse a una dovuta distanza, con il corpo disteso e le spalle che non si toccavano, percepì anche posizionato com'era il suo umore. Non voleva portarlo a parlare di cos'era successo, forse era troppo presto.

Non hai bisogno di essere un uomo, per farlo.
È alle bestie notturne e che scompigliano chi sei, che dovrebbero essere relegate all'inferno.

Simone sfogò il nervoso sulle dita, avvertendo il respiro farsi più difficile ed entrargli in petto. Pensava troppo ora, pensava che sarebbe arrivato il buio ora, anche da sveglio, anche con un'azione pura come quella che stava facendo.

« Non ne ho capito mai molto di stelle, » buttò fuori il soldato, girando il viso verso tutti quei puntini che ricoprivano il manto blu « ma stasera il cielo è davvero bello. »

Simone sospirò: osservare le stelle, abitudine che gli era rimasta addosso da quando la aveva persa.

« Le costellazioni che si vedranno nel mese prossimo, saranno le migliori »

Poi si voltò verso il soldato e quello storse appena il naso. E Simone riprese a parlare. Alzò un braccio e puntò l'indice verso est.

« Quella, è la costellazione della Lira » Manuel inclinò la sua testa seguendo la sua direzione « con la sua stella, sopra, la più luminosa a nord, Vega »

Simone cominciò muovere l'indice spostandolo, seguendo un quadrato obliquo e allungato.

« Sono quattro stelle, e dovrebbero rappresentare la lira di Orfeo, che prima era di un'altra divinità, non so se conosci- »

« Orfeo ed Euridice, sì. » completò Manuel.

Simone annuì.

« In realtà, queste sono cose che ho letto per mia curiosità, » continuò il soldato ridendo appen dolceamaro, sul finale « una storia triste, ma sincera. Credo valga comunque come conoscenza, anche senza aver avuto chissà che istruzione »

I suoi occhi si fermarono un secondo. Non era delusione, non era nemmeno spocchia.

Gli uomini si sottovalutano?

Poi, l'elfo ritornò alla volta celeste sopra il suo naso.

« Vale, eccome, sì. »

« E ce n'è qualcun'altra lassù? Che si vede, intendo »

Simone annuì, mordendosi appena le labbra.

« Alph.» pronunciò un elfico perfetto « La costellazione del cigno, » commentò spostando la mano « insieme a quella della lira, e dell'aquila formano il triangolo estivo. »

Il soldato spalancò la bocca sorpreso, i ricci si muovevano sull'erba.

« Perché si chiama così? »

« Perché se vedi bene e segui le stelle, a occhio nudo, i suoi punti, dal centro ai lati, è come se formassero la figura di un uccello »

Vide Manuel strizzare gli occhi per cercare di seguirlo, infatti quello alzò poco dopo un braccio e l'indice provò a seguire il suo movimento.

« Come fosse una croce: dalla testa, » l'elfo cominciò a muovere ancora l'indice seguendo i punti luminosi « al corpo » e il soldato fece lo stesso, senza tenere conto però che il dorso della mano si era avvicinato troppo « e le ali spiegate del cigno, ai lati » sussurrò Simone, piano.

Calore.

Vicinanza.

Il palmo caldo di Manuel si strofinò con il suo, che invece era freddo.

L'altro, era ignaro di quella cosa. Perso a guardare su.

A Simone bastò invece un attimo per beccare i suoi occhi immersi nel cielo e per ricacciare giù la mano.

E realizzare che dal calore e dalla vicinanza veniva fuori anche il sudore.

E mani tremende e pesanti.

Una sera fa.

Si tenne stretta la mano sul ventre, coperta dall'altra, rabbrividendo un po'.
Sapeva che era successo per caso, eppure l'idea di essere toccato, era negata ora, nella sua testa.

Manuel rimase così, abbassò lentamente il suo braccio.

« Non le avevo mai viste così » farfugliò senza davvero pensare a ciò che diceva.

Simone restò in silenzio, pensando a cosa dire per riempire ora, quella sensazione mista a due emozioni diverse, così contrastanti, dissimili.

Il silenzio chiuse rapido le voci, lasciando solo due corpi ognuno con i propri segreti, i propri pensieri, distesi e racchiusi in pochi fili d'erba.

Due mondi uguali e non poi così diversi, guardavano la stella luna, lo stesso cielo, lo stesso mondo.

A Manuel non servì nient'altro per capire che l'altro non avrebbe più detto nulla, forse non c'era bisogno di dire, di forzare nulla.

« Bene, forse è il caso che io vada a dormire » si alzò piano, portandosi in piedi.

Il principe girò appena il viso in obliquo, era la seconda volta che si formava un sorriso piccolo e non lo avvertiva sul viso. Il soldato alzò un dito verso il cielo.

« Volete dormire con loro stasera e... non è affatto cattiva come idea »

Non riuscirei a dormire comunque, quindi...

« Credo rimarrò ancora un po', qui, sì. »

Manuel guardò in lontananza, annuendo non seguendo la linea del suo sguardo, una mano sulla sommità dell'elsa, cosicché gli occhi del principe capirono all'istante.

« Non mi allontanerò, davvero. »

È una promessa.

« Se...se mai vorrete parlare, non solo di stelle, neanche io mi allontanerò. »

Amico.

Simone annuì leggero, gli occhi si chiusero appena e lo sguardo si abbassò.
Qualcuno che ascolta e vede.

Un amico, ripetè in testa.

« Beh, buona luna, allora. » il soldato si grattò la nuca, un braccio piegato.

Simone alzò lo sguardo, finalmente.

« Buonanotte a te, soldato »

Manuel restrinse le labbra, gli occhi profondi anche se piccoli.

C'era sempre qualcosa di non detto che vi aleggiava dentro, tutto lo studio e l'erudizione di Simone non bastavano a comprenderlo.
Manuel era una materia ignota.

L'unica cosa che riusciva a cogliere erano pur sempre degli occhi piccoli, gentili, scuri.

Che la luna ti aiuti.

Simone non afferrava la loro parola.

E grazie.

E vide così, Manuel andare via.

Gli occhi non si staccarono fino a quando non videro scomparire la figura, in lontananza, dentro la sua tenda. Sembrò sentirsi una nuvola, leggero, un po' perso, anche. Ma non come se fosse in mezzo a una bufera, piuttosto un batuffolo accarezzato dalla brezza, pettinato, messo di nuovo in equilibrio.

Era sicuro che almeno lui avrebbe dormito, e che quella nuova e piccola consapevolezza, era una scia di speranza. Poteva avere qualcuno oltre a Neve ed Ingrid, che potesse ascoltarlo. O restare anche solo in silenzio, arte di comunicazione per pochi, con lui.

Un soldato amico.

Simone sperava che quel poco che aveva appena trovato, bastasse a scacciare il buio.

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Capitolo 9
*** Bronad - Sopravvivenza ***


Bronad

Sopravvivenza



 

Il tempo era sempre stato qualcosa di strano per Simone.

E non solo perchè il suo fosse dilatato e non si sarebbe mai sfilacciato velocemente come quello degli umani.

Il tempo era un concetto strano, da sempre.

Il tempo per abituarsi al suo ruolo particolare e all'attenzione di tutti, quello per abituarsi alla morte di sua madre.
Il tempo per abituarsi ai silenzi lunghi e inqueti di suo padre.
Quello per capire come andare avanti soltanto facendo leva su se stesso, i suoi pensieri, i suoi nascondigli in mezzo al bosco, suoi non posso però vorrei.
Il tempo per montare su Neve tutta una giornata, cavalcare e allontanarsi da palazzo.

Adesso, il tempo, sembrava non dargli alcuna tregua.

Due mani forti, grosse, minacciose lo toccavano invisibili, ogni notte nel sonno, ogni volta nei pensieri.

E ogni singola volta, Simone sentiva il bisogno di replicare quella routine per lavarsi la pelle e anche la coscienza.

Ecco perché il tempo aveva appena assunto le sembianze di un serpente, pronto a mordere, ad avvelenargli ogni cosa, ogni volta che Simone avrebbe chiuso gli occhi.
L'unica cosa che Simone faceva era bere, ma nemmeno gli infusi di erbe, famigliari e premurosi preparati da Ingrid - portati poco dopo il pranzo e la cena - sembravano aiutarlo.
Il sonno durava relativamente poco, prima che il ricordo di quella notte facesse altro.

Il tempo era diventato un suo nemico, forse il più grande e così come quello, come nessuna tregua, da alcuni giorni, non sembrava dargli Fëanor.
Aveva tentato di portare al principe la cena in tenda, ma Simone non aveva fame.

Simone non mangiava da qualche giorno, se non fosse stato soltanto per reggersi quel poco in piedi. Non mangiava, così come non riusciva a tenersi lontano dalla sua tenda per più di cinque ore al giorno.
Era riuscito a dire alle guardie solo quello che necessitavano di sapere: i sospetti su chi potesse esserci dietro la minaccia e quale potesse essere il loro spostamento.

Nient'altro.

E il sospiro di Fëanor quella sera, una volta che aveva rifiutato per la seconda sera consecutiva, la cena, lo lasciò indifferente, così com'era: nella sua tenda, rivolto di spalle verso un punto indefinito della tenda.
Una mano in mezzo alla criniera di Neve, accovacciata in un angolo a fissare incerta, il suo padrone.

E gli occhi verdi dell'elfo preoccupati da giorni, non erano stati nemmeno guardati.
Adesso, in mezzo al fumo della carne appena cacciata nel pomeriggio che si sprigionava per il campo, Fëanor si sentiva inutile.
Riluttante, la guardia allora distribuì quella porzione di cibo a qualcun'altro dei soldati che non si fosse del tutto saziato e rimase accovacciato - insieme alla metà dei suoi compagni adesso -, fuori.
Lo morse un grande pensiero di impotenza.
No, non lo mordeva, ne era certo: lui non poteva fare nulla. Gli era stato insegnato a colpire, tirare con l'arco, studiare piani di guerra, ma indagare nell'animo di qualcuno no.

E per quanto conoscesse Simone, non sapere che cosa gli fosse accaduto lo faceva temere per la sua buona salute, per la sua persona.
E sapeva che più di ogni altra cosa, Simone aveva tutto il diritto di incolpare suo padre per quello.
Fëanor glielo riconosceva: qualunque cosa fosse successa, tutto aveva avuto il suo principio da quando Simone era stato arruolato in guerra senza averne scelta.
Come lui, del resto, molte altre volte da ragazzo.

Quei pensieri però non aiutarono a sciogliere i fili dei suoi dubbi.
L'unica cosa per sciogliere il mistero di un'anima così lontana e silenziosa, era parlarne, con uno dei soldati.
Fëanor si alzò di scatto, vedendo proprio come riuniva le scodelle e le consegnava a una delle infermiere a cinque tende di distanza, affinché venissero lavati.
Le ringraziava. Fëanor si approcciò al soldato senza troppa fretta, cercando di restare piu quieto possibile. Ricordava come la sera in cui il principe era scomparso insieme agli altri, non avesse dato una buona impressione di sé, ma c'era da comprenderlo.

Ecco perché, quando si trovò davanti il soldato e quello captò dal suo sguardo che non si trattava solo un saluto serale, annuì lentamente.
Manuel si tenne una mano alla cinghia dov'era custodita la spada, camminò brevemente ed entrambi si misero in disparte rispetto al focolare, rispetto alle voci dei soldati che finivano il pasto.

« Ferro, » pronunciò lento Fëanor « c'è qualcosa in più che devo sapere? »
Manuel alzò un sopracciglio.

« Scusatemi- »

« Riguarda il principe. Non so come chiederlo... » gli occhi di Manuel erano già più consapevoli, li abbassò appena a terra. Era chiaro che qualcosa di brutto era successo. Gli occhi del soldato erano diventati subito più tristi. Fëanor quindi non esitò a continuare, per un attimo sembrò far combaciare lo sguardo spento del suo superiore a quello incerto del soldato che aveva di fronte.
« Quella notte, quando lo hai riportato in salvo. Quella notte, cos'è successo, di preciso? »

Manuel rialzò gli occhi e lasciò andare un sospiro.

« Non...non credo sia mia dovere dirvelo. Non sarebbe giusto da parte mia. »

Gli mancherei solo di rispetto.

Fëanor corrugò la fronte, una mano su un fianco. Il tono incalzava, ma non era tinto di prepotenza, solo preoccupazione.

« Vi ha detto lui di non dirlo? »

Manuel oscillò con la testa, negando.

Non è qualcosa che si dice a cuor leggero.

Il soldato sospirò poco dopo.

Di solito non si dice a nessuno quello che ci fa stare troppo male per paura di risultare deboli.

« No, ma penso che spetti a lui decidere se dirlo o no, » si morse le labbra e riprese « Io non sono nessuno per poter riferire ciò che è successo, non è giusto. Non sono nessuno per immaginare cosa abbia provato. »

So solo che vorrei ucciderlo di nuovo, quel bastardo, sotto le mie mani, all'infinito.

« Però sai che in questo momento ha bisogno di qualcuno... di conforto. »

Conforto.

A quelle parole Manuel si trovò spiazzato, annuì velocemente.

Se potessi fare qualcosa di più, la farei avrebbe voluto dirgli.

Ma la verità era, che Manuel dopo quella sera sotto le stelle, aveva avuto paura di riavvicinarsi a Simone.
Il principe si era allontanato, si era fatto distante, si era tenuto in disparte, com'era giusto che volesse.

La verità era che guarire da una mostruosità del genere, non era semplice.
E Manuel non poteva nemmeno lontanamente immaginare cosa Simone stesse passando.

Aveva visto però.
Manuel aveva visto un piccolo frammento di qualcosa che stava durando da chissà quanto e aveva deciso di mettervi fine.

E la memoria non lasciava scampo, era diventata una macchia per Simone.

Una cosa come quella, non si dimentica.

E Simone si stava macchiando giorno dopo giorno, di qualcosa per cui non aveva colpa.
Memoria per una bestia era morta e di cui non sarebba bastata nemmeno la morte a placare.

Fëanor sembrò fare centro quindi, in qualcosa che ancora non capiva del tutto, ma di cui sperava che sarebbe riuscito a fare venire in superficie.
Dopotutto, l'unico confidente possibile poteva soltanto essere stato il soldato che aveva di fronte, in quel preciso istante.

« State facendo tutto ciò che potete. » cercò di dire Manuel, ma la voce lo tradì, perché anche lui lo aveva osservato il comportamento di Simone in quei giorni e non sapeva come approcciarsi, non sapeva cosa fare.
Non sapeva cosa fare per riportarlo alla luce.
« È... lui credo sia forte, sarà forte. Non sentitevi in colpa... »

Sei ridicolo, Manuel.

Fëanor annuì poco convinto, così Manuel abbassò leggermente il capo, i ricci ridotti a una matassa scompigliata. Lo sguardo che saettava verso Elvira, che gli faceva segno col capo di stare entrando in tenda.
La distrazione gli costò un piccolo fremito al richiamo successivo.

« Manuel, » pronunciò Fëanor « voglio che tu sappia che non mi pento sia andato tu personalmente a cercarlo e riportarlo qui. »

Gli occhi del soldato si fecero di nuovo presenti, colti dallo stupore.

« I miei uomini avevano dei dubbi. E se io li avevo prima, adesso non esistono piu. » completò la guardia.

« Io non... » Manuel incespicò appena « lo avrebbe fatto chiunque » concluse finalmente.

Chiunque.
Non credo di essere l'unico con un cuore qua dentro.

E annuendo di nuovo al soldato, Fëanor gli concesse il beneficio del dubbio, perché se c'era una cosa che aveva individuato in quegli occhi, era un rispetto diverso. Non solo quello che per antonomasia e ordine era dovuto a chi guidava un esercito. Era un bagliore lieve, un piccolo punto acceso in mezzo al resto, ma era comunque un bagliore.

Fëanor lo lasciò andare via, si salutarono così, con un rapido cenno d'intesa. La guardia rimase lì a rimuginare sulle parole che Manuel gli aveva appena detto "non sono nessuno per immaginare cosa abbia provato".

Chiamò quindi, qualche minuto dopo Ingrid, la quale si trovò già pronta con il piccolo pentolino pieno d'acqua in modo da scambiarlo con quello per la carne che veniva tolto dal fuoco.
Anche quella sera, immancabilmente, la donna avrebbe portato a Simone qualcosa di caldo che potesse in qualche modo farlo rilassare.





 

 **



 

Alzatosi nel cuore della notte, Manuel, svegliato da Elvira e dal suo magnifico russare, non fu proprio stupito da ciò che aveva visto una volta messo piede fuori dalla sua tenda.
Superato il fuoco spento, superate le tende, superata di pochi passi la zona del campo, lì in mezzo a un cerchio creato da un po' di alberi, una mano tesa colpiva lo stesso albero nello stesso punto più volte, tendendo l'arco.
La stessa mano meticolosa, poi, afferrava una freccia dietro la schiena e ripeteva ossessiva il gesto.

E tra una freccia e l'altra poche parole.

Simone, tra un lancio e un altro, imprecava in parole mistiche. O meglio, Manuel pensò che stesse imprecando se solo avesse conosciuto la lingua in cui stava parlando.

Sembravano dure, aspre, lunghe o corte che fossero.

Parole senza riflettere.

Parole fatte per essere scagliate a un albero, magari fintosi nelle sembianze di qualcos'altro.

Era così, rigido, teso, intestardito a colpire un altro punto nel tronco cercando di spezzarne la corteccia.
E Manuel, fermo e immobile, non sapeva se andargli in contro o no.
Ripeteva meccanicamente il gesto, per poi recuperare le frecce ancora intatte. Cambiava albero girandosi appena, di fronte, di lato, di tre quarti. Poi ripeteva tutto daccapo, lanciando parole a caso al cielo, nella notte.

Fermati.

Il suo corpo sembrava una molla, ad ogni movimento di mano, arco teso, la freccia scoccava.

Sfogava così ciò che non diceva, sfogava così ciò che non riusciva a dire.

Manuel sentì il cuore farsi più pesante a quell'immagine.

Fermati.

Decisamente, non si aspettò quello che successe dopo: dopo un po', Simone lanciò un lamento e si portò una delle mani alla bocca, baciandone o forse succhiandone il dorso. Doveva essersi ferito, perché Manuel sembrò vedere qualcosa di liquido tracciare appena la pelle bianca.

Rabbioso Simone buttò una freccia a terra, la quale si conficcò nel terreno.

Si stava distruggendo.

Manuel provò a venirgli in contro quindi, cercando di lenire in qualche modo.
Ma proprio in quel preciso momento, proprio quando Manuel stava avanzando nel buio per dargli una mano, quando stava decidendo di inventarsi una scusa per la quale lo stava spiando ancora, stanco dallo sforzo, l'elfo ricadde a terra, lentamente buttò la faretra di lato.

Lentamente, quello si calmò.

E sempre lentamente dopo essersi accanito sugli alberi, si lasciò cullare dall'ambiente, facendo silenzio o forse semplicemente addormentandosi, così, senza fare rumore.
Prima però che cambiasse posizione, Manuel vide l'elfo acciuffare un piccolo ciuffo d'erba e giocarci con una mano.
Forse la stessa che si era macchiata di sangue.

E Manuel rimase lì a guardalo.
Si era seduto lì, sull'erba, vedendolo a una ravvicinata distanza.
Come qualcosa che si desidera ma non si può avere, come qualcuno che si vuole aiutare ma non si sa come.

Si era chiesto quella sera, perché non fosse intervenuto, perché gli venisse così difficile dargli un'altra via d'uscita.

La risposta era semplice: quello non era il momento giusto.

A volte si doveva superare il limite per riuscire a capire di poter chiedere aiuto. Anche se Manuel avrebbe voluto che il suo limite fosse già giunto alla fine del suo percorso, per poterlo confortare.

Simone aveva bisogno si sfogarsi, di stare da solo, in quell'istante. Forse anche per più di quell'istante.
Il principe, Simone, chiunque fosse dietro a quel cuore puro, a Manuel non doveva importare, perchè in quel momento era solo un'anima strappata alla serenità che necessitava salvezza.

Era da solo, ma non sarebbe stato sempre così.

Era da solo, ma lui gli avrebbe dato una mano.

Lui doveva fare qualcosa, anche la più piccola.

Ci riuscirò.

Manuel rimase lì, inchiodato a guardarlo, proteggerlo da lontano se possibile. Avrebbe iniziato a proteggerlo, come poteva, come doveva, come sentiva di dovere fare.

Io voglio che tu stia meglio.

Annuì a se stesso.

È una promessa.




 

**




 

Se c'era qualcosa che lo stava divorando, era dover continuare impassibile, a costruire una forza che gli era inedita e difficile.
Gli elfi era risaputo, avevano una grande forza fisica. E molti altri, anche interiore. E molti altri, venivano catapultati in scelte e obblighi di cui non sopportavano il peso, si barcamenavano in cose che avrebbero voluto non conoscere mai.
In quest'ultima descrizione, Simone si rispecchiava benissimo.

Il principe Simone ha qualcosa di strano sentiva vociferare alle guardie o per meglio dire, tutti tranne Fëanor, il quale teneva quelle considerazioni per sé.
Se c'era qualcosa che gli provocava prurito, fastidio, in aggiunta al resto, erano le voci di chi non sapeva.

Di chi non voleva sapesse.

Non era qualcosa di cui andare fieri.
Non era qualcosa di umano e normale.
Non era qualcosa di cui parlare come le cose di cui parlava con sua madre da piccolo.
E quindi era meglio tacere, per il bene degli altri, che il disumano andava dimenticato alla radice senza essere affrontato in modo che non tornasse a mordere nello stesso punto dove aveva attaccato.

Cosa avrebbero pensato?
Di certo la pietà sarebbe stato il primo sentimento a venire a galla e di certo, era l'ultima cosa che Simone avrebbe voluto.

Se lo sentiva costantemente inciso sulla pelle quello sporco, quel sudiciume in ogni fibra, ogni poro, ogni centimetro era percorso da quella sensazione di violenza, di vergogna, di colpa.

Quella tarda mattinata si era convinto a fare colazione solo grazie al tentativo di Ingrid.
La donna aveva minacciato di occupare forzatamente la sua tenda fino a quando Simone non avrebbe mandato giù almeno metà del cibo che lei gli aveva portato.

In più, non gli avrebbe concesso alcuna cura in caso di taglio, ferita, confusione che fosse e questo, citò testualmente, le sarebbe valso il triplo del dispiacere visto che lo conosceva da una vita e non solo in veste di cespuglietto.

Mezza mela, due pezzi di cioccolata.
Questa era stata la sua colazione, mentre soppesava lo sguardo dell'elfa anziana che cercava in qualche modo di fargli forza massaggiandogli il palmo interno di una mano.

Era davvero l'unico contatto che Simone non rifiutava: la lavanda gli arrivava alle narici e quel profumo era come un balsamo.

Se non ci sbrighiamo perdiamo le tracce degli orchi, continuò con tono acido e tentennante qualcun'altro fuori dalla tenda.

Il sospiro dell'elfo, la stanchezza e i suoi gli occhi che si chiudevano di conseguenza, non fecero altro che portalo alla decisione automatica di confermare la partenza per la sera stessa. Non aveva dormito neanche quella sera, ma poco importava: loro non capivano.

E Simone sapeva che parte di quel problema era legato a lui, soltanto a lui.
Beren riferì la decisione rapida, poco dopo e Simone non si curò di altri loro sguardi, - sguardi che seppur famigliare gli pizzicavano la pelle - superando gli altri uomini, salutandone solo alcuni con il capo, decidendo di concedersi tempo e spazio per sé.

Non aveva voluto portare Neve, alla fine.
La sua cavalla era la cosa più vicina a un'amica, a un pezzo di cuore, ma la verità era che anche lei meritava un po' di svago, di non domandarsi cosa potesse essere andato di storto in lui.
Erano troppi giorni che lei era costretta a guardarlo afflitto, spossato e soprattutto poco incline alla parola.
Ecco perché, Simone decise di andare da solo, in quella sua passeggiata. Nonostante Ingrid, all'ultimo secondo, raggiungendolo di fretta, si fosse offerta di accompagnarlo per un breve tratto.

No, iaur, vado da solo, torno presto, le aveva detto optando per un sorriso.

Se fosse realmente spuntato sul suo viso, quello non gli fu concesso saperlo. Gli occhi di Ingrid lo avrebbero guardato sicuramente non con meno amore qualsiasi espressione lui avesse avuto in viso.
Erano troppe ore che Simone non riusciva più ad emettere un singolo pensiero senza la paura di scoppiare. Al centro del petto si era creato un vuoto, una specie di piccola voragine la cui origine non era più rintracciabile.

Chissà dove vanno a finire le lacrime se il cuore non ne raccoglie più.

Se lo chiese più volte in quei secondi. A cosa serviva davvero un cuore se non serviva a calmare le pene?
Forse serviva altro, serviva altro oltre alla natura, alla musica, ai ricordi.
Per alimentare un cuore dal buio c'era bisogno della luce.

Non c'era modo di colmare il vuoto, nemmeno adesso che scendeva giù, vicino al mare, ma evitava di avvicinarsi, di spogliarsi.
Le chiazze rosse sulla pelle erano già passate, ma l'idea di ritornare in quella sorgente devastante umana, non lo allettava.
Simone rimase quindi seduto a debita distanza, osservando l'incresparsi delle onde, seduto su un scoglio meno frastagliato di tutti, con una strana superfice piatta creata nella roccia, per almeno un metro.

Non aveva paura della marea, aveva paura di cosa avrebbe potuto scatenargli. Per la prima volta nella sua vita, Simone aveva paura di se stesso. Chissà cosa gli avrebbe detto Cora, se sarebbe bastato restare fra le sue braccia ed essere cullato nonostante ormai, fosse diventato alto più di lei, o se al suono della sua voce avrebbe annullato ogni pensiero marcio.
Simone rimase lì a osservare come l'acqua si mangiava la poca sabbia, la bagnava, riprendeva il suo ciclo, formava la schiuma, risucchiava la sabbia e ritornava indietro.

Diventare qualcos'altro, diventare un'altra cosa.
Diventare qualcosa di diverso da ciò che sono ora.

Si ripeteva che l'acqua non aveva memoria ed era destinata a vivere limpida, intoccata, conosciuta solo a se stessa. Si ripeteva che se doveva rinascere, sarebbe voluto rinascere come lei, nella sua forma.

L'elfo sospirò chiudendo gli occhi. Il sole non era particolarmente forte quel giorno, ma faceva comunque caldo, gli batteva sul viso candido.
E solo in apparenza poteva sembrare l'immagine di qualcuno di sereno, ma che invece dentro, ospitava un tarlo divoratore.

Lotrón, Maggio, era quasi arrivato alla sua fine e Simone sapeva quanto fosse lontano il pensiero di ritornare già a casa.






 

Fermo con Maximus attaccato a una delle briglie, si era da solo proposto di andare a prendere la legna per il pranzo. In realtà, i suoi occhi erano stati vigili.
I suoi occhi non si erano schiodati da quando lo aveva visto ferirsi con l'arco. Fermo quindi, legando non troppo stretto Maximus ad un albero, annodando un'altra corda alla briglia,
Manuel non potè fare a meno di trovarlo.
Trovarlo con la luce del giorno, in attesa di aggrapparsi a chissà cosa, a quale nuvola perché le stelle di giorno non esistevano.
Lì, la sua figura che dava di spalle seduta vicino al mare. O meglio, a una distanza abbastanza precisa dall'acqua. Non gli importò nulla, semplicemente Manuel accarezzò sul muso Maximus col palmo aperto di una mano.

« Musone, io torno tra un po', non ci metto molto. » mormorò, lasciando il cavallo nero in compagnia di un albero abbastanza riparato dal sole, che gli avrebbe dato la giusta frescura e ombra.

Bastò un'altra leggera carezza sul dorso, per far sì che Maximus borbottasse qualcosa di incomprensibile in risposta, che però il soldato si convinse di interpretare come un incoraggiamento più che un lamento.

Manuel si avvicinò lentamente, senza in realtà sapere come approcciarsi non intendeva risultare invadente.

Prima lo spiavi, ora vuoi solo proteggerlo. Forse stai migliorando.

« È una bella giornata » mormorò senza alzare troppo la voce, le mani dietro la schiena, il passo incerto.

Fuori, sì.

Simone si voltò appena un secondo verso la seconda fonte del rumore, successiva alle onde, al mare.
Fu lì che il soldato lo vide: era lì con un vago accenno di un mesto sorriso che crollò miseramente subito, come se non avesse importanza, senza nemmeno dare il tempo a lui di memorizzarlo. Manuel si ritrovò a indicare la roccia su cui il principe era seduto.

« Posso? » mormorò senza smettere di guardarlo.

Simone rispose con un breve cenno del capo senza emettere un fiato.

Adesso che l'altro si sedeva, erano in due a condividere la vista di quella distesa salata, insieme.

In realtà non seppe bene perché, ma quel silenzio sembrò sovrastare per qualche attimo i pensieri che gli percorrevano la testa. Manuel deglutì a vuoto, dopo aver fissato per una manciata di secondi buona il mare, l'orizzonte, il punto in cui si stendeva ogni possibilità infinita o – se si sceglieva - il voluto limite di ogni essere umano.

Più guardava l'altro, più sembrava esserci una tensione sospesa, una goccia d'acqua cristallizzata senza possibilità di uscire e rituffarsi in mare libera, spontanea, salva.

La fasciatura sul dorso della sua mano sinistra, ora ferita, perché aveva tirato troppe frecce fino a farsi male, fino a stancarsi. Era tutto fuori da un preciso equilibrio. Un preciso ordine delle cose.

Non esitò più e il soldato parlò di nuovo. Si rivolse a lui, diretto, tagliando netto la sospensione delle cose ancora nascoste, perché venissero rilasciate.

« Come...come state? »

Fu una semplice domanda, niente di più.

Ed era normale farla, ma adesso, aveva un valore in più e la smorfia corrucciata che si disegnò addosso all'elfo gli bastò.

Fu una domanda piccola e innocente.

Simone strizzò gli occhi e incurvò le labbra, che tremarono appena si morse il labbro inferiore con i denti prima di ricacciarli dentro. Si sentì scuotere più e più volte.

Come state.

E poi, finalmente, lasciò andare.

Il mare usciva finalmente fuori, la tempesta era libera.

Sentì gli occhi pungergli e il sale uscirne fuori, gocce che sembravano spilli gli rigarono il viso. Ma mentre lo faceva, non li aprì mai, così che Manuel non riuscì a leggervi dentro le iridi.

« Non so più cosa sono, chi sono » ammise.

Un oggetto, un corpo, o forse solo un corpo.

I singhiozzi arrivarono, insieme al tremore che gli prese le mani che cercò di nascondersi addosso. Manuel non ci pensò nemmeno a un uso formale della parola, parlò senza filtrare nulla.

« Tu vali »

Se solo non avesse ricacciato le mani così sopra la sua vita a tenersi da solo, Manuel ne avrebbe afferrata una. Simone aprì finalmente gli occhi, le labbra si stavano bagnando di lacrime, gli zigomi già umidi.

« Qu-ella notte lui si è preso t-tutto...mi sento le sue mani addosso, ogni volta che chiudo gli occhi i-io mi sento s-sporco »

I singhiozzi si fecero più presenti, non si rese conto di ciò che gli stava accadendo. Stava piangendo davanti a qualcuno, dopo anni.

Dopo che non sapeva più cosa significasse farlo, aprirsi.

« È quel mostro a doversi sentire sporco, anche da morto. Lui è stato una bestia, » sputò fuori l'altro, correggendosi perché prima gli aveva dato del tu « lui non meritava di venire al mondo, non voi. »

Simone provò a guardarlo, la vista era già poco nitida, offuscata dalle lacrime incastrate. Non seppe perché, ma si aggrappò su di lui, le mani gli finirono sul petto in un gesto fuori controllo. Manuel lo prese con sé, con un po' di stupore. E cancellando la prima sensazione, tra i singhiozzi e l'essersi abbandonato a lui, lo strinse sulla schiena.

Non poté fare altro che lenire quella pena con le sue braccia.

E in parte il soldato si trovò felice di sentirlo sciogliersi, in parte si sentì utile, in parte invece avrebbe voluto smettesse di piangere.

Tutte metà contrastanti che convivevano insieme.

« I-io non riesco più a dormire » confessò con una voce disordinata, stropicciata. « non r-riesco, lo vedo ogni n-notte »

Simone deglutì per evitare di dare inizio ad altri singhiozzi, ma la mano del soldato si mosse leggera sulla sua schiena con un movimento verticale e quello lo portò a negare il suo volere di smettere. Fu un istinto di necessità, di bisogno primordiale. Sentì il suo calore.

Non era il mare, non era la terra, non era il cielo, era un altro tipo di cura.

Era solo calore umano.

Tutta questa cura, pensò Simone, la merito?

La marea è arrivata, pensò invece Manuel: erano i suoi occhi chiusi, nascosti, pronti a svuotarsi sulla sua spalla.

« Non...n-non dovresti essere qui... » mormorò tirando con il naso distraendolo dal flusso di quel pensiero « gli altri uomini si staranno allenando- »

Manuel sospirò.

« Se la cavano da soli. Non credo abbiano bisogno di me »

« Ma chiederanno dove tu sia finito »

« Avete ragione, ma non è questa la cosa importante adesso.»

Tu lo sei.

E Simone serrò gli occhi di colpo, inspirò ed espirò piano.
Provava a riprendersi, provava a recuperare se stesso.
Non era stato facile prima, ma forse, forse ora le cose cambiavano con Manuel disposto ad aiutarlo.
Senza farsi vedere, a favore di quel nascondiglio in quella spalla allenata, sorrise.
Calmandosi appena, adesso, riusciva a godere meglio di un nuovo profumo, al di là del sale che gli bagnava il viso. Era buono, sapeva di erba, terra, cuoio...quasi di sandalo, qualcosa che sapeva di casa. E tutto era così caldo, così sincero, inaspettatamente dolce.

« Lui non ha preso tutto. Potrà avere preso il vostro corpo, ma non la vostra anima. Quella è ancora qua. »

Io la sento.

Non seppe esprimersi in altro modo che non con il silenzio, tirò col naso e si scostò appena, pensando di dargli fastidio e invece a quel micro movimento, il soldato rispose come prima: non mollò la presa nemmeno un secondo.

« Vorrei dirvi che andrete avanti, ma non penso sia vero. Ma che vi darà più forza, sì, questo posso dirvelo »

Forza.

Simone scrollò la testa, avrebbe voluto chiudere le mani a pugno e scagliarsi contro quella sensazione viscida e impotente, ma quel petto lo stava accogliendo senza esitazione e lui non avrebbe voluto rinnegare l'ospitalità che gli stava donando.

« Hanno scelto qualcuno di troppo fragile. La fragilità non è sempre forza. » buttò fuori senza negarsi la verità. Riviveva quella scena in un loop infinito, non riusciva ad accantonare. « E sono stanco così s-stanco di dovere essere forte » mormorò senza emozione nella voce.

« Noi saremo forti anche per voi »

Io sarò forte per voi.

« Ma non c'è nulla di male ad essere fragili » proseguì Manuel morbidamente. Avrebbe voluto guardarlo negli occhi mentre glielo diceva, percepire il minimo sollievo nel suo sguardo.
« Principe, ognuno di noi qui è fragile, anche se non si vede dall'esterno, anche se non vuole ammetterlo. »

Ci fu di nuovo silenzio, Simone sentiva il suo stesso respiro che cercava di calmarsi un po' di più, addosso al battito di Manuel, più lento e regolare.

« Non l'ho detto a nessuno » pigolò piano l'elfo immerso nel suo calore.

Manuel annuì lentamente.
Se solo avesse potuto, una mano sarebbe salita a carezzargli la testa, ma non sapeva se al principe sarebbe piaciuta un'attenzione del genere, se avrebbe potuto in qualche modo rilassarlo soprattutto dopo quello che gli era successo.

« Credo che dobbiate fare ciò che sentite sia più giusto per voi »

Chissà cos'è giusto.

« Non credo di saperlo più oramai » vibrò.

Simone si scostò questa volta, gli occhi bassi. Manuel gli fece spazio allargando la presa, le sue braccia rimpiansero presto quel calore vicino, ma era giusto così.
Forzare le cose non andava mai bene. Forzare qualcuno a starti vicino non andava bene soprattutto se poteva sentirsi a disagio.

L'altro aveva gli occhi più gonfi, ma li vedeva, anche se bassi e distratti.
Erano così belli, anche se ci aveva appena piovuto dentro, anche c'era passato un maremoto di estrema forza.  La pelle bianca era diventata liquida per via del pianto e il soldato si tastò una sacca interna dei pantaloni larghi, per raggiungere qualcosa che poteva essergli utile.
Ne uscì fuori un fazzoletto più o meno largo, di stoffa. Lo usava più che altro per avvolgere la frutta, ma lo aveva lavato la sera prima.

Il gesto fu semplice, lo portò davanti il viso di Simone e quello delicatamente lo afferrò con indice pollice.

Ora anche l'elfo lo guardava.

« Grazie » sussurrò.

Il principe si tamponò il viso, le guance, gli zigomi, passando per ultimo sugli occhi. In realtà fece ogni gesto senza smettere di guardare Manuel.
Si ricordò che non lo aveva ringraziato davvero per quella sera, che sconvolto, annientato, disorientato, non aveva voluto più restare sveglio, ma il sonno non era comunque arrivato a prenderlo. 

Incespicò con le parole fissando il fazzoletto che ora umido, teneva in grembo chiuso tra le dita, sembrava cercarci dentro quello che voleva dire.

« Anche per quella sera. Non ti ho davvero ringraziato abbastanza. Mi hai... mi hai portato via..» sospirò incerto « Lui poteva...poteva- » non riuscì a terminare.

Manuel lo capì senza bisogno che continuasse.

« Ma non è successo » completò il soldato.

Per fortuna.

Lo guardò pienamente, al di là del sentimento di vergogna che spariva piano piano, della stanchezza in volto e del digiuno forzato.
Ci vedeva un terreno sicuro, stabile in quegli occhi, come se fossero fatti per dare conforto, per essere navigati.

Un soldato può essere un amico.

Simone ruppe il silenzio, restituendogli il fazzoletto. La mano si apriva e Manuel sfiorava con le dita il tessuto prima di afferrarne i lati.

« Devo... ho ancora il tuo mantello »  finì di dire.

Quella realizzazione lo colpì perché per circa due notti, ci aveva dormito dentro. E se ne era dimenticato. Il profumo però era quello, inconfondibile che aveva sentito poco prima. Scosse la testa, gettando via quella sua immagine patetica.

« Devo restituirtelo, non intendo tenerlo, ne ho portato qualcuno di riserva, servirà più a te che a me »

Eppure lui ci si era avvolto per più di una notte e non ci aveva più pensato. Simone si era dimenticato stranamente il male addormentandosi in lacrime, con addosso un semplice mantello.

« Neanch'io l'ho detto a nessuno »

Simone ritornò a guardarlo. Sembrava non esserci più alcun ruolo.

Sincerità.

« Prima che me lo diciate, non ringraziatemi, » continuò breve Manuel « era... è una scelta che non spetta a me. »

Questa volta lo scambio di sguardi fu reciproco, e uno dei due sorrise appena, mentre l'altro sembrava vagare alla ricerca di quella strana famigliarità in quelle semplici parole.
L'elfo aveva una mano sulla roccia, il palmo aperto contro la pietra fresca, una completa differenza rispetto a dove era posata prima.

Il nitrire di un cavallo, spezzò il silenzio idilliaco che si era creato in mezzo ai due. Simone si girò di scatto e notò l'animale, la folta criniera nera e ondulata oscillare, intento a tirare la corda spostando il collo e il dorso tutto a destra.
Non lo faceva in modo violento però, sembrava aver preso un ritmo per incitare il suo padrone a liberarlo. Il soldato roteò gli occhi.

« Credo proprio che qualcun'altro richieda la tua presenza » mormorò Simone.

Manuel annuì, sbuffando e girandosi a sua volta.

« Sì, non riesce a stare fermo per più di due minuti, avrei dovuto immaginarmelo » si batte le mani sulle cosce in un gesto esasperato e si alzò, continuando a sospirare riluttante. « Maximus, lui è diciamo...» si portò una mano su un fianco, cercando la parola giusta per descriverlo.

« Particolare. » l'elfo arricciò il naso, provando a indovinare.

Gli occhi ancora gonfi, ma che provavano a distrarsi. Il sorriso che gli fece Manuel poco dopo, accompagnò la sua risposta.

« Avrei detto più un gran testardo, ma sì, può essere anche quello un buon aggettivo »

« Ogni cavallo è diverso, non puoi entrare nella loro testa, » Simone scrollò le spalle « ma puoi cercare di capirli. Sentono tutto più intensamente rispetto a noi »

Aveva una luce piccola in mezzo a quelle grandi orbite gonfie e più rosse, che guizzava via dal suo contatto visivo.

« Certe volte però vorrei fosse lui a capirmi di più. » a quelle parole Simone si bloccò un attimo, cercando di rispondere in modo adeguato, ma il nitrire del cavallo in lontananza aumentò. « Con il vostro permesso, "il particolare" non può aspettare un minuto di più » si sbrigò a dire Manuel e quell'occhiata scocciata divertì Simone più del previsto.

Senza tante cerimonie, si voltò quindi per raggiungere il cavallo, su lungo le rocce, ancora perso tra la poca terra ed erba all'ingresso dell'insenatura marina.

Simone si chiese se quella fiducia poteva essere duratura. Se invece di Maximus, Simone avesse potuto in qualche modo abituarsi alla presenza di Manuel, come una costante di sicurezza.
La sicurezza che gli aveva dato qualche minuto prima.
Un porto sicuro oltre a Neve, oltre ad Ingrid.
Si alzò quindi, vedendo l'altro intento a slegare il suo cavallo. Non fece molta strada, rimase più che altro a mezza via, mantenendo comunque dello spazio.

Forse era il caso di lasciare abbattere, liberare ancora qualche onda.

Era ora di navigare senza pensieri.

« Manuel » lo chiamò, restando fermo, i piedi sulla roccia.

Il soldato si girò, aveva sciolto completamente il suo cavallo dalla corda. Il sole colpì la porzione del viso che andava dal naso alla bocca.

Coraggio.

« Voglio, io voglio che mi insegni ad utilizzare la spada. » disse senza fermarsi, deciso.

Non riusciva molto bene a guardare i suoi occhi a quella distanza, ma notò una certa sorpresa perché la fronte del soldato si alzò, formando qualche piega.
Avrebbe voluto che il sole illuminasse anche lo sguardo.

« Voglio che tu mi dia lezioni. » ripeté l'elfo, avvicinandosi, le braccia lungo i fianchi.

Poteva vederlo meglio adesso, il cavallo li stava studiando ma era normale lo facesse.
Simone ricordava l'ultima volta che aveva sentito con le mani tremolanti il suo pelo e ne aveva cercato il conforto in quella serata maledetta.
Gli dedicò quindi qualche secondo, giusto perché in realtà aspettava con ansia la risposta del soldato e una minima parte di sé aveva paura si rifiutasse.
Maximus sembrava chiedergli con quei due globi 'cosa vuoi da lui' e in quell'istante, Simone abbandonò l'attenzione sull'animale.

Vorrei avere il suo stesso coraggio, pensò.

La mano di Manuel era su entrambe le briglie che tenevano fermo il cavallo nero, il capo che annuiva.

« Quando...quando volete iniziare? »

« Il prima possibile » rispose mordendosi un labbro. Annuì a sé stesso, dando un occhiata a come Maximus si avvicinò leggermente scalzando il padrone.

« Maximus- »

« Va tutto bene » Simone gli carezzò il pelo in mezzo agli occhi. Lo sentì sbuffare un po', prima che accettasse il suo tocco.

Simone non poteva vederlo, ma Manuel scambiava lo sguardo dall'uno all'altro.

« L'altra volta non avevo un buon odore, mi spiace. » sentì il frisone rilassarsi dopo alcuni tocchi, poi tornò al soldato « Cominciamo domani, appena avremo sistemato la nuova postazione prima che venga servito il pranzo o la cena »

« Va bene » si limitò ad aggiungere l'altro « ora però dovrei...dovrei prendere la legna, penso mi abbiano dato per disperso »

Simone si staccò da Maximus il quale si stava stranamente irritando - forse perché i due bipedi stavano concentrando la loro attenzione su qualcuno che non fosse lui - e camminò affianco.

« Lascia che ti aiuti, mh, in due si dovrebbe fare prima. »

Annuì avviandosi insieme a Maximus tenuto per le briglie, affiancando l'elfo. Non poteva fare a meno di chiederglielo, mentre si dirigevano verso gli alberi più bassi e robusti.

« State meglio? »

Non ci stava pensando più, non ci aveva pensato più dopo quell'abbraccio. In quei secondi, non ci pensava proprio, si librava col corpo e illusoriamente con i piedi a terra.

« Un po' soldato, sì. »

Sto meglio.

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Capitolo 10
*** Spada ed Arco ***


 

Spada ed Arco





La strada per Arcya fu percorsa molto presto quella mattina.
Il sole non era ancora sorto, le truppe avevano caricato i bagagli e Neve sembrava contenta di muoversi dopo giorni in cui era stata ferma.
Giorni in cui, Simone la aveva fatta restare ferma perché non riusciva a cavalcare con lei. Si sentì subito in colpa infatti, quando la cavalla accolse il suo padrone festaiola, sbuffando felice, muovendo su e giù il capo.
Pensò a quanto l'essere stato male lo avesse in minima parte allontanato da lei, quanto la sua apatia avesse scalciato l'unico ricordo buono e bello a un mese dalla morte di sua madre.

L'unica sua amica da anni.

Percorsero in realtà due ponti di cui uno abbastanza mal ridotto, con cui ognuno a cavallo fece attenzione.
Il peso di una centinaia- e anche di più, - di cavalli, non sarebbe stato proprio una cosa da nulla.
I colori del cielo erano cambiati varie volte e l'unica figura che in realtà Simone distingueva a parte una serie di divise e teste, fu quella di Manuel in sella a Maximus.
Avrebbe voluto salutarlo quella mattina, ma non ne aveva avuto il tempo.
Un po' perché aveva cominciato a pensare e un po' perché il soldato stava parlando con Elvira e non aveva voluto disturbarlo.
In più, si aggiungeva il fatto che Neve, adesso, fosse fin troppo contenta di proseguire scavallando ben due soldati, per essere solo una cosa collegata al fatto che lui le avesse rimesso la sella e avesse deciso di comunicare di nuovo a cuore aperto con lei.
Andava spedita, come se si trovasse in un campo.
Appena Neve scavalcò ben altri due soldati ancora una volta, guidando si sua sponte lei l'elfo, Simone dovette tirare le sue briglie per frenarla, osservato tra l'altro dagli occhi confusi di Beren, Amras e Fëanor.
La sentì borbottare appena con la sua man dedicò una carezza sul suo pelo, mentre avanzavano.
Sembrava confuso in principio, ma poi capì, anche perché la visuale non lasciava dubbi: soltanto due file più avanti, c'erano Manuel e il suo cavallo nero.

Neve, che ti salta in mente?

Neve era rimasta da sola, in quei due giorni, perché lui la raggiungeva solo a tarda sera o nella prima mattinata.
Era normale che avesse cercato compagnia altrove a parte Beren ed Ingrid. Inoltre, era pur sempre una cavalla.
Ipotizzò che in qualche modo aveva dovuto consolarsi nelle ore solitarie fuori dalla sue cure, da quelle di Ingrid.

Continuò ad accarezzare il suo pelo bianco, sussurrando parole in elfico che solo lei e qualcun'altro poteva comprendere.
Qualcosa come "scusa", "non ti lascio più Lösse", tante piccole litanie. Il tutto senza staccare gli occhi da quella possibile fonte di distrazione per lei.
Non gliene avrebbe fatta una colpa, ma non voleva metterla in pericolo. Soprattutto in quel frangente. Con sangue, sforzi e infinite morti.
La vita della sua amica era più importante di una cotta durante un'impresa militare.

Non avrebbe permesso che rischiasse tanto. Non quando lui era stato così distante, non quando lei significava così tanto per lui.

Se non altro però, l'idea che quel cavallo nero la avesse importunata, gli sembrava una coincidenza assurda.

È particolare.

Se non altro, era stata singolare la sua scelta.

Quella voglia di ricongiungersi con la sua amica e il cielo che sfumava, seguirono col paesaggio a fare da contorno, che arrivò dopo alcune ore di cammino. Fu Beren ad annunciare il loro arrivo definitivo.
Cominciarono a scaricare il carro, i bagagli, a fare riposare i cavalli.

Arcya si affacciava tra il mare e la montagna e su quella, delle piccole case si stendevano a diverse altezze. Sembravano dei piccoli punti colorati per via delle chiazze di vegetazione e bestiame.
Simone riusciva a distinguere qualche chiazza che si muoveva a quattro zampe.
Il panorama - visto dall'insenatura un po' meno stabile e mista a terra e sabbia, dove si trovavano - era stupendo.

Piazzarono le tende con un po' più di difficoltà dato il terreno era più cedevole. E ogni uomo dovette reperire della legna robusta da tagliare per fissare e legare meglio le tende.

In quel via vai, il sole era cominciato a salire in cielo e per il caldo, alcuni avevano tolto il primo strato delle tuniche per lavorare, allenarsi.
Il mese di Giugno era arrivato, l'estate avrebbe voluto altri pochi giorni per dare inizio ai lunghi giorni e tramonti.
Simone, invece, aveva cominciato a dedicarsi alla colazione per tutti, insieme ad Ingrid e alle altre donne.
Distribuivano sacchetti di iuta con le provviste di cibo ad ognuno dei soldati che finiva si montare le loro tende.
Uno per uno, prendevano i loro sacchetti e si riunivano in piccoli gruppi intenti a parlottare.
Non guardava in volto proprio tutti, per la fretta di distribuire la razione.
Ingrid riempiva ogni sacchetto con cura, facendo attenzione a non escludere niente: pane, miele, formaggio, frutta.
Al prossimo che prendeva la sua colazione, però fece un'eccezione.

Manuel afferrò l'oggetto e Simone si accorse di lui fermandosi per un breve istante. Quello gli regalò un sorriso e l'altro non seppe rispondere se non con un altro. Un po' di sudore gli imperlava i lati della fronte, il sole gli batteva sugli occhi.

« Grazie » mormorò. Manuel strinse forte il sacchetto con una mano.

Lo guardò per bene, nella sua tenuta comoda, seduto sulle ginocchia, i pantaloni sporchi di quella terra fine, l'aria decisamente impegnata per potersi lasciare incupire da altro.

«Quando volete, principe »

Simone annuì e si guardò per un secondo intorno. Gli uomini erano distratti e avevano già cominciato a parlottare tra loro. Il soldato aggrottò la fronte. « Avete cambiato idea? »

Aveva parlato con Fëanor riguardo quella decisione, la giornata precedente, di come aveva cominciato a capire di volersi difendere. Che pensava Manuel fosse il più indicato a dargli lezioni. E che avrebbe pensato a un piano di azione dopo la perlustrazione. Non gli aveva detto altro. La guardia non se ne era affatto preoccupata, solo che adesso, Simone si rendeva conto si essere leggermente in ansia.

« No » si sbrigò a dire Simone, Ingrid continuava a distribuire i pasti. Cercò di forzare un sorriso per mascherare il sentimento improvviso « No, per niente. Dopo colazione? »

Il soldato sorrise di nuovo, annuendo.
Simone gli fece cenno di sbrigarsi, guardando la sua colazione nel sacco e alzando lo sguardo.
Manuel sembrava essersi bloccato.

« Spero tu abbia dormito bene. » buttò fuori poi.

Manuel annuì. Simone incurvò le labbra. « Credo sia meglio che mangiamo entrambi, soldato. »

« Giusto » Manuel si grattò la nuca con la mano libera « Come si dice in questi casi, mh, buona colazione? »

Il soldato aveva socchiuso o meglio, strizzato un occhio per via del sole. Quella cosa riuscì a sganciargli un sorriso.

« Buona colazione » rispose l'elfo, chiudendo la conversazione con un cenno del capo.

Simone riprese a distribuire il cibo, senza però evitare di notare l'altro allontanarsi, percorrere la strada da dove era venuto e andare a parlare con Elvira, la quale stava già mangiando, sedendosi proprio davanti alla tenda ancora in fase di montaggio.
Pensò adesso di capire davvero come si doveva sentirsi lei.
Al di là delle diverse altre attenzioni che magari riservava a lei.

Non aveva importanza però, perché poteva anche lui dirsi fortunato adesso, di avere trovato un amico come Manuel.



 

Quella dove - dopo aver fatto colazione - scelsero di fare la prima lezione, era una piccola zona circondata da alberi di mirto, frassini e piante come alloro e rosmarino, il cui odore si diffondeva nella calura già estiva di quel giorno.
I raggi del sole filtravano passando attraverso le foglie, riempiendo di sprazzi luminosi la natura stessa quasi di una luce divina.
Poco distante da dove era stato organizzato il bivacco, verso la discesa che univa più sabbia che terra, creando uno strano terreno, Simone si sentì subito a suo agio.
In realtà, parte di lui era ansioso per via di cosa avrebbe imparato di nuovo, ma respirò comunque a pieni polmoni.
Chi portava con sé una spada e una soltanto, era Manuel infatti, Simone aveva appoggiato il suo arco e le sue frecce in un angolo vicino.

Non pensando quindi a nulla, agì di puro istinto.

Il famoso istinto infantile di un bambino senza pensieri, nè ansie, nè scheletri nascosti nella memoria.

Non pensando a nulla se non a una possibile e migliorie vista del mare e delle montagne come prima, Simone ne approfittò per salire su uno degli alberi più resistenti e robusti, evitando di farne cadere le foglie. Manuel vide il Principe agile salire l'albero, gambe che scalavano la corteccia aggrapparsi al tronco con l'aiuto delle braccia, raggiungere cauto il ramo e tenersi stabile.
La sua bocca si aprì per lo stupore, ma la paura che potesse cadere rimase presente in ogni caso presente insieme alla novità di vederlo così agile.

« Siete forse impazzito, che ci fate la sopra? Cosa siete, un uccello? » mormorò alzando il tono di voce, lo sguardo.

Non preoccuparti, soldato.

L'idea non era male, sposava pur sempre il suo concetto di essere qualcun'altro, qualcos'altro. Forse avrebbe scattato il volo, chiudendo gli occhi e finalemente, trasformandosi.
Ma era piuttosto incredibile come sogno, quindi, Simone restò con le gambe penzoloni poco più che al centro del ramo robusto e le cui venature erano intricate e forti.

« È una cosa che ho imparato da piccolo...al posto delle spade. Mi divertiva. »

Cespuglietto che cosa fai lì, cadrai giù!
Sembrò sentire Ingrid che lo sgridava, qualche giorno dopo che era stato male e costretto dentro casa. Manuel lo guardò con occhi teneri, perso in quello che doveva essere un ricordo sereno.

« Io non potrei mai » mormorò con voce tremula.

« E perché, soldato? »

Il soldato con la spada rivolta a terra e il naso che si arricciava, una smorfia sul viso.

« Ho paura delle altezze »

Il principe si girò a guardarlo. Annuì comprensivo. Poi tornò ad ammirare il cielo: c'era qualcosa di così pacifico in quella distesa tutta a portata dei suoi occhi.

« Beh, se non altro da qui si ha una visuale ottima per avvistare qualche nemico »

« Ad ognuno i suoi metodi... adesso però scendete per favore! »

Non nascose nemmeno la preoccupazione nel tono e quell'aspetto lasciò Simone abbastanza incuriosito. Allargò le braccia, il ferro della spada luccicò nella sua presa.

Gli sembrava davvero potesse essere Ingrid adesso. In diverse vesti, più piacevoli allo sguardo - questo era chiaro - ma l'espressione sul suo volto era evidente e famigliare a quella della donna che lo sgridava amorevolmente da piccolo dopo avergli dato le giuste cure.

L'elfo fece quindi dietrofront e lentamente avvinghiò i piedi sui rami più corti iniziando a scendere.
Il soldato gli tese comunque la mano, una volta che il principe fu vicino a scendere e ovviamente, la rifiutò.

Sorrise una volta atterrato sano e salvo con i piedi a terra.

« Grazie, ma ci sono cresciuto sugli alberi, soldato »

Quella sicurezza e prontezza si spirito di certo era il segnale, la strada giusta per iniziare il loro primo giorno di allenamento.

« Se si combattesse contro i giganti, sareste il numero uno, allora. »

« Li preferirei di sicuro agli orchi senza dubbio » mormorò appena, risucchiando le labbra.

Manuel si grattò il capo.

« Beh, a quel punto dovreste essere voi a insegnarmi qualcosa. »

Io non ho nulla da insegnare.

Quella lusinga non la meritava, soprattutto da una persona buona come lui. Questo però non fu spiegato alle sue guance che diventarono più colorate.
Non poteva controllare quello, così come le sue parole.
Simone annuì e sospirò.

« Bene, cominciamo? »

« Ehm... sì, certo, cominciamo. Ci andrò piano con voi, visto che è la prima volta che usate una spada »

Simone lo guardava attento. Si mise dietro di lui, gli fece impugnare l'elsa della spada che da solo, gli risultò pesante.
Difatti, il braccio ricadde subito verso il basso per via dello sforzo che stava facendo con una sola mano.

« No, aspettate, provate a tenerla con entrambe le mani »

E allora afferrò la sua mano destra affinché la presa diventasse salda. In quel momento, si sentì in colpa. L'altro era rigido, la schiena tesa e quindi si scostò perché ne percepiva il disagio. Si staccò proprio dalla sua schiena e lo lasciò fare.
Forse non era l'approccio migliore dopo tutto.

Era passato poco da quello che era successo e lui non voleva ricordaglielo in alcun modo.

« Manuel »

Ah, mi chiama per nome.

« Sì, principe? » chiese allora, attento.

Gli occhi dell'altro erano così grandi e supplichevoli che Manuel si sentì doppiamente in colpa.

« Se non mi spiegate non potrò mai capire. Non... non vi preoccupate »

Il soldato mosse le dita indicando il vuoto che c'era davanti a sé e in mezzo al corpo del principe.

« Non voglio creare nessun disagio. »

« Devo imparare a difendermi. » disse lentamente Simone senza perdere il contatto visivo con l'altro. « Ho bisogno di farlo, voglio capire come. Va tutto bene.»

Almeno credo.

E allora Manuel annuì e piano, molto piano, si riposizionò come prima, lo aiutò a impugnare l'elsa.
Lo guidò come se tenesse in mano un coltello affilato che potesse in qualche modo nuocergli al solo tatto, e sollevarono insieme la spada, che assunse una linea verticale all'altezza del viso e lungo tutto il corpo di Simone.

« Dovete sentirla come un prolungamento del vostro braccio. Non deve essere la spada a comandare voi, ma il contrario. »

Era un come una specie di abbraccio.

Non stringeva, non faceva male.

Era come una specie di cura.

Non costringeva, non ossessionava.

Manuel era riscaldato dal sole e Simone sentì il profumo di cuoio più distintamente. Cercava di annuire concentrandosi solo sullo strumento tra le mani, che ora non erano più unicamente le sue, eppure sempre più convinto che il suo naso dovesse smetterla di essere così sensibile a quell'odore.

Fu difficile non pensare a come la sua vulnerabilità giocasse un ruolo importante in quell'intreccio.

Le mani sull'impugnatura cercarono di guidarlo, spostando la spada ora a destra poi a sinistra, in alto e in basso. Seguiva movimenti meditati e controllati, non troppo di scatto.
Era una specie di armonia, come se Manuel stesse comunicando mentalmente a quell'arma come muoversi senza fare danni e nel modo più leggero possibile.

Per di più, l'elfo, sentiva il suo respiro, regolare e calmo, soffiargli appena sulla guancia.

« Non sembra uhm, complicato » mormorò Simone sovrappensiero.

Manuel annuì, molto lentamente lasciò l'elsa, le mani sfiorarono le braccia di Simone rapide e si mise un po' da parte.

« Ora, vi lascio provare da solo »

Simone pentì di averla pensata così facile ed in quel modo nel momento esatto in cui avvertì tutto il peso solo sulle sue mani. Buttò fuori l'aria e barcollò per un secondo con un piede indietro. Il terreno era cedevole ma i suoi riflessi gli fecero ritrovare il baricentro.

« L'equilibrio principe, è tutto. Dovete pensare che voi e quell'arma siete una cosa sola. »

« Devo sembrare piuttosto ridicolo » puntò la spada sul terreno, e rise di se stesso amaramente.

Non è vero.

« Non c'è fretta » rispose morbido.

Manuel si piazzò davanti a lui di conseguenza. Guardò quelle dita che si toccavano con l'altra mano sull'elsa, appena nervose.

« Quando vi sentite pronto »

Simone quindi inspirò e butto fuori l'aria e sollevò la spada portandola in posizione verticale, appoggiò una mano sulla lama. Il suo viso sembrava scisso a metà adesso.

« Bene, ora provate a muovervi, se riuscite » lo incitò Manuel.

Un piede in avanti e la spada assumeva un movimento obliquo, un altro piede e questa per poco non cadeva, ma ripristinò la presa con entrambe le mani e ricominciò daccapo. Un altro piede ancora e la spada si muoveva piano in orizzontale, tracciava delle dita sopra il ferro. Ogni volta che l'elfo si muoveva, lo strumento assumeva una posa per lui identica o diversa a seconda di come la reggeva e ogni volta che gli sembrava di perdere l'equilibrio, aggiustava il baricentro grazie alle mani di Manuel messe a formare un quadrato immaginario sopra la sua testa.

« Il respiro » gli ripetè morbido il soldato « Non pensateci troppo, è solo acciao, voi invece, siete fatto di carne. »

« L'acciaio è un po' più resistente della carne. » arricciò il naso, provando a dissentire.

« La tempra di chi ha due polmoni, due occhi e due gambe, molto di più. »

Proseguì così il suo incoraggiamento, fino a quando l'equilibrio veniva perso poche volte rispetto al principio e fino a quando Manuel non parlò ancora, facendo fermare il principe.

« Bene, ora che avete trovato un equilibrio...vi farò colpire mh, vi farò colpire qualcosa » si passò due dita sul mento.

Simone alzò un sopracciglio.

« Come colpire qualcosa? »

« Sì, è pur sempre il primo approccio. Aspettate un attimo »

Manuel si guardò intorno, sembrava tutto idilliaco: alberi integri, piante profumate, rumore di qualche uccello che si incuriosiva affacciato in mezzo a qualche foglia.

Finché non lo vide, a una distanza di circa dodici passi.

In tutto ciò Simone lo guardò incuriosito non riuscendo a capire che cosa cercasse.

Poi si allontanò qualche secondo, uscì fuori un coltellino svizzero legato alla caviglia con un laccio di cuoio e cominciò a incidere su un tronco d'albero: abbastanza leggero.

Lo sollevò e poi lo piantò proprio davanti ai piedi del principe.
L'elfo lo guardò confuso, passò infatti gli occhi grandi dal tronco a Manuel e viceversa.

« Devo colpire un tronco?»

Manuel oscillò con il capo.

« Non il tronco, » il soldato ripose il coltellino svizzero in pochi attimi, le dita si mossero su dei cerchi scavati dentro la corteccia, erano abbastanza irregolari ma divisi per grandezza « ma questi qui. Non dovete spezzare il tronco, solo colpire il cerchio, mirando dentro con la punta della lama » finì di spiegare per rivolgersi ai suoi occhi, ora più chiari, ma non meno confusi.

« Oh »

Quella bocca si incurvò e Manuel pensò fosse davvero dolce quella sua espressione.
Era l'esatta combinazione tra qualcuno di totalmente irreale a qualcuno di un'età che poteva facilmente ingannare un occhio ben allenato.

« È un po' come quando usate l'arco. » precisò.

Simone corrugò la fronte, imbronciandosi quasi.

« L'arco è più leggero, » obiettò Simone, sospirando « e lì l'aiuto è anche in parte dato dalle frecce. Qui, soprattutto, potrei mettere troppa forza o troppo poca »

« Concordate con me che il principio però è lo stesso: mirare a un obiettivo. »

Ha ragione.

« Posso tenerlo fermo io per voi. » le mani già ferme ai lati del tronco.

Non so usarla questa spada ancora.

« Non vorrei colpirti. »

« Se vedrò che vi avvicinate troppo, mi scanserò » alzò per un attimo entrambi palmi delle mani dal tronco.

Lo sguardo abbastanza impazzito, folle, che gli dedicò fu proprio reale.
Simone pensò che gli umani dovessero provarci gusto a tentare il pericolo, a rimanere col brivido del limite vita-morte, ma la sua ostinazione proseguiva. Le mani del soldato erano nello stesso posto dove erano state posizionate pochi secondi prima e attendeva.

« Mi scanserò » ripeté.

Simone chiuse gli occhi. Respirò due volte, alzò la spada: sbarrò gli occhi concentrandosi sul primo cerchio.
La lama si conficcò leggermente più a sinistra che al centro, con una forza media.
Si formò una tacca proprio in quel punto del legno.

« La forza andava bene, » sussurrò Manuel, non muovendosi dalla sua posizione accovacciata « dovete guardare di più alla mira. »

Simone annuì velocemente, recuperando fiato. Lo preoccupava mancare la presa, farsi sfuggire la spada.
Non doveva succedere.

Riprovò con il secondo cerchietto disegnato e incavato sulla corteccia.

Questa volta, la lama andò troppo a destra e disegnò la seguente tacca in quel punto.

Il principe sospirò sconsolato, fissando il terzo cerchietto, il più grande e quindi, il più facile.

Ironico.

« Un ultimo tentativo »

Potete farcela.

Simone si concentrò ancora, prese e butto fuori l'aria dai polmoni, alzò un'ultima volta la spada, l'acciaio brillò al sole e colpì il legno.

La tacca si formò esattamente al centro, formando due esatte metà del cerchio disegnato.

Sorrise in mezzo al sudore che gli bagnava la fronte. Tutti i suoi denti erano in vista ed era un sorriso di cui aveva nostalgia e che Manuel aveva potuto vedere unicamente settimane fa. E lui, lo accompagnò di conseguenza.

« Era il più facile » disse, quindi, senza fiato l'elfo toccandosi un orecchio.

Il soldato si alzò in piedi, sfregandosi le mani. Il sorriso lo aveva ancora addosso e Simone finalmente vide il sole battere lì, sugli occhi. Sorridevano pure quelli, se era possibile.

« È comunque un buon risultato, dovete esserne fiero »



 

 **




 

 

Alcuni giorni dopo, proprio quando stavano per essere fatta la solita perlustrazione della zona e Simone stava pranzando, arrivò una lettera.
Fu proprio Fëanor a consegnargliela. I suoi occhi di verde accesi dicevano già tutto e poi, il figlio riconobbe il sigillo:
arrivava da suo padre.
Simone avrebbe voluto che la sua guardia restasse, ma sapeva anche che non avrebbe voluto che nessun'altro lo vedesse piangere se non si fosse trattenuto.

Solo Manuel sapeva cosa lo turbava. Sono Manuel lo aveva visto piangere. E lui non era ancora pronto per fare di tutte quelle emozioni un enorme calderone di sguardi compassionevoli e frasi tirate fuori per l'occasione.

Solo perché era un reale.
Solo perché era un capo.
La persona, finiva come sempre, all'ultimo posto della lista.

Ecco perché appena ritornato dentro la sua tenda, lontano da tutto e tutti, Simone staccò il sigillo e aprì la carta. Il testo era abbastanza corto da essere misurato con una mano e mezza, la scrittura allungata ed elegante.

Le lettere alla sommità recitavano Re Elrohir.

"Caro Simone,
se stai leggendo questa lettera vuoi dire è arrivata finalmente a destinazione. Scrivo per sapere come sta procedendo la campagna militare e soprattutto per ricevere tue notizie.
Per ora è solo grazie a Fëanor che riesco a tenermi aggiornato sugli spostamenti.
Sono molto fiero di te."

Simone si fermò su quelle ultime parole, più volte, prima di riprendere nella lettura. Un sorriso traboccò fuori dalle labbra, i pollici stringevano la carta ai lati.

Forse qualcosa aveva fatto, forse suo padre e lui potevano ricongiungersi una volta finita quella cosa strana e insensata, la guerra.

"Sono fiero e sapevo che saresti cresciuto, lo stai ancora facendo.
So di essere stato duro. E capisco il tuo riserbo nei miei confronti
Ma credo non ci fosse altro modo per farti entrare nel vero mondo, un mondo diverso da casa, diverso da come ti è stato mostrato.
Non è sarà dei migliori, ma è la realtà, Simone. La realtà on è un posto giusto.
Perciò, capirò i tuoi turbamenti per ciò che leggerai adesso.
C'è qualcuno che al tuo ritorno potrebbe essere interessato a prenderti in matrimonio.
Lascio a te, appena ritornerai e la campagna sarà finita, di avere modo di conoscere questa persona.
Cerca di capire, figlio,
il nostro futuro è legato a te.
Ci sono doveri che ci spettano.
Ci sarà tempo perché tu rifletta.
Ci sarà tempo perché tu possa confidarti con Fëanor o Ingrid. Manda a lei i miei saluti.
Ci sarà tempo anche per parlarne se vorrai, ma è qualcosa che va fatta.

Buona fortuna,
Tuo padre."

La carta fu accartocciata e buttata in un angolo senza cura. Simone deglutì a forza cercando di espellere dalla bocca quella frase qualcosa che va fatta. Sembrava la bambola del Re da dover manovrare a suo piacimento.
Se suo padre era fiero di lui, il sentimento lo gratificava, ma il senso di gratificazione e anche di affetto che poteva celarsi dietro quelle prime parole era vano se metteva in dubbio e negava il suo desiderio di non essere costretto a sposare chi non amava.
Suo padre non avrebbe mai capito.

Afferrò quella carta maledetta e uscendo fuori dalla tenda, la prima cosa che fece fu darla in pasto alle fiamme. Si accartocciò ancora di più su se stessa, divorata dal fuoco. E l'atto non mancò o sfuggì agli occhi di Fëanor o a quelli dei presenti nelle vicinanze.

Sono fiero di te, ma devi sposare chi ti dirò io.
Sono fiero di te, ma non va bene non lasciare una linea di discendenza.
Era tutto un sono fiero, ma.

Simone quindi prese Neve - che aveva finito il suo pasto frugale - per le briglie e decise di allontanarsi per fare una passeggiata con lei e smaltire l'improvvisa rabbia che lo invadeva.



 

 

**


 

Elvira vide Manuel arrivare in tenda e   intento a tamponarsi il sudore sulla fronte con un pezzo di stoffa asciutta che gli era stato dato da una delle donne, dato che aveva dimenticato il suo.
Era ppena tornato dall'allenamento pomeridiano con il principe e da questo bisognava aspettarsi più di qualche domanda da parte della ragazza dai capelli rame.
Ancora però, lei non aveva - per sua fortuna - avuto modo di chiedergli nulla perché dopo ogni incontro per allenarsi, Manuel era troppo sovrappensiero per parlare oppure si distraeva spazzolando Maximus o scarabocchiando sulla sabbia con un ramo prima che arrivasse l'ora di cena.

« Bentornato, e per favore Manuel, sciacquati un po' prima di rientrare a dormire stasera, altrimenti infesterai l'intera tenda »

Manuel le fece il verso, accompagnato dalla testa piena di ricci che si muoveva meccanica.

« Beh, devo dire che è sempre originale il tuo saluto, Elvira » pronunciò il suo nome con enfasi.

La ragazza se ne stava con le ginocchia intrecciate, le armi messe di fianco poco distanti dalle brandina, degli elastici in cuoio al polso, i capelli che venivano spazzolati con cura e attenzione. Manuel prese posto in uno spazio della tenda, togliendo un attimo gli stivali e sbottonandosi appena la maglia dai lacci, con due dita e liberando la poca porzione del petto, oppresso.
Le sopracciglia di Elvira si alzarono, la spazzola vecchia che si fermava a metà percorso.

« Intendevo darti una rinfrescata fuori da qui, a meno che tu non voglia- » mise uno sguardo felino, si alzò sulle ginocchia, imitando male e ironicamente, chissà quale ragazza seducente.

Manuel le lanciò contro una scarpa, mancando la mira.

« Scema! »

« Oh, scusami, non pensavo fossi solo proprietà esclusiva del principe, adesso » borbottò lei ridendo di gusto. Elvira quindi, riprese a spazzolarsi i capelli.

Manuel sospirò decidendo di non rispondere a quella sua velata provocazione.

« A proposito, come vanno gli allenamenti? Come se la cava il principe? » chiese poi.

« Se la sta cavando bene. L'ho trovato un po' spaesato all'inizio, ma sta rispondendo, riesce a fare progressi. Domani dovremmo iniziare con un approccio più diretto. »

Elvira annuì, notando come Manuel si scrocchiava le nocche e le dita producendo un rumore di ossa che riempiva la tenda.

« Manuel...»

L'altro sospirò, guardandola di nuovo in viso.

« Perché mi guardi in quel modo, avanti, cosa devi chiedermi? »

Elvira si morse le labbra, poi si fece seria.

« Ma non è che per caso, ti piace il principe? »

Gli occhi di Manuel si fecero ridotti a due fessure. Fece silenzio, poi, modulò la voce.

« Piacermi? Ma cosa dici? Lo sto solo aiutando e poi non sono il mio cavallo, non vado alla ricerca di cose impossibili » chiarì.

« Perché, è già promesso?» ribadì curiosa Elvira, posando la spazzola e accarezzandosi le punte dei capelli. « E poi se la ritieni impossibile, vuol dire che un po' ci hai pensato! »

Manuel la guardò precisamente con occhi più aperti di poco prima, cercando di calmare un attimo il ritmo frenetico che lo possedeva internamente.

« Se la ritengo impossibile è perché sono in guerra come te e gli altri e non dovrei pensare a certe cose.» disse calmo.

In realtà lui ci aveva pensato.
Ci pensava ancora, da giorni. Anche quella era una specie di guerra per sé stesso.
Aveva capito cosa stava iniziando a provare, era stato inevitabile dopo giorni, negarlo ancora a se stesso: Simone gli piaceva.

Era una guerra, sì, ma non era come quella che stava affrontando l'altro.

Il benestare di Simone veniva prima.
Prima dei suoi sentimenti, prima della sua illusione di potergli confessare realmente cosa sentiva.

La salute dell'altro veniva prima di tutto il resto e lui lo stava solo aiutando a difendersi, era naturale che fosse più coinvolto del dovuto anche sotto quel punto di vista.

Il silenzio si ripristinò insieme alla stanchezza - adesso raddoppiata - di Manuel che non vedeva l'ora di andarsi a rinfrescare solo per mettere fine a quella conversazione.
E anche per poter fantasticare da solo su cose che non potevano accadere.

Elvira si avvicinò piano, mettendosi davanti a lui, abbandonando la sua spazzola. I suoi occhi chiari si sposavano con quei capelli rame. Accarezzò il viso di Manuel in un solo rapito gesto, con due dita.

« Non potrai fare da solo per sempre... » mormorò bassa la ragazza.

Manuel strabuzzò gli occhi.

« ELVIRA »

Elvira scoppiò un po' a ridere.

« E dai non prendertela! Non c'è nulla di male, se ti piace, intendo. »

« Sei proprio incredibile » buttò fuori Manuel.

Elvira incrociò le braccia al petto, scrollando le spalle.

« E tu te la stai prendendo più del necessario. Rilassati. Stavo solo scherzando. »

Manuel si alzò in piedi, lei lo guardò con due occhi pieni. "Scusa" mimò dispiaciuta. Lui le si avvicinò un attimo e si lasciò prendere la mano.

« Però se ti piace, puoi dirmelo ugualmente, parlarmene- »

« Vado a sciacquarmi giù, con un po' d'acqua fresca prima di essere preso a calci stanotte » si afferrò gli stivali e scalzo si affacciò all'apertura della tenda. Prima di uscire però, Manuel si girò verso la sua compagna « Nel frattempo non invitare nessun uomo qua dentro, che sei un po' troppo frizzante questa sera. »

Elvira storse appena il naso, alzò in aria le braccia.

« Sei tu che sei troppo musone! »

Quello è il soprannome del mio cavallo avrebbe voluto dirle, ma Elvira lo sapeva già.

 

**

Quando si presentò al solito posto per l'allenamento, Simone trovò il soldato mentre si sgranchiva le braccia, e per di più, aveva portato con sé anche un amico: Maximus brucava dell'erba dietro qualche albero, tranquillo, placido.
La bocca ruminava e gli occhi guizzarono sull'elfo in modo istantaneo. Il principe non si annunciò, solo teneva l'elsa dell'unica spada gli sembrasse la meno pesante di tutte, in una mano. Faceva piuttosto caldo e notò come Manuel portasse solo una camicia di lino tirata su per i gomiti e infilata dentro i calzoni, sempre accuratamente provvisti di cinghia di cuoio in vita e dotata di fodero, sempre pronto e dove poi, avrebbe estratto e conservato di nuovo la spada.
Era così concentrato a sciogliere le membra, che in un secondo dopo, Simone si stupì per come lo mise a fuoco.

« Scusate, » mormorò, fermandosi di colpo l'altro, la mano si grattava già la nuca « non vi ho sentito arrivare »

Simone annuì, cercando di indirizzare il suo sguardo al cavallo nero dietro la chioma di un albero. Indicò alzando il mento.

« Vedo che hai portato un amico, spero sia imparziale »

L'altro si girò quanto bastava per guardare dietro di sé, Maximus era ritornato a ciancicare questa volta, dentro il sacchetto di frutta che si era premurato di portare Manuel.

« Oggi non ho potuto dirgli di no, » le mani di Manuel erano ferme sui fianchi, sospirava, adesso rivolto verso il principe « spero non vi dispiaccia. Credo avrebbe dato noia all'intero accampamento altrimenti. »

Simone oscillò con il capo. Si avvicinò appena, la presa sulla spada certa, quello che invece doveva fare ancora di nuovo quel giorno, tutto l'opposto.

« Beh in verità, qualcosa che mi dispiace c'è »

Creò una specie di varco di confusione negli occhi del soldato e provò a dissiparla.

Era il caso di mettere in pausa per un po' i loro ruoli. Soprattutto se Simone lo sentiva già vicino ad un amico e gli doveva più di un salvataggio.

« Vorrei che ci dessimo del tu, soldato » pronunciò il tutto davvero troppo lentamente.

Manuel annuì meccanicamente dopo aver mantenuto un espressione abbastanza fissa per più di qualche secondo.

« Va...va bene, certo »

« So che può sembrare strano, ma lo preferirei. » il principe abbozzò un mezzo sorriso, la mano libera andò a toccarsi la punta dell'orecchio, un ricciolo ci ballava sopra e lo scostò dietro. Adesso era visibile la forma tipica allungata che lo contraddistingueva.

Lo guardò con tutto ciò che non poteva fare. Non erano di certo gli occhi. Un muscolo percepibile solo a se stesso, il soldato cercò di venirne accapo.

« Sì, come desidera- » si fermò subito, mordendosi le labbra e ricominciando daccapo « Come desideri. »

« Combattiamo da pari, mi sembra più che giusta come soluzione »

« Nessuna differenza »

Simone allungò la sua mano verso di lui. Manuel la osservò qualche secondo, la strinse.

« Nessuna »

Simone annuì, puntando la spada al suolo e reggendosi su questa.

« Bene, cosa facciamo oggi? »

Manuel posò una mano sul fodero della spada, trattenendo poi le dita attorno all'elsa che sbucava un po' fuori.

« Credo, no, anzi... sei pronto per uno scontro diretto. »

Il panico e l'entusiasmo di Simone convivevano e fecero a lotta dentro i suoi occhi, vedendo sfoderare a Manuel la sua spada dal fodero.

« Non è passato poi molto... » farfugliò.

« Abbastanza però per avere stabilito l'equilibrio e la mira, Simone, » cominciò a spiegare, il principe lo ascoltava attento « ora, è il momento di mettere in pratica le due cose più una terza: la velocità »

Velocità.

Manuel si girò e si mise in posizione gambe divaricate, spada sguainata pronta in mano. Aprì una mano nella sua direzione, facendogli segno di mettersi di fronte a lui.

Simone era un po' preoccupato. Pensò che forse spaccare tronchi e mirare a certi oggetti fosse meno rischioso di quello che stavano per fare adesso. L'elfo assunse la posizione, così come gli era stato indicato.

« Non dovrei scaldarmi come hai fatto tu, prima? » l'elfo inclinò la testa.

« Non c'è bisogno. Io lo faccio ormai, per abitudine. » mormorò l'altro. « Ci sono dei movimenti basici nella lotta con la spada, andrò molto piano in modo che tu possa memorizzarli »

Si schiarì la voce, in modo da risultare con un tono chiaro.

« Fendente e montante, » cominciò Manuel, posizionando la spada in alto e colpendo un punto invisibile davanti a sé « sono i due colpi verticali, il primo dall'alto in basso. Il fendente è un colpo molto forte, si può dare ad una mano o a due » il soldato poi passò la spada nell'altra mano, Simone cercò di copiare il primo movimento. Manuel lo guardò: era concentrato.

Il soldato riprese a spiegare.

« Ma ha lo svantaggio di lasciare la guardia di chi attacca scoperta. Il montante è poco più forte, e la spada è molte volte usata per azioni che vengono dal basso »

Simone abbassò la lama della spada allo stesso identico modo dell'altro, verso il terreno.

« Tondo, mezzano dritto, o anche roverso. Sono colpi dati di piatto, orizzontali, il filo della lama offerto. »

Simone si posizionò con la gamba opposta alla direzione copiando l'altro, ascoltandolo spiegare ancora « Il roverso può essere da destra, da sinistra, durante il colpo il busto ruota e - »

Il soldato alzò gli occhi annuendo, l'elfo stava già muovendo l'arto richiesto. Simone ipotizzò che la gamba si postasse a seconda da dove provenisse il colpo. Manuel gli sorrise, annuì.

« Segue lo stesso movimento del braccio, esatto, proprio così, giusto. Può colpire spalle, fianchi o ginocchia. »

« Andiamo avanti, affondo » Manuel si spostò portando il peso del ginocchio in avanti « anche questo in orizzontale, colpisce il busto. Si usa anche con armi più leggere.
Questo colpo viene portato di punta, si flette una gamba corrispondente al braccio che regge l'arma e si allunga il corpo verso quello dell'avversario. Va usato a colpo sicuro perché un colpo a vuoto potrebbe essere fatale. Bisogna pensarci bene prima di metterlo in pratica e capire se ne vale la pena.»

Questa volta fu Simone ad avvicinarsi e replicare lentamente il movimento, la spada si allungò verso Manuel.

« È simile all'imbroccata che però colpisce il collo o il volto »

Simone annuì, ritornando in posizione. Sospirò e si grattò un attimo la nuca.

« Sono parecchi nomi »

« Molti ti verranno naturali con la pratica, non preoccuparti. Passiamo agli ultimi colpi di punta. »

« Spero di ricordarli tutti » realizzò di risultare abbastanza sconfortato, una risata nervosa gli sfuggì fuori.

Manuel lo guardava morbido però, senza spazientirsi.

« Va pure avanti »

L'altro annuì.

« Ultimi due colpi: si piega di più il ginocchio, si distende l'altra gamba e si punta verso l'addome » l'elfo replicò la sua posizione, questa volta più importante e rigida « questa è una stoccata »

« Così?» chiese.

La mano si puntava testardamente sul fianco, Manuel annuì.

Sembra orgoglioso?

Era la seconda volta allora che qualcuno era fiero di lui. Simone si concesse un sorriso che però finì verso il terreno, i suoi piedi.

« Sì » ripristinò la posizione di partenza.
« E Infine, punta dritta » a questa posizione, Simone ci arrivò da solo, per intuito, Manuel sorrise di conseguenza. « Giustamente come dice la parola stessa, lama diretta verso il petto e il braccio rivolto longitudinalmente alla spada. Sono entrambe brevi e rapide. »

Cominciarono realmente a scontrarsi. Più che altro, per i primi minuti, Manuel dovette ricordare a Simone quasi ogni posizione, mostrandogli qualche mossa più di una volta.
Poi, una volta che ebbe capito, l'elfo si sincerò del suo istinto senza tentennare più. Acquistò sicurezza man mano che passavano all'azione.
Manuel avanzava e lui schivava i colpi o si difendeva sollevando in aria la spada e facendola scontrare con quella dell'altro.
Ogni tanto un bravo usciva fuori dalla sua bocca e ogni tanto, Simone doveva sincerarsi che il rumore provenisse unicamente dalle lame delle spade e non dal suo petto.

« Meno timore » suggerì il soldato facendolo avanzare.

E così gli diede ascolto. Simone piroettò quasi su se stesso mentre entrambi cambiavano posizioni, i piedi sembravano marcare il terreno sostenendo il loro diritto di calpestarlo. Un po' di terra si alzò in aria, mentre Manuel cercava in tutti i modi di bloccare la difesa di Simone, che arretrava.

« Nessuna paura, Simone, attacca » pronunciò a denti stretti. Lama contro lama.

Simone tentennò mentre arretrava, sentiva il ciondolo della collana tremargli al collo. « Ricordi giorni fa? Pensa a un obiettivo. Qualcosa che ti smuova. »

E non seppe perché, ma l'obiettivo era arrivato, forse era sbagliato, ma potente come se risuonasse nelle orecchie ancora, abbatté la difesa del soldato. Il suo corpo si accese in mezzo al buio, come avrebbe dovuto fare settimane fa a un'ingiustizia. Mirò con la lama, una stoccata fallita, la spada che si sollevava sopra la sua testa. Sembrava averla presa sul serio all'improvviso, vorticava, volava sulla figura dell'altro.
Quel trambusto interessò Maximus che alzò il capo dall'erba, vagamente insospettito anche.
Di colpo, Manuel si distrasse e l'elfo diedi un'imbroccata.
La punta della lama assaporò una pelle diversa.
Fu allora che Maximus nitrì e alzò gli zoccoli inarcandosi.
Manuel finì a terra, disteso con le gambe divaricate e una mano sulla guancia.
Appena realizzò, Simone si fiondò a terra accanto al soldato, gettò l'arma di lato come se scottasse.
L'espressione di puro dispiacere in volto.

« Musone sto bene, non fare il drammatico! » gridò Manuel verso il suo cavallo. Ma quello continuò a nitrire.

« Ti prego, scusami » Simone cercò un qualche modo di rimediare allontanando la sua mano che adesso, Manuel si stava guardando. Il palmo leggermente sporco.

Un rivolo di sangue rosso tinse la sua guancia.

« Mi dispiace, scusami »

La mano bianca di Simone, si poggiò proprio lì, disperata. Il soldato socchiuse gli occhi, inspirò brevemente prima di aprire gli occhi. Quando scattarono, le sue pupille erano circondate dall'altro che continuava a borbottare frasi sconnesse di dispiacere.

« Simone, va tutto bene »

La mano era tiepida e liscia a contatto con la sua.

« Ma ti ho fatto male » mormorò basso.

La mano era ancora poggiata lì.
Poi si staccò per lasciare che il suo pollice tracciasse il taglio: era un po' al di sopra della barba incolta, i cui peli stavano ricrescendo.
Manuel lo osservò e forse arrivò a capire cosa aveva trainato l'altro in quel momento di euforia.

« Può succedere » cercò di calmarlo.

Afferrò la sua mano, si limitò a un sospiro e delicatamente la allontanò. « Non sono un orco. Pensami come un nemico, sì, ma dosa un po' di più la forza. »

Lo aveva detto. Anche lui lo aveva visto nei suoi occhi.

Lui sa.

« In realtà non pensavo proprio a quello mentre ti colpivo. Insomma forse sì...scusami, ho esagerato... »

Simone sviò lo sguardo, vergognandosi.
Manuel annuì lentamente, il tono amaro, il busto che si portava a sedere.

« Pensavi a quello che è successo. »

Ci fu del silenzio in cui Simone aveva le mani raccolte in grembo, la testa pesante. « Simone, guardami un istante »

Non dovevo chiederti di allenarmi, sono un imbranato.

Gli occhi grandi si ritrovarono in quelli pacifici più chiari.

« Sto bene, questa rabbia è giusta, è legittima. Sono le prime volte, devi solo dosarla, cercando di non dimenticare di chi hai davanti.»

Simone deglutì ingoiando saliva.

« E un'altra cosa: un principe non si dovrebbe mai scusare. »

« Abbiamo detto che combattevano alla pari »

Simone si morse le labbra, Manuel sembrava esserselo già dimenticato. Infatti si limitò ad annuire. 

« Riproviamo dai »

Simone restò immobile, nella sua convinzione.

« Non voglio farti male »

Uno sguardo limpido in cambio.

« Se mi farai male, ti fermerò »

Senza che gli dicesse nulla, fu dell'elfo l'iniziativa di rendergli entrambe le mani per aggrapparsi e potersi sollevare.
Non lo mormorò nemmeno un grazie, ma Simone glielo lesse in viso.                                                   Manuel accettò e si alzò in piedi.                                                                                                                       Quando furono entrambi in piedi, Maximus era già più vicino, li studiava. Sembrò quietarsi, il suo imbizzarrirsi non era stato proprio tenuto in conto - anche perchè il soldato gli rivolse uno sguardo lampante come a rimetterlo in riga - ma nonostante la rassicurazione, la sua incertezza per l'elfo rimaneva. Rimase quindi nei paraggi, per controllare entrambi.

« Sul tempo andavi bene » il soldato cercò la sua spada e scotolò via la terra dalla punta.

L'elfo però sembrò non ascoltarlo. Aveva ancora lo stomaco in subbuglio per come era stato travolto in pochi secondi.

« Che c'è? »

Simone era insistentemente distratto su un punto preciso, lo stesso segnato dalla ferita.

« Devi passare da Ingrid dopo a farlo disinfettare, quello » indicò il taglio con una delle dita.

« Lo farò, » annuì Manuel veloce, passando oltre, afferrò la spada di Simone ancora a terra e gliela porse « che dici, riprendiamo l'allenamento, principe ? »

Il tono finale che aveva usato lo fece ridere appena, facendo spuntare una fossetta sulla guancia.
Non rispose, rimanendo a meditare su quel tono di presa in giro, ma amichevole.

« Troppo informale? »

« No, soldato, va bene » Simone lo vide sorride ampio.
Era dopotutto, anche con quel taglio che si andava ad asciugare, una bella vista.
« Riprendiamo »

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Capitolo 11
*** Erusèn - Fiducia ***



Fiducia.


Sentirsi esausti.

Era quella la sensazione spossante, asfissiante, pesante che Simone si sentiva appiccicata addosso.

Sentirsi mitragliati e colpiti.

E non derivava solo da sé stesso, quanto da Fëanor che gli aveva chiesto quasi ogni volta che potesse, della lettera che aveva così velocemente bruciato qualche giorno prima.
Oltre a contornare il resto per comunicargli il fatto che tra due giorni si sarebbero di nuovo mossi per uno scontro.

Non lo odiava.

Simone non odiava Fëanor.

Non avrebbe mai potuto odiare qualcuno che tenesse a lui.

Ma avrebbe di certo preferito che si fosse trasformato in una mosca in quei giorni, se fosse successo quel miracolo almeno per due ore, Simone avrebbe concesso sé stesso come sacrificio come ringraziamento alle sue divinità.
O avrebbe sicuramente fatto qualche voto come non mangiare cioccolata.
Era ansioso per l'ultima notizia - com'era ovvio -, ma in realtà passava in secondo piano rispetto all'ostinazione dell'elfo - che seppur preoccupato - gli chiedesse che cosa c'era scritto in quel pezzo di carta ormai dissolto nell'aria, di così sgradevole.

Quando uscì dalla sua tenda, per andare subito in postazione e pianificare quel piano d'azione, quella nuova strategia - visto che la zona di Arcya era meno riparata rispetto all'ovest - che prevedeva l'inclusione dello strapiombo del mare, Simone neanche guardò Fëanor in volto, mentre gli dava il buongiorno.

Non convocò Manuel.

Non aveva voglia che lo vedesse così, preso da un totale fastidio.
Anche se era certo, lo avrebbe ascoltato.

Una volta finito il suo dovere, mangiò velocemente - voleva iniziare l'allenamento quanto prima - e si tenne vicino Neve che si era appena svegliata, sul terreno fuori dalla tenda. Lei gli stuzzicò la punta dell'orecchio con i denti, facendolo sobbalzare - anche se era abituato - e poi dopo quel gioco, strofinò libera la sua peluria bianca contro la sua guancia.
Quell'attenzione, pensò fosse dovuta non tanto a lui, quanto alla specie di pappa di avena, frutta e chissà cos'altro, ferma e immobile che riempiva la scodella. La cavalla infatti annusò con le grosse narici vicino l'oggetto pieno della sua colazione.
Si allontanò poco dopo, probabilmente non gradendo.
Simone le accarezzo il muso con una mano, sussurrandole appena qualcosa. Poggiò poi il suo viso contro il suo pelo, morbido, liscio, anche un po' umido.
Forse si era rotolata troppo nel suo ciaciglio erboso nella notte.

« Vieni con me, oggi, mellon nîn? » le propose Simone.

Neve lo guardò confusa, sbuffando. Simone affondò il cucchiaio di legno dentro la scodella, mandando poi a forza qualche boccone controvoglia.

« Non devo dimenticarmi lo scudo... » mormorò a bassa voce, facendo mente locale.

Manuel aveva insistito affinché rinforzassero quel giorno, introducendo anche quello. In realtà, non era molto sicuro che fosse il caso, ma l'allenamento dopo l'ultima volta si era fatto intensivo. E aveva deciso di incontrarsi anche dopo la colazione per potersi allenare.
In realtà non capiva perché Manuel credesse così tanto in lui... gli provocava uno strano effetto.
Era una considerazione che vedeva ripetere ad Ingrid, a Fëanor, questo era certo.
Ma sembrava leggermente più spontanea, meno costruita.
Non sapeva spiegarsi il perché Manuel non avesse voluto smettere dopo averlo ferito, dopo aver immaginato quella bestia gigante e disumana venirgli in contro. Per pochi minuti, Simone aveva visto l'orco. Solo dopo, a danno avvenuto, si era sentito malissimo.

Non sapeva spiegarsi perché Manuel volesse esserci.

È sincero.

Gliene era grato, in ogni caso.

È una benedizione.

Quegli incontri per allenarsi erano stati una boccata d'aria, una distrazione per lui. Si concentrava solo su come muoversi impugnando la spada.
E nonostante la notte ripassasse delle mosse e degli attacchi dentro la sua tenda, perché era incerto, Simone sentiva che doveva imparare ancora molto, che la pratica doveva essere migliorata.

Sentiva ce Manuel sarebbe stato lì per aiutarlo, aiutarlo ad uscire fuori dai suoi demoni - almeno per un po'.

Alzò lo sguardo, osservava il sole.

C'è una bella luce naturale.

Cercò di capire se il soldato si fosse già svegliato per la colazione, buttando gli occhi poi sulle varie tende, i cui bracieri ormai spenti, sembravano degli antichi totem perché ancora in ombra e non colpiti dai raggi.
Si era così perso a fissare un determinato punto, da isolarsi, sa risultare così muto che Neve gli si piazzò davanti e si mise a fissarlo con quei grandi globi neri.

« Scusa, Lösse, pensavo.. vuoi venire quindi? » mandò giù un altro po' di quel miscuglio salutare.

La cavalla mosse il capo, Simone le sorrise. Lasciò navigare il cucchiaio dentro l'avena, la mela, doveva esserci dentro anche qualche pezzo di uvetta - rabbrividì pensando che forse ne aveva ingoiato qualcuno senza masticarlo.
Si diede dello stupido e ingrato per quel pensiero: le provviste erano indispensabili, quel cibo razionato non andava sprecato.

« Spero ti divertirai a vedermi capitolare »

Proprio allora, quando si decise a guardarla, non si accorse che Manuel era appena andato a recuperare la spada e lo scudo e lo guardava seduto su una parte più ghiaiosa per non sprofondare.
Gli vedeva ancora addosso quel sorriso largo e luminoso, mentre sussurrava al suo animale e pensava a come qualcuno di così alto e saggio, potesse sembrare contemporaneamente così piccolo.


**



Sconnesso.

Si stavano allenando da solo un'ora ma la sua testa era da tutt'altra parte. In realtà, non fu Simone a posare per primo il suo scudo.

« Perché ti sei fermato? » chiese senza fiato quindi, vedendo Manuel arrestarsi di colpo, passarsi le mani sui fianchi.

Manuel sospirò, portando quasi le sopracciglia ad unirsi per come aveva aggrottato la fronte in mezzo ai ricci.

« Sicuro di stare bene? » chiese quindi senza preamboli, fermandosi a guardarlo dritto negli occhi.

Simone annuì senza convinzione.

« Sì »

Non è vero.

« Sei distratto, assente. Non ti... »

Simone annuì velocemente, lo scudo in una mano, la spada nell'altra.

« Non mi sto applicando, » continuò non lasciandolo finire, ma l'altro non si accigliò, anzi, il soldato rise appena annuendo « scusami, hai ragione, non me ne ero reso conto » stava mentendo e lo sapeva benissimo « riprendiamo daccapo. »

Manuel si avvicinò a lui e delicatamente prese il suo scudo con naturalezza. Poi, riluttante Simone lasciò andare anche la spada, sotto un altro suo sguardo eloquente. Ormai gli sembrò naturale chiamarlo senza nemmeno sforzarsi, senza doverci riflettere. « Manuel- »

« No, » mormorò l'altro secco, Simone osservò il suo sguardo leggermente preoccupato « per adesso è meglio di no. C'è qualcosa che ti turba? »

Simone buttò fuori l'aria, si guardò le mani, leggermente arrossate ma prive di ferite o sporcizia. Rimase in silenzio, senza dargli risposta.

« È per lo scontro? » Manuel andò a posare le armi accanto alle sue, vicino un tronco. « L'ansia è normale, ma andrai bene, apprendi velocemente principe »

Magari fosse solo quello.

Simone sorrise basso, verso il terreno. Alzò gli occhi. Manuel lo guardava dubbioso.

« Sto andando troppo veloce per caso? No, perché, se è così possiamo anche rallentare, ma ecco, pensavo andasse bene dato che hai imparato abbas- »

« In realtà riguarda altro. »

Il principe lo fermò subito.
Si tastò un polso, stanco di dover pensare così tanto e di affollare la sua testa più del necessario.
Stanco di dover ascoltare ogni suo singolo dubbio ridotto ormai a un piccolo spillo sempre più doloroso rispetto al precedente.

Manuel si incupì, l'elfo raccolse per bene il suo pensiero senza che dicesse nulla a parole.

« No, non è quello » soffiò fuori, poi lo spiegò velocemente « dormo ancora un po' male per lo più la notte, e ogni tanto la mia testa ci ritorna, ma è... è altro.»

Simone camminò per andarsi a sedere proprio sotto un albero di mirto, poggiò le mani sulle ginocchia, vicine al petto adesso. Manuel lo raggiunse, sedendogli accanto, mantenendo però una certa distanza.
Le spalle non si toccavano, ma il soldato riusciva comunque a vedere il contrasto negli occhi dell'elfo.

« Se non vuoi parlarne, possiamo restare anche in silenzio... » lo guardò senza nessun filtro.

« Resteresti davvero in silenzio? »

Con me, in silenzio?

« Se è quello che vuoi, sì. Non ho alcun problema. »

Simone si sentì ancora una volta, fortunato.
E non erano denari, e nemmeno un titolo a esplicitarla quella fortuna.
C'era qualcuno disposto ad ascoltarlo.

« E poi non è poi tanto male, il silenzio, intendo. »

Aveva portato le braccia stendendole dietro la schiena, portandoci sopra il peso. Si sarebbero sporcate di terra.
Nonostante quello, l'elfo apprezzò la sua tranquillità nel gesto.

Poi Simone sorrise amaramente, una smorfia, un tono aspro.

« Sono giorni che sento la pressione di Fëanor addosso... » sputò fuori, lasciando a Manuel il compito di indovinare il perché.
Simone fece una breve pausa, si accarezzò polso sinistro con il pollice « Non credo di riuscire a scrollarmi di dosso la sua ostinazione. La sua... e quella di mio padre. »

Il silenzio fece di nuovo breccia in quel piccolo posto naturale e Simone lasciò andare un altro respiro.

« Il Re » soffiò fuori Manuel.

Simone quindi lasciò andare ciò che lo attanagliava. Lasciò andare la carta bruciata con inchiostro che si era liquefatto nel momento in cui aveva incontrato le fiamme del focolare al campo.

« Devo sposarmi. Lui vuole che io esegua questo compito. È scritto che debba avere un erede che faccia proseguire la nostra discendenza. Mio padre è così convinto che mi passerà, che sia il compito che mi spetta oltre a questo. Questa campagna militare. »

« E tu non vuoi »

« Non volevo nemmeno essere arruolato » socchiuse gli occhi, stanco. Avvertiva come un sapore aspro in bocca e non era la colazione che gli stava facendo brutti scherzi. « No, non lo voglio. Io vorrei innamorarmi. » confessò.

Il soldato abbozzò un mezzo sorriso, gli uscì fuori uno strano tono allegro.

« E non pensi che potresti innamorarti di chi è stato scelto per te? Magari conoscendovi, provando ad entrare in empatia...»

« Diventerebbe una principessa se io volessi, ma non credo vorrebbe qualcuno che non è interessato. Qualcuno che non la guardi proprio nel modo in cui vorrebbe. »

L'amore non è forzatura.

Non disse più nulla, lasciando in sottofondo solo il rumore di qualche uccello, non capì però che specie fosse, sentiva solo che era vicino.

« E non c'è nessuna ragazza, da dove vieni che conosci, insomma che non so, potrebbe- »

Ne sto davvero parlando con qualcuno?

« Non c'è nessuno. » pronunciò fin troppo malinconico, ma rassegnato quasi. « Non è usuale per noi. C'è chi lo fa, si unisce ma non è legato a un vincolo reale. È tutt'altra storia per noi, noi con una corona. »

Ci fu dell'altro silenzio e Simone pensò davvero che Manuel si stesse annoiando, teneva la scheda lungo il tronco dell'albero diversamente da lui, una mano sul grembo, l'altra attorno al ginocchio. Diversamente da come stava lui, rannicchiato più sul suo corpo. Ciò che disse dopo Simone, assunse un sottile filo di voce.

« E non sarebbe una ragazza comunque »

Gli occhi del soldato cambiarono all'improvviso, sembrava starci nascendo dentro un fiore.
Quell'immagine formulata dalla sua mente gli sembrò tanto strana, quanto idilliaca.

« Non c'è nulla di male... ognuno ama chi vuole.» osservò.

I petali erano quasi al completo dentro le iridi.

Strana concezione di uno sguardo.

« Sì ma è raro, tra di noi.» gesticolò indicandosi.

« Rifiuta ciò che sei? »

« No. Non mi ha mai vietato di fare ciò che volevo, almeno fino a quando non mi ha mandato qui.
Lui lo sa. Credo lo abbia sempre saputo, nonostante io glielo abbia detto. È...più complicato » il principe deglutì.
Sospirò sfiancato, sfinito. « Tutto con lui lo diventa. Lo fa sembrare come un accordo politico invece che come una cosa naturale. »

Il vuoto, il silenzio ritornarono prepotenti. Simone si voltò appena torcendo il busto, gesticolò con le mani.

« Non voglio qualcosa di scelto per me. Voglio essere io a scegliere »

Voglio essere io l'artefice della mia vita.

Sospirò a lungo. Puntò gli occhi. « È così sbagliato? »

« No, è lecito. » Manuel prese il coraggio a due mani, cercando di risultare disinvolto. Quella domanda precisa danzava sulla punta della sua lingua, a insaputa dell'altro.
« E chi sceglieresti, se potessi...? »

Simone aggrottò la fronte, confuso. Il soldato si schiarì la gola, aggiustando il tiro.
« Intendo, che qualità dovrebbe avere una persona, un uhm elfo perché ti interessi? »

Manuel si sistemò il polsino della camicia, sulla quale a fermarla vi era un gilet semplice, di scarso materiale a fermare con qualche laccio.
Simone sembrò pensarci su.

« Beh...vorrei mi facesse ridere. Vorrei mi ascoltasse, deve... avere cura. Non so, ho sempre pensato a queste tre cose, prima che all'aspetto. »

Mia madre aveva tutte queste cose.

« È un bel pensiero. Dovrebbe essere così... queste sono cose che restano per sempre, l'aspetto dopo un po' svanisce..»

Simone annuì.

« Non so esattamente come dovrebbe essere. Non mi sono mai innamorato.» confessò senza freno.

Manuel ascoltava attento, ma anche spezzato. Dentro di lui si stava smuovendo qualcosa.

« Da quando mia madre non c'è più, non sono riuscito a vedere più quel sentimento negli occhi di mio padre, l'ho visto fuggire via. Come se facesse più male che bene, » continuò l'elfo amaramente « sono rimasto solo io a ricordarla. Non credo di saper amare o di esserci riuscito davvero a farlo allo stesso modo, dopo di lei. Col tempo, ho guardato, ma non ho un'idea chiara. Li ho sempre osservati da piccolo, ogni volta potevano anche discutere, ma ritornavano più forti di prima. Ritornava la loro luce e quelle cose c'erano, le risate, la cura. »

Fece una lunga pausa. « Penso sia questo amare.
Anche se ne ho avuto un solo esempio, ma lo custodisco come se fosse l'unico.
Per l'aspetto, come ho detto non importa. »

Manuel si morse il palato interno.

« Per voi elfi forse è un po' diverso »

Simone annuì, abbozzando un mezzo sorriso rassegnato.

« Noi siamo condannati in un certo senso, è vero. La nostra natura ce lo impone. Voi siete più liberi in questo...e anche in tante altre cose in realtà, oltre al matrimonio.»

Gli sfiorò la mano che era ferma sulla gamba.
Gli sfiorò la mano, non il soldato, era Manuel.
Gli occhi balzarono a quel gesto seppur minimo. La mano di Manuel era molto più calda della sua che invece risultava fredda.
Era un po' ruvida, ma piacevole.

« La libertà dipende solo da noi, non c'è uno schema. »

« Credimi » mormorò « per alcuni è diverso »

« Simone, in questo momento, ti senti costretto? »

La costrizione è un'altra cosa.

« No »

« E allora conta solo adesso »

Manuel sorrise.

Lui, invece, annuì, pensando di stare coprendo e avvolgendo l'altro nella tristezza. Simone faticava a credere che qualcun'altro potesse davvero ascoltarlo, ascoltare i suoi dubbi che teneva ben racchiusi in poche orecchie e sotto le pieghe del petto.
Ma comunque, Manuel non meritava di farsi affollare troppo i pensieri, come era solito fare lui.
Quindi, lo ringraziò in silenzio.

Erano seduti sotto un sole quasi estivo e lui era riuscito a togliersi un peso dal cuore.
Non doveva esserci tristezza, era grato per quel momento di pace.
Simone coprì la mano con cui lo aveva sfiorato, quel poco per riuscire a fare distrarre l'altro a sua insaputa.
Gli sembrò un gesto per farsi sentire vicino, perché gli aveva permesso di sfogarsi. Restava sopra quel piccolo contatto, la sua mano leggera e meno fredda.

Ed era la prima volta che glielo diceva, perché era vero. Non aveva più motivo negarlo.

« È...bello parlare con te, Manuel. »

Non sai quanto, Manuel. Non sai quanto.

« È bello averti come amico »

L'elfo lo guardò, alzando un sopracciglio soltanto. Adesso era l'altro ad essere assente. « Ho detto qualcosa-»

« No, » Manuel oscillò con la testa « nulla. Mi ero solo...distratto. »

Il soldato si sforzò di sorridergli, e sembrò riuscirci.

« E i tuoi di genitori? » chiese poi, Simone, sganciando la presa.

Manuel si sfregò le mani, scrollò le spalle.

« Beh... non c'è molto da dire vengo da una semplice famiglia di contadini, » scrollò le spalle « mh abbiamo tanti animali, maiali, capre, qualche cavallo. Traiamo il frutto dal nostro lavoro. Ogni volta che ritorno dalla guerra, me ne occupo come posso, insieme a mia madre. Mia sorella è ancora piccola per farlo. »

Simone lo ascoltava con cura.

« Hai una sorella? »

« Sì, » Manuel sorrise teneramente « ha compiuto otto anni, il mese scorso. È un po' invadente, ma le voglio bene. Una volta, ne aveva cinque, » cominciò tirando fuori un aneddoto, perdendosi « e rincorse una mucca unicamente per berne il latte caldo appena munto. »
Simone rise, Manuel lo guardò di nascosto.

« Gliel'ho insegnato io, confesso, ma in mia difesa la reazione di mia madre fu molto divertente. »

Simone continuò ad ascoltarlo, portava fuori da quel sorriso di riscoperta, solo ricordi sereni.

« O anche quella volta che mi presi la colpa io al posto suo per averla beccata a rubare il formaggio dalla dispensa. Aveva appena quattro anni, ero rientrato da soli due giorni a casa, dovevo difenderla. »

Protezione.

« Ti manca. »

Manuel si grattò la nuca con una mano.

« Molto, sì » ammise.

Chiediglielo.

Incerto all'inizio, poi Simone si sciolse infine.

« E tuo...tuo padre? »

« Beh lui... è il motivo per cui mi sono arruolato.» Manuel cambiò un po' il tono, ma non era triste, non era malinconico.

Oh.

« È stato ucciso senza avere colpa. E imparare a combattere è stato un modo per me di rendergli onore, giustizia, in qualche modo. »

Simone si morse le labbra, l'espressione liquida quasi. Avrebbe voluto riprendergli la mano, ma si trattenne dal farlo. In Manuel non c'era traccia di malinconia, sembrava averlo accettato ormai, senza nessun recupero del passato, senza il minimo dubbio che la sua figura paterna in qualche modo lo guidasse tramite una spada o qualsiasi altra arma che richiedesse il caso.
Lui invece, ritornava sempre a sua madre, in modo spasmodico.

« Da quanto...da quanto tempo combatti? »

« Più o meno dai tredici anni, ecco perché non sono molto "formato" per cultura. Non mi ritengo un caprone, sia chiaro, però non ho neanche una formazione totale »

Tredici anni.

« Mi dispiace. »

Nessuno dovrebbe affrontare una cosa così, lo so io stesso.

Manuel lo guardò a lungo.

Poi scosse il capo.

« Non sono triste principe, se vuoi saperlo. Lui mi ha lasciato mia madre e mia sorella. Lui me le ha fatte amare e me le ha lasciate. E rima di chiunque altro mi ha insegnato com'è duro il ruolo di un buon genitore.» vibrarono un po' in suoi occhi e l'elfo se ne accorse « È per lui che combatto, sono felice di farlo. »

Io è per lei che continuo a vivere.

« Ti fa onore, molto. »

Manuel si sentì pieno di quel piccolo sorriso che affiorava, sfuggendo sulle labbra. Nasceva un po' quasi come un bocciolo.

Seduti lì, in mezzo a quello spazio riservato, contro alberi che non parlavano e ascoltavano insieme a loro. Due figure così diverse, ma con storie simili da condividere.

Neve, spuntò poco dopo, curiosa. Il passo leggero, il muso basso, andava alla ricerca di un giaciglio dove potersi appisolare, ma prima si tenne sicura che Simone fosse ancora lì. E non fosse andato via.
Il principe buttò un occhio alla sua cavalla.

"Tranquilla " sussurrò in elfico.

Il soldato si sentì un po' di troppo ad osservarli.

Erano in perfetta sintonia: dopo quelle parole, la cavalla bianca si appollaiò all'ombra, lontana dal sole.

« È così... calma » gli fece notare il soldato.

Simone sorrise verso l'amica.

« Anche lei ha i suoi momenti, ma sì, lo è. È voluta venire di sua sponte, oggi. Glielo dovevo, l'ho lasciata sola per troppo tempo. » finì sospirando.

Il principe era più rilassato, meno teso. Manuel vedeva finalmente Simone.
In realtà lo aveva visto da un po', ma ora era sicuro che fosse chiaramente lui e non il suo ruolo a vestirlo.

« Possiamo restare un po' così prima di riprendere? » suggerì poi uno dei due.

Era un sorriso di cortesia che gli rivolse, forse. Oppure era proprio libero, in quel momento.
Manuel preferì continuare a scegliere la seconda.

C'era un sole stupendo, Neve dormiva, il canto degli uccelli era rilassante, non si muoveva una foglia.

« Perchè no? C'è ancora tempo, sì. »


**

Non era ancora finita la giornata.
Tra i raggi del sole che si spostavano, nei primi colori rosati e aranciati del tardo pomeriggio, Simone non aveva potuto evitare di dire di sì a una passeggiata dopo essersi allenato.
Era una cosa un po' nuova, condividere quello spazio con qualcun'altro, ma non si diede pensiero una volta che si trovò con Neve, intento soltanto a sentire gli zoccoli sul terreno e il suo corpo sulla sella.
Sarebbe dovuto rimanere così, più o meno, se non si fosse interessato a come Manuel stava in sella a Maximus.
E così forse, anche nel silenzio di quella giornata che stava per volgere al suo termine, Simone risultava fin troppo palese, ricordando come la notte in cui l'altro lo aveva salvato e strappato a una notte buia, quel cavallo aveva storto il naso una volta che c'era montato sopra.

« A che pensi? » chiese quindi Manuel, svegliandolo.

Forse era più palese di quanto si immaginasse. Simone scrollò le spalle, Maximus camminava attaccato quasi a Neve e quel dettaglio portò il principe a camminare solo più avanti.

« Il tuo cavallo, sembra buono, rilassato adesso. »mormorò, senza realmente farsi capire Manuel infatti fermò Maximus e vide Simone portare Neve in posizione frontale, le briglie in mano « intendo, quella notte, voglio dire... » ricominciò abbassando il tono « ecco...penso che di non andargli molto a genio » arricciò il naso.

Manuel annuì. In totale silenzio, scese dal suo cavallo e quello brontolò in risposta. Simone lo guardò confuso.

« Non volevo offenderlo-»

Manuel scosse la testa.

« Nessuna offesa. Anzi, questo musone supera anche i più alti rimproveri... vuoi provare a montarlo?»

Questa è l'idea più sbagliata di sempre.

Simone tentennò.

« Non credo sia il caso »

Manuel diede un colpetto sul dorso di Maximus, che oscillava tra la cavalla bianca e il suo padrone.

« Nel caso faccia qualsiasi cosa di sconveniente, sono pronto ad assumermi le mie responsabilità. »

« Non sei costretto a farmi salire sul tuo cavallo, Manuel, non è un mio capriccio, stavo solo - »

« Non mi sento costretto, infatti »

Manuel rispose con un tono sottile, osservando come Simone girava intorno a lui, come la mano accarezzava il collo bianco di Neve come a darsi forza.

« Potrebbe non andare bene »

Manuel mosse il capo, una piccola smorfia che si tramutò in un sorriso pacifico.

« In quel caso mi assumerò io la colpa, com'è giusto che sia, Simone. » ci teneva a ripeterlo.

Simone lo guardò attentamente. Se ne stava lì con la schiena poggiata su Maximus, le braccia conserte, il resto del corpo molle e libero, svagati.
Portò Neve in posizione opposta, il viso e la coda verso quelli che erano il capo e la coda che si muovevano, di Maximus.
Bianco e nero, l'uno di fronte all'altro.
Simone scese lentamente da Neve, la briglia in una mano sola, le diede leggero un bacio sul pelo e si avvicinò al soldato e il frisone nero. Manuel ebbe il tempo di guardare Simone e poi fare il giro per prendere per il muso Maximus. Gli intimò qualcosa. Simone nel frattempo, giocava con le dita, nervoso.

« Possiamo anche continuare la passeggiata, e lasciar perdere se vuoi »

Manuel parlava, ma fissava attento il frisone nero.

« No, voglio dimostrare che questo musone sa comportarsi a dovere. Hai ragione, quella sera si è comportato male, non voglio che si ripeta. »

Un cenno, l'altro annuiva non ancora del tutto convinto.
Quando Simone allora provò a salire su Maximus, la prima sensazione, lo fece ritornare a quella sera. Solo che i suoi vestiti ora erano integri, forse un po' sudici per via dell'addestramento, ma per il resto non c'era nulla di strappato, non era ferito all'interno.

Forse nulla lo avrebbe più ferito come allora.

Poi, in un secondo, quando Manuel si fece da parte e provò a fare camminare il cavallo, Maximus fece solo sei passi in linea. Sei passi, poi gli zoccoli si fermarono.
Simone non aveva paura, ma non aveva mai cavalcato nessuno che non fosse Neve.
Successe ciò che non doveva: Maximus cominciò ad aumentare la forza e poco servì a Simone frenarlo per le briglie. Come una furia, qualsiasi altra forza della natura o chissà quale spirito inferocito reincarnato sotto forma di un cavallo, Maximus cominciò a cambiare direzione.
L'elfo venne sballottato di conseguenza e le gambe si tennero ovviamente salde sui fianchi del cavallo per evitare di cadere.
Non era qualcosa che poteva prevedere, ma nemmeno tanto lontana dalla sensazione innata che aveva avuto le prime volte: non piaceva a quel cavallo.
Ecco perché quando Manuel si mise davanti a Maximus che si stava già impennando sulle zampe anteriori, Simone sentì urlare entrambi in due lingue diverse.
A quelle si unì anche Neve, che nitrì come una pazza.
Simone non riuscì più a capire da dove provenisse tutto quel frastuono e chi dicesse cosa. Ringraziava soltanto di non aver ancora cenato, anche perché era piuttosto sicuro che dei movimenti sussultori come quelli lo avrebbero portato a vomitare gran parte del cibo ingerito.

« SEI IMPOSSIBILE! Sei il cavallo più testone, antipatico e selvaggio che io abbia mai conosciuto. Niente cena stasera! Dirò ad Elvira di nascondere tutto ciò che trova fuori dalla tenda di commestibile! E non tremerà di fronte ai tuoi modi, stanne certo! » gli urlò contro scagliandosi Manuel, alzò le braccia al cielo.

Maximus borbottava soltanto in risposta, mentre il soldato sospirava esausto.

Poi catturò gli occhi di Simone in stato confusionale e decise di aiutarlo a scendere. Fece pochi passi necessari a quel gesto. Il peso del corpo di Simone si spostò appena. Prima che se ne rendesse conto però, il frisone si era già mosso proprio quando si era girato per scendere. Quindi quando Manuel fece per afferrare Simone, quello gli scivolò addosso.
Per quella rapidità di riflessi, come conseguenza, la sua fronte si scontrò col con quella dell'altro. Fu un millesimo di secondo, ma Manuel non ci fece poi tanto caso. Forse solo Simone avvertì il piccolo colpo e le pupille che inglobavano a sua insaputa, quelle così vicine dell'altro.

« Stai... stai bene, vero? »

Manuel aveva portato le mani attorno alla sua vita, esercitava poca pressione.
Simone annuì veloce, il petto gli si sgonfiava, forse perché aveva toccato sano e salvo, terra.

« Mi dispiace, è colpa mia. E sua. È stata un'idea stupida ma pensavo...visto che ero presente che non avrebbe dato spettacolo. Deve sempre primeggiare, farsi notare. Non capisco perché faccia così.» mormorò amareggiato.

Quella sua ruga in mezzo alla fronte gli dava un'aria più vissuta. Come se Manuel fosse più vecchio della sua età - che ancora non conosceva.

Beh, io forse lo so.

Simone non si era reso conto che gli aveva messo le mani sulle spalle istintivamente per lasciarsi prendere.

« È semplice: non gli piaccio, e credo sia un po' geloso »

Manuel spostò gli occhi nei suoi.
Simone studiò quanto fossero chiari rispetto ai suoi e così densi, sotto le ciglia lunghe. Dei nei erano in corrispondenza della guancia giusto sopra la barba e il labbro inferiore della bocca appariva secco, screpolato.

« Maximus geloso. È impossibil-»

Ma Manuel venne sovrastato perché Neve non aveva ancora finito con il suo cavallo. Anzi, si piazzò dritta e i rispettivi padroni furono costretti a osservare quella scena. Neve cominciò a strillargli contro, addossargli la colpa, aprire la bocca, mostrare i denti e nitrire forte. S'impennò sulle gambe e si alzò davanti al cavallo nero. La sfuriata sembrò potente, infatti Maximus rifiutò il confronto poco dopo. Brontolava qualcosa in risposta, alzò la sua voce in un nitrito solo una volta, quando lei sembrò per un secondo calmare la propria.

A Simone venne da ridere.
Le mani scivolarono dalle spalle di Manuel. Non si accorse che Maximus non era più dietro di loro, visto che ora era protagonista delle lamentele di una femmina giustamente arrabbiata.

Anche a Manuel venne da ridere, le mani ora sui fianchi, avevano mollato la presa dell'elfo. Spiò l'espressione di chi aveva accanto.

« Non so cosa diamine gli stia dicendo, ma penso che ti stia difendendo »

Simone vide Neve prendere posizione e girarsi mostrando il posteriore al suo avversario, come a chiudere la discussione per uscirne vittoriosa.

La mia amica, pensò fiero.

« Beh, sicuramente un'altra strigliata se la merita tutta, soprattutto per delle attenzioni indesiderate » precisò.

« Vedi, Maximus è un perfetto esempio che anche chi non è un uomo, può comunque sognare » gli ricordò piccato la loro vecchia conversazione.

Simone gli dedicò uno sguardo a metà tra il divertito e lo scettico.

« In ogni caso mi avevi avvertito, principe e io non ti ho ascoltato. È giusto che tu te la prenda con me.» mormorò, un sorriso di chi la aveva combinata addosso.

Simone parlò in mezzo alla risata, ammorbidendo il tono.

«Lascia stare, sono ancora tutto intero. Avevo pur sempre più di un buon occhio addosso.
In fondo ti vuole bene, ha uno strano modo di dimostrarlo, ma te ne vuole molto.»

Si voltò a guardarlo, era ancora presa da quei due animali che si parlavano senza aprire bocca.

E capisco anche perché.

« Felice di saperlo, ma vorrei non fosse così cocciuto a volte. Il suo volermi bene di oggi, gli costerà la cena.» sospirò.




Non c'è sconto quando sei sul campo.

Non si scappa dalla realtà.

Non c'è sconto in guerra.

Soprattutto combinato in quel modo, Simone indossava per la prima volta sua armatura per intero, lasciando da parte l'arco e le frecce. L'occhio gli cadde nostalgico, mentre si sistemava la spada.
Accoglieva quella notizia già come una vittoria, ma si sbagliava riguardo al risultato della vera battaglia.
Sospirò, uscendo fuori dalla tenda. Recuperò Neve, e seguì lo schema preciso: briglie, morso, sella. La guardava come faceva sempre: cura, attenzione, ascolto. Ascoltava quei globi neri e respirava insieme a lei, fronte con fronte.
Entrò in simbiosi con lei, dopo un po'. Sussurrò al suo orecchio e si lasciò spettinare un po', dato che il suo elmo era ancora incastrato sotto il braccio.
Una volta che vide tutti posizionarsi, salire sui loro cavalli, la prima cosa d'istinto fu cercare Manuel in mezzo agli altri.
Ci mise effettivamente un po', dato il brusio pomeridiano, il sole stava calando, lasciando il posto alla sera.

Gli orchi non amano la luce.

In mezzo al cielo striato, Simone avanzò con Neve al suo fianco, l'elmo sempre in bilico in una mano, la spada penzoloni al fianco.
Intravide Ronan, Elvira, un gruppo di altri uomini che si sgranchivano le gambe e sguainavano la spada, replicando e ripercorrendo mosse.
Intravide Ingrid e le donne, sistemare ceste con unguenti, garze, rifornirsi di acqua salata e distillarne metà per fare andare via il sale.
Cercò di assottigliare lo sguardo, concentrandosi, ma sembrò che il soldato che cercava non fosse lì.

« Non dovresti allontanarti, principe »

La sua voce gli fece vibrare le orecchie, si girò di quaranta gradi e lo vide dietro di lui. Era già pronto, indossava già l'elmo che gli schiacciava quei capelli ricci ribelli. Maximus ciondolava con la testa e sbuffava qualcosa. Sicuramente non era un messaggio rivolto a lui, ma alla sua amica.

« Pronto? » chiese.

Non sarò mai pronto.

« Vorrei rispondere sì, ma non credo sarei onesto » mormorò, arricciando il naso.

La voce dell'elfo era tesa, la presa salda sulla briglia di Neve.
Manuel lo guardò sinceramente, la mano si depositò incerta sulla sua spalla.

« In realtà ti cercavo, volevo augurarti buona fortuna, soldato. »

Quella fortuna risuonò così pesante in bocca e piena di responsabilità, di gratitudine anche, nei suoi confronti.
Manuel non scollò la presa, gli occhi di Simone gli sembrarono troppo preoccupati.

« Ripetilo dopo di me: andrà bene »

Gli credo?

Il principe annuì lentamente. Prese fiato e buttò fuori un sussurro.

« Andrà tutto bene » l'aria che buttò fuori svanì nel nulla.

Manuel lo guardava come la cosa più fragile ma anche più forte di tutte. Ecco perchè, non smise di rispondergli.

Il soldato lo incoraggiò.

« Un'altra volta »

Insieme.

E questa volta lo dissero all'unisono, facendosi forza; fu una specie di scaccia malocchio, un giuramento senza promesse, un portafortuna, un sostegno non più solitario, ma condiviso a quattro mani, a due cuori, un connubio di paura e ansie:

« Andrà tutto bene »

Si guardarono fiduciosi, come se fosse stata sparsa della polvere dal profumo calmante nell'aria. Un briciolo di speranza veniva così inglobato, custodito.
Quei due si guardarono e poi ognuno si ricongiunse ai propri compagni.







Il corpo impaziente, in subbuglio, il cuore è ridotto a un organo che impazzisce e la testa diventava padrona.

La seconda volta.

L'insieme di voci che in uno stato febbrile e di onnipotenza si sommavano, affollavano in echi confusi la sua testa.
Indistinguibile capire chi appartenesse a cosa, chi facesse parte di cosa.

Forse erano tutto o niente, guidati unicamente dal loro spirito, uniti nell'unica motivazione che li teneva tutti insieme: a piedi con le armi, sui cavalli pronti a scattare, in posizione con le frecce gli arcieri ai lati.

Sono fiero di te, scritto su un pezzo di carta ormai bruciata.

Principe, tutto bene?

Sulla base di un servizio e comando quotidiani.

È tuo compito.

Le dissolse tutte, fino a quando non ne rimase soltanto una, forse la più essenziale.

Andrà tutto bene.

Simone respirò a fondo.
Non poteva toccare la sua collana con quell'armatura, ma la sentiva al collo e quello bastava.
Poteva però rivolgerle un pensiero con la mente e sussurrare nella testa il nome di sua madre prima di cominciare.
Dedicarle quel momento, insieme alle notti in cui cercava di comunicare cosa lo turbava.
E Neve sbuffava, strofinava gli zoccoli impaziente.
Lo sprazzo di suolo occupato, persone innocenti prese come se non avessero un valore. Il numero uguale se non maggiore rispetto alla volta precedente.
Le membra che sembrano scattare anche se ancora ferme in groppa a un cavallo, lo stesso.
L'orda di quei volti strampalati, deformi, urlanti l'esercito che cominciava a venirgli incontro senza timore. L'armatura quella volta, gli pesò molto di più. E Simone mandò giù più saliva di quello che immaginasse. Gli sembrava polvere liquida intinta di uno strano coraggio.
Ma almeno non era altro.

Non sono lacrime.

Si fece forza con i suoi uomini e questa volta, teneva stretta e ben salda la spada.

Non vedranno le mie lacrime.

La scarica di adrenalina prese tutto quanto il suo corpo, gli zoccoli di Neve sollevavano in aria quella terra mista a sabbia. Riuscì a decapitare la testa di un orco solo incurvando la spada e ponendo la lama e agendo netto, veloce.
Il sangue schizzò davanti al suo viso, ma non per questo Simone si fermò.
Proseguì indirizzando la traiettoria di Neve e tranciando il petto di uno che avanzava verso di lui e puntava alla sua cavalla.
Proseguì col terzo, notando già alcuni uomini riversi a terra e altri esseri perdere la gola, la vista.
Il quinto fu più complesso da gestire, in mezzo allo schiamazzo delle spade, delle frecce e delle urla, alcuni di quegli orchi vantavano le lance, non solo le spade o le mazze.
Ci giocavano, le muovevano come se fossero nati per usarle.
In tutte quelle facce, Simone non ne distinse una maggiore dell'altra, una più grande, una che comandasse. Gli sembrò strano che non ci fosse ancora il loro comandante a guidarli.
Agì di furbizia, prima colpendo un arto, il braccio sinistro, sfruttando la velocità del suo cavallo, poi ritornò per un secondo colpo mirando da dietro e colpendolo sulla schiena. Un taglio lungo, ma in ogni caso superficiale.

Sapeva non sarebbe bastato a molto.

Quindi, all'ennesimo colpo, puntò alla testa. Quello Manuel non glielo aveva spiegato. Ecco perché Simone non fu abbastanza cortese, conficcò la lama proprio al centro, immaginando il punto di arrivo di una freccia. Vide le pupille dell'orco sollevarsi fino all'attaccatura dell'orbita oculare e cedere, venire risucchiate via e perdere il contatto con il resto. Con il corpo tozzo e slegato.
Il principe non tenne però conto della fatica nel sollevare e soprattutto tirare fuori la lama.
Simone cercò di non impressionarsi troppo da ciò che ritrovò sulla punta, materia viscosa e nera, e continuò sul sottofondo degli uomini che urlavano, grugnivano.
Saettò con gli occhi su Fëanor, su Beren, provò ad intercettare il soldato, ma vedeva solo volti già con l'elmo buttato a terra, o ricolmo di nero.

Fu allora che per un millesimo di distrazione, Simone, Neve si impennò e il suo padrone schivò una lancia nella loro direzione.

E capitò ben più di una singola volta.

Le sembrò arrancare.

Forse era solo la paura di vederla affaticarsi o forse erano già gli animali riversi a terra a fargli terrore.

Quando vide infatti più di qualche cavallo venire abbattuto, il suo cuore cominciò , insieme alla sua testa già attiva, a riflettere.

Capì che non poteva rischiare: doveva proseguire da solo.

Capì che Neve aveva già fatto molto e che il suo respiro era importante più del suo.

Simone scese rapidamente da Neve, la guardò e con due colpi sul dorso, le fece segno di ritornare al campo. Intercettò rapido i suoi occhi grandi. Il suo manto nero era già chiazzato di nero, ma non per questo era meno pura.
Lei sembrò obiettare scontrando il suo muso col suo volto, ma lui le ripeté il gesto, senza più guardarla, fermo e deciso.

Le gridò in lingua.

Salvati.

Neve non esitò, non prima di aver abbattuto da sé qualche orco sulla strada di ritorno. Simone non ebbe tempo di guardarla perché si trovò a faccia a faccia con la sua paura.
Era più alto di quelli che aveva abbattuto, inferocito, spalle larghe e occhi più umani di tutti. Prese la carica e si scagliò su di lui, cozzando con la sua spada. Fu agile, più ricettivo degli altri. Sosteneva il suo sguardo come se volesse inghiottirlo - e lui sapeva bene cosa significava.
Ma lui era già finito in una morsa del genere e voleva solo vincerla, quella tenebra.
Una stoccata, un affondo. L'orco sembrava spazientirsi e puntò più volte alla sua gola. Simone ripeté la sezione, girò su se stesso, provò per un fendente e lo scalciò a terra già privato di elmo.
Le posizioni si ribaltarono, Simone fu buttato a terra, e ricevette il colpo proprio proprio sotto la spalla, passando per l'ascella, proprio all'attaccatura del braccio: si infilò dietro la maglia metallica.
Il lamento gli uscì dalle labbra come un rantolo sordo. Vedeva il sorriso dell'avversario sorridergli incattivito e tronfio.
Non era la prima volta che sentiva una lama.
Eppure non gli sembrò più come la prima volta.

Poteva essere sangue, il suo sangue.

Ma non faceva male e non bruciava come quella notte.

Niente gli avrebbe mai provocato lo stesso dolore, la stessa impotenza.

Si poteva trafiggere un corpo in tanti modi, e il suo era già stato profanato.

Quello che stava provando adesso, era un altro tipo di dolore.

Si rese conto che non poteva lasciare che una cosa più vuota lo prendesse.

Non era una lama che lo avrebbe posseduto.

Nessuno lo avrebbe più fatto.

Quel dolore era sopportabile a confronto.

Il sudore gli bagnò il naso, a denti stretti e ancora a terra, Simone decise di abbandonare del tutto la finezza e usò proprio il corpo: assestò un calcio dritto e forte all'addome. La mascella gli faceva male per lo sforzo, ma non tentennò, replicò quel calcio e tagliò con un ultimo sfondo con la spada quei capelli stranamente folti. Questa volta l'avversario barcollava. Si alzò e assestò un montante, dall'alto verso il basso. Decise di non osservare di cosa aveva privato il mostro, solo velocemente, sentì le parole del suo insegnante fargli eco:

"È il punto più nevralgico e fatale, insieme alla testa."

Sorrise.

"Bisogna essere veloci"

In mezzo al caos, al sangue, alla confusione, all'energia che si ricomponeva.
Forse era stupido farlo, ma Simone sorrise per un frammento di secondo.
Poi, si diresse verso i suoi stessi uomini che avevano bisogno del suo aiuto, a completare ciò che avevano appena iniziato quella notte.

Quando gli orchi - quelli che erano sopravvissuti - batterono in ritirata, senza però lanciare un avvertimento, un urlo di gioia si levò in mezzo ai soldati, le armature che brillavano nel buio, sporche dentro corpi esausti, si abbracciavano.
Era chiaro che non sarebbe finita lì. Ma quello scontro era stato vinto.

Il sollievo sul viso di Simone si disegnò in una fossetta incredula. Gettò a terra la spada, esausto.
La prima cosa che fece fu cercarlo con lo sguardo, anche se in lontananza.

Voleva ringraziarlo.

Perché anche se era stanco, sudato, e in parte anche ferito e sporco, ma sollevato, aveva bisogno di farlo.
Senza di lui, non avrebbe combattuto da pari.
Come tutti gli altri.
Senza di lui non avrebbe potuto raggruppare quel pugno di forza che gli restava.
Voleva ringraziarlo per essergli stato vicino, perché conosceva il suo segreto.
Gli occhi sostituiti alle labbra, al sorriso.
Avrebbe voluto farlo guardandolo anche con un solo cenno, anche se magari l'altro non lo avrebbe subito riconosciuto nel buio.

Era salita la luna, però.

L'elfo non riusciva a distinguere i cavalli ancora in piedi, non riusciva a distinguere la fila degli uomini da quella degli elfi, ma soprattutto, alzò in direzioni il capo per capire se fosse coinvolto anche lui in qualche stretta trionfale e di affetto.

In più Simone venne raggiunto e tramortito da Fëanor insieme a qualche soldato del suo gruppo, in un abbraccio, senza che se ne accorgesse. La sua ricerca terminò lì perché stretto dall'affetto dei suoi simili.
Fëanor gli mormorò qualcosa all'orecchio ma lui non lo capì subito.

Poi la guardia glielo ripetè più forte. Simone si sentiva ancora frastornato.

« Siete stato bravissimo, sembravate naturale, ho visto come vi siete mosso! »

E allora Simone annuì, sorridendo di nuovo quasi imbarazzato. Il viso si girò nella stretta delle braccia della guardia, a osservare ancora in quel punto precedente.<

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Capitolo 12
*** Rivelazioni ***


Rivelazioni






Gli uomini al ritorno decisero di dedicarsi a una giusta bevuta prima di ritornare al campo per fare curare le loro ferite.
Le guardie si indirizzarono con alcuni uomini verso una sola locanda nelle vicinanze, mentre Fëanor decise di scortare Simone e alcuni dei soldati bisognosi di cure al più presto - e che avrebbero rimandato a dopo la bevuta della loro birra - verso il bivacco.
Quando Simone venne spogliato dell'armatura e Ingrid ispezionò la sua ferita, non avvertì nemmeno l'unguento e l'acqua che la sfioravano.
La donna stava facendo tutto fuori dalla tenda da infermeria, visto che era già piena di pazienti al suo intorno - intenti più a ridersela e a parlare fra loro che a preoccuparsi.
Fëanor continuava a guardarlo Simone, tenendo la sua borraccia con dentro quello che l'elfo pensò fosse qualcosa di decisamente più analcolico dell'acqua.
Non che gliene importasse al momento, dato che la sua attenzione era altrove.
Simone aspettava che il suo amico ritornasse, per potergli dire propriamente grazie. E sperando anche da lontano, che si fosse fermato per un guizzo, seppur breve, a vederlo combattere.
A quel pensiero, Simone chinò il capo, strizzando gli occhi.

Sì, è una cosa da amici quella, pensò. Tra amici si può essere fieri e orgogliosi a vicenda.

Si era distratto nel pensiero del soldato che Fëanor lo aspettava interrogativo. Forse gli aveva posto una domanda, ma lui non lo aveva ascoltato.

« Scusami Fëanor, ero sovrappensiero » si scusò.

« Dicevo, » Fëanor portava la borraccia in alto e sedeva ora, su una cassa vicino alla tenda mentre Ingrid stava medicando la ferita del principe a pochi metri da entrambi « quel soldato, Ferro, vi ha insegnato davvero bene, devo ammetterlo. Avete fatto progressi e anche in poco tempo.»

Non si accorse nemmeno come stava sorridendo dopo aver sentito quel commento. In realtà, gli occhi di Fëanor scrutarono qualcosa tra quei ricci sudati, bagnati appiccicati alla fronte e in mezzo a quella striscia di sangue secco e nero all'altezza della guancia.
Non stava reprimendo nulla, anzi, il principe gli sembrava sereno, più vulnerabile a non nascondersi dietro un emozione positiva.

Simone annuì, confermando ciò che aveva detto.

« Ho avuto bisogno dei miei tempi, per l'uso della spada... spero di migliorare ancora di più, se possibile. »

Ingrid passò una pezza bagnata d'acqua pulita sull'angolo della pelle macchiata, tamponandolo.

« Qualunque cosa sia successa,» mormorò Fëanor con occhi liquidi « sono sicuro che state andando avanti. E lui vi sta aiutando, sbaglio? »

« Manuel, sì » si lasciò sfuggire, gli occhi si abbassarono a contemplare come Ingrid ripulisse la pezza dentro una piccola tinozza.

Non disse nient'altro, sentendosi un po' strano all'improvviso.

È mio amico.

« È... credo sia più un amico che un semplice soldato, adesso. »

Continuò a ripeterselo.
Non c'era nulla di sbagliato. Non poteva essere sbagliato, non in quel frangente, non se aveva bisogno di un ancora. Un amico era quello che Manuel era diventato per lui. Qualcuno che ascoltava, che aveva cura, attenzione.

La sensazione di Simone continuò a scuotergli un po' il petto. Non tremava, e nemmeno si sentiva male. Non sapeva spiegarselo, ma pensò che quel loro rapporto fosse una cosa da proteggere in qualche modo.
Che dirlo a qualcuno lo avrebbe in qualche modo reso meno puro, forse.

Sono schiocchezze, Simone.

Non capì nemmeno perché dirlo a Fëanor di cui si fidava, fosse una cosa che percepiva di un improvviso strano alone.

Se Manuel sentisse ciò che stai pensando, ti ripeterebbe che sono sciocchezze.

« Che sia benedetto, allora. Chi trova un amico, trova quasi sempre un tesoro. » l'elfo sollevò la borraccia in cuoio e poi ne prese un sorso. Lo offrì poco dopo all'altro al suo fianco.

Simone ci guardò dentro. Poi alzò gli occhi incuriosito e interessato su Fëanor che alzò le mani in segno di resa.

« Non guardatemi così, la colpa è da dare ad Amras. È lui che si è fermato molto prima in quella locanda, prima della battaglia. Ha avuto come una specie di visione. Ha comprato qualche bottiglia. È del buon vino, non può che farvi bene » indicò con l'indice.

Simone sorrise un po', ancora incerto. Non beveva vino da un mese più o meno. L'ultima volta era stata a palazzo. Non ne ricordava più il sapore.
Simone scrollò le spalle.

« Potevi unirti agli uomini stasera, raggiungerli, se ti faceva piacere. »

« Preferisco festeggiare a mio piacimento e in pace, almeno oggi. E poi vi preferisco al sicuro da sguardi alticci. La prudenza non è mai troppa.»

Simone lo guardò di sbieco, Fëanor colse al volo.

« Certo, sapete difendervi adesso... Bevete, dopo stanotte, ci meritiamo qualche vizio! » batté le mane sulle cosce e spiò Ingrid cominciare a togliergli qualche pezzo dell'armatura. Sospirò consapevole, ma non per questo non approfittando dell'umore positivo che si era creato nell'aria.
« Sì, so di essere irresistibile Ingrid, fai pure con comodo » biascicò sicuro, alzando le braccia per farsi smontare anche il pettorale.

La donna scoppiò in una risata e Simone osservò quella scena divertito.

« Sono lusingata, ma non ho più l'età per certe cose, Fëanor » rispose netta lei.

Mentre quei due cominciavano a punzecchiarsi in modo amichevole e giocoso, Simone ne approfittò per mandare giù un sorso di quella bevanda.
Era tiepida.
Il vino gli scese in gola e socchiuse gli occhi. Ne assaporò il gusto sul palato e si sprigionò come qualcosa di appagante e liberatorio: immaginò le mura di casa, un focolare comodo, quella che sembrava essere una vita passata.
Nessuna smorfia, solo un sorriso nostalgico e adulto, osservando come in un solo oggetto in cuoio potesse essere contenuto lo spirito di qualcosa che riscaldava ricordi piacevoli.

Forse dovrei riempire la mia borraccia dopo.

D'istinto pensò se Manuel si stesse divertendo alla locanda e se quando sarebbe tornato lo avrebbe visto reggersi sulle sue gambe o qualcuno lo avrebbe retto.
Quella visione lo fece sorridere ancora di più. Non si immaginava un soldato come Manuel ubriaco, non riusciva a concepirlo.
O forse era lui ad averne una visione troppo pulita, meno sciolta in quel senso.
Poteva averlo sottovalutato da quel punto di vista, ed era legittimo.

Chissà se si sta divertendo.

Anche lui si meritava di svagarsi, di pensare fuori dagli schemi ogni tanto. Sempre se Manuel fosse davvero il tipo di umano da pensare a ogni cosa in modo minuzioso, schematizzandola come lui, era chiaro.

No, lui è migliore da questo punto di vista.

Simone se ne stava seduto lì, con la testa ora vuota in attesa dell'arrivo degli altri soldati, orgoglioso di come aveva gestito lo scontro, sollevato perché Neve dormiva già placida e Fëanor gli avesse confermato che aveva fatto bene a mandarla indietro se la sentiva stanca, contagiato da un umore che non possedeva da un po'. Bevve un altro sorso del vino e poi si rigirò la borraccia fra le mani, prima di restituirla alla guardia.




 

Ci volle circa un'altra ora di feriti che venivano guardati e curati, prima che gli altri soldati si presentassero di nuovo al bivacco.
E il loro ritorno non lasciò altri dubbi, per via delle risate lascive. Alcuni non riuscivano a reggersi sul cavallo, tanto che ci misero più tempo a scendere.
Fu una scena esilarante: alcuni riuscivano a scendere ma una volta toccato terreno, oscillavano in cerca d'equilibrio, ridendo e venendo aiutati dai più sobri; altri invece, vennero aiutati direttamente dai soldati dalle orecchie a punta che una volta fuori dall'infermeria, prestavano soccorso.
Questo almeno, gli era stato raccontato una volta che uscì fuori dalla sua tenda dove Simone era rientrato solo un attimo per mettere qualcosa di più comodo. L'armatura la sentiva ancora addosso nonostante la schiena e le braccia scoperte. Indossò hna lunga tunica più tenue e sotto una casacca più lenta sopra i pantaloni.
Si era asciugato il viso, sciacquato la faccia e lavato a pezzi grazie all'aiuto di una bacinella fattagli trovare da Ingrid, sempre pronta ad aiutare.
Simone avrebbe voluto tanto godersi un bagno, ma l'idea di dileguarsi per andarsi a lavare in mare era da escludersi, soprattutto con la baldoria che stava sentendo fuori e gli uomini giustamente su di giri.
Aveva optato poi, per togliersi gli stivali e restare a piedi nudi, scalzo.
Non che avesse bevuto, ma forse quella notte poteva concedersi qualche altra libertà oltre a quei sorsi di vino.
Fëanor gliene avrebbe fatta trovare una piccola bottiglia il giorno dopo, gli aveva come letto nel pensiero.

Venuto fuori dal suo solito nascondiglio - che oramai era anche diventata un ottima scusa per sfuggire a sguardi indiscreti - Simone osservò una scena abbastanza tipica. Uomini sdraiati sulla sabbia, il fuoco che aveva appena preso vita sui ceppi di legno, discussioni più o meno animate, qualche soldato già sonnecchiava col naso e la barba all'insù.
Gli venne da ridere e non si frenò. Si fece avanti, notando con gli occhi dei capelli rossi, un volto aggraziato di donna. Elvira.
Stava tirando per i calzoni a qualcuno di troppo attivo insegnandogli le buone maniere. E poi c'erano gli elfi sparpagliati a sinistra e le donne che li assistevano.
Forse Manuel stava già dormendo lì in mezzo.
Si insinuò a sinistra, salutando i suoi soldati. Appena lo videro, i pochi di loro ancora integri e sobri, chinarono il capo.

« Principe »

Simone scacciò quella reverenza con un gesto della mano, sorrise.

« Riposate, sarete stanchi... avete combattuto con onore. Tutti quanti. » disse poi voltandosi verso gli altri uomini.

Gli sembrò di sentire qualche uomo ribellarsi per come venivano toccare le sue ferite, nel silenzio della sua pausa. Poi pronunciò una frase ad alta voce, alzando un braccio senza timore.

« Gerichín faer vara! »

Gli occhi dei suoi soldati si illuminarono, altri rimasero confusi ma annuirono ugualmente.

« Grazie principe, » pronunciò una ragazza tra tutti « qualsiasi cosa significhi! »

« Significa il vostro spirito è fiero » continuò a sorridere. « Grazie a ciascuno di voi, per ogni giorno e per stanotte »

Lo sguardo ad Elvira gli costò poco, ma avrebbe preferito anche scorgere l'altro soldato da cui non si separava mai.
Un altro urlo si levò e questa volta da uno degli elfi.
« Statti fermo se non vuoi che ti punga di proposito! » si lamentò una delle donne.

« È ancora giovane la notte principe e nessuno vuole andare a dormire! »

« Dormire? » biascicò un altro da disteso, le braccia in alto. « Se fossimo rimasti alla locanda avrei dormito sicuramente meglio, e su un paio di due-»

« EDWIN » lo riprese un altro, dandogli una gomitata.

« Dovevi vedere la portata di quella locandiera, Ronan, aveva davvero un corpo che cantava! Sembravano due pesche » biascicò raddoppiando la "p".

« O forse la birra ti era già salita in testa e ci vedevi doppio, Edwin » commentò un altro.

Le orecchie a punta erano adesso, più tese.

Manuel.

La donna sospirò, portando un braccio sul fianco, Simone non poté distrarsi perchè qualcuno stava già parlando con lui, ma lo sentiva ridere il soldato, non tanto in lontanaza insieme ad altri.

Che sia ubriaco anche lui?

« Beh, a proposito di canzoni, si può sempre intrattenere il tempo con un po' di musica se proprio non c'è via per il sonno » suggerì una delle infermiere.

Simone annuì, arrossendo in viso. Non avrebbe cantato di certo da solo, anche se tutti quegli uomini erano brilli e stanchi, era certo che non ci sarebbe riuscito comunque. Anche se con Manuel era riuscito a farlo.

« Cantare? Io non so cantare! » borbottò uno degli uomini lamentoso e svogliato.

C'era già un bel brusio di sottofondo.

« Credo sia un'ottima idea, Elwyth » le rispose dopo un'eternità Simone, con voce dolce.

« Ne conosco giusto una che fa al caso vostro, » disse allora, la donna, entusiasta nella voce, la crocca dietro la nuca le teneva i capelli tesi e neri ma delle ciocche le erano sfuggite ai lati, le mani misero a posto le garze in un cesto « credo anche la conosciate! »

Quando la donna cominciò a cantare il motivetto, molti degli elfi cominciarono a battere sulle ginocchia o a darle il tempo scontrando qualche spada o semplicemente facendosi passare la pentola per il fuoco, ora vuota e pulita, fredda perché non sul fuoco.
A Simone venne da sospirare d'istinto. Quale canzone era meglio di quella per indicare la sua situazione? Quella canzone parlava di una ragazza di buona famiglia che rifiutava di fondere se stessa a un matrimonio combinato per portare avanti sostentare i genitori.

« Guarda come la luce della luce della città, le luci della città risplendono ora, stanotte io danzerò in giro, sulla strada per Galway ora, guarda come va per la città, alla ricerca di marinai »

Simone roteò gli occhi tuttavia, sempre sorridendo.

Ironico.

L'idea di scappare Simone la aveva avuta dal primo istante in cui aveva messo piede su quel campo. Quella sera, non sembrava più tanto la stessa. Sarebbe scappato forse, solo per rivedere casa sua. E sarebbe scappato da chi non amava.
Gli uomini fecero eco ad Elwyth, rispondendole e ripetendo le frasi finali però, in lingua elfica. La donna cominciò a gesticolare con le mani, una di quelle teneva la tunica sporca di sangue, ma per lei adesso doveva essere un vestito da favola. A quel punto gli uomini le risposero in coro.

« Andrai e resterai a casa, dovrai lavorare domattina, abbandona il tuo sogno di scappare e dimentica i tuoi marinai »

E così, alcuni uomini batterono le mani anche da sdraiati, altri invece vennero incitati ad alzarsi e provare a fare qualche passo di danza anche barcollando. Quel folklore improvvisato, l'accordo armonico di tante persone che si univa, che cantassero o partecipassero in altro modo, riempì l'aria e anche Simone cominciò a lasciarsi prendere dal ritmo, nonostante quel canto gli sembrasse che fosse stranamente dedicato a lui.
Ronan sdraiato, gambe accavallate, si grattò la pancia, il corpo fermo e in contraddizione con la sua testa che si muoveva a tempo di musica, seppur fosse solo scatenata dal chiasso dei soldati.

« Ferro, con la spada te la caverai pure, ma scommetto che non sai mettere un piede dietro l'altro! » Ronan alzò la voce, grugnendo invece che ridendo veramente e rivolgendosi a Manuel, proprio due posti dopo Elvira ed Edwin.

Elvira lo fulminò con lo sguardo.

« Sta zitto ubriacone misogino, Manuel potrebbe ballarti anche in testa e saprebbe farlo meglio di quanto potresti farlo tu! »

Manuel si alzò scambiando un occhiata con Ronan, ed Elvira sembrò suggerirgli con uno sguardo 'non dargli retta, sei brillo'.

« Io almeno riesco a stare in piedi » e con quel tono strafottente più del solito, dopo ben due birre e mezzo, Manuel accettò la sfida. « Sta tranquilla, me la caverò.» scoccò un bacio sulla testa di Elvira prima di andare.

Non era così vicino al focolare affinché i suoi occhi si illuminassero, ma Elvira ci lesse qualcosa di simile alla prestanza e virilità maschile e tante altre stupidaggini simili di cui si nutrivano gli uomini.
In piedi, Manuel avanzò notando già figure che danzavano che diventarono subito ombre sfocate. L'unica cosa che il soldato guardava ora, erano due occhi schiacciati e che sorridevano. Non nella sua direzione però.

« Téir abhaile riú, téir abhaile riú, torna a casa, torna a casa, mar tá do mhargadh déanta, il tuo fidanzamento è deciso »

Fu una distrazione.
Voltò il capo proprio verso una coppia, un elfo e un'altra curatrice, - pochi distanti da un soldato donna e un altro - giravano intorno senza pensieri, crearono uno spazio in quel momento.
Risultò sfocato all'inizio, ma non ci fu proprio nessun'altra verifica per riconoscere che era Manuel.
Simone smise di sorridere, le mani smisero di battere il tempo.
Incontrò i suoi occhi a una distanza sempre più breve, come se stessero in qualche modo intonando un pezzo di canzone senza usare le labbra.

« Ora vieni e seguimi laggiù, laggiù verso le luci dove ci sono dei bei marinai che camminano per la città e aspettano di incontrare lì le ragazze »

Appena gli fu vicino, nessuno dei due disse una parola. Fu naturale per lui accettare la presa di Manuel che gli porgeva la mano, così come fu naturale sorridergli.

Gli sfuggì il controllo: d'altra parte in quel momento c'era una festa nell'aria e andava celebrata.

 
Simone notò i suoi occhi più liquidi, a causa dell'alcool, ma non risultò arrogante. Né nei gesti, né il modo in cui gli era vicino gli davano l'aria che volesse forzarlo, anzi, Manuel gli lasciò il giusto spazio per oscillare e ripercorrere i passi. Simone ricordava di aver visto quello nelle feste di tradizione a Boscoverde, della sua gente presa dalla totale scioltezza.
E Manuel cercò di imitarlo.
Quella cosa, lo fece ridere ancora di più a cuore pieno sul canto e sul ritmo tenuto dai soldati, perché era evidente che non riuscisse a seguire i suoi passi e se ne inventasse di nuovi.
Il soldato gli risultò trasparente, umano, anche così.

« Oggi è qui e domani non c'è più e dopo va a Galway, ballando in giro e via in città e non tornerà fino al mattino »

Non si rese conto quanto di quanto era sciolto e sfrenato, l'atmosfera era diventata così fluida che quando Manuel gli prese la mano, questa volta fu per farlo girare più volte.
E lui non obiettò, si lasciò guidare, ricordando com'era farsi prendere da bambino in modo affettuoso e senza doppi fini.
I piedi scalzi toccavano il terreno nudi, liberi in sintonia con il resto del corpo.

Simone rideva.
E non c'era cosa più bella di lasciarsi ridere dopo giorni di pianto.

Ogni muscolo non aveva più alcuna frizione.
Si lasciava volteggiare nelle mani di Manuel senza davvero pensarci.
Non era un'euforia costruita, dopo quei quattro sorsi di vino, Simone non poteva definirsi ubriaco.
Si stava solo dando la libertà di fare ciò che voleva senza comandi, facendo girare anche lui l'altro, adesso.
Quel piccolo spazio aveva tutta l'aria di aver creato un vortice di figure disegnate attorno a loro, che svanivano in confronto.
Loro erano le due figure che giravano mentre gli altri battevano i piedi, li mettevano al centro.

Solo due figure in vista e il resto attorno e intorno nel buio, diretti verso la luce.

I palmi delle mani erano uniti ora, giravano entrambi più veloci.

« Téir abhaile riú, téir abhaile riú
Torna a casa, oh, torna a casa »

La circolarità della canzone procedeva spedita e loro continuavano, dimentichi del tempo.
Il tempo era diventato inconsistente e per Simone, questa, era una concezione nuova, diversa.
Si sentirono le urla di qualche soldato preso troppo dall'euforia, la canzone girò, almeno fino a quando la testa di Simone non la accompagnò anche lui esausto. In mezzo alle risate e alla foga generale, cadde sulla spalla di Manuel, sbilanciandosi in avanti. Sorrideva confuso, frastornato, felice.

La premura di Manuel risaltò in mezzo ai tanti schiamazzi da sottofondo.

Se la vita fosse sempre così...

« Sto perfettamente, mai sentito più leggero » pronunciò senza fiato Simone, alzò dopo qualche istante il viso dalla sua spalla.

La canzone era finita e loro due si guardavano adesso.
Le mani di Manuel erano salde sulle sue braccia dato il capogiro di poco prima.

Il soldato si accertò che stesse bene, guardandolo per bene in viso, ma non sembravano esserci segni negativi. E sapeva bene che non era solo per quello che lo stava facendo.
Per Manuel mostrava quel sorriso e le fossette bucate sul viso, come quella volta che lo aveva spiato al fiume.
Era il sorriso più luminoso ed era la terza volta che lo mostrava. Ma mai così da vicino.

Erano così vicini, a fiato corto e ancora nelle braccia l'uno dell'altro.

Ripristinò esattamente cosa stava succedendo: ecco che Simone cambiò espressione all'improvviso.
Non c'era altro modo di dirlo, l'euforia era ancora dentro di lui, era svuotato e riempito allo stesso tempo, ma c'era anche qualcos'altro.
Realizzò tardi che i suoi occhi erano caduti sulle labbra del soldato, in mezzo al fiato corto e affannato.
Erano un po' secche sul labbro inferiore, due linee più allungate ma non meno carnose.
Simone realizzò tardi il pensiero che stava per nascere scatenato da quella semplice azione.
Realizzò tardi che sicuramente, quella non era un'attenzione o sinonimo di amicizia. L'elfo schiarì la voce e si scostò, sviando lo sguardo.

Rivolgendosi a tutti i presenti - soldati che si erano di nuovo avvicinati al fuoco e appisolati inclusi - forzò un sorriso nervoso.

« Buonanotte a tutti »

L'ultimo che Simone guardò fu Manuel e i suoi occhi erano forse meno confusi dei suoi al momento.
Accennò un sorriso breve e gli diede le spalle.

A passo spedito raggiunse la tenda e ci si appoggio contro una volta chiusa.

Cos'era quello?

Simone aveva voglia di slegare il nodo e spiare fuori dal suo rifugio, ma si controllò dal farlo per davvero non cedendo alla tentazione.

Deglutì.

Gli ho fissato le labbra.

Stavamo ballando.

Calma.

Calmò il respiro e si mosse per prendere la sua vestaglia leggera in lino.

Forse è stato il vino.

Annuì a sé stesso.

Gli stavi fissando le labbra.

Hai bevuto appena tre sorsi dalla borraccia di Fëanor.

Sospirò e cercò di calmarsi.

Forse non se ne è neanche accorto, era un po' brillo.

Simone continuò quella danza tra un pensiero e l'altro, facendo avanti e indietro con la veste da notte tra le mani che tardava ad essere indossata.

Sono qui da un mese in mezzo a più uomini che a donne. Per me è normale.

Non si si stupì di starlo pensando, lo aveva già fatto, ma mai così esplicitamente. Mai dopo che si era concesso così tanto libertà in una sera, mai così tanto.
Ma era un bell'uomo.

Manuel è anche un amico.

E Manuel sapeva che gli piacevano gli uomini, lui glielo aveva confessato in quella chiacchierata senza filtri e nascondigli. Non c'era da preoccuparsi.

Simone spalancò gli occhi e arrossì all'istante.

Beh, quello contraddiceva tutto perché poteva essersi accorto in verità che lo aveva guardato.

Manuel sa.

Imprecò in lingua.

Cosa mi sta succedendo.

« Può succedere, sta calmo. Domani sarà tutto passato.»

Si infilò di corsa la vestaglia addosso, buttò in un angolo e come gli capitava la tunica e i pantaloni, senza nemmeno piegarli e si accoccolò sulla brandina sperando che il suo cervello lo lasciasse in pace e si spegnesse automaticamente.






 

**




 

Mani si muovevano sapienti sul corpo come se sapessero bene che strada seguire. Calde, per niente minacciose, con tocco delicato ma non per questo innocenti scendevano sulla pelle.

Le pupille si muovevano sotto le palpebre, scosse o semplicemente troppo attente a cosa stavano trasferendo alla sua mente. In quella, si stava insinuando, lo stava chiamando un desiderio che non poteva venire più taciuto una volta addentrato tra le trame del suo sonno.

Erano un po' ruvide, aperte e calde quelle mani. Soltanto il suo ventre in vista e un'immagine sfocata che per quanto ci provasse, non veniva messe a fuoco.
Il suo corpo però cedeva alla richiesta di quei tocchi, cedeva e si inarcava di conseguenza rispondendo.
Non erano mani che voleva allontanare.
Anche adesso, il suo corpo era diventato più umido, ha assunto il calore delle dita che lo stavano toccando.

Simone cominciava a muoversi nella brandina, arrotolando quella coperta tra le gambe e stringendone l'inizio con le dita di una mano.

Sembrava esserci una richiesta ben precisa, mentre provava a parlare e a sciogliere le labbra ma tutto ciò che ne veniva davvero fuori erano rumori disarticolati. E collo in tensione.

Simone cominciò a incespicare qualche parola a lui stesso sconosciuta, strizzando la coperta in un pugno della mano, le gambe si stavano irrigidendo sotto l'involucro.

Si sentiva in possesso di qualcosa di nuovo. Il corpo stava inventando una nuova lingua che gli era sconosciuta. Qualcuno gliela stava insegnando. Simone si lasciò toccare il ventre, posare qualcosa di più umido lì, sulla pelle tesa, attorno all'ombelico. Forse, labbra.

Deglutì così forte, ingoiando forse fin troppa saliva, mentre la testa giocava con lui.

Non riusciva ancora a vedere bene chi stesse eseguendo quella magia.

Simone scalciò la coperta tirandola via con i piedi.

A pelle nuda.

Vedeva una cicatrice.

Come una matassa ben definita nella confusione di ogni piccolo pelo disegnato, l'involucro di quei capelli venne fuori e il viso di chi gli rivolgeva quelle attenzioni s'affacciò, emerse fuori disintegrando tutto ciò che aveva pensato.

Vedeva un paio di occhi.

Quelli gli sorrisero come se fosse felice di stare spiando qualcosa che lui non riusciva a vedere, oltre al suo corpo che cominciava a sudare.

Erano gli occhi di Manuel.

Simone si svegliò di soprassalto. Spalancò gli occhi, la mano si portò rapida al petto che batteva incontrollato.

Non è possibile.

Gli faceva male il petto, tremava anche un po'. Cercò di calmarsi respirando profondamente, ma ogni volta che andava il respiro e chiudeva gli occhi, Simone vedeva l'ultima immagine che quel sogno gli aveva regalato, davanti a sé: Manuel che gli sorrideva.

Manuel che lo toccava.

Manuel che faceva tutto ciò che un amico non doveva fare.

Simone si portò entrambe le mani a coprirsi il viso.

« Non è possibile » mormorò, in stato di confusione.

E come se non bastasse, dopo aver provato a respirare senza tuttavia smettere di calmare i suoi battiti, la coperta era ormai stata scalzate via e quello che vedeva adesso era chiaro.

Benissimo, pensò.

L'erezione che si era formata a cavallo della sua biancheria, era l'ultima cosa che proprio non aveva previsto.
Non ricordava l'ultima volta che si fosse toccato.

Sospirò.

Molto piano in quel misto di sentimenti confusionari e con il suo corpo più tiepido, portò una mano dentro la biancheria e cominciò a muoverla su se stesso.

Silenzio.

Serrò le labbra e provò velocemente ad eseguire quello che era stato solito fare nella solitudine della sua adolescenza, nei momenti della sua vita dove suo padre non sarebbe venuto a cercato. Nemmeno per spiegargli una cosa come quella.
Simone mosse la sua mano sulla sua lunghezza già dura e mentre lo faceva, immagini varie cominciarono a fluire e ad affollare la sua testa.

Manuel che lo salvava.
Lui che dormiva avvolto nel mantello di Manuel.
Manuel a cui si aggrappava e piangeva.
Manuel che gli insegnava a combattere.
Manuel che lo ascoltava.
Manuel che non parlava a nessuno di cosa gli era successo.
Lui che ferisce Manuel e si preoccupa.
Manuel e lui che ballavano, quella sera.

Manuel, Manuel, Manuel.

I movimenti divennero meccanici attorno al suo membro, una mano si dava piacere, mentre con l'altra Simone si chiudeva la bocca per evitare di farsi sentire.
C'erano pur sempre le sue guardie subito accanto alla sua tenda.
E poi era abituato a controllarsi, anche se risultò difficile mentre le stesse immagini degli ultimi giorni continuavano a ripetersi.

Era un totale controsenso: lui e un soldato, un umano e un elfo, due entità diverse e lontane.
Gli venne in mente che sua madre gli aveva detto un giorno capirai riferendosi a lei e suo padre.

Ma tutto ciò che non doveva accadere, non adesso, in guerra, per giunta.
Per non contare che Manuel non avesse mai parlato durante i loro allenamenti, delle sue preferenze sessuali.
E Simone lo aveva notato fisicamente, anche se lo nascondeva bene.

Manuel conosce le mie.

Non ebbe bisogno di toccarsi in viso per capire che era rosso.
Simone lo capì da solo, perché non si sentiva più il viso. Il calore lo stava prendendo ovunque, le mani gli erano appena diventate così calde, come mai le aveva sentite sotto la pelle.

Non è giusto, non posso, non devo, è sbagliato.

Più Simone evitava a quei pensieri di offuscargli il pensiero, più sentiva la pienezza prenderlo.

Non ricordava proprio l'ultima volta che aveva dato a se stesso quelle attenzioni.

Continuando a toccarsi, toccò il culmine, l'intesità lo avvolse portandolo a respirare frenetico. Si obbligandò a non ripetere il suo nome, mentre raggiungeva il piacere.
Sporcò la sua mano e parte del suo stomaco anche erché quella sera aveva deciso di dormire solo con la sua vestaglia che gli arrivava al ventre e dei larghi pantaloni di lino, a causa del caldo.

Ora il caldo era duplicato.

È sbagliato.

Sudato e sfinito, Simone ricacciò la testa contro il materasso. Ripercorse ciò che era appena successo, quello che aveva sognato.
E quello che aveva fatto, adesso.

« Non è possibile » continuò a ripetersi.

È sbagliato, però l'ho fatto.

Simone sospirò, coprendosi il viso. Cominciò a vergognarsi dentro, nonostante il suo corpo dicesse il contrario disteso molle e soddisfatto, contro il tessuto del materasso.

Può succedere così? si chiese.

Spalancò gli occhi, sentì tutto il peso della pietra che portava al collo.

Mamma, può succedere così?

« Che mi sta succedendo? » l'elfo lo chiese a voce così flebile e sottile.

Aveva già la sua risposta però.

Può succedere così, senza accorgersene, tutto in una volta?




 

Con quale filo, granello di coraggio stesse andando all'allenamento, quel giorno, Simone non lo sapeva.
Neve era accanto a lui, tenuta per una briglia mentre l'altro braccio era sciolto, la mano sudava reggendo lo scudo.
Gli sfuggiva la presa quasi ad ogni passo e cominciò a darsi dello stupido, mormorando in elfico con se stesso.
Se Neve fosse stata un essere umano, avrebbe sicuramente cominciato a prenderlo amichevolmente in giro e ne avrebbe avuto tutto il diritto.
Simone si stupì a anche del filo di finta indifferenza che avrebbe dovuto tirare su pur di evitare di volare al pensiero del sogno della scorsa notte.

Un filo di indifferenza con Manuel: era un'impresa epica.

Soprattutto dopo quello che aveva sognato.
Di più lo stupiva la finta sicurezza con cui ci sarebbe riuscito.

Era solo un sogno non era reale.

Quando arrivò al luogo prestabilito, immerso nel verde, Manuel era già lì, la spada penzolava alla cintola. E c'era anche Maximus, poco più vicino.
Andrà tutto bene. Devi solo pensare all'allenamento.

Simone scese lungo il terreno, gli alberi erano fermi, non si muoveva nemmeno un filo d'aria: quel giorno faceva più caldo degli altri. Ecco perché quando Manuel alzò il viso, quasi interrotto dal suo cavallo nero, che fissava lungo la sua direzione e quella di Neve - in modo del tutto palese -, Simone provò con tutto se stesso a non osservare che anche quel giorno, il soldato non indossasse una tunica completa e abbottonata. Sembrava avere una passione per quel gilet di cuoio sopra quella camiciona aperta sul petto.

Calmo.

Simone alzò una mano, sventolandola. E solo a quel gesto, vide Manuel fare lo stesso con un cenno del capo e sorridergli.

« Siamo al completo oggi » indicò Manuel, guardando la cavalla bianca venire in avanti, incuriosita da un lungo ciuffo di erba rigoglioso in un angolo.

« Non volevo lasciarla sola e forse può mettere in riga il tuo amico particolare » Simone le diede un'ultima carezza sul dorso prima di lasciarla libera e posizionare un sacchetto pieno di mele e qualche carota.

Manuel ridacchiò buttando giù il capo, si girò verso il diretto interessato.

« Hai sentito, musone? » il soldato si beccò uno sbuffo da Maximus « Qualcuno finalmente può riuscire a insegnarti le buone maniere »

Il cavallo gli dedicò uno sguardo annoiato anche già cambiava direzione, per osservare con attenzione anche lui, lo stesso ciuffo di erba dove era ormai arrivata Neve.

« Attento a dove vai, hai quattro occhi addosso adesso! » lo rimbeccò Manuel. Maximus nitrì in risposta.

Simone rise e quando il soldato si voltò, pregò con tutto se stesso che l'atmosfera sarebbe rimasta quella.
Famigliare, senza disagi.

« Cominciamo? » Simone camminò con la mano sull'impugnatura della spada, l'altra reggeva pronta lo scudo.

Manuel lo copiò e mosse la spada.

« Certo, dopo di te » si mise di fronte a lui, in posizione.

Simone aspettò che Manuel provasse a provocarlo con la spada, mentre gli girava intorno. Girava la spada come se fosse una parte del suo corpo, così come gli aveva insegnato, i piedi che tracciavano il percorso a terra in un cerchio. Quando capì che era passato troppo tempo, allora ci provò lui, avanzando con la spada e Manuel lo placcò con lo scudo difendendosi. Il rumore metallico lo sentì echeggiare nelle sue orecchie.

« Andiamo, principe, puoi fare di meglio » lo invitò Manuel.

E così Simone riprese, replicando il gesto di poco prima cambiando angolazione della mossa, cercando un punto scoperto dell'altro. Anche in quel caso, Manuel lo anticipò con lo scudo, e la spada batté contro quello, il metallo riecheggiò. Camminò in cerchio, corpo e spada protesi, cercando di distrarlo. Riuscì a trovare un punto vuoto e allora la spada sfiorò la spalla di Manuel. Fu in quel preciso istante, un ricciolo sfuggì sulla sua fronte coprendogli un occhio, penzolava così, libero. Chissà se anche la scorsa notte quel ricciolo nella sua testa era così, non ricordava. Simone lo guardò solo per un breve istante, una goccia di sudore gli stava cadendo sul naso. Manuel spostò il viso abbassandosi e trovando lui, un punto scoperto dell'altro. Simone se ne accorse tardi e girò schivando la spada per un pelo.

« Simone, vuoi già fare una pausa? »

Non guardare.

Quella goccia di sudore gli stava bagnando il labbro superiore.

Non vorrei pensare a come ti ho sognato.

« No, continuiamo, » mormorò senza fiato « mi sto solo riscaldando »

Concentrati.

Manuel rise basso.

« Perfetto, io sono qua, » giocò con la spada nella sua mano, fin troppo sicuro « ti aspetto. »

Non dire così.

Riprese quindi, i piedi pronti a girare, lo scudo che si alzava e cozzava con il suo. La spada si muoveva, cercando di disarmarlo dopo i primi colpi.

« Troppo presto » lo riprese Manuel, sempre con quel sorriso sulla faccia.

« Lo vedremo, soldato » rispose netto, Simone.

Cercò ancora un punto, girando dietro di lui, cercando di prenderlo dove non poteva guardarlo. E sembrò riuscirci, se non fosse stato che Manuel lo raggiunse poco dopo, scoprendolo.

« Non è valido colpire dietro le spalle! »
Simone corrugò la fronte, la mano che si stava stancando a reggere lo scudo.

« Ah, e chi lo ha detto? »

Manuel scrollò le spalle, si asciugò la fronte col dorso della mano rapido per ritornare in posizione.

« L'insegnante che ti sei scelto, giusto adesso. »

E sfacciato, alzò la spada e Simone si difese con lo scudo, pronto di riflessi.
Danzarono in quel modo guerresco, tribale prima che Simone riuscisse davvero a distrarlo di fronte a lui. Aveva lo scudo profanato in alto e la spada cercava di scoraggiare l'altra, che gli bloccava la via del petto. Restare fermi così per dei minuti, non aiutò Simone. Aveva gli occhi così concentrati, le ciglia si bagnavano del sudore, le labbra erano contratte, la pelle del petto scoperta.

Simone, che stai facendo.

Si riattivò giusto il tempo di sentire Manuel che allentava la presa.

« Sei...sei stanco? » pronunciò senza fiato.

« Mi... » disse piano, flebile « mi gira un po' la testa »

Non mentire.

Manuel stava già cominciando a rabbuiarsi in viso. Simone abbassò di poco l'arma, sorrise guardando il terreno « Solo qualche secondo »

Riprenditi.

« Dovresti bere un po' d'acqua »

Dovresti concentrarti a combattere.

Simone annuì velocemente, tastandosi lungo la cintola e bevendo dalla piccola borraccia cilindrica che portava con sé. Sarebbe stato meglio se Manuel non lo avesse guardato per tutto il tempo in cui mandava giù un sorso per rinfrescarsi. Sapeva che voleva accertarsi che stesse bene, ma quello sguardo era troppo da sostenere.

Basta, Simone, basta.

« Cos'hai mangiato oggi a colazione? » poggiò lo scudo a terra, si grattò il capo.

« Mh, suoni come Ingrid adesso, soldato » disse con un altro sorso d'acqua Simone.

« Non vorrei che svenissi, tutto qui. » il tono però si evolse come per magia e Simone notò la sfumatura che assumeva « Non è un vantaggio di cui voglio approfittarmi, per batterti, sai » portò entrambe i palmi aperti contro di lui.
Poi Simone rimise la borraccia di nuovo apposto, legandola alla cintola con un doppio nodo.

« Non intendo darti nessun vantaggio » l'apostrofò sicuro Simone. « Stanchezza o meno »

« Consiglio di portarti del cioccolato, la prossima volta »

Simone annuì.

« Grazie del consiglio, » ribatté Simone meno lucido, ma tenendo il punto alto « però ora direi di smetterla di parlare, riprendiamo? »

Sembrava essersi finalmente ripreso. Così, Simone proseguì schivando non uno, ma ben due colpi, riuscì a muovere quello scudo più volte e creò una barriera con lo sguardo di Manuel.
Vedilo come un nemico.
Si concentrò più di prima. Aveva bisogno di farlo, non doveva pensare alla sera scorsa, non doveva provare a lasciare che quell'immagine lo distraesse.
Trovò un'altra figura e si concentrò su quella.
Simone immaginò gli occhi di sua madre a vederlo in quel momento, poi quelli di Ingrid, di Fëanor, poi di suo padre. Quell'ultima immagine lo fece colpire forte lo scudo di Manuel, mentre l'altro lo schivava per un pelo e i suoi capelli ricci si muovevano insieme alle sue armi. Era agile quasi quanto lui e le sue braccia erano più pronunciate rispetto alle sue, le spalle erano simili, ma Manuel era più basso.

« Beh, per il principe l'acqua ha dato sicuramente un vantaggio » lo prese in giro senza fiato, trovando il suo fianco esposto dopo vari tentativi.

« Non credo proprio » rise Simone, recuperando fiato. « Sono migliorato, anche Fëanor lo ha detto » disse fiero, poi lo guardò meglio. Gli tornò in mente la voce della sua guardia fidata.
« Ci teneva a ringraziarti di persona per come mi stai addestrando » gli rivelò.

« Beh, lo ringrazierò presto, anche se sto solo facendo tutto ciò che so e posso. »

« Prenditi i tuoi meriti e accetta complimenti soldato, » gli uscì fuori un tono quasi di rimprovero, se ne rese conto e si ammorbidì « se è una guardia reale a dirlo, vuol dire che è ufficialmente vero. Anche se, sono io ad essermene accorto per primo » terminò con una punta di diplomazia.

Manuel si immobilizzò, posava lo scudo e questa volta a fermarsi per bere.

« Accorto di cosa? »

Simone scrollò le spalle. Manuel stava raccogliendo dell'acqua con le dita dalla borraccia e se la passava dietro la nuca per rinfrescarsi dal sudore. Lo osservò anche troppo, gli formicolavano le mani, un prurito che cominciava a farsi fastidioso.

« Beh, che sei un ottimo guerriero, sono contento di aver scelto te, Manuel » lo guardò con attenzione. Manuel ricambiò il suo sguardo.

Continua, non fermarti lì.

La mano si resse alla spada come non mai, le suggerì le parole che venivano dopo, parole che mettevano i puntini sulle 'i' « E anche che sei un buon amico » completò.

Sì, come l'amico del sogno.

Gli occhi del soldato erano vividi, sorrise ampio.

« Grazie, ma adesso sei tu che parli un po' troppo, mh? »

Manuel si avvicinò appena, una smorfia disegnata sul viso, i peli della barba un po' sulla guancia e per finire sul mento. C'erano anche dei piccoli nei sul viso, Simone non se ne era ancora accorto prima. Stava per dirgli qualcosa prima di raccogliere il suo scudo, ma quello vacillò, incontrando una pietra in mezzo ai suoi piedi. Ricadde addosso all'altro in meno di un secondo, portando lo scudo a rotolare e una punta della spada pungolò la gamba di Simone.

Manuel gli finì addosso.

« Dio » imprecò piano « ti ho fatto male Simone? »

Per favore non reagire, non pensare, sta fermo.

« No »

Manuel lo guardò un po' ovunque.

« Sicuro? » infilò la spada nel fodero, agile e veloce, senza tuttavia staccargli gli occhi di dosso.

Per favore, sta calmo.

« Scusa, mi sono distratto, doveva essere un bel sasso appuntito, non l'ho visto » farfugliò.

Per colpa di un sasso, sto andando nel panico.

« Mh mh, t-tranquillo » mormorò « può succedere. Sto bene

A quel punto però Manuel vagò lungo il corpo dell'altro, si bloccò al ginocchio sinistro dell'altro, proprio lì il tessuto dei pantaloni era squarciato in un punto, scoprendo la pelle bianca. Non vi era traccia di sangue, per fortuna. Era stato lui con la lama della spada.

« Qualcosa però ho combinato » sospirò, ancora sopra di lui, una smorfia sul viso « scusa »

Non sento più la mia voce sopra il battito.

« Cosa...cosa intendi? »

Manuel indicò il punto scoperto senza toccarlo. Simone non riuscì a seguire il suo sguardo, era troppo vicino.

« I tuoi pantaloni »

Batte troppo forte.

Simone corrugò la fronte confuso.

« I miei, i miei pantaloni-» allora seguì la sua mano. Il tessuto in un punto era stato stracciato netto dalla lama, la cucitura si era sfilacciata. La bocca di Simone si disegnò con stupore. « Oh »

« Dovevo riporre la spada prima di avvicinarmi »

Lo vedeva così dispiaciuto e si sentì in colpa per ciò che stava provando.
Ancora più in colpa perché non riusciva a smettere di guardarlo.
Gli faceva tenerezza, sentirlo così vicino e in pensiero per lui aumentava ancora di più la quella sensazione. E poi sapeva che era sbagliato, ma avrebbe voluto stringergli il viso e dirgli che stava bene, stava davvero bene.

Simone oscillò con la testa, per già dell'ultimo pensiero.

« Non mi hai fatto nulla, c-ci mh, ci penserà Ingrid a ricucirli.»

« Per fortuna avevo posato lo scudo prima, altrimenti mi sarei beccato delle possibili ferite e insulti da parte di Fëanor. »

Simone annuì, rise appena.

« Sarebbe stato un po' più misericordioso, forse »

Si guardarono un altro po', così vicini, a risata interrotta.
Simone deglutì e con una mano colpì molto piano e senza fargli male, il suo petto sul lato della camicia, non della poca pelle esposta da cui vedeva alcuni peli spuntare fuori. Non si stupì a trovarla umida e tiepida.

Calmo.

Simone arricciò il naso.

« Ci, mh, ci alziamo? »

Manuel parlò troppo veloce.

« Sì, giusto »

E quando Manuel si alzò e gli tese una mano, Simone si scotolò della terra di dosso. Gli sorrise, anche se ancora non sentiva la sua stessa voce.

« Tranquillo, ce la faccio soldato »

Una volta alzatosi, Simone si sentì osservato. Neve era in buona compagnia, ma in quel momento la sua attenzione non era rivolta all'altro equino nero. La cavalla lo guardava come a volergli dire "ti ho scoperto".
Non sembrò sbagliarsi quando quella si avvicinò cauta ciondolando con la testa, neutra, ma curiosa. La accarezzò dietro le orecchie.

« Tranquilla, è tutto intero. » scherzò parlando direttamente con Neve. Poi i suoi occhi si ammorbidirono. « La sua premura è davvero bella. » disse l'altro nel silenzio.

Mi ricorda qualcuno.

Simone annuì, ma non riusciva a guardare Manuel negli occhi. Sapeva ciò che avrebbe voluto ora: che quell'incidente fosse durato di più. Lo sapeva e non poteva tornare indietro ed evitarlo.

« Credo abbia solo voglia mangiare » e lo disse guardando Neve negli occhi.

Sì mi hai beccato, amica.

Maximus raggiunse poco dopo Manuel, strofinando il muso sulla sua spalla. Fu allora che sapeva non lo avrebbe guardato che Simone ritornò con lo sguardo a osservarlo. Il soldato rise sul finale:

« Mi sa che dovremmo farla ora, quella famosa pausa »



 

**


 

« Ingrid »

La notte dopo Simone era andata a cercarla diretto nella sua tenda adibita a infermeria.

Aveva tutto il bisogno di parlarle. Parlare a qualcuno che non fosse l'uomo per cui provava qualcosa da cui doveva stare a debita distanza.
La trovò mentre si lavava le mani in una tinozza di ferro. Ingrid sorride, le pieghe agli angoli della bocca e i capelli completamente sciolti.

« Fairë » lo accolse calorosa « hai visto che cielo che c'è fuori? La luna è piena... hai già cenato? »

In realtà aveva toccato pochissimo della cena, quella sera. Più che altro era andato a fare una passeggiata notturna per guardare la luna e chiedere consiglio.

« Non avevo molto appetito » mormorò sincero. Ingrid si asciugò le mani sul grembiule che portava in dosso, lo tolse e lo piegò usando entrambe le mani. Poi lo poggiò su una cassa di legno affianco a sè. « Non puoi continuare a mangiare come una formica, soprattutto in questi giorni »

Simone avrebbe anche riso per quell'espressione, ma storse soltanto la bocca. Ingrid si fermò una mano su un fianco.

« Cos'è quello sguardo? »

« C-che sguardo, iaur? » Simone balbettò appena.

« Lo sguardo che ti ho visto questi giorni era davvero il tuo. Quello che hai adesso è diverso, è simile a un'anima in pena. »

Ingrid, ha la stessa abilità di mia madre.

« Si nota così tanto? »

Ingrid distese una coperta pulita e vecchia sul suolo, facendo attenzione a non farle fare nessuna piega e gli fece cenno di sedersi. Battè con la mano sul tessuto.

« Dai, siediti un po' con me, ti va? È un po' che non chiacchieriamo noi due.»

Simone le fece quindi compagnia, mentre lei, attenta cercava di risultare meno invadente possibile. Gli raccontò di come era stata a prelevare erbe quella giornata e di come le donne avessero trovato un mercato a poca distanza dove l'esercito potesse rifornirsi, in quei giorni di tregua. Lui le chiese che tipo di erbe avesse trovato e lei rispose che il gelsomino cominciava a spuntare rigoglioso in quella stagione estiva, così come il mirto da cui poteva essere fatto dell'ottimo liquore, ne aveva approfittato per raccogliere le ultime piante di lavanda prima che seccassero in pianta per poterle prepararle in unguenti e bevande calde che lenissero l'umore e il corpo. Quando però Ingrid si stancò di parlare di alcuni soldati ingrati e anche brontoloni, il lavoro delle donne e delle sue faccende, prese la mano candida accanto alla sua e ne tracciò bene il palmo interno.

« Non sapevo leggessi la mano, Ingrid. »

« Non ci riesco infatti, » abbozzò sorridendo lei « ma se devi parlare e non riesci a guardarmi negli occhi, ora puoi approfittarne. »

Conosceva quell'espediente, quel trucchetto. Simone lo usava con chi non conosceva da bambino, riusciva a sbloccarsi solo dopo un po', appena dopo la morte di sua madre. Parlava con pochi del paese, fissava un punto sul terreno o i suoi piedi in basso e dopo iniziava a parlare.
Era stata lei a insegnarglielo, ed era stata sempre Ingrid a tirarlo fuori da quel meccanismo diventando più grande, poi. Qualche frammento di quel comportamento era rimasto con pochi, ma con Ingrid.
Con lei non avrebbe potuto mai comportarsi così. Simone infatti le accarezzò l'altra mano e la invitò a guardarlo cercando i suoi occhi.

« Non mi vergogno più, iaur. Io mi fido ciecamente di te. Non mi vergogno a guardarti, ma forse lo provo per quello che sto dirti. »

Simone buttò fuori l'aria, uscì tutti fuori come se scartasse via uno strato, una scorza di pelle dura.

« Cosa... cosa si prova quando si è innamorati? »

Prevedeva rispondesse con qualcosa di totalmente illuminante quanto efficace. Gli occhi di Ingrid si riempirono di curiosità, ma anche di consapevolezza. Annuì lentamente.

« Mi stai chiedendo della mia gioventù, se ho capito bene. Ne è passato di tempo, ne ho avute molte di occasioni, ma non voglio annoiarti... » la donna rise sulla punta delle parole giocosa e saggiamente, poi proseguì. Due occhi ben decisi e pieni di esperienza. « È il cuore, il problema quindi. »

Simone si inumidì le labbra.

« Non ci capisco nulla. » confessò, sospirando pesante.

« Se me lo hai chiesto Simone, vuol dire che qualcosa hai capito. »

Simone raddrizzò la mira delle sue parole, della sua richiesta.

« Te lo chiedo perché ne capisco davvero poco. » replicò.

« Ah, quindi batte ancora un cuore dentro quell'armatura » giocò lei morbida, riscuotendo un altro sospiro nell'altro « può essere solo un bene allora.»

« Io...dopo mia madre non credo più di sapere cosa si prova, ma forse avrei preferito non ricordare di averlo. »

Gli occhi di Ingrid si raddoppiarono, incredula.

« Non metterti in bocca pensieri che non vanno pensati. Amare è una cosa sacra, non va vanificata. »

Simone sorrise appena, guardando altrove adesso. Se amare significava andare contro suo padre, andare contro la natura di Manuel, andare contro chi voleva rendere fiero e con chi ricostruire un rapporto, se amare significava creare due barriere forse non ne valeva la pena.

« Ingrid, mio padre vuole che mi sposi al mio rientro.»

La donna si rabbuiò nel tono ma non mollo la mano dell'elfo. Le sembrava estremamente piccolo in quel frangente, nonostante l'altezza, nonostante i capelli scuri, ricci da adulto, nonostante gli occhi che sembravano pesare rispetto ad anni prima.

« È un re, ma non credo che sia l'uomo più giusto per darti consigli di cuore, fairë »

« Non me lo sta consigliando, Ingrid. Mi sta chiedendo di non deluderlo, ma chiedendomi questo, mi ritroverei deluso da me stesso. Mi trovo in mezzo a due strade, non so quale percorrere. O in una o nell'altra finisco per fare male a qualcuno. »

Sempre se quel qualcuno non si abitui all'idea della mia assenza.
La donna sospirò e posò una mano in modo amorevole sulla guancia di Simone.

« Mi hai chiesto com'è essere innamorati, » lasciò cadere il discorso di prima « non è uguale per tutti. C'è chi prende allo stomaco, chi alla testa, chi non riesce a capire subito e perché, chi lo capisce all'istante. Chi non mangia, chi invece vuole guardare altrove, chi ne vuole scappare via. Ma per il resto, conta una cosa sola, » la mano dalla guancia si spostò sul suo petto « questo. È uguale per tutti, nessuno escluso. »

Non eri proprio tu che volevi innamorarti?

Quindi rientro in queste categorie.

« E se la testa fosse più forte? »

È il petto che mi dice muoviti e la testa invece stai fermo.

La donna lo guardò riluttante, con una speranza ancora vivida però negli occhi chiari.

« Allora potrai seguire ciò che vuole tuo padre. » rispose secca.

L'elfo annuì visibilmente combattuto. Serrò gli occhi, ma le uniche cose che gli venivano in mente erano le parole di Manuel "e tu non vuoi" e il "è tuo compito" scritte con inchiostro su carta ormai persa.

« Ma Simone, » mormorò dolcemente « non posso dirti io cosa fare. Devi essere tu a deciderlo. Posso soltanto dirti questo: tuo padre è stato devastato dalla morte di Cora. E io credo, » Simone deglutì e lo sguardo di lei si intenerì « sono certa che non sappia distinguere più il dovere da ciò che si vuole. Che voglia proteggerti con chi non ha potuto. »

« Ho paura, Ingrid. » confessò.

Ingrid lo guardò commossa, sganciò la presa nella sua mano, lo tirò a sé e i ricci di Simone le finirono sulla spalla.

« Non è la spada a preoccuparti, nè tanto meno la guerra ora... » lo sentì ammorbidirsi ad un tocco premuroso. « Hai paura di amare? »

Simone non rispose, chiuse solo gli occhi. Non avrebbe voluto dormire da solo quella notte. Non avrebbe voluto sognare di nuovo Manuel. Non avrebbe voluto trovarsi ad un bivio, scisso, in mezzo a due scelte importanti.

« E se volessi del tempo? Se non fossi pronto-»

« Non si è mai pronti, Simone. » lo fermò lei secca « non puoi prepararti, non è come la guerra. »

L'amore è peggio.

« Forse è ancora peggio. »

« O forse sarà solo migliore » gli baciò la fronte in modo materno.

Simone si strinse a lei, restando fermo nella convinzione che non c'era nulla da fare, non c'era un modo giusto di agire se non affidarsi a se stesso.

« Ingrid, ti voglio bene. »

« Anche io te ne voglio, fairë nîn »

Fanciullo mio.

Simone sorride appena, cullato dalle mani lisce ma segnate dal tempo di Ingrid.
Segnate le mani, segnato così il silenzio.

« È così tanto strana la persona per cui hai la sensazione, la paura di rischiare? »

« Non è strana iaur, affatto. »

La stretta si fece ancora più materna.

« E poi ci dicono che gli umani sono complicati, ma se conoscessero te, cespuglietto, avrebbero da ricredersi »

« Immagino non ci sia proprio speranza allora »

« Sssh, ferma quella lingua. C'è sempre speranza.»

« Ingrid devo raccontarti un'altra cosa. »

La guardò per ultimo, alzando lo sguardo. Ingrid lesse altro tormento negli occhi dell'elfo che teneva vicino. Simone sospirò. « Una cosa che non sa quasi nessuno e che dovevo dirti da tempo. »

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Capitolo 13
*** Un diverso punto di vista ***


Adan (Uomo).




 

Manuel Ferro sapeva cosa aveva voluto dalla vita dopo i dodici anni, soprattutto se la vita a quell'età poteva venire stroncata all'improvviso da un lutto.

Partendo dal principio, si iniziava dal posto dove era nato: Roccabuia.

Roccabuia era sempre stata la sua casa, il suo luogo felice e anche quello dove aveva imparato a prendersi cura degli animali e ad aiutare la sua famiglia col raccolto. Roccabuia immersa nei terreni di grano, ma anche nei terreni pieni d'erba e a che a seconda della stagione, permetteva ai luoghi più riparati la crescita di piante e fiori spontanei come le violette in periodo autunnale o le margherite.
Le sue estati erano torride e afose, ma il tutto era più gradevole con i primi frutti freschi della stagione e l'acqua dell'unico fiume che scorreva rapido e dove si dirigevano in molti per rinfrescarsi.

Ed era così che la ricordava.

In salute, selvatica, grezza. Con la brezza rumorosa, la pioggia forte e battente sul legno d'inverno, le cicale che cantavano.
Era così che la ricordava, ino a quando suo padre non era stato coinvolto in una situazione spiacevole, scambiato per un ladro perché somigliante ad un'altra persona, giù, al mercato, una domenica mattina.

La notizia era arrivata così nella piccola ma accogliente casa, proprio quando Anita sua madre, aveva sfornato una torta calda, mentre sua sorella, Erica, di circa cinque mesi stava tranquillamente dormendo nella sua culla.

Era stato tutto molto veloce. Il corpo era stato riconosciuto e riportato un'ora dopo, grazie a un loro conoscente che acquistava da loro il latte e il formaggio.
Così veloce, che Manuel ricordava precisamente il momento in cui sua madre aveva deciso di non lasciarsi vedere debole e si era rinchiusa nella sua camera giorni dopo la sepoltura di suo padre, a piangere.
E al contrario, lentamente, Manuel si era preso cura di lei, come poteva prendersi cura di un germoglio, di un fiore, di una cosa fragile ma che aveva bisogno di amore e forza per vivere, a soli tredici anni.

Era sempre stato incline ad assumersi le sue responsabilità.

E il cuore gli aveva detto che suo padre doveva essere onorato, che la sua memoria doveva in qualche modo innalzarsi a un semplice ricordo di qualcuno andato via per puro sbaglio, per un errore del caso di cui né lui, né il resto della sua famiglia erano potuti esserne testimoni.

Diventare soldato, non era stato semplice. Per prima cosa, seguiva gli allenamenti di un tale conosciuto - anche quello per caso - durante una mattinata afosa, mentre comprava dei nuovi saponi e spazzole specifiche per le stalle e la cura degli animali.

Quel tale, proveniva da una città più distante e cercava delle reclute giovani e forti che poi sarebbero cresciute e avrebbero prestato volontariamente servizio in guerra per i signori del regno.

Manuel colse la palla al balzo.
Non era tanto alto, ma snello, agile e scattante, si presentò al tale quel giorno e seppur l'altro gli avesse rifilato uno sguardo titubante e insicuro, lo prese sotto la sua ala per addestrarlo. Quel tale non avrebbe scommesso nulla su quel ragazzo magrolino, eppure, Manuel sembrò subito riuscire a eccellere nell'arte della spada, era naturalmente portato. Aiutava ancora a casa, tra la sua sorellina e sua madre, tra la stalla e il raccolto, ma per il resto tutte le sue forze erano concentrate sull'allenamento e qualche libro da autodidatta - che la sua famiglia poteva permettersi - che leggeva nelle sere prima di addormentarsi. 
Il suo corpo si formò subito, diventando più duro e robusto sulle braccia, ampliando di poco le sue spalle.
Dai quindici anni, si definì ancora di più, ma mantenne quell'altezza. Poco però importava, perché diventò a poco a poco un uomo a tutti gli effetti, entrando nella pubertà la quale fu segnata da anni di scoperte fondamentali.

Senza suo padre, non riuscì a parlare davvero cosa succedesse al suo corpo con Anita.
Le voleva un bene indefinibile ma le questioni riguardanti la sua crescita fisica, riguardavano solo lui.

Quindi, scoprì tutte quelle novità da solo.

Non gli pesò però imbarcarsi da solo in quelle scoperte: i primi peli che spuntavano sul mento, sul petto, non si stupì quando provò a toccarsi per capire cosa potesse succedere se stimolava certe zone.
Era in quel momento che avvertiva, giorno dopo giorno, la sua crescita e soprattutto che imparava quando  allontanarsi se e quando la casa era troppo piena.
Una di queste novità, era che amasse guardare le ragazze che passeggiavano dietro le loro madri durante i periodi di raccolta o semplicemente capire come cambiava la loro espressione quando si incantavano a guardare a loro volta, qualcosa.
Le ragazze, erano parte del suo studio, gli piaceva studiarle in ogni dettaglio.
E anni dopo, imparò anche a baciarle: di nascosto, nei vicoli del mercato, con appuntamenti serali.

Manuel Ferro insieme ad Erica Ferro, erano state la gioia e l'amore di cui Anita aveva necessitato per tirare avanti. Erano l'amore più grande che suo marito le avesse lasciato. E solo grazie a loro, superò il lutto dopo un anno.
E dopo poco più di quell'anno, Manuel venne reclutato per combattere.

Era giovane e acerbo, ma sapeva muoversi, sapeva le tempistiche dopo solo pochi incontri. Era come se la spada fosse parte vibrante del suo corpo, una molla tesa che scattava se veniva tirata o semplicemente provocata.

Anita accettò il destino del figlio, senza però evitarsi di piangerne la notte. Pregava che suo figlio non gli venisse tolto via su quei piccoli ricamo del cuscino, delle lenzuola, che erano stati realizzati per il loro corredo di nozze.

E con la promessa del suo ritorno, Manuel non contò mai di perdersi i momenti più o meno importanti. Ogni campagna durava più o meno sei mesi. Riuscì a non perdersi i quattro anni di Erica e l'acquisto di altri due cavalli grazie ai suoi primi ricavati dalla guerra e non mancò anche all'arrivo di una nuova ragazza nella sua vita, che però si spense al momento di ripartire e durò l'arco di un ciclo estivo.

Manuel sapeva di dovere alla sua famiglia quello, di dover evitare un'altra possibile perdita.
Di non far sì che accadesse l'inevitabile.
Sapeva di non dovere altre lacrime a sua madre che per un anno aveva spiato di nascosto e che le aveva visto versare mentre sua sorella cresceva e faceva i primi passi.
Sapeva che non doveva fallire, che lui era diventato la scorza dura della sua famiglia, così come suo padre gli aveva ripetuto quando era ancora in vita.
Sul campo era quindi per loro, per suo padre che combatteva e infine, per il signore a cui di volta in volta, prestava giuramento.

Era quello il suo destino: era nato per combattere e per mantenere la sua famiglia, poco importava il prezzo.
Si sentiva vivo, sentiva di avere uno scopo, qualcosa che lo mandasse avanti.
Ecco perché, quando era stato scelto alla soglia dei suoi ventuno anni, da uno dei Re delle terre degli elfi per una missione più grande, non ne era rimasto stupito.

Al contrario, il destino aveva operato anche quella volta, in modo inverso. In un modo che potesse sorprenderlo.
Non era un Re a cui giurò la sua fiducia, ma un principe.

Giovane, diverso, nascosto dietro un'aura che sembrava costruita su misura.

E non aveva mai stretto un legame profondo con nessuno dei signori per chi aveva prestato servizio.

Era totalmente nuovo per lui trovarsi davanti a qualcosa che valeva la pena andasse studiata, ricercata, sottoposta a un bisogno più forte del dovere.
Era stato un richiamo troppo forte per essere messo a tacere.

Giovane, diverso, nascosto in una luce potente che teneva solo per se stesso.

Che fosse quello il suo destino, Manuel lo aveva capito a tredici anni, ma che una volta cresciuto, potesse innamorarsi durante una battaglia proprio no.

Non era sicuramente nei suoi piani, ma non era nemmeno mai stato il tipo da sopprimere ciò che sentiva.

Quindi, in sostanza, non era neanche più un principe, non era un signore da dover servire e a cui prestare la propria fede, non era una corona a cui era diretto il suo cuore: era un elfo.

E non era nemmeno tanto importante che aspetto avesse, perché lui era caduto in quel destino per caso, senza nemmeno aspettarselo.

Manuel Ferro era stato un ragazzino ed era dovuto subito approdare a un'età precoce e adulta.

Adesso però le cose cambiavano un po', si scombinarono le carte in tavola.

Manuel Ferro era un soldato innamorato adesso.

Non era più tempo di nasconderlo e in realtà pensava di non averlo mai fatto.
Solo un po' custodito dentro e coltivato, un po' come quelle erbacce che crescevano spontanee in mezzo al grano.

Sembravano brutte all'esterno, ma erano essenziali affinché il grano prosperasse e se usate per essere cucinate o per concimare il terreno, avrebbero dato i loro frutti.

Il suo di frutto però, era stato tutto concentrato nel proteggere l'altro. Quel frutto cresceva di giorno, cresceva di notte.
Non era giusto che marcisse, Manuel non voleva che marcisse.
Gli cresceva dentro, lasciava che attecchisse con lui, con le sue radici.

Simone gli era sembrata una cosa rara, così bella quanto fragile, da dover maneggiare con cautela per non far sì che si spegnesse.
Ecco perché era difficile ora, sapere che il suo servizio si limitasse di nuovo, a guardarlo paradossalmente da lontano.
Per Manuel, fu abbastanza logico pensare che forse Simone fosse impegnato e che avesse preferito continuare da solo il suo addestramento, da due giorni a quella parte.

Così come era abbastanza logico anche che Simone gliene parlasse prima di doverlo immaginare da solo.

Lo aveva visto solo rare volte quei giorni, appariva prima un manto bianco e una serie di guardie, poi, finalmente vedeva un mantello strascicato lungo la sabbia e capiva che era lui.

Forse non voleva ferirti o altro.

Simone si voltava prima di andare chissà dove e lo salutava con un cenno del capo. Lui riusciva a fare lo stesso ma avrebbe voluto quanto meno sentire un po' la voce.

Se ti saluta, vuol dire che non ce l'ha con te, che hada fare.

Manuel si stava allenando con Elvira, quel pomeriggio, immerso nel rumore metallico della spada, nella lontananza del chiacchiericcio o nel silenzio degli uomini in tenda, nel sudore che gli impregnava la fronte. Se non altro, era una distrazione da Simone. O forse era meglio ritonare a chiamarlo principe, anche nei suoi pensieri. Avrebbe lenito sicuramente la sensazione di straniamento che provava da tre giorni, ormai.
Elvira condivideva la sua passione per la spada, anche se lei sapeva anche usare la lancia e la mazza. Erano subito entrati in sintonia dal primo giorno in cui erano stati reclutati.
La prima sera, Manuel ricordava, erano finiti per parlare distesi in tenda delle loro vite quasi subito e lei gli aveva messo in chiaro che gli uomini in quel preciso momento della sua vita non le interessavano e per lui la cosa era andata più che bene, anche se inizialmente aveva subito il suo fascino. La sua impressione dell'essere una ragazza sicura, simpatica ma anche molto osservatrice si era rivelata vera e Manuel non poteva esserne stato più contento.
Inoltre, condividevano lo stesso odio e disgusto per alcuni soldati lì dentro che non riuscivano proprio a uscire da un certo tipo di mentalità.
Manuel le era grato per quei momenti in cui lei poteva sfogarsi durante le conversazioni attorno al fuoco e lui poteva raccontarle di quanto gli mancava l'aria di casa e che non vedeva l'ora che fosse tutto finito per farci ritorno.
Anche quest'ultima cosa, era radicalmente cambiata da quando lui e Simone avevano cominciato a vedersi più spesso. Più la guerra si protraeva, più lui avrebbe potuto restargli vicino.

Era la cosa più egoista che avesse mai potuto pensare, ma in qualche modo, quel pensiero era divento una quotidianità, era diventato ormai un'abitudine. Era una cosa di cui non poteva fare più a meno.

« Manuel »

La voce della ragazza risuonò sul metallo affilato della lama proprio contro la sua. Si risvegliò in quell'istante cominciando a muoversi. Quella distrazione gli costò la perdita di terreno di soli tre passi e la ragazza lo atterrò con due colpi di spada. Si strofinò il sudore con i guanti in cui che le si fermavano prima dell'attaccatura del braccio. Elvira sospirò e poi sorrise con un ghigno amichevole.

« Non ti riconosco quando fissi qualcosa che non sia la tua spada, piuttosto dimmi di fermarci. Sai che non amo mi si lasci vincere. »

Manuel a terra sospirò e arricciò il naso.

« Può capitare anche ai più bravi di avere la testa occupata, sai? » e si mise seduto, le gambe leggermente tirate contro il petto.

Elvira ripose l'arma nel fodero, non vestita di cuoio quel giorno, era più libera: la camicia che portava annodata sul seno in più ricami, risultava più stretta sulle braccia e sull'addome fermato da una fascia scura in cuoio. Quella poi, era fermata da pantaloni in tessuto morbido che non rinunciavano però alla famosa cintola per riporre le armi, che gli attraversava i fianchi. I capelli erano in parte sciolti, avevano una treccia da un solo lato che glieli raccoglieva dietro. Le mani fermate per metà da guanti in cuoio anch'esso scuro. Guardò chiaramente l'amico.

« Ti stai ancora chiedendo perché il principe ha interrotto i vostri incontri? »

Manuel scrollò le spalle, guardò altrove.

« Non ha molta importanza, forse gli sto dando più peso di quanto non lo abbia »

Elvira lo raggiunse a terra, mettendosi di fronte. Questa volta fu lei a scrollare le spalle, contraddicendo la sua risposta.

« Se ti fa stare così, ha molta importanza. »

Sapevo in cosa mi stavo andando a cacciare e mi sono lasciato trasportare.

« Non lo so, forse devo solo distrarmi. »

« Sono tre giorni che ci alleniamo ogni volta che possiamo, senza una sosta se non per i pasti, » puntualizzò Elvira sospirando « posso dire che la tua tecnica di allontanarlo dalla tua testa non sta tanto funzionando? »

Manuel la guardò limpidamente. La sincerità ma anche qualcosa di brutto come un senso di malinconia lo pervase interamente.

« Non voglio allontanarlo. »

Elvira giocherellò con una ciocca di capelli tenendola per due dita, cercando di non dargli disagio con quello che avrebbe voluto dirgli.

« Ho dimenticato il mio posto, » si inumidì le labbra « forse la cosa dei ruoli da non valicare è vera. Se superi il confine ti fai solo male. Vivi in uno spazio che non ti appartiene e non hai diritto di lamentartene. »

« Ma non è stato lui a chiederti di dargli del tu? Voglio dire, se non voleva aprirsi con te, non te lo avrebbe chiesto. »

« Vuol dire tutto e niente. È stato solo gentile, lui è così: è nella sua natura. Ed è... è qualcosa che gli viene naturale. »

La ragazza si accigliò, le sopracciglia ristrette.

« Manuel-»

« No, Elvira, se tu sapessi cosa sta passando...cosa ha passato la notte che le guardie non lo vedevano più tornare al campo » Manuel deglutì, non spettava a lui raccontarglielo. Quella era una cosa privata di Simone e solo lui aveva se lo sentiva, il bisogno di raccontarlo.

Aveva gli occhi così accesi, caldi - se possibile - adesso, che Elvira pensò che l'acqua avrebbe potuto subito riscaldarsi al loro interno.

« Lui si è fidato di me, capisci? »

La ragazza annuì lentamente lasciando andare la ciocca tra i suoi capelli, poggiando la mano sopra il dorso di quelle del ragazzo sulle ginocchia.

« Io non tradirò quella fiducia. È fragile, ma anche forte. Più forte di quello che crede, io l'ho visto... mi ha dato modo di vederlo e penso gli sia anche costato. Non voglio forzarlo e non ha senso rovinare tutto per cosa, perché mi sono innamorato? »

Era la prima volta che lo diceva ad alta voce. Non si stupì però, perché lo sapeva già. Non fu una liberazione, Manuel era sempre stato libero di provare ciò che voleva, per chi voleva, quando lo voleva. Elvira incurvò la bocca vedendolo l'altro così rassegnato.

« Proprio perchè lo sei, potresti cercare qualche segnale. Farti furbo, giocare d'anticipo. »

« Segnale? »

« Sì beh, di solito chi si allontana ha ben due motivi principali, tra gli altri: o ha imparato ad odiarti senza che tu te ne sia accorto oppure c'è qualcosa che lo trattiene dal continuare a vederti »

Manuel emise una risata divertita, non era nemmeno amara. Lui aveva preso coscienza di tutto.

« Per lui siamo amici, Elvira. » evidenziò.

« E cosa pensi direbbe qualcuno che ha forse proprio qualcosa che non gli permette di farsi avanti? »

« Un principe. Non credo che nascondersi sia qualcosa che sceglierebbe, non più, almeno.»

Manuel disse tutto quello con un tono secco, innaturale.
Gli occhi verdi di Elvira si accesero ancora di più, ma di dolcezza, questa volta.

« Sbaglio o hai detto tu che è già da tempo che non lo vedi più solo in quel modo? »

È vero.

Manuel non poteva negare nemmeno quello. Era un libro aperto ormai per l'amica, nonostante gliene avesse parlato piuttosto poco.
Pensò che non c'era stato più motivo di spiegare, dato che non aveva voluto più dissimulare.
La sua espressione si mise in pura difensiva, ma la voce risultò velata con una punta di curiosità.

« Facciamo caso che io non veda come "assurda" questa tua teoria, ma se volessi tenerla in conto, » Manuel si passò una mano sul viso e poi sospirò « a che segnali dovrei aggrapparmi? »

Elvira distese le gambe divaricandosi ai lati di quelle Manuel, gli teneva ancora una mano sopra il dorso della sua.

« Beh, dovresti studiare le sue reazioni. In modo molto più attento e sottile, è ovvio. »

Studiare le sue reazioni.

« E poi? »

Elvira lasciò via la mano dalla sua e gli puntò un indice sulla fronte. Manuel provò a scacciarlo, ma lei dura non mollava né l'indice e né lo sguardo.
Sembrava un insetto insistente.

« E poi la prossima volta che ci parli, devi chiedergli solo il perché. Senza giri di parole, Manuel. Fagli capire che ti ha fatto male. Sei sempre stato un tipo chiaro, no? Sfrutta questa cosa! »

« Ma non voglio nemmeno ferirlo. »

Elvira lo guardò ancora più intenerita da quel viso contrito, come se il flash di chi poteva deludere gli fosse passato di colpo davanti agli occhi.

« Non sto parlando di farlo sentire in colpa...» mormorò lei, spostando il dito a stringergli il mento.
Provò a cercare le parole esatte per quella situazione. « Solo... cercare di renderlo cosciente che ci sei rimasto male. Forse così, mi sono spiegata meglio. Lasciare che ti dica perchè si è allontanato.»

« Mi chiedo come mai tu sia finita in guerra e con un mano un paio di armi quando hai una dialettica molto persuasiva. »

Elvira rise un po' al tono serio e secco di Manuel.

« Non sono una ragazza ordinaria, ormai lo avrai capito.
Se davvero siete amici, come il principe dice, » concluse « ti spiegherà senza problemi il perché. Senza scuse, né nulla. »

Manuel fece silenzio, poi si alzò aiutandosi con le braccia, scotolò della terra dalle mani.

« E se ci fossero davvero delle scuse? »

Non ci sto credendo, sembro un disperato.

« Allora Manuel, ti suggerisco solo una cosa in quel caso, » sillabò per bene ogni lettera « agire »

« Non suona come qualcuno di disperato? »

Tese la mano ad Elvira e lei si alzò grintosa, l'umore alto.

« No, ma come qualcuno che sa cosa vuole, sì »

Manuel restrinse le labbra, portò una mano sulla spalla della ragazza.

« Mi è sempre venuto spontaneo agire d'impulso, per come sentivo... senza mai voler ferire nessuno, eccetto chi lo meritava. »

Elvira gli fece un occhiolino e un mezzo sorriso, le bocca disegnata più sottile sul labbro superiore e più piena su quello inferiore.

« Allora non smettere adesso, sii solo te stesso. »


 

**


 

Vederlo lì disteso, naso all'insù verso il cielo era qualcosa che voleva memorizzare una volta che sarebbe ritornato in tenda.

Vederlo lì, con le mani libere da ogni tortura o comunque che si torturavano di meno rispetto a giorni prima, era un sollievo.

Manuel non avrebbe detto che fino a poche ore prima avesse impugnato un'arma, nè che avesse cercato di memorizzare i migliori movimenti per poi usarli sul campo da battaglia, nè che tra altre ore l'ansia non avrebbe lasciato spazio alla sua serenità.

Così, annullò tutto e si tenne quell'immagine come la cosa più vicina alla "benedizione".

Rimaneva in silenzio, voleva solo quello e a lui non dava fastidio, soprattutto se quel silenzio era il segreto per poterlo guardare senza che gli venisse detto nulla.

« Chissà come sarà domani » mormorò Simone, sfiorando l'erba. Le dita bianche immerse nel buio, era l'unica cosa che riusciva a vedersi insieme alle stelle. « Me lo domando spesso, come mi sveglierò, a cosa penserò. »

Manuel coglieva una leggera preoccupazione, ma il suo viso era rimasto imperturbato. Non c'era sopra nessuna piega.

« È normale, ma forse dovresti rallentare, vivere il tuo presente, il momento. »

Simone annuì.

« Non credo di averlo mai fatto. » soffiò le parole piano, sorrise soltanto un po' « A parte oggi, durante l'allenamento, intendo »

Manuel si sentì guardato, finalmente. C'era un totale sollievo negli occhi dell'altro, che lo portò soltanto a capire ancora di più che avrebbe voluto baciarne le palpebre chiuse. « Dovrei farlo più spesso. » ammise.

« Se ci sei riuscito oggi, non vedo perché tu non possa riuscirci domani. »

E Simone indirizzò i suoi occhi al cielo, la luna alta e piena, lontana. Disteso sull'erba, nel suo respiro, avvolto in uno strano calore.

« Voi umani siete tutti così diretti? »

Manuel abbozzò appena una piccola risata, quel suo tono sembrava così curioso.

« Quasi tutti »

Simone annuì ancora.

« Mi chiedo anche com'è strano come ogni giorno può essere riempito da così tanti pensieri, immagini, domande, ma se provi ad andare indietro per ricordarne alcuni, questi si dissolvono come bolle di sapone. Proprio quando ne vorresti qualcuno indietro. »

La sua voce risuonò come acqua, scorreva, sotto lo sfondo di una serata così quieta e selvatica. Si portava una mano sul viso, coprendo parte di quello che per il soldato risultava prezioso.

« So che non va bene aggrapparsi al passato, ma alcune volte ne sento il bisogno. »

Ricordò di averlo pensato in quel preciso momento: è puro.

« Tutti abbiamo bisogno dei ricordi, Simone... »

E così che Simone si voltò ancora a guardalo: Manuel si sentì assorbito da quegli occhi.

« Penso di sì, anche se ricordare a volte sembra così tanto una condanna. »

Se solo lo avesse detto forse, Simone avrebbe capito, ma non voleva affollargli i pensieri, nè causargli confusione.

Lo pensò e basta: a me non sembrerà affatto una condanna il ricordo di tutto questo.

« Non voglio pensarci più. C'è un cielo troppo bello stanotte per coprirlo con cose o pensieri bui. »

Distesi sull'erba che solleticava appena le parti scoperte dei loro corpi, le gambe e le braccia, era un cuscino per i loro capelli.

« Manuel »

« Sì? »

« Grazie per ascoltarmi. »

Un sorriso pieno.

« È bello poterlo fare. »

Un sorriso celato dall'altra parte. Manuel aveva aggiunto poi, frastornato:  « Che costellazioni ci sono questa sera? » lo aveva chiesto, mentre era già tutto rivolto a guardarne un'altra, fissa e ferma a terra.

Lo aveva fatto per due motivi: per distrarlo e perché non si stancava mai della sua voce.
E Simone aveva cominciato a parlare, quindi, perdendosi negli astri, prima della battaglia.

« Ma Eärendil...quel navigatore ha una sua costellazione?»

« Beh, sì ma non è possibile vederla in cielo. La sua stella era contenuta nella luce dell'oggetto che portava, il silmarill con cui ha sconfitto chi doveva.
La sua luce era quella.
È detta la stella della speranza, si dice fosse chiamata anche "stella della sera" perché era particolarmente visibile sia al mattino che alla sera.»

« E questo oggetto? Che fine ha fatto? »

« La ha portata con sé, così come la sua stella. Si pensa che navighi ancora per mare, chissà in quale dimensione. Dovunque lui sia, non ha bisogno di guardare la luna » pensava a voce alta.

Manuel lo aveva capito, sempre di più. Soprattutto perchè ormai non gli sfuggivano quelle mani che si toccavano la pietra che portava al collo. Intuì che forse la sua guida era racchiusa tutta lì dentro. Rapito, smosso e attratto, calamitato poi verso suoi occhi, rispose.

« Beh ognuno ha la sua guida. »






 

Quando Manuel si decise a fare quella passeggiata pomeridiana, era stato spinto principalmente da due motivi: Maximus non la smetteva di brontolare e agitare la coda, come se fosse inquieto per qualcosa e Simone, mpegnato a discutere con le guardie.
O almeno gli era sembrato fosse così, prima di vederlo scomparire all'interno della tenda in veste di capo, con due di loro.

Non usò nemmeno la briglia, tenendola in una mano, quindi, una volta distanti dal bivacco, decidendo di lasciare libero il muso del suo cavallo.

All'aperto, gli risultò meno difficile pensare a come per l'ennesimo giorno e l'ennesimo buongiorno, Simone non si fosse preoccupato di rendergli noto il suo volere.
E non era nemmeno arrabbiato, anzi.
Manuel non riusciva ad esserne arrabbiato, forse deluso, confuso, sì. Ma non poteva provare un emozione come la rabbia nei confronti dell'altro.

Forse era perché provava qualcosa di così forte, che la rabbia lo avrebbe solo imbruttito quel sentimento.
La rabbia, la furia, l'odio, rovinavano tutto.

Passava una mano sul pelo nero di Maximus.
Con sé, Manuel aveva la spazzola nella mano sinistra. Si mosse lentamente, assestando quello che era il movimento del capo del cavallo.
A Maximus piacevano i movimenti lenti, curati, quando non era su di giri.
Ecco perché gli risultò semplice quel giorno non ricevere dal musone un cenno di intolleranza.
Maximus lo lasciò fare e Manuel accompagnò la sua mano sul suo dorso, poi più in basso, spostandosi di poco.
Mentre lo faceva, Manuel non perse tempo a divagare col pensiero tra qualche spazzolata e l'altra.

« Mi chiedo se ho sbagliato qualcosa » mormorò ad alta voce.

Maximus mosse appena la coda, che oscillò.

« Non penso di averlo forzato in nulla, » continuò Manuel fermando il movimento sul manto nero « voglio dire, era tutto normale »

D'altra parte se Simone avesse sentito del disagio pensava glielo avrebbe detto subito.
Con lui poteva parlare e restare in silenzio.
Manuel avrebbe anche acconsentito ad annullare l'addestramento se era quello che voleva.

Riprese a spazzolare il suo cavallo, avvolgendo la briglia attorno al suo stesso collo con due giri, per poter accarezzare il pelo dall'altra parte.

Il problema era che, qualsiasi cosa avesse causato quell'azione repentina, Simone non si era lasciato avvicinare in quei giorni e se lo vedeva al campo, mancava poco che sparisse ogni qual volta lui aveva intenzione di comunicare.

« Suono davvero come un disperato...» sospirò interrompendosi di nuovo.

Il cavallo nitrì appena e Manuel annuì di conseguenza. « Se tu fossi una persona Maximus, mi saresti molto più d'aiuto. »

Sei pur sempre un quadrupede e forse ti sto pure annoiando.

Elvira gli aveva detto di agire, di parlare. Ma come avrebbe potuto farlo se Simone continuava a sfuggirgli?
Come poteva comunicargli che si sentiva messo da parte se l'altro ritornava a chiudersi? 
Era il suo sorriso nervoso dell'ultima volta a ritornargli in mente e il modo in cui si concentrava su Neve.

Che Simone non gradisse la sua vicinanza? 

Impossibile, perchè tutto gli era sembrato, eccetto quello.

Gli piace parlare con me.

Era stato cauto, in ogni cosa e ogni sua azione seppur centellinata per gradi, era vera. Aveva ancora paura potesse sentirsi a disagio sotto certi aspetti che Manuel non si sarebbe mai sognato di valicare, nè avrebbe mai forzato la mano.

Che caos.

Doveva parlargli perchè più il tempo scorreva, più pensava di essere la fonte principale di tutto quel silenzio.
Quale sarebbe il momento più giusto, pensò.                                                              
A breve sarebbero dovuti ripartire, avrebbero di nuovo mosso quella carovana impaziente, sveglia alle prime luci del giorno.  Forse avrebbe potuto parlargli prima della battaglia, battendolo sul tempo.
Finì di spazzolare Maximus e quello gli si avvicinò girandosi. Si avvicinò al suo viso e per lui fu una cosa di gran sollievo. Manuel appoggiò la mano sopra il suo muso. Non ebbe nessuna reazione negativa, anzi, sentì borbottare piano l'animale come se gli stesse parlando. Come se gli stesse dicendo 'sei un po' un'idiota' e non lo avrebbe biasimato se fossero state le sue prime parole. Manuel avrebbe voluto tanto capirlo. Era fiero, testardo, alcune volte pedante. Ma in quel momento, gli sembrò creare un piccolo spazio dentro di lui, per ascoltarlo.

« Quindi qualcuno te le ha insegnate le buone maniere, alla fine. » ironizzò senza divertimento nella voce.

Maximus non replicò, eppure i suoi occhi globosi si fecero quasi più dolci se possibile. Manuel non pensava fossero dovuti solo a lui.
Il suo intuito ebbe ragione quando un dorso bianco e candido apparì nella sua visuale. Quel manto, seguito dalle zampe, camminò in mezzo al sole, un po' più lontano, ritornando dalla direzione opposta.
Distingueva bene il passo, non era una cavalla qualunque. Era Neve.
La cavalla incedeva sinuosa, senza fretta. Era come se stesse aspettando il momento giusto per rivolgersi al chi Manuel stava accarezzando.
Chissà perché non è rimasta con lui.

« Beh, forse dovrei ringraziarla » questa volta un sorriso era presenta sulle sue labbra e Manuel cambiò direzione per un istante.

« Almeno uno dei due c'è riuscito. Anche se non so cosa ne penserebbe lui al riguardo » soffiò fuori piano.

Riuscì a immaginare gli occhi dell'elfo sorpresi. E chissà forse avrebbe anche avuto da ridire, geloso com'era della sua cavalla.

« Ti chiedo troppo se cerchi di essere discreto, mh? »

Maximus soffiò. Ma non era per quello che aveva detto, era l'effetto di Neve nei paraggi a causarlo. Non poteva biasimarlo.
Lui, era nella sua stessa situazione.
Manuel fece un lungo sospiro quindi, poi, depositò un bacio in mezzo agli occhi di Maximus, quel pelo nero appena strigliato e liscio, e le onde lunghe e sinuose della criniera.  Maximus brontolò e quella reazione usuale fece ridere il padrone.

« Ecco, ora siamo tornati alla normalità, musone » si fece da parte e gli depositò un colpetto sul pelo « Vai, forza, non farti aspettare » gli sussurrò.

Lasciò libero Maximus e guardò lui e l'altra venirsi in contro senza inibizioni. Muoveva il capo nero, comunicavano con pochi movimenti. Fin quando quell'altra non si allontanava di poco, suggerendogli di seguirla e lui cedeva, pendeva dalle sue labbra.
Era un divertente gioco di seduzione.

Gli sarebbe piaciuto che Simone fosse lì, a vedere la stessa cosa. 
Sarebbe stato incuriosito dalla sua espressione, da come si muovevano gli occhi, qualche smorfia forse sulla bocca.                                                     Avrebbe sentito quel suo profumo,quello che gli era arrivato addosso quando si era distratto durante l'allenamento. Quel profumo gli era sembrato così delicato eppure anche intenso. Il profumo di un fiore.

Forse Manuel non avrebbe più potuto sentirlo più così distintamente.

Si sedette a terra, poi si sdraiò, toccato dal sole. I raggi più forti sul naso e in parte sul labbro superiore della bocca.

Quella palla infuocata di giallo gli diede fastidio pochi secondi dopo: se ci fosse stata la luna al suo posto, avrebbe avuto compagna.

 

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Capitolo 14
*** Ithil ***


Luna





 

Sveglio come ogni mattina, l'immagine che vedeva davanti ai suoi occhi era ancora quella: le dita si stringevano attorno al viso, gli occhi si chiudevano cercando di contenerla e racchiuderla.

Cosa sto facendo, quella domanda era diventata solo retorica ormai.

Simone non era proprio convinto di ciò che stava facendo.
Non da tre giorni almeno.
Non sognando da tre sere un paio di labbra, di occhi, di respiro. Si ripetevano ciclicamente immagini di Manuel, si alternavano e di Cora nemmeno l'ombra.

Ascolto, cura, risata.

Non era convinto di come stava gestendo la cosa.
Ne aveva approfittato per fare chiarezza sui suoi pensieri e si ero unito alle guardie per la ricognizione, andando al primo e piccolo mercato vicino al campo per rifornire le truppe di provviste e potersi allontanare con Ingrid e le donne.

Quasi per confondersi tra loro.

In tutto questo non aveva detto a Manuel che avrebbe voluto interrompere gli allenamenti.
Perché era difficile stargli vicino senza pensare a cosa vedeva, a cosa sognava adesso. Era difficile riuscire a parlargli senza provare imbarazzo guardandolo.
Un po' si sentiva in colpa perché non pensava fosse giusto, un po' il petto abbatteva la colpevolezza e lo rassicurava che anche quella cosa sarebbe andato bene.
Sua madre gli aveva messo belle parole in testa, chissà se Simone avrebbe potuto anche riferirle utilizzando la bocca.

Non è facile.

Era difficile riconnettere tutti i piccoli frammenti di gesti senza pensare a come non aveva potuto accorgersi prima di stare lentamente cadendo, dentro gli occhi dell'altro.

Ogni volta che scorgeva la figura di Manuel anche se da lontano, sentiva una spiegazione che gli dava ragione e una torto.
Sentiva di sentirsi nel giusto e nello sbagliato.
Si chiedeva se una persona diversa forse avrebbe reagito in modo sicuro.
Se qualcuno meno intimorito, avrebbe rischiato espandendosi al limite di ciò che non conosceva.
Con la guerra in fondo, gli era andata non tanto male.

Ma non era stato del tutto solo, ad affrontarlo.

Quei tarli riprendevano a tormentarlo dall'interno, portandolo ad aggrovigliarsi dentro la sua stessa coperta, pensando a come sarebbe stato semplice non provare tutto quel timore.
Quella paura di sbagliare, paura di cambiare.

Non hai avuto mai paura con lui.

Ci pensò meglio.

No, quel giorno, quando mi è caduto addosso ne avevo eccome. Ma di me stesso.

Lui non aveva mai provato amore, se non con quei pochi che lo avevano cresciuto e avevano voluto darglielo.
Lui non sapeva come amare.

Eppure, era ironico cercare sempre un pretesto per evitare di stargli vicino.
Aveva paura di fare qualcosa di scomodo e inopportuno.
Manuel non lo meritava.
Lui non andava bene: era pieno di ansie, paure, perplessità. E che fosse simile a un essere umano, poco aveva importanza.

Manuel doveva restare un amico.

Inoltre, la questione riguardava anche altro: c'era stato tutto tranne una divisione di ruoli netti da settimane.

Non aveva osato fare distinzioni.

Inconsapevole, aveva dimenticato il posto per ciascuno dei due allontandosi da ciò che era come figura sociale.

Piano piano, Simone era riuscito a scoprirsi, così come piano o forse tutto in una volta, si era dato a un sentimento puro e sconosciuto.
Non lo aveva avvertito, si era posato su di lui come avrebbe fatto una farfalla in cerca di un riparo.

Piano piano Simone, aveva ciò che avrebbe sempre voluto: innamorarsi.

Le sue esperienze giovanili si contavano su due-tre dita delle mani.
Ogni volta che chi si avvicinava a lui, scopriva che fosse di un lignaggio più altro - perché Simone lo nascondeva - si allontanavano.
Ogni volta che si avvicinava a un'età diversa, le sue orecchie crescevano, i suoi ricci diventavano più lucenti, il suo fisico si slanciava, la sua mascella si formava, i tratti del viso si definivano: si chiedeva nonostante tutti quei cambiamenti se c'era comunque qualcosa di sbagliato in lui.
Da bambino era sempre stato visto come impuro, etichettato come qualcosa di estraneo dalla massa.
E lui se ne era consapevole, sembrava sentirsi davvero diverso, anche perché nessuno lo aveva mai convinto del contrario.

Nessuno.

Simone era stato ed era ancora l'ombra del vecchio se stesso.
E se Ingrid ci aveva visto uno sguardo antico e anche nuovo, era perché stava soltanto bene.

Che c'era di così tanto sbagliato nel sentirsi bene?

Era difficile slegarsi da un'immagine che gli altri gli avevano costruito addosso. Era difficile guardarsi con gli occhi di sua madre e tenere a mente le sue parole sempre più opache, nebulose.

Si era sentito sbagliato, prima che incontrasse qualcuno in particolare.

Ascolto, cultura, risata.

Manuel era stato il primo, un umano , a farlo sentire nel giusto.

Se ripeteva quel concetto, l'unica cosa che stonava era la parola "umano".

Ed era di quello che aveva paura.

Non perché lo fosse.

Sua madre stessa, era una mortale.
E Manuel era solo quanto di più spesso, molte volte veniva interpretato come il più falso stereotipo del pericolo.

Ne aveva paura soprattutto perché Manuel non avrebbe mai avuto centinaia di anni, e lui sì, perché Manuel non sarebbe mai stato accettato da suo padre, forse nemmeno dal regno di cui faceva parte, perché non era nemmeno detto che lui provasse ciò che invece spingeva lui a recludersi da una possibilità che forse non gli sarebbe più capitata.

Ma aveva davvero tutta questa importanza?

Aveva senso lasciarsi mangiare dal dubbio, guidare dalla paura, dal pensiero minimo che potesse andare male?

Che significasse anche questo amare forse, avere paura di rovinare le cose e trasformare tutto ciò che si era costruito prima?
Amare significava avere paura di rischiare il cuore nel processo e di ritrovarlo più frammentato di prima?

Ascolto, cura, risata.

Non aveva pensato del tutto a cosa ricercava in un sentimento di quella portata. Aveva soltanto immaginato chi lo aveva cresciuto prima di un disastro imminente e duraturo, irreversibile.

Non aveva pensato che ogni volta, lui aveva risposto a ognuna di quelle qualità.

Simone non ci aveva pensato, finché non ci era finito dentro.

Sospirava, ritornava a rigirarsi, sentiva il rumore degli uomini sul campo grugnire, ridacchiare, avvicinarsi per la colazione.
Per fortuna, in quel frangente Simone aveva un'alleata, la quale fece capolino nella sua tenda nella più perfetta immagine rassicurante e familiare che le attribuiva.
Non doveva preoccuparsi di rimandare il suo pasto.
La lunga treccia le pendeva sulla spalla, bianca, ed era portata dietro per questo, le lasciava da entrambi i lati del viso le orecchie lunghe scoperte.

« Buongiorno dormiglione, » mormorò Ingrid, accovacciandosi per sostenere la sua altezza, la ciotola in una mano « sono tutti già svegli da un pezzo e di solito sei già sveglio per il suono delle cicale, notte insonne? »

Simone la guardò, annuì lentamente. La mano della donna gli sfiorò il viso, il palmo della mano intriso di lavanda.

« Amin sinta lle? »

Sto sia bene che male, Ingrid.

« ... » Simone annuì « sono solo... sogni.»

« Perché non fuggi allora dai sogni? »

« Non sono loro che vengono a cercarmi, credo di attirarli io. » sussurrò pianissimo.

Ingrid si avvicinò, le gambe dietro la schiena. Simone si portava quasi dritto sulla brandina, sedendosi.
Il ventre scoperto, così come il petto nudo, niveo e liscio, le spalle coperte da una leggera vestaglia ricamata.

« Sono incubi, quindi? »

Sogni splendidi di occhi e bocca espressivi e sapienti.

Sogni splendidi di qualcosa che non ho mai avuto.

« Tutto il contrario...»

Ingrid sembrò ancora più perplessa, Simone invece accettò la sua colazione. Al naso salì l'odore tipico di una carne che spesso cacciavano a casa: coniglio.

« Grazie al cielo qualcosa che non sia dolce, preferisco darle a Neve le mele ormai! » borbottò contento.

In Ingrid venne suscitata una risata leggera, che contagiò il sorriso dell'elfo.

« Devi ringraziare una certa Elvira, mi sembra. Sembra una ragazza in gamba. »

Chissà se lui è andato con lei.

Almeno quello a Manuel non lo aveva detto.
Sarebbe stato l'ennesimo gesto che lo avrebbe confuso ancora di più su come agire.
Simone preferì fissare le gambe dell'animale che affioravano cotte in superficie in quello che sembrava un brodo semplice con qualche carota stufata.

« È molto sveglia quella ragazza, sì...» Ingrid gli strizzò l'occhio, ammiccando « si è proposta di cacciare stanotte. Piuttosto, com'è andata la perlustrazione? »

Simone prese un pezzo di carne con indice e pollice e lo portò alla bocca. Uno degli ultimi pasti che ricordava sua madre gli avesse cucinato da bambino.

« Nessun segno, nessuna traccia, avvistamento sospetto. Devo muovermi con gli uomini, oggi, per spostarci a Nord. Pensiamo che questa volta verrà fuori il loro supremo. Fëanor lo spera più di me. Io, credo che a questo punto sia solo una leggenda. » disse riempiendosi a poco a poco la bocca.

Ingrid annuiva attenta.
Non scambiò i suoi occhi con quelli della donna per un bel po', poi finalmente, lei abbassò il viso per spiarlo dal basso verso l'alto.

« Simone » lo riprese materna.

L'elfo risultò perplesso.

« Che c'è? »

« Ti dai molto da fare ultimamente, » chiese con una punta di curiosità per niente maligna « è molto bello che tu ti sia proposto per aiutare me e le donne ieri, tutto il giorno. Ma non sarà mica che tutto questo abbia qualcosa a che fare con ciò di cui abbiamo parlato tre sere fa? »

Ahia, Ingrid.

« Perché dovrebbe? Volevo solo sentirmi utile, dare una mano, essere un bravo principe.»

« Però ti alleni ancora, immagino. »

Sì, ma senza di lui.

Mormorò senza troppo entusiasmo mandando giù un altro pezzo della sua carne.

« Da solo, sì. Perché me lo chiedi? »

Ingrid non voleva costringerlo, così la sua mano si piazzò sulla sua vestaglia e sempre amorevolmente gli coprì il petto allungando il tessuto. Lasciò cadere il discorso così com'era nato.

« Nulla, non farci caso, sono curiosità di una vecchia. Sappi che se continuerai a dormire così, ti verrà un malanno prima o poi! »

Simone sorrise a bocca ristretta, mentre mandava giù il cibo che stava masticando. Le mani quasi avide e gelose attorno alla ciotola.

« Se mi ammalerò saprò a chi rivolgermi. » gongolò.

« Non approfittarti di me, fairë. » l'apostrofò lei, piccata e schioccando la lingua.

« Sei la migliore guaritrice che io conosca. E la donna più amorosa dopo di lei, lo sai. » si beccò un sorriso ampio dalla donna che gli strofinò la mano sulla coscia affettuosa.
« E comunque non vorrei nessun'altro a curarmi. »

« Stai diventando un adulatore. In ogni caso questo, è ancora tutto da vedere. »

Ahia.

« Ingrid »

La fronte di Ingrid si corrugò e la voce si fece più chiara, vera e stanca.

« Mi ero promessa di non parlarne, ma questo proprio non riesco a tacerlo: tu meriti un altro tipo di cura. E non solo quella per una ferita o una febbre alta. Fairë, c'è un mondo fuori da queste tende. C'è un modo fuori da ciò che credi. Ti ho detto cosa ne penso, tuo padre non ha ruolo in quello che ti sta accadendo e- »

« Ed hai anche detto che la scelta era la mia. »

La donna si ammutolì di colpo, annuendo lentamente.

« Ingrid, » Simone provò davvero a lasciar cadere l'incudine che lo divideva in due, testa e cuore « so che sei in pensiero, ma non parlerò di sentimenti a colazione. »

Sganciò una mano per raggiungere quella della donna, la strinse. Ingrid sospirò in risposta e allora si accontentò davvero di cambiare argomento questa volta.

« Com'è quel coniglio? » chiese allora, ritornando una mamma, una guaritrice.

« Buonissimo » sussurrò, corrugando la bocca in un sorriso malinconico « sembra proprio quello che mi preparava mia madre... »

Ingrid gli tenne il mento con una mano. Sembrò passarci una vita in mezzo a quegli occhi grandi. Poi, lo baciò sulla fronte e velocemente, si alzò.

« Prima che me lo dimentichi: è stato chiesto di te. Qualche soldato, non Fëanor, non ricordo bene il nome... » sospirò, cercando di afferrare quel dettaglio nella sua testa.
« Ho risposto che avrei riferito se ti avessi visto, ma se vuoi posso fare finta di nulla e dire che stai ancora dormendo. »

« Mi piacerebbe farlo, ma non posso rimanere tutto il giorno tra i miei pensieri... riferisci che arriverò una volta finito di mangiare.»

Ingrid annuì, togliendo il disturbo, non prima che Simone le lasciasse un piccolo sorriso davanti alla ciotola fumante.

La donna si morse la lingua, ma ci pensava ancora a quella domanda forse troppo curiosa, troppo diretta - com'era lei d'altronde - troppo apprensiva: e al soldato che ha fissato la tua tenda, che cosa devo dire?
Non le era stato detto da Simone chi lo aveva tirato fuori da quella situazione spiacevole.
Aveva parlato di uno dei soldati.

Una volta uscita fuori dalla sua tenda, i suoi occhi non poterono fare a meno di notare, che quello fosse ancora lì e che della sua colazione non gliene importava nulla.

Come il ragazzo gli aveva detto pochi secondi prima non si parla di sentimenti a colazione.

Ingrid scosse la testa.

Se Simone non aveva voluto dirle più nulla rispetto al necessario di quella notte, non doveva forzarlo.
Lo avrebbe consolato più di una volta, come faceva da una vita.
Ma quella, quella era una cosa che doveva decidere da solo.

 

 

 

 

**

 

 

 

Quando venne comunicata la partenza immediata quella giornata, Simone ringraziò chiunque lo avesse avuto sotto protezione, per aver impegnato e riempito quelle ore. Non doveva esserne così sollevato, non poteva scappare per sempre. Così come non avrebbe potuto pensare all'infinito di poter riuscire a farlo.

Durante il viaggio, infatti, pensò egoisticamente che fosse meglio così.
Mentre vedeva Manuel parlare con Elvira, pensava fosse meglio così.
Elvira, che aveva catturato il coniglio per tutto l'esercito, Elvira che lo consolava, Elvira che gli stava affianco come lui non poteva e aveva, ora, dopo quella realizzazione paura di fare.
A questo punto, Simone aveva fatto due più due e poco importava se la cosa lo faceva anche stare male.
Non aveva escluso a priori le possibilità che a Manuel piacessero le donne, non era sorpreso.
Solo, ritornare al punto di partenza gli provocava del dolore fisico che non poteva negare.
Stava male per la sua stessa decisione di non scegliere.

Ben mi sta, aggiungeva come somma di tutto quel suo viaggio febbrile interiore: era stata lui la causa della distanza con Manuel.

Quando cominciarono a scaricare di bagagli dopo due ore di viaggio con solo una pausa pensò tutto il contrario.

Per quanto la sua testa gli dicesse di no, gli mancava parlare, gli mancava stare con Manuel.

E più di quello, gli mancava poterlo ascoltare.

Non mancava però di notare come Maximus di recente girava intorno a Neve e lei se ne stava ferma, vicino a lui in attesa di una sua conferma.

E quell'evento, era sempre più come una presa in giro al suo cervello.

Le coincidenze cominciavano sempre più ad allontanarsi dall'essere tali, era la sua amica e glielo doveva, anche se ci teneva a sorvegliarla comunque con un occhio di riguardo.

Gli mancava parlare sotto il cielo notturno, gli mancavano i piccoli gesti, gli mancava anche solo poter spiare la sua espressione.
Gli mancava avere un cuore leggero, perché in quei giorni aveva avuto solo una testa pesante e un sussulto ogni volta che lo guardava da lontano.

E quando Simone si trovò nei paraggi del nuovo suolo che accoglieva l'accampamento, non riuscì a guardare la sua armatura senza pensare che il merito per averla indossata completa andava a lui.

Gli bastò mettere il naso fuori dal suo personale rifugio per osservare il sole venire inghiottito sulla linea d'orizzonte per lasciare spazio alla sera.
Le donne stavano per cucinare qualcosa, gli uomini poltrivano in giro, alcuni avevano scoperto modi con cui passare il tempo: pensare a un numero o a un'immagine e indovinarla, fare lo stesso con le dita delle mani sopra le testa e gli occhi chiusi, parlare delle più svariate ambizioni, desideri, sogni. Alcuni dei soldati non impiegati nei più diversi passatempi, erano andati in giro con i loro cavalli, prima di cena.

« Ehi... »

E la sua voce gli arrivò dritta alle orecchie.

Riconoscibile, chiara, bassa.

Quando si girò, la seconda cosa fu quel suo sorriso.

Simone non ebbe dubbi di avere in volto l'espressione più trasparente che ci fosse.
E quell'espressione confermava guai.

« Soldato » disse soltanto, abbozzando un sorriso.

Aveva le mani dietro la schiena e dondolava appena con il bacino in avanti.
Non seppe come continuare per mandare avanti quella conversazione, confondendosi a guardare come forse ci stesse già pensando lui a farlo.

« Spero tu stia bene. »

Non fu costretto a chiederglielo, ci teneva a saperlo anche se in realtà, era una domanda che poteva fargli esplodere una bomba dritta in faccia.

« Me lo chiedevo anch'io di te. So che hai avuto da fare in questi giorni, ma... volevo sapere cosa fosse successo. »

Manuel.

« Cosa intendi dire? »

L'espressione di Manuel si fece strana.

« So che sei un principe, so che molte cose vengono prima di altre, » cercò di essere tranquillo « ma se non volevi più addestrarti con me, potevi dirmelo Simone. Penso che il tempo lo avresti trovato in ogni caso, sei tu che mi hai chiesto di insegnarti. »

Simone svuotò lo sguardo altrove, non riusciva a guardarlo in faccia.

« Non ho... » formulò senza proseguire bene « non è così »

« Cosa non è così? »

Silenzio.

Il rumore delle pentole in sottofondo portate dalle donne sul fuoco.
Nei suoi occhi c'era qualcosa che Simone non riusciva a distinguere. Sembrava sollievo ma non era proprio sicuro.

« Sono qui, ora, ti ascolto. » rispose incurvando le labbra, le mani conserte.

Ora. Adesso. Non va bene.

« Possiamo parlarne dopo cena? »

« Perché non adesso? »

Sapeva che quel tono era diverso. Non glielo aveva mai sentito addosso se non per rimproverare il suo cavallo, ma almeno con lui non stava urlando. Era solo serio. Abbastanza serio.

Simone deglutì.

« Hai ragione. »

Cominciò a pensare a come dirlo, in che modo, ma non pensava di farlo davanti ad altra gente a testimoniare quanto la sua paura fosse più importante del resto.

« La verità...» si morse le labbra, si passò una mano sulla fronte, cercò in tutti i modi di non guardarlo in viso.

Nulla da fare, non riusciva a stare tranquillo.
Manuel cominciò a farsi scuro in volto e quello non fece altro che mettergli ansia, il suo tono però era meno serio, più morbido.

« Non sono qui per giudicarti, Simone. Non ho mai voluto farlo, voglio solo una risposta. »

Simone annuì lentamente. Una mano di Manuel si sganciò dalle braccia conserte. Sperò tanto che non prendesse una delle sue.

« Hai cambiato idea su di me? »

Simone scosse continuamente la testa.

« Manuel, no, la verità è che- »

« UN'IMBOSCATA, UN'IMBOSCATA! » il gruppo di soldati si sentì arrivare correndo affacciandosi a poco a poco sulla visuale dei presenti nel campo.
« Gli orchi, gli orchi non sappiamo se ci abbiano seguito. Ce n'era uno più grande con loro, signore! Edwin... Edwin reggiti per favore » continuò il soldato a bassa voce, la barba gocciolava quasi di sudore, forse del sangue scuro e viscoso e i capelli ondulati sul viso erano appiccicati, gli nascondevano una ferita che si stava rimarginando, sulla guancia.
Reggeva il compagno tenendolo per la schiena, dandogli tutta la forza possibile del suo corpo.
Simone li guardava avvicinarsi, il soldato sorretto perdeva sangue dal ventre: era ferito, la mano era premura in quel punto.
Fëanor era uscito fuori dalla tenda, si teneva stretto il fodero della spada. E Manuel, Manuel serrò gli occhi frastornato e anche esausto.

« Se ci hanno seguiti e sanno la nostra posizione è un problema, principe »

La voce di Fëanor dietro le spalle. Simone annuì, voltandosi appena verso la guardia. Manuel aspettava ancora una risposta, i suoi uomini erano in pericolo, non aveva tempo.
Aveva già preso una decisione.

« Preparatevi, in fretta. Ingrid, occupati di loro, » inclinò il mento verso i due soldati, di uni uno aveva parlato, insieme all'altra decina che avanzava. « per tutti gli altri, non c'è tempo, attaccheremo, adesso! »

Gli uomini eseguirono gli ordini e corsero a cambiarsi o ad armarsi senza perdere altro tempo.
Simone restò per un attimo a guardare Manuel: sembrò rabbuiarsi all'istante, teneva lo sguardo basso come se gli avessero procurato un dolore o dato una brutta sorpresa, notizia.

« Coraggio » mormorò Simone, poggiò rapido una mano sulla sua spalla senza abituarsi però troppo a quel contatto. « Una volta un ottimo soldato, un amico mi ha detto qualcosa e non sapevo se crederci o no. Ora la ripeto a te: andrà tutto bene. »

Manuel alzò il viso, chiedendogli quasi perché.

Mamma, come faccio a lasciarlo così.

Manuel annuiva, non sorrideva nemmeno, ma gli occhi sembravano meno scuri, meno torbidi.

Che guaio.

Simone deglutì.
Non avrebbe voluto andare sul campo di battaglia ora, con quell'immagine in testa.

« Ora, vorrei dirti qualcosa anch'io: io credo in te » e così concluse Simone, sganciando la presa.

Non devo vedere l'espressione sul suo viso.

E così aveva terminato, si era esposto troppo, così come se avesse piantato un seme che non avrebbe attecchito. Che la natura non poteva cogliere perché basato su una mezza verità.
Avrebbe solo complicato le cose.
Senza analizzare bene l'emozione sul viso dell'altro, corse ad armarsi: volò dentro la sua tenda, lasciando Manuel per qualche istante fermo e immobile.

Combattere non gli risultò così confusionario come in quel momento: masse accorpate di uomini indistinguibili a forme deviate e ibride, sangue che schizzava e bagnava le radici e carne che veniva preservata da un attacco principale e fatale.
Uomini che all'ultimo secondo avevano dovuto raccogliere le loro armi e veloci le loro armature o parti di quelle per abbattere la minaccia.
Simone sapeva di chiedere molto a chi combatteva per lui, soprattutto in quell'istante.

Non ci fu minuto nei primi istanti in cui non pensò allo sguardo di Manuel.
Sperò che lui avesse momentaneamente resettato quella minima conversazione non andata in porto.
Sperò che si concentrasse com'era concentrato lui.






 


Neve stette con lui tutto il tempo, riuscì a sguainare la spada - privo di quasi tutta la sua armatura tranne per la protezione sul petto e le braccia - e recidere qualche testa, infrangere qualche nervo particolare.
Simone notava come quella volta, i nemici erano più accorti: avevano cominciato a bruciare erba nelle zone più alte per farsi intercettare. In realtà si muovevano in senso opposto, andando ad intrappolare gli uomini e chi fosse al loro seguito. Simone gridò ai più vicini: tutto aveva immaginato tranne che il fuoco fosse usato per mietere ulteriori vittime soffocate per prima cosa dall'inalamento dei fumi e poi, dai cavalli che spaventati e non del tutto preparati, disarcionare i loro cavalieri. L'odore del fumo e del fuoco però non era l'unica cosa, in profondità, un altro di loro si muoveva. Poteva sembrare come loro, ma in realtà era diverso. Non si stupì tanto, ricordando appena che chi lo aveva preso non avesse tutte le caratteristiche proprie di quelle bestie. Ma a guardarlo meglio, quell'essere era alto quanto un umano o un elfo, le sue sembianze dal collo in giù, rimanevano comunque grottesche e deformi.
Al contrario dei suoi simili, i suoi capelli erano neri e lunghi, i suoi occhi si stagliavano in mezzo a quelle che sembravano delle orecchie a mezza punta senza nessuna imperfezione o anomalia.
Gli sembrò strano paragonare anche solo quei pochi dettagli ai suoi compagni per trovarne in comune qualche gene.

Non tutti gli orchi sono uguali.

Simone non riuscì a distinguerne il viso, l'orco restava nelle retrovie insieme a qualche suo discepolo armato, basso e ripugnante e ogni tanto, quando un soldato cascava nelle vicinanze del fuoco, avanzava senza problemi, senza un cavallo, senza grandi armi se non una mazza appuntita, la cui base era stretta in una mano e che lasciava ruotare a suo piacimento.

La scena era apocalittica.

Era come il manifestarsi di un incubo a colori davanti ai suoi occhi.
E più Simone si avvicinava, straziando corpi e difendendo le parti in difficoltà grazie alla velocità di Neve, che veniva spronata solo con una parola sussurrata vicino al suo orecchio, più quella scena si distorceva, piegava il sogno, lo rendeva angosciosamente reale. Non aveva mai visto nulla del genere. Tra il l'odore acre del fumo e la cenere, avanza a. E quando, sporco di sangue nero sul viso, si affacciò al viso di quel mostro, arrivò davvero lo stupore.

Gli orchi non hanno quei tratti.

Sembrava un elfo.

La carnagione era più chiara in alcuni punti.

Sembrava uno di loro, ma non lo era.
I suoi occhi erano umani, così come la sua bocca, il suo naso leggermente storto a sinistra, per una narice più arcuata. Segni diversi di cicatrici anomale gli attraversavano una guancia, la destra.
Sembrava un elfo, ma il suo corpo misto all'altezza, seguiva le fattezze tozze di quelle di un orco.
E quando si fermò un istante di troppo, gli sfuggì l'occasione perché quell'essere fuori dalla norma, uscì fuori di scena, lasciando a un suo uomo il compito di finire uno dei suoi.
E così, Simone si precipitò ad aiutarlo, senza fiato, Neve arrivò ma una freccia in quel momento, lo anticipò. La sua azione trovò campo nelle mani dignitose di un arciere.
La punta trapassò al tale il cranio come un frutto maturo da un albero, ad una velocità inaudita.
Il suo corpo si curvò in ginocchio davanti al soldato e quello arretrò, per non trovarsi l'orco addosso.

In tutto quello, la figura mistica che Simone aveva osservato, si era dileguata nell'ombra, risucchiata nella notte.
E della luna forse, nel suo cammino segreto, non c'era alcuna traccia.

Doveva parlarne con Fëanor, sempre se era stato capace di vedere quello che aveva visto lui.


 

**


 

 

In piedi, con un fianco dolorante, non pensò ci volesse tanto.
Manuel non si fece neanche visitare.
In piedi, con Ronan che si lamentava sotto le cure di Elwyth ed Edwin che rideva dalla sua parte, fasciato e con l'acqua che veniva sputata dalla bocca tra un sorso e l'altro senza avere la decenza di fermarsi a ridere, prima di bere.
In piedi, con un fianco dolorante e un'espressione che la diceva lunga in mezzo ai lamenti degli uomini, Manuel aveva chiesto se fosse possibile parlare per qualche secondo col principe, ma gli era stato detto che era impegnato a discutere di una questione di estrema importanza con uno dei suoi uomini.

La pazienza gli stava venendo meno.
Si chiedeva come fosse riuscito a rimanere lucido in mezzo a quello stridio di spade e urli e con la testa che pensava soltanto alla conversazione avuta prima dello scontro.

Sapeva che l'ultimo augurio di quella notte, era stato sincero.
Sapeva che non avrebbe mai scherzato su qualcosa come la fede, la speranza.

Se credi in me, allora devo credere che per te ci sia una ragione ben più grande.

E sapeva, in cuor suo, che Simone non stesse tessendo una trama più fitta di quanto credeva, non ne era il tipo. Non avrebbe mai fatto nulla senza un motivo. Era intelligente, saggio...eppure, lui aveva ancora bisogno di risposte.

Nonostante quel fianco che gli pulsava sotto la benda e gli occhi attraversati da immagini recenti, l'unica cosa, l'unica che lo avesse spinto a resistere erano state quelle sue ultime parole dette di fretta prima di prepararsi a combattere.

Simone, fammi capire.

Doveva sapere perché d'un tratto era diventato così distante.
Perché per l'altro il suo stesso cielo, lo stesso che guardavano sul suolo su cui erano entrambi erano cresciuti, fosse diventato da blu a nero, in un solo secondo.
Doveva capire.

Quando finalmente, sempre tra un lamento di Ronan e una mano svelta e rapida di Elvira sulla sua testa che lo colpiva, Manuel notò qualche elfo uscire dalla tenda di comando, colse la sua occasione, svelto.
Fëanor toglieva il disturbo e lui, era pronto invece a darlo se fosse stato necessario.
Gli occhi dell'amica saettarono ma il ragazzo non ebbe modo di vederli, perché partì a grandi falcate verso la sua destinazione.

Una delle infermiere disse qualcosa, ma Manuel non sentì ragioni: ormai aveva oltrepassato la soglia.
Le dita scostavano un lembo della tenda.
Simone era lì, su quel tavolo adibito a studio di strategia e sul quale, i suoi occhi si stagliavano per via di una grande mappa: i palmi delle mani aperti e le braccia tese.
Non aveva nessuna traccia di sangue secco addosso, ma riusciva a vedere quanto fosse stanco.
Eppure il suo candore era sempre quello, nonostante ora, fosse meno accollato e la tunica che portava era più fluida e libera sul suo corpo, senza parti dell'armatura a stringerla, ma solo un cinturone ricamato in vita a fermarla.

Ha avuto il tempo di cambiarsi.

Non pensò nemmeno potesse essere lui, Simone non alzò nemmeno lo sguardo, mormorò:

« Fëanor, hai dimenticato di dirmi qualcosa? »

Era così immerso nella mappa che sembrava volesse entrarci dentro.

« Simone... » sussurrò, la mano si teneva sempre un fianco.

L'altro sembrò arrestarsi un momento. Alzò piano il viso: Manuel non riuscì a interpretare l'espressione dell'altro.

« Manuel » pronunciò per poi ritornare alla sua mappa « non dovresti sforzarti, è stato un dispendio di forze per tutti. Non ce lo aspettavamo, meritiamo riposo. »

Anche tu, ma sei qui.

« Sto bene. »

« Dovresti riposare » i suoi occhi si puntarono sulla mano ferma sul suo fianco « quella non guarirà tanto presto altrimenti »

« Il mio corpo ha sopportato cose ben peggiori. » mormorò secco.

Lo vide irrigidirsi e poi, vide anche Simone sospirare.

« Voglio solo riprendere ciò che abbiamo lasciato in sospeso... » continuò quindi, Manuel, avvicinandosi al tavolo.

Elvira gli aveva detto di studiarlo e così fece. Continuava a non guardarlo come se quello potesse provocargli chissà quale tipo di dolore interno, fisico.
C'era del silenzio ora in quella tenda, così tanto silenzio che Simone pensò di morirci dentro.

« Ho fatto qualcosa di male? »

L'altro rispose subito, senza il tempo di elaborare, secco.

« Perché avresti dovuto? »

« Non lo so, » Manuel scrollò le spalle « non ti andava più bene che ti addestrassi? »

« No, » Simone oscillò col capo « tu sei stato un ottimo insegnante. Il migliore, l'unico possibile. Te l'ho anche detto. » disse piano.

La mano di Manuel passò istintivamente dal fianco, al tavolo. Una delle mani con quelle dita affusolate era lì, ancora ferma su un territorio disegnato sulla mappa. Non che avesse importanza, ma lui cominciò a osservarla senza pudore.

« Continuo a non capire, allora. » rispose piano Manuel, le dita si mossero finalmente. La sua mano si posizionò sopra quella di Simone.
Alzò quegli occhi chiari, curiosi, bisognosi su di lui.
L'elfo era ancora rigido, vigile. Gli sembrò avesse addosso uno scudo invisibile in quel momento - come se fosse tornato indietro alla notte dell'assalto, a settimane prima. « Aiutami a capire. »

Rispose ai suoi occhi solo un secondo e per tutta risposta la mano si ritirò via dalla sua.

« Volevo allenarmi da solo. Non essere più un peso. »

Manuel aggrottò la fronte, le labbra si curvarono ma non modificò il suo tono di voce.

« Non sei mai stato un peso. E sei tu che me lo hai chiesto, se non avessi voluto non lo avrei fatto in primo luogo. »

Se lo fossi stato te lo avrei detto.

« Non volevo darti noia... Ora penso di potermela cavare. » disse veloce, continuava a guardare un punto indefinito su quella maledetta mappa. Manuel avrebbe voluto tanto prenderla e buttarla via, Simone non riusciva a guardarlo più. « Da solo, intendo con..con la spada. Allenarmi in solitaria penso mi dia più sicurezza. » confessò.

Manuel non gli credeva, era una risposta troppo blanda, troppo facile.
Ecco perché Manuel rincarò la dose, con sospetto.

« Devo chiedertelo, è stato Fëanor a farti cambiare idea? »

Simone sospirò, portandosi una mano dietro la nuca.

« Fëanor non ha a che fare con tutte le decisioni che prendo. E non ti vede come una minaccia. »

Manuel annuì, ma non era ancora convinto.

« Davvero è solo questo? Il motivo per cui sei stato così distante negli ultimi giorni è perché non volevi darmi noia? »

« Manuel...»

« Sai che puoi parlarne, con me. »

« C'è stato altro a cui ho dovuto prestare attenzione in questi giorni, ti avrei solo fatto sprecare del tempo... e non sarei stato concentrato. » mentì.

Fu più duro, irrigidì la mascella.
Manuel annuiva ancora per inerzia, non perché capisse. Stava ancora pensando alla sua mano che si ritirava.
Che fosse un chiaro segnale quello? Lo aveva già fatto una volta, ma insieme agli occhi che sceglievano di nascondersi, suggerivano qualcos'altro.
Non era odio, non lo percepiva. Era distanza, Simone stava imponendo una distanza tra loro due.

"E se fossero solo scuse?"

Si sta aggrappando a tutto per evitare che io lo guardi o lo sfiori.

"Agisci."

Nell'elaborazione di quei segnali, Manuel quasi non lo sentì. Se non gli aveva fatto nulla di male, la risposta rimaneva una soltanto.
Simone si sforzò di incurvare le labbra in un'espressione che tradiva.

« Soldato, va tutto bene. E avrei un po' da fare qui, » mormorò poi, schiarendosi la voce « non voglio trattenerti. Dovrei capire come muoverci nei prossimi giorni, ci hanno seguiti, dobbiamo essere accorti. »

Non m'importa delle strategie di guerra.

Manuel riportò la mano sul fianco.

Agisci.

« Gli uomini pensavano di andare a bere. Uno di noi ha scoperto una piccola locanda di passaggio, lungo il sentiero, proprio prima di imboccare in un villaggio di contadini. » neanche lo ascoltò del tutto, Manuel ormai non si tratteneva più.

« Buon per voi » rispose distaccato l'altro. Annuiva con un piccolo sorriso che non era del tutto naturale.

« Staremo un po' credo, per una bevuta e poi ritorneremo prima che faccia l'alba. »

Simone non sapeva più come fare a non guardarlo se non in un modo che nemmeno riconosceva a se stesso: voleva vederci solo un soldato ora perchè se si fosse permesso di vedere altro, sarebbe stata la fine. Stava reprimendo un bel po' di cose come non aveva più fatto giorni addietro.

« Ti auguro di svagarti, allora. Però, cerca di riposare dopo. » suggerì atono.

Manuel intercettava un comportamento diverso, poi l'altro sembrava perdere interesse nel mantenerlo. Era come se vedesse combattere due persone diverse in un unico corpo. Levò quindi il disturbo ma prima di uscire dalla tenda, si girò, sperando che Simone potesse intercettarlo con i suoi occhi.

Glielo aveva detto così, senza pudore. Senza bisogno di usare la testa.

« Se mi cerchi Simone, sai dove trovarmi. »

Quando uscì, la prima cosa che Simone fece fu un lungo respiro che si spezzò nel giro di pochi secondi.
Rovesciò quella mappa, senza aver cura di raccoglierla e la prima foschia gli appannò la vista, tanto che strizzò gli occhi.

Perché ho parlato così.

Gli aveva fatto male.

Si è sentito in colpa.

E di conseguenza, vederlo in quello stato, aveva fatto male a lui.



 

**

 

 

 

Si sentì stupido mentre si torturava le mani, il petto, mentre lasciava Neve guardandola assopirsi, sistemarsi il mantello e imboccare la strada per la locanda.
Si sentì ancora più stupido mentre si chiedeva se non fosse stato meglio dirgli direttamente che aveva da fare per evitarsi quello sguardo anche se lo meritava.

Potevi dirglielo.

E Simone si sentì stupido, una volta arrivato dentro il piccolo locale grezzo, caldo che puzzava di birra, suonava di risate e anche di battute all'interno. La bevande erano servite da più cameriere vestite in modo semplice, la zona del bancone in legno grezzo e rugoso, era decentrata e le mani di uomini riempivano boccali di birra o vino.

D'istinto pensò alla sera in cui era successo tutto quello: il vino che aveva sorseggiato, le risate e il canto degli uomini, lui che si lasciava andare tra le braccia di Manuel.

Forse bere un po' poteva aiutarlo a sbloccarsi come quella sera, o forse solo a perdersi ancora di più.
Non era mai stato un tipo da birra, - per le sue abitudini reali - ecco perchè Simone tirò fuori qualche moneta dalle tasche e ordinò del vino. Nascondeva bene le orecchie tenendo il cappuccio calato, in mezzo a tutti quegli umani. Non era mai stato un tipo da locande, soprattutto per il senso di disagio che ora, lo stava investendo. Appena agguantò il manico del boccale, e lo portò alle labbra, riconobbe con poche occhiate alcuni degli uomini intenti in chiassose conversazioni, far finta di non avere una spalla fasciata o una garza sulla mano. Era il loro momento di svago, era giusto navigassero nei fiumi della birra se era questo che li rendeva rilassati e privi di ansie, preoccupazioni. Le luci delle candele racchiuse in quelle gabbie d'acciaio e soffuse provocavano quasi sonnolenza in mezzo al legno, creavano un connubio perfetto con cosa avrebbero provato gli uomini dopo il secondo boccale della bevanda scelta.

Era giunto fino a lì per scusarsi con Manuel però e quindi mentre osservava e il vino scendeva bagnandogli dal palato e scendendo lungo la gola, lo cercò.

Non ci impiegò poi tanto.

Un tavolo da quattro uomini intenti a sgifnazzare. Un tavolo da quattro uomini e una cameriera che veniva fatta sedere in mezzo a loro senza tante cerimonie. Le venne sussurrato qualcosa.
Le gambe della ragazza erano poggiate con il loro peso sul grembo del fortunato, mentre le mani dell'uomo le reggevano la schiena in basso.
Lei sembrava apprezzare quelle attenzioni, anche perché non aveva allontanato la sua presa. Anzi se la strinse attorno, spavalda e veloce.
E quando la ragazza poggiò un palmo dalla mano sinistra sulla sua spalla e inclinò il viso zittendo un altro di quegli uomini che rideva e forse la incitava a riprendere a lavorare, lasciò scoperto il viso del fortunato.

Manuel non teneva in mano nemmeno il suo boccale di birra, abbandonato sul tavolo.
Aveva uno sguardo che non usava con nessuno, che nemmeno sapeva descrivergli in volto: non glielo aveva mai visto perché Simone non sapeva cosa Manuel intendesse per piacere.

Ora ne aveva la conferma, era inutile pure parlargliene.
Dimenticò perché era venuto lì, dimenticò che cosa doveva dirgli. Perse la sua importanza nel momento in cui lo vide sostenere gli occhi della cameriera.

Simone si sentì ribollire dentro.

Mandò giù più saliva, sperando spingesse il sentimento appuntito come uno spillo che avvertiva proprio sulla punta dello stomaco.
Non capì nemmeno la sua espressione mentre mandava giù quell'ultimo sorso di vino lasciandolo a chi glielo aveva versato.
Non voleva più restare lì a guardare, così, smise di farlo.

Che cosa speravi esattamente?

Non sapeva ancora però, che quando lui aveva smesso di guardare, quell'attenzione si era spostata repentina. Come se sapesse, come se non aspettasse altro che quello.

Lo hai allontanato tu.

Simone si portò fuori dalla locanda, fuori dal brusio degli uomini, fuori dalla felicità di Manuel e così com'era entrato e decise di andare nell'unico posto che forse poteva dargli conforto: uno spazio aperto dal cui spiraglio riuscisse a vedere la luna.

 

 

**

 

 

Simone trovò un posto quasi subito che accogliesse i suoi tormenti. C'era un lago un po' piccolo, scendendo in fondo a valle.
Dovette camminare un bel po', spostandosi dal bivacco e lasciandosi guidare dalla luce lunare.
Due rocce lunghe si stagliavano in profondità lasciando intravedere una piccola altura da cui tuffarsi.
L'erba era secca in alcuni punti, in altri la vegetazione era bagnata intorno ad alcune rocce più piccole e che potevano sembrare nere se non per qualche zona di luce che vi batteva sopra.
Non vedeva poi molto oltre a riflesso della luna che si specchiava sull'acqua.
Era piena, abbracciava tutto il cielo quella notte: sembrava essere lì pronta per sentirlo sfogare.

Cominciò con quel canto confuso.

« Non so cosa fare, mamma, aiutami. Non sono pronto per questo, » cominciò a torturarsi le dita « forse non sono pronto ad amare. »

Si fece più avanti, i piedi lo guidarono fino quasi a toccare la riva.

« Era così semplice vedere te e papà, » mormorò sinceramente « ho sempre pensato che sarebbe stato semplice e forse...forse sbagliavo. È più complesso di come me lo aspetto. E adesso... adesso che è successo vorrei essere sicuro del prossimo passo. Non ho più bisogno di capire, perché lo so. Solo vorrei...»

Simone sussurrò piano, indagando con i suoi occhi lungo quel cerchio bianco perla.

« Vorrei sapere cosa è giusto fare, se andrà bene. Vorrei...vorrei tanto non soffrire. »

L'immagine della locanda. Manuel e una sconosciuta.
L'immagine di lui che risultava ridicolo perché si era creato da solo quella stessa ragnatela.

Una lacrima gli sfuggì, rigandogli lo zigomo. Fissava così tanto quel punto bianco in cielo che cercò di immaginare e sostituire al suo interno il viso di sua madre.

« Mi manchi! » alzò la voce.

Il silenzio del nuovo luogo piccolo e curioso lo abbracciò invisibile. « Con te era tutto così facile, non avevo paura di nulla, vorrei riaverti qui. »

Simone pianse ancora, reggendosi le braccia con entrambe le mani, abbracciandosi. Chiuse gli occhi e con insistenza ritornò a guardarla:

« Dimmi cosa devo fare, dammi un segnale! »

Si reggeva da solo, come aveva fatto da una vita con l'amore nascosto dentro, senza sapere cosa farsene.

Provò a guardarla anche con disprezzo, ma poi gli ritornava in mente che il suo desiderio dopo cena, era di guardare le stelle con lei. E l'abitudine gli era rimasta cucita sulla pelle per poterla odiare.

« Per favore, un segnale, qualsiasi cosa! » supplicò.

E così, non si accorse che qualcuno aveva sentito sul finale cosa stava dicendo - forse risultando di parlare da solo, con un'entità che non gli avrebbe realmente dato minimamente la risposta che voleva. Ma Manuel sapeva che non era parlare al vento, che fosse importante per lui.

« Sta funzionando? »

Simone s'immobilizzò di colpo.

Cosa ci fai qui.

Il dorso della mano destra scacciò le lacrime nuove e fresche, velocemente. Non capiva se Manuel fosse vicino o lontano, si chiese però come aveva fatto a capire dove fosse.

Manuel indicò la sfera in alto.

« La tua strategia, intendo. »

« No, sembra di no. » tossicchiò per nascondere il tono di voce bagnato. Simone si premurò di non lasciarsi scoprire. Fissò la luna.
Due occhi soli grandi contro uno solo grande e bianco.

« Ma forse stasera ha già fin troppi pensieri da ascoltare »

Sentì dei passi sul terreno, provò a capire se gli fosse di schiena o di fronte senza girarsi.

« Forse la tua richiesta è già stata esaudita. »

Simone abbassò il capo, ricordò di quando gli aveva raccontato quella sua particolare e personale abitudine.

« Solo un pazzo penserebbe che è una cosa normale. »

« Allora credo di esserlo. »

Subito il silenzio che galleggiava.

« Come mai sei qui, Manuel? » proseguì senza spostarsi di un millimetro dalla sua posizione. Non aveva più senso inventare una scusa. « Sono... sono passato prima... pensavo saresti rimasto, mi sembrava ti stessi divertendo moltissimo alla locanda. »

Non lo vide sorridere nel buio. Se Simone lo avesse visto, forse, avrebbe cominciato a capire.

« Mh, qualche uomo ha alzato troppo il gomito. C'era fin troppo rumore, avevo bisogno di un posto più tranquillo. »

Lo è ancora di meno, ora che ci sei tu.

Simone sospirò, incurvando le labbra. I pollici si accarezzavano gli avambracci.

« Non è quello che si fa tra uomini? Perdere la lucidità, dimostrarsi virili e permettersi delle conquiste, intendo. »

Non tutti gli uomini sono così, recitò Manuel nella sua testa.

« Dipende da cos'hai visto di preciso. »

« Era una bella ragazza, » constatò Simone senza cambiare il tono di voce « sei ancora in tempo per tornare indietro, dovresti essere seduto a parlare con lei, non con me. »

Stai sprecando il tuo tempo.

Quando pensò quelle parole, sgorgate come acqua libera da un ostacolo, Simone si sentì più leggero. E quando Manuel si fece vedere a pochi metri da lui, al suo fianco e con le mani libere, si sentì come all'inizio, frastornato, combattuto. Riprese quella giostra infinita interiore.

« Vorrei, ma il mio cuore è già di qualcun'altro. »

Quindi è per Elvira.

Era ufficiale.

Simone zittì ciò che gli premeva dentro.

« E questa persona lo sa? »

Manuel aveva un piccolo sorriso stampato sul viso e Simone s'incrinò appena vedendolo.

Lei avrà questo sorriso.

« No, non lo sa. »

« Dovresti dirglielo allora, » Simone mormorò appena, sganciò una mano da dov'era, quell'abbraccio che non lo faceva sentire più al sicuro, solo più solo « più aspetti, più sarà complicato.»

Come lo è per me.

Le dita della mano vennero sfiorate, avvertì un piccolo movimento involontario da parte dell'altro. Non era nemmeno la prima volta che accadeva, ma la sensazione era sempre uguale. Alzò lo sguardo, e dopo un'intera giornata, dopo il sangue e l'attesa, Simone riuscì a guardarlo.
Era come sempre, così innocente e puro, così taciturno, solo un pizzico di quella incertezza e una scia curva e asciutta sulla guancia.

« Lo sto facendo adesso. »

Simone indietreggiò appena, aprì bocca per dire qualcosa, poi la richiuse. La mano destra si afferrò il petto.

Non è possibile.

Scosse la testa, gli tremò la voce, insieme alle dita posate davanti la bocca.

« È soltanto di un'immagine che ti sei invaghito, o qualcosa di simile a ciò che vuoi vedere. »

Manuel sorrise ancora di più, se possibile.

« Non è vero. »

« Non vado bene per te. »

In un secondo gli fu vicino, azzerando la distanza e Simone si sentì vacillare. Aveva un tono così dolce, gli sembrò di ascoltare una piccola litania.

« Questo lascialo decidere a me, Simone. »

Manuel.

Gli guardò le mani, volevano raggiungere le sue. Le vedeva lì in attesa.

È vero allora.

Lo guardò di nuovo, rapido.

« Facciamo parte di due mondi diversi, due culture diverse, Manuel. Io sono un disastro, oltre che un elfo, te ne sarai accorto. »

Simone deglutì, più guardava Manuel, più voleva mordersi la lingua perchè avrebbe voluto che la testa non gli dettasse quelle parole successive.
« Non sono una scelta giusta, noi due non siamo-»

Venne fermato sul tempo.

« In questo momento, siamo solo Simone e Manuel, » suonò morbido, pendeva dalle sue labbra. Manuel indicò l'aria « non c'è un campo di battaglia, non c'è sangue, non c'è nessun'altro a ricordarcelo. »
Poi indicò se stesso e l'altro.
« In questo momento tu non sei un principe e io non sono un soldato. »

Si avvicinò ancora, Simone protese le mani in avanti come a difenderlo da lui.

« Io non so amare. Prima, quando sei venuto a cercarmi, te ne ho dato prova e mi dispiace. Non riesco più. »

Manuel oscillò con la testa, ancora una volta. Quegli occhi avevano già pianto, non voleva ricapitasse.

« Questa è un'altra cosa non vera. »

« Vorresti dirmi che non ti ho fatto del male? L'ho fatto. Mentre tu non hai fatto altro che starmi vicino.» Simone fu aspro, senza filtri. « Lo so, invece. So che è vera, è la mia testa che continua a ripetermelo. Sono sempre più sicuro di questa cosa.» ammise pieno di inquietudine.

Vorrei che ti vedessi adesso, Simone.

« Non dirlo.»

E più Manuel continuava a guardarlo in quel modo più pensava di stare sognando una reazione del genere.

Non ti merito.

« La testa, mi dice esattamente questo, io non merito questo tuo interesse-»

« E tu non ascoltarla, mettila in pausa...» Manuel gli sfiorò la mano lentamente e Simone lo lasciò fare, nonostante deglutisse a vuoto. Prese quella mano, la coprì col la sua e gliela portò sul petto, all'altezza del cuore. Non sganciò i suoi occhi da quelli di Simone neanche per un secondo. « Questo invece, che cosa ti dice? »

Gli faceva male il petto e lo stomaco sembrò seguirlo poco dopo. Le mani però non gli tremavano più, avevano trovato pace.

« Manuel.»

« Questo, cosa ti sta dicendo? » ripeté senza staccare la mano.

Era una domanda con una sola risposta, quella che Simone non gli aveva ancora dato.

A quel punto non era nemmeno più descrivibile quanto Manuel fosse vicino. Simone non si accorse di nulla, perché la punta del naso sfiorava quella dell'altro. E quel tondo di luna s'affacciava timidamente a creare un riverbero di luce sui loro visi.
Mai sembrava esserci stata una cosa più chiara anche in parte nel buio e completo silenzio.
Visti a questa vicinanza i suoi occhi sembrarono splendere, grandi, scuri, toccati appena da una scia come se dentro ci passasse una costellazione, una di quelle che magari, Simone non gli aveva spiegato.

« Che è un guaio... » sussurrò sulle sue labbra, la mano di Manuel gli arrivò sulla guancia. Simone socchiuse gli occhi e si inclinò appena a prenderne il calore « un bellissimo guaio. »

E quando sembrò non esserci più alcun divieto, la testa si spense, come per magia. Simone aprì gli occhi per capire solo per istante ciò che stava per succedere prima di chiuderli. Manuel posò le labbra sulle sue. E quando cominciarono a muoversi delicate e senza fretta, Simone raggiunse la mano sulla sua guancia e la strinse nella sua.
Sembrò nascergli un fiore al centro del petto per quanto batteva forte, aveva trovato via via la sua acqua nel corso di quei giorni dallo stelo, alle foglie, ora la punta era infinte contornata da qualche petalo. La punta delle orecchie era già meno fredda, e il naso veniva schiacciato contro la pelle dell'altro. Simone provò tante cose diverse, senza riuscire ad elencarle.
Immaginò tutto e niente allo stesso momento.
Si sentì nel posto più giusto, al momento giusto in un tempo indefinito e incalcolabile.
Lui, che da sempre vedeva il tempo come un nemico, gli scivolò via e lo allontanò senza cura.
Si sentì sfuggire il raziocinio, il controllo, si sentì in una sola parola: libero.
Si mosse incerto, senza sapere come fare, l'altro fu la sua guida in mezzo al buio.
Risultò inesperto.
Era certo soltanto di poche cose e una di quella era il suo calore e quello di Manuel insieme, come fossero un'unica cosa, senza distinzioni o impedimenti, bocca contro bocca e mani chiuse in mezzo ai relativi petti.
Cercò aria annaspando, per poter lasciare respirare quel fiore, senza sgualcirlo. La bocca era più gonfia e il respiro era venuto meno.

Si stupì a osservare che Manuel fosse nella sua stessa situazione, così come non smise di osservarne i tratti: alla luce della luna non aveva mai visto nessun uomo così bello. Era la prima volta.

E invece Simone, sussurrò ben altro a quell'uomo:

« Non dovevo innamorarmi di te.»

Spostò piano il suo naso col suo, ed era una cosa che Simone non pensava nemmeno di poter fare senza farsi troppi problemi, le mani erano ancora strette in una sola cosa.

« Esiste per caso qualche legge per i principi che lo vieta?»

Quel tono non era serio, ci lesse una punta di ironia. Quando scherzava imparò, Manuel strizzava gli occhi e il naso.

« Non penso, non che mi sia stata insegnata, no. »

« Allora non conta. »

Si lasciò accarezzare da quelle labbra che sfioravano le sue dita incastrate fra le sue.
Simone non riuscì più a contare i brividi che lo attraversavano.

« E non conterebbe nemmeno se esistesse davvero questa legge. »

Protezione, ascolto, cura.

Era sempre stato quello.
Seguivano le ombre sul viso, le linee delle ciglia e invece sempre più nitidi gli occhi.

« Perché adesso tu sei Manuel » lo guardò senza bisogno di nascondersi « e io Simone. »

Lo vide annuire in mezzo a un sorriso silenzioso che si allargava e ricercare piano, le sue labbra.

Sbocciò piano piano, un altro fiore.

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Capitolo 15
*** Naturale ***


"Beati i timidi che abitano la terra in modo delicato."
M. Ermentini.









Il silenzio vicino al lago era qualcosa di totalmente pacifico.

Non gli sembrava vero poterlo condividere con qualcuno, quello spazio, quel momento, soprattutto se quel qualcuno gli sfiorava la mano tra uno sguardo e l'altro. Soprattutto se quel qualcuno era Manuel.
Simone ci aveva pensato a quelle mani ruvide e più scure per diversi giorni, così come aveva pensato più volte di tirarsi indietro.             

Mani che non nascondevano nulla, mani fatte apposta per essere toccate.

Da un bel po' se ne stavano seduti lì in un angolo, sopra una piccola zona scoscesa, ma non minacciosa, per guardare meglio il riverbero della luna sull'acqua, lui e Manuel. Giocavano a sfiorarsi le dita e dopo un po' Simone le strinse decidendo di mantenere quel calore sulla sua pelle, come se potesse sparire così come lo aveva scoperto.

Poi Manuel accarezzava il dorso di quella stretta, con il pollice, disegnandoci sopra lentamente figure e tracce che l'altro non riusciva a capire.

Simone avrebbe voluto restare così per tutta la sera a guardarlo, a cercare qualche difetto possibile che potesse caratterizzarlo, ma non ce ne erano.

Non ne vedeva.

Si sporse appena girandolo il volto e chiuse gli occhi: svuotò i polmoni, realizzando che non poteva rimanere in sospeso, non quando gli doveva delle scuse.

« Mi dispiace » sussurrò allora « di averti evitato, di aver provato a farlo, di averti fatto male, Manuel. »

Simone si sentì appena come un sasso che cadeva dentro l'acqua e sprofondava per via del peso, della forma, tanto era l'inadeguatezza che sentiva. « Per me tutto questo, è nuovo » indicò le loro mani spostando il viso verso il basso, vergognandosi. « Avere qualcuno che... che sente quello che sento io. Che possa capirmi, senza dover per forza cercare una risposta altrove o dal vento, senza aver bisogno di chiedere di essere capito. »

Manuel avrebbe voluto rispondergli, cercando di comunicare con i suoi occhi ma Simone non aveva ancora finito.

« Non hai mai fatto niente di male » Simone sorrise piano, rialzando lo sguardo. Manuel incontrava quella dentatura non perfetta, ma che gli risultò comunque stupenda.
« E ti sono... sono grato per questo e per tante cose. Molte più di quanto potessi immaginare, Manuel. Mi hai fatto stare bene, ascoltato, mi hai fatto sentire come se non fossi solo. »

Così il soldato non resistette più, alzò il suo viso e ci impresse sopra un bacio, a labbra dischiuse. Non esagerò col contatto per evitare di farlo sentire a disagio. Simone ci sorrise dentro, una volta che Manuel si staccò, infatti, cercò di replicare anche se risultò più goffo.

« Tu non sei solo. » poggiò la fronte contro la sua e quegli occhi neri gli finirono dentro, sembrando insieme a quella pelle chiara, gli occhi nascosti della luna.
« Non sentirti così, sto bene davvero. »

Eppure si sentiva in colpa; avere tolto a sia a lui che all'altro la possibilità di provare a condividere cosa provavano reciprocamente, era stato uno sbaglio.

« Adesso stai bene. Ma prima, ieri e il giorno prima ancora?»
Simone si lasciò accarezzare la mano, sentiva i brividi sul resto della pelle.
« Stavo cercando di prendere tempo, ma non esiste qualcosa, un tempo per mettere il cuore in pausa. Scusami. » ripeté.

Manuel oscillò con la testa.

« Basta così, non ha più importanza adesso. »

Era come vedere il sole nella penombra. Simone si chiedeva se fosse possibile riuscire a vederlo per gli altri, lui ci riusciva. Schiacciò la punta del suo naso e provò lui, a unire le loro labbra.

Impacciato, per niente preparato, gli sembrò di sostare sulla sua bocca senza essere capace di fare altro. Si fermò e riprese daccapo, senza pensarci troppo.

Portava una mano alla base del collo, leggermente spostata a sinistra.

Non fu scordinato come prima, non sapeva se la testa dovesse inclinarsi e quanto fosse giusto se non invadente cercare di usare la lingua. In ogni caso, una volta che riprese aria trovò Manuel ad occhi chiusi. Il naso di Simone gli accarezzò la guancia.

« E scusa se non riesco tanto bene in questo, è nuovo per me, baciarti » sussurrò nervoso.

Manuel aprì gli occhi svegliandosi da un leggero stato di trance, lo guardava.

« Che c'è, perché mi guardi così? »

Simone spostò lo sguardo da destra a sinistra.
Manuel sembrò bloccarsi per un secondo dentro quella curiosità genuina, innocente.

« Perché non sembri reale. » quel sorriso gli costò a Simone un altro battito, e il suo tono soffuso gli ammorbidì la testa. « E anche perché non andavi nemmeno tanto male, Simone. »

La punta delle orecchie si colorò di più. E si mossero pure un po'. Manuel avrebbe tanto voluto toccarle, soprattutto vedendo come Simone tirò un riccio con una delle dita a nasconderne l'evidente rossore.

« Suppongo ci voglia pratica » bisbigliò.

Manuel controllava come Simone distoglieva lo sguardo, le orecchie ora, erano nascoste.
Così, fingendo che fosse quel dettaglio appena spostato il suo vero centro d'attenzione, slegò le loro mani strette.

« Posso? »

Simone annuì con fare fin troppo lento. L'indice spostò la trama di quel filo riccio nero e poi con un solo movimento dell'indice sfiorò la punta dell'orecchio.

« Per favore, è imbarazzante » Simone rise nervoso « per questo le copro. »

« Io penso sia una cosa molto carina invece. »

Manuel tracciò la linea dell'orecchio, Simone lo osservava mentre contemplava una parte di sé con così tanta attenzione. Le sue orecchie erano uguali a tutte quelli della sua specie, non pensava ci fosse nulla di particolare. Eccetto il fatto che il calore si diffondesse a profusione e in modo "troppo evidente" per quanto lo riguardava. Non tutti, a quanto pare, reagivano allo stesso modo infatti.

« Mi piacciono. » mormorò Manuel.

E a me piaci tu.

Però lo taceva pensandolo dentro di sé, raggiunse la sua mano che scivolò sulla sua spalla e la strinse.

« Le hanno tutti gli elfi, » commentò sbrigativo « è nella nostra natura, non c'è nulla di eccezionale in questo... »

Manuel avrebbe voluto aggiungere qualcosa ma Simone sembrava così sereno ad occhi chiusi e labbra distese sul suo viso. Così restarono in silenzio di nuovo, con solo il rumore di qualche animale notturno in sottofondo, la sfera bianca alta a fare loro da guardia.

« Manuel »

A spezzare con voce sottile, sembrando un pelo invadente.

« Sì?»

Lo disse sulla sua spalla, il mento che rimaneva poggiato proprio lì, senza fare pressione.

« Voglio... voglio che rimanga tra noi, questo. Per adesso, almeno. Se non è chiederti troppo, » si morse il palato per qualche secondo « ma voglio, voglio viverlo, capirlo, il più possibile. Da solo, io con te

Lo sentiva il suo profumo di erba, di sandalo sul collo: era la cosa più vicina alla sensazione di casa.

« Quindi vuoi che sia un segreto? »

« Non mi vergogno di te. Se lo pensi, voglio che tu smetta subito di farlo. Voglio che lo ricordi. » sussurrò.
Fece silenzio e poi si diede coraggio per guardarlo di nuovo e riprendere. « Prima che qualcosa si smuovesse in me la prima cosa per te è stata la mia stima. E so che è egoista, forse sbagliato...ci sono tante cose che non so ma voglio...voglio viverti, Manuel. »

Non pensava lo avrebbe mai detto a qualcuno. In tutti quei suoi anni, non pensava avrebbe mai detto davvero quelle cose.

« Simone, mi va bene... dovrò solo chiarire questo punto con Elvira. »  il soldato annuiva davanti ai suoi occhi e Simone lo guardò curioso. « In quei giorni eri distante e le ho chiesto un consiglio... le ho detto che mi piacevi. » 

Quel tono gli provocò un attimo dell'instabilità, lui non aveva detto il suo nome ad Ingrid, invece Manuel lo aveva fatto. E capiva anche perchè.

« Non te ne faccio una colpa. È temporanea come cosa,  ma non voglio...non voglio nemmeno farti sentire costretto a fare qualcosa che non vuoi-»

Manuel gli baciò il dorso di una mano.

« Te lo ripeto, mi va bene. »

Affondò il viso all'altezza del suo petto, sorridendoci dentro, il tessuto di quel gilet bordeaux sopra la camicia più leggera, un po' intrisa di sudore e sicuramente messa di fretta per dirigersi alla locanda, gli risultò al viso famigliare, dandogli la sensazione di tanti fili d'erba che lo solleticavano. Un solletico piacevole.

« Se mi permette di stare con te, ne vale la pena.» completò.

Per te, ne vale la pena.

Sembrava così banale eppure per Simone fu tutto quello che aveva bisogno di sentire quella sera. La trama di quel gilet non nascondeva il battito del cuore, riusciva a sentirlo senza nessun problema.
Così come sentiva le sue mani stringergli appena l'inizio della schiena. Si sentiva così protetto sotto quell'abbraccio, proprio come sotto una coperta calda e avvolgente.
Con la sola differenza che Manuel fosse ancora più bello e prezioso di un mero oggetto materiale.
Simone non seppe dove trovò la forza di dire quello che venne dopo.

« Credo sia il momento di ritornare al campo, » sussurrò e alzò di poco il viso di Manuel « si chiederanno dove siamo finiti, soldato. »

Manuel annuì sospirando.
Simone si alzò molto lentamente, gli offrì una mano per fare lo stesso.
Il soldato la accettò senza esitare. Gliela tenne così, con la luce che illuminava appena in parte le vene che correvano tra le dita, affusolate, candide, eleganti.
Simone si mise a ridere anche se piano, come per non spezzare l'attenzione o la fissità di quegli occhi sotto le lunghe ciglia.

« Così come le orecchie, mi sembra che anche tu abbia le mani, Manuel. » lo riprese diplomatico.

« Non credevo ci fosse un regolamento per cosa possono o non possono guardare i soldati. »

Alzò delicato le loro mani intrecciate tenendole per le nocche e su una passò appena le labbra sopra.
Simone capiva di sentirsi sfuggire il controllo, la bocca scattava per allargarsi e poi, con il capo che si dirigeva in avanti, scuotendolo e indicando la parte opposta del sentiero. Cercò di guardare altrove.
Tutto quello per cercare di nascondere il rossore.

« Andiamo, su. »


 

**



 

Salutarsi nella notte risultò difficile, soprattutto quella notte.
C'era come il profumo di qualcosa di nuovo, di speciale. A respirarla poteva sembrare la stessa aria, ma quando entrambi videro a pochi metri il bivacco, il fumo spento che si alzava nele ultime spire in cielo dissolvendosi e molte tende ormai chiuse, si guardarono per un po' nel buio totale.
Il profumo aveva preso un altro senso, ora.
In effetti sembrò strano dover camminare un po' separati.
Dopo quello che era successo, gli sembrava strano non potersene stare lì a osservare la luce notturna, restare a guardare l'altro fino alle luci dell'alba. Si chiese come fosse allora Manuel al sorgere del sole.

Sorrise lieve a quel pensiero.

Si svegliava al sorgere del sole da settimane, si addormentava nel buio dove la tenebra si infiltrava e si impossessava dei suoi pensieri.
Manuel era diventato invece, una luce.

Simone si sentì come se una piccola parte di sé gli fosse stata brevemente tolta, per poche ore notturne.
Non fece a meno di notare come risultava impacciato camminando e giocando con le dita delle mani, quelle mani che prima venivano sfiorate.
Quando fu davanti alla sua tenda, si accorse che Manuel gli era ancora accanto.

« Allora, buonanotte...» le mani cadevano sul grembo « Manuel »

Un attimo dopo una mano si reggeva sulla spalla del soldato: si concesse di fare un piccolo passo in avanti, per baciargli la guancia con la punta delle labbra.
Non poteva vederlo bene per davvero, ma quel sorriso che gli vide in dosso sembrò simile a un filo di perle, solo più prezioso.

« Buonanotte a te, Simone. »

L'altro replicò il suo gesto, prolungandolo appena. Le sue labbra erano gentili, lente. La barba gli pizzicò il mento e quel suo profumo arrivò subito alle narici.
Quel contatto sembrò cristallizzarsi, si spezzettò in un altro piccolo bacio all'angolo della bocca quando l'elfo si allontanò appena.

Chiuse gli occhi e sorrise piano.

Stella mia, sentì la voce di sua madre nelle orecchie, sei felice?

L'impressione era quella che più di un cuore fosse presente nel petto. Era impossibile. Nessun elfo nasceva con due cuori.
Nessun elfo come Simone aveva avuto ancora la possibilità di continuare a sentirne già uno, dei due.
Impossibile forse non lo era proprio del tutto, se pensava che Manuel lo corrispondeva.
E anche per più tempo di lui, forse.

Portò via la mano dalla sua spalla, delicatamente si immerse in due occhi piccoli e chiari anche contro il buio.
Avrebbe tanto voluto accarezzare quei capelli ricci dietro la sua nuca, sentirne la morbidezza, ma era tardi e i soldati si sarebbero svegliati presto. Lui compreso.
Avevano e avrebbero avuto il loro momento, il giorno successivo.

Si guardarono un'ultima volta prima di ritornare in tenda.

A cosa starai pensando?

Nessuno dei due spezzò lo sguardo fin quando l'altro non sparì dentro il suo rifugio.

A domani.





 

Svegliato in mezzo a una notte trascorsa non proprio a sonno pieno, ma non per già di incubi, Simone sorrideva piano guardando sopra la sua testa la stoffa della sua tenda. In realtà si sfiorava appena le labbra ancora, nell'aspetto sicuramente scombinato e nella serenità rilasciata dal suo corpo rilassato, che senza fatica, respirava, chiudeva gli occhi e si portava a sorridere come se avesse sognato la cosa più incredibile.
Eppure non era un sogno, perché le labbra che toccava col pollice e l'indice erano state baciate. Il profumo era svanito, ma la sensazione avrebbe voluto recuperarla, una volta alzatosi.
Ad attenderlo Neve dormiva accanto, facendo muovere qualche filo d'erba per via dell'aria che usciva fuori dalle narici. Era ancora abbastanza presto, il sole era già a metà del suo tragitto e alcuni uomini erano già svegli. Come se non mangiasse da giorni, Simone accettò di buon grado la sua colazione e la consumò senza scartare nulla. A qualche boccone però, immaginava se Manuel fosse già sveglio, se era riuscito a dormire, se in qualche modo era riuscito a staccarsi dal pensiero che Simone portava da tutta una notte.
Sembro un adolescente, pensò.

In effetti non c'era molta differenza tra un adolescente umano e un elfo, in fondo le esperienze come quelle erano simili, se non uguali.
La concezione degli anni funzionava in modo differente, era ovvio, ma per le sensazioni e le percezioni non ce n'era affatto.

Chissà com'era lui da adolescente.

Simone mancò di salutare Fëanor, distratto e preso com'era a fantasticare. Si morse le labbra, la guardia scomparve per raggiungere il suo cavallo. Finì il suo pane, per distrarsi ancora, questa volta per Ingrid che sembrava perdere le staffe parlando con qualcuno. Simone non vedeva bene, consegnò la scodella a una delle donne, si strofinò le mani dalle briciole dalla tunica e scrutò meglio con lo sguardo. Quando la donna prese per il braccio la persona con cui stava parlando e la trascinò dentro la tenda da infermeria, Simone si incuriosì ancora di più e guardandosi attorno e capendo che nessuno aveva richiesto la sua presenza, inseguì quella scena.
Si sentì come qualche animale abbastanza fiducioso di scovare una ricompensa mentre procedeva. Il paragone lo fece ridacchiare all'improvviso.

Sembro proprio Neve.

Simone scostò il tessuto delicatamente per guardare all'interno.

« Stai fermo! Non muoverti, hai già fatto danno ieri sera, mi sembra, no? »

Ingrid portava le mani sui fianchi, per poi afferrare una pezza e una boccetta con dentro un unguento più scuro. Steso a terra tenendosi in equilibrio con i gomiti, Manuel sospirava.

« È solo un misero graffio, non pensavo ce ne fosse bisogno, davvero- »

« Scommetto che avevi dolore al fianco ma hai pensato passasse da solo, mh? » mormorò Ingrid, gli occhi azzurri ridotti a due fessure di ghiaccio.

« Ho... ho dimenticato di farmi vedere » abbozzò Manuel, grattandosi la testa. La maglia era sollevata proprio nel punto indicato dalla donna, vestiva una ferita circolare, quasi fosse un cerchio a cui mancasse un tratto, non si era ancora cicatrizzata.

Era con me, ieri, Ingrid.

« Certo, è giusto, tanto noi qui cosa ci stiamo a fare? Se uno di voi si infetta o si aggrava la colpa è da dare solo a voi: uomini si comportano come bambini testardi, chi li capisce è bravo » sbuffò, controllando la ferita poi.

In quel momento Simone, preso dalla scena, trattenendo una risata coprendosi la bocca, decise di farsi avanti.

Simone si schiarì la voce, tossendo.

« Io credo che tutti abbiano bevuto un po' più del dovuto ieri,» mormorò Simone, scontrandosi con gli occhi di Ingrid e sapendo che quelli di Manuel invece si erano appena posati sorpresi « non era previsto uno scontro, Ingrid, ed è giusto che si festeggi »

Ingrid annuì, disse qualcosa in elfico verso Simone e lui fece lo stesso, posizionandosi a lato del paziente del giorno.

« Principe » articolò Manuel dopo un po' di tempo.

Si guardarono entrambi, la presenza di una scintilla nell'aria.

« Soldato » replicò sorridendogli lentamente.

Non aveva dei cerchi evidenti sotto gli occhi, segno che almeno lui aveva dormito. Sembrava comunque un po' stanco.

Stanco ma bello.

« Non lo chiedo nemmeno a te dove tu sia stato, Simone. Ieri sera siete scomparsi un po' tutti a dire il vero, a fare baldoria o meno. » continuò Ingrid infastidita.

Gli occhi di Ingrid si alzarono nei suoi e Simone dovette abbandonare le lunghe ciglia di Manuel.

« Non ero granché ferito, se ricordi, iaur. Ho solo... fatto una passeggiata notturna. »

Simone si mangiò le labbra, fuggendo negli occhi di Manuel complici quanto i suoi.
D'istinto a quello venne voglia di poggiare le sue labbra sulle sue, ma sapeva che non fosse il caso. Non voleva creargli disagio.
Al contrario, fu proprio Simone a dimostrare vicinanza, perché gli prese una mano, stringendola. Manuel non esitò ad accarezzarne il dorso col pollice.

« Se devo ricucire ho bisogno che stia fermo, non voglio ricucire pelle sana e fargli male. » Ingrid preparò l'ago di canna e bagnò la ferita per pulirla un po'. Non si era ancora cicatrizzata, ma era presente del sangue secco soltanto da una parte, l'estremità del taglio sembrava ancora sensibile.

« Aiutami fairë »

Ingrid attenta a tenere la spugna leggermente umida in una mano, per tamponare la ferita.

« Ingrid, lui è Manuel... senza il suo aiuto non saprei muovermi sul campo » spiegò una volta che aiutava, anche se in piccola parte, la donna nel suo lavoro.

Manuel osservò quei due sguardi diversi: l'elfo era visibilmente in imbarazzo. Ingrid acquistò un altro sguardo invece, spostandolo verso di lui.

« Ah, è quel soldato che ti ha insegnato a combattere. »

La donna sorrise un po' verso Manuel di gratitudine, i capelli bianchi attorcigliati in una crocca ordinata e tirata a dovere, le orecchie a punta visibili. La dentatura splendente e gli occhi più premurosi. Manuel mandò giù quel piccolo complimento, poi la donna cambiò di nuovo espressione.

« Peccato che un soldato ferito la prima cosa che dovrebbe fare è farsi controllare » lo rimbeccò esausta, senza forze, corrugando la fronte. « La vostra pelle non mica fatta è d'acciaio! »

Manuel annuì piano, mentre l'ago incideva sulla pelle. Strinse appena i denti, mentre Simone stringeva la presa.

« Devi ringraziare che non hai un'infezione, sei stato fortunato. »

« Ha ragione, sei stato un po' incosciente. » commentò piano Simone.

« Chiedo scusa Ingrid, davvero... » pronunciò Manuel a bocca stretta, le sopracciglia erano più alzate sulla fronte « ma in mia difesa avevo altro di meglio da fare. »

In quel momento Simone si sentì pizzicare dallo sguardo eloquente dell'altro. Deglutì abbassando appena lo sguardo, invece con attenzione, la donna faceva scorrere lo strumento e ricuciva la pelle che prima aveva inumidito e disinfettato.

« Ah, beata giovinezza » proseguì Ingrid nostalgica e con un sorriso malizioso in mostra poco dopo.

Dopo aver eseguito la cucitura, fu il tempo di medicare Manuel con due soli giri di una garza sottile ma soffice, intinta appena di un leggero unguento a base di lavanda. Simone aiutò poi lentamente Manuel a mettersi seduto, mentre la donna metteva via la spugna e la tinozza con l'acqua.

« Pensavo... se hai già fatto colazione e ti va di riprendere l'allenamento. Se non ti è di troppo sforzo, soldato. »

Nemmeno il tempo di avere una risposta che Ingrid lanciò uno sguardo di fuoco all'elfo che aveva posto la domanda.

« Niente movimenti bruschi! »

« Ingrid, credo che sia libero di dirmi di no... » Simone si alzò piano, liberò la presa da Manuel, le mani in grembo e il cuore che batteva un po' di più. Abbassò lo sguardo sull'uomo che aveva stampato in faccia un mezzo sorriso divertito.
Era la cosa più carina vedergli disegnate quelle piccole grinze espressione intorno agli occhi.
« Posso... continuare ad allenarmi da solo, se non te la senti. »

« Penso di potercela fare, non faremo nulla di estremo. Devo ancora mangiare, sono stato rapito prima di riuscire a farlo » fermò la lingua in mezzo ai denti.

Era la prima volta che Simone glielo vedeva fare. C'era un mondo di prime cose di Manuel che ancora non sapeva, in effetti.

« Te la faccio portare io qui! Non muoverti per un altro po'.» lo bacchettò la donna, colpendo teneramente sulla spalla del soldato. Quello strizzò gli occhi ed esalò con un sospiro divertito.
Simone annuì.

« Il solito posto può andare bene? »

Voleva che quella conversazione continuasse, ma entro quell'ambiente gli era impossibile dirgli esattamente cosa voleva. Aveva voglia di rimanere da con lui, totalmente da solo con lui.

« Più che bene, principe! »

I due si scambiarono uno sguardo abbastanza eloquente sfuggendo ad Ingrid, troppo occupata a ricevere una delle ragazze che portava qualche altra tinozza da svuotare e lavare. Non fece caso a come uno ancora alzato e l'altro invece seduto, si stavano comunicando quanto avrebbero atteso con impazienza quell'incontro.





 

**

 

Gli formicolavano le mani, restando lì in piedi, contro un albero, ansioso, nel piccolo anfratto di terra dov'erano soliti allenarsi. Simone si osservava per pochi sprazzi di secondi gli stivali, poi rialzava lo sguardo, il vento che tirava appena, il cielo chiaro, il tepore della mattina.
Neve sembrava sonnecchiare così bene in accampamento, così aveva raggiunto da solo la sua destinazione. Non sapeva in che modo ingannare il tempo a parte chiudere gli occhi e immaginare con quale scusa l'altro si sarebbe presentato, se sarebbe stata la stessa che aveva presentato alle sue guardie, sfuggendo poco dopo pranzo.
Sembrò risvegliarsi da quella idea proprio quando un rumore di passi sul terreno fece scattare la sua testa, le orecchie.
Sorrise senza nemmeno rendersene conto per quella figura dapprima piccola che si fece sempre più nitida.
Manuel si teneva la mano su un fianco, la maglia era la stessa della mattina, con fare testardo, rispettoso e fedele, la spada oscillava comunque dalla sua cintola.
Fu una prova dura contenersi. Proprio per questo,  Simone sfilò la spada di Manuel dalla cintola e la accantonò a pochi metri dall'albero su cui era poggiato prima.

« Così va meglio, soldato » mormorò vedendolo più libero, senza alcun peso.

Lo sentì ridere, Simone si sciolse nell'immediato.

« So che era una scusa, ma credevo volessi comunque allenarti un po' » si grattò il capo.

« Non puoi sforzarti, mi sentirei responsabile e Ingrid non avrebbe torto a darmene la colpa » sospirò.

« Non c'è paura per quello, ti difenderei. »

Simone sbilanciò il peso del corpo, le labbra si posarono sulla bocca di Manuel inglobandole appena.
Si staccò poco dopo, la punta strofinò contro il suo naso. La mano di Manuel approfittò per cingergli la vita senza comandare o imporsi, ma solo per infondere calore e vicinanza.
Simone si era ritrovato con quegli occhi così chiari sotto il sole e così scuri addosso, che li immaginò anche senza vederli, ad occhi chiusi, mentre Manuel riprendeva quel contatto interrotto.
Era come finire sotto un fuoco tiepido e accogliente, anche a labbra schiuse, Simone avvertì la presenza dell'odore di Manuel ovunque.
Sospirò beato contro la sua bocca, le mani sulla camicia, all'altezza del petto coperto da quel gilet e immaginando la fascia che Ingrid aveva usato per medicarlo sottostante a quelli.
L'elfo afferrò la sua mano, dandogli appena le spalle. Si mise seduto, schiena contro il tronco dell'albero, gambe incrociate. Un gigante e un bambino fusi insieme.

« Puoi...» biascicò quando Manuel provò ad imitarlo, sganciando la presa. Quello si fermò ad ascoltarlo. Simone indicò il suo grembo. « Puoi distenderti e poggiare la tua testa qui, se vuoi. »

Sapeva che non era unicamente il sole a ustionargli le guance, ora.

« Ti avverto, credo che la mia testa pesi quanto tutto il mio corpo. »

« Correrò il rischio. »

Manuel cambiò quindi direzione, si inginocchiò accanto a lui e poi posò lentamente la sua testa sul suo grembo, le mani però non smisero di cercare un minimo le dita libere di Simone.

« Comodo? » chiese.

« Sì, molto » Manuel fece una piccola pausa « principe. »

La voce arrivava più profonda e spessa fino al petto. Sorrise per quel tono ironico, di gioco. Manuel giocava con le sue dita della mano destra, mentre Simone decideva ancora se usare la sinistra per accarezzargli i capelli sparpagliati sulla sua uniforme da arciere.

« Come va, uhm, il dolore al fianco? »

« Tira solo un po'. La mia ferita è stata ricucita, Simone. L'hai visto tu stesso stamattina, tranquillo. » mormorò più serio, posando appena le labbra sulle sue dita.

Simone annuì brevemente. Manuel continuava a sfiorargli le dita.

« Manuel...sei riuscito a dormire stanotte? »

« A malapena, » incurvò le labbra in un sorriso « ma per una buona ragione. E tu? »

Fissò gli occhi dell'altro, le lunghe ciglia simili a fili o sottili petali neri.
Inusuali e insoliti. La mano sinistra poggiata sul petto, che lentamente scendeva.

« Non credo di aver chiuso gli occhi per più di due o tre ore, al massimo. Ero troppo... felice, credo. »
 
Le sue dita si mossero lasciandosi andare sui capelli di Manuel: i ricci soffici, striati, un po' più lunghi. Il capo del soldato si mosse appena sul suo grembo, Simone si sollevò dal gesto.

« Sei sicuro non ti dia fastidio? »

« Affatto.» confermò.

Poi, come un animale in cerca di attenzioni, Manuel avvicinò di nuovo la testa sotto la sua mano. Simone sorrise, le dita ripresero ad accarezzargli i ricci e la mano si posò di nuovo su di lui.

« Non ero così felice da tanto tempo. »

Si nascose nel suo piccolo silenzio, risvegliato solo dalla voce che gli rispondeva.

« Hai paura di esserlo? »

Non poteva tacere con quegli occhi.

Se mi guardi così, come faccio a non essere felice.

« Ho più paura che non duri. » confessò.

« Simone-»

« Non mi sto rimangiando ciò che ho detto,  » rispose calmo « quando ti vedo è come se scoppiassi, Manuel. Non so se i miei simili si sono, provano qualcosa così quando vedono chi sentono parte di loro. Quando ti vedo tanti piccoli pezzi di me si accendono, mi sento fragile e forte, ogni cosa mi sembra al suo posto, mi sento leggero, proprio come l'altra notte: non penso, torno a respirare. » 

Una mano gli afferrò le dita, ne baciava le nocche.

« E io con te. »

La punta delle orecchie sembrò andargli in fiamme, mentre si limitava ad allargare la bocca in un sorriso piccolo.

« Ciò non cambia il fatto che siamo diversi, Manuel. »

L'espressione pensierosa, le sopracciglia unite.

« Mh, diversi dici? »

Manuel si girò appena di lato, senza alzare la testa dal comodo ciaciglio fatto di carne. Allungò la sua mano, il braccio toccò il petto, arrivava appena a sfiorargli il viso. Passò dalla fronte brevemente con un tocco, tracciò il contorno degli occhi abbassando le dita. Simone era immobile, fisso a scoprire la sua prossima mossa, le sue carezze di colpo si erano arrestate. Manuel arrivò agli zigomi, la punta del naso, segnò la bocca, il mento.

« Due occhi, un naso, una bocca » era così serio, mentre scostava alcuni dei suoi ricci neri « un paio di orecchie... no, non manca nulla all'appello, direi. »

Simone sorrise appena, poi sospirò consapevole.

« Sai bene a cosa mi riferisco. »

« Cosa, che la tua pelle sia più chiara o che le tue orecchie siano a punta? O che appartieni a un altro rango? Non mi importa. »

Simone si rabbuiò appena, pesando le sue parole. Neanche a sua madre importava, fino a quando non era finita sotto le mani e i giudizi sbagliati di altri.

« Mia madre era una mortale, » raccontò senza frenarsi « lei e mio padre si amavano, quando era ancora in vita... non ho mai visto la differenza tra loro,  fino a quando non ci è stata portata via. Lei era felice. » Simone si morse le labbra, poi indurì la mascella. Come a scagliarsi col passato, con gli spiriti di un mondo insensibile.
« La gente non capiva allora e non capirà adesso. È difficile che lo faccia, per questo, ho paura. Per questo, voglio stare attento. »

Lo guardò quasi supplichevole e Manuel si alzò dal suo grembo, andandogli in contro: gli sostenne il viso con entrambe le mani.

« Mi dispiace per tua madre. »

Gli accarezzò la guancia con il dorso della mano, lentamente, l'altro ci respirò dentro.
Era ruvida callosa sul dorso, ma piacevole. Il soldato lasciava spazio all'uomo, quel confine stava tutto dentro le sue iridi. 
« Ma Simone, è ad un uomo e anche ad un soldato, testardo per lo più, che stai parlando. »

« Lo so e proprio per questo-» cacciò fuori un breve lamento.

« Proprio per questo, non ho intenzione di rinunciare, ma di resistere, so cavarmela. È passato un solo giorno, » vide che l'elfo chiudeva gli occhi al sole, si sincerò che stesse bene « vuoi già arrenderti? » sussurrò.

No.

« Non voglio rinunciare o arrendermi. Ho detto che voglio viverti, ma perché tu puoi difendere me e io non posso fare lo stesso con te? »

L'elfo aprì gli occhi trovando quell'uomo splendido davanti a lui.

« Non ho detto questo. »

« Voglio che non succeda la stessa cosa, che non ti succeda nulla. Non voglio nemmeno voglio dimenticare, so bene cosa siamo, anche alle apparenze. Non sono così fragile, anch'io so combattere, l'ho dimostrato. Anzi, » pronunciò punzecchiandolo « c'è una differenza di troppo: io sono anche bravo con l'arco. »

Manuel alzò il mento divertito, annuì, lasciandolo sfogare. Simone si inumidì le labbra, sconfortato.

« Voglio sperare in qualcosa e non voglio metterti in pericolo, però voglio stare con te. Sembra tutto complicato e a tratti incomprensibile, lo so, ma è così che stanno le cose. »

Simone imprecò piano in lingua, Manuel lo guardò ancora più curioso. L'elfo si quietò poco dopo, solo grazie alla sua voce più soffice.

« So che non sei fragile, in realtà sei più forte di quanto credi, Simone. Te lo ripeterò ancora e ancora se ne avrai bisogno, » sottolineò « e so che è ancora tutto nuovo per te, ma non siamo poi così diversi. È più semplice, ricordi cosa hai detto ieri? »

Simone annuì lentamente. Le loro mani, la luna, l'altro che sembrava non finire più di guardarlo.

« Che siamo solo noi. Simone e Manuel. »

Manuel gli sorrise.

C'erano due occhi grandi, troppo grandi e inesperti di fronte a lui, bisognosi d'affetto, di capire, di amare.

« Elyë maar, mathar » mugugnò.

Simone colse l'espressione incantata e confusa negli occhi più chiari dell'altro. Simone aderì con la sua fronte a quella di Manuel. Si riempì i polmoni, traducendo.

« Sei buono, soldato, fin troppo. »

Quello farfugliò qualcosa vicino alle sue labbra.

« Allora abbiamo messo un punto alla discussione. »

Simone osservò così bene le grinze - poche - ma presenti attorno ai suoi occhi che sembravano sorridere soddisfatte.
Non se la sentiva di vederle scomparire anche se rimaneva pur sempre una parte di sé, ancorata al pensiero che ci sarebbero voluti due occhi in più per vegliare su di lui.

« Sì, non parliamone più »

Rimasero in sospeso così, in silenzio, col rumore di qualche uccello che beccava o che cercava del cibo per i suoi simili.
Manuel arricciò il naso, portandosi con entrambe le mani sul petto di Simone.

« Come si dice baciare in elfico? »

Fu Simone che si allargò in un sorriso questa volta, i denti in vista.

« Prima dovrei insegnarti a usare l'arco come si deve, Manuel-»

Manuel gli accarezzò la pelle dietro le orecchie con i polpastrelli.

« Simone » insistette.

L'elfo cedette così, arresosi a come l'altro lo stava guardando.

« Mýtha » soffiò, prima che Manuel si dedicasse trasformando quel verbo in pratica.

Sentì il canto degli uccelli, una volta che unì la sua bocca alla sua, che si dischiuse a poco a poco, per lasciare entrare il calore, il sapore di Manuel, per lasciare entrare solo il bene.
Si lasciò prendere il viso con entrambe le mani, che si portarono via i primi dubbi della giornata, della sua esistenza fino ad adesso. Prese aria solo il tempo per vedere Manuel fare lo stesso e ricominciare.
Simone avvolse le mani attorno al suo collo senza stringere, senza lasciare che si muovesse. Piuttosto, preferì tenerlo con una mano per la schiena per non farlo stancare e sorreggere la sua nuca con l'altra.
Manuel non si limitò a solo a quel bacio che durò più del primo con cui si erano rivisti e Simone credette di scoppiare dentro il suo respiro mozzato.
Per metà della sua vita, aveva creduto che quel momento per lui non sarebbe mai giunto. Per metà della sua vita aveva creduto che non avrebbe mai saputo che sentore aveva quella sensazione.

« Era da stamattina, in infermeria, che volevo farlo. »

Lo schiocco emesso una volta separati, così come il tono basso del soldato, avevano reso più che chiaro il concetto.

« Sarebbe... sarebbe stato un po' imbarazzante. » pigolò senza fiato a pochi centimetri dalla sua bocca.

« Non mi sembra che Ingrid sia il tipo di donna che si scandalizza. »

« No, lei è... è come una seconda madre per me. » Simone invitò Manuel a riprendere la sua posizione di poco prima. Adagiò la testa sul suo grembo, ritornò ad accarezzargli i capelli.
« Le ho detto di quella notte, di cos'è successo nel bosco. »

Manuel lo guardò cambiando espressione questa volta.

« Me ne vergognavo un po', all'inizio ma...ho trovato il coraggio di dirglielo. Appena riuscirò, lo farò anche con Fëanor. »

« Non devi vergognarti di nulla, non è stata colpa tua.»

Stesse parole, occhi diversi.

« Lo so, è quello che mi ha detto anche lei, che poteva succedere a chiunque, in circostanze sbagliate. Solo che dopo ha anche iniziato un intero discorso in elfico, su come non dovessi uscire disarmato e che posso sembrare innocente insomma, te lo risparmio. » scoppiò in una risata leggera che si dissolse nell'aria.

« Ti vuole molto bene. Com'è che la chiami... iaur? »

In realtà Manuel avrebbe voluto dirlo in un altro modo, ma pensò fosse ancora presto.

« Un tempo si faceva chiamare Elwë, la saggia, ma ha sempre preferito che io la chiamassi semplicemente iaur, che poi sarebbe anziana. È sempre stata umile. »

Manuel seguiva attento il filo delle sue parole.

« Voglio impararla comunque prima o poi, la tua lingua... »

Simone aprì la bocca sorpreso, poi la richiuse annuendo.

« Se è ciò che vuoi... è più difficile di sapere usare una spada, Manuel.»

Il soldato sospirò beato.

« Sono sicuro che sei un bravo insegnante. »

Manuel restò con quei capelli accarezzati, nel silenzio del primo pomeriggio caldo, a tenersi dentro quelle attenzioni e a guardare Simone lì, proprio sopra il suo naso e i pochi alberi a circondarli.

 

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Capitolo 16
*** Fusione ***


Fusione.


 

Essere a Nord, Sud, Ovest, essere da un'altra parte e dovunque.

Il pensiero poteva per illusione altrui essere in tutti i posti, ma era rivolto da tutt'altra direzione, in quei giorni di preparazione alla rotta da cambiare e perseguire.

Non era nelle corde di un principe perdersi così tanto in pensieri che non includevano rotte, decisioni politiche, approvvigionamenti per l'esercito.
L'unica vera cosa a cui prestava la sua attenzione e la cui voglia non mancava di aumentare in quei giorni di rifocillamento, mappe da studiare, ricadeva tutta quanta su Manuel.

Simone era certo di dover scindere le due cose e riusciva anche a farlo, sfuggendo per un paio d'ore al giorno dagli occhi verde accecanti di Fëanor o dalle riprese di Ingrid (nonostante lei avesse capito che la questione avesse a che fare con i tumulti del cuore) e dai globi neri della sua amica che però sapeva, quali fossero le sue "mete".
Ogni volta che poteva e ne aveva occasione, Simone rifugiava in quel luogo solito - che fosse la mattina, che fosse la sera dopo cena - dove sapeva di poter trovare un sorriso caldo e un respiro che sapeva di menta piperita. Era come se la guerra si archiviasse in quegli istanti e lasciasse spazio alla piena stagione estiva che prendeva tutto l'ambiente con sé.
La natura lo abbracciava e lui la ringraziava rispettoso e calandosi piano in questa senza far rumore. I primi rovi spuntavano colmi di bacche, le prime piante grasse si crogiolavano sotto i raggi caldi, l'erba veniva calpestata e respirava una volta libera dal passo e i primi sospiri di un elfo libero momentaneamente da doveri politici e decisivi, afferravano tutte quelle cose che lo circondavano con gratitudine. Tutte quelle cose più Manuel che si fece trovare con una mela che teneva abilmente tra le mani.

Quando quella mattina lo vide arrivare, quell'uomo bello e agile, si alzò lasciando che la mela rotolasse incurante a terra e che raggiungesse gli zoccoli neri e pelosi di Maximus a pochi metri.
La distrazione del padrone lasciò che il cavallo infatti, non esitasse a rifiutare una facile primizia offerta. Maximus la accettò goliardico, senza doversi neanche sforzare o mettere in pratica la sua indole composta per lo più da gelosi capricci.

« Scusa se ci ho messo tanto, » Simone parlò concitato non prestando attenzione alle sue labbra che correvano, mentre Manuel si scotolava veloce la poca terra dai pantaloni « ma ero sotto le grinfie di Amras e Fëan- »

Fu quasi una prova restare vivi, sotto l'attenzione di Manuel che non perse un secondo per fargli capire ormai, che della sua "natura" e quotidianità, faceva parte anche lui. Fu una prova difficile non continuare a baciarlo ancora e ancora, - come facevano da giorni ormai - prima di sedersi entrambi poco distanti dal manto nero di Maximus che ora sembrava nettamente più imbronciato.

Quello non sfuggì proprio all'attenzione dell'elfo, accarezzava distratto le linee della mano di Manuel e guardava in basso.
Simone aveva chiesto a un soldato di badare a Neve mentre era via per occuparsi delle pratiche militari.
Pensò di aver fatto solo bene: l'ultima volta la sua amica non aveva fatto che scappare alla sua vista e disobbedirgli per Maximus, trovandola vicino alla tenda di Manuel.
Sarebbe stato un rischio continuare a chiederle di non fuggire via da sotto il suo naso, almeno durante il giorno.

« Devi comunicare al tuo cavallo di stare un po' più attento. Neve è libera, ma è cresciuta per metà della sua vita con me, Manuel. »

« Beh, non che lei si comporti diversamente quando siamo in accampamento. » gli fece notare alzando le sopracciglia, ma non mostrando per niente fastidio.

Simone annuì sostenuto dalla mano libera del soldato che si piazzava tra i suoi capelli ricci.
Era un gesto così intimo e che ripeteva quasi meccanicamente e a cui ancora non si abituato.

« Lo so, ma è come se gli cedessi una parte di me. »

Una parte di me persa, una parte di me ritrovata, una parte di mia madre. E ora una parte di Maximus.

Che giro che facevano le anime quando trovavano un porto sicuro, di cui fidarsi per non togliere mai più da lì, il peso del proprio cuore. Era la stessa cosa che era accaduta tra lui e Manuel, l'essenza era riconoscibile. E lui non era nessuno per dettare a qualcun altro di seguire un ordine: non c'era riuscito in primis con se stesso. Manuel alzò il viso di Simone senza fretta, le ciglia lunghe e scure, le iridi nocciola nascoste dentro.

« So che puoi capirmi.»

« È una buona compagna per te » osservò con dedizione il modo in cui Simone sorrideva piano portando le pieghe della pelle a sollevarsi lì, su quelle guance bianche, perlacee. « Sai che dovrai essere tu a parlargli, uh? »

« Spero il tuo amico mi ascolti allora. Non voglio privarli di nulla, ma è importante stare attenti, nella situazione in cui siamo poi - »

Manuel capiva cosa intendesse senza bisogno che continuasse a parlare, quindi gli fermò la mano, afferrandone le dita.

« Se non lo fa, mi imporrò io. »

In quel momento cercò di restare serio ma Manuel scoppiò purtroppo, in una risata che cercò di coprire.

« Immaginavo te che cerchi di ragionare con Maximus. »

Simone sorrise lasciandosi coinvolgere.

« Te ne do atto, sembra una bella scenetta, sì. Di certo non deciderò di montarci sopra quando verrà il momento. »

Manuel annuì divertito al ricordo di cosa era successo non molto tempo prima.

« Sono sicuro che capirà, in qualche modo, gli stai lasciando spazio con Neve, ti stai fidando. »

Maximus mosse lo zoccolo sul terreno, scosse la testa e poi dando il posteriore a entrambi, si limitò a farsi i fatti suoi.

Simone avvertì che quel comportamento fosse dovuto a lui.

« Ricordo che non sono io ad odiare il tuo cavallo, » precisò apostrofandolo « è lui che odia me. »

« Non ti odia, » Manuel sospirò « è nuovo a questa cosa, deve abituarsi a dividermi con te. » ciondolò con la testa in avanti, incontrando il broncio dell'elfo non proprio convinto.

Non gli disse nulla, aveva due occhi per suggerirgli quelle parole fidati di me, e a Simone non restò altro che accoglierlo attaccando la sua fronte a quella di Manuel e respirando piano.

« Mi raccontavi della tua gente, ieri, ricordo ancora di quel navigatore, la sera in cui avevi paura di combattere... Vorrei sapere di più.»

La notte in cui mi hai visto.

Simone annuì veloce.

« Gran parte delle nostre radici parlano di miti, canzoni, storie su fate, miti, leggende... alla lunga potrebbe essere noioso. »

Manuel si accomodò sprofondando sul suo corpo, sulla sua spalla, baciandogli prima la bocca.
Simone si lasciò invadere dal profumo di erba che emanava.
« Quella notte mi hai detto che non si combatte per diventare una leggenda, lo ricordo... » Simone frugò lungo il suo fianco coperto dalla maglia per intrecciare le loro dita « ma la cosa bella è che esistono anche storie che non parlano di guerra, di sangue o di vendetta. Il nostro popolo per fortuna, parla anche di amore. »

Gli venne in mente la storia che entrambi i suoi genitori gli avevano raccontato in tenera età, pensava fosse una ninna nanna, quando invece, un anno prima di andarsene sua madre gli spiegò di cosa parlasse quel racconto. Ricordava la storia, ma solo metà della canzone. Simone pensò che tuttavia fosse meglio di niente.

« C'è questa canzone, mi piaceva molto da piccolo. Parla di un uomo e una donna, un mezz'elfo per essere precisi... mio padre confondeva sempre le parole finali, » il sorriso piccolo gli illuminò il viso « e mia madre era sempre pronta, sull'attenti quasi e lo correggeva, rispondendogli per le rime. »

L'altro frugò in mezzo alle sue dita, respirò caldo sul suo petto.

« Cantala, io ti ascolto. »

« Non la ricordo tutta però... » mormorò.

« Mi andrebbe bene anche mezza, » l'elfo non seppe trattenere l'impulso di stringergli la mano più forte, ora che l'altra gli strofinava la maglia all'altezza del petto, con una carezza « mi piace sentirti cantare. »

Lo guardò per un lasso di tempo abbastanza ampio per lasciarlo parlare ancora.

« Non preoccuparti, se stoni non te lo farò notare. » aggiunse Manuel.

Divertente.

Simone si sentii una grossa responsabilità addosso, ma Simone chiuse gli occhi e si focalizzò sul viso di sua madre e su quello di suo padre che ridevano. Intonò piano, toccando uno dei primi nomi.

« Lì giunse Beren dal monte imponente e fra le fronte e gli alberi vagabondò disperso, e dove il fiume elfico scorre turbolento, camminò solitario ed in pensieri immerso. Guardando tra le verdi foglie delle foreste vide con meraviglia dalle dorate ricoprir il manto e la lunga veste e la capigliatura bionda come cascate. »

« Sentì un suono puro, sublime e celeste, come di passi e danze pari a petali leggeri; e musica vibrava sotto le foreste, cullando il suo cuore triste ed i suoi pensieri.

Giunse l'inverno e cupi gli alberi e le piante, sospiravano tristi per il tormento, cadevan le foglie con la luna calante la campagna era fredda e gelido tirava il vento. »

Manuel venne raggiunto da quella voce ovattata e leggera, gli sembrò di ascoltare il rumore del mare.

« La cercò sempre, tra i rami e le foglie e le fronde delle piante, al lume della luna, al raggio della stella, sotto un cielo pallido ghiacciato e tremante. La sua veste fulgeva al bagliore lunare mentre lontano sul colle danzava, una nebbia d'argento che ella emanava. »

Simone teneva la bocca dischiusa per fare delle pause mentre le parole venivano fuori e lo toccavano, lo sfioravano. Aveva sempre paragonato e visto Lùthien in sua madre.

« Passato l'inverno ella tornò a ballare e col suo canto giunse la primavera, come una felice allodola o una rondine leggera. Ed un fiume che scorre dolce verso il mare e quando ai suoi piedi spunteranno i fiori ei non desiderò altro che starle accanto, poterla accompagnare nel ballo e nel canto, sull'erba fresca dai mille colori. »

Ricordò la sera in cui avevano festeggiato la battaglia vinta, il modo in cui i suoi piedi si erano lasciati andare alla notte, alle voci confuse della sua gente e degli uomini, alla presa salda di Manuel. Pensò di aver scelto la canzone più indicata senza nemmeno aver speso tempo a pensarci troppo: immaginò Beren trasformarsi in Manuel, gli occhi espressivi intenti a guardare lui, ballare. E la scena lo colpì in un lampo.

« Inseguita, di nuovo ella fuggì via.

Tinúviel Tinúviel, ella si fermò ad ascoltare come incantata la voce di lui, che svelto la raggiunse e come per magia, la vide fra le sue braccia splendere e brillare fanciulla elfica e immortale. »

« Ma dal destino furono separati, e vagarono a lungo per monti e pendici, tra cancelli di ferro e castelli spietati, boschi cupi e luoghi abbandonati, mentre fra loro erano i mari nemici, ma un giorno luminoso si ritrovaron felici e assieme partirono amati e infine uniti. »

Finì di cantare, la mano del soldato era sempre lì, ferma.

« È bellissima. » commentò Manuel piano, alzò il viso verso Simone « Poi ci riescono, insomma a vivere insieme? »

L'elfo annuì.

« Accadono molte cose, secondo la storia Beren fu sul punto di morire ma Lùthien col suo canto riuscì a convincere il signore dei Valar - le nostre divinità - e rinunciò all'immortalità, per restare con lui. Non tutti ci credono però, molti mezzi elfi per lo più, sono sempre stati scettici nonostante se ne sia tramandato il canto. »

Manuel corrugò la fronte.

« Perché mai? »

Bisognava mettere le cose su un piano non tanto politico, ma umano. Non c'era mai stato un caso a parte i suoi genitori, nel luogo dove era nato, che avesse seguito quelle orme.
Non era da tutti.
Il sacrificio non era per tutti.

« Forse perché è inaccettabile chiedere una cosa del genere, rinunciare a sé stessi, alla propria natura per qualcun altro. » sospirò pensieroso.

Simone venne poi solleticato dalla barba dell'altro che si alzava sul suo viso, borbottò un "mi fai il solletico" impercettibile.

« È solo una storia, » continuò specchiandosi nelle iridi dell'altro « è bello sognare, ma la realtà è sempre un'altra cosa. » Manuel si mordicchiò le labbra, Simone abboccò a quello sguardo da pesce lesso « Mi guardi fisso soldato, che c'è? »

Il soldato mosse appena le labbra.

« Cantala di nuovo. »

Simone sorrise, ma stavolta solo con gli occhi.

« Ti è piaciuta così tanto? »

Manuel si riprese di diritto il posto sul suo petto con lentezza, la mano nella stessa posizione di prima. Simone pensò a come sarebbe stato venire a contatto, pelle contro pelle.

« Quando vuoi, io sono qui, non mi muovo. »

Simone sospirò beato, il cuore pieno, i pensieri sciolti come burro.

« E va bene, soldato, ma prima o poi ti stancherai. »

« Ah, oltre che principe anche indovino? Proprio una fortuna la mia. » quello invece Manuel glielo sussurrò nell'orecchio.

Poi l'elfo si riprese dalla risata e anche dal tono basso del soldato, e ricominciò il canto.


 


**


 

Il viaggio risultò ben più faticoso del previsto e le truppe si appostarono per la notte.
Le tende vennero sistemate come sempre, il focolare acceso, le donne parlavano e gli uomini erano raggruppati per sezioni.
Fu proprio dopo cena, dopo la lunga carovana della giornata che Simone colse uno sguardo in mezzo agli altri.

Uno solo.

Erano stati due occhi furbi ad accendersi con una sola singola fiammella che replicava in parte quella più grande sui ceppi di legno al centro dei vari soldati.
Il segnale venne colto in tempo, affinché Simone ringraziasse chi aveva preparato la cena e preparasse Neve per la sua passeggiata notturna.
In realtà, la cavalla fu solo una piacevole mossa e scusa per mettere in moto l'allontanamento dal campo senza dover rispondere alle domande di chi poteva controllarlo.
Quando cominciò a camminare con Neve al suo seguito, un manto bianco e fisico sotto una sfera in alto dello stesso colore, Simone pensò che Manuel fosse stato in qualche modo fermato da Elvira o che qualcuno gli avesse chiesto dove stava andando.
Poggiò la fronte sul pelo di Neve e intonò lente parole in lingua e tra queste inserì anche un che sto facendo, e anche, sembro un adolescente se mi vedesse mamma.
Manuel si presentò circa mezz'ora dopo, per non destare sospetti e anche perché l'unico indizio che segnava il percorso di Simone era stato lasciare una freccia - la riconosceva per colore e un'incisione sulle piume - appuntata a un tronco d'albero e la sua collana che pendeva.
Arrivando, il soldato riuscì a spaventare l'altro col suo passo furtivo, perché lo afferrò da dietro stringendolo in un abbraccio.
Simone sussurrò ancora in elfico di sollievo: si sciolse così la sua ansia, il suo sentimento di paura.
Poi recuperò dalla sua mano la collana allacciandola di nuovo al collo.
Passarono la notte a sfidare con lo sguardo il cielo sopra i loro nasi, intenti che rivelasse loro chissà che segreto.
Non erano del tutto soli, ma affiancati da Neve che sdraiata a terra e beata non emetteva un suono.

Il nuovo posto doveva trovarsi vicino a un fiume o un lago - Simone non ne era sicuro - ma il rumore d'acqua che scorreva in lontananza era inconfondibile e simile a quello di un ruscello. Gli alberi simili a grossi giganti scuri ma buoni attorno a loro, la notte sempre più calda e senza un filo di vento.

« Forse avrei dovuto portare Maximus, credo gli manchi » bisbigliò buttando un occhio sul cavallo bianco.

Simone la osservò per pochi secondi, accucciata com'era ma forse un po' altrove, distratta con quel muso un po' triste.

« Goheno nin, Lossë » mormorò rivolto alla sua amica.

Manuel prestò una speciale attenzione al tono amaro. Poi l'elfo sospirò cambiando il suo centro di attenzione. « Domani staranno insieme, » allungò la mano per raggiungere quella di Manuel « domani, promesso

Guardarono il cielo in tre, se ne stavano fermi e solo a percepire la pace della sera. Passarono minuti indecifrabili senza dire nulla e lasciare che fossero i loro occhi a lasciar scorrere parole senza suono.

Manuel poi, interruppe il silenzio.

« Le hai chiesto scusa, vero? »

Simone annuì sorridendo nel buio.

« Spero capisca che sono solo preoccupato. Voglio sia felice.»

Manuel gli strinse più forte la mano come a indicargli in modo inequivocabile presenza.

« E grazie, com'è che si dice nella vostra lingua? »

« Ci sono vari modi, in realtà, » cambiò quindi discorso « dipende....Le fael è il vostro comunque grazie, poi c'è ni 'lassui » Manuel capì che si stava trattenendo dal gesticolare con entrambe le mani « che è un semplice modo di dire grazie, sono felice, » si perse nel dondolio cullante di quella lingua « Guren glassui, è più incisivo perchè significa grazie dal più profondo del mio cuore

« È molto musicale, » constatò, poi incurvò le labbra in un sorriso sghembo « anche se credo di essermi già confuso. »

L'altro annuiva.

« Non è semplice te l'ho detto, ma sono sempre a disposizione per insegnarti qualcosa, se non hai cambiato idea. »

« Affatto. Magari, tra una pausa e l'altra, tra una sconfitta e l'altra in allentamento... »

Simone fece un suono stizzito con la bocca. Lo guardò serio.

« Stai molto attento a fare queste affermazioni, soldato. »

« Sono sconfitte da nulla comunque, » continuò a stuzzicarlo attento alla sua reazione « puoi battermi quando vuoi. »

Simone si sporse per un secondo mettendosi in equilibrio su un fianco. Guardò bene Manuel divertito dalla piega che aveva preso la conversazione.

« Anche ora, quindi. » sussurrò.

Manuel abbassò lo sguardo sulle sue labbra. « Potrei farlo, ora, sì. »

« Non ti fermerò. »

L'altro rimase sulla sua bocca. Avvicinandosi con il corpo, poi, aggiunse: « Non hai la spada con te. »

Diede come l'illusione di voler baciare l'altro senza nemmeno dover studiare quella mossa, Manuel si inclinò verso Simone quando quello si alzò in piedi.

« Chi ha detto che per batterti debba usarne per forza una? »

Manuel si alzò sui gomiti sul terreno.

« Così, a mani nude? »

Simone scrollò le spalle e si allontanò appena toccando un preciso albero.

« Io starò qui, non puoi usare gli alberi per avvicinarti » dettò delle regole all'improvviso « ci spostiamo sul terreno. Non in verticale o diagonale, sarebbe troppo facile. »

Ingrid da qualche parte al campo, doveva esserne felice riguardo la voce del suo bambino interiore.
Manuel non gli chiese che gioco fosse, si mise seduto e poi si alzò lento.

« Chi prende l'altro per primo, vince! »

« Capito. Posso usare le mani, sì? »

Simone annuì ridendo appena, spostandosi dal tronco dell'albero. Quella era proprio la richiesta principale che Manuel muoveva.

« Sì, ma non si bara. »

« Non ho mai barato, non inizierò certo stasera. »

Non credeva di stare già girando intorno e di sentirsi per quella stupida idea, svagato.
Simone calcolava ogni movimento di Manuel, il quale dovette scansare dei rami sul terreno per non cadere.
Neve aveva alzato il capo incuriosita verso quei due che giocavano a qualcosa che nemmeno lei stava capendo.
Provò ad alzarsi ma Simone la ammonì dolcemente.

« Ferma lì, Neve. Dimenticavo: niente aiuti. »

« Avresti dovuto dirlo prima, » ondeggiò il soldato con la testa « bisogna essere chiari con le informazioni. »

« Io sono chiaro! » si impuntò.

« Aggiungere regole quando si è già in gioco è un po' come barare. »

Manuel si avvicinò ma abbastanza per afferrare l'altro per via del suo scatto rapido.

« Non distrarti soldato....» mormorò ghignando. « Gioca. »

Manuel si colorò nello sguardo. Seppur a una breve distanza riusciva a notare qualcosa che aveva già visto: desiderio.

Neve si alzò, scordando le parole del suo padrone, come trainata dal gioco anche lei, concedendosi un'altra sbirciata ai due bipedi intenti a sfidarsi.

Continuarono a girare attorno a quel pezzo di terra, spostandosi da dov'erano prima e inoltrandosi tra alberi senza toccarli.
Neve cominciò a muoversi e seguirli.

« Simone! » esclamò.

« Cos'è sei già stanco? »

« No, » negò « volevo dirti che abbiamo spettatori. » inclinò la testa indicando la cavalla che si era appena inoltrata per il piccolo sentiero boschivo.

« Daro! Lösse! »

La cavalla nitrì giocosa, muovendo il capo a destra e sinistra.

« Si stava annoiando, credo, huh »

Simone invertì la direzione e Manuel fece lo stesso. Traditosi da solo, si fermò all'istante.

Neve intanto si era fatta avanti, senza che nessuno la fermasse, portandosi al centro di quelle due lancette impazzite.

« Neve, non ora, ti prego - »

« Simone, ricorda che non puoi andare in diagonale. » lo ammonì Manuel.

L'elfo si morse il palato, si fermò un secondo e si mosse di lato mentre Neve già più al centro guardava a turno entrambi capendo da chi potesse andare, chi potesse darle ascolto.
Continuarono a muoversi, almeno fino a quando la presenza del cavallo non fu d'intralcio.
Simone parlò in elfico alla sua amica ma quella non si mosse di un centimetro.
Guardò confuso l'animale, ma Manuel ci si muoveva intorno e lui venne costretto a fare lo stesso.

« Non mi ascolta, è inutile! »

« Non ti ascolta perché si starà chiedendo cosa stiamo facendo e non le do torto.» rise basso e roco.

« Avrebbe ragione. Ingrid mi aveva consigliato di non prendermi troppo seriamente, in effetti... »

Cominciarono a fronteggiarsi nascondendosi fra il manto bianco di Neve, senza però toccarla.

« Sta funzionando, quindi? »

Con te, sì.

« Sì. »

Girarono lentamente come in una specie di danza.
Il sottofondo ora era riempito da Neve che brontolava qualcosa, muoveva la coda bianca.

« Continueremo tutta la notte, » Manuel parlò lentamente « sotto questo cielo, senza dormire, senza bere, né mangiare »

« Puoi anche arrenderti. »

« Non ci penso nemmeno, » la curva di un sorriso appena accennata « ho una bella visuale da qua. »

Simone non poté evitare di nascondere il viso, ora, basso, e il calore addosso più forte.
Guardinghi l'uno verso l'altro per beccare una singola mossa o movimento sbagliato, si studiavano. Sembrò filare tutto nello stesso modo, fin quando la cavalla non decise di spostarsi cambiando la visuale. L'elfo si affidò al suo udito, sentiva dei passi ma doveva scegliere: proseguire a destra o a sinistra ruotando attorno a Neve. Molto piano, scelse una direzione, si mosse seguendo il dorso del cavallo. Uno dei due, il baro, poggiò tre dita sfiorandola e la invitò a fare silenzio, in tacito accordo e intesa. Simone proseguì, fino a quando Neve non nitrì: scattò con la testa un secondo, come allarmato che quella avesse sentito qualcosa, che qualcuno li avesse visti. Venne afferrato per i fianchi da dietro.

Manuel lo sollevò da terra quasi, Simone si dimenò, cominciava già a ridere.

« Manuel! Mettimi giù, Manuel! »

Manuel fece come richiesto ma si strinse alle sue mani, abbracciandolo. Simone sospirò e richiamò Neve fingendosi tradito da quella che era intenta a muovere il capo come se stesse ridendo con il suo complice.

« Proprio brava mellon nin, coalizzati con il nemico. »

Neve borbottò qualcosa come soddisfatta e l'altro rise appena.

« Non ha fatto nulla, » mormorò Manuel contro il suo viso « mi ha solo aiutato un po'.»

Simone assunse un tono da rimprovero, brontolò. « Non si aiuta chi bara. »

Manuel strisciò la punta del suo naso sul suo collo scoperto per via della maglia blu chiaro leggera e lunga che Simone portava, gli segnava l'inizio del petto niveo con una v.

proferì morbido. « Volevo vincere a tutti i costi. »

«Lo avevo notato.»

Si dondolò in quella morsa, le mani più ruvide e callose di Manuel stringevano le sue sulla vita. Dalla punta del naso, Simone avvertì la durezza della barba, fatta solo qualche giorno prima e che ora, stava già ricrescendo. Si spostò appena col viso per raggiungere la sua guancia. Sussurrò sopra la porzione di pelle.

« Se l'ha fatto è perché le piaci. »

« Dici? » chiese.

L'elfo annuì, si strinse nel suo abbraccio percependo quando fosse caldo il suo corpo.
L'uomo che lo avvolgeva sorride. « Grazie per il sostegno, » Manuel alzò lo sguardo sulla cavalla che ora doveva assistere a tutt'altro tipo di scena « Neve. »

Simone depositò il suo bacio girando il volto. Ne diede un altro connesso e disordinato. Poi non sostenne più quella difficoltà di raggiungere labbra dell'altro e si girò per stargli di fronte. Le mani rotearono dietro e Simone le agganciò a coppa sul viso di Manuel. Quei piccoli baci sconnessi diventarono più lunghi, le dita si insinuarono dietro il suo collo, mentre altre si spostavano lungo la sua schiena.
Arrivò un formicolio alle mani, piccoli brividi dietro la nuca.
Simone riconosceva che non baciarsi per quasi un'intera giornata non avesse giovato a nessuno dei due. Avvertiva la pesantezza del respiro, più affannato, gli occhi liquidi si spostavano in mezzo al suo orecchio destro, i suoi capelli ricci. Fu quando, non sapendo nemmeno come, Manuel arrivò alla mascella e ci passò più volte la bocca umida e strofinò ancora la barba sulla sua pelle, che la sensibilità di Simone rispose.

« Manuel... d-dovremmo ritornare al c-campo.» ansimò.

E lo strinse forte dietro la nuca per quanto quel respiro caldo lo stesse facendo quasi morire.
Sentì l'ultimo schiocco sulla sua bocca abbandonarlo riluttante, così come vide Manuel stupito, forse concentrato di aver sentito chissà quale nuovo suono. Respirò a fatica: Simone si sentì guardato per la prima volta.
Fu lui ad andare per primo. Simone afferrò Neve per l'unica briglia e Manuel lo seguì arrivando fino alla limite dove gli alberi terminavano e riusciva a intravedersi il bivacco. Le tende in vista sul campo poco in lontananza, due guardie vigili a protezione proprio davanti la sua tenda.

« Ah, dimenticavo che sei iper sorvegliato... » Manuel alzò il mento spiando lo stesso punto.

« Ti faccio il segnale, quando arrivo, così potrai uscire. »

Manuel annuì, ma gli respirò comunque sul collo, e allora accolse il suo viso accarezzandogli i capelli veloce. Approfittò per dargli ancora un altro bacio.

« Manuel mi hai sentito? Ti farò un segno con la mano. »

Annusava e non capiva che profumo fosse quello che gli sentiva addosso.

« Forte e chiaro, Simone... »

Simone si fermò la mano coprendola e accarezzandola sulla sua spalla.

« Ci metterò poco. »

Quel maledetto naso caldo gli si strofinò ancora addosso e si decise finalmente a divincolarsi per incamminarsi con Neve. Il soldato rimase lì in attesa: Simone lasciò che Neve si dileguasse per andare da chi voleva e ora palesava con due dei suoi simili. Furono davvero poche parole, quelli si inchinarono battendo la mano sull'armatura e si diressero alle loro corrispettive brandine. Simone alzò la mano soltanto una volta sola, perché il soldato venisse veloce in avanti. In realtà sembrò più una corsa disperata. Il principe si evitò di ridere per non fare rumore: il focolare non era ancora del tutto spento, segno che gli uomini erano andati a dormire da poco.

« Ho appena capito come si sentono ladri quando scappano via! » sussurrò ridendosela.

Osservò i suoi occhi sorridenti, lui, invece si sentì divorare il petto. Simone lasciò andare che le mani gli andassero sulle sue spalle.

« Non credo che i ladri siano così espansivi. » bisbigliò.

Manuel si attaccò alla sua vita senza fare pressione. Il silenzio del campo era assoluto, i suoi occhi sembrarono quasi più neri della notte.
Lo osservò com'era: una cosa inaspettata, la chiave che gli stava divorando il corpo con lo stesso silenzio.

« Posso quindi dare la buonanotte, principe

Le sue dita tennero salda la presa dietro il suo collo, le labbra incrociarono la sua bocca e in uno scatto che nemmeno riconosceva a sé stesso, Simone evitò di pensare ad altro. Oltrepassarono la sua tenda.

 

**

 

La cordicella della tenda venne tirata per chiuderla, le mani scivolarono addosso, sfioravano con tocchi leggeri il viso, la testa si muoveva insieme alla sua per via dei baci più lunghi, meno contenuti. Quando Manuel cominciò a spogliarlo, Simone si concesse al suo sguardo come per capire che fosse vero, reale. Si presentava così bene sotto i suoi occhi che gli risultò come un'immagine troppo potente, impossibile. Si ricordò di poter fare lo stesso invece che restare solo a guardare come in tranche, quando le sue mani vagarono lungo Manuel scostando la sua maglia e la sua pelle calda entrò in contatto col suo palmo.
Trovò la cicatrice sul fianco ricucita scendendo con la mano sul fianco, tastò la ruvidezza.
Notò in fretta la differenza per via della peluria sul petto e di come poca di questa, scendesse lungo l'addome.
Si chiese se ogni uomo fosse così, caldo, naturale, accogliente.
Se ogni uomo fosse stato così rispettoso, perché in quel momento Manuel gli concesse come un sospiro di tempo, per respirare e incanalare tutte quelle informazioni.

Con la foga di prima poi, e anche perché l'altro si spinse contro di lui, Manuel si fece spazio dentro la sua bocca e Simone avvertì un fitta calda insinuarsi nello stesso modo.

Gli sembrò famigliare il ricordo e consecutivo il pensiero che lo trasportò per un secondo alla notte in cui si era dato piacere.
Confuso e poi consapevole, si era mosso su se stesso dopo averlo sognato.
Adesso, quelle mani erano su di lui e lo stavano portando sulla brandina mentre lui si aggrappava alla sua nuca.
Le stesse mani che Manuel usava per privarlo della parte inferiore. Le stesse che non avrebbe dovuto immaginare o vedere in sogno.

Simone ansimò sulla sua bocca schiusa a corto di fiato e fu proprio quello l'aspetto più vivido: pur nel buio, Manuel era vivido, soprattutto per la libertà che si prese di tracciargli il contorno del viso con le dita. Ricostruì i suoi lineamenti con cura.
Era vulnerabile e quel pensiero lo fece tremare, ma non di paura.
E se anche fosse stata paura, con Manuel si sarebbe trasformata, soprattutto se si sentiva così libero di baciarlo e tirarlo a sé.

Non si può avere paura di una cosa così.

E Manuel cercò di essere più delicato possibile.
Lo sfiorava dolcemente e lo vedeva lì inerme, spogliato di ogni cosa superflua, sarebbe stato nudo se non fosse stato per l'ultima stoffa che copriva il suo sesso. In quel momento gli sembrò di sognare, nel silenzio, di notte dentro una tenda.
Erano entrambi distesi su quella brandina che a malapena conteneva entrambi i loro corpi.
Manuel era riuscito a spogliarlo e Simone, invece stava trafficando ancora con i suoi pantaloni. Le dita gli tremarono ma cercò di dissimulare lasciandosi baciare ancora una volta.

E trovandosi adesso, in parità, le mani di Simone vagarono per le sue braccia più toniche e lungo il suo petto, entrambi più ambrati.
E Manuel restò per un breve attimo a contemplarlo, chiedendosi come non essere invadente, intrusivo. Come avvicinarlo senza romperlo, se amarlo dolcemente o sragionare.

Ma Manuel non sarebbe mai stato un bruto, non con Simone. Non avrebbe più voluto o vederlo soffrire ancora, non lo meritava: nel modo in cui gli era arrivato, Simone era puro e meritava solo amore.
Manuel voleva ascoltare Simone e per farlo, gli avrebbe concesso solo rispetto.

« Non voglio farti del male » soffiò sulle sua labbra, le mani a reggere a coppa il viso di Simone, le ginocchia invece, divaricate ai lati dei suoi fianchi.

Simone portò una mano al suo petto ambrato preferendo guardare in che modo si gonfiasse e scendesse giù, per respirare piuttosto che gli occhi dell'altro.

« So che non me ne farai, Manuel. »

Non durò poi tanto però, perché sentendosi osservato, Simone ritornò a guardare Manuel.
E si stupì ancora una volta di come quello spostasse le sue pupille dai suoi occhi alla sua bocca, di come i polpastrelli gli accarezzavano la mascella. E con una potenza e una resistenza genuine, si sentì guardato veramente: « Tu non sei come... gli altri. »

E non c'era cosa più vera di quella, perché a ricordare tutte le sue premure, a sentire le sue mani calde, ad ascoltare come il suo cuore che gli chiedeva implorante di venir fuori dal petto per respirare, non erano ammesse repliche o dibattiti.
Manuel osservava fin troppo la sua pelle bianca, liscia, sprovvista di peluria. Ritornava ai suoi occhi e trovava un Simone in silenzio. Simone si sentiva guardato e non solo perché era nudo, il calore era già presente sul viso. L'insieme di emozioni che lo travolsero, racchiuse dentro di lui, erano simili al mare, e come il mare, ne veniva navigato. E così come il mare, venivano fuori affacciandosi come onde. Era la prima volta forse, che poteva esporsi con qualcuno.

Lui è più di qualcuno.

« Tutto...tutto bene? » chiese non sentendolo l'altro emettere un fiato.

Manuel tracciò con una singola mano il suo petto, scendendo sul ventre candido. Gli mancavano però i suoi occhi grandi e tornò a guardarci dentro.
Il pollice non poté fare a meno di percorrere la stoffa della sua biancheria di lino trasparente. Tracciò appena la poca striscia di pelle sottostante all'indumento.
Non aveva fatto poi nulla di che, ma Simone vibrò appena.
Pensò subito a dove quelle mani potevano scorrere su di lui, al modo in cui quelle potevano diffondere calore, a come Manuel avrebbe potuto toccarlo.

« Sei...» mormorò Manuel « sei la cosa più bella che abbia mai visto, Simone »

Simone sorrise sbilenco, più colorito e imbarazzato.

« Soldato, credo tu stia esagerando adesso... »

Manuel scosse la testa, non trovò ostacoli negli occhi dell'altro appena scostò appena l'indumento su un fianco. Accarezzò la sua pelle nuda con due dita.

« Non sto parlando da soldato. Da uomo, dico solo quello che vedo. »

Manuel sempre sostenendo il suo sguardo, si aiutò con l'altra mano e delicatamente lasciò che le braghe abbandonassero, liberando così, i glutei di Simone.
Si sentì esplodere. Per il modo in cui Manuel baciò il suo petto, l'addome, anche la zona più delicata dove ormai vi era la cicatrice della prima battaglia. Simone vibrò per la sensibilità e le sue mani cercarono i ricci dell'altro: le dita ci affondarono dentro. La bocca di Manuel percorse poi i suoi fianchi, scendendo, arrivò al suo interno coscia e posizionò le labbra. Simone avvertì dapprima la peluria della barba, poi l'umido, perché Manuel ci scoccò un bacio sopra.
Per quella intuizione, dettata da piccoli mugolii di Simone e da come dischiudeva la bocca, Manuel ripeteva l'azione. E lasciando più baci umidi nello stesso punto e nelle vicinanze, avvertì il tremore nelle sue gambe, la pelle d'oca che chiazzava quella porzione di pelle.

« Simone hai freddo? »

In risposta Simone farfugliò qualcosa, perdendosi nel suo mugolio che Manuel non capì.

Non sono mai stato così caldo - avrebbe voluto dire.

Un sorriso imperlò la bocca di Manuel di conseguenza, senza che l'altro potesse vederlo, un sorriso di pura curiosità e tenerezza.
Simone si sentì esplodere per come Manuel risalì subito dopo sul suo corpo, portandoli a scontrarsi per baciare le sue di labbra, questa volta.

La mano di Simone trovò il suo posto alla base della nuca, mentre l'altra vagava sulla schiena di Manuel.

Il contatto si trasformò, da lento si fece via via più profondo, la saliva e il sapore di entrambi si mischiarono.
Le lingue danzavano e le bocche si aprivano, si cercavano. E i mugolii che uscirono fuori dalla bocca di Simone per prendere aria, colorarono l'ambiente: i corpi erano premuti e spalmati e l'evidente eccitazione di entrambi portò Simone a gemere strozzato così vicino al viso di Manuel, il cui corpo era ancora semi vestito e a cui, pensò di rimediare poco dopo.
Si allontanò da Simone unicamente per liberarsi di quel peso: delle braghe meno pregiate di cotone opaco e più corte rispetto a quelle dell'altro.
Quando si spogliò e rimase nudo, restò di nuovo a Simone guardarlo nella sua interezza: se prima il suo cuore batteva, adesso non credeva ci fosse una reale differenza tra un organo vitale e la corsa di un cavallo imbizzarrito.
La sua mano percorse appena la sua coscia, le dita disegnarono brevi spirali inesistenti. Diversamente da lui, la sua peluria era evidente oltre che sul mento, sulle braccia, leggera sul petto e anche in mezzo alle gambe - parte a cui Simone dedicò decisamente più tempo.
Il calore che sentiva avvampargli in viso si moltiplicò, di conseguenza.
Simone non ebbe il tempo di dirgli quanto lo trovasse bello e singolare, perché Manuel si distese di nuovo su di lui e tornò a baciarlo, lasciando che quelle parole gli morissero in bocca.
Bocca che ritornò ad essere occupata dalle labbra del soldato.

Vorrei sentire i tuoi baci sempre, sapere ogni parte di te mi è rimasta addosso.

Lo formulò poco dopo nella sua testa, mentre con le labbra Manuel si spostava alla mascella, sfiorava il suo collo.

E in quell'istante, con goccioline di sudore che andavano formandosi piano, sentendole scendere, un'eco lontano le accompagnò schiarendo la mente di Simone, seppur per pochissimo tempo.

"Quando troverai qualcuno, come tuo padre ha trovato me, allora capirai di che si tratta, stella mia"

Un altro profumo, insieme alla voce soave di lei - seppur non tanto lontano - arrivò alle sue narici. Quello e il suo dovuto utilizzo.

« M-Manuel, a-spetta, fermati »

Simone poggiò la mano sul petto di Manuel, esercitando una lieve pressione. E l'altro lo guardò confuso, in attesa. Preso dal panico, allora prese parola, buttando fuori suoni sfiatati ma effettivamente ancora troppo simili a parole.

Il soldato corrugò la fronte, il tono preoccupato.

« Tutto bene? Ho fatto qualcosa che non dovevo-»

Simone accarezzò il centro del suo petto, scuotendo appena il volto. Salì con piano con la mano su quella peluria.

« No, assolutamente no, » mormorò senza fiato, un ricciolo gli cadeva già stanco sulla fronte e Manuel si incantò a guardarlo, appurando che Simone fosse bello anche scombinato « non hai sbagliato nulla, solo, possiamo mh... potresti alzarti? »

E Manuel si scostò, allontanandosi e mettendosi in piedi lentamente. Simone si sollevò con i gomiti sul materasso.

« Dovrebbe esserci una boccetta trasparente, , dentro quel forziere » allungò un braccio reggendosi solo sul primo e indicando il baule, in fondo alla tenda.
Manuel annuì, non senza lasciargli addosso uno sguardo già più curioso, un sopracciglio alzato, che fece sorridere appena l'elfo.

Il corpo di Manuel una volta afferrato l'oggetto, ritornò nella sua visuale. Simone deglutì con evidenza, senza darsi un contengo.
Le sue mani si girarono la boccetta che gli aveva indicato fra le dita. Poi, Manuel incurvò le labbra in un sorriso sghembo.

« Roba segreta da principi, mh?»

In tutta risposta, l'elfo avvampò ancora di più. Si morse le labbra, pensando al modo in cui Ingrid tanto tempo prima in cui gli aveva spiegato la funzione di quell'olio. Ricordava il suo rossore - seppur ne avessero parlato alla giusta età per lui.

« Ti va se la usiamo, insomma p-potrebbe aiutare... »

E non sapeva come era riuscito a dire tutto senza bloccarsi, ma quello bastò per portare l'altro ad annuire e strappargli di dosso un sorriso ampio. Tanto che dopo, Manuel si allungò a baciarlo rapido e lasciando addosso a Simone quel contatto che sapeva di poco, andò poi in cerca dei suoi pantaloni e scavò in una delle tasche.
Ne estrasse fuori un pezzo di stoffa in lino - un po' spiegazzato, lo stese infilandoci dentro due dita per la lunghezza - che Manuel reggeva con l'altra mano.
Simone si sentì accelerare se possibile ancora di più il battito cardiaco e ricordò di come Elanor gli avesse spiegato che molte di quelle protezioni - per l'igiene e salute di entrambi - venissero ricavate il più delle volte anche dagli intestini di alcuni animali. Quella descrizione non lo aveva proprio fatto impazzire di curiosità o gioia in passato.

« Ah, quindi vai sempre in giro con quelli? » arricciò il naso.

Simone si alzò sui gomiti.

« Beh, a ognuno le sue sorprese »

Manuel alzò la boccetta come prova, ridacchiando di gusto e Simone, senza riuscire ancora a guardarlo, incurvò il busto in avanti per poterne svitare il tappo che ancora ne teneva chiuso il contenuto.

« Ne hai un'intera scorta la dentro, devo preoccuparmi per caso? »

« Non credo ce ne sia bisogno, s-sono repliche, ognuna è diversa, avrò modo e tempo di spiegartelo » fu veloce nel parlare. Con un solo gesto, Simone alzò appena la boccetta sotto il suo naso, in modo che Manuel potesse sentirne il profumo sprigionarsi del tutto.

Il soldato lo lasciò fare e chiuse gli occhi. Era dolce, delicato, ma anche intenso: profumava esattamente come Simone.

Gelsomino.

Simone sorrise, vedendo Manuel riaprire i suoi occhi e sussurrargli leggero, come un soffio sul suo viso.

« Hai imbottigliato il tuo stesso profumo? »

L'elfo incurvò le labbra e si lasciò guidare dal suo stesso corpo, rispondendo solo a questo, disteso di nuovo, avvertiva solo il suo respiro. Poi, la figura di Manuel si posizionò in mezzo alle sue gambe. Simone lo vide prepararsi, intingere due sole dita dentro la boccetta, infilare la protezione, senza smettere di riservargli quello sguardo.
Per un secondo smise di respirare.
Manuel ripeté il secondo passaggio per Simone, intinse di nuovo le dita nella boccetta e Simone non distolse lo sguardo da lui.
Era catturato lla delicatezza con cui Manuel, con altre due dita invitò le sue gambe ad aprirsi di più con un semplice tocco, né distolse o chiuse i suoi occhi al brivido che lo prese per il contatto con l'olio freddo, ma il cui odore inconfondibile distese i suoi nervi.
Il gelsomino lo rilassò poco dopo.
Le dita di Manuel che si muovevano ora, dentro di lui, tuttavia, erano un piacere che non aveva mai provato e avvampò ancora di più. Mugolò a più riprese.

Così vicino com'era e da quei piccoli suoni, Manuel capì di dover tirare fuori le dita. Baciò a fior di labbra il suo ventre, i ricci gli solleticarono la pancia, il suo corpo era tiepido e incontrando l'altro, riuscì a leggere i suoi occhi: brillavano. Fu così naturale per Simone lasciare che i suoi fianchi avanzassero verso di lui, scontrarsi e provocargli un ansito.

Il soldato soffiò morbido come poco prima, recuperando spazio sulla sua pelle.

« Quando sei pronto, Simone. Non c'è fretta. »

Simone annuì, gonfiando e sgonfiando il petto.
Il rimbombo del suo battito gli ovattava le orecchie, ma riuscì a pronunciarsi in un flebile sì.
Manuel si fece vicino, il suo corpo era più caldo e senza staccare il contatto, fronte contro fronte, entrò dentro di lui.
Simone spezzò un gemito, le mani di Manuel si ancorarono ai suoi fianchi.
Si premurò che stesse bene, cercando un segnale dentro le sue pozze grandi e l'elfo spostò le mani sul suo viso reggendolo come risposta. Mormorò flebile sulla sua bocca in un cenno d'assenso.

Manuel affondò una seconda volta dentro di lui e Simone cercò disperato la sua bocca.
Avvenne una magia che uno dei due conobbe solo in quell'istante: i loro corpi scivolarono insieme, trovando piano quel ritmo che andava crescendo. Le mani di Simone si spostarono dietro il suo collo, le gambe si facevano più strette intorno al busto di Manuel. Il suo corpo si mosse naturalmente, senza che avesse modo di controllarlo.

Fu così naturale avvertire il suo odore di erba, cuoio, sandalo quasi, la sua durezza premere sul suo stomaco.

« Sei bellissimo » gracchiò Manuel ansimando sulla sua bocca « bellissimo »

Con Manuel che si muoveva dentro di lui, in quell'istante, col il cuore che si impossessava di ogni fibra, ogni nervo, ogni tendine del suo corpo, con le mani che scivolavano timidamente dietro la sua schiena. Il suo corpo aveva formicolato solo all'inizio, per poi rabbrividire, per poi sentirsi dire quelle parole, per poi venire curato.

Era così strano e così viscerale sentirsi toccati da qualcuno, qualcuno stava scavando dentro di lui. In quanto tempo aveva dovuto chiudersi, era stato costretto a chiudersi?
Non era nessuno in quel momento, se non la versione più sincera di se stesso, svincolato da doveri, da obblighi.
Era solo...Simone.

Con Manuel proprio lì, piazzato in mezzo alle sue cosce, sopra il suo corpo, a togliere la sua patina di protezione, a scalfire via solo il brutto e lasciare quello che c'era di bello.

Che c'era ancora.

E aveva la delicatezza e la potenza di destarlo dal vortice dei suoi pensieri. Il respiro di Manuel, il suo tocco, le sue labbra, si univano in quella bellezza di cui Simone aveva sempre sentito cantare, raccontare dalla bocca di altri. Erano voci di altri, parole che raccontavano esperienze che lui non poteva percepire, se non in quel momento.

« Simone »

Fu l'elfo a baciargli di sfuggita il naso, catturare le sue labbra, mentre sentiva Manuel unirsi, fondersi con lui.

È questo l'amore di parlava mamma.

« Ma-manuel!» gemette un po' più forte.

E Manuel lo tenne saldo e stretto a sé, richiese la sua bocca arresa e complice allo stesso tempo, catturandola.
L'odore di gelsomino li cosparse entrambi, avvolgendoli.
Le narici erano inebriate e quel profumo intenso si mischiava al profumo della pelle -ormai più umida - di Manuel: Simone sembrò trovarsi immerso in un campo d'erba,solo che quel campo era formato da un involucro di corpi. E quando il tremore si era ormai trasformato in calore fuso, Simone capì che il

E quando il tremore si era ormai trasformato in calore fuso, Simone capì che il suo di racconto sarebbe stato diverso, che di parole, ne avrebbe trovate tante in giro, ma molto poche o nessuna sarebbero state quelle fisheye per descrivere cosa stava sentendo: Manuel lo stava riportando alla vita.

« Ed i' ear ar' eleneaa » mormorò Simone sconnesso.

Tra i baci scomposti e disordinati e il sudore, Manuel lo sentì proprio lì, gemere sconnesso, inarcare il corpo indietro e reggersi.

Pronunciò di nuovo una lingua che non gli apparteneva preso dal piacere. Manuel lo ascoltò incantato, le vene del collo tese.

« Ed i' ear ar' elenea! »

Il soldato pensò fosse una visione: la bocca dischiusa, piccoli epiteti ignoti che ne venivano fuori, i ricci scombinati e bagnati.

« Per il cielo e le stelle, Ma-manuel! » imprecò inarcandosi con la schiena indietro, la bocca aperta.

Maneul sorrise in mezzo al sudore, alla prima stanchezza.

Ecco cosa voleva dire.

Simone aveva costretto i suoi occhi per vedere, registrare ciò che stava succedendo e adesso quelli lottavano per non chiudersi, per continuare a guardare Manuel sopra di lui. Si sentiva pieno, pieno di Manuel: ricercava una porzione di quella pelle piùscura da poter baciare - lasciarci sopra un po' della sua di cura - ma proprio quando ci poggiava sopra le labbra, un gemito soffiava sopra quella stessa partea cui aveva intenzione di dedicarsi.

Una calda sensazione allo stomaco si spostò facendosi strada veloce verso il basso, la conosceva. Solo, non la aveva mai condivisa con nessuno, prima.

Arrivò, guardato da Manuel.
Due occhi sottili buoni, vividi e ciglia lunghe come disegnate.
Arrivò, proprio come quella rapida goccia di sudore che scendeva sulla punta del naso del soldato. Arrivò sporcandogli la pancia e il petto del soldato.
Simone arrivò al culmine, suonando come una litania, accarezzato appena da Manuel che poco dopo lo raggiunse, più roco e basso, meno melodico e uscendo da lui.

Prima di posizionarsi al suo fianco però, Simone si nascose nella sua spalla, lasciando che Manuel restasse ancora sopra di lui. I polpastrelli gli accarezzavano i fianchi. Ascoltò con tutta calma i loro battiti, i respiri, il fiato che era venuto meno e che necessitava di ritornare al suo posto.
Poi, Simone spostò il viso e strofinò i loro nasi come a dirgli grazie. E Manuel ci sorrise dentro.
L'elfo fece toccare solo le punte dei nasi.
Come a dirgli 'grazie per esserti preso cura di me'. Poi baciò la sua fronte.

Due delle sue dita portarono due ricci al loro posto, dietro le orecchie, Simone non riusciva a vedere bene entrambi i suoi occhi.
Gli occhi di Simone risultarono grandi seppur stanchi, la sua lingua uscì fuori a raccogliere una goccia di sudore che gli bagnò le labbra.
Manuel non pensò affatto che fossero diversi, non pensò alle diverse fattezze fisiche, non pensò a due cuori diversi.
Erano, infatti, più simili di quel che si immaginava.

Manuel si liberò della protezione gettandola in un angolo e scese dal corpo di Simone per posizionarsi al suo fianco. L'altro si portò su un fianco per fargli spazio, ma Simone restò disteso a pancia in su. Poi, si concesse di sorridere ampio, mentre guardava Manuel fare lo stesso, copiandolo quasi per contagio, come se stesse pensando la stessa identica cosa. Simone ruppe quel silenzio rarefatto, ma che comunicava lo stesso ciò che era successo.

« È sempre così? »

Il soldato aveva assunto un'aria confusa. L'elfo riformulò la domanda. « Voglio dire questo » l'elfo fu più esplicito « è sempre così forte come... sensazione? »

E Manuel lo guardò come si guarda qualcosa di innocente, due dita si mossero per sfiorargli il dorso della mano e Simone intrecciò la mano nella sua. Aveva intuito che fosse la sua prima volta. E quel suo rossore sulle guance, parlò per lui.

La vera fortuna, la mia.

« Dipende. Non è uguale per tutti. »

« E tu lo hai...hai sperimentato sempre così? Voglio dire hai...hai provato la stessa cosa ogni volta?»

Manuel allora si portò finalmente su un fianco, imitandolo, per poterlo guardare meglio. Per potergli scavare dentro, senza però voler far male.

« Qualche volta sì, qualche volta no. »

Fissò le sue dita e quelle dell'altro insieme e incurvò appena le labbra.

« Oh. »

« Non tutti provano le stesse cose, c'è chi non ne viene attraversato.
E poi c'è chi, non capisce cosa significhi. Ho provato più o meno le stesse cose, diciamo... »

Manuel fece una breve pausa.
Quegli occhi erano così grandi che non riusciva più a smettere di guardarli. « Alla fine credo dipenda da quanto sei o vuoi essere presente. E questa volta, questa volta è stato diverso. »

Simone inclinò la testa sulle varie stoffe posizionate una sopra l'altra a formare un cuscino, i ricci ridotti a un ammasso scombinato.

« Diverso?» bisbigliò.

Manuel soffiò fuori, morbido.

« Tu come ti sei sentito? »

E Simone guardò verso il basso, allora, mostrò inconsapevole i denti, sfoggiò una parte più intima. Manuel avrebbe tanto voluto baciarlo anche adesso, ma voleva anche sentirlo parlare e le due cose purtroppo, non potevano coesistere in contemporanea.

« Mi sono sentito vulnerabile. Davanti a te, è come se...io non riesca ad esserlo, Manuel. Non ci riesco. Mi sono sentito...bene. » lasciò scorrere due dita sul braccio nudo di Manuel. « Ho sempre sentito dire agli elfi che una volta che succede, è sempre lo stesso, che c'è del sano divertimento, trasporto, intenzione... » si morse il labbro inferiore « ma non me lo hanno mai descritto così come l'ho provato...come una danza interna. »

Poi restò zitto.

La saggezza e sincerità di parole come a quelle, a cui Manuel non avrebbe mai pensato lo colpirono. Non ci aveva mai pensato, ma ora, dopo averle sentite, riusciva a raccoglierne il senso.

« Inoltre, pensavo mi sarebbe scoppiato il cuore. » aggiunse Simone, atterrando negli occhi del soldato, che gli circondò la guancia con la mano libera. Ci si nascose in quel palmo caldo « Forse sarei stato il primo elfo nella storia ad andarsene così »

Manuel sentì Simone ridere nervosamente, muovere le orecchie, la cui punta ora era meno rossa. Quella piccola risata, lo spronò ancora di più a dirgli ciò che pensava in merito.

« Il tuo cuore non smetterà di battere, così come il mio. E' solo un'impressione. » vide l'altro annuire molto lentamente e fissarlo.

Manuel abbassò il tono di voce.

« Ed è diverso perché la gente con cui sono stato prima non la conoscevo quasi, Simone. Di te, ho voglia di sapere ancora. Voglio sapere tutto. »

« Come elfo o come principe? »

Simone sperava in una risposta precisa, c'era sempre il sospetto verificatosi per tutta la sua vita, e che gli altri avevano attribuito, di conoscere soltanto una forma apparente, statica e rigorosa. Un'immagine costruita per dovere.

« Entrambi. » pronunciò senza bloccarsi, d'istinto.

Simone si dedicò a un bacio leggero e pigro sulla bocca dell'altro.

Si fece piccolo contro il petto caldo di Manuel, poggiando le mani su quello, i ricci sfioravano il suo mento. Si tenne vicino al battito, soffermandosi appena nella realizzazione che aveva tanto combattuto e provato a remare contro quella cosa meravigliosa, contro quella vicinanza e quel corpo che avevano assunto ora, la forma di una casa. Sorrise in mezzo alla sua pelle. E venne accolto senza esitazioni da quella nuova dimora, Manuel lo accolse, avvolgendo le braccia attorno alla sua schiena.

L'elfo avrebbe dormito sonni tranquilli quella notte, la prima di tutte, senza incubi, senza paure, senza angoscia.

Simone lo osservò, facendo attenzione e con lentezza.

Gli venne in mente un'espressione che non sentiva da molto tempo, un'espressione di cui nessuno gli aveva fatto più dono, la cosa più vicina a un ti amo. Decise quindi, di regalarla a Manuel.

Meleth nîn, soffiò dolce e piano, per ritornare con il viso sul suo petto.

Al soldato però non fu concesso di sapere cosa significasse, anche perché non aveva potuto sentirlo, né vedere il sorriso che brillava nel buio: si era già addormentato.

Poi Simone lo seguì: si addormentò poco dopo infatti, immerso e sprofondante in quella sensazione unica e nuova, cullato dal respiro regolare del soldato e dal tepore del suo corpo.

Amore mio.

 

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Capitolo 17
*** Peth ah Lútho ***





 Peth ah Lútho


Parola e Incanto.
 






Respirava in modo regolare, i ricci sembravano simili a rami intrecciati e sparsi sull'unico cuscino - comprato per puro caso in uno dei mercati incontrati lungo la strada e le fermate delle truppe - e che gli aveva lasciato per poggiare la testa. Non gli era dispiaciuto affatto, nell'istante in cui lo aveva visto addormentarsi gli era sembrato più utile che a lui. 
E poi Simone aveva dormito il giusto, senza ansie. Vedeva come si alzava e abbassava il suo petto e come ancora neanche un filo di luce avesse osato toccare la trama della tenda. Sembrava che il giorno avesse capito, lasciando loro ancora qualche ora prima di svegliarsi. Era ancora troppo presto forse, ma Simone sperò che quel buio durasse più a lungo.
Con la sua mano piazzata sullo sterno di Manuel ricamava sulla sua pelle, non sapeva nemmeno lui che cosa esattamente. Gli piaceva guardarlo: lo rendeva tranquillo saperlo vicino.
Era come osservare qualcosa di nuovo e famigliare, era intenso e calmo, Manuel era diventato così tante cose contrastanti insieme in poco tempo e non riusciva a mettere in fila le più importanti, perché ognuna lo era.
Gli piaceva inoltre tracciare la sua pelle così, senza che dovesse colorarsi in viso, senza essere visto, di nascosto: lo rendeva vivo. Si spostò appena alzando le dita sul petto, vagando sulla linea dei pettorali, sul colore dei suoi capezzoli un po' discosto da quello della pelle, sulla cicatrice al collo... Gli piaceva come trasformava con poco la sua insicurezza in libertà.
Quello si mosse appena e l'elfo quasi saltò per lo spavento se non fosse stato per un sorriso sghembo e assonnato.

« Buongiorno a te. » mugugnò Manuel a bocca impastata.

Simone si allargò in un sorriso.
Non era certo quella l'immagine che vedeva nella sua testa le volte in cui si era chiesto come sarebbe stato Manuel al risveglio.
Forse, era anche meglio di come se la era immaginata. La luce si posava dapprima sul contorno dei sui capelli e poi poteva vederne gli occhi castani colore miele.

« Buongiorno soldato. È ancora presto...»

Le lunghe ciglia si stavano decidendo a fare aprire i suoi occhi. Se li stropicciava e incurvava la bocca.

E Simone continuò a guardarlo, Manuel lasciò vedere finalmente le sue iridi. L'elfo gli schiacciò il naso con l'indice e Manuel spostandosi su un fianco non riuscì a contenere un sorriso compiaciuto.

« Ho attirato la tua attenzione? »

Simone restrinse le labbra, poi le rilassò. Avrebbe voluto rispondere "sempre" ma pensò fosse ormai palese sottolineare l'ovvio.

« È difficile non guardarti. » ammise. « Non ho mai visto qualcuno così da vicino, » alzò due dita e scavalcò la spalla, sfiorò dapprima il mento, poi la guancia, delicato « né l'ho mai toccato. »

Né l'ho mai baciato.

Manuel allargò le braccia, ci nascose le mani sui quei fianchi bianchi.

« È strano. »

L'elfo aggrottò la fronte.

« Che cosa, Manuel? »

« Che nessuno ti abbia mai voluto così vicino. »

Si era promesso di lasciarlo dormire, ma fu così naturale per Simone unire le sue labbra alle sue. Irrazionale, istintivo e leggero.                                                                                                                                  Non era la prima che lo faceva e non sarebbe stata nemmeno l'ultima, ma ogni singola volta gli sembrava una cosa inedita.

« Quindi è successo davvero » Simone lo bisbigliò per paura di gridarlo, ma era euforico nell'umore « l'altra notte, noi due abbiamo-»

Fu Manuel a cogliere la voce che si faceva più timida sul finale.

« Mh mh, sì. »

Sbadigliò appena poi, ma questo non gli evitò di stringersi la mano e portarla al suo petto. Manuel assunse troppa responsabilità tutta in una volta. « E ti è... è piaciuto-»

« Sì... » Simone frugò dentro a quel pensiero riportandolo con una luce sulle labbra « ti avevo già risposto l'altra notte. Manuel, perché me lo domandi? »

Manuel annuì, sentendosi un'idiota.

« Volevo solo esserne sicuro. Che stessi bene, solo questo. »

L'elfo si sorprese che potesse essere incerto su una cosa come quella. Stretto al suo petto, palmi delle mani aperte, scontrò la punta del suo naso con quello del bell'uomo che emanava calore attaccato a sé.

« Sto bene. » Simone scelse bene le sue parole « E sono sicuro. Se vuoi saperlo è stata la cosa più bella che mi sia successa in questi mesi. »

In questa vita.

Non sentì più la sua bocca perché Manuel la inglobò completamente. Si tenne al suo viso come poteva, mentre l'altro gli invadeva il palato. Gli venne da sorridere dentro al contatto per l'irruenza, ma l'altro fu deciso a trascinarlo in più di uno schiocco, con le lingue che si muovevano e dovette trattenerlo.
Quando Simone riemerse per l'aria, sfruttò l'emozione trattenuta poco prima.

« Il respiro però credo serva ad entrambi. » rideva, senza fiato.

Manuel fu contagiato e lo accompagnò nella risata.

« Non riesco a trattenermi, » serrò gli occhi, gli toccò la punta delle orecchie con la bocca, il respiro era caldo come il suo corpo « poi se diventi anche così, rosso, è un problema per me. »

« E tu così non aiuti. » commentò nervoso.

« Chiedo scusa, principe... » ironizzò. Poi baciò la pelle vicino all'orecchio. « Hai rubato la mia attenzione molto tempo prima che tu te ne accorgessi. »

Giurò di essere giusto sulla sua espressione furba senza vederlo.

Quando l'altro torno nella sua visuale e smise di torturare il suo orecchio, Simone si spostò per baciargli la fronte.  Gli occhi di Manuel erano stanchi, e lui si sentì un po' in colpa perché lo aveva svegliato.

« Che ne dici di riprendere a dormire? È ancora buio... »

Manuel strofinò il naso sulla guancia.

« Lo faccio, se anche tu dormi con me.»

« Non ho sonno. Tu invece sembri averne bisogno, Manuel. »

Il soldato non lo ascoltò proprio infischiandosene.

« Se ti appoggi qui, » Manuel indicò invece il suo petto sganciando un attimo la mano dal suo fianco « è più facile. »

Simone sospirò, ma senza obiezioni accettò quel caldo rifugio.

« Non ne dubito, ma se dormiamo entrambi chi ci sveglierà? »

« Ci sveglieremo in tempo, Simone. Parola di soldato. »

Fece passare del silenzio in mezzo a loro due, la punta del suo naso era già più fredda, nulla a che vedere con ore prima.

« Simone? »

« Se vuoi allenarti più tardi, devi dormire-»

Lo sentì ridere basso. L'elfo si fermò per guardarlo meglio, all'improvviso più curioso.

« Non ho la minima idea di cosa hai farfugliato stanotte, anche se ho fiducia che fosse pieno di significato. »

Simone si morse il labbro inferiore, avvampando.

Hai tutto questo potere su di me...

« Ti insegnerò qualcosa in più, oggi, ma adesso dormi ancora un po'.»

Affondò quindi il naso nel suo petto: si sistemò sul morbido, ricordato da un un leggero solletico provocato dai pochi peli che Manuel non era un uomo, era reale.






 

Quando Simone aprì gli occhi, fu solo perché qualcuno lo richiamò da fuori. E perchè il sole diede di nuovo il colore naturale all'interno della tenda e di chi gli sonnecchiava accanto.
Al secondo richiamo, il cuore schizzava già fuori e non accettò un gesto molto delicato.
L'unico modo per svegliare Manuel fu infatti proprio quello di scuoterlo.
Mormorò un ahi e hna volta letti i suoi occhi, l'elfo se ne pentì all'istante.

« Scusami, » mormorò supplichevole mentre gli passava i vestiti sparsi a terra e si rivestiva velocemente per non dare nell'occhio « scusami Manuel, ma devi alzarti. »

Il che forse fu solo ridicolo perché Manuel trattenne a stento una risata.

« Ecco, ora sì che mi sento un vero ladro. » sussurrò.

Simone fu sbrigativo.

« Io esco fuori, » continuò preso dal panico « chiunque sia, lo distraggo e lo allontano così hai tutto il tempo... »

Manuel stava ancora armeggiando con la cinghia dei suoi pantaloni e anche la maglia che stava infilando dentro. Da fuori, Simone riconobbe la voce familiare di Fëanor, la tenda si mosse appena sotto il peso della mano.

« Principe, state bene? Siete caduto nel sonno? »

« Fëanor, un secondo, mi sto vestendo! » mentì alzando la voce.

Simone lanciò uno sguardo a Manuel, il quale lo raggiunse e una volta vicino, riprese quella cantilena disperata.

« Ci siamo addormentati, lo sapevo, dovevo restare sveglio - »

« Te ne stai pentendo? »

Simone scosse la testa.

« No, » bisbigliò « per niente. »

Manuel gli prese la mano e quello non fece altro che farlo sentire ancora peggio.
Glielo disse ancora vicino, sulle labbra.

« Scusa.» buttò fuori l'aria.

Chiuse gli occhi e attaccò la sua fronte a quella di Manuel: sembrò essere proprio tutto lì, l'amore, condensato in quel gesto.

« Nessuna scusa, e poi in parte è colpa mia: avevo dimenticato quando fossi richiesto. » ridacchiò basso Manuel.

Simone continuò a sussurrare dispiaciuto.

« La scusa vale lo stesso, ti sto praticamente cacciando- »

La voce di Fëanor imperiosa ricominciò fuori. Simone cercò di abbattere il suo nervosismo, c'era ancora l'altro a incoraggiarlo. « Ci vediamo più tardi. Al tramonto. Puoi portare Maximus se ti va. »

Al sorriso di Manuel, Simone sembrò farsi più calmo in viso, gli scostò due ricci dalla fronte e gli baciò la bocca. Avrebbe voluto trattenersi di più, Manuel aveva tutta l'intenzione di farlo. « Io vado. Sta attento. »

E così col cuore galoppante in gola, Manuel retrocedette appena e Simone scostò la tenda quanto bastava per passare. Mise su un sorriso di circostanza e si fece coraggio.

« Buongiorno, Fëanor, ho fatto di fretta, stavo ancora dormendo. »

Simone portò le mani in grembo, cercò di dissimulare il fatto che Manuel fosse a pochi centimetri dietro di lui e che stesse ascoltando.

« Chiedo scusa... è la prima volta che fate così tardi, devo preoccuparmi? »

Notò la schiera di uomini divisa e gran parte in piena visibilità erano i suoi.
Pensa, Simone, pensa.

« No, non devi. Piuttosto, ho bisogno che convochi una riunione con gli uomini, » cominciò pratico « riguardo la perlustrazione e la pattuglia notturna, soprattutto sull'ultima se possibile. »
Gli occhi verdi lo scrutarono un po' a lungo, fino a quando non si accesero.

« Va bene, come desiderate. »

Fëanor stava per avvicinarsi, ma Simone fermò gentile la sua spalla poggiando sopra la mano.

« Tu avviati pure Fëanor, passa pure da Ingrid e fa portare la mia colazione. Non penso gli uomini si stupiranno nel vedermi mangiare mentre discutiamo di strategia, no? »

Fëanor annuì.

« Idee chiare e sbrigative, stamattina. Sarà fatto.»

Simone lo vide girarsi di spalle, parlare con le altre guardi. Poi si incamminò lui stesso, si girò di schiena solo un momenti per notare un soldato che passava dietro le varie tende per non farsi vedere. Poi un cavallo nero gli venne incontro e gli venne data una scodella con dentro del cibo.
L'elfo sospirò di sollievo. E si sentì anche in colpa.


 

**





 

Aveva l'espressione calma e pacifica, mascherava un po' l'ansia che aveva dentro.
Non li aveva mai visti così vicini. La persona che amava e un animale, il suo.
Devo farlo adesso, gli aveva detto con premura una volta arrivati sul posto.
Ora, creando un'impronta sul terreno, Manuel non sapeva cosa sarebbe successo, se il suo amico si sarebbe imbizzarrito o altro, in quel caso sarebbe stato pronto a intervenire.
Qualcosa però in fondo, gli diceva che non era la giornata adatta per i capricci del suo cavallo.
Simone portò le mani in grembo come se stesse parlando in realtà con un altro uomo, confrontandosi con qualcuno che fosse suo pari.
Era quello il suo lato speciale.
Il modo che aveva di rivolgersi con delicatezza, quasi timore con tutto quello che vedeva di connesso al suo mondo.
Era la sua indole che cozzava invece con quella dello stallone che aveva addestrato.
Maximus si lasciò avvicinare con i suoi tempi, discosto appena dall'altro animale. Spettatore muto a ciò che stava accadendo, Manuel si avvicinò appena per carpire qualche parola.
La curiosità lo prese così come per spontaneità prendeva un bambino.

« So che non abbiamo cominciato bene, sei un tipo abbastanza particolare » Simone saettò con lo sguardo alla sua amica « ma non voglio togliere nulla né a te, né a lei. »

Il cavallo borbottò muovendo appena il capo. Simone deglutì.

« Voglio solo tu stia attento, tengo a lei più a che a me. So di non andarti a genio, anche io ti ho privato di qualcuno...»

Manuel arricciò le labbra, Simone continuò facendo pochi passi in avanti, teneva una piccolo fiore selvaggio intrecciato a dell'erba tra le dita, gli era sembrato giusto raccoglierlo per l'occasione.
Una cosa piccola come un fiore per lui e la sua gente era un segno di rispetto.
Maximus allargò le narici cercando di annusare quel piccolo elemento, le gambe ferme, il collo in avanti.
Ritornò a guardare lentamente il suo interlocutore.

« Ma nonostante questo tu mi hai già accettato. Ti cedo parte di me, so che la tratterai bene e che ne avrai cura, » la sua mano bianca esitò a posarsi sopra al muso, ora più vicino « mellon en mellonamin. »

Amico del mio amico.

Simone chiuse gli occhi. Il palmo della mano combaciò, bianco con il nero, luce e buio.
L'essenza era tutta concentrata in quello scenario.
Maximus accettò il gesto e l'elfo infilò il fiore nascondendolo in mezzo alla sua criniera.
Dopo pochi secondi, il cavallo aprì anche gli occhi.
Manuel provò qualcosa che non sentiva da tempo non perché non vi era più incline o perché lo avesse dimenticato, ma solo perché non aveva mai visto nulla di simile: commozione.
In qualche modo aveva visto come avuto un flash della sua famiglia in quel curioso momento.
Si bagnò gli occhi di acqua, non potendo di fare nulla per arrestarne il corso.
Maximus raggiunse Neve e Simone lo lasciò fare.
Il soldato si asciugò gli angoli degli occhi col braccio e cambiò posizione.
Il tronco dell'albero gli risultò inesistente contro la schiena almeno fino a quando non si ritrovò Simone in piedi e davanti, impugnava l'elsa della spada, avrebbe tramontato in una buona mezz'ora.

« Manuel, » mormorò come venendo come da un altro pianeta « sono pronto per allenarmi. »

Quello si alzò, gli stivali sporchi sulla punta di fango.

« Approfittiamone adesso prima che la luce vada via. »



 

**

 

 

 

« No, no aspetta »

A gambe incrociate, le mani sulle ginocchia e il calore sul viso poco dopo l'allenamento. Copiato, altre due gambe, lo sguardo poco attento e più distratto. « Piano, con calma. Te lo ripeto di nuovo Manuel » Simone indirizzò le mani verso la sua bocca, parlò lentamente « man eneth lîn? »

« Mi hai chiesto come mi chiamo, giusto? »

Simone sorrise divertito, annuiva.

« Non era difficile ti ho detto solo due frasi, quindi o era l'una o l'altra. »

Manuel abbozzò una smorfia.

« Tanta fiducia in me, vedo-»

Quel broncio lo fece ghignare appena, due buchi ai lati delle guance.

« Ti stavo solo prendendo in giro, » Simone gli afferrò una mano e la strinse forte « dai su, rispondimi. » lo incoraggiò.

Manuel annuì, inumidendosi le labbra. Le parole che uscivano lente e concentrate sotto lo sguardo di Simone.

« I eneth nîn Manuel »

Simone annuì lentamente, l'allievo si illuminò arricciando un po' il naso. « Com'era? »

« Bisogna migliore la pronuncia, ma non era male. Im è usato per la prima persona singolare, ut è tu. Se devo dire a te in una frase, la forma è lle. ». Poi Simone provò a pensare a qualche altra frase che non fosse fin troppo difficile. « Adesso prova con questo: sut naa lle umien? »

Manuel ripeté quella domanda ignorandone il significato, Simone scoppiò un po' a ridere per l'incertezza.

« C'è una seconda persona...che c'è, cosa mi hai fatto dire-»

« Tranquillo soldato, ti ho chiesto solo come stai. Ridevo per come sposti gli accenti, sei molto carino.»

« Ti arrendi così presto Simone? »

Manuel cercò di sbrogliare la presa e il suo insegnante improvvisato glielo impedì. L'elfo scosse la testa risoluto e pronto.

« Affatto, abbiamo appena cominciato. Per salutare diciamo suilad » Simone alzò la mano libera, a palmo aperto creando un semicerchio nell'aria « che sarebbe più un "salve", quando non ci si vede più esistono due modi, » fece cadere la mano lentamente « Namárie significa addio, tenn enomentielva invece è arrivederci. »

Manuel annuiva lento.

« E se volessi dire a presto? »

« Tenna’ tul’re è a domani. »

« Credo ricorderò solo le più facili, » Manuel provò a imitare la cadenza di Simone « suilad e  namarie.»

Ripeté tre volte la seconda parola più volte con Simone che lo correggeva e provava a fargli sposare l'accento sulla lettera giusta.

« Sembra la più facile, » Simone soffiò un po' « e la più dolce, ma è solo più dura. »

« E la sera in cui ti sei scusato con Neve, » la cavalla in questione era in un angolo tranquilla con Maximus, indisturbati « "mellon" è amica no? L'altra parola credo fosse uhm- »

« Esatto, se aggiungi una 'i' mellin invece diventa "amici ". La parola per scusarsi è goheno nin, anche se in verità significa più perdonami

Simone osservò i due quadrupedi in lontananza, restrinse le labbra. Manuel strinse con vigore la mano intrecciata alla sua.

« Penso che abbia capito, tranquillo. »

Simone restò in silenzio, mosse la testa in assenso.

« Sei stato bravissimo, non lo avevo mai visto così calmo,» gli alzò il viso piegando un dito sotto al mento « imparerà ad amarti. »

Mi basta che lo fai tu.

« Secondo te lo hanno capito prima di noi? » chiese poi, scrollando le spalle.

« Che ci cercavamo ma non ci decidevamo a dircelo, intendi. »

Manuel soppesò gli occhi di Simone, il sole stava tramontando sul suo viso, la chioma dell'albero non gli faceva più ombra. Avrebbe voluto sapere cosa si stesse chiedendo di tanto ingiusto.

« Sì. » confermò.

Simone fece silenzio, aveva tolto gli stivali per rimanere a contatto con la terra. Adesso, però provava solo una punta di fastidio.

« È in gran parte colpa mia. » disse secco, uno spicchio di sole gli baciò la bocca « Se fossi stato più coraggioso, se non avessi esitato, magari... »

« La colpa non è di nessuno » Manuel si sporse in avanti « Certo, loro sono stati più veloci e furbi...sai ho sempre pensato che Maximus mi prendesse in giro molte volte, nella sua testa. »

Simone restrinse la bocca.

« Potessi entrare nella testa di Neve, o nella tua Manuel, lo farei volentieri. » confessò.

Manuel baciò le nocche delle mani intrecciate.

« Ci troveresti ben poco o nulla, a parte te. »

« Dimenticavo » mormorò l'elfo alzando un sopracciglio « hai sempre la risposta giusta ad ogni occasione... ruffiano. »

« É solo che basta davvero poco per farti arrossire. »

Beccò un sorriso largo dietro il suo nuovo nascondiglio della loro presa. Simone avvicinò le labbra sulla punta del naso del soldato per apostrofare.

« Continuiamo con la lezione? »

Un cenno di assenso convinto.

« Però resta concentrato, non distrarti. »

« Ci proverò. »

Simone sganciò le mani e segnò sicuro i suoi occhi, il contorno con gli indici.

« Henn, occhi » Manuel lo guardava attento.

Poi si avvicinò con le gambe carezzando i lineamenti dell'altro « Viso è nîf.» proseguì in questo modo.

« Lhaw, orecchie.»

Il soldato rise per qualche secondo, poi ritornò serio. Simone lasciò le orecchie e i ciuffi che gli aveva portato dietro. «...» con un gesto lento le dita si spostarono a seguire il contorno della sua bocca.

« Labbra. » pronunciò infine breve Manuel.

« Esatto...» Simone si congelò in un attimo sotto la morbidezza del labbro inferiore avvertito col pollice, Manuel restò immobile. « Quasi ogni parola al plurale aggiunge la 'n', ad esempio leabedn per dita o camn, mani. » poi cercò il suo polso e mosse piano la sua mano aprendola, sgranandola con cura al centro « Questo è camland

« Palmo della mano? »

L'elfo annuì.

« Sì.»

« Mi sembra manchi un pezzo importante, » fu proprio Manuel a indirizzare la sua mano che ora Simone prendeva su suo suggerimento portandola al petto « questo, com'è che si dice? »

Aveva due occhi simili a soli, nonostante non lo stesse illuminando l'ultimo all'altezza dell'orizzonte e non più tra le fronde dei giganti verdi attorno.

« Hûn è uno solo, » vibrò Simone pianissimo « hûnan sono due. »

« Hûn, cuore. » commentò in perfetta pronuncia. « Mi piace.»

Manuel schiacciò la punta del suo naso e Simone spostò il viso.

« Ti avevo detto di non distrarti. » replicò.

Manuel non fece caso a quel tono da bacchettone.

« E se volessi chiederti se posso baciarti? »

L'elfo sospirò riportando su il viso.

« Non me lo devi chiedere. »

« Voglio saperlo nella tua lingua, Simone. »

Allora quello glielo sussurrò flebile.

« Non avete proprio quasi niente di più corto da ricordare, uhm. » ride piano, il soldato si schiarì la voce.

Simone lo aspettò.

« Im tur fayl mítha lle

Aveva ancora la mano sul suo petto, gli arrivarono i battiti su tutta a pelle. Lasciandolo in silenzio, Manuel chiese spiegazioni. « L'ho detto male? »

« No, stranamente andavi bene » l'azzardo per la troppa sicurezza lo prese in contropiede. Simone si aggrappò alla sua nuca. Gli venne il fiato corto come se avesse appena corso fra gli alberi. « Chiedimelo un'altra volta. »

« Im tur fayl » Manuel scandì bene ogni parola « mítha lle? »

Sempre.

Mosse la testa in assenso e Manuel permise il contatto tra le loro bocche. Si scontrarono più volte, lente e libere. E più volte Simone percepiva in quel modo, in battito cardiaco dell'altro con una mano sempre rivolta al suo petto. Erano in un incastro un po' scomodo, tantoché Simone dovette allentare il peso sulle gambe e chiudere il contatto solo per portarne una al petto.

« Non dovresti baciare chi ti ha cacciato stamattina. » disse prendendo aria.

« Non sono arrabbiato con te. Capisco che era inopportuno farmi trovare lì... »

« Adesso non lo sei, » sottolineò l'elfo, Manuel si alzò per portare le gambe dietro, in una posizione di preghiera « ma se lo diventassi più avanti, ti capirei. La pazienza è un sentimento che prima o poi si esaurisce. »

Il sole era ormai scomparso, il cielo stava assumendo un altro colore.
Manuel scrollò le spalle.

« Stai pensando troppo, Simone. »

Simone gli avvolse il viso con due mani.

« Anche questa è la mia natura. »

Manuel avrebbe tanto voluto ripetergli che non c'era nulla di sbagliato in ciò che era.
Scontrò la bocca sulla sua in uno scambio rapido.

« E la mia non ce l'ha con te, in questo momento... »

L'elfo gli riservò un sorriso minuscolo.
Neve e Maximus stavano ritornando ciondolando con il capo in avanti. In realtà lei lo teneva posato sul dorso di lui e in qualche modo lasciava che fosse Maximus a condurre il passo.

Manuel indirizzò lo sguardo su di loro.

« Mi dispiace doverli separare... »

« Anche a me,» circondò il suo collo con entrambe le braccia « ma troveranno il modo di vedersi, anche stanotte. Nessuno glielo impedisce.» commentò con evidente riferimento.

Manuel sorrise compiaciuto.

« Esistono gli insulti in elfico? »

« Certo, anche i complimenti, ma quelli te li dirò un'altra volta, soldato. »

Manuel poggiò il mento sulla sua spalla.

« Pensavo, dato che quei due sono tranquilli e non è ancora buio... se restassimo qui, ancora un po'? »

« Mh mh... c'è un cielo stupendo, oggi, di solito non ci sono tramonti così prima di luglio. » commentò vedendo l'arancio e il rosso intenso mischiarsi e legarsi insieme un attimo prima che le nuvole si spostassero per poterli cancellare, sopra il suo naso.

Manuel si scostò appena girando il capo a guardarlo.
Poi cambiò proprio prospettiva, ritornando alla sua preferita.

« Vorrà dire che siamo fortunati. »


 

 

 

 

 

 

Alcuni anni prima.

 

 

 

« Manuel, non ti distrarre. » lo attenzionò Anita, riportando le dita sul tavolo e sui fogli che aveva rimediato per fargli rileggere ciò che scriveva in brutta copiando da uno dei quattro libri che avevano in casa. « Devi aiutare tuo padre con gli animali dopo.»

Manuel aveva annuito veloce. Osservò la pancia di sua madre e come si portava le mani su quella, ormai al quarto mese.

« Stasera pensavo di fare la minestra, metto dentro un po' di pollo e c'è anche del formaggio fresco, così magari la mangi. » sospirò Anita, accarezzandosi il ventre rotondo.

Manuel mosse la matita tra le dita.

« Hai già deciso come chiamarla? » indicò la pancia di sua madre.

« Che ne sai tu se sarà una femmina? »

Manuel si strofinò la punta inversa e non appuntita della matita vicino l'orecchio.

« Non so, ma qualcosa me lo dice. »

« Pensa che bella sorpresa...sai bene che a tuo padre piacerebbe più il contrario...» Anita rise tranquilla, poi si avvicinò alla sedia e si sedette con un po' di fatica « non lo so, ho tanti nomi in testa. »

Manuel rimase per un po' in silenzio. Anita lo guardava: i primi peli e la prima acne sul viso non lo rendevano meno carino. Si chiedeva fino a quando sarebbe rimasto a casa, se fosse filato tutto liscio nella sua vita una volta cresciuto.

« Che ne pensi di Elisa? O meglio, Erica? »

Anita sembrò pensarci su.

« Non è male, ma prima accertiamoci sia femmina.»

Guardando quel rigonfiamento Manuel si era immaginato ogni tipo di cosa, che una volta che quel piccolo sarebbe venuto al mondo, lui avrebbe avuto qualcun altro con cui parlare oltre che con gli animali di casa. E anche qualcun altro con cui dividere le sue faccende.
« Mamma, ma non sono un po' grande già per copiare le lettere, riesco a leggere la sera -»

« Ti fa solo bene. Ma se non vuoi continuare, domani dirò a tuo padre di fare i conti con lui, quelli per della vendita del latte e del formaggio. »

Nonostante non sapesse chissà quanto fare di conto, Manuel storse la sua espressione e si sforzò di annuire. I suoi dodici anni stavano ormai per finire e mancavano pochi mesi perché ne compisse tredici. Sì sarebbe tolto troppo d'età con la nascita del nuovo fratello o sorella. Si chiedeva se anche lei o lui sarebbe stato messo a fare di conto o se suo padre, la avrebbe fatta montare su uno dei due puledri che tenevano nella stalla adiacente alla loro casa.

« Ricorda, se non riesci lascia stare e fai fare a lui, non ti voglio caricare di troppe cose. »

Sua madre lo seguiva in quei compiti seppur nei pochi anni di scuola che aveva potuto frequentare nella sua vita.
Suo padre per lo più, si occupava del bestiame, di vendere ciò che davano loro e di calcoli.

« Non sono stanco mamma, davvero e poi voglio aiutarti se posso.»

Vide sua madre sorridere.

« Tu e tuo padre, come farei senza voi due, mh? »

Qualcosa gli diceva e gli sussurrava che era sempre più ufficiale l'idea che la sua compagnia sarebbe stata una lei. Avrebbe avuto un'amica oltre che una sorella. Inoltre vedeva gli sforzi dei suoi genitori e nonostante non avesse mai potuto avere un'insegnante privato o frequentare una scuola, non avrebbe cambiato nulla da quelle mattine piene di produttività o dalle visite di una ragazzina con cui aveva stretto amicizia, in fondo alle altre poche case, a Roccabuia.
Faticava a capire ancora alcune cose, sapeva per certo che quella ragazza che veniva a trovarlo lo trovava simpatico o quanto meno, chiedere di vedere le capre o le galline sembrava sempre più una scusa per vedersi.
Di tutto quel poco che imparava, Manuel glielo avrebbe insegnato orgoglioso. Era anche per quello che si svegliava ogni mattina e si lasciava dormire di più solo la domenica.
Anita e Mauro, Manuel e chissà quando, una piccola lei.
Manuel sospirò, ricopiando perfettamente qualche aggettivo, nome e frase di cui capiva metà del significato. Dopo aver riempito ben cinque fogli, li allontanò. Pieno d'entusiasmo e sotto lo sguardo di Anita, afferrò un frutto, lasciò la sedia aperta senza riporla.

« Posso raggiungere papà, adesso?  »

« Certo tesoro, » Anita gli tese la mano « prima mi aiuti ad alzarmi? »

Manuel afferrò la mano di sua madre prontamente. Anita accettò l'aiuto e reggendosi la schiena con un fianco si alzò dalla sedia.

« C'è troppo poco spazio per questo fratello! » grugnì Anita scherzosa.
Manuel scattò verso la porta ma sua madre lo richiamò un'ultima volta.
« Ehi, prima di sporcarti di fango e sudore, un bacio a tua madre puoi anche darlo! »

Manuel schioccò un bacio sulla sua guancia lasciando una piccola scia di saliva che portò sua madre a ridere e si spostò di fretta per raggiungere suo padre.

Vide suo padre dare da mangiare agli animali, in nel piccolo recinto di paglia, fieno e piccole vasche di legno con acqua. Appena l'uomo lo vide gli venne incontro e gli scompigliò i capelli con una mano libera.

« Manuel buongiorno, » sorrise l'uomo, la barba era folta, gli occhi marroni e buoni e i capelli ricci gli cadevano all'altezza delle spalle se non fossero stati legati da una coda « dai aiutami che oggi ho una sorpresa per te! »

Lo aiutò a raccogliere le prime uova calde delle galline, a spostare gli animali, a spazzolarli, per la tosatura invece era un po' presto. Poi, suo padre chiuse il recinto, posò i secchi pieni di escrementi di animali per concimare il terreno in un angolo fuori dal recinto. Dopo essersi lavato le mani prese quella del figlio e camminarono un po'.

« Dove stiamo andando papà? »

« Vedrai. »

Manuel riconobbe l'uomo che stavano andando a visitare, era un amico di suo padre nonché un suo collega che commerciava con chi voleva del latte appena munto o del formaggio fresco. Al contrario di suo padre era un po' più severo nel viso e più smilzo nella corporatura.
Non entrarono dentro casa però perché l'uomo si presentò portando con sé legato ad una briglia un piccolo puledro nero.
La creatura camminava lenta e docile e incuriosì il ragazzo.

« Manuel puoi avvicinarti se vuoi... » lo invitò suo padre.

L'amico di suo padre spiegò la vicenda, ma forse suo padre la conosceva già perché i suoi occhi erano puntati sulle dita del figlio che accarezzava quella piccola creatura, invece che sul discorso dell'uomo.

« L'ho trovato che vagava disperso. Lo tengo in casa da due settimane...deve essere un frisone a giudicare dal pelo e manto. Ho sparso la voce ed ho sentito che c'è stato un incendio, a pochi isolati da qua, alla casa dei Farreth.
Deve essere l'unico sopravvissuto insieme a quel che purtroppo rimane della casa. Una disgrazia, tra qualche giorno ci sarà il funerale. »

Manuel sentì la voce di quei due più lontana. I due uomini erano ormai più distanti e lui accovacciato sulle gambe, osservò il cavallo socchiudere gli occhi e rannicchiarsi sull'erba.
Sembrava stanco, ma sereno nonostante fosse stato separato dai suoi simili o fratelli.
Il ragazzo non smise di accarezzarlo sul pelo e quello non si scompose accogliendo senza ostacoli la coccola.
Quando si alzò, i due uomini lo avevano già raggiunto. Suo padre strinse la mano al suo amico sussurrando qualcosa che lui non riuscì ad afferrare.
Quando Manuel e suo padre si incamminarono per ritornare, il ragazzo fu curioso.

« Non ha nessuno, vero? » arricciò il naso, mettendo le mani dentro i pantaloni sgualciti.

« Dipende. » mormorò Mauro.

« Lui non può tenerlo, deve venderlo. Potremmo dargli noi una casa. »

Manuel si fermò a mezza strada, suo padre si girò, le sopracciglia spioventi.

« Davvero? » chiese incredulo.

« Sì, ma sarai tu personalmente ad occupartene. Dovrai educarlo e addestrarlo e-»

Manuel abbracciò suo padre velocemente, come per paura che un contatto fisico prolungato potesse fargli cambiare idea.

« E mi aspetto anche che continui con la lettura. Tua madre ci tiene. »

« Lo farò, papà. »

« Dovrà crescere un altro po' prima che succeda, avere un cavallo in più ci farà comodo

Manuel annuì, suo padre gli accarezzò la schiena con il palmo ampio della mano.

« Quindi, posso già decidere il nome? » alzò il viso.

Mauro lo prese per le spalle.

« Se decidi il nome del fratello nuovo, non decidi quello del cavallo, Manuel. Devi scegliere.»

Il ragazzo sospirò, staccandosi dal padre.

« Allora lo lascio a te.» disse deciso.

Mauro scoppiò in una risata fragorosa, le mani sui fianchi.

« Ci tieni proprio, eh? Non ti facevo così testardo! »

Il dodicenne fece spallucce.

« Avrò preso da mamma. » confermò Manuel.

Arrivarono a casa giusto in tempo perché Anita si affacciasse sulla soglia della porta.

« Piuttosto, successo nulla di cui debba sapere? »

« A cosa ti riferisci-»

« La ragazzetta che viene sempre a trovarti a casa, Manuel, non sono mica cieco. E nemmeno tua madre!»

Quello era un campo che Manuel avrebbe conosciuto da lì a poco.

« Cos'è, » si espresse Manuel furbo « per caso tu e mamma volete dare un nome anche a lei? »

Mauro scosse la testa e suo figlio lo rimbeccò girandosi e camminando all'indietro.

« E poi è solo una mia amica! »

 

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Capitolo 18
*** Edhel's hun ***


Il cuore dell'elfo



Se gli avessero detto che avrebbe sentito la mancanza di qualcuno ancora prima che quello si allontanasse, Simone non ci avrebbe creduto. Ridicolo abbastanza specie se quella distanza sarebbe costata qualche giorno di pattuglia per la perlustrazione, mancanza di baci e della sua pelle calda e ambrata.
Manuel si era offerto alla chiamata di altri due uomini per l'indomani e Simone non si era fatto avanti per ovvie ragioni. Sapeva che era un'altra occasione perché Manuel mostrasse il suo valore e le sue abilità, così come sapeva non sarebbe riuscito a stargli lontano soprattutto fuori dall'accampamento. Per la minima cosa o gesto, sguardo, avrebbero dato nell'occhio.
Per il minimo vacillamento, avrebbe messo nei guai sia lui che l'altro.
E lui non era ancora pronto.
Non sarebbe stato tanto bravo nel contenersi.
Così, la sera prima che Manuel partisse all'alba, dopo che gli uomini ebbero messo a riposare i cavalli e studiato la perlustrazione delle zone limitrofe, aver mandato giù della carne (che non sapeva affatto di coniglio ma di altra selvaggina) servita con qualche carota ed erbe messe a bollire, l'elfo vide il soldato fermarsi un po' troppo a parlare animatamente con i suoi compagni di tenda.
Lo incuriosiva vederlo così partecipe, era un bene sentirlo ridere anche solo da lontano.
Vederlo ridere da vicino era una benedizione che solo a lui era concessa, e che solo a lui era dato custodire.
Si spinse a fare lui la prima mossa: avrebbe riscosso fin troppa curiosità un atteggiamento tempestivo. Se c'era qualcosa che andava tenuto a bada in presenza di altri, quello era l'istinto, nonostante la voglia di fare qualcosa di libero e azzardato fosse fin troppa. Simone non aveva il tessuto di una tenda o le chiome degli alberi all'ombra a proteggerlo e così, si avvicinò in mezzo a quelli che erano pur sempre i suoi soldati.

« Principe » sentì esclamare da un coro di almeno quattro persone, alcune delle quali intente a ultimare ancora la cena. Colse l'attenzione di tutti, ma lui ne raccolse in particolare una. « C'è qualche novità? »

Non si stupì a sentire la sua voce. Simone mosse le mani in un gesto di premura.

« Non c'è niente di allarmante da comunicare ma se non disturbo, vorrei unirmi a voi. » guardò tutti quanti, senza fare alcuna distinzione stavolta.

Si stupì a sentire la voce di un altro uomo, che alzò le sopracciglia sorpreso. Era più impostato, sedeva alla destra di Manuel, ma spiccava per il sorriso amichevole che non invitava a far guerra.

« Certo che potete...mh, Edwin puoi spostarti un po'? »

Simone venne accolto in un angolo attorno al crepitio del fuoco, tra Elvira e qualche altro uomo di cui gli sfuggiva il nome. Di certo, non era quell'altro scorbutico che animava le discussioni e che accendeva la difensiva di Manuel. Quello per cui, al momento, era quasi un'opzione obsoleta usare gli unici cucchiai in legno che aveva fornito per l'equipaggiamento e per cui lo era anche degnargli di un cenno anziché di un grugnito.

« Di cosa stavate parlando, se posso? »

Il soldato in questione restò in silenzio grattandosi il mento, Simone afferrò un calice vuoto e se lo rigirò tra le mani. Aveva lunghi capelli neri e ondulati, sopracciglia folte, un naso dritto dalle larghe narici, e dava l'impressione di essere il più grande lì in mezzo.

« Ci chiedevamo chi di noi fosse il più forte in una gara di rutti. » confessò.

Il principe scoppiò a ridere cristallino, portandosi la mano a sfiorarsi il naso con il pollice. Non fece caso a come veniva guardato da Manuel, a sinistra.

« Nathan, non credo siano discussioni che al principe interessino! » lo spintonò Elvira.

L'uomo si massaggiò il braccio preso di mira dalla ragazza. Sembrava l'unico ragionevole insieme a Manuel e alla ragazza.

« Beh, ma è lui che lo ha chiesto! »

Simone osservò quella piccola combriccola, le nocche di Manuel sfiorarono delicate le sue attorno alla coppa: alzò lo sguardo un attimo prima che quello parlasse. Quel soldato, Nathan, arricciò il naso e l'altro si perse, vedendo gli altri scomparire all'istante.

« In realtà la discussione riguardava più una gara di rutti tra umani e orchi... » chiarì.

« Se è per questo non si parlava solo di rutti! » commentò Edwin. « Si parlava anche dei rumori peccaminosi di qualche sera fa e di chi si fosse divertito in tenda, vi ricordo! »

Simone si sforzò di apparire impassibile, si accarezzò la punta di un orecchio con l'indice ma il rossore non riuscì ad essere inghiottito, nè a scolorirsi. Manuel lo notò tutto quell'imbarazzo: avrebbe voluto tanto dirgli quanto era bello con quel contrasto porpora. Il soldato si voltò e accorse in aiuto del principe.

« Assurdo Edwin come anche senza vino, riesci sempre ad essere un vero galantuomo, mh » lo fulminò con lo sguardo. « Sono cose private, lo abbiamo già detto e poi non penso ci sia nulla di male. »

Nathan riprese con calma l'amico.

« Tanto private però non sembrava volevano esserlo. Manuel, la mia insonnia ha le orecchie fini e so distinguere bene. Però come dici, è giusto: chi di noi ne avrà voglia, ne parlerà prima o poi. E poi ci sono cose più importanti, siamo pur sempre un "gruppo". » rispose Nathan.

Manuel annuì verso il compagno e accompagnò il capo sospirando.

« Potrei dire che Manuel dorme da un po' di sere fuori dalla mia tenda e non so se sia un caso... » azzardò la ragazza, i capelli rossi che sembravano viola nella notte.

Simone seguì i loro sguardi, Manuel roteò gli occhi.

« Non è una novità Elvira, sembra che tu voglia sentirlo di continuo: tu russi. »

Simone ascoltava lo scambio animato di tutte quelle voci, gli sembrò strano ma si sentiva quasi parte di una specie di famiglia insolita e improvvisata.

« Se russo così tanto allora la prossima volta urlamelo e svegliami, anzichè scappare a dormire con Maximus o chissà dove e farmi preoccupare! »

« Beh, comunque chiunque sia stato tra di voi ad ammogliarsi e fare attività lo invidio. E pure parecchio! » commentò stizzito Edwin e zittendo tutti e due.

Il principe si morse l'interno del palato, fissò una delle sue dita, poi fece toccare una delle nocche con quelle di Manuel. In quel silenzio fatto di un piccolo gesto che gli tracciava la piccola porzione di pelle, cercò di ringraziarlo.

« Se vi serve un giudice, per la gara tra di voi... posso offrirmi volontario. » commentò poi Simone titubando, concentrandosi di nuovo sulle altre figure. Deglutì appena.

Quelli rimasero increduli, ma tuttavia annuirono poco dopo. Nathan alzò il suo bicchiere e lo fece tintinnare con quello di Simone che ricambiò tardi, capendo la sua intenzione. Un sorriso socievole.

« Allora alla prossima cena, sarete dei nostri? »

« Una promessa è come un vincolo che non si scioglie, » Simone saettò un attimo verso Manuel, poi riprese guardando di nuovo tutti « perciò sì. Prometto che sarò giusto e imparziale. »

Sorrisero tutti per poi ritornare alla loro bevanda e al cibo.
Tutti tranne Manuel.
Simone invece si concesse la libertà di fare lo stesso, sorridere verso il suo bicchiere vuoto che veniva riempito proprio a destra.
Per la prima volta sentì un affetto diverso rispetto a qualche sera fa: forse poteva conoscere i suoi uomini anche fuori dal campo di battaglia.
Forse non c'era poi tutta questa differenza.

« Quindi adesso siete uno di noi? »

Il cavernicolo che non mangiava con il cucchiaio si alzò da terra, portandosi una mano dietro i capelli: Ronan.

Simone si morse l'interno del palato, lo sguardo che avrebbe voluto non essere leggibile.

« Per favore Ronan non cominciare! »

« Non vedo il perché all'improvviso vi siate imboniti tutti, » grugnì storcendo la bocca, poi guardò dritto Simone « sempre col vostro permesso principe. »

Simone rimase in silenzio, tirando per distrazione una parte della manica della veste.

« Sei davvero una rogna, è una serata tranquilla e vuoi solo sentirti importante! » lo ammonì Nathan.

« Non capisco il perché di tutte queste moine. È la prima volta che si avvicina a noi per cena o mi sbaglio forse? » rispose piccato Ronan guardando di sbieco l'elfo.

Manuel fece lo stesso ma in direzione del soldato con le manie da uomo delle caverne.

« Non ce la fai proprio non stare al centro dell'attenzione per più di due minuti-»

Ma Ronan affilò le parole e si indicò.

« Qui non sono io quello. »

Simone si alzò, si accarezzò il braccio con una mano e forzò un sorriso verso gli altri.

« Tranquilli, so quando non sono più gradito. Tolgo il disturbo, buona serata. »

E fu così che Manuel dopo alcuni minuti lo raggiunse senza perdere tempo. Il principe ebbe il tempo di voltarsi.

« Stai...stai bene? »

Simone alzò gli occhi.

« Sì, non preoccuparti. »

« Ronan è un bastardo, non devi ascoltare una sola delle sue parole, » continuò Manuel cercando il suo sguardo « nemmeno una, intesi? »

Simon annuì.

« Non sono tutti come lui. La metà credo si salvi, ma tutto ciò che dice è spazzatura.»

Il principe non fece altro che guardare verso il fuoco e gli altri che di spalle continuavano la loro cena. Spiava una conversazione ora muta.

« Lo so e non devi scusarti a nome suo, Manuel, anche se è un gesto nobile.»

So che tu non sei così.

Il soldato non sembrò granché convinto, l'elfo si sincerò che nessuno lo stesse guardando.
Le donne mettevano a lavare nelle bacinelle in legno le ciotole, i cucchiai, gli uomini erano ritornati a ridere e ai loro affari, i soldati rifocillavano prima del mattino - e prima della pattuglia e del sonno - i cavalli.
Così, si sbilanciò verso l'orecchio di Manuel. Simone ci mormorò morbido e senza nessuna malizia vicino:

« Ti aspetto, più tardi. »

Lo lasciò con un sorriso stampato in viso dedicato solo a lui, prima di ritornare in tenda e girarsi solo un'altra volta per notarlo ritornare senza alcuna fretta dalla sua combriccola di uomini.






**




Si avventurò nel cuore della notte, nel silenzio di tutto e tutti, sicuro che la sua compagna di tenda stesse dormendo. Gli sembrò di fare una strada spropositatamente lunga - quando invece si trattava solo di una ventina di tende - quando finalmente, Manuel arrivò a quella di Simone. Non sapeva se chiamarlo a voce o semplicemente strofinare la mano sulla tenda. Non c'era nessun segnale a guidarlo e da seguire questa volta. E l'ultima immagine che gli premeva nella testa erano quegli occhi un po' spenti a cena. Manuel si chiarì la voce tossicchiando quindi. Gli bastarono due colpi secchi perché il rifugio si aprisse davanti a lui e che due mani nella penombra lo acciuffassero e spingessero all'interno della tenda.

« Perché ci hai messo così tanto? »

La voce di Simone gli sembrò un filino disperata quasi per essere articolata in un bisbiglio. Manuel gli strinse la schiena trovando un posto proprio lì dove l'altro gli permetteva di buttare le sue mani dietro il suo collo, premere il viso sulla sua spalla.

« Stavo aspettando che Elvira fosse nel pieno della sua esibizione più alta. » mormorò con una voce che si fece amplificata, facendo ridacchiare l'altro.

« Sospetta qualcosa. »

« È curiosa, ma sa che siamo solo amici, almeno per questa nuova versione dei fatti. Riesco a tenerla a bada... per ora.»

« Ti pesa non poterglielo dire...»

Manuel scrollò le spalle, gli occhi nascosti nella penombra che se solo fossero stati illuminati sarebbero sembrati miele.

« Mi pesa di più farti sentire a disagio e dopo questa sera poi, ancora di più. »

Simone annuì e poco dopo si sgonfiò in un sospiro. Riportò gli occhi su Manuel e l'altro cercò subito di indovinare il suo stato d'animo. « Stai ancora pensando a cosa hanno detto prima, a cena? Se ti sei offeso, te l'ho già detto, dare retta a Ronan è una perdita di tempo inutile-»

« No, non è questo, so bene come sono gli uomini, la gente a volte, » Simone si umettò le labbra « ci sono abituato. »

Non disse niente di più, ma quello spinse Manuel a fargli una carezza leggera sulla schiena. L'altro jon conosceva quella parte del suo passato ancora, ma per Simone c'era tempo, tutto il tempo che volevano per poterla raccontare.
Gli avrebbe detto tutto così come lui gli stava dando ogni cosa.
Poi si imporporò in viso e si incartò nelle parole.

« Ero solo... pensavo che fossimo stati più discreti. Io, soprattutto...»

Manuel restò lì fermo con le sue mani: avrebbe dato qualsiasi cosa per vedere meglio il suo rossore in viso al di là della penombra.
Lo vedeva però mordersi le labbra.

« Oh » si tirò ancora di più la sua schiena vicina, mentre Simone segnava gli zigomi del soldato come fosse uscito da un'immagine antica, che aveva visto solo in arazzi o libri d'arte in miniatura e che doveva ricordare nella penombra.
« Mi sembrava familiare quel colore acceso sulla punta delle orecchie. »

L'elfo arricciò le labbra.

« Eppure non mi è dispiaciuto, ad entrambi non ha creato problemi se non ricordo male. Mh?»

Simone articolò sorridendo nervoso.

« Dobbiamo essere più attenti.»

« Sei bello anche quando non lo sei, sai? Imbarazzato, dico. »

Adulatore.

Simone si mangiò l'aggettivo, gli morì in gola.

« Possiamo non parlare? » strisciò delicato gli indici ancora sulla pelle dell'altro, socchiuse gli occhi al contatto così presente di quelle mani ruvide e di cui non poteva ancora sentirne del tutto la fattezza « Non vedevo l'ora di stare con te. »

Avvertì l'altro sciogliersi a quella dichiarazione, anche perché Manuel cercò la sua bocca e Simone la accettò senza esitare. Gli sembrò di bere dell'acqua fresca, di dissetarsi dopo un'intera giornata a secco. Un'intera giornata ad aspettarlo perché si era allenato ed aveva cacciato con Elvira per procurare la cena, e lui si era consolato con Neve, intrecciando la sua criniera e aspettando quel momento, il momento in cui Manuel sarebbe ritornato visibile ai suoi occhi.
Erano passati solo una decina di giorni, ma la sua quotidianità ormai era divisa per due.
La foga che mise dentro a quel contatto fu tutta dettata dal suo bisogno di libertà, di concentrarsi su loro due, sulla voglia di stare bene. Ritrovò Manuel a fiato corto, lui stesso che premeva le sue labbra sulla sua guancia, con il viso in fiamme, ma senza pudore.

« Non posso restare a dormire, lo sai, partiamo presto domani. E se esco da qui e mi vedono, faranno domande. » mormorò.

Simone annuì veloce, gli strinse il viso, poi strofinò la punta del suo naso sull'angolo della sua bocca.

Mi farò bastare ora.

Manuel inclinò la testa e raggiunse le sue labbra spingendosi e creandosi spazio. La mano nivea andò a stringersi sulla nuca e poi salì cercando un appiglio su quei ricci indomabili in un gesto incontrollato.

« Im anìra lle. » buttò fuori in un ansito, l'altro lo guardò tra l'ammaliato e il curioso.
Simone scandì il celato significato dietro quelle parole.

« Io ti desidero, Manuel. »

Manuel lo riprese con sé e questa volta nessuno dei due si fermò per parlare. Le mani finirono ovunque, intente a togliersi da una parte la veste più lunga e dall'altra quella camiciona colore cammello fermata a metà dal cinturone.
Se non fosse stato per Manuel, Simone sarebbe andato alla cieca visto come si muovono le sue mani.
Rise appena sul suo viso dopo aver finalmente sfilato l'accessorio e buttato da una parte.
Le mani di Simone sfilarono poi la camicia sopra la sua testa e ispezionarono per la seconda volta quel petto accogliente e caldo.
Durò poco per la sensazione che l'altro innescò in lui, baciandogli la punta dell'orecchio, scendendo sul collo, poi sulla clavicola, sulla spalla.
Simone avvampò e pretese di sentire di più, le sue mani vagarono sulla lunghezza di Manuel.
La potenza che possedeva era tutta concentra sul cavallo dei suoi pantaloni oltre che nel respiro caldo che gli arriva sulla pelle.
Ansimò quando l'altro ritornò su di lui e lo afferrò per i fianchi facendolo distendere agile, lungo la brandina che Simone non sembrò avvertire.
Gli sembrava invece di fluttuare, protetto solo dal corpo di Manuel sopra di sé.
Disteso sulla brandina, Manuel si alzò sui talloni, in ginocchio per scalzarsi le scarpe e poi farsi aiutare a sfilare via quella tenuta quasi striminzita e che creva delle pieghe al centro. Poi toccò a lui, Manuel fece tutto senza staccargli gli occhi di dosso mentre Simone vagava con la mano sul torace e l'addome. Fu facile per lui dato che i suoi pantaloni non avevano cuciture difficili o cinturoni.
Annaspò per la ricerca delle sue labbra e quando Manuel si premette su di lui ancora in biancheria, quella frizione cominciò a dargli quasi fastidio in parte.
Un respiro strozzato annunciò ormai l'intimità evidente di entrambi. Simone allungò la mano che meno timida si allungò sulla schiena nuda di Manuel e cominciò a tirare via ciò che rimaneva a coprire il suo desiderio.
Manuel lo aiutò nel gesto e quando Simone si tirò sui gomiti perché l'altro facesse lo stesso, i brividi erano già lì a percorrerlo. Piegò le gambe e le dita di Manuel sfilarono la biancheria fine e morbida al tatto, seguendo la curva delle sue cosce. Simone sarebbe rimasto così in eterno con i suoi occhi puntati addosso mentre rimuoveva l'ultimo strato che lo separava da quel mani. Tutto sembrò rallentare e dal frenetico l'atmosfera divenne più rilassata, Manuel depositò le sue labbra lì sull'interno coscia, una volta che Simone fu liberato. La sua mano si allungò sui suoi capelli in una carezza che però risultò tremante, Manuel ripeté la stessa azione, schiudendo le labbra sulla pelle. La gamba sinistra si mosse com'era presa da uno spasmo, il piede vicino alla sua spalla, la bocca più aperta. Manuel scivolò sul suo corpo senza più freni e Simone lo tirò per la nuca. Si stavano di nuovo baciando in modo meno curato, meno aggraziato.
Più disinvolto della prima volta, accavallò la stessa gamba sul suo bacino e gli sussurrò all'orecchio.

« Manuel » ansimò.

Sentiva ogni cosa, ma non era abbastanza. Pensava a come avere l'altro ancora più vicino, a come unirsi a lui ed essere più presente senza doversi perdere nemmeno un briciolo di contatto. Sforzarsi di pensare era un po' inutile con Manuel che aveva spostato la sua attenzione per dedicarsi al suo collo. Simone si teneva ai suoi ricci e sorrideva a tratti.
La temperatura corporea era fa più calda e il sudore era lì lì per insinuarsi in mezzo.

« M-Manuel » lo incalzò poi, ansimando.

L'altro si alzò un momento per guardarlo. Manuel ebbe come un'illuminazione, un'espressione improvvisa.

« Oh, giusto. »

Quello fece per alzarsi ma Simone lo fermò, gli rispose basso, quasi ridendo.

« Sta dentro al cesto, qui vicino, lo avevo già preparato... » si rese subito conto di come l'altro aveva intensificato lo sguardo. « Lo prendo io, aspetta. »

Venne lasciato passare per un istante sulla brandina affinché afferrasse l'olio in boccetta. L'espediente gli permise di capire come avvicinarsi ancora di più a lui. Guardò Manuel come se fosse una rarità, qualcosa che nessuno poteva guardare se non lui. Senza lasciarlo parlare, Simone si avvicinò, gli avvolse le gambe attorno al corpo salendo sopra di lui, le mani dietro il collo.

« Voglio sentirti più vicino. » azzardò.

La pelle così era totalmente a contatto con quella dell'altro oltre a vederlo perfettamente rendendo tutto più intimo. Manuel gli abbracciò la schiena con entrambe le mani. L'abbraccio, le gambe incrociate dell'uno e avvinghiate per l'altro: erano un involucro unico.

« Così va bene? » mormorò Manuel.

Simone annuì, la mano scorreva dietro la sua nuca.

Il cuore mio e il cuore tuo.

« Proprio quello che volevo. »

Gli sembrò di guardare la luna in quell'istante, le iridi luccicavano in qualche modo.

Manuel gesticolò.

« Vuoi...Simone se vuoi posso-»

Capì subito cosa voleva dire ma ondeggiò con la fronte che si incollò a quella dell'uomo.
Quella premura e attenzione intensificò solo di più quello che era la sua voglia, il suo desiderio era sentire tutto e sapeva senza bisogno di ripeterlo, che non sarebbe successo nulla se Manuel fosse stato lì con lui tutto il tempo.

« No, non questa volta, soldato. »

Tenuto saldo e integro fra due braccia, due mani, due occhi.

« Sei sicuro? »

Annuì senza ripensamenti.

Non ho paura.

Simone cominciò a dondolare su di lui lasciandolo senza parole.
Manuel sentì il bisogno di rassicurarlo accarezzandogli la schiena, baciandogli la spalla. Intimandogli come di stare tranquillo, nonostante lui stesso non fosse proprio un esempio di calma con quel battito frenetico. Si toccarono di continuo, esplorando parti che non conoscevano ancora. Simone provò a capire l'origine di quella cicatrice sul collo mentre la sfiorava e Manuel si conteneva dal non agire in modo sconsiderato, limitando le sue dita a inoltrarsi sulle sue cosce disegnando dei cerchi.
Fu lento e dolce.
Si presero il tempo per baciarsi, guardarsi tra una volta e l'altra, per creare uno spazio a parte, sconosciuto, isolato dal resto. L'altro lo accompagnò di volta in volta lasciando che i loro corpi scivolassero insieme ad un ritmo rassicurante con cui muoversi e mantenere il respiro. Simone non aveva nessun dubbio che quello fosse il modo migliore per sentirlo completamente.

« M-meleth n-nîn » articolò sconnesso.

Simone strofinava quindi il naso sulla bocca e la bocca sul suo naso, in uno stato completo di libertà e perdizione. Manuel lo raggiunse poi finalmente, una mano curiosa all'inizio della natica e l'altra fissa dietro la sua schiena.
Quando l'aria fu necessaria per prendere aria da quel lungo bancio, Simone riprese quella litania interrotta poco prima, fatta di gemiti e sospiri.

« E-elyë meleth nîn, Manuel »

Sprofondò su Manuel, mentre quello gli baciava il lobo dell'orecchio con cura e avvertiva il suo membro già più turgido premere sullo stomaco dell'altro.
« E-elyë m-meleth nîn » ripeté.

« Simone, qualsiasi cosa tu stia dicendo, ti prego, non smettere » mormorò Manuel a fiato corto.

Quindi continuò a ripetere quella stessa parola come se fosse una ninna nanna, sentendola dentro sempre più vera.
Simone sapeva perfettamente cosa stesse dicendo seppur in un modo che sfuggeva al controllo, a ogni tipo di compostezza.
Era anche stata una delle prime parole che aveva imparato da piccolo.
Segnò il labbro inferiore di Manuel col pollice prima di avvicinarsi ancora.
Si chiese se mai qualcun altro gli avrebbe fatto provare la stessa emozione, gli avrebbe fatto vacillare il cuore nello stesso modo.

« Simone » lo chiamò, spezzando un bacio sulla sua bocca.

Si rispose che Manuel sarebbe stato il solo.
Che Manuel era il suo, il suo elemento. Quello che aveva trovato, che era arrivato sulla sua strada senza che lo aspettasse.
L'elemento di giunzione con la serenità, con la sua pace, con il suo corpo che reagiva per le giuste attenzioni.
Con il suo cuore.

E Simone benedisse quello che stava succedendo.

Chiunque lo avesse voluto, per quale fato, caso, via, decisione delle sue divinità Simone benedisse tutto quello che lo stava travolgendo.

Si mosse su di lui come avrebbe fatto l'onda del mare, uno stelo di una pianta sospinto dal vento. Solo in quel momento Simone si sentì davvero qualcun'altro, qualcos'altro, la parte più vera di sè.

La collana con la pietra sbatté contro il petto del soldato per le ultime volte mentre accoglieva Manuel dentro di sé e l'altro saliva rapido con il palmo aperto accogliendo tutta quanta la sua schiena e con la bocca le sue labbra.
Rubò un bacio a schiocco proprio quando Simone si sentì pieno e sul punto di implodere.

E successe.

Spezzò la voce in un gemito strascicato.

Il suo orgasmo fu seguito da uno basso e roco dell'altro diverso da quella di Simone simile più al gorgoglio di un'eruzione soffocato: la sua fronte si posò nell'incavo tra il collo e la spalla di Manuel, trovando una tana fatta di carne, sudata, appiccicata e calda. Restarono abbracciati così per tutto il tempo di cui avevano bisogno, in silenzio.
Simone rimase agganciato alla sua schiena e alla sua spalla girando soltanto il volto a destra per osservare come sollevava il petto per respirare.
Quello aveva un nuovo sapore, era un nuovo ricordo.
Ciò che restò del suo desiderio fu di restare e prolungare quella posizione per più tempo possibile.
Poi, mosse un braccio per accarezzargli la fossetta sotto il collo, il pollice risalì sulla cicatrice frastagliata.

« Come te la sei fatta questa? »

Manuel abbozzò una smorfia.

« Potrei dirti che stavo affrontando almeno due nemici, ma non sarebbe vero. »

Un sorriso inebetito e ampio.

« Penso che ti crederei.» mormorò.

Manuel sorrise di rimando, sospirò poi un poco e lasciò un bacio lento, quasi materno, sulla spalla nuda di Simone ed esposta, così vicina al suo pettorale.

« Quella che vedi è tutta opera di Maximus e delle prime volte che lo addestravo. »

« Com'è successo? »

« Nel modo più stupido, » raccontò ridendosela a quel pensiero « Maximus non è nato con me, lo trovò mio padre appena puledro e ha dovuto abituarsi prima di capire di potersi fidare. »

« Era un regalo per te, quindi. »

« Mio padre, Mauro, intendeva dargli una famiglia, scoppiò un incendio e i padroni non furono trovati, il loro bestiame in parte fuggì, il resto fu divorato tra le fiamme. »

Simone tracciò quella piccola linea, una piccola ruga del collo che tagliava anche se di poco quella striscia più chiara del resto della pelle. Non poteva vederne precisamente il colore, ma ricordava come vestiva il suo corpo. Poi tornò agli occhi di Manuel nella penombra.

« Un bel gesto. Era come te tuo padre? »

Manuel arricciò il naso.

« Mh, non so dirtelo questo, ma ho solo bei ricordi di lui. »

Non come io per il mio.

« Comunque successe una mattina, Maximus faceva le bizze perché lo strigliassi e spazzolassi. Una volta fatto, provai a montarci sopra fuori, la campagna è lo spazio più adatto e Maximus aveva l'età giusta perché iniziassi a provarci. Come risultato si è imbizzarrito, sono stato sbalzato a terra e sono atterrato di faccia, il collo ha sfiorato una pietra un po' tagliente. Ecco perché mi sono spaventato così tanto quella volta che hai voluto provarci tu, » la mano sulla schiena attraversò il braccio di Simone e gli sfiorò la guancia « non ha mai rifatto una cosa del genere da quella volta.»

Simone socchiuse gli occhi portò il viso contro il palmo di Manuel.

« Non tutte le cicatrici vengono per nuocere, avere qualcosa di fisico che vi lega e credo che tuo padre lo avesse intuito prima di te. » Simone si inumidì le labbra e coprì la mano del soldato con la sua « Un po' come è Neve per me, solo che è stata lei la mandante per dirmi che mia madre sarebbe stata con me anche se non più sulla terra. »

Manuel rimase in silenzio e raccolse quella vena malinconica baciandolo leggero. Simone riprese da dove aveva interrotto, cullato ancora dal tepore del suo corpo.

Un giorno ti racconterò di lei, promesso.

« Posso chiederti cosa significa, hai continuato a ripeterlo...» Manuel cercò di pronunciarlo al meglio « quella parola "meleth nin", giusto? »

Simone avrebbe voluto vedere meglio i suoi occhi, ma sapeva che non avrebbe cambiato la verità che c'era in quella parola, gliela avrebbe detta ancora se necessario. Si mise di fronte a lui, toccò la sua fronte.

« Significa amore mio, Manuel. »

Con quel largo sorriso se avesse potuto, Manuel avrebbe illuminato l'intera tenda.

« Amore mio, meleth nin. »

Simone squittì. Il resto del corpo molle, il cuore in movimento, il pensiero assente.
Gli uscì la voce in un soffio.

« Sì. »

Manuel gli strinse i fianchi, sollevava un angolo della bocca.

« Non è che puoi ripeterlo? »

Simone soffiò di nuovo sopra le sue labbra, tenendogli il viso con entrambe le mani. Aveva paura gli scivolassero.

« Meleth nîn »

« Meleth è amore, quindi. »

Simone deglutì, l'emozione che gli zittiva la voce. « Non è neanche difficile, » continuò a sorridere sopra di lui, scaldando ancora la sua schiena, prendendolo in giro « solo mi sfugge ancora la pronuncia per intero, forse l'accento, mh credo...»

Simone rise cristallino.

« Semplice, Manuel, la t e la h sono come una effe muta, metti la lingua in mezzo ai denti: meleth n

Manuel lo fece capitolare di nuovo sulla brandina spostando il peso, gli finì di sopra creando un sottofondo fatto solo della sua risata. Catturò la sua espressione anche nella penombra: Simone era davvero la luna.

« Anche tu lo sei, Simone, l'amore mio. »

Simone sentii il cuore rapirgli ogni parte del corpo. Lo tirò a sé, cercando di ricacciare indietro le lacrime di felicità che cercavano di venir fuori.





**





Quando Manuel si alzò per andare via, prima che arrivasse l'alba, Simone sentì la sua bocca posarsi sulla sua testa lasciargli un bacio. Si costrinse ad aprire gli occhi per vederlo rivestirsi di spalle, il profilo disegnato per via di un lembo di tenda leggermente aperto.

Sta attento, amore mio.

In quel momento gli sembrò proprio che lo guardasse.
Ma durò poco perché l'elfo ricadde con la testa giù, preso dal sonno e non ebbe modo di vedere Manuel scomparire dietro la tenda.
Al risveglio, circa un'ora dopo, i soldati erano già partiti, il sole aveva già rischiarato l'interno della tenda. Il suo corpo era ancora tiepido e profumava di erba, di sudore e umido. Profumava di Manuel.
Si accarezzò le braccia avvolgendosi in quella sensazione protettiva.
Aprì gli occhi e rotolò dal lato opposto con cura, evitando di finire a terra. Avrebbe dovuto lavare quel lenzuolo così come il materasso da solo, savesse chiesto alle donne, sicuramente avrebbero fatto domande e non sarebbe stato il caso.
Simone restò a fissare il posto vuoto alla sua sinistra, distese il palmo della mano sopra, cercando di acciuffare le sensazioni della notte scorsa.

Gli sembrò così strano sorridere al vuoto, felice.

Si promise di vivere altri momenti come quello, di non pensare a niente se non sentire ciò che voleva.
Nudo, sulla brandina, dopo un po' decise di vestirsi e andare a svegliare Neve - mancante anche lei del suo compagno adesso -, prima di andare a fare colazione.

Anche vestendosi, il tessuto gli scivolò addosso e qualche parte di indumento come il lungo cinturone che fermava in vita la tunica, gli intimò quasi di lavarsi per togliersi quel sudore - che Simone non considerava più tale - di dosso.
Lo avrebbe fatto, più tardi, dopo la sua colazione e la sua passeggiata.
Se gli fosse rimasto quel profumo addosso, l'illusione e la sensazione di Manuel che lo stringeva sarebbero rimaste ancora un po' con lui.

Sono davvero questi i miei pensieri adesso.

Sorrise da solo stupidamente e perso, aggiustandosi le maniche e passando ai pantaloni.
Trovò la boccetta rotolata in un angolo della tenda, la raccolse e si stupì a trovarla ancora chiusa. Segno positivo, forse, di quanto era successo.
Simone se la strinse al petto e poi la rimise al sicuro dentro il cesto.

Mamma sto bene.

Simone finì di vestirsi e sbirciò fuori dalla tenda.

C'è qualcun altro che veglia su di me, ora.

Neve era proprio lì a ciondolare e dar fastidio a Fëanor.
Simone si sbrigò a raggiungerla.
Diede il buongiorno alla sua guardia e poco dopo alle altre, mangiò la sua colazione con la sua amica in un angolo discreto ma non troppo distante dal resto dei soldati e sperò che la pattuglia non durasse più di un giorno.
In quel momento, nubivago, con la sua bellissima creatura bianca affianco pensò a Maximus che dava quasi di matto senza la sua metà e a Manuel che cercava in qualche modo di fargli un discorso sprecato sui doni della pazienza.
Era uno dei primi e forse unici punti su cui Simone si sarebbe trovato d'accordo con quel cavallo.

Rise da solo come fanno solo quelli che hanno il cuore leggero e con una carota in mano per imboccare a Neve.



« Sta tranquillo musone, domani saremo sicuro di ritorno e potrai annusare la tua ragazza » mormorò sarcastico, sopra il suo cavallo.

Maximus soffiò in risposta e scosse la criniera ondulata. I due soldati stavano al passo con una delle guardia, retrocedendo appena nella fila posteriore. Camminavano a passo lento da almeno una buona mezz'ora in direzione nord-est. Nella giornata in cui il sole era ancora alto, Manuel distingueva bene le poche casupole rimaste di agricoltori e quello lo rimandò alla sua famiglia. Si chiese come facessero a coltivare qualcosa con l'acqua del fiume a miglia e miglia di distanza e se avessero abbastanza animali su cui fare affidamento. Si chiese se Erica avesse imparato qualcosa di nuovo e se il suo sguardo si fosse fatto ancora più furbo e se sua madre fosse costantemente in pensiero per lui e per come la aveva lasciata soli due mesi fa. Si chiese anche che faccia avrebbero fatto se avessero saputo che la guerra non aveva portato solo feriti, ma anche nuove strade, una nuove occasione.

Chissà cosa ne avrebbero pensato dell'anima che lo aspettava e che aveva lasciato assopita. In tutto quel candore molle e beato, ci aveva lasciato il desiderio di tornare. Sarebbe stato per lui un onore presentare Simone alla sua, di famiglia.

« Ci fermeremo qui. » annunciò la guardia, distraendo Manuel da quei pensieri. L'elfo fece girare il cavallo.

Manuel annuì e avanzò per poi scendere da Maximus. Si accamparono per la notte, stendendo le provviste in dei sacchi sul terreno, insieme a delle coperte di cotone leggero dove poter riposare. Uno dei soldati dai capelli bruni e raccolti in una coda si avvicinò a lui mentre dava una zolletta di zucchero al suo cavallo.

« Manuel, te la senti di fare tu la ronda per stanotte? »

Manuel scattò col viso in su. Annuì meccanicamente.

« Certo. »

Nathan gli tese la mano e l'altro la strinse forte in un sonoro clap.

« Avvisa se vuoi il cambio, ma intanto puoi portarti lui, se vuoi. »

Manuel guardò Maximus e il cavallo ruminava il suo premio in tutta tranquillità senza prestare attenzione. L'altro soldato continuava a guardarlo come ansioso.

« Nathan qualcosa non va? »

« Voglio chiederti una cosa. »

L'uomo si mise a sedere di fronte a lui.

« Vuoi ritirarti dalla truppa o hai paura che verremo attaccati? »

Nathan scosse la testa, si grattò la nuca. Sciolse i capelli dal nodo che portavano.

« No, nessuna delle due. E a ritirarmi non ci penso nemmeno, sai che rimanere lontano da casa può solo farmi bene. No, in realtà volevo sapere se eri interessato ad Elvira... »

Manuel alzò le sopracciglia.

« Ti piace, huh. »

« So che è una ragazza che preferisce stare da sola, » Manuel osservò come il compagno mettesse le mani avanti e descriveva Elvira con cura, una sincera devozione « che sa difendersi e parlare per se stessa e ho cercato di non notarla, ma sì. Mi piace e vorrei provarci, provarci davvero. » ammise.

Manuel provò sincera comprensione nei suoi confronti, fino a pochi giorni prima era lui quello nella stessa situazione di Nathan: incerto su come muoversi, se fare la prima mossa o meno.

« Non c'è pericolo, io ed Elvira siamo solo amici, Nathan. » Manuel si alzò, afferrò il sacco con dentro la cena per entrambi e inginocchiandosi a terra cominciò ad aprire il suo.
Il compagno sorrise, stringendosi le mani penzoloni sulle gambe. Manuel si affidò al consiglio dell'amica. « E se vuoi un parere, non ti fare fregare da i "se" e agisci. »

Con me ha funzionato.

Poi Manuel abbozzò una risata al pensiero della ragazza indignata alle avances - seppur meditate - di Nathan.

« Ecco magari conoscendola con cautela, sì, ma agisci. La vita è troppo breve per vivere nel rimpianto. »

Nathan gli diede una pacca sulla spalla, un sorriso affabile.

« Grazie Manuel, sei un amico. »

Sembrò vivere un dejavù fin troppo fresco nella sua mente e provò a non lasciarsi andare già alla malinconia di quella mezza giornata di lontananza.

« Se hai bisogno di fare qualche confessione, posso ricambiarti il favore, sto qua. »

Manuel annuì, senza rispondere nulla. Quell'unico bisogno era stato lasciato al campo e lo stava racchiudendo dentro di sè.

Nathan tirò fuori la sua di cena, il pane elfico avvolto dentro una foglia spessa, qualche pesca, della frutta secca.

« Ho notato che vai piuttosto d'accordo col principe, gli dai ancora lezioni? »

« Sì, anche se credo non ne abbia più così bisogno...»

« Credo che la sua pazienza con Ronan prima o poi si esaurirà, è molto giovane ma non merita tutto quell'astio... spero lo mandi via, staremmo tutti molto meglio senza. »

Manuel la buttò sull'ironia.

« Mi stai chiedendo di metterci una buona parola? »

Quello gli fece un occhiolino del tutto amichevole.

« Non si sa mai. » poi Nathan cambiò sfumatura nella voce, una vena intrisa di sincerità « Lo dico perchè deve stimarti molto. »

"Manuel, sta attento." riecheggiò.

« Dai, mangiamo ora che la pattuglia senza cibo è una doppia tortura. »

Così appena finì la sua cena, Manuel si alzò in piedi e quella fu la sua compagnia notturna.
La prima ora e mezza di pattuglia passò lentamente, facendo spostare il soldato di tanto in tanto per sgranchirsi le gambe.
Gli altri due già sonnecchiavano, si chiese come avrebbe fatto a svegliarli. Nathan non soffriva di insonnia come lui, il che sarebbe stato un mezzo problema. Pensò di raggiungerli dopo aver prestato promessa prima di crollare dal sonno e dare il cambio.
E la sua attenzione oltre che controllare la possibile presenza di qualche sconosciuto o nemico, venne catturata dallo spettacolo che si estendeva sopra il suo naso.
Nello spazio dove Manuel si era accomodato, al fresco contro la corteccia di uno dei due alberi, braccia conserte e occhi aperti, la visuale del cielo era perfetta.

Chissà se la stai guardando pure tu questa luna, Simone.

Se avesse potuto, avrebbe parlato a Nathan dicendogli tutto e che la cosa più bella era amare e lasciarsi amare.

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Capitolo 19
*** Nienor ***


 

Nienor
 

Lutto.

 

 

Nell'attesa che Manuel tornasse, Simone cercava di trascorrere il suo tempo come poteva. Era passato solo un giorno, eppure gli sembrava di che fosse passato più tempo.
Si stava facendo sera, l'aria cominciava a farsi più fresca in quello strano mese che era Luglio.
Simone passò quindi a torturarsi le dita guardando fuori dalla sua tenda un punto indefinito.
Si concentri sugli indici e i pollici, quando parlandone con Fëanor in maniera del tutto casuale, chiese se fosse tutto regolare.

« Perché non dovrebbe esserlo?»

« Non so, » Simone si portò le mani in grembo cercando di risultare diplomatico « non dovrebbero essere già ritornati per fare rapporto? »

Fëanor lo guardò annuendo piano. Quel giorno la guardia sembrava più guardinga del solito.

« Penso che abbiano voluto solo accertarsi un po' oltre le zone limitrofe, è un po' che c'è troppa calma e silenzio, Simone. »

Simone annuì convincendosi della cosa.

« Pensi che ci saranno novità quindi?»

Fëanor teneva le mani sulla cinta che fermava la sua veste abbastanza discreta se non fosse stato per le incisioni reali sopra - ma comunque, era una delle poche volte che Simone lo vedeva senza divisa.

« Sono entrambi dei buoni soldati, Ferro soprattutto, » disse poi rompendo il silenzio « ricordo che è stato lui a proporsi e pensavo fossi d'accordo. »

Sì, lo so.

« In verità c'è una cosa che non ti ho ancora detto Fëanor, » Simone sembrò mettere fretta a ciò che veniva dopo « riguarda la notte in cui sono ritornato al campo, quella notte in fui sono stato riportato proprio da lui. »

La guardia accese i suoi occhi di preoccupazione, ma rimase in ascolto.
Il principe guardò altrove.

« Non è facile per me raccontarlo, ma non penso di doverlo più tacere. Quella notte, quando Dorian e Amras sono stati uccisi, avrei preferito raggiungerli per quello che è successo dopo. »
Simone deglutì, buttò fuori aria fredda, serrò gli occhi. Fëanor lo guardò con ansia. « Ero circondato dagli orchi e... uno di loro... si è scagliato su di me. » pronunciò rabbrividendo.

Recuperare quel ricordo fu difficile, ma Fëanor doveva sapere, erano settimane che voleva dirglielo.
E anche grazie a Manuel aveva trovato il coraggio di farlo.

« Non capivo cosa stava succedendo, ho perso i sensi e mi sono ritrovato legato a un albero. » Simone avvertì la voce tremargli. Fëanor lo prese gentilmente per le spalle.

« Non devi continuare, non mi devi spiegare per forza nulla. »

« No, tu devi sapere. » Simone ingoiò saliva più e più volte « Quella notte, avrei voluto morire con Amras e Dorian perché non credo la dimenticherò mai più. »

Pensò a Manuel così intensamente, aggrappandosi alla sua immagine, alle sere trascorse insieme per potersi calmare.

« Se non fosse stato per... » Simone ebbe modo di correggersi per non risultare palese. Ricompose come meglio poteva il tono di voce. « se non fosse stato per il soldato Ferro, credo che quel mostro avrebbe continuato a... a toccarmi. » sputò fuori raccapricciato.

Se non fosse per Manuel e le sue di mani, ora io starei pensando ancora a quelle, luride addosso, tutto il tempo.

« Avrebbe continuato a prendermi contro la mia v-volontà-»

Fëanor lasciò che la sua buona fede e bontà prevalessero sulla forma. Tirò il principe in un abbraccio consolatorio. Non disse nulla, avvertiva l'elfo emettere qualche singhiozzo piccolo sopra la sua spalla e lo sentì respirare con affanno.

« Ceno nin, Simone. »

E l'elfo lo guardò.

« Il coraggio non è qualcosa che ti è mai mancato durante queste settimane » mormorò Fëanor morbido « pensavo non fossi pronto e invece sei cresciuto tanto e voglio che tu lo ricordi. »
La guardia fece una pausa mentre Simone si quietava lentamente.
« Ora mi è tutto più chiaro...e non posso immaginare cosa tu abbia passato. Neanche lontanamente. Non c'è qualcosa che il mio ruolo possa dirti se non che ho fallito nel prestargli fede. Non ho saputo proteggerti, Simone. »

Simone cercò di controbattere ma Fëanor fu più forte, più insistente.

« E questo lo rimpiango, lo rimpiangerò a vita, credo. E non perché seguo gli ordini del Re, ma perché ti conosco da una quasi una vita, principe. Ma nel mio sbaglio, c'è qualcuno che ha insistito per venirti a cercare » continuò sospirando distrutto « e forse ho esitato troppo per lasciarlo andare quella notte. Lui aveva ragione. Ti prego di accettare le mie scuse. »

Simone si intestardì con quella voce spezzata.

« Non le accetto perché non devi scusarti, Fëanor. » cercò di ridere ma gli venne male « Sono i r-rischi della guerra, no? »

« I mostri sono ovunque, ci circondano nella vita di ogni giorno » sospirò Fëanor « e la guerra non fa solo che renderli più reali. Ma non spettava a loro fare di te ciò che volevano. » Gli occhi verdi si fecero più magnanimi, consapevoli. « Sai bene cosa dice la nostra cultura al riguardo. Se i valar non provvedono, dovunque essi siano, dobbiamo pensare a noi stessi, è un fardello pesante ma è nostro da portare e io non ero presente per fare qualcosa, perciò mi scuso. »

Fëanor si scostò per guardarlo meglio e strizzargli le spalle. Occhi liquidi come strani e rari punte di cristalli in estate.

« Non piangere per qualcosa di cui non hai colpa, se solo il Re vedesse in cosa ti ha cacciato...»

Simone indurì un po' la mascella.

« Non deve saperlo, non c'è bisogno che lo sappia. »

« Il Re ha tanti difetti, » Fëanor sospirò « ma siete comunque legati dal sangue, Simone. So che non ti piace ma non potrà guardare da un'altra parte, è suo diritto-»

« Così come è il mio decidere che lo sappia il più tardi possibile. È stato lui a lasciarmi da solo qui, ad affrontare questo.»

Poi si corresse.

Lui non era più da solo, oramai. Condivideva la mente e il cuore quasi tutte le notti con l'uomo che amava.

« Non lo sono più così tanto come all'inizio è vero, » Simone si asciugò il viso con i dorsi delle mani, sganciando così la presa della guardia, senza forzare bruscamente la distanza « ma ti prego, promettimi che aspetterai che sia io a dirglielo, Fëanor. »

Fëanor si portò le mani sui fianchi, poi sollevò una delle due e si massaggiò una tempia.

« Dovresti condividere il peso invece di coltivarlo, perché non provi a dargli almeno il beneficio del dubbio? »

« E lo sto facendo, sapevo che era il momento giusto per dirtelo. Ma non voglio che lui lo sappia, non adesso. Non te lo sto chiedendo come principe, ma come elfo. »

Fëanor non ci pensò due volte. Gli strinse le spalle, Simone alzò il mento senza che glielo chiedesse.
Cosa erano stati anni a palazzo a vedere un bambino crescere da solo, imparare da solo e immergersi solo con le sue conoscenze dentro quel mondo se non anni di confidenza tra loro?
Era il caso di ricordare cosa poteva essere ancora, forgiare un legame al di là della guerra.
Non sapeva per quanto tempo sarebbe stato al suo fianco, quindi Fëanor non poteva altro che confermargli il suo supporto.
Nel caso più remoto, sarebbe stato espulso da palazzo, ma almeno non avrebbe tradito la fiducia e la lealtà di chi seguiva in battaglia.

« Ai tuoi ordini, Edhel ah cunn »

Simone risucchiò le labbra, poi parlò.

« Fëanor-»

« È quello che siete, » la guardia lo riprese « siete entrambi, per quanto sia forte l'ostinazione a volere una sola parte.
Nessuno può scegliere di essere soltanto la metà di se stesso. »

Ora quel tono gli ricordava suo padre, in maniera meno severa e più confidenziale, ma in ogni caso erano echi che appartenevano a palazzo.
Simone si morse l'interno della bocca con i denti. « Siete... sei un elfo e un principe. E anche un amico.  Questo non può cambiarlo nessuno, credo. Non dirò nulla, lo prometto. »

Simone gli sorrise rincuorato.

« Grazie Fëanor.»

« E i soldati torneranno. Non li avremmo reclutati se non fossero stati capaci,  altrimenti. »

Simone convinse se stesso.

Manuel tornerà.

Annuì.

Manuel è capace.

« Stavo pensando, potremmo andare noi procurare il cibo per il loro ritorno. » propose.

Fëanor si accarezzò la poca barba sul mento.

« In effetti ci vorrebbe un po' di movimento, » commentò guardandosi attorno « sarebbe ottimo, se non vi siete dimenticato come si usa un arco... »

Simone individuò la sua tenda, l'arco era all'interno.

« Non dovresti sottovalutarmi in questo modo. » si finse offeso per qualche secondo suscitando una risatina nella guardia. « Lo ricordo perfettamente, Fëanor. » rispose secco e fiero « Vado a recuperarlo e possiamo andare. »

 

 

 

**

 

 

 

Era pomeriggio inoltrato, la sua cavalla faceva i capricci per essere spazzolata e Simone provò in tutti i modi a tenerla a bada.
Sapeva di cosa soffriva: mancanza. Simone condivideva la stessa malattia.                                         
Le dedicò tutta la cura possibile in assenza di una presenza più confortante e soprattutto soddisfacente.
Il sole sarebbe tramontato da lì a poco, la massa luminosa avrebbe toccato le punte delle chiome degli alberi e avrebbe smesso di baciare il suolo. In cuor suo si chiese perché i soldati ci stessero mettendo così tanto, una perlustrazione non durava più di un giorno o due nei casi più insoliti.
Al secondo giorno, Simone pensò fosse successo qualcosa.
Sapeva di stare esagerando, che la sua preoccupazione stesse superando il normale limite concesso, ma non c'era una cellula del suo corpo che non si stesse facendo guidare dal giusto, bensì dalla disgrazia o da quel sesto senso che sapeva di nefasto.
Il pensiero di sua madre non lo aveva mai lasciato e viveva nella costante paura che Manuel potesse essergli tolto nello stesso modo, se non in modo peggiore.
Di certo Neve avvertì la sua preoccupazione e nitrì vedendolo agitando mentre muoveva la spazzola.

« Scusa amica mia, lo so, non ti sono d'aiuto. » mormorò. Le accarezzò un ciuffo della criniera passandoselo tra le dita. « Vedrai, saranno presto di ritorno. »

Come se si avverasse il suo desiderio senza nemmeno esprimerlo a una stella, dei soldati si raggrupparono tutti attenzionati da qualcosa.
Simone prese Neve per la briglia e si avvicinò al cerchio di persone che adesso rimaneva in silenzio mentre una di loro parlava disperata.
Il cuore gli cadde dal petto alla vista di tutta quella calca di volti da mille espressioni ed emozioni diverse. Pensò le cose peggiori in un solo istante.

« Per favore, fatemi passare! Ingrid, AIUTO! » qualcuno urlò straziato.

Sentì la voce di una delle sue guardie, chiedeva a qualche soldato di spostarsi.
Simone si fece largo tra gli uomini, Neve retrocedeva sfuggendo alla briglia, per non farsi mancare l'aria. 

« È ferito? » la domanda di un'altra voce tra il brusio.

Poi Simone riuscì a vederlo.
Gli sembrò venire da un'altra dimensione con quello sguardo funerario e assente, Manuel era sporco di sangue sul viso e reggeva un corpo tra le braccia, il sangue come una grossa pozzanghera addosso, le gambe penzolavano molli: Nathan.
Incontrò i suoi occhi supplichevoli in poco tempo, gli parlavano.

Aiutami.

« FATE LARGO PER L'AMOR DI DIO » urlò Simone alzando la voce, accompagnato da Fëanor  « UN UOMO È FERITO, NON C'È TEMPO! »

Grazie al comando dei due, Manuel venne lasciato passare per raggiungere la tenda di infermeria, seguito da un corteo funebre attonito e silenzioso. Simone lo guardò ancora per poco e chinò il capo ringraziando che fosse vivo e sentendosi in colpa allo stesso momento: aveva gli occhi rossi dal pianto. Strinse gli occhi.
Si immaginò come aveva dovuto passare le ultime ore da solo, a piangere qualcuno con cui aveva condiviso il giorno e le notti, le risate, il sangue, i tagli sul corpo.
Pensò a come Nathan lo aveva coinvolto qualche sera prima, senza farlo sentire diverso. Uno spirito gioviale e senza pregiudizi.
Quando entrò in tenda Simone vegliò accanto, cercando di tenere a bada gli uomini che volevano sapere qualcosa di più, insieme a Fëanor.
Sentì pronunciare qualcosa da Ingrid in elfico e allora capì.
Si immaginò il viso di Manuel che cercava di comprendere quelle parole, ma forse gli bastò leggere soltanto lo sguardo della curatrice. 
Poi Ingrid lo disse.
Simone conosceva bene quella formula: "Mandos tu che custodisci la morte e il fato, aiutalo, in qualsiasi posto sia adesso."

La vita era brutale.

Simone sapeva cosa poteva darti e cosa toglierti.

La vita era doppiamente brutale.

Manuel la conosceva, era un uomo. Ma questo non toglieva il fatto che aveva appena perso un suo simile, un compagno, un amico.

Una vita, per il prezzo di un'altra.
Un pezzo di luce, in cambio di un pezzo di buio.

Restò tutto il resto della giornata dentro quella tenda, uscendone fuori soltanto quando ormai era ora di cena. Simone lo aspettò fuori, tra il resto dei soldati in fila per salutare il loro compagno lepreghiere delle donne per far sì che qualcuno accogliesse la sua anima. Manuel si fermò a parlare con Fëanor e Simone non poté fare a meno di sentire la conversazione.

« Dobbiamo rimandarlo a casa, » consigliò l'elfo « dovrebbe riposare nella sua terra.  »

« Se c'era una cosa che Nathan odiava erano le sue radici. »

Fëanor annuì consapevole.

« Potremmo dargli una degna sepoltura prima di partire, domattina. »

A Simone era stato raccontato che un gruppo di una decina di orchi li aveva attaccati nel luogo di pattuglia, dieci contro tre. Che Nathan vi era finito in mezzo e aveva preteso che la ferita fosse cosa di poco conto. Lungo la strada di ritorno dopo l'attacco aveva perso fin troppo sangue e quella bugia e sacrifico gli erano costate la vita.
Manuel non esitò a chiederlo.

« Possiamo farlo noi.»

Simone intervenì.

« Non devi chiederlo, è giusto che lo facciate voi. Era un vostro compagno e un soldato coraggioso per tutti noi. »

Manuel lo guardò in silenzio e in quel momento Simone avrebbe voluto tanto stringergli la mano.

« Sono d'accordo. » con le mani sul grembo, Fëanor guardò sia Simone che Manuel in uno stato di totale silenzio. « Dirò a Ingrid di mettere da parte un lenzuolo e una tinozza e di recuperare qualche attrezzo o arma per scavare una fossa. »

Simone annuì.

« Va bene, Fëanor. »

Poi si dileguò sparendo dentro la tenda di infermeria e superando due soldati prima di lui.

Simone vide Manuel allontanarsi, una mano sopra la fronte. Lo seguì e si mise al suo fianco. Per poi cercare di guardarlo, mettendosi di fronte. Posò una mano sopra la sua spalla.

« Solo perché si è riunito alla terra, non vuol dire che Nathan sarà dimenticato. Ne oggi né domani.»

Manuel cercò la sua mano coprendola sulla sua senza nemmeno guardarlo. Simone fece molto di più lo strinse in un abbraccio a cui l'altro si aggrappò stringendogli la lunga tunica.

« Mi ha difeso. È stato colpito per difendere me! »

Disperato cercò di divincolarsi dalla sua stretta, ma poi si arrese.
Se fossero stati da soli avrebbe fatto molto di più per lui, in quel momento.

Amore mio.

« Non volevo crederci, diceva che non sarebbe morto. Delirava su cosa avrebbe mangiato stasera.» Manuel deglutì, strinse i denti. « Che avrebbe confessato ciò che provava ad Elvira. Gli ho detto di tapparsi la bocca, che doveva risparmiare fiato e forze altrimenti lo avrei colpito anche io. »  era esausto, sfinito. « Quando ho provato a dirgli che eravamo quasi arrivati, non c'era già più. Ha... ha chiuso gli occhi a pochi metri da qui. Non siamo arrivati in tempo.»

Manuel commentò sprezzante e più amaro. Simone non lo aveva mai visto in quel modo.

« E ora porto il suo sangue.»

Potevi esserci tu al suo posto.

« Gli sei stato vicino fino all'ultimo...» Simone lo sentì singhiozzare e il cuore si strinse, divenne quasi minuscolo « lo hai distratto prima che se ne andasse... se ne è andato sapendo di essere ascoltato dal suo amico.»

« Quale diamine è il senso se non sono riuscito a proteggerlo-» scoppiò in un'ira spezzata.

« Basta così, meleth nîn...» cercò di calmarlo a bassa voce « basta così. »

Manuel si strinse alla schiena di Simone e lui gli concesse tutto il tempo di cui aveva bisogno.

Vorrei farti dimenticare ma le perdite non si dimenticano.

« Pensavo di aver visto e superato la morte ormai. Ho perso così tanti volti, voci, occhi, ma credo di averlo dimenticato questa volta, l'effetto che fa.»

Manuel tirò su col naso.

« Nathan vive dentro di te, adesso » non fece caso alla sangue secco ancora sul suo viso e nemmeno al sudore che aveva inumidito i vestiti dell'altro, Simone lo vedeva per com'era davvero, anche lui fragile.
« Non ricordarlo come qualcuno che se ne è andato, Manuel. Come tuo padre, loro sono con te.»

Manuel espresse tutto in un sospiro spezzato. Si allontanò dalla sua presa.
Simone avrebbe voluto riprenderlo con sé e baciarlo, ma sapeva che sarebbero stati guardati da tutti al di là di un evento spiacevole come quello.

Manuel fissò la tenda che si riempiva, senza riuscire a sostenere gli occhi preoccupati dell'altro.

« Ci allontaniamo da qua? »

« Non vuoi mangiare prima-»

Manuel oscillò con la testa. Era spezzato e distante.

« Più tardi, forse. Ora ho solo bisogno di stare con te. »

E così se ne andarono nel loro posto, allontanandosi dal campo. Appena superarono l'ampia visuale del campo, Simone gli afferrò la mano senza aspettare un minuto di più. Camminarono lenti, silenziosi, con rispetto lungo la terra, come se quella portasse e fosse intrisa dell'odore di Nathan.

Ho avuto paura fossi tu, per un momento.

L'egoismo venne risucchiato dentro di lui, era inopportuno dire una cosa del genere. Sene pentì all'istante. Manuel era silenzioso, offuscato, arrabbiato. Ebbe il tempo di sciacquarsi il viso al lago, Simone di aspettare che Manuel finisse e poi si sedettero alle radici dell'albero più grande. Così grande quasi come un tetto sopra le loro teste. L'uomo si fece piccolo e si affidò nelle sue braccia inaspettatamente più grandi quella sera.

« Il tuo dolore è il mio dolore. » mormorò invece, con quella morbidezza e la calma ereditate da sua madre « Stringiti a me, Manuel. »

Con la testa di un uomo posata sulla spalla e il suo di braccio a cingergli la vita.

Grazie Nathan, ti sarò per sempre grato.

In totale silenzio, senza che una parola di troppo distruggesse la vicinanza che come un filo invisibile, li teneva uniti.

 






**




 

 

Quando l'indomani alle luci dell'alba, gli uomini si riunirono senza ostinarsi e senza tardare, tre di loro erano stati già guidati dal principe scortato dalle sue guardie, e si occuparono di scavare una fossa in onore del compagno perduto non molto distante dal campo. Due di loro, portavano il corpo di Nathan avvolto in un lenzuolo, il viso pulito e più bianco, i vestiti diversi, sembrava stesse dormendo. Ingrid lo aveva ricoperto di affetto e di profumo in modo che il terreno accogliesse le sue membra e diventasse un tutt'uno.
Che si fondesse con il cielo, con l'intera natura e la carne svaniva, perché non aveva più importanza.
Simone aveva provato a spiegarlo a Manuel, anche se forse non era qualcosa che potesse consolarlo del tutto. Manuel, appunto, lo teneva per le spalle e l'altro soldato per l'estremità opposta. Portavano lenti quel corpo ormai privo di vita e la cui bellezza sfiorita era più evidente. Per lui era stata una notte piena e vuota allo stesso tempo, Simone lo sapeva. Aveva cercato di cullarlo e di rendergli più dolce il dolore quasi per tutto il tempo, senza però riuscire a scacciare il pensiero fisso della morte. Una volta che gli uomini ebbero finito, il corpo di Nathan venne calato dentro la fossa, una volta che un cumulo di terra venne accumulato a destra e sinistra. Elvira si era premurata di fissare due legnetti con uno spago per formare una croce che sormontasse la valanga di terra che avrebbe ricoperto quel sepolcro improvvisato. Manuel si mise subito dopo di fianco a lei e ai suoi compagni, sulla sinistra di fronte, gran parte degli elfi in silenzio tra cui Simone. Non c'era nessun officiante, nessun prete, erano due religioni diverse ma unite in cui la preghiera se ne restava condivisa nel silenzio più assoluto.
Almeno finché uno dei presenti non alzò la testa e parlò col cuore in mano.

« Principe, potete cantare per la sua anima? »

Gli occhi di tutti si alzarono verso il soldato e Simone guardò dritto davanti a sé quello senza nessun giudizio, nessuna paura.

Solo la scorsa notte aveva visto come un uomo potesse soffrire esattamente come un elfo. Era l'unica cosa che poteva fare, in fondo, perché le sue cure non avevano sortito effetto.

Aiutami.

Pensò che Manuel volesse riempire quello spazio, diventato troppo fastidioso da sopportare. Il silenzio gli era diventato nemico. Simone quindi, annuì lentamente, senza pensarci due volte. Conosceva solo una canzone per quell'occasione, triste e bella ma piena di malinconia, acciuffata dalla memoria del suo popolo.

Non cantò da solo. 

Chiese l'aiuto delle sue guardie e dei suoi soldati più vicini, perchè sapeva che da solo nessuno sarebbe intervenuto ad elevare l'anima di Nathan. Le sue divinità agivano solo se in unione, non divisi. 
Alle prime strofe, quelli riconobbero il canto e Fëanor fu uno fra i primi a capire sue intenzioni, la sua voce si mischiò a quella del comandante: mani giunte, occhi chiusi o bassi. I soldati dall'altra sponda restavano in silenzio, qualcuno singhiozzava, altri invece preferivano fissare il cumulo di terra immobile invece che un corpo perfetto e intonso che non avrebbe più mosso un muscolo o fatto del sano chiasso in compagnia.
La voce lenta del principe però sovrastò tutte le altre e le sue lacrime sgorgarono toccando il suo viso, senza che battesse ciglio, senza ricacciarle indietro. Stringeva la mano di Elvira e spostava lo sguardo in basso, su Nathan.
Il canto durò il tempo che il sole arrivasse a metà del cielo e che i soldati incaricati di scavare la fossa, riempissero di nuovo quel vuoto di terra. Elvira fissò la croce sulla montagna che si era formata e stringendo i denti, si pulì il viso col dorso della mano. Chissà se Manuel le aveva detto che voglia di vivere aveva ancora quell'anima, prima di andarsene, che quella vita aveva intenzione di divederla in due. Appena finito di cantare, Simone si congedò dagli uomini per lasciare loro qualche altro minuto prima di incamminarsi per il viaggio.

« Hiro Nathan hyn hîdh wanath. Che tu possa trovare pace dopo la morte...»

Manuel intercettò il suo sguardo in una frazione di secondo, la mano libera sul petto.

Grazie.

Venne sussurrato a Simone con gli occhi pieni di gratitudine prima di allontanarsi.

 

 

 

 

**



 

Un solo giorno passò per preparare la testa a un'altra battaglia.  
E quando si arrivò a sistemare alla bella e meglio tutto quanto in accampamento, Manuel gli parve sempre più silenzioso, sempre in cerca di attimi per allenarsi in disparte, ancora prima di mettere effettivamente in gioco una strategia per il nemico.
Raggiunta Eldacor, alla punta più a nord del loro cammino, un solo giorno Simone tentò di restargli vicino anche se col pensiero e il affiancando il suo stesso silenzio.
Non c'era stato tempo per dormire: la mattina stessa in cui avevano sepolto il corpo di Nathan, le truppe avevano dovuto mettersi in marcia e decidere la nuova postazione perché le loro tracce erano state scoperte.
Aveva deciso Simone di farsi fiancheggiare da due soldati, uno della sua specie, l'altro umano.
Aveva potuto tenere d'occhio Manuel per tutto il tragitto in questo modo e non mancava di sorridere ogni tanto di sbieco a quanto Neve gli fosse riconoscente per quel piccolo regalo.
Posizionato tutto, gli uomini rimanevano ancora privi di energia, ecco perché gli intrugli alle erbe di Ingrid preparati fino all'ultimo secondo, furono bevuti da tutti, anche dai più schizzinosi su suo preciso ordine. Lei prometteva che insieme a un frutto la bevanda avrebbe sortito la migliora fortuna. In verità, era solo un modo perché qualcuno la stesse ad ascoltare senza subire lamenti o insulti di alcun genere.
Mentre la curatrice vendeva i suoi migliori rimedi senza essere retribuita se non con una smorfia o un sorriso forzato,  Simone lanciava sempre uno sguardo all'altro.
Manuel gli risultava inafferrabile, ma era comprensibile: l'unica cosa che voleva fare era girarsi a guardarlo come a controllare che Simone fosse nei paraggi.
La cosa rendeva il cuore dell'elfo più morbido ma anche più debole e instabile, non poteva negare di desiderare un grammo di conoscenza in più per poter sollevare il suo umore. 
L'unica conoscenza gli derivava dall'esperienza. Come aveva detto anche l'altro, aveva visto molte più morti di lui, molte più vite strappate alla terra.           
Quando fu ormai inevitabile la separazione per il piano d'attacco quel giorno e Simone fu spedito in tenda di comando, si sincerò che Elvira quanto meno gli stesse vicino prima di combattere.
Sapeva che chiunque in quelle condizioni non avrebbe reso al senso del dovere, ma forse Manuel avrebbe senz'altro lasciato prevalere quello della giustizia.

Giustizia per chi si era lasciato dietro, giustizia per chi non ce la aveva fatta. 
Giustizia per Nathan.

Pensava a tutto questo mentre Fëanor e Amras gli parlavano con gli occhi che ricadevanosulla mappa, mentre si vestiva e poneva solo metà della sua armatura addosso perfacilitargli sia la presa alla spada che all'arco, mentre Ingrid gli passava ilsecondo bicchiere di liquido alle erbe che si premurò di rifiutare.  Una volta supervisionato e radunato tutti, Simone credeva di non riuscire a dargli un saluto prima che si schierasserole file di soldati, del resto sarebbe stato normale e preferibile per Manuel elaborare dasolo un lutto. Lui, ci aveva pensato tutto da solo per Cora.
Non era strano, dipendeva dal corso degli eventi, dalla vita.

Simone lo beccò proprio in quel frangente in cui ognuno stava per salire sul suo cavallo o stava lucidando le armi. Nessuno lo stava disturbando, si stava bagnando le mani e le stava avvolgendo i palmi in due panni umidi. Simbolo che questa volta non voleva nessuna cicatrice sulla mano.
Arrivò da solo, Neve era in posizione.

« Manuel »

Il soldato si girò quel poco per guardarlo,  gli sorrise appena intendo com'era ad annodare la garza pulita.

« Simone. »

Notò che aveva difficoltà a girare più volte quella fascia sulla mano destra.

« Lascia che ti aiuti. »

L'elfo afferrò le estremità della garza e le legò insieme, tutto sotto lo sguardo attento di Manuel.
Poi guardò il piccolo lavoro eseguito rigirando il dorso della mano.

« Non ti sfuggirà la presa dalla spada in questo modo? »

I ricci di Manuel erano fermi sotto l'elmo.

« No, affatto. »

Simone poi rilasciò la presa e riportò le mani in grembo.

« Ingrid sarebbe fiera, nessuna infezione. »

Del silenzio lasciò vibrare gli occhi del soldato. Era la sua di mano a posarsi su quelle ormai più basse.

« Grazie per... per stamattina.
Qualsiasi sia stata la preghiera, la storia che hai raccontato, » si inumidì la bocca « ti ho sentito vicino, grazie. »

Simone ringraziò quel segnale da parte dell'altro.

« Non è usuale che un elfo canti a un funerale di un umano, ma esistono delle eccezioni. »

« Almeno oggi si eviterà che qualche orco puzzolente gli finisca addosso. Si lamentava sempre della puzza. » cercò di ridere, ma Simone capiva stesse coprendo una parte che aveva bisogno di attraversare ancora il dolore.

Manuel si schiarì la voce. Cambiò poi espressione.

« Nathan lo meritava. Più di qualunque altro di noi. »

Simone annuì, anche se non del tutto convinto.
L'immagine frammentata di un Manuel steso dentro una fossa lo perseguitò in un lampo.
Si scontrò con quelle pozze castane miele troppo chiare al momento per sposarsi con la linea di acciaio dell'elmo che portava in testa.
Avrebbe fatto lo stesso per lui, forse però il canto sarebbe stato rotto dalla sua voce scordata, spezzata.

Ma si ricordò che il Manuel che aveva immaginato era vivo e di fronte a lui.

« Combattiamo per lui oggi. »

Abbassò gli occhi e accarezzò la punta delle sue dita un solo secondo per poi alzare di nuovo le sue pozze profonde e scure.

« Buona fortuna, meleth nîn, » sussurrò lieve.

Simone avrebbe voluto baciargli le mani ma sapeva di non poterlo fare. I soldati si stavano ammucchiando sempre più numerosi e lui, era scoperto, indifeso.

« Sta attento. »

« Non preoccuparti per me. »

« Era quello che dicevi anche a Nathan? »

Manuel scrollò le spalle.

« Soprattutto a lui. »

Simone indurì lo sguardo.

« Sai bene che mi chiedi l'impossibile.»

E fu in quel momento che prese la sua mano e inginocchiandosi appena, Manuel baciò le sue nocche. Simone cercò di mettere a bada l'emozione che lo invase.

« Sono un soldato al tuo servizio, principe, » passò qualche soldato attorno a loro e allora Manuel si ricompose subito dopo, intercettò prima i suoi occhi però.
Simone tremò.
« E anche al servizio del mio di cuore, adesso.» si alzò, poi afferrò la briglia di Maximus.

Un ultimo sguardo veloce.

« Non è possibile, non posso fallire. » 

Era già salito sul suo cavallo, sicuro e svelto.




 

Lo scalpitare dei cavalli era una delle cose che non pensava gli mancassero. Quando si trovò a combattere di giorno, Simone capì che non era facile il nemico che stavano affrontando. Di sicuro, il confronto fu una sorpresa inaspettata:  quella massa di orchi era diversa, tutti più chiari e mischiati ad altri, coperti da armature che li proteggevano dal sole cocente di mezzogiorno. Il caldo fu una l'ultima cosa ad avere rilevanza, poiché ognuno rimase stupito al suo stesso identico modo notando chi vi era a capo. La luce del sole non aveva effetto su quel tale, la pelle non bruciava, lo sguardo non si scioglieva, lì, sul promontorio, era il più grande di tutti e il principe era sicuro di poterlo riconoscere dall'ultimo scontro. Forse avrebbe avuto in parte qualche risposta alle sue domande.
Simone era avanzato per primo, Neve fedele e attenta a guidarlo. L'arco lasciato in disparte perché si sentiva pronto a usare la sicurezza con la spada. Avrebbe voluto tenere un discorso ai suoi uomini, ma la verità era che nessuna parola osò venire fuori dalla sua bocca. Alzò la spada in alto, dando il segnale.
Urlò soltanto una cosa, precisa e limpida, a pieni polmoni.

« Per Nathan! »

Il rumore delle spade sguainate e degli arcieri che tendevano gli archi arrivò preciso alle sue orecchie.
Pensò soltanto a come non distrarsi e non farsi colpire, non per i primi orchi che ammazzava, almeno.
Dovevano essere almeno il doppio della volta precedente, diversi, più robusti e ancora, più orripilanti e strani.
Giurò di vederne più di uno con delle orecchie simili alle sue.
Neve lo guidò al galoppo, spada in alto, punta che ricadeva e recideva già qualche testa mentre pensava a come fosse possibile nell'arco di così poco tempo aver raddoppiato un numero di mostri di quelle fattezze.
La testa nel mentre, andava a finire sul abbandonata, rotolante sul terreno sotto gli zoccoli degli altri cavalli, aggiungendosi alle tante altre.
Il sole in cielo illuminò di chiazze nere e innaturali l'erba verde, come se fosse quello stesse pezzo di natura a sanguinare.

Provò a darsi una spiegazione mentre la terza testa non rotolava, era solo la gola ad essere lacerata e colui che la possedeva abbattersi a terra e in ginocchio.

Simone girò portando Neve a cambiare direzione.

Lui era lì.

Capeggiante, intento a marcare solo gli uomini che osavano farsi troppo vicini per sfidarlo.
Brandiva una una spadone, era macchiato sulla punta e gocciolava sulla terra.
La vista così come l'udito di Simone erano così sviluppati da riuscire a distinguerlo anche se si trovava alla punta opposta del campo.
Quello strano essere misto a un elfo, misto a un orco.

Sarà mai possibile...

Del sangue nero gli schizzò dritto in faccia mentre infilzava il petto di un altro mostro.
Simone provò a pensare a ciò che gli aveva detto quel bambino al villaggio di pescatori.

Simone avanzò senza timore, Neve lo aiutò disarcionando l'avanzata di due orchi minori e fetidi grazie a un impennata sulle sue zampe.

Quello diede modo al principe di guadagnare un po' di tempo.
Si spostò all'estremità a destra, cercando di non intralciare gli altri soldati.

L'orco alto, robusto, dall'altezza di un elfo o quasi, era dotato di capelli neri e lunghi.
Gli sembrava che i suoi occhi fossero gii unici che si salvano in mezzo a delle orecchie a mezza punta. Il volto era schiacciato, vestiva una cicatrice lungo la guancia sinistra come se fosse una spira, di colore grigio-violaceo che gli deturpava la pelle. O almeno così gli sembrò: quella bestia spostò lo sguardo su di lui senza che nemmeno si accorgesse.

Si sentì ardere di inquietudine.

Cosa diamine sei tu, pensò.

Simone sviò l'attenzione solo perché venne richiamato all'ordine e un orco stava puntando contro la sua stessa cavalla.

Recise il collo di un orco, il sangue schizzò fuori, sporcò l'armatura e dalla sua bocca uscì fuori un inaspettato grugnito soddisfatto.
Si guardò attorno di nuovo. Simone muoveva il braccio come se la spada ormai fosse parte del suo corpo. In fondo era come se avesse la potenza di dieci archi tutti condensati sull'elsa del suo elemento.
Vide la traiettoria delle frecce che scorrevano veloci.
E scosso da dentro come da un terremoto, spronato dalle urla dei suoi, reggeva una mano alla corda della sua collana per un secondo solo, prima di riprendere e colpire ancora.
E ancora.

Il ritmo incalzava, raddoppiava, diventava confuso e sordo, caotico.

Ringraziò sua madre per essergli vicino, ringraziò Nathan per essersi sacrificato, ringraziò l'amore che era venuto ancora una volta in suo soccorso quando credeva che non lo avrebbe più avuto, ringraziò di essere vivo e lucido in mezzo alla gente che stava cercando di sconfiggere.

Poi un boato.

Un rombo che fuoriusciva dalle labbra deformi e un ghigno.

Simone fece girare il cavallo, l'orecchio destro a punta teso.

Aveva un'arma simile a una mazza chiodata e avanzava quatto e indisturbato alle spalle di un soldato. Aveva trovato campo libero e sgombro, il soldato era impegnato a fare fuori un altro suo compagno, quale momento più ideale.

La paura gli montò come calci in petto, Simone riconobbe il suo cavallo.

Se fosse ritornato a settimane prima, avrebbe sicuramente avuto paura.
Adesso, no.
Adesso aveva un altro motivo oltre la sua terra per combattere.

L'elfo si precipitò senza esitare, sguainò la spada e gli fracassò la testa e di conseguenza il cranio.
La visione e l'impatto gli diedero la nausea per pochi secondi: l'orco cadde faccia a terra, la mazza scansò per poco la zampa del cavallo nero.

Manuel si voltò seguendo il nitrito acuto e il movimento dettato dal corpo di Maximus. 

Osservò il cadavere a terra e risalì con lo sguardo nelle pozze scure di Simone.
Ritrovò tutto quello che mancava dentro una situazione come quella.

La calma, la pace, la forza.

In quel momento la guerra sembrò fermarsi per un istante, come al rallentatore, sfibrando il tempo.
Lo avevano appena reso nullo.

Simone annuì verso di Manuel, senza dire nulla.

In apparenza l'immagine di due poli opposti, dentro fatti dello stesso cuore.

Il sollievo si manifestò con la ripresa del suo fiato non indifferente.

Manuel, ripetè il gesto, quindi: spada che si batteva il petto, cuore all'impazzata.

Grazie, Simone.

Riprese a combattere passandogli di fianco a galoppo.

Simone fece lo stesso.

Attento a non farti colpire, amore mio.

Riprendeva pian piano il ritmo della battaglia e lo osservava combattere seppur con la coda dell'occhio.

Simone realizzò che non aveva potuto dirgli come si era sentito sollevato il giorno prima.

Riprendeva così vigile, attento, pauroso di perderlo.

Quell'uomo scattava avanti e indietro senza timore e più carico di prima, invece.

 

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Capitolo 20
*** Richiami Notturni ***








Laer

Estate di molti anni prima.





 

« Mamma, dove stiamo andando? »

Simone chiese con quel piglio di curiosità fulminante, mentre muoveva le gambe in avanti, tenendosi al dito di Cora. L'altra mano era ferma sugli occhi, come gli aveva detto di fare sua madre.

« Vedrai, tu non sbirciare. »

Non sapeva esattamente il colore del cielo, erano usciti per raccogliere le more, agosto era il mese ideale per dare sfogo ai dolci o alla marmellata che sua madre usava preparargli con l'aiuto sapiente ed espero di Ingrid, una curatrice del posto che visitava il palazzo almeno due volte a settimana.

« Mamma però fa caldo, quando torniamo a casa? »

« So che sei ansioso, ma ne varrà la pena. »

« Mamma, cosa significa essere ansioso? »
Cora ridacchiò sonora per quel mondo di perché che costellava le sue giornate, le sue risposte a tavola con Elrohir e le sue richieste più acute.

« Te lo spiegherò una volta tornati a casa.»

Una volta arrivati sul posto si accovacciò dietro Simone reggendogli i fianchi.

« Ecco, ora puoi guardare. »

Il piccolo elfo aprì gli occhi, incontrando una radura con una distesa di acqua appena toccata dalla luce del sole, a riflettercisi dentro.
Prendeva un colore strano sull'aranciato e il giallo, innaturale, ma non per questo meno d'effetto. Non un filo di vento mosse il pelo della superficie del lago. Si chiese come mai non aveva mai visto un posto del genere vicino casa e come mai ci fossero arrivati proprio dopo aver passato due ore a raccogliere la frutta.

« Prima di tornare, possiamo farci un bagno per rinfrescarci un po' stellina mia, che dici? »

Il cesto con le more venne messo al sicuro sotto le radici di un albero, con un panno pulito che Cora tirò fuori dalla tasca della veste lunga, color prugna.

« Nel lago?» fece eco Simone incerto.

Cora si liberò della veste pesante, lasciando solo la sottana di lino, ricamata sul davanti.

« Non dirmi che hai paura. »

Il piccolo elfo restrinse le labbra. Un piede scavò con indosso quella scarpa fina e intrecciata sulla punta, quasi dentro la terra.

« Un po' sì.» mormorò incerto.

Cora si mosse appena per guardarlo meglio in viso.

« Simone, hai cinque anni ormai » disse dolce e armoniosa, l'eco di un canto da una semplice bocca umana « è giusto che prima o poi tu impari a nuotare. Così come ad usare l'arco o a leggere.»

Simone annuì incerto e avanzando verso l'erba umida, si accovacciò sfiorando l'acqua con una, tre, poi tutte le dita.

« E se non imparo oggi? »

Cora scrollò le spalle.

« Ci riproveremo un altro giorno. »

« E se papà non vuole?»

Sua madre sospirò premurosa.

« Papà non se ne accorgerà nemmeno,» Cora si accovacciò accarezzando Simone sulla testa, a più riprese « ci asciugheremo per bene lungo il tragitto. Sarà facile. E poi sono sicura che sarebbe solo contento se tu ci provassi.»

Sua madre poi si mise davanti a suo figlio e gli tese la mano. Simone giocò con alcune delle dita nervoso.

« Ma è alta! E sembra profonda...e se poi non risalgo su-»

« Non accadrà. Ti terrò tutto il tempo io e ti mostrerò come si fa.»

Lo aiutò a togliersi la piccola tunica madida di sudore, i ricci scombinati in mezzo alla punta delle orecchie fecero sorridere di cuore Cora e gli depositò un bacio sulla punta del naso prima di togliergli anche le scarpe. Una volta che Cora lo prese in braccio e si inoltrò nell'acqua, la prima cosa che Simone pensò era che non si sarebbe dimenticato certo quel momento.
Si teneva stretto a sua madre per i primi istanti, nel braccia erano ancorate al suo collo, respirava il suo profumo alla lavanda.

Non c'era bisogno che suo figlio le chiedesse nient'altro: si fidò come si fida la pioggia d'autunno e come la neve si fa spazio nel gelido d'inverno.

Simone non si sarebbe dimenticato il momento preciso in cui piano piano, sua madre dopo che ebbe preso confidenza con quel nuovo elemento, lo lasciava vibrare tra le sue braccia, creando una specie di dondolio fatto d'acqua sotto il suo corpo.

« Ti piace? »

Simone sorrise a poco a poco.

« Mh-mh »

Continuava quel movimento, fino a quando Cora non percepì Simone sciogliersi di più e allargare le gambe con naturalezza, arrendendosi alla pace.

« Allarga anche le braccia Simone, non succede nulla. Galleggerai. »

Simone si lasciò fluttuare, sua madre gli teneva la schiena con una mano e gli bagnava i capelli non toccati dall'acqua con l'altra.

« Mamma da qui vedo il sole. » disse entusiasta, come se fosse una sorpresa.

Cora gli baciò la fronte veloce.

« Ti senti un po' meglio? »

« Fa... fa meno caldo. » borbottò. Cora scoppiò in una piccola risata. « Ma anche a casa abbiamo l'acqua, in vasca. »

« Sì è vero, ma non vedi nulla da lì, mi stai dicendo che preferisci il soffitto, stellina? »

Simone negò con la testa e un raggio di luce si posò sulla pelle lattea e candida. Se non fosse stato per la presenza di qualche neo, preso da lei, Cora avrebbe dubitato fosse figlio suo. Aveva la mascella del padre e i ricci di entrambi, la timidezza di un fiore che sbocciava tardivo. Sperava che non avrebbe mai perso la curiosità con cui guardava il mondo.

«Mi piace stare così... » mormorò Simone con un filo di voce.

« Quando te la senti, stellina, io ti lascerò andare e tu dovrai muovere i piedi e le braccia forte, non importa se non ce la fai al primo tentativo » mormorò affettuosa « ci sarò io a prenderti e ricominceremo daccapo. »

Il piccolo elfo si portò una mano sulla pancia. Vedeva l'unico pezzo di stoffa galleggiare con lui, i piedi a mollo e sentiva il respiro lento dell'acqua e la frescura sulla pelle.

« Adesso? »

« Non c'è fretta, Simone » gli occhi marroni di Cora si accesero di cura e gentilezza « prenditi tutto il tempo che ti serve, fallo solo quando ti sentirai pronto. »

Il bambino storse la bocca insicuro ma annuì comunque al sorriso tranquillo di Cora.
Se c'era quello a sostenerlo, c'era tutto. Poteva fare ogni cosa.

« E quando ci riuscirò diventerò come l'acqua, mamma? »

Simone mosse il pelo immobile dell'acqua nel silenzio, aspettando che sua madre rispondesse.

« Simone tu puoi diventare tutto ciò che vuoi, se davvero lo desideri. »

Poi Simone mollò la presa e provò a galleggiare.

Cora lo prese in giro teneramente e lo incoraggiò allo stesso tempo.

« Ricorda solo che se fossi davvero acqua scivoleresti da via me. E non lo vorrei. Fammi vedere, ora, su. »


 

 

**




 

Manuel spostava la fiamma del fuoco con un piccolo tozzo di legno da un bel po'. 
Rimaneva da solo vicino al focolare, seduto sull'erba, dato che tutti erano andati a dormire da almeno una decina di minuti. Elvira gli aveva chiesto di di restare, ma lui le aveva chiesto di restare da solo.
Insonnia, aveva risposto, la sua solita bestia.
Quindi, l'elfo, lo vedeva, affacciato dalla tenda. E quel poco bastò per intervenire.
Simone spostò quel lembo e con le mani in grembo, si avvicinò a passo leggero ma non lento. Un'altra spira di fumo si levò in alto dai tizzoni.

« Dovresti riposare un po'.»

Manuel strinse quella mano improvvisa ma piacevole sulla sua spalla.

« Simone... »

Abbandonò il tozzo di legno da una parte, sospirò. L'elfo lo sentì fin troppo assente, così, gli alzò il mento con la mano libera.

« Stavo per raggiungerti ma mi sono voluto fermare un altro poco... e non mi sono reso conto del tempo che passava.»

« Lo scontro è finito ma tu sembri ancora sul campo da battaglia. Il sonno non è una cosa da sottovalutare. » sussurrò come una carezza.

Manuel seguì i suoi occhi, sorrise un poco e poi ricadde con la bocca dentro la sua mano.

« Non c'è bisogno di giustificarti, sai bene che ti avrei aspettato comunque. »

Il respiro caldo e la punta del suo naso appena più fredda crearono un contrasto forte contro la sua pelle.

« Anche volendo, adesso, non credo riuscirei a dormire. »

L'elfo si incupì sotto quel tono striminzito, lontano. Immaginava che il suo pensiero fosse rivolto ancora al compagno perduto, alla sensazione che potesse sentirsi in qualche modo in difetto per essere ancora in vita e l'altro no. Così, si lasciò baciare il palmo interno della mano ma non accettava affatto di dover stare ad aspettare e stare con le mani in mano senza intervenire sul suo umore.

« Meleth nîn, che succede? »

« Mi sono distratto sul campo, non è da me. » mormorò incurvando le labbra in una storia e prima che Simone potesse dirgli altro, Manuel continuò, abbozzò un sorriso sghembo e fiero che spense il suo preoccupante silenzio per un momento. « Per fortuna hai degli ottimi riflessi. »

Simone sorrise, un solo angolo della bocca sollevato.

« Ho imparato dal soldato migliore. » commentò.

Simone gli rialzò con dolcezza il viso che si era abbassato a guardare a terra. « E capita anche a loro di non prestare attenzione, a volte. Questo però non li rende meno preparati, nè sminuisce le loro capacità. »

Li rende solo umani, commentò poi senza farsi sentire, nella sua testa.

Manuel annuì veloce. Simone gli accarezzò i capelli salendo con la mano e quello chiuse gli occhi, rilassandosi quasi.
Si illuminò poi, in un'idea, mentre lasciava che il focolare si spegnesse e che Manuel non ritornasse a torturare quella fiamma morente, abbandonarsi a una notte scura, dove la luna non poteva essere vista da quella visuale.
Simone afferrò la sua mano, strisciando veloce lungo il braccio.

« Vieni con me. E non in tenda. »

Manuel si guardò attorno. Alzò le sopracciglia.

« Una passeggiata? »

« È strano vederti così curioso, ma no. »

Manuel corrugò la fronte confuso.

« E dove vuoi portarmi, di preciso? »

Simone gli sorrise calorosamente.
Sentì il petto invaso di amore, la confidenza che aveva di sè nuova e giusta.

« Dormono già tutti, tu solo... » distese tutte le dita verso di lui « vieni con me, Manuel. » ripeté.

Lo ammaliò con quegli occhi grandi, scuri e buoni, intenzionati solo a fare del bene.
Sembrò passargli addosso un vento caldo e gentile nonostante l'aria fosse ferma. Manuel si tenne alla sua presa e facendo leva su entrambe le gambe si alzò dall'erba.

« A titolo informativo se me lo chiedi, Maximus e Neve, non so dove siano. »

Simone fece finta di guardarsi intorno, a destra, a sinistra. Finse preoccupazione inizialmente, poi si sciolse in una scrollata di spalle.

« Avranno le loro ragioni, ma non credo sentiranno la nostra mancanza per questa volta. »

Si girò, tenendo Manuel per mano, cominciarono a camminare nella notte.

« Sento un pizzico di sollievo nella tua voce o sbaglio? »

« Non sprecare fiato inutilmente, soldato » l'elfo spostò il ramo di un albero fin troppo basso davanti a loro « so che ne sei felice anche tu. »

Manuel nise su una delle sue smorfie.

« Di sicuro Maximus sarà al settimo cielo.»

« Giusto, non ha me a tenerlo d'occhio e a riprenderlo! »

« Mi chiedo perché stai rinunciando alla tua calda tenda, avvolti nel tuo mantello...» continuò con quel teatrino abbassando la voce. Simone si voltò giusto il tempo di catturare quello sguardo.

« Non ti fidi? »

« Mi fido! Ma se magari mi dicessi dove stiamo andando senza fare il misterioso, ne sarei molto più felice... »

« Manuel Ferro, » Simone fu diplomatico, aggirando altri alberi davanti a loro « per una volta come me, adesso, non farti domande. Svuota la testa. »

Manuel sospirò ondeggiando con la testa. A poco a poco, trasportato chissà dove dall'altro, un sorriso si affacciò sempre più largo sollevando la pesantezza che si faceva più fosca nella testa e quella che in piccola parte, gli pesava sul petto.
Quando Simone capì che erano arrivati, si voltò verso di lui e coprì i suoi occhi con una mano.

« Tienili chiusi.»

« Principe, ma quanto mistero, cosa nascondi-» mormorò cercando di scacciarla.

L'elfo prese coraggio e puntò un dito sul suo petto.

« Chiusi. » ripeté.

Manuel lo afferrò per la vita con una mano, lo recitò quasi: « Come volete. »

Simone lasciò un bacio sulla sua guancia prima di sganciarsi dalla sua presa. Cominciò a spogliarsi tenendo d'occhio l'altro immobile e a braccia conserte sulla piccola insenatura di erba, terra e roccia. Non era lo stesso posto suo e di sua madre, ma pensò che andasse bene lo stesso.
Non era tanto il posto ad essere speciale, ma le persone che lo vivevano.
Una volta rimasto senza nulla addosso, Simone si immerse nell'acqua del lago e si girò una volta arrivato quasi a metà. Il suo corpo nudo nell'acqua gli era mancato molto più di quanto potesse ricordare.

« Puoi aprirli! » gridò Simone.

La luna si specchiava nell'acqua nera, colore della pace ma sapeva fosse solo l'effetto della notte a darle quel colore. Era bella anche a quel modo.
Soprattutto quella seconda fonte luminosa che le dava ancora più bellezza.
Gli occhi non lo ingannarono, perché Simone sembrava l'unica cosa insieme alla sfera bianca in alto a quel manto scuro, a portare luce in mezzo a quella natura ombrosa e affascinante.

« Che stai facendo? Simone, sarà gelata

« In realtà non tanto e poi farsi un bagno senza nessuno a disturbare è una rarità, sai? » commentò.

Manuel osservò i vestiti buttati in un angolo. Un dejavù quella figura così tanto simile a quella che aveva visto poco tempo fa, con la luce del giorno.

« Sei un pazzo! » alzò la voce e l'elfo in risposta rise e si immerse nell'acqua scomparendo.

Riemerse poco dopo, rugiada fresca scivolava quasi sulla sua pelle. Il collo scompariva sotto il pelo dell'acqua e le orecchie spuntavano prima dei capelli bagnati.

Mordicchiò il labbro inferiore pur sapendo che Manuel non poteva notare anche quel particolare.
Simone mosse le braccia in acqua, quasi a creare un arco che lo accogliesse.

« Su, Manuel, ti aspetto! »

Non sapeva dove aveva lasciato il pudore, mentre spiava con quegli occhi e il mento bagnato, immerso nell'acqua, quell'uomo privarsi di ogni strato, indumento di troppo. Forse era così che poteva definire l'attrazione per qualcuno: una specie di gancio invisibile che si ancorava saldo e fisso a qualcun'altro. Vedeva le cicatrici più nitide una volta che le cosce e poi il busto di Manuel cominciarono a scomparire sotto l'acqua. La freddezza della luna metteva in mostra i suoi occhi miele.

« È un po' fredda » disse appena lo raggiunse, i ricci ormai lunghi toccavano quasi le spalle furono i primi a bagnarsi « però è...» Manuel prese le mani di Simone e si abbassò con il corpo in acqua « piacevole. »

Simone gli prese poi il viso tra le mani. Un sorriso gentile e le mani di Manuel invece, si avvinghiarono di conseguenza ai suoi fianchi sott'acqua.

« È una cosa che fai spesso? Il bagno di notte, intendo... »

Simone annuì.

« Ero abituato da piccolo, non sempre la sera » sussurrò con un po' di malinconia « mi faceva sentire bene. Poi non so perché, ho smesso. »

Per mamma, in realtà.

Spostarono l'acqua appena, avvolti in quell'abbraccio galleggiante. Simone segnò lo zigomo del soldato con un pollice, Manuel girò il viso e ne baciò lentamente la pelle sulla punta.

« Perché mi hai portato qui? »

Perché ne hai bisogno.

« Distenditi, per favore. » gli ordinò soffice.

Manuel lo guardò confuso come prima, Simone accarezzò le sue tempie bagnandole con l'acqua.

« Hai detto che ti fidi di me, » soffiò fuori più netto « distenditi sul pelo dell'acqua, su. »

Manuel allora si mosse nell'acqua facendo come gli aveva consigliato, mentre le braccia di Simone percorrevano il suo addome e tenevano presente della leggera tensione presente del suo corpo.

« Rilassati, mh? »

Accarezzò le sue braccia sopra l'acqua e poi lasciò che le mani si posassero dietro la sua schiena. Lo avvolse come ricordava facesse sua madre e lentamente, creò un movimento di dondolio del suo corpo sul pelo dell'acqua. Sembrava una specie di rito tutto dedicato a lui, sussurrato, pacato, pacifico. L'elfo sussurrò qualcosa che Manuel non afferrò fino a quando non riuscì a tradurre l'unica cosa che riconosceva.

« Amore mio »

Manuel avrebbe voluto chiudere gli occhi ma l'immagine di Simone che danzava quasi, leggero ma con il peso del suo corpo così vicino, sembrava la cosa migliore - oltre che insolita - che avesse mai visto.
Era partecipe di quell'evento speciale. Partecipe di qualcosa di cui non privarsi in una notte d'estate.

« Tutto bene? » lo richiamò poi.

Manuel annuì senza fretta, alzò un braccio dall'acqua e andò a carezzare il collo di Simone.

Quanto sei bello.

Si lasciò fare dondolare spostando l'acqua, il riflesso della luna si frammentava per causa di loro due che ci passavano in mezzo.

« Chi te lo ha insegnato questo? »

Simone inclinò il viso verso la luna.

« Mia madre. »

Gli occhi di Manuel si fecero più vicini, alzò la mano e gli sfiorò la guancia.
Simone sorrise giù, verso l'uomo che si era affidato a lui.

« Mi calmava così, era uno dei suoi tanti modi...ho imparato a nuotare in questo modo, a sentirmi più libero. È strano, lo ricordo fin troppo bene, anche se sembra passata una vita. »

Manuel si diede una spinta con il corpo solo per dargli un bacio bagnato. Simone lo teneva più stretto per paura che il corpo rifuggisse dalla sua presa. Le mani scivolarono più in basso.

Quando l'altro si staccò, a Manuel non sfuggì quel rossore sul bianco candido.
Simone riprese a muoverlo dolcemente, sorridendo da un'altra parte.

« Doveva essere una donna speciale. » sussurrò.

Simone annuì, risucchiò le labbra. « Immagino quasi quanto te...»

L'elfo abbassò lo sguardo.

« Non so, volevo solo...so che non è solo perché hai mancato un orco sul campo se sei teso e distante in questi giorni. Non sapevo come aiutarti e pensavo fosse una buona idea. »

« Simone...»

« So che il pensiero di Nathan è ancora con te » confessò togliendogli le parole di bocca « e che ti senti in colpa perché tu sei ancora qui, sei vivo. »

Manuel corrugò la fronte.

« Simone

« Ma Manuel, è grazie a lui che devo questo momento. E quello di ieri. » riprese senza dargli ascolto, senza cambiare il flebile tono di voce « E quello di domani e dopo ancora... lui vorrebbe di certo tu continuassi a vivere.»

Manuel si trincerò in un piccolo silenzio dove il volto di Simone era ormai fisso sull'acqua, incapace di guardarlo. « Scusa, non dovevo buttarti tutto addosso-»

Manuel si mosse con le gambe per spostarsi nell'acqua, ne sollevò abbastanza da creare un'onda evidente: si sentiva impotente a non poterlo toccare nè sfiorare, soprattutto dopo la distanza che gli aveva fatto percepire.

« Tu non devi scusarti di nulla. » le mani tenevano la testa dell'elfo, gli occhi non gli lasciavano respiro « hai fatto molto di più, hai cantato per lui, gli hai dato dignità cercando di dargli qualcosa di simile a un funerale. Non hai cercato di forzarmi. Mi hai portato qui.
Non dire che non hai fatto nulla, ti prego. »

Poggiò la sua fronte alla sua, Simone teneva incerte le braccia dietro la sua nuca.
Connessi nel silenzio totale. Si premurò di non lasciare Simone neanche un secondo con lo sguardo.

« Sai cosa ho pensato quando Nathan mi ha confessato di Elvira? Ho pensato che avrei voluto dirgli di noi, che se noi ce la avevamo fatta, » spiegò colpevole e amaro « avrebbero potuto anche loro. »

Manuel.

« Mi sento in colpa perché era ancora in tempo, perché lui questo non ha potuto riceverlo, non ha potuto viverlo. »

Simone annuì senza sapere come rispondere.
Non poteva senza rischiare di risultare falso.
Era vero, la vita del suo compagno se ne era andata prima di capire cosa significasse stare con qualcuno che ricambiava il tuo stesso sentimento.

« È stato gentile con me, » spezzò poi, come a disagio « quella sera. »

« Gli sono grato, ma fa male sapere che avrebbe potuto avere di più. »

Simone rilasciò la presa per scacciare una lacrima che si confondeva con l'acqua.

« Io credo, che continuerà a vivere in te. Dovunque lui sia, Manuel. Il bene che gli vuoi è lecito, non se ne è andato davvero fin quando è qua. » spostò le dita sul suo cuore.

Sapeva che non stava parlando solo di Nathan in quel momento.
Manuel intuiva che ci fosse dell'altro anche se Simone non voleva dirgli di più. Desiderava si liberasse ma non lo avrebbe costretto a farlo, non quando l'argomento era cambiato così rapidamente.
Non quando ne stavano parlando davvero per la prima volta.

Manuel lo abbracciò, lo teneva per schiena, le mani bagnate stringevano, senza replicare e Simone sentì le ginocchia di colpo un po' più pesanti così piegò una delle gambe attorno al corpo dell'altro.

« Non so come avrebbe potuto prendere la notizia di te e me, ma so solo che lo ringrazierò sempre per avermi permesso di stare ancora qui, di guardarti, di farti stare bene, di sentirmi bene. »

Simone.

Manuel lo baciò sugli occhi serrati. "Basta così" mormorò a più riprese. Catturò le sue labbra come si raccoglieva un fiore senza strapparne via un solo petalo. Era lì a cuore aperto e lui aveva quasi spento la sua luna. Riprese a baciarlo.

Manuel si distese di nuovo sull'acqua senza staccargli gli occhi di dosso.

« Puoi...? » chiese.

« Ti sta piacendo quindi. »

Manuel ammise il tutto con un sorriso appagato.

« Molto. »

Simone sospirò più leggero.
Sollevò dell'acqua e bagnò i capelli di Manuel sulla fronte, portandoglieli indietro. Quello sorrise appena, intenerito da quel gesto materno.

« Credo di essere in paradiso. » borbottò trasognato.

L'elfo rise sconfitto.

« Non scherzare su queste cose. »

Simone continuò a spostare qualche suo riccio ostinato, liberandogli la fronte. Se il paradiso fosse davvero stato come lo raccontavano i suoi simili, avrebbe preferito rinnegare quell'immaginario per crearne uno nuovo, uno con Manuel.

« Nessuno scherzo... ti va di dirmi di cosa parlava la canzone che hai cantato il giorno del funerale? »

L'elfo serrò le labbra.

« Non è una bella storia...»

Gli occhi sinceri, di forma spiovente, sotto le lunghe ciglia ora umide.

« Solo se ti va.»

Simone allargò il petto, prese un respiro profondo.

« Nienor, era una fanciulla, apparteneva a una casata importante di elfi, gli Hador. La leggenda racconta che suo fratello era comparso lei e le sue truppe cominciarono a cercarlo, imbattendosi in un drago. Questo lanciò loro un incantesimo e Nienor si dimenticò chi fosse e chi era suo fratello. » forse quella era l'unica storia che non avrebbe voluto raccontargli, l'unica che ricordava finisse male. L'unica che ricordava perchè la aveva sentita solo ad un altro funerale. « Così, soccorsa, trovò rifugio presso altri uomini e caso volle che lo avesse fatto anche Turin, suo fratello. Non riconoscendosi, Nienor e Turin si innamorarono e si sposarono. Ma quando Nienor venne liberata dal maleficio e riacquistò la memoria, si suicidò per la notizia. »

Manuel annuì lentamente, abbassando lo sguardo. Giocò con una goccia scivolata sulla sua spalla che sporgeva dall'acqua « Sembra fatto apposta ma in lingua, il suo nome significa proprio lutto. »

Notando ancora l'uomo nel silenzio, Simone cercò di dire qualcos'altro.

« È l'unica canzone che conoscevo per l'occasione... » mormorò sconfortato. Pensò a come sua madre non gli lasciasse mai una sensazione così dolceamara in corpo. « Volevo distrarti e invece stiamo parlando di morte. »

« Simone, » per lui fu come svegliarsi da un torpore lento e che privava di forze, quando finalmente Maneul parlò « tu mi stai distraendo. Parlarne o anche stare in silenzio, mi aiuta. Non vorrei essere da nessun'altra parte, sono qua con te. »

Si lasciò andare, aggrappandosi a lui con entrambe le braccia al suo collo, come fosse un bambino. Quell'universo era la loro culla, Simone era a capo di quella giostra d'acqua, la luna gli baciava il viso, proiettava il suo bagliore su di lui come fosse la cosa più bella e triste della natura, adesso.

« Manuel, baciami e basta, ti prego-» supplicò.

Manuel lo tirò a sè senza delicatezza alcuna questa volta, la mano bagnata sarebbe potuta scivolare sulla sua nuca, ma fu forte e salda invece: era la dimostrazione che la notte poteva solo essere spettatrice di un sentimento puro e sincero.

 

**

 

I capelli le si erano schiacciati da una parte creandole per metà delle ciocche una forma quasi simile ad un uncino.
Si era addormentata quasi subito e si era svegliata nel cuore della notte, nel buio della tenda.
Elvira si sistemò meglio le ciocche con la mano, e si dedicò seppur a tentoni nella ricerca della sua spazzola dentro il piccolo sacco telato.
Una volta seduta sulla brandina, mentre spazzolava, si ritrovò in visuale quell'altra vuota di fronte.
Pensò che a Manuel quei capelli schiacciati non avrebbero mai dato fastidio: era pur sempre un uomo.
Incurvò la bocca, chiedendosi se anche quella notte il suo compagno di tenda fosse stato disturbato dal suono notturno che non riusciva a controllare e di cui non poteva accorgersi.
Era voluto rimanere da solo dopo cena, lei aveva insistito, ma non era servito pressoché a nulla.
D'altra parte, dalla morte di Nathan erano quasi un po' tutti con la testa da un'altra parte.

Lei compresa, dopo quello che era venuta a sapere, non era sicura della vita. Vita che aveva dedicato in parte alla guerra, a coltivare e far crescere la sua forza. Vita che per una come lei, aveva già scartato gli uomini, desiderando sempre di tenerli lontani.

Elvira passò più volte i denti della spazzola sui suoi capelli e una volta soddisfatta, si portò la borraccia di cuoio alla bocca.
Sentiva la bocca arsa, secca. Provò a bere ma notò che la sacca era vuota.
Sospirò stancamente e piano si portò fuori dalla calda coperta, in camicia da notte fatta da una maglia di lino un po' stretta svasata sulle maniche e che la copriva quasi fino al collo rigorosamente infilata dentro dei pantaloni più liberi che le permettevano il movimento.
Appena mise i suoi piedi fuori dalla tenda, visualizzò la tinozza proprio a pochi metri.
Ci guardò dentro e ringraziò di trovarla semi piena, in modo da non doversi spostare e andarla a recuperare vicino a qualche fiume nei dintorni.
Avrebbe potuto, perché non temeva assolutamente di difendersi portando il suo pugnale preferito intagliato o il suo falcione contro qualche avversario.
L'unica cosa che le dava fastidio era l'aria già diversa: il fresco era più pungente, quella sera.
Così con una mano, Elvira trascinò la bocchetta della borraccia dentro la tinozza e la tirò fuori solo quando intravide delle bollicine fuoriuscire che ne testimoniavano la pienezza.

Bevve i primi due sorsi con avidità, tanto che si pulì il mento bagnato con il polso della mano. Sembrava proprio lei quel  fiume a cui aveva pensato prima, vuotato della sete, arso.
Si girò verso quello spazio vuoto attorno: nessuna traccia di Manuel.
E di Maximus nemmeno l'ombra.

Elvira portò una mano sul fianco, si massaggiò una tempia. Avrebbe dovuto filare a dormire, per evitarsi un possibile mal di testa.
Non riusciva però a capacitarsi della continua assenza dell'amico.

Chissà cosa mi nascondi.

Continuò quindi a bere dalla borraccia spostando lo sguardo, sfiorò la base della tenda e la sua consistenza, cercando di ricordare come riprendere a dormire senza continuare a spostare il pensiero su come Manuel preferisse le passeggiate notturne in solitaria, soffrire, piuttosto che confidarsi con lei.

Poi un rumore la mise in allerta.

Elvira chiuse veloce la borraccia legandola con il suo laccio. I piedi saettarono pronti e guizzanti, in avanti, come quando sul campo si trovava un avversario.
Spalancò gli occhi e guardò bene per capire da dove potesse provenire la fonte del rumore: erano risate soffocate, ma non le sfuggirono comunque.

Quelle risate che sapevano di divertimento e rilassatezza erano vestite da due sagome.
Osservò le due figure nell'ombra che andavano sempre più definendosi man mano che si avvicinavano al campo. La più piccola - così sembrava - cercava di afferrare quella più alta finendogli tutto tranne che per gioco, addosso.
Elvira bevve un altro piccolo sorso d'acqua, slegando il nodo senza guardare.
Fu inconfondibile riconoscere il profilo della prima figura.
Il naso, i ricci scompigliati che penzolavano davanti, quei capelli che avevano una vita propria e che non si sarebbe mai curato di rimproverarsi.  
E poi, quando quelle due figure si unirono per baciarsi, Elvira distinse bene anche la seconda, più disinvolta, meno impacciata rispetto a quando la prima aveva fatto la prima mossa.
Alta, fine, elegante.
Ci fece caso per via della punta delle orecchie.

Elvira si costrinse a chiudere la bocca con la mano. E non urlare contro al compagno di tenda per rischio di svegliare il resto dell'accampamento.

Sbarrò gli occhi più volte per esserne sicura, ma non c'era dubbio: una volta che il principe sembrò cedere a Manuel, il quale dava tutta l'impressione di essersi dimenticato dove si trovavano -, lo prese per mano ed entrarono nella sua tenda, scomparendo davanti alla sua scoperta.

« Eccolo qua il tuo segreto » mormorò la ragazza con una punta di stupire mista a fastidio interno.







 

Simone ripensò a ciò che era uscito dalla bocca di Ronan vicino al fuoco a cena, restando lì muto, con la testa sulla spalla di Manuel. Nel rumore dei loro respiri e dei corpi ormai tiepidi vicini, bisognosi di riscaldarsi dopo la frescura presa al lago.
Ringraziò che gli fosse venuto in mente un argomento diverso di cui parlare, adesso.
La sua curiosità si faceva vivace intorno a ciò che riguardava gli umani. Così, quella vinse il silenzio dentro la tenda.

« Quella parola..."scopare", che significa? »

Simone disse all'improvviso, curioso e arricciando il naso.
Le dita di Manuel gli accarezzavano molli e lente il fianco e i suoi occhi saettarono dentro ai suoi perché l'elfo aveva alzato appena il mento e li aveva appena incontrati.

« È stato Ronan. Non... non la avevo mai sentita prima di stasera a cena. »

Manuel sospirò, rinunciava ad uno sguardo perplesso e abbozzava un micro sorriso, percorse poi il suo zigomo bianco e liscio con un pollice.

« Davvero? »

Simone in tutta la sua vita, giurava di non ricordare un momento o episodio in cui qualcuno fuori da palazzo avesse usato un termine simile.
Forse non poi così difficile immaginare il perché visto che tra gli elfi non era qualcosa che si diceva ad alta voce se pensava facesse parte di un particolare argomento.
Forse perché il loro linguaggio non si era mai mischiato a quello umano e sua madre, tendeva spesso a chiudergli quel mondo quando poteva proprio per proteggerlo.
Se mai avessero usato termini simili, si sarebbe ribaltata la virtù principale: ne risentiva della morale e dell'integrità, cose che invece, ricordava di avere sentito ripetere spesso a suo padre.

« Non ho o almeno non credo di aver mai sentito un elfo pronunciarla. » disse sincero, una smorfia appena timida.

Manuel lo guardava sottecchi, Simone sviò il suo.

« Se si tratta di qualcosa che ha a che fare col sesso, per noi elfi è un avaquetima, cioè un tabù parlarne...è anche per questo che sto imparando tutto adesso. Sono piuttosto tardo. »

Il soldato restò in silenzio giusto il tempo per guardarlo più intensamente, lasciarsi qualche secondo in più per studiarlo.

« Sei proprio adorabile. » borbottò Manuel.

Simone insistette e roteò gli occhi.

« Non cambiare discorso, quindi che vuol dire? »

Manuel annuì e continuò.

« Quella parola significa in modo poco educato ed elegante, "andare a letto con qualcuno". »

« Oh, mh, » realizzò illuminandosi « immaginavo, ma quindi-»

« Fammi finire » Manuel lo fermò dolcemente « significa andare a letto con qualcuno ma quasi sempre occasionalmente, senza provare nulla, giusto per divertirsi. Non è un caso che tu la abbia sentita da Ronan, d'altra parte. »

Oh.

« C'è tuttavia, chi lo usa anche per intendere il contrario, ma mi piace pensare che sono rari i casi in cui venga usata davvero in quel senso. Nel senso giusto, voglio dire. » chiarì concludendo.

Poi Simone spostò la sua punta del naso sulla sua, sospirando sollevato. Prima che il petto del soldato lo accogliesse di nuovo, con le labbra pronte, ci lasciò un bacio sopra.

« Non ci riguarda proprio allora, » mormorò sereno « perché noi facciamo l'amore. »

Manuel gli sfiorava i riccioli con la punta del naso.

« Non ne parlate mai ma ci sarà qualche parola che voi elfi usate per intenderlo, no? »

« Beh non siamo nemmeno dei "santi", il nostro popolo procrea... e l'arrivo di nuove vite non di certo miracoloso. » l'altro rise per il tono dimesso che aveva appena usato, Simone continuò a spiegare « solo che nella nostra cultura è tutto molto segreto da quel punto di vista, persiste credere che il valore e la morale di un individuo all'interno dell'intera comunità vengano meno se si mettono in piazza pubblica certe cose. Ma sì, qualche parola esiste.»

Simone cercò di ricordare bene dai libri che teneva nella sua stanza tutto ciò che riguardasse l'argomento: libri per lo più proibiti e che aveva recuperato da luoghi che non era dato sapere.

« Come dei conservatori, quindi. »

Interruppe il filo dei suoi pensieri, facendolo ridere appena.

« Come ho già detto, nel privato è tutto lecito.
Puhtà o púcë è il nostro correlativo per voi uomini. »

Manuel alzò il viso, il collo in torsione.

« "Fare sesso?" »

« Sì, esatto. » buttò fuori aria tiepida, la peluria di Manuel gli solleticava il naso. Era sempre abbastanza unico quando l'altro voleva sapere sulla storia della sua gente.

« Di base, di solito questa parte del rapporto avviene solo quando ci si...corteggia ufficialmente. Quando si è pronti ad impegnarsi, ecco.»

« Prendete tutto più seriamente. »

Simone annuì a più riprese. Non aggiunse la parte in cui di solito, chi veniva scoperto nell'atto, molto spesso era obbligato a sposarsi.
Continuò il discorso.

« Ci sono tante parole, c'è ninniath ad esempio che è gemito. Hach è sedere. » disegnò col pollice dei cerchi immaginari attorno al suo capezzolo, alzò lo sguardo per un secondo e poi lo riabbassò « E poi... c'è questo termine in cui mi rivedo molto, che voi uomini non usereste mai, ma è quello che mi provochi, Manuel: yérë. »

Aumentò di colpo la sua curiosità, come era ogni volta che gli parlava in lingua.
Manuel come sempre concentrato e in ascolto.

« Che significa? »

È così bello, mamma.

Simone provò a immaginare se stesso all'età in cui tutti sperimentavano una relazione o cedevano all'amore, proiettandosi proprio con gli occhi lì, quelli di Manuel, adesso.
Forse avrebbe affrontato quel pezzetto di vita in modo diverso se solo fossero arrivati prima.

« Non credo sia peggio della parola scopare, su-»

« Non ridere, per favore. » lo avvisò.

« Perché mai dovrei farlo?»

« Yérë » pronunciò Simone di nuovo, attento, sollevò il capo dal suo petto puntandoci il mento sopra.

Le guance color fragola sulla pelle bianca. « La traduzione più comune sarebbe desiderio sessuale, ma letteralmente è brivido erotico. »

Simone si aspettava che l'altro scoppiasse in una risata, eppure Manuel non rise affatto. Era già la seconda volta che condivideva il suo mondo, parte di lui e che l'altro gli rispondeva con rispetto e curiosità. Arricciava il naso, nascondendo la supplica.

« Com'è che si dice? »

Simone sfruttò la sua posizione al meglio strisciando quanto bastava sul corpo dell'amato per soffiarglielo addosso.
La collana che gli pendeva dal collo molto simile a un serpente sinuoso ma non velenoso.

« Yérë. » scandì.

Manuel lo ripeté a sua volta, l'elfo annuiva lentamente, un sorriso affiorava sulle sue labbra.
Scontrò le loro labbra a più riprese e stacchi, facendole schioccare più volte e le mani di Manuel si ancorarono salde ai suoi fianchi.

Non vorrei finisse mai questa notte.

« Mi chiedo come una parola che suona così dolce, » mormorò interessato « possa essere tanto sconcia. »

Simone gracchiò in una risata, rompendo la serietà dell'altro. La tenda di colpo coperta di luce anche nel buio.

« Suppongo che siamo esperti a mantenere la nostra parte più colorita rispetto a voi uomini. »

Manuel si segnò la sua fossetta, riusciva a vederla anche in penombra, schiacciargli la guancia.

« Mi trovi erotico, quindi. »

Avrebbe potuto morirci per quel tono serio e basso. Quindi avvampò senza essere visto.

« Non ho mai detto che non lo sei. »

L'indice e il pollice di Manuel giocarono in un attimo tra la clavicola e la sua spalla.

« Ne avrai visti almeno un centinaio di uomini lungo il campo...»

Simone schiacciò la punta del suo naso.

« Hai ragione ma non sei un bell'uomo, Manuel, tu sei il più bello. »

Le sue mani vagarono subito in posti diversi, più un basso.
Se non fosse stato per la sua misera lucidità Simone gli avrebbe permesso di restare con piacere con il suo tocco sulle sue natiche.
Trovò su Manuel un sorriso sghembo a vestirlo.

« Manuel, dobbiamo dormire...»

Sentì la bocca spostarsi, gli baciava la punta dell'orecchio destro, ora.

« Hai sonno? » mormorò.

« Mh mh. »

Raggiunse la bocca di Manuel alzando il viso e premendo le sue labbra su quelle dell'altro.

Nel silenzio di quello sguardo acceso, nel buio che sembrava non avere effetto perché riusciva a vederlo, l'elfo gli depositò poi un bacio sulla fronte e scese dal suo corpo per girarsi su un fianco lungo la brandina e farsi abbracciare da dietro.

« Simone-»

« Il sonno ora arriva, non preoccuparti, soldato » lo prese in giro.

Manuel circondò quel corpo profumato e con una vaga essenza d'acqua addosso, per via del bagno di qualche ora prima, glielo soffiò nel suo orecchio leggero come una brezza tiepida:

« Melin leh »

Testimone di se stesso e del suo corpo, Simone sentì un battito venirgli meno. Si girò lentamente verso l'altro.

« E questo chi te lo ha insegnato? » biascicò.

Manuel assaporò quelle labbra dischiuse.

« Ho chiesto a qualcuno di guardia dei tuoi, qualche sera fa. L'ho pronunciato bene? »

Simone non trovò le parole.
Pensò di voler piangere, ma le lacrime non sarebbero state adatte a una cosa del genere.
Pensò di voler parlare alla luna, in alto a sua madre, ma uscire dalla tenda significava rinunciare al calore del corpo di quell'uomo.
Pensò di voler urlare, ma avrebbe svegliato l'intero campo se lo avesse fatto.

« Melin leh, » ripeté ancora più preciso Manuel, affondò il naso nell'incavo del suo collo « credo sia corretto, no-»

Quindi, non potendo fare nulla delle cose che pensava, Simone agì soltanto.

L'elfo allungò spontaneo e vulnerabile la mano dietro la sua nuca, il braccio piegato. Se lo tirò in un bacio travolgente, così preso dall'impeto che non avvertì nemmeno la fatica della sua lingua che si scontrava nel palato e coi denti dell'altro. Quando l'aria ritornò a fare loro da ostacolo, Simone rispose tutto d'un fiato.

« Ti amo anch'io, Manuel. »

Mamma, lui mi ama.

 

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Capitolo 21
*** Era di silenzi ***


Manuel riuscì ad entrare furtivamente dopo che Simone aveva distratto Amras e lo sentì sospirare una volta entrato dentro la tenda.

« Che avventura ogni volta riuscire ad entrare qua dentro...»

Gli cinse la vita per tenerlo stretto a sé. Simone si mise un dito sulle labbra.

« Sssh, no dhínen! Fai piano. Non penso si sia allontanato ancora... »

La sua schiena contro un petto ansimante, il silenzio profondo dipingeva tensione in tenda. Un altro universo in poche pareti fini di cotone alzate.
Inanimate pareti che vedevano tutto quanto.
L'uomo lo fece dondolare in quella stretta, quasi ballare.
E l'elfo pensò di sollevarsi per un attimo dalla terra, l'idea di una farfalla nella sua testa, forse.

« Ogni volta, ho il battito a mille, ma non vedo l'ora di stare con te.» mormorò.

Manuel prese a strofinare il naso sul suo collo come un cane che ritornava dal padrone.
E Simone sorrise dolce, i suoi occhi diventarono un po' lucidi. Le dita andarono inevitabili fra i suoi capelli in modo meccanico e Manuel odorò il suo profumo.
Il gelsomino un nettare che veniva seguito per la lunghezza della sua pelle esposta; adorava passarci più tempo del dovuto, era diventato l'odore e sapore più buoni che avesse mai provato.
La sua dipendenza al suo passaggio trovò spazio in un bacio, proprio dietro, sulla nuca.

« Manuel » soffiò fuori, la mano tra i suoi capelli si bloccò per un secondo.

L'abbraccio in cui lo teneva avvolto lo rendeva in poco tempo al sicuro da ogni cosa.

« Voglio un po' del mio gelsomino notturno. » soffiò profondo e basso.

Simone respirò male sopra il battito più veloce, si limitò a un piccolo fiato stando al suo stesso gioco.
Si chiese se tutti gli uomini e le donne si scambiassero dei momenti simili in un intreccio di intenti e improvvisi momenti di coraggiosa iniziativa.

« Se lo vuoi, dimmelo in elfico. »

« Devo tradurre letteralmente-»

« Mi basta la prima parte, Manuel.»

Gli aveva elencato nelle loro piccole lezioni i nomi delle piante e di alcuni tipi di frutta, quindi fu normale per l'elfo stare al gioco e al tempo stesso, soddisfare la sua voglia di raccogliere ciò che aveva seminato pronunciato dalla sua voce.
Manuel ci pensò su arricciando le labbra, aggrottando la fronte.
Ricordava vagamente la parola "fiore" perché Simone gli aveva elencato e fatto ripetere alcuni elementi naturali, ma fra quelli non ricordava esattamente come si dicesse gelsomino.
Quindi, improvvisò.

Protese la bocca verso il suo orecchio.

« Chín lyë beinwain lóth »

Tu sei il più bel fiore.

Simone sorrise ampio, chiuse gli occhi.

« "Nimloth" è gelsomino, » lo corresse con la sua solita precisione « ti ringrazio del complimento, ma hai imbrogliato un po' soldato. »

Manuel finse innocenza.

« Perché, io che ho detto? »

« Sai bene ciò che hai detto.»

« Io ho detto solo quello che è vero.»

Sorrise sghembo poi, ma l'altro lo stava già tempestando di baci scoprendo la sulla spalla dalla maglia senza ascoltarlo.

« Sei stato bravo comunque » riuscì in tempo a dirgli, mugolando.

« E sarò ancora più bravo, adesso, principe. »

Il fragore della sua risata lasciva si spense proprio quando Simone si abbandonò nel calore delle braccia di Manuel e cominciarono a vicenda a dedicarsi una serie di baci come se l'aria non fosse un elemento poi di grande necessità.





 

**




 

Manuel stava lavando la maglia e i calzoni dopo un'intera giornata, sembrava l'immagine della tranquillità, visibile soltanto da pochi dettagli: il petto nudo ambrato, i capelli ricci legati da un piccolo laccio prestatogli dalla compagnia di tenda, l'espressione imperturbata. Elvira si affacciò incrociando le braccia al petto, osservando ogni movimento di Manuel mentre tirava su e giù con le mani gli indumenti.

« Sai che ci sono le donne in infermeria per questo, vero? »

« Anche tu ti lavi i tuoi panni da sola, » Manuel scrollò le spalle « non vedo cosa ci sia di male, detto da te poi, è una fatica in meno per loro. »

Elvira roteò gli occhi.

« Ah, sì...certo, eccolo il grande uomo sensibile

Manuel non fece caso al tono ironico e piccato di Elvira, c'era abituato ormai. Ecco perchè, quando non le rispose, non riuscì a prevedere la sua reazione, scatenata da ben altri fattori che l'essere ignorata.
Così, Elvira frugò tra la roba del ragazzo, afferrò la maglia di lino, quella che si allacciava in petto: veniva messa e sfilata da ben tre giorni, senza essere nemmeno una volta, messa all'aria a prendere un altro odore. Gliela lanciò in faccia senza indugiare.

« Ti sei dimenticato di lavare questa! »

Manuel si arrestò nel movimento e veloce si asciugò le mani addosso e afferrò l'indumento.

« Era pulita fino a qualche minuto fa! » si sentì attraversato da due chiodi che ora erano gli occhi dell'amica, appena scostò il lembo della tenda « Elvira, si può sapere che ti prende? »

Elvira si fissò le unghie, in un angolo, per evitare di urlargli contro.

« Non lo so, dimmelo tu. »

Manuel strizzò il primo indumento e lo metteva da parte, appeso a un filo improvvisato che aveva creato al lato esterno della tenda. Sprovvisti di pinze o quant'altro, i loro vestiti rimanevano a gocciolare all'entrata della tenda in modo che il sole ci battesse. Rientrò dentro, Elvira non si era mossa di un centimetro da dove era. Manuel scrollò le spalle.

« Se volevi che facessi il bucato anche a te bastava chiedere! TI ricordo che la razione d'acqua basta per tutti e due.»

« No, la mia roba sicuramente non ne ha bisogno, » la ragazza mosse una mano nell'aria come per cacciare via una ragnatela invisibile « ma a quello di qualcun'altro non hai pensato? Che strano

Manuel si fece serio, corrugò la fronte. Elvira sospirò pesantemente, gli si piazzò proprio di fronte. Usò un tono più piccato di prima.

« Scommetto che al principe non darebbe poi così fastidio visto quanto siete intimi. »

Manuel strizzò gli occhi, raccolse aria nei polmoni e lasciò andare un lungo respiro. Si fronteggiarono per qualche secondo, poi lui si arrese all'evidenza. Sospirò esausto, le nocche per evitare di bagnarsi le braghe, suoi fianchi.

« Da quanto lo sai? »

Elvira cercò in qualche modo di calmare il suo tono di voce ferito.
Più guardava Manuel più provava con ogni fibra della pazienza rimastale a non alterarsi.

« Vi ho visti, l'altra notte. Mi sono alzata per prendere dell'acqua e tu non c'eri. Dio sa dov'era il tuo cavallo. Ma il punto è a che mi stavo preoccupando per te, - di nuovo - e ne ho tutto il diritto perché te ne vai a zonzo nel cuore della notte da settimane dicendo che non riesci a dormire e poi ti diverti a fare pure il "misterioso" a cena. »

« Te lo avrei detto-»

Elvira non lo lasciò nemmeno finire di parlare.

« Dovevo sospettarlo. Avevi detto che ti era passata ma era un'altra balla, ovvio! »  Elvira mise le mani sui fianchi, tesa, in attesa di spiegazioni. « Da quanto va avanti questa storia? »

Manuel percepì tutta quanta la sua furia tenuta a bada.

« Dalla vittoria ad Elkahon, la sera in cui io e i soldati siamo andati a bere e tu sei rimasta al campo con le donne. »

Elvira strabuzzò gli occhi, poi portò una mano sulla fronte. Poi in uno scatto avrebbe voluto pestarlo, tirargli le orecchie, urlargli che quella famosa sera si era nuovamente preoccupata per lui perché i compagni le avevano detto che si era ritirato prima dai festeggiamenti. E lei era andata oltre, ma sapeva che avrebbe dovuto fargli più domande.

« Eravate solo amici, quindi. »

Elvira andò a sedersi in un angolo della tenda, senza calcolare la brandina.

Manuel sospirò e la raggiunse. Incurante di coprirsi, non prese con sè nemmeno la coperta sulla branina, al momento l'unica cosa era riuscire a calmare l'amica.

« All'inizio, sì » Manuel le sedette vicino « ma poi...poi è cambiato qualcosa. Ho agito, come mi avevi consigliato. Evitava di incontrarmi, sviava i miei sguardi e così ho pensato che potesse essere perché ricambiava. »

Poi Manuel si corresse, il suo sorriso inciampò sul suo viso oltrepassando la tenda.

« Perché Simone provava qualcosa. »

Elvira annuì lentamente. Manuel deglutì e mandò giù saliva più di una volta. La guardò come si guarda qualcuno quando ci si sente colpevoli. « E aveva solo paura perché sono un uomo. Ma ora non più. »

Manuel guardò dentro gli occhi amareggiati ma misti alla commozione dell'amica.

« Mi dispiace non avertelo detto prima, avrei voluto. Ma Simone non si sentiva ancora... non si sente ancora pronto. Vuole tenerlo segreto, lui... »

Elvira lo anticipò, lei gli aveva preso la mano, umida e calda.

« Lui è un principe. » commentò retorica.

Manuel percepì tutto il significato di quella sola parola, il peso e contenitore di tante cose, di un levatura sociale che però, non li aveva divisi affatto in quei giorni, anzi, tutto il contrario.

« E sei...sei felice? » 

Manuel le strinse la mano. Scrollò le spalle, incurvò le labbra: la forma sbilenca e ristretta non di un organo qualsiasi.

« Com'è che si dice, al cuor non si comanda? »

Elvira finse disgusto.

« Ferro, mi sei appena diventato sdolcinato! »

« Quello che voglio dire è sì, lo sono. Forse la vera ultima volta che lo sono stato in questo modo, è stato con mia sorella, mia madre, lontano da qui, a casa. »

Elvira sorrise a poco a poco, sospirando stanca.
Gli occhi erano commossi ma non evitò comunque di domandargli il resto di quello che pensava.

« E ti va bene? Questa...cosa della segretezza. »

« Se lui è tranquillo e si sente più a suo agio, sì. »

Elvira coprì le loro mani.
Non sembrava convinta di quella risposta, se c'era una cosa che voleva per l'amico era la certezza di stare rispondendo all'amore con l'amore, senza limiti.

« Manuel, parlo di te. Lascia da parte per un Moment Sim- il principe » si corresse perché a lei non era dato dargli del tu, non erano poi tanto in confidenza. « Per un momento, metti te dall'altra parte della bilancia.
Sono passati quattro scontri, abbiamo perso un amico, parte dei nostri e dei loro. Fino a quanto pensi ancora di riuscire a sopprimere quello che provi agli altri? »

Manuel ci pensò qualche secondo. Storse la bocca e ritornò a guardarla. Non sapeva come risponderle e quindi lasciandole in cambio solo il silenzio, Elvira riprese a parlare.

« Manuel... »

« Promettimi che non lo dirai a nessuno, Elvira. » 

Manuel poggiò la fronte sulle loro mani come se lei lo stesse assolvendo da un peccato.

Non che fosse chissà quale atrocità, amare Simone era respirare.

« Non devi nemmeno chiederlo, testone. Mi preoccupo solo per te. » mormorò dolce la ragazza, osservò la sua fronte incorniciata da quei batuffoli ribelli.
La ragazza sospirò sommessamente.

« Cupido, » cambiò il tono che diventò più affettuoso « prima o poi, lo verranno a sapere e io non potrò fare nulla per placarli. » abbassò poi il tono di voce, somigliò vagamente a una pettegola « soprattutto se continuate ad essere così palesi come l'altra notte.»

Manuel chinò il capo.

« Vorrei dirlo a qualcun'altro » confessò sincero.

Vorrei dirlo a più di te e qualcuno.

Lo aveva detto anche a Simone e d'altra parte non c'era bisogno di mentire.« Se Nathan fosse ancora vivo, lui sarebbe stato il primo a saperlo. Gli avrebbe dato coraggio per ciò che voleva fare.
So che non ci avevi mai pensato, ma ve lo meritavate entrambi. Sarei stato dalla vostra parte. »

Elvira rimase in silenzio,si mangiò il labbro inferiore tra i denti.
Manuel non replicò in alcun modo, fissando la sua reazione, sentendo di aver detto più di quello che doveva. Poi quella forzò un sorriso, sbuffò e se ne tirò fuori come sempre: buttandola sul comico.

« Ah, lui il primo, quindi è questo tutto il bene che decanti di voler alla tua amica?»

Manuel se la tirò in un abbraccio, forte e asfissiante, senza chiederle permesso.

« Sei ancora arrabbiata? »

« No, ma avrei voluto tirarti per i capelli uno per uno, ciocca per ciocca fino a qualche minuto fa! Quando mi hai detto di Nathan sono stata lì immobile, alle prese con un sentimento morto sul nascere e sai cosa ti ho detto. In tutto ciò io parlavo mentre tu sapevi cosa voleva dire viverlo. Sai bene cosa penso sugli uomini, » disse tutta in un fiato « non ho potuto nemmeno dargli dello stupido, perché sapeva com'ero fatta e in cosa si sarebbe cacciato! »

« Sapeva che eri tosta...siamo già  passati dalla furia alla gelosia così in fretta? »

Elvira lo colpì sulla schiena nuda, Manuel emise un 'ahi' tardo.

« Per l'esattezza ho detto che non sono arrabbiata, ma sono comunque e ancora offesa.  »

Annuiva, la stringeva più forte.

« Lo capisco, è giusto. »

Poi slegò il loro incontro ed Elvira, buttò le ma in grembo, le gambe molli a terra.

« Non resterai a dormire qui stanotte, vero? »

« Rimango fino a quando non ti addormenti.» Manuel fece una pausa, pensò che le doveva comunque ancora del tempo per abituarsi all'idea di lui che scappava ogni notte per andare a fare l'amore con Simone. « E anche per dopo, se vuoi. »

Elvira lo guardò per bene, aveva gli occhi pieni di gratitudine ma c'era anche una prima scia di pensiero dentro, più di uno. Si immaginò come doveva essere tenere nascosto un sentimento del genere, assumere la forma del proibito quasi. Si immaginò che Manuel le avesse detto solo metà delle cose che provava realmente.

« Non preoccuparti, va. »

Le tenne ferma la mano che si torturava una ciocca di capelli.

« Elvira. »

« Starò bene Manuel, so che sei uhm, in buone mani. » tossicchiò allusiva.

Manuel sorrise facendo leva sulle gambe per alzarsi.

« Questa me la sono meritata » poi parlò senza nemmeno voltarsi a guardarla « Ceniamo separati dal resto e in ogni caso sarò qua, fino a quando non comincerai a russare...»

La ragazza gli fece la linguaccia. Lo minacciò subito dopo.

« E io ti avviso che potresti trovare appiccato un bel fuocherello proprio sulla tua roba, stanotte! »







**




 

Si stavano baciando come se i loro corpi non avessero più né una fine né un inizio.
Simone rideva appena quando Manuel si fermava a strofinare il naso sul suo collo, poi risaliva sulla sua mascella e lì incontrava un piccolo sorriso a formare due pieghe.

« Ho sentito una cosa prima, ho spiato un po' ciò che dicevano gli uomini...» borbottò Simone dopo lo schiocco finale di un altro bacio.

Manuel gli teneva il viso per il mento, baciò la sua guancia, sorrise goliardico.

« "Spiare", non ti si addice... Ma non è certo la prima volta che sei così curioso. » mormorò Manuel giocoso, poi si fece più serio. « Spero nulla di cattivo o stupido sul tuo conto. »

« No, nulla del genere...»

« Sicuro? »

« Manuel, sai bene che saprei difendermi se fosse il caso. »

Manuel riprese la sua bocca, col pollice spostava appena il labbro inferiore. Ricadeva dentro quelle grandi pupille.

« Lo so ma è sempre meglio essere preparati. »

Simone gli tirò piano un riccio che cadeva davanti a uno dei suoi occhi.

« Riposo, soldato, non è questo il caso. » l'elfo fece una pausa e poi riprese a parlare. « Dicevo, non credo di averne mai sentito parlare, era come... non so un'espressione strana, qualcosa come "lavoro di bocca".»

Manuel si fermò a guardarlo, una parte del viso si tirò su creando un sorriso sbilenco, Simone assottigliò lo sguardo. « Tu saprai che bene cosa significa, immagino. L'ultima volta mi hai chiarito bene il punto.»

L'altro sospirò annuendo brevemente.

« Posso provarci anche se non penso di potertelo spiegare nel modo più corretto. »

Simone sorrise piano.

« Non sono alla ricerca di un insegnante. Sono sicuro che saprai spiegarmelo Manuel, è una cosa... » pensava all'ultima espressione che aveva imparato del mondo degli umani - non che fosse un segreto il fatto che fosse voglioso di impararne ogni sfaccettatura -  ma non vedeva perchè non soddisfarla visto che aveva chi poteva spiegarglielo « ...peccaminosa?»

Simone arricciò le labbra. 

Manuel si trattenne dal ridere, per quegli occhi grandi e curiosi non adatti a un adulto e anche perché Simone cominciò a frugare in mezzo ai suoi capelli avanti e indietro.

« Più o meno... sì.» cominciò a spiegare come meglio credeva.

Gli occhi di Simone lo guardavano curiosi e lui cercò di non fissarli troppo, altrimenti ci si sarebbe perso.  « È una cosa che si fa in intimità, sia uomo e donna, che uomo e uomo. In latino si chiama fellatio, una delle poche cose che so in quella lingua antica...»

« Sei abbastanza preparato sull'argomento vedo. »

Manuel si rifece gli occhi con quella sfrontatezza, Simone sorrideva curioso e lo incoraggiò. « Scusa non volevo interromperti, va avanti...»

« È una pratica molto comune per... per dare piacere. Tra i vari modi, insomma. Viene chiamato in altri modi più rozzi, ma in pratica si dice di bocca perché è quella che entra in contatto con il sesso maschile... e lo stimola.»

« Oh...»

Simone diventò porpora all'istante. Non era una cosa che aveva mai sperimentato, né letto da nessuna parte. Era un adulto ma si sentiva inesperto in quel preciso settore. Ciò che sapeva sullo scambio amoroso si limitava a ciò che lui e Manuel avevano già fatto, ai baci, alle carezze, ai corpi che si univano. Immaginò lontanamente cosa Manuel avrebbe potuto fare su di lui, sempre con il dovuto rispetto e l'accortezza che lo determinavano e arrossì ancora di più.

Questa volta fu Simone a strizzare gli occhi scuotendo appena la testa, un lieve imbarazzo. « Quindi quando Edwin parlava di alleviare le sue pene e desiderava che qualche donna lavorasse in quel modo, uhm...»

« Puoi dirlo Simone, è un porco, un gran maiale, sì.»

Simone rise appena, una carezza reggeva la schiena di Manuel con una mano e l'altra si dilettava tra i suoi ricci. Quel sorriso ampio il soldato avrebbe voluto portarlo con sé, metterselo in tasca.

« Beh c'è da ringraziarlo perché anche questa pratica mi era segreta... » l'elfo sospirò, mosse la mano dentro quel bosco di capelli « E poi, ognuno ha le sue preferenze riguardo all'intimità, no? »

Manuel annuì in conferma.

« Se sai cosa piace a chi ti sta accanto, è più facile avere una connessione, sì. »

Se sai cosa ti piace.

Simone sapeva che amava baciare Manuel e venire a sua volta baciato, tenersi per mano, abbracciarsi, sapeva fino a quel momento dove gli piaceva essere toccato. Sapeva come gli piaceva essere guardato. Non sapeva tuttavia cosa piacesse a Manuel.

« Per esempio io so, in particolare dove ti piace essere baciato, oltre che sulla bocca..» Manuel allungò una mano e sfiorò l'interno coscia sopra la trama dei pantaloni. « Sei sensibile qui. Anche solo se ti sfioro... »

Simone ebbe la sensazione di sentire il sole addosso anche se era già sera. « E la punta delle tue orecchie invece diventa all'istante più calda e colorita se passo da qui. » Manuel indicò un punto tra l'incavo del collo e della spalla.

Il porpora gli riscaldò ancora di più le guance, di conseguenza cercò la sua bocca andata altrove sulla sua pelle, per lasciargli un bacio.

« Voglio sapere se mi piace. Questa... questa cosa

« Simone, non dobbiamo fare niente che tu non voglia. »

Manuel si prese le sue labbra, dolce, succhiando appena il labbro inferiore. Simone spostò la mano sul suo viso, le fronti che si toccavano anche da distesi.

« Lo so, ma io non voglio vietarmi di nulla con te.» glielo confidò come fosse un segreto, flebile ed anche lamentoso.

« Nemmeno io, ma il fatto che dia piacere non significa che piaccia proprio a tutti.»

Simone si morse le labbra.
Quella premura e cura erano due dei primi aspetti per cui era caduto in amore per Manuel.
La sostanza però non cambiava, come gli aveva detto Ingrid c'era un mondo fuori - escludendo il nido che li racchiudeva - e ce ne era uno dentro di lui pronto a scoprire nuove cose, a capire come sentirsi vivo con chi lo facesse sentire protetto.

« E come faccio a scoprirlo se non provo? »

Manuel continuava a guardarlo, com'era, proprio sopra di lui.

« Tu vuoi... sei sicuro? »

« Non mi sento obbligato, Manuel. »

C'era la voce che tremava appena, ma aveva lo sguardo di un ancora salda nonostante un fondale di sabbia. « Mi fido di te. »

Certe dichiarazioni non potevano passare proprio inosservate, così come il bacio che Simone si premurò di dargli sulla fronte. Gli sembrò di dovergli ancora di più la sicurezza di quello che aveva detto.

« Se ti faccio male » Manuel si sincerò di ricordarglielo, la premura nella sua voce « o non ti piace, devi dirmelo subito, Simone. Così mi fermo. »

Simone annuì e Manuel si lasciò andare contro la sua bocca soffice. Senza fretta Manuel si portò su di lui, Simone lo raggiunse.
Sbottonò il tessuto dei suoi pantaloni leggeri e con l'aiuto dell'altro che piegò le gambe, riuscì a sfilarli senza alcun problema arrotolandoli alle caviglie e facendoli uscire dai piedi già scalzi. Manuel conosceva bene ormai quella biancheria, profumava ancora di più quel giorno e accresceva il contrasto con il sentore della pelle di Simone. Quel gelsomino notturno, dai capelli scuri e le labbra dischiuse ed esposte, era tutto disteso sulla brandina in attesa di un suo gesto.
Depositò piano le labbra sul suo ventre scoperto e niveo, salì appena sull'addome e la sua mano si concentrò su di lui.  Da sopra il tessuto, ormai teso, Manuel si lasciava spazio per cadenzare i suoi movimenti. Simone ansimò leggero.

« Gin i-iallon »

I suoi occhi cercarono di guardare oltre la massa di capelli sparpagliata sotto il suo petto. Arrivò a non connettere il giusto principio secondo il quale la biancheria sarebbe stata d'intralcio a un certo punto. Ecco perché quando Manuel si apprestò a sfilare piano dai sui fianchi il tessuto, si premurò di lasciargli baci umidi su entrambi man mano che quello veniva via.

« Ti p-prego...» sussurrò male Simone.

Manuel scoprì senza sorpresa che anche l'inguine era un altro punto nevralgico per Simone. Si concesse il lusso di lasciare un bacio prolungato e più umido proprio lì. Simone ansimò di nuovo.

« Sei bellissimo. »

Manuel sfilò via il tessuto opprimente anche se leggero e morbido, che atterrò sulle piante dei piedi dell'elfo.

Rimase nudo dopo aver scalciato anche quell'indumento. Manuel restò a guardare quella meraviglia, ora accesa per lui, mentre lo stimolava con la mano. Le due piccole candele simili a lanterne che Simone aveva acceso e posizionato in modo che niente prendesse fuoco, gli permisero di vedere il rossore sul suo viso.

« Posso? »

Manuel si sollevò con i gomiti ai lati dei suoi glutei, il mentò sul suo ventre.

« Soldato, non devi chiedermi più il permesso. » 

Manuel annuì lentamente, si promise di non impazzire sotto quella visione né per il tono che aveva usato. Simone gli apparve comunque in ansia, quindi, iniziò lentamente, prendendo in mano il suo membro dalla base e posandovi le labbra sulla punta come prima cosa. Simone si irrigidì un poco, così Manuel cercò di abituarlo ripetendo l'azione di poco prima: aprì e dischiuse le labbra su di lui, senza fretta e dando il tempo a ognuna di quelle piccole cure.

« Manuel »

Simone cominciò a stringere l'unica coperta sotto i loro corpi, le nocche contratte. La testa scattò come una molla, rivolta tutta verso Manuel cercando di costringere i suoi occhi a rimanere aperti e vigili. Sentì le dita callose di Manuel libere sulla sua coscia, mentre il respiro cominciava ad affannarsi. Quando Manuel lo notò più rilassato cominciò a lubrificare il suo membro, usando per intero la sua bocca.

Simone si spezzò in un gemito. La saliva e il calore entrarono in contatto con la sua pelle tesa e sussultò e strinse le gambe divaricate intorno alla testa di Manuel mentre quello accarezzava sempre la pelle, - il palmo aperto sul suo stomaco - con le dita.

« M-manuel! »

Manuel si muoveva sulla sua lunghezza imitando i movimenti della sua mano, cadenzando il ritmo. Lasciò scorrere le sue labbra attorno a lui, completamente liscio e glabro. Il corpo che stava ricevendo la sua attenzione e cura si inarcò, la schiena scattò indietro e i fianchi di Simone si in uno spasmo si spinsero contro la sua bocca già impegnata.

Simone si sentì morire pensando che l'altro potesse soffocarsi. E anche che qualcosa di così intenso, non potesse esistere. Si chiese se Manuel percepisse i suoi muscoli contrarsi, il sudore prendergli la fronte e la stessa morsa di calore avvolgerlo. Non poté continuare a farsi domande perché aprì gli occhi di colpo, quando Manuel inumidì il contatto e scese, succhiando la sua punta. Simone non riuscì più a contenersi.

« M-aaaaanuel » strascicò lascivo in un altro gemito.

Inarcò la schiena di nuovo e la mano si allungò a cercare la sua sul fianco. Sudata, bianca e con le vene sporgenti si aggrappò alla sua per sostegno.

Manuel si fermò per l'aria necessaria da riprendere: Simone era completamente preso, il collo esposto, il sudore gli cominciava a bagnare il petto candido e glabro, gli occhi erano serrati e la bocca, dalle curve così dolci, era del tutto aperta. Un quadro dipinto non avrebbe reso la sua estasi nello stesso modo.

Gli sembrò elegante anche così, senza dover esagerare, portava quella bellezza di coloro a cui non era visibile vederla perchè inconsapevoli. Perché non vanitosi.

Manuel si sentì stringere il petto: avrebbe voluto congelare quell'immagine per portarla dietro con sé, ogni volta.

Chissà se lo sai.

« Sei bellissimo Simone, bellissimo » ci tenne a ripeterlo e senza timore riprese da dove aveva lasciato.

Alternò labbra e lingua questa volta e spiò la reazione dell'altro sotto di sé. Simone non mancò infatti di ricominciare a contorcersi con uno spasmo più acuto, la testa buttata indietro e la mano che stringeva quella di Manuel. Si creò un continuo sottofondo orchestrato dai suoi gemiti, in mezzo Manuel lo sentì anche parlare in elfico ma poche volte rispetto a quante volte pronunciò il suo nome. All'ennesima presa d'aria, Manuel lo osservò come prima, Simone ora fermava le labbra tra i denti e non esitò proprio a chiederlo.

« Manuel s-stai-» provò ad articolare, ma Manuel riprese il movimento su di lui cambiando il ritmo e Simone non seppe più connettere il cervello e pensare.

Variò l'intensità, alternando passione e delicatezza, sotto la musica emessa dal suo compagno.

Simone sentì la morsa calda stringersi sempre di più su di lui, l'altra mano toccò i capelli di Manuel costringendosi a non tirarli per non fargli male.

Bellissimo, gli arrivò ovattato e meno distinto alle orecchie. Quella bocca ritornò su di lui. Simone credette di vedere le stelle.

« Anche...a-anche tu » strascicò Simone.

La sua bocca è calda, io sono rovente.

Un altro spasmo, le gambe ormai cedevano.

« Credo di... s-sto per venire, M-Manuel-»

Strizzò gli occhi, la mano allentò la presa sui suoi capelli e senza dire più niente, si lasciò andare.
Gemette di riflesso, prepotente, sconvolto e col suo nome fuori dalle labbra.
Rilassò le braccia, le vene sporgenti e tese sulle mani.
Pensò che Manuel avesse sentito cosa gli aveva appena detto, ma quello rimase lì, senza spostarsi, prese il suo seme che si riversò dentro la sua bocca. Simone lo vide nonostante la vista metà fosca e appannata nonostante il suo petto in primo piano che si sgonfiava.

Rimase nel silenzio della sua curiosità e anche di ciò che pensava non avrebbe mai visto: Manuel sudato, i riccioli sparsi da tutte le parti, che si puliva le labbra sporche col dorso di una mano. Soltanto con quel gesto, Simone realizzò che avrebbe voluto fare di nuovo l'amore con lui.

Ma lo tenne per sé.

Ebbe poco tempo per registrare quell'immagine perché Manuel si sollevò sul suo corpo per raggiungerlo. Simone senza dire nulla, serrò piano il suo viso tra le mani una volta che riuscì ad avvertire chiaro il suo respiro.
Raccolse le sue labbra in un bacio stanco e avvertì il suo stesso sapore in bocca: dolciastro e umido.

« S-stai bene? »

Quanto sei puro.

Manuel si specchiava dentro le sue iridi, rise basso sul finale.

« Dovrei chiederlo io a te. »

« Avevo paura che tu...insomma-»

Manuel lo fermò.

« Non è la prima volta che lo faccio. Sto bene. » Manuel lo rassicurò, poi gli spostò la punta del naso con il proprio, Simone si rannicchiò in un tono sommesso.

« Immaginavo, però, ecco... »

« Simone, voglio sapere come stai tu

L'elfo sorrise poco alla volta.

« So che posso suonare esagerato...ma pensavo davvero che questa volta mi sarebbe scoppiato fuori il cuore dal petto.» biascicò  « Tu eri... eri con me. » l'altro lo vide incespicare un po' con le parole, ma si allargò in un sorriso.

« Ti ho sentito ovunque, Manuel. »

I pollici si strofinarono sulla sua barba.

« Non ti ho fatto male, vero-»

Simone ripensò subito al suo viso in mezzo alle sue gambe.

« Non dirlo, nemmeno. Mi è piaciuto e tanto, anche. »

Manuel pensò allora ai suoi splendidi suoni gutturali.

« Questo lo avevo capito da me, Simone. »

Simone si legò al suo collo, il mento sull'incavo del collo, la stanchezza che gli prendeva la voce ma non si prendeva il rossore.

« Immagino non sia stata chissà che melodia...»

« Al contrario, anzi, eri molto musicale. »

L'elfo arricciò il naso.

« Mi prendi in giro?»

« No, » Manuel gli baciò il lobo dell'orecchio « sono piuttosto serio al riguardo.»

Simone rise per un po' per l'imbarazzo e un po' incredulo.

« Sei proprio strano, Manuel! »

« Sono serio, ehi! » Manuel si sollevò o almeno ci stava provando vista la presa dell'elfo che lo spingeva giù « Non mi sto prendendo gioco di te, è una cosa bella, significa che ti ho fatto stare bene. E a me importa solo di questo. »

Certe volte trovo impossibile che tu abbia scelto me.

« Anche a me importa. » unì la sua fronte alla sua.
Stanco, ma col cuore sereno.

Manuel approfittò della situazione calma e distesa che si era venuta a creare, tutti e due erano molli l'uno sull'altro. La mente però così libera, girovagò per i suoi tarli. Andò a pescare proprio le parole che si erano detti lei ed Elvira.

« Simone, dovrei dirti una cosa... »

« Che succede? »

Gli accarezzava un braccio scoperto con lentezza, le mani di Manuel erano sul suo petto.

« Manuel, cosa c'è? » sussurrò.

« Riguarda Elvira, ci ha...lei ci ha visti. »

L'elfo cambiò espressione, fermò la mano sulla sua pelle. Manuel proseguì a spiegare. « Ci ha visti l'altra notte, quando siamo tornati dal lago... ho dovuto parlarle, ha insistito e la cosa era piuttosto palese.»

Simone storse appena la bocca, annuì lentamente.
Manuel restrinse le labbra, lo guardò zenza timore.

« Ci ha visti baciarci.»

Una 'o' si disegnò sulla bocca dell'elfo, che rimase un po' sulle sue.

« Io non l'ho detto nemmeno ad Ingrid. »

Manuel puntellò i gomiti sulla brandina per tenersi fermo.

« Ma puoi farlo, » cercò di alzargli il viso con una mano, ma Simone teneva lo sguardo basso, fisso « adesso, voglio dire, che cosa te lo impedisce? Se ti fidi di lei... Elvira è mia amica, non potevo più nasconderglielo. »

Simone immaginò delle risate nella sua testa, attorno a lui, degli sguardi di giudizio, si immaginò piccolo con un corpo già troppo adulto. Quel silenzio insospettì Manuel, che però non smise speranzoso nel sollevargli il mento e incontrarlo in quelle grandi pozze.

« Ehi, Simone possiamo fidarci, non lo dirà a nessuno. »

Sapeva che non lo avrebbe detto ad anima viva se quello era il volere della persona che amava. Simone annuì lentamente, la mascella contratta.

« Va...va bene, credo. »

« È felice per noi » Manuel sciorinò fuori altre parole per riempire lo spazio « per me. Ne avevamo già parlato, di te, ricordi? »

Simone si sforzò di sorridere, annuiva ma era come entrato in uno stato di tranche. « Non avercela con me per questo... non potevamo prevederlo.» cercò di dargli conforto, per smorzare la tensione.

L'istinto ha i suoi rischi.

« Manuel, non ce l'ho con te. Perché lo pensi?»

« Perché non mi guardi, allora? »

Simone alzò rapido gli occhi. Sentì una voce fluttuare, cosa stai facendo stella mia? Perché esiti?

« Voglio ancora stare con te, non è cambiato quello che provo. »

Riabbassò lo sguardo fissando la cicatrice che gli vestiva il collo come una strana collana.

« Sono passate quasi tre settimane, » Manuel sospirò, rinunciando ad alzargli il viso, però i pollici si strofinavano sulla pelle « non voglio forzarti, anche se mi piacerebbe viverti sotto gli occhi di tutti. »

L'elfo aprì la bocca. Non ne uscì nulla, quindi chiuse gli occhi e gli sfiorò la pelle.

« Ho bisogno di un altro po' di tempo.» mormorò. « Mi fido se tu ti fidi di lei...ma se Elvira ci ha visti vuol dire che dobbiamo stare più attenti nei prossimi giorni, sto solo pensando a questo, adesso... »

Manuel restò in silenzio, Simone si allungò per stampargli un bacio sulla bocca. Cercò di ingoiarsi il senso di colpa e gli mormorò le sue scuse in lingua, cullandolo.

« Va ancora tutto bene? »  Manuel abbassò il viso e Simone gli baciò lento il capo. « Sei...deluso? »

« No, vorrei solo che il tuo tempo fosse un concetto meno lungo.»

Simone non disse nulla in replica.

E io vorrei sentirmi come te, senza paure.

Era quello il momento in cui i ruoli coesistevano di nuovo, Simone non riusciva a disinnescare quella sensazione interna troppo forte e presente.

« Non dubitare del mio amore per te. » se lo strinse al petto senza chiedere il permesso. Manuel ascoltava il battito e chiudeva gli occhi. Simone parlò ancora sopra il suo respiro. « Non per un singolo giorno o una singola notte, non farlo. »

Le sue mani erano strette dietro le sue scapole come a reggere un ancora più forte per se stesso. Manuel avvertì tutto il suo bisogno di aggrapparsi, la tenerezza era una delle cose che Simone gli suscitava.

« Non lo faccio, ma credo solo possa rafforzare ciò che abbiamo... »

Simone lo fermò. Sapeva che quella conversazione sarebbe finita male, spettava a lui evitarlo.

« Io ho solo te. »

Adesso, mi basta questo.

Silenzio.

Manuel cercò ancora di provare,  di cancellare quella sensazione scomoda in gola.
La conversazione con Elvira gli risuonava ora, meno distorta.

« Simone, di cosa hai paura-»

« Meleth nîn, » pronunciò dolcemente, le sue dita gli accarezzarono i capelli, le infilò dentro, ne massaggiò la cute « possiamo dormire e non parlarne più? Non voglio litigare, non stanotte.»

Manuel non disse più niente, ricacciò la domanda che aveva posto. Sentì Simone vibrare sotto di sé e rinunciò al suo peso in gola.
« Voglio prendermi cura io di te, come tu hai fatto con me. Lascia che ti abbracci e basta.»

Il soldato aveva metaforicamente perso quella prima battaglia.

« Sai che puoi parlarmi di qualsiasi cosa, sì? »

Un suo cenno d'assenso e i pensieri che volevano azzerarsi.

« Lo so bene. Ora vieni qui, su. »

Non gli restò molto altro da fare che farsi trascinare nella sua presa, le braccia strette sulla sua schiena, e con un bacio ricevuto sulla sua testa, Manuel posò la guancia sul petto di Simone con occhi aperti e domande in sospeso.

Vorrei comunque capire, amore mio.

 

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Capitolo 22
*** Gadas ***


 

 

 

Trappola


 

 

Era buffo il principio per cui molto spesso la vita ci metteva al proprio posto, richiamava all'ordine, senza nemmeno dare il tempo di rendersene conto.
Un attimo per raccogliere e un attimo dopo vedere incrinarsi, tutto ciò che di bello si aveva, ridotto piano piano in cumuli di polvere.
Non era ancora polvere, ma era simile a qualcosa che si svuotava per causa di un dubbio nato acerbo, nato da poco.
Buffa era, la sensazione di avere a portata di schiena un paio di scudi che si pensavano indistruttibili prima dell'arrivo di qualcosa di influenzabile.
O almeno questo, dopo tanti anni passati a combattere, era quello che adesso pensava Manuel. Seduto dentro la tenda - che non era la sua - tra il respiro regolare di chi gli dormiva accanto e tra un battito impossibile da afferrare, parte della sua matriosca di pensieri, il soldato restava in silenzio tra i possibili e nuovi 'sé'.
Era buffo dover aver a che fare con qualcosa che aveva ignorato dopo settimane e lasciare giocare in attacco l'istinto e adesso, iniziare a farsi sopraffare dall'intrusione di un singolo gesto. Se i se avessero avuto un nome, in quel momento, avrebbero preso le sembianze prima di Elvira che gli rimproverava di parlare e agire, dall'altra parte quel nome avrebbe assunto quei tipici capelli neri e una delicatezza più grande delle sue aspettative, Simone.
Con un principio di incertezza era chiaro che Manuel si sarebbe sempre domandato perché quel tempo di attesa non gli andasse poi più tanto bene.
Perché nascondersi era stato eccitante, nuovo, diverso e ora, perdeva piano quel valore. Non si dissolveva, cambiava ancora forma.
Un uomo avrebbe semplicemente tratto vantaggio da quella situazione, per lui aveva avuto tutt'altro significato da quando era entrato a far parte di quell'esercito. Un uomo avido e affamato sì, lui invece, era solo un uomo innamorato.

Con un principio che aveva innescato il tarlo, Manuel non sapeva più se fosse poi tanto giusto per se stesso continuare a incontrarsi, a sperare che nessuno li vedesse, a trarre momenti privati e pericolosi. Con una semplice messa in quadro di pochi minuti si era rivoltato il suo sonno e quella era stata la stessa che lo aveva spinto a restare lì immobile, a fissare la schiena di Simone, invece che svegliarlo e parlare di come si stava cominciando a sentire.

Certo, non aveva mai voluto mettergli fretta, indurlo a mostrare loro due come un trofeo. Non erano questo, non lo erano mai stati in fondo.
Certo era vero che il suo ruolo poteva giocare in sfavore, ma Simone non gli era sembrato riluttante a confessare cosa provasse per lui a tutti gli altri solo per un motivo di forma e di costume. Riusciva bene a bilanciare entrambe le cose...ma fino a quanto sarebbe durato? Sapeva molto e ancora troppo poco dell'elfo per poter dire che cosa effettivamente lo movesse a rimanere dietro le tende, nelle retroguardie.

Conosceva parte del suo animo: sapeva ciò che non era abituato a fare, sapeva come le sue labbra si univano o si torturavano quando litigava quasi con se stesso per lasciarle trapelare. Aveva una spiccata cultura (com'era noto si addicesse al suo lignaggio) ma la metteva a disposizione senza presunzione.
Non riusciva ad accettare i complimenti e forse perché nessuno gliene aveva mai realmente fatti con tono sincero e quando arrossiva manifestava che era un bene se la timidezza ancora esisteva. Simone sapeva lasciarsi andare, ascoltare e si lasciava incuriosire - come ogni creatura interessata del mondo avrebbe fatto - e sapeva amare come non credeva di saper fare.

Questo fino ad adesso, era per lui Simone.

E poteva essere tutto agli occhi di un perso inciampato per sbaglio nelle grinfie dell'amore, ma non era però quello che gli bastava.
Pensò alla sola figura che lo aveva cresciuto, ma anche di quella, sapeva molto poco.
Un principe che non parlava mai del suo re. Simone evitava come la peste l'argomento se poteva, preferiva piuttosto citare la madre e ricordarla gli sembrava più felice che non farlo affatto. Era una presenza costante e buona nei suoi occhi.
In quello, Manuel trovava un punto di contatto facile e comprensibile dato che Anita e sua sorella, erano la parte fondamentale per continuare nella sua missione.
Mantenerle, sostentarle, senza mai però sostituirsi all'uomo che gli aveva dato un nome, dei valori, cosa voleva dire unione.

Ciò che era chiaro, è che tutti i rapporti non erano gli stessi.
Umani, elfi, elfi e umani.
La sostanza era una pur sempre un'indole, un nido diverso dove si era stati cresciuti.
Un titolo.

Ma Simone non era un titolo quando si trattava di loro due e lui non era un soldato quando stava con Simone. Questo era d'altra parte un dato di fatto ormai.

Che sia imbarazzo? Pensò.

Scosse la testa e una mano gli accarezza col dorso la pelle. Se l'altro avesse provato imbarazzo per lui lo avrebbe detto, ed era, in ogni caso, una motivazione insufficiente, povera di senso per continuare a restare segreti.
Manuel sospirò preso com'era stato da quel primo vortice spietato dentro la sua testa, si era dimenticato del motivo principale per cui si era addormentato in quella tenda, la notte seguente.

Lo aveva cercato, lo aveva voluto. Non mentiva a se stesso: forse non avrebbe mai smesso di farlo per quanto un uomo avesse mille esperienze diverse da fare, Manuel era convinto che non avrebbe spezzato quel filo.

Se fosse scappato non avrebbe risolto nulla, né avrebbe voluto farlo.

L'amore è prova di tante rinascite e tante morti.

Manuel cercò di scacciare via la smorfia che sapeva di avere dal viso e si sedette per bene dietro la figura di Simone.

Perché non ti svegli amore mio?

Lo accarezzò strisciando piano le dita su quella tavolozza di piccoli punti, sorprendendosi per l'ennesima volta di come ci fosse fisicamente una cosa che li unisse. Gli aveva detto di averli ereditati dalla madre e che non ne andava particolarmente fiero, senza dirgli o spiegargli anche lì, il perchè rifiutasse ciò che lo rendeva unico.
Manuel si legò al suo corpo e al suo istintivo gesto di momentaneo buio sulle sue domande, venne accolto non senza un chiaro brontolio.

Legò le sue labbra in quelle parti che gli sussurravano la loro somiglianza, seppur poche.

Il brontolio si fece un po' più netto.

« Manuel perchè s-sei già sveglio, c-che fai- »

Manuel dedicò la sua testa ad altro, uscendo fuori da quel garbuglio di domande almeno per quel che desiderava fare.
Il corpo di Simone era meno tiepido, nonostante fosse sotto l'unica coperta che lui gli aveva lasciato per coprirsi.

« Sto solo cercando di scaldarti, principe... »

Simone intensificò la sua risposta.

« Chîn lyë tarlanc » mormorò sorridendo al nulla, metà bocca nascosta nella coperta l'elfo, ancora non del tutto sveglio, il respiro caldo di Manuel gli arrivò dietro i fianchi. Anziché rifiutarsi però inclinò il corpo contro la fonte di calore. « T e s t a r d o »

La sua risata bassa durò in confronto ai suoi baci, umidi e ripetuti perché di breve durata.

« Stai cambiando idea? »

Simone posò appena la sua guancia sulla spalla.

« Su cosa? »

« Sulla costellazione, proprio questa che hai sulla schiena. »

Pensava, diceva quelle cose e la sua di natura invece, si scaldava all'istante.

« Forse » borbottò vago « chi può dirlo. »

Simone fece una pausa, teneva sempre gli occhi chiusi. Cercava la sua mano alla rinfusa per stringerla. « Di sicuro sei più efficace di un bagno caldo al momento. »

« Ah, » sbuffò, poi sorrise lambendo una porzione di pelle sulla spalla « mi fa piacere, a qualcosa in fondo servo. »

« Che parole senza valore e senza senso di prima mattina. »

Manuel grugnì.

« Intendevo, almeno mi rendo utile.»

Oltre che a fare il ladro la notte purchè nessuno ci veda.

Simone incurvò le sopracciglia. Si girò lentamente per portarsi a pancia su. Apriva gli occhi.

« Servire, essere utile » replicò critico, sbadigliò e poi sorrise gentile verso Manuel « ricominciamo daccapo, che dici? »

« Non capisco cosa io abbia detto di male, ma buongiorno-»

Simone riprese la sua mano, se la posò sul petto.

« Che ne dici prima di un bacio, » soffiò interrompendolo « ti dico io cosa ripetere poi. »

Manuel sostenne i suoi occhi assonnati ancora ma decisi a doverlo rimettere al suo posto.
Strisciò sopra il suo corpo infilandosi tra quello e la coperta e il bacio anziché depositarlo sulla bocca, gli arrivò sulla pancia.
Simone gli carezzava i capelli lento. L'elfo cominciò a parlare e Manuel ridacchiò ma poi lo seguì.

« Buongiorno amore mio. Scusami, mi pento di ciò che ho detto. Mi spieghi qual è il senso di tutto questo? »

Lo vide riprendere a baciare piano il suo ventre.

« Ricorda, tu non devi essere utile. » il suo sussurro sembrava una nuvola « Non siamo mica sul campo, non hai un'arma in mano. Sei qui con me, sei tutto e molto di più che "utile", Manuel. »

« Non cercavo... non mi stavo offendendo. » brontolò.

Lo riprese con dolcezza.

« Alle mie orecchie sì, e poi non sei mica una guardia mi proteggi, sì, ma non ti limiti soltanto a questo. »

Sei abbastanza, pensava.

Simone gli alzò il viso per il mento. Iridi miele stanche da una parte e una sensazione appena stonata per l'elfo. « Non è da te, è successo qualcosa? »

Sono stanco.

Manuel deglutì. Fece un cenno, un sorriso.

« No, perché? »

« È perché volevi dormire con Elvira ieri? »

Non te lo posso dire.

« No, sto bene. »

« Se vuoi dormire con la tua amica, non sono nessuno per impedirtelo. Lo capisco. »

Manuel non lo guardava già più. Tracciò la linea dei suoi fianchi.

« Pensavi a casa? »

Posava le labbra sulla pelle bianca.

« Simone, va tutto bene... »

Simone lo squadrò meglio.

« Ho dormito un po' male stanotte, credo, nulla di più »

« Mh...» Simone era comunque poco convinto.

Manuel cercò di ripristinare la sua intenzione precedente. Se c'era una cosa che non voleva, era esplodere senza riserva davanti all'altro per qualcosa che stava ancora elaborando.
Si sentiva il suo sguardo addosso e seppur amorevole, sentiva di non riuscire già a sostenerlo.

« Non posso mica lasciarti al freddo, no? Sei delicato e io sarei una persona spregevole. »

« Su questo concordo... » sospirò calmo prendendosi i suoi baci « Vorrà dire che se non lo fai tu, lo farò io: ripeterti tutto ciò che sei, » Simone continuava ad accarezzargli i capelli « a costo di annoiarti e provocarti il sonno, il che non ti farebbe male dato che ci aspetta un altro spostamento oggi. Quindi, ascoltami bene soldato. »

 

 

 

 

**



 

« Manuel, concentriamoci, mh? »

L'elfo scattò indietro, mani in avanti, la spada ben ferma nell'impugnatura destra. L'intero anfratti di alberi e parte del bosco per loro.

Manuel si fece in avanti con le stesse mani che avevano cercato di prenderlo per i fianchi poco prima, spada a portata di mano inclusa.

« Sembra che tu abbia paura di me! »

« No, » mormorò vedendolo avanzare « ma so bene che quello sguardo che hai non è di sfida o per l'allenamento. »

Manuel fece oscillare la spada con maestria, lasciando per qualche secondo Simone incuriosito nel guardare come l'oggetto formava una forma diversa, mossa nell'aria. In un solo gesto scattò in avanti e forzò la sua figura ad andare indietro, la lama cozzò in un rumore metallico con la sua.

« Illuminami, allora, » soffiò una volta vicino alle lame delle spade incrociate « che differenza noti adesso rispetto a come ti guardo di solito?»

Simone lasciò perdere e preferì un'altra mossa, la sua spada passò in un punto preciso per attaccare alla difesa scoperta di Manuel, ma quello lo notò e bloccò l'arma a terra.

« Non sei così insistente. »

Simone alzò lo sguardo.

« Insistente. » ripeté l'altro.

Simone riuscì a liberare la sua spada. Gli girò attorno, piazzandosi dietro la schiena, la spada piatta e ferma sulla spalla di Manuel.

« E ti da fastidio? »

L'elfo parlò dietro di lui.

« No, ma mi distrae. Molto. »

Manuel sorrise goliardico.

« Ti ricordo, Simone, che sono pur sempre un uomo. » sospirò appena guardando la punta della spada sopra la sua maglia « Cerco di mantenere il controllo finchè posso. »

« Oh beh, quello sono abituato a vederlo... » Simone fece una pausa, studiò il modo in cui Manuel teneva rilassate le membra. « Ma in questo momento, » chiarì, cercando di rimanere saldo « quello che devi ricordarti è che ti stai battendo col tuo avversario. »

Manuel spinse via lentamente la spada dalla sua spalla, si girò. Guardò curioso e fiero come l'elfo riprendeva la sua posizione, gamba sinistra in avanti, corpo in allerta.

« Soltanto insistente quindi? »

Si scontrò con la lama della sua spada a più riprese e cominciarono a girare, inseguendosi in cerchio.

« C'è una punta di sicurezza anche...» soffiò fuori l'elfo « Forse troppa »

Manuel ridacchiò basso, schivò l'attacco di Simone. Poi l'altro riprovò nel punto opposto e per poco il soldato non perde l'impugnatura della spada.

« La sicurezza non è mai un male »

Sul rumore delle spade era un po' difficile tenere una conversazione, ma per loro sembrava pane quotidiano.

« Essere troppo sicuri di sé può causare dei danni. » l'apostrofò Simone scattando a sinistra.

« Chi ti dice invece, » continuò Manuel recuperando terreno, avanzava e cominciò a sferrare colpo su colpo « che non ci sia un po' di sano dubbio dietro questa sicurezza? Ci riveste sempre un po' il segreto, in tutto quello che facciamo. »

Manuel inoltre sapeva di aver lasciato trapelare forse più di quel che doveva ma la frenesia del momento ammetteva parole che correvano come burro sulla lingua.

« Segreto? Sentiamo, cosa avresti da nascondere tu-»

Manuel era riuscito a fermare Simone ora disarmato, contro un albero, la punta della spada era stata fatta cadere a terra. L'inizio di quella del soldato era, invece, puntata leggera, orizzontale contro il suo petto.

« Il segreto è semplice, » Manuel mormorò sopra la sua bocca « se ti guardo, so di essere sicuro. »

« In pratica sei in una botte di ferro... » gliele tirò fuori di bocca pur sapendo quanto fosse squallido quel gioco di parole. Manuel abbassò la guardia.
« Quindi stamattina non lo eri... » puntualizzò l'elfo a corto di fiato. « Faticavi a guardarmi.»

« Se me lo stai chiedendo di nuovo...» improvvisò, poi spostò la spada di lato « non posso risponderti che allo stesso modo: sto bene.»

Finì per baciarlo senza farlo rispondere. Manuel esplose solo in quel gesto, la sua ostinazione aveva avuto la meglio, senza lasciare che dicesse altro. Simone si sentì percorrere un fianco con una mano, la corteccia del tronco premeva dietro la sua schiena.

« Questo fa parte dell'allenamento? »

Il soldato sorrise compiaciuto.

« Potrebbe. »

Le mani bianche ferme su quella sua maglia larga marrone fermata dal cinturone, le braghe più chiare fermate dagli stivali logori e i capelli arruffati e ormai decisamente troppo lunghi che gli coprivano quasi tutta la fronte.

« Non hai ancora risposto alla domanda » l'elfo sganciò una mano da dove era piazzata per accarezzargli la guancia « per cosa non eri sicuro stamattina? »

Te lo dico?

Simone posò la sua fronte in mezzo alle ciocche di ricci ribelli in attesa.

« Im na-. Sono qui, Manuel »

Manuel si irrigidì un poco, chiuse gli occhi, soppesò il suo respiro.

Glielo dico.

« Simone...io-»

Poi l'elfo venne chiamato da una voce. Era per le prime due volte, una lingua che conoscevano entrambi, poi il richiamo venne pronunciato in elfico.

Simone roteò gli occhi al cielo. Si scostò appena da Manuel e rispose alla voce, alzando la sua di conseguenza. Quello scambio lasciò il soldato più teso di prima.

« Mi cercano al campo, devo ritornare. »

anuel però sembrò non sentire ragione, arpionò la sua mano al braccio di Simone e lo invitò a baciarlo di nuovo. La voce intanto aveva ripreso.

« Aspetteranno » sentenziò senza troppa fatica.

Simone si aggrappò alla sua schiena, appagato da quella stretta, dalle labbra di Manuel che cercavano il collo.

« ...Manuel » borbottò senza fiato « Se non vado verranno a cercarmi qui...hai legato Maximus, giusto? »

Manuel si indispettì appena nel tono.

« Simone, Maximus non è tipo da essere legato. Vorresti dirmi che tu hai legato la tua cavalla? »

« Certo che l'ho fatto. E poi conoscono bene il tuo cavallo. Discrezione, soldato, cosa ti ho detto? » l'elfo sospirò guardandosi circospetto dietro le spalle. « Da quando Elvira sa tutto è più rischioso, soprattutto quando sanno che mi sto allenando.»

Non posso dirtelo se la pensi così.

« Le mie guardie sanno che mi alleno con te. »

« E cosa dovrebbero fare, non penso vengano qui a controllarci-»

La voce in lontananza riprese e l'elfo dovette discostarsi a malincuore. Recuperò la spada da terra e cominciò a camminare.

« Ho delle guardie al mio servizio pagate proprio per questo, » Simone cercò di proseguire e Manuel gli venne dietro sostenendo il passo « per controllarmi, ed è già tanto se riesco a raggirarle la notte! »

Non potrai scappare da loro per sempre.

Manuel avrebbe voluto dirgli.

A grandi falcate raggiunse Neve e sbrogliò la lunga corda che la teneva legata a un piccolo punto, ma che non le impediva comunque di muoversi. Manuel teneva le braccia conserte, un nodo invisibile in gola.
L'elfo prendeva la briglia della cavalla e se la passava tra le dita. Senza volerlo Manuel gli scoccò un'occhiataccia. Lo borbottò proprio per se stesso, senza pensare che ci fossero stati testimoni per sentirlo.

« Tutto ciò sarebbe più semplice se non dovessimo nasconderci...»

Simone fece in tempo a voltarsi distratto, scopriva una delle orecchie a punta.

« Hai detto qualcosa? »

Non ha importanza.

Manuel scrollò le spalle. Forzò un sorriso, fece sparire il rospo che teneva dentro.

« Nulla. »

Simone annuì, rispose di nuovo alla voce in modo definitivo. Manuel non ci mise molto a parlare poi. Aveva bisogno di spazio e Simone di "discrezione", quale migliore modo?

« Pensavo, magari è meglio se per qualche sera io ritorni nella mia tenda, con Elvira intendo, per dormire. »

Sai bene che non è davvero quello che vuoi.

« Se non è un problema. Evitiamo di anche di dare nell'occhio. » Manuel deglutì appena.

Simone annuì lentamente.
Allungò una mano per carezzargli lo zigomo « Se è quello che vuoi, te lo avevo già detto...per me va bene, Manuel. »

Elvira me ne dirà più di quelle che posso immaginarmi.

« Pensi di potercela fare a resistere? »

« Dovrei chiederlo io a te. » rise nervoso.

Prese un piccolo respiro. « Il nostro allenamento resta, no? »

Sconfitto.

« Sì. »

« Allora penso di poterlo sopportare. » soffiò, spostandosi per dargli un bacio leggero. Simone sorrideva. « Ci vediamo stasera a cena.»

 

 

 

**



 

Se avesse raccolto un fiore per ogni secondo del tempo che passava la notte senza l'altro, avrebbe sicuramente privato la terra di metà della sua bellezza e avuto una quantità necessaria a ornare una tavola a festa.
Una ghirlanda oppure una di quelle corone di fiori belle come gli faceva sua madre da piccolo.
L'elfo impiegava così quel tempo prima dei pasti, dei consulti strategici, al di là dei loro momenti durante gli allenamenti, costante e in allerta.
Le cene attorno al fuoco erano sempre più rumorose, gli uomini tenevano sempre ad alzare l'umore con qualche storiella - che fossero vere o no a Simone non era dato saperlo - e lui restava ad ascoltarle, o meglio, le ascoltava e si perdeva a guardare Manuel posare le labbra piccolo boccale in argilla cotta e poi tenerlo tra le mani.
La ciotola del cibo era invece vicino ai suoi piedi.

Chissà se ha mangiato tutto, pensava il principe agli occhi innocenti degli altri.

Elvira, sedeva esattamente dalla parte opposta alla sua, proprio pochi centimetri dal suo fianco e adesso, guardava proprio lui.

Era ovvio che Elvira ormai, sapesse tutto.

Simone si fissò i piedi.

Gli sembrava ancora strano sapere che qualcuno sapesse di lui e Manuel.
Non gli era sembrato strano che qualcuno prima o poi li avrebbe scoperti, ma l'idea di sentirsi colpevole per qualcosa di totalmente innocuo, lo facevano sentire scisso.

Qual era il senso di impegnarsi a mantenere un segreto, se poi con un minimo di distrazione questo poteva trasformarsi in una bomba?

Era pur giusto un uomo si sfogasse con un amico fidato, d'altra parte era stato lui in principio una un amico a sua volta per Manuel.

Era solo un pensiero fisso quello di sostenere un peso a più sfaccettature e che portava fin dall'inizio: il suo ruolo sociale, il suo ruolo in campagna militare, essere davvero se stesso quando poteva permetterselo, rendere conto ai desideri di suo padre e che aveva lasciato in sospeso perché differenti dai suoi, ricordare le parole di sua madre e cercare di tenere sempre un posto per la sua immagine, infine tenere fede alla credibilità che gli uomini che lo seguivano riversavano in modo inevitabile su di lui.

Quello era un pensiero affollato, sovraccarico e asfissiante che veniva placato solo dalla presenza dell'uomo che sedeva accanto ad altri tre e adesso rialzava lo sguardo.

Manuel cosa c'è.

Era solo una sensazione invece, quella che sentiva prepotente radicarsi dentro di lui, l'idea che Manuel stesse cercando di mettere in qualche modo distanza tra loro?

Vuole solo aiutare, hai voluto del tempo, no?

Simone arricciò le labbra, il fuoco saliva tramite le spire e gli occhi di Manuel erano vicini ma già lontani per capire che emozione nascondessero.

Di certo, aveva una grande abilità.
Non era l'uso di una spada, né un urlo di battaglia, ma qualcosa che lui non riusciva ad afferrare.
Il sorriso tacito che gli indirizzava era conferma che forse, Simone si stava immaginando tutto.

D'altra parte, era limitante doversi vedere adesso, solo per brevi momenti a colazione, cercare di restare vigili durante gli allenamenti, prolungare i momenti ritardando un po' di più prima di cena.

Era quindi davvero soltanto un sentimento di stranezza quello che avvertiva da qualche giorno?

Doveva ricordare che gli uomini sapevano celare se volevano e che potevano benissimo trarre in inganno.
Gli uomini sapevano fare male e le eccezioni erano ben poche.
La regola della forza e ingegno, non valeva solo per gli orchi, anche l'uomo sapeva essere un nemico se aveva delle buoni ragioni a muoverlo.

Simone scosse la testa, dandosi dello stupido per aver solo formulato un'idea del genere.
Ritornò a guardare l'altro come se ne dipendesse la sua sanità in quel momento.
Per un momento, l'insistenza non gli sembrò una mossa avventata, né pericolosa.

Non sapeva nemmeno lui di cosa convincerlo senza emettere un fiato, Simone aveva solo questo a disposizione.

Manuel rispose rapido.

Il soldato chinò il capo, i ricci accompagnarono il micro movimento.

Manuel lasciò il bicchiere a terra, consegnò la scodella a una delle donne ringraziandola, poi si alzò. Diceva qualcosa ad Elvira che il principe non colse a causa della distanza. Poi, si mosse per andare a controllare il suo cavallo, dignitosamente legato a pochi metri dalla sua tenda.
Il frisone lo accolse brontolando e pestando gli zoccoli sul terreno, simbolo di irrequietezza.

Simone lo seguì con lo sguardo, sgonfiando il petto.

L'indole del cavallo non sembrava diversa da quella del suo padrone, la differenza era che il primo la esternava, il secondo, sembrava volere dimostrare che andasse tutto bene.

La fantasia era un male che gli stava divorando la serata.
L'elfo non aveva capito di stare trattenendo il respiro fino a quando non si rese conto di essere a corto d'aria e non dischiuse finalmente le labbra.
Solo allora, Simone capì che il discorso degli uomini aveva appena cambiato rotta. Anche perché, le risate erano via via scemate e l'umore era improvvisamente calato.
E lui ne fu in qualche modo grato, il silenzio gli era sostenibile rispetto al chiasso.
Aveva appena realizzato che non avrebbe resistito un'altra notte senza Manuel.
Che gli uomini avrebbero potuto parlare e discutere di qualsiasi avventura, vicenda, ma che le uniche stravaganze che voleva ascoltare provenivano da tutt'altra bocca.
Il turbinio, l'angoscia di quei pensieri che se ne andavano a spasso senza un limite era fin troppo da affrontare da solo.
L'elfo fissò la cena ormai finita in grembo, passò poco però perché anche lui decise di alzarsi.
In tutto ciò, il caso o forse la fortuna, avevano voluto che non notasse gli occhi verdi di Elvira - che ormai non prestava nemmeno tanta più attenzione agli altri uomini - mentre si risvegliava da quello stato meditativo e si avvicinava ad Ingrid e alle donne per dare loro una mano.

Lo cercò proprio quella terza notte, dopo aver dato da mangiare a Neve e essersi assicurato di sganciare la sua corda in modo da lasciarla libera.
Ritornava ormai da sette giorni da sola ogni mattina, sintomo che aveva funzionato darle degli orari.

Era sempre più convinto dell'idea che la notte fosse più sicura per l'amore, o quasi.

Simone giocherellò nervoso con le dita, ritornando al centro del focolare ormai spento, qualche elfo si stava beatamente godendo il cielo e qualcun'altro invece aveva deciso di dormire all'aperto. Nulla di preoccupante in ogni caso, quei pochi erano così rilassati, che Simone non venne nemmeno notato mentre sfilava per le varie tende cercando quella di Manuel.
Arrivato, non seppe quale fosse il modo per annunciare la sua presenza.
L'imbarazzo gli imporporò le guance, ma la voglia di riabbracciare Manuel lo portò a schiarire la voce.
Ad affacciarsi trovò Elvira, che per prima cosa mise a fuoco chi aveva davanti: i capelli erano scompigliati in una coda a lato del viso, gli occhi erano curiosi. Poi diventarono quasi inquisitori.

« Principe...» mormorò lei.

« Sono... » incespicò con le parole. Suonò un pelo disperato. « Chiedo scusa, non volevo svegliare nessuno... » avrebbe voluto spiare dentro quello spiraglio di tenda « cerco Manuel »

Gli occhi di lei gli entrarono dentro le viscere quasi. Non rispose subito, Elvira sospirò grattandosi la nuca.

« È andato un po' in giro con Maximus...»

« Oh. »

Simone ed Elvira rimasero in silenzio prima che uno dei due riprendesse la parola.

« Non credo però farà tanto tardi...» rispose secca. Sbadigliò appena, coprendosi la bocca con una delle mani.

L'elfo annuì, cercò di mandare giù il giudizio della ragazza, la quale doveva saperla lunga sul perché Manuel avesse deciso di fare una passeggiata - inusuale per lui - durante la notte.

Se è in giro con Maximus, incontrerà di sicuro Neve.

« Puoi dirgli che lo ho cercato?» l'elfo provò comunque.

Elvira attese con la mano sulla stoffa della tenda, il viso sfatto.

« Certo.»

Simone annuì lento.
Nascose la mano destra, coperta dalla sinistra, una rara figura ammantata nella sera.

« È importante...»

« Non preoccupatevi, » Elvira rispose a tono « farò ciò che mi chiedete.»

« Grazie... e buonanotte-»

Elvira richiuse la tenda, ma Simone sentì comunque la sua voce che gli rispondeva.

« Buonanotte.»

 

 

            
**

 

 

 

 

Manuel era ritornato alla base con Maximus, gli aveva accarezzato il dorso scuro con la mano prima di lasciarlo da solo e poi era filato dritto in tenda.
Elvira trovò giusto la forza per dirgli che era stato cercato prima di girarsi dentro la brandina, lasciandolo da solo ad annuire al vuoto. Manuel poi posò il piccolo pugnale che portava in evenienza, tirandolo fuori dal fodero degli stivali.

Sospirò da solo, uscì di nuovo fuori.

Procedeva a passi controllati verso la sua meta, sentendosi per metà in colpa e per metà invece si contraddiceva, dandosi soltanto ragione.
Quando strisciò con le dita sul tessuto di cotone, l'elfo non perse un attimo a lasciarlo entrare all'interno di quel nido.
Avrebbe voluto chiedergli perché era così strano, perché avvertiva uno strano senso di inadeguatezza però l'unico modo che trovò per dimostrarsi aperto ad ascoltare ogni suo pensiero e annullare la mancanza di quei giorni, fu dargli amore.

Simone lo cercò quindi con le mani sul viso com'era ormai solito fare per colmare quel piccolo barlume negativo che alleggiava nell'aria ancora.
Nel buio riconosceva ormai ogni sua linea, ogni suo tratto, il confine tra la mascella e i peli della barba.
Lo avvicinò a sé.
Aveva bisogno del suo calore, di quell'odore.
Di sentirsi completo.
Manuel se inizialmente aveva risposto e  si era lasciato baciare svogliato, poi sembrò cambiare idea, afferrò le mani dell'altro e le allontanò.

« Simone, no...»

Gli morì la voce in gola, gli tremarono le labbra.

« Non...non mi vuoi? »

Nella buio la presenze di quei due grandi occhi gli mettevano sia il cuore che la testa davanti ad un bivio.
Manuel sospirò appena, gli allungò una mano in una carezza e Simone lo interpretò come un segno positivo.

« Non dire sciocchezze...»

Manuel sembrò parlare senza chiedere il permesso alla sua testa.  Lasciare parlare solo un tentato e obbligato istinto però, questa volta, non era corretto.

« Ho bisogno di te. » lamentò l'elfo riacciuffando le sue labbra, era quello che gli sembrava più giusto: risanare qualsiasi cosa stava succedendo, facendo l'amore.

Si sentiva tanto sciocco, ma era una costante del sentimento che provava.

Rimise le sue mani sul suo viso, le spostò sul collo e lo baciò dolcemente, come se stesse raccogliendo un fiore.

« Amore » mormorò.

E Manuel si lasciò trasportare.
Annusò quel profumo così dolce e intenso mentre le dita di chi lo possedeva gli finivano dentro i capelli. Si inerpicavano, gli frugavano addosso insieme alla sua voce.

« Amore » 

Le parole di Simone da chiare diventarono piano più confuse, mischiate all'eco di quelle dell'amica che nonostante le cure e nonostante il tempo, gli ronzavano ancora nelle orecchie.
Mentrecercava di scacciare quel sentimento di colpevolezza, Simone si inoltrava espingeva con le mani sulla sua schiena. I palmi chiarirono le sue intenzioniquando una mano si era già spostata sulla maglia, ormai semi aperta sulpetto da quella stessa, si preparava a scacciare l'indumento completamente. Simone siattaccò di nuovo al suo labbro inferiore e Manuel avvertì di nuovo quellasensazione di colpa, di miseria di poco prima.

Non voglio averti così.

Manuel si staccò. La mano veniva passata veloce sulla bocca, abbassava lo sguardo.

Non riesco.

Simone gli alzò il viso.

« Manuel, stai bene? »

« Non... » Manuel portò giù piano le mani di Simone attorno al suo viso « mi sento soffocare. »

Simone ingoiò saliva. Preoccupato, gli abbottonò di nuovo tutti i bottini facendoli passare per le asole. Lo sentiva teso, perso...

« Usciamo un po' fuori, » consigliò l'elfo preso un po' dallo sconforto ma fingendosi stabile « va tutto bene. Tu respira. »

E così Manuel uscì fuori dalla tenda, le mani sui fianchi lo sguardo attorno sul campo ormai deserto.
Simone lo seguì fuori ancora più confuso e preoccupato.

« Respira, » mormorò guardandolo negli occhi, stranamente spenti « siamo fuori. »

« Simone, possiamo parlare? »

Dal suo tono di voce, non prometteva nulla di buono, la sua sensazione era stata corretta per tutto il tempo.
Simone annuì lento, cauto, gli tremavano le mani perché pensava ancora a come le aveva rifiutate prima.

« Manuel andiamo a farlo con calma, in un altro posto...»

Manuel alzò di un tono la sua voce.

« Simone non stiamo facendo l'amore, non possiamo parlarne qua? »

Simone lo prese per mano senza nemmeno guardare se Manuel volesse accettarla o meno, sentiva il battito pompargli in petto. Quello borbottò infastidito. « Cosa cambia...» si lamentò.

Lo portò con sé nel loro posto, tra gli alberi, nella notte, non alzò nemmeno il viso alla luna tanto camminò veloce e ansioso. Quando si trovarono uno di fronte all'altro, Simone parlò senza più  aspettare.

« Mi dici cosa non va? E' da qualche giorno che sei teso... non riesco a tirarti fuori nulla.
Hai voluto spazio perché ti mancava, » l'elfo si indicò abbastanza inquieto « e va bene, ma ora manchi tu a me. »

« Non è nulla... »

Simone cercò i suoi occhi di nuovo attenti altrove.

« I tuoi occhi le bugie non sanno raccontarle, soldato. »

Manuel sospirò pesante, portò l'indice e il pollice a massaggiarsi le tempie.

« Ho solo pensato a questa situazione. Non sono sicuro di riuscire ad andare avanti così. »

Simone annuì vigoroso, indurì la mascella.

Era davvero questo.

« Ti riferisci a me e te. »

« Non dobbiamo poi parlarne per forza. »

Simone gli prese la mano, la stringeva, ora.

Mamma, che succede.

« E invece dobbiamo farlo, possiamo farlo. Invece di tenere lo sguardo distante, Manuel, puoi...potevi dirmi cosa ti turbava, perché non lo hai fatto? »

« Perché sapevo già quale sarebbero state le tue parole e non ho voluto contraddirti. Pensavo ci saresti arrivato comunque da solo. »

Da solo.

Simone assottigliò la voce in un sussurro. Quasi attraversato da una freccia invisibile.

« Da quando sono diventato io il cattivo? »

« Da quando ho capito che sono stanco, Simone.
Sono stanco di dovermi nascondere dal mio gruppo.
I soldati cominciano a fare domande la sera quando mi assento, l'unica che mi capisce e sa è Elvira e mi sta » si corresse subito dopo « ci sta reggendo il gioco. Io voglio poterlo urlare, di questa cosa, di noi. Sono stanco di sopprimerlo.»

Manuel lo guardava stravolto.

« Tu non sei stanco? »

Simone restrinse le labbra. Se ascoltava se stesso retrocedeva passi indietro, se ascoltava Manuel, si sentiva mangiato dalla colpa.

« Cos'è cambiato in questi giorni, perché hai cambiato idea-»

« Perché continuo a pensare a come sarebbe farci vedere da tutti alla luce del sole.
Senza dover raccontare altro. Senza nascondersi.»

Manuel incollò lo sguardo al suo. Sincerità liquida gli scorreva nella voce.
« Perché ci tengo così tanto che non riesco più a limitarmi. Dio, io non vorrei limitarmi. »

« Ma anch'io ci tengo, Manuel, tu sei importante. » pigolò, stringeva la sua mano sotto il suo naso, ci depositò un bacio su quelle nocche.

« Ti vergogni di me? »

Simone cambiò sguardo.

« Non mi vergogno di te! Come posso...anzi non potrei essere più fiero, Manuel cosa stai dicendo? »

« Se non ti vergogni di me, di che cosa hai paura? »

« Manuel, per favore-»

Manuel si scostò da Simone, buttando via la mano, allargando le braccia.

« Non trovo altra logica dietro! Tu hai paura di perdere credibilità se dicessi che stai con me, hai paura dello sguardo dei tuoi stessi uomini. È così, no? »

Simone gli andò dietro, perché adesso era di spalle.

« Non mi fai paura, non mi sarei mai innamorato di te se fosse così, non mi sarei fidato, non mi sarei aperto. Ho paura sì, ma non tanto di loro, di me stesso. »

L'elfo cercò di stringerlo a luu, posò il suo mento sulla sua spalla, provò ad abbracciarlo da dietro, anche se non riusciva a vederlo in faccia.

« É del parere di tuo padre allora, il suo giudizio, il suo orgoglio che ti preoccupi.  Questo viene prima di qualsiasi tipo di tua serenità, non è vero? »

Simone soffocò un singhiozzo.

« Manuel »

« Dimmelo, stiamo parlando, no?»

Manuel girò il viso, il collo bloccato per guardare la sua reazione. Simone pesò attento le sue parole.

« Mio padre mi ha dato questa missione, non sono io che l'ho scelta. »

Manuel scrollò le spalle girandosi di scatto.

« Un uomo di cui ti ho sentito dire poco o nulla, un uomo che non ti stima, ma con cui ti ostini a ricercare un legame. Tu cerchi il suo consenso e questo, di conseguenza ha a che fare con te, così come ha a che fare con me. Mi sbaglio? »

« Manuel-» lo riprese parlandogli sopra.

« Per favore, sii sincero. Non si tratta solo di te.
Se fosse così, lo sai che ti sarei stato vicino. A un ogni tuo dubbio, sussulto, caduta, sono qua, lo faccio. E lo faccio perché è inevitabile. Io mi sono innamorato di quella persona. E uno sguardo o dieci, cento sguardi diversi nei tuo confronti, non potrebbero cambiare nulla o innescare il sentimento opposto.»

Simone deglutì, cercando un appiglio a chi aggrapparsi e se non era fisico, dovevano essere per forza i suoi occhi. Manuel gli accarezzò per qualche secondo i dorsi delle mani.

« Per me è lo stesso, lo sai. »

« Cosa c'è di male nel volerti baciare di fronte a tutti? Voglio prenderti per mano davanti a tutti, voglio poterti dire che ti voglio forte e chiaro e voglio fare tutto questo fuori, con te! »

« Manuel- »

« Ma ho bisogno di certezza, non di un legame occasionale. »

Non è vero, non ho mai voluto questo.

Simone si spezzò offeso nella voce di conseguenza.

« Quello che abbiamo non lo è, pensi che mi interessi quello di te?
Pensi che sia così? Che tu per me sia un passatempo, qualcosa con cui distrarmi? È come se tu stessi mettendo in dubbio tutto quanto: io non sono solo questo, non sono solo Simone. Non posso essere solo Simone. Ho anche un altro peso sulle spalle! »

Non posso scappare.

Manuel era già lontano pur essendo nella sua visuale.

« É bello riuscire a non pensarci quando stiamo insieme, andare altrove, pensare di poter essere me stesso... ma sono stato buttato in una cosa più grande di me, lo sai. E devo portarla avanti. C'è in gioco molto più di ciò che proviamo noi due. Ci sono vite di uomini, ci sono pericoli-»

Manuel si inumidì le labbra, le serrò. Non lo lasciò finire.

« Quindi in sostanza prima la guerra, poi io. »

Simone non rispose, aprì la bocca, poi la richiuse.
Manuel fece per andarsene ma l'elfo lo bloccò dal braccio, facendolo voltare per costrizione.

« Devi ascoltarmi! » non smise di cercare un contatto, le dita gli accarezzavano ora il braccio, pentito di averlo afferrato, evitavano di stringere troppo.

« Io e te sappiamo quello che abbiamo, Manuel tu sai come mi sento quando sto con te e io so come ti senti tu con me.
E non lo cambierei per niente al mondo, perché è prezioso, perché non mi sono sentito con nessuno, così, mai.
Se ti dicessi tutte le volte che ho cercato di spiegarmi come funzionava l'amore, rideresti di me.
Perché non sapevo nulla, so ancora poco o niente.
Sento che non ne ho bisogno quando stiamo insieme.
Ho solo... mi serve tempo, io... non voglio rinunciarci. Non a te, non voglio. »

Simone cercò di dosare il singhiozzo che gli stava salendo su nella voce. Inspirò, vacillando appena. Ancorò le sue iridi, Manuel dischiudeva le labbra ma non smetteva di avere gli occhi amari.

« Tu hai sentito l'affetto di un padre fin quando non ti è stato portato via. Mia madre c'è stata fin quanto non è stata spenta e questa... questa guerra credo sia... è un'occasione per me, è come una prova che mi è stata data. »

Manuel si addolcì appena, provando a raccogliere l'ultimo briciolo di stabilità.

« Non credo che tuo padre cambierebbe idea o cambierebbero le cose fra voi due,se sapesse a cosa rinunci. È la tua vita non è la sua, Simone. » commentò duro.

Per favore.

« Lo sai che ti amo... ti chiedo solo del tempo. »

Manuel fissò il terreno, lento ritornò a guardarlo.

« Quanto tempo mi stai chiedendo, Simone? » rispose duro in viso ma con voce ferita « Un mese, un anno, la fine della guerra... quanto? »

Manuel.

« Non lo so... ma è un tempo nostro. »

Non sta succedendo.

Manuel negò col capo. Simone riprovò.

« Dovrei bastarti io. A come ti penso, a c-come... » l'elfo deglutì strizzando gli occhi. Sentiva il fiume scorrergli e sfociare agli angoli degli occhi « Come ci guardiamo, come ci cerchiamo, come non vedo l'ora di rivederti ogni giorno. Manuel, per favore... »

Ne valeva la pena, no?

« E io vorrei mi bastasse Simone. »

Simone posava la fronte contro la sua. Manuel voltò la faccia.

Il silenzio che divorava un cuore.

« Non credo di avere altro da dirti. »

Lo vedeva allontanarsi non potendo più trattenerlo.
Strinse i pugni, lasciò sgorgare una piccola e innocua parte di fiume.

« Dove vai? »

Manuel si fermò prima di riprendere. Non si voltò per non rischiare.

« Ho bisogno d'aria, di allontanarmi da qui per un po'... »

Posso venire con te?

Ma l'altro se ne era appena andato e lui non poteva più replicare.
Simone non poteva più costringerlo a restare.

 

 

 

 

Calpestando ciuffi d'erba e sassi, Manuel era ormai ben lontano dal campo.

Calpestando terra come fumo da sopra gli stivali, non sapeva quanto tempo fosse passato.

Se ne stava a braccia e mani libere e molli, la testa altrove.
Se ripensava allo sguardo ferito di Simone, gli veniva da riprendersi tutto ciò che aveva detto, ma era troppo tardi per farlo.
Aveva sentito una scarica forte di adrenalina tirando tutto fuori, trovando una via libera come una pianta secca che veniva estirpata via dal suolo perché inutile e perché neanche l'acqua poteva più salvarla dal suo destino.

La rabbia andava scemando, lasciava posto alla mancanza.

Guardò dietro di sè.

La via fitta dietro di sé, una fila di alberi che sembrava più infinita di quanto in realtà non fosse.

Mai infinita, quanto quel litigio dilatato in pochissimo tempo.

Dovevo farlo.

Manuel si morse le labbra più volte fino a farle sanguinare quasi.

Eppure perché mi sento così male?

Sospirò pesante. E trovò un piccolo angolo in cui sedersi in mezzo a grossi tronchi.
Portò le mani a coprirsi la faccia.

« Perché Simone, perché » si lamentò, sembrava intonare una preghiera al buio « perché mi chiesto questo, perché non potevo dirtelo prima. »

Troppo impegnato a corrodersi l'animo, Manuel non aveva notato nessun movimento intorno.
Stava decidendo di alzarsi e tornare al campo.
Era lì da troppo tempo e rimanerci non avrebbe fatto altro che prolungare quell'agonia.
Era inutile, si sentiva come una barca senza remi, né mare.

Avrebbe trovato un modo di sistemare le cose, anche se non pensava a una strada facile.
Non voleva rimanere nascosto, ma Simone era, restava ciò che gli mancava per funzionare.

Manuel si era appena alzato.

E come si era alzato, qualcosa lo colpì alla schiena.
Si ritrovò a faccia a terra, la quale gli entrò in parte dentro i polmoni respirandola forzatamente dal naso.
Il sapore dei fiori, ormai, era abituato ad immaginarlo diverso.
Quello, sapeva di amaro.
Manuel provò ad alzarsi frastornato, ribelle adesso, perché qualcuno gli salì addosso. Il peso era non indifferente. Qualcuno gli legò le mani.
Con un'altra botta assestata, ma che non gli fece perdere sangue, Manuel chiuse gli occhi, cadendo in un sonno momentaneo, privo di sensi.

Venne caricato molle e inerme su una spalla e portato via.

 

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Capitolo 23
*** Moria ***


Nero abisso.



 

Il rumore del vento nelle orecchie.

Stupido.

Rumore inesistente.
Un groviglio addosso, fuori e dentro. Simone si ritrovò senza sonno, senza rimedio, senza speranza.
Il sonno diventato un sonnambulo, il corpo duro, la tenda, le sensazioni ridotte a un freddo giaciglio.
C'era un senso se adesso ci pioveva dentro tutto.

Sono uno stupido.

Rannicchiato contro se stesso, solo. Meritava di essere indifeso, non aveva nessuna intenzione di convincersi del contrario.

Solo.

E Manuel chissà dove coi suoi pensieri, chissà se già assopito nella sua delusione, chissà se recuperabile la sua fiducia.
Non avevano mai litigato, forse era anche esagerato reagire così, ma il suo sesto senso aveva avuto un motivo d'esistere per tutte quelle ore: gli occhi dell'altro erano cambiati mentre gli apriva il cuore più sicuro che mai e il suo, era da poco fiorito, aveva imparato da poco ad illudersi.
Deglutì in mezzo ai singhiozzi liberi e incontrollati. Due punti di vista inconciliabili, due cuori simili ma da un'altra parte.
Simone scacciò altre lacrime, le mani non facevano altro che tremare e la colpa avvilirlo, il corpo desiderare tanto un abbraccio.

Era così che l'amore si muoveva?

Cieco e senza fare rumore, cadeva davvero e finiva quindi nell'abisso, si feriva nella caduta, restando immobile sul fondo?

Non conosceva le vie, non conosceva nulla, però aveva conosciuto Manuel.

Era così che si faceva spazio e colpiva la desolazione?

Mi dispiace amore mio.

Le mani sulla testa, gli occhi belli ed espressivi quasi massici, fatti di pietra.

Mamma, non puoi dirmi nulla, lo so, ho fatto tutto da solo.

L'acqua si spense per il pesante stato di stanchezza e quando quegli occhi gonfi e doloranti si aprirono, la notte era già diventata alba. Il mormorio era fastidioso, per fino il rumore naturale del respiro, del petto.
Gli sembrò di essere ritornato indietro a un mese fa, senza un appiglio, senza riuscire a capire chi fosse e perché fosse lì.
Simone si mise lentamente seduto, si scavò gli occhi con il dorso delle mani. Realizzò di non essersi nemmeno coperto durante il sonno e proprio per questo il corpo risultò più fiacco, meno tiepido di quanto doveva.
Alzarsi fu un'impresa titanica, anche per la sua tipica agilità.
Afferrare il mantello fu un gesto meccanico invece, diverso invece poteva essere guardare il suo aspetto ma si immaginava già come potesse apparire.

Dormire era stato impossibile.

Simone si tirò fuori dalla tenda molto tempo dopo rispetto a quando si era svegliato. Passò i secondi a fissare il punto dove aveva dormito.
Dove di solito lui e Manuel passavano la notte.
Si motivò soltanto con l'eco di un pensiero in testa.

Chissà se ho ancora importanza ai tuoi occhi.
E scostando la tenda trovò pochi soldati già in piedi.
Di lui però, non c'era ancora traccia.
Era vicino alla sua tenda e ancora non c'era nessuna ancora guardia che servisse al suo lavoro di supervisione e controllo.
Così, si accontentò di Neve, la sua fedele gli si era fatta vicina senza che la chiamasse, ciondolando con quel suo corpo, la coda oscillante, le zampe dirette sulla sua traiettoria.
Simone sprofondò col viso nel suo pelo, abbracciandola.
Si aggrappò alla sua amica senza alcuna remora.

« Ho fatto un grosso errore, Lossë » mormorò spezzandosi poco dopo.

Neve soffiò qualcosa contro il suo orecchio. Lo interpretò come un rimprovero.
L'elfo ne accarezzò il pelo, respirò l'odore caldo, l'odore di erba che aveva addosso, gli occhi lasciarono uscire le ultime lacrime protagoniste attese della mattinata. « Un grosso errore. » ripetè.

Cercò per tutto il giorno il viso di Manuel tra i soldati, si distraeva pranzando senza parlare con i propri simili, fino a quando non decise di parlarne con qualcuno per non scoppiare del tutto. Era l'ora in cui le donne prendevano le ciotole, l'ora in cui ci si preparava a pianificare un altro cambio di rotta.
Per Simone il tempo sembrava invece non passare mai, inesorabile, lento.
Si avvicinò ad Elvira in mezzo agli altri che parlavano mormorando di qualcosa che interessasse tutti nei pressi della sua tenda.

Manuel non era tra loro.

Elvira si alzò intercettando il suo sguardo, si fece forza sulle cosce e lo degnò di attenzione. Fece un cenno col capo e destando la curiosità degli altri, lo invitò dentro il piccolo spazio.

« Lo hai visto? » chiese Simone senza preamboli.

Elvira teneva le braccia serrate, la bocca contratta in una linea.

« Pensavo Manuel avesse passato la notte con... voi. »

In realtà Elvira avrebbe voluto tanto essere partecipe al tumulto dell'amico anche la notte precedente, ma poi ne avrebbe dovuto fare i conti. Era stata il suo confessore per giorni.

Simone buttò fuori un sospiro stressato.

« No, » debole nel fiato, non aveva finito nemmeno di mangiare « non è...non è rimasto con me.» 

Non riusciva a respirare. 

Mi ha odiato.

Ingoiò saliva, ricacciò indietro altre lacrime. Elvira riprese a parlare.

« Qualcuno ha già cominciato a fare domande tra di noi, cominciano a dire le cose più vaghe in sola mezza giornata...ma questo perché nessuno lo conosce bene quanto me. » Elvira si indicò testarda. « I vostri soldati, che dicono? »

« Non si sono accorti di nulla, non ancora, » il principe deglutì « ma appena si saprà, verrà visto come un disertore in ogni caso. E io purtroppo ho poca voce in capitolo rispetto al Re. »

Simone pensò alla colpa che sarebbe caduta su Manuel se suo padre fosse venuto a saperlo, i disertori venivano puniti in un modo diverso, non con la vita, bensì venivano tolti dal servizio militare a vita.
Una lettera o due circolavano veloci nel regno per rifiutare la richiesta di un soldato che lasciava il campo senza nemmeno essersi presentato e aver giustificato la sua motivazione.
E per Manuel quello, a parte casa sua, era tutto ciò che valeva la pena conoscere.
E togliergli quel mondo significava ammazzarlo.
Così come la sua assenza, stava ammazzando proprio lui.

Elvira scosse la testa rilasciò le braccia lungo i fianchi.

« Manuel non lascerebbe mai l'esercito in questo modo... » gli occhi le si accesero, carburò nel tono. « nella notte, come un vigliacco qualunque, no. La sua non è gloria, non è dimostrazione di nulla, è per la sua famiglia se è qui! »

« Lo so... »

Elvira si morse la lingua tra i denti. Aveva pensato all'amico tutta la mattina, di solito si svegliava e di buona maniera argomentava con il suo cavallo oppure fissava l'alba, privo di sonno. In più quell'elfo le sembrò sul punto di irrompere in un pianto senza fine.

« Se gli fosse successo qualcosa...non c'è modo che io possa perdonarmelo. »

Elvira lo guardava.

« Ragioniamo, se si è allontano di sua sponte, mi chiedo... che senso ha cercare già il colpevole senza nemmeno conoscerlo? »

Simone si ritrovò a confessare riluttante.

« Perché io ho la responsabilità. Sono l'ultimo ad averlo visto. »

« Non avevate detto che non aveva passato la notte con-»

« Non è rimasto a dormire, ma... quando è venuto da me era teso. Lo era da giorni...immagino saprai già tutto. Io non sono riuscito a capirlo. »

Elvira serrò la mascella.

La ragazza si aggrappò con le mani alla cintola dei pantaloni.
Non mentì a se stessa, il suo primo istinto le aveva suggerito di agganciare la mano alla prima arma meno tagliente che possedeva e di lanciarla contro quel tale in un moto crescente di rabbia, ma poi si era dissolto.
Non era giusto per Manuel, non era giusto per la sua stessa coscienza e non era giusto per quel tale inerme.
Simone se ne stava in piedi di fronte a lei, non possedeva nessuna arma addosso e sarebbe stato uno scontro impari. Poi, si rese conto che non avrebbe affrontato tanto un reale, quanto l'elfo che si nascondeva sotto.
L'elfo cercò infatti di reprimere il pianto, un'onda frastagliata sulle labbra.

« Si è allontanato per voi, quindi. »

Elvira abbandonò il suo primo pensiero.
Simone osservò la brandina ancora intatta, i vestiti per la notte, la camicia con i lacci quasi senza pieghe stesa ampia da una parte. Abbassò la voce come in stato di tranche.

« Non ti biasimo. Non biasimo lui, è colpa mia se abbiamo litigato. È solo colpa mia se Manuel è scomparso. » incurvò le labbra, spento.

Elvira gli diede le spalle quindi, allungandogli con una mano la sua borraccia con l'acqua.

« Sono sicura che presto si farà vivo. Sapremo qualcosa, non è da lui scomparire nel nulla. »

Simone rifiutò l'acqua. Elvira approfittò per berne un sorso, poi la richiuse veloce.

« Non sarebbe scomparso così, non ha senso. È testardo, sì, ma non sarebbe così avventato da mollare tutto. È una testa calda su certe cose ma io, Maximus, i suoi compagni sono pur sempre qua che lo aspettano...»

Elvira avrebbe voluto aggiungere anche voi qui ma rimase zitta.
I drammi d'amore non li aveva mai capiti, anche se era evidente, anche un cieco lo avrebbe percepito.
Quella di Simone non era semplice infatuazione, come allo stesso modo quello di Manuel era un sentimento vero su tutti i fronti.

Simone indurì il tono. Era anche chiaro che stesse cercando di darsene uno, per non mettere su scena pietosa una volta uscito via da quella tenda.

« Se domani non sapremo ancora nulla agirò di conseguenza. Anche a costo di muovermi da solo. »

Elvira annuì frastornata.
Simone era ormai voltato di spalle.

« Principe. »

L'elfo si girò.
La ragazza stringeva fin troppo forte la sua borraccia, come se fosse un oggetto dell'amico.

« Aggiornatemi se sapete qualcosa. »

Simone annuì, il petto di poco più leggero e svuotato.

« Non mancherò di farlo, Elvira. »

L'elfo pensava di sentirsi meglio e invece una volta ritornato fuori, alla visuale di tutti, si sentì un perfetto traditore.

 

 

 

 

**

 

 

 

 

Ancora stordito, Manuel ricordava di essere stato risvegliato con dell'acqua.
Ciò che portava addosso dalla maglia all'inizio dei suoi pantaloni era umido e chiazzato.
Due orchi gliela avevano buttata addosso ridendo sguaiatamente, parlando la loro lingua confusa e cacofonica tra loro prima di uscire fuori dal buco in cui lui si trovava.

Povero omuncolo, gli aveva sentito dire o almeno gli sembrava che fosse uscito dalle loro bocche deformi.

Le mani gli facevano così male e in un primo momento Manuel non capì perché. Poi provando a muoverle, avvertì la corda stretta stringergli forte contro i polsi, legati a loro volta ad un palo di legno conficcato nel terreno dietro la sua schiena.
Sembrava una colonna solo più dura, ruvida e grezza che rompeva la sommità di quella specie di tenda lercia, sudicia e più e di una consistenza rinforzata con fogliame e fango alle pareti per rattoppare qualche buco nella trama. Non sapeva come definirla se un tugurio o prigione toccata da un sentire simile al letame o un tentativo lontano di imitarne una.
Che fosse però una delle due aveva poca importanza, anche i piedi erano legati insieme dalla stessa corda, le ginocchia infatti cominciavano a indolenzirsi in quella posizione.
Venne lasciato dentro per un po' di tempo, incalcolabile.
Tutto quello non fece altro che portarlo a pensare.
Manuel si straziò perché le uniche cose che lo distraevano, erano anche le uniche che adesso, gli stavano facendo male.
Le uniche a cui riusciva a pensare: un unico viso, un unico suono, un unico sorriso e due occhi sul punto di scoppiare.

Strizzò gli occhi, impotente, con fiacchezza.

Non aveva con sé nemmeno un'arma, niente con cui potersi difendere.

Si aggrappò quindi a quelle immagini eccetto l'ultima, perché avrebbe voluto tornare indietro ed evitarsi di esplodere davanti a quelle due rarità grandi e che gli stritolavano il cuore.
Era rimasto tutto quel tempo nella foresta senza pensare a cosa poteva succedere, a lui, all'altro, era rimasto nascosto, furioso, senza prestare fede al proprio istinto, all'accortezza.

Manuel si distrasse da quelle immagini nostalgiche e aprì gli occhi per via di un rumore di un grugnito sempre più evidente fuori dalla tenda.
Cercò di cogliere qualcosa di utile da quei mormorii quando, un altro mostro diverso dai primi due che gli avevano dato il benvenuto, fece il suo ingresso. Degli occhi gialli sporco e triangolari lo guardavano con curiosità e disprezzo.

« Bene, ora sembri abbastanza sveglio, » l'orco rimase in piedi, braccia serrate « dicci tutto ciò che sai sul tuo esercito. »

Manuel serrò le labbra. Calò in basso la testa.

« Sei sordo per caso? RISPONDIMI » urlò l'orco in un boato.

Manuel rimase fermo e inerme, il silenzio ormai sua unica difesa e motivo di lealtà.« Ragazzo, te lo chiederò solo un'altra volta » intonò ancora l'orco meno paziente « rispondi che cosa sai? Dove si sposterà il tuo esercito la prossima volta? Parla! »

Manuel rialzò piano lo sguardo. Cercò di risultare sicuro.

« Non lo so. Non so a cosa di cosa stai parlando »

L'orco sbuffò spazientito.

« Uh che carino, non lo sai. » l'orco annullò la distanza con due soli passi a grandi falcate, Manuel poteva respirare meglio il suo fetore adesso « Parlo del tuo esercito di uomini, dei tuoi compagni misto a quello dei fetidi. »

Fetidi, è così che li vedono.

Manuel si infervorì.

« Se credi di cavarmi fuori qualcosa, » contrasse la mascella, il tono duro « se pensate davvero che possa parlare, siete degli solo degli illusi. »

« Pensi che qualcuno verrà a salvarti? »

L'orco si portò una mano a grattarsi la testa. Accovacciato com'era, riusciva a vedere i suoi denti storti e appuntiti su una bocca colore verdastra-bruna.
Manuel strinse i denti, sentiva il corpo già indolenzito, ma la tempra, il carattere erano sempre stati qualcosa che forgiava il corpo da dentro. Non da fuori.

« Continua pure, » mormorò con tono di sfida « tanto io non ti dirò nulla. »

L'orco l'apostrofò.

« Che prode e audace soldatino abbiamo. Ma qui il coraggio non ti aiuterà. Stupido. »

L'orco cominciò a ridere, Manuel invece decise di agire nell'unico modo che sapeva. Non poteva muoversi era vero, ma nulla gli impedì di sputare. Non dovette nemmeno calcolare la traiettoria.
Lo schizzo di saliva finì addosso all'orco centrandolo in un occhio.

Il mostro estrasse una lama affilata, non sembrava né un pugnale né un normale coltello, ramificato e incurvato, come una piccola falce a portata di mano.

« È davvero un peccato se succedesse qualcosa a questo bel faccino » la lama si posizionò parallela alla sua mascella, l'altro non deglutì nemmeno, fissò l'orco con lo stesso disprezzo « se proprio mi costringi » l'orco alzò la voce senza staccare gli occhi innaturali da quelli umani di Manuel « OZRAK, FELDERC! »

Due altri orchi entrarono dentro la tenda. Uno era più tozzo e tarchiato, l'altro più alto e smilzo e reggeva una mazza fra le mani.

« Ozrak posa quella, » l'orco sorrise ampio e inquietante verso i due sottoposti « darò che ci è concesso, ora ci divertiamo un po' qui. »

Quello lasciò spazio all'orco più tozzo e passò a quello più alto un coltello - questa volta Manuel lo riconosceva - per tagliare il pane. L'orco iniziale cominciò a cercare dentro quello che sembrava un sacco pieno di arnesi, abbandonato in una parte della tenda. Ne uscì fuori tutto ciò che gli serviva e lo buttò fuori dalla tenda. Ozrak stracciò la maglia di Manuel senza nessuna delicatezza, la punta del coltello sprofondò in parte sulla pelle nuda e il soldato emise un lamento soffocato. In un secondo, la sua maglia sarebbe stata ridotta a uno straccio, così come la sua carne. « Vediamo se adesso ti viene voglia di parlare. »

L'orco più tozzo, invece, gli abbassò le braghe fino agli stivali. Le narici si alzarono controvoglia, annusò.

« Fermi, riconosco questo odore, lasciate capire a me! » gracchiò il più alto, arricciò il naso disgustato e ancora più sproporzionato e sbilenco. « Tu odori come uno di loro. »

« Per forza, combatto in mezzo a loro. » sputò fuori Manuel già scoperto sul petto. La lama da coltello era ferma sulla pelle.

« Gelsomino » commentò l'orco « pregiato, delicato... questo non è odore di un semplice elfo »

Il maggiore che aveva iniziato l'interrogatorio recuperò la frusta da terra, teneva quel nastro di serpente con la sinistra. Con la destra, slegò le mani di Manuel e le portò in basso premendo sulla sua schiena. Il corpo di Manuel venne piegato di forza in avanti, vide i segni rossi sui polsi solo per un istante perché la corda ci passò quattro volte attorno stringendo bene e forte.

« Qualcuno c'è morto per questo puzzo. »

Ozrak e Felderch si scambiarono un'occhiata eloquente, piena di realizzazione e poi di odio. Lo sguardo di intesa al compagno si fece più forte. Il maggiore, strisciò la parte finale della frusta sull'inizio della schiena di Manuel.

« Mentre qualcuno qui ci si diverte. »

Ozrak puntò veloce il coltello sulla giugulare del ragazzo, si passò la lingua tra i denti.

« SBUDELLIAMOLO, UNA VITA PER UNA VITA! » gli occhi violacei brillarono nella penombra « NON MANCHERA' A NESSUNO »

Manuel ricambiò con il suo sguardo che seppur stanco, restava sempre di sfida. Sputò di nuovo e stavolta centro la punta del naso di quello. Ozrak fece più pressione.

« NO! » rispose perentorio l'amico di fronte a lui « Ozrak, al capo servono informazioni. Ci serve vivo. »

L'orco a comando cominciò a sganciare il primo colpo di frusta mentre Ozrak e l'altro lo tenevano fermo per il collo e le gambe che si dimenavano.

« Combatto con loro, è normale che il nostro odore si mescoli!» si lamentò Manuel. L'orco sferrò un altro colpo di frusta e il soldato rispose con un lamento.

« Stai facendo tutto questo per quell'elfo? » grugnì il mostro prendendolo in giro.

Gli diede un altro colpo, Manuel inarcò la schiena in uno spasmo.

« Lo sai che lui non morirebbe per te? Così ingenui, gli umani. Gli elfi non sono capaci di provare amore! »

Manuel sentì scivolare la prima goccia di cui gli bastò immaginare solo il colore per vederla, correre lì, sulla schiena. Strinse i denti e strizzò gli occhi. L'orco lo tirò per i capelli fissandolo per un attimo al palo conficcato al centro del suolo. « Loro hanno rubato il nostro territorio. Si fingono solidali quando in realtà ci disprezzano, ci perseguitano. Noi e voi umani, insieme. »

« Vi sbagliate » Manuel ringhiò senza limitarsi « qui siete voi gli assassini. E siete voi ad avere occupato le loro terre.»

L'orco rise insieme agli altri gorgogliando.

« Credi davvero che questo farà di te un esempio? » continuò. Il rumore della frusta risuonò agghiacciante sulla carne viva di Manuel.

Il soldato vibrò forte piegandosi indietro. I rivoli di sangue scivolavano ora più chiari, come lacrime rapide.

« Che loro si ricorderanno di te? Vuoi diventare un martire, morire per lui? »

Se era lì era per causa sua.

Dimenticava per fino, adesso, il motivo per cui avevano litigato.

Un altro al suo posto avrebbe potuto parlare e dire tutto pur di salvarsi e potere scappare, ritornare a casa.

Ma lui non era il tipo.

Simone non c'entrava nulla, il suo mondo non era dalla parte del torto, il suo, quello dei suoi compagni, di Elvira, della sua famiglia andavano preservati.

Manuel doveva soltanto prendere tempo.

Simone, amore mio.

Quelle bestie volevano solo entrargli in testa e strappargli ciò che ancora gli rimaneva di saldo e solido.

Pensava a Simone.

Ad ogni ferita, ogni piccolo strappo della carne che veniva a crearsi.

Quella sua immagine resisteva e con fatica Manuel, si sforzava di farla restare.
Le gambe erano come bloccate nel tentativo vano di scalciare le mani sporche e grandi di uno di quei tre esseri.

Pensava a Simone.

Pensava al suo di sangue, a quello che avrebbe versato se ci fosse stato lui incatenato, appestato da quell'aria sudicia.
Pensava in che modo uno di quelle bestie lo avesse toccato causandogli un trauma profondo.

Se ce la avrebbe fatta ad uscirne fuori, le sue ferite sarebbero guarite, prima o poi.
Quella di Simone non sarebbe mai passata invece.

Manuel deglutì forte allo spasmo successivo, si inarcò allo scroscio dell'arma commentato soltanto dall'eco di parole simile a un grugnito ora, straniero.

Pensava ancora a Simone.

La morte gli sarebbe venuta più dolce, con quella voce che cantava pronta ad addormentarlo, insieme a quel sorriso timido e sincero, proprio come in un sogno, tirandolo così fuori dall'incubo.

Manuel avvertì la corda divorargli la pelle, non sentiva più le sue gambe, la sua schiena.

Simone, per favore, fa presto.

Continuò a non dire nulla, a non rispondere sotto le provocazioni che subiva, a resistere per come poteva.

Sembrò pregare in quell'agonia fino a quando dopo urli ridotti a lamenti, il suo corpo non rispose più costretto in quella posizione. Manuel venne legato come prima al palo e lasciato abbandonato a se stesso, perdendo i sensi, accompagnato dalle stesse risate che lo avevano accolto, in sottofondo.

Non percepì nemmeno il tocco di uno di loro che posava la lama su una porzione di riccioli lunghi finali.

Non percepì nemmeno il grugnito che si stavano scambiando e nemmeno gli insulti.

L'unica voce che gli arrivò era la sua, delicata e dolce.
L'unica immagine che riuscì a vedere era quella sua pelle bianca e quei suoi grandi occhi, apriva la bocca e sussurrava litanie.

Quella melodia gli accarezzò le orecchie.

Manuel la ascoltò prima che piombasse ad occhi già chiusi, nel buio.









 

Erano trascorsi quasi due giorni dall'ultima volta che Manuel si era visto al campo.
I suoi compagni avevano cominciato a fare domande, rivolgendosi ai loro superiori. E più quel brusio di voci e preoccupazioni aumentava, più Simone si sentiva impotente. Stava richiedendo a Fëanor di poter organizzare una ricerca approfondita già da qualche ora, preparare il suo cavallo, ma gli era stato negato perché troppo pericoloso senza una traccia o un suggerimento su dove il soldato disperso potesse essere. In tutta risposta invece, Amras, era stato meno comprensivo. L'altra sua guardia era stata abbastanza lasciva sulla questione. Ed il principe stava provando a tenere una conversazione sana e logica in questo momento.

« È un soldato su quanti, quattrocento? È stato addestrato per sopravvivere, cunn nîn. Non possiamo mettere a rischio qualche altro uomo solo perché uno ha deciso di allontanarsi » Amras si massaggiò le tempie, lo sguardo del principe si era fatto cadaverico « o peggio, disertare. »

Il principe quindi, si rivolse all'altro.

« Fëanor per favore, tutto ciò non ha senso, » continuò Simone impuntandosi « è al nostro servizio, merita quanto meno di essere cercato, posso anche partire da solo, non c'è bisogno di scomodare nessun'altro!
Mi sembra davvero incredibile stare ancora qua a parlarne! »

Fëanor sospirò sommessamente rivolgendogli uno sguardo abbastanza eloquente. Simone serrò la mascella.

« Simone, ragiona, non abbiamo una pista, una traccia, qualcosa che ci dica dove possa essere. Potremo aspettare ancora un p-»

Simone si tirò fuori dalla tenda esausto.
Era già calato il sole e per quanto stessero ancora aspettando, a Manuel poteva già essere successo qualunque cosa. Poteva essere finito nelle mani di loschi o degli stessi orchi, per quanto ne sapeva. Stavano rischiando troppo lasciandolo in balia di chissà che cosa.

Non era un semplice soldato, voleva dire loro, ma non poteva spiegarlo.  

Così, mentre Elvira si avvicinava insieme ad altri soldati per ricevere notizie, Simone decise di dire la verità. Raccolse quegli occhi verdi della ragazza e tanti altri che rimanevano nel dubbio. Era sul punto di spiegare loro che aveva le mani legate, quando qualcosa in lontananza si avvicinava al campo e le sue orecchie si aprirono al rumore. Al principio sembrò una piccola ombra sfocata e Simone pensò che fosse ritornato. Che sopra quel cavallo vecchio, grigio, potesse esserci il suo soldato.
Quando quello che si rivelò essere un ragazzo, fu vicino, poteva avere poco più di quindici anni, malconcio, esausto, portava una vistosa ferita alla tempia, vestito di pochi stracci. Assomigliava più a uno schiavo. E come uno schiavo, impaurito e tremante indirizzò l'attenzione di tutti e parlò.

« Il p-principe dell'esercito? » chiese il ragazzo tremante.

Simone si fece avanti, il cuore gli rotolò più volte dentro al petto.

« Sono io. »

Il povero ragazzo spostò una mano sulla sacca attaccata alla cintola.

« Gli orchi v-vi mand-aano q-uesto » tremolante allungò il piccolo sacchetto chiuso con un nastro sporco di terra e di sangue secco.

Simone afferrò il piccolo oggetto.
Non provò a sfidare il suo olfatto perché come l'udito, era uno dei sensi che non lo tradiva mai.
Sfilò il nastro con una velocità paurosa, aprì il contenuto del sacchetto sporco.
Con poche dita tirò fuori le fibre sfilacciate e separate di quei capelli ricci che gli accarezzavano il viso, che gli erano arrivati quasi alle spalle.

Il cuore diventò minuscolo.

L'elfo portò al naso quelle poche ciocche.

La prima cosa che l'istinto gli suggerì di fare fu di piangere.

Ma non c'era tempo per quello. Non era più tempo per aspettare, doveva agire. Quello era un avvertimento, il segnale che cercavano ma nulla di più.

Manuel era vivo.

E se lui era vivo, non era ancora tutto perduto.

Volevano solo che lui in persona si presentasse al loro cospetto per trattare, per combattere forse, per chiudere la cosa una volta per tutte.

Non sapeva esattamente come avrebbe reagito a trovarsi faccia a faccia col loro capo, ma una sola cosa lo muoveva: Manuel era vivo.

Non si chiese nemmeno come avevano fatto a ricondurre Manuel a lui. Gli orchi come gli elfi, avevano un olfatto incredibile e il suo odore doveva essergli rimasto addosso.

Simone rimise quei capelli con cura dentro il sacchetto, lo strinse forte nella mano.
Guardò il ragazzino.

« Portami da loro. » ordinò.

Lo schiavo fece girare il cavallo, mentre il principe proseguì a ritroso per recuperare Neve, scioglierla e sellarla. La  preparò il più velocemente possibile.

Urlò alle sue guardie.

« Manuel e ganniel orchoth!»

E' stato catturato dagli orchi.

Strinse la briglia a Neve cerando di prepararla il più velocemente possibile.

« TORNERÒ CON IL NOSTRO SOLDATO, A QUALSIASI COSTO! » urlò ad ampi polmoni riferendosi a tutti quanti presenti all'ascolto.

Il vociare degli uomini si levò in alto e qualcuno affollò la zona circoscritta agli elfi per cercare di sapere di più.                                                                                                                                                                       Quelli cominciarono a essere contrastati per le buone da alcuni soldati elfici.
Simone recuperò le armi e il mantello, che gli vennero passati da Ingrid, la quale si era fatta si largo tra la piccola folla creatasi attorno.

L'elfo infilò il mantello e indossò l'arco sulla schiena, la borraccia e la spada alla vita.

Fëanor che aveva osservato la scena come tutti gli altri, gli si avvicinò senza trovare difficoltà. Lo prese per un braccio.

« Simone, lascia almeno che qualcuno venga con te! »

« Andrò io con lui! »

La voce di una ragazza tra i tanti.
Elvira non fece tante cerimonie, non consultò con nessuno, solo con chi adesso le scambiava un'occhiata di intesa. Simone si riferì a lei con un cenno del capo. Le rispose subito.

« Non prendere Maximus, basterà Neve per entrambi. Prendi qualcosa dalle scorte.
Studieremo un piano durante il tragitto.»

La ragazza annuì e andò a recuperare veloce le sue armi in tenda.
Il principe nell'attesa montò su Neve - la quale sembrò rispondere perfettamente all'umore del suo padrone.

« Simone-»

L'elfo guardò la guardia con uno sguardo che non accettava repliche.

« Manuel è in pericolo. Lasciami andare, io gli devo la vita, Fëanor. Lo sai.»

Gli devo molto di più.

« Se non tornerai prima di due albe, » lo ammonì Fëanor, ma non riuscì aveva occhi troppo comprensivi che tradivano il tono « o entro domani, noi verremo a cercarti. Io... tuo padre non ce lo perdoneremmo mai. »

Quando la ragazza arrivò, le diede una mano per aiutarla per salire.

« E io non mi perdonerei di aver perso una vita senza nemmeno aver provato a salvarla. »

La vita dell'uomo che amo.

Fëanor e Simone si scambiarono un ultimo cenno di intesa.

« Lo ringrazierò sempre per averti insegnato a usare una spada, altrimenti sai che ti farei seguire da tutti noi. »

Simone annuì senza sapere cosa dirgli. Manuel era l'unica cosa che lo teneva saldo, lucido. E l'ultima cosa a cui pensava era la sua di vita, al momento.

Il principe passò con quel cavallo bianco tra i suoi uomini. Il giovane schiavo a cavallo si voltò allora verso l'elfo in attesa, con quella ragazza soldato dietro di lui, gli disse senza esitare:

« Possiamo andare, guidaci. »

Manuel tieni duro, sto arrivando.

 

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Capitolo 24
*** Ripresa ***


 

 

 

 

 

Inverno, Roccabuia.

 

 

 

« Manuel? »

La voce gli accarezzò il viso nonostante il tono più robusto. Chi la possedeva si accovacciò sulle ginocchia, accanto al corpo del ragazzo mezzo coperto da uno strato di lana e per metà le braccia erano poggiate una su e l'altra ricadente su un guanciale ricucito con qualche toppa.

« Manuel. »

Si immaginava il suo volto come se fosse ancora presente in terra, era assurdo quanto fosse reale trasformare un ricordo in un'immagine vivida.

« Manuel svegliati, » riprese quella, aggiungendo un sospiro « so che ti piace sonnecchiare, ma c'è da lavorare e aiutare tua madre oggi. »

Il ragazzo aprì gli occhi focalizzando per prima cosa il soffitto di travi di legno, poi aprì incurante la bocca in uno sbadiglio. Il nocciola dell'iride si fissò in quello più scuro del padre. La candela spenta e abbandonata sul mobile piccolo.

Era quello lo sguardo e il viso di chi lo aveva cresciuto.

« Alla buon ora. Abbiamo fatto le ore piccole ieri, mh? »

L'indice indicò il libro aperto a faccia in giù a terra, in più la risata di Mauro gli diede la conferma che ormai era fatta: doveva lasciare il calore del letto e mettersi in moto per un'altra giornata. Il braccio di Manuel cercò di raccogliere il tomo, ma suo padre fu più veloce.

« Ti è piaciuto proprio il tuo regalo. » commentò l'uomo.

Il primo libro che aveva davvero posseduto, letto: un tomo di poesie.

Manuel si grattò la nuca con la mano libera.

« Mamma è già in piedi? »

Mauro gli battè una mano sul ginocchio coperto dalla lana.

« No, dorme ancora... avevo pensato di svegliarla a metà faccende compiute. » la bocca assunse una smorfia sbilenca, sopra la peluria.

Il ragazzo annuì ancora mezzo intontito.

Manuel mise fuori i piedi dal letto, scalzo avvertì il contatto gelido del pavimento ma non ci volle molte per visualizzare i calzini abbandonati all'angolo dei piedi del letto.

« Mi do una sistemata, vado da Maximus e ti aiuto a preparare la colazione, allora. »

« A Maximus c'ho già pensato io, tranquillo. » lo fermò suo padre sorridendo, il ragazzo rispose con un broncio « Se finiamo in tempo, puoi anche portarlo fuori. Dai, forza. »

Papà.

Cercava la forza per muovere le labbra e dare forma a quelle quattro lettere.

« Mi spieghi che senso ha che sei sempre tu a dargli da mangiare per primo? »

« La risposta ce l'hai già ragazzo: quel cavallo è cocciuto più di un mulo e ti vedrebbe presto se solo tu non dormissi così tanto. »

Manuel sbuffò.

« Da quando dormire è diventato una colpa? »

Mauro gli scombinò i ricci con la mano grande e ruvida.

« Su dai non prendertela, » il figlio allora si metteva in piedi e si trascinava verso la tinozza che veniva riempita già di acqua tiepida « ti ricordo che per spazzolarlo e insultarlo sei sempre il primo. »

Di nuovo il rumore e l'imitazione della stessa risata di poco prima gli riecheggiò in testa provocandogli una fitta nostalgica al petto.

« Lo insulto perchè lo merita, certe volte è intrattabile! » il ragazzo si sciacquò il viso, suo padre gli passò una tovaglia piccola e pulita dall'unico cassettone in stanza. Manuel con le mani ancora gocciolanti, la prese e se la tamponò sulla pelle. « Però... questo non vuol dire che non gli voglia bene. »

Uno sguardo pieno, l'amore istillato dentro.

« Lo so, Manuel, lo so. » la mano di Mauro poi si aprì e si chiuse per strizzargli leggero la spalla « Dai, ti aspetto di sotto. »

In quel momento il viso di suo padre si sgranò, il sorriso del ragazzo di soli dodici anni svanì. Manuel aprì gliocchi, o meglio cercò di aprirne uno soltanto - ricordava di aver ricevuto unpugno sul sinistro - per come riusciva e si rese conto di aver di nuovoperso i sensi durante il giorno o forse la notte. Da dentro non riusciva bene a capire se ci fosse il sole o se fosse ancora buio. Non gli scese nessuna lacrima al pensiero di aver rievocato un ricordo, perché i ricordi seppur distanti e passati erano sempre motivo di gioia e non di rimpianto. Sentiva però la bocca secca e deglutiva a fatica.
L'ultimo sorso d'acqua gli era stato forzatamente dato più non sapeva quante ore prima e adesso sperava solo di resistere il più a lungo possibile per quanto il corpo più debole ormai, a forza di scossoni e botte, glielo permettesse.
Non aveva parlato, non lo avrebbe fatto e sapeva come sarebbe andata a finire da lì a poco.
Si chiese se Maximus stava bene, se Simone avesse già capito dov'era e si stesse muovendo per raggiungerlo.
La unica consolazione fu quella: chiudere gli occhi e recuperare immagini ora più amare che dolci per tenersi ancora saldo, integro in qualche modo.

Più restava in quel sudicio anfratto, un buco buio, più preferiva imporsi di ricordare cose comuni e piacevoli, colorate, rustiche.
Di comune non aveva mai sentito la religione, non prima che Nathan scomparisse.
Eppure, in quel frangente era stato il canto di Simone ad accendergli un barlume di quel credo a lui ignoto.
Non era mai stato vicino a qualcosa come la fede.
Non aveva mai messo in conto di pregare o che si sarebbe trovato a farlo.
Nemmeno alla morte di suo padre aveva osato peccare di quella che lui definiva cosa priva di ogni logica, tuttavia lo fece: Manuel chiuse gli occhi e invocò qualsiasi cosa potesse avere in quel momento più potere di quanto potesse averne lui con mani legate e gambe intorpidite e fiacche.

Avrebbe voluto vederlo un'ultima volta prima di andarsene, rispecchiarsi in quegli occhi grandi non tanto diversi dai suoi.

Manuel non stava chiedendo di ricevere salvezza, ma se possibile, protezione per i suoi cari, lui compreso e una morte veloce e indolore.

Fai che gli arrivi tutto questo,
chiunque cosa, chiunque tu sia.

 

 

 

**

 

 

 

Dopo aver galoppato per due ore piene, Simone aveva permesso una sosta al suo cavallo e ad Elvira e quel povero ragazzo, che ora sembrava aver bisogno di cibo.
Si era concesso di uccidere solo per soddisfare e rifocillare il corpo e lo spirito di chi lo stava aiutando.
Tornò nel punto in cui si erano fermati a cielo aperto e senza ripari, con la piccola refurtiva, un cinghiale già ferito e zoppicante e colpito da qualcun'altro.
L'elfo si era scusato per la sua vita.
Ne consumò di meno di quanto la sua porzione richiedesse, lasciando la parte più grande ai suoi compagni.
Elvira lo osservò per tutto il tempo mentre si poggiava con la schiena a Neve in cerca di conforto.
Il principe cercava qualcosa su in cielo, il profilo senza un difetto, la mascella serrata, le labbra strette. Vagava con lo sguardo in cerca di altro, forse lo immaginava.
Sembrava un sognatore.

Il ragazzo che li aveva guidati invece, non fece complimenti, sembrava non vedere un pasto decente da almeno una settimana e vi si buttò sopra vorace e feroce.
Una povera bestia scheletrita a confronto, non avrebbe poi fatto tanto meglio.
Per bere ognuno aveva la sua borraccia - almeno in questo gli orchi erano stati più magnanimi, rispetto a cosa portava in dosso - poiché anche il loro mandante ne aveva una, abbastanza dignitosa in dimensioni ma più grande di un sacchetto di ceci.

« Volete che vi dia il cambio per cavalcare? » suggerì.

L'elfo non si accorse nemmeno che Elvira si era avvicinata a lui. Alzò il viso per rivolgere una rapida occhiata.

« No, ti ringrazio » commentò, non spostò il corpo di un millimetro, il dorso di Neve era un giaciglio scavato apposta per lui « ma non sono ancora stanco. »

La ragazza si sedette a una giusta distanza tra lui e il cavallo. Scrocchiò le dita e quel rumore provocò non pochi pensieri nella mente del principe. Poi, con un solo gesto, Elvira lo stupì.

« Questa me la ha regalata lui. » estrasse una piccola moneta protetta da fili di una corda usurata e custodita dentro la tasca della veste, al di sopra della cinghia. « O meglio, lui mi ha offerto la prima birra dopo il primo scontro. Le monete erano molte di più, ma mi ha fatto tenere il resto.
Le altre le ho spese, questa no. Avevo capito fosse cocciuto già da quella volta...»

Simone non riusciva a seguire il filo del discorso della ragazza.

« Non capivo perché mi ostinavo a conservarla, pensavo che non avesse senso. Poi un giorno l'ho girata e ho visto l'incisione sul retro. Non credo sia un caso se ci sia sopra una figura bendata. »

L'elfo restò impassibile.

« Ti chiedo scusa, ma non riesco a seguirti. »

Elvira aprì la bocca, la richiuse, scosse la testa.

« Giusto, per voi avrà un'altra di sicuro  immagine... questa donna incisa qui sopra è la fortuna. »

Simone annuì, risponde amaro e lucido.

Quella è solo una moneta.

« Delle quindici divinità che abbiamo non c'è nessun correlativo simile per noi. La fortuna è più fedele agli umani... »

Calò allora il silenzio.

Il povero ragazzo aveva finito invece la sua cena, lasciando il suo segno di gradimento con le mani sulla pancia e un epiteto non indifferente.
Elvira provò di nuovo, doveva trovare un minimo punto di contatto che la aiutasse a confermare la sensazione che stava provando.

« Quello che voglio dire è che lui non si lascerebbe uccidere. È audace, fin troppo.
Credo abbiate imparato anche voi com'è fatto, Manuel è... lui è senza limiti.»

Lui è l'uomo che ho messo in pericolo.

« Se non fosse stato per me non si sarebbe cacciato nei guai. »

« Non credo sia il tempo di piangersi addosso. Non serve a nulla, né a voi, né a me. »

Elvira ricacciò indietro quel tono troppo diretto, si morse le labbra. Sospirò.

« Hai ragione, se mi hanno mandato a cercare vogliono trattare e io sono pronto qualsiasi cosa sia. Hanno capito e sapevano dove eravamo ubicati. In più non otterrebbero nulla...uccidendolo. »

L'ultima parole gli morì in gola, serrò gli occhi.

« Vi chiedo scusa. »

Simone venne deragliato da quel pensiero, si fermò davvero a guardare la ragazza questa volta.

« Non c'è bisogno che tu lo faccia, Elvira. »

« Ho giudicato quello che provate per lui. E so che non è giusto, ma il mio istinto ha parlato per me. Manuel è l'unico amico che ho lontano da casa, l'unico di cui mi fidi ciecamente al campo, l'unico con cui ho trovato una connessione sincera e quando ho capito cosa eravate, » continuò spostandosi due ciocche dietro l'orecchio « mi sono sentita una completa scema per non averlo saputo prima. Per poter consigliarlo meglio, ma alla fine non è affar mio decidere per lui. »

La mano che sapeva fredda si posò con incertezza sul ginocchio della ragazza. Simone sapeva di non andarle proprio a genio, che facendo così poteva risultare affrettato e troppo in confidenza per essere la prima volta che parlavano così, apertamente. Lei però non si ritrasse.

« Lo so, anch'io penso a cosa non può andare, anch'io ho paura come voi. »

Elvira riconobbe il colore della pelle chiara rispetto alla sua, fredda nonostante il cibo caldo e cucinato su qualche pezzo di legno rimediato sul posto e attizzato col fuoco.

« Dovete avere fede. »

Simone non riuscì a replicare al sorriso incoraggiante della ragazza.

Non conosco il suo Dio, conosco solo i miei.

L'elfo annuì a viso basso, fissando il suolo.

« Resteremo un altro po', poi riprenderemo la strada. Non voglio stancarla troppo. »

Elvira si alzò più sconfortata, comprendendo che non avrebbe migliorato di un grammo l'umore del principe.

« Va bene, ditemi quando volete ripartire. »

Elvira osservò le ossa dell'animale sacrificato per la cena lasciate abbandonare sul terreno. « È fortunato ad avere trovato uno come voi. »

Simone avrebbe voluto risponderle che l'unica fortuna che si aspettava di trovare era Manuel incolume. Avrebbe voluto tanto che fosse vero.

« È più fortunato ad avere te, Elvira. » giocherellò con un filo d'erba sul terreno con l'indice e il pollice. « Se vuoi puoi darmi del tu... grazie per avermi voluto seguire. »

Elvira non rispose, si limitò ad annuire. Simone fece lo stesso, un sorriso piccolo durò giusto tempo di una lingua di fumo perché si spense subito.
I due si guardarono per un po'.
Era una ragazza diretta, non c'era ombra di dubbio sul perché lei e Manuel si fossero trovati all'istante.
Non sapeva se poteva ancora dubitarne, ma di sicuro lui non le era poi ancora così indifferente. Pensò che a Manuel quello avrebbe fatto piacere e si sentì ancora peggio.

« Non vorrei disturbare mh... » il ragazzo parlò biascicando parole disteso libero sull'erba la pancia piena « ma se non c'è intenzione di partire adesso, potrei finire sul serio rischiare di addormentarmi qui »

« Allora ci conviene farlo adesso. » commentò Elvira.

Simone annuì, si levò sulle gambe, in piedi.

« Felix, se riuscissimo a tirare fuori Manuel da lì, vorrei provare.... vorrei che tu ti unissi al nostro accampamento. »

Elvira si voltò verso l'elfo.
Il ragazzo si sollevò sui gomiti. così sconvolto, si stupì che qualcuno si ricordasse come si chiamava. Non era abituato.

« I-io... » balbettò Felix, si alzò. La mano finì per grattarsi la nuca.

« Se riuscissimo nella prima impresa, non vedo perché non trovare altrettanto un modo per farti fuggire. »

Simone scambiò uno sguardo con la ragazza, Elvira si concentrò sul tono più solenne, come se in un secondo avesse ispessito i suoi occhi.

« Se gli orchi avessero anche loro qualche sottospecie di animale sarebbe più facile.»

« Più strani muli, che cavalli in realtà. »

« Non è veloce quanto il primo ma... dobbiamo ancora studiare un piano, ma potrei occuparmene io. »

Simone annuì.

« Funzionerebbe solo se Neve restasse nascosta per un po' e ci dividessimo. Siamo in troppi, potremo dare nell'occhio. »

Il ragazzo ascoltava i due parlare sempre più confuso. Il principe e la ragazza si scambiarono un'altra occhiata d'intesa. 

« Basterebbe un segnale. Uno solo. » Elvira si grattò il mento.

« Sono d'accordo. E sarebbe meglio se anche tu restassi nascosta ma in una buona posizione. »

Elvira lo guardò.

« Devo farmi portare dentro. Mi disarmeranno e dovrete entrare in gioco voi.
Qualsiasi sia il segnale, lo userò solo una volta che avrò recuperato Manuel... lo useremo. » si corresse, gli occhi grandi si spostarono in quelli di Felix.

« Non so cosa dire... ma sarei onorato di aiutarvi. Cercherò del mio meglio, signore. » il povero ragazzo si inchinò maldestro.

Simone rispose con una sola alzata di mento.

« Nessun bisogno di cerimonie. » 

Mormorò qualcosa in elfico alla sua cavalla, che si alzò. L'elfo saettò verso Elvira e Felix « Rimettiamoci in marcia. Felix facci segnale quando saremo vicini, » il battito gli montava già in petto « non dobbiamo fare mosse affrettate. »

Il fuoco nemico era acceso,  tutti radunati e molto vicini, quei mostri stavano divorando chissà che cosa durante l'ora di cena. L'accampamento era fatto da tende insudiciate o combinate da più stracci assembrati insieme.
L'odore pestilenziale si levava nell'aria tarpando tutta la freschezza e l'odore naturale di erba. A una prima occhiata, rannicchiati com'erano tutti e tre dietro un varco tra qualche cespuglio ed albero, sembrava che quelle fossero più delle capanne raffazzonate che dei veri rifugi per guerrieri.

« Dio mio che puzza! » commentò bisbigliando la ragazza tappandosi il naso.

« Non dirlo a me, prova a viverci tutti i giorni! » le rispose secco Felix.

Elvira si legò il più silenziosamente i capelli in una coda ancora più alta. Il naso di Simone era più che abituato a quell'odore, ma condivideva senz'altro il pensiero. A pensarci bene dentro quel pentolone sudicio che ribolliva messo proprio a creare un semicerchio storto, doveva esserci dentro una carcassa non proprio fresca. Ipotizzò che gli orchi non si scusassero con il loro cibo prima di cuocerlo o che comunque, non se ne curavano visto che a mali estremi, mangiavano tutto ciò che trovavano. La ragazza si voltò verso l'elfo.

« Secondo te dove lo tengono? »

Gli occhi di Simone perlustrarono tutta la zona, andando oltre i grossi busti degli orchi e le loro bocche intente a mangiare. C'erano fin troppi punti controllati, ma di sicuro, un prigioniero non sarebbe mai stato fuori dalla sorveglianza di qualcuno.

« Tu non lo sai, Felix? » Simone glielo chiese senza perdere il controllo sull'area.

« Se lo sapessi ve lo direi, ma a nessuno che non sia uno di loro è permesso ciondolare tra le tende. »

Gli occhi grigi del ragazzo si erano fatti seri.

« Nemmeno io ne ho una, è già tanto se sono riuscito a rubare loro una misera coperta, ma mi è costato due giorni di dolori. »

Simone lo guardò pieno di dispiacere.

« Spero tu possa averne una allora, se tutto filerà liscio. »

Ora che Simone abbandonava gli occhi ora speranzosi del ragazzo, ritornava a guardare meglio. Superate meglio circa una decina di tende, due orchi più bassi ma non meno tarchiati, se ne stavano in disparte a gambe divaricate. Consumavano la loro cena succhiandosi i tozzi pollici sopra una serie di armi come seduta, proprio davanti a quella che sembrava la tenda che dava meno nell'occhio. Quella più spoglia di tessuto, ma rinforzata con quelle che sembravano foglie e fanghiglia.
Simone sussurrò vicino ad Elvira.

« Qualcosa mi dice che sia in quella più in fondo rispetto a tutte. La più sudicia. »

Elvira si fece più a tenta, gli occhi erano ora due fessure.

« Mi sembrava un albero. »

« Hai ragione, credo sia fatto apposta.  Èper via del palo di legno conficcato come base, » mormorò « d'altra parte se non possono rubarle, le costruiscono. »

Simone si toccò l'elsa della spada con una mano e la pietra che portava al volo con la sinistra, l'arco e le sue frecce erano state affidate ad Elvira, per sicurezza.

« Elvira, Felix, ricordate, dovete uscire solo al segnale. »

Guardò entrambi, annuendo.
Non lo sapevano, ma lui li stava ringraziando. Non sapeva sei avrebbe rivisti, perciò era meglio farlo in quel modo, in modo semplice ma efficace.

« Io vado. »

Simone insistette su Felix che recuperò la briglia del suo cavallo.

« Che dio ce la mandi buona! » mormorò.
L'elfo si alzò in piedi.

« Buona fortuna. » sentì la voce di Elvira fin troppo bene ma non rispose.

Simone e il ragazzo girarono procedendo a ritroso, facendo meno rumore possibile oltre gli alberi dove si erano nascosti, per simulare un ingresso pulito dal campo.

Quando furono abbastanza distanti per non essere notati, l'elfo salì sul cavallo del ragazzo. Poteva avvertire il battito di Felix andare all'impazzata soltanto da come teneva le redini dell'equino, le mani gli tremavano.
Fece un respiro profondo e gli diede l'ordine di partire.
Simone deglutì e si tenne forte la mano alla collana.
Anche il rumore del suo cuore non scherzava, solo che Felix non poteva avvertirlo.
Così, mentre l'animale si avvicinava al campo degli orchi, lui pregò ad ogni movimento che accorciava le distanze l'unica figura in cui aveva creduto fino all'età di sette anni: sua madre.









 

« Padrone »

Felix aveva parlato per primo scendendo da cavallo, inchinandosi davanti a una una schiera di sei orchi, di cui quello al centro si distingueva benissimo: era, sicuramente, il più grosso ed insolito. Simone lo aveva seguito, le mani lungo i fianchi.
Si fece avanti.

È lui.

L'orco dalle fattezze di un elfo per gli occhi più umani rispetto ai suoi simili e le orecchie, contorse il volto in un sorriso. Si schiacciò la cicatrice che segnava metà della faccia sul lato destro, creando dei solchi su quella pelle grigio-giallognola.

« Quindi sei tu, la causa di tutto questo caos. » sibilò compiaciuto.

Anche la sua voce suonò strana alle orecchie dell'elfo, era gutturale ma non sporca come quella di chi lo circondava. Tuttavia, ora che Simone gli fissava le mani, quelle invece erano tutt'altro che diverse dalla specie che lo circondava.
Il loro padrone era un ibrido.

« Non sono io ad avere occupato le terre degli altri, derubandoli e saccheggiato villaggi. » rispose secco.

Gli occhi dell'orco si fecero più sottili.

« Noi non abbiamo mosso un capello alla vostra gente. »

« Gli umani sono comunque delle vite andate perdute. » Simone serrò i pugni lungo i fianchi, ma mantenne il tono.  « E il merito va senz'altro a voi. »

« Pensavo vi facesse piacere liberare un po' le zone, purificare i terreni, gli umani sanno essere così lagnosi... »

La sua risata venne condivisa dai suoi simili. Si toccò la testa con una mano, i capelli erano folti e lunghi.

« Che strano, per la prima volta un orco fa un favore a un elfo e questo ha pure da lamentarsi! »

Simone furioso, non esitò a sguainare la spada, la mano scattò sull'elsa. La puntò contro il più grande di loro. Tutti quietarono le loro risa, l'ultimo fu proprio quello contro cui l'elfo brandiva l'arma.

« Dov'è il soldato che tenete prigioniero? Non me ne andrò senza di lui!»

Il capo aprì bocca ma fu un altro di loro a parlare per lui.

« Ouch, la sgualdrina. » commentò quello, provocando ancora l'ilarità degli altri.

Bastardi.

« Un bel modo di fuorviare gli umani, senza dubbio! A me salirebbe la cena al solo pensiero puah! » replicò un altro.

Simone indurì la mascella e la punta della spada non si mosse da dove era puntata.

« Principe, o dovrei dire, » l'ibrido afferrò la punta della spada e con uno strattone l'elfo venne tirato in avanti « vostra altezza elfica? »

Venne fuori il loro disprezzo, ne era circondato.

« Simone. Simone Yondethil.» pronunciò fiero nonostante la durezza dei volti attorno a lui.

Le risate aumentarono e qualcuno di loro pungolò l'elfo creando una specie ragnatela in cui venne passato da una parte all'altra. Solo quando il capo brandì la sua spada, gli altri chiusero quel gioco.

Simone venne sollevato da terra da Felix. L'orco maggiore lo guardò insistente, orgoglioso.

« Avanti, calmatevi, calmatevi » non distolse il contatto visivo con l'elfo, inarcò la fronte perchè quel sopracciglio era troppo sottile. L'orco inclinò la testa, continuava a sorridergli davanti inquietante. « Sua maestà potrebbe sentirsi male e non è giusto approfittarsi di un Reale. »

« Dove lo tenete? Mi avete convocato qui, » ringhiò Simone inasprendo la voce « dov'è? »

« Rispetto fetido! » lo ammonì uno venendogli addosso « Stai parlando con il grande Zolmor! Signore, lasciatelo a me.» l'orco si passò la lingua tra i denti.

« Calma, ho detto. » ordinò Zolmor. Fece retrocedere il suo sottoposto, ritornò al principe. « Non c'è motivo di scaldarsi, perché prima non trattiamo? Vi garantisco che il vostro fedele soldatino è in ottime mani, » gorgogliò, gli occhi strani che indossava brillavano. « sono sicuro che potremmo essere soddisfatti entrambi se troviamo  un accordo. »

Simone avrebbe voluto indietro la sua spada ma quella era stata passata e ora, era tenuta gelosamente tra le mani di un altro di loro.

« Cos'è che volete? » le mani lungo i fianchi, il busto rigido e gli occhi che stavano alle condizioni di una trattativa. « Nominatelo e vedrò di darvelo. Oro, argento, entrambi? Posso concedervene in quante quantità volete, ma non subito.»

Il maggiore grugnì.

« Mio padre è pur sempre un Re e non rifiuterà certo una richiesta di suo figlio.» commentò.

Non si chiese nemmeno se ciò fosse possibile, ma avrebbe di sua mano rubato nella sua stessa casa se fosse stato necessario.                                                                                                                                    

Quell'essere non diede piacere o motivo di essere persuaso.

« E cosa dovremmo farcene noi dell'oro senza una terra dove vivere? »

« Avete occupato le nostre terre, » rispose l'elfo senza remore, impuntandosi « esiste già un posto per voi, ed è al confine oltre le montagne, dove avete formato già delle radici. Se cercate un accordo, questo è l'unico modo per raggiungerlo. »

« Riflettete: pensate davvero che gli umani non cederanno, non abbandoneranno la vostra stupida crociata? Che non saremmo in grado di ammazzarli uno per uno? »

Simone restrinse le labbra.

« Gli umani non sono poi così diversi da noi. »

L'orco assunse un'aria contrita e offesa, alzò la voce.

« Gli umani riconoscono il brutto dove lo vedono e se ne sbarazzano. Traggono profitto per loro stessi, non sono poi degli eroi, nè tanto meno dei virtuosi! »

« Non è certo col sangue o col veleno che si conquista la fiducia. »

Gli occhi di quello si incendiarono.

« Le vostre terre ci spettano di diritto! Foste voi elfi a cacciarci ai tempi per stabilire l'ordine e a volere far conquista del NOSTRO DOPO ANTENATI CHE AGIRONO MALE. » spiegò incalzandolo  « Mi chiedete di rinunciare a quello in cui crediamo, bene. NEANCHE UNA MONTAGNA D'ORO ZECCHINO POTREBBE SANARE IL TORTO! PARLATE DI METTERE UNA FINE ALLA MORTE MA SIETE SPORCO QUANTO NOI, IL PRIMO A MUOVERE GUERRA E GLI UMANI NON SONO MEGLIO DI VOI. SONO SOLO UNO STRUMENTO USATO A VOSTRO VANTAGGIO! » ringhiò sul finale.

Il petto gli si muoveva freneticamente sotto quella che doveva risultare un'armatura, ma dava più l'impressione di una scorza spigolosa e dura di un frutto scuro, acerbo e marcio al tatto. L'elfo e l'orco si guardarono e per un secondo, a Simone parve di vedere la maschera costruita cadergli da quello strano viso.

« Mia madre era un umana e fu uccisa dai miei stessi simili, so cosa vuol dire essere traditi. » mormorò l'elfo flebile, ritornò duro. « Non eleggo il mio popolo al migliore, nessuno lo è quando si parla di sacrificare delle vite. »

Gli occhi del supremo si fecero più vitrei se possibile. Simone capì che non era solo una questione di terra e orgoglio, era soprattutto, sete di vendetta. « Non posso cedervi nessun territorio, non è una cosa possibile. »

Ci fu un silenzio netto. Il capo alzò il mento e in un frammento di secondo, allungò la mano grande, quello che doveva essere il pollice si avvicinò alla mascella di Simone.

« Che peccato. Pensavo che gli elfi fossero più intelligenti di così. »

L'elfo lo fermò per il polso con riflessi pronti. Un ricordo ancora vivido gli suscitò un conato di vomito.

« Dimenticavo, preferite solo le attenzioni degli umani, no? »

La mano era ancora ferma e stretta attorno a quel polso e ci conficcò dentro le unghia. Quell'essere non si scalfì di un minimo.

« Mi fate schifo. » vibrò Simone.

Lo sguardo sostenuto dell'altro durò poco poiché inclinò il viso verso gli altri. Simone fu costretto a lasciare andare la presa.

« Molto bene, allora. Vorrà dire che morirai con lui.» affilò il sorriso, due orchi già lo prendevano per le braccia « Portatelo via! »

Simone si divincolò dalla presa, più duro guardò quel tale.

« Preferirei camminare da solo, senza essere toccato.»

Un inchino, una presa in giro. La punta della spada di nuovo nelle sue mani, ora puntata a terra.

« Come volete, maestà. »

Due di quegli energumeni si posizionarono davanti e dietro la sua figura per controllare che non potesse scappare. Il cuore gli batteva all'impazzata e poco scalpore creavano gli sguardi di quelle bestie mentre passavano tra le varie capannucole. Arrivarono alla più sudicia di tutte e Simone capì di aver avuto ragione fin dall'inizio: ci venne spinto dentro. L'aria era fetida, pestilenziale. L'elfo alzò lo sguardo verso l'unica cosa che davvero importava all'interno di quel tugurio. Ebbe giusto il tempo di vedere nella penombra un corpo inclinato. Sembrava una decorazione raccapricciante issata su un palo di legno, la testa inconsapevole della forza di gravità ricadeva sulla spalla, le gambe incollate, i ricci come unica corona morbida a contrasto di quelle membra avvilite. Poi venne spinto di nuovo a terra e legato a sua volta, mani e piedi. 

Scelsero il lucchetto di un baule o forse era un forziere e strinsero forte ai polsi con più giri di corda. Simone non diede nemmeno loro soddisfazione di lamentarsi. L'elfo nemmeno sentì i loro insulti prima di lasciarlo solo, gli occhi erano persi a guardare solo nella direzione del prigioniero.

 

 

 

 

 

Simone cominciò a muoversi contro quel dannatissimo forziere a cui era legato. Il rumore del baule o di qualsiasi cosa fosse non svegliò l'altro prigioniero. L'elfo si aggrappò con tutte le sue forze al pensiero che Manuel fosse solo incosciente, nulla di più. Così, mise più forza nei suoi movimenti che si fecero meccanici, nel tentativo di strofinare i polsi contro qualcosa di appuntito, qualche parte spigolosa di quell'oggetto pesante per liberarsi. Più si dimenava, più sembrava non trovare nessun elemento che potesse aiutarlo. Cominciò a ruotare col bacino nonostante i piedi legati. Il polso si incurvò e un piccolo ansito di dolore gli sfuggì dalle labbra.

Finalmente, qualcosa smosse il suo dolore: si era tagliato.

Con le dita tastò sulla superficie ruvida: uno spunzone abbastanza arrugginito fu al caso suo. Mosse quindi i polsi legati dalla corda inarcando le braccia quasi ad angolo parallelo.  Replicò il movimento meccanico. La corda divenne pian piano filamentosa mentre si bagnava leggermente di rosso. Si premurava di alzare lo sguardo rapido ogni tanto, sul corpo muto e abbandonato di Manuel per poi riprendere. Continuò così fino a quando non fu libero e la corda si spezzò a metà. Simone poi, posizionò metodico il suo corpo con la forza delle braccia e inarcando la schiena in avanti cominciò a slegare la seconda corda legata intorno ai piedi. Il sangue gocciolò chiaro, ma all'elfo non importò. Digrignò i denti e sentì a poco a poco la pressione rilasciata sulle piante dei piedi, man mano che la corda si allargava.

Il sollievo gli si disegnò sul volto: se quello era stato un nodo ben fatto, Simone avrebbe potuto riderne, perché fu più facile scioglierlo rispetto alle mani. Una volta libero, raggiunse il corpo di Manuel.

A guardarlo da vicino riscontrò la pelle livida sotto l'occhio, cerchiato di nero, la camicia o quello che ne rimaneva era aperta e ridotta a brandelli in più punti, le labbra quelle belle labbra carnose ora erano piene di qualche spaccatura e secche. La mano di Simone si piazzò leggera sul suo zigomo e si costrinse a non piangere. Non poteva perché Manuel respirava, flebile, ma il suo petto si alzava e abbassava anche se debole.

« Manuel, amore mio » mormorò senza nessuna forza.

Inspirò e buttò fuori aria, per impedirsi di crollare proprio in quel momento.

« Manuel, sono qui » continuò Simone imperterrito ad accarezzargli il viso.

Riprese ancora un'altra volta in quando almeno il respiro dell'uomo si interruppe per qualche istante e l'elfo pensò di morire.

In realtà, Manuel contrasse la fronte, era in fase di risveglio e cercò di aprire gli occhi.

Simone strizzò i suoi invece, sollevato.

Grazie al cielo.

Faticò a mettere a fuoco, la vista gli risultava annebbiata ma senz'altro distingueva le forme dolci del naso, del mento, gli occhi meravigliosi che aveva lasciato al campo qualche giorno fa.

Manuel era stanco, ma appagato e sognante.

« G-grazie per avermelo l-lasciato vedere un-n'ultima volta » la sua voce era così afona, disse quello increspando le labbra, le piccole crepe che ne formavano la totale secchezza.

Sorrideva perso e incosciente.

Simone sentì il cuore farsi microscopico in petto. Strinse di più il palmo, aperto sul suo viso. Il viso di Manuel ricadde stanco e pesante dalla parte opposta e l'elfo lo sostenne con entrambe le mani, adesso.

No, no, no.

« Manuel, devi tenere aperta la bocca, mi senti? »

L'altro bofonchiò qualcosa sconnesso e Simone riuscì a catturare solo la ultima parola so-gno. Simone si tastò in vita: gli orchi non gli avevano portato via la borraccia, era ancora piena. Si chiese da quanto non bevesse un solo goccio d'acqua, slacciò in fretta la sacchetta in cuoio e inclinò il viso di Manuel con un pollice sotto al mento.

« Amore, devi bere. » mormorò deciso.

Nonostante gli avesse sollevato la testa, Manuel non dava segno di risveglio. Simone piantò premendo la fronte contro la sua.

« Manuel, non è un sogno, » disperato, si aggrappò piano alle sue labbra stampandoci sopra le sue più di una volta « mi senti? Sono davvero qua. »

Proprio quando sembrò essere sul punto di scoppiare in lacrime, Manuel rispose: riaprì di nuovo e in modo estremamente lento gli occhi. Sbatté più volte le palpebre. Poi, Simone si spostò appena per lasciargli piena visuale.

Manuel deglutì.

La bocca del soldato era dischiusa, ora era compito degli occhi dire il resto, dire tutto. La realizzazione sul suo viso cancellò il resto dei pochi elementi in quel tugurio.

« S-im-one »

Simone annuì a più riprese.

« Sono qui, amore mio , sì, sono qui. » ripeteva mentre l'altro riprendeva conoscenza, vedendolo ora sorridere stanco « Manuel, adesso, hai bisogno di bere, » Simone gli accarezzò i capelli con una mano, gli fece forza « apri la bocca, per favore. »

Manuel annuì meccanico ancora intontito.  L'elfo posizionò la borraccia sulla sua bocca e lasciò che mandasse giù piccoli sorsi a più riprese in modo che non si affogasse. Ogni volta che Manuel deglutiva, riprendeva piano quel gesto. Fino a quando non furono le labbra dello stesso avide ad incollarsi all'apertura e Simone lo portò ad abbassare il viso, controllando lui stesso la pressione della borraccia.

Una volta calmata la sete, Simone non gli diede il tempo di parlare.

« Manuel, ora cerco di liberarti »

E così dicendo frugò dentro lo stivale destro. Ne estrasse fuori, piano e attento un grimaldello. Sul fondo della piccola cassa delle armi lo aveva trovato in mezzo al resto: non si era mai chiesto cosa ci potesse fare lì, ma lo teneva sempre con sé da quando era stato aggredito e molestato. Non era un pugnale certo, ma la punta ricurva e fine sarebbe stata efficace, con un colpo netto avrebbe sciolto le corde di Manuel.

Simone si piazzò dietro quel tronco d'albero. Le dita, le nocche di Manuel erano bianche e quasi finì per lasciarsi scappare un piccolo lamento se non si fosse morso a forza le labbra. Con pochi tocchi la corda venne via. Manuel era così stanco che a mani libere faticò a muovere le articolazioni delle braccia, così Simone fu pronto ad aiutarlo.

L'elfo annuì verso l'altro.

« Ora, i piedi. »

« Sapevo saresti arrivato. » borbottò. Simone frenò gli occhi, Manuel era così indifeso, totalmente sconosciuto dal suo soldato in quel momento. Increspava le labbra, gli occhi erano quelli di un combattente sopravvissuto. « Mi d-dispiace per come ci siamo l-lasciati »

L'elfo gli accarezzò piano e di nuovo il viso.

« Ssh, non è il momento di parlarne » 

Simone si forzò di sorridere, provò a mantenere una facciata tranquilla mentre il suo cuore piangeva sia per il solleivo che per la colpa. Nello stesso modo di poco prima tagliò la corda avvolta intorno ai suoi piedi, solo allora si immaginò gli stessi cerchi che portava ai polsi. I nodi erano stretti e la corda era più spessa della precedente. Una volta libero, l'elfo buttò fuori altra aria e cauto si avvicinò di nuovo all'altro.                                                                                                                

Le mani di Manuel per quel poco cercarono di toccarlo, le dita si sgranarono a fatica sulla maglia. Fu l'odore stesso a guidarlo, il naso si incastrava fra il collo e la scapola.

Annullava momentaneamente la stanchezza, tutto quanto.

« Sono così felice che t-tu sia qui » esalò.

Simone lo tirò piano a sé tenendogli con cura il viso con entrambe le mani, la testa di Manuel si incastrava in modo perfetto in quel piccolo spazio.

Un abbraccio sostenuto per vigore e forza, dal più grande.

Scusami.

Ti prego, scusami.

Socchiuse gli occhi, respirava di meno, recitava col pensiero un ringraziamento a chi solo lui sapeva.

« Tirerò entrambi fuori da qua, non preoccuparti. » il respiro di Manuel era presente ma così debole, era complicato rimanere saldo davanti a lui. « Non ti lascio. »

 

 

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