You're in my mind

di ballerina97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Questa che sto per raccontarvi non è la solita storia di due ragazzi che stando insieme e vivendo a stretto contatto in casa, si innamorano perdutamente l'uno dell'altro. O almeno non è solo quello, le cose non sono andate esattamente come tutti si aspettano. Si sono evolute in modo complicato, ci sono stati ostacoli che non tutti avrebbero il coraggio di affrontare. Forse, perché a volte fanno troppa paura, per riuscire a superarli. 

É la storia di una ragazza, cresciuta troppo in fretta a causa della cattiveria della gente. Ha costruito uno scudo per difendersi da quelle persone che vogliono il suo male, che non vedono l'ora di vedere una sua lacrima cadere. Così facendo però, ha allontanato anche tutti quelli che avrebbero solo voluto aiutarla e proteggerla. Si è isolata creando la sua bolla personale, non avendo più un briciolo di fiducia nel mondo, ne in quelli che lo abitano. 

É la storia di un ragazzo, che ha dovuto affrontare la vita senza l'affetto dei suoi genitori. Che non ha conosciuto il calore di un abbraccio, l'amore che si trasmette attraverso una semplice carezza sulla guancia, o un piccolo bacio sulla fronte. Un ragazzo che crescendo, si è fatto trascinare da una cerchia di persone che compiono azioni che lo porteranno quasi sull'orlo del baratro. Che con il tempo, ha acquisito delle abitudini sbagliate e dei modi di fare, che spesso gli fanno commettere degli errori. Tutto questo, era iniziato per attirare l'attenzione che gli era stata negata fin da bambino. Con il passare del tempo però, continuò per puro divertimento. Poiché quella piccola dose di pericolo, anche se insignificante, lo aiutava ad allontanare tutte le falsità che aveva intorno ogni giorno. 

Questa storia parla di due ragazzi, che aiutandosi a vicenda hanno saputo riempire le carenze dell'uno e dell'altro, con affetto e dolcezza. Hanno fatto sparire incubi e fantasmi del passato, riportando speranza e felicità. Due anime che pur sapendo le loro imperfezioni, hanno accettato di vivere un amore che li avrebbe portati alla salvezza. Questa è la nostra storia e per parlarvene, per farvi capire come avvenne tutto, dobbiamo cominciare a raccontarla dal principio, dall'inizio di tutti i nostri problemi. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Quando lo vidi per la prima volta, nel momento in cui, all'inizio di questa avventura, scorsi i suoi occhi, capì immediatamente che in quel ragazzo c'era qualcosa di nascosto. Ma a quel tempo ero troppo chiusa nel mio dolore per capire che di lui avrei potuto fidarmi, troppo cieca per vedere che poteva capirmi più di chiunque altro. Non credevo che in questo mondo ci fossero persone simili a me, forse perché pensavo che il mio dolore fosse unico, o perché molte delle sue azioni mi hanno spinta verso la direzione opposta, non lo so, ancora a distanza di anni non riesco a spiegarlo. Eppure inconsapevolmente da quel giorno qualcosa nella mia vita cambiò.

Ricordo che stavo tornando a casa, avvolta dall'enorme cappuccio della mia felpa. Lasciavo che la pioggia bagnasse i miei vestiti, e il freddo entrasse nelle mie ossa, ma nonostante il tremolio dei denti e i muscoli che chiedevano solo un riparo caldo da quella coltre di ghiaccio, continuavo a camminare come se niente fosse.
Quando arrivo in quell'edificio che tutti chiamano casa, vedo uscire subito una signora paffuta, di mezza età, avvolta in un impermeabile arancione. Sguscia a passo di carica dalla porta, portando un ombrello in una mano ed una coperta nell'altra. Il cipiglio nervoso sul suo volto si nota lontano un miglio, non ha nemmeno bisogno di parlare, le sue emozioni le si leggono dritte in faccia. Doris è la governante di casa fin da quando io ricordi, tutti i pochi momenti di felicità che ho avuto li ho passati insieme a lei. So bene il perché della sua espressione, non le piacciono i mie comportamenti, il mio rimanere distaccata e indifferente ad ogni cosa. Ma con il tempo ha capito che qualunque parola lei potesse spendere per rimproverarmi sarebbe stata inutile, parlare con me era come parlare con un muro. Si è presa cura di me fin da quando ero bambina, forse è l'unica persona a cui dedico un po' di affetto. Lei sa tutto quello che mi ha portato ad essere così glaciale con il mondo, e nonostante lo neghi, so perfettamente che in parte si sente responsabile di questo cambiamento che non è riuscita ad impedire.
Mi copre la testa con l'ombrello e mi mette l'asciugamano sulle spalle facendomi entrare dentro quella specie di reggia in cui abitavo. Di solito, dopo questa routine andavo di corsa in camera mia. ma in quel momento venni attratta da qualcosa che non sarebbe dovuto essere li, che scombinava l'intero ordine che quella casa aveva avuto in tutti questi anni. Un ragazzo si trova sul divano in velluto blu scuro, sistemato al centro della stanza. È seduto in maniera scomposta, i ribelli capelli corvini sono davanti al suo viso, ma non bastano a nascondere la sua espressione, che insieme alle braccia incrociate fanno capire quanto possa essere scocciato in quel momento. Quando si gira a guardarmi, ho una strana sensazione, subito dentro di me si insinua uno strano disagio. Era come se attraverso quello sguardo lui stesse cercando di leggermi dentro, di scrutare il mio animo per carpire i segreti che nascondo.
- Lui è Erik, il ragazzo di cui ti ha parlato tuo padre prima di partire, ricordi? -
Doris sembra leggermi nel pensiero, ha risposto a tutte le domande che affollano la mia mente in un secondo. In effetti ora che ci penso bene, mio padre mi ha parlato di lui. Da quel poco che ricordo, mi ha accennato ad un ragazzo che avrebbe vissuto con noi a tempo indeterminato, o almeno fino a che i suoi genitori non sarebbero tornati dal viaggio di lavoro che hanno intrapreso. Sentendosi nominato, si alza dal divano avvicinandosi a me, il broncio viene sostituito da un sorriso di scherno che cerca di camuffare ma in malo modo. Una volta vicino, riesco a vedere meglio il suo viso, gli occhi sono di un nero intenso, sembra quasi che il buio della notte sia entrato all'interno di essi. Ha un corpo tonico ma non troppo, mi porge la mano leggermente abbronzata nonostante il mese di ottobre, aspettando che io la stringa e che mi presenti a mia volta. Come imparerete presto però, faccio sempre il contrario di ciò che la gente pensa. Proprio per questo mi incammino verso le scale salendo al piano di sopra, lasciando il nostro ospite da solo con la mano ancora alzata e una Doris sconsolata che cerca in tutti i modi di scusarsi per il mio comportamento. 

Raggiungo la mia stanza chiudendo la porta a chiave, per non essere disturbata, e apro quella del bagno interno ad essa togliendomi i vestiti fradici d'acqua. Li appoggio sul bordo del lavandino realizzato in marmo, ed entro in quella vasca enorme per la mia figura minuta, già traboccante di acqua, immergendomi nel suo calore. Sospiro, il gelo che ha avvolto la mia pelle, a causa della pioggia, comincia ad andarsene. Questa è una delle poche cose che adoro, il calore dell'acqua che avvolge il mio corpo mi rilassa, dimentico tutto quello che ho intorno, anche il tempo sembra fermarsi. Immergo la testa nell'acqua, bagnando i miei capelli aranciati, giù zuppi per la pioggia presa. Prendo il bagnoschiuma alla lavanda, passandolo sulle curve mio corpo delicatamente e lentamente, faccio in modo che il suo odore si insinui dentro la mia pelle, in ogni suo poro. Rimango immersa in questo paradiso profumato, godendomi questo piacevole momento di relax. Quando l'acqua comincia a freddarsi, esco, avvolgendomi nel mio morbido accappatoio bianco panna. Chiudo anche i miei capelli in un asciugamano e metto le pantofole pelose lilla. Vado in camera, prendo l'intimo e gli abiti puliti, dimenticati per la fretta di entrare in vasca, indossandoli per stare più comoda. Dopo di che torno in bagno, mi metto a testa in giù, tolgo l'asciugamano e friziono con esso quella massa disordinata, delicatamente. Metto un po' di olio profumato e accendendo il phon, comincio ad asciugare la chioma ribelle che ho in testa. Tempo quindici minuti e torno in camera, guardo l'orologio al centro della mia stanza, proprio sopra la porta. Segna le quattro di pomeriggio, forse è ora di mettersi a studiare. Ma prima di finire la frase dentro la mia testa, il mio stomaco fa un rumore strano, giusto non ho neanche pranzato per la fretta di salire su. Apro la porta per scendere a prepararmi qualcosa, ma noto posato sul tappeto rosso del corridoio, un vassoio con sopra un piatto con tre panini ben farciti di ogni ben di dio. Doris pensa sempre a tutto, nonostante io la faccia arrabbiare continuamente. Prendo il vassoio portandolo dentro, lo poso ad un lato della scrivania, mi siedo e afferro la prima di quelle meraviglie azzannandolo. I vari sapori si mischiano all'interno della mia bocca, facendomi andare in estasi e placando le ire del mio povero organo vuoto. Nel mentre mastico apro uno dei tanti libri sul tavolo di legno e a malavoglia comincio a fare la marea di esercizi per il giorno dopo.
Quando finisco il tutto, mi accorgo che si sono fatte le 20.00, faccio appena in tempo a sgranchirmi le gambe prima di sentire bussare alla porta. Quello è il modo di Doris per avvisarmi che la cena è servita a tavola. Esco dalla stanza, scendendo di fretta le scale. Entro in salone dove la tavola è apparecchiata con i piatti già riempiti, caldi e pronti per essere assaporati. Mi ricordo della presenza di quel ragazzo di cui ho già dimenticato il nome, nel momento in cui lo vedo seduto ad una delle sedie. Ha già cominciato a mangiare, così mi siedo anche io e lo imito. Durante la cena regna un bellissimo silenzio, che ovviamente non può durare per sempre. Me ne rendo conto nel momento in cui sento il rumore delle sue posate sul piatto e la sua voce rimbombare nella stanza.
- Credo che adesso sia il caso che anche tu ti presenti non credi?-
Lo guardo per un minuto, poi poggio a mia volta le posate e solo dopo essermi pulita la bocca con il tovagliolo, mi giro verso di lui per dargli una risposta. Il tutto con molta calma, senza alcuna fretta.
- Scusami? -
- Durante le presentazioni te ne sei andata, capisco che forse non era un buon momento ma adesso potremmo recuperare non credi? - dice accennando un sorriso.
- No - che ovviamente al suono di queste parole scompare.
- Non capisco -
- Cosa c'è da capire ho detto no. Non era un cattivo momento semplicemente non mi andava di presentarmi e me ne sono andata - dico riprendendo a mangiare, oggi la carne è più buona del solito, e devo dire anche più interessante.
- Si può sapere cosa ti ho fatto? - la faccia è sconvolgente, talmente scioccata che sembra che abbia visto un alieno verde.
- Niente -
- E allora mi spieghi il senso di quella scenata? -
- Senti coso - sospiro stanza schioccando le dita cercando di ricordare come si chiama.
- Erik - una nota di frustrazione esce dalla sua voce.
- Erik, punto primo non era una scenata, punto secondo non sono d'accordo sulla tua presenza in questa casa ma purtroppo non posso farci niente. Mio padre ha deciso che da adesso in avanti dovremmo respirare la stessa aria fino a non si sa quando, decide lui qui per cui mi tocca accettarlo. Ma non ha precisato che dobbiamo per forza avere un rapporto in questo tempo indefinito. Adesso che ti ho chiarito il mio punto di vista, vorrei finire di mangiare la cena in pace se non ti spiace, si fredda tutto -
Dopo questo monologo la cena continuò in silenzio, fino a che tutti e due non ci alziamo andando nelle rispettive stanze. Quando entro nel mio letto, ripenso a quella breve conversazione. Devo ammettere che quel ragazzo è strano, tutto quello sconcerto per cosa poi, solo perché l'ho ignorato. Anche se guardandolo meglio negli occhi questa volta, ho visto in loro qualcosa di famigliare, il loro colore così simile al mio, spento e opaco, mi fa quasi pensare che anche lui abbia qualcosa che lo tormenta, infondo tutti abbiamo cose che non vogliamo fare sapere agli altri. Eppure c'è sempre quella strana sensazione, come se ci conoscessimo già.
- Adesso basta, non capisco perché faccio questi pensieri. Sarà per la stanchezza, a volte gioca brutti scherzi forse è meglio se mi addormento - dissi chiudendo gli occhi e sprofondando nel buio del sonno. 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Apro gli occhi infastidita dal suono della sveglia, il suo rumore assordante disturba il mio sonno. Vorrei tanto scoprire chi ha inventato questo oggetto infernale, il suo fracasso è un crimine contro il buon riposo di ogni essere vivente. Prendo l'oggetto incriminato e lo butto sul pavimento, mi sorprendo ancora che funzioni dopo tutte le cadute che ha fatto. Il silenzio torna a regnare nella camera, avvolgendomi, insieme al caldo torpore delle coperte.
- Alexa! Alzati dal letto, altrimenti farai tardi a scuola! -
Non ho fatto nemmeno in tempo ad emettere un suono, che le coperte mi sono state tolte di dosso. Il gelo di quella mattina mi avvolge, facendomi alzare di scatto la testa. Doris, se ne sta tranquilla davanti al mio letto. In mano le coperte che mi ha strappato, togliendo insieme a loro anche il calore intorno al mio corpo. Ogni mattina sempre la stessa storia, dopo la sveglia arriva lei a fare e veci del povero oggetto bistrattato.
- Sempre molto delicata - dissi con tono assonnato.
- La delicatezza signorinella, non è una cosa che si può usare con te. E adesso scendi, devi fare colazione - dice andandosene via tranquillamente.
Con la lentezza di una lumaca mi alzo dal letto, anche perché se avessi fatto il contrario, l'ira di di Doris si sarebbe abbattuta su di me. Scendo le scale sbadigliando per il sonno, arrivata nel salone mi siedo a tavola prendendo i biscotti. Li intingo con fare svogliato nel latte caldo. La routine è esattamente come tutte le mattine, però oggi c'è qualcosa di strano. Qualcosa non va, mi sento osservata. Alzo lo sguardo e al posto della solita sedia vuota, ci sono due occhi scuri come la pece che non smettono di fissarmi. Non l'ho neanche sentito arrivare, eppure sono sicura che la stanza fosse vuota quando sono entrata. Abbasso lo sguardo riprendendo a mangiare, ma quella sgradevole sensazione non accenna a diminuire. Alzo un altra volta la testa infastidita, lui è sempre li, che mi fissa insistentemente, è veramente irritante tutto questo.
- Se continui così mi consumi - dico con tono acido, sperando che capisca il significato retorico della frase. Ma lui non risponde, continuando a fare quello che ha fatto fino ad ora.
- Si può sapere cosa c'è? Mi stai dando fastidio -
Questo ragazzo ha la capacità di far perdere la pazienza anche alla ragazza più calma del mondo, ed io di solito lo sono molto. Sul suo volto compare improvvisamente un sorriso di scherno.
- Mi sorprendi, pensavo che mi avresti ignorato come ieri sera -
- Mi sembra un po' difficile se mi guardi per cinque minuti di seguito senza muovere un muscolo! Nessuno ti ha mai detto che è maleducazione fissare le persone? -
- A dire il vero no, anzi di solito si sentono onorate per questo -
- Mi stai prendendo in giro? -
- No, affatto - eppure il suo divertimento è palese, nonostante la faccia sembri seria, negli occhi c'è una scintilla di divertimento inconfondibile.
Sbuffo riprendendo a mangiare, se il buongiorno si vede dal mattino la giornata potrà solo peggiorare. Finito salgo di sopra, lavandomi e vestendomi in fretta, prendo un jeans e una maglietta a caso nella pila di roba sopra la sedia. Raccolgo i mie capelli in una coda morbida, il loro colore fa contrasto con la mia pelle diafana, eppure il colore verde dei miei occhi sembra risplendere proprio a causa loro. Prendo lo zaino e lo metto in spalla, mentre esco dalla camera. Cerco di scendere le scale il più velocemente possibile, avviandomi verso la porta. La apro per uscire, ma una voce mi interrompe prima di riuscirci.
- Alexa aspetta -
- Cosa c'è Doris? - chiedo con la mano ancora attaccata al pomello.
- Dovresti accompagnare Erik, da oggi andrà nella tua stessa scuola. Tuo padre ha pensato che così stringerete amicizia più in fretta, e tu non sarai più costretta a percorrere la strada da sola -
- Ma davvero? Che pensiero gentile, mi sorprende il fatto che si preoccupi così tanto di me -
Il mio tono sarcastico si sente a distanza di kilometri, lo sanno tutti che questa idea non viene da mio padre. E più di tutti lo sa l'artefice di questo brutto scherzo, Doris. Solo a lei poteva venire in mente un'idea così aberrante, probabilmente gli avrà espresso le sue preoccupazioni, e lui avrà acconsentito. In realtà quell'uomo non ha sentito neanche mezza parola, ma per farla smettere di parlare ha dato il suo consento a tutto. Probabilmente se Doris gli chiedesse di cucinarmi arrosto, lui direbbe di si senza neanche pensarci, sarà successo di sicuro questo. Lei sa perfettamente che con me questo teatrino non funziona, eppure continua a far prendere i meriti a mio padre, di azioni che mai e poi mai a lui verrebbero in mente di fare.
- D'accordo! Avanti andiamo -
Apro la porta e mi avvio per strada, dopo qualche minuto vedo Erik affiancarmi. Camminiamo silenziosi, l'uno accanto all'altro. Mi sorprende il fatto che non abbia ancora spiccicato mezza parola, ma infondo perché rovinare questo bellissimo silenzio.
- Perché prima hai parlato con quel tono così sarcastico di tuo padre? - come non detto.
- Mi sembrava troppo bello per essere vero -
- Cosa? - chiese accigliandosi.
- Il tuo silenzio per ben cinque minuti - dissi sarcasticamente, mi sembra il giorno del sarcasmo oggi, non faccio altro che usare questo tono.
- Spiritosa, stai solo cercando di sviare la domanda -
- Sarà una mia scelta quella di rispondere o no, non credi? Ed io mi avvalgo della facoltà di non rispondere - perché la gente non impara a farsi i fatti suoi una volta ogni tanto.
- Come sei acida - adesso comincia proprio a darmi sui nervi.
- Se io ti chiedessi il vero motivo per cui tuo padre ti ha mandato da noi, tu mi risponderesti? - chiesi fermandomi all'improvviso e girandomi verso di lui.
Fa una faccia sorpresa, non si aspettava la mia domanda. Forse, pensava che avessi abboccato alla storia del trasferimento, ma non è così.
- Te l'ho detto, mio padre è in viaggio per lavoro - quanto possono essere tonti gli uomini.
- Senti è inutile che continui a ripetermi la cantilena che mi hanno propinato mio padre e Doris, non ci casco. Anche il mio parte molto spesso, infatti come puoi vedere in questo momento lui non è in casa e non so neanche quando tornerà. Ma non per questo mi trasferisce da qualcun altro, a maggior ragione se ho diciotto anni. Penso di essere abbastanza grande e vaccinata per prendermi cura di me stessa da sola, soprattutto a questa età -
- Parla la ragazza, che ieri è rientrata bagnata dalla testa ai piedi come un pulcino perché non aveva l'ombrello, rischiando di prendersi una polmonite -
- I miei comportamenti non ti riguardano, e comunque sia, ora sei tu che cerchi di sviare il discorso. Ma con me non attacca bello, non so cosa hai combinato per aver costretto tuo padre a prendere una decisione del genere, e non mi interessa. Ma come tu non vuoi parlare dei tuoi problemi, allora non vedo il motivo per il quale io dovrei parlare dei miei! Ora vedi di tenere la bocca chiusa e cammina, siamo in ritardo -
Da quel momento, il silenzio regna sovrano tra di noi. Camminiamo a distanza, gli occhi sono puntanti sulla strada e non accennano a spostarsi da li neanche per un secondo. È così che arriviamo a scuola, il cortile ampio è deserto, segno che gli studenti sono già entrati dentro l'edificio per l'inizio delle lezioni. Ci avviamo anche noi al suo interno, oltrepassando quel cancello, ridipinto da poco per il colore grigio perla fin troppo brillante e acceso. Al centro spiccano le iniziali dell'edificio, C.H.S, Central High School. È una delle scuole più grandi e frequentante di Manhattan, rinomata per le eccellenze che escono da essa. Quasi tutti gli studenti riescono ad entrare, dopo il diploma, nelle migliori università dello stato. Gran parte dei ragazzi che frequentano questo istituto, sono dentro grazie ad una borsa di studio. Ma le regole sono severe, basta una media bassa per perderla e venire cacciati.
Una volta dentro, mantenere il silenzio creato fu alquanto difficile.
- In che classe sei? - chiedo cercando di usare un tono meno sgarbato.
- 5B - sospiro, ha pensato proprio a tutto quella vecchia strega.
- Seguimi, siamo in classe insieme -
Ci avviamo tutti e due verso l'aula, più evito il contatto con questo ragazzo, più me lo ritrovo appiccicato. Appena entriamo in classe, tutti gli occhi si puntano su di noi e le persone cominciano a sussurrare tra di loro. La curiosità è palese, ma non saprei dire se fosse più forte l'interesse di sapere chi è quel ragazzo nuovo spuntato dal nulla, o cosa ci fa in mia compagnia. Odio essere osservata, gli sguardi della gente mi danno fastidio. Attraverso il piccolo corridoio tra i banchi, per posizionarmi in quello in fondo vicino alla finestra. Poso lo zaino e metto le mani sul piano rigido, attaccando ad esse il mento e chiudendo gli occhi, preparandomi psicologicamente per l'inizio della prima lezione. Li riapro quando sento qualcuno che occupa il banco a fianco al mio, di solto nessuno mi si avvicina. Per cui non mi è difficile immaginare chi sia la persona che si è appena seduta.
- Posso sapere perché ti sei seduto proprio vicino a me? - dico guardandolo con una certa curiosità.
- Mi piace questo posto, anche nell'ultima scuola dove sono stato, sedevo sempre all'ultimo banco -
- Se è solo questo il problema, ci sono persone anche negli ultimi banchi, che stanno cercando di farti intendere che i loro posti sono migliori di questo - indico con la testa, le ragazze che stanno facendo uscire le loro orbite per guardarlo. Sembra quasi avere una paralisi facciale per quanto sorridono, sono inquietanti.
- Sto bene qui, grazie - dice guardandole e rigirandosi subito dopo.
- Sei davvero irritante, non ti conviene farti vedere troppo con me -
- Perché? -
- Lo scoprirai - dico facendo spallucce e alzandomi all'entrata della professoressa di storia.
Una vecchia scorbutica, che cerca di coprire le rughe con un copioso strato di fondotinta. Come se questo servisse a qualcosa, la rende ancora più mostruosa di quello che è già. Da quando il marito l'ha lasciata per una donna più giovane, ha la fissa costante di non far vedere l'avanzare dell'età. Povera donna, mi dispiace per lei, non deve essere facile la situazione che vive.
- Ma che si è messa in faccia? Sembra il mostro di Lochness con un quintale di sabbia appiccicata sopra -
- Non giudicare se non sai la storia delle persone -
La lezione fu, se possibile, ancora più noiosa del solito. La professoressa visto l'arrivo del nuovo arrivato, preferì fare un ripasso generale che fu accolto con gioia dall'intera classe. Specialmente da chi, sapeva di essere scampato ad una insufficienza. Non ho neanche bisogno di ascoltare, ho da sempre una memoria fotografica, riesco a ricordare tutto ciò che leggo senza fatica. Questo effettivamente mi aiuta molto nell'andamento scolastico, vista la mia svogliatezza nello studio.
La giornata trascorre lentamente, sembra non finire mai. Il lato positivo fu che Erik non mi disturbò più di tanto, alla ricreazione parlò con tutti spostandosi dal banco vicino al mio, mettendosi lontano. Ad un certo punto lo vidi circondato dalle ragazze, avevano formato una specie di muro intorno a lui, ma questo non sembrava dargli fastidio. Per le seguenti tre ore di lezione stette in silenzio, anche se gli sfuggirono ogni tanto alcune battutine sui vari professori. Alla fine delle lezioni, ci rechiamo a casa con passo lento, senza alcuna fretta. Quando improvvisamente si ferma, mi giro a guardarlo. Non ha il solito sguardo pieno di sarcasmo, è pensieroso come se ci fosse qualcosa che lo turba, ma che non riesce ad esporre.
- Scusa - quella frase uscita dalla sua bocca mi stupisce.
- Esattamente per cosa ti stai scusando? -
- Per stamattina, hai ragione non ti posso obbligare a dirmi niente. Infondo siamo due estranei, non posso pretendere che tu ti apra con me se non vuoi - la mia sorpresa si palesa a lui sempre di più.
- Come mai hai cambiato idea così velocemente? -
- Così -
- Non è una risposta ma va bene, scuse accettate - dopo questa mini conversazione riprendiamo il cammino verso casa senza dire altro.
Fu strano percorrere quella strada in compagnia e non da sola come al solito, diverso, ma non sapevo come altro definirlo. La cosa più strana, anche se non lo ammetterò mai ad alta voce, e che non è stato così fastidioso come immaginavo. Erik rimase in silenzio per tutto il tempo e io non lo interruppi con una sola sillaba. Così continuammo a camminare cullati da quell'assenza di rumore, interrotta solo dal traffico di macchine e autobus che circolavano nel traffico delle strade di New York.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Sono trascorse due settimane, e il rapporto tra me e Erik non è cambiato. Siamo due sconosciuti che convivono nella stessa casa, evitiamo ogni contatto, l'uno non intralcia l'altro. D'altro canto, a me la situazione va benissimo così, ma c'é qualcuno che sembra pensarla diversamente. Doris, cerca in continuazione di farci stare nella stessa stanza, più noi scappiamo, più lei ci rincorre. Ogni mattina devo uscire dopo Erik, altrimenti mi bracca e comincia a lamentarsi e fare storie. A quel punto non mi rimane che aspettarlo, la situazione cambia se invece è lui ad uscire per primo. Così mi ritrovo per l'ennesima volta ad arrivare di corsa di fronte al cancello, appoggiando le mani sulle ginocchia, chinando la testa per il fiatone. Una volta stabilizzato il respiro, alzo lo guardo mettendomi dritta. Davanti a me si staglia una scena disgustosa, Erik sta dando spettacolo insieme a Caroline. Ragazza popolare, bel fisico, peccato per il carattere e la testa, più vuota di una zucca. Poverino, non sa in che guaio si sta cacciando, quando lei si fissa con una persona, non la lascia andare via così facilmente. Se pensa di usarla a suo piacimento per poi buttarla, troverà un amara sorpresa.

Entro dentro la scuola, avviandomi verso l'aula, lasciando le due piovre fuori. Una volta arrivata mi siedo al mio banco, sotterrando la testa in mezzo alle braccia. Tutto quello che ho predetto, si è avverato alla fine. Non ci ha messo molto ad ambientarsi, dopo qualche giorno ha lasciato il mio banco per trasferirsi vicino ai suoi nuovi amici. Anche se amici non li definirei, sono solo una massa di bulli. Se la prendono con i ragazzini pretendendo rispetto, solo perché i padri sono i datori di lavoro di quasi tutti i loro genitori. Pensano di essere dei, di avere potere decisionale sulla vita di tutti. Anche io potrei farne parte, per un periodo mi è stata anche proposta la cosa. Il problema e che non riuscirei neanche volendo, ad assecondare le loro angherie. Andrebbe contro tutto quello che penso, quello che sono, non sarei più me stessa. Il mio rifiuto scatenò una reazione a catena, facendomi scendere direttamente nei gironi dell'inferno. Questo posto, divenne un carcere, fatto di prese in giro, insulti, scherzi di cattivo gusto. Ero definita una sfigata, solo per un loro capriccio. Pensavano che rendendomi la vita impossibile, avrei accettato di unirmi a loro. La situazione era diventata insostenibile, il problema e che io ho sempre avuto un carattere testardo e rivoltoso, non mi piego davanti a niente e nessuno. Così un giorno, stanca di quel tartaro che subivo, mi ribellai. Diciamo che non finì molto bene, venni sospesa. Evitai la bocciatura e l'espulsione, grazie all'influenza di mio padre. Da allora quel contesto orribile, finì, ma cominciarono a spargere delle voci su di me, cose che non rispecchiavano la realtà. Pian piano sono stata isolata da tutti, nessuno ha osato più starmi vicino. Me lo feci andare bene però, se questo significava essere lasciati in pace.

Vengo destata dal suono della campanella, ero di nuovo persa di nuovo nei miei pensieri. Mi alzo quando vedo il professore di matematica entrare, sedendomi al cenno che fa alla classe. Questa è una delle poche materie che rendono la scuola piacevole, c'è chi invece la trova troppo complicata. Ma è proprio quel meccanismo contorto, nel cercare la soluzione attraverso ragionamenti differenti, che mi intriga sempre. Il professore comincia l'appello, quando verso la metà, la porta si apre all'improvviso.
- Signor Carrese, signorina Ride, di nuovo in ritardo -
Erik e Caroline entrano in classe con aria soddisfatta, non badando minimamente al rimprovero di quel pover uomo. Ogni mattina c'è sempre una scusa buona per saltare la lezione, o entrare in ritardo. In realtà sappiamo tutti il motivo, quello che cominciano fuori dalla scuola, alla fine lo completano nei bagni.
- Scusi professore, siamo stati trattenuti da un impegno a cui non potevamo sottrarci - il professore scosse la testa, sconsolato dalla pessima scusa.
- Per oggi va bene, ma la prossima volta non sarò così magnanimo. Andate a sedervi -
Erik e Caroline si avviano verso i loro banchi quando la voce del professore li blocca.
- Non li signor Carrese, per oggi cambierà banco. Si siederà vicino alla signorina Rose, chissà che non riesca ad apprendere qualcosa da lei -
- Non è quello il mio posto -
- Non discuta e faccia come le ho detto -
- Non mi siedo vicino a lei, ho già un banco ed è proprio questo -
- Il suo posto lo decido io! E adesso vada a sedersi! -
Se devo trovare un altra sfumatura del carattere di Erik, è l'eccessiva presunzione e irritabilità, misto a qualche cambiamento d'umore. Tende sempre a controbattere, non vuole essere contraddetto e molto spesso, questa sfocia in un ira furiosa improvvisa. É stato sbattuto fuori dall'aula diverse volte, sembra quasi trovare un certo gusto nel discutere animatamente con la gente. Con uno sbuffo viene a sedersi vicino a me, mettendo la sedia il più lontano possibile dalla mia. Caroline mi guarda con aria di superiorità, misto a qualcosa che definirei invidia, di cosa poi non so proprio.
- Non farti strane idee, appena il vecchio sparisce me ne torno al mio posto -
- Tranquillo, neanche io impazzisco nell'averti accanto -
- Ma che strano pensavo di esserti simpatico - disse con tono ironico.
- Bella battuta, ma invece di fare dell'ironia, ti consiglio di ripassare per l'interrogazione -
- Adesso predici anche il futuro per caso? -
Non rispondo, preferisco evitare una discussione. Come ho detto ha un pessimo carattere, sembra prendersela con chiunque. Basta una scintilla, per far appiccare un incendio. Non ho voglia di farmi coinvolgere in una rissa per colpa sua, preferisco rimanere nel mio angolino. Il professore nel frattempo, scorre con la penna la lista degli alunni, cercando la vittima di questa mattina.
- Carrese vieni alla lavagna per l'interrogazione -
- Non ci posso credere, sei una strega per caso? -non mi da il tempo di rispondere che si alza, andando di fianco alla cattedra del professore.

La lezione oggi è molto esilarante, tutti ridono sotto i baffi per l'espressione di Erik. Sta cercando di svolgere da mezz'ora un equazione, ma dalla sua faccia sembra più un rebus impossibile. La cosa che fa più ridere però, sono i tentativi di Caroline di passargli delle risposte, oltretutto sbagliate. Fortunatamente per lui, il professore si assenta per una chiamata urgente. Al suo posto lascia Alberto, il bidello, con il compito di sorvegliare la classe, per evitare suggerimenti. Purtroppo, fa affidamento sulla persona sbagliata. Alberto è la persona più buona che io conosca, forse anche troppo per questa scuola. Aiuta in tutti i modi possibili, e quando non riesce lui. convince chi può.
- Ragazzi veloce, il professore può tornare da un momento all'altro -
- Caroline smettila di fare gesti incomprensibili e aiutami! -
- Se ti affidi alla sua mente geniale, l'unico voto che rimedierai è un bel tre -
Mi rendo conto qualche secondo dopo di aver parlato, volevo solo pensarlo, e invece le parole mi sono uscite di bocca.
- A meno che tu non sia una persona utile in questo momento, meglio che stai in silenzio -
- Anche se potessi aiutarti, con questo tono non lo farei di certo -
- Ragazzi smettetela per favore, Alexa dagli una mano ti prego, lo sappiamo tutti che sei brava in matematica, non ti costa nulla. E tu cerca di imparare un po' di educazione -
Lo faccio solo perché me lo ha chiesto Alberto, scrivo il procedimento velocemente su un foglio di carta, lanciandoglielo subito dopo averlo appallottolato. Erik fa appena in tempo a memorizzarlo, che il professore entra in classe. Nonostante qualche piccolo errore, alla fine dovette mettergli la sufficienza, anche se con con grande dispiacere.
- Grazie, non eri tenuta ad aiutarmi - disse una volta seduto.
- L'ho fatto solo perché me lo ha chiesto Alberto -
- Ma non ti ha detto lui di dirmi che Caroline stava sbagliando procedimento -
- No, quello lo hanno fatto le mie povere orecchie, erano stanche di sentire oscenità -
- Effettivamente, avrei dovuto capirlo prima che Caroline non è un asso in questa materia -
- Ne in nessuna delle altre fidati -
Dopo quella breve conversazione tornò il silenzio, tutti e due evitammo la conversazione. A dire il vero, non so perché ho parlato. Mi è venuto quasi istintivo, è stata una cosa inconscia. Probabilmente sentire per l'ennesima volta le stupidaggini di Caroline, mi ha traumatizzato più del solito. Al cambio dell'ora Erik torna al suo banco originario, lasciando di nuovo quello accanto al mio vuoto. 

La giornata passò velocemente, tra una materia ed un altra le ore sono volate. Quando finalmente uscii da quell'edificio, mi incamminai da sola verso casa. Camminare mi piaceva, mi perdevo nei miei pensieri, entrando in un mondo tutto mio. Una nebbia piacevole comincia ad avvolgere la mia mente, lasciando il mio corpo vuoto camminare come in uno stato di trans. Non ho problemi, le ferite passano, così come gli incubi e le paure. Mi sento leggera, mi sembra quasi di poter vibrare in aria. Ma tutto questo si dirada all'improvviso arrivata davanti casa, lasciando nel mio corpo uno spiacevole senso di vuoto. E come se l'energia negativa che la avvolge, spazzasse via il paradiso che si stava formando nella mia testa. Faccio un sospiro, incamminandomi al suo interno, sperando che il resto della giornata passi in fretta e soprattutto in maniera tranquilla. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


È notte fonda, quando mi sveglio a causa di un rumore di vetri rotti. Mi alzo dal letto mettendo la vestaglia, sapendo già chi è il responsabile di tutto quel frastuono. Accendo la torcia del cellulare uscendo dalla stanza, per illuminare la strada che sto percorrendo. Arrivata alla fine delle scale, la punto sul responsabile di quel fracasso. Erik si trova per terra, tra i cocci di un vaso una volta posizionato all'entrata. Evidentemente, lo ha rotto nel tentativo di mantenersi in piedi. Doris è accucciata vicino a lui cercando di aiutarlo. É ricoperto da piccole ferite alle mani, colpa sia delle schegge del vaso andato in frantumi, e sia dell'ennesima rissa a cui avrà partecipato. A confermare la seconda ipotesi è il labbro sanguinante e il grosso livido, che si sta formando sul suo zigomo destro. Mi avvicino nel tentativo di aiutarla, ma quando lui alza la testa verso la mia, mi pietrifico. Le pupille fin troppo dilatate, lo scarso equilibrio, i riflessi lenti. Ma soprattutto i suoi continui sbalzi di umore e l'irritabilità costante, tutto si completa come un puzzle perfetto.
- Non lo aiutare! - Mi rimetto in piedi allontanandomi leggermente, sono fuori di me. Sto persino urlando contro la povera Doris, che sta solo cercando di farlo tornare in piedi.
- Alexa calmati, ragiona lui.. -
- Alexa niente! Adesso basta, fino ad oggi ho sopportato, ma la mia pazienza ha raggiunto un limite! Come ti permetti di entrare in casa mia in queste condizioni! Come! Non sei tu il padrone qui, devi rispettare le persone che ci vivono! Sei solo un ragazzino viziato che si crede il padrone del mondo! - Alle mie parole qualcosa in lui scatta, si alza tentando di darmi uno schiaffo. Ma i suoi riflessi sono lenti, ed io di certo non rimango immobile per farmi colpire. Gli prendo il braccio torcendoglielo indietro, subito dalla sua bocca esce un grido di dolore, mentre le ginocchia si piegano nuovamente a terra, questa volta per il calcio che ho dato loro.
- Con chi credi di avere a che fare? Se pensi che io mi lasci mettere le mani addosso così facilmente, ti sbagli! - continuo a stringere sempre di più, la mia mente è accecata dall'ira. Non m'importa chi è, in questo momento vedo davanti a me solo un verme viscido da schiacciare.
- Alexa lasciagli il braccio - Doris cerca di placarmi, il suo tono è preoccupato ma allo stesso tempo dolce.
- Ti prego, rischi di romperglielo, tu non sei così lo sai. Lascia quel braccio! - Quell'idea non mi passa minimamente per la testa, non vedo più niente, non capisco, non sento. Riesco solo a far uscire quella rabbia, che è rimasta inglobata dentro il mio corpo per troppi anni.
- Lasciami stare per favore - piagnucola, non mi importa, doveva pensare prima alle conseguenze.
- Ora basta! Lascialo andare ALEXA! ORA! - la voce di Doris mi risveglia, lo lascio andare, consapevole di aver perso il controllo di me stessa.
Guardo Doris, lo sta aiutando, ma basta vedere la sua mano per individuare un lieve tremore. L'ho spaventata, trema per colpa mia. Corro di sopra, chiudendo la porta di camera mia a chiave. Scivolo piano a terra appoggiandomi ad essa, nascondendo la mia testa in un intreccio di gambe e braccia. Le lacrime cominciano ad uscire dai miei occhi, una dopo l'altra sempre di più. Non riesco a fermare la loro discesa, sembrano un fiume in piena. Quella parte che ho cercato di nascondere, è tornata a galla dopo tanto tempo. Con essa sono tornati i ricordi, quelli che avevo seppellito in un angolo della mia mente. 

Quella notte, piansi come una bambina. I singhiozzi non accennavano a smettere, si facevano sempre più forti. Avevo nel petto una sensazione di vergogna, misto a rabbia e delusione per me stessa. Delusione perché pur sapendo di star sbagliando, in quel momento, dentro di me una vocina diceva il contrario. Mi spronava a continuare, a torcere fino a sentire il crac dell'osso. Solo allora, si sarebbe placata tornando a dormire al mio interno. È come un demone, mi sussurra nella testa quello che vuole che io faccia, senza possibilità di diniego. 

La mattina seguente cerco di non incontrarlo, sono ancora turbata da quello che è successo. Non so cosa potrei dire o fare, se iniziassi a parlarci, il mio carattere in questi casi è imprevedibile. Da una parte so di avere ragione, dall'altra mi vergogno per aver fatto vedere il lato di me più brutto. Il mio intento purtroppo fallisce miseramente quando lo vedo a colazione, nonostante io abbia tardato apposta a scendere. Sento la rabbia salire ancora una volta, la sua espressione è neutrale come se, questa notte, non fosse successo niente. Non riesco a capire come può vivere in questo modo, o forse lo capisco fin troppo bene.
- Buongiorno - disse flebilmente.
Non rispondo, sono intenzionata a restare in silenzio, so di poter scoppiare se apro bocca. Comincio a fare colazione, mangio in fretta, in modo da allontanarmi il più velocemente possibile da lui.
- Così rischi di strozzarti -
Nessuna risposta, non se la merita, continuo a ripeterlo nella testa come un mantra.
- Potresti almeno scusarti, ho il braccio ancora indolenzito -
In quel momento alzo di scatto la testa guardandolo, gli occhi accessi di rabbia, ardono come fuoco bollente. Quel fuoco scorre nelle mie vene come lava, e annebbia la mia vista con il suo fumo.
- Ringrazia Doris, altrimenti a quest'ora avresti un braccio rotto, piuttosto che uno dolorante -
- Hanno ragione a scuola, sei pericolosa. Ogni cosa è una buona ragione per mettere le mani addosso alla gente -
- Dai pure corda a quei cavernicoli. Ma se essere pericolosa vuol dire che non ti fai picchiare da chiunque, allora lo preferisco al nomignolo di vittima -
- Tu credi veramente di essere la vittima in questa situazione? - i toni si stanno alzando da entrambe le parti, ormai siamo diventati due fiumi che si travolgono a vicenda.
- No non credo di essere una vittima, affatto, ma non credo neanche che lo sia tu. Anzi so per certo di avere davanti il più grande idiota del mondo! - Alle mie parole scatta in piedi, raggiungendo il mio posto in due secondi, mi alzo anche io e ci ritroviamo faccia a faccia. La distanza è di pochi millimetri, i nostri respiri si mischiano e i nostri occhi hanno intrapreso una guerra silenziosa.
- Rimangiatelo! -
- Non ci penso proprio -
- Ritira quello che hai detto, subito!  -
- Altrimenti? Cosa vuoi fare eh? Ricordati soltanto che qualunque siano le tue intenzioni, non ci metto niente a finire l'opera di ieri sera. Non credere che non ne abbia il coraggio, l'ho già fatto e lo rifarò tutte le volte che sarà necessario -
- Sei una pazza svitata, una psicopatica. Dovrebbero rinchiuderti in una clinica! -
- Dai coraggio continua, insultami, dimmi che sono pazza, folle. Oppure ti suggerisco un epiteto dei tuoi amici, magari lo preferisci, mentecatta. Dimmi quello che vuoi, non mi scalfisci. Me lo hanno detto per anni, non cambia una persona in più. Ti assicuro che preferisco essere questa, piuttosto che un drogato senza alcun controllo e rispetto di se stesso -
- Ti sbagli - i suoi occhi sono convinti, ma il tono della sua voce e quella leggera esitazione nel rispondere, lo tradiscono.
- Hai ragione, infatti sei prima idiota e poi drogato - detto questo me ne vado, lo sorpasso e vado alla ricerca di Doris.
Non gli ho dato neanche il tempo di ribattere, anche se dall'espressione pietrificata che ha assunto, dubito che avrebbe detto altro. Ho già il sangue amaro, e non sono neanche uscita di casa. 

Giro per dieci minuti, ma non riesco a trovarla. Sono preoccupata, non è da lei sparire così. Voglio sapere come sta, se è ancora scossa, ma soprattutto scusarmi per quello a cui ha dovuto assistere. Alla fine mi arrendo, vado in camera a cambiarmi ed esco di casa il più velocemente possibile. Questa mattina nessuno mi impedisce di uscire di casa da sola, non ci sono sceneggiate o lamentele. A parte il diverbio avvenuto a colazione, la casa tace. Questo, fa ingrandire ancora di più i miei sensi di colpa, so di essere una delle responsabili della sua creazione. Ma anche la rabbia diventa enorme, se solo mio padre non avesse fatto entrare questo ragazzino problematico nelle nostre vite, tutto questo non sarebbe mai successo. Alla fine tutto torna sempre a lui, non pensa mai alle conseguenze delle sue azioni. É lontano mille miglia, non vede niente e non sopporta niente. Fa quello che gli pare, non pensa minimamente a sua figlia. A come posso stare, a come mi sento. Per lui è come se io non esistessi, c'è un muro invalicabile tra noi. Lo odio, e continuerò ad odiare questo egoista per il resto della mia vita. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


- Doris - la donna sentendosi chiamare all'improvviso si gira.
- Alexa, mi hai spaventato - disse mettendo la mano sul cuore.
- Scusa - abbassai la testa.
L'ho cercata tutto il pomeriggio, non si è nemmeno fatta trovare all'ingresso dopo scuola. Di solito è la prima persona che vedo una volta rientrata, invece oggi ad accogliermi non c'è stata anima viva. Mi sono allarmata immediatamente, devo averla scossa più del dovuto. I sensi di colpa, che non mi hanno abbandonato nemmeno per un secondo, sono diventati ancora più opprimenti. Ho girato tutta la casa, ma niente, non riuscivo a stanare il suo nascondiglio. Stavo quasi per arrendermi, quando ho avuto un lampo di genio. Ed infatti avevo ragione, eccola qui. Quella buffa paffutella se ne sta seduta su uno sgabello, nella vecchia soffitta polverosa. Sfoglia un vecchio album dei ricordi, di cui non ricordo neanche l'esistenza.
- Oggi non ti ho vista quando sono tornata - dissi cercando di farle spostare lo sguardo dal libro al mio volto.
- Avevo da fare, non mi sono resa conto dell'orario - disse continuando a sfogliare l'album.
- Mi sono preoccupata, ho temuto fosse successo qualcosa - mi torco le mani per la troppa tensione, come se girare e rigirare le dita, alleviasse quella sensazione di disagio che c'è nell'aria.
- Dici sempre che sono troppo opprimente, di lasciarti più spazio. Per una volta che ti ascolto ci invertiamo i ruoli? - il suo tono freddo e distaccato insieme alle sue risposte sono come una doccia fredda.
- Quindi non c'entra niente la mia perdita di controllo di ieri notte? -
Si blocca, finalmente una reazione. Non volevo essere così diretta, ma è servito per farla uscire da quello stato di trans. Finalmente si gira a guardarmi, ma i suoi occhi sono come la sua voce. Mi sembra di avere davanti una statua di marmo, fredda e rigida.
- Pensi questo? -
- Si -
- Perché? -
A quel punto, è il mio turno di rimanere zitta. Non voglio rispondere a questa domanda, o forse ho solo timore della piega che questo discorso sta prendendo.
- Non rispondi? Strano, di solito hai una buona parola per tutto - disse continuando a guardarmi. Oggi i ruoli si invertono così. Un secondo prima cercavo di attirare l'attenzione di Doris, il secondo dopo invece fuggivo da quello sguardo, come una preda dal suo cacciatore.
- Mi avevi fatto una promessa -
- Lo so - Rispondo a monosillabi, continuando a puntare lo sguardo sul pavimento.
- Allora perché? -
Il mio mutismo continua, non ho il coraggio di rispondere. Sono domande troppo complicate, non riesco nemmeno io a spiegare bene i miei comportamenti. La mia mente comincia vagare nei ricordi, piano piano facendomici perdere dentro.

La pioggia cade sul mio corpo, ma questo continua a rimanere immobile. I calci arrivano da tutte le parti, cerco di attutirli rannicchiandomi sempre di più. Nonostante questo sento come degli spilloni, conficcarsi dentro di me ad ogni colpo che ricevo. Sono arrivata al limite, non ce la faccio più. 
- Basta - al suono di quell'ordine tutto si ferma. 
Sento qualcuno avvicinarsi, cerco di muovermi, ma il mio corpo non ne vuole sapere. La vista è offuscata, non riesco a respirare bene. Mi esce della tosse, che mi provoca però solo più dolore. La stessa persona che si è avvicinata, adesso è china su di me. Avvicina la bocca al mio orecchio, sussurrandomi qualcosa.
- Perché mi hai costretto a fare questo tesoro. Sai benissimo, che non avrei mai voluto che tu finissi in questa situazione - 
- Bel modo di dimostrarlo - parlo a fatica, lentamente. Ogni parola è come una lama che si conficca nel petto senza pietà. 
- Tu guarda, persino conciata in questo modo hai la forza di rispondere. E per questo che mi piaci, sei forte, non ti arrendi davanti a niente. La tua testardaggine mi intriga, entra nella mia mente e non se ne va via - disse passando un dito sul mio viso.
- Diventa mia, basta un si e tutto questo finisce -  quelle parole mi provocano disgusto. 
- Va al diavolo - 
- Attenta, potrei farli ricominciare anche adesso se volessi. Ma per oggi direi che è sufficiente, non c'è bisogno di infierire oltre - mi rilasso, la tortura è finita. 
- Ricorda, basta un si. Ironia della sorte, una sola è semplice parola, rappresenta la chiave della tua liberazione dall'agonia. Pensaci piccola, questa tortura non piace ne a te, ne a me -
Mi lasciano così, con il corpo martoriato a terra, dentro un vicolo. La pioggia continua ad abbattersi su di me, non ho la forza di alzarmi. Sono stanca, voglio solo chiudere gli occhi e dormire. 

- Dimmi il perché Alexa! - il suono delle parole di Doris mi riportano alla realtà, ma nonostante questo non riesco ad emettere un fiato.
- Allora? Sto aspettando -
- Non sono riuscita a trattenermi, va bene? Da quel giorno ho giurato che nessuno mi avrebbe più fatto male, ne a me ne a nessuno a cui voglio bene - 
- Ma non era quello il caso, sai perfettamente che lo scatto d'ira è successo a causa delle tue parole. Erik era tranquillo, fino a che tu non lo hai istigato -
- Vorresti dare la colpa a me adesso? -
- Si, in parte, una grande parte, di quello che  successo è colpa tua - Quelle parole mi colpiscono peggio dell'acqua bollente. È una realtà a cui non ho pensato, è stata veramente tutta colpa mia? Forse i ragazzi a scuola hanno ragione, sono pericolosa.
- Hai ragione - sussurro piano.
- Cosa? -
- Hai ragione. Se non avessi urlato, lui non avrebbe reagito in quel modo. Non so perché reagisco così, c'è qualcosa che non va in me - mi alzai cominciando ad indietreggiare.
- No Alexa, non c'è niente che non vada in te - dice alzandosi anche lei.
- Si invece, ho come un demone dentro che sbraita per uscire fuori. Quando comincia a parlare, non capisco più niente. É come una nenia, mi incanta fino a quando vuole lui - tremo, ho paura di me stessa. E se un giorno facessi del male a Doris? Non me lo perdonerei mai.
Cerco di mettere sempre più distanza tra me e lei, ma me lo impedisce raggiungendomi e abbracciandomi. La stringo forte, come se da questo dipendesse la mia intera esistenza. Cadiamo a terra, scivolando, mentre continuo a tremare senza riuscire a calmare il mio corpo. Tremo per paura, disperazione, disgusto, senso di colpa. Le emozioni negative hanno preso il sopravvento, non riesco a impedire che mi governino. 
- Sono un mostro -
- No piccola, non sei niente di ciò che si dice in giro -
- Come puoi saperlo -
- Perché ti conosco, so tutto di te. Ti ho cresciuta, ci sono stata nei momenti più belli e anche in quelli più brutti. Tutto dentro di te va benissimo, quel demone piccina. É solo una risposta della tua mente, a  tutto ciò che hai dovuto subire. Ma tu sei forte, e so che se lo hai tenuto a bada per tutto questo tempo, puoi farlo sempre -
Il cuore rallenta, il tremore via via che le parole scorrono rallenta. Stringo sempre più la mia dolce paffutella, le impedisco di scappare da me, anche se so che non lo farebbe mai.
- Scusa, non volevo che mi vedessi di nuovo in quello stato -
- É passato piccina, è tutto finito, tranquilla - 

Restiamo così, abbracciate, per non so quanto tempo. Quello che in quel momento stavamo ignorando, è la presenza di qualcun altro nella vecchia soffitta. Qualcuno che mi aveva seguito, senza farsi ne vedere, ne sentire. Ha ascoltato tutto quello che abbiamo detto, allontanandosi piano, per non farsi scoprire, con tante domande nella testa.
- Doris lui ha bisogno di aiuto, non può stare qua - dico flebilmente, slegandomi da quel dolce intreccio di braccia.
- Lo so, tuo padre mi aveva accennato a qualche problema del ragazzo. Ma non immaginavo questo -
- Perché non lo hanno mandato in un centro di disintossicazione, non capisco -
- Pensaci bene Alexa, ha diciotto anni è maggiorenne. Se non vuole lui, nessuno può obbligarlo ad andarci -
- Ma non possiamo prenderci questa responsabilità -
- Hai ragione, tu hai perfettamente ragione. Ma al momento non credo si possa fare molto, tuo padre ha assicurato al suo che ci saremmo presi cura del figlio. Non può neanche lasciarlo in mezzo ad una strada, a meno che non lo voglia lui spontaneamente. Erik è maggiorenne, ma la legge impone che deve essere mantenuto fino a che non troverà una stabilità economica personale, non possiamo farci niente  -
- Eppure c'è qualcosa che non quadra in tutta questa storia -
- Cosa vuoi dire? -
- Se Erik volesse, potrebbe tranquillamente tornare a casa sua, non ha bisogno di nessun permesso. Allora perché rimane qui, non ha senso -
- Non lo so Alexa, non so proprio cosa risponderti -

Sono scoraggiata, la situazione è più brutta di quello che credevo. Se è vero che il padre, deve mantenere il figlio fino alla sua completa indipendenza. É anche vero che a Erik la nostra casa non dispiace, ha avuto più di un occasione per andarsene via, ma non lo ha mai fatto. Nessuno lo costringe a restare, raggiunta la maggiore età non è più soggetto alle decisioni del padre, non capisco. Mille pensieri si affollano nella mia mente, non ha mai manifestato una voglia estrema di restare, eppure non va via. Perché? Non riesco a comprendere, a trovare una ragione logica per il suo comportamento. Questo ragazzo nasconde qualcosa, e io scoprirò cos'è, in un modo o in un altro. 

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