closer

di _the_unforgiven_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** where is johnny? ***
Capitolo 2: *** lost & found ***
Capitolo 3: *** family matters ***
Capitolo 4: *** stagediver ***
Capitolo 5: *** amor fati ***



Capitolo 1
*** where is johnny? ***


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closer

where is johnny?

///

 

To live in this world

you must be able
to do three things:
to love what is mortal;
to hold it

against your bones knowing
your own life depends on it;
and, when the time comes to let it go,
to let it go.

(Mary Oliver, In Blackwater Woods)

 

 

Un hangover del genere doveva capitare una sola volta nella vita.
La prima di solito era sufficiente.

A V era già toccata la sua parte, quando era una cretinetta di quattordici anni e scappava dalla finestra del caravan per incontrare gli amici fuori dall'accampamento.

Si era sbronzata con il terribile moonshine della sua migliore amica, si erano quasi rotte l'osso del collo rincorrendo i coyote con la motocicletta, e quando era spuntato il sole stavano ancora vomitando giù per il canyon, con la gola che bruciava e gli occhi che lacrimavano.

Il solo ricordo bastò a suscitarle un nuovo conato.
V si lamentò fiocamente sul sedile della metropolitana su cui se ne stava appallottolata.

Ricacciò indietro la bile e chiuse gli occhi, premendo la fronte contro il finestrino, prima di tirare un lungo respiro rantolante. Aveva la testa in fiamme, gli occhi gonfi e in bocca il sapore dell'acido delle batterie.

Una debole luminescenza dietro le palpebre chiuse le annunciò l'apparizione del suo personale Mefistofele. Da dentro la morsa dell'emicrania, V decise che dedicargli attenzione non valeva la fatica di aprire gli occhi.

"...addormentati in metro, e stai sicura che ti sveglierai senza qualche pezzo."

"Correrò il rischio" replicò lei in un soffio, senza aver la forza di pensare a una replica pungente.

Silenzio.

"...sul serio, la metropolitana, V..?"

"Non posso guidare così."

"E perché non hai dormito in macchina, allora?"

"Perché eravamo in moto, Cristo santo Johnny, puoi chiudere il becco finché non siamo a casa..?" scattò V, aprendo gli occhi per trovarlo semisdraiato sui sedili di fronte, con le braccia incrociate sul petto e l'incredibile faccia tosta di essere lui, quello risentito.

"...Scommetti che ti sveglierai al capolinea, con un impianto in meno e qualche malattia disgustosa in più..?"

Prima che avesse il tempo di replicare, Johnny era già scomparso.

V strinse i denti sperando almeno che il suo mal di testa fosse abbastanza forte da far patire anche lui.
 

///


Le era sembrato che le cose fossero cambiate, da un po' di tempo a questa parte.

Accidenti, erano cambiate.

Quando si erano incontrati, Johnny aveva tentato di ucciderla prima ancora di avere capito cosa stesse succedendo.
Mentre dopo il disastro del rapimento di Hanako Arasaka, le aveva salvato la pelle.

Qualcosa nella parte più buia della mente di V aveva provato a bisbigliare che non era per lei; che era la propria pelle che adesso Johnny difendeva.

Ma se fosse stato così, gli sarebbe bastato mantenere il controllo del suo corpo una volta che l'aveva ottenuto. Usando per sé le pillole di Misty, non avrebbe neppure dovuto aspettare che la riscrittura avviata dal biochip fosse completa.

...Le cose erano cambiate.

Arrivata a casa, V quasi pianse di sollievo nel sentire richiudersi la porta alle proprie spalle.
Non si era ancora sfilata le scarpe che Nibbles le trotterellò incontro con un miagolio di benvenuto.
V si chinò su di lei mormorando la consueta litania di nomignoli e sciocchezze affettuose; e quando allungò la mano per darle una grattatina dietro l'orecchio, ottenne un rombo di fusa tale che le si disegnò in volto un sorriso.

Johnny si materializzò quietamente in un angolo e rimase in silenzio, addossato alla parete. Mentre continuava a coccolare la gatta, V sentì il sorriso farsi più largo.
Sapeva che Johnny aveva un debole per Nibbles.
Poteva sentirlo.

...Insomma, il fatto era che V si fidava di Johnny.

Non poteva farci niente. Non era stata una decisione; era successo e basta.
Dopotutto, per settimane avevano trascorso quasi ogni momento di veglia in ininterrotta, privata conversazione. Avevano passato guai, si erano ficcati in situazioni ridicole e in altre francamente spaventose, sempre insieme.

E se Johnny prometteva che non le avrebbe fatto del male, V gli credeva.
Quel giorno al Pistis Sophia era arrivato a dire che si sarebbe sacrificato, per lei; e dannazione, V credeva anche a questo.

Con un sospiro, V si rialzò dal pavimento e cominciò a spogliarsi.
Mentre andava lentamente avanti e indietro fra l'armeria e la lavatrice, depositando ora la pistola, ora la giacca, Johnny dal suo angolo continuava a seguirla con lo sguardo.
Iniziava a renderla nervosa.

"Cosa c'è?" chiese infine mentre lasciava cadere a terra i pantaloni , ancora indecisa se lavarli o se fosse meglio buttare direttamente tutto quanto nella spazzatura.

"Ti senti meglio, adesso?"

"...chiedimelo dopo la doccia." rispose V; ma si rese conto che non c'era più traccia di animosità nella sua voce. Si lasciò sfuggire un altro sospiro che si trasformò a metà in uno sbadiglio.
Era soprattutto molto, molto stanca.

Entrò in bagno, sollevata all'idea di buttarsi finalmente sotto il getto d'acqua calda. Stava finendo di svestirsi, quando lo sguardo le cadde sullo specchio.

Si bloccò come se avesse mancato un gradino lungo una scala.

Sul collo, giù fino alla clavicola, la sua pelle era screziata di macchie simili a lividi.
Succhiotti.

Era talmente stanca che le ci volle un momento prima di collegarli alla notte brava di Johnny.
Rimase a fissarli.

Lei non ricordava nulla.

Cominciò a sentir montare un senso di straniamento che si trasformò velocemente in vertigine; si aggrappò al bordo del lavandino. Aveva la sensazione di trovarsi lontano da sé senza riuscire a riconnettersi, come se avesse battuto la testa.

Come se non fosse suo il corpo che stava guardando.

"Johnny." sentì la propria voce come fosse quella di qualcun altro, ed era un filo d'acciaio teso.

Johnny Silverhand glitchò alla periferia del suo sguardo, materializzandosi sulla porta.

"...Huh." fece, addossandosi allo stipite.

"...è tutto quello che hai da dire..?" chiese V a voce bassa, senza spostare lo sguardo dal proprio volto riflesso.

"Non ho fatto niente di che, se è questo che stai pensando." rispose lui, sulla difensiva.

"E dovrei crederci?!" sbottò V, strappandosi finalmente dall'immagine allo specchio.

"Non è successo niente!" ribatté Johnny alzando le mani.

"Questo non è niente, Johnny!" gridò V premendosi una mano sul collo. "Questo è - questa sono ancora io."

"Seriamente ti incazzi più per questo che per il tatuaggio?"

"È diverso, Johnny..! E non -" d'un tratto V spalancò gli occhi, "...se avessimo incontrato qualcuno? Se mi ha cercato Judy?!"

"No, V, diocristo!" imprecò Johnny scoprendo i denti. "Holo staccato! Altra zona della città! Non abbiamo incontrato nessuno del tuo giro, non c'è stata nessuna conseguenza sulla tua vita. Fai di peggio tutti i giorni scorrazzando per Night City come in un fottuto videogame."

"E questa cosa sarebbe, Silverhand?!" stridette V. "Una specie di vendetta?"

Odiava sentirsi così.
Una cretinetta che si era illusa.

"No, V, non è altro che una nottata fuori, e un cazzo di hangover che alla tua età dovresti saper -"

"- e una scopata con chi sa chi cazzo!"

"Nessuno ti ha scopata!" Ruggì Johnny sferrando un pugno alla parete. "Magari sarebbe stato meglio, cazzo!"

La rabbia di V si condensò istantaneamente in un monolite gelido.
Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.

"Tu non hai rispetto per niente e per nessuno, vero?" disse a voce bassa, distogliendo lo sguardo.
"...Non ne hai mai avuto neppure per le persone che dicevi di amare," si chinò per recuperare qualcosa sotto il lavandino, "figuriamoci cosa potevo aspettarmi io."

Johnny boccheggiò, ancora sulla porta; solo quando V si rialzò con una manciata di omega bloccanti sembrò pronto a dire qualcosa, ma prima di poter pronunciare una sola sillaba era già svanito.

V si trascinò dentro la doccia e rimase seduta sotto l'acqua finché non ebbe esaurito le lacrime di frustrazione.
 

///


Fu svegliata il giorno dopo da Nibbles, che reclamava la colazione colpendole il naso con una zampa.

"Arrivo." mormorò, rotolando faticosamente fuori dal letto. L'orologio e la luce fuori dalle serrande indicavano che era giorno pieno; aveva dormito quasi dieci ore.
Eppure si sentiva terribilmente stanca.

L'appartamento era immerso in un silenzio inusuale. V si prese un po' di tempo per bere un caffè; controllò i messaggi; scelse due o tre cose da rivendere fra quelle immagazzinate nei giorni recenti.
Alla fine, quasi a malincuore si decise a uscire.

Non era ancora entrata in ascensore che già la stava chiamando Regina, e nel giro di poco fu catturata dalla consueta girandola di richieste ed emergenze.

Ma nonostante tutto, non riuscì a scacciare la sensazione di aver dimenticato qualcosa.


///


V non sognava mai.

Le rare volte in cui accadeva, si trattava quasi sempre di incubi che la lasciavano con il cuore in gola e un infinito sollievo per essersi svegliata.

Per il resto, dal proprio sonno non portava con sé mai nulla da raccontare, per la massima insoddisfazione di sua nonna, prima; di Mama Welles, in seguito; e ovviamente, adesso, di Misty.

"Sai che naturalmente è impossibile," le stava ripetendo in quel momento, lucidando una collezione di rune per la vetrina del negozio. "Tutti sogniamo, quando dormiamo. È solo che te lo dimentichi."

"O magari, mi succedono cose già abbastanza assurde durante il giorno," sbadigliò V, lasciandosi cadere in una delle poltrone sul retro.

"E non è cambiato niente da quando hai, uh... compagnia?"

V si accigliò. Tese una mano verso il filo di fumo che saliva da un bastoncino di incenso e mosse le dita, disperdendolo nell'aria. "Non proprio." mormorò laconicamente.

Dal maledetto disastro del Konpeki Plaza, i sonni di V si erano fatti agitati. Faticava ad addormentarsi, si svegliava spesso, rimaneva a guardar sfilare sul soffitto le luci proiettate dalla strada.

Una cosa però non era cambiata: i suoi sogni restavano off limits.

Misty le concesse ancora qualche momento di lugubre silenzio prima di avvicinarsi, apparentemente per disporre le rune su uno scaffale. "...E con non proprio, intendiamo che..?"

V represse l'impulso a cambiare discorso.
Trovarsi sotto il sereno, implacabile fuoco dell'attenzione di Misty le suscitava sempre un sotterraneo istinto di fuga; ma la ragazza le voleva bene, e V ne voleva a lei.
Le rivolse un piccolo sorriso di resa.

"...Ancora niente sogni. Forse sto dormendo un po' male. Tutto qua."

"...Ti tiene sveglia?"

"No... Più o meno dormo, credo..? E' solo che mi sveglio stanca." V alzò le spalle con aria di scuse. "Forse hai ragione tu; sogno, anche se non me ne ricordo."
Si mordicchiò pensosamente l'interno di una guancia.
"Forse, non sono io a sognare," le scappò di bocca.

Era una frase priva di senso per chiunque non fosse nella sua bizzarra situazione; ma Misty si limitò ad annuire.

"Ne hai parlato a Johnny..?"

V aggrottò le sopracciglia. "In questi giorni non stiamo parlando granché."

"Ti ha fatto arrabbiare?"

V alzò su Misty un'occhiata che dovette risultare eloquente, perché la ragazza sospirò e prese una sedia. "Che cosa ha combinato?"

"Preferirei non rivangare," borbottò V fra i denti.

Misty alzò un sopracciglio.

V si strinse nelle spalle. "Sono stata io la scema a non immaginarmelo. E' che... ah, al diavolo."

Poco dopo, in un rigurgito di rabbia V aveva raccontato tutto quello che era successo dopo che aveva accettato di cedere a Johnny il controllo del proprio corpo.
O almeno, tutto quello che riusciva a ricordare.

Misty la ascoltò dall'inizio alla fine. Quando finalmente ebbe concluso la sua tirata, V si sentiva ancora arrabbiata, ma anche un pochino più leggera.

"Sarà stupido, se vuoi; ma di tutte quelle che mi sta facendo passare, questa non riesco proprio a perdonargliela".

"Forse perché stavolta ha ferito i tuoi sentimenti." osservò quietamente Misty.

V arrossì con violenza. "No," si affrettò a ribattere. "E' perché è un fottuto idiota."

"E alla fine, che cosa ha ti risposto?"

"Niente. Ho preso i bloccanti," disse V, abbassando gli occhi.
D'un tratto si sentiva a disagio.

"Ok, e dopo..?"

"Dopo..." lo sguardo di V saettò in quello di Misty, poi si abbassò di nuovo, mentre balbettava "-non l'ho ancora rivisto. Dopo."

Misty tacque per un istante. "Per niente?"

V scosse lentamente il capo. Cercò di non badare alla piega che avevano preso le labbra di Misty.

"V, sono passati giorni."

"...lo so."

"Era mai successo, prima?"

"...no?"

Misty le rivolse una lunga occhiata sotto la quale V si sentì rimpicciolire.
Poi la ragazza sospirò, si chinò avanti e strinse le sue mani fra le proprie.

"V. Si è comportato male, con te."

"...huh-huh."

"Tu ti sei fidata, e lui se ne è approfittato."

V annuì, ignorando il groppo alla gola.
Cretina.

"Ti hanno mai messa in punizione, da piccola, V?"

"...Eh?"

"Ti hanno mai proibito di uscire, o sequestrato la macchina, o qualcosa del genere..?"

V annuì cautamente; Misty le sorrise con dolcezza.

"Prova a metterti un momento nei suoi panni, V. E' un uomo adulto, e non può nemmeno decidere di fumarsi una sigaretta, da solo. Non può farsi una camminata, o guardarsi un film; non può mangiare, o fare sesso, non può toccare una mano, non può nemmeno parlare a qualcuno che non sia tu." Misty scrollò la testa. "E' un uomo adulto, ma è come se fosse un neonato. Dipende completamente da te, nel bene e nel male."

V si irrigidì, sentendo un rimescolio interno all'idea.
Misty dovette accorgersene, perché iniziò a massaggiarle le palme delle mani, disegnando coi pollici piccoli cerchi confortanti.
"Quando ha ritrovato un po' di autonomia non ha saputo darsi un limite. Non ha rispettato i tuoi limiti, e questo è sbagliato, V. Mi dispiace tanto." Misty alzò gli occhi nei suoi, e le rivolse un altro piccolo sorriso incoraggiante. "Ma sono sicura che dispiace anche a lui."

V chiuse gli occhi. Non pensava davvero di meritare il senso di colpa che le stava spuntando nel petto.
Era ancora arrabbiata con lui.

Però.

"Quell'idiota." mormorò a denti stretti. "Mi sta facendo paura. Non è mai sparito per così tanto tempo."

"La dose di omega bloccanti che hai preso..?"

"...una manciata." bofonchiò V, liberando le mani dalla stretta di Misty per appoggiarvi la testa e piantarsi le palme nelle orbite.

Misty replicò con un piccolo mh.
Si alzò, solo per tornare un istante dopo con i propri tarocchi preferiti.

"Dunque. Ho una teoria." annunciò mescolando il mazzo. "Prima, però, vediamo cosa dicono le carte."
Tese le carte verso di lei. "Pesca."

Con dita esitanti, V sfilò una carta; la porse a Misty senza guardarla.

Lei la studiò per qualche istante con interesse. "Bene," disse infine, prendendola e mostrandole il nove di coppe. "La mia idea è che Johnny possa essere rimasto bloccato. Forse si trova molto in profondità nella tua psiche, a un livello inconscio, e non può o non vuole uscirne da solo."

"A un livello inconscio..?"

"Da qualche parte al di sotto del tuo stato di consapevolezza. Una specie di ricordo rimosso. O di programma in background."

"...e io non riesco ad arrivarci?"

"Proprio come i tuoi sogni."

"E che cosa posso fare?"

Misty rimescolò le carte, accarezzandole con un piccolo sorriso. "Vai a cercarlo."


///


Misty l'aveva rispedita a casa con un cristallo da tenere ai piedi del letto, una tisana in una scatola senza etichetta e la raccomandazione di passare le notti a letto, sforzandosi di dormire almeno fino a che "il suo inquilino" non fosse ritornato.

La sua sollecitudine aveva definitivamente messo in allarme V; adesso, mentre tornava verso casa, sentiva di starsi nervosamente avvitando in una spirale in cui gli interrogativi aumentavano ad ogni passo.

Cosa sarebbe successo se la situazione non si fosse sbloccata?

La riscrittura del biochip sarebbe accelerata?
Avrebbe crashato?
Avrebbe cominciato a procedere esclusivamente in background, senza darle modo di prepararsi?
Sarebbe andata in sovraccarico e la cyberpsicosi avrebbe fatto il resto?

Arrivata all'appartamento, V si costrinse a mangiare qualcosa e bevve perfino l'intruglio di Misty. Aveva un odore che le ricordava le Badlands e l'erba bruciata dal sole. Nibbles ispezionò il contenuto della tazza e arricciò il naso lanciandole un'occhiata di rimprovero.

"Se ci rimango secca, sei la mia unica erede, Nibbles." mormorò V prima di costringersi a bere.
Qualsiasi cosa sia, almeno mi farà dormire, pensò, sentendo già le palpebre diventare pesanti.

Si trascinò nel cubicolo, sotto le coperte che non le erano mai sembrate così invitanti, e si addormentò di schianto.


///


Il mercato era talmente affollato che V riusciva a stento a sgusciare fra la gente.

Era un bel problema, visto che il suo obiettivo era lì da qualche parte, probabilmente pigiato fra altri avventori sudati; e non sembrava esserci nessun vicolo in cui scantonare o garage deserto in cui attirarlo.

V si fece sfuggire un grappolo di imprecazioni; aveva pensato di ritagliarsi un passaggio fra i tetti, ma c'erano persone accalcate perfino sulle traballanti passerelle sospese, sulle scale sgangherate, affacciate ai balconcini smangiati dalla ruggine.

Ogni paio di secondi, quasi per un tic nervoso, scansionava la folla intorno a sè, guardando impotente mentre la distanza dal suo obiettivo cresceva metro dopo metro.

Alla fine, esasperata, si lanciò dentro la prima finestra aperta che trovò.

Seguendo il segnalino del gps, iniziò ad attraversare Kabuki dall'interno. Sgusciava di stanza in stanza dentro le baracche, fra camere vuote, dentro cucine piene di vapore; passava davanti alle tv, vicino alle culle, di fianco ai letti dove la gente dormiva o scopava, calpestando tappeti lenzuola e vestiti.

Davanti a lei ogni porta si apriva, ogni serratura scattava; tende leggere si muovevano davanti alle finestre spalancate, la musica correva come un nastro da un ballatoio all'altro.

V fluiva dentro il corpo stesso della città, le scorreva libera dentro le vene, poteva sentirla pulsare.

Finché, aperta in silenzio l'ultima porta, vide che aveva finalmente raggiunto il suo bersaglio; le dava le spalle, fumando affacciato a una terrazza sul fiume.
V non avrebbe neppure dovuto friggerlo con un hack.

Le bastò sgattaiolare dietro di lui leggera come un'ombra, fargli scivolare un braccio sotto la gola, e-

"V..?"

V balzò indietro così bruscamente da andare a finire a terra, arretrando carponi di un metro prima di fermarsi con il cuore a mille.

"...Johnny?!"

A quel punto V si svegliò.


///


V spalancò gli occhi nell'appartamento silenzioso, con il cuore che galoppava nel petto e senza alcuna idea del perché.

Nibbles miagolò debolmente dalla pila di biancheria di fianco al letto; balzò sul materasso e si avvicinò per annusarle la faccia con curiosità. Poi procedette ad accovacciarsi su di lei ronfando rumorosamente.

V allungò meccanicamente una mano per accarezzarla; mentre stropicciava fra le dita un orecchio vellutino, la tensione cominciò pian piano a scemare.

Al suo posto, però, V sentì montare un'improvvisa ondata di solitudine.

Era il terzo giorno; ed era come se davanti a lei si fosse aperto un cratere silenzioso, in cui i suoi pensieri si disperdevano senza trovare nulla che li corrispondesse, come eco fra le montagne.

Rannicchiata nel suo cubicolo, così vuoto e desolato che avrebbe potuto trovarsi sulla luna, V sentì il cuore farsi più piccolo.

"Accidenti a te," bisbigliò nel buio. "Dove ti sei cacciato..?"

 

 

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Capitolo 2
*** lost & found ***


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closer

lost & found


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Non mi innamorerò mai più [...], è come avere due anime nello stesso tempo. 

(Gabriel García Márquez, Il generale nel suo labirinto)
 


 

Un colpo di vento fece fremere le sterpaglie, sollevando in volo cartacce e buste di plastica colorata. Lo sguardo di V corse automaticamente alla linea dell'orizzonte, cercando indizi di una tempesta di sabbia in arrivo.

Le nuvole bianche che si spandevano a una distanza infinita non sembravano minacciose.
Ma V conosceva il deserto; sapeva che poteva essere capriccioso.

A volte, quello che si stava preparando restava invisibile finché non era troppo tardi.

"...V, mi stai ascoltando?"

La voce di Dakota la riportò bruscamente a una conversazione alla quale aveva dimenticato di stare partecipando.

"...Certo," si affrettò a replicare. Era seduta su una cassa fuori dall'officina di Dakota nelle Badlands, con una birra gelata in una mano e la fixer addossata al muro accanto a lei, le braccia incrociate e lo sguardo torvo.

Dakota la considerò un istante a labbra strette, prima di continuare. "...Non credere che da quando ti conosco non abbia notato i tuoi piccoli momenti di... sbandamento, V." disse lentamente. V deglutì.
"Alcune persone sono così. Vedono più di quanto vedano gli altri." Dakota fece una pausa, considerandola ancora di sotto in su, come se attendesse una risposta da parte sua.

V saltò giù dalla cassa con un grugnito, sperando con tutto il cuore che fosse sufficiente a chiudere la conversazione. Prese un lungo sorso, poi iniziò ad allontanarsi in direzione del proprio mezzo. "Scrivimi tutti i dettagli, ti contatto non appena avrò fatto." disse con un cenno di saluto.

"V." chiamò ancora Dakota, mentre lei già stava inforcando la moto. "Fai attenzione a non dimenticare qual è il mondo a cui appartieni."

V fece un cenno vago con il capo, fingendo di aver capito; poi filò via mentre già il sole andava tingendo il cielo di rosa.
 

///


Aveva in mano una lista della spesa.

V la stropicciò fra le dita: era proprio una lista di carta, scarabocchiata a penna. Sopra, in una grafia un po' traballante, c'erano elencati gli ingredienti per una torta.

L'avrebbe preparata nella cucina di Judy.
Era un regalo.

Una torta come quelle delle vecchie pubblicità, da impastare con le mani, con dentro delle pesche - delle pesche vere!

V non mangiava una torta così da quando sua nonna aveva preparato l'ultima per un suo compleanno di bambina.
E in qualche modo, sapeva che proprio sua nonna aveva scritto la lista che teneva fra le mani, ingiallita e gloriosa come una mappa del tesoro.

V pregustava già il momento in cui avrebbe affondato il coltello nella polpa zuccherina delle pesche; il nettare appiccicoso che impiastricciava le dita, l'odore di paradiso mentre il dolce cuoceva nel forno.

Recitò di nuovo mentalmente l'elenco degli ingredienti: farina, burro, zucchero; pesche ben mature; limone e cannella.
V faceva rotolare sulla lingua ogni parola, le rigirava come perle, come cose antiche e preziose.

C'era solo un problema, in quella lista, proprio all'ultimo punto, nascosto come un piccolo ordigno che minacciava di far saltare tutto.

Due uova fresche, diceva la lista.

Uova di gallina. 

A Night City. 

Sarebbe stato più facile scovare un uovo di dinosauro. Da quando era in vigore il bando sui volatili, le uova erano introvabili ovunque.

Eccetto in un posto.

V smontò dalla moto sotto l'insegna del Batty's Hotel e si guardò attorno, cercando di non dare nell'occhio.
Sarebbe stato un guaio se avesse trovato le uova e poi le avesse rotte nel mezzo di una rissa in strada.
Filò verso il mercato più svelta che poteva, mescolandosi al viavai.

Stava cercando di concentrarsi e ricordare come diavolo si dice uovo, in francese, quando improvvisamente una mano le calò sulla spalla.

"Oeuf!" gridò, alzando le mani.

"...Che accidenti stai facendo..?"

V seguì con gli occhi uno scintillio d'argento che dalla sua spalla la guidò fino al volto corrucciato di Johnny, in piedi dietro di lei con una sigaretta spenta fra le labbra.

V si sentì avvampare di un ardente quanto repentino entusiasmo; e prima ancora di accorgersene gli stava già saltando al collo. "Johnny!" esclamò, "Cosa ci fai, qui?"

"Te lo sto domandando io, ragazzina," rispose lui, frenando l'impeto di V con due mani ben piantate sui suoi fianchi."Che diavolo succede, V?"

"Niente, perché..?"

V si chiese perché avesse improvvisamente una gran voglia di piangere.
L'onda dell'entusiasmo, tracimando, si stava trasformando in un sollievo tale da farle salire le lacrime agli occhi. "...Accidenti a te, Johnny."

Per tutta risposta, Johnny alzò gli occhi al cielo e la prese per un braccio, trascinandola fuori dal mercato fin sulla terrazza del Batty's.

"Ehi - No, aspetta!"

"V."

"Ero venuta a cercare - dovevo-"

"V." ripeté Johnny, fermandosi davanti alla balaustra, dove l'aria dell'oceano riusciva a portare un soffio di azzurro sopra il calore surriscaldato del cemento.
Sembrava serio, le sopracciglia aggrottate dietro gli occhiali da sole. Finalmente, V seguì la traiettoria del suo sguardo; e vide la mano organica di Johnny ancora stretta sul suo polso.

Nemmeno l'ombra di un glitch.
V poteva sentirne la pressione sulla pelle.
Era calda.

"Ma che..?"

Johnny lasciò la presa e si addossò al parapetto, incrociando le braccia.

"V. Pensa, accidenti. Cosa eri venuta a fare, qui?"

V aprì la bocca per rispondere, una mano già ficcata nella tasca per recuperare... d'un tratto, non sapeva più che cosa.

Si bloccò per un attimo, perplessa, guardandosi le mani; poi alzò di nuovo gli occhi su Johnny. "...non mi ricordo." ammise a mezza voce.

Johnny la studiò per un momento, stringendo le labbra; poi, proprio mentre apriva la bocca per parlare, alle spalle di V risuonò una breve scarica di mitra.

"Hé ! Vous deux ! Qu'est-ce que vous faites ici, bordel?"

"Merda!" sputò Johnny, e V ebbe appena il tempo di vedere un drappello di Voodoo Boys puntare nella loro direzione prima di sentirsi di nuovo strattonare via.

In un attimo stavano correndo sull'asfalto crepato del piazzale, mentre i proiettili fischiavano intorno alle loro orecchie e scoppiavano a terra in piccole nuvole di polvere.

"Qui!" gridò V mentre mezzo correndo e mezzo inciampando raggiungevano un brandello di spartitraffico di cemento; si tuffarono entrambi dietro la copertura.

V si allungò a sbirciare attraverso una crepa, cercando un apparecchio qualsiasi da cui violare la rete.
"Johnny, che mi sta succedendo?" digrignò, iniziando a prendere di mira gli impianti degli inseguitori. "Perché non mi ricordo un cazzo?"

"Perché lo chiedi a me?" replicò Johnny, seduto a terra con la schiena contro il muretto. "E' il tuo cervello."

V si buttò giù, addossandosi a propria volta alla parete mentre aspettava di liberare un po' di RAM; di colpo piantò su Johnny due occhi spalancati. "Non ti sarai di nuovo preso..?!"
L'espressione di lui si fece vacua per un momento, prima che capisse a cosa V stava alludendo. "Tutto qui quello che ti viene in mente?!" sbottò.

Poi in un unico, fluido movimento si chinò su V, le tolse la pistola dalla fondina e la puntò in faccia al tizio che stava per sorprenderla alle spalle con un machete, freddandolo con un tiro preciso in mezzo agli occhi. Il tizio crollò, e il machete cadde a terra risuonando come un gong.

"Hm." fece Johnny compiaciuto, soppesando l'arma ancora fumante; rivolse a V un breve sorriso lupesco e se la infilò nella cintura.

"...non ho detto che potevi tenerla." gracchiò lei, ancora appiattita contro il muro.

"Non c'è di che." ribatté Johnny, accennando col capo al tizio del machete.

V bofonchiò qualcosa di indistinto, mentre si affacciava di nuovo oltre lo spartitraffico per friggere gli ultimi due teppisti. Il piazzale era sgombro, ma sulle scale del Batty's già si intravedeva del movimento.

"Ne arriveranno altri." borbottò fra i denti. "Filiamo."

Scivolarono dietro una fila di cassonetti, per poi spiccare una breve corsa fino a un pontile quasi sommerso da mucchi di spazzatura.
Si buttarono fra i piloni imbrattati di graffiti e corsero fino alla riva, fermandosi dove l'acqua lambiva la spiaggia disastrata di Pacifica.

V si guardò le spalle; non sembrava che fossero stati inseguiti.
Accanto a lei, Johnny riprendeva fiato, chino con le mani appoggiate sulle ginocchia; aveva un velo di sudore sulla fronte e gli occhiali gli erano scivolati giù lungo il naso.
V sentì un sogghigno solleticarle gli angoli della bocca.

"Che hai da ridere?" sbuffò lui.

"Finalmente fai un po' di fatica."

Johnny replicò con un grugnito in cui non era impossibile distinguere un'ombra di riso; poi si incamminò lungo la spiaggia, chiudendo le mani a coppa davanti al volto mentre si accendeva una sigaretta.

Diede la prima boccata ed esalò il fumo con un gemito sfacciatamente osceno. "Cristo." mormorò, "Finalmente."

V gli camminava dietro in silenzio, senza riuscire a staccare gli occhi dalle sue orme impresse sulla sabbia.

"...Allora." esordì quietamente dopo un po'. "Mi dici cosa sta succedendo?"

Lui si voltò a guardarla; continuando a camminare a ritroso, tese la mano cromata e le diede un colpetto sulla fronte.

Soffiò via una boccata di fumo. "Il problema è qui."

"No, il problema è che non sei qui," replicò V, scacciando la sua mano con un gesto, solo per urtare malamente con il braccio metallico. Scrollò le dita doloranti con un borbottio.

Johnny sogghignò.
 "Mmh-hm," fece, aspirando ancora dalla sigaretta. "Pensaci, V. Spiegherebbe due o tre cose."

"Per esempio?"

"Questa," e Johnny fece di nuovo schioccare sulla sua fronte un indice decisamente corporeo.

"Ahio!"

"...o quello," proseguì, indicando un gigantesco graffito che occupava quasi per intero la facciata di un palazzo vicino alla spiaggia.
In caratteri cubitali, la vernice azzurra gridava DOV'ÈJOHNNY?

"...Cosa c'entro io?" protestò V; chissà perché, adesso si sentiva in imbarazzo.

"D'un tratto li sto vedendo ovunque." Johnny si voltò per continuare a camminare dandole le spalle. "Senza contare," aggiunse dopo un po', "che non è la prima volta che ti vedo apparire e svanire nel nulla."

"Eh?"

"Puff. Sotto il mio naso. Scomparsa come un ologramma."

V si fermò, interdetta. "Non prendermi per il culo."

"Parola di boy scout." rispose Johnny, fermandosi a propria volta per guardarla in faccia. "Davvero non ti ricordi?"

"Ma di che parli?"

"Kabuki. Hai provato a strangolarmi."

Il braccio intorno al suo collo, la gola palpitante e la voce, la sua voce, "V..?"

Una diga si squarciò nella sua testa. 

 Le si accavallarono nella mente il ricordo di quel sogno, la sensazione di attraversare la città scorrendo come sangue nelle sue vene; e poi quello che era accaduto mentre era sveglia, la conversazione con Misty, la lite, gli omega bloccanti, tutto quanto.

V si lasciò scivolare a sedere sulla sabbia. 

"...Cazzo." esalò, passandosi lentamente una mano fra i capelli.

"Ti sei ricordata?"

"...Forse hai ragione." mormorò, stringendosi nelle spalle. Le mancava l'aria; il cielo le pesava addosso come una tenda che si afflosci. "Questo non è reale."

"Ding ding ding."

"...è un sogno?"

"Spiegherebbe come mai bighellonavi per Pacifica a cercare delle uova." replicò Johnny, e stavolta c'era indubbiamente una vibrazione di riso nella sua voce.

Il suono allentò leggermente la morsa del panico che le chiudeva la gola. V si costrinse a deglutire e alzò gli occhi su di lui. "Sei davvero tu..?" 

Johnny si limitò ad aprire le braccia in un gesto eloquente.

"Voglio dire, proprio tu? Non... tu-dentro-la-mia-testa?"

"Bambina, sono sempre io-dentro-la-tua-testa." sbuffò Johnny.

"...Però so che sei reale." obiettò cautamente V. "Ma, se questo è il mio sogno..." gli lanciò un'occhiata incerta. "Come faccio a sapere che non sei frutto del sogno anche tu?"

"Non puoi, immagino." rispose Johnny alzando le spalle. "Ma qui non c'è mio o tuo. I sogni sono di tutti e due."

"Come fai a dirlo?" fece V sulla difensiva.
Non le piaceva pensare che un'altra fetta di lei non le appartenesse più; oltretutto, una parte di lei a cui non aveva mai avuto davvero accesso, mentre invece Johnny, a quanto pareva, la conosceva come le sue tasche.

"Te l'ho detto. Non è la prima volta che ci incontriamo qui."

Johnny gettò via il mozzicone ancora fumante; dietro di lui, il sole iniziava a tingere l'oceano di arancio. V strinse gli occhi per riuscire a guardarlo in controluce.

"...dove vai, quando non ti posso vedere?" chiese piano.

"Lo sai." C'era una nota stanca, nella sua voce. 

 Era vero.
V poteva sentire Johnny dentro di sé anche quando non lo vedeva.
Anche quando non si parlavano, avevano un dialogo fatto di sensazioni condivise, reazioni che si rispondevano.

A volte, a V prudeva il naso ed era Johnny a grattarsi con aria assente.

Si chiese se, quando non poteva sentirlo, fosse solo perché il mondo intorno riusciva temporaneamente a distrarla.

"E quando io dormo, dormi anche tu?"

"...A volte."

"Insomma, ha ragione Misty," mormorò V sforzandosi di sorridere. "Sogno anch'io, anche se non me lo ricordo."

Johnny si accovacciò davanti a lei, sfilandosi gli occhiali da sole.

"Qualcosa del genere." disse. "A volte ti ho vista dentro dei miei sogni ricorrenti. O c'ero mentre facevi cose cretine tipo andare nella tana dei Vodoo Boys per preparare una torta."

Il tassello mancante andò al proprio posto, mentre il ricordo del sogno si completava di tutti i propri dettagli.
V rise proprio malgrado, appoggiando il capo sulle ginocchia. "Quindi tu ci riesci, a ricordarteli."

"Huh-huh."

"Ho mai sognato qualcosa di imbarazzante?"

"Tipo uscire dall'appartamento a Corpo Plaza e scoprire di essere nuda? Nah." scrollò la testa Johnny. Poi lasciò cadere il capo in avanti, sospirando pesantemente. "...Quindi, V. Stai bene?"

"...Direi di sì."

"Non sei... in coma, o qualcosa del genere."

- inchiodata a una sedia da netrunner, col cervello in pappa, volata via senza ritorno-

"N-no," balbettò V, facendo uno sforzo per rimettersi in piedi. "Sto bene. Ma dall'altra sera, quando ho preso i bloccanti, tu non - Avevo paura che -"

- rinchiuso, perso per sempre, senza poterti vedere mai più, parlare mai più, sentire mai più -

"- pensavo che fossimo bloccati qui perché non ti eri più svegliata. Cazzo, V, mi hai fatto una paura fottuta -"

- inerte fra le braccia come una bambola, le ultime tracce di calore risucchiate dal gel di raffreddamento della tuta-

"- avevo pensato - credevo solo mi stessi evitando, ma poi non c'eri più, e io -"

- abbandonata, lasciata indietro, nessuno più che ti risponda -

"Ma è proprio quello che stiamo cercando di fare, V."

La frase la colpì come uno schiaffo.

"Per salvare la tua stupida pellaccia è lì che dobbiamo arrivare. Non te lo stai dimenticando, vero?"

V contrasse la mascella. "Smettila."

Johnny fece un passo verso di lei, sovrastandola di tutta una testa. "Non ce la faremo mai se non resti concentrata. Hai chiaro quello che dobbiamo fare o no?"

"Non trattarmi come una bambina!" sbottò V alzandogli gli occhi in faccia.

"Lo farò quando la smetterai di comportarti come una bambina!" replicò Johnny. "C'è in gioco la tua vita, lo capisci o no?!"

"La mia vita, Johnny!" gridò V, i denti scoperti. "Ci faccio quello che voglio!"

A quel punto Johnny la afferrò per le spalle, con una forza e uno slancio tali da spaventarla -

e in quel momento suonò la sveglia. 
 

 

Note

1) I Bakkers erano un clan sgangherato; probabilmente prima di sciogliersi si saranno accontentati di lavoretti a basso rischio (e bassa paga) come la raccolta della frutta in campagna o la guardia alle farm sintetiche. L'occasionale cibo fresco sarà stato una magra consolazione.

2) Il graffito azzurro "Where is Johnny?" è un accenno alle prime concept art. 

 

 

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Capitolo 3
*** family matters ***


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closer

family matters


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Dove una volta c’eri tu, è rimasto un buco nel mondo, attorno al quale mi trovo costantemente a girare durante il giorno, e dentro cui cado la notte. Mi manchi da impazzire.

(Edna St. Vincent Millay, Lettere)

 


 

Era l'ora azzurra poco prima dell'aurora.

Quando V uscì in strada l'aria era ancora fresca, la luce tenue; un timido chiarore che faceva impallidire i colori delle insegne al neon.

La cosa più insolita era la quiete.

Non era certo il silenzio sublunare delle sue notti trascorse nel deserto; ma anche quella relativa calma bastava a rendere solenni le facciate sgangherate dei palazzi; trasformava le voci della pubblicità in nenie meditative; trasfigurava in icone i visi disfatti dei tossici e dei joytoy.

All'alba, perfino le strade di Watson avevano qualche cosa di sacro.

Era un momento che V segretamente amava, e lo trovava tanto più dolce quando la sorprendeva al rientro da una nottata faticosa, dopo un lavoro o una notte per strada, quando la stanchezza si scioglieva in qualcosa di più languido e quasi lieve.

Proprio una di quelle mattine si apriva adesso davanti a lei, mentre risaliva lentamente in auto Kennedy Avenue; aveva i finestrini abbassati e un filo di vento le accarezzava le tempie.

Mattine come quelle piacevano anche a Johnny.

Istintivamente, V gettò un'occhiata alla propria destra; ma sul sedile del passeggero non c'era nessuno.

Con un sospiro, richiuse i finestrini e proseguì verso Charter Street.

Dopo quello che era successo a Evelyn, V era tornata spesso a trovare Judy, quasi sempre al mattino presto prima che lei andasse al lavoro.
V arrivava con ciambelle e caffè per la colazione e Judy la accoglieva con un abbraccio ancora caldo di sonno.

Nessuna delle due si era avventurata a dare un contorno preciso alla relazione che stavano costruendo, intessuta di chiacchiere al telefono, pianti segreti e lunghi abbracci.
E sparatorie, certo.

V aveva la sensazione che si fossero adottate a vicenda; due orfane sperdute nella grande città.
Ma non era sicura che questa non fosse in realtà l'eco del giudizio di Johnny.

"Puoi togliere un nomade dalla famiglia, ma non toglierai mai la famiglia da dentro al nomade," le aveva detto una volta.

V gli aveva dato una risposta piccata; ma Johnny aveva scosso la testa, con quel suo piccolo sorriso saccente.

"Guardati un po', V. Avrai anche mollato il tuo clan, ma non hai smesso un secondo di affannarti a costruirtene un altro."

"Scusa tanto se non sono una stronza con la gente che non se lo merita, Johnny. A quanto pare non ho ancora assimilato il tuo esempio."

"Vagabonda senza famiglia ma con tante speranze si fa rocambolescamente strada nella grande città. Sei una specie di eroina di Dickens, V."

A quel punto V aveva chiesto chi diavolo fosse Dickens e Johnny aveva glitchato via con un gemito di disgusto.

Quel mattino, però, Judy le aprì la porta e non appena la vide le posò una mano sulla guancia, mormorando con voce ancora impastata di sonno, "Oh, V; che cosa hai fatto?"

...E forse, pensò V lasciandosi crollare sulla sua spalla, forse Johnny non aveva tutti i torti.
 

///


Poco dopo erano sedute una di fronte all'altra al tavolo della cucina, mentre il piccolo appartamento si riempiva della luce del mattino.

Judy aveva iniziato a cavarle fuori a spizzichi e bocconi il racconto degli ultimi giorni; e anche cercando di rimanere sul vago, V aveva dovuto confessare di avere il ritmo sonno veglia più scombinato di una camionetta piena di Maelstrom.

Era perennemente esausta; le era già capitato più volte di addormentarsi senza volerlo, una volta perfino durante un appostamento.

"Un principio di narcolessia?" ipotizzò Judy masticando pancake. "O forse sono solo colpi di sonno, V. Non sarebbe strano, con la vita che fai."

"Mmh." rispose evasivamente V, guardando nel fondo del proprio caffè. "Non credo."

Judy si limitò a osservarla da sopra la bottiglia di sciroppo d'acero, in attesa.
Ormai si conoscevano.

Infatti, dopo pochi istanti V sospirò e posò la tazza. "Credo di aver fatto casino con i bloccanti."

Lo sguardo di Judy prese istantaneamente una qualità diversa. Appoggiò la forchetta sul piatto con un piccolo clink. "Casino come?"

V affondò il volto fra le mani e si stropicciò gli occhi. "Tipo quando chiudi una porta a chiave..?" offrì a mò di spiegazione. "...e poi perdi la chiave..?"

Anche dopo aver rivelato a Judy la propria peculiare... situazione con Johnny Silverhand, V aveva cercato di mantenere al riguardo una certa riservatezza.

Johnny aveva imparato a lasciarle un barlume di privacy, quando le capitava di passare del tempo con Judy; e a V era sembrato equo proteggere con la stessa discrezione il proprio rapporto con il petulante parassita che abitava nella sua mente.

E che ora mancava da quattro giorni.

"V. Non so che piani avevi per oggi," intervenne Judy prendendole la mano. "Ma prenditi la giornata, per favore. Riposati e poi dedicati a questa faccenda. Lo vedo che è importante, per te."

V sentì l'impulso di abbracciarla. Cara, ricettiva Judy.

"Lo è." annuì. "Misty mi ha dato qualche consiglio. Stanotte proverò di nuovo, e-"

"Non stanotte, V," la interruppe Judy, alzandosi e avvicinandosi a lei. "Non dopo che avrai sistemato gli affari di qualcun altro. Non se e quando."

Judy le posò una mano sulla nuca, per poi appoggiarsi a lei fronte a fronte. "Devi imparare a prenderti cura di te, ogni tanto," bisbigliò. "Me lo prometti?"

V si limitò ad annuire, scacciando un improvviso groppo alla gola.

"...bene." disse Judy stampandole un bacio sul naso.

"...faccio solo un salto al campo da Panam, per una commiss-"

"V!!!"


///


...Nonostante la strigliata di Judy, uscita dall'appartamento V prese la strada che lasciava la città per le Badlands orientali.

Doveva solo fare una consegna al campo degli Aldecaldos; niente di complicato, ma era urgente. Magari avrebbe pranzato lì e avrebbe schiacciato un pisolino nella tenda di Panam, dopo.Forse l'aria del deserto l'avrebbe aiutata a rimettere in ordine il cervello.

Uscì dalla tangenziale e imboccò la polverosa strada sterrata che si perdeva in mezzo ai cactus.

Non riusciva ancora a ricordare cosa, ma era certa di aver sognato, la notte prima. Si era svegliata stringendo convulsamente l'orlo della coperta, con un malessere che le chiudeva il petto e gli occhi gialli di Nibbles puntati addosso come fanali.

Qualsiasi cosa fosse, però, non era bastata a far riapparire Johnny, ed era servita solo ad accrescere il senso di stordimento con cui stava facendo i conti da giorni.

"...Perché devi rendere tutto così difficile," brontolò sottovoce, mentre la macchina ballonzolava sul greto di un fiume in secca.

Non aveva nessuna prova, ma era certa che ci fosse un collegamento fra il suo malessere e la scomparsa di Johnny.
V si chiese se era davvero intrappolato nel suo subconscio.
Si chiese se se ne stesse accorgendo; se la sua psiche aveva un peso, se gli stesse premendo addosso come il fango di una frana.

"Siamo un tantino claustrofobici, hm..?" lo aveva punzecchiato, dopo l'immersione con Judy fra le rovine di Laguna Bend.

L'effetto delle sue parole era risultato un po' smorzato dal fatto di avere ancora metà dell'acqua del lago dentro i polmoni.

"No," aveva replicato Johnny, dandole la schiena. "È che ci hai quasi seppelliti tutti e due sotto una montagna d'acqua tossica."
La sua voce aveva la consueta inflessione annoiata; ma la rigida postura delle spalle testimoniava l'ansia che V gli sentiva irradiare come l'eco di un sonar.

"Mi assicurerò che la mia prossima esperienza premorte si svolga all'aperto."

"Ha, ha, V."

- Un improvviso contraccolpo la svegliò mentre con uno schianto la macchina si scontrava contro un costone di roccia.

Di riflesso V si appiattì contro il sedile, mentre il cuore le batteva all'impazzata nelle orecchie, fin quasi a coprire il grido del clacson rimasto bloccato.

Era ferma.
L'auto era disastrata.

Non sembrava che stesse per esplodere.

Aveva sbattuto.

Si era addormentata al volante.

Ansimando, V riuscì finalmente a far muovere le gambe e si trascinò fuori dall'abitacolo, nel sole allucinato del deserto.

Guardandosi attorno, vide che era quasi arrivata; le prime tende degli Aldecaldos erano ormai a un tiro di sasso.
E un drappello di nomadi stava arrivando di corsa, attratto dal baccano.

"V!" gridò Panam correndole incontro. "Stai bene?!"

"Ah..."
V si prese un momento per controllare il biomonitor, prima di rispondere; ma a parte il picco di adrenalina e un probabile colpo di frusta in arrivo, non sembrava aver subito danni.

"Cos'è successo?!" fece Panam appena l'ebbe a portata; e poi, "Cazzo, l'hai conciata per bene."

Se V era più o meno incolume, infatti, non si poteva dire lo stesso della sua hella; il cofano si era talmente accartocciato nell'impatto che l'auto assomigliava a una delle piccole MaiMai che ronzavano per Japan Town.

"Ho perso il controllo del volante." ammise V, sentendosi bruciare per la vergogna.
Nel frattempo erano arrivati anche gli altri Aldecaldos accorsi sulla scena, e la guardavano con tanto d'occhi.
Un nomade che non sa guidare è come un pesce che non sa nuotare, diceva sua nonna.
Panam le scoccò un'occhiata che esprimeva esattamente la stessa idea, e le prese la faccia fra le mani, esaminandola con aria critica.

"Hai un aspetto di merda, V." diagnosticò infine, lasciandola andare. "Da quant'è che non dormi?"

"Direi approssimativamente da cinque minuti," abbozzò V alzando le spalle; i presenti risero; Panam le assestò un ceffone sulla nuca.

"Giuro che se ci resti secca per un colpo di sonno ti apro il cranio e ci butto una granata," sbuffò, prima di fare il giro intorno alla macchina con le mani piantate sui fianchi.
Fingeva di controllare i danni; ma aveva lo sguardo fisso.

V sorrise, sentendosi scaldare il cuore proprio malgrado. L'aveva fatta preoccupare davvero.
Di colpo si ricordò del motivo della visita e si affrettò ad aprire il baule, per scoprire con sollievo che il cargo era sano e salvo.

"A-ha!" esclamò, alzando trionfalmente un borsone termico. Lo lanciò a Panam, che lo afferrò al volo. "Consegna effettuata e puntuale!"

Panam ebbe un momento di confusione mentre apriva la borsa; appena ebbe guardato dentro alzò gli occhi al cielo. "Non ci si può neanche incazzare, con te!"

Erano farmaci richiesti dal medico del campo.
Panam si buttò il borsone su una spalla e agganciò un braccio a quello di V. "Dai, Balto, muoviti, o ci becchiamo un'insolazione."

Neppure il tempo di arrivare sotto una tenda, però, che Panam si era incazzata di nuovo, e rumorosamente.

"Ma che vuol dire che dormi in piedi da tre giorni!" gridò caricando il borsone da una spalla all'altra. "E ti metti a guidare!"

"Che devo fare, murarmi viva sperando che passi?!" protestò V, scansando per un pelo un altro ceffone.

"Devi DORMIRE, V, accidenti a te!" replicò Panam mentre arrivavano davanti alla sua tenda. Aprì la zip che chiudeva l'ingresso ed entrò, tirandosi dietro V.

"Mi sembra di essere tua madre, cazzo," bofonchiò mettendola a sedere sulla propria branda; recuperò una borraccia da un tavolino e glie la mise sotto il naso. "Bevi," ordinò seccamente, e V si guardò bene dal contraddirla.
Trasse un lungo sorso dalla borraccia - segretamente sollevata che si trattasse solo di acqua - e mentre beveva Panam tornò verso l'ingresso.

"Adesso non fare la bambina e stenditi," la ammonì, con tanto di dito minacciosamente alzato. "E se quando torno non ti trovo addormentata, giuro che le prendi!"

"...Sei sputata identica a mia nonna!" le gridò dietro V, mentre già la tenda si richiudeva in una fresca penombra.

"Vaffanculo, V!" giunse attutita la voce di Panam.


///


Una volta, appena un paio di settimane dopo che V l'aveva adottata, Nibbles era scomparsa.

V aveva aveva scansionato palmo a palmo il dedalo di corridoi di tutto il megaedificio per cercarla, con la pistola in una mano e una scatola di crocchette nell'altra.

"...Sarà già il piatto del giorno in qualche ristorante di Watson."

"...Johnny."

"Nella migliore delle ipotesi."

"Fottiti."

"Come hai fatto a non accorgerti che stava scappando..?"

"E tu perché non mi hai avvisata?!"

"Perché io stavo scappando dal tuo fottuto mal di testa."

"Comodo!"

"No, V, il tuo cervello è un motel da quattro soldi e io sono il coglione con la macchina in panne lì davanti. E' un triste ripiego; una soluzione d'emergenza; ma fidati, non è comodo."

"No, Johnny, se la mia testa è un motel tu sei una cazzo di infestazione di ratti."

"...anche quelli potrebbero aver già spolpato il pollo spennato che chiami gatto."

"La vuoi piantare?!"

"Sono realista."

"Non hai capito, Johnny. Non abbiamo finito finché non la trovo. Se non ci tieni ad assistere puoi andartene a fanculo dove ti pare, ma io non mi occuperò di nient'altro finché non l'avrò riportata a casa."

"Ho capito benissimo, V; ma vorrei farti notare il tuo patologico attaccamento a qualsiasi randagio ti passi davanti."

"Sarà per questo che il karma mi ha appioppato te."

"O te a me. Comunque guarda su. Si è nascosta in quel vecchio condotto di areazione."

"Nibbles..!"

Dopo di allora, la gatta non era più scappata; che questo avesse o meno a che fare con Johnny che montava regolarmente la guardia alla porta, ogni volta che rimaneva aperta.


///


...

"Parla quando sei interpellata, Valerie."

Lei si strinse nelle spalle, serrando i pugni e la mascella; per un momento la attraversò il pensiero che se si fosse compressa abbastanza in se stessa sarebbe potuta diventare inscalfibile e sottile come una canna di fucile, sparire come sabbia in una crepa; avrebbe filato tutti i suoi tredici anni di vita in un cavo d'acciaio e li avrebbe stretti in una matassa grande come un pugno.
Pensò che forse poteva riuscirci, smettendo di respirare.

La polvere fluttuava lentamente in lame di luce dorata, mentre il sole che calava verso l'orizzonte dipingeva lunghe ombre nello spiazzo davanti al caravan di Lorna.

La famiglia, riunita tutto intorno, non fiatava.
Soltanto la madre di Sean singhiozzava sommessamente fra le braccia del figlio più grande, che invece la guardava fisso. Valerie sentiva i suoi occhi conficcati nella carne come chiodi.

Lorna, seduta sui gradini di ingresso del proprio caravan, sembrava soprattutto terribilmente stanca.
Con un pesante sospiro, distolse lo sguardo da lei e tornò a rivolgersi a Shari.

Shari, che le stava accanto ritta come un fuso, senza il minimo turbamento nello sguardo di falco.

"Te l'abbiamo detto, Lorna," disse senza esitazione. "Non ne sappiamo nulla. Deve essere stato un incidente."

Il lamento che sfuggì alla madre di Sean trapassò Valerie da parte a parte.

Si concentrò furiosamente per costringere i polmoni a pietrificarsi, il sangue a seccarsi come sabbia; invece, non le riuscì neppure di reprimere il singhiozzo che le si abbattè sulle costole con un rintocco sordo.

Lorna spostò lentamente lo sguardo da Shari su di lei.

"E' stato un incidente, Valerie..?" 

Shari le lanciò un'occhiata fulminante; cosa che non sfuggì agli occhi infossati di Lorna.
Ma la capofamiglia non disse nulla; rimase invece a guardarla in silenziosa, rassegnata attesa.

Fu a questo punto che V si accorse di essere in un sogno.

In parte perché si era ritrovata a pensare, con incongrua preveggenza, che non c'era da sorprendersi se poche settimane più tardi Lorna aveva abbandonato per sempre il ruolo di capofamiglia, e con esso il clan dei Bakkers.

Ma soprattutto perché aveva scorto, in mezzo alla folla riunita della sua antica famiglia, un certo paio di occhiali da aviatore.

"Be', V. Forse preferivo restare a Pacifica a farmi sparare addosso." commentò Johnny, direttamente dentro la sua mente.

"Questo non è un sogno," gli rispose V allo stesso modo; e per un attimo fu presa da una vertigine, nel sentirsi allo stesso tempo la se stessa del presente e Valerie di tredici anni, in piedi a torcersi le mani davanti a Lorna. "E' un ricordo."

"Lo so," rispose Johnny, dando un calcio ad un sasso.
Era in mezzo alla folla, eppure non lo era. Nessuno lo guardava, nessuno poteva vederlo o sentirlo; e in quel momento, il ristabilirsi di quella consolidata routine le diede un barlume di strano conforto.
"Non è un ricordo che frequenti spesso, però." proseguì Johnny, mentre sedeva su una cassa e si appoggiava con i gomiti alla ginocchia. "Cosa è successo al ragazzino?"

V non potè rispondere, perché proprio in quel momento Valerie si mise a piangere. Tirò su col naso e cominciò a lacrimare in silenzio. "Lorna..." iniziò con voce rotta; ma si interruppe non appena Shari alzò verso di lei una mano con fare perentorio.

"Lei non c'entra," disse, senza che la sua voce perdesse un grammo di fermezza. "Sono stata io a voler andare."

Poi piantò negli occhi di Valerie uno sguardo duro e bruciante come le rocce del deserto. "Quello che è successo a Sean è solo colpa mia."

"Shari!" gridarono all'unisono V e la Valerie di tredici anni, e per un attimo divisero la stessa angoscia, tornando a essere esattamente la stessa cosa.

Ma dentro quella scheggia di passato, V era inconsistente, inconsequenziale come l'engramma di Johnny Silverhand.
Sotto i suoi occhi il ricordo si fermò, congelandosi come in una braindance inceppata.

V sentì che lentamente ma inesorabilmente se ne allontanava, piangendo in silenzio insieme a Valerie di tredici anni. Finché, come una cicala che abbandoni il guscio, non ne scivolò fuori del tutto. 

Appena poté muoversi voltò le spalle e si allontanò a grandi passi dall'accampamento, marciando verso le Badlands su cui stava calando la sera.

Johnny la seguì; in poche falcate delle sue lunghe gambe le era già accanto. Camminarono per qualche momento nella polvere di un'Arizona immaginaria.

"Non era vero," disse bruscamente V ad alta voce, senza alzare lo sguardo da terra. "Non era colpa di Shari."

Johnny non disse nulla; ma V sentiva la sua attenzione circondarla come un campo magnetico, mentre le camminava accanto con le mani in tasca.

"Ci eravamo accampati nei pressi di una città fantasma. Un posto del cazzo, un covo di predoni e raffen shiv; ma era vicino all'acqua. Una tappa obbligata, capirai." V emise un sospiro tremulo. "...Sapevamo di non doverci andare. Ma là era pieno di cianfrusaglie che ci facevano gola. Vecchi olofilm. Fumetti. Cabinati ancora funzionanti. Dio sa che altro. Eravamo bambini, e quello era un cazzo di paese dei balocchi."

Si morse l'interno della guancia per costringere la voce a restare ferma. "Quindi insomma, ci andiamo. Io, Sean e Shari. Eravamo sempre insieme, avevamo la stessa età. Saliamo sulla carretta di Sean e andiamo. Naturalmente ci cacciamo nei guai." V sentì che la voce la tradiva, facendosi sempre più piccola e acuta. "...Ci inseguono. Non so nemmeno chi. La macchina di Sean ci pianta in asso, continuiamo a piedi. E Sean..." V deglutì. In quel momento avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non avere Johnny così concentrato su di sé. Per poter raccontare una storia diversa.

"Sean si becca un proiettile al posto mio."

Silenzio. Il sole nel frattempo era quasi tramontato, il cielo viola si era riempito di stelle.

"...Era lui? Quello del bacio in mezzo al granoturco?"

V scoppiò in una piccola risata lacrimosa. "No. Quella era Shari." rispose, e per un momento si trovò a sorridere. Fu un momento breve, però; poco dopo il sorriso prese una piega amara. "Quel giorno, Shari si prese la colpa per pararmi il culo. Non disse mai che ero andata anche io con loro."

V si strinse nelle spalle, lottando per tirare fuori la voce. "...E neanche io," completò, alla fine.

"Cosa è successo, dopo?"

V scrollò la testa. "Eravamo piccole. Lì per lì, niente. Ma... Shari e la sua famiglia lasciarono il clan, poco tempo dopo. Non ne ho più saputo niente."

V si fermò; tutto intorno, il crepuscolo aveva tinto il deserto di un azzurro cupo. "Non voglio che sia sempre qualcun altro a pagare per le mie cazzate, Johnny."

Sentì l'attenzione di Johnny stringersi impercettibilmente intorno a lei.

"...è per questo che siamo qui, stavolta?" chiese in tono attentamente casuale.

"Nah. Deve essere perché tutti ultimamente mi stanno dando della bambina."

"Hm."

Un leggero schiocco nel silenzio del crepuscolo le annunciò che Johnny si stava accendendo l'ennesima sigaretta. L'accendino dipinse per un attimo il suo volto di luce arancione, riflettendosi nei suoi occhi assorti sulla fiamma.

V serrò i pugni e si schiarì la voce. "Dico sul serio, Johnny. Risolverò questo casino. Prometto che-"

"Vuoi vedere una cosa fica?" chiese lui di punto in bianco.

V lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Johnny non la stava neppure guardando, il viso rivolto al cielo ormai buio, la brace della sigaretta una stella fra le altre.

"Chiudi gli occhi," le disse. E lei come una scema obbedì senza pensarci.

"Dammi la mano."

Qualcosa guizzò dentro lo stomaco di V, come se avesse appena mancato un gradino.

La sensazione dovette essere abbastanza forte da riverberare su Johnny, perché rise mentre le afferrava la mano; "Dai, cretina." ridacchiò; e un attimo dopo erano altrove.

 



 

 

 

Note

1) Lorna è stata una delle ultime leader del clan dei Bakkers prima che questo si sfasciasse. Non sono troppo sicura della cronologia, però. Prendetevi questa licenza poetica con me :)

2) Mi sono resa conto che V scritta da me tende a essere alquanto più emotiva di V in game. 

 

 

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Capitolo 4
*** stagediver ***


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closer

stagediver


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E forse non è vero amore se dico che tu mi sei la cosa più cara; amore è che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso.

(Franz Kafka, Lettere a Milena)

 


 

V incespicò avanti, aprendo gli occhi di riflesso per non cadere.

Tutto intorno la notte si era animata di una miriade di voci, luci e di quell'elettrica energia che si accendeva soltanto -

"...Siamo a un concerto!?" gridò per sovrastare l'improvviso frastuono, mentre Johnny la trascinava in mezzo alla calca.
Lui si limitò a lanciarle un sorriso volpino prima di cominciare a fendere la folla.

Erano ancora da qualche parte nel deserto, ma adesso si trovavano nel bel mezzo di un festival, in una notte estiva piena di alcol da due soldi, odore di fumo e sudore e della febbrile eccitazione che può nascere solo mischiando sangue ventenne e musica a tutto volume.

"Come hai fatto?!" gridò V mentre circumnavigavano il pogo ai piedi del palco.

"Passa tanto tempo quanto me qui dentro, e un paio di cose le impari," le urlò Johnny in un orecchio. "Diamoci una mossa, il gruppo spalla ha quasi finito!"

C'erano così tante persone che era come passare attraverso un muro di schiene sudate e bicchieri di plastica; ma Johnny si faceva strada come un pesce nell'acqua, incuneandosi fra la folla con la spalla cromata e tenendo la mano di V stretta nella propria.

Era la prima volta che la prendeva per mano.

Pensandoci, V sentì nascere sulle labbra uno stupido sorriso; restituì la stretta, e non si domandò a chi appartenesse il calore che le sbocciò in petto.

Nel frattempo erano arrivati ai margini della platea, dove una transenna traballante e un roadie a braccia conserte separavano il pubblico dal backstage. Johnny la lasciò andare per scavalcare.
"Era ora." si limitò a brontolare il roadie senza battere ciglio.

V esitò un istante, posando le mani sul metallo della transenna; ma Johnny, che si era fermato ad aspettarla dall'altro lato, le rivolse un cenno impaziente con la testa.
"Vámonos," fece, e V scavalcò a propria volta.
Il roadie continuò a sorvegliare la platea senza degnarla di uno sguardo.

"Non ti daranno fastidio, dai, muovi il culo," la incitò Johnny, infilandosi dietro le quinte per salire le scale che portavano al palco.

C'erano altre persone nella penombra, che parvero in egual misura sollevate e incazzate nel vederlo spuntare, ma che non reagirono in alcun modo alla presenza di V.

"Anche questo è un ricordo?"

"Più una specie di sogno lucido," rispose Johnny, che un attimo dopo usciva dalle quinte e raggiungeva a grandi passi il resto del gruppo sul palcoscenico.

"SANTA CRUZ!" tuonò, imbracciando la chitarra, "NOI SIAMO I SAMURAI E FACCIAMO ROCK'N ROLL!"

E come fossero per lei V sentì esplodere il boato del pubblico, l'anticipazione nel rintocco delle bacchette, l'occhiata esasperata di Kerry; e sogghignò all'unisono con Johnny quando attaccarono impeccabilmente a tempo, nonostante tutto.

Da lì in avanti fu una serratissima cavalcata di un pezzo dopo l'altro: quasi tutte canzoni del repertorio d'esordio della band, veloci, grezze e sferraglianti come una moto in derapata sull'asfalto.

Nascosta dalle quinte, V era così vicina da sentire la musica ruggirle dentro: i colpi della batteria dentro le ossa, l'incendio delle chitarre sotto la pelle e il giro del basso come una corda legata in vita che tirava, tirava, non la lasciava stare ferma.

I Samurai stavano dando tutto e avevano incendiato il pubblico sotto il palco.

C'era qualcosa di assoluto, irrefrenabile e glorioso nelle performance dal vivo.

Qualcosa di primitivo e totale, che nessuna simulazione aveva ancora potuto imitare, che nessun denaro poteva ingabbiare e che divampava ovunque un essere umano tirasse fuori tutto quello che aveva per darlo in pasto ad altri esseri umani.

Forse erano pensieri di Johnny; ma lì, nel cerchio magico dell'esibizione, era impossibile considerarle soltanto idee sue.

"Sembra che in fin dei conti riuscirò a guardare un tuo concerto."

"Solo i vecchi e i poser guardano i concerti, V." rispose Johnny, con un lampo divertito negli occhi. "Vai là sotto!"

Ma V si era improvvisamente immobilizzata come una lepre davanti ai fari.

Trovarsi addosso lo sguardo di Johnny, mentre urlava a piena gola dentro il microfono, il corpo inarcato in un'estensione della chitarra, i capelli neri incollati a ciocche dal sudore, dava al suo sangue una pulsazione sorda che sovrastava anche il vibrare della musica.

E Johnny dovette sentirla, dannazione, perché V si sentì lambire da una scarica di euforia, l'eccitazione del Narciso appagato; e anche da qualcosa di più scuro e profondo, che scivolò come un seme nel suo petto e vi piantò radici.

Improvvisamente, V si sentì esposta come nei primi giorni in cui lo aveva avuto dentro di sé, pericoloso come un cavo elettrico scoperto; il ricordo cortocircuitò con il presente e per un attimo la lasciò senza fiato, con il sangue al volto e il battito accelerato, come se -

"Allora, vieni o no?!" il richiamo di Johnny la investì strappandola alla sua fantasticheria; e V fece appena in tempo a vederlo mentre dal palco si lanciava di schiena sulla folla, senza lasciare la chitarra e senza smettere di fissarla sogghignando, mentre si lasciava trasportare su un mare di mani sollevate.

...V ci pensò solo un istante.
(Quando ne avrebbe più avuto l'occasione?)

Corse fuori da dietro le quinte e si lanciò a propria volta.

Forse perché era un'esperienza ricalcata su quella di Johnny, forse perché era anche il suo sogno, ma subito cento mani si alzarono a sorreggerla.

"Non male per una principiante," risuonò nella sua testa. E poi, da più lontano: "Divertiti, ragazzina."

Da lì, per un po' il senso del tempo si sfaldò.

V si lasciò trascinare giù tra la folla e ballò come non faceva da quando era un'adolescente.

Ad occhi chiusi, senza pensare a niente, travolta dalla musica; ballò coperta di sudore e rimbalzando a spallate contro il pogo; ballò saltando come una pazza, con i polmoni che protestavano e una sete tremenda, ballò sul limite dell'equilibrio finché non fu sul punto di cadere - e in quel momento, prima che potesse finire a terra, fu una mano metallica ad afferrare la sua.

"Ehi, V," la salutò, aiutandola a rialzarsi.

"Ehi, Johnny." ricambiò lei.

Era sempre stato così alto?

Per guardarlo, V doveva guardare in su, dove i suoi occhi ridevano brillando fra le ciocche nere dei capelli.
Un fiotto di calore traboccò dal petto di V.

Fece qualche passo indietro senza lasciare la sua mano; e chissà come ora la folla non era più un ostacolo, e V lo trascinava con sé senza distogliere lo sguardo dal suo viso, trovava come per incanto una parete a cui appoggiarsi e su cui Johnny puntellava le mani, proteggendo entrambi dalla gente intorno, mentre anche la musica pian piano arretrava, si faceva sottofondo.

"Divertita?"

"Mh-mh."

"Stanca?"

"Un po'."

V si schiarì la voce, cercando qualcosa di brillante da dire, una cosa qualsiasi per continuare a farlo ridere.

Gli sorrise alzando un sopracciglio. "Per fortuna ci sei tu, a fare l'input protettivo."

Lo aveva detto come uno scherzo; ma anche così, l'audacia di quelle parole le impresse un'accelerazione al battito del cuore.

Johnny scosse la testa con un mezzo sorriso. "Sappiamo entrambi che non hai bisogno di protezione, V."

"Già," replicò lei, con una breve risata senza fiato; e poi, senza sapere davvero da dove le uscisse: "...E poi non sono il tuo tipo."

Doveva essere una sciocchezza, solo un'altra battuta stupida; ma fu rovinata da un tremito un po' troppo sincero della voce.
V abbassò lo sguardo.

Subito la mano di Johnny fu sotto il suo mento, sollevandole il viso per permettergli di guardarla di nuovo negli occhi.
Per un lungo, insopportabile istante la fissò con qualcosa di non detto stretto fra le labbra, a insinuarsi come una scheggia nel silenzio in mezzo a loro.

V era sul punto di cedere, di dire qualcosa per rompere la tensione e lasciare che il momento si dissipasse; ma fu Johnny ad arrendersi per primo.

Chinò la testa con un pesante sospiro.

V poteva sentire l'odore di sigaretta mescolarsi a quello della sua pelle.
Le sarebbe bastato alzarsi in punta di piedi per sfiorare le sue labbra.
Forse non ne avrebbe mai più avuto l'occasione.

"Ho bisogno di sapere che ti stai impegnando per chiudere questa storia, V."

Gli occhi di V scattarono verso l'alto, dove il cielo del deserto brillava di una quantità irragionevole di stelle. Si morse l'interno della guancia senza dire nulla.

"...V."

"Sto facendo le cose a modo mio."

"No. Stai ignorando le cose a modo tuo."

"Smettila di fare quello responsabile, Silverhand, non ti si addice."

"V -"

"Quello che mi stai chiedendo," lo interruppe brutalmente V, e nel guardarlo sentì spuntare lacrime di rabbia, "è di lasciarti indietro."

La pena incisa sul volto di Johnny era uno spettacolo così sconosciuto che le fece male.

"...V." disse lentamente. "Lo abbiamo sempre saputo. Non è questione di se; ma di quando."

"Non voglio."

"V."

"Non voglio, Johnny," ripeté lei, detestando il suono della propria voce, il modo in cui il viso di lui si contrasse in uno spasmo doloroso.

Avrebbe voluto colpirlo, avrebbe voluto battere la testa contro il muro, invece V si aggrappò alla sua maglia e lo attirò così vicino da nascondere il viso nel suo collo.

"Per favore," bisbigliò, senza sapere chi o che cosa stesse supplicando.
Era così caldo.

"Per favore."

"V." ripeté Johnny; la sua voce era una nuvola gonfia di pioggia.
Inclinò il viso fino a sfiorarle la tempia, esitò lungo l'attaccatura dei suoi capelli. V poteva sentire sulla pelle il calore del suo respiro. "...Sappiamo già come andrà a finire."

"Non mi importa." replicò lei. Sollevò le mani, tuffò le dita fra le ciocche nere e sentì il brivido che percorse Johnny trasmettersi da pelle a pelle.

Johnny premette la fronte contro la sua, le ciglia che quasi si sfioravano. "Importa a me," sussurrò, le labbra sulla sua guancia. "V..." e la sua voce era lutto e preghiera, "Ti farò del male."

V si insinuò a bisbigliargli all'orecchio. "Lo voglio."

Di colpo le braccia di Johnny la strinsero in un abbraccio feroce, e V si risvegliò sola, nel mezzo di un violento attacco di malfunzionamento del relic.
 

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...Era difficile, adesso, dire quando fosse cominciato.

Un giorno litigavano ferocemente, lanciandosi insulti da un lato all'altro della strada.

Il giorno successivo, V scampava per un pelo a una sparatoria, e prima ancora di alzarsi da terra si voltava per cercarlo.

Nel momento in cui se ne era resa conto, non avrebbe saputo dire se a bruciarle di più era l'accorgersi di averlo cercato, o non averlo trovato alle proprie spalle.

Ricordava perfettamente la prima volta in cui, riversa in un vicolo dopo un sonoro KO, aveva visto due occhi neri brillare oltre le lenti degli occhiali.

"Se prima non avessi creduto al karma, V, ci crederei adesso." aveva commentato il suo personale spettro dei Natali passati, accendendosi una sigaretta. "Devo solo capire se ne sto scontando uno pessimo, o se me ne sto creando uno favoloso."

"Immagino che per avere la conferma, Johnny," aveva gracidato V, scollando faticosamente la faccia dall'asfalto, "dovrai aspettare la prossima vita."

"Vedi di non accelerarmi troppo la scoperta."

"Non prometto niente."

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La mattina del quinto giorno, V entrò nel negozio di Misty quasi da sonnambula, scostando la tenda di perline con una mano e sollevando l'altra per coprire un lungo sbadiglio.

"...Hey, Misty."

"...oh, V."

La nota accorata nella voce dell'amica fu seguita da un lungo abbraccio a cui V si abbandonò senza opporre resistenza.

"Senti qua," mormorò Misty premendole le dita fra le scapole. "Rigida come una tavola. Dovresti fare un po' di yoga, V."

La prese in punta di braccio e la misurò con una lunga occhiata. "...ancora non è tornato, vero?"

V sbuffò una risata malferma, alzando lo sguardo verso il soffitto.
"Perché lo dici come se fossi stata abbandonata sull'altare?"

"Parole tue, non mie." rispose Misty alzando le mani in un gesto difensivo; poi la spinse sulla sedia davanti al banco del negozio.

"Qualche indizio dai tuoi sogni?" domandò, iniziando a massaggiarle energicamente le spalle.

"Mmmh," fece V, chiudendo gli occhi e rilassandosi impercettibilmente. "Qualche frammento. Non riesco mai a ricordare davvero," ammise. "Ma lui c'è. Ne sono sicura."

"Bene," commentò Misty, mentre con i pollici si accaniva lungo la sua colonna vertebrale. "E' già qualcosa. Quando lo hai sognato?"

V sentì un moto di calore salirle lungo il collo; fu lieta di trovarsi di spalle. "Non saprei," rispose. "Credo ogni volta che ho dormito, in verità."

"Mmh-mh," fece Misty con interesse.

"Magari per questo ho sempre sonno." scherzò V, cercando di riportare il discorso su un terreno sicuro. "Non ho più pace!"

"...mmmh." replicò Misty in tono dubbioso. "Continui ad addormentarti spesso?"

"Solo ogni tanto," mentì V, sperando che Misty non cogliesse il modo in cui si era incurvata leggermente su se stessa; la verità era che ormai faticava a tenere gli occhi aperti.
Per non rischiare, era venuta a piedi dal suo appartamento.

"...Forse abbiamo discusso ancora." aggiunse dopo una pausa di silenzio. "O almeno, qualche volta mi sono svegliata sentendomi come se avessi appena finito di urlare."

"Non mi sorprende. Non credo gli piacerà granché stare rinchiuso, no?"

V si morse il labbro.
"Non volevo che succedesse questo."

"Lo so, V," disse Misty con voce confortante, posandole le mani sulle spalle. "Non credo che tu lo stia tenendo prigioniero, se è quello che stai pensando." Tacque per un istante. "Almeno, non volontariamente."

V si voltò a lanciarle un'occhiata da sopra la propria spalla, le sopracciglia aggrottate. "Che cosa intendi?"

Misty sospirò e andò a sedersi al proprio posto dietro al banco.
"All'inizio avevo pensato che si trattasse di una condizione temporanea," rispose, mentre si chinava a frugare in un cassetto. "Avevo supposto che prima o poi il legame fra le vostre anime lo avrebbe riportato in superficie."

V inspirò profondamente, sforzandosi di rimanere impassibile alla menzione del legame fra le loro anime.

Misty trasse dal cassetto il fedele mazzo di tarocchi e iniziò a mescolarli. "Invece, è come se fossi tu a farti trascinare sempre di più dentro i tuoi sogni."

"...e perché sta succedendo..?" chiese V in un soffio.

Misty la guardò tristemente di sotto in su, mentre disponeva le carte sul banco. "Non chiedermelo come se avessi tutte le risposte, V." sospirò, mentre con un cenno la invitava a tagliare il mazzo. "Se fossi così brava a indovinare tutto, avremmo evitato tante cose."

"Scusami."

Misty scrollò la testa con un piccolo sorriso malinconico. "Non preoccuparti," disse, voltando la prima carta.

Era il sei di spade. Misty rimase a osservarla per qualche momento, come prendendo tempo prima di parlare.

"Penso che sia il relic a impedire che le vostre personalità rimangano a lungo separate. Il processo di riscrittura del biochip è inarrestabile. Però, V," mormorò alzando gli occhi su di lei "...forse stai anche... fuggendo da qualcosa?"

V tuffò immediatamente lo sguardo verso il basso. "Non so di che parli."

Misty non insisté; ma era evidente che aveva la propria idea a riguardo. Voltò la carta seguente e V riconobbe il matto, rovesciato così da apparire rivolto verso di lei.

"Questa esitazione non è da te, V," disse Misty, con un colpetto dell'unghia sopra la carta. "Che cosa ti sta trattenendo?"

V si sentì invadere da un'ondata di malessere e si strinse nelle spalle, fissando le carte con diffidenza. "Niente," disse.

Misty sospirò; voltò l'ultima carta, ma la tenne per sé. Rimase a guardarla assorta per qualche momento.

"A volte vorremmo fermare il tempo," disse poi, quasi fra sé. "Bloccare la giostra e scendere giù, perché in fondo al binario vediamo avvicinarsi la discesa e all'improvviso abbiamo paura." Rivolse nuovamente un'occhiata a V, sorridendo tristemente.

V si chiuse nelle spalle e non disse nulla. Il sonno si stava trasformando velocemente in mal di testa; desiderava soltanto raggomitolarsi e dormire.

"V. Posso solo immaginare cosa voglia dire, imparare a conoscere qualcuno dal di dentro," disse piano Misty. "Fa parte di te; è normale che tu lo senta tuo da proteggere e difendere." Tese le mani a prendere le sue. "È come se fosse insieme il tuo bambino e il tuo amante: si tratta di archetipi potenti, V."

V arrossì violentemente. "Misty..!" protestò facendo per ritrarsi; ma l'amica la trattenne, guardandola dritto negli occhi.
"La tua strada è davanti a te, V." disse. "Ma devi smettere di fuggire da ciò che non può essere evitato. Solo se accogli il tuo destino gli permetterai di restituirti l'abbraccio."

V annuì rigidamente.
Voleva bene a Misty; ma in quel momento dovette fare appello a tutte le proprie forze per non urlare.

Si morse l'interno della guancia.

Aveva bisogno di stare sola.

"Grazie, Misty." disse alzandosi faticosamente in piedi.

Aveva bisogno di stendersi.

"Ci penserò," mentì, mentre già si dirigeva verso l'uscita.

"Ok," replicò piano Misty alle sue spalle. "Abbi cura di te, V."



Note

1) Credo sia abbastanza verosimile che Johnny sia un fan dei Motörhead. Il logo dei Samurai sembra una citazione diretta, e il mondo ha conosciuto pochi rocker veraci come Lemmy Kilmister.
"We are Motörhead and we play rock'n roll" era il modo in cui apriva tutti i concerti.

 

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Capitolo 5
*** amor fati ***


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closer

amor fati


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Death is only the end

if you assume the story

is about you.

(Welcome to Night Vale)

 

Quando V arrivò finalmente a casa, il dolore alla testa si era trasformato in una morsa insostenibile.

Lungo la strada era rimasta fulminata da una scarica del relic, che l'aveva lasciata contro un muro a tossire sangue; dentro l'ascensore del megaedificio era collassata, con il respiro gorgogliante e macchie nere che le ballavano davanti agli occhi.

Questa volta non c'era Johnny a raccoglierla da terra. (quando aveva cominciato a farci così tanto affidamento?)
Pensando a quanto sarebbe stato insopportabile, scoprendolo, V sogghignò fra sé e si costrinse a rialzarsi, puntellandosi alla parete per rimanere in piedi.

Pensa bene a quello che stai facendo, Valerie. A quello che stai lasciando indietro. Pensa al tuo clan.

Arrivò al pianerottolo con la vista quasi del tutto offuscata, mentre la realtà sbiadiva come un vecchio film.
Solo l'immagine dell'arcano del matto, sulla parete vicino alla sua porta, vibrava più vivida che mai.

Dico sul serio, V. Perché non vieni con noi? Parlo a nome di tutti gli Aldecaldos. Sarebbe un onore averti in famiglia.

Barcollando, raggiunse la porta scorrevole e la aprì a tastoni.
Nibbles miagolò e le venne incontro trotterellando.

Chica, non preoccuparti. Mi casa es tu casa; puoi rimanere finché vuoi.

V si chinò per dare una carezza a Nibbles; nel farlo perse l'equilibrio, si accasciò a terra, e il buio si riversò come inchiostro tutto intorno a lei.
Rinunciò a rialzarsi e chiuse gli occhi.

Una casa. O un van. O anche solo una moto e una tenda arrotolata sulla sella. Ogni volta che penso al futuro è una cosa diversa; ma è sempre lontano da qui.
E tu, mi Calabacita?

Ci pensi mai, al futuro?


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Dietro le palpebre chiuse, V sprofondava nel buio.

Non era sveglia e non stava sognando.
Era nella discarica; strisciava trascinandosi sui gomiti fra la ruggine e il sangue. Confusamente sapeva che doveva essere tutto dentro la sua testa; eppure, non sembrava meno reale nella sua carne.

Allo stesso modo, sapeva che dietro di lei c'era la sua morte.
La seguiva fiutando l'aria come i coyote lunghi e magri del deserto.

La sua morte non aveva fretta.

La osservava dai muri ornati di teschi e dal ghigno della Santa Muerte. La prendeva alla gola in mezzo alla solitudine delle Badlands, nel segreto della sua casa.

La morte l'aveva già marchiata come un capo di bestiame da portare al macello; stava solo aspettando che fosse il momento di trascinarla per la cavezza.

Un respiro straziante come filo spinato, e adesso V correva, saltando fra i fischi dei proiettili, nel sole di un'alba magnifica fra la polvere dell'Arizona, la mano stretta in quella di Shari che piangeva trascinandola con sè.

V correva, sostenendo Jackie sempre più pesante mentre le inzuppava la camicia di sangue, lungo i corridoi pieni di eco del Konpeki Plaza.

V correva, sulle strade di Night City lucide di pioggia e luci al neon, fra le esplosioni di fuoco delle granate e quelle di agonizzante elettricità statica del biochip.

V correva.
V scappava, uccideva, e sopravviveva.

V correva.

...V, nel fondo del suo cuore, amava Judy.
E amava Panam e Misty e Vik; li amava e per tutti loro aveva paura, perché il mondo era una bestia dalle fauci spalancate e V era già dentro la sua bocca; e sapeva che non ci sarebbe stata per loro, quando più fosse importato.

Perché V, che lottava e correva contro i giorni contati e uccideva e bruciava di una sete di vita così feroce da essere quasi mostruosa, V si sentiva dentro il germe del tradimento.

Perché V era pronta a morire.

Nello stesso istante in cui se lo confessò si trovò sputata nel buio di un corridoio deserto.
Batté le ginocchia e le mani sul freddo di mattonelle crepate e crollò in avanti, spezzata da un violento accesso di tosse.

Quando la crisi cessò, larghe gocce di sangue macchiavano le piastrelle.
V si trascinò faticosamente in piedi, pulendosi la bocca con il dorso della mano.

Era notte; davanti a lei il lungo corridoio vuoto si perdeva nell'ombra. L'unica luce proveniente dalle alte finestre, fioca e bluastra, era irreale come il silenzio intorno.

Non era a Night City. Non era nel deserto. Non sapeva dove fosse.

A un tratto le parve di captare nel silenzio un breve singhiozzo; e V si mosse per seguirlo, zoppicando lentamente.

Doveva trovarsi in una specie di ospedale militare.
Allineate lungo la parete c'erano porte dietro le cui finestrelle si indovinavano lunghe camerate, desolate nella notte come il fondo del mare. V le oltrepassò senza osare spiare all'interno.

Non sapeva dove si trovava, ma sapeva che era molto, molto lontana da casa.

Sapeva, adesso, che sarebbe arrivata fino all'ultima porta in fondo, e solo lì sarebbe entrata.

L'ultima porta del corridoio si aprì quasi senza che la toccasse, senza un rumore, scivolando senza peso. V entrò.

Nella stanza deserta c'era un solo letto, bagnato dalla luce della luna.
Sopra c'era un adolescente lungo e magro come un coyote, che stringeva fra i denti un pianto rabbioso.

V lo avrebbe riconosciuto anche senza la crudele mutilazione del braccio sinistro.

"...ehi, Johnny," mormorò.

L'adolescente voltò di scatto la testa dalla parte opposta.

"Vattene, V."

V si avvicinò in silenzio, facendo il giro del letto per poterlo guardare in viso.
Gli occhi neri che si infissero nei suoi splendevano di rabbia.

Johnny (Robert John Linder) era quasi imberbe, i capelli che iniziavano appena a ricrescere dal severo taglio militare. Esile e pallido, era screziato di lividi ed escoriazioni che sparivano sotto la fasciatura stretta intorno al petto.

...Dio, era un bambino.

"Già alto due spanne più di te, V." ringhiò Johnny tirando su col naso.

La sua frustrazione bruciava insieme al dolore sordo delle ferite, al rimorso e al senso di colpa; V li sentiva addosso come le fiamme di un incendio, avvampavano mescolandosi ai suoi.

Si chiese se non fosse stata proprio lei, con la sua spirale di angoscia, ad innescare in Johnny un ricordo del Secondo Conflitto.

Si morse il labbro. "...Temo sia colpa mia se siamo qui," disse piano. "Mi dispiace."

Johnny le strappò gli occhi di dosso e li piantò sul soffitto. "Te l'ho detto," rispose aggressivamente. "Non c'è mio o tuo, qui."

V si avvicinò, sfiorando con le dita il bordo del materasso. "Lo stesso," mormorò. "Mi dispiace."

"Vaffanculo."

Lei abbassò lo sguardo nascondendo un sorriso. "Non sei tanto credibile con quella faccia da lattante."

"Non me ne frega un cazzo, V," scattò Johnny, tornando a guardarla; c'era qualcosa di lui adulto nella piega irosa delle sopracciglia. "Sono incazzato, lo capisci o no?"

"Dimmi una cosa che non so," borbottò V, stringendosi nelle spalle.

"Sono incazzato con te," chiarì Johnny con un ringhio; e un singhiozzo soffocato si infranse contro le sue costole e si trasmise come un contraccolpo dritto al petto di V.

"...mi dispiace," sussurrò lei di nuovo, abbassando gli occhi.

"Piantala."

Ma V aveva preso a tremare.

"Mi dispiace," ripeté meccanicamente. Non riusciva a smettere. Gli occhi le si riempirono di lacrime improvvise. "Io non-"

"Non farlo, V," la interruppe seccamente Johnny. E poi: "Ne ho piene le palle di gente che muore al posto mio."

V scoppiò in un pianto dirotto.

Non provò neppure a nasconderlo; riuscì soltanto a stringersi le braccia al petto, cercando di tenersi insieme. "Non posso farlo, Johnny," balbettò, "non posso. Non-"

"Certo che puoi."

"Non voglio. Cristo, Johnny, manchi da cinque giorni e già mi manca l'aria. Come puoi - come posso -"

V si accartocciò su se stessa, crollando in ginocchio al capezzale del letto.

Dietro di lei c'era la morte a fauci spalancate, pronta a inghiottirla e cancellarla come non fosse mai esistita.

Ma davanti a lei c'era una vita mutilata, svuotata miseramente della metà di sé stessa.

V non voleva, non voleva, e non poteva certo forzarsi a volere quello che non voleva.

La volontà di V era una cosa sottile e ostinata come un cavo d'acciaio.

E se la cosa che desiderava di più al mondo era impossibile, saperlo non glie la faceva desiderare meno. Alla fine, l'unica cosa di cui aveva bisogno, la sola che voleva davvero -

"V. Ehi, V, guardami."

La preghiera contenuta in quelle parole le fece alzare lo sguardo.

Sentiva sulle proprie guance il calore delle lacrime; le stesse che brillavano negli occhi fissi con apprensione su di lei.

Due stupidi che si guardavano e piangevano.

"Questa è tutta roba tua, V" protestò Johnny stropicciandosi frettolosamente il viso col dorso della mano. "...Come cazzo fai ad avere sempre le lacrime in tasca."

"L'hai detto tu, qui non c'è mio o tuo," replicò lei, con una breve risata intrisa di pianto; e almeno riuscì a strappargli un sogghigno in cui lo riconobbe.

Johnny non aggiunse altro; ma con qualche sforzo si distese sul fianco sano, liberando spazio accanto a sé sul letto. Batté leggermente le nocche sul materasso a mò di invito, mentre alzava di nuovo gli occhi su di lei.
Con una stretta al cuore, V si chiese quando avesse perso quello sguardo limpido.

Cautamente, salì con un ginocchio sul letto. "Non ci staremo mai in due."

Johnny sbuffò, allungando la mano e tirandola per un lembo della giacca. "Dividiamo già uno spazio molto più piccolo, V," mugugnò abbassando lo sguardo.

Un piccolo sorriso le riscaldò il petto. Si arrampicò sul materasso, raggomitolandosi alla meglio accanto a Johnny, i suoi corti capelli neri a solleticarle il naso.

"Aspetta, proviamo-"

"Vieni un po' più in qua-"

"No, solleva un pochino la testa e -"

"...ahio!"

"...Ecco," sussurrò V, facendogli scivolare un braccio sotto il capo.
Immediatamente Johnny si strinse a lei, accoccolandosi sotto il suo mento come un gatto; e come per un improvviso calo di tensione, V sentì la propria ansia dissiparsi.

Con un lieve sospiro lo attirò più vicino, ripiegando il braccio che gli faceva da cuscino per accarezzargli i capelli.

Era la prima volta che V lo stringeva a sé; eppure, sentiva senza ombra di dubbio che quello era il suo posto. Una grande pace le era scesa nell'anima; in quel momento, non c'era altro luogo in tutto il mondo dove avrebbe voluto trovarsi.

"...ehi, Johnny," mormorò con voce già roca di sonno.

"Nh..?"
...Stava per addormentarsi. V pensò che era anche la prima volta che poteva guardarlo mentre si addormentava; e chissà perché, il pensiero le riempì il cuore.

"Mi dispiace di aver preso i bloccanti, l'altro giorno."

"...mhn. A me spiace per -," si fermò per tirare su col naso. "L'altra notte."

"Sono ancora arrabbiata, sai."

"Non è vero," mormorò lui, premendo la fronte sulla sua spalla.

V rise piano. "Ne parleremo quando sarai più grande," bisbigliò prima di posargli un bacio sulla testa.

Johnny sbuffò, solleticandole la gola. "Non posso stringerti," borbottò con voce imbronciata e piena di sonno.

"Non fa niente," sussurrò V, cingendolo con il braccio libero. "Posso farlo per tutti e due."


///


In dormiveglia, V si accoccolò più stretta nel nido rassicurante del proprio letto; il silenzio, le ombre radenti proiettate dalle luci della città erano quelli delle ore senza nome prima dell'alba.
In quei momenti, perfino Night City sembrava mollare la presa, ritirandosi in un quieto sussurrare; e V si sentiva padrona di abbandonarsi al sonno.

Proprio mentre richiudeva gli occhi, però, il calore che avvertiva sulla pelle le si strinse addosso; e solo in quel momento si rese conto di trovarsi fra le braccia di Johnny, la schiena nuda premuta contro il petto di lui.

...se per caso Johnny stava ancora dormendo, il tuffo al cuore di V lo aveva certamente svegliato.

Lo sentì muoversi, stiracchiandosi alle sue spalle. Il suo braccio metallico era sotto di lei, caldo per il contatto con la sua pelle; l'altro la teneva possessivamente vicina, la mano a premere fra i suoi seni. "...meglio," borbottò Johnny, cingendola più stretta.

V rimase sospesa, quasi senza osare respirare.

Erano distesi su un fianco, raggomitolati come gatti; Johnny addosso a V come un calco, le lunghe gambe ripiegate sotto le sue. Poteva sentire il suo respiro accarezzarle la nuca.
La mano sinistra di lui era abbandonata sul materasso, le dita che si flettevano appena nella luce dei neon; la destra, ruvida e calda, sembrava in ascolto dei battiti del suo cuore.

E il cuore di V rispondeva a colpi lenti e profondi, risvegliando qualcosa che iniziò lentamente a schiudersi dentro il suo petto.

"...Stiamo ancora sognando," disse stupidamente.

"Già," replicò Johnny, rauco di sonno.
Il rombo della sua voce si trasmise come scossa di terremoto da torace a torace; la sensazione lasciò V senza fiato.
Richiuse gli occhi e vi si abbandonò.

Lasciò che la colmassero il calore di fornace del petto di Johnny, pelle nuda su pelle nuda e un filo di sudore che scivolava sulla sua schiena; il peso del suo braccio fatto di sangue muscoli e tendini, vivo, tenace come un'ancora, forte come le radici che si impossessano della terra scura.

Johnny tuffò il viso fra i suoi capelli e inspirò profondamente, così vicino che V pensò che potesse respirare, insieme al suo odore, anche tutto il desiderio che le chiudeva la gola.
Sentì la propria carne viva fremere come la superficie dell'acqua increspata dal vento, e capì che quello era lo specchio delle sensazioni di lui, ciò che Johnny provava nel trarre sospiri da ogni carezza, facendo cantare V come una corda della sua chitarra.

Sentì uno sbuffo di risata solleticarle la nuca e si ricordò di respirare.
"Che hai da ridere."

"...Le cose che pensi." Mormorò Johnny, divertito.
Poi le sue mani scivolarono pericolose dai fianchi di V verso le sue gambe. "Sai come si dice," le bisbigliò all'orecchio, e intanto risaliva sfiorandole lentamente l'interno delle cosce, "hai così voglia di scoparmi che sembri stupida."

V sibilò fra i denti, sentendo il sangue affluirle al viso. "Due cose," ansimò, allungando una mano dietro di sé, per affondarla alla cieca fra i capelli di Johnny e tirare.

Fu istantaneamente premiata da un basso gemito.

"...La prima è che parli come un vecchio, choom," sogghignò V, senza fiato. "La seconda," proseguì, ondulando il bacino in un modo che le valse un morso sul collo a piena bocca, "l-la seconda, è - che lo vuoi anche tu."

"Dimmi qualcosa che non so," raspò Johnny sulla sua pelle; e intanto la sua mano d'argento risaliva lungo il corpo di V, scivolando fino al suo collo e inclinandole il capo all'indietro, finché non offrì la gola alle dita metalliche.

"Di' un po', V," sussurrò morbidamente. "Come si dice nel 2077 voglio scoparti finché non dimentichi come ti chiami?"

V gemette, attraversata da un fremito profondo.

Stavano scivolando lungo una china senza ritorno; ma c'era una cosa importante, prima, che doveva fare prima di perdere il controllo. La più importante di tutte.

"Cristo, guardati," raspò Johnny, facendo scivolare le dita sulla sua bocca, indugiando al centro del labbro inferiore, "sei giovane come l'erba, V. Se ti leccassi, sapresti di linfa."

Un singhiozzo lasciò la gola protesa di V.

La cosa più importante.

Con uno sforzo di autocontrollo rotolò su un fianco, salendo a cavalcioni in grembo a Johnny e prendendo il suo volto fra le mani.

Sapeva che anche lui poteva sentire sotto la propria pelle il fuoco che la stava divorando; ma voleva che lo vedesse.

Voleva che vedesse tutto.

"...ehi, V," mormorò Johnny, senza voce.
I suoi occhi neri bruciavano.
Erano magnifici.
V voleva baciarli.
Voleva baciargli la fronte e voleva baciargli le mani e voleva baciargli le labbra - lo sguardo di lui scivolò sulla sua bocca e V non aveva mai desiderato nulla come desiderava ora quel bacio, ma prima, prima -

"Johnny," disse, e persino la sua voce tremava. "Ascoltami."

"V..."

C'erano così tante cose, nel modo in cui pronunciava il suo nome; abbastanza da farle quasi dimenticare di sé, dimenticare tutto ciò che esisteva là fuori e farle desiderare solo di darsi, stringerlo fino a dissolversi, non lasciarlo andare.

V chiuse gli occhi e si costrinse a prendere fiato.
Sentì la mano di lui spostarle una ciocca di capelli dal viso.

"Su una cosa hai ragione tu, V," mormorò. "Sono vecchio. Letteralmente morto e sepolto." V si accigliò, pronta a protestare; ma Johnny continuava, le sfiorava il volto con struggente dolcezza. "Invece tu hai una vita. Persone che ti amano. Posti da vedere che non siano il deserto o questa fottuta città. V, sei praticamente una bambina."

V riaprì gli occhi e si sforzò di inghiottire le lacrime. "Non sono una bambina," replicò, rauca. "Sono una donna che ti ama."

La confessione cadde loro addosso come un fulmine.

...In realtà, lo sapevano già entrambi; non potevano non saperlo.
Johnny, forse, se ne era reso conto prima ancora di lei.

Ma V sapeva che doveva dirglielo, dirglielo così ad alta voce, dirglielo guardandolo in faccia, e adesso che finalmente l'aveva detto, tutto era cambiato.

Negli occhi di Johnny c'era qualcosa di paurosamente sincero, e terribilmente vulnerabile. Erano sempre magnifici.

V teneva il suo cuore sotto le palme delle mani. Batteva fino a fare male; o forse era il suo, a martellarle nelle orecchie, a chiuderle la gola, e pensò che non importava, mentre intrecciava le sue dita fra le proprie, mentre lo sentiva sussultare sotto di sé, bello e palpitante e senza fiato e suo, e ripeté ancora, "ti amo," mentre premeva le sue mani contro il materasso e si chinava con la guancia contro la sua, bevendo come un liquore il profumo denso delle sue tempie e ripetendo ancora al suo orecchio, "ti amo," ti amo e ho bisogno che tu lo sappia, ti amo e ho bisogno che tu lo senta, ti amo e ho bisogno che tu ci creda.

"V," ansimò Johnny sotto di lei, restituendo alle sue mani una stretta spasmodica, inarcando la schiena per restare il più possibile a contatto con il suo corpo; perché il languore che le disfaceva le ossa era anche il suo, il pulsare del suo sangue aveva un'eco nelle sue arterie, e un attimo dopo si perdevano l'una nell'altro, in quel bacio a cui V anelava senza più neppure ricordare da quanto.

ti amo, ti amo, ti amo

ed io amo te

lo sai

lo so

e se vivrò, vivrò per te

ogni istante della mia vita

con te

fino alla fine

resterai per sempre

per sempre così, per sempre qui dentro di me

perché alla fine, l'unica persona

alla fine, l'unica persona che voglio che si ricordi di me

sei tu


///


Il pavimento sotto la sua faccia era freddo e inclemente contro le sue ossa ammaccate.
V esalò un respiro rantolante.
Si sentiva come se l'avessero scaraventata in un tritarifiuti, le costole doloranti e le gambe molli e prive di forza.
Ma era viva.
Ed era sveglia.

Sulla sua schiena, un piccolo fagotto caldo ronzava rumorosamente: Nibbles le si era accovacciata fra le scapole e faceva le fusa a tutto spiano.

"Brava micia," biascicò V, una guancia ancora schiacciata a terra, senza l'energia di aprire gli occhi. "Sei rimasta."

Nibbles rispose con un miagolio esclamativo, al quale seguì una familiare risata sommessa.

V spalancò gli occhi; Johnny Silverhand era a un passo da lei, a glitchare quietamente nella prima luce dell'alba.

Sedeva sul pavimento, addossato alla parete sotto i suoi vecchi poster; appariva stranamente nudo senza i suoi occhiali da sole.
I suoi occhi, quando V li incrociò, erano già fissi su di lei.

V sentì il cuore traboccare.

"Ehi, Johnny," sussurrò.

"Ben svegliata," le rispose la ben nota voce strascicata. "Finita la caccia al Bianconiglio?"

"Immagino di sì," mormorò lei, senza poter staccare lo sguardo. 

Aveva un groppo in gola senza sapere il perché. Uno struggente senso di perdita si mescolava al sollievo, come se la consumasse la nostalgia di qualcosa che non era ancora successo.

E tutti i sogni che non riusciva a ricordare rimanevano impigliati nella luce riflessa sulla mano di Johnny, nella sfumatura dolceamara che aveva il suo sorriso, nelle interferenze azzurre che gli aleggiavano intorno.

V si schiarì la voce. "Come mai sono sul pavimento?"

"Dimmelo tu. Ti avrei svegliata prima, ma non mi sembrava il caso di disturbare la gatta."

"Sapevo che eri un gentiluomo," bofonchiò V trascinandosi faticosamente in ginocchio. Nibbles balzò a terra ma continuò a fare le fusa, strusciandosi contro di lei e facendo la gobba. V sorrise, accarezzandola sotto il mento, "...ma sembra tu ti sia preoccupando per niente."

Dopodiché, finalmente, V riuscì a rimettersi in piedi; aveva l'impressione di sentirsi di nuovo salda sulle gambe per la prima volta da giorni. I raggi del sole che entravano radenti dalla finestra avevano un tepore dolce sulla sua guancia fredda.

Johnny rimase seduto a terra, il capo abbandonato contro la parete.
"Ehi, V," disse piano, guardandola di sotto in su.

"È...bello rivederti." Già mentre le pronunciava, V sentì quanto quelle parole fossero insufficienti; e subito dopo pensò che non importava, perché loro due dividevano lo stesso cuore; e dopo ancora abbassò lo sguardo per l'imbarazzo, chiedendosi se Johnny avesse sentito anche questo particolare pensiero.

Le rispose un breve sbuffo di risa. "Non è una frase che mi sento dire spesso."

V sorrise a occhi bassi; mosse un passo incerto verso di lui. "Mi dispiace averci messo tanto." mormorò. "Vorrei..." lo guardò in viso e d'improvviso fu assalita da un'emozione violenta. "Vorrei ricordare."

Vorrei che fossi qui.
Vorrei dirti tante cose. 
Vorrei, vorrei-

"Non fa niente," replicò Johnny a voce bassa, la luce dell'alba che accendeva i suoi occhi di riflessi. E non erano neri, pensò incoerentemente V, ma di un caldo color cioccolato. Erano magnifici. "...Posso farlo per tutti e due."
 



Through every forest
Above the trees
Within my stomach
Scraped off my knees
I drink the honey

Inside your hive
You are the reason
I stay alive

(Nine Inch Nails, Closer)

 

fine

 

 

Note

1) Per arruolarsi, Johnny aveva mentito sull'età; è partito per il fronte quando aveva appena quindici anni.

2) ...niente, mi arrendo al fatto che questa V non è abrasiva come dovrebbe essere; probabilmente sconta tutta la mia voglia di piangere e lo struggimento per quello che avrebbe potuto essere :') Avevo iniziato a scrivere solo per farli andare a letto, e guarda un po' che roba è venuta fuori. 

3) ...ça va sans dire, ma... grazie di cuore per avere letto fino a qui. Un abbraccio.

 

 

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