Post Camlann

di oscar 82
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Let me protect you ***
Capitolo 2: *** Just stay with me ***
Capitolo 3: *** The only way I can love you ***
Capitolo 4: *** My person ***
Capitolo 5: *** He's mine - part One ***
Capitolo 6: *** He's mine - part Two ***
Capitolo 7: *** My complicated feelings - One ***
Capitolo 8: *** My complicated feelings - Two ***
Capitolo 9: *** My complicated feelings - Three ***
Capitolo 10: *** With me, always and forever - One ***
Capitolo 11: *** With me, always and forever - Two ***



Capitolo 1
*** Let me protect you ***


(Note: Post Camlann. Merlin ha salvato Arthur e ora entrambi sono ad Avalon, permettendo ad Arthur di guarire completamente).
 
 
La notte avanzava placida e silenziosa, un manto caldo e scuro che copriva il bosco e tutte le sue creature. Alcune sonnecchiavano, altre vegliavano, ma senza fretta, adeguandosi al ritmo che li circondava.
 
Arthur non dormiva.
Per la prima volta dopo giorni, il riposo diurno lo aveva rinvigorito tanto da non lasciargli sonno. Ma con Merlin non c'era possibilità di discutere: il Re aveva bisogno di recuperare tutte le sue energie e, nelle ore di luce praticamente non gli permetteva di fare alcunché. Si occupava lui di tutto, alacre, instancabile, senza mai fermarsi. Solo di recente si era concesso il lusso di addormentarsi prima del Sovrano, consentendosi finalmente qualche ora di   meritato ristoro.
 
Mettendosi seduto, la vista avvezza a catturare la luce lunare, si soffermò a osservare l'uomo profondamente addormentato accanto a lui. Il viso pallido ed etereo faticava a rasserenarsi, come se sentisse il bisogno di tenere sempre alta la guardia, la magia che crepitava vigile sotto la pelle per scongiurare ogni pericolo. Arthur poteva percepirla nel battito delle ciglia che, veloci come un lampo, lasciavano intravedere, solo per un frangente, lo sfarfallio dorato dei suoi occhi.
 
Era qualcosa che regolarmente lasciava Arthur senza fiato, la bellezza dell'oro puro delle iridi di Merlin. Una bellezza ammaliante e pericolosa, come la lama di Excalibur e cento volte di più, come la più sicura e micidiale delle armi.
Ed era sua. Era di Arthur.
Il cuore del Re palpitava di orgoglio, pensando che la fonte di tutto quel potere fosse destinata a lui.
 
Un'ondata di tenerezza lo sopraffece. Con un gesto delicato scostò un ciuffo ribelle dalla fronte del mago, quasi una carezza, una dolce carezza.
Continuò a guardarlo, abbacinato. A volte, la ferocia della devozione, della lealtà, dell'amore che Merlin provava per lui gli facevano quasi paura.
Era degno di tutto quell'amore? Lui, un semplice mortale, come poteva ispirare un sentimento così assoluto? Come poteva essere così indissolubilmente vincolato a lui, immortale e invincibile?
 
Sorrise appena, mentre le domande cominciavano gradualmente a scemare. Non avrebbe trovato una risposta, se non quella che già conosceva da tempo. Merlin gli apparteneva. Erano uniti da una doppia corda, forgiata nel loro stesso sangue, protetta dalla stessa magia, e nulla, nulla avrebbe mai potuto separarli. 
E la sola, l'unica cosa che Arthur poteva fare, era ricambiare quell'amore con tutto sé stesso: con tutta la sua forza, il suo coraggio, la sua testardaggine, con la stessa affamata, disperata ferocia con cui Merlin amava lui.
 
Erano l'uno per l'altro, l’uno con l’altro, l’uno dell’altro: nessun nemico, nessun regno, nessuna battaglia o calamità avrebbe potuto cambiare questo. Mai.
 
Con l’anima che cantava a quella consapevolezza, Arthur si chinò per lasciargli un leggero bacio sulla testa corvina.
 Dormi, mio ​​stregone, pensò.
Per stanotte, lascia che sia io a proteggerti.

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Capitolo 2
*** Just stay with me ***


Da quando erano tornati da Avalon, le notti erano state più lunghe per Merlin.
Spesso il suo sonno era confuso, alterato dagli incubi che le ferite della battaglia di Camlann avevano lasciato nel suo spirito.
Riviveva gli attimi terribili in cui aveva ritrovato Arthur privo di sensi, disteso tra i cadaveri, il battito del suo cuore così debole da potersi interrompere da un momento all'altro; o il momento in cui Excalibur aveva trapassato il costato di Morgana, e la strega, ormai ombra della bellissima sorella del Re, aveva esalato il suo ultimo respiro.
 
Allora, rinunciando a riaddormentarsi, si alzava nel cuore della notte per rifugiarsi tra i bastioni del castello, dove l'aria era più tersa e frizzante, a un passo dalle sue nuove stanze. Arthur, irremovibile, aveva spostato l'alloggio dello stregone in una zona a lui più consona, ignorando le sue proteste.
 

"Ora sei un membro della famiglia reale. Non ammetto repliche. Per una buona volta, fa’ solo quello che ti dico".
 

Sorrise al ricordo, mentre lasciava che il vento leggero gli accarezzasse il viso.
 
La verità era che, più di ogni altra cosa, gli mancava dormire accanto ad Arthur.
 
Nei primi giorni di Avalon, quando il Re stava ancora combattendo per la propria vita, si era disperatamente imposto di non addormentarsi, in estenuanti dormiveglia scanditi dal respiro appena percettibile del sovrano.
 
Quando, finalmente, la magia aveva  definitivamente scacciato  il frammento della spada di Mordred e Arthur era tornato cosciente, il Re aveva preteso che si  sdraiasse al suo fianco ogni notte, incalzandolo con tutte le domande che non aveva potuto fargli in dieci lunghi anni, desideroso di sapere e di cancellare ogni riserva dal suo cuore.
 
Alla fine si addormentava stringendo il polso di Merlin, e lo stregone spesso  crollava sul suo petto, per la stanchezza e la paura che potesse ancora perderlo.

La mattina li coglieva  nella stessa posizione e quei tocchi, che un tempo non si sarebbero mai concessi, erano diventati necessari quanto l'aria che respiravano. A volte Merlin gli accarezzava i capelli dorati mentre lo guardava dormire, stupendosi ancora, a distanza di anni, di quanto sembrassero seta; sapeva che Arthur aveva fatto lo stesso quelle volte che Merlin si era addormentato per primo, perché la magia lo aveva riconosciuto, sentiva tutto di Arthur.
 
Gli mancava tremendamente il suo odore nelle ore notturne,  il calore del suo corpo appoggiato al proprio. Durante il giorno nulla poteva tenerli separati: se un tempo erano stati uniti, adesso erano una cosa sola.
Non sopportavano più lo stare lontani e la stessa magia di Merlin aveva aumentato le sue pretese, reclamando a gran voce la sua appartenenza al Sovrano, attirandolo come una calamita nascosta. Ma di notte, Merlin doveva necessariamente farsi da parte e lasciare Arthur a sua moglie: Gwen aveva accettato con comprensione l'evoluzione ancora più intima del loro rapporto e Merlin non poteva pretendere oltre, anche se la  magia scalpitava, rivendicando ciò che era suo fin dalla notte dei tempi...
 
Sospirò, pensando che fosse passato troppo poco tempo, che ogni cosa fosse così intensa, potente.
Arthur era un Re. Non avrebbe mai potuto averlo tutto per sé.
Questo lui  lo aveva sempre saputo.
 

"Merlin".

 
La voce calda di Arthur lo fece trasalire: era alle sue spalle, un dolce sorriso sul bel viso, stanco ma sereno.
 

"Cosa ci fai sveglio? Stai bene?"

fece, con un tono leggermente allarmato.
 

"Potrei chiederti lo stesso".

 
Merlin strinse le spalle.

"Mmm, io... non riuscivo a dormire, tutto qui".

 

"Anche io. Ti succede spesso, vero?"

 
Lo stregone annuì. Si guardarono a lungo, in silenzio, e Merlin seppe che entrambi sentivano la stessa mancanza, il laccio del loro legame che si tendeva in attesa che si avvicinassero.
 

"Cosa posso fare per aiutarti?".

 
La domanda era rivolta a Merlin ma anche a se stesso.
Arthur adesso era accanto a lui,   gli aveva preso il polso stringendolo dolcemente, come aveva fatto per tante notti.
 

“Resta con me. Resta con me e basta”

fece in un soffio,  togliendogli  una ciocca di capelli biondi dalla fronte ,con la mano libera.

"Sempre. Sempre e per sempre".

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Capitolo 3
*** The only way I can love you ***


Il Re sta tornando.
 
Gli occhi di Merlin brillarono d’oro puro mentre la sua magia lo avvertiva che Arthur stava rientrando a Camelot. Solo pochi giorni di assenza, per un incontro diplomatico, uno di quelli ai quali era chiamato, talvolta, a recarsi da solo. 
 
Merlin restava al castello, fremente per l’ attesa e la preoccupazione, curando insieme a Gwen gli affari del regno, la situazione ancora delicata dopo l’ abolizione del bando della magia. 

La presenza dello stregone era indispensabile, ma il giovane trascorreva ogni ora senza il sovrano sospeso tra lo sforzo di sorvegliarlo da lontano e il dolore che ogni momento lontano da Arthur gli provocava. 
 
Si diresse di corsa verso le stanze regali, per accertarsi che tutto fosse in ordine. Ispezionò ogni angolo, accese il fuoco nel camino, preparò degli abiti puliti. Anche se non era più il servitore personale di Arthur, non avrebbe lasciato quei compiti a nessuno, per nulla al mondo. 
 
La magia vorticò nella stanza quando la porta si aprì e il Re fece il suo ingresso. I loro occhi si agganciarono e per un attimo rimasero così,  bevendo alla reciproca vista, immobili. Fu il mago a annulare la breve distanza, gettandosi tra le sue braccia e stingendolo forte. 
 

“Ehi! Vuoi stritolarmi, Merlin? Potrei condannarti per attentato alla vita del Re”,

fece Arthur, ma stava ridendo, e ricambiò l’abbraccio con la stessa forza.
 

“Sta’ zitto”,

soffiò Merlin, il viso seminascosto nell’incavo del collo del Sovrano. 

"Hai salutato tua moglie?”.
 

“Sì”.

 

“Bene. Perché non ho intenzione di lasciarti andare presto. Mi sei mancato”.

 

“Anche tu”,

ammise il Re, con un sospiro. Percepiva nella stretta quasi spasmodica del mago tutta l’angoscia che lo aveva angustiato durante la separazione. Merlin, in questo, era ancora fermo a Camlann.

“Sto bene, va tutto bene, Merlin”.

“Lo so, lo so. È solo che… Quando sei lontano, e non posso viaggiare con te, sono…”.

Scosse la testa, per scacciare via la parola. Terrorizzato.
 
Arthur gli sollevò il viso per guardarlo negli occhi.
 

“Non corro alcun pericolo. Lo so, che mandi lei con me. La sento tutto il tempo”.

 
Il blu delle iridi del mago si illuminò. Amava il fatto che Arthur potesse sentire la sua magia. Del resto, era sua. Era nata per Arthur.
Lo guardò adorante.
 

“Ma non voglio che ti costi uno sforzo eccessivo. Non devi se…”,

iniziò perentorio il Sovrano, ma l’altro lo fermò.
 

“Non ha importanza. Tu hai la precedenza. Su tutto”.

 
Arthur gli arruffò la testa corvina.

“Allora, mi aiuti a togliere questa armatura impolverata, o vuoi continuare a oziare?”,

fece, provocatorio. 
 
Merlin alzò gli occhi al cielo:

“Come comandate, mio Signore”.

 
Comiciò a slacciare le fibbie di cuoio che tenevano unito l’usbergo del Re. Lo faceva rigorosamente a mano, come un tempo, per conservare la sua abilità di farlo come nessun altro sapeva e per gustarsi quei momenti di intimità tra loro che erano la vita: per lui, per entrambi.
Sentiva lo sguardo di Arthur seguirlo come una carezza. 
 
“Non dubitare mai della protezione della mia magia, Arthur”, si disse, mentre ultimava il suo lavoro. “Non smetterò mai, mai di proteggerti. È per questo che sono qui. È l’unico, vero modo in cui posso amarti”.

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Capitolo 4
*** My person ***


Arthur si avvicinò alla finestra alle spalle della propria scrivania, appoggiando la fronte sul vetro freddo, sospirando. 
 
La discussione con Gwen era stata cruda. Sebbene non fosse di certo la prima volta che discutevano dell’argomento. 
 
Lo stesso argomento, da mesi. Merlin.
 

“Non starai davvero insinuando…”.
“Dei, Arthur! Non è di sesso che sto parlando. Sto parlando d’amore! Davvero non riesci a vedere? Il modo in cui siete intimi, in cui vivetel’uno per l’altro?”
“Siamo sempre stati intimi”.
“No, Arthur. Da quando siete tornati da Avalon siete diversi. Mi sento quasi il terzo incomodo tra voi”.

 
Un turbinìo lo avvertì della presenza di Merlin alle sue spalle. La magia era più rumorosa di lui, che negli anni aveva mantenuto costantemente l’abitudine di arrivare di soppiatto, senza bussare. Arthur la avvertiva ogni volta, come una carezza, un abbraccio o  un ronzìo preoccupato, come in quel momento.
 

“Arthur, ci stanno aspettando in consiglio”.
“Puoi… Puoi andare da solo? Inventati una scusa qualunque. Per favore”.

 
Merlin tacque, guardandolo soltanto. Il Re lesse nei suoi occhi domande silenziose, fino a arrivare alla risposta. Le iridi lampeggiarono d’oro, solo un istante.
 

“Come desiderate, Vostra Maestà”,

fece solenne, uscendo. Arthur prese la giacca e si avviò anche lui verso la porta, camminando senza una meta, con il solo intento di scacciare via il malumore. Camminò e camminò, l’eco della conversazione ancora nella testa, ripetuta fino alla conclusione finale.
 

“Gwen, ma come puoi parlare così … Io ti amo, lo sai”.
“Lo so, Arthur. Ma non quanto ami lui”.

 
Arthur sentì un moto di stizza. Era già pentito di non essersi recato in consiglio. Non doveva permettere alle sue emozioni di condizionarlo , lasciando tutto sulle spalle di Merlin. Merlin, che aveva capito tutto senza nemmeno chiedere. Che era accorso in suo aiuto, come sempre. 
 
Si voltò per rientrare, quando si trovò di fronte lo stregone. 
 

“Avete già finito?”,


disse, sorpreso.

“So organizzare bene le cose là dentro. Potrei anche prendere definitivamente il tuo posto, mio Signore”,


fece, con finta supponenza.
 

“Smettila, idiota. Non sei proprio fatto per fare il Re”,


replicò Arthur, l’inflessione sulla parola “idiota” carica di tenerezza. 
 
Merlin entrò nello spazio personale di Arthur, appoggiandogli delicatamente una mano sul braccio.

“Meglio?”,


sussurrò.
 
Arthur lo guardò, intensamente, annuendo e stringendogli il polso come consuetudine oramai, sentendo la magia palpitare intorno a lui. Si sentiva accarezzato, consolato.
 

“Mi dispiace”,


soffiò Merlin.
 
Arthur sgranò gli occhi, sentendo un dolore nel petto.

“Ti dispiace? E per cosa? Per proteggermi? Per avermi salvato la vita, sacrificando tutto? Per…”.  Per amarmi?,  


terminò, senza dirlo a voce alta. 

“Potrei allontanarmi per un po’”,


tirò fuori il mago, a fatica.

“Potrei tornare da mia madre, stare tra i Druidi e…” 

 

“No”.


Arthur tagliò il discorso di Merlin con durezza, senza possibilità di replica.

“Non te ne andrai. Il regno ha bisogno di te”.

 
Io, ho bisogno di te. Non starò senza di te.
 

Le parole non uscirono dalla gola di Arthur. Rimasero lì, intrappolate. Sperava che Merlin le leggesse nel suo sguardo, come faceva da anni oramai. Sperava le sentisse nella stretta sul polso, che si era fatta convulsa, come se volesse bloccarlo lì. I suoi sentimenti per quell’uomo - che aveva fatto sempre tutto solo per lui -   scalpitavano in quella stretta e ruggivano nel suo cuore. Quell’ uomo così potente da distruggere la foresta con un battito delle sue ciglia, ma che ancora una volta si stava mettendo da parte per Arthur e la sua serenità. 

 
Quell’uomo che era la sua persona, nelle sue vene e nel suo sangue. E che, gli Dei lo perdonassero, amava più di ogni altra cosa. 
 
Non si sarebbe mai, mai separato da lui. 
 
Merlin lesse tutto, fissandolo come se stesse guardando il Sole stesso e sistemandogli la solita ciocca sulla fronte, un sorriso dolce sul viso.
 

“Cosa posso fare, allora, per te?”,


mormorò appena.

“Stare con me. Sempre e per sempre”.

 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** He's mine - part One ***


 
Merlin scrutò solo un attimo nel suo armadio, prima di tirare fuori la giacca rossa regalatagli da Arthur poco dopo il loro rientro da Avalon.
Da quando era entrato a far parte del Consiglio Reale, il suo abbigliamento era stato drasticamente rivoluzionato e arricchito. Di solito vestiva di blu o di verde, ma la scelta quel pomeriggio era stata ben ponderata.
 
Era stato convocato a colloquio dalla Regina. E indossare il rosso Pendragon - il colore che era l’essenza stessa di Arthur -  era la prima cosa da fare. 
 
Merlin aspettava da tempo quel confronto, sapeva che sarebbe arrivato.
 
Erano rimasti soli una  volta soltanto, durante il breve viaggio del Re, ma allora le questioni di Camelot avevano rimandato qualsiasi discorso personale. 
 
Era giunto il momento.

Bussò alla porta delle stanze reali e sentì la voce della donna che lo invitava a entrare.
 

“Volevate vedermi, mia Regina?”,

esordì deferente, ma incrociando con fierezza gli occhi della sovrana. Non gli sfuggì il moto di stizza, sebbene celato, che passò sul viso di Gwen nel vedere come era vestito. 
 

“Siediti”.
“Preferirei stare in piedi, se non è un problema”.
“Vengo subito al punto”,


fece secca la donna.
 
“Credo sia opportuno, in questo periodo, che tu organizzi al più presto un viaggio. Per sondare gli umori delle comunità dei Druidi. Sai, dopo l’abolizione del bando…”.
 

“Non ne abbiamo parlato l’ultima volta che siamo rimasti a Camelot insieme”,


la interruppe Merlin.

“E l’argomento non è stato sollevato dal Consiglio”.
 

“Ma è comunque la cosa migliore da fare”.
“Arthur lo sa?”.
“Credo che converrà con me”. 

Merlin la fissò, solo un attimo. Aveva una chiara aria di sfida sul volto. Sentì la sua magia iniziare a vorticare, sotto la punta delle  dita. Respirò prima di parlare.

“Arthur mi ha detto, pochi giorni fa, che non vuole che io lasci Camelot”. 
“Posso sempre fargli cambiare idea”.


Lo stregone fece un passo verso la scrivania, dietro la quale Gwen era seduta. 
Un altro respiro ampio.
 

“Perché non la smetti di torturare tuo marito, Gwen?”,


sibilò.
Il passaggio inaspettato dall’etichetta al tono informale fece sgranare gli occhi alla Regina.
 

“Chiedo scusa?”

 

“Mi ha sentita. Non capisco il motivo, onestamente”,


proseguì Merlin, abbassando la voce di una tacca,

“di sottopporre ad Arthur questioni inutili. Non capisco perché ti ostini ad angustiarlo con questa tua puerile gelosia”,


terminò, tagliente.
 

“Come osi parlarmi così?”,


si alzò in piedi Gwen, guardandolo adirata.
 
“Oso, perché dovresti avere più premura verso colui che hai giurato di amare nella buona e nella cattiva sorte, verso un uomo che è praticamente tornato dalla morte. Dovresti soltanto gioire di averlo con te”,

scandì il mago.  
 

“Con me, appunto”,


sottilizzò Gwen.
 
Eccolo, il punto della questione, pensò Merlin. 
 
Distolse un attimo lo sguardo dall’espressione provocatoria della Sovrana, mentre le sue iridi lampeggiarono dorate per qualche istante. Si sforzò di richiamare alla mente la dolce, saggia amica alla quale aveva consegnato la persona che per lui valeva la vita stessa. 
 
Chiuse gli occhi, per stabilizzarsi, e il blu oceano ritornò.
 
“Sono stato nell’ombra per dieci anni, Gwen. Dieci anni ho atteso che Arthur mi accettasse per quello che sono. Tu hai tutto di lui. Sei sua moglie, la rispettata Regina del suo regno, gli darai dei figli. Cosa temi del nostro tempo insieme?”,

 

cercò di addolcire.
 
“Mi prendi in giro, Merlin? A quale tempo insieme esattamente ti riferisci? Credi che non mi accorga che Arthur non riesce nemmeno a dormire bene, lontano da te? Credi che non veda come vi parlate, come vi guardate?”

Il tono di Gwen era sarcastico, sgradevole.
 
Il mago percepì i battiti del suo cuore accelerare. Una leggera brezza si era alzata nella stanza malgrado le finestre chiuse. La sua magia si stava ribellando alle parole di Gwen, rivendicando il suo diritto su Arthur. Deglutì, a fatica.
 

“Il legame tra me e Arthur”, 


fece una pausa, inspirando,

“è soprannaturale. Sacro. Non mi aspetto che tu lo comprenda, ma non ti permetto di alludere. Devi rispettarlo”.

 
Gli occhi di Gwen lo fulminarono.

“Vuoi dettare tu le condizioni? Lo hai detto: sono la Regina. Questo tuo ardire nel parlarmi si fermerà adesso”.

 
Scattando come un felino, Merlin gli fu davanti, posando le mani sulla scrivania per contenere l’irruenza della magia, ma i suoi occhi erano oro liquido che minacciava di strabordare. La donna sussultò.
 

“No. Non mi fermerò. Non farmi dimenticare chi sei stata per me e chi sei per Arthur, Gwen. Non provocarmi ulteriormente”.


La voce del mago era bassa, pericolosa e lei ebbe un tremito. 

 “Arthur è una parte di me. È mio, prima che di chiunque altro. Per il suo bene, soprattutto per il suo bene, tu smetterai con questa storia. Ora!”. 
 
Gli occhi di Merlin brillarono una volta in più, e la finestra dietro la scrivania si spalancò  lasciando entrare un’ impetuosa folata di vento che fece svolazzare le pergamene e spegnere le fiamme nel camino. 
 
Il freddo improvviso che attraversò la camera li congelò per alcuni momenti, l’uno di fronte all’altro, guardandosi senza riconoscersi. 

Poi lo sguardo di Merlin si spense. Senza proferir parola, si voltò e con passi veloci si allontanò dalle camere, precipitandosi fuori dal castello.
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** He's mine - part Two ***


La mente di Merlin dimorava  nella nebbia.
 
Non ricordava come i suoi passi, il suo potere lo avessero guidato fino alla foresta, né tantomeno come avesse potuto evocare le acque  senza pronunciare incantesimo alcuno, comandando  soltanto al fiume di contorcersi e stritolarsi su se stesso, invertendone il  corso naturale. 
 
Si ritrovò nel mezzo di un turbine, la magia che piegava il liquido a suo piacimento, colpendo come pioggia violenta piante, animali e tutto ciò che lo circondava. Fu quando il furore dell’acqua lo investì facendolo cadere a terra, che riacquisì il contatto con la realtà. Bastò un cenno della mano per sedare onde e vortici e riportare tutto alla calma, mentre si accasciava contro un albero, stremato e zuppo fino alle ossa. 
 
Fu lì che Arthur lo trovò. La magia aveva percepito come sempre l’arrivo del suo amato Re, ma Merlin era rimasto con il capo chino e le braccia intorno alle ginocchia.

“Merlin”.


Nessuna risposta.

“Merlin? Ti prenderai una polmonite. Sei fradicio”.
“Posso asciugarmi, lo sai”.
“Sì, ma non lo hai fatto. Sei sfinito. Dai, vieni qui. Lascia che ti aiuti”,


fece il Re, inginocchiandosi per avvolgerlo in una coperta. Gentilmente, con un lembo, gli tamponò i capelli gocciolanti. 
Merlin aprì finalmente gli occhi, che ancora sfavillavano d’ oro e li puntò dritti in quelli, bellissimi e preoccupati, di Arthur.
 

“Come sapevi che ero qui?”
“Lei”.


Certo, che domande. La magia.

“Non voglio rientrare”,

sottolineò seccamente.

“E non ho intenzione di raccontarti o di scusarmi…”
“Va bene”.


Il mago sgranò gli occhi.

“Aspetta. Che?”
“Ho detto che va bene. Niente domande, restiamo qui”.

 
Arthur sorrideva,  la sua espressione tranquilla. Merlin aveva temuto la sua reazione. Invece se ne stava semplicemente accanto a lui, continuando a scaldarlo con la coperta. 
 

“Se mi asciugo, posso abbracciarti?”,


chiese.

“Avanti”,


gli fece cenno il Sovrano. 
Le iridi del mago balenarono e in un attimo l’acqua scomparve dagli  abiti e dalla capigliatura corvina. Si accoccolò tra le braccia del Re, stupendosi ancora una volta di quanto fosse sempre così caldo anche in pieno autunno, come la più brillante delle stelle, come il Sole.
 

“Prometti”.
“Cosa?”
“Che lei non ci dividerà. Se mi dici di partire, lo farò. Conosco i miei doveri. Ma, per favore dimmi solo che potrò tornare a Camelot, che non è una separazione definitiva, perché mi ucciderebbe”,


sussurrò.
 

“Ricordavo che tu fossi immortale, Emrys”,


cercò di sdrammatizzare il Re. 

“Ci sono così tanti modi di morire, Arthur”,


disse, amaramente.
 

“È colpa mia”,

sospirò Arthur.

“Sono un disastro con le parole, non riesco a convincerti che niente ci separerà, Merlin”,


concluse con dolcezza, stringendolo. 

Merlin scosse il capo.

“Non sei tu che devi dispiacerti.  Avrei dovuto aiutarti con l’incontro di oggi, e guarda:  ho solo peggiorato la situazione con Gwen, oltre che a torturare la natura con la mia rabbia”.
 
“Non pensarci ora”.

 
Alzò il viso per incontrare lo sguardo di Arthur:

“Sì, invece. Sono io quello più potente, più pericoloso, e devo riuscire a controllarmi. È che...”,


deglutì,

“… Mi sembra sempre ci sia qualcosa che mi porterà a perderti”,


terminò in un soffio di fiato.
Il Re portò una mano sulla guancia del mago:

“Non mi perderai, e io non perderò te”.


Merlin chiuse gli occhi, abbandonandosi per un attimo al tepore del tocco di Arthur. Era così bello che gli accarezzasse il viso, così teneramente.  
 
Dal viaggio verso Avalon e dal soggiorno sull’isola, il contatto fisico - per anni negato - cresceva costantemente fra loro. Arthur forse non era bravo con le parole, ma compensava con una gestualità sempre più dolce e intima, che mai mancava di togliergli il fiato. 
 
Forse il tempo avrebbe guarito le sue ferite e placato il suo bisogno. 
 
O forse avrebbe sempre sofferto, perché sapeva che mai la sua anima né la sua magia avrebbero smesso di reclamare il possesso sul Re.
 
Era suo, anche nei momenti in cui era lontano. Era suo e Merlin avrebbe combattuto dieci, cento, infinite volte per Arthur, se ce ne fosse stato bisogno. Non avrebbe mai smesso di offrire il proprio potere, il proprio cuore a questo nobile, intrepido e adorato mortale.
 

“Sono pronto a rientrare”,

mormorò, tranquillo.

“Restiamo ancora. Ti va?”,


chiese Arthur in un sussurro, restìo a rompere la bolla di perfezione che si era creata tra loro.

“Come desiderate, mio Signore”,

assentì, inalando il suo profumo mescolato a quello della notte ormai sopraggiunta.

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Capitolo 7
*** My complicated feelings - One ***


Era stato un giorno importante, per Camelot e per il regno di Arthur Pendragon.
 
A meno di un anno dall’ abolizione del divieto relativo alla  magia, tutti i capi delle comunità dei Duidi erano stati convocati a corte in quanto futuri alleati: un giorno memorabile, da scrivere negli annali della storia di Albion.
 
Eppure, il Sovrano non era felice. Non lo era malgrado l’accoglienza perfetta, le reticenze dei maghi abbattute, lo scorrere di una serata piacevolmente organizzata da sua moglie, finalmente più distesa dopo gli ultimi difficili accadimenti.
 
Malgrado la fierezza infinita che traboccava dal suo cuore nel vedere Merlin rispettato, ammirato, ascoltato da tutti, come da sempre meritava. 
 
Arthur non era felice. I suoi occhi fissavano assenti le fiamme crepitanti, mentre cercava invano di mettere a tacere i mille, confusi sentimenti che lo agitavano,  simili alle lingue di fuoco che danzavano nel camino delle sue stanze. 

 
 
La giovane donna aveva attirato su di sé gli sguardi di tutta la sala. Bellissima, la pelle d’avorio, gli occhi  di smeraldo, i capelli castani e lucenti. La sua veste, di un velluto morbido dorato, esaltava la sinuosa figura.
 
“Vi presento mia figlia Koral, Vostra Maestà. È molto giovane, ma estremamente potente. Non mi muovo mai senza di lei e mi fido ciecamente del suo giudizio”, l’aveva introdotta un uomo di mezza età, Artax. 
Arthur aveva sorriso alla ragazza, sebbene pervaso da un brivido sottile lungo la schiena: “Sarà bene che si senta a suo agio, allora”, aveva risposto, baciandole la mano e introducendola tra gli ospiti. 
 
La fama di Artax lo aveva preceduto. Merlin gliene aveva parlato a lungo: era il più autorevole, il più ambizioso dei capi clan. La presenza di sua figlia quella sera non poteva essere un caso. La fanciulla, come il padre aveva anticipato, era perfettamente cosapevole di sé, dei suoi poteri e della propria bellezza.
 
Con una sicurezza inusitata per la sua giovane età, aveva puntato Merlin sin dal suo ingresso nelle sale, catturandone inevitabilmente l’attenzione. Il Re li aveva osservati tutta la sera, mentre lei ricamava sottile le arti della seduzione.
La sensazione sgradevole, provata all’istante, montò in Arthur fino a diventare un opprimente senso di chiusura alla bocca dello stomaco; il fastidio così intenso, pungente che dovette trattenersi dal raggiungerli per separarli. Voleva   trascinare via Merlin dallo spazio personale della giovane.
 
Il Re aveva trascorso il resto della serata desiderando solo che finisse, cercando di non dare nell’occhio ma incapace di distogliere l’attenzione dal mago, quasi a volerlo proteggere da una malìa. Lui sembrava invece  perfettamente a suo agio,  la gioia di stare tra  la sua gente lo rendeva ignaro ai segnali di Koral. 
 
Aveva accolto il momento del congedo e il rientro nelle sue camere come una liberazione. Mentre Merlin lo accompagnava, non aveva aperto bocca, ma  avvertiva la sua magia, sollecita e preoccupata, ronzargli intorno.
 
“Sei terribilmente silenzioso”.
“Sono stanco, Merlin. È stata una giornata impegnativa, e lo sarà ancora di più domani”.
“Ma non sei soddisfatto, né sereno”, aveva cominciato a indagare il mago.
“Va tutto bene”.
“Arthur, non mentirmi. Vuoi dirmi cosa c’è? Davvero, erano tutti entusiasti”. 
“Certo. Soprattutto la figlia di Artax”, aveva sputato fuori tagliente il Sovrano.
“Di cosa parli?”.
“Del fatto che ha flirtato sudoratamente con te tutta la sera. Ti avrebbe portato via se solo avesse potuto”.
Merlin lo aveva guardato sinceramente stupito.  “Arthur, è una ragazzina, mi conosce appena. È stata solo gentile”.
“Capisco che tu ne sia stato lusingato”.
Merlin aveva scosso la testa: “Arthur…”.
“È tardi, Merlin. Vai a dormire”.
“Ma…”.
“Vai, Merlin”.

I due si erano guardardati per un lungo istante, l’aria fredda tra loro nonostante il fuoco scaldasse l’ambiente. Poi il mago aveva pronunciato un gelido: “Come desiderate, Vostra Maestà” e, rapido, si era allontanato. 
 
 
Se avesse ascoltato il suo istinto, Arthur si sarebbe già precipitato da Merlin per chiedergli scusa. Non era certo colpa sua: non aveva fatto nulla per incoraggiare la ragazza. Ma come spiegargli il suo turbamento? Si sentiva stupido.
 
Era probabile che Artax avesse pianificato l’atteggiamento della figlia per interesse pesonale. Cosa di più astuto, che affascinare lo Stregone di Camelot?
Questo non escludeva che Merlin potesse sentirsi attratto da lei, compiaciuto dalle sue lusinghe. E Arthur non voleva saperlo, non in quel momento.
 
Non aveva mai considerato Merlin con una donna, con una moglie, non gli aveva  neanche mai chiesto se desiderasse una famiglia. 
 
Merlin era sempre appartenuto ad Arthur, già prima di Camlann.  Sempre. 
Era così totalmente, esclusivamente suo, che non era disposto a dividerlo con nessuno. 
 
E sì, era un pensiero egoista, terribilmente egoista. 
 
Si era nutrito dell’amore di Merlin quasi senza accorgersene per dieci anni. Solo ad Avalon si era accorto di corrispondere quel sentimento. 
Era viscerale, necessario, come l’ossigeno. Non poteva farne a meno. 
 
Staccarsi dal mago era come perdere un pezzo di sé. Impossibile. Era sempre stato certoche per Merlin fosse esattamente lo stesso.
 
Ora, improvvisamente, tutto gli sembrava precario.
 
Arthur sentì sopraggiungere un senso di angoscia, di paura. Non era pronto. Non sarebbe mai stato pronto ad allontanarsi dal suo stregone. Era passato così poco tempo da quando si erano trovati: non voleva e non poteva lasciarlo andare.  Aveva un disperato bisogno di lui. 
 
Avrebbe avuto sempre bisogno di lui.
 
Si scosse dal suo torpore. Poteva fare solo una cosa per smettere di pensare, per sfinirsi fino a spegnere la mente.
Prese la spada e se la legò in vita. Fu allora che sopraggiunse Gwen.
 

“Arthur. Dove stai andando a quest’ora?”.
“In armeria. Ho bisogno di tirare di spada”.
“Ma è tardissimo. Devi riposare. Domani avrai un lungo consiglio e…”

“Non ti preoccupare, Gwen”,


fece, stringendole dolcemente un braccio mentre apriva la porta.

“Starò bene”.

 
Ma sapeva che era una menzogna.  
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** My complicated feelings - Two ***


Il Consiglio arrivò presto, per chi non aveva riposato.
 
Arthur incrociò a malapena gli occhi di Merlin prima di entrare nella sala, anche perché non voleva vedesse i segni della notte insonne sul suo viso, non voleva vedesse le mani, tormentate da ore intorno all’elsa della spada, sulle quali per la prima volta lui non aveva passato il suo balsamo all’olio di rosa.
 
Ma Merlin sedeva alla sua destra, e non v’era modo non lo guardasse, non v’era modo di non avvertire la sua magia che lo accarezzava con dolcezza, quasi a rassicurarlo. 
 
Sono qui per te, Arthur.
 
Arthur si tenne a quel lieve vortice per stabilizzarsi e concentrarsi sul suo dovere di Sovrano, cercando di ignorare la snella, splendida figura di Koral che partecipava e dava le sue opinioni come una veterana, mentre i suoi occhi puntavano costantemente verso Merlin. 
 
Arthur non si voltò mai verso di lui. Non avrebbe sopportato di leggere sul suo viso ammirazione per la giovane druida, non poteva rivivere l’angoscia che lo aveva pervaso per tutta la sera precedente. Doveva restare attento, lucido.
 
Lui era il Re.
 
La trattativa fu lunga, minuziosa. Al termine della prima parte, Arthur era esausto. Uscì per ultimo dalla sala, avviandosi verso le balconate esterne alla ricerca della fredda aria invernale per una sferzata di energia. Aveva lo stomaco contorto, chiuso.
 

“Emrys aveva ragione. Siete un grande Re, Vostra Maestà. Siete giovane, ma saggio, attento, coraggioso. Trattare con un intera comunità di Druidi è da pochi”,


fece la voce profonda di Artax alle sue spalle. I complimenti, tuttavia, erano accompagnati da un tono che ad Arthur non piacque. 

"Sono onorato da quello che mi dite. In verità, non sono solo. Al mio fianco ho il migliore dei consiglieri”,


rispose tuttavia cortese.
Andiamo, vieni al dunque, sfidò tra sé il Sovrano.
 
Artax sorrise, sagace.

“Il vostro Stregone è una grande risorsa, certo. La fama del vostro rapporto si estende in tutto il regno. Deve essere veramente prezioso, per voi”,


dichiarò. Lo stava guardando dritto negli occhi, indagatore.

Arthur sostenne lo sguardo, pur sentendo la provocazione, fiero.
 

“Lo è”.

“Beh, vedete, Vostra Maestà… Sarebbe un marito perfetto per mia figlia Koral. Una coppia così potente, così saggia… Pensate che vantaggio per tutta Albion. E Camelot non dovrebbe più temere la magia”.
 
Arthur si sentì gelare il sangue. Respirò profondo, come se avesse il fiato mozzato, poi rispose:

“Camelot non teme la magia da tempo. E Merlin… Emrys, decide in autonomia della sua vita. Non posso e non voglio imporgli nulla”.
“Bene”,


concluse il Druido, e con un cenno del capo in saluto, si allontanò.
 
Il Re dovette aggrapparsi con forza alla balaustra. Gli tremavano le mani. Chiuse gli occhi ricacciando indietro tutte le sensazioni sgradevoli che quella conversazione gli aveva rovesciato addosso. Era ora di tornare in Consiglio.
 
Quando tutti ne uscirono, era sera inoltrata. Si avviarono alle sale del ricevimento, per concludere la faticosa giornata con una lauta cena. Gli accordi erano stati tutti limati. Tutti tranne uno.
Arthur era ancora seduto al suo posto, le torce si erano spente, così come i camini. Ma non sentiva freddo. 
 
Dove sei, Merlin?
Arriva da te, mio Signore.
 
L’eco della magia preannunciò i passi leggeri di Merlin. Arthur lo sentì giungere alle sue spalle, ne percepì il tocco mentre gli sistemava il mantello.

“Arthur, andiamo. Hai bisogno di mangiare, di riposare”,

fece con dolcezza.

“Aspetta. Aspetta un attimo”.
“Vuoi che accenda il fuoco?”,


chiese lo stregone, e le sue iridi balenarono d’oro.

“No. Non ti preoccupare”.


Artur si alzò e si voltò per guardarlo. Si fissarono in silenzio, anche senza la luce potevano vedersi, potevano scrutare le loro anime. Il Re deglutì a fatica.

“Ho parlato con Artax”.
“Lo so. Koral me lo ha detto”.
“Certo”,


sibilò Arthur. 
Merlin non aggiunse nulla.
 

“Quindi hai intenzione di sposarla?”,

chiese, in un soffio. 

“Arthur”,

la voce di Merlin era sofferta,

“tu devi fidarti di me”.
“Mi fido di te. Con tutta la mia vita. Come potrei non farlo?”,

il tono del Sovrano era quasi disperato.

“Ma non mi hai risposto”.
“Lascia che mi occupi della ragazza. Ho ascendente su di lei”.
“Cosa hai provato quando ho sposato Gwen?”.


Arthur non sapeva perché stava entrando in quel terreno. Era minato, per entrambi. Ma era più forte di lui. 

“Arthur, perché dobbiamo…”.
“Rispondimi e basta, Merlin”.
“Io ho sempre solo voluto che tu fossi felice”,


mormorò lo stregone, roco, appena udibile.

“Ho sempre saputo che non sarai mai del tutto mio”.
 

La cruda sincerità dell’affermazione, così esposta, fece sobbalzare Arthur. Per quanto si sforzassero e per quanto giurassero l’uno all’altro di non separarsi mai, c’era sempre qualcosa che glielo impediva. 
Capiva perfettamente, in quel momento, le paure di Merlin da quando erano rientrati da Avalon. 
 
Un senso di dolore profondo lo pervase. Loro si appartenevano. Erano due pezzi di un solo intero. Eppure quell’unità cui anelavano era, a turno, fonte di sofferenza, anche per loro stessi. 
 
Fece un passo verso lo stregone. Erano così vicini che poteva sentire il suo respiro, caldo, sul viso. 
Alzò una mano per sfiorargli dolcemente una guancia, e vide Merlin chiudere gli occhi al suo tocco.

“Anche io voglio che tu sia felice, Merlin”,


sussurrò il Re, con la voce che gli tremava.

“Decidi ciò che ti rende felice, perché nessuno lo merita più di te”.

Merlin aprì gli occhi. Anche al buio, riuscì a distinguere le lacrime in quelli di Arthur. Desiderava solo stringerlo.
Ma prima di riuscire a farlo, Arthur si era già voltato per allontanarsi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** My complicated feelings - Three ***


Merlin era così vicino a Camelot ormai che poteva quasi sentire i rumori, gli odori provenienti dalla Città Bassa.
 
La sua magia vorticò, felice di sentire di nuovo l’aria familiare, impaziente di tornare ad accarezzare il suo Re. 
 
Erano stati giorni lunghi, difficili, presso il clan di Artax. 
 
La ragazza lo aveva guardato con i grandi occhi verdi spalancati, velati di delusione, eppure ancora fieri.
 
“Mi dispiace tanto, Koral. Tu meriti davvero qualcuno che ti ami. Sei giovane, bellissima, saggia ed io sarei onorato di diventare tuo marito, davvero, ma…  La mia anima, la mia mente, il mio cuore appartengono a un’altra persona. Non posso tacerti questo, né vorrei che tu sposassi un uomo che ti mette al secondo posto”.
“La persona è Re Arthur, vero?”, chiese lei, schietta.
Merlin annuì. 
“Lui è sposato, però”, replicò, candida. 
 
“Purtroppo questo non cambia le cose per me, Koral. Arthur è e sarà sempre la mia priorità. È un legame che va oltre ogni cosa, come la mia magia. Tu puoi capirlo”. 
La giovane donna fece un sorriso triste. “Parlerò con mio padre. Non posso dirti altro. Di solito mi ascolta, ma non sarà facile fargli cambiare idea”.
Merlin le diede un tenero bacio sulla guancia. “Grazie”, sussurrò. 
Sapeva di aver fatto l’unica cosa giusta da fare, e anche quella più sbagliata. 
Aveva bisogno di tornare a Camelot.
 
Lasciò il cavallo alle cure degli stallieri mentre la magia si agitava. La sentiva sulla punta delle dita, palpitante, cercando di localizzare Arthur e di sondare il suo stato d’animo. 
Il ricordo del loro ultimo dialogo lo tormentava. Non si erano salutati la mattina della sua partenza e il mago si era trattenuto dal sondare a distanza gli umori del Re, sapendo che inevitabilmente lo avrebbero condizionato. 
 
Fidandosi del suo potere, giunse rapido ai giardini che custodivano le tombe di Ygraine e di Uther, certo di trovare Arthur in visita ai propri genitori scomparsi. Nella luce malinconica dell’imbrunire, intravide la sagoma del suo adorato Sovrano.
 
Lui si voltò, percependo la sua presenza. Rimasero a distanza, naufragando l’uno nello sguardo dell’altro, perdendosi, senza parlare. 
 
Era pallido, Arthur. Gli apparve così fragile, come quella volta quasi undici anni prima, quando stava per  sfidare Valiant. Merlin ricordò la sensazione di tenerezza assoluta provata nel vedere quel ragazzo di vent’anni andare incontro al suo destino di morte senza battere ciglio, uno splendido esemplare di coraggio e sacrificio. 
 
Aveva deciso allora, forse, di proteggerlo e di amarlo per sempre. O forse lo aveva deciso ancora prima di nascere. 
 

“A volte mi chiedo”,

esordì, con voce tremante di emozione malcelata,

“se mi conosci fino in fondo”.

 
Il Re si accigliò, con aria interrogativa.
 

“Mi hai detto di scegliere quello che mi rende felice”,

continuò il mago.

“Come puoi non saperlo già? Come puoi non sapere che solo qui, al tuo fianco, posso esserlo?”
 

Voglio stare con te.

 Non mi importa se mi costa sofferenza o fatica, non mi importa di rinunciare a una famiglia, perché tu sei la mia famiglia.  Pensi davvero che potrei scegliere un’altra persona, sapendo di appartenere a te?”. 
 
Arthur lo guardava quasi abbacinato, senza muoversi. Sembrava congelato. La magia intanto scalpitava: Merlin sentiva il laccio del loro legame tendersi per azzerare la distanza tra loro, così forte che gli provocava dolore. Deglutì più volte, per stabilizzarsi.
 
Come aveva fatto a ignorare quel dolore per dieci anni, tutte le volte che avrebbe voluto toccarlo e non aveva potuto?
 
“Camelot è casa mia, Arthur.  Tu sei casa mia. E capisco quanto sia difficile per te gestire tutto, il regno, il tuo matrimonio e questo... “Noi”.  Lo capisco perfettamente, perché tu sei…”.
 
Merlin incespicò nel groviglio dei sentimenti complicati, feroci per quell’uomo meraviglioso davanti a sé. 
Avrebbe voluto trovare le parole giuste per esprimersi, senza però varcare quella soglia precaria, proibita, sulla quale lui e il Re si trovavano da sempre, dal primo giorno in cui si erano incontrati. 
 
Ma non ne ebbe modo: le braccia forti, calde, sicure di Arthur erano già intorno a lui in un abbraccio convulso, come se da quell’abbraccio dipendesse la sua stessa vita e Merlin non poté fare a meno di stingerlo allo stesso modo, anima, corpo e magia che cantavano per aver finalmente ritrovato la loro metà. 
 
Avrebbe voluto fermare il tempo.
 
Rimasero stretti per un istante interminabile, in cui riusciva solo a percepire il suo profumo, che tanto amava, e il tocco tenero di Arthur tra i suoi capelli.

Poi, finalmente, il Sovrano ruppe il silenzio:

“Cosa accadrà, se Artax non dovesse accettare la tua decisione?”

Merlin alzò la testa per guardarlo negli occhi.

“Non angustiarti ora. Diamogli del tempo. Diamoci tempo, Arthur”,

sussurrò, mentre il Re gli prendeva dolcemente il viso tra le mani, guardandolo come se lo vedesse per la prima volta. 
 

“Vorrei fare per te”,

disse, in un soffio,

“almeno la metà di quello che tu fai per me”.

“Lo fai, Arthur”,

ribatté Merlin.

“Lo fai ogni giorno”.

 
Arthur lo attirò di nuovo tra le sue braccia, e Merlin vi si abbandonò come nel suo rifugio preferito. 
 
Era buio, ormai, ma a nessuno dei due sembrava importare. Lì, in mezzo a quel giardino, lontano da titoli, pressioni e preoccupazioni, erano solo due anime predestinate dalla notte dei tempi. Domani avrebbero affrontato tutto quello che dovevano: ma solo domani. Non ora.
 

“Resta a casa allora. Resta con me”,

mormorò Arthur.

“Sempre. Sempre e per sempre”.

 
 

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Capitolo 10
*** With me, always and forever - One ***


Arthur restò un attimo in silenzio, dopo che sua moglie ebbe terminato di leggere la lettera che portava il sigillo del clan di Artax, poi si voltò verso di lei, pronunciando un secco:
“Così sia”.
 

“Sarai soddisfatto, ora”,

sibilò la Regina.

“Soddisfatto?”

“Andiamo Arthur. Pensavi davvero che la ragazza non si sarebbe legata al dito il rifiuto di Merlin? Artax non è un uomo che incassa facilmente un no, soprattutto se riguarda Koral”. 
 
“Affronteremo la cosa, Gwen. Abbiamo comunque la maggior parte dei clan dalla nostra parte e, cosa più importante, abbiamo con noi il druido più potente di tutti”,
puntualizzò il Re.

“Ma certo”.
“Dubiti forse dei poteri di Merlin?”
“Arthur, non cambiare discorso. Sai benissimo che ti bastava imporgli di accettare quella benedetta proposta”.
“Imporgli? Ti ricordo che Merlin non è più il mio servitore, e non lo avrei fatto comunque, nemmeno se lo fosse stato ancora”.

“Oh, non lo avrei mai detto”,

gli fece eco la donna, sarcastica. 

"Ti faresti tagliare un braccio, pur di non separarti da lui”.

 
Arthur la fissò, l’espressione neutra, distaccata. Era così allenato a quel tipo di discussioni con sua moglie, che oramai non doveva più nemmeno pesare le frasi:

 “Hai ragione. Non voglio e non posso separarmi da lui. Mi sembrava chiaro, del resto, visto che non parliamo d’altro”.
 

Gwen ebbe un moto di stizza:

“Evidentemente non lo è abbastanza. Non è chiaro come possiate agire sconsideratamente, mettendo in pericolo il regno”.

Arthur sgranò gli occhi di fronte all’impudenza della sovrana:

“Fingerò di non aver sentito”,

sibilò.

“Fidati, mi hai sentita”,

sfidò lei. 

“Fermati ora, Gwen. Fermati, ti prego”,

fece Arthur, e la sua voce si abbassò di un tono.
La Regina non lo ascoltò:

“Un ragazzino capriccioso si sarebbe comportato con più senno…”.

“Ho detto basta!”, 

tuonò l’uomo.

“Ti ricordi di chi stai parlando vero? Se non fosse per lui, sarei morto! Sarei morto mille volte! Ha fatto tutto per Camelot, per me!”.

“Quindi adesso la tua sarebbe semplice gratitudine?”,

chiese Gwen con rinnovato sarcarmo.
“No. Non è gratitudine, e mi spiace davvero che tu non capisca, ma sono stanco di provare a spiegare. Il legame che ci unisce è unico, imprescindibile. Deciso dal Fato. Non c’è nulla che lo equivalga e nulla, assolutamente nulla, per cui vi rinuncerei. Non vi rinuncerò”,
concluse il Re, guardandola negli occhi e accorgendosi di aver detto più di quanto voleva. 
 
Era scivolato dalla sua bocca così, sgorgando direttamente da suo cuore, per una volta senza essere filtrato dalla mente. 
Gwen rimase immobile, con gli occhi spalancati. Arthur continuava a sentire le sue parole, l’eco gli ronzava nelle orecchie, ne avvertiva il peso nella stanza, su sua moglie. 
Non disse nulla.
Con un ultimo, glaciale sguardo, la Regina si voltò e si allontanò dalla camera.
 
Arthur sentì il bisogno di appoggiarsi alla scrivania, chiudendo gli occhi e cercando di stabilizzarsi. Non aveva visto Merlin entrare, ma la carezza allarmata della magia lo avvertì comunque.
 
Mio Signore.
 
Aprì gli occhi e agganciò quelli grandi, color oceano, di Merlin.

“Arthur, che succede? Ho incontrato Gwen nei corridoi e…”,

la voce di Merlin era turbata.
Il Re gli passò la lettera:

“Leggi”.

 
Merlin scorse rapidamente la pergamena, mentre un’espressione di rammarico si dipingeva sul suo viso. Sospirò, prima di sussurrare:

“Avrei dovuto immaginarlo. Ho sottovalutato l’orgoglio ferito di Koral, a quanto pare. Avrei dovuto parlare io direttamente con Artax. Avrei…”,

stava proseguendo, ma Arthur lo interruppe:
 

“Merlin. Non ti permetterò di prenderti tutte le responsabilità. Siamo insieme in questa cosa, ricordi?”.

 
Merlin scosse la testa:
“No Arthur, non capisci. Questo potrebbe dividere i clan e portare a una battaglia, magari armata. Era proprio quello che volevo evitare, che dovevamo evitare”,

concluse con tono disperato. La paura serpeggiava già nella sua voce, quella stessa paura che da un anno cercava di mettere a tacere ogni volta che i ricordi di Camlann riaffioravano.
Il sovrano lo prese per le spalle e lo fece voltare verso di sé.

“Combatteremo, se ce ne sarà bisogno. Non ho dimenticato come si fa, sai”,

cercò di stemperare la tensione.

“E ho te al mio fianco. Ho visto quanto sei potente. Non sono spaventato”,

concluse.
 
Io sono terrorizzato, invece. Non posso perderti ora. Merlin respirò profondamente per scacciare l’angoscia.
 

“Non dovevo decidere in base a ciò che voglio io. È sbagliato. Il destino trova sempre la sua strada. Non dovevo farmi condizionare… dai miei sentimenti”,


fece, in un soffio.

“Dovevo agire con maggiore cautela”,

terminò, abbassando la testa.
 
Il Re gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarlo:

“Un saggio giovane, anni fa, mi disse che un Sovrano infelice rende il suo regno debole”.
“Io non sono il Re”.
“No ma…Mi sembra di ricordare che il Re non abbia dato la benedizione al matrimonio, perché non ne era felice”.
 

Merlin si perse nel tocco caldo, tenero di Arthur. Per un attimo chiuse gli occhi, desideroso solo di sentirlo, muovendo un altro passo verso di lui. L’aria era densa intorno a loro. Poteva ascoltare, nel silenzio, il battito veloce del suo stesso cuore.
 
“Mi dispiace per quello che ho detto quel giorno, quando sono tornato dalla dimora di Artax. E anche per quello che ho detto sul giorno delle tue nozze. Non…”,

deglutì, lo sguardo di Arthur profondo che scavava nella sua anima.
“Ci sono cose che è meglio tacere”,
sussurrò, appena udibile. 
 
Il Re continuava a guardarlo come abbagliato, senza lasciare il suo viso.

“Oh, lo so bene”,

ribatté, anche lui così piano che fu appena un fruscìo.
 
Ci sono tante cose da dirti, così tante, che ho sempre rimandato.
 Che non riuscirò mai a ripagare i tuoi sacrifici per me. 
Che non ne sono degno.
 Che sei così potente, glorioso e io sono solo un Re e non capisco come tu possa amarmi così totalmente, incondizionatamente come fai. Come fai, Merlin?
 
La mente di Arthur rincorreva le parole mai dette. Il solito  nodo piantato in gola gli impediva di tirarle fuori. Scalpitavano per uscire, dopo anni di repressione. 
Diglielo. Diglielo.
 
Fu la voce di Merlin a scuoterlo dai suoi pensieri.

“C’è una cosa che devo fare. Un posto in cui devo tornare”, 

fece lo stregone, rompendo così la bolla in cui si erano rifugiati.  La perdita del calore del tocco di Arthur gli provocò una lieve fitta di dolore. 
 

“Certo. Ti accompagno”,

rispose il Sovrano.
 
Merlin sorrise, dolce e lieve.

“Non puoi. Devo andare da solo. È un posto magico. Vorrei davvero che tu venissi con me, ma sarebbe troppo, per te”. 

Un lampo di delusione attraversò il bel viso del Sovrano, che tuttavia annuì:

“Va bene. Sai che mi fido di te”.
“Però posso mostrartelo”,

aggiunse Merlin, sempre con lo stesso sorriso. 
Protese le mani e i suoi occhi si illuminarono d’oro, scintillanti, travolgenti.
 
Arthur sussultò. Davanti a lui, sfavillante, l’immagine di una miriade di cristalli, bianchi e puri come diamanti, che emanavano una luce così forte che per un attimo dovette distogliere lo sguardo, quasi acceccato. Era sopraffatto da tanta maestà.
 
Con un gesto di Merlin, la visione sparì.

“Meraviglioso”,

mormorò, emozionato, Arthur.

“Si chiama Caverna di Cristallo. É la fonte più potente di magia. È da lì che ti ho parlato la notte di Camlann. Quando… Che c’è?”,

si interruppe, notando il modo in cui Arthur lo guardava.
 

“I tuoi occhi. Sono ancora d’oro puro”.
“Non è la prima volta, Arthur”.
“Mi affascinano sempre. Come la prima volta”,

ammise, a voce roca.
Merlin distolse lo sguardo, arrossendo appena. 
 

“Vai, allora. Ma fai in fretta. Perché al tuo ritorno, sono io che devo portarti in un posto”,

disse Arthur, schiarendosi la voce e riacquistando compostezza.
 
Merlin lo fissò intensamente per un momento, quasi a voler memorizzare la sua immagine. 

“Come ordinate, mio Signore”,

e rapido si avviò, per raggiungere  l’uscita del castello.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** With me, always and forever - Two ***


“Stai scherzando. Avalon?”,

fece Merlin, l’incredulità sul suo viso.

“Hai mantenuto tutto questo mistero fino ad oggi per Avalon?”. 

Lui ed Arthur erano già a cavallo, in marcia, quando il Re gli aveva rivelato la destinazione del loro viaggio. 

“Fai lo schizzinoso? Mi ricordavo ti fosse piaciuto stare lì”.

“Beh, se escludi il fatto che i primi giorni ho vissuto con il terrore che la magia non ti tenesse in vita e che poi ho dovuto lavorare per tre per tutto il tempo… Sì, mi è piaciuto, in effetti”,
sbuffò Merlin. 

“Ehi!”,

esclamò indignato Arthur, guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa da lanciargli, che ovviamente non trovò.

“Appena sono stato meglio ti ho sempre detto che volevo aiutare. Ma siccome sei un assoluto testardo…”

fece, alzando le spalle, un espressione innocente sul viso.
 
Merlin sorrise. In realtà, conservava gelosamente i ricordi del tempo trascorso all’isola. Era stato l’unico tempo in cui aveva veramente avuto Arthur tutto per sé, il tempo delle confessioni, delle lacrime, del vero perdono. 
Il tempo in cui aveva sentito, finalmente, quanto lui ed Arthur fossero un unico essere.
 
 
 
“Cosa sei venuto a fare alla Caverna di Cristallo, Emrys?”
La voce della Dea era indagatrice.
“Devo sapere. Devo conoscere qual è il futuro di Arthur. Perché se anche stavolta fosse in pericolo …”.
“Sai che non puoi sovvertire il Fato, Emrys”.
“Io posso. Ho piegato la morte anni fa, ed ero giovane. Ora sono più potente”, disse,alzando gli occhi,  sicuro di sè. “Voglio che Arthur resti vivo”.
 
 
 

“Sei silenzioso. Troppo silenzioso”,

osservò il Sovrano, con un malcelato tono di preoccupazione nella voce, interrompendo i suoi pensieri.

“Sto bene, Arthur”,

lo assicurò lo stregone, ed era vero. Solo, avrebbe voluto  parlare con Arthur di quello di cui era venuto a conoscenza. Detestava non poterlo fare.

“So che stai pensando al tuo viaggio. E anche lei, mi gira intorno come se volesse dirmi qualcosa”,

fece Arthur, spiazzandolo e acuendo il suo senso di colpa. La sua magia era sempre più diretta con il Re. Del resto, lo considerava suo.

“Mi spiace”.
“Non devi. Ognuno di noi ha una parte che l’altro non può avere, no?”,

sussurrò, con una lieve punta di amarezza. 
No, Arthur. Io sono tuo. Tutto di me è completamente tuo, pensò Merlin, ma tacque.
 
 
 
“E cosa farai per tenerlo in vita?”
“Qualunque cosa. Chidetemi qualunque cosa, e io la farò”.
“Oh, Emrys, tu quasi un Dio, prostrato ai piedi di un Mortale”, sentenziò la Dea.
“Arthur è tutto per me. Voglio proteggerlo, amarlo. Voglio costruire Albion con lui”, fece lo stregone. “Come mi è stato detto. Mantenete il nostro destino”.
 
 
 
 

“Sei sicuro che possiamo lasciare i cavalli?”

chiese Arthur.

“La mia magia li terrà al sicuro. Non si allontaneranno, e troveranno facilmente da mangiare. Andiamo. La barca è pronta”.

 
Misero piede sull’isola che era quasi sera. Non parlarono molto. Entrambi navigavano nel tempo trascorso, entrambi rivivevano angosce, sollievo, felicità. Arthur sistemò i giacigli per la notte, mentre Merlin si occupava del fuoco e del cibo. La magia di Merlin, cresciuta ancora negli ultimi perdiodi, sgorgava dai suoi occhi senza più incantesimi. 
 
Arthur non poteva fare a meno di catturare con lo sguardo tutte le volte che gli occhi di Merlin si coloravano d’oro liquido. Li adorava. Lo facevano sentire come il privilegiato spettatore di una meraviglia. 
 

“Allora”,

ruppe il silenzio lo stregone, mentre mangiavano accanto al fuoco.

“Me lo dici perché siamo qui?”.

 

“Sai che è trascorso un anno dalla prima volta in cui siamo arrivati? Cioè, da quando tu mi ci hai portato. Io non ero cosciente”,

precisò il Re.
Merlin annuì. Un brivido lo percorse.  Non voleva ricordare. 

“Ti ho chiesto di venire qui”,

iniziò Arthur,

“Perché è il nostro posto, e devo fare una cosa prima. Intendo, prima di combattere, se combatteremo. Semmai io …”.  
 

“Non morirai”,

tagliò corto Merlin.
Arthur si voltò puntando i suoi occhi in quelli dell’altro. Blu nel blu, mare e oceano. Stessa acqua, stessa anima profonda.
 

“Come…”.
“Lo so e basta”.
“La Caverna”,

sussurrò Arthur.
Merlin non rispose. Restò immobile, senza distogliere lo sguardo. Implorandolo di tacere, ma senza smentire. Il suo respiro appena percettibile. 

“E comunque… C’è una cosa… Che devo darti”,

disse il Re, tornando alla domanda di Merlin.
Poi si chinò, rovistando nella sua sacca e tirando fuori un piccolo sacchetto di pelle verde smeraldo, dal quale estrasse un qualcosa di simile a una  grossa moneta. 
Arthur l’ accarezzò con il pollice, delicatamente, come fosse una persona cara. Recava un’incisione, osservò meglio Merlin. Un uccello, forse una colomba. Trasalì.
L’aveva vista molte volte quell’ immagine, raffigurata sulla fascia neonatale che era stata di Arthur. 
 
Lo stemma dei De Bois. 
 

“Questo sigillo”,

esordì Arthur, la voce che tremava appena,

“apparteneva a mia madre. È il solo oggetto che ho di lei, oltre all’anello che indosso.  Voglio…Voglio che tu lo prenda. Che sia tuo”. 
 

Merlin sgranò gli occhi, il cuore gli rombava nel petto. Deglutì a fatica alla ricerca di parole.
 

“Arthur io… Non posso. Questo è… Non è a me che devi darlo”,

balbettò. Ma Arthur glielo porse, prendendogli una mano. 
 

“Taci. Non mi interrompere. Non mi interrompere, o tutto il coraggio che ho cercato, svanirà”,

mormorò Arthur. La sua mano era gelida  intorno alla propria, si accorse Merlin. Lui, che invece era sempre caldo come la più calda delle estati,   pensò, mentre continuava a guardarlo con gli occhi spalancati, il respiro frenetico. Come un Sole.
 

“Voglio che tu sappia”,

Arthur incespicava con le parole, per tirale fuori dopo tempo, dopo così tanto tempo,

“che non mi importa se c’è una parte di te che non posso avere. Sei la persona che conta di più nella mia vita. Quella che…Che amo sopra ogni altra. Sopra ogni altra”.

 Arthur aveva un’ espressione così vulnerabile mentre pronunciava la parola “amo” che a Merlin sembrò che il suo cuore si sarebbe fermato da un momento all’altro. Chiuse la mano intorno a quella del Re, il sigillo stretto nel mezzo, mentre inevitabilmente le lacrime cominciavano a inumidirgli gli occhi.
 

“Tutti i tuoi sacrifici. Quello che hai fatto e fai per me… Il modo in cui mi ami… Io non ne sono degno. Sono solo un uomo, tu una straordinaria creatura immortale. Ma ringrazio gli Dei, il Fato, chiunque mi abbia legato a te”. 

 
Merlin stava piangendo ora. Con un gesto tenero, Arthur gli asciugò le guance con la mano libera, poi lo attirò a sé in un abbraccio quasi feroce. Lui vi si abbandonò, incapace di fermare il pianto liberatorio, una piccola cosa fragile tra le sue braccia, a dispetto di ogni suo potere, il viso nascosto tra il collo e i capelli del Sovrano, umidi per sue lacrime. 
 

“Non piangere”,

gli disse con dolcezza, ma anche la sua voce era incrinata ora.
 
Lo stregone si calmò. Le sue labbra sfioravano il collo del Re. Inalò il suo calore, il suo profumo mentre, incerto, gli lasciava un timido, veloce bacio che lo scosse, facendolo tremare. Merlin lo avvertì.
 

“Arthur…”.
“Sssst. Non dire nulla”,

lo zittì, roco, stringendolo più forte.
 
Rimasero in silenzio, come Arthur aveva chiesto. Le mani unite stringevano ancora lo stemma. 
 

“Non dire più che non sei degno”, 

fece Merlin dopo un po’.

“Perché lo sei. Sei degno e io rifarei tutto quello che ho fatto. Tutto. Sono tuo. Completamente, Arthur”. 
 

E anche tu lo sei. Lo sarai.
 
 
 
“Non morirà oggi, né nella battaglia futura. Morirà quando sarà la sua ora, quando Albion sarà compiuta. Ma il germe della magia, con cui è stato curato, lo riporterà in vita. Arthur è il Re di una volta e del Futuro. Tornerà e sarai la prima persona che cercherà, perché siete un Intero. Non potete essere divisi”, disse la Dea.
“Soffrirai la sua mancanza, per molto tempo”.
“Ma tornerà”.
“Sì, Emrys. È tuo, ti appartiene. Tornerà”.
“E allora soffrirò. Non mi importa”.
 
 
 

“Solo per me, mi hai detto un anno fa”,

mormorò Arthur.

“Solo per te”.
“Allora starai con me sempre”.
“Sempre. Sempre e per sempre”. 

 
 

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