Il testamento

di fennec
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Per Dustin ***
Capitolo 2: *** Per Robin ***
Capitolo 3: *** Per Max ***
Capitolo 4: *** Per Will ***
Capitolo 5: *** Per Undi ***
Capitolo 6: *** Per Lucas ***



Capitolo 1
*** Per Dustin ***


Per Dustin
 







A Dustin Henderson lascio la mia adorata Beemer, la macchina che ci ha accompagnato nelle nostre avventure.
Quella che ha usato per imparare a guidare (e diciamo che aver avuto me come istruttore è stato l’unico motivo per cui gli ho permesso di toccare la mia piccola).
L’auto su cui mi ha invitato a salire dopo essersi assicurato che potessi ancora brandire una mazza da baseball dentata, l’arma fedele per eccellenza… quando io, invece, avrei desiderato farci salire Nancy dopo averle chiesto e (magari ottenuto) perdono con un mazzo di rose. L’auto in cui Dustin mi ha domandato se provassi ancora qualcosa per lei, la prima vera ragazza della mia vita ed io, cercando forse solo di mentire a me stesso, gli ho risposto che Nancy era ormai diventata soltanto “un’amica”.
La mia amata BMW 733i color borgogna, una delle berline migliori mai prodotte… e quel genio-troglodita-nerd di Henderson ha osato pulirsi le scarpe sui tappetini che, con tanta cura e per quanto possibile, tenevo sempre puliti.
Nonostante questo, anzi forse proprio per questo, lascio a Dustin Henderson la mia preziosa automobile, una delle poche cose che mi ha permesso di sentirmi libero durante l’adolescenza. Perché scarrozzare lo stronzetto e i suoi (i miei) amici su quella BMW mi faceva sentire ancora più libero e felice. Perché così come è solo una la macchina che io, Steve Harrington, porterò sempre nel cuore… così è soltanto uno, unico, il ragazzino riccio e goffo, un po’ bruttino, sicuramente fastidioso ma terribilmente geniale e buono che farà aprire la mia bocca in un inaspettato sorriso e alzare gli occhi al cielo ogni qualvolta avrà una delle sue maledettissime e benedettissime trovate.
Perché con quella macchina ho portato Dustin al Ballo di Inverno delle medie e per la prima volta ho provato la gioia di avere una famiglia: avevo finalmente il fratello da sempre desiderato. Perché con quell’auto mi sono fiondato all’ospedale non appena saputo dell’incidente e, siccome non potevo vedere Henderson a meno che non fossi stato un suo parente, ho detto che ero suo fratello. Robin mi ha guardato con stupore, ma è rimasta zitta e, oltre al fatto che l’ospedale era ad Indianapolis, l’avevo detto con così tanta naturalezza e preoccupazione per le condizioni del mio amico, che l’infermiera del pronto soccorso mi ha creduto all’istante. Del resto non ho detto una bugia: Dustin è in tutto e per tutto mio fratello, non quello che avrei tanto voluto avere dai miei genitori (e che loro non si sarebbero mai sognati di darmi, nonostante le suppliche), ma quello che io mi sono scelto.
 
Così avrebbe scritto Steve Harrington nel suo testamento, se ne avesse avuto il tempo.
Ma il tempo, si sa, non aspetta i comodi di nessuno… e fu così che, qualche giorno dopo la sua morte, ritrovarono sul cruscotto della Beemer un biglietto che, con la calligrafia frettolosa e un po’ infantile di Steve, recitava così:
 
Per DUSTIN
Stronzetto, usala con la cura e il rispetto che merita, ha scarrozzato fedelmente il tuo culo in tutte le nostre epiche (e meno epiche) avventure!
Steve
ps: So che mi renderai fiero, ti ho insegnato bene a guidarla, ma tu sei stato il migliore allievo che potessi mai avere. Ti voglio bene, fratello!
 
Per quanto all’inizio Dustin non poteva nemmeno vedere quell’auto senza stare terribilmente male, figuriamoci salirci sopra o addirittura guidarla, tanto che aveva persino pensato di darle fuoco o, nel migliore dei casi, venderla per beneficienza… con il passare del tempo, tanto tempo, il ragazzo fece un buon uso di quella macchina, un ottimo uso in effetti.
Con la Beemer portò Suzie a ballare, al cinema, insomma… per le loro uscite romantiche, per poi sfoggiarla, fiammante come se fosse nuova, il giorno del loro matrimonio. Poiché gli anni iniziavano a farsi sentire anche per quella meravigliosa BMW, fece qualche leggera modifica (che Steve, era sicuro, avrebbe apprezzato) in modo da poterla usare come macchina ufficiale degli Henderson-Bingham fino a quando il motore l’avrebbe concesso e magari anche dopo. Chissà… forse un giorno avrebbe potuto servirsene per insegnare a guidare ai suoi figli…
Al momento, comunque, Dustin non aveva dubbi. Suzie diede alla luce il loro primogenito e questi, più che piangere, cacciò un grido a pieni polmoni, forte come un leone, e aprì gli occhi scuri, che guardavano attorno attenti e curiosi, sotto una massa inaspettatamente abbondante di capelli castani non ricci, ma elegantemente mossi. Era stato già deciso da tanto tempo prima, ma il neopapà si commosse comunque, perché suo fratello, ovunque si trovasse, gli aveva fatto ancora un enorme regalo.
- Ciao, Steve… - sussurrò al piccolo, con le lacrime agli occhi - Sono tuo papà –
 
 
 
 
 
 
 



Angolo dell’autrice
Salve, fan del Sottosopra, grazie per il tempo che mi avete dedicato, questa è la mia prima fanfiction di Stranger Things e spero che la lettura non vi sia dispiaciuta.
Questo racconto è un po’ una sorpresa, nel senso che inizialmente doveva essere una one-shot… Poi, ho cominciato a scriverla di getto (cosa abbastanza rara per me) e mi sono accorta che una struttura a capitoli mi avrebbe concesso di concentrarmi di più sui vari personaggi e tediare voi di meno, oltre a permettermi di conoscere prima (almeno spero) le vostre reazioni.
Che altro aggiungere? Non amo tantissimo le serie tv, preferisco i film e i libri, ma Stranger Things mi ha conquistato, forse perché all’horror (per cui non impazzisco) unisce un po’ di fantasy e di giallo (i miei generi preferiti). Inutile dire (ma lo dico comunque) che Steve è il mio personaggio preferito, perché da perfetto “quasi” stronzo qual era intraprende una trasformazione coi fiocchi fino a diventare quell’eroe coraggioso ma imperfetto che ha conquistato un po’ il cuore di tutti… Anche se nella mia storia, per fini chiaramente attinenti alla trama, muore, spero non muoia nell’ultima stagione!
E ora bando alle ciance e ciancio alle bande, altrimenti questa nota diventa più lunga del capitolo (sob!).
Sarà mio grande piacere sapere (nel male e nel bene) che ne pensate.
Per il momento… grazie ancora!
Alla prossima,
fennec

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Capitolo 2
*** Per Robin ***


Per Robin





 
 
Non avrei mai pensato di dover ringraziare mio padre per avermi costretto a lavorare per Scoops Ahoy.
L’estate dell’85 avrebbe potuto essere la peggiore della mia vita: senza ragazza, rifiutato da qualsiasi college e nessuna prospettiva all’orizzonte se non quella di indossare una stupida divisa da marinaretto per qualche spicciolo di dollaro all’ora. Pur essendo dotato di un innato ottimismo, erano solo due le parole che meglio potevano esprimere il mio stato d’animo una volta finite le superiori: depressione completa.
Tutto ciò era, se possibile, peggiorato dal fatto di dover servire gelato ai miei ex-compagni di scuola mentre mi descrivevano entusiasti il college che avrebbero frequentato, una volta finite le vacanze.
Sì, l’estate dell’85 avrebbe potuto essere davvero la peggiore della mia vita, se non avessi conosciuto Robin Buckley.
Ad essere sinceri, all’inizio non è che le cose tra noi andassero proprio meravigliosamente. Provate a mettere insieme dietro un bancone un popolare ex-atleta, re della birra e una nerd, appassionata di lingue straniere, che suona il corno francese nella banda della scuola… le possibilità di abbinamento vincente sono praticamente nulle.
Fu il ritorno di Dustin dal camp estivo a cambiare tutto. E i russi. E il Sottosopra. E le infinite ore di reclusione in un bunker sotterraneo. E una improbabile quanto sincera conversazione nei bagni dello Starcourt.
Non saprei bene dire quando io e Robin avessimo iniziato ad essere inscindibilmente legati da un amore platonico con la P maiuscola. So solo che, dopo quell’estate, era naturale ritrovarla davanti alla porta di casa mia con in mano un sacchetto di popcorn e una videocassetta da cineforum o essere svegliato, nel pieno della notte, dallo squillo del telefono perché gli incubi non le davano pace.
Così com’è naturale ora essere qui, steso con lei sull’erba del cortile di casa sua, ad osservare il cielo stellato, dopo la cerimonia dei diplomi.
Presto Robin andrà a studiare lingue straniere al North Central College, in Illinois, mentre io continuerò a lavorare al Family Video… anche se non so se riuscirò a sopportare Keith senza le sue battute.
- Naperville non è così lontana, promettimi che verrai a trovarmi -
- Scherzi? Sarà lo stesso Keith a pregarmi di raggiungerti dopo che per l’ennesima volta avrò consigliato di andare a vedere uno spettacolo di magia ai clienti che mi chiedono David Copperfield! -
Robin scoppia a ridere, scuotendo la testa.
- Comunque lo prometto. E tu prometti che continuerai a chiamarmi a qualsiasi ora del giorno e della notte, se ne avrai bisogno? Anche solo per raccontarmi quanto sia sexy la tua prof di francese o per lamentarti di quanto puzza di mostarda e cipolla la tua coinquilina? -
- Ehi, Sam non puzza di mostarda e cipolla! -
La guardo scettico, alzando il sopracciglio.
- Però lo prometto. E tu promettimi che ti iscriverai a quel corso per diventare educatore. Ci devi almeno provare, Dingus! È la tua strada, me lo sento! -
Stavolta la guardo con un sorriso forzato.
- Farò del mio meglio - cerco di mediare.
- No, me lo devi promettere! -
- Te lo prometto se tu mi prometti che lo dirai a Vickie. -
Silenzio. Robin si guarda le unghie smangiucchiate, come se all’improvviso fossero terribilmente interessanti.
- Non posso essere l’unico a saperlo, Rob. Vickie è quella giusta e, anche nel caso in cui non lo fosse, capirà. L’ho capito io, che sono uno scemo. -
- No, tu sei il mio Scemo, è diverso -
- Ascolta, io voglio solo che tu sia felice. Hai decifrato un codice russo, mi hai salvato dai Demopipistrelli, hai affrontato Vecna… saprai confessarti alla ragazza che ami! -
Finalmente mi guarda negli occhi e sospira.
- Ci proverò -
- No, tu devi prometterlo! In cambio mi iscriverò a quel corso, anche se so già che sono senza speranza… Allora, me lo prometti? - allungo la mano destra, il mignolo alzato, in attesa di congiungersi con il suo. Lei stringe le labbra e corruga leggermente le sopracciglia, sa che dopo quella decisione non potrà più tornare indietro. Poi mi stringe il mignolo.
- Te lo prometto -.
 
Purtroppo Steve Harrington non poté mantenere quelle promesse. Il Sottosopra tornò ancora per ribaltare le carte in tavola.
Fu un momento, poco più di una frazione di secondo. Vide Jonathan sfrecciare verso il mostro, poi incrociò lo sguardo di Robin. Le si avvicinò e la strinse forte in un abbraccio.
- Ricordati, Birdie, me l’hai promesso. Ti voglio bene. - la baciò sulla fronte, poi corse fuori dalla stanza. Non ritornò più.
 
Qualche giorno dopo Robin trovò un bigliettino nella tasca posteriore dei suoi jeans. Era scritto con l’inequivocabile calligrafia di Steve.
 
A ROBIN BUCKLEY lascio tutti i risparmi conservati nel mio conto in banca.
Non sono molti, ma almeno è più di quanto ha potuto ottenere svuotando il vaso delle mance dello Scoops Ahoy. Dato che di una somma così misera ha saputo fare un ottimo uso, sono sicuro che saprà far fruttare nel migliore dei modi quello che le lascio.
Spero di aiutarti a fare un bel viaggio in Europa, Robin, e mi raccomando… prendi qualcosa di carino per Vickie!
Ti voglio bene,
Steve
 
Con le lacrime agli occhi, la ragazza pensò che Dingus avrebbe mantenuto le sue promesse se solo avesse avuto il tempo per farlo.
Ora non c’era più, ma questo non voleva dire che l’avesse abbandonata: Steve era presente ogni volta che squillava il telefono, ogni volta che si abbuffava di gelato e popcorn, ogni volta che vedeva Animal House, ogni volta, come quella volta, in cui guardava il cielo stellato, stesa sull’erba del cortile di casa.
- Te lo prometto - disse alla coltre infinita che ammantava Hawkins nel fresco buio della notte.
Domani sarebbe andata ad Indianapolis alla ricerca di qualcosa di molto carino per Vickie.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
È vero, avrei dovuto aggiornare questa storia molto prima… ma meglio tardi che mai!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Per la scena delle promesse mi sono ispirata a un momento del film “American life” di Sam Mendes, uno dei miei preferiti… Se avete l’occasione, guardatelo, merita davvero! Altra precisazione: la battuta di Steve legata a David Coppierfield è dettata dal fatto che confonde il romanzo di Dickens con l'illusinista americano.
Ad ogni modo, se qualcuno di voi avesse voglia di lasciare un commento di qualsiasi tipo, mi farebbe davvero piacere: è la mia prima fanfiction di Stranger Things e ci terrei molto!
Per il momento vi ringrazio per avermi dedicato un pochino del vostro tempo.
A presto,
fennec

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Capitolo 3
*** Per Max ***


Per Max
 


 

Cara Max,
Ti scrivo questa lettera nella speranza che tu non debba mai leggerla. Ma come mi hai insegnato tempo fa, consegnandomi la tua, è sempre meglio avere “un piano B, nel caso in cui le cose dovessero andare male”.
Se però non dovessi essere così fortunato, spero che, almeno per una volta, possa sorriderti la sorte, perché nessuno, ripeto nessuno lo merita più di te.
E, siccome sono sempre stato un inguaribile sognatore, ti immagino sfrecciare su uno skateboard o qualcosa di altrettanto pericoloso (Dio non voglia un’auto!) per mostrare per l’ennesima volta ad Hawkins quanto la rossa venuta dalla California sia dannatamente cazzuta.
Dustin mi odierebbe se sapesse quello che ti sto per rivelare, ma “occhio non duole se cuore non vede” o era il contrario? Comunque, quando ci siamo incontrati per la prima volta alla discarica, senza che mi dicesse una parola, capii subito che eri tu la ragazza misteriosa per cui aveva perso la testa (non dirlo a Suzie!)… Dopotutto, come biasimarlo? Non credo di aver mai conosciuto una ragazza forte come te, capace di provocarti una crisi di nervi (la tua guida spericolata popola ancora i miei incubi peggiori, Zoomer!) quanto di salvarti la vita con una siringa di calmante e una mazza chiodata. Per quanto io detesti ammetterlo, sono in debito con te, piccola rompipalle!
Sappi che io non ho mai aperto la tua lettera perché sono convinto che ce la farai, Max: un giorno ti alzerai da quel maledetto letto di ospedale e, con quel tuo ghigno sprezzante, mi prenderai in giro perché mi sono preoccupato per niente e mi dirai quello che mi avevi scritto, anzi… non ce ne sarà bisogno, basterà un abbraccio per rimettere tutto a posto, un abbraccio frettoloso perché una guerriera non si perde in smancerie del genere.
E finalmente io ti potrò dare quello che è tuo di diritto: la mazza chiodata e la musicassetta con il mio mix preferito, quello con Springsteen, Elvis, i Tears for Fears, i Toto e sì, pure Billy Joel (anche se non lo sopporti!). Ti ricordi di quando mi hai convinto a portarti alla cava invece che a scuola? Le note di “Shout” pompavano nella Beemer e abbiamo cantato a squarciagola per tutto il tragitto. “Shout! Shout! Let it all out! These are the things I can do without. Come on, I'm talking to you, come on!” Ci sentivamo liberi e imprigionati, felici e tristi allo stesso tempo. Forse già allora ti stavi allontanando e io non me ne sono accorto… e per questo ti chiedo perdono.
Ti chiedo perdono per non esserci stato quando tu avevi più bisogno di me, per essermi dimenticato che combattere i mostri non significa non averne paura e io dovrei saperlo meglio di molti altri. Dovrei sapere che un sorriso sprezzante e un’alzata di spalle alla “chissenefrega” nascondono molte più incertezze di quanto si pensi e a volte contribuiscono a costruire un muro dietro cui si cela un’angoscia talmente invadente da togliere il respiro.
Tu, però, hai fatto qualcosa di davvero speciale, Max: mi hai lasciato aprire una breccia nel tuo muro apparentemente impenetrabile, una breccia che, per quanto piccola, mi ha permesso di dare una sbirciata alla vera Max e, quando possibile, allungarle una mano. O forse sei stata tu ad aprire per prima quella breccia quando mi hai aiutato a fortificare il pullmino in discarica: non ci conoscevamo, manco ci siamo rivolti la parola, non sapevo nemmeno il tuo nome, ma tu ti sei rimboccata le maniche e hai iniziato a raccogliere ciò che poteva servire, senza chiedere spiegazioni.
Perciò ti chiedo di aprire ancora una volta quella breccia, Max. Noi siamo qui. Io sono qui e non vedo l’ora di litigare di nuovo con te su quale canzone del Boss sia la migliore, su quale film horror faccia più paura o su quale sia il più stratosferico gusto di gelato. Non vedo l’ora di farti una sentita quanto ipocrita ramanzina su quanto tu sia stata incosciente e sconsideratamente coraggiosa; non vedo l’ora di scarrozzarti in macchina alla sala-giochi fingendomi di malumore… tutto in stile “babysitter più rompipalle del secolo”. Forse, e ripeto, forse in un momento di improbabile congiunzione astrale potrei addirittura farti guidare la Beemer, letteralmente e soltanto per dieci secondi… ma non chiedermi di più: il mio cuore stavolta potrebbe non reggere!
Perciò ti conviene tornare presto, rossa, o potrei cambiare idea!
Spero che ovunque tu sia questa mia preghiera ti possa raggiungere. Ti aspetto, Zoomer!
Con affetto,
Steve
 
Fu Lucas a leggerle la lettera dopo la sconfitta di Vecna.
Con la loro vittoria definitiva Max si era svegliata dal coma. I suoi arti e il collo erano guariti da tempo, ma per i suoi occhi, purtroppo, i medici non avevano potuto fare niente.
Quando era venuta a sapere della morte di Steve avrebbe voluto strappare quella dannata lettera. Steve l’aveva messa a fianco al suo letto d’ospedale, nel primo cassetto del comodino, ormai strapieno di pensieri da parte dei suoi amici: foto, disegni, parole. Perfino sua madre le aveva scritto qualcosa… da quando era caduta in coma, Susan non aveva più bevuto una goccia d’alcol e adesso era sempre stranamente sobria. Max sperava solo potesse rimanere così e per una volta, forse, avrebbe potuto funzionare: la forza con cui sua mamma le stava accanto ora aveva qualcosa di nuovo, di potente, profumava di speranza.
Avrebbe potuto di nuovo ricominciare a respirare… se non avesse saputo di Steve.
Sapeva che anche agli altri aveva lasciato qualcosa, ma per giorni e poi per settimane non aveva voluto conoscere il contenuto di quella maledetta busta. Lo stronzo ci aveva scritto sopra soltanto: Per MAX, sperando che non serva, questo è il mio piano B.
Era tremendamente arrabbiata anche perché non avrebbe mai potuto leggerla da sola e farsela leggere da qualcun altro avrebbe reso tutto terribilmente vero, i suoi limiti ancora più presenti, quel nuovo vuoto atrocemente reale.
Fu una canzone a darle il coraggio necessario.
Stava ascoltando la radio e a un certo punto mandarono in onda “Shout” dei Tears fo Fears, fu allora che le venne in mente di quel giro in macchina con Steve. Si ricordò del loro canto disperato che si alzava dei finestrini abbassati, della strada che diventava sempre più sterrata e malconcia man mano che si avvicinavano alla cava, dei sassi scagliati contro lo specchio d’acqua per farli rimbalzare (Steve stava dando il massimo, ma non avrebbe mai potuto batterla per il numero di salti). Poi la memoria corse all’ultima volta che si erano guardati negli occhi: il ragazzo l’aveva lasciata insieme a Lucas ed Erika davanti alla casa dei Creel. Erano scesi dal camper senza dire niente, ma per un attimo il suo sguardo e quello di Steve si erano incrociati. “Mi raccomando, rossa, stai attenta!”, le era quasi sembrato di sentirlo.
Fu l’ultima volta che vide Steve e ora che era cieca, quell’immagine le sarebbe rimasta sempre impressa. Così come non si sarebbe mai dimenticata di quegli occhi castani tristi, quasi smarriti che l’avevano guardata nel momento in cui gli aveva consegnato la sua lettera, una lettera che Steve non avrebbe mai voluto leggere e ora non avrebbe davvero più potuto farlo.
Non era giusto, ma a questo almeno poteva rimediare.
Perciò, non appena si sentì abbastanza sicura da camminare soltanto con il bastone, si fece accompagnare al cimitero di Roane Hill fino alla tomba di Steve, poi chiese di essere lasciata sola.
Non aveva senso portare con sé la lettera che gli aveva scritto una vita fa, né sarebbe stato necessario: sapeva cosa voleva dirgli e per qualche strano motivo sapeva anche che per lui non ce ne sarebbe stato bisogno… Era più una cosa che doveva a se stessa, un modo per dire addio e arrivederci allo stesso tempo.
E quando il dolore sarebbe stato troppo forte, avrebbe potuto stringere di nuovo quella mazza chiodata e agitarla mentre dalle cuffie del walkman usciva con potenza il ritornello di “Shout” e per un attimo la sua voce e quella di Steve avrebbero cantato di nuovo insieme.
 
Shout! Shout! Let it all out! These are the things I can do without. Come on, I'm talking to you, come on!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
Salve, fan del Sottosopra,
Questo capitolo su Max mi ha stupito, nel senso che ho impiegato molto più tempo a scriverlo (è stata una “composizione a tappe”), ma finora è stato quello che mi ha soddisfatto di più… nonostante mi abbia messo fastidiosamente in testa “Shout” dei Tears for Fears fino al tormento xD
Ringrazio chi ha letto fino a qui, spero che questo aggiornamento vi sia piaciuto e sarei davvero felice di avere un vostro riscontro (positivo o negativo che sia) per capire se abbia senso o meno continuare questa fanfiction: avere dei lettori silenziosi fa avere sempre il dubbio che quanto scritto non sia di gradimento.
Un abbraccio e a presto (spero!),
fennec

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Capitolo 4
*** Per Will ***


Per Will



 
Perfetti. Semplicemente perfetti.
Will non aveva mai visto, figuriamoci posseduto, dei pastelli così perfetti. E così numerosi.
Caran d’Ache. Le lettere dorate rilucevano sulla scatola di legno, come a rendere il tutto ancora più perfetto. Anche se “più perfetto” non si poteva dire, Will non avrebbe saputo davvero trovare parole migliori.
E, cosa ancora più inaspettatamente perfetta, erano per lui. Steve li aveva lasciati per lui.
I genitori, quando avevano svuotato la camera del figlio, dato che la sua morte li aveva quasi fastidiosamente costretti a fare ritorno ad Hawkins, avevano trovato un fogliettino di carta attaccato con lo scotch alla scatola lucida. C’era scritto soltanto
 
Per WILL, non conosco nessun altro che sappia farne uso migliore. Divertiti!

Per lui.
Steve aveva lasciato qualcosa di così perfetto per lui.
E si conoscevano appena.
Si erano conosciuti appena. E ora, purtroppo, non avrebbero più potuto rimediare.
 
Mentre stava in piedi di fronte alla fossa con la bara, Will non riusciva a pensare ad altro.
Dustin e Robin erano distrutti, scossi dai singhiozzi, faticavano a reggersi in piedi e gli altri… gli altri erano pallidi di dolore, perfino Mike (che aveva sempre giurato di non sopportare Steve) era profondamente scosso, ma le dita di Will tornavano alla sensazione che il tocco di quei pastelli perfetti gli aveva trasmesso.
Perfezione, stupore, meraviglia, incanto.
I suoi occhi tornavano alle mille sfumature di colore che gli avevano illuminato il volto. Intonsa perfezione. Pastelli regalati per un compleanno da parte di un parente lontano che non sapeva che Steve era terribilmente negato in disegno. Ma questo non rendeva meno perfetta quella perfezione.  Anzi, la rendeva, se possibile, ancora più perfetta perché Steve aveva saputo individuare il giusto proprietario e li aveva lasciati a Will.
A lui, che ora stava in piedi davanti alla sua bara e non sapeva nemmeno come sentirsi.
Perché Steve, con cui aveva scambiato a malapena qualche sporadica parola, aveva lasciato a lui qualcosa di così perfetto e prezioso? Perché aveva pensato a lui? Il fratello del “nemico” che gli aveva rubato la ragazza, lo “zombie boy”, lo strambo. Perché?
Non aveva fatto nulla per meritarselo.
Quasi si vergognava a pensare di utilizzare quei pastelli così perfetti. Eppure Steve era stato chiaro: solo lui avrebbe potuto usarli al meglio. Perché?
Non sapeva darsi risposta, non trovava pace.
Pensava a Bob Newby, supereroe, al disegno appeso con la calamita al frigorifero. Era forse questo che Steve si aspettava? Che lo ritraesse nel suo ultimo atto di coraggio? “Ancora una volta sulla breccia, cari amici, ancora una volta!” Ma dubitava che Steve conoscesse l’Enrico V. No, Steve non gli avrebbe chiesto una cosa simile. Non aveva chiesto a nessuno di seguirlo quando si era fiondato fuori dalla stanza, subito dopo Jonathan.
Lo Steve di un tempo, forse, avrebbe voluto essere immortalato in tutta la sua gloria, ma non lo Steve che ora giaceva ai suoi piedi in una bara di legno.
E allora perché regalargli quei pastelli?
Forse la risposta era nell’ultima parola che aveva scritto il giovane, il suo ultimo invito, il suo ultimo consiglio: divertiti!
Non era poi questo lo spirito di Steve?
Sembrava capace di sdrammatizzare qualsiasi cosa, anche di fronte agli orrori più devastanti non abbondonava il suo senso dell’umorismo, il suo coraggio. Si fiondava a capo chino, senza guardarsi indietro, e cercava di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno anche quando era chiaramente vuoto.
 
Divertiti!

Ma come sarebbe mai stato possibile divertirsi? Sarebbero mai stati capaci di tornare a divertirsi?
Ora che sembrava tutto lontano anche se ancora tremendamente vicino? Ora che i mostri erano stati definitivamente sconfitti, avrebbero i fantasmi smesso di infestare i loro incubi? Ora che le armi potevano essere deposte, sarebbero stati davvero capaci di tornare alla vita di prima? Prima di quel maledetto 6 novembre del 1983?
Will non sapeva proprio cosa rispondere. Sembrava tutto così assurdo, tutto così senza senso.
 
Eppure quei pastelli perfetti lo aspettavano, tutti perfettamente ordinati in quella enorme scatola di legno dalla scritta dorata.
 
Divertiti! Sembravano urlare anche loro. Divertiti!
Davanti a quella bara, Will strinse i pugni, fino a sentire le unghie nella carne e per la prima volta, da quando avevano saputo della morte di Steve, scoppiò a piangere.
Non fu un pianto liberatorio, ma nemmeno un pianto disperato. Le lacrime scesero silenziose dagli occhi mentre la bocca annaspava in cerca d’aria. Le spalle sobbalzarono, come a rilasciare la tensione che, senza che se ne fosse accorto, lo aveva attanagliato fino a quel momento. Jonathan respirò forte, stringendo gli occhi e poggiandogli una mano sul capo, mentre sua mamma lo strinse in un abbraccio che sapeva di disperazione, ma non di sconfitta.
 
Divertiti!
 
No. Ora non era il momento.
Ora bisognava piangere gli eroi caduti.
Ma sarebbe venuto un giorno, o almeno lo sperava nel profondo del suo cuore, in cui quell’imperativo non sarebbe suonato stridente di fronte al loro dolore.
E in quel giorno, Will ne era certo, avrebbe finalmente aperto quella scatola di Caran d’Ache e avrebbe assaporato fino in fondo la bellezza di quei colori, perdendosi nelle forme che la sua mano avrebbe tracciato e che il cuore gli avrebbe suggerito.
Ora non era il momento. Ma quel giorno, prima o poi, sarebbe arrivato. E, Will, in piedi di fronte a quella tomba, lo promise solennemente: sarebbe stato pronto.
 
Divertiti!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
Salve, fan del Sottosopra,
Questo capitolo è stato un po’ una mezza sorpresa, nel senso che subito, sin dall’inizio, avevo pensato ai Caran d’Ache come prezioso lascito da parte di Steve (il mio amore per questi pastelli e per il disegno ha di certo influito), non avevo però idee chiare su come proseguire la storia se non sottolineando la sorpresa di Will: a meno che la quinta stagione non ci dia particolari aggiornamenti, Will e Steve non si sono mai rapportati direttamente… il che, a mio parere, è un peccato: sarebbe molto interessante vedere interagire questi due.
Tuttavia, bando alle ciance ciancio alle bande, fino alla fine della quarta stagione non è mai successo nulla del genere, perciò in questo capitolo ho mantenuto questa linea.
Che altro dire? Spero che questo aggiornamento vi sia piaciuto, non è stato facilissimo scriverlo, ma nel complesso ne sono abbastanza soddisfatta e mi cambierà davvero la giornata se qualcuno di voi, lettori silenziosi, mi farà sapere, nel bene o nel male, che ne pensa.
Alla prossima,
fennec

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Capitolo 5
*** Per Undi ***


Per Undi
 


 
Casa Harrington, ottobre 1973
 

- E ora attento, querido, il segreto di una buona quesadilla è l’impasto della tortilla, deve avere… come dite voi in inglese? El grosor… lo spessore giusto. Capito? -
Un bambino di sette anni, dai folti capelli castani, annuì deciso, le mani impastate di farina e la lingua stretta tra i denti per la concentrazione.
Se suo padre avesse saputo che Maria, la sua tata, gli insegnava a cucinare messicano e a lavorare a maglia, l’avrebbe licenziata all’istante, ma questo era uno dei segreti che Steve custodiva con scrupolosa attenzione e nessuno avrebbe mai potuto estorcergli quanto si divertiva a dosare salse e mescolare ingredienti. Era un segreto tra lui e Maria e per loro due soltanto.
 
Purtroppo non poté apprendere tutti i segreti di cucina che la sua tata avrebbe voluto insegnargli, quando ebbe undici anni i suoi genitori ritennero che era sufficientemente grande per badare a se stesso: Maria, su richiesta, gli insegnò a malincuore a fare il bucato e ad occuparsi di altre piccole cose e, con le lacrime agli occhi per gli undici anni trascorsi insieme e un futuro che l’avrebbe visto crescere senza amore, fu costretta a dirgli addio.
A Steve mancò terribilmente e, dopo che il suo tentativo di andarla a trovare scappando di nascosto in bici finì in modo disastroso, non la vide più. Ma serbò gelosamente nel cuore i suoi consigli e le sue dolci parole che, come un tesoro prezioso, avevano illuminato un’infanzia altrimenti destinata alla solitudine e alla mancanza di affetto.
Fu per la voglia di mettere a frutto i suoi insegnamenti che non esitò quando la signora Henderson o meglio Claudia, come gli era stato chiesto di chiamarla, lo invitò a trascorrere con loro il giorno del Ringraziamento: preparò uno sformato di patate e della salsa gravy e questo bastò per destinarlo all’eterna lode da parte della madre di Dustin.
- Vedi, Dustin? È così che si fa: quando non cucinerò più per te, come farai? Non vorrai mica vivere di cibi precotti e confezioni di schifezze! -
Del resto Maria glielo aveva detto: “Le donne sono conquistate dagli uomini che sanno cucinare, querido. Un uomo attraente invecchiando non lo sarà più, ma un bravo cuoco rimarrà tale per tutta la vita e poche cose sono travolgenti come il peccato di gola.”
Un po’ per quello, un po’ perché, ad essere sinceri, non aveva una grande concorrenza (Nancy aveva molte doti, ma saper cucinare non era tra queste e Robin… beh, aveva il potere di bruciare due uova soltanto guardandole), ben presto si diffuse la voce che se la cavava bene ai fornelli.
Fu così che non fu troppo sorpreso quando un pomeriggio sentì squillare il telefono: era Undici e aveva bisogno del suo aiuto in cucina, era il compleanno di Hopper e voleva preparargli una torta, ma le sue conoscenze non andavano oltre la perfetta cottura degli Eggo e il corretto abbrustolimento dei marshmallow.
Avrebbe dovuto essere una cosa semplice: una torta al cioccolato, niente di straordinario, ma la ragazza aveva l’imbarazzante capacità di rovesciare l’irrovesciabile e di trasformare la cucina in un campo di battaglia. Pensare che la salvezza del mondo dipendesse da lei aveva dell’incredibile. Tuttavia Steve non si perse d’animo, si rimboccò le maniche, si armò di santa pazienza e, dopo due interminabili ore di imprecazioni trattenute a stento, schizzi di cioccolata che arrivavano al soffitto e scuse contrite da parte di Undici, la torta era pronta, sana e salva sulla tavola apparecchiata per l’occasione.
La ragazza insistette perché rimanesse a cena con loro, un po’ per scusarsi per i disastri combinati, un po’ perché potesse raccogliere i complimenti del festeggiato per quello che era riuscito a cucinare nonostante i suoi sforzi di aiutarlo, un po’ perché l’idea di Steve che se ne tornava a casa per consumare una cena solitaria nel desolante silenzio di villa Harrington non le piaceva proprio per niente. Alla fine il ragazzo, anche se con un po’ di imbarazzo, accettò l’invito e la serata si rivelò essere stranamente piacevole.
Fu per questo e per le successive richieste d’aiuto in occasione del compleanno di Mike o di ricorrenze simili che Steve non ebbe dubbi su cosa avrebbe potuto lasciare a Undici se le cose non fossero andate come avrebbe sperato che andassero.
Un libro di ricette.
O quello che più gli poteva assomigliare. Appunti, così si potevano definire.
Tutto quello che si ricordava degli insegnamenti di Maria con l’aggiunta di quello che aveva potuto imparare negli anni di sperimentazioni di “cucina fai da te” che lo avevano accompagnato dalla prima preadolescenza fino alle soglie dell’età adulta.
Poteva sembrare strano, coraggioso perfino, conoscendo le abilità culinarie di Undici, ma Steve era sicuro che la ragazza lo avrebbe apprezzato e Dio solo sapeva quanto le abitudini alimentari sue e di Hopper necessitassero di un drastico quanto salutare cambiamento. Dopo tutto, un buon piatto poteva fare miracoli e Undici aveva i super poteri… cosa avrebbe fatto qualche ingrediente rovesciato o bruciacchiato in più?
Rilegò alla bell’e meglio quei fogli volanti e scrisse sulla copertina improvvisata:

Per UNDI,
Spero che questi appunti possano servirti, a me hanno salvato la vita da quando avevo undici anni… Spero che qui tu possa trovare qualcosa di utile e di buono. Ricorda: non si può vivere solo di Eggo!
Il tuo salvatore di pasti,
Steve
 
Non ci è dato sapere quante uova furono carbonizzate, né quanti mestoli presero fuoco, ma una cosa è certa: Undici si servì con religiosa cura di quegli appunti di “cucina fai da te” e, nonostante all’inizio fosse stato molto difficile non ripiegare sulla scatola di Eggo, poté affermare con fierezza, anche se a spese di qualche dito ustionato, di aver ampliato le proprie abilità culinarie.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
Buon anno, fan del Sottosopra!
Sarò sincera: per questo capitolo mi hanno ispirato le numerose fanfiction di AO3 in cui Steve è un cuoco provetto o qualcosa del genere. In particolare, ne ricordo una in cui aiuta Undici a preparare un dolce… citerei con piacere anche titolo e autore/autrice, ma non me lo ricordo assolutamente e non ho modo di recuperarlo. Quindi si può dire che mi sono limitata a scegliere gli ingredienti, mescolare il tutto, condirlo a mio gusto personale e… voilà, un capitolo per l’anno nuovo appena sfornato (il capitolo, s’intende… o forse entrambi?).
Come sempre, spero che questo aggiornamento vi piaccia e, come sempre, sarò contentissima di leggere un commentino di qualsiasi tipo, positivo o negativo che sia!
Ancora tanti auguri e speriamo che il 2024 ci porti la quinta stagione, anche se temo che sia sempre più improbabile, sob!
Alla prossima,
fennec
ps: come Undici sono un po’ in disastro in cucina e non so niente di quesadilla (a parte che adoro mangiare messicano), quindi non datemi la colpa per eventuali fallimenti culinari!

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Capitolo 6
*** Per Lucas ***


Per Lucas




 
 
- Ehi, Sinclair! Subito prima di tirare prendi più slancio con le gambe, avrai un canestro da tre punti assicurato -
Lucas si girò in direzione della voce che negli ultimi anni aveva imparato bene a conoscere.
- Ciao, Steve! - le braccia tese per passargli il pallone.
- Come vanno gli allenamenti? - chiese il più grande, cominciando a palleggiare.
Lucas fece spallucce. Harrington annuì pensieroso.
- All’inizio è dura. Ricordo ancora l’ansia della mia prima partita delle superiori, mi veniva da vomitare - Un tiro da tre punti. Canestro.
- Almeno tu le facevi, le partite - disse amaro il più giovane.
- Devi solo avere pazienza e non mollare - cercò di confortarlo, passandogli il pallone. Lucas tirò, ma colpì il cerchio, mancando il canestro.
- In squadra ti trattano bene? -
Il ragazzo si strinse ancora nelle spalle - Non mi prendono in giro, è già qualcosa… - Aspettò un attimo, pensieroso, poi si disse che Steve forse avrebbe potuto capire: - Il vero problema non sono loro -
- Dustin e Mike non l’hanno digerita, eh? -
Sinclair lo guardò sorpreso, il pallone stretto tra le mani.
- Henderson si lascia scappare qualcosa ogni tanto, di come tu li abbia “traditi”- virgolettò con le dita - chiedendo di fare i provini per la squadra a loro insaputa… Ma, ehi, sono tutte cazzate, Lucas, ok? Mike e Dustin se ne sono sempre fregati del basket o dello sport, fosse per loro vivrebbero solo per l’Hellflower Club e di quello stupidissimo gioco da tavolo… -
Se Mike e Dustin fossero stati lì, l’avrebbero subito insultato per aver storpiato il nome di quella che, a loro dire, era l’unica cosa bella capitata loro durante il primo anno delle superiori. Ma Lucas era Lucas e poteva perdonare Steve, anzi, quasi quasi gliene era grato.
Gliene era grato perché aveva capito. Come lui, Steve sapeva che era impossibile continuare a vivere nel mondo delle favole. Giocare a D&D gli piaceva, certo, anche tanto… ma non sarebbe servito a pagargli il college e di sicuro non avrebbe aumentato la sua popolarità con le ragazze, cosa che, un po’ gli bruciava ammetterlo, era diventata sempre più importante ora che l’unica ragazza di cui si era mai innamorato sembrava vivere su un pianeta irraggiungibile. E poi il basket gli era sempre piaciuto. Doveva davvero vergognarsi di desiderare il grido della folla davanti a un suo canestro?
Era sempre stato un nerd, questo era certo, e lo era ancora. Ma fino ad ora dove lo aveva portato? Provare qualcosa di nuovo non gli sembrava così stupido e doveva ammettere che la divisa dei Tigers non gli stava male: sua madre si era quasi commossa quando l’aveva indossata per la prima volta e suo padre l’aveva guardato con orgoglio. Erika, invece… Beh, Erika era un caso a parte, ma Lucas sapeva che, sotto sotto, faceva il tifo per lui ad ogni partita, anche se era sempre in panchina.
Tirò di nuovo. Canestro.
- Hai capito, Sinclair? Sono tutte cazzate. Se ti piace giocare, gioca, mica devi chiedere il permesso a loro. -
Certo, questo lo sapeva, ma da quando Will se ne era andato in California le cose tra loro erano diventate più complicate. Tutto era diventato più complicato, in realtà.
- Max che cosa dice? - gli chiese prendendogli palla. Lucas abbassò lo sguardo.
- Non parla nemmeno con te, eh? - ancora silenzio e il lancio di Steve andò a vuoto.
- Sai, sono preoccupato. Non è da lei fare così, nemmeno con tutto quello che le è successo. Max è sempre stata una guerriera e adesso… Non lo so, non la riconosco più. È come se non volesse più lottare -
Il ragazzo gli prese la palla, quasi infastidito.
- Allora, Harrington, vuoi giocare sul serio o devo continuare a sentirti parlare a vanvera? - Per un attimo gli sembrò che stesse per rispondergli, poi però gli venne incontro per rubargli il pallone.
Continuarono a giocare finché fu così buio che era difficile distinguere il bianco del tabellone.
 
Fu l’ultima volta che parlarono così, faccia a faccia.
Poco dopo il Sottosopra ritornò a capovolgere le loro vite e questa volta Lucas venne davvero sbattuto al tappeto. Max era in coma e, cosa, se possibile, ancora più dolorosa, non era riuscita ad aprirsi veramente con lui e la promessa di quella serata al cinema, ora così sfacciatamente irrealizzabile, rendeva tutto più insopportabile.
Eppure, tra una notte insonne al capezzale di Max e una passeggiata solitaria e disperata nel giardino dell’ospedale, Steve c’era. Veniva tutti i giorni, prima o dopo il lavoro, delle volte con Dustin e Robin, altre volte da solo.
Non gli diceva niente. Non ce n’era bisogno. Ormai il suo volto stanco diceva più di mille parole. Ma intanto era lì, presente, a offrirgli panini che avrebbe sbocconcellato a fatica o per portargli fumetti che avrebbe poi letto a Max.
Se solo avesse immaginato che sarebbe stato lui a leggere la lettera che Steve aveva lasciato per Max, se solo avesse saputo che quelli sarebbero stati gli ultimi momenti in cui avrebbero potuto parlarsi davvero, Lucas avrebbe sfruttato ogni secondo. E ora, invece, si trovava di nuovo solo e per l’ennesima volta era stata una perdita a mostrargli quale dono gli era stato dato senza che lui se ne accorgesse. Un altro dono perduto. Un’altra vita che gli era scivolata tra le dita, senza che lui potesse afferrarla.
Eppure Steve si era ricordato di lui. Aveva pensato a tutti loro, quello stronzo.
 
A LUCAS SINCLAIR, se mai li vorrà, lascio i miei palloni da basket (ne ho una discreta collezione), la canotta di Magic Johnson e gli album di figurine della NBA di quando facevo le medie: sono completi, se li conservi, tra qualche anno, potrai fare un buon affare.
Gli lascio, inoltre, la mia acqua di Colonia. Non mi ricordo in quale occasione, forse avevo dato un passaggio a Max poco prima di vedermi con una ragazza e lei fece un commento positivo a proposito (della colonia, non della ragazza)… Insomma, so per certo che le piace, quindi, Sinclair, usala bene!
E ricordati di slanciarti sulle gambe prima di tirare a canestro!
Il tuo coach da quattro soldi non richiesto,
Steve
 
Lucas aveva messo i palloni da basket in cantina, gli album di figurine in un cassetto della scrivania, mentre riponeva la maglietta di Magic Johnson nella tasca laterale del borsone quando aveva una partita, come portafortuna.
Ora che Vecna era stato finalmente sconfitto, tutto aveva meno senso e più senso allo stesso tempo. Era come se fossero vissuti per lungo tempo in apnea e si fossero dimenticati che respirare era importante, anzi, essenziale. Un po’ alla volta stava ricominciando a respirare e il basket un po’ lo aiutava: costituiva un ritorno a una normalità che forse non aveva mai conosciuto.
L’acqua di Colonia, invece… Quella era per le giornate speciali.
Quando se la spruzzò per la prima volta, un po’ esagerando, al suo primo nuovo appuntamento con Max, lei fece una faccia strana: prima sorpresa, poi speranzosa, subito dopo addolorata. Alla fine, però, le sue labbra si stesero in un sorriso.
- E così l’ha lasciata a te… - disse - È proprio uno stronzo -
Poi gli cercò la mano e, dopo un ampio respiro, lasciò che la guidasse fuori dalla stanza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
Eccomi qua con un altro capitolo!
In alcune fanfiction vengono sottolineate le somiglianze tra Steve e Lucas… Io sinceramente non sono molto d’accordo, ma sicuramente Sinclair è il meno nerd del quartetto e il basket è un evidente punto di contatto, perciò sono partita da uno scambio di battute davanti a un canestro, mi sono lasciata trasportare e questo è quello che ne è venuto fuori… Spero vi sia piaciuto!
Ora rimangono gli ultimi due capitoli, i più impegnativi: uno perché fa dà chiusura e l’altro perché ruota attorno ad un rapporto difficile da definire. Ma non vi voglio svelare troppo.
Come sempre ringrazio chi legge, chi mi segue silenziosamente e ancor di più chi sarà così gentile da lasciarmi un commentino, positivo o negativo che sia.
Alla prossima,
fennec
ps: Mi piace il basket, ma non ne so niente, quindi il consiglio di Steve è puro frutto della mia fantasia.

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