Custode di un serpeverde: le avventure di Violet e Draco

di Crysta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A guardia di Malfoy ***
Capitolo 2: *** Un piccolo passo ***
Capitolo 3: *** Il segreto di Violet ***
Capitolo 4: *** I mangiamorte ***
Capitolo 5: *** La notte porta sogni ***
Capitolo 6: *** Il passato viene a galla ***



Capitolo 1
*** A guardia di Malfoy ***


Violet entrò nell’ufficio della preside.
La strega seduta dietro la grande scrivania alzò la testa non prima di aver finito di trascrivere qualcosa su una pergamena.
Quando la vide, i suoi occhi si illuminarono.
«Violet, piccola mia…»
Si alzò e le corse incontro senza tante cerimonie. La strinse in un affettuoso abbraccio, tanto che Violet credette di soffocare con tutti quegli strati di tessuto che indossava.
La fece accomodare e, muovendo la bacchetta, una tazzina e una teiera le si avvicinarono volando e le veniva versata una dose massiccia di tè.
«Mi spiace non esserti venuta a prendere alla stazione, ma sono certa che il professor Hagrid sia stato un ottimo sostituto».
Il professor Rubeus Hagrid era un mezzo gigante che l’aveva subito messa a suo agio.
«Come va la tua voce?» le chiese Minerva, ridestandola dai suoi pensieri.
La nota dolente.
La ferita che le era stata inferta l’anno prima si stava ancora rimarginando e i medici le avevano suggerito di non parlare.
Violet sfilò dalla tasca la bacchetta e, muovendola, le parole uscirono levitando a mezz’aria. Aveva scoperto che quello era l’unico metodo per comunicare con gli altri. Non potendo parlare e non conoscendo il linguaggio dei segni, era costretta ad agitare tutto il tempo la bacchetta per far comparire delle stupide parole per farsi comprendere.
Era sfiancante, ma non lo disse a sua zia.
Le lettere unirono la frase: ‘non posso ancora parlare’
Minerva McGonagall tentò di confortarla, poi diventò estremamente seria. «Ti ho chiesto di venire qui non solo per assicurarmi che tu stia bene, ma per chiederti di accettare un compito».
Violet fu sorpresa. Di che compito poteva trattarsi?
«E’ un incarico di estrema importanza che non potrei chiedere a nessun altro» le spiegò. «Ho bisogno che tu sorvegli uno studente di questa scuola».
‘Sorvegliare?’ chiese, incuriosita.
«Esatto. Forse hai già sentito parlare della sua famiglia» fece un momento di pausa, cosa che Violet trovò strana. Sua zia andava sempre dritta al punto. «Si tratta di Draco Malfoy».
La famiglia Malfoy.
Certo che aveva sentito parlare di loro. I purosangue seguaci del Signore Oscuro, questo dicevano le voci.
Malfoy Senior era un mangiamorte.
Come quello che aveva cambiato la sua vita per sempre.
«Violet, non te lo chiederei se non fosse davvero importante» proseguì Minerva, stringendo una piuma. «Quel ragazzo ha ricevuto minacce di morte. Anche se sospettato di tradimento, è stato assolto da tutte le accuse».
«Non è un mago malvagio. Ha solo avuto la sfortuna di nascere in quella famiglia, ma il suo aiuto è stato importante nella guerra magica, posso assicurartelo».
Sua zia non spendeva mai parole per nulla. Questo voleva dire che, se lei garantiva per il figlio di un mangiamorte, doveva crederle.
‘Non c’è nessun altro che lo farebbe, non è vero?’ scrisse con la bacchetta.
«Sei troppo intelligente perché ti menta. Malfoy non è, come dire, un ragazzo facile».
La penna che stringeva tra le mani era ormai disintegrata. Violet capì che c’era dell’altro ma, a quanto pare, l’incolumità del suo studente aveva la priorità.
Non poteva di certo deluderla.
‘Lo farò’
«Cara Violet, non sai che sollievo sapere che lo terrai d’occhio» disse, facendo un gran respiro. «Mi raccomando, con discrezione».
‘Cosa intendi?’
«Senza che lui se ne accorga» spiegò. «Dovrà ripetere il sesto anno, e frequentando la stessa classe, avrai più possibilità di incontrarlo».
Un piano ben congeniato. Come solo sua zia poteva ideare.
L’ultima cosa che fece prima di congedarla (a suo parere sempre parte del piano), fu consegnarle la spilla di prefetto.
Scese le scale roteanti con una miriade di domande che le vorticavano in testa.
Che tipo era questo Malfoy?
Cosa le nascondeva sua zia?
Solo allora si rese conto che era l’unica studentessa in tutta Hogwarts. Essere la nipote della preside aveva i suoi pregi. Decise di studiare un piano e, per prima cosa, capire dove si trovasse qualunque stanza.
Quel castello era enorme. Come facevano gli studenti ad orientarsi? Giravano con una mappa?!?
Ad un certo punto, non sapeva bene come, si era ritrovata all’aperto.
Memorizzò una serra, un lago, una capanna, una foresta dall’aria terribile e un campo da Quidditch.
L’interno fu più difficile. C’erano gli ingressi delle case, le classi dei professori, le scale che si muovevano per conto loro e poi, Violet si imbatté nella biblioteca.
Era sempre stata amante dei libri, a sei anni già leggeva quelli di medicina di suo padre. A otto aveva inventato la sua prima pozione (un semplice unguento). A dieci aveva fatto esplodere il seminterrato di casa.
Sorrise a quel ricordo. Ritrovarsi tra tutti quei testi la fece sentire meno sola. Forse era finalmente arrivato il momento di riprendere le sue invenzioni e sperimentarle nella sua materia preferita: pozioni.
Le lezioni sarebbero iniziate di lì a qualche settimana e l’atmosfera era vibrante. Era come se la scuola sapesse che di lì a poco i suoi corridoi si sarebbero riempiti di giovani scalpitanti adolescenti.
Hogwarts era davvero un luogo speciale.
 
Non fu difficile per Violet riconoscere Draco Malfoy.
La quiete che aveva assaporato nelle settimane precedenti era svanita il giorno prima, quando gli studenti delle quattro case avevano invaso il castello.
Tra loro, Malfoy era la persona che chiunque evitava di incrociare.
Anche lei stava avendo non poche difficoltà a socializzare.
I primi tentativi di conversazione con altri ragazzi erano stati pessimi. Alcuni credevano che si stesse prendendo gioco di loro, altri invece la guardavano con compassione.
L’unica ragazza immune da quelle idiozie era la sua compagna di stanza, Luna Lovegood. Una ragazza singolare ma molto intelligente e divertente.
Prima ancora che le dicesse che non poteva parlare aveva detto:
«Perché non provi ad imparare il linguaggio dei segni? Sono sicura che ti affaticherebbe di meno».
Non ci aveva mai pensato. Solo che allenarsi mentre teneva d’occhio il suo compagno di scuola era assai complicato perciò, per il momento, sfogliava qualche pagina solo prima di andare a letto.
Aveva trovato quel vecchio libro in biblioteca e, oltre a quello, la sua curiosità l’aveva portata a fare ricerche sulla famiglia Malfoy.
Una cosa in particolare l’aveva scioccata ed era quasi sicuramente ciò che sua zia aveva omesso di raccontarle quando le aveva affidato quel compito.
Eppure, osservando quel ragazzo, non riusciva a provare odio nei suoi confronti.
Gli altri studenti sparlavano continuamente di lui.
Che era un traditore, un vile e non meritava di stare tra quelle mura.
Si era dovuta trattenere dal prendere a pugni in faccia uno di loro quando aveva tirato in mezzo la preside, che secondo lui non poteva permettere che uno come Draco Malfoy fosse prefetto.
Alcuni ipotizzavano addirittura che fosse stato lui ad uccidere Silente e avesse portato Harry Potter tra le grinfie del signore Oscuro.
Il peggiore di tutti fu un Grifondoro, quando disse che lui e la sua famiglia dovessero stare tutti ad Azkaban.
Quei pochi che sembravano immuni dalle dicerie venivano influenzati, facendo sì che il ragazzo venisse isolato ancora di più.
Suo padre le aveva insegnato a non giudicare mai un libro dalla copertina. Anche se, in effetti, questa copertina aveva una famiglia di Mangiamorte alle spalle e la fama di bullo detestabile.
Erano stati anni difficili per tutti e, se quel ragazzo era tornato, significava che meritava di stare ad Hogwarts tanto quanto gli altri. Inoltre, se sua zia aveva deciso così, per Violet era sufficiente.
Questo credeva.
Il Serpeverde si recava tutti i pomeriggi in riva al lago, da solo. Per fortuna c’erano un sacco di alberi dove poteva arrampicarsi e osservarlo senza farsi scoprire.
Alcuni giorni sembravano interminabili e così, per impegnare il tempo, Violet disegnava scorci del paesaggio. Di fronte a loro c’era un piccolo isolotto e dietro, imponente, il castello.
A volte disegnava anche lui. Anche se non lo vedeva da vicino, i suoi lineamenti erano perfetti.
Il suo viso era pallido e la pelle liscia come una porcellana. I capelli sottili e così chiari da sembrare color della neve. Era alto, slanciato ed emanava un’aria da nobile. Era un soggetto perfetto, con l’acqua che rifletteva sul viso candido. A volte leggeva mentre altre stava semplicemente ad osservare le placide acque.
Mentre lo osservava, ricordò che, secondo alcuni, non aveva mai abbandonato il lato oscuro.
Nei suoi occhi Violet vedeva solo tristezza e nient’altro.
Sentì un nodo allo stomaco. Guardare una persona così sola e non poter fare nulla per aiutarla la fece sentire impotente.
Un giorno cambiò tutto.
Malfoy era seduto come al solito sulla sponda del lago e Violet disegnava nascosta su un albero.
D’un tratto, un gruppo di ragazzi gli si avvicinarono.
Violet riconobbe tra loro il Grifondoro che più di tutti lo scherniva. Iniziarono ad insultarlo. Il serpeverde non reagì ne parlò e questo parve farli innervosire ancora di più.
Gli lanciarono l’incantesimo Diffindo che lo tagliò in varie parti del viso. Malfoy continuò a rimanere impassibile, salvo alzarsi per guardarli meglio.
Violet era paralizzata.
«Dove sono i tuoi amici mangiamorte, Malfoy?» lo derise il grifondoro.
Levò la bacchetta e pronunciò l’incantesimo Incendio. La veste del serpeverde prese a bruciarsi in varie parti ma ancora il ragazzo non reagì.
Poi ancora Diffindo e lo ferirono alle braccia.
Sapeva di dover stare nascosta ma, quando vide uno di loro alzare la bacchetta, si lanciò giù dall’albero.
Prima che potessero colpirlo di nuovo, si era messa davanti a Malfoy recitando l’incantesimo Protego. Non potendo parlare aveva sviluppato in maniera esponenziale gli incantesimi mentali e lo scudo riparò entrambi.
«Levati di mezzo» le ordinò un corvonero. «Uno come lui non merita di stare qui».
Quando capirono che non si sarebbe mossa, non si fecero problemi ad alzare di nuovo le bacchette.
Pessimo errore.
Viollet non aveva un duello come si deve da un sacco di tempo. Era ora di sgranchire i muscoli.
«Stupeficium
«Incendio
«Diffindo
Li evitò tutti. Lasciò che si stancassero un po’ prima di fare la sua mossa.
Expelliarmus’
Una serie di bacchette volarono ovunque.
Il grifondoro ne prese una dritta in testa e lanciò un gridolino.
Violet non potè fare a meno di ridacchiare. Era da tempo che non si divertiva così. Scapparono a gambe levate mentre li salutava agitando la mano.
Per un attimo si era scordata di aver appena rovinato l’effetto sorpresa e che, dietro di lei, c’era la persona che avrebbe dovuto “tenere d’occhio da lontano”.
Si prese un secondo per prendere coraggio e voltarsi.
L’espressione sul volto di Draco Malfoy era indecifrabile. Dovette ammettere che da vicino era ancora più bello, poi l’espressione del suo viso si fece dura come quella di un vecchio.
Perdeva sangue dai tagli sul volto e aveva la veste strappata.
Violet, con l’aiuto della bacchetta, fece comparire delle parole che librarono nell’aria.
‘dovresti andare in infermeria’
«Non ho bisogno del tuo aiuto».
Fu l’unica cosa che le disse prima di andarsene.

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Capitolo 2
*** Un piccolo passo ***


Quando Violet McGonagall si metteva in testa qualcosa non c’era verso di farle cambiare idea.
Non sapeva perché, ma qualcosa dentro di lei la spingeva a voler conoscere di più Malfoy.
L’indomani, alla lezione di Pozioni, i tavoli erano tutti occupati tranne uno: quello dove era seduto lui.
Il ragazzo non sembrava nemmeno badarci. Era lì, tutto solo, rannicchiato sul suo libro di pozioni avanzate.
Violet, ancora una volta, vide le sue gambe muoversi automaticamente e sedersi nel posto a fianco. Solo quando il serpeverde vide un’ombra al suo fianco, alzò lo sguardo.
Lei gli sorrise. Lui, invece, fece una smorfia simile al disgusto e riabbassò la testa.
Violet sentì qualche studente bisbigliare per quale motivo volesse farsi del male stando vicino a uno come lui, ma non ci badò.
La lezione, nonostante l’umore del suo vicino di banco, fu come sempre entusiasmante. Adorava il professor Lumacorno e quest’ultimo si scioglieva in complimenti ogni volta che lei azzeccava le preparazioni. Non appena finirono, Draco filò via dalla classe.
Lo rivide qualche ora più tardi, nella peggiore delle situazioni.
Tra i compiti dei prefetti c’erano anche i controlli serali e, mentre Violet passeggiava, avvenne qualcosa che non le succedeva da tempo.
Sentì i battiti aumentare e mancarle il respiro: era un attacco di panico.
Si inginocchiò a terra annaspando. Non poteva chiedere aiuto e sapeva che agitandosi avrebbe peggiorato la situazione.
Qualche minuto dopo udì dei passi avvicinarsi.
«Che stai facendo?» le chiese una voce.
Era Malfoy.
Cercò di spiegarsi ma era troppo scossa e la mano non riusciva a reggere la bacchetta.
Il ragazzo fece per allontanarsi quando, sbuffando, lo sentì fare dietrofront. Si inginocchiò davanti a lei.
Violet non sapeva se avere vicino un’altra persona fosse un bene o un male. Nessuno l’aveva mai vista così.
Si sentiva in imbarazzo.
«Smetti di agitarti o non ti passerà mai» le ordinò. «Guarda qualcos’altro che non sia il pavimento».
Lei obbedì e alzò lo sguardo. Incrociò i suoi occhi grigi e rimase paralizzata.
Nella penombra sembravano color argento e brillavano come stelle in un cielo terso.
Lui, evidentemente a disagio, rimase in silenzio. Si mise una mano dietro al collo con finta disinvoltura.
Focalizzarsi su di lui l’aiutò a distrarsi e, piano piano, sentì i battiti del cuore rallentare e il respiro tornare normale.
«Va meglio?»
Gli fece cenno di sì.
‘Grazie’ riuscì a dire, mimando la parola con le labbra.
Draco si indispettì. Forse stava interpretando questo suo non parlare come una presa in giro.
Violet gli fece segno di fermarsi e, agitando la bacchetta, scrisse.
‘non posso parlare’
Ma Malfoy non la stava ascoltando. Aveva lo sguardo perso nel vuoto.
Era come se il suo corpo fosse lì ma la mente era a chilometri di distanza da Hogwarts.
Quando tornò in sé, la sua espressione era glaciale.
«Smetti di finire sempre sulla mia strada» disse, prima di darle le spalle. «E’ meglio per te».
 
Nonostante le voci su di lui e i suoi modi a dir poco discutibili, Violet aveva letto nei suoi occhi qualcosa di diverso dalla presunzione.
Non si trattava più solo del compito da svolgere, voleva sapere chi era il vero Draco Malfoy.
Un pomeriggio, sapendo che sarebbe uscito dalla sala d’ingresso per recarsi al lago, si appostò su una panchina ma il ragazzo uscì talmente veloce che non la vide. Presa alla sprovvista, raccolse un sassolino e glielo lanciò addosso. Lo colpì proprio all’altezza del collo.
A Violet scappò una risata. Lui, invece, la guardò malissimo.
Si affrettò ad avvicinarsi e gli lanciò il suo blocco dei disegni. Indicò un suo schizzo del lago, facendogli capire che voleva un suo parere.
Draco non lo guardò nemmeno.
«Sai chi sono io?» chiese spazientito e non le diede il tempo di rispondere. «Non devi starmi tra i piedi».
Violet, sconcertata, cercò di fargli capire che voleva solo fare amicizia. Ma lui non sentì ragioni.
«Smetti di seguirmi e di prenderti gioco di me!» disse, alzando la voce e ridandole rozzamente il raccoglitore.
Violet non capì se la fecero arrabbiare di più i suoi modi o le parole.
Offesa, strappò lo schizzo dal suo album e lo accartocciò. Poi glielo incastrò a forza nella tasca della veste.
‘Volevo solo ringraziarti’ scrisse dimenando la bacchetta e se ne andò.
Era così arrabbiata che, all’ingresso del castello, le porte si spalancarono senza che le toccasse.
Non era solo odioso, era un vero stronzo.
 
Durante le lezioni di Pozioni Violet finiva sempre accanto al serpeverde perché nessuno osava avvicinarsi. Per questo gli altri studenti avevano iniziato a prendere in giro anche lei.
«Guardate che bella coppia, quei due. L’assassino e la muta» sentì dire ad un grifondoro.
Cercò di non dargli peso, anche se era stato piuttosto offensivo. Vide Malfoy lanciar loro un’occhiataccia e tutti fecero silenzio.
Finita la lezione, Violet si stava incamminando verso le scale quando qualcuno la prese per un braccio e la trascinò in un corridoio buio.
Malfoy la osservava col suo solito sguardo giudicante.
«Hai visto cos’è successo?»
Violet non capì e fece spallucce. Di che diavolo stava parlando?
«Non fare la finta tonta» affermò. «Ti hanno preso di mira. Ti avevo detto di starmi alla larga».
Con quelle parole le fu tutto più chiaro.
Draco Malfoy era sprezzante; eppure, si stava preoccupando che lei non finisse nell’occhio del ciclone a causa sua. A Violet scappò un sorriso.
«Cosa ci trovi da ridere?» chiese, serio.
La corvonero fece di nuovo spallucce.
«Senti, io non sono la tua balia. Perciò vedi di levarti di torno una volta per tutte».
La sorpassò per andarsene, ma Violet lo afferrò per la manica della veste. Malfoy si voltò, guardò prima la mano che lo afferrava e poi alzò lo sguardo.
Forse in lui c’era qualcosa di buono, ma lo aveva nascosto per bene. Nei suoi occhi c’era un mare in burrasca.
‘Quegli idioti hanno il cervello di una scimmia, non fartene una colpa’ scrisse con la bacchetta. ‘Perché vuoi restare solo?’
Malfoy non rispose. Deglutì e distolse lo sguardo.
Violet decise di dargli tregua. Lo lasciò andare e se ne andò.
 
Un giorno, il cielo ed il lago erano così limpidi da non riuscire a capire dove iniziasse uno e finisse l’altro. Violet dimenticò tutto il resto e si mise a disegnare.
Ad un certo punto, notò un’ombra sul blocco da disegno e, quando alzò lo sguardo, vide Malfoy che la osservava.
Ebbe un tale spavento che fece volare in aria tutte le sue cose. Senza dire una parola, il ragazzo l’aiutò a raccogliere.
Poi, come assorto, si sedette accanto a lei. I suoi occhi, oscurati da nubi invalicabili, vagarono per il lago.
«Sai quanti sono stati gentili con me dopo la guerra?» chiese, stringendo le mani a pugno. «Nessuno».
«Se mi avessi conosciuto i primi anni ad Hogwarts, anche tu mi avresti odiato».
Parlava più con sé stesso che con lei.
«Non volevo nemmeno tornarci, io, in questa scuola. Mia madre ha insistito perché crede che concludere gli studi sarà d’aiuto per il mio futuro» disse, con un sorriso forzato. «Ma che futuro può avere uno come me?»
«E per giunta sto raccontando queste cose ad una sconosciuta di cui non conosco nemmeno il nome…» concluse, sconsolato.
Se Violet avesse potuto parlare non avrebbe avuto la forza per proferire parola. Era più di quanto si sarebbe mai aspettata.
Draco Malfoy, di sua spontanea volontà, si era aperto con lei.
Stava lì seduto, con lo sguardo smarrito, inconsapevole del passo che aveva appena fatto.
Poi, venne attratta da alcuni fiori ed ebbe un’intuizione. Ne raccolse uno e glielo porse.
«Che c’entra questo fiore?» chiese, innervosito.
Violet glielo porse di nuovo e poi indicò sé stessa.
La faccia di Malfoy sembrava chiedere se si fosse bevuta il cervello. La ragazza capì che non avrebbe cavato un ragno dal buco. Prese il suo album e scrisse ‘Violet’ poi l’appoggiò al petto, per farlo comprendere.
«Si, so che questo fiore è una viola…» disse, poi capì. «Aspetta, il tuo nome è Violet?»
Violet sorrise e fece segno di sì. Scrisse ancora sul blocco ‘ora sono una sconosciuta con un nome’.
A quella risposta notò che Malfoy stava per sorridere, poi si trattenne.
‘se ti può consolare, nemmeno io avrò un futuro se non imparo a farmi capire dagli altri’
Come un fulmine, il problema della sua voce le diede un’idea.
‘Ti andrebbe di aiutarmi ad imparare il linguaggio dei segni?’
Malfoy la guardò come se fosse pazza. «E’ una pessima idea».
‘indovino: è una pessima idea perché tu sei il terribile Draco Malfoy?’
Lui non rispose.
‘Non farti pregare’.
‘Hai altri impegni?’.
Mentre continuava a scrivere forsennata mentre gli mostrava il blocco, Malfoy, esausto, la fermò.
«Ti hanno mai detto che sei piuttosto insistente?»
Violet sorrise. ‘E’ un sì?’
Prima di parlare, sembrò stesse combattendo una battaglia interiore.
«Domani, incontriamoci al lago» le propose.
Sapeva perché le aveva suggerito proprio quel posto. Non voleva che nessuno li vedesse insieme. Per qualcun altro, forse, sarebbe stato un’offesa. Violet, invece, ci lesse una sorta di protezione nei suoi confronti. Temeva che potessero prendersela anche con lei se li avessero visti.
Violet non conosceva la ragione che lo aveva spinto, quel giorno, ad avvicinarsi. Di una cosa era certa: era felice che lo avesse fatto.

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Capitolo 3
*** Il segreto di Violet ***


La sua cella era tetra, puzzolente e minuscola.
Aveva tentato di scassinare la porta, rompere le sbarre della finestra e, infine, chiamare aiuto. Tutto invano.
Non era preoccupata per la sua, di incolumità. L’angoscia le stringeva lo stomaco come una morsa.
Il suo unico specchio sul mondo era una piccola finestra dalla quale osservava il cielo stellato. Chissà se qualcuno, là fuori, si era accorto della loro assenza. Sperava di vedere comparire da un momento all’altro un esercito di maghi che, volando sulle loro scope, l’avrebbe aiutata a fuggire.
Sapeva che il suo tempo era agli sgoccioli.
Era accovacciata ad una parete stringendo forte le braccia per riscaldarsi ma era inutile, il freddo le entrava nelle ossa e non la lasciava dormire. Guardò la luna e desiderò di essere un uccello per poter volare via.
Sentì delle urla. Erano grida di dolore.
Poi, udì dei passi.
Qualcuno si stava avvicinando.
Il suo cuore batteva tanto che credeva le salisse su per la gola. Trattenne il respiro.
Era il segnale che non aveva più tempo. Ciò che l’aspettava era la vita o la morte.
Erano davanti alla sua cella. Si trascinò verso la parete più lontana, tremando.
Un rumore di chiavi che giravano nella serratura fecero eco nella stanza. La maniglia scricchiolò e spalancarono la porta.
Violet si svegliò di soprassalto.
Era madida di sudore e dovette mettere a fuoco la stanza, per sincerarsi di essere davvero nel dormitorio di Corvonero.
«Ancora quell’incubo?»
Luna, seduta nel letto accanto, la osservava con tranquillità. «Tutto bene?»
Violet fece cenno di sì. In realtà i suoi battiti cardiaci erano impazziti e aveva il fiato corto.
Riportare alla normalità le sue funzioni vitali era sempre un’impresa. Doveva focalizzarsi sulla stanza in cui si trovava o su un oggetto in particolare. Qualcosa che le ricordasse che non se lo stava immaginando, non era più in quella cella.
«Dovresti dirglielo» le consigliò l’amica.
‘Mia zia ha cose più importanti a cui pensare’ rispose lei.
Ormai incontrava Minerva McGonagall solo per ragguagliarla sul suo compito di sorvegliante.
Quando, qualche giorno prima, le aveva raccontato di essere diventata amica di Malfoy, lei stessa si era sorpresa. Draco era diventato il suo migliore amico e non se ne era nemmeno resa conto. Eppure, non ci trovò nulla di male.
Sua zia, invece, era sospettosa e l’avvertì che la famiglia di Malfoy poteva influenzarlo e non in maniera positiva.
‘Come può una famiglia decidere il destino di una persona?’ aveva chiesto, contrariata.
«Violet, cara» le aveva risposto, appoggiando gli occhiali sulla scrivania per poi alzare lo sguardo. «Anch’io alla tua età ero impulsiva. Tutto ciò che dico è per il tuo bene».
Aveva perso le staffe. Perché non darle un po’ di fiducia?
Si era alzata, facendo strisciare rumorosamente la sedia, e se n’era andata.
Il loro rapporto si era incrinato negli ultimi mesi.
Fino a due anni prima avevano un legame speciale. Si scrivevano moltissime lettere e stavano insieme durante le vacanze e ogni volta che potevano.
Ora, la donna che sedeva sull’imponente sedia investita di grandi poteri, non aveva più tempo per lei. D’altro canto, anche Violet era diversa. Non era più una ragazzina spensierata.
Le mancava sua zia ma, più di tutto, qualcuno che la sostenesse.
«Guarda che non mi riferivo alla preside, ma a Malfoy» disse Luna, ridestandola.
Violet la guardò stupita.
La sua compagna di stanza, all’inizio dell’anno, aveva scoperto ciò che le era successo. In un primo momento Violet non l’aveva presa bene ma, quando aveva realizzato che era stata l’unica a collegare i fatti di un anno prima, non potè che apprezzarne la perspicacia. Nessuno prima di allora aveva capito chi fosse.
Gli altri studenti snobbavano Luna in quanto diversa ma a lei questa unicità piaceva.
Più la conosceva e più ammirava la sua calma nell’affrontare le sfide. Forte di questa fiducia, le aveva confessato che doveva tenere d’occhio lo studente di serpeverde per conto di sua zia.
Scese dal letto ed andò ad abbracciarla.
Avrebbe tanto voluto parlare con Draco ma temeva che la loro amicizia non avrebbe retto.
Sapeva che stava rimandando l’inevitabile e avrebbe solo peggiorato le cose.
In conclusione, non poteva riavere sua zia e non poteva confidarsi con Draco. Doveva farsi forza e rimboccarsi le maniche.
 
‘Il mio dolce preferito è il pan di zenzero’.
«Noioso».
‘Qual è il tuo?’
«Odio i dolci».
‘Non so perché ma non mi stupisce’.
Violet e Draco stavano seduti sulle sponde del lago intenti in un’intera conversazione col linguaggio dei segni.
Osservò il cielo e vide uno stormo di uccelli migrare. L’inverno si stava avvicinando.
‘Dove faremo le nostre lezioni quando farà freddo?’ chiese.
«Da nessuna parte» rispose il serpeverde, secco.
‘Per quale motivo? Pensi che non mi sappia difendere? Dovresti duellare con me, allora sì che ti ricrederesti…’.
Lui non riuscì a nascondere un mezzo sorriso.
D’un tratto Violet ebbe un’idea.
‘Incontriamoci dopo il coprifuoco’.
«Non è contro le regole?» domandò, incuriosito.
‘Non proprio, siamo due prefetti che controllano il castello e, allo stesso tempo, continueremo con le lezioni’ gli propose.
«Violet, sei la persona più testarda che abbia mai conosciuto».
‘Grazie’ disse sorridendo, sapendo di aver vinto la sua piccola battaglia.
Ciò che Violet non aveva considerato era il ritorno al San Mungo. Conosceva così tante persone che il tempo dei saluti si era prolungato più del dovuto ed era tornata ad Hogwarts a serata inoltrata. Corse nell’ingresso poi giù per le scale. Arrivò nei sotterranei, dirigendosi all’aula di Pozioni, dove si era data incontro con Draco. Aveva il fiatone ma non poteva fermarsi. Era maledettamente in ritardo.
Non vedeva l’ora di incontrarlo per raccontargli ogni cosa, non solo del San Mungo. Era il momento di dirgli tutta la verità e sentiva che era l’occasione giusta.
Arrivata nel corridoio, però, di Draco non c’era traccia.
Era strano.
Sentì un fruscio dietro di lei. Si voltò di scatto e vide qualcosa a terra, in penombra.
Si avvicinò e riconobbe una figura maschile.
‘Lumos’.
La luce della bacchetta lo colpì e Violet lanciò un grido muto.
Draco era appoggiato alla parete, con un labbro rotto e sangue che gli colava da un sopracciglio. Sotto lo zigomo stava già comparendo un ematoma grosso quanto una mela.
‘Che ti è successo?’ chiese Violet, sotto shock. Si mise in ginocchio cercando di guardare meglio le ferite ma lui si scansò.
‘Che ti succede? Dimmi chi è stato’.
Finalmente la guardò negli occhi. Erano scuri come il cielo durante una tempesta.
«Violet McGonagall» disse, distaccato.
Violet rimase paralizzata.
Lo aveva scoperto.
‘I-io te lo avrei detto. Ora non è il momento di parlarne, devo portarti in infermeria’ provò ad aiutarlo ad alzarsi ma lui le diede uno schiaffo sulla mano.
«Non voglio il tuo aiuto» rispose. «Quei corvonero mi hanno detto la verità ma io non gli ho creduto…»
Poi rise. Una risata fredda, distante.
«Che stupido sono stato. Ti ho difesa perché sapevo che tu non potevi mentirmi e invece sei come tutti gli altri».
‘Draco, io sono la nipote della preside, ma non volevo ingannarti’ cercò di giustificarsi.
«Sei sempre stata tu, non è vero?»
‘D-di cosa stai parlando?’ le venne da piangere. Non voleva che Draco la odiasse.
No. No. No.
«Prima dell’inizio dell’anno la McGonagall ha promesso a mia madre che avrebbe fatto in modo di proteggermi…» spiegò, sputando un rivolo di sangue. «Per questo mi sei stata alle calcagna?»
Violet non rispose.
Si sentì tremendamente colpevole. Avrebbe voluto dirglielo un miliardo di volte ma aveva promesso a sua zia di non farne parola.
Gli occhi le si riempirono di lacrime. Cercò di non sbattere le ciglia per paura che la vedesse frignare e si arrabbiasse più di quanto già non era.
‘E’ la verità. Ma ti giuro che io mi sono avvicinata a te perché voglio essere tua amica’.
«Non credo a una parola di quello che dici» rispose, senza guardarla.
‘M-mi dispiace…’
«BUGIARDA!» urlò. Si passò una mano dietro al collo, nervoso. «Vattene…»
‘No!’
«Non voglio vederti mai più».
Fu come uno schiaffo.
Draco non voleva vederla più. Non avrebbero più parlato, scherzato, ammirato il lago o qualsiasi altra cosa avrebbero potuto fare insieme. Sentì un forte dolore al petto.
Come poteva pensare che fosse stata tutta una finzione?
Non voleva mentirgli, non voleva…
Le lacrime le scivolarono sul viso prima ancora che se ne rendesse conto.
Era arrabbiata e triste allo stesso tempo. I muri iniziarono a tremare.
Era stanca di avere segreti. Nascondere la verità le aveva portato solo dolore e non ne poteva più di tutta quella sofferenza.
Esasperata, si allentò la cravatta e slacciò il primo bottone della camicia.
‘Questo è il motivo per cui non c’ero al nostro stupido incontro’.
Avvicinò la bacchetta e gli mostrò la cicatrice che le attraversava il collo da parte a parte. 

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Capitolo 4
*** I mangiamorte ***


«Vedrai, in men che non si dica tornerai a parlare».
Violet era seduta su un letto dell’infermeria, con lo sguardo fisso su un passerotto appollaiato fuori dalla finestra. Stava cinguettando mentre si accucciava nel giaciglio di rami illuminati dal tramonto.
Quante volte aveva desiderato essere un uccello e librarsi nel cielo.
«Com’è stato tornare al San Mungo?»
Era inutile mentire.
L’infermiera di Hogwarts non era una legilimens ma la conosceva da tempo e avrebbe capito qualora avesse mentito.
‘Non facile’.
«Fatti forza» disse, facendole una carezza sulla testa. «Una signorina in gamba come te può fare tutto. Vedrai quando il tuo amico Malfoy sentirà la tua bella voce…»
Il suo amico…
‘Come sta?’ non le fregava più niente ma voleva sapere.
«Il ragazzo ha la pazienza di un criceto. Dovevi sentire come frignava mentre lo medicavo» disse, gesticolando. «Ma, per sua fortuna, ha la pellaccia dura».
Violet tirò un sospiro.
Perché se ne stava preoccupando? Non era affar suo.
Si rimise in piedi mentre riabbottonava la camicia.
«Che genere di studenti possono aggredire un ragazzo solo, di notte, nei sotterranei?» domandò tra sé Madame Pomfrey.
Violet fece spallucce. Si congedò ed uscì.
La visita al San Mungo era andata bene: le sue corde vocali si erano irrobustite, doveva portare ancora un po’ di pazienza e avrebbe parlato di nuovo.
Avrebbe dovuto essere al settimo cielo invece era triste, aveva il magone e le veniva da piangere.
Non aveva dormito.
Si era scervellata tutta la notte pensando: Draco aveva raccontato a sua zia il motivo della rissa? No, era troppo orgoglioso.
Chi erano i ragazzi di Corvonero che sapevano che era la nipote della preside? Era andata per esclusione e ne aveva individuati tre. Gliel’avrebbe fatta pagare.
Draco si sarebbe ritirato da scuola? Era una soluzione drastica ma forse, pur di non vederla più, lo avrebbe fatto.
L’avrebbe odiata per sempre? Si era fidato nonostante tutto e lei aveva preso quella fiducia e l’aveva stracciata, accartocciata e pestata sotto i piedi.
Voleva aggrapparsi alla speranza che l’avrebbe perdonata ma era un’illusione. L’amara realtà era che Draco Malfoy non l’avrebbe fatto e non sarebbero tornati amici.
A quel pensiero le tornò da piangere.
Doveva smetterla di struggersi e sbrigarsi o sua zia l’avrebbe battuta sul tempo.
Aveva fatto recapitare ai compagni di Corvonero una lettera che gli ordinava di recarsi dal professor Hagrid al termine delle lezioni.
Aveva avuto tutta la notte per pianificare ed era stato più che sufficiente.
Li aspettò all’ingresso del parco, nascosta dietro una delle grandi pietre ornamentali. Non potevano che essere loro, avevano segni di lotta sul viso. Senza volerlo, pensò ancora a Draco.
Doveva smetterla, dannazione.
Bacchetta alla mano, attese pazientemente che si avvicinassero.
Prima che potesse entrare in scena, due tizi sbucarono dal nulla e impedirono ai ragazzi di uscire. Violet riuscì per un pelo a non farsi vedere.
Chi diavolo erano quegli uomini?
Avevano vestiti logori e facce da criminali.
«Dove andate di bello, ragazzini?» disse uno dei due, mostrando i denti ingialliti.
L’altro prese uno dei ragazzi per il colletto e lo sbattè contro il muro. «Stiamo cercando un vostro compagno» bisbigliò.
In quel momento, col braccio teso, Violet vide che aveva il marchio nero.
Le sfuggì un urlo che, per fortuna, nessuno sentì.
Erano mangiamorte.
Come erano riusciti ad arrivare indisturbati alle porte di Hogwarts? Doveva avvisare sua zia, ma non poteva abbandonare quei ragazzi.
Merda. Era colpa sua se si trovavano lì.
«Trovate per noi questo ragazzo e non vi faremo nulla» ghignò quello più tarchiato, spostandosi i capelli unti dalla faccia. «Si chiama Draco Malfoy, lo conoscete?»
Il sangue le gelò nelle vene. Aveva detto Draco Malfoy?
Non poteva essere… non Draco.
Volevano lui. Per quale motivo?
Mise una mano sulla bocca, sconvolta.
Uno dei ragazzi rispose che lo conosceva.
«Portalo qui e non faremo del male ai tuoi amici».
Quello asserì e girò sui tacchi ma il tizio robusto, quello dai capelli appiccicosi, lo prese per un braccio. «Ricorda, solo Malfoy. Se oserai avvisare qualche professore tu e questi altri non rivedrete più le vostre mammine».
L’idiota scappò nel castello frignando.
Violet iniziò a sudare freddo. Non poteva fuggire senza che la vedessero. E se quel cretino di un corvonero avesse portato Draco? Sarebbe stata tutta colpa sua, di nuovo.
Cosa gli avrebbero fatto?
Fermati, Violet. Pensa.
Aveva affrontato di peggio. Fece un respiro profondo e chiuse gli occhi.
C’era una sola soluzione.
Puntò la bacchetta verso l’alto e pronunciò ‘Periculum’. Delle scintille rosse volarono ad illuminare il cielo di Hogwarts.
Uscì dal suo nascondiglio.
«Che diavolo…» il mangiamorte non fece a tempo a finire la frase perché Violet lanciò l’incantesimo uno schiantesimo e i due vennero scagliati a terra.
La ragazza fece cenno ai due corvonero di tornare dentro mentre lei corse verso il parco. Non prima di essersi assicurata che i tizi la seguissero.
Pregò di riuscire ad arrivare al platano picchiatore senza intoppi. I due uomini si erano lanciati alle sue calcagna lanciando malefici. Riuscì a schivarli, uno dopo l’altro.
Imprecò di non essere più atletica. Aveva il cuore a mille e la mente in subbuglio.
Evitò la maledizione del tizio con i denti gialli ma, nel farlo, non si accorse di una radice che sporgeva da terra e inciampò.
Si sbucciò tutta la gamba e la strinse per il dolore. Quando riaprì gli occhi, le sue mani erano sporche di sangue.
Doveva spicciarsi, i mangiamorte avevano recuperato terreno. Si rialzò, zoppicando.
Era quasi arrivata.
L’albero l’avrebbe aiutata, ne era sicura. Anche se rischiava di essere colpita, ne valeva la pena, purché mettesse fuori gioco quei due.
«Petrificus totalus!»
Violet cadde a terra come un sacco di patate.
«Chi abbiamo qui?» chiese quello coi denti gialli, requisendole la bacchetta. «Sei stata furba a lanciare l’allarme, ma non abbastanza per rimanere in vita».
Se non fosse stata pietrificata, Violet se la sarebbe fatta sotto dalla paura. Non era più così coraggiosa, disarmata e sola.
L’altro le si avvicinò, il fiato che sapeva di immondizia.
«La ragazza ci tornerà utile» disse, facendo scivolare un dito lungo il suo viso, ferendola. «Ci porterà dritti da lui».
«A-artemis, come faremo a prendere Malfoy? Ora tutti sanno che siamo qui».
«Semplice, useremo lei come esca» rispose, ghignando.
«M-ma quel codardo di Draco non verrà mai da noi…»
Quello di nome Artemis osservò Violet con fare subdolo. «Non ci arrivi? La ragazza non si è messa in mezzo per aiutare quei corvonero…» disse, mentre scrutava il minimo movimento dei suoi occhi. «Sei amica del traditore del suo sangue, non è vero?»
Cercò di rimanere impassibile ma quegli occhi fissi su di lei la agitavano. Possibile che potesse leggerle la mente?
«Squagliamocela, ma prima…»
L’ultima cosa che Violet vide fu il palmo di una mano e il cielo sopra Hogwarts, cupo e grigio.
Quando si risvegliò era sola, in una stanza piena di mobili coperti da lenzuola ingiallite. Uno strato di polvere ricopriva tutto, compreso il pavimento.
La gamba le doleva moltissimo. Era sporca di terra e foglie e non capì quanto fosse grave. Dovevano averla trascinata fino a lì e legato i polsi alla colonna di un vecchio camino.
Sentì delle voci provenire dalla stanza accanto. Riconobbe l’accento del viscido Artemis.
Il cuore iniziò a battere veloce e le mani a sudare.
No. Non adesso.
Le battevano le tempie e i respiri erano strozzati, sempre più corti.
Era il momento peggiore per avere un attacco di panico.
Maledetto corpo che faceva come voleva lui. Violet chiuse gli occhi. Cercò di pensare a qualcosa che la calmasse. L’ultima volta che ne aveva avuto uno era stato Draco ad aiutarla.
Come aveva fatto? Non avevano parlato, si era soffermata sui suoi occhi. Erano luminosi come la luna, color argento. Stupendi.
Draco era bello anche quando si arrabbiava ed era gentile, premuroso.
Ricacciò indietro le lacrime. Pensare a lui la faceva stare bene e male allo stesso tempo.
Pregò che fosse al sicuro. Che sua zia avesse riconosciuto il loro segnale e che quei Corvonero le raccontassero tutto. La preside non avrebbe mai permesso a Draco di varcare le soglie del castello.
Se necessario, l’avrebbe nascosto nelle segrete pur di proteggerlo. Il più lontano possibile da dove si trovava lei ora.
Sapere di aver contribuito alla protezione di Draco la sollevò. Non lo aveva fatto per via del suo compito, ma perché era suo amico. Il suo amico più caro.
Una piccola parte di lei era felice. Assurdo.
«Il capo ci taglierà a fette se non gli portiamo il ragazzo» sentì. I mangiamorte erano nel corridoio fuori della porta.
Di chi stavano parlando?
«Scuciremo le informazioni a lei…» disse Artemis, aprendo lentamente la porta e mostrandole il suo brutto muso.
Strisciò da lei e le si inginocchiò a fianco. «Ti va di dirci il tuo nome?» chiese.
Violet fece no con la testa.
L’altro, per niente contento, le puntò la bacchetta al collo. «Vedi di non fare la spiritosa».
Violet scosse il capo.
Mosse la gamba sana sul pavimento sudicio e provò a scrivere.
Voleva dire NO VOCE ma riuscì a pasticciare una enne e una o.
La gamba prese a farle sempre più male.
«Artemis, credo stia provando a dirci qualcosa» disse quello coi denti giallastri.
«Vuole solo distrarci» sentenziò il compagno, senza staccarle gli occhi di dosso.
Violet continuava a fare no con la testa.
Senza l’uso delle mani non poteva spiegarsi in alcun modo e quel citrullo stava perdendo la pazienza.
«Parla».
Violet aprì e chiuse la bocca per fargli capire che non uscivano suoni.
Artemis la prese per il collo e la sollevò.
«C-che fai, se la uccidi non arriveremo mai al ragazzo» disse Denti gialli, per calmarlo.
«Questa mocciosa si prende gioco di me» disse, con una luce folle negli occhi.
A Violet iniziò a mancare il respiro.
«Le lacrime sono per i deboli, ragazzina» disse.
A Violet non fregava niente di essere debole o forte. Aveva tanta paura. Voleva sua zia, Draco, Luna.
Voleva solo piangere.
Il mangiamorte la lasciò andare facendola cadere sulla gamba ferita.
Faceva talmente male che credeva sarebbe svenuta.
La prese per il mento e le alzò la testa.
Poi, le voltò il capo verso destra. «Aspetta un momento…»
Artemis rise. Di gusto.
«Non è una studentessa qualunque» disse, soddisfatto.
Sentirono un rumore nel corridoio. Un leggero scricchiolio sul legno.
I due mangiamorte alzarono subito le bacchette.
Artemis fece segno al compagno di fare silenzio.
Graffiarono alla porta.
Artemis fece dei gesti strani e Violet dedusse che chiedeva come qualcuno fosse riuscito ad entrare. La porta si aprì leggermente.
Tutti, compresa la ragazza, trattennero il fiato.
Entrò un micio. Un gatto grigio che si fermò sulla soglia.
Denti gialli abbassò la bacchetta. «E’ solo un gatto».
Artemis non fece a tempo a mettere in guardia il suo amico che qualcosa lo colpì.
Dal momento in cui aveva visto comparire una zampa felina, Violet sapeva di essere in salvo.
Uno schiantesimo lanciò Artemis contro la parete più lontana e lo mise fuori gioco. Minerva McGonagall tenne lo sguardo e la bacchetta puntati verso Denti gialli.
«Malfoy, ora!»
Altri passi, stavolta forsennati, arrivarono dal corridoio.
Draco entrò come una furia e le corse incontro.
«Ti hanno fatto del male?» prima che potesse rispondere, vide la ferita alla gamba. «Oh, porca…»
«Portala fuori di qui» gli ordinò la preside.
Il ragazzo ubbidì e la prese tra le braccia, alzandola.
Il dolore alla gamba le diede una fitta fortissima.
Qualcuno urlò e ci fu uno scoppio.
Si appoggiò al petto di Draco e sentì il suo profumo, così simile ai lillà. Gli occhi si fecero pesanti.
«D-draco».

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Capitolo 5
*** La notte porta sogni ***


«Dai, ragazzina, vieni qui. Non ho tempo da perdere».
L’uomo entrò nella cella e la prese per i capelli, trascinandola fuori.
La tirò facendola strisciare per terra lungo tutto un corridoio. Arrivarono in una stanza dove l’unica fonte di luce era qualche candela accesa qua e là.
«Violet».
Una voce familiare.
«Papà».
Suo padre era in ginocchio, legato con delle catene a polsi e caviglie. Non c’era una parte del viso o delle braccia che non fossero tumefatti dai lividi.
Nei suoi occhi c’era disperazione.
«Vi prego, lasciatelo andare!» disse, dimenandosi.
«Su, papino. Aiutaci e non faremo nulla alla tua bambina» lo schernì il mago.
«Per favore, lei non c’entra. Prendete me e liberatela».
«Devi promettere fedeltà al signore oscuro».
«Mai!»
«Beh, mi vedi costretto a rivedere gli accordi…»
«No, MIA FIGLIA NO!»
«McGonagall, prometti fedeltà al signore Oscuro altrimenti lascerò il segno sul suo bel faccino».
«Papà, non dargli ascolto! Resisti!» lo implorò.
«La ragazzina ha del fegato» osservò il mago, guardando padre e figlia. «Se le facessimo passare la voglia di parlare, potrei sciogliere i tuoi dubbi?»
«Cosa…no! No!»
Quello le si avvicinò con la bacchetta alzata e la puntò sul suo collo.
La ragazza sentì un dolore lancinante. Indescrivibile. Così forte che credeva di morire. Sentì suo padre urlare, dopodiché, tutto si fece buio.
Violet si svegliò.
Il respiro corto, la fronte sudata. Per la prima volta aveva sognato suo padre.  
Qualcuno la rinfrescò con un panno umido.
«Come ti senti?»
Vicino al letto dell’infermeria c’era sua zia Minerva. Aveva il volto stanco e sciupato.
«Sono stata troppo impegnata con la scuola e ti ho trascurata» disse, continuando a tamponarle il viso.
Aveva gli occhi lucidi.
«Se fossi stata più presente niente di tutto questo sarebbe successo» proseguì, a raffica. «Ti ho addossato la responsabilità di proteggere Malfoy…è colpa mia…».
L’ultima volta che Violet l’aveva vista piangere era stato al funerale di suo padre. Non voleva che piangesse. Si mise a sedere e le strinse la mano.
‘Io sto bene’ disse, mentre le asciugava una lacrima.
‘Sono qui con te e non andrò da nessuna parte’.
Minerva si sporse in avanti e l’abbracciò.
«Credevo di avere un infarto quando ho scoperto che cos’era successo» disse. «Anche da bambina combinavi guai, ma questo è di gran lunga più pericoloso».
Violet la sentì nell’aria: stava per partire la ramanzina.
Minerva McGonagall era pur sempre la preside.
«L’idea di lanciare l’incantesimo di pericolo è stata giusta ma saresti dovuta rientrare nel castello insieme ai tuoi compagni di Corvonero».
‘Se l’avessi fatto quelli sarebbero entrati nella scuola!’
«Anche se sei tra le streghe più potenti di Hogwarts sei ancora una studentessa» la redarguì. «Sei scappata da sola con appresso due mangiamorte!»
La ragazza accusò il colpo. Sapeva che aveva ragione e si astenne dal ribattere.
«Senza contare che i compagni della tua casa dicono di aver ricevuto una lettera dal professor Hagrid di andare nella sua capanna dopo le lezioni» disse, incrociando le braccia. «Peccato che Hagrid non abbia mandato nulla, ne sai qualcosa?»
Violet fece no con la testa, colpevole.
«Bene, perché quei ragazzi avranno la punizione che si meritano per aver aggredito Malfoy» rispose con un sorriso furbo. «E, per tua informazione, si sono scusati e hanno promesso di non rivelare che sei mia nipote».
Conoscendo sua zia, il castigo sarebbe stato esemplare.
‘Che ne è stato dei mangiamorte?’
«Uno di loro è riuscito a fuggire, purtroppo» disse, sospirando. «Ma lo troveremo».
‘Come hanno fatto ad arrivare fino all’ingresso del castello?’.
«Ancora non lo so» disse, per nulla scoraggiata. «Puoi stare certa che lo scoprirò».
Non aveva dubbi che lo avrebbe fatto.
«Ora, parlami dei tuoi incubi» le disse, cambiando discorso.
Violet rimase spiazzata.
Come faceva a saperlo? Glielo aveva detto Luna?
«Non ho bisogno di leggerti la mente per capire cosa stai pensando» la anticipò. «Prima di svegliarti ne hai avuto uno, non è vero?»
Colta sul fatto.
‘Ho ancora gli incubi’ confessò. ‘Non te l’ho detto per non farti preoccupare’.
Sua zia le sorrise, segno che non l’avrebbe interrotta.
‘Sogno continuamente dov’ero rinchiusa, ma poco fa è stato diverso…’
«Che cosa hai sognato?» le chiese, incoraggiandola.
‘Ho sognato papà’.
Lo stupore negli occhi di sua zia durò solo un secondo.
«Ricordi cosa ci hanno detto al San Mungo? Che lo shock che hai vissuto ha bloccato i tuoi ricordi» disse, stringendole la mano. «Rievocare quei momenti è troppo doloroso, se la tua memoria non tornasse non cambierà nulla».
‘E’ colpa mia’ disse la ragazza, con gli occhi che bruciavano.
«Non è vero» la rassicurò, appoggiando la fronte alla sua. «La cosa che più contava per lui sei tu. Lascia andare questo peso che porti con te».
Restarono in silenzio.
Nessuna delle due riusciva ad esprimere a parole il proprio lutto. Tutti avevano perso una persona cara durante la guerra. Violet un padre e Minerva un fratello.
«Sai, Malfoy mi ha stupito» disse, cambiando discorso.
«Ha messo al muro uno dei ragazzi di Corvonero accusandolo di averti abbandonata coi mangiamorte».
Violet sbarrò gli occhi. Draco aveva fatto questo?
«È stato molto impavido» continuò. «Credo che dovrò ricredermi su di lui».
Sua zia non le avrebbe mentito solo per tirarla su di morale; perciò, Violet fu davvero felice di sentire quelle parole. Draco era andato a cercarla, forse c’era ancora speranza per la loro amicizia?
Incrociò le dita.
Sentirono la porta aprirsi. Minerva si sporse e fece un mezzo sorriso quando vide chi era entrato.
«Parli del diavolo…» le sussurrò, facendole l’occhiolino.
‘Come sto?’
«Malandata, proprio come lui» le rispose, congedandosi.
«Due minuti Malfoy, deve riposare» le sentì dire.
Udì i passi farsi vicini.
Non credeva che avrebbe potuto parlargli di nuovo. Quando lo vide, dovette dar ragione a sua zia. Era malconcio quanto lei. Uno zigomo gli si era gonfiato per via della scazzottata. Per lei era bello comunque.
Draco si fermò ai piedi del letto, teso. Perché d’un tratto le sembrava schivo?
«Come va la gamba?»
‘Meglio, grazie’.
Di certo rispetto all’ultima volta che l’aveva vista, ricoperta di fango. Madame Pomfrey le aveva messo una fasciatura da manuale.
Draco deglutì lentamente, abbassando lo sguardo.
Calò il silenzio.
Lo obbligò a guardarla con la scusa del linguaggio dei segni.
‘La preside ti ha detto che uno dei mangiamorte è scappato?’
Draco fece cenno di sì.
‘Cercavano te’.
«Me l’aspettavo» rispose, senza fare una piega. «Ho tradito il signore Oscuro e loro danno la colpa a me se non hanno vinto la guerra».
‘Mia zia aumenterà la sicurezza, ma dobbiamo stare all’erta’.
«Dobbiamo?» le chiese, stranito.
‘Intendo, noi due’.
«Tu non devi fare un bel niente».
‘Scusa?’
«Hai idea di quanto hai rischiato?» chiese, quasi risentito. «Avrebbero potuto ucciderti, lo sai?»
«Per quale motivo lo hai fatto? Per quegli idioti di Corvonero? Quei codardi sono scappati appena hanno potuto…» disse, stringendo la barra del letto.
‘H-ho agito d’impulso ma, se tornassi indietro, lo rifarei’.
«Quelli non si fermeranno finché non mi avranno preso» disse, indicando la porta.
‘Li fermeremo una volta per tutte’.
A Draco scappò una risatina isterica. «Tu non fermerai un bel niente».
‘Il mio migliore amico è in pericolo e io dovrei starmene impalata a fare niente? Tu avresti fatto la stessa cosa’.
«Non lo sai».
Le dita di Draco erano ormai bianche da quanto stringeva il ferro.
‘Certo che lo so!’ disse Violet, sbattendo un pugno sul comodino.
‘Io ti conosco meglio di quanto ti conosci tu’.
Il solito vecchio Draco. Per capirlo, bisognava avere le istruzioni.
«Io…» disse, facendo un passo indietro. «Scusa, dovrei lasciarti riposare. Ci vediamo…».
Arretrò e lasciò la stanza.
‘Draco, aspetta’.
‘Draco!’
Perché se ne stava andando?
Maledizione, era così frustrante non poter parlare.
Doveva fermarlo. Lasciarla spiegare.
Scostò le coperte e provò a mettersi seduta. La gamba le diede una fitta terribile e dovette stendersi di nuovo e chiudere gli occhi.
Quando li riaprì, le parve di riuscire ad alzarsi. Notò una stampella appoggiata alla porta e la prese.
Zoppicò fino alla porta. Dovette appoggiarsi allo stipite.
Parla, Violet. Provaci.
«D-d-d…»
Ancora.
«D-d-d-r-r…».
Quel balbettio era solo un sussurro. Non l’avrebbe mai sentita.
Non le avrebbe dato retta. Stupido cocciuto.
Era così vicini eppure, così lontani.
Draco stava per svoltare nel corridoio e non sarebbe più riuscita a raggiungerlo.
«D-d-r-r-a-a…».
D’un tratto, il serpeverde si bloccò. Voltò lo sguardo e spalancò gli occhi.
«Che diavolo stai facendo?»
Allungò il passo e la raggiunse.
Prima di rendersene conto, lanciò a terra la stampella e gli gettò le braccia attorno al collo.
Non aveva nessun altro modo se non quello per fargli capire quanta paura, terrore e affetto provasse in quel momento.
«Violet, per favore, lasciami».
Lei non si mosse di un millimetro. Non avrebbe più voluto staccarsi.
Non finché avesse capito.
«Violet…»
Draco era distaccato. Cercò di scostare le sue braccia dal collo ma lei non mollò la presa.
«Tu non capisci. Avrei dovuto esserci io su quel letto. Non riesco a guardarti senza avere una fitta allo stomaco».
Lo strinse più forte.
«Violet…»
Draco sospirò.
«Strozzerei quel mostro che ti ha ridotto così con le mie mani» disse. «Violet, guardami».
Non ne aveva il coraggio, ma dovette ubbidire.
Si staccò piano, appoggiando le braccia alle sue per non perdere l’equilibrio.
Lui le alzò il mento e fu costretta a guardarlo.
«Se ti fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato».
I suoi occhi brillavano come stelle nel firmamento.
Tutta l’angoscia che Violet aveva trattenuto uscì come un fiume in piena. Presa dai singhiozzi, usò una manica per asciugarsi gli occhi.
‘Sei uno stupido’ riuscì a dirgli.
«Hai ragione» ammise, sorridendo. «Dovresti riposare, ti riporto a letto».
Con sua enorme sorpresa, Draco la prese in braccio. Avvolse le braccia intorno al suo collo e si lasciò cullare, guardandolo.
Nel suo volto c’era qualcosa di diverso, non solo il segno del pugno che si era preso. Non sapeva come.
La appoggiò delicatamente sul letto.
«Prometto che tornerò domattina».
‘Ci sono ancora tante cose che devo dirti’.
«Non vado da nessuna parte».
‘Scusa se ti ho mentito’.
«Scusa se sono stato uno stronzo».
A Violet scappò un sorriso.
Draco si avvicinò e le diede un bacio sulla nuca.
«Buonanotte».
Violet si svegliò di soprassalto. Aveva le lenzuola scostate. Era stato un sogno. Non si era mail alzata da quel letto. Non aveva parlato e Draco non l’aveva riportata a letto dandole un bacio. Che stupida.

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Capitolo 6
*** Il passato viene a galla ***


Essersi quasi rotta una gamba aveva i suoi vantaggi. Draco, stranamente apprensivo, l’aiutava a spostarsi da un’aula all’altra ogni volta che ne aveva bisogno. Portava i libri al posto suo e le porgeva il braccio quando dovevano salire o scendere le scale.
Gli altri studenti lo guardavano come se qualcuno avesse sostituito il Malfoy che conoscevano con un infermiere tuttofare. Violet era stupita ma si sentiva in imbarazzo quando lui insisteva per prendere le sue cose o aiutarla con la stampella.
Aveva realizzato che mancavano pochi giorni a Natale solo quando, dimessa dall’infermeria, si era trovata il castello addobbato di alberi, ghirlande e decorazioni. Per completare l’atmosfera magica ci si era messa anche la neve, che scendeva copiosa.
Violet amava il Natale, anche se gli ultimi due anni non erano stati dei più felici. Sperò che Hogwarts le riportasse un po’ di spirito natalizio.
Quel pomeriggio lei e Draco stavano studiando in biblioteca quando uno studente di Serpeverde del primo anno si avvicinò. Si capiva lontano un miglio che era teso.
«Eh-ehm, tu…» disse, rivolgendosi a Draco. «Sei D-Draco M-malfoy?»
Stritolava tra le mani una sciarpa con i colori della sua casa. Draco alzò svogliato la testa per guardarlo.
«Tu chi saresti?»
«I-io s-sono un tuo fan…» continuò balbettando. «S-sei il miglior C-cercatore che Serpeverde a-abbia avuto e…».
«M-mi piacerebbe che tu mi autografassi la sciarpa!» esclamò, porgendogli l’oggetto a testa bassa.
Draco fece un mezzo grugnito.
Violet gli diede un calcio con la stampella sotto al tavolo. Quando la guardò, gli fece capire senza mezzi termini di accontentare il ragazzino.
«Va bene» rispose, alzando gli occhi al cielo.
Dopo che il primino si fu prostrato ed ebbe ringraziato per la millesima volta, Violet partì sul piede di guerra.
‘E’ la prima persona che ti rivolge la parola dall’inizio dell’anno e tu ti comporti così?’
«Ci ha interrotti mentre studiavamo» si giustificò Draco.
‘Non prendermi in giro. È stato così carino…’ disse, guardandolo uscire esultante mentre sventagliava ai quattro venti l’autografo del suo idolo.
‘Cos’è questa storia che eri un Cercatore?’
«Credevo lo sapessi».
‘No che non lo sapevo! Perché non hai fatto le selezioni quest’anno?’
Draco finse di ridere. «Pensi davvero che mi avrebbero preso?»
‘Beh, forse no…ma puoi sempre riprovare! Il cercatore della tua casa non è una schiappa?’
«Da quando segui il Quidditch?».
‘Da sempre, ma non credevo piacesse anche a te…’.
«E’ solo uno stupido gioco, posso farne a meno» rispose. Ma Violet colse poca convinzione nelle sue parole.
‘Ma a te piace ancora?’
«Non importa, ora che si spargerà la voce che dei mangiamorte volevano farmi la festa si terranno la loro mezza calzetta di Cercatore» dichiarò, riabbassando lo sguardo sul libro.
Questo, per lui, significava argomento chiuso.
Di nuovo, qualcuno si avvicinò al loro tavolo. Era Luna, che portava con sé tantissimi libri di Erbologia.
«Ciao Violet, Malfoy» disse.
Draco rispose con un mezzo grugnito. Quando la stampella lo colpì di nuovo non la prese molto bene.
‘Vuoi una mano con quei libri?’ le chiese Violet.
«Oh no, ti ringrazio. Devo portarli a Neville…» si interruppe, distratta da un uccellino fuori dalla finestra. «Mi manda la preside».
I due amici si guardarono, d’istinto.
«Vi vuole parlare, nel suo ufficio» li salutò e riprese il tragitto col suo malloppo di libri.
«Mi hai spaccato la tibia! Perché lo hai fatto?» piagnucolò Draco, massaggiandosi la gamba.
‘Dovresti sforzarti un pochino di più’ lo rimproverò. ‘Prova ad essere un tantino meno Malfoy e più Draco’.
«Che vorrebbe dire?»
‘Un po’ più te stesso’.
Come risposta, Violet ottenne un altro grugnito.
‘Quando tornerai a casa?’ domandò la ragazza. mentre raggiungevano la torre più alta del castello.
Si era talmente abituata ad averlo attorno che pensare di non vederlo per due settimane le aveva messo un po’ di malinconia.
«Credo il 23, perché?»
Violet fece spallucce. ‘Dovrò trovare qualcun altro che mi faccia da porta borse’ disse, fingendosi divertita.
‘Promettimi che farai attenzione’.
«Starò a casa, non mi succederà nulla», minimizzò. «Sarò di ritorno prima che tu te ne accorga».
Quando entrarono nell’ufficio della preside, videro la strega ravanare con qualcosa dietro la scrivania. Si voltò e si sedette rapida.
«Accomodatevi» disse, facendo finta di niente.
‘E’ successo qualcosa? Avete trovato il mangiamorte?’.
La zia fece segno di no. «Purtroppo no, ma è il motivo per cui vi ho chiamati».
«L’ultima volta siamo stati fortunati, se quegli sciocchi studenti avessero portato il signor Malfoy da quegli uomini a quest’ora starebbe festeggiando il Natale coi topi».
«Gli avrei tenuto testa» si vantò Draco.
«Non ne dubito, signor Malfoy» disse, assecondandolo. «Ma, per evitare che un simile avvenimento accada, ho deciso che resterà a Hogwarts per le vacanze».
«Cosa?!?» disse Draco, alzandosi in piedi. «Non può obbligarmi a rimanere qui!».
«Posso e lo farò, signor Malfoy».
«Non credo che mia madre sarà d’accordo».
Un lieve sorriso increspò le labbra della preside. «Sua madre è già a conoscenza della cosa ed ha acconsentito a farla restare».
«Ha acconsentito?!?» chiese, scioccato.
«Non vedo cosa ci sia di male. Hogwarts è bellissima durante le feste. Vi divertirete».
«No! Io devo…» Draco si interruppe.
Violet non capì cosa cercasse di dire. L’unica cosa che sapeva era che la conversazione stava prendendo una brutta piega.
‘Zia, credi che qualcuno abbia aiutato i mangiamorte?’ le chiese.
Minerva, grata di quella interruzione, rispose. «Ne sono certa, mia cara» disse, appoggiando le braccia sul tavolo. «Temo che possa esserci un mago o una strega sotto l’effetto della maledizione Imperius».
Bussarono alla porta.
Il professor Flitwick, insegnante di Incantesimi, entrò sbraitando. La sua voce superava di gran lunga la sua statura.
«Filius, che succede?»
«Una delle piante nella serra ha perso il controllo e sta distruggendo tutto! La professoressa Sprout è disperata!»
«Calmati, per Merlino» gli rispose la preside, alzandosi. Nel farlo, urtò contro qualcosa dietro la sedia, senza dargli importanza. Scrutò per un momento i due ragazzi, poi si fece strada verso l’uscita.
A un passo dalla porta, li guardò. «State qui e non combinate guai. Torno subito».
«Tua zia è una cazzo di dittatrice…».
Ma Violet non aveva tempo per dargli retta. Cosa aveva nascosto sua zia quando erano arrivati? Si era comportata in modo insolito. Le era parsa turbata.
Si avvicinò alla sua sedia e vide un drappo blu che celava un oggetto.
«Violet, che stai facendo?»
‘Hai notato che mia zia nascondeva qualcosa quando siamo entrati?’
«A volte ti dimentichi che tua zia è la preside. Scendi da lì» le suggerì.
Ma la ragazza moriva dalla voglia di sapere cosa fosse. Sfilò il drappo che, una volta caduto, rivelò un grosso piatto argentato che librava a mezz’aria.
Non c’era nulla che lo sorreggesse.
‘Che diavolo è?’ quell’oggetto le parve familiare.
Draco la raggiunse.
«Cos’è questo coso?»
‘Qualcosa che mia zia non voleva che vedessimo’.
Si avvicinò ancora, sporgendosi per guardare dentro. C’era uno strano liquido che girava in tondo senza che nessuno mescolasse. Poi, una strana presa la spinse dentro il piatto, come se una calamita la attirasse verso il basso. D’istinto, prese Draco per un braccio e lo trascinò con sé.
Durò solo qualche secondo la sensazione di risucchio. Quando riaprì gli occhi, non erano più nell’ufficio della preside.
I quadri erano stati sostituiti da carta da parati. C’era un enorme tappeto che copriva quasi tutto il pavimento. Davanti al camino scoppiettante, due poltrone rosso e oro. Tutt’intorno, scaffali zeppi di libri.
‘Ho già visto questo posto’ disse Violet.
Ne era certa. Dalla porta entrarono una bambina dai lunghi capelli color rame che teneva la mano ad una donna.
Violet spalancò gli occhi. La donna era Minerva McGonagall, ma più giovane.
Si sedettero vicino al camino e non fecero nemmeno caso ai due studenti che avevano appena invaso il loro spazio vitale.
«Quella bambina» disse Draco, indicandola, «sei tu?!?»
Era proprio lei.
«Com’è possibile?» gli andò vicino ma nulla. «Non ci sentono».
‘Credo che non possano nemmeno vederci’ suggerì. ‘Non so come ma temo che quell’oggetto ci abbia portato nel passato’.
«Tesoro, davvero hai trasfigurato quell’antipatica infermiera dove lavora tuo padre in un topolino?» chiese la giovane versione della preside.
La bambina rise e Minerva capì che era un sì.
«Eccezionale, meglio di tua zia» si complimentò. «Di questo passo mi ruberai il lavoro!»
Le fece il solletico e la bambina prese a ridere a più non posso.
«Hai trasformato una donna in un topo?» le chiese Draco.
Violet ricordava a stento quel momento ma la fece sorridere.
«Essere trasformati in animale è orribile» disse l’amico, portandosi una mano dietro al collo.
‘Ti è capitato?’
«La domanda è: come hai fatto tu a farlo a quell’età?»
Violet gli fece l’occhiolino. ‘Sono o non sono una brava strega?’
Draco alzò gli occhi al cielo.
Nel frattempo, la piccola Violet stava dicendo qualcosa nell’orecchio della zia. Osservando quella scena ricordò quanto lei e sua zia fossero simili.
Qualcosa si mosse, nella stanza. La ragazza notò dei granelli di sabbia alzarsi da terra e salire sui mobili, sul muro. Tutto venne coperto e mutò. Anche zia e nipote sparirono.
«Che succede?»
Le poltrone lasciarono il posto a dei banchi e davanti a loro apparve una grande scrivania. Erano nell’aula di Trasfigurazione. La professoressa McGonagall parlava animatamente con un uomo alto dai capelli ramati.
Violet venne colpita da un senso di vuoto all’altezza dello stomaco.
Quel viso, quegli occhi. La chioma sempre spettinata. Non credeva che rivederlo facesse così male. Era così reale eppure, non era lui.
«Per quale motivo non le vuoi permettere di studiare qui? Hogwarts è la migliore scuola di magia e tu lo sai…» disse la McGonagall.
«Come pensi che starebbe in una scuola dove tutti sanno che sua zia è l’insegnante di Trasfigurazione e suo padre il direttore del San Mungo? Andiamo, Minerva…»
«Ma così si perderà tutto. Non si farà degli amici e non imparerà a stare con i suoi coetanei» disse la McGonagall. «Violet è più dotata di te e me, la priverai di diventare una delle migliori streghe del paese?».
«Le darò io stesso gli insegnamenti di cui necessita» rispose l’altro, spazientito.
«Jacob, ripensaci».
Il mago girò sui tacchi ed uscì, mentre la professoressa guardava con malinconia la porta chiudersi.
«Quello è tuo padre?» chiese Draco.
‘Dobbiamo uscire da qui’ gli rispose.
Ma la stanza non cambiava. Solo quando videro la professoressa con un abito diverso e il buio offuscare la stanza capirono che il tempo era trascorso. Minerva camminava furiosamente avanti e indietro, mordendosi le unghie. Aveva gli occhi gonfi e rossi. Il suo portamento serio era stato sostituito da una schiena bassa e tremolante.
La porta si spalancò. Entrò a passo svelto un uomo con una lunga tunica, una barba bianca e degli occhiali a mezzaluna.
«Non è possibile…» disse Draco, a corto di parole, «Lui è…».
‘Lui non è davvero qui’ gli spiegò.
«Albus, lo avete trovato?» chiese la professoressa.
«Minerva, siediti» le suggerì l’ex preside. «Ti prego».
«Che è successo? Gli è stato fatto del male?»
Aveva i nervi a fior di pelle ma il mago fu irremovibile. «Minerva, devo insistere che tu ti sieda».
Minerva si sedette, sconfitta. «Dovevo stargli più vicino, sapevo che avrebbero cercato di corrompere mio fratello…»
«Di cosa sta parlando?» domandò Draco.
Violet non ne era certa. Ma l’istinto le diceva che quel momento era stato quando…
«Tuo fratello è stato ucciso dai mangiamorte, Minerva» disse, d’un fiato, «Mi dispiace».
La donna scoppiò in un pianto.
Silente le prese la mano e la strinse. «Minerva, c’è dell’altro».
«La figlia di Jacob, Violet, avevano preso anche lei».
«L-la mia V-violet?» chiese, mettendosi una mano davanti alla bocca.
«Sta bene, è stata ferita ma è sana e salva».
«Oh Albus, è solo una bambina…» singhiozzò. «Ha perso la madre e ora anche suo padre».
«Non è sola, lei ha te» la consolò. «Ti daremo tutto l’aiuto necessario, vedrai».
Draco si mise davanti a Silente e la McGonagall, nascondendole la vista.
«Violet, tutto questo è accaduto davvero?»
A Violet venne da piangere. Non aveva mai visto sua zia in quello stato. Da quando erano solo loro due, non aveva mai vacillato. Cosa significava tutto questo? Erano i suoi ricordi?
Draco le toccò la spalla, ridestandola.
‘E’ la verità’ disse, semplicemente.
Cercò di spostarsi per guardare ancora sua zia ma l’amico la fermò, appoggiando le mani sulle sue spalle.
‘Che fai?’
«Voglio sapere cosa è successo» disse, fissandola.
‘Non è successo niente’ minimizzò.
Non sapeva perché se la stava prendendo con lui.
«Non è vero. Tuo padre è stato rapito dai mangiamorte?»
L’aveva bloccata e non poteva sfuggirgli. ‘Sì, e con questo?’
Draco non rispose.
‘I mangiamorte volevano che giurasse fedeltà al signore oscuro e lui non lo ha fatto’.
‘E questo è il risultato’ disse, indicando i due maghi dietro di loro.
Gli occhi argento del suo amico cambiarono sfumatura. Si erano oscurati, tingendosi di nero.
«Sono stato così preso dai miei problemi da non sapere nemmeno cosa stessi passando» le rispose. «Mi dispiace».
Non staccò nemmeno per un momento lo sguardo dal suo. Quel contatto visivo la fece calmare. Gli occhi di Draco erano il suo punto debole.
«Sono stato un amico di merda, non è vero?»
Violet appoggiò le mani sui suoi polsi. Stava per dire qualcosa ma venne distratta dalla sabbia, che stava coprendo di nuovo tutto. Anche Draco se ne accorse perché alzò la testa e scostò le braccia.
Erano tornati nell’ufficio della preside.
La porta si spalancò. Se la professoressa avesse capito cos’avevano combinato sarebbero stati in guai grossi.
Ma Minerva non era sola. Con lei c’era un’elegante strega dai capelli chiarissimi.
«MAMMA?» disse Draco.
Ma la donna non rispose. La preside la invitò a sedersi e fece lo stesso.
«Mamma, che ci fai qui?» chiese Draco, avvicinandosi alla donna seduta di fronte alla McGonagall.
La donna non lo guardò. Era come se non lo sentisse.
Violet si avvicinò alla finestra. Nel prato non c’era traccia della neve che era caduta inesorabile per tutto il giorno. Era una distesa rigogliosa di verde e il sole brillava alto nel cielo.
‘Draco, non siamo tornati. Questo è un ricordo’.
«Conosce già il motivo della mia visita» disse la signora Malfoy. «Voglio discutere della sicurezza di mio figlio».
«Le assicuro che Draco avrà la miglior protezione durante l’anno scolastico».
«Non mi accontento certo di un mago qualunque. Voglio che sia un professore. O un Auror».
«Mia cara, il Ministero non manderebbe un Auror nemmeno se dovessero proteggere me. Mentre un professore che segue costantemente uno studente creerebbe non pochi sospetti».
‘Di che cosa stanno parlando?’ chiese Violet.
«Non me ne andrò di qui finché non avrò la certezza che Draco venga protetto giorno e notte».
La signora Malfoy era evidentemente tesa.
«Narcissa, tuo figlio non desidera essere seguito».
«Non importa cosa dice, io voglio che sia al sicuro!»
«E lo sarà, hai la mia parola».
Draco era immobile che assisteva alla discussione tra sua madre e la preside. Si passò una mano tra i capelli. Violet avrebbe dato cento galeoni per sapere cosa passasse per la sua testa.
«Allora, chi?» insisté la strega.
«Una nuova studentessa, al sesto anno come lui».
«Vuole mettere la vita di mio figlio nelle mani di una ragazzina? Non lo accetto!»
«No, mia cara. La ragazza è tra le streghe più talentuose di tutta la Gran Bretagna».
«Non diciamo fesserie, Minerva».
«Non è una studentessa qualsiasi, Narcissa».
«Per Merlino, voglio il nome!»
«Violet McGonagall» rispose la preside, esasperata. «Sei contenta ora?»
L’espressione sul volto della madre di Draco cambiò. Il labbro inferiore prese a tremarle. Appoggiò una mano alla bocca, sospirando. Gli occhi si fecero leggermente lucidi.
«Hai insistito tu, Narcissa» si giustificò la preside.
Recuperata un po’ della sua compostezza, la madre di Draco chiese. «Lei è…è la figlia di Rose?»
Se qualcuno avesse tirato una scopa in fronte a Violet le avrebbe fatto meno male.
Come faceva la signora Malfoy a conoscere il nome di sua madre? Anche Draco era immobile, in attesa di sapere cosa stessero per dire.
La preside asserì.
«E…lei sa?» chiese Narcissa, titubante.
«No, non sa nulla» la rassicurò Minerva.
‘Di che diavolo stanno parlando?’ chiese Violet, impaziente. ‘Come fa tua madre a conoscere il nome della mia?’
«Non ne ho la minima idea, Violet. Te lo giuro» rispose Draco.
Era sincero. Sapeva tanto quanto lei.
Violet sentì qualcosa attirarla verso l’alto. I loro piedi si staccarono da terra e presero a salire sempre più su mentre le due streghe sparivano.
Non adesso! Cosa stavano per dirsi?
In pochi secondi caddero ai piedi del piatto argentato, nell’ufficio della preside.
Come prima cosa, Violet guardò fuori. Nevicava. Erano tornati per davvero, stavolta.
Sentirono dei passi rimbombare nelle scale.
«Sbrighiamoci!»
Violet rimise il drappo sul piatto e corsero entrambi a sedersi. Appena in tempo per l’ingresso della preside.
«Ci mancava anche questa» disse tra sé e sé, tornando a sedersi. «Dove eravamo rimasti?»
Draco e Violet si scambiarono un’occhiata.
«Ehm, al fatto di restare nel castello» rispose Draco.
«Oh, sì. Dicevo che è per il suo bene e sua madre è d’accordo, signor Malfoy».
«Va bene».
La preside spalancò gli occhi. Poco prima stava per dichiarare il finimondo per quella reclusione e ora non batteva ciglio.
La donna guardò la nipote. Per tutta risposta, Violet si guardò attorno pur di non incrociare il suo sguardo.
«Per il momento è tutto. Ma state allerta, intesi?».
Entrambi fecero cenno di sì. Prima di chiudersi la porta alle spalle, Violet osservò sua zia. L’aveva vista lottare e disperarsi in pochi minuti. Avevano sbirciato nei suoi ricordi e si sentì in colpa.
Ma il ricordo con la madre di Draco cosa significava? Nessuno parlava mai di sua madre, a malapena Violet sapeva qualcosa di lei.
Non appena scese le scale a chiocciola, Draco si guardò attorno per controllare che fossero soli.
«Che facciamo ora?» le chiese.
‘In che senso?’
«Non dirmi che dopo aver visto quelle cose non vuoi andare a parlare con mia madre».
‘Beh, sì’ ammise. ‘Ma non è una buona ragione per andarsene e rischiare la pelle’.
«Violet, io devo tornare a casa» dichiarò. «Anche solo per qualche ora».
‘Cosa devi fare di così importante?’
Ma lui non l’ascoltava. Brontolava tra sé.
Violet lo tirò per la divisa. ‘Mi dici che diavolo devi fare?’
«Non voglio lasciarla sola!» irruppe.
I suoi occhi si fecero, per un momento, cupi. Si passò una mano tra i capelli. Come faceva sempre per riordinare le idee.
«Anche mia madre ha dovuto pagare per le stupide azioni di mio padre. È sempre sola e non voglio che lo sia anche a Natale» confessò.
‘Questo è il motivo per cui vuoi tornare a casa?’ chiese, scioccata.
«Ora dammi pure dello stupido».
Violet sorrise.
‘A volte dimentico che sotto quei modi da sbruffone c’è un tenerone’ lo beffeggiò.
Draco accusò il colpo. «Non osare mai più chiamarmi così».
‘Come? Sbruffone o tenerone?’ disse, trattenendo a stento le risate.
«Entrambi».
Violet scoppiò a ridere e Draco fece lo stesso.
Mentre raggiungevano la sala grande per la cena, gli chiese. ‘Quando pensavi di andare?’
«La sera di Natale».
Violet sgranò gli occhi. ‘Il 25? Si accorgeranno subito che manchiamo!’
«Io non credo» suggerì Draco, fermandosi poco prima di entrare. «A pranzo staremo qui come buoni agnellini e nel pomeriggio sgattaioliamo a Hogsmeade. Penseranno che abbiamo mangiato troppo per unirci alla cena».
Violet rifletté. Forse il piano dell’amico non era tanto male.
Entrarono nella sala grande e dovettero, come al solito, separarsi. Violet odiava non poter mangiare insieme. La trovava un’idiozia. Come se le avesse letto nel pensiero, Draco disse. «Non ci avevo pensato, durante le vacanze potremo mangiare allo stesso tavolo?».
Sulla faccia di Violet comparve un enorme sorriso. Poteva scommetterci. A costo di far istituire una nuova regola a sua zia.
«Tutto bene?» le chiese Luna, una volta seduta.
‘Alla grande’ rispose. ‘Che è successo alla serra?’
«Non lo so, quando sono arrivata era tutto per aria e Neville non aveva la minima idea di quale composto avesse fatto crescere a dismisura la pianta. Strano, non è da lui…»
«Che vi ha detto la preside?» chiese, cambiando discorso.
‘Che dovremo restare entrambi a Hogwarts per le feste’ le rispose, agguantando una coscia di pollo.
«Tu e Malfoy resterete insieme per tutte le vacanze» disse. «Non sei contenta?»
Notò qualche ragazza di Corvonero drizzare le antenne. Se non fosse stato per la pessima reputazione di Draco, sapeva che le studentesse gli sarebbero corse dietro. Lo capiva da come lo guardavano.
‘Si, anche se lui avrebbe voluto tornare a casa dalla madre’.
Non poteva dirle che avevano appena escogitato un piano per scappare da Hogwarts il giorno di Natale disubbidendo a qualsiasi regola.
«Beh, troverete il modo» le rispose, sorridendo, l’amica.
A Violet andò di traverso il boccone. Era come se le avesse letto nel pensiero.
Si voltò verso il tavolo di Serpeverde. Il ragazzino del primo anno che gli aveva chiesto l’autografo in biblioteca si era seduto al suo tavolo e aveva portato con sé un gruppetto di amici. Sospettò che fossero anche loro fan dell’ex Cercatore. Il suo amico stava, con non poca fatica, cercando di essere cordiale. Draco incrociò il suo sguardo e le sorrise, come per mostrarle che ci stava provando.
Sorrise, felice. Fu in quell’istante che ebbe un lampo di genio. Sapeva cosa regalare a Draco per Natale.

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