Humana

di J85
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 9 vite ***
Capitolo 2: *** I nove prendono coscienza di sé ***
Capitolo 3: *** Le prime avventure ***
Capitolo 4: *** Da gas, a neve ed infine acqua ***
Capitolo 5: *** A Waterloo, fra tigri e licantropi ***
Capitolo 6: *** Missione Egitto ***
Capitolo 7: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 8: *** Viaggio in Atlantide ***
Capitolo 9: *** Benvenuti nella Twilight Zone ***
Capitolo 10: *** Una titanica amicizia ***
Capitolo 11: *** Scilla e Cariddi ***
Capitolo 12: *** Ritorno ad Atlantide ***
Capitolo 13: *** Il risveglio di Gozuki ***
Capitolo 14: *** Teschi di cristallo, maschere e dinosauri ***
Capitolo 15: *** Almattki Ass ***
Capitolo 16: *** Piramidi e cloni ***
Capitolo 17: *** Nuzm e Lusca ***
Capitolo 18: *** Mongolia, droga ed aerei ***
Capitolo 19: *** Spettro Bianco 243 ***
Capitolo 20: *** Visioni tristi, rapimento e Distopia ***
Capitolo 21: *** 8 storie ***
Capitolo 22: *** 5 storie ***
Capitolo 23: *** 4 storie ***
Capitolo 24: *** Storie brevi ***
Capitolo 25: *** Le nuvole si muovono ***
Capitolo 26: *** Fate e sirene ***
Capitolo 27: *** Versioni tristi ***
Capitolo 28: *** Sparsi nel tempo ***



Capitolo 1
*** 9 vite ***



HUMANA




CAPITOLO 1

9 vite”




Siberia


Fredda e grigia si preannunciava la giornata. Con il bianco della neve che ti circondava, da qualsiasi parte tu guardassi. Tutto il suolo ne era pesantemente ricoperto. Gli alberi, anch’essi bianchi, osservavano silenziosi la natura intorno a loro. Permettendo difficilmente al sole di posare i propri deboli raggi per terra. Il suo unico alleato era l’improvviso vento che, ad intervalli totalmente irregolari, squassava le enormi piante. Provocando, quasi sempre, la caduta verticale di misere quantità di neve.

Era questo lo scenario in cui percorreva i suoi pesanti, dato che in certi punti riusciva a sprofondare nella neve ben oltre il ginocchio, passi il giovane Igor Wansa. Nonostante la sua giovane età (all’incirca sugli 11/12 anni) il ragazzino attraversava la foresta in piena tranquillità. In fondo erano quelli i paesaggi in cui era nato e, relativamente, cresciuto. Ben lontani dalla capitale Mosca, la sua famiglia era da decenni che abitava in quella zona impervia della Russia. Dentro una solida casa in legno con una logora stufa, che veniva alimentata dallo stesso legno che il piccolo russo stava andando a procurarsi.

Suo padre gli aveva spiegato chiaramente il luogo in cui aveva abbattuto l’ultimo albero. Inoltre si fidava ciecamente di suo figlio, sapendo perfettamente l’elevata conoscenza che il giovane aveva ormai acquisito del territorio.

Fischiettando un antica filastrocca sovietica, insegnatagli dalla nonna materna, Igor era finalmente arrivato nel suddetto luogo. Tentò di caricarsi sulle braccia piegate più legna possibile, impresa che non era certo facilitata dall’ingombrante, ma assolutamente necessario, giubba adatta per mantenere un sufficiente calore corporeo anche a quelle latitudini. Anche le stesse gambe non erano facilmente piegabili, data l’elevata rigidità degli stivali che portava ai piedi.

Quando si ritenne comunque soddisfatto del suo operato, il ragazzino diresse il suo volto, caratterizzato da capelli di un castano indeciso tra il biondo e il moro e da occhi verdi scintillanti, verso la direzione di casa, di cui si poteva anche intravedere leggermente la sagoma, tra la selva. Purtroppo quello che vide non gli dette la stessa tranquillità che poteva ricevere con una visione della propria abitazione.

Un enorme sagoma nera si stagliava di fronte a Wansa. La prima cosa che venne in mente al ragazzo era la possibilità di trovarsi davanti un orso, dato che non era certo il primo bambino sbranato da un orso da quelle parti, ma poi si accorse delle sembianze tipicamente umane dell’essere. Le sue intenzioni furono però presto rivelate.

Subito l’uomo protese le sue grandi braccia nel tentativo di afferrare il piccolo siberiano. Ma grazia proprio alla sua statura minuta, Igor riuscì ad evitare l’attacco diretto, rischiando quasi di rimanere strozzato dalla propria sciarpa rossa, ricordo di sua madre, che rimase tra le mani dell’aggressore.

Il ragazzo si liberò immediatamente del carica di legno che portava con se e cominciò una disperata corsa verso casa. Purtroppo però le leve dell’uomo erano nettamente superiori ed in un attimo gli fu nuovamente addosso.

Il ragazzo sì senti pizzicare al collo e, reso rabbioso da ciò, si liberò dell’oppressione dell’uomo e ripartì nella sua fuga. Qualcosa però in lui non andava. Aveva perso completamente il senso dell’orientamento e le gambe si erano fatte estremamente pesanti. In più le comprensibili lacrime che gli uscivano dagli occhi non facilitavano di certo la sua visuale.

Percorse qualche metro in direzioni sparse e poi, d’un tratto, cadde esanime sul suolo ghiacciato.


Londra


Adorava la sua dimora. Ed ancora di più adorava la sua camera da letto. Difficilmente si sarebbe potuto trovare in tutta Londra, e perché no anche in tutto il mondo, una tale poetica unione tra classico e moderno.

Un originale orologio a dondolo del ‘700 che scandiva le ore della giornata, per molti il suo suono era solo fastidio mentre per Jack era talmente suadente. Il suo enorme letto matrimoniale, nonostante la sua decisa scelta di stato civile single, adornato da fiocchi di seta blu e onde di velluto sulle coperte. Le pareti viola erano riempite da quadri di qualsiasi misura. Alcuni erano ritratti di parenti antichi quanto la tela su cui erano raffigurati, altri straordinari scenari campestri con figure equestri. Librerie in noce con lunghi scaffali occupati da enormi quantità di libri, la maggior parte di essi rilegati in oro e provenienti dalla migliore letteratura classica britannica. Sulla sua scrivania vi si potevano trovare particolari sopramobili come teschi di cristallo, uno splendido esemplare di topazio, calamaio con penna d’anatra appartenente alla sua famiglia da generazioni e generazioni ma, a sorpresa, il suo personal computer, che utilizzava proprio per acquistare quei particolari utensili di cui andava matto. Tutto questo scenario era pervaso da un denso odore di rose.

Ora lo stravagante Jack Lincon era pensieroso con lo sguardo oltre la finestra, che aveva le esatte sembianze di un oblò da nave da crociera. L’unica pecca di tale paradiso era proprio quello: ciò che si vedeva oltre il vetro.

La strada era di certo una delle più aristocratiche della capitale inglese ma anche una delle più noiose in assoluto, sempre per i particolari gusti di Jack, allietata soltanto dal canto di qualche uccello canterino.

“Ufff… che tristezza!” dichiarò il giovane mentre osservava, con aria decisamente disinteressata, un bobbie che proseguiva la sua ronda sul marciapiede dal suo lato della strada.

Jack era un bel ragazzo di 25 anni, nonostante il suo stile di vita o forse proprio grazie ad esso. Era alto 1 metro e 85, capelli indecisi tra il castano chiaro e lo scuro, occhi indecisi tra il marrone e il verde e uno stile di vita indeciso tra la nobiltà e la depravazione. Se c’era una cosa di deciso nella sua esistenza era la sua passione innata per i vini.

“Una rinfrescatina alla gola mi sembra alquanto adeguata…” osservò il ragazzo prima di incamminarsi verso una scala a chiocciola blu che lo portava direttamente al piano subito inferiore a quello in cui si trovava finora.

Il giovane inglese indossava una classica morning cloat di velluto rosso, con pantaloni di eguale tessuto e colore e delle scarpe in pelle scure. Procedeva lentamente ma con uno stile elegante discendendo i gradini della scala. Ogni tanto si beava passandosi la mano tra i capelli lunghi poco oltre le spalle.

Sceso l’ultimo gradino si trovava finalmente davanti alla sua meta: La sua personale cantina, arricchita da una preziosa collezione di vini degna del miglior sommelier. Mr. Lincon camminava ora, sempre con passo elegante, davanti ai vari raccoglitori in legno che presentavano in essi varie bottiglie in vetro. Dalla forma ricordavano tanti castelli medievali.

“Château laFitte… Château Chasse-Spleen… Gran Vino…” li nominava ad uno ad uno. Sempre più annoiato anche solo dalla scelta di un vino da sorseggiare. Con sua enorme sorpresa trovò una bottiglia senza alcun tipo di etichetta, sopra un tavolo lì vicino. La aprì, sentì che l’aroma era ottimo e quindi si decise ad assaggiarne un sorso. Recuperò da un’elegante credenza lì vicino un fine bicchiere di vetro, ne versò giusto un dito dentro la coppa, lo assaggio inizialmente con l’olfatto ed, infine, con il gusto.

Poi la stanza cominciò a girare, mai una così minima quantità alcolica gli aveva fatto quell’effetto. Tutto si fece più buio e al dandy parse, stranamente, di udire anche dei passi prima del collasso.


Parigi


Silenzio: quel silenzio assordante, un attimo prima che parta la musica. Il cuore inizia a battere più velocemente.
Silenzio di un attimo che sembra interminabile… ed ecco la prima nota della canzone.
Inginocchiata, la testa verso il basso sale di scatto, esce verso l’esterno il braccio destro, poi il sinistro e si uniscono a completare un por de bras, accompagnando verso l’alto il movimento del corpo che torna poi nella posizione iniziale.
Con la gamba sinistra che si allunga lentamente verso dietro, compie una spaccata, porta la gamba destra verso la sinistra e si spinge lentamente a terra, supina. Si gira prona e con una spinta sulle braccia, si inginocchia e si alza lentamente, lo sguardo al pubblico.

La ballerina compie 3 passi avanti, porta il piede sinistro in cupè sul tallone, altri 3 passi verso dietro e cupè sul collo del piede. Si sposta verso destra, il piede sinistro chiude sulla caviglia del piede destro in cupè laterale, apre morbida in battement alla II e richiude. Braccio destro accompagna apertura e chiusura della gamba. Compie una piroette, si ferma, scende quindi in spaccata e ritorna in ginocchio, gira sulle ginocchia e si rialza.
La musica lentamente finisce e inizia la risposta del pubblico: applausi. La ballerina inspira, alza il braccio destro e scende con il busto e il braccio, in un profondo inchino."

“Li ho resi felici anche stasera…” pensa la giovane artista mentre ansima silenziosamente nel riprendersi dalla fatica della sua ultima perfomance.

Si chiude il sipario.

Ancora con i vestiti di scena addosso, Frédérique Arone, prima ballerina francese con i capelli castani chiari agghindati in un elegante chignon e gli occhi del medesimo colore pieni di soddisfazione, si avviava verso il suo camerino personale. Possederlo non gli era mai piaciuta come idea. Preferiva molto di più condividere la sua esistenza con i suoi colleghi anche fuori dal palcoscenico.

Era a poco più di metà del suo percorso quando ecco che comparve il direttore del teatro che ospitava la sua compagnia ormai da cinque settimane “Straordinaria Frédérique! Riesci sempre a farci emozionare tutti! Fantastica, davvero fantastica!”.

Le parole erano sempre più o meno le stesse, ma Frédérique sorrideva sempre dolcemente, magari evitando le mani del suo interlocutore che provavano ogni qual volta a toccare il suo corpo.

“Grazie a lei messieur Gérard per l’opportunità che sta dando a me e a tutta la compagnia” rispose ai soliti complimenti la ballerina.

“Questo e altro per la bella arte!” s’inchino l’uomo.

“Ora mi scusi ma devo andare a cambiarmi, grazie ancora messieur Gérard ” si congedò lei.

Finalmente raggiunse la sua meta: il solitario camerino della prima ballerina.

Il sistema di interfono per ascoltare quello che succede sul palco, l’armadio corredato di diversi appendiabiti con annessi vari costumi di scena, il manifesto dell’opera rappresentata “”, la porta che dava sul suo bagno personale, lo specchio contornato da due file di lampadine disposte verticalmente, che poi si riunivano sul lato orizzontale superiore, che dava direttamente sul tavolo per il trucco. Sopra di esso, oltre ai vari cosmetici presenti di norma, vi trovava spazio anche un fastoso mazzo di rose. Non era chiaramente il primo che la donna riceveva, ma era sempre un piacere trovarne di nuovi in camerino. Questo però, piuttosto stranamente, non presentava alcun tipo di biglietto, ma allo stesso tempo questi fiori scarlatti avevano un così dolce profumo. Frédérique si allungò per afferrarli e porgerli il più vicino al suo piccolo naso. Lasciò però subito la presa. Un suo dito cominciava a sanguinare. A quelle rose non era stata tolta alcuna spina.

“Ma è possibile?” si chiese la giovane tra sé e sé, mentre con lo sguardo controllava la sua ferita, poi l’intero camerino cominciò a roteare sempre più velocemente e tutto si fece buio attorno a lei.


Trento


“Bene figliolo, va e rendimi fiero di te!”.

Questo era tutto quello che il signor Alberti aveva da dire a suo figlio, Andrea, mentre si apprestava a lasciare case per effettuare il servizio militare.

“Come vorrei riuscire a rendere fiero me stesso invece” pensava il giovane mentre si apprestava a salire sulla camionetta militare, che di lì a breve lo avrebbe condotto al campo di addestramento assegnatogli.

Il viaggio ovviamente non presentava particolari comfort in generale. Inoltre la compagnia presente non suscitava spontaneamente grande euforia. Tutti fieramente convinti della scelta di vita che avevano preso. O almeno così doveva trapelare. In particolare, molti entusiasmavano l’autorità del loro futuro maggiore, il comandante Rossi.

Il ragazzo, che teneva i suoi capelli castani chiari, quasi biondi, ben nascosti sotto il berrettino mimetico, aveva appena socchiuso i suoi occhi altrettanto chiari quando una buca, presa a quanto pare ad una velocità piuttosto elevata, lo riporto al triste stato attuale della sua esistenza. Decise che era decisamente meglio sognare. Tanto qualsiasi cosa avesse incontrato nel regno di Morfeo, sarebbe stato sicuramente migliore rispetto a quel grigio ambiente spartano.

Il giardino era quello di casa sua, non poteva sbagliarsi. Il tempo atmosferico era ben diverso da quello che aveva lasciato nel mondo reale. Il grigiore di tristi nubi aveva lasciato il passo allo splendore di un sole abbagliante.

Il ragazzo percepì il sentore di voltarsi, come capita nei sogni dove ognuno è il regista, per trovarsi di fronte la propria ragazza. Francesca.

Questa lo accoglie immediatamente con uno dei suoi ipnotici sorrisi. Gli si avvicina e gli sussurra qualcosa all’orecchio.

“Non arrenderti”.

Nonostante i sensi siano più attenuati nel mondo onirico, il giovane comprende perfettamente le parole della sua amato, purtroppo non decifrandone perfettamente il significato.

“Che cosa stai dicendo amore?” chiede a lei in attesa di capire.

La donna apre leggermente le proprie carnose labbra dalle quali però non uscirà alcuna parola.

Andrea spalanca gli occhi. L’ambiente è tornato ad essere tetro come prima. Questa volta però si presente completamente sottosopra. L’uomo allora cerca subito di focalizzare la sua attenzione, notando immediatamente i suoi compagni nella sua medesima situazione, alcuni ridotti in stato di incoscienza. Poi cominciano ad arrivare delle voci lontane.

“Non muovetevi…”.

“Vi tiriamo fuori noi…”.

“Fate piano…”.

Ad un certo punto Andrea percepì, in maniera sempre molto ovattata, di essere trascinato fuori da quella trappola di lamiere.

“Come ti senti figliolo?”.

“Secondo lei come dovrei sentirmi dottore?” fu l’unica risposta che il futuribile soldato riuscì soltanto a pensare.

Purtroppo lo stato di torpore, dovuto ad un dormiveglia ancora attivo, non gli permetteva di percepire con esattezza, tramite le sensazioni di dolore, quale punto del suo corpo era particolarmente lesionato e, soprattutto, di quanto era lesionato.

D’un tratto cominciò ad essere circondato da persone avvolte in candidi camici bianchi. Questi, che sembravano molto più silenziosi rispetto al loro precedente collega, cominciarono ad applicare sulla sfortunata vittima dell’incidente dei bendaggi medici.

Il ragazzo accusò inizialmente un momentaneo senso di sollievo, successivamente la sua condizione peggiorò. In un attimo la sua testa iniziò a vorticare senza sosta, portandolo inevitabilmente alla perdita dei sensi.


Columbia Britannica


Tutta la gloria della sua tribù, proveniente da un radioso passato, era ora racchiusa dentro quel misero camper, nella zona resa famosa soltanto dalla presunta presenza della creatura denominata Ogopogo. Geran Giunan, nerboruto indiano d’America, si trovava proprio dentro di esso, con gli occhi chiusi per contemplare tutto ciò.

Il suo era il popolo degli Shoshoni, conosciuti anche come “popolo del serpente”, ed originariamente erano situati nell’attuale Idaho. Dopo quello che verrà ricordato come il massacro di Bear River, in un epoca in cui lo stesso Giunan non era ancora nato, iniziò la loro lunga e faticosa migrazione.

L’odore d’incenso che si espandeva per tutto l’abitacolo permetteva a Giunan, ormai entrato in stato di trance, di rivivere quei cruenti momenti. Nonostante le dure battaglie con altre tribù come i Cheyenne, i Crow, i Lakota ed i Piedi Neri, niente li avrebbe potuti preparare per quel massacro.

Quel giorno, gli stessi cervi e le loro amiche marmotte furono sorpresi dal repentino attacco delle truppe americane, tanto non fare in tempo ad avvisare gli unici che potevano aiutarli: Gli umani dalla pelle rossa. Quest’ultimi già avevano perso la loro fiducia verso i bianchi, dopo l’invasione nei loro territori di caccia, vedendo gran parte della proprio cacciagione depredata dagli invasori. A comandare i nemici vi era il colonnello Patrick E. Connor che, nonostante non potesse contare sull’appoggio dei mormoni, aveva riunito sotto di sé un discreto esercito. Non lo fermarono nemmeno le potreste di alcuni ufficiali, i quali consideravano la contea di Franklin facente parte dello stato dello Utah e non dell’Idaho. Ma gli Shosoni non fuggirono dalla lotta. Lo dovevano ai loro antenati. Lo dovevano per vendicare l’impiccagione di Pugweenee. Allo stesso tempo i soldati dovevano, dalla loro, vendicare quello che viene ricordato come il massacro nei pressi di Fort Hall. Questa battaglia presentava un particolare significato anche per l’indiano Acqua Che Scorre, combattere contro quella stessa razza che lo aveva abbandonato quando era ancora in fasce. Vicino a quello stesso fiume che avrebbe conservato i corpi di quattro guerrieri shoshoni per un mancato riscatto. Gli stessi pesci presenti nel fiume adiacente si ritirarono per lasciare spazio all’immane tragedia. Tra i Toquashes, la parola che gli shoshoni utilizzavano per riferirsi ai soldati, vi era stato anche un piccolo ammutinamento. Quelli rimasti a loro volta furono divisi in due gruppi, il terzo reggimento fanteria volontari della California e il secondo reggimento cavalleria volontari della California, per pattugliare a rotazione le zone di conflitto. I primi ad accorgersi di loro furono tre compagni che stavano trattando dei sacchi di grano da un cittadino. Fortunatamente i tre riuscirono a scappare, anche se furono costretti ad abbandonare i loro rifornimenti per essere più leggeri nella fuga a cavallo. Capo Orso Cacciatore insieme agli altri capi shoshoni, tra cui vi era Capo Serpente Pazzo, antenato dello stesso Geran, erano pronti a difendersi a tutti i costi, compreso l’uso di armi da fuoco venute in loro possesso. Ciò sorprese i soldati che furono respinti, nel loro primo attacco frontale, da una pioggia di piombo. Purtroppo, dopo circa due ore dall’inizio della battaglia, le munizioni, da parte degli Shoshoni, terminarono. Fu allora che si scatenò la furia omicida dei Toquashes. Nonostante i valorosi guerrieri indiani erano armati dei loro fidati tomahawk e di archi e frecce, nulla poterono contro le bestie che avevano contro. Purtroppo la loro follia non risparmio le donne ed i bambini. Le prime furono violentate ed uccise, oppure viceversa. Ai secondi fu riservato un trattamento anche peggiore: come fossero panni sporchi, furono afferrati per le caviglie e violentemente sbattuti su tutto ciò che di solido trovavano nei paraggi. Alla fine di ciò fu dato fuoco a tutto l’accampamento degli Shoshoni. Un fuoco che sembrava bruciasse ancora attorno all’indiano.

Di colpo Giunan spalancò gli occhi e vide che realmente l’ambiente intorno a lui stava bruciando. D’impulso, l’energumeno scattò verso l’uscita, afferrando la maniglia della porta. Per un attimo ritrasse la mano sentendola bruciare a contatto con essa. Poi, con una potente spallata, piombò all’esterno tossendo anche l’anima, per via del molto fumo nocivo che aveva respirato all’interno.

“Tranquillo ci siamo noi” la voce di un uomo prima dello spruzzo su di lui di un estintore. La schiuma sul suo corpo possente ebbe inizialmente un effetto rinfrescante. Subito dopo, iniziò a sentirla frizzare sulla sua pelle, per perdere definitivamente conoscenza.


Pechino


“Benvenuti! Un tavolo per due?”.

La giovane asiatica salutò i clienti appena entrati nel ristorante come gli era stato insegnato.

Uno dei due, entrambi coperti da un lungo impermeabile marrone, rispose “Sì, grazie”.

La cameriera li accompagnò al loro tavolo per poi dirigersi a procurargli il menù del locale.

“Onorevole Chang… Onorevole Chang…” bisbigliava mentre già aveva in mano ciò che era venuta a cercare.

Una finestrella, situata nella parete dietro la scrivania della cassa, si aprì di colpo, facendo fuoriuscire da essa una buffa testa tonda.

“Cosa c’è Nikki? Perché mi disturbi mentre sto lavorando?” chiese l’ometto che a malapena arrivava all’apertura.

“Sono appena entrati due tipi sospetti… secondo me”.

Il cuoco si issò ancora di più per squadrare meglio i due interessati.

“Sciocchina! A me sembrano apposto. Sbrigati e porta loro due bicchierini di sakè”.

“Ma è sicuro Onorevole Chang?”.

“Muoviti e non discutere!” e con questa il proprietario chiuse definitivamente l’argomento, insieme alla stessa finestrella.

Subito dopo la cinese poggiò davanti ai due clienti i due aperitivi esclamando “Omaggio del ristorante! Eccovi anche i menù”.

Questa volta a parlare fu il secondo uomo “Non occorre signorina, ci porti due porzioni di ravioli al vapore e altre due di involtini primavera”.

“Bene due ravioli al vapore e due involtini primavera” ripeteva l’ordinazione la graziosa cameriera “E da bere?”.

“Ci porti una bottiglia di acqua naturale”.

“Bene grazie signori!” si ritirò la donna per andare immediatamente a bussare alla stessa finestrella di poco prima.

A comparire da essa fu nuovamente lo stesso buffo ometto di prima “Che c’è ancora?”.

“Ecco l’ordine dei due loschi figuri Onorevole Chang”.

“Ancora con questa storia! Torna subito a lavoro!”.

In breve tempo, anche i due nuovi arrivati furono serviti. Poco dopo però richiamarono l’attenzione di Nikki Peng.

“Scusi signorina…”.

“Sì ditemi che succede?”.

“Possiamo parlare con il cuoco?”.

“Come mai?” domandò allarmata la cinesina.

“Questo cibo ha un sapore strano…” spiegò uno dei due.

In un lampo la morettina andò a chiamare la persona richiesta. Chang Yu, questo il suo nome, finalmente mostrava per intero il suo corpo corto e rotondetto.

“Cosa c’è che non va Onorevoli signori?” chiese agli interessati, mentre si lisciava con le dita i sottili baffi che presentava sopra il labbro.

“Si tratta di questi ravioli, hanno un sapore decisamente strano…” iniziò l’individuo più vicino.

Il cinese aveva già molti anni di esperienza alle spalle, nel campo della ristorazione, e per questo sapevo come trattare con qualsiasi tipologia di clienti, anche i più furbi.

Dopo aver assaggiato egli stesso la pietanza da lui preparata, e non avendo riscontrato alcun tipo di gusto anomalo, concluse “Non vi preoccupate, Onorevoli signori, vi preparo subito un'altra portata e, in omaggio, vi porto anche due biscotti della fortuna!”.

Tornato a brevi ma rapidi passi in cucina, il cuoco soffocò un inizio di imprecazione per rimettersi subito ai fornelli, per un’ordinazione di riso alla cantonese.

Poi il buio gli velò la vista sul lavoro culinario, facendolo cadere a terra come un sacco di patate.


Città del Messico


“Signore e signori siamo finalmente arrivati al main event della serata!” tornò a parlare l’urlante ring announcer “E si tratterà niente meno che di un trios match, tre contro tre, valevole per il Titolo Internazionale Trios” il pubblico si esalta sempre di più ad ogni parola, nonostante bastasse leggere i cartelloni della serata per sapere di cosa si trattasse, “Andiamo ora a presentare i campioni in carica: El Dios!”. All’annuncio del suo nome, il luchador salutò il pubblico alzando un braccio in un boato generale. “El Demon!”. Qui invece la reazione della gente fu totalmente diversa, data la natura di rudo, ossia di cattivo, di questo lottatore. “Ed infine El Dragon!”. Mentre in molti ancora mal digerivano l’accostamento tra i due precedenti atleti, questo giovane ragazzo, proveniente dal Giappone, stava dimostrando un gran potenziale come tecnico. “Dunque ora passiamo agli sfidanti…” proseguì l’uomo vestito elegante mentre, con la mano libera dal microfono, indicava altri tre luchadores mascherati.

Tra il pubblico quella sera vi era anche un trentenne messicano, di nome Bernardo Borghi. La sua occupazione attuale non era ben chiara nemmeno a lui, tranne che per essa aveva parecchi creditori sparsi per tutta la capitale. Nonostante ciò, l’unico vizio a cui non voleva assolutamente rinunciare era una serata di lucha libre. Mentre attendeva il suono del gong per l’inizio della sfida, l’uomo, dai corti capelli scuri e con baffetti sottili sul labbro superiore, continuava a mandare rapide occhiate a tutto l’ambiente intorno a lui.

Purtroppo, mentre El Dios partiva all’attacco, Bernardo si accorse di essere a sua volta sotto attacco. Uomini di cui non era a conoscenza del nome, ma di cui conosceva molto bene le facce, lo stavano cercando in tutta l’arena. L’unica sua possibilità era la fuga immediata. Nel metterla in atto, Borghi cercò di rimanere più abbassato possibile, mentre passava davanti a gente furibonda per la sua temporanea presenza nel proprio campo visivo. Intanto il fuggitivo continuava a tenere d’occhio le sue minacce, mentre sul ring El Demon applicava sul suo avversario una tapatia, conosciuta anche come Romero Special.

Forse proprio distratto da questa mossa di sottomissione, il messicano batté con il ginocchio contro una mano che stava afferrando un taco, facendolo ovviamente cadere.

“Figlio di puttana hai visto cos’hai fatto al mio taco!” s’infuriò lo spettatore offeso.

“Mi scusi signore non vo…” Bernardo s’interruppe bruscamente appena notò che i suoi cacciatori lo avevano notato.

Subito si tuffò in una fuga disperata che, dato l’enorme frastuono del pubblico, passava quasi inosservata. Finalmente riuscì a raggiungere le scale di fuga, appena in tempo per accorgersi che, di fronte a sé, stava sopraggiungendo velocemente un suo possibile assalitore.

Quasi come avesse le ali ai piedi, saltò quasi un’intera rampa, mentre ancora sentiva provenire dalle sue spalle le minacce scurrili della gente che lo stava inseguendo. In un attimo raggiunse l’androne per avviarsi verso l’uscita principale, mentre El Dragon si apprestava ad effettuare il volo dalla terza corda per lo schienamento decisivo.

Una volta fuori dall’impianto, Borghi proseguì la sua fuga senza meta sui marciapiedi della città. Di colpo si sentì strattonare da una mano e tirare lateralmente. Non ebbe tempo nemmeno di fiatare che qualcuno gli tappò la bocca.

“Fai silenzio” disse una voce.

Dopo qualche secondo di silenzio, l’uomo braccato osservò, da dietro quello che gli sembrava un semplice cespuglio, i suoi aguzzini che correvano veloci verso quella che doveva essere la sua stessa direzione. Dopo ciò, la mano si levò dalla bocca.

“Chiunque tu sia, grazie amigo per avermi aiutato…” ma nuovamente il messicano s’interruppe quando, voltandosi per conoscere il volto del suo presunto salvatore, iniziò ad avere la vista offuscata dall’oscurità, notando appena un guanto nero che stringeva una salvietta bagnata da un liquido misterioso.


Kinshasa


Ai confini della foresta pluviale, un giovane del posto cerca di mimetizzarsi il più possibile con l’oscurità che lo circonda. Tale impresa gli era resa ancora più semplice dato il colore naturale della sua epidermide. Solo una cosa stonava visibilmente su di lui: un piccolo vezzo rappresentato da capelli biondo platino.

“Eccoli quei bastardi!” bisbigliò tra sé e sé il ragazzo.

Nel suo campo visivo si materializzò uno degli spettacoli più barbari. Una jeep con a bordo quattro o cinque uomini stava inseguendo un elefante che, disperato, barriva nella notte africana. I bracconieri iniziarono a sparare dei colpi con dei fucili in loro dotazione. La fuga dello sfortunato pachiderma si arrestò di lì a poco, con il rovinoso crollo a terra dell’animale. Il nero Juna digrignava i denti dalla rabbia mentre sentiva gli uomini bianchi complimentarsi a vicenda. Decise di passare all’azione, purtroppo armato soltanto di furia cieca e qualche sasso.

“Sporchi demoni bianchi! Avete rubato i nostri diamanti, non farete altrettanto con il nostro avorio!” inveiva urlando e lanciando le pietre verso di loro.

Questi ultimi, constatato la realtà pericolosità del loro avversario, imbracciarono nuovamente le loro armi da fuoco.

Col primo sparo, la rabbia che offuscava la mente dell’attentatore svanì. L’uomo appartenente alla tribù Teke tentò una ritirata disperata, con le pallottole che gli sibilavano pericolosamente vicine.

“Oh signore ti scongiuro salvami!” pregava mentre proseguiva la sua corsa.

Preghiere che si realizzarono una volta raggiunto un fiume lì vicino. Juna, dopo aver dato prova di ottimo corridore, si ripeté in veste di nuotatore, attraversando in un attimo il corso d’acqua.

“Anf… grazie a dio… anf… sono salvo” constatò mentre riprendeva fiato.

Clic.

Un suono talmente singolare che fu subito riconosciuto dal fuggitivo. Voltato lo sguardo, si trovò di fronte la fredda canna di una pistola.

“Cosa dicevi del tuo avorio?” gli chiese sarcastico il suo probabile assassino.

Dopo poco anche gli altri cacciatori raggiunsero il loro collega e, sorprendendo lo stesso uomo di colore, decisero di legarlo ad un palo ben conficcato al suolo.

Il prigioniero, nonostante la situazione disperata, continuava ad opporre resistenza, se non altro verbale “Io sono nato in questo paese quando ancora si chiamava Zaire e, vi giuro, il nostro popolo non si sottometterà a voi luridi uomini bianchi!”.

Dopo questa ennesima ingiuria, uno dei bracconieri puntò pericolosamente la canna del fucile verso di lui “Ti conviene stare zitto, muso nero, altrimenti i tuoi parenti fang dovranno preparare una scatola cilindrica per il tuo cranio!” minacciò senza mezze misure l’uomo, dimostrando tra l’altro una certa conoscenza artistica della nazione.

“Dici che possa andare per il capo?” domandò uno degli altri individui, mentre era disteso sulla sabbia.

“Immagino di sì…” fu la risposta sbrigativa.

“Allora posso procedere?” chiese un terzo soggetto, alle spalle di quest’ultimo.

“Certo”.

Detto questo, quello che sembrava il coordinatore del gruppo, ritirò l’arma dal fuoco dal viso del giovane e si fece da parte. Dietro di lui, un nuovo cacciatore gettò una secchiata contro il nero.

“Che cos’è?” interrogò i suoi carcerieri sulla natura del liquido il prigioniero, dato che non sembrava affatto acqua.

Ma questi non gli diedero risposta, dato che la loro attenzione fu attratta da altro.

“Chi è là?”.

“Oh merda! È quel supereroe: è Black Congo!”.

“Forza figli di puttana sparategli!”

Ma gli echi degli spari erano sempre più lontani per Juna che aveva infine perso i sensi.


Indianapolis


“… Da quando l’Indianapolis Motor Speedway è tornato a far parte della rosa dei circuiti per il mondiale di Formula 1, mai un americano era riuscito a condurre in testa questa gara sicuramente diversa dalle classiche che si svolgono qua dentro, su tutte ovviamente la 500 miglia di Indianapolis. Ma quest’oggi si sta scrivendo la storia grazie al giovane Johnny Wayne…”.

Nel frattempo, nell’abitacolo della monoposto in testa, il pilota al volante, appena menzionato con enfasi dal telecronista, riversava la più assoluta attenzione all’asfalto che gli scorreva veloce davanti agli occhi.

“Già essere arrivato prima nelle qualifiche mi sembrava di per sé un mezzo miracolo, ma ora si fa dannatamente sul serio!” pensava il ragazzo che, all’esordio tra i grandi, una volta tolto il casco protettivo dalla testa, sfoggiava una capigliatura caratterizzata quasi totalmente da un biondo acceso.

Fino a metà gara non si erano verificati particolari incidenti, se non qualche ritiro per guasti tecnici, ed il Gran Premio degli Stati Uniti si stava svolgendo nel migliore dei modi. Purtroppo l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. Una delle vetture nelle retrovie, mentre percorreva le curve 12 e 13, per intenderci le uniche che vedono coinvolto il famoso ovale utilizzato per la NASCAR o la Indy, perse dell’olio dal retro del motore, finendo poi in testacoda.

I giudici di gara furono subito pronti a far entrare in pista la Safety car, comunicandoli immediatamente alle scuderie ancora in corsa. Purtroppo però l’auricolare che Johnny aveva in dotazione per parlare con i box era stranamente silenzioso. Arrivando a tutta velocità nel tratto interessato, si accorse troppo tardi dei cartelli esposti dai commissari di percorso con su scritto “SC”.

“Oh cazzo!” furono le sue ultime parole, quando si accorse della macchia d’olio sul cemento. La macchina rigirò di colpo su se stessa per poi impennarsi, facendo leva sul musetto, e rimbalzare pericolosamente su tutto l’anello. In tutto quello che viene denominato “The racing capital of the world” il pubblico trattene il fiato, in totale silenzio. La vettura concluse la sua folle corsa ribaltata.

In pochi secondi, tutte le procedure di emergenza si attivarono. I medici si precipitarono in pista accorrendo il pilota, che in quel momento si trovava ancora a testa in giù. Velocemente lo tirarono fuori dall’abitacolo, sempre con il rischio che la macchina prendesse fuoco.

“Mi senti figliolo? Sei cosciente?” domandò una voce indistinta al pilota, mentre gli veniva tolto il casco che, fortunatamente, aveva retto all’urto.

“C-che… è successo?” biascicava Wayne mentre tentava di mettere a fuoco, con i suoi occhi castani, il mondo attorno a lui.

Un’altra voce si fece spazio tra le altre, mentre la gara era momentaneamente sospesa.

“Lasciate fare a me, questo lo aiuterà”.

Il biondo si sentì tirare su la manica della tuta e, successivamente, penetrare la pelle dell’avambraccio da quella che sembrava una punta di siringa.

“Ehi, aspetta un attimo, ma tu fai parte dello staff?”.

“Giusto! Dov’è il tuo badge?”.

“Agenti fermate quell’uomo!”.

Tante voci che turbinavano nella testa del giovane, mentre il mondo si faceva sempre più scuro. Solo un’ultima frase arrivò alle orecchie della nona vittima, da quella che gli parse essere una voce femminile.

Ok ora basta, raduniamoli tutti!”.

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Capitolo 2
*** I nove prendono coscienza di sé ***


CAPITOLO 2

I nove prendono coscienza di sé”




Buio più totale. Poi tornò la luce.

Nove persone, di nazionalità e ceti sociali differenti, si risvegliarono di colpo sperando di aver soltanto sognato un incubo, per poi trovarsi a viverlo sul serio. Apparentemente ognuno si trovava in una piccola stanza, dalle pareti spoglie e la mobilia assente, che ricordavano in maniera inquietante le celle usate nei manicomi.

“Ma dove diavolo sono? E come ci sono finito?” era il quesito che, praticamente all’unisono, si chiedevano i prigionieri.

D’un tratto qualcosa si accese. Dopo un iniziale spavento, i nove si accorsero dello schermo fissato nel muro, ad un altezza di circa due metri.

“Ben svegliati signori…” furono le parole che la donna comparsa sul display sembrava rivolgere a loro “Il mio nome è Sara e, onde evitare qualsiasi fraintendimento, non sono la vostra carceriera…”.

Questa informazione sembrò tranquillizzare l’animo di alcuni.

“… Per l’esattezza, non dovete nemmeno considerarvi prigionieri” proseguì lei, con i capelli biondi e gli occhi castani a caratterizzare un viso davvero piacevole “e vi trovate in questo lugubre luogo soltanto perché abbiamo deciso di salvarvi la vita…”.

I più attenti tra gli ascoltatori notarono subito che la ragazza si era appena espressa al plurale.

“… Dunque, quello che sto per dirvi non sarà semplice da comprendere ma, nonostante ciò, desidero comunque la vostra più totale fiducia: Voi nove siete ora da considerare dei mutanti!”.

Ciascuno di loro, già sorpreso di non essere l’unico in quell’assurda situazione, rimase totalmente spiazzato da quell’ultima rivelazione, considerando quanto grottesca fosse.

“Per la precisione, a rendervi così è stata un’associazione criminale contro cui ci battiamo con tutte le nostre forze. Tale associazione ha preso il nome di Spettro Bianco, a cui capo vi è il terrorista internazionale Mohammed Al-Shirida…”.

Tutti nomi che, ciascuno di loro, aveva già udito, anche solo di sfuggita.

“… tali fuorilegge, come folle gesto di sfida nei nostri confronti, hanno scelto in maniera casuale nove esseri umani, inserendo nei loro corpi un particolare gene, che gli studiosi identificano come “Gene H”, che, una volta dentro l’organismo, altera in maniera irrecuperabile il DNA…”.

Dopo quest’ultima dichiarazione, l’unica donna del gruppo, proruppe in un pianto disperato.

“… Ma è proprio in questa situazione che entriamo in gioco noi!” esclamò quasi esaltata l’autodichiaratasi Sara “Noi dell’Humana siamo riusciti a prelevarvi, purtroppo dopo che il gene era già venuto a contatto con voi, sia in forma liquida che gassosa…”.

In molti fecero mente locale, ripensando agli ultimi avvenimenti che la loro mente, ora molto scossa, ricordava.

“… Per darvi l’opportunità di vendicarvi!” la signora prese un attimo di pausa “Nello specifico, a causa dello stesso Gene H, ognuno di voi ha acquisito una capacità sovrumana o, se preferite, un superpotere…”.

Dopo questo, lo shock fu totale per tutti.

“… Per questo motivo, ognuno di voi è stato equipaggiato con un’uniforme antiproiettile ed in grado di adattarsi alle vostre nuove abilità…”.

D’un tratto, tutti e nove si accorse del loro nuovo vestiario: una calzamaglia rossa con, cucita sul davanti, un’enorme lettera H di colore giallo. Dello stesso colore erano anche i guanti, il mantello e gli stivali che avevano indosso. A concludere tutto vi era una cintura nera ben strinta alla vita.

“…Infine vado ad elencarvi, rispettivamente per ciascuno di voi, le vostre nuove capacità acquisite: cominciamo dal Soggetto N. 1: Igor Wansa; hai acquisito poteri mentali come telepatia e telecinesi”.

“Soggetto N. 2: Jack Lincoln; hai acquisito la capacità di volare”.

“Soggetto N. 3: Frédérique Arone; hai acquisito varie super viste, per l’esattezza telescopica, microscopica, a raggi x, calorifera, notturna e termica”.

“Soggetto N. 4: Andrea Alberti; hai acquisito la capacità di mutare ogni parte del tuo corpo a piacimento in un’arma da fuoco”.

“Soggetto N. 5: Geran Giunan; hai acquisito forza e resistenza sovrumane”.

“Soggetto N. 6: Chang Yu; hai acquisito la capacità di emettere vampate di fuoco dalla bocca”.

“Soggetto N. 7: Bernardo Borghi; hai acquisito la capacità di mutarti in qualsiasi animale od oggetto a tuo piacimento”.

“Soggetto N. 8: Juna; hai acquisito la capacità di resistere alla pressioni sottomarine”.

“Ed infine Soggetto N. 9: Johnny Wayne; hai acquisito una velocità corporea pari a quella della luce”.

I nove prigionieri erano ora più consapevoli di loro stessi.

“Capisco il vostro attuale disorientamento…” riprese la signorina sullo schermo “e, d’accordo con i miei capi, abbiamo deciso di lasciarvi liberi di prendere ciascuno la propria scelta. I vostri nuovi poteri vi saranno utili per la fuga e, da parte nostra, non vi sarà alcun tentativo di riportavi qui”.

Con loro grande sorpresa, i nove compresero perfettamente ogni singola parola della donna, che presentava un ben riconoscibile accento italiano. Informateli di questo, la donna misteriosa interruppe definitivamente la comunicazione.


Una volta che lo schermo tornò totalmente scuro, il ragazzino russo, forse per la sua giovane età, decise di prendere tutti quegli ultimi attimi come un grande gioco. Per questo girò immediatamente il capo verso le sbarre presenti nell’unica piccola finestra presente. Lei aveva assicurato che con la sua mente poteva fare dei prodigi, ed è ciò che subito tentò. Concentro i propri pensieri verso il grigio ferro che le componevano e, come in uno dei più belli sogni infantili, la materia iniziò ad obbedire al suo volere psichico. Infine, una volta piegate le due centrali, fu un gioco da ragazzi per Igor passare attraverso l’apertura appena creatasi, aiutandosi con una sedia lì presente per arrivarci meglio.


La francesina, una volta a conoscenza dei suoi nuovi poteri acquisiti, non smetteva un attimo di toccarsi i suoi occhi chiari. Constando che, per lo meno al tatto, nulla era mutato da prima di quella spiacevole avventura.

“I miei occhi!” si ripeteva costantemente “Cosa hanno fatto ai miei occhi?”.

Dunque ricordò il finale del comizio della bionda sullo schermo. Se era ciò che volevano, non li avrebbero costretti a rimanere. Tornò poi alla parte che la riguardava, cercando di richiamare alla mente l’elenco delle varianti della sua vista avanzata.

Dopo qualche secondo, rammentò la vista a raggi x dunque, se era riuscita a ben interpretare quella definizione, in pratica si trattava di vedere anche attraverso i muri.

“Tentare non nuoce” si convinse iniziando a scrutare intensamente la barriera di mattoni che aveva di fronte. Fu più semplice di quanto supponeva e, come per magia, la parete scomparve in dissolvenza, lasciando spazio al verde di una foresta.

“Oh mon dieu!” esclamò, portandosi la mano alla bocca e, al contempo, facendo tornare visibile il muro grigio.

“Non è possibile! Non è possibile!” iniziò ad urlare, ghermendosi la testa con le dita affusolate.

Dopo aver camminato nervosamente per la stanza per qualche minuto, ripeté nuovamente la lista delle super viste. Vista calorifera. Dunque sparare raggi laser dagli occhi.

Questa volta alzò il capo e andò a fissare la finestrella sbarrata. Un minimo di concentrazione e due raggi scarlatti andarono a colpire i piccoli tubi metallici, procurando un minimo fragore e qualche scintilla.

“AH!” fu l’urlo di spavento della donna, shockata da cosa era riuscita appena a fare, con le parti tranciate che caddero rumorosamente sul pavimento.

La via per la libertà era libera. Bastava solo riuscire ad arrivare verso quella piccola fessura in alto. A quel punto Frédérique rimembrò di essere una delle migliori ballerine di Parigi. Con la giusta rincorsa, il balzo più elevato possibile, aiutandosi appoggiando a mezz’aria la punta di un piede sulla stessa parete, scavalcò rapida e fu all’esterno.


“Ancora quelle maledette armi!” imprecò furioso Andrea “Non mi è stata nemmeno concessa la possibilità di morire in quel dannato incidente!”.

Con le lacrime agli occhi, per un attimo gli comparve di fronte l’immagine dell’unica persona che per lui contava nella vita: la sua fidanzata Francesca. Doveva fuggire da quel posto per lei.

Ad una prima occhiata, il muro che aveva davanti non sembrava presentare particolari qualità di resistenza quindi, per un vero e proprio arsenale vivente quale era diventato, era uno scherzo poterlo tirare giù. Alla fine prese la decisione.

“Va bene, figli di puttana! Volete la guerra? Facciamo la guerra!”.

Arrivato con la schiena verso la parete di fronte a quella da abbattere, che tra l’altro presentava una porta, quasi sicuramente chiusa a chiave e, ancora più probabile, che dava verso l’interno dell’edificio, il ragazzo chiuse gli occhi alla ricerca della giusta concentrazione.

“Trovato!” ruppe di colpo il silenzio “Penso che dovrebbe bastare la cara e vecchia bazookata!”.

Appena terminate le sue parole, sentì uno strano formicolio alla mano destra. Preoccupato, andò subito a guardare cosa stesse succedendo e, con suo grande orrore, vide il suo arto deformasi per poi, infine, assumere la forma di un bazooka a raggio ridotto.

Alberti arrivò vicino al vomitare ma si accorse, o meglio ebbe la sensazione, che l’arma era carica e pronta a sparare. Allora un ghigno perfido gli si disegnò sul viso e, aiutandosi anche con l’unica mano rimasta umana, piazzò l’arma da fuoco sulla sua spalla destra.

Fissando per bene l’obiettivo tramite il mirino, lasciò partire il colpo. Dalla bocca dell’arma partì davvero un piccola razzo che, come da previsioni, si schiantò contro i mattoni. Il forte rinculo fece volare il giovane italiano gambe all’aria. Quest’ultimo si rialzò a fatica, tossendo per l’alta quantità di polvere creata dall’esplosione. Una volta che questa nebbia artificiale si diradò, si rese conto della riuscita del suo piano.

“Sì! Fanculo figli di puttana!” urlò mentre correva verso la luce proveniente dalla grande apertura.


L’enorme indiano stava ancora riflettendo sulle parole pronunciate dalla donna virtuale. Sapeva già di possedere un’elevata forza fisica, donatagli direttamente dal Grande Spirito. Dunque non concepiva come questo ulteriore dono potesse essergli d’aiuto nella propria esistenza. Ma di certo sapeva che il suo popolo, gli Shoshoni, non si era mai arreso, e così avrebbe fatto anche uno dei suoi ultimi figli.

Fatta la sua scelta si accorse, tastando, che nei pantaloni della singolare uniforme che stava indossando vi era qualcosa. Infilandoci la sua enorme mano estrasse degli anonimi tubicini di plastica. O almeno così potevano sembrare ad un primo sguardo, ma Geran sapeva di cosa si trattava: i colori per la pittura facciale della sua tribù. Ciò che ne seguì fu una delle più solenni cerimonie per la cultura del suo popolo.

Ora che aveva riacquistato i suoi colori, poggiò violentemente le sue stesse possenti mani sui mattoni grigi.

“Che il Grande Spirito mi guidi” sospirò tra sé e sé.

Di scatto, i muscoli del suo corpo si tesero fragorosamente. Una volta che iniziò a digrignare i denti, il muro stesso sembrò imitarlo, aprendo delle crepe sulla sua superficie. Il gigante aumentò sempre più la sua pressione. Ormai la parete era diventata una grossa ragnatela di crepe. Con il primo potente urlo emesso dalla bocca di Giunan, i mattoni crollarono, come spaventati.

Quasi di colpo, il pellerossa si trovò al di là della sua cella. Un grido di vittoria, come solo il suo popolo poteva emanare, riecheggiò in tutta la zona. Poi qualcosa catturò la sua attenzione.


il dandy moderno sembrò annoiato anche da questa assurda avventura.

“Diamine! Tutto ciò è seccante!”.

Anche la sua stanza presentava la medesima apertura verso l’esterno delle precedenti. Ma con soltanto la più bella ambizione di ogni uomo, è cioè la capacità di poter volare, non poteva andare molto lontano.

Battendo rumorosamente la punta del piede sul pavimento, tenendo le braccia incrociate ed il viso imbronciato Jack Lincoln cercava di trovare una soluzione.

Indispettito, si scaglio con violenza verso la porta “Aprite subito! Voi non sapete con chi avete a che fare! Brutti bastardi!”.

Nessuna risposta.

“Porca miseria! Ci deve pur essere un modo per uscire da qui!” si convinse l’inglese, cercando di non precipitare nello sconforto più totale.

Improvvisamente, due frastuoni, uno di seguito all’altro, riempirono l’aria, facendo tremare il suolo e mandando lo sfortunato con il sedere per terra.

“Ma che diavolo?!” esclamò, portandosi vicino all’altra parete da cui era provenuti i due potenti rumori.

Non riuscendo ad arrivare comodamente alla finestrella, cercò di allungarsi il più possibile, riuscendo infine nel suo intento ad arrivare ad oltre due metri di altezza. Da lì riuscì ad intravedere delle figure umane, o almeno così sperava, ed un bosco nelle vicinanze.

Facendo però mente locale, sorpreso di quanto in alto era riuscito ad arrivare, controllò i suoi piedi, che stavano tranquillamente fluttuando nel vuoto.

“Oh santo cielo!” proruppe “Ma allora è tutto vero!”.

Con un sorrisetto ebete dipinto sulla bocca, notò all’esterno una figura gigantesca giungere nella sua visuale. Allora colse la palla al balzo.

“Scusa omaccione…” tentò di catturare la sua attenzione “Sì, dico a te. Potresti darmi una mano ad uscire di qui? Da solo non so come fare”.

L’altro non proferì parola ma, a suon di pugni, tirò giù in un attimo il muro.

“Wow!” fu l’ultima esclamazione di Jack, ancora aggrappato alle sbarre della finestrella.


“Come sarebbe a dire fuoco dalla bocca?” proseguiva nella sua protesta il cuoco cinese “Voi mi avete preso per un drago? Per quanto mi riguarda di drago io ho solo le nuvolette nel mio ristorante!”.

Ovviamente non vi era nessuno nella stanza in grado di replicare. L’ometto si grattava nervosamente la testa, cercando di sbollire la sua rabbia. Poi iniziò a sentire del movimento verso l’esterno dell’edificio.

“Chi c’è là? Mi sentite?”.

Ma ancora nessuna risposta.

L’ira tornò ad accumularsi in lui e, quasi di getto, sputò una calda lingua di fuoco verso la finestra.

“Per Mao! Che diavolo è successo?” esclamò sorpreso Chang.

Fece subito mente locale “Io davvero sputo fuoco? Come drago!”.

Riempì bene i suoi polmoni d’aria e, scatenando tutta la sua furia, investì le piccole sbarre d’acciaio con un’infernale vampata. Non ci volle molto prima che esse iniziassero a squagliarsi come burro. In pochi minuti, la luce filtrava pienamente nella cella del prigioniero.

“Bene! Ben fatto!” si congratulò con sé stesso.

A questo punto però sorse un altro problema: come raggiungere l’apertura nella parete, tenendo conto inoltre dell’altezza poco elevata di Yu.

Ma l’uomo non si perse d’animo ed iniziò ad accumulare sotto di essa ogni cosa, presente là dentro, che poteva tornargli utile.

Per prima cosa spostò, rumorosamente e con una certa fatica, la brandina provvista di materasso che si trovava in un angolo. Poi una misera sedia in legno traballante e, infine, sciolse il braccio in cui si trovava lo schermo da cui aveva parlato Sara, afferrandolo al volo e stando attento a non bruciarsi con la parte ancora incandescente.

Anche in cima a questo particolare totem, l’asiatico fu costretto comunque a mettersi in punta di piedi per arrivare all’orlo della salvezza.


Il messicano non stava più nella pelle.

“Grazie signore! Tutto ciò è fantastico! Con questo potere voglio vedere chi oserà più darmi dei fastidi, quando sarò tornato a casa!” quest’ultimo discorso lo fece rinsavire “Ah, giusto! Prima devo tornarci!”.

Lisciandosi i baffi con le dita, squadrò per bene tutta la stanza da cima a fondo.

“Dunque… per prima cosa potrei trasformarmi in una chiave ed aprire semplicemente la porta. Ma poi non so cosa potrei trovarci dietro e, a differenza di quell’italiano, non credo di potermi trasformare in un arma. Bene, non mi resta che puntare direttamente verso l’esterno. Quindi direi di trasformarmi in un potente bulldozer e tirar giù questo inutile muro. Però di rumore ce n’è già stato abbastanza ultimamente. Allora potrei soltanto mutarmi un piccolo uccellino indifeso e volare felice verso la libertà. Oppure…”.

La sua fantasia sfrenata venne fermata bruscamente da un terzo frastuono, seppur più leggero degli altri.

“Però c’è gente che si sta dando da fare…” si ammutolì di colpo non appena sentì delle voci provenire dalla stanza a fianco.

Purtroppo non riuscì a sentire molto, dato l’elevato spessore della parete, solo qualche parola indefinita come “Harlem” o qualcosa del genere.

“Bueno, ora è il mio turno!” si decise infine, scrutando la finestrella con le sbarre, in alto, scegliendo la terza delle opzioni da lui pensate poco prima.

Uno strano formicolio invase tutto il suo corpo, mentre aveva ben in mente l’animale in cui si stava tramutando. A poco a poco, vide la stanza alzarsi silenziosamente, per poi comprendere che in realtà era lui che si stava rimpicciolendo.

Pochi secondi erano bastati per sostituire Bernardo Borghi con un passerotto comune. Notando il frutto dei suoi sforzi, il volatile iniziò a cinguettare di felicità. Poi riprese di nuovo coscienza di sé e si apprestò a spiccare il volo.

Volo che però si concluse amaramente con il becco sbattuto contro i mattoni.

Una volta precipitato a terra, il pennuto si rimise faticosamente in piedi per effettuare un nuovo tentativo. Questa volta ci andò più cauto e, sbattendo più velocemente che poteva le ali, cercò di arrivare il più vicino possibile all’altezza della finestrella. Una volta riuscito in ciò, tentò di prendere la giusta corrente d’aria proveniente proprio da essa. Rilassando i muscoli delle ali vi riuscì e, passando in verticale tra le due sbarre centrali, si trovò con il minuscolo muso baciato dai caldi raggi del sole.


Nella cella più esterna, l’americano cercava ancora di comprendere la sua situazione.

“Ma è possibile? Siamo addirittura in nove rinchiusi come dei ladri! Anzi, addirittura come malati di mente! Almeno fatemi sapere come si è conclusa la corsa!” sbraitava contro ignoti.

Una volta apparentemente rassegnatosi, diede uno sguardo alla parete alla sua sinistra.

“Forse un altro prigioniero si trova dietro quel muro?” tornò a riflettere ad alta voce “Aspetta un attimo! Cosa aveva detto quella bambola bionda? Giusto, ora ho la supervelocità!” esultò, alzando le braccia al cielo.

Una volta riabbassatele, tornò pensieroso “Vediamo un po’… dai fumetti della mia infanzia, mi sembra di ricordare che, chi aveva questo superpotere, poteva anche attraversare le barriere fisiche, come appunto questo muro, facendo accelerare le particelle del proprio corpo…”.

Passò ancora qualche secondo prima che il pilota si decidesse ad effettuare una prova.

“Ok!” tirò un grosso sospiro “Andiamo! Pronti, partenza, via!” la partenza fu ottima ma, dopo pochi passi, Johnny si arrestò di colpo.

“Cazzo! E se poi quella stronza stesse bluffando?”.

Ancora pieno di dubbi, squadrò nuovamente i mattoni grigiastri.

“Va bene! Al limite mi prenderò una facciata contro il muro…”.

Ora sembrava davvero tutto pronto “Pronti, partenza, via!” con la giusta rincorsa, Wayne scattò verso la parete. In quei pochi attimi, sentiva tutto il suo corpo rispondergli alla perfezione, come solo la sua autovettura era stata in grado di fare fino ad allora.

Passato neanche un secondo si ritrovò con davanti un’anonima parete grigia.

“Tu chi sei?”.

Il biondo sobbalzò a quella domanda, arrivata in maniera tanto improvvisa. Subito voltatosi, vide un ragazzo di colore, all’incirca della sua stessa età.

“Ciao, mi chiamo Johnny, tu come ti chiami?”.

“Juna”.

“Sei di Harlem?”.

“No, Congo”.

I due rimasero entrambi un attimo spiazzati.

“Beh comunque…” riprese lo statunitense “Sono qui per tirarti fuori da questo buco!”.

“Tu che potere hai?”.

“Supervelocità”.

“Io non capito bene, ma credo di poter andare sott’acqua”.

“Oh… ok! Beh attualmente però non ti è molto utile, giusto?”.

L’africano non gli rispose nemmeno.

“Dunque, se davvero sono riuscito ad attraversare quel muro” ipotizzò, indicandogli la direzione da cui era comparso “credo che, se ti stringi forte a me, riusciremo a farlo entrambi ed usciremo incolumi da qui”.

Lo zairese rimase ancora in silenzio, perplesso.

“Beh dai fratello! Piuttosto che restare prigioniero qua dentro…” tentò di convincerlo.

Juna infine sorrise “D’accordo, Johnny”.

“Benissimo! Allora, vieni un attimo con me…” detto questo, il duo si spostò nelle vicinanze della parete con la porta “Bene! Ora credo che ti convenga stringerti forte al mio busto”.

Il nero non sembrava ancora convinto del tutto.

“Forza Juna! Un po’ di coraggio cazzo!” sbottò il biondo.

A quel punto, l’africano si decise ad obbedire a Wayne che iniziò “Pronti, partenza, via!”.

In un secondo scarso, il giovane di colore si trovò con le gambe che gli fluttuavano nell’aria per poi, di colpo, atterrargli nuovamente al suolo. Questa volta però si trattava di un suolo erboso.

“Te l’avevo detto che ce l’avremmo fatta!” esclamò il suo salvatore.


In quei minuti, i nove ebbero modo finalmente di conoscersi gli uni con gli altri.

“Allora siamo davvero nove!” constatò felice Bernardo.

“Nessuno di voi, gentili signori, ha fame?” domandò Chang, sempre alla ricerca di nuovi clienti per il suo ristorante.

L’unica donna del gruppo si avvicinò all’unico minorenne.

“Ciao bimbo, io sono Frédérique e te come ti chiami?”.

“I-Igor” rispose timidamente l’infante.

“Non so voi gente…” attirò l’attenzione Johnny, una volta posato a terra il suo passeggero di colore “ma io me la filo!”.

“Sono d’accordo con te biondino, non voglio rimanere in un posto del genere un attimo di più!” accolse la proposta Jack.

La comitiva era però frenata nella fuga dalla natura impervia che si presentava dinnanzi a loro. L’unico a non esserne intimorito era l’africano che partì a gambe levate. Pochi secondi dopo fu la volta dell’indiano che, fatto qualche passo, si rigirò verso i sette rimasti “Voi non venite?”.

“Ok, ci sto!” esclamò l’uomo proveniente dagli Stati Uniti d’America “Chi arriva ultimo è un mutante!” e, detto questo, scattò via in un lampo di luce.

Gli altri rimasero a bocca aperta, vedendo in azione un potere mutante differente dal proprio.

“Bueno, lasciamo che gli altri ci precedano. Noi andremo del nostro passo, vero gigante?” sentenziò il messicano, dando una pacca d’approvazione sul corpo robusto del pellerossa.

“Aspettate un attimo!” allarmò tutti Andrea “Com’è che, nonostante siamo tutti di nazionalità differenti, riusciamo a capirci perfettamente?”.

I presenti si ammutolirono tutti, riflettendo sulla veridicità di quanto osservato dall’italiano.

Fu il britannico ad infrangere il silenzio “Personalmente preferirei pensarci nel salotto di casa mia, con davanti una fumante tazza di tè”.

“Allora vamos! L’importante per ora è mettersi in salvo!” approvò Borghi.

“Vieni piccolo” disse la francesina, con la mano aperta rivolta al russo “Tienimi la mano così non ti perderai”.

“Grazie” fu la parola udita da una giovane voce nella mente dalla ballerina.

Lì per lì sorpresa, tornò poi a guardare il ragazzino “Ah giusto! Tu sei il telepate”.


Dunque anche gli ultimi sette individui presero la via del bosco. L’inglese rifiutò di staccarsi da loro, utilizzando il suo potere del volo, per evitare di trovarsi disorientato in una zona aerea a lui sconosciuta. Ad ogni minimo rumore sospetto, il baffuto della comitiva gridava un “Cos’è stato?”, rintanandosi dietro l’enorme figura di Giunan. Fatti sempre amico gli energumeni, se ti è possibile. Era una delle regole che aveva imparato direttamente dalle strade di Città del Messico.

“Sicuro che non puoi trasformare la tua mano in una bussola?” insistette Yu.

“Negativo. Hanno detto solo armi. Comunque, già ci ho provato e non succede assolutamente nulla!” rispose seccato Alberti “Piuttosto perché non lo chiedi allo spagnolo lì?”.

“Sono messicano, amigo” controbatté giustamente l’interpellato “Però potrei davvero provare a…”.

Il loro battibecco fu interrotto da un nuovo scricchiolio sinistro.

“Questa volta l’avete sentito anche voi! Giusto?” riprese Bernardo.

“Magari è solo il ruscello lì di fronte…” azzardò una Arone sempre più spaventata.

“Non era un rumore di madre natura” tagliò corto Geran, mettendosi già in posizione di combattimento.

“Bene, si comincia!” lo seguì Andrea, tramutando la sua mano destra in una pistola Browning semiautomatica.

Nella selva, in quegli istanti, non si udiva alcun suono.

“Eccoli!” urlò il più giovane dei sette, sia con la propria bocca che con la propria mente.

Da dietro i tronchi presenti tutti attorno a loro, comparirono delle nere figure, non identificabili per via dei passamontagna sulla testa. Non diedero tempo ai fuggitivi di organizzarsi, facendo subito fuoco verso di essi.

Lo shoshoni caricò verso alcuni di loro, lanciando un urlo di battaglia tipico della sua tribù. Con suo stesso stupore, vide che le pallottole sparategli contro gli rimbalzavano contro.

Colui che doveva diventare un militare effettuò quello che, secondo per lo meno le previsioni di suo padre, era la prima cosa che gli avrebbero insegnato i suo superiori: Rispondere al fuoco con il fuoco. Ed il giovane se la cavava dannatamente bene.

La donna ed il bambino si strinsero sempre di più tra loro. Finché una pallottola non colpì la prima ad un braccio. Allarmato dal grido di dolore della fanciulla, Wansa si concentrò e, come con un magico incantesimo, bloccò il resto dei bussolotti in aria, facendoli infine cadere al suolo, ormai totalmente innocui. La transalpina, nonostante lo spavento iniziale, notò felice una cosa.

“Ragazzi! Queste uniformi sono antiproiettili!”.

“Buona a sapersi, allora nessuna pietà!” urlò il ragazzo di Trento “Anche tu, nanetto, datti da fare!”.

“Come osi? A chi hai detto nanetto?” lo rimproverò infuriato il cinese che, per tutta risposta, esalò una potente fiammata a qualche centimetro da lui, tramutando tre dei loro nemici in vere e proprie torce umane.

Il dandy, tremante come una foglia, cercò una disperata salvezza spiccando in un volo verticale. Purtroppo per lui, constatò che vi erano altri avversari anche aggrappati ai tronchi più alti degli alberi.

La faccenda si faceva sempre più disperata, con gli aggressori che, per assurdo, sembravano aumentare sempre più.

“Questa è davvero la fine” pensava Frédérique sull’orlo del pianto.

La sua disperata preghiera fu incredibilmente ascoltata. Un lampo rosso e giallo comparve di colpo, avvolgendo tutte le persone presenti. Nel giro di pochi secondi, gli uomini in nero giacevano a terra inermi.

“Mi chiedevo come mai ci mettevate tanto…” esordì Johnny Wayne, tornato finalmente visibile ad occhio nudo.

“Almeno noi ci siamo difesi, yankee” gli rispose serio Geran Giunan.

“Piuttosto perché te non sei intervenuto prima!” lo rimproverò Jack Lincoln che, nel frattempo, stava atterrando dolcemente.

La comitiva, presa dall’entusiasmo dovuta al ritorno del Soggetto N. 9, non si accorse del componente della banda appena sgominata che si stava avvicinando al velocista, strisciando silenziosamente sul terriccio presente sulla riva, come il più letale dei serpenti.

A percepirne infine la presenza fu il membro con la vista più sviluppata: Frédérique Arone.

“Attento Johnny!”.

La potenziale vittima però, per assurdo, fu troppo lenta nel voltarsi. In un salvataggio insperato, il braccio con la mano armata di coltello, pronto a sferrare il fendente mortale, fu bloccato dalla mano di un giovane ragazzo africano.

L’aggressore fu il primo ad essere sorpreso da quell’intervento. Tanto sorpreso da non accorgersi di essere sotto mira. Scoprendolo soltanto quando un proiettile lo trapassò in pieno petto.

Appena contemplato l’individuo che crollava esanime al suolo, tutti si voltarono verso il cecchino che aveva colpito il bersaglio.

“Ma sei impazzito Andrea?” lo aggredì gridando la francesina “potevi colpire Juna”.

“Cazzate! Sapevo benissimo a chi sparare!” ribatté seccato l’italiano.

Mentre i due proseguivano nel loro battibecco, il congolese si avvicinò allo statunitense “Ora siamo pari amico”.

“Grazie fratello!”.

“Fermi tutti signori!” richiamo l’attenzione dei compagni Chang Yu “Dov’è Bernardo?”.

Fu allora che gli effettivi otto presenti notarono ciò.

“Io sento ancora i suoi pensieri” informò Igor Wansa, evitando così di far temere il peggio per il loro simpatico messicano.

Saputo ciò, tentarono all’unisono di chiamarlo a gran voce. Fu allora che, con una scena alquanto raccapricciante, dal fogliame che copriva buona parte del manto erboso, iniziò ad ingrandirsi un disgustoso lombrico. L’oscenità poi, via via che passavano i secondi, andava assumendo una forma umana, vestita da un’uniforme diventata ormai familiare.

“Hola gente!”.

Il gruppo riabbracciò il presunto scomparso, infamandolo anche per la sua particolare scelta riguardo l’affrontare la lotta appena svoltasi.

“Loro sono buoni”.

Gli altri, ancora festanti, si voltarono verso il piccolo russo che proseguì “Io penso che loro sono buoni. Sennò non ci avrebbero dato dei giubbotti antiproiettile. Io credo che possiamo fidarci di loro. Soprattutto ora che, io temo, dovremo affrontare altri uomini neri”.

I nove rifletterono ognuno con la propria testa. La scelta era tra tornare ad una vita che non sarebbe stata più la stessa, oppure lottare restando uniti come una squadra. Tutti arrivarono ad una conclusione ma nessuno fiatò. Insieme, tornarono a dirigersi verso l’edificio da cui erano scappati.

Fu così che nacque il gruppo Humana.

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Capitolo 3
*** Le prime avventure ***


CAPITOLO 3

Le prime avventure”




Quando i nove tornarono all’edificio che, fino a qualche minuto prima, era stata la loro prigione, vi trovarono ad aspettarli una figura ormai conosciuta. La stessa donna bionda che, tramite gli schermi presenti in ogni cella, gli aveva comunicato che la loro vita d’ora in avanti era mutata per sempre, era ora in carne ed ossa di fronte a loro.

“Bentornati”.

“Ma te sei la chica bionda di prima!” urlò stupito il messicano, indicandola anche a tutto il resto della compagnia.

“Esatto. Potete chiamarmi Sara Silvestri, se volete” li informò lei.

“Sei venuta a darci il colpo di grazia?” le domandò l’italiano allarmato ma, allo stesso tempo, sorpreso di incontrare una sua connazionale, mentre stava già trasformando la sua mano destra in un’arma da fuoco.

“Niente affatto. Al contrario, sono venuta a darvi nuovamente il benvenuto alla Humana. Questa volta verrete trattati in maniera più civile, dato che avete accettato di aderire per vostra volontà al nostro progetto. Dunque, niente più prigionia ma, piuttosto, avrete ognuno una vostra camera da letto personale, con tutti i relativi comfort”.

Il gruppo, nonostante quanto detto dalla presunta padrona di casa, rimase comunque titubante.

“Allora…” prese la parola la francese “Possiamo davvero fidarci di te?”.

“Se volte seguirmi, lo capirete” concluse Sara, voltandosi per avviarsi verso l’abitazione.

Per il momento, nessuno della compagine sembrò avere l’intenzione di seguirla. Poi, il più innocente di loro, iniziò a fare qualche passo in avanti.

“Dove vai Igor?” lo richiamò preoccupata Frédérique.

Il ragazzino si bloccò un attimo, per poi voltarsi verso i restanti otto “Io mi fido di lei”.

Bastarono queste semplici parole a convincere gli adulti a seguire il russo.


Entrati nell’ingresso aprendo una pesante porta blindata, lasciata per l’occasione socchiusa, poco più avanti si trovarono davanti un enorme salone, con una decina di sedie disposte in maniera circolare. Attorno ad esse, vi erano vari mobili d’arredamento come: una libreria piena di libri dalle più svariate dimensioni, una vetrata con esposta un’elegante argenteria, un orologio a pendolo dal classico suono ritmato, una lunga tavola rettangolare appoggiata ad una parete e, attaccato al muro, uno grosso schermo, al momento spento.

“Sembra di essere ad una riunione degli alcolisti anonimi” ironizzò l’americano.

“Prego signori” la bionda ricomparve da un angolo della stanza, facendo sobbalzare dallo spavento qualcuno di loro “potete accomodarvi”.

L’africano alzò la mano per chiedere la parola “Posso sedermi per terra? Non ho mai amato granché le sedie”.

“Ma per quanto riguarda il nostro amico energumeno qui” chiese Bernardo indicando l’indiano “Siamo sicuri che la scranna reggerà?”.

Nonostante queste rimostranze, il volto della giovane donna rimase impassibile. Alla fine, tutti gli invitati presero posto.

“Bene. Se avete delle domande da pormi, sono a vostra completa disposizione” spiegò la bionda.

“Io vorrei sapere, onorevole signora, il motivo per cui siamo qui?” domandò il cinese.

“Come già vi ho anticipato ore fa, noi dell’Humana vi abbiamo recuperato per concedervi la possibilità di vendetta verso Mohammed Al-Shirida, il vero responsabile di ciò che vi è accaduto”.

“Mi domando” esordì l’inglese “come mai siamo stai scelti noi? E, soprattutto, costui è davvero così pericoloso come sembra che lei ci vuole suggerire?”.

“Purtroppo la vostra scelta è stata pressoché casuale. Una delle manie di questo emiro qatariota è proprio quella di affidarsi alla casualità, nella programmazione dei suoi piani criminali. Per quanto riguarda la sua pericolosità vi svelerò che, in sé e per sé, l’unica forza di quest’uomo è data dalle sue immense ricchezze. Tale caratteristica ha portato questa persona a compiere uno degli esperimenti più orribili e distruttivi che il mondo possa immaginare…”.

I nove, dopo queste ultime parole, rimasero con il fiato sospeso.

“… Attraverso il mercato nero più inquietante che questo pianeta possa avere, è riuscito a procurarsi due dei cervelli più letali che siano mai esistiti. Una volta avutili in suo possesso, ha dato vita alla più inquietante operazione chirurgica inimmaginabile…”.

Il pathos tra i presenti era ormai palpabile.

“Quest’uomo, o sarebbe meglio dire questo mostro, a fuso parte del suo cervello con altre provenienti dal cerebro di Napoleone Bonaparte ed Adolf Hitler!”.


La notizia più shoccante che si potesse dare fu affidata a nove persone provenienti da parti differenti del globo terrestre. Dopo tale rivelazione, furono ben pochi e insignificanti i quesiti posti alla signora Silvestri.

Uno dei più colpiti da tali eventi fu lo statunitense Johnny Wayne che, per tale motivo, ottenne il permesso di uscire fuori dall’abitazione per prendere letteralmente un po’ d’aria. Ad ampliare maggiormente le sue preoccupazioni vi erano anche le parole che Sara gli aveva sussurrato pocanzi.

“Soggetto N. 9, su di te l’Humana ripone grandi speranze dato che, secondo i nostri calcoli, sei la persona più adatta dei nove per guidare gli altri alla vittoria”.

“Cazzo!” proruppe infine l’americano “Io l’unica cosa che so guidare sono le monoposto. Non certo un gruppo di supereroi, o quel cazzo che dovremo essere!”.

“Johnny…”.

Una voce femminile lo fece voltare di scatto all’indietro. La francesina gli si portò di fianco, appoggiandogli una mano delicata sulla spalla.

“Tutto bene?”.

“Sì certo, a parte tutto questo casino!”.

“Ti capisco Johnny. Anch’io sono la prima a non credere a cosa ci sta succedendo”.

“Ma la cosa più assurda è tutta quella storia dei tre cervelli, per quello che ho potuto capire…”.

L’americano si fermò, vedendo la donna scrutare attentamente un punto imprecisato in direzione dell’orizzonte.

“Che ti succede? C’è qualcosa che non va?”.

La ballerina in un primo momento non rispose. Poi, finalmente si ridestò “No… niente. Mi sembrava che qualcosa sfrecciasse nella nostra direzione… ma mi devo essere sbagliata”.

L’altro, allarmato, si mise a fissare il medesimo punto visivo ma, a parte le cime degli alberi tutti attorno e qualche vetta montana, non riuscì ad identificare alcuna presenza minacciosa.

“Comunque, dati i tuoi nuovi poteri, non è una cosa da sottovalutare. Meglio rientrare alla base ed informare Sara di tutto ciò”.

Lei accolse positivamente la decisione presa da Wayne e, entrambi a passo svelto, rientrarono nella villa che li stava ospitando.

“Sara! Sara! Ma è possibile che non si faccia viva proprio ora?” imprecò l’uomo.

“Forse allora è meglio chiedere l’aiuto degli altri” propose dunque lei.

La coppia salì rapidamente l’elegante scala in legno che li portava al piano superiore, quello adibito alle varie camera da letto riservate ai membri del gruppo.


Una volta lì, entrarono come una tempesta dentro la prima stanza incontrata. Spalancata la porta, si trovarono davanti l’inquietante visione di un messicano in mutande.

“Oddio!” gridò la fanciulla, coprendosi la faccia rossa con le mani.

“Che c’è? Io, quando sono a casa mia, giro sempre in mutande” spiegò senza pudori Bernardo.

“Invece di perder tempo” lo canzonò il biondo “Mettiti i calzoni e vieni con noi che Frédérique pensa di aver visto qualcosa”.

I due uscirono da quella camera veloci come se dentro vi fosse la più letale delle pestilenze, tanto da non accorgersi dell’avvicinarsi di un altro essere umano.

“Che sta succedendo qui?” domandò allarmato l’italiano.

“Ah, stiamo perdendo anche troppo tempo!” sbottò Johnny “Meglio che andiamo solo noi quattro che sennò, avanti che li abbiamo avvisati tutti, potremo già essere sotto attacco”.


Il quartetto, uscito dalla villa, si avviò nella direzione che gli indicava la francese. Di colpo, un fulmine a ciel sereno si abbatté nelle vicinanze. Loro rimasero bloccati in silenzio, temendo ciò che poteva attenderli se proseguivano nella ricerca. Ma, a causa di quella morbosa curiosità verso l’ignoto a cui ogni essere umano è predisposto, i quattro ripresero il cammino.

Improvvisamente, si trovarono davanti ad una figura spettrale che lì osservava silenziosamente. Un uomo, o almeno era ciò che presumevano fosse, dai capelli canuti, la pelle di un pallido cadaverico, gli occhi freddi e bianchi come il ghiaccio e una veste del medesimo colore.

Il soldato si fece coraggio e tentò un approccio verbale “E-Ehi tu! C-Chi diavolo sei?”.

L’interpellato non sembrò dare alcun segno di risposta. Poi iniziò a muovere le labbra “Io sono il Soggetto N. 10”.

“C-Cosa?!” esclamò allibito il Soggetto N. 7.

“E cosa vuoi da noi?” chiese furioso il Soggetto N. 9.

L’albino si trincerò nuovamente nel suo silenzio di tomba. Quindi riprese la parola “Mi è stato soltanto ordinato di eliminare gli altri nove”.

“C-Cosa?! E da chi?” esclamò sempre più allibito Borghi.

“Che sia la stessa Humana?” ipotizzò sconvolta Arone.

“E se invece si trattasse dello Spettro Bianco?” propose contrariato Wayne.

“Non me ne importa una cazzo! Se vuoi venire a farci il culo, io ti aspetto!” lo provocò Alberti, che già stava mutando la sua mano destra in una Smith e Wesson.

Alla vista di tale minaccia, il nuovo arrivato fece un passo e scomparve. Letteralmente. Solo uno dei quattro intuì cosa fosse appena successo e, per tutta risposta, parti egli stesso all’inseguimento.

Mentre tutto l’ambiente attorno a lui sfrecciava sfuggente, l’americano si mise a pensare “Possibile che abbia anche lui la supervelocità? Che gli abbiano dato il mio stesso potere? Però, se fosse stata l’Humana, avrebbe dovuto indossare la nostra stessa uniforme. Invece la sua è anche troppo… bianca!”.


Nel frattempo, il Soggetto N. 3 si mise ad urlare “Fermati N. 10! Se anche tu sei stato trasformato in un mutante come noi, non dovresti attaccarci ma, anzi, potresti diventare un nostro alleato!”.

L’interessato si fermò di colpo davanti alla donna.

“No! Ferma, piccola! Non capisci che è un nostro nemico!” pensò il biondo, oppure parlò tanto veloce da non essere compreso.

Il Soggetto N. 10 sembrò colpito dalle parole della donna. I suoi occhi iniziarono a brillare di una luce sinistra, per poi emettere due raggi laser verso di lei. Il velocista fece appena in tempo a salvarla.


“Al diavolo! Io me la squaglio!” sentenziò il baffuto, mentre iniziava a mutare forma in un ghepardo, per cercare di sfuggire più rapidamente.

Purtroppo, tale procedura, non gli permise di vedere l’enorme gorilla di montagna che gli piombò rovinosamente addosso.

“Figlio di puttana perché non te la vedi con me?” ma, nonostante la quantità infinita di pallottole sparategli contro da Andrea, la sua pelliccia sembrò non risentirne affatto.

Accortosi di tale fastidio, il suo avversario riprese infine la sua forma, questa volta però presentava stretta fra le dita una minacciosa bomba a mano.

“Oh cazzo!” imprecò l’altro mentre saltava appena in tempo per evitare danni peggiori dovuti all’esplosione.


Il biondo tornò nuovamente ad affrontarlo “Allora sei soltanto un lurido copione!”.

L’albino lo squadrò serafico. Nel giro di un secondo, entrambi scomparirono dalla vista umana.

In tutta la foresta, due folate di vento s’inseguivano, facendo lo slalom fra i tronchi dei vari alberi presenti. Nel contempo, i due sfidanti non si perdevano d’occhio, mentre tutta la realtà attorno a loro andava al rallentatore. Mentre proseguivano, Johnny notò gli occhi del nemico tornare ad illuminarsi minacciosamente. Si bloccò appena in tempo per evitare la traiettoria dei due raggi laser.

“Cazzo! Questo bastardo riesce ad usarne anche due alla volta!” constatò allarmato lo statunitense.

Perso di vista il N. 10, il Soggetto N. 9 si mise a controllare rapidamente tutto l’ambiente circostante. Mentre proseguiva nella sua ricerca, sentì uno strano sibilo farsi via via sempre più nitido. Ancora una volta, si scostò appena in tempo per evitare un enorme masso destinato alla sua testa.

“Fatti vedere, brutto figlio di puttana!” urlò disperato l’americano.

Per tutta risposta, fu investito da una pioggia di pallottole che, fortunatamente, o lo mancarono o s’infransero contro la sua uniforme antiproiettile. Preso dal panico, Wayne fuggì via trovando rifugio dietro il fusto di un abete.

“Non ce la faccio ad affrontarlo da solo!” confessò a sé stesso il velocista “Dove sono finiti tutti gli altri?”.

Mentre riprendeva fiato, si accorse che la foresta si era fatta silenziosa in maniera allarmante. Dopo un tentennamento iniziale, si decise a fare capolino per controllare la situazione. Tutto sembrava calmo e tranquillo. Troppo calmo e tranquillo.

Come nel peggior incubo immaginabile, tutto il bosco circostante iniziò a mutarsi. Gli alberi, i sassi ed anche qualche foglia in qualcosa dalla forma nettamente più umana.

“Oh merda!” imprecò con un filo di voce il mutante mentre, davanti a lui, si presentava ora un intero esercito formato da individui tutti praticamente identici al Soggetto N. 10.

“Non è possibile…”.

“Sì, lo è”.

Preso com’era nell’ammirare quell’inquietante spettacolo, Johnny non si era accorto di avere al suo fianco proprio lo stesso rivale albino.

“M-Ma cosa ti hanno fatto?”.

“Loro sono tutti miei fratelli”.

“Giusto un gruppo di scienziati nazisti poteva pensare ad una tale follia!”.

“Per te sono folli, per noi sono geni. Ora, Soggetto N. 9, sai cosa ti aspetta…”.

L’interessato lo sapeva. Chiuse gli occhi quando cominciò a vedere, tra i vari gemelli, alcuni con gli occhi già luminosi, altri con le bocche già fiammeggiante, mentre molti stavano già tramutando parti del loro corpo nelle più svariate armi da fuoco.

Il corpo del pilota tremava tutto, aspettando di percepire il più grande dolore possibile che l’avrebbe di certo portato alla morte. Tale attesa sembrava non avere mai fine. Non avvertendo ancora alcuna sensazione, il condannato si decise infine a sollevare appena una palpebra.

“Dove sono?” esclamò, mentre osservava le onde che si infrangevano contro gli scogli. Tutto ciò avveniva nel fondo dello strapiombo dove ora si trovava il biondo.

“Johnny mi senti?”.

“C-Chi sei?” domandò nuovamente al vento.

“Sono Igor, sto parlando direttamente dentro alla tua mente. Ho fatto appena in tempo a trasferirti lontano da loro, grazie alla telecinesi”.

“Allora ora dove mi trovo?”.

“Sei a qualche chilometro da loro. Più in là non ho potuto portarti perché, appena ti hanno visto scomparire, hanno subito cominciato a cercarti, anche scandagliando tutto il territorio telepaticamente”.


Come aveva previsto il ragazzino russo, i mutanti albini, oltre ad utilizzare la telepatia, sfruttavano anche la super velocità e la capacità del volo.


Nel quartier generale degli Humana, tutti i restanti Soggetti, compresi i tre che avevano inizialmente accompagnato Wayne nella loro sfortunata fuoriuscita, circondavano Wansa che, nel frattempo, proseguiva con l’istruire il compagno in difficoltà.

“Eppure ci sarà un modo per poterli sconfiggere, evitando di usare qualsiasi ordigno atomico” chiese isterico l’americano.

“L’unica tua possibilità, mi sta dicendo Sara, è quella di usare la tua velocità per metterli gli uni contro gli altri”.

“Quindi voi non avete intenzione di muovere il culo per aiutarmi?”.

“Noi dobbiamo rimanere qui alla base, nel caso decidessero di attaccarci tutti in massa”.

Soggetto N. 9 ci rifletté un attimo. Poi partì a tutta velocità per mettere in atto, o per lo meno tentare di farlo, il piano del suo gruppo. Fatto appena qualche metro, notò l’arrivo di tre nemici. Fu allora che il velocista iniziò a correre attorno a loro, sperando che questi ultimi lo seguissero come le pecore fanno con il pastore. I tre, come auspicato, partirono al suo inseguimento. dopo qualche minuto di corsa circolare, uno del trio prese la direzione opposta, pensando di bloccare il fuggitivo. Ma era proprio ciò che voleva l’americano.

Scansandosi all’ultimo microsecondo, mandò i tre a scontrarsi frontalmente tra loro.

“Bingo!” esultò festante il vincitore.

Esaltato dal suo primo successo, lo statunitense mise in atto tutta una serie di disfide, portando in poco tempo tutti i cloni a darsi battagli fra di essi. Nel pieno della lotta, come se qualcuno avesse premuto un interruttore invisibile, tutti i Soggetto N. 10 presenti collassarono al suolo.

Mentre l’unico uomo in piedi era rimasto a bocca aperte nel vedere tale spettacolo, la voce nella sua testa tornò a farsi sentire “C-Ci sei Johnny? Com’è andata?”.

“È stato più divertente che guidare in una monoposto! Poi però è successo qualcosa di strano… tutti i mutanti sono svenuti, o almeno spero siano soltanto svenuti”.

“Lo sappiamo Johnny” lo informò Igor “Sara ci ha informato che è intervenuta la stessa Humana per risolvere la situazione”.

“E non potevano pensarci prima?! Comunque adesso cosa faccio io?”.

“Forse era per metterti alla prova. Dicono che devi rientrare alla base”.

Nonostante fosse ancora perplesso, alla fine Soggetto N. 9 obbedì agli ordini.




Tutto l’ambiente circostante sembrava essere tornato sereno. Anche se, e di ciò ne erano coscienti gli stessi Humana, difficilmente tale situazione sarebbe durata ancora per molto, in particolar modo ora che lo Spettro Bianco sapeva dove erano rifugiati i nove mutanti.

Come a presagire una nuova tempesta, nello stesso suolo in cui il velocista del gruppo aveva affrontato i molteplici cloni albini, iniziò a crearsi una lieve crepa. Mano a mano che i secondi passavano, tale incrinatura si allarga sempre più, fino a raggiungere il livello di una vera e propria voragine. Raggiunto un diametro di parecchi metri, la furia si placò. A poco a poco, da quell’apertura cominciò ad emergere un inquietante obelisco.


“R-Ragazzi! Ci sono altri problemi!” Igor avvertì il resto del gruppo, che nel frattempo stava dando il bentornato a Johnny.

“Cosa? Ma se sono appena rientrato!” protestò rabbioso l’americano.

“A quanto pare” s’intromise Sara “lo Spettro Bianco non vuole darci tregua. Dato che Soggetto N. 3 è priva di sensi, Soggetto N. 1 riesci a percepire di cosa si tratta?”.

“Purtroppo non con chiarezza. Ma, da quando è apparsa questa nuova minaccia, non sento più l’esistenza dei cloni”.

Senza proferir parola, il più massiccio della comitiva si avviò verso la porta d’ingresso.

“Dove vai, capo?” tentò di fermarlo Wayne.

“Fuori” tagliò corto Giunan.

“Qualcuno vada con lui!” ordinò Silvestri.

“Vado anch’io!” informò gli altri Juna.

“Eh sia! Almeno morirò da eroe!” lo seguì Jack.

Vedendo altre tre persone uscire dalla villa, Johnny sbraitò contro i pochi rimasti presenti “Dove sono gli altri che erano usciti con me? E come mai Sara ha detto che Frédérique è priva di sensi?”.

“Cerca di darti una calmata, onorevole Wayne” lo richiamò Chang “I tre compagni che erano con te sono stati condotti nell’altra stanza, per fargli recuperare un minimo le proprie forze”.

Come un lampo, il pilota si proiettò verso la camera adiacente, dove trovo, sopra a tre brande, il trio con cui aveva affrontato Soggetto N. 10. Dei convalescenti, solo Andrea si era già rialzato dalla posizione distesa.

“Johnny, che sta succedendo lì fuori?” cercava d’informarsi l’italiano.

L’altro non lo ascoltò nemmeno, preoccupato com’era verso la salute della francesina. Con una nuova fierezza nel suo sguardo, ripartì ad alta velocità verso l’esterno.

“Soggetto N. 9!” tentò inutilmente di richiamarlo Sara.


In un attimo, lo statunitense si trovò a rimirare il torreggiante profilo dell’obelisco, la cui punta sembrava perforare addirittura il cielo.

“Che cazzo è quello?” esclamò nel vederlo.

“Johnny? Che ci fai tu qui?” gli domandò Lincoln, che arrivò planando dall’alto.

Ma prima che lui potesse rispondergli, una voce potente provenne dal monumento.

“Dunque è presente anche Johnny Wayne”.

I quattro rimasero immobili nell’ascoltarlo.

“Vi informo subito che non sono qui per combattervi, a meno che non me ne diate possibilità. Sono qui per darvi la grande occasione di unirvi a noi, dato che siamo stati noi stessi a crearvi. Voi nove avete avuto la grande opportunità di migliorare le vostre vite, utilizzando le nuove capacità che vi abbiamo concesso”.

“Grande opportunità un cazzo!” gli rispose a tono il biondo “Che grande opportunità avremo nel metterci agli ordini di un idiota che si è impiantato nel cervello tutta quella merda?!”.

“Se questo è ciò che pensate, non mi rimane che una soluzione”.

Un rettangolo luminoso iniziò a brillare sulla parete liscia dell’obelisco.

“Attenti!” avvertì appena in tempo i compagni Soggetto N.8, poco prima che un raggio calorifero si abbatté al suolo.

Il nemico immobile sparò nuovamente, questa volta andando a colpire il terreno al di sotto dell’indiano. Una nuova piccola voragine si andò a creare, facendo inabissare il nerboruto uomo fino alla cintola.

“Maledetto!” imprecò il pellerossa.

Gli altri tre si avvicinarono al loro amico in difficoltà.

“Scappate voi!” gli urlò contro Geran.

Nel frattempo, sulla superficie dell’obelisco comparirono altri due rettangoli luminosi. Senza alcun preavviso, iniziarono a prendere di mira i mutanti ancora in grado di muoversi. Il trio scelse allora tre differenti vie di fuga: Il soggetto N. 2 in aria, il N. 9 sulla terra ed il N. 6 nel mare lì vicino.

I raggi continuavano a balenare nel tramonto come fossero stelle impazzite.

L’inglese tentò di comunicare con l’americano “Ci deve essere pure un modo per distruggerlo!”.

“Io proverò ad attaccarlo frontalmente. Te invece attaccalo dall’alto” propose un Johnny Wayne ancora in piena corsa.

Effettuando un inversione ad U, arrivò alla base del monumento alla massima velocità. Giuntò lì, iniziò a colpirlo ripetutamente, con l’unico risultato di non averlo scalfito minimamente.

Contemporaneamente, in cielo, il dandy lanciava urla belluine ad un raggio evitato.

Ripartito nella sua folle corsa, il Soggetto N. 9 riuscì appena in tempo ad evitare un altro colpo che poteva essere fatale. Nel farlo, si sbilanciò e cadde al suolo a metri distanza. Nel rialzarsi, ebbe un’illuminazione.

“Jack!” urlò al suo compagno volante “Forse possiamo sconfiggerlo se lo colpiamo in uno dei punti da cui partono i raggi laser!”.

“E con cosa lo colpiamo?”.

“Non lo so! Te hai qualcosa da usare?”.

Il britannico ci pensò un attimo su. Poi, cercando in una tasca all’interno della cintura, tirò fuori un suo personale portafortuna: un piccolo teschio di cristallo.

Intanto, l’obelisco sembrò quasi attendere il nuovo attacco dei suoi rivali.

Quando Johnny vide il segno di assenso effettuato dal capo del suo amico in aria, scattò nuovamente verso il nemico. Come da previsione, un rettangolo riprese ad illuminarsi e, con una mira inaspettatamente eccezionale, Jack riuscì a centrarlo in pieno, mandando in frantumi lo stesso soprammobile.

Inizialmente l’obelisco non sembrò minimamente scalfito poi, a poco a poco, su e di esso cominciarono ad apparire crepe sempre più rilevanti finché, con un frastuono infernale, crollò al suolo in mille pezzi.

L’ultima cosa che pronunciò urlando fu “Siete già morti!”.

Il velocista, per evitare qualsiasi tipo di danno, si portò a metri di distanza mentre il nativo americano fu miracolosamente illeso, anche grazie alla sua robusta costituzione.


Nel sopraggiungere al luogo della battaglia, Wansa, Yu e Silvestri trovarono i due anglofoni accasciati uno accanto all’altro.

“State bene ragazzi?” per la prima volta gli Humana videro una Sara visibilmente preoccupata.

“Tutto ok!” rispose un esausto Wayne “Cercate piuttosto di liberare Geran da lì dentro” indicandoglielo.

“E come facciamo?” chiese perplesso il cinese.

“Potresti pensarci tu” gli suggerì il russo.

“E come?”.

“Puoi usare il tuo fuoco per rendere più malleabile la terra attorno al suo corpo, così lui potrà liberarsi con più facilità”.

L’asiatico ci rifletté un attimo su. Poi decise di attuare il piano del ragazzino. Tutto ciò riuscì alla perfezione.

“Ehilà gente!” salutò il resto della comitiva un Soggetto N. 8 con l’uniforme ancora bagnata.




“Finalmente sono riuscito ad avere un po’ di pace” fu il pensiero dell’americano mentre, sdraiato al suolo, escludeva tutto il mondo attorno a lui chiudendo le palpebre. Le foglie che cadevano dai rami sopra di lui, come per una specie di riverenza verso il mutante, gli atterravano tutte attorno.

Un leggero scricchiolio lo fece tornare alla realtà.

“Scusami Johnny” sussurrò appena Frédérique “Ti ho svegliato?”.

“No, tranquilla tesoro. Sdraiati qui insieme a me” la invitò il biondo.

La francesina obbedì, continuando a guardarsi ripetutamente attorno.

“C’è così tanta vita in questa foresta. Senza questi occhi speciali di certo non me ne sarei mai accorta”.

Il pilota di Formula 1 sghignazzò leggermente “Non dirmi che anche a te fa piacere essere stata cambiata…”.

“Beh non posso certo dire che mi dispiaccia. Con la mia vista, ora riesco a vedere anche il più piccolo lineamento su una foglia mentre sta cadendo.”

Nonostante quanto detto in quest’ultima affermazione, il Soggetto N. 3 non notò la presenza di un estraneo, proprio nella stessa boscaglia in cui i due membri dell’Humana si stavano rilassando.

Si trattava nello specifico di un tizio dalla media statura, vestito con un lungo impermeabile marrone e con in testa una cappellaccio sgualcito del medesimo colore.

“Ho raggiunto l’obiettivo” affermò apparentemente soltanto a sé stesso.


All’interno della villa, che fungeva da quartier generale per il gruppo, il resto dei mutanti si stava via via abituando a quell’enorme abitazione.

Era ormai da parecchi minuti che Andrea stava mutando la sua mano destra nelle più svariate armi da fuoco che aveva in testa. Colpito da ciò, Bernardo gli si fece vicino.

“E’ davvero una figata! Vero, amico?” esclamò entusiasta.

L’italiano, per tutta risposta, gli lanciò uno sguardo feroce che non ammetteva repliche. Il messicano, di conseguenza, capì l’antifona e gli si allontanò rapidamente.

Nel proseguo della sua personale odissea, notò l’indiano d’America accovacciato al suolo, in uno stato di profonda meditazione.

“C-Che sta facendo?” domandò incuriosito.

A dargli una risposta ci pensò Chang “Penso che stia pregando i suoi dei, o almeno così credo”.

In un altro angolo della sala, l’africano ed il russo si dilettavano nel giocare con dei soldatini di legno finemente lavorati.

Improvvisamente, il più giovane dei due alzò di scatto la testa.

“Che cos’hai Igor?” gli chiese allarmato Jack.

Wansa non gli diede udienza ma, invece, si affrettò a contattare telepaticamente i due componenti che si trovavano all’esterno dell’edificio.

“Johnny… Johnny mi senti? Sono Igor…”.

Wayne, dopo un iniziale sobbalzo, rispose al ragazzino come se usasse il più semplice degli apparecchi telefonici “Ti sento Igor, anche se comunicare in questa maniera mi sembra ancora alquanto assurdo”.

“Perdonami Johnny ,ma ho rilevato la presenza di un intruso non lontano da voi”.

“Un intruso? Dove si trova?”.

“A circa 300 metri alla tua sinistra”.

Appena saputa l’ubicazione del nemico, il Soggetto N. 9 scattò in piedi e, nel giro di un secondo scarso, aveva già atterrato lo sconosciuto.

“Chi cazzo sei tu?” gli inveì contro, mentre lo teneva schiacciato contro il terreno.

L’uomo a terra, inizialmente sorpreso dal repentino attacco subito, riuscì a colpire l’avversario con un calcio all’inguine, tornando nuovamente libero.

Il biondo digrignava i denti, più per il forte dolore provato che per aver abbassato imprudentemente la guardia, riuscendo a malapena a rimettersi in piedi.

“Figlio di puttana!” urlò mentre ripartiva alla carica.

Il fuggitivo, questa volta, tirò fuori dal suo impermeabile una pistola, riuscendo a sparare un colpo.

Per il velocista fu un gioco da ragazzi evitare il bozzolo che, dalla sua visuale super accelerata, procedeva con una lentezza assoluta.

Raggiunto il nemico, lo statunitense lo mise definitivamente al tappeto con un gancio destro.


“… Ciò dimostra ancora di più che lo Spettro Bianco conosce la nostra posizione” concluse il suo ragionamento Sara Silvestri, mentre osservava il prigioniero.

L’uomo, momentaneamente legato con una corda attorno al corpo, presentava in testa, senza più il suo copricapo, dei capelli scuri pettinati all’indietro in maniera impeccabile, grazie al presunto uso di gel.

“Non vedo l’ora che si svegli così ci penserò io a farlo cantare a dovere!” esclamò esaltato il Soggetto N. 7.

Come a dare ascolto alle sue richieste, l’intruso si ridestò di colpo.

“Ok gangster…” partì all’attacco il baffuto “Dicci subito chi ti manda o altrimenti ti pentirai di essere nato!”.

Lo sconosciuto non fece una piega.

“Ora che hai finito di fare il buffone, lascia fare ai professionisti” lo spintonò via in malo modo Alberti.

Inginocchiatosi di fronte a lui, tramutò la sua mano destra in una glock, puntandogliela poi dritta in fronte.

“O spari o muori, a te la scelta”.

Il prigioniero dimostrò ancora una volta grande freddezza “Sono pronto a morire per i miei ideali”.

“Fermati Andrea!” lo richiamò l’americano.

“La sua è una volontà di ferro. Non parlerà” informò il gruppo il Soggetto N. 1, dopo aver provato inutilmente a penetrargli in testa.

“Humana! Usciamo un attimo di qui e decidiamo come agire!” ordinò perentoria Sara al resto del gruppo.

Dopo che il Soggetto N. 5 ebbe chiuso vigorosamente la porta della cella, tutti i presenti si riunirono in cerchio.

“Pensate che sia saggio lasciarlo da solo?” chiese preoccupato l’inglese.

“Legato così dove vuoi che vada?” sentenziò il Soggetto N. 9.

“Ma farà davvero parte anche lui dello Spettro Bianco?” espose il suo dubbio il cinese.

D’un tratto, si udì una forte esplosione proveniente da dentro la camera.

“Cos’è stato?” gridò lo zairese.

Il gruppo si precipitò dentro la stanza, trovandola con una nuova aperta sul muro che dava verso l’esterno.

“L’avevo detto io che non bisognava lasciarlo da solo!” fece presente Lincoln.

“Questi muri vengono giù anche troppo facilmente” osservò ironico Borghi.

“Col cazzo che lo faccio scappare quel bastardo!” esclamò il velocista prima di scomparire apparentemente nel nulla.

Arone si avvicinò alla breccia ed urlò al vento “Non puoi andare sempre da solo Johnny!”.


Un saetta rossa e gialla sfrecciava quasi impercettibile tra il verde della foresta. Con uno sguardo altrettanto rapido, il cacciatore dava la caccia alla sua preda.

Appena un attimo, ma lo vide. Rallentò drasticamente la sua andatura, tanto da cadere nella trappola. Come si vedeva fare per catturare i conigli, ora Johnny Wayne penzolava a testa in giù inerme, con la propria caviglia destra stretta ad una liana di un albero.

“Cazzo!” imprecò, mentre cercava inutilmente di tirarsi su per liberarsi.

Dopo ripetuti tentativi, tornò nuovamente a lasciarsi pendolare nel vuoto. Giusto in tempo per sentire lo sparo. Certo della sua morte, aspettò in silenzio la fine.

Ma il bersaglio a cui mirava il cecchino non era il giovane ma bensì l’appendice vegetale. Con un tonfo sordo, il biondo ricadde di schiena al suolo.

“Ti stavi divertendo, Johnny?” lo canzonò il Soggetto N. 4.

“Finalmente siete utili anche voi!” sbuffò seccato lo statunitense, mentre si ripuliva l’uniforme dal terriccio.

La coppia non ebbe tempo di dare seguito ai propri battibecchi perché, proprio di fronte a loro, si presentò lo stesso uomo misterioso fuggito pochi istanti prima.

“Fermò lì e non muoverti!” lo mise subito sotto tiro Andrea.

“Prediamolo ora che è disarmato!” esclamò Johnny pronto a partire.

Improvvisamente però, qualcosa nel volto del nemico sembrò cambiare. Dei piccoli puntini neri si avvicinavano sempre più ai due. Fortunatamente, questi ultimi ebbero grande prontezza di riflessi e si buttarono di lato. Furono altrettanto rapidi nel rimettersi in piedi e controllare la corteccia del fusto dietro di loro. Conficcata in essa vi erano, di fatti, tanti piccoli e rigidi aghi scuri.

“Ma che diavolo?” l’americano ancora non comprendeva cosa essi erano.

“Non posso crederci…” gli diede la sconvolgente risposta l’italiano “quelle sono le sue ciglia”.

“Che cazzo stai dicendo?” gli sbraitò contro il compagno, il quale si rifiutava nella maniera più assoluta di credere a quell’assurdità.

“Il tuo collega ha ragione, biondino”.

Il duo tornò a squadrare l’avversario, tornato nuovamente loquace.

“Io sono in grado di sparare contro i miei rivali le mie ciglia. Inoltre, riesco anche a farle ricrescere in meno di un secondo. Ovviamente, ora crederete che non sia poi un’arma così terribile. Perciò ci tengo ad informarvi che esse sono, oltre che più dure del diamante, velenose come il più letale dei serpenti”.

I due membri dell’Humana rimasero immobili nell’attendere la prossima mossa del nemico.

Alla fine, Wayne ruppe il silenzio “Quindi fai parte anche te dello Spettro Bianco?”.

“Esattamente” rispose secco l’interessato.

“Qual è il tuo nome?” riprese questa volta l’ex-militare.

“Immagino che posso concedervi di saperlo, come vostro ultimo desiderio. Io mi chiamo Nicolas Simon e…”.

L’uomo dovette improvvisamente interrompere la sua presentazione a causa di una stretta mortale che gli serrava la gola. Il dialogo fra i tre si rivelò infatti un efficace modo di guadagnar tempo, attuato dai mutanti, nell’attesa che entrasse in azione un loro alleato. Un serpente, di notevoli dimensioni, si era lentamente calato da un ramo al di sopra del trio.

Mentre il viso del presunto francese stava già pericolosamente divenendo paonazzo, quest’ultimo tentò nuovamente un altro attacco con le sue piccole e letali armi ma, dato che aveva già il capo sollevato dalle spire del rettile, anche questa volta non colpirono alcuno dei suoi obiettivi.

“Forza Bernard,o uccidilo!” lo spronava Alberti.

“No, aspetta! Potrebbe sempre esserci utile come ostaggio!” gli ricordò invece Wayne.

Nel frattempo, ritrovandosi nuovamente prigioniero, Simon tentò un ultimo disperato stratagemma, cercando disperatamente qualcosa nella tasca del suo impermeabile con l’unica mano libera, mentre l’altra lottava inutilmente contro l’animale.

Fortunatamente, gli occhi del pilota di Formula 1 erano allenati ad individuare anche il più piccolo dei dettagli “Attento Berny! Ha una bomba!”.

Il mutaforma strabuzzò un attimo gli occhi e, seguendo l’istinto, morse il nemico alla clavicola.

Il sicario gemette appena e, una volta lasciato cadere l’ordigno, con ancora la spoletta inserita, si allontanò in una fuga sempre più zoppicante. Fatto ancora qualche passo, scivolò da un breve dirupo dentro un ruscello quasi del tutto secco.

L’ultima voce che sentì in vita sua fu caratterizzata dall’accento americano.

“Nicolas, mi senti? Chi ti ha mandato qui da noi? Dove sono? Ti prego, rispondimi!”.

L’uomo morente sillabò appena “Torna alle origini, Johnny”.




Fin da piccolo gli erano sempre piaciute le sfide di velocità. Cominciando dalle biciclette con gli altri ragazzini del vicinato, arrivando poi ai gran premi tra le vetture della Formula 1. La nuova frontiera di questo suo particolare hobby, divenuto poi vera e propria professione, lo vedeva ora, a piedi, confrontarsi con un treno merci nello stato dell’Indiana.

“In effetti non ci sono altre possibili spiegazioni…” rimuginava per l’ennesima volta il velocista.


Qualche ora prima


“… “Torna alle origini”. Ecco tutto ciò che mi ha rivelato prima di morire” terminò il suo resoconto al resto della squadra.

“Probabilmente si riferisce al tuo paese di origine” ipotizzava una comunque dubbiosa Sara “Oppure, se si riferisce alle tue origini come mutante e non come essere umano, può voler dire che devi tornare ad Indianapolis, dove ti abbiamo raccolto noi dell’Humana”.

Alla fine il biondo sbottò “È inutile stare qui a perdere ulteriore tempo, io mi metto subito in viaggio! Se ci sono novità avvisatemi tramite Igor”.


Dopo altri secondi, era finalmente davanti all’Indianapolis Motor Speedway, il circuito automobilistico più famoso d’America.

“Perfetto!” disse soddisfatto Wayne “Ed ora che sono qui, cosa faccio?”.

Mentre il nostro era impegnato dai suoi mille quesiti, a pochi metri da lui si stava svolgendo una delle più classiche scene tra studenti, per la precisione tre di essi avevano fregato il sacchetto della merenda ad un quarto. Quest’ultimo si presentava come un ragazzone di quasi 2 metri, capelli castani quasi rasati ed un segno inequivocabile di obesità.

“Forza ciccione! Riprenditi il tuo cibo!” lo sbeffeggiava uno dei tre bulli, mentre gli altri due sghignazzavano sguaiati.

Il Soggetto N. 9, nonostante si ricordasse bene che anche lui, in passato, era stato l’artefice di tale comportamento scorretto, sapeva che ora non poteva lasciar perdere. Ora era un eroe.

“Ehi, coglione! Ridagli subito il suo pranzo!”.

Il trio si voltò all’unisono verso il tizio vestito in rosso e giallo.

“E te chi cazzo sei? E come cazzo sei vestito?”.

“Ma quello non è Wayne?”.

“Già! Oppure è uno che gli somiglia molto! Magari sta girando un spot pubblicitario…”.

“Allora! Non mi hai sentito?” insistette il mutante.

“Perché? Se non glielo restituisco, che fai?” lo provocò quello che sembrava il capo.

Sul viso del pilota tornò a disegnarsi un sorrisetto furbo.

In un attimo, il sacchetto unto si trasferì magicamente dalle mani del bullo a quelle del suo legittimo proprietario.

“Ma che cazzo?! Come hai fatto?” imprecò il giovane verso quell’uomo che, secondo la sua vista umana, non si era mosso di un millimetro.

“Ora levatevi dalle palle sennò, fidatevi, potrei fare molto peggio” li minacciò senza possibilità di repliche.

Come dei fulmini, i tre si dileguarono nei meandri urbani.

Soddisfatto del suo operato, il biondo si avvicinò alla vittima “Stai bene? Ricordati che non devi mai farti mettere sotto da quella gente!”.

“G-Grazie” rispose a malapena lui.

“Inoltre uno come te, grande e grosso, non può farsi mettere sotto da certi idioti!”.

Il ragazzone, apparentemente ritardato, continuava a fissare il suo salvatore con un aria inebetita in volto.

Johnny tentò nuovamente con il dialogo “Come ti chiami?”.

“Otto”.

“Otto? Ma sei di queste parti?”.

“Sì. Mia madre Germania”.

“Ok…” disse, comprendendo approssimativamente che sua madre era di origini tedesche “Si sta facendo tardi, faresti meglio a rientrare a casa ora”.

Otto, dopo aver salutato il suo nuovo conoscente, decise di seguirne il consiglio.

Il Soggetto N. 9 seguì con lo sguardo il tragitto dello studente. Di colpo, vide una macchina bianca che, arrivata a tutta velocità, gli si fermò vicino sgommando. Subito da essa uscirono due persone che, con gran rapidità, obbligarono il ragazzo ad entrare con loro nel veicolo, che ripartì subito dopo.

Rimasto letteralmente sbigottito da quel sequestro fulmineo, lo statunitense partì subito all’inseguimento. notò subito che il guidatore dell’auto era davvero abile, riusciva ad evitare le vetture che gli si presentavano davanti con grande maestria. Chi trovò invece difficoltà fu proprio lo stesso Johnny Wayne che, a causa della sua mente concentrata esclusivamente sulla macchina, inciampò su un dosso antivelocità presente sulla strada cittadina. Dopo un violento ruzzolone, andò a schiantarsi contro un distributore di giornali lì vicino. Rimessosi faticosamente in piedi, con subito un nugolo di curiosi accorso attorno a lui, ripartì alla caccia senza dare alcune spiegazioni.

“Quei bastardi me la pagheranno!” inveiva furioso il mutante in corsa.

Sempre più spericolata, l’automobile passò a pochi centimetri dal muso di un’autocisterna. Questa, rallentando appena in tempo per evitare l’urto, presentava ora di fronte al velocista il proprio rimorchio. L’inseguitore, non rallentando minimamente, la superò correndoci sopra, appoggiando appena le punte dei piedi sulla superficie rotonda.

“Perché poi avranno rapito proprio Otto e non me? Se ovviamente anch’essi sono dello Spettro Bianco…” proseguiva nei suoi pensieri durante la corsa disperata.

A questo punto, fu un gioco da ragazzi evitare ogni singolo operai presente in un cantieri per lavori in corso. Nel mentre, il lunotto della macchina era sempre più vicino. La mano del mutante riuscì quasi a sfiorarlo, poco prima che essa svoltasse improvvisamente a destra.

Giunti nei pressi di un parco giochi l’auto scavalcò, sobbalzando violentemente, un paio di aiuole, per dirigersi nello spiazzo sterrato al centro di esso. Su un altalena lì presente, vi era una bambina dai capelli corvini acconciati in due codini laterali. Il veicolo ci stava andando a sbattere contro. Notato ciò, il Soggetto N. 9 aumentò ancora di più la frequenza dei suoi passi e, appena in tempo, riuscì a salvare la vita della bimba.

“Stai bene, piccola?” le domandò preoccupato l’uomo.

“S-Sì” riuscì malapena a rispondere la ragazzina.

Nel frattempo, dall’automobile erano usciti in tre, più l’ostaggio, tutti di bianco vestiti.

“Immagino siate dello Spettro Bianco…” urlò al gruppetto, lontano da lui di almeno una ventina di metri “Lasciate in pace quel ragazzo e vedetevela con me!”.

“Davvero mutante pensi di essere nella posizione giusta per darci degli ordini?” gli replicò uno di loro.

“A me non interessa far parte di questa guerra fra bambini! Ma ben che meno voglio che sia coinvolta gente come Otto! Quindi, lasciatelo andare!”.

“Guerra fra bambini? Come osi tu, razza inferiore?” s’infuriò l’altro interlocutore “Comunque, se davvero tieni a questo idiota, sappi che noi non lo stiamo costringendo affatto!”.

Wayne rimase spiazzato da queste ultime parole. A riprova di esse, però, Otto iniziò ad incamminarsi verso la figura in rosso e giallo, con i suoi presunti sequestratori immobili dietro di lui.

Il biondo, con pochi rapidi passi, gli fu accanto.

“Che ti succede, Otto? Scappa ora che puoi!”.

“Tu… Humana…” biascicò appena il ritardato.

“Cosa? Aspetta, cosa ti ha detto quella gente?” cercò di comprendere meglio la situazione.

L’energumeno riprese a muoversi. Effettuati pochi passi, si posizionò dietro l’americano. Con un’impensata rapidità, cinse le sue muscolose braccia attorno alla sua vita e, con un perfetto supplex, lo mandò a schiantarsi al suolo.

Dopo lo shock iniziale, l’uomo a terra iniziò a percepire ben chiaro il dolore al collo. Con gran fatica, riuscì a mettersi gattoni, dando così una nuova opportunità al suo avversario per atterrarlo una seconda volta.

“Otto…” riuscì appena a sospirare, a corto di fiato “Puoi anche far parte di quelli dello Spettro Bianco, ma io non ti attaccherò”.

Il lottatore provetto sembrò esitare un attimo. Poi partì con una chiave articolare al collo dello sfortunato avversario. Ora il fiato era del tutto assente per il mutante.

“Ri… Ricordati una sola cosa Otto… quelli che ti hanno portato qui, hanno quasi investito una bambina… io l’ho salvata”.

Inizialmente, le parole dello statunitense sembrarono non scalfire minimamente il gigante ritardato. Con il passare dei secondi, però, la sua stretta si fece sempre più larga, fino allo sciogliersi del tutto.

Con l’aria nuova che gli entrava nei polmoni, Johnny non smetteva di tossire, mentre Otto si rimetteva lentamente in piedi.

“Cosa fai idiota? Finiscilo!” urlò alle sue spalle uno dei terroristi.

Il nerboruto rimase immobile. Fu allora che gli altri iniziarono ad inveirgli contro. Fino allo sparo.

Il Soggetto N. 9, ancora a terra, alzò di scatto il capo, notando una macchia rossa nel gilet beige del giovane farsi, via via, sempre più ampia.

Come una sequoia abbattuta, Otto cadde esanime al suolo.

L’americano, con gli occhi sbarrati dal terrore, gridò disperato il nome della vittima, cercando inutilmente di risvegliarlo scuotendogli le spalle enormi.

Con le lacrime che gli scendevano copiose dagli occhi, sussurrò “Figli di puttana!”.

Stretti i pugni, si rialzò per partire all’attacco. Per poi fermarsi immediatamente. Tutti i nemici erano stati resi inoffensivi. Gli altri otto erano entrati in azione. Troppo tardi.

“J-Johnny…”.

Un filo di voce, appena udibile, catturò l’attenzione di Wayne.

“Otto! Come ti senti? Non muoverti che vado a chiamare i soccorsi”.

“T-Tu… mio… a-amico?”.

“Certo che lo sono!”.

Il giovane Otto spirò.

Lo statunitense riprese a piangere disperato.

Perdonaci Johnny” a parlare era il Soggetto N. 3 “Non abbiamo fatto in tempo”.

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Capitolo 4
*** Da gas, a neve ed infine acqua ***


CAPITOLO 4

Da gas, a neve ed infine acqua”




Una bella mattina soleggiata, di quelle ideali per ascoltare gli usignoli cantare. Tranne che alla villa degli Humana, dove il dolce suono emanato dai volatili è sostituto dal rumore, ben più fastidioso, di un poligono di tiro improvvisato dal Soggetto N. 4 all’esterno dell’edificio.

Al suo interno, l’aria era ancora meno rilassata.

“Madre de dios!” imprecò furibondo il messicano, mentre stava davanti allo schermo di un computer “Ma è possibile che quello scemo là fuori faccia tutto questo casino?”.

“Perché sei così alterato? Stai studiando per l’università?” gli controbatte Johnny.

“Ma quale università?!” gli rispose seccato Bernardo “Volevo solo cercare di sapere com’erano andati gli ultimi incontri di lucha libre”.

“Perché? Segui la lucha libre?”.

“Claro che sì! Non mi perdo un evento!”.

“Ma come fa a piacerti quella roba?”.

“Tu sei un americano, non le puoi capire queste cose”.

“Che c’entra? Il wrestling ce l’abbiamo anche noi. Ma da voi avete tutti le maschere. Come fai ad appassionarti ad un lottatore piuttosto che un altro?”.

“Non capisci niente! Il bello sta proprio nella maschera!”.

“In che senso?”.

“La maschera per i luchadores è una tradizione! Si tramanda di padre in figlio”.

“Sarà… senti! Il nostro cecchino preferito ha smesso di allenarsi!”

“Bueno! Era ora!”.

Sfortunatamente, nel silenzio che si era venuta a creare, cominciarono a sentirsi rumori di molteplici passi pesanti.

I due in sala fecero appena in tempo ad alzarsi che, come un uragano, una marea di soldati, tutti vestiti di bianco, penetrarono dentro l’abitazione.

“E ora cosa vogliono questi?” urlò allarmato il Soggetto N. 7.

Come a rispondergli, Sara Silvestri si affacciò dalla tromba delle scale.

“Svelti Humana! Siamo sotto attacco!”.

Ma, nonostante quest’ultimo disperato avvertimento, i mutanti furono presto tutti circondati.

Da un’altra stanza, venne portata nel salone Frédérique Arone, che continuava a domandare “Cosa sta succedendo?”.

“Tenete alte le mani! Altrimenti vi spariamo direttamente in testa!” intimò a loro uno dei soldati, i cui volti erano coperti da maschere antigas.

“Ora che facciamo, Johnny?” sussurrò all’orecchio dell’amico il baffuto Borghi.

“C’è ben poco da fare, Bernardo. Questo match l’hanno vinto loro” gli rispose rassegnato il biondo.

Seguendo gli ordini di colui che sembrava il colonnello di quell’esercito, i nove abitanti di quel quartier generale vennero portati fuori da esso, dove già li aspettava l’italiano.

In uno spiazzo lì vicino, era appena atterrato un grande aereo nero. In fila indiana, gli ostaggi vennero fatti salire lentamente su quel veicolo. Una volta terminato quel carico umano, l’aeroplano prese silenziosamente il volo. Al suo interno, i deportati erano tenuti costantemente sotto il tiro di numerosi mitra.


Dopo ore interminabili di volo, i presenti iniziarono a sobbalzare, presagendo così l’effettuazione di un atterraggio.

“Eccoci arrivati” osservò sarcastico il Soggetto N. 2.

Dopo altri secondi, il portello di scarico si aprì rivelando, agli occhi meravigliati dei prigionieri, uno dei più classici paesaggi artici. I soldati che li aspettavano al suolo, quasi confondendosi con il ghiaccio bianco lì presente, salutavano i loro colleghi con il classico saluto nazista.

“Dove saremo ora?” domandò ai suoi compagni un terrorizzato Chang Yu.

“Di certo siamo nella merda!” gli rispose alterato Andrea.

“Silenzio!” gli intimarono i loro carcerieri, puntandogli contro le loro armi da fuoco.

Dopo altri metri, la marcia si fermò davanti ad un edificio di un solo piano, con la totale mancanza di finestre sulle pareti e, a fare bella mostra di sé sulla porta d’ingresso, una svastica in bassorilievo.

“Comandante! Gli obiettivi sono stati tutti catturati!” informò un soldato, rivolgendosi ad alta voce ad una figura lì vicino. Tale persona era avvolta da un lungo impermeabile militare, con cui cercava il più possibile di ripararsi dalla brezza gelida che soffiava in quel posto, ed un cappello con visiera ben inculcato sulla testa.

“Benissimo! Procediamo pure con il trattamento!” ordinò entusiasta.

I dieci furono fatti ripartire, sempre con le canne dei mitra puntati su tutti loro, verso quell’anonimo edificio dove, una volta aperta l’entrata, dovettero immettersi rapidamente.

Quando anche l’ultimo di loro, l’enorme Geran, fu dentro, con un rumore sordo, la porta si richiuse alle loro spalle.

“E ora che si fa?” cercò l’appoggio dei suoi compagni Borghi.

“Come mai ci hanno fatto entrare qui?” replicò il cinese.

“Di certo, non ho un buon presentimento…” sentenziò Juna, squadrandosi attorno.

“O-Oddio” balbettò un Igor mai così terrorizzato “L-Loro v-vogliono…”.

Il ragazzino non fece tempo a terminare la sua frase che si iniziò a udire un sibilo sinistro.

“Che succede?”chiese un’impaurita Soggetto N. 3.

“Stanno usando il gas” informò il resto del gruppo Sara, apparentemente impassibile “Bene Humana, fate come vi dico: Non usate i vostri poteri, cercate di trattenere il fiato il più possibile e, soprattutto, abbiate fiducia in me”.

“Abbiate fiducia in me? Qua stiamo rischiamo di morire e lei ci dice soltanto di aver fiducia in lei?!” protestò Lincon, vicino ad una crisi di nervi.

“Calmati Jack! Può darsi che Sara abbia un piano!” lo richiamò Wayne.

Ormai la nuvola letale era sempre più incombente su di loro. Improvvisamente Sara si afferrò un orecchio, avvertendo gli altri “Appena usciamo fuori di qui, corriamo subito verso l’aereo. Altrimenti, non avremo scampo”.

Alcuni degli Humana stavano per perdere i sensi quando la bionda, si staccò un orecchino dal lobo e, premutolo appena, lo lanciò contro una parete nelle vicinanze. Tempo tre secondi ed il gioiello esplose, lasciando una discreta apertura nel muro.

Era la loro occasione: Johnny scattò prima di tutti, per raggiungere a supervelocità l’aereo, seguito a ruota da Jack, che volava ad altezza uomo. Bernardo si era tramutato in una motoslitta, facendo salire su di essa Igor e Frédérique. Andrea aveva trasformato la sua mano in una Glock, pronta ad ogni evenienza.

La loro fuga disperata tra i proiettili che iniziarono ad occupare l’aria, grazie anche alla resistenza delle loro uniformi, ebbe successo. Appena salita a bordo, Sara prese i comandi del veicolo. Prima che lo sportello si richiuse, Soggetto N. 4 sparava a vista a chiunque si avvicinasse, mentre Soggetto N. 5 lanciò contro i nemici un armadio di munizioni presente all’interno del vano.

“Grazie al cielo siamo salvi!” esultò felice la francesina.


“… Dunque sono giunta a questa conclusione” terminò il suo discorso Silvestri.

I nove l’ascoltarono in religioso silenzio, senza proferir parola.

“Ehi Frédérique, controlla che non ci abbia seguito nessuno” le ordinò Alberti.

“Negativo, signore” rispose secca lei.

“Ok Sara, fai quello che devi” la spronò l’americano.

L’assistente fece un’ultima carrellata degli sguardi del suo gruppo. Poi tornò a guardare in basso, dalla plancia di comando, e premette un bottone. Con un forte sibilo un missile, lanciato dall’aereo, andò a schiantarsi sulla villa che, fino ad allora, gli aveva dato rifugio. Tutti fissavano l’enorme palla di fuoco che ora era diventata.

Il Soggetto N. 6 guardò un attimo di lato poi, rivolgendosi a Borghi, gli disse “Mi chiedo come mai lui abbia voluto andare a fuori ad assistere a tutto ciò”.

“Puro esibizionismo!” proclamò il messicano, fissando a sua volta il Soggetto N. 2 che, a differenza degli altri, ora si trovava all’esterno dell’aereo, fluttuando lì nelle vicinanze.

All’interno del jet l’indiano, seguendo il suo istinto, iniziò ad intonare un’antica cantilena della sua tribù, tenendo un mano sulla spalla di Sara e l’altra su quella del più piccolo della compagnia.




Tutta quell’improvvisa ansia ad Igor aveva fatto tornare in mente l’inizio di quella sua vita, mentre in Siberia cercava inutilmente di scappare a quell’emissario dello Spettro Bianco. Come in quella triste occasione, quella figura nera lo stava braccando sempre più.

“Aiuto!” fu l’unica cosa che riuscì a gridare, con la voce della mente, prima che il buio lo avvolgesse.


“E io che gli avevo chiesto soltanto di andarmi a fare la spesa” erano ormai delle ore che il signore cinese non si dava pace.

“Ti prego, calmati Chang. Nessuno pensava che anche qui in Austria potevamo essere in pericolo” cercava di tranquillizzarlo Arone, anche lei in pensiero per le sorti del piccolo russo.

“D’ora in avanti saremo sempre in pericolo!” rifletteva ad alta voce il Soggetto N. 9.

“Forse io posso esservi d’aiuto”.

I tre si voltarono nella direzione da cui era provenuta quella voce. Con loro grande stupore, videro un ragazzino molto rassomigliante al loro membro scomparso, che per di più indossava la loro stessa uniforme.

“Te chi sei?” domandò ancora allibita Soggetto N. 3.

“È quel coglione di Bernardo!” gli rivelò Andrea, appena sopraggiunto.

“Cosa?!” esclamò la francesina, sempre più sorpresa “Come mai ti sei conciato così?”.

“Perché ho pensato che, se riduco la mia età apparente a quella di Igor, forse posso mettermi in contatto con lui”.

“Non credo che basti questo” smontò subito la sua ipotesi Sara “Se avesse potuto, il Soggetto N. 1 ci avrebbe di certo già contattato, grazie ai suoi poteri”.

“Se non altro, così ci hai guadagnato in bellezza” ironizzò Lincon.

“Almeno io sto provando a fare qualcosa!” sbottò il finto bambino “Voi invece cosa state facendo per ritrovarlo?”.

“Ma stai zitto!” lo zittì il Soggetto N. 4.

“Secondo voi sono stati quelli dello Spettro Bianco?” chiese ai compagni Juna.

Nessuno rispose poiché, improvvisamente, tutti i presenti percepirono qualcosa.

“Avete sentito anche voi?” cercò conferme la ballerina.

“Certo. Non c’è dubbi: era lui!” sentenziò Silvestri.

“E ora cosa facciamo?” chiese lumi il congolese.

“Lo andiamo a riprendere, che domande!” saltò su il messicano.

“E se fosse una trappola?” ipotizzò diffidente l’italiano.

“Sembra come se stessimo usando un radar” tentò di spiegare l’americano “sappiamo più o meno dove si trova, però non ne siamo totalmente certi. Almeno finché non lo raggiungiamo di persona”.

“Il grande spirito ci guiderà” proclamò l’indiano.

“Bene! Io vado. Almeno con la mia velocità prima lo trovo e meglio è!” si apprestò a partire Johnny.

“Aspetta vengo anch’io!” lo bloccò il falso ragazzino.

“Perché dovresti venire anche te? Soprattutto in quelle condizioni poi”.

“È proprio perché sono così che posso esserti utile! Magari è gente che ruba i bambini. Avrei più possibilità io a trovarli che te”.

“L’unico che mi può essere utile è Jack. Così mi perlustra la zona in modalità aerea”.

“Eh va bene” acconsentì il britannico “Allora andiamo?”.

Nel giro di qualche minuto, la coppia partì al possibile salvataggio. Tuttavia, non si accorsero di essere in realtà in tre. Di fatti, non visto dagli altri, il mutaforma era ora diventato un pidocchio, attaccato saldamente ai capelli tinti di biondo del pilota di Formula 1.


La loro ricerca stava, come speravano, dando i suoi frutti, portandoli in un vallico alpino, ai confini con l’Italia.

“Che sia davvero questo il posto?” Jack Lincon domandò al compagno, sperando di farsi capire tra il forte rumore delle raffiche di vento e neve.

“Credo proprio di sì. Certo che non mi aspettavo si trovasse dentro un castello” esclamò lo statunitense, continuando a fissare la cupa magione che si trovava in basso, a circa un chilometro da loro.

“Allora? Che aspettiamo?”.

I due sobbalzarono nell’udire quella voce improvvisa.

Giratisi, si trovarono di fronte il Soggetto N. 7, accucciato come loro dietro ad un masso.

“Che cazzo ci fai qui?” gli inveì subito contro Wayne.

“Dovevi rimanere con gli altri!” lo appoggiò l’inglese.

“Piantatela! Sono qui per darvi una mano e basta!” tagliò corto il nuovo arrivato “Da qui, sembra che ci siano almeno tre guardie” informò i suoi compagni, con gli occhi tramutati in una specie di binocolo.

“Bene. Jack, tu prendi il volo. Noi andiamo a piedi” decise il piano il Soggetto N. 9.

“Roger” obbedì l’altro.


Come una macchia rossa e gialla appena visibile, Johnny, con il finto ragazzino caricato sulle spalle, sistemò tutte le persone nel giardino del castello.

Nel frattempo, in aria, il dandy aveva notato altre persone sui torrioni. Planando giù in picchiata, li lasciò esanimi alle loro postazioni.

Anche Borghi si diede da fare, calciando la testa di un nemico che si stava destando troppo presto.

“Sistemati” annunciò Jack, atterrando.

“Perfetto. Entriamo allora!” esclamò lo statunitense.

Per far ciò, quest’ultimo si fece dare un passaggio dal suo collega volante, atterrando oltre le mura della magione. Appena con i piedi per terra, dei ringhi preoccupanti lo rimisero subito in guardia. Voltato appena il capo, notò cinque dobermann partire all’assalto. Con uno dei suoi scatti, raggiunse una porta lì vicino, dove si stava apprestando ad entrare anche il Soggetto N. 2.

Una volta al sicuro, il finto ragazzino si staccò dalle spalle dell’americano per, una volta tramutatosi a sua volta in cane, abbaiare contro ai suoi simili.

“Smettila Berny!” lo richiamò all’ordine il biondo.

“Cosa sono quelle?” richiamò l’attenzione degli altri due il dandy.

L’americano guardò i punti indicati dal suo compagno “Sembrano delle telecamere di sorveglianza”.

“Ah no!” s’infuriò il messicano “Nessuno ha il diritto di riprendermi senza il mio permesso!”.

Detto ciò, il mutaforma si avvicinò ad una parete, toccandola e, nel giro di qualche secondo, il suo corpo era diventato quello di un piccolo geco.

Ancora colpiti dalle capacità del Soggetto N. 7, i due mutanti rimasti riconobbero appena un singhiozzo infantile.

Più decisi che mai si precipitarono verso una nuova porta. Una volta spalancatola, si trovarono davanti una figura inquietante. Un uomo sulla sessantina, basso, con lunghi capelli bianchi spettinati a fare come da cornice ad un paio di occhi spiritati.

“Benvenuti mutanti nella mia umile dimora”.

“Te chi diavolo sei?” tagliò corto Wayne.

“Mi chiamo Roland Fuchs e, come avrete immagino già intuito, faccio anch’io parte del glorioso gruppo dello Spettro Bianco”.

“E osa pure chiamarlo glorioso gruppo?” lo redarguì il britannico “Comunque, siamo qui per recuperare un ragazzino. Ed è inutile che lei dica di non saperne niente, dato che sappiamo per certo che Igor si trova qui”.

“Beh sappiate che qui di ragazzini ce ne sono per tutti i gusti. Non mi credete? Allora guardate pure da voi!” detto ciò, indicò al trio un punto in penombra della stanza. Di colpo esso s’illuminò, mostrando un cilindro in vetro con, al suo interno, un gruppo di bambini terrorizzati, tutti completamente nudi.

“Ma che cazzo?” imprecò il biondo.

“Madre de dios! Vuoi dire che tu sei…” disse Bernardo.

“Esatto! Io sono un pedofilo” concluse l’austriaco.

“Figlio di puttana!” urlò lo statunitense, partendo immediatamente all’attacco.

Giunto a pochi centimetri dal suo obiettivo, una forza invisibile lo sbalzò in aria. Prima che se ne capacitasse, anche a Lincoln fu riservato il medesimo trattamento. Borghi, per sua fortuna, fece appena in tempo a cambiarsi in una palla da tennis, ballonzolando per tutta la sala.

“Che cazzo succede?” riuscì a malapena a dire un Soggetto N. 9 dolorante sul pavimento.

“A quanto pare” gli rispose Fuchs “Il vostro compagno non ha alcuna intenzione di seguirvi per tornare da voi”.


Lontano dall’attenzione della gente presente, la piccola sfera giunse in un altro angolo della stanza. Con sua somma sorpresa, vi trovò accucciato proprio il piccolo russo.

In un attimo, la pallina tornò ad essere il baffuto “Igor! Finalmente ti ho trovato! Svelto, aiutaci a sconfiggere quella bestia così possiamo tornare a casa!”.

“Io non voglio venire” lo informò a sorpresa l’interessato.

“Cosa? E perché?”.

“Lui ha detto che qui sono al sicuro…”.

“Ma cosa dici? Sai cosa fa a quei bambini?”.

“Lo so. Ma so anche che li protegge dal mondo esterno”.

“Dai Igor, non scherzare! Non puoi davvero pensare che sia meglio vivere con quel pedofilo schifoso!”.

“Ma così lo Spettro Bianco non mi darà più la caccia”.

“E ti rovinerà per sempre la vita! Noi invece faremo tutto il possibile per che ciò non accada! Ti prego, Igor, torna con noi a casa”.

“Ma non abbiamo più una casa!”.

“Finché noi Humana staremo insieme, quella sarà casa tua e di tutti noi!”.

Il bimbo rimase per qualche secondo in silenzio.

“Io ho paura…” riprese poi.

“Tutti abbiamo paura! Ma io ed i ragazzi ti daremo una cosa che, di certo, quelli dello Spettro Bianco non potranno mai garantirti: la libertà”.

Il telepate riprese il suo mutismo, stando sempre ben attento agli altri due membri, ancora schiacciati a terra da una pressione invisibile.

“Ti prego, Igor!” gli gridò disperato il Soggetto N. 7 “Lascia stare Johnny e Jack e libera gli altri bambini!”.

Una nuova luce brillò nei suoi giovani occhi che, fino ad allora, erano come spenti e senza voglia di vivere.

“… Ed ora, se permettete,” esclamò il padrone di casa “lasciate che mi sfoghi un po’ su questi… ah!”.

Di colpo, un forte dolore aveva colpito la testa del criminale. Era come se tutto il suo perverso cervello volesse evadere dal cranio.

“Bravo, così! Ora libera i ragazzini!” lo incitò Bernardo.

Wansa obbedì, mandando in frantumi la loro prigione di vetro. Senza accorgersene, riservò lo stesso trattamento anche al capo di Roland Fuchs.




Corsica

In quella tranquilla spiaggia soleggiata, per gli Humana sembrava giunta un po’ di pace.

“Questo posto è davvero un paradiso!” esclamò Bernardo mentre, in pieno rilassamento, si abbronzava in costume, con sugli occhi un paio di occhiali da sole.

“Dunque era qui che tu, onorevole Frédérique, passavi le vacanze estive della tua infanzia?” domandò Chang, visibilmente interessato sotto l’ombrellone.

“Esatto” gli rispose l’interessata “questo posto mi fa ricordare tutti i bei momenti che avevo con i miei genitori e la mia sorellina…”.

“Prima che cominciasse tutto questo casino” concluse la frase della donna, Andrea.

Nel frattempo, Igor si divertiva a creare castelli sempre più dettagliati con la sabbia. Come un fulmine a ciel sereno, un boato esplose sott’acqua, nelle vicinanze del golfo in cui si trovavano loro.

“Cos’è stato?” chiese preoccupato Jack.

“Ora lo vedremo” esordì Sara “Soggetti N. 7, 8 e 9 andate ad indagare!”.

Erano ormai dei mesi che i mutanti si allenavano sotto i preziosi consigli della bionda quindi, i tre uomini nominati, le obbedirono immediatamente come soldati fedeli.

Ovviamente, il più rapido di tutto fu Juna che, una volta entrato in quello che era diventato il suo elemento naturale, iniziò subito a perlustrare la baia. Johnny riuscì a recuperarlo grazie alla sua velocità sovrumana, mentre Borghi se la prese con più calma, trasformandosi in un non meglio specificato pesce.

Dopo minuti di ricerche, l’africano si trovò davanti qualcosa d’insolito. Lì per lì sembrava un sub che si dilettava nel suo hobby però, ad una più accurata osservazione, si notava che il suo corpo non era totalmente umano.

Quest’ultimo, una volta accortosi di essere stato scoperto, tentò la fuga riemergendo. Ma gli Humana gli furono subito addosso.

“Chi sei tu?” gli urlò contro l’americano.

L’essere non emise alcun suono.

“Forse non capisce la nostra lingua. Magari è francese” ipotizzò lo zairese.

“Bene. Allora portiamolo dagli altri” concluse Wayne.


Una volta riconosciuta la sua lingua madre, il cyborg acquatico rivelò tutto ciò che sapeva al Soggetto N. 3.

“Dice che, già da qualche settimana, in questa zona si verificano delle preoccupanti esplosioni subacquee. Perciò, gli uomini del governo francese hanno costruito un particolare modello di robot, resistente alle più elevate pressioni sottomarine”.

“In effetti un robot ci mancava al nostro gruppo!” ironizzò il messicano.

“Anche se forse non si tratta dello Spettro Bianco” esordì Silvestri “Dobbiamo comunque indagare, se vogliamo usare a fin di bene i vostri poteri”.

“Bueno. Allora che si fa?” domandò Borghi.

“Direi che l’unica cosa che possiamo fare è… tuffarci in acqua!” sentenziò lo statunitense.

“Chi va di noi?” chiese un impaziente Soggetto N. 4.

Alla fine furono inviati, oltre agli ultimi due che avevano parlato, anche il nuotatore della squadra.


La prima ora di ricerche, con Johnny ed Andrea che erano muniti di respiratori, fu totalmente infruttuosa. Passato qualche minuto, il trio notò la totale assenza di fauna sottomarina. Procedendo fin dove la luce del sole riusciva ad illuminarli, ne incontrarono nuovamente una. Per loro sfortuna, si trattava di un esemplare in salute di squalo grigio. I tre, tenendosi ovviamente ad una distanza di sicurezza, notarono qualcosa di strano attaccato al suo tronco. Era una scatola rettangolare nera, con una lucina rossa che s’illuminava ad intermittenza. Tale ordigno fece scattare un campanello d’allarme nella testa dei mutanti. Tali pensieri furono rilevati da Wansa che, sulla spiaggia e coadiuvato dal resto del gruppo, si teneva in contatto con loro.

“Dì al Soggetto N. 8 che renda inoffensivo l’animale il più velocemente possibile, così poi possono portarlo qui da noi” ordinò Sara.

I dettami furono comunicati e, sebbene non particolarmente euforico della scelta, Juna obbedì.

Messosi fuori dalla visuale del predatore marino, gli afferrò appena la pinna caudale e, scivolando nell’acqua, lo rovesciò supino, rendendolo così in uno stato catatonico.


Una volta tornati sulla spiaggia, con sorpresa di tutti, ci pensò Sara Silvestri a disinnescare la bomba, staccandola nel contempo dal pescecane.

“Ora cosa ne facciamo di lui?” domandò il Soggetto N. 5.

“Io avrei un’idea…” propose Bernardo, tra lo stupore dei presenti “Potremo rimetterlo in acqua, così da vedere se tornerà da quelli che gli hanno messo la bomba addosso”.

“Potrebbe funzionare” acconsentì la bionda “Bene. Johnny, dirigi la squadra”.

Tutta la compagnia stava seguendo il pellerossa, impegnato a ributtare in mare lo squalo.

“Fermi tutti! Qualcuno dovrà comunque rimanere qui. Con me voglio Juna, Chang ed anche Andrea”.

“Ehi! Aspetta un attimo! Andate solo voi?!” si lamentò il Soggetto N. 7.

“Bernardo ha ragione” Concordò Arone “Devo venire anch’io con voi, dato che si tratta della mia nazione di appartenenza”.

“Se te la senti Frédérique…” il pilota non sembrava molto entusiasta.

“Certo che me la sento!”.

“Io verrò con voi” si candidò il robot francese.


Alla fine, i prescelti si tuffarono in acqua, seguendo come spie la rotta presa dal letale pesce, nonostante il proseguo delle proteste da parte del messicano.

In molti avevano dei dubbi riguardanti il cyborg che li accompagnava. Essi però furono dissipati quando l’androide, accortosi di una murena che si avvicinava minacciosa alla sua connazionale, la fulminò con un piccolo raggio laser proveniente dai suoi occhi.

L’animale si stava ora insinuando tra vari corpi scuri galleggianti nel fondo del mare. Fu allora che l’italiano fece appena in tempo, grazie all’aiuto del telepate, ad avvertire gli altri della pericolosità di quelle mine sottomarine.

Poco più in là, lo squalo era entrato a malapena dentro una spaccatura nella roccia. Tenendo gli occhi ben aperti, i sei vi entrarono a loro volta.

Appena riemersi, i mutanti si squadrarono tutti attorno, trovandosi all’interno di un’umida grotta. L’essere metallico lanciò un dardo soporifero al pescecane, facendolo addormentare.

“A prima vista sembra tutto normale” iniziò il Soggetto N. 9 “Frédérique, controlla tu”.

La donna proseguì ad osservare l’ambiente tutto attorno a loro. Poi si pronunciò “C’è qualcosa dietro quelle rocce”.

“Bene bene. Ora anche signor Yu può essere utile!” esclamò entusiasta il cinese.

Ispirando profondamente, lanciò contro la parete rocciosa una potente fiammata, facendola sciogliere in un attimo.

Passati dentro quella nuova apertura, si trovarono dentro un lungo corridoio, con pareti, soffitto e pavimento tutto in metallo. Poco più avanti notarono una figura, tutta vestita di bianco, armata di fucile.

Prima che tutti i presenti se ne potessero capacitare, Andrea Alberti, con la mano destra già mutata in arma da fuoco, sparò contro la guardia, colpendola in mezzo alla fronte.

Quasi in simultanea, si cominciò ad udire il forte rumore di una sirena.

“Tu fatto scattare allarme, testa calda!” lo rimproverò il Soggetto N. 6.

“Cazzo!” imprecò il cecchino.

“Ok, ognuno per sé gente! Ci ritroviamo qui tra mezz’ora” ordinò l’americano, ricordando quando faceva la medesima cosa quando era piccolo con i suoi amici.

Nonostante ciò, l’unico ad allontanarsi dal gruppo fu il mutaforma. Gli altri cinque proseguirono, trovandosi all’interno di un enorme hangar.

Dopo una rapida occhiata, il biondo informò gli altri “Lì sotto è pieno di quei bastardi”.

“Ci pensò io!” disse Juna, mentre si toglieva uno stivale.

Gli altri lo fissavano perplessi.

“Così noi freghiamo i leoni” tornò a parlare l’africano, lanciando la calzatura il più lontano possibile.

Tutte le guardie si affrettarono verso il punto da cui era provenuto il rumore dell’atterraggio.

“Perfetto! Io vado avanti!” informò Wayne, prima di sparire nel nulla.

Con la sua supervelocità, non dava tempo ai suoi nemici di accorgersi della sua presenza, mettendoli ko uno dopo l’altro.

I quattro rimasti erano a loro volta ben protetti dalle fiammate del Soggetto N. 6 e dagli occhi laser del robot.

D’un tratto, un improvviso terremoto fece finire la francesina con il sedere per terra.

“Che cos’è stato?” chiese allarmata.

A rispondere a lei, come a tutti gli altri, ci pensò il russo “È stato Andrea! Ha trovato il modo di far saltare tutto in aria! Scappate più veloci che potete!”.


“Allora?! Ce l’hanno fatta?” domandava insistentemente il Soggetto N. 7.

Igor aspettò ancora qualche secondo prima di rispondere “Sì, ce l’hanno fatta”.

Tutti i presenti sulla spiaggia tirarono un grosso respiro di sollievo.


Sottacqua, lo zairese si accorse del suo compagno italiano in difficoltà. Tempestandolo d’insulti mentali per come aveva agito, lo trascinò via con sé, stando attento alla sua gamba ferita. Dopo poco, si ricongiunsero agli altri a cui si erano uniti per quella faticosa avventura.




Era ormai una settimana che Borghi perlustrava i fondali corsi, anche grazie all’aiuto del robot francese, ma di altri squali minacciosi non vi era nemmeno l’ombra.

Mentre stava risalendo in superficie, sotto forma di delfino, notò però una sagoma singolare. Essa era troppo grande per essere uno squalo ma, al contempo, troppo piccola per essere una balena. A pochi metri da lei notò che il suo corpo era totalmente formato di metallo. Sempre più allarmato, raggiunse rapidamente gli altri.


“… Ve lo giuro! C’è un sottomarino vicino alla costa! Sembra uno di quelli dei nazisti!” proseguiva nelle sue affermazioni il mutaforma.

“Un U-Boot?” chiese perplesso Andrea.

“Può anche darsi. In effetti, rientra tutto nello stile dello Spettro Bianco” ipotizzò Sara.

“Oddio! Ci mancava anche questa!” esclamò infastidito Jack.

Mentre il gruppo proseguiva nelle sue discussioni, l’occhio nascosto di un periscopio li osservava da lontano. Il sommergibile era ora quasi a pelo d’acqua e, con un meccanismo estremamente silenzioso, pronto a lanciare il suo primo missile.

Il sibilo che esso provocò, appena fuoriuscito dal mare, catturò l’attenzione degli Humana. Questi ultimi, in preda al panico, cercano di mettersi in salvo più velocemente possibile. Nella confusione, Chang Yu cadde a terra, facendo a sua volta finire sulla sabbia Silvestri.

“Mettetevi tutti al riparo che ci bombardano!” urlava a squarciagola Alberti.

Incredibilmente, il primo attacco non venne replicato dai terroristi. La calma apparente che si era venuta a creare permise al Soggetto N. 9, in un lampo, di raggiungere la responsabile della loro squadra.

“Che cosa si fa, Sara?”.

“L’unica cosa da fare è rendere inoffensivo quell’U-Boot” tagliò corto la bionda.

“Forse da qui riesco a colpirlo” propose l’italiano.

“Non siamo sicuri della sua posizione. E poi l’esplosione potrebbe avere un effetto tsunami sulla spiaggia” concluse la sua connazionale.

“Io riesco a vedere dove si trova!” esclamò la francesina.

“Benissimo! Indicamelo che così li raggiungo!” le propose il Soggetto N. 8.

Appena lei ebbe obbedito a quanto dettole, Juna si tuffò in mare, nuotando più rapidamente possibile verso il suo obiettivo.

“Ma non sarebbe meglio che qualcuno andasse con lui?” domandò l’inglese.

Sara ci pensò un po’ su, poi ordinò ”Soggetto N. 9, vai con lui”.

Wayne, per niente sorpreso da quella scelta, si tuffò a sua volta in acqua, usando le sue gambe ultrasoniche per raggiungerlo.

Senza proferir parola, l’energumeno indiano si avviò verso il bagnasciuga. Nonostante gli altri lo chiamassero a gran voce, egli seguì gli altri due.


Intanto, dentro il sottomarino…

“Signore!” uno degli addetti ai radar richiamò l’attenzione del suo superiore “I mutanti si stanno avvicinando a noi!”.

“Eccellente!” rispose il capo “Appena sono abbastanza vicini, tu attiva il congegno”.

“Sissignore!”.


Lo zairese e l’americano furono lì per lì sorpresi di ritrovare con loro il pellerossa, ma subito concentrarono le loro attenzioni verso il veicolo appena scoperto. Come ad accoglierli, da un’apertura laterale dell’U-Boot comparve un gigantesco tentacolo meccanico. Questo, nonostante la resistenza provocata dall’acqua, riuscì a separare il trio, lanciandogli contro un fendente.

Mentre Johnny cercava di ristabilire il contatto telepatico con la spiaggia, il tentacolo si avvolse attorno al più grosso di loro. Grave errore di valutazione da parte dello Spettro Bianco che vide, con suo grande rammarico, il Soggetto N. 5 spezzarlo come fosse fatto di carta.

Gli uomini in rosso e giallo ebbero però poco da esultare dato che, da dietro il sommergibile, iniziarono a comparire delle loro vecchie conoscenze: Gli squali. Questa volta, fortunatamente, senza alcun ordigno esplosivo attaccato al corpo.

Per nulla intimorito, Geran si avventò contro uno di loro, stringendolo al tronco e, senza alcuno sforzo apparente, spezzandolo ad angolo retto. Gli altri due, ispirati dalla prestazione dell’amico, partirono loro stessi all’offensiva.

Johnny attraversò letteralmente da parte a parte uno dei pesci, provocando una vera e proprio esplosione del suo corpo, facendo comparire per un attimo materia solida dove già era presente.

Juna, invece, riuscì a far azzannare tra di loro un gruppetto di pescecani, evitando un loro attacco combinato.

Vistosi definitivamente sconfitto, il sottomarino cercò di mettere in atto una ritirata disperata. I tre mutanti partirono all’inseguimento, trovandosi ad evitare vari banchi di pesci piccoli, disorientati da cotanto movimento a quelle profondità.

“Speriamo che i respiratori di Johnny e Geran siano ancora carichi…” pensava il Soggetto N. 8, sentendosi arrivare, nel giro di qualche secondo, una risposta affermativa da parte di Igor.

Con poche bracciate, furono sopra il loro obiettivo. Subito, Giunan si mise a tempestare il mezzo con devastanti pugni.

Trovato il portello esterno, lo statunitense richiamò a grandi gesti il suo compagno, chiedendogli di staccarlo di netto. Il gigante eseguì in un attimo.

Divelto anche il portello interno, l’acqua iniziò ad entrare dentro lo scompartimento.

Fatto appena capolino, il Soggetto N. 9 si vide sfiorare l’occhio da un proiettile.

“Fuori di qua, svelti!” urlò con quanto fiato aveva in corpo, vincendo anche il rumore dell’acqua che scendeva a cascata dall’alto.

Rimessosi i respiratori, Johnny e Giunan seguirono l’africano verso la salvezza.

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Capitolo 5
*** A Waterloo, fra tigri e licantropi ***


CAPITOLO 5

A Waterloo, fra tigri e licantropi”




“Ad una prima occhiata…” informò i due compagni Andrea “sembra decisamente un panzer tedesco, uno di quei carri armati utilizzati nella seconda guerra mondiale”.

“Figurati! Io fino a qualche secondo fa non sapevano nemmeno che esistesse una città di nome Waterloo!” sbraitò innervosito Bernardo.

“Ora fate silenzio e proviamo a seguirlo” ordinò stizzito Johnny.

I tre, coperti da una fitta boscaglia, era da un’ora che seguivano i movimenti del pesante cingolato nella città belga.

“Merda! Si è fermato!” informava gli altri il messicano, già completamente sbiancato in viso.

Mentre il panzer manteneva la sua immobilità, il trio aveva sempre più brividi sulla schiena. Nonostante i loro nuovi poteri acquisiti, il terrore di trovarsi quell’enorme cannone puntato contro era palpabile in loro.

Quando i cingolati ripresero a scivolare, tutti e tre gli Humana tirarono un forte sospiro di sollievo.

“Avevo già visto tutta la mia vita passarmi davanti…” informò gli altri Wayne “Ok, proseguiamo con la nostra missione ma… state sempre con gli occhi aperti!”.

I mutanti seguirono le indicazioni dell’ex-pilota mentre il panzer, con sorprendente facilità, superava una collinetta nei paraggi. I pedinatori, per la prima volta, furono costretti a seguirlo in campo aperto per poi, superata la suddetta collinetta, trovarsi davanti uno spettacolo inaspettato.

A prima vista, quell’accampamento aveva tutte le sembianze di un campo militare, seppur costituito in maniera decisamente spartana. I guerriglieri presenti poi, con i loro volti coperti, difficilmente facevano pensare che, dietro a tutto ciò, ci fossero gli americani.

Il carro armato si fermò una seconda volta, mentre molti dei presenti si affollavano attorno ad esso. Dopo un forte clangore metallico, uno sportello rotondo si aprì sulla sommità del veicolo. Da esso spuntò fuori una persona tutta vestita di bianco che, immediatamente, si mise a discutere con quello che sembrava il capo dei terroristi.

“Da quassù non si riesce a capire nulla!” si lamentava spazientito l’italiano mentre, come gli altri due, si era sdraiato sull’erba nell’altro lato del colle.

“Anche se ci fosse Igor, se non riusciamo ad udire bene le parole la sua traduzione istantanea sarebbe inutile” ricordò lo statunitense mentre, nel contempo, cercava di leggere le labbra dei nemici, senza troppa fortuna.

I ragazzi in rosso erano così concentrati da quel campo di addestramento, da dimenticarsi dell’ambiente attorno a loro. Fu un grave errore. Un ticchettio metallico catturò l’attenzione del baffuto del gruppo.

Appena voltatosi, egli esclamò “Oh mio dio!”.

Gli altri due, stupiti da quell’esclamazione, si voltarono a loro volta, trovandosi numerose canne di fucili puntate addosso.

Dopo quella maledetta iniezione, non solo il modo di agire, ma anche quello di pensare si era decisamente accelerato in Johnny Wayne. Nel giro di qualche millisecondo, afferrò i suoi compagni per le spalle e, con essi, si fiondò dentro il bosco lì nelle vicinanze.

Alberti, una volta ripresosi da quella realtà accelerata, era già pronto a fare fuoco con un Kalashnikov al posto della mano destra.

“Aspetta Andrea! Non puoi far fuoco se prima non siamo certi che anche loro facciano parte dello Spettro Bianco” lo bloccò in tempo il Soggetto N. 9.

“Fanculo!” imprecò il militare, desistendo dal suo intento.

“E allora cosa facciamo?” domandò Borghi sull’orlo di una crisi di nervi.

L’americano ci rifletté un po’ su “Ci arrenderemo”.

“Cosa?!” gli urlò contro l’italiano.

Intanto le truppe gli erano ormai addosso. Appena li vide abbastanza vicini, Johnny alzò le mani in segno di resa. Il Soggetto N. 4, digrignando i denti, ed il N. 7, rischiando seriamente un infarto, fecero altrettanto.

“Gettate le armi!” ordinò secco uno di loro, ora facilmente comprensibile.

“Non siamo armati” li informò il capo del trio.

Colui che prima aveva parlato, sempre tenendoli sotto tiro con la sua arma da fuoco, si mise una ricetrasmittente vicino alla bocca “Li abbiamo catturati”.

I prigionieri furono dunque scortati dalla persona in bianco e dal capo dei guerriglieri.

Quest’ultimo, con una barbetta ispida e scura che ti puntava minacciosa come i suoi occhi, iniziò ad interrogarli.

“Chi siete? Chi vi ha mandato?”.

Wayne tentò di prendere tempo “Siamo semplici turisti…”.

A quello sbeffeggiamento, l’arabo rispose con un diretto in pieno viso.

“Ti va di scherzare, eh, yankee?”.

L’uomo colpito sollevò a fatica il capo e, con il labbro inferiore sanguinante, ghignò beffardo al suo avversario. Lui, senza batter ciglio, gli sparò in pieno petto.

Gli altri mutanti rimasero spiazzati da quest’ultimo avvenimento. Fortunatamente, si ricordarono che le loro uniformi erano totalmente antiproiettile.

“Ed ora…” riprese la parola l’assassino “chi è il prossimo?”

Mentre squadrava i due sopravvissuti, notò subito che Borghi tremava tutto come una foglia, mentre Alberti lo minacciava con uno sguardo di sfida. Divertito, si avvicinò al messicano.

“Sarebbe anche troppo semplice farti sputare tutte le informazioni che voglio…”.

Rivoli di sudore scorrevano su tutto il viso mulatto del latino.

“Ma a me non piace vincere semplice!” esclamò, mentre faceva fuoco proprio contro il suo interlocutore.

Sorpreso dal non sentire il minimo dolore, Bernardo cadde al suolo in un modo decisamente goffo e sospetto.

Mentre il pluriomicida si accostava all’ultimo dei suoi nemici rimasti, l’uomo in bianco, che fino ad allora era rimasto nel più totale silenzio, urlò.

“Pensate di avere a che fare con dei coglioni!?”.

Quest’ultima esclamazione spiazzò anche la coppia, apparentemente, esanime a terra.

“Il vostro stesso vestiario vi ha tradito, Humana. Perciò smettetela con questa assurda recita e rimettetevi in piedi!”.

I due obbedirono a quel perentorio ordine senza fiatare.

“Tu dovresti essere il N. 9, giusto?” chiese all’americano.

“Esatto. E tu dovresti essere dello Spettro Bianco, giusto?” controbatté l’interpellato.

“Infatti. Dimmi Johnny…” riprese il tizio in bianco, mentre alzava la mano, impugnando una pistola, sul volto del biondo “Sarai abbastanza veloce da schivare una pallottola diretta dove non hai protezioni?”.


Fino ad allora, sembrava che il mondo fosse rimasto nuovamente a guardare, mentre panzer tedeschi e guerriglieri arabi spadroneggiavano sulla città belga di Waterloo. Improvvisamente, uno stormo formato da tre jet da combattimento, di una non bene precisata nazionalità, si avvicinava rapidamente all’obiettivo. Per contro, alcune vedette mediorientali, appena avvistato il pericolo, diedero subito l’allarme.

Il campo andò immediatamente nel panico, ancora più quando gli aerei iniziarono a far fuoco.

“Perfetto!” pensò Johnny, mentre si dileguava dal mirino del soldato dello Spettro Bianco.

“Mettetevi al riparo!” gridò ai suoi compagni l’italiano.

Dopo l’attacco, una nuvola di fumo si levò dove, fino a poco prima, era pieno di uomini. Tra di esso sbucò una figura vestita di rosso, con una grande H gialla davanti.

“cof… cof… Ragazzi… cof… state tutti bene?”.

Per tutta risposta, dal terreno melmoso fece capolino un musetto peloso. Nel giro di qualche secondo ancora, una piccola talpa si tramutò in un essere umano.

“Tutto ok, Johnny” rispose all’appello il mutaforma.

“Certo che ne hanno fatto di casino, eh?” esclamò divertito Andrea, raggiunti gli altri due.

Lo statunitense, come in trance, osservava tutto l’ambiente attorno a loro.

“Oh mio dio! Tutti questi morti!”.

“Caro Johnny” il baffuto gli mise una mano sulla spalla “pensala così: Meglio loro che noi!”.

Mentre proseguiva nel fissare quei corpi senza vita, il suo sguardo s’illuminò “Un momento… il panzer? Che fine ha fatto?”.

“Eccolo là!” gli indicò preoccupato il Soggetto N. 4.


Il carro armato ruotò il suo cannone verso i mutanti e fece fuoco.

Ancora una volta, la velocità sovrumana dell’ex-pilota salvò il trio che, per il momento, trovò rifugiò dentro una buca sul terreno, frutto probabilmente del bombardamento di poco prima.

“Ma perché continuate a mandarmi a fare queste missioni?!” sbottò il Soggetto N. 7 “Non sono adatto per queste cose! Me ne stavo così bene a Città del Messico!”.

“Sta zitto Berny! Ora dobbiamo concentrarci su come fermare quei figli di puttana!” tentò di riportarlo alla ragione il Soggetto N. 9.

“Un momento…” richiamò l’attenzione degli altri l’italiano “hanno aperto lo sportello… hanno lanciato qualcosa…”.

Tutti cercarono di identificare quel piccolo oggetto che stava volando verso la loro direzione.

Alberti, compreso di colpo il tutto, sparò fulmineo verso di esso, facendolo esplodere ancora in aria.

“Era una bomba a mano!” comunicò agli altri.

Senza un attimo di pausa, la persona dentro il veicolo bellico, che si rivelò essere nuovamente il tizio in bianco, iniziò a lanciargli contro altri ordigni esplosivi.

Ad un certo punto sembrava come una gara di baseball tra lui e il soldato degli Humana che, con gran precisione, riusciva a colpirli uno dopo l’altro.

Nel mentre, Wayne si stava alterando sempre più “Non ci sto a finire così!”.

Detto ciò, la sua sagoma scomparve dalla buca, per comparire magicamente sopra al panzer. Come una furia, tirò su di peso il nemico, per poi lanciarlo in malo modo sul duro terreno circostante. Di nuovo addosso, gli parve vedere il suo avversario bisbigliare qualcosa dentro la sua maschera antigas.

“Con chi stai parlando? Con chi cazzo stai parlando?” lo interrogava, afferrandolo per il collo e scuotendolo come una bambola di pezza.

Lui non emise più alcun suono.

“Che stai facendo Johnny? Che ti ha detto?” gli si fece vicino il messicano, accompagnato dal Soggetto N. 4.

“Non sono riuscito a capirlo. Colpa di questa maschera antigas!”.

“Forse” intervenne Andrea “c’è il rischio che abbia chiamato i rinforzi”.

“Merda!” imprecò lo statunitense.

“Allora che facciamo? Aspettiamo di sistemare anche gli altri?” domandò spiazzato Alberti.

“Che ne dite invece di ritirarci?” propose, sempre più agitato, Borghi.

“Aiuto!”.

Quell’urlo improvviso squarciò l’aria, cancellando qualsiasi dubbio nel cuore degli Humana.

Il trio raggiunse rapidamente il luogo da cui proveniva quella richiesta. Un nuovo gruppo di guerriglieri arabi aveva circondato, con le armi in mano, una semplice ragazzina che, di certo, si era trovata nel luogo sbagliato al momento sbagliato.

“… Come osi metterti contro allo Spettro Bianco?”.

“Chi sei?”.

“Rispondi, sgualdrina!”.

I terroristi proseguivano ad offenderla, pronti a far fuoco. Lei, sotto shock, non riusciva a proferir parola, guardandoli con occhi sbarrati dal terrore. Poi partì un colpo.

La ragazzina, con il suo caschetto di capelli neri, non era più lì.

“Tutto bene?” le domandò il Soggetto N. 9, una volta portatala in salvo.

“Su le mani tutti! Se non volete che faccia un buco in testa a ciascuno di voi!” minacciò tutti i presenti il Soggetto N. 4, con entrambe le mani ben armate.

“Merda! Ce n’è un altro!”.

Chiunque si voltò verso il messicano che aveva appena urlato. Dietro di lui, vi era un panzer simile al precedente ma, allo stesso tempo, più dettagliato e tutto bianco. Quasi come una candida visione paradisiaca, la parte superiore del veicolo si alzò in volo, prendendo tutti alla sprovvista. Il fuoco dei numerosi propulsori, che ne permettevano l’elevazione, fecero ulteriori vittime tra i mediorientali.

“È impossibile! Ora anche i carri armati volano!” esclamò ancora esterrefatto Bernardo “Oh dio! Guardate! Tornano all’attacco!”.

Il cannone si lanciò in picchiata verso i quattro che, per una circostanza alquanto fortunata, fecero appena in tempo a rifugiarsi dentro un bunker presente nelle vicinanze.

“Non avevo mai sentito che un qualsiasi esercito fosse in possesso di un tale tipo di arma!” informò i compagni uno spiazzato Andrea.

“Ma non puoi abbatterlo con un bazooka o altro? Qui sennò rischiamo di fare la fine del gatto col topo!” sbraitò Borghi.

“Aspettate un attimo…” richiamò l’attenzione degli altri Johnny “Dov’è la ragazza?”.

Appena voltatisi, tutti e tre compreso infine in che razza di situazione si erano venuti a trovare. Un nuovo gruppo di guerriglieri, armati fino ai denti, tenevano nuovamente in ostaggio la giovane belga.

Intanto, all’esterno, la parte superiore del panzer si era andata a riunire con quella inferiore e, dal suo interno, era emerso un individuo identico al precedente, morto tra le mani del Soggetto N. 9.

“Cosa?! Ma non eri morto?!” urlò sbalordito l’americano, appena lo vide entrare nella sala.

“Lo Spettro Bianco non può morire! Idiota!” gli inveì contro il nuovo arrivato “Ora forza! Mettete queste!”.

L’uomo in bianco diede a due dei terroristi un paio di mezzi cerchi, fissati tra di loro. Appena messi ai polsi dei prigionieri, la parte mancante si completò tramite altri due semicerchi composti da un laser.

“Al minimo utilizzo dei vostri poteri, quelle manette vi scotteranno un po’…” li mise in guarda, divertito da ciò.

Poi, improvvisamente, l’ilarità fece posto alla preoccupazione.

“Un attimo! Ma non erano in tre i mutanti?”.

Tutti i presenti iniziarono a guardarsi intorno.

“Brutti idioti! Non lasciate scappare nessuno! Cercatelo dovunque! Cercate il numero 7!” cominciò ad inveire imbestialito il loro carceriere.

Tutti i guerriglieri sembravano un formicaio impazzito. Gruppi variabili di persone che partivano da una parte all’altra della zona.

“Aspetta tu!” l’uomo in bianco indicò un soldato vicino ai prigionieri “Resta con loro e, alla minima mossa, falli secchi!”.

L’interpellato obbedì senza fiatare. Intanto i tre parlottavano a vicenda.

“Speriamo che Bern… cioè Soggetto N. 7 sappia cosa fare…” esclamò Wayne, visibilmente preoccupato per la sorte dell’amico.

“Secondo me siamo ancora di più nella merda!” Fu la secca risposta di Alberti.

Evitando di polemizzare su tale argomento, l’ex-pilota concentrò la sua attenzione sull’unica donna lì presente.

“Ciao… capisci la mia lingua?”.

“Incredibilmente sì, molto”.

“perfetto. Qual è il tuo nome?”.

“Lana”.

“Piacere, io sono Joh… cioè Soggetto N.9. lui invece è il N. 4”.

“Perché, dato che ci sei, non gli chiede se c’ha anche una sorella più grande per me?” fece del sarcasmo l’italiano, alquanto spazientito.

“Sei di queste parti?” proseguì non curante lo statunitense.

“Sì, abito in una casa qua vicino. Ero passata di qui soltanto perché, facendo così, prendo una scorciatoia che conoscono in pochi”.

“Vai a scuola? Quanti anni hai?”.

“16. Ma voi come mai siete conciati così?”.

“È una lunga storia…” tagliò corto il capo del gruppo.

“Vuoi raccontargliela comunque o preferisci scappare prima di qui?”.

A parlare questa volta era stato, con grande sorpresa dei prigionieri, la loro guardia.

“Non mi dire che…” iniziò Andrea.

“Fai silenzio, Soggetto N. 4, che sennò qua ci scoprono subito!”,

“Non pensavo che venissero anche a te delle idee intelligenti”.

“Guarda che, se continui, ti lascio qui con i talebani!”.

Quest’ultima affermazione, pronunciata con eccessiva enfasi, fece voltare, sospettose, le poche persone rimaste lì nelle vicinanze.

“State zitti, infedeli!” recitò alla bene e meglio il baffuto sotto travestimento.

“Bene soldato…” lo richiamò il tizio in bianco, tornato dentro il bunker “Portali fuori!”.

Il mutaforma obbedì ancora senza proferir parola. Una volta all’aperto, i mutanti e la ragazzina si trovarono davanti altri carri armati, del tutto simili a quello di poc’anzi. Ancora bloccati da quell’inquietante visione, si accorsero solo qualche secondo dopo che il loro guardiano, nonché compagno di gruppo, era stato colpito da dietro proprio dall’emissario dello Spettro Bianco, riprendendo all’istante le sue vere sembianze.

“Voi siete ancora così convinti di avere a che con dei coglioni?”gli urlò contro quest’ultimo “Nessuno dei nostri alleati si sarebbe azzardato anche solo a rivolgervi una sillaba. E poi, fidatevi, conosciamo benissimo ciascuna delle vostre nuove capacità”.

“Ed ora” concluse, facendosi da parte “è il momento del vostro sacrificio”.

Questa volta era davvero la fine. Tutti e quattro avevano chiuso gli occhi nell’attesa dello sparo. Che avvenne, anche se molto ridotto.

“Lasciate stare!” urlò un giovane uomo, tenendo in mano un fucile a doppia canna e con, alle sue spalle, un nutrito gruppo di altre persone, altrettanto armate.

A quanto pare, erano in troppi ad essersi insospettiti della prolungata assenza da parte della giovane. Sembrava che tutto il suo villaggio fosse accorso a salvarla.

“Oddio! Sono venuti tutti!” esclamò lei, con le lacrime agli occhi.

“Ci deve essere un modo per liberarsi di queste cose… ah!” l’ennesima bruciatura era comparsa nel polso del Soggetto N. 4.

“Aspetta scemo che ti do una mano…” gli si avvicinò il Soggetto N. 7 che, data l’esecuzione apparentemente immediata, non era stato nemmeno ammanettato, dopo essere stato scoperto.

“Dunque, se ricordo bene, quando ve le hanno messe, hanno premuto questo unico bottone… perciò, se non erro, potrebbe essere che, ripremendolo, si disattivano…” sembrava prendere tempo il messicano.

“No, fai pure con comodo Berny…” lo rimproverò ironico l’italiano.

Sorvolando su quel nuovo battibecco, Borghi mise in atto quanto annunciato. Le sue congetture si rivelarono esatte. Stessa cosa fecero per Wayne: così l’Humana era di nuova pronta all’azione!

“Bene ragazzi!” prese subito il comando l’uomo appena liberato “Ora prepariamoci a…”.

Fu però interrotto da uno dei belgi “Lana cosa fai ancora qui? Scappa a casa che qui ci pensiamo noi!”.

Come a dare corpo alla forza delle parole appena pronunciate, i villici avevano ormai preso d’assalto anche i mezzi pesanti.

“Ma fratello, come faccio a lasciarvi da soli così?”.

“Te scappa e non preoccuparti per noi! Porta via con te anche quegli stranieri lì!”.

“Ma…”.

Questa volta, ad interrompere la fanciulla, fu lo stesso americano “Scusami Lana, ma credo che tuo fratello abbia ragione. Noi dobbiamo ritirarci perché, per affrontare quella gente, abbiamo bisogno dei nostri rinforzi”.

La ragazza non si oppose più. Con gli occhi velati dalle lacrime, salutò il fratello e, senza più voltarsi indietro, fece strada ai tre mutanti verso la salvezza. Fatto qualche passo, un’enorme esplosione fece tremare la terra sotto i fuggitivi.


Era ormai più di mezz’ora che si facevano strada in un campo di erba alta. Qualcosa però sembrava preoccupare Johnny Wayne. In sé aveva una continua pessima sensazione che non lo faceva rilassare neanche un momento. Era ormai più che certo che qualcosa stesse strisciando tra quella vegetazione.

“Occhio!”.

A quell’improvviso avvertimento dell’italiano, l’ex-pilota fece subito scudo alla ragazza con il proprio corpo, mentre la testa di un rettile veniva fatta esplodere da un colpo preciso di pistola.

“C-Che diavolo era?” chiese impaurito più che mai Bernardo Borghi.

Andrea Alberti si avvicinò alla zona dove si trovava il suo bersaglio “Sembrerebbe un pitone. Non sapevo che ce ne fossero da questa parti”.

“Sarà scappato dalla casa di qualche eccentrico collezionista…” ipotizzò stranito l’americano.

“Qui in Europa in pochi hanno certe usanze…” controbatté l’europeo.

Appena ripreso il cammino, il messicano iniziò con la sua litania di lamentele e proteste.

“… E se anche quel lurido serpente fosse un membro dello Spettro Bianco? Ma perché, mio signore, hai scelto me per queste imprese assurde? Vabbe’… non sarò stato un stinco di santo, ma nemmeno un terribile criminale! Io che me ne stavo tanto bene a guardarmi la Lucha Libre…”.

Alla fine, il soldato sbottò “Ora basta! Se hai tanta forza per lamentarti, perché piuttosto non ti sei tramutato in un altro pitone, o in un cobra, per fargli capire chi comandava? Eh?”.

“Ma sei matto? Quei serpenti sono velenosi!”.

Un altro fruscio sospetto.

“Oddio rieccolo!” gridò come una femminuccia il mutaforma.

“Stai zitto Berny! È solo il vento” lo richiamò spazientito il Soggetto N. 9.

Ma, come a contraddire quest’ultimo, tra i fili d’erba iniziarono a spuntare tante piccole teste squamose.

“Presto, attaccatevi a me!” ordinò agli altri due il velocista, mente sollevava in braccio la ragazzina.

Appena sentì il contatto fisico con il duo, partì a tutta velocità.

In quella situazione, difficilmente si riusciva ad emetter un qualsiasi suono ma, nonostante ciò, al biondo parve di sentire distintamente l’urlo rarefatto del baffuto, mentre egli si accorgeva che anche gli stessi rettili adottavano la stessa velocità del suo salvatore.

Mentre cercava di elaborare un nuovo piano, lo statunitense si sentì mancare la terra da sotto i piedi, letteralmente.

Giusto il tempo per comprendere che erano finiti tutti e quattro dentro una buca che, dall’oscurità presente, comparvero due figure familiari.

“Soggetto N. 3 e 6! Che ci fate qui?” il N. 9 riuscì anche a ricollegare i giusti numeri ai due nuovi comparsi.

“State tutti bene, signori? Io fare questo buco!” li informò soddisfatto Chang.

“Soggetto N. 1 ci ha avvertito che eravate di nuovo in pericolo, per cui siamo giunti qui il prima possibile” aggiornò i compagni una preoccupata Frédérique.

“Oddio il mio culo…” si lamentava dolorosamente Bernardo.

“Siete solo voi due?” domandò Andrea.

“No” gli rispose la donna “c’è anche Soggetto N. 2, ora è in cielo a cercare di eliminare più serpenti possibili”.

“Ah sì? E con cosa?” proseguì l’italiano.

“Ha detto che ha una pistola proveniente dalla sua collezione…”.

In effetti, il britannico si stava dimostrando un ottimo cecchino, librando in aria il meno possibile per prendere meglio la mira.

“cinque… sei… sette… otto…” proseguiva mentalmente nel conteggio delle sue vittime.

Di colpo, un dolore lancinante alla gamba sinistra lo fece bruscamente interrompere nella conta. Stringendo a sé la gamba ferita, il londinese perdeva sempre di più quota. Fortunatamente per lui, il poderoso urlo che aveva emesso aveva fatto scattare i suoi compagni. Johnny lo prese facilmente al volo, mentre Andrea proseguiva la sua opera di sterminio.

“Chi diavolo è stato a sparare?” domandò agli altri il messicano.

“Non importa chi è stato, se si azzardano ad avvicinarsi li faccio diventare concime!” esclamò spavaldo il mutaforma bellico poi, rivolgendosi alla francese “Soggetto N. 3, riesci a vedere qualcuno?”.

“In effetti sì” rispose lei “sono tante persone e si stanno avvicinando a noi!”.

“Che figli di puttana! Sono di nuovo quei guerriglieri bastardi!” inveì rabbioso l’italiano.

“A dir la verità non sembrano proprio guerriglieri…” bisbigliò quasi l’ex-ballerina.

Nel frattempo, Wayne aveva adagiato lentamente al suolo Lincon, per poi stringergli la ferita con uno straccio di fortuna, proveniente dal suo mantello giallo.

“Così dovrebbe bastare. Sperando che poi, alla base, Sara abbia almeno un kit del pronto soccorso…”.

“Eccoli!” gridò Arone.

“Fermi! Fermi!” Lana si interpose tra i due schieramenti “È la gente del mio villaggio!”.

Di fatti, le persone, o meglio parte di esse, che poco prima li avevano salvati nel campo di addestramento, li stavano ora puntando contro le proprie armi da fuoco.

“Lana! Allontanati immediatamente da loro! Quelle gente lì non è normale! Forse abbiamo ucciso la gente sbagliata!” le urlò il fratello, ancora vivo dopo l’agguato.

“No fratello! Non è così! Loro mi hanno salvato!”.

“Non sono normali! Quello a cui ho sparato prima stava volando! Volando!”.

“Allora è stato quello stronzo a spararmi…” bisbigliò il mutante ferito.

“Non importa cosa riescono a fare, sta di fatto che sono stati loro a salvarmi…”.

“Non è vero, Lana! Siamo stati noi! Se era per loro, potevi essere morta già da tempo”.

“Ma se è proprio grazie a loro che mi avete trovato ancora viva!”.

“Ora basta, figliolo” un anziano si avvicinò al fratello di Lana “Credo proprio che tua sorella stia dicendo la verità”.

Una volta calmato il ragazzo, il vecchio si avvicino alla squadra in rosso e giallo.

“Dunque signori, posso gentilmente sapere chi dobbiamo ringraziare per la salvezza della nostra piccola Lana?”.

Nessuno dei sei sembrava voler rispondere. Alla fine, fu il Soggetto N. 9 a prendere la parola.

“Ecco noi siamo… un gruppo… ci facciamo chiamare gli Humana e… diciamo che abbiamo un conto in sospeso con quella gente…”.

Il belga sembrava interessato ad ogni minima parola pronunciata dallo statunitense poi, alzando il capo per osservare il cielo che si scuriva, propose “Che ne dite, signori, se proseguiamo le presentazioni nella mia dimora? Stasera siete ufficialmente miei ospiti”.

Nonostante fossero sorpresi da quell’iniziativa, i mutanti accettarono.

“Comunque, meglio non fidarsi troppo di questa gente…” pensò un diffidente Johnny.

La dimora dell’anziano si rivelò essere un’elegante abitazione costruita tutta in legno.

“Con permesso” disse il Soggetto N. 6 mentre, insieme ai suoi compagni, vi entrava all’interno.

Una volta accomodatisi tutti nell’ampio soggiorno, il velocista proseguì nel raccontare, per sommi capi, le loro origini.

“… Ma è incredibile!” esclamò sorpreso il vecchio “Pensare a voi, gente di differente nazionalità, che cooperate per contrastare questa terribile organizzazione criminale…”.

“Ma andiamo!” s’intromise nuovamente il fratello di Lana “Come pensate che possiamo credere a queste cazzate da fumetto!”.

“Ora basta Bart!” per la prima volta, quel signore così educato parve perdere le staffe.

Lui si zittì all’istante, mentre il padrone di casa riprendeva la parola.

“Dato che non siamo ancora certi che quella gente d’ora in avanti ci lascerà in pace, per stanotte potete tranquillamente accomodarvi qui da me, visto che vivo solo in questa casa così grande. Domani mattina poi decideremo il da farsi”.

Gli Humana ringraziarono sentitamente per tale ospitalità. Intanto Bart si avvicinò ad un suo coetaneo “Non perderli di vista un attimo!”.

Nello stesso tempo, un’altra persona stava bisbigliando qualcosa nell’orecchio di un altro.

“Non mi fido di quel Bart…” rivelò Frédérique a Johnny.

“Nemmeno io. Penso che anche uno dei nostri stasera dovrà tenere gli occhi aperti. Magari uscendo all’esterno per perlustrare meglio la zona” fu la sua proposta.

La francese fece un segno affermativo con la testa e, con nonchalance, si avvicinò al cinese, bisbigliandogli altre parole all’orecchio.

Dopo poco, quest’ultimo si avviò beatamente nel bagno vicino alla sala. Passato qualche minuto, la stessa Arone fece altrettanto. All’interno dei sanitari, Chang stava dirigendo una esile fiammella dalla sua bocca verso un punto preciso del muro, mentre il Soggetto N. 3 dirigeva il tutto come se fosse dall’esterno, grazie alla sua vista sovrumana.

Nel mentre, nel salotto adibito a camera da letto, qualcosa preoccupava Andrea “Soggetto N. 9! Penso che il N. 2 stia peggiorando…”.

“Possiamo provare a chiedere se hanno qualcosa per medicarlo…” ipotizzò un Wyane non ancora tranquillo.

Finalmente si era venuta a creare un’apertura, seppur minima, anche nel legno esterno dell’abitazione.

“Cerca di allargarlo un po’, Chang, così da poterci passare almeno io” lo incoraggiava la francesina.

“Piuttosto, lasciate che sia io a passarci…”.

Prendendo alla sprovvista la stessa ballerina, a proferir tali parole era stato niente meno che un gatto tigrato, comparso come dal nulla lì con loro.

Poi Frédérique ricollegò il tutto “Bernardo sei tu? Mi hai fatto quasi prendere un colpo!”.

“Davvero curioso! Un gatto parlante!” si unì ai due Yu.

“Ok, io vado gente. Pregate per me” salutò la compagnia il mutaforma.

Contemporaneamente, l-ex pilota di Formula 1 ebbe, dal ragazzo messo di guarda, non proprio la risposta che si sarebbe aspettato e, con la furia che aveva superato il limite, uscì dalla casa come un tornado, tenendo ben stretto a sé Jack Lincon.

Al suo interno, invece, gli ultimi tre rimasti decidevano il da farsi.

“Forse dovremo fuggire anche noi…” propose titubante il Soggetto N. 3.

“Non credo che ne avremo il tempo…” le rispose il N. 4, mentre già si udivano il rumore di passi concitati.

“Che è successo qui?”.

“Dove sono gli altri tre?”.

“Calmi signori! Calmi!” tentava di sdrammatizzare il padrone di casa.


Era già da qualche minuto che, un semplice gatto tigrato, stava seguendo silenziosamente Bart, il fratello maggiore di Lana, che si stava allontanando furtivamente dal centro abitato. Arrivato nei pressi di un ruscello, rallentò la sua marcia.

“Chi va là?” fece una voce dall’oscurità.

“Sono Bart, ho delle notizie importanti da darti”.

“Parla!”.

“Sei dei mutanti hanno trovato rifugio nel mio villaggio”.

“Perfetto! Come c’era da aspettarsi” dopo qualche secondo di pausa, la voce riprese “Ora seguimi, Bart”.

Una figura bianca faceva da guida al belga. Nel buio, tutto era seguito minuziosamente da occhi felini.


Come un pilota di rally ed il suo navigatore, Johnny aveva seguito alla lettera ogni indicazione telepatica di Igor Wansa per poi infine trovarsi, sempre insieme ad uno svenuto Jack, di fronte ad un camper anonimo.

“Ha perso molto sangue?” lo accolse senza tante cerimonie Sara.

“Non saprei, ho cercato di medicarlo meglio che potevo” le rispose il Soggetto N. 9.

I Soggetti N. 5 e 8, anch’essi presenti dentro il veicolo, sistemarono con delicatezza il loro compagno ferito sul letto lì vicino.

“Bene, ora portatemi subito alcol, garze e bisturi, nel caso la pallottola fosse ancora dentro la gamba” riprese a dare ordini la bionda.

“Pensi di farcela, Sara?” le chiese preoccupato il biondo.

“Devo farcela!” gli rispose sbrigativa lei.


“Allora cos’hai intenzione di fare per quanto riguarda i mutanti?” domandò, leggermente spazientito, Bart all’uomo in bianco.

Lui, prendendo tempo, lo informò “Ho già spedito i pitoni a fargli visita…”.


All’interno della casa belga, il clima era dei più tesi.

“Chissà come se la stanno cavando gli altri…” la francesina era totalmente vittima della preoccupazione.

“Di certo si divertono più di noi!” si lamentò annoiato Andrea.

“Oh no!” la donna s’incupì di colpo.

“Che succede?” le domandò ad alta voce l’italiano, facendo sobbalzare il cinese vicino a lui.

“I pitoni… sono tornati!”.

A quelle parole, il Soggetto N. 6 sprigionò la più potente delle sue fiammate, creando così un varco largo abbastanza per permettergli una fuga disperata.


“… Soprattutto odio quegli stolti che non imparano dagli sbagli precedenti!” concluse in maniera sibillina il tizio in bianco.

Con un’abile mossa, sparò in direzione del gatto, mancandolo davvero per un pelo.

In tutto questo, una macchia rossa e gialla sfrecciava nella notte, raggiungendo velocità impensabili per un semplice essere umano a piedi.


“Ci stanno ancora inseguendo, Frédérique?” le chiese Alberti che, con la sua mano trasformata in una 44 Magnum, sotto la luce artificiale creata dal fuoco di Yu, per lo più stava sparando cartucce a vuoto.

“Sì, Andrea. Sembra che ci vogliano circondare”.

“Noi proseguire con fuga. Non c’è altro da fare!” esortò gli altri l’asiatico, mentre riprendeva fiato per una nuova fiammata.


“Ti conviene riprendere una forma con cui poter uscire fuori con le mani in alto, Soggetto N. 7, altrimenti la tua tomba avrà dimensioni alquanto ridotte” minacciò crudele lo sconosciuto.

Il mutaforma, sentendosi alle strette, tornò alla sua forma originale e, come consigliatogli, si presentò ai due con le braccia al cielo.

“Ora potrai crepare con un minimo di dignità!” lo sfotté l’uomo in bianco, premendo il grilletto.

Il proiettile, per un soffio, colpì l’aria.

“Dov’è andato? Dove cazzo è andato?” il possibile assassino andò su tutte le furie.

“Forse si è trasformato in un qualche insetto...” ipotizzò il belga.

“Allora, idiota, cercalo!” gli inveì contro il membro dello Spettro Bianco.

Come previsto da Bart, Bernardo era ora la più piccola razza di formica esistente. Correva alla disperata tra le foglie del terreno, pensando ad un piano da attuare.

“Forse l’unica cosa da fare è prendere più tempo possibile, di certo gli altri, grazie ad Igor, sapranno dove venire a cercarmi” continuava a riflettere l’insetto.

Appena pensò di essere sufficientemente coperto, riprese la sua forma umana.

“Ehi figlio di puttana, pensi che sia così facile battere gli Humana? Aspetta che arrivino i miei compagni e vedrai poi che culo ti facciamo!” lo provocò da dietro un albero.

“Tanto meglio! Per ora mi basta sistemare te…” controbatté il criminale, andando a premere un tasto presente sul cane della sua pistola.

Premuto nuovamente il grilletto, questa volta dalla canna non uscì alcun tipo di proiettile ma, piuttosto, un suono assordante per qualsiasi essere vivente. Lo stesso Bart, nonostante tentasse di coprirsi le orecchie con le mani, cadde esanime al suolo. La stessa sorte toccata al messicano.

“Povero coglione! È bastato questo semplice colpo sonico per metterti KO. Fortunatamente per te ancora non posso ucciderti. Mi servi qui, come esca!”.

Detto ciò, l’uomo iniziò a comunicare con altri suo compari nelle vicinanze di Waterloo.


“Siamo finiti in un vicolo cieco! Qui davanti c’è soltanto una spessa parete rocciosa!” allarmò gli altri due con lei Arone, mentre utilizzava la sua vista a raggi x.

“Ce la fai a perforarla, Chang?” domandò concitato Alberti.

“Non con il poco tempo a disposizione!” gli rispose Yu.

Ormai i serpenti li avevano raggiunti.

“Cosa facciamo?” la ballerina era sull’orlo delle lacrime.

“Duriamo finché ce la facciamo!” le diede una risposta il soldato, armato da entrambe le mani.

Dopo che i primi colpi andarono a segno, il resto dei pitoni partì all’attacco.

Il Soggetto N. 6 chiuse gli occhi in attesa dell’inevitabile. Passarono i secondi e, sentendosi esattamente come prima, provò a riaprirli. Tutti i rettili erano esanimi al suolo con il cranio spappolato.

“Johnny sei tu!” lo accolse festante Frédérique.

“State tutti bene, gente? ho appena ricevuto comunicazione da Igor che Berny ha appena interrotto la comunicazione telepatica. Sperando non gli sia capitato niente di brutto, mi hai già inserito in testa le coordinate”.


Il verso acuto di un gufo ridestò il fratello di Lana dal suo sonno senza sogni. Ancora barcollante, cercava di raggiungere la base dello Spettro Bianca a lui più vicina.

Dentro di essa, vi era lo stesso uomo in bianco che aveva sistemato il Soggetto N. 7 che, a sua volta, si trovava incatenato ad una parete della enorme stanza metallica.

“Quel coglione si è risvegliato!” commentava lui, mentre osservava il tutto da un megaschermo “Francamente, ora non mi è più di alcuna utilità. So già a chi affidarlo” detto ciò, premette un pulsante della console che aveva davanti.

“Ehi gente, sono io! Sono Bart! Coraggio apritemi che qui fuori si gela!” urlava al vento la spia del villaggio.

Ad un tratto, un sibilo leggero lo fece mettere sugli attenti.

“E-E-Ehi… vi prego non potete farmi questo… io sono un vostro alleato… vi posso ancora essere uti…aaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhh!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”.

Una volta godutosi questo raccapricciante spettacolo, il carceriere tornò a parlare con il suo prigioniero.

“Ed ora è il turno dei tuoi amici…”.

“Col cavolo! Appena sapranno cosa li aspetta tu…” ma fu improvvisamente interrotto.

“Oh giusto! Stavo per dimenticarmi…” si affrettò ad infilargli una specie di elmetto in testa “Ora non sarai più in grado di comunicare telepaticamente con tutta la tua squadra. Anche se, immagino che sappiano già dove venirti a prendere…”.


“… A quanto dice Igor, l’ultimo contatto con Berny è stato qui nelle vicinanze” concluse Wayne, parlando con gli altri tre Humana.

“Sì, lo vedo. Dietro quella cascata c’è un’entrata segreta per la base” informò gli altri Frédérique.

I maschi stavano già partendo al recupero che l’unica femmina della comitiva li bloccò “Aspettate! Ci sono altri pitoni da sconfiggere!”.

Questa volta però i rettili ammaestrati non ottennero nemmeno una chance: la supervelocità dell’americano, la vista sovrumana della francese, la mimesi bellica dell’italiano e gli attacchi calorifici del cinese ebbero facilmente la meglio.

“Confermo il loro totale annientamento!” esclamò euforica Arone.

Purtroppo questo entusiasmo durò poco, coperto dal pesante rumore di cingolati in avvicinamento.

“Ne arrivano altri!” urlò, subito pronto all’azione, Alberti.

“Altri cinque panzer!” osservò con la sua vista notturna il Soggetto N. 3.

“Speriamo che siano gli ultimi” si espresse il Soggetto N. 6.

“Perfetto! Sistemiamo anche questi e poi andiamo a salvare N. 7!” concluse impaziente il Soggetto N. 4.

“Allora via!” sentenziò il Soggetto N. 9.

Un fischio improvviso tagliò l’aria.

“Ci stanno bombardando!” informò gli altri la francese.

“Mettetevi ai ripari. Io cercherò di scovarli!” ordinò l’americano, prima di scomparire in un lampo rosso e giallo.

Nel giro di qualche secondo, nonostante l’oscurità della notte non giocasse a suo favore, il velocista riuscì a trovare il primo dei suoi obiettivi. Come aveva già fatto giorni prima, uscendo da quella che lui riteneva la prigione degli Humana, vibrò a sufficienza le molecole del suo corpo per attraversare lo strato metallico esterno e, prendendo di sorpresa gli occupanti, entrare dentro il mezzo corazzato. Sistemato il primo, passò al successivo.

“Così però non è giusto, cazzo!” imprecò l’italiano, visibilmente contrariato “Il divertimento se lo prende tutto Johnny!”.

“E con questo, sono terminati” annunciò sollevata la ballerina.

“Ora noi pensare a Bernardo” ricordò agli altri il cinese.

“Aspettiamo un attimo Joh…” ma Frédérique fu interrotta dallo stesso statunitense.

“Io ci sono! Possiamo entrare!”.

Senza perdere ulteriore tempo, i quattro attraversarono il getto continuo della cascata.

“Ahah preparati che vengono a farti il culo!” canzonò il suo avversario il messicano.

“Fai silenzio!” gli urlò contro lui, colpendolo talmente forte al volto da fargli cadere il casco “Ho giusto un bel reticolato laser da fargli attraversare!”.

“Ha detto reticolato laser?”.

L’improvvisa comparsa della voce di Johnny nella sua testa fece sobbalzare di spavento Borghi.

“Johnny sei proprio tu?”.

“Sì. Non so perché, ma ora sei di nuovo raggiungibile”.

“Giusto! Quando quel figlio di puttana mi ha colpito, mi ha fatto cadere a terra il casco che mi bloccava i poteri!”.

I due proseguirono nella loro conversazione telepatica, elaborando il giusto piano per fermare il criminale definitivamente.

Quest’ultimo, non trovando più la giusta locazione dei mutanti, stava ormai perdendo il controllo della situazione.

“Ok, ora basta! Intanto mi porto avanti con il lavoro uccidendo te!” sentenziò, puntando una pistola alla tempia del baffuto.

Improvvisamente, una forte esplosione sconvolse l’ambiente. Il forte calore delle fiamme di Chang avevano sortito il suo effetto. Approfittando del disorientamento dell’uomo in bianco, l’ex-pilota mise in salvo il loro compagno, liberandolo con rapide vibrazioni delle dita.

“Lui lo voglio finire io!” annunciò imperiosa la voce di Andrea.

I due rivali si fissavano immobili, nel più classico degli stalli alla messicana. Finché, con un movimento del braccio repentino, il Soggetto N. 4 ebbe la meglio.

Tutti gli Humana presenti si accalcarono per festeggiare il loro amico.

“Bravo Andrea! Tu grande cowboy!” si complimentò il Soggetto N. 6.

“Oh Signore! È davvero finita!” tirò un sospiro di sollievo il Soggetto N. 3.

“Non ancora!” interruppe tutti il Soggetto N. 9 “Andiamo a vedere come sta Jack, così poi sarà davvero finita!”.




Dopo l’estenuante avventura a Waterloo, ai membri dell’Humana furono concessi dei più che meritati giorni di riposo e svago. Tre di loro, Johnny Wayne, Frédérique Arone e Juna, ne approfittarono per assistere alla sfavillante spettacolo del circo, appena giunto in città.

“Mi ricordo che, da piccolo, non vedevo l’ora di poter andare al circo con tutta la mia famiglia!” rivelò nostalgico l’americano.

“Davvero, Johnny?” gli diede spago la francesina.

“Scusatemi, ma io non riesco proprio a sopportare tutti quegli animali tenuti in gabbia solo per divertire un pubblico pagante” ribatté l’africano.

“Beh ti capisco, Juna” lo appoggiò il biondo “abituato all’enorme libertà che concede la giungla, nel tuo Congo, vedere il freddo delle gabbie dove sono rinchiusi gli animali deve essere un terribile shock”.

“Purtroppo è l’intera Africa che è cambiata” proseguì il ragazzo di colore “ogni giorno crescono più grattacieli che alberi da frutta. Per non parlare delle guerre civili che ancora devastano il mio continente. Per finire poi con i bracconieri che, fino a poco fa, combattevo con tutto me stesso, finché non mi sono ritrovato a combattere gente anche peggiore”.

L’animo dello zairese si stava inquietando sempre più, mentre in pista vi era il più classico dei domatori di tigri. Tutto il pubblico era rapito dall’eleganza con cui quegli enormi felini attraversavano il pericoloso cerchio di fuoco. Erano talmente estasiati che, lì per lì, non si accorsero nemmeno che una di esse, appena atterrata dopo il suddetto salto, aveva proseguito la sua rincorsa, andando a sbattere violentemente contro la porta d’ingresso alla gabbia riservata agli umani. Tale fu l’impeto che fu incredibilmente spalancata dal colpo. Appena ripresosi dalla botta, l’animale uscì con grande facilità dalla sua prigione, mandando nel panico più totale il pubblico.

“Bisogna fermarla!” urlò ai compagni il Soggetto N. 8.

Il N. 9 scrutò per un tempo infinito gli occhi della tigre per poi, una volta che questa ebbe preso la via dell’uscita di sicurezza del tendone, partire al suo inseguimento.

Inseguimento che, però, si spense sul nascere dato che, appena uscito all’aria aperta, della fiera appena fuggita non vi era più traccia.

Da dietro le sue spalle, provenne la voce di Juna “L’hai presa Johnny?”.

“No, è… è scomparsa” fece fatica a sillabare lo statunitense.

“In effetti non riesco a vederla nemmeno io” informò gli altri il Soggetto N. 3 “Che ci sia dietro ancora una volta lo Spettro Bianco?”.

“Non credo.” le rispose l’ex-pilota “Se continuiamo a pensarla così, c’è poi il rischio che diventi una paranoia”.


Intanto, in una delle sudice viuzze laterali della metropoli, un ragazzo, poco più che ventenne, vestito con addosso soltanto un logoro impermeabile, stava riprendendo fiato, controllandosi nel contempo una lieve scottatura al torace.


Dentro la stanza del direttore del circo, in pratica una roulette, il proprietario stava dando in escandescenza, prendendosela con i due uomini che erano con lui.

“… Mi dite ora cosa facciamo? Se il mondo intero viene a sapere tutta la storia di quella tigre ma, soprattutto, cosa abbiamo fatto a lui e a tutta la sua famiglia, passeremo tutti dei grossi guai!”.

“Ma capo, lei sapeva che c’era questo rischio…”.

“È per questo che avevo assunto voi due, brutti idioti! Ma, sappiatelo subito, se devo finire dietro le sbarre, non ci finirò da solo!”.

“Allora cos’ha in mente di fare?” parlò per la prima volta il terzo soggetto.

“E me lo chiedi pure?! Dovete ritrovare la tigre! Viva o morta, a questo punto non m’interessa!”.


“Ho appena parlato con Sara” informò gli altri Johnny “Anche per lei è meglio che risolviamo questa faccenda il più presto possibile, Spettro Bianca o no”.

“La cosa che mi sorprende è come, quella normale tigre, sia riuscita a mettere in atto un piano così ben pensato. Sono certo che ha atteso il momento giusto per poter fuggire. E poi c’è la questione che si è volatilizzata nel giro di un attimo…”.

“E se fosse anch’essa un mutante?” propose un’insospettita Frédérique.

“Non so cosa pensare” riprese Juna “in ogni caso, di certo avremo bisogno di fucili con dardi anestetizzanti…”.

“Tipo quelli?” chiese Wayne, indicandogli due tizi alquanto sospetti armati proprio delle armi appena citate.

“Esatto… un attimo, dove pensano di andare quei due? Non credo siano della protezione animali” s’insospettì l’africano.

“In effetti, sono davvero troppo sospetti” concordò Arone.

I tre rimasero in silenzio ancora per qualche secondo, osservando i movimenti della coppia che si stava allontanando dalla zona del circo.

“Io li seguo” annunciò lo statunitense “Noi rimaniamo in contatto tramite Igor”.

“Aspetta Johnny, non sarà pericoloso?” lo fermò preoccupata la ballerina.

“Tranquilla, non riusciranno nemmeno a vedermi!” le fece l’occhiolino lui.

“Fai comunque attenzione, Johnny” insistette anche lo zairese.

Il piano fu messo in atto e, standogli abbastanza vicino senza farsi notare, il Soggetto N. 9 riuscì ad udire anche qualche discorso che i due si scambiavano.

“…Sei sicuro che si trovi lì?”.

“E dove vuoi che sia, sennò? Salvatore è sempre stato molto legato a suo nonno…”.

Il pedinamento proseguiva ormai da parecchi minuti finché i due, con grande sorpresa del loro pedinatore, svoltarono verso l’ingresso ad un cimitero.

Una volta dentro, il campo santo si presentò completamente deserto, escludendo ovviamente le lapidi. Tra tutto quel silenzio tombale vi era, leggermente udibile, un singhiozzare di pianto. Seguendolo, gli umani ed il mutante giunsero a quella che, se non fosse per il movimento singhiozante delle spalle, poteva essere presa per l’ennesima pietra tombale.

Il giovane con l’impermeabile stava piangendo sopra la tomba di un anziano signore.

“Mi dispiace rovinarti la festa Salvatore, ma ora te ne torni con noi dal capo!” avvertì della loro presenza uno dei due scagnozzi.

Il ragazzo, sentendosi chiamare, si voltò con gli occhi già iniettati di sangue. Con una metamorfosi degna del Soggetto N. 7, egli si tramutò in un lampo nella stessa tigre fuggita dal circo.

Alle spalle dei due malintenzionati, Johnny rimase sbalordito da tutto ciò. Poi, appena sentì il click che annunciava il caricamento del fucile, scattò. Bastarono due pugni ben assestati a supervelocità per mettere la coppia ko.

Questa volta fu il turno della tigre di rimanere basita.

Appena tornato visibile, il Soggetto N. 9 tentò di comunicare con essa “Aspetta! Non ti voglio fare del male! Il mio nome è Johnny Wayne, faccio parte di un gruppo che si chiama Humana. Ho visto cosa ti volevano fare questi due e, stai tranquillo, io sono dalla tua parte”.

Dopo quella presentazione, il felino smise di ringhiare. Poi, come era successo in precedenza ma al contrario, riprese la sua forma umana.

Una volta ricopertosi con l’impermeabile, per avere un minimo di dignità, il giovane parlò per la prima volta.

“Io mi chiamo Salvatore Brambilla, sono stato fatto prigioniero da questa gente, insieme a mio nonno, ormai da molti anni. Da poco lui è venuto a mancare e, dato che non dovevo più preoccuparmi per la sua salute, ho scelto di scappare via il prima che potevo…”.

“Ma il tuo potere? Cosa sei? Un mutante?”.

“Un mutante? No, assolutamente no. Si tratta di una maledizione che colpisce la mia famiglia da generazioni. Questi tizi se ne sono accorti soltanto per dei miei errori di gioventù, pensando bene di approfittarne minacciando me e mio nonno”.

Dopo quella spiegazione, i due proseguirono col fissarsi in silenzio.

“Ok” riprese la parola Wayne “vai pure Salvatore, ora sei libero! Non ti preoccupare per il padrone del circo, a lui penseremo noi”.

L’altro, apparentemente ancora non del tutto convinto, si alzò in piedi. Dopo, tenendo ben stretto con le mani il suo impermeabile, si allontanò. Una volta che fu nelle vicinanze del suo salvatore, bisbigliò un “Grazie”.

Quest’avventura fece pensare a Johnny che, oltre ai mutanti come gli Humana, il mondo preservava ancora tanti misteri. Come Salvatore Brambilla, il “Nipote Tigre”.





Tre anni prima.

Dopo un esordio così esaltante, il giovane Johnny Wayne fu subito circondato da miriade di nuovi fans, i suoi primi. Tra di essi, vi era un ragazzino tedesco.

“M-mi scusi, mr. Wayne, p-posso avere un suo autografo?”.

“Certo bimbo! Come ti chiami?”.

“Torsten Bauer”.


Passati tre anni, al neo membro degli Humana, lo stesso Johnny Wayne, furono concessi altri giorni di vacanze, che lui scelse di passare in terra teutonica. Preso dai ricordi, si diresse nuovamente nelle vicinanze del circuito automobilistico. La zona era praticamente identica a come se la ricordava. Improvvisamente, iniziò a sentire un’orrenda puzza. Seguendo quella scia maleodorante, si trovò davanti uno spettacolo raccapricciante: due uomini erano sdraiati a terra, in un lago di sangue, mentre un terzo era riverso su uno di loro e, per assurdo che sia, si stava cibando della carne del cadavere.

“Ehi tu! Che stai facendo? Fermo lì!” gli intimò il Soggetto n. 9.

Lui, che appena udita la voce aveva fermato la sua macabra attività, si voltò di scatto. Il suo volto, con grande stupore dell’americano, presentava dei tratti distintivi dei canidi: peluria su tutto il viso, muso allungato e denti molto pronunciati e, in quel caso, sporchi di sangue.

“Ma che cazzo?!” imprecò il biondo “Chi diavolo sei tu?”.

L’altro si voltò completamente verso il suo nuovo avversario e pareva pronto ad attaccare. Se non che, dalla strada vicina, cominciarono a risuonare nell’aria le sirene tipiche della polizia tedesca. Accortosi di ciò, l’uomo lupo scattò via in ritirata.

Lo statunitense fu tentato di seguirlo ma, dato che le forze dell’ordine stava sopraggiungendo, decise di aspettarle per cercare di rivelargli quanto aveva appena visto.


“Che vorresti dire con licantropo?” domandò dubbiosa Sara, dall’altra parte del telefono.

“Quello che ti ho appena detto, Sara! Quell’essere pareva in tutto e per tutto un lupo mannaro!” insistette sicuro di sé l’ex-pilota.

“Certo che è davvero assurdo. Com’è che ultimamente hai a che fare con gente che si trasforma in animali?”.

“Che cosa vuoi che ne sappia io?! Piuttosto, cosa pensi che dovrei fare?”.

“Per ora rimani lì dove sei. Se te la senti, potresti anche provare a raccogliere informazioni, ovviamente senza mettere troppo a rischio la tua vita…”,

“E come dovrei muovermi, secondo te?”.

“Intanto potresti proseguire nel bazzicare, senza farti notare troppo, il quartiere in cui l’hai avvistato per la prima volta…”.


Alla fine, il mutante scelse di seguire il consiglio dell’umana. Per giorni, le sue ricerche non portarono a niente. L’ultimo giorno del suo soggiorno in Germania, tentò un’ultima uscita serale. Qualcosa gli diceva che, quella volta, sarebbe stata quella giusta.

Era ormai mezzanotte passata quando, come ad esaudire i suoi desideri, sotto la luce di un lampione comparve una figura animalesca ormai ben nota a Johnny.

Quest’ultimo, grazie alla sua supervelocità, gli fu subito addosso, tempestandolo di colpi fulminei. Poi prese una pausa.

“Allora figlio di puttana, mi vuoi dire chi cazzo sei?”.

Il volto lupesco, sanguinante in più punti, non smetteva comunque di digrignare i denti affilati. Mentre lo osservava, Wayne notò qualcosa che, fino ad allora, non aveva tenuto in considerazione: l’uniforme del licantropo era totalmente bianca.

Come preso dalle vertigini, il velocista fu costretto a rialzarsi in piedi.

“C-Cosa? Anche tu sei dello Spettro Bianco?”.

Mentre era ancora sotto shock, anche il lupo mannaro aveva ripreso la posizione eretta. Prima che gli andasse contro a fauci spalancate, un proiettile lo perforò in pieno petto.

Risvegliatosi dal suo trauma, il Soggetto N. 9 si voltò nella direzione dello sparo. Un signore sulla cinquantina gli si stava avvicinando con molta cautela.

“T-Tutto bene, figliolo?”.

Lui non rispose ma, invece, tornò ad osservare il suo avversario, sorprendendosi nel vederlo assumere un volto completamente umano. Inoltre, tale viso, aveva per l’americano un che di familiare.“M-Mr. Wayne… è bello rivederla” sospirò il giovane, prima di spirare.

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Capitolo 6
*** Missione Egitto ***


CAPITOLO 6

Missione Egitto”




Egitto

Sulle rive del fiume Nilo, le cui annuali inondazioni rendevano il terreno tutto attorno estremamente fertile, in particolar modo per il grano e simili, stava transitando un giovane pastore, di circa dieci anni, accompagnato dal suo piccolo e ordinato gregge. Il ragazzino, data la sua giovane età, di certo non dava importanza all’attiva naturale di quel fiume, per cui fu scomodata anche una divinità, Hapy, e tanto meno a tutti quegli antichi esseri divini. Fino a quel giorno.

“Di qua… di qua…” indirizzava le sue pecore verso la direzione migliore, aiutandosi con un bastone leggermente curvo, appartenuto da generazioni alla sua famiglia.

Tra queste, vi era un piccolo agnellino che, vista la sua genuina curiosità verso il mondo, appena poteva, si allontanava dai suoi simili. Anche in quel tardo pomeriggio, il quadrupede stava seguendo esclusivamente il suo istinto.

Fortunatamente, anche questa volta, il suo tutore umano se ne accorse in tempo “Dove vai tu, piccolo birbante? Stai insieme alle altre!”.

“Mortale…”.

Una voce profonda, come se provenisse dalle viscere della terra, si fece udire dalle orecchie del bambino. Dopo un iniziale sobbalzo, il piccolo non riuscì a non voltarsi verso ciò che lo stava chiamando, dimenticandosi anche dei suoi animali.

Un uomo stava proprio davanti a lui, sulla sommità di una piccola duna di sabbia. Il suo fisico era asciutto ed abbronzato, tipico di quella terra africana. Il suo vestiario, compresi i vari monili che indossava, emanavo un fascino antico di secoli. Ciò che sconvolse l’egiziano fu però altro: a fissarlo, con uno sguardo fiero e impenetrabile, vi era non un semplice volto umano, come tutti si sarebbero aspettati, ma il muso secco ed allungato di uno sciacallo.

Rimanendo impassibile, quell'essere, metà umano e metà animale, riprese a parlare “Vuoi offrire la tua vita in onore del dio Anubi?”.

Il bimbo non resistette più e, sapendo che in ballo era la sua stessa vita, fuggì via volando quasi sulla sabbia desertica.

Una volta giunto alla sua misera casa, tutte le sue spiegazioni sull'accaduto furono vane, suo padre decise di fargli assaggiare la legge del bastone.


All'interno di un'umida grotta, illuminata soltanto da un caldo falò, vi trovava rifugio la stessa figura mitologica apparsa al povero pastorello.

“... Non avevo mai visto un mortale scappare così velocemente!” esclamò sorpreso, da quanto si poteva intuire dai suoi lineamenti canini.

I suoi interlocutori, nascosti nella penombra, sembravano divertirsi con lui e le sue novelle.

“Folle!”.

Quell'offesa improvvisa richiamò l'attenzione di tutti verso una figura femminile. Quest'ultima presentava caratteristiche simili allo stesso Anubi: il corpo era, in tutto e per tutto, di fisionomia umana. Il suo volto, però, aveva il fascino e la sinuosità dei musi felini.

“Folle di un Anubi! Sai benissimo che i nostri attuali intenti non prevedevano la comparsa di fronte ai mortali!”.

“Placati, Bastet. Nessuno crederà mai alle parole di quel fanciullo”.

“Spero per te, stolto di uno sciacallo, che le tue previsioni siano corrette!” detto ciò, la donna-gatto si ritirò stizzita da quell'atrio naturale.

Giunta in un grande spiazzo libero, sotto i candidi raggi della luna, una signora, dalla bellezza ultraterrena, le si fece vicina.

“I tuoi colleghi ti creano preoccupazioni, mia dolce Bastet?”.

“Mia signora Iside, per me essi sono soltanto degli infimi animali!”.

Come un tuono, una voce esplose dall'alto “Ricordati, Bastat, che, per il nostro destino, abbiamo bisogno anche di quegli infimi animali”.

Un uomo, dalle dimensioni decisamente enormi, si approssimò alle due donne.

“Caro Atum” sorrise serena Iside “Tu riservi sempre infinita pazienza verso tutti noi”.

“Perdonatemi, signori...” richiamò l'attenzione della coppia Bastat “Pare che mio padre sia infine di ritorno”.

Dall'orizzonte scuro, un grande bagliore si faceva, via via, sempre più vicino al particolare trio. Solo quando quella luminosità si trovava a pochi metri dai tre, s'iniziò ad intravedere una figura. Quando i dettagli si facevano sempre più evidenti, una biga trainata da due splendidi cavalli alati atterrò elegantemente al suolo.

Nel frattempo, anche gli occupanti della grotta si era radunati all'esterno. Da quel maestoso veicolo, scese una sfolgorante figura, il corpo da giovane aitante egiziano e il volto fiero da falco. La luminosità che egli emanava, fu contrastata dall'oscurità che fluiva da una seconda persona scesa dal carro. Il fisico esile, fasciato da una tunica integrale bianca, e la pelle di un colore verdognolo, talmente innaturale da far ghiacciare il cuore al primo sguardo, caratterizzavano quell'inquietante figura. Egli si mise di fronte a tutti i presenti.

“Signori” esordì, con voce solenne “siamo appena venuti a conoscenza della sconfitta, avvenuta sull'infame suolo di Waterloo, da parte dei nostri alleati situati in tale zona”.

“Chi è stato così fortunato da poterli sconfiggere?” domandò un altro metà-umano, con il muso allungato di un non ben identificato animale.

“Si tratta delle stesse persone per cui, anche noi, dovremo essere pronti a dare battaglia: i nove mortali prescelti”.

“Quei vili traditori!” imprecò un'altra donna, totalmente umana, ad esclusione delle lunga corna che le spuntavano dal capo.

“Fai silenzio, Hator! Lascia proseguire il sommo Osiride” lo richiamò una fanciulla con, presente sul suo copricapo, una piuma multicolore.

“Ma non temete, miei sudditi. Tali mortali possono anche avere, a loro favore, le capacità dategli in dono dalla cosiddetta scienza, ma non sono niente in confronto ai nostri poteri divini!”


“Johnny...”.

quella voce fu talmente lieve e, allo stesso tempo, cristallina, che all'americano parve di essere stato chiamato direttamente da un angelo. Poi si voltò e vide la francesina.

“Ciao bella! Che succede?”.

“Scusami se ti disturbo, Johnny. È che non so se riesco a reggere ancora questo stile di vita. Tutte quelle morti...”.

“Scusate, piccioncini...” s'intromise tra i due, mentre era ancora in volo, Jack Lincon “ma, se tenete ai vostri corpi giovani ed attraenti, vi conviene rientrare al rifugio”.

“Certo che te Jack sai proprio come rompere le palle, quando ti ci metti!” lo rimproverò stizzito il Soggetto N. 9.

“Piuttosto, come sta la tua gamba?” s'informò la ballerina.

“Oh beh, diciamo che la nostra adorabile Sara ha rivelato delle ottime, quanto insperate, doti mediche” rispose l'inglese mentre, insieme alla coppia, stava raggiungendo a piedi una cascata.

Con apparente normalità, il trio procedeva verso la corrente verticale d'acqua. Quando vi stavano per scontrarsi, il getto fu, come per magia, bloccato temporaneamente. Appena passati i tre mutanti, tutto tornò alla normalità.

Appena giunti, si trovarono davanti un enorme letto operatorio. Su di esso, era adagiato il nerboruto fisico di Geran Giunan, che si presentava a petto nudo. Vicino a lui, la bionda stava praticando un'iniezione nel suo braccio muscoloso.

“Che stai facendo, Sara?” chiese, leggermente preoccupato, il biondo.

“Cerco solo di riadattare al meglio la sua forza sovrumana, onde evitare, durante una missione, spiacevoli conseguenze. Bene, Soggetto N. 5, ora puoi alzarti”.

“Tutto bene, Geran?” gli domandò un'apprensiva Frédérique.

“Non preoccupatevi, l'ho fatto anche per tutelare voi altri” insistette la loro unica ancora di salvezza riguardo quel folle esperimento a cui, nolenti, avevano preso parte.

Notando il sospetto ancora presente nei loro sguardi, lei proseguì “Coraggio, Soggetto N. 5, solleva questo lettino”.

Il pellerossa non controbatté ma, anzi, eseguì l'ordine. In un attimo, sollevò in aria l'oggetto come fosse un semplice foglio di carta.

“Fantastico!” esclamò, estasiato, il dandy moderno “Sembra come l'uomo forzuto di un freak show!”.

“Se vuoi, Soggetto N. 2, posso fare qualcosa anche per le tue capacità...” gli propose, con fare malizioso, la bionda.

A rispondere per il britannico fu, con un urlo che non ammetteva repliche, fu l'altra femmina “Assolutamente no!”.

Tutti si voltarono esterrefatti verso di lei.

“Ma non capite? Questi poteri non ci porteranno altro che guai!”.

Sull'orlo delle lacrime, il Soggetto N. 3 uscì di corsa dalla stanza.

Dalla porta lasciata aperta da quest'ultima, fece capolino l'italiano.

“Ci sono problemi?”.

Senza dargli una risposta, Silvestri riprese la parola “Voi non capite... Lo Spettro Bianco non si risparmierà di certo nel cercare, con i modi più subdoli e letali, di avere le vostre vite, che voi lo vogliate o meno!”

“Ehm... Sara?” cercò di attirare nuovamente l'attenzione, Andrea.

“Cosa c'è, Soggetto n. 4?”.

“Igor sta captando... delle strane voci”.

Allarmati da quelle ultime novità, i quattro raggiunsero la cava più ampia dove, insieme al resto del gruppo, udì il telepate parlare con voce non sua.

“Ai mortali che si fanno chiamare Humana. Vi contattiamo dopo aver saputo della vostra vittoria a Waterloo. Noi siamo una dinastia che si batte a fianco dello Spettro Bianco. Proprio per questo, vi invitiamo, tutti e nove, a raggiungere la nostra terra. All'ombra delle piramidi, si deciderà il vostro fato...”.


“... Se non vi presentate, oltre alla rovina del vostro onore, ne subirete le conseguenze” fu con queste ultime solenni parole, che il grande Osiride concluse il suo messaggio ai propri avversari.

“Discorso magnifico, sommo Osiride.” gli si avvicinò la donna con la piuma in testa “Quegli infedeli di certo non potranno nulla contro la tua ira”.

“Ti ringrazio, Maat” poi, rivolto a tutti i presenti “Ora, perdonatemi. Vado a riposare, in attesa della battaglia”.

Tutte le divinità, mentre lui lasciava il grande spiazzo esterno, s'inginocchiarono rispettose. Una volta tornata in piedi, Maat chiamò a sé Anubi.

“Ho un'importante missione da affidarti, nobile Anubi. Voglio che tu giunga a Waterloo, dove probabilmente si trovano ancora quei miserabili infedeli, e cerchi di sterminare il maggior numero possibile di loro”.

In quel nutrito gruppo di divinità, la più giovane era la tebana Mut che, forse proprio per la sua età, continuava a non vedere di buon occhio l'appoggio dei suoi compagni alla causa dello Spettro Bianco.

Appena ebbe udito, nascosta dietro un angolo buio della caverna, il piano elaborato dalla sua compagna, riuscì a sgattagliolare via, procedendo a grandi falcate verso il resto del gruppo.

“... Per quanto riguarda la nostra lotta contro gli Humana” proseguì Ra.

“... Avrai il nostro appoggio più totale, mio caro” concluse Iside.

“Concordo in pieno con loro!” si aggiunse Seth.

“Mio signore! Mio signore!” irruppe la giovane donna, tutta trafelata.

“Cosa succede, Mut?” la interrogò il dio del sole.

La nuova arrivata, appena ripreso un minimo di fiato, raccontò ai presenti ciò di cui era appena venuta a conoscenza.

“Davvero Maat può aver fatto questo?” esclamò il dio uccello.

“Dobbiamo assolutamente fermarli!” urlò Osiride che, nonostante il suo fisico malfermo, tentò una corsa disperata.

“Non sforzarti, sommo Osiride, lascia che me ne occupi io!” lo bloccò, superandolo, Ra.

Ma la più rapida di tutto fu la stessa donna che li aveva avvertiti del complotto. Appena giunta doveva aveva lasciati gli altri due, vide Anubi fuggir via più veloce del vento, mentre Maat lo salutava con un ghigno beffardo sul volto.

Quest'ultima, appena resosi conto della nuova presenza lì con lei, la richiamò.

“Che succede, Mut? Cosa ci fai tu qui?”.

Mentre la giovane spiegava alla dea della saggezza ciò che lei già sapeva, il carro trainato dai destrieri alati di Ra era già partito all'inseguimento.

Il suo obiettivo, Anubi, si accorse del suo inseguitore dalle grida con cui egli cercava di fermarlo.

“Quel vile Ra!” pensava tra sé il dio sciacallo “Osa metter bocca anche sul mio operato!”.

Alle sue spalle, anche la testa piumata era scombussolata da mille pensieri “Davvero Anubi non riesce a sentirmi? Oppure è solo preda della sua proverbiale cocciutaggine? Comunque sia, questa fuga assurda deve aver termine!”.

In un lampo, la biga sfrecciò davanti alla sua preda e, mettendosi di traverso davanti ad esso, ne placò infine la corsa.

“Bada Ra!” lo avvertì il fuggiasco “Non osare metterti contro la mia forza!”.

Detto ciò, si preparava a sferrare un attacco con la sua arma più potente, la lancia di Anubi.

Ma il suo avversario fu più lesto e, usando un Ankh magico stretto nella sua mano, riuscì a disarmare il rivale e, infine, ad immobilizzarlo.

Mentre il dio del sole tornava vittorioso dalla sua missione, alla caverna era in atto un vero e proprio processo nei confronti della dea Maat.

“... Ma è possibile che non comprendiate quanto sta succedendo?” si difendeva l'accusata “Questa è una guerra! In guerra tutto è lecito purché non porti alla sconfitta! Come puoi non comprendere le mie azioni, sommo Osiride?”.

“Sto solo avvertendoti che così è agire da vigliacchi, e non da divinità!”.

“Se così può agire una dea, allora non è da vigliacchi!” gridato ciò, la donna si allontanò infuriata.

Nella sua stessa direzione, qualche metro più avanti, era infine stato rilasciato il possibile dio traditore, dopo una nuova ramanzina da parte di Ra.

Qualche istante dopo, i due complottisti si trovarono nuovamente una di fronte all'altro.

“Ora più che mai, caro Anubi, sono convinta che, solo i più meritevoli di noi, meriterebbero poteri più divini. Magari un modo ci sarebbe...”.

Con queste ultime parole, i due si allontanarono, sotto gli occhi nascosti della stessa Mut. Come fatto poc'anzi, la giovane dea avvertì gli altri.

“Dunque Maat pensa di poter potenziare quel vile di Anubi!” espose la questione Ra.

“Cosa facciamo, sommo Osiride?” chiese preoccupato Seth.

“Per il momento,” gli rispose l'interpellato “riuniamoci dove nessuno possa udirci”.

Anche la ragazza si apprestava a seguire il gruppo, quando la divina Iside bloccò il suo intento.

“Giovane Mut, tuo sarà il compito di avvisarci ogni qual volta viene a conoscenza di ulteriori piani cospiratori. Ma, per il momento, lasciaci da soli”.

Com'è facile immaginare, queste parole non fecero certo piacere alla tebana.


Sott'acqua.

Un nero sottomarino scivolava silenziosamente tra i flussi presenti nelle profondità dell'oceano. Al suo interno nove mutanti ed un umana.

“... Proseguiamo così, in direzione Egitto” ordinò Sara al suo equipaggio.

“Il radar segnala qualcosa, Sara” lo avvisò il suo connazionale.

“Quanti sono?” domandò Juna.

“Dovrebbero essere cinque” gli rispose il ragazzo davanti ai monitor.

“Che sia lo Spettro Bianco?” ipotizzò Bernardo.

“Oppure di qualche nazionalità autentica” aggiunse Johnny.

La curiosità serpeggiò in tutti i presenti. In particolare, la francesina aveva i mezzi per soddisfarla. Dopo una rapida occhiata con la vista a raggi x, informò gli altri “Sono americani”.

Passato qualche secondo, una comunicazione, in lingua inglese, risuonò negli altoparlanti del sommergibile.

Appena la voce metallica cessò, Wayne tradusse per i suoi compagni “Vogliono che ci identifichiamo a loro”.

“Cosa si fa?” chiese repentino Alberti.

Dopo qualche attimo di riflessione, fu la loro superiore a parlare “Non abbiamo né mezzi a sufficienza né le giuste motivazioni per affrontarli, dunque cerchiamo di mettere in atto una rapida fuga!”.

“180 gradi a babordo, Berny” esclamò serio Lincon.

“E tu pensi che io sappia cosa vuol dire babordo?!” replicò, ad un passo dal panico, Borghi.

“Sbrigatevi ragazzi!” urlò Arone, fissando apparentemente le pareti metalliche dell'abitacolo “Si stanno mettendo tutti attorno a noi!”.

“Ci stanno accerchiando, è la mossa più logica da fare” sembrò apprezzare l'ex-militare.

“Motori a massima potenza!” gridò infuriata Silvestri.

“Un attimo, Sara. Il radar ne ha rivelati altri tre!” informò nuovamente l'italiano.

“Andrea ha ragione!” confermò Frédérique “Questi però sembrano russi”.

“Ci mancava un'altra guerra fredda!” ironizzò a denti stretti Johnny.

“Allora ci rimane una sola via di fuga: Scendiamo in profondità!” sentenziò la bionda.

Mentre il messicano pregava per la sua personale salvezza, il sottomarino eseguì la manovra con grande rapidità, nonostante ai comandi non ci fosse effettivamente nessuno degli Humana.

Quando fu tornata la quieta, a parlare fu inaspettatamente l'indiano.

“Per raggiungere l'Egitto, dovremmo passare dallo stretto di Gibilterra...”.

Tutti tacquero, ancora sorpresi.

“Oppure risalire direttamente dal Nilo” concluse il pellerossa.

“Come facciamo a passare con il nostro sottomarino dentro un fiume, sebbene sia il Nilo?” chiese preoccupato lo statunitense.

“Un modo ci sarebbe...” esordì Sara.

Tutti i presenti si voltarono verso di lei.

“Siamo quasi certi che lo stesso Spettro Bianco abbia costruito, in molte delle profondità oceaniche presenti nel nostro pianeta, dei delle lunghe cavità sotterranea, con le quali raggiungere qualsiasi località del nostro globo. L'unica difficoltà sarà però affrontare le correnti sottomarine...”.

“Correnti sottomarine?” gli fece eco il baffuto.

“Esatto. Correnti marine molto più impetuoso di quelle presenti in superficie. Però, se riusciamo a fare un giusto calcolo relativo alla bassa ed alta marea, possiamo sperare di passare quando esse sono più deboli”.

“Pare proprio che non abbiamo altra scelta.” si espresse l'ex-pilota “Soprattutto sapendo che gli egizi ci hanno già dato l'ultimatum”.

“È deciso: passiamo per il tunnel!” concluse decisa Sara.

Nel mentre, il messicano si rimise a pregare.


Adeguandosi a quanto calcolato dalla responsabile del gruppo, l'attraversata del canale sembrò non presentare particolari insidie. Improvvisamente, tutto iniziò a tremare.

“Per Diana! Non avevi detto di essere certa dei tuoi calcoli, Sara?!” la richiamò l'inglese.

“Infatti è così! Io stessa non capisco cosa stia succedendo!” replicò lei.

“T-Tutto sta t-tremando” osservò Chang, mentre il suo fisico corpulento vibrava esageratamente.

“Voi esseri civilizzati pensate sempre di poter capire la natura!” sbottò l'africano “Ma è lei che alla fine comanda su qualsiasi cosa!”.

Dei massi di notevoli dimensioni iniziarono a colpire il veicolo. Al suo interno, tutto l'equipaggio veniva sballottato con violenza da un parte all'altra.

“Questa è davvero la fine!” sentenziò un Soggetto N. 7 ormai arresosi al suo destino.

“Stupido stolto!” controbatté il n. 6 “Tu almeno puoi tramutarti in palla, onde evitare questi urti!”.

Intanto, l'italiano era sempre più terrorizzato “La struttura esterna sta subendo danni di gravità sempre più maggiore. Di questo passo, non so quanto ci rimane prima di iniziare ad imbarcare acqua!”.

“Possibile che non ci sia un modo per salvarci?!” urlò disperato il britannico.

Un'illuminazione improvvisa colpì il Soggetto N. 9 “Possiamo cercare di tappare un'estremità del tunnel...”.

“Come idea è corretta” confermò Silvestri “Però, con tale corrente, non sappiamo con certezza dove andranno a colpire i nostri missili”.

“Confermo” si aggiunse il connazionale.

“Potrei provarci io...”.

Tutti si voltarono verso il membro più giovane della squadra.

“Con il mio potere, cercherò di indirizzare i missili verso i loro giusti obiettivi”.

Gli Humana rimasero in silenzio.

“Tentar non nuoce” fece un mezzo sorriso il Soggetto N. 4.

Appena rilasciate le testate esplosive, quest'ultimo ordinò al russo di colpire il soffitto roccioso che avevano sopra di loro.

Nel frattempo, il messicano riprese le sue preghiere. Per poi bloccarle.

“S-Siamo salvi?”.

Uno sguardo terrorizzato comparve sul dolce volto del Soggetto N. 3 “Sta collassando tutto!”.

Questa volta, furono tutti i presenti a pregare per la loro salvezza.

Come fosse un miracolo, il sommergibile partì a gran velocità, raggiungendo infine il termine del tunnel sotterraneo, tra le urla di giubilo dei suoi occupanti.


Egitto

La giovane tebana Mut si stava avvicinando ad un uomo, seduto sulla riva del mare, dalla pelle di un cupo blu cobalto.

“Mio caro Amon, cosa vi preoccupa così terribilmente?”.

Egli non rispose ma, d'un tratto, si alzò in piedi, fissando serio l'orizzonte.

La giovane seguì il suo esempio e, con suo grande stupore, si trovò di fronte delle persone vestite di rosso e giallo.

Il primo ad attaccare fu Bernardo che, in un attimo, gonfiò il suo corpo normalmente esile, per meglio affrontare la lotta con l'essere blu.

Appena afferratogli un braccio, si accorse che esso assumeva, senza alcuna difficoltà, la forma che la pressione delle sue dita gli procurava.

“Pare fatto di gomma!” informò gli altri.

L'egiziana tentò la fuga ma, grazie alla sua supervelocità, l'americano gli fu subito addosso.

“Ferma dove sei, tesoro” poi, notando qualche strano luccichio nel suo curioso copricapo “Aspetta un attimo... ma questa è una ricetrasmittente! Hai già chiamato rinforzi? Rispondi, puttana!”.

“Fermati, Johnny! Cosa la spaventerai!” tentò di farlo ragionare l'ex-ballerina.


D'improvviso, un tonante rumore di zoccoli si fece sempre più udibile. A cavallo di un bianco destriero, Bastet guidava la carica ad un branco di pantere nere.

“Così, vili, vi siete infine presentati a cospetto della vostra morte!”.


“Lasciala stare, Johnny! Pensiamo piuttosto ad aiutare i nostri compagni!” insistette Frédérique.

“Ma così avvertirà ulteriori rinforzi!” controbatté l'uomo, tenendo ancora ben stretta la sua prigioniera.

“Non capisci... se continui così, potresti anche ucciderla!”.

I due si fissarono per qualche secondo.

Dopo ciò, il velocista lasciò la presa. Di nuovo libera, l'egiziana fece qualche piccolo passo in avanti, per poi venir colpita rapidamente alla nuca.

“Cosa fai Johnny?!”.

“Tranquilla, è solo svenuta”.


Intanto, la lotta fra i due mutaforma proseguiva. I loro corpi si attorcigliavano come fossero una ghirlanda umana. Dopo infiniti minuti di stallo, Amon riuscì a scaraventare il suo avversario giù da un piccolo dirupo. Senza attendere che quest'ultimo si riprendesse, la divinità sollevò un pesante masso, per poi lanciarglielo contro. Ripeté l'azione con tutte le enormi pietre che aveva nelle vicinanze.

Una volta certo che tutto fosse immobile, si voltò per occuparsi anche degli altri mutanti. A sua insaputa, però, un piccolo serpentello si faceva largo fra le rocce. Tornato ad una forma umana, fu la sua volta di lanciargli addosso un masso. Colpito in pieno alla schiena, l'egizio crollò esanime al suolo.


Mentre la coppia stava proseguendo nel bisticciare come fidanzatini, davanti a loro si parò la figura con la pelle blu cobalto.

“Bastardo! Cosa hai fatto a Berny?” lo aggredì verbalmente il biondo, pronto a scattare all'attacco.

“Calmati, Johnny! Sono io Berny, il re del camuffamento!” il nemico si espresse con un chiaro accento spagnolo.

“Fantastico! Così potresti penetrare nel loro covo e sconfiggerli dall'interno!” lo acclamò Wayne.

“Mi chiedo però quale sia il loro reale piano?” si chiedeva Arone “Di certo sappiamo che sono molto meno divinità di quanto appaiano”.

Il loro briefing fu di breve durata, dato che si trovarono davanti la donna-gatto ed il suo esercito animale.

Furtive come nella loro natura, le pantera si mossero attorno a loro, accerchiandoli.

La prima attaccò rapida ma, con altrettanta rapidità, il Soggetto N. 9 difese se stesso ed i suoi compagni.

Visto lo stallo del combattimento, Bastet sollevò in aria il suo Ankh. Da esso, si emanò una luce abbagliante, che disorientò i tre mutanti.

Approfittando della situazione, l'egiziana sferrò una lancia verso il biondo del trio, colpendolo in pieno petto.

O meglio, così sembrò, data l'immagine residua del velocista ma, una volta scomparsa, la lancia finì la sua corsa contro uno dei grandi felini a suo servizio.

Intanto, una di esse si era avventata sulla malleabile epidermide del Soggetto N. 7, non provocandogli alcun tipo di ferite.

Johnny era di nuovo in moto e, in un lampo, mise il Soggetto N. 3 al sicuro nelle vicinanze della sfida. Fatto ciò, tornò a competere con le pantere che, con sua grande sorpresa, sembravano avvicinarsi sempre più alla sua velocità ultraterrena. Rimanendo leggermente ferito al braccio destro, riuscì finalmente ad abbatterle tutte, potendosi così concentrare esclusivamente sulla donna-gatto.

Come ebbe subito modo di scoprire, la croce ansata in possesso della divinità, oltre al raggio luminoso di poc'anzi, riusciva ad emetter anche un vero e proprio colpo calorifico. I massi da esso colpito, si scioglievano come neve al sole. Inoltre, l'egizia riusciva ella stessa ad accelerare a grandi velocità.

“Ci deve pur essere un modo per batterla!” pensò tra sé lo statunitense.

Visto il nuovo stallo fra i due duellanti, Bastet cambiò di colpo obiettivo. Con un lungo balzò si posizionò accanto a Frédérique, nascosta tra le rocce.

Prima che quest'ultima potesse muovere anche solo un muscolo, le piantò un pugnale alla gola.

“Fermati, mutante! Altrimenti questa donna pagherà per prima le vostre colpe!”.

Ubbidendo alle sue richieste, Il Soggetto N. 9, la vide alzare nuovamente in aria la sua chiave della vita, che si stava già illuminando, apprestandosi a rilasciare il raggio mortale.

Improvvisamente, la giovane Mut spinse con tutte le sue forze la sua compagna in avanti. La donna-gatto volò giù nel vuoto, atterrando violentemente sulla ghiaia.


Finalmente riunitisi, i mutanti stavano scegliendo il loro prossimo piano di azione.

“Ed ora cosa facciamo?” domandò Bernardo, che si stava presentava ancora con le sembianze del suo precedente avversario.

“Non ci resta che entrare nella grotta. Anche perché Frédérique su di essa non riesce ad utilizzare la sua vista a raggi x” lo informò Johnny.

“Esatto.” Confermò lei “Ma con l'aiuto di Mut abbiamo sicuramente più possibilità di vittoria!” indicando la loro nuova alleata.

“Cosa?” sbottò il messicano “Come potete fidarvi di una di loro?”.

La giovane, a quelle ultime parole, sbottò “Come osi dire ciò, Amon? È evidente che sei stato tu il primo a tradire la nostra razza”.

Sul momento, il trio rimase un po' basito, per poi comprendere la truffa che stava subendo inconsciamente l'egiziana. Fu allora che la francesina ebbe un'idea.

“Giusto! Potrei entrare là dentro come prigioniera!”.

“Cosa?” gridarono all'unisono i due maschi.

“Ma sì!” proseguì lei “Berny, sempre camuffato con la pelle blu, mi porterà la dentro come sua rivale battuta!”.

Ora il resto del gruppo aveva compreso finalmente il piano. Tutti tranne la giovane dea.

Ci volle ancora qualche minuto per convincere il Soggetto N. 9 sull'efficienza del loro progetto. Infine, decisero di attuarlo.


“Sarà davvero tutto così semplice?” si chiedeva mentalmente l'unico rimasto nella spiaggia.

O almeno così credeva di essere, finché non udì un eccessivo scricchiolio di sassi alle sue spalle. In un attimo si trovò davanti niente meno che il venerabile Anubi.

Quest'ultimo non ebbe tempo di reagire che gli arrivò un potente destro sul muso canino. Volato a metri di distanza, l'avversario era esanime al suolo. Avvicinatosi leggermente per constatarlo, con gran rapidità, l'uomo-cane si avventò sulla gamba destra del velocista. Wayne, urlando dal dolore, si liberò infine con un calcio della gamba libera da quella stretta dolorosa.

Approfittando di questo momentaneo vantaggio, l'egiziano si rimise in piedi. Onde evitare il proseguire di quella sfida, nonostante il dolore lancinante all'arto offeso, lo statunitense si gettò contro il nemico, facendolo precipitare direttamente nell'oceano.

“Che figlio di puttana!” imprecò rabbioso il vincitore “Se non altro non ha avvertito i suoi compagni”.

Trovando un inaspettato relax, rimirando le onde marine, di colpo, il biondo percepì una nuova presenza alla sua sinistra. Voltatosi, si trovò davanti una donna dalla bellezza davvero ultraterrena.

Balbettando vistosamente, le parlò “S-Sei una di loro?”.

La donna, fissandolo con uno sguardo magnetico, gli rispose “Io sono la somma Iside”.

Pronunciate queste parole, la terra iniziò a tremare. Il Soggetto N. 9 difficilmente riuscì a tenersi in in piedi mentre, proprio di fronte a lui, comparve dagli abissi terrestri una piramide, alta circa tre metri. La dea vi entrò dentro, tramite un'apertura presente dal suo lato, che poi immediatamente ri richiuse.

Mentre il mutante era ancora sbigottito, una voce si udì nell'aria.

“Non pensare, misero mortale, che questa sia una semplice piramide”.

Johnny cercava di intuire da dove provenisse quell'avvertimento, quando vide scintillare la punta di quella singolare struttura. Grazie ai suoi riflessi accelerati, evitò per un pelo un raggio laser diretto nei suoi confronti.

“Puoi correre dove vuoi, tanto saprò sempre dove ti nascondi”.

Disorientato dalla polvere presente nell'aria, causata dall'impatto del raggio contro il suolo roccioso, l'americano decise di trovare rifugio in acqua.

L'attesa divenne sempre più estenuante da ambo le parti. Improvvisamente, con un enorme spruzzo di schiuma marina, il velocista riuscì a raggiungere la cima della piramide, aggrappandosi ad essa. Per sua fortuna, in quella posizione e con quella angolazione, il laser non riusciva a colpirlo, nonostante ripetuti tentativi.

Il mutante stava ancora riprendendo fiato quando percepì tutta la struttura vibrare. Con grande leggerezza, la base quadrata si staccò dal suolo. Una volta a mezz'aria, la figura iniziò a ruotare, facendo finire il suo obiettivo a testa in giù e con il mantello giallo penzoloni. Avendo ora contro anche la forza di gravità, le mani di Wayne scivolarono sulla parete liscia a cui si era ancorato, per poi finire nuovamente disteso a terra.

Con la testa che ancora gli girava, squadrò in alto, giusto in tempo per vedere la punta acuminata piombargli addosso. Ancora una volta, la sua velocità sovrumana gli salvò la vita. Appena frenatosi, notò delle lievi fessure sulla superficie uniforme della piramide rovesciata, ora conficcatasi al suolo.

Come un fulmine si abbatté contro l'entrata mimetizzata, trovandosi nuovamente davanti la donna, che lo fissava con sguardo realmente spaventato.

Quasi a tranquillizzarla, lui pronunciò “Non preoccuparti, non ti ucciderò”.

Prima che ella potesse proferir parola, il biondo la colpì leggermente dietro la nuca, facendole perdere i sensi istantaneamente. L'eroe fece appena in tempo a portarla fuori dalla piramide che quest'ultima, con un gran boato, esplose in mille pezzi.


“... Venerabile Amon, mi complimento con te per la cattura di uno dei nostri nemici mortali” si complimentò Maat, fissando con i suoi occhi scuri l'uomo dalla pelle blu.

Quest'ultimo, che a suo fianco aveva un'altra divinità, Osiride, altri non era che il Soggetto N. 7 sotto copertura.

“Scusi se la interrompo, Venerabile Maat, ma ho urgenza di parlare con lei!”.

Ad esclamare ciò era un redivivo Anubi, appena comparso nel grande spiazzo all'interno della grotta.

I due si defilarono per poter confabulare senza essere uditi dal resto dei presenti. Una volta terminata il loro confronto, la donna dalla testa piumata si avvicinò alla sua connazionale.

“Dimmi, somma Osiride, quali sono le capacità elevate della prigioniera?”.

“Per quanto ne sappiamo, la mortale ha multiple qualità riguardanti la propria vista”.

La richiedente si fece pensierosa. D'improvviso si rivolse al falso alleato “Dimmi, Amon, Anubi mi ha appena riferito che, durante la battaglia, oltre al suo miracoloso salvataggio da morte certa, c'è da registrare la perdita di Bastet e la distruzione della piramide di Iside. Per quanto riguarda la tua presenza, invece, non gli risultano alcune informazioni utili. Perciò ti domando: sei davvero tu il responsabile di questa cattura?”.

“B-Beh...” la voce di Borghi si fece sempre più flebile “... diciamo che sono stato fortunato! Ho approfittato che i suoi compagni erano impegnati per poterla così catturare tranquillamente”.

La divinità non sembrò affatto rincuorata “Sappi che, se osi mentirmi, la tua fine sarà così orrenda da non poter essere mai narrata!”.

Esclamando ciò, gli afferrò forte la spalla che, grazie alla propria elasticità, subì senza alcun danno la pressione delle sue dita.


All'esterno della struttura rocciosa, il Soggetto N. 9 era sempre più indeciso sul da farsi.

“Possibile che ci mettano tanto? E e gli fosse successo qualcosa? Forse mi conviene entrare per dare un'occhiata? Oppure seguo il piano e aspetto un segnale da parte loro?”.

Nei limpidi cieli africani, non visto dal mutante a terra, faceva la sua comparsa un nuovo dio. Esso aveva il viso simile ad un volatile tipico delle rive del Nilo, l'ibis. Notata la presenza della persona in rosso e giallo, sfrecciò dentro la caverna, passando da un grande foro presente sulla sommità.


Una volta dentro, raggiunse planando i presenti.

“Sommo Thot, è un onore averla con noi” lo salutò Maat poi, appena che questo gli ebbe bisbigliato qualcosa all'orecchio, tornò a fissare severa il falso Amon.

“Il venerabile Thot mi ha appena informato delle presenza di uno di questi miserabili umani, esattamente all'esterno della nostra dimora. Eppure mi avevi detto che gli altri si erano tutti ritirati...”.

il mutaforma, sempre più nel panico, tentò di inventarsi nuovi alibi “B-Beh io lo supponevo... dato che in fondo mi sono occupato soltanto della francese”.

Tutti gli dei presenti, compreso l'appena giunto Ra, rimasero sorpresi da queste ultime rivelazioni.

“Come fai a sapere la nazionalità della prigioniera?” incalzò nuovamente l'egiziana.

Il Soggetto n. 7 era al limite della resa. Con il sudore che imperlava la sua pelle color cobalto, tentò una risposta “L'ho intuito dal suo accento!”.

“Vi è qualcosa nel sommo Amon di alquanto sospetto...” rifletteva un sempre più scettico Osiride.

Improvvisamente, l'indagatore cambiò indagato “Tu cos'hai da dire, misera mortale? Che fine hanno fatto i tuoi simili?”.

“Non saprei” rispose rapida l'interpellata “Appena arrivati qua, ci siamo divisi e, purtroppo, io sono stata catturata da questa specie di puffo gigante”.

Rimasti spiazzati da quest'ultimo termine, a loro totalmente ignoto, gli dei furono ridestati dal suono di un allarme.

“L'invasore si è avvicinato troppo alla nostra dimora!” urlò Ra, mentre si metteva subito in azione.

La sempre più rabbiosa Maat, per evitare di perdere completamente la pazienza, si rivolse ad Osiride “Divino Osiride, cosa ne facciamo dunque dei prigionieri?”.

“Per il momento, venerabile Maat, rinchiudiamoli nelle nostre prigioni, poi decideremo il da farsi” fu l'ordine lapidario dell'uomo dalla pelle verdastra.


A scortare i prigionieri verso i sotterranei fu, oltre al falso Amon e la giovane Mut, lo stesso Osiride. Quest'ultimo, improvvisamente, ruppe il silenzio.

“Se la memoria non mi tradisce, tu dovresti essere il messicano?”.

I due mutanti si bloccarono di colpo, ormai totalmente scoperti.

“Immagino che” riprese l'egizio “ dato l'inutilità dell'altrimenti portentosa vista della francese, abbiate messo su questa messinscena per entrare qua dentro”.

“Noi...” sillabò appena il Soggetto N. 3.

“Tranquilla, giovane mortale, io sono il dio sia della morte che della vita, non sarà esclusivamente una mia scelta il vostro fato”.

Dopo questa velata minaccia, la donna si decise a parlare.

“Non so quali siano gli accordi che avete con lo Spettro Bianco ma, fidati, abbiamo le nostre ragioni per eliminare questa lurida organizzazione”.

“Che tu ci creda o no, giovane mortale, comprendo le vostre ragioni. Perciò ti chiedo, a sua volta, di comprendere le mie. Quelli che per voi sono nemici, per me sono fedeli alleati”.

Nell'udire queste ultime parole, gli occhi di Frédérique effettuarono un rapido movimento.

“Anche quelli che ti controllano cercando di non farsi scoprire?”.

Questa volta fu l'egiziano a rimanere sorpreso “Cosa vorresti dire?”.

“Da quando ci stai accompagnando, c'è un tizio con la faccia da falco che ci sta seguendo di nascosto!” urlò lei, indicandogli la posizione.

Il divino Horus, sentendosi scoperto, tentò una fuga disperata attraverso i corridoi rocciosi. Il Soggetto N. 7, tramutandosi in rondine, partì al suo inseguimento.


All'esterno, Johnny aveva appena terminato il suo superveloce giro di perlustrazione attorno alla base.

“Aspetta, mortale! Hai di fronte a te il sommo Ra. Posso sapere il tuo nome?”.

L'americano fissava attento la figura dalla testa aquilina “Jo... cioè, voglio dire Soggetto N. 9”.

“Bene. Ora il nostro duello può cominciare”.

Appena pronunciate tali parole, i due sfidanti scomparvero dalla vista umana, ingaggiando un cruento corpo a corpo alla velocità della luce.


Nei sotterranei, la rondine sfiorò la spalla sinistra di Mut, inseguendo la spia divina che, con gran sorpresa del mutante, si rivelò davvero un bersaglio scomodo.


All'esterno, i due velocisti ci misero poco a notare che le loro due forze si equivalevano. Trovatisi uno di fronte all'altro, l'egiziano riprese la parola.

“Questo duello è inutile. Finché rimango in questa condizione rischieremo soltanto di rimaner sconfitti entrambi”.

“Che vuoi dire?” gli domandò l'avversario.

Per tutta risposta, il corpo della divinità iniziò a brillare, sempre più, finché non prese letteralmente fuoco.

“Ma che cazzo?!” imprecò un Wayne sempre più preoccupato.

“Sarà il fuoco divino a decretare la tua sconfitta, sciocco mortale!” parlò il fuoco vivente.

Alzando un suo braccio, sprigionò da esso una vampata che lo statunitense fece appena in tempo ad evitare.


Nei sotterranei, l'inseguimento tra i due nemici aveva preso dei connotati decisamente comici, con Borghi che, in un determinato momento, si era trovato con il becco conficcato nella dura roccia.

Fra i due litiganti, fu presto coinvolta anche Mut, come fosse una baby-sitter alle prese con due pestiferi monelli.


Fuori, Johnny si trovò improvvisamente con i piedi sul ciglio di un dirupo, sotto l'azzurra distesa del mare. Questi secondi di indecisione gli furono fatali, dato che fu colpito da una nuova fiammata.

Qualche metro più indietro, il divino Ra sentenziò “Che il nostro sommo Osiride possa essere così clemente da accogliere la tua anima nel suo regno”.

Sulla riva del Mar Egeo, la sua sposa e sorella Iside sembrava alquanto rattristata.

“Che davvero quel giovane sia infine morto?” si chiedeva tra sé e sé.

Con una decisione improvvisa, la dea si tuffò tra le acque. Nelle profondità marine, una volta individuato il corpo esanime del mutante, lo recuperò, per poi adagiarlo sul suolo sabbioso.

“Oh dei! Questo giovane è ancora vivo!” esclamò entusiasta.

Come risvegliato da quell'urlo liberatorio, il biondo, dopo aver sputato dell'acqua salata, sospirò “D-Dove sono? Te bella chi sei?”.

“Non ricordi, giovane mortale? Io sono la venerabile Iside. Abbiamo combattuto e tu, pur vincitore, hai avuto pietà di me. Di ciò, io non me ne sono dimenticata, per cui, posso sapere dove si trovano gli altri tuoi compagni?”.

“E perché dovrei fidarmi di te?” controbatté l'americano.

“Comprendo la tua giusta diffidenza, ma, se lasci le cose così come sono, ti aspetta soltanto la morte”.

L'uomo la fissò ancora sospettoso per alcuni minuti, poi bisbigliò “A tre chilometri dalla costa, in direzione nord-est”.

Dopo averlo inaspettatamente ringraziato, la donna si rituffò nell'oceano.


Dentro la grotta sacra, i prigionieri erano infine giunti alle proprie galere.

“Finalmente vi abbiamo, luridi mutanti!” sentenziò una trionfante Maat “Giusto per scoraggiare una vostra possibile fuga, quelle sbarre naturali che avete davanti sono formate da roccia sacra...”.

Non avendo mai dato importanza a tali credenze, Bernardo provò comunque ad afferrare quella grande stalagmite calcarea che aveva di fronte. Le sue mani furono folgorate in un attimo da una potente scossa elettrica. Per sua fortuna, il messicano lasciò immediatamente la presa.

“Così impari a non credermi, sciocco mortale” riprese la divinità “D'ora in avanti, il vostro ruolo sarà quello di esche per i vostri compagni” poi, fissando il Soggetto N. 3 “Magari, per semplificare i nostri compiti, la vostra francese, con la sua visione avanzata, potrà avvertirci in anticipo di una loro venuta...”.

Mentre la loro guardiana proseguiva, una terza prigioniera si fece avanti “Somma Maat, ancora non comprendo la motivazione di una mia prigionia!”.

“È inutile che prosegui con la tua recita, Mut, ho perfettamente compreso le tue intenzioni di rivoltarti contro di noi”.

Di fianco all'esaltata carceraria, vi era un Osiride con lo sguardo sempre più preoccupato.

“Divino Osiride” le si rivolse l'alleata “Confido anche in lei per la sorveglianza di questi mortali infedeli”.


Nelle profondità sottomarine, uno scuro sommergibile attendeva silenzioso. Al suo esterno, due uomini che rispondevano al nome di Juna e Chang, quest'ultimo con l'ausilio di bombole di ossigeno, attendavano un non meglio specificato visitatore. Ad un certo punto, si videro comparire davanti una donna dalle sembianze divine. Ancora ammaliati dalla sua bellezza, si accorsero dopo della presenza, abbracciata a lei, del loro amico Johnny.

“Ferma là! Chi sei? Che ci fa il Soggetto N. 9 con te?” le domandò l'unico, dei due mutanti, in grado di comunicare sott'acqua.

“Voi siete i suoi compagni? Per favore, credetemi, dovete medicarlo il prima possibile, poiché ha combattuto una dura battaglia!” tentò di spiegarsi Iside.

La coppia in rosso e giallo si fisso per qualche attimo.

Alla fine, l'africano prese la sua decisione “Va bene. Seguimi che lo portiamo dentro”.

Mentre l'egiziana obbediva agli ordini, qualcosa sembrò attirare l'attenzione del cinese. Non curante del fatto che si stava allontanando dalla sua squadra, nuotò nella direzione che conduceva alla costa. Improvvisamente, tutta l'acqua attorno a lui si mise a vibrare. Ancora disorientato da quella muta confusione, vide scendere dall'alto un enorme piede umano. Scuotendo la testa, pensando di essere vittima di allucinazioni, il Soggetto N. 6 decise infine di emergere. Davanti a sé vide un'enorme persona, vestita anch'egli come un antico egizio.


Nel giro di pochi secondi, ancora shockato dall'accaduto, l'asiatico riuscì a raggiungere gli altri Humana, per riferir loro tutto quanto. Lì per lì perplessi, bene presto furono costretti a credere nelle sue parole, osservando il nuovo avversario da un monitor.

“Oh cazzo!” imprecò Andrea.

Chi non perse lucidità fu Sara che, immediatamente, ordinò “Motori indietro tutta! Andiamo via di qua!”.

Purtroppo l'equipaggio non fu altrettanto rapido ed Atum afferrò saldamente il sottomarino, quasi fosse un semplice giocattolo da bambini.

Al suo interno, il Soggetto N. 4 tentò il passaggio all'offensiva “Non mi farò prendere così facilmente, fuori i siluri!”.

Nonostante il bersaglio fu colpito in pieno, il gigante non parve minimamente scalfito da ciò. Dopo aver lasciato d'istinto la presa, si rigettò nuovamente su di loro quando, d'improvviso, fu visto cadere all'indietro.

“Ma cosa gli è successo?” domandò sorpreso Jack attaccato, come gli altri, al monitor che trasmetteva le immagini della sfida.

“Sarà inciampato?” ipotizzò dubbioso l'italiano.

“Proviamo a zoomare verso i piedi” informò il gruppo la bionda.

Strizzando bene gli occhi, per mettere bene a fuoco lo schermo, Chang esclamò “Ma è Geran!”.

In effetti, le immagini, sebbene leggermente sfocate, mostravano l'indiano usare tutta la sua forza erculea contro il titanico avversario.

Fu allora che Silvestri riprese a dare ordini “Soggetto N. 4, lascio a te i comandi del veicolo, io vado a controllare le condizioni del Soggetto N. 9”.

“Ricevuto!” rispose serio l'ex-militare “Cercherò di nascondermi all'interno di una fossa oceanica”.

Inabissandosi sempre di più, il sommergibile riuscì a far perdere le sue tracce. Ciò fece infuriare il gigante che, come imbizzarrito, iniziò a pestare potenti colpi al suolo, provocando a sua volta smottamenti pericolosi per il gruppo Humana.

Notando tale pericolosità, il Soggetto N. 5 andò nuovamente all'attacco, colpendo con ripetuti diretti la schiena dell'avversario.

Questo si voltò dicendogli “Ferma il tuo attacco, se tieni alla vita”.

Nel mentre, fece partire un colpo a mano aperta che, nonostante fosse rallentato dalla gravità ridotta presente nell'ambiente, colpì in pieno il mutante, premendolo contro un masso sottomarino.

Nel frattempo, dentro l'abitacolo metallico, gli occupanti erano vittime impotenti di una pioggia continua di sassi, dovuta allo smottamento provocato dal duello soprastante.

“Signori,” richiamò l'attenzione di tutti il Soggetto N. 2 “l'unica cosa che ci rimane da fare e abbandonare la nave!”.

“E Giunan?” ribatté lo zairese “Non possiamo lasciarlo qua giù!”.

“Ora basta!”.

Tutti i presenti si voltarono verso colui che aveva appena urlato rabbioso: Andrea Alberti.

“Io non ci sto a fare questa fine! Se proprio devo morire, lo farò combattendo!” poi, rivolto agli altri tre vestiti in rosso e giallo “E voi, se davvero avete le palle, uscirete con me!”.

Senza dargli alcuna risposta, i quattro si diressero verso la scala che portava all'uscita, finché Sara si posizionò davanti a loro.

“Fermi! Cosa avete intenzione di fare?”.

“Lo sai benissimo, Sara”.

I due italiani si fissarono dritti negli occhi. Infine la bionda si fece da parte.

“Andate pure. Io starò qua con Igor e lei a controllare Johnny”.


Una volta fuori, il quartetto riuscì, evitando massi fortunatamente rallentati dall'acqua, ad accerchiare Atum. I Soggetti N. 4 e 6 fecero fuoco grazie alle loro capacità.

Ma il gigante, ancora incolume, iniziò a roteare su stesso, provocando un istantanea tromba marina. I mutanti furono sballottati fin nel fondale.


I pochi rimasti dentro il sottomarino erano nel più totale silenzio. Di colpo, l'egiziana prese a muoversi.

“Dove stai andando?” la interrogò Sara.

“Vado fuori”.

“Cosa?”.

“Ragiona, stupida mortale, io sono l'unica tra i presenti a poter far ragionare il venerabile Atum”.

Concludendo che le ragioni erano giuste, l'umana non si intromise più.


Nel mentre, i quattro sopravvissuti avevano trovato riparo dentro un'insenatura negli abissi.

“Ed ora cosa facciamo?” chiese un esausto Juna.

“Se proviamo nuovamente ad attaccarlo, c'è rischio che davvero questa volta ci lasciamo le penne” esclamò uno spaventato Jack.

“Al diavolo! L'unica speranza che ho è di colpirlo alla testa con un razzo, visto che nel resto del corpo sembra essere indistruttibile” affermò Andrea, mentre il suo braccio destro stava già prendendo le forme di un lanciarazzi.

Una volta presa la mira, il razzo partì. Attraversò il liquido, lasciando una scia di bolle dietro di sé, per poi colpire in pieno il suo bersaglio.

I mutanti stavano già esultando quando videro, una volta che il fumo si fu diradato, il loro nemico ancora in splendida forma.

Avevano la morte negli occhi quando una voce s'intromise tra loro ed il gigante, che si stava piegando su di essi.

“Fermo Atum!”.

Tutti si voltarono verso Iside.

“Se li ucciderai, anch'io morirò con loro”.

“C-Cosa?” il titano si bloccò.

“Nel mio corpo è stato iniettato lo stesso veleno che a reso loro dei mutanti. Se tu li ucciderai, nessuno potrà darmi l'antidoto che mi salverà la vita”.

Questa volta, a rimanere sbigottiti furono anche i quattro in giallo e rosso.

“Che sia vero?” si chiese a bassa voce l'inglese.

“Quindi ti prego, sommo Atum” concluse la dea “se tieni a me, ritirati per il momento”.

Il gigante fissava il volto triste della donna, per poi spostare lo sguardo sui propri avversari.

“Badate bene, miseri mortali, dopo il mio ritiro, voglio che la divina Iside venga riportata alla base, altrimenti la mia vendetta sarà suprema”.

Detto ciò, l'egiziano diede le spalle agli Humana, incamminandosi verso il suo quartier generale.

Un volta scomparsa la sua ingombrante sagoma, i quattro si avvicinarono alla loro prigioniera.

“Questa storia del veleno... è vera?” le si accostò il Soggetto N. 4.

“No.” rispose secca lei “Ma era l'unica modo per placare l'ira del sommo Atum”.

L'italiano proseguiva con il fissarla “Come mai l'hai fatto?”.

L'egiziana abbassò il capo “Io stessa non so spiegarmelo. Ma c'è qualcosa in tutto questo di sbagliato”.

“Un attimo...” s'intromise l'africano “E il sottomarino?”.

“E Geran?!” si aggiunse il britannico.

“Voi tre andate a cercarlo” ordinò il ragazzo di Trento “Io riporto lei al sottomarino”.

Una volta soli, Andrea riuscì finalmente a scambiare due parole con quella donna che, non poteva nasconderlo, lo attirava molto.

“Scusami se te lo chiedo ma... perché avete accettato di aiutare lo Spettro Bianco?”.

“Loro ci hanno assicurato che, collaborando fra di noi, avremmo finalmente creato un mondo migliore per tutti. L'unico ostacolo eravate proprio voi degli Humana”.

“Mi dispiace dirtelo ma sono cazzate! Lo Spettro Bianco mira soltanto a rovinarlo il mondo, non certo a migliorarlo!”.


In un fitto bosco, situato più nell'entroterra della penisola, il malvagio Seth stava praticando uno dei suoi furiosi allenamenti. Una volta sentitosi pienamente soddisfatto, dopo aver dilaniato con gran ferocia alcuni alberi presenti, fece rientro alla base. Percorso un lungo corridoio interno, passando lì vicino, diede un'occhiata veloce alla gabbia terrena dove erano rinchiusi i loro tre prigionieri.

A far loro da guardia, oltre ad un Osiride dallo sguardo assente, era ora presente anche Horus.

Fu proprio questo nuovo arrivato ad attirare, per qualche attimo, l'attenzione del dio. Poi il suo capo si voltò verso Mut. Continuandola a fissare, l'uomo dalla pelle verde, gli si avvicinò fino ad appoggiarsi con una mano su uno stalagmite. Passati altri secondi, si voltò nuovamente, partendo poi a passo svelto verso un'altra stanza.

“Ti prego di seguirmi, venerabile Horus” disse con noncuranza, passandogli vicino.

Da attenta osservatrice quale era, Arone rimase colpita da quest'ultimo atteggiamento della divinità, poi ebbe un'illuminazione.

“psss... Berny” bisbigliò appena.

“Che c'è?”.

“Prova a passare oltre le sbarre...”.

“Cosa? Non ci penso nemmeno! Prima tra un po' ci rimanevo fulminato!”.

“Fidati di me, sta succedendo qualcosa di strano...”.

Vedendo la convinzione negli occhi della giovane, il baffuto si avvicinò alle protuberanze rocciose. Adattando leggermente il suo corpo, riuscì a passarci tranquillamente attraverso.

“Mio dio! Hai ragione! Ma come hai fatto a capirlo?”.

“Ti sembrerà assurdo ma credo che Osiride stia cercando di farci scappare...”.

“Se è così...” s'intromise Mut, “Voglio aiutarvi anch'io a fuggire di qui”.

I corpi esili delle due donne, superarono facilmente l'ostacolo.

“E dimmi...” riprese la parola il messicano, rivolgendosi all'egiziana “perché dovremmo fidarci di te?”.

La ragazza esitò impaurita.

In suo soccorso venne la stessa francese “Ora piantala Berny! Forza Mut, mostraci come fare per scappare di qua”.

Superati alcuni corridoi, i fuggitivi udirono il suono di passa avvicinarsi a loro. Senza scomporsi, il mutaforma tramutò il suo corpo in quello di un boa. Appena l'uomo ebbe voltato l'angolo, il serpente gli si avvinghiò rapido alla gola, soffocandolo nel giro di pochi secondi. Uno dei soldati Anubi cadde al suolo esanime.

“Presto, venite di qua!” li esortò Mut, mentre apriva una botola nascosta nel pavimento.

“Ok. Ci sei Berny?” si voltò un attimo Frédérique.

L'altro aveva appena ripreso la sua forma umana “Certo bella, vuoi che rimanga qua dentro?”.

Una volta scesa una scaletta, i tre fiancheggiarono un fiume sotterraneo che, pochi metri più avanti, finiva in un piccolo lago, al cui interno si stava verificando un mulinello d'acqua.

“N-Non ditemi che dobbiamo tuffarci là dentro...” supplicò un già tremante Soggetto N. 7.

“Certo che no! Ora dobbiamo proseguire da questa parte” fece loro strada la ragazza egiziana.

Con una certa difficoltà, il trio s'inserì in una spaccatura presente sulla parete rocciosa.

“Non mi piacciono i posti così tetri...” ma la francese non riuscì a terminare la frase che una sirena d'allarme iniziò a risuonare lontana.

“Hanno scoperto la nostra fuga!” esclamò sempre lei.

Poi, concentrandosi verso la direzione del suono, scrutò attraverso le parti con la sua vista a raggi x. Di colpo, come in un film muto, vide Maat additare ferocemente un impassibile Osiride.

“Sta succedendo qualcosa...” informò gli altri “Credo che Osiride sia nei guai...”.

“Peggio per lui, muoviamoci!” tagliò corto Borghi.

“Come puoi dire ciò? Dopo quello che ha fatto per noi?! Anche se ancora non ne sappiamo il motivo...” lo rimproverò Arone.

“Senti bella, a me importa soltanto di tornare vivi dagli altri!”.

“Ma lui può farci comodo come alleato!”.

I due mutanti si fissavano in cagnesco, senza aprir più bocca. Fra di loro, una Mut alquanto preoccupata.

“E va bene...” si arrese l'uomo “Tornerò indietro per vedere se posso fare qualcosa...”.

“Grazie Bernardo! Fai attenzione!” lo salutò con un abbraccio l'ex-ballerina.

“Anche voi!” e il baffuto fece dietrofront.


Ora che erano sole, dopo qualche passo, le due donne si sentirono sprofondare dentro un liquido, sperando ovviamente fosse acqua, fino all'addome. Quasi in contemporanea, videro due luci in lontananza.

“Che sia l'uscita?” chiese speranzosa la francese.

In sua risposta, quelle due luminescenze si fecero via via sempre più vicine finché, con loro grande ribrezzo, si trovarono davanti la testa di un enorme aspide.

Le due fanciulle erano pietrificate dal terrore, abbracciandosi inconsciamente l'una all'altra. I tre esseri viventi rimasero così per interi minuti. Fu allora che la mutante cercò di fare la sua mossa.

“Cerchiamo di proseguire a piccoli passi, tenendo d'occhio sempre quel mostro” sussurrò all'orecchio di una Mut dal respiro affannoso.

Notando la persistente immobilità del rettile gigante, i passi delle giovani assunsero falcate sempre più ampie. Improvvisamente, un luccichio attraverso le pupille del serpente che, pronto all'attacco, spalancò le sue fauci velenose.

Le ragazze urlarono all'unisono poi, agendo d'istinto, gli occhi di Frédérique iniziarono a brillare e ad emettere un raggio calorifico che, con un rapido movimento del collo, tagliò di netto il capo della creatura.

Tornata la calma, le due non proferirono parola ma, con movimenti lenti, nuotarono fino a quella che si rivelò la vera uscita da quell'inferno. Una volta fuori, si sdraiarono entrambe sopra la sabbia della costa.

“Ce l'abbiamo fatta!” urlò la francese, tornando a respirare a pieni polmoni.

“Così pensi tu!”.

Appena udita quella voce, il Soggetto N. 3 fece appena in tempo a rimettersi in piedi, mentre la sua nuova compagna veniva bloccata da un redivivo Anubi.

“Non fare mosse azzardate, misera mortale, altrimenti sarà mio estremo piacere porre fine all'esistenza di questa sporca traditrice” l'avvertì la testa di sciacallo.

Lei rimaste totalmente bloccata che, quando le fu abbastanza vicino, il dio la colpì alla tempia con il suo bastone, provocandole uno svenimento immediato.


Appena giunto alla base, assieme alle due prigioniere da riconsegnare, fu accolto da una grande confusione. Cercando di saperne di più, l'egiziano si accostò ad Horus.

“Che sta succedendo?”.

“Sono fuggiti altri due. Inoltre, hanno aggredito la somma Maat”.

“Altri due? Ma se proprio ora ho catturato le due fuggitive! Chi sono questi altri due?”.

“Uno è il mortale... l'altro è Osiride”.


Nuovamente nella grotta sotterranea, i due evasi ripercorrevano la stessa strada delle suddette fuggitive.

“... Ho sempre creduto che la storia delle divinità fosse soltanto una truffa. Poi, quando ci hanno parlato di voi Humana, e del fatto che dovevamo eliminarvi, non ho più retto” si spiegava il traditore al suo liberatore.

“Tranquillo fratello! Non devi darmi alcuna spiegazione, noi sappiamo bene di che cosa sono capaci quei vigliacchi dello Spettro Bianco”.

Disceso un breve pendio, si ritrovarono anche loro nell'acqua.

“Bene!” esclamò Bernardo, tornato alla sua forma autentica “Non ci resta che nuotare un po'...”.


“Andrea!” urlò Sara, dimenticandosi per una volta di usare il suo relativo nome in codice.

“Che succede?” corse rapido a quel richiamo l'interpellato.

“Le condizioni di Johnny stanno peggiorando sempre più!”.

“C-Cosa?”.

“Ha perso conoscenza da qualche minuto e il respiro si è fatto più debole”.

“E te non puoi fare niente, Sara?” insistette il Soggetto N. 4.

“Purtroppo no. In queste condizioni, non ho gli strumenti adatti per tentare un qualsiasi tipo d'intervento” rispose con le lacrime agli occhi la bionda.

“Po-Posso provare io?” disse una voce di bambino.

La coppia si voltò nell'osservare un Igor Wansa dallo sguardo impaurito.

Fissandolo per qualche secondo, la donna si ricordò che doveva avere la massima fiducia sui membri della sua squadra.

“Certo, Soggetto N. 1. se senti di poterci essere d'aiuto, intervieni pure”.

Annuendo appena, il russo chiuse subito dopo le sue palpebre.

“Che sta facendo?” domandò preoccupato l'italiano.

Nessuno rispose, attendendo in silenzio qualcosa di straordinario. Che di fatto avvenne: l'americano spalancò di colpo gli occhi.


Sulla costa, una figura gargantuesca attendeva il ritorno della sua devota.

“Infine, la venerabile Iside non è tornata” rifletté tra sé e sé, per poi partire nel suo nuovo inabissamento.


“Come ti senti, Johnny?” gli si fece subito vicino Alberti.

“Meglio. Ora dove mi trovo?” rispose appena Wayne.

“Sei in salvo” intervenne Lincon “ma ci hai fatto seriamente preoccupare”.

Una scossa improvvisa fece cadere Juna sul pavimento.

“Che succede ora?” domandò preoccupato Andrea.

“È il gigante! È tornato!” gridò terrorizzato Igor.

“Atum! È venuto per me!” rivelò una shockata Iside.

“E ora? Cosa facciamo?” urlò disperato Jack.

“Lasciate fare a me!” rispose sicuro, nonostante la sua giovane età, Wansa.


Al di fuori del sommergibile, il colosso procedeva la sua marcia. Il suo incedere procurava forti scosse in tutti gli abissi costieri. Senza che lui se ne accorgesse in tempo, il suo enorme piede sprofondò dove, lui ne era certo, doveva trovarsi il fondale.


“Sono riuscito a spostare le rocce in tempo per fargli sprofondare una gamba!” informò gli altri il russo, madido di sudore.

“Incredibile!” esclamò uno sbalordito Juna.

“Ancora una volta, Davide ha sconfitto Golia” concluse saggiamente Chang.

“Com'è che allora non ci muoviamo?” domandò isterico il Soggetto N. 2.

l'italiano andò a controllare i monitor di comando “Qui risulta che abbiamo un motore danneggiato. Molto probabilmente avremo urtato qualche roccia”.

“Allora posso provare a muovere anche il nostro sottomarino...” ipotizzò il telecinetico, con una smorfia in viso sempre più sofferente.


Come previsto, il sommergibile iniziò a spostarsi, sebbene i motori fossero del tutto spenti, uno spettacolo che avrebbe lasciato di stucco qualsiasi spettatore, se ce ne fossero stati.

Nel frattempo, Atum, per niente domo, cercava di divincolarsi da quella trappola naturale in cui era imprigionato. Accortosi della ritirata da parte del nemico, tentò la sua ultima risorsa: scagliò contro di esso un talismano, a forma di ankh, che aveva stretto nella sua mano sinistra.

Il gigantesco artefatto, sebbene rallentato dalla pressione subacquea, colpì con sufficiente forza l'obiettivo. Al suo interno, vi fu un grande trambusto che coinvolse tutti gli occupanti. Ma, inspiegabilmente, il mezzo, invece che inabissarsi, tornò lentamente a galla.

Una volta in superficie, il portello si aprì e ne uscirono alcuni degli Humana presenti.

“Siamo ancora vivi” si chiedeva l'inglese.

“Ma cos'è successo?” domandò esterrefatto lo zairese.

“E dov'è finito il gigante?” fece notare il cinese.

“P-Penso di essere stato io...”.

tutti si voltarono verso il ragazzino.

“I-In qualche modo, credo di aver creato una specie di scudo tutto attorno al sottomarino”.

“Sei riuscito anche a farlo emergere!” si complimentò il Soggetto N. 8.

“Beh sì. Credo che a questa distanza avremo modo di rifiatare un attimo...”.

“Ehi! Non dimentichiamoci dei nostri due compagni ancora prigionieri!” esclamò il Soggetto N. 4.


Intanto, all'interno di una grotta sotterranea, Bernardo e Osiride si apprestavano ad un immersione subacquea.

“Credo che quella là sia l'uscita, non ci resta che nuotare!” sentenziò il messicano.


“Mi complimento con te, sommo Anubi” disse fiera Hator “Sono certa che riuscirà anche nell'impresa di catturare i due nuovi fuggitivi”.

“Come vuoi, venerabile Hator” fece un leggero inchino Anubi, prima di correre verso l'uscita.


Qualche metro più sotto, il Soggetto N. 7 aveva mutato la sua forma in delfino, onde poter trasportare meglio con sé l'egiziano. Finalmente giunti fuori, alla luce del sole, si trovarono ben presto davanti proprio l'uomo con il viso da sciacallo.

“Siete miei!” urlò vittorioso lui, afferrando il becco del mammifero marino.

Nel giro di qualche secondo, la sua mano stringeva ora il corpo sinuoso di una murena, il cui morso, purtroppo, non procurò alcun danno alla pelle della divinità.

Colta però l'occasione, il messicano riprese la sua forma delfiniana e, una volta che Osiride ebbe afferrato saldamente la sua pinna dorsale, scivolò nell'acqua il più rapidamente possibile.


Nel frattempo, nelle vicinanze un ignaro turista si stava avvicinando alla base segreta delle divinità egiziane, rapito com'era dalla bellezza selvaggia di quella nazione.

“Per una volta Benji ha avuto una splendida idea nel dividerci e mandarci all'estero in questo... com'è che l'ha chiamato lui? Viaggio di formazione?” parlava tra sé e sé il giovane, caratterizzando il tutto con il tipico accento americano.

Di colpo, la sua folta chioma riccia fece un sobbalzo, udendo una voce imponente comunicare direttamente dall'etere.


“È la divina Maat che parla al gruppo degli Humana. Se entro ventiquattro ore non vi arrenderete senza condizioni a noi, il vostro Soggetto N. 3 dovrà rinunciare per sempre alla sua forma mortale”.


“Madre di dio! Ma fa sul serio?!” esclamò Bernardo, nuovamente nelle sue sembianze.

Osiride gli rispose impassibile “Temo di sì. In Maat ho sempre notato una lieve vena di follia, alla fine essa ha preso definitivamente il sopravvento”.

“Porca vacca! Speriamo che gli altri si diano una mossa, non mi va di certo di rinunciare per sempre alla splendida Frédérique!” si disperò il Soggetto N. 7.

il tempo passò ed in cielo iniziarono a risplendere le stelle.

“Comincio a temere che per noi sia davvero la fine...” sentenziò Borghi, quando una folata di vento improvvisa gli scompigliò i capelli scuri “Ci mancava anche il vento!”.

“È finita la siesta, hombre”.

Quella frase inaspettata, fece rizzare subito in piedi il mutante. Per quest'ultimo la sorpresa fu ancora maggiore quando si vide di fronte Johnny Wayne e, dietro di lui, tutto il resto della squadra.

“Che stronzi! Ce ne avete messo di tempo, eh?”.


Ora che erano di nuovo tutti assieme, poterono organizzarsi al meglio per liberare la loro compagna. Mentre gli altri erano tutti sull'isola, all'interno del sommergibile erano rimasti solo Sara, Iside ed il piccolo Igor che, com'è in fondo normale alla sua età, stava mettendo in atto una vera e propria bizza contro la bionda.

“Dai Sara! Eppure faccio anch'io parte del gruppo! Perché tocca sempre agli altri andare in missione?”.

“Perché, se ancora non te ne sei accorto, tu sei ancora un bambino e poi, con le tue facoltà, puoi agire comunque anche a distanza” controbatté nuovamente Silvestri, sempre più stufa.

“Ma io voglio andare nel campo di battaglia! Ti prometto che starò sempre insieme agli altri! E dai Sara!”.

“Ora smettila Igor! Ho già abbastanza preoccupazioni per la testa senza che ti ci metta anche te!”.

“Se posso interrompervi...” si intromise l'egizia “Sara giusto è il tuo nome? Bene, Sara, so che per te la mia parola difficilmente avrà valore ma, se hai il giusto cuore per fidarti di me, andrò io stessa con il ragazzino alla nostra base. Tranquilla che, finché sarà in mia compagnia, nessuno dei miei alleati oserà torcergli un capello”.

La responsabile dell'organizzazione Humana ci rifletté un po' su.

“Va bene! Basta che me lo togli dai piedi” acconsentì infine.

“Evviva!” esultò festante il russo.

“Però fate entrambi attenzione” concluse l'italiana, visibilmente contrariata.

Usciti dall'apertura del sottomarino, i due si misero magicamente a fluttuare nell'aria.

Vedendo la sua prigioniera estremamente sorpresa, il Soggetto N. 1 le spiegò “Tranquilla Iside, è soltanto uno dei miei poteri”.

Detto ciò, i due raggiunsero a gran velocità la spiaggia.


Poco prima, il resto del gruppo era riemerso proprio nel medesimo luogo.

“Ci siamo tutti?” s'informava Johnny.

“Affermativo!” gli rispose, dopo un rapido controllo visivo, Andrea.

“Fino ad ora è stato anche troppo facile...” sentenziò guardingo Jack.

“Occhio in cielo!” avvertì gli altri Bernardo.

Nell'oscurità del cielo notturno, Toth sorvolava tutta la zona nel più totale silenzio.

“Cercate di fare il più piano possibile, altrimenti qui è un attimo che ci scoprano subito” parlò sottovoce l'americano.

Improvvisamente, la terra iniziò a tremare.

“Oddio un terremoto!” strillò come una gallina Lincon.

“State tutti a terra!” ordinò urlando Alberti.

Nello stesso modo in cui era iniziato, il sisma si placò.

“Cosa è successo?” si domandava Yu.

“Quel bastardo ci ha notati!” attirò l'attenzione di tutti il britannico, mentre indicava il nemico su nel cielo “Ma ora lo sistemo io!”.

Appena parlato, il mutante sfrecciò rapido in verticale, andando a collidere, con il pugno destro ben chiuso, contro il volto da ibis del dio.

“Però! Se la cava bene il dandy!” ammise stupefatto Borghi.

“Ha avuto l'effetto sorpresa a suo favore” sminuì il tutto l'italiano.

Mentre gli Humana si godevano ancora quella loro piccola vittoria, due figure si frapposero fra loro e l'ingresso della caverna: Hathor e Seth.

Ad affrontarli andarono i Soggetti N. 2, 4, 5 e 6. Invece, i Soggetti N. 7, 8 e 9 si tuffarono in mare per raggiungere l'entrata subacquea alla caverna.

Questi ultimi ebbero subito la spiacevole visita di alcuni squali, vera rarità nel Mediterraneo. Di essi se ne occupò Juna, mentre gli altri due si avvantaggiarono addentrandosi dentro la caverna.

“Non aspettiamo Juna?” domandò Bernardo, mentre riprendeva fiato una volta uscito dall'acqua.

“Non c'è tempo, prima liberiamo Frédérique e meglio è” gli spiegò rapido Johnny.

“Fermi, mortali!”.

La coppia di mutanti si voltò con un sobbalzo verso colui che aveva appena parlato: il dio Ra.

Tenendo fissi gli occhi verso l'avversario, Wayne sussurrò a Borghi “Te occupati di trovare Frédérique, io penso a lui”.


Appena fu fuori dal campo visivo dei due duellanti, il messicano corse il più lontano possibile, almeno finché il pavimento non riprese a sussultare.

“Oh dio no! Nuovamente il terremoto!” esclamò disperato.

“Berny!” udì chiaramente la voce di Arone.

Appena riebbe la visuale stabile, si accorse subito della francesina legata ad una parete rocciosa con bracciali e catene.

“Frédérique! Sei davvero tu! Stai bene?”.

“Sì, tranquillo. Ho solo il problema di queste catene...”.

nel dire ciò, la donna tirò nuovamente in avanti le sue braccia che, con grande sorpresa dei due, portarono dietro di sé anche gli occhielli metallici a cui erano fissate le catene. Una nuova scossa, seppur più lieve delle precedenti, aveva dato il colpo di grazia alla roccia in cui erano trapanati.


Intanto, la lotta tra il Soggetto N. 9 e Ra era ormai del tutto invisibile, data la velocità sovrumana con cui si affrontavano i due contendenti.


All'esterno, Andrea aveva a che fare con i raggi laser di Hathor, mentre Jack se la doveva vedere con le fiammate di Seth, inoltre Geran e Chang erano già stati messi momentaneamente fuori combattimento.

Questa volta per gli Humana era vicina la resa quando, sopra l'entrata alla caverna sotterranea, fece la sua comparsa una nuova figura.

“S-Scusate se mi intrometto... il mio nome è Bob Kramer e sono qui al Cairo per visitare la Ka di Hor 1. Anche se non conosco alla perfezione tutta la situazione, i miei nuovi poteri mi concedono un intervento immediato!”.

Tutti i presenti, mutanti e divinità, rimasero a bocca aperta, ancora di più quando gli videro comparire un'asta afferrata con la mano destra.

“M-Ma quella...” un'espressione di sbigottimento comparve sul muso canino di Anubi “è la mia lancia!”.

Questo nuovo artefatto si mise immediatamente a brillare, investendo con la sua lucentezza ogni cosa.


Contemporaneamente, i due velocisti stavano infine rifiatando dal loro duello senza esclusione di colpi.

“Fermati mio amato! Non sono loro i nostri veri nemici!” dalla spiaggia, sopraggiunse Iside tutta trafelata, accompagnata dal piccolo Soggetto N. 1.

“Mia dolce Iside! Sul serio mi stai chiedendo di arrendermi ad essi?!” chiese stupefatto l'egiziano.

Come narrato in precedenza, anche questa scena fu invasa da una luce intensa.


Nel giro di pochi secondi tutto era concluso. Quando il bagliore si placò, gli Humana si trovarono davanti non più gli esseri, per la maggior parte metà umani e metà animali, con cui avevo combattuto finora, ma soltanto dei semplici uomini e donne egiziani. Questi ultimi erano come risvegliati da un forte trauma, cercando delle spiegazione anche dalle persone in rosso e giallo. I nostri, non sapendo loro stessi cosa rispondere, preferirono ritirarsi nel loro sottomarino.

Infine, del misterioso ragazzo presentatosi come Bob Kramer, si erano totalmente perse le tracce.

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Capitolo 7
*** Ritorno a casa ***


CAPITOLO 7

Ritorno a casa”




“… Perciò, dopo le gravi lacune, mostrate durante la nostra missione in terra egiziana, noi della Humana abbiamo deciso di concedervi qualche giorno di pausa, in cui potrete tornare nelle vostre nazioni di origine e, si spera, meditare su quanto la vostra esistenza sia diventate fondamentale nella lotta contro il male” espose al resto del gruppo, in modo solenne, Sara Silvestri.

Le persone in rosso e giallo rimasero spiazzati da quest’ultima iniziativa.

“Dunque ci rispedite a casa per punizione?” protestò subito Bernardo.

“Vi sembra corretto nei nostri confronti?” lo appoggiò Frédérique.

“Prego, signori, prego. Io suppongo che tale decisione debba essere messa ai voti” propose, con la sua solita flemma, Chang.

“Niente votazioni!” la bionda alzò la voce “Così è stato deciso, punto e basta!”.

“Non sapevo fossimo in una dittatura…” le rispose per le rime Andrea.

“Per quanto mi riguarda, fate pure ciò che volete, sono altre le cose che catturano il mio interesse” finse menefreghismo Jack.

Vedendo l'americano stranamente silenzioso, Juna gli si fece vicino.

“Tu Johnny non hai niente da obbiettare?”.

L'interpellato si voltò verso il compagno, facendogli un mezzo sorriso “A quanto ho capito, non servirebbe proprio a niente. E poi, non so voi, ma a me non dispiacerebbe poter tornare, anche solo per qualche giorno, tra la mia gente. Con tutto quello che abbiamo dovuto affrontare in questi pochi giorni da mutanti, una pausa per tirare un po' il fiato credo sia ideale”.

Tutti i presenti si zittirono riflettendo su queste ultime parole. Alzando timidamente la mano, fu il più giovane di tutti a spezzare il silenzio.

“Posso chiedere una cosa?”.

L'italiana gli sorrise con fare tranquillizzante “Certo Igor, chiedi pure”.

“V-Volevo sapere se, dato che potrò riabbracciare mia madre, potevo tenere con me la mia uniforme…”.

“Assolutamente, Igor. Anzi…” alla giovane donna sembrò tornare alla mente qualcosa “quasi dimenticavo, per tale occasione, noi dell'Humana abbiamo creato, per ognuno di voi, delle nuove uniformi da poter utilizzare proprio in queste occasioni”.

“Non saranno mica difettose?” le domandò, perplesso, il connazionale.

“Certo che no! Hanno esattamente le medesime caratteristiche delle uniforme che state indossando giusto adesso. L'unica differenza è che avranno dei colori diversi per ciascuno di voi”.

“Cos'è? Ora vi mettete pure a fare moda?” li canzonò l'inglese.

“A me tutto ciò non interessa” sentenziò rapido l'indiano.

“Ovviamente è tutto gratis, giusto?” il messicano sembrò realmente preoccupato da tale argomento.

“Gente, per favore, siamo seri!” esclamò esausta Sara, dopo un profondo sospiro “Ci sono altre domande?”.

Fu nuovamente il piccolo russo ad alzare la mano.

“Dimmi pure, Igor”.

“Se non vi è di troppo disturbo, io posso tenermi questa rossa? Sono certo che ai miei genitori farà piacere”.

“Acconsentito” accettò Silvestri.

“Mi raccomando, Igor” la francese s'inginocchio davanti a lui “fai attenzione mentre ritorni a casa”.

“Che la buona sorte vi accompagni nel vostro cammino” augurò a tutti il cinese.

“Beh Johnny...” lo chiamò a sé l'italiano, rifilandogli una sonora pacca sulla spalla “Ora potrai tornare dalle tue fan!”.

“Magari fosse così semplice...” fu la risposta del pilota di Formula 1.

Siberia


il ragazzino, nonostante il freddo gelido che gli stava dando il bentornato a casa, aveva la gioia dipinta nel viso, mentre si teneva stretto la sua uniforme rosso e gialla, souvenir di quell'incredibile e, momentaneamente, conclusa esperienza di vita.

“Non so ancora come lo dirò a mamma e papà, ma di certo, appena avranno visto le mie nuove straordinarie abilità, saranno felici di riavermi con loro!”.

Il russo proseguiva saltellando sugli almeno venti centimetri di neve fresca quando, d'improvviso, si bloccò di colpo.

Tra gli alberi secchi della tundra, qualcosa di gigantesco gli era parso muoversi.

“Che sia proprio un orso?” meditava guardingo Igor “Oppure, sono di nuovo quelli dello Spettro Bianco che sono venuti a terminare il loro lavoro? O magari è Geran che è venuto a trovarmi?”.

Lo spezzarsi di un rametto fece sussultare il bambino.

“Chi è là?”.

“Non avere paura…”.

Nonostante quelle improvvise parole rassicuranti, Wansa emise un grido acuto con la sua voce cristallina.

Un uomo dalla stazza non dissimile da quella di Giunan, con una ispida barbetta sul mento, gli si parò davanti.

“Stai tranquillo, bimbo. Mi chiamo Oleg Grachev e, anche se era da tanto che non facevo visita a questi posti, sono originario proprio di queste parti”.

Il mutante aveva preso a respirare a scatti, mentre teneva gli occhi ben spalancati sul nuovo venuto. Ripresa un po' di calma interiore, si mise a scandagliare, come gli avevano insegnato all'Humana, nella testa dell'energumeno, per comprendere se ciò che gli era stato appena svelato fosse vero o falso. Passato qualche secondo, si rassicurò.

“C-Ciao, io mi chiamo Igor. Sono anch'io tornato ora da un lungo viaggio e stavo raggiungendo la casa dei miei genitori che è qua vicino”.

I due rimasero fermi a squadrarsi a vicenda.

“Cosa fai nella vita, Oleg?” domandò il Soggetto N. 1.

L'altro parve sorpreso da tale quesito “Davvero non mi conosci? Allora credo che tu non segua molto il calcio ultimamente. Gioco come difensore centrale nella squadra del CSKA di Mosca”.

Altro rapido controllo telepatico.

“Oh, davvero?” esclamò sorpreso Igor “No beh, non ho mai seguito molto il calcio e per di più, in questi ultimi giorni, ho avuto molto da fare...”.

“Capisco…” gli fece un mezzo sorriso lo sportivo “Qualcosa mi dice che il tuo viaggio non è stato particolarmente apprezzato dai tuoi genitori…”.

Il telepate rimase spiazzato dal fatto che, per una volta, era stato qualcun altro a scoprire informazioni su di lui senza nemmeno chiedergliele.

“In un certo senso…” preferì rimanere sul vago.

Oleg gli fece un altro sorriso.

“Se non ti è di disturbo, posso accompagnarti io a casa così, se i tuoi genitori anche avessero qualcosa da ridirti, saranno troppo impegnati a farmi i complimenti o altro. Sperando che almeno loro seguano un minimo il calcio...”.

questa volta il sorriso fu ricambiato e lo stesso Wansa si avvicinò festante alla sua nuova conoscenza.

“Mi fa davvero piacere averti con me, signor Gracev!”.

“Chiamami pure Oleg”.


Londra

Il tempo era uggioso come sempre, nella capitale del Regno Unito. Dello stesso umore era anche Jack Lincon che, appena giunto all'interno del suo lussuoso attico, si lasciò cadere di peso sul suo letto a baldacchino.

“Oh quanto mi sei mancata, mia dimora...” sibilò ad occhi chiusi.

Subito però li riaprì e, alzandosi di scatto, raggiunse con poche falcate la sua scrivania personale. Una volta lì, si tolse la pesante pelliccia che aveva addosso rivelando, sotto di essa, la divisa ufficiale del suo super gruppo con, come unica differenza, un colore verde scuro al posto del più tradizionale rosso.

Messosi a sedere, accese con un gesto elegante il suo computer. Il suo volto impassibile venne investito dalla nuova luminosità del monitor.

“Vediamo se trovo qualcuno dei miei seguaci...”.

Con grande rapidità delle dita, raggiunse un sito internet che conoscevano realmente in pochi.

Atteso qualche secondo, si aprì una finestrella di dialogo con un messaggio privato, proveniente da uno degli utenti presenti in quella chat: Dandy_40.

- Bentornato sir, erano ormai parecchi giorni che ci chiedevamo dove la sua persona fosse scomparsa.

- Amico mio, sono dolente di non avervi fatto giungere mie notizie per un così largo lasso di tempo ma, e vi prego di credermi, la mia presunta scomparsa è riconducibile esclusivamente a cause di forza maggiore.

L'inglese ancora non si fidava a parlare apertamente della sua parentesi con gli altri mutanti.

- Capisco e, al tempo stesso, il mio cuore prorompe di felicità nel sapervi nuovamente presente tra noi.

- Mai quanto il mio piacere di essere di nuovo tra voi.

- Proprio certo di non voler condividere con noi questa sua, a quanto ho compreso, infelice esperienza di vita?

- Qui la devo correggere esimio collega, dato che, se proprio dovessi catalogarla, non userei affatto il termine “infelice” ma, tutt’altro, è stata un’esperienza che mi ha fatto riflettere su molte sfaccettature: quesiti ancestrali del tipo “Come potrei vivere se, da un giorno all’altro, la mia vita cambiasse completamente?” ma, soprattutto “E se, tale cambiamento, mi permettesse di cambiare letteralmente il mondo, magari in maniera positiva, cosa dovrei fare?”.

- Per la miseria! Si direbbe dunque che tale esperienza vi abbia colpito nel profondo!

- Assolutamente.

-Beh, esimio collega, non ho la sfacciataggine giusta per dirvi cosa fare ma, di certo, saprei cosa farei io, se fossi al vostro posto.

-E sarebbe?

-Cambierei il mondo!

A quelle ultime parole, Jack rimase a contemplare lo schermo piatto e luminoso, meditabondo. Poi riprese a digitare.

-Ti ringrazio per questo utile simposio, Dandy_40, di dove hai detto che sei?

-USA, sir.

-Bene, ora devo lasciarti. Chissà se un giorno avrò l'onore di conoscerti di persona.

-L'onore sarebbe tutto mio, sir.

-Arrivederci, mio caro.

-Arrivederci, sir.

Chiusa la chat, il padrone di casa scelse anche di spegnere il computer.

Dopo qualche attimo di assoluta immobilità, si alzò dalla sedia. Con passo lento, raggiunse l'enorme finestra che dava verso l'esterno.

“Addirittura cambiare il mondo...” rise sommessamente, ripensando a tali parole.

Di colpo, spalancò la vetrata e, con negli occhi una decisione che gli era del tutto nuova, il Soggetto N. 2 balzò attraverso di essa. Come un angelo, attraversò il plumbeo cielo londinese.


Parigi


Nella capitale francese, il tempo atmosferico era davvero dei peggiori. Pagato il taxi, la giovane donna si affrettò a raggiungere l'ingresso della palazzina dove abitava la sua famiglia.

“Oh merda! Ma è possibile averci contro anche la tempesta!” imprecò lei, coperta da un lungo impermeabile verde scuro, completamente fradicio.

Salita una rampa di scale, raggiunse la porta con al centro, inciso in una placca di ottone, il cognome Arone. Con un tocco leggero, suonò il campanello. Nel giro di qualche minuto, nessuno giunse. Una volta risuonato e, a questo punto, constatato che non vi era nessuno nell'appartamento, Frédérique iniziò a cercare, all'interno della sua borsa a tracollo, le chiavi di quell'uscio.

Dopo un'estenuante ricerca, in cui, ad un certo punto, la francesina aveva temuto di aver lasciato il suo obiettivo nel quartier generale Humana, il mazzo tintinnò tra le sue dita affusolate.

Dopo aver fatto scattare il meccanismo dentro la toppa, la ballerina era finalmente tornata a casa.

“Ehi? C'è nessuno?” chiese comunque, appena accesa la luce dell'ingresso “Sono Frédérique, sono tornata!”.

Anche questa volta, nessuno rispose.

Effettuato un grosso respiro, si liberò finalmente dello spolverino grondante, per poi stravaccarsi sul largo divano del salotto. Fasciata dalla sua tutina rosa, con sempre l'enorme H gialla sul davanti, la mutante socchiuse gli occhi, rivivendo tutti quei giorni in cui la sua vita era totalmente cambiata.

A strapparla da quelle visioni, ci fu il rumore della serratura. In tre secondi, senza dover ricorrere nemmeno alla vista a raggi x, si trovò di fronte una ragazza di circa sedici anni.

Quest'ultima, sorpresa da quell'inaspettata presenza, fece un lieve scossone per poi urlare

“Sorellona!”.

“Sophie!”.

La più giovane delle due, vestita in una tuta verde e bianca, con tre passi delle sue lunghe leve, saltò letteralmente addosso alla più grande, abbarbicandosi a lei e stringendo le gambe alla sua vita.

“Che bello rivederti, sorellona! Ma perché non ci hai avvertiti? Da quanto sei tornata? Ma poi, dov'eri andata a finire? La mamma era tanto preoccupata! E pure il papà! E inoltre...”.

“Bloccati un attimo Sophie!” la fermò il Soggetto N. 3, frastornata “Mi hai fatto venire il mal di testa con tutte queste domande! Risponderò a tutto dopo, dove sono i nostri genitori?”.

“Penso che siano a fare la spesa”.

“Ok. E te dov’eri?”.

“Agli allenamenti di pallavolo a scuola, lo sai che ora sono pure diventata titolare. Per non parlare che, da qualche giorno, c'è uno nuovo studente thailandese, un tipo davvero strambo...”.

Detto questo, fu la stessa Sophie a zittirsi, squadrando dalla testa ai piedi la sua sorella maggiore.

“A proposito di cose strambe… cos'è quel completo che indossi?”.

“È una lunga storia, quando tornano mamma e papà ve ne parlerò a tutti quanti. Piuttosto te, vedo che ti sei alzata un altro po', o sbaglio? E poi ti sono pure cresciute le tette...” constatò, tentando di palpeggiare la parente.

“Ma che fai, Frédérique? Toccati le tue!” così dicendo, si staccò da lei.

Le due sorelle si divertivano come se non si fossero mai staccate l’una dall’altra.

“Ah! A proposito…” sobbalzò la più giovane “Ti ha cercata molto anche quel tizio, Gérard, sembrava anche lui estremamente preoccupato…”.

“Per favore!” canzonò la più grande “Quell’essere è solo preoccupato per il suo splendido spettacolo…”.

Dopo aver disegnato degli ampi cerchi in aria con le braccia, Frédérique tornò a fissare, con un dolce sorriso sulle labbra, la sua adorata Sophie.

“Ma non è che ora ti tocca ripartire, sorellona?”.

A quella domanda, il volto della ballerina si oscurò in un attimo.

“Chissà…”.


Trento


L’autobus lasciò Andrea Alberti proprio davanti alla sua abitazione di famiglia, come aveva sempre fatto fin dai tempi scolastici.

“Ora voglio proprio sapere come reagirà…” pensava il ragazzo, già teso.

Aveva appena appoggiato la suola della scarpa sul primo gradino della scalinato quando si sentì chiamare “Andrea! Sei davvero tu?”.

Alzando lo sguardo, si trovò davanti una donna di mezza età “Ciao mamma, come stai?”.

Lei gli si catapultò addosso “Come sto io? Come stai tu, piuttosto?! Sono mesi che non ti fai sentire! Dove sei stato?”.

Una voce provenne dall’interno della casa “Che succede, cara?”.

Appena vide comparire l’uomo sulla soglia di casa, il Soggetto N. 4 si rabbuiò, lasciando irrisolto il quesito della madre.

“Credevamo fossi morto…” esordì il padre.

“Purtroppo per voi, non è andata così”.

“Si può sapere cosa diavolo è successo? Appena saputo della tua scomparsa, ho chiamato i tuoi superiori al campo ma non mi hanno dato alcuna risposta”.

“Forse perché non ero al campo?”.

“E allora dove cazzo eri? Sono andato a cercare anche all’obitorio, ma niente! Era davvero così impegnativo fare una chiamata?”.

“Per sentire le tue solite cazzate?”.

Il signor Mario Alberti era decisamente incollerito quando, per la prima volta, notò l’abbigliamento di suo figlio: un completo blu con, in rilievo sulla maglia, una grande H gialla.

“Ma sei stato ad un carnevale?”.

“Sì, certo, era anche pieno di troie!”.

“Ora basta Andrea!” urlò, sbattendo il pugno chiuso sulla ringhiera in ferro “Io sono tuo padre! Come ti permetti di parlarmi in questa maniera? Mi pare che tu abbia disonorato abbastanza la nostra famiglia…”.

“No, a quello già ci avevi pensato te…”.

Dopo queste ultime parole, il capo famiglia non ci vide più e si avventò contro la sua prole. In un attimo, si trovò con la fredda canna di una pistola rivolta contro il mento.

Iniziando a sudare copiosamente, l’uomo vide, con la coda dell’occhio, che l’arma da fuoco era impiantata direttamente al posto della mano.

“M-Ma… che ti è successo?”.

Nel mentre, disperata, la donna si era attacca al braccio del giovane “Oddio Andrea cosa fai?! Ti prego, fermati!”.

In quella tremenda posizione di stallo, i secondi parevano secoli. Improvvisamente, il mutante abbassò l’arma, effettivamente parte del suo corpo.

I genitori trattennero il fiato. Finché Andrea non gli voltò le spalle e riscese in strada.

“A-Aspetta Andrea…” gli corse dietro la madre “Dove stai andando?”.

“In un posto migliore”.

Detto questo, il giovane s'incamminò per una tortuosa strada di montagna, senza nemmeno attendere l'arrivo dell'autobus prossimo a quello che l'aveva portato lì.

Nel contempo, la signora Alberti, una volta osservato in lacrime l'addio del figlio, tornò amareggiata verso casa.

“Cara… non ti preoccupare…” le si fece vicino il marito.

Lei, una volta alzato lo sguardo verso di lui, sempre velato di copiose lacrime, non emise alcuna parola.

La sua unica reazione fu un violento schiaffo che andò a colpire la guancia del coniuge, lasciando quest'ultimo basito.


Columbia Britannica


Tornare in quel lugubre posto non portava certo gioia nel cuore di Geran Giunan. I mesi trascorsi con il resto del gruppo lo avevano aiutato a non pensare. Non pensare alla dura vita che aveva condotto prima di ritrovarsi con il DNA mutato irreversibilmente.

Appena giunto nel suo misero spiazzo, riconobbe subito l'esile sagoma in ferro, contorta in maniera inquietante, di quello che una volta era il suo camper, la sua casa. Dentro di essa, era rimasta soltanto polvere.

Rimanendo sempre impassibile, l'energumeno che indossava una divisa Humana azzurra ne prese una manciata. Portatosi l'enorme mano vicina al viso, la aprì. Passarono svariati minuti, mentre l'indiano proseguiva nel fissare uno ad uno quei minuscoli granelli.

Quando si decise a gettarli via, notò per la prima volta la presenza di un'altra persona. Una donna il cui corpo era coperto completamente da un enorme saio. Nel suo viso si notavano subito i tratti somatici tipici dei pellerossa. Con piccoli ma rapidi passi, si posizionò vicina al mutante.

“Possente guerriero, tu sai chi sono io?”.

Nonostante l'incredibile sorpresa nel riconoscere chi aveva di fronte, il Soggetto N. 5 non fece trasparire alcuna emozione “Sì, ti ho riconosciuta. Come mai sei giunta qui, Sacajawea della tribù Agaidika?”.

La nativa americana piegò la bocca in un lieve sorriso “Gli spiriti del nostro popolo sono preoccupati dal tuo stato d'animo, possente Geran. Hanno mandato me perché tu abbia finalmente qualcuno che ti comprenda davvero”.

“L'uomo bianco ha distrutta la mia vita, ha chiesto il mio aiuto e poi, come un arco che ha visto tante battaglie, mi ha rigettato da dove mi aveva preso”.

“L'uomo bianco non cambierà mai le sue abitudini. Io stessa decisi di unirmi a loro, mentre aspettavo il mio primo figlio. Per loro mi sono buttata nel fiume che porta ingiustamente il mio nome, nel recuperare cose a loro preziose. Mio fratello Cameahwait mi aiutò collaborando con l'uomo bianco. Poi però, una volta giunta davanti all'oceano, capii che quello era il percorso assegnatomi dal Grande Spirito”.

“Vuoi dire per caso che il Grande Spirito ha ancora altro in serbo per me ma, per che io ne venga a conoscenza, devo tornare a collaborare con i visi pallidi?” cercò di interpretare le parole della visione.

“Le cose stanno esattamente così, possente Geran. Io stessa, per vivere la mia avventura, ho dovuto sposare messieur Toussaint Charbonneau, grazie a cui ho conosciuto i capitani Lewis e Clark. Ciò fa di me una traditrice della mia tribù? Mentre per gli altri sono solo una semplice snake squaw?”.

“Ma te sei riuscita a diventare leggenda. Nonostante siano ancora in molti a non sapere con chiarezza scrivere il tuo nome, oppure sapere con certezza la tua morte”.

“Non sono un nome o una morte a fare grandi una persona. Sono le tue imprese a decretare chi davvero tu sia!”.

Giunan ora fissava ammirato quell’icona di tutta la sua gente. Quest’ultima, notando ciò, gli sorrise con grande naturalezza.

“Voglio farti un dono” annunciò di colpo.

“C-Cosa?” il gigante era totalmente spiazzato “non penso di esserne degno, Sacajawea”.

“Hai tutta la mia ammirazione, possente Geran, e con essa il mio rispetto” lo informò la donna, porgendogli al contempo una cintura che reggeva sulle sue due mani.

“Questa la cedetti per una pelliccia da regalare ad un grande uomo. Ora io la cedo a te, perché anche tu possa diventare il grande uomo che meriti di essere”.

L’energumeno prese con mani tremanti tale reliquia, fissando ammirato la sua pelle. Tornò poi a guardare la sua ospite, constatando che era scomparsa nel nulla.

Come chiusura di quella notte magica, il pellerossa scelse di accendere un piccolo falò e danzarci attorno, intonando antichi cantici del suo popolo.


Pechino


La capitale cinese era sempre caotica, inquinata e rumorosa come se la ricordava. Molte delle facce che incontrava erano le solite che vedeva entrare ed uscire dal suo ristorante.

“Non credevo che questo quartiere mi sarebbe mancato così tanto…” rifletteva sornione Chang Yu, avvicinandosi sempre più al suo locale.

Appena svoltato l'angolo, stava cercando nella tasca della sua uniforme viola, con la H gigante gialla sul davanti, la chiave della porta quando sentì un inquietante sibilo.

Alzato il capo, si trovò di fronte una porta automatica scorrevole che, come era nelle sue funzioni, si era immediatamente aperta appena constatata la presenza di qualcuno.

“Cosa succede qui?” si domandò esterrefatto Il soggetto N. 6.

“Benvenuto signore! Vuole un tavolo per… accidenti! Ma è proprio lei, Onorevole Chang?” una Nikki Peng dal vestiario vistoso gli si era presentata davanti.

“Nikki?! Io sono sicuro di essere io, la cosa di cui non sono sicuro è che questo sia il mio ristorante…”.

“Beh, ecco… vede… lei era scomparso nel nulla! Qui nessuno di noi sapeva come poter mandare avanti l'attività, quindi…”.

Il piccoletto paffutello passò la sua attenzione dalla giovane cinese ad un menù esposto lì vicino. Appena lette alcune delle pietanze presenti, il ristoratore esplose.

“Come avete potuto?! Tutto mi sarei immaginato da voi, tranne questo! Questo locale, da generazioni proprietà della mia famiglia, ridotto ad essere un infimo sushi bar!”.

“Per favore si calmi, Onorevole Chang,” tentò di placare la sua ira Nikki “abbiamo solo seguito le nuove tendenze del mercato culinario”.

“Cosa?”.

“Sì. La gente oggi adora accoppiare varie pietanze di diverse nazioni…”.

“Come? Ma cosa stai dicendo?” Chang era diventato paonazzo in volto “Come puoi credere che kappa maki, tekka maki o tamago maki siano meglio dei nostri riso alla cantonese, involtini primavera o pollo alle mandorle?”.

La donna era rimasta spiazzata dalla reazione del suo ex-capo.

Mentre quest'ultimo sembrava essersi placato, di colpo proclamò “Io voglio parlare con i nuovi proprietari!”.

La Peng si rimise subito in all'erta “Questo nono può farlo, Onorevole Chang. Oltre al fatto che, in questo momento, non sono presenti ma poi, soprattutto, così rischierebbe di metterci nei guai noi tutti che lavoriamo qui”.

L'uomo scrutava serio, tramite i suoi piccoli occhi, la giovane che aveva accolto come se fosse la figlia che non aveva mai avuto. Poi, con un leggero movimento laterale della testa, squadrò il nuovo arredamento interno, con il lungo nastro trasportatore a dominare su tutto.

Tornato a fissare lei, le chiese “Almeno ti alleni ancora a badminton, piccola Nikki?”.

Quest'ultima, lì per lì spiazzata da questo nuovo quesito, gli sorrise dolcemente “Quando posso, Onorevole Chang”.

Dicendogli ciò, lei poggiò delicata la mano sulla spalla di lui, il più basso dei due, quasi accompagnandolo all'uscita.

Il Soggetto N. 6 improvvisamente si voltò, convinto di dover lasciare quel posto in un modo migliore. Sotto lo sguardo vigile della sua ex-dipendente, si pose di fronte allo stesso menù di poco prima. Gonfiando appena le guance rotonde, emise una piccola lingua di fuoco che andò ad incenerire quell'odioso pezzo di carta.

“O-Onorevole Chang!” bisbigliò appena Nikki Peng.

Nella più totale indifferenza, Chang Yu si affrettava dondolante verso la porta automatica scorrevole. Quando questa si aprì, il cinese lasciò le sue ultime parole.

“Buona fortuna, piccola Nikki”.


Città del Messico


Tornare in quella città non procurava di certo dei dolci ricordi a Bernardo. Di fatti, l'aveva lasciata mesi prima inseguito da gente ben poco raccomandabile. Infine, nonostante dei nove mutanti che componevano l'Humana fosse quello con le capacità acquisite più interessanti, le sue gambe iniziarono a tremare, anche se in modo apparentemente impercettibile.

“La situazione sembra tranquilla” ipotizzò nella sua mente “forse quei tizi si sono dimenticati di me, durante la mia assenza”.

“Scusami…”.

All'udire quella voce, Borghi sobbalzò come fosse una trottola impazzita. Voltatosi a fatica, si trovò davanti una maschera che lo fissava, una maschera da luchador verde e rossa che conosceva bene.

“Ma… tu sei… El Dragon!”.

“Fa piacere avere ancora dei fan”.

“Che vorresti dire?”.

“A quanto pare, ti sei preso una lunga vacanza da questo inferno…”.

“Sì beh, mi sono tenuto un po' impegnato in giro per il mondo…”.

“Bene allora ti dico soltanto, per farti un rapido riepilogo, che alla fine la polveriera è esplosa: i signori della droga avranno ora contro noi Luchadores!”.

“Seriamente? Oddio, come avrei voluto essere qui quando tutto è successo!”.

“Beh amico, dato che sei così interessato, ti informo subito che la guerra non si svolge qui nella capitale, ma a Tijuana”.

“Tijuana? Potrei comunque farci un pensierino…” mentre il Soggetto N. 7 si atteggiava, grattandosi il mento sbarbato con la punta delle dita, gli tornarono alla mente tutti i suoi compagni, compresa la bionda Sara Silvestri “però… credo che dovrò rifiutare l'invito”.

“L'avevo subito intuito.” accettò El Dragon “Tu hai già una tua missione da portare a termine”.

I due si scrutarono complici, poi il luchador proseguì “Anche se, come vestito sgargiante, andavi più che bene!”.

Lo stesso baffuto diede una rapida occhiata all'uniforme verde chiaro, con l'enorme H gialla sul petto, che indossava.

Improvvisamente, una coltre di fumo iniziò ad avvolgere i due messicani.

“C-Che sta succedendo?” si allarmò subito Bernardo, mentre le molecole del suo corpo iniziavano ad essere instabili.

“Tranquillo amico, è uno dei nostri: si chiama La Niebla” lo tranquillizzò il mascherato.

Dopo poco, da quella fumana artificiale, comparve un altro wrestler latino.

“Scusate se vi disturbo, ma c'è appena stata una sparatoria. Fortunatamente El Doctor è già in campo per curare i feriti”.

Il mutante fece un mezzo sorriso “allora oltre agli “El” ora avete anche dei “La”…” riferendosi agli articoli determinativi dei loro nomi da battaglia.

“Infatti, grazie a dio sempre più persone si uniscono alla nostra battaglia. Giusto ieri ne è arrivato uno dall'Uruguay”.

“Addirittura!” rimase stupito Borghi “Ma… ” e qui ebbe qualche tentennamento “El Dios è sempre con noi?”.

Con quel poco di bocca che si vedeva da sotto la maschera, El Dragon sorrise “Certo. Quel tizio è come se fosse immortale”.

Con la conferma che il suo idolo lottava ancora con loro, il Soggetto N. 7 si sentì come irradiare da una profonda pace interiore. Ora poteva davvero accomiatarsi.

“Grazie di tutto, Dragone” gli porse la mano “Spero di potervi incontrare ancora e, se possibile, darvi una mano nella vostra guerra per la libertà”.

Il luchador strinse saldamente la mano offertagli “Sarai sempre il benvenuto tra noi. A proposito, posso sapere il tuo nome?”.

L'interpellato ci pensò un po' su “Puoi chiamarmi… Berny!”


Kinshasa


appena rientrato nel suo adorato continente nero, Juna fece la prima cosa di cui aveva sentito follemente la mancanza: si spogliò e si tuffò a nuotare nel fiume Congo.

“Non c'è niente come le mie acque per farmi tornare in forma” rifletteva liberandosi, allo stesso tempo, la mente da altri pensieri futili.

A destarlo da quell'idillio ci pensarono degli spari lontani. Subito allarmato, il congolese raggiunse rapidamente la riva, indossando con la medesima rapidità la divisa da Humana gialla che aveva in dotazione.

La grossa H in rilievo su di essa, per via del suo medesimo colore, si notava appena anche una volta indossata.

“Di nuovo quei figli di puttana di bracconieri!” sentenziò furioso l'africano.

Tenendosi basso, onde evitare pallottole vaganti, il mutante si incamminò in direzione dei rumori. Dopo una rapida galoppata, si accasciò dietro ad un cespuglio secco.

“Ancora bracconieri! I giorni passano, ma i problemi rimangono sempre gli stessi” rifletteva Juna, tenendo la sua testa platinata quasi attaccata al terreno.

Nel mentre, un grasso uomo bianco, dalla testa brizzolata e con mezzo sigaro fumante in bocca, stava imprecando contro tutti gli dei, gettando rabbiosamente a terra il suo fucile scarico.

“Ma porcaccia miseria! Mi spiegate perché ho dovuto sborsare tutti quei bigliettoni, per poi non poter nemmeno sparare ad un leone o, che ne so, almeno ad un'antilope! Anche zoppa mi va bene comunque!”.

I due zairesi che lo accompagnavano cercavano di spiegarli, in un inglese alquanto stentato che, per lo meno dalle loro parti, gli animali non rispondono ai comodi dei cacciatori.

“… Anzi sapete cosa sarebbe perfetto? Un bel elefante adulto! Così con le sue zanne mi ci fabbrico un elegante pipa, o magari una penna da parata!” proseguì, raccogliendo l'arma da fuoco.

La coppia di guide si era ormai rassegnata ai vaneggiamenti dell'uomo d'affari, tanto da rimanere in silenzio annuendo appena ad ogni sua parola. Questo finché uno dei due non si mise ad agitarsi come indemoniato.

“Capo! Capo! Capo! Elefante! Elefante! Elefante!”.

Il cacciatore osservava inquietato lo strano comportamento dell'africano “Sì, elefante. È quello che ho detto”.

“No, capo!” intervenne l'altro “Elefante dietro di te!”.

A quelle parole, l'uomo raccolse l’arma e si voltò con una rapida piroetta, trovando l'enorme pachiderma molto vicino a lui. Con mano tremante, fece partire un colpo. Scarico.

Lasciando cadere nuovamente al suolo il fucile, lo straniero sgranò gli occhi, mentre l'animale si stava letteralmente mettendo in posizione eretta.

“Chi sei tu che osi sfidare le forzi ancestrali della giungla nera?”.

Dopo aver udito quelle parole dallo stesso pachiderma, la sua vescica non resse più.

“Se vuoi salva la tua vita, e con essa la tua anima, lascia questa terra sacra e non osare mai più tornarci!”.

A quell'ultima sentenza, il trio fuggì disperato verso la propria jeep, con cui sgommando sparì all'orizzonte. Una volta tornata la quiete, l'essere mutò nuovamente forma, assumendone una da normale uomo di colore.

Il Soggetto N. 8 uscì entusiasta dal suo rifugio “Lo sapevo che eri tu! Sei Black Congo, giusto? Io mi chiamo Juna”.

“Sì, amico. Piuttosto, da dove sei spuntato? Lo sai che potevi rimanere ferito, o peggio, da qualche pallottola vagante?!”.

“Oh tranquillo!” controbatté spavaldo Juna “Sono anch'io uno dei tuoi! Cioè faccio anch'io parte di un supergruppo… anche se ora siamo momentaneamente in pausa…”.

“Davvero?” s'incuriosì l'altro “Allora ti va di fare quattro chiacchiere?”.


Indianapolis


Percorrere il lungo dirizzone prima del traguardo dell'Indianapolis Motor Speedway lo esaltava ogni volta, anche guidando un muletto. Johnny Wayne era finalmente tornato ad indossare casco e guanti. Dopo innumerevoli giri, l'americano iniziò ad avvertire l'eccessiva perdita di liquidi dal suo corpo allenato. Percorrendo a velocità ridotta la corsia dei box, andò a parcheggiare la monoposto nel primo garage che gli si presentava sulla destra.

Uscito dall'abitacolo, posò il volante della vettura su di un tavolino lì vicino e, lì di fianco, il suo casco multicolore. Dallo stesso ripiano, afferrò un asciugamano grigio, con cui si deterse il sudore depositato su tutto il volto.

“Bei giri!”.

Il biondo sussultò a quella voce improvvisa.

“Scusami se ti ho spaventato!” un giovane asiatico, dai corti capelli neri e dalla mascella prominente, gli si fece vicino porgendogli la mano “Il mio nome è Minetaro Shiroyama e sono appena giunto qui da Tokyo”.

Il mutante, sebbene ancora titubante, rispose al saluto “Piacere di conoscerti…” poi, non ricordandosi il nome “Cosa ti ha portato qui nella capitale mondiale delle corse?”.

“Proprio le corse!”.

Johnny rimase sorpreso “Sarebbe a dire?”.

“Giusto qualche settimana fa il mio agente mi ha chiamato dicendomi che, visto i miei buoni risultati in Formula Challenge Japan, una scuderia statunitense aveva chiesto di me per sostituire un loro pilota infortunato”.

A quelle ultime parole, il Soggetto N. 9 iniziò a comprendere la reale situazione.

“Beh ragazzo, non mi resta che farti i miei auguri per la tua carriera…” esclamò stizzito, afferrando in malo modo l'uniforme bianca, con la grande H gialla sul davanti, con cui si era presentato al circuito.

“Spero di non averti offeso in qualche modo” si scusò immediatamente il nipponico “perdonami ma il mio inglese non è ancora molto corretto…”.

“Tranquillo, sushi boy. Te non c'entri proprio niente” lo salutò a malapena con uno sfarfallio della mano sinistra.

“Però sono convinto” proseguì il giapponese “che sentiremo ancora parlare di te, Johnny Wayne!”.

Eccome!” sussurrò appena l'interessato.

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Capitolo 8
*** Viaggio in Atlantide ***


CAPITOLO 8

Viaggio in Atlantide”




“Vedo che alla fine sentivate tutti la mia mancanza…” Sara accolse con ironia i nove mutanti rientrati al quartier generale.

“Certo tesoro, avevi qualche dubbio?” le si fece vicino malizioso Bernardo.

“Per quanto mi riguarda” intervenne Arone “ho percepito che sarei stata più utile qui che a casa mia”.

“Saggia decisione, giovane Frédérique” le fece eco Chang.

“Gli spiriti vogliono che io stia qui” esclamò fiero Geran.

Tutti i presenti rimasero sorpresi dalle parole enunciate dall'indiano, che tutti avevano imparato a conoscere come molto taciturno.

“Bene signori!” riprese la parola la bionda “Ora che ci siamo tutti, accomodatevi tutti in sala che devo parlavi della vostra prossima missione”.

“Come? Non ci dai nemmeno il tempo di riposarci un attimo?” protestò il suo connazionale.

“Purtroppo, nei giorni in cui siete stati assenti, le cose non sono per niente migliorate” controbatté lei.

“Altri problemi?” le domandò Johnny.

“Infatti. Si tratta di Atlantide…” iniziò Silvestri.

“Atlantide?” la interruppe subito Juna.

“Esattamente. Con nostra grande sorpresa, questo popolo, che tutti noi pensavamo estinto da millenni, si è messo in contatto con il mio capo…”.

“Per l'appunto, avremo mai l'onore di conoscerlo?” altra interruzione, questa volta da parte di Jack.

“Questo non sta a me deciderlo!” tagliò corto l'italiana per poi, dopo un profondo respiro, riprendere nuovamente i fili del discorso “Dicevo… questi autodefinitisi atlantidei si sono messi in contatto con noi per una disperata richiesta d'aiuto: a quanto ci hanno informato, il loro continente sommerso è stato attaccato da quello che, a quanto ci hanno spiegato, sembra essere un enorme lucertolone preistorico”.

Il messicano, cogliendo al volo tale ispirazione, tentò di mutare il suo aspetto proprio basandosi su tale soggetto “Una cosa tipo così?”.

Tutti si voltarono a verificare il risultato della sua mutazione.

“Che divertente!” fu il responso di Igor.

“Una cosa del genere…” fu di nuovo sbrigativa Sara “Comunque, in conclusione, dovete prendere il nostro bel sottomarino ed andare a controllare di persona”.

“Tutti noi?” chiese Andrea.

“Affermativo. Ancora non siete pronti per affrontare missioni in singolo”.

“Dunque ci sarà da bagnarsi un po'…” constatò il cinese.

“Non chiedo di meglio!” esultò il congolese.


Nonostante le settimane di inutilizzo, il sommergibile si rivelò efficiente come al solito, trasportando i nove mutanti a profondità subacquee raggiunte da ben pochi esseri umani.

“Siamo sicuri che non sia una bufala?” domandò il Soggetto N. 4 alla sua connazionale.

“Assolutamente no!” rispose seccata la bionda “Abbiamo ricontrollato più e più volte la comunicazione ricevuta. Che ci crediate o meno, stiamo per raggiungere la leggendaria Atlantide!”.

Il più giovane del gruppo fece una saggia osservazione “come fate a sapere dove andare?”.

Tutti si preoccuparono di colpo.

“Tranquilli” li rasserenò Sara “ci hanno anche lasciato delle coordinate ben precise da seguire”.

“Grazie al cielo!” esclamò il Soggetto N. 7 “Mi ero già visto morto dentro un’enorme scatola di metallo, come una sardina…”.

“Ma dai Berny!” lo canzonò il Soggetto N. 9 “sempre a fare il…”.

Vedendolo bloccarsi di colpo, il Soggetto N. 3 gli si fece vicina “Il… cosa?”.

“Signori,” richiamò l’attenzione dei presenti Silvestri “Penso che siamo finalmente giunti ad Atlantide!”.

Gli Humana diressero i propri sguardi verso l’enorme oblò presente nella sala di comando. Sicuramente nessuno di loro ci avrebbe creduto se gliela avessero soltanto raccontata, ma una vera e propria città si trovava adagiata sul fondale oceanico. Inoltre, non sembrava affatto invasa da alghe o sabbia, come chiunque si aspetterebbe da un centro, per ovvi motivi, disabitato. Una volta distolta l’interesse da tale magnificenza, si poteva notare come una gigantesca cupola trasparente richiudesse in essa la medesima Atlantide, dandole uno splendore ed una brillantezza che, rispetto all’ambiente cupo e minaccioso al suo esterno, creava un inquietante contrasto.

Più si avvicinavano e più notavano la particolare struttura urbanistica: una serie di alte mura concentriche con, al loro interno, tante abitazioni in stile greco antico e, all’esterno, fosse circolari ripiene d’acqua.

“È davvero stupenda!” esclamò, come in estasi, il Soggetto N. 8 “Un’intera civiltà sommersa nell’acqua!”.

Rimasto come gli altri senza parole, il Soggetto N. 6, ripresosi improvvisamente, parve sempre più preoccupato.

“Perdonate la mia osservazione, miei compagni, ma, se continuiamo a procedere in questa rotta, non vi è il rischio di andare a collidere con quella cupola?”.

Sara Silvestri imprecò verso sé stessa, per il fatto che si era lasciata anche lei ipnotizzare da tale bellezza, e tentò un’ultima disperata manovra.

“Motori dietro tutta!” urlò all’equipaggio.

“Sara! I motori non rispondo ai comandi!” la informò allarmato Andrea.

“Cosa?!”.

“Ci siamo! Io ve l’avevo detto!” Bernardo andò nel panico più totale.

“I-Io posso provare a nuotare fuori e-e…” balbettava Juna.

“Se almeno fossimo a terra, io potrei volare via da tutto questo!” sbraitò isterico Jack.

“Sembra… sembra che siano loro stessi a volerci far entrare così…” proclamò Igor, come rapito da vaghi pensieri.

L’unica che parve davvero ascoltarlo fu Frédérique “Dici sul serio, Igor?”.

Ormai la prua del sottomarino era a pochi centimetri dall’impatto. Tutti trattennero il fiato, aspettando la fine. Finché non si accorsero che non succedeva nulla di ciò. Il mezzo navale stava attraversando quella presunta cupola come se fosse completamente intangibile.

“Questa è magia…” intervenne Geran.

“Magia?” ripeté perplesso Andrea.

“Ciò è incredibile!” ribadì Chang.

Superato quell’ostacolo ingannevole, il sommergibile si dirigeva sicuro verso il centro esatto dell’isola. Si adagiò infine sul terreno, leggero come una piuma.


Ad aprire il portello fu l’unica umana non mutata del gruppo. Colei che tiene saldi i rapporti tra i mutanti e il loro misterioso capo si affacciò appena. Lì per lì, non sembrava esserci nessuno poi, ruotata appena la visuale, ecco comparire un gruppetto di cinque persone. Quasi spaventata da quell’improvvisa apparizione, Sara tentò di calmarsi, mettendosi ad osservarli con più attenzione. Il loro vestiario ricordava nettamente l’antica Grecia. I due esterni erano coperti da un’armatura leggera ed erano armati di lance che, per il momento, usavano soltanto come bastone tenendolo appoggiato al suolo verso l’esterno del quintetto. Al suo interno vi erano invece due persone, apparentemente le più anziane dei cinque, con pochi capelli in testa ed entrambi muniti di barbe canute che gli arrivavano quasi all’altezza dell’ombelico. Ma quella che colpì di più l’italiana fu la figura al centro dello schieramento: una giovane donna dalla pelle mulatta, con splendenti capelli neri tagliati a caschetto e indosso una tunica viola con, al centro del petto, un disegno formato da un ellisse orizzontale gialla e, in mezzo ad essa, un’altra ellisse ma più piccola, rossa ed orientata verticalmente.

“Ci sono delle persone…” bisbigliò appena la bionda, rivolgendosi all’equipaggio all’interno.

“E ora che si fa?” chiese preoccupato Borghi.

“Non ci resta che uscire, non vi pare?” propose Wayne.

“E se quelli ci attaccano?” ipotizzò Arone.

“Allora noi risponderemo al fuoco con il fuoco!” esclamò esaltato Alberti, tramutando la sua mano destra in una pistola.

“Fate silenzio!” ordinò stizzita Sara che subito si ricompose, decidendosi infine ad aprire completamente lo sportello.

“Salve! Il mio nome è Sara Silvestri. Voi capite la mia lingua?”.

Nessuno dei cinque rispose.

“Qualche giorno fa abbiamo ricevuto una vostra richiesta di aiuto e, controllatone l’autenticità, siamo giunti fino a qui per vedere di esservi utili…”.


“A questo punto, era meglio combattere lo Spettro Bianco…” proseguì nelle sue proteste il baffuto, sempre all’interno del sommergibile.

Tutti lo zittirono rumorosamente.


Dopo le ultime parole della terrestre, la ragazza atlantidea al centro le offrì un dolce sorriso “Benvenuta nel mio regno, Sara Silvestri. Il mio nome è Nea, e sono l’imperatrice di Atlantide”.


“Cosa? Imperatice?” chiese conferma agli altri Lincon.


“Non abbiate paura! Scendete pure dalla vostra nave, il regno di Atlantide è ben lieto di avervi come ospiti” concluse Nea.

Ancora titubanti, ma colpiti dalla sincerità presente nella voce della sovrana, gli Humana fecero il loro ingresso ufficiale ad Atlantide.

Appena scesi, tutti i maschi del gruppo non poterono che constatare la straordinaria bellezza di cui era dotata l’imperatrice.

“Dieci guerrieri?! La fortuna questa volta ci è stata davvero benevola” esclamò sorpresa Nea.

“Sua maestà…” esordì una Silvestri visibilmente emozionata.

“Chiamami pure Nea” la corresse l’interessata.

La donna rimase spiazzata da tale richiesta “Comunque… dicevo… come prima cosa, volevo avere ulteriori informazioni sulla creatura che vi sta minacciando…”.

“Hai perfettamente ragione, Sara” le sorrise nuovamente la mora, per poi tornare seria “In passato, vi erano antiche leggende atlantidee che narravano di enormi creature, dalla viscida pelle squamosa, che dominavano su tutto il continente. Per questo, dagli abitanti dell’epoca, venivano considerate come vere e proprie divinità”.

“Divinità?” intervenne furioso l’italiano “Come fate a considerare degli esseri del genere divinità?”.

L’imperatrice non si scompose minimamente “Si trattava di altri tempi, tempi più oscuri”.

“Mi scusi se la correggo” tornò a darle del lei Sara “ma fino ad ora non si è visto alcun mostro o simili”.

“In effetti, noi stessi siamo rimasti sorpresi che Gozuki non si sia fatto vivo, anche solo incuriosito dalla vostra nave”.

“Gozuki?” ripeté la francese.

“Questo è il nome della nostra minaccia”.

“Oddio! Come è possibile che ora dobbiamo pure occuparci di un dinosauro incazzato!” continuava a protestare il messicano.

“Placa la tua ira, Berny!” sentenziò l’inglese.

Come se fosse stato evocato, un ruggito tuonante investì tutta la piazza.

“Questo è lui!” annunciò terrorizzata Nea.

“Humana, state in guardia!” ordinò con decisione Silvestri.

Scrutando attentamente l’orizzonte del fondale oceanico, tutti i presenti notarono una gigantesca ombra avvicinarsi sempre più a loro. Più si avvicinava, più i mutanti notarono il colore marrone della sua pelle da rettile.

“Com’è possibile che la cupola non respinga nemmeno lui?” chiese stizzito il Soggetto N. 4.

“Non lo sappiamo! Di solito, la nostra magia respinge ogni forma ostile che si avvicina al nostro regno” rispose la sovrana.

“Da cosa è data questa magia?” intervenne il Soggetto N. 6.

“Questo non posso rivelarvelo”.

Intanto il lucertolone, per certi versi non dissimile ad un tirannosauro, aveva gli occhi luccicanti puntati proprio sul gruppo in rosso e giallo. Altri occhi si misero a brillare, quelli del Soggetto N. 3 i cui raggi termici lo colpirono in pieno petto, non causandogli alcun danno.

“Non gli ho fatto nemmeno il solletico!” constatò delusa lei.

Il Soggetto N. 1 provò a sua volta ad intervenire “La sua mente è troppo caotica per essere controllata”.

“Tanto meglio, ora tocca a me!” partì rapido come sempre il Soggetto N. 9.

In pochi secondi, lo colpì in svariati punti del corpo con la pistola laser che aveva in dotazione nell’equipaggiamento. Gozuki questa volta rimase molto infastidito dall’attacco.

Lasciando una scia luminosa lungo il tragitto, l’americano tornò ad unirsi agli altri.

“Ben fatto, N. 9. Ora però bisogna cercare di colpirlo con qualcosa di più pesante”.

Ascoltando in silenzio quel semplice consiglio, l’indiano si staccò dal gruppo per dirigersi verso un tempio lì nelle vicinanze. Di fianco all’ingresso verso questo luogo di culto, si trovava un enorme rettangolo di granito, probabilmente lasciato lì onde estrapolarne altri elementi da aggiungere alla struttura. Dimostrando soltanto una lieve fatica, lo shoshoni sollevò sopra il capo quel pesante oggetto e, ruotando il proprio corpo verso l’obiettivo, lo scagliò direttamente nel capo da rettile della creatura.

Quest’ultima, accusando decisamente il colpo, rimase per qualche minuto frastornata. Con uno sguardo ancora più feroce del precedente, riprese a scrutare il gruppetto di minuscoli esserini che aveva davanti a sé. Mentre tutti temevano il peggio, il lucertolone fece inaspettatamente dietrofront e, ancora più spiazzante, si allontanò dalla città sommersa.

“Ma… sta scappando?” la prima ad esserne sorpresa fu proprio Sara.

“Volessero gli dei…” le rispose Nea “ma temo che sia solo una ritirata temporanea, dovuta all’inaspettato contrattacco a cui si è trovato di fronte”.

“Dunque tornerà?” domandò Frédérique.

“Purtroppo ne sono certa”.

Gli Humana e gli atlantidei scrutavano l’orizzonte, dubitando ancora sulla rinuncia di Gozuki.

Emettendo un piccolo sospiro di sollievo, l’imperatrice riprese “Con la speranza di poter terminare questo giorno in pace, spero che i presenti vogliano gradire una visita al mio regno”.

Vedendo i mutanti spiazzati da tale richiesta, fu ancora una volta Silvestri a rispondere per il gruppo “Ne saremo onorati, Nea”.

“Vostra maestà è sicura della decisione presa?” chiese preoccupata una delle guardie.

“Non preoccuparti, mio fedele Manstar, con i dieci guerrieri qui presenti, non dobbiamo più temere alcun pericolo” lo consolò la mulatta.

“Ti ringrazio per il complimento, Nea,” la corresse l’italiana “ma io sono soltanto un semplice studiosa”.

“Il tuo coraggio vale quanto quello dei guerrieri, Sara”.

Con la studiosa visibilmente emozionata, la variegata comitiva iniziava il suo breve peregrinare per osservare le bellezze che, solo una società utopica come Atlantide, poteva donare ai primi esseri umani capitati lì dopo secoli.

“Quello che vedete qui di fronte” iniziò Nea, indicandoglielo “è il tempio reale, vicino a cui il vostro compagno ha trovato la sorprendente arma usata contro Gozuki”.

“Scusatemi” tagliò corto Geran.

“Mentre, alla sua destra, potete ammirare il palazzo reale”.

“Davvero meraviglioso!” esclamò estasiato Jack.

“Ed accanto ad esso, e dietro al tempio, si trova il bosco di Poseidone”.

“Bosco? Allora vi sono anche degli animali?” chiese Juna.

“È più che altro un luogo sacro…” spiegò l’imperatrice, mentre s’incamminava, seguita da tutti i presenti.

Superato un muro di oricalco, Chang bisbigliò “È bella quasi quanto la nostra muraglia!”.

“Il secondo cerchio sono per lo più abitazioni dei cittadini…” proseguiva nella sua visita l’atlantidea “Qui di seguito, invece, abbiamo un muro in bronzo…”.

“Questo con una semplice cannonata lo butti giù!” scherzò, ma non troppo, Andrea.

Nell’attraversamento del secondo girone, iniziarono a farsi vedere anche altri esponenti della popolazione, tutti incuriositi da quelle persone vestite in rosso e giallo.

“Finalmente inizia a farsi vedere anche un po’ di pubblico! Temevo di essere finito in una città fantasma…” ci scherzò su, Bernardo.

“Purtroppo, data la nostra particolare locazione geografica, aggiungendoci l’avvento di Gozuki, il mio popolo è diventato parecchio diffidente in molte cose” spiegò l’imperatrice, mentre il gruppo raggiungeva l’anello più esterno del reame.

“Infine, tutta questa sezione è adibita a stadio per le corse dei cavalli”.

“Ora cominciamo a ragionare!” si intromise Johnny “Quando si svolgono le corse? Usate anche dei carri? Possiamo assistere ad una gara?”.

Inizialmente sorpreso dall’eccessivo avvicinarsi del biondo alla sua sovrana, Manstar si frappose tra i due, con la lancia tenuta orizzontalmente davanti al corpo “Non sei degno di andare oltre, umano”.

“Placa il tuo nervosismo, Manstar” lo tranquillizzò Nea “Per il momento, non abbiamo in programma alcun evento sportivo però, per farmi perdonare, ora vi porterò al Porto Grande di Atlantide, vero gioiello della nostra città, con annesso il quartiere mercantile dove potrete godervi dei momenti di meritato svago”.

“In poche parole si va a fare shopping!” esultò festante Frédérique poi, strattonando quasi Silvestri “Hai sentito, Sara?! Possiamo darci alle pazze compere!”.

“Si ho sentito, Frédérique” tentò di calmarla la sua superiore “però non ti agitare tanto. Anche perché non so proprio come faremo a pagare i tuoi presunti acquisti…”.

“Non devi preoccuparti per questo, Sara. La gente sa che siete qui per aiutarci, nessuno vi farà pagare niente se comprate qualcosa da loro”

“Non ci credo…” esclamò, quasi in lacrime, la francesina.

“Sì però non ne approfittate di questo privilegio, e parlo a tutti quanti voi Humana” redarguì fin da subito i suoi mutanti, la bionda “Non dimenticatevi che siamo qui per lavoro, non certo per divertimento”.

I nove le risposero tacitamente.

Igor, essendo il più piccolo della squadra, era ancora stupefatto nel trovarsi dentro ad una città così leggendaria.

“Non posso ancora crederci che, proprio a me, sia stato concesso l’onore di trovarmi a camminare ad Altantide! Chissà che succede appena lo racconto alla nonna…” pensava tra sé il russo.

“Mi dispiace disilluderti ma, meno persone sano del nostro regno, e meglio riusciamo a vivere in pace con la gente di superficie”.

Il ragazzino rimase shockato da quella voce suadente che si era fatta largo nella sua mente, anche perché era un’abilità che pensava essere esclusivamente sua. Poi riconobbe la voce e diresse il suo sguardo verso l’imperatrice.

Nea non proferì parola, limitandosi soltanto a fargli l’occhiolino.


Dopo altri momenti di titubanza, gli Humana iniziarono a mischiarsi con la folla. Gli stessi atlantidei, a poco a poco, iniziarono ad accettare quei mutanti provenienti dal mondo di superficie.

Il più eccitato da tale situazione sembrava proprio il più giovane del gruppo che, non senza numerosi tentennamenti, si avvicinò all'imperatrice.

“M-Mi scusi… signora…” tentò un primo approccio.

“Va bene Nea”.

“N-Nea…” qui la sua voce si fece più flebile “davvero anche lei riesce ad usare la telepatia?”.

“Sì, è una dote che ho scoperto avere quando avevo all'incirca la tua età. Inoltre, anche se in una forma molto più debole, riesco a padroneggiare anche la telecinesi…”.

“Davvero? Anch'io! Che bello avere qualcuno con cui condividere qualcosa!” esultò vistosamente Igor.

Nea lo osservava con un sorriso sincero.

A quel punto il giovane decise di proseguire mentalmente “Scusa se te lo chiedo, ma non è che forse sei anche tu una mutante?”.

Lei non si scompose minimamente e gli replicò “Chi può dirlo? Sono ormai millenni che non abbiamo più contatti seri con gli umani, può darsi anche che, le stesse capacità a cui siete giunti voi, siano comparse anche a me e tra il mio popolo”.

“Scusate se mi intrometto” fece la sua improvvisa comparsa fra i due Andrea “Nea, scusami se te lo chiedo ma, siccome giusto qualche giorno fa vidi un servizio alla tv, te sai niente del popolo dei guanches? Dicono che provengano proprio da qui. Da Atlantide”.

La mulatta rimase basita.

“Ma dai, Andrea! Come fai a credere a quella cazzate che mandano alla televisione!” lo canzonò Johnny.

“E chi ti dice che lo siano?”.

“Parlando da scienziata” esordì Sara “ci sono ancora molti misteri che la scienza deve studiare adeguatamente, per cui non prendere come oro colato tutto ciò che viene detto durante una trasmissione televisiva del genere”.

“Ma se hanno fatto vedere pure gli scheletri di questo popolo! Anche se molti di loro avevano uno strano cranio allungato che, tra la gente di qui, non vedo…” insistette l'italiano.

Bernarndo colse la palla al balzo ed allungò la sua stessa testa, risultando alquanto inquietante “Tipo così?”.

“Oddio Berny, fai davvero schifo!” espresse la sua opinione Frédérique.

L'uomo chiamato Manstar si mise davanti al Soggetto N. 4 “Non importunare ulteriormente la nostra imperatrice!”.

Ma lui, testardo “Ed è vero che, tra di voi, usate il linguaggio dei fischi?”.

Qualcuno emise un fischio acuto. Tutti, ancora sofferenti al timpano per tale rumore, si voltarono verso Chang.

“Beh? Anch'io lo so fare. Sennò come facevo a farmi sentire dalla giovane Nikki, quando il mio ristorante è pieno di gente?”.

“Io so che esistono delle piramidi, sparse nel mondo, che dovrebbero essere di Atlantide. Mi sembra ce ne siano pure in Africa…”.

“Basta piramidi! Ne ho viste abbastanza quando siamo stati in Egitto e, se vi ricordate bene, non è stata proprio una gita di piacere…” esclamò contrariato Jack.

“Comunque” riprese la parola Silvestri “Anch'io ho visto quella trasmissione e, fidatevi, non crederò mai ad una grassona, che dice di essere in contatto con una atlantideo, il quale gli ha detto che Gesù era un avatar e che tre dei suoi apostoli sono suoi fratelli”.

Dopo queste ultime rivelazioni, la combriccola rimase stupefatta.

“Ma pensa te…” Borghi era letteralmente rapito da tutta quella vicenda.

“Gli uomini non dovrebbero mai prendersi gioco degli dei” Geran espose lapidario la usa opinione.

La bionda, comprendendo la situazione, si ricompose “Lasciando da parte queste frivolezze, ora concentriamoci esclusivamente su quel lucertolone”.

“Gozuki” gli suggerì Wayne.

“Esatto. Io propongo di fare dei turni di guardia, onde evitare di farci trovare impreparati se quella bestia effettuerà un attacco notturno”.

“In effetti, nemmeno io so catalogare bene quell'animale” spiegò il Soggetto N. 6 “apparentemente sembra una lucertola troppo cresciuta ma, in più, sembra avere una certa aurea mistica su di sé”.

“Confermo” disse secco il Soggetto N. 5.

A quelle parole, Sara si fece sempre più pensierosa. Poi, rivolta all'imperatrice Nea.

“Siete sicuri di non sapere da dove provenga?”.

“Ve lo giuro su ciò che ho di più caro. È comparso improvvisamente una mattina di qualche giorno fa, distruggendo palazzi e uccidendo persone”.

“Ma la vostra barriera magica?” chiese il Soggetto N. 9.

“Sembra non sortirgli alcun effetto”.

“E nessuno dei tuoi scienziati ne sa nulla?” insistette il Soggetto N. 4.

“Gli anziano pensano sia una qualche divinità antica dimenticata che, a causa di ciò, è ricomparsa per vendicarsi degli infedeli. Personalmente, evito di dare eccessivo peso a tale opinione”.

Tra gli Humana fu di nuovo silenzio.

“Bene!” riprese Silvestri “Teniamoci pronti ad ogni evenienza e, nel frattempo, Nea, possiamo chiederti ospitalità per questa notte?”.

“Assolutamente!” li accolse con un dolce sorriso “Finché questa spiacevole storia non sarà conclusa, siete tutti miei ospiti al palazzo reale!”.

“Oddio che emozione!” il Soggetto N. 3 non stava più nella pelle.

“Speriamo ci sia anche da mangiare!” bofonchiò il Soggetto N. 7.


Come da premesse, gli Humana vennero trattati da re. Ciò comprese: pasti squisiti ed abbondanti, bagni rilassanti alle terme interne del palazzo ed alloggi immensi per ciascuno di loro. Quel novello stile di vita rischiò di minare la concentrazione dei mutanti sul loro reale obiettivo ma, nonostante i canti e le danze, anche tra i commensali era palpabile lo stato di tensione dovuta a Gozuki. Fortunatamente, per quella sera non accadde nulla di preoccupante, con parte del gruppo che andò a riposare mentre il restante rimaneva vigile

Anche la mattina successiva tutto parve tranquillo, con la cupola magica che si illuminò maggiormente, ad imitare la levata in cielo del sole. Alcuni dei nostri eroi consumarono una colazione soddisfacente, mentre gli altri si ritirarono nelle proprie camere.


A chilometri di distanza, nascosto dall’oscurità degli abissi marini, l’enorme lucertola bipede meditava vendetta. Improvvisamente, qualcosa luccicò nei suoi occhi da rettile. Alzò il suo corpo squamoso, colorato con tonalità di marrone che, a mano a mano che raggiungeva la schiena, diventava sempre più scuro. Su di essa erano presenti numerosi spuntoni ossei che, seguendo l’andamento della colonna vertebrale, arrivavano fino alla punta della possente coda.

Una volta in posizione eretta, iniziò a camminare con andamento caracollante, poggiando i suoi enormi piedi sul suolo sabbioso. Ognuno di essi aveva tre dita gigantesche, ciascuna munita di artigli estremamente affilati.

Appena vide in lontananza la cupola atlantidea, spalancò le sue fauci che, come forma, ricordavano più il becco di un’anatra, ed emise un ruggito acuto.


Tale lamento minaccioso fu subito udito dagli ospiti del popolo sottomarino che, nel giro di qualche secondo, era già pronto a ricevere il mostro come meritava. Il Soggetto N. 2 si alzò immediatamente in volo cercando, oltre di avvistare la creatura, anche di distrarla qualche istante. A terra, il Soggetto N. 4 lanciò un colpo di bazooka proveniente direttamente dal suo corpo, mentre il Soggetto N. 7 si limitò ad un lancio di catapulta. Questi colpi non sembrarono fare alcun danno al nemico.

Nea che, noncurante del rischio, aveva assistito a tutto l’attacco, fu avvicinata dal Soggetto N. 8.

“Imperatrice, è troppo pericoloso che lei stia qui. Venga, la porto al riparo io!”.

“Non posso, Juna” si giustificò lei “Non voglio abbandonare il mio popolo proprio in questo nuovo momento di crisi”.

“Non si preoccupi, al mostro penseremo noi e la sua non sarà di certo considerata una fuga!”.


Poco più in là, gli altri due mutanti erano maggiormente preoccupati dalla situazione.

“Possibile che nemmeno queste armi gli facciano nulla? A questo punto ci vuole direttamente l’atomica!” sbraitò infastidito Andrea.

“Bene!” replicò Bernardo “Così, se non muore lui, siamo noi a schiattare!”.

Dall’alto piombò giù Jack “Niente da fare! Quel bastardo è indistruttibile!”.

“A questo punto, proverò ad attaccarlo da dietro!” esclamò appena Johnny, prima di scomparire nel nulla.

Nel mezzo della battaglia, Frédérique osservava l’orizzonte “Sembra che tutti i cittadini abbiano trovato un riparo…”.

“Non avrei mai creduto di assistere ad uno spettacolo così terrificante!” le confessò Chang.


Intanto, la guerra non stava affatto procedendo positivamente. Gozuki era sempre più vicino alla città sommersa, mentre gli stessi soldati dell’impero non potevano fare altro che ritirarsi.

Contemporaneamente, nei pressi del palazzo reale, Sara Silvestri proseguiva con l’impartire ordini.

“Soggetto N. 5, tu occupati di proteggere l’imperatrice ed il Soggetto N. 1!”.

“Come desideri” rispose lapidario Geran.

“Questa volta, solo un miracolo può salvare Atlantide” pensava Nea, con le lacrime che le rigavano le guance color ebano.

Alle volte, i cosiddetti miracoli sono dei gran bastardi: aspettano fino all'ultimo secondo per comparire. Dall'enorme entrata del palazzo reale, che dava proprio sul versante in cui stava succedendo la catastrofe, qualcosa iniziò a brillare, una fievole luce azzurrognola che, con il tempo, iniziò via via a farsi sempre più luminosa. Al massimo dello splendore, fece partire un raggio che, in perfetta linea retta e con una precisione assoluta, andò a colpire Gozuki esattamente in mezzo agli occhi da rettile.

“E ora che cazzo è quello?!” esclamò furente l'italiano.

“Come speri che lo sappia io?” gli rispose a tono il messicano.

“Qualcosa mi dice che sia una cosa positiva, miei compagni” sentenziò il cinese.

Appena scomparso di colpo tale bagliore, il mostro rimase immobile in piedi. Poi, in pochi secondi, iniziò a collassare da un lato, fortunatamente senza coinvolgere alcuna abitazione, per infine crollare esanime al suolo.

Una volta terminata la scossa sismica provocata da tale caduta, i presenti cominciarono con il radunare le proprie idee sull'accaduto.

“Nea” esordì Sara “te sai che cos'era quella luce?”.

L'interpellata era come in uno stato di trance.

“Imperatrice?” le si fece vicino il congolese.

“Gli antichi l'avevano scritto…” iniziò a farfugliare la donna “solo nel momento della sua più grande crisi, la pietra di Atlantide tornerà a brillare…”.

“Cosa vuol dire?” anche lo stesso indiano si scoprì curioso.

In mezzo a tutto quel mistero, c'era chi invece faceva la conta dei sopravvissuti.

“Aspettate un attimo…” s'intromise la francese “dov'è Johnny?”.

Tutti gli Humana si guardarono intorno, alla ricerca visiva del loro amico scomparso.

“Soggetto N. 1” richiamò l'attenzione Silvestri “cercalo con i tuoi poteri”.


Durante tutti questi avvenimenti, il velocista del gruppo stava correndo a tutta velocità per mettere in atto il suo piano contro Gozuki quando, con un colpo d’occhio che ad un semplice umano non sarebbe mai consentito, notò qualcosa di singolare, in mezzo a tutta quella confusione. Un uomo, palesemente non riconducibile alla razza atlantidea, stava osservando il conflitto con un’apparente calma totale. Sorpreso da ciò, l’americano si diresse subito verso di lui. Fu allora che notò il suo modo di vestirsi mediorientale e la lunga barba scura che scendeva dal suo mento. Appena comprese chi aveva davanti, si bloccò proprio di fronte all’uomo.

“Non è possibile…” sospirò appena.

“Sono lieto di fare la tua conoscenza, mr. Johnny Wayne” lo accolse educatamente.

“Io so chi sei!” gli urlò contro il mutante “T-Tu sei… Mohammed Al-Shirida!”.

“È un sommo piacere sapere che tu già mi conosca, mr. Wayne”.

“Oh, sì. Certo che ti conosco!” si alterò sempre di più il biondo “Sei quel figlio di puttana che ci ha ridotto così!”.

“Voi americani, subito pronti ad offendere gli altri…”.

Nonostante il suo fare sereno, il qatariota fu rapido nello sparare un colpo contro il suo avversario. Lo statunitense, sorpreso da quell’azione, udì appena il sibilo dell’aria e vide comparire, conficcata sul suo braccio sinistro, un dardo con del liquido al suo interno che si svuotò rapidamente.

Sentendo che già le gambe lo stavano abbandonando, si rivolse nuovamente al terrorista “Credi davvero che, avendo tre cervelli, ti sarà facile batterci?”.

“Se devo essere sincero, francamente non mi interessa chi possa vincere questa battaglia. In fondo, io stesso ho creato voi Humana come semplice svago” gli sorrise beffardo.

“Svago?” ripete sottovoce il Soggetto N. 9, inginocchiandosi al suolo.

“Esatto. Avevo saputo che la genetica aveva fatto passi da gigante negli ultimi tempi e, così come mi sono appropriato di parte dei cervelli dei più grandi uomini del pianeta terra, ho deciso di dar vita ad una gara con il vero capo della tua associazione, semplicemente utilizzando nove persone prese a caso da tutto il mondo”.

“Tu sei un pazzo!” ormai il mutante si muoveva a carponi verso il nemico.

“Questa è una sua opinione, mr. Wayne. Per altri sono considerato un vero genio”.

“E allora perché non approfitti della situazione per uccidermi?”.

“Privandomi così di tutto il divertimento? Assolutamente no!”.

Johnny aveva la vista sempre più annebbiata.

“Anzi, sa cosa le dico, potrei benissimo prendermi una pausa e poi, successivamente, tornare a divertirmi con voi, miseri mutanti”.

“Bastardo!” la voce dell’americano era ormai solo un sospiro, tanto che egli stesso pensava di aver solo pensato a tale offesa, finché non sentì un’altra voce nella sua testa.

“Johnny… sono Igor… mi senti?... Dove ti trovi ora?”.

“Io…” fu l’unica riflessione che riuscì a produrre l’interessato, prima di perdere definitivamente i sensi.


Quel contatto telepatico, seppur misero, fu sufficiente agli altri Humana per trovare la posizione del loro compagno, con Jack Lincoln che volò immediatamente a recuperarlo, trovandolo steso a terra, con nessun altro attorno.


Una volta riunito finalmente il gruppo, essi si misero tutti attorno all'imperatrice, con la ovvia esclusione del membro svenuto, adagiato comodamente su di un baldacchino.

“Questa, signori, è la pietra di Atlantide” spiegò Nea, mostrando tra le sue mani un rombo azzurro di un materiale non meglio specificato.

“Molto chic!” sottolineò il Soggetto N. 2.

“E chissà quanto vale…” scherzò, ma neanche tanto, il Soggetto N. 7.

“Sento un grande potere magico provenire da essa” informò il gruppo il Soggetto N. 5.

“Infatti è senza dubbio l'oggetto magico più potente che abbiamo qui ad Atlantide” confermò l'atlantidea.

“Inoltre è sempre un ricordo dei vostri antichi parenti, è giusto che lo teniate con voi” sentenziò il Soggetto N. 6.

“E poi è davvero molto bella!” esclamò il Soggetto N. 3.

“Ma cosa? Perché sta brillando?” urlò allarmato il Soggetto N. 4.

Improvvisamente, la pietra riprese a brillare di azzurro intenso, abbagliando tutto ciò che aveva attorno. Finché non si spense nuovamente di colpo. All'interno del palazzo reale, tutto sembrava immutato, tranne la scomparsa dei dieci visitatori che avevano appena salvato il regno. Ciò portò agli atlantidei grande sconforto e terrore.

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Capitolo 9
*** Benvenuti nella Twilight Zone ***


CAPITOLO 9

Benvenuti nella Twilight Zone”




Nel giro di un attimo, i bagliori azzurri scomparvero. Il piccolo corpo di Igor Wansa giaceva raggomitolato su di un prato verde. Improvvisamente, un urlo metallico rimbombò nell’aria, destando il ragazzino russo. Quest’ultimo, come una molla, scattò in piedi, trovandosi davanti una distesa erbosa di color smeraldo, tutta sormontata da un sinistro cielo violaceo.

Ancora stupefatto da quel singolare ambiente, si accorse, a qualche metro di distanza, di un veicolo in movimento davvero particolare: un camion parecchio arrugginito dalla forma stretta e allungata.

Ancora rapito da quel mezzo di trasporto, un tuono assordante lo portò a guardare verso l’alto. Dalle nubi violacee iniziò a comparire una figura ancora più inquietante: un gigante con la testa da asino, le ali da pipistrello e serpenti presenti in tutto il corpo, compresi due enormi avvolti attorno alle gambe.

“Ma cosa sta succedendo?”.

Il Soggetto N. 1 fissava quell’orrendo spettacolo ad occhi sgranati, finché un ringhio ne riportò l’attenzione al suolo. Un grosso quadrupede, dal folto pelo scuro e gli occhi infuocati dritti verso di lui. Ora Igor era davvero terrorizzato. Senza nessuno dei suoi compagni a dargli una mano, una volta scoperto che i suoi stessi poteri telepatici non sortivano effetto contro quell’orrenda creatura, l’unica soluzione fu la fuga immediata.

Il respiro del russo si faceva sempre più affannoso, mentre rimanevano ben udibili i passi pesanti e ritmati del Cane Nero alle sue spalle.

“A cuccia, Bobby!”.

Una giovane donna, vestita con un completo rosso, diede quell’ordine perentorio all’orrenda creatura, che le obbedì mugugnando contrariata. Igor ne approfittò per rifiatare un attimo. Poi, concentrando la sua attenzione sui lineamenti della sua salvatrice, notò qualcosa di altrettanto inquietante: due corna che le partivano da entrambe le tempie.

Il ragazzino fece per allontanarsi di nuovo quando, di fronte a lui, vide spuntare da un cespuglio una figura davvero buffa. Essa aveva il corpo di una gru, con testa e zoccoli di cavallo, una lunga coda e, attaccate alle esili spalle, due possenti ali da pipistrello. L'essere, appena notato l'umano, si alza in volo emettendo un grido stridulo e fiamme dalla bocca.

“Quello era un Diavolo del Jersey” la diavolessa si avvicinò ad Igor “Io mi chiamo Zaras, posso sapere il tuo nome?”.

L'interpellato, sebbene ancora titubante, decise di risponderle “M-Mi chiamo Igor Wansa. Q-Quell'enorme creatura in cielo, cos'è?”.

“Quello è Tifone. È grosso sì, ma dovresti vedere il Kraken…” gli rispose Zaras.

Tutta questa presentazione avveniva sotto lo sguardo di una presenza aliena ed invisibile, come Soggetto N. 1 si accorse grazie ai suoi poteri psichici.

“Oppure il Lindworm là!” concluse la donna demoniaca, indicando un punto a poca distanza dai due.

Un incrocio tra un drago e un serpente, con solo un paio di zampe a sorreggerne la forma vermiforme, riposava tranquillo e beato. Distratto da quella nuova sconvolgente creatura, il russo non si accorse che il suo corpo veniva avvolto da quella che, a tutti gli effetti, sembrava una gigantesca ragnatela. Una volta ritrovatosi inaspettatamente a testa in giù, cacciò un nuovo urlo.

“Ma che?” Zaras guardò in alto, sulla chioma di un albero “Biliku, lascia andare il ragazzino. Non è di certo una minaccia per noi”.

A quelle parole, l'intreccio di tele si sciolse in breve tempo e, di conseguenza, il mutante ricade al suolo in maniera scomposta.

“Tutto bene?” gli domandò la donna.

“S-Sì” le rispose sbrigativo il ragazzino, mentre scuoteva di dosso la terra “Ma si può sapere dove sono finito?”.

“Ah, giusto. Benvenuto alla Twilight Zone” fece Zaras, spalancando le braccia con fare teatrale. Nel contempo, un gigantesco Roc bianco si librava fiero nel cielo viola.


Apparentemente nella stessa location e nella medesima situazione di Soggetto N. 1, si trovava pure il N. 2.

“Mai che si possa stare tranquilli, da quando sono un mutante!” ragionava tra sé e sé.

Di colpo, a bloccare questi suoi pensieri, giunse un grugnito selvatico alle sue spalle. Con gli occhi già sgranati dal terrore, il dandy si voltò lentamente, per infine trovarsi di fronte un gigantesco cinghiale dallo sguardo furioso, che sbuffava grandi quantità di fumo dalle narici inquietanti.

Poi, repentinamente, l'inglese mise in atto una fuga disperata, urlando a squarciagola. Passando tra varie frasche, con le gambe che si facevano sempre più pesanti, si trovò di colpo ad avere la vista oscurata da qualcosa. Con uno scatto della mano destra si tolse ciò che aveva in faccia e, ancora più stupefatto, si trovò a tenere in mano un esserino, alto circa venti centimetri, vestito con scarpe dalla punta molto pronunciata, calzoni di stoffa marroni tenuti su da una cintura con fibbia dorata, una maglia di lana blu e, sulle sommità del suo capo, un cappello rosso a punta. A quel nuovo shock, il mutante spiccò il volo, gettando via lo gnomo che, fortunatamente, fu raccolto al volo da una figura alquanto simile a lui, compreso nel vestiario: un nano.

“Tutto bene, Parf?” chiese il più grande dei due.

“Sì, Zenzero. Mi chiedo solo chi diavolo sia quello straniero. Per fortuna ha evitato per un pelo la zona del Basilisco!”.

Arrivato ad un'altezza considerata da esso sicura, Jack si fermò, cercando di rifiatare il più possibile. Approfittando della situazione, scrutò il paesaggio attorno a lui. Un'immensa distesa verde sormontata da quell'inquietante cielo violaceo. Ad ore 13, avvistò un laghetto dove, dopo pochi secondi, atterrò. Una volta al suolo, la sua attenzione fu subito catturata da un lieve fruscio nell'erba. Da essa, spuntò una piccola creatura anfibia.

“Che carina! Una salamandra!”.

La bestiola, appena notata la presenza umana, prese incredibilmente fuoco, rimanendo comunque impassibile. Il sobbalzo provocato da ciò, portò il britannico sull'orlo del lago. Voltatosi verso la superficie liquida, vi vede riflessa una creatura aveva un volto allungato, simile a quello di un serpente, e due occhi corrucciati e minacciosi.

Nuovo sobbalzo e, questa volta, Lincon si trovò ad urtare un recipiente tubolare con, scritto su di esso, la sigla C.H.U.D.

“Buongiorno, come posso esserle d'aiuto?”.

All'udire quella voce cavernosa, il Soggetto N. 2 si voltò di scatto verso una montagna pelosa e parecchio puzzolente. Attaccato ad essa, vi era un testone dalle medesime caratteristiche.

Notando la sua espressione tranquilla, l'umano provò a comunicare “B-Buongiorno a lei. Posso gentilmente sapere dove mi trovo?”.

“Questa è Twilight Zone”.

“B-Bene...” il dandy si strusciava nervosamente le mani “E lei sarebbe?”.

“Orco”.

“Non ne avevo dubbi…” sussurrò l'inglese, mentre la sua attenzione era ora rivolta verso una cerva, dalle corna d'oro e dagli zoccoli di argento e bronzo, appena giunta al laghetto per rifocillarsi “Sa per caso come sono arrivato qui?”.

“No”.

Vista la poca collaborazione della creatura, Jack sospirò “Speriamo almeno che gli altri Humana stiano bene…”

“Se posso permettermi…”.

il mutante si voltò verso quella nuova voce, sbiancando all'istante.

“Per quel che ne sappiamo noi Blemmi, solo il Voltar può far entrerà qualcuno qui da noi”.

A parlare fu un essere umano la cui particolarità era la totale assenza della testa, mentre il volto era tutto posizionato sul torace della persona. Soggetto N. 2 cacciò un urlo spaventoso.


La vista di Frédérique era ancora annebbiata, mentre riguadagnava faticosamente la posizione eretta. Eppure, ciò che aveva davanti era proprio una confezione tubolare di gelato, con l'etichetta “STUFF”, poggiato su un tronco mozzato. La francese gli si avvicinava lentamente.

“Per favore, non prenderlo”.

Dopo il doveroso sobbalzo, la mutante si voltò, vedendo una figura femminile, vestita con un elegante kimono coperto dai suoi lunghi capelli, che le dava le spalle.

“C-Chi sei tu?” le domandò il Soggetto N. 3.

“Gotta catch 'em all!”.

La ballerina si voltò di scatto verso la sua destra, trovandosi di fronte una figura nota, benché più oscura.

“Ash? Tu sei Ash dei Pokémon!”.

“No” intervenne nuovamente la donna in kimono “è solo una sua rappresentazione malvagia. È Lost Silver”.

Lo sguardo dell'umana passò rapidamente da una parte all'altra, utilizzando infine il suo superpotere verso il maschio. Con suo sommo stupore, capì che non aveva consistenza fisica, infatti scomparve all'istante.

“Attenta alla lumaca vicina al tuo piede destro” riprese a parlare l'altra.

La donna in rosso e giallo abbassò lo sguardo per constatarne la presenza.

“È carnivora…”.

La bionda, schifata, si spostò lateralmente saltellando, facendosi più vicina alla sua interlocutrice. Udì un verso dolce e questa volta si trovò accanto una specie di lontra, se non fosse che aveva un ulteriore zampa al posto della coda.

Lì per lì era pronta a coccolarla fino allo stremo, poi la sua espressione si fece corruciata.

“Non dirmi che anche questa è carnivora?” voltandosi verso la donna ancora di spalle.

“Esattamente. Si chiama Ahuizotl”.

“Anche questa?! Possibile? Ma dove cavolo sono finita?”.

Quella che, a tutti gli effetti, era una bambola, comparve facendosi largo fra i cespugli.

“Puoi chiamarla Twilight Zone. Ma meglio ancora sarebbe chiamarla inferno!”.

Gli occhi di Arone si spalancarono “Io ti conosco! Tu sei Chucky, la bambola assassina!”.

Il pupazzo rise satanicamente “Che bellezza! Una mia fan! Ecco cos'era tutto questo trambusto…”.

“Allora questo… è un parco a tema!”.

Il balocco la squadrò inebetito “Perché? Hai per caso pagato il biglietto?”.

Nel frattempo, la specie di lontra si era messa a lottare con una specie di vipera.

La mutante non disse nulla e tornò a fissare l'altra donna.

“Quello è uno Tsuchinoko. Viene dal Giappone, come me”.

“E dunque tu chi sei?”.

Chucky scuoté la testa “Pessima domanda”.

Noncurante dell'avvertimento, la francese si fece sempre più vicina alla giapponese. Poi la terra iniziò a tremare. Tutti e tre finirono per terra, mentre gli animali si dileguavano. Fortunatamente, la scossa durò solo pochi minuti.

“Pure un terremoto?” sbraitò infastidita la mutante.

“Probabilmente un Graboid che passava nelle vicinanze” spiegò la bambola, mentre si tirava su e si puliva il vestito da infante, mentre una piccola bambola voodoo le passò rapidamente alle spalle.

Frédérique cercò di mantenersi lucida e tornò a fissare la donna in kimono che, nonostante tutto, aveva ancora il volto coperto dai lunghi capelli corvini. La afferrò delicatamente per una spalla.

“Fermati, ti prego, io sono...”.

Il Soggetto N. 3 la voltò con violenza.

“Una Kuchisake-onna!” esclamò, mostrando la sua mostruosa bocca che partiva e terminava letteralmente da orecchio ad orecchio.

L'urlo delle ragazza fu coperto parzialmente dal ruggito di un altro animale leggendario, una Leucrotta.


Chi invece era subito pronto ad affrontare qualsiasi minaccia era il Soggetto N. 4. Di fatti, la sua mano si era già tramutata in una pistola carica e pronta a sparare. Una sinistra risatina rasoterra e il colpo era già partito, andando a spappolare un semplice pomodoro.

“Fanculo!”

Altro rumore sospetto, questa volta sui rami, e il soldato era di nuovo pronto a far fuoco. Il bersaglio mobile era questa volta uno strano scoiattolo, senza coda ma dal volto umano.

“Uno Squasc?”

“Io sono il possente Sobek. Come osi profanare la quiete di questo posto?”.

A parlare era stato un essere umano vestito da antico egizio, come una sorta di deja-vu, caratterizzato dal viso di coccodrillo.

“Di nuovo voi stronzi egiziani!” replicò l'italiano.

Di lato ai due contendenti, si fece avanti un toro, con una criniera di cavallo sul collo e le corna rivolte all'indietro.

Sobek riprese a parlare “I miei compagni divini mi avevano avvertito che sareste potuti giungere anche qui”.

Nel mentre, qualcos'altro balzò vicino al mutante. Quest'ultimo sparò, vedendo la propria pallottola passare attraverso il corpo di un canguro.

Inaspettatamente, un accento romagnolo “Come pensi di poter uccidere così un canguro fantasma? Sei proprio un italiano, buono solo a scopare!”.

Andrea si voltò di scatto, trovandosi di fronte un folletto che era un incrocio tra un gatto, una scimmia e un coniglio “E tu che cazzo sei?”.

“Non lo vedi? Sono un Mazapégul. Ignorante!”.

Un grido acuto proveniente dal cielo. Alberti scrutò in aria “Un grifone?”.

“No, uno ziz. Ignorante!” replicò il Mazapégul.

“Che cazzo! Vuoi fare il fenomeno, eh?” accettò la sfida il mutaforma “Allora dimmi cos'è quel mostro là?” indicandogli un altro drago-serpente, ad almeno cento metri di distanza.

“Un Pitone. Ignorante!”.

“Ma fammi il favore! I pitoni che conosco io sono ben diversi!”.

“Qui sei nella Twilight Zone, ignorante!” lo informò l'esserino.

“Cosa?”.

“Esatto” riprese parola l'egiziano “qui le cose sono ben diverse dalla tua realtà”.

“Vogliamo finirla!”.

Una donna in topless, con la parte inferiore del corpo identico ad un enorme coda serpentina, scostò il Bonaco, infuriata.

Mentre il Soggetto N. 4 puntava la sua pistola, il folletto si esaltò “Oh, ora si ragiona!”

la Lamia fissò tutti i presenti con sguardo assassino “Possibile che non si possa riposare in pace nemmeno qui!”.

“Mi ricorda tanto un manga hentai...” sussurrò il Mazapégul.

“Cosa?” ripeté Andrea.

“Niente più pace” scuoté l'enorme capo Sobak.

“Questo dovrei dirlo io!” ribatté la Lamia.

Con la mano tornata umana, il mutante si sfregò ripetutamente il volto “Ci doveva essere qualche droga in quel cibo atlantideo…”.

“Buona! Ne hai portata un po'?” gli domandò l'esserino.

“Ma certo!” ripartì la Lamia “mettiamoci tutti a fare gli hippy e dedichiamoci alla pace nel mondo”.

Mentre inneggiava ciò, la donna prese da terra un Serpente Arcobaleno e, piegandolo ad arco, diede molta enfasi al suo discorso.


Geran aveva camminato per molto tempo. Finché, appena lo vide, lo riconobbe subito: un cimitero indiano. All'ingresso vi era la scritta “PET SEMATARY”. Erano già parecchi minuti che era seduto in contemplazione, quando lo spirito gli comparve davanti. Esso aveva la forma di uno scheletro umano.

“Allora aveva ragione Benji, ci sono degli intrusi nella Twilight Zone!”.

Il Soggetto N. 5 non gli rispose.

“Come vuoi” si stufò presto il non morto “Comunque, il mio nome è Johnny”.

Ancora nessuna risposta. Poi la sua attenzione fu totalmente rapita da una creatura leggendaria che lui conosceva bene: il Piasa. Una creatura dal capo umano, con corna di cervo e barba, ali da pipistrello, arti d'aquila e coda pinnata.

Il teschio si spostava rumorosamente tra i due “Conosci quell'affare?”.

“Johnny!”.

Lo scheletro si voltò e accolse festante il nuovo arrivato: Frankenstein Boy, membro originale del Monster Commando.

“Non mi dire che è collassato così a causa delle tue parole?”.

“Macché, Bob, io l'ho trovato che era già in blocco”.

Così, erano in due ad osservare in silenzio il nuovo arrivato. Dopo minuti che sembravano interminabili, Kaufman voltò leggermente il capo.

“Ehi, Johnny” richiamò l'attenzione dell'amico “Quello laggiù è Louis?”.

L'interpellato guardò a sua volta, mentre con aria triste annunciava “Magari fosse lui…”.

Di colpo, un umanoide peloso assaltò quest'ultimo, al grido di “Sei tu il mio scheletro!”.

Bob fissava la scena allibito “E questo chi è?”.

“Si chiama Blutsauger. In pratica un altro disadattato come noi” riuscì a rispondergli appena Johnny, mentre cercava alla meglio di rispondere all'assalto.

Improvvisamente, una donna si unì allo spirito bosniaco nel torturare la struttura ossea parlante.

Kaufman, sempre più sorpreso “E questa chi è?”

“Dice di chiamarsi Psychopathic Cynthia. Glielo avevo detto a Benji di non accettare anche le Creepypasta!”

“Cosa?” Bob era sempre più spazientito “Ma cos'è? Uno scherzo d'aprile?”.

A quelle parole, un uomo, camuffato da jolly delle carte, si avvicinò saltellando “Di quelli me ne occupo io!”

“Sì, lo sappiamo, Jolly Boy” tagliò corto Frankenstein Boy, seccato.

“Fermi tutti!”.

Al suono di quella voce, tutti si bloccarono. In pochi secondi, il proprietario di essa si rese letteralmente visibile e si inginocchiò vicino all'indiano. Tutto il gruppo si bloccò ad osservare.

“Questa divisa la conosco. Sono quel nuovo gruppo di mutanti: gli Humana”.

“Davvero?” domandò sorpreso Bob “Beh tu sei Ragazzo Invisibile degli Heroes, voi vi conosco, ok. Ma questi Humana… proprio non li ho mai sentiti!”

Nel frattempo, dall'ingresso principale del cimitero fece la sua comparsa un altro uomo peloso, ma più grosso e più curvo.

“Uno Yeti” esclamò Kaufman.

“Un Bigfoot” lo corresse Johnny lo Scheletro.

“No, è un Alma” ebbe infine ragione Oscar Charles.

La creatura si avvicinò tranquilla a Giunan, per poi poggiargli delicatamente una mano sulla spalla destra. Il mutante si accorse di lui e si alzò al suo fianco.

Dalle vicinanze, apparve un terzo uomo peloso.

Johnny lanciò un'occhiata di disprezzo al giovane scienziato “Avanti sapientone, dimmi cos'è quello...”

“Un Vanara” fu la rapida risposta.

Nel mentre, il Soggetto N. 5 volse il suo colossale corpo verso la strana combriccola.

“Portatemi dal vostro capo”.


“Bene. Così dovrebbero bastare…” affermò il Soggetto N. 6 mentre, in maniera un po' goffa, poggiava per terra qualche ramoscello secco trovato nelle vicinanze. Ispirò profondamente, ma la legna prese fuoco prima della suo soffio termico.

“Era questo che volevi?” gli si fece vicino un uomo dai lunghi capelli neri, una felpa rossa e un paio di jeans consumati.

“Esatto. Chi sei tu?”.

“Gli umani mi chiamano Vampa. Sono l'elementare del fuoco, e tu?”.

“Il mio nome è Chang Yu, Onorevole Vampa. Faccio parte degli Humana. Ora stavo cercando di prepararmi un lauto pasto”.

“Spero tu non voglia cucinare una delle vacche di Gerione, anche perché hanno Ortro a sorvegliarle…” gli sorrise il nuovo arrivato.

“Assolutamente no. Volevo solo essiccare qualche erba. D'altronde, non posso nemmeno cibarmi di sogni come il Baku…”.

“Baku? Dov'è il Baku?” un gatto mostruoso, uscì da dietro un albero, iniziando ad andare avanti-indietro su due zampe, come fosse impazzito.

“Un Bakeneko!” esclamò stupefatto il cinese.

Lo spirito felino, visto il fuoco appena acceso, tirò fuori da un cespuglio una tavoletta Ouija.

“Alimentiamo il fuoco!”.

“Fermo!” gli urlò contro Vampa.

La tavoletta volò via dalla presa del Bakeneko e finì tra le fauci di una specie di coccodrillo.

I presenti rimasero in blocco.

“Quello cos'è?” chiese il mutante.

“Un Buru, proviene dalle regioni indiane.” informò Vampa.

Lo yokai si avvicinò con sguardo folle e unghie sfoderate “Lasciate che me ne occupi io...”.

“Fermo lì! Lascia stare quel rettile!”.

Tutti si voltarono per trovarsi davanti un uomo-lucertola, tutto rivestito con un armatura futuristica di stile spaziale.

“Sono Alien Hunter, un rettiliano. Mi hanno avvisato che c'erano degli intrusi qui alla Twilight Zone”.

Nel mentre, un nuovo gatto mostruoso, dal pelo irsuto e rosso, era riuscito, con grande rapidità, a togliere la Ouija dalla presa delle potenti mascelle del Buru.

Chang si girò di colpo “Un altro Bakeneko?”.

Gli rispose Vampa “No, questa è una creatura italiana: la chiamano Gata Carogna”.

I due felini si misero a litigare fra di loro, provocando di conseguenza un gran baccano.

Il cuoco sorrise mestamente “Questo mi fa tornare in mente una cosa: anche in Italia dicono che noi cinesi mangiamo i gatti…”.

“Sarebbe la soluzione migliore!” disse l'alieno, mentre scrutava con sguardo omicida i due litiganti animali, leccandosi le labbra squamose con una lingua biforcuta.

A quelle ultime parole, i due strambi gatti si placarono, sedendosi quieti uno accanto all'altro.

“Quindi” riprese la parola l'elementare “Ci sono altre persone nel nostro territorio?”.

“Così mi hanno informato dal quartier generale” gli rispose Alien Hunter.

Mentre ascoltava i ragionamenti di entrambi, l'asiatico vide per terra una console portatile. Inizialmente stupito, la raccolse dal suolo. La accese.

“Se davvero non posso mangiare, spero mi sia concesso almeno svagarmi un pochino”.

Una volta acceso il piccolo display luminoso, si trovò faccia a faccia con un avatar, graficamente disegnato in stile “Minecraft”, che fissava il mal capitato con degli inquietanti occhi completamente bianchi.

“Herobrine!” urlò terrorizzato il Soggetto N. 6.


“Madre de dios!” ripeté per l'ennesima volta il Soggetto N. 7, mentre era in fuga disperata da una figura volante che lo inseguiva: una vecchia in sella ad un mortaio.

“Dove scappi? Fermo!”.

Preso dalla foga, il messicano inciampò e cadde rovinosamente al suolo.

“Tutto bene?” gli chiese una figura ammantata.

Il baffuto scosse il capo e, una volta ripresosi, si alzò fulmineo per poi cambiare aspetto.

“Non ti muovere! Io sono un campione di karate!”.

L'altro, coprendosi per pochi istanti con il mantello scuro che indossava, mutò a sua volta “E io sono il gobbo di Notre Dame!”.

“Allora io sono un cavaliere!”.

“E io il fantasma dell'opera!”.

“Però io sono un soldato!”.

“E io… un tizio inquietante con il cilindro”.

Dopo questo assurdo scambio magico, Bernardo tornò alla sua forma originale “Ma sei un mutaforma come me?”.

“Una specie”.

Improvvisamente, Borghi si sentì afferrare una gamba. Guardò in basso e vide un esserino peloso, dagli occhi rossi e i denti aguzzi, avvinghiato al suo stinco.

“Ma che ca…” calciò via la creatura “Si può sapere dove diavolo sono finito?”.

“Sei nella Twilight Zone, amico mio. Qui potrai trovare tutti i tipi di mostri che più ti aggradano!”.

“Come il Mostro di Tecolutla? O quello di Montauk?”.

“Penso ci siano anche loro. Che tipo di mostri sono?”.

“Acquatici”.

“Può darsi. Però, per sicurezza, dovresti chiederlo a Fisherboy” gli indicò un uomo vestito con un impermeabile scuro da pescatore.

Quest'ultimo non proferì parola, ma diede un biglietto a Bernardo con su scritto “PUOI TROVARLI NEL LAGO CENTRALE”.

Mentre era intento a leggere quel documento improvvisato, un serpente dalla testa enorme gli strisciò accanto.

Il messicano sobbalzò “Merda! Pure i serpenti!”.

“È un Serpente Regolo. È innocuo” lo tranquillizzò Triple Boy.

Improvvisamente si iniziò ad udire un sinistro rantolio. Il Soggetto N. 7 era terrorizzato.

“Eh no! Questo film lo conosco! Oh sacra Coatlicue, aiutami tu!”.

Nonostante tali raccomandazioni divine, con la stessa divinità presente in quella zona ai confini della realtà, il corpo del mutante iniziò ad essere avvolto da lunghi e animati capelli corvini.

Vicino a lui fece la sua comparsa una donna asiatica, dal passo dinoccolato e la pelle pallida come un cadavere.

“Oh no, vi prego! Io vi avverto: se guardo “The grudge”, io me la faccio sotto!”.

“Fermi tutti!” un comando proveniente dall'alto.

La stessa vecchia che poco prima lo inseguiva, ora stava atterrando delicatamente vicino a quel gruppetto assurdo.

“Quel bel baffetto è mio! Voglio che entri a far parte dei miei servi invisibili!”.

Nonostante quell'avvertimento, quella versione di Kayako Saeki non sembrava di certo disposta a lasciare la presa sull'uomo.

“Mi secca deludervi entrambe, signore” comparve un altro losco figuro, dal cappello logoro, la giacca consunta, i pantaloni bucati e le scarpe finite “Ma quello straniero viene con me dritto all'Amityville Headquarter”.

“E tu chi saresti?” gli domandò il ragazzo con il mantello.

“Fidati, figliolo, sono qui da più tempo di te. Mi chiamo Mortimer. Se non mi credi, chiedi pure a tuo fratello Louis” gli rispose il vecchio, accompagnando il tutto con un sorriso sdentato.


Nell'enorme lago di quel posto assurdo, una nuova creatura si sta abbeverando pacifica. Il suo normale corpo taurino terminava però in un'enorme coda di serpente. L'Ofiotauro fu però spaventato da qualcosa che comparve da sotto la superficie dell'acqua.

Di nuovo sulla terra ferma, il Soggetto N. 8 fu sorpreso di vedere, sdraiato sulla riva, un gigantesco gorilla, come mai ne aveva visti nemmeno in Africa. Mentre era ancora incantato da tale visione, un ectoplasma comparve vicino a lui.

“Oliver tesoro, avevi ragione te. Ho trovato un altro degli Humana!” disse esso.

“Non chiamarmi “Oliver tesoro”, Mark. Appena puoi cerca di comunicare con lui e spiegagli dettagliatamente al situazione, senza ovviamente farlo andare nel panico totale”.

“Ok… Oliver tesoro” chiuse la comunicazione il fantasma, mentre riprendeva consistenza corporea.

Juna già lo squadrava con occhio che fulmina.

“Ciao” lo salutò levando la mano al cielo “io sono Ghost degli Heroes. So che fai parte degli Humana e, tranquillo, non sono qui per farti alcun male. Ti prego solo di seguirmi al nostro quartier generale. Che poi non è nostro, ma del Monster Commando, però…”.

Il mutante non attese nemmeno che l'altro ebbe finito ma tentò subito una fuga.

“Einherjar!” urlò Ghost.

Davanti all'africano, si materializzò un soldato in armatura vichinga.

“Ti giuro, non sono tuo nemico!” provò a spiegarsi il supereroe in bianco, mentre quello in rosso e giallo si rituffava nel lago.

Appena sott'acqua, però, un feroce squalo bianco sfiorò appena il mutante che, in poche bracciate, fu di nuovo a riva.

“Mi chiedo ancora come faccia Jaws a vivere in un lago” Ghost si accovacciò vicino al Soggetto N. 8 “Di certo e più nervoso rispetto a Kong” indicò l'enorme gorilla “O a Talo” indirizzò il suo indice verso un gigante di bronzo a una decina di metri da loro.

L'originario della Repubblica Democratica del Congo riprendeva fiato, puntellandosi con i gomiti sul terreno. Nel mentre, una creatura a metà tra uomo e pesce emerse dalle acque scure.

Lì per lì, il membro degli Heroes sembrò sorpreso “Pensavo fosse Bill, invece è solo un Quinotauro”.

“Dove mi trovo?”.

Appena terminata la domanda, il verso rombante del serpente piumato Quetzalcoatl, che librava libero in cielo, riempì l'aria.

“Sei nella Twilight Zone. Non certo un posto molto raccomandabile…” l'altro, palesemente omosessuale, gli poggiò una mano delicata sulla spalla.

Intanto, la superficie dell'acqua iniziò a incresparsi. Come c'era da aspettarsi, da essa iniziò ad emergere qualcosa.

I due rimasero alquanto sorpresi dagli esseri che si trovarono di fronte.

Un toro gigantesco, con una miriade di occhi, bocche, orecchie, narici e zampe sparse in tutto il suo corpo animalesco. Ma ancora più sorprendente era dove questa creatura si trovava: la schiena di un altrettanto enorme pesce. Il muso di tale animale, ricordava però più quello di un ippopotamo o di un elefante.

“Dunque… quelli dovrebbero essere un Kuyutha e un Bahamut” spiegò il supereroe in bianco.

“Come sono finito qui?” domandò il mutante, tornando a fissare l'umano.

“Beh ecco...” l'interpellato iniziò a fissare per terra, disegnando con la punta del dito dei ghirigori invisibili sul terriccio “Per il momento, questo non lo sappiamo nemmeno noi”.

“Almeno i miei compagni stanno bene?”.

“È per questo che ti devo portare all'Amityville Headquarter. Lì, sono sicuro, ogni cosa verrà chiarita”.

A quelle ultime parole, Juna si rimise in piedi “Allora andiamo!”.


Era da almeno un'ora che correva a tutta velocità, come solo il Soggetto N. 9 sapeva fare, sotto quel cielo violaceo. Ma niente, dei suoi compagni non vi era alcuna traccia.

Di colpo si fermò vicino ad un albero, giusto in tempo per sentire un grido acuto provenirne dalla sommità. Su di essa difatti era appollaiato un uccello gigantesco.

Poi l'attenzione dell'americano fu catturata da una possente giumenta, che galoppava elegante per la prateria. Proprio mentre seguiva la traiettoria di tale galoppata, notò una donna in kimono che gli si avvicinava. In un attimo, Johnny gli fu di fronte.

“Ciao bella. Non pensavo di trovare qualcuno in questo posto assurdo! Io mi chiamo...”

“Tu sei uno degli Humana” disse una voce, nonostante le labbra della fanciulla rimasero chiuse.

Il mutante rimase spiazzato “S-Sì. E tu?”.

Lei si voltò, rivelando un ulteriore bocca posta sulla propria nuca “Io sono una Futakuchi-onna”.

L'uomo sbiancò “Ma che cazzo?”.

Tuono e lampi comparvero dal cielo, comandati da un altro enorme rapace, un Uccello del tuono. Come richiamato da una forza invisibile, il mutante si voltò alla sua sinistra e vide una divinità che riconobbe subito.

“Cthulhu!”.

“Complimenti, figliolo” a parlare fu una vecchia megera totalmente verde, compresi pelle, capelli e denti.

Il velocista la fissò impaurito “Ho sentito parlare di te. Sei Jenny Dentiverdi”.

“Bene. 100 punti al giovane!” lo schernì Jenny.

Il biondo, stufato di tutta quell'assurdità, stava per ripartire a gran velocità, ma una voce lo bloccò.

“Ti prego, aspetta”.

Una donna splendida, illuminata da una luce eterea, lo guardava seducente.

“E te chi sei? Una ninfa?” le chiese lui.

“Quasi” le sorrise lei “Sono un'anguana”.

“Dove mi trovo?”.

“Questo territorio si chiama Twilight Zone ed è il rifugio del Monster Commando. Non so se ne hai sentito parlare?”.

Wayne scuoté negativamente il capo, mentre fissava una specie di drago che si era seduto accanto a Cthulhu, tornato in versione pacifica.

“Quello è un Ninki Nanka. Viene dall'Africa”.

“Come sono finito qui?”.

“Per quello, dobbiamo recarci all'Amityville Headquarter” la Futakuchi-onna aveva ripreso a parlare con la seconda bocca.

“E dove sarebbe?” proseguì con le domande il Soggetto N. 9.

Nel frattempo, si era avvicinata un'altra creatura assurda. Questa aveva il corpo simile ad una tartaruga a sei zampe, sul carapace erano presenti vari aculei e una cresta centrale, infine la testa era alquanto somigliante a quella di un leone.

“Quello è un Tarrasque. Viene dalla Francia” aggiunse l'anguana.

“Oddio! Possibile che con il mio gruppo dobbiamo finire da un posto assurdo all'altro!” si lamentò ad alta voce lo statunitense.

“Se è per quello, bel biondino, nessuno ti ha invitato a romperci le palle!” controbatté seccata la donna in verde.

Mentre i due proseguivano con il battibeccare, dal cielo discese lentamente una figura umana, se non fosse per la presenza di due braccia aggiuntive e di un becco da uccello al posto dell'umana bocca.

“Io sono Garuda. Sono qui per accompagnarti al nostro quartier generale” si presentò.

L'umano alzò le mani, quasi in segno di resa “Ah no, grazie. Preferisco decisamente la via terrestre. Te fammi strada che io ti seguo a tutta birra!”.

Il nuovo arrivato sembrò sorpreso da tale reazione, poi acconsentì “Come desideri” e si librò in volo.

“Ci vediamo gente!” salutò rapido i presenti il Soggetto N. 9, prima di sparire in una macchia indistinta rossa e gialla.


Amityville Headquarter

“… Quindi, a far funzionare tutta questa casa, è una fonte elettrica senziente di nome Pulse?” riassunse una tranquilla Sara Silvestri.

“Esattamente” le confermò un ragazzo tutto vestito in nero, con capelli scuri tirati su con il gel e canini appuntiti che spuntavano da sotto il labbro superiore: Benjamin Luhan.

I due passeggiavano tranquilli dentro un'enorme stanza vuota e spoglia. Dopo poco, una ragazza, con indosso un costume richiamante lo stile delle streghe, si affiancò a Vampire Boy.

“Amore, i nostri ospiti sono pronti ad entrare” Gli sussurrò all'orecchio.

“Bene, Laura. Falli pure entrare” acconsentì lui.

Colei conosciuta anche come Witch Girl alzò il palmo aperto della mano, puntandola verso una delle quattro pareti della sala. Magicamente, parte di quella parete scomparve, permettendo così di constatare, dall'altra parte, la presenza dei nove Humana. Ai loro lati, vi erano altre due creature leggendarie. A sinistra, un Tengu, nella sua forma di corvo umanoide, mentre a destra vi era un Redcap, il goblin con l'immancabile berretto rosso sangue.

“Entrate pure, ragazzi” li invitò Sara.

I mutanti, seppur titubanti, si avviarono al centro della stanza. Durante il loro breve cammino, un topo sfrecciò da una parte all'altra del locale.

“Che schifo, un topo!” strillò inorridita la bionda.

“Tranquilla” la rassicurò Luhan “È il nostro piccolo Ben”.

Intanto, gli eroi in rosso e giallo erano giunti di fronte al trio.

“Bene, ragazzi” esordì Sara “Come avrete ormai già intuito, per uno strano scherzo del destino, o meglio della pietra di Atlantide, ci siamo ritrovati ospiti inattesi del gruppo conosciuto come Monster Commando”.

I nove la ascoltavano in silenzio.

“Personalmente ne avevo già sentito parlare da un mio amico americano, Jobe Cunniven. Però, trovarmi realmente qui, è davvero sconvolgente”.

Da un'altra entrata, fece la sua comparsa un maiale antropomorfo con in mano un invitante panino strapieno. L'attenzione di tutti fu catturata da esso.

“Jimmy Squarefoot!” lo chiamò Laura MacBean “Potresti scusarci? Abbiamo una riunione in atto”.

L'essere appena richiamato si allontanò, sebbene alquanto seccato, emettendo un sonoro grugnito.

“Comunque” riprese la parola la stessa giovane strega “Dopo aver analizzato il vostro particolare caso, credo proprio che riuscirei a farvi tornare indietro, utilizzando un potente incantesimo di teletrasporto...”.

Mentre la ragazza proseguiva, Redcap si era messo a discorrere animatamente con un troll propriamente detto.

La maga fulminò entrambi con uno sguardo “Mi basta solo un po' di calma!”.

I due, zittiti all'istante, si allontanarono dalla zona, insieme anche al Tengu.

Con il ritrovato silenzio, Witch Girl chiuse gli occhi, cercando tutta la concentrazione possibile per eseguire quell’incantesimo telecinetico di massa alquanto impegnativo. Nel mentre, il suo fidanzato le teneva una mano delicata sulla spalla sinistra, più per conforto che per reale utilità.

Mentre tra gli Humana iniziava a serpeggiare un po’ di tensione, lei si mise a pronunciare parole di una lingua sconosciuta e misteriosa, alzando al contempo entrambe le sue mani aperte.

Improvvisamente, una luce accecante comparve su di loro e, nel giro di pochi secondi, scomparve, portandosi via anche la particolare decina. Laura abbassò le braccia e si appoggiò, esausta, a Benjamin. Una bambina di circa cinque anni, con i capelli biondicci e gli occhi di un azzurro intenso, si avvicinò a lei.

“Tutto bene, Laura?” le chiese.

Sì, Helen. Spero per loro che sia andato tutto bene.”

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Capitolo 10
*** Una titanica amicizia ***


CAPITOLO 10

Una titanica amicizia”




La stessa luce abbagliante presente nell'Amityville headquartier, ora rischiarava l'enorme salone della villa degli Humana. In pochi secondi, come era apparsa, scomparve, lasciando dietro di sé un'umana e nove mutanti.

I dieci, dopo un'iniziale immobilità, presero a scrutarsi attorno, riconoscendo subito quel luogo a loro ormai così familiare.

“Madre de dios!” esordì Bernardo “Siamo tornati!”.

“Io mi ero già visto di lasciare il mio nuovo ristorante alla giovane Nikki” Chang si deterse la fronte con la mano.

“State tutti bene, gente?” s'informò immediatamente Johnny.

In molti annuirono a tale quesito. Nel mentre, Sara stava con gli occhi chiusi e la mano poggiata sulla propria tempia.

“Tutto ok, Sara?” le si fece vicina Frédérique.

La bionda aprì gli occhi “Sì, Soggetto N. 3, sto bene. Grazie”.

“Immagino che sarà da registrare qualche episodio di… rimescolamento di stomaco, visto l'assurdo trasporto che abbiamo effettuato” suggerì Andrea.

“Oddio, che schifo! Ci manca anche quello!” esclamò schifato Jack.

“L'importante è che siamo riusciti a tornare” si voltò verso il gruppo Silvestri “Anche il mio superiore si dice felice di riaverci tutti e sani salvi qui alla base”.

“E quando te l'ha detto?” domandò dubbioso Wayne.

“Non preoccupatevi di ciò” tagliò corto l'italiana “l'importante ora è che andiate tutti a riposarvi. Non dimenticatevi che abbiamo ancora una guerra contro lo Spettro Bianco da portare avanti”.

“E ti pareva!” sbottò sarcastico Borghi “Figurati se possiamo goderci una bella e lunga siesta…”.

“Io preferisco farmi una bella nuotata” disse Juna.

“Esco anch'io” gli fece eco Geran.

“Mi raccomando però: non allontanatevi troppo” controbatté Arone.

“Personalmente, preferisco una bella doccia calda” Lincon si stava già avviando al piano superiore.

“Appena mi sono riposato un po', mi occuperò anche della cena, signori” comunicò al gruppo sparpagliato Yu.

“In guerra non ci si riposa mai, Cheng, non dimenticarlo!” lo canzonò divertito Alberti.

“Pensala come ti pare, Andrea” intervenne il velocista “io, piuttosto che farmi una corsetta, preferisco collassare nel letto fino a sera”.

I due proseguirono con lo schernirsi, mentre anche gli altri seguivano ognuno la propria strada per concludere degnamente quell'assurda giornata.

Ormai, tutti i presenti vestiti in rosso e giallo si erano divisi. Uno dei pochi rimasti nella sala era Wansa, il quale si era accostato a Sara.

“Davvero stai bene, Sara?”.

“Sì, Igor. Devo abituarmi anch'io a queste avventure”.

“Siamo sicuri che sia finita?”.

“Certo. O almeno, per il momento” concluse lei, fissando il paesaggio boschivo fuori dalla grande finestra vicino all'ingresso, mentre i Soggetti N. 5 e 8 si salutavano con un leggero cenno del capo, allontanandosi dalla villa.


Incredibilmente, i giorni seguenti passarono tranquilli per tutti gli Humana. Tutti tranne il Soggetto N. 1, che sembrava rimasto estremamente sconvolto dall'esperienza vissuta con il Monster Commando. Di tale inquietudine se ne accorsero anche gli altri otto mutanti ma, nonostante ciò, iniziarono ciascuno a prendersi dei meritati giorni di vacanza, sempre in pieno accordo con Sara e il loro misterioso superiore.

Un giorno, il Soggetto N. 9 tornò a fare visita ai suoi compagni, portando con sé una nuova fiammante auto. Purtroppo per lui, ad accoglierlo alla villa, trovò soltanto il russo e i due ormai inseparabili 6 e 7.

Di fatti, dopo poco, l'americano decise di ripartire per il suo girovagare.

“Ci si vede, gente! Non fate troppo casino...” urlò dal finestrino aperto, mentre le ruote del veicolo stridevano volontariamente sul ghiaino.

“Che Hijo de puta!” lo apostrofò a bassa voce il messicano.

“Ma no. È solo leggermente sbruffone...” lo corresse il cinese.

Nel mentre, la coppia rientrò nell'abitazione. Una volta dentro, trovarono Igor addormentato sul divano del salotto.

“Bueno. Almeno ora riesce finalmente a riposare”.

“Bisogna comprenderlo, Bernardo. Un viaggio infernale, come quello che ci è toccato l'ultima volta, può davvero essere destabilizzante per un ragazzino della sua età”.

“Già...” ne convenne anche Borghi, poi iniziò a sentire uno strano odore “Cos'è questa puzza?”.

Anche Yu si mise ad annusare l'aria “Giusto. Sembrerebbe zolfo...”.

Mentre Wansa spalancava improvvisamente gli occhi, una nuvola di fumo nero comparve di colpo nel salotto.

“Mi sembra di riconoscere...” sospirò piano il giovane appena svegliato.

Intanto, la nebbia si diradò, lasciando posto ad un essere davvero demoniaco. Un uomo alto quasi due metri, vestito con una tunica scura con la pelle rossa che faceva contrasto con la barba nera mente, sulla fronte, facevano bella mostra due lunghe corna ossee.

I tre mutanti lo fissarono spiazzati.

L'essere appena giunto esordì “Dunque siete voi i recenti visitatori”.

Terrorizzato da quella voce cavernosa, Bernardo tentò l'ironia “No, io non c'ero. Semmai puoi chiedere al qui presente...” indicando nel mentre Chang.

“Silenzio!” lo zittì il demone.

“Di grazia,” l'asiatico tentò con la diplomazia “possiamo sapere con chi abbiamo l'onore di interloquire?”.

La creatura soppesò bene ogni parola appena enunciata “Il mio nome è Zaras”.

“Bugiardo!”.

Tutti si voltarono verso il ragazzino che aveva appena urlato.

“Io conosco Zaras e tu di certo non gli assomigli per niente!”.

Il diavolo, lì per lì sorpreso, proruppe poi in una sonora risata.

“Tu, piccolo idiota, hai conosciuto la mia controparte femminile, quella più debole ed insulsa. Ma vedi, di Zaras ne esiste anche una versione decisamente migliore” esclamò, spalancando le braccia per fare bella mostra di sé.

“La faccenda si complica alquanto...” bisbigliò il Soggetto N. 6.

“Pensare che con noi non sono stati particolarmente ospitali” replicò il Soggetto N. 7.

“Silenzio!” ripeté Zaras, mentre con l'indice della mano destra sparava un raggio fiammeggiante che mancò di poco il baffuto.

Quest'ultimo reagì collassando sul pavimento. Dopo aver osservato la caduta dell'amico, il cinese tirò un sospiro di sollievo, tornando a fissare il loro ospite.

“Se si tratta di fuoco, posso anch'io dire la mia” proclamò il mutante, prima di emettere un portentoso soffio infuocato.

“Notevole” osservò il demone, tenendo le braccia incrociata davanti al petto.

Intanto, il corpo di Borghi si stava lentamente mutando in una robusta corda che, come fosse un serpente ipnotizzato, saltò in aria e andò a legarsi tutta attorno a Zaras.

Lì per lì, l'entità mefistofelica fu nuovamente sorpresa. Poi sul suo viso diabolico comparve un ghigno altrettanto satanico.

“Credete davvero che una misera fune possa fermare un essere potente come me?”.

I tre mutanti rimasero spiazzati da quelle parole. Dopo attimi infiniti, la corda si sciolse, strisciando verso Chang e tornado ad essere Bernardo.

“Saggia decisione” confermò Zaras, mentre la sua mano divampava per un nuovo attacco.

“Fermo dove sei!”.

Disubbidendo a quell'ordine, il diavolo si voltò verso le scale, trovandovi il Soggetto N. 4 che lo teneva sotto tiro con una strana pistola.

“E tu chi saresti? Da dove viene quell'arma?”.

L'italiano gli rispose “sono il più cazzuto degli Humana. Da quando sono stato nel vostro posto di merda, il mio corpo crea delle armi da fuoco tutte sue. Questa l'ho chiamata Megadistruttore”.

“Interessante...”.

“Ora, si può sapere perché sei qui? Ti ha mandato il Monster Commando?” proseguì Andrea.

“Esattamente. Sono giunto da voi per avvisarvi che un nostro membro è fuggito dalla Twilight Zone grazie al vostro intervento”.

“C-Cosa?” balbettò Borghi.

“Cazzate!” giudicò Alberti.

“No, sta dicendo la verità” esclamò serio Wansa.

I quattro si voltarono verso il più giovane di tutti. Successivamente, Zaras riprese a parlare.

“Nello specifico, si tratta di un fulgido esemplare di titano. Probabilmente, ciò è dovuto ad un leggero errore di calcolo nell'incantesimo di Witch Girl. Inoltre, giungendo qui sulla terra, ha risvegliato altri due esemplari della sua specie, che riposavano da secoli”.

“Quindi si tratterebbe di ben 3 titani?” ragionò Yu.

“Esatto. I loro nomi sono: Titano Astreo, il titano del crepuscolo, Titano Pallante, il titano della saggezza, ed infine Titano Perse, titano della distruzione”.

“Come sappiamo dove si trovano attualmente?” chiese il Soggetto N. 4, sempre tenendo sotto mira l'avversario.

“Poveri sciocchi. Sono loro tre che stanno dando la caccia a tre vostri membri che non sono qui presenti. Si tengono in contatto in una maniera simile al vostro bambino” indicò il Soggetto N. 1.

“Oddio! Bisogna cercare di avvisarli tutti il prima possibile!” urlò un Soggetto N. 7 nel panico più totale.

“Non preoccuparti, Berny…”.

A parlare così fu proprio Igor, sorprendendo un po' tutti.

“Come ha detto Zaras, io riesco a tenermi facilmente in contatto con tutti i membri dell'Humana, compreso Sara. In questo momento, hanno udito tutti perfettamente, nelle loro teste, cosa ci siamo detti”.

Il messicano rimase preoccupato “Speriamo che Dio li assista”.

Dopo qualche secondo di silenzio, l’italiano riprese la parola.

“E di lui cosa ne facciamo?” indicando il demone.

“Giusto” concordò il cinese “un demone in casa non porta bene”.

“Potremo rinchiuderlo da qualche parte…” propose Bernardo.

“Allora non capite!” li interruppe Zaras “Non esistono prigioni che possano tenermi bloccato e senza via di fuga”.

Il baffuto lo scrutava perplesso “Mmmh, probabilmente ha ragione”.

“Allora come pensi di andartene via di qui?” gli chiese scioccamente il russo.

“Nello stesso modo in cui sono giunto” fu la risposta.

“Brutto basta…” ma il Soggetto N. 4 non fece in tempo a prendere la mira che, la figura del loro diabolico visitatore, fu avvolta nuovamente da una nuvola di fumo nero e odorante di zolfo.

I restanti tossirono per qualche minuto.

“Beh… cof cof… è stato più semplice del previsto” tentò di stemperare l’atmosfera il Soggetto N. 6.

“Cof… purtroppo ora viene il difficile. E non per noi…” ricordò ai presenti l’ex-militare.


Le stelle splendevano silenziose sulla vasta pianura in cui il Soggetto N. 3 aveva deciso di soggiornare. Nello specifico, per tenere allenata la sua vista prodigiosa.

La francese se ne stava tranquilla accanto ad un vivace falò, acceso utilizzando la sua vista calorifera, nel tentativo di scaldarsi il più possibile. Nel mentre, continuava a riflettere sulle parole appena pronunciate da quel demone, e portate alla sua mente dal Soggetto N. 1.

“Non ha detto però che sono aggressivi…” sentenziò tra sé e sé l’ex-ballerina.

Dopo aver fissato il danzare delle fiamme per qualche minuto, alzò il suo sguardo al cielo e, approfittando della sua vista telescopica, iniziò ad esaminare gli astri della volta celeste.

Abbassando leggermente il capo, notò poi qualcosa di insolito. Le era parso, per assurdo, che la cima di una collina si fosse mossa. Letteralmente con un battito di ciglia, cambiò il suo stile di vista, passando ad una più utile visione notturna.

Quello che vide la spiazzò ancora una volta: un uomo, in versione gigantesca, se ne stava seduto, con il petto appoggiato sulle ginocchia piegate, a scrutare egli stesso il cielo notturno.

“Oddio! Uno dei titani!” sentenziò, con gli occhi sbarrati dal terrore.

Dopo aver ripreso un po’ di sangue freddo, i suoi occhi iniziarono a brillare, pronti a sferrare un colpo laser. Però ci fu qualcosa che fece desistere Frédérique: l’espressione su quell’enorme viso era così pacifica.

Mentre i suoi occhi smettevano di brillare, l’attenzione del titano fu catturata proprio da quel piccolo, per lui, bagliore. Con gran rapidità, si mise in piedi e raggiunse la mutante. Quest’ultima, nuovamente nel panico, tentò una fuga voltandosi e mettendosi a correre.

“Tu sei una degli Humana?”.

Quella voce profonda, simile ad un tuono, la fece bloccare all’istante. A scatti, si voltò verso la creatura gargantuesca.

“E-Ebbene sì. Come fai a conoscerci?”.

“Al Monster Commando non si parla d’altro”.

“D-Davvero?”.

“Certo. Un nuovo supergruppo clandestino fa sempre notizia”.

“Ma allora non siete qui per attaccarci?”.

“Personalmente no, ma non posso assicurarti lo stesso per i miei fratelli. In particolare Perse, lui considera gli esseri umani alla stregua di scimmie seccanti”.

Arone le si fece vicino “Beh, si accorgerà che con i mutanti non è proprio la stessa cosa”.

“Lo spero” sospirò lui, tornando a rimirare le stelle.

“Allora te cosa fai tutto qui da solo?”.

“Adoro ammirare gli astri. Sono così silenziosi e lucenti… non ti pare?”.

“Decisamente. Dunque tu sei…”.

“Astreo, il titano del crepuscolo”.

“Dunque sei il titano titolare del gruppo?”.

“Esatto”.

“Ti è già capitata qualche missione?”.

“Sì”.

“Contro chi?”.

“La ragazza di Kaufman che era mezza impazzita”.

“Oooh. Per quanto mi riguarda, non credo mi ci abituerò mai a questo stile di vita. Insomma, queste sono tutte cose che speravi soltanto di leggere nei libri…”.

Il silenzio avvolse la stramba coppia.

“Per quanto tempo hai intenzione di rimanere qui?” riprese la parola la francese.

“Almeno fino all’alba” rispose tranquillo il titano.

“Bene…” la donna in rosso e giallo si accovacciò al suolo, per poi ella stessa alzare lo sguardo verso il cielo stellato, con l’enorme chioma bionda del suo nuovo alleato a farle da ombra trasversale alla sua posizione.


Al fine, l’alba giunse davvero. Anche su quell’oceano che, leggermente mosso, stava trascinando le sue onde schiumose sul bagnasciuga dove, pensieroso, stava passeggiando il Soggetto N. 8.

“Dover affrontare i titani” rimuginava l’africano “un’impresa che non è riuscita nemmeno agli stessi dei, dovremo essere noi Humana ora a metterla in atto”.

Di colpo, il mare si fece via via più increspato. La cosa che però attirò di più l’attenzione di Juna era la quasi totale assenza di vento, o comunque non così tanta da provocare un tale stato in quella distesa idrica.

Appena comprese cosa lo aspettava, dall’acqua emerse un essere gigantesco. Una volta eretto, dal suo corpo bagnato scendevano giù delle vere e proprie cascate. Nel mentre, il mutante era riuscito a mantenersi in piedi, nonostante l’onda anomala che l’aveva appena investito. Accanto al suo piede destro, notò un lungo bastone, portato dalla corrente. Lo prese su e lo afferrò saldamente con entrambe le mani, pronto per la battaglia.

Il titano aprì finalmente gli occhi, riconoscendo all’istante il suo avversario “Ritieni saggio affrontarmi tutto da solo, misero mortale?”.

“Per tua informazione, provengo da una tribù di guerrieri” fu la risposta.

“Povero sciocco! Nemmeno la potente nave Argo potrebbe abbattere il Titano Pallante!”.

“Io non sono una vecchia nave”.

“Credi davvero di battermi? Osi accostarti alla dea Atena!” furioso, il titano partì all’attacco con la mano destra.

Reattivo, il congolese gli lanciò contro il bastone, che andò a schiantarsi contro il suo gigantesco palmo, per poi buttarsi in mare.

Il titano, spazientito, iniziò a guardarsi intorno, cercando di scorgere, sotto la superficie liquida e trasparente, la sua preda. Quest’ultimo però, si era già allontanato per procurarsi la sua nuova arma.

Al largo della costa vi era, appena visibile, una piccola struttura. Essa era formata da semplici paletti di ferro, uniti tra loro da una rete da pesca. Come fosse preda di una ferocia ancestrale, il Soggetto N. 8 riuscì a scardinare tale rete e, in un attimo, fu di nuovo vicino al gigante.

Mentre la creatura cercava ancora di orientarsi nella lotta, l’uomo in rosso e giallo fece dei rapidi giri attorno alle enormi gambe inginocchiate, permettendo così alla rete di stringersi sempre di più su di esse.

Una volta soddisfatto del suo operato, Juna riemerse sulla terraferma.

“Allora?” urlò contro il nemico “Non sei in grado di affrontarmi, titano?”.

Pallante, individuato il suo obiettivo, si fece avanti. Fu allora che scattò la trappola. Appena accortosi che il ginocchio destro non rispondeva al suo comando, la stessa foga con cui si era pronunciato in avanti lo portò irrimediabilmente al suolo.

Dopo qualche secondo di immobilità, riuscì a sollevare appena il volto dal terreno sabbioso.

“E sia. Come titano della saggezza, comprendo perfettamente il valore del mio avversario” biascicò sconfitto.

“Se sei così saggio come dici” lo incalzò l’africano “perché sei scappato e ti sei messo contro gli Humana?”.

“Inizialmente, il nostro non era affatto un gesto di sfida” disse l’accusato mentre, con un rapido movimento del cranio, scostava un ciuffo di capelli castani, come la sabbia rimastagli attaccata al viso, dai suoi occhi del medesimo colore “poi il più ardimentoso di noi, Perse, volle approfittare dell’opportunità che voi, con la vostra visita inaspettata alla Twilight Zone, ci avete concesso, per tornare sul suolo terrestre e sfidare nuovamente l’umanità. Come millenni fa facemmo contro le divinità greche”.

“E voi l’avete seguito nella sua folle iniziativa?”.

“Fidati giovanotto, egli sa essere molto persuasivo”.

Il Soggetto N. 8 scrutò preoccupato il suo avversario “Spero solo che, chiunque dei miei compagni se lo troverà davanti, lo sappia affrontare degnamente”.


Gran Canyon.

Vi erano presenti rocce che, ne era certo, erano lì ancora prima dei suoi antenati più ancestrali.

Geran camminava solenne sotto il sole del pomeriggio. Percepiva chiaramente di essere sotto minaccia, ma nel suo cuore aveva ancora la fierezza degli Shoshoni.

Improvvisamente, sopra uno di quei dirupi, vide una di quelle pietre millenarie sollevarsi. Dietro di essa, nonostante fosse parzialmente coperto da quella struttura naturale, vi era un uomo dalla fattezze gigantesche e dalla folta chioma corvina. Quest’ultimo, come se avesse gettato un semplice sassolino in uno stagno, lanciò tale masso contro il mutante.

Il viso dell’indiano, dipinto con i relativi colori di guerra, rimase impassibile. Aspettò che il masso gli fosse abbastanza vicino per saltare e, con la potenza sprigionata da un suo solo pugno, frantumarlo in mille pezzi.

Il titano gridò furente, appena vide il suo avversario nemmeno minimamente scalfito dal suo lancio di grande precisione. L’energumeno in rosso e giallo gli rispose con urla altrettanto minacciose, lanciando ritmicamente il braccio sinistro verso l’alto.

“Sciocco!” tuonò la creatura “Osi davvero sfidare Perse, il titano della distruzione?”.

“Ho solo risposto al tuo attacco” gli rispose Giunan “come mi è stato insegnato dalla mia tribù, tu che mi offendi senza esserne degno”.

“Ti sbagli! Ti offendo proprio perché ne sono degno! Io ho sfidato gli dei, perciò quale rispetto potrei mai avere verso un misero mortale?”.

“Il mio popolo gli dei li rispetta, invece che affrontarli inutilmente!”

Udita tale provocazione, Perse iniziò a scagliare vari massi a ripetizione contro il Soggetto N. 5. Lui tentò di evitarne il più possibile, sia a suon di cazzotti che scansandosi lateralmente. Essendo ormai con il fiato corto, tentò di nascondersi sotto un arco di rocce che collegava due vette. Fu tutto vano e il titano gli era nuovamente addosso, andando anche a far crollare tale bellezza di madre natura.

Nonostante la sua stazza notevole, Geran riuscì a rifugiarsi dietro ad un altro pilone roccioso.

“Se riuscissi ad assestargli anche un solo pugno” esclamò, nonostante il fiatone.

“Ok, ti diamo una mano noi” gli disse una voce al suo fianco.

Il pellerossa si voltò di scatto verso il nuovo arrivato Benjamin Luhan.

Il capo del Monster Commando gli indicò il cielo “Pensi che il suo aiuto ti possa bastare?”.

Il mutante alzò il capo e vide, sfrecciare nell’azzurro infinito, il leggendario pegaso con le sue candide ali spiegate.

Sorprendentemente, un lieve sorriso si disegnò sul suo volto.

“Sarebbe un onore”.

Il cavallo alato planò dolcemente per raggiungere i due alleati. Il Soggetto N. 5 lo accarezzò gentilmente sul muso, giusto per creare il primo contatto fra uomo e animale. Poi le urla spaventose di Perse lo riportarono alla dura realtà.

Con grande agilità, saltò in groppa al mitologico destriero.

“Per qualsiasi cosa, sarò pronto ad intervenire” lo rassicurò il vampiro.

Giunan annuì appena per poi, spronando il suo cavallo, partire in decollo.

Il titano, appena si accorse della nuova comparsa del suo nemico, rimase lì per lì sorpreso “Ma guarda… ti sei cercato degli alleati che sono davvero alla mia altezza… o almeno così credi”.

“Ragioni così da piccolo per essere così grande” gli urlò contro l’esponente degli Humana.

Avvenne tutto in un lampo. Il titano cercò di afferrare l’avversario con la mano sinistra. Pegaso riuscì ad evitarlo con gran destrezza, curvando ad angolo retto. La creatura non ebbe modo di utilizzare anche l’altra mano che il mutante gli era vicino al volto.

Come promesso, bastò soltanto un singolo pugno sull’enorme guancia destra, e il mostro volò al suolo, tirando su un grande polverone.

Il Soggetto N. 5 era ancora in volo quando fu raggiunto nuovamente da Vampire Boy.

“Niente male! Con questa impresa, voi Humana avete dimostrato il vostro valore!”.

L’altro lo scrutò serio “L’importante è che tutta questa faccenda sia conclusa”.




Germania

“Non ci credo che mi hai fatto venire qui solo per fissare questo enorme tubo!” imprecò stizzito il Soggetto N. 9.

“Quanto sei ignorante, Johnny!” lo rimbrottò il Soggetto N. 2.

“Perché?”.

“Come perché?” sbuffò il dandy “Questo che hai davanti è niente meno che L’Oleodotto dell’Amicizia!”.

“Non mi dire!” gli rispose sarcastico il pilota “Quindi non è altro che un grande, grosso e noioso tubo!”.

“Permettici di dissentire!” parlarono all’unisono due voci alle loro spalle.

I due si voltarono e videro una coppia di giovani studenti giapponesi.

Prima parlò un ragazzo con un cappellino da baseball in testa “Questo che hai davanti è il più lungo oleodotto del mondo. Il 18 dicembre del 1959, alla decima sessione del Comecon, fu decisa la costruzione di un oleodotto dall’Unione Sovietica, alla Polonia, Cecoslovacchia, Repubblica Democratica Tedesca ed Ungheria”.

Gli fece eco una ragazza con i capelli biondi lunghi fino alle spalle “Ciascun paese doveva fornire il materiale per la costruzione, i macchinari e la manodopera. Nel 1962 raggiunse la Cecoslovacchia, nel settembre del 1963 l’Ungheria, nel novembre la Polonia ed infine, nel dicembre, la DDR. L’intero oleodotto fu messo in funzione nel 1964”.

I quattro rimasero per qualche secondo in silenzio, in piedi sulla rampa che gli permetteva di osservare l’enorme oleodotto.

“Benissimo… e voi chi sareste?” chiese l’americano.

“Siamo due studenti dell’Istituto Shiroiwa” esordì il ragazzo “Io mi chiamo Masayuki Kurosaki”.

“E io sono Maika Hatanaka” concluse la ragazza “facciamo parte del club scolastico dell’amicizia”.

Mentre i nostri erano concentrati su quella particolare presentazione, degli uomini, tutti camuffati di bianco, li circondarono con gran rapidità.

Jack lì per lì ci fece appena caso, ruotando appena il capo. Poi, una volta constata la situazione d’emergenza, esclamò “Per la miseria! Lo Spettro Bianco!”.

Appena udito quel nome, Johnny non diede nemmeno tempo ai suoi avversari di estrarre le proprie armi da fuoco. In appena un secondo, stramazzarono tutti al suolo.

“Che ci fa qui lo Spettro Bianco?” chiese, con voce ancora accelerata, il velocista.

L’altro mutante, che aveva anticipato i pensieri del compagno, si mise a borbottare qualcosa con uno dei caduti.

Una volta rimessosi in piedi, il britannico parlò “Dice che ci sono altre cellule in Europa dello Spettro Bianco. Ed ora, seguendoci fino a qui, stanno cercando di colpire L’Oleodotto dell’Amicizia in più punti del suo tragitto!”.

“Ma è terribile!” urlò Maika, mettendosi una mano davanti alla bocca.

“Vuoi dire che, non volendo, siamo stati noi stessi a dargli l’ispirazione per questo attentato?” ragionò l’americano.

Lincon rispose a bocca stretta “Purtroppo pare proprio di sì”.

“Scusate, signori” intervenne Masayuki “Visto che voi sembrate essere persone alquanto speciali, non potete fare qualcosa per evitare questo disastro?”.

I due sembrarono come essersi appena rinvenuti.

“Il giovane nipponico ha ragione” constatò il Soggetto N. 2.

“In effetti…” il Soggetto N. 9 sembrò riflettere su qualcosa “Avete detto che voi conoscete perfettamente tutte le varie nazioni percorse dall’oleodotto, giusto?”.

“Sì” risposero all’unisono i due studenti.

I due adulti si tolsero rapidamente gli abiti che avevano indosso, mostrando delle sgargianti uniformi rosse e gialle. Nel contempo, si fecero un segno d’intesa con la testa.

“Jack!” ordinò Wayne “Teniamoci in contatto con il cellulare e fammi sapere ogni stato che ti diranno questi ragazzini!”.

Messa in atto tale missione, l’odissea del Soggetto N. 9 fu questa: Bielorussia con la superdonna di quella nazione, Perestrojka; Ucraina con la pelle di puro acciaio di Steel Girl; Polonia con l’idrocinesi di Hydro Girl; Ungheria con l’essere ligneo Salice Piangente; Lituania con il giovane calciatore Saulius Raliukonis; Lettonia con, direttamente da Siena, il Cavaliere dell’Oca; Slovacchia con l’agente segreto donna Stas; Repubblica Ceca in una gara di supervelocità con Sunny Stratosphere; ed infine Germania con la straordinaria precisione da cecchino di Weapon Boy.

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Capitolo 11
*** Scilla e Cariddi ***


CAPITOLO 11

Scilla e Cariddi”




Messina


“Spero che non mi hai fatto venire fin qui, facendo salire sul traghetto anche la mia adorata Mustang, per finire tra i mafiosi…” esordì l’americano.

“Ma piantala! Tanto i mafiosi ce li avete anche voi americani!” controbatté l’italiano “Piuttosto, sai che dicono che pure Shakespeare era originario di Messina?”.

I due Humana si trovavano davanti ad una delle caratteristiche fontane presenti in quella città siciliana: Fontana della Pigna.

“E poi credevo che, dopo aver scorrazzato per mezza Europa, ti facesse piacere rilassarti un po’ in una bella città balneare” proseguì Andrea Alberti.

“Certo, però mi sembra decisamente poco movimentata questa città. O almeno per i miei standard” controbatté Johnny Wayne.


Località sconosciuta


Due uomini incappucciati, vestiti totalmente di bianco, parlottavano fra di loro mentre, su un tavolo in legno, erano impegnati a trafficare con vari oggetti di varie forme e misure. Ampolle, coltelli e libri antichi facevano bella mostra su di esso.

“Ricordati che con la mitologia egizia non ci è andata particolarmente bene…”.

“Non preoccuparti. Questa volta sarà diverso perché sono solo in due e cercheremo di avvantaggiarci con più magia possibile”.

“Le due vittime sono già state scelte?”.

“Ovviamente. È una coppia che di certo non combinerà mai nulla nella vita”.

Sempre sul ripiano ligneo, vi erano due fogli con stampati dati relativi a due persone. Carlo Rizzo (nato il 7/3) e Mauro Martino (nato il 5/7).



Messina


I due mutanti ora si trovarono di fronte ad un imponente statua.

“… Questa invece è la statua di Carlo III di Borbone” s’improvvisò cicerone il Soggetto N. 4.

“Entusiasmante…” esclamò, senza alcuna enfasi, il Soggetto N. 9.

“Che… vediamo un po’…” l’uomo si prese tempo nel consultare il suo cellulare “qui dice è stato preso come modello da Michelangelo per il Caronte del giudizio universale…”.

“Michelangelo era quello con la bandana arancione, giusto?” lo statunitense seguiva ormai esclusivamente i suoi pensieri.

“Ah no, aspetta…” si corresse l’altro, mentre continuava a digitare frenetico sul display “quello è un altro Carlo III di Borbone…”.

“Tranquillo. Tanto non mi è mai interessata la mitologia, tanto meno quella greca”.


In un piccolo appartamento, sempre a Messina


Due giovani erano impegnati, oltre a combattere l’arsura tipica di quelle giornate estive con vecchi ventilatori cigolanti, nel lavorare al computer. Ognuno dei due non staccava nemmeno per un attimo lo sguardo dallo schermo. Nel contempo, le dita ballavano frenetiche fra i pulsanti della tastiera e quelli presenti sul mouse.

“Minchia! Non lo sopporto più!” sbottò, con un tipico accento siciliano, uno dei due, con dei baffi neri a coprirgli il labbro superiore.

“Che cosa?” chiese l’altro, che invece presentava una barba completa decisamente più incolta e più chiara.

“Non sopporto di lavorare sempre con la furia, per questi video di merda poi!”.

“Questi video di merda ci aiutano a pagare l’affitto. Non te lo dimenticare, Carlo”.

“Sì vabbe’, Mauro. Però Nicola potrebbe farseli anche da solo…”.

“Certo. Ma si dà il caso che lui ha già parecchio da fare con il suo canale youtube. E poi è l’unico che può dar fiducia a due montatori come noi”.

“Minchia!”.


Messina


“Forse era meglio visitare Palermo…” continuava a lamentarsi il biondo.

“Di nuovo! Ma almeno qui siamo nella terra di Scilla e Cariddi”.

“Niente mitologia!”.

“Allora vuoi andare a visitare la Real Cittadella?”.

“No, ti prego. Quella sono cose che possono interessare i fissati di roba militare o simile. Insomma, gente come te!”.

“Guarda che è una costruzione militare, a forma di stella, che ha resistito a ben due assalti: la prima contro il regno di Sardegna, la seconda invece nell’assedio di Messina del 1848”.

“Appunto!”.

“Allora qualcosa di più moderno? Tipo i sistemi F.A.M. e F.A.T.?”


Appartamento messinese


Nella piccola stanza era tornato il silenzio, eccezion fatta per i motorini dei ventilatori.

Carlo, sempre intento nel suo lavoro informatico, si prese un attimo di pausa per massaggiarsi gli occhi, facendo passare le dita sotto le lenti degli occhiali.

“Oddio”.

“Che c’è, Carlo?” si preoccupò Mauro, anche lui munito di occhiali da vista.

Ora Carlo aveva entrambe le mani sul viso “Non mi sento tanto bene”.

“L’hai presa la medicina?”.

“Certo. Ma infatti non deve essere quello”.

“Allora cosa… aaahhh!” di colpo, Mauro si afferrò stretto il ginocchio.

“Che succede?”.

Con una smorfia di dolore sul viso “Ma che cazzo ne so! Mi fa malissimo il ginocchio!”.

“Sarà il tuo vecchio infortunio… aaahhh!”.

In pochi secondi, entrambi erano vittime di atroci dolori.


Messina


“Ed eccoci finalmente alle Quattro Fontane!” proclamò con incomprensibile entusiasmo Andrea.

“Ancora fontane?! Basta!” sbottò Johnny.

“Ma dobbiamo visitare ancora Fontana dei quattro cavallucci…”.

“Quattro pure lì? E poi, aspetta un attimo, io credevo che la matematica fosse uguale a qualsiasi latitudine…” indicando la struttura mentre parlava “Qui ne vedo soltanto due”.

“Lo so. Infatti, solo due sono state ricostruite dopo il terremoto del 1908…”.

Come a volerlo evocare, il suolo iniziò improvvisamente a tremare. I presenti finirono quasi tutti a terra.

“Ma non avevi detto nel 1908?” lo schernì preoccupato l’americano, mentre si rialzava da posizione prona.

“Figurati se poteva essere tutto tranquillo almeno oggi” replicò l’italiano, mentre si rialzava da posizione supina.

Il lieve sisma si placò rapidamente. Mentre i due Humana si rialzavano, avevano già compreso di trovarsi di fronte due nuovi rivali.

I due giovani di prima, seppur alquanto cambiati, erano ora di fronte alla coppia di mutanti. Carlo Rizzo aveva l’aspetto pressoché immutato, giusto i capelli corvini più scompigliati del solito. Mauro Martino invece era decisamente trasformato. I suoi abiti erano strappati esattamente all’altezza di gomiti e ginocchia. Da quei buchi, spuntavano delle piccole facce identiche a quelle del loro proprietario. Ma ancora più inquietante, essendo la camicia che indossava aperta, era l’enorme viso che aveva preso il posto della quasi totalità del suo busto. Inoltre, tutti e sei i volti presenti ora nel suo corpo avevano una bocca deformata da denti lunghi ed aguzzi.

“È davvero orribile!” fece una smorfia di orrore il Soggetto N. 9.

“Quanto scommetti che è opera dello Spettro Bianco…” ironizzò il Soggetto N. 4.

Le sei bocche di Mauro parlarono all’unisono con voce roca “Voi siete la colpa di tutto!”.

I due accusati, che nel mentre si erano tolti gli abiti civili per sfoggiare le loro divise da battaglia, li fissavano perplessi.

“Questo è ciò che ci viene detto!” aggiunse Carlo “Come che i nostri nomi sono Scilla e Cariddi”.

Johnny si voltò verso Andrea “Ma allora te lo aspettavi, eh?”.

L’altro non replicò, mentre le sue mani iniziavano a mutare forma.

“Tu quale vuoi?” domandò ancora il biondo.

“Io mi prendo il mostro, tu lo smilzo” ordinò il castano.

“Ah! Ma così è troppo facile!” protestò il velocista.

“Non dare tutto per scontato” sentenziò il mutaforma.

Intanto, il pilota era già partito, diretto verso Cariddi.

“Troppo facile!” continuava a pensare.

Il suo avversario non sembrava per niente preoccupato. Alzò giusto l’indice della mano destra, come ad indicarlo.

Da esso, incredibilmente, si creò un forte turbinio ventoso che colpì in pieno Wayne, scaraventandolo via dal campo di battaglia.

Alberti ne seguì con lo sguardo la traiettoria aerea, finché per lo meno glielo consentivano le abitazioni in loco. Quando poi si rigirò, notò il suo obiettivo più grande di qualche taglia.

“Non li vogliamo i mutanti qui a Messina!”.

Urlato ciò, con una possente manata, scaraventò via il trentino. Per fortuna di quest’ultimo, le loro uniformi erano in gradi di attutire i colpi, anche contro mura cittadine.


Questa caratteristica fu molto utile all’atterraggio di Johnny Wayne. Ciò coincise con la distruzione di uno dei più importanti e famosi manufatti religiosi di Messina: la Vara.

Si tratta di un’antica macchina votiva, alta circa 13 metri, che viene portata in processione nella giornata di ferragosto. Essa presenta numerose figurazioni in materiali diversi di angeli, le due grande sfere rotanti rappresentanti il sole e la luna e, in cima, la statua di Gesù che, con una mano, sorregge la Madonna.

Proprio la statua della vergine Maria giaceva ora accanto al supereroe. Quest’ultimo, dopo minuti di immobilità, tornò a muoversi e, nel girarsi, si spaventò nel vedere la reliquia.

“Oddio! Questa volta ci sono rimasto davvero!” esclamò.

Intanto, attorno a lui, i vari fedeli vestiti di bianco e blu ed a piedi scalzi iniziarono a borbottare tra di loro, con il classico cipiglio siciliano.

“Che sia il quartiere malfamato di Avignone di cui mi parlava sul traghetto Andrea?” pensò il malcapitato.

Mano a mano che gli indigeni si avvicinavano, l’americano temeva sempre di più il rischio di un linciaggio. Incredibilmente, a salvarlo fu lo stesso Cariddi che urlò ai suoi compaesani qualcosa in dialetto stretto.

Poi si rivolse nuovamente verso il suo rivale “Hai fatto qualcosa di molto grave, compa’. Distruggendo la Vara hai offeso tutta Messina!”.

“Scusami amico. Uno dei miei passatempi preferiti è distruggere manufatti religiosi in giro per il mondo. Mi ero scordato di dirtelo” replicò ironico il tizio in rosso e giallo.

Cariddi rimase in silenzio, puntando nuovamente il dito contro il Soggetto N. 9.

Appena vide il riformarsi del vortice, il mutante si rialzò in piedi, sapendo questa volta come reagire.

Difatti, una voce in testa gli sussurrò “Usa la sua stessa arma contro di lui”.

Iniziando a girare su sé stesso, creò a sua volta un altro vortice. Le due trombe d’aria in formato ridotto si scontrarono ripetutamente, come fossero due trottole, mentre tutto e tutti attorno a loro veniva sbalzato via.

Forse per la maggiore esperienza, o soltanto per un colpo di fortuna, ad avere la meglio fu il tornado dell’eroe.

Il cattivo rimase sbigottito dal risultato. Di ciò se ne approfittò l’eroe che, in un secondo, gli rifilò un gancio destro alla mascella, mettendolo subito ko.


Contemporaneamente, anche Andrea fece una vittima tra le statue presenti nel capoluogo siciliano. Nel suo caso, a rimetterci fu il grazioso puttino in bronzo presente nella Fontanella Arena.

Questa volta, però, gli abitanti non fecero in tempo a protestare contro il loro connazionale, visto che erano più impegnati a scappare alla vista di Scilla.

L’orrenda creatura si avvicinava minacciosa e a grandi passi.

“Ora sono nella merda!” pensò il ragazzo.

Una voce in testa gli consigliò “Affrontane una alla volta”.

“Ok…” disse a denti stretti, mentre la sua mano destra mutava.

L’enorme testa principale del mostro gli si era fatta talmente vicina da sentirne il fiato.

“Fucile a vapore!” urlò il mutaforma, colpendo il nemico con la sua nuova arma.

Scilla arretrò il capo, con gli occhi chiusi e cosparso di una miriade di goccioline, gemendo.

Andrea ne approfittò per rialzarsi e ricomporre entrambe le mani.

“Lanciafuoco!” e una vampata andò a colpire il ginocchio destro dell’avversario.

“Pistola congelante!” e il ginocchio sinistro fu totalmente immobilizzato da uno spesso blocco di ghiaccio.

Il Soggetto N. 4 si lanciò per terra e, con una rapida capriola, era alle spalle del nemico. Una nuova shakerata alle molecole ed era pronto ad un nuovo assalto.

“Cannone a mano!” e una palla di cannone, grande all’incirca quanto una boccia, si infranse sul volto al gomito destro.

“Eliminatore elettrico!” e una luminosa scintilla bruciacchio il gomito sinistro.

Scilla faticosamente si voltò verso Andrea. L’enorme volto sul busto era sfigurato in una maschera di dolore.

La mano sinistra del mutante tornò normale. Quella destra mutò ancora.

“Ed ora il gran finale… con una vera chicca… sperando che funzioni”.

Prese la mira e sparò “Raggio restringente!”.

Il raggio sparato colpì l’enorme viso proprio in mezzo agli occhi. La faccia fece un’orrenda smorfia, mentre si rimpiccioliva sempre di più, fino a scomparire del tutto.

L’essere umano mutato, ormai ridotto alla sua originaria ed unica testa, si guardò sbigottito in mezzo al petto, come se fosse stato colpito a morte. Poi tornò a fissare l’avversario.

“Figlio di puttana!” gli sbraitò contro, appena prima di crollare al suolo in avanti.

“A buon rendere, stronzo” fu la risposta di Andrea, mentre anche la sua mano destra riprese le sembianze più idonee.

In un baleno colorato, al suo fianco comparve Johnny.

“Che tipi assurdi…”.

“Già”.

“Da dove pensi vengano fuori?”.

“Secondo te?”.

“Ma davvero lo Spettro Bianco non ha di meglio da fare che romperci le palle a noi?” il velocista era spazientito.

“Purtroppo abbiamo firmato la nostro condanna, se così si può dire…” il militare era invece perplesso.

La terra riprese a tremare, giusto per presagire un nuovo pericolo.

“Di nuovo?” chiese al vento Wayne, mentre girava la testa a gran velocità in tutte le direzioni possibili.

“In effetti un terremoto c’è stato anche nel 1783…”Alberti sgranò gli occhi “Guarda là!” indicando all’amico un punto dell’orizzonte.

Orizzonte che fu ben presto eclissato da tre figure gigantesche che, con incedere lento ma costante, avanzano per le strade messinesi.

Due di essi avevano una riconoscibile forma umana, di entrambi i sessi. La donna era di ragazza caucasica, con occhi e capelli scuri, mentre l’uomo presentava una pelle di colorazione scura, come i suoi capelli ed i suoi occhi. Gli enormi vestiti che avevano addosso ricordavano molto lo stile romano imperiale. Sulle loro teste vi erano rispettivamente una corona, per la femmina, e una corona di alloro, per il maschio.

La terza figura gargantuesca era invece di naturale animale, per la precisione un cammello. Tale animale seguiva, con aria annoiata, il cammino dei due umani.

“Ora ho capito…” sussurrò il Soggetto N. 4, mentre proseguiva nel fissare quei nuovi titani.

“Cosa?” gli domandò nervoso il Soggetto N. 9.

“So chi sono quei mostri”.

“Sentiamo…”.

“Sono due colossali statue che fanno parte del folclore di Messina: si chiamano Mata, lei, e Grifone, lui”.

“Francamente, stavo bene anche senza fare la loro conoscenza”.

“So che sono presenti nelle processioni che fanno qui in agosto. Ma, più che altro, pensavo fossero statue totalmente inanimate!”.

“Figurati! Ormai non mi stupisco più di nulla”.

L’americano spostò la sua attenzione verso la bestia colossale “E del cammello che mi dici?”.

“Ah, sì…” risponde con nonchalance l’italiano “anche lui fa parte delle processioni”.

“Ho deciso!” proruppe il biondo “Con voi Humana non ci vengo più in vacanza!”.

I giganti erano ormai giunti nelle vicinanze dei due Humana che, per tutta risposta, erano pronti a difendersi. Quando, incredibilmente, un albero, totalmente sradicato dal terreno, si andò a schiantare contro la testa della bestia. Quest’ultima, con enormi schegge conficcate sul muso, barcollò qualche secondo, prima di collassare esanime di lato, fortunatamente senza mietere alcuna vittima.

Lo sguardo dei due mutanti passò dall’espressione del titanico camelide, con occhi bianchi e semichiusi e la ruvida lingua che spuntava dalle labbra prominenti, a colui che aveva lanciato poco prima quella pianta così pesante.

Di fronte a loro trovarono un nuovo animale, per la precisione un elefante africano, sebbene questa volta la grandezza era decisamente più standard.

Ma le sorprese non erano finite. Il pachiderma, di fatti, in pochi secondi mutò forma, prendendo sembianze umane. Un uomo dai lunghi capelli, tenuti insieme in una lunga coda, occhi, baffi e pizzetto tutti neri.

“Che cazzo fate lì impalati?!” gli urlò contro il nuovo arrivato “Se non siete qui per dare una mano, toglietevi dalle palle!”.

Colui che aveva appena parlato si presentava vestito con un completo intero, che si era adattato perfettamente a quel suo mutare fisico. Il disegno su di esso, ben visibile sul torso, quasi dividendo in due il suo corpo. Il profilo blu di una testa di elefante su di uno sfondo rosso.

“Quel tizio ha ragione!” riprese fiducia lo statunitense “cercherò di dividerli facendo da esca. Tu occupati di quello che rimane qui da te!”.


Come previsto dal mutante, Grifone si mise ad inseguirlo. Sembrava di vedere un bambino mentre insegue una macchina radiocomandata da qualcun altro. L’espressione sul suo enorme volto si faceva via via sempre più infuriata.

Di colpo, la corsa di Johnny si fermò davanti all’acquario comunale.

“Fanculo! Ora mi faceva comodo Juna!”.

Nel mentre, il gigante si accovacciò e allungò la sua mano sull’uomo in rosso e giallo.

Lui, vista la lentezza dell’avversario, la evitò facilmente e, dopo una visita della alla velocità della luce, ne uscì con due nuove armi.

Reggendo a stento una delle due costole di balena, riuscì ad infilzare il palmo della mano più vicina a terra.

Questo violento contrattacco sorprese Grifone che, con fare preoccupato, si portò la mano offesa vicino al viso.

Tale distrazione fu fondamentale a Wayne per infilzargli anche l’altro palmo.

“Ora sarà un problema grattarsi, amico”.


Il duello fra l’italiano e la gigantessa si spostò vicino a Palazzo Monte di Pietà.

“Si può sapere te chi sei?” urlò il mutante al possibile alleato “Hai qualcosa a che fare con tutte queste assurdità?”.

“Il mio nome è Nicola Colombo, ma puoi chiamarmi Elefante, è una storia lunga…” gli rispose l’altro “Però no, non c’entro nulla con queste stranezze, anche se conosco bene i due che stavate affrontando prima”.

Una nuova arma stava prendendo forma dalla mano di Andrea.

“Minimissili!”.

Il piccolo razzo colpì in pieno la fontana monumentale di fronte all’edificio. Con il putto che, dal dorso del delfino, finì direttamente in collo a Mata.

Quest’ultima parve spiazzata da quel curioso evento. Poi, lasciando esterrefatti i presenti, la donna si mise a cullare quel simulacro di bambino.

Come ad accompagnare quel gesto così intimo e dolce, si iniziò a udire nell’aria una struggente melodia. A creare tale sinfonia erano i tipici strumenti musicali della tradizione peloritana: i ciarameddi (zampogne), i friscaletti (flauti), tamburi, tamburelli, scacciapensieri e conchiglie.


Con la quiete tornate nella città siciliana, i tre supereroi si misero a confabulare tra loro, di fronte al Palazzo dei leoni, ossia il Palazzo della Provincia.

“Fammi capire…” riprese il discorso il Soggetto N. 4 “Mi stai dicendo che qui, in Italia, stanno nascendo vari gruppi di supereroi?”.

“Esatto!” confermò Elefante.

“E, per curiosità, chi sarebbero questi eroi?” intervenne il Soggetto N. 9.

“Bene…” esordì il catanese “principalmente la sfida è tra noi, che ci facciamo chiamare Animorph Squad e siamo in grado di tramutarci ognuno in un determinato animale, contro le Maschere, un gruppo di pazzi che, per farsi giustizia da soli, hanno scelto di utilizzare le maschere provenienti dalla commedia dell’arte e dai vari carnevali. Che io sappia, però, Messina non ha nessuno in grado di trasformarsi in animale o simili, infatti io sono di Catania. Poi ci sono tre che si fanno chiamare il Tricolore, con poteri ispirati dai tre colori della bandiera italiana che rappresentano. Poi mi pare ci siano 2-3 esponenti dei New Fighters, della Umbrae e del Monster Commando…”.

“Di nuovo loro!” pensarono inconsciamente e all’unisono i due mutanti.

“Infine ci sono cinque fenomeni assoluti, di cui due stranieri, che li vedi un po’ in giro per tutta Italia, per non parlare di Hero Boy dei Global Defenders e dei Cavalieri di Siena. Ultimamente, poi, sta comparendo un nuovo gruppo denominato i Guardiani Italiani…”.

Fra i tre calò un religioso silenzio.

“Però!” esclamò infine Johnny Wayne “Non siamo soli in questo universo”.


Porto di Messina


Primo porto italiano per trasporto di passeggeri e tra i primi in Italia per estensione. Da esso sono partite due tra le più importanti spedizioni militari: la terza crociata e la battaglia di Lepanto.

In quel momento però, vi era soltanto un semplice pescatore, di nome Roberto Motta, impegnato a districare l’assurda matassa creatasi con la rete da pesca. Un passo falso e l’uomo, accompagnando il tutto con una colorita parolaccia, finì dritto nell’acqua del Mar Mediterraneo.

A riemergere dalle profondità salmastre fu però uno splendido esemplare di pesce spada. E così, anche Messina ebbe il suo membro nell’Animorph Squad.

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Capitolo 12
*** Ritorno ad Atlantide ***


CAPITOLO 12

Ritorno ad Atlantide”




Un bel picnic sul prato. Un’enorme tovaglia a scacchi bianchi e rossi tirata sull’erba verde della villa che, ormai da un bel po’ di mesi, ospitava i cosiddetti Humana.

“Chi vuole dei ravioli appena fatti?” domandò il Soggetto N. 6.

“Io passo. Oggi proprio non ho fame” rifiutò gentilmente il Soggetto N. 2.

“Io invece uno ne assaggio volentieri” si fece vicina il Soggetto N. 3 “Te ne vuoi uno, Igor?”.

“Sì, grazie” rispose timido il Soggetto N. 1.

“Io non rinuncio ai miei nachos!” ne sgranocchiava a gran quantità il Soggetto N. 7.

“E io al mio sandwich” gli fece eco il Soggetto N. 9, mentre addentava un tramezzino.

“Com’è che ti è venuta in mente questa idea del pic-nic, Sara?” chiese il Soggetto N. 4.

La sua connazionale gli rispose “Mi sembrava il minimo, soprattutto dopo le disavventure che sono capitate a te e a Johnny in terra messinese”.

Come loro solito, i Soggetto N. 5 e 8 non proferirono parola.


Rapido come un dardo appena scoccato, un uomo sfrecciava fendendo il vento. Quando si trovò a poco passi dal grande cancello in ferro della villa, senza frenare la sua corsa balzò in aria. Superate le cime appuntite dell’ostacolo atterrò con grazia. Con la medesima rapidità, ripartì verso il suo obiettivo.

La telepatia avvertì Igor Wansa del pericolo.

“Attenzione! C’è un intruso!”.

Gli altri fecero appena in tempo a voltarsi dove gli indicava il ragazzino, che l’avversario aveva già scagliato un calcio in pieno volto a Bernardo Borghi.

Con gran precisione, proiettò un pugno ravvicinato all’addome di Juna, lasciandolo senza fiato per poi, con due rapidi passetti laterali, colpire in calcio rovesciato la spalla destra di Jack Lincon.

“Ma quello è taekwondo, ne sono certo!” affermò Chang Yu stupefatto.

“Fermatelo!” ordinò urlando Sara.

Per l’appunto, la furia dello sconosciuto si andò a infrangere contro l’enorme massa muscolare di Geran Giunan.

Talmente forte era il dolore al suo pugno destro che non gridò nemmeno, limitandosi ad alzare lentamente lo sguardo verso quello alquanto minaccioso del suo avversario.

“Fermati o sparo!” intimò Andrea Alberti, con la mano destra già mutata in un’arma da fuoco.

Nel contempo, alle sue spalle era giunto Johnny Wayne, bloccandolo. Proprio da quella posizione, l’americano poté notare, oltre alla pelle incredibilmente chiara dell’aggressore, anche delle strane fessure presenti ai lati del suo collo.

“È un atlantideo!”.

“C-Cosa?” rimase esterrefatta la francese.

Di fatti, ora che il possibile nemico era inoffensivo, tutti poterono constatare che i suoi abiti rispecchiavano lo stile di quelli indossati dal popolo sottomarino.

“Dimmi, atlantideo” intervenne l’altra donna del gruppo “cosa sei venuto a fare qui da noi sulla terraferma?”.

Lui provò a divincolarsi per un’ultima volta dalla presa del biondo, poi parlò.

“Il mio nome è Song. Sono qui per ordine dell’imperatrice Nea”.

“E lei ti ha detto di attaccarci?” proseguì l’italiano.

“Non nello specifico. Ma mi ha detto di convincerci in ogni modo, sia con le buone che con le cattive”.

“E tu, per l’appunto, hai deciso per quest’ultime…” confermò l’inglese, mentre a fatica si stava rialzando massaggiandosi la testa.

“Non posso permettermi fallimenti”.

“Cosa vuole ancora da noi la tua imperatrice?” riprese la bionda.

“La pietra di Atlantide ha ripreso a brillare”.

Tutti i presenti si ammutolirono.

“E non poteva contattarci direttamente lei? Come fece l’ultima volta?”.

“Tutta Atlantide, in questo preciso momento, sta affrontando molteplici minacce. Dunque le comunicazioni, soprattutto verso l’esterno, sono alquanto problematiche” fece il punto della situazione Song.

Il pilota di Formula 1 parlò ancora alle sue spalle “Quindi dobbiamo ancora una volta venirvi a salvare il culo, se ho capito bene?”.

“Tutto quello che ha detto è vero” confermò serio il russo.

Tutti gli Humana rifletterono in silenzio.

“Allora che facciamo?” chiese infine Frédérique.

Per istinto, tutti si voltarono verso Sara.

“Prepariamo il sommergibile”.


“Ma voi vi fidate davvero di quel mostro?” domandò dubbioso il Soggetto N. 7.

“Onorevole Bernardo” intervenne il Soggetto N. 6 “tu parli così solo perché, poco fa, ti ha sconfitto subito”.

Nel ventre del sottomarino, tutti gli altri erano impegnati a tenere sott’occhio il progresso di immersione subacquea.

“Riesci a seguirlo bene, Sara? Vuoi che utilizzi la mia supervista?” le si fece vicina il Soggetto N. 3.

“Tranquilla, Frédérique.” rispose l’interessata “Finché rimane vicino allo scafo, riesco a visualizzarlo perfettamente”.

Nel frattempo, all’esterno del mezzo, Song nuotava rapido verso la sua città natale. Il suo corpo flessuoso tagliava con incredibile facilità le forti correnti sottomarine.

“Il suo stile di nuoto è davvero perfetto” constatò il Soggetto N. 8.

“Ci siamo, gente!” esclamò il Soggetto N. 4, mentre teneva gli occhi fissi sul radar di bordo.

Infatti, d’innanzi a loro fece la sua comparsa la maestosa struttura, a cerchi concentrici e protetta dalla cupola magica, della città di Atlantide. Nello stesso tempo, tutti si accorsero dell’aria più cupa con cui questa volta si presentava a loro.

Tanto che il Soggetto N. 9 si fece sfuggire un “Certo, sembra aver conosciuto giorni migliori”.

“Preparatevi all’abbordaggio!” ordinò Silvestri.


Ultimate le procedure di ancoraggio, tutto l’equipaggio poté finalmente sbarcare sul fondale marino.

Nel grande spiazzo del Porto Grande, oltre all’ormai noto Song, ad attenderli vi era anche Manstar, il capo delle guardie atlantidee.

“È un piacere rivederti, Manstar” salutò Sara.

“Il piacere è reciproco, Silvestri” ricambiò il saluto “Mi dispiace che sia per una nuova minaccia alla nostra Atlantide”.

“Di che si tratta questa volta?” domandò Bernardo.

“Di ciò ve ne parlerà direttamente la nostra imperatrice” dicendo ciò, indicò con la mano una direzione, abbassando nel contempo il capo in segno di rispetto.

Scortata da una decina di soldati, l’imperatrice Nea fece la sua comparsa di fronte ai nove mutanti e alla terrestre.

“Benvenuti, miei valorosi Humana” esordì la donna mulatta “non so davvero come dimostrarvi quanto vi sia grata per aver risposto al mio appello d’aiuto”.

“Dunque è vero che la pietra di Atlantide ha ripreso a brillare?” chiese teso Johnny.

L'atlantidea replicò mostrando ai presenti il ciondolo a cui, tramite una catenina dorata, era appeso il rombo azzurro. Come premesso, il pendolo iniziò a brillare di una luce intensa e, con essa, la terra iniziò a tremare.

“Si comincia!” urlò Andrea, pronto all’azione.

Nel giro di pochi minuti, il suolo vicino a loro si squarciò, facendo finire tutti quanti con il sedere per terra.

Mentre Chang si lamentava per il dolore al suo fondoschiena, lo sguardo di Juna si riempì di terrore, mentre indicava la voragine appena creatasi.

“Che cos’è quello?”.

Dal buio sotterraneo iniziò ad emergere un gigantesco groviglio di tentacoli grigi.

Frédérique aguzzò la vista “S-Sembra… sembra un’enorme piovra!”.

La creatura era ora totalmente emersa dagli abissi.

Il Soggetto N. 9 si avvicinò fulmineo a Sara “E ora che si fa?”.

“Oddio…” si lamentò Igor.

“Che succede, Igor?” domandò la bionda.

“S-Sembra assurdo ma… insomma, qualcosa mi dice che quel mostro, proviene dal polo sud” informò gli altri il Soggetto N. 1.

“Cosa?! E che ci sta a fare qui?” sbottò il Soggetto N. 7.

“Dalle mie parti” intervenne Soggetto N. 6 “quei cosi li chiamiamo kaiju”.

Emettendo il classico urlo di battaglia della sua tribù, il Soggetto N. 5 partì alla carica della bestia.

Con la furia degna della miglior tempesta, Geran scagliò un pugno devastante contro il tentacolo a lui più vicino. Nel giro di un attimo, l’indiano, con espressione stupefatta e dolorosa, si teneva stretta la mano bisbigliando “È come pietra”.

Nel frattempo, Jack aveva già spiccato il volo “Che succede, Giunan? Tutto bene?”.

“Attenti!” gridò terrorizzata la francese.

L’enorme mollusco, come tutti gli animali della sua specie, aveva preso a salire fluttuando e dandosi dei colpi con i tentacoli quando, proprio da essi, partirono degli strani raggi gialli d’energia.

“Mettetevi al riparo!” urlò il cinese mentre, seppur in maniera goffa, evitava di essere colpito.

Tutti i presenti seguirono quel prezioso consiglio, mentre la creatura si allontanava in direzione della superficie.

“Che diavolo era quello?” sbottò lo zairese rivolgendosi un po’ a tutti e un po’ a nessuno.

Per tutta risposta, un ruggito rombò nell’aria sottomarina.

“Veniva dallo stadio per le corse dei cavalli!” informò gli altri l’americano appena prima di sparire nel nulla.


In un baleno, il tizio in rosso e giallo giunse in loco per trovarsi davanti un’altra assurda creatura: un'enorme tigre dai denti a sciabola. Quest’ultima, come se giocasse con un innocuo gomitolo di lana, spazzò via alcune delle abitazioni, fortunatamente già evacuate.

Nel giro di pochi minuti, sopraggiunse anche il resto del gruppo, con Chang Yu irrimediabilmente ultimo.

“Ok gente” l’italiana prese il comando “questa volta dobbiamo organizzarci per bene: Igor, che mi sai dire di questa bestia?”.

“Sembra che abbia seguito un veicolo spaziale giunto sulla terra un milione di anni fa” rispose il russo.

“Sempre più assurdo…” riprese la bionda “Andrea, vedi se riesci a colpirlo con qualcosa”.

“Ricevuto!” ribatté il suo connazionale.

La sua mano destra mutò forma in quella che, a tutti gli effetti, pareva una 44 Magnum.

“Magnum di granito” la presentò il militare mentre sparava dei proiettili di roccia.

“Manstar! Song!” Nea richiamò a sé i suoi due sudditi “Voi occupatevi delle persone, nessun atlantideo deve perire in questa battaglia!”.

I due risposero affermativamente a tale comando.

Il velocista compiva un largo cerchio attorno al nemico “Sembra che vadano a segno solo i colpi al muso!”.

Difatti, in tutto il resto del corpo tigrato del felino, le pallottole parevano rimbalzare senza colpo infierire.

“Benissimo!” esultò Sara “Allora continuate a mirare alla testa!”.

Frédérique Arone lo colpì esattamente al centro del naso, provocandogli una smorfia di dolore.

“Che sia anche questo un esperimento dello Spettro Bianco?” si domandò Jack Lincon.

“Non lo so!” replicò Bernardo Borghi “So solo che neanche a me verrebbe in mente di trasformarmi in qualcosa del genere!”.

La battaglia procedeva a favore degli umani. Questa volta sembravano avere la meglio, seppur riuscivano a fatica ad evitare le zampate della tigre.

“Fortuna che ho le munizioni infinite” pensò tra sé Andrea Alberti “questo bastardo pare proprio non volersi arrendere”.

Con il muso sempre più sanguinante, la creatura si acquattò, emettendo un nuovo ruggito di dolore.

“Ed ora che vuol fare?” strabuzzò gli occhi il messicano.

Caricandosi completamente sui muscoli delle zampe posteriori, il felino balzò verso l’alto.

“Anche lui sta emergendo!” urlò infuriato lo statunitense.

“Mia signora” le si fece vicino Manstar “com’è possibile che anch’essa riesca a superare così facilmente la nostra cupola magica?”.

“Ne sono stupefatta anch’io, mio fedele Manstar” anche Nea, come gli altri, aveva lo sguardo fisso verso l’alto “Il potere della Pietra di Atlantide si sta rivelando sempre più assurdo e incontrollabile”.

Un nuovo grido animalesco, questa volta più stridulo e proveniente dal centro città, fece voltare tutti i presenti.

“Un altro ancora?!” sbraitò Johnny.

“Ma quanti ce ne sono?!” gli fece eco Bernardo.

“In più, dobbiamo occuparci di quelli saliti in superficie” ricordò Chang.

“Controlliamo questa nuova minaccia e poi decidiamo come dividerci!” sentenziò Silvestri.


Giunti nella sezione centrale della capitale, incredibilmente gli Humana non notarono nulla di strano.

“Frédérique!” chiamò Sara “Controlla con la tua vista!”.

Ma la francese non fece nemmeno in tempo che, dal fitto Bosco di Poseidone, si alzò un enorme pterodattilo marrone, spalancando le sue ampie ali.

“Questa volta devo cercare di replicarlo!” si diede coraggio il mutaforma.

La sua versione però, alla fine, risultò più piccola e pallida dell’originale. Quest’ultima parve incuriosita dalla comparsa di quel suo misero sosia che, per tutta risposta, emise un ridicolo gracchiare di corvo.

“Strano… non mi sembra di percepire ostilità da parte sua…” borbottò Igor.

Il dinosauro tirò nuovamente indietro la testa, rilasciò un altro grido e aprì totalmente le ali.

“Sta per spiccare il volo!” sentenziò l’africano che, come se stesse in mare aperto, iniziò a nuotare nell’aria.

La cosa fu ancora più assurda visto che, la stessa cupola arcana che doveva agire a protezione di Atlantide, serviva anche a bloccare l’acqua, come fosse una diga semicircolare.

“Manstar, seguilo!” ordinò Nea.

L’atlantideo obbedì al comando della sua sovrana e anche lui, incredibilmente, si mise ad effettuare rapide bracciate su di un’acqua invisibile.

Sara, per non essere da meno, impartì a sua volta degli ordini al suo gruppo “Svelti! Dobbiamo raggiungere il prima possibile la superficie!”.

Nel mentre, i due nuotatori riuscirono appena in tempo ad afferrare la creatura per la sua lunga coda squamosa.

“Reggiti forte!” urlò il mutante.

“Anche tu!” replicò Manstar.

Lo pterodattilo, che aveva ora chiuso le sue ali per assumere una formazione più aerodinamica, sfrecciava come un razzo verso la terra ferma. Appena riemerso tra mille spruzzi, spalancò totalmente le sue appendici e, mentre si librava in volo, diede un forte colpo di coda per scrollarsi via i due indesiderati ospiti.

Per somma fortuna, l’acqua oceanica attutì la loro caduta.


Nel frattempo, il sottomarino degli Humana si era rimesso in moto. Solo il Soggetto N. 2 preferì rimanerne fuori, utilizzando il suo controllo sulla gravità per emulare l’enorme creatura. La stessa cosa fece un impacciato Soggetto N. 7.

“Sono finiti entrambi in mare!” comunicò il Soggetto N. 3.

“Aumentiamo la potenza!” ordinò Sara “E cerchiamo di non prenderli in pieno…”.

“Ricevuto!” rispose il Soggetto N. 4.


Nel giro di pochi minuti, il mezzo fece capolino dalla superficie acquosa. Appena notatolo, i due in acqua lo raggiunsero con poche bracciate. Intanto, anche gli altri due esseri volanti schizzarono fuori.

Una volta stabilizzatosi il sommergibile, gli Humana al suo interno uscirono fuori per dare soccorso ai due uomini in mare e poter meglio controllare la situazione. I tre kaiju furono facilmente riconoscibili, ma non erano soli…

“Oddio! Cosa sono quei tre cosi là?” indicò spaventato il Soggetto N. 1.


Tre robot giganteschi comparvero all’orizzonte:

Soldato di Ferro Alpha (il colore predominante era il rosso e il bianco nelle giunture; con la corporatura esile; in testa presentava come un casco da motociclista, compreso il vetro paraocchi; alla mano sinistra impugnava una pistola laser, mentre nel braccio destro aveva fissato uno scudo con, al centro, il disegno di una stella a cinque punte; al centro del petto aveva la lettere greca che lo contraddistingueva);

Soldato di Ferro Beta (il colore predominante era il blu e il bianco nelle giunture; sulle spalle aveva come degli ornamenti da generale gialli, marchiati con la sua lettera greca di riferimento, che tenevano attaccato un mantello bianco; l’elmo che aveva in testa rendeva visibili solo gli occhi robotici; nella mano destra impugnava una spada; alla vita aveva come una cintura rossa);

E Soldato di Ferro Gamma (il colore predominante era il verde; il viso pareva come un enorme display bianco; all’articolazione delle spalle aveva dei dischi gialli con la lettere greca che lo rappresentava; tutta la sua corporatura robotica presentava degli imponenti muscoli metallici; le gambe erano nere).


“Sembrano dei veri e propri robottoni! Come quelli degli anime!” rispose un esterrefatto Soggetto N. 9.

“Signori state indietro! I Soldati di Ferro stanno per entrare in azione!”.

A parlare fu una ragazza dai tratti somatici asiatici, vestita con una particolare tuta aderente rosa, appena uscita da uno strambo e compatto aerovelivolo giallo, che ora fluttuava a mezz’aria vicino al sottomarino.

“Tu chi sei?” domandò con poco garbo il Soggetto N. 4.

“Mi chiamo Michiru Makunoichi, faccio anch’io parte dei Soldati di Ferro” la nuova arrivata iniziò a fissarli preoccupata “e voi perché siete vestiti così? Cos’è? Una specie di festa in maschera? Dentro un sommergibile?”.

Il russo le si fece vicino “Ma quei robot… sono veri?”.

“Certo!” gli rispose entusiasta la giovane “Prima di entrare in combattimento, li abbiamo sottoposti ad innumerevoli test. Sono efficienti e garantiscono il massimo della sicurezza!”

“Ma da dove venite?” scese planando il britannico.

“Siamo tutti e quattro degli studenti dell’Istituto Shiroiwa”.

“Di nuovo quella scuola giapponese…” pensò sorpreso l’americano.


Una volta fatta la loro apparizione, i tre robottoni entrarono in azione.

Soldato di Ferro Alpha fu immediatamente attaccato dallo smilodonte. Con un gesto repentino, fece giusto in tempo a ripararsi con il suo scudo scarlatto.

Finito con la schiena a terra riuscì, dopo un’impegnativa prova di forza con la bestia, a scaraventarlo via.

Appena la tigre fu atterrata, il robot rosso era di nuovo in piedi. Quest’ultimo, mentre l’animale gigantesco stava ripartendo all’assalto, prese accuratamente la mira con la sua pistola e sparò un colpo. La fronte del felino fu perforata esattamente al centro e il quadrupede cadde esanime al suolo. La caduta provocò una potente scossa al terreno.


Soldato di Ferro Beta si avventò subito sullo pterodattilo, che si era momentaneamente poggiato sulla terra ferma. Il volatile, appena vide il nemico avvicinarsi, si librò in aria. O almeno tentò di farlo, visto che il robot blu, con abile mossa, si staccò il mantello dalle spalle e ci acchiappò al volo il dinosauro.

Rischiando nel contempo di spiccare il volo egli stesso, riuscì comunque a sguainare la spada e, lasciando la presa dal mantello, a tagliare di netto la coda del mostro. Questi, come vittima di un colpo mortale, smise di sfidare la gravità e precipitò senza vita. Altra scossa al terreno.


Soldato di Ferro Gamma pareva totalmente immobile di fronte al mollusco gargantuesco. Tale attesa infinita fece come infuriare il polpo indistruttibile che, stufo, allungò i suoi tentacoli in direzione di quella curiosa preda. Il robot verde attese fino all’ultimo finché, con abile gioco di gambe, evitò i tentacoli a lui più vicini per poi andare a colpire, con un singolo pugno, il becco del polipo.

La creatura si afflosciò come un sacchetto di plastica vuoto, mentre l’altro ne uscì tranquillamente indenne.


Questi tre scontri furono seguiti ad occhi e bocche spalancate dagli Humana. Con loro, vi era sempre la ragazza a bordo della piccola astronave gialla.

“Come hai detto che si chiamano quei piloti?” domandò Chang.

“Sai… Non l’ho affatto detto!” replicò Michiru.

“Che simpatica… oltre che maleducata” l’apostrofò Jack.

“Se volete, potete venire a parlare con loro, tanto la missione direi che sia decisamente conclusa”.

“Che ne pensi, Sara?” chiese Igor.

“Non credo ci sia nulla di male. E poi, può essere l’occasione giusta per farsi dei potenziali nuovi alleati…”.

“Ciò è saggio” assentì Geran.

“Nel dubbio, teniamoci pronti a tutto” sussurrò appena Andrea a Johnny.


Mentre gli uomini in rosso e giallo scendevano sulla riva, dal mare aperto emergeva una delegazione atlantidea, guidata dalla stessa imperatrice Nea.

“Sono lieta che Manstar stia bene” esclamò la sovrana a Song.

“Fortunatamente” replicò lui.


Avvicinatisi tutti, seppur con un po’ di timore, ai tre enormi androidi, si accorsero che dai loro giganteschi piedi si aprirono delle porte a scomparsa. Da esse, uscirono i tre responsabili dei Soldati di Ferro. Tutti e tre avevano il proprio vestiario da battaglia in tinta con i robot. Alle presentazioni ci pensò la quarta pilota.

Hayao Esaki, pilota del Soldato di Ferro Alpha, si presentava con i capelli scuri leggermente spettinati e, a fargli come da scudo davanti agli occhi, un paio di occhiali da sole.

Shiro Nakazato, pilota del Soldato di Ferro Beta, si presentava con capelli castani, tirati in su con parecchio gel, e un naso aquilino.

Eiji Komura, pilota del Soldato di Ferro Gamma, si presentava con una folta chioma di capelli castani ed un hachimaki legato sulla fronte.


Per qualche minuto, come se fossero tutti preda dell’emozione, nessuno proferì parola, tantomeno il Soggetto N. 5.

Sorprendentemente, fu il Soggetto N. 8 ad esordire “Grazie per averci liberato da quei mostri. Personalmente, nonostante fossi in mare aperto, mi ero ormai visto spacciato”.

I tre sorrisero soddisfatti. Poi prese la parola quello vestito di blu.

“Sebbene, ovviamente solo all’inizio, in noi risultava della recalcitranza a salire sui nostri Soldati di Ferro, un pochino di emozione era tuttavia presente, nonostante tutta la vicenda si sia risolta in modo alquanto ganzo. Di certo abbiamo buggerato quelle orride creature, financo ad annientarle completamente”.

Il silenzio ripiombò rapido su tutti i presenti.

“Ma come cazzo parla questo qua?” pensò allibito il Soggetto N. 9.

“Siete un’organizzazione militare?” fu il quesito del Soggetto N. 4.

“Oddio ci manca anche quella…” ironizzò il ragazzo in rosso.

“Assolutamente no” proseguì quello in verde “Anche se io faccio parte dei club maschili di calcio e Kenpo”.

Per dimostrare ciò, in un batter d’occhio si mise in guardia e sferrò un calcio al Soggetto N. 7.

“Bel colpo!” si complimentò il Soggetto N. 6.

“Confermo” esclamò Song.

Intanto, l’indiano aiutò il messicano a rimettersi in piedi “Ma quale bel colpo? È già il secondo calcio che mi becco oggi!”.

Nea chiese la parola “Approfitto per porgervi i miei ringraziamenti e le mie congratulazioni per aver eliminato definitivamente quel trio di mostri che hanno minacciato così ferocemente Atlantide”.

I tre studenti furono sorpresi.

“Atlantide?” chiese il ragazzo con gli occhiali da sole.

“Seriamente?” gli fece eco il ragazzo con l’hachimaki.

“Signora, queste sue splendide parole sono, per noi, foriere di grande orgoglio” esclamò con un inchino il terzo “V’è dunque verità in coloro che proseguono nell’affermare, convinti, l’attuale esistenza della leggendaria città che risponde al nome di Atlantide?”.

“Ecco…” tentò di rispondere la francese “è una storia lunga…”.

“E non vorremo annoiarvi con eccessive verbosità” sfoderò il suo linguaggio forbito l’inglese.

“Tutt’altro!” insistette Shiro.

“Piuttosto” s’inserì l’americano “Mi spiegate perché non siete le prime persone strambe che sento provenire da questo Istituto Shiroiwa?”.

“È una storia lunga anche quella…” replicò Hayao.

“Comunque, complimenti per quell’head shot di prima!” asserì l’italiano.

Il giovane fece un cenno del capo come ringraziamento per quelle lodi.

“Dunque sei anche tu una pilota di quei cosi?” s’interessò Sara Silvestri.

“Affermativo!” disse fiera Michiru, accompagnando il tutto con un bel sorriso.

Manstar sussurrò all’orecchio della propria sovrana “Imperatrice, credo che per noi sia giunto il momento di rientrare”.

“Giusto” sussurrò la donna con il caschetto di capelli neri.

Come vige nell’etichetta di ogni sovrano sulla superficie terrestre, Nea si congedò con un solenne saluto generale, aggiungendo ulteriori apprezzamenti per i suoi salvatori, sia umani che mutanti.


Mentre anche fra gli Humana e i Soldati di Ferro si stavano svolgendo i saluti di commiato, il piccolo russo si accorse che i Kaiju erano misteriosamente spariti nel nulla.


Negli abissi più reconditi degli oceani, dove l’acqua smette di avere il suo colore bluastro e tutto è tenebra, riposava esanime un’enorme creatura. Delle bolle d’aria iniziarono ad uscire dalle sue fauci semiaperte. Qualche istante dopo, le sue palpebre squamose si aprirono. Gozuki si era risvegliato.

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Capitolo 13
*** Il risveglio di Gozuki ***


CAPITOLO 13

Il risveglio di Gozuki”




Mattina presto.

Una sorprendentemente assonnata Sara Silvestri scese le scale della villa, con passo lento ed incerto, per dirigersi verso la cucina al piano inferiore.

Qui, con gli occhi ancora socchiusi, notò il piccolo Igor Wansa seduto al tavolino. Il bambino era tutto impegnato a disegnare qualcosa su un foglio di carta. Lei gli si avvicina.

“Che stai disegnando, Igor?”.

Il russo, nonostante il suo potere psichico, non si era minimamente accorto della presenza della bionda. Perciò fece un gran scossone, perdendo anche la presa sul pennarello marrone, e guardò verso l’alto.

“Oh scusa, ciao Sara! Stavo disegnando i mostri di ieri”.

Nel dire ciò, gli fece notare la presenza di altri due fogli, con le rispettive opere terminate.

L’italiana si avvicinò di più al ripiano, spalancando per bene gli occhi per ammirarli meglio.

“Molto interessanti” si complimentò, prima di indicare qualcosa “E quelle lettere sotto i disegni cosa sono?”.

“I loro nomi”.

“Gli hai dato dei nomi?”.

“Certo!” fu la pronta risposta “Edzisera, Prant e Sany”.

“Com’è che ti sono venuti in mente?”.

“Così. Ho usato la fantasia”.

Sara scosse il capo con fare affermativo, mentre si girava verso la credenza con le tazze da colazione.

“Vuoi fare colazione anche tu, Igor?”.

Nessuna risposta.

A quell’improvviso silenzio, la donna si voltò preoccupata “Igor?”.

Il più giovane dei mutanti se ne stava ora con lo sguardo fisso verso la finestra che dava sull’esterno. Silvestri andò subito a controllare, non notando però alcuna anomalia nel giardino che circondava l’abitazione.

“Che succede, Soggetto N. 1?”.

“Oddio… è tornato!” bisbigliò appena.

“Chi è tornato?”.

“Go… Go… Gozuki!”.

La responsabile spalancò gli occhi “Dove si trova?”.

“C-Credo sia Tokyo”.

“Un classico…” fece un mezzo sorriso lei “Vado a svegliare gli altri. Si va in missione!”.


Tokyo

La baia della capitale giapponese pareva tranquilla, seppur nel suo classico caos programmato, con i suoi tre porti, due aeroporti, l’autostrada e la ferrovia.

Improvvisamente, anche i piccoli lestofanti presenti, dediti a traffici illeciti, si bloccarono. La superficie marina s’ingrosso fino a spaccarsi. Da sotto di essa, spuntò un enorme muso squamoso e allungato. Gli occhi tondi e feroci guardavano fissi il nuovo panorama che avevano davanti. A poco a poco, tutto il corpo da rettile, che passava dal beige sul ventre a tonalità più scure sulla schiena spinosa, emerse totalmente, provocando delle surreali cascate sul porto cittadino.

Poggiate entrambe le zampe artigliate sull’asfalto, che si crepò all’istante, Gozuki tirò indietro la testa, spalancò le fauci ed emise il suo tremendo ruggito.


Grazie alle sue notevoli abilità di volo, Jack Lincon fu il primo degli Humana a raggiungere la capitale nipponica.

“Era da tanto che non visitavo Tokyo…” esclamò, tra uno sbadiglio e l’altro.

Non fu certo difficile trovare il suo obiettivo, visto l’enorme lucertolone che svettava anche sui grattacieli più elevati.

“Ho trovato la nostra bella iguana, signori” comunicò con la mente ai compagni, usando chiaramente Igor come ponte telepatico.

Gozuki sembrò finalmente notare il suo avversario. Come si fa d’estate con le zanzare più fastidiose, tentò di allontanarlo muovendo le corte zampe superiori, seppur risultando in maniera decisamente goffa.


Per strada, un boxer abbaiava verso il mostro, incurante del pericolo dovuto anche solo alla differenza di stazza fra i due, mentre il padrone cercava di tirarlo via tramite il guinzaglio.

“Vieni via, stupido di un cane!”.


Furioso per la non riuscita della sua impresa, Gozuki emise un fortissimo ruggito.

Tappandosi le orecchie con le mani, l’inglese si allontanò il più possibile dal kaiju.

“Chissà da quanti eoni non si sentiva un tale urlo sul pianeta terra…” si chiese, mentre abbassava le mani e fissava il suo nemico.


Per strada, un ufficiale di polizia portava via un’anziana signora. Quest’ultima era rimasta paralizzata nel vedere quella visione così soprannaturale per lei.

“Bakemono! Bakemono!” urlava tremante.


“Dai seguimi, scemo!” sbraitò il Soggetto N. 2 contro la creatura, mentre si faceva inseguire per allontanarlo il più possibile dal centro abitato.

Alzando la testa in avanti, vide che le navi fortunatamente stavano allontanandosi rapidamente dal porto. Riuscì anche a leggere il nome di una di esse. The Unfriendly Gladys.

“Bene così!” bisbigliò compiaciuto.

Con una secca virata, il dandy si rimise in posizione verticale, seppur ancora fluttuando nell’azzurro cielo giapponese.

“Quanto ci mettono quegli altri ad arrivare…” la preoccupazione cominciava ad assalirlo.


Nel vicino porto di Yokohama, il sommergibile degli Humana emerse dalle acque scure. Una volta stabilizzatosi, fu aperto il portellone.

“Questo sottomarino si sta rivelando davvero prezioso, non vi pare?” osservò Bernardo Borghi, appena sbucato fuori.

“Non perdere tempo e sbrigati ad uscire!” lo riprese Chang Yu che stava salendo la scaletta proprio sotto di lui.

In pochissimi minuti, erano tutti e otto sulla terra ferma.

“Bene gente” Sara Silvestri prese subito il comando delle operazioni “Soggetto N. 1 rimarrà qui con me” gli mise una mano sulla spalla “così da poter coordinare tutte le vostre azioni”.

“È giusto” confermò il Soggetto N. 5.

“Mentre il Soggetto N. 2 distrae Gozuki, voglio che qualcuno di voi si occupi anche dei civili. Sono certa che l’efficienza dei giapponesi si sia già messa in moto, ma comunque non tollererò vittime in questa nostra missione”.

Tutti gli uomini in rosso e giallo la osservavano decisi.

“Soggetto N. 3” riprese la bionda.

“Sì?”.

“Voglio che sia tu a coordinare il soccorso fra la gente in strada”.

“Certo Sara. Lascia fare a me”.


“Le ultime parole famose…” pensava sconsolata Frédérique, mentre osservava orde di persone prese dal panico che correvano all’impazzata sulle strade cittadine.

Cercando di riprendere la situazione in pugno, lei utilizzava i suoi poteri per vedere se, all’interno degli edifici che aveva intorno, erano presenti persone in difficoltà.

L’ennesimo ruggito furente di Gozuki la fece sobbalzare, per poi cadere sull’asfalto. Rialzatasi, notò di essere di fronte ad uno stadio. Molto probabilmente doveva trattarsi di baseball, visto le uniformi indossate dai bagarini che, terrorizzati, lanciavano per aria i loro biglietti e scappavano via urlanti.

Tutte quelle grida le facevano perdere il senso dell’orientamento, finché non si concentrò su qualcosa di specifico.

“Attenta!” urlò la francese, mentre con la sua vista calorifica riusciva appena ad incenerire un mattone proveniente dall’alto. O almeno sperava che lo fosse.

La potenziale vittima di tale caduta le si avvicinò grata. Solo allora la ballerina notò il costume da cosplay, nello specifico da sexy vampira, indossata dalla ragazza.

“Arigato!” ripeteva come un’ossessa la giovane brunetta, accompagnando il tutto con rapidi inchini consecutivi.

“Ok ok!” tagliò corto la mutante “Ora cercati un luogo sicuro!”.

Incredibilmente, l’asiatica parve capire cosa le aveva consigliato l’europea e si dileguò nella folla.

Chi invece sembrava a proprio agio in quella situazione di assoluta emergenza era un altro cosplayer, questa volta maschile, che stava aiutando i suoi concittadini a trovare un riparo, mentre indossava una classica tenuta da ninja.

Il soggetto N 3 gli si avvicinò, parlandogli in inglese “Ehi, tu! Grazie per darmi una mano con tutta questa gente! Te la cavi davvero bene! Però, mi raccomando, non abbassare la guardia e stai attento a dove metti i piedi!”.

Lui gli fece cenno di sì con il capo “Sei una gaijin?”.

La stessa gaijin ringraziò il cielo di aver trovato qualcuno con cui poter comunicare “Esatto, anzi sono anche più di quello, però ora non ho tempo per spiegarti. Per il momento, tieni le persone lontane dagli edifici, o comunque da tutti i luoghi che potrebbero crollargli addosso”.

La superficie terrestre tremava ad ogni passo del kaiju. Per fortuna, le strutture giapponesi, da anni costruite in maniera tale da resistere ai più forti e intensi terremoti, resistevano bene a quella catastrofe che, di naturale, aveva ben poco.

“Da dove viene quel mostro?” domandò il ninja.

“Per quanto ne sappiamo noi” Arone gli rispose tra il frastuono generale “pare provenire dagli abissi dell’oceano, di certo però sappiamo che fa tanti danni”.

“Lo vedo”.

“Tu come ti chiami?”.

“Puoi chiamarmi Fury”.

“Bel nome!” gli sorrise velocemente la donna, prima che uno scoppio sopra le loro teste non li fece abbassare all’unisono.

“Cos’è stato?” si tirò subito su il nipponico.

Un uomo, vestito anch’egli con un’uniforme rossa e un’enorme H gialla sul torso, si avvicinò alla coppia. Fury notò che quest’ultimo aveva una pistola, o almeno la forma era quella, incredibilmente fusa con la propria mano destra.

“State attenti anche ai lampioni!”.

“Grazie, Andrea” ritirò su la testa la transalpina.

“I nomi in codice!” la redarguì lui.

“Ah, già!” scocciata, fece un cenno con la mano “Grazie, Soggetto N. 4”.

“Siete nello stesso gruppo?” s’interessò il ninja.

“Esatto! Ed ora cercate di non starmi tra i piedi, tutti e due!” ordinò perentorio l’italiano, mentre la sua stessa mano destra riprese a mutare forma.


“Come se la stanno cavando gli altri?” insistette Arone.

“Credo bene” rispose Alberti “l’unico problema è che, quel gran figlio di puttana di un lucertolone, è davvero resistente”.

Mentre i due discutevano, un gruppetto di ragazze con finte orecchie da gatto sulla testa trottarono davanti a loro.

“Oddio, dove sono finito…” esclamò sconsolato il Soggetto N. 4.

“Ma dai, Andrea…”.

“I nomi in codice”.

“Sì, vabbe’…” lo ignorò Il Soggetto N. 3 “sarai stato giovane anche tu…”.

“Solo per cinque minuti!” replicò secco il soldato.

Giusto per rincarare la dose, una di quelle ragazzine, vestita tutta di nero compreso le orecchie feline, si avvicinò all’italiano. Inspiegabilmente, nella sua mano destra portava un finto barattolo di miele.

“Tasukete!” gli urlò ripetutamente in faccia.

“Non mi rompere le palle, stupida gattara, stiamo facendo il possibile!” tentò di scrollarsela di dosso imbufalito.

“Cavolo! Dov’è finito il ninja?” si preoccupò improvvisamente la francese.

“Inizio a non sopportarlo più questo posto” Andrea era sempre più irritato “quasi quasi lo lascio a Gozuki che, di sicuro, lo risistemerà per bene”.

“Invece di lamentarti, pensa a far bene la tua missione!” lo redarguì lei.

Incredibilmente, la ragazza gatto si era staccata dal mutaforma, spostandosi da un altro cosplayer, forse un suo conoscente. Quest’ultimo era vestito con una lunga tunica rossa scarlatta che gli arrivava fino ai piedi. In mano teneva un manoscritto farlocco con, scritto su di esso, delle improbabili formule alchemiche, o presunte tali.

L’uomo in rosso e giallo rimase sbigottito nel guardare quella coppia così assurda “Qui mi sembrano davvero tutti matti”.

Questa volta la donna non replicò, preferendo scandagliare gli edifici con la sua vista a raggi x.


Fortunatamente, vi erano anche qualche trasformista che si stava operando nell’aiutare il prossimo. Come un gruppo vestito in stile francese dell’Ancien Régime che, nonostante la sfarzosità dei propri abiti, se li strappava e sporcava senza problemi mentre soccorrevano dei feriti.


Un ramo di un albero distante dalla coppia di mutanti iniziò a spezzarsi. Le potenti vibrazioni dei passi di Gozuki lo danneggiavano sempre più, finché non cadde rumorosamente al suolo, per puro caso senza registrare vittime.

“Andrea, guarda! Quel ramo ora ostruisce una via di fuga!” Frédérique richiamò l’attenzione dell’amico.

“Tranquilla cara, ci penso io” la mano destra mutava “E ormai lasciamo perdere i nomi in codice…”.

La sua arma organica aveva una forma allungata. Tramite un mirino posto su di essa, il ragazzo dai capelli castani chiari puntò l’obiettivo. Poi fece fuoco. Uno schizzo di un rosso accesso partì dalla canna del fucile, per finire a sommergere il legno.

Nel giro di qualche secondo, quel liquido caldo e denso andò a consumare tutto l’ostacolo, comprese le foglie ancora verdi.

“Niente male” riconobbe lei “Che arma è?”.

“Fucile a lava ad ampio raggio” rispose lui.

Una volta terminata la sua operazione di sgombro, la lava si andò via via a stemperarsi, fino a diventare semplice pietra friabile.

In quell’istante, l’attenzione di Andrea fu catturata dal manifesto di un locale. Pizza al sushi.

“Non ci siamo proprio…”.


Era ormai da qualche minuto che Geran Giunan fissava l’enorme dinosauro camminare sopra la capitale del Giappone.

Vicino a lui vi era un negozio di articoli elettronici con, ben esposti dietro il vetro della vetrina decorata con ideogrammi di varie forme, vari televisori piatti ben allineati uno fianco all’altro. In uno di essi si vedeva l’imperatore, visibilmente preoccupato, che esortava la popolazione a resistere a questo terribile attacco a cui era sottoposta la nazione.

L’indiano fissò ancora qualche istante quell’autorità a lui sconosciuta. Poi, voltato il capo, vide un’automobile che, come ce ne sono tante nel sol levante, assomigliava più ad un cubo con attaccate quattro ruote. Risquadrò per un attimo il suo gigantesco obiettivo, per poi avvicinarsi alla vettura.

Senza il minimo sforzo, la sollevò da terra, sorprendendo i pochi fuggitivi vicino a lui poi, con la medesima facilità, la scagliò contro la bestia. Quel singolare dardo lo colpì esattamente sulla nuca squamosa.

La creatura si voltò, più infuriata che mai, emettendo un nuovo ruggito stridulo.

Il più asociale degli Humana lo fissava con sguardo di sfida, metri e metri più giù. Sul suo volto comparivano già i colori di guerra della sua tribù, gli Shoshoni.

Nel mentre, sempre alla televisione, l’ambasciatore degli Stati Uniti dichiarava che la propria nazione avrebbe offerto il massimo dell’appoggio alla nazione che lo ospitava.

Per tutta risposta, Gozuki iniziò a sferrare calci alle altre automobili che aveva ai suoi piedi.

L’insospettabile agilità del pellerossa gli fu molto utile, riuscendo ad evitare tutte le macchine colpite con notevole precisione dalle zampe del rettile.


Poco distante dalla lotta, una giornalista e il suo fidato cameraman, sprezzanti del pericolo, o meglio in cerca dello scoop che poteva stravolgere la loro vita, si avvicinarono sempre di più ai due duellanti.

“… Sembra proprio che questa enorme creatura sia comparsa, alla prime luci del mattino, nella baia di Tokyo…” la zelante giornalista faceva una rapida ricapitolazione degli eventi.

Vestita con un elegante e, al tempo stesso, economico tailleur, era ormai a pochi passi dal mutante in rosso e giallo.

“… Qualcuno ha già ribattezzato tale mostro Gibberslash…”.

Il Soggetto N. 5 notò appena la donna, ma tanto basto per distrarsi ed essere colpito al fianco da un’altra macchina.

L’inviata, alquanto preoccupata, le si fece vicino “C-Come si sente? C-Chi è lei?”.

L’energumeno giaceva esanime sull’asfalto. Poi riuscì a fatica a rialzare le larghe spalle. Dopo qualche secondo, fu in grado di puntellarsi con i gomiti e piegare un ginocchio, in modo da non strusciare per terra. Ripreso fiato, Geran scrutò, con occhi fissi e severi, il duo che aveva rischiato così tanto la propria vita.

“Si chiama Gozuki” disse perentorio al microfono, subito piombatogli vicino alla bocca da cui fuoriusciva un rivolo di sangue.

Ancora sofferente, il canadese tornò a guardare verso Gozuki. I suoi occhi si spalancarono. Come un giocatore di football americano, placcò in un sol colpo entrambi i nipponici, facendoli così evitare di essere investita da un’utilitaria volante.

Questa volta, l’indiano scattò subito in piedi come una molla.

“Andate via di qui! Subito!” gli urlò contro.

I due, ancora a terra e tremanti come foglie, ubbidirono senza obbiettare. Rapidi, si dileguarono dalla stessa via laterale da cui erano provenuti. L’operatore, con t-shirt, jeans e cappellino da baseball, si tenne comunque ben stretta la videocamera sulla spalla destra.


I due rivali tornarono a fissarsi, questa volta con gran rispetto.

“Solenne Manitù, proteggimi in questa dura battaglia” pregò il Soggetto N. 5.


Una tipologia tipica, e spesso unica nel suo genere, che si possono trovare a Tokyo sono i cosiddetti bar a tema. Se ne possono trovare seriamente di qualsiasi tipo, magari associati a manga, anime o serie televisive. Quello dove si erano rintanati Chang Yu e Bernardo Borghi era a tema UFO e dischi volanti in generale.

“… Io col cavolo che esco!” si lamentava il messicano.

“Ma come puoi dire così, Berny!” lo rimproverava il cinese.

“Come posso? Come posso, dici? Ma l’hai visto quel bestione là fuori?!” indicandogli con un braccio l’esterno dell’edificio.

“Certo che l’ho visto, è lo stesso di Atlantide”.

“Appunto. Io già mi sono cagato sotto ad Atlantide, figuriamoci ora in Giappone!”.

“Non puoi dire così, Berny. Hai uno dei poteri più fighi dell’intero gruppo” insistette il Soggetto N. 6.

“Ma piantala!”.

“Dico sul serio. Sei niente meno che un mutaforma!”.

“Anche Andrea lo è!”.

“Sì ma lui è molto più limitato di te. Insomma, può solo trasformarsi in armi da fuoco. Non ti pare scontato da un ex-soldato”.

Il Soggetto N. 7 tentennò un po’.

L’altro proseguì “Te invece puoi trasformarti in qualsiasi cosa, mi pare”.

“Sbagliato. Solo in animali e oggetti”.

“E ti pare poco?”.

“Cioè?”.

“Pensa a tutti gli animali pericolosi che puoi diventare!”.

“Tipo questi?”.

Detto ciò, il baffuto del gruppo tramutò la sua forma rispettivamente in: montone, gufo, criceto, mucca e foca.

Tutti i pochi clienti rimasti dentro al locale, più che altro nella disperata ricerca di un rifugio, rimasero sbigottiti.

“Beh…” riprese la parola l’asiatico “ce ne sono anche di più pericolosi…”.

L’altro riprese forma umana. Intanto, gli stessi pochi clienti di prima, si misero a fotografare con i propri cellulari la strana coppia.

“E ora perché questi musi gialli si sono messi a fare foto?”.

“Ehi!” lo richiamò Chen, offeso “sarà per le nostre uniformi…”.

Dopo l’ennesimo ruggito di Gozuki, i lampadari presenti nel bar, chiaramente a forma di dischi volanti, si misero ad oscillare pericolosamente.

“Oh San Domenico, aiutaci tu!” si mise a pregare Bernardo.

“Ora che c’entra San Domenico?”.

“Era tanto per dirne uno”.

“Cerca piuttosto di trovare il coraggio di uscire lì fuori e affrontare quel mostro!” lo spronò deciso l’amico.

“Ma come faccio…” il Soggetto N. 7 era sempre più disperato “Ci sono! Sai cosa ci vorrebbe per affrontare quel mostro?”.

“Sentiamo”.

“Una truppa di pipistrelli!”.

“Cosa?”.

“Così possono distrarlo, facendogli perdere il senso dell’orientamento!” appena esposta la sua idea, il suo corpo si trasformò in un chirottero.

“Ma chi ti credi di essere, Dracula? O Batman? Non stiamo giocando! Non siamo in un manga! Qui dobbiamo davvero affrontare un mostro preistorico!”

“E allora fattela venire tu un’idea geniale!” sbraitò appena riprese sembianze umane.

Accogliendo l’invito del compagno, il Soggetto N. 6 si mise intensamente a pensare.

Passarono dei minuti. Bernardo lo fissava fiducioso. Poi sempre meno.

“Magari una cosa di giorno, Chen”.

“Un attimo…” esclamò l’altro, alzando un dito.

Ancora attimi di silenzio.

“Ce l’ho!”.

“Spara!”.

“Potresti provare a trasformarti anche tu in un dinosauro”.

Il messicano soppesò tale proposta.

“Incredibile! In effetti, non è un’idea così malvagia…” esclamò mentre si lisciava il mento.

“Perché hai voluto aggiungere l’esclamazione “Incredibile!” all’inizio? mi sento estremamente offeso”.

“Non ci pensare!” tagliò corto il baffuto “Però fino ad ora, nelle mie trasformazioni, non ho mai affrontato degli animali estinti”.

“Ma che stai dicendo? Giusto ieri hai replicato quello strano volatile”.

“Beh, oddio… proprio replicato non direi…”.

“Almeno ci hai provato”.

“Che poi, lo sai che Igor ha dato un nome a tutti e tre quei mostri?”.

“Davvero?”.

“Sì, però non mi ricordo come l’ha chiamato quello”.

“Comunque, a parte questo, cerca di concentrarti su un dinosauro!”.

“Giusto!”.

Il Soggetto N. 7 chiuse gli occhi. La respirazione si fece più lenta. Il corpo iniziò a mutare.

Gli occhi si restrinsero. Una volta riaperti, si notarono che anche le pupille si erano ristrette, e colorate di un rosso rosato. Sulla testa, i capelli furono ben presto sostituiti da delle spine acuminate. Il suo corpo si ricoprì di squame bluastre. Il suo viso cominciò a farsi più rettiliano che umano. Ai lati del viso, le sue orecchie si allargarono sempre più. Una serie di spine gli percorrevano lungo la schiena. Sulle spalle, ali enormi e membranose. Ed infine, una coda tozza con la punta che ricordava un bastone appuntito.

Yu fissava sbigottito l’amico.

“Allora, come sto?” parlò improvvisamente la creatura di fronte a lui.

L’altro sobbalzò di paura. Come fecero anche, sui tavolini, le boccette a forma di alieni contenenti salsa di soia.

“Niente male, direi” riconobbe l’altro “però, di altezza sei rimasto uguale a prima”.

Il rettiloide controllò visivamente quanto appena affermato.

“Magari, una volta usciti di qui, potrai crescere a piacimento”.

“Forse…”.

Un sorriso si dipinse sul volto del cinese “Benissimo! Siamo pronti per attaccare!”.

“Perfetto!”.

“Allora, facciamo così: appena usciti di qui, mentre io distraggo Gozuki con una delle mie fiammate, tu ti allarghi sempre di più così da affrontarlo da uomo a uomo”.

“Uomo a uomo?”.

“Vabbe’, hai capito!”.

“Ok, speriamo che funzioni”.

“Tranquillo. Poi avremo comunque i nostri compagni Humana a darci una mano”.

“Giusto”.

“Ok, al mio 3. 1… 2… 3!”.

Il duo uscì fuori dal locale come fossero due furie. Subito il Soggetto N. 6 eruttò in un’alta fiammata verso il cielo. Accanto a lui, il Soggetto N. 7 si mise a concentrarsi. Poi, passato qualche secondo, la coppia si fermò. Attorno a loro non vi era alcuna traccia di Gozuki.

“Dov’è finito?” si domandò il rettile umano.

“Eppure sono sicuro di averlo visto qui fuori” commentò lo sputafuoco.


In effetti il cinese diceva il giusto. Difatti, fino a qualche attimo prima, Gozuki era intento a fissare, in gesto di sfida, l’indiano d’America che lo aveva così impegnato fino ad allora.

Improvvisamente, lo sguardo fiero di Geran fu testimone della rinuncia dell’avversario. Quest’ultimo, muovendosi con lentezza, rivolse il suo cammino verso l’oceano.

Mentre iniziò ad immergersi, il Soggetto N. 8 si affiancò al Soggetto N. 5.

“Che è successo? Perché ora se ne sta andando?”.

“Non percepisco altra ostilità da parte sua” esclamò serio l’energumeno.

Una voce di bambino si fece spazio nella testa dell’africano “Juna, dice Sara che devi inseguirlo assolutamente!”.

“Ricevuto” rispose lui.

Con un rapido scatto, corse fino al termine della banchina, per poi tuffarsi in bello stile in quelle fredde acque scure.

A quelle profondità, la visibilità è davvero scarsa. Ma lo zairese sapeva che la creatura gli era vicina. Nonostante non possedesse gli stessi poteri del Soggetto N. 1, la sua era una percezione comunque molto chiara, quasi un’empatia in quel mondo liquido.


In superficie, il resto degli Humana si era riunito sul pontile.

“Ci sono molti feriti?” chiese il Soggetto N. 4.

“Non credo, anche perché Johnny sta girando tutta Tokyo per cercare di dare una mano un po’ ovunque” informò il resto del gruppo il Soggetto N. 3.

“Sennò che ce lo abbiamo a fare un velocista…” fu sarcastico il Soggetto N 2.

“Volendo, anche tu con il tuo volo potresti fare qualcosa…” sottolineò il Soggetto N. 6.

“Io sono più contemplativo che aggressivo” replicò il dandy.


Negli abissi, Juna sapeva ora di trovarsi davanti alla creatura. Questa pareva stare con gli occhi chiusi, eppur ben attenta ad ogni minima mossa del mutante.

“Giunan ha ragione” pensò “sembra proprio che questo mostro non abbia più alcuna voglia di lottare”.

Quasi a confermare quello che l’umano stava pensando, delle bolle d’aria emersero tra i denti aguzzi del dinosauro, come se fosse totalmente a riposo.

La voce del Soggetto N. 1 intervenne nuovamente “Mi pare, addirittura, che inizi a provare simpatia nei nostri confronti”.


Sul molo, una nuova folla di curiosi si radunò attorno agli uomini in rosso e giallo. Fra di essi, vi erano anche il ninja e la ragazza-gatto.

“Eppure mi pare di conoscerti…” esordì Fury “Come ti chiami?”.

“Il mio nome è Neneko” rispose sorridente lei “E il tuo?”.

Lui stava per rispondere, finché venne fermato dal Soggetto N. 7.

“Insomma, ragazzi. Proprio vi dovete mettere a flirtare? Dopo tutto quello che è successo, poi? So che qui in Giappone ci sono dei simpaticissimi locali chiamati “Love Hotel”. Perché allora non vi prenotate una stanza in uno di quelli?”.

I due giovani arrossirono, cercando di nascondere il più possibili i loro imbarazzi.


In mare, Gozuki si era di colpo riattivato. Seppur con molta più calma rispetto a prima, il lucertolone aveva scelto di riemergere sulla terra ferma. Questa volta, però, parve scegliere scrupolosamente una zona più sicura per la gente del posto.

A molti metri in verticale di distanza, Juna lo aveva seguito.

“Che cosa vuoi fare, Gozuki?” tentò inutilmente di farsi sentire dal kaiju.

Gozuki scrocchiò rumorosamente il suo gigantesco collo, come un wrestler pronto ad affrontare il suo match. Vicino alle sue zampe, per strada comparve una striscia luminosa rosso e gialla. Il velocista si era finalmente deciso a scendere in campo.


Sulla darsena affollata, gli altri Humana cercavano inutilmente di avvertire il loro compagno.

“Soggetto N. 1, avverti il Soggetto N. 9 che non intervenga!” ordinò Sara.

“Ci sto provando!” spiegò Igor “Ma a quella velocità non è semplice”.


Vedendo quella scia luminosa, Gozuki ne fu attirato come un gatto dal puntatore laser sparato sulla parete.

“Ok lucertolone, vediamo se riesci a prendermi!” lo provocò l’americano, fermandosi di colpo di fronte al rivale.

Il mostro accettò la sfida, alzando e riabbassando subito il piedone destro sul mutante. Nel mentre, emise un ruggito acuto.

In alcune serie di fiction, la tecnica utilizzata da Johnny Wayne si definisce “immagine residua”. E fu proprio questa che il dinosauro calpestò, senza ovviamente alcun danno.

“Ritenta, lucertolone” lo sbeffeggiò lo stesso Soggetto N. 9.

“Johnny, mi senti?” finalmente il russo era riuscito a mettersi in contatto con lui.

“Sì, dimmi Igor. Veloce che sono impegnato…”.

“Sara ordina di fermarti!”.

“Cosa?! Perché?”.

“Gozuki non sembra voler combattere con noi, o crearci altri problemi”.

“Che stai dicendo?”.

“È vero. Lo dicono anche Geran e Juna”.

“Ma siete seri?!” lo statunitense non credeva alla sua testa.

“Johnny” questa volta fu la stessa Silvestri ad intervenire “Smettila di attaccare l’obiettivo. Ripeto, smettila di attaccare l’obiettivo!”.

A quell’ordine perentorio da parte dell’italiana, il biondo si fermò davvero.

Gozuki, che finalmente riusciva a vedere chiaramente il suo avversario, si accovacciò al suolo, fissandolo con un ghigno che pareva quasi un sorriso divertito.

Sembrava di vedere un bambino che, nella sua cameretta, osserva entusiasta il suo nuovo giocattolino.

Intanto, sulle calme acque oceaniche del Giappone, la Unfriendly Gladys aveva preso ormai il largo.

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Capitolo 14
*** Teschi di cristallo, maschere e dinosauri ***


CAPITOLO 14

Teschi di cristallo, maschere e dinosauri”




“… Ancora non si hanno indizi sul motivo per cui, tutta l’intera popolazione di questa città, sia letteralmente scomparsa nel nulla, lasciando la città totalmente deserta…”.

La televisione presente nel salotto della villa degli Humana era ormai da qualche ora accesa, fissa sul canale dei notiziari. In quell’istante, la giornalista continuava a parlare dell’argomento che, da almeno tre giorni, aveva sconvolto buona parte del mondo.

Seduta sul comodo divano davanti allo schermo luminoso vi era Sara. Nella stanza insieme a lei erano presenti però solo quattro membri del suo gruppo.

“Che storia assurda!” commentò la bionda, mantenendo lo sguardo fisso verso la tv.

“Come lo è anche la nostra” osservò Chang.

“Sarà, ma ancora non comprendo perché non hai voluto mandare tutta la squadra…” controbatté polemico Jack.

L’italiana, senza scomporsi, gli rispose “Perché questa volta non me la sento di rischiare tutti voi, per lo meno finché non abbiamo informazioni più precise”.

“Comunque ne rimango basito” fu l’ultima parola dell’inglese.

Gli unici mutanti che rimasero in silenzio furono Igor, che si era messo a disegnare con svariati pennarelli, grazie alla sua telecinesi, e Juna, che fissava fuori dalla finestra e, con la testa, sembrava essere lontano miglia e miglia dall’abitazione.


Ad essere realmente distanti dal quartier generale erano gli Humana non presenti. Infatti, aveva da poco raggiunto il paese teatro di quello strano fenomeno. I cinque si trovavano vicini al cartello dove era scritto lo strambo nome della città: Akolaizow.

“Ma davvero volete accamparvi qui? Sono l’unico che ha udito l’assurda vicenda che è capitata ai cittadini di qui? E poi, possibile che quella stupida di Sara, appena sente che accade qualcosa di assurdo nel mondo, deve mandare noi ad investigare?”.

Dunque le polemiche imperversavano anche lì, questa volta ad opera di Bernardo.

“Oddio, Berny!” sbuffò Frédérique “Sei peggio di una prima ballerina!”.

Mentre il messicano riprendeva la sua filippica, Andrea osservava la città poco distante da loro.

“Lo strano è che nessuno ha sentito nulla. Oltre ai giornalisti ora sta arrivando anche l’esercito”.

“A me basta che ci lascino in piace per dormire” esclamò Johnny, mentre assicurava al terreno l’ultimo gancio per tenere tesa la loro tenda.

“Ma allora sto parlando al vento?!” riprese il baffone.

La francese, per evitare di innervosirsi ancora di più, si avvicinò all’americano.

“Merda! Non riesco proprio a sopportarlo quando si mette a fare così!”.

“Non ci pensare. Deve essere tutta questa assurda vicenda che lo manda nel panico”.

I due si misero insieme a fissare le case in lontananza.

“Questa storia mi fa venire in mente un fatto, accaduto dalle mie parti, dove tutti gli abitanti di un villaggio, appena giunti nel nuovo mondo, dopo qualche giorno scomparvero, lasciando solo un messaggio con su scritto CROATOAN”.

Nonostante l’oscura preoccupazione che aleggiava sui pochi presenti, la notte passò tranquilla e in quiete dentro la tenda da campeggio.

La mattina successiva, gli uomini in rosso e giallo avevano già deciso di partire in esplorazione del centro non più abitato e, sebbene Borghi era sempre più contrario, era stata presa la decisione di dividersi, per meglio perlustrare la zona, e rimanere costantemente tutti all’erta.

Ancora di più dopo che notarono che, sia i giornalisti che i militari, erano anch’essi volatilizzati da quel posto.

Fu dopo questa nuova sconvolgente scoperta che il Soggetto N. 3 fu lasciata nel loro accampamento, pronta almeno lei ad una ritirata strategica e nel contempo, poteva risultare utile agli altri con la sua vista telescopica.

Il Soggetto N. 5 era impassibile, come suo solito, mentre il Soggetto N. 7, tremante di paura, cercò di tenersi su il morale canticchiando un’antica filastrocca messicana.


Il Soggetto N. 4, memore del suo addestramento nelle forze armate, procedeva in solitario a brevi passi, tenendo gli occhi vigili in qualsiasi angolo del quartiere che stava attraversando. Intento ad attraversare un parco cittadino, di colpo, sentì un suono e, mentre la sua mano destra stava cambiando forma, notò una persona al suolo.


Il Soggetto N. 9, al contrario di com’era ormai abituato, procedeva con andatura lenta, lasciando la sua supervelocità totalmente inutilizzata.

Fatto qualche passo, vide qualcosa scintillare al centro di una strada. Si avvicinò con cautela e, con sua somma sorpresa, identificò un teschio di cristallo.


Nel quartier generale, dove tutti erano collegati fra loro tramite la telepatia del Soggetto N. 1, il Soggetto N. 2 sussultò.

È identico a quelli che ho a Londra!”.


Akolaizow.

Nel giro di pochi minuti, tutti gli altri, ad eccezione del velocista, accorsero dal mutaforma. La supervista fu d’aiuto ad Arone per raggiunge subito i suoi compagni dentro la città.

L’essere umano sdraiato a terra, forse per tutto quel trambusto improvviso, parve ridestarsi. Spaventando i presenti, pronunciò delle enigmatiche parole “Qui non vi è salvezza”.

Seppur ancora shockata, la francese notò l’assenza di uno di loro “Dov’è Johnny?”.

“Non lo so” rispose secco l’italiano “Qui tutte le cose non stanno andando”.

“Ma questo è loco!” urlò quasi impazzito Bernardo.


Nel frattempo, Wayne riuscì a trovare il coraggio di afferrare e sollevare quel cimelio. Come un novello Amleto, lo osservava attentamente.

“Considerate seriamente ciò un problema?”.

“Cos’hai detto, Igor?” chiese mentalmente lo statunitense.

“Non sono stato io…” confessò il russo.

“Cosa?” spalancò gli occhi il biondo.

“Non pretendere di capire, mutante” riprese la voce “gli umani che siete venuti a salvare stanno bene”.


“Qui non vi è salvezza”.

Da quando si era ridestato, nonostante i ripetuti stimoli degli Humana presenti, erano soltanto queste le parole che uscivano dalla bocca dello sconosciuto.

“Andrea, non puoi creare, per caso, un traduttore a corto raggio?” domandò il messicano.

“Certo che no, Soggetto N. 7!” rispose l’italiano “E poi, se non ricordo male, sei un mutaforma anche tu, o sbaglio? Allora, datti da fare!”.

“Sapete che vi dico…” intervenne la francese “Sarò io da darmi da fare! Ora vado a cercare Johnny, visto che a voi pesa il culo!”.

“Calmati, Frédérique. Sono qui” fece la sua comparsa proprio il Soggetto N. 9.

Tutti i presenti si voltarono verso il nuovo arrivato che, con movimenti lenti, poggiava su una panchina vicino a loro il teschio.

Appena vide quel particolare oggetto, l’uomo in stato confusionale si mise a sbraitare e rantolare ancora di più.

Per evitare che si facesse male o, peggio, facesse del male ai suoi compagni, il Soggetto N. 5 lo bloccò con la sua enorme forza, abbracciandolo con le sue braccia robuste.

“Stai calmo” tentò inutilmente di sussurrargli.

“E quello che diavolo è, Johnny?” riprese con le domande il Soggetto N. 7 “Dove l’hai trovato?”.

“Era su una strada qui vicino… e sta parlando!”.

“Parlando? Ma che stai dicendo, Jo…” ma la frase del Soggetto N 3 fu interrotta da un’enorme figura luminosa.

Essa comparve dal nulla, sovrastando tutte le persone nel parco.

I mutanti in rosso e giallo rimasero tutti ammutoliti nel fissare quell’essere così luminoso. Nonostante non possedessero tutti la visione sovrumana di Arone, nessuno ne rimase abbagliato. Invece, l’unico umano normale, si agitò sempre di più, come in preda ad una crisi epilettica. Si dissolse nel nulla.

Inaspettatamente, nessuno degli eroi mosse un solo muscolo, ipnotizzati da tale luce ultraterrena.

Come un magnete, Wayne si sentiva sempre più attratto verso quella fonte luminosa.

“Johnny ascoltami!”.

La voce di Sara Silvestri parve risuonare lontana nella sua mente.

“Johnny, ascoltami! Non so bene come spiegartelo ma, seguendo ciò che mi dice il nostro capo, non dovete più intervenire in alcun modo per salvare quella persona e, soprattutto, lascia stare la luce e rimani con la tua squadra!”.

Gli occhi di Johnny, dopo esser rimasti aperti e fissi per un tempo che andrebbe contro natura, sbatterono. D’istinto, il pilota si voltò verso i suoi amici.

Come se ritenesse di non essere più utile, il gigante di luce si spense, senza lasciar traccia.

Di conseguenza, anche gli altri Humana ripresero conoscenza, seppur ancora increduli a quanto avevano appena assistito.

“S-State tutti bene?” tentò di sincerarsi Frédérique.

“Come possiamo dirlo” sentenziò un Bernardo più ombroso che mai.


Quartier generale.

Sara era madida di sudore in tutto il corpo e con un fiatone che non le stava dando pace. Sembrava aver corso per chilometri e chilometri senza un attimo di tregua.

Igor era collassato dalla stanchezza.

Jack, Juna e Chang in piedi e immobili come tre statue.

“Sai che, prima o poi, dovrai rivelarci chi è questo nostro capo…” esclamò il ragazzo di colore, guardando con fare truce l’italiana.

“Io ne rimango!” commentò il britannico.

“Io… vado a preparare da mangiare” concluse l’asiatico.




Stazione ferroviaria di Trento

In una delle principali fermate della linea del Brennero, da un classico modello di Freccia Rossa, scese un-ex pilota di formula uno americano. Ad attenderlo, su una delle banchine presenti, vi era un ex-soldato italiano.

I due, senza proferir parola, si strinsero calorosamente la mano, nel più classico dei gesti di saluto.

Ad osservarli, a loro apparente insaputa, un viso baffuto e ligneo, tipico dei Matoci, maschere caratteristiche di un comune di tale provincia, Valfloriana.


Ad attendere la coppia, all’esterno della struttura, la candida neve che scendeva lentamente sul suolo totalmente bianco. Su di esso, si trovava un piccolo cestino con l’interno in fiamme. Vicino a quella particolare fonte di calore, nell’intento di riscaldarsi, vi era un uomo travestito da Peppe Nappa del carnevale di Sciacca.

“Cazzo, che freddo!” furono le prime parole pronunciate in Trentino da Johnny Wayne.

“Dove ti credevi di essere?” replicò Andrea Alberti “ai Caraibi?”.


Il giorno successivo, un grande sportivo come il biondo non poteva certo rinunciare a provarne uno per lui totalmente nuovo: lo sci.

“Tieni i piedi più stretti!” gli urlò inutilmente l’indigeno.

“Ma porc!” fu l’ennesima imprecazione, da parte dello statunitense, all’ennesima sua caduta.


A fare da spettatori a quel simpatico teatrino, vi era un trio decisamente insolito.

Un corpulento contadino, una robusta donna coi capelli scompigliati e un segaligno dai capelli e i baffoni arancioni.

“Bertoldo, ma sei sicuro che siano loro?” domandò la donna.

“Assolutamente certo, Marcolfa! Non mi credi?” rispose l’omone.

“C-Certo che… s-sono proprio scemi! N-Non come me, Bertoldino” esclamò, con fare altrettanto stupido, il secco.


Nel frattempo, il tempo atmosferico era peggiorato piuttosto rapidamente.

“Eh no! Ora ci manca pure la tormenta!” si lamentò di nuovo il velocista.

Tra l’altro, con gli sci ai piedi, il suo potere risultava decisamente inutile.

“Faremo meglio a rientrare” consigliò il mutaforma, rimirando in cielo nubi minacciose “Non so quanto ancora abbiamo a disposizione”.


Nella medesima situazione, ma ben imbacuccato in una pesante pelliccia di montone li osservava silenzioso il Rollate di Sappada.


Mentre il vento soffiava sempre più forte, tagliando il viso dei due mutanti, improvvisamente, comparso come un antico fantasma, si trovarono di fronte un oscuro chalet.

“Entriamo lì dentro!” urlava, per farsi capire, il Soggetto N. 4 “piuttosto che morire di freddo qui fuori!”.

L’altro lo seguì senza fiatare.


Vicino a loro, ma ben nascosto dalla bufera, si trovava un triste Pierrot, con una lacrima vera che si sovrapponeva a quella finta del suo trucco facciale.


Appena ebbero messo piede nella veranda in legno dell’abitazione, furono accolto dall’abbaiare, non certo dei più amichevoli, di un alano.


Per tutta risposta, dall’esterno, si udì il muggito di una mucca. Solo che questa, a differenza delle più tradizionali, aveva decisamente una forma più umana.


“Cazzo!” imprecò il Soggetto N. 9, mentre il suo compagno stava già mutando la forma della sua mano destra.

“Buona, Cassiopea!” fu l’ordine perentorio dato da una donna “Voi chi siete?”.

“Ci scusi” esordì Andrea, mentre la mano era tornata normale “ma siamo rimasti fregati dalla bufera”.

Fu quello il momento di ammirare il sorriso piacione di Johnny “Ci chiedevamo se poteva gentilmente ospitarci qui da lei. Per lo meno finché la pioggia non cessa un po’…”.

La signora continua a fissarli poco convinta, mentre il cane proseguiva nel ringhiare minaccioso.

“Devo prima sentire mio padre”.

Detto ciò, fece comunque accomodare i due viandanti nell’ingresso della baita.

Alle loro spalle, con uno scatto felino, un uomo con, sul volto, passamontagna totale riuscì a non far richiudere perfettamente la porta senza, al contempo, farsi notare dai presenti. Degno dello Squacqualacchiun di Teora.


Il vero padrone di casa fece la sua comparsa: un uomo non più giovanissimo, ma dalle spalle larghe e la folta barba bianca.

“Penso io ai signori, Jolanda” sentenziò il vecchio “Mi dispiace, signori, ma non potete stare qui”.

“C-Cosa? E perché?” si allarmò il suo presunto connazionale.


Fuori dallo chalet, suona di campanacci da pecora, la porta si spalanca e compare la maschera simbolo della Sardegna: il Mamuthones.


L’americano, anche grazie al suo superpotere, si voltò da una parte all’altra con rapidità sovrumana. Dietro ai due inquilini, un enorme spiedo di legno con della carne a rosolare per bene sopra al fuoco nel camino. Nel ripiano sopra di esso, un’altra tradizionale figura del carnevale sardo: lu Traicogghju. Solo la maschera in legno, però.

Il suo cervello si autocensurava i suoi stessi pensieri. Vicino al braciere, altre due maschere comparvero nella stanza.

“Purtroppo è proprio come stai pensando…” gli anticipò Pin Girometta di Varese.

“Il mammifero nello spiedo… è umano!” concluse Capo Valàr di Lazise.

La coppia in rosso e giallo rimase basita.

“M-Ma… c-che cazzo state dicendo?” balbettò Johnny.

Altri due tizi mascherati si unirono ai due precedenti.

“Sappiamo che voi siete dei mutanti che si fanno chiamare Humana” intervenne la classica figura del marinaio genovese e del tifo doriano, il Baciccia della Radiccia “e pensiamo che voi già sappiate chi siamo…”.

“Immagino voi siate le Maschere, Elefante dell’Animorph Squad ci ha parlato di voi” gli rispose Andrea.

“Benissimo!” proseguì la Réula, maschera che rappresenta un anima penitente “Dunque sappiate che questo gruppo di persone, conosciute come Famiglia Fantelli, sono in realtà dei luridi dediti al cannibalismo. Ora dovranno estirpare la colpa di aver ucciso un mio collega della Mascara Gadduresa”.


All’esterno della magione, mentre varie altre maschere facevano il loro ingresso, le folate di vento si facevano sempre più forti e spettrali. Sembrava il perfetto sottofondo musicale ad accompagnare il dramma che si stava svolgendo al suo interno.


“Come potete venire qui, in casa nostra, e criticare il nostro operato?” sbottò la più giovane della cosiddetta Famiglia Fantelli.

“Hai anche il coraggio di chiederlo?!” gli urlò contro una delle maschere femminili più facilmente riconoscibili nel panorama italiano: Colombina.

“Credi che, perché sono una donna, non abbia il coraggio di prendermi la responsabilità per le mie azioni?”.

La donna mascherata scosse il capo “Povera sciocca. È proprio per difendere la libertà delle donne che ho deciso di indossare questa maschera”.

Quasi con le lacrime agli occhi, la padrona di casa si voltò verso l’americano.

“Anche voi, che subite il nostro stesso supplizio, davvero pensate di agire nel giusto?”.

L’interpellato parve shockato “Che vuoi dire?”.

“Non darle retta a quella troia!” sbraitò Nasotorto, la cui caratteristica facciale veniva evidenziata pure dal nome da battaglia.

D’improvviso, una porta sbattuta con grande violenza.

“C’è un’altra troia!”indicò al gruppo, sempre più numeroso, Nasoacciacato, per cui vale lo stesso discorso di Nasotorto.

“Asia! Che ci fai qui?” le urlò contro Jolanda Fantelli.

“Quella deve essere la sorella minore…” ipotizzò ad alta voce Cassandro, una maschera proveniente da Siena, città ben più famosa per i suoi Cavalieri delle Contrade e le loro armature leggendarie.

“Jolanda!” parlò la nuova arrivata “Come osi parlare delle faccende private della tua famiglia ad un perfetto sconosciuto? Per di più americano!”.

“Beh…” intervenne lo sconosciuto “se tu sai pure la mia nazionalità, vuol dire che tanto sconosciuto non sono…”.

“O magari anche i cannibali guardano la Formula Uno, yankee…” sottolineò U Sceriff, maschera della provincia di Bari vestito in perfetto stile cowboy.

“Solo perché hai incontrato il classico biondino con la faccia a culo che incontri in vita tua!” proseguì l’aggressione verbale della sorella.

Un colpo di pistola andò a conficcarsi nella pietra del soffitto. A sparare non fu però l’arma da fuoco del finto sceriffo western ma la mano destra mutata del Soggetto N. 4.

“Sarà il caso di darci tutti una calmata!”.

“E c’è bisogno di tirar giù tutta questa baracca?” lo ammonì il parmense Al Dsèvod.

“Vuoi spararmi, bastardo?” Asia Fantelli si aprì violentemente la camicia che aveva indosso, mostrando il suo seno nudo “Spara qui, se hai le palle!”.

“Però! Che tette!” esclamò, con un finto accento francese, Vulon di Fano.

Il trentino ghignò “Non penserai di impressionarmi con un paio di bocce?”.


Fuori, la situazione peggiorava a vista d’occhio.

“Il vento sta aumentando!” gridò Re Biscottino verso un suo collega.

“Lo vedo! Così come vedo che sarà fatta vendetta per tutta la Sardegna!” replicò Sa Filonzana.


Un’altra porta che, sicuramente a causa del grande riscontro ventoso, sbatte. La tensione del momento fa partire un altro colpo al cecchino.

“No!” urlò con la mano in avanti Doroteo, mentre teneva ben saldo il suo fedele scettro fatto con canna da zucchero.

Nemmeno la supervelocità del Soggetto N. 9 servì ad evitare che il proiettile colpisse Jolanda alla spalla sinistra.

Lu Casaranazzu, ovviamente della città di Casarano, imprecò in dialetto pugliese.

I due membri della Famiglia Fantelli rimasti in piedi non si scomposero minimamente. Quella a terra, invece, dopo qualche attimo di immobilità, iniziò a strisciare verso il camino. Finché non strappò con la mano della spalla non offesa un pezzo della carne.

“Oddio! Non ditemi che lo fa davvero…” parlò schifato Su Maimulu.

La donna a terra staccò, con un morso deciso, parte della pelle ancora attaccata all’osso. Mentre deglutiva, la ferita alla spalla iniziò miracolosamente a richiudersi.

“C-Cosa?” Wayne rimase esterrefatto da quanto stava osservando.

Il capofamiglia, fino a quel momento rimasto del tutto impassibile, si prodigò in un incredibile scatto. Sbattendo contro il muro, premette un mattone che si abbassò. Con un forte clangore metallico, la parete di una gabbia scese dall’alto a dividere i cannibali dagli onnivori.

“No!” sbraitò un Toro umanoide che, dopo una potente rincorsa, tirò una testata contro le sbarre, incurvandole leggermente.


Dall’altra parte, il trio si diede alla fuga.

“Scappiamo! Svelti!” ordinò Asia.


“Dobbiamo inseguirli! Per la Sardegna!” incoraggiò Issohadores, con il suo classico vestito da antico turco.

“Lasciate fare a me!” sentenziò il velocista, subito partito a razzo e, grazie alla sua velocità in grado di scomporre le sue stesse molecole, attraversò le sbarre, rendendosi momentaneamente intangibile.


Nel frattempo, i tre della Famiglia Fantelli si erano chiusi alle spalle una porta ben più spessa, di puro acciaio rinforzato. Poi, per aggiungere ancora più sicurezza, avevano sceso a grandi falcate una ripida scala in pietra. Fino a giungere in un’ampia sala sotterranea.

Mentre riprendevano fiato da quella ritirata rocambolesca, la sorella maggiore Jolanda, la bionda dai vaporosi capelli oltre le spalle, si avvicinò al seno nudo ma semicoperto dalla camicia della sorella minore Asia, la mora dai capelli fino alle spalle.

Aprendo la bocca e scostando leggermente la camicia, si mise a leccarle il capezzolo destro con sensualità, mentre l’altra non poté che emettere gemiti di piacere.


“Tu non hai qualcosa che ci può essere utile?” domandò l’inquietante maschera del Maschkar al tizio in rosso e giallo.

“Posso provare con un nucleodistruttore” ipotizzò Alberti.

“Fai un po’ come cazzo ti pare, basta che fai qualcosa” lo spronò in malo modo Bicciolano, mentre sgranocchiava l’omonimo biscotto vercellese.

Appena la sua mano destra ebbe ultimata la trasformazione, il Soggetto N. 4 sparò verso la gabbia.

i tubi in ferro colpiti dal raggio colorato si smaterializzarono all’istante, come se non fossero mai esistiti.

“Andiamo, mia regina” invitò il Conte Tizzoni.

“Dopo di lei, mio conte” accettò la Regina Papetta.


“Ora smettetela con questo spettacolo disgustoso!” il padre richiamò infuriato le sue due figlie.

Le lesbiche si staccarono all’istante.

“Piuttosto, preparatevi al rituale!”.

“C-Cosa?” Jolanda aveva il terrore negli occhi.

“Ma proprio adesso, papà?!” Asia protestò vivacemente.

“Zitte e ubbiditemi!”.

Le due giovani donne, rassegnate e con lo sguardo basso, si avviarono verso due lettighe lì vicino, in puro stile Frankenstein. Nel più completo mutismo, si spogliarono di tutto quando avevano indosso, come dei semplici automi. Fatto ciò, si sdraiarono sui ripiani orizzontali.

Voilà! Alla vista un umile veterano del vaudeville, chiamato a fare le veci sia della vittima che… Vabbe’, il resto non me lo ricordo”.

Il capofamiglia si voltò di scatto verso la direzione da cui proveniva quella strana litania.

Davanti ai suoi occhi vide una vera e propria marionetta prendere vita. La sua immagine richiama immediatamente alla mente la pizza e il mandolino. Oltre alla splendida e contraddittoria città di Napoli.

“Cos’è? Uno scherzo?” ridacchiò il barbuto.

“Gli scherzi belli durano poco. Non te l’hanno mai detto i tuoi colleghi?” osservò Pulcinella.

“Fermo!” il Soggetto N. 9 era finalmente arrivato a destinazione “Voi siete più pazzi della famiglia Manson!”.

Precedentemente, aveva perso tempo a trovare il giusto mattone da premere, così da togliere la sicura alla porta blindata e, di conseguenza, far entrare tutte le altre maschere.

Il cannibale, vistosi perso, tentò una nuova fuga da un’apertura alle sue spalle. Le sue due figlie, o presunte tali, rimasero sdraiate, nude e con gli occhi chiusi.

“Voi Humana pensate al vecchio, noi Maschere ci occupiamo delle due donne!” comandò la Cagnèra di Pesaro, dal volto totalmente coperto.


Altre scale in pietra da percorrere alla disperata.

La mano destra dell’italiano aveva preso la forma di un cannone.

“Fermo, Andrea. Non fare fuoco qui dentro” lo avvertì l’americano.

“Niente fuoco. Questo è un cannone ad acqua!”.

Il potente spruzzo che ne derivò colpì al centro della schiena il suo obiettivo, che caracollò in avanti.

Come se niente fosse, l’uomo si rialzò, appoggiandosi al muro, da cui afferrò un bastone.

Il bastone si rivelò subito un fucile a doppia canna. Come notò ad alta voce anche Coviello, un’altra maschera napoletana.

Purtroppo l’uomo con il fucile si dimenticò della velocità sovrumana di Johnny. Quest’ultimo, di fatti, riuscì in un batter d’occhio a disarmarlo e immobilizzarlo.

“Sei… troppo… lento” gli sussurrò all’orecchio.


Al piano di sopra, Asia era riuscita incredibilmente a fuggire.

“Ahò! Richiappate quella scostumata!” fu il colorito rimproverò, con tipico accento romano, di un uomo vestito con: panciotto allacciato nella parte laterale, sciarpa usata come cintura, fazzoletto al collo, pantaloni stretti al ginocchio e berretto in testa. Meo Patacca.


La donna riuscì ad arrivare fino ai due mutanti. Finché Alberti non riuscì a bloccarla con il suo corpo.

“Giovane! Non ne approfittare però…” lo richiamò il Dr. Balanzone, con cadenza emiliana “Mica gli devi fare un’autopsia”.

La più giovane delle Fantelli, nonostante le sue nudità esposte, continuò a dimenarsi per liberarsi dalla stretta del connazionale. Vedendo che tutto ciò risultava inutile, si decise a mordere il suo avversario sulla spalla destra.

“Ahi! Fermati, puttana!” si alterò il mutaforma.

“Lasciami, brutto figlio di puttana! Ma non capite? La nostra è una malattia! Non possiamo agire altrimenti! È nel nostro DNA!” strillò lei, disperata.

“Ma di che sta parlando?” domandò preoccupato Narcisino, facendo oscillare i suoi lunghi boccoli biondi.

“Davvero non vi è chiaro?” esclamò sbigottita la donna, con le lacrime agli occhi “A farci diventare così sono stati gli stessi che hanno rovinato gli Humana!”.

“Di nuovo lo Spettro Bianco?” sussurrò spiazzato il Soggetto N 4.

Sempre Asia indicò l’uomo dalla la barba canuta “E anche se lui può non essere il nostro vero padre, è però l’unico che comprende la nostra maledizione. A differenza di voi Maschere”.

Il capofamiglia si avvicinò ad un’altra parete per premere un nuovo mattone.

“Che ha fatto?” chiese preoccupato il perugino Bartoccio.

Il vecchio, rimanendo voltato verso il muro in pietra, rispose “Ho attivato un ordigno esplosivo situato nei dello chalet”.

“C-Cosa?” scattò sbigottito Tarlisu, che dall’aspetto pareva quasi un giocattolo a molla.

Proseguì lui “Avete appena un minuto per fuggire di qua”.

Nessuno disse più nulla. Prese forma uno scalmanato corteo variopinto dalle maschere italiane più assurde. La Famiglia Fantelli, invece, scelse di riunirsi insieme tutti e tre. Per l’ultima volta.


Lo chalet esplose in un’enorme vampata, illuminando l’oscurità tipica di quella notte alpina.

Incredibilmente, tutte le persone non cannibali presenti erano sane e salve all’esterno, con la neve che aveva ripreso a scendere lenta e pigra dal cielo.

Lo stesso Soggetto N. 9, abituato a corse ben più impegnative, era comunque con il fiato corto, che gli usciva dalla bocca creando una simpatica nuvoletta.

“Sapete già che vi incontrerete ancora con noi Maschere” disse una persona, arrivatogli a fianco.

Il mutante alzò lo sguardo per fissare la maschera più colorata di tutte: Arlecchino.




Strani cancelli si sono aperti in alcune parti del mondo. Cancelli che non portano da nessuna parte ma, al contrario, sono un varco per visitatori provenienti da altri tempi.


La persona che i tre mutanti avevano davanti sembrava uscita da qualche carnevale dei più assurdi. Ma di maschere, in quel periodo, ne avevano avute decisamente abbastanza.

L’uomo indossava un’uniforme da simil supereroe quasi totalmente di colore verde scuro. Il tessuto era poi caratterizzato da un disegno che, a colpo d’occhio, doveva ricordare le scaglie di rettili. Sul suo petto allenato campeggiava la scritta nera “T-REX”, il suo nome da battaglia. Infine, il suo volto era parzialmente coperto dal cappuccio del lungo mantello, anch’esso verde ma più chiaro, che aveva legato al collo. Oltre a due particolari braccialetti, come piccolo vezzo di stile tale cappuccio aveva le sembianze della bocca spalancata, o per lo meno della parte superiore di essa, di un dinosauro, nello specifico un Tirannosaurus Rex.

“… Riguardo i dilofosauri poi, a seguito delle recenti scoperte del dottor Grant, siamo venuti a conoscenza di peculiarità di cui eravamo totalmente all’oscuro. Ad esempio, un collare di pelle retrattile e, ben più pericolosa, la capacità di sputare un letale veleno” concluse il dottor Robert Carter.

“Veleno?” esclamò sorpreso il Soggetto N. 2.

“Questa cosa del collare mi sembra ce l’abbiano anche qualche lucertola…” aggiunse il Soggetto N. 9.

“Esatto” annuì il tizio in costume “per esattezza il clamidosauro”.

I quattro ripresero la passeggiata nel paesaggio selvaggio in cui si trovavano.

“Come vi dicevo prima, questo incredibile esemplare vivente per la scienza sarebbe decisamente utile per puri scopi di ricerca. Perciò, vi chiedo ancora una volta di fare tutto il possibile per catturarlo vivo”.

“Non si preoccupi” lo rassicurò il Soggetto N. 5 “Non faremo alcun male a qualsiasi forma di vita animale”.

“Vi ringrazio”.

Il quartetto si fermò a qualche metro da un laghetto.

“Di solito, l’ho visto abbeverarsi spesso lì” indicò la mano guantata di verde.

“Perfetto. Lascia fare a noi, T-Rex, ormai siamo esperti del mestiere” accompagnò il tutto con il pollice in su Johnny.

L’autoproclamatosi guardiano di quella che, da qualche tempo, era stata ribattezzata “l’Isola dei Dinosauri”, parve soddisfatto e si allontanò dal trio.

Questi, una volta da soli, si misero a fissare quella riserva idrica naturale.

“Non so voi, ma questa faccenda del veleno non è di mio particolare godimento” la buttò lì Jack, sempre più preoccupato.

“Ormai siamo qui e non possiamo di certo tirarci indietro!” sentenziò stizzito l’americano.

“Come sta andando, ragazzi?” la voce del Soggetto N. 1 riecheggiò nelle menti dei tre mutanti.

“Tutto normale, per ora” rispose Wayne “Abbiamo avuto modo anche di conoscere Robert Carter”.

Intervenne Sara, sempre telepaticamente “Fidatevi, è un contatto affidabile. Anche lui è da anni che collabora con noi per contrastare lo Spettro Bianco. Da poco tempo si è trasferito su quell’isola per studiare più approfonditamente gli strani fenomeni che vi stanno avvenendo”.

“Strani è dir poco…” commentò il velocista.

“Infatti” riprese la bionda “pare ancora incredibile, ma gli avvistamenti, su quel territorio, di esemplari di dinosauri viventi sono sempre più numerose e documentate. Purtroppo, il solo T-Rex non può affrontare tutta questa situazione da solo. Per questo, ha deciso di contattare noi Humana per dargli un aiuto”.

“Ed è per questo che ho convocato qui con me tutti i membri reperibili del nostro gruppo!” esclamò fiero Johnny.

“Perfetto. Fatemi sapere se ci sono novità” terminò la comunicazione Silvestri.

O meglio, la comunicazione telepatica terminò per dare nuovamente spazio a quella vocale, più canonica.

“Dovevo rendermi irreperibile anch’io, come hanno fatto quegli altri” riprese il britannico.

“Gli altri non sono irreperibili, Jack, è solo che sono impegnati con faccende meno complicate della nostra: Andrea dà una mano con la fabbrica di famiglia, Bernardo si è associato con una piccola federazione di lucha libre, Juna ha ripreso la sua battaglia contro i bracconieri in Africa, Chang porta avanti il suo ristorante a Pechino e Frédérique ha le prove per un nuovo balletto che debutterà a breve”.

“E io potevo darmi malato” sbadigliò il dandy.

“Eccolo!” avvertì gli altri l’indiano d’America.


L’esemplare, che in quel momento stava con la parte terminale del muso sommersa nell’acqua, aveva un’altezza di circa un metro e mezzo. Una volta ripresa la posizione eretta, il sole illuminò le sue caratteristiche doppie creste craniche. I suoi occhi tagliati da rettile notarono gli umani in rosso e giallo. All’istante, i muscoli delle sue zampe inferiori scattarono.


“Sta scappando!” urlò Geran.

“Sei pronto alla gara, Jack?” il velocista non attese nemmeno la risposta che già era sparito.

“Ma piantala! Tu e le tue gare!” lo canzonò l’altro, mentre si librava in volo.


Come da previsione, la via terrestre era decisamente più rapida se praticata da Johnny Wayne. In aria, invece, il Soggetto N. 2 si trovò di fronte una nuova minaccia: uno pteranodonte dalla squamosa pelle marrone.

Quest’ultimo, con la sua enorme apertura alare, costrinse l’inglese ad una repentina virata fino a precipitare al suolo.

Toccata appena terra, si attivò una diabolica trappola. Attorno al mutante spuntò un rettangolo formato da sbarre d’acciaio e, a concludere quella rapida procedura, altrettante sbarre andarono a chiedere l’apertura superiore della struttura.


Accortosi appena di quanto accaduto al compagno, Giunan si trovò in un attimo nella sua stessa situazione. Un’altra gabbia tutta attorno al colosso.

Il pellerossa non si perse d’animo e, conscio dei suoi superpoteri, afferrò due sbarre con l’intento di piegarle come fossero carta. Di colpo, una forte scarica elettrica attraversò il suo corpo muscoloso. Grazie alla sua resistenza sovrumana, resistette per qualche minuto. Finché il Soggetto N. 5 non cadde al suolo esanime.


Nel mentre, la caccia del Soggetto N. 9 stava per avere la sua rapida conclusione, quando egli si accorse della mancanza del suo collega volante.

“Dov’è, Jack?” arrestando la sua corsa.

Nello stesso momento, il dilofosauro si voltò minaccioso verso di lui. Accompagnato da un rumore simile al serpente a sonagli, il collo del dinosauro si espanse, creandogli una parabola tutta attorno al suo muso con le fauci spalancate.

“Cazzo!”.

L’americano fece appena in tempo a scansarsi ed evitare così il viscido sputo velenoso che gli era stato appena lanciato contro.


“Ricordati del suo attacco velenoso!” gli urlò alle spalle T-Rex.

L’uomo in verde stava cercando, accovacciato vicino alla gabbia del Soggetto N. 2, di sbloccare quelle trappole elettriche di cui, a quanto pare, era perfettamente a conoscenza.

“Non dovevano funzionare! Erano state disattivate!” si malediceva in prima persona mentalmente “Qualcosa è andata storto!”.


Intanto, per Johnny il pericolo ora arrivava anche dall’alto. Infatti, lo stesso pteranodonte di prima ora scendeva giù in picchiata verso il mutante.

Grazie alla sua supervelocità, il biondo si rotolò a terra, evitando l’attacco e, inoltre, anche una nuova gabbia attivata, riuscendo ad attraversare le sbarre grazie al suo corpo resosi intangibile.

Appena rimessosi in piedi, un boato fece tremare tutta la zona circostante. Questa volta il dinosauro era decisamente enorme e, ancora peggio, carnivoro.

Non era il corrispettivo animale di Robert Carter, ma comunque alquanto pericoloso: un allosauro.

Le sue squame bluastre sembravano riflettere l’azzurro del cielo in cui si stagliava vedendolo dal basso.


Rimasto anche lui spiazzato per qualche minuto, T-Rex era riuscito a disattivare la gabbia con dentro il mutante britannico ed ora stava armeggiando con i suoi particolari braccialetti. Anch’essi erano verdi e presentavano una forma che richiamava le dita dei rettili preistorici, con relative unghie nere e appuntite.


Dopo aver emesso un nuovo ruggito primordiale, l’allosauro voltò la sua enorme testa. Con una rapidità impensabile vista la sua enorme mole, azzannò al volo il dinosauro volante e, stringendolo fra i suoi denti aguzzi in una morsa letale, non ebbe alcuna pietà di esso.


Robert Carter aveva smesso di digitare sul suo bracciale destro ed ora pareva prendere la mira verso il lucertolone, utilizzando tale oggetto come fosse un’arma da fuoco. Quello che difficilmente si riuscì a vedere fu una delle unghie scure del bracciale che partì, più silenzioso di qualsiasi proiettile, e si andò a conficcare sul largo collo dell’animale.

Per i primi minuti non parve succedere alcunché. Poi le palpebre dell’allosauro iniziarono a sbattere ad un ritmo sempre più lento. La carcassa dello pteranodonte gli scivolò giù dalle fauci, andando ad impolverarsi con l’impatto sul terreno. L’antico predatore barcollò, come fosse un gigante ubriaco, fino a crollare rovinosamente al suolo. Il sedativo aveva funzionato alla perfezione.


Riuscito a rimanere miracolosamente in piedi dall’impatto, il Soggetto N. 9 notò il dilofosauro che, silenziosamente, tentava una ritirata strategica.

“Bel tentativo…” gli concesse il velocista, prima di partire in un lampo.

Con un semplice pugno, dato ad una velocità elevata ma pur sempre controllata, la bestia fu messa KO.


Infine, i due mutanti liberi avevano raggiunto T-Rex che, nel frattempo, stava finendo di sbloccare l’ultima gabbia. Al suo interno, l’indiano si era ridestato dallo shock elettrico.

“Allora com’è possibile che queste trappole si siano attivate?” insistette lo statunitense.

“Non so. Anche perché sono solo dei prototipi quindi tuttora da testare seriamente” replicò il connazionale, mentre la cella scompariva sottoterra.

L’energumeno appena liberato parlò “Io un’idea ce l’avrei…”.

“Ipotizzo sia quella che abbiamo tutti... lo Spettro Bianco” confermò l’inglese.

“Non sarebbe la prima volta che utilizzano delle strane creature per i loro scopi, o peggio ancora contro di noi. Mi chiedo solo quanto in là si spingerà quel bastardo di Mohammed Al-Shirida per i suoi piano contro il mondo. Visto che nemmeno il riposo eterno dei dinosauri è garantito da quel figlio di puttana!”.

Dopo aver affermato ciò, Johnny Wayne fissò cupo il mare calmo della Costa Rica.

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Capitolo 15
*** Almattki Ass ***


CAPITOLO 15

Almattki Ass”




Un ragazzo, dai corti capelli scuri pettinati all’insù, con indosso un’uniforme totalmente bianca, tranne che per la bandiera italiana stampata in pieno petto. L’indumento, come lo stesso giovane, si presentavano ridotti davvero male.

un bagliore accecante lo illuminò di botto.

Vicino a lui, una ragazza dai vaporosi capelli castani e col medesimo vestiario, se non fosse per la bandiera islandese al posto del tricolore e un corto mantello bianco legato alle spalle. Quest’ultima, nell’enfasi dell’azione, stava recitando a memoria dei versi scritti dal poeta islandese Jonas Hallgrimsson.

“Non so quanto potrò resistere” urlò lei con estrema fatica, mentre si schermava il viso con la mano.

Riuscendo a malapena a muoversi, lui iniziò a parlare, pur non muovendo la bocca “Hero Girl, mi senti?”.

“Ci sono, Hero Boy” una voce femminile rispose nella sua testa.

“Io e Miss Hero siamo allo stremo. C’è bisogno dei Global Defenders”.

“Intendi la formazione originale?” domandò la bionda, con i suoi occhi castani spalancati.

“No, tutti quanti!”.

La persona all’altro capo della comunicazione, anche lei con la stessa divisa degli altri due ma con la bandiera stelle e strisce sul seno, rimase paralizzata.

D’improvviso, si udì una voce profonda.

“Almattki Ass vi aiuterà”.


Autodromo

La monoposto di Formula 1 sfrecciava a gran velocità sul tracciato.

Sugli spalti, tra il pubblico, vi erano tre personaggi piuttosto caratteristici.

“Però il telepate è il N. 1, giusto?” domandò telepaticamente la Donna del Domani, una supereroina che, per un breve periodo, fu anche membro della JLA.

“Basta che non lasciamo alcuna traccia di noi” affermò Black Wing, un agente segreto curiosamente vestito tutto di nero.

“Io so solo che, a quest’ora, dovevo essere con la mia classe a Siviglia!” protestò agitato il professor Archimede Formigoni.


Sull’asfalto rovente, lo pneumatico della vettura in testa sguazzò sopra un liquido rossastro, proveniente direttamente dalla Twilight Zone. Il nome in codice è Blob.

Nonostante questo breve ostacolo, il bolide sbandò appena, ma riuscì comunque a tagliare il traguardo per prima.

Come secondo classificato, vi era un uomo che guidava talmente spericolato da sembrare non temere la morte. Di fatti, il suo nome da battaglia era Immortal Man.

A sventolare la tipica bandiera a scacchi vi era Commander Steel, un agente canadese della Polizia Internazionale.


Una volta ferma la monoposto arrivata per prima, là dove tutti immaginavo un sorridente Johnny Wayne, vi era invece un altrettanto sorridente Jack Lincon. Ad aiutare il britannico a tirarsi su vi era Diego Marano, un giovane calciatore del Napoli.

Appena in piedi, il mutante fu subito preso in spalla per i festeggiamenti. Mentre sollevava una pesante coppa, fabbricata per l’occasione, dietro di lui Johnny Dresden suonava un brano accompagnandosi con la sua chitarra.

Tornato con i piedi per terra, una voce amica lo chiamò.

“Però, non te la cavi male…” si congratulò Andrea Alberti.

“Complimenti anche da Clifford Franklin!” gli diede una pacca sulla spalla il giocatore amatoriale di football americano.

I due Humana scelsero di ignorarlo.

“Ti ringrazio, Andrea. Almeno Johnny la smetterà di chiedere sempre di fare a gara”.

Intanto, la macchina veniva riportata nei box. Nel suo abitacolo ora sedeva un gatto nero dal nome Daru.

“Piuttosto” riprendeva il discorso l’inglese “non ti sembra che ci sai qualcosa di strano? Tipo una poltiglia scarlatta sulla pista? Te ne sai nulla?”.

“A questa domanda, se permette signore, possiamo rispondere noi” disse l’eroe brasiliano Raio Negro, mentre offriva una bottiglietta d’acqua al dandy.

“E tu chi sei?” domandò subito allarmato il Soggetto N. 4.

Una figura eterea, vestita elegantemente in nero, comparve come dal nulla “il mio nome è Leinhart, sono un mezzo vampiro. Insieme al mio collega facciamo parte del più grande gruppo di eroi mai esistito: i Global Defenders”.


Quartier generale degli Humana

Nell’elegante giardino, ben curato e tutto attorno alla villa, vi era un lungo tavolo dove poter organizzare pranzi e cene all’aperto e svariate sedie. Su una di esse, era seduto un uomo di mezza età che, con fare un po’ traballante, sorseggiava fiero una lattina di birra. Una volta terminata una lunga sorsata, terminò il tutto con un sonoro rutto.

“Johnny, puoi scendere, per favore?”

All’interno dell’edificio, l’americano, sentendosi chiamare e riconoscendo un tono leggermente allarmato della voce di Sara, scattò a supervelocità dal piano superiore a quello inferiore.

Incredibilmente, una donna riuscì a seguirlo con gran facilità. Il suo nome era Jenny Everywhere.

Giunto al piano di sotto, trovò l’italiana scortata da due figure.

Il primo aveva un uniforme molto simile a quella vista proprio da Wayne indosso ad Elefante, durante la sua avventura messinese. Solo che questo aveva il profilo di un picchio bianco su sfondo nero.

Il secondo era invece un volto abbastanza noto. Si trattava infatti di Tryggvi Helgason, campione di Glima, la lotta tradizionale islandese.

“A quanto pare, abbiamo visite”.

“Tranquilli” intervenne Igor Wansa, parlando normalmente “sono brava gente che si fa chiamare Global Defenders”.

Accanto al russo vi era un uomo che sfoderò subito un tesserino ben riconoscibile.

“State calmi, signori. Sono un agente FBI. Il mio nome è William Graham”.

Improvvisamente, il grande televisore in sala si accese facendo sobbalzare altre due persone lì vicino. Uno era Fat Fury, un uomo estremamente grasso vestito da impiegato ma dagli cinredibili poteri, l’altro era niente meno che Ercole Brandoletti, il portiere di riserva della Juventus.

“Che succede?” domandò la kendoka sudcoreana Yoo Chae-Yi al Soggetto N. 9, puntandolo con il suo shinai.

È una comunicazione la informò sbrigativo lui.

Nell’enorme display comparvero inquadrati i volti degli altri due mutanti collocati all’autodromo più una terza persona. Ella era Keito Aoyama, un-ex attrice bambina giapponese.

“Johnny” avviò la comunicazione l’italiano “vado subito al sodo: bisogna andare con loro e radunare il resto degli Humana”.


Teatro

Frédérique Arone, vestita con un candido tutù, si librò elegantemente in volo, esibendosi in un perfetto arabesque.

Ad accompagnarla in questa sua esibizione, fra le altre componenti del balletto, vi era anche una nipponica di nome Kurumi Morino.

Tra il pubblico, seduto comodamente in platea, Johnny Wayne applaudiva entusiasta l’amica. Ai suoi fianchi, altri due membri dei Global Defenders: il capitano interstellare Joshua Rigg e l’eroina vestita da coccinella Ladybug.

Terminato lo spettacolo, la francese si fiondò negli spogliatoi, rispondendo a malapena ai complimenti del calciatore italiano Pialtonelli.

Dopo una rapida doccia e un cambio di vestiti, uscì dagli spogliatoi per raggiungere il suo amico.

Appena notatolo, lo salutò con la mano “Johnny, eccomi!”.

Accanto a lui, l’imbranato campione di golf Harvey Miller jr, suo connazionale.

Spiegata velocemente la situazione alla donna, la coppia stava ora già sfrecciando nella notte sulla Mustang del pilota di Formula 1.

A seguirli dall’alto, vi era un robottone italiano che di sicuro Andrea Alberti conosceva: Bolzanius.


Ristorante cinese

Parcheggiata in maniera sportiva la fuoriserie, il duo si apprestò ad entrare nel locale.

Nel marciapiede lì vicino, il campione di football americano Joe Pendleton si stava allenando effettuando una classica corsa notturna.

“Benvenuti!” Nikki Peng accolse con anche eccessivo entusiasmo i nuovi arrivati.

“Ciao, Nikki. C’è per caso Chang?” le domandò il biondo.

“Sì, certo!” rispose sorridente la cameriera, indicandoglielo “è lì insieme a due persone che non ho mai visto prima”.

Difatti, il proprietario era seduto ad un tavolo rotondo con altri due membri dei Global Defenders.

Uno era quasi del tutto invisibile e, vista anche la sua professione, si faceva chiamare Voice the Invisible Detective.

L’altro, invece, era Marcus Daly, un pianista inglese, specializzato nel jazz, che già ne aveva viste molte.

“Immagino tu sappia già tutto…” lo scrutò il velocista.

“Piuttosto” intervenne il Soggetto N. 3 “Sai per caso dove possiamo trovare Berny?”.

“Che io sappia, è tornato in Messico ed ha allestito un piccolo ring per la lucha libre aperto a tutti” rispose cordialmente il Soggetto N. 6.


Messico

Come preannunciato dal cinese, Bernardo Borghi si trovava su un piccolo ring improvvisato, pronto ad affrontare un curioso avversario.

Una piccola bombetta in testa, logori guantoni da pugile, pantaloni troppo larghi e due scarpe estremamente lunghe ai piedi. Dei capelli ricci e neri e, sul viso, dei piccoli baffi neri esclusivamente sotto il naso.

Il mutaforma decise di dare il cambio al suo compagno di tag team. Conosciuto direttamente nella Twilight Zone, fece il suo goffo ingresso Frankenstein Boy.

Riuscito miracolosamente a passare con il testone fra due corde, quando ormai era quasi del tutto sul ring, inciampò con il piede rimasto impigliato e volò subito al tappeto.

Nel mentre, anche l’avversario aveva seguito l’esempio del mutante e a dargli il cambio vi era un buffo ometto, anche lui con baffi neri ma decisamente più estesi del precedente, così come le folte sopracciglia, occhiali e un sigaro tra i denti. Quest’ultimo, con una parlantina rapidissima, schernì il mostro a terra.

Fra il pubblico, un tavolo da tre era particolarmente euforico per l’assurdo match a cui stavano assistendo.

Un rancher di nome Vern Haskell, L'Illusionista di un supergruppo degli anni ’40, i Freedom Legionaires, e un cantante blues vestito tutto in nero conosciuto come Elwood Blues.

Poco più in là, ad un altro tavolo ancora, erano seduti i Soggetti N. 2 e 4.


Canada

Geran Giunan, com’era suo solito, stava seduto in meditazione davanti ad un falò. Accanto all’energumeno, seduto anche lui al suolo, c’era il secondo uomo a portare il manto di Nite Owl, ormai arresosi al mutismo dell’indiano.

A rompere quel prolungato silenzio ci pensò invece un supereroe di prima generazione, visto che suo figlio ne aveva raccolto l’eredità e le facoltà sovrumane. Il suo nome era Pantagruel e il suo potere, come si può intuire, consiste nell’essere in grado di aumentare a suo piacimento le dimensioni del proprio corpo.

“Ehi, gigante! I tuoi amici ti voglio parlare” urlò mentre teneva in mano un cellulare.


Congo

Stessa identica scena si stava ripetendo in terra africana. Questa volta però, a porgere il cellulare era Sir Trunk, un tizio in armatura medievale con, come effige sullo scudo, un ariete, mentre a riceverlo c’era Juna.

“C’è una chiamata per te, Soggetto N. 8”.

Accanto allo zairese, intento fino ad allora ad ammirare la savana dal loro misero accampamento, vi era la splendida cantante afroamericana Rachel Marron.

Nella fitta giungla poco più avanti, un portale temporale portò nel presente, esattamente dal 2079, l’ex-agente CIA Marion Snow.


Islanda

L’aereo spaziale, pilotato pilota e avventuriero Tracy Dixon, stava discendo sulle piste d’atterraggio ghiacciate.

Ad accoglierli, in mezzo ad una terribile bufera, trovarono l’astronauta Mark Watney, che gli spiegò sommariamente l’attuale situazione atmosferica.

“Che freddo, gente!” si lamentò subito il Soggetto N. 7.

“Almeno Igor e Sara sono rimasti al calduccio” puntualizzò il Soggetto N. 3.

Come loro guida per quella spedizione proibitiva era stato designato era il giornalista Ruggero Manni, abituato in fredde mattine come quella.

“Qui intorno è tutto bianco” osservò il Soggetto N. 6.

“Ma siamo certi che questa sia la direzione idonea?” domandò il Soggetto N. 2.

il Soggetto N. 4 diede un’occhiata alla mappa che gli era stata affidata “Se questa mappa è corretta, dovremo quasi esserci”.

Molto dei Global Defenders lì seguivano nel percorso.

Jack Carter, sceriffo della città utopica di Eureka, si affiancò al Soggetto N. 5. Finché quest’ultimo non si bloccò di colpo, fissando dritto davanti a sé.

Uno yeti, delle proporzioni molti simili al pellerossa, li stava osservando avanzare. Dopo qualche secondo d’immobilità, gli indicò la direzione da seguire.

“Peccato!” imprecò l’italiano “Pensavo fosse lui il nostro nemico”.

“A quanto mi è stato rivelato” esclamò l’americano “colui che dobbiamo affrontare e qualcuno di decisamente più potente”.

“Confermo!” intervenne Doppel, indicando l’uomo delle nevi “Lui fa parte del Monster Commando, mentre io della Squadra MON” indicando ora il messicano “Io sono una mutaforma proprio come lui!”.

“Scusate, colleghi” fermò tale sproloquio la francese “ma pare anche a voi che la temperatura si sia decisamente alzata?”.

Al suo fianco c’era la variopinta Girl One, proveniente dalla particolare città di Neopolis, con cui si era intrattenuta a chiacchierare fino ad allora.

“Non solo, si è alzata anche una fitta nebbia!” contemplò Ayase Kishimoto, conosciuta ai più come FES, la vocalist dei Phantasm.

La nebbia stava avvolgendo Andrea e l’umano tramutatosi in orso Ursa Major “Possibile che seriamente dobbiamo affrontare un dio…”

“Fermi!” urlò Johnny.

Yellow Iris, modella dall’aspetto felino, lo seguì alla lettera.

“C’è qualcosa di magico in questa atmosfera…” sospirò lo scrittore Gil Pender, avvezzo a questo argomento.

“Magia o no, chiunque sia avrà a che fare con il mi inceneritore” sentenziò il Soggetto N. 4, mentre la sua mano destra mutava forma.

“Ti seguo a ruota!” lo assecondò Space Knight, mentre la sua armatura di metallo liquido creava cannoni al plasma sugli avambracci e pistole laser sulle spalle.

“Si sta avvicinando qualcuno!” urlò spaventata il Soggetto N. 3, mentre stava utilizzando la sua vista notturna, con accanto il tennista Tom.

Dalla nebbia opprimente si vide comparire una figura femminile.

“Se questa nebbia non fosse così fitta, potrei provare a spazzarla via” ipotizzò l’androide Red Tornado.

La donna misteriosa crollò a terra, facendo sobbalzare il carabiniere Glauco Sperandio.

“Sacro Buddha!” esclamò il Soggetto N. 6.

“Che sia uno spirito?” si chiese la francese.

“Deve essere caduta!” controbatté l’americano.

“Fate attenzione!” li avvertì Yattodetaman.

Un capannello di persone si raccolse attorno alla donna.

“Riesci a sentirmi?” la osservava Johhny.

“Ti ricordi come ti chiami?” azzardò Frédérique.

“E magari di dove sei…” ironizzò Hong Kong Phooey.

Una moretta con la coda di cavallo e un’armatura rossa si fece largo tra la folla.

“Ma quella è Miss Hero!” urlò sorpresa Rietta.

“La conosci? Sai di dov’è?” le chiese l’italiano.

“Anch’io la conosco” intervenne Veenyle “viene spesso nella discoteca dove faccio la DJ. Dovrebbe stare in un paese qui vicino”.

“Allora dovrò portarcela all’istante!” il velocista l’aveva già presa in braccio.

Mike Lowry, detective della narcotici di Miami, si scostò per lasciare spazio al mutante.

“Aspetta, Johnny!” lo richiamò all’ordine la ballerina “Con questa nebbia, che sono certa sia tutto meno che naturale, non saprai di certo orientarti!”.

“Forse io vado più veloce di te” lo sfidò White Panther.

Wayne lo ignorò. Si avvicinò al Soggetto N. 5 e gli porse la ragazza islandese.

“La lascio a te, Geran”.

Robottino, tentando di dargli una mano, si ritrovò con i piedi della donna sulla sua testa tonda.

“C’è qualcos’altro!” gridò impaurita Arone.

Talmente impaurita da far girare di scatto le due Sareth, donne provenienti dalla preistoria.

Tra i banchi di nebbia scura, si accesero due sfere di luce.

“Che siano i fari di un auto?” ipotizzò Borghi.

“A me sembrano più occhi…” scrutava l’orizzonte Alberti, sempre con la mano armata.

“Magari è un UFO!” saltellò eccitata Uranus.

Ad azzeccarci fu il mutaforma. Quei bagliori si rivelarono essere gli occhi di un animale. Un famelico lupo nero, grande quanto un toro. Le fauci enormi spalancate che grondavano bava.

Una dozzina di eroi si scagliarono all’attacco del nemico.

Il poliziotto John Kimble sparò con la sua pistola d’ordinanza. Lo stesso fece il sergente Bill King. Il marine Zack Mayo preferì il fucile. Così come il soldato Ralf Jones. La brasiliana Fire lanciò le sue fiamme verdi. Sceso in picchiata con il suo aereo, il tenente Henry Purcell lasciò partire una gragnola di colpi. Mui Aiba sparerà con la sua Arthur un raggio magico. Stessa modalità d’attacco fu usata dalla canadese Nelvana. Il ninja Fujimaru gli scagliò contro una raffica di vento fortissimo. Mega Bat di Hero City gli tirò contro un boomerang a forma di pipistrello. Angel Hawk dell’Amalgam fece roteare la sua mazza chiodata, per poi rilasciarla contro l’obiettivo. Infine, la mutante Hope Summers utilizzò vari poteri mutanti, grazie alla sua capacità di mimesi.

Per tutta risposta, il lupo scomparve come se non fosse mai esistito.

Tutti i presenti rimasero sbalorditi. La quarta Tigre Bianca aiutò il Soggetto N. 6 a rialzarsi dal suolo.

“State tutti bene?” domandò in giro il Soggetto N. 8.

“Forse era da quel lupo che scappava Miss Hero…” ipotizzò il Soggetto N. 9

“E noi allora cosa cazzo ci facciamo ancora qui?!” sbottò il Soggetto N. 7.

La mummia rivissuta Tutenstein li guardava divertita.

Un sinistro gracchiare s’iniziò a udire dall’alto. Grazie al suo meccanismo di movimento tridimensionale, Eren Jaeger si avvicinò di più al cielo, mentre in basso Zombie Boy osservava tutto con la sua espressione impassibile.

“Che roba è?” chiese il messicano.

“Sono corvi” gli rispose la francese, con accanto il verde Uomo Libellula.

Il tennista nipponico Eiichiro Maruo provò a colpirli tirandogli contro una palla, mentre il cane Spot gli abbaiava contro.

“Incredibile!” annunciò lo street dancer Eddie “La nebbia se ne sta andando!”.

In effetti, il banco nebbioso si stava via via diradando.

“Quello cos’è?” indicò Johnny davanti a loro.

“Ignorante!” intervenne Jack “È Yggdrasill, l’albero del mondo”.

Con la nebbia ormai del tutto scomparsa, un gigantesco albero dalla corteccia scura si stagliava di fronte al gruppo di eroi.

“È davvero enorme!” esclamò Johnny Dynamic, dalla testa altrettanto enorme.

“Guardate!” l’esploratore spaziale Reef Ryan indirizzò il dito verso il basso “quello laggiù è una villaggio! Magari è proprio quello di Miss Hero!”.

Fu così che il supergruppo s’incamminò o volò verso la pianura, con Aisha che li allietava con la sua voce celestiale.


A valle, seduto all’ombra di un albero ben più piccolo rispetto al precedente, vi era un anziano bardo. Con movimenti lenti, strimpellava un antico liuto. Il detective James Carter osservava tali movimenti totalmente rapito.

Tra le fronde della pianta, si nascondeva un ragazzino dagli spiazzanti capelli verdi, posizionato la sopra come fosse una vedetta. Appena lo vide, il Gorilla Lilla balzò in aria, si aggrappò ad un ramo e lo spaventò.

Il fanciullo scivolò giù dalla corteccia dell’albero, terrorizzato ancora di più dal curioso aspetto di Nobby l’oritteropo.

“Stanno arrivando! Stanno arrivando!” strillava come un invasato, mentre il coetaneo Johnny Dash lo teneva sotto tiro con la sua fionda.

Di tutt’altro genere fu la reazione del vecchio, che aspettava i visitatori nella più totale calma.

Mentre proseguiva nel suonare il suo strumento musicale, tre eroi gli si pararono davanti: la dea in terra Urd, 13 del Face Team e il membro del Japanise Force Kamikaze.

L’unica cosa che, giusto per qualche secondo, parve incuriosire il musico fu la figura argentea di Silver Surfer sulla sua tavola da surf volante.

Quando però riprese a suonare, Ryunosuke Fujinami sbotto “Ma questo vecchio è impazzito?!”.

“Calmati ragazzina!” la richiamò all’ordine l’uomo conosciuto soltanto come XIII.

“Perdonala, signore” Si scusò il Soggetto N. 3.

“Puoi dirci che posto è questo?” chiese il militare russo Wolf.

“Voi… chi siete?” replicò con un’altra domanda l’interpellato.

“Che non lo sapevi?” si animò il Soggetto N. 7 “È arrivato il circo in città!”.

Il doppiatore giapponese Yuki Hasumi non riuscì a trattenere le risate. Così come il Soggetto N. 2.

“Non faccia caso a questo rincoglionito…” lo richiamò all’ordine il Soggetto N. 9.

“Piuttosto” prese la parola l’avvocato Vincenzo La Guardia Gambini “Sa per caso se c’è un posto in cui possiamo alloggiare, gentilmente?”.

“Benvenuti” fu l’unica cosa che il villico seppe dire.

“Sarà davvero complicato” sentenziò la gemella Jennifer Eagle.

“S-Se v-volete…” fece nuovamente capolino il bambino con i capelli verdi “Vi posso portare al palazzo. Li sicuramente ci sarà posto per tutti voi”.

“Perfetto! Facci strada, ragazzo” lo invitò l’americano.

Nel mentre, il giovane attaccante italiano Francesco Siano gli mostrò il pollice in su.

“Di qua” gli indicò il ragazzino.

Il guerriero egiziano Mathayus scrutò verso tale direzione.

Mentre il resto del supergruppo si avviava, Max Minsky, un giovane appassionato di basket, proseguiva nel fissare il bardo.


Il primo a raggiungere finalmente il villaggio, tramite un fiume che scorreva nelle sue vicinanze, fu Red Torpedo e il suo sottomarino. La seconda, invece, fu la prosperosa archeologa Lara Croft, intenta già ad analizzare lo stile di quel posto.

“Ma qui non c’è anima viva!” esordì Bernardo.

“In effetti” concordò la maestra di arti marziali cinese Shu Lien.

“Senti ragazzino” Johnny richiamò l’attenzione dell’indigeno “conosci questa donna?” indicandogli Miss Hero, ancora adagiata fra le possenti braccia di Geran.

“No”.

“Come no?! Ma allora non sei di queste parti?” si alterò Andrea.

Horny Steven eseguì un possente facepalm.

Il velocista cercò di mantenere la calma “Ma almeno avete un medico in questo villaggio?”.

“Medico?”.

“E io che mi lamento dell’idiozia dei miei compagni di squadra…” pensò fra sé e sé Lola Bunny.

“Insomma…” ritentò il biondo “qualcuno che utilizza medicine”.

“Ah, certo!” esultò il bambino “Seguitemi!”.

Intanto, la surfista Lena appoggiò la sua tavola vicino ad una serie di damigiane.

“Ma possiamo fidarci di questa gente?” chiese sottovoce Li Shan In.

“Non chiederlo a me” replicò l’arciere Yota Mikami.

“Eccoci al Palazzo Reale!” indicò con entusiasmo il ragazzino.

Davanti a loro comparve una costruzione maestosa. La struttura ricordava decisamente un castello medievale, con tre possenti torrioni a svettare da dietro l’alta cinta muraria.

“Si trova lì dentro il medico?” domandò Captain Paragon.

“Intanto entrate qua dentro. Del medico ce ne occuperemo più tardi” si fece serio l’infante.


Ad entrare dentro il palazzo ci pensò il Soggetto N. 9, accompagnato dalla telepate Nanase Hida e la giocatrice di softball Hikaru Yoshimoto.

“Benvenuti!” gli si fece incontro un uomo basso, grassottello e stempiato “Il mio nome è Kiko”.

“Senta, abbiamo bisogno di un medico per una nostra compagna” andò dritto al sodo il mutante.

“Non preoccupatevi. Di lei ce ne occuperemo noi, anche se non mi pare di queste parti”.

Disse quest’ultime parole mentre la osservava essere poggiata su una sedia dal Soggetto N. 5 e dal mago taoista Jeon Woo-Chi.

“Piuttosto” riprese il discorso l’ospite “com’è che un gruppo così variopinto si trova in un villaggio sperduto nel nulla come questo?”.

“Secondo te? Siamo in vacanza premio!” lo sfotté il Soggetto N. 7.

Gunstar Green scoppiò a ridere. Al contrario, Kilo rimase completamente impassibile.

Il messicano smise presto di ghignare “Comunque… ci hanno detto che, in questa zona, si nasconde qualcosa di davvero spaventoso…”.

Intanto, il tedesco Klaus Wessel faceva roteare il suo frisbee in aria.

“Se intende quell’albero gigantesco” affermò Kilo, indicandolo attraverso una finestra da cui era ben visibile “Esso è Yggdrasill. È sacro. A nessuno è permesso avvicinarglisi”

Il Soggetto N. 2 si gongolava nella sua previsione corretta, mentre il praticante di arti marziali Tetsuo proseguiva nell’osservare la gigantesca pianta.

“E che succede a chi, se ne frega, e ci si avvicina?” lo sfidò verbalmente il mutaforma.

Magical Girl Ore gli fece il verso, cosa già di per se assurda se fatta da omone muscolo vestito come una maghetta.

La voce del responsabile del castello si fece più minacciosa “In tal caso, credo proprio che la punizione di Almattki Ass sarà definitiva”.

A sentire quel nome, il Mostro di Fouke si bloccò pietrificato.

“Igar!” convocò ad alta voce Kilo “Fai accomodare più persone possibili qui al palazzo”.

A rispondere al suo richiamo fu un colosso di almeno due metri, con spalle larghe quanto un armadio a tre ante, con i corti capelli scuri e gli occhi quasi socchiusi.

L’ex-schiavo di colore Jim ne rimase sorpreso.

“Per qualsiasi cosa, chiedete pure ad Igar” proseguì Kilo.

Pietro Bonutti squadrava l’energumeno con particolare interesse.

“Per la cena, vi avviseremo noi quando sarà tutto pronto”.

Kyouku Sakurami della squadra femminile di baseball si era già messa ad ispezionare l’ampio ingresso.

Intanto, il locandiere bisbigliò all’orecchio del ragazzino “Hans, tu continua a tenerli d’occhio”.

Adeline, armata con la sua mazza da lacrosse, aveva origliato tutto.

Con un gesto della mano, Kilo richiamò Igar, sotto osservazione di Reinhardt Schneider.

“Sai cosa devi fare…”.

Il colosso non emise un fiato e si avviò verso la porta. l’ebreo Saul Jacobson, che fisicamente gli somigliava parecchio, preferivi scostarsi per farlo passare.

All’aperto, il nipponico Akatsuki Higashino aspettava proprio Saul per fare due passaggi a basket.

Nel frattempo, Hans era risaluto sugli alberi. Uno di questi veniva utilizzato da Seung-Hui per tenersi in allenamento.

Dentro una delle numerose stanze nel grigio castello, la vigilante di Gotham City Spoiler e la studentessa cuoca Satsuki Yotsuba scrutavano il mondo da una finestra, un anta a testa.

In un’altra stanza, Jack era comodamente seduto su di una sedia a dondolo. Lì vicino, Nora Clark si esercitava in un balletto.

“Che fai, Berny?” chiese il dandy.

“Vado a farmi un giretto” rispose sbrigativo il baffuto.

In pochi secondi, si trasformò in un esemplare di corvo molto simili a quelli avvistati in precedenza.

L’attrice virtuale S1m0ne gli spalancò la finestra. Insieme a lui, partirono in ricognizione altri tre eroi: il ciclista spagnolo Pepe Benengeli, il cantante inglese Ruper Beetle e il Texas ranger Joe Riley.

Il veterinario Gorou Mutsumi stava osservando alcuni animali nell’albero dove era appostato Hans. Quest’ultimo si sposto su un alto ramo, occupato dalla gattina Minou, per continuare ad osservare quel corvo mutante, mentre l’idol Yuri Hoshino stava canticchiando.


Intanto, il pennuto stava ancora abituandosi al giusto ritmo con cui sbattere le ali. Improvvisamente, la testa volante di Ms. Fortune gli comparve vicina, lanciata dal basso e spaventandolo.

“Mi raccomando, Soggetto N. 7, non allontanarti troppo!”.

Una volta che la semplice gravità ebbe fatto scomparire quel capo parlante, il messicano riprese la sua trasvolata, ben conscio di volersene fregare dei consigli altrui.

Dopo qualche minuto, vide un fiume, dove prima era arrivato Red Torpedo e ora il coreano Koo Tae-Yang stava palleggiando con un pallone, e poi, finalmente, il gargantuesco Yggdrasill, a cui anche Doc Samson aveva sconsigliato di avvicinarsi.


Nel giardino del palazzo, Natsuo palleggiava con la sua palla da pallavolo contro il muro. Qualche piano sopra di lei, una mano bussava alle persiane di una finestra. Dentro la camera, vi era una riunione tutta al femminile. l’hacker Lisbeth Salander sobbalzò dallo spavento.

La boxer Okome Akino e l’undine di Neo Venezia Akira E. Ferrari si fissarono a vicenda, sbigottite.

Alla fine, Frédérique si fece coraggio e urlò “Chi è?”.

Un uomo riuscì in un lampo ad aprire le serrande e spalancare i vetri. Nello stesso momento, la porta della stanza fu tirata giù dal cavaliere Billy in sella alla sua fedele moto, allarmato dall’urlo di qualche secondo prima.

Tutti erano già pronti al combattimento, ma l’intruso, dai capelli e occhi chiarissimi, alzò subito le mani.

“Fermi! Non sono un nemico! Mi chiamo Bark e sono il fratello di Miss Hero!”.

Invisibile a tutti, il fantasma di Sam Wheat restò sorpreso.

“È tutto vero!”.

Quella conferma arrivò direttamente dalla bocca dell’interessata, appena risvegliatasi sul letto in cui era stata sistemata prima. Ai cui lati aveva di guardia l’agente FBI Milton Chamberlain e Blue Panther di Hero City.

“I raggi divini!”.

La ciccia di Sum Sam fece la ola a quell’affermazione.

“Sono stati i raggi divini a renderla così!” proseguì il nuovo arrivato.

“Dunque lo Spettro Bianco non c’entra niente” pensò la francese, mentre Jimmy MacElroy sistemava le lame dei suoi pattini.

“Inoltre, qui al villaggio c’è un solo trattamento per chi osa allontarsi nel mondo esterno: la morte”.


Al di fuori della camera, Batwing, il Batman connazionale del Soggetto N. 8, ispezionava il perimetro, mentre Hans continuava a sbirciare dal fogliame.


“Tranquillo, ci saremo noi a difenderla!” dichiarò decisa il Soggetto N. 3.

Bark si guardò vicino. Da una parte aveva Sabra caricava la sua pistola in dotazione al Mossad e dall’altra Nico Bonetti fece altrettanto, la sua data in dotazione dalla polizia di New York.

“Francamente” affermò triste Miss Hero, mettendosi seduta sul letto con accanto Mike Knight “non credo che basteremo noi tutti contro la furia di Almattki Ass”.

“Nonostante questo” concluse il fratello rivolgendosi alla mezzo demone Jennifer Tate, che gli era più vicina “vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per mia sorella”.

“Al diavolo!” s’infuriò Arone “Noi siamo i Global Defenders! Niente ci può battere!”.

“Veramente… voi siete ancora in prova” puntualizzò Asterix il gallico.

La ballerina lo zittì con un gesto “Parlaci piuttosto di questo villaggio”

“Non posso. Anzi ora me ne vado perché sto già rischiando molto a parlare con voi” concluse il giovane, portandosi nuovamente vicino alla finestra.

Un ultimo sguardo tra i due fratelli. Poi l’islandese fu aiutato a scendere da un'altra boxer nipponica, Ichiko Saitou, e da un combattente proveniente dal futuro, Jay McCray.

Nel contempo, anche il maestro di Bajiquan Lee Diendou era entrato nella stanza. Dalla finestra ancora aperta, il rugbista Asaya salutava con la mano il fratello di Miss Hero.


Ancora in volo verso Yggdrasill, Bernardo Borghi si trovo con un’ombra inquietante che gli veniva contro. L’ombra, avvicinandosi sempre più, si rivelò essere lo stesso stormo di corvi visto comparire nella nebbia. Il mutaforma si diede ormai per spacciato, quando intervennero sette eroi in sua difesa.

La cantante Sherrie Christian li disorientò con un urlo sonico. Masked Marvel ne centrò qualcuno con la sua pistola. Il Dottor Scarafaggio utilizzò un drone armato artigianale di sua invenzione. Ritsuka Nakano mette in atto le sue qualità di tiro con l’arco. Il vampiro messicano Lugo, tramutato in pipistrello, ne fermò definitivamente l’avanzata. Infine, i robot giganti Dangaio e Laserion li allontanarono dalla zona.

Nonostante questo intervento riuscito, il mutante si era rifugiato a terra camuffandosi da semplice cane. Questo non gli bastò a passare inosservato visto che, appena risputato da dietro dei cespugli, si trovò davanti un gallo alto quasi un metro.

Fortunatamente, anche a terra poteva contare su tre collaboratori. La kunoichi Rayar Dragon scoccò le sue frecce infuocate. Il dinosauro Gon si mise ad inseguirlo, affamato come sempre. Finché L’eroina filippina Kai gli diede il colpo di grazia con un calcio alto. Anche il gallo extralarge era sistemato.

Il Soggetto N. 7, sempre in fuga, vide l’eroina dell’Amalgam Diana Prince e Re Gnocco delle Maschere nascosti dietro dell’erba alta che spiavano qualcuno. Si avvicinò loro, facendosi riconoscere e notò il possente Igar. Questo stava bussando sonoramente alla porta di una capanna in legno con il tetto in paglia. Su di esso, stava aggrappato in silenzio l’eroe australiano Grey Domino. Ad aprirgli fu una donna tutta imbacuccata in nero, con solo la sua brutta faccia da megera che spuntava da sotto il cappuccio.

“Che starà facendo qui Igar?” si domandava mentalmente il messicano.

Dietro di lui, degli zoccoli fiammeggianti iniziarono a scalpitare sul suolo polveroso.

“Gente…” richiamò l’attenzione l’attore americano Johnny Cage.

Gli altri si voltarono. Un grosso cavallo bianco, con al posto dei classici peli da criniera delle fiamme gialle. Come se non bastasse, al suo fianco ricomparve il lupo del loro primo combattimento in terra islandese. Ma i Global Defenders erano pronti alla sfida.

Uno dei gemelli Wagner, Chad, sbilanciò l’equino con un calcio rotante. L’elefantino Dumbo lo colpì al corpo volando. Il colpo di grazia gli fu riservato dalla rock star zombie Lord Raptor.

Per il lupo, Folletto del Monster Commando lo distrasse. Isabel Fuentes lo abbagliò con il suo flash. Il colpo di grazia fu dato dall’agente FBI Dana Scully.

Nonostante questo, tutti quegli assurdi animali scomparvero all’istante.

La creatura Alma, sempre del Monster Commando, rimase basita.

“E ora che facciamo?” questionò il Rietto Robot.

“Non so voi, ma io andrei a cena” propose lo strambo supereroe Ralph Hinkley.


Palazzo Reale

Immense tavolate su tutta la superficie calpestabile. Tutti i possibili posti a sedere occupati. I Global Defenders erano a cena.

A dare una mano nell’impegnativo servizio a Igar vi erano Alice Sutton e Pepa Marcos.


Era calata la notte fonda su tutta la valle. A sovrastarla, silenziosa, una montagna ricoperta da una fitta boscaglia. Su uno degli strapiombi presente in essa, stava in piedi un uomo. Lo sguardo fisso verso il villaggio di case in legno.

L’uomo aveva un fisico esile ma atletico. Il suo vestiario era composto da un semplice bianco kyrtill, la tunica tipica delle popolazioni vichinghe, dei pantaloni e stivali in pelle animale. Sul vestito, erano disegnati degli strani simboli rossi, molto probabilmente di natura runica, che, al centro del suo petto, scendevano verticalmente fino all’altezza dell’ombelico. Parte del suo viso presentava una barba bionda e lunga, ai cui lati, utilizzando proprio i suoi stessi peli facciali, erano state create due piccole trecce, una per lato, che ricadevano verso il basso. I suoi lunghi capelli biondi ricadevano liberi sul mantello azzurro che si appoggiava alle larghe spalle, tenuto fisso da un ferma-mantello in oro, composto da due grandi bottoni e una catena.

I suoi occhi erano totalmente bianchi, senza neanche un accenno di pupilla. Improvvisamente, Almattki Ass alzò al cielo le sue braccia.


Con come sfondo il profilo scuro del Yggdrasill, l’eroe italo-spagnolo Goldface sfrecciava nel cielo notturno.


Attorno al piccolo villaggio, svariate creature malvagie si ridestavano, pronte all’assalto finale. Il cavallo fiammeggiante, il grande lupo nero, un gigantesco serpente marino, un licantropo, un troll armato di clava e una vecchia strega ghignante. Tutti loro in attesa degli ordini di Almattki Ass.


Palazzo Reale

La numerosa cena era ormai giunta al termine. A sparecchiare le molte tavole vi erano, fra gli altri, la leggendaria idol dell’era Showa, Junko Konno, e l’eroina shi’ar Deathcry.

“Mi devo complimentare con lei per il sublime pasto, Onorevole Chang” faceva i suoi complimenti il Soggetto N. 2, seguito a ruota dalla famelica poliziotta giapponese Natsumi Tsujimoto.

“Per me è un grande onore, Onorevole Lincon” replicò il Soggetto N. 6.

“Sarebbe invece l’ora di entrare in azione!” si esaltò il Soggetto N. 7.

“Sono d’accordo con te!” alzò il pugno al cielo il pugile King Jason, detto “The Black King”.

“Strano, non ti facevo così coraggioso, Berny…” lo canzonò il Soggetto N. 4.

Sghignazzò la presunta cantante Maeva.

“Quello che davvero non capisco” proseguì l’italiano “è perché non si decidano a dare il via a questa guerra, visto che qui al villaggio, ne sono certo, non aspettano altro”.

“Non dimenticarti che, da questo villaggio, provengono anche Miss Hero e suo fratello Bark” intervenne il Soggetto N. 3.

“Giusto!” concordò Blast Baker della Planet Police.

“Inoltre, dobbiamo prima capire il segreto nascosto in questo villaggio” gli ricordò il Soggetto N. 9.

“Che palle!” imprecò il mutaforma bellico.

Tra i due mutanti, si erano infilati il calciatore spagnolo Renato Gallegos e il bobbista giamaicano Derice Bannock, onde evitare inutili risse.

“Secondo me invece dovremmo essere noi a sferrare il primo colpo, invece che aspettare come dei coglioni!” in Andrea tornò la sua educazione militare.

A rafforzare il muro umano di divisione arrivarono anche Robert Foster, un australiano proveniente dal futuro, e il labrador Luath.

“Vedi che il mio parlare con gli animali ha funzionato…” sussurrò il messicano ad uno Yondu poco convinto, indicandogli il cane nella stanza.

“Signori” richiamò l’attenzione di tutti l’inglese “Direi piuttosto che, per stasera, ci conviene andare a riposare le nostre stanche membra”.

“Vedremo cosa accadrà domani” concluse la cestista cinese Xiao Jie.

Monstress della Legione dei Super Eroi aprì la porta e tutti, a poco a poco, lasciarono la stanza.

Le uniche che rimasero a vegliare sull’eroina islandese furono Frédérique Arone e Thor. Quest’ultimo si sentiva colpevole di quanto che stava accadendo perché, sebbene membro attivo dei Vendicatori, faceva anche parte del pantheon della mitologia norrena.


Passato qualche minuto, la francese si alzò dalla sedia, per sgranchirsi un po’ le gambe ed affacciarsi alla finestra, insieme al piccolo Carlo Giuffrida, accompagnato dal suo fedele glockenspiel.

“Che villaggio assurdo…” esclamò, mentre contemplava al di là del vetro la vampiresca figura di Rune, ben presto affiancata da Black Condor (Ryan Kendall).

“In più, è da quando sono arrivata in questo posto che sento uno strano suono nell’aria…”.

Una luna quasi del tutto piena faceva da sfondo a Jack Byrnes, agente CIA in pensione, che tentava inutilmente di contattare la sua famiglia.


Con il sorgere del sole, il canto del gallo diede la sveglia a tutti gli eroi presenti nella vallata. Lo stesso gallo, di una statura più naturale rispetto a quello del giorno prima, vene immediatamente messo a tacere dagli spari dell’eroe canadese Phantom Rider.

Nella stanza di Miss Hero, era ora il turno di guarda del Soggetto N. 5 e del gatto Oggy.


“Sicura che non preferisci invece rimanere con Miss Hero?” domandò nuovamente l’americano.

“Sì, tranquillo” rispose la ballerina “preferisco piuttosto tornare a parlare con Bark”.

Dietro di loro, a fare quasi da scorta, vi erano la ragazza-lupo Yuki, il “Wild Seven” Shuya Nanahara e il calciatore italiano Mario Ciancone.

“Poi…” si rabbuiò Frédérique “Continuo a sentire quel pianto…”.

“Quale pianto?”.

Nel mentre, la coppia era giunta in quella che sembrava la piazza centrale. Qui, li stava aspettando l’investigatore privato Holland March.


“Per assurdo, sembra che siamo noi i circondati…” Bernardo si guardava freneticamente a destra e a manca “Io torno a fare il cane”.

In pochi secondi, il corpo del baffuto tornò ad avere molti più peli e a camminare a quattro zampe.

“Allora io spicco il volo!” controbatté il britannico, facendo ciò che aveva promesso.

Anche questo duo aveva con sé i suoi tre personali “bodyguard”: gli agenti dei servizi segreti Marshall Lawson e Gabriel Logan e il vorticoso Slam Tasmanian.

In cielo, il Soggetto N. 2 si mise a piroettare attorno all’astronave pilotata da Andrew Wiggin.

“Per l’appunto, non mi pare che nessuno dei nostri nemici riesca a…”.

La spia spagnola Rio Rita fu la prima a preoccuparsi di quell’improvviso mutismo.

Il velivolo a forma di gufo, guidato dal primo Nite Owl, gli si avvicinò proprio mentre il mutante perse conoscenza e iniziò a precipitare.

“Che succede, Jack?” gli urlò contro l’altro in rosso e giallo, con accanto il campione di Combat 56 Piotr Bonowicki.

Non ricevendo alcuna risposta, il mutaforma e il membro degli Wolverine Matt Eckert si lanciarono per riceverlo.

Insieme al loro altri tre si tuffarono, in puro stile partita di baseball: il pallavolista Ida Masaya, la tennistavolista Ayako Sunayama e il professor Vivaldi.

Alla fine, il mutante fu di certo quello che si fece meno male. O almeno così constatò la Donna Fiamma.

Appena rialzatosi, Borghi si mise subito in allerta, tramutando la sua faccia in una maschera antigas.

“Che sia un attacco chimico?”.

D’istinto, Phantom Cat dell’Amalgam si tappò la bocca con le mani.

“Fermi!” ordinò la telepate Karma “sento un forte potere magico provenire da quella parte!”.


Su di una collina alberata, la strega proseguiva nel suo sortilegio.


Il campione di Robot Wars Devastabot, l’eroe francese Satanax e il viceispettore spagnolo Victor Ros facevano da accompagnatori ad altri tre Humana.

“A me questo paese pare proprio disabitato…” ipotizzò Andrea.

“Forse hanno paura di noi?” suppose Chang.

“Non ci sono nemmeno i bambini” osservò Juna.

Dietro di loro, l’alieno Paul, tutto tranne che coraggioso, faceva caso ad ogni minimo spostamento, mentre l'hockeista Ro Shirakawa perlustrava i vicoli tra le abitazioni.

“Proverò io a farli uscire di casa!” si animò il cinese.

Il calciatore giamaicano White e il ciclista giapponese Rin si guardarono poco convinti.

“Venite signori!” urlò il cuoco “Grandi specialità della cucina cinese cucinate sul momento esclusivamente per voi!”.

Jaime Sommers gli dava una mano battendo a ritmo le mani. Intanto, il mezzo sayan Goten e Microwave, il membro dei Freedom Force, ispezionavano le finestre più in alto.

“Involtini primavera, ravioli al vapore, riso alla cantonese…” elencava tutto il suo variegato menù.

“Smettila Chang” lo richiamò l’africano “Mi stai facendo venire fame”.

“Nuvole di drago, pollo alle mandorle, anatra alla pechinese…”.

Alain Costa stava guidando la sua macchina da rally con, sul sedile del navigatore, la strega Ferris e, all’esterno, Miki Takatsukasa a cavallo, quando frenò di colpo.

Il leggendario lupo Fenrir stava già ringhiando contro un suo simile: il cavallo con la criniera infuocata.

“Bene, si comincia!” si esaltò l’italiano, con la mano destra già in trasformazione.

Il cavallo evitò subito il supergattobalzo di GattoBoy dei Super-Pigiamini. Il Soggetto N. 6 e Capitan Futuro gli spararono contro con il fuoco, ma senza successo.

Hiroki Onishi dei Kashima Antlers tirò una pallonata di fuoco direttamente alla zampe. Ma l’equino lo saltò in bello stile e partì all’attacco, mancando di poco il detective Charles Hilderbrandt.

“Qui conviene scappare!” si diede alla fuga il Soggetto N. 8, seguito dall’argonauta Bute e dal soldato Dale McCreary.

“Ho capito che il fuoco non serve a nulla!” scappò anche l’asiatico cercando anche di tenere al sicuro il medico autistico Shaun Murphy.

Il cavallo balzò in aria. L’eroe olandese Gilles de Geus e l’eroe sentai Kamen Rider furono sbalzati via.

Finalmente in tre riuscirono a colpirlo: il Soggetto N. 4 con la sua arma a vibrazioni, Ossolum dei Guardiani Italiani scagliandogli contro una roccia e Cisty con una delle sue frecce.

L’animale crollò solo per qualche secondo al suolo, per poi rimettersi in piedi e balzare via. Un balzo di almeno una decina di metri in altezza.

“Incredibile!” esclamò Alberti, mentre l’atletica Captain Mizuki tentò inutilmente di inseguirlo.

Nembo Star aiutò a rialzarsi Azir, l’imperatore delle sabbie.

“Cos’è questo rumore?” domandò improvvisamente il mutaforma.

Accanto a lui, il Comandante Mark tese le orecchie.

“Questo è il mare!” sentenziò lo zairese, mentre Gnar, l’anello mancante, lo fissava dubbioso.


Poco più in là, in una spiaggia soleggiata, Riichi Ozaki si stava allenando in solitario. Cary Ford arrivò sgommando con la sua moto fiammante.

Al giungere degli altri, Aquilotto dell’European Forces notò qualcosa su di uno scoglio.

“Guardate là!”.

alla sua sommità, una figura umana si buttò giù.

“Si è tuffato!” proclamò sbalordito il ragazzo del Trentino.

Lo scheletro vivente, Mister Bones, e il campione di Tae Soo Do, Chul-Ho Yang, si tuffarono al salvataggio.

Prima di loro arrivarono però l’agente dello S.H.I.E.L.D. Slingshot e il membro degli Humana.

Il mutante acquatico si avvicinò al delfino Flipper “Hai visto dove si è tuffato?”.

Il cetaceo glielo indicò con il muso, mentre la tennistavolista Koyori Tsumujikaze fece lo stesso con la sua racchetta da ping pong.

Il corpo galleggiava esanime nel fondale dell’oceano. Il Soggetto N. 8, il tennista Franklin Cane e l’arciere Yota Mikami si avvicinarono all’obiettivo.

Gli occhi del presunto cadavere si spalancarono di colpo. Brillavano come fari puntati verso i suoi probabili salvatori. Il suo fisico si allungò ed aumentò di misura.

Il gigantesco serpente marino si scagliò contro il campione di Beyblade Takao Kinomiya. Il giovane lo evitò di un soffio mentre la poliziotta Sally O’Neil si afferrò al suo corpo, tempestandolo di colpi di ju jitsu.

Il mostro riemerse e con lui anche Juna e il suo simile Manipogo del Monster Commando.

“Sparategli!”.

Ubbidendo a quel comando perentorio, Andrea fece fuoco insieme a Tara the pirate queen e la sua Atomic Sword, Patriot e il suo scudo indistruttibile, l’agente segreto Gary Unwin e la sua pistola d’ordinanza, Koharu Hotta con palle da baseball e Sanae Mochizuki dell’Istituto Shiroiwa con un AK-47.

Come prevedibile, la creatura fu colpita in più punti. Poi fu il momento degli attacchi ravvicinati.

Takeru Ibaraki con la sua Witchblade, Hardball con i suoi pugni protetti da sfere d’energia, Gengorou Takei che gli nuotava intorno, Danny Bateman che tentò inutilmente di caricarlo in stile football americano e il robottone Combatler V che gli diede il colpo di grazia.

Il mostro dondolò per qualche secondo la testa serpiforme, con la lingua biforcuta che penzolava da un lato delle fauci, per poi cadere all’indietro.

La ballerina 36 del Face Team e lo struzzo Beep Beep fecero appena in tempo a scappare dalla zona di mare in cui avvenne l’impatto e la conseguente onda. Camus, batterista dei DMC, batté ritmicamente le sue bacchette sulla corteccia di un albero.


Appoggiata con la schiena ad un altro albero, a chilometri di distanza dal precedente, Bark fissava terrorizzato le fauci spalancate dell’enorme lupo, con i denti aguzzi e la bava che gocciolava da essi.

In sua difesa, comparve di fronte a lui a fargli da scudo Kanata Livingston con la auto da corsa, la versione metallica di Superman Acciaio e l’eroina australiana Britania.

Fu questa la situazione che trovarono Reptil e I Soggetti N. 3 e 9 quando arrivarono.

L’attenzione della bestia fu catturata dagli ultimi arrivati, compresi il luchador El Oso e l’investigatore Michael Hammer.

Girato di scatto il muso nuovamente verso la sua preda, il quadrupede saltò all’attacco. L’urlo di spavento di Frédérique fece da sottofondo all’intervento di altri tre eroi: Mercoledì Addams con un’accetta, Ratchet con la sua Onnichiave 8000 e Dave Podmore con la sua mazza da cricket. Solo un quarto attacco, in versione multipla da parte di Matrioska dei Defenders of Europe, non andò a segno.

Nonostante ciò, il lupo riuscì a rialzarsi e questa volta, oltre all’intervento del velocista, che scattò lasciando impietriti l’investigatore privato Frank Lincoln e la precog Linda Hanson, ci furono pure il calciatore uruguaiano Camilla, il mago delle rune Ryze, l’artista marziale tailandese Zen, l’uomo perfetto Edison Crane e la poliziotta Madeline Foster.

Il colpo finale lo diede la piccola Matilda Wormwood che, con i suoi poteri telecinetici, mandò l’animale a sbattere contro il tronco possente di un albero. Appena il corpo peloso ricadde al suolo, il calciatore spagnolo Gelmi entrò in scivolata con i tacchetti sulla sua schiena.

Incredibilmente la bestia si rialzò. Ma, appena voltatosi, un nuovo triplice assalto.

L’eptatleta Chris Cahill, Kaku con la fascia della potenza e il pilota Black Commander.

Ormai esausto e pieno di ferite, il lupo cadde di fianco, alzando un po’ di polvere dal terreno.

A fissare seri la salma, per ogni evenienza, vi erano Johnny Wayne, il biondo spadaccino Lighting e il commissario Luigi Alfredo Ricciardi.

Ormai al sicuro da quella feroce minaccia, Bark si avventò sulla lottatrice e cuoca Nikaido.

“Quei mostri vogliono prendere mia sorella!”.

Poi cambiò soggetto è andò dallo studente liceale Billy McCarthy.

“Sono creature evocate direttamente dall’inferno!”.

Poi passò all’infermiera Akiko Tanizaki.

“Anche voi siete in pericolo in questo posto! Vi prego, scappate via con lei!”.

“Ma abbiamo lasciato tanta gente con lei…” gli ricordò il Soggetto N. 9.

Il ragazzo rispose guardando la musicista afroamericana Valerie Brown “Io mi sento più tranquillo con voi a vegliare su di lei”.

Il velocista lo scrutò pensieroso. Scambiò uno sguardo con X-O il Manowar.

“Io vado” partì allo scatto il biondo “Tu, Frédérique, resta con lui”.

“Ok, fai attenzione, Johnny”.

A seguirlo c’erano il murciano Francisco Palacios, il pugile Pinhead, Union Jack (Brian Falsworth), la cestita Hilary Uehara e il colonnello Thomas Devoe.


Hans, il ragazzino dai capelli verdi, veniva portato in salvo dallo scout dell’Impero Erondariano Ian Aranill.

Intanto, una finestra si frantumò per la collisione con i corpi del Soggetto N. 5, del troll e del finto samurai Kikuchiyo.

L’Aquila dei Guardiani Italiani fece appena in tempo ad evitare la pioggia di vetri rotti.

Hans, con un balzo, si imbucò dentro una giara, accanto a Mr. X dell’universo Amalgam

Il troll oscillò la sua pesante clava, tenendola con entrambe le mani. Geran, la studentessa cibernetica Patricia Peacock, l’operario tuttofare Bubba e la mutante magnetica Polaris si abbassarono per evitare il potente colpo.

Nel cercare di mantenere l’equilibro dopo tale mossa, la creatura fu colpita in pieno volto dalla mazza rossa del Tenente Stripes.

Nel mentre, Johnny Wayne, seguito dalla luchadora Bunny Kisaragi, raggiunse gli altri, fermandosi accanto ad Aktara, membro dei Piranas.

Un urlo provenì dalla finestra distrutta della camera di Miss Hero, da cui si riconosceva a malapena il supereroe Pit Stop.

Mr. Atomic afferrò il Soggetto N. 9 da sotto le spalle e gli diede un passaggio fino alla stanza.

Un lurido essere, simile ad un gargoyle con ali da pipistrello, stava stringendo la gola dell’eroina islandese.

All’istante intervennero in tre: l’incorporeo Deadman, il bassista Ran Fuji ed il ninja Kouichi Aizawa. Il mostro fu facilmente abbattuto.

Mentre la surfista Kanae Sumita e l’attrice Anna Scott lo tenevano sotto controllo, l’americano e Ben-Hur si accertavano che l’aggredita stesse bene.

“Tranquilla, Asdis. Ci siamo tutti noi a difenderti”.

La donna scansò la guerriera alata Wanda e abbracciò l’uomo in rosso e giallo. I due si fissarono per qualche secondo, sotto lo sguardo preoccupato dell’elegantemente vestito Milord Justice.

E poi scattò il bacio fra i due.

Con l’ululato di sorpresa da parte degli alieni in incognito conosciuti come Dave Ming Cheng.

Quando le labbra dei due si staccarono, Miss Hero si ridistese sotto le coperte, rimboccatogliele dall’allenatore di judo Enzo Capuano.

“Non lasciarmi più sola, ti prego”.

Il gargoyle era ancora steso a terra, fissato da Ragno Boy dell’universo Amalgam.

Ripresosi da quel piacevole shock, lo statunitense si rivolse al canadese appena rientrato “Geran, che ne è dell’altro mostro?”.

“Sistemato” tagliò corto il pellerossa, affiancato da Elixir dei Nightmare e il mostro tibetano, grosso quanto il mutante, Kury.


All’esterno del Palazzo reale, collassato sul terreno ghiaioso, stava il troll con la bocca spalancata e la lingua penzoloni. Il tutto gli dava un’espressione alquanto ridicola. A fargli da guardia c’era la fantina texana Diana Dixon.

L’altro americano si affaccio dalla finestra, insieme all’hockeista e pattinatrice Ayumi, per scrutare la situazione esterna.

I Soggetti N. 2, 6, 7, 8 e il soldato statunitense Jamal Aiken si erano radunati attorno al gigante verde e la sua clava lignea.

In pochi secondi, il Soggetto N. 9 li raggiunse, fermandosi accanto a Tiger, maestro dello stile Huquan.

“Come state, gente? Avete incontrato qualcuno d’interessante?”.

“Una brutta strega” disse il messicano.

“Un cavallo infuocato” disse il cinese.

“Un serpente marino” disse lo zairese.

Il pilota di Formula 1 si accorse di un’assenza “Dov’è Andrea?”.

“Ha detto che aveva da fare…” spiegò turbato Juna.

Lo stesso turbamento presente nel volto del tenente Dale Hawkins.


Il Soggetto N. 4, contornato da Sailor Saturn, Black Marvel, l’ammazzavampiri Eric Lecarde, il golfista David e il luchador Pirania, aveva di fronte una figura ammantata di nero. Il suo viso poi era coperto da una maschera scura.

Senza proferir parola, si avvicino al gruppetto di eroi, superandoli. Superò anche l’argonauta Menezio, che si era attardato dietro di loro. Oltrepassò anche il campione di Kick Jitsu, il brindisino Vincenzo Giacomini.

Arrivato a qualche metro di distanza, il nemico si voltò e iniziò a sparare.

Tutti risposero al fuoco, anche l’investigatore Paul Callan, Raggio (Ray Terrill), la recluta Keiji Kiriya, Meneghino delle Maschere e l’anti-youkai Akina Hiizumi.

Il primo ad accorgersi di qualcosa di imprevisto fu la fotografa Raika Meiki.

“I nostri colpi non gli fanno niente!” urlò l’ex-soldato.

Di conseguenza, l’uomo in nero rispose al fuoco con il fuoco.

La strega Ayaka Kagari, l’assurdo Cane Prodigio e l’uomo-scimmia Bingo Bongo evitarono per un soffio il raggio laser. Invece, il mutante in rosso e giallo, l’altro mutante Heatwave, l’altra strega Phoebe Halliwell ed il bambino Ruff Rogers caddero giù da un dirupo.


Un fulmine improvviso, scoccato da nubi scure, fece sobbalzare dallo spavento l’ispettore Giuliano Scarpa e la spia Harry Palmer.

Appoggiati all’albero vi erano ancora il Soggetto N. 3 e Bark, con il poliziotto Alonzo Harris e il cowboy Roy O’Bannon a fargli da ali.

Il contadino Tshern e l’aliena Dangerous Girl si strinsero la mano in segno di solidarietà.

“Bark” ruppe il silenzio Frédérique “per favore, parlami del segreto di questo posto”.

L’orsetto rimbalzante Cubbi Gummi, Tesoriere degli Exogini e l’eroe belga Suske si accasciarono davanti all’interpellato.

Dopo qualche secondo di mutismo, il ragazzo parlò “Va bene, te lo dirò”.

Intanto il Green Ranger richiamava il suo zord. Un nuovo tuono spaventò Longana del Monster Commando e il poliziotto Orin Boyd.

Le nuvole tempestose si stavano addensando sempre più. Come ebbe modo di notare il karateka Mark.


Tra le torri del Palazzo Reale, si librava elegante il vampiro Lestat de Lioncourt.

Al suo interno, la discussione era sempre più animata.

“A me sembra totalmente assurdo” esclamò Masa Kondo, professore ed ex-lottatore olimpico.

“La cosa davvero assurda è questo schifoso villaggio!” ribatté Bernardo Borghi “che è pieno solo di mostri!”.

Sorrise la maga Seska.

Gli occhi di Johhny Wayne si spalancarono, facendo allarmare subito il tenente Frank Bartholomew Parker.

“Devo andare a recuperare Frédérique e Bark!” disse appena prima di gettarsi dalla finestra, rischiando anche di travolgere El Uruguayo dei Luchadores, e partire a tutta velocità, seguito inutilmente da Phil Bagzton della Resistenza di un futuro alternativo.

Un altro fulmine andò a sgomentare la studentessa Iroha Miyamoto e Oscurità Scarlatta dei Global Defenders B.


La pioggia iniziò a cadere copiosamente. L’agente Rick Furious era ormai totalmente zuppo.

Sotto l’albero tutti cercarono di ripararsi come potevano. Ad esempio, il batterista Naoki Fujieda teneva le sue bacchette incrociate sopra la testa.

Silenzioso ma letale, un proiettile sibilò nell’aria. Lisciò Capitan Wonder dei Twelve, Regina Papetta delle Maschere, il Gatto con gli stivali e l’agente di polizia Greg Jenko. per poi infine andare a perforare la fronte di Bark.

“Bark!” urlò terrorizzata il Soggetto N. 3, mentre l’agente segreto Fong Li, il suonatore di vibrafono Luigi Wilson e il pilota di Formula 1 Bob Williams gli prestavano i primi soccorsi.

Di fronte al gruppo sotto l’albero comparve un essere. Il primo ad accorgersene fu il fiero guerriero Rau Utu.


Christian Hero e le sue ali sanguinanti trasportava il tedesco Klaus Wessel, mentre erano all’inseguimento del velocista. Poco più avanti a loro vi era il calciatore e suo connazionale Ajax Mobius.

Ad attenderli, sotto il grande albero e la tempesta, trovarono la giocatrice di baseball Kochou Kikuzaka. Nel laghetto lì vicino, videro l’ufficiale di polizia Oswald Nelson e il calciatore Mancini recuperare il corpo esanime di Bark.

“Bark!” lo chiamò inutilmente l’americano, mentre si avvicinava a 59 del Face Team che ne annusava il cadavere.


“Ragazzi!” richiamò l’attenzione di tutti l’eroe australiano Paladin.

Tutti si voltarono e videro chi li aveva chiamati e Hooded Justice fissare la base del grande albero.

Incastrato fra le robuste radici, si trovava il corpo esanime della francese.

L’altra australiana Susan Mathews e l’italiano Capitan Rovigo si voltarono per vedere l’acqua del laghetto ribollire.

Un tuono devastante fece crollare al suolo il pistolero Judas, Cip l’arcipoliziotto, il giocatore di football Champ e il regista Val Waxman, mentre Arone riapriva incredibilmente gli occhi.

Davanti a lei, tre guerrieri vichinghi, armati di spada, con il volto coperto da una maschera di ferro. Tutti e tre identici fra loro.

Immediatamente, l’attaccante Sho Kazamatsuri e Tatzelwurm del Monster Commando si misero a fare scudo alla mutante.

A fronteggiare il trio andarono la principessa di Gemworld Amethyst, Invisible Hood e l’upgrade umano definitivo Jake Foley.

“Sto usando la mia vista a raggi X” informò i presenti l’imprigionata, con l’ambasciatore dei mostri Gedeon che si voltò ad ascoltarla “sono dei fantasmi!”.


“Frédérique!” gridava disperato Johnny, ormai da più di un’ora.

Ad accompagnarlo in quella disperata ricerca vi erano la ragazzina chiamata Principessa Gigante, il Golem del Monster Commando, El Pavo dei Luchadores e il leggendario judoka Sanshiro Sugata.


All’esterno del Palazzo Reale, sotto la pioggia incessante, la Regina di Spade proseguiva nel suo allenamento.

All’interno, Kilo era tenuto immobilizzato da Aquaman e l’israeliano Zohan Dvir.

“Come c’è finito questa creatura nella camera di Miss Hero?” esordì il Soggetto N. 6.

“E tutti i mostri lì fuori?” proseguì il Soggetto N. 8.

“Rispondi, palla di merda!” concluse il Soggetto N. 7.

“Signori” tentò di parlare l’indigeno “vi assicuro che io non ne so niente”.

Intanto, Igar e Kamandi, l’ultimo ragazzo sulla terra, fissavano incuriositi il gargoyle morto.

“Non dire cazzate!” ruggì inferocito il messicano, trattenuto a malapena dal ciclista Shunsuke Imaizumi.

L’albergatore fu rilasciato, sebbene sempre sotto il controllo del dottor Doug Phillips e l’agente FBI Henry Durand.

“Possibile che non capite che, tutto questo, è per volontà del grande Almattki Ass”.

L’uomo con i baffi, stufo, scartando anche Outworlder, lo colpì alla faccia con un drop kick, facendolo finire dentro una stanza lì vicino e accompagnando il tutto con un “Fanculo!”.

“Voi tre” riferendosi alla canadese Fleur de Lys, alla fotografa Kiriko Mamiya e il pilota Jean Girard “Sorvegliatelo!”.

Un’altra porta si spalancò. Dalla fitta tenda di pioggia entrarono il Soggetto N. 9, il vandel buster Slade e la zebra Marty.

“Johnny!” lo accolse Bernardo “Dov’è Frédérique?”

“Dispersa”.

L’amazzone Clitennestra rimase shockata.

“A proposito” esclamò Juna al vicino cowboy Jake Lonergan “anche Andrea non è ancora rientrato”.


All’esterno, Ramarro rimaneva attaccato al muro del Palazzo Reale sotto la pioggia battente.


Nella stanza di prigionia, l’aspetto di Kilo mutò. Sulle vecchie assi di legno che costituivano il pavimento, stava ora in piedi Almattki Ass. La divinità fissò l’uscio che si spalancò al suo muto comando. Appena palesatosi sulla soglia, i sei presenti si bloccarono. Chang, l’ex-giocatore di football Matt Gables, il giovane spadaccino Ralph, il motociclista israeliano Rider, Cool One della Lega dei Super Ragazzi e l’eroe filippino Kamandag sembravano tante statue, mentre il norreno transitava con passo lento fra di loro, fino ad uscire.

Solo l’arrivo di Black Samson dei quasi omonimi Guardians of the Globe, di canadese Captain Canaduck e di Fulmine Nero della JLA liberarono i loro compagni da tale incantesimo.

Appena ripresosi, il cinese scattò verso le scale, da cui stava salendo Baby Head con il suo robot guidato dal bambino prodigio “Il prigioniero è scappato!”.


Di fronte all’ingresso del Palazzo Reale, noncurante della pioggia torrenziale, Almattki Ass s’incontrò con l’uomo in nero.

“Mio signore, ho eseguito i suoi ordini. Ho ucciso Bark il traditore e imprigionato la donna nell’Yggdrasill”.

“Eccellente, mio fedele” poi alzò il capo verso una delle torri, circondata dal soldato giapponese Hiro Taka e Singed il folle chimico “Avete udito anche voi, miei rivali?”.


Nel frattempo, il Soggetto N. 6 aveva raggiunto il resto del gruppo, accolto da uno dei Global Defenders originali, il francese Fantastic Boy.


“Sappiate che sacrificheremo la vostra compagna per redimervi dai vostri peccati”.

Il Soggetto N. 9, in mezzo al finestrone tra il teppista Makoto Mizoguchi e la wrestler Miki Morita, trasalì a quella proclamazione.

“Ma non dire cazzate!”.

Tutti si voltarono verso il punto da cui proveniva quella voce.

Da dietro un albero, spuntarono dei redivivi Soggetto N. 4, l’altro gemello Wagner, Alex, e la telepate Sookie Stackhouse.

“Vi è andata male” sogghignò l’italiano.

Dietro di lui comparvero anche la prostituta Carmela e il ragazzo androide Kyashan.

“È vivo” esultò Johnny dando il doppio cinque a Venice Mask dei Guardiani Italiani e la maghetta Alice.

“Sparate!” ordinò al nulla l’uomo in nero.

Attorno alla piazza in cui si trovavano i nostri personaggi, comparvero decine di guerrieri vichinghi. A stridere un po’ erano le moderne pistole con cui erano armati. Il primo ad accorgersene e ad avvisare gli altri fu il wrestler Starman.

Andrea Alberti si nascose dietro un albero, con il cavaliere Nightmaster, e rispose al fuoco con un lancia granate a ripetizione.

Nel mentre, i vichinghi utilizzarono direttamente un bazooka, il cui colpo ricadde a qualche metro dal pompiere Guy Montag.

Wayne si mosse all’unisono con il portiere Gino Hernandez e sparo insieme alla cantante e spia Kali.

L’esplosione sbalzò via la pallavolista Ayako Mochida.

Dopo qualche secondo di stordimento, i vari eroi si rialzarono.

“Tutto bene, signori?” domandò un traballante Lincon.

Accanto a lui, l’investigatrice Diane Matlock si stava rimettendo lentamente in piedi.

Giunan, la Lanterna Verde Kyle Rayner e l’agente sovrannaturale John Doe si assicurarono che Miss Hero fosse illesa dalla deflagrazione.

“Ora basta!” si rialzò il Soggetto N. 9, seguito dal cowboy Masked Raider e la valchiria Brunilde “È il nostro turno di attaccare!”.

Solo il ranger Roas si accorse dell’allontanamento, dal campo di battaglia, di Almattki Ass.


Il dio norreno, nel più totale silenzio, discese una ripida collina, passò attraverso una fragorosa cascata d’acqua e poi si fermò.

“Destati dal tuo sogno Jona, mio possente guerriero”.

Di fronte ai suoi occhi bianchi, stava disteso un uomo gigantesco. Come letto aveva la quasi totalità della grotta nascosta nascosta dal muro liquido.


I nemici venivano sconfitti uno dopo l’altro. Dalla supervelocità di Johnny Wayne, dalla pistola del detective della omicidi Brian Heigh, dal costume da robot di Wren, dall’agilità di Marsupilami, le mosse da wrestler di Golden Boy, dal superpotere di Captain Dynamo e dalle arti marziali di Black Mask.


Dalla mitragliatrice di Andrea Alberti, dai poteri magici dell’eroina messicana Hermelinda Linda, così come quelli di Serena Jounouchi, dalla spada dell’eroina filippina Merza e dalla pistola del poliziotto Kenneth Hutchinson.


Jack Lincon li colpiva dall’alto, mentre il camaleonte Rango e la cameriera Toshiko Tatsuno scappavano.


Bernardo Borghi, Chang Yu, l’ammazzavampiri Reinhardt Schneider, Templeton Peck e il campione di capoeira Ailton Barreto respingevano gli attacchi. Finché una nuova esplosione li mise nuovamente a gambe all’aria.

Fu in questo frangente che il messicano, Howard Powell dei Mercs e Navajo Bear dei Dark Eagles si trovarono di fronte un loro nemico. Il suo viso si allungò e si coprì ben presto di lunghi peli scuri.

“Pure un lupo mannaro!” si esaltò il mutaforma “Questo lo voglio replicare anch’io!”.

Detto fatto. Il suo corpo diventa una copia quasi identica dell’avversario.

Grazie anche agli interventi del linebacker Alvin Mack, di Isuzu Sohma in forma di cavallo, dell’agente segreto e detective Super Spy, di Riven l’esiliata e del Soggetto N. 6, anche l’uomo lupo fu battuto.

“Eccone un altro!” avvertirono i siamesi Xia Leming.

Il cavallo infuocato si impennò, buttando a terra il golfista Rannulph Junuh e il navigatore Spitfire, per poi evitare l’attacco del calciatore Cal Casey.

L’equino infernale s’involò verso l’alto, ma qui fu subito fermato dal Soggetto N. 2, dalla ballerina Denise, dall’eroe sui pattini Muteking e dal calciatore meccanico Michele Barone.

Il mostro precipitò al suolo, con la fiamma della criniera che si estinse per sempre.

“Si può dire che… si sia spento” il baffuto tentò di fare l’ironico.

I primi ad accorrere furono il medico Steve Edison e il pugile Ippo Makunouchi, mentre dall’alto atterrarono il britannico e Brad Kilsten, grazie al suo controllo della gravità.


Il Soggetto N. 5 e Hikaru Shido, armata di shinai, abbattevano svariati demonietti. Il Soggetto N. 8 e il samurai Kuroda facevano altrettanto con i guerrieri vichinghi.

Dietro un albero, alle spalle dell’altro samurai Raikoh Minamoto, fece capolino Hans.

Il Soggetto N. 9 e il lupo Ralph si accorsero di lui.

Il ragazzino tentò una disperata fuga, immediatamente bloccata dal velocista, da Rogue degli X-Men, dal pirata Captain Kidd e dal topo motociclista Pistone.

“Ok, nano” gli andò minacciosamente sopra il biondo “dov’è il Soggetto N. 3?”.


Una nuova esplosione mandò a terra Beltrame delle Maschere.

“Ritirata!” ordinò l’uomo in nero, mentre dietro di lui Demon Girl del Monster Commando sistemava alcuni dei suoi sottoposti.

Da dietro una masso comparvero il Soggetto N. 4 e Flamebird.

“Ritiratevi e riorganizzatevi!” proseguì il nemico, intanto che la spadaccina Veiled Girl infilzava dei suoi scagnozzi.

“È il momento dello showdown, bastardo” la voce dell’italiano provenì dalle sue spalle.

I due erano uno di fronte all’altro. A fargli da pubblico avevano Ippon dell’Istituto Shiroiwa, Acrobata fuoriuscito da un quadro di Picasso e il cavaliere francese Goffredo de Montmirail.

I due spararono all’unisono.

Il raggio laser del cattivo andò a sibilare tra Ninja Nero dei Global Defenders B e il poliziotto nippoamericano Johnny Murata.

Nello sparare, l’ex-soldato si lanciò lateralmente alla sua destra. Subito il pellerossa Acqua che Scorre accorse a soccorrerlo.

Sul viso del nemico era ora ben visibile la medesima maschera ferrea indossata dagli altri guerrieri. Lentamente, ma sempre più copiosamente, da sotto il bordo di ferro scorreva del liquido scuro. Sangue.

Il detective privato William Hunter e la praticante di tai chi Ethel inorridirono.

Il corpo sanguinante crollò all’indietro. Il chitarrista Drake Parker lo seguì con lo sguardo.

“Avevo ragione…” sospirò il mutaforma bellico.

Gravità lo squadrò interrogativa.

L’altro proseguì “La lamina nei suoi occhi era più sottile”.

Si rialzò e, insieme alla ginnasta Hope Ann Greggory, raggiunse il cadavere.

Di colpo, Johnny Wayne e l’ex-sicario Darkness attirarono l’attenzione dei presenti.

“Ragazzi! Sappiamo dove si trova il Soggetto N. 3! È all’Yggdrasill!”.

La prima a partire fu un membro originale dei Global Defenders: la svedese Ice Girl grazie alla sua criocinesi.


Un essere, ancora più gigante rispetto all’albero della vita, si stagliava davanti al vegetale.

La principessa Emiya Tachi, Dragonessa dell’Animorph Squad e la leonessa Eliza lo fissavano allibiti.

L’americano frenò appena in tempo la sua corsa sovrumana “Cazzo! Ci mancava anche un gigante!”

Da dietro una muraglia rocciosa, altri vichinghi e demonietti iniziarono a sparare verso il wrestler Iron Sheik e gli altri.

“Ci sono anche tutti gli altri stronzi!” inveì l’italiano, vicino al connazionale Buttutos delle Maschere e al dinosauro acquatico Coo.

Jona si abbassò, afferrò un gigantesco masso, per lui nulla più che una palla da gioco, e la lanciò.

Il cestista Anthony Keller e il calciatore Felipe Da Rosa fuggirono in direzioni opposte.

“Riparetevi!” urlò Andrea Alberti.

Lennox, fanatico di extraterrestri, e Cheung Ka Ho, maestro di wing chun, accolsero quel prezioso suggerimento.

La roccia si frantumò a pochi metri dalla principessa sirena Lucia Nanami.

“Attacchiamolo ora!” gridò Johnny Wayne.

Avvenne un vero e proprio assalto collettivo. Come ad esempio Juni Cortez e i gadget affidatagli dell’OSS, L’Ispettore Gadget che li ha direttamente incorporati in sé e quelli futuristici di Beatrice Prior.

“È tutto inutile!” sbottò Skyman, un eroe riemerso, come altri, dal vaso di Pandora.

“Questi sono esseri che hanno origini dai tempi antichi della nostra terra” spiegò rapidamente l’unico vero eroe islandese: Sportacus.

“I nostri colpi non gli hanno fatto nulla!” osservò l’inglese.

“È indistruttibile!” replicò l’africano.

“E ora?” chiese deluso il messicano.

Ennesima esplosione che coinvolse l’aspirante surfista Sandy, il programmatore Caleb Smith e Skylark dello Squadrone Supremo.

“Johnny!” chiamò il Soggetto N. 4, mentre dava una mano a per rialzarsi ad Alan Dale della compagnia di Sherwood “Tu vai a salvare Frédérique”.

“Ok! Lascio il resto a voi!” e il Soggetto N. 9 scattò, seguito dal detective Will Dormer.

Durante il tragitto, il maratoneta Colin Smith e il violinista Shoichi Suganuma lo avvertirono di un lago con un’acqua troppo calda anche per una sauna rilassante.


In piedi sopra una delle gigantesche radici dell’ Yggdrasill, con una forma ad arco, Almattki Ass osservava inespressivo il sopraggiungere del mutante.


A sinistra il detective Patrick Carlyle e a destra Oro dei Metal Men tentavano inutilmente di liberare le braccia della francese.

“Johnny!” sorrise felice la ballerina.

“Frédérique!” sorrise a sua volta il pilota di Formula 1.

Dedalo degli Exogini sorrise nel vedere la coppia ritrovata, poi si accorse di altre presenze.

“Attenti!”.

Nuovi combattenti vichinghi li colsero alle spalle. L’idol Yu Son Mi evitò un fendente mentre Death the Kid sparava tenendo le sue due pistole sottosopra.

“State attenti!” avvertì i suoi compagni il Soggetto N. 3, mentre sparava i raggi laser dai suoi occhi “Ne stanno arrivando degli altri!”.

In effetti, i guerrieri erano sempre più numerosi, accerchiando Johnny, il sollevatore di pesi coreano Jang Ryang, il mastino tibetano dorato Doogee Yongzhi, l’ex-agente CIA Joe Matheson e la ciclista Yayoi Ichinose.

Le forze degli eroi erano ormai allo stremo. Lo statunitense era spalla a spalla con l’altro membro dei Blues Brothers, Jake Blues.

Il panda Panda vide sorridere Almattki Ass. il giocatore di baseball Yuuji Namiki si mise a difesa del velocista.


Mentre Bigfoot del Monster Commando mette al sicuro il videogiocatore Ian Maayrkas, Alberti si avvicinò a Lincon.

“Jack, portami in alto!”.

“Ai suoi ordini, messere”.

Il dandy fece passere le sue braccia sotto le ascelle del soldato e spiccarono il volo.

Lo stesso fecero la Fiamma con il giocatore di baseball Takechiyo Morimasa e il supereroe israeliano Uri Oan con la sopravvissuta del Prometheus Ellen Ripley.

“Cercate di fargli aprirle la bocca!” ordinò il mutaforma bellico, mentre il suo braccio destro stava cambiando.

La cantante Jane Jet attirò la sua attenzione con una sua canzone, il protoplasma Gleep lo fece ridere con i suoi versi assurdi ed infine l’eroe cinese Black Leopard si ingrandì fino alla sua altezza e gli blocco la testa in direzione dei due Humana.

Il Soggetto N. 4 lanciò un missile che centrò in pieno la bocca spalancata del gigante. L’asiatico lo lasciò in tempo per l’esplosione. Una volta tornato alla sua altezza normale, fu soccorso dal canadese Red Ketchup.

Accanto a loro, il controllore del ghiaccio Siberius e il tanguero Angie lo videro barcollare senza testa.

In aria, il Soggetto N. 2 non credeva ai propri occhi “Com’è possibile che riesca ancora a camminare?!”.


Il Soggetto N. 3, fiancheggiata dal grappe bulgaro Sotir Gorchev e da Cyborg della Justice League, raggiunse infine la verità “Giusto! Kilo è sempre stato Almattki Ass! Ci ha osservato fin da subito”.

Sotto di loro, la battaglia proseguiva. Il ciclista Presta the Clown, l’anziano judoka Jubei Yamada, il golfista Baku, il campione di krav maga Nir Dahan e il detective Rocky King si difendevano con onore.


In cielo, Gozuki, vecchia conoscenza degli Humana, svettava su tutti, mentre Joe Superboy gli svolazzava attorno. A terra, l’eroina indipendente greca Demoscratos si difendeva a calci, il rugbista Samuel a forza di spallate e Zanzibar utilizzava le sue arti magiche.

Su tutti, gli otto mutanti in rosso e giallo non cedevano di un passo, seppur al limite delle proprie forze.


Almattki Ass infine comprese. La guerra era perduta. Un bagliore accecante avvolse tutti quanti i combattenti. Spenta la luce, non vi era più traccia alcuna. Lo stesso villaggio era totalmente scomparso.

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Capitolo 16
*** Piramidi e cloni ***


CAPITOLO 16

Piramidi e cloni”




La spuma bianca dell’acqua oceanica si infrangeva contro gli scogli rocciosi ritmicamente.

Con i piedi infilati sotto la sabbia calda, Frédérique Arone fissava verso l’orizzonte, usando la sua esile mano come schermo per i raggi solari. Un bikini con fantasia floreale ne esaltava il fisico snello e asciutto da ballerina di danza classica.

“Sei proprio sicuro di aver visto qualcosa?” chiedeva al vento.

Poco più in là, nel bagnasciuga, Johnny Wayne, con indosso un costume a boxer blu, si apprestava a tuffarsi in mare.

“Sicuro. Anche se non capisco cosa sai”.

Con un tuffo dallo stile impeccabile, l’americano s’infilò tra le onde.

“Tranquillo Johnny” rifletté la francese “Ci sono io a guardarti le spalle”.


In effetti, grazie proprio alla sua vista sovrumana, la mutante riusciva perfettamente a scorgere l’amico che si inabissava sempre più. Finché non lo vide bloccarsi.

“Eccolo!” esultò mentalmente l’americano quando riconobbe un arco semisferico spuntare dalle sabbie in fondo al mare.

Già il sentire, con il tatto, che tale materiale era inoffensivo rassicurò il biondo. Quest’ultimo, con uno sforzo crescente, iniziò a tirare verso di sé quella strana struttura.


Dopo interminabili minuti, l’uomo riaffiorò in superficie. Una volta che ebbe messo i piedi sulla sabbia sommersa, si notò bene che stava trascinando dietro di sé qualcosa di decisamente pesante. Finalmente a riva, la donna accorse al suo fianco.

Poggiato sulla rena, vi era un grande cerchio di materiale scuro.

“Che cos’è?” domandò spiazzata lei.

“Non saprei. A me sembra un anello gigante. Con delle scritte da hobbit!”.


L’unica soluzione fu portare il manufatto di origine sconosciuta al quartier generale.

“… Il materiale sembra essere decisamente una lega metallica” proseguiva nelle sue osservazioni ad alta voce Sara.

“Confermo. Grazie alla mia supervista, per quello che ne posso capire” aggiunse Frédérique.

“Non capisco però cosa siano quelle scritte…” era perplesso Johnny.

“Sono geroglifici” sentenziò secco Igor Wansa.

Gli altri tre si misero a fissare il ragazzino. Per poi tornare con lo sguardo sul reperto ritrovato.

“In effetti, ricordano decisamente gli antichi geroglifici egiziani” confermò Silvestri “E so anche chi potrebbe darmi una mano a decifrarli…”.


Un’altra ora di attesa e, facendo il suo ingresso da un portale magico, Bob Kramer si presentò timidamente nel salotto della villa Humana.

Dopo aver salutato i suoi ormai conoscenti, l’appassionato di Egitto si mise ad osservare attentamente e in silenzio ogni singolo segno presente sul quel tondo con il buco.

Passò un’altra ora finché Mummie Boy si pronunciò.

“Molti di questi ricordano sicuramente dei geroglifici egizi. Però altri sembrano proprio inventati…”.

“E cosa dicono, quei pochi che sei riuscito a tradurre?” insistette l’italiana.

“Di sicuro parlano delle stelle. Poi di una specie di varco…”.

“A me sembra un enorme hula hop” ironizzò serio Chang Yu.

“Non mi resta che una cosa da fare” concluse il Soggetto N. 3, già con il cellulare in mano “richiamare tutti gli altri!”.

Nel giro di qualche minuto, dei messaggi identici avevano raggiunto Città del Messico, Victoria, Kinshasa, Londra e Trento.

Nel frattempo, il membro del Monster Commando, ormai vinta la sua proverbiale timidezza, proseguiva nella suo esaminare il ritrovato archeologico.

“… Credo non si possa nemmeno considerare una stele, data la sua forma decisamente troppo singolare”.

Al suo fianco, il suo connazionale in rosso e giallo ascoltava le sue parole.

“A proposito, come sta quel matto di Benji?”.

Bob ridacchiò “Al solito, è sempre il solito nerd di film horror. Ora poi vuole utilizzare una parete dell'Amityville per appenderci delle nostre foto”.

“Davvero?”.

“Sì. E sai come la vuol chiamare?”.

“Sentiamo…”.

Kramer si voltò verso il suo interlocutore “Hall of Fear”.

I due si fissarono allibiti.

“Sì, è sempre il solito matto” concluse il velocista.


Nel giro di qualche giorno, tutti gli Humana tornarono al loro quartier generale. Grazie alla forza erculea di Geran, l’enorme anello fu spostato nel giardino esterno della villa. Qui Mummie Boy, tornato anch’egli per l’occasione, voleva effettuare un tentativo mistico.

“Siamo tutti pronti?” domandò per conferma la francese.

“No!” rispose al volo il messicano.

“Berny non sarà mai pronto” osservò l’africano.

I mutanti si misero a ridere, mentre Sara si avvicinava alla mummia.

“Bob, sei convinto di quello che stai per fare?”.

“Abbastanza. In pratica, ripeterò alcune delle parole che sono riuscito a leggere sopra il cerchio. Poi il resto spero lo faccia la lancia di Anubi…”.

L’italiana assentì con la testa.

Passato il momento di ilarità, tutta la squadra si preparò per qualsiasi cosa potesse accadere nei minuti successivi.

Bob Kramer diede inizio alla sua litania. Tali parole parevano una dolce ninna nanna pronunciata dalla bocca bendata. Nel farlo, l’interprete teneva le braccia spalancate e il capo reclinato verso l’alto. Gli occhi chiusi per trovare la massima concentrazione.

Incredibilmente, qualcosa si attivò. Alcuni dei geroglifici incisi si illuminarono. La stessa luce emanata comparve nel buco presente all’interno di quella grande ciambella.

“Oh signore!” esclamò l’inglese “È un altro portale”.

“Chissà se questa volta sarà per Atlantide o per la Twilight Zone?” s’incuriosì il russo.

“Purtroppo non riconosco la magia di Witch Girl, quindi di sicuro non vi porterà da noi” replicò il membro del Monster Commando.

Il silenzio calò sui vari eroi presenti.

“Allora… chi va per primo?” si azzardò il cinese.

Nessuno si propose.

“Signori” intervenne Silvestri “dovremo comunque provare ad esplorare cosa c’è lì dentro, a maggior ragione ora che ipotizziamo il suo utilizzo”.

“Giusto” le diede ragione Bob “io starò qui a mantenere aperto il portale”.

“Tu vieni con noi, Sara?” domandò Juna.

“Certo che sì, mi incuriosisci alquanto questo mistero” confermò la bionda.

Tutti ancora immobili.

“Al diavolo! Vado io per primo!” si offrì Wayne che scattò a supervelocità dentro il cerchio blu.

Incoraggiati dal loro leader, anche gli altri Humana si avviarono verso quel mistico ingresso, finché non rimase soltanto il ragazzo bendato da capo a piedi.


Una distesa di sabbia bianca come neve che si proiettava verso l’infinito. La presenza di alte dune faceva ipotizzare essere un vero e proprio deserto. Scavallata una di esse, gli Humana si trovarono davanti qualcosa di ancora più maestoso.

Una piramide a base quadrata sovrastava tutto il panorama circostante.

“State raggruppati!” ordinò Andrea, con la mano destra già mutata di forma.

“Curioso, a me ricordata tanto l’Egitto, e a voi?” affermò ingenuo Chang.

“Ma dai!” gli sbraitò contro Bernardo “Per me invece è Las Vegas! Ma è ovvio che siamo in Egitto! Dove altro pensi che si trovino le piramidi?”.

“Fate silenzio e state all’erta!” li richiamò all’ordine Johnny.

“Non mi sento per niente tranquilla” sussurrò Frédérique.

Un assalto fulmineo e inaspettato. A finire a terra fu l’africano e, con lui, lo stesso aggressore. Quest’ultimo, con gran rapidità, si mise sopra al mutante, sdraiato supino sulla sabbia. Nello stesso momento, con ancor più rapidità, l’americano scattò e colpì il nemico in pieno volto. Tale colpo fece volar via l’elmetto dell’avversario.

Il viso celato sotto di esso presentava lineamenti inquietanti. Tutta la sua pelle era formata da viscide squame verdi. Gli stessi occhi dell’individuo presentava caratteristiche più simili ai rettili che agli esseri umani. Addosso aveva un’armatura che pareva, allo stesso tempo, leggera ed efficace contro gli attacchi.

“Che orrore!” gridò il britannico.

“Sembra quella razza di alieni che si sente dire ogni tanto in tv: i rettiliani!” esclamò stupefatto il messicano.

“Non muoverti o sei morto!” gli urlò contro l’italiano che già avevo preso la mira.

Intanto l’indiano si era messo davanti al russo per protezione.

Il ragazzino faceva capolino da dietro l’energumeno pellerossa. Improvvisamente, sul suo volto comparve un’espressione di stupore.

“Quel mostro sta pensando che siamo simili alla loro prigioniera!”.

“Cosa?” fu sorpreso Borghi.

“Ipotizzo dunque che tengono in ostaggio un’umana” si espresse Lincon.

“Chissà con cosa è arrivato fin qui da noi senza udirlo?” si chiese Yu.

Wayne si squadrò intorno. Poi indicò un punto poco distante dal gruppo “Credo abbia usato quella!”.

Uno strano veicolo era parcheggiato sulla sabbia a pochi metri da loro. La grandezza era quanto una Cadillac. La forma però ricordava molto la punta di una freccia. Tutto il largo abitacolo era circondato da una cupola di un materiale simile al vetro.

La squadra si avvicinò ad esso, con Alberti che teneva sempre sotto tiro il loro ostaggio.

“Incredibile! Questa macchina non tocca terra!” Juna.

“Magari è magnetizzata. O qualcosa di simile” suppose Silvestri.

“Vedo delle forme di vita dentro a quella piramide” informò gli altri Arone, mentre fissava seria tale monumento.

“Sembra che spazio su questo trabiccolo ce ne sia a sufficienza, anche per Giunan. Però c’è qualcuno di noi che lo sa guidare?” sentenziò il cinese.

Lo statunitense diede un’occhiata al posto guida.

“Vedo che c’è un solo pedale. Non credo che sarà così complicato…”.

Come risposta ad un comando invisibile, parte della cupola sparì.

Sebbene alcuni di loro erano riluttanti, gli Humana salirono su quella stramba automobile. Incredibilmente, bastò schiacciare quell’unico pedale per metterla in moto.


La comitiva era da qualche minuto in viaggio, con la piramide che si avvicinava sempre di più.

“Mamma mia che caldo!” si lamentò un Soggetto N. 2 alquanto sudato.

“Ma fammi il piacere, Jack!” lo canzonò il Soggetto N. 7 “Per me queste temperature sono da prima mattina!”.

“Fate silenzio e state concentrati sulla missione!” li redarguì Sara.

Il Soggetto N. 6 osservava silenzioso e incuriosito l’italiano.

“Che arma stai usando attualmente, Andrea?” domandò.

“Uno spara palle di fuoco” rispose il Soggetto N. 4, senza distogliere un attimo gli occhi di dosso al rettiliano.

La creatura era anche sotto osservazione attenta del Soggetto N. 1.

“Questo qui dice di classificarsi come Alien Hunter. E di stare attenti agli squali del deserto”.

“Alien Hunter? Squali del deserto?” ripeté dubbioso il Soggetto N. 5.

In risposta al gruppo iniziarono ad emergere, da sotto la sabbia candida, qualcosa che assomiglia decisamente a pinne di squalo nere.

“Attenti! Siamo circondati!” allarmò tutti quanti il Soggetto N. 3.

Da sotto la rena, comparvero anche le minacciosi fauci degli squali. Per fortuna, gli Humana erano pronti a difendersi.

“Utilizzate le pistole che avete in dotazione!” ordinò la bionda.

I mutanti seguirono il consiglio. Il britannico si librò in alto, più per fuga che per affrontare la minaccia, con l’assurda collaborazione della cupola di vetro che si aprì per consentirgli il decollo. La francese preferì utilizzare i suoi raggi laser sparati dagli occhi, così come il cinese le sue vampate di fuoco emesse dalla bocca.

Lo zairese osservava con attenzione i movimenti di quei pesci assassini. Finché non prese una decisione.

“Io mi tuffo!”.

Nonostante le proteste degli altri, l’africano si tuffò e scoprì di muoversi con la stessa abilità che aveva negli ambienti marini.

Intanto, l’italiano e l’Alien Hunter si scrutavano impassibili. Passò ancora qualche minuto. Infine, il mutaforma si decise ad utilizzare la sua arma contro quelle altre creature.

Con gran sorpresa dei terrestri, anche l’alieno si mise a sparare contro quei predatori.

La battaglia fu davvero cruenta, con la macchina che non arrestò mai la sua marcia ma, anzi, accelerò il più possibile verso la piramide. Il Soggetto N. 8 si trovò perfettamente a suo agio in questa lotta subacquea e, allo stesso tempo, sabbiosa.

Quando parve che non ci fossero più pinne all’orizzonte, il veicolo si stava dirigendo a velocità folle verso la base dell’enorme figura geometrica. Mentre Johnny tentava inutilmente di frenare, visto che di pedale era presente soltanto quello dell’acceleratore, nel muro della piramide si rivelò un’apertura. Mettendosi in obliquo per un ultimo disperato tentativo di perdere velocità, la vettura fece il suo ingresso nella struttura in derapata. Nonostante questo, cappottò più volte. La cupola di vetro resse.

Quando, per pura fortuna, il veicolo terminò le sue capriole in piedi, il pilota si voltò verso i sedili posteriori.

“State tutti bene?”.

I suoi compagni, compreso anche l’alieno, erano tutti coscienti. Bernardo aveva appena fatto in tempo a tramutarsi in un pallone da calcio.

“Pare di sì, Johnny” gli rispose Frédérique.

“Fermo lì!” Andrea era già tornato ad avere nel mirino il loro prigioniero.

Dall’esterno giunsero anche Jack e Juna.

Chang si avvicinò a Sara che si reggeva il braccio destro “Ti sei fatta male, Sara?”.

“Non preoccuparti, è solo una botta”.

Parte del vetro scomparve, permettendo così a tutti gli occupanti di scendere. L’ambiente attorno a loro era molto illuminato. Ad occupare il pavimento vi erano ben poche cose, il resto era un gigantesco spazio aperto. Quello che invece colpì di più gli uomini in rosso e giallo furono le pareti. Esse, infatti, erano totalmente ricoperte da celle della grandezza di una singola persona. La loro parte frontale era costituita anch’essa da materiale trasparente, ciò permise ai nostri di osservarne l’interno. La funzione effettiva era quella di letti in verticale, caratterizzati da una forma ergonomica per corpi umanoidi.

“Oddio!” esclamò, mettendosi una mano davanti alla bocca, la francese.

“Jack” gli bisbiglio all’orecchio l’americano “potresti fare un controllo veloce?”.

“E-Eseguo” l’inglese fu di nuovo in volo e, dopo aver fatto dei rapidi cerchi su varie altezze di quota, tornò a terra.

Con poche parole diede la conferma ai suoi compagni: molte di tali postazioni, erano occupate da centinaia di esseri della medesima razza del loro prigioniero. Apparentemente, erano tutti in uno stato dormiente.

“E ora che si fa?” bisbigliò appena il messicano.

“Igor” anche l’italiano parlava a voce bassa “guarda se riesci a scoprire, dalla mente di quella lucertola, dove si trova la prigioniera”.

Il ragazzino fissò attentamente il volto squamoso dell’Alien Hunter. Quest’ultimo reggeva il suo sguardo con le sue fredde pupille da rettile.

“Tutti quelli della sua razza sono dei famosi cacciatori di taglie intergalattici… la ragazza si trova in una pedana nascosta al centro della stanza… e lui è un disertore!”.

“Cosa?” esclamò sorpreso il cinese.

“Ma sentì sentì…” sogghignò il soldato, squadrandolo con commiserazione.

“Se ho capito bene” proseguì il russo “lui è disposto a darci una mano a liberare la donna, ma noi dobbiamo lasciarlo venire con noi nel portale”.

Gli Humana fissarono dubbiosi il rettiliano per qualche secondo.

“Ok, digli che l’accordo è firmato” decise Sara “Ma che non faccia cazzate”.

Il telepate riuscì, tramite il suo potere, a comunicare con l’alieno. Egli alzò il braccio sinistro e andò a digitare qualcosa sul suo bracciale.

Al centro dell’enorme spiazzo interno si aprì il pavimento in due ante. Da sotto si sollevò un lettino. Sdraiata su di esso vi era una donna esanime.

Il velocista fece avanti e indietro in un batter d’occhio.

“Andrea, serve una fiamma ossidrica per liberarla dalle tenaglie”.

Il trentino si avvicinò al giaciglio metallico. La cosa che lo sorprese subito fu l’abbigliamento della signora. Seppur palesemente una pacchiana riproduzione, il suo vestiario riproduceva quello di un’elegante faraona, trucco e parrucco compresi. Tra i tanti, un gioiello serpentiforme che le si avvolgeva attorno al braccio sinistro.

La sua mano destra mutò per poter così sviluppare una lieve ma continua fiammella azzurra. A dargli una mano arrivò anche Borghi, il quale si trasformò nel visore oscurante per aiutarlo a proteggersi meglio nell’operazione.

Dopo vari minuti, vissute con il patema di poter risvegliare tutto quell’esercito di extraterrestri, i quattro anelli furono rimossi rispettivamente da polsi e caviglie.

Il Soggetto N. 9 sollevò con delicatezza la fanciulla “Bene. Ora possiamo…”.

Un allarme iniziò ad emettere il suo potente strillo.

“Cazzo!” imprecò il Soggetto N. 4 “Ci doveva essere un qualche sensore di pressione! E questo coglione nemmeno lo sapeva!” indicando l’alieno.

“Scappiamo!” urlò l’americano che, ancora con la prigioniera liberata tra le braccia, partì nella sua supercorsa.

L’Alien Hunter, come per farsi perdonare di quella svista tremenda, si mise alla guida del veicolo, ancora funzionante, con dentro alcune delle persone coinvolte.

Il Soggetto N. 2 volò via mentre, sotto di lui, il Soggetto N. 7 si era tramutato in uno struzzo che stava mettendo in atto la sua elegante falcata.

Nel mentre, attorno a loro, tutte le postazioni si stavano aprendo, con già qualche guerriero che si stava mettendo in moto.

La vettura dovette però arrestarsi perché il portellone della piramide, attivato in fase di chiusura, si stava abbassando sempre più.

Il Soggetto N. 5 scattò fuori appena in tempo per afferrarne il bordo inferiore. Accompagnando il tutto con un possente urlo di battaglia, lo ritirò in alto come fosse un semplice garage scassato.

Risalito al volo, la punta fluttuante sfrecciò verso il portale magico. Degli spari proveniva dalle loro spalle. Grazie a essi, i passeggeri contattarono che il materiale trasparente della cupola era anche a prova di spari.

Chiaramente, il tempo per far scendere tutti non era disponibile. Per questo, il guidatore da un altro pianeta si lanciò con l’auto e tutti i suoi passeggeri direttamente dentro il cerchio blu.


il mezzo fluttuò sopra il giardino, prima di arrestare totalmente la sua marcia.

“Ok, chiudi il portale Bob, ora!” comandò drastico il Soggetto N. 7.

In fila ordinata, tutti scesero a terra.

“La ragazza dov’è?” domandò subito Sara.

“L’ho lasciata sul divano del salotto” le rispose il Soggetto N. 9.

Un rombo improvviso attirò l’attenzione di tutti. Lo stesso veicolo che poco fa gli aveva salvato la vita, aveva appena preso il decollo, con ai comandi l’alieno in fuga.

“Non credo ci darà tanti problemi” rivelò serio il più giovane del gruppo.


Passarono ore prima che le palpebre truccate della donna misteriosa tornarono ad aprirsi.

Le sue pupille misero a fuoco un essere umano sconosciuto che pronunciò “Ti sei svegliata?”.

Per tutta risposta, lei iniziò a urlare.

“Ma che?” si spaventò il Soggetto N. 4.

D’un tratto, nella sala dove quelle grida avevano richiamato tutti quanti, si alzò un vento impetuoso, sebbene tutte le finestre fossero serrate. I vari Humana si trovarono così impegnati a salvaguardare sia la loro incolumità che il mobilio presente. Di colpo, la donna si placò. E con lei anche la furia ventosa.

“Sei stato tu, Igor?” s’informò il Soggetto N. 5.

“Francamente, no” rispose il Soggetto N. 1.

“Tranquilli, è stato il mio capo” svelò l’arcano l’italiana.

Andrea Alberti si sedette accanto alla finta egizia, mentre questa si era seduta in maniera più composta.

“Stai tranquilla, siamo esseri umani esattamente come te. Fidati, qui con noi sei al sicuro. Ti Abbiamo liberata da quella piramide e da quella specie di lucertole a due zampe. Ora, possiamo sapere come ti chiami e da dove vieni?”.

Mentre l’italiano parlava, lei fissava a rotazione un po’ tutti i personaggi presenti nella stanza. Quando sentì che il suo interlocutore le aveva posto un quesito, esitò un po’. Per poi rispondere.

“V-Vengo dagli Stati Uniti, anche se quei mostri mi hanno rapita mentre mi trovavo in vacanza in Egitto…”.

“E sono stati loro a vestirti così?”.

Lei, per la prima volta, diede una rapida occhiata al suo vestito “Ah… no, questo era per… uno spettacolo che volevo fare a… un amico”.

Andrea era un attimo perplesso “O-Ok. Qual è il tuo nome?”.

“M-Mi chiamo Steve Ellis”.

Alberti sgranò gli occhi “Prego?”.

“Sì, sono un transessuale”.

La notizia sorprese tutti.

“Ecco perché…” esclamò il Soggetto N. 7, mentre riproduceva le protesi mammarie di Steve nel suo seno.

“E sei stata tu prima a fare tutto quel casino?” riprese il discorso il soldato.

“Sembrava manipolazione dei venti” suggerì il Soggetto N. 3.

“Non saprei che dirvi. Da quando sono stata catturata da quelle creature, mi sento anche più strana del solito…” Ellis si mise a reggersi la testa con entrambe le mani.

“Tranquillo… tranquilla, Steve” intervenne goffamente il suo connazionale “con un po’ di allenamento di abituerai a questa nuova vita, magari saranno i Global Defenders ad occuparsi di te…”.

Il trans alzò lo sguardo per fissarlo.

“Piuttosto” concluse Johnny “Hai già in mente un tuo nome da supereroe?”.

Lei ci riflette con attenzione, per poi sorridere compiaciuta “Beh, non mi dispiacerebbe usare il nome della località che dovevo visitare prima di essere rapita: Giza!”.




Riuscire ad eseguire qualcosa di divino, soprattutto dopo aver combattuto contro una vera e propria divinità, non era certo roba da tutti. Eppure Johnny Wayne vi stava riuscendo.

I suoi piedi toccavano appena la superficie acquea, mentre sfrecciava letteralmente sull’oceano. Grazie alla sua supervelocità, sembrava di veder correre il più rapido motoscafo del mondo, con tutta la schiuma bianca che faceva da coda al suo incedere.

Come se fosse routine di tutti i giorni, il biondo stava tranquillamente riesaminando l’sms ricevuto il giorno prima. Nel messaggio erano presenti solo numeri che, dopo una scrupolosa analisi, aveva riconosciuto essere coordinate geografiche. L’unica parte testuale erano due parole: SPETTRO BIANCO.

Seguendo il suo stile di vita, il velocista aveva volutamente evitato di parlarne con il resto del gruppo. Inizialmente l’aveva considerato alla stregua di una bufala. Poi, constatando che si trattava della posizione di un’isola anonima poco lontana dalla costa, si era convinto di andare a controllare tali coordinate l’indomani.

Indossata l’uniforme degli Humana, era corso via a tutta velocità. Il mare non l’aveva certo preoccupato. Ciò che temeva maggiormente era l’effettiva esistenza di quella terra emersa.

“Spero solo di non stare perdendo tempo…” rifletteva mentre si avvicinava alla locazione prestabilita.

All’orizzonte cominciò a comparire un profilo solido, fino a dare la certezza di un atollo. La conferma definitiva la ebbe quando le suole dei suoi stivali gialli toccarono la battigia.

“Ok” esclamò “mi do giusto un’ora di tempo. Se non succede niente, torno immediatamente al quartier generale”.

Appena parlato, dei massi rotolanti iniziarono a venir già da una pendenza lì vicina. Non erano particolarmente grandi ma piuttosto numerosi. Il mutante scattò e riuscì ad evitarli tutti. Per lui, era come se procedessero al rallentatore.

Una volta terminata questa breve valanga, l’americano non perse tempo.

“Ora ti vengo a prendere, figlio di puttana!”.

Raggiunta in un lampo sulla cima, il Soggetto N. 9 si bloccò stupefatto. Di fronte a sé aveva schierato la sua intera squadra, fatta eccezione per il Soggetto N. 1.

“Johnny!” lo chiamò il Soggetto N. 8.

“Finalmente sei arrivato” lo redarguì il Soggetto N. 4.

“Però!” lo canzonò il Soggetto N. 7 “Ce ne hai messo di tempo!”.

L’interessato li squadrava uno ad uno, sempre più sorpreso.

“Ma voi… che ci fate qui?”.

“E tu allora?” ribatté seccato il Soggetto N. 2.

“Onorevole Wayne, il messaggio è giunto anche a noi” lo informò il Soggetto N. 6.

“Davvero?”.

“Tutto bene, Johnny?” gli si fece vicina il Soggetto N. 3.

“S-Sì” rispose poco convinto lui “però non capisco come sia possibile…”.

“È semplice” intervenne nuovamente l’italiano “si tratta dell’ennesimo piano dello Spettro Bianco per cercare di dividerci e affrontarci singolarmente”.

“Quelle persone sono viscide come serpenti” s’infuriò il messicano.

“Gente priva di qualsiasi onore” rincarò la dose il cinese.

“Mi dispiace che abbiano coinvolto anche voi” sibilò lo statunitense.

“Non essere sciocco! Sai che dobbiamo rimanere uniti!” lo confortò l’inglese.

“Comunque, è inutile restare qui inattivi” riprese il comando l’ex-soldato “conviene dividerci e setacciare l’isola a gruppi”.

“Ma non è peggio se ci dividiamo?” polemizzò il baffuto.

“Solo se fossimo impreparati” chiuse la questione il mutaforma bellico.

“Mi raccomando, ragazzi” intervenne la francese “fate attenzione!”.

“C’è davvero qualcosa che non va” proseguì nei suoi pensieri il pilota di Formula 1.

Le coppie erano le seguenti: Andrea e Bernardo, Jack e Juna, Chang e Geran, Johnny e Frédérique.

Erano passati giusto una quindicina di minuti, quando una nuova valanga coinvolse l’ultimo duo.

“Ancora?!”.

Per fortuna Wayne se n’era accorto in tempo e, afferrata la donna che era con lui, riuscì ad evitare tutte le rocce. Poi fu la volta delle frecce. Ed infine della scure.

Scansato il fendente mortale, l’americano riuscì a vedere chi era l’assalitore. Con sua somma sorpresa, aveva davanti niente meno che lo stesso Giunan armato di un tomahawk.

“Geran! Che stai facendo?”.

L’altro non replicò.

Il Soggetto N. 9 evitò il secondo affondo e lo colpì con un montante. Come aver colpito un muro di cemento armato.

“Ma che cazzo fai?” gli urlò contro poi, stranamente, iniziò a sentire del calore sempre più intenso provenire dalla sua destra.

Scansatosi appena in tempo, vide le fiamme avvolgere il pellerossa. Voltatosi, notò Il Soggetto N. 6 pronto per una nuova fiammata.

“Chang!” gli si avventò contro.

D’istinto, l’asiatico arretrò. La sua posizione era al limite di un precipizio sul mare. Il terreno franò e con esso anche il mutante.

“Oddio, Johnny!” Arone era sull’orlo delle lacrime “Che sta succedendo? Forse erano sotto ipnosi?”.

Il velocista non ebbe nemmeno tempo di pensare ad una risposta plausibile, che il Soggetto N. 2 gli planò addosso.

“Jack!”.

Solo allora Johnny notò che l’altro era armato di coltello. Riuscì comunque a torcergli il polso e a fargli conficcare la lama sulla spalla opposta.

Con il volo ormai fuori controllo, entrambi precipitarono in mare.

Sott’acqua, l’americano riuscì a liberarsi della stretta del britannico. Fu così che si accorse dell’attacco di una figura armata di tridente. Come un novello tritone, Il Soggetto N. 8 gli si avventò contro. Il Soggetto N. 9 evitò anche lui e, preso dalla furia dovuta a quella situazione inspiegabile, lo trapasso con quella stessa arma mitologica.

Mentre il cadavere dello zairese galleggiava esanime, l’altro riemerse in superficie. Ispirando profondamente, i suoi polmoni tornarono a riempirsi di ossigeno.

Il suolo attorno a lui fu colpito da una raffica di armi da fuoco. Alzato il capo, vide i Soggetti N. 4 e 7 che gli sparavano contro. Entrambi con la mano destra tramutata in una specie di carabina. C’era decisamente qualcosa che non tornava.

Sebbene sempre più disorientato, con due pugni alla supervelocità li mise entrambi a nanna.

“Sono morti!” gridò Il Soggetto N. 3.

“Che cosa?”.

“I loro cuori non battono più. Così come quelli degli altri”.

“Non è possibile che siano morti per così poco!”.

“Ti dico di sì! E li hai uccisi tu!”.

“Non erano loro, Frédérique”.

“Ma cosa dici, Johnny?”.

“Te lo giuro! Ho visto Berny che si era trasformato come Andrea!”.

“È assurdo!”.

“No, sono loro che erano assurdi! E ti dirò di più, Frédérique…”.

“Cosa?”.

“Sono convinto che anche tu sei finta!”.

Detto questo, estrasse una pistola che aveva infilata nella cintura nera e le sparò in pieno petto.

La ballerina si accasciò al suolo, nonostante dal foro della pallottola non fuoriuscisse nemmeno una goccia di sangue. Il suo assassino la osservò in silenzio.

Passato qualche minuto, il suo corpo iniziò a polverizzarsi, divenendo una sostanza molto simile alla comune sabbia.

“Dei luridi cloni…” sentenziò a bassa voce il biondo.

Un boato si fece sempre più forte mentre, da dietro l’alta vegetazione dell’isola, si sollevava in aria un piccolo aereo.

“Bastardi!” digrignò i denti Johnny quando, abbassando lo sguardo, notò l’arma di Alberti che non si era ancora sgretolata.

Con uno dei suoi soliti scatti, la prese da terra e riuscì a sparare contro il velivolo che si disintegrò all’istante.

Sarete stati anche in grado di prendere il nostro DNA, ma battere gli originali non sarà così semplice, vigliacchi schifosi!” urlò al vento.

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Capitolo 17
*** Nuzm e Lusca ***


CAPITOLO 17

Nuzm e Lusca”




Abissi oceanici. L’acqua, di un azzurro cristallino, striata da venature dorate provenienti direttamente dal sole in superficie.

Era in questo mondo silenzioso che il Soggetto N. 8 si ritirava per ore ed ore. A sfiorarlo, in questo suo pellegrinare senza meta, la più varia fauna di pesci di acqua salata. Ovviamente, ve ne erano di ogni misura, dal più microscopico al più enorme.

Ed è proprio uno di questi ultimi che il mutante aveva davanti. Il corpo scuro di una balena gli si fece improvvisamente davanti.

“Tu sei uno dei nove?”.

Quella voce maestosa comparve d’un tratto nella sua mente, spaventando il giovane zairese.

“Che cosa è stato? Non può essere Igor, non credo riesca a raggiungere certe profondità…”.

“No, Juna. Non sono il tuo compagno russo”.

“Sai anche il mio nome? Chi sei? Come fai a sapere queste cose?” lui s’infuriò, seppur ad un livello esclusivamente mentale.

“Perdona la mia maleducazione. Il mio nome è Nuzm”.

“Che strano nome!”.

“Come credi che mi sembrino i vostri, allora?”.

“Nostri? Vuoi dire che non sono solo?”.

“I tuoi compagni sono sempre con te”.

“Non ci avrai presi tutti per dei novelli Pinocchio?” si presentò il Soggetto N. 6.

“Tu, più che un burattino, sembri una palla da spiaggia!” ironizzò il Soggetto N. 7.

“Piuttosto, vuoi dirci come fai a sapere così tante cose di noi?” domandò il Soggetto N. 4.

“So anche che state combattendo una dura battaglia contro lo Spettro Bianco” aggiunse la voce.

“Vi giuro ragazzi che non sono io!” si profetizzò innocente il Soggetto N 1.

“Già è assurdo che tu abbia raccolto così tante informazioni nei nostri confronti, si può sapere chi diavolo sei?!” si alterò di più l’italiano.

Passò qualche attimo di silenzio.

“Andiamo Juna, sono proprio qui davanti a te!”.

Gli occhi dell’africano si spalancarono “Sei la balena?!”.

“Quale balena?” chiese sorpresa il Soggetto N. 3.

“Sì, cari i miei Humana. Potete tranquillamente considerarmi sia un capodoglio che una megattera. Oppure una balenottera”.

“Come riesci a parlare con noi?” s’interessò il Soggetto N. 9.

“Sono secoli che navigo su questa terra, forse è solo per combattere la solitudine che mi accompagna in questa mia lunga vita”.

“E sei riuscita a sopravvivere così tanto?”.

“Esatto, mio amico americano. Sopravvissuta a tutte le guerre”.

“Pure quella fredda, semifredda o tiepida?” ironizzò ancora il messicano.

“Tutte, caro Berny”.

“Vuoi dunque dirci che fai parte di tutto quell’universo di misteri che noi, in quanto Humana, ci dobbiamo trovare ad affrontare, volenti o nolenti?” sentenziò il Soggetto N. 2.

“Non avrei saputo esprimermi meglio, Jack”.

Da sotto il gigantesco ventre di Nuzm, fece capolino una coppia di delfini. I due mammiferi, ignari della multipla conversazione che stava avendo atto in quel preciso momento, si misero a piroettare fra di loro.

“Quindi riesci anche a viaggiare nel tempo?” riprese il discorso l’inglese.

“È un po’ più complesso di così. Diciamo che il tempo mi scorre addosso, come fanno le correnti che trovo in questi mari”.

I due delfini si allontanarono contenti.

“Riguardo a tutte le cose che sai su di noi?” Riprese Andrea.

“Tipo che siete da poco scappati a dei rettiliani dentro a una piramide?”.

Tutti rimasero perplessi.

“Allora sai anche di Steve?” ipotizzò Chang.

“Naturalmente”.

“Che poi a te, Andrea, sembra anche interessarti…” buttò lì Bernardo.

“Ma che cazzo dici, Berny?” replicò secco il mutaforma bellico.

“Non dovresti nascondere i tuoi sentimenti” lo redarguì Jack.

“Oggi niente avventura” parlò per la prima volta Geran.

“Non è detto!” si esaltò la balena “Basta solo un tocco di fantasia!”.


Il Soggetto N. 4 si ritrovò circondato dalle piramidi. Il Soggetto N. 5 si ritrovò circondato da alieni grigi. Il Soggetto N. 2 si ritrovò circondato da tante lapidi. Il Soggetto N. 6 si ritrovò circondato da vari rombi. Il Soggetto N. 8 si ritrovò circondato da altri pesci. Il Soggetto N. 9 si ritrovò circondato da violenti fulmini. Il Soggetto N. 3 si ritrovò circondato da svariati occhi.


Andrea sparava con la mano destra trasformata in una spara missili. Geran assestava possenti colpi sulle enormi teste dei grigi. Jack sorvolava quell’infinita distesa di pietre tombali. Chang sputava fuoco contro i rombi. Johnny evitava a supervelocità le folgori. Frédérique sparava raggi laser dai suoi occhi contro quelli degli avversari.


Mentre questi otto affrontavano le proprie illusioni, il corpo del Soggetto N. 7 era vittima di una profonda crisi mutaforma. Era come vedere una sfera di plastilina impazzita. Improvvisamente, tornò in forma umana e cacciò un urlo a squarciagola. Tale urlo fu talmente potente da risvegliare tutto il resto del gruppo. Mentre una grande esplosione avveniva nelle menti di tutti quanti.


Juna si risvegliò ancora galleggiante sott'acqua.

“Perdonami, Juna. Questa volta ho un po’ esagerato” disse con tono dispiaciuto Nuzm.

“Un po’?!” s’infuriò l’africano, producendo varie bolle dai suoi orifizi facciali “Con che coraggio dici “un po”?!”.

“Per farmi perdonare, assumerò una forma umana, così da potervi chiedere scusa nella maniera più congeniale”.

L’enorme massa del cetaceo si ridusse sempre più, diventando più o meno della stessa altezza del mutante. Nel frattempo, il suo corpo veniva rimodellato per assomigliare a quello di un essere umano di sesso femminile.

Appena aperti gli occhi, la fanciulla diede un’occhiata al suo costume da bagno integrale di colore grigio scuro.

“Che ne pensi?” rivolta all’uomo che aveva davanti.

“Beh, se proprio devo dire la mia, credevo di trovarti nuda…”.

“Ehi, non esagerare!” lo rimproverò la tizia con i capelli altrettanto grigio scuri “Ricordati che ci stanno guardando, se così si può dire, anche una donna e un minorenne!”.

Gli altri Humana erano in imbarazzo per lui.

Nuzm lo fissava seria con i suoi occhi totalmente scuri. Poi sorrise.

“La vostra lotta è ancora lunga, miei cari Humana. Sappiate che tante altre minacce giungeranno per affrontarvi. Siano essere terrestri o provenienti da altri mondi o tempi. Però, ne sono certa, sarete sempre in grado di affrontarle come avete sempre fatto fino ad ora. Per quanto mi riguarda, se avrete bisogno del mio aiuto, saprete sempre dove trovarmi. Qui, negli abissi delle profondità marine, il vostro grido di aiuto arriverà sempre perfettamente alle mie orecchie”.

Detto ciò, la donna tornò ad assumere le sue sembianze animali. Mentre il Soggetto N. 8 la salutava sventolando una mano, Nuzm si inabissò nell’oscurità oceanica.




Un lago placido e tranquillo. La superficie liquida appena increspata da onde lievi e innocue.

Come collegamento con la terra attorno ad esso, un piccolo pontile in legno. Seduto sulle tavole consumate, con le gambe penzoloni sull’acqua, una persona solitaria impegnata, ma neanche troppo, in una pesca sonnolenta.

Il suo nome era Mitchell Wade. Nonostante il cielo fosse completamente sgombro da nubi minacciose, lui era totalmente coperto da un ampio impermeabile giallo, compreso il cappuccio sollevato sulla testa. L’unica cosa che, ogni tanto, dava segnali di vita era la lenza della canna da pesca.

Improvvisamente, qualcosa parve fare capolino dalle profondità. Più che si sollevava dall’acqua e più si allargava la sua circonferenza. Poi ne spuntò un altro. E un altro. E ancora altri due.

Nel giro di pochi secondi, degli oscuri tentacoli avevano circondato il nostro sfortunato pescatore. Quest’ultimo, con fare impassibile, si alzò in piedi. Dal lago, per tutta risposta, emerse una gigantesca testa di calamaro, più altri tentacoli.

“Il pesciolino ha abboccato!” sussurrò soddisfatto “Venite a prenderlo”.


Quell’enigmatico segnale d’aiuto, oltre a giungere al suo presunto destinatario, arrivò anche nella mente di Igor Wansa. Riuscendo anche a rivelare la posizione geografica del richiedente, il telepate russo avvertì i suoi due compagni più vicini alla zona.

“… Hai capito di che lago sto parlando, Johnny?”.

“Tranquillo Igor, siamo già in viaggio!” rispose la scia rossa e gialla.


Passato qualche minuto, i due mutanti comparvero sulla scena. Il Soggetto N. 6, per nulla abituato a quel trasporto così rapido, fu preso da un attacco di vertigini. Fatta qualche piroetta, resa assurda dalla sua particolare forma fisica, crollò all’indietro sull’erba alta.

“Tutto bene, Chang?” lo fissava tranquillo il velocista.

L’altro non replicò.

Subito però l’attenzione dell’americano fu catturata dall’inquietante creatura che si sollevava dal lago. Un gigantesco calamaro stava agitando in aria le sue numerose appendici con ventose. Intanto, nella costa vicino al bacino lacustre, si stava allontanando proprio il primo essere umano che aveva visto comparire tale creatura.

Il biondo fissava inebetito quel terrificante spettacolo “Chissà quanti tentacoli ha?”.

Accanto a lui un pipistrello, che stava sorvolando la zona, scese in picchiata e, magicamente, assunse delle sembianze umane.

“Dovrebbero essere dieci…”.

“Ma che cazzo?” sobbalzò spaventato il Soggetto N. 9, facendo rianimare anche il suo alleato.

Al suo fianco vi era ora Benjamin Luhan, conosciuto ai più come Vampire Boy.

“Fanculo! Dovevo immaginare che eravate coinvolti voi in questa faccenda” il biondo aveva ancora il cuore che batteva più rapido della sua supervelocità.

L’altro, indifferente, proseguiva nel suo discorso “O per lo meno, noi del Monster Commando manderemo dieci nostri membri ad affrontarlo”.

“E dove sono ora i tuoi colleghi?” intervenne il cinese.

“Arrivano, tranquillo” rispose Benji.

Gli occhi vuoti del polpo li aveva infine notati. I quattro esseri della terraferma stavano immobili di fronte a lui, fissandolo.

I suoi tentacoli viscidi si levarono in aria all’unisono, come ad imitare una macabra preghiera. In quell’istante Johnny si accorse che erano effettivamente una decina.

Il primo ad intervenire fu Arimaspi, una ciclope dall’altezza umana. Armato di spada, tagliò una delle sue appendici, per poi scoprire che essa si rigenerava all’istante ed esserne catturato.

Il secondo ad intervenire fu Minhocao, un gigantesco verme. Si attorcigliò intorno a un suo tentacolo, non con particolare rapidità.

La terza ad intervenire fu Dolly Dearest, una bambola assassina meno famosa dell’originale. Tentò giusto qualche coltellata, che andò pure a segno, ma fu ben presto catturata anche lei.

Il quarto ad intervenire fu Jupiter Boy, proveniente da “Le colline hanno gli occhi”. Una volta afferrato da un tentacolo, lo prese direttamente a morsi, dimostrando così di non essere affatto un cannibale.

Il quinto ad intervenire fu Gandharva, una pseudo divinità indù che, rimanendo totalmente immobile, si fece facilmente catturare dall’acquatico.

Il sesto ad intervenire fu Ropen, una specie di pterosauro proveniente dalla Papua Nuova Guinea. Dopo aver emesso due strilli acuti, venne agguantato al volo dal polpo.

Il settimo ad intervenire fu Camazotz, un enorme pipistrello che, nonostante fosse armato con un coltello sacrificale, subì lo stesso trattamento riservato al precedente.

L’ottava ad intervenire fu Gata Carogna, una grossa gatta dal pelo irsuto e rosso. Dopo aver soffiato ripetutamente all’indirizzo del nemico, fu afferrata anche lei.

Il nono ad intervenire fu Cenocroca, una creatura formata da varie parti animali. Nel giro di pochi attimi, fu catturato anche lui.

Il decimo ad intervenire fu, questa volta direttamente dal medesimo lago da cui era emersa tale minaccia, Nereide. La ninfa acquatica resistette decisamente di più rispetto ai suoi compagni di squadra. Anche perché, in suo aiuto, aveva la sua controparte italiana, Longana.

Benji osservava in silenzio e con attenzione lo svolgersi della battaglia. Al suo fianco, Wayne era sempre più impaziente.

“Sei proprio sicuro che non devo intervenire?” reclamò nuovamente il biondo.

“Assolutamente sì”.

“Non mi pare che i tuoi stiano andando particolarmente bene…” insistette.

“Beh, quello è normale. Non è da molto che si sono uniti al nostro gruppo”.

Alle loro spalle, con fare furtivo, si stava avvicinando una nuova presenza.

“Scusa Benji…”.

Nuovo scossone violento del velocista.

Uno scheletro parlante lo fissava sbigottito.

“Oddio! E tu chi sei?” gli urlò contro il mutante.

“Io sono Johnny, e tu?”.

“Anch’io sono Johnny!”.

“Che cosa ambigua!” commentò Chang, rialzatosi finalmente.

“Non vorrai mica dirmi che tu…” il Soggetto N. 9 indicò il nuovo arrivato “sei una mia versione futura che, una volto morto, tornerà a tormentare una mia versione giovane, per farlo pentire di un suo possibile peccato futuro?”.

Tutti lo fissarono in silenzio.

“No. Sono solo uno scheletro parlante”.

Altri attimi di mutismo.

Il teschio si voltò verso il vampiro “Comunque, Benji, dicono gli altri che si sta facendo tardi. E Kaufman comincia ad avere fame…”.

“Ok…” rispose contrariato Luhan “Peccato perché se la stavano cavando alla grande!”.

I bulbi oculari vuoti andarono a fissare il lago “Se lo dici tu…”.

“Benissimo! Ora sta a me entrare in scena!” si apprestò allo scatto il pilota di Formula 1.

“Non occorre” lo frenò Vampire Boy “ci penserà Abisso”.

“Quale abisso?” domandò spiazzato il Soggetto N. 6.

“Lui!” puntò il suo dito ossuto Johnny.

Con un effetto ancora più assurdo, parve che l’acqua dolce avesse preso letteralmente vita. Dal bacino si tirò su una gigantesca figura umana trasparente, con al suo interno tutti i vari membri del Monster Commando.

“Che diavolo è quello?!” esclamò Wayne.

“Quello è l’elementare dell’acqua” lo informò Luhan.

Uno dopo l’altro, vennero sputati fuori tutti i combattenti, tranne il polpo abnorme.

Un portale azzurro comparve a mezz’aria di fronte al colosso liquido. Con la stessa agilità di un nuotatore, Abisso ci si tuffò dentro, scomparendo dalla radura.

Seguendo il suo esempio, anche il resto della comitiva oltrepassò altri portali.

“Ve ne tornate a casa?” s’incuriosì Yu.

“Sì, rientriamo all'Amityville Headquarter”.

“E che ne fate di quel mostro?” s’intromise il velocista.

Vampire Boy ci rifletté un po’ su “Penso proprio che lo chiameremo Lusca”.

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Capitolo 18
*** Mongolia, droga ed aerei ***


CAPITOLO 18

Mongolia, droga ed aerei”




Mongolia

Accompagnato dal rumoroso roteare delle sue pale, un elicottero atterrò delicatamente su di un manto innevato.

Quando ormai la motrice era in spegnimento, dal veicolo scesero Johnny Wayne e Sara Silvestri. Ad accoglierli vi era una donna, tutta bardata da un vestito termico e un simil colbacco in testa.

“Benvenuta signora Silvestri, spero abbia fatto un buon viaggio”.

“Grazie, sì non c’è male”.

“E lei sarebbe?” indicò l’uomo.

“Johnny Wayne. Puoi chiamarmi Johnny”.

“Allora” riprese il discorso l’italiana “nella mail che mi avete mandato, avete scritto di una scoperta straordinaria…”.

“È proprio così! Vi prego di seguirmi, così ve lo mostreremo direttamente”.

I due degli Humana seguirono la donna e salirono su di un veicolo, attrezzato con cingolati idonei per potersi spostare su quel terreno impervio.

Dopo una ventina di minuti, il mezzo si arrestò di fronte ad un’imponente montagna. Ai piedi di essa, era ben visibile l’apertura di una caverna. Fu da lì che il trio entrò.

“… Le assicuro, signora Silvestri, questa scoperta getta nuove basi sull’intera storia umana!” la donna era sempre più esaltata ad ogni parola.

Scese delle scale improvvisate nella neve, i tre si trovarono di fronte ad un enorme blocco di ghiaccio, come è facile trovarne in quella regione del mondo. La cosa sbalorditiva però giaceva esattamente dentro di esso.

Un essere umano, alto quasi due metri, con petto e spalle di un’ampiezza davvero notevole ma, soprattutto, con indosso dei vestiti che riportavano subito alla mente gli antichi guerrieri che, millenni prima, dominavano il territorio mongolo.

I due nuovi arrivati rimasero allibiti da tale visione.

“Capite di cosa stavo parlando? Noi stessi siamo rimasti spiazzati appena lo abbiamo scoperto! Qualcuno dei miei ricercatori addirittura pensava ad uno scherzo di Halloween o simile!”.

I due biondi continuarono a fissare l’essere.

L’altra riprese a parlare “Ecco perché abbiamo deciso di rivolgerci a voi. Sappiamo che il vostro gruppo si occupa proprio di queste stranezze e assurdità”.

“Sì… beh…” tentennò Sara “Diciamo che non è proprio il nostro lavoro…”.

Il velocista si avvicinò ancora di più alla lastra di ghiaccio “È incredibile come si sia mantenuto così bene in tutti questi anni!”.

Mentre fissava i suoi lunghi baffi e capelli neri, le palpebre del ritrovamento si spalancarono.

“Cazzo! È vivo!” urlò spaventato il mutante.

“Cosa?” fu presa alla sprovvista Sara.

Ma le spiegazioni furono interrotte sul nascere dalle numerose crepe che si disegnavano sulla superficie trasparente.

“Ma che succede?” la dottoressa era in preda al terrore.

“Forse sarà il caso di uscire!” ordinò l’altra.

“No, ferme!” le bloccò l’americano “Rischierete di rimanere intrappolate nel tunnel!”.

Come predetto, il ghiaccio crollo, ma solo attorno all’antico uomo, ora in grado di camminare nuovamente.

Il viso del guerriero, privo di espressioni, li fissava immobile.

“Bisogna assolutamente comunicare con lui!” bisbigliò all’orecchio di Sara.

La scienziata, con voce tremante, iniziò a parlare utilizzando un idioma sconosciuto.

L’uomo non produsse alcun tipo di riposta.

“Che utilizzi una lingua ancora più antica?” pensò Sara.

Di colpo, prese ad effettuare qualche lento passo. Il suo fare era tutto tranne che minaccioso, perciò nessuno dei presenti si mise in allarme.

L’andamento si fece sempre più deciso, finché non si trovò all’esterno dell’antro.

“I suoi indumenti mi fanno pensare niente meno che al terribile Gengis Khan. Che sia magari uno dei suoi soldati? O qualche suo consigliere?” ipotizzò la studiosa.

“Io so solo che non credevo l’ibernazione funzionasse veramente!” replicò il Soggetto N. 9, il quale non staccava un attimo gli occhi da quella possibile minaccia.

Nello stesso momento, l’uomo venuto dal passato girava il suo sguardo spaesato su tutto il panorama che aveva attorno. In particolare, quello strano animale metallico con strambe ali che giaceva lì vicino.

“Che abbia fame?” ipotizzò la dottoressa “Insomma, dopo essere stato in criostasi per tutti quei millenni”.

“L’importante è che non ci scambi noi come prede” avvertì il mutante.

“Non credo” suggerì lei “lo vedo ancora molto ingenuo verso questo nuovo mondo che si trova improvvisamente davanti”.

Nel mentre, in tutto il campo base lì attorno, gli altri ricercatori si avvicinavano con circospezione alla loro scoperta, ora viva.

Alcuni, non sapendo cosa proporgli come pasto dopo un sonno così prolungato, gli lanciarono a qualche metro di distanza delle bistecche crude, come si fa con le tigri chiuse in gabbia.

Altri, più entusiasti, iniziarono ad enunciare possibili nomi da potergli affibbiare, come fosse un cucciolo appena regalato dai genitori. Il più gettonato era decisamente Nergui. Letteralmente, senza nome.

Tra di loro, malauguratamente, era presenta anche qualche operaio più goliardico che, nell’ebbrezza della festa, non trovò di meglio da fare che lanciare un razzo di segnalazione. Il fumo scarlatto fece da scia alla sfera luminosa che arrivò fino in cielo per poi, con una traiettoria a parabola, ricadere verso il basso.

Tutti quegli sconosciuti urlanti, più quell’assurdo serpente rosso e incorporeo che si stagliava tra le nubi, fecero scattare l’ira di Nergui.

“Fermi! Fermi! Colleghi, che cosa fate?!” gli avvertimenti della dottoressa rimasero inascoltati.

Per primo, si avventò su un ricercatore a pochi passi da lui. Con una leggera torsione del polso, gli troncò l’osso del collo. Poi ne scaraventò un altro contro il gatto delle nevi, spezzandogli di netto la schiena.

In mezzo al fuggi fuggi generale, la sua attenzione si rivolse verso la ricercatrice.

Nonostante il mongolo caricasse verso di lei, chiaramente il Soggetto N. 9 fu più veloce e la portò a metri di distanza.

In quell’istante, i due sfidanti si fissarono in silenzio. L’asiatico afferrò un grosso tronco da un accatastamento alla sua sinistra. All’unisono, scattarono l’uno verso l’altro. Solo alla fine Johnny approfittò della sua supervelocità, scartando verso destra.

Il suo vero obiettivo era il retro del collo del guerriero, talmente ampio da non poter sbagliare il colpo. Fu così che gli piantò una freccetta soporifera nella pelle.

Nergui, più infuriato che mai, si tolse subito quell’oggetto minuscolo dalla carne, ma non in tempo. Dopo un primo barcollamento, pur tentando un ultimo attacco all’americano, si accasciò addormentato sul terreno innevato.

“Ti avevo detto che questa nuova arma poteva esserci utile…” gli si avvicinò Sara.

“Tu sapevi già tutto, o sbaglio?” replicò il pilota di Formula 1.

“Lo sai, ho il mio buon informatore”.

“E sai anche qualcos’altro?”.

“Che quell’idiota che ha lanciato il razzo fa parte dello Spettro Bianco, ad esempio”.

Dicendo ciò, gli indicò il tizio anche lui collassato al suolo. Era facile intuire che fu la stessa bionda ad averlo ridotto così.

“Sono anche qui?”.

“Sono dovunque Johnny, lo sai!” il suo sguardo si fece preoccupato “E temo che presto torneranno al contrattacco nei nostri confronti”.

Wayne fissò l’energumeno mongolo sdraiato prono.

“Chissà che fine farà questo sfortunato?”.

La neve prese a scendere delicata dal cielo.




Ristorante di Chang Yu

Dopo molti mesi, il proprietario era incredibilmente dietro alla cassa del suo locale, contemplandone l’arredamento in stile antico.

Come suo solito, comparve di corsa Johnny Wayne, seguito da una violenta folata d’aria alle sue spalle.

“Benvenuto, signor Wayne” lo salutò il cinese, rimanendo impassibile anche mentre teneva bloccati sul ripiano, con ambo le mani, vari fogli di carta.

“Ciao Chang, hai un tavolo singolo disponibile?” ricambiò il saluto l’americano.

“Per voi degli Humana, sempre. Possa sapere il motivo di tale visita?”.

“Sara è in viaggio insieme a Jack e io avevo voglia di mangiare cinese”.

“E alla villa non è rimasto nessuno?”.

“Certo che c’è qualcuno! Anzi fammeli chiamare per dirgli che sono arrivato”.

Il velocista tirò fuori il cellulare dalla tasca, selezionò il numero desiderato e si portò il cellulare all’orecchio.


Dall’altra parte dell’apparecchio, rispose la dolce voce di Frédérique Arone.

“Pronto, Johnny? Sei arrivato da Chang?”.

“Sì, è andato tutto bene il viaggio. Sai niente di Sara?”.

“Sì, l’ho sentita poco fa. Anche lei è arrivata a destinazione”.

“Perfetto. Ma ora sei da sola al quartier generale?”.

“No, siamo io e Igor. tra poco pranziamo anche noi”.

“Bene dai, allora vi lascio mangiare. Io rientro quando ho fatto qui”.

“Ok, Johnny. Salutami l’onorevole Chang”.


Il biondo non fece in tempo a portare i saluti della donna che, sbatacchiando la porta d’ingresso, entrò un ragazzo armato di un lungo coltello.

“Vecchio, fuori i soldi!”.

Il Soggetto N. 6 era scandalizzato “Come “vecchio”?!”.

“Ho detto fuori i soldi!” insistette il rapinatore.

“Come questi?” il ristoratore fece comparire nella sua mano una banconota di Renminbi cinese.

Mentre il delinquente cercava di afferrarli, il mutante soffiò una lingua ardente dando fuoco alla carta colorata.

Il ladro pareva decisamente fuori di sé, con gli occhi vitrei e sbarrati e la sudorazione elevata.

“Sarà il caso di finirla, che ne dici?” attirò la sua attenzione il Soggetto N. 9.

L’altro si voltò di scatto e, preso dalla furia, gli si scagliò contro con la lama sguainata. Solo la supervelocità permise che ogni fendente finisse a vuoto.

Constatando l’inutilità dei suoi gesti, il tizio urlò disperato.

“Sapevo che quella roba era troppo per me!”.

“Che roba?” domandò perplesso Chang.

“Credo stia parlando di droga…”.

Nel mentre, dall’esterno dell’edificio, si iniziarono a udire le sirene della polizia.

Con il malvivente ormai inerme, gli agenti lo arrestarono con facilità.

“Questo è il quarto oggi. Dicono sia una nuova droga mediorientale…” scappò detto, seppur a bassa voce, a uno di loro.

“Questa storia non mi convince…” asserì il pilota di Formula 1.

“Come mai dici ciò?” chiese il cuoco.

“Dove c’è il medio oriente, c’è lo Spettro Bianco”.

“A proposito, dov’è andata Sara?”.

“Dopo la Mongolia, ha deciso di andare a…”.


Londra

Una bionda e un dandy percorrevano, con passo lento e piacevole, il Tower Bridge.

“Riconosco che Londra ha sempre il suo fascino” affermò rapita Sara Silvestri.

“Non farti ingannare, Sara. Anche la capitale dell’impero britannico ha la sua faccia oscura e ben nascosta” la avvertì Jack Lincon.

Mai parole furono più profetiche. Sulla cima di una delle due torri, un uomo, vestito con una calzamaglia blu e un mantello bianco, come a simulare il vestiario di un generico supereroe, stava per spiccare il volo nel vuoto.

Per sua fortuna, il Soggetto N. 2 aveva alzato gli occhi e notato la sua caduta.

“Santi numi!”.

Con un balzo, il mutante era a sua volta in aria. In pochi secondi, riuscì ad afferrarlo e portarlo sul marciapiede sottostante.

“Ma che cosa hai in testa? Dimmelo!” gli sbraitò contro, mentre l’altro era sdraiato al suolo.

“Io posso volare!” fu la risposta sconclusionata del tipo.

“È palesemente sotto effetto di stupefacenti” osservò l’italiana.

“Beh, qui a Londra capita anche questo…”.

“Temo sia qualcosa di peggio…”.

“Sarebbe?”.

“Ultimamente ci sono sempre più notizie di una nuova potentissima droga, prodotta in Iraq”.


Giusto il tempo di rientrare al quartier generale, e subito Johnny Wayne era stato costretto ad indossare il suo costume rosso e giallo.

In una banca nelle vicinanze un tizio, armato di fucile, aveva fatto una strage dei presenti e ora, apparentemente, si era messo seduto a fissare il vuoto.

Questo fu quanto riferito da un nuovo agente di polizia al velocista.

“Vorrà dire che entrerò lì dentro”.

“Credi di essere in un film di supereroi?” lo bloccò il poliziotto “Probabilmente quel pazzo ha altri ostaggi con sé”.

Dall’interno dell’edificio si udì uno sparo.


Uno dei pochi sopravissuti, tentando una fuga disperata, aveva provato a muoversi.

Come rianimatosi, l’assassino lo aveva centrato in mezzo alla fronte urlando “Voglio altra roba!”.


“La prego!” insistette furioso l’americano “Mi faccia entrare! Con la mia velocità, quel bastardo non sarà in grado di fare più del male a nessuno!”.

Il piedipiatti ci rifletté su per qualche secondo “D’accordo. Ma, se succede qualcosa, la responsabilità è soltanto tua!”.


“Il prossimo che si muove gli infilo la canna su per il culo!” minacciò il pazzo.

Un fulmine rosso e giallo entrò nell’enorme stanza e, in un batter d’occhio, l’omicida era a terra esanime.


Quartier generale

“È ancora quella droga?” chiese preoccupata il Soggetto N. 3.

“Sì, purtroppo” confermò rattristato il Soggetto N. 9.

“Oddio, spero che non arrivi mai a bambini come Igor…”.


Londra

“Mentre io sono impegnata qua dentro, tu stai qui fuori e aspetta l’arrivo di Geran” enunciò Sara “Tutto chiaro, Jack?”.

“Come un cielo d’estate” rispose, poco convinto, lui.

Seppur poco convinta, la donna entrò dentro un enorme palazzo in stile barocco.

Passarono i minuti e, dalla via principale, fece la sua comparsa l’enorme figura del pellerossa.

“Ben trovato, Lincon” lo salutò il nuovo arrivato.

“Sì…”.

Il silenzio calò tra i due.

“Mi togli una curiosità, Geran?” riprese l’inglese.

“Dimmi”.

“Come hai fatto a raggiungerci?”.

“Ho seguito il grande spirito”.

“Ah… ora mi è tutto più chiaro!”.

L’attenzione del dandy fu però catturata da qualcos’altro. Un ragazzino, di circa dodici anni, vestito con un lungo impermeabile consumato, camminava traballante sul marciapiede.

Nello stesso momento, un’automobile sfrecciava a tutta velocità sulla carreggiata vicina.

Il ragazzo, come attirato dai fanali accessi dell’auto, si fiondò verso di essa.

“Cazzo! Un’altra volta!” Sbraitò il mutante.

Il britannico fu così costretto a replicare il salvataggio di poche ore prima. Il Soggetto N. 5 non sarebbe mai potuto intervenire con tale rapidità.

“Ma cosa avete tutti oggi?” inveì nuovamente il salvatore.

L’adolescente, che presentava lo stesso sguardo spento dell’uomo sul ponte, sillabò.

“Tu non vuoi davvero salvarmi! Perché mi salvi? Eh? Tu non vuoi davvero salvarmi! Perché mi salvi? Eh?”.


Quartier generale

Il cellulare di Johnny Wayne si mise nuovamente a trillare.

“Pronto”.

“Ciao Johnny”.

“Ciao Andrea, dove ti trovi ora?”.

“Sono in Messico, insieme a Bernardo”.

“In Messico? Come mai ti trovi lì?”.

“Anche qui hanno avuto problemi con quella nuova droga”.

“Lì in Messico non è proprio una novità… ma so che i Luchadores fanno il possibile nella lotta contro il cartello di Tijuana”.

“Esatto. Purtroppo è capitato proprio durante un loro show di lucha libre…”.

“Davvero?”.

“Sì. Bernardo era tra il pubblico”.


Città del Messico

Un numero elevato di persone si accalcava sulle tribune in legno, pronti a godersi un nuova serie di incontri tra luchadores. Fra di loro, sempre presente, vi era anche Bernardo Borghi, armato di panino e bibita d’ordinanza.

Il titolo dello show era “Ring de Fiesta”.

Sul quadrato delimitato dalle corde, El Dios stava arringando la folla.

“Benvenuti miei spettacolari fan a questo nuovo appuntamento con…”

Le parole dell’uomo mascherato furono interrotte da un colpo di pistola.

Tra lo stupore generale Pumara, una luchadora, ospite per l’occasione di quello show organizzato dall’associazione di vigilantes, aveva appena sparato in pieno petto ad un luchador tutto vestito di nero. Il cui nome era infatti El Negro.

“Figlio di puttana! Io ti ammazzo!” urlava impazzita la donna mascherata, occhi spalancati e bava alla bocca.

“Porca vacca!”

Dallo spavento, il baffuto tra gli spettatori rovesciò il liquido della sua bottiglietta sul pavimento.

Nella rampa d’ingresso al ring, con grande sprezzo del pericolo, El Midget, lottatore affetto da nanismo, si tuffò sulle gambe della donna.

Quest’ultima ruzzolò a terra, perdendo la presa sull’arma che volò a qualche metro di distanza.

El Dios colse al volo l’occasione e, con una plancia suicida da sopra la terza corda, volò sull’assassina, bloccandola a terra.

Tale manovra area esaltò tanto i presenti che scoppiarono in un boato, come se stessero ammirando un incontro di quelli che erano previsti dalla serata. L’applauso seguente fu così scrosciante che El Actor, uno dei più narcisisti, lo raccolse ingiustamente tutto per sé a braccia aperte.

Subito El Oficial de Policia, un vero poliziotto prestato ai Luchadores, si avventò ad ammanettare la criminale. L’arma del delitto fu invece recuperata da El Metal, un luchador con il costume di carta stagnola ad imitare, appunto, il metallo.

A quel punto, il mutaforma ne approfittò per tramutarsi in un piccolo topo curioso e avvicinarsi ai Luchadores.

“Gli effetti sono i medesimi che si hanno con quella nuova droga in circolazione, “Il vento d’oriente”… ” a parlare con cognizione di causa, data dalla sua vera laurea in medicina, fu El Doctor.


Quartier generale

“Quindi quello schifo ora ha anche un nome” sottolineò il Soggetto N. 9.

“Così pare” confermò il Soggetto N. 4.

La comunicazione telefonica tra i due durò ancora qualche minuto. Appena lo statunitense chiuse la chiamata, la francese gli andò vicina.

“Che succede, Johnny?”.

“Il gruppo deve tornare in azione!”.


Repubblica Democratica del Congo

Distesi al caldo sole dell’Africa, una leonessa e i suoi due cuccioli giocavano allegramente mordicchiandosi tra di loro.

Juna li osservava in lontananza, con l’ausilio di un binocolo, sorridendo. Finché il suo cellulare non suonò.

“Pronto”.

“Ciao Juna, sono Andrea. Ti disturbo?”.

“No tranquillo, stavo solo osservando la pace che tanto desidero per la mia terra. Tu come mai mi hai chiamato?”.

“Dobbiamo riunirci per una nuova missione”.

Il Soggetto N. 8 stette per qualche attimo in silenzio “Ok, farò il prima possibile per essere con voi”.

Nel giro di pochi giorni, i nove mutanti conosciuti come Humana si ritrovarono nuovamente insieme. Pronti ad un’avventura delle più pericolose.

Ma ora non è tempo per questa nuova battaglia, che verrà narrata un’altra volta.




Uno schieramento in volo. Quattro aerei, di fabbricazione tedesca, provenienti direttamente dalla seconda guerra mondiale.

Il Soggetto N. 9 li osservava da terra immobile, come rapito.

Ben presto fu palese anche il loro obiettivo: il quartier generale degli Humana.


Nel soggiorno della villa, il Soggetto N. 1 si proiettò verso la finestra a lui più vicina, andando anch’egli a rimirare verso il cielo.

“Aerei nemici!”.

Quell’urlo prese alla sprovvista Sara Silvestri, facendole anche cadere di mano la tazzina di tè che stava sorseggiando, mandandola in frantumi.

In un turbinio rosso e giallo, Johnny si palesò nella stanza.

“Siamo sotto attacco dal cielo!”.

Il Soggetto N. 3 guardò verso il soffitto, ma con la sua vista andò ben oltre.

“Sono armati! E decisamente ostili!”.

Igor esclamò “Bisogna radunare tutti quanti!”.

Il velocista non se lo fece ripetere due volte e, in pochi secondi, aveva già effettuato il giro di tutte le camere occupate dai suoi amici.

“Per Diana!” fu lo stupore del Soggetto N. 2.

“Aerei nemici?” fu sorpreso il Soggetto N. 4.

“Ma siete sicuri?” domandò Soggetto N. 8, appena giunto in sala.

“Magari sono solo turisti?” ipotizzò il Soggetto N. 6.

“Col cavolo!” fu lo stesso biondo a replicare “Questi vogliono farci il culo! Ma questa volta prenderemo noi l’iniziativa!”.


All’esterno, un Heinkel He 112 sorvolò l’edificio, passando molto vicino al tetto. Qualche attimo dopo, un Donrier Do 335 sganciò una serie di cinque bombe sull’abitazione.


“Ma da dove vengono?” chiese preoccupato il Soggetto N. 7.

“Dal disegno della loro struttura, si direbbero dei caccia della Luftwaffe” gli rispose convinto il militare.

Tutti gli Humana erano ora pronti a riceverli nel loro grande giardino.

Con un’abilità degna del migliore cecchino, la francese riuscì ad intercettare, tramite la sua vista calorifera, tutti gli ordini esplosivi che stavano precipitando.


Wayne inseguì il primo aereo, riuscendo a colpire in pieno una delle sue ali trapezoidali, lasciandolo precipitare a chilometri di distanza.


Alberti tramutò il suo braccio destro in un pistola a lunga gittata. Essa era armata di proiettili contente acido.

Appena colpita, la fusoliera dell’aereo iniziò a sciogliersi come burro al sole.


Un terzo veicolo, per la precisione un Messerschmitt Me 210, si andò a scontrare contro Jack Lincon, quest’ultimo ovviamente in volo. Con una piroetta in aria, l’inglese riuscì ad evitare il cannone Danuvia 96M, situato sul muso dell’aeroplano, aprire con la forza bruta ed entrare nella cabina di pilotaggio.

Dopo una rapida colluttazione, il mutante fu in grado di portare via con sé il pilota tramortito.


Visto l’andazzo del combattimento, il quarto aeromobile, un Junker Ju 388, optò per un’indegna ritirata.


“Confermo, sono aerei tedeschi degli anni ‘40!” informò il mutaforma bellico.

“E possiamo immaginare da chi sono stati assoldati questi nuovi nazisti…” affermò il mutaforma non bellico.

A pochi metri di distanza, Sara aveva appena fatto atterrare il britannico con il suo ostaggio.

“Scopriamo ora da dove vengono. Soggetto N. 6, fagli togliere il casco!” ordinò la bionda.

“Molto volentieri, dolce Sara”.

Il cinese effettuò una forte inspirazione, per poi soffiare una potente fiammata in pieno sulla visiera del nemico.

Il pilota, preso alla sprovvista, iniziò a sbracciare in preda al panico. Con un gesto deciso, si staccò via il casco dal capo.

Il suo viso, inizialmente umano, con dei capelli scuri e degli occhi chiari, iniziò a scurirsi e rattrappirsi. Frédérique distolse lo sguardo per evitare di vedere quel cranio umano marcire ad ogni secondo che passava.

“N-Non ti pare di aver esagerato, Chang?” la voce del messicano tremava, così come tutto il suo corpo.

“Sono sicuro di aver calibrato bene la fiamma!” era sbigottito anche l’asiatico.

La testa era ormai ridotta la metà di quanto era inizialmente. Le orbite, che pochi attimi prima ospitavano gli occhi dell’uomo, ora erano totalmente scure.

“Chi ti manda?” Johnny tentò un ultimo, disperato tentativo.

Un rantolo sembrò provenire da quella bocca ormai sdentata “Spettro Bianco…”.

Laddove una volte vi era un essere umano, ora vi era soltanto polvere.

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Capitolo 19
*** Spettro Bianco 243 ***


CAPITOLO 19

Spettro Bianco 243”




Alla fine la bomba fu sganciata.

Essa, tramite un impulso elettromagnetico di portata mondiale, portò anche alla morte istantanea di ogni apparecchiatura elettronica.

La natura, a causa di quell’ennesima insolenza da parte dell’uomo, si scatenò con terremoti e tsunami.

Le radiazioni atomiche portarono alla decimazione di buona parte della popolazione terrestre.

Nessuno dei cinque continenti venne risparmiato.


“ … Tutto il mio locale distrutto. Nemmeno la dolce e piccola Nikki è stata risparmiata dalla brutalità degli eventi”.

Chang terminò il suo racconto e, nel frattempo, finiva di indossare l’uniforme rossa e gialla da Humana, lasciando assurdamente ben ripiegati in un angolo i suoi vestiti comuni ormai laceri.

Attorno a lui, nel salotto del loro quartier generale, era presente tutto il resto del gruppo.

“Qua nella villa siamo stati anche troppo fortunati, visto che tutta l’elettricità è data dagli impianti solari, o almeno così dice Sara…” spiegò Wayne.

È esattamente così, Johnny. Purtroppo, c’è il rischio che si riveli come da faro invitante per ospiti indesiderati” Sara era preoccupata.

“Vorrà dire che li accoglieremo come meritano!” sbraitò furioso Andrea.

“E così aggiungerai altra morte alla morte” lo riprese Jack.

“Ora calmatevi!” li richiamo all’ordine l’italiana “Sappiamo tutti perfettamente che, dietro a tutto questo, c’è lo Spettro Bianco. Per il momento, è fondamentale cercare di riorganizzarci”.


Nell’ampia cucina, grazie all’arte culinaria che lui ben padroneggiava, il cuoco cinese dava sfogo al tormento interno che lo consumava. A dargli una mano con l’impiattamento, c’era Frédérique.

“Il mondo è davvero alla fine…” sentenziò rammaricato Yu.

“Non dire così, Chang!” lo zittì Arone “Ora come ora dobbiamo cercare, almeno noi, di stare uniti e, nel contempo, prepararci a difenderci dal mondo esterno”.

Mai parole furono più propiziatorie. Una coppia di disperati, armati però con fucili da caccia, riuscì ad irrompere nella stanza, dopo aver sfondato con una sassata una delle finestre presenti.

“Fermi tutti e non vi verrà fatto alcun male!” urlò uno dei due.

“Senti che profumo! E guarda che bella troietta!” replicò quell’altro.

I due mutanti, inizialmente sorpresi, rimasero immobili e in silenzio, soprattutto perché entrambi sotto tiro. Ma quando il secondo avvicinò troppo la mano al seno della francese, quest’ultima la centrò con i raggi laser provenienti dai suoi occhi.

Ora era il turno dei due invasori per rimanere spiacevolmente sorpresi.

“Ma che cazzo succede?” gridò il primo, mentre il suo compare lamentoso si teneva la mano bruciata ben in profondità.

Fu allora che il Soggetto N. 6 fece qualcosa di cui, fino a qualche giorno prima di allora, era certo non si sarebbe mai macchiato. Con la più potente delle sue fiammate, arse vivi i due nemici, ascoltandone le urla disperate mentre, ridotte in vere torce umane, si accasciavano sul pavimento.

Lo stesso Soggetto N. 3 non proferì parola davanti a quello spettacolo raccapricciante.


Nessuno degli Humana diede seguito all’accaduto. Ognuno di loro preferiva staccare la spina dei pensieri, cercando possibili comunicazioni tra le onde radio oppure setacciando disperatamente tramite radar qualsiasi movimento aereo o terrestre.

“Nessuna novità?” domandò Sara all’intero gruppo.

Gli interpellati replicarono a malapena.

“Che disperazione!” il Soggetto N. 7, seduto, collassò deluso su uno dei ripiani.

Improvvisamente, un bip metallico iniziò a risuonare nella stanza.

“Il radar sta captando qualcosa!” informò gli altri il Soggetto N. 8.

Sara si precipitò al display “Fatemi vedere!”.

I suoi occhi castani erano fissi sulla schermata verde “È un qualcosa che sta attraversando addirittura la ionosfera!”.

“Ma cos’è che può volare così in alto, di questi tempi?” chiese il Soggetto N. 2.

La bionda attese qualche secondo per rispondere, cercando intanto di convincere prima sé stessa “L’unica cosa che mi viene in mente è un missile…”.

“Un missile?!” gli fece eco urlando il Soggetto N. 9 “Si può sapere dove è diretto?”.

L’italiana si spostò rapida su un’altra postazione. Le sue dita ballavano frenetiche sui tasti del pc. Il programma utilizzato effettuò dei calcoli in un microsecondo.

“Siamo noi il suo obiettivo!” sussurrò appena.

Gli Humana andarono nel panico. Sullo schermo comparve un countdown all’impatto di appena dieci minuti.

I dieci minuti passarono. L’impatto non avvenne. Era un bluff.

“Tutti attorno sono ancora vivi” comunicò agli altri, dopo un fulmineo controllo telepatico, il Soggetto N. 1.

“Sara, possiamo calcolare anche il luogo di provenienza?” domandò il Soggetto N. 4.

“Assolutamente sì” e la donna si rimise subito a digitare.

Attorno a lei, i nove mutanti fecero capannello, nella spasmodica attesa del risultato.

Appena comparve sul display, Silvestri lesse le parole.

“Polo nord”.

“Ha senso” esplicò il Soggetto N. 5 “lì le radiazioni difficilmente arrivano”.

“Allora” concluse il velocista “si va al fresco”.


Tra i mezzi di trasporto ancora utilizzabili dal gruppo vi era pure un aereo che, oltre ad essere abbastanza capiente da ospitare tutta la decina di persone, riusciva a raggiungere vette di velocità paragonabili ad un jet. Fu con questo che gli Humana si diressero verso l’estremo nord del globo terrestre.

Inoltre, buona parte del viaggio fu allietato da un antico canto celtico eseguito dall’inglese, accompagnato da una cetra.

Ai comandi del velivolo era Andrea Alberti che, ad un certo punto, annunciò “Signori, preparatevi all’atterraggio”.

“Perfetto!” intervenne Sara “Ma prima, Jack e Johnny voi uscite ora per andare in ricognizione”.

I due convocati si prepararono, poi la bionda si voltò verso il messicano.

“Bernardo, tu seguili tramutato in volatile”.

Il baffuto non era particolarmente felice per quella scelta, ma ubbidì silente tramutandosi in cormorano.


Dopo una tranquilla planata, il britannico appoggiò al suolo lo statunitense.

“Grazie, Jack. Ora tu fai una perlustrazione dall’alto, io intanto proseguo a piedi” indicò Johnny.

“Sìssignore!” replicò Jack.

Fatto qualche passo, il velocista si trovò davanti un singolare pinguino. Come un qualsiasi essere umano, lo salutava con una delle ali.

“Berny, sei tu?”.

L’uccello fece un segno d’assenso con la piccola testa.

Lo stupore del Soggetto N. 9 fu subito cancellato dalla voce, presente nella sua testa sicuramente grazie al Soggetto N. 1, del Soggetto N. 2.

“Johnny, vieni verso nord!”.

Il biondo scattò subito, mentre il mutaforma, per potergli stare degnamente dietro, si tramutò in uno struzzo.


Qualche metro più avanti, Lincon stava nascosto dietro un ammasso di neve, scrutando il paesaggio al di là di esso. Solo all’arrivo degli altri due mutanti si mise a parlare.

“Guardate quella volpe bianca”.

L’animale si muoveva stranamente con circospezione. Fatto ancora qualche passo con le sue minuscole zampe, di colpo s’irrigidì e stramazzò al suolo.

“È come se ci fosse una specie di barriera…” ipotizzò il dandy.

Solo allora notarono la presenza di altre carcasse animali, tutte lì attorno.

“C’è un solo modo per esserne certi…”.

Borghi si alzò dal loro nascondiglio naturale, fece una palla di neve e la lanciò verso tale zona. Ancora in volo, la sfera si disintegrò.

“Confermato” esclamò il messicano.

“Gente, potete scendere” parlò mentalmente l’americano “credo proprio che li abbiamo trovati!”.


Fu il momento dell’entrata in scena di un nuovo veicolo in dotazione agli Humana: un gatto delle nevi.

Al suo interno, Sara riprese a dare ordini.

“Chang, è il tuo turno”.

Appena il cingolato si fermò, il cinese ne uscì esclamando “E io che volevo solo cucinare in santa pace…”.

Intanto, la donna si avvicinò al suo connazionale “Andrea, vai anche tu”.

“Ok, Sara”.

Il congolese platinato ne fu sorpreso “Come mai vuoi che vada anche Andrea?”.

“Non si sa mai” sibilò lei.


“Bene, bene. Dunque volete toglier di mezzo un po’ di ghiaccio, giusto?” il Soggetto N. 6 aveva raggiunto gli altri tre.

Dopo una grande inspirazione, dalla sua bocca fu sparata un’enorme fiammata.

Una volta che la gran quantità di vapore creatasi si sollevò verso il cielo, sul suolo comparve un’apertura rotonda.

“Perfetto!” la voce di Alberti sorprese gli altri quattro “Possiamo entrare”.


Per tutti, tranne Jack che preferì sfruttare il suo superpotere, fu come andare sullo scivolo. Finché le suole dei loro stivali termici non toccarono nuovamente una superficie.

“Porca vacca!” esclamò sorpreso Bernardo.

Varie strutture metalliche si ergevano, come palazzi, fino quasi a toccare il terreno sopra di loro.


Nel frattempo, dentro il gatto delle nevi erano tutti in trepidante attesa.

“Siamo sicuri che non si congeleranno lì fuori?” chiese preoccupata Arone.

“Tranquilla, le vostre divise sono studiate per resistere alle temperature più estreme, comprese quelle presenti qui nel territorio artico”.

Improvvisamente, la terra iniziò a tremare.

“Un terremoto?!” urlò Juna spaventato.

D’istinto, Geran afferrò con una mano Igor e con l’altra Frédérique.

In realtà non si trattava di un classico terremoto, ma bensì una larga piattaforma circolare che, lentamente, stava facendo scendere il mezzo di trasporto verso l’abisso. Di tutto ciò furono informati gli Humana dalla francese.


Un’altra piattaforma, questa invece ben ferma e in profondità, ospitava su di sé un gigantesco quanto minaccioso missile gigante.

“Incredibile!” ne fu quasi estasiato Alberti.

“E ora che facciamo?” domandò Lincon.

“Di sicuro, chi ha costruito tutto ciò è davvero potente” sentenziò l’italiano.

“Non può che essere lo Spettro Bianco!” ne era certo il messicano.

“Temo anche solo nel chiedermi quale sia il suo scopo” tremava letteralmente il cinese.

“Guardate là!” indicò di colpo l’americano.

Alcuni soldati armati stavano marciando attorno a quell’arma.

“Sono davvero in pochi per far da guardia a quell’affare” osservò l’inglese “che si sentano al sicuro grazie alla barriera?”.

“Dubito che non si siano ancora accorti della nostra presenza” informò il gruppo Andrea.

“Cosa?” subito allarmato Bernardo “E allora che facciamo qui?”.

“Aspettiamo che facciano la prima mossa…” gli rispose Johnny.

“Ragazzi, sono Igor!”.

I cinque nella base fecero uno scossone all’unisono.

“Noi siamo ancora dentro al gatto, ma siamo finiti in una trappola!” urlò nelle loro teste Igor “Ora tanti cattivi armati ci hanno circondati!”.

“E non solo voi…” replicò l’americano, fregandosene se gli altri lo sentirono oppure no.

Di fatti, anche attorno ai cinque a piede libero, erano comparsi almeno una decina di soldati. Tutti con l’arma pronta al fuoco.

“Non muovetevi o spariamo!” proclamò uno di loro.


Nel giro di pochi minuti, tutti i nove mutanti e Sara furono ammanettati e portati dentro un enorme salone, tutto sempre sotto la crosta terrestre.

Sempre attorniati dai vari soldati presenti, resi anonimi dai passamontagna che indossavano, i prigionieri furono disposti al centro della stanza.

“Benvenuti!” una voce metallica, proveniente da altoparlanti disposti in vari punti della location, iniziò a parlare “Prima di tutto mi congratulo con il vostro attacco improvvisato. Fin da subito un futile tentativo, ma comunque ne ho ammirato l’impegno”.

I dieci proseguivano con il guardarsi intorno, nell’esile speranza di capire con chi avevano a che fare e scoprire possibili vie di fuga.

“Ma seriamente speravate di poter entrare furtivamente qua dentro? Da noi che siamo stati in grado di simulare un attacco missilistico nel vostro radar?”.

“Riesci a vedere qualcosa, Frédérique?” gli sussurrò all’orecchio il Soggetto N. 7.

“Per il momento, solo roccia e cavi elettrici” rispose il Soggetto N. 3.

“Puoi anche dire il vostro nome!” sbottò il Soggetto N. 9 “Siete lo Spettro Bianco! Tu sei Mohammed Al-Shirida!”.

Sebbene ancora camuffata, su udì una lieve risatina “Beh, per essere lo Spettro Bianco… sì, noi siamo lo Spettro Bianco. Ma purtroppo, lo straordinario Mohammed Al-Shirida ci ha lasciati ormai qualche anno fa…”.

La sorpresa si dipinse sui volti degli Humana.

“Come suo ultimo volere” proseguì quel cupo narratore “nominò il nuovo capo che avrebbe portato altro splendore alla nostra popolazione. E a venir scelta fui io: Marwa. Sua figlia”.

Un fascio di luce illuminò un punto in alto della stanza, come l’occhio di bue in teatro. Un figura vestita di bianco si stagliava in piedi su di un piccolo terrazzo. I suoi lunghi capelli neri, sciolti su tutto il suo candido mantello, creavano un singolare contrasto tra i due colori.

“Sua figlia?” si ripeté mentalmente la francese.

La carnagione creola facevano da sfondo a due occhi tagliente, con i quali fissava i suoi obiettivi proprio dove li voleva: sotto ai suoi piedi.

I dieci, totalmente impotenti, sembravano dei semplici soldatini di piombo con cui sollazzarsi.

Dopo qualche secondo di silenzio, Marwa riprese la parola “E tu, Sara, davvero nutrivi così tanta fiducia nei nove che hai scelto tanti anni fa?”.

La donna, sentitasi chiamare in causa, serrò i pugni “Sai benissimo che non fui l’unica a partecipare a tale scelta. Con me vi erano anche il mio capo e l’uomo che dici essere tuo padre”.

“Che è mio padre!” la corresse secca l’altra.

“Comunque sì, ho fiducia in: un ragazzino, un dandy, una ballerina, un militare, un guerriero, un cuoco, un buffone, un guardiacaccia e un pilota!”.

“Sciocca! Con la tua volontà saresti stata preziosa allo Spettro Bianco per cambiare il mondo!”.

“Il vostro non è cambiare, il vostro è rovinare il mondo!”.

“Solo se lo guardi dal lato sbagliato!”.

“E chi decide qual è questo lato sbagliato?”.

“Ovviamente la mente più intelligente al mondo, nata dalla fusione del cervello di mio padre con altri due veri condottieri mondiali: Napoleone Bonaparte e Adolf Hitler!”.

“Quella fu solo la più folle operazione chirurgica mai realizzata!”.

“I veri folli siete voi! I pochi rimasti che non hanno creduto nella lungimiranza del divino Mohammed Al-Shirida!”.

Qualcosa brillò negli occhi di Sara.

“Parli tanto di tuo padre, ma di tua madre…”.

La mora si rabbuiò “Che vorresti dire?”.

“Sei davvero così convinta che lei fosse d’accordo con le idee di suo marito?”.

“Assolutamente sì! Anche lei si è sacrificata per l’incredibile progetto dello Spettro Bianco!”.

“Allora è così che ti è stata raccontata…”.

“Cosa?”.

“Per quanto ne so io, fu proprio lei la prima a rivoltarsi contro il suo progetto malato. Ed è per questo che fu uccisa!”.

“Tu menti!”.

“Ne sei così sicura?”.

Fu in quell’attimo che un’immagine si proiettò, non per il volere di Wansa, nella testa di Marwa. Sua madre colpita in pieno petto da un colpo sparato da suo padre.

Il terrore di quella scena produsse nella sua mano uno spasmo muscolare che, involontariamente, andò a premere il pulsante di un comando a distanza. Lo stesso che teneva legate salde le manette per mutanti.

“Attacchiamo!” comandò Arone, con gli occhi che già le brillavano sinistramente.

Partito di volata, Wayne mise a terra parecchi uomini con un solo scatto.

Altrettanto fece Giunan che, afferratone uno, lo scaraventò contro altri cinque.

Borghi tramutò il suo braccio destro in un tubo idraulico con cui centrò in pieno la testa di un nemico.

Mentre, invece, il braccio destro di Alberti si trasformò in un fucile dalla potenza di fuoco devastante.

La stessa potenza di fuoco che anche Yu sprigionò dalle sue fauci.

Nel mentre, Lincon spiccò il volo e, come un rapace, si fiondava in picchiata contro chiunque poteva creare dei problemi ai suoi compagni.

Mentre la battaglia impazzava, Sara continuava imperterrita a fissare la sua rivale.

“Sai che è tutto vero!” le urlava contro.

Ancora l’immagine della sua amata madre che, con una macchia rossa che le si creava nel petto, scivolava all’indietro.

Come a volerla prendere al volo, Marwa Al-Shirida si gettò in avanti. Quello che ormai i suoi occhi non vedevano era la ringhiera che, noncurante, oltrepassò con tutto il suo corpo.

“Mamma…”.

Furono le ultime parole prima che il suo corpo, ammantato di bianco, si scontrasse contro il duro pavimento metallico.




Londra


Con estrema grazia, Jack Lincon poggiò il suo piede sull’ultimo gradino delle scale interne, ben custodite dentro la graziosa villetta in pura stile londinese di sua proprietà.

“Che gioia poter tornare qui nella mia dimora!”.

Fatto qualche passo, aprì una porta in legno antico e si trovò dentro alla sua sfarzosa camera da letto.

Ad ampie falcate, raggiunse il letto matrimoniale e vi si lasciò cadere.

“E non ho neanche mai volato, nemmeno una sola volta!” ricordò ad alta voce, con un lieve fiatone a far da contorno.

Voltatosi alla sua destra, diede una gentile carezza alla sua morning cloat di velluto rosso, poggiata e ben piegata sopra il giaciglio.

“Non augurerei a nessuno di diventare un mutante” riprese a ragionare “dover rinunciare a vivere una vita semplice e normale come tutti… oddio, non che la mia sia mai stata tanto normale…”.

Ruotando nuovamente il capo, questa volta si mise a fissare uno dei quadri presenti nella stanza. Si trattava niente meno che di una delle quattro copie di “Jo, la bella irlandese”, dipinto a olio di Gustave Courbet, realizzato fra il 1865 e il 1866.

Come ipnotizzato dal fascino della donna ritratta nel dipinto, le palpebre di Jack si fecero sempre più pesanti. Finché si addormentò.


Poco dopo, una mano delicata e pallida carezzò il viso del dandy. Quest’ultimo, a causa di tale tocco, si ridestò.

“Ben svegliato, tesoro” lo salutò la donna dalla pelle candida e i voluminosi capelli rossi.

Il risvegliato sbatté un po’ gli occhi, facendoli riadattare alla realtà.

“Ma sei… Jo?”.

“Eh sì, tesoro. Pensavo avessi voglia di parlare con qualcuna”.

“No, niente. È solo la vita che mi pesa come piombo” si rimise in posizione seduta il Soggetto N. 2.

“E come mai? Forse io posso aiutarti”.

“Impossibile. Tu sei…”.

“Povera?”.

“No, che c’entra! Io ho solo avuto un po’ di fortuna…”.

“Ah sì, la fortuna…” lei si mise a fissare per terra “Quella farebbe sempre comodo”.

Sollevando una mano davanti alla bocca, emise degli improvvisi quanto violenti colpi di tosse.

“Sei malata?” gli si fece vicino.

“Sì, mi rimane un mese di vita…”.

“Solo un mese?”.

“E ti pare poco? L’importante è come lo si vive, quel mese”.

D’istinto e con le lacrime agli occhi, l’inglese abbracciò l’irlandese.

“E non avere rimpianti o rimorsi” aggiunse lei.

L’uomo si mise a piangere.

“Ricordati di apprezzare sempre quello che i tuoi compagni fanno per te e quello che tu fai per loro”.

A quelle parole, Jack si scostò da lei, e solo allora si accorse di avere indosso l’uniforme rossa e gialla degli Humana.


Urlando, si alzò di soprassalto dal letto.

Con ancora più fiatone di prima, fece scattare il suo squadro verso il dipinto. Era ancora lì, immobile e immutevole.

Lincon si calmò lentamente e le sorrise “Hai ragione tu, bella Jo. D’ora in avanti, quando volerò, lo farò pensando a te dal profondo del mio cuore”.




Trento


Prima di decidersi a suonare il citofono della casa di famiglia, Andrea aspettò qualche minuto, tergiversando e facendo cambiare forma alle sue braccia. Infine, premette il pulsante.

Attese qualche secondo, poi l’uscio si aprì.

Di fronte a sé trovò proprio la persona che meno voleva rivedere: suo padre.

“Bentornato figliolo! Speravo così tanto di rivederti!”.

“Io francamente no!” pensò il figlio.

“Vieni, entra pure!” si fece da parte.


Una volta dentro, il babbo gli poggiò subito una mano sulla spalla.

“Ho sentito che ora sei in una nuova compagnia…”.

“Sì, più o meno…” rispose lui a denti stretti.

“E che ti sei specializzato nell’uso di varie armi da fuoco!”.

“Faccio del mio meglio…”.

“Bravissimo, figliolo! Di questi tempi, bisogna sempre stare all’erta, lo sai.”

“Oh, sì. Non sai quanto”

In fondo, è grazie a me che hai imparato tutti i tuoi trucchetti…”.

Andrea rimase perplesso “Che vuoi dire?”.

“Ma sì, guarda!”.

Nello sgomento per l’assurdità della situazione, il braccio destro del signor Alberti iniziò a muoversi in maniera innaturale. La sua forma stava mutando esattamente nello stesso modo di cui era in grado il Soggetto N. 4.

“Ma che cazzo?!” esclamò stupefatto il mutaforma più giovane.

Il padre si allontanò da lui.

“E non solo, ma spara pure!”.

Il giovane fece appena in tempo ad evitare un colpo di vibrazioni soniche alla massima potenza.

“Questa si chiama Vibroshooter”!

Sdraiato dietro ad un muro, ora il mutante capì che non poteva permettersi altro stupore, ma solo contrattaccare. Anche il suo braccio destro mutò e sparò.

Tre missili dalle dimensioni tascabili partirono verso il suo genitore. Ma solo all’ultimo curvarono e si andarono a schiantare contro varia mobilia presente in salotto.

“So che puoi fare di meglio, figliolo!” lo incoraggiò il capofamiglia.

Intanto, il suo braccio cambiò nuovamente aspetto e fece fuoco.

Il proiettile che ne uscì, grande all’incirca quanto un pallone da rugby, esplose dopo pochi centimetri a mezza altezza, rivelando al suo interno una rete, fatta di materiale scuro, che andò ad imprigionare l’eroe.

“Sei sempre più scarso, figliolo”.

Le dimensioni della mano di Andrea si ridussero notevolmente, giusto per far passare la canna creatasi tra i buchi della rete e far conficcare la pallottola sparata, a forma di siringa, nel ginocchio sinistro del suo nemico.

Il signor Alberti andò subito a togliersela tuonando “Che cos’è?”.

“Veleno, particolarmente adatto per chi ha il DNA mutato come noi”.

“C-Cosa?”

Improvvisamente, l’uomo iniziò a barcollare e, nel giro di pochi secondi, crollò sul pavimento.

L’ex-soldato riuscì faticosamente a liberarsi dalla trappola in cui era imprigionato.

“Igor aveva ragione, mio padre non c’è più” bisbigliò, una volta nuovamente in piedi.




“Allora Sara, sei sicura che non sia un problema se anch’io torno per qualche giorno a casa?” chiese nuovamente una Frédérique Arone speranzosa.

“Tranquilla, Frédérique! Questo periodo sembra piuttosto tranquillo” la rassicurò la bionda.

A far da spettatore muto al dialogo, vi era anche Geran Giunan.

La francese lo salutò “Pensaci tu a difendere la villa, gigante”.

“Non preoccuparti, Frédérique. Divertivi” la salutò a sua volta il Soggetto N. 5.


Parigi


La ballerina si sentiva decisamente meglio, ora che tornava ad annusare l’aria di casa. Tornava a camminare sulle vie che l’avevano vista crescere.

Finalmente era davanti al portone del suo condominio, impegnata a cercare disperatamente le chiavi di casa che, subdole, si erano nascoste chissà dove dentro la sua borsetta.

Fortunatamente, qualcuno aprì dall’interno.

“Pierre!” esclamò sorpresa lei.

Il ragazzo, dai capelli castani scuri e gli occhi verdi chiari, fu altrettanto sorpreso di vederla.

“Frédérique! Come stai? Da quanto sei tornata?”.

“Tutto bene e te? Sono appena arrivata!”.

“Bene anch’io, che fai ora di bello?”.

“Beh, ultimamente sto viaggiando parecchio… anzi, perché non ci facciamo una bella passeggiata? Guarda che bel sole che c’è!”.


I due si misero a camminare per le vie della capitale francese. Si conoscevano da tanti anni, abitando nello stesso edificio, e, per qualche mese, fecero anche coppia fissa.

“Tu, piuttosto” riprese il discorso il Soggetto N. 3 “come te la stai cavando?”.

Pierre Cote si strinse nelle spalle “Sai com’è, Frédérique… ci si arrangia…”.

“Sei ancora senza lavoro?”.

“Ogni tanto trovo qualcuno a cui poter dare una mano. Ma sai, questo non è un periodo facile in generale”.

“Lo so, Pierre. Basterebbe solo tu trovassi una ditta che creda in te e ti dia tutto ciò che meriti, come in fondo è capitato a me”.

Lui sorrise malinconico “Quando c’eri tu, tutto era diverso. Le giornate erano più divertenti, più splendenti. E poi, anche a letto…”.

“Quei giorni sono ormai passati, Pierre, lo sai”.

“Sì, ma…”.

Improvvisamente, Pierre si mise le mani nei capelli e si piegò in avanti.

“Che ti succede, Pierre?”.

La mutante controllò subito, tramite la sua vista a raggi x, si vi erano danni all’interno del corpo dell’amico.

L’uomo stringeva forte le sue mani sulle tempie, come a volerle strizzare.

“È che non ci riesco…”

“Non riesci a fare cosa?”.

“Attenta, Frédérique!” udì lei la voce del Soggetto N. 1 “Ha un coltello!”.

Come previsto dal russo, il francese tirò fuori, dall’interno del suo giubbotto scamosciato, un coltello a serramanico e, per pochi centimetri, colpì solo di striscio il suo obiettivo.

Poi venne un lampo rosso e giallo. Pierre Cote fu reso inoffensivo.

Fiù… appena in tempo!” esclamò il Soggetto N. 9, passandosi le dita fra i capelli biondi.

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Capitolo 20
*** Visioni tristi, rapimento e Distopia ***


CAPITOLO 20

Visioni tristi, rapimento e Distopia”




Igor Wansa scappava dalla sua vecchia casa in legno. Dentro di essa, i suoi genitori entrambi morti.

Tutto attorno all’orfano era solo neve siberiana.

“Dove siete?” urlò disperato.


La splendida villa in stile vittoriano ormai dava la nausea al povero Jack Lincon. Il tedio e la depressione ormai la facevano da padrone alle sue giornate.

Di punto in bianco lui urlò “Dove siete?”.


Era il suo cavallo di battaglia. Un passo che non avrebbe mai e poi mai fallito. Ma l’atterraggio di Frédérique Arone da quell’arabesque le spezzò di netto la caviglia sinistra.

Tra le lacrime per quel dolore atroce, lei urlò “Dove siete?”.


Finalmente la guerra era giunta. Suo padre sarebbe stato sicuramente fiero di lui. Almeno finché l’ordigno esplosivo non esplose accanto a Andrea Alberti.

In quel bagliore caldo, lui urlò “Dove siete?”.


Le lamiere del camper iniziavano a farsi bollenti, a causa del calore proveniente dall’esterno. Geran Giunan ci batteva contro le possenti mani mentre veniva bruciato vivo.

Tra l’odore di carne bruciata, lui urlò “Dove siete?”.


Era l’ultima volta in assoluto che chiudeva la serratura del suo prestigioso ristorante cinese. Chang Yu nulla sapeva riguardo le procedure di fallimento.

“Dove siete?” urlò, alzando lo sguardo al cielo.


Il rimbombo ferreo si protrasse per qualche secondo. Quelle sbarre metalliche rigavano il viso e la coscienza di Bernardo Borghi. La galera non era proprio come se l’aspettava.

Afferrandosi a quei cilindri fissi, lui urlò “Dove siete?”.


Lo sfottò ormai si stava facendo decisamente pesante. Gli uomini bianchi maltrattavano così apertamente il povero Juna che, disperato, non replicava.

Poi lui urlò “Dove siete?”.


La vettura roteò in aria più volte, come fosse un aquilone. Finché non ricadde in pista, andando letteralmente in mille pezzi. Come la gamba destra di Johnny Wayne.

Immobilizzato sul lettino da ospedale, lui urlò “Dove siete?”.


All’unisono, tutti e nove i mutanti si tirarono su dal proprio letto. Tutti e nove erano madidi di sudore.

Solo Sara Silvestri sapeva di questo piccolo scherzetto fatto dal suo misterioso capo ai nove membri degli Humana.




“Come? Sei stato rapito?!” sbottò improvvisamente Frédérique Arone.

Sara Silvestri sputò tutto sul tavolo il tè che si stava degustando in quel momento. Dopo qualche colpo di tosse secco, riuscì con fatica a proferire parola.

“Chi è stato rapito?”.

“Igor…”.


“Bello il mio tesoro!” ripeté, per l’ennesima volta, la donna al volante.

Il suo volto poteva ricordare vagamente quello della francese. Ed è stato proprio questo il motivo dell’errore da parte del russo.

Tutto questo veniva rivelato, tramite telepatia, dalla stessa vittima alla ballerina.

“Ora si passa un attimo al supermercato così, se stai buono, ti compro qualche bel videogioco che ti piace tanto!” proseguì la rapitrice.


Negozio di videogame all’interno di un centro commerciale.

Igor si presentò alla cassa, poggiando nel contempo la custodia di un videogame preso nel reparto lì vicino.

“Buona scelta” apprezzò il commesso, mentre passava il codice a barre sul lettore infrarossi.

“Ti interesserebbe un secondo gioco con lo sconto del 10%?” propose sempre il cassiere, cercando di essere il più convincente possibile.

Il Soggetto N. 1 ancora una volta non proferì parola. Allo stesso modo non fece trasparir alcuna emozione dalla sua espressione facciale.

Vedendo l’apatia del bambino, l’altro si rivolse alla presunta madre “Suo figlio non è un gran chiacchierone. Vero, signora?”.

“Ma no! È solo un po’ timido…” replicò lei facendo la civettuola.

“Sarà… comunque grazie per il vostro acquisto!”.

“Grazie a lei. Arrivederci!” salutò la signora.


Nel mezzo di un parco cittadino, l’assurda coppia si appropinquava ad una panchina di colore verde scuro.

“Che bella giornata! Vieni tesoro, sediamoci un po’ qui a riposare!” disse la donna, mentre si stava già sedendo.

Poco più in là, un ragazzino, leggermente più piccolo rispetto al mutante, stava tirando due calci ad un pallone di cuoio.

Allungandosela troppo con il piede d’appoggio, il giovane lisciò completamente la sfera. Nella caduta si sbucciò leggermente il ginocchio destro.

“Ahia!”

Preoccupata, la donna si avvicinò immediatamente.

“No piccolino no! Non è niente, guarda!” lo tranquillizzava, mentre gli ripuliva delicatamente il ginocchio ferito dalla polvere.

“Sono al parco cittadino vicino casa…” proseguiva nel suo riassunto mentale “Ma non credo sia malvagia, io rimango ancora un po’ con lei”.


“Come sarebbe a dire “rimango ancora un po’ con lei”? Scappa ora che è distratta e, quando ti sei allontanano abbastanza, avvisa la polizia!” lo rimproverò infuriata Frédérique.

“No, aspetta” la bloccò Sara “se chiama la polizia si verrebbe a conoscenza degli Humana, ed è una cosa che ora non possiamo proprio permetterci!”.

“E allora cosa facciamo?”.

“Per il momento lasciamo fare e, intanto, avviso anche tutti gli altri!”.


Qualche ora dopo, in tre in rosso e giallo si presentarono nel medesimo parco.

“Magari sono quelli dello Spettro Bianco?” propose Chang.

“Dici?” lo guardò dubbioso Johnny.

“Beh, la mia è solo un’ipotesi…”.

Seduta sulla panchina, Arone era più disperata che mai “Se solo quella stronza non fosse stata così somigliante a me”.

“Non ho ancora avuto altro contatto da Igor” comunicò tramite cellulare Silvestri.

“Spero che non gli sia accaduto nulla per colpa mia…” insistette il Soggetto N. 3.

“Non dire così, Frédérique” la consolò il Soggetto N. 9, poggiandole una mano sulla spalla.

“Infatti” confermò Yu “Igor non è un ragazzino come tutti gli altri. Se le cose si mettessero davvero male, sono certo che ci farebbe sapere all’istante dove si trova!”.


Villetta a schiera in piena periferia.

Dopo un clangore di chiavi dentro la serratura, la donna e il piccolo mutante entrarono dentro l’ampio ingresso, accedendo la luce.

“Eccoci a casa, tesoro!” esclamò esausta la donna, con due buste della spesa penzolanti da entrambe le mani “Tempo cinque minuti, e mi metto subito a preparare la cena!”.

Fu in quel momento di debolezza fisica, che il telepate riuscì alla meglio a penetrare nella psiche della sconosciuta.


Lei felice, seppur stanca, sdraiata su di un letto d’ospedale. Al suo fianco, un uomo con in braccio un neonato ben infagottato.

Lei a casa da sola con il bambino nella culla.

Il bambino che, forse affamato, piange sempre più forte. Un pianto sempre più acuto e fastidioso.

Lei che afferra un coltello da cucina tagliente.

Una bara bianca.

Una scritta stampata su un referto medico: Depressione post partum.

Lei che, alla guida della stessa auto di prima, vede lo stesso Igor camminare tranquillo nella strada che porta al quartier generale degli Humana.


Seduti sulla panchina del parco cittadino, il trio era ancora in attesa, sebbene il sole fosse del tutto calato e l’oscurità la faceva ormai da padrona.

“Queste zanzare mi stanno divorando come un raviolo ripieno!” cercò di sdrammatizzare il Soggetto N. 6, mentre gli insetti lo stavano davvero prendendo di mira.

Di colpo, il Soggetto N. 3 si tirò su in piedi.

“Hai sentito l’indirizzo, Johnny?”.

“Assolutamente sì!” appena finita la frase, il Soggetto N. 9 era già sparito.


Il velocista era già in direzione della stazione di polizia più vicina. Rimanendo in incognito, facendo vibrare le molecole del suo viso, diede tutte le informazioni utili possibili agli agenti presenti.

“M-Ma chi d-diavolo sei?” balbettò terrorizzato uno di loro.


Nel mentre, ai giardinetti, una esile e giovane figura si avvicinava lentamente alla coppia in rosso e giallo.

“Igor!” Frédérique gli si tuffò addosso, per poi stringerlo forte in un abbraccio.

“Quella donna ora è in pace con sé stessa” le sussurrò all’orecchio Wansa, mentre una lacrima solitaria gli scendeva su una guancia.




Un muro gigantesco. Che lo si guardasse in senso verticale oppure in senso orizzontale, realmente non ne si vedeva la fine.

Ma questa imponente barriera non arginò di certo gli Humana. Appena comparsi dall’ennesimo bagliore luminoso, si trovarono nel bel mezzo di un tumulto.

Uomini che parevano della specie di tutori dell’ordine, il cui viso era completamente coperto da una maschera nera, caricavano dei giovani ragazzi disarmati. Al contrario, i primi afferravano saldamente nelle loro mani degli scuri manganelli.

Per tutta risposta, il Soggetto N. 9 partì a gran velocità e iniziò a colpirne il più possibile. Il Soggetto N. 6 sputò una fiammata contro una coppia di loro. Il Soggetto N. 2 ne fece volare letteralmente un altro. Il Soggetto N. 8 si immerse in un laghetto lì nelle vicinanze, portandosi con sé un poliziotto. Il Soggetto N. 3 difendeva Il Soggetto N. 1 con i raggi laser provenienti dai suoi occhi. Il Soggetto N. 7 si era trasformato in una camionetta e caricava a testa bassa ognuno degli uomini in divisa. Una camionetta simile a quella che Il Soggetto N. 5 stava sollevando per poi lanciarla via. Infine, Il Soggetto N. 4 rispondeva al fuoco utilizzando un moschetto che sparava proiettili esplosivi.


Johnny Wayne corse in verticale su di un muro per poi fermarsi sul corrimano di un terrazzo ed osservare tutto quel nuovo scenario dall’alto.

“Ma dove siamo finiti questa volta?” chiese al vento.

I ragazzi sotto di lui lo festeggiavano, insieme agli altri uomini in rosso e giallo.

“Gli ultimi due se la danno in ritirata!” lo informò, indicandoglieli, Jack Lincon che planava accanto a lui.

I due fuggitivi fecero appena in tempo a passare attraverso un’entrata, posta sempre nel muro gigantesco, che poi si richiuse dietro le loro schiene.

Chang Yu si avvicinò a tale porta.

“Ci penserò io con la mia fiamma!” esclamò convinto.

Dopo un minuto di attacco calorifero, la parete non parve minimamente scalfita.

“Provo io…”.

Geran Giunan assestò un poderoso pugno alla lamiera, tanto da crearci fin da subito un buco circolare contornato da svariate crepe.

Nel mentre, anche tutto il resto dei mutanti li aveva raggiunti.

“E io che ci avevo messo tutto il mio fiato…” si rattrista il cinese.

Uno dei ragazzi si avvicina al gruppo “Chi siete voi?”.

Il ragazzo, vestito con una tutta integrale di colore argento, aveva i capelli scuri tranne per una striscia bionda che, come fosse un’aureola divina, gli segnava con precisione millimetrica la circonferenza del capo.

“Chi sei, tu? Piuttosto!” controbatté l’americano.

“Calmati, Johnny” lo redarguì Sara “scusaci ragazzo, puoi dirci dove ci troviamo?”.

“Questa città si chiama Distopia, come fate a non conoscerla?”.

“È una storia lunga… tu come ti chiami?”.

“Mi chiamo Zyx”.

“Zyx… e poi?” insistette la bionda.

“Poi cosa?”.

“Non hai un cognome?”.

“Cos’è un cognome?”.

“Tipo… un altro nome”.

“Qui tutti hanno un solo nome, composto da tre lettere. A breve poi inizieranno a mandarci quelli con quattro lettere”.

“Ma cosa? Chi è che vi manderebbe queste persone?”.

“Quelli al di là del muro”.

“E chi sono?”.

“Gli adulti”.

L’italiana fu spiazzata da quella rivelazione.

“Sono loro che hanno costruito questo muro?” prese la parola l’altra donna.

“Esatto. Anzi, a dirla tutta, molti di voi non dovrebbero nemmeno essere qui…” Zyx indicò improvvisamente il russo “Solo lui potrebbe”.

“Che vuoi dire?” proseguì la ballerina.

“Una volta raggiunti i diciotto anni, noi tutti siamo obbligati a passare dall’altra parte del muro. Quello stesso muro che ora voi avete danneggiato…”.

“Pensi che sia così grave?” domandò la bionda.

“Non sarò io a deciderlo. Questo è un compito che spetta agli Avvocabot provenienti dalla Zona di Legge”.

“Ah beh… tanto chi ha fatto il danno maggiore è stato Geran…” ricordò l’italiano.

L’indiano lo fissò minaccioso.

“Ascoltami” gli si parò davanti il velocista “non c’è un posto, in questo assurdo paese, dove potremo meglio mescolarci tra la folla?”.

Zyx ci rifletté attentamente.

“L’unica possibilità è allo stadio del Gameball…”.


Non avendo ulteriori alternative valide, tutti gli Humana seguirono l’indigeno, trovandosi incredibilmente in quello che, a tutti gli effetti, poteva ricordare uno stadio da calcio.

“… E quello è uno dei più grandi campioni di Gameball: Raw” concluse Zyx, indicandogli uno dei giocatori in campo

“Curioso…” osservò Wayne, mentre seguiva le varie fasi di gioco “In certe regole mi ricorda il football…”.

“Però il campo in erba è decisamente da calcio” ricordò Juna.

“E certe regole sono come nel basket…” aggiunse Yu.

“Io continuo a preferire la lucha libre!” tagliò corto Borghi.

“E c’è anche qualcosa della pallavolo” sentenziò Arone.

“Che noia!” proruppe annoiato Alberti.

“Sono d’accordo con te, amico mio” concordò Lincon.

Wansa si fece rapidamente nervoso “Dobbiamo andarcene di qui!”.

“Che succede, Soggetto N. 1?” richiese spiegazioni Silvestri.

“Stanno venendo a prenderci…”.


Lentamente, dal cielo, iniziarono a calare degli strani veicoli. Dalla forma, parevano per assurdo degli ascensori spaziali.

Gli Humana stavano già evacuando l’impianto sportivo.

“Qui è meglio darsi alla fuga!” nel dubbio, il mutaforma aveva già assunto sembianze femminili.

Frédérique, mentre fuggiva, li osservò per qualche secondo.

“Dentro sono pieni di agenti come quelli di prima!”.

Appena uno di quei cosi atterrava e apriva gli sportelli, Johnny partì a razzo e iniziò a fare piazza pulita di chiunque vi si trovasse all’interno.

“Questi bastardi ci stanno dando la caccia!” urlò Andrea, mentre il suo braccio destro si tramutava in una pistola lancia dardi paralizzanti.

Zyx, che gli si era fatto vicino, consigliò a loro “Vi rimane una sola cosa da fare…”.

“Cosa?”.

“Passare dall’altra parte! Le autorità vi cercano perché siete adulti nel lato dei minorenni. Per quanto ne so, sono talmente idioti che, una volta dall’altra parte, non vi creeranno problemi!”.

Sara ci pensò un attimo.

Poi ordinò “Facciamo come dice lui. Soggetto N. 4, sfonda quel muro!”.

“Con piacere!” il suo connazionale si era già inginocchiato per tenere più stabile, sulla sua spalla, la mano destra mutata in un bazooka.

“Vai pure Andrea, dietro lì non c’è nessuno!” lo informò la francese.

Il colpo fu preciso e la breccia grande abbastanza per fare passare ognuno di loro.


Come al solito, il più rapido a varcare la soglia fu l’americano che, una volta fermatosi dall’altra parte, rimase sbigottito.

“È incredibile…”.

Due metropoli, posizionate esattamente a specchio, una sopra all’altra. Le cime dei grattacieli, presenti su entrambi i versanti, parevano quasi toccarsi.

Nel giro di pochi minuti, tutti i mutanti erano passati dall’altra parte. L’unico fu Geran che, visto la sua mole, con la forza bruta dovete allargare leggermente il passaggio.

Nessuno dei presenti proferiva parola, rimanendo incantati davanti a quell’incredibile capolavoro di architettura. Davanti ai loro occhi, l’impossibile stava accadendo.

“E ora che facciamo?” Juna ruppe l’incanto sui compagni.

“Ah beh… non so voi, ma in questi casi io mi nascondo in qualche vicolo buio finché non si calmano le acque…” suggerì Bernardo.

“Buona idea!” acconsentì Silvestri “Humana, dileguiamoci!”.


Un vicolo stretto e mal iluminato fu proprio quello che i tizi in rosso e giallo trovarono.

Mentre riprendeva fiato, Chang notò una mancanza “un attimo, dov’è finito il giovane che ci accompagnava?”.

“È rimasto dall’altra parte, forse non si riteneva ancora pronto al mondo degli adulti…” ipotizzò Jack.

“Benvenuti…”.

Un’improvvisa voce metallica fece sobbalzare tutti i presenti, già tesi come corde di violino.

Incredibilmente un ologramma, dalla forma umana e derivato da una luce bluastra, li stava accogliendo a braccia aperte.

“Non abbiate paura, qui siete i benvenuti” l’uomo, o meglio colui che veniva rappresentato, indossava una sorta di tunica futuristica, aveva una lunga barba bianca che gli scendeva sul petto e la testa completamente pelata.

“Chi sei tu?” chiese il Soggetto N. 3 alla rappresentazione immateriale.

“Il mio nome è Ald. O meglio, lo era. La via in cui vi trovate attualmente è dedicata proprio a me”.

I dieci si guardarono attorno, come a controllare che ciò corrispondesse a verità.

“Anni fa, fui un famoso astrologo di Distopia” proseguì l’essere.

“Vuoi dire che ora sei… defunto?” domandò il Soggetto N. 6, incuriosito.

“Esattamente ma, non siatene sorpresi! Da un po’ di anni a questa parte, qui a Distopia è stato deciso che, oltre ad affidare ad una via il nome di un grande personaggio, in essa venga istallato un proiettore olografico dedicato proprio a tale personalità”.

“Tutto ciò è assurdo!” era sbigottito il Soggetto N. 7.

“Quindi possiamo interloquire con te su qualsiasi argomento?” ipotizzò il Soggetto N. 2.

“Più o meno” tentennò Ald “ricordatevi che state comunque interfacciandovi con una memoria artificiale”.

“Ma allora forse tu puoi darci una mano nel capire come tornare a casa!” gli scattò vicino il Soggetto N. 9, quasi ad aggredirlo.

“Cosa intendi, figliuolo?”.

“Saggio Ald, noi proveniamo da un’altra epoca, forse da un altro mondo” gli spiegò il Soggetto N. 8 “l’unica cosa che sappiamo è che, improvvisamente, una luce abbagliante ci avvolge tutti, per poi farci trovare in mondi a noi sconosciuti”.

“Decisamente un fenomeno inspiegabile, a meno che…”.

Un forte rumore, proveniente dalla via principale, attirò l’attenzione dei presenti.

“Jack!” lo chiamò il Soggetto N. 4 “Controlla che non ci siano problemi attorno”.

Il Soggetto N. 2 obbedì silenzioso, spiccando il volo.

Questa volta fu il turno dell’indigeno di rimanere allibito “Oh sacro Det! Ma voi siete esseri superiori!”.

Nessuno degli Humana si decise a rispondere.

“Questo allora cambia decisamente le cose!”

“Come?” chiese Sara.

“Vedete, fin da quando ero in vita, i più grandi scienziati di Distopia ipotizzavano l’esistenza di varchi intradimensionali, in grado dunque di varcare lo spazio e il tempo…”.

Il dandy discese in silenzio, per non interrompere l’astrologo.

“Però certe teorie non furono approvate dalla maggioranza della popolazione, troppo semplice e bigotta. In particolare perché noi stessi ipotizzammo che solo degli essere superiori, ossia come voi, che io suppongo dotati di straordinari poteri, potessero essere in grado di affrontare tali anomalie della natura…”.

“Ma come possiamo controllare questi varchi?” lo interruppe il Soggetto N. 1.

“Per far ciò, ci vogliono per lo meno due fattori” spiegò Ald “un fattore che individua il varco e uno che lo attiva”.

Si rifece avanti Arone “Per quanto riguarda l’individuarlo, io sono, diciamo, un’ottima osservatrice… ma per attivarlo cosa dobbiamo fare?”.

“Per quello bisogna accelerare il più possibile le particelle che lo compongono, trasmutando la materia”.

“Accelerare?” si esaltò Wayne “Non c’è problema, accelerare è il mio mestiere!”.

Mentre degli enormi soldati robot si stavano avvicinando pericolosamente agli Humana, il piano fu messo velocemente in atto.

L’ologramma blu osservò ammirato i dieci viaggiatori ripartire nella loro odissea infinita.

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Capitolo 21
*** 8 storie ***


CAPITOLO 21

8 storie”




Una moltitudine di lapidi, delle più svariate forme e colori, schierate su una grande porzione di metri quadrati. Attorno ad esse, mura solide per proteggere la giusta pace delle persone che vi riposavano.

“Berny, si può sapere cosa ci facciamo in un cimitero?” domandò spazientito Johnny Wayne.

“Ehi! Me l’hai chiesto tu, no? Per me questo è il luogo migliore dove poter godere di un po’ di tranquillità” replicò stizzito Bernardo Borghi.

“Certo… ma non intendevo l’essere circondato da morti!”.

“Perché? In un cimitero cosa pensavi di trovarci?”.

“Ma io non ci volevo proprio venire in un cimitero!”.

“Che hai paura dei fantasmi? Guarda piuttosto quel ragazzino. È da solo eppure mi sembra bello tranquillo”.

Nel dire ciò, il messicano indicò un bambino, di circa 12 anni, vestito con una maglietta verde sbiadita e dei jeans scuciti, che si aggirava sperduto tra le lapidi.

“A me sembra piuttosto spaesato...” si preoccupò l’americano “andiamo a sentire se ha bisogno di un aiuto”.

I due mutanti si avvicinarono al giovane che, di rimando, li fissò sorpreso.

“Ciao amico, ti serve una mano?” lo salutò il biondo.

“Sto cercando una tomba...” replicò tranquillo.

“Beh, direi che sei nel posto giusto!” cercò di non essere eccessivamente ironico il baffuto “Ti ricordi per caso il nome scritto sulla tomba?”

“Non so”.

“Non te lo ricordi o non sei sicuro?” proseguì Johnny.

“Non so”.

“Facciamo così: iniziamo dal principio! Era un uomo o una donna?” domandò Bernardo.

“Un uomo”.

“Oh, bene! Non ti ricordi il suo nome?”.

Il ragazzino rimase muto.

“Magari un soprannome… oppure l’iniziale?”.

Nel mentre, delle nuvole scure di pioggia si misero a copertura del sole. Un tuono rimbombò sopra tutto il camposanto.

“Fidati di noi, ragazzo” lo tranquillizzò il velocista “mi basta anche solo un indizio e sono in grado di trovartela in un attimo!”.

Il giovane erano ancora piuttosto titubante “R-Ricordo che c’era un albero...”.

Altro tuono.

“Perfetto!” esultò incautamente il mutaforma “Quanti alberi ci saranno mai in questo cimitero?!”.

“Ok, vado e torno!”.

Il pilota di Formula 1 sfrecciò come una delle sue monoposto. Tempo pochi secondi e fu di ritorno.

“Credo proprio di averla trovata! È… dov’è andato il bimbo?”,

Borghi si voltò verso lo spazio vuoto alla sua sinistra, dove fino ad allora era stato il ragazzo senza nome.


Al limitare del sepolcreto, vicino al tronco di un giovane olmo, vi era un semplice sepolcro. Sulla terra scura era conficcata una croce bianca in legno. Su di essa un’incisione:


Al nostro adorato figlio

che adorava riposare sotto gli alberi




In quella zona di mondo le nevi era realmente perenni. Le temperature difficilmente superavano i -40° C. Nessuno poteva vivere in quelle condizioni così estreme. Eppure...


un‘automobile, attrezzata di tutto punto per non temere quelle avversità, stava procedendo lentamente la neve ghiacciata presente al suolo.

“”Ma è possibile che, per una volta che ci mandano in missione all’estero, dobbiamo ritrovarci sempre nei posti più inospitali che ci siano al mondo!” non abituato a certe velocità talmente rallentate, il nervosismo di Johnny Wayne raggiungeva vette ben più elevate di quelle rocciose che li sovrastavano.

Seduto al sedile del passeggero, Chang Yu si godeva beatamente la gita fuori porto.

“Non arrabbiarti Johhny, non ti fa bene alla salute. Poi lo sai com’è fatta Sara: appena vengono rivelate delle attività inusuali, ci manda subito ad indagare”.

“Lo so! A quanto pare ci ha preso tutti per una banda di investigatori dilettanti!”.

“Magari troviamo qualche locanda pittoresca del posto, dove preparano dei piatti squisiti e poco conosciuti...”.

“Locanda? Ma non lo vedi che siamo circondati dal nulla assoluto!”.

“I miei occhi ci vedono benissimo, Onorevole Johnny. Forse sono i tuoi che, annebbiati dalla collera, non hanno notato quell’abitazione sulla sinistra.”

Di fatti, poco più avanti al loro percorso, era comparsa dal nulla una casa a due piani. Tutto l’edificio era fabbricato in legno, con il tetto in paglia secca.


Una volta parcheggiato di fronte alla costruzione, la coppia di mutanti scese e, entrambi infagottati nei rispettivi giubbotti termici, si presentò davanti alla porta d’ingresso.

Il cinese bussò con garbo. dall’altra parte della soglia, nessuno rispose.

Evitando che il compagno ripetesse tale azione, l’americano afferrò la maniglia e spinse. l’uscio era già aperto.

Guardinghi più che mai, i due entrarono silenziosamente dentro.

“Pare non vi sia nessuno...” azzardò il Soggetto N. 6.

“Ehilà!” urlò di colpo il Soggetto N. 9, spaventando anche l’altro tipo in rosso e giallo.

L’eco si propagò per tutta la casa, praticamente vuota. Nessuna risposta.

D’un tratto, il pavimento iniziò a tremare.

“Direi che quell’urlo era decisamente da evitare...” lo riprese Chang, reggendosi allo stipite che aveva più vicino.

“Oh dai! Non crederai davvero che, con un semplice grido, io posso aver provocato un’intera valanga?” si difese Johnny.

Dall’esterno, un rumore di confusione aumentava sempre il proprio frastuono.

“A me pare proprio così...” sempre più tremolante l’asiatico.

Con gli occhi sempre più sbarrati dalla sorpresa, il velocista afferrò l’altro per le spalle.

“Reggiti forte, Chang!”.

Afferrandolo stretto per il giaccone, lo statunitense portò fuori l’amico in un lampo.

La valanga, tanto temuta, sotterrò quasi l’edificio. Ma non i nostri eroi.

“Vedi, Johnny...” spiegò con una calma olimpica il cinese “in certe zone innevate, basta anche un rumore leggermente più forte di quelli naturali che, a causa della natura instabile della neve, d’altronde stiamo comunque parlando di semplice acqua, si può facilmente provocare una valanga come quella di poc’anzi...”.

“Piantala, Chang! Ora non ti vorrai mica mettere a farmi la lezione di storia naturale!” sbottò furioso l’americano “Qualunque cosa sia stata, l’importante è che ci siamo salvati!”.

“Perdonatemi, ma non potevo fare altrimenti.”.

Quella voce, così lieve e così sottile, spiazzò i due mutanti, che si voltarono lentamente.

Una donna alta, dalla carnagione pallida come il kimono che indossava, li stava fissando seria. A spezzare tutto quel candore, vi erano soltanto i capelli corvini di lei che, nella loro notevole lunghezza, ricadevano su tutto il suo abito.

“Qui da noi viene chiamata punizione del muro di ghiaccio” concluse.

“E tu chi sei?” chiese il biondo.

“Non mi occorre un nome, tutti mi conoscono come la Principessa del Ghiaccio”.

“Yuki onna…” sussurrò quasi l’asiatico.

Lei si voltò, piegando la bocca in un mezzo sorriso “Esatto. Sono conosciuta anche così”.

“Continuo a non capire…” il velocista si grattava il capo.

La Principessa sbuffò leggermente. Appena alzato il suo braccio destro, dalla mano aperta fu sparato un raggio congelante che colpì il mutante confuso.

L’altro tizio in rosso e giallo fissava divertito il suo compagno, ridotto ora ad una bella statua di ghiaccio.

“Ora hai capito?”.

Evitando di attendere una risposta che non sarebbe mai arrivata, il Soggetto N. 6 utilizzò un soffio termico ben calibrato per riportare alla mobilità l’amico.

“Cazzo! Questa non me l’aspettavo davvero!” esclamò tremante l’uomo scongelato.

“Se volete” riprese la parola la criocinetica “per oggi potrete essere nostri ospiti”.

“Perché “nostri”?” si girò incuriosito il pirocinetico.


Entrati attraverso un’apertura ben nascosta dai ghiacci, il trio si ritrovò dentro a quello che, a tutti li effetti, pareva l'enorme salone di un palazzo reale.

Su un piano rialzato attaccato ad una delle pareti ghiacciate, erano poggiati due maestosi troni, ovviamente anch’essi composti dal ghiaccio più lucente.

Nelle vicinanze di uno di quelli, un uomo enorme, con possenti muscoli forgiati nel ghiaccio, li fissava con i suoi occhi totalmente scuri, sormontanti da stallatiti puntati verso l’alto a fargli da capigliatura.

Notata tale presenza, la donna delle nevi si rivolse agli ospiti.

“Lui è mio marito, il Principe del Ghiaccio”.

Wayne gli restituì lo sguardo torvo “Non sembra molto loquace”.

“Non ha mai parlato”.

“Ricordo di aver letto leggende in cui le yuki onna sposano invece un essere umano” esclamò sorpreso Yu.

“Sì, beh...” la Principessa del Ghiaccio titubò “quella è storia passata...”.

Il padrone di casa, sempre silente, indicò imperioso la lunga tavola ghiacciata al centro della sala.

La donna annuì servile, poi si rivolse nuovamente ai mutanti.

“Vogliate gentilmente accomodarvi al tavolo per la cena”.

“Molto volentieri!” si esaltò il cuoco “Cominciavo ad avere un certo languorino!”.

I quattro personaggi si sedettero, prendendo posto ognuno a un relativo lato del rettangolo apparecchiato.

Una volta accomodati, sulla spalla destra della Principessa comparve una donna minuscola, dall’altezza di una ventina di centimetri circa, anch’essa ghiacciata come gli altri due, che le sussurrò “Mia signora, la informo che la cena è pronta”.

“Ti ringrazio, Grandine” replicò lei “Fai pure servire il pasto”.

La cena, in quell’ambiente così particolare ed esclusivo, passò in maniera decisamente piacevole. Gustando uno squisito, e inaspettato, stufato di renna, gli Humana poterono così stringere un’importante nuova alleanza.




Un fulmine rosso e giallo fece il suo ingresso nella villa/quartier generale.

“Buongiorno a tutti!” salutò il Soggetto N. 9, appena rallentò.

Davanti a sé, ad occupare una parte del tavolo usato anche per i pasti, il Soggetto N. 1 era impegnato con l’esecuzione di compiti scolastici impostigli dal gruppo.

Ma la cosa che sorprese il biondo fu che, a dare una mano didattica al ragazzino, non vi era la solita Soggetto N. 3, ma bensì Sara Silvestri.

“Dov’è Frédérique?” chiese lui.

“Oggi è arrivata sua sorella da Parigi, sono su in camera di Frédérique” gli rispose la bionda, senza nemmeno alzare la testa dal quaderno del suo studente.


Nella camera della francese, le due sorelle non davano riposo alle proprie voci, raccontandosi tutto quello che passava loro per la mente.

“… Ogni volta che ti vedo sei sempre più grande!” si complimentò la sorella maggiore.

“Figurati! Non mi sembra vero che sono potuta venire nel tuo luogo di lavoro!” le sorrise di rimando la sorella minore, seduta sul letto, con le gambe tenute piegate al suo petto dalle sue braccia.

Fu proprio grazie a quella posizione che la mutante poté notare, ai polsi dell’ospite, dei braccialetti del tutto simili a delle catene.

“Come mai quelle catene?”.

“A dir la verità non c’è un motivo preciso, ma so che in un vecchio anime si allenano così delle giocatrici di pallavolo”.

“Che scema che sei! E sarebbe per questo? Ma poi da quanto segui gli anime?”.

“Beh...” Sophie si fece rossa in viso “da quando frequento un ragazzo...”.

L’altra balzò seduta dalla posizione semisdraita in cui era.

“Cosa?! Davvero?! E chi è?”.

“Lui ecco… è… thailandese”.

“Ma è inconcepibile tutto ciò! Così porterei il disonore nella nostra onorata famiglia!” la ballerina imitò la falsa scandalizzata.

La pallavolista sbuffò in una risata “Vaffanculo! Comunque si chiama Ii Cha”.

“E come vi siete conosciuti?” le si avvicinò ulteriormente, tenendosi il viso tra le mani.


Al piano inferiore, un nuovo membro della squadra fece il suo ingresso nel salotto.

“Stasera mangiamo cinese!” annunciò felice il Soggetto N. 6.

“Wow! Siamo in vena di grandi novità oggi…” ironizzò lo statunitense.


Come prevede la buona educazione, gli Humana invitarono la sorella della loro compagna a rimanere a pranzo con loro.

La ragazza accettò all’istante.


“Quindi sei anche tu una sportiva come me, Sophie!” intavolò un discorso il pilota di Formula 1.

“Esatto!”.

“Che sport pratichi?” domandò il cuoco.

“Pallavolo”.

“Come sta andando?” riprese l’altro.

“Molto bene! Tra qualche giorno abbiamo la finale per il campionato nazionale juniores!”

“Allora verremo tutti a fare il tifo per te!” esultò la sorellona Arone.


Ogni promessa va mantenuta. Il giorno della finale, tutti gli Humana, compresa Sara Silvestri, erano schierati sugli spalti del palazzetto che la ospitava, striscioni compresi.

La gioia instillata nel cuore dalla visita a sua sorella portò Sophie a disputare una straordinaria partita. Il risultato finale fu una vittoria schiacciante per 3 set a 0.




Columbia Britannica


Tornato al suo accampamento indiano d’origine, il Soggetto N. 5 riconobbe subito il tipì che stava cercando.

Appena entrato nella tenda, vide subito accovacciata una persona. Seduto per terra, a gambe incrociate, il capo indiano stava con la schiena dritta e gli occhi chiusi.

La cosa che saltava immediatamente all’occhio, del suo abbigliamento infine tipico dei nativi d’America, era la testa di serpente poggiata sopra la sua testa umana.

Il rettile ti fissava come se, nonostante il suo attuale stato di cadavere, la sua letalità non fosse scomparsa.

“Grande capo Serpente Pazzo” esordì il mutante “come vedi, ho risposto alla tua chiamata. Posso saperne il motivo?”.

Per qualche secondo, l’interpellato non rispose. Poi spalancò gli occhi.

“Ci attende una difficile caccia” proruppe.

“Chi sarà la nostra preda?”.

“Un essere malvagio”.

“Cosa ha fatto questo essere di così malvagio?”.

“Alcuni dei nostri, una sera, lo hanno visto abbattere una decina dei nostri cavalli. Quel mostro succhiava via il loro sangue con le zanne”.

“Siamo sicuri di questa affermazione?”.

“Purtroppo sì. Geran, abbiamo bisogno del tuo aiuto per catturare questo mostro” concluse solenne Serpente Pazzo.

L’energumeno ci riflette su.

“Da quando sono con i miei nuovi compagni, tra le tante assurdità che ho visto con i miei stessi occhi, sono venuto a conoscenza di una strana creatura che potrebbe essere proprio ciò che andremo a cacciare: i visi pallidi lo chiamano Chupacabra”.

“Qui non avrai i tuoi compagni a coprirti le spalle. Cosa hai deciso, possente Geran?” gli domandò il grande capo.

“Potete contare sul mio spirito”.

Sul viso del richiedente si dipinse un sorriso inquietante. Improvvisamente, scattò in piedi e, uscendo dal tipì, iniziò ad urlare e danzare di gioia, nel classico stile pellerossa, coinvolgendo con sé tutta la tribù.


Quella sera stessa, la trappola era stata messa in atto.

Come esca, era pronta al sacrificio una giovane giumenta dal manto bianco, lasciata legata ad un palo di legno conficcato nel terreno.

Acquattati e ben nascosti dietro a degli alti cespugli, vi erano Giunan, Serpente Pazzo e altri due membri della tribù Shoshoni.

Per ore, non accadde assolutamente nulla. Sdraia al suolo, la cavalla si stava appisolando, così come gli essere umani che la scrutavano in segreto.

A un certo punto, l’equino balzò in posizione eretta. Gli indiani tornarono pienamente vigili e pronti all’azione.

Nonostante la naturale oscurità, si vide avvicinare qualcosa. La taglia era quella di un cucciolo di orso. La luna emetteva dei bagliori riflettendo su quelli che, allineati su tutta la sua schiena, parevano degli aculei.

“Tenetevi pronti” bisbigliò il capo.

L’essere, seppur guardingo, si avvicinava a scatti alla preda. Quest’ultima, percependo l’avvicinarsi della minaccia, scalciava come un’ossessa.

“Aspettiamo che attacchi. Dobbiamo avere la conferma certa che sia lui la causa delle nostre perdite” comandò il mutante.

Appena detto, la creatura balzò in groppa alla cavalla e, come i vampiri europei, la addentò selvaggiamente al collo.

Fu questo il segnale per far scattare i quattro. Le urla di battaglia fecero voltare il mostro, a cui luccicarono gli occhi dalla rabbia.

Prima che l’animale cadde a terra esanime, il Chupacabra balzò di nuovo, questa volta atterrando sul collo di uno degli altri due pellerossa.

Come fatto con il quadrupede, anche il bipede fu azzannato al collo.

Mentre il sangue spruzzava fuori dalla ferita mortale, Serpente Pazzo gli si avventò contro impugnando il suo tomahawk. Il fendente tagliò soltanto l’aria.

La creatura si era lanciata, sorvolando la testa del capo indiano, contro una nuova vittima umana.

Solo che, questa volta, a venire morso fu il Soggetto N. 5.

In realtà, quello si rivelò infine soltanto un tentativo di morso. Le zanne, a contatto con la pelle indistruttibile del colosso, si spezzarono di netto.

Dopo qualche attimo di incredulità per l’accaduto, il Chupacabra iniziò a guaire come un coyote ferito.

Gli altri pellerossa posarono le armi. Mentre il terzo membro andò a constatare la morte del loro compagno, il capo si avvicinò a Giunan.

Questo teneva la preda sospesa in aria stretta per i suoi aculei, come si fa con un gatto e la sua collottola.

“Che vuoi farne di lui, Geran? Vuoi che ci occupiamo noi di rendere il suo spirito a Manitù? Oppure so anche di un certo Marco Oliveira, un calciatore brasiliano, che adora questo genere di trofei”.

“Vedo che il tuo ritorno tra il mondo dei vivi ti sta creando nuove conoscenze, Grande Capo Serpente Pazzo” era compiaciuto il nerboruto “ma, se per voi non è un disturbo, darò questo scherzo di natura ad un mio conoscente, di nome Benjamin Luhan”.

“Gli Shoshoni ti saranno eternamente grati, possente Geran!”.

E subito si esibì in una nuova danza tribale, questa volta per festeggiare una nuova incredibile vittoria.




Nel 1977 fu girato, nella suggestiva montagna Torre del Diavolo sita nello stato americano del Wyoming, la pellicola fantascientifica intitolata “Incontri ravvicinati del terzo tipo”. Regia di Steven Spielberg.

Nessuno avrebbe mai creduto che tale film sarebbe diventato una previsione verso il futuro.


“Forse a prendere due passeggeri con me ho un po’ esagerato…”.

Questo pensava il Soggetto N. 9 mentre, sfrecciando a piedi, come suo solito a grande velocità, teneva stretto con un braccio il Soggetto N. 3 e con l’altro il Soggetto N. 1.

nel contempo, gli altri due stavano ben stretti al velocista, con gli occhi chiusi per evitare anche solo il contatto visivo con quel mondo così rapido.

In pochi minuti, la meta fu raggiunta. Con due mutanti su tre ancora traballanti, ora il trio aveva di fronte proprio quel monumento naturale.

“Dunque Igor mi confermi che l’obiettivo è questo?” chiese l’americano.

“Confermo, Johnny” rispose il russo.

“Non… ci… credo…” sillabò ad occhi spalancati la francese.

“Che succede, Frédérique?” domandò il biondo.

“Ho visto cosa c’è lassù in cima…”.

“Non sapevo ci fosse qualcosa sopra il monte Torre del diavolo”.

“E noi come facciamo a salire fino sulla vetta?”.

In risposta al ragazzino, i loro sei piedi si sollevarono improvvisamente da terra.

“Ma che ca…” imprecò lo statunitense.

“Lo stai facendo tu, Igor?” ipotizzò spaventata Frédérique.

“Assolutamente no!” il telepate era altrettanto terrorizzato “Non ce la farei mai a sollevarci così tutti e tre insieme!”.

Il terzetto in rosso e giallo saliva sempre più in altezza. I loro occhi fissavano la parete rocciosa graffiata che gli scorreva davanti. D’un tratto, la parete finì.

“Non è possibile…” anche Johnny rimase spiazzato.

Adagiata sulla sommità piatta della montagna, li stava attendendo quella che a tutti gli effetti pareva un’astronave.

Nuovamente in grado di muoversi, gli Humana tentennarono su come precedere.

“Ora che facciamo?” Wansa cercavo l’aiuto degli adulti.

“Ho una strana sensazione…” informò gli altri Arone.

“Tutto è strano da quando siamo in questo gruppo!” esclamò Wayne.

Accompagnato da un leggero sibilo, una rampa comparve dalla parte inferiore del velivolo e si andò a poggiare sul terreno polveroso.

I tre si misero in posizione di attacco.

Con passi lenti e felpati, qualcuno scese giù. La sua forma era del tutto umanoide, se non fosse per il volto che ricordava quello di uno smilodonte. Gli abiti ricordavano quelli di un nobile lord. I suoi occhi totalmente rossi fissavano impassibili i tre mutanti.

“Perdonatemi per l’attesa…”.

“Merda! Sa parlare!” bisbigliò colpito il pilota di Formula 1.

“Innanzitutto, vi comunico che vengo in pace. Il mio nome è Murwi e sono, purtroppo, l’ultimo esponente della razza degli Zoomen”.

“Zoomen?” ripeté inebetita la ballerina.

“Esattamente. Da quasi un anno abbiamo dovuto effettuare un atterraggio di fortuna proprio sopra questa altura”.

“Come mai? Vi è successo qualcosa?” era curioso il Soggetto N. 1.

“Sì, abbiamo avuto, qui sul pianeta Terra, un violento scontro a fuoco con l’astronave di una razza a noi ostile: i Mechatron”.

“Allora sono anche loro qui tra noi?” sentenziò il Soggetto N. 3.

“Temo di sì. Oh, ma non preoccupatevi. Diciamo che con loro è più una rivalità di concetto che una vera e propria questione bellica”.

“Che vuol dire?” chiese delucidazioni il Soggetto N. 9.

“Nello specifico, noi preferiamo omaggiare la natura e la forza che essa dona, mentre loro idolatrano le macchine e qualsiasi cosa sia meccanico”.

“Allora tu sei l’unico sopravvissuto allo schianto?” ripeté quanto appena detto Frédérique.

“Ahimè sì. Ho scelto di rimanere comunque qua dentro perché, nonostante per quelli della mia razza sia da considerarsi come un cimitero, solo da qui riesco a controllare le onde Zoomen”.

“Che cosa sono?” domandò Igor.

“Sono onde invisibili, come ad esempio quelle elettromagnetiche, che si propagano dal nostro veicolo spaziale in tutto il mondo”.

“Cosa?” si allarmò all’istante Arone “Ma sono pericolosamente?”.

“Assolutamente no! Solo che, sugli esseri umani, hanno un curioso effetto collaterale”.

“Che sarebbe…” lo invitò a proseguire Wayne.

“Sarebbe che può far mutare il loro aspetto in esseri che voi classificate come genere animale”.

“Aspetta… ma questa è l’Animorph Squad!” si ricordò di colpo il Soggetto N. 9.

“Esattamente! Negli ultimi tempi, tutti i terrestri attualmente coinvolti hanno deciso di unirsi in questo curioso nome collettivo”.

“Non è possibile…” rimase sbalordito il biondo.

“Posso assicurarti che lo è” replicò l’alieno “anzi, per l’occasione, vi presento una caso più unico che raro”.

Si voltò verso la direzione da cui era sceso “Vieni pure, Evelyn”.

Questa volta scese un personaggio che, almeno in apparenza, era del tutto umano. O meglio umana, visto che si trattava di una giovane donna, nonostante il colore dei capelli di un bianco candido.

“Salve!” salutò i presenti.

“Tu chi sei?” Frédérique era sempre più sorpresa.

“Mi chiamo Evelyn Blake e vengo dal New Jersey. Nome in codice: Animorph Lass”.

“La mia allieva qui presente è un caso più unico che raro!” riprese la parola Murwi “Difatti lei è in grado, a differenza dei suoi compagni che possono con un unico animale, di mutare il proprio aspetto in una qualsiasi forma animale presente in natura!”.

“Che figata!” si fece scappare il Soggetto N. 1.

“Puoi darcene una dimostrazione?” il Soggetto N. 9 sembrava comunque scettico.

“Volentieri!” sorrise lei di rimando.

Dopo qualche secondo di concentrazione, la sua forma iniziò a mutare e, come nello stile del Soggetto N. 7, il suo aspetto era ora totalmente irriconoscibile.

Un piccolo gufo li osservava con i suoi enormi occhi castani, sbattendoli non all’unisono.

Il trio in rosso e giallo era senza parole.

Nuova trasformazione ed ora era un rinoceronte. Poi un coccodrillo.

“Bene, non esagerare Evelyn!” la richiamò all’ordine il suo maestro.

A quel richiamo, Animorph Lass riprese la sua forma originale.

“Scusatemi. Comunque faccio anche parte dei Global Defenders. Ormai abbiamo superato i 20.000 membri!”.




Indianapolis


“Se Frédérique può ospitare la sua famiglia nella villa, allora anch’io voglio tornare alla mia, di famiglia!” pensava fiero di sé Johnny Wayne, mentre osservava, dal paddock, gli ultimi preparativi per quella corsa.

Ad ospitare l’evento il mitico Indianapolis Motor Speedway.

“Pronto per la gara?” gli chiese Minetaro Shiroyama, affiancandolo.

“Come sempre! E tu, sushi boy?”.

“Io vengo dall’Istituto Shiroiwa, una scuola piena di fenomeni, vuoi che non sia in grado di affrontare così tanti campioni?”.

Di fatti, la corsa a cui si apprestava a prender parte, non era relativa al campionato mondiale di Formula 1, ma una gara d’esibizione con altri campioni di tale sport.

Una volta dentro la monoposto, l’americano si ripeté mentalmente tutte le tredici curve che doveva superare prima di tagliare il traguardo. E ricominciare da capo.

Dopo il classico giro di prova, i bolidi erano pronti a scattare. Tutti i semafori rossi accessi insieme e poi spenti all’unisono.

Scatto bruciante che permise a Johnny di superare due piloti: il primo era un altro pilota altrettanto esperto di quel circuito, Frank Capua, mentre il secondo era Bobby Deerfield, presentatosi con una vettura vintage a sei ruote.

Tra la prima e la seconda curva fu in grado di passare oltre all’italiano Paolo Cortesi, finito lungo oltre il tragitto.

Durante l’esecuzione della quarta curva, superò di slancio Denny Swift. Per assurdo, più abituato a correre sotto la pioggia che con l’asfalto asciutto.

Altre due curve e di nuovo un dirizzone. Con il suo slancio, arrivarono altri due sorpassi. l’altro nipponico Jiro Kanzaki, proveniente dalla Formula 3, e il francese Jean-Pierre Sarti, finito anche lui fuori pista.

Nella serpentina delle curve 8, 9 e 10, scavalcò Smith della Ferrari, già di suo un gran risultato da annotare.

Nel breve dirizzone tra la undicesima e dodicesima curva, lasciò dietro di sé il suo connazionale Joe Tanto, il pilota più anziano della corsa.

Nel lungo-linea tra la 12 e la 13, sorpassò altri due piloti: una macchina tutta variopinta, che procedeva a scatti, e il transalpino Arezi.

Nella curva parabolica che portava al traguardo, fu il momento dell’austriaco Kurt Langer di arrendersi.

Ma gli occhi di Johnny non era fissati sul traguardo. Il suo obiettivo era il prossimo pilota da superare. La leggenda Michel Vaillant.

Questo sì che sarebbe stato un avversario tosto. Ma Wayne era pronto ad affrontarlo a cuor sereno. Canticchiando “Supreme” di Robbie Williams.




Il trillo del campanello della villa degli Humana. Un suono più unico che raro.

Ad aprire la porta andò Frédérique Arone, già conscia di chi poteva trovarsi di fronte.

“Benvenuta!” la accolse con il suo migliore sorriso smagliante.

dall’altra parte della porta vi era una semplice ragazza sui trent’anni, con i capelli neri raccolti in una coda di cavallo, addosso una giacca scura, gonna fino al ginocchio a scacchi bianchi e neri, calze scure e stivaletti bassi.

“Perdonatemi per il ritardo ma non sono molto pratica di questa zona”.

“Non si preoccupi! Dunque lei deve essere la cosiddetta “la tata leggendaria”, Rose Smith?” la fece accomodare.

“Oh, quello è soltanto un frivolo soprannome. Pensi che alle volte mi chiamano anche “the witch”… ”.

“Davvero?” fu sorpresa la francese “Comunque non si preoccupi, con questo ragazzino non le servirà alcun tipo di incantesimo!”.

“Anche perché, per quelli, abbiamo già Laura del Monster Commando” proseguì mentalmente il discorso.

“Lo spero…” replicò la nuova arrivata.

“Il nostro ragazzino, si chiama Igor Wansa, è tranquillissimo. Oltre a fare i compiti, i suoi passatempi sono dei più classici: leggere, disegnare, guardare la tv…” le spiegò a grandi linee.

Dietro le due signorine, con una lentezza che proprio non gli apparteneva, comparve Johnny Wayne, vestito con un abito elegante grigio.

“Buongiorno, lei è la baby-sitter?”.

“Sì, salve. Mi chiamo Rose Smith”.

“Piacere mio Rose. Io sono Johnny” le strinse la mano “andiamo, Frédérique? Che sennò rischiamo di fare tardi al teatro”.

“Sì, certo!” la ballerina sussurrò quasi all’orecchio della bambinaia “Per qualsiasi problema, il mio numero di cellulare ce l’ha, le basta mandare un messaggio”.

“Non si preoccupi, me la saprò cavare!”.


Una volta in macchina, la coppia si scambiò due battute.

“Strano davvero che ora Sara ci permetta addirittura di affittare una baby-sitter…” rifletté turbato lui.

“Magari l’ha fatto per concederci ancora un altro po’ di svago” ipotizzò lei “e poi io era da tanto che aspettavo di poter tornare a teatro a vedere “Il fantasma dell’Opera”!”.


Una volta da sola in quella immensa villa, Rose fece la conoscenza del Soggetto N. 1, con il quale instaurò fin da subito un buon rapporto.

Mentre lo studente proseguiva con i suoi compiti a casa, la donna pareva assente.

“Chissà poi cos’è questo Monster Commando?” pensò preoccupata.

Ancora fissi sul quaderno a righe, gli occhi di Igor si spalancarono a quei pensieri, voltandosi “Come fai a sapere del Monster Commando?!”.

“C-Come?” anche Rose era altrettanto spiazzata.

“Da chi lo hai saputo?” questa volta, la domanda era stata inviata telepaticamente dal russo.

“AH!” la tata, presa alla sprovvista, si cappottò indietro con la sedia.

Effettuando subito una capriola all'indietro sul tappeto, si rimise subito in posizione eretta.

“Chi è stato?”.

Wansa la fissava basito.

“Oh mio dio! Sei stato tu!”.

Lui non rispose.

Per tutta risposta, la donna scappò in cucina, sbattendosi rumorosamente la porta alle spalle e incastrato la sua gonna tra di essa e lo stipite.

Passato qualche minuto di totale silenzio e immobilità, con Igor che fissava impassibile la porta, finché si aprì uno spiraglio.

Facendo affacciare appena la testa, la signorina Smith balbettò “T-Tu… r-riesci a leggermi i pensieri?”.

“Sì” altra risposta mentale.

“Oh mio dio! Io credevo di essere l’unica al mondo a poterci riuscire!”.

“Il mondo è più strano di quello che pensi” riprese a parlare a voce il telepate.

“Da quanto hai questo potere?”.

“Beh… diciamo che non è tantissimo…”.

“Io praticamene da quando avevo la tua età!”.

La bambinaia sprizzava gioia da tutti i pori.

“Aspetta che lo sappia tutta la mia famiglia…”.

“Nessuno deve saperlo”.

“Cosa? Ah ok, preferisci mantenere il segreto, dato che sei ancora così piccolo”.

“Diciamo così”.

“Giusto! Quindi non posso nemmeno dirlo al mio amico Kazuki Kato” ponderava lei mentre si tamburellava la tempia sinistra col dito “sai, lui ha lasciato l’Istituto Matsuda di Yokohama e ora fa lo spazzacamino”.

“Mi dispiace, ma davvero nessuno deve sapere di questi nostri poteri. Fidati che, altrimenti, le cose potrebbero peggiorare parecchio”.

“Oh, capisco…”.

“Ma stai tranquilla che in un altro gruppo, si chiamano i Global Defenders, una come te potrà rivelarsi molto utile”.

“Come Mary Poppins?” sorrise sognante Rose Smith.




Johnny si svegliò di soprassalto. Tutto il suo petto nudo sudato, così come la fronte con i biondi capelli appiccati sopra. Con gran fatica, si mise a sedere sul bordo del letto.

“Che sia qualcosa che ho mangiato?”.

Ancora in boxer, si alza in piedi.

“Dove sono gli altri?”.

Come suo solito, fa per scattare, ma qualcosa non funziona. La sua supervelocità è totalmente assente.

“Ma che succede?”.

Esce dalla stanza con un semplice passo svelto. Scende le scale.

In cucina trova Frédérique, intenta a sorseggiare una tazza di caffè. Anche in questo caso, c’è qualcosa che davvero non quadra. Infatti, la francese pare una bella statuina, completamente in blocco.

“Ma che cazzo succede?! Frédérique! Che stai facendo? Mi senti?” cerca di smuoverla a forza l’americano.

La donna sembra pesante come un macigno.

“Forse il mio potere sta smattando? Il mio DNA sta mutando di nuovo?” si mette le mani nei capelli madidi “Sara! Devo trovare Sara!”.

Riparte con lentezza alla ricerca dell’italiana. La trova qualche stanza più in là, intenta a massaggiarsi le tempia. Anche lei immobile.

“Anche lei? Ma com’è possibile? Cosa mi sta succedendo?”.


Cercando una maniera di uscire da quella specie di blocco temporale, il Soggetto N. 9, vestitosi con il solito costume rosso e l’enorme H gialla davanti, si mise a correre per tutto il grande giardino della villa.

“Non posso finire così i miei giorni!” pensava disperato il velocista “Ho dovuto rinunciare alla Formula 1, ma almeno ho trovato un gruppo di amici con cui impegnarmi per qualcosa di davvero importante per il mondo!”.

Ormai insperata, qualcosa si mosse. Un uccellino, posato sull’asfalto volò via per non essere travolto dall’umano. Per poi rimanere bloccato a mezz’aria.

“Si è mosso!” esultò nella sua testa Wayne.

Tale esultanza fu interrotta da una voce “Johnny…”.

“Sara! Sei tu?”.

“Dacci ancora un attimo…”.

“Cosa?”.

Fu un attimo. l’uccellino volò finalmente via. Il suo passo accelerò di colpo, raggiungendo una velocità oltre le umane capacità. Rischiando di andare a sbattere contro il tavolino da esterno, Johnny rientrò nell’abitazione. Per poi scontrarsi contro Frédérique.

“Oddio!” fu l’unica cosa che riuscì a dire Arone, prima di cadere all’indietro per l’urto.

Fortunatamente, il colpevole dell’accaduto fu rapido abbastanza da prenderla al volo ed evitargli un nuovo colpo.

La stessa sorte non toccò invece alla tazza da caffè che aveva in mano, la quale si andò a schiantare sulle mattonelle del pavimento, finendo spezzata in mille pezzi.

“Che è successo, Johnny?”.

“Io so correre!”.

Alle loro spalle, Silvestri entrò nella stanza.

Scusami Johnny se non ti ho avvertito prima, ma il nostro capo ha tentato un esperimento mentale su di te, cercando di bloccare i tuoi superpoteri”.

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Capitolo 22
*** 5 storie ***


CAPITOLO 22

5 storie”




Il bel mare oceanico risplendeva calmo e tranquillo. A rompere però la piatta superficie liquida vi era niente meno che una gara natatoria, sebbene improvvisata. Sei personaggi si dirigevano più velocemente possibile verso la riva.

Con netto distacco arrivò primo Juna, anche grazie al suo potere mutante che, in questo ambito, gli era decisamente utile. Dopo di lui, un delfino si tramutò rapidamente in Borghi. Di seguito, giunsero sul bagnasciuga Lincon, Giunan, Wayne e Arone.

“Però ti stavo per raggiungere!” osservò Bernardo, tornato in forma umana, al vincitore.

“Comunque il tuo dovrebbe essere considerato doping, Juna” protestò ironicamente Johnny.

“Ma sentilo… ma se mi hai pure aspettate per fare il gentiluomo” lo rimproverò dolce Frédérique.

“Per quanto mi riguarda l’ho fatto solo per mantenermi in linea, le gare sportive non riscuotono particolarmente il mio interesse” Jack informò i presenti.

A pochi metri da loro Chang, mentre impugnava una vecchia canna da pesca con l’amo in acqua, si voltò infuriato “Volete fare silenzio che mi spaventate tutti i pesci!”.

“Invece lo sport è sempre una bella cosa!” replicò la ballerina.

“Meglio se a motore!” aggiunse il pilota.

“Io preferisco rimanere fedele alla lucha libre” replicò il baffuto.

“Seguo solo le olimpiadi…” proseguì il dandy.

“Le olimpiadi sono delle gran cazzate!” sbottò stufato Andrea, al riparo sotto l’ombrellone con Igor “Anche i giochi olimpici si sono dovuti fermare per le guerre, in più ora sono pieni di sponsor e non più composte da soli dilettanti com’era nei primi anni!”.

Tutti lo fissavano basiti.

“Per non parlare poi di quando sono state boicottate per mere questioni politiche!” concluse sempre più incavolato.

L’atmosfera si era fatta palesemente pesante.

D’un tratto, la lenza iniziò a tirare. La canna logora si tese talmente tanto, finché lo spago non si spezzò di netto.

“Ecco fatto, niente pesca miracolosa!” annunciò il cuoco, mentre osservava rattristato il danno appena subito dalla natura.

Ancora pensieroso, l’africano iniziò a lanciare sassi verso il mare.

“Sarà come dice Andrea però, secondo me, in certi casi lo sport può arrivare addirittura a salvarti la vita…”.


Come un gigante addormentato, un transatlantico aveva un proprio lato adagiato sugli scogli aguzzi attorno ad un’isola selvaggia.

Sdraiata sulla sabbia, quasi a voler rassomigliare all’enorme natante, una giovane ragazza dalla folta chioma bionda, con il corpo pieno di tagli e i vestiti strappati, si stava ridestando con grande fatica.

Rimessasi lentamente in piedi, barcollò senza metà nella spiaggia, finché non si trovò davanti, a circa un chilometro davanti a sé, una cupa magione.

Le sue gambe esili si rivelarono incredibilmente resistenti e, poco dopo, riuscì a bussare alla pesante porta del castello.

Per alcuni minuti, tutto rimase immobile. Poi, con un sinistro cigolio, l’uscio iniziò ad aprirsi. La minuta figura della donna fu coperta da un’ombra gigantesca. Un energumeno, dalla folta barba scura come i suoi occhi, con i quali la fissava impassibile, le si parò d’innanzi.

Nonostante l'inquietudine iniziale, lei parlò. O meglio, tentò di parlare. Con sua gran sorpresa, la sua gola parve non voler in alcun modo collaborare con la comunicazione verbale.

“Chi è, Ivan?”.

all’udire quella voce proveniente dalle sue spalle, il nerboruto si defilò, permettendo così all’ospite di poter entrare.

Un uomo vestito con un frac elegante, come il pizzetto nero e i capelli ingelatinati all’indietro che lo caratterizzavano, la stava osservando, stando in piedi e immobile su uno dei gradini a metà di una scala in pietra.

“Benvenuta, signorina” lui riprese la parola, così come la sua discesa.

Una volta giunto al loro stesso piano, proseguì.

“Io sono il conte Zaroff. Posso sapere il suo nome, di grazia?”.

La ragazza, ammaliata da quel fare così raffinato, si ridestò, mettendosi a smanettare per fargli capire il suo improvviso deficit comunicativo.

l’uomo la osservava basito.

Lei allora ebbe un’illuminazione. Dalla tasca posteriore dei suoi calzoncini strappati e sporchi riuscì a tirar fuori una tessera scolastica.

A fianco di una sua foto sorridente, vi era scritto il nome dell’Istituto, Shiroiwa, la sua data di nascita, il 24 novembre, e il suo nome: Kurako Takigawa.

“Dunque, una giapponese” dedusse il conte.

L’altra annuì con enfasi.

“Ipotizzo che lei sia l’unica sopravvissuta a quel terribile naufragio di qualche ora fa”.

Appena saputa la verità su quanto accaduto, l’orrore le si dipinse negli occhi. Il suo corpo si fece di colpo più pesante.

“Non si preoccupi, ora lei è in salvo, signorina” le disse lui, afferrandola per un braccio in maniera preventiva “A quanto pare, lo shock l’ha resa muta, spero momentaneamente…”.

“Ivan!” si voltò di scatto verso il suo servitore “Portiamola nella sala ricreativa”.

Il colosso non se lo fece ripetere due volte e, afferratala saldamente per le spalle, la scortò verso una nuova stanza.

Questa era piena di sedie e divani imbottiti e finemente costruiti. Un ampio camino decorato faceva bella mostra in un angolo del salone. Così come una larga tavolo rotonda in legno antico, un mappamondo dal diametro di un metro e un pianoforte a coda. Alle pareti, vi erano vari quadri con raffigurati soggetti piuttosto inquietanti.

Ma ad inquietare ancora di più Kurako era Ivan.

“Stia tranquilla, signorina Takigawa” la tranquillizzò il conte “Ivan è solo un tranquillo e vecchio cosacco”.

La studentessa girò il suo sguardo verso l'aristocratico.

“Piuttosto, mi secca non poterle offrire niente, ma abbiamo terminato la cena ormai da un bel po’…”.

La bionda si sentiva sempre più disorientata.

“Tralasciando ciò, lei immagino abbia degli hobby, dei passatempi, in Giappone?” riprese a parlare Zaroff.

Takigawa annuì lentamente.

“Eccellente. Vede, anch’io ho i miei. Una su tutte è decisamente la caccia! Nello specifico, prediligo utilizzare l’arco da guerra tartaro”.

nel rivelare ciò, indicò un esemplare di tale arma infisso ad una parete della stanza.

“Tra le mie prede preferite, vi sono assolutamente le tigri. Inutile dire che, queste ultime, non apprezzano particolarmente questa mia predilezione”.

Accompagnò tali parole con il passare l’indice della sua mano destra sulla sua tempia destra. Su di essa, Kurako notò per la prima volta una profonda cicatrice lunga una decina di centimetri.

“Oh, mi scusi la scortesia!” attirò nuovamente la sua attenzione il suo ospite “Le posso offrire qualcosa da bere? Magari, un bicchierino di vodka?”.

Lei scosse il capo negativamente.

“Ah, giusto! Lei signorina è ancora troppo giovane per bere. Ivan!” di nuovo rivolto al suo servo “Porta alla nostra ospite un bicchiere d’acqua, grazie!”.

Mentre lo stesso conte era impegnato a versarsi del liquore in un calice, la giapponese ne approfittò per alzarsi e guardarsi un attimo attorno. Affacciatasi appena da una finestra, notò al di sotto una ventina di cani da caccia. Gli animali, come radiocomandati, alzarono i loro sguardi all’unisono verso di lei.

Mentre Takigawa sorseggiava lentamente il bicchiere che le era stato offerto, il conte Zaroff si accomiatò “Mi perdonai signorina Takigawa, ma l’ora si è fatta tarda. Ovviamente, lei sarà mi ospite, farò allestire per lei un’adeguata camera da letto da Ivan”.


Nonostante quella situazione surreale, la ragazza riuscì a scivolare in un sonno senza sogni. Finché lo squittio di topi la fece ridestare in un lampo. Impaurita di aver a che fare con quei luridi roditori, afferrò un candelabro, che per fortuna aveva lasciato accesso sul comodino accanto al suo letto. Scesa dal suo giaciglio, sempre più preda del terrore, aprì la porta della camera e si decise a riscendere nuovamente in salotto.

Nella furia alimentata anche dalla totale oscurità, si ritrovò a spingere una pesante porta in ferro e ad entrare in un’altra stanza del castello.

Con il fiatone che le usciva dalla bocca in nuvolette, decise di illuminare la parete a lei più vicina. Le fiamme traballanti delle candele rivelarono un inquietante volto umano. Solo il suo mutismo ancora presente non fece udire, in tutta la magione, il suo urlo terrorizzato. Con le lacrime agli occhi, notò che quella testa, riconducibile purtroppo soltanto ad un cadavere, era attaccata alla parete da un cerchio ligneo, come si fa con i più tradizionali trofei di caccia. Sul suo capo in decomposizione, era stato appoggiato il capello tipico dei capitani navali. Così come quelli delle crociere.

“Ma la preda che più amo cacciare, sarà sempre ed esclusivamente l’uomo!”.

La voce improvvisa del conte Zaroff la fece voltare e sobbalzare. Lui la stava fissando con un ghigno satanico dipinto sul volto.

La sua mente la stava abbandonando al suo destino, ma il suo coraggio non rinunciò alla fuga. Con uno scatto disperato, evitò il padrone di casa e si proiettò verso l’enorme portone d’ingresso. Davanti ad esso vi era Ivan che, incredibilmente, lo aprì senza difficoltà e la lasciò passare.

Il padrone di casa guardò compiaciuto il suo servo, mentre lo raggiungeva.

“I miei complimenti, Ivan. Diamole un minimo di vantaggio. Altrimenti la noia sarà eccessiva.”.


Mentre proseguiva in fuga dalla notte, Takigawa era ancora talmente lucida da sapere dove andare.

Giunta nel punto più alto dell’isola, poté così constatare che essa era molto più piccola di quello che sembrava. In più, la vicinanza con la terra ferma non era per niente proibitiva.


Era passata più di un’ora quando Kurako, nascosta per riprendere fiato dentro una piccola caverna, vide passare il suo personale cacciatore, armato del suo fedele arco.

Attesa ancora qualche minuto, per essere certa che si fosse allontanato il più possibile. Poi scattò.

“Dove scappi, mio bel leopardo?” le urlò dietro il conte.

Una freccia le sibilò vicino alla guancia sinistra. Ma lei fu più rapida finché non raggiunse una palude.

Una nebbia spettrale copriva quel lato dell’isola, ma Zaroff le era ancora alle calcagna.

“Signorina Takigawa, lei pensa che io non sappia come affrontare ogni insidia della mia isola?”.

Afferrato dalla sua cintura un antico corno da caccia, si mise a suonarlo.

Al castello, udendo quel segnale, Ivan aprì un cancello secondario. Da quell’apertura, partirono alla carica i cani da caccia, con la bava alla bocca e gli occhi iniettati di sangue.

La ragazza ormai non sentiva più i piedi. Le sue gambe toniche percorrevano in automatico quella fuga disperata. Qualche lacrima le uscì dalle palpebre e le rigò in orizzontale il viso. Anche quelle furono lasciate indietro.

Un boato le si fece sempre più vicino. Delle cascate. Le scelte erano due: un tuffo nell’oceano o sbranata dai cani. Kurako Takigawa scelse la prima.

Quando infine giunse il conte Zaroff, non poté che fissare la spuma fragorosa dell’acqua sugli scogli, mentre si percorreva con il dito la cicatrice che aveva sul volto.

Come a dichiarare che l’isola stessa ne aveva abbastanza di quel macabro passatempo, il terreno sotto ai suoi piedi si sgretolò facendo crollare l’assassino, insieme al resto dello strapiombo crollato, su quelle rocce acuminate.


A volte però i miracoli accadono. La giovane studentessa nipponica riuscì a raggiungere la riva dove ancora regnava la civiltà. Una volta nuovamente nella sua adorata scuola, diventerà un talento dell’atletica leggera nei 10.000 metri. La parola però non le ritornò mai più.




Repubblica Democratica del Congo, Parco Nazionale di Kisangani


Appena arrivato in jeep, Juna fu accolto da un gruppo rumoroso di bambini festanti. Pareva il ritorno di un messia tra i propri fedeli.

“Ciao ragazzi! Come state?”.

I giovanotti risposero tutti insieme, creando una gioiosa e, al tempo stesso, incomprensibile cacofonia.

Con un’enorme pazienza, il mutante si mise ad ascoltarli uno per uno. Mentre proseguiva la sua opera di ascolto, notò uno di loro che se stava più sulle sue, distanziato dal gruppo.

Appena sistemati tutti gli altri, gli si avvicinò.

“Ciao, io sono Juna. Tu come ti chiami?”.

“Io mi chiamo Bandu. Ti conosco, sei quello che salva gli animali”.

“Esatto!”.

“E non solo quelli…” proseguì nei suoi pensieri.

Il ragazzino continuava ad avere un’espressione mogia in viso.

“Cos’hai per essere così triste, Bandu?”.

Bandu abbassò lo sguardo. Dopo qualche minuto di reticenza, si decise a confessarsi.

“Domani ho la prova di coraggio…” disse con un filo di voce.

Fu allora che Juna si ricordò di quell’antica tradizione della sua tribù, sebbene altre culture l'avrebbero immediatamente etichettata come barbara.

Per conclamare il passaggio definitivo da ragazzo ad uomo, il partecipante deve tuffarsi in un laghetto, avendo come obiettivo il recupero di una gemma lanciata poco prima al suo interno dallo sciamano del villaggio. Le sue acque scure però nascondono la vera difficoltà della prova: un branco numeroso di meduse d’acqua dolce.

l’adulto abbozzò un sorriso “Hai paura?”.

Bandu annuì, sempre tenendo la testa bassa, fissandosi i piedi scalzi.

“Stai tranquillo Bandu, ti darò una mano io!”.

Il ragazzino rialzò sorpreso il capo, con occhi e bocca spalancati.

“C-Come?”.

“Fidati di me”.


La sera si svolsero le danze rituali di buon auspicio. Lo stesso Juna ne era l’ospite d’onore. Gli adulti indossavano della larghe e pesanti maschere in legno, mentre danzano freneticamente attorno ad un falò fiammeggiante.

Una volta terminata la festa, il povero Bandu non riuscì a chiudere occhio per tutta la notte.

Nel frattempo, il Soggetto N. 8 approfittò che tutto il popolo era a riposare per tuffarsi dentro a quello stesso lago che il giorno dopo sarebbe stato protagonista. Per l’occasione aveva indosso la sua divisa rossa con l’enorme H gialla sul davanti.


Il giorno del rituale tutta la popolazione era radunata attorno al lago sacro. Il giubilo era talmente presente nelle loro teste che nessuno parve notare un’assenza importante.

Chi di certo era presente era un bambino spaventato, con le gambe che a fatica riuscivano a non tremare.

Come da cerimonia, lo sciamano fece zittire i tamburi celebrativi e lanciò una piccola perla bianca al centro della distesa d’acqua.

“Giovane Bandu, va e diventa uomo!” gli ordinò il sacerdote.

Il giovane tentennava. Quando però sentiva il peso dell’attesa di tutti i presenti addosso, chiuse gli occhi e si tuffò nelle acque gelide.

l’oscurità lo avvolse in un attimo. Nonostante questo, la lucentezza della perla sacra doveva garantirgli di essere scovata. Ma Bandu non era certo preoccupato di tale evenienza, o della mancanza di ossigeno nei polmoni che sarebbe sopraggiunta. Lui era pronto a sentirsi pizzicare fino alla morte da tutte le meduse che vi vivevano. Questa soluzione non avvenne mai.

Rendendosi conto di essere ancora pienamente cosciente, il ragazzino aprì piano gli occhi. Come una vera e propria divinità marina, Juna gli stava porgendo tranquillo la perla necessaria per la conclusione della cerimonia. Attorno a loro due, gli animali tentacolari se ne stavano ben distanti, come a fare da corteo a quel surreale incontro.




Trento


“… Sono 400 euro, non fare la troia con me!” le abbaiò contro il tizio dalla faccia poco raccomandabile, che spuntava da sopra un giubbotto pesante.

Dietro di lui, altre due persone dal medesimo stile.

“Ti ho già detto che non ce li ho al momento!” replicò secca la donna.

“E allora farai la troia e mi succhierai il…”.

Il criminale non fece in tempo a finire la sua frase volgare che scomparve, per ritrovarsi a chilometri di distanza dal luogo precedente.

I tre presenti rimasero spiazzati da quello sviluppo così assurdo. Finché non parlò una quarta persona.

“Interessante questa pistola variabile…”.

Osservò soddisfatto Alberti, mentre la sua mano destra cambiava forma.

“Ma chi cazzo sei?” gli urlò contro uno degli uomini rimasti.

Lui rispose direttamente con un nuovo sparo. Come le pistole usate da bambini, anche questa sparava acqua. Ma, invece che un esile schizzo, una gigantesca onda sommerse i due malintenzionati.

Lei fissò la coppia portata via dalla marea. Poi tornò a guardare il mutaforma.

“A-Andrea…” sussurrò sorpresa.

“Francesca”.


Giunto in un appartamento che non era il suo, Andrea tornò, dopo un lungo tempo, ad abbracciare stretta la sua fidanzata.

“Amore mio! Dove sei sparito per tutto questo tempo?”

“Ho avuto un po’ da fare…”.

““Un po’ da fare”?! . È quasi un anno che non ho più tue notizie! Ovviamente, a quel fascista di tuo padre non ho potuto chiedere nulla perché figurati!”

“Mi dispiace Francesca, ma ho preferito non informarti per il tuo bene”.

“Ah certo! Magari ora viene fuori che i tuoi amici militari ti hanno mandato in qualche missione top-secret!”.

“Fidati, è anche più assurdo di così…”.

“E cosa è successo alla tua mano?” indicò l’arto menzionato.

“Fa parte di tutta questa situazione assurda”.

“Andrea…” lei lo fissò preoccupata “che ti è successo?”.

“E a te allora?” restituì lo sguardo lui “Che ci fai in questo misero appartamento? Dove sono i tuoi?”.

La rabbia comparve sul viso della donna “Tu credi che sia semplice andare avanti con un fidanzato scomparso nel nulla? Con la gente che non perde un secondo per riempirti di domande? Magari pensando che ero io la causa della tua scomparsa!”.

“Ma io ho parlato con i miei! Possibile che non ti abbiano detto nu…”.

“Fanculo i tuoi, Andrea! Io volevo saperlo da te!” sbottò infine lei, con un urlo fragoroso.

Il silenzio si frappose tra i due.

“Perdonami, Francesca” si scusò a voce bassa il Soggetto N. 4.

“V-Vuoi qualcosa da bere?” chiese spiazzante lei.

“O-Ok”.

La sua ragazza si avviò verso il frigorifero, poco distante. Improvvisamente, s’inginocchiò di colpo a terra. Il corpo travolto da un tremito di pianto.

Appena vide la scena, Andrea si buttò subito su di lei, stringendo la sua schiena al suo petto e appoggiando il mento sulla sua spalla.

“Perdonami per tutto quanto, amore“ le bisbigliò all’orecchio ”Dov’è il letto? Così ti puoi sdraiare un po’”

“D-Di là” indicò con mano tremante.


Entrati nella camera da notte, l’uomo fece sdraiare delicatamente la donna. Lei iniziò a rilassarsi, mettendosi una mano davanti agli occhi per schermare la luce della lampadina.

“Non pensavo potesse essere così difficile per te” esordì Alberti, seduto ai piedi del letto.

“Diciamo che ho dovuto crescere in fretta in questi mesi” esclamò Francesca “quando anche i miei stessi genitori hanno cominciato a dubitare di me, me ne sono venuta via e ho trovato questo appartamentino in affitto…”.

“E per l’affitto hai chiesto a quelle persone?”.

“Non potevo fare altrimenti!”.

“E non hai fatto altro?”.

Nuovamente il silenzio tra i due fidanzati.

Francesca sollevò la mano dagli occhi per osservarlo bene. Pochi secondi e si alzò in piedi. Con fare suadente, si mise a togliere gli indumenti che aveva indosso.

Andrea la fissava muto, cercando di nascondere il più possibile la propria eccitazione.

Nel giro di pochi minuti, era totalmente nuda di fronte a lui. Con gli occhi nocciola che continuavano a fissarlo e i capelli biondo chiari che coprivano a malapena il suo florido seno.

“Per quello, aspettavo il mio uomo…” gli sorrise maliziosa.

Il Soggetto N. 4 le restituì il sorriso erotico. In pochi secondi, si ritrovò nelle stesse condizioni della sua amata.

Con il lettone a loro totale disposizione, fu facilmente intuibile come avrebbero passate le ore successive.


All’esterno dell’abitazione, i tre sgherri di prima meditavano la propria vendetta.

“Ma sei sicuro che ti trovavi così distante?” domandò uno dei presenti.

“Cazzo sì!” sbraitò il capo del trio “Non so come sia successo, ma ora quel figlio di puttana la pagherà!”.

“Ma invece non facciamo meglio ad andarcene?” propose un terzo.

“Che hai paura, coglione? Pensi che ci siano i fantasmi?”.

Il capo di colui che aveva appena parlato girò di colpo tutto a sinistra. Poi a destra. Poi verso l’alto. Infine crollò esanime a terra.

Gli altri due assistettero a tutta quella performance con occhi e bocca spalancati.

Poi, anche per loro, arrivarono colpi potenti che non videro ma subirono in pieno.


Nel frattempo, i due amanti ora si tenevano abbracciati pelle contro pelle, sempre sdraiati nel loro giaciglio intimo.

“Non abbandonarmi più” gli ordinò tenera Francesca, mentre fissava il soffitto.

“Te lo prometto” la assicurò Andrea, voltandosi verso di lei.

Improvvisamente, da fuori si udì un trambusto prolungato.

Allarmato, il mutante si infilò rapido i boxer e andò a spiare da dietro le tende della finestra. Notando i tre individui al suolo, si azzardò ad aprire il vetro.

“Ehi voi! Che state facendo lì?” gridò verso i tre.

“Scusa per la confusione, ho cercato di fare il più piano possibile”.

Scattando di lato dallo spavento, il mutaforma vide comparire davanti ai propri occhi, seduto sopra al breve ripiano della finestra, una specie di quadrupede metallico.

“Tu chi sei? O cosa sei?” gli chiese stupefatto.

“Sono praticamente un capibara robot invisibile, ma non preoccuparti! Mi manda Witch Girl! Ultimamente si è fissata con l’evocare dei minion animali malvagi”.

Fu così che, grazie a quell’assurda creatura, il Soggetto N. 4 poté spiegare alla sua compagna come aveva passato gli ultimi mesi.




“Jack, hai i viveri?” chiese il Soggetto N. 1.

“Affermativo” rispose alla domanda telepatica il Soggetto N. 2, mentre planava in direzione della villa degli Humana.

“Johnny, hai le bibite?”

“Certo che sì! Sperando che non si sgasino troppo durante il mio rientro” replicò il Soggetto N. 9, mentre faceva a gara con un treno ad alta velocità accanto a lui.


Nel giardino attorno al loro quartier generale, il resto del gruppo attendeva i due ultimi arrivi. Tutti indossavano abiti estremamente eleganti.

“Li vedo entrambi!” informò raggiante il Soggetto N. 3, mentre gli altri due erano ancora a miglia di distanza.

“Perfetto!” si complimentò Sara Silvestri “Vediamo se almeno questo capodanno lo organizziamo bene”.

“Allora io vado ad apparecchiare…” si propose il Soggetto N. 4.

“Ma no, Andrea!” lo fermò la francese “lascia fare a me!”.

“Io dunque mi occuperò della cucina!” annunciò fiero il Soggetto N. 6.

“Tranquilla Frédérique, non c’è problema” insistette l’italiano “almeno così mi rendo utile anch’io!”.

L’inglese atterrò con eleganza sul prato, con sé aveva un ampio borsone della spesa “Di che cosa si lamenta ora il mangia-spaghetti? Per una volta che non fai nulla…”.

“Parli proprio te che non hai mai fatto nulla in vita tua!”.

“Sempre meglio che avere, come unica ispirazione, quella di andare a uccidere gente innocente nell’esercito!”.

“Almeno io ho uno scopo nella vita!”.

“Ma per favore!”.

“Calma, ragazzi!” cercò di placarli Frédérique.

“Siamo qui per festeggiare, non certo per infamarci a vicenda!” si aggiunse il Soggetto N. 8.

“Davvero?” sbottò ancora di più il mutaforma bellico “Allora io me ne vado, perché non ho proprio niente da festeggiare!”.

Detto ciò, si allontanò a grandi falcate verso il portone dell’abitazione.

“Andrea, fermati! Torna qui!” tentò di richiamarlo la sua connazionale.


Infuriato come non mai, il militare stava proseguendo nel lungo viale che portava dalla villa fino alla strada principale.

“Ne ho le palle piene di questo gruppo!” bofonchiava incavolato.

“Ed è per questo che te ne scappi via?”.

Alberti aveva già riconosciuto quella voce. Appena voltatosi, vide Lincon, che indossava ancora l’uniforme rosso e gialla utilizzata per il volo, fissarlo minaccioso.

“Non sono affari tuoi, Jack”.

“Perché invece non ti batti da uomo a uomo?”.

Il trentino rimase sorpreso da quella richiesta “Cosa?”.

“Hai capito bene, stronzo. Tu ed io. Uno contro uno!” sentenziò lo sfidante.

Lo sfidato ridacchiò “Guarda, caro il mio dandy, lascia…”.

L’altro gli si avventò contro con un drop-kick dritto allo sterno. Caduto all’indietro supino, il britannico gli fu subito addosso e, rovesciandolo in posizione prona, effettuò una cañonera. Non contento, lo risollevò leggermente e mise in atto la Casita. Per poi concludere il tutto con la presa a terra chiamata Rana.

“M-Ma che?” Andrea era shockato da tale agilità e rapidità d’esecuzione.

Il dandy, come niente fosse, si tirò su con una capriola.

“E ora vieni dentro che ti offro una birra” gli porse la mano.

Lo sconfitto accettò l’aiuto e, ancora in stato catatonico, seguì il vincitore nella villa.


“T-Tranquillo… noi inglesi lo reggiamo bene l’alcol… ich…”.

Era già il terzo boccale che si scolava. Jack iniziava a dondolare pericolosamente sullo sgabello di cucina.

“Sei sicuro?” gli domandò dubbioso Andrea.

l’altro non gli rispose nemmeno, visto che era già intento ad attaccare la quarta pinta di birra.

“Ehi, voi!” dall’altra stanza entrò Lincon. Un altro Lincon.

“Ma che cazzo?” imprecò spiazzato Alberti.

“Venite di là a festeggiare con tutti noi altri, screanzati!” li infamò il britannico.

L’attenzione dell’italiano fu però subito catturata dal collasso del suo compagno di bevute che, senza neanche un lamento, crollò all'indietro.

Sporgendosi dalla seduta, Andrea scrutò, incredibilmente addormentato sul tappeto della stanza, Bernardo che russava stile trattore.


Grazie alle doti del messicano, l’armonia tornò a governare sul gruppo di eroi. Allo scoccare di mezzanotte, si radunarono tutti fuori in giardino. Per quella notte speciale, era in programma uno spettacolo pirotecnico offerto dallo specialista giapponese Koichiro Tamaya.

“Speriamo che il prossimo anno ci regali un po’ di pace” fu il primo desiderio dell’anno pensato da Johnny Wayne.




Tokyo

“Specialità cinesi! Specialità cinesi, signori! Vi cucino tutto ciò che ordinate!”.

Chang Yu aveva appena posizionato il suo carretto in legno, completo anche di piastra e fornelli da poter utilizzare, che già si era messo a richiamare l’attenzione dei passanti.

Una persona, più anziana di lui, si avvicinò alla postazione.

“Non ti conviene rimanere qui nelle vicinanze…”.

“Perché scusa? Più adatto del cortile di una scuola cosa c’è?”.

“Non è per il luogo, fidati”.

“Per cos’è, allora? Forse le 8 sono troppo presto?” controllò l’orologio che aveva al polso.

“Nemmeno. La questione è più complessa”.

“Tu dici? Ma soprattutto, tu chi sei?”.

“Mi chiamo Seiya Inada, e ti assicuro che ho decisamente più anni di esperienza di te”.

“Questo non lo metto in dubbio” il cuoco afferrò un recipiente ligneo, scoperchiandolo nel contempo “Perché non provi uno dei miei ravioli al vapore?”.

Il giapponese non fece in tempo ad allungare la mano che, a ricoprire in maniera precisa la prelibatezza, una palla da basket ci si conficcò sopra per una delle estremità.

Il potenziale cliente sbuffò “Ecco di cosa parlavo…”.

“Scusatemi, colpa mia” un ragazzo dai lunghi capelli neri si presentò tra i due e riprese a forza la palla, stappandola a fatica.

Nel far ciò, il contenuto della ciotola finì tutto per terra.

“Oh cavolo, scusa! Io…” ma l’attenzione del giovane fu catturata dall’orologio di Chang “devo andare! Mi iniziano le lezioni!”.

Lo studente fece dietrofront e, ancora con il pallone in mano, si avviò ad ampi passi verso l’ingresso scolastico.

“Ehi, tu!” lo richiamò imbufalito il mutante.

“Si chiama Ryo Soda” lo informò Seiya.

“Grazie!” lo ringraziò rapido, poi si voltò nuovamente verso il suo obiettivo “Fermati!”.


Nonostante le leve decisamente più corte, il cinese tentò di seguirlo fin dentro l’istituto Shiroiwa.

Scrutatosi un po’ attorno, riconobbe la stessa maglia rossa, con le iniziali R e S bianche cucite sul davanti, del suo ricercato. Quello che però la stava indossando era alquanto più basso.

“Come pensi di rimediare al tuo danno, giovanotto?” riuscì anche a guardarlo negli occhi.

l’altro, che lo fissava impassibile con i suoi occhi ambrati, gli mostrò i due guantoni da boxe che stava indossando.

“C-Che vuoi fare?” il Soggetto N. 6 si stava decisamente preoccupando.

l’avversario non replicò e partì con il tempestarlo di pugni.

Chang riusciva a malapena a non beccarseli in pieno finché, vista a repentaglio la propria vita, fu costretto ad utilizzare il suo fiato infuocato.

I due guanti ora stavano andando a fuoco, mentre il loro possessore non sembrava per niente sorpreso. Con un gesto secco di entrambe le mani, se li sfilò in un colpo solo, lasciandoli a bruciare sul pavimento.

“S-Scusa, ma non mi hai lasciato alternative…” tentava di discolparsi il piromane.

Come per magia, due pugnali comparvero tra le mani del nipponico.

“Ma come ci sei riuscito?” fu spiazzato l’adulto.

Questa volta, gli attacchi fulminei furono condotti all’arma bianca.

“Dai retta a me, sono Masao Kitano. Ti conviene scappare, coglione” fu il suggerimento di un ragazzo con la faccia da teppista.

Vedendosi perduto, il Soggetto N. 6 fu costretto ad attuare una fuga disperata.


Nonostante quell’inizio non certo promettente, i clienti si presentarono via via più numerosi.

Erano ormai le 11 passate quando Yu stava servendo l’ennesima specialità.

“Ecco a lei, signore!”.

Tutto il ripiano sul davanti, che serviva per consumare le ordinazioni, era pieno di persone.

“Chi è il prossimo?” urlò raggiante il cuoco.

Fu allora che una nuova pallonata, questa volta con un pallone da calcio, sparecchiò tutta la tavolata.

I clienti, indignati per quanto appena accaduto, si alzarono e si defilarono. Ovviamente senza pagare alcunché.

“No, aspettate! Dove andate?”.

“Oh, scusa di nuovo!” si ripresentò Ryo, questa volta con un vistoso codino “Ma tu ancora qua sei? Non hai di meglio da fare?”.

“Io non ho di meglio da fare?! Tu piuttosto? Vandalo che non sei altro!” Chang stringeva le mani dalla rabbia.

“Beh, a dir la verità, ora ce l’avrei qualcosa di interessante da fare… vero, Madoka?” si voltò con sguardo furbo lui.

“Certo amore, ogni volta che vuoi!” gli si fece vicina una bionda, strusciandosi a lui.

“Beh, noi andiamo a fare un po’ di ginnastica!” esclamò Soda, mettendo un braccio attorno alle spalle della ragazza.

“Aspetta un attimo…”.

Per tutta risposta, Madoka Sawaki gli mostrò la sua prosperosa scollatura, accompagnando il tutto da un occhiolino e una linguaccia.

Il viso del mutante si arrossì, facendolo svenire di colpo.


Una volta ridestatosi, il Soggetto N. 6 tentò anche di riprendere la sua attività di ristorazione.

“Riso alla cantonese per due, prego!”.

Il vociare dei passanti fu d’improvviso sovrastato dalla campanella della scuola. Questa in particolare segnava la fine delle lezioni per quella giornata.

“PISTAAAAAAA!”.

“Diamine! E ora che succede?” si allarmò subito il cuoco.

Difatti, proprio dall’ingresso dell’Istituto Shiroiwa, giungevano a tutto gas due go-kart, uno rosso e uno blu.

Quest’ultimo riuscì a frenare in derapata. L’altro, invece, non riuscì ad evitare l’urto devastante con il carretto di specialità cinesi.

Si udì soltanto un “TESTATA ATOMICA!”.

Per fortuna, Chang era riuscito appena in tempo a saltare fuori dalla zona cucina. Il suo carretto andò letteralmente in mille pezzi

Il pilota non incidentato si levò il casco. Sotto di esso, si riconobbe così Minetaro Shiroyama.

“Oddio, Ryo! Tutto bene?”.

Dalle macerie, uscì illeso il tizio con una specie di permanente.

“Tranquillo! Te lo avevo detto che non mi occorreva il casco!” alzò il pollice per conferma.

“Il mio carretto… il mio carretto… il mio carretto…” bisbigliava il mutante con lo sguardo fisso verso il suo acquisto.

“Assomiglia ad un amico del mio collega Johnny Wayne…” lo scrutava il kartista blu con fare indagatorio.

I due piloti lo fissarono per qualche minuto. Poi Ryo si voltò verso l’amico.

“Vieni, andiamo a giocare a Chikara!”.

“Ok” acconsentì l’altro.


Infine la trasferta nella capitale giapponese non aveva più senso per lui. Erano ore che vagava senza una meta e in stato confusionale. Ormai si erano fatte le 19.

“Com’è possibile che sia capitato tutto proprio a me? Ma che ci sono venuto a fare qui a Tokyo?”.

Passando nelle vicinanze di un parco cittadino, udì un rumore a lui decisamente familiare.

Due ragazze, una delle quali con indosso la ormai famigerata maglietta rossa, erano impegnate in un intensivo scambio di battute a badminton.

“Blavo, Lyo! Sei decisamente migliolato ultimamente!” disse l’altra, con un marcato accento cinese.

“È grazie al tuo allenamento, Li!”.

Per una buona mezz’ora si mise a fissare le due giovani, come ipnotizzato. Finché si ridestò.

Già! Chissà come starà la mia piccola Nikki Peng?”.

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Capitolo 23
*** 4 storie ***


CAPITOLO 23

4 storie”




Una platea gremita in ogni suo posto di fronte ad un palco con il sipario chiuso. Tra il pubblico, vi erano presenti Chang Yu e Sara Silvestri.

“Davvero strano…” osservò il cinese, mentre scrutava il suo antico orologio da polso “Incredibilmente Johnny è in ritardo”.

“Avrà trovato traffico…” tentò di non sghignazzare l’italiana.

Annunciato da un’improvvisa folata di vento, il posto alla destra di Chang era ora occupato dall’americano.

“Che mi sono perso?”.

“Niente” lo informò il suo vicino “il cigno è ancora vivo”.

Nel frattempo, il telo rosso si aprì scorrendo lateralmente. Sulla superficie elevata, comparve Frédérique Arone, vestita nel modo più opportuno per interpretare l’opera “Il lago dei cigni”, di Ciajkovskij.

“La protagonista della storia è la principessa Odette che, per un’orribile maledizione, di giorno è costretta a vivere sotto le sembianze di un cigno bianco…” la bionda sottovoce introduceva all’opera l’asiatico, decisamente interessato all’argomento.

Ad ogni passo, il suo sguardo si fece letteralmente più cupo. Sembrava che il rimmel le spuntasse direttamente da sotto le palpebre, coprendole fino alle sopracciglia.

Quando anche il suo tutù, corredato di molteplici piume, iniziò a tingersi di nero, gli spettatori iniziarono ad allarmarsi.

“Ma che sta succedendo?” esclamò spaventato Wayne.


Qualche giorno prima, il dolce viso della ballerina faceva trapelare una profonda preoccupazione. Notando tutto ciò, Johnny le si avvicinò.

“C’è qualcosa che ti preoccupa, Frédérique?”.

Lei si ridestò dai suoi pensieri e, fissando il suo interlocutore, gli confessò “Ecco… vedi… mi è stata raccontata questa storia… l’ultima prima ballerina ad aver interpretato “Il lago dei cigni” è morta in un incidente stradale”.

“Ma dai!” tentò di sollevarle il morale lui “Di storie simili penso sia pieno qualsiasi teatro! C’è sempre qualcuno che muore in tragiche conseguenze, oppure il teatro va a fuoco, oppure compaiono fantasmi a caso…”.

“Lo so. Ma a me queste storie danno comunque fastidio”.

“Cerca solo di non pensarci! Concentrati piuttosto sull’esibizione! Ti hanno scelto proprio per il tuo alto livello, e per questo immagino che pretendono molto da te”.

“A quello sono abituata, con tutti gli anni di danza classica e moderna che ho alle spalle”.

“E poi stai tranquilla, Frédérique” intervenne Sara, dietro di loro “allo spettacolo ci saremo sicuramente noi due a vigilare, fantasmi e non!”.


Sul palco, il Soggetto N. 3 parlava a sé stessa.

“In me c’è più Odile che Odette… il mio colore è il nero!”.

Ai lati del palcoscenico, anche il resto del corpo di ballo si affacciava preoccupato. Ognuno totalmente spiazzato dalla piega soprannaturale che avevano preso gli eventi.

Proprio vedendo uno di questi ballerini, il Soggetto N. 9 scattò come suo solito. Giunto sul palco prese, da una delle cinture dei costumi indossati, un pugnale medievale.

Dribblando anche il ballerino che stava facendo coppia con la sua amica, le piombò addosso trafiggendola all’altezza del cuore.

Tutti i presenti, compresi Chang Yu e Sara Silvestri, rimasero shockati da quella scena.


Saliti anche gli altri due membri degli Humana, notarono il nero scomparire dal corpo della francese e, nel contempo, la totale assenza di sangue.

“Come speravo” esordì il Soggetto N. 6 “il coltello è truccato. La lama è retrattile”.

“È quello che speravo anch’io” annuì il velocista “pensando alla storia di questo balletto, ho ipotizzato che l’unica possibilità era di uccidere la protagonista, anche solo per finta” .

“Scusatemi, non so davvero cosa mi sia successo…” la danzatrice aveva l’affanno mentre parlava.

“Credo sia stato un caso di possessione o simile…” spiegò Sara “So che una cosa simile è capitata in passato ad una ballerina americana di nome Nina Sayers”.

“Sentivo come se avessi la mia anima divisa a metà” rivelò la posseduta “Da una parte, ero felice di essere tornata a danzare su di un palco, dall’altra ero triste perché sapevo che, se non combatto con i miei compagni, l’umanità sarà sempre più in pericolo. Forse era questo che voleva comunicarmi lo spirito”.




La bella villa in stile Liberty degli Humana se ne stava quieta al centro del suo florido giardino. A qualche metro di distanza dall’abitazione, a coprirne parzialmente la vista verso l’orizzonte, un’enorme roccia che pareva vibrare lentamente. Avvicinandosi di più si scopriva poi l’arcano: a riposare tranquillo sopra l’erba fresca, con appunto l’alzarsi e l’abbassarsi ritmico del ventre, vi era un drago dalla pelle squamosa e marrone.

All’interno dell’edificio, un gruppo di persona stava discutendo con tranquillità.

“… Dunque, ricapitolando, vorreste organizzare questa trasferta in Scozia… ” riassunse Johnny Wayne.

“Esattamente!” confermò Benjamin Luhan.

“Per catturare Nessie…” completò Frédérique Arone.

“Sì. Per lo meno, questo è l’intento” aggiunse Laura MacBean.

“Sapete che la sua esistenza è tutto meno che certa?” li informò Sara Silvestri.

“Certo, Sara!” replicò Vampire Boy “Ma tranquilla che non ci appoggiamo mai alla sola scienza per queste cose! È lo stesso Voltar che, in un certo senso, ce lo suggerisce”.

“E come mai venite a chiedere proprio il nostro aiuto?” domandò il Soggetto N. 9.

“Perché voi avete proprio le abilità speciali che servono per questa missione, soprattutto anche dopo il successo con Lusca!” si esaltò ancora di più il vampiro.

“A proposito di abilità speciali” si inserì Andrea Alberti “ho saputo da fonti certe che tu, Witch Girl, ora ti sei specializzata in incantesimi particolari…”.

“Esatto!” annuì la strega “Ora praticamente riesco ad evocare delle specie di minion animali piuttosto variegati”.

“Tipo?” s’incuriosì il Soggetto N. 3.

La ragazza protese le mani davanti a sé ed enunciò “Liberate il gatto domestico robot supersonico che si nutre di paura!”.

Al centro della sala dove si erano raccolti tutti i presenti, comparve dal nulla un felino metallico che, appena accortosi di essere circondato da tutta quella gente, emise un miagolio stridulo ed azionò dei piccoli razzi sul suo posteriore per poi fuggire via, meglio anche del velocista degli Humana.

Nel far ciò, per poco non investiva in pieno un piccolo kappa che, giusto in tempo, saltò in aria facendo passare quella nuvola di polvere sotto i suoi piedi palmati.

“Allora…” lievemente imbarazzato, Benji tentò di riprendere i fili del discorso “Possiamo considerare siglato l’accordo?”.

Chiedendo ciò, avanzò una mano verso il pilota di Formula 1.

“Ok. Anche perché sennò ci invaderete la villa con tutti gli altri vostri personaggi strambi!” il biondo strinse con vigore la mano offertagli.

Una specie di cosplayer di Jupiter, da “Le colline hanno gli occhi”, esultò rumorosamente.


Loch Ness, Scozia


Data l’importanza del viaggio, gli Humana coinvolti sfoderarono niente meno che il loro aereo personale per la trasvolata. Stampata su di esso, la classica H maiuscola gialla.

A fare da scorta, in volo al suo fianco vi erano l’enorme uccello leggendario Ziz e l’elementale dell’aria Tornado.

Inoltre, all’interno del velivolo era presente anche l’altro potente mezzo a loro disposizione: il fedelissimo sommergibile.

Una volta atterrati, quest’ultimo fu immerso in acqua, sotto l’attenta supervisione di Ghost, eroe omosessuale del gruppo di fratelli degli Heroes.

La Cenocroca, una stramba creatura dalla voce umana, si avvicinò a Vampire Boy.

“Ce ne sono solo tre?”.

Lui le rispose “Sì, però tieni conto che gli altri dovevano comunque rimanere nel loro quartier generale e, tra questi tre, c’è il Soggetto N. 6 che hai poteri giusti che servono a noi”.

“E quell’altro? Oh oh oh!” gli si fece vicino Silent Deadly Boy, un ragazzo con indosso il classico costume da Babbo Natale.

“Quello è il Soggetto N. 5!” gli rispose il vampiro, vedendo chi veniva indicato dalla campanella dorata “Ha una forza che può facilmente combattere a mani nude contro Nessie. Sempre se ce ne sarà bisogno”.

Detto questo, lasciò indietro i tre membri del Monster Commando e, tramutandosi brevemente in pipistrello per fare prima, raggiunse i tre degli Humana.

“Bene, gente. Direi che ora possiamo andare a riposare, così saremo belli freschi per l’impresa di domani! Qui vicino abbiamo allestito una tenda ma, per questioni logistiche e come ben capirete, noi del Monster Commando rientreremo all'Amityville Headquarter”.

Il trio di mutanti osservava lo specchio d’acqua innanzi a loro.

“Mi sembra così tranquillo questo lago… chissà se Nessie esiste veramente” ipotizzò Juna.

“C’è chi dice sia una specie di plesiosauro” esclamò Johnny.

“Di certo è un figlio della natura come tutti noi” sentenziò Geran.

Un Nekomata e un Chupacabra ascoltavano in silenzio le loro osservazioni.


Notte fonda. La faccia luminosa della luna si specchiava sulle acque increspate del lago.

Il sonno di Wayne venne disturbato da una sensazione preoccupante. Poi un lieve suono di passi.

Con la sua consueta rapidità, uscì dalla tenda. Di fronte a sé svariati sconosciuti armati non certo delle migliori intenzioni ma, a suo favore, vi erano già tre dei suoi alleati all’opera per neutralizzarli: il Salaawa dell’Africa settentrionale, L’Each Uisge proveniente direttamente dal lago e il tarantino Avurie.

Dopo averne atterrati una decina, il Soggetto N. 9 riconobbe, nonostante il poco colore che veniva riflesso, il bianco totale delle uniformi di quegli incappucciati.

Nonostante il numero maggiore di questi sabotatori, presto si diedero alla ritirata scomparendo come se non fossero mai esistiti.

“Ne ho arrestato uno!”.

Johnny in un lampo fu vicino a Maniac Cop Boy, mentre anche il toro gigantesco Kuyutha lo sorvegliava attentamente.

Il mutante si avvicinò al prigioniero “Dì la verità, senza di noi proprio non sapete stare, eh?”.

“Sei solo un coglione! Nessie deve rimanere libero e non agli ordini di quei bastardi del Monster Commando!”.

“Certo, così poi magari sarete voi dello Spettro Bianco a servirvene…”.

“Noi dello Spettro Bianco inseguiamo scopi ben più divini!”

“Come no… ad esempio, eliminando tutto il resto della razza umana”.

“Tu sei solo un misero mutante, non potrai mai capire le nostre motivazioni!”.

“Lurido figlio di puttana! Siete stati proprio voi a farmi diventare così!”.

Prima che quella discussione degenerasse, i due contendenti furono divisi da tutti i presenti e la pace parve tornare in quell’angolo della Scozia.


Il mattino seguente, il sottomarino degli Humana si stava immergendo nelle acque dolci. Questa volta, a fare da scorta vi erano Naga, creatura comunque assimilabile all’acqua, e Angelo, che in ogni caso non aveva bisogno di respirare ossigeno.

Sopra la torre in roccia che svettava sul lago, a fare da vedetta vi erano una specie di cosplay del film “Hostel” e Qilin, così immobile da sembrare una statua.

Un nave piena di turisti fu fermata dalla Chimera.


Una settimana passò, ma di risultati positivi nemmeno l’ombra.

“Strano. Che il Voltar si stia sbagliando?” rifletteva sconsolato Vampire Boy, mentre accarezzava sulla testa squamosa Ammit.

“Magari Nessie ha solo… paura” questionò l’esperto in materia Boogeyboy.

“Può darsi. Ma non tanto di noi, sebbene ci possa stare essendo noi tutti dei mostri o simili. Credo invece che lei capisca la grave minaccia rappresentata dallo Spettro Bianco”.

Il vampiro camminava in su e in giù per la sala dell’Amityville Headquarter, evitando anche Leatherface Boy, accompagnato dalla sua motosega ingombrante, il quale andava ad usufruire dei servizi igenici della loro villa.


Inconsciamente, per tutti quello doveva essere l’ultimo giorno. Il Voltar, che Benjamin aveva al collo, stava brillando più che mai.

L’equipaggio degli Humana aveva appena chiuso il boccaporto, mentre ad accompagnarli questa volta c’erano il Leviatano e Dagon.

Mentre il sommergibile si inabissava, Vampire Boy rimaneva con lo sguardo fisso su tale obiettivo. Dietro di lui, vi erano Witch Girl e la sua “collega” slava Baba Jaga.

“Deve essere oggi. Ne sono convinto!”.

Improvvisamente, l’acqua iniziò ad agitarsi e a produrre una notevole quantità di schiuma bianca. Di colpo, da essa emerse una piccola testa bluastra attaccata ad un lungo collo. l’acqua pioveva giù come sotto una cascata.

l’eroe tascabile africano Abatwa gridò a gran voce “È lui! Esiste davvero!”.

In quel momento scattò l’attacco da parte dello Spettro Bianco. Orde di uomini chiari accerchiarono i membri del Monster Commando.

“Ci attaccano! E tutti questi uomini sono troppi anche per me!” aggiunse Succubo preoccupata.

Dalle profondità emerse anche il Soggetto N. 8. Incurante del pericolo, si avvicinò alla creatura acquatica.

“Nessie! Se riesci a capirmi, devi immergerti! Qui su ora non sei al sicuro!”.

Intanto, anche il sottomarino era tornato in superficie e ne erano già scesi gli altri due mutanti, unendosi subito alla battaglia.

A riva, Laura s’impegnava disperatamente a tenere aperto il portale d’ingresso per l’Amityville Headquarter.

La lotta fu decisamente cruenta. Nessuno dei due schieramenti risparmiò colpi su colpi. Tra i vari mostri presenti, chi si distinse particolarmente per l’impegno profuso furono la Sfinge e Spring Heeled Jack.

Al termine della contesa, fu il cosiddetto bene a trionfare. Di conseguenza, gli Humana poterono ripartire dalla Scozia per tornare ad abbracciare i propri compagni rimasti a casa.

Sulle rive di Loch Ness, Benjamin Luhan ormai vedeva a malapena il jet perso tra le nuvole.

“Devo ammettere che su di loro si può sempre contare!” poi abbassò lo sguardo per fissare Nessie che lo fissava a sua volta, incuriosita.

“E così abbiamo una nuova sorellina in famiglia…”.

Accanto a lui, Johnny lo scheletro appoggiò l’osso del suo gomito sulla spalla del vampiro “Speriamo almeno che il nostro laghetto sia abbastanza profondo per la signorina…”.




La sala più maestosa di Asgard. Non poteva esserci stanza migliore per un ritrovo di così tanta solennità.

Il padrone di casa, Odino, aveva di fronte a sé tutti i padri celesti equipollenti a lui. Ognuno a rappresentare una mitologia che era ben lungi dall’essere morta. Dall’altra parte del largo tavolo tondo a cui erano accomodati, aveva niente meno che Zeus, padrone dell’Olimpo lì in rappresentanza anche della sua controparte romana Giove. Poi, a procedere in senso orario vi erano: Itzamna, il dio maya, Osiride, della religione egizia, Nuada, il dio celtico, Manitù, lo spirito degli indiani d’America, Svarog, della Russia, ed infine Tezcatlipoca, la divinità azteca.

“… Per questo vi dico, miei fratelli, che solo noi, unendo le nostre forze illimitate, potremo sconfiggere quel vile di Almattki Ass. perché, sebbene sia soltanto un’infima divinità sconosciuta, quei quattro miseri mortali di nome Humana non saranno di certo sufficienti a sconfiggerlo!” concluse il dio norreno con un occhio solo.

“Purtroppo vi informo, fratelli miei, che quel vile di Almattki Ass è riuscito a portare dalla sua parte il mio fratello Xocotl” annunciò tristemente Tezcatlipoca.

“Non disperatevi, fratelli, i miei uomini hanno ripreso possesso dei mortali che già in passato ci ospitarono e che gli Humana conosco bene, per affrontarlo degnamente” li informò felice Osiride.

“In più, tra di loro vi è il mio guerriero più fedele: Geran Giunan” aggiunse Manitù.

“Infine, so che gli atlantidei dell’imperatrice Nea, miei lontani parenti, manderanno in loro soccorso i loro cosiddetti Kaiju” concluse Zeus.

“Da!” approvò deciso Svarog.


America Centrale


Un gigantesco essere, dal corpo di uomo e dalla testa di drago verde e squamosa, sputava fiamme così alte che parevano poter bruciare anche le nuvole in cielo.

Evitando una fiammata e l’altra, il Soggetto N. 2 riuscì infine ad atterrare.

“Ho rischiato di finire troppe volte flambé per oggi!” si lamentò con il fiatone l’inglese.

“Non saprei nemmeno che arma poter usare contro di esso!” il Soggetto N. 4 era furioso “Tu che ne pensi, Berny?”.

“Io? Che era meglio restare a casa a farsi un sonnellino!” il Soggetto N. 7 tremava visibilmente dal terrore.

“Qui non possiamo bastare noi. L’unica è contattare i Global Defenders per…” ma il Soggetto N. 9 fu interrotto dalla comparsa di un nuovo gigante.

L’egiziano Atum riuscì a bloccare entrambe le mani del mostro con le sue.

Sopra le loro alte teste, comparve un uomo volante, abituato dalla sua eterna sfida con Apopi a lottare contro creature gigantesche. A sovrastare la sua testa di falco, era presente un gigantesco cerchio arancione. Proprio da esso partì un raggio che colpì in piena fronte l’azteco.

Essendo però Xocotl dio del fuoco e delle stelle, bastò un suo sguardo per annullare il potere di Ra, che se ne batté in ritirata.

“Perdonateci per il ritardo…”.

Quell’improvvisa voce femminile fece sobbalzare il quartetto di mutanti.

Iside, con il classico copricapo a forma di trono, proseguì “Il pantheon di tutte le divinità riunite è dalla vostra parte, coraggiosi Humana, sperando che tutte le nostre forze basteranno”.

“Vuol dire che nemmeno voi siete certi di come sconfiggere quel coso?” domandò alterato l’americano.

Ma il suo capo si voltò di scatto, quando a rispondergli fu invece Thot.

“Noi siamo qui soltanto come testimoni” l’uomo dalla testa di ibis sacro stava annotando tutto su un papiro appoggiato sopra una pietra piatta.

Nel mentre, Atum era stato buttato a terra ma, ancora più problematico per Xocotl, era l’avversario successivo: Seth.

Nonostante le piccole dimensioni, il dio malvagio egizio colpiva come una furia il suo obiettivo con tutte le armi che aveva a disposizione.

Preannunciato dal rombo di un tuono, un altro uomo dalla testa di falco si unì a dare man forte all’africano. Per la prima volta nella loro vita immortale, Seth e Horus erano alleati e colpivano come un sol uomo il loro rivale.

La divinità azteca era ora in ginocchio. Quello fu il momento giusto per sfoderare l’Occhio di Horus. l’amuleto distruttore di malvagità fu lanciato dal suo dio contro Xocotl. Incredibilmente quest’ultimo lo respinse e l’arma, tenendo fede alle sue caratteristiche, colpendo l’egizio dai capelli rossi, lo rese impotente.

Horus stesso venne colpito, chissà quanto involontariamente, da un raggio di Seth e, nascondendosi tra la boscaglia, venne soccorso immediatamente da sua moglie Hathor.

“Nemmeno i nostri duellanti ce l’hanno fatta!” esclamò sorpreso Amon, dalla pelle di colorazione bluastra ed un’evidente erezione.

“Perché quel puffo ha la pannocchia dritta?” chiese a bassa voce il messicano.

“Invece di giudicare mio marito, perché non combatti anche tu, anzi che fare il vile!” lo aggredì verbalmente Mut.

“Pure tu ti ci metti?!” sbottò il mutaforma “Io non saprei nemmeno in cosa trasformarmi per essere utile contro quella bestia!”.

L’altro mutaforma fissava serio il dio azteco.

“Io ci provo”.

Tutti si voltarono verso di lui, mentre il suo braccio destro cambiava forma. Si allungò fino a sembrare un potente bazooka.

“Tenterò con la mia Ammazzadei” sussurrò Andrea, mentre posizionava l’occhio destro davanti al mirino.

Maat gli si avvicinò all’orecchio.

“Concentra tutta la tua fede in questo colpo”.

Il Soggetto N. 4 seguì il consiglio e attese che l’arma fosse a carica massima. La bordata partì, finendo in pieno petto di Xocotl.

Il dio traballò pericolosamente, camminando all’indietro. Aveva già sollevato una gamba dal suolo e la schiena si stava inarcando sempre più. Ma poi il suo enorme piede tornò a toccare il terreno.

Il suo sguardo furioso, come sentendo un richiamo silenzioso, si andò a posare proprio sul gruppo di mutanti e dei.

Bastet, da brava dea-gatta, rizzò tutto il pelo della sua testa e soffiò come un’indemoniata.

“Se solo ci fosse qui la mia controparte malvagia Sekhmet… ” erano i suoi pensieri.

“Oddio, eccolo che arriva!” urlò terrorizzato il Soggetto N. 7.

Difatti, il gigante stava partendo alla carica contro quei moscerini. Ma un nuovo dio si intromise, facendolo allontanare con un’onda d’urto.

Anubi e la sua potente lancia schiaffeggiarono letteralmente il mostro, con il collo che ruotava ritmicamente a destra e a sinistra. Con altrettanta abilità, scansò anche le fiammate provenienti dalle fauci del drago.

Purtroppo anche le divinità si distraggono e, forse concentrato esclusivamente sul colpire l’avversario, il dio-sciacallo non notò la mano di Xocotl che lo serrò stretto di colpo.

“L’ha preso!” gridò isterico il Soggetto N. 2.

Direttamente dalla natura selvaggia della savana, un nuovo combattente fece il suo esordio. Ogun, l’Orisha del fuoco, si avventò tagliando di netto con la sua lancia l’occhio sinistro della creatura. Quest’ultimo, trovatosi spiazzato dall’organo appena perduto, gli soffiò contro una potente fiammata. Il dio africano la assorbì come fosse aria fresca.

“E questo qui chi è?” fu sorpreso il baffuto.

Ogun, non contento, ripartì all’attacco e tagliuzzò un po’ tutto il gigantesco corpo di Xocotl. Nel fare ciò, però, si accorse all’ultimo della coda di alligatore che lo stava per scacciare come fosse una zanzara fastidiosa.

Bastò quell’attimo per consentire al dio azteco di afferrare, con la mano libera, la divinità appena comparsa.

“Eppure ci deve essere qualcosa che possiamo fare contro quel bastardo?!” Johnny stringeva i denti e i pugni dalla rabbia.

Mentre Xocotl si avvicinava ad un lago vulcanico lì nei pressi, come aveva preannunciato il divino Zeus, i Kaiju entrarono in azione.

La tattica di combattimento era decisamente cambiata: dalle profondità del lago, i tentacoli di Edzisera, la piovra gigante, serrarono saldamente le gambe; Prant, la tigre coi denti a sciabola, con un balzo poderoso, gli conficcò le unghie acuminate nel petto; Sany, lo pterodattilo, gli atterrò sulle spalle, i suoi artigli perforarono i deltoidi di Xocotl.

“Ma quelli sono i mostri di Atlantide!” esultò Borghi

“Forse con loro riusciamo a batterlo!” tentò di tranquillizzarsi Lincon.

“Eppure quello stronzo resiste!” si alterò Alberti.

Nonostante quello scontro colossale, l’attenzione di Wayne fu cattura da un bagliore che si faceva sempre più vicino “Cos’è quella luce nel cielo?”.

Un oggetto volante e luminoso, dalla forma piramidale, fermò la propria traiettoria sopra i quattro giganti.

“La sua forma mi dà fiducia…” enunciò la dea alata Iside, mentre osservava il tutto insieme agli altri.

Improvvisamente, un raggio verde fu sparato verso gli inermi spettatori.

Questo raggio traente trasportò, con la sua medesima supervelocità, il velocista degli Humana sull’apice della piramide fluttuante.

“E ora? Come ci sono finito qua su?” si domandò il pilota di Formula 1, evitando di sporsi troppo e cadere giù a capofitto nella giungla.

“Perdonami, Johnny. Mi chiamo Nyal e ti ho portato quassù perché ho bisogno del tuo aiuto” rispose una voce androgina.

“Chi? Aiuto per cosa?” continuava a guardarsi intorno, con la speranza di identificare la provenienza di tale voce.

“Guida il mio raggio nella bocca del mostro”.

Avendo compreso tutto con quelle semplici parole, il Soggetto N. 9 si mise in posizione di partenza. Dalla punta del triangolo tridimensionale saettò una linea retta blu. La sua larghezza era precisa per metterci un piede dopo l’altro. E così fece il mutante.

Come un cane al guinzaglio, la luce seguiva le suole degli stivali gialli. Fu grazie alla loro prontezza che evitarono abilmente le fiammate lanciate da Xocotl, accortosi del pericolo nonostante l’occhio sanguinante.

Approfittando delle fauci spalancate per emettere altro fuoco, Johnny eseguì alla perfezione quanto ordinatogli dall’entità invisibile.

L’onda d’urto che ne derivò scaraventò a metri di distanza i vari Kaiju, compreso Atum ancora a terra esanime. Fortunatamente, Wayne fu protetto dallo stesso Nyal.

Del dio ribelle non vi era più traccia, mentre tutti gli altri contendenti, mutanti, divinità o creature gigantesche, erano rimasti incredibilmente incolumi.

Come conseguenza di tutto questo dispiegamento di poteri divini, fece la sua comparsa una nuova dea tra i mortali: Neith, la dea arciera della caccia e della guerra.




ZOO

Tre lettere enormi, metalliche, su un arco in ferro che sovrastava l’ingresso principale.

“Ne sei proprio convinto, Igor?” chiese, per l’ennesima volta, Frédérique Arone.

“Certo Frédérique, fidati di me!” la tranquillizzò Igor Wansa.

“Che tipologia hai detto che è questo zoo, scusa?” domandò Johnny Wayne.

“Praticamente, nella varie gabbie, non sono racchiusi i classici animali da zoo, ma piuttosto delle loro versioni piuttosto strambe” spiegò il bambino.

“Strambe quanto me?” disse Bernardo Borghi, mentre tramutava il suo aspetto in uno yak.

L’altrettanto strambo quartetto entrò così dentro quell’area.


“Fuori dai coglioni!”.

È così che gli Humana furono accolti una volta entrati. La cosa che però davvero spiazzò i quattro non fu l’ingiustificata maleducazione rivolta loro, ma piuttosto che tale volgarità furono esclamate da un rinoceronte grigio, dalla cui bocca spuntava un grosso sigaro fumante.

Nella gabbia accanto, un ghepardo scese da un ramo per fissarli meglio. Nella stessa maniera del Soggetto N. 7, il suo corpo mutò in quello di un essere umano. Per la precisione, si trattava di un ninja completamente vestito di colore verde scuro.

“Chi di voi sa pratica l’antica arte marziale del Xingyiquan?” rivolse a loro questa assurda domanda, serio.

In un’altra gabbia, quella che a tutti gli effetti pareva una tartaruga umanoide, si stava allenando come una forsennata all’utilizzo di due sai, uno con la forma del tradizionale tridente corto, mentre l’altro aveva la lama a forma di cuore stilizzato.

Il suo corpo era ricoperto da un’armatura dai colori giallo e bianco, tranne avambracci e cosce lasciate nude. Sulla cintura marrone aveva scritto in nero Teddy Raph-Skin. Infine, la forma del casco che aveva sul capo rassomigliava a quella di un orsetto di peluche.

In una seconda gabbia un ragazzo, dall’aspetto non particolarmente intelligente, appena li vide si affacciò il più possibile tra due sbarre.

“Vi prego, aiutatemi! Voglio tornare a casa mia! A Tokyo! Voglio vedere i miei Exogini!”.

Il giovane indossava un completo tutto rosso con, all’altezza del cuore, due iniziali R e S cucite in bianco.

In una terza gabbia, vi era un’altra tartaruga umanoide. Questa invece, per il suo combattimento contro nemici immaginari, utilizzava due spade katana. La sua armatura, come colori, aveva il blu al posto del giallo e, sulla cintura, il nome scritto era Leo-Nerdo. Infine, la forma del casco era a testa di elefante.

“Io il giapponese credo di conoscerlo…” Bernardo, tornato alla sua forma umana, si lisciava riflessivo il suo paio di baffi scuri.

“Davvero, Berny? Sei sicuro?” era dubbiosa il Soggetto N. 3.

“Sì, me ne deve avere parlato Chang… se non ricordo male, mi ha detto che si chiama Ryo Soda ed è un idiota trasformista”.

“Per non parlare delle tartarughe ninja…” aggiunse il Soggetto N. 9.

a quelle parole, l’autopresentatosi come Leo-Nerdo smise il suo kata e si avvicinò egli stesso alle sbarre, sbattendoci rumorosamente contro una delle sue lame.

I quattro mutanti si voltarono verso di lui.

“Non osate mai più chiamarci così! Noi siamo i Mighty Mutant Power Turtles!”

Il Soggetto N. 1, fino ad allora con un’espressione sempre più corrucciata in viso, esplose di colpo in un urlo disperato.

“Aiuto! Aiuto! È scappato un leone!”.

Un altro ragazzo, della stessa età e dagli abiti simili a Ryo Soda, si aggirava baldanzoso tra le gabbie. I suoi capelli castani afro ballonzolavano fieri ad ogni passo.

Con tranquillità, si avvicinò al quartetto in gita.

“Dove? Dove? Dov’è questo leone, Igor?” la testa del messicano pareva una pallina impazzita, voltandosi verso tutte le direzioni possibili dello zoo.

“Ma come dov’è?” si alterò il russo, indicando il nuovo arrivato “È proprio lì davanti a noi!”.

Gli altri tre rimasero alquanto perplessi.

“Ne sei sicuro, Igor?” chiese dubbioso l’americano.

La francese lo scrutò a fondo “A me sembra una persona normalissima”.

Quest’ultima, seppur involontariamente, catturò all’istante l’attenzione del presunto leone.

“Finalmente a luglio iniziano a spuntare le belle ragazze!” esultò lui, in lingua italiana.

In un attimo, la ferocia del felino venne realmente fuori dall’italiano. A grandi balzi, puntò verso la transalpina.

Lo stesso velocista rimase spiazzato da cotanta rapidità.

Borghi tentò di attirarlo, tramutandosi in una donna suadente e completamente nuda.

“Ehi, bel maschione!”.

Il ragazzo dello zodiaco si fermò di botto. Voltò il capo verso il mutaforma.

“Tze! Nude Girl è molto più eccitante di te!” sentenziò, per poi ripartire alla carica.

Mentre l’autostima di Bernardo colava a picco, Frédérique ebbe tempo di scaldare i suoi occhi nocciola e sparare una raffica di raggi laser.

l’obiettivo fu colpito in vari parti del suo corpo. La scena ebbe la drammaticità di un gangster crivellato di colpi durante gli anni del proibizionismo. Il capellone crollò esanime al suolo, ma pienamente in vita.

Scusate” il telepate ruppe il silenzio, dopo alcuni minuti di mutismo “questo zoo è davvero una cavolata!”.

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Capitolo 24
*** Storie brevi ***


CAPITOLO 24

Storie brevi”




Casa di riposo per musicisti “G. Verdi”, Milano

Una struttura fondata nel 1899 dall’omonimo e famoso compositore, è un enorme ed accogliente villa in stile neogotico.

Davanti ad essa vi erano due persone ad attendere l’arrivo del mutante italiano: 55, il polistrumentista totale della squadra polisportiva Face Team, e Walter Mora, il più grande maestro di piano esistente al mondo.

Finalmente, Andrea Alberti si palesò davanti a loro.

“Benvenuto Andrea!” lo salutò, in maniera poco formale, lo pseudoatleta.

“È un onore averti nostro ospite” fece un lieve inchino il pianista.

“L’onore è tutto mio di poter fare la conoscenza con un maestro straordinario come lei, signor Mora” era visibilmente emozionato il Soggetto N. 4.

“Sciocchezze, figliolo!” Mora scosse la sua folta capigliatura canuta, caratterizzata dal corto codino che ricadeva sopra il collo “Sappiamo perfettamente quanto tu e il tuo gruppo state facendo per l’umanità”.

“Ed è per questo che noi del Gruppo Diapason speravamo di poter incontrare almeno uno dei vostri membri” proseguì il biondo ossigenato con l’orecchino sul lobo destro.

“Giusto! Mi hanno parlato della vostra splendida iniziativa! Siete come dei Global Defenders della musica!”.


Mentre il trio proseguiva con i convenevoli, nell’aiuola circolare davanti all’ingresso altre due figure osservavano la scena.

“Miiiii, e quello chi minchia è?” chiese, con uno stile tipicamente siciliano, il palermitano Matteo Amadio, tenendo ben stretto in tasca il suo scacciapensieri.

“Un po’ di contengo, Matteo!” lo redarguì l’organista Giovanni Barbaro “Lui è uno degli Humana”.

Una figura femminile si avvicinò alla coppia.

“Io lo conosco! Ci siamo conosciuti in Egitto ” affermò fiera Steve Ellis, in arte Giza, lì presente per la sua padronanza con il sistro.


Intanto, il pesante portone in legno si aprì. A fare gli onori di casa vi era una bella donna dai capelli ricci e biondi. Il vestito a balconcino che indossava metteva in risalto il suo seno florido.

“Benvenuto nella nostra umile dimora…” gli sorrise dolcemente Susanna Martini, rivelando però dei canini alquanto appuntiti.

Il mutaforma fu spiazzato da quel sinistro particolare, quando la sua attenzione fu cattura da uno strano ometto.

“Vuoi per caso un buon gelato?!” chiese diretto.

“C-Come?”.

“Oh! Non ci far caso…” minimizzò Mora “è una sua deformazione professionale, lui è un gelataio che si chiama Jacopo Brandi”.

L’interessato replicò con una strimpellata di banjo, mentre la donna gli fece eco con una di balalaika.

“Che gelato avevi in mente per noi, eh, Jacopo?” lo punzecchiò Julie Carr, nome di battaglia Druid Girl, con poteri sia di criocinesi che di pirocinesi “che così vedo di darti una mano, o nel farlo o nello scioglierlo!”.

“Gelato fatto con pasta di biscotto con ripieno di torta di zucca, patatine al caramello, torta di mele e marshmallow.” replicò serio lui.


All’esterno della villa, altri curiosi si avvicinarono ad essa. A Giza si affiancò un uomo dai suoi medesimi gusti sessuali.

“Ciao tesoro, è vero che dentro c’è uno degli Humana?” 30 del Face Team era così incuriosito da lisciarsi i baffi nell’attesa della risposta.

“Ma certo amo…” il trans si interruppe vedendo uno stormo di piccioni, dall’aria decisamente poco amichevole, piombare su di loro “Piccioni!”.

Nonostante quell’attacco improvviso, in tre si misero a difendere la “dolce donzella”: Emanuele Chiappara, con il suo Chapman stick, Dario Corradi, con la sua ciaramella, e Ailton Barreto, con il suo berimbau ma, soprattutto, con la sua padronanza della capoeira.

L’attacco dei pennuti fu respinto con onore. Le onde soniche, emesse dai vari strumenti musicali, furono come un muro contro cui andarono a sbattere i volatili.

State tutti bene?” si informò Amuro Yotsuba, proveniente dall’Istituto Shiroiwa, con la sua tromba pocket.

Con tutto quel trambusto, Andrea uscì di corsa dall’abitazione e si guardò intorno preoccupato.

Che è successo?”.

No, niente…” sdrammatizzò Andrea Coleman “qui ogni tanto capita che ci assaltano i piccioni…”.

E pensare che, alle volte, rischiamo anche di far saltare i concerti, a causa loro” ricordò Valerio Pisani, con le mani infilate nel laccio dei suoi piatti.

Giusto a questi tre gay può piacere tutto quello stormo di uccelli!” Mattia Carboni indicò, con il suo triangolo, prima 30, poi Giza ed infine il ragazzo.

Non sono gay! Come devo dirvelo?!” replicò furioso il bassista.

Piuttosto, perché non ci suoni qualcosa tu, Andrea?” propose Arminio Rocchi, con le lenti dei suoi occhiali che scintillavano al sole.

Io?” si autoindicò il mutante, con la mano che si era inconsciamente tramutata in una sorta di fucile atomico.

Ma sì!” gli si mise sottobraccio Mai Shinozaki, violoncellista e studentessa anche lei dell’Istituto Shiroiwa “Non credo che il maestro Mora si faccia dei problemi a farti usare il suo pianoforte, giusto?”.

Come ti ho detto prima, per me sarebbe assolutamente un onore” diede il suo benestare Walter, uno dei più anziani del Gruppo Diapason.

Tutti i presenti si spostarono nell’enorme salone adibito ai concerti. Andrea Alberti, seppur con le mani tremanti dall’emozione, si mise a premere i tasti per farne uscire una melodia almeno accettabile.

Ad accompagnarlo, vi era la tuba di Giovanni Jani, cugino del ex-portiere dell’Istituto Fota e attualmente del Liverpool Luca Jani.




Egitto

Nuovamente in terra egizia, Sara Silvestri si esaltò a spiegare il possibile ritrovamento di un’antica tomba faraonica, mentre i Soggetti N. 3 e 9 seguivano con gran difficoltà tutto quello sproloquio di parole.

L’Italiana era talmente esaltata che, non sentendosi particolarmente bene una mattina, fu costretta a mandare i due mutanti alla ricerca di tale obiettivo.

Il risultato fu una stele, incisa direttamente nella roccia, che recitava così.

Qui gli dei non vengono a qualsiasi appello. La senza nome deve restare per sempre sola. Voi non avvicinatevi alla senza nome, perché la vendetta ucciderà. Guardatevi dall’uomo che viene dal lontano cielo del nord. Lui libererà e scatenerà la sua perfidia sulla terra”.

Per trovare l’ingresso, fu fondamentale il potere del velocista. Una volta scoperto, riuscì a disintegrare la roccia di sigillo con delle rapide vibrazioni delle sue dita.

Figlia del sole, amata da Osiride, regina degli egizi: Kara” fu una nuova incisione che trovarono all’interno della tomba.

Purtroppo la gioia di quella riuscita fu contrastata, appena rientrati all’albergo che li ospitava, dal ritrovare la loro mentore svenuta.

Una volta portatola in ospedale, il mattino successivo i due mutanti tornarono nella tomba. Qui scesero una lunga scalinata, alle cui pareti erano rappresentati alcuni dei della religione egizia, loro antichi rivali ed ora degni compagni di battaglia. Terminati i gradini, ad attenderli vi era una grande sala piena di svariati suppellettili, tra cui la testa bronzea di Anubi.

Nel mentre, in ospedale Sara si ridestò finalmente dal suo sonno senza sogni.

Proprio nell’esatto momento in cui Johnny spinse il coperchio di un sarcofago per aprirlo, nonostante Frédérique era alquanto riluttante all’idea.

Rientrati euforici all’ospedale, comunicarono la lieta notizia alla convalescente.

Il mattino dopo, la tomba era preda di vari ricercatori, giornalisti ed alcuni facchini che, come una catena di montaggio, prelevavano i vari tesori ritrovati al suo interno.

Particolare attenzione fu data chiaramente al sarcofago.

Purtroppo tale iniziativa non soddisfaceva un impiegato del Cairo che, proprio nel bel mezzo del sollevamento del sarcofago tramite cavo, bloccò di colpo il meccanismo. L’unica conseguenza fu la rottura della fune che, con uno strano scherzo del destino, andò ad avvolgersi attorno al collo dell’egiziano, strozzandolo.

A seguito di tale evento infausto, fu deciso che il sarcofago sarebbe infine rimasto in Egitto, mentre a Wayne fu regalato un antico specchio, come ringraziamento a tutti gli Humana per il loro prezioso aiuto. Per il trio giunse il momento del rientro a casa.

Passati mesi da questa loro trasferta, durante un’eclissi, la teca protettiva di vetro si crepò misteriosamente.

Avvertito di ciò, questa volta fu mandato in terra africana il solo Soggetto N. 9. Appena sceso dall’aereo, corse rapido verso il sarcofago della regina, dove degli studiosi lo avvertirono che erano obbligati ad esaminare la pelle della defunta per eventuali presenze batteriologiche. Egli si imbufalì come se si trattasse di un suo parente stretto.

Anche uno dei professori andò incontro ad una brutta fine: investito da una macchina di fronte al museo di storia.

Fu allora che il pilota e la ballerina iniziarono ad ipotizzare riguardo la natura demoniaca della regina Kara. A loro si unì Silvestri che si dimostrava ancora più preoccupata. In particolare, riguardo una procedura di resurrezione che dovrà avvenire alla trentanovesima eclisse, tramite i vasi canobi, contenenti le viscere della defunta, costretta fin da piccola a sposare il proprio fratello.

Col passare dei giorni, l’americano divenne sempre più inquieto. Sentiva come se l’Egitto lo stesse chiamando a sé.

Alla fine, i due mutanti tornarono nel continente di Juna, nonostante la titubanza dell’italiana.

Nel frattempo, un trabocchetto nascosto nella tomba, per la precisione uno spuntone retrattile dal muro, trapassò un ricercatore che aveva appena scovato il sirtap, il sacrario segreto.

Stessa sorte poteva toccare a Johnny, che invece scansò appena in tempo la lama mortale. La ricompensa di quell’ennesima morte furono proprio i vasi canobi.

Tali preziosi recipienti furono portati al quartier generale degli Humana. Sara temeva sempre di più l’intenzione di Wayne di replicare il rituale.

Ad avvalorare sempre di più il suddetto sospetto, fu il consulto che lo statunitense ebbe con un famoso astrologo, da cui ebbe la conferma che, di lì a breve, si sarebbe verificata esattamente l’eclisse numero trentanove.

Mentre la bionda tentava di distruggere le reliquie egizie, subì un potente attacco da parte di un poltergeist. Tutti gli oggetti della villa sembravano avercela con lei.

In quello stesso periodo, anche Arone mostrava segni di squilibrio. In lei sentiva come uno sdoppiamento di personalità, arrivando persino a truccare il proprio volto con uno stile replicante quello dell’antico Egitto.

La cosa peggiorò ancora di più quando la francese iniziò a parlare in un idioma sconosciuto ed i suoi compagni obbligati ad un ricovero forzato per la loro amica.

Qualche giorno dopo, la convalescente, appena risvegliatasi dai sedativi, convinse Johnny a realizzare la procedura alla lettera.

In piena notte, il Soggetto N. 9 si intrufolò nel museo. Alla sola luce di qualche candela, scoperchiò il sarcofago di Kara. Al suo interno, un piccolo corpo mummificato.

Ave Osiride, signore dell’eternità. Ave Anubi, signore delle tombe. Gran dio, padrone della santa dimora, ti imploro di concedere a Kara che risorga dagli inferi. Il mio sangue e il fuoco purifica la tua polvere. Che la gran luce di Anubi ti faccia respirare di nuovo. Che la gran luce di Osiride faccia ribattere il tuo cuore.”

Magicamente, al suo fianco comparve la stessa Frédérique, agghindata come una faraona leggendaria.

Fa che Anubi apra la tua bocca e riempia il tuo cuore” concluse il rito.

Sfondando i vetri delle finestre, fu proprio Anubi ad entrare e, armato della sua lancia mistica, incenerire la mummia che stava per possedere il corpo e l’anima del Soggetto N. 3.




Due donne, una di fronte all’altra, entrambe sedute su comodi quanto sfarzosi divani. Una è la ballerina mutante di danza moderna Frédérique Arone. L’altra è la famosa supermodella di nome Ivy. quest’ultima vestita con una succinta minigonna e un abito, a strisce orizzontali bianche e blu, decisamente scollato.

Dopo interminabili minuti di attesa, si fa finalmente vivo il maestro fotografo designato per quella sezione di foto, il giapponese Naoto Toriyama.

Care! Perdonatemi davvero per tutto il tempo che vi ho fatto aspettare!”.

Non si preoccupi” rispose con un sorriso rasserenante la francese.

L’americana non proferì parola, fissandolo con uno sguardo seccato.

Sono davvero dispiaciuto per questo ritardo ma, al contempo, sono estremamente felice di averti qui con me, mia dolce Frédérique”.

Il piacere è tutto mio, maestro”.

Che splendida che sei!” le sorrise lui con una smorfia assurda, per poi tornare serio e voltarsi verso la seconda donna “Cara Ivy, per prima tocca a te!”.


Nel giro di pochi minuti, il set fotografico fu allestito, con faretti, paraventi e svariate macchine fotografiche.

Ivy ricomparve con un outfit ispirato alla cultura hippy. I suoi capelli ramati erano agghindati con trecce dalle trame davvero complesse.

Mettetemi gli ABBA, svelti!” ordinò il maestro ai suoi collaboratori.

Nonostante le note del quartetto svedese si sbizzarrissero nell’aria, il volto della modella rimaneva comunque malinconico. Il Soggetto N. 3, sebbene rapita da quell’ambiente così magico e surreale, se ne accorse senza nemmeno usare la sua supervista.

Niente da fare! Non… ci… siamo…” Naoto scuoteva tristemente il capo.

Finché il suo sguardo non si posò nuovamente sulla europea.

Frédérique, amore, unisciti anche te alla nostra Ivy. Sono certo che una coppia come voi farà faville!”.

È sicuro, maestro?” l’interpellata rimaneva dubbiosa.

Assolutamente sì! Svelta, preparati e ritorna qui sul set!”.


Giusto il tempo da dedicare a trucco e parrucco, e Arone aveva ora indosso un tailleur di color lavanda di un’eleganza unica. Timidamente, si accostò alla professionista.

Fantastica! Benissimo, ripartiamo tutti immediatamente!”.

La sezione fotografica ne guadagnò molto. Il fascino delle due donne fu perfettamente catturato e valorizzato dall’obiettivo.

Passata qualche ora, l’artista dichiarò infine il termine delle fotografie.


Tornate ai loro abiti quotidiani, le due si trovarono per caso sul marciapiede davanti allo studio fotografico.

Ti devo ringraziare…” furono le prime parole udite provenire dalla top model.

L’altra ne rimase stupita “Per cosa?”.

Grazie al tuo intervento, hai salvato questa giornata”.

Ma che dici, Ivy? Ho fatto solo quella che mi veniva detto”.

Sei stata davvero brava” proseguì lei “in più, sei anche molto carina, complimenti”.

Figurati!” Frédérique era nell’imbarazzo più totale “Magari potessi avere il tuo fascino e la tua eleganza”.

In questo periodo mi sento tutto tranne che bella, te lo assicuro” si rabbuiò Ivy.

Come mai? Se posso saperlo ovviamente” la francese le si fece vicina.

Sento dentro di me una profonda tristezza. In particolare, a causa di una persona…”.

Chi?”.

Una mia amica ed ex-collega. Si chiama Holly Gibb”.

Questo nome non mi è nuovo…”.

Era la migliore della compagnia, finché non si è messa in testa di fare l’attrice e ci ha lasciate tutte così, di punto in bianco!”.

Probabilmente sentiva che quella era la sua strada. Da ballerina, in un certo senso, capisco questa sua scelta…”.

È che… ho paura che possano rovinare la mia Holly…”.

Non preoccuparti, Ivy! Sono certa che questa Holly abbia la determinazione giusta per affrontare gli ostacoli che si troverà davanti”.

Su questo hai ragione. Holly dimostra sempre un’energia incredibile! Spero che si sappia difendere da tutti gli squali che si troverà davanti” sorrise melanconica la rossa.

Il membro degli Humana le accarezzò dolcemente la schiena.

Piuttosto Ivy, dovresti pensare anche alla tua di vita. So che la tua carriera di modella è decisamente in ascesa e, se sei arrivata fin qui, sono convinta che sia tutto per merito tuo!”.

La statunitense sorrise divertita “Magari è solo fortuna…”.

D’un tratto, il suo cellulare si mise a squillare. Ivy lo tirò fuori dalla piccola borsa che aveva a tracolla e ne fissò lo schermo luminoso.

È Holly!” in un istante, il viso le divenne radioso.

Perfetto! Oggi ti sei guadagnata di chiacchierare un po’ con lei”.

Sì!” gli occhi verdi della giovane passarono dal display alla sua collega odierna “Grazie per le tue splendide parole, Frédérique, e scusa per il mio comportamento di oggi. Sei davvero una donna dal cuore limpido”.

Inaspettatamente, le diede un rapido bacio sulla guancia per poi allontanarsi e rispondere alla chiamata dell’amica.




Appena stessa la tovaglia sul verde prato attorno al quartier generale, Frédérique Arone ci si lanciò sopra felice. Con l’arrivo della primavera, la francese sembrava ella stessa sbocciare, come i numerosi fiori presenti.

Con lei vi era Igor Wansa, decisamente meno entusiasta.

Senti che bel profumo che c’è nell’aria, Igor…” inspirò ad occhi chiusi.

Sarà che dalle mie parti il freddo è l’unico vero compagno, ma proprio non ci vedo nulla di straordinario in questa stagione” sentenziò il ragazzino.

Ma dai, Igor! Mica vorrai restare sempre in casa anche con questo bel tempo?”.

Io in villa mi ci trovo discretamente bene”.

Beh ci credo, è una villa! E in più ci sono anche tutti gli altri… però non rischi di annoiarti dopo un po’?”.

Non particolarmente. Di recente poi ho visto un film davvero inquietante…”.

Addirittura!” Fu sorpresa il Soggetto N. 3 “Di che film si tratta?”.

S’intitola “The human centipede”… ” le rispose il Soggetto N. 1.

Cos’è? Un cartone animato?”.

Non proprio. È un film horror dove delle persone vengono unite tra di loro cucendo assieme le loro bocche e i loro ani, formandosi così appunto un centopiedi umano”.

La ballerina rimase shockata, tra l’allibito e il disgustato.

Scommetto che è stato Johnny a fartelo vedere. Oppure Andrea. Ma fidati, appena li vedo mi sentono quei due!”.

Però in un certo senso è stato educativo anche…”.

Col cavolo! È solo schifezza! Ma come hai fatto a guardare una cosa del genere? Mi viene da vomitare al solo pensarci!”.

A me fa più schifo il centopiedi che ti sta camminando vicino alla gamba” le indicò il russo.

La donna si alzò di scatto urlando come la sirena di un’ambulanza.

Oddio dove?! Che schifo! Mandalo via!”.

l’animaletto, più spaventato della stessa mutante, scappò subito via, rifugiandosi tra i fili d’erba più vicini.

Il telepate non riuscì a resistere e scoppiò in una risata fragorosa.

L’altra, offesa e furiosa per quel terribile scherzo, se ne andò via minacciandolo.

Ora vado subito a parlare con Sara! Così insieme decidiamo subito una punizione per te e per tutti gli altri scemi! Stronzetto!”.




Incredibilmente, il quartier generale degli Humana era totalmente deserto. D’un tratto, il rumore secco della chiave girata nella serratura presagiva una nuova venuta.

Sara Silvestri che, nonostante avesse dato lei stessa dei giorni di permesso premio a tutti quanti, inizialmente si stupì di tutto quel silenzio.

Posate le varie borse di cui era carica nell’ampio salotto di casa, per rilassarsi e godersi anche lei quella giornata libera da impegni, uscì nuovamente. Una bella camminata nel giardino rigoglioso tutto attorno alla villa era proprio quello che le ci voleva. La sua mente era totalmente svuotata da qualsivoglia preoccupazione.

Improvvisamente, si accorse di una piccola presenza nella sua proprietà. Notando questo bambino che giocava con dei non meglio specificati balocchi, gli si avvicinò, pensando di aver già individuato di chi si trattasse.

Igor, che fai tutto qui da solo? Come mai non sei con gli altri?”.

Il ragazzino sobbalzò udendo quella voce improvvisa. Addosso aveva una maglia rossa con bottoni dorati e bavero bianco, un gilè verde e, calcato per bene sulla testa, un cappello a strisce orizzontali rosse e bianche.

Alzatosi in piedi come una molla, mettendo così in evidenza il suo naso particolarmente pronunciato, fissò felice e poi sorpreso la donna “Scusa compagna… oh, ma tu non sei Malvina?”.

Anche la bionda si accorse di aver frainteso l’identità di colui che aveva davanti, tra l’altro notando su di lui una pelle che pareva di fabbricazione lignea “Scusami, ti avevo confuso con un altro. Ma piuttosto, tu chi sei? Come hai fatto ad entrare qui dentro?”.

Perdonami ancora compagna, il mio nome è Compagno Pinocchio…”.

Prego?”.

Pinocchio”.

Il burattino?”.

Sì, quello è il mio secondo nome. Tu mi conosci?”.

Certo che sì! Sono italiana, sarebbe assurdo che non conoscessi Pinocchio!”.

Oh, io invece vengo dalla Russia. Mi sono rifugiato qua dentro perché sto scappando da gente cattiva di nome Carabas, Duremar, Alice e Basilio”.

Però vedi che ci avevo preso che sei russo! Comunque, chi sono questi quattro tipi?”.

Un burattinaio, un venditore di sanguisughe, una volpe e un gatto”.

l’espressione di Sara si fece sempre più confusa “Ok, a parte il secondo, gli altri tre ce li ho presenti, anche se non avevano proprio questi nomi…”.

Sai, ad aiutarmi a scappare è stata una bambina italiana proprio come te!”.

E chi è?”.

Nascosta dietro un albero, fece capolino una nuova presenza. Una bambina con indosso un abito estivo rosso, su cui erano disegnati vari fiori bianchi, che terminava in una svolazzante gonna. In capo aveva un grosso fiocco giallo e, ai piedi, delle scarpettine eleganti con un fiocchettino rosso su ciascuna di esse.

Ciao… scusaci sei siamo entrati nel tuo giardino senza permesso”.

Tranquilla, piccola. Tu come ti chiami?”.

Mi chiamo Pirulì, sono la sorellina di Pinocchio”.

L’espressione di Silvestri era sempre più spiazzata. Tornò a fissare il ragazzino.

Quindi hai anche una sorellina?”.

No!” negò lui “Lei è sorellina di un altro Pinocchio”.

La donna tornò ad osservare lei.

Sì, io sono stata creata da Geppetto con del legno avanzato per fare Pinocchio”.

Ok, questa è la storia che conosco anch’io!”.

Così insieme affronteremo meglio quei vigliacchi!” esclamò Compagno Pinocchio, guardandosi attorno con attenzione.

Ma si può sapere cosa vogliono da voi queste persone?” chiese l’italiana.

Il burattino prima osservò colei che aveva posto il quesito. Poi la sua amica in legno. Infine, con fare guardingo, estrasse da una delle tasche una chiave dorata. La sua lucentezza si rifletteva come uno specchio negli occhi castani di Sara.

Questa chiave è la custode di un grande potere” sussurrò quasi il suo proprietario.

Silvestri squadrò quella coppia fiabesca. Nei loro sguardi notò sì preoccupazione, ma anche tanta determinazione.

Lasciate fare a me. Vi darò un mano io”.

In breve, tutti e nove i membri degli Humana furono contattati e risposero a quella convocazione inaspettata.

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Capitolo 25
*** Le nuvole si muovono ***


CAPITOLO 25

Le nuvole si muovono”




Il salone di villa Humana era, incredibilmente, deserto e silenzioso. Finché non si iniziò a udire rumore di passi che, tramite le eleganti scale lignee, procedevano dal piano superiore a quello inferiore dell’abitazione.

Con già indosso l’uniforme da battaglia rossa, con l’immancabile H gialla sul petto, Igor Wansa notò un qualcosa di rettangolare sull’ampio tavolo rotondo in salotto.

Incuriosito, si avvicinò ad esso e afferrò quella misteriosa scatola nera con i i suoi guanti giallognoli.

Il contenitore era in legno scuro e, su quasi tutta la sua superficie, presentava svariate volute finemente scolpite.

“Questo chi ce l’ha messo?” si domandò, mentre lo riposava sul piano.

Fu solo allora che la sua attenzione venne catturata da un biglietto di carta recante la dicitura “X JACK”.

“Sarà qualche altra stramberia che ha comprato in giro per il mondo quel matto inglese…” concluse un russo ancora ben dubbioso “Forse faccio meglio a contattarlo subi…”.

Non fece in tempo a concludere il suo monologo che una delle eleganti finestre si spalancò di colpo. Allo stesso tempo, lo stesso coperchio della scatola si impennò. Come uno stormo di uccelli, dei piccoli rettangoli cartacei presero il volo verso l’esterno dell’edificio, in una perfetta fila indiana aerea.

“Sembrano tarocchi!” gridò il ragazzino, mentre tentava inutilmente di afferrarne qualcuno.

Temendo la possibile punizione che poteva toccargli per tale incidente, sebbene non fosse egli stesso con certezza il colpevole, il Soggetto N. 1 partì al disperato inseguimento saltando oltre la stessa apertura utilizzata dalle carte.


Un rombo di motori era, via via che ci sia avvicinava, sempre più udibile. Sebbene non al livello di decibel di ciò a cui era abituato Johnny Wayne in Formula 1, anche questo kartodromo sapeva come attirare l’attenzione dei molti appassionati.

In una fase di prove, uno dei veicoli, appena imboccata una curva in pieno drift, stava sfrecciando a tutto gas in un dirizzone. Improvvisamente, la peggior visione che possa comparire di fronte ad un pilota: un uomo fermo in mezzo alla pista.

“Ma che cazzo!?” imprecò lo sportivo che, con un’ottima padronanza del mezzo, sterzò di lato e fini oltre i cordoli del tracciato.

A motore spento, il kartista cercava di riprendere fiato, sebbene avesse la testa ancora dentro al casco e nella mente gli occhi di quella persona. Due sfere rotonde in cui poter rabbrividire osservando una pura follia.

Toltosi con le mani tremanti la protezione al capo, il giovane pilota giapponese osservava, come smarrito, l’ambiente attorno a lui.

“Dov’è finito quel pazzo?”.

“Hai ragione ragazzo, era proprio il pazzo”.

Voltatosi di scatto verso quella voce femminile, vicino a lui scoprì una donna affascinante, con un telo rosso che, dai capelli scuri, le ricadeva lieve oltre le spalle nude, mentre il resto del corpo sinuoso era velato da una tunica del medesimo colore.

“C-Cosa? E tu chi sei?”.

“Io sono la Sacerdotessa, ma alcuni mi chiamano pure la Papessa. Con chi ho il piacere di parlare, di grazia?”

M-Mi chiamo Masaomi Akamine” l’altro proseguiva con l’osservarla sotto i suoi capelli schiacciati da dopo gara “Che cosa intendevi prima?”

“Mi dispiace essere portatrice di pessime notizie ma vedi, Masaomi, il destino ti ha messo davanti ad un grave compito…”.

“Quale grave compito?”.

“A te viene affidata la custodia di oggetti magici così semplici ma, allo stesso tempo, così potenti. Voi umani li chiamate tarocchi!”.

“Tarocchi?! Ma che significa?”.

“All’apparenza semplici carte, come anche la mia e questo tarocco del Serafino” dicendo ciò, ne fece comparire magicamente una di esse nella sua mano sinistra “ma in grado di dar vita ad esseri straordinari”.

Con un lieve bagliore, dalla superficie in carta del tarocco emerse un piccolo angelo, caratterizzato però da ben tre paia di ali.

“Scusami, è tutta colpa mia” sopraggiunse trafelato il telepate.

Masaomi balzò via sorpreso da quel nuovo personaggio “E tu chi sei?”.

“Proprio te aspettavo, Igor” gli sorrise la donna “Ora devo raggiungere il tuo collega Jack per spiegargli cosa è accaduto ai suoi artefatti mistici…”.

Appena pronunciata tale intenzione, la Sacerdotessa scomparve dall’esistenza. Stessa sorte capitò anche al Serafino.

Quella strana coppia non ebbe modo nemmeno di conoscersi che, sempre di fronte all’ora, comparve un altro strano tizio.

Quest’ultimo indossava un abito dai grandi sbuffi e un capello a tesa larga, entrambi cuciti con rettangoli di svariati colori.

“Eccomi a voi, messeri! Io sono il Bagatto, anche detto il Mago!”.

Il giapponese si mise in posa di combattimento “E io vengo dall’Istituto Shiroiwa e da grande sarò un ninja!”.




“Quindi è stata tutta colpa di quel nano sovietico!?” sbraitò Jack Lincon mentre planava nell’aria.

“Tu proprio non vuoi comprendere, Jack!” iniziava a spazientirsi la mistica, anche lei perfetta a suo agio a galleggiare senza gravità “Questo incantesimo si sarebbe attivato con un qualsiasi Soggetto, dall’uno al nove!”.

“Comunque il mio interesse ora è riversato verso ben altro, e altrettanto misterioso!”.

“Cosa sarebbe, di grazia?” chiese sorpresa lei.

“Guarda giù e capirai” replicò lui.


Nella più classica delle risaie nipponiche, qualsiasi di assurdo era ben visibilmente a tutti, ma soltanto in pieno volo.

Due cerchi perfettamente concentrici e, all’interno di quello più piccolo, la classica rappresentazione grafica di una stella a cinque punte.

Questo singolare cerchio nel grano aveva però attirato l’attenzione non solo delle due persone scarlatte e volanti. Un ragazzo, le cui vesti erano l’uniforme ufficiale dell’Istituto Shiroiwa,

“Che mi venga un colpo…” esclamò, mentre si grattava la chioma scura, già solcata da strisce rasate che ricordavano le cuciture di una palla da baseball.

Al fianco del giovane, si fece avanti una nuova donna. Ella aveva i capelli castani con boccoli che ricadevano su un’altra tunica, questa in puro stile antico romano, i cuoi colori erano esattamente suddivisi tra il bianco e il marrone.

“Tu, plebeo, dove mi trovo? Rispondi!” gridò additando il giapponese.

“E tu chi cazzo sei?! E come ti permetti di darmi del plebeo? Io sono “Wild Seven” Baki Shiba, asso del club di baseball dell’Istituto Shiroiwa!”.

“Pensi seriamente che per me abbia importanza tutte queste inutili informazioni!” controbatté lei “Tu sei al cospetto dell’Imperatrice!”

“Imperatrice?” la squadrò beffardo Baki “L’unico imperatore che conosco è il nostro leggendario Eikichi Ozu!”.




“Ecciù!”.

“Salute, Eikichi.” replicò Frédérique Arone cortese “Non è che, con tutti questi concerti, ti starai mica ammalando?”.

“Figurati!” sdrammatizzò il giovane “Noi imperatori non possiamo ammalarci!”.

“Cosa ne può sapere un misero plebeo come te di cosa vuol dire essere un imperatore!”.

La coppia, che fino ad allora era diligentemente seduta dentro un bar di Tokyo, si voltò sorpresa da cotanta superbia.

D’innanzi a loro vi era un uomo alto, con i capelli e la barba nera, un cerchio di allora attorno al capo e abiti identici, seppur chiaramente declinati al maschile, dell’esponenti dei tarocchi di poco prima.

Il giovane cantante si grattava perplesso il ciuffo alla Pompadour “Certo che ce n’è di gente strana al mondo… oltre a voi Humana…”.

“E non sai la cosa più assurda…” intervenne Soggetto N. 3, mentre scansionava il nemico con la sua personale vista a raggi X “Quest’uomo sembra composto totalmente di semplice carta!”.

Per tutta risposta, l’idol si mise in posa da karateka a canticchiare una sua canzone: “Chihuhua the mini dog”.


La cosa più assurda non era la coppia umana presente in quel momento, ossia un altro adolescente giapponese e un bambino italiano.

La cosa più assurda era l'inquietante omino grigio, alto poco più di un metro, che avevano di fronte. Quest’ultimo li osservava in silenzio con i suoi enormi occhi scuri.

“N-Non so cosa sia peggio in questo momento” balbettò a bassa voce il nuovo studente dell’Istituto Shiroiwa “La città infestata dalla criminalità, l'epoca di demoni e confusione in cui viviamo, oppure questo alieno che ci è capitato davanti!”.

Il bimbo, decisamente meno preoccupato dell’altro, si voltò e guardò in alto verso di lui “Forse lui vuole solo comunicare con noi, Sunao”.

“E-E come vorresti comunicare con lui, Carlo?”.

L’italiano gli rispose andando a battere, tramite delle bacchette con una piccola sfera ad una delle estremità, sui rettangoli colorati di un Glockenspiel.

Il regista nipponico alzò appena la visiera del capellino da baseball che portava sul capo, subito sopra un paio di occhiali “Ma certo, tu sei del Gruppo Diapason quindi…”.

La dolce melodia venne inaspettatamente interrotta dalla comparsa di una quarta persona. Quest’uomo, sebbene dal volto sconosciuto, indossava degli abiti che ben difficilmente si sarebbero visti addosso ad altre persone.

“Tu, figliolo!” il nuovo giunto indicò in maniera plateale colui che aveva interrotto “Hai parlato di demoni poc’anzi? Ebbene, io sono il tarocco che vi salverà dal peccato: io sono il Papa!”.

Gli altri tre rimasero sbigottiti da una tale presentazione.

“Io l’ho visto in tv il papa, ma tu non gli somigli affatto!” replicò infine Carlo Giuffrida.

“Come osi tu, miscredente!” s’infuriò l’esponente dei tarocchi.

“Più che altro, non è certo di un religioso che abbiamo bisogno in questo momento!” Sunao Soma s’interpose tra i due “Ma piuttosto di almeno di cinque xenolinguisti!”.

“Io sono qui perché un nuovo cataclisma magico sta per compiersi”.

Le prime parole dell’extraterrestre stupirono i presenti.

“Come ti chiami?” gli domandò il più giovane del quartetto.

“Alien Boy, faccio parte dei Global Defenders e devo trovare l'arma definitiva”.

Fu allora che la mente dell’artista di Tokyo iniziò a fantasticare su una macchina alquanto particolare: avvolta totalmente dalle fiamme, di un rosso per l’appunto fiammante e, magari, guidata da 77 del Face Team. Il suo nome sarebbe stato Firecar.



“State fermi lì e alzate le mani al cielo!”.

Il Soggetto N. 4 aveva già pronta la sua mano destra mutata, puntandola verso la strana coppia che era comparsa magicamente davanti a lui.

Un uomo e una donna, le cui vesti riportavano direttamente ad un’epoca vicina al tardo medioevo.

Il maschio con una giacca dalle strisce verticali rosso e verdi, una cintura bianca alla vita, e una calzamaglia verdognola che gli copriva le gambe fino a due stivali in pelle.

La femmina indossava un lungo abito scarlatto, con rifiniture in oro, che terminava in un’ampia gonna e un soprabito di color azzurro mare.

“No, fermati!” gridò quest’ultima, spaventata.

“Non siamo qui per farti del male!” aggiunse il suo compagno.

Il mutaforma li fissò con sospetto ancora per qualche secondo. Finché non scostò di poco il suo braccio armato e sparò un colpo.

La parte di muro colpita si disintegrò all’istante, lasciando al suo posto un cratere buio.

“Vi conviene iniziare a parlare o la mia pistola distruttrice farà il resto…”.

“Noi siamo delle carte…” esordì lui.

“Cosa?”.

“Sì è così!” insistette lei.

“Che intendi con “carte”?”

l’uomo deglutì e riprovò “Noi rappresentiamo il tarocco degli Amanti”.

“Proveniamo da un mazzo che appartiene ad un tuo conoscente di nome Jack Lincon” concluse la donna.

La mano destra di Andrea Alberti restrinse le proprie dimensioni e prese le sembianze di una banalissima pistola ad acqua. Il proprietario se la portò con tranquillità alla bocca e fece muovere il grilletto. Dalla sua canna partì un getto forte di coca cola dritto nel palato.

Appena deglutito il liquido, l’italiano pareva più seccato che altro “Se c’è di mezzo quello scemo di Jack, allora le cose saranno ben più complicate per gli Humana…”.


“Ora calmati e dimmi con precisione cosa ti è successo”.

Il membro indiano degli originali Global Defenders, Psychic Girl, stava tentando di tranquillizzare il più possibile la sua connazionale shockata.

“I-I-I-Io… I-I-I-Io… ” tentò appena l’altra.

“Come ti chiami?”.

“I-Il mio n-nome è… Dola Debnath”.

“Bene, Dola” la telepate proseguiva con accarezzarle un braccio, in modo materno “ora rilassati e spiegami cosa ti è successo per farti stare così male”.

“Degli esseri malvagi mi hanno rapita e portato sulla loro nave volante…”.

“Hai detto una nave volante?”.

“S-Sì… come quella!”.

La giovane guardava dritto in cielo. Un cielo notturno rischiarato da una luminescenza incredibile che fluttuava a mezz’aria. Una volta abituatisi a tale luminosità, si poteva ben identificare la forma di una biga romana, con alla sua guida qualcuno di comunque indefinito.

Fu così che le due donne hindi fecero la conoscenza del tarocco del Carro. Mentre, in seguito, la vittima di un caso di abduction extraterrestre, diventerà egli stessa un’eroina dal nome Alien Girl.




Nel silenzio della sua adorata valle, il Soggetto N. 5 attendeva. Solo il suo legame mistico sapeva cosa il guerriero stava attendendo.

Dall’orizzonte infinito della radura, una figura muscolosa si faceva via via sempre più nitida. Sulle sue possenti spalle faceva bella mostra di sé una pelle di leone. Con sguardo altrettanto feroce, ma ben più vivo, il colosso si fermò di fronte all’altro colosso.

“Sono il tarocco della Forza” esordì il nuovo arrivato.

“Sono Geran Giunan” replicò l’indiano.

“Spero tu sappia il motivo per cui ci siamo incontrati…”.

“Sì, lo conosco perfettamente”.

Con un rombo di tuono, i due sfidanti si bloccarono entrambe le mani, palmo contro palmo, in una presa così potente da essere degna dei titani.

Per quasi un’ora i due lottatori rimasero bloccati in questa situazione di stallo. Finché, all’unisono, mollarono la morsa.

“Mi sorprende trovare un uomo la cui forza è pari alla mia!” si stupì l’essere di carta.

“In questo mondo, troverai tanta gente altrettanto forte e valorosa” lo informò fiero il mutante in rosso e giallo.


Questa volta l’ambientazione era proprio il famigerato Istituto Shiroiwa. Nel giardino esterno della scuola, due studenti erano alle prese con un altro essere magico.

Makoto Ooba, anch’egli membro del club di baseball, capelli neri a caschetto e occhi scuri.

Nene Onizuka, appassionata di chimica, capelli molto corti castani e occhi del medesimo colore.
“Come te lo spieghi questo personaggio?” domandò lui.

“Io? Non me lo spiego!” rispose lei.

Di fronte ai due giovani, vi era un anziano, dalla chierica sul capo e la folta barba bianca che ricadeva su un vestito alquanto logoro, fabbricato con cotone di color marrone scuro e legato, all’altezza della vita, da una corda consunta utilizzata come cintura.

“Figlioli, non fatevi abbindolare dai bene materiali!” gridava come un ossesso, mentre si esibiva in incredibili salti mortali sul posto.

“Ma si può sapere chi sei?” gli chiese lo studente.

Lui placò le sue acrobazie e, da una qualche tasca nascosta nella tunica, tirò fuori un barattolo in plastica. Ne svitò il tappo e si mise a trangugiare una manciata di piccole multicolori, che faceva scivolare giù dal contenitore.

“E quelle pasticche cosa sono?!” si allarmò la studentessa.

Biascicando rumorosamente, il vecchio replicò “Io sono l’Eremita acrobatico e morale che dipende dai farmaci!”.

I due ragazzi ripresero a fissarsi a vicenda, totalmente spiazzati da quello strambo figuro.

“Dici che è bene intervenire?” propose lui.

“Assolutamente sì!” decise lei.

Pronto alla battaglia, i lineamenti di Makoto iniziarono a cambiare. Due canini appuntiti spuntarono da sotto il labbro superiore e i suoi occhi si colorarono di rosso sangue.

“Così potrò dimostrare a Vampire Boy che i suoi allenamenti mi sono stati utili” proclamò lui nel suo nuovo stato vampiresco.

Per nulla spaventata dalla trasformazione del compagno di scuola, Nene chiuse gli occhi e spalancò le braccia. Nel giro di pochi secondi, tutto il suo corpo perse di consistenza, acquisendo un aspetto quasi trasparente.

“Se dobbiamo essere degli pseudomorti, tanto vale farlo per bene!” sorrise beffarda lei.

Questa volta a rimanere sbigottito fu l’anziano folle.

“Figlioli, voi avete decisamente più problemi di me…”.




Un gran vociare di clienti caratterizzava quel tipico ristorante cinese al centro di Pechino. D’improvviso, il telefono posto sul bancone d’ingresso iniziò a trillare.

La giovane cameriera Nikki Peng si affrettò, con passi brevi ma rapidi, ad alzare la cornetta dell’apparecchio telefonico.

“Ristorante dell’Onorevole Chang, buongiorno!”.

“Buongiorno signorina, le interesserebbe partecipare ad un quiz spettacolare?”.

“Come scusi? Ma guardi che questo è un ristorante…”.

Chang Yu, uscito trafelato dalla cucina, notò subito la sua dipendente palesemente in difficoltà con quella chiamata.

“Chi è al telefono, Nikki?”.

“Non so, Onorevole Chang. Dice che è per un gioco a premi….”.

mentre la moretta si discostava appena dal ricevitore, venne d’un tratto sbalzata via da una forza invisibile proveniente proprio da esso.

Al centro della hall, accompagnata da uno sfavillio di luci lampeggianti, s’ingrandì un’enorme struttura circolare.

“Sì signori! Voi siete niente meno che i nuovi concorrenti de la Ruota della Fortuna!” annunciò entusiasta una voce incorporea.

Tutti i presenti rimasero ammutoliti.

“Su signore, giri pure la ruota! Non abbia paura!”.

il cinese obbedì all’esortazione e diede una spinta poderosa.

“Ah, peccato! Perde tutto!” la voce lesse quanto indicato dalla freccia, una volta che il cerchio smise di ruotare.

Soggetto N. 6, che ben mascherava la sua insoddisfazione, trovò ben più sportivo esalare una delle sue fiammate potenti contro quell’ammasso di carta stregata.


“Io, come tarocco della Giustizia, ribadisco che tutto ciò è altamente illecito!” ribadì l’uomo sulla sessantina, con indosso una lunga tunica viola e, afferrata con la mano destra, una bilancia tenuta perfettamente in equilibrio.

Nel centro della sala, sdraiati su letti metallici, vi erano tre esseri umani esanimi.

Mitsuru Akita, membro del club di pugilato dell’Istituto Shiroiwa, sempre in eterna lotta con il suo collega Yutaka Doi, vero talento naturale della nobile arte.

Tetsuya Yanagisawa centravanti della squadra di calcio dell’Istituto Matsuda, anch’esso in Giappone.

Daniele Parisi, mutaforma di Modena facente parte dell’Animorph Squad con il nome di battaglia di Canarino, ossia l’animale in cui era in grado di tramutarsi.

“… In conclusione” riprese l’arringa questo giustiziere “abbiamo scelto di rimuovere le sonde dai visi di questi poveri sfortunati con l’ausilio del tarocco del Coltello”.

Estratta la suddetta carta , da essa si sprigionò una luce e, insieme a ciò, fece la sua comparsa un ragazzo vestito in completo rosso, con una R ed una S bianche cucite all’altezza del cuore, con occhi ambrati, canini sporgenti e armato con due pugnali minacciosi anche solo a guardarli.

Come rianimati dalla propria coscienza, il trio in questione balzò in piedi all’unisono.

Tetsuya, senza proferir parola, si mise a ballare una break dance eseguita ottimamente.

Canarino, Per tutta risposta, mutò il suo aspetto e si mise a svolazzare in circolo vicino al soffitto della stanza.

L’unico che decise di intervenire fu il pugile.

“Ehi! Io conosco quel figlio di puttana! È quel finocchio della mia scuola che gli piace travestirsi! Col cazzo che mi faccio operare da quel bastardo!”

mentre Mitsuru si posizionava nello stile di difesa tipico di un in-boxer come lui, con i guantoni ben vicini al proprio mento, tutto attorno a lui comparvero delle fiamme di provenienza infernale.




Nonostante nel mondo tutto questo attacco magico stesse sconvolgendo le vite di varie persone, Bernardo Borghi camminava bello tranquillo nella sua campagna messicana, pensando magari al prossimo incontro del suo luchador preferito, El Dios.

“Aiuto!”.

Sorpreso da quell’improvvisa richiesta di soccorso, il baffuto iniziò a guardarsi freneticamente attorno, non notando però alcuna forma di vita parlante.

“Sono quassù!”.

Seguendo l’indicazione della voce, Berny alzò il capo verso un albero dalla forma alquanto curiosa: una croce.

Ai suoi rami era legato alla caviglia un uomo. Quest’ultimo aveva i capelli biondi, una maglia leggera azzurra, i pantaloni rossi e le scarpe senza lacci gialle.

“Aiutami a scendere! Ti prego!”.

“Tu chi sei? Come hai fatto a finire lassù?” domandò incuriosito il mutante.

“Io sono il tarocco dell’Appeso, quindi puoi immaginare come ci sono finito in questa situazione…” lo informò il tizio a testa in giù.

“A dir la verità no. Ma fammi comunque provare a darti una mano…”.

Il Soggetto N. 7 sapeva che il suo superpotere poteva tornare utile in tale situazione.

Nell’ordine, il nostro eroe si tramutò rispettivamente in: torcia olimpica attaccandosi direttamente al tronco dell’albero ambiguo, una sardina pressoché inutile, una barbabietola della medesima utilità rispetto alla precedente, una capanna in legno che l’altro tentò inutilmente di raggiungere ed infine una scala a pioli.


In un nuovo cambio di scenario, troviamo un attore già presentato in questo spettacolo così surreale di eventi.

Alien Boy, lasciando la strana coppia formata da Sunao Soma e Carlo Giuffrida al proprio destino, era passato dal tarocco del Papa a uno ben più inquietante: il tarocco della Morte.

La presentazione avvenne direttamente tramite un dialogo telepatico gestito dall’alieno “Non pensavo che la morte possa avere questo aspetto così particolare”.

Questa persuasiva dea della morte assumeva la forma di una megera. Era molto alta e aveva una corporatura grassoccia. Lei era calva. I suoi grandi occhi erano grigio ferro. La sua pelle era ricoperta da una sostanza tossica. Addosso indossava un'uniforme artistica, che incorporava disegni ottagonali, e un cappello. Portava con sé un almanacco sinistro. Poteva uccidere chiunque con un semplice tocco.

“Ma sappia, mia cara signora, che anch’io posso mutare le mie sembianze e poter così passare inosservato tra la folla dei terrestri.

L’extraterrestre, come preannunciato, si tramutò in Ayaka Utsumiya.

Quest’ultima era una giovane studentessa dell’Istituto Shiroiwa. Nonostante fin da piccola la sua più grande passione era sempre stata il cucito, una volta entrata nella scuola superiore l’unico club a cui era riuscita ad iscriversi, per tutta una serie di inconvenienze fortuite, fu niente meno che il club di rugby, nelle vesti di manager.

I lunghi capelli colorati con un biondo ossigenato, quasi bianco, facevano da cornice ad larga faccia con al centro due occhi scuri e penetranti. Come per magia, nella sua mano destro comparve una palla ovale tipica proprio del suo sport.

“Ora vedrai cosa mi hanno insegnato i ragazzi del mio club!”.

Con uno scatto fulmineo, la ragazza stava caricando a tutta forza, puntando dritta verso il suo obiettivo e tenendo ben salda la presa sul pallone.

L’avversaria proseguiva con il fissarla incuriosita. Quando ormai mancavano pochi metri ad impatto sicuro, Ella assunse una nuova forma: quella di una gigantesca cavalletta dal colore marrone scuro.

Con un portentoso balzo da fermo, l’animale evitò infine la spallata violenta.

Il suo almanacco, che altri non era che un Death Note da Shinigami, fu in seguito ritrovata da una sua compagna di scuola, Sanae Mochizuki, fidanzata storica di Ryusuke Yabuki, altro studente della medesima scuola.




Una distesa infinita di acqua blu scura tutta attorno. Il silenzio tranquillizzante che solo madre natura riesce a donare a chi sa ascoltare.

A Juna non occorreva altro per essere in pace con il mondo. Da quando poi era stato trasformato in un mutante, poteva passare giornate intere avvolto in quella soavità.

Uno sciabordio improvviso lo ridestò dalla sua meditazione e lo costrinse ad aprire gli occhi.

Fu allora che l’uomo in rosso e giallo si accorse i trovarsi d’innanzi ad una figura femminile dalle dimensioni gargantuesche.

“Che cosa sta succedendo?!” urlò spiazzato il Soggetto N. 8.

“Perdonami se ti ho svegliato dal tuo sonno rifocillante” si scusò la gigantessa, mentre travasava litri e litri di acqua marina da un vaso titanico ad un altro “Ma io sono il tarocco della Temperanza e questo devo fare”.


Uno scatto nella notte.

Una figura ricoperta da un’armatura futuristica stava evitando una raffica di palle di fuoco sparategli da ogni angolazione.

Una volta terminata questa sparatoria assurda, l’uomo si guardò attorno, mostrando un viso composto da squame verdastre, oltre ad un muso allungato.

“Tutto qui quello che sai fare, eh?” urlò il rettile antropomorfo.

Nessuno rispose.

“Ora capirai il motivo per cui sono conosciuto come Alien Hunter!”.

Una fiammata improvvisa, alta più di due metri, rischiò di bruciare l’alieno infuriato.

“Finalmente ti sei deciso a mostrarti, bastardo!”.

Spento quell’incendio così limitato, un altro essere inquartante si era presentato in quello spazio aperto. Il corpo era umano, ma il colore della pelle rossa, due corna poderose sulla fronte, ali da pipistrello che spuntavano dalla schiena e due zampe caprine al posto delle più tradizionali gambe, decisamente meno.

“Tu che vieni dalle stelle non puoi comprendere la potenza racchiusa nel tarocco del Diavolo!”.

“E sai una cosa? Anche noi rettiliani sappiamo cambiare forma! E anch’io faccio parte dei Global Defenders! Ora poi che siamo in 24.000!”.

L’extraterrestre, come preannunciato, si tramutò in Fumika Sendo.

Quest’ultima, studentessa dell’Istituto Shiroiwa, era a capo del club riguardante l’antica arte della cerimonia del tè. I suoi lunghi capelli scuri erano fermati alla nuca da un pettine prezioso e, ad avvolgerne il corpo, aveva un elegante kimono, caratterizzato dalla rappresentazione di fiori di loto rossi su un tessuto fine e bianco. Infine, nella mano destra teneva stretto un esemplare di hishaku, il prezioso mestolo di bambù utilizzato per prendere l’acqua.

Atterrando silenzioso dalle tenebre, un nuovo demone era comparso sulla scena. In comune con il precedente aveva quasi tutte le principiali caratteristiche suddette, compreso una ispida barba nera a fargli da pizzetto.

“Non ti conviene avere a che fare con questa gente. Io mi chiamo Zaras e, insieme alla mia controparte femminile, facciamo anche noi parte di questo gruppo”.

La ragazza si voltò con grazia verso Zaras.

“Purtroppo so che ne fa parte anche quella schifosa di Fuyumi Sumiyoshi”.




La velocità che stava raggiungendo si avvicinava molto a quella della luce. Ma era l’unico modo per raggiungere il prima possibile quella nuova anomalia.

Il velocista si fermò di colpo. Una torre scura, la cui altezza pareva non concludersi mai, gli ostacolava il cammino.

“Immagino sia questo il nuovo problema da affrontare, a quanto mi ha detto Igor… ” esclamò tra sé e sé il Soggetto N. 9.

“Ben arrivato” lo accolse un nuovo studente dell’Istituto Shiroiwa “Io sono Susumu Kimura e sì, quella che hai davanti è il mastodontico tarocco della Torre”.

“Da quant’è che si trova qui?” domandò il mutante.

“Non saprei” affermò sconsolato lo scrittore esordiente “sono arrivato qui poco fa anch’io, dato che un mio compagno di scuola, Ryo Soda, mi ha raccontato che qualcosa di simile è capitata anche a lui”.

“E lui come l’ha affrontata?”.

“Ci è banalmente entrato dentro” indicandogli una posizione nelle loro vicinanze “però noi penso che possiamo usare quella”.

Un’armatura lucente, dal color rosso cremesi, listata in bianco e blu, era adagiata sul terreno adiacente l’edificio.

“La riconosco” rivelò Johnny Wayne, dandole appena un’occhiata “Si tratta di una delle armature dei Cavalieri di Siena”.

“Interessante…” si grattava il capo il cugino di Sunao Soma “Come mai si trova qui?”.

“È l’armatura del Cavaliere della Torre. Sono le armature che decidono dove comparire e a chi affidarsi, di anno in anno”.

“Ancora più interessante… e ora noi cosa facciamo”.

“Non so te, ma io farò l’unica cosa che sono in grado di fare…”.

Senza neanche concludere la frase, il pilota di Formula 1 si ritrovò, con i suoi stivali gialli folgoranti, ad scalare in verticale la struttura.

Una volta solo, la quiete fu subito spezzata dall’animarsi magico della corazza. Danzando con eleganza come le foglie in autunno, tutti i pezzi si andarono a ricomporre nella persona del membro del club scolastico di letteratura.




L'interno di quella prigione aveva un colore amaranto che dominava su tutto l’aspetto asettico. Imprigionata dietro a solide sbarre di ferro, vi era una giovane donna sdraiata di fianco sopra una branda sospesa e attaccata alla parete.

Con una lentezza che denotava della sonnolenza residua, Lola Barnes aprì infine le palpebre.

“Oddio… d-dove mi trovo?” si domandò, mentre spostava dal volto una ciocca dei suoi capelli di color ramato.

Una voce riecheggiò nella sua mente “Non aver paura”.

“Chi ha parlato?” balzò in piedi lei.

Solo allora notò il suo vestiario decisamente ambiguo. Due spalliere formata da cinque setole sovrapposte, un reggiseno con le due coppe unite esclusivamente dal laccio orizzontale e dei calzoncini con, suoi fianchi, due anelli ad unire il pezzo davanti con quello dietro e, da essi, due veli che scendevano di lato alle sue gambe. Quell’abbigliamento minimale era totalmente di color verde smeraldo.

“Perché sono vestita in questo modo così vergognoso? Chi è stato a farmi questo? Se è qualcuno dei miei studenti giuro che li bocciò fino a che non vado in pensione!”

“Calmati, Lola Barnes” proseguì la voce.

Prima che la prigioniera potesse replicare, quattro corpuscoli luminosi iniziarono a fluttuarle attorno.

“E questi che cosa sono?!” tentava di scacciarli con lo sventolio delle mani “Si può sapere dove mi trovo?!”.

“Questi sono semplicemente il tarocco delle Stelle. Tu sei qui, nella mia astronave, perché provieni da un limbo misterioso dove risiedono personaggi di pubblico dominio”.

La terrestre, rimasta in silenzio, notò un barattolo simile al cibo in scatola sul ripiano in cui riposava pochi istanti prima. Lo afferrò decisa.

“Tutto ciò è assurdo!”.

Alla fine, con un lancio furioso, colpì una delle stelline fluttuanti che esplose in mille scintille.

Quello scatto d’ira fu come la chiave per far scattare la serratura del limbo stesso. Un vortice scuro si aprì su di un muro metallico e, da esso, ne fuoriuscirono tre figure.

Un uomo dai pochi capelli canuti rimasti attorno alla nuca, bianchi come la barba che aveva sul volto e la camicia.

“Signorina, mia chiamo Eon Tempus e sono qui per salvarla” si presentò mentre, con un fucile di precisione, colpiva in pieno la seconda stella.

Un uomo coperto soltanto da spalliere rosse, mantello giallo, calzoncini azzurri con fibbia rossa e stivali rossi.

“Io sono Dr. Diamond e questo diamante, che mi è stato dato da un monaco tibetano, mi dona la forza di cinquanta uomini!” esplicò ai presenti, mentre sradicava il giaciglio e lo scaraventava contro la terza stella.

L’ultima persona si presentava con il classico abbigliamento da cowboy ma, al posto del classico capello, aveva invece un berretto da aviatore con annessi occhialoni.

“Fate largo a Triggers! Direttamente dalle pianure del Texas per sconfiggere i nazisti e salvare la bella Agent J-3!”.

Con un doppio sparo delle sue due pistole Smith & Wesson, fu distrutta anche la quarta ed ultima stella.


In un’altra stanza presente all'interno di quella enorme nave spaziale, Sara Silvestri osservava impassibile da due monitor la sorte della coppia di prigionieri.

“Dunque ipotizzi seriamente che, prendendo in ostaggio queste due persone, ti basti a comprendere la comparsa dei tarocchi in questo universo?”.

“Questo è ciò che scopriremo”.

Mentre la bionda scuoteva negativamente il capo, notò una sfera pallida e luminosa, grande quanto un pallone da basket, volarle vicino. Tanto da poter notare dei piccoli crateri sulla superficie biancastra.

“Fammi indovinare… questo è il tarocco della Luna”.

“Indovinato” confermò la voice over.


Una terza stanza presente in quella struttura aliena, identica a quella in cui era prigioniera Lola, ospitava un essere umano maschile, di nome Paul Reynolds.

L’uomo, dai capelli ed occhi scuri, aveva indosso un vestito viola, con un disegno sul petto che ricordava un falco ad ali spiegate, con delle bretelle gialle su cui erano affissi dei grandi bottoni all’altezza delle clavicole.

“Quindi vuoi dirmi che anch’io provengo da questo limbo?”.

“Confermo, Paul Reynolds”.

“Beh figlio di puttana, puoi star sicuro che troverò il modo per evadere da qui e farò sapere tutto quanto tramite un articolo sul mio giornale!” urlò pieno di rabbia il prigioniero.

Le risposte a cotanto furore furono doppie: la prima fu che una gigantesca palla di fuoco comparve vicino all’umano, facendolo sbalzare via per non rimanere bruciato. La seconda fu la comparsa, anche in questa cella, del vortice scuro.

Il reporter, sebbene ancora sdraiato prono sul pavimento freddo, si sollevò a fatica sui gomiti “Che cos’è questa nuova follia?”.

“Si tratta del tarocco del Sole”.

Mentre tentava di resistere a quel caldo infernale, una delle due persone uscite dal vortice lo aiutò ad alzarsi e ad allontanarsi.

“Si tenga a me, signore. Io sono Mickey Matthews e, non a caso, il grande Deacon mi ha scelto come suo sidekick!”

Solo allora il giornalista si accorse di essere accanto ad un semplice ragazzino biondo.

Alle loro spalle, un uomo in costume verde, con una X viola sul petto, ed un casco rosso, con una V gialla sulla fronte, afferrò con una facilità estrema il globo incandescente con entrambi i palmi delle mani.

“Questa è la potenza dello Sky Chief!” proclamò, mentre aumentava sempre di più la pressione sull’oggetto, finché non deflagrò.




“Come promesso, li ho portati tutti qua davanti a te!” dichiarò fiera di sé Sara “Ma se non sei tu la voce che avevo in testa, e sono sicura non era nemmeno il mio capo, allora tu chi sei?”.

“Scusa Jack per i tuoi tarocchi…” si scusò rattristato il Soggetto N. 1.

“Ora non ci pensare, Igor” tagliò corto il Soggetto N. 2.

“Infatti, nessuno dice che è colpa tua” lo consolò il Soggetto N. 3, accarezzandogli la chioma.

“Piuttosto, ora prepariamoci alla lotta!” affermò il Soggetto N. 4, mentre la sua mano destra mutava in una qualche arma da fuoco.

“Un nuovo avversario forte” pronunciò il Soggetto N. 5, fissando colui che avevano di fronte.

“E io che non ho nemmeno vinto nulla…” si lamentò il Soggetto N. 6.

“Come al solito!” lo sbeffeggiò il Soggetto N. 7, mentre egli stesso cambiava i propri connotati.

“Sono con voi, amici miei” si caricò il Soggetto N. 8.

“Ho percorso tutta la torre per giungere fino a qui!” disse il Soggetto N. 9.

l’uomo, con una folta barba bianca che ricadeva sopra una tunica color panna, siedeva sopra un altro scranno.

“Sono fiero di avervi tutti e dieci qui al mio cospetto. Ora restate in attesa davanti al tarocco più temuto, il Giudizio!”.


Nello spazio profondo, al di fuori del veicolo spaziale, una figura pallida, alta più di due metri nella sua corporatura filiforme, totalmente calva e con due occhi neri come pozzi senza fondo ammirava in contemplazione assoluta il pianeta Terra.

“Il popolo terrestre non è ancora pronto per tale rivelazione” sussurrava appena dalla bocca minuscola presente sul suo cranio allungato “Solo io, Alien Master dei Global Defenders B, sono a conoscenza dell’ultimo tarocco”.

Poi tornò il silenzio ad avvolgere il tarocco del Mondo.

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Capitolo 26
*** Fate e sirene ***


CAPITOLO 26

Fate e sirene”




“Quindi queste foto fregarono anche niente meno che il grande Arthur Conan Doyle?” ripeté Frédérique, mentre proseguiva con l’analizzare le foto che aveva in mano.

Si trattava delle famigerate foto riguardanti le Fate di Cottingley.

“Esatto” confermò Sara, seduta accanto a lei in giardino “è stata una delle più grande truffe mai conosciute, per lo meno in ambito paranormale”.

“Ma dai!” intervenne seccato Johnny “Si vede benissimo che sono dei ritagli di carta!”.

“Oggi puoi dire tranquillamente così. Ma pensa che, a quel tempo, nessuno aveva i mezzi per analizzare seriamente delle foto!” gli fece presente la bionda.

“Però sarebbe fantastico poter dialogare con certi esseri” riprese Arone “magari evitando di andare a rischiare la vita nell'Amityville Headquarter”.


Trento

“Figurati! Qui in Italia siamo pieni di leggende simili! Chiedi pure a Sara se non mi credi…” parlava rumorosamente al cellulare Andrea.

“Cosa? Proprio lei ti ha parlato di una tipologia presente qui in Italia?” il suo sguardo si adombrò “Aspetta che sento Berny se è interessato…”.


Pechino

“Possibile che tu sei sempre qui a scroccare cibo da me!” Chang era una furia “La prossima volta dico a Nikki di chiuderti fuori!”

“Mica posso sempre mangiare tortilla e fagioli, ti pare?” Bernardo gli fece l’occhiolino, mentre il suo cellulare si mise a squillare.

“Pronto? Ciao Andrea, come va? Sì, dimmi tutto!”.


Trento

“Ma Sara ne è davvero così sicuro?” il messicano non credeva ai suoi orecchi.

“Assolutamente sì!” confermò per l’ennesima volta l’italiano “Mi ha pure mandato delle foto per dirmi che sono simili a queste”.

Nuovamente le foto delle Fate di Cottingley vennero mostrare sotto ai baffi di Borghi.

“Sarà… ma queste rimangono comunque dei fake!”.

“Non m’interessa, Berny! Io ti ho fatto venire qui per vedere se, con la tua abilità, riesci a replicare alla meglio una copia di queste!”.

un’espressione seriosa, mai vista prima, si dipinse sul volto del mutaforma. La sua concentrazione raggiunse picchi elevati. Non troppo però, dato che la versione che venne fuori era eccessivamente maggiorata e con i baffi sempre presenti.

Il militare rimase basito “No. Decisamente non ci siamo!”.


“Io esco un po’ in giardino!” annunciò urlando Frédérique Arone, mentre era già sulla soglia del portone. Vestita con un top bianco e una minigonna in jeans, si mise a sedere su una delle eleganti sedie da esterno. Dopo pochi minuti, si parò i suoi occhi speciali con un paio di occhiali da sole.

“Andrea e Berny sono in Italia… Johnny credo sia tornato a casa…” stava riepilogando a voce alta la donna “Quanto vorrei anch’io tornare un po’ a Parigi”.

Un rametto spezzato. Bastò questo minimo suono a far mettere in guarda la mutante.

“Cos’è stato?” si domandò, mentre si toglieva dallo sguardo le lenti scure.

Sentendo ancora qualche lieve fruscio, ne approfittò per dirigerci la sua vista telescopica. Sembravano i classici fili d’erba verde che crescevano rigogliosi in quella zona. d’un tratto, da dietro alcuni di essi comparve una minuscola faccia griglia e grinzosa.

“Che diavolo è quella bestia?”.

Non fece in tempo a proferir altro pensiero, che la sua sedia fu scossa violentemente e lei cadde in avanti sul terreno. Si voltò subito verso la seduta e notò immediatamente altri due di quegli esserini, vestiti con micro abiti in pelle scura, che sghignazzavano tra loro.

“Che schifo! Aspetta, so cosa sono! Me ne ha parlato Sara!” pensò il Soggetto N. 3, mentre i suoi occhi iniziarono a brillare di rosso accesso.

“Schifosi folletti!” imprecò, mentre colpiva in pieno, con i suoi due raggi laser ottici, la coppia di mostriciattoli.

Carbonizzati all’istante, si preparò subito a colpire anche il terzo della banda. Purtroppo, non riuscì più a scovarlo da nessuna parte.

Quello fu il segnale che gli Humana non potevano più aspettare. Il loro jet partì subito in missione.


“Allora è confermato per Roma?” chiese il Soggetto N. 4, in collegamento telefonico con Sara Silvestri.

“Sì, confermato. Anche perché non mi viene in mente fontana migliore di quella di Trevi” confermò l’italiana.

A bordo dell’aereo con lei, vi erano anche altri membri del gruppo.

“Per quanto adori la mia cucina tradizionale, riconosco che apprezzo molto anche quella italiana” confessò con aria trasognante il Soggetto N. 6.

“A me piacerebbe sapere perché sono stato convocato anch’io per questa missione…” polemizzò apertamente il Soggetto N. 8.

“Beh nelle fontane ce l’acqua e nell’acqua ci sei tu. Il discorso torna” argomentò la risposta il Soggetto N. 9.


Roma. Fontana di Trevi. Notte fonda.

Giusto qualche turista non particolarmente vestita a dare un po’ di colore a questa intensa nottata romana.

“Allora… fatemi concentrare…” sussurrava ad occhi chiusi il Soggetto N. 7.

La sua fisionomia iniziò a mutare, mentre gli altri compagni del gruppo lo osservavano.

Questa volta, la descrizione di Sara era stata particolarmente dettagliata. Un essere alto mezzo metro, colore della pelle azzurro chiaro, il viso caratterizzato da occhi a mandorla, mento pronunciato e orecchie a punta.

Gli altri mutanti rimasero senza parola ad osservare da quella particolare creatura.

“Un amico mi disse che si chiamano fate delle fontane…”.

D’un tratto l’idillio si ruppe. In pochi secondi, Bernardo tornò alla sua forma originale.

“Scusatemi! Non mi aspettavo fosse così difficile mantenere quella forma!”.

“Tranquillo Berny, ci hai provato” lo consolò Frédérique.

“E ti dirò: questa volta mi hai davvero impressionato!” esclamò Johnny.

“Come vorrei farmi una bella nuotata…” seguiva i suoi pensieri Juna.

Lo stesso fecero gli altri componenti del gruppo, ormai certi di una serata non proficua.

“Oh! Bravo Berny! Ora ti è venuta anche meglio!” si complimentò Chang.

“Ma che stai dicendo, ?” lo scrutò perplesso Bernardo “Io non sto facendo proprio n…”.

Una creatura, decisamente più maestosa della copia messicana, li stava osservando, incuriosita.

Lentamente, Sara le si mise davanti, inginocchiandosi per ritrovarsi alla sua stessa altezza.

Le due si toccarono a vicenda i palmi delle mani, mentre si fissavano sorridendosi. Alla fine, la fata emise una risata cristallina e, appena ritirata la manina, si voltò e, con un balzo, si mise in piedi sul margine della fontana.

Una volta lì, diede un ultimo sguardo dolce all’umana. Per poi tuffarsi nello specchio d’acqua.




Tutti e nove gli Humana erano schierati, con indosso le loro uniformi rosse e gialle. Con loro vi era anche l’ormai immancabile Sara Silvestri.

Il relitto di una nave, grazie all’ausilio di potenti gru, veniva a poco a poco issato al di sopra del livello del mare.

“Allora Sara” prese la parola il Soggetto N. 9 “Ridimmi un po’ perché siamo qui?”.

“Di nuovo?1” sbottò la bionda “L’associazione che si occupa di questo recupero a chiesto la nostra collaborazione nel caso ci fosse problemi, tutto qua!”.

“E non potevo bastare io con un’esplorazione subacquea?” ipotizzò il Soggetto N. 8.

“No! È bene che per una volta ci sia tutta la squadra! Anche il capo è d’accordo con me!”.

“Ma prima o poi, lo vedremo mai questo fantomatico capo?” azzardò il Soggetto N. 7.

“Tra l’altro, è pure una cosa decisamente da maleducati…”fece notare il Soggetto N. 2.

“Per il momento, voi occupatevi della missione!” tagliò corto l’italiana.

“Non mi sento per niente tranquillo…” confessò il Soggetto N. 4 “mi sembra stia andando tutto troppo bene”.

L’imbarcazione si fece sempre più visiva, con la ruggine che aveva preso possesso di buona parte del suo rivestimento in ferro.

“Vedi qualcosa, Frédérique?” chiese Sara.

la francese scansionò tutto lo scafo con la sua vista a raggi X.

“Oh mio dio sì! O meglio, qualcuna!” esclamò stupita il Soggetto N. 3.

“C-Cosa?” urlò stupito il Soggetto N. 6.

A quella sconvolgente notizia, gli Humana decisero di entrare in azione. Tutti e dieci, con estrema attenzione, si avventurarono dentro quel gigante artificiale degli oceani.

“Ma era davvero obbligatorio scendere tutti quanti?” insistette Jack, inascoltato.

“Per di qua…” proseguiva con le sue indicazioni Frédérique.

“Non era meglio se prima andavo io in perlustrazione?” propose Johnny.

“E se poi ti perdevi? Tranquillo che sono già armato e pronto!” lo rassicurò Andrea, il cui braccio destro era mutato in una pistola con un raggio immobilizzante.

“Fate attenzione” redarguì tutti quanti Geran.

Molluschi e crostacei erano diventati i nuovi padroni della nave.

“Ora sento anch’io qualcosa!” Igor informò il resto del gruppo “ma è molto flebile. Come se stesse sognando”.

“Ci siamo!” avvertì tutti Arone.

Di fronte a loro, la parte inferiore di un’enorme conchiglia. Adagiata al suo interno, quella che a tutti gli effetti pareva una ragazza svenuta. Ella aveva lunghi capelli biondi e indossava un costume da bagno blu scuro.

“È una ragazza!” sentenziò Borghi.

“E quello è il tipico costume per la piscina delle scuole giapponesi” riconobbe Yu.

“Ora che facciamo?” chiese Alberti, ancora guardingo.

“Io intanto mi assicurerei se è viva o morta” si allarmò Wayne “magari è solo svenuta”.

“Come vuoi fare? Con un bacio? Mio bel principe” ironizzò teso Lincon.

Mentre i nostri prendevano una decisione sul da farsi. Le palpebre della giovane iniziarono a vibrare e, nel giro di pochi secondi, si aprirono.

“Sì sta svegliando!” gridò Juna, con gli occhi spalancati.

Lasciando i suoi discepoli indietro, Sara Silvestri si avvicinò alla sconosciuta. Quando fu abbastanza vicina, le parlò.

“Ben svegliata. Capisci la mia lingua? Il mio nome è Sara Silvestri e il tuo?”.

l’altra parve lì per lì spaesata, poi il suo volto si illuminò.

“Mi chiamo Takako Esaka. Sono una studentessa dell’Istituto Shiroiwa di Tokyo”.

“Ancora quella scuola!” il Soggetto N. 6 era sbigottito.

“Non dubito che conosciate altri miei compagni di scuola, dato che anche loro mi hanno parlato spesso di voi, ma ora dovete aiutarmi” tagliò corto Takako.

“Sei in pericolo?” le chiese il Soggetto N. 3.

“Purtroppo sì… ci sono delle creature che vogliono uccidermi”.

“Quali creature?” si allarmò il Soggetto N. 5.

“Io le chiamo le sirene rosse”.

“E dove sono questi mostri?” il Soggetto N. 7 stava già sudando freddo.

“Giù” indicò lei “nelle profondità marine”.

“Scusa cara, ma come pensi che noi riusciamo ad arrivarci?” la frenò il Soggetto N. 2.

“Non abbiamo nemmeno portato il sottomarino” constatò il Soggetto N. 4.

“Per me non ci sono problemi…” gongolava il Soggetto N. 8.

“Voi seguite me, e vi assicuro che non vi accadrà nulla”.

Il gruppo era indeciso se fidarsi o meno di quella misteriosa ragazza.

“Non so voi gente, ma io vado!”.

Detto ciò, il Soggetto N. 9 scattò con la sua supervelocità e si tuffo in mare.

“Aspetta!” Esaka lo segui e si tuffò in bello stile nell’acqua salata.

Uno dopo l’altro, tutto il resto del gruppo, compresa Sara Silvestri, seguì i primi due in questa nuova assurda avventura.


Nel buio quasi totale degli abissi, il Soggetto N. 1 comunicò impaurito con gli altri telepaticamente.

“Ci siete ancora tutti, compagni?”.

Intanto, il corpo della studentessa si era trasformato come faceva il mutaforma messicano. Come l'iconografia più famosa della sirena, le sue gambe erano state sostituite da una coda di pesce.

Ma le sorpresa non erano ancora finite. Improvvisamente, altre sirene iniziarono a comparire dall’oscurità. In loro tutto era rosso: pelle, occhi, capelli, scaglie. Tutto quanto.

Appena sfoderarono dei canini particolarmente appuntiti, stile vampiro, Bernardo cambiò la sua anatomia in un merluzzo, in modo tale da passare meglio inosservato.

“Di certo, il nome sirene rosse è appropriato!” riconobbe Johnny che, nonostante la pressione idrica, riusciva a muoversi comunque ad una velocità elevata e colpire ripetutamente una di esse.

Andrea, mutata la sua mano destra in un pistola in grado di tramutarle totalmente in pesci, iniziò a fare strage di quei bersagli sottomarini.

Jack e Juna, ruotando ognuno in senso in verso all’altro attorno ad alcune di loro, le imprigionarono dentro un mulinello.

Geran, mentre difendeva gli altri componenti degli Humana, fu colpito ma non per questo crollò.

“Ragazzina…” Frédérique, mentre sparava raggi laser dai suoi occhi, richiamò l’attenzione della giapponese.

“In questa forma puoi chiamarmi Siren Takako”.

“Non me ne frega niente!” sbottò “c’è un modo per sconfiggere queste stronze?”.

“Sì! Uno scrigno a forma di conchiglia!”.

Appena saputa questa informazione, la francese si mise a scandagliare il fondale con la sua vista notturna. Dopo aver notato le varie forme di vita che pullulavano in quella distesa di acqua salata, finalmente notò quell’enorme mignatta adagiata sulla sabbia.

“Ragazzi, l’obiettivo da colpire è un’enorme conchiglia chiusa in fondo!”.

Partirono in tre: i Soggetti N. 2, 4 e 9.

Con fiducia totale verso quanto detto dalla loro compagna, i tre arrivarono a vista del loro bersaglio. Fu solo allora che videro sopraggiungere, nella sua tipica camminata laterale, un granchio gigantesco.

“E quello cos’è?” rimase stupito il britannico “Sembra quello sconfitto da Ercole contro l’Idra!”.

“L’importante ora è togliercelo dalle palle!” esclamò lo statunitense.

“Facciamo così: voi due virate ai miei esterni, io lo sovrasterò e farò fuoco verso il target!” ordinò l’italiano.

Il piano scattò e, vedendo i due agli esterni allontanarsi di colpo dal centrale, il crostaceo andò in confusione totale.

Il mutaforma bellico si alzò quel tanto che bastava per avere bene in vista la conchiglia e, con il proprio braccio destro mutato in un mitra, sparò. Lo strato protettivo fu presto bucherellato in più punti, finché tali buchi crearono delle crepe tra loro, finché tutta la struttura non si infranse in svariate schegge appuntite.

Tale evento diede vita ad un esplosione muta, la quale travolse sia l’animale che i mutanti.

“Che cosa è successo?!” proruppe il messicano, tornato in forma umana.

“I vostri compagni sono riusciti nell’impresa” informò seria la sirena.

“Quindi ce l’abbiamo fatta?” chiese conferma Sara.

“Sì… anche se purtroppo so già che quelle creature torneranno a tormentarmi. La mia colpa è troppo grande per essere cancellata con questa unica vittoria”.

I tre in missione rientrarono incolumi con il resto del gruppo.

“Dobbiamo riemergere” sentenziò l’africano “se qualcuno non si sentisse bene, me lo faccia sapere!”.

Nel giro di pochi minuti, tutti gli eroi coinvolti tornarono in superficie.

“Tutto questo movimento mi ha fatto venire fame!” brontolò affamato il cinese.

“Reggetevi a me, vi porto io a riva” disse l’indiano che avvinghiò, uno per lato, l’italiana e il russo.

Silvestri non perse tempo per organizzare il rientro della sua squadra “Ottimo lavoro Humana! Possiamo tornare al nostro aereo”

Nel frattempo, la nave era ormai, per lo meno per la maggior parte dello scafo, emersa.


Sulla via del ritorno, all’interno del velivolo era calato il silenzio.

“Anche il nostro fa i complimenti a tutta la squadra” Sara Silvestri spezzò quel mutismo.

“Bueno…” assentì ironico il Soggetto N. 7 “Capiterà mai che riusciremo a vederlo, prima o poi?”.

“Io almeno sono riusco a sentirlo…” confessò il Soggetto N. 1.

“C’è un grande mistero attorno a tutti noi…” annunciò sibillino il Soggetto N. 5.

“La vita è piena di misteri…” replicò seccato il Soggetto N. 2.

“E io continuo ad avere fame!” informò tutti quanti il Soggetto N. 6.

“Sai che novità!” lo canzonò il Soggetto N. 8.

“Fermi tutti!” urlò improvvisamente il Soggetto N. 3 “Cos’è quella luce laggiù?”.

In effetti un bagliore, inizialmente confondibile con quello solare, si stava espandendo sempre di più nella visuale del jet.

Il Soggetto N. 4, che era alla guida, sterzò più che poteva la cloche “Provo ad evitarlo, ma sarà dura!”.

Sembra la stessa luce delle altre volte…” constatò il Soggetto N. 9, prima che la luce avvolse tutti i presenti. Catturandoli via con sé.

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Capitolo 27
*** Versioni tristi ***


CAPITOLO 27

Versioni tristi”




Siberia


Il piccolo Igor Wansa, come ormai tutte le mattine di quel gelido inverno, si incamminava verso la sua scuola. Ai piedi aveva le classiche racchette da neve, l’unico modo per poter deambulare in quelle condizioni estreme.

Al suo fianco, vi era il suo fedele amico nonostante la differenza d’età, Oleg Grachev, difensore centrale russo del CSKA Mosca.

“Se non altro, dicono che presto tornerà a far caldo…” buttò lì il più grande.

“Basterebbe anche meno freddo” replicò il più piccolo.

Giunti all’istituto la coppia vide, scendere direttamente dal cielo nuvoloso, un uomo in armatura bianca con, stampato in pieno petto, la bandiera della nazione russa.

Una volta atterrato questo assurdo visitatore, i due raggiunsero il capannello di persone che si era creato attorno a lui.

“Buongiorno, studenti, mi chiamo Iron Boy e faccio parte dei Global Defenders” si presentò così “Sono qui per informarvi che la nostra patria è scesa in guerra contro l’Ucraina”.

Lo stupore iniziò a serpeggiare tra i presenti.

“Ma è uno scherzo?” chiese stupefatto il calciatore.

“È dunque giunta la fine del mondo!” proclamò Rasputin, un pazzo che fece parte a suo tempo degli World Heroes “Oh! Mia povera Anya!”.

“Igor, sto captando un problema…” una voce metallica gli riecheggiò nell’orecchio.

“Di cosa si tratta, Caterina?”.

“Sono io per prima ad esserne stupita” spiegò la donna robotica, assistente dell’eroe corazzato “ma sembrerebbe una creatura gigantesca…”.

“Quello è un Kaiju!” urlò terrorizzato Wansa, indicando tremante il mostro.

Un gigantesco elefante, di colore viola, si faceva largo tra gli alti alberi che circondavano l’edificio scolastico. Spalancata la bocca, emise un devastante urlo sonico.

Iron Boy, il cui casco era riuscito a limitare i danni disorientanti di quell’attacco, accese i piccoli propulsori negli stivali e spiccò il volo.

“Ho già avvertito Red Dawn che vada a difendere la centrale nucleare” informò nuovamente Caterina tramite auricolare.

“Perfetto! Anche perché gentaglia come l’Uomo Radioattivo potrebbero approfittarne”.

“Mentre, per quanto riguarda UK Freeman si è di nuovo rifugiato in Inghilterra”.

“Codardo!”.

“Devo fare altro, Igor?”.

“avvertì tutti i Rocket Red e le Dinamo Cremesi disponibili. Dovremo essere il numero maggiore possibile per affrontare questo mostro!” chiuse la comunicazione Iron Boy.

A terra, erano tutti fuggiti terrorizzati alla ricerca di possibili rifugi sicuri. Tutti tranne un semplice ragazzino.

“Chiamerò quell’essere Coron” sentenziò Igor.

La tristezza in sé lasciò spazio ad un nuovo sentimento: la certezza di poter essere utile nell’affrontare quella minaccia orrenda. Il ragazzino si concentrò il più possibile.

La creatura percepì la sua presenza, si voltò verso l’umano, nonostante l’interferenza del membro dei Global Defenders, e barrì nuovamente.

“Oh no! Sta attaccando verso quel bambino!” sbottò la voce robotica di Caterina.

“Lo vedo, Merda!” Iron Boy si lanciò giù in picchiata.


Londra


Chi invece aveva lasciato la tormentata madre Russia per la più mondana capitale inglese era il dandy Eugenio Onegin.

“Che dire caro, benvenuto nel paese libero!” diede il benvenuto il padrone di casa.

“Ti ringrazio, mio caro Jack. Ma in questo momento nemmeno il mio cuore può dichiararsi libero” replicò l’ospite.

“Comprendo il tuo stato d’animo, amico mio, ma spero che il tuo cuore riesca a trovare un minimo di pace, qui come mio gradito ospite”.

“E io non te ne sarò mai grato abbastanza. A differenza del pensiero di molti miei connazionali, la guerra era un'esperienza che avrei evitato volentieri”.

“Come non essere d’accordo con te! Per noi dandy, le esperienze piacevoli e irrinunciabili sono ben altre!”.

d’improvviso, il suono di un gong si udì nella stanza fastosa.

“Per Diana!” balzò dallo spavento il russo “Che accade ora?”.

“Placa la tua ansia, Eugy. Si tratta solo del campanello della mia abitazione”.

“Rimarchevole!” apprezzò lui “Ma dunque aspettavi un ospite?”.

“Tranquillo, è una persona di cui mi fido” Lincon gli appoggiò una mano rassicurante sulla spalla “Tu rimani pure qui che io vado ad accoglierlo!”.

Detto ciò, il britannico uscì con passo svelto dal salone. l’altro si mise a girovagare incuriosito dai vari suppellettili presenti.

Passando davanti ad un dipinto, rimase folgorato dalla bellezza di Jo, la bella irlandese. I suoi occhi fissavano quelli finti ma, non per questo, altrettanto vivi della donna raffigurata. A sbloccarlo da quella catalessi artistica, ci pensò la voce squillante di Jack.

“Eccomi, Eugy. Ti presento il nostro ospite che, come particolare aneddoto, si identifica a noi con soltanto un numero a due cifre: 40!”.

il nuovo arrivato, simile allo stesso inglese sia come fisico che come look, aveva per l’appunto ricamato, si vari punti dei suoi abiti pomposi ed eleganti, il numero 40.

“Perdonate l’intromissione e se ciò vi arreca disturbo, ma passavo giusto appunto da queste parti” s’inchinò con reverenza alla faccia nuova.

“Assolutamente nessun disturbo!” salutò cordialmente Onegin “Piuttosto, sono decisamente incuriosito di sapere la storia dietro quella cifra…”.

“Oh, beh…” giogioneggiava l’americano, mentre si toglieva i guanti chiari che ornavano le sue mani “Si tratta soltanto di un semplice accordo che mi lega alla squadra sportiva di New York, il Face Team. Per caso ne è giunta voce anche dalle vostre parti?”.

Il russo ci rifletté per qualche secondo.

“In effetti, mi pare di aver letto qualcosa a riguardo…”.

“Non che gli ex-sovietici siano mai stati particolarmente propensi ad informare di quanto avviene in territorio a stelle e strisce” ricordò l’inglese.

“Confermo” esclamò il dandy dell’Europa dell’est.

“Hai qualche novità da narrarci provenienti dalle tue terre natali?” domandò 40.

“Purtroppo niente che non veda coinvolte morte e distruzione”.

“Che scempio!” si irritò lo statunitense “Pensare che nessuno riesca davvero a fare qualcosa per tutta questa situazione così orrenda”.

“Qualcuno ci sta provando” lo corresse Eugenio “ma sono anche i primi che cadono nei campi di battaglia”.

“Certe vole mi viene voglia di trasformarmi in una sorta di dandy spaziale e, con la mia astronave, riuscire a volare via da questa pallina azzurra che non vede l’ora di poter scoppiare, portando via con sé tutti i i suoi inutili abitanti”.

Queste ultime parole di Lincon, fecero cadere l’intero appartamento in un silenzio tombale.


Parigi


Il più grande raduno di ballerini era in pieno svolgimento all’interno della romantica capitale francese.

Come padrona di casa, Frédérique Arone sentiva su di sé tutta la pressione del caso. Dall’ansia che aveva dentro, faceva roteare la sua caviglia destra il più al limite possibile per i suoi tendini ben allenati.

“Nervosa?”.

La francese si voltò e vide, comparsa chissà da dove al suo fianco, una ballerina italiana di nome Beatrice Franchi.

“Un pochino…” confessò lei “Non mi aspettavo tutta questa grande risposta di pubblico”.

Una ragazzina asiatica comparì davanti alle due “Ciao, io mi chiamo Chisato Fujita e vengo dall’Istituto Shiroiwa. Voi chi siete? Da dove venite?”.

“Ecco, vedi!” indicò la nuova arrivata “sono arrivati perfino dal Giappone!”.

“E che male c’è?” replicò la bruna italica “Pensa se, dato che siamo a Parigi, finissimo tutte come Meg Giry del “Fantasma dell’Opera”… ”.

“Cosa?” fu sorpresa da quelle parole la transalpina.

La stessa Beatrice parve traumatizzata da quanto appena dichiarato “Oddio! Sto diventando come il mio Rob”.

“Io invece voglio vedere Quasimodo!” s’intromise nuovamente la nipponica.

“Beh allora fate prima a conoscere Triple Boy del Monster Commando, o come diavolo si chiama! Lui riesce a farli entrambi”.

“A me piuttosto basta non finire come Dominika Egorova, che terribile infortunio!” sul volto di Bea si dipinse un’espressione di dolore puro.

Il silenzio calò su questo trio multietnico. Finché un gruppo di studenti piuttosto scalmanati entrò nel teatro, già di per sé parecchio affollato.

“Quelli che scuola sono?” chiese incuriosita la giapponese.

Arone tentò di squadrarli alla meglio “Credo che siano il Glee Club della William McKinley High School. Vedo che c’è 3 del Face Team a dargli una mano”.

Nel mentre, il ballerino di colore con i capelli a rasta corti aveva ben altro per la testa “Dove cazzo si è cacciata 36 invece di darmi una mano?!”.

“Wow! Sarebbe perfetto come club da inserire nella mia scuola. Anche se ne abbiamo già tantissimi…” sorrise Chisato.

“Sul serio?” le domandò sorpresa Franchi.

“Sì!” annuì l’interessata “Che poi, a proposito di 3, anche noi abbiamo un ottimo ballerino: si chiama Mitsugu Adachi, lo conoscete?”.

“Francamente è la prima volta che lo sento nominare” tagliò corto Frédérique “Però sono felice che siano venuti anche dagli Stati Uniti…”.

Mentre le tre proseguivano il loro colloquio, letteralmente attraverso la parete a lato del palco in cui erano in piedi, comparve una ragazza dai capelli castani legati in una coda di cavallo.

“Se vi interessa, anch’io sono americana! Mi chiamo Kitty Pryde!”.

Il trio, in perfetta sincronia, sobbalzò dallo spavento.

“È uno yurei!” urlò terrorizzata Fujita.

“Ferme! Ci penso io!”.

Appena detto, il corpo di Beatrice iniziò a mutare. Triplicò la sua massa e la pelle si riempì di squame verdastre.

“Lasciate quel mostro a me!” si precipitò sul palco una bionda dal nome Niki Sanders.

Nel mentre Felicia, la più classica delle donne-gatto, salì divertita a cavalcioni della creatura.

“Tutto ciò è assurdo!” sussurrò spaurita Frédérique.

Ormai in preda al panico, i suoi occhi iniziarono a brillare.


Trento


Il più grande raduno di militari era in pieno svolgimento tra le Alpi che dividevano il suolo italiano da quello austriaco.

“Signore, è un piacere rivederla, signore!” il soldato semplice Simone Sarti salutò con tutti gli onori il suo collega.

“Simone, piantala con queste cazzate. Lo sai che non le ho mai sopportate” lo richiamò all’ordine, se così possiamo dire, Andrea Alberti.

“Nessuna cazzata, signore. Solo rispetto fin dalla nostra missione in Afghanistan”.

“Beh, piantala comunque! Mi hai preso per John Rambo”.

“No, signore. Lui non è ancora arrivato”.

“Appunto”.

“Però dagli Stati Uniti si è già presentato 12 del Face Team”.

“Allora siamo a cavallo…” concluse il discorso il padrone di casa.

“Inoltre, vi sono voci che certificano la presenza anche di Capitan America”.

“Ci sono pure i supersoldati allora. Magari hanno convocato pure Bloodshot e il Soldato d’Inverno… Non mi piace”.

“Come mai, signore?”.

“Troppa gente in gamba e tutta nello stesso posto”.

“Ma tutti pronti ad agire, signore. Dalla mia caserma è pervenuto anche Carlo Vullo”.

“Davvero?!” lo fissò stupefatto il trentino “Ma se è sempre impegnato a bere e dare la caccia alle soldatesse?”.

“Nonostante ciò, posso garantirle che è un valido compagno, signore”.

“Sarà, ma in ogni caso preferisco che oggi non ci sia presente anche Sonya Blade…”.

Alle spalle dei due militari, si aprì un portale luminoso e silenzioso. Da esso sbucarono fuori due figure armate per l’occasione.

Appena la coppia si accorse della loro presenza, i due nuovi arrivati erano già sotto tiro.

“Fermi! Fermi! Non sparate! Siamo dei vostri!” dichiarò uno vestito con stivali, pantaloni mimetici e una maglietta verde militare e, stampata su di essa, un'aquila nera stilizzata.

“Lui è War-Maker ed io sono Unknown Soldier” presentò l’altro, vestito con una calzamaglia marrone con, sul petto, cinque stelle gialle in cerchio e il volto coperto da una maschera gialla.

“Sono quelli del limbo, signore” informò Simone, mentre abbassava la pistola.

“Cazzo, ragazzi! Credevo che fosse il colonnello Jack O’Neill di ritorno con uno Stargate” li rimproverò Andrea.

Di fianco a loro, un pezzo di roccia andò in frantumi, colpito da un boomerang energetico giallo.

“E ora chi cazzo è?!” ritirò su l’arma Alberti.

“Perdonatemi!” alzò una mano in segno di scusa un americano dai lunghi capelli biondi a spazzola “Sono il maggiore della United States Air Force Guile e quello era un mio sonic boom”.

“Beh, faccia più attenzione, ” lo redarguì il suo subordinato che notò la presenza femminile alle spalle dell’americano “La signorina dietro è con lei?”.

“Affermativo. Lei è Cammy White”.

Si avvicinò all’orecchio del connazionale “Simone, ti conviene comunque tenere d’occhio il tuo collega Vullo”.

“Sarà fatto, signore!”.

Fu allora che avvenne l’esplosione.

Andrea afferrò rapido la ricetrasmittente che aveva attaccata alla cintura “Esplosione nel campo! Ripeto, esplosione nel campo!”.

Il quartetto si lanciò subito verso il vuoto, scivolando con maestria sopra la roccia franabile.

“Cosa pensa sia stato, signore?”.

“Di sicuro, non gli alchimisti o Solid Snake, Simone!”.


Columbia Britannica


Il più grande raduno di pellerossa era in pieno svolgimento tra le tranquille lande della nazione canadese.

Geran Giunan fissava tutti i presenti con fare fiero e, come suo solito, nel più totale silenzio. Sempre più nativi di America giungevano nella vallata che era stata autorizzata per il ritrovo di questo popolo così affascinante e ricco di storia.

“Geran! Come stai?” il giovane gli si avvicinò festante.

“Tutto bene, per il volere del grande spirito. Tu, Acqua che Scorre?” gli rispose il nerboruto.

“Sono felice di essere qui con tutta la mia tribù.

“Dunque c’è anche il tuo grande capo?”.

“Sì! Eccolo là, Serpente Pazzo”.

Gli indicò il suo compagno colorato che si stava già esibendo in una danza sacra, seguito da molti dei presenti.

“E là nel confine, c’è Vento che Soffia che si sta allenando”.

Questa volta, gli stava additando un uomo in tenuta da atleta che correva mantenendo un ottimo ritmo.

Ancora più esterno al perimetro, utilizzando la sua velocità supersonica, vi era di vedetta il supereroe Speeding Arrow.

Mentre i due erano impegnati a fissare altrove, una giovane indiana, dopo aver spettegolato un po’ con una sua collega di nome Giglio Tigrato, si avvicinò al più piccolo.

“Eccoti qui, amore mio”.

L’altro, appena la vide, si produsse in un sorriso luminoso “Fragola Gustosa, mia straordinaria compagna! Stavo mostrando a Giunan tutta la nostra gente”.

“È splendido rivederti, Giunan” lo salutò la donna “Ancora non hai trovato una moglie con cui condividere la tua gioia?”.

“Per il momento, tutta la mia vita è consacrata all'irraggiungibile Sacajawea”. Replicò il colosso dal cuore d’oro.

“Anch’io ho un grande rispetto per lei” annuì Acqua che Scorre “come per il guerriero mohicano Natty Bumppo”.

dall’alto del cielo che stava giugendo all’imbrunire, piombò sul trio una donna con il costume da gufo conosciuta con il nome di battaglia di Owlwoman.

“Ti stavo cercando, Fragola Gustosa. Ho bisogno di parlarti di alcune cose importanti”.

“Arrivo subito, Wenonah” la salutò mentre l’altra stava atterrando poi, rivolgendosi ai due uomini “Perdonatemi se mi allontano”.

Loro annuirono in segno di consenso. Dopo poco, Acqua che Scorre tornò a fissare preoccupato il suo amico.

“Tutto bene, Geran?”.

“Non saprei, Acqua. Mi sento stranamente teso stasera”.

Come ad avvalorare tale preoccupazione, la fiamma di Serpente Pazzo si alzò improvvisamente, stupendo anche tutti i presenti.

Distrattosi come tutto il numeroso gruppo, l’energumeno riuscì appena in tempo a voltarsi e a bloccare due mani grosse e possenti come le sue.

“Salute, Thunder Hawk”.

“Salute a te, Geran Giunan” rispose al saluto l’altro, muscoloso quanto lui “Noto con piacere che continui a mantenere il tuo fisico ben allenato”.

“Faccio quello che posso, Thunder Hawk. Le minacce potrebbero sempre colpirti. In qualsiasi momento.”

“Il prossimo voglio essere io!” si fece avanti l’eroe conosciuto come Warpath.

Questa volta la fiammata fu così intensa che molti dei presenti, scapparono via impauriti.


Pechino


Nel ristorante più grande e più rinomato della capitale cinese, ogni posto era occupato da dei clienti, come spesso accadeva in quel locale.

Il proprietario era seduto appollaiato sopra una sgabello vicino alla cassa. Dopo poco, gli si affiancò una giovane cameriera.

“Come sta andando il servizio, Nikki?”.

“Perfettamente, onorevole Chang” lo informò una Peng con gli occhi che volavano da un tavolo all’altro.

“Allora continua così, Nikki. Tu da sola vali come mille uomini!”.

“Che bello! Proprio come Mulan?”.

“Come non detto… non pensare a certe frivolezze e rimani concentrata, accidenti!” la redarguì Yu, più buffo che infuriato.

“Uffa, Onorevole Chang” sbuffò divertita lei “con lei non si può proprio mai scherzare su nulla! Non come con Li Jian”.

“Ancora a parlare di lei?! Ricordati che adesso lei è in Giappone!”.

“Sì, purtroppo…”.

“Ma tu non ci pensare! Guarda, al tavolo 66 hanno richiesto un Egg Fu”.

“Ok, vado io!” partì a grandi falcate la moretta.

Mentre il suo datore di lavoro la osservava compiaciuto, improvvisamente squillò il telefono sopra la scrivania che aveva di fronte.

“Pronto? Sì è il ristorante. Come dice, scusi? Siete i leggendari spiriti celesti e volete prenotare per tutti e trenta?! Guardi, per me potete essere anche i cinque fratelli dell’Isola Liu che qui, dentro al mio locale, non ci mettete piede!”.

Il ristoratore proseguì bofonchiando qualche offesa in mandarino incomprensibile e infine sbattendo con violenza la cornetta del telefono.

“Questo lavoro mi sta uccidendo…”.

Mentre l’uomo è ancora lì con la fronte appoggiata sulle sue mani aperte, da una finestra aperta fluttuarono una coppia di ragazzi, che andarono ad atterrare proprio davanti a lui.

Dopo qualche secondo in cui rimase totalmente basito, Chang chiese con tranquillità “A-Avete prenotato?”.

Il ragazzo aveva tratti cinesi, mentre la ragazza aveva i capelli biondi e i tratti occidentali.

“Ci scusi ma siamo inseguiti!” urlò lui.

“La prego, ci dia una mano!” supplicò lei.

“Che succede, onorevole Chang?” Nikki era appena tornata dal servizio.

Con la furia di un ciclone, dall’esterno iniziarono ad entrare nel locale un numero sempre maggiore di guardie imperiali.

“Ma cosa sta succedendo?” domandò impazzito Chang.

Fra i clienti in sala, si alzò Kung Fu Girl, membro dei Global Defenders, e, già con la sua uniforme da battaglia, si parò davanti agli aggressori.

“State indietro voi due!” scansò i giovani “E voi invece fatevi sotto!”.

Come nel più classico film di genere , l’eroina si mise ad abbattere ogni avversario tentava di avvicinarsi a pochi metri.

“Ma chi vi manda, Fu Manchu?” sbraitò incollerito Yu.

Sebbene i nemici fossero in numero ben maggiore, l’artista marziale li stava abbattendo uno dopo l’altro con grande maestria.

Di colpo, un altro cliente in sala si alzò dal tavolo. Più furioso che mai, egli iniziò a mutare forma. Tra lo stupore di tutti i commensali, nel salone vi era ora un enorme minotauro con ali di gru e, al posto della coda, un'anguilla viva.

Al culmine della rabbia, lo chef sputò in aria fiamma dalla sua bocca spalancata.


Città del Messico


L’oscurità dominava tutto il sotto degli spalti, rischiarato appena da strisce luminose e occupato esclusivamente dai pilastri in ferro che reggevano l’intera struttura.

L’unica presenza umana era caratterizzata da Bernardo Borghi che, in religioso silenzio, assisteva all’allenamento dei suoi luchador preferiti.

“Ehi!”.

Quella voce infantile e improvvisa lo fece scattare in aria, sbattendo anche rumorosamente la testa contro uno dei pali orizzontali.

Di nuovo con le suole delle scarpe per terra, il baffuto si voltò, massaggiandosi frenetico il capo “Santa Clarita! E voi chi siete?”.

“Siamo qui per guardare gli allenamenti” gli rispose un ragazzino con il costume da luchador che pareva ispirato alla bandiera americana.

“Tu, piuttosto, come osi parlare così alla Pulce?” lo guardava un altro ragazzino, con il costume dallo stato di pulizia alquanto basso.

“Anch’io sono qui per gli allenamenti!” gli rispose a tono l’adulto.

“Lo sai che non è legale assistere a dei tryout a porte chiuse?” fece presente l’unica femmina del trio di bambini.

“Questo allora vale anche per noi, Buena Girl” fece notare il loro capo, Ricochet.

“Chi c’è sotto le gradinate?!” una voce dal ring li fece nuovamente sobbalzare “Usciti subito di lì! Veloci!”.

Come i peggiori ladri colti nel fatto, i quattro si presentarono a testa bassa agli sguardi dei vari lottatori presenti.

“Chi siete e perché eravate lì sotto?” chiese El Cielo fissandoli serio, dall’alto del ring e con le braccia conserte.

“N-Noi siamo dei grandi di El Rey!” spiegò Ricochet, tirando fuori un action figure relativa proprio al citato luchador leggendario.

“E chi non lo è!” rise El Mensajero, con le ali di Hermes laterali che gli ornavano la maschera.

“Tu, invece!” El Esqueleto indicò con il suo dito guantato che simulava la struttura ossea umana “Cosa hai da dire a tua discolpa?”.

“Eh… beh… io… ” Berny si grattava nervosamente i capelli scuri, mentre elaborava una giustificazione da esibire verso i suoi idoli.

“Dai gente, non siate così aggressivi con loro. Non lo capite che volevano soltanto dare un’occhiata al nostro riscaldamento”.

Tutti si voltarono verso colui che aveva appena parlato. Il wrestler più tecnico dei presenti e il più amato dai fan della lucha libre: El Dios.

“Giustissimo!” Borghi si sdraiò stile tappeto sul pavimento dell’arena “Voi per me siete un simbolo di rivalsa contro tutto e tutti!”.

“Non importante arrivare a tanto, tirati su!” lo redarguì El Tigre, proveniente direttamente dalla Tecmo World Wrestling.

“Infatti” annuì El Dios “anche perché non garantisco di certo sull’ottimo stato di igiene di quelle mattonelle…”.

Signori!” s’intromise gridando festante El Piloto “Vi comunico che l’aereo è pronto per decollare da Tijuana”.

Dunque di loro cosa ne facciamo?” domandò La Victoria, con la dea Nike rappresentata al centro del suo petto.

Come se fossero collegati a livello psichico, tutti i presenti voltarono il proprio sguardo verso il luchador vestito con l’uniforme da poliziotto.

Per me non c’è problema! Io non ho visto niente” sentenziò El Oficial de Policia.

Tutti proruppero in urla di gioia, tranne il povero Bernardo che scoppiò in un pianto a dirotto.


Kinshasa


Un bambino accovacciato, di nome Bilbolbul, stava giocando con un paio di legnetti che, usandoli a mo’ di spade, stavano dando luogo ad un cruento duello. D’improvviso, come richiamato da una voce invisibile, si alzò in piedi e si mise a scrutare in direzione del lontano mare.

L’acqua cristallina dell’oceano a fargli da morbido letto. Era così che si trovava Juna, disteso supino a braccia e gambe aperte. Oltre ad essere totalmente nudo.

Mi sento così vuoto e inutile” erano i pensieri dell’uomo “Sono nullità di fronte a tutto questo mondo… ”.

A pochi metri di distanza da lui, qualcosa stava scivolando silenzioso tra le increspature che caratterizzavano quel mare.

Incurante di tale presenza, lui aveva chiuso gli occhi, accompagnando il tutto con un sospiro profondo.

E dire che dovevo essere io nuda per te…”.

Le palpebre dell’africano si sbarrarono al suono di quella voce femminile.

Chi sei?” urlò, mentre si mise in posizione verticale.

Di fronte si trovò una donna dai capelli corti color grigio scuro, esattamente come il suo costume da bagno formato da un pezzo unico, e dagli occhi totalmente neri.

Nuzm!” sorrise Juna, sorpreso.

Cosa ci fai qui tutto da solo, bel moretto?” ammiccò lei.

Sto aspettando che mi chiami Pantera Nera per entrare a far parte dei Vendicatori, magari per affrontare l’Uomo Scimmia di Wakanda… Oddio, se fosse invece Shuri a chiamarmi, sarebbe anche meglio!”

Sei sempre il solito pervertito!”.

Ma tanto, queste sono cose che accadrebbero soltanto se avessi dei superpoteri a mia disposizione…”.

Eh già…” sorrise con aria furba la donna.

E tu Nuzm, che ci fai?”

Io aspetto direttamente l’invito di Tempesta degli X-Men”.

Figurati! Faremo sicuramente prima a trovare le miniere di Re Salomone come ha fatto Allan Quatermain”.

Preferisco qualcuno che sia amante degli animali…”.

Tipo?”.

Tipo Tarzan” si esaltò Nuzm.

Però! Te li cerchi anziani allora!” la sbeffeggiò il platinato.

Ma quali anziani?! Hai presente che fisico statuario ha Tarzan?”.

Certo, da nuotatore olimpico”.

Appunto! Tu saresti il primo a sognarti di avere un fisico così!”.

Ah no, tranquilla. Ho smesso di sognare tempo fa…”.

Detto questo, il congolese si mise a fissare serio e in silenzio l’oscurità al di sotto della superficie liquida.

La donna, preoccupata per quel cambio d’umore così repentino, si avvicinò all’uomo.

Cosa vuoi dire, Juna? Che cosa hai?”.

L’interpellato rimase ancora per qualche istante nel più completo mutismo.

Sto così bene nell’acqua. Sono convinto che, la pace presente nei suoi abissi, non riuscirò mai a trovarla qui sulla terra”.

Ne sei davvero convinto, Juna?” gli domandò lei.

L’altro annuì convinto.

Allora va e scoprilo…”.

l’africano, senza alcun ripensamento seguì il consiglio e si immerse giù nell’acqua salata, finché l’oscurità non lo ebbe inglobato.


Indianapolis


Il più grande raduno di piloti automobilistici era in pieno svolgimento all’interno del rinomato impianto sportivo conosciuto come l’Indianapolis Motor Speedway.

Una monoposto da Fomula Uno si era appena fermata all’interno di uno dei box presenti nella struttura. Una volta toltosi il casco e slacciato le varie cinture di sicurezza, Johnny Wayne ne uscì con un agile balzello.

Appoggiato al muro e al riparo dalle innumerevoli traiettorie dei percorsi dei meccanici, lo attendeva un suo collega giapponese.

Niente male…” furono le sue uniche parole.

Mentre si stava spettinando i capelli biondi, l’americano lo notò a malapena.

Hanno fatto entrare pure te, Minetaro Shiroyama?”.

Ovviamente. Sennò chi altro ti poteva prendere a calci in culo?” gli sorrise beffardo il nipponico.

Sicuramente non un fottuto muso giallo!” s’intromise, sbruffone come sempre, Ricky Bobby.

Oh cazzo. Sapevo che non dovevamo invitare i piloti della Nascar…” lo canzonò il suo connazionale.

Già, come mai non c’è Stroke Ace? O, meglio ancora, Jean Girard?” si chiese lo studente dell’Istituto Shiroiwa.

Cosa?! Quella lurida checca francese?!” proseguì il pilota delle gare nell’ovale.

Piantala, Bobby!” lo ammonì Johnny “Piuttosto che gareggiare con te, preferirei sfidare Crash Bandicoot!”.

Mentre leggeva un plico di documenti, entrò nell’ambiente Michel Vaillant “Devo controllare se è stato convocato anche lui. E poi Bobby si può sapere cos’hai contro i francesi?”.

Ma gli animi si placarono all’istante con la comparsa di un nuovo pilota. quest’ultimo era vestito totalmente di nero ma, la cosa che inquietava di più, era il suo volto completamente mascherato. Da un paio di piccole fessure, s'intravedevano giusto gli occhi contornati da pelle bruciata.

Il silenzio fu rotto soltanto quando questa figura fu transitata e uscì all’esterno.

Quello deve essere Frankenstein…”.

Già…” gli fece eco Minetaro.

E di certo non è quello del Monster Commando…”.

Di sicuro, trovo molto più piacevole la presenza di Penelope Pitstop. Ma piuttosto anche di Vanellope Von Schweetz!”.

Le candidature delle minorenni non sono state accettate” fece presente il francese.

Infatti…” approvò lo statunitense voltandosi spavaldamente verso l’asiatico “Quindi tu Minetaro te ne puoi tornare tranquillamente ai go-kart!”.

Col cavolo! Quelli li lascio a Masaomi Akamine e Daigo Fukunishi”.

D’un tratto, un boato scosse le pareti attorno ai piloti.

Cos’è stato?” lo sguardo impaurito di Shiroyama passava freneticamente da una parte all’altra del paddock.

Wayne corse più veloce che poteva verso l’uscita, finché un’intensa luce chiara lo travolse, facendone scomparire il profilo nel bianco assoluto.

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Capitolo 28
*** Sparsi nel tempo ***


CAPITOLO 28

Sparsi nel tempo”




tutta quella luce si era tramutata nel sole a picco in pieno deserto, accompagnando il povero Igor Wansa finché, stremato e con la maggior parte dei liquidi che aveva abbandonato il suo corpo sotto forma di sudore, aveva raggiunto un piccolo villaggio.

Non fece nemmeno caso alle poche case, tutte costruite in legno, che lo circondavano. Il suo istinto di sopravvivenza lo aveva guidato direttamente verso l’edificio più grande.

Su di esso campeggiava una scritta a lettere maiuscole: SALOON.

Spostate a fatica le due tipiche ante sospese, si trovò di fronte le figure più classiche del vecchio west: cowboy, cacciatori di taglie e sceriffi.

“Ehi ragazzo!” esclamò uno dei presenti, seduto davanti al “Che ti è successo?”.

“Dai, siediti qui accanto a me, ti offro una camomilla e vedrai che poi starai subito meglio” lo invitò infine Cocco Bill.

La testa del russo iniziò a vorticare. Sarebbe di sicuro caduto sulle assi del pavimento, se uno uomo mascherato non l’avesse preso al volo.

“Vieni figliolo, mettiti a sedere qui che ti porto dell’acqua” il Lone Ranger si voltò infine bofonchiando “Dov’è Tonto quando ho bisogno di lui?”.

Dopo aver bevuto quasi un litro di quel nettare così prezioso in quel momento, il mutante riacquist’ un po’ di forze per potersi guardare attorno.

Vicino ad un muro, un pistolero dava prova di essere incredibilmente ben più veloce della sua ombra ad estrarre l’arma. Il suo nome era Lucky Luke. Il ragazzino era totalmente rapito da quella dimostrazione di abilità.

Spostato leggermente lo sguardo, si trovò a fissare inorridito il volto sfigurato di Jonah Hex, che a sua volta lo stava fissando.

Cacciato un urlo di terrore, il Soggetto N. 1 strillò “Ma dove sono finito? E dove sono i miei compagni?”.

Tutti i presenti rimasero basiti.

“Ehi bimbo non urlare in questo rispettato locale!” gli si avvicinò minaccioso un cowboy dalla bassa statura, i lunghi baffi rossi e le folte sopracciglia del medesimo colore.

Igor lo guardava trattenendo a stento una risata.

“Cosa hai da ridere? Per Diana! Quelli della tua tua età dovrebbero soltanto giocare con i pupazzetti e nient’altro!”

Sentenziato ciò, Yosemite Sam gli porse sgarbatamente un’action figure dello sceriffo Woody, molto fedele all’originale.

Il giovane, con indosso l’uniforme rossa con la gigantesca H gialla cucita sul davanti, tirò l’anello della cordicella che fuoriusciva dalla schiena del giocattolo.

“Ho un serpente nello stivale” fu la replica della voce metallica del balocco.

Poi, notando il suo vestiario, tentò un nuovo approccio.

“Avete per caso visto qualcun altro vestito come me?”.

Molti degli uomini scuoterono lentamente la testa.

d’improvviso, le ante si spalancarono nuovamente e un nuovo cowboy fece la sua comparsa nel locale. Dietro di sé, tirandola con una corda ben legata, si tirava a presso niente meno che una bara.

“Oddio, spero uno dei miei non sia finito lì dentro” pensava il telepate, che temeva di usare il suo potere per sincerarsene.

“Dovresti chiederlo a Tex Willer e i suoi pards”.

“T-Tu chi sei?” domandò Wansa, rimanendo a bocca spalancata.

“Django”.

Dopo quel nome, anche i suoi occhi si spalancarono “Ma non eri nero?”.


“Vieni giù Peter! Affrontami!”.

“Ma chi lo conosce mai questo Peter!” gli gridò contro isterico l’uomo in volo tra le vele di quell’assurdo veliero “il mio nome è Jack!”.

“Al diavolo! Solo quel bastardo di Peter Pan riesce a volare come sai fare te!” il pirata lo minacciava da lontano con il suo letale uncino.

Ora calmati, Giacomo! Fallo scendere giù e diamo modo al signore di spiegarsi!” tentò di placarlo il medico Peter Blood.

Vedendo placarsi gli animi, il mutante decise infine di planare delicatamente a prua dell’imbarcazione.

Nonostante quel gesto di fiducia, il Soggetto N. 2 continuava a fissare qualsiasi membro di quello strambo equipaggio. In particolare un tipo dai capelli verdi che, oltre a tenere due spade in mano, ne aveva una terza afferrata saldamente tra le mandibole.

Voi chi siete?”.

Noi siamo i pirati di Los Rios, hai già sentito parlare di noi?” fece orgoglioso la presentazione della sua ciurma Joseph Hawkins, già membro dei Global Defenders.

Il britannico ignorò tale domanda “Dove sono i miei compagni?”.

Dall’accento si direbbe decisamente inglese. Lo capisco io che vengo dalla Malesia” sentenziò un attento Sandokan.

In effetti” appoggiò l’argomentazione il suo fedele Yanez.

Wow wow wow, signori!” s’intromise un pirata variopinto e totalmente fuori di testa “Ascoltate il buon vecchio Jack Sparrow. Freghiamocene del suo passato e, piuttosto, pensiamo a cose ben più serie: Cosa avrà preparato per pranzo il nostro caro Long John Silver?”.

Per tutta risposta, il collo di uno dei presenti si allungò a dismisura fino a mettersi faccia a faccia con chi aveva appena parlato.

Io tanto preferisco il cibo di Sanji!”.

Ma ma… cosa sta succedendo?” Lincon si mise le mani tra i capelli, come a volersi schiacciare la scatola cranica “come ho fatto a finire qua?”.

Forse sei stato liberato dopo decenni da un limbo in cui eri prigioniero, esattamente come è successo a me” ipotizzò Captain Fight.

Non perdiamo la testa, signori” alzò le mani al cielo un pirata con una vistosa benda sull’occhio “Ricordatevi che ci siamo riuniti per ritrovare il tesoro nascosto dell’isola di Los Rios!”.

D’un tratto, un canto soave iniziò a riecheggiare su tutta la distesa oceanica.

Cosa sono queste voci?” chiese spiazzato il mutante.

Mi dispiace interrompere il mio quasi omonimo, Willy. Ma queste sono sirene!” avvertì il resto della ciurma Will Turner.

Come mi ha insegnato la mia compagna di classe Takako Esaka, dove ci sono delle sirene, ci sono anche dei mostri marini!” esplicò lo studente Hanamichi Furukawa, lì presente esclusivamente come pirata informatico.

Magari sono solo delle semplici scimmie… ” tentò di sdrammatizzare un giovane Guybrush Threepwood.

Mentre il dandy evitava appena in tempo una renna che galoppava imbizzarrita sul ponte di comando, dagli abissi scuri emersero dei giganteschi tentacoli violacei.

Andiamo miei briganti da strapazzo!” caricò i suoi Capitan Pirata.

Il membro degli Humana si accorse, per caso, del primo membro femminile presente in quella masnada di bifolchi.

Venga signorina!” la afferrò per un braccio “le conviene scendere in coperta insieme a me!”.

Lei scosse i suoi capelli biondi mentre si liberò dalla presa dell’uomo.

Con chi credi di avere a che fare, imbecille! Io sono Jolanda, la figlia del Corsaro Nero!”.


Gentili ospiti, siamo lieti di annunciarvi la presenza di Madame Arone di Parigi” annunciò pomposo uno degli inservienti presenti a quel ballo.

Vestita con un abito così favoloso da far invidia a qualsiasi principessa proveniente da una qualsiasi fiaba, la francese fece elegantemente il suo ingresso nel salone. Al suo passaggio, tutte le dame e i cavalieri si voltarono a salutarla e ammirarla.

Se non altro, usando il mio potere” rifletteva lei, che camuffava il tutto con semplici saluti di cortesia a chiunque dei presenti “posso constatare che sono tutti umani qua dentro”.

Il grande re Artù, in piedi al fianco della sua compagna Ginevra e di fronte ai loro rispettivi troni, fissava fiero quella giovane donna comparsa dal nulla qualche giorno prima.

Mentre ora, sebbene ancora spaesata, era dentro al suo castello magico che parlava gentilmente con il suo praticamente omonimo.

So come ti senti, Frédérique. Anch’io provengo da un altro tempo, insieme al resto della mia squadra di football. Spero con tutto il cuore che tu posso fare presto ritorno a casa” le parlava sinceramente il cavaliere con l’armatura dorata e la viverna sullo scudo.

Alla coppia si avvicinò un nuovo uomo in armatura, questa volta totalmente nera.

Mi rincresce di non poter contattare i miei amici del tuo tempo, i Vendicatori” il Cavaliere Nero abbassò rammaricato il capo “loro sicuramente avrebbero trovato una soluzione a questa incresciosa situazione”.

Un nuovo cavaliere dorato si unì al terzetto.

Sarà anche vero ciò che tu decanti, ma io non ho mai uditi alcuna gesta di questi Vendicatori. Personalmente ho conosciuto invece i ben valorosi Sette Soldati della Vittoria” polemizzò il Cavaliere Splendente.

Anch’io, Sir Tauino, sono stato nel futuro, miei colleghi” si avvicinò al gruppo un tizio in armatura ben più goffo “ma i miei si chiamavano Global Defenders”.

La sua fedele spada, chiamata Exsurgi, spesso viveva di vita proprio, modificando addirittura la sua forma. Proprio come in quel momento, quando dall’elsa spuntò un paio di ali di pipistrello che la fecero fluttuare in mezzo alla stanza.

Mentre l’italiano tentava di recuperare la propria arma bianca, un suo connazionale lo osservava apoggiato al muro, denigrandolo.

Tu sie la vergogna di tutto ciò che puote essere un cavalier d’armi” lo canzonò Brancaleone, scuotendo il capo scuro e spettinato.

Un altro membro dei Cavalieri della Tavola Rotonda, anche lui nero crinito, si aggiunse al capannello.

Signori, date un attimo tregua alla nostra graziosa ospite”.

Principe Valiant, le vostre attenzioni nei miei confronti mi lusingano immensamente” gli sorrise il Soggetto N. 3.

È il minimo per una splendida dama come voi”.

Non mi starete mica facendo la corte, cavaliere?” lo provocò la ballerina.

Non oserei mai, milady. Dovreste conoscere il cavalier Orlando. Lui si che, quando si innamora, è vittima di una vera e propria furia dei sensi”.

Credo di aver sentito qualche sua gesta…”.

Il resto delle parole le morì in gola, quando vide entrare nel salone un gigantesco cavaliere scuro. Ciò che più turbo Frédérique fu però la totale assenza della testa da parte del nuovo venuto.

Quell’uomo lìho già visto da qualche parte… si fa per dire… ” rifletteva tra sé e sé la donna, sghignazzando appena alla sua gaffe “Dovrebbe far parte del Monster Commando. Gira e rigira, sempre con quel gruppo ci dobbiamo confrontare… ”.

Alle spalle del Cavaliere Senza Testa, fece la sua comparsa un altro essere altrettanto inquietante.

Quello invece, se non ricordo male, dovrebbe chiamarsi Sir Daniel Fortesque” si spremeva le meningi la castana, mentre fissava anche troppo intensamente quello scheletro in armatura.


Attorno al maestoso castello di Camelot, vi era una magica foresta, dove nemmeno gli occhi speciali di Frédérique Arone riuscivano ad arrivare.

Sfortunatamente per lei, dato che ciò sarebbe bastato per trovare almeno uno dei membri del suo gruppo.

Di fatti Andrea Alberti, che si trovava proprio sotto le fronde di quella stretta boscaglia, era alle prese con tre fazioni di cui si sarebbe stupito, se non fosse per tutte le assurdità che si era trovato ad affrontare con gli Humana. Alla sua sinistra, le fate, al centro, i nani e, alla sua destra, gli elfi.

Il braccio destro del mutaforma si era già mutato in una specie di moschetto con, attaccato alla bocca da fuoco, un semplice acciarino.

Ora… con calma…” parlava lentamente l’umano “chi mi vuol dire dove mi trovo e cosa sta succedendo qui?”.

Per tutta risposta, una piccola fatina vestita di verde si avvicinò alla fiammella dell’acciarino e, con un rapido sbattere delle sue ali da insetto, la spense.

Ben fatto Trilli” si complimentò l’arciere con le orecchie appunta Legolas, puntando una sua frecce sul nuovo arrivato “Piuttosto, dicci chi sei tu e da dove vieni”.

E ti conviene parlare alla svelta!” aggiunse burbero il nano Gimli.

Io sono il Soggetto N. 4 degli Humana! Per quanto riguarda come sono finito qui, francamente piacerebbe saperlo anche a me”.

Dal tuo modo di parlare, sembra che tu sia italiano proprio come me” gli si fece vicina una fata dai capelli turchini.

Aspetta… ma io ti ho già vista… ” s’illuminò il volto dell’italiano.

Ehi!” s’intromise Ghim, un nano dai capelli e la barba bianchi “come ha detto il mio quasi omonimo Gimli, non ti conviene abbassare la guardia con noi!”.

Manteniamo la calma, non occorre essere così sospettosi verso un estraneo” riprese tutti i presenti la sacerdotessa Tyrande Soffiabrezza.

Un’altra maga fatata, questa con il vestito di colore blu, si affiancò alla precedente.

Io ho già avuto a che fare con una donna del tuo mondo, anche se ben prima della tua nascita. Si chiamava Cenerentola”.

Io invece mi ricordo sono stato in un paese chiamato Tokyo dove ho conosciuto un ragazzo di nome Ryo Soda…” si propose l’elfo Eiden.

Mi fa un gran piacere sapere che in tanti di voi hanno visitato il mio bel tempo, vorrei anch’io provare questa esperienza, dato che ci sono!”.

Nel frattempo, un gruppo di nani, precisamente sette, si era messo a canticchiare e ad allontanarsi, portandosi con loro un piccone a testa.

Oddio ma ci sono proprio tutte le fiabe qua…” si spettinò la testa con la mano destra, tornata chiaramente in forma umana.

un’altra fata, della stessa grandezza di Campanellino, si avvicinò al volto del mutante, di modo che la sentisse perfettamente.

Ciao, io ti conosco perché faccio parte del Monster Commando… ”.

Non mi dire che ci sono loro dietro a tutto questo?!”.

Certo che no! Ma sono sicura che stanno facendo tutto il possibile per farti tornare nella tua epoca”.

Allora spero che lo stiano facendo anche per i miei compagni”.

L’importante è non coinvolgere gli elfi oscuri, quegli essere sono buoni solo a portare il caos” si raccomandò l’elfo di prima.

Al diavolo! Mi vanno bene di qualsiasi colore! Mi va bene anche che sia un nano come Lord Emp degli Wildcats. l’importante è che mi riporti a casa!” sbottò l’uomo del Trentino.

Insieme a lui, anche l’ambiente tutto intorno si alterò. Un grande boato, come se provenisse da ogni parte della vallata, riecheggiò per minuti interi.

Che succede?” Andrea si guardava attorno spaurito.


Cosa ci fai sulla mia nave?” sbraitò Giasone, appena vide quell’energumeno in rosso e giallo apparso letteralmente dal nulla.

Veramente, questa nave sarebbe mia…” dissentì a bassa voce il costruttore Argo.

Geran Giunan si guardava attorno esterrefatto da quel potente esercito, divisa tra guerrieri e semidei, conosciuto come Argonauti.

Finalmente un avversario degno di me!”.

A presentarsi baldanzoso di fronte al pellerossa fu niente meno che Ercole. I due colossi si squadravano con sguardo fiero.

Nello stesso istante, i due si lanciarono l’uno contro l’altro, bloccandosi entrambe le mani a vicenda. Per almeno una mezz’ora rimasero così. Immobili, come una statua fatta di carne, ossa e muscoli possenti.

Che mi venga un colpo! È decisamente più esaltante del mio matrimonio!” rise di gusto Piritoo.

O di una gara di pentathlon!” aggiunse Foco.

Nonostante tutto i loro corpi nerboruti fossero madidi di sudore, i due sfidanti non si muovevano di un millimetro.

Qualcuno vuole del vino?” propose Stafilo, la personificazione del grappolo d’uva.

Il figlio di Hermes, Echione, si avvicinò a Giasone per sussurrargli all’orecchio.

Mio signore, credo che possa bastare così. Non mi pare che lo sconosciuto sia così bellicoso nei nostri confronti”.

Il capo di quella mitica spedizione ci pensò un po’ su.

E sia” bisbigliò, per poi alzare la voce “Ercole, mio fedele amico, può lasciare questo nostro ospite, ed è così che voglio che sia trattato d’ora in avanti, da ospite”.

l’uomo più forte del mondo, ubbidendo a quanto appena detto, lasciò sciogliersi la presa, così come fece il mutante.

Sei una valido avversario!” si complimentò Ercole, accompagnando il tutto con una sonora pacca sulla spalla dell’indiano d’America, mentre suo fratello Ificlo gli si avvicinava per sincerarsi del suo stato di salute.

Lo stesso fece Asclepio con Giunan “Benvenuto tra noi, nobile guerriero. Senti dolore da qualche parte?”.

Per festeggiare quel nuovo membro aggiuntosi alla spedizione, Clizio e Filottete scoccarono all’unisono due frecce verso il cielo azzurro.

l’unico membro femminile del gruppo, Atalanta, fece i suoi personali omaggi al nuovo ingresso nella ciurma.

Benvenuto anche da parte mia. Ti avviso fin da subito che, sebbene io sia una donna, non ti conviene approfittare di me, se tieni cara la tua vita”.

L’altro non replicò, ma comprese appieno il messaggio. Notando solo dopo della presenza di due gemelli attorno a lui, i Dioscuri.

Tranquillo, è una cosa che dice a tutti quanti…” esordì Castore.

Ma ti assicuro che è una valida combattente!” concluse Polluce.

Giasone, che indosso portava fieramente il leggendario vello d’oro, sorrise al Soggetto N. 5 “Tranquillo mio nuovo amico, anche noi ci siamo trovati, di recente, ad essere chiamati in un’epoca che non era la nostra. Evocati da un giovane atleta di nome Genichiro Fujimaki tramite un anello rappresentante questo mio sacro trofeo. Anche lui aveva una pelle diversa dalla nostra, ma un colore diverso anche dalla tua”.

Geran annuì con il capo, mentre l’eroe toccava uno delle corna dell’ariete dorato.

Stiamo procedendo nella direzione corretta, mio valido Tifi?”.

Sì, mio capitano. Come sempre!” rispose il timoniere della nave Argo.

Procedi pure che l’oceano è tutto libero per noi!” annunciò Linceo, aiutandosi con la sua vista portentosa

Intanto i due figli del vento del nord Borea, Zete e Calai, si alzarono in volo per soffiare un vento potente sulle vele dell’imbarcazione.


Un cimitero gotico in piena notte fonda. Sicuramente il luogo meno adatto dove voleva trovarsi Chang Yu in quel momento.

Questa è decisamente una non bella situazione” constatava a bassa voce il cinese.

Un sinistro ululato squarciò il silenzio tombale.

No no no. Non mi sono mai piaciuti gli ambienti tenebrosi…” proseguì lui.

Non sono così male, una volta che ti ci sei abituato”.

Dopo essere sobbalzato a causa di quella voce improvvisa, il Soggetto N. 6, deglutendo rumorosamente, si decise a girarsi a scatti.

com’era capitato ad Andrea in un’altra realtà, si trovò di fronte tre schieramenti spaventosi ed inquietanti. Alla sua sinistra, i vampiri, al centro, i licantropi e, a destra, le streghe.

Mentre il suo corpo tozzo iniziò a tremare vistosamente, il mutante tentò comunque l’approccio.

V-Voi siete quelli che h-hanno quel talismano, il Voltar?”.

Noi vampiri non possediamo ciò che tu dici” gli rispose la giovane Yuuki Cross.

Nemmeno noi licantropi” lo informò colui conosciuto con il nome di battaglia di Lincatropus.

La stessa cosa vale anche per noi streghe” concluse Incantatrice, membro della Justice League Dark.

Oh beh, allora scusatemi, errore mio. Ora magari è meglio se mi avvio…”.

Ma il mutante fu subito bloccato da altri tre esponenti.

Non ci vuoi nemmeno dire chi sei?” lo fermò Morbius, il cosiddetto vampiro vivente.

O da che epoca vieni?” domandò Timber Wolf, proveniente dal futuro.

E con quale incantesimo sei giunto qui da noi?” chiese la Buona Strega del Nord, esperta di incantesimi di trasporto.

So solo che, fino a qualche attimo fa, ero con i miei colleghi degli Humana. Poi mi sono ritrovato qui insieme a voi”.

Essere in un gruppo non è mai una buona cosa, te lo assicuro” gli confidò Francis Varney “Io stesso una volta facevo parte di uno di essi, si chiamava la Lega degli Straordinari Gentleman…”.

Ah no! Io non ce la faccio a risentirlo che attacca con i suoi racconti!” si allontanò dal grosso gruppo lo studente Scott Howard.

Purtroppo, credo che rispedirti indietro sia un incantesimo al di là anche delle mie possibilità” confessò la mutante Scarlet.

Non preoccupatevi. Sono convinto che i miei compagni stiano già cercando una soluzione a questo problema” l’asiatico agitava nervosamente la mano davanti a sé.

D’un tratto, lo schieramento dei vampiri si fece ancora più silenzioso. La schiera di non morti si divise in due tronconi, per consentire il passaggio ad uno di loro.

Tale figura si muoveva lentamente ma con solennità. Placò la sua marcia a pochi metri da Chang che, anche solo inconsciamente, aveva giù riconosciuto colui che aveva davanti.

Non può essere lui…” la giovane Wolfsbane fu così terrorizzata che si tramutò all’istante nella sua forma di lupo.

Contro di lui, nemmeno i miei incantesimi al contrario possono nulla” Zatanna ammise alla mutante.

Il bassetto osservava quella figura disorientante come un’ombra con gli occhi spalancati e traboccanti di puro terrore.

Le prime parole, dette con uno spiccato accento rumeno, di Dracula furono.

Tu cosa sai dei possessori del Voltar?”

I-I-Io…”.

In lontananza, in mezzo alle imponenti lapidi ai bordi del campo santo, fece la sua comparsa una quarta fazione di quelle creature della notte: gli zombi.

Uno di loro, dall'apparenza giovane e la cui memoria aveva un’unica scintilla per ricordarsi la sua iniziale, R, osservava tristemente quel terrificante incontro.


Una gigantesca astronave, di colore bianco, procedeva lentamente nello spazio cosmico, caratterizzato dal silenzio e dall'oscurità tempestata di stelle lontane.

Al suo interno, una miriade di extraterrestri, ognuno proveniente da altri pianeti e portatori di tecnologie diverse, si stava confrontando nella maniera più pacifica possibile.

Tra di essi, Bernardo Borghi si divertiva a mutare il proprio aspetto a seconda dell’essere che aveva davanti.

Ma tutto ciò è fantastico! Sembra di essere in una di quelle pellicole con protagonista El Santo, Blue Demon e Mil Mascaras!” si esaltava sempre di più.

Sicuro di non volerne un po’? Sono ottime!” Eta Beta gli offrì nuovamente la confezione contente palline di naftalina.

Oh no, ti ringrazio” evitò di fare una faccia schifata l’umano “sono troppo legato al mio caro cibo messicano”.

A me piacciono i broccoli!” s’intromise immotivatamente la piccola principessa Dejiko.

Un giorno di questi dovrei farti conoscere dei miei amici che si chiamano Ok Quack e Reginella” proseguì l’alieno con il gonnellino nero, che poi prese a ragionare con Marvin il marziano.

Non vedo l’ora…” affermò a malapena il baffuto, mentre stava già guardando da un’altra parte della sala.

Un vulcaniano, passando vicino al terrestre, lo salutò con il suo caratteristico allargare lo spazio tra il medio e l’indice della mano.

Lunga vita e prosperità”.

A te, fratello!” fu la risposta, alquanto meno nobile, da parte sua.

Gironzolando per l’enorme stanza, il Soggetto N. 7 si avvicinò ad una delle teche presenti alle pareti. Dentro il vetro, si poteva notare un ammasso gelatinoso di colore rossastro.

Piuttosto schifoso, non ti pare?”.

Un uomo tutto vestito di nero, come la sua carnagione, si era avvicinato al suo coplanetario, mentre quest’ultimo stava fissando schifato quella creatura.

Sul nostro pianeta, la terra, questa schifezza viene chiamato Blob”.

Per quanto mi riguarda, mi fanno più schifo i rettiliani” scherzò su Berny “mi sembrano tutti dei Reptile di “Mortal Kombat”… ”.

Di colpo, la sua attenzione fu rapito da una figura femminile dal fisico attraente.

Mentre quella potrebbe farmi un abduction ogni volta che vuole!” i suoi occhi erano fissi sulle forme generose di Starfire.

Un lieve movimento delle pupille e aveva trovato all’istante un nuovo obiettivo: una aliena dai capelli verdi e il bikini tigrato.

E quella ancora di più!”.

A distrarlo da cotanto spettacolo, ci pensò il sonoro brontolio di una pancia affamata.

Uffa! Quando mi hanno chiesto di partecipare, io pensavo che almeno ci fosse un buffet!” si lamentava, tenendosi la pancia sotto la sua tenuta da allenamento, Goku il sayan “O magari qualcuno con cui allenarmi. Mi andrebbe bene anche Freezer”.

Quindi tutta questa gente è stata invitata qui” rifletteva mentalmente Borghi “Io però vorrei sapere dove sono finiti tutti i miei compagni!”.

Di voi terrestri non riuscirò mai a capire l’attrazione verso il corpo femminile”.

Il maschio si voltò stupefatto versa quella figura femminea e bionda di nome Andromeda.

È una storia decisamente lunga e complessa…”.

Allora signori! Dato che non ho voglia di ritrovarmi un altro mortorio, vediamo finalmente di movimentare un po’ la serata!”.

Frank-N-Furter si sapeva fa riconoscere, anche solo per il suo particolare vestiario.

Oh signore… ci mancava anche questo…” il mutaforma era allibito.

Infastidito dal suo svolazzare vicino alla sua faccia, Bernardo scacciò via con la mano, come fosse un semplice insetto, il piccolo Blue Jay.


In questo mondo, l’oggetto della contesa era lo stesso Juna.

Nella più classica rappresentazione del duello tra inferno e paradiso, una schiera di demoni e una di angeli si affrontavano per avere il mutante, considerato come una sorta di messia.

Perché nessuno dei miei amici viene a salvarmi?” si chiedeva disperato l’africano, mentre erano nudo davanti a tutti.

Cosa vi fa credere di essere degni dell’anima di questo mortale?” domandò a gran voce il demone Zaras.

Potrei farti la stessa domanda, Zaras, non provocarmi inutilmente!” replicò impassibile Angelo dei Global Defenders.

I Balrog alle spalle dell’essere demoniaco si tenevano fermi a stento.

L’angelo Zauriel si avvicinò all’orecchio del suo collega per bisbigliarli un avvertimento “Preparati perché la battaglia sarà cruenta”.

Angelo strinse forte l’impugnatura del suo arco. Così come fece anche il piccolo Pit.

Come vorrei che questo fosse un videogame…” sperava vanamente in cuor suo.

Goro vi distruggerà tutti e banchetterà con i vostri corpi!” minacciò furioso il principe degli Shokan, levando al cielo le sue quattro braccia muscolose.

Al suo fianco, Sheeva esultò a sua volta.

Anche se sono solo in parte appartenente alla vostra razza, donerò tutta la mia forza da kryptoniana per voi!” rispose alle provocazioni Linda Danvers, alias Supergirl.

dall’altra parte dello schieramento, l’essere conosciuto come Violator, nella sua forma clownesca, sbeffeggiava in maniera volgare i suoi avversari.

Chi invece si teneva ben lontano dalla ressa, sempre tra le schiere demoniache, era il povero Geppo, non a caso conosciuto come il diavolo buono.

E sei io non volessi accettare nessuna della parti?!” tentò invano di farsi sentire il Soggetto N. 8.

Purtroppo, il frastuono era così assordante da non far percepire nemmeno i pensieri.

Ti capisco Juna, anch’io vorrei solo la pace ” lo fissava, con le lacrime agli occhi, l’alieno-angelo dorato Jueil.

Ben diversa era la sensazione che provava la succube Lucifera “Tutto questo odio mi fa godere come una cagna!”.

Con il potere della luce distruggerò tutti questi adoratori dell’oscurità!” fremeva dall’entrare in battaglia la nuova posseduta dell’Angelus.

Chi invece rimaneva in disparte ad osserva il tutto dall’alto era il giovane giapponese Akira Fudo, qui presente nella sua versione di Devilman.

Stessa sorte era toccata ad altri due uomini che, con gran coraggio, rifiutarono l’invito di schierarsi dalla parte del male: il dottor Faust ed Hellboy.

Come fate ad essere così sciocchi?!” non demordeva lo zairese “Io non sono nato per essere il premio di nessuno! L’unica cosa che voglio è tornare nel mio mondo e rivedere i miei compagni degli Humana!”.

Nello sfondo che caratterizzava l’esercito dell’inferno, si vide alzarsi un’imponente figura oscura. Il potente demone Chernabog si era finalmente palesato.

Solo gli angeli di Evangelion potrebbero avere delle possibilità contro di lui” constatò Angelo, mentre il resto del suo battaglione si era involontariamente indietreggiato.

Possibile che non ci sia un modo per fuggire da questo incubo?” si era ridotto ormai a bisbigliare un Juna a pezzi.

Non ti spezzare, Juna. Non ancora” pareva offrirgli un contorto appoggio morale Pinhead Boy, membro del Monster Commando.

Spero che le sorelle Halliwell stiano facendo tutto possibile per darci un loro appoggio” parlava tra sé e sé Leo Wyatt.

Il botto improvviso di un tuono, talmente forte da far tremare e crepare il suolo, diede inizio alle ostilità nella valle dell’Eden.


Tutto bianco.

Nonostante non ricordasse più da quanto correva, Johnny Wayne non vedeva altro che bianco attorno a lui.

Era tutto così confuso che non sapeva nemmeno se stesse percorrendo una superficie, orizzontale, verticale, obliquo o altro ancora.

Stanco, ma solo psicologicamente, prese la decisione di fermarsi sul posto.

Così è troppo! Dov’è che sono finito? Dove sono finiti i miei?” urlò l’americano contro tutto quel candore, mentre si inginocchiava sconfitto.

Non gli rimase che una cosa da fare.

Piangere.

Passo un’indefinita quantità di tempo quando, con le lacrime che ancora gli velavano gli occhi, gli parve di vedere una scintilla rossa all’orizzonte.

Rimessosi in piedi, notò che effettivamente qualcosa pareva avvicinarsi a lui.

Non ebbe nemmeno il tempo di effettuare il primo passo che un uomo, vestito con una calzamaglia rossa e nera con, nel mezzo del torso, un’enorme J, gli comparve davanti.

Il nuovo arrivato scuoteva la testa, caratterizzata da capelli neri tirati in su e occhi castani.

Voi Humana avete fatto davvero un bel casino, lo sai questo, Johnny?”.

Ma tu chi sei?” gli chiese il biondo con l’uniforme rosso e gialla.

Chiamami Justice Boy. È da tanto che vi sto cercando per riportarvi al mondo che voi stessi avete mutato”.

Che vuoi dire?”.

Non è semplice da comprendere, e tanto meno da accettare, ma voi, con le vostre avventure, siete stati in grado di fondere assieme infiniti mondi”.

C-C-Come?”.

È assurdo, lo capisco, ma cerca di avere fiducia in me. Ora, in unico globo terrestre, si trovano a convivere tutti quei personaggi che possono scaturire da film, serie tv, canzoni, fumetti, cartoni animati, libri, videogame e qualsiasi altra opera ti possa venire in mente!”.

E saremo stati noi a creare tutto questo? T-Tu sei pazzo!”.

Lui ha perfettamente ragione, Johnny”.

Il Soggetto N. 9, udita quella voce nella sua testa, si voltò alla sua destra. Di fronte a sé aveva un semplice scimpanzé. l’animale

Che cosa? Una scimmia parlante?”.

Non avere paura, Johnny. Io sono colui che vi ha riunito tutti insieme voi nove. Grazie anche all’aiuto di Sara Silvestri”.

Il pilota crollò nuovamente in ginocchio. Per minuti stette a fissare il nulla ammantato di bianco che era quella realtà.

Dopo un grande sospiro, rialzò la testa verso la scimmia delle stelle.

Vi prego, non era nostra intenzione condannare il mondo…” pronunciò appena con un filo di voce e nuove lacrime che gli rigavano le guance.

Johnny, nessuno qui dice che avete condannato il mondo” gli parlò il primate, senza muovere la bocca.

Justice Boy gli appoggiò la mano sinistra sulla spalla destra “Infatti, basterà solo adeguarci a questo nuovo mondo”.

Lo sguardo di Wayne si spostò sull’altro velocista “E come faremo?”.

Il suo interlocutore sorrise “Beh, i Global Defenders sono nati proprio per questo!”.

Una volta aiutatolo a rimettersi in piedi, i due si fronteggiarono nuovamente.

Da dove dobbiamo cominciare?” una nuova decisione era nata negli occhi di Johnny.

Non ci crederai, ma basterà correre”.

Lo statunitense rise divertito per poi voltarsi verso la scimmia, non trovandovi più niente. Solo bianco.

Ma dov’è andato?”.

Immagino che ci starà già aspettando, insieme a tutti i tuoi colleghi”.

I dubbi si facevano sempre più numerosi nel cervello del mutante, ma per lo meno ora sapeva cosa fare della sua esistenza.

Allora, partiamo?” propose, con un ghigno beffardo.

Quando vuoi tu!” fu la replica di Justice Boy.

Senza darsi nemmeno il via, i due scattarono alla velocità della luce. Un bagliore rosso, giallo e nero tagliava letteralmente il bianco. Forse è così che nascono i buchi neri.


Tutto ciò verrà poi identificato dall’astronomo Jerry R. Ehman come “Segnale Wow!”.

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