Humana di J85 (/viewuser.php?uid=51008)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 9 vite ***
Capitolo 2: *** I nove prendono coscienza di sé ***
Capitolo 3: *** Le prime avventure ***
Capitolo 4: *** Da gas, a neve ed infine acqua ***
Capitolo 5: *** A Waterloo, fra tigri e licantropi ***
Capitolo 6: *** Missione Egitto ***
Capitolo 7: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 8: *** Viaggio in Atlantide ***
Capitolo 9: *** Benvenuti nella Twilight Zone ***
Capitolo 10: *** Una titanica amicizia ***
Capitolo 11: *** Scilla e Cariddi ***
Capitolo 12: *** Ritorno ad Atlantide ***
Capitolo 13: *** Il risveglio di Gozuki ***
Capitolo 14: *** Teschi di cristallo, maschere e dinosauri ***
Capitolo 15: *** Almattki Ass ***
Capitolo 16: *** Piramidi e cloni ***
Capitolo 17: *** Nuzm e Lusca ***
Capitolo 18: *** Mongolia, droga ed aerei ***
Capitolo 19: *** Spettro Bianco 243 ***
Capitolo 20: *** Visioni tristi, rapimento e Distopia ***
Capitolo 21: *** 8 storie ***
Capitolo 22: *** 5 storie ***
Capitolo 23: *** 4 storie ***
Capitolo 24: *** Storie brevi ***
Capitolo 25: *** Le nuvole si muovono ***
Capitolo 26: *** Fate e sirene ***
Capitolo 27: *** Versioni tristi ***
Capitolo 28: *** Sparsi nel tempo ***
Capitolo 1 *** 9 vite ***
HUMANA
CAPITOLO 1
“9
vite”
Siberia
Fredda e grigia si preannunciava la
giornata. Con il bianco della neve che ti circondava, da qualsiasi
parte tu guardassi. Tutto il suolo ne era pesantemente ricoperto. Gli
alberi, anch’essi bianchi, osservavano silenziosi la natura intorno
a loro. Permettendo difficilmente al sole di posare i propri deboli
raggi per terra. Il suo unico alleato era l’improvviso vento che,
ad intervalli totalmente irregolari, squassava le enormi piante.
Provocando, quasi sempre, la caduta verticale di misere quantità di
neve.
Era questo lo scenario in cui
percorreva i suoi pesanti, dato che in certi punti riusciva a
sprofondare nella neve ben oltre il ginocchio, passi il giovane Igor
Wansa. Nonostante la sua giovane età (all’incirca sugli 11/12
anni) il ragazzino attraversava la foresta in piena tranquillità. In
fondo erano quelli i paesaggi in cui era nato e, relativamente,
cresciuto. Ben lontani dalla capitale Mosca, la sua famiglia era da
decenni che abitava in quella zona impervia della Russia. Dentro una
solida casa in legno con una logora stufa, che veniva alimentata
dallo stesso legno che il piccolo russo stava andando a procurarsi.
Suo padre gli aveva spiegato
chiaramente il luogo in cui aveva abbattuto l’ultimo albero.
Inoltre si fidava ciecamente di suo figlio, sapendo perfettamente
l’elevata conoscenza che il giovane aveva ormai acquisito del
territorio.
Fischiettando un antica filastrocca
sovietica, insegnatagli dalla nonna materna, Igor era finalmente
arrivato nel suddetto luogo. Tentò di caricarsi sulle braccia
piegate più legna possibile, impresa che non era certo facilitata
dall’ingombrante, ma assolutamente necessario, giubba adatta per
mantenere un sufficiente calore corporeo anche a quelle latitudini.
Anche le stesse gambe non erano facilmente piegabili, data l’elevata
rigidità degli stivali che portava ai piedi.
Quando si ritenne comunque soddisfatto
del suo operato, il ragazzino diresse il suo volto, caratterizzato da
capelli di un castano indeciso tra il biondo e il moro e da occhi
verdi scintillanti, verso la direzione di casa, di cui si poteva
anche intravedere leggermente la sagoma, tra la selva. Purtroppo
quello che vide non gli dette la stessa tranquillità che poteva
ricevere con una visione della propria abitazione.
Un enorme sagoma nera si stagliava di
fronte a Wansa. La prima cosa che venne in mente al ragazzo era la
possibilità di trovarsi davanti un orso, dato che non era certo il
primo bambino sbranato da un orso da quelle parti, ma poi si accorse
delle sembianze tipicamente umane dell’essere. Le sue intenzioni
furono però presto rivelate.
Subito l’uomo protese le sue grandi
braccia nel tentativo di afferrare il piccolo siberiano. Ma grazia
proprio alla sua statura minuta, Igor riuscì ad evitare l’attacco
diretto, rischiando quasi di rimanere strozzato dalla propria sciarpa
rossa, ricordo di sua madre, che rimase tra le mani dell’aggressore.
Il ragazzo si liberò immediatamente
del carica di legno che portava con se e cominciò una disperata
corsa verso casa. Purtroppo però le leve dell’uomo erano
nettamente superiori ed in un attimo gli fu nuovamente addosso.
Il ragazzo sì senti pizzicare al collo
e, reso rabbioso da ciò, si liberò dell’oppressione dell’uomo e
ripartì nella sua fuga. Qualcosa però in lui non andava. Aveva
perso completamente il senso dell’orientamento e le gambe si erano
fatte estremamente pesanti. In più le comprensibili lacrime che gli
uscivano dagli occhi non facilitavano di certo la sua visuale.
Percorse qualche metro in direzioni
sparse e poi, d’un tratto, cadde esanime sul suolo ghiacciato.
Londra
Adorava la sua dimora. Ed ancora di più
adorava la sua camera da letto. Difficilmente si sarebbe potuto
trovare in tutta Londra, e perché no anche in tutto il mondo, una
tale poetica unione tra classico e moderno.
Un originale orologio a dondolo del
‘700 che scandiva le ore della giornata, per molti il suo suono era
solo fastidio mentre per Jack era talmente suadente. Il suo enorme
letto matrimoniale, nonostante la sua decisa scelta di stato civile
single, adornato da fiocchi di seta blu e onde di velluto sulle
coperte. Le pareti viola erano riempite da quadri di qualsiasi
misura. Alcuni erano ritratti di parenti antichi quanto la tela su
cui erano raffigurati, altri straordinari scenari campestri con
figure equestri. Librerie in noce con lunghi scaffali occupati da
enormi quantità di libri, la maggior parte di essi rilegati in oro e
provenienti dalla migliore letteratura classica britannica. Sulla sua
scrivania vi si potevano trovare particolari sopramobili come teschi
di cristallo, uno splendido esemplare di topazio, calamaio con penna
d’anatra appartenente alla sua famiglia da generazioni e
generazioni ma, a sorpresa, il suo personal computer, che utilizzava
proprio per acquistare quei particolari utensili di cui andava matto.
Tutto questo scenario era pervaso da un denso odore di rose.
Ora lo stravagante Jack Lincon era
pensieroso con lo sguardo oltre la finestra, che aveva le esatte
sembianze di un oblò da nave da crociera. L’unica pecca di tale
paradiso era proprio quello: ciò che si vedeva oltre il vetro.
La strada era di certo una delle più
aristocratiche della capitale inglese ma anche una delle più noiose
in assoluto, sempre per i particolari gusti di Jack, allietata
soltanto dal canto di qualche uccello canterino.
“Ufff… che tristezza!” dichiarò
il giovane mentre osservava, con aria decisamente disinteressata, un
bobbie che proseguiva la sua ronda sul marciapiede dal suo lato della
strada.
Jack era un bel ragazzo di 25 anni,
nonostante il suo stile di vita o forse proprio grazie ad esso. Era
alto 1 metro e 85, capelli indecisi tra il castano chiaro e lo scuro,
occhi indecisi tra il marrone e il verde e uno stile di vita indeciso
tra la nobiltà e la depravazione. Se c’era una cosa di deciso
nella sua esistenza era la sua passione innata per i vini.
“Una rinfrescatina alla gola mi
sembra alquanto adeguata…” osservò il ragazzo prima di
incamminarsi verso una scala a chiocciola blu che lo portava
direttamente al piano subito inferiore a quello in cui si trovava
finora.
Il giovane inglese indossava una
classica morning cloat di velluto rosso, con pantaloni di eguale
tessuto e colore e delle scarpe in pelle scure. Procedeva lentamente
ma con uno stile elegante discendendo i gradini della scala. Ogni
tanto si beava passandosi la mano tra i capelli lunghi poco oltre le
spalle.
Sceso l’ultimo gradino si trovava
finalmente davanti alla sua meta: La sua personale cantina,
arricchita da una preziosa collezione di vini degna del miglior
sommelier. Mr. Lincon camminava ora, sempre con passo elegante,
davanti ai vari raccoglitori in legno che presentavano in essi varie
bottiglie in vetro. Dalla forma ricordavano tanti castelli medievali.
“Château laFitte… Château
Chasse-Spleen… Gran Vino…” li nominava ad uno ad uno. Sempre
più annoiato anche solo dalla scelta di un vino da sorseggiare. Con
sua enorme sorpresa trovò una bottiglia senza alcun tipo di
etichetta, sopra un tavolo lì vicino. La aprì, sentì che l’aroma
era ottimo e quindi si decise ad assaggiarne un sorso. Recuperò da
un’elegante credenza lì vicino un fine bicchiere di vetro, ne
versò giusto un dito dentro la coppa, lo assaggio inizialmente con
l’olfatto ed, infine, con il gusto.
Poi la stanza cominciò a girare, mai
una così minima quantità alcolica gli aveva fatto quell’effetto.
Tutto si fece più buio e al dandy parse, stranamente, di udire anche
dei passi prima del collasso.
Parigi
Silenzio: quel silenzio assordante, un
attimo prima che parta la musica. Il cuore inizia a battere più
velocemente.
Silenzio di un attimo che sembra interminabile…
ed ecco la prima nota della canzone.
Inginocchiata, la testa
verso il basso sale di scatto, esce verso l’esterno il braccio
destro, poi il sinistro e si uniscono a completare un por de bras,
accompagnando verso l’alto il movimento del corpo che torna poi
nella posizione iniziale.
Con la gamba sinistra che si allunga
lentamente verso dietro, compie una spaccata, porta la gamba destra
verso la sinistra e si spinge lentamente a terra, supina. Si gira
prona e con una spinta sulle braccia, si inginocchia e si alza
lentamente, lo sguardo al pubblico.
La ballerina compie 3 passi avanti,
porta il piede sinistro in cupè sul tallone, altri 3 passi verso
dietro e cupè sul collo del piede. Si sposta verso destra, il piede
sinistro chiude sulla caviglia del piede destro in cupè laterale,
apre morbida in battement alla II e richiude. Braccio destro
accompagna apertura e chiusura della gamba. Compie una piroette, si
ferma, scende quindi in spaccata e ritorna in ginocchio, gira sulle
ginocchia e si rialza.
La musica lentamente finisce e inizia la
risposta del pubblico: applausi. La ballerina inspira, alza il
braccio destro e scende con il busto e il braccio, in un profondo
inchino."
“Li ho resi felici anche stasera…”
pensa la giovane artista mentre ansima silenziosamente nel
riprendersi dalla fatica della sua ultima perfomance.
Si chiude il sipario.
Ancora con i vestiti di scena addosso,
Frédérique Arone, prima ballerina francese con i capelli castani
chiari agghindati in un elegante chignon e gli occhi del medesimo
colore pieni di soddisfazione, si avviava verso il suo camerino
personale. Possederlo non gli era mai piaciuta come idea. Preferiva
molto di più condividere la sua esistenza con i suoi colleghi anche
fuori dal palcoscenico.
Era a poco più di metà del suo
percorso quando ecco che comparve il direttore del teatro che
ospitava la sua compagnia ormai da cinque settimane “Straordinaria
Frédérique! Riesci sempre a farci emozionare tutti! Fantastica,
davvero fantastica!”.
Le parole erano sempre più o meno le
stesse, ma Frédérique sorrideva sempre dolcemente, magari evitando
le mani del suo interlocutore che provavano ogni qual volta a toccare
il suo corpo.
“Grazie a lei messieur Gérard per
l’opportunità che sta dando a me e a tutta la compagnia” rispose
ai soliti complimenti la ballerina.
“Questo e altro per la bella arte!”
s’inchino l’uomo.
“Ora mi scusi ma devo andare a
cambiarmi, grazie ancora messieur Gérard ” si congedò lei.
Finalmente raggiunse la sua meta: il
solitario camerino della prima ballerina.
Il sistema di interfono per ascoltare
quello che succede sul palco, l’armadio corredato di diversi
appendiabiti con annessi vari costumi di scena, il manifesto
dell’opera rappresentata “”, la porta che dava sul suo bagno
personale, lo specchio contornato da due file di lampadine disposte
verticalmente, che poi si riunivano sul lato orizzontale superiore,
che dava direttamente sul tavolo per il trucco. Sopra di esso, oltre
ai vari cosmetici presenti di norma, vi trovava spazio anche un
fastoso mazzo di rose. Non era chiaramente il primo che la donna
riceveva, ma era sempre un piacere trovarne di nuovi in camerino.
Questo però, piuttosto stranamente, non presentava alcun tipo di
biglietto, ma allo stesso tempo questi fiori scarlatti avevano un
così dolce profumo. Frédérique si allungò per afferrarli e
porgerli il più vicino al suo piccolo naso. Lasciò però subito la
presa. Un suo dito cominciava a sanguinare. A quelle rose non era
stata tolta alcuna spina.
“Ma è possibile?” si chiese la
giovane tra sé e sé, mentre con lo sguardo controllava la sua
ferita, poi l’intero camerino cominciò a roteare sempre più
velocemente e tutto si fece buio attorno a lei.
Trento
“Bene figliolo, va e rendimi fiero di
te!”.
Questo era tutto quello che il signor
Alberti aveva da dire a suo figlio, Andrea, mentre si apprestava a
lasciare case per effettuare il servizio militare.
“Come vorrei riuscire a rendere fiero
me stesso invece” pensava il giovane mentre si apprestava a salire
sulla camionetta militare, che di lì a breve lo avrebbe condotto al
campo di addestramento assegnatogli.
Il viaggio ovviamente non presentava
particolari comfort in generale. Inoltre la compagnia presente non
suscitava spontaneamente grande euforia. Tutti fieramente convinti
della scelta di vita che avevano preso. O almeno così doveva
trapelare. In particolare, molti entusiasmavano l’autorità del
loro futuro maggiore, il comandante Rossi.
Il ragazzo, che teneva i suoi capelli
castani chiari, quasi biondi, ben nascosti sotto il berrettino
mimetico, aveva appena socchiuso i suoi occhi altrettanto chiari
quando una buca, presa a quanto pare ad una velocità piuttosto
elevata, lo riporto al triste stato attuale della sua esistenza.
Decise che era decisamente meglio sognare. Tanto qualsiasi cosa
avesse incontrato nel regno di Morfeo, sarebbe stato sicuramente
migliore rispetto a quel grigio ambiente spartano.
Il giardino era quello di casa sua, non
poteva sbagliarsi. Il tempo atmosferico era ben diverso da quello che
aveva lasciato nel mondo reale. Il grigiore di tristi nubi aveva
lasciato il passo allo splendore di un sole abbagliante.
Il ragazzo percepì il sentore di
voltarsi, come capita nei sogni dove ognuno è il regista, per
trovarsi di fronte la propria ragazza. Francesca.
Questa lo accoglie immediatamente con
uno dei suoi ipnotici sorrisi. Gli si avvicina e gli sussurra
qualcosa all’orecchio.
“Non arrenderti”.
Nonostante i sensi siano più attenuati
nel mondo onirico, il giovane comprende perfettamente le parole della
sua amato, purtroppo non decifrandone perfettamente il significato.
“Che cosa stai dicendo amore?”
chiede a lei in attesa di capire.
La donna apre leggermente le proprie
carnose labbra dalle quali però non uscirà alcuna parola.
Andrea spalanca gli occhi. L’ambiente
è tornato ad essere tetro come prima. Questa volta però si presente
completamente sottosopra. L’uomo allora cerca subito di focalizzare
la sua attenzione, notando immediatamente i suoi compagni nella sua
medesima situazione, alcuni ridotti in stato di incoscienza. Poi
cominciano ad arrivare delle voci lontane.
“Non muovetevi…”.
“Vi tiriamo fuori noi…”.
“Fate piano…”.
Ad un certo punto Andrea percepì, in
maniera sempre molto ovattata, di essere trascinato fuori da quella
trappola di lamiere.
“Come ti senti figliolo?”.
“Secondo lei come dovrei sentirmi
dottore?” fu l’unica risposta che il futuribile soldato riuscì
soltanto a pensare.
Purtroppo lo stato di torpore, dovuto
ad un dormiveglia ancora attivo, non gli permetteva di percepire con
esattezza, tramite le sensazioni di dolore, quale punto del suo corpo
era particolarmente lesionato e, soprattutto, di quanto era
lesionato.
D’un tratto cominciò ad essere
circondato da persone avvolte in candidi camici bianchi. Questi, che
sembravano molto più silenziosi rispetto al loro precedente collega,
cominciarono ad applicare sulla sfortunata vittima dell’incidente
dei bendaggi medici.
Il ragazzo accusò inizialmente un
momentaneo senso di sollievo, successivamente la sua condizione
peggiorò. In un attimo la sua testa iniziò a vorticare senza sosta,
portandolo inevitabilmente alla perdita dei sensi.
Columbia Britannica
Tutta la gloria della sua tribù,
proveniente da un radioso passato, era ora racchiusa dentro quel
misero camper, nella zona resa famosa soltanto dalla presunta
presenza della creatura denominata Ogopogo. Geran Giunan, nerboruto
indiano d’America, si trovava proprio dentro di esso, con gli occhi
chiusi per contemplare tutto ciò.
Il suo era il popolo degli Shoshoni,
conosciuti anche come “popolo del serpente”, ed originariamente
erano situati nell’attuale Idaho. Dopo quello che verrà ricordato
come il massacro di Bear River, in un epoca in cui lo stesso Giunan
non era ancora nato, iniziò la loro lunga e faticosa migrazione.
L’odore d’incenso che si espandeva
per tutto l’abitacolo permetteva a Giunan, ormai entrato in stato
di trance, di rivivere quei cruenti momenti. Nonostante le dure
battaglie con altre tribù come i Cheyenne, i Crow, i Lakota ed i
Piedi Neri, niente li avrebbe potuti preparare per quel massacro.
Quel giorno, gli stessi cervi e le loro
amiche marmotte furono sorpresi dal repentino attacco delle truppe
americane, tanto non fare in tempo ad avvisare gli unici che potevano
aiutarli: Gli umani dalla pelle rossa. Quest’ultimi già avevano
perso la loro fiducia verso i bianchi, dopo l’invasione nei loro
territori di caccia, vedendo gran parte della proprio cacciagione
depredata dagli invasori. A comandare i nemici vi era il colonnello
Patrick E. Connor che, nonostante non potesse contare sull’appoggio
dei mormoni, aveva riunito sotto di sé un discreto esercito. Non lo
fermarono nemmeno le potreste di alcuni ufficiali, i quali
consideravano la contea di Franklin facente parte dello stato dello
Utah e non dell’Idaho. Ma gli Shosoni non fuggirono dalla lotta. Lo
dovevano ai loro antenati. Lo dovevano per vendicare l’impiccagione
di Pugweenee. Allo stesso tempo i soldati dovevano, dalla loro,
vendicare quello che viene ricordato come il massacro nei pressi di
Fort Hall. Questa battaglia presentava un particolare significato
anche per l’indiano Acqua Che Scorre, combattere contro quella
stessa razza che lo aveva abbandonato quando era ancora in fasce.
Vicino a quello stesso fiume che avrebbe conservato i corpi di
quattro guerrieri shoshoni per un mancato riscatto. Gli stessi pesci
presenti nel fiume adiacente si ritirarono per lasciare spazio
all’immane tragedia. Tra i Toquashes, la parola che gli shoshoni
utilizzavano per riferirsi ai soldati, vi era stato anche un piccolo
ammutinamento. Quelli rimasti a loro volta furono divisi in due
gruppi, il terzo reggimento fanteria volontari della California e il
secondo reggimento cavalleria volontari della California, per
pattugliare a rotazione le zone di conflitto. I primi ad accorgersi
di loro furono tre compagni che stavano trattando dei sacchi di grano
da un cittadino. Fortunatamente i tre riuscirono a scappare, anche se
furono costretti ad abbandonare i loro rifornimenti per essere più
leggeri nella fuga a cavallo. Capo Orso Cacciatore insieme agli altri
capi shoshoni, tra cui vi era Capo Serpente Pazzo, antenato dello
stesso Geran, erano pronti a difendersi a tutti i costi, compreso
l’uso di armi da fuoco venute in loro possesso. Ciò sorprese i
soldati che furono respinti, nel loro primo attacco frontale, da una
pioggia di piombo. Purtroppo, dopo circa due ore dall’inizio della
battaglia, le munizioni, da parte degli Shoshoni, terminarono. Fu
allora che si scatenò la furia omicida dei Toquashes. Nonostante i
valorosi guerrieri indiani erano armati dei loro fidati tomahawk e di
archi e frecce, nulla poterono contro le bestie che avevano contro.
Purtroppo la loro follia non risparmio le donne ed i bambini. Le
prime furono violentate ed uccise, oppure viceversa. Ai secondi fu
riservato un trattamento anche peggiore: come fossero panni sporchi,
furono afferrati per le caviglie e violentemente sbattuti su tutto
ciò che di solido trovavano nei paraggi. Alla fine di ciò fu dato
fuoco a tutto l’accampamento degli Shoshoni. Un fuoco che sembrava
bruciasse ancora attorno all’indiano.
Di colpo Giunan spalancò gli occhi e
vide che realmente l’ambiente intorno a lui stava bruciando.
D’impulso, l’energumeno scattò verso l’uscita, afferrando la
maniglia della porta. Per un attimo ritrasse la mano sentendola
bruciare a contatto con essa. Poi, con una potente spallata, piombò
all’esterno tossendo anche l’anima, per via del molto fumo nocivo
che aveva respirato all’interno.
“Tranquillo ci siamo noi” la voce
di un uomo prima dello spruzzo su di lui di un estintore. La schiuma
sul suo corpo possente ebbe inizialmente un effetto rinfrescante.
Subito dopo, iniziò a sentirla frizzare sulla sua pelle, per perdere
definitivamente conoscenza.
Pechino
“Benvenuti! Un tavolo per due?”.
La giovane asiatica salutò i clienti
appena entrati nel ristorante come gli era stato insegnato.
Uno dei due, entrambi coperti da un
lungo impermeabile marrone, rispose “Sì, grazie”.
La cameriera li accompagnò al loro
tavolo per poi dirigersi a procurargli il menù del locale.
“Onorevole Chang… Onorevole Chang…”
bisbigliava mentre già aveva in mano ciò che era venuta a cercare.
Una finestrella, situata nella parete
dietro la scrivania della cassa, si aprì di colpo, facendo
fuoriuscire da essa una buffa testa tonda.
“Cosa c’è Nikki? Perché mi
disturbi mentre sto lavorando?” chiese l’ometto che a malapena
arrivava all’apertura.
“Sono appena entrati due tipi
sospetti… secondo me”.
Il cuoco si issò ancora di più per
squadrare meglio i due interessati.
“Sciocchina! A me sembrano apposto.
Sbrigati e porta loro due bicchierini di sakè”.
“Ma è sicuro Onorevole Chang?”.
“Muoviti e non discutere!” e con
questa il proprietario chiuse definitivamente l’argomento, insieme
alla stessa finestrella.
Subito dopo la cinese poggiò davanti
ai due clienti i due aperitivi esclamando “Omaggio del ristorante!
Eccovi anche i menù”.
Questa volta a parlare fu il secondo
uomo “Non occorre signorina, ci porti due porzioni di ravioli al
vapore e altre due di involtini primavera”.
“Bene due ravioli al vapore e due
involtini primavera” ripeteva l’ordinazione la graziosa cameriera
“E da bere?”.
“Ci porti una bottiglia di acqua
naturale”.
“Bene grazie signori!” si ritirò
la donna per andare immediatamente a bussare alla stessa finestrella
di poco prima.
A comparire da essa fu nuovamente lo
stesso buffo ometto di prima “Che c’è ancora?”.
“Ecco l’ordine dei due loschi
figuri Onorevole Chang”.
“Ancora con questa storia! Torna
subito a lavoro!”.
In breve tempo, anche i due nuovi
arrivati furono serviti. Poco dopo però richiamarono l’attenzione
di Nikki Peng.
“Scusi signorina…”.
“Sì ditemi che succede?”.
“Possiamo parlare con il cuoco?”.
“Come mai?” domandò allarmata la
cinesina.
“Questo cibo ha un sapore strano…”
spiegò uno dei due.
In un lampo la morettina andò a
chiamare la persona richiesta. Chang Yu, questo il suo nome,
finalmente mostrava per intero il suo corpo corto e rotondetto.
“Cosa c’è che non va Onorevoli
signori?” chiese agli interessati, mentre si lisciava con le dita i
sottili baffi che presentava sopra il labbro.
“Si tratta di questi ravioli, hanno
un sapore decisamente strano…” iniziò l’individuo più vicino.
Il cinese aveva già molti anni di
esperienza alle spalle, nel campo della ristorazione, e per questo
sapevo come trattare con qualsiasi tipologia di clienti, anche i più
furbi.
Dopo aver assaggiato egli stesso la
pietanza da lui preparata, e non avendo riscontrato alcun tipo di
gusto anomalo, concluse “Non vi preoccupate, Onorevoli signori, vi
preparo subito un'altra portata e, in omaggio, vi porto anche due
biscotti della fortuna!”.
Tornato a brevi ma rapidi passi in
cucina, il cuoco soffocò un inizio di imprecazione per rimettersi
subito ai fornelli, per un’ordinazione di riso alla cantonese.
Poi il buio gli velò la vista sul
lavoro culinario, facendolo cadere a terra come un sacco di patate.
Città del Messico
“Signore e signori siamo finalmente
arrivati al main event della serata!” tornò a parlare l’urlante
ring announcer “E si tratterà niente meno che di un trios match,
tre contro tre, valevole per il Titolo Internazionale Trios” il
pubblico si esalta sempre di più ad ogni parola, nonostante bastasse
leggere i cartelloni della serata per sapere di cosa si trattasse,
“Andiamo ora a presentare i campioni in carica: El Dios!”.
All’annuncio del suo nome, il luchador salutò il pubblico alzando
un braccio in un boato generale. “El Demon!”. Qui invece la
reazione della gente fu totalmente diversa, data la natura di rudo,
ossia di cattivo, di questo lottatore. “Ed infine El Dragon!”.
Mentre in molti ancora mal digerivano l’accostamento tra i due
precedenti atleti, questo giovane ragazzo, proveniente dal Giappone,
stava dimostrando un gran potenziale come tecnico. “Dunque ora
passiamo agli sfidanti…” proseguì l’uomo vestito elegante
mentre, con la mano libera dal microfono, indicava altri tre
luchadores mascherati.
Tra il pubblico quella sera vi era
anche un trentenne messicano, di nome Bernardo Borghi. La sua
occupazione attuale non era ben chiara nemmeno a lui, tranne che per
essa aveva parecchi creditori sparsi per tutta la capitale.
Nonostante ciò, l’unico vizio a cui non voleva assolutamente
rinunciare era una serata di lucha libre. Mentre attendeva il suono
del gong per l’inizio della sfida, l’uomo, dai corti capelli
scuri e con baffetti sottili sul labbro superiore, continuava a
mandare rapide occhiate a tutto l’ambiente intorno a lui.
Purtroppo, mentre El Dios partiva
all’attacco, Bernardo si accorse di essere a sua volta sotto
attacco. Uomini di cui non era a conoscenza del nome, ma di cui
conosceva molto bene le facce, lo stavano cercando in tutta l’arena.
L’unica sua possibilità era la fuga immediata. Nel metterla in
atto, Borghi cercò di rimanere più abbassato possibile, mentre
passava davanti a gente furibonda per la sua temporanea presenza nel
proprio campo visivo. Intanto il fuggitivo continuava a tenere
d’occhio le sue minacce, mentre sul ring El Demon applicava sul suo
avversario una tapatia, conosciuta anche come Romero Special.
Forse proprio distratto da questa mossa
di sottomissione, il messicano batté con il ginocchio contro una
mano che stava afferrando un taco, facendolo ovviamente cadere.
“Figlio di puttana hai visto cos’hai
fatto al mio taco!” s’infuriò lo spettatore offeso.
“Mi scusi signore non vo…”
Bernardo s’interruppe bruscamente appena notò che i suoi
cacciatori lo avevano notato.
Subito si tuffò in una fuga disperata
che, dato l’enorme frastuono del pubblico, passava quasi
inosservata. Finalmente riuscì a raggiungere le scale di fuga,
appena in tempo per accorgersi che, di fronte a sé, stava
sopraggiungendo velocemente un suo possibile assalitore.
Quasi come avesse le ali ai piedi,
saltò quasi un’intera rampa, mentre ancora sentiva provenire dalle
sue spalle le minacce scurrili della gente che lo stava inseguendo.
In un attimo raggiunse l’androne per avviarsi verso l’uscita
principale, mentre El Dragon si apprestava ad effettuare il volo
dalla terza corda per lo schienamento decisivo.
Una volta fuori dall’impianto, Borghi
proseguì la sua fuga senza meta sui marciapiedi della città. Di
colpo si sentì strattonare da una mano e tirare lateralmente. Non
ebbe tempo nemmeno di fiatare che qualcuno gli tappò la bocca.
“Fai silenzio” disse una voce.
Dopo qualche secondo di silenzio,
l’uomo braccato osservò, da dietro quello che gli sembrava un
semplice cespuglio, i suoi aguzzini che correvano veloci verso quella
che doveva essere la sua stessa direzione. Dopo ciò, la mano si levò
dalla bocca.
“Chiunque tu sia, grazie amigo per
avermi aiutato…” ma nuovamente il messicano s’interruppe
quando, voltandosi per conoscere il volto del suo presunto salvatore,
iniziò ad avere la vista offuscata dall’oscurità, notando appena
un guanto nero che stringeva una salvietta bagnata da un liquido
misterioso.
Kinshasa
Ai confini della foresta pluviale, un
giovane del posto cerca di mimetizzarsi il più possibile con
l’oscurità che lo circonda. Tale impresa gli era resa ancora più
semplice dato il colore naturale della sua epidermide. Solo una cosa
stonava visibilmente su di lui: un piccolo vezzo rappresentato da
capelli biondo platino.
“Eccoli quei bastardi!” bisbigliò
tra sé e sé il ragazzo.
Nel suo campo visivo si materializzò
uno degli spettacoli più barbari. Una jeep con a bordo quattro o
cinque uomini stava inseguendo un elefante che, disperato, barriva
nella notte africana. I bracconieri iniziarono a sparare dei colpi
con dei fucili in loro dotazione. La fuga dello sfortunato pachiderma
si arrestò di lì a poco, con il rovinoso crollo a terra
dell’animale. Il nero Juna digrignava i denti dalla rabbia mentre
sentiva gli uomini bianchi complimentarsi a vicenda. Decise di
passare all’azione, purtroppo armato soltanto di furia cieca e
qualche sasso.
“Sporchi demoni bianchi! Avete rubato
i nostri diamanti, non farete altrettanto con il nostro avorio!”
inveiva urlando e lanciando le pietre verso di loro.
Questi ultimi, constatato la realtà
pericolosità del loro avversario, imbracciarono nuovamente le loro
armi da fuoco.
Col primo sparo, la rabbia che
offuscava la mente dell’attentatore svanì. L’uomo appartenente
alla tribù Teke tentò una ritirata disperata, con le pallottole che
gli sibilavano pericolosamente vicine.
“Oh signore ti scongiuro salvami!”
pregava mentre proseguiva la sua corsa.
Preghiere che si realizzarono una volta
raggiunto un fiume lì vicino. Juna, dopo aver dato prova di ottimo
corridore, si ripeté in veste di nuotatore, attraversando in un
attimo il corso d’acqua.
“Anf… grazie a dio… anf… sono
salvo” constatò mentre riprendeva fiato.
Clic.
Un suono talmente singolare che fu
subito riconosciuto dal fuggitivo. Voltato lo sguardo, si trovò di
fronte la fredda canna di una pistola.
“Cosa dicevi del tuo avorio?” gli
chiese sarcastico il suo probabile assassino.
Dopo poco anche gli altri cacciatori
raggiunsero il loro collega e, sorprendendo lo stesso uomo di colore,
decisero di legarlo ad un palo ben conficcato al suolo.
Il prigioniero, nonostante la
situazione disperata, continuava ad opporre resistenza, se non altro
verbale “Io sono nato in questo paese quando ancora si chiamava
Zaire e, vi giuro, il nostro popolo non si sottometterà a voi luridi
uomini bianchi!”.
Dopo questa ennesima ingiuria, uno dei
bracconieri puntò pericolosamente la canna del fucile verso di lui
“Ti conviene stare zitto, muso nero, altrimenti i tuoi parenti fang
dovranno preparare una scatola cilindrica per il tuo cranio!”
minacciò senza mezze misure l’uomo, dimostrando tra l’altro una
certa conoscenza artistica della nazione.
“Dici che possa andare per il capo?”
domandò uno degli altri individui, mentre era disteso sulla sabbia.
“Immagino di sì…” fu la risposta
sbrigativa.
“Allora posso procedere?” chiese un
terzo soggetto, alle spalle di quest’ultimo.
“Certo”.
Detto questo, quello che sembrava il
coordinatore del gruppo, ritirò l’arma dal fuoco dal viso del
giovane e si fece da parte. Dietro di lui, un nuovo cacciatore gettò
una secchiata contro il nero.
“Che cos’è?” interrogò i suoi
carcerieri sulla natura del liquido il prigioniero, dato che non
sembrava affatto acqua.
Ma questi non gli diedero risposta,
dato che la loro attenzione fu attratta da altro.
“Chi è là?”.
“Oh merda! È quel supereroe: è
Black Congo!”.
“Forza figli di puttana sparategli!”
Ma gli echi degli spari erano sempre
più lontani per Juna che aveva infine perso i sensi.
Indianapolis
“… Da quando l’Indianapolis Motor
Speedway è tornato a far parte della rosa dei circuiti per il
mondiale di Formula 1, mai un americano era riuscito a condurre in
testa questa gara sicuramente diversa dalle classiche che si svolgono
qua dentro, su tutte ovviamente la 500 miglia di Indianapolis. Ma
quest’oggi si sta scrivendo la storia grazie al giovane Johnny
Wayne…”.
Nel frattempo, nell’abitacolo della
monoposto in testa, il pilota al volante, appena menzionato con
enfasi dal telecronista, riversava la più assoluta attenzione
all’asfalto che gli scorreva veloce davanti agli occhi.
“Già essere arrivato prima nelle
qualifiche mi sembrava di per sé un mezzo miracolo, ma ora si fa
dannatamente sul serio!” pensava il ragazzo che, all’esordio tra
i grandi, una volta tolto il casco protettivo dalla testa, sfoggiava
una capigliatura caratterizzata quasi totalmente da un biondo acceso.
Fino a metà gara non si erano
verificati particolari incidenti, se non qualche ritiro per guasti
tecnici, ed il Gran Premio degli Stati Uniti si stava svolgendo nel
migliore dei modi. Purtroppo l’imprevisto è sempre dietro
l’angolo. Una delle vetture nelle retrovie, mentre percorreva le
curve 12 e 13, per intenderci le uniche che vedono coinvolto il
famoso ovale utilizzato per la NASCAR o la Indy, perse dell’olio
dal retro del motore, finendo poi in testacoda.
I giudici di gara furono subito pronti
a far entrare in pista la Safety car, comunicandoli immediatamente
alle scuderie ancora in corsa. Purtroppo però l’auricolare che
Johnny aveva in dotazione per parlare con i box era stranamente
silenzioso. Arrivando a tutta velocità nel tratto interessato, si
accorse troppo tardi dei cartelli esposti dai commissari di percorso
con su scritto “SC”.
“Oh cazzo!” furono le sue ultime
parole, quando si accorse della macchia d’olio sul cemento. La
macchina rigirò di colpo su se stessa per poi impennarsi, facendo
leva sul musetto, e rimbalzare pericolosamente su tutto l’anello.
In tutto quello che viene denominato “The racing capital of the
world” il pubblico trattene il fiato, in totale silenzio. La
vettura concluse la sua folle corsa ribaltata.
In pochi secondi, tutte le procedure di
emergenza si attivarono. I medici si precipitarono in pista
accorrendo il pilota, che in quel momento si trovava ancora a testa
in giù. Velocemente lo tirarono fuori dall’abitacolo, sempre con
il rischio che la macchina prendesse fuoco.
“Mi senti figliolo? Sei cosciente?”
domandò una voce indistinta al pilota, mentre gli veniva tolto il
casco che, fortunatamente, aveva retto all’urto.
“C-che… è successo?” biascicava
Wayne mentre tentava di mettere a fuoco, con i suoi occhi castani, il
mondo attorno a lui.
Un’altra voce si fece spazio tra le
altre, mentre la gara era momentaneamente sospesa.
“Lasciate fare a me, questo lo
aiuterà”.
Il biondo si sentì tirare su la manica
della tuta e, successivamente, penetrare la pelle dell’avambraccio
da quella che sembrava una punta di siringa.
“Ehi, aspetta un attimo, ma tu fai
parte dello staff?”.
“Giusto! Dov’è il tuo badge?”.
“Agenti fermate quell’uomo!”.
Tante voci che turbinavano nella testa
del giovane, mentre il mondo si faceva sempre più scuro. Solo
un’ultima frase arrivò alle orecchie della nona vittima, da quella
che gli parse essere una voce femminile.
“Ok
ora basta, raduniamoli tutti!”.
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Capitolo 2 *** I nove prendono coscienza di sé ***
CAPITOLO 2
“I
nove prendono coscienza di sé”
Buio più totale. Poi tornò la luce.
Nove persone, di nazionalità e ceti
sociali differenti, si risvegliarono di colpo sperando di aver
soltanto sognato un incubo, per poi trovarsi a viverlo sul serio.
Apparentemente ognuno si trovava in una piccola stanza, dalle pareti
spoglie e la mobilia assente, che ricordavano in maniera inquietante
le celle usate nei manicomi.
“Ma dove diavolo sono? E come ci sono
finito?” era il quesito che, praticamente all’unisono, si
chiedevano i prigionieri.
D’un tratto qualcosa si accese. Dopo
un iniziale spavento, i nove si accorsero dello schermo fissato nel
muro, ad un altezza di circa due metri.
“Ben svegliati signori…” furono
le parole che la donna comparsa sul display sembrava rivolgere a loro
“Il mio nome è Sara e, onde evitare qualsiasi fraintendimento, non
sono la vostra carceriera…”.
Questa informazione sembrò
tranquillizzare l’animo di alcuni.
“… Per l’esattezza, non dovete
nemmeno considerarvi prigionieri” proseguì lei, con i capelli
biondi e gli occhi castani a caratterizzare un viso davvero piacevole
“e vi trovate in questo lugubre luogo soltanto perché abbiamo
deciso di salvarvi la vita…”.
I più attenti tra gli ascoltatori
notarono subito che la ragazza si era appena espressa al plurale.
“… Dunque, quello che sto per dirvi
non sarà semplice da comprendere ma, nonostante ciò, desidero
comunque la vostra più totale fiducia: Voi nove siete ora da
considerare dei mutanti!”.
Ciascuno di loro, già sorpreso di non
essere l’unico in quell’assurda situazione, rimase totalmente
spiazzato da quell’ultima rivelazione, considerando quanto
grottesca fosse.
“Per la precisione, a rendervi così
è stata un’associazione criminale contro cui ci battiamo con tutte
le nostre forze. Tale associazione ha preso il nome di Spettro
Bianco, a cui capo vi è il terrorista internazionale Mohammed
Al-Shirida…”.
Tutti nomi che, ciascuno di loro, aveva
già udito, anche solo di sfuggita.
“… tali fuorilegge, come folle
gesto di sfida nei nostri confronti, hanno scelto in maniera casuale
nove esseri umani, inserendo nei loro corpi un particolare gene, che
gli studiosi identificano come “Gene H”, che, una volta dentro
l’organismo, altera in maniera irrecuperabile il DNA…”.
Dopo quest’ultima dichiarazione,
l’unica donna del gruppo, proruppe in un pianto disperato.
“… Ma è proprio in questa
situazione che entriamo in gioco noi!” esclamò quasi esaltata
l’autodichiaratasi Sara “Noi dell’Humana siamo riusciti a
prelevarvi, purtroppo dopo che il gene era già venuto a contatto con
voi, sia in forma liquida che gassosa…”.
In molti fecero mente locale,
ripensando agli ultimi avvenimenti che la loro mente, ora molto
scossa, ricordava.
“… Per darvi l’opportunità di
vendicarvi!” la signora prese un attimo di pausa “Nello
specifico, a causa dello stesso Gene H, ognuno di voi ha acquisito
una capacità sovrumana o, se preferite, un superpotere…”.
Dopo questo, lo shock fu totale per
tutti.
“… Per questo motivo, ognuno di voi
è stato equipaggiato con un’uniforme antiproiettile ed in grado di
adattarsi alle vostre nuove abilità…”.
D’un tratto, tutti e nove si accorse
del loro nuovo vestiario: una calzamaglia rossa con, cucita sul
davanti, un’enorme lettera H di colore giallo. Dello stesso colore
erano anche i guanti, il mantello e gli stivali che avevano indosso.
A concludere tutto vi era una cintura nera ben strinta alla vita.
“…Infine vado ad elencarvi,
rispettivamente per ciascuno di voi, le vostre nuove capacità
acquisite: cominciamo dal Soggetto N. 1: Igor Wansa; hai acquisito
poteri mentali come telepatia e telecinesi”.
“Soggetto N. 2: Jack Lincoln; hai
acquisito la capacità di volare”.
“Soggetto N. 3: Frédérique Arone;
hai acquisito varie super viste, per l’esattezza telescopica,
microscopica, a raggi x, calorifera, notturna e termica”.
“Soggetto N. 4: Andrea Alberti; hai
acquisito la capacità di mutare ogni parte del tuo corpo a
piacimento in un’arma da fuoco”.
“Soggetto N. 5: Geran Giunan; hai
acquisito forza e resistenza sovrumane”.
“Soggetto N. 6: Chang Yu; hai
acquisito la capacità di emettere vampate di fuoco dalla bocca”.
“Soggetto N. 7: Bernardo Borghi; hai
acquisito la capacità di mutarti in qualsiasi animale od oggetto a
tuo piacimento”.
“Soggetto N. 8: Juna; hai acquisito
la capacità di resistere alla pressioni sottomarine”.
“Ed infine Soggetto N. 9: Johnny
Wayne; hai acquisito una velocità corporea pari a quella della
luce”.
I nove prigionieri erano ora più
consapevoli di loro stessi.
“Capisco il vostro attuale
disorientamento…” riprese la signorina sullo schermo “e,
d’accordo con i miei capi, abbiamo deciso di lasciarvi liberi di
prendere ciascuno la propria scelta. I vostri nuovi poteri vi saranno
utili per la fuga e, da parte nostra, non vi sarà alcun tentativo di
riportavi qui”.
Con loro grande sorpresa, i nove
compresero perfettamente ogni singola parola della donna, che
presentava un ben riconoscibile accento italiano. Informateli di
questo, la donna misteriosa interruppe definitivamente la
comunicazione.
Una volta che lo schermo tornò
totalmente scuro, il ragazzino russo, forse per la sua giovane età,
decise di prendere tutti quegli ultimi attimi come un grande gioco.
Per questo girò immediatamente il capo verso le sbarre presenti
nell’unica piccola finestra presente. Lei aveva assicurato che con
la sua mente poteva fare dei prodigi, ed è ciò che subito tentò.
Concentro i propri pensieri verso il grigio ferro che le componevano
e, come in uno dei più belli sogni infantili, la materia iniziò ad
obbedire al suo volere psichico. Infine, una volta piegate le due
centrali, fu un gioco da ragazzi per Igor passare attraverso
l’apertura appena creatasi, aiutandosi con una sedia lì presente
per arrivarci meglio.
La francesina, una volta a conoscenza
dei suoi nuovi poteri acquisiti, non smetteva un attimo di toccarsi i
suoi occhi chiari. Constando che, per lo meno al tatto, nulla era
mutato da prima di quella spiacevole avventura.
“I miei occhi!” si ripeteva
costantemente “Cosa hanno fatto ai miei occhi?”.
Dunque ricordò il finale del comizio
della bionda sullo schermo. Se era ciò che volevano, non li
avrebbero costretti a rimanere. Tornò poi alla parte che la
riguardava, cercando di richiamare alla mente l’elenco delle
varianti della sua vista avanzata.
Dopo qualche secondo, rammentò la
vista a raggi x dunque, se era riuscita a ben interpretare quella
definizione, in pratica si trattava di vedere anche attraverso i
muri.
“Tentare non nuoce” si convinse
iniziando a scrutare intensamente la barriera di mattoni che aveva di
fronte. Fu più semplice di quanto supponeva e, come per magia, la
parete scomparve in dissolvenza, lasciando spazio al verde di una
foresta.
“Oh mon dieu!” esclamò, portandosi
la mano alla bocca e, al contempo, facendo tornare visibile il muro
grigio.
“Non è possibile! Non è possibile!”
iniziò ad urlare, ghermendosi la testa con le dita affusolate.
Dopo aver camminato nervosamente per la
stanza per qualche minuto, ripeté nuovamente la lista delle super
viste. Vista calorifera. Dunque sparare raggi laser dagli occhi.
Questa volta alzò il capo e andò a
fissare la finestrella sbarrata. Un minimo di concentrazione e due
raggi scarlatti andarono a colpire i piccoli tubi metallici,
procurando un minimo fragore e qualche scintilla.
“AH!” fu l’urlo di spavento della
donna, shockata da cosa era riuscita appena a fare, con le parti
tranciate che caddero rumorosamente sul pavimento.
La via per la libertà era libera.
Bastava solo riuscire ad arrivare verso quella piccola fessura in
alto. A quel punto Frédérique rimembrò di essere una delle
migliori ballerine di Parigi. Con la giusta rincorsa, il balzo più
elevato possibile, aiutandosi appoggiando a mezz’aria la punta di
un piede sulla stessa parete, scavalcò rapida e fu all’esterno.
“Ancora quelle maledette armi!”
imprecò furioso Andrea “Non mi è stata nemmeno concessa la
possibilità di morire in quel dannato incidente!”.
Con le lacrime agli occhi, per un
attimo gli comparve di fronte l’immagine dell’unica persona che
per lui contava nella vita: la sua fidanzata Francesca. Doveva
fuggire da quel posto per lei.
Ad una prima occhiata, il muro che
aveva davanti non sembrava presentare particolari qualità di
resistenza quindi, per un vero e proprio arsenale vivente quale era
diventato, era uno scherzo poterlo tirare giù. Alla fine prese la
decisione.
“Va bene, figli di puttana! Volete la
guerra? Facciamo la guerra!”.
Arrivato con la schiena verso la parete
di fronte a quella da abbattere, che tra l’altro presentava una
porta, quasi sicuramente chiusa a chiave e, ancora più probabile,
che dava verso l’interno dell’edificio, il ragazzo chiuse gli
occhi alla ricerca della giusta concentrazione.
“Trovato!” ruppe di colpo il
silenzio “Penso che dovrebbe bastare la cara e vecchia bazookata!”.
Appena terminate le sue parole, sentì
uno strano formicolio alla mano destra. Preoccupato, andò subito a
guardare cosa stesse succedendo e, con suo grande orrore, vide il suo
arto deformasi per poi, infine, assumere la forma di un bazooka a
raggio ridotto.
Alberti arrivò vicino al vomitare ma
si accorse, o meglio ebbe la sensazione, che l’arma era carica e
pronta a sparare. Allora un ghigno perfido gli si disegnò sul viso
e, aiutandosi anche con l’unica mano rimasta umana, piazzò l’arma
da fuoco sulla sua spalla destra.
Fissando per bene l’obiettivo tramite
il mirino, lasciò partire il colpo. Dalla bocca dell’arma partì
davvero un piccola razzo che, come da previsioni, si schiantò contro
i mattoni. Il forte rinculo fece volare il giovane italiano gambe
all’aria. Quest’ultimo si rialzò a fatica, tossendo per l’alta
quantità di polvere creata dall’esplosione. Una volta che questa
nebbia artificiale si diradò, si rese conto della riuscita del suo
piano.
“Sì! Fanculo figli di puttana!”
urlò mentre correva verso la luce proveniente dalla grande apertura.
L’enorme indiano stava ancora
riflettendo sulle parole pronunciate dalla donna virtuale. Sapeva già
di possedere un’elevata forza fisica, donatagli direttamente dal
Grande Spirito. Dunque non concepiva come questo ulteriore dono
potesse essergli d’aiuto nella propria esistenza. Ma di certo
sapeva che il suo popolo, gli Shoshoni, non si era mai arreso, e così
avrebbe fatto anche uno dei suoi ultimi figli.
Fatta la sua scelta si accorse,
tastando, che nei pantaloni della singolare uniforme che stava
indossando vi era qualcosa. Infilandoci la sua enorme mano estrasse
degli anonimi tubicini di plastica. O almeno così potevano sembrare
ad un primo sguardo, ma Geran sapeva di cosa si trattava: i colori
per la pittura facciale della sua tribù. Ciò che ne seguì fu una
delle più solenni cerimonie per la cultura del suo popolo.
Ora che aveva riacquistato i suoi
colori, poggiò violentemente le sue stesse possenti mani sui mattoni
grigi.
“Che il Grande Spirito mi guidi”
sospirò tra sé e sé.
Di scatto, i muscoli del suo corpo si
tesero fragorosamente. Una volta che iniziò a digrignare i denti, il
muro stesso sembrò imitarlo, aprendo delle crepe sulla sua
superficie. Il gigante aumentò sempre più la sua pressione. Ormai
la parete era diventata una grossa ragnatela di crepe. Con il primo
potente urlo emesso dalla bocca di Giunan, i mattoni crollarono, come
spaventati.
Quasi di colpo, il pellerossa si trovò
al di là della sua cella. Un grido di vittoria, come solo il suo
popolo poteva emanare, riecheggiò in tutta la zona. Poi qualcosa
catturò la sua attenzione.
il dandy moderno sembrò annoiato anche
da questa assurda avventura.
“Diamine! Tutto ciò è seccante!”.
Anche la sua stanza presentava la
medesima apertura verso l’esterno delle precedenti. Ma con soltanto
la più bella ambizione di ogni uomo, è cioè la capacità di poter
volare, non poteva andare molto lontano.
Battendo rumorosamente la punta del
piede sul pavimento, tenendo le braccia incrociate ed il viso
imbronciato Jack Lincoln cercava di trovare una soluzione.
Indispettito, si scaglio con violenza
verso la porta “Aprite subito! Voi non sapete con chi avete a che
fare! Brutti bastardi!”.
Nessuna risposta.
“Porca miseria! Ci deve pur essere un
modo per uscire da qui!” si convinse l’inglese, cercando di non
precipitare nello sconforto più totale.
Improvvisamente, due frastuoni, uno di
seguito all’altro, riempirono l’aria, facendo tremare il suolo e
mandando lo sfortunato con il sedere per terra.
“Ma che diavolo?!” esclamò,
portandosi vicino all’altra parete da cui era provenuti i due
potenti rumori.
Non riuscendo ad arrivare comodamente
alla finestrella, cercò di allungarsi il più possibile, riuscendo
infine nel suo intento ad arrivare ad oltre due metri di altezza. Da
lì riuscì ad intravedere delle figure umane, o almeno così
sperava, ed un bosco nelle vicinanze.
Facendo però mente locale, sorpreso di
quanto in alto era riuscito ad arrivare, controllò i suoi piedi, che
stavano tranquillamente fluttuando nel vuoto.
“Oh santo cielo!” proruppe “Ma
allora è tutto vero!”.
Con un sorrisetto ebete dipinto sulla
bocca, notò all’esterno una figura gigantesca giungere nella sua
visuale. Allora colse la palla al balzo.
“Scusa omaccione…” tentò di
catturare la sua attenzione “Sì, dico a te. Potresti darmi una
mano ad uscire di qui? Da solo non so come fare”.
L’altro non proferì parola ma, a
suon di pugni, tirò giù in un attimo il muro.
“Wow!” fu l’ultima esclamazione
di Jack, ancora aggrappato alle sbarre della finestrella.
“Come sarebbe a dire fuoco dalla
bocca?” proseguiva nella sua protesta il cuoco cinese “Voi mi
avete preso per un drago? Per quanto mi riguarda di drago io ho solo
le nuvolette nel mio ristorante!”.
Ovviamente non vi era nessuno nella
stanza in grado di replicare. L’ometto si grattava nervosamente la
testa, cercando di sbollire la sua rabbia. Poi iniziò a sentire del
movimento verso l’esterno dell’edificio.
“Chi c’è là? Mi sentite?”.
Ma ancora nessuna risposta.
L’ira tornò ad accumularsi in lui e,
quasi di getto, sputò una calda lingua di fuoco verso la finestra.
“Per Mao! Che diavolo è successo?”
esclamò sorpreso Chang.
Fece subito mente locale “Io davvero
sputo fuoco? Come drago!”.
Riempì bene i suoi polmoni d’aria e,
scatenando tutta la sua furia, investì le piccole sbarre d’acciaio
con un’infernale vampata. Non ci volle molto prima che esse
iniziassero a squagliarsi come burro. In pochi minuti, la luce
filtrava pienamente nella cella del prigioniero.
“Bene! Ben fatto!” si congratulò
con sé stesso.
A questo punto però sorse un altro
problema: come raggiungere l’apertura nella parete, tenendo conto
inoltre dell’altezza poco elevata di Yu.
Ma l’uomo non si perse d’animo ed
iniziò ad accumulare sotto di essa ogni cosa, presente là dentro,
che poteva tornargli utile.
Per prima cosa spostò, rumorosamente e
con una certa fatica, la brandina provvista di materasso che si
trovava in un angolo. Poi una misera sedia in legno traballante e,
infine, sciolse il braccio in cui si trovava lo schermo da cui aveva
parlato Sara, afferrandolo al volo e stando attento a non bruciarsi
con la parte ancora incandescente.
Anche in cima a questo particolare
totem, l’asiatico fu costretto comunque a mettersi in punta di
piedi per arrivare all’orlo della salvezza.
Il messicano non stava più nella
pelle.
“Grazie signore! Tutto ciò è
fantastico! Con questo potere voglio vedere chi oserà più darmi dei
fastidi, quando sarò tornato a casa!” quest’ultimo discorso lo
fece rinsavire “Ah, giusto! Prima devo tornarci!”.
Lisciandosi i baffi con le dita,
squadrò per bene tutta la stanza da cima a fondo.
“Dunque… per prima cosa potrei
trasformarmi in una chiave ed aprire semplicemente la porta. Ma poi
non so cosa potrei trovarci dietro e, a differenza di quell’italiano,
non credo di potermi trasformare in un arma. Bene, non mi resta che
puntare direttamente verso l’esterno. Quindi direi di trasformarmi
in un potente bulldozer e tirar giù questo inutile muro. Però di
rumore ce n’è già stato abbastanza ultimamente. Allora potrei
soltanto mutarmi un piccolo uccellino indifeso e volare felice verso
la libertà. Oppure…”.
La sua fantasia sfrenata venne fermata
bruscamente da un terzo frastuono, seppur più leggero degli altri.
“Però c’è gente che si sta dando
da fare…” si ammutolì di colpo non appena sentì delle voci
provenire dalla stanza a fianco.
Purtroppo non riuscì a sentire molto,
dato l’elevato spessore della parete, solo qualche parola
indefinita come “Harlem” o qualcosa del genere.
“Bueno, ora è il mio turno!” si
decise infine, scrutando la finestrella con le sbarre, in alto,
scegliendo la terza delle opzioni da lui pensate poco prima.
Uno strano formicolio invase tutto il
suo corpo, mentre aveva ben in mente l’animale in cui si stava
tramutando. A poco a poco, vide la stanza alzarsi silenziosamente,
per poi comprendere che in realtà era lui che si stava
rimpicciolendo.
Pochi secondi erano bastati per
sostituire Bernardo Borghi con un passerotto comune. Notando il
frutto dei suoi sforzi, il volatile iniziò a cinguettare di
felicità. Poi riprese di nuovo coscienza di sé e si apprestò a
spiccare il volo.
Volo che però si concluse amaramente
con il becco sbattuto contro i mattoni.
Una volta precipitato a terra, il
pennuto si rimise faticosamente in piedi per effettuare un nuovo
tentativo. Questa volta ci andò più cauto e, sbattendo più
velocemente che poteva le ali, cercò di arrivare il più vicino
possibile all’altezza della finestrella. Una volta riuscito in ciò,
tentò di prendere la giusta corrente d’aria proveniente proprio da
essa. Rilassando i muscoli delle ali vi riuscì e, passando in
verticale tra le due sbarre centrali, si trovò con il minuscolo muso
baciato dai caldi raggi del sole.
Nella cella più esterna, l’americano
cercava ancora di comprendere la sua situazione.
“Ma è possibile? Siamo addirittura
in nove rinchiusi come dei ladri! Anzi, addirittura come malati di
mente! Almeno fatemi sapere come si è conclusa la corsa!”
sbraitava contro ignoti.
Una volta apparentemente rassegnatosi,
diede uno sguardo alla parete alla sua sinistra.
“Forse un altro prigioniero si trova
dietro quel muro?” tornò a riflettere ad alta voce “Aspetta un
attimo! Cosa aveva detto quella bambola bionda? Giusto, ora ho la
supervelocità!” esultò, alzando le braccia al cielo.
Una volta riabbassatele, tornò
pensieroso “Vediamo un po’… dai fumetti della mia infanzia, mi
sembra di ricordare che, chi aveva questo superpotere, poteva anche
attraversare le barriere fisiche, come appunto questo muro, facendo
accelerare le particelle del proprio corpo…”.
Passò ancora qualche secondo prima che
il pilota si decidesse ad effettuare una prova.
“Ok!” tirò un grosso sospiro
“Andiamo! Pronti, partenza, via!” la partenza fu ottima ma, dopo
pochi passi, Johnny si arrestò di colpo.
“Cazzo! E se poi quella stronza
stesse bluffando?”.
Ancora pieno di dubbi, squadrò
nuovamente i mattoni grigiastri.
“Va bene! Al limite mi prenderò una
facciata contro il muro…”.
Ora sembrava davvero tutto pronto
“Pronti, partenza, via!” con la giusta rincorsa, Wayne scattò
verso la parete. In quei pochi attimi, sentiva tutto il suo corpo
rispondergli alla perfezione, come solo la sua autovettura era stata
in grado di fare fino ad allora.
Passato neanche un secondo si ritrovò
con davanti un’anonima parete grigia.
“Tu chi sei?”.
Il biondo sobbalzò a quella domanda,
arrivata in maniera tanto improvvisa. Subito voltatosi, vide un
ragazzo di colore, all’incirca della sua stessa età.
“Ciao, mi chiamo Johnny, tu come ti
chiami?”.
“Juna”.
“Sei di Harlem?”.
“No, Congo”.
I due rimasero entrambi un attimo
spiazzati.
“Beh comunque…” riprese lo
statunitense “Sono qui per tirarti fuori da questo buco!”.
“Tu che potere hai?”.
“Supervelocità”.
“Io non capito bene, ma credo di
poter andare sott’acqua”.
“Oh… ok! Beh attualmente però non
ti è molto utile, giusto?”.
L’africano non gli rispose nemmeno.
“Dunque, se davvero sono riuscito ad
attraversare quel muro” ipotizzò, indicandogli la direzione da cui
era comparso “credo che, se ti stringi forte a me, riusciremo a
farlo entrambi ed usciremo incolumi da qui”.
Lo zairese rimase ancora in silenzio,
perplesso.
“Beh dai fratello! Piuttosto che
restare prigioniero qua dentro…” tentò di convincerlo.
Juna infine sorrise “D’accordo,
Johnny”.
“Benissimo! Allora, vieni un attimo
con me…” detto questo, il duo si spostò nelle vicinanze della
parete con la porta “Bene! Ora credo che ti convenga stringerti
forte al mio busto”.
Il nero non sembrava ancora convinto
del tutto.
“Forza Juna! Un po’ di coraggio
cazzo!” sbottò il biondo.
A quel punto, l’africano si decise ad
obbedire a Wayne che iniziò “Pronti, partenza, via!”.
In un secondo scarso, il giovane di
colore si trovò con le gambe che gli fluttuavano nell’aria per
poi, di colpo, atterrargli nuovamente al suolo. Questa volta però si
trattava di un suolo erboso.
“Te l’avevo detto che ce l’avremmo
fatta!” esclamò il suo salvatore.
In quei minuti, i nove ebbero modo
finalmente di conoscersi gli uni con gli altri.
“Allora siamo davvero nove!”
constatò felice Bernardo.
“Nessuno di voi, gentili signori, ha
fame?” domandò Chang, sempre alla ricerca di nuovi clienti per il
suo ristorante.
L’unica donna del gruppo si avvicinò
all’unico minorenne.
“Ciao bimbo, io sono Frédérique e
te come ti chiami?”.
“I-Igor” rispose timidamente
l’infante.
“Non so voi gente…” attirò
l’attenzione Johnny, una volta posato a terra il suo passeggero di
colore “ma io me la filo!”.
“Sono d’accordo con te biondino,
non voglio rimanere in un posto del genere un attimo di più!”
accolse la proposta Jack.
La comitiva era però frenata nella
fuga dalla natura impervia che si presentava dinnanzi a loro. L’unico
a non esserne intimorito era l’africano che partì a gambe levate.
Pochi secondi dopo fu la volta dell’indiano che, fatto qualche
passo, si rigirò verso i sette rimasti “Voi non venite?”.
“Ok, ci sto!” esclamò l’uomo
proveniente dagli Stati Uniti d’America “Chi arriva ultimo è un
mutante!” e, detto questo, scattò via in un lampo di luce.
Gli altri rimasero a bocca aperta,
vedendo in azione un potere mutante differente dal proprio.
“Bueno, lasciamo che gli altri ci
precedano. Noi andremo del nostro passo, vero gigante?” sentenziò
il messicano, dando una pacca d’approvazione sul corpo robusto del
pellerossa.
“Aspettate un attimo!” allarmò
tutti Andrea “Com’è che, nonostante siamo tutti di nazionalità
differenti, riusciamo a capirci perfettamente?”.
I presenti si ammutolirono tutti,
riflettendo sulla veridicità di quanto osservato dall’italiano.
Fu il britannico ad infrangere il
silenzio “Personalmente preferirei pensarci nel salotto di casa
mia, con davanti una fumante tazza di tè”.
“Allora vamos! L’importante per ora
è mettersi in salvo!” approvò Borghi.
“Vieni piccolo” disse la
francesina, con la mano aperta rivolta al russo “Tienimi la mano
così non ti perderai”.
“Grazie” fu la parola udita da una
giovane voce nella mente dalla ballerina.
Lì per lì sorpresa, tornò poi a
guardare il ragazzino “Ah giusto! Tu sei il telepate”.
Dunque anche gli ultimi sette individui
presero la via del bosco. L’inglese rifiutò di staccarsi da loro,
utilizzando il suo potere del volo, per evitare di trovarsi
disorientato in una zona aerea a lui sconosciuta. Ad ogni minimo
rumore sospetto, il baffuto della comitiva gridava un “Cos’è
stato?”, rintanandosi dietro l’enorme figura di Giunan. Fatti
sempre amico gli energumeni, se ti è possibile. Era una delle regole
che aveva imparato direttamente dalle strade di Città del Messico.
“Sicuro che non puoi trasformare la
tua mano in una bussola?” insistette Yu.
“Negativo. Hanno detto solo armi.
Comunque, già ci ho provato e non succede assolutamente nulla!”
rispose seccato Alberti “Piuttosto perché non lo chiedi allo
spagnolo lì?”.
“Sono messicano, amigo” controbatté
giustamente l’interpellato “Però potrei davvero provare a…”.
Il loro battibecco fu interrotto da un
nuovo scricchiolio sinistro.
“Questa volta l’avete sentito anche
voi! Giusto?” riprese Bernardo.
“Magari è solo il ruscello lì di
fronte…” azzardò una Arone sempre più spaventata.
“Non era un rumore di madre natura”
tagliò corto Geran, mettendosi già in posizione di combattimento.
“Bene, si comincia!” lo seguì
Andrea, tramutando la sua mano destra in una pistola Browning
semiautomatica.
Nella selva, in quegli istanti, non si
udiva alcun suono.
“Eccoli!” urlò il più giovane dei
sette, sia con la propria bocca che con la propria mente.
Da dietro i tronchi presenti tutti
attorno a loro, comparirono delle nere figure, non identificabili per
via dei passamontagna sulla testa. Non diedero tempo ai fuggitivi di
organizzarsi, facendo subito fuoco verso di essi.
Lo shoshoni caricò verso alcuni di
loro, lanciando un urlo di battaglia tipico della sua tribù. Con suo
stesso stupore, vide che le pallottole sparategli contro gli
rimbalzavano contro.
Colui che doveva diventare un militare
effettuò quello che, secondo per lo meno le previsioni di suo padre,
era la prima cosa che gli avrebbero insegnato i suo superiori:
Rispondere al fuoco con il fuoco. Ed il giovane se la cavava
dannatamente bene.
La donna ed il bambino si strinsero
sempre di più tra loro. Finché una pallottola non colpì la prima
ad un braccio. Allarmato dal grido di dolore della fanciulla, Wansa
si concentrò e, come con un magico incantesimo, bloccò il resto dei
bussolotti in aria, facendoli infine cadere al suolo, ormai
totalmente innocui. La transalpina, nonostante lo spavento iniziale,
notò felice una cosa.
“Ragazzi! Queste uniformi sono
antiproiettili!”.
“Buona a sapersi, allora nessuna
pietà!” urlò il ragazzo di Trento “Anche tu, nanetto, datti da
fare!”.
“Come osi? A chi hai detto nanetto?”
lo rimproverò infuriato il cinese che, per tutta risposta, esalò
una potente fiammata a qualche centimetro da lui, tramutando tre dei
loro nemici in vere e proprie torce umane.
Il dandy, tremante come una foglia,
cercò una disperata salvezza spiccando in un volo verticale.
Purtroppo per lui, constatò che vi erano altri avversari anche
aggrappati ai tronchi più alti degli alberi.
La faccenda si faceva sempre più
disperata, con gli aggressori che, per assurdo, sembravano aumentare
sempre più.
“Questa è davvero la fine” pensava
Frédérique sull’orlo del pianto.
La sua disperata preghiera fu
incredibilmente ascoltata. Un lampo rosso e giallo comparve di colpo,
avvolgendo tutte le persone presenti. Nel giro di pochi secondi, gli
uomini in nero giacevano a terra inermi.
“Mi chiedevo come mai ci mettevate
tanto…” esordì Johnny Wayne, tornato finalmente visibile ad
occhio nudo.
“Almeno noi ci siamo difesi, yankee”
gli rispose serio Geran Giunan.
“Piuttosto perché te non sei
intervenuto prima!” lo rimproverò Jack Lincoln che, nel frattempo,
stava atterrando dolcemente.
La comitiva, presa dall’entusiasmo
dovuta al ritorno del Soggetto N. 9, non si accorse del componente
della banda appena sgominata che si stava avvicinando al velocista,
strisciando silenziosamente sul terriccio presente sulla riva, come
il più letale dei serpenti.
A percepirne infine la presenza fu il
membro con la vista più sviluppata: Frédérique Arone.
“Attento Johnny!”.
La potenziale vittima però, per
assurdo, fu troppo lenta nel voltarsi. In un salvataggio insperato,
il braccio con la mano armata di coltello, pronto a sferrare il
fendente mortale, fu bloccato dalla mano di un giovane ragazzo
africano.
L’aggressore fu il primo ad essere
sorpreso da quell’intervento. Tanto sorpreso da non accorgersi di
essere sotto mira. Scoprendolo soltanto quando un proiettile lo
trapassò in pieno petto.
Appena contemplato l’individuo che
crollava esanime al suolo, tutti si voltarono verso il cecchino che
aveva colpito il bersaglio.
“Ma sei impazzito Andrea?” lo
aggredì gridando la francesina “potevi colpire Juna”.
“Cazzate! Sapevo benissimo a chi
sparare!” ribatté seccato l’italiano.
Mentre i due proseguivano nel loro
battibecco, il congolese si avvicinò allo statunitense “Ora siamo
pari amico”.
“Grazie fratello!”.
“Fermi tutti signori!” richiamo
l’attenzione dei compagni Chang Yu “Dov’è Bernardo?”.
Fu allora che gli effettivi otto
presenti notarono ciò.
“Io sento ancora i suoi pensieri”
informò Igor Wansa, evitando così di far temere il peggio per il
loro simpatico messicano.
Saputo ciò, tentarono all’unisono di
chiamarlo a gran voce. Fu allora che, con una scena alquanto
raccapricciante, dal fogliame che copriva buona parte del manto
erboso, iniziò ad ingrandirsi un disgustoso lombrico. L’oscenità
poi, via via che passavano i secondi, andava assumendo una forma
umana, vestita da un’uniforme diventata ormai familiare.
“Hola gente!”.
Il gruppo riabbracciò il presunto
scomparso, infamandolo anche per la sua particolare scelta riguardo
l’affrontare la lotta appena svoltasi.
“Loro sono buoni”.
Gli altri, ancora festanti, si
voltarono verso il piccolo russo che proseguì “Io penso che loro
sono buoni. Sennò non ci avrebbero dato dei giubbotti
antiproiettile. Io credo che possiamo fidarci di loro. Soprattutto
ora che, io temo, dovremo affrontare altri uomini neri”.
I nove rifletterono ognuno con la
propria testa. La scelta era tra tornare ad una vita che non sarebbe
stata più la stessa, oppure lottare restando uniti come una squadra.
Tutti arrivarono ad una conclusione ma nessuno fiatò. Insieme,
tornarono a dirigersi verso l’edificio da cui erano scappati.
Fu
così che nacque il gruppo Humana.
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Capitolo 3 *** Le prime avventure ***
CAPITOLO 3
“Le
prime avventure”
Quando i nove tornarono all’edificio
che, fino a qualche minuto prima, era stata la loro prigione, vi
trovarono ad aspettarli una figura ormai conosciuta. La stessa donna
bionda che, tramite gli schermi presenti in ogni cella, gli aveva
comunicato che la loro vita d’ora in avanti era mutata per sempre,
era ora in carne ed ossa di fronte a loro.
“Bentornati”.
“Ma te sei la chica bionda di prima!”
urlò stupito il messicano, indicandola anche a tutto il resto della
compagnia.
“Esatto. Potete chiamarmi Sara
Silvestri, se volete” li informò lei.
“Sei venuta a darci il colpo di
grazia?” le domandò l’italiano allarmato ma, allo stesso tempo,
sorpreso di incontrare una sua connazionale, mentre stava già
trasformando la sua mano destra in un’arma da fuoco.
“Niente affatto. Al contrario, sono
venuta a darvi nuovamente il benvenuto alla Humana. Questa volta
verrete trattati in maniera più civile, dato che avete accettato di
aderire per vostra volontà al nostro progetto. Dunque, niente più
prigionia ma, piuttosto, avrete ognuno una vostra camera da letto
personale, con tutti i relativi comfort”.
Il gruppo, nonostante quanto detto
dalla presunta padrona di casa, rimase comunque titubante.
“Allora…” prese la parola la
francese “Possiamo davvero fidarci di te?”.
“Se volte seguirmi, lo capirete”
concluse Sara, voltandosi per avviarsi verso l’abitazione.
Per il momento, nessuno della compagine
sembrò avere l’intenzione di seguirla. Poi, il più innocente di
loro, iniziò a fare qualche passo in avanti.
“Dove vai Igor?” lo richiamò
preoccupata Frédérique.
Il ragazzino si bloccò un attimo, per
poi voltarsi verso i restanti otto “Io mi fido di lei”.
Bastarono queste semplici parole a
convincere gli adulti a seguire il russo.
Entrati nell’ingresso aprendo una
pesante porta blindata, lasciata per l’occasione socchiusa, poco
più avanti si trovarono davanti un enorme salone, con una decina di
sedie disposte in maniera circolare. Attorno ad esse, vi erano vari
mobili d’arredamento come: una libreria piena di libri dalle più
svariate dimensioni, una vetrata con esposta un’elegante
argenteria, un orologio a pendolo dal classico suono ritmato, una
lunga tavola rettangolare appoggiata ad una parete e, attaccato al
muro, uno grosso schermo, al momento spento.
“Sembra di essere ad una riunione
degli alcolisti anonimi” ironizzò l’americano.
“Prego signori” la bionda
ricomparve da un angolo della stanza, facendo sobbalzare dallo
spavento qualcuno di loro “potete accomodarvi”.
L’africano alzò la mano per chiedere
la parola “Posso sedermi per terra? Non ho mai amato granché le
sedie”.
“Ma per quanto riguarda il nostro
amico energumeno qui” chiese Bernardo indicando l’indiano “Siamo
sicuri che la scranna reggerà?”.
Nonostante queste rimostranze, il volto
della giovane donna rimase impassibile. Alla fine, tutti gli invitati
presero posto.
“Bene. Se avete delle domande da
pormi, sono a vostra completa disposizione” spiegò la bionda.
“Io vorrei sapere, onorevole signora,
il motivo per cui siamo qui?” domandò il cinese.
“Come già vi ho anticipato ore fa,
noi dell’Humana vi abbiamo recuperato per concedervi la possibilità
di vendetta verso Mohammed Al-Shirida, il vero responsabile di ciò
che vi è accaduto”.
“Mi domando” esordì l’inglese
“come mai siamo stai scelti noi? E, soprattutto, costui è davvero
così pericoloso come sembra che lei ci vuole suggerire?”.
“Purtroppo la vostra scelta è stata
pressoché casuale. Una delle manie di questo emiro qatariota è
proprio quella di affidarsi alla casualità, nella programmazione dei
suoi piani criminali. Per quanto riguarda la sua pericolosità vi
svelerò che, in sé e per sé, l’unica forza di quest’uomo è
data dalle sue immense ricchezze. Tale caratteristica ha portato
questa persona a compiere uno degli esperimenti più orribili e
distruttivi che il mondo possa immaginare…”.
I nove, dopo queste ultime parole,
rimasero con il fiato sospeso.
“… Attraverso il mercato nero più
inquietante che questo pianeta possa avere, è riuscito a procurarsi
due dei cervelli più letali che siano mai esistiti. Una volta
avutili in suo possesso, ha dato vita alla più inquietante
operazione chirurgica inimmaginabile…”.
Il pathos tra i presenti era ormai
palpabile.
“Quest’uomo, o sarebbe meglio dire
questo mostro, a fuso parte del suo cervello con altre provenienti
dal cerebro di Napoleone Bonaparte ed Adolf Hitler!”.
La notizia più shoccante che si
potesse dare fu affidata a nove persone provenienti da parti
differenti del globo terrestre. Dopo tale rivelazione, furono ben
pochi e insignificanti i quesiti posti alla signora Silvestri.
Uno dei più colpiti da tali eventi fu
lo statunitense Johnny Wayne che, per tale motivo, ottenne il
permesso di uscire fuori dall’abitazione per prendere letteralmente
un po’ d’aria. Ad ampliare maggiormente le sue preoccupazioni vi
erano anche le parole che Sara gli aveva sussurrato pocanzi.
“Soggetto N. 9, su di te l’Humana
ripone grandi speranze dato che, secondo i nostri calcoli, sei la
persona più adatta dei nove per guidare gli altri alla vittoria”.
“Cazzo!” proruppe infine
l’americano “Io l’unica cosa che so guidare sono le monoposto.
Non certo un gruppo di supereroi, o quel cazzo che dovremo essere!”.
“Johnny…”.
Una voce femminile lo fece voltare di
scatto all’indietro. La francesina gli si portò di fianco,
appoggiandogli una mano delicata sulla spalla.
“Tutto bene?”.
“Sì certo, a parte tutto questo
casino!”.
“Ti capisco Johnny. Anch’io sono la
prima a non credere a cosa ci sta succedendo”.
“Ma la cosa più assurda è tutta
quella storia dei tre cervelli, per quello che ho potuto capire…”.
L’americano si fermò, vedendo la
donna scrutare attentamente un punto imprecisato in direzione
dell’orizzonte.
“Che ti succede? C’è qualcosa che
non va?”.
La ballerina in un primo momento non
rispose. Poi, finalmente si ridestò “No… niente. Mi sembrava che
qualcosa sfrecciasse nella nostra direzione… ma mi devo essere
sbagliata”.
L’altro, allarmato, si mise a fissare
il medesimo punto visivo ma, a parte le cime degli alberi tutti
attorno e qualche vetta montana, non riuscì ad identificare alcuna
presenza minacciosa.
“Comunque, dati i tuoi nuovi poteri,
non è una cosa da sottovalutare. Meglio rientrare alla base ed
informare Sara di tutto ciò”.
Lei accolse positivamente la decisione
presa da Wayne e, entrambi a passo svelto, rientrarono nella villa
che li stava ospitando.
“Sara! Sara! Ma è possibile che non
si faccia viva proprio ora?” imprecò l’uomo.
“Forse allora è meglio chiedere
l’aiuto degli altri” propose dunque lei.
La coppia salì rapidamente l’elegante
scala in legno che li portava al piano superiore, quello adibito alle
varie camera da letto riservate ai membri del gruppo.
Una volta lì, entrarono come una
tempesta dentro la prima stanza incontrata. Spalancata la porta, si
trovarono davanti l’inquietante visione di un messicano in mutande.
“Oddio!” gridò la fanciulla,
coprendosi la faccia rossa con le mani.
“Che c’è? Io, quando sono a casa
mia, giro sempre in mutande” spiegò senza pudori Bernardo.
“Invece di perder tempo” lo canzonò
il biondo “Mettiti i calzoni e vieni con noi che Frédérique pensa
di aver visto qualcosa”.
I due uscirono da quella camera veloci
come se dentro vi fosse la più letale delle pestilenze, tanto da non
accorgersi dell’avvicinarsi di un altro essere umano.
“Che sta succedendo qui?” domandò
allarmato l’italiano.
“Ah, stiamo perdendo anche troppo
tempo!” sbottò Johnny “Meglio che andiamo solo noi quattro che
sennò, avanti che li abbiamo avvisati tutti, potremo già essere
sotto attacco”.
Il quartetto, uscito dalla villa, si
avviò nella direzione che gli indicava la francese. Di colpo, un
fulmine a ciel sereno si abbatté nelle vicinanze. Loro rimasero
bloccati in silenzio, temendo ciò che poteva attenderli se
proseguivano nella ricerca. Ma, a causa di quella morbosa curiosità
verso l’ignoto a cui ogni essere umano è predisposto, i quattro
ripresero il cammino.
Improvvisamente, si trovarono davanti
ad una figura spettrale che lì osservava silenziosamente. Un uomo, o
almeno era ciò che presumevano fosse, dai capelli canuti, la pelle
di un pallido cadaverico, gli occhi freddi e bianchi come il ghiaccio
e una veste del medesimo colore.
Il soldato si fece coraggio e tentò un
approccio verbale “E-Ehi tu! C-Chi diavolo sei?”.
L’interpellato non sembrò dare alcun
segno di risposta. Poi iniziò a muovere le labbra “Io sono il
Soggetto N. 10”.
“C-Cosa?!” esclamò allibito il
Soggetto N. 7.
“E cosa vuoi da noi?” chiese
furioso il Soggetto N. 9.
L’albino si trincerò nuovamente nel
suo silenzio di tomba. Quindi riprese la parola “Mi è stato
soltanto ordinato di eliminare gli altri nove”.
“C-Cosa?! E da chi?” esclamò
sempre più allibito Borghi.
“Che sia la stessa Humana?”
ipotizzò sconvolta Arone.
“E se invece si trattasse dello
Spettro Bianco?” propose contrariato Wayne.
“Non me ne importa una cazzo! Se vuoi
venire a farci il culo, io ti aspetto!” lo provocò Alberti, che
già stava mutando la sua mano destra in una Smith e Wesson.
Alla vista di tale minaccia, il nuovo
arrivato fece un passo e scomparve. Letteralmente. Solo uno dei
quattro intuì cosa fosse appena successo e, per tutta risposta,
parti egli stesso all’inseguimento.
Mentre tutto l’ambiente attorno a lui
sfrecciava sfuggente, l’americano si mise a pensare “Possibile
che abbia anche lui la supervelocità? Che gli abbiano dato il mio
stesso potere? Però, se fosse stata l’Humana, avrebbe dovuto
indossare la nostra stessa uniforme. Invece la sua è anche troppo…
bianca!”.
Nel frattempo, il Soggetto N. 3 si mise
ad urlare “Fermati N. 10! Se anche tu sei stato trasformato in un
mutante come noi, non dovresti attaccarci ma, anzi, potresti
diventare un nostro alleato!”.
L’interessato si fermò di colpo
davanti alla donna.
“No! Ferma, piccola! Non capisci che
è un nostro nemico!” pensò il biondo, oppure parlò tanto veloce
da non essere compreso.
Il Soggetto N. 10 sembrò colpito dalle
parole della donna. I suoi occhi iniziarono a brillare di una luce
sinistra, per poi emettere due raggi laser verso di lei. Il velocista
fece appena in tempo a salvarla.
“Al diavolo! Io me la squaglio!”
sentenziò il baffuto, mentre iniziava a mutare forma in un ghepardo,
per cercare di sfuggire più rapidamente.
Purtroppo, tale procedura, non gli
permise di vedere l’enorme gorilla di montagna che gli piombò
rovinosamente addosso.
“Figlio di puttana perché non te la
vedi con me?” ma, nonostante la quantità infinita di pallottole
sparategli contro da Andrea, la sua pelliccia sembrò non risentirne
affatto.
Accortosi di tale fastidio, il suo
avversario riprese infine la sua forma, questa volta però presentava
stretta fra le dita una minacciosa bomba a mano.
“Oh cazzo!” imprecò l’altro
mentre saltava appena in tempo per evitare danni peggiori dovuti
all’esplosione.
Il biondo tornò nuovamente ad
affrontarlo “Allora sei soltanto un lurido copione!”.
L’albino lo squadrò serafico. Nel
giro di un secondo, entrambi scomparirono dalla vista umana.
In tutta la foresta, due folate di
vento s’inseguivano, facendo lo slalom fra i tronchi dei vari
alberi presenti. Nel contempo, i due sfidanti non si perdevano
d’occhio, mentre tutta la realtà attorno a loro andava al
rallentatore. Mentre proseguivano, Johnny notò gli occhi del nemico
tornare ad illuminarsi minacciosamente. Si bloccò appena in tempo
per evitare la traiettoria dei due raggi laser.
“Cazzo! Questo bastardo riesce ad
usarne anche due alla volta!” constatò allarmato lo statunitense.
Perso di vista il N. 10, il Soggetto N.
9 si mise a controllare rapidamente tutto l’ambiente circostante.
Mentre proseguiva nella sua ricerca, sentì uno strano sibilo farsi
via via sempre più nitido. Ancora una volta, si scostò appena in
tempo per evitare un enorme masso destinato alla sua testa.
“Fatti vedere, brutto figlio di
puttana!” urlò disperato l’americano.
Per tutta risposta, fu investito da una
pioggia di pallottole che, fortunatamente, o lo mancarono o
s’infransero contro la sua uniforme antiproiettile. Preso dal
panico, Wayne fuggì via trovando rifugio dietro il fusto di un
abete.
“Non ce la faccio ad affrontarlo da
solo!” confessò a sé stesso il velocista “Dove sono finiti
tutti gli altri?”.
Mentre riprendeva fiato, si accorse che
la foresta si era fatta silenziosa in maniera allarmante. Dopo un
tentennamento iniziale, si decise a fare capolino per controllare la
situazione. Tutto sembrava calmo e tranquillo. Troppo calmo e
tranquillo.
Come nel peggior incubo immaginabile,
tutto il bosco circostante iniziò a mutarsi. Gli alberi, i sassi ed
anche qualche foglia in qualcosa dalla forma nettamente più umana.
“Oh merda!” imprecò con un filo di
voce il mutante mentre, davanti a lui, si presentava ora un intero
esercito formato da individui tutti praticamente identici al Soggetto
N. 10.
“Non è possibile…”.
“Sì, lo è”.
Preso com’era nell’ammirare
quell’inquietante spettacolo, Johnny non si era accorto di avere al
suo fianco proprio lo stesso rivale albino.
“M-Ma cosa ti hanno fatto?”.
“Loro sono tutti miei fratelli”.
“Giusto un gruppo di scienziati
nazisti poteva pensare ad una tale follia!”.
“Per te sono folli, per noi sono
geni. Ora, Soggetto N. 9, sai cosa ti aspetta…”.
L’interessato lo sapeva. Chiuse gli
occhi quando cominciò a vedere, tra i vari gemelli, alcuni con gli
occhi già luminosi, altri con le bocche già fiammeggiante, mentre
molti stavano già tramutando parti del loro corpo nelle più
svariate armi da fuoco.
Il corpo del pilota tremava tutto,
aspettando di percepire il più grande dolore possibile che l’avrebbe
di certo portato alla morte. Tale attesa sembrava non avere mai fine.
Non avvertendo ancora alcuna sensazione, il condannato si decise
infine a sollevare appena una palpebra.
“Dove sono?” esclamò, mentre
osservava le onde che si infrangevano contro gli scogli. Tutto ciò
avveniva nel fondo dello strapiombo dove ora si trovava il biondo.
“Johnny mi senti?”.
“C-Chi sei?” domandò nuovamente al
vento.
“Sono Igor, sto parlando direttamente
dentro alla tua mente. Ho fatto appena in tempo a trasferirti lontano
da loro, grazie alla telecinesi”.
“Allora ora dove mi trovo?”.
“Sei a qualche chilometro da loro.
Più in là non ho potuto portarti perché, appena ti hanno visto
scomparire, hanno subito cominciato a cercarti, anche scandagliando
tutto il territorio telepaticamente”.
Come aveva previsto il ragazzino russo,
i mutanti albini, oltre ad utilizzare la telepatia, sfruttavano anche
la super velocità e la capacità del volo.
Nel quartier generale degli Humana,
tutti i restanti Soggetti, compresi i tre che avevano inizialmente
accompagnato Wayne nella loro sfortunata fuoriuscita, circondavano
Wansa che, nel frattempo, proseguiva con l’istruire il compagno in
difficoltà.
“Eppure ci sarà un modo per poterli
sconfiggere, evitando di usare qualsiasi ordigno atomico” chiese
isterico l’americano.
“L’unica tua possibilità, mi sta
dicendo Sara, è quella di usare la tua velocità per metterli gli
uni contro gli altri”.
“Quindi voi non avete intenzione di
muovere il culo per aiutarmi?”.
“Noi dobbiamo rimanere qui alla base,
nel caso decidessero di attaccarci tutti in massa”.
Soggetto N. 9 ci rifletté un attimo.
Poi partì a tutta velocità per mettere in atto, o per lo meno
tentare di farlo, il piano del suo gruppo. Fatto appena qualche
metro, notò l’arrivo di tre nemici. Fu allora che il velocista
iniziò a correre attorno a loro, sperando che questi ultimi lo
seguissero come le pecore fanno con il pastore. I tre, come
auspicato, partirono al suo inseguimento. dopo qualche minuto di
corsa circolare, uno del trio prese la direzione opposta, pensando di
bloccare il fuggitivo. Ma era proprio ciò che voleva l’americano.
Scansandosi all’ultimo microsecondo,
mandò i tre a scontrarsi frontalmente tra loro.
“Bingo!” esultò festante il
vincitore.
Esaltato dal suo primo successo, lo
statunitense mise in atto tutta una serie di disfide, portando in
poco tempo tutti i cloni a darsi battagli fra di essi. Nel pieno
della lotta, come se qualcuno avesse premuto un interruttore
invisibile, tutti i Soggetto N. 10 presenti collassarono al suolo.
Mentre l’unico uomo in piedi era
rimasto a bocca aperte nel vedere tale spettacolo, la voce nella sua
testa tornò a farsi sentire “C-Ci sei Johnny? Com’è andata?”.
“È stato più divertente che guidare
in una monoposto! Poi però è successo qualcosa di strano… tutti i
mutanti sono svenuti, o almeno spero siano soltanto svenuti”.
“Lo sappiamo Johnny” lo informò
Igor “Sara ci ha informato che è intervenuta la stessa Humana per
risolvere la situazione”.
“E non potevano pensarci prima?!
Comunque adesso cosa faccio io?”.
“Forse era per metterti alla prova.
Dicono che devi rientrare alla base”.
Nonostante fosse ancora perplesso, alla
fine Soggetto N. 9 obbedì agli ordini.
Tutto l’ambiente circostante sembrava
essere tornato sereno. Anche se, e di ciò ne erano coscienti gli
stessi Humana, difficilmente tale situazione sarebbe durata ancora
per molto, in particolar modo ora che lo Spettro Bianco sapeva dove
erano rifugiati i nove mutanti.
Come a presagire una nuova tempesta,
nello stesso suolo in cui il velocista del gruppo aveva affrontato i
molteplici cloni albini, iniziò a crearsi una lieve crepa. Mano a
mano che i secondi passavano, tale incrinatura si allarga sempre più,
fino a raggiungere il livello di una vera e propria voragine.
Raggiunto un diametro di parecchi metri, la furia si placò. A poco a
poco, da quell’apertura cominciò ad emergere un inquietante
obelisco.
“R-Ragazzi! Ci sono altri problemi!”
Igor avvertì il resto del gruppo, che nel frattempo stava dando il
bentornato a Johnny.
“Cosa? Ma se sono appena rientrato!”
protestò rabbioso l’americano.
“A quanto pare” s’intromise Sara
“lo Spettro Bianco non vuole darci tregua. Dato che Soggetto N. 3 è
priva di sensi, Soggetto N. 1 riesci a percepire di cosa si tratta?”.
“Purtroppo non con chiarezza. Ma, da
quando è apparsa questa nuova minaccia, non sento più l’esistenza
dei cloni”.
Senza proferir parola, il più
massiccio della comitiva si avviò verso la porta d’ingresso.
“Dove vai, capo?” tentò di
fermarlo Wayne.
“Fuori” tagliò corto Giunan.
“Qualcuno vada con lui!” ordinò
Silvestri.
“Vado anch’io!” informò gli
altri Juna.
“Eh sia! Almeno morirò da eroe!”
lo seguì Jack.
Vedendo altre tre persone uscire dalla
villa, Johnny sbraitò contro i pochi rimasti presenti “Dove sono
gli altri che erano usciti con me? E come mai Sara ha detto che
Frédérique è priva di sensi?”.
“Cerca di darti una calmata,
onorevole Wayne” lo richiamò Chang “I tre compagni che erano con
te sono stati condotti nell’altra stanza, per fargli recuperare un
minimo le proprie forze”.
Come un lampo, il pilota si proiettò
verso la camera adiacente, dove trovo, sopra a tre brande, il trio
con cui aveva affrontato Soggetto N. 10. Dei convalescenti, solo
Andrea si era già rialzato dalla posizione distesa.
“Johnny, che sta succedendo lì
fuori?” cercava d’informarsi l’italiano.
L’altro non lo ascoltò nemmeno,
preoccupato com’era verso la salute della francesina. Con una nuova
fierezza nel suo sguardo, ripartì ad alta velocità verso l’esterno.
“Soggetto N. 9!” tentò inutilmente
di richiamarlo Sara.
In un attimo, lo statunitense si trovò
a rimirare il torreggiante profilo dell’obelisco, la cui punta
sembrava perforare addirittura il cielo.
“Che cazzo è quello?” esclamò nel
vederlo.
“Johnny? Che ci fai tu qui?” gli
domandò Lincoln, che arrivò planando dall’alto.
Ma prima che lui potesse rispondergli,
una voce potente provenne dal monumento.
“Dunque è presente anche Johnny
Wayne”.
I quattro rimasero immobili
nell’ascoltarlo.
“Vi informo subito che non sono qui
per combattervi, a meno che non me ne diate possibilità. Sono qui
per darvi la grande occasione di unirvi a noi, dato che siamo stati
noi stessi a crearvi. Voi nove avete avuto la grande opportunità di
migliorare le vostre vite, utilizzando le nuove capacità che vi
abbiamo concesso”.
“Grande opportunità un cazzo!” gli
rispose a tono il biondo “Che grande opportunità avremo nel
metterci agli ordini di un idiota che si è impiantato nel cervello
tutta quella merda?!”.
“Se questo è ciò che pensate, non
mi rimane che una soluzione”.
Un rettangolo luminoso iniziò a
brillare sulla parete liscia dell’obelisco.
“Attenti!” avvertì appena in tempo
i compagni Soggetto N.8, poco prima che un raggio calorifero si
abbatté al suolo.
Il nemico immobile sparò nuovamente,
questa volta andando a colpire il terreno al di sotto dell’indiano.
Una nuova piccola voragine si andò a creare, facendo inabissare il
nerboruto uomo fino alla cintola.
“Maledetto!” imprecò il
pellerossa.
Gli altri tre si avvicinarono al loro
amico in difficoltà.
“Scappate voi!” gli urlò contro
Geran.
Nel frattempo, sulla superficie
dell’obelisco comparirono altri due rettangoli luminosi. Senza
alcun preavviso, iniziarono a prendere di mira i mutanti ancora in
grado di muoversi. Il trio scelse allora tre differenti vie di fuga:
Il soggetto N. 2 in aria, il N. 9 sulla terra ed il N. 6 nel mare lì
vicino.
I raggi continuavano a balenare nel
tramonto come fossero stelle impazzite.
L’inglese tentò di comunicare con
l’americano “Ci deve essere pure un modo per distruggerlo!”.
“Io proverò ad attaccarlo
frontalmente. Te invece attaccalo dall’alto” propose un Johnny
Wayne ancora in piena corsa.
Effettuando un inversione ad U, arrivò
alla base del monumento alla massima velocità. Giuntò lì, iniziò
a colpirlo ripetutamente, con l’unico risultato di non averlo
scalfito minimamente.
Contemporaneamente, in cielo, il dandy
lanciava urla belluine ad un raggio evitato.
Ripartito nella sua folle corsa, il
Soggetto N. 9 riuscì appena in tempo ad evitare un altro colpo che
poteva essere fatale. Nel farlo, si sbilanciò e cadde al suolo a
metri distanza. Nel rialzarsi, ebbe un’illuminazione.
“Jack!” urlò al suo compagno
volante “Forse possiamo sconfiggerlo se lo colpiamo in uno dei
punti da cui partono i raggi laser!”.
“E con cosa lo colpiamo?”.
“Non lo so! Te hai qualcosa da
usare?”.
Il britannico ci pensò un attimo su.
Poi, cercando in una tasca all’interno della cintura, tirò fuori
un suo personale portafortuna: un piccolo teschio di cristallo.
Intanto, l’obelisco sembrò quasi
attendere il nuovo attacco dei suoi rivali.
Quando Johnny vide il segno di assenso
effettuato dal capo del suo amico in aria, scattò nuovamente verso
il nemico. Come da previsione, un rettangolo riprese ad illuminarsi
e, con una mira inaspettatamente eccezionale, Jack riuscì a
centrarlo in pieno, mandando in frantumi lo stesso soprammobile.
Inizialmente l’obelisco non sembrò
minimamente scalfito poi, a poco a poco, su e di esso cominciarono ad
apparire crepe sempre più rilevanti finché, con un frastuono
infernale, crollò al suolo in mille pezzi.
L’ultima cosa che pronunciò urlando
fu “Siete già morti!”.
Il velocista, per evitare qualsiasi
tipo di danno, si portò a metri di distanza mentre il nativo
americano fu miracolosamente illeso, anche grazie alla sua robusta
costituzione.
Nel sopraggiungere al luogo della
battaglia, Wansa, Yu e Silvestri trovarono i due anglofoni accasciati
uno accanto all’altro.
“State bene ragazzi?” per la prima
volta gli Humana videro una Sara visibilmente preoccupata.
“Tutto ok!” rispose un esausto
Wayne “Cercate piuttosto di liberare Geran da lì dentro”
indicandoglielo.
“E come facciamo?” chiese perplesso
il cinese.
“Potresti pensarci tu” gli suggerì
il russo.
“E come?”.
“Puoi usare il tuo fuoco per rendere
più malleabile la terra attorno al suo corpo, così lui potrà
liberarsi con più facilità”.
L’asiatico ci rifletté un attimo su.
Poi decise di attuare il piano del ragazzino. Tutto ciò riuscì alla
perfezione.
“Ehilà gente!” salutò il resto
della comitiva un Soggetto N. 8 con l’uniforme ancora bagnata.
“Finalmente sono riuscito ad avere un
po’ di pace” fu il pensiero dell’americano mentre, sdraiato al
suolo, escludeva tutto il mondo attorno a lui chiudendo le palpebre.
Le foglie che cadevano dai rami sopra di lui, come per una specie di
riverenza verso il mutante, gli atterravano tutte attorno.
Un leggero scricchiolio lo fece tornare
alla realtà.
“Scusami Johnny” sussurrò appena
Frédérique “Ti ho svegliato?”.
“No, tranquilla tesoro. Sdraiati qui
insieme a me” la invitò il biondo.
La francesina obbedì, continuando a
guardarsi ripetutamente attorno.
“C’è così tanta vita in questa
foresta. Senza questi occhi speciali di certo non me ne sarei mai
accorta”.
Il pilota di Formula 1 sghignazzò
leggermente “Non dirmi che anche a te fa piacere essere stata
cambiata…”.
“Beh non posso certo dire che mi
dispiaccia. Con la mia vista, ora riesco a vedere anche il più
piccolo lineamento su una foglia mentre sta cadendo.”
Nonostante quanto detto in quest’ultima
affermazione, il Soggetto N. 3 non notò la presenza di un estraneo,
proprio nella stessa boscaglia in cui i due membri dell’Humana si
stavano rilassando.
Si trattava nello specifico di un tizio
dalla media statura, vestito con un lungo impermeabile marrone e con
in testa una cappellaccio sgualcito del medesimo colore.
“Ho raggiunto l’obiettivo”
affermò apparentemente soltanto a sé stesso.
All’interno della villa, che fungeva
da quartier generale per il gruppo, il resto dei mutanti si stava via
via abituando a quell’enorme abitazione.
Era ormai da parecchi minuti che Andrea
stava mutando la sua mano destra nelle più svariate armi da fuoco
che aveva in testa. Colpito da ciò, Bernardo gli si fece vicino.
“E’ davvero una figata! Vero,
amico?” esclamò entusiasta.
L’italiano, per tutta risposta, gli
lanciò uno sguardo feroce che non ammetteva repliche. Il messicano,
di conseguenza, capì l’antifona e gli si allontanò rapidamente.
Nel proseguo della sua personale
odissea, notò l’indiano d’America accovacciato al suolo, in uno
stato di profonda meditazione.
“C-Che sta facendo?” domandò
incuriosito.
A dargli una risposta ci pensò Chang
“Penso che stia pregando i suoi dei, o almeno così credo”.
In un altro angolo della sala,
l’africano ed il russo si dilettavano nel giocare con dei soldatini
di legno finemente lavorati.
Improvvisamente, il più giovane dei
due alzò di scatto la testa.
“Che cos’hai Igor?” gli chiese
allarmato Jack.
Wansa non gli diede udienza ma, invece,
si affrettò a contattare telepaticamente i due componenti che si
trovavano all’esterno dell’edificio.
“Johnny… Johnny mi senti? Sono
Igor…”.
Wayne, dopo un iniziale sobbalzo,
rispose al ragazzino come se usasse il più semplice degli apparecchi
telefonici “Ti sento Igor, anche se comunicare in questa maniera mi
sembra ancora alquanto assurdo”.
“Perdonami Johnny ,ma ho rilevato la
presenza di un intruso non lontano da voi”.
“Un intruso? Dove si trova?”.
“A circa 300 metri alla tua
sinistra”.
Appena saputa l’ubicazione del
nemico, il Soggetto N. 9 scattò in piedi e, nel giro di un secondo
scarso, aveva già atterrato lo sconosciuto.
“Chi cazzo sei tu?” gli inveì
contro, mentre lo teneva schiacciato contro il terreno.
L’uomo a terra, inizialmente sorpreso
dal repentino attacco subito, riuscì a colpire l’avversario con un
calcio all’inguine, tornando nuovamente libero.
Il biondo digrignava i denti, più per
il forte dolore provato che per aver abbassato imprudentemente la
guardia, riuscendo a malapena a rimettersi in piedi.
“Figlio di puttana!” urlò mentre
ripartiva alla carica.
Il fuggitivo, questa volta, tirò fuori
dal suo impermeabile una pistola, riuscendo a sparare un colpo.
Per il velocista fu un gioco da ragazzi
evitare il bozzolo che, dalla sua visuale super accelerata, procedeva
con una lentezza assoluta.
Raggiunto il nemico, lo statunitense lo
mise definitivamente al tappeto con un gancio destro.
“… Ciò dimostra ancora di più che
lo Spettro Bianco conosce la nostra posizione” concluse il suo
ragionamento Sara Silvestri, mentre osservava il prigioniero.
L’uomo, momentaneamente legato con
una corda attorno al corpo, presentava in testa, senza più il suo
copricapo, dei capelli scuri pettinati all’indietro in maniera
impeccabile, grazie al presunto uso di gel.
“Non vedo l’ora che si svegli così
ci penserò io a farlo cantare a dovere!” esclamò esaltato il
Soggetto N. 7.
Come a dare ascolto alle sue richieste,
l’intruso si ridestò di colpo.
“Ok gangster…” partì all’attacco
il baffuto “Dicci subito chi ti manda o altrimenti ti pentirai di
essere nato!”.
Lo sconosciuto non fece una piega.
“Ora che hai finito di fare il
buffone, lascia fare ai professionisti” lo spintonò via in malo
modo Alberti.
Inginocchiatosi di fronte a lui,
tramutò la sua mano destra in una glock, puntandogliela poi dritta
in fronte.
“O spari o muori, a te la scelta”.
Il prigioniero dimostrò ancora una
volta grande freddezza “Sono pronto a morire per i miei ideali”.
“Fermati Andrea!” lo richiamò
l’americano.
“La sua è una volontà di ferro. Non
parlerà” informò il gruppo il Soggetto N. 1, dopo aver provato
inutilmente a penetrargli in testa.
“Humana! Usciamo un attimo di qui e
decidiamo come agire!” ordinò perentoria Sara al resto del gruppo.
Dopo che il Soggetto N. 5 ebbe chiuso
vigorosamente la porta della cella, tutti i presenti si riunirono in
cerchio.
“Pensate che sia saggio lasciarlo da
solo?” chiese preoccupato l’inglese.
“Legato così dove vuoi che vada?”
sentenziò il Soggetto N. 9.
“Ma farà davvero parte anche lui
dello Spettro Bianco?” espose il suo dubbio il cinese.
D’un tratto, si udì una forte
esplosione proveniente da dentro la camera.
“Cos’è stato?” gridò lo
zairese.
Il gruppo si precipitò dentro la
stanza, trovandola con una nuova aperta sul muro che dava verso
l’esterno.
“L’avevo detto io che non bisognava
lasciarlo da solo!” fece presente Lincoln.
“Questi muri vengono giù anche
troppo facilmente” osservò ironico Borghi.
“Col cazzo che lo faccio scappare
quel bastardo!” esclamò il velocista prima di scomparire
apparentemente nel nulla.
Arone si avvicinò alla breccia ed urlò
al vento “Non puoi andare sempre da solo Johnny!”.
Un saetta rossa e gialla sfrecciava
quasi impercettibile tra il verde della foresta. Con uno sguardo
altrettanto rapido, il cacciatore dava la caccia alla sua preda.
Appena un attimo, ma lo vide. Rallentò
drasticamente la sua andatura, tanto da cadere nella trappola. Come
si vedeva fare per catturare i conigli, ora Johnny Wayne penzolava a
testa in giù inerme, con la propria caviglia destra stretta ad una
liana di un albero.
“Cazzo!” imprecò, mentre cercava
inutilmente di tirarsi su per liberarsi.
Dopo ripetuti tentativi, tornò
nuovamente a lasciarsi pendolare nel vuoto. Giusto in tempo per
sentire lo sparo. Certo della sua morte, aspettò in silenzio la
fine.
Ma il bersaglio a cui mirava il
cecchino non era il giovane ma bensì l’appendice vegetale. Con un
tonfo sordo, il biondo ricadde di schiena al suolo.
“Ti stavi divertendo, Johnny?” lo
canzonò il Soggetto N. 4.
“Finalmente siete utili anche voi!”
sbuffò seccato lo statunitense, mentre si ripuliva l’uniforme dal
terriccio.
La coppia non ebbe tempo di dare
seguito ai propri battibecchi perché, proprio di fronte a loro, si
presentò lo stesso uomo misterioso fuggito pochi istanti prima.
“Fermò lì e non muoverti!” lo
mise subito sotto tiro Andrea.
“Prediamolo ora che è disarmato!”
esclamò Johnny pronto a partire.
Improvvisamente però, qualcosa nel
volto del nemico sembrò cambiare. Dei piccoli puntini neri si
avvicinavano sempre più ai due. Fortunatamente, questi ultimi ebbero
grande prontezza di riflessi e si buttarono di lato. Furono
altrettanto rapidi nel rimettersi in piedi e controllare la corteccia
del fusto dietro di loro. Conficcata in essa vi erano, di fatti,
tanti piccoli e rigidi aghi scuri.
“Ma che diavolo?” l’americano
ancora non comprendeva cosa essi erano.
“Non posso crederci…” gli diede
la sconvolgente risposta l’italiano “quelle sono le sue ciglia”.
“Che cazzo stai dicendo?” gli
sbraitò contro il compagno, il quale si rifiutava nella maniera più
assoluta di credere a quell’assurdità.
“Il tuo collega ha ragione,
biondino”.
Il duo tornò a squadrare l’avversario,
tornato nuovamente loquace.
“Io sono in grado di sparare contro i
miei rivali le mie ciglia. Inoltre, riesco anche a farle ricrescere
in meno di un secondo. Ovviamente, ora crederete che non sia poi
un’arma così terribile. Perciò ci tengo ad informarvi che esse
sono, oltre che più dure del diamante, velenose come il più letale
dei serpenti”.
I due membri dell’Humana rimasero
immobili nell’attendere la prossima mossa del nemico.
Alla fine, Wayne ruppe il silenzio
“Quindi fai parte anche te dello Spettro Bianco?”.
“Esattamente” rispose secco
l’interessato.
“Qual è il tuo nome?” riprese
questa volta l’ex-militare.
“Immagino che posso concedervi di
saperlo, come vostro ultimo desiderio. Io mi chiamo Nicolas Simon
e…”.
L’uomo dovette improvvisamente
interrompere la sua presentazione a causa di una stretta mortale che
gli serrava la gola. Il dialogo fra i tre si rivelò infatti un
efficace modo di guadagnar tempo, attuato dai mutanti, nell’attesa
che entrasse in azione un loro alleato. Un serpente, di notevoli
dimensioni, si era lentamente calato da un ramo al di sopra del trio.
Mentre il viso del presunto francese
stava già pericolosamente divenendo paonazzo, quest’ultimo tentò
nuovamente un altro attacco con le sue piccole e letali armi ma, dato
che aveva già il capo sollevato dalle spire del rettile, anche
questa volta non colpirono alcuno dei suoi obiettivi.
“Forza Bernard,o uccidilo!” lo
spronava Alberti.
“No, aspetta! Potrebbe sempre esserci
utile come ostaggio!” gli ricordò invece Wayne.
Nel frattempo, ritrovandosi nuovamente
prigioniero, Simon tentò un ultimo disperato stratagemma, cercando
disperatamente qualcosa nella tasca del suo impermeabile con l’unica
mano libera, mentre l’altra lottava inutilmente contro l’animale.
Fortunatamente, gli occhi del pilota di
Formula 1 erano allenati ad individuare anche il più piccolo dei
dettagli “Attento Berny! Ha una bomba!”.
Il mutaforma strabuzzò un attimo gli
occhi e, seguendo l’istinto, morse il nemico alla clavicola.
Il sicario gemette appena e, una volta
lasciato cadere l’ordigno, con ancora la spoletta inserita, si
allontanò in una fuga sempre più zoppicante. Fatto ancora qualche
passo, scivolò da un breve dirupo dentro un ruscello quasi del tutto
secco.
L’ultima voce che sentì in vita sua
fu caratterizzata dall’accento americano.
“Nicolas, mi senti? Chi ti ha mandato
qui da noi? Dove sono? Ti prego, rispondimi!”.
L’uomo morente sillabò appena “Torna
alle origini, Johnny”.
Fin da piccolo gli erano sempre
piaciute le sfide di velocità. Cominciando dalle biciclette con gli
altri ragazzini del vicinato, arrivando poi ai gran premi tra le
vetture della Formula 1. La nuova frontiera di questo suo particolare
hobby, divenuto poi vera e propria professione, lo vedeva ora, a
piedi, confrontarsi con un treno merci nello stato dell’Indiana.
“In effetti non ci sono altre
possibili spiegazioni…” rimuginava per l’ennesima volta il
velocista.
Qualche ora prima
“… “Torna alle origini”. Ecco
tutto ciò che mi ha rivelato prima di morire” terminò il suo
resoconto al resto della squadra.
“Probabilmente si riferisce al tuo
paese di origine” ipotizzava una comunque dubbiosa Sara “Oppure,
se si riferisce alle tue origini come mutante e non come essere
umano, può voler dire che devi tornare ad Indianapolis, dove ti
abbiamo raccolto noi dell’Humana”.
Alla fine il biondo sbottò “È
inutile stare qui a perdere ulteriore tempo, io mi metto subito in
viaggio! Se ci sono novità avvisatemi tramite Igor”.
Dopo altri secondi, era finalmente
davanti all’Indianapolis Motor Speedway, il circuito
automobilistico più famoso d’America.
“Perfetto!” disse soddisfatto Wayne
“Ed ora che sono qui, cosa faccio?”.
Mentre il nostro era impegnato dai suoi
mille quesiti, a pochi metri da lui si stava svolgendo una delle più
classiche scene tra studenti, per la precisione tre di essi avevano
fregato il sacchetto della merenda ad un quarto. Quest’ultimo si
presentava come un ragazzone di quasi 2 metri, capelli castani quasi
rasati ed un segno inequivocabile di obesità.
“Forza ciccione! Riprenditi il tuo
cibo!” lo sbeffeggiava uno dei tre bulli, mentre gli altri due
sghignazzavano sguaiati.
Il Soggetto N. 9, nonostante si
ricordasse bene che anche lui, in passato, era stato l’artefice di
tale comportamento scorretto, sapeva che ora non poteva lasciar
perdere. Ora era un eroe.
“Ehi, coglione! Ridagli subito il suo
pranzo!”.
Il trio si voltò all’unisono verso
il tizio vestito in rosso e giallo.
“E te chi cazzo sei? E come cazzo sei
vestito?”.
“Ma quello non è Wayne?”.
“Già! Oppure è uno che gli somiglia
molto! Magari sta girando un spot pubblicitario…”.
“Allora! Non mi hai sentito?”
insistette il mutante.
“Perché? Se non glielo restituisco,
che fai?” lo provocò quello che sembrava il capo.
Sul viso del pilota tornò a disegnarsi
un sorrisetto furbo.
In un attimo, il sacchetto unto si
trasferì magicamente dalle mani del bullo a quelle del suo legittimo
proprietario.
“Ma che cazzo?! Come hai fatto?”
imprecò il giovane verso quell’uomo che, secondo la sua vista
umana, non si era mosso di un millimetro.
“Ora levatevi dalle palle sennò,
fidatevi, potrei fare molto peggio” li minacciò senza possibilità
di repliche.
Come dei fulmini, i tre si dileguarono
nei meandri urbani.
Soddisfatto del suo operato, il biondo
si avvicinò alla vittima “Stai bene? Ricordati che non devi mai
farti mettere sotto da quella gente!”.
“G-Grazie” rispose a malapena lui.
“Inoltre uno come te, grande e
grosso, non può farsi mettere sotto da certi idioti!”.
Il ragazzone, apparentemente ritardato,
continuava a fissare il suo salvatore con un aria inebetita in volto.
Johnny tentò nuovamente con il dialogo
“Come ti chiami?”.
“Otto”.
“Otto? Ma sei di queste parti?”.
“Sì. Mia madre Germania”.
“Ok…” disse, comprendendo
approssimativamente che sua madre era di origini tedesche “Si sta
facendo tardi, faresti meglio a rientrare a casa ora”.
Otto, dopo aver salutato il suo nuovo
conoscente, decise di seguirne il consiglio.
Il Soggetto N. 9 seguì con lo sguardo
il tragitto dello studente. Di colpo, vide una macchina bianca che,
arrivata a tutta velocità, gli si fermò vicino sgommando. Subito da
essa uscirono due persone che, con gran rapidità, obbligarono il
ragazzo ad entrare con loro nel veicolo, che ripartì subito dopo.
Rimasto letteralmente sbigottito da
quel sequestro fulmineo, lo statunitense partì subito
all’inseguimento. notò subito che il guidatore dell’auto era
davvero abile, riusciva ad evitare le vetture che gli si presentavano
davanti con grande maestria. Chi trovò invece difficoltà fu proprio
lo stesso Johnny Wayne che, a causa della sua mente concentrata
esclusivamente sulla macchina, inciampò su un dosso antivelocità
presente sulla strada cittadina. Dopo un violento ruzzolone, andò a
schiantarsi contro un distributore di giornali lì vicino. Rimessosi
faticosamente in piedi, con subito un nugolo di curiosi accorso
attorno a lui, ripartì alla caccia senza dare alcune spiegazioni.
“Quei bastardi me la pagheranno!”
inveiva furioso il mutante in corsa.
Sempre più spericolata, l’automobile
passò a pochi centimetri dal muso di un’autocisterna. Questa,
rallentando appena in tempo per evitare l’urto, presentava ora di
fronte al velocista il proprio rimorchio. L’inseguitore, non
rallentando minimamente, la superò correndoci sopra, appoggiando
appena le punte dei piedi sulla superficie rotonda.
“Perché poi avranno rapito proprio
Otto e non me? Se ovviamente anch’essi sono dello Spettro Bianco…”
proseguiva nei suoi pensieri durante la corsa disperata.
A questo punto, fu un gioco da ragazzi
evitare ogni singolo operai presente in un cantieri per lavori in
corso. Nel mentre, il lunotto della macchina era sempre più vicino.
La mano del mutante riuscì quasi a sfiorarlo, poco prima che essa
svoltasse improvvisamente a destra.
Giunti nei pressi di un parco giochi
l’auto scavalcò, sobbalzando violentemente, un paio di aiuole, per
dirigersi nello spiazzo sterrato al centro di esso. Su un altalena lì
presente, vi era una bambina dai capelli corvini acconciati in due
codini laterali. Il veicolo ci stava andando a sbattere contro.
Notato ciò, il Soggetto N. 9 aumentò ancora di più la frequenza
dei suoi passi e, appena in tempo, riuscì a salvare la vita della
bimba.
“Stai bene, piccola?” le domandò
preoccupato l’uomo.
“S-Sì” riuscì malapena a
rispondere la ragazzina.
Nel frattempo, dall’automobile erano
usciti in tre, più l’ostaggio, tutti di bianco vestiti.
“Immagino siate dello Spettro
Bianco…” urlò al gruppetto, lontano da lui di almeno una ventina
di metri “Lasciate in pace quel ragazzo e vedetevela con me!”.
“Davvero mutante pensi di essere
nella posizione giusta per darci degli ordini?” gli replicò uno di
loro.
“A me non interessa far parte di
questa guerra fra bambini! Ma ben che meno voglio che sia coinvolta
gente come Otto! Quindi, lasciatelo andare!”.
“Guerra fra bambini? Come osi tu,
razza inferiore?” s’infuriò l’altro interlocutore “Comunque,
se davvero tieni a questo idiota, sappi che noi non lo stiamo
costringendo affatto!”.
Wayne rimase spiazzato da queste ultime
parole. A riprova di esse, però, Otto iniziò ad incamminarsi verso
la figura in rosso e giallo, con i suoi presunti sequestratori
immobili dietro di lui.
Il biondo, con pochi rapidi passi, gli
fu accanto.
“Che ti succede, Otto? Scappa ora che
puoi!”.
“Tu… Humana…” biascicò appena
il ritardato.
“Cosa? Aspetta, cosa ti ha detto
quella gente?” cercò di comprendere meglio la situazione.
L’energumeno riprese a muoversi.
Effettuati pochi passi, si posizionò dietro l’americano. Con
un’impensata rapidità, cinse le sue muscolose braccia attorno alla
sua vita e, con un perfetto supplex, lo mandò a schiantarsi al
suolo.
Dopo lo shock iniziale, l’uomo a
terra iniziò a percepire ben chiaro il dolore al collo. Con gran
fatica, riuscì a mettersi gattoni, dando così una nuova opportunità
al suo avversario per atterrarlo una seconda volta.
“Otto…” riuscì appena a
sospirare, a corto di fiato “Puoi anche far parte di quelli dello
Spettro Bianco, ma io non ti attaccherò”.
Il lottatore provetto sembrò esitare
un attimo. Poi partì con una chiave articolare al collo dello
sfortunato avversario. Ora il fiato era del tutto assente per il
mutante.
“Ri… Ricordati una sola cosa Otto…
quelli che ti hanno portato qui, hanno quasi investito una bambina…
io l’ho salvata”.
Inizialmente, le parole dello
statunitense sembrarono non scalfire minimamente il gigante
ritardato. Con il passare dei secondi, però, la sua stretta si fece
sempre più larga, fino allo sciogliersi del tutto.
Con l’aria nuova che gli entrava nei
polmoni, Johnny non smetteva di tossire, mentre Otto si rimetteva
lentamente in piedi.
“Cosa fai idiota? Finiscilo!” urlò
alle sue spalle uno dei terroristi.
Il nerboruto rimase immobile. Fu allora
che gli altri iniziarono ad inveirgli contro. Fino allo sparo.
Il Soggetto N. 9, ancora a terra, alzò
di scatto il capo, notando una macchia rossa nel gilet beige del
giovane farsi, via via, sempre più ampia.
Come una sequoia abbattuta, Otto cadde
esanime al suolo.
L’americano, con gli occhi sbarrati
dal terrore, gridò disperato il nome della vittima, cercando
inutilmente di risvegliarlo scuotendogli le spalle enormi.
Con le lacrime che gli scendevano
copiose dagli occhi, sussurrò “Figli di puttana!”.
Stretti i pugni, si rialzò per partire
all’attacco. Per poi fermarsi immediatamente. Tutti i nemici erano
stati resi inoffensivi. Gli altri otto erano entrati in azione.
Troppo tardi.
“J-Johnny…”.
Un filo di voce, appena udibile,
catturò l’attenzione di Wayne.
“Otto! Come ti senti? Non muoverti
che vado a chiamare i soccorsi”.
“T-Tu… mio… a-amico?”.
“Certo che lo sono!”.
Il giovane Otto spirò.
Lo statunitense riprese a piangere
disperato.
“Perdonaci
Johnny” a parlare era il Soggetto N. 3 “Non abbiamo fatto in
tempo”.
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Capitolo 4 *** Da gas, a neve ed infine acqua ***
CAPITOLO 4
“Da
gas, a neve ed infine acqua”
Una bella mattina soleggiata, di quelle
ideali per ascoltare gli usignoli cantare. Tranne che alla villa
degli Humana, dove il dolce suono emanato dai volatili è sostituto
dal rumore, ben più fastidioso, di un poligono di tiro improvvisato
dal Soggetto N. 4 all’esterno dell’edificio.
Al suo interno, l’aria era ancora
meno rilassata.
“Madre de dios!” imprecò furibondo
il messicano, mentre stava davanti allo schermo di un computer “Ma
è possibile che quello scemo là fuori faccia tutto questo casino?”.
“Perché sei così alterato? Stai
studiando per l’università?” gli controbatte Johnny.
“Ma quale università?!” gli
rispose seccato Bernardo “Volevo solo cercare di sapere com’erano
andati gli ultimi incontri di lucha libre”.
“Perché? Segui la lucha libre?”.
“Claro che sì! Non mi perdo un
evento!”.
“Ma come fa a piacerti quella roba?”.
“Tu sei un americano, non le puoi
capire queste cose”.
“Che c’entra? Il wrestling ce
l’abbiamo anche noi. Ma da voi avete tutti le maschere. Come fai ad
appassionarti ad un lottatore piuttosto che un altro?”.
“Non capisci niente! Il bello sta
proprio nella maschera!”.
“In che senso?”.
“La maschera per i luchadores è una
tradizione! Si tramanda di padre in figlio”.
“Sarà… senti! Il nostro cecchino
preferito ha smesso di allenarsi!”
“Bueno! Era ora!”.
Sfortunatamente, nel silenzio che si
era venuta a creare, cominciarono a sentirsi rumori di molteplici
passi pesanti.
I due in sala fecero appena in tempo ad
alzarsi che, come un uragano, una marea di soldati, tutti vestiti di
bianco, penetrarono dentro l’abitazione.
“E ora cosa vogliono questi?” urlò
allarmato il Soggetto N. 7.
Come a rispondergli, Sara Silvestri si
affacciò dalla tromba delle scale.
“Svelti Humana! Siamo sotto
attacco!”.
Ma, nonostante quest’ultimo disperato
avvertimento, i mutanti furono presto tutti circondati.
Da un’altra stanza, venne portata nel
salone Frédérique Arone, che continuava a domandare “Cosa sta
succedendo?”.
“Tenete alte le mani! Altrimenti vi
spariamo direttamente in testa!” intimò a loro uno dei soldati, i
cui volti erano coperti da maschere antigas.
“Ora che facciamo, Johnny?”
sussurrò all’orecchio dell’amico il baffuto Borghi.
“C’è ben poco da fare, Bernardo.
Questo match l’hanno vinto loro” gli rispose rassegnato il
biondo.
Seguendo gli ordini di colui che
sembrava il colonnello di quell’esercito, i nove abitanti di quel
quartier generale vennero portati fuori da esso, dove già li
aspettava l’italiano.
In uno spiazzo lì vicino, era appena
atterrato un grande aereo nero. In fila indiana, gli ostaggi vennero
fatti salire lentamente su quel veicolo. Una volta terminato quel
carico umano, l’aeroplano prese silenziosamente il volo. Al suo
interno, i deportati erano tenuti costantemente sotto il tiro di
numerosi mitra.
Dopo ore interminabili di volo, i
presenti iniziarono a sobbalzare, presagendo così l’effettuazione
di un atterraggio.
“Eccoci arrivati” osservò
sarcastico il Soggetto N. 2.
Dopo altri secondi, il portello di
scarico si aprì rivelando, agli occhi meravigliati dei prigionieri,
uno dei più classici paesaggi artici. I soldati che li aspettavano
al suolo, quasi confondendosi con il ghiaccio bianco lì presente,
salutavano i loro colleghi con il classico saluto nazista.
“Dove saremo ora?” domandò ai suoi
compagni un terrorizzato Chang Yu.
“Di certo siamo nella merda!” gli
rispose alterato Andrea.
“Silenzio!” gli intimarono i loro
carcerieri, puntandogli contro le loro armi da fuoco.
Dopo altri metri, la marcia si fermò
davanti ad un edificio di un solo piano, con la totale mancanza di
finestre sulle pareti e, a fare bella mostra di sé sulla porta
d’ingresso, una svastica in bassorilievo.
“Comandante! Gli obiettivi sono stati
tutti catturati!” informò un soldato, rivolgendosi ad alta voce ad
una figura lì vicino. Tale persona era avvolta da un lungo
impermeabile militare, con cui cercava il più possibile di ripararsi
dalla brezza gelida che soffiava in quel posto, ed un cappello con
visiera ben inculcato sulla testa.
“Benissimo! Procediamo pure con il
trattamento!” ordinò entusiasta.
I dieci furono fatti ripartire, sempre
con le canne dei mitra puntati su tutti loro, verso quell’anonimo
edificio dove, una volta aperta l’entrata, dovettero immettersi
rapidamente.
Quando anche l’ultimo di loro,
l’enorme Geran, fu dentro, con un rumore sordo, la porta si
richiuse alle loro spalle.
“E ora che si fa?” cercò
l’appoggio dei suoi compagni Borghi.
“Come mai ci hanno fatto entrare
qui?” replicò il cinese.
“Di certo, non ho un buon
presentimento…” sentenziò Juna, squadrandosi attorno.
“O-Oddio” balbettò un Igor mai
così terrorizzato “L-Loro v-vogliono…”.
Il ragazzino non fece tempo a terminare
la sua frase che si iniziò a udire un sibilo sinistro.
“Che succede?”chiese un’impaurita
Soggetto N. 3.
“Stanno usando il gas” informò il
resto del gruppo Sara, apparentemente impassibile “Bene Humana,
fate come vi dico: Non usate i vostri poteri, cercate di trattenere
il fiato il più possibile e, soprattutto, abbiate fiducia in me”.
“Abbiate fiducia in me? Qua stiamo
rischiamo di morire e lei ci dice soltanto di aver fiducia in lei?!”
protestò Lincon, vicino ad una crisi di nervi.
“Calmati Jack! Può darsi che Sara
abbia un piano!” lo richiamò Wayne.
Ormai la nuvola letale era sempre più
incombente su di loro. Improvvisamente Sara si afferrò un orecchio,
avvertendo gli altri “Appena usciamo fuori di qui, corriamo subito
verso l’aereo. Altrimenti, non avremo scampo”.
Alcuni degli Humana stavano per perdere
i sensi quando la bionda, si staccò un orecchino dal lobo e,
premutolo appena, lo lanciò contro una parete nelle vicinanze. Tempo
tre secondi ed il gioiello esplose, lasciando una discreta apertura
nel muro.
Era la loro occasione: Johnny scattò
prima di tutti, per raggiungere a supervelocità l’aereo, seguito a
ruota da Jack, che volava ad altezza uomo. Bernardo si era tramutato
in una motoslitta, facendo salire su di essa Igor e Frédérique.
Andrea aveva trasformato la sua mano in una Glock, pronta ad ogni
evenienza.
La loro fuga disperata tra i proiettili
che iniziarono ad occupare l’aria, grazie anche alla resistenza
delle loro uniformi, ebbe successo. Appena salita a bordo, Sara prese
i comandi del veicolo. Prima che lo sportello si richiuse, Soggetto
N. 4 sparava a vista a chiunque si avvicinasse, mentre Soggetto N. 5
lanciò contro i nemici un armadio di munizioni presente all’interno
del vano.
“Grazie al cielo siamo salvi!”
esultò felice la francesina.
“… Dunque sono giunta a questa
conclusione” terminò il suo discorso Silvestri.
I nove l’ascoltarono in religioso
silenzio, senza proferir parola.
“Ehi Frédérique, controlla che non
ci abbia seguito nessuno” le ordinò Alberti.
“Negativo, signore” rispose secca
lei.
“Ok Sara, fai quello che devi” la
spronò l’americano.
L’assistente fece un’ultima
carrellata degli sguardi del suo gruppo. Poi tornò a guardare in
basso, dalla plancia di comando, e premette un bottone. Con un forte
sibilo un missile, lanciato dall’aereo, andò a schiantarsi sulla
villa che, fino ad allora, gli aveva dato rifugio. Tutti fissavano
l’enorme palla di fuoco che ora era diventata.
Il Soggetto N. 6 guardò un attimo di
lato poi, rivolgendosi a Borghi, gli disse “Mi chiedo come mai lui
abbia voluto andare a fuori ad assistere a tutto ciò”.
“Puro esibizionismo!” proclamò il
messicano, fissando a sua volta il Soggetto N. 2 che, a differenza
degli altri, ora si trovava all’esterno dell’aereo, fluttuando lì
nelle vicinanze.
All’interno del jet l’indiano,
seguendo il suo istinto, iniziò ad intonare un’antica cantilena
della sua tribù, tenendo un mano sulla spalla di Sara e l’altra su
quella del più piccolo della compagnia.
Tutta quell’improvvisa ansia ad Igor
aveva fatto tornare in mente l’inizio di quella sua vita, mentre in
Siberia cercava inutilmente di scappare a quell’emissario dello
Spettro Bianco. Come in quella triste occasione, quella figura nera
lo stava braccando sempre più.
“Aiuto!” fu l’unica cosa che
riuscì a gridare, con la voce della mente, prima che il buio lo
avvolgesse.
“E io che gli avevo chiesto soltanto
di andarmi a fare la spesa” erano ormai delle ore che il signore
cinese non si dava pace.
“Ti prego, calmati Chang. Nessuno
pensava che anche qui in Austria potevamo essere in pericolo”
cercava di tranquillizzarlo Arone, anche lei in pensiero per le sorti
del piccolo russo.
“D’ora in avanti saremo sempre in
pericolo!” rifletteva ad alta voce il Soggetto N. 9.
“Forse io posso esservi d’aiuto”.
I tre si voltarono nella direzione da
cui era provenuta quella voce. Con loro grande stupore, videro un
ragazzino molto rassomigliante al loro membro scomparso, che per di
più indossava la loro stessa uniforme.
“Te chi sei?” domandò ancora
allibita Soggetto N. 3.
“È quel coglione di Bernardo!” gli
rivelò Andrea, appena sopraggiunto.
“Cosa?!” esclamò la francesina,
sempre più sorpresa “Come mai ti sei conciato così?”.
“Perché ho pensato che, se riduco la
mia età apparente a quella di Igor, forse posso mettermi in contatto
con lui”.
“Non credo che basti questo” smontò
subito la sua ipotesi Sara “Se avesse potuto, il Soggetto N. 1 ci
avrebbe di certo già contattato, grazie ai suoi poteri”.
“Se non altro, così ci hai
guadagnato in bellezza” ironizzò Lincon.
“Almeno io sto provando a fare
qualcosa!” sbottò il finto bambino “Voi invece cosa state
facendo per ritrovarlo?”.
“Ma stai zitto!” lo zittì il
Soggetto N. 4.
“Secondo voi sono stati quelli dello
Spettro Bianco?” chiese ai compagni Juna.
Nessuno rispose poiché,
improvvisamente, tutti i presenti percepirono qualcosa.
“Avete sentito anche voi?” cercò
conferme la ballerina.
“Certo. Non c’è dubbi: era lui!”
sentenziò Silvestri.
“E ora cosa facciamo?” chiese lumi
il congolese.
“Lo andiamo a riprendere, che
domande!” saltò su il messicano.
“E se fosse una trappola?” ipotizzò
diffidente l’italiano.
“Sembra come se stessimo usando un
radar” tentò di spiegare l’americano “sappiamo più o meno
dove si trova, però non ne siamo totalmente certi. Almeno finché
non lo raggiungiamo di persona”.
“Il grande spirito ci guiderà”
proclamò l’indiano.
“Bene! Io vado. Almeno con la mia
velocità prima lo trovo e meglio è!” si apprestò a partire
Johnny.
“Aspetta vengo anch’io!” lo
bloccò il falso ragazzino.
“Perché dovresti venire anche te?
Soprattutto in quelle condizioni poi”.
“È proprio perché sono così che
posso esserti utile! Magari è gente che ruba i bambini. Avrei più
possibilità io a trovarli che te”.
“L’unico che mi può essere utile è
Jack. Così mi perlustra la zona in modalità aerea”.
“Eh va bene” acconsentì il
britannico “Allora andiamo?”.
Nel giro di qualche minuto, la coppia
partì al possibile salvataggio. Tuttavia, non si accorsero di essere
in realtà in tre. Di fatti, non visto dagli altri, il mutaforma era
ora diventato un pidocchio, attaccato saldamente ai capelli tinti di
biondo del pilota di Formula 1.
La loro ricerca stava, come speravano,
dando i suoi frutti, portandoli in un vallico alpino, ai confini con
l’Italia.
“Che sia davvero questo il posto?”
Jack Lincon domandò al compagno, sperando di farsi capire tra il
forte rumore delle raffiche di vento e neve.
“Credo proprio di sì. Certo che non
mi aspettavo si trovasse dentro un castello” esclamò lo
statunitense, continuando a fissare la cupa magione che si trovava in
basso, a circa un chilometro da loro.
“Allora? Che aspettiamo?”.
I due sobbalzarono nell’udire quella
voce improvvisa.
Giratisi, si trovarono di fronte il
Soggetto N. 7, accucciato come loro dietro ad un masso.
“Che cazzo ci fai qui?” gli inveì
subito contro Wayne.
“Dovevi rimanere con gli altri!” lo
appoggiò l’inglese.
“Piantatela! Sono qui per darvi una
mano e basta!” tagliò corto il nuovo arrivato “Da qui, sembra
che ci siano almeno tre guardie” informò i suoi compagni, con gli
occhi tramutati in una specie di binocolo.
“Bene. Jack, tu prendi il volo. Noi
andiamo a piedi” decise il piano il Soggetto N. 9.
“Roger” obbedì l’altro.
Come una macchia rossa e gialla appena
visibile, Johnny, con il finto ragazzino caricato sulle spalle,
sistemò tutte le persone nel giardino del castello.
Nel frattempo, in aria, il dandy aveva
notato altre persone sui torrioni. Planando giù in picchiata, li
lasciò esanimi alle loro postazioni.
Anche Borghi si diede da fare,
calciando la testa di un nemico che si stava destando troppo presto.
“Sistemati” annunciò Jack,
atterrando.
“Perfetto. Entriamo allora!”
esclamò lo statunitense.
Per far ciò, quest’ultimo si fece
dare un passaggio dal suo collega volante, atterrando oltre le mura
della magione. Appena con i piedi per terra, dei ringhi preoccupanti
lo rimisero subito in guardia. Voltato appena il capo, notò cinque
dobermann partire all’assalto. Con uno dei suoi scatti, raggiunse
una porta lì vicino, dove si stava apprestando ad entrare anche il
Soggetto N. 2.
Una volta al sicuro, il finto ragazzino
si staccò dalle spalle dell’americano per, una volta tramutatosi a
sua volta in cane, abbaiare contro ai suoi simili.
“Smettila Berny!” lo richiamò
all’ordine il biondo.
“Cosa sono quelle?” richiamò
l’attenzione degli altri due il dandy.
L’americano guardò i punti indicati
dal suo compagno “Sembrano delle telecamere di sorveglianza”.
“Ah no!” s’infuriò il messicano
“Nessuno ha il diritto di riprendermi senza il mio permesso!”.
Detto ciò, il mutaforma si avvicinò
ad una parete, toccandola e, nel giro di qualche secondo, il suo
corpo era diventato quello di un piccolo geco.
Ancora colpiti dalle capacità del
Soggetto N. 7, i due mutanti rimasti riconobbero appena un singhiozzo
infantile.
Più decisi che mai si precipitarono
verso una nuova porta. Una volta spalancatola, si trovarono davanti
una figura inquietante. Un uomo sulla sessantina, basso, con lunghi
capelli bianchi spettinati a fare come da cornice ad un paio di occhi
spiritati.
“Benvenuti mutanti nella mia umile
dimora”.
“Te chi diavolo sei?” tagliò corto
Wayne.
“Mi chiamo Roland Fuchs e, come
avrete immagino già intuito, faccio anch’io parte del glorioso
gruppo dello Spettro Bianco”.
“E osa pure chiamarlo glorioso
gruppo?” lo redarguì il britannico “Comunque, siamo qui per
recuperare un ragazzino. Ed è inutile che lei dica di non saperne
niente, dato che sappiamo per certo che Igor si trova qui”.
“Beh sappiate che qui di ragazzini ce
ne sono per tutti i gusti. Non mi credete? Allora guardate pure da
voi!” detto ciò, indicò al trio un punto in penombra della
stanza. Di colpo esso s’illuminò, mostrando un cilindro in vetro
con, al suo interno, un gruppo di bambini terrorizzati, tutti
completamente nudi.
“Ma che cazzo?” imprecò il biondo.
“Madre de dios! Vuoi dire che tu
sei…” disse Bernardo.
“Esatto! Io sono un pedofilo”
concluse l’austriaco.
“Figlio di puttana!” urlò lo
statunitense, partendo immediatamente all’attacco.
Giunto a pochi centimetri dal suo
obiettivo, una forza invisibile lo sbalzò in aria. Prima che se ne
capacitasse, anche a Lincoln fu riservato il medesimo trattamento.
Borghi, per sua fortuna, fece appena in tempo a cambiarsi in una
palla da tennis, ballonzolando per tutta la sala.
“Che cazzo succede?” riuscì a
malapena a dire un Soggetto N. 9 dolorante sul pavimento.
“A quanto pare” gli rispose Fuchs
“Il vostro compagno non ha alcuna intenzione di seguirvi per
tornare da voi”.
Lontano dall’attenzione della gente
presente, la piccola sfera giunse in un altro angolo della stanza.
Con sua somma sorpresa, vi trovò accucciato proprio il piccolo
russo.
In un attimo, la pallina tornò ad
essere il baffuto “Igor! Finalmente ti ho trovato! Svelto, aiutaci
a sconfiggere quella bestia così possiamo tornare a casa!”.
“Io non voglio venire” lo informò
a sorpresa l’interessato.
“Cosa? E perché?”.
“Lui ha detto che qui sono al
sicuro…”.
“Ma cosa dici? Sai cosa fa a quei
bambini?”.
“Lo so. Ma so anche che li protegge
dal mondo esterno”.
“Dai Igor, non scherzare! Non puoi
davvero pensare che sia meglio vivere con quel pedofilo schifoso!”.
“Ma così lo Spettro Bianco non mi
darà più la caccia”.
“E ti rovinerà per sempre la vita!
Noi invece faremo tutto il possibile per che ciò non accada! Ti
prego, Igor, torna con noi a casa”.
“Ma non abbiamo più una casa!”.
“Finché noi Humana staremo insieme,
quella sarà casa tua e di tutti noi!”.
Il bimbo rimase per qualche secondo in
silenzio.
“Io ho paura…” riprese poi.
“Tutti abbiamo paura! Ma io ed i
ragazzi ti daremo una cosa che, di certo, quelli dello Spettro Bianco
non potranno mai garantirti: la libertà”.
Il telepate riprese il suo mutismo,
stando sempre ben attento agli altri due membri, ancora schiacciati a
terra da una pressione invisibile.
“Ti prego, Igor!” gli gridò
disperato il Soggetto N. 7 “Lascia stare Johnny e Jack e libera gli
altri bambini!”.
Una nuova luce brillò nei suoi giovani
occhi che, fino ad allora, erano come spenti e senza voglia di
vivere.
“… Ed ora, se permettete,”
esclamò il padrone di casa “lasciate che mi sfoghi un po’ su
questi… ah!”.
Di colpo, un forte dolore aveva colpito
la testa del criminale. Era come se tutto il suo perverso cervello
volesse evadere dal cranio.
“Bravo, così! Ora libera i
ragazzini!” lo incitò Bernardo.
Wansa obbedì, mandando in frantumi la
loro prigione di vetro. Senza accorgersene, riservò lo stesso
trattamento anche al capo di Roland Fuchs.
Corsica
In quella tranquilla spiaggia
soleggiata, per gli Humana sembrava giunta un po’ di pace.
“Questo posto è davvero un
paradiso!” esclamò Bernardo mentre, in pieno rilassamento, si
abbronzava in costume, con sugli occhi un paio di occhiali da sole.
“Dunque era qui che tu, onorevole
Frédérique, passavi le vacanze estive della tua infanzia?”
domandò Chang, visibilmente interessato sotto l’ombrellone.
“Esatto” gli rispose l’interessata
“questo posto mi fa ricordare tutti i bei momenti che avevo con i
miei genitori e la mia sorellina…”.
“Prima che cominciasse tutto questo
casino” concluse la frase della donna, Andrea.
Nel frattempo, Igor si divertiva a
creare castelli sempre più dettagliati con la sabbia. Come un
fulmine a ciel sereno, un boato esplose sott’acqua, nelle vicinanze
del golfo in cui si trovavano loro.
“Cos’è stato?” chiese
preoccupato Jack.
“Ora lo vedremo” esordì Sara
“Soggetti N. 7, 8 e 9 andate ad indagare!”.
Erano ormai dei mesi che i mutanti si
allenavano sotto i preziosi consigli della bionda quindi, i tre
uomini nominati, le obbedirono immediatamente come soldati fedeli.
Ovviamente, il più rapido di tutto fu
Juna che, una volta entrato in quello che era diventato il suo
elemento naturale, iniziò subito a perlustrare la baia. Johnny
riuscì a recuperarlo grazie alla sua velocità sovrumana, mentre
Borghi se la prese con più calma, trasformandosi in un non meglio
specificato pesce.
Dopo minuti di ricerche, l’africano
si trovò davanti qualcosa d’insolito. Lì per lì sembrava un sub
che si dilettava nel suo hobby però, ad una più accurata
osservazione, si notava che il suo corpo non era totalmente umano.
Quest’ultimo, una volta accortosi di
essere stato scoperto, tentò la fuga riemergendo. Ma gli Humana gli
furono subito addosso.
“Chi sei tu?” gli urlò contro
l’americano.
L’essere non emise alcun suono.
“Forse non capisce la nostra lingua.
Magari è francese” ipotizzò lo zairese.
“Bene. Allora portiamolo dagli altri”
concluse Wayne.
Una volta riconosciuta la sua lingua
madre, il cyborg acquatico rivelò tutto ciò che sapeva al Soggetto
N. 3.
“Dice che, già da qualche settimana,
in questa zona si verificano delle preoccupanti esplosioni subacquee.
Perciò, gli uomini del governo francese hanno costruito un
particolare modello di robot, resistente alle più elevate pressioni
sottomarine”.
“In effetti un robot ci mancava al
nostro gruppo!” ironizzò il messicano.
“Anche se forse non si tratta dello
Spettro Bianco” esordì Silvestri “Dobbiamo comunque indagare, se
vogliamo usare a fin di bene i vostri poteri”.
“Bueno. Allora che si fa?” domandò
Borghi.
“Direi che l’unica cosa che
possiamo fare è… tuffarci in acqua!” sentenziò lo statunitense.
“Chi va di noi?” chiese un
impaziente Soggetto N. 4.
Alla fine furono inviati, oltre agli
ultimi due che avevano parlato, anche il nuotatore della squadra.
La prima ora di ricerche, con Johnny ed
Andrea che erano muniti di respiratori, fu totalmente infruttuosa.
Passato qualche minuto, il trio notò la totale assenza di fauna
sottomarina. Procedendo fin dove la luce del sole riusciva ad
illuminarli, ne incontrarono nuovamente una. Per loro sfortuna, si
trattava di un esemplare in salute di squalo grigio. I tre, tenendosi
ovviamente ad una distanza di sicurezza, notarono qualcosa di strano
attaccato al suo tronco. Era una scatola rettangolare nera, con una
lucina rossa che s’illuminava ad intermittenza. Tale ordigno fece
scattare un campanello d’allarme nella testa dei mutanti. Tali
pensieri furono rilevati da Wansa che, sulla spiaggia e coadiuvato
dal resto del gruppo, si teneva in contatto con loro.
“Dì al Soggetto N. 8 che renda
inoffensivo l’animale il più velocemente possibile, così poi
possono portarlo qui da noi” ordinò Sara.
I dettami furono comunicati e, sebbene
non particolarmente euforico della scelta, Juna obbedì.
Messosi fuori dalla visuale del
predatore marino, gli afferrò appena la pinna caudale e, scivolando
nell’acqua, lo rovesciò supino, rendendolo così in uno stato
catatonico.
Una volta tornati sulla spiaggia, con
sorpresa di tutti, ci pensò Sara Silvestri a disinnescare la bomba,
staccandola nel contempo dal pescecane.
“Ora cosa ne facciamo di lui?”
domandò il Soggetto N. 5.
“Io avrei un’idea…” propose
Bernardo, tra lo stupore dei presenti “Potremo rimetterlo in acqua,
così da vedere se tornerà da quelli che gli hanno messo la bomba
addosso”.
“Potrebbe funzionare” acconsentì
la bionda “Bene. Johnny, dirigi la squadra”.
Tutta la compagnia stava seguendo il
pellerossa, impegnato a ributtare in mare lo squalo.
“Fermi tutti! Qualcuno dovrà
comunque rimanere qui. Con me voglio Juna, Chang ed anche Andrea”.
“Ehi! Aspetta un attimo! Andate solo
voi?!” si lamentò il Soggetto N. 7.
“Bernardo ha ragione” Concordò
Arone “Devo venire anch’io con voi, dato che si tratta della mia
nazione di appartenenza”.
“Se te la senti Frédérique…” il
pilota non sembrava molto entusiasta.
“Certo che me la sento!”.
“Io verrò con voi” si candidò il
robot francese.
Alla fine, i prescelti si tuffarono in
acqua, seguendo come spie la rotta presa dal letale pesce, nonostante
il proseguo delle proteste da parte del messicano.
In molti avevano dei dubbi riguardanti
il cyborg che li accompagnava. Essi però furono dissipati quando
l’androide, accortosi di una murena che si avvicinava minacciosa
alla sua connazionale, la fulminò con un piccolo raggio laser
proveniente dai suoi occhi.
L’animale si stava ora insinuando tra
vari corpi scuri galleggianti nel fondo del mare. Fu allora che
l’italiano fece appena in tempo, grazie all’aiuto del telepate,
ad avvertire gli altri della pericolosità di quelle mine
sottomarine.
Poco più in là, lo squalo era entrato
a malapena dentro una spaccatura nella roccia. Tenendo gli occhi ben
aperti, i sei vi entrarono a loro volta.
Appena riemersi, i mutanti si
squadrarono tutti attorno, trovandosi all’interno di un’umida
grotta. L’essere metallico lanciò un dardo soporifero al
pescecane, facendolo addormentare.
“A prima vista sembra tutto normale”
iniziò il Soggetto N. 9 “Frédérique, controlla tu”.
La donna proseguì ad osservare
l’ambiente tutto attorno a loro. Poi si pronunciò “C’è
qualcosa dietro quelle rocce”.
“Bene bene. Ora anche signor Yu può
essere utile!” esclamò entusiasta il cinese.
Ispirando profondamente, lanciò contro
la parete rocciosa una potente fiammata, facendola sciogliere in un
attimo.
Passati dentro quella nuova apertura,
si trovarono dentro un lungo corridoio, con pareti, soffitto e
pavimento tutto in metallo. Poco più avanti notarono una figura,
tutta vestita di bianco, armata di fucile.
Prima che tutti i presenti se ne
potessero capacitare, Andrea Alberti, con la mano destra già mutata
in arma da fuoco, sparò contro la guardia, colpendola in mezzo alla
fronte.
Quasi in simultanea, si cominciò ad
udire il forte rumore di una sirena.
“Tu fatto scattare allarme, testa
calda!” lo rimproverò il Soggetto N. 6.
“Cazzo!” imprecò il cecchino.
“Ok, ognuno per sé gente! Ci
ritroviamo qui tra mezz’ora” ordinò l’americano, ricordando
quando faceva la medesima cosa quando era piccolo con i suoi amici.
Nonostante ciò, l’unico ad
allontanarsi dal gruppo fu il mutaforma. Gli altri cinque
proseguirono, trovandosi all’interno di un enorme hangar.
Dopo una rapida occhiata, il biondo
informò gli altri “Lì sotto è pieno di quei bastardi”.
“Ci pensò io!” disse Juna, mentre
si toglieva uno stivale.
Gli altri lo fissavano perplessi.
“Così noi freghiamo i leoni” tornò
a parlare l’africano, lanciando la calzatura il più lontano
possibile.
Tutte le guardie si affrettarono verso
il punto da cui era provenuto il rumore dell’atterraggio.
“Perfetto! Io vado avanti!” informò
Wayne, prima di sparire nel nulla.
Con la sua supervelocità, non dava
tempo ai suoi nemici di accorgersi della sua presenza, mettendoli ko
uno dopo l’altro.
I quattro rimasti erano a loro volta
ben protetti dalle fiammate del Soggetto N. 6 e dagli occhi laser del
robot.
D’un tratto, un improvviso terremoto
fece finire la francesina con il sedere per terra.
“Che cos’è stato?” chiese
allarmata.
A rispondere a lei, come a tutti gli
altri, ci pensò il russo “È stato Andrea! Ha trovato il modo di
far saltare tutto in aria! Scappate più veloci che potete!”.
“Allora?! Ce l’hanno fatta?”
domandava insistentemente il Soggetto N. 7.
Igor aspettò ancora qualche secondo
prima di rispondere “Sì, ce l’hanno fatta”.
Tutti i presenti sulla spiaggia
tirarono un grosso respiro di sollievo.
Sottacqua, lo zairese si accorse del
suo compagno italiano in difficoltà. Tempestandolo d’insulti
mentali per come aveva agito, lo trascinò via con sé, stando
attento alla sua gamba ferita. Dopo poco, si ricongiunsero agli altri
a cui si erano uniti per quella faticosa avventura.
Era ormai una settimana che Borghi
perlustrava i fondali corsi, anche grazie all’aiuto del robot
francese, ma di altri squali minacciosi non vi era nemmeno l’ombra.
Mentre stava risalendo in superficie,
sotto forma di delfino, notò però una sagoma singolare. Essa era
troppo grande per essere uno squalo ma, al contempo, troppo piccola
per essere una balena. A pochi metri da lei notò che il suo corpo
era totalmente formato di metallo. Sempre più allarmato, raggiunse
rapidamente gli altri.
“… Ve lo giuro! C’è un
sottomarino vicino alla costa! Sembra uno di quelli dei nazisti!”
proseguiva nelle sue affermazioni il mutaforma.
“Un U-Boot?” chiese perplesso
Andrea.
“Può anche darsi. In effetti,
rientra tutto nello stile dello Spettro Bianco” ipotizzò Sara.
“Oddio! Ci mancava anche questa!”
esclamò infastidito Jack.
Mentre il gruppo proseguiva nelle sue
discussioni, l’occhio nascosto di un periscopio li osservava da
lontano. Il sommergibile era ora quasi a pelo d’acqua e, con un
meccanismo estremamente silenzioso, pronto a lanciare il suo primo
missile.
Il sibilo che esso provocò, appena
fuoriuscito dal mare, catturò l’attenzione degli Humana. Questi
ultimi, in preda al panico, cercano di mettersi in salvo più
velocemente possibile. Nella confusione, Chang Yu cadde a terra,
facendo a sua volta finire sulla sabbia Silvestri.
“Mettetevi tutti al riparo che ci
bombardano!” urlava a squarciagola Alberti.
Incredibilmente, il primo attacco non
venne replicato dai terroristi. La calma apparente che si era venuta
a creare permise al Soggetto N. 9, in un lampo, di raggiungere la
responsabile della loro squadra.
“Che cosa si fa, Sara?”.
“L’unica cosa da fare è rendere
inoffensivo quell’U-Boot” tagliò corto la bionda.
“Forse da qui riesco a colpirlo”
propose l’italiano.
“Non siamo sicuri della sua
posizione. E poi l’esplosione potrebbe avere un effetto tsunami
sulla spiaggia” concluse la sua connazionale.
“Io riesco a vedere dove si trova!”
esclamò la francesina.
“Benissimo! Indicamelo che così li
raggiungo!” le propose il Soggetto N. 8.
Appena lei ebbe obbedito a quanto
dettole, Juna si tuffò in mare, nuotando più rapidamente possibile
verso il suo obiettivo.
“Ma non sarebbe meglio che qualcuno
andasse con lui?” domandò l’inglese.
Sara ci pensò un po’ su, poi ordinò
”Soggetto N. 9, vai con lui”.
Wayne, per niente sorpreso da quella
scelta, si tuffò a sua volta in acqua, usando le sue gambe
ultrasoniche per raggiungerlo.
Senza proferir parola, l’energumeno
indiano si avviò verso il bagnasciuga. Nonostante gli altri lo
chiamassero a gran voce, egli seguì gli altri due.
Intanto, dentro il sottomarino…
“Signore!” uno degli addetti ai
radar richiamò l’attenzione del suo superiore “I mutanti si
stanno avvicinando a noi!”.
“Eccellente!” rispose il capo
“Appena sono abbastanza vicini, tu attiva il congegno”.
“Sissignore!”.
Lo zairese e l’americano furono lì
per lì sorpresi di ritrovare con loro il pellerossa, ma subito
concentrarono le loro attenzioni verso il veicolo appena scoperto.
Come ad accoglierli, da un’apertura laterale dell’U-Boot comparve
un gigantesco tentacolo meccanico. Questo, nonostante la resistenza
provocata dall’acqua, riuscì a separare il trio, lanciandogli
contro un fendente.
Mentre Johnny cercava di ristabilire il
contatto telepatico con la spiaggia, il tentacolo si avvolse attorno
al più grosso di loro. Grave errore di valutazione da parte dello
Spettro Bianco che vide, con suo grande rammarico, il Soggetto N. 5
spezzarlo come fosse fatto di carta.
Gli uomini in rosso e giallo ebbero
però poco da esultare dato che, da dietro il sommergibile,
iniziarono a comparire delle loro vecchie conoscenze: Gli squali.
Questa volta, fortunatamente, senza alcun ordigno esplosivo attaccato
al corpo.
Per nulla intimorito, Geran si avventò
contro uno di loro, stringendolo al tronco e, senza alcuno sforzo
apparente, spezzandolo ad angolo retto. Gli altri due, ispirati dalla
prestazione dell’amico, partirono loro stessi all’offensiva.
Johnny attraversò letteralmente da
parte a parte uno dei pesci, provocando una vera e proprio esplosione
del suo corpo, facendo comparire per un attimo materia solida dove
già era presente.
Juna, invece, riuscì a far azzannare
tra di loro un gruppetto di pescecani, evitando un loro attacco
combinato.
Vistosi definitivamente sconfitto, il
sottomarino cercò di mettere in atto una ritirata disperata. I tre
mutanti partirono all’inseguimento, trovandosi ad evitare vari
banchi di pesci piccoli, disorientati da cotanto movimento a quelle
profondità.
“Speriamo che i respiratori di Johnny
e Geran siano ancora carichi…” pensava il Soggetto N. 8,
sentendosi arrivare, nel giro di qualche secondo, una risposta
affermativa da parte di Igor.
Con poche bracciate, furono sopra il
loro obiettivo. Subito, Giunan si mise a tempestare il mezzo con
devastanti pugni.
Trovato il portello esterno, lo
statunitense richiamò a grandi gesti il suo compagno, chiedendogli
di staccarlo di netto. Il gigante eseguì in un attimo.
Divelto anche il portello interno,
l’acqua iniziò ad entrare dentro lo scompartimento.
Fatto appena capolino, il Soggetto N. 9
si vide sfiorare l’occhio da un proiettile.
“Fuori di qua, svelti!” urlò con
quanto fiato aveva in corpo, vincendo anche il rumore dell’acqua
che scendeva a cascata dall’alto.
Rimessosi
i respiratori, Johnny e Giunan seguirono l’africano verso la
salvezza.
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Capitolo 5 *** A Waterloo, fra tigri e licantropi ***
CAPITOLO 5
“A
Waterloo, fra tigri e licantropi”
“Ad una prima occhiata…” informò
i due compagni Andrea “sembra decisamente un panzer tedesco, uno di
quei carri armati utilizzati nella seconda guerra mondiale”.
“Figurati! Io fino a qualche secondo
fa non sapevano nemmeno che esistesse una città di nome Waterloo!”
sbraitò innervosito Bernardo.
“Ora fate silenzio e proviamo a
seguirlo” ordinò stizzito Johnny.
I tre, coperti da una fitta boscaglia,
era da un’ora che seguivano i movimenti del pesante cingolato nella
città belga.
“Merda! Si è fermato!” informava
gli altri il messicano, già completamente sbiancato in viso.
Mentre il panzer manteneva la sua
immobilità, il trio aveva sempre più brividi sulla schiena.
Nonostante i loro nuovi poteri acquisiti, il terrore di trovarsi
quell’enorme cannone puntato contro era palpabile in loro.
Quando i cingolati ripresero a
scivolare, tutti e tre gli Humana tirarono un forte sospiro di
sollievo.
“Avevo già visto tutta la mia vita
passarmi davanti…” informò gli altri Wayne “Ok, proseguiamo
con la nostra missione ma… state sempre con gli occhi aperti!”.
I mutanti seguirono le indicazioni
dell’ex-pilota mentre il panzer, con sorprendente facilità,
superava una collinetta nei paraggi. I pedinatori, per la prima
volta, furono costretti a seguirlo in campo aperto per poi, superata
la suddetta collinetta, trovarsi davanti uno spettacolo inaspettato.
A prima vista, quell’accampamento
aveva tutte le sembianze di un campo militare, seppur costituito in
maniera decisamente spartana. I guerriglieri presenti poi, con i loro
volti coperti, difficilmente facevano pensare che, dietro a tutto
ciò, ci fossero gli americani.
Il carro armato si fermò una seconda
volta, mentre molti dei presenti si affollavano attorno ad esso. Dopo
un forte clangore metallico, uno sportello rotondo si aprì sulla
sommità del veicolo. Da esso spuntò fuori una persona tutta vestita
di bianco che, immediatamente, si mise a discutere con quello che
sembrava il capo dei terroristi.
“Da quassù non si riesce a capire
nulla!” si lamentava spazientito l’italiano mentre, come gli
altri due, si era sdraiato sull’erba nell’altro lato del colle.
“Anche se ci fosse Igor, se non
riusciamo ad udire bene le parole la sua traduzione istantanea
sarebbe inutile” ricordò lo statunitense mentre, nel contempo,
cercava di leggere le labbra dei nemici, senza troppa fortuna.
I ragazzi in rosso erano così
concentrati da quel campo di addestramento, da dimenticarsi
dell’ambiente attorno a loro. Fu un grave errore. Un ticchettio
metallico catturò l’attenzione del baffuto del gruppo.
Appena voltatosi, egli esclamò “Oh
mio dio!”.
Gli altri due, stupiti da
quell’esclamazione, si voltarono a loro volta, trovandosi numerose
canne di fucili puntate addosso.
Dopo quella maledetta iniezione, non
solo il modo di agire, ma anche quello di pensare si era decisamente
accelerato in Johnny Wayne. Nel giro di qualche millisecondo, afferrò
i suoi compagni per le spalle e, con essi, si fiondò dentro il bosco
lì nelle vicinanze.
Alberti, una volta ripresosi da quella
realtà accelerata, era già pronto a fare fuoco con un Kalashnikov
al posto della mano destra.
“Aspetta Andrea! Non puoi far fuoco
se prima non siamo certi che anche loro facciano parte dello Spettro
Bianco” lo bloccò in tempo il Soggetto N. 9.
“Fanculo!” imprecò il militare,
desistendo dal suo intento.
“E allora cosa facciamo?” domandò
Borghi sull’orlo di una crisi di nervi.
L’americano ci rifletté un po’ su
“Ci arrenderemo”.
“Cosa?!” gli urlò contro
l’italiano.
Intanto le truppe gli erano ormai
addosso. Appena li vide abbastanza vicini, Johnny alzò le mani in
segno di resa. Il Soggetto N. 4, digrignando i denti, ed il N. 7,
rischiando seriamente un infarto, fecero altrettanto.
“Gettate le armi!” ordinò secco
uno di loro, ora facilmente comprensibile.
“Non siamo armati” li informò il
capo del trio.
Colui che prima aveva parlato, sempre
tenendoli sotto tiro con la sua arma da fuoco, si mise una
ricetrasmittente vicino alla bocca “Li abbiamo catturati”.
I prigionieri furono dunque scortati
dalla persona in bianco e dal capo dei guerriglieri.
Quest’ultimo, con una barbetta ispida
e scura che ti puntava minacciosa come i suoi occhi, iniziò ad
interrogarli.
“Chi siete? Chi vi ha mandato?”.
Wayne tentò di prendere tempo “Siamo
semplici turisti…”.
A quello sbeffeggiamento, l’arabo
rispose con un diretto in pieno viso.
“Ti va di scherzare, eh, yankee?”.
L’uomo colpito sollevò a fatica il
capo e, con il labbro inferiore sanguinante, ghignò beffardo al suo
avversario. Lui, senza batter ciglio, gli sparò in pieno petto.
Gli altri mutanti rimasero spiazzati da
quest’ultimo avvenimento. Fortunatamente, si ricordarono che le
loro uniformi erano totalmente antiproiettile.
“Ed ora…” riprese la parola
l’assassino “chi è il prossimo?”
Mentre squadrava i due sopravvissuti,
notò subito che Borghi tremava tutto come una foglia, mentre Alberti
lo minacciava con uno sguardo di sfida. Divertito, si avvicinò al
messicano.
“Sarebbe anche troppo semplice farti
sputare tutte le informazioni che voglio…”.
Rivoli di sudore scorrevano su tutto il
viso mulatto del latino.
“Ma a me non piace vincere semplice!”
esclamò, mentre faceva fuoco proprio contro il suo interlocutore.
Sorpreso dal non sentire il minimo
dolore, Bernardo cadde al suolo in un modo decisamente goffo e
sospetto.
Mentre il pluriomicida si accostava
all’ultimo dei suoi nemici rimasti, l’uomo in bianco, che fino ad
allora era rimasto nel più totale silenzio, urlò.
“Pensate di avere a che fare con dei
coglioni!?”.
Quest’ultima esclamazione spiazzò
anche la coppia, apparentemente, esanime a terra.
“Il vostro stesso vestiario vi ha
tradito, Humana. Perciò smettetela con questa assurda recita e
rimettetevi in piedi!”.
I due obbedirono a quel perentorio
ordine senza fiatare.
“Tu dovresti essere il N. 9, giusto?”
chiese all’americano.
“Esatto. E tu dovresti essere dello
Spettro Bianco, giusto?” controbatté l’interpellato.
“Infatti. Dimmi Johnny…” riprese
il tizio in bianco, mentre alzava la mano, impugnando una pistola,
sul volto del biondo “Sarai abbastanza veloce da schivare una
pallottola diretta dove non hai protezioni?”.
Fino ad allora, sembrava che il mondo
fosse rimasto nuovamente a guardare, mentre panzer tedeschi e
guerriglieri arabi spadroneggiavano sulla città belga di Waterloo.
Improvvisamente, uno stormo formato da tre jet da combattimento, di
una non bene precisata nazionalità, si avvicinava rapidamente
all’obiettivo. Per contro, alcune vedette mediorientali, appena
avvistato il pericolo, diedero subito l’allarme.
Il campo andò immediatamente nel
panico, ancora più quando gli aerei iniziarono a far fuoco.
“Perfetto!” pensò Johnny, mentre
si dileguava dal mirino del soldato dello Spettro Bianco.
“Mettetevi al riparo!” gridò ai
suoi compagni l’italiano.
Dopo l’attacco, una nuvola di fumo si
levò dove, fino a poco prima, era pieno di uomini. Tra di esso sbucò
una figura vestita di rosso, con una grande H gialla davanti.
“cof… cof… Ragazzi… cof…
state tutti bene?”.
Per tutta risposta, dal terreno melmoso
fece capolino un musetto peloso. Nel giro di qualche secondo ancora,
una piccola talpa si tramutò in un essere umano.
“Tutto ok, Johnny” rispose
all’appello il mutaforma.
“Certo che ne hanno fatto di casino,
eh?” esclamò divertito Andrea, raggiunti gli altri due.
Lo statunitense, come in trance,
osservava tutto l’ambiente attorno a loro.
“Oh mio dio! Tutti questi morti!”.
“Caro Johnny” il baffuto gli mise
una mano sulla spalla “pensala così: Meglio loro che noi!”.
Mentre proseguiva nel fissare quei
corpi senza vita, il suo sguardo s’illuminò “Un momento… il
panzer? Che fine ha fatto?”.
“Eccolo là!” gli indicò
preoccupato il Soggetto N. 4.
Il carro armato ruotò il suo cannone
verso i mutanti e fece fuoco.
Ancora una volta, la velocità
sovrumana dell’ex-pilota salvò il trio che, per il momento, trovò
rifugiò dentro una buca sul terreno, frutto probabilmente del
bombardamento di poco prima.
“Ma perché continuate a mandarmi a
fare queste missioni?!” sbottò il Soggetto N. 7 “Non sono adatto
per queste cose! Me ne stavo così bene a Città del Messico!”.
“Sta zitto Berny! Ora dobbiamo
concentrarci su come fermare quei figli di puttana!” tentò di
riportarlo alla ragione il Soggetto N. 9.
“Un momento…” richiamò
l’attenzione degli altri l’italiano “hanno aperto lo sportello…
hanno lanciato qualcosa…”.
Tutti cercarono di identificare quel
piccolo oggetto che stava volando verso la loro direzione.
Alberti, compreso di colpo il tutto,
sparò fulmineo verso di esso, facendolo esplodere ancora in aria.
“Era una bomba a mano!” comunicò
agli altri.
Senza un attimo di pausa, la persona
dentro il veicolo bellico, che si rivelò essere nuovamente il tizio
in bianco, iniziò a lanciargli contro altri ordigni esplosivi.
Ad un certo punto sembrava come una
gara di baseball tra lui e il soldato degli Humana che, con gran
precisione, riusciva a colpirli uno dopo l’altro.
Nel mentre, Wayne si stava alterando
sempre più “Non ci sto a finire così!”.
Detto ciò, la sua sagoma scomparve
dalla buca, per comparire magicamente sopra al panzer. Come una
furia, tirò su di peso il nemico, per poi lanciarlo in malo modo sul
duro terreno circostante. Di nuovo addosso, gli parve vedere il suo
avversario bisbigliare qualcosa dentro la sua maschera antigas.
“Con chi stai parlando? Con chi cazzo
stai parlando?” lo interrogava, afferrandolo per il collo e
scuotendolo come una bambola di pezza.
Lui non emise più alcun suono.
“Che stai facendo Johnny? Che ti ha
detto?” gli si fece vicino il messicano, accompagnato dal Soggetto
N. 4.
“Non sono riuscito a capirlo. Colpa
di questa maschera antigas!”.
“Forse” intervenne Andrea “c’è
il rischio che abbia chiamato i rinforzi”.
“Merda!” imprecò lo statunitense.
“Allora che facciamo? Aspettiamo di
sistemare anche gli altri?” domandò spiazzato Alberti.
“Che ne dite invece di ritirarci?”
propose, sempre più agitato, Borghi.
“Aiuto!”.
Quell’urlo improvviso squarciò
l’aria, cancellando qualsiasi dubbio nel cuore degli Humana.
Il trio raggiunse rapidamente il luogo
da cui proveniva quella richiesta. Un nuovo gruppo di guerriglieri
arabi aveva circondato, con le armi in mano, una semplice ragazzina
che, di certo, si era trovata nel luogo sbagliato al momento
sbagliato.
“… Come osi metterti contro allo
Spettro Bianco?”.
“Chi sei?”.
“Rispondi, sgualdrina!”.
I terroristi proseguivano ad
offenderla, pronti a far fuoco. Lei, sotto shock, non riusciva a
proferir parola, guardandoli con occhi sbarrati dal terrore. Poi
partì un colpo.
La ragazzina, con il suo caschetto di
capelli neri, non era più lì.
“Tutto bene?” le domandò il
Soggetto N. 9, una volta portatala in salvo.
“Su le mani tutti! Se non volete che
faccia un buco in testa a ciascuno di voi!” minacciò tutti i
presenti il Soggetto N. 4, con entrambe le mani ben armate.
“Merda! Ce n’è un altro!”.
Chiunque si voltò verso il messicano
che aveva appena urlato. Dietro di lui, vi era un panzer simile al
precedente ma, allo stesso tempo, più dettagliato e tutto bianco.
Quasi come una candida visione paradisiaca, la parte superiore del
veicolo si alzò in volo, prendendo tutti alla sprovvista. Il fuoco
dei numerosi propulsori, che ne permettevano l’elevazione, fecero
ulteriori vittime tra i mediorientali.
“È impossibile! Ora anche i carri
armati volano!” esclamò ancora esterrefatto Bernardo “Oh dio!
Guardate! Tornano all’attacco!”.
Il cannone si lanciò in picchiata
verso i quattro che, per una circostanza alquanto fortunata, fecero
appena in tempo a rifugiarsi dentro un bunker presente nelle
vicinanze.
“Non avevo mai sentito che un
qualsiasi esercito fosse in possesso di un tale tipo di arma!”
informò i compagni uno spiazzato Andrea.
“Ma non puoi abbatterlo con un
bazooka o altro? Qui sennò rischiamo di fare la fine del gatto col
topo!” sbraitò Borghi.
“Aspettate un attimo…” richiamò
l’attenzione degli altri Johnny “Dov’è la ragazza?”.
Appena voltatisi, tutti e tre compreso
infine in che razza di situazione si erano venuti a trovare. Un nuovo
gruppo di guerriglieri, armati fino ai denti, tenevano nuovamente in
ostaggio la giovane belga.
Intanto, all’esterno, la parte
superiore del panzer si era andata a riunire con quella inferiore e,
dal suo interno, era emerso un individuo identico al precedente,
morto tra le mani del Soggetto N. 9.
“Cosa?! Ma non eri morto?!” urlò
sbalordito l’americano, appena lo vide entrare nella sala.
“Lo Spettro Bianco non può morire!
Idiota!” gli inveì contro il nuovo arrivato “Ora forza! Mettete
queste!”.
L’uomo in bianco diede a due dei
terroristi un paio di mezzi cerchi, fissati tra di loro. Appena messi
ai polsi dei prigionieri, la parte mancante si completò tramite
altri due semicerchi composti da un laser.
“Al minimo utilizzo dei vostri
poteri, quelle manette vi scotteranno un po’…” li mise in
guarda, divertito da ciò.
Poi, improvvisamente, l’ilarità fece
posto alla preoccupazione.
“Un attimo! Ma non erano in tre i
mutanti?”.
Tutti i presenti iniziarono a guardarsi
intorno.
“Brutti idioti! Non lasciate scappare
nessuno! Cercatelo dovunque! Cercate il numero 7!” cominciò ad
inveire imbestialito il loro carceriere.
Tutti i guerriglieri sembravano un
formicaio impazzito. Gruppi variabili di persone che partivano da una
parte all’altra della zona.
“Aspetta tu!” l’uomo in bianco
indicò un soldato vicino ai prigionieri “Resta con loro e, alla
minima mossa, falli secchi!”.
L’interpellato obbedì senza fiatare.
Intanto i tre parlottavano a vicenda.
“Speriamo che Bern… cioè Soggetto
N. 7 sappia cosa fare…” esclamò Wayne, visibilmente preoccupato
per la sorte dell’amico.
“Secondo me siamo ancora di più
nella merda!” Fu la secca risposta di Alberti.
Evitando di polemizzare su tale
argomento, l’ex-pilota concentrò la sua attenzione sull’unica
donna lì presente.
“Ciao… capisci la mia lingua?”.
“Incredibilmente sì, molto”.
“perfetto. Qual è il tuo nome?”.
“Lana”.
“Piacere, io sono Joh… cioè
Soggetto N.9. lui invece è il N. 4”.
“Perché, dato che ci sei, non gli
chiede se c’ha anche una sorella più grande per me?” fece del
sarcasmo l’italiano, alquanto spazientito.
“Sei di queste parti?” proseguì
non curante lo statunitense.
“Sì, abito in una casa qua vicino.
Ero passata di qui soltanto perché, facendo così, prendo una
scorciatoia che conoscono in pochi”.
“Vai a scuola? Quanti anni hai?”.
“16. Ma voi come mai siete conciati
così?”.
“È una lunga storia…” tagliò
corto il capo del gruppo.
“Vuoi raccontargliela comunque o
preferisci scappare prima di qui?”.
A parlare questa volta era stato, con
grande sorpresa dei prigionieri, la loro guardia.
“Non mi dire che…” iniziò
Andrea.
“Fai silenzio, Soggetto N. 4, che
sennò qua ci scoprono subito!”,
“Non pensavo che venissero anche a te
delle idee intelligenti”.
“Guarda che, se continui, ti lascio
qui con i talebani!”.
Quest’ultima affermazione,
pronunciata con eccessiva enfasi, fece voltare, sospettose, le poche
persone rimaste lì nelle vicinanze.
“State zitti, infedeli!” recitò
alla bene e meglio il baffuto sotto travestimento.
“Bene soldato…” lo richiamò il
tizio in bianco, tornato dentro il bunker “Portali fuori!”.
Il mutaforma obbedì ancora senza
proferir parola. Una volta all’aperto, i mutanti e la ragazzina si
trovarono davanti altri carri armati, del tutto simili a quello di
poc’anzi. Ancora bloccati da quell’inquietante visione, si
accorsero solo qualche secondo dopo che il loro guardiano, nonché
compagno di gruppo, era stato colpito da dietro proprio
dall’emissario dello Spettro Bianco, riprendendo all’istante le
sue vere sembianze.
“Voi siete ancora così convinti di
avere a che con dei coglioni?”gli urlò contro quest’ultimo
“Nessuno dei nostri alleati si sarebbe azzardato anche solo a
rivolgervi una sillaba. E poi, fidatevi, conosciamo benissimo
ciascuna delle vostre nuove capacità”.
“Ed ora” concluse, facendosi da
parte “è il momento del vostro sacrificio”.
Questa volta era davvero la fine. Tutti
e quattro avevano chiuso gli occhi nell’attesa dello sparo. Che
avvenne, anche se molto ridotto.
“Lasciate stare!” urlò un giovane
uomo, tenendo in mano un fucile a doppia canna e con, alle sue
spalle, un nutrito gruppo di altre persone, altrettanto armate.
A quanto pare, erano in troppi ad
essersi insospettiti della prolungata assenza da parte della giovane.
Sembrava che tutto il suo villaggio fosse accorso a salvarla.
“Oddio! Sono venuti tutti!” esclamò
lei, con le lacrime agli occhi.
“Ci deve essere un modo per liberarsi
di queste cose… ah!” l’ennesima bruciatura era comparsa nel
polso del Soggetto N. 4.
“Aspetta scemo che ti do una mano…”
gli si avvicinò il Soggetto N. 7 che, data l’esecuzione
apparentemente immediata, non era stato nemmeno ammanettato, dopo
essere stato scoperto.
“Dunque, se ricordo bene, quando ve
le hanno messe, hanno premuto questo unico bottone… perciò, se non
erro, potrebbe essere che, ripremendolo, si disattivano…”
sembrava prendere tempo il messicano.
“No, fai pure con comodo Berny…”
lo rimproverò ironico l’italiano.
Sorvolando su quel nuovo battibecco,
Borghi mise in atto quanto annunciato. Le sue congetture si
rivelarono esatte. Stessa cosa fecero per Wayne: così l’Humana era
di nuova pronta all’azione!
“Bene ragazzi!” prese subito il
comando l’uomo appena liberato “Ora prepariamoci a…”.
Fu però interrotto da uno dei belgi
“Lana cosa fai ancora qui? Scappa a casa che qui ci pensiamo noi!”.
Come a dare corpo alla forza delle
parole appena pronunciate, i villici avevano ormai preso d’assalto
anche i mezzi pesanti.
“Ma fratello, come faccio a lasciarvi
da soli così?”.
“Te scappa e non preoccuparti per
noi! Porta via con te anche quegli stranieri lì!”.
“Ma…”.
Questa volta, ad interrompere la
fanciulla, fu lo stesso americano “Scusami Lana, ma credo che tuo
fratello abbia ragione. Noi dobbiamo ritirarci perché, per
affrontare quella gente, abbiamo bisogno dei nostri rinforzi”.
La ragazza non si oppose più. Con gli
occhi velati dalle lacrime, salutò il fratello e, senza più
voltarsi indietro, fece strada ai tre mutanti verso la salvezza.
Fatto qualche passo, un’enorme esplosione fece tremare la terra
sotto i fuggitivi.
Era ormai più di mezz’ora che si
facevano strada in un campo di erba alta. Qualcosa però sembrava
preoccupare Johnny Wayne. In sé aveva una continua pessima
sensazione che non lo faceva rilassare neanche un momento. Era ormai
più che certo che qualcosa stesse strisciando tra quella
vegetazione.
“Occhio!”.
A quell’improvviso avvertimento
dell’italiano, l’ex-pilota fece subito scudo alla ragazza con il
proprio corpo, mentre la testa di un rettile veniva fatta esplodere
da un colpo preciso di pistola.
“C-Che diavolo era?” chiese
impaurito più che mai Bernardo Borghi.
Andrea Alberti si avvicinò alla zona
dove si trovava il suo bersaglio “Sembrerebbe un pitone. Non sapevo
che ce ne fossero da questa parti”.
“Sarà scappato dalla casa di qualche
eccentrico collezionista…” ipotizzò stranito l’americano.
“Qui in Europa in pochi hanno certe
usanze…” controbatté l’europeo.
Appena ripreso il cammino, il messicano
iniziò con la sua litania di lamentele e proteste.
“… E se anche quel lurido serpente
fosse un membro dello Spettro Bianco? Ma perché, mio signore, hai
scelto me per queste imprese assurde? Vabbe’… non sarò stato un
stinco di santo, ma nemmeno un terribile criminale! Io che me ne
stavo tanto bene a guardarmi la Lucha Libre…”.
Alla fine, il soldato sbottò “Ora
basta! Se hai tanta forza per lamentarti, perché piuttosto non ti
sei tramutato in un altro pitone, o in un cobra, per fargli capire
chi comandava? Eh?”.
“Ma sei matto? Quei serpenti sono
velenosi!”.
Un altro fruscio sospetto.
“Oddio rieccolo!” gridò come una
femminuccia il mutaforma.
“Stai zitto Berny! È solo il vento”
lo richiamò spazientito il Soggetto N. 9.
Ma, come a contraddire quest’ultimo,
tra i fili d’erba iniziarono a spuntare tante piccole teste
squamose.
“Presto, attaccatevi a me!” ordinò
agli altri due il velocista, mente sollevava in braccio la ragazzina.
Appena sentì il contatto fisico con il
duo, partì a tutta velocità.
In quella situazione, difficilmente si
riusciva ad emetter un qualsiasi suono ma, nonostante ciò, al biondo
parve di sentire distintamente l’urlo rarefatto del baffuto, mentre
egli si accorgeva che anche gli stessi rettili adottavano la stessa
velocità del suo salvatore.
Mentre cercava di elaborare un nuovo
piano, lo statunitense si sentì mancare la terra da sotto i piedi,
letteralmente.
Giusto il tempo per comprendere che
erano finiti tutti e quattro dentro una buca che, dall’oscurità
presente, comparvero due figure familiari.
“Soggetto N. 3 e 6! Che ci fate qui?”
il N. 9 riuscì anche a ricollegare i giusti numeri ai due nuovi
comparsi.
“State tutti bene, signori? Io fare
questo buco!” li informò soddisfatto Chang.
“Soggetto N. 1 ci ha avvertito che
eravate di nuovo in pericolo, per cui siamo giunti qui il prima
possibile” aggiornò i compagni una preoccupata Frédérique.
“Oddio il mio culo…” si lamentava
dolorosamente Bernardo.
“Siete solo voi due?” domandò
Andrea.
“No” gli rispose la donna “c’è
anche Soggetto N. 2, ora è in cielo a cercare di eliminare più
serpenti possibili”.
“Ah sì? E con cosa?” proseguì
l’italiano.
“Ha detto che ha una pistola
proveniente dalla sua collezione…”.
In effetti, il britannico si stava
dimostrando un ottimo cecchino, librando in aria il meno possibile
per prendere meglio la mira.
“cinque… sei… sette… otto…”
proseguiva mentalmente nel conteggio delle sue vittime.
Di colpo, un dolore lancinante alla
gamba sinistra lo fece bruscamente interrompere nella conta.
Stringendo a sé la gamba ferita, il londinese perdeva sempre di più
quota. Fortunatamente per lui, il poderoso urlo che aveva emesso
aveva fatto scattare i suoi compagni. Johnny lo prese facilmente al
volo, mentre Andrea proseguiva la sua opera di sterminio.
“Chi diavolo è stato a sparare?”
domandò agli altri il messicano.
“Non importa chi è stato, se si
azzardano ad avvicinarsi li faccio diventare concime!” esclamò
spavaldo il mutaforma bellico poi, rivolgendosi alla francese
“Soggetto N. 3, riesci a vedere qualcuno?”.
“In effetti sì” rispose lei “sono
tante persone e si stanno avvicinando a noi!”.
“Che figli di puttana! Sono di nuovo
quei guerriglieri bastardi!” inveì rabbioso l’italiano.
“A dir la verità non sembrano
proprio guerriglieri…” bisbigliò quasi l’ex-ballerina.
Nel frattempo, Wayne aveva adagiato
lentamente al suolo Lincon, per poi stringergli la ferita con uno
straccio di fortuna, proveniente dal suo mantello giallo.
“Così dovrebbe bastare. Sperando che
poi, alla base, Sara abbia almeno un kit del pronto soccorso…”.
“Eccoli!” gridò Arone.
“Fermi! Fermi!” Lana si interpose
tra i due schieramenti “È la gente del mio villaggio!”.
Di fatti, le persone, o meglio parte di
esse, che poco prima li avevano salvati nel campo di addestramento,
li stavano ora puntando contro le proprie armi da fuoco.
“Lana! Allontanati immediatamente da
loro! Quelle gente lì non è normale! Forse abbiamo ucciso la gente
sbagliata!” le urlò il fratello, ancora vivo dopo l’agguato.
“No fratello! Non è così! Loro mi
hanno salvato!”.
“Non sono normali! Quello a cui ho
sparato prima stava volando! Volando!”.
“Allora è stato quello stronzo a
spararmi…” bisbigliò il mutante ferito.
“Non importa cosa riescono a fare,
sta di fatto che sono stati loro a salvarmi…”.
“Non è vero, Lana! Siamo stati noi!
Se era per loro, potevi essere morta già da tempo”.
“Ma se è proprio grazie a loro che
mi avete trovato ancora viva!”.
“Ora basta, figliolo” un anziano si
avvicinò al fratello di Lana “Credo proprio che tua sorella stia
dicendo la verità”.
Una volta calmato il ragazzo, il
vecchio si avvicino alla squadra in rosso e giallo.
“Dunque signori, posso gentilmente
sapere chi dobbiamo ringraziare per la salvezza della nostra piccola
Lana?”.
Nessuno dei sei sembrava voler
rispondere. Alla fine, fu il Soggetto N. 9 a prendere la parola.
“Ecco noi siamo… un gruppo… ci
facciamo chiamare gli Humana e… diciamo che abbiamo un conto in
sospeso con quella gente…”.
Il belga sembrava interessato ad ogni
minima parola pronunciata dallo statunitense poi, alzando il capo per
osservare il cielo che si scuriva, propose “Che ne dite, signori,
se proseguiamo le presentazioni nella mia dimora? Stasera siete
ufficialmente miei ospiti”.
Nonostante fossero sorpresi da
quell’iniziativa, i mutanti accettarono.
“Comunque, meglio non fidarsi troppo
di questa gente…” pensò un diffidente Johnny.
La dimora dell’anziano si rivelò
essere un’elegante abitazione costruita tutta in legno.
“Con permesso” disse il Soggetto N.
6 mentre, insieme ai suoi compagni, vi entrava all’interno.
Una volta accomodatisi tutti nell’ampio
soggiorno, il velocista proseguì nel raccontare, per sommi capi, le
loro origini.
“… Ma è incredibile!” esclamò
sorpreso il vecchio “Pensare a voi, gente di differente
nazionalità, che cooperate per contrastare questa terribile
organizzazione criminale…”.
“Ma andiamo!” s’intromise
nuovamente il fratello di Lana “Come pensate che possiamo credere a
queste cazzate da fumetto!”.
“Ora basta Bart!” per la prima
volta, quel signore così educato parve perdere le staffe.
Lui si zittì all’istante, mentre il
padrone di casa riprendeva la parola.
“Dato che non siamo ancora certi che
quella gente d’ora in avanti ci lascerà in pace, per stanotte
potete tranquillamente accomodarvi qui da me, visto che vivo solo in
questa casa così grande. Domani mattina poi decideremo il da farsi”.
Gli Humana ringraziarono sentitamente
per tale ospitalità. Intanto Bart si avvicinò ad un suo coetaneo
“Non perderli di vista un attimo!”.
Nello stesso tempo, un’altra persona
stava bisbigliando qualcosa nell’orecchio di un altro.
“Non mi fido di quel Bart…”
rivelò Frédérique a Johnny.
“Nemmeno io. Penso che anche uno dei
nostri stasera dovrà tenere gli occhi aperti. Magari uscendo
all’esterno per perlustrare meglio la zona” fu la sua proposta.
La francese fece un segno affermativo
con la testa e, con nonchalance, si avvicinò al cinese,
bisbigliandogli altre parole all’orecchio.
Dopo poco, quest’ultimo si avviò
beatamente nel bagno vicino alla sala. Passato qualche minuto, la
stessa Arone fece altrettanto. All’interno dei sanitari, Chang
stava dirigendo una esile fiammella dalla sua bocca verso un punto
preciso del muro, mentre il Soggetto N. 3 dirigeva il tutto come se
fosse dall’esterno, grazie alla sua vista sovrumana.
Nel mentre, nel salotto adibito a
camera da letto, qualcosa preoccupava Andrea “Soggetto N. 9! Penso
che il N. 2 stia peggiorando…”.
“Possiamo provare a chiedere se hanno
qualcosa per medicarlo…” ipotizzò un Wyane non ancora
tranquillo.
Finalmente si era venuta a creare
un’apertura, seppur minima, anche nel legno esterno
dell’abitazione.
“Cerca di allargarlo un po’, Chang,
così da poterci passare almeno io” lo incoraggiava la francesina.
“Piuttosto, lasciate che sia io a
passarci…”.
Prendendo alla sprovvista la stessa
ballerina, a proferir tali parole era stato niente meno che un gatto
tigrato, comparso come dal nulla lì con loro.
Poi Frédérique ricollegò il tutto
“Bernardo sei tu? Mi hai fatto quasi prendere un colpo!”.
“Davvero curioso! Un gatto parlante!”
si unì ai due Yu.
“Ok, io vado gente. Pregate per me”
salutò la compagnia il mutaforma.
Contemporaneamente, l-ex pilota di
Formula 1 ebbe, dal ragazzo messo di guarda, non proprio la risposta
che si sarebbe aspettato e, con la furia che aveva superato il
limite, uscì dalla casa come un tornado, tenendo ben stretto a sé
Jack Lincon.
Al suo interno, invece, gli ultimi tre
rimasti decidevano il da farsi.
“Forse dovremo fuggire anche noi…”
propose titubante il Soggetto N. 3.
“Non credo che ne avremo il tempo…”
le rispose il N. 4, mentre già si udivano il rumore di passi
concitati.
“Che è successo qui?”.
“Dove sono gli altri tre?”.
“Calmi signori! Calmi!” tentava di
sdrammatizzare il padrone di casa.
Era già da qualche minuto che, un
semplice gatto tigrato, stava seguendo silenziosamente Bart, il
fratello maggiore di Lana, che si stava allontanando furtivamente dal
centro abitato. Arrivato nei pressi di un ruscello, rallentò la sua
marcia.
“Chi va là?” fece una voce
dall’oscurità.
“Sono Bart, ho delle notizie
importanti da darti”.
“Parla!”.
“Sei dei mutanti hanno trovato
rifugio nel mio villaggio”.
“Perfetto! Come c’era da
aspettarsi” dopo qualche secondo di pausa, la voce riprese “Ora
seguimi, Bart”.
Una figura bianca faceva da guida al
belga. Nel buio, tutto era seguito minuziosamente da occhi felini.
Come un pilota di rally ed il suo
navigatore, Johnny aveva seguito alla lettera ogni indicazione
telepatica di Igor Wansa per poi infine trovarsi, sempre insieme ad
uno svenuto Jack, di fronte ad un camper anonimo.
“Ha perso molto sangue?” lo accolse
senza tante cerimonie Sara.
“Non saprei, ho cercato di medicarlo
meglio che potevo” le rispose il Soggetto N. 9.
I Soggetti N. 5 e 8, anch’essi
presenti dentro il veicolo, sistemarono con delicatezza il loro
compagno ferito sul letto lì vicino.
“Bene, ora portatemi subito alcol,
garze e bisturi, nel caso la pallottola fosse ancora dentro la gamba”
riprese a dare ordini la bionda.
“Pensi di farcela, Sara?” le chiese
preoccupato il biondo.
“Devo farcela!” gli rispose
sbrigativa lei.
“Allora cos’hai intenzione di fare
per quanto riguarda i mutanti?” domandò, leggermente spazientito,
Bart all’uomo in bianco.
Lui, prendendo tempo, lo informò “Ho
già spedito i pitoni a fargli visita…”.
All’interno della casa belga, il
clima era dei più tesi.
“Chissà come se la stanno cavando
gli altri…” la francesina era totalmente vittima della
preoccupazione.
“Di certo si divertono più di noi!”
si lamentò annoiato Andrea.
“Oh no!” la donna s’incupì di
colpo.
“Che succede?” le domandò ad alta
voce l’italiano, facendo sobbalzare il cinese vicino a lui.
“I pitoni… sono tornati!”.
A quelle parole, il Soggetto N. 6
sprigionò la più potente delle sue fiammate, creando così un varco
largo abbastanza per permettergli una fuga disperata.
“… Soprattutto odio quegli stolti
che non imparano dagli sbagli precedenti!” concluse in maniera
sibillina il tizio in bianco.
Con un’abile mossa, sparò in
direzione del gatto, mancandolo davvero per un pelo.
In tutto questo, una macchia rossa e
gialla sfrecciava nella notte, raggiungendo velocità impensabili per
un semplice essere umano a piedi.
“Ci stanno ancora inseguendo,
Frédérique?” le chiese Alberti che, con la sua mano trasformata
in una 44 Magnum, sotto la luce artificiale creata dal fuoco di Yu,
per lo più stava sparando cartucce a vuoto.
“Sì, Andrea. Sembra che ci vogliano
circondare”.
“Noi proseguire con fuga. Non c’è
altro da fare!” esortò gli altri l’asiatico, mentre riprendeva
fiato per una nuova fiammata.
“Ti conviene riprendere una forma con
cui poter uscire fuori con le mani in alto, Soggetto N. 7, altrimenti
la tua tomba avrà dimensioni alquanto ridotte” minacciò crudele
lo sconosciuto.
Il mutaforma, sentendosi alle strette,
tornò alla sua forma originale e, come consigliatogli, si presentò
ai due con le braccia al cielo.
“Ora potrai crepare con un minimo di
dignità!” lo sfotté l’uomo in bianco, premendo il grilletto.
Il proiettile, per un soffio, colpì
l’aria.
“Dov’è andato? Dove cazzo è
andato?” il possibile assassino andò su tutte le furie.
“Forse si è trasformato in un
qualche insetto...” ipotizzò il belga.
“Allora, idiota, cercalo!” gli
inveì contro il membro dello Spettro Bianco.
Come previsto da Bart, Bernardo era ora
la più piccola razza di formica esistente. Correva alla disperata
tra le foglie del terreno, pensando ad un piano da attuare.
“Forse l’unica cosa da fare è
prendere più tempo possibile, di certo gli altri, grazie ad Igor,
sapranno dove venire a cercarmi” continuava a riflettere l’insetto.
Appena pensò di essere
sufficientemente coperto, riprese la sua forma umana.
“Ehi figlio di puttana, pensi che sia
così facile battere gli Humana? Aspetta che arrivino i miei compagni
e vedrai poi che culo ti facciamo!” lo provocò da dietro un
albero.
“Tanto meglio! Per ora mi basta
sistemare te…” controbatté il criminale, andando a premere un
tasto presente sul cane della sua pistola.
Premuto nuovamente il grilletto, questa
volta dalla canna non uscì alcun tipo di proiettile ma, piuttosto,
un suono assordante per qualsiasi essere vivente. Lo stesso Bart,
nonostante tentasse di coprirsi le orecchie con le mani, cadde
esanime al suolo. La stessa sorte toccata al messicano.
“Povero coglione! È bastato questo
semplice colpo sonico per metterti KO. Fortunatamente per te ancora
non posso ucciderti. Mi servi qui, come esca!”.
Detto ciò, l’uomo iniziò a
comunicare con altri suo compari nelle vicinanze di Waterloo.
“Siamo finiti in un vicolo cieco! Qui
davanti c’è soltanto una spessa parete rocciosa!” allarmò gli
altri due con lei Arone, mentre utilizzava la sua vista a raggi x.
“Ce la fai a perforarla, Chang?”
domandò concitato Alberti.
“Non con il poco tempo a
disposizione!” gli rispose Yu.
Ormai i serpenti li avevano raggiunti.
“Cosa facciamo?” la ballerina era
sull’orlo delle lacrime.
“Duriamo finché ce la facciamo!”
le diede una risposta il soldato, armato da entrambe le mani.
Dopo che i primi colpi andarono a
segno, il resto dei pitoni partì all’attacco.
Il Soggetto N. 6 chiuse gli occhi in
attesa dell’inevitabile. Passarono i secondi e, sentendosi
esattamente come prima, provò a riaprirli. Tutti i rettili erano
esanimi al suolo con il cranio spappolato.
“Johnny sei tu!” lo accolse
festante Frédérique.
“State tutti bene, gente? ho appena
ricevuto comunicazione da Igor che Berny ha appena interrotto la
comunicazione telepatica. Sperando non gli sia capitato niente di
brutto, mi hai già inserito in testa le coordinate”.
Il verso acuto di un gufo ridestò il
fratello di Lana dal suo sonno senza sogni. Ancora barcollante,
cercava di raggiungere la base dello Spettro Bianca a lui più
vicina.
Dentro di essa, vi era lo stesso uomo
in bianco che aveva sistemato il Soggetto N. 7 che, a sua volta, si
trovava incatenato ad una parete della enorme stanza metallica.
“Quel coglione si è risvegliato!”
commentava lui, mentre osservava il tutto da un megaschermo
“Francamente, ora non mi è più di alcuna utilità. So già a chi
affidarlo” detto ciò, premette un pulsante della console che aveva
davanti.
“Ehi gente, sono io! Sono Bart!
Coraggio apritemi che qui fuori si gela!” urlava al vento la spia
del villaggio.
Ad un tratto, un sibilo leggero lo fece
mettere sugli attenti.
“E-E-Ehi… vi prego non potete farmi
questo… io sono un vostro alleato… vi posso ancora essere
uti…aaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhh!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”.
Una volta godutosi questo
raccapricciante spettacolo, il carceriere tornò a parlare con il suo
prigioniero.
“Ed ora è il turno dei tuoi amici…”.
“Col cavolo! Appena sapranno cosa li
aspetta tu…” ma fu improvvisamente interrotto.
“Oh giusto! Stavo per dimenticarmi…”
si affrettò ad infilargli una specie di elmetto in testa “Ora non
sarai più in grado di comunicare telepaticamente con tutta la tua
squadra. Anche se, immagino che sappiano già dove venirti a
prendere…”.
“… A quanto dice Igor, l’ultimo
contatto con Berny è stato qui nelle vicinanze” concluse Wayne,
parlando con gli altri tre Humana.
“Sì, lo vedo. Dietro quella cascata
c’è un’entrata segreta per la base” informò gli altri
Frédérique.
I maschi stavano già partendo al
recupero che l’unica femmina della comitiva li bloccò “Aspettate!
Ci sono altri pitoni da sconfiggere!”.
Questa volta però i rettili
ammaestrati non ottennero nemmeno una chance: la supervelocità
dell’americano, la vista sovrumana della francese, la mimesi
bellica dell’italiano e gli attacchi calorifici del cinese ebbero
facilmente la meglio.
“Confermo il loro totale
annientamento!” esclamò euforica Arone.
Purtroppo questo entusiasmo durò poco,
coperto dal pesante rumore di cingolati in avvicinamento.
“Ne arrivano altri!” urlò, subito
pronto all’azione, Alberti.
“Altri cinque panzer!” osservò con
la sua vista notturna il Soggetto N. 3.
“Speriamo che siano gli ultimi” si
espresse il Soggetto N. 6.
“Perfetto! Sistemiamo anche questi e
poi andiamo a salvare N. 7!” concluse impaziente il Soggetto N. 4.
“Allora via!” sentenziò il
Soggetto N. 9.
Un fischio improvviso tagliò l’aria.
“Ci stanno bombardando!” informò
gli altri la francese.
“Mettetevi ai ripari. Io cercherò di
scovarli!” ordinò l’americano, prima di scomparire in un lampo
rosso e giallo.
Nel giro di qualche secondo, nonostante
l’oscurità della notte non giocasse a suo favore, il velocista
riuscì a trovare il primo dei suoi obiettivi. Come aveva già fatto
giorni prima, uscendo da quella che lui riteneva la prigione degli
Humana, vibrò a sufficienza le molecole del suo corpo per
attraversare lo strato metallico esterno e, prendendo di sorpresa gli
occupanti, entrare dentro il mezzo corazzato. Sistemato il primo,
passò al successivo.
“Così però non è giusto, cazzo!”
imprecò l’italiano, visibilmente contrariato “Il divertimento se
lo prende tutto Johnny!”.
“E con questo, sono terminati”
annunciò sollevata la ballerina.
“Ora noi pensare a Bernardo”
ricordò agli altri il cinese.
“Aspettiamo un attimo Joh…” ma
Frédérique fu interrotta dallo stesso statunitense.
“Io ci sono! Possiamo entrare!”.
Senza perdere ulteriore tempo, i
quattro attraversarono il getto continuo della cascata.
“Ahah preparati che vengono a farti
il culo!” canzonò il suo avversario il messicano.
“Fai silenzio!” gli urlò contro
lui, colpendolo talmente forte al volto da fargli cadere il casco “Ho
giusto un bel reticolato laser da fargli attraversare!”.
“Ha detto reticolato laser?”.
L’improvvisa comparsa della voce di
Johnny nella sua testa fece sobbalzare di spavento Borghi.
“Johnny sei proprio tu?”.
“Sì. Non so perché, ma ora sei di
nuovo raggiungibile”.
“Giusto! Quando quel figlio di
puttana mi ha colpito, mi ha fatto cadere a terra il casco che mi
bloccava i poteri!”.
I due proseguirono nella loro
conversazione telepatica, elaborando il giusto piano per fermare il
criminale definitivamente.
Quest’ultimo, non trovando più la
giusta locazione dei mutanti, stava ormai perdendo il controllo della
situazione.
“Ok, ora basta! Intanto mi porto
avanti con il lavoro uccidendo te!” sentenziò, puntando una
pistola alla tempia del baffuto.
Improvvisamente, una forte esplosione
sconvolse l’ambiente. Il forte calore delle fiamme di Chang avevano
sortito il suo effetto. Approfittando del disorientamento dell’uomo
in bianco, l’ex-pilota mise in salvo il loro compagno, liberandolo
con rapide vibrazioni delle dita.
“Lui lo voglio finire io!” annunciò
imperiosa la voce di Andrea.
I due rivali si fissavano immobili, nel
più classico degli stalli alla messicana. Finché, con un movimento
del braccio repentino, il Soggetto N. 4 ebbe la meglio.
Tutti gli Humana presenti si
accalcarono per festeggiare il loro amico.
“Bravo Andrea! Tu grande cowboy!”
si complimentò il Soggetto N. 6.
“Oh Signore! È davvero finita!”
tirò un sospiro di sollievo il Soggetto N. 3.
“Non ancora!” interruppe tutti il
Soggetto N. 9 “Andiamo a vedere come sta Jack, così poi sarà
davvero finita!”.
Dopo l’estenuante avventura a
Waterloo, ai membri dell’Humana furono concessi dei più che
meritati giorni di riposo e svago. Tre di loro, Johnny Wayne,
Frédérique Arone e Juna, ne approfittarono per assistere alla
sfavillante spettacolo del circo, appena giunto in città.
“Mi ricordo che, da piccolo, non
vedevo l’ora di poter andare al circo con tutta la mia famiglia!”
rivelò nostalgico l’americano.
“Davvero, Johnny?” gli diede spago
la francesina.
“Scusatemi, ma io non riesco proprio
a sopportare tutti quegli animali tenuti in gabbia solo per divertire
un pubblico pagante” ribatté l’africano.
“Beh ti capisco, Juna” lo appoggiò
il biondo “abituato all’enorme libertà che concede la giungla,
nel tuo Congo, vedere il freddo delle gabbie dove sono rinchiusi gli
animali deve essere un terribile shock”.
“Purtroppo è l’intera Africa che è
cambiata” proseguì il ragazzo di colore “ogni giorno crescono
più grattacieli che alberi da frutta. Per non parlare delle guerre
civili che ancora devastano il mio continente. Per finire poi con i
bracconieri che, fino a poco fa, combattevo con tutto me stesso,
finché non mi sono ritrovato a combattere gente anche peggiore”.
L’animo dello zairese si stava
inquietando sempre più, mentre in pista vi era il più classico dei
domatori di tigri. Tutto il pubblico era rapito dall’eleganza con
cui quegli enormi felini attraversavano il pericoloso cerchio di
fuoco. Erano talmente estasiati che, lì per lì, non si accorsero
nemmeno che una di esse, appena atterrata dopo il suddetto salto,
aveva proseguito la sua rincorsa, andando a sbattere violentemente
contro la porta d’ingresso alla gabbia riservata agli umani. Tale
fu l’impeto che fu incredibilmente spalancata dal colpo. Appena
ripresosi dalla botta, l’animale uscì con grande facilità dalla
sua prigione, mandando nel panico più totale il pubblico.
“Bisogna fermarla!” urlò ai
compagni il Soggetto N. 8.
Il N. 9 scrutò per un tempo infinito
gli occhi della tigre per poi, una volta che questa ebbe preso la via
dell’uscita di sicurezza del tendone, partire al suo inseguimento.
Inseguimento che, però, si spense sul
nascere dato che, appena uscito all’aria aperta, della fiera appena
fuggita non vi era più traccia.
Da dietro le sue spalle, provenne la
voce di Juna “L’hai presa Johnny?”.
“No, è… è scomparsa” fece
fatica a sillabare lo statunitense.
“In effetti non riesco a vederla
nemmeno io” informò gli altri il Soggetto N. 3 “Che ci sia
dietro ancora una volta lo Spettro Bianco?”.
“Non credo.” le rispose l’ex-pilota
“Se continuiamo a pensarla così, c’è poi il rischio che diventi
una paranoia”.
Intanto, in una delle sudice viuzze
laterali della metropoli, un ragazzo, poco più che ventenne, vestito
con addosso soltanto un logoro impermeabile, stava riprendendo fiato,
controllandosi nel contempo una lieve scottatura al torace.
Dentro la stanza del direttore del
circo, in pratica una roulette, il proprietario stava dando in
escandescenza, prendendosela con i due uomini che erano con lui.
“… Mi dite ora cosa facciamo? Se il
mondo intero viene a sapere tutta la storia di quella tigre ma,
soprattutto, cosa abbiamo fatto a lui e a tutta la sua famiglia,
passeremo tutti dei grossi guai!”.
“Ma capo, lei sapeva che c’era
questo rischio…”.
“È per questo che avevo assunto voi
due, brutti idioti! Ma, sappiatelo subito, se devo finire dietro le
sbarre, non ci finirò da solo!”.
“Allora cos’ha in mente di fare?”
parlò per la prima volta il terzo soggetto.
“E me lo chiedi pure?! Dovete
ritrovare la tigre! Viva o morta, a questo punto non m’interessa!”.
“Ho appena parlato con Sara”
informò gli altri Johnny “Anche per lei è meglio che risolviamo
questa faccenda il più presto possibile, Spettro Bianca o no”.
“La cosa che mi sorprende è come,
quella normale tigre, sia riuscita a mettere in atto un piano così
ben pensato. Sono certo che ha atteso il momento giusto per poter
fuggire. E poi c’è la questione che si è volatilizzata nel giro
di un attimo…”.
“E se fosse anch’essa un mutante?”
propose un’insospettita Frédérique.
“Non so cosa pensare” riprese Juna
“in ogni caso, di certo avremo bisogno di fucili con dardi
anestetizzanti…”.
“Tipo quelli?” chiese Wayne,
indicandogli due tizi alquanto sospetti armati proprio delle armi
appena citate.
“Esatto… un attimo, dove pensano di
andare quei due? Non credo siano della protezione animali”
s’insospettì l’africano.
“In effetti, sono davvero troppo
sospetti” concordò Arone.
I tre rimasero in silenzio ancora per
qualche secondo, osservando i movimenti della coppia che si stava
allontanando dalla zona del circo.
“Io li seguo” annunciò lo
statunitense “Noi rimaniamo in contatto tramite Igor”.
“Aspetta Johnny, non sarà
pericoloso?” lo fermò preoccupata la ballerina.
“Tranquilla, non riusciranno nemmeno
a vedermi!” le fece l’occhiolino lui.
“Fai comunque attenzione, Johnny”
insistette anche lo zairese.
Il piano fu messo in atto e, standogli
abbastanza vicino senza farsi notare, il Soggetto N. 9 riuscì ad
udire anche qualche discorso che i due si scambiavano.
“…Sei sicuro che si trovi lì?”.
“E dove vuoi che sia, sennò?
Salvatore è sempre stato molto legato a suo nonno…”.
Il pedinamento proseguiva ormai da
parecchi minuti finché i due, con grande sorpresa del loro
pedinatore, svoltarono verso l’ingresso ad un cimitero.
Una volta dentro, il campo santo si
presentò completamente deserto, escludendo ovviamente le lapidi. Tra
tutto quel silenzio tombale vi era, leggermente udibile, un
singhiozzare di pianto. Seguendolo, gli umani ed il mutante giunsero
a quella che, se non fosse per il movimento singhiozante delle
spalle, poteva essere presa per l’ennesima pietra tombale.
Il giovane con l’impermeabile stava
piangendo sopra la tomba di un anziano signore.
“Mi dispiace rovinarti la festa
Salvatore, ma ora te ne torni con noi dal capo!” avvertì della
loro presenza uno dei due scagnozzi.
Il ragazzo, sentendosi chiamare, si
voltò con gli occhi già iniettati di sangue. Con una metamorfosi
degna del Soggetto N. 7, egli si tramutò in un lampo nella stessa
tigre fuggita dal circo.
Alle spalle dei due malintenzionati,
Johnny rimase sbalordito da tutto ciò. Poi, appena sentì il click
che annunciava il caricamento del fucile, scattò. Bastarono due
pugni ben assestati a supervelocità per mettere la coppia ko.
Questa volta fu il turno della tigre di
rimanere basita.
Appena tornato visibile, il Soggetto N.
9 tentò di comunicare con essa “Aspetta! Non ti voglio fare del
male! Il mio nome è Johnny Wayne, faccio parte di un gruppo che si
chiama Humana. Ho visto cosa ti volevano fare questi due e, stai
tranquillo, io sono dalla tua parte”.
Dopo quella presentazione, il felino
smise di ringhiare. Poi, come era successo in precedenza ma al
contrario, riprese la sua forma umana.
Una volta ricopertosi con
l’impermeabile, per avere un minimo di dignità, il giovane parlò
per la prima volta.
“Io mi chiamo Salvatore Brambilla,
sono stato fatto prigioniero da questa gente, insieme a mio nonno,
ormai da molti anni. Da poco lui è venuto a mancare e, dato che non
dovevo più preoccuparmi per la sua salute, ho scelto di scappare via
il prima che potevo…”.
“Ma il tuo potere? Cosa sei? Un
mutante?”.
“Un mutante? No, assolutamente no. Si
tratta di una maledizione che colpisce la mia famiglia da
generazioni. Questi tizi se ne sono accorti soltanto per dei miei
errori di gioventù, pensando bene di approfittarne minacciando me e
mio nonno”.
Dopo quella spiegazione, i due
proseguirono col fissarsi in silenzio.
“Ok” riprese la parola Wayne “vai
pure Salvatore, ora sei libero! Non ti preoccupare per il padrone del
circo, a lui penseremo noi”.
L’altro, apparentemente ancora non
del tutto convinto, si alzò in piedi. Dopo, tenendo ben stretto con
le mani il suo impermeabile, si allontanò. Una volta che fu nelle
vicinanze del suo salvatore, bisbigliò un “Grazie”.
Quest’avventura fece pensare a Johnny
che, oltre ai mutanti come gli Humana, il mondo preservava ancora
tanti misteri. Come Salvatore Brambilla, il “Nipote Tigre”.
Tre anni prima.
Dopo un esordio così esaltante, il
giovane Johnny Wayne fu subito circondato da miriade di nuovi fans, i
suoi primi. Tra di essi, vi era un ragazzino tedesco.
“M-mi scusi, mr. Wayne, p-posso avere
un suo autografo?”.
“Certo bimbo! Come ti chiami?”.
“Torsten Bauer”.
Passati tre anni, al neo membro degli
Humana, lo stesso Johnny Wayne, furono concessi altri giorni di
vacanze, che lui scelse di passare in terra teutonica. Preso dai
ricordi, si diresse nuovamente nelle vicinanze del circuito
automobilistico. La zona era praticamente identica a come se la
ricordava. Improvvisamente, iniziò a sentire un’orrenda puzza.
Seguendo quella scia maleodorante, si trovò davanti uno spettacolo
raccapricciante: due uomini erano sdraiati a terra, in un lago di
sangue, mentre un terzo era riverso su uno di loro e, per assurdo che
sia, si stava cibando della carne del cadavere.
“Ehi tu! Che stai facendo? Fermo lì!”
gli intimò il Soggetto n. 9.
Lui, che appena udita la voce aveva
fermato la sua macabra attività, si voltò di scatto. Il suo volto,
con grande stupore dell’americano, presentava dei tratti distintivi
dei canidi: peluria su tutto il viso, muso allungato e denti molto
pronunciati e, in quel caso, sporchi di sangue.
“Ma che cazzo?!” imprecò il biondo
“Chi diavolo sei tu?”.
L’altro si voltò completamente verso
il suo nuovo avversario e pareva pronto ad attaccare. Se non che,
dalla strada vicina, cominciarono a risuonare nell’aria le sirene
tipiche della polizia tedesca. Accortosi di ciò, l’uomo lupo
scattò via in ritirata.
Lo statunitense fu tentato di seguirlo
ma, dato che le forze dell’ordine stava sopraggiungendo, decise di
aspettarle per cercare di rivelargli quanto aveva appena visto.
“Che vorresti dire con licantropo?”
domandò dubbiosa Sara, dall’altra parte del telefono.
“Quello che ti ho appena detto, Sara!
Quell’essere pareva in tutto e per tutto un lupo mannaro!”
insistette sicuro di sé l’ex-pilota.
“Certo che è davvero assurdo. Com’è
che ultimamente hai a che fare con gente che si trasforma in
animali?”.
“Che cosa vuoi che ne sappia io?!
Piuttosto, cosa pensi che dovrei fare?”.
“Per ora rimani lì dove sei. Se te
la senti, potresti anche provare a raccogliere informazioni,
ovviamente senza mettere troppo a rischio la tua vita…”,
“E come dovrei muovermi, secondo
te?”.
“Intanto potresti proseguire nel
bazzicare, senza farti notare troppo, il quartiere in cui l’hai
avvistato per la prima volta…”.
Alla fine, il mutante scelse di seguire
il consiglio dell’umana. Per giorni, le sue ricerche non portarono
a niente. L’ultimo giorno del suo soggiorno in Germania, tentò
un’ultima uscita serale. Qualcosa gli diceva che, quella volta,
sarebbe stata quella giusta.
Era ormai mezzanotte passata quando,
come ad esaudire i suoi desideri, sotto la luce di un lampione
comparve una figura animalesca ormai ben nota a Johnny.
Quest’ultimo, grazie alla sua
supervelocità, gli fu subito addosso, tempestandolo di colpi
fulminei. Poi prese una pausa.
“Allora figlio di puttana, mi vuoi
dire chi cazzo sei?”.
Il volto lupesco, sanguinante in più
punti, non smetteva comunque di digrignare i denti affilati. Mentre
lo osservava, Wayne notò qualcosa che, fino ad allora, non aveva
tenuto in considerazione: l’uniforme del licantropo era totalmente
bianca.
Come preso dalle vertigini, il
velocista fu costretto a rialzarsi in piedi.
“C-Cosa? Anche tu sei dello Spettro
Bianco?”.
Mentre era ancora sotto shock, anche il
lupo mannaro aveva ripreso la posizione eretta. Prima che gli andasse
contro a fauci spalancate, un proiettile lo perforò in pieno petto.
Risvegliatosi dal suo trauma, il
Soggetto N. 9 si voltò nella direzione dello sparo. Un signore sulla
cinquantina gli si stava avvicinando con molta cautela.
“T-Tutto bene, figliolo?”.
Lui non rispose ma, invece, tornò ad
osservare il suo avversario, sorprendendosi nel vederlo assumere un
volto completamente umano. Inoltre, tale viso, aveva per l’americano
un che di familiare.“M-Mr.
Wayne… è bello rivederla” sospirò il giovane, prima di spirare.
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Capitolo 6 *** Missione Egitto ***
CAPITOLO 6
“Missione
Egitto”
Egitto
Sulle rive del fiume Nilo, le cui
annuali inondazioni rendevano il terreno tutto attorno estremamente
fertile, in particolar modo per il grano e simili, stava transitando
un giovane pastore, di circa dieci anni, accompagnato dal suo piccolo
e ordinato gregge. Il ragazzino, data la sua giovane età, di certo
non dava importanza all’attiva naturale di quel fiume, per cui fu
scomodata anche una divinità, Hapy, e tanto meno a tutti quegli
antichi esseri divini. Fino a quel giorno.
“Di qua… di qua…” indirizzava
le sue pecore verso la direzione migliore, aiutandosi con un bastone
leggermente curvo, appartenuto da generazioni alla sua famiglia.
Tra queste, vi era un piccolo agnellino
che, vista la sua genuina curiosità verso il mondo, appena poteva,
si allontanava dai suoi simili. Anche in quel tardo pomeriggio, il
quadrupede stava seguendo esclusivamente il suo istinto.
Fortunatamente, anche questa volta, il
suo tutore umano se ne accorse in tempo “Dove vai tu, piccolo
birbante? Stai insieme alle altre!”.
“Mortale…”.
Una voce profonda, come se provenisse
dalle viscere della terra, si fece udire dalle orecchie del bambino.
Dopo un iniziale sobbalzo, il piccolo non riuscì a non voltarsi
verso ciò che lo stava chiamando, dimenticandosi anche dei suoi
animali.
Un uomo stava proprio davanti a lui,
sulla sommità di una piccola duna di sabbia. Il suo fisico era
asciutto ed abbronzato, tipico di quella terra africana. Il suo
vestiario, compresi i vari monili che indossava, emanavo un fascino
antico di secoli. Ciò che sconvolse l’egiziano fu però altro: a
fissarlo, con uno sguardo fiero e impenetrabile, vi era non un
semplice volto umano, come tutti si sarebbero aspettati, ma il muso
secco ed allungato di uno sciacallo.
Rimanendo impassibile, quell'essere,
metà umano e metà animale, riprese a parlare “Vuoi offrire la tua
vita in onore del dio Anubi?”.
Il bimbo non resistette più e, sapendo
che in ballo era la sua stessa vita, fuggì via volando quasi sulla
sabbia desertica.
Una volta giunto alla sua misera casa,
tutte le sue spiegazioni sull'accaduto furono vane, suo padre decise
di fargli assaggiare la legge del bastone.
All'interno di un'umida grotta,
illuminata soltanto da un caldo falò, vi trovava rifugio la stessa
figura mitologica apparsa al povero pastorello.
“... Non avevo mai visto un mortale
scappare così velocemente!” esclamò sorpreso, da quanto si poteva
intuire dai suoi lineamenti canini.
I suoi interlocutori, nascosti nella
penombra, sembravano divertirsi con lui e le sue novelle.
“Folle!”.
Quell'offesa improvvisa richiamò
l'attenzione di tutti verso una figura femminile. Quest'ultima
presentava caratteristiche simili allo stesso Anubi: il corpo era, in
tutto e per tutto, di fisionomia umana. Il suo volto, però, aveva il
fascino e la sinuosità dei musi felini.
“Folle di un Anubi! Sai benissimo che
i nostri attuali intenti non prevedevano la comparsa di fronte ai
mortali!”.
“Placati, Bastet. Nessuno crederà
mai alle parole di quel fanciullo”.
“Spero per te, stolto di uno
sciacallo, che le tue previsioni siano corrette!” detto ciò, la
donna-gatto si ritirò stizzita da quell'atrio naturale.
Giunta in un grande spiazzo libero,
sotto i candidi raggi della luna, una signora, dalla bellezza
ultraterrena, le si fece vicina.
“I tuoi colleghi ti creano
preoccupazioni, mia dolce Bastet?”.
“Mia signora Iside, per me essi sono
soltanto degli infimi animali!”.
Come un tuono, una voce esplose
dall'alto “Ricordati, Bastat, che, per il nostro destino, abbiamo
bisogno anche di quegli infimi animali”.
Un uomo, dalle dimensioni decisamente
enormi, si approssimò alle due donne.
“Caro Atum” sorrise serena Iside
“Tu riservi sempre infinita pazienza verso tutti noi”.
“Perdonatemi, signori...” richiamò
l'attenzione della coppia Bastat “Pare che mio padre sia infine di
ritorno”.
Dall'orizzonte scuro, un grande
bagliore si faceva, via via, sempre più vicino al particolare trio.
Solo quando quella luminosità si trovava a pochi metri dai tre,
s'iniziò ad intravedere una figura. Quando i dettagli si facevano
sempre più evidenti, una biga trainata da due splendidi cavalli
alati atterrò elegantemente al suolo.
Nel frattempo, anche gli occupanti
della grotta si era radunati all'esterno. Da quel maestoso veicolo,
scese una sfolgorante figura, il corpo da giovane aitante egiziano e
il volto fiero da falco. La luminosità che egli emanava, fu
contrastata dall'oscurità che fluiva da una seconda persona scesa
dal carro. Il fisico esile, fasciato da una tunica integrale bianca,
e la pelle di un colore verdognolo, talmente innaturale da far
ghiacciare il cuore al primo sguardo, caratterizzavano
quell'inquietante figura. Egli si mise di fronte a tutti i presenti.
“Signori” esordì, con voce solenne
“siamo appena venuti a conoscenza della sconfitta, avvenuta
sull'infame suolo di Waterloo, da parte dei nostri alleati situati in
tale zona”.
“Chi è stato così fortunato da
poterli sconfiggere?” domandò un altro metà-umano, con il muso
allungato di un non ben identificato animale.
“Si tratta delle stesse persone per
cui, anche noi, dovremo essere pronti a dare battaglia: i nove
mortali prescelti”.
“Quei vili traditori!” imprecò
un'altra donna, totalmente umana, ad esclusione delle lunga corna che
le spuntavano dal capo.
“Fai silenzio, Hator! Lascia
proseguire il sommo Osiride” lo richiamò una fanciulla con,
presente sul suo copricapo, una piuma multicolore.
“Ma non temete, miei sudditi. Tali
mortali possono anche avere, a loro favore, le capacità dategli in
dono dalla cosiddetta scienza, ma non sono niente in confronto ai
nostri poteri divini!”
“Johnny...”.
quella voce fu talmente lieve e, allo
stesso tempo, cristallina, che all'americano parve di essere stato
chiamato direttamente da un angelo. Poi si voltò e vide la
francesina.
“Ciao bella! Che succede?”.
“Scusami se ti disturbo, Johnny. È
che non so se riesco a reggere ancora questo stile di vita. Tutte
quelle morti...”.
“Scusate, piccioncini...”
s'intromise tra i due, mentre era ancora in volo, Jack Lincon “ma,
se tenete ai vostri corpi giovani ed attraenti, vi conviene rientrare
al rifugio”.
“Certo che te Jack sai proprio come
rompere le palle, quando ti ci metti!” lo rimproverò stizzito il
Soggetto N. 9.
“Piuttosto, come sta la tua gamba?”
s'informò la ballerina.
“Oh beh, diciamo che la nostra
adorabile Sara ha rivelato delle ottime, quanto insperate, doti
mediche” rispose l'inglese mentre, insieme alla coppia, stava
raggiungendo a piedi una cascata.
Con apparente normalità, il trio
procedeva verso la corrente verticale d'acqua. Quando vi stavano per
scontrarsi, il getto fu, come per magia, bloccato temporaneamente.
Appena passati i tre mutanti, tutto tornò alla normalità.
Appena giunti, si trovarono davanti un
enorme letto operatorio. Su di esso, era adagiato il nerboruto fisico
di Geran Giunan, che si presentava a petto nudo. Vicino a lui, la
bionda stava praticando un'iniezione nel suo braccio muscoloso.
“Che stai facendo, Sara?” chiese,
leggermente preoccupato, il biondo.
“Cerco solo di riadattare al meglio
la sua forza sovrumana, onde evitare, durante una missione,
spiacevoli conseguenze. Bene, Soggetto N. 5, ora puoi alzarti”.
“Tutto bene, Geran?” gli domandò
un'apprensiva Frédérique.
“Non preoccupatevi, l'ho fatto anche
per tutelare voi altri” insistette la loro unica ancora di salvezza
riguardo quel folle esperimento a cui, nolenti, avevano preso parte.
Notando il sospetto ancora presente nei
loro sguardi, lei proseguì “Coraggio, Soggetto N. 5, solleva
questo lettino”.
Il pellerossa non controbatté ma,
anzi, eseguì l'ordine. In un attimo, sollevò in aria l'oggetto come
fosse un semplice foglio di carta.
“Fantastico!” esclamò, estasiato,
il dandy moderno “Sembra come l'uomo forzuto di un freak show!”.
“Se vuoi, Soggetto N. 2, posso fare
qualcosa anche per le tue capacità...” gli propose, con fare
malizioso, la bionda.
A rispondere per il britannico fu, con
un urlo che non ammetteva repliche, fu l'altra femmina “Assolutamente
no!”.
Tutti si voltarono esterrefatti verso
di lei.
“Ma non capite? Questi poteri non ci
porteranno altro che guai!”.
Sull'orlo delle lacrime, il Soggetto N.
3 uscì di corsa dalla stanza.
Dalla porta lasciata aperta da
quest'ultima, fece capolino l'italiano.
“Ci sono problemi?”.
Senza dargli una risposta, Silvestri
riprese la parola “Voi non capite... Lo Spettro Bianco non si
risparmierà di certo nel cercare, con i modi più subdoli e letali,
di avere le vostre vite, che voi lo vogliate o meno!”
“Ehm... Sara?” cercò di attirare
nuovamente l'attenzione, Andrea.
“Cosa c'è, Soggetto n. 4?”.
“Igor sta captando... delle strane
voci”.
Allarmati da quelle ultime novità, i
quattro raggiunsero la cava più ampia dove, insieme al resto del
gruppo, udì il telepate parlare con voce non sua.
“Ai mortali che si fanno chiamare
Humana. Vi contattiamo dopo aver saputo della vostra vittoria a
Waterloo. Noi siamo una dinastia che si batte a fianco dello Spettro
Bianco. Proprio per questo, vi invitiamo, tutti e nove, a raggiungere
la nostra terra. All'ombra delle piramidi, si deciderà il vostro
fato...”.
“... Se non vi presentate, oltre alla
rovina del vostro onore, ne subirete le conseguenze” fu con queste
ultime solenni parole, che il grande Osiride concluse il suo
messaggio ai propri avversari.
“Discorso magnifico, sommo Osiride.”
gli si avvicinò la donna con la piuma in testa “Quegli infedeli di
certo non potranno nulla contro la tua ira”.
“Ti ringrazio, Maat” poi, rivolto a
tutti i presenti “Ora, perdonatemi. Vado a riposare, in attesa
della battaglia”.
Tutte le divinità, mentre lui lasciava
il grande spiazzo esterno, s'inginocchiarono rispettose. Una volta
tornata in piedi, Maat chiamò a sé Anubi.
“Ho un'importante missione da
affidarti, nobile Anubi. Voglio che tu giunga a Waterloo, dove
probabilmente si trovano ancora quei miserabili infedeli, e cerchi di
sterminare il maggior numero possibile di loro”.
In quel nutrito gruppo di divinità, la
più giovane era la tebana Mut che, forse proprio per la sua età,
continuava a non vedere di buon occhio l'appoggio dei suoi compagni
alla causa dello Spettro Bianco.
Appena ebbe udito, nascosta dietro un
angolo buio della caverna, il piano elaborato dalla sua compagna,
riuscì a sgattagliolare via, procedendo a grandi falcate verso il
resto del gruppo.
“... Per quanto riguarda la nostra
lotta contro gli Humana” proseguì Ra.
“... Avrai il nostro appoggio più
totale, mio caro” concluse Iside.
“Concordo in pieno con loro!” si
aggiunse Seth.
“Mio signore! Mio signore!” irruppe
la giovane donna, tutta trafelata.
“Cosa succede, Mut?” la interrogò
il dio del sole.
La nuova arrivata, appena ripreso un
minimo di fiato, raccontò ai presenti ciò di cui era appena venuta
a conoscenza.
“Davvero Maat può aver fatto
questo?” esclamò il dio uccello.
“Dobbiamo assolutamente fermarli!”
urlò Osiride che, nonostante il suo fisico malfermo, tentò una
corsa disperata.
“Non sforzarti, sommo Osiride, lascia
che me ne occupi io!” lo bloccò, superandolo, Ra.
Ma la più rapida di tutto fu la stessa
donna che li aveva avvertiti del complotto. Appena giunta doveva
aveva lasciati gli altri due, vide Anubi fuggir via più veloce del
vento, mentre Maat lo salutava con un ghigno beffardo sul volto.
Quest'ultima, appena resosi conto della
nuova presenza lì con lei, la richiamò.
“Che succede, Mut? Cosa ci fai tu
qui?”.
Mentre la giovane spiegava alla dea
della saggezza ciò che lei già sapeva, il carro trainato dai
destrieri alati di Ra era già partito all'inseguimento.
Il suo obiettivo, Anubi, si accorse del
suo inseguitore dalle grida con cui egli cercava di fermarlo.
“Quel vile Ra!” pensava tra sé il
dio sciacallo “Osa metter bocca anche sul mio operato!”.
Alle sue spalle, anche la testa piumata
era scombussolata da mille pensieri “Davvero Anubi non riesce a
sentirmi? Oppure è solo preda della sua proverbiale cocciutaggine?
Comunque sia, questa fuga assurda deve aver termine!”.
In un lampo, la biga sfrecciò davanti
alla sua preda e, mettendosi di traverso davanti ad esso, ne placò
infine la corsa.
“Bada Ra!” lo avvertì il fuggiasco
“Non osare metterti contro la mia forza!”.
Detto ciò, si preparava a sferrare un
attacco con la sua arma più potente, la lancia di Anubi.
Ma il suo avversario fu più lesto e,
usando un Ankh magico stretto nella sua mano, riuscì a disarmare il
rivale e, infine, ad immobilizzarlo.
Mentre il dio del sole tornava
vittorioso dalla sua missione, alla caverna era in atto un vero e
proprio processo nei confronti della dea Maat.
“... Ma è possibile che non
comprendiate quanto sta succedendo?” si difendeva l'accusata
“Questa è una guerra! In guerra tutto è lecito purché non porti
alla sconfitta! Come puoi non comprendere le mie azioni, sommo
Osiride?”.
“Sto solo avvertendoti che così è
agire da vigliacchi, e non da divinità!”.
“Se così può agire una dea, allora
non è da vigliacchi!” gridato ciò, la donna si allontanò
infuriata.
Nella sua stessa direzione, qualche
metro più avanti, era infine stato rilasciato il possibile dio
traditore, dopo una nuova ramanzina da parte di Ra.
Qualche istante dopo, i due
complottisti si trovarono nuovamente una di fronte all'altro.
“Ora più che mai, caro Anubi, sono
convinta che, solo i più meritevoli di noi, meriterebbero poteri più
divini. Magari un modo ci sarebbe...”.
Con queste ultime parole, i due si
allontanarono, sotto gli occhi nascosti della stessa Mut. Come fatto
poc'anzi, la giovane dea avvertì gli altri.
“Dunque Maat pensa di poter
potenziare quel vile di Anubi!” espose la questione Ra.
“Cosa facciamo, sommo Osiride?”
chiese preoccupato Seth.
“Per il momento,” gli rispose
l'interpellato “riuniamoci dove nessuno possa udirci”.
Anche la ragazza si apprestava a
seguire il gruppo, quando la divina Iside bloccò il suo intento.
“Giovane Mut, tuo sarà il compito di
avvisarci ogni qual volta viene a conoscenza di ulteriori piani
cospiratori. Ma, per il momento, lasciaci da soli”.
Com'è facile immaginare, queste parole
non fecero certo piacere alla tebana.
Sott'acqua.
Un nero sottomarino scivolava
silenziosamente tra i flussi presenti nelle profondità dell'oceano.
Al suo interno nove mutanti ed un umana.
“... Proseguiamo così, in direzione
Egitto” ordinò Sara al suo equipaggio.
“Il radar segnala qualcosa, Sara”
lo avvisò il suo connazionale.
“Quanti sono?” domandò Juna.
“Dovrebbero essere cinque” gli
rispose il ragazzo davanti ai monitor.
“Che sia lo Spettro Bianco?”
ipotizzò Bernardo.
“Oppure di qualche nazionalità
autentica” aggiunse Johnny.
La curiosità serpeggiò in tutti i
presenti. In particolare, la francesina aveva i mezzi per
soddisfarla. Dopo una rapida occhiata con la vista a raggi x, informò
gli altri “Sono americani”.
Passato qualche secondo, una
comunicazione, in lingua inglese, risuonò negli altoparlanti del
sommergibile.
Appena la voce metallica cessò, Wayne
tradusse per i suoi compagni “Vogliono che ci identifichiamo a
loro”.
“Cosa si fa?” chiese repentino
Alberti.
Dopo qualche attimo di riflessione, fu
la loro superiore a parlare “Non abbiamo né mezzi a sufficienza né
le giuste motivazioni per affrontarli, dunque cerchiamo di mettere in
atto una rapida fuga!”.
“180 gradi a babordo, Berny”
esclamò serio Lincon.
“E tu pensi che io sappia cosa vuol
dire babordo?!” replicò, ad un passo dal panico, Borghi.
“Sbrigatevi ragazzi!” urlò Arone,
fissando apparentemente le pareti metalliche dell'abitacolo “Si
stanno mettendo tutti attorno a noi!”.
“Ci stanno accerchiando, è la mossa
più logica da fare” sembrò apprezzare l'ex-militare.
“Motori a massima potenza!” gridò
infuriata Silvestri.
“Un attimo, Sara. Il radar ne ha
rivelati altri tre!” informò nuovamente l'italiano.
“Andrea ha ragione!” confermò
Frédérique “Questi però sembrano russi”.
“Ci mancava un'altra guerra fredda!”
ironizzò a denti stretti Johnny.
“Allora ci rimane una sola via di
fuga: Scendiamo in profondità!” sentenziò la bionda.
Mentre il messicano pregava per la sua
personale salvezza, il sottomarino eseguì la manovra con grande
rapidità, nonostante ai comandi non ci fosse effettivamente nessuno
degli Humana.
Quando fu tornata la quieta, a parlare
fu inaspettatamente l'indiano.
“Per raggiungere l'Egitto, dovremmo
passare dallo stretto di Gibilterra...”.
Tutti tacquero, ancora sorpresi.
“Oppure risalire direttamente dal
Nilo” concluse il pellerossa.
“Come facciamo a passare con il
nostro sottomarino dentro un fiume, sebbene sia il Nilo?” chiese
preoccupato lo statunitense.
“Un modo ci sarebbe...” esordì
Sara.
Tutti i presenti si voltarono verso di
lei.
“Siamo quasi certi che lo stesso
Spettro Bianco abbia costruito, in molte delle profondità oceaniche
presenti nel nostro pianeta, dei delle lunghe cavità sotterranea,
con le quali raggiungere qualsiasi località del nostro globo.
L'unica difficoltà sarà però affrontare le correnti
sottomarine...”.
“Correnti sottomarine?” gli fece
eco il baffuto.
“Esatto. Correnti marine molto più
impetuoso di quelle presenti in superficie. Però, se riusciamo a
fare un giusto calcolo relativo alla bassa ed alta marea, possiamo
sperare di passare quando esse sono più deboli”.
“Pare proprio che non abbiamo altra
scelta.” si espresse l'ex-pilota “Soprattutto sapendo che gli
egizi ci hanno già dato l'ultimatum”.
“È deciso: passiamo per il tunnel!”
concluse decisa Sara.
Nel mentre, il messicano si rimise a
pregare.
Adeguandosi a quanto calcolato dalla
responsabile del gruppo, l'attraversata del canale sembrò non
presentare particolari insidie. Improvvisamente, tutto iniziò a
tremare.
“Per Diana! Non avevi detto di essere
certa dei tuoi calcoli, Sara?!” la richiamò l'inglese.
“Infatti è così! Io stessa non
capisco cosa stia succedendo!” replicò lei.
“T-Tutto sta t-tremando” osservò
Chang, mentre il suo fisico corpulento vibrava esageratamente.
“Voi esseri civilizzati pensate
sempre di poter capire la natura!” sbottò l'africano “Ma è lei
che alla fine comanda su qualsiasi cosa!”.
Dei massi di notevoli dimensioni
iniziarono a colpire il veicolo. Al suo interno, tutto l'equipaggio
veniva sballottato con violenza da un parte all'altra.
“Questa è davvero la fine!”
sentenziò un Soggetto N. 7 ormai arresosi al suo destino.
“Stupido stolto!” controbatté il
n. 6 “Tu almeno puoi tramutarti in palla, onde evitare questi
urti!”.
Intanto, l'italiano era sempre più
terrorizzato “La struttura esterna sta subendo danni di gravità
sempre più maggiore. Di questo passo, non so quanto ci rimane prima
di iniziare ad imbarcare acqua!”.
“Possibile che non ci sia un modo per
salvarci?!” urlò disperato il britannico.
Un'illuminazione improvvisa colpì il
Soggetto N. 9 “Possiamo cercare di tappare un'estremità del
tunnel...”.
“Come idea è corretta” confermò
Silvestri “Però, con tale corrente, non sappiamo con certezza dove
andranno a colpire i nostri missili”.
“Confermo” si aggiunse il
connazionale.
“Potrei provarci io...”.
Tutti si voltarono verso il membro più
giovane della squadra.
“Con il mio potere, cercherò di
indirizzare i missili verso i loro giusti obiettivi”.
Gli Humana rimasero in silenzio.
“Tentar non nuoce” fece un mezzo
sorriso il Soggetto N. 4.
Appena rilasciate le testate esplosive,
quest'ultimo ordinò al russo di colpire il soffitto roccioso che
avevano sopra di loro.
Nel frattempo, il messicano riprese le
sue preghiere. Per poi bloccarle.
“S-Siamo salvi?”.
Uno sguardo terrorizzato comparve sul
dolce volto del Soggetto N. 3 “Sta collassando tutto!”.
Questa volta, furono tutti i presenti a
pregare per la loro salvezza.
Come fosse un miracolo, il sommergibile
partì a gran velocità, raggiungendo infine il termine del tunnel
sotterraneo, tra le urla di giubilo dei suoi occupanti.
Egitto
La giovane tebana Mut si stava
avvicinando ad un uomo, seduto sulla riva del mare, dalla pelle di un
cupo blu cobalto.
“Mio caro Amon, cosa vi preoccupa
così terribilmente?”.
Egli non rispose ma, d'un tratto, si
alzò in piedi, fissando serio l'orizzonte.
La giovane seguì il suo esempio e, con
suo grande stupore, si trovò di fronte delle persone vestite di
rosso e giallo.
Il primo ad attaccare fu Bernardo che,
in un attimo, gonfiò il suo corpo normalmente esile, per meglio
affrontare la lotta con l'essere blu.
Appena afferratogli un braccio, si
accorse che esso assumeva, senza alcuna difficoltà, la forma che la
pressione delle sue dita gli procurava.
“Pare fatto di gomma!” informò gli
altri.
L'egiziana tentò la fuga ma, grazie
alla sua supervelocità, l'americano gli fu subito addosso.
“Ferma dove sei, tesoro” poi,
notando qualche strano luccichio nel suo curioso copricapo “Aspetta
un attimo... ma questa è una ricetrasmittente! Hai già chiamato
rinforzi? Rispondi, puttana!”.
“Fermati, Johnny! Cosa la
spaventerai!” tentò di farlo ragionare l'ex-ballerina.
D'improvviso, un tonante rumore di
zoccoli si fece sempre più udibile. A cavallo di un bianco
destriero, Bastet guidava la carica ad un branco di pantere nere.
“Così, vili, vi siete infine
presentati a cospetto della vostra morte!”.
“Lasciala stare, Johnny! Pensiamo
piuttosto ad aiutare i nostri compagni!” insistette Frédérique.
“Ma così avvertirà ulteriori
rinforzi!” controbatté l'uomo, tenendo ancora ben stretta la sua
prigioniera.
“Non capisci... se continui così,
potresti anche ucciderla!”.
I due si fissarono per qualche secondo.
Dopo ciò, il velocista lasciò la
presa. Di nuovo libera, l'egiziana fece qualche piccolo passo in
avanti, per poi venir colpita rapidamente alla nuca.
“Cosa fai Johnny?!”.
“Tranquilla, è solo svenuta”.
Intanto, la lotta fra i due mutaforma
proseguiva. I loro corpi si attorcigliavano come fossero una
ghirlanda umana. Dopo infiniti minuti di stallo, Amon riuscì a
scaraventare il suo avversario giù da un piccolo dirupo. Senza
attendere che quest'ultimo si riprendesse, la divinità sollevò un
pesante masso, per poi lanciarglielo contro. Ripeté l'azione con
tutte le enormi pietre che aveva nelle vicinanze.
Una volta certo che tutto fosse
immobile, si voltò per occuparsi anche degli altri mutanti. A sua
insaputa, però, un piccolo serpentello si faceva largo fra le rocce.
Tornato ad una forma umana, fu la sua volta di lanciargli addosso un
masso. Colpito in pieno alla schiena, l'egizio crollò esanime al
suolo.
Mentre la coppia stava proseguendo nel
bisticciare come fidanzatini, davanti a loro si parò la figura con
la pelle blu cobalto.
“Bastardo! Cosa hai fatto a Berny?”
lo aggredì verbalmente il biondo, pronto a scattare all'attacco.
“Calmati, Johnny! Sono io Berny, il
re del camuffamento!” il nemico si espresse con un chiaro accento
spagnolo.
“Fantastico! Così potresti penetrare
nel loro covo e sconfiggerli dall'interno!” lo acclamò Wayne.
“Mi chiedo però quale sia il loro
reale piano?” si chiedeva Arone “Di certo sappiamo che sono molto
meno divinità di quanto appaiano”.
Il loro briefing fu di breve durata,
dato che si trovarono davanti la donna-gatto ed il suo esercito
animale.
Furtive come nella loro natura, le
pantera si mossero attorno a loro, accerchiandoli.
La prima attaccò rapida ma, con
altrettanta rapidità, il Soggetto N. 9 difese se stesso ed i suoi
compagni.
Visto lo stallo del combattimento,
Bastet sollevò in aria il suo Ankh. Da esso, si emanò una luce
abbagliante, che disorientò i tre mutanti.
Approfittando della situazione,
l'egiziana sferrò una lancia verso il biondo del trio, colpendolo in
pieno petto.
O meglio, così sembrò, data
l'immagine residua del velocista ma, una volta scomparsa, la lancia
finì la sua corsa contro uno dei grandi felini a suo servizio.
Intanto, una di esse si era avventata
sulla malleabile epidermide del Soggetto N. 7, non provocandogli
alcun tipo di ferite.
Johnny era di nuovo in moto e, in un
lampo, mise il Soggetto N. 3 al sicuro nelle vicinanze della sfida.
Fatto ciò, tornò a competere con le pantere che, con sua grande
sorpresa, sembravano avvicinarsi sempre più alla sua velocità
ultraterrena. Rimanendo leggermente ferito al braccio destro, riuscì
finalmente ad abbatterle tutte, potendosi così concentrare
esclusivamente sulla donna-gatto.
Come ebbe subito modo di scoprire, la
croce ansata in possesso della divinità, oltre al raggio luminoso di
poc'anzi, riusciva ad emetter anche un vero e proprio colpo
calorifico. I massi da esso colpito, si scioglievano come neve al
sole. Inoltre, l'egizia riusciva ella stessa ad accelerare a grandi
velocità.
“Ci deve pur essere un modo per
batterla!” pensò tra sé lo statunitense.
Visto il nuovo stallo fra i due
duellanti, Bastet cambiò di colpo obiettivo. Con un lungo balzò si
posizionò accanto a Frédérique, nascosta tra le rocce.
Prima che quest'ultima potesse muovere
anche solo un muscolo, le piantò un pugnale alla gola.
“Fermati, mutante! Altrimenti questa
donna pagherà per prima le vostre colpe!”.
Ubbidendo alle sue richieste, Il
Soggetto N. 9, la vide alzare nuovamente in aria la sua chiave della
vita, che si stava già illuminando, apprestandosi a rilasciare il
raggio mortale.
Improvvisamente, la giovane Mut spinse
con tutte le sue forze la sua compagna in avanti. La donna-gatto volò
giù nel vuoto, atterrando violentemente sulla ghiaia.
Finalmente riunitisi, i mutanti stavano
scegliendo il loro prossimo piano di azione.
“Ed ora cosa facciamo?” domandò
Bernardo, che si stava presentava ancora con le sembianze del suo
precedente avversario.
“Non ci resta che entrare nella
grotta. Anche perché Frédérique su di essa non riesce ad
utilizzare la sua vista a raggi x” lo informò Johnny.
“Esatto.” Confermò lei “Ma con
l'aiuto di Mut abbiamo sicuramente più possibilità di vittoria!”
indicando la loro nuova alleata.
“Cosa?” sbottò il messicano “Come
potete fidarvi di una di loro?”.
La giovane, a quelle ultime parole,
sbottò “Come osi dire ciò, Amon? È evidente che sei stato tu il
primo a tradire la nostra razza”.
Sul momento, il trio rimase un po'
basito, per poi comprendere la truffa che stava subendo
inconsciamente l'egiziana. Fu allora che la francesina ebbe un'idea.
“Giusto! Potrei entrare là dentro
come prigioniera!”.
“Cosa?” gridarono all'unisono i due
maschi.
“Ma sì!” proseguì lei “Berny,
sempre camuffato con la pelle blu, mi porterà la dentro come sua
rivale battuta!”.
Ora il resto del gruppo aveva compreso
finalmente il piano. Tutti tranne la giovane dea.
Ci volle ancora qualche minuto per
convincere il Soggetto N. 9 sull'efficienza del loro progetto.
Infine, decisero di attuarlo.
“Sarà davvero tutto così semplice?”
si chiedeva mentalmente l'unico rimasto nella spiaggia.
O almeno così credeva di essere,
finché non udì un eccessivo scricchiolio di sassi alle sue spalle.
In un attimo si trovò davanti niente meno che il venerabile Anubi.
Quest'ultimo non ebbe tempo di reagire
che gli arrivò un potente destro sul muso canino. Volato a metri di
distanza, l'avversario era esanime al suolo. Avvicinatosi leggermente
per constatarlo, con gran rapidità, l'uomo-cane si avventò sulla
gamba destra del velocista. Wayne, urlando dal dolore, si liberò
infine con un calcio della gamba libera da quella stretta dolorosa.
Approfittando di questo momentaneo
vantaggio, l'egiziano si rimise in piedi. Onde evitare il proseguire
di quella sfida, nonostante il dolore lancinante all'arto offeso, lo
statunitense si gettò contro il nemico, facendolo precipitare
direttamente nell'oceano.
“Che figlio di puttana!” imprecò
rabbioso il vincitore “Se non altro non ha avvertito i suoi
compagni”.
Trovando un inaspettato relax,
rimirando le onde marine, di colpo, il biondo percepì una nuova
presenza alla sua sinistra. Voltatosi, si trovò davanti una donna
dalla bellezza davvero ultraterrena.
Balbettando vistosamente, le parlò
“S-Sei una di loro?”.
La donna, fissandolo con uno sguardo
magnetico, gli rispose “Io sono la somma Iside”.
Pronunciate queste parole, la terra
iniziò a tremare. Il Soggetto N. 9 difficilmente riuscì a tenersi
in in piedi mentre, proprio di fronte a lui, comparve dagli abissi
terrestri una piramide, alta circa tre metri. La dea vi entrò
dentro, tramite un'apertura presente dal suo lato, che poi
immediatamente ri richiuse.
Mentre il mutante era ancora
sbigottito, una voce si udì nell'aria.
“Non pensare, misero mortale, che
questa sia una semplice piramide”.
Johnny cercava di intuire da dove
provenisse quell'avvertimento, quando vide scintillare la punta di
quella singolare struttura. Grazie ai suoi riflessi accelerati, evitò
per un pelo un raggio laser diretto nei suoi confronti.
“Puoi correre dove vuoi, tanto saprò
sempre dove ti nascondi”.
Disorientato dalla polvere presente
nell'aria, causata dall'impatto del raggio contro il suolo roccioso,
l'americano decise di trovare rifugio in acqua.
L'attesa divenne sempre più estenuante
da ambo le parti. Improvvisamente, con un enorme spruzzo di schiuma
marina, il velocista riuscì a raggiungere la cima della piramide,
aggrappandosi ad essa. Per sua fortuna, in quella posizione e con
quella angolazione, il laser non riusciva a colpirlo, nonostante
ripetuti tentativi.
Il mutante stava ancora riprendendo
fiato quando percepì tutta la struttura vibrare. Con grande
leggerezza, la base quadrata si staccò dal suolo. Una volta a
mezz'aria, la figura iniziò a ruotare, facendo finire il suo
obiettivo a testa in giù e con il mantello giallo penzoloni. Avendo
ora contro anche la forza di gravità, le mani di Wayne scivolarono
sulla parete liscia a cui si era ancorato, per poi finire nuovamente
disteso a terra.
Con la testa che ancora gli girava,
squadrò in alto, giusto in tempo per vedere la punta acuminata
piombargli addosso. Ancora una volta, la sua velocità sovrumana gli
salvò la vita. Appena frenatosi, notò delle lievi fessure sulla
superficie uniforme della piramide rovesciata, ora conficcatasi al
suolo.
Come un fulmine si abbatté contro
l'entrata mimetizzata, trovandosi nuovamente davanti la donna, che lo
fissava con sguardo realmente spaventato.
Quasi a tranquillizzarla, lui pronunciò
“Non preoccuparti, non ti ucciderò”.
Prima che ella potesse proferir parola,
il biondo la colpì leggermente dietro la nuca, facendole perdere i
sensi istantaneamente. L'eroe fece appena in tempo a portarla fuori
dalla piramide che quest'ultima, con un gran boato, esplose in mille
pezzi.
“... Venerabile Amon, mi complimento
con te per la cattura di uno dei nostri nemici mortali” si
complimentò Maat, fissando con i suoi occhi scuri l'uomo dalla pelle
blu.
Quest'ultimo, che a suo fianco aveva
un'altra divinità, Osiride, altri non era che il Soggetto N. 7 sotto
copertura.
“Scusi se la interrompo, Venerabile
Maat, ma ho urgenza di parlare con lei!”.
Ad esclamare ciò era un redivivo
Anubi, appena comparso nel grande spiazzo all'interno della grotta.
I due si defilarono per poter
confabulare senza essere uditi dal resto dei presenti. Una volta
terminata il loro confronto, la donna dalla testa piumata si avvicinò
alla sua connazionale.
“Dimmi, somma Osiride, quali sono le
capacità elevate della prigioniera?”.
“Per quanto ne sappiamo, la mortale
ha multiple qualità riguardanti la propria vista”.
La richiedente si fece pensierosa.
D'improvviso si rivolse al falso alleato “Dimmi, Amon, Anubi mi ha
appena riferito che, durante la battaglia, oltre al suo miracoloso
salvataggio da morte certa, c'è da registrare la perdita di Bastet e
la distruzione della piramide di Iside. Per quanto riguarda la tua
presenza, invece, non gli risultano alcune informazioni utili. Perciò
ti domando: sei davvero tu il responsabile di questa cattura?”.
“B-Beh...” la voce di Borghi si
fece sempre più flebile “... diciamo che sono stato fortunato! Ho
approfittato che i suoi compagni erano impegnati per poterla così
catturare tranquillamente”.
La divinità non sembrò affatto
rincuorata “Sappi che, se osi mentirmi, la tua fine sarà così
orrenda da non poter essere mai narrata!”.
Esclamando ciò, gli afferrò forte la
spalla che, grazie alla propria elasticità, subì senza alcun danno
la pressione delle sue dita.
All'esterno della struttura rocciosa,
il Soggetto N. 9 era sempre più indeciso sul da farsi.
“Possibile che ci mettano tanto? E e
gli fosse successo qualcosa? Forse mi conviene entrare per dare
un'occhiata? Oppure seguo il piano e aspetto un segnale da parte
loro?”.
Nei limpidi cieli africani, non visto
dal mutante a terra, faceva la sua comparsa un nuovo dio. Esso aveva
il viso simile ad un volatile tipico delle rive del Nilo, l'ibis.
Notata la presenza della persona in rosso e giallo, sfrecciò dentro
la caverna, passando da un grande foro presente sulla sommità.
Una volta dentro, raggiunse planando i
presenti.
“Sommo Thot, è un onore averla con
noi” lo salutò Maat poi, appena che questo gli ebbe bisbigliato
qualcosa all'orecchio, tornò a fissare severa il falso Amon.
“Il venerabile Thot mi ha appena
informato delle presenza di uno di questi miserabili umani,
esattamente all'esterno della nostra dimora. Eppure mi avevi detto
che gli altri si erano tutti ritirati...”.
il mutaforma, sempre più nel panico,
tentò di inventarsi nuovi alibi “B-Beh io lo supponevo... dato che
in fondo mi sono occupato soltanto della francese”.
Tutti gli dei presenti, compreso
l'appena giunto Ra, rimasero sorpresi da queste ultime rivelazioni.
“Come fai a sapere la nazionalità
della prigioniera?” incalzò nuovamente l'egiziana.
Il Soggetto n. 7 era al limite della
resa. Con il sudore che imperlava la sua pelle color cobalto, tentò
una risposta “L'ho intuito dal suo accento!”.
“Vi è qualcosa nel sommo Amon di
alquanto sospetto...” rifletteva un sempre più scettico Osiride.
Improvvisamente, l'indagatore cambiò
indagato “Tu cos'hai da dire, misera mortale? Che fine hanno fatto
i tuoi simili?”.
“Non saprei” rispose rapida
l'interpellata “Appena arrivati qua, ci siamo divisi e, purtroppo,
io sono stata catturata da questa specie di puffo gigante”.
Rimasti spiazzati da quest'ultimo
termine, a loro totalmente ignoto, gli dei furono ridestati dal suono
di un allarme.
“L'invasore si è avvicinato troppo
alla nostra dimora!” urlò Ra, mentre si metteva subito in azione.
La sempre più rabbiosa Maat, per
evitare di perdere completamente la pazienza, si rivolse ad Osiride
“Divino Osiride, cosa ne facciamo dunque dei prigionieri?”.
“Per il momento, venerabile Maat,
rinchiudiamoli nelle nostre prigioni, poi decideremo il da farsi”
fu l'ordine lapidario dell'uomo dalla pelle verdastra.
A scortare i prigionieri verso i
sotterranei fu, oltre al falso Amon e la giovane Mut, lo stesso
Osiride. Quest'ultimo, improvvisamente, ruppe il silenzio.
“Se la memoria non mi tradisce, tu
dovresti essere il messicano?”.
I due mutanti si bloccarono di colpo,
ormai totalmente scoperti.
“Immagino che” riprese l'egizio “
dato l'inutilità dell'altrimenti portentosa vista della francese,
abbiate messo su questa messinscena per entrare qua dentro”.
“Noi...” sillabò appena il
Soggetto N. 3.
“Tranquilla, giovane mortale, io sono
il dio sia della morte che della vita, non sarà esclusivamente una
mia scelta il vostro fato”.
Dopo questa velata minaccia, la donna
si decise a parlare.
“Non so quali siano gli accordi che
avete con lo Spettro Bianco ma, fidati, abbiamo le nostre ragioni per
eliminare questa lurida organizzazione”.
“Che tu ci creda o no, giovane
mortale, comprendo le vostre ragioni. Perciò ti chiedo, a sua volta,
di comprendere le mie. Quelli che per voi sono nemici, per me sono
fedeli alleati”.
Nell'udire queste ultime parole, gli
occhi di Frédérique effettuarono un rapido movimento.
“Anche quelli che ti controllano
cercando di non farsi scoprire?”.
Questa volta fu l'egiziano a rimanere
sorpreso “Cosa vorresti dire?”.
“Da quando ci stai accompagnando, c'è
un tizio con la faccia da falco che ci sta seguendo di nascosto!”
urlò lei, indicandogli la posizione.
Il divino Horus, sentendosi scoperto,
tentò una fuga disperata attraverso i corridoi rocciosi. Il Soggetto
N. 7, tramutandosi in rondine, partì al suo inseguimento.
All'esterno, Johnny aveva appena
terminato il suo superveloce giro di perlustrazione attorno alla
base.
“Aspetta, mortale! Hai di fronte a te
il sommo Ra. Posso sapere il tuo nome?”.
L'americano fissava attento la figura
dalla testa aquilina “Jo... cioè, voglio dire Soggetto N. 9”.
“Bene. Ora il nostro duello può
cominciare”.
Appena pronunciate tali parole, i due
sfidanti scomparvero dalla vista umana, ingaggiando un cruento corpo
a corpo alla velocità della luce.
Nei sotterranei, la rondine sfiorò la
spalla sinistra di Mut, inseguendo la spia divina che, con gran
sorpresa del mutante, si rivelò davvero un bersaglio scomodo.
All'esterno, i due velocisti ci misero
poco a notare che le loro due forze si equivalevano. Trovatisi uno di
fronte all'altro, l'egiziano riprese la parola.
“Questo duello è inutile. Finché
rimango in questa condizione rischieremo soltanto di rimaner
sconfitti entrambi”.
“Che vuoi dire?” gli domandò
l'avversario.
Per tutta risposta, il corpo della
divinità iniziò a brillare, sempre più, finché non prese
letteralmente fuoco.
“Ma che cazzo?!” imprecò un Wayne
sempre più preoccupato.
“Sarà il fuoco divino a decretare la
tua sconfitta, sciocco mortale!” parlò il fuoco vivente.
Alzando un suo braccio, sprigionò da
esso una vampata che lo statunitense fece appena in tempo ad evitare.
Nei sotterranei, l'inseguimento tra i
due nemici aveva preso dei connotati decisamente comici, con Borghi
che, in un determinato momento, si era trovato con il becco
conficcato nella dura roccia.
Fra i due litiganti, fu presto
coinvolta anche Mut, come fosse una baby-sitter alle prese con due
pestiferi monelli.
Fuori, Johnny si trovò improvvisamente
con i piedi sul ciglio di un dirupo, sotto l'azzurra distesa del
mare. Questi secondi di indecisione gli furono fatali, dato che fu
colpito da una nuova fiammata.
Qualche metro più indietro, il divino
Ra sentenziò “Che il nostro sommo Osiride possa essere così
clemente da accogliere la tua anima nel suo regno”.
Sulla riva del Mar Egeo, la sua sposa e
sorella Iside sembrava alquanto rattristata.
“Che davvero quel giovane sia infine
morto?” si chiedeva tra sé e sé.
Con una decisione improvvisa, la dea si
tuffò tra le acque. Nelle profondità marine, una volta individuato
il corpo esanime del mutante, lo recuperò, per poi adagiarlo sul
suolo sabbioso.
“Oh dei! Questo giovane è ancora
vivo!” esclamò entusiasta.
Come risvegliato da quell'urlo
liberatorio, il biondo, dopo aver sputato dell'acqua salata, sospirò
“D-Dove sono? Te bella chi sei?”.
“Non ricordi, giovane mortale? Io
sono la venerabile Iside. Abbiamo combattuto e tu, pur vincitore, hai
avuto pietà di me. Di ciò, io non me ne sono dimenticata, per cui,
posso sapere dove si trovano gli altri tuoi compagni?”.
“E perché dovrei fidarmi di te?”
controbatté l'americano.
“Comprendo la tua giusta diffidenza,
ma, se lasci le cose così come sono, ti aspetta soltanto la morte”.
L'uomo la fissò ancora sospettoso per
alcuni minuti, poi bisbigliò “A tre chilometri dalla costa, in
direzione nord-est”.
Dopo averlo inaspettatamente
ringraziato, la donna si rituffò nell'oceano.
Dentro la grotta sacra, i prigionieri
erano infine giunti alle proprie galere.
“Finalmente vi abbiamo, luridi
mutanti!” sentenziò una trionfante Maat “Giusto per scoraggiare
una vostra possibile fuga, quelle sbarre naturali che avete davanti
sono formate da roccia sacra...”.
Non avendo mai dato importanza a tali
credenze, Bernardo provò comunque ad afferrare quella grande
stalagmite calcarea che aveva di fronte. Le sue mani furono folgorate
in un attimo da una potente scossa elettrica. Per sua fortuna, il
messicano lasciò immediatamente la presa.
“Così impari a non credermi, sciocco
mortale” riprese la divinità “D'ora in avanti, il vostro ruolo
sarà quello di esche per i vostri compagni” poi, fissando il
Soggetto N. 3 “Magari, per semplificare i nostri compiti, la vostra
francese, con la sua visione avanzata, potrà avvertirci in anticipo
di una loro venuta...”.
Mentre la loro guardiana proseguiva,
una terza prigioniera si fece avanti “Somma Maat, ancora non
comprendo la motivazione di una mia prigionia!”.
“È inutile che prosegui con la tua
recita, Mut, ho perfettamente compreso le tue intenzioni di
rivoltarti contro di noi”.
Di fianco all'esaltata carceraria, vi
era un Osiride con lo sguardo sempre più preoccupato.
“Divino Osiride” le si rivolse
l'alleata “Confido anche in lei per la sorveglianza di questi
mortali infedeli”.
Nelle profondità sottomarine, uno
scuro sommergibile attendeva silenzioso. Al suo esterno, due uomini
che rispondevano al nome di Juna e Chang, quest'ultimo con l'ausilio
di bombole di ossigeno, attendavano un non meglio specificato
visitatore. Ad un certo punto, si videro comparire davanti una donna
dalle sembianze divine. Ancora ammaliati dalla sua bellezza, si
accorsero dopo della presenza, abbracciata a lei, del loro amico
Johnny.
“Ferma là! Chi sei? Che ci fa il
Soggetto N. 9 con te?” le domandò l'unico, dei due mutanti, in
grado di comunicare sott'acqua.
“Voi siete i suoi compagni? Per
favore, credetemi, dovete medicarlo il prima possibile, poiché ha
combattuto una dura battaglia!” tentò di spiegarsi Iside.
La coppia in rosso e giallo si fisso
per qualche attimo.
Alla fine, l'africano prese la sua
decisione “Va bene. Seguimi che lo portiamo dentro”.
Mentre l'egiziana obbediva agli ordini,
qualcosa sembrò attirare l'attenzione del cinese. Non curante del
fatto che si stava allontanando dalla sua squadra, nuotò nella
direzione che conduceva alla costa. Improvvisamente, tutta l'acqua
attorno a lui si mise a vibrare. Ancora disorientato da quella muta
confusione, vide scendere dall'alto un enorme piede umano. Scuotendo
la testa, pensando di essere vittima di allucinazioni, il Soggetto N.
6 decise infine di emergere. Davanti a sé vide un'enorme persona,
vestita anch'egli come un antico egizio.
Nel giro di pochi secondi, ancora
shockato dall'accaduto, l'asiatico riuscì a raggiungere gli altri
Humana, per riferir loro tutto quanto. Lì per lì perplessi, bene
presto furono costretti a credere nelle sue parole, osservando il
nuovo avversario da un monitor.
“Oh cazzo!” imprecò Andrea.
Chi non perse lucidità fu Sara che,
immediatamente, ordinò “Motori indietro tutta! Andiamo via di
qua!”.
Purtroppo l'equipaggio non fu
altrettanto rapido ed Atum afferrò saldamente il sottomarino, quasi
fosse un semplice giocattolo da bambini.
Al suo interno, il Soggetto N. 4 tentò
il passaggio all'offensiva “Non mi farò prendere così facilmente,
fuori i siluri!”.
Nonostante il bersaglio fu colpito in
pieno, il gigante non parve minimamente scalfito da ciò. Dopo aver
lasciato d'istinto la presa, si rigettò nuovamente su di loro
quando, d'improvviso, fu visto cadere all'indietro.
“Ma cosa gli è successo?” domandò
sorpreso Jack attaccato, come gli altri, al monitor che trasmetteva
le immagini della sfida.
“Sarà inciampato?” ipotizzò
dubbioso l'italiano.
“Proviamo a zoomare verso i piedi”
informò il gruppo la bionda.
Strizzando bene gli occhi, per mettere
bene a fuoco lo schermo, Chang esclamò “Ma è Geran!”.
In effetti, le immagini, sebbene
leggermente sfocate, mostravano l'indiano usare tutta la sua forza
erculea contro il titanico avversario.
Fu allora che Silvestri riprese a dare
ordini “Soggetto N. 4, lascio a te i comandi del veicolo, io vado a
controllare le condizioni del Soggetto N. 9”.
“Ricevuto!” rispose serio
l'ex-militare “Cercherò di nascondermi all'interno di una fossa
oceanica”.
Inabissandosi sempre di più, il
sommergibile riuscì a far perdere le sue tracce. Ciò fece infuriare
il gigante che, come imbizzarrito, iniziò a pestare potenti colpi al
suolo, provocando a sua volta smottamenti pericolosi per il gruppo
Humana.
Notando tale pericolosità, il Soggetto
N. 5 andò nuovamente all'attacco, colpendo con ripetuti diretti la
schiena dell'avversario.
Questo si voltò dicendogli “Ferma il
tuo attacco, se tieni alla vita”.
Nel mentre, fece partire un colpo a
mano aperta che, nonostante fosse rallentato dalla gravità ridotta
presente nell'ambiente, colpì in pieno il mutante, premendolo contro
un masso sottomarino.
Nel frattempo, dentro l'abitacolo
metallico, gli occupanti erano vittime impotenti di una pioggia
continua di sassi, dovuta allo smottamento provocato dal duello
soprastante.
“Signori,” richiamò l'attenzione
di tutti il Soggetto N. 2 “l'unica cosa che ci rimane da fare e
abbandonare la nave!”.
“E Giunan?” ribatté lo zairese
“Non possiamo lasciarlo qua giù!”.
“Ora basta!”.
Tutti i presenti si voltarono verso
colui che aveva appena urlato rabbioso: Andrea Alberti.
“Io non ci sto a fare questa fine! Se
proprio devo morire, lo farò combattendo!” poi, rivolto agli altri
tre vestiti in rosso e giallo “E voi, se davvero avete le palle,
uscirete con me!”.
Senza dargli alcuna risposta, i quattro
si diressero verso la scala che portava all'uscita, finché Sara si
posizionò davanti a loro.
“Fermi! Cosa avete intenzione di
fare?”.
“Lo sai benissimo, Sara”.
I due italiani si fissarono dritti
negli occhi. Infine la bionda si fece da parte.
“Andate pure. Io starò qua con Igor
e lei a controllare Johnny”.
Una volta fuori, il quartetto riuscì,
evitando massi fortunatamente rallentati dall'acqua, ad accerchiare
Atum. I Soggetti N. 4 e 6 fecero fuoco grazie alle loro capacità.
Ma il gigante, ancora incolume, iniziò
a roteare su stesso, provocando un istantanea tromba marina. I
mutanti furono sballottati fin nel fondale.
I pochi rimasti dentro il sottomarino
erano nel più totale silenzio. Di colpo, l'egiziana prese a
muoversi.
“Dove stai andando?” la interrogò
Sara.
“Vado fuori”.
“Cosa?”.
“Ragiona, stupida mortale, io sono
l'unica tra i presenti a poter far ragionare il venerabile Atum”.
Concludendo che le ragioni erano
giuste, l'umana non si intromise più.
Nel mentre, i quattro sopravvissuti
avevano trovato riparo dentro un'insenatura negli abissi.
“Ed ora cosa facciamo?” chiese un
esausto Juna.
“Se proviamo nuovamente ad
attaccarlo, c'è rischio che davvero questa volta ci lasciamo le
penne” esclamò uno spaventato Jack.
“Al diavolo! L'unica speranza che ho
è di colpirlo alla testa con un razzo, visto che nel resto del corpo
sembra essere indistruttibile” affermò Andrea, mentre il suo
braccio destro stava già prendendo le forme di un lanciarazzi.
Una volta presa la mira, il razzo
partì. Attraversò il liquido, lasciando una scia di bolle dietro di
sé, per poi colpire in pieno il suo bersaglio.
I mutanti stavano già esultando quando
videro, una volta che il fumo si fu diradato, il loro nemico ancora
in splendida forma.
Avevano la morte negli occhi quando una
voce s'intromise tra loro ed il gigante, che si stava piegando su di
essi.
“Fermo Atum!”.
Tutti si voltarono verso Iside.
“Se li ucciderai, anch'io morirò con
loro”.
“C-Cosa?” il titano si bloccò.
“Nel mio corpo è stato iniettato lo
stesso veleno che a reso loro dei mutanti. Se tu li ucciderai,
nessuno potrà darmi l'antidoto che mi salverà la vita”.
Questa volta, a rimanere sbigottiti
furono anche i quattro in giallo e rosso.
“Che sia vero?” si chiese a bassa
voce l'inglese.
“Quindi ti prego, sommo Atum”
concluse la dea “se tieni a me, ritirati per il momento”.
Il gigante fissava il volto triste
della donna, per poi spostare lo sguardo sui propri avversari.
“Badate bene, miseri mortali, dopo il
mio ritiro, voglio che la divina Iside venga riportata alla base,
altrimenti la mia vendetta sarà suprema”.
Detto ciò, l'egiziano diede le spalle
agli Humana, incamminandosi verso il suo quartier generale.
Un volta scomparsa la sua ingombrante
sagoma, i quattro si avvicinarono alla loro prigioniera.
“Questa storia del veleno... è
vera?” le si accostò il Soggetto N. 4.
“No.” rispose secca lei “Ma era
l'unica modo per placare l'ira del sommo Atum”.
L'italiano proseguiva con il fissarla
“Come mai l'hai fatto?”.
L'egiziana abbassò il capo “Io
stessa non so spiegarmelo. Ma c'è qualcosa in tutto questo di
sbagliato”.
“Un attimo...” s'intromise
l'africano “E il sottomarino?”.
“E Geran?!” si aggiunse il
britannico.
“Voi tre andate a cercarlo” ordinò
il ragazzo di Trento “Io riporto lei al sottomarino”.
Una volta soli, Andrea riuscì
finalmente a scambiare due parole con quella donna che, non poteva
nasconderlo, lo attirava molto.
“Scusami se te lo chiedo ma... perché
avete accettato di aiutare lo Spettro Bianco?”.
“Loro ci hanno assicurato che,
collaborando fra di noi, avremmo finalmente creato un mondo migliore
per tutti. L'unico ostacolo eravate proprio voi degli Humana”.
“Mi dispiace dirtelo ma sono cazzate!
Lo Spettro Bianco mira soltanto a rovinarlo il mondo, non certo a
migliorarlo!”.
In un fitto bosco, situato più
nell'entroterra della penisola, il malvagio Seth stava praticando uno
dei suoi furiosi allenamenti. Una volta sentitosi pienamente
soddisfatto, dopo aver dilaniato con gran ferocia alcuni alberi
presenti, fece rientro alla base. Percorso un lungo corridoio
interno, passando lì vicino, diede un'occhiata veloce alla gabbia
terrena dove erano rinchiusi i loro tre prigionieri.
A far loro da guardia, oltre ad un
Osiride dallo sguardo assente, era ora presente anche Horus.
Fu proprio questo nuovo arrivato ad
attirare, per qualche attimo, l'attenzione del dio. Poi il suo capo
si voltò verso Mut. Continuandola a fissare, l'uomo dalla pelle
verde, gli si avvicinò fino ad appoggiarsi con una mano su uno
stalagmite. Passati altri secondi, si voltò nuovamente, partendo poi
a passo svelto verso un'altra stanza.
“Ti prego di seguirmi, venerabile
Horus” disse con noncuranza, passandogli vicino.
Da attenta osservatrice quale era,
Arone rimase colpita da quest'ultimo atteggiamento della divinità,
poi ebbe un'illuminazione.
“psss... Berny” bisbigliò appena.
“Che c'è?”.
“Prova a passare oltre le sbarre...”.
“Cosa? Non ci penso nemmeno! Prima
tra un po' ci rimanevo fulminato!”.
“Fidati di me, sta succedendo
qualcosa di strano...”.
Vedendo la convinzione negli occhi
della giovane, il baffuto si avvicinò alle protuberanze rocciose.
Adattando leggermente il suo corpo, riuscì a passarci
tranquillamente attraverso.
“Mio dio! Hai ragione! Ma come hai
fatto a capirlo?”.
“Ti sembrerà assurdo ma credo che
Osiride stia cercando di farci scappare...”.
“Se è così...” s'intromise Mut,
“Voglio aiutarvi anch'io a fuggire di qui”.
I corpi esili delle due donne,
superarono facilmente l'ostacolo.
“E dimmi...” riprese la parola il
messicano, rivolgendosi all'egiziana “perché dovremmo fidarci di
te?”.
La ragazza esitò impaurita.
In suo soccorso venne la stessa
francese “Ora piantala Berny! Forza Mut, mostraci come fare per
scappare di qua”.
Superati alcuni corridoi, i fuggitivi
udirono il suono di passa avvicinarsi a loro. Senza scomporsi, il
mutaforma tramutò il suo corpo in quello di un boa. Appena l'uomo
ebbe voltato l'angolo, il serpente gli si avvinghiò rapido alla
gola, soffocandolo nel giro di pochi secondi. Uno dei soldati Anubi
cadde al suolo esanime.
“Presto, venite di qua!” li esortò
Mut, mentre apriva una botola nascosta nel pavimento.
“Ok. Ci sei Berny?” si voltò un
attimo Frédérique.
L'altro aveva appena ripreso la sua
forma umana “Certo bella, vuoi che rimanga qua dentro?”.
Una volta scesa una scaletta, i tre
fiancheggiarono un fiume sotterraneo che, pochi metri più avanti,
finiva in un piccolo lago, al cui interno si stava verificando un
mulinello d'acqua.
“N-Non ditemi che dobbiamo tuffarci
là dentro...” supplicò un già tremante Soggetto N. 7.
“Certo che no! Ora dobbiamo
proseguire da questa parte” fece loro strada la ragazza egiziana.
Con una certa difficoltà, il trio
s'inserì in una spaccatura presente sulla parete rocciosa.
“Non mi piacciono i posti così
tetri...” ma la francese non riuscì a terminare la frase che una
sirena d'allarme iniziò a risuonare lontana.
“Hanno scoperto la nostra fuga!”
esclamò sempre lei.
Poi, concentrandosi verso la direzione
del suono, scrutò attraverso le parti con la sua vista a raggi x.
Di colpo, come in un film muto, vide Maat additare ferocemente un
impassibile Osiride.
“Sta succedendo qualcosa...”
informò gli altri “Credo che Osiride sia nei guai...”.
“Peggio per lui, muoviamoci!”
tagliò corto Borghi.
“Come puoi dire ciò? Dopo quello che
ha fatto per noi?! Anche se ancora non ne sappiamo il motivo...” lo
rimproverò Arone.
“Senti bella, a me importa soltanto
di tornare vivi dagli altri!”.
“Ma lui può farci comodo come
alleato!”.
I due mutanti si fissavano in cagnesco,
senza aprir più bocca. Fra di loro, una Mut alquanto preoccupata.
“E va bene...” si arrese l'uomo
“Tornerò indietro per vedere se posso fare qualcosa...”.
“Grazie Bernardo! Fai attenzione!”
lo salutò con un abbraccio l'ex-ballerina.
“Anche voi!” e il baffuto fece
dietrofront.
Ora che erano sole, dopo qualche passo,
le due donne si sentirono sprofondare dentro un liquido, sperando
ovviamente fosse acqua, fino all'addome. Quasi in contemporanea,
videro due luci in lontananza.
“Che sia l'uscita?” chiese
speranzosa la francese.
In sua risposta, quelle due
luminescenze si fecero via via sempre più vicine finché, con loro
grande ribrezzo, si trovarono davanti la testa di un enorme aspide.
Le due fanciulle erano pietrificate dal
terrore, abbracciandosi inconsciamente l'una all'altra. I tre esseri
viventi rimasero così per interi minuti. Fu allora che la mutante
cercò di fare la sua mossa.
“Cerchiamo di proseguire a piccoli
passi, tenendo d'occhio sempre quel mostro” sussurrò all'orecchio
di una Mut dal respiro affannoso.
Notando la persistente immobilità del
rettile gigante, i passi delle giovani assunsero falcate sempre più
ampie. Improvvisamente, un luccichio attraverso le pupille del
serpente che, pronto all'attacco, spalancò le sue fauci velenose.
Le ragazze urlarono all'unisono poi,
agendo d'istinto, gli occhi di Frédérique iniziarono a brillare e
ad emettere un raggio calorifico che, con un rapido movimento del
collo, tagliò di netto il capo della creatura.
Tornata la calma, le due non
proferirono parola ma, con movimenti lenti, nuotarono fino a quella
che si rivelò la vera uscita da quell'inferno. Una volta fuori, si
sdraiarono entrambe sopra la sabbia della costa.
“Ce l'abbiamo fatta!” urlò la
francese, tornando a respirare a pieni polmoni.
“Così pensi tu!”.
Appena udita quella voce, il Soggetto
N. 3 fece appena in tempo a rimettersi in piedi, mentre la sua nuova
compagna veniva bloccata da un redivivo Anubi.
“Non fare mosse azzardate, misera
mortale, altrimenti sarà mio estremo piacere porre fine
all'esistenza di questa sporca traditrice” l'avvertì la testa di
sciacallo.
Lei rimaste totalmente bloccata che,
quando le fu abbastanza vicino, il dio la colpì alla tempia con il
suo bastone, provocandole uno svenimento immediato.
Appena giunto alla base, assieme alle
due prigioniere da riconsegnare, fu accolto da una grande confusione.
Cercando di saperne di più, l'egiziano si accostò ad Horus.
“Che sta succedendo?”.
“Sono fuggiti altri due. Inoltre,
hanno aggredito la somma Maat”.
“Altri due? Ma se proprio ora ho
catturato le due fuggitive! Chi sono questi altri due?”.
“Uno è il mortale... l'altro è
Osiride”.
Nuovamente nella grotta sotterranea, i
due evasi ripercorrevano la stessa strada delle suddette fuggitive.
“... Ho sempre creduto che la storia
delle divinità fosse soltanto una truffa. Poi, quando ci hanno
parlato di voi Humana, e del fatto che dovevamo eliminarvi, non ho
più retto” si spiegava il traditore al suo liberatore.
“Tranquillo fratello! Non devi darmi
alcuna spiegazione, noi sappiamo bene di che cosa sono capaci quei
vigliacchi dello Spettro Bianco”.
Disceso un breve pendio, si ritrovarono
anche loro nell'acqua.
“Bene!” esclamò Bernardo, tornato
alla sua forma autentica “Non ci resta che nuotare un po'...”.
“Andrea!” urlò Sara,
dimenticandosi per una volta di usare il suo relativo nome in codice.
“Che succede?” corse rapido a quel
richiamo l'interpellato.
“Le condizioni di Johnny stanno
peggiorando sempre più!”.
“C-Cosa?”.
“Ha perso conoscenza da qualche
minuto e il respiro si è fatto più debole”.
“E te non puoi fare niente, Sara?”
insistette il Soggetto N. 4.
“Purtroppo no. In queste condizioni,
non ho gli strumenti adatti per tentare un qualsiasi tipo
d'intervento” rispose con le lacrime agli occhi la bionda.
“Po-Posso provare io?” disse una
voce di bambino.
La coppia si voltò nell'osservare un
Igor Wansa dallo sguardo impaurito.
Fissandolo per qualche secondo, la
donna si ricordò che doveva avere la massima fiducia sui membri
della sua squadra.
“Certo, Soggetto N. 1. se senti di
poterci essere d'aiuto, intervieni pure”.
Annuendo appena, il russo chiuse subito
dopo le sue palpebre.
“Che sta facendo?” domandò
preoccupato l'italiano.
Nessuno rispose, attendendo in silenzio
qualcosa di straordinario. Che di fatto avvenne: l'americano spalancò
di colpo gli occhi.
Sulla costa, una figura gargantuesca
attendeva il ritorno della sua devota.
“Infine, la venerabile Iside non è
tornata” rifletté tra sé e sé, per poi partire nel suo nuovo
inabissamento.
“Come ti senti, Johnny?” gli si
fece subito vicino Alberti.
“Meglio. Ora dove mi trovo?”
rispose appena Wayne.
“Sei in salvo” intervenne Lincon
“ma ci hai fatto seriamente preoccupare”.
Una scossa improvvisa fece cadere Juna
sul pavimento.
“Che succede ora?” domandò
preoccupato Andrea.
“È il gigante! È tornato!” gridò
terrorizzato Igor.
“Atum! È venuto per me!” rivelò
una shockata Iside.
“E ora? Cosa facciamo?” urlò
disperato Jack.
“Lasciate fare a me!” rispose
sicuro, nonostante la sua giovane età, Wansa.
Al di fuori del sommergibile, il
colosso procedeva la sua marcia. Il suo incedere procurava forti
scosse in tutti gli abissi costieri. Senza che lui se ne accorgesse
in tempo, il suo enorme piede sprofondò dove, lui ne era certo,
doveva trovarsi il fondale.
“Sono riuscito a spostare le rocce in
tempo per fargli sprofondare una gamba!” informò gli altri il
russo, madido di sudore.
“Incredibile!” esclamò uno
sbalordito Juna.
“Ancora una volta, Davide ha
sconfitto Golia” concluse saggiamente Chang.
“Com'è che allora non ci muoviamo?”
domandò isterico il Soggetto N. 2.
l'italiano andò a controllare i
monitor di comando “Qui risulta che abbiamo un motore danneggiato.
Molto probabilmente avremo urtato qualche roccia”.
“Allora posso provare a muovere anche
il nostro sottomarino...” ipotizzò il telecinetico, con una
smorfia in viso sempre più sofferente.
Come previsto, il sommergibile iniziò
a spostarsi, sebbene i motori fossero del tutto spenti, uno
spettacolo che avrebbe lasciato di stucco qualsiasi spettatore, se ce
ne fossero stati.
Nel frattempo, Atum, per niente domo,
cercava di divincolarsi da quella trappola naturale in cui era
imprigionato. Accortosi della ritirata da parte del nemico, tentò la
sua ultima risorsa: scagliò contro di esso un talismano, a forma di
ankh, che aveva stretto nella sua mano sinistra.
Il gigantesco artefatto, sebbene
rallentato dalla pressione subacquea, colpì con sufficiente forza
l'obiettivo. Al suo interno, vi fu un grande trambusto che coinvolse
tutti gli occupanti. Ma, inspiegabilmente, il mezzo, invece che
inabissarsi, tornò lentamente a galla.
Una volta in superficie, il portello si
aprì e ne uscirono alcuni degli Humana presenti.
“Siamo ancora vivi” si chiedeva
l'inglese.
“Ma cos'è successo?” domandò
esterrefatto lo zairese.
“E dov'è finito il gigante?” fece
notare il cinese.
“P-Penso di essere stato io...”.
tutti si voltarono verso il ragazzino.
“I-In qualche modo, credo di aver
creato una specie di scudo tutto attorno al sottomarino”.
“Sei riuscito anche a farlo
emergere!” si complimentò il Soggetto N. 8.
“Beh sì. Credo che a questa distanza
avremo modo di rifiatare un attimo...”.
“Ehi! Non dimentichiamoci dei nostri
due compagni ancora prigionieri!” esclamò il Soggetto N. 4.
Intanto, all'interno di una grotta
sotterranea, Bernardo e Osiride si apprestavano ad un immersione
subacquea.
“Credo che quella là sia l'uscita,
non ci resta che nuotare!” sentenziò il messicano.
“Mi complimento con te, sommo Anubi”
disse fiera Hator “Sono certa che riuscirà anche nell'impresa di
catturare i due nuovi fuggitivi”.
“Come vuoi, venerabile Hator” fece
un leggero inchino Anubi, prima di correre verso l'uscita.
Qualche metro più sotto, il Soggetto
N. 7 aveva mutato la sua forma in delfino, onde poter trasportare
meglio con sé l'egiziano. Finalmente giunti fuori, alla luce del
sole, si trovarono ben presto davanti proprio l'uomo con il viso da
sciacallo.
“Siete miei!” urlò vittorioso lui,
afferrando il becco del mammifero marino.
Nel giro di qualche secondo, la sua
mano stringeva ora il corpo sinuoso di una murena, il cui morso,
purtroppo, non procurò alcun danno alla pelle della divinità.
Colta però l'occasione, il messicano
riprese la sua forma delfiniana e, una volta che Osiride ebbe
afferrato saldamente la sua pinna dorsale, scivolò nell'acqua il più
rapidamente possibile.
Nel frattempo, nelle vicinanze un
ignaro turista si stava avvicinando alla base segreta delle divinità
egiziane, rapito com'era dalla bellezza selvaggia di quella nazione.
“Per una volta Benji ha avuto una
splendida idea nel dividerci e mandarci all'estero in questo... com'è
che l'ha chiamato lui? Viaggio di formazione?” parlava tra sé e sé
il giovane, caratterizzando il tutto con il tipico accento americano.
Di colpo, la sua folta chioma riccia
fece un sobbalzo, udendo una voce imponente comunicare direttamente
dall'etere.
“È la divina Maat che parla al
gruppo degli Humana. Se entro ventiquattro ore non vi arrenderete
senza condizioni a noi, il vostro Soggetto N. 3 dovrà rinunciare per
sempre alla sua forma mortale”.
“Madre di dio! Ma fa sul serio?!”
esclamò Bernardo, nuovamente nelle sue sembianze.
Osiride gli rispose impassibile “Temo
di sì. In Maat ho sempre notato una lieve vena di follia, alla fine
essa ha preso definitivamente il sopravvento”.
“Porca vacca! Speriamo che gli altri
si diano una mossa, non mi va di certo di rinunciare per sempre alla
splendida Frédérique!” si disperò il Soggetto N. 7.
il tempo passò ed in cielo iniziarono
a risplendere le stelle.
“Comincio a temere che per noi sia
davvero la fine...” sentenziò Borghi, quando una folata di vento
improvvisa gli scompigliò i capelli scuri “Ci mancava anche il
vento!”.
“È finita la siesta, hombre”.
Quella frase inaspettata, fece rizzare
subito in piedi il mutante. Per quest'ultimo la sorpresa fu ancora
maggiore quando si vide di fronte Johnny Wayne e, dietro di lui,
tutto il resto della squadra.
“Che stronzi! Ce ne avete messo di
tempo, eh?”.
Ora che erano di nuovo tutti assieme,
poterono organizzarsi al meglio per liberare la loro compagna.
Mentre gli altri erano tutti sull'isola, all'interno del sommergibile
erano rimasti solo Sara, Iside ed il piccolo Igor che, com'è in
fondo normale alla sua età, stava mettendo in atto una vera e
propria bizza contro la bionda.
“Dai Sara! Eppure faccio anch'io
parte del gruppo! Perché tocca sempre agli altri andare in
missione?”.
“Perché, se ancora non te ne sei
accorto, tu sei ancora un bambino e poi, con le tue facoltà, puoi
agire comunque anche a distanza” controbatté nuovamente Silvestri,
sempre più stufa.
“Ma io voglio andare nel campo di
battaglia! Ti prometto che starò sempre insieme agli altri! E dai
Sara!”.
“Ora smettila Igor! Ho già
abbastanza preoccupazioni per la testa senza che ti ci metta anche
te!”.
“Se posso interrompervi...” si
intromise l'egizia “Sara giusto è il tuo nome? Bene, Sara, so che
per te la mia parola difficilmente avrà valore ma, se hai il giusto
cuore per fidarti di me, andrò io stessa con il ragazzino alla
nostra base. Tranquilla che, finché sarà in mia compagnia, nessuno
dei miei alleati oserà torcergli un capello”.
La responsabile dell'organizzazione
Humana ci rifletté un po' su.
“Va bene! Basta che me lo togli dai
piedi” acconsentì infine.
“Evviva!” esultò festante il
russo.
“Però fate entrambi attenzione”
concluse l'italiana, visibilmente contrariata.
Usciti dall'apertura del sottomarino, i
due si misero magicamente a fluttuare nell'aria.
Vedendo la sua prigioniera estremamente
sorpresa, il Soggetto N. 1 le spiegò “Tranquilla Iside, è
soltanto uno dei miei poteri”.
Detto ciò, i due raggiunsero a gran
velocità la spiaggia.
Poco prima, il resto del gruppo era
riemerso proprio nel medesimo luogo.
“Ci siamo tutti?” s'informava
Johnny.
“Affermativo!” gli rispose, dopo un
rapido controllo visivo, Andrea.
“Fino ad ora è stato anche troppo
facile...” sentenziò guardingo Jack.
“Occhio in cielo!” avvertì gli
altri Bernardo.
Nell'oscurità del cielo notturno, Toth
sorvolava tutta la zona nel più totale silenzio.
“Cercate di fare il più piano
possibile, altrimenti qui è un attimo che ci scoprano subito”
parlò sottovoce l'americano.
Improvvisamente, la terra iniziò a
tremare.
“Oddio un terremoto!” strillò come
una gallina Lincon.
“State tutti a terra!” ordinò
urlando Alberti.
Nello stesso modo in cui era iniziato,
il sisma si placò.
“Cosa è successo?” si domandava
Yu.
“Quel bastardo ci ha notati!”
attirò l'attenzione di tutti il britannico, mentre indicava il
nemico su nel cielo “Ma ora lo sistemo io!”.
Appena parlato, il mutante sfrecciò
rapido in verticale, andando a collidere, con il pugno destro ben
chiuso, contro il volto da ibis del dio.
“Però! Se la cava bene il dandy!”
ammise stupefatto Borghi.
“Ha avuto l'effetto sorpresa a suo
favore” sminuì il tutto l'italiano.
Mentre gli Humana si godevano ancora
quella loro piccola vittoria, due figure si frapposero fra loro e
l'ingresso della caverna: Hathor e Seth.
Ad affrontarli andarono i Soggetti N.
2, 4, 5 e 6. Invece, i Soggetti N. 7, 8 e 9 si tuffarono in mare per
raggiungere l'entrata subacquea alla caverna.
Questi ultimi ebbero subito la
spiacevole visita di alcuni squali, vera rarità nel Mediterraneo. Di
essi se ne occupò Juna, mentre gli altri due si avvantaggiarono
addentrandosi dentro la caverna.
“Non aspettiamo Juna?” domandò
Bernardo, mentre riprendeva fiato una volta uscito dall'acqua.
“Non c'è tempo, prima liberiamo
Frédérique e meglio è” gli spiegò rapido Johnny.
“Fermi, mortali!”.
La coppia di mutanti si voltò con un
sobbalzo verso colui che aveva appena parlato: il dio Ra.
Tenendo fissi gli occhi verso
l'avversario, Wayne sussurrò a Borghi “Te occupati di trovare
Frédérique, io penso a lui”.
Appena fu fuori dal campo visivo dei
due duellanti, il messicano corse il più lontano possibile, almeno
finché il pavimento non riprese a sussultare.
“Oh dio no! Nuovamente il terremoto!”
esclamò disperato.
“Berny!” udì chiaramente la voce
di Arone.
Appena riebbe la visuale stabile, si
accorse subito della francesina legata ad una parete rocciosa con
bracciali e catene.
“Frédérique! Sei davvero tu! Stai
bene?”.
“Sì, tranquillo. Ho solo il problema
di queste catene...”.
nel dire ciò, la donna tirò
nuovamente in avanti le sue braccia che, con grande sorpresa dei due,
portarono dietro di sé anche gli occhielli metallici a cui erano
fissate le catene. Una nuova scossa, seppur più lieve delle
precedenti, aveva dato il colpo di grazia alla roccia in cui erano
trapanati.
Intanto, la lotta tra il Soggetto N. 9
e Ra era ormai del tutto invisibile, data la velocità sovrumana con
cui si affrontavano i due contendenti.
All'esterno, Andrea aveva a che fare
con i raggi laser di Hathor, mentre Jack se la doveva vedere con le
fiammate di Seth, inoltre Geran e Chang erano già stati messi
momentaneamente fuori combattimento.
Questa volta per gli Humana era vicina
la resa quando, sopra l'entrata alla caverna sotterranea, fece la sua
comparsa una nuova figura.
“S-Scusate se mi intrometto... il mio
nome è Bob Kramer e sono qui al Cairo per visitare la Ka di Hor 1.
Anche se non conosco alla perfezione tutta la situazione, i miei
nuovi poteri mi concedono un intervento immediato!”.
Tutti i presenti, mutanti e divinità,
rimasero a bocca aperta, ancora di più quando gli videro comparire
un'asta afferrata con la mano destra.
“M-Ma quella...” un'espressione di
sbigottimento comparve sul muso canino di Anubi “è la mia
lancia!”.
Questo nuovo artefatto si mise
immediatamente a brillare, investendo con la sua lucentezza ogni
cosa.
Contemporaneamente, i due velocisti
stavano infine rifiatando dal loro duello senza esclusione di colpi.
“Fermati mio amato! Non sono loro i
nostri veri nemici!” dalla spiaggia, sopraggiunse Iside tutta
trafelata, accompagnata dal piccolo Soggetto N. 1.
“Mia dolce Iside! Sul serio mi stai
chiedendo di arrendermi ad essi?!” chiese stupefatto l'egiziano.
Come narrato in precedenza, anche
questa scena fu invasa da una luce intensa.
Nel giro di pochi secondi tutto era
concluso. Quando il bagliore si placò, gli Humana si trovarono
davanti non più gli esseri, per la maggior parte metà umani e metà
animali, con cui avevo combattuto finora, ma soltanto dei semplici
uomini e donne egiziani. Questi ultimi erano come risvegliati da un
forte trauma, cercando delle spiegazione anche dalle persone in rosso
e giallo. I nostri, non sapendo loro stessi cosa rispondere,
preferirono ritirarsi nel loro sottomarino.
Infine,
del misterioso ragazzo presentatosi come Bob Kramer, si erano
totalmente perse le tracce.
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Capitolo 7 *** Ritorno a casa ***
CAPITOLO 7
“Ritorno
a casa”
“… Perciò, dopo le gravi lacune,
mostrate durante la nostra missione in terra egiziana, noi della
Humana abbiamo deciso di concedervi qualche giorno di pausa, in cui
potrete tornare nelle vostre nazioni di origine e, si spera, meditare
su quanto la vostra esistenza sia diventate fondamentale nella lotta
contro il male” espose al resto del gruppo, in modo solenne, Sara
Silvestri.
Le persone in rosso e giallo rimasero
spiazzati da quest’ultima iniziativa.
“Dunque ci rispedite a casa per
punizione?” protestò subito Bernardo.
“Vi sembra corretto nei nostri
confronti?” lo appoggiò Frédérique.
“Prego, signori, prego. Io suppongo
che tale decisione debba essere messa ai voti” propose, con la sua
solita flemma, Chang.
“Niente votazioni!” la bionda alzò
la voce “Così è stato deciso, punto e basta!”.
“Non sapevo fossimo in una
dittatura…” le rispose per le rime Andrea.
“Per quanto mi riguarda, fate pure
ciò che volete, sono altre le cose che catturano il mio interesse”
finse menefreghismo Jack.
Vedendo l'americano stranamente
silenzioso, Juna gli si fece vicino.
“Tu Johnny non hai niente da
obbiettare?”.
L'interpellato si voltò verso il
compagno, facendogli un mezzo sorriso “A quanto ho capito, non
servirebbe proprio a niente. E poi, non so voi, ma a me non
dispiacerebbe poter tornare, anche solo per qualche giorno, tra la
mia gente. Con tutto quello che abbiamo dovuto affrontare in questi
pochi giorni da mutanti, una pausa per tirare un po' il fiato credo
sia ideale”.
Tutti i presenti si zittirono
riflettendo su queste ultime parole. Alzando timidamente la mano, fu
il più giovane di tutti a spezzare il silenzio.
“Posso chiedere una cosa?”.
L'italiana gli sorrise con fare
tranquillizzante “Certo Igor, chiedi pure”.
“V-Volevo sapere se, dato che potrò
riabbracciare mia madre, potevo tenere con me la mia uniforme…”.
“Assolutamente, Igor. Anzi…” alla
giovane donna sembrò tornare alla mente qualcosa “quasi
dimenticavo, per tale occasione, noi dell'Humana abbiamo creato, per
ognuno di voi, delle nuove uniformi da poter utilizzare proprio in
queste occasioni”.
“Non saranno mica difettose?” le
domandò, perplesso, il connazionale.
“Certo che no! Hanno esattamente le
medesime caratteristiche delle uniforme che state indossando giusto
adesso. L'unica differenza è che avranno dei colori diversi per
ciascuno di voi”.
“Cos'è? Ora vi mettete pure a fare
moda?” li canzonò l'inglese.
“A me tutto ciò non interessa”
sentenziò rapido l'indiano.
“Ovviamente è tutto gratis, giusto?”
il messicano sembrò realmente preoccupato da tale argomento.
“Gente, per favore, siamo seri!”
esclamò esausta Sara, dopo un profondo sospiro “Ci sono altre
domande?”.
Fu nuovamente il piccolo russo ad
alzare la mano.
“Dimmi pure, Igor”.
“Se non vi è di troppo disturbo, io
posso tenermi questa rossa? Sono certo che ai miei genitori farà
piacere”.
“Acconsentito” accettò Silvestri.
“Mi raccomando, Igor” la francese
s'inginocchio davanti a lui “fai attenzione mentre ritorni a casa”.
“Che la buona sorte vi accompagni nel
vostro cammino” augurò a tutti il cinese.
“Beh Johnny...” lo chiamò a sé
l'italiano, rifilandogli una sonora pacca sulla spalla “Ora potrai
tornare dalle tue fan!”.
“Magari fosse così semplice...” fu
la risposta del pilota di Formula 1.
Siberia
il ragazzino, nonostante il freddo
gelido che gli stava dando il bentornato a casa, aveva la gioia
dipinta nel viso, mentre si teneva stretto la sua uniforme rosso e
gialla, souvenir di quell'incredibile e, momentaneamente, conclusa
esperienza di vita.
“Non so ancora come lo dirò a mamma
e papà, ma di certo, appena avranno visto le mie nuove straordinarie
abilità, saranno felici di riavermi con loro!”.
Il russo proseguiva saltellando sugli
almeno venti centimetri di neve fresca quando, d'improvviso, si
bloccò di colpo.
Tra gli alberi secchi della tundra,
qualcosa di gigantesco gli era parso muoversi.
“Che sia proprio un orso?” meditava
guardingo Igor “Oppure, sono di nuovo quelli dello Spettro Bianco
che sono venuti a terminare il loro lavoro? O magari è Geran che è
venuto a trovarmi?”.
Lo spezzarsi di un rametto fece
sussultare il bambino.
“Chi è là?”.
“Non avere paura…”.
Nonostante quelle improvvise parole
rassicuranti, Wansa emise un grido acuto con la sua voce cristallina.
Un uomo dalla stazza non dissimile da
quella di Giunan, con una ispida barbetta sul mento, gli si parò
davanti.
“Stai tranquillo, bimbo. Mi chiamo
Oleg Grachev e, anche se era da tanto che non facevo visita a questi
posti, sono originario proprio di queste parti”.
Il mutante aveva preso a respirare a
scatti, mentre teneva gli occhi ben spalancati sul nuovo venuto.
Ripresa un po' di calma interiore, si mise a scandagliare, come gli
avevano insegnato all'Humana, nella testa dell'energumeno, per
comprendere se ciò che gli era stato appena svelato fosse vero o
falso. Passato qualche secondo, si rassicurò.
“C-Ciao, io mi chiamo Igor. Sono
anch'io tornato ora da un lungo viaggio e stavo raggiungendo la casa
dei miei genitori che è qua vicino”.
I due rimasero fermi a squadrarsi a
vicenda.
“Cosa fai nella vita, Oleg?”
domandò il Soggetto N. 1.
L'altro parve sorpreso da tale quesito
“Davvero non mi conosci? Allora credo che tu non segua molto il
calcio ultimamente. Gioco come difensore centrale nella squadra del
CSKA di Mosca”.
Altro rapido controllo telepatico.
“Oh, davvero?” esclamò sorpreso
Igor “No beh, non ho mai seguito molto il calcio e per di più, in
questi ultimi giorni, ho avuto molto da fare...”.
“Capisco…” gli fece un mezzo
sorriso lo sportivo “Qualcosa mi dice che il tuo viaggio non è
stato particolarmente apprezzato dai tuoi genitori…”.
Il telepate rimase spiazzato dal fatto
che, per una volta, era stato qualcun altro a scoprire informazioni
su di lui senza nemmeno chiedergliele.
“In un certo senso…” preferì
rimanere sul vago.
Oleg gli fece un altro sorriso.
“Se non ti è di disturbo, posso
accompagnarti io a casa così, se i tuoi genitori anche avessero
qualcosa da ridirti, saranno troppo impegnati a farmi i complimenti o
altro. Sperando che almeno loro seguano un minimo il calcio...”.
questa volta il sorriso fu ricambiato e
lo stesso Wansa si avvicinò festante alla sua nuova conoscenza.
“Mi fa davvero piacere averti con me,
signor Gracev!”.
“Chiamami pure Oleg”.
Londra
Il tempo era uggioso come sempre, nella
capitale del Regno Unito. Dello stesso umore era anche Jack Lincon
che, appena giunto all'interno del suo lussuoso attico, si lasciò
cadere di peso sul suo letto a baldacchino.
“Oh quanto mi sei mancata, mia
dimora...” sibilò ad occhi chiusi.
Subito però li riaprì e, alzandosi di
scatto, raggiunse con poche falcate la sua scrivania personale. Una
volta lì, si tolse la pesante pelliccia che aveva addosso rivelando,
sotto di essa, la divisa ufficiale del suo super gruppo con, come
unica differenza, un colore verde scuro al posto del più
tradizionale rosso.
Messosi a sedere, accese con un gesto
elegante il suo computer. Il suo volto impassibile venne investito
dalla nuova luminosità del monitor.
“Vediamo se trovo qualcuno dei miei
seguaci...”.
Con grande rapidità delle dita,
raggiunse un sito internet che conoscevano realmente in pochi.
Atteso qualche secondo, si aprì una
finestrella di dialogo con un messaggio privato, proveniente da uno
degli utenti presenti in quella chat: Dandy_40.
- Bentornato sir, erano ormai parecchi
giorni che ci chiedevamo dove la sua persona fosse scomparsa.
- Amico mio, sono dolente di non avervi
fatto giungere mie notizie per un così largo lasso di tempo ma, e vi
prego di credermi, la mia presunta scomparsa è riconducibile
esclusivamente a cause di forza maggiore.
L'inglese ancora non si fidava a
parlare apertamente della sua parentesi con gli altri mutanti.
- Capisco e, al tempo stesso, il mio
cuore prorompe di felicità nel sapervi nuovamente presente tra noi.
- Mai quanto il mio piacere di essere
di nuovo tra voi.
- Proprio certo di non voler
condividere con noi questa sua, a quanto ho compreso, infelice
esperienza di vita?
- Qui la devo correggere esimio
collega, dato che, se proprio dovessi catalogarla, non userei affatto
il termine “infelice” ma, tutt’altro, è stata un’esperienza
che mi ha fatto riflettere su molte sfaccettature: quesiti ancestrali
del tipo “Come potrei vivere se, da un giorno all’altro, la mia
vita cambiasse completamente?” ma, soprattutto “E se, tale
cambiamento, mi permettesse di cambiare letteralmente il mondo,
magari in maniera positiva, cosa dovrei fare?”.
- Per la miseria! Si direbbe dunque che
tale esperienza vi abbia colpito nel profondo!
- Assolutamente.
-Beh, esimio collega, non ho la
sfacciataggine giusta per dirvi cosa fare ma, di certo, saprei cosa
farei io, se fossi al vostro posto.
-E sarebbe?
-Cambierei il mondo!
A quelle ultime parole, Jack rimase a
contemplare lo schermo piatto e luminoso, meditabondo. Poi riprese a
digitare.
-Ti ringrazio per questo utile
simposio, Dandy_40, di dove hai detto che sei?
-USA, sir.
-Bene, ora devo lasciarti. Chissà se
un giorno avrò l'onore di conoscerti di persona.
-L'onore sarebbe tutto mio, sir.
-Arrivederci, mio caro.
-Arrivederci, sir.
Chiusa la chat, il padrone di casa
scelse anche di spegnere il computer.
Dopo qualche attimo di assoluta
immobilità, si alzò dalla sedia. Con passo lento, raggiunse
l'enorme finestra che dava verso l'esterno.
“Addirittura cambiare il mondo...”
rise sommessamente, ripensando a tali parole.
Di colpo, spalancò la vetrata e, con
negli occhi una decisione che gli era del tutto nuova, il Soggetto N.
2 balzò attraverso di essa. Come un angelo, attraversò il plumbeo
cielo londinese.
Parigi
Nella capitale francese, il tempo
atmosferico era davvero dei peggiori. Pagato il taxi, la giovane
donna si affrettò a raggiungere l'ingresso della palazzina dove
abitava la sua famiglia.
“Oh merda! Ma è possibile averci
contro anche la tempesta!” imprecò lei, coperta da un lungo
impermeabile verde scuro, completamente fradicio.
Salita una rampa di scale, raggiunse la
porta con al centro, inciso in una placca di ottone, il cognome
Arone. Con un tocco leggero, suonò il campanello. Nel giro di
qualche minuto, nessuno giunse. Una volta risuonato e, a questo
punto, constatato che non vi era nessuno nell'appartamento,
Frédérique iniziò a cercare, all'interno della sua borsa a
tracollo, le chiavi di quell'uscio.
Dopo un'estenuante ricerca, in cui, ad
un certo punto, la francesina aveva temuto di aver lasciato il suo
obiettivo nel quartier generale Humana, il mazzo tintinnò tra le sue
dita affusolate.
Dopo aver fatto scattare il meccanismo
dentro la toppa, la ballerina era finalmente tornata a casa.
“Ehi? C'è nessuno?” chiese
comunque, appena accesa la luce dell'ingresso “Sono Frédérique,
sono tornata!”.
Anche questa volta, nessuno rispose.
Effettuato un grosso respiro, si liberò
finalmente dello spolverino grondante, per poi stravaccarsi sul
largo divano del salotto. Fasciata dalla sua tutina rosa, con sempre
l'enorme H gialla sul davanti, la mutante socchiuse gli occhi,
rivivendo tutti quei giorni in cui la sua vita era totalmente
cambiata.
A strapparla da quelle visioni, ci fu
il rumore della serratura. In tre secondi, senza dover ricorrere
nemmeno alla vista a raggi x, si trovò di fronte una ragazza di
circa sedici anni.
Quest'ultima, sorpresa da
quell'inaspettata presenza, fece un lieve scossone per poi urlare
“Sorellona!”.
“Sophie!”.
La più giovane delle due, vestita in
una tuta verde e bianca, con tre passi delle sue lunghe leve, saltò
letteralmente addosso alla più grande, abbarbicandosi a lei e
stringendo le gambe alla sua vita.
“Che bello rivederti, sorellona! Ma
perché non ci hai avvertiti? Da quanto sei tornata? Ma poi, dov'eri
andata a finire? La mamma era tanto preoccupata! E pure il papà! E
inoltre...”.
“Bloccati un attimo Sophie!” la
fermò il Soggetto N. 3, frastornata “Mi hai fatto venire il mal di
testa con tutte queste domande! Risponderò a tutto dopo, dove sono i
nostri genitori?”.
“Penso che siano a fare la spesa”.
“Ok. E te dov’eri?”.
“Agli allenamenti di pallavolo a
scuola, lo sai che ora sono pure diventata titolare. Per non parlare
che, da qualche giorno, c'è uno nuovo studente thailandese, un tipo
davvero strambo...”.
Detto questo, fu la stessa Sophie a
zittirsi, squadrando dalla testa ai piedi la sua sorella maggiore.
“A proposito di cose strambe… cos'è
quel completo che indossi?”.
“È una lunga storia, quando tornano
mamma e papà ve ne parlerò a tutti quanti. Piuttosto te, vedo che
ti sei alzata un altro po', o sbaglio? E poi ti sono pure cresciute
le tette...” constatò, tentando di palpeggiare la parente.
“Ma che fai, Frédérique? Toccati le
tue!” così dicendo, si staccò da lei.
Le due sorelle si divertivano come se
non si fossero mai staccate l’una dall’altra.
“Ah! A proposito…” sobbalzò la
più giovane “Ti ha cercata molto anche quel tizio, Gérard,
sembrava anche lui estremamente preoccupato…”.
“Per favore!” canzonò la più
grande “Quell’essere è solo preoccupato per il suo splendido
spettacolo…”.
Dopo aver disegnato degli ampi cerchi
in aria con le braccia, Frédérique tornò a fissare, con un dolce
sorriso sulle labbra, la sua adorata Sophie.
“Ma non è che ora ti tocca
ripartire, sorellona?”.
A quella domanda, il volto della
ballerina si oscurò in un attimo.
“Chissà…”.
Trento
L’autobus lasciò Andrea Alberti
proprio davanti alla sua abitazione di famiglia, come aveva sempre
fatto fin dai tempi scolastici.
“Ora voglio proprio sapere come
reagirà…” pensava il ragazzo, già teso.
Aveva appena appoggiato la suola della
scarpa sul primo gradino della scalinato quando si sentì chiamare
“Andrea! Sei davvero tu?”.
Alzando lo sguardo, si trovò davanti
una donna di mezza età “Ciao mamma, come stai?”.
Lei gli si catapultò addosso “Come
sto io? Come stai tu, piuttosto?! Sono mesi che non ti fai sentire!
Dove sei stato?”.
Una voce provenne dall’interno della
casa “Che succede, cara?”.
Appena vide comparire l’uomo sulla
soglia di casa, il Soggetto N. 4 si rabbuiò, lasciando irrisolto il
quesito della madre.
“Credevamo fossi morto…” esordì
il padre.
“Purtroppo per voi, non è andata
così”.
“Si può sapere cosa diavolo è
successo? Appena saputo della tua scomparsa, ho chiamato i tuoi
superiori al campo ma non mi hanno dato alcuna risposta”.
“Forse perché non ero al campo?”.
“E allora dove cazzo eri? Sono andato
a cercare anche all’obitorio, ma niente! Era davvero così
impegnativo fare una chiamata?”.
“Per sentire le tue solite cazzate?”.
Il signor Mario Alberti era decisamente
incollerito quando, per la prima volta, notò l’abbigliamento di
suo figlio: un completo blu con, in rilievo sulla maglia, una grande
H gialla.
“Ma sei stato ad un carnevale?”.
“Sì, certo, era anche pieno di
troie!”.
“Ora basta Andrea!” urlò,
sbattendo il pugno chiuso sulla ringhiera in ferro “Io sono tuo
padre! Come ti permetti di parlarmi in questa maniera? Mi pare che tu
abbia disonorato abbastanza la nostra famiglia…”.
“No, a quello già ci avevi pensato
te…”.
Dopo queste ultime parole, il capo
famiglia non ci vide più e si avventò contro la sua prole. In un
attimo, si trovò con la fredda canna di una pistola rivolta contro
il mento.
Iniziando a sudare copiosamente, l’uomo
vide, con la coda dell’occhio, che l’arma da fuoco era impiantata
direttamente al posto della mano.
“M-Ma… che ti è successo?”.
Nel mentre, disperata, la donna si era
attacca al braccio del giovane “Oddio Andrea cosa fai?! Ti prego,
fermati!”.
In quella tremenda posizione di stallo,
i secondi parevano secoli. Improvvisamente, il mutante abbassò
l’arma, effettivamente parte del suo corpo.
I genitori trattennero il fiato. Finché
Andrea non gli voltò le spalle e riscese in strada.
“A-Aspetta Andrea…” gli corse
dietro la madre “Dove stai andando?”.
“In un posto migliore”.
Detto questo, il giovane s'incamminò
per una tortuosa strada di montagna, senza nemmeno attendere l'arrivo
dell'autobus prossimo a quello che l'aveva portato lì.
Nel contempo, la signora Alberti, una
volta osservato in lacrime l'addio del figlio, tornò amareggiata
verso casa.
“Cara… non ti preoccupare…” le
si fece vicino il marito.
Lei, una volta alzato lo sguardo verso
di lui, sempre velato di copiose lacrime, non emise alcuna parola.
La sua unica reazione fu un violento
schiaffo che andò a colpire la guancia del coniuge, lasciando
quest'ultimo basito.
Columbia Britannica
Tornare in quel lugubre posto non
portava certo gioia nel cuore di Geran Giunan. I mesi trascorsi con
il resto del gruppo lo avevano aiutato a non pensare. Non pensare
alla dura vita che aveva condotto prima di ritrovarsi con il DNA
mutato irreversibilmente.
Appena giunto nel suo misero spiazzo,
riconobbe subito l'esile sagoma in ferro, contorta in maniera
inquietante, di quello che una volta era il suo camper, la sua casa.
Dentro di essa, era rimasta soltanto polvere.
Rimanendo sempre impassibile,
l'energumeno che indossava una divisa Humana azzurra ne prese una
manciata. Portatosi l'enorme mano vicina al viso, la aprì. Passarono
svariati minuti, mentre l'indiano proseguiva nel fissare uno ad uno
quei minuscoli granelli.
Quando si decise a gettarli via, notò
per la prima volta la presenza di un'altra persona. Una donna il cui
corpo era coperto completamente da un enorme saio. Nel suo viso si
notavano subito i tratti somatici tipici dei pellerossa. Con piccoli
ma rapidi passi, si posizionò vicina al mutante.
“Possente guerriero, tu sai chi sono
io?”.
Nonostante l'incredibile sorpresa nel
riconoscere chi aveva di fronte, il Soggetto N. 5 non fece trasparire
alcuna emozione “Sì, ti ho riconosciuta. Come mai sei giunta qui,
Sacajawea della tribù Agaidika?”.
La nativa americana piegò la bocca in
un lieve sorriso “Gli spiriti del nostro popolo sono preoccupati
dal tuo stato d'animo, possente Geran. Hanno mandato me perché tu
abbia finalmente qualcuno che ti comprenda davvero”.
“L'uomo bianco ha distrutta la mia
vita, ha chiesto il mio aiuto e poi, come un arco che ha visto tante
battaglie, mi ha rigettato da dove mi aveva preso”.
“L'uomo bianco non cambierà mai le
sue abitudini. Io stessa decisi di unirmi a loro, mentre aspettavo il
mio primo figlio. Per loro mi sono buttata nel fiume che porta
ingiustamente il mio nome, nel recuperare cose a loro preziose. Mio
fratello Cameahwait mi aiutò
collaborando con l'uomo bianco. Poi però, una volta giunta davanti
all'oceano, capii che quello era il percorso assegnatomi dal Grande
Spirito”.
“Vuoi dire per caso che il Grande
Spirito ha ancora altro in serbo per me ma, per che io ne venga a
conoscenza, devo tornare a collaborare con i visi pallidi?” cercò
di interpretare le parole della visione.
“Le cose stanno esattamente così,
possente Geran. Io stessa, per vivere la mia avventura, ho dovuto
sposare messieur Toussaint Charbonneau, grazie a cui ho conosciuto i
capitani Lewis e Clark. Ciò fa di me una traditrice della mia tribù?
Mentre per gli altri sono solo una semplice snake squaw?”.
“Ma te sei riuscita a diventare
leggenda. Nonostante siano ancora in molti a non sapere con chiarezza
scrivere il tuo nome, oppure sapere con certezza la tua morte”.
“Non sono un nome o una morte a fare
grandi una persona. Sono le tue imprese a decretare chi davvero tu
sia!”.
Giunan ora fissava ammirato quell’icona
di tutta la sua gente. Quest’ultima, notando ciò, gli sorrise con
grande naturalezza.
“Voglio farti un dono” annunciò di
colpo.
“C-Cosa?” il gigante era totalmente
spiazzato “non penso di esserne degno, Sacajawea”.
“Hai tutta la mia ammirazione,
possente Geran, e con essa il mio rispetto” lo informò la donna,
porgendogli al contempo una cintura che reggeva sulle sue due mani.
“Questa la cedetti
per una pelliccia da regalare ad un grande uomo. Ora io la cedo a te,
perché anche tu possa diventare il grande uomo che meriti di
essere”.
L’energumeno prese con mani tremanti
tale reliquia, fissando ammirato la sua pelle. Tornò poi a guardare
la sua ospite, constatando che era scomparsa nel nulla.
Come chiusura di quella notte magica,
il pellerossa scelse di accendere un piccolo falò e danzarci
attorno, intonando antichi cantici del suo popolo.
Pechino
La capitale cinese era sempre caotica,
inquinata e rumorosa come se la ricordava. Molte delle facce che
incontrava erano le solite che vedeva entrare ed uscire dal suo
ristorante.
“Non credevo che questo quartiere mi
sarebbe mancato così tanto…” rifletteva sornione Chang Yu,
avvicinandosi sempre più al suo locale.
Appena svoltato l'angolo, stava
cercando nella tasca della sua uniforme viola, con la H gigante
gialla sul davanti, la chiave della porta quando sentì un
inquietante sibilo.
Alzato il capo, si trovò di fronte una
porta automatica scorrevole che, come era nelle sue funzioni, si era
immediatamente aperta appena constatata la presenza di qualcuno.
“Cosa succede qui?” si domandò
esterrefatto Il soggetto N. 6.
“Benvenuto signore! Vuole un tavolo
per… accidenti! Ma è proprio lei, Onorevole Chang?” una Nikki
Peng dal vestiario vistoso gli si era presentata davanti.
“Nikki?! Io sono sicuro di essere io,
la cosa di cui non sono sicuro è che questo sia il mio ristorante…”.
“Beh, ecco… vede… lei era
scomparso nel nulla! Qui nessuno di noi sapeva come poter mandare
avanti l'attività, quindi…”.
Il piccoletto paffutello passò la sua
attenzione dalla giovane cinese ad un menù esposto lì vicino.
Appena lette alcune delle pietanze presenti, il ristoratore esplose.
“Come avete potuto?! Tutto mi sarei
immaginato da voi, tranne questo! Questo locale, da generazioni
proprietà della mia famiglia, ridotto ad essere un infimo sushi
bar!”.
“Per favore si calmi, Onorevole
Chang,” tentò di placare la sua ira Nikki “abbiamo solo seguito
le nuove tendenze del mercato culinario”.
“Cosa?”.
“Sì. La gente oggi adora accoppiare
varie pietanze di diverse nazioni…”.
“Come? Ma cosa stai dicendo?” Chang
era diventato paonazzo in volto “Come puoi credere che kappa maki,
tekka maki o tamago maki siano meglio dei nostri riso alla cantonese,
involtini primavera o pollo alle mandorle?”.
La donna era rimasta spiazzata dalla
reazione del suo ex-capo.
Mentre quest'ultimo sembrava essersi
placato, di colpo proclamò “Io voglio parlare con i nuovi
proprietari!”.
La Peng si rimise subito in all'erta
“Questo nono può farlo, Onorevole Chang. Oltre al fatto che, in
questo momento, non sono presenti ma poi, soprattutto, così
rischierebbe di metterci nei guai noi tutti che lavoriamo qui”.
L'uomo scrutava serio, tramite i suoi
piccoli occhi, la giovane che aveva accolto come se fosse la figlia
che non aveva mai avuto. Poi, con un leggero movimento laterale della
testa, squadrò il nuovo arredamento interno, con il lungo nastro
trasportatore a dominare su tutto.
Tornato a fissare lei, le chiese
“Almeno ti alleni ancora a badminton, piccola Nikki?”.
Quest'ultima, lì per lì spiazzata da
questo nuovo quesito, gli sorrise dolcemente “Quando posso,
Onorevole Chang”.
Dicendogli ciò, lei poggiò delicata
la mano sulla spalla di lui, il più basso dei due, quasi
accompagnandolo all'uscita.
Il Soggetto N. 6 improvvisamente si
voltò, convinto di dover lasciare quel posto in un modo migliore.
Sotto lo sguardo vigile della sua ex-dipendente, si pose di fronte
allo stesso menù di poco prima. Gonfiando appena le guance rotonde,
emise una piccola lingua di fuoco che andò ad incenerire
quell'odioso pezzo di carta.
“O-Onorevole Chang!” bisbigliò
appena Nikki Peng.
Nella più totale indifferenza, Chang
Yu si affrettava dondolante verso la porta automatica scorrevole.
Quando questa si aprì, il cinese lasciò le sue ultime parole.
“Buona fortuna, piccola Nikki”.
Città del Messico
Tornare in quella città non procurava
di certo dei dolci ricordi a Bernardo. Di fatti, l'aveva lasciata
mesi prima inseguito da gente ben poco raccomandabile. Infine,
nonostante dei nove mutanti che componevano l'Humana fosse quello con
le capacità acquisite più interessanti, le sue gambe iniziarono a
tremare, anche se in modo apparentemente impercettibile.
“La situazione sembra tranquilla”
ipotizzò nella sua mente “forse quei tizi si sono dimenticati di
me, durante la mia assenza”.
“Scusami…”.
All'udire quella voce, Borghi sobbalzò
come fosse una trottola impazzita. Voltatosi a fatica, si trovò
davanti una maschera che lo fissava, una maschera da luchador verde e
rossa che conosceva bene.
“Ma… tu sei… El Dragon!”.
“Fa piacere avere ancora dei fan”.
“Che vorresti dire?”.
“A quanto pare, ti sei preso una
lunga vacanza da questo inferno…”.
“Sì beh, mi sono tenuto un po'
impegnato in giro per il mondo…”.
“Bene allora ti dico soltanto, per
farti un rapido riepilogo, che alla fine la polveriera è esplosa: i
signori della droga avranno ora contro noi Luchadores!”.
“Seriamente? Oddio, come avrei voluto
essere qui quando tutto è successo!”.
“Beh amico, dato che sei così
interessato, ti informo subito che la guerra non si svolge qui nella
capitale, ma a Tijuana”.
“Tijuana? Potrei comunque farci un
pensierino…” mentre il Soggetto N. 7 si atteggiava, grattandosi
il mento sbarbato con la punta delle dita, gli tornarono alla mente
tutti i suoi compagni, compresa la bionda Sara Silvestri “però…
credo che dovrò rifiutare l'invito”.
“L'avevo subito intuito.” accettò
El Dragon “Tu hai già una tua missione da portare a termine”.
I due si scrutarono complici, poi il
luchador proseguì “Anche se, come vestito sgargiante, andavi più
che bene!”.
Lo stesso baffuto diede una rapida
occhiata all'uniforme verde chiaro, con l'enorme H gialla sul petto,
che indossava.
Improvvisamente, una coltre di fumo
iniziò ad avvolgere i due messicani.
“C-Che sta succedendo?” si allarmò
subito Bernardo, mentre le molecole del suo corpo iniziavano ad
essere instabili.
“Tranquillo amico, è uno dei nostri:
si chiama La Niebla” lo tranquillizzò il mascherato.
Dopo poco, da quella fumana
artificiale, comparve un altro wrestler latino.
“Scusate se vi disturbo, ma c'è
appena stata una sparatoria. Fortunatamente El Doctor è già in
campo per curare i feriti”.
Il mutante fece un mezzo sorriso
“allora oltre agli “El” ora avete anche dei “La”…”
riferendosi agli articoli determinativi dei loro nomi da battaglia.
“Infatti, grazie a dio sempre più
persone si uniscono alla nostra battaglia. Giusto ieri ne è arrivato
uno dall'Uruguay”.
“Addirittura!” rimase stupito
Borghi “Ma… ” e qui ebbe qualche tentennamento “El Dios è
sempre con noi?”.
Con quel poco di bocca che si vedeva da
sotto la maschera, El Dragon sorrise “Certo. Quel tizio è come se
fosse immortale”.
Con la conferma che il suo idolo
lottava ancora con loro, il Soggetto N. 7 si sentì come irradiare da
una profonda pace interiore. Ora poteva davvero accomiatarsi.
“Grazie di tutto, Dragone” gli
porse la mano “Spero di potervi incontrare ancora e, se possibile,
darvi una mano nella vostra guerra per la libertà”.
Il luchador strinse saldamente la mano
offertagli “Sarai sempre il benvenuto tra noi. A proposito, posso
sapere il tuo nome?”.
L'interpellato ci pensò un po' su
“Puoi chiamarmi… Berny!”
Kinshasa
appena rientrato nel suo adorato
continente nero, Juna fece la prima cosa di cui aveva sentito
follemente la mancanza: si spogliò e si tuffò a nuotare nel fiume
Congo.
“Non c'è niente come le mie acque
per farmi tornare in forma” rifletteva liberandosi, allo stesso
tempo, la mente da altri pensieri futili.
A destarlo da quell'idillio ci
pensarono degli spari lontani. Subito allarmato, il congolese
raggiunse rapidamente la riva, indossando con la medesima rapidità
la divisa da Humana gialla che aveva in dotazione.
La grossa H in rilievo su di essa, per
via del suo medesimo colore, si notava appena anche una volta
indossata.
“Di nuovo quei figli di puttana di
bracconieri!” sentenziò furioso l'africano.
Tenendosi basso, onde evitare
pallottole vaganti, il mutante si incamminò in direzione dei rumori.
Dopo una rapida galoppata, si accasciò dietro ad un cespuglio secco.
“Ancora bracconieri! I giorni
passano, ma i problemi rimangono sempre gli stessi” rifletteva
Juna, tenendo la sua testa platinata quasi attaccata al terreno.
Nel mentre, un grasso uomo bianco,
dalla testa brizzolata e con mezzo sigaro fumante in bocca, stava
imprecando contro tutti gli dei, gettando rabbiosamente a terra il
suo fucile scarico.
“Ma porcaccia miseria! Mi spiegate
perché ho dovuto sborsare tutti quei bigliettoni, per poi non poter
nemmeno sparare ad un leone o, che ne so, almeno ad un'antilope!
Anche zoppa mi va bene comunque!”.
I due zairesi che lo accompagnavano
cercavano di spiegarli, in un inglese alquanto stentato che, per lo
meno dalle loro parti, gli animali non rispondono ai comodi dei
cacciatori.
“… Anzi sapete cosa sarebbe
perfetto? Un bel elefante adulto! Così con le sue zanne mi ci
fabbrico un elegante pipa, o magari una penna da parata!” proseguì,
raccogliendo l'arma da fuoco.
La coppia di guide si era ormai
rassegnata ai vaneggiamenti dell'uomo d'affari, tanto da rimanere in
silenzio annuendo appena ad ogni sua parola. Questo finché uno dei
due non si mise ad agitarsi come indemoniato.
“Capo! Capo! Capo! Elefante!
Elefante! Elefante!”.
Il cacciatore osservava inquietato lo
strano comportamento dell'africano “Sì, elefante. È quello che ho
detto”.
“No, capo!” intervenne l'altro
“Elefante dietro di te!”.
A quelle parole, l'uomo raccolse l’arma
e si voltò con una rapida piroetta, trovando l'enorme pachiderma
molto vicino a lui. Con mano tremante, fece partire un colpo.
Scarico.
Lasciando cadere nuovamente al suolo il
fucile, lo straniero sgranò gli occhi, mentre l'animale si stava
letteralmente mettendo in posizione eretta.
“Chi sei tu che osi sfidare le forzi
ancestrali della giungla nera?”.
Dopo aver udito quelle parole dallo
stesso pachiderma, la sua vescica non resse più.
“Se vuoi salva la tua vita, e con
essa la tua anima, lascia questa terra sacra e non osare mai più
tornarci!”.
A quell'ultima sentenza, il trio fuggì
disperato verso la propria jeep, con cui sgommando sparì
all'orizzonte. Una volta tornata la quiete, l'essere mutò nuovamente
forma, assumendone una da normale uomo di colore.
Il Soggetto N. 8 uscì entusiasta dal
suo rifugio “Lo sapevo che eri tu! Sei Black Congo, giusto? Io mi
chiamo Juna”.
“Sì, amico. Piuttosto, da dove sei
spuntato? Lo sai che potevi rimanere ferito, o peggio, da qualche
pallottola vagante?!”.
“Oh tranquillo!” controbatté
spavaldo Juna “Sono anch'io uno dei tuoi! Cioè faccio anch'io
parte di un supergruppo… anche se ora siamo momentaneamente in
pausa…”.
“Davvero?” s'incuriosì l'altro
“Allora ti va di fare quattro chiacchiere?”.
Indianapolis
Percorrere il lungo dirizzone prima del
traguardo dell'Indianapolis Motor Speedway lo esaltava ogni volta,
anche guidando un muletto. Johnny Wayne era finalmente tornato ad
indossare casco e guanti. Dopo innumerevoli giri, l'americano iniziò
ad avvertire l'eccessiva perdita di liquidi dal suo corpo allenato.
Percorrendo a velocità ridotta la corsia dei box, andò a
parcheggiare la monoposto nel primo garage che gli si presentava
sulla destra.
Uscito dall'abitacolo, posò il volante
della vettura su di un tavolino lì vicino e, lì di fianco, il suo
casco multicolore. Dallo stesso ripiano, afferrò un asciugamano
grigio, con cui si deterse il sudore depositato su tutto il volto.
“Bei giri!”.
Il biondo sussultò a quella voce
improvvisa.
“Scusami se ti ho spaventato!” un
giovane asiatico, dai corti capelli neri e dalla mascella prominente,
gli si fece vicino porgendogli la mano “Il mio nome è Minetaro
Shiroyama e sono appena giunto qui da Tokyo”.
Il mutante, sebbene ancora titubante,
rispose al saluto “Piacere di conoscerti…” poi, non
ricordandosi il nome “Cosa ti ha portato qui nella capitale
mondiale delle corse?”.
“Proprio le corse!”.
Johnny rimase sorpreso “Sarebbe a
dire?”.
“Giusto qualche settimana fa il mio
agente mi ha chiamato dicendomi che, visto i miei buoni risultati in
Formula Challenge Japan, una scuderia statunitense aveva chiesto di
me per sostituire un loro pilota infortunato”.
A quelle ultime parole, il Soggetto N.
9 iniziò a comprendere la reale situazione.
“Beh ragazzo, non mi resta che farti
i miei auguri per la tua carriera…” esclamò stizzito, afferrando
in malo modo l'uniforme bianca, con la grande H gialla sul davanti,
con cui si era presentato al circuito.
“Spero di non averti offeso in
qualche modo” si scusò immediatamente il nipponico “perdonami ma
il mio inglese non è ancora molto corretto…”.
“Tranquillo, sushi boy. Te non
c'entri proprio niente” lo salutò a malapena con uno sfarfallio
della mano sinistra.
“Però sono convinto” proseguì il
giapponese “che sentiremo ancora parlare di te, Johnny Wayne!”.
“Eccome!”
sussurrò appena l'interessato.
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Capitolo 8 *** Viaggio in Atlantide ***
CAPITOLO 8
“Viaggio
in Atlantide”
“Vedo che alla fine sentivate tutti
la mia mancanza…” Sara accolse con ironia i nove mutanti
rientrati al quartier generale.
“Certo tesoro, avevi qualche dubbio?”
le si fece vicino malizioso Bernardo.
“Per quanto mi riguarda” intervenne
Arone “ho percepito che sarei stata più utile qui che a casa mia”.
“Saggia decisione, giovane
Frédérique” le fece eco Chang.
“Gli spiriti vogliono che io stia
qui” esclamò fiero Geran.
Tutti i presenti rimasero sorpresi
dalle parole enunciate dall'indiano, che tutti avevano imparato a
conoscere come molto taciturno.
“Bene signori!” riprese la parola
la bionda “Ora che ci siamo tutti, accomodatevi tutti in sala che
devo parlavi della vostra prossima missione”.
“Come? Non ci dai nemmeno il tempo di
riposarci un attimo?” protestò il suo connazionale.
“Purtroppo, nei giorni in cui siete
stati assenti, le cose non sono per niente migliorate” controbatté
lei.
“Altri problemi?” le domandò
Johnny.
“Infatti. Si tratta di Atlantide…”
iniziò Silvestri.
“Atlantide?” la interruppe subito
Juna.
“Esattamente. Con nostra grande
sorpresa, questo popolo, che tutti noi pensavamo estinto da millenni,
si è messo in contatto con il mio capo…”.
“Per l'appunto, avremo mai l'onore di
conoscerlo?” altra interruzione, questa volta da parte di Jack.
“Questo non sta a me deciderlo!”
tagliò corto l'italiana per poi, dopo un profondo respiro,
riprendere nuovamente i fili del discorso “Dicevo… questi
autodefinitisi atlantidei si sono messi in contatto con noi per una
disperata richiesta d'aiuto: a quanto ci hanno informato, il loro
continente sommerso è stato attaccato da quello che, a quanto ci
hanno spiegato, sembra essere un enorme lucertolone preistorico”.
Il messicano, cogliendo al volo tale
ispirazione, tentò di mutare il suo aspetto proprio basandosi su
tale soggetto “Una cosa tipo così?”.
Tutti si voltarono a verificare il
risultato della sua mutazione.
“Che divertente!” fu il responso di
Igor.
“Una cosa del genere…” fu di
nuovo sbrigativa Sara “Comunque, in conclusione, dovete prendere il
nostro bel sottomarino ed andare a controllare di persona”.
“Tutti noi?” chiese Andrea.
“Affermativo. Ancora non siete pronti
per affrontare missioni in singolo”.
“Dunque ci sarà da bagnarsi un po'…”
constatò il cinese.
“Non chiedo di meglio!” esultò il
congolese.
Nonostante le settimane di inutilizzo,
il sommergibile si rivelò efficiente come al solito, trasportando i
nove mutanti a profondità subacquee raggiunte da ben pochi esseri
umani.
“Siamo sicuri che non sia una
bufala?” domandò il Soggetto N. 4 alla sua connazionale.
“Assolutamente no!” rispose seccata
la bionda “Abbiamo ricontrollato più e più volte la comunicazione
ricevuta. Che ci crediate o meno, stiamo per raggiungere la
leggendaria Atlantide!”.
Il più giovane del gruppo fece una
saggia osservazione “come fate a sapere dove andare?”.
Tutti si preoccuparono di colpo.
“Tranquilli” li rasserenò Sara “ci
hanno anche lasciato delle coordinate ben precise da seguire”.
“Grazie al cielo!” esclamò il
Soggetto N. 7 “Mi ero già visto morto dentro un’enorme scatola
di metallo, come una sardina…”.
“Ma dai Berny!” lo canzonò il
Soggetto N. 9 “sempre a fare il…”.
Vedendolo bloccarsi di colpo, il
Soggetto N. 3 gli si fece vicina “Il… cosa?”.
“Signori,” richiamò l’attenzione
dei presenti Silvestri “Penso che siamo finalmente giunti ad
Atlantide!”.
Gli Humana diressero i propri sguardi
verso l’enorme oblò presente nella sala di comando. Sicuramente
nessuno di loro ci avrebbe creduto se gliela avessero soltanto
raccontata, ma una vera e propria città si trovava adagiata sul
fondale oceanico. Inoltre, non sembrava affatto invasa da alghe o
sabbia, come chiunque si aspetterebbe da un centro, per ovvi motivi,
disabitato. Una volta distolta l’interesse da tale magnificenza, si
poteva notare come una gigantesca cupola trasparente richiudesse in
essa la medesima Atlantide, dandole uno splendore ed una brillantezza
che, rispetto all’ambiente cupo e minaccioso al suo esterno, creava
un inquietante contrasto.
Più si avvicinavano e più notavano la
particolare struttura urbanistica: una serie di alte mura
concentriche con, al loro interno, tante abitazioni in stile greco
antico e, all’esterno, fosse circolari ripiene d’acqua.
“È davvero stupenda!” esclamò,
come in estasi, il Soggetto N. 8 “Un’intera civiltà sommersa
nell’acqua!”.
Rimasto come gli altri senza parole, il
Soggetto N. 6, ripresosi improvvisamente, parve sempre più
preoccupato.
“Perdonate la mia osservazione, miei
compagni, ma, se continuiamo a procedere in questa rotta, non vi è
il rischio di andare a collidere con quella cupola?”.
Sara Silvestri imprecò verso sé
stessa, per il fatto che si era lasciata anche lei ipnotizzare da
tale bellezza, e tentò un’ultima disperata manovra.
“Motori dietro tutta!” urlò
all’equipaggio.
“Sara! I motori non rispondo ai
comandi!” la informò allarmato Andrea.
“Cosa?!”.
“Ci siamo! Io ve l’avevo detto!”
Bernardo andò nel panico più totale.
“I-Io posso provare a nuotare fuori
e-e…” balbettava Juna.
“Se almeno fossimo a terra, io potrei
volare via da tutto questo!” sbraitò isterico Jack.
“Sembra… sembra che siano loro
stessi a volerci far entrare così…” proclamò Igor, come rapito
da vaghi pensieri.
L’unica che parve davvero ascoltarlo
fu Frédérique “Dici sul serio, Igor?”.
Ormai la prua del sottomarino era a
pochi centimetri dall’impatto. Tutti trattennero il fiato,
aspettando la fine. Finché non si accorsero che non succedeva nulla
di ciò. Il mezzo navale stava attraversando quella presunta cupola
come se fosse completamente intangibile.
“Questa è magia…” intervenne
Geran.
“Magia?” ripeté perplesso Andrea.
“Ciò è incredibile!” ribadì
Chang.
Superato quell’ostacolo ingannevole,
il sommergibile si dirigeva sicuro verso il centro esatto dell’isola.
Si adagiò infine sul terreno, leggero come una piuma.
Ad aprire il portello fu l’unica
umana non mutata del gruppo. Colei che tiene saldi i rapporti tra i
mutanti e il loro misterioso capo si affacciò appena. Lì per lì,
non sembrava esserci nessuno poi, ruotata appena la visuale, ecco
comparire un gruppetto di cinque persone. Quasi spaventata da
quell’improvvisa apparizione, Sara tentò di calmarsi, mettendosi
ad osservarli con più attenzione. Il loro vestiario ricordava
nettamente l’antica Grecia. I due esterni erano coperti da
un’armatura leggera ed erano armati di lance che, per il momento,
usavano soltanto come bastone tenendolo appoggiato al suolo verso
l’esterno del quintetto. Al suo interno vi erano invece due
persone, apparentemente le più anziane dei cinque, con pochi capelli
in testa ed entrambi muniti di barbe canute che gli arrivavano quasi
all’altezza dell’ombelico. Ma quella che colpì di più
l’italiana fu la figura al centro dello schieramento: una giovane
donna dalla pelle mulatta, con splendenti capelli neri tagliati a
caschetto e indosso una tunica viola con, al centro del petto, un
disegno formato da un ellisse orizzontale gialla e, in mezzo ad essa,
un’altra ellisse ma più piccola, rossa ed orientata verticalmente.
“Ci sono delle persone…”
bisbigliò appena la bionda, rivolgendosi all’equipaggio
all’interno.
“E ora che si fa?” chiese
preoccupato Borghi.
“Non ci resta che uscire, non vi
pare?” propose Wayne.
“E se quelli ci attaccano?”
ipotizzò Arone.
“Allora noi risponderemo al fuoco con
il fuoco!” esclamò esaltato Alberti, tramutando la sua mano destra
in una pistola.
“Fate silenzio!” ordinò stizzita
Sara che subito si ricompose, decidendosi infine ad aprire
completamente lo sportello.
“Salve! Il mio nome è Sara
Silvestri. Voi capite la mia lingua?”.
Nessuno dei cinque rispose.
“Qualche giorno fa abbiamo ricevuto
una vostra richiesta di aiuto e, controllatone l’autenticità,
siamo giunti fino a qui per vedere di esservi utili…”.
“A questo punto, era meglio
combattere lo Spettro Bianco…” proseguì nelle sue proteste il
baffuto, sempre all’interno del sommergibile.
Tutti lo zittirono rumorosamente.
Dopo le ultime parole della terrestre,
la ragazza atlantidea al centro le offrì un dolce sorriso “Benvenuta
nel mio regno, Sara Silvestri. Il mio nome è Nea, e sono
l’imperatrice di Atlantide”.
“Cosa? Imperatice?” chiese conferma
agli altri Lincon.
“Non abbiate paura! Scendete pure
dalla vostra nave, il regno di Atlantide è ben lieto di avervi come
ospiti” concluse Nea.
Ancora titubanti, ma colpiti dalla
sincerità presente nella voce della sovrana, gli Humana fecero il
loro ingresso ufficiale ad Atlantide.
Appena scesi, tutti i maschi del gruppo
non poterono che constatare la straordinaria bellezza di cui era
dotata l’imperatrice.
“Dieci guerrieri?! La fortuna questa
volta ci è stata davvero benevola” esclamò sorpresa Nea.
“Sua maestà…” esordì una
Silvestri visibilmente emozionata.
“Chiamami pure Nea” la corresse
l’interessata.
La donna rimase spiazzata da tale
richiesta “Comunque… dicevo… come prima cosa, volevo avere
ulteriori informazioni sulla creatura che vi sta minacciando…”.
“Hai perfettamente ragione, Sara”
le sorrise nuovamente la mora, per poi tornare seria “In passato,
vi erano antiche leggende atlantidee che narravano di enormi
creature, dalla viscida pelle squamosa, che dominavano su tutto il
continente. Per questo, dagli abitanti dell’epoca, venivano
considerate come vere e proprie divinità”.
“Divinità?” intervenne furioso
l’italiano “Come fate a considerare degli esseri del genere
divinità?”.
L’imperatrice non si scompose
minimamente “Si trattava di altri tempi, tempi più oscuri”.
“Mi scusi se la correggo” tornò a
darle del lei Sara “ma fino ad ora non si è visto alcun mostro o
simili”.
“In effetti, noi stessi siamo rimasti
sorpresi che Gozuki non si sia fatto vivo, anche solo incuriosito
dalla vostra nave”.
“Gozuki?” ripeté la francese.
“Questo è il nome della nostra
minaccia”.
“Oddio! Come è possibile che ora
dobbiamo pure occuparci di un dinosauro incazzato!” continuava a
protestare il messicano.
“Placa la tua ira, Berny!”
sentenziò l’inglese.
Come se fosse stato evocato, un ruggito
tuonante investì tutta la piazza.
“Questo è lui!” annunciò
terrorizzata Nea.
“Humana, state in guardia!” ordinò
con decisione Silvestri.
Scrutando attentamente l’orizzonte
del fondale oceanico, tutti i presenti notarono una gigantesca ombra
avvicinarsi sempre più a loro. Più si avvicinava, più i mutanti
notarono il colore marrone della sua pelle da rettile.
“Com’è possibile che la cupola non
respinga nemmeno lui?” chiese stizzito il Soggetto N. 4.
“Non lo sappiamo! Di solito, la
nostra magia respinge ogni forma ostile che si avvicina al nostro
regno” rispose la sovrana.
“Da cosa è data questa magia?”
intervenne il Soggetto N. 6.
“Questo non posso rivelarvelo”.
Intanto il lucertolone, per certi versi
non dissimile ad un tirannosauro, aveva gli occhi luccicanti puntati
proprio sul gruppo in rosso e giallo. Altri occhi si misero a
brillare, quelli del Soggetto N. 3 i cui raggi termici lo colpirono
in pieno petto, non causandogli alcun danno.
“Non gli ho fatto nemmeno il
solletico!” constatò delusa lei.
Il Soggetto N. 1 provò a sua volta ad
intervenire “La sua mente è troppo caotica per essere
controllata”.
“Tanto meglio, ora tocca a me!”
partì rapido come sempre il Soggetto N. 9.
In pochi secondi, lo colpì in svariati
punti del corpo con la pistola laser che aveva in dotazione
nell’equipaggiamento. Gozuki questa volta rimase molto infastidito
dall’attacco.
Lasciando una scia luminosa lungo il
tragitto, l’americano tornò ad unirsi agli altri.
“Ben fatto, N. 9. Ora però bisogna
cercare di colpirlo con qualcosa di più pesante”.
Ascoltando in silenzio quel semplice
consiglio, l’indiano si staccò dal gruppo per dirigersi verso un
tempio lì nelle vicinanze. Di fianco all’ingresso verso questo
luogo di culto, si trovava un enorme rettangolo di granito,
probabilmente lasciato lì onde estrapolarne altri elementi da
aggiungere alla struttura. Dimostrando soltanto una lieve fatica, lo
shoshoni sollevò sopra il capo quel pesante oggetto e, ruotando il
proprio corpo verso l’obiettivo, lo scagliò direttamente nel capo
da rettile della creatura.
Quest’ultima, accusando decisamente
il colpo, rimase per qualche minuto frastornata. Con uno sguardo
ancora più feroce del precedente, riprese a scrutare il gruppetto di
minuscoli esserini che aveva davanti a sé. Mentre tutti temevano il
peggio, il lucertolone fece inaspettatamente dietrofront e, ancora
più spiazzante, si allontanò dalla città sommersa.
“Ma… sta scappando?” la prima ad
esserne sorpresa fu proprio Sara.
“Volessero gli dei…” le rispose
Nea “ma temo che sia solo una ritirata temporanea, dovuta
all’inaspettato contrattacco a cui si è trovato di fronte”.
“Dunque tornerà?” domandò
Frédérique.
“Purtroppo ne sono certa”.
Gli Humana e gli atlantidei scrutavano
l’orizzonte, dubitando ancora sulla rinuncia di Gozuki.
Emettendo un piccolo sospiro di
sollievo, l’imperatrice riprese “Con la speranza di poter
terminare questo giorno in pace, spero che i presenti vogliano
gradire una visita al mio regno”.
Vedendo i mutanti spiazzati da tale
richiesta, fu ancora una volta Silvestri a rispondere per il gruppo
“Ne saremo onorati, Nea”.
“Vostra maestà è sicura della
decisione presa?” chiese preoccupata una delle guardie.
“Non preoccuparti, mio fedele
Manstar, con i dieci guerrieri qui presenti, non dobbiamo più temere
alcun pericolo” lo consolò la mulatta.
“Ti ringrazio per il complimento,
Nea,” la corresse l’italiana “ma io sono soltanto un semplice
studiosa”.
“Il tuo coraggio vale quanto quello
dei guerrieri, Sara”.
Con la studiosa visibilmente
emozionata, la variegata comitiva iniziava il suo breve peregrinare
per osservare le bellezze che, solo una società utopica come
Atlantide, poteva donare ai primi esseri umani capitati lì dopo
secoli.
“Quello che vedete qui di fronte”
iniziò Nea, indicandoglielo “è il tempio reale, vicino a cui il
vostro compagno ha trovato la sorprendente arma usata contro Gozuki”.
“Scusatemi” tagliò corto Geran.
“Mentre, alla sua destra, potete
ammirare il palazzo reale”.
“Davvero meraviglioso!” esclamò
estasiato Jack.
“Ed accanto ad esso, e dietro al
tempio, si trova il bosco di Poseidone”.
“Bosco? Allora vi sono anche degli
animali?” chiese Juna.
“È più che altro un luogo sacro…”
spiegò l’imperatrice, mentre s’incamminava, seguita da tutti i
presenti.
Superato un muro di oricalco, Chang
bisbigliò “È bella quasi quanto la nostra muraglia!”.
“Il secondo cerchio sono per lo più
abitazioni dei cittadini…” proseguiva nella sua visita
l’atlantidea “Qui di seguito, invece, abbiamo un muro in
bronzo…”.
“Questo con una semplice cannonata lo
butti giù!” scherzò, ma non troppo, Andrea.
Nell’attraversamento del secondo
girone, iniziarono a farsi vedere anche altri esponenti della
popolazione, tutti incuriositi da quelle persone vestite in rosso e
giallo.
“Finalmente inizia a farsi vedere
anche un po’ di pubblico! Temevo di essere finito in una città
fantasma…” ci scherzò su, Bernardo.
“Purtroppo, data la nostra
particolare locazione geografica, aggiungendoci l’avvento di
Gozuki, il mio popolo è diventato parecchio diffidente in molte
cose” spiegò l’imperatrice, mentre il gruppo raggiungeva
l’anello più esterno del reame.
“Infine, tutta questa sezione è
adibita a stadio per le corse dei cavalli”.
“Ora cominciamo a ragionare!” si
intromise Johnny “Quando si svolgono le corse? Usate anche dei
carri? Possiamo assistere ad una gara?”.
Inizialmente sorpreso dall’eccessivo
avvicinarsi del biondo alla sua sovrana, Manstar si frappose tra i
due, con la lancia tenuta orizzontalmente davanti al corpo “Non sei
degno di andare oltre, umano”.
“Placa il tuo nervosismo, Manstar”
lo tranquillizzò Nea “Per il momento, non abbiamo in programma
alcun evento sportivo però, per farmi perdonare, ora vi porterò al
Porto Grande di Atlantide, vero gioiello della nostra città, con
annesso il quartiere mercantile dove potrete godervi dei momenti di
meritato svago”.
“In poche parole si va a fare
shopping!” esultò festante Frédérique poi, strattonando quasi
Silvestri “Hai sentito, Sara?! Possiamo darci alle pazze compere!”.
“Si ho sentito, Frédérique” tentò
di calmarla la sua superiore “però non ti agitare tanto. Anche
perché non so proprio come faremo a pagare i tuoi presunti
acquisti…”.
“Non devi preoccuparti per questo,
Sara. La gente sa che siete qui per aiutarci, nessuno vi farà pagare
niente se comprate qualcosa da loro”
“Non ci credo…” esclamò, quasi
in lacrime, la francesina.
“Sì però non ne approfittate di
questo privilegio, e parlo a tutti quanti voi Humana” redarguì fin
da subito i suoi mutanti, la bionda “Non dimenticatevi che siamo
qui per lavoro, non certo per divertimento”.
I nove le risposero tacitamente.
Igor, essendo il più piccolo della
squadra, era ancora stupefatto nel trovarsi dentro ad una città così
leggendaria.
“Non posso ancora crederci che,
proprio a me, sia stato concesso l’onore di trovarmi a camminare ad
Altantide! Chissà che succede appena lo racconto alla nonna…”
pensava tra sé il russo.
“Mi dispiace disilluderti ma, meno
persone sano del nostro regno, e meglio riusciamo a vivere in pace
con la gente di superficie”.
Il ragazzino rimase shockato da quella
voce suadente che si era fatta largo nella sua mente, anche perché
era un’abilità che pensava essere esclusivamente sua. Poi
riconobbe la voce e diresse il suo sguardo verso l’imperatrice.
Nea non proferì parola, limitandosi
soltanto a fargli l’occhiolino.
Dopo altri momenti di titubanza, gli
Humana iniziarono a mischiarsi con la folla. Gli stessi atlantidei, a
poco a poco, iniziarono ad accettare quei mutanti provenienti dal
mondo di superficie.
Il più eccitato da tale situazione
sembrava proprio il più giovane del gruppo che, non senza numerosi
tentennamenti, si avvicinò all'imperatrice.
“M-Mi scusi… signora…” tentò
un primo approccio.
“Va bene Nea”.
“N-Nea…” qui la sua voce si fece
più flebile “davvero anche lei riesce ad usare la telepatia?”.
“Sì, è una dote che ho scoperto
avere quando avevo all'incirca la tua età. Inoltre, anche se in una
forma molto più debole, riesco a padroneggiare anche la
telecinesi…”.
“Davvero? Anch'io! Che bello avere
qualcuno con cui condividere qualcosa!” esultò vistosamente Igor.
Nea lo osservava con un sorriso
sincero.
A quel punto il giovane decise di
proseguire mentalmente “Scusa se te lo chiedo, ma non è che forse
sei anche tu una mutante?”.
Lei non si scompose minimamente e gli
replicò “Chi può dirlo? Sono ormai millenni che non abbiamo più
contatti seri con gli umani, può darsi anche che, le stesse capacità
a cui siete giunti voi, siano comparse anche a me e tra il mio
popolo”.
“Scusate se mi intrometto” fece la
sua improvvisa comparsa fra i due Andrea “Nea, scusami se te lo
chiedo ma, siccome giusto qualche giorno fa vidi un servizio alla tv,
te sai niente del popolo dei guanches? Dicono che provengano proprio
da qui. Da Atlantide”.
La mulatta rimase basita.
“Ma dai, Andrea! Come fai a credere a
quella cazzate che mandano alla televisione!” lo canzonò Johnny.
“E chi ti dice che lo siano?”.
“Parlando da scienziata” esordì
Sara “ci sono ancora molti misteri che la scienza deve studiare
adeguatamente, per cui non prendere come oro colato tutto ciò che
viene detto durante una trasmissione televisiva del genere”.
“Ma se hanno fatto vedere pure gli
scheletri di questo popolo! Anche se molti di loro avevano uno strano
cranio allungato che, tra la gente di qui, non vedo…” insistette
l'italiano.
Bernarndo colse la palla al balzo ed
allungò la sua stessa testa, risultando alquanto inquietante “Tipo
così?”.
“Oddio Berny, fai davvero schifo!”
espresse la sua opinione Frédérique.
L'uomo chiamato Manstar si mise davanti
al Soggetto N. 4 “Non importunare ulteriormente la nostra
imperatrice!”.
Ma lui, testardo “Ed è vero che, tra
di voi, usate il linguaggio dei fischi?”.
Qualcuno emise un fischio acuto. Tutti,
ancora sofferenti al timpano per tale rumore, si voltarono verso
Chang.
“Beh? Anch'io lo so fare. Sennò come
facevo a farmi sentire dalla giovane Nikki, quando il mio ristorante
è pieno di gente?”.
“Io so che esistono delle piramidi,
sparse nel mondo, che dovrebbero essere di Atlantide. Mi sembra ce ne
siano pure in Africa…”.
“Basta piramidi! Ne ho viste
abbastanza quando siamo stati in Egitto e, se vi ricordate bene, non
è stata proprio una gita di piacere…” esclamò contrariato Jack.
“Comunque” riprese la parola
Silvestri “Anch'io ho visto quella trasmissione e, fidatevi, non
crederò mai ad una grassona, che dice di essere in contatto con una
atlantideo, il quale gli ha detto che Gesù era un avatar e che tre
dei suoi apostoli sono suoi fratelli”.
Dopo queste ultime rivelazioni, la
combriccola rimase stupefatta.
“Ma pensa te…” Borghi era
letteralmente rapito da tutta quella vicenda.
“Gli uomini non dovrebbero mai
prendersi gioco degli dei” Geran espose lapidario la usa opinione.
La bionda, comprendendo la situazione,
si ricompose “Lasciando da parte queste frivolezze, ora
concentriamoci esclusivamente su quel lucertolone”.
“Gozuki” gli suggerì Wayne.
“Esatto. Io propongo di fare dei
turni di guardia, onde evitare di farci trovare impreparati se quella
bestia effettuerà un attacco notturno”.
“In effetti, nemmeno io so catalogare
bene quell'animale” spiegò il Soggetto N. 6 “apparentemente
sembra una lucertola troppo cresciuta ma, in più, sembra avere una
certa aurea mistica su di sé”.
“Confermo” disse secco il Soggetto
N. 5.
A quelle parole, Sara si fece sempre
più pensierosa. Poi, rivolta all'imperatrice Nea.
“Siete sicuri di non sapere da dove
provenga?”.
“Ve lo giuro su ciò che ho di più
caro. È comparso improvvisamente una mattina di qualche giorno fa,
distruggendo palazzi e uccidendo persone”.
“Ma la vostra barriera magica?”
chiese il Soggetto N. 9.
“Sembra non sortirgli alcun effetto”.
“E nessuno dei tuoi scienziati ne sa
nulla?” insistette il Soggetto N. 4.
“Gli anziano pensano sia una qualche
divinità antica dimenticata che, a causa di ciò, è ricomparsa per
vendicarsi degli infedeli. Personalmente, evito di dare eccessivo
peso a tale opinione”.
Tra gli Humana fu di nuovo silenzio.
“Bene!” riprese Silvestri
“Teniamoci pronti ad ogni evenienza e, nel frattempo, Nea, possiamo
chiederti ospitalità per questa notte?”.
“Assolutamente!” li accolse con un
dolce sorriso “Finché questa spiacevole storia non sarà conclusa,
siete tutti miei ospiti al palazzo reale!”.
“Oddio che emozione!” il Soggetto
N. 3 non stava più nella pelle.
“Speriamo ci sia anche da mangiare!”
bofonchiò il Soggetto N. 7.
Come da premesse, gli Humana vennero
trattati da re. Ciò comprese: pasti squisiti ed abbondanti, bagni
rilassanti alle terme interne del palazzo ed alloggi immensi per
ciascuno di loro. Quel novello stile di vita rischiò di minare la
concentrazione dei mutanti sul loro reale obiettivo ma, nonostante i
canti e le danze, anche tra i commensali era palpabile lo stato di
tensione dovuta a Gozuki. Fortunatamente, per quella sera non accadde
nulla di preoccupante, con parte del gruppo che andò a riposare
mentre il restante rimaneva vigile
Anche la mattina successiva tutto parve
tranquillo, con la cupola magica che si illuminò maggiormente, ad
imitare la levata in cielo del sole. Alcuni dei nostri eroi
consumarono una colazione soddisfacente, mentre gli altri si
ritirarono nelle proprie camere.
A chilometri di distanza, nascosto
dall’oscurità degli abissi marini, l’enorme lucertola bipede
meditava vendetta. Improvvisamente, qualcosa luccicò nei suoi occhi
da rettile. Alzò il suo corpo squamoso, colorato con tonalità di
marrone che, a mano a mano che raggiungeva la schiena, diventava
sempre più scuro. Su di essa erano presenti numerosi spuntoni ossei
che, seguendo l’andamento della colonna vertebrale, arrivavano fino
alla punta della possente coda.
Una volta in posizione eretta, iniziò
a camminare con andamento caracollante, poggiando i suoi enormi piedi
sul suolo sabbioso. Ognuno di essi aveva tre dita gigantesche,
ciascuna munita di artigli estremamente affilati.
Appena vide in lontananza la cupola
atlantidea, spalancò le sue fauci che, come forma, ricordavano più
il becco di un’anatra, ed emise un ruggito acuto.
Tale lamento minaccioso fu subito udito
dagli ospiti del popolo sottomarino che, nel giro di qualche secondo,
era già pronto a ricevere il mostro come meritava. Il Soggetto N. 2
si alzò immediatamente in volo cercando, oltre di avvistare la
creatura, anche di distrarla qualche istante. A terra, il Soggetto N.
4 lanciò un colpo di bazooka proveniente direttamente dal suo corpo,
mentre il Soggetto N. 7 si limitò ad un lancio di catapulta. Questi
colpi non sembrarono fare alcun danno al nemico.
Nea che, noncurante del rischio, aveva
assistito a tutto l’attacco, fu avvicinata dal Soggetto N. 8.
“Imperatrice, è troppo pericoloso
che lei stia qui. Venga, la porto al riparo io!”.
“Non posso, Juna” si giustificò
lei “Non voglio abbandonare il mio popolo proprio in questo nuovo
momento di crisi”.
“Non si preoccupi, al mostro
penseremo noi e la sua non sarà di certo considerata una fuga!”.
Poco più in là, gli altri due mutanti
erano maggiormente preoccupati dalla situazione.
“Possibile che nemmeno queste armi
gli facciano nulla? A questo punto ci vuole direttamente l’atomica!”
sbraitò infastidito Andrea.
“Bene!” replicò Bernardo “Così,
se non muore lui, siamo noi a schiattare!”.
Dall’alto piombò giù Jack “Niente
da fare! Quel bastardo è indistruttibile!”.
“A questo punto, proverò ad
attaccarlo da dietro!” esclamò appena Johnny, prima di scomparire
nel nulla.
Nel mezzo della battaglia, Frédérique
osservava l’orizzonte “Sembra che tutti i cittadini abbiano
trovato un riparo…”.
“Non avrei mai creduto di assistere
ad uno spettacolo così terrificante!” le confessò Chang.
Intanto, la guerra non stava affatto
procedendo positivamente. Gozuki era sempre più vicino alla città
sommersa, mentre gli stessi soldati dell’impero non potevano fare
altro che ritirarsi.
Contemporaneamente, nei pressi del
palazzo reale, Sara Silvestri proseguiva con l’impartire ordini.
“Soggetto N. 5, tu occupati di
proteggere l’imperatrice ed il Soggetto N. 1!”.
“Come desideri” rispose lapidario
Geran.
“Questa volta, solo un miracolo può
salvare Atlantide” pensava Nea, con le lacrime che le rigavano le
guance color ebano.
Alle volte, i cosiddetti miracoli sono
dei gran bastardi: aspettano fino all'ultimo secondo per comparire.
Dall'enorme entrata del palazzo reale, che dava proprio sul versante
in cui stava succedendo la catastrofe, qualcosa iniziò a brillare,
una fievole luce azzurrognola che, con il tempo, iniziò via via a
farsi sempre più luminosa. Al massimo dello splendore, fece partire
un raggio che, in perfetta linea retta e con una precisione assoluta,
andò a colpire Gozuki esattamente in mezzo agli occhi da rettile.
“E ora che cazzo è quello?!”
esclamò furente l'italiano.
“Come speri che lo sappia io?” gli
rispose a tono il messicano.
“Qualcosa mi dice che sia una cosa
positiva, miei compagni” sentenziò il cinese.
Appena scomparso di colpo tale
bagliore, il mostro rimase immobile in piedi. Poi, in pochi secondi,
iniziò a collassare da un lato, fortunatamente senza coinvolgere
alcuna abitazione, per infine crollare esanime al suolo.
Una volta terminata la scossa sismica
provocata da tale caduta, i presenti cominciarono con il radunare le
proprie idee sull'accaduto.
“Nea” esordì Sara “te sai che
cos'era quella luce?”.
L'interpellata era come in uno stato di
trance.
“Imperatrice?” le si fece vicino il
congolese.
“Gli antichi l'avevano scritto…”
iniziò a farfugliare la donna “solo nel momento della sua più
grande crisi, la pietra di Atlantide tornerà a brillare…”.
“Cosa vuol dire?” anche lo stesso
indiano si scoprì curioso.
In mezzo a tutto quel mistero, c'era
chi invece faceva la conta dei sopravvissuti.
“Aspettate un attimo…”
s'intromise la francese “dov'è Johnny?”.
Tutti gli Humana si guardarono intorno,
alla ricerca visiva del loro amico scomparso.
“Soggetto N. 1” richiamò
l'attenzione Silvestri “cercalo con i tuoi poteri”.
Durante tutti questi avvenimenti, il
velocista del gruppo stava correndo a tutta velocità per mettere in
atto il suo piano contro Gozuki quando, con un colpo d’occhio che
ad un semplice umano non sarebbe mai consentito, notò qualcosa di
singolare, in mezzo a tutta quella confusione. Un uomo, palesemente
non riconducibile alla razza atlantidea, stava osservando il
conflitto con un’apparente calma totale. Sorpreso da ciò,
l’americano si diresse subito verso di lui. Fu allora che notò il
suo modo di vestirsi mediorientale e la lunga barba scura che
scendeva dal suo mento. Appena comprese chi aveva davanti, si bloccò
proprio di fronte all’uomo.
“Non è possibile…” sospirò
appena.
“Sono lieto di fare la tua
conoscenza, mr. Johnny Wayne” lo accolse educatamente.
“Io so chi sei!” gli urlò contro
il mutante “T-Tu sei… Mohammed Al-Shirida!”.
“È un sommo piacere sapere che tu
già mi conosca, mr. Wayne”.
“Oh, sì. Certo che ti conosco!” si
alterò sempre di più il biondo “Sei quel figlio di puttana che ci
ha ridotto così!”.
“Voi americani, subito pronti ad
offendere gli altri…”.
Nonostante il suo fare sereno, il
qatariota fu rapido nello sparare un colpo contro il suo avversario.
Lo statunitense, sorpreso da quell’azione, udì appena il sibilo
dell’aria e vide comparire, conficcata sul suo braccio sinistro, un
dardo con del liquido al suo interno che si svuotò rapidamente.
Sentendo che già le gambe lo stavano
abbandonando, si rivolse nuovamente al terrorista “Credi davvero
che, avendo tre cervelli, ti sarà facile batterci?”.
“Se devo essere sincero, francamente
non mi interessa chi possa vincere questa battaglia. In fondo, io
stesso ho creato voi Humana come semplice svago” gli sorrise
beffardo.
“Svago?” ripete sottovoce il
Soggetto N. 9, inginocchiandosi al suolo.
“Esatto. Avevo saputo che la genetica
aveva fatto passi da gigante negli ultimi tempi e, così come mi sono
appropriato di parte dei cervelli dei più grandi uomini del pianeta
terra, ho deciso di dar vita ad una gara con il vero capo della tua
associazione, semplicemente utilizzando nove persone prese a caso da
tutto il mondo”.
“Tu sei un pazzo!” ormai il mutante
si muoveva a carponi verso il nemico.
“Questa è una sua opinione, mr.
Wayne. Per altri sono considerato un vero genio”.
“E allora perché non approfitti
della situazione per uccidermi?”.
“Privandomi così di tutto il
divertimento? Assolutamente no!”.
Johnny aveva la vista sempre più
annebbiata.
“Anzi, sa cosa le dico, potrei
benissimo prendermi una pausa e poi, successivamente, tornare a
divertirmi con voi, miseri mutanti”.
“Bastardo!” la voce dell’americano
era ormai solo un sospiro, tanto che egli stesso pensava di aver solo
pensato a tale offesa, finché non sentì un’altra voce nella sua
testa.
“Johnny… sono Igor… mi senti?...
Dove ti trovi ora?”.
“Io…” fu l’unica riflessione
che riuscì a produrre l’interessato, prima di perdere
definitivamente i sensi.
Quel contatto telepatico, seppur
misero, fu sufficiente agli altri Humana per trovare la posizione del
loro compagno, con Jack Lincoln che volò immediatamente a
recuperarlo, trovandolo steso a terra, con nessun altro attorno.
Una volta riunito finalmente il gruppo,
essi si misero tutti attorno all'imperatrice, con la ovvia esclusione
del membro svenuto, adagiato comodamente su di un baldacchino.
“Questa, signori, è la pietra di
Atlantide” spiegò Nea, mostrando tra le sue mani un rombo azzurro
di un materiale non meglio specificato.
“Molto chic!” sottolineò il
Soggetto N. 2.
“E chissà quanto vale…” scherzò,
ma neanche tanto, il Soggetto N. 7.
“Sento un grande potere magico
provenire da essa” informò il gruppo il Soggetto N. 5.
“Infatti è senza dubbio l'oggetto
magico più potente che abbiamo qui ad Atlantide” confermò
l'atlantidea.
“Inoltre è sempre un ricordo dei
vostri antichi parenti, è giusto che lo teniate con voi” sentenziò
il Soggetto N. 6.
“E poi è davvero molto bella!”
esclamò il Soggetto N. 3.
“Ma cosa? Perché sta brillando?”
urlò allarmato il Soggetto N. 4.
Improvvisamente,
la pietra riprese a brillare di azzurro intenso, abbagliando tutto
ciò che aveva attorno. Finché non si spense nuovamente di colpo.
All'interno del palazzo reale, tutto sembrava immutato, tranne la
scomparsa dei dieci visitatori che avevano appena salvato il regno.
Ciò portò agli atlantidei grande sconforto e terrore.
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Capitolo 9 *** Benvenuti nella Twilight Zone ***
CAPITOLO 9
“Benvenuti
nella Twilight Zone”
Nel giro di un
attimo, i bagliori azzurri scomparvero. Il piccolo corpo di Igor
Wansa giaceva raggomitolato su di un prato verde. Improvvisamente, un
urlo metallico rimbombò nell’aria, destando il ragazzino russo.
Quest’ultimo, come una molla, scattò in piedi, trovandosi davanti
una distesa erbosa di color smeraldo, tutta sormontata da un sinistro
cielo violaceo.
Ancora stupefatto da
quel singolare ambiente, si accorse, a qualche metro di distanza, di
un veicolo in movimento davvero particolare: un camion parecchio
arrugginito dalla forma stretta e allungata.
Ancora rapito da
quel mezzo di trasporto, un tuono assordante lo portò a guardare
verso l’alto. Dalle nubi violacee iniziò a comparire una figura
ancora più inquietante: un gigante con la testa da asino, le ali da
pipistrello e serpenti presenti in tutto il corpo, compresi due
enormi avvolti attorno alle gambe.
“Ma cosa sta
succedendo?”.
Il Soggetto N. 1
fissava quell’orrendo spettacolo ad occhi sgranati, finché un
ringhio ne riportò l’attenzione al suolo. Un grosso quadrupede,
dal folto pelo scuro e gli occhi infuocati dritti verso di lui. Ora
Igor era davvero terrorizzato. Senza nessuno dei suoi compagni a
dargli una mano, una volta scoperto che i suoi stessi poteri
telepatici non sortivano effetto contro quell’orrenda creatura,
l’unica soluzione fu la fuga immediata.
Il respiro del russo
si faceva sempre più affannoso, mentre rimanevano ben udibili i
passi pesanti e ritmati del Cane Nero alle sue spalle.
“A cuccia,
Bobby!”.
Una giovane donna,
vestita con un completo rosso, diede quell’ordine perentorio
all’orrenda creatura, che le obbedì mugugnando contrariata. Igor
ne approfittò per rifiatare un attimo. Poi, concentrando la sua
attenzione sui lineamenti della sua salvatrice, notò qualcosa di
altrettanto inquietante: due corna che le partivano da entrambe le
tempie.
Il ragazzino fece
per allontanarsi di nuovo quando, di fronte a lui, vide spuntare da
un cespuglio una figura davvero buffa. Essa aveva il corpo di una
gru, con testa e zoccoli di cavallo, una lunga coda e, attaccate alle
esili spalle, due possenti ali da pipistrello. L'essere, appena
notato l'umano, si alza in volo emettendo un grido stridulo e fiamme
dalla bocca.
“Quello era un
Diavolo del Jersey” la diavolessa si avvicinò ad Igor “Io mi
chiamo Zaras, posso sapere il tuo nome?”.
L'interpellato,
sebbene ancora titubante, decise di risponderle “M-Mi chiamo Igor
Wansa. Q-Quell'enorme creatura in cielo, cos'è?”.
“Quello è Tifone.
È grosso sì, ma dovresti vedere il Kraken…” gli rispose Zaras.
Tutta questa
presentazione avveniva sotto lo sguardo di una presenza aliena ed
invisibile, come Soggetto N. 1 si accorse grazie ai suoi poteri
psichici.
“Oppure il
Lindworm là!” concluse la donna demoniaca, indicando un punto a
poca distanza dai due.
Un incrocio tra un
drago e un serpente, con solo un paio di zampe a sorreggerne la forma
vermiforme, riposava tranquillo e beato. Distratto da quella nuova
sconvolgente creatura, il russo non si accorse che il suo corpo
veniva avvolto da quella che, a tutti gli effetti, sembrava una
gigantesca ragnatela. Una volta ritrovatosi inaspettatamente a testa
in giù, cacciò un nuovo urlo.
“Ma che?” Zaras
guardò in alto, sulla chioma di un albero “Biliku, lascia andare
il ragazzino. Non è di certo una minaccia per noi”.
A quelle parole,
l'intreccio di tele si sciolse in breve tempo e, di conseguenza, il
mutante ricade al suolo in maniera scomposta.
“Tutto bene?”
gli domandò la donna.
“S-Sì” le
rispose sbrigativo il ragazzino, mentre scuoteva di dosso la terra
“Ma si può sapere dove sono finito?”.
“Ah, giusto.
Benvenuto alla Twilight Zone” fece Zaras, spalancando le braccia
con fare teatrale. Nel contempo, un gigantesco Roc bianco si librava
fiero nel cielo viola.
Apparentemente nella
stessa location e nella medesima situazione di Soggetto N. 1, si
trovava pure il N. 2.
“Mai che si possa
stare tranquilli, da quando sono un mutante!” ragionava tra sé e
sé.
Di colpo, a bloccare
questi suoi pensieri, giunse un grugnito selvatico alle sue spalle.
Con gli occhi già sgranati dal terrore, il dandy si voltò
lentamente, per infine trovarsi di fronte un gigantesco cinghiale
dallo sguardo furioso, che sbuffava grandi quantità di fumo dalle
narici inquietanti.
Poi, repentinamente,
l'inglese mise in atto una fuga disperata, urlando a squarciagola.
Passando tra varie frasche, con le gambe che si facevano sempre più
pesanti, si trovò di colpo ad avere la vista oscurata da qualcosa.
Con uno scatto della mano destra si tolse ciò che aveva in faccia e,
ancora più stupefatto, si trovò a tenere in mano un esserino, alto
circa venti centimetri, vestito con scarpe dalla punta molto
pronunciata, calzoni di stoffa marroni tenuti su da una cintura con
fibbia dorata, una maglia di lana blu e, sulle sommità del suo capo,
un cappello rosso a punta. A quel nuovo shock, il mutante spiccò il
volo, gettando via lo gnomo che, fortunatamente, fu raccolto al volo
da una figura alquanto simile a lui, compreso nel vestiario: un nano.
“Tutto bene,
Parf?” chiese il più grande dei due.
“Sì, Zenzero. Mi
chiedo solo chi diavolo sia quello straniero. Per fortuna ha evitato
per un pelo la zona del Basilisco!”.
Arrivato ad
un'altezza considerata da esso sicura, Jack si fermò, cercando di
rifiatare il più possibile. Approfittando della situazione, scrutò
il paesaggio attorno a lui. Un'immensa distesa verde sormontata da
quell'inquietante cielo violaceo. Ad ore 13, avvistò un laghetto
dove, dopo pochi secondi, atterrò. Una volta al suolo, la sua
attenzione fu subito catturata da un lieve fruscio nell'erba. Da
essa, spuntò una piccola creatura anfibia.
“Che carina! Una
salamandra!”.
La bestiola, appena
notata la presenza umana, prese incredibilmente fuoco, rimanendo
comunque impassibile. Il sobbalzo provocato da ciò, portò il
britannico sull'orlo del lago. Voltatosi verso la superficie liquida,
vi vede riflessa una creatura aveva un volto allungato, simile a
quello di un serpente, e due occhi corrucciati e minacciosi.
Nuovo sobbalzo e,
questa volta, Lincon si trovò ad urtare un recipiente tubolare con,
scritto su di esso, la sigla C.H.U.D.
“Buongiorno, come
posso esserle d'aiuto?”.
All'udire quella
voce cavernosa, il Soggetto N. 2 si voltò di scatto verso una
montagna pelosa e parecchio puzzolente. Attaccato ad essa, vi era un
testone dalle medesime caratteristiche.
Notando la sua
espressione tranquilla, l'umano provò a comunicare “B-Buongiorno a
lei. Posso gentilmente sapere dove mi trovo?”.
“Questa è
Twilight Zone”.
“B-Bene...” il
dandy si strusciava nervosamente le mani “E lei sarebbe?”.
“Orco”.
“Non ne avevo
dubbi…” sussurrò l'inglese, mentre la sua attenzione era ora
rivolta verso una cerva, dalle corna d'oro e dagli zoccoli di argento
e bronzo, appena giunta al laghetto per rifocillarsi “Sa per caso
come sono arrivato qui?”.
“No”.
Vista la poca
collaborazione della creatura, Jack sospirò “Speriamo almeno che
gli altri Humana stiano bene…”
“Se posso
permettermi…”.
il mutante si voltò
verso quella nuova voce, sbiancando all'istante.
“Per quel che ne
sappiamo noi Blemmi, solo il Voltar può far entrerà qualcuno qui da
noi”.
A parlare fu un
essere umano la cui particolarità era la totale assenza della testa,
mentre il volto era tutto posizionato sul torace della persona.
Soggetto N. 2 cacciò un urlo spaventoso.
La vista di
Frédérique era ancora annebbiata, mentre riguadagnava faticosamente
la posizione eretta. Eppure, ciò che aveva davanti era proprio una
confezione tubolare di gelato, con l'etichetta “STUFF”, poggiato
su un tronco mozzato. La francese gli si avvicinava lentamente.
“Per favore, non
prenderlo”.
Dopo il doveroso
sobbalzo, la mutante si voltò, vedendo una figura femminile, vestita
con un elegante kimono coperto dai suoi lunghi capelli, che le dava
le spalle.
“C-Chi sei tu?”
le domandò il Soggetto N. 3.
“Gotta catch 'em
all!”.
La ballerina si
voltò di scatto verso la sua destra, trovandosi di fronte una figura
nota, benché più oscura.
“Ash? Tu sei Ash
dei Pokémon!”.
“No” intervenne
nuovamente la donna in kimono “è solo una sua rappresentazione
malvagia. È Lost Silver”.
Lo sguardo
dell'umana passò rapidamente da una parte all'altra, utilizzando
infine il suo superpotere verso il maschio. Con suo sommo stupore,
capì che non aveva consistenza fisica, infatti scomparve
all'istante.
“Attenta alla
lumaca vicina al tuo piede destro” riprese a parlare l'altra.
La donna in rosso e
giallo abbassò lo sguardo per constatarne la presenza.
“È carnivora…”.
La bionda, schifata,
si spostò lateralmente saltellando, facendosi più vicina alla sua
interlocutrice. Udì un verso dolce e questa volta si trovò accanto
una specie di lontra, se non fosse che aveva un ulteriore zampa al
posto della coda.
Lì per lì era
pronta a coccolarla fino allo stremo, poi la sua espressione si fece
corruciata.
“Non dirmi che
anche questa è carnivora?” voltandosi verso la donna ancora di
spalle.
“Esattamente. Si
chiama Ahuizotl”.
“Anche questa?!
Possibile? Ma dove cavolo sono finita?”.
Quella che, a tutti
gli effetti, era una bambola, comparve facendosi largo fra i
cespugli.
“Puoi chiamarla
Twilight Zone. Ma meglio ancora sarebbe chiamarla inferno!”.
Gli occhi di Arone
si spalancarono “Io ti conosco! Tu sei Chucky, la bambola
assassina!”.
Il pupazzo rise
satanicamente “Che bellezza! Una mia fan! Ecco cos'era tutto questo
trambusto…”.
“Allora questo…
è un parco a tema!”.
Il balocco la
squadrò inebetito “Perché? Hai per caso pagato il biglietto?”.
Nel frattempo, la
specie di lontra si era messa a lottare con una specie di vipera.
La mutante non disse
nulla e tornò a fissare l'altra donna.
“Quello è uno
Tsuchinoko. Viene dal Giappone, come me”.
“E dunque tu chi
sei?”.
Chucky scuoté la
testa “Pessima domanda”.
Noncurante
dell'avvertimento, la francese si fece sempre più vicina alla
giapponese. Poi la terra iniziò a tremare. Tutti e tre finirono per
terra, mentre gli animali si dileguavano. Fortunatamente, la scossa
durò solo pochi minuti.
“Pure un
terremoto?” sbraitò infastidita la mutante.
“Probabilmente un
Graboid che passava nelle vicinanze” spiegò la bambola, mentre si
tirava su e si puliva il vestito da infante, mentre una piccola
bambola voodoo le passò rapidamente alle spalle.
Frédérique cercò
di mantenersi lucida e tornò a fissare la donna in kimono che,
nonostante tutto, aveva ancora il volto coperto dai lunghi capelli
corvini. La afferrò delicatamente per una spalla.
“Fermati, ti
prego, io sono...”.
Il Soggetto N. 3 la
voltò con violenza.
“Una
Kuchisake-onna!” esclamò, mostrando la sua mostruosa bocca che
partiva e terminava letteralmente da orecchio ad orecchio.
L'urlo delle ragazza
fu coperto parzialmente dal ruggito di un altro animale leggendario,
una Leucrotta.
Chi invece era
subito pronto ad affrontare qualsiasi minaccia era il Soggetto N. 4.
Di fatti, la sua mano si era già tramutata in una pistola carica e
pronta a sparare. Una sinistra risatina rasoterra e il colpo era già
partito, andando a spappolare un semplice pomodoro.
“Fanculo!”
Altro rumore
sospetto, questa volta sui rami, e il soldato era di nuovo pronto a
far fuoco. Il bersaglio mobile era questa volta uno strano
scoiattolo, senza coda ma dal volto umano.
“Uno Squasc?”
“Io sono il
possente Sobek. Come osi profanare la quiete di questo posto?”.
A parlare era stato
un essere umano vestito da antico egizio, come una sorta di deja-vu,
caratterizzato dal viso di coccodrillo.
“Di nuovo voi
stronzi egiziani!” replicò l'italiano.
Di lato ai due
contendenti, si fece avanti un toro, con una criniera di cavallo sul
collo e le corna rivolte all'indietro.
Sobek riprese a
parlare “I miei compagni divini mi avevano avvertito che sareste
potuti giungere anche qui”.
Nel mentre,
qualcos'altro balzò vicino al mutante. Quest'ultimo sparò, vedendo
la propria pallottola passare attraverso il corpo di un canguro.
Inaspettatamente, un
accento romagnolo “Come pensi di poter uccidere così un canguro
fantasma? Sei proprio un italiano, buono solo a scopare!”.
Andrea si voltò di
scatto, trovandosi di fronte un folletto che era un incrocio tra un
gatto, una scimmia e un coniglio “E tu che cazzo sei?”.
“Non lo vedi? Sono
un Mazapégul. Ignorante!”.
Un grido acuto
proveniente dal cielo. Alberti scrutò in aria “Un grifone?”.
“No, uno ziz.
Ignorante!” replicò il Mazapégul.
“Che cazzo! Vuoi
fare il fenomeno, eh?” accettò la sfida il mutaforma “Allora
dimmi cos'è quel mostro là?” indicandogli un altro
drago-serpente, ad almeno cento metri di distanza.
“Un Pitone.
Ignorante!”.
“Ma fammi il
favore! I pitoni che conosco io sono ben diversi!”.
“Qui sei nella
Twilight Zone, ignorante!” lo informò l'esserino.
“Cosa?”.
“Esatto” riprese
parola l'egiziano “qui le cose sono ben diverse dalla tua realtà”.
“Vogliamo
finirla!”.
Una donna in
topless, con la parte inferiore del corpo identico ad un enorme coda
serpentina, scostò il Bonaco, infuriata.
Mentre il Soggetto
N. 4 puntava la sua pistola, il folletto si esaltò “Oh, ora si
ragiona!”
la Lamia fissò
tutti i presenti con sguardo assassino “Possibile che non si possa
riposare in pace nemmeno qui!”.
“Mi ricorda tanto
un manga hentai...” sussurrò il Mazapégul.
“Cosa?” ripeté
Andrea.
“Niente più pace”
scuoté l'enorme capo Sobak.
“Questo dovrei
dirlo io!” ribatté la Lamia.
Con la mano tornata
umana, il mutante si sfregò ripetutamente il volto “Ci doveva
essere qualche droga in quel cibo atlantideo…”.
“Buona! Ne hai
portata un po'?” gli domandò l'esserino.
“Ma certo!”
ripartì la Lamia “mettiamoci tutti a fare gli hippy e dedichiamoci
alla pace nel mondo”.
Mentre inneggiava
ciò, la donna prese da terra un Serpente Arcobaleno e, piegandolo ad
arco, diede molta enfasi al suo discorso.
Geran aveva
camminato per molto tempo. Finché, appena lo vide, lo riconobbe
subito: un cimitero indiano. All'ingresso vi era la scritta “PET
SEMATARY”. Erano già parecchi minuti che era seduto in
contemplazione, quando lo spirito gli comparve davanti. Esso aveva la
forma di uno scheletro umano.
“Allora aveva
ragione Benji, ci sono degli intrusi nella Twilight Zone!”.
Il Soggetto N. 5 non
gli rispose.
“Come vuoi” si
stufò presto il non morto “Comunque, il mio nome è Johnny”.
Ancora nessuna
risposta. Poi la sua attenzione fu totalmente rapita da una creatura
leggendaria che lui conosceva bene: il Piasa. Una creatura dal capo
umano, con corna di cervo e barba, ali da pipistrello, arti d'aquila
e coda pinnata.
Il teschio si
spostava rumorosamente tra i due “Conosci quell'affare?”.
“Johnny!”.
Lo scheletro si
voltò e accolse festante il nuovo arrivato: Frankenstein Boy, membro
originale del Monster Commando.
“Non mi dire che è
collassato così a causa delle tue parole?”.
“Macché, Bob, io
l'ho trovato che era già in blocco”.
Così, erano in due
ad osservare in silenzio il nuovo arrivato. Dopo minuti che
sembravano interminabili, Kaufman voltò leggermente il capo.
“Ehi, Johnny”
richiamò l'attenzione dell'amico “Quello laggiù è Louis?”.
L'interpellato
guardò a sua volta, mentre con aria triste annunciava “Magari
fosse lui…”.
Di colpo, un
umanoide peloso assaltò quest'ultimo, al grido di “Sei tu il mio
scheletro!”.
Bob fissava la scena
allibito “E questo chi è?”.
“Si chiama
Blutsauger. In pratica un altro disadattato come noi” riuscì a
rispondergli appena Johnny, mentre cercava alla meglio di rispondere
all'assalto.
Improvvisamente, una
donna si unì allo spirito bosniaco nel torturare la struttura ossea
parlante.
Kaufman, sempre più
sorpreso “E questa chi è?”
“Dice di chiamarsi
Psychopathic Cynthia. Glielo avevo detto a Benji di non accettare
anche le Creepypasta!”
“Cosa?” Bob era
sempre più spazientito “Ma cos'è? Uno scherzo d'aprile?”.
A quelle parole, un
uomo, camuffato da jolly delle carte, si avvicinò saltellando “Di
quelli me ne occupo io!”
“Sì, lo sappiamo,
Jolly Boy” tagliò corto Frankenstein Boy, seccato.
“Fermi tutti!”.
Al suono di quella
voce, tutti si bloccarono. In pochi secondi, il proprietario di essa
si rese letteralmente visibile e si inginocchiò vicino all'indiano.
Tutto il gruppo si bloccò ad osservare.
“Questa divisa la
conosco. Sono quel nuovo gruppo di mutanti: gli Humana”.
“Davvero?”
domandò sorpreso Bob “Beh tu sei Ragazzo Invisibile degli Heroes,
voi vi conosco, ok. Ma questi Humana… proprio non li ho mai
sentiti!”
Nel frattempo,
dall'ingresso principale del cimitero fece la sua comparsa un altro
uomo peloso, ma più grosso e più curvo.
“Uno Yeti”
esclamò Kaufman.
“Un Bigfoot” lo
corresse Johnny lo Scheletro.
“No, è un Alma”
ebbe infine ragione Oscar Charles.
La creatura si
avvicinò tranquilla a Giunan, per poi poggiargli delicatamente una
mano sulla spalla destra. Il mutante si accorse di lui e si alzò al
suo fianco.
Dalle vicinanze,
apparve un terzo uomo peloso.
Johnny lanciò
un'occhiata di disprezzo al giovane scienziato “Avanti sapientone,
dimmi cos'è quello...”
“Un Vanara” fu
la rapida risposta.
Nel mentre, il
Soggetto N. 5 volse il suo colossale corpo verso la strana
combriccola.
“Portatemi dal
vostro capo”.
“Bene. Così
dovrebbero bastare…” affermò il Soggetto N. 6 mentre, in maniera
un po' goffa, poggiava per terra qualche ramoscello secco trovato
nelle vicinanze. Ispirò profondamente, ma la legna prese fuoco prima
della suo soffio termico.
“Era questo che
volevi?” gli si fece vicino un uomo dai lunghi capelli neri, una
felpa rossa e un paio di jeans consumati.
“Esatto. Chi sei
tu?”.
“Gli umani mi
chiamano Vampa. Sono l'elementare del fuoco, e tu?”.
“Il mio nome è
Chang Yu, Onorevole Vampa. Faccio parte degli Humana. Ora stavo
cercando di prepararmi un lauto pasto”.
“Spero tu non
voglia cucinare una delle vacche di Gerione, anche perché hanno
Ortro a sorvegliarle…” gli sorrise il nuovo arrivato.
“Assolutamente no.
Volevo solo essiccare qualche erba. D'altronde, non posso nemmeno
cibarmi di sogni come il Baku…”.
“Baku? Dov'è il
Baku?” un gatto mostruoso, uscì da dietro un albero, iniziando ad
andare avanti-indietro su due zampe, come fosse impazzito.
“Un Bakeneko!”
esclamò stupefatto il cinese.
Lo spirito felino,
visto il fuoco appena acceso, tirò fuori da un cespuglio una
tavoletta Ouija.
“Alimentiamo il
fuoco!”.
“Fermo!” gli
urlò contro Vampa.
La tavoletta volò
via dalla presa del Bakeneko e finì tra le fauci di una specie di
coccodrillo.
I presenti rimasero
in blocco.
“Quello cos'è?”
chiese il mutante.
“Un Buru, proviene
dalle regioni indiane.” informò Vampa.
Lo yokai si avvicinò
con sguardo folle e unghie sfoderate “Lasciate che me ne occupi
io...”.
“Fermo lì! Lascia
stare quel rettile!”.
Tutti si voltarono
per trovarsi davanti un uomo-lucertola, tutto rivestito con un
armatura futuristica di stile spaziale.
“Sono Alien
Hunter, un rettiliano. Mi hanno avvisato che c'erano degli intrusi
qui alla Twilight Zone”.
Nel mentre, un nuovo
gatto mostruoso, dal pelo irsuto e rosso, era riuscito, con grande
rapidità, a togliere la Ouija dalla presa delle potenti mascelle del
Buru.
Chang si girò di
colpo “Un altro Bakeneko?”.
Gli rispose Vampa
“No, questa è una creatura italiana: la chiamano Gata Carogna”.
I due felini si
misero a litigare fra di loro, provocando di conseguenza un gran
baccano.
Il cuoco sorrise
mestamente “Questo mi fa tornare in mente una cosa: anche in Italia
dicono che noi cinesi mangiamo i gatti…”.
“Sarebbe la
soluzione migliore!” disse l'alieno, mentre scrutava con sguardo
omicida i due litiganti animali, leccandosi le labbra squamose con
una lingua biforcuta.
A quelle ultime
parole, i due strambi gatti si placarono, sedendosi quieti uno
accanto all'altro.
“Quindi” riprese
la parola l'elementare “Ci sono altre persone nel nostro
territorio?”.
“Così mi hanno
informato dal quartier generale” gli rispose Alien Hunter.
Mentre ascoltava i
ragionamenti di entrambi, l'asiatico vide per terra una console
portatile. Inizialmente stupito, la raccolse dal suolo. La accese.
“Se davvero non
posso mangiare, spero mi sia concesso almeno svagarmi un pochino”.
Una volta acceso il
piccolo display luminoso, si trovò faccia a faccia con un avatar,
graficamente disegnato in stile “Minecraft”, che fissava il mal
capitato con degli inquietanti occhi completamente bianchi.
“Herobrine!”
urlò terrorizzato il Soggetto N. 6.
“Madre de dios!”
ripeté per l'ennesima volta il Soggetto N. 7, mentre era in fuga
disperata da una figura volante che lo inseguiva: una vecchia in
sella ad un mortaio.
“Dove scappi?
Fermo!”.
Preso dalla foga, il
messicano inciampò e cadde rovinosamente al suolo.
“Tutto bene?”
gli chiese una figura ammantata.
Il baffuto scosse il
capo e, una volta ripresosi, si alzò fulmineo per poi cambiare
aspetto.
“Non ti muovere!
Io sono un campione di karate!”.
L'altro, coprendosi
per pochi istanti con il mantello scuro che indossava, mutò a sua
volta “E io sono il gobbo di Notre Dame!”.
“Allora io sono un
cavaliere!”.
“E io il fantasma
dell'opera!”.
“Però io sono un
soldato!”.
“E io… un tizio
inquietante con il cilindro”.
Dopo questo assurdo
scambio magico, Bernardo tornò alla sua forma originale “Ma sei un
mutaforma come me?”.
“Una specie”.
Improvvisamente,
Borghi si sentì afferrare una gamba. Guardò in basso e vide un
esserino peloso, dagli occhi rossi e i denti aguzzi, avvinghiato al
suo stinco.
“Ma che ca…”
calciò via la creatura “Si può sapere dove diavolo sono finito?”.
“Sei nella
Twilight Zone, amico mio. Qui potrai trovare tutti i tipi di mostri
che più ti aggradano!”.
“Come il Mostro di
Tecolutla? O quello di Montauk?”.
“Penso ci siano
anche loro. Che tipo di mostri sono?”.
“Acquatici”.
“Può darsi. Però,
per sicurezza, dovresti chiederlo a Fisherboy” gli indicò un uomo
vestito con un impermeabile scuro da pescatore.
Quest'ultimo non
proferì parola, ma diede un biglietto a Bernardo con su scritto
“PUOI TROVARLI NEL LAGO CENTRALE”.
Mentre era intento a
leggere quel documento improvvisato, un serpente dalla testa enorme
gli strisciò accanto.
Il messicano
sobbalzò “Merda! Pure i serpenti!”.
“È un Serpente
Regolo. È innocuo” lo tranquillizzò Triple Boy.
Improvvisamente si
iniziò ad udire un sinistro rantolio. Il Soggetto N. 7 era
terrorizzato.
“Eh no! Questo
film lo conosco! Oh sacra Coatlicue, aiutami tu!”.
Nonostante tali
raccomandazioni divine, con la stessa divinità presente in quella
zona ai confini della realtà, il corpo del mutante iniziò ad essere
avvolto da lunghi e animati capelli corvini.
Vicino a lui fece la
sua comparsa una donna asiatica, dal passo dinoccolato e la pelle
pallida come un cadavere.
“Oh no, vi prego!
Io vi avverto: se guardo “The grudge”, io me la faccio sotto!”.
“Fermi tutti!”
un comando proveniente dall'alto.
La stessa vecchia
che poco prima lo inseguiva, ora stava atterrando delicatamente
vicino a quel gruppetto assurdo.
“Quel bel baffetto
è mio! Voglio che entri a far parte dei miei servi invisibili!”.
Nonostante
quell'avvertimento, quella versione di Kayako Saeki non sembrava di
certo disposta a lasciare la presa sull'uomo.
“Mi secca
deludervi entrambe, signore” comparve un altro losco figuro, dal
cappello logoro, la giacca consunta, i pantaloni bucati e le scarpe
finite “Ma quello straniero viene con me dritto all'Amityville
Headquarter”.
“E tu chi
saresti?” gli domandò il ragazzo con il mantello.
“Fidati, figliolo,
sono qui da più tempo di te. Mi chiamo Mortimer. Se non mi credi,
chiedi pure a tuo fratello Louis” gli rispose il vecchio,
accompagnando il tutto con un sorriso sdentato.
Nell'enorme lago di
quel posto assurdo, una nuova creatura si sta abbeverando pacifica.
Il suo normale corpo taurino terminava però in un'enorme coda di
serpente. L'Ofiotauro fu però spaventato da qualcosa che comparve da
sotto la superficie dell'acqua.
Di nuovo sulla terra
ferma, il Soggetto N. 8 fu sorpreso di vedere, sdraiato sulla riva,
un gigantesco gorilla, come mai ne aveva visti nemmeno in Africa.
Mentre era ancora incantato da tale visione, un ectoplasma comparve
vicino a lui.
“Oliver tesoro,
avevi ragione te. Ho trovato un altro degli Humana!” disse esso.
“Non chiamarmi
“Oliver tesoro”, Mark. Appena puoi cerca di comunicare con lui e
spiegagli dettagliatamente al situazione, senza ovviamente farlo
andare nel panico totale”.
“Ok… Oliver
tesoro” chiuse la comunicazione il fantasma, mentre riprendeva
consistenza corporea.
Juna già lo
squadrava con occhio che fulmina.
“Ciao” lo salutò
levando la mano al cielo “io sono Ghost degli Heroes. So che fai
parte degli Humana e, tranquillo, non sono qui per farti alcun male.
Ti prego solo di seguirmi al nostro quartier generale. Che poi non è
nostro, ma del Monster Commando, però…”.
Il mutante non
attese nemmeno che l'altro ebbe finito ma tentò subito una fuga.
“Einherjar!”
urlò Ghost.
Davanti
all'africano, si materializzò un soldato in armatura vichinga.
“Ti giuro, non
sono tuo nemico!” provò a spiegarsi il supereroe in bianco, mentre
quello in rosso e giallo si rituffava nel lago.
Appena sott'acqua,
però, un feroce squalo bianco sfiorò appena il mutante che, in
poche bracciate, fu di nuovo a riva.
“Mi chiedo ancora
come faccia Jaws a vivere in un lago” Ghost si accovacciò vicino
al Soggetto N. 8 “Di certo e più nervoso rispetto a Kong” indicò
l'enorme gorilla “O a Talo” indirizzò il suo indice verso un
gigante di bronzo a una decina di metri da loro.
L'originario della
Repubblica Democratica del Congo riprendeva fiato, puntellandosi con
i gomiti sul terreno. Nel mentre, una creatura a metà tra uomo e
pesce emerse dalle acque scure.
Lì per lì, il
membro degli Heroes sembrò sorpreso “Pensavo fosse Bill, invece è
solo un Quinotauro”.
“Dove mi trovo?”.
Appena terminata la
domanda, il verso rombante del serpente piumato Quetzalcoatl, che
librava libero in cielo, riempì l'aria.
“Sei nella
Twilight Zone. Non certo un posto molto raccomandabile…” l'altro,
palesemente omosessuale, gli poggiò una mano delicata sulla spalla.
Intanto, la
superficie dell'acqua iniziò a incresparsi. Come c'era da
aspettarsi, da essa iniziò ad emergere qualcosa.
I due rimasero
alquanto sorpresi dagli esseri che si trovarono di fronte.
Un toro gigantesco,
con una miriade di occhi, bocche, orecchie, narici e zampe sparse in
tutto il suo corpo animalesco. Ma ancora più sorprendente era dove
questa creatura si trovava: la schiena di un altrettanto enorme
pesce. Il muso di tale animale, ricordava però più quello di un
ippopotamo o di un elefante.
“Dunque… quelli
dovrebbero essere un Kuyutha e un Bahamut” spiegò il supereroe in
bianco.
“Come sono finito
qui?” domandò il mutante, tornando a fissare l'umano.
“Beh ecco...”
l'interpellato iniziò a fissare per terra, disegnando con la punta
del dito dei ghirigori invisibili sul terriccio “Per il momento,
questo non lo sappiamo nemmeno noi”.
“Almeno i miei
compagni stanno bene?”.
“È per questo che
ti devo portare all'Amityville Headquarter. Lì, sono sicuro, ogni
cosa verrà chiarita”.
A quelle ultime
parole, Juna si rimise in piedi “Allora andiamo!”.
Era da almeno un'ora
che correva a tutta velocità, come solo il Soggetto N. 9 sapeva
fare, sotto quel cielo violaceo. Ma niente, dei suoi compagni non vi
era alcuna traccia.
Di colpo si fermò
vicino ad un albero, giusto in tempo per sentire un grido acuto
provenirne dalla sommità. Su di essa difatti era appollaiato un
uccello gigantesco.
Poi l'attenzione
dell'americano fu catturata da una possente giumenta, che galoppava
elegante per la prateria. Proprio mentre seguiva la traiettoria di
tale galoppata, notò una donna in kimono che gli si avvicinava. In
un attimo, Johnny gli fu di fronte.
“Ciao bella. Non
pensavo di trovare qualcuno in questo posto assurdo! Io mi chiamo...”
“Tu sei uno degli
Humana” disse una voce, nonostante le labbra della fanciulla
rimasero chiuse.
Il mutante rimase
spiazzato “S-Sì. E tu?”.
Lei si voltò,
rivelando un ulteriore bocca posta sulla propria nuca “Io sono una
Futakuchi-onna”.
L'uomo sbiancò “Ma
che cazzo?”.
Tuono e lampi
comparvero dal cielo, comandati da un altro enorme rapace, un Uccello
del tuono. Come richiamato da una forza invisibile, il mutante si
voltò alla sua sinistra e vide una divinità che riconobbe subito.
“Cthulhu!”.
“Complimenti,
figliolo” a parlare fu una vecchia megera totalmente verde,
compresi pelle, capelli e denti.
Il velocista la
fissò impaurito “Ho sentito parlare di te. Sei Jenny Dentiverdi”.
“Bene. 100 punti
al giovane!” lo schernì Jenny.
Il biondo, stufato
di tutta quell'assurdità, stava per ripartire a gran velocità, ma
una voce lo bloccò.
“Ti prego,
aspetta”.
Una donna splendida,
illuminata da una luce eterea, lo guardava seducente.
“E te chi sei? Una
ninfa?” le chiese lui.
“Quasi” le
sorrise lei “Sono un'anguana”.
“Dove mi trovo?”.
“Questo territorio
si chiama Twilight Zone ed è il rifugio del Monster Commando. Non so
se ne hai sentito parlare?”.
Wayne scuoté
negativamente il capo, mentre fissava una specie di drago che si era
seduto accanto a Cthulhu, tornato in versione pacifica.
“Quello è un
Ninki Nanka. Viene dall'Africa”.
“Come sono finito
qui?”.
“Per quello,
dobbiamo recarci all'Amityville Headquarter” la Futakuchi-onna
aveva ripreso a parlare con la seconda bocca.
“E dove sarebbe?”
proseguì con le domande il Soggetto N. 9.
Nel frattempo, si
era avvicinata un'altra creatura assurda. Questa aveva il corpo
simile ad una tartaruga a sei zampe, sul carapace erano presenti vari
aculei e una cresta centrale, infine la testa era alquanto
somigliante a quella di un leone.
“Quello è un
Tarrasque. Viene dalla Francia” aggiunse l'anguana.
“Oddio! Possibile
che con il mio gruppo dobbiamo finire da un posto assurdo all'altro!”
si lamentò ad alta voce lo statunitense.
“Se è per quello,
bel biondino, nessuno ti ha invitato a romperci le palle!”
controbatté seccata la donna in verde.
Mentre i due
proseguivano con il battibeccare, dal cielo discese lentamente una
figura umana, se non fosse per la presenza di due braccia aggiuntive
e di un becco da uccello al posto dell'umana bocca.
“Io sono Garuda.
Sono qui per accompagnarti al nostro quartier generale” si
presentò.
L'umano alzò le
mani, quasi in segno di resa “Ah no, grazie. Preferisco decisamente
la via terrestre. Te fammi strada che io ti seguo a tutta birra!”.
Il nuovo arrivato
sembrò sorpreso da tale reazione, poi acconsentì “Come desideri”
e si librò in volo.
“Ci vediamo
gente!” salutò rapido i presenti il Soggetto N. 9, prima di
sparire in una macchia indistinta rossa e gialla.
Amityville
Headquarter
“… Quindi, a far
funzionare tutta questa casa, è una fonte elettrica senziente di
nome Pulse?” riassunse una tranquilla Sara Silvestri.
“Esattamente” le
confermò un ragazzo tutto vestito in nero, con capelli scuri tirati
su con il gel e canini appuntiti che spuntavano da sotto il labbro
superiore: Benjamin Luhan.
I due passeggiavano
tranquilli dentro un'enorme stanza vuota e spoglia. Dopo poco, una
ragazza, con indosso un costume richiamante lo stile delle streghe,
si affiancò a Vampire Boy.
“Amore, i nostri
ospiti sono pronti ad entrare” Gli sussurrò all'orecchio.
“Bene, Laura.
Falli pure entrare” acconsentì lui.
Colei conosciuta
anche come Witch Girl alzò il palmo aperto della mano, puntandola
verso una delle quattro pareti della sala. Magicamente, parte di
quella parete scomparve, permettendo così di constatare, dall'altra
parte, la presenza dei nove Humana. Ai loro lati, vi erano altre due
creature leggendarie. A sinistra, un Tengu, nella sua forma di corvo
umanoide, mentre a destra vi era un Redcap, il goblin con
l'immancabile berretto rosso sangue.
“Entrate pure,
ragazzi” li invitò Sara.
I mutanti, seppur
titubanti, si avviarono al centro della stanza. Durante il loro breve
cammino, un topo sfrecciò da una parte all'altra del locale.
“Che schifo, un
topo!” strillò inorridita la bionda.
“Tranquilla” la
rassicurò Luhan “È il nostro piccolo Ben”.
Intanto, gli eroi in
rosso e giallo erano giunti di fronte al trio.
“Bene, ragazzi”
esordì Sara “Come avrete ormai già intuito, per uno strano
scherzo del destino, o meglio della pietra di Atlantide, ci siamo
ritrovati ospiti inattesi del gruppo conosciuto come Monster
Commando”.
I nove la
ascoltavano in silenzio.
“Personalmente ne
avevo già sentito parlare da un mio amico americano, Jobe Cunniven.
Però, trovarmi realmente qui, è davvero sconvolgente”.
Da un'altra entrata,
fece la sua comparsa un maiale antropomorfo con in mano un invitante
panino strapieno. L'attenzione di tutti fu catturata da esso.
“Jimmy
Squarefoot!” lo chiamò Laura MacBean “Potresti scusarci? Abbiamo
una riunione in atto”.
L'essere appena
richiamato si allontanò, sebbene alquanto seccato, emettendo un
sonoro grugnito.
“Comunque”
riprese la parola la stessa giovane strega “Dopo aver analizzato il
vostro particolare caso, credo proprio che riuscirei a farvi tornare
indietro, utilizzando un potente incantesimo di teletrasporto...”.
Mentre la ragazza
proseguiva, Redcap si era messo a discorrere animatamente con un
troll propriamente detto.
La maga fulminò
entrambi con uno sguardo “Mi basta solo un po' di calma!”.
I due, zittiti
all'istante, si allontanarono dalla zona, insieme anche al Tengu.
Con il ritrovato
silenzio, Witch Girl chiuse gli occhi, cercando tutta la
concentrazione possibile per eseguire quell’incantesimo
telecinetico di massa alquanto impegnativo. Nel mentre, il suo
fidanzato le teneva una mano delicata sulla spalla sinistra, più per
conforto che per reale utilità.
Mentre tra gli
Humana iniziava a serpeggiare un po’ di tensione, lei si mise a
pronunciare parole di una lingua sconosciuta e misteriosa, alzando al
contempo entrambe le sue mani aperte.
Improvvisamente, una
luce accecante comparve su di loro e, nel giro di pochi secondi,
scomparve, portandosi via anche la particolare decina. Laura abbassò
le braccia e si appoggiò, esausta, a Benjamin. Una bambina di circa
cinque anni, con i capelli biondicci e gli occhi di un azzurro
intenso, si avvicinò a lei.
“Tutto bene,
Laura?” le chiese.
“Sì,
Helen. Spero per loro che sia andato tutto bene.”
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Capitolo 10 *** Una titanica amicizia ***
CAPITOLO 10
“Una titanica amicizia”
La stessa luce abbagliante presente nell'Amityville headquartier, ora
rischiarava l'enorme salone della villa degli Humana. In pochi
secondi, come era apparsa, scomparve, lasciando dietro di sé
un'umana e nove mutanti.
I dieci, dopo un'iniziale immobilità, presero a scrutarsi attorno,
riconoscendo subito quel luogo a loro ormai così familiare.
“Madre de dios!” esordì Bernardo “Siamo tornati!”.
“Io mi ero già visto di lasciare il mio nuovo ristorante alla
giovane Nikki” Chang si deterse la fronte con la mano.
“State tutti bene, gente?” s'informò immediatamente Johnny.
In molti annuirono a tale quesito. Nel mentre, Sara stava con gli
occhi chiusi e la mano poggiata sulla propria tempia.
“Tutto ok, Sara?” le si fece vicina Frédérique.
La bionda aprì gli occhi “Sì, Soggetto N. 3, sto bene. Grazie”.
“Immagino che sarà da registrare qualche episodio di…
rimescolamento di stomaco, visto l'assurdo trasporto che abbiamo
effettuato” suggerì Andrea.
“Oddio, che schifo! Ci manca anche quello!” esclamò schifato
Jack.
“L'importante è che siamo riusciti a tornare” si voltò verso il
gruppo Silvestri “Anche il mio superiore si dice felice di riaverci
tutti e sani salvi qui alla base”.
“E quando te l'ha detto?” domandò dubbioso Wayne.
“Non preoccupatevi di ciò” tagliò corto l'italiana
“l'importante ora è che andiate tutti a riposarvi. Non
dimenticatevi che abbiamo ancora una guerra contro lo Spettro Bianco
da portare avanti”.
“E ti pareva!” sbottò sarcastico Borghi “Figurati se possiamo
goderci una bella e lunga siesta…”.
“Io preferisco farmi una bella nuotata” disse Juna.
“Esco anch'io” gli fece eco Geran.
“Mi raccomando però: non allontanatevi troppo” controbatté
Arone.
“Personalmente, preferisco una bella doccia calda” Lincon si
stava già avviando al piano superiore.
“Appena mi sono riposato un po', mi occuperò anche della cena,
signori” comunicò al gruppo sparpagliato Yu.
“In guerra non ci si riposa mai, Cheng, non dimenticarlo!” lo
canzonò divertito Alberti.
“Pensala come ti pare, Andrea” intervenne il velocista “io,
piuttosto che farmi una corsetta, preferisco collassare nel letto
fino a sera”.
I due proseguirono con lo schernirsi, mentre anche gli altri
seguivano ognuno la propria strada per concludere degnamente
quell'assurda giornata.
Ormai, tutti i presenti vestiti in rosso e giallo si erano divisi.
Uno dei pochi rimasti nella sala era Wansa, il quale si era accostato
a Sara.
“Davvero stai bene, Sara?”.
“Sì, Igor. Devo abituarmi anch'io a queste avventure”.
“Siamo sicuri che sia finita?”.
“Certo. O almeno, per il momento” concluse lei, fissando il
paesaggio boschivo fuori dalla grande finestra vicino all'ingresso,
mentre i Soggetti N. 5 e 8 si salutavano con un leggero cenno del
capo, allontanandosi dalla villa.
Incredibilmente, i giorni seguenti passarono tranquilli per tutti gli
Humana. Tutti tranne il Soggetto N. 1, che sembrava rimasto
estremamente sconvolto dall'esperienza vissuta con il Monster
Commando. Di tale inquietudine se ne accorsero anche gli altri otto
mutanti ma, nonostante ciò, iniziarono ciascuno a prendersi dei
meritati giorni di vacanza, sempre in pieno accordo con Sara e il
loro misterioso superiore.
Un giorno, il Soggetto N. 9 tornò a fare visita ai suoi compagni,
portando con sé una nuova fiammante auto. Purtroppo per lui, ad
accoglierlo alla villa, trovò soltanto il russo e i due ormai
inseparabili 6 e 7.
Di fatti, dopo poco, l'americano decise di ripartire per il suo
girovagare.
“Ci si vede, gente! Non fate troppo casino...” urlò dal
finestrino aperto, mentre le ruote del veicolo stridevano
volontariamente sul ghiaino.
“Che Hijo de puta!” lo apostrofò a bassa voce il messicano.
“Ma no. È solo leggermente sbruffone...” lo corresse il cinese.
Nel mentre, la coppia rientrò nell'abitazione. Una volta dentro,
trovarono Igor addormentato sul divano del salotto.
“Bueno. Almeno ora riesce finalmente a riposare”.
“Bisogna comprenderlo, Bernardo. Un viaggio infernale, come quello
che ci è toccato l'ultima volta, può davvero essere destabilizzante
per un ragazzino della sua età”.
“Già...” ne convenne anche Borghi, poi iniziò a sentire uno
strano odore “Cos'è questa puzza?”.
Anche Yu si mise ad annusare l'aria “Giusto. Sembrerebbe zolfo...”.
Mentre Wansa spalancava improvvisamente gli occhi, una nuvola di fumo
nero comparve di colpo nel salotto.
“Mi sembra di riconoscere...” sospirò piano il giovane appena
svegliato.
Intanto, la nebbia si diradò, lasciando posto ad un essere davvero
demoniaco. Un uomo alto quasi due metri, vestito con una tunica scura
con la pelle rossa che faceva contrasto con la barba nera mente,
sulla fronte, facevano bella mostra due lunghe corna ossee.
I tre mutanti lo fissarono spiazzati.
L'essere appena giunto esordì “Dunque siete voi i recenti
visitatori”.
Terrorizzato da quella voce cavernosa, Bernardo tentò l'ironia “No,
io non c'ero. Semmai puoi chiedere al qui presente...” indicando
nel mentre Chang.
“Silenzio!” lo zittì il demone.
“Di grazia,” l'asiatico tentò con la diplomazia “possiamo
sapere con chi abbiamo l'onore di interloquire?”.
La creatura soppesò bene ogni parola appena enunciata “Il mio nome
è Zaras”.
“Bugiardo!”.
Tutti si voltarono verso il ragazzino che aveva appena urlato.
“Io conosco Zaras e tu di certo non gli assomigli per niente!”.
Il diavolo, lì per lì sorpreso, proruppe poi in una sonora risata.
“Tu, piccolo idiota, hai conosciuto la mia controparte femminile,
quella più debole ed insulsa. Ma vedi, di Zaras ne esiste anche una
versione decisamente migliore” esclamò, spalancando le braccia per
fare bella mostra di sé.
“La faccenda si complica alquanto...” bisbigliò il Soggetto N.
6.
“Pensare che con noi non sono stati particolarmente ospitali”
replicò il Soggetto N. 7.
“Silenzio!” ripeté Zaras, mentre con l'indice della mano destra
sparava un raggio fiammeggiante che mancò di poco il baffuto.
Quest'ultimo reagì collassando sul pavimento. Dopo aver osservato la
caduta dell'amico, il cinese tirò un sospiro di sollievo, tornando a
fissare il loro ospite.
“Se si tratta di fuoco, posso anch'io dire la mia” proclamò il
mutante, prima di emettere un portentoso soffio infuocato.
“Notevole” osservò il demone, tenendo le braccia incrociata
davanti al petto.
Intanto, il corpo di Borghi si stava lentamente mutando in una
robusta corda che, come fosse un serpente ipnotizzato, saltò in aria
e andò a legarsi tutta attorno a Zaras.
Lì per lì, l'entità mefistofelica fu nuovamente sorpresa. Poi sul
suo viso diabolico comparve un ghigno altrettanto satanico.
“Credete davvero che una misera fune possa fermare un essere
potente come me?”.
I tre mutanti rimasero spiazzati da quelle parole. Dopo attimi
infiniti, la corda si sciolse, strisciando verso Chang e tornado ad
essere Bernardo.
“Saggia decisione” confermò Zaras, mentre la sua mano divampava
per un nuovo attacco.
“Fermo dove sei!”.
Disubbidendo a quell'ordine, il diavolo si voltò verso le scale,
trovandovi il Soggetto N. 4 che lo teneva sotto tiro con una strana
pistola.
“E tu chi saresti? Da dove viene quell'arma?”.
L'italiano gli rispose “sono il più cazzuto degli Humana. Da
quando sono stato nel vostro posto di merda, il mio corpo crea delle
armi da fuoco tutte sue. Questa l'ho chiamata Megadistruttore”.
“Interessante...”.
“Ora, si può sapere perché sei qui? Ti ha mandato il Monster
Commando?” proseguì Andrea.
“Esattamente. Sono giunto da voi per avvisarvi che un nostro membro
è fuggito dalla Twilight Zone grazie al vostro intervento”.
“C-Cosa?” balbettò Borghi.
“Cazzate!” giudicò Alberti.
“No, sta dicendo la verità” esclamò serio Wansa.
I quattro si voltarono verso il più giovane di tutti.
Successivamente, Zaras riprese a parlare.
“Nello specifico, si tratta di un fulgido esemplare di titano.
Probabilmente, ciò è dovuto ad un leggero errore di calcolo
nell'incantesimo di Witch Girl. Inoltre, giungendo qui sulla terra,
ha risvegliato altri due esemplari della sua specie, che riposavano
da secoli”.
“Quindi si tratterebbe di ben 3 titani?” ragionò Yu.
“Esatto. I loro nomi sono: Titano Astreo, il titano del crepuscolo,
Titano Pallante, il titano della saggezza, ed infine Titano Perse,
titano della distruzione”.
“Come sappiamo dove si trovano attualmente?” chiese il Soggetto
N. 4, sempre tenendo sotto mira l'avversario.
“Poveri sciocchi. Sono loro tre che stanno dando la caccia a tre
vostri membri che non sono qui presenti. Si tengono in contatto in
una maniera simile al vostro bambino” indicò il Soggetto N. 1.
“Oddio! Bisogna cercare di avvisarli tutti il prima possibile!”
urlò un Soggetto N. 7 nel panico più totale.
“Non preoccuparti, Berny…”.
A parlare così fu proprio Igor, sorprendendo un po' tutti.
“Come ha detto Zaras, io riesco a tenermi facilmente in contatto
con tutti i membri dell'Humana, compreso Sara. In questo momento,
hanno udito tutti perfettamente, nelle loro teste, cosa ci siamo
detti”.
Il messicano rimase preoccupato “Speriamo che Dio li assista”.
Dopo qualche secondo di silenzio, l’italiano riprese la parola.
“E di lui cosa ne facciamo?” indicando il demone.
“Giusto” concordò il cinese “un demone in casa non porta
bene”.
“Potremo rinchiuderlo da qualche parte…” propose Bernardo.
“Allora non capite!” li interruppe Zaras “Non esistono prigioni
che possano tenermi bloccato e senza via di fuga”.
Il baffuto lo scrutava perplesso “Mmmh, probabilmente ha ragione”.
“Allora come pensi di andartene via di qui?” gli chiese
scioccamente il russo.
“Nello stesso modo in cui sono giunto” fu la risposta.
“Brutto basta…” ma il Soggetto N. 4 non fece in tempo a
prendere la mira che, la figura del loro diabolico visitatore, fu
avvolta nuovamente da una nuvola di fumo nero e odorante di zolfo.
I restanti tossirono per qualche minuto.
“Beh… cof cof… è stato più semplice del previsto” tentò di
stemperare l’atmosfera il Soggetto N. 6.
“Cof… purtroppo ora viene il difficile. E non per noi…”
ricordò ai presenti l’ex-militare.
Le stelle splendevano silenziose sulla vasta pianura in cui il
Soggetto N. 3 aveva deciso di soggiornare. Nello specifico, per
tenere allenata la sua vista prodigiosa.
La francese se ne stava tranquilla accanto ad un vivace falò, acceso
utilizzando la sua vista calorifera, nel tentativo di scaldarsi il
più possibile. Nel mentre, continuava a riflettere sulle parole
appena pronunciate da quel demone, e portate alla sua mente dal
Soggetto N. 1.
“Non ha detto però che sono aggressivi…” sentenziò tra sé e
sé l’ex-ballerina.
Dopo aver fissato il danzare delle fiamme per qualche minuto, alzò
il suo sguardo al cielo e, approfittando della sua vista telescopica,
iniziò ad esaminare gli astri della volta celeste.
Abbassando leggermente il capo, notò poi qualcosa di insolito. Le
era parso, per assurdo, che la cima di una collina si fosse mossa.
Letteralmente con un battito di ciglia, cambiò il suo stile di
vista, passando ad una più utile visione notturna.
Quello che vide la spiazzò ancora una volta: un uomo, in versione
gigantesca, se ne stava seduto, con il petto appoggiato sulle
ginocchia piegate, a scrutare egli stesso il cielo notturno.
“Oddio! Uno dei titani!” sentenziò, con gli occhi sbarrati dal
terrore.
Dopo aver ripreso un po’ di sangue freddo, i suoi occhi iniziarono
a brillare, pronti a sferrare un colpo laser. Però ci fu qualcosa
che fece desistere Frédérique: l’espressione su quell’enorme
viso era così pacifica.
Mentre i suoi occhi smettevano di brillare, l’attenzione del titano
fu catturata proprio da quel piccolo, per lui, bagliore. Con gran
rapidità, si mise in piedi e raggiunse la mutante. Quest’ultima,
nuovamente nel panico, tentò una fuga voltandosi e mettendosi a
correre.
“Tu sei una degli Humana?”.
Quella voce profonda, simile ad un tuono, la fece bloccare
all’istante. A scatti, si voltò verso la creatura gargantuesca.
“E-Ebbene sì. Come fai a conoscerci?”.
“Al Monster Commando non si parla d’altro”.
“D-Davvero?”.
“Certo. Un nuovo supergruppo clandestino fa sempre notizia”.
“Ma allora non siete qui per attaccarci?”.
“Personalmente no, ma non posso assicurarti lo stesso per i miei
fratelli. In particolare Perse, lui considera gli esseri umani alla
stregua di scimmie seccanti”.
Arone le si fece vicino “Beh, si accorgerà che con i mutanti non è
proprio la stessa cosa”.
“Lo spero” sospirò lui, tornando a rimirare le stelle.
“Allora te cosa fai tutto qui da solo?”.
“Adoro ammirare gli astri. Sono così silenziosi e lucenti… non
ti pare?”.
“Decisamente. Dunque tu sei…”.
“Astreo, il titano del crepuscolo”.
“Dunque sei il titano titolare del gruppo?”.
“Esatto”.
“Ti è già capitata qualche missione?”.
“Sì”.
“Contro chi?”.
“La ragazza di Kaufman che era mezza impazzita”.
“Oooh. Per quanto mi riguarda, non credo mi ci abituerò mai a
questo stile di vita. Insomma, queste sono tutte cose che speravi
soltanto di leggere nei libri…”.
Il silenzio avvolse la stramba coppia.
“Per quanto tempo hai intenzione di rimanere qui?” riprese la
parola la francese.
“Almeno fino all’alba” rispose tranquillo il titano.
“Bene…” la donna in rosso e giallo si accovacciò al suolo, per
poi ella stessa alzare lo sguardo verso il cielo stellato, con
l’enorme chioma bionda del suo nuovo alleato a farle da ombra
trasversale alla sua posizione.
Al fine, l’alba giunse davvero. Anche su quell’oceano che,
leggermente mosso, stava trascinando le sue onde schiumose sul
bagnasciuga dove, pensieroso, stava passeggiando il Soggetto N. 8.
“Dover affrontare i titani” rimuginava l’africano “un’impresa
che non è riuscita nemmeno agli stessi dei, dovremo essere noi
Humana ora a metterla in atto”.
Di colpo, il mare si fece via via più increspato. La cosa che però
attirò di più l’attenzione di Juna era la quasi totale assenza di
vento, o comunque non così tanta da provocare un tale stato in
quella distesa idrica.
Appena comprese cosa lo aspettava, dall’acqua emerse un essere
gigantesco. Una volta eretto, dal suo corpo bagnato scendevano giù
delle vere e proprie cascate. Nel mentre, il mutante era riuscito a
mantenersi in piedi, nonostante l’onda anomala che l’aveva appena
investito. Accanto al suo piede destro, notò un lungo bastone,
portato dalla corrente. Lo prese su e lo afferrò saldamente con
entrambe le mani, pronto per la battaglia.
Il titano aprì finalmente gli occhi, riconoscendo all’istante il
suo avversario “Ritieni saggio affrontarmi tutto da solo, misero
mortale?”.
“Per tua informazione, provengo da una tribù di guerrieri” fu la
risposta.
“Povero sciocco! Nemmeno la potente nave Argo potrebbe abbattere il
Titano Pallante!”.
“Io non sono una vecchia nave”.
“Credi davvero di battermi? Osi accostarti alla dea Atena!”
furioso, il titano partì all’attacco con la mano destra.
Reattivo, il congolese gli lanciò contro il bastone, che andò a
schiantarsi contro il suo gigantesco palmo, per poi buttarsi in mare.
Il titano, spazientito, iniziò a guardarsi intorno, cercando di
scorgere, sotto la superficie liquida e trasparente, la sua preda.
Quest’ultimo però, si era già allontanato per procurarsi la sua
nuova arma.
Al largo della costa vi era, appena visibile, una piccola struttura.
Essa era formata da semplici paletti di ferro, uniti tra loro da una
rete da pesca. Come fosse preda di una ferocia ancestrale, il
Soggetto N. 8 riuscì a scardinare tale rete e, in un attimo, fu di
nuovo vicino al gigante.
Mentre la creatura cercava ancora di orientarsi nella lotta, l’uomo
in rosso e giallo fece dei rapidi giri attorno alle enormi gambe
inginocchiate, permettendo così alla rete di stringersi sempre di
più su di esse.
Una volta soddisfatto del suo operato, Juna riemerse sulla
terraferma.
“Allora?” urlò contro il nemico “Non sei in grado di
affrontarmi, titano?”.
Pallante, individuato il suo obiettivo, si fece avanti. Fu allora che
scattò la trappola. Appena accortosi che il ginocchio destro non
rispondeva al suo comando, la stessa foga con cui si era pronunciato
in avanti lo portò irrimediabilmente al suolo.
Dopo qualche secondo di immobilità, riuscì a sollevare appena il
volto dal terreno sabbioso.
“E sia. Come titano della saggezza, comprendo perfettamente il
valore del mio avversario” biascicò sconfitto.
“Se sei così saggio come dici” lo incalzò l’africano “perché
sei scappato e ti sei messo contro gli Humana?”.
“Inizialmente, il nostro non era affatto un gesto di sfida” disse
l’accusato mentre, con un rapido movimento del cranio, scostava un
ciuffo di capelli castani, come la sabbia rimastagli attaccata al
viso, dai suoi occhi del medesimo colore “poi il più ardimentoso
di noi, Perse, volle approfittare dell’opportunità che voi, con la
vostra visita inaspettata alla Twilight Zone, ci avete concesso, per
tornare sul suolo terrestre e sfidare nuovamente l’umanità. Come
millenni fa facemmo contro le divinità greche”.
“E voi l’avete seguito nella sua folle iniziativa?”.
“Fidati giovanotto, egli sa essere molto persuasivo”.
Il Soggetto N. 8 scrutò preoccupato il suo avversario “Spero solo
che, chiunque dei miei compagni se lo troverà davanti, lo sappia
affrontare degnamente”.
Gran Canyon.
Vi erano presenti rocce che, ne era certo, erano lì ancora prima dei
suoi antenati più ancestrali.
Geran camminava solenne sotto il sole del pomeriggio. Percepiva
chiaramente di essere sotto minaccia, ma nel suo cuore aveva ancora
la fierezza degli Shoshoni.
Improvvisamente, sopra uno di quei dirupi, vide una di quelle pietre
millenarie sollevarsi. Dietro di essa, nonostante fosse parzialmente
coperto da quella struttura naturale, vi era un uomo dalla fattezze
gigantesche e dalla folta chioma corvina. Quest’ultimo, come se
avesse gettato un semplice sassolino in uno stagno, lanciò tale
masso contro il mutante.
Il viso dell’indiano, dipinto con i relativi colori di guerra,
rimase impassibile. Aspettò che il masso gli fosse abbastanza vicino
per saltare e, con la potenza sprigionata da un suo solo pugno,
frantumarlo in mille pezzi.
Il titano gridò furente, appena vide il suo avversario nemmeno
minimamente scalfito dal suo lancio di grande precisione.
L’energumeno in rosso e giallo gli rispose con urla altrettanto
minacciose, lanciando ritmicamente il braccio sinistro verso l’alto.
“Sciocco!” tuonò la creatura “Osi davvero sfidare Perse, il
titano della distruzione?”.
“Ho solo risposto al tuo attacco” gli rispose Giunan “come mi è
stato insegnato dalla mia tribù, tu che mi offendi senza esserne
degno”.
“Ti sbagli! Ti offendo proprio perché ne sono degno! Io ho sfidato
gli dei, perciò quale rispetto potrei mai avere verso un misero
mortale?”.
“Il mio popolo gli dei li rispetta, invece che affrontarli
inutilmente!”
Udita tale provocazione, Perse iniziò a scagliare vari massi a
ripetizione contro il Soggetto N. 5. Lui tentò di evitarne il più
possibile, sia a suon di cazzotti che scansandosi lateralmente.
Essendo ormai con il fiato corto, tentò di nascondersi sotto un arco
di rocce che collegava due vette. Fu tutto vano e il titano gli era
nuovamente addosso, andando anche a far crollare tale bellezza di
madre natura.
Nonostante la sua stazza notevole, Geran riuscì a rifugiarsi dietro
ad un altro pilone roccioso.
“Se riuscissi ad assestargli anche un solo pugno” esclamò,
nonostante il fiatone.
“Ok, ti diamo una mano noi” gli disse una voce al suo fianco.
Il pellerossa si voltò di scatto verso il nuovo arrivato Benjamin
Luhan.
Il capo del Monster Commando gli indicò il cielo “Pensi che il suo
aiuto ti possa bastare?”.
Il mutante alzò il capo e vide, sfrecciare nell’azzurro infinito,
il leggendario pegaso con le sue candide ali spiegate.
Sorprendentemente, un lieve sorriso si disegnò sul suo volto.
“Sarebbe un onore”.
Il cavallo alato planò dolcemente per raggiungere i due alleati. Il
Soggetto N. 5 lo accarezzò gentilmente sul muso, giusto per creare
il primo contatto fra uomo e animale. Poi le urla spaventose di Perse
lo riportarono alla dura realtà.
Con grande agilità, saltò in groppa al mitologico destriero.
“Per qualsiasi cosa, sarò pronto ad intervenire” lo rassicurò
il vampiro.
Giunan annuì appena per poi, spronando il suo cavallo, partire in
decollo.
Il titano, appena si accorse della nuova comparsa del suo nemico,
rimase lì per lì sorpreso “Ma guarda… ti sei cercato degli
alleati che sono davvero alla mia altezza… o almeno così credi”.
“Ragioni così da piccolo per essere così grande” gli urlò
contro l’esponente degli Humana.
Avvenne tutto in un lampo. Il titano cercò di afferrare l’avversario
con la mano sinistra. Pegaso riuscì ad evitarlo con gran destrezza,
curvando ad angolo retto. La creatura non ebbe modo di utilizzare
anche l’altra mano che il mutante gli era vicino al volto.
Come promesso, bastò soltanto un singolo pugno sull’enorme guancia
destra, e il mostro volò al suolo, tirando su un grande polverone.
Il Soggetto N. 5 era ancora in volo quando fu raggiunto nuovamente da
Vampire Boy.
“Niente male! Con questa impresa, voi Humana avete dimostrato il
vostro valore!”.
L’altro lo scrutò serio “L’importante è che tutta questa
faccenda sia conclusa”.
Germania
“Non ci credo che mi hai fatto venire qui solo per fissare questo
enorme tubo!” imprecò stizzito il Soggetto N. 9.
“Quanto sei ignorante, Johnny!” lo rimbrottò il Soggetto N. 2.
“Perché?”.
“Come perché?” sbuffò il dandy “Questo che hai davanti è
niente meno che L’Oleodotto dell’Amicizia!”.
“Non mi dire!” gli rispose sarcastico il pilota “Quindi non è
altro che un grande, grosso e noioso tubo!”.
“Permettici di dissentire!” parlarono all’unisono due voci alle
loro spalle.
I due si voltarono e videro una coppia di giovani studenti
giapponesi.
Prima parlò un ragazzo con un cappellino da baseball in testa
“Questo che hai davanti è il più lungo oleodotto del mondo. Il 18
dicembre del 1959, alla decima sessione del Comecon, fu decisa la
costruzione di un oleodotto dall’Unione Sovietica, alla Polonia,
Cecoslovacchia, Repubblica Democratica Tedesca ed Ungheria”.
Gli fece eco una ragazza con i capelli biondi lunghi fino alle spalle
“Ciascun paese doveva fornire il materiale per la costruzione, i
macchinari e la manodopera. Nel 1962 raggiunse la Cecoslovacchia, nel
settembre del 1963 l’Ungheria, nel novembre la Polonia ed infine,
nel dicembre, la DDR. L’intero oleodotto fu messo in funzione nel
1964”.
I quattro rimasero per qualche secondo in silenzio, in piedi sulla
rampa che gli permetteva di osservare l’enorme oleodotto.
“Benissimo… e voi chi sareste?” chiese l’americano.
“Siamo due studenti dell’Istituto Shiroiwa” esordì il ragazzo
“Io mi chiamo Masayuki Kurosaki”.
“E io sono Maika Hatanaka” concluse la ragazza “facciamo parte
del club scolastico dell’amicizia”.
Mentre i nostri erano concentrati su quella particolare
presentazione, degli uomini, tutti camuffati di bianco, li
circondarono con gran rapidità.
Jack lì per lì ci fece appena caso, ruotando appena il capo. Poi,
una volta constata la situazione d’emergenza, esclamò “Per la
miseria! Lo Spettro Bianco!”.
Appena udito quel nome, Johnny non diede nemmeno tempo ai suoi
avversari di estrarre le proprie armi da fuoco. In appena un secondo,
stramazzarono tutti al suolo.
“Che ci fa qui lo Spettro Bianco?” chiese, con voce ancora
accelerata, il velocista.
L’altro mutante, che aveva anticipato i pensieri del compagno, si
mise a borbottare qualcosa con uno dei caduti.
Una volta rimessosi in piedi, il britannico parlò “Dice che ci
sono altre cellule in Europa dello Spettro Bianco. Ed ora, seguendoci
fino a qui, stanno cercando di colpire L’Oleodotto dell’Amicizia
in più punti del suo tragitto!”.
“Ma è terribile!” urlò Maika, mettendosi una mano davanti alla
bocca.
“Vuoi dire che, non volendo, siamo stati noi stessi a dargli
l’ispirazione per questo attentato?” ragionò l’americano.
Lincon rispose a bocca stretta “Purtroppo pare proprio di sì”.
“Scusate, signori” intervenne Masayuki “Visto che voi sembrate
essere persone alquanto speciali, non potete fare qualcosa per
evitare questo disastro?”.
I due sembrarono come essersi appena rinvenuti.
“Il giovane nipponico ha ragione” constatò il Soggetto N. 2.
“In effetti…” il Soggetto N. 9 sembrò riflettere su qualcosa
“Avete detto che voi conoscete perfettamente tutte le varie nazioni
percorse dall’oleodotto, giusto?”.
“Sì” risposero all’unisono i due studenti.
I due adulti si tolsero rapidamente gli abiti che avevano indosso,
mostrando delle sgargianti uniformi rosse e gialle. Nel contempo, si
fecero un segno d’intesa con la testa.
“Jack!” ordinò Wayne “Teniamoci in contatto con il cellulare e
fammi sapere ogni stato che ti diranno questi ragazzini!”.
Messa
in atto tale missione, l’odissea del Soggetto N. 9 fu questa:
Bielorussia con la superdonna di quella nazione, Perestrojka; Ucraina
con la pelle di puro acciaio di Steel Girl; Polonia con l’idrocinesi
di Hydro Girl; Ungheria con l’essere ligneo Salice Piangente;
Lituania con il giovane calciatore Saulius Raliukonis; Lettonia con,
direttamente da Siena, il Cavaliere dell’Oca; Slovacchia con
l’agente segreto donna Stas; Repubblica Ceca in una gara di
supervelocità con Sunny Stratosphere; ed infine Germania con la
straordinaria precisione da cecchino di Weapon Boy.
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Capitolo 11 *** Scilla e Cariddi ***
CAPITOLO 11
“Scilla e Cariddi”
Messina
“Spero che non mi hai fatto venire fin qui, facendo salire sul
traghetto anche la mia adorata Mustang, per finire tra i mafiosi…”
esordì l’americano.
“Ma piantala! Tanto i mafiosi ce li avete anche voi americani!”
controbatté l’italiano “Piuttosto, sai che dicono che pure
Shakespeare era originario di Messina?”.
I due Humana si trovavano davanti ad una delle caratteristiche
fontane presenti in quella città siciliana: Fontana della Pigna.
“E poi credevo che, dopo aver scorrazzato per mezza Europa, ti
facesse piacere rilassarti un po’ in una bella città balneare”
proseguì Andrea Alberti.
“Certo, però mi sembra decisamente poco movimentata questa città.
O almeno per i miei standard” controbatté Johnny Wayne.
Località sconosciuta
Due uomini incappucciati, vestiti totalmente di bianco, parlottavano
fra di loro mentre, su un tavolo in legno, erano impegnati a
trafficare con vari oggetti di varie forme e misure. Ampolle,
coltelli e libri antichi facevano bella mostra su di esso.
“Ricordati che con la mitologia egizia non ci è andata
particolarmente bene…”.
“Non preoccuparti. Questa volta sarà diverso perché sono solo in
due e cercheremo di avvantaggiarci con più magia possibile”.
“Le due vittime sono già state scelte?”.
“Ovviamente. È una coppia che di certo non combinerà mai nulla
nella vita”.
Sempre sul ripiano ligneo, vi erano due fogli con stampati dati
relativi a due persone. Carlo Rizzo (nato il 7/3) e Mauro Martino
(nato il 5/7).
Messina
I due mutanti ora si trovarono di fronte ad un imponente statua.
“… Questa invece è la statua di Carlo III di Borbone”
s’improvvisò cicerone il Soggetto N. 4.
“Entusiasmante…” esclamò, senza alcuna enfasi, il Soggetto N.
9.
“Che… vediamo un po’…” l’uomo si prese tempo nel
consultare il suo cellulare “qui dice è stato preso come modello
da Michelangelo per il Caronte del giudizio universale…”.
“Michelangelo era quello con la bandana arancione, giusto?” lo
statunitense seguiva ormai esclusivamente i suoi pensieri.
“Ah no, aspetta…” si corresse l’altro, mentre continuava a
digitare frenetico sul display “quello è un altro Carlo III di
Borbone…”.
“Tranquillo. Tanto non mi è mai interessata la mitologia, tanto
meno quella greca”.
In un piccolo appartamento, sempre a Messina
Due giovani erano impegnati, oltre a combattere l’arsura tipica di
quelle giornate estive con vecchi ventilatori cigolanti, nel lavorare
al computer. Ognuno dei due non staccava nemmeno per un attimo lo
sguardo dallo schermo. Nel contempo, le dita ballavano frenetiche fra
i pulsanti della tastiera e quelli presenti sul mouse.
“Minchia! Non lo sopporto più!” sbottò, con un tipico accento
siciliano, uno dei due, con dei baffi neri a coprirgli il labbro
superiore.
“Che cosa?” chiese l’altro, che invece presentava una barba
completa decisamente più incolta e più chiara.
“Non sopporto di lavorare sempre con la furia, per questi video di
merda poi!”.
“Questi video di merda ci aiutano a pagare l’affitto. Non te lo
dimenticare, Carlo”.
“Sì vabbe’, Mauro. Però Nicola potrebbe farseli anche da
solo…”.
“Certo. Ma si dà il caso che lui ha già parecchio da fare con il
suo canale youtube. E poi è l’unico che può dar fiducia a due
montatori come noi”.
“Minchia!”.
Messina
“Forse era meglio visitare Palermo…” continuava a lamentarsi il
biondo.
“Di nuovo! Ma almeno qui siamo nella terra di Scilla e Cariddi”.
“Niente mitologia!”.
“Allora vuoi andare a visitare la Real Cittadella?”.
“No, ti prego. Quella sono cose che possono interessare i fissati
di roba militare o simile. Insomma, gente come te!”.
“Guarda che è una costruzione militare, a forma di stella, che ha
resistito a ben due assalti: la prima contro il regno di Sardegna, la
seconda invece nell’assedio di Messina del 1848”.
“Appunto!”.
“Allora qualcosa di più moderno? Tipo i sistemi F.A.M. e F.A.T.?”
Appartamento messinese
Nella piccola stanza era tornato il silenzio, eccezion fatta per i
motorini dei ventilatori.
Carlo, sempre intento nel suo lavoro informatico, si prese un attimo
di pausa per massaggiarsi gli occhi, facendo passare le dita sotto le
lenti degli occhiali.
“Oddio”.
“Che c’è, Carlo?” si preoccupò Mauro, anche lui munito di
occhiali da vista.
Ora Carlo aveva entrambe le mani sul viso “Non mi sento tanto
bene”.
“L’hai presa la medicina?”.
“Certo. Ma infatti non deve essere quello”.
“Allora cosa… aaahhh!” di colpo, Mauro si afferrò stretto il
ginocchio.
“Che succede?”.
Con una smorfia di dolore sul viso “Ma che cazzo ne so! Mi fa
malissimo il ginocchio!”.
“Sarà il tuo vecchio infortunio… aaahhh!”.
In pochi secondi, entrambi erano vittime di atroci dolori.
Messina
“Ed eccoci finalmente alle Quattro Fontane!” proclamò con
incomprensibile entusiasmo Andrea.
“Ancora fontane?! Basta!” sbottò Johnny.
“Ma dobbiamo visitare ancora Fontana dei quattro cavallucci…”.
“Quattro pure lì? E poi, aspetta un attimo, io credevo che la
matematica fosse uguale a qualsiasi latitudine…” indicando la
struttura mentre parlava “Qui ne vedo soltanto due”.
“Lo so. Infatti, solo due sono state ricostruite dopo il terremoto
del 1908…”.
Come a volerlo evocare, il suolo iniziò improvvisamente a tremare. I
presenti finirono quasi tutti a terra.
“Ma non avevi detto nel 1908?” lo schernì preoccupato
l’americano, mentre si rialzava da posizione prona.
“Figurati se poteva essere tutto tranquillo almeno oggi” replicò
l’italiano, mentre si rialzava da posizione supina.
Il lieve sisma si placò rapidamente. Mentre i due Humana si
rialzavano, avevano già compreso di trovarsi di fronte due nuovi
rivali.
I due giovani di prima, seppur alquanto cambiati, erano ora di fronte
alla coppia di mutanti. Carlo Rizzo aveva l’aspetto pressoché
immutato, giusto i capelli corvini più scompigliati del solito.
Mauro Martino invece era decisamente trasformato. I suoi abiti erano
strappati esattamente all’altezza di gomiti e ginocchia. Da quei
buchi, spuntavano delle piccole facce identiche a quelle del loro
proprietario. Ma ancora più inquietante, essendo la camicia che
indossava aperta, era l’enorme viso che aveva preso il posto della
quasi totalità del suo busto. Inoltre, tutti e sei i volti presenti
ora nel suo corpo avevano una bocca deformata da denti lunghi ed
aguzzi.
“È davvero orribile!” fece una smorfia di orrore il Soggetto N.
9.
“Quanto scommetti che è opera dello Spettro Bianco…” ironizzò
il Soggetto N. 4.
Le sei bocche di Mauro parlarono all’unisono con voce roca “Voi
siete la colpa di tutto!”.
I due accusati, che nel mentre si erano tolti gli abiti civili per
sfoggiare le loro divise da battaglia, li fissavano perplessi.
“Questo è ciò che ci viene detto!” aggiunse Carlo “Come che i
nostri nomi sono Scilla e Cariddi”.
Johnny si voltò verso Andrea “Ma allora te lo aspettavi, eh?”.
L’altro non replicò, mentre le sue mani iniziavano a mutare forma.
“Tu quale vuoi?” domandò ancora il biondo.
“Io mi prendo il mostro, tu lo smilzo” ordinò il castano.
“Ah! Ma così è troppo facile!” protestò il velocista.
“Non dare tutto per scontato” sentenziò il mutaforma.
Intanto, il pilota era già partito, diretto verso Cariddi.
“Troppo facile!” continuava a pensare.
Il suo avversario non sembrava per niente preoccupato. Alzò giusto
l’indice della mano destra, come ad indicarlo.
Da esso, incredibilmente, si creò un forte turbinio ventoso che
colpì in pieno Wayne, scaraventandolo via dal campo di battaglia.
Alberti ne seguì con lo sguardo la traiettoria aerea, finché per lo
meno glielo consentivano le abitazioni in loco. Quando poi si rigirò,
notò il suo obiettivo più grande di qualche taglia.
“Non li vogliamo i mutanti qui a Messina!”.
Urlato ciò, con una possente manata, scaraventò via il trentino.
Per fortuna di quest’ultimo, le loro uniformi erano in gradi di
attutire i colpi, anche contro mura cittadine.
Questa caratteristica fu molto utile all’atterraggio di Johnny
Wayne. Ciò coincise con la distruzione di uno dei più importanti e
famosi manufatti religiosi di Messina: la Vara.
Si tratta di un’antica macchina votiva, alta circa 13 metri, che
viene portata in processione nella giornata di ferragosto. Essa
presenta numerose figurazioni in materiali diversi di angeli, le due
grande sfere rotanti rappresentanti il sole e la luna e, in cima, la
statua di Gesù che, con una mano, sorregge la Madonna.
Proprio la statua della vergine Maria giaceva ora accanto al
supereroe. Quest’ultimo, dopo minuti di immobilità, tornò a
muoversi e, nel girarsi, si spaventò nel vedere la reliquia.
“Oddio! Questa volta ci sono rimasto davvero!” esclamò.
Intanto, attorno a lui, i vari fedeli vestiti di bianco e blu ed a
piedi scalzi iniziarono a borbottare tra di loro, con il classico
cipiglio siciliano.
“Che sia il quartiere malfamato di Avignone di cui mi parlava sul
traghetto Andrea?” pensò il malcapitato.
Mano a mano che gli indigeni si avvicinavano, l’americano temeva
sempre di più il rischio di un linciaggio. Incredibilmente, a
salvarlo fu lo stesso Cariddi che urlò ai suoi compaesani qualcosa
in dialetto stretto.
Poi si rivolse nuovamente verso il suo rivale “Hai fatto qualcosa
di molto grave, compa’. Distruggendo la Vara hai offeso tutta
Messina!”.
“Scusami amico. Uno dei miei passatempi preferiti è distruggere
manufatti religiosi in giro per il mondo. Mi ero scordato di dirtelo”
replicò ironico il tizio in rosso e giallo.
Cariddi rimase in silenzio, puntando nuovamente il dito contro il
Soggetto N. 9.
Appena vide il riformarsi del vortice, il mutante si rialzò in
piedi, sapendo questa volta come reagire.
Difatti, una voce in testa gli sussurrò “Usa la sua stessa arma
contro di lui”.
Iniziando a girare su sé stesso, creò a sua volta un altro vortice.
Le due trombe d’aria in formato ridotto si scontrarono
ripetutamente, come fossero due trottole, mentre tutto e tutti
attorno a loro veniva sbalzato via.
Forse per la maggiore esperienza, o soltanto per un colpo di fortuna,
ad avere la meglio fu il tornado dell’eroe.
Il cattivo rimase sbigottito dal risultato. Di ciò se ne approfittò
l’eroe che, in un secondo, gli rifilò un gancio destro alla
mascella, mettendolo subito ko.
Contemporaneamente, anche Andrea fece una vittima tra le statue
presenti nel capoluogo siciliano. Nel suo caso, a rimetterci fu il
grazioso puttino in bronzo presente nella Fontanella Arena.
Questa volta, però, gli abitanti non fecero in tempo a protestare
contro il loro connazionale, visto che erano più impegnati a
scappare alla vista di Scilla.
L’orrenda creatura si avvicinava minacciosa e a grandi passi.
“Ora sono nella merda!” pensò il ragazzo.
Una voce in testa gli consigliò “Affrontane una alla volta”.
“Ok…” disse a denti stretti, mentre la sua mano destra mutava.
L’enorme testa principale del mostro gli si era fatta talmente
vicina da sentirne il fiato.
“Fucile a vapore!” urlò il mutaforma, colpendo il nemico con la
sua nuova arma.
Scilla arretrò il capo, con gli occhi chiusi e cosparso di una
miriade di goccioline, gemendo.
Andrea ne approfittò per rialzarsi e ricomporre entrambe le mani.
“Lanciafuoco!” e una vampata andò a colpire il ginocchio destro
dell’avversario.
“Pistola congelante!” e il ginocchio sinistro fu totalmente
immobilizzato da uno spesso blocco di ghiaccio.
Il Soggetto N. 4 si lanciò per terra e, con una rapida capriola, era
alle spalle del nemico. Una nuova shakerata alle molecole ed era
pronto ad un nuovo assalto.
“Cannone a mano!” e una palla di cannone, grande all’incirca
quanto una boccia, si infranse sul volto al gomito destro.
“Eliminatore elettrico!” e una luminosa scintilla bruciacchio il
gomito sinistro.
Scilla faticosamente si voltò verso Andrea. L’enorme volto sul
busto era sfigurato in una maschera di dolore.
La mano sinistra del mutante tornò normale. Quella destra mutò
ancora.
“Ed ora il gran finale… con una vera chicca… sperando che
funzioni”.
Prese la mira e sparò “Raggio restringente!”.
Il raggio sparato colpì l’enorme viso proprio in mezzo agli occhi.
La faccia fece un’orrenda smorfia, mentre si rimpiccioliva sempre
di più, fino a scomparire del tutto.
L’essere umano mutato, ormai ridotto alla sua originaria ed unica
testa, si guardò sbigottito in mezzo al petto, come se fosse stato
colpito a morte. Poi tornò a fissare l’avversario.
“Figlio di puttana!” gli sbraitò contro, appena prima di
crollare al suolo in avanti.
“A buon rendere, stronzo” fu la risposta di Andrea, mentre anche
la sua mano destra riprese le sembianze più idonee.
In un baleno colorato, al suo fianco comparve Johnny.
“Che tipi assurdi…”.
“Già”.
“Da dove pensi vengano fuori?”.
“Secondo te?”.
“Ma davvero lo Spettro Bianco non ha di meglio da fare che romperci
le palle a noi?” il velocista era spazientito.
“Purtroppo abbiamo firmato la nostro condanna, se così si può
dire…” il militare era invece perplesso.
La terra riprese a tremare, giusto per presagire un nuovo pericolo.
“Di nuovo?” chiese al vento Wayne, mentre girava la testa a gran
velocità in tutte le direzioni possibili.
“In effetti un terremoto c’è stato anche nel 1783…”Alberti
sgranò gli occhi “Guarda là!” indicando all’amico un punto
dell’orizzonte.
Orizzonte che fu ben presto eclissato da tre figure gigantesche che,
con incedere lento ma costante, avanzano per le strade messinesi.
Due di essi avevano una riconoscibile forma umana, di entrambi i
sessi. La donna era di ragazza caucasica, con occhi e capelli scuri,
mentre l’uomo presentava una pelle di colorazione scura, come i
suoi capelli ed i suoi occhi. Gli enormi vestiti che avevano addosso
ricordavano molto lo stile romano imperiale. Sulle loro teste vi
erano rispettivamente una corona, per la femmina, e una corona di
alloro, per il maschio.
La terza figura gargantuesca era invece di naturale animale, per la
precisione un cammello. Tale animale seguiva, con aria annoiata, il
cammino dei due umani.
“Ora ho capito…” sussurrò il Soggetto N. 4, mentre proseguiva
nel fissare quei nuovi titani.
“Cosa?” gli domandò nervoso il Soggetto N. 9.
“So chi sono quei mostri”.
“Sentiamo…”.
“Sono due colossali statue che fanno parte del folclore di Messina:
si chiamano Mata, lei, e Grifone, lui”.
“Francamente, stavo bene anche senza fare la loro conoscenza”.
“So che sono presenti nelle processioni che fanno qui in agosto.
Ma, più che altro, pensavo fossero statue totalmente inanimate!”.
“Figurati! Ormai non mi stupisco più di nulla”.
L’americano spostò la sua attenzione verso la bestia colossale “E
del cammello che mi dici?”.
“Ah, sì…” risponde con nonchalance l’italiano “anche lui
fa parte delle processioni”.
“Ho deciso!” proruppe il biondo “Con voi Humana non ci vengo
più in vacanza!”.
I giganti erano ormai giunti nelle vicinanze dei due Humana che, per
tutta risposta, erano pronti a difendersi. Quando, incredibilmente,
un albero, totalmente sradicato dal terreno, si andò a schiantare
contro la testa della bestia. Quest’ultima, con enormi schegge
conficcate sul muso, barcollò qualche secondo, prima di collassare
esanime di lato, fortunatamente senza mietere alcuna vittima.
Lo sguardo dei due mutanti passò dall’espressione del titanico
camelide, con occhi bianchi e semichiusi e la ruvida lingua che
spuntava dalle labbra prominenti, a colui che aveva lanciato poco
prima quella pianta così pesante.
Di fronte a loro trovarono un nuovo animale, per la precisione un
elefante africano, sebbene questa volta la grandezza era decisamente
più standard.
Ma le sorprese non erano finite. Il pachiderma, di fatti, in pochi
secondi mutò forma, prendendo sembianze umane. Un uomo dai lunghi
capelli, tenuti insieme in una lunga coda, occhi, baffi e pizzetto
tutti neri.
“Che cazzo fate lì impalati?!” gli urlò contro il nuovo
arrivato “Se non siete qui per dare una mano, toglietevi dalle
palle!”.
Colui che aveva appena parlato si presentava vestito con un completo
intero, che si era adattato perfettamente a quel suo mutare fisico.
Il disegno su di esso, ben visibile sul torso, quasi dividendo in due
il suo corpo. Il profilo blu di una testa di elefante su di uno
sfondo rosso.
“Quel tizio ha ragione!” riprese fiducia lo statunitense
“cercherò di dividerli facendo da esca. Tu occupati di quello che
rimane qui da te!”.
Come previsto dal mutante, Grifone si mise ad inseguirlo. Sembrava di
vedere un bambino mentre insegue una macchina radiocomandata da
qualcun altro. L’espressione sul suo enorme volto si faceva via via
sempre più infuriata.
Di colpo, la corsa di Johnny si fermò davanti all’acquario
comunale.
“Fanculo! Ora mi faceva comodo Juna!”.
Nel mentre, il gigante si accovacciò e allungò la sua mano
sull’uomo in rosso e giallo.
Lui, vista la lentezza dell’avversario, la evitò facilmente e,
dopo una visita della alla velocità della luce, ne uscì con due
nuove armi.
Reggendo a stento una delle due costole di balena, riuscì ad
infilzare il palmo della mano più vicina a terra.
Questo violento contrattacco sorprese Grifone che, con fare
preoccupato, si portò la mano offesa vicino al viso.
Tale distrazione fu fondamentale a Wayne per infilzargli anche
l’altro palmo.
“Ora sarà un problema grattarsi, amico”.
Il duello fra l’italiano e la gigantessa si spostò vicino a
Palazzo Monte di Pietà.
“Si può sapere te chi sei?” urlò il mutante al possibile
alleato “Hai qualcosa a che fare con tutte queste assurdità?”.
“Il mio nome è Nicola Colombo, ma puoi chiamarmi Elefante, è una
storia lunga…” gli rispose l’altro “Però no, non c’entro
nulla con queste stranezze, anche se conosco bene i due che stavate
affrontando prima”.
Una nuova arma stava prendendo forma dalla mano di Andrea.
“Minimissili!”.
Il piccolo razzo colpì in pieno la fontana monumentale di fronte
all’edificio. Con il putto che, dal dorso del delfino, finì
direttamente in collo a Mata.
Quest’ultima parve spiazzata da quel curioso evento. Poi, lasciando
esterrefatti i presenti, la donna si mise a cullare quel simulacro di
bambino.
Come ad accompagnare quel gesto così intimo e dolce, si iniziò a
udire nell’aria una struggente melodia. A creare tale sinfonia
erano i tipici strumenti musicali della tradizione peloritana: i
ciarameddi (zampogne), i friscaletti (flauti), tamburi, tamburelli,
scacciapensieri e conchiglie.
Con la quiete tornate nella città siciliana, i tre supereroi si
misero a confabulare tra loro, di fronte al Palazzo dei leoni, ossia
il Palazzo della Provincia.
“Fammi capire…” riprese il discorso il Soggetto N. 4 “Mi stai
dicendo che qui, in Italia, stanno nascendo vari gruppi di
supereroi?”.
“Esatto!” confermò Elefante.
“E, per curiosità, chi sarebbero questi eroi?” intervenne il
Soggetto N. 9.
“Bene…” esordì il catanese “principalmente la sfida è tra
noi, che ci facciamo chiamare Animorph Squad e siamo in grado di
tramutarci ognuno in un determinato animale, contro le Maschere, un
gruppo di pazzi che, per farsi giustizia da soli, hanno scelto di
utilizzare le maschere provenienti dalla commedia dell’arte e dai
vari carnevali. Che io sappia, però, Messina non ha nessuno in grado
di trasformarsi in animale o simili, infatti io sono di Catania. Poi
ci sono tre che si fanno chiamare il Tricolore, con poteri ispirati
dai tre colori della bandiera italiana che rappresentano. Poi mi pare
ci siano 2-3 esponenti dei New Fighters, della Umbrae e del Monster
Commando…”.
“Di nuovo loro!” pensarono inconsciamente e all’unisono i due
mutanti.
“Infine ci sono cinque fenomeni assoluti, di cui due stranieri, che
li vedi un po’ in giro per tutta Italia, per non parlare di Hero
Boy dei Global Defenders e dei Cavalieri di Siena. Ultimamente, poi,
sta comparendo un nuovo gruppo denominato i Guardiani Italiani…”.
Fra i tre calò un religioso silenzio.
“Però!” esclamò infine Johnny Wayne “Non siamo soli in questo
universo”.
Porto di Messina
Primo porto italiano per trasporto di passeggeri e tra i primi in
Italia per estensione. Da esso sono partite due tra le più
importanti spedizioni militari: la terza crociata e la battaglia di
Lepanto.
In quel momento però, vi era soltanto un semplice pescatore, di nome
Roberto Motta, impegnato a districare l’assurda matassa creatasi
con la rete da pesca. Un passo falso e l’uomo, accompagnando il
tutto con una colorita parolaccia, finì dritto nell’acqua del Mar
Mediterraneo.
A
riemergere dalle profondità salmastre fu però uno splendido
esemplare di pesce spada. E così, anche Messina ebbe il suo membro
nell’Animorph Squad.
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Capitolo 12 *** Ritorno ad Atlantide ***
CAPITOLO 12
“Ritorno ad Atlantide”
Un bel picnic sul prato. Un’enorme tovaglia a scacchi bianchi e
rossi tirata sull’erba verde della villa che, ormai da un bel po’
di mesi, ospitava i cosiddetti Humana.
“Chi vuole dei ravioli appena fatti?” domandò il Soggetto N. 6.
“Io passo. Oggi proprio non ho fame” rifiutò gentilmente il
Soggetto N. 2.
“Io invece uno ne assaggio volentieri” si fece vicina il Soggetto
N. 3 “Te ne vuoi uno, Igor?”.
“Sì, grazie” rispose timido il Soggetto N. 1.
“Io non rinuncio ai miei nachos!” ne sgranocchiava a gran
quantità il Soggetto N. 7.
“E io al mio sandwich” gli fece eco il Soggetto N. 9, mentre
addentava un tramezzino.
“Com’è che ti è venuta in mente questa idea del pic-nic, Sara?”
chiese il Soggetto N. 4.
La sua connazionale gli rispose “Mi sembrava il minimo, soprattutto
dopo le disavventure che sono capitate a te e a Johnny in terra
messinese”.
Come loro solito, i Soggetto N. 5 e 8 non proferirono parola.
Rapido come un dardo appena scoccato, un uomo sfrecciava fendendo il
vento. Quando si trovò a poco passi dal grande cancello in ferro
della villa, senza frenare la sua corsa balzò in aria. Superate le
cime appuntite dell’ostacolo atterrò con grazia. Con la medesima
rapidità, ripartì verso il suo obiettivo.
La telepatia avvertì Igor Wansa del pericolo.
“Attenzione! C’è un intruso!”.
Gli altri fecero appena in tempo a voltarsi dove gli indicava il
ragazzino, che l’avversario aveva già scagliato un calcio in pieno
volto a Bernardo Borghi.
Con gran precisione, proiettò un pugno ravvicinato all’addome di
Juna, lasciandolo senza fiato per poi, con due rapidi passetti
laterali, colpire in calcio rovesciato la spalla destra di Jack
Lincon.
“Ma quello è taekwondo, ne sono certo!” affermò Chang Yu
stupefatto.
“Fermatelo!” ordinò urlando Sara.
Per l’appunto, la furia dello sconosciuto si andò a infrangere
contro l’enorme massa muscolare di Geran Giunan.
Talmente forte era il dolore al suo pugno destro che non gridò
nemmeno, limitandosi ad alzare lentamente lo sguardo verso quello
alquanto minaccioso del suo avversario.
“Fermati o sparo!” intimò Andrea Alberti, con la mano destra già
mutata in un’arma da fuoco.
Nel contempo, alle sue spalle era giunto Johnny Wayne, bloccandolo.
Proprio da quella posizione, l’americano poté notare, oltre alla
pelle incredibilmente chiara dell’aggressore, anche delle strane
fessure presenti ai lati del suo collo.
“È un atlantideo!”.
“C-Cosa?” rimase esterrefatta la francese.
Di fatti, ora che il possibile nemico era inoffensivo, tutti poterono
constatare che i suoi abiti rispecchiavano lo stile di quelli
indossati dal popolo sottomarino.
“Dimmi, atlantideo” intervenne l’altra donna del gruppo “cosa
sei venuto a fare qui da noi sulla terraferma?”.
Lui provò a divincolarsi per un’ultima volta dalla presa del
biondo, poi parlò.
“Il mio nome è Song. Sono qui per ordine dell’imperatrice Nea”.
“E lei ti ha detto di attaccarci?” proseguì l’italiano.
“Non nello specifico. Ma mi ha detto di convincerci in ogni modo,
sia con le buone che con le cattive”.
“E tu, per l’appunto, hai deciso per quest’ultime…”
confermò l’inglese, mentre a fatica si stava rialzando
massaggiandosi la testa.
“Non posso permettermi fallimenti”.
“Cosa vuole ancora da noi la tua imperatrice?” riprese la bionda.
“La pietra di Atlantide ha ripreso a brillare”.
Tutti i presenti si ammutolirono.
“E non poteva contattarci direttamente lei? Come fece l’ultima
volta?”.
“Tutta Atlantide, in questo preciso momento, sta affrontando
molteplici minacce. Dunque le comunicazioni, soprattutto verso
l’esterno, sono alquanto problematiche” fece il punto della
situazione Song.
Il pilota di Formula 1 parlò ancora alle sue spalle “Quindi
dobbiamo ancora una volta venirvi a salvare il culo, se ho capito
bene?”.
“Tutto quello che ha detto è vero” confermò serio il russo.
Tutti gli Humana rifletterono in silenzio.
“Allora che facciamo?” chiese infine Frédérique.
Per istinto, tutti si voltarono verso Sara.
“Prepariamo il sommergibile”.
“Ma voi vi fidate davvero di quel mostro?” domandò dubbioso il
Soggetto N. 7.
“Onorevole Bernardo” intervenne il Soggetto N. 6 “tu parli così
solo perché, poco fa, ti ha sconfitto subito”.
Nel ventre del sottomarino, tutti gli altri erano impegnati a tenere
sott’occhio il progresso di immersione subacquea.
“Riesci a seguirlo bene, Sara? Vuoi che utilizzi la mia
supervista?” le si fece vicina il Soggetto N. 3.
“Tranquilla, Frédérique.” rispose l’interessata “Finché
rimane vicino allo scafo, riesco a visualizzarlo perfettamente”.
Nel frattempo, all’esterno del mezzo, Song nuotava rapido verso la
sua città natale. Il suo corpo flessuoso tagliava con incredibile
facilità le forti correnti sottomarine.
“Il suo stile di nuoto è davvero perfetto” constatò il Soggetto
N. 8.
“Ci siamo, gente!” esclamò il Soggetto N. 4, mentre teneva gli
occhi fissi sul radar di bordo.
Infatti, d’innanzi a loro fece la sua comparsa la maestosa
struttura, a cerchi concentrici e protetta dalla cupola magica, della
città di Atlantide. Nello stesso tempo, tutti si accorsero dell’aria
più cupa con cui questa volta si presentava a loro.
Tanto che il Soggetto N. 9 si fece sfuggire un “Certo, sembra aver
conosciuto giorni migliori”.
“Preparatevi all’abbordaggio!” ordinò Silvestri.
Ultimate le procedure di ancoraggio, tutto l’equipaggio poté
finalmente sbarcare sul fondale marino.
Nel grande spiazzo del Porto Grande, oltre all’ormai noto Song, ad
attenderli vi era anche Manstar, il capo delle guardie atlantidee.
“È un piacere rivederti, Manstar” salutò Sara.
“Il piacere è reciproco, Silvestri” ricambiò il saluto “Mi
dispiace che sia per una nuova minaccia alla nostra Atlantide”.
“Di che si tratta questa volta?” domandò Bernardo.
“Di ciò ve ne parlerà direttamente la nostra imperatrice”
dicendo ciò, indicò con la mano una direzione, abbassando nel
contempo il capo in segno di rispetto.
Scortata da una decina di soldati, l’imperatrice Nea fece la sua
comparsa di fronte ai nove mutanti e alla terrestre.
“Benvenuti, miei valorosi Humana” esordì la donna mulatta “non
so davvero come dimostrarvi quanto vi sia grata per aver risposto al
mio appello d’aiuto”.
“Dunque è vero che la pietra di Atlantide ha ripreso a brillare?”
chiese teso Johnny.
L'atlantidea replicò mostrando ai presenti il ciondolo a cui,
tramite una catenina dorata, era appeso il rombo azzurro. Come
premesso, il pendolo iniziò a brillare di una luce intensa e, con
essa, la terra iniziò a tremare.
“Si comincia!” urlò Andrea, pronto all’azione.
Nel giro di pochi minuti, il suolo vicino a loro si squarciò,
facendo finire tutti quanti con il sedere per terra.
Mentre Chang si lamentava per il dolore al suo fondoschiena, lo
sguardo di Juna si riempì di terrore, mentre indicava la voragine
appena creatasi.
“Che cos’è quello?”.
Dal buio sotterraneo iniziò ad emergere un gigantesco groviglio di
tentacoli grigi.
Frédérique aguzzò la vista “S-Sembra… sembra un’enorme
piovra!”.
La creatura era ora totalmente emersa dagli abissi.
Il Soggetto N. 9 si avvicinò fulmineo a Sara “E ora che si fa?”.
“Oddio…” si lamentò Igor.
“Che succede, Igor?” domandò la bionda.
“S-Sembra assurdo ma… insomma, qualcosa mi dice che quel mostro,
proviene dal polo sud” informò gli altri il Soggetto N. 1.
“Cosa?! E che ci sta a fare qui?” sbottò il Soggetto N. 7.
“Dalle mie parti” intervenne Soggetto N. 6 “quei cosi li
chiamiamo kaiju”.
Emettendo il classico urlo di battaglia della sua tribù, il Soggetto
N. 5 partì alla carica della bestia.
Con la furia degna della miglior tempesta, Geran scagliò un pugno
devastante contro il tentacolo a lui più vicino. Nel giro di un
attimo, l’indiano, con espressione stupefatta e dolorosa, si teneva
stretta la mano bisbigliando “È come pietra”.
Nel frattempo, Jack aveva già spiccato il volo “Che succede,
Giunan? Tutto bene?”.
“Attenti!” gridò terrorizzata la francese.
L’enorme mollusco, come tutti gli animali della sua specie, aveva
preso a salire fluttuando e dandosi dei colpi con i tentacoli quando,
proprio da essi, partirono degli strani raggi gialli d’energia.
“Mettetevi al riparo!” urlò il cinese mentre, seppur in maniera
goffa, evitava di essere colpito.
Tutti i presenti seguirono quel prezioso consiglio, mentre la
creatura si allontanava in direzione della superficie.
“Che diavolo era quello?” sbottò lo zairese rivolgendosi un po’
a tutti e un po’ a nessuno.
Per tutta risposta, un ruggito rombò nell’aria sottomarina.
“Veniva dallo stadio per le corse dei cavalli!” informò gli
altri l’americano appena prima di sparire nel nulla.
In un baleno, il tizio in rosso e giallo giunse in loco per trovarsi
davanti un’altra assurda creatura: un'enorme tigre dai denti a
sciabola. Quest’ultima, come se giocasse con un innocuo gomitolo di
lana, spazzò via alcune delle abitazioni, fortunatamente già
evacuate.
Nel giro di pochi minuti, sopraggiunse anche il resto del gruppo, con
Chang Yu irrimediabilmente ultimo.
“Ok gente” l’italiana prese il comando “questa volta dobbiamo
organizzarci per bene: Igor, che mi sai dire di questa bestia?”.
“Sembra che abbia seguito un veicolo spaziale giunto sulla terra un
milione di anni fa” rispose il russo.
“Sempre più assurdo…” riprese la bionda “Andrea, vedi se
riesci a colpirlo con qualcosa”.
“Ricevuto!” ribatté il suo connazionale.
La sua mano destra mutò forma in quella che, a tutti gli effetti,
pareva una 44 Magnum.
“Magnum di granito” la presentò il militare mentre sparava dei
proiettili di roccia.
“Manstar! Song!” Nea richiamò a sé i suoi due sudditi “Voi
occupatevi delle persone, nessun atlantideo deve perire in questa
battaglia!”.
I due risposero affermativamente a tale comando.
Il velocista compiva un largo cerchio attorno al nemico “Sembra che
vadano a segno solo i colpi al muso!”.
Difatti, in tutto il resto del corpo tigrato del felino, le
pallottole parevano rimbalzare senza colpo infierire.
“Benissimo!” esultò Sara “Allora continuate a mirare alla
testa!”.
Frédérique Arone lo colpì esattamente al centro del naso,
provocandogli una smorfia di dolore.
“Che sia anche questo un esperimento dello Spettro Bianco?” si
domandò Jack Lincon.
“Non lo so!” replicò Bernardo Borghi “So solo che neanche a me
verrebbe in mente di trasformarmi in qualcosa del genere!”.
La battaglia procedeva a favore degli umani. Questa volta sembravano
avere la meglio, seppur riuscivano a fatica ad evitare le zampate
della tigre.
“Fortuna che ho le munizioni infinite” pensò tra sé Andrea
Alberti “questo bastardo pare proprio non volersi arrendere”.
Con il muso sempre più sanguinante, la creatura si acquattò,
emettendo un nuovo ruggito di dolore.
“Ed ora che vuol fare?” strabuzzò gli occhi il messicano.
Caricandosi completamente sui muscoli delle zampe posteriori, il
felino balzò verso l’alto.
“Anche lui sta emergendo!” urlò infuriato lo statunitense.
“Mia signora” le si fece vicino Manstar “com’è possibile che
anch’essa riesca a superare così facilmente la nostra cupola
magica?”.
“Ne sono stupefatta anch’io, mio fedele Manstar” anche Nea,
come gli altri, aveva lo sguardo fisso verso l’alto “Il potere
della Pietra di Atlantide si sta rivelando sempre più assurdo e
incontrollabile”.
Un nuovo grido animalesco, questa volta più stridulo e proveniente
dal centro città, fece voltare tutti i presenti.
“Un altro ancora?!” sbraitò Johnny.
“Ma quanti ce ne sono?!” gli fece eco Bernardo.
“In più, dobbiamo occuparci di quelli saliti in superficie”
ricordò Chang.
“Controlliamo questa nuova minaccia e poi decidiamo come
dividerci!” sentenziò Silvestri.
Giunti nella sezione centrale della capitale, incredibilmente gli
Humana non notarono nulla di strano.
“Frédérique!” chiamò Sara “Controlla con la tua vista!”.
Ma la francese non fece nemmeno in tempo che, dal fitto Bosco di
Poseidone, si alzò un enorme pterodattilo marrone, spalancando le
sue ampie ali.
“Questa volta devo cercare di replicarlo!” si diede coraggio il
mutaforma.
La sua versione però, alla fine, risultò più piccola e pallida
dell’originale. Quest’ultima parve incuriosita dalla comparsa di
quel suo misero sosia che, per tutta risposta, emise un ridicolo
gracchiare di corvo.
“Strano… non mi sembra di percepire ostilità da parte sua…”
borbottò Igor.
Il dinosauro tirò nuovamente indietro la testa, rilasciò un altro
grido e aprì totalmente le ali.
“Sta per spiccare il volo!” sentenziò l’africano che, come se
stesse in mare aperto, iniziò a nuotare nell’aria.
La cosa fu ancora più assurda visto che, la stessa cupola arcana che
doveva agire a protezione di Atlantide, serviva anche a bloccare
l’acqua, come fosse una diga semicircolare.
“Manstar, seguilo!” ordinò Nea.
L’atlantideo obbedì al comando della sua sovrana e anche lui,
incredibilmente, si mise ad effettuare rapide bracciate su di
un’acqua invisibile.
Sara, per non essere da meno, impartì a sua volta degli ordini al
suo gruppo “Svelti! Dobbiamo raggiungere il prima possibile la
superficie!”.
Nel mentre, i due nuotatori riuscirono appena in tempo ad afferrare
la creatura per la sua lunga coda squamosa.
“Reggiti forte!” urlò il mutante.
“Anche tu!” replicò Manstar.
Lo pterodattilo, che aveva ora chiuso le sue ali per assumere una
formazione più aerodinamica, sfrecciava come un razzo verso la terra
ferma. Appena riemerso tra mille spruzzi, spalancò totalmente le sue
appendici e, mentre si librava in volo, diede un forte colpo di coda
per scrollarsi via i due indesiderati ospiti.
Per somma fortuna, l’acqua oceanica attutì la loro caduta.
Nel frattempo, il sottomarino degli Humana si era rimesso in moto.
Solo il Soggetto N. 2 preferì rimanerne fuori, utilizzando il suo
controllo sulla gravità per emulare l’enorme creatura. La stessa
cosa fece un impacciato Soggetto N. 7.
“Sono finiti entrambi in mare!” comunicò il Soggetto N. 3.
“Aumentiamo la potenza!” ordinò Sara “E cerchiamo di non
prenderli in pieno…”.
“Ricevuto!” rispose il Soggetto N. 4.
Nel giro di pochi minuti, il mezzo fece capolino dalla superficie
acquosa. Appena notatolo, i due in acqua lo raggiunsero con poche
bracciate. Intanto, anche gli altri due esseri volanti schizzarono
fuori.
Una volta stabilizzatosi il sommergibile, gli Humana al suo interno
uscirono fuori per dare soccorso ai due uomini in mare e poter meglio
controllare la situazione. I tre kaiju furono facilmente
riconoscibili, ma non erano soli…
“Oddio! Cosa sono quei tre cosi là?” indicò spaventato il
Soggetto N. 1.
Tre robot giganteschi comparvero all’orizzonte:
Soldato di Ferro Alpha (il colore predominante era il rosso e il
bianco nelle giunture; con la corporatura esile; in testa presentava
come un casco da motociclista, compreso il vetro paraocchi; alla mano
sinistra impugnava una pistola laser, mentre nel braccio destro aveva
fissato uno scudo con, al centro, il disegno di una stella a cinque
punte; al centro del petto aveva la lettere greca che lo
contraddistingueva);
Soldato di Ferro Beta (il colore predominante era il blu e il bianco
nelle giunture; sulle spalle aveva come degli ornamenti da generale
gialli, marchiati con la sua lettera greca di riferimento, che
tenevano attaccato un mantello bianco; l’elmo che aveva in testa
rendeva visibili solo gli occhi robotici; nella mano destra impugnava
una spada; alla vita aveva come una cintura rossa);
E Soldato di Ferro Gamma (il colore predominante era il verde; il
viso pareva come un enorme display bianco; all’articolazione delle
spalle aveva dei dischi gialli con la lettere greca che lo
rappresentava; tutta la sua corporatura robotica presentava degli
imponenti muscoli metallici; le gambe erano nere).
“Sembrano dei veri e propri robottoni! Come quelli degli anime!”
rispose un esterrefatto Soggetto N. 9.
“Signori state indietro! I Soldati di Ferro stanno per entrare in
azione!”.
A parlare fu una ragazza dai tratti somatici asiatici, vestita con
una particolare tuta aderente rosa, appena uscita da uno strambo e
compatto aerovelivolo giallo, che ora fluttuava a mezz’aria vicino
al sottomarino.
“Tu chi sei?” domandò con poco garbo il Soggetto N. 4.
“Mi chiamo Michiru Makunoichi, faccio anch’io parte dei Soldati
di Ferro” la nuova arrivata iniziò a fissarli preoccupata “e voi
perché siete vestiti così? Cos’è? Una specie di festa in
maschera? Dentro un sommergibile?”.
Il russo le si fece vicino “Ma quei robot… sono veri?”.
“Certo!” gli rispose entusiasta la giovane “Prima di entrare in
combattimento, li abbiamo sottoposti ad innumerevoli test. Sono
efficienti e garantiscono il massimo della sicurezza!”
“Ma da dove venite?” scese planando il britannico.
“Siamo tutti e quattro degli studenti dell’Istituto Shiroiwa”.
“Di nuovo quella scuola giapponese…” pensò sorpreso
l’americano.
Una volta fatta la loro apparizione, i tre robottoni entrarono in
azione.
Soldato di Ferro Alpha fu immediatamente attaccato dallo smilodonte.
Con un gesto repentino, fece giusto in tempo a ripararsi con il suo
scudo scarlatto.
Finito con la schiena a terra riuscì, dopo un’impegnativa prova di
forza con la bestia, a scaraventarlo via.
Appena la tigre fu atterrata, il robot rosso era di nuovo in piedi.
Quest’ultimo, mentre l’animale gigantesco stava ripartendo
all’assalto, prese accuratamente la mira con la sua pistola e sparò
un colpo. La fronte del felino fu perforata esattamente al centro e
il quadrupede cadde esanime al suolo. La caduta provocò una potente
scossa al terreno.
Soldato di Ferro Beta si avventò subito sullo pterodattilo, che si
era momentaneamente poggiato sulla terra ferma. Il volatile, appena
vide il nemico avvicinarsi, si librò in aria. O almeno tentò di
farlo, visto che il robot blu, con abile mossa, si staccò il
mantello dalle spalle e ci acchiappò al volo il dinosauro.
Rischiando nel contempo di spiccare il volo egli stesso, riuscì
comunque a sguainare la spada e, lasciando la presa dal mantello, a
tagliare di netto la coda del mostro. Questi, come vittima di un
colpo mortale, smise di sfidare la gravità e precipitò senza vita.
Altra scossa al terreno.
Soldato di Ferro Gamma pareva totalmente immobile di fronte al
mollusco gargantuesco. Tale attesa infinita fece come infuriare il
polpo indistruttibile che, stufo, allungò i suoi tentacoli in
direzione di quella curiosa preda. Il robot verde attese fino
all’ultimo finché, con abile gioco di gambe, evitò i tentacoli a
lui più vicini per poi andare a colpire, con un singolo pugno, il
becco del polipo.
La creatura si afflosciò come un sacchetto di plastica vuoto, mentre
l’altro ne uscì tranquillamente indenne.
Questi tre scontri furono seguiti ad occhi e bocche spalancate dagli
Humana. Con loro, vi era sempre la ragazza a bordo della piccola
astronave gialla.
“Come hai detto che si chiamano quei piloti?” domandò Chang.
“Sai… Non l’ho affatto detto!” replicò Michiru.
“Che simpatica… oltre che maleducata” l’apostrofò Jack.
“Se volete, potete venire a parlare con loro, tanto la missione
direi che sia decisamente conclusa”.
“Che ne pensi, Sara?” chiese Igor.
“Non credo ci sia nulla di male. E poi, può essere l’occasione
giusta per farsi dei potenziali nuovi alleati…”.
“Ciò è saggio” assentì Geran.
“Nel dubbio, teniamoci pronti a tutto” sussurrò appena Andrea a
Johnny.
Mentre gli uomini in rosso e giallo scendevano sulla riva, dal mare
aperto emergeva una delegazione atlantidea, guidata dalla stessa
imperatrice Nea.
“Sono lieta che Manstar stia bene” esclamò la sovrana a Song.
“Fortunatamente” replicò lui.
Avvicinatisi tutti, seppur con un po’ di timore, ai tre enormi
androidi, si accorsero che dai loro giganteschi piedi si aprirono
delle porte a scomparsa. Da esse, uscirono i tre responsabili dei
Soldati di Ferro. Tutti e tre avevano il proprio vestiario da
battaglia in tinta con i robot. Alle presentazioni ci pensò la
quarta pilota.
Hayao Esaki, pilota del Soldato di Ferro Alpha, si presentava con i
capelli scuri leggermente spettinati e, a fargli come da scudo
davanti agli occhi, un paio di occhiali da sole.
Shiro Nakazato, pilota del Soldato di Ferro Beta, si presentava con
capelli castani, tirati in su con parecchio gel, e un naso aquilino.
Eiji Komura, pilota del Soldato di Ferro Gamma, si presentava con una
folta chioma di capelli castani ed un hachimaki legato sulla fronte.
Per qualche minuto, come se fossero tutti preda dell’emozione,
nessuno proferì parola, tantomeno il Soggetto N. 5.
Sorprendentemente, fu il Soggetto N. 8 ad esordire “Grazie per
averci liberato da quei mostri. Personalmente, nonostante fossi in
mare aperto, mi ero ormai visto spacciato”.
I tre sorrisero soddisfatti. Poi prese la parola quello vestito di
blu.
“Sebbene, ovviamente solo all’inizio, in noi risultava della
recalcitranza a salire sui nostri Soldati di Ferro, un pochino di
emozione era tuttavia presente, nonostante tutta la vicenda si sia
risolta in modo alquanto ganzo. Di certo abbiamo buggerato quelle
orride creature, financo ad annientarle completamente”.
Il silenzio ripiombò rapido su tutti i presenti.
“Ma come cazzo parla questo qua?” pensò allibito il Soggetto N.
9.
“Siete un’organizzazione militare?” fu il quesito del Soggetto
N. 4.
“Oddio ci manca anche quella…” ironizzò il ragazzo in rosso.
“Assolutamente no” proseguì quello in verde “Anche se io
faccio parte dei club maschili di calcio e Kenpo”.
Per dimostrare ciò, in un batter d’occhio si mise in guardia e
sferrò un calcio al Soggetto N. 7.
“Bel colpo!” si complimentò il Soggetto N. 6.
“Confermo” esclamò Song.
Intanto, l’indiano aiutò il messicano a rimettersi in piedi “Ma
quale bel colpo? È già il secondo calcio che mi becco oggi!”.
Nea chiese la parola “Approfitto per porgervi i miei ringraziamenti
e le mie congratulazioni per aver eliminato definitivamente quel trio
di mostri che hanno minacciato così ferocemente Atlantide”.
I tre studenti furono sorpresi.
“Atlantide?” chiese il ragazzo con gli occhiali da sole.
“Seriamente?” gli fece eco il ragazzo con l’hachimaki.
“Signora, queste sue splendide parole sono, per noi, foriere di
grande orgoglio” esclamò con un inchino il terzo “V’è dunque
verità in coloro che proseguono nell’affermare, convinti,
l’attuale esistenza della leggendaria città che risponde al nome
di Atlantide?”.
“Ecco…” tentò di rispondere la francese “è una storia
lunga…”.
“E non vorremo annoiarvi con eccessive verbosità” sfoderò il
suo linguaggio forbito l’inglese.
“Tutt’altro!” insistette Shiro.
“Piuttosto” s’inserì l’americano “Mi spiegate perché non
siete le prime persone strambe che sento provenire da questo Istituto
Shiroiwa?”.
“È una storia lunga anche quella…” replicò Hayao.
“Comunque, complimenti per quell’head shot di prima!” asserì
l’italiano.
Il giovane fece un cenno del capo come ringraziamento per quelle
lodi.
“Dunque sei anche tu una pilota di quei cosi?” s’interessò
Sara Silvestri.
“Affermativo!” disse fiera Michiru, accompagnando il tutto con un
bel sorriso.
Manstar sussurrò all’orecchio della propria sovrana “Imperatrice,
credo che per noi sia giunto il momento di rientrare”.
“Giusto” sussurrò la donna con il caschetto di capelli neri.
Come vige nell’etichetta di ogni sovrano sulla superficie
terrestre, Nea si congedò con un solenne saluto generale,
aggiungendo ulteriori apprezzamenti per i suoi salvatori, sia umani
che mutanti.
Mentre anche fra gli Humana e i Soldati di Ferro si stavano svolgendo
i saluti di commiato, il piccolo russo si accorse che i Kaiju erano
misteriosamente spariti nel nulla.
Negli
abissi più reconditi degli oceani, dove l’acqua smette di avere il
suo colore bluastro e tutto è tenebra, riposava esanime un’enorme
creatura. Delle bolle d’aria iniziarono ad uscire dalle sue fauci
semiaperte. Qualche istante dopo, le sue palpebre squamose si
aprirono. Gozuki si era risvegliato.
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Capitolo 13 *** Il risveglio di Gozuki ***
CAPITOLO 13
“Il risveglio di Gozuki”
Mattina presto.
Una sorprendentemente assonnata Sara Silvestri scese le scale della
villa, con passo lento ed incerto, per dirigersi verso la cucina al
piano inferiore.
Qui, con gli occhi ancora socchiusi, notò il piccolo Igor Wansa
seduto al tavolino. Il bambino era tutto impegnato a disegnare
qualcosa su un foglio di carta. Lei gli si avvicina.
“Che stai disegnando, Igor?”.
Il russo, nonostante il suo potere psichico, non si era minimamente
accorto della presenza della bionda. Perciò fece un gran scossone,
perdendo anche la presa sul pennarello marrone, e guardò verso
l’alto.
“Oh scusa, ciao Sara! Stavo disegnando i mostri di ieri”.
Nel dire ciò, gli fece notare la presenza di altri due fogli, con le
rispettive opere terminate.
L’italiana si avvicinò di più al ripiano, spalancando per bene
gli occhi per ammirarli meglio.
“Molto interessanti” si complimentò, prima di indicare qualcosa
“E quelle lettere sotto i disegni cosa sono?”.
“I loro nomi”.
“Gli hai dato dei nomi?”.
“Certo!” fu la pronta risposta “Edzisera,
Prant e Sany”.
“Com’è che ti sono venuti in mente?”.
“Così. Ho usato la fantasia”.
Sara scosse il capo con fare affermativo, mentre si girava verso la
credenza con le tazze da colazione.
“Vuoi fare colazione anche tu, Igor?”.
Nessuna risposta.
A quell’improvviso silenzio, la donna si voltò preoccupata
“Igor?”.
Il più giovane dei mutanti se ne stava ora con lo sguardo fisso
verso la finestra che dava sull’esterno. Silvestri andò subito a
controllare, non notando però alcuna anomalia nel giardino che
circondava l’abitazione.
“Che succede, Soggetto N. 1?”.
“Oddio… è tornato!” bisbigliò appena.
“Chi è tornato?”.
“Go… Go… Gozuki!”.
La responsabile spalancò gli occhi “Dove si trova?”.
“C-Credo sia Tokyo”.
“Un classico…” fece un mezzo sorriso lei “Vado a svegliare
gli altri. Si va in missione!”.
Tokyo
La baia della capitale giapponese pareva tranquilla, seppur nel suo
classico caos programmato, con i suoi tre porti, due aeroporti,
l’autostrada e la ferrovia.
Improvvisamente, anche i piccoli lestofanti presenti, dediti a
traffici illeciti, si bloccarono. La superficie marina s’ingrosso
fino a spaccarsi. Da sotto di essa, spuntò un enorme muso squamoso e
allungato. Gli occhi tondi e feroci guardavano fissi il nuovo
panorama che avevano davanti. A poco a poco, tutto il corpo da
rettile, che passava dal beige sul ventre a tonalità più scure
sulla schiena spinosa, emerse totalmente, provocando delle surreali
cascate sul porto cittadino.
Poggiate entrambe le zampe artigliate sull’asfalto, che si crepò
all’istante, Gozuki tirò indietro la testa, spalancò le fauci ed
emise il suo tremendo ruggito.
Grazie alle sue notevoli abilità di volo, Jack Lincon fu il primo
degli Humana a raggiungere la capitale nipponica.
“Era da tanto che non visitavo Tokyo…” esclamò, tra uno
sbadiglio e l’altro.
Non fu certo difficile trovare il suo obiettivo, visto l’enorme
lucertolone che svettava anche sui grattacieli più elevati.
“Ho trovato la nostra bella iguana, signori” comunicò con la
mente ai compagni, usando chiaramente Igor come ponte telepatico.
Gozuki sembrò finalmente notare il suo avversario. Come si fa
d’estate con le zanzare più fastidiose, tentò di allontanarlo
muovendo le corte zampe superiori, seppur risultando in maniera
decisamente goffa.
Per strada, un boxer abbaiava verso il mostro, incurante del pericolo
dovuto anche solo alla differenza di stazza fra i due, mentre il
padrone cercava di tirarlo via tramite il guinzaglio.
“Vieni via, stupido di un cane!”.
Furioso per la non riuscita della sua impresa, Gozuki emise un
fortissimo ruggito.
Tappandosi le orecchie con le mani, l’inglese si allontanò il più
possibile dal kaiju.
“Chissà da quanti eoni non si sentiva un tale urlo sul pianeta
terra…” si chiese, mentre abbassava le mani e fissava il suo
nemico.
Per strada, un ufficiale di polizia portava via un’anziana signora.
Quest’ultima era rimasta paralizzata nel vedere quella visione così
soprannaturale per lei.
“Bakemono! Bakemono!” urlava tremante.
“Dai seguimi, scemo!” sbraitò il Soggetto N. 2 contro la
creatura, mentre si faceva inseguire per allontanarlo il più
possibile dal centro abitato.
Alzando la testa in avanti, vide che le navi fortunatamente stavano
allontanandosi rapidamente dal porto. Riuscì anche a leggere il nome
di una di esse. The Unfriendly Gladys.
“Bene così!” bisbigliò compiaciuto.
Con una secca virata, il dandy si rimise in posizione verticale,
seppur ancora fluttuando nell’azzurro cielo giapponese.
“Quanto ci mettono quegli altri ad arrivare…” la preoccupazione
cominciava ad assalirlo.
Nel vicino porto di Yokohama, il sommergibile degli Humana emerse
dalle acque scure. Una volta stabilizzatosi, fu aperto il portellone.
“Questo sottomarino si sta rivelando davvero prezioso, non vi
pare?” osservò Bernardo Borghi, appena sbucato fuori.
“Non perdere tempo e sbrigati ad uscire!” lo riprese Chang Yu che
stava salendo la scaletta proprio sotto di lui.
In pochissimi minuti, erano tutti e otto sulla terra ferma.
“Bene gente” Sara Silvestri prese subito il comando delle
operazioni “Soggetto N. 1 rimarrà qui con me” gli mise una mano
sulla spalla “così da poter coordinare tutte le vostre azioni”.
“È giusto” confermò il Soggetto N. 5.
“Mentre il Soggetto N. 2 distrae Gozuki, voglio che qualcuno di voi
si occupi anche dei civili. Sono certa che l’efficienza dei
giapponesi si sia già messa in moto, ma comunque non tollererò
vittime in questa nostra missione”.
Tutti gli uomini in rosso e giallo la osservavano decisi.
“Soggetto N. 3” riprese la bionda.
“Sì?”.
“Voglio che sia tu a coordinare il soccorso fra la gente in
strada”.
“Certo Sara. Lascia fare a me”.
“Le ultime parole famose…” pensava sconsolata Frédérique,
mentre osservava orde di persone prese dal panico che correvano
all’impazzata sulle strade cittadine.
Cercando di riprendere la situazione in pugno, lei utilizzava i suoi
poteri per vedere se, all’interno degli edifici che aveva intorno,
erano presenti persone in difficoltà.
L’ennesimo ruggito furente di Gozuki la fece sobbalzare, per poi
cadere sull’asfalto. Rialzatasi, notò di essere di fronte ad uno
stadio. Molto probabilmente doveva trattarsi di baseball, visto le
uniformi indossate dai bagarini che, terrorizzati, lanciavano per
aria i loro biglietti e scappavano via urlanti.
Tutte quelle grida le facevano perdere il senso dell’orientamento,
finché non si concentrò su qualcosa di specifico.
“Attenta!” urlò la francese, mentre con la sua vista calorifica
riusciva appena ad incenerire un mattone proveniente dall’alto. O
almeno sperava che lo fosse.
La potenziale vittima di tale caduta le si avvicinò grata. Solo
allora la ballerina notò il costume da cosplay, nello specifico da
sexy vampira, indossata dalla ragazza.
“Arigato!” ripeteva come un’ossessa la giovane brunetta,
accompagnando il tutto con rapidi inchini consecutivi.
“Ok ok!” tagliò corto la mutante “Ora cercati un luogo
sicuro!”.
Incredibilmente, l’asiatica parve capire cosa le aveva consigliato
l’europea e si dileguò nella folla.
Chi invece sembrava a proprio agio in quella situazione di assoluta
emergenza era un altro cosplayer, questa volta maschile, che stava
aiutando i suoi concittadini a trovare un riparo, mentre indossava
una classica tenuta da ninja.
Il soggetto N 3 gli si avvicinò, parlandogli in inglese “Ehi, tu!
Grazie per darmi una mano con tutta questa gente! Te la cavi davvero
bene! Però, mi raccomando, non abbassare la guardia e stai attento a
dove metti i piedi!”.
Lui gli fece cenno di sì con il capo “Sei una gaijin?”.
La stessa gaijin ringraziò il cielo di aver trovato qualcuno con cui
poter comunicare “Esatto, anzi sono anche più di quello, però ora
non ho tempo per spiegarti. Per il momento, tieni le persone lontane
dagli edifici, o comunque da tutti i luoghi che potrebbero crollargli
addosso”.
La superficie terrestre tremava ad ogni passo del kaiju. Per fortuna,
le strutture giapponesi, da anni costruite in maniera tale da
resistere ai più forti e intensi terremoti, resistevano bene a
quella catastrofe che, di naturale, aveva ben poco.
“Da dove viene quel mostro?” domandò il ninja.
“Per quanto ne sappiamo noi” Arone gli rispose tra il frastuono
generale “pare provenire dagli abissi dell’oceano, di certo però
sappiamo che fa tanti danni”.
“Lo vedo”.
“Tu come ti chiami?”.
“Puoi chiamarmi Fury”.
“Bel nome!” gli sorrise velocemente la donna, prima che uno
scoppio sopra le loro teste non li fece abbassare all’unisono.
“Cos’è stato?” si tirò subito su il nipponico.
Un uomo, vestito anch’egli con un’uniforme rossa e un’enorme H
gialla sul torso, si avvicinò alla coppia. Fury notò che
quest’ultimo aveva una pistola, o almeno la forma era quella,
incredibilmente fusa con la propria mano destra.
“State attenti anche ai lampioni!”.
“Grazie, Andrea” ritirò su la testa la transalpina.
“I nomi in codice!” la redarguì lui.
“Ah, già!” scocciata, fece un cenno con la mano “Grazie,
Soggetto N. 4”.
“Siete nello stesso gruppo?” s’interessò il ninja.
“Esatto! Ed ora cercate di non starmi tra i piedi, tutti e due!”
ordinò perentorio l’italiano, mentre la sua stessa mano destra
riprese a mutare forma.
“Come se la stanno cavando gli altri?” insistette Arone.
“Credo bene” rispose Alberti “l’unico problema è che, quel
gran figlio di puttana di un lucertolone, è davvero resistente”.
Mentre i due discutevano, un gruppetto di ragazze con finte orecchie
da gatto sulla testa trottarono davanti a loro.
“Oddio, dove sono finito…” esclamò sconsolato il Soggetto N.
4.
“Ma dai, Andrea…”.
“I nomi in codice”.
“Sì, vabbe’…” lo ignorò Il Soggetto N. 3 “sarai stato
giovane anche tu…”.
“Solo per cinque minuti!” replicò secco il soldato.
Giusto per rincarare la dose, una di quelle ragazzine, vestita tutta
di nero compreso le orecchie feline, si avvicinò all’italiano.
Inspiegabilmente, nella sua mano destra portava un finto barattolo di
miele.
“Tasukete!” gli urlò ripetutamente in faccia.
“Non mi rompere le palle, stupida gattara, stiamo facendo il
possibile!” tentò di scrollarsela di dosso imbufalito.
“Cavolo! Dov’è finito il ninja?” si preoccupò improvvisamente
la francese.
“Inizio a non sopportarlo più questo posto” Andrea era sempre
più irritato “quasi quasi lo lascio a Gozuki che, di sicuro, lo
risistemerà per bene”.
“Invece di lamentarti, pensa a far bene la tua missione!” lo
redarguì lei.
Incredibilmente, la ragazza gatto si era staccata dal mutaforma,
spostandosi da un altro cosplayer, forse un suo conoscente.
Quest’ultimo era vestito con una lunga tunica rossa scarlatta che
gli arrivava fino ai piedi. In mano teneva un manoscritto farlocco
con, scritto su di esso, delle improbabili formule alchemiche, o
presunte tali.
L’uomo in rosso e giallo rimase sbigottito nel guardare quella
coppia così assurda “Qui mi sembrano davvero tutti matti”.
Questa volta la donna non replicò, preferendo scandagliare gli
edifici con la sua vista a raggi x.
Fortunatamente, vi erano anche qualche trasformista che si stava
operando nell’aiutare il prossimo. Come un gruppo vestito in stile
francese dell’Ancien Régime che, nonostante la sfarzosità dei
propri abiti, se li strappava e sporcava senza problemi mentre
soccorrevano dei feriti.
Un ramo di un albero distante dalla coppia di mutanti iniziò a
spezzarsi. Le potenti vibrazioni dei passi di Gozuki lo danneggiavano
sempre più, finché non cadde rumorosamente al suolo, per puro caso
senza registrare vittime.
“Andrea, guarda! Quel ramo ora ostruisce una via di fuga!”
Frédérique richiamò l’attenzione dell’amico.
“Tranquilla cara, ci penso io” la mano destra mutava “E ormai
lasciamo perdere i nomi in codice…”.
La sua arma organica aveva una forma allungata. Tramite un mirino
posto su di essa, il ragazzo dai capelli castani chiari puntò
l’obiettivo. Poi fece fuoco. Uno schizzo di un rosso accesso partì
dalla canna del fucile, per finire a sommergere il legno.
Nel giro di qualche secondo, quel liquido caldo e denso andò a
consumare tutto l’ostacolo, comprese le foglie ancora verdi.
“Niente male” riconobbe lei “Che arma è?”.
“Fucile a lava ad ampio raggio” rispose lui.
Una volta terminata la sua operazione di sgombro, la lava si andò
via via a stemperarsi, fino a diventare semplice pietra friabile.
In quell’istante, l’attenzione di Andrea fu catturata dal
manifesto di un locale. Pizza al sushi.
“Non ci siamo proprio…”.
Era ormai da qualche minuto che Geran Giunan fissava l’enorme
dinosauro camminare sopra la capitale del Giappone.
Vicino a lui vi era un negozio di articoli elettronici con, ben
esposti dietro il vetro della vetrina decorata con ideogrammi di
varie forme, vari televisori piatti ben allineati uno fianco
all’altro. In uno di essi si vedeva l’imperatore, visibilmente
preoccupato, che esortava la popolazione a resistere a questo
terribile attacco a cui era sottoposta la nazione.
L’indiano fissò ancora qualche istante quell’autorità a lui
sconosciuta. Poi, voltato il capo, vide un’automobile che, come ce
ne sono tante nel sol levante, assomigliava più ad un cubo con
attaccate quattro ruote. Risquadrò per un attimo il suo gigantesco
obiettivo, per poi avvicinarsi alla vettura.
Senza il minimo sforzo, la sollevò da terra, sorprendendo i pochi
fuggitivi vicino a lui poi, con la medesima facilità, la scagliò
contro la bestia. Quel singolare dardo lo colpì esattamente sulla
nuca squamosa.
La creatura si voltò, più infuriata che mai, emettendo un nuovo
ruggito stridulo.
Il più asociale degli Humana lo fissava con sguardo di sfida, metri
e metri più giù. Sul suo volto comparivano già i colori di guerra
della sua tribù, gli Shoshoni.
Nel mentre, sempre alla televisione, l’ambasciatore degli Stati
Uniti dichiarava che la propria nazione avrebbe offerto il massimo
dell’appoggio alla nazione che lo ospitava.
Per tutta risposta, Gozuki iniziò a sferrare calci alle altre
automobili che aveva ai suoi piedi.
L’insospettabile agilità del pellerossa gli fu molto utile,
riuscendo ad evitare tutte le macchine colpite con notevole
precisione dalle zampe del rettile.
Poco distante dalla lotta, una giornalista e il suo fidato cameraman,
sprezzanti del pericolo, o meglio in cerca dello scoop che poteva
stravolgere la loro vita, si avvicinarono sempre di più ai due
duellanti.
“… Sembra proprio che questa enorme creatura sia comparsa, alla
prime luci del mattino, nella baia di Tokyo…” la zelante
giornalista faceva una rapida ricapitolazione degli eventi.
Vestita con un elegante e, al tempo stesso, economico tailleur, era
ormai a pochi passi dal mutante in rosso e giallo.
“… Qualcuno ha già ribattezzato tale mostro Gibberslash…”.
Il Soggetto N. 5 notò appena la donna, ma tanto basto per distrarsi
ed essere colpito al fianco da un’altra macchina.
L’inviata, alquanto preoccupata, le si fece vicino “C-Come si
sente? C-Chi è lei?”.
L’energumeno giaceva esanime sull’asfalto. Poi riuscì a fatica a
rialzare le larghe spalle. Dopo qualche secondo, fu in grado di
puntellarsi con i gomiti e piegare un ginocchio, in modo da non
strusciare per terra. Ripreso fiato, Geran scrutò, con occhi fissi e
severi, il duo che aveva rischiato così tanto la propria vita.
“Si chiama Gozuki” disse perentorio al microfono, subito
piombatogli vicino alla bocca da cui fuoriusciva un rivolo di sangue.
Ancora sofferente, il canadese tornò a guardare verso Gozuki. I suoi
occhi si spalancarono. Come un giocatore di football americano,
placcò in un sol colpo entrambi i nipponici, facendoli così evitare
di essere investita da un’utilitaria volante.
Questa volta, l’indiano scattò subito in piedi come una molla.
“Andate via di qui! Subito!” gli urlò contro.
I due, ancora a terra e tremanti come foglie, ubbidirono senza
obbiettare. Rapidi, si dileguarono dalla stessa via laterale da cui
erano provenuti. L’operatore, con t-shirt, jeans e cappellino da
baseball, si tenne comunque ben stretta la videocamera sulla spalla
destra.
I due rivali tornarono a fissarsi, questa volta con gran rispetto.
“Solenne Manitù, proteggimi in questa dura battaglia” pregò il
Soggetto N. 5.
Una tipologia tipica, e spesso unica nel suo genere, che si possono
trovare a Tokyo sono i cosiddetti bar a tema. Se ne possono trovare
seriamente di qualsiasi tipo, magari associati a manga, anime o serie
televisive. Quello dove si erano rintanati Chang Yu e Bernardo Borghi
era a tema UFO e dischi volanti in generale.
“… Io col cavolo che esco!” si lamentava il messicano.
“Ma come puoi dire così, Berny!” lo rimproverava il cinese.
“Come posso? Come posso, dici? Ma l’hai visto quel bestione là
fuori?!” indicandogli con un braccio l’esterno dell’edificio.
“Certo che l’ho visto, è lo stesso di Atlantide”.
“Appunto. Io già mi sono cagato sotto ad Atlantide, figuriamoci
ora in Giappone!”.
“Non puoi dire così, Berny. Hai uno dei poteri più fighi
dell’intero gruppo” insistette il Soggetto N. 6.
“Ma piantala!”.
“Dico sul serio. Sei niente meno che un mutaforma!”.
“Anche Andrea lo è!”.
“Sì ma lui è molto più limitato di te. Insomma, può solo
trasformarsi in armi da fuoco. Non ti pare scontato da un
ex-soldato”.
Il Soggetto N. 7 tentennò un po’.
L’altro proseguì “Te invece puoi trasformarti in qualsiasi cosa,
mi pare”.
“Sbagliato. Solo in animali e oggetti”.
“E ti pare poco?”.
“Cioè?”.
“Pensa a tutti gli animali pericolosi che puoi diventare!”.
“Tipo questi?”.
Detto ciò, il baffuto del gruppo tramutò la sua forma
rispettivamente in: montone, gufo, criceto, mucca e foca.
Tutti i pochi clienti rimasti dentro al locale, più che altro nella
disperata ricerca di un rifugio, rimasero sbigottiti.
“Beh…” riprese la parola l’asiatico “ce ne sono anche di
più pericolosi…”.
L’altro riprese forma umana. Intanto, gli stessi pochi clienti di
prima, si misero a fotografare con i propri cellulari la strana
coppia.
“E ora perché questi musi gialli si sono messi a fare foto?”.
“Ehi!” lo richiamò Chen, offeso “sarà per le nostre
uniformi…”.
Dopo l’ennesimo ruggito di Gozuki, i lampadari presenti nel bar,
chiaramente a forma di dischi volanti, si misero ad oscillare
pericolosamente.
“Oh San Domenico, aiutaci tu!” si mise a pregare Bernardo.
“Ora che c’entra San Domenico?”.
“Era tanto per dirne uno”.
“Cerca piuttosto di trovare il coraggio di uscire lì fuori e
affrontare quel mostro!” lo spronò deciso l’amico.
“Ma come faccio…” il Soggetto N. 7 era sempre più disperato
“Ci sono! Sai cosa ci vorrebbe per affrontare quel mostro?”.
“Sentiamo”.
“Una truppa di pipistrelli!”.
“Cosa?”.
“Così possono distrarlo, facendogli perdere il senso
dell’orientamento!” appena esposta la sua idea, il suo corpo si
trasformò in un chirottero.
“Ma chi ti credi di essere, Dracula? O Batman? Non stiamo giocando!
Non siamo in un manga! Qui dobbiamo davvero affrontare un mostro
preistorico!”
“E allora fattela venire tu un’idea geniale!” sbraitò appena
riprese sembianze umane.
Accogliendo l’invito del compagno, il Soggetto N. 6 si mise
intensamente a pensare.
Passarono dei minuti. Bernardo lo fissava fiducioso. Poi sempre meno.
“Magari una cosa di giorno, Chen”.
“Un attimo…” esclamò l’altro, alzando un dito.
Ancora attimi di silenzio.
“Ce l’ho!”.
“Spara!”.
“Potresti provare a trasformarti anche tu in un dinosauro”.
Il messicano soppesò tale proposta.
“Incredibile! In effetti, non è un’idea così malvagia…”
esclamò mentre si lisciava il mento.
“Perché hai voluto aggiungere l’esclamazione “Incredibile!”
all’inizio? mi sento estremamente offeso”.
“Non ci pensare!” tagliò corto il baffuto “Però fino ad ora,
nelle mie trasformazioni, non ho mai affrontato degli animali
estinti”.
“Ma che stai dicendo? Giusto ieri hai replicato quello strano
volatile”.
“Beh, oddio… proprio replicato non direi…”.
“Almeno ci hai provato”.
“Che poi, lo sai che Igor ha dato un nome a tutti e tre quei
mostri?”.
“Davvero?”.
“Sì, però non mi ricordo come l’ha chiamato quello”.
“Comunque, a parte questo, cerca di concentrarti su un dinosauro!”.
“Giusto!”.
Il Soggetto N. 7 chiuse gli occhi. La respirazione si fece più
lenta. Il corpo iniziò a mutare.
Gli occhi si restrinsero. Una volta riaperti, si notarono che anche
le pupille si erano ristrette, e colorate di un rosso rosato. Sulla
testa, i capelli furono ben presto sostituiti da delle spine
acuminate. Il suo corpo si ricoprì di squame bluastre. Il suo viso
cominciò a farsi più rettiliano che umano. Ai lati del viso, le sue
orecchie si allargarono sempre più. Una serie di spine gli
percorrevano lungo la schiena. Sulle spalle, ali enormi e membranose.
Ed infine, una coda tozza con la punta che ricordava un bastone
appuntito.
Yu fissava sbigottito l’amico.
“Allora, come sto?” parlò improvvisamente la creatura di fronte
a lui.
L’altro sobbalzò di paura. Come fecero anche, sui tavolini, le
boccette a forma di alieni contenenti salsa di soia.
“Niente male, direi” riconobbe l’altro “però, di altezza sei
rimasto uguale a prima”.
Il rettiloide controllò visivamente quanto appena affermato.
“Magari, una volta usciti di qui, potrai crescere a piacimento”.
“Forse…”.
Un sorriso si dipinse sul volto del cinese “Benissimo! Siamo pronti
per attaccare!”.
“Perfetto!”.
“Allora, facciamo così: appena usciti di qui, mentre io distraggo
Gozuki con una delle mie fiammate, tu ti allarghi sempre di più così
da affrontarlo da uomo a uomo”.
“Uomo a uomo?”.
“Vabbe’, hai capito!”.
“Ok, speriamo che funzioni”.
“Tranquillo. Poi avremo comunque i nostri compagni Humana a darci
una mano”.
“Giusto”.
“Ok, al mio 3. 1… 2… 3!”.
Il duo uscì fuori dal locale come fossero due furie. Subito il
Soggetto N. 6 eruttò in un’alta fiammata verso il cielo. Accanto a
lui, il Soggetto N. 7 si mise a concentrarsi. Poi, passato qualche
secondo, la coppia si fermò. Attorno a loro non vi era alcuna
traccia di Gozuki.
“Dov’è finito?” si domandò il rettile umano.
“Eppure sono sicuro di averlo visto qui fuori” commentò lo
sputafuoco.
In effetti il cinese diceva il giusto. Difatti, fino a qualche attimo
prima, Gozuki era intento a fissare, in gesto di sfida, l’indiano
d’America che lo aveva così impegnato fino ad allora.
Improvvisamente, lo sguardo fiero di Geran fu testimone della
rinuncia dell’avversario. Quest’ultimo, muovendosi con lentezza,
rivolse il suo cammino verso l’oceano.
Mentre iniziò ad immergersi, il Soggetto N. 8 si affiancò al
Soggetto N. 5.
“Che è successo? Perché ora se ne sta andando?”.
“Non percepisco altra ostilità da parte sua” esclamò serio
l’energumeno.
Una voce di bambino si fece spazio nella testa dell’africano “Juna,
dice Sara che devi inseguirlo assolutamente!”.
“Ricevuto” rispose lui.
Con un rapido scatto, corse fino al termine della banchina, per poi
tuffarsi in bello stile in quelle fredde acque scure.
A quelle profondità, la visibilità è davvero scarsa. Ma lo zairese
sapeva che la creatura gli era vicina. Nonostante non possedesse gli
stessi poteri del Soggetto N. 1, la sua era una percezione comunque
molto chiara, quasi un’empatia in quel mondo liquido.
In superficie, il resto degli Humana si era riunito sul pontile.
“Ci sono molti feriti?” chiese il Soggetto N. 4.
“Non credo, anche perché Johnny sta girando tutta Tokyo per
cercare di dare una mano un po’ ovunque” informò il resto del
gruppo il Soggetto N. 3.
“Sennò che ce lo abbiamo a fare un velocista…” fu sarcastico
il Soggetto N 2.
“Volendo, anche tu con il tuo volo potresti fare qualcosa…”
sottolineò il Soggetto N. 6.
“Io sono più contemplativo che aggressivo” replicò il dandy.
Negli abissi, Juna sapeva ora di trovarsi davanti alla creatura.
Questa pareva stare con gli occhi chiusi, eppur ben attenta ad ogni
minima mossa del mutante.
“Giunan ha ragione” pensò “sembra proprio che questo mostro
non abbia più alcuna voglia di lottare”.
Quasi a confermare quello che l’umano stava pensando, delle bolle
d’aria emersero tra i denti aguzzi del dinosauro, come se fosse
totalmente a riposo.
La voce del Soggetto N. 1 intervenne nuovamente “Mi pare,
addirittura, che inizi a provare simpatia nei nostri confronti”.
Sul molo, una nuova folla di curiosi si radunò attorno agli uomini
in rosso e giallo. Fra di essi, vi erano anche il ninja e la
ragazza-gatto.
“Eppure mi pare di conoscerti…” esordì Fury “Come ti
chiami?”.
“Il mio nome è Neneko” rispose sorridente lei “E il tuo?”.
Lui stava per rispondere, finché venne fermato dal Soggetto N. 7.
“Insomma, ragazzi. Proprio vi dovete mettere a flirtare? Dopo tutto
quello che è successo, poi? So che qui in Giappone ci sono dei
simpaticissimi locali chiamati “Love Hotel”. Perché allora non
vi prenotate una stanza in uno di quelli?”.
I due giovani arrossirono, cercando di nascondere il più possibili i
loro imbarazzi.
In mare, Gozuki si era di colpo riattivato. Seppur con molta più
calma rispetto a prima, il lucertolone aveva scelto di riemergere
sulla terra ferma. Questa volta, però, parve scegliere
scrupolosamente una zona più sicura per la gente del posto.
A molti metri in verticale di distanza, Juna lo aveva seguito.
“Che cosa vuoi fare, Gozuki?” tentò inutilmente di farsi sentire
dal kaiju.
Gozuki scrocchiò rumorosamente il suo gigantesco collo, come un
wrestler pronto ad affrontare il suo match. Vicino alle sue zampe,
per strada comparve una striscia luminosa rosso e gialla. Il
velocista si era finalmente deciso a scendere in campo.
Sulla darsena affollata, gli altri Humana cercavano inutilmente di
avvertire il loro compagno.
“Soggetto N. 1, avverti il Soggetto N. 9 che non intervenga!”
ordinò Sara.
“Ci sto provando!” spiegò Igor “Ma a quella velocità non è
semplice”.
Vedendo quella scia luminosa, Gozuki ne fu attirato come un gatto dal
puntatore laser sparato sulla parete.
“Ok lucertolone, vediamo se riesci a prendermi!” lo provocò
l’americano, fermandosi di colpo di fronte al rivale.
Il mostro accettò la sfida, alzando e riabbassando subito il piedone
destro sul mutante. Nel mentre, emise un ruggito acuto.
In alcune serie di fiction, la tecnica utilizzata da Johnny Wayne si
definisce “immagine residua”. E fu proprio questa che il
dinosauro calpestò, senza ovviamente alcun danno.
“Ritenta, lucertolone” lo sbeffeggiò lo stesso Soggetto N. 9.
“Johnny, mi senti?” finalmente il russo era riuscito a mettersi
in contatto con lui.
“Sì, dimmi Igor. Veloce che sono impegnato…”.
“Sara ordina di fermarti!”.
“Cosa?! Perché?”.
“Gozuki non sembra voler combattere con noi, o crearci altri
problemi”.
“Che stai dicendo?”.
“È vero. Lo dicono anche Geran e Juna”.
“Ma siete seri?!” lo statunitense non credeva alla sua testa.
“Johnny” questa volta fu la stessa Silvestri ad intervenire
“Smettila di attaccare l’obiettivo. Ripeto, smettila di attaccare
l’obiettivo!”.
A quell’ordine perentorio da parte dell’italiana, il biondo si
fermò davvero.
Gozuki, che finalmente riusciva a vedere chiaramente il suo
avversario, si accovacciò al suolo, fissandolo con un ghigno che
pareva quasi un sorriso divertito.
Sembrava di vedere un bambino che, nella sua cameretta, osserva
entusiasta il suo nuovo giocattolino.
Intanto,
sulle calme acque oceaniche del Giappone, la Unfriendly Gladys aveva
preso ormai il largo.
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Capitolo 14 *** Teschi di cristallo, maschere e dinosauri ***
CAPITOLO 14
“Teschi di cristallo,
maschere e dinosauri”
“… Ancora non si hanno indizi sul motivo per cui, tutta l’intera
popolazione di questa città, sia letteralmente scomparsa nel nulla,
lasciando la città totalmente deserta…”.
La televisione presente nel salotto della villa degli Humana era
ormai da qualche ora accesa, fissa sul canale dei notiziari. In
quell’istante, la giornalista continuava a parlare dell’argomento
che, da almeno tre giorni, aveva sconvolto buona parte del mondo.
Seduta sul comodo divano davanti allo schermo luminoso vi era Sara.
Nella stanza insieme a lei erano presenti però solo quattro membri
del suo gruppo.
“Che storia assurda!” commentò la bionda, mantenendo lo sguardo
fisso verso la tv.
“Come lo è anche la nostra” osservò Chang.
“Sarà, ma ancora non comprendo perché non hai voluto mandare
tutta la squadra…” controbatté polemico Jack.
L’italiana, senza scomporsi, gli rispose “Perché questa volta
non me la sento di rischiare tutti voi, per lo meno finché non
abbiamo informazioni più precise”.
“Comunque ne rimango basito” fu l’ultima parola dell’inglese.
Gli unici mutanti che rimasero in silenzio furono Igor, che si era
messo a disegnare con svariati pennarelli, grazie alla sua
telecinesi, e Juna, che fissava fuori dalla finestra e, con la testa,
sembrava essere lontano miglia e miglia dall’abitazione.
Ad essere realmente distanti dal quartier generale erano gli Humana
non presenti. Infatti, aveva da poco raggiunto il paese teatro di
quello strano fenomeno. I cinque si trovavano vicini al cartello dove
era scritto lo strambo nome della città: Akolaizow.
“Ma davvero volete accamparvi qui? Sono l’unico che ha udito
l’assurda vicenda che è capitata ai cittadini di qui? E poi,
possibile che quella stupida di Sara, appena sente che accade
qualcosa di assurdo nel mondo, deve mandare noi ad investigare?”.
Dunque le polemiche imperversavano anche lì, questa volta ad opera
di Bernardo.
“Oddio, Berny!” sbuffò Frédérique “Sei peggio di una prima
ballerina!”.
Mentre il messicano riprendeva la sua filippica, Andrea osservava la
città poco distante da loro.
“Lo strano è che nessuno ha sentito nulla. Oltre ai giornalisti
ora sta arrivando anche l’esercito”.
“A me basta che ci lascino in piace per dormire” esclamò Johnny,
mentre assicurava al terreno l’ultimo gancio per tenere tesa la
loro tenda.
“Ma allora sto parlando al vento?!” riprese il baffone.
La francese, per evitare di innervosirsi ancora di più, si avvicinò
all’americano.
“Merda! Non riesco proprio a sopportarlo quando si mette a fare
così!”.
“Non ci pensare. Deve essere tutta questa assurda vicenda che lo
manda nel panico”.
I due si misero insieme a fissare le case in lontananza.
“Questa storia mi fa venire in mente un fatto, accaduto dalle mie
parti, dove tutti gli abitanti di un villaggio, appena giunti nel
nuovo mondo, dopo qualche giorno scomparvero, lasciando solo un
messaggio con su scritto CROATOAN”.
Nonostante l’oscura preoccupazione che aleggiava sui pochi
presenti, la notte passò tranquilla e in quiete dentro la tenda da
campeggio.
La mattina successiva, gli uomini in rosso e giallo avevano già
deciso di partire in esplorazione del centro non più abitato e,
sebbene Borghi era sempre più contrario, era stata presa la
decisione di dividersi, per meglio perlustrare la zona, e rimanere
costantemente tutti all’erta.
Ancora di più dopo che notarono che, sia i giornalisti che i
militari, erano anch’essi volatilizzati da quel posto.
Fu dopo questa nuova sconvolgente scoperta che il Soggetto N. 3 fu
lasciata nel loro accampamento, pronta almeno lei ad una ritirata
strategica e nel contempo, poteva risultare utile agli altri con la
sua vista telescopica.
Il Soggetto N. 5 era impassibile, come suo solito, mentre il Soggetto
N. 7, tremante di paura, cercò di tenersi su il morale canticchiando
un’antica filastrocca messicana.
Il Soggetto N. 4, memore del suo addestramento nelle forze armate,
procedeva in solitario a brevi passi, tenendo gli occhi vigili in
qualsiasi angolo del quartiere che stava attraversando. Intento ad
attraversare un parco cittadino, di colpo, sentì un suono e, mentre
la sua mano destra stava cambiando forma, notò una persona al suolo.
Il Soggetto N. 9, al contrario di com’era ormai abituato, procedeva
con andatura lenta, lasciando la sua supervelocità totalmente
inutilizzata.
Fatto qualche passo, vide qualcosa scintillare al centro di una
strada. Si avvicinò con cautela e, con sua somma sorpresa,
identificò un teschio di cristallo.
Nel quartier generale, dove tutti erano collegati fra loro tramite la
telepatia del Soggetto N. 1, il Soggetto N. 2 sussultò.
È identico a quelli che ho a Londra!”.
Akolaizow.
Nel giro di pochi minuti, tutti gli altri, ad eccezione del
velocista, accorsero dal mutaforma. La supervista fu d’aiuto ad
Arone per raggiunge subito i suoi compagni dentro la città.
L’essere umano sdraiato a terra, forse per tutto quel trambusto
improvviso, parve ridestarsi. Spaventando i presenti, pronunciò
delle enigmatiche parole “Qui non vi è salvezza”.
Seppur ancora shockata, la francese notò l’assenza di uno di loro
“Dov’è Johnny?”.
“Non lo so” rispose secco l’italiano “Qui tutte le cose non
stanno andando”.
“Ma questo è loco!” urlò quasi impazzito Bernardo.
Nel frattempo, Wayne riuscì a trovare il coraggio di afferrare e
sollevare quel cimelio. Come un novello Amleto, lo osservava
attentamente.
“Considerate seriamente ciò un problema?”.
“Cos’hai detto, Igor?” chiese mentalmente lo statunitense.
“Non sono stato io…” confessò il russo.
“Cosa?” spalancò gli occhi il biondo.
“Non pretendere di capire, mutante” riprese la voce “gli umani
che siete venuti a salvare stanno bene”.
“Qui non vi è salvezza”.
Da quando si era ridestato, nonostante i ripetuti stimoli degli
Humana presenti, erano soltanto queste le parole che uscivano dalla
bocca dello sconosciuto.
“Andrea, non puoi creare, per caso, un traduttore a corto raggio?”
domandò il messicano.
“Certo che no, Soggetto N. 7!” rispose l’italiano “E poi, se
non ricordo male, sei un mutaforma anche tu, o sbaglio? Allora, datti
da fare!”.
“Sapete che vi dico…” intervenne la francese “Sarò io da
darmi da fare! Ora vado a cercare Johnny, visto che a voi pesa il
culo!”.
“Calmati, Frédérique. Sono qui” fece la sua comparsa proprio il
Soggetto N. 9.
Tutti i presenti si voltarono verso il nuovo arrivato che, con
movimenti lenti, poggiava su una panchina vicino a loro il teschio.
Appena vide quel particolare oggetto, l’uomo in stato confusionale
si mise a sbraitare e rantolare ancora di più.
Per evitare che si facesse male o, peggio, facesse del male ai suoi
compagni, il Soggetto N. 5 lo bloccò con la sua enorme forza,
abbracciandolo con le sue braccia robuste.
“Stai calmo” tentò inutilmente di sussurrargli.
“E quello che diavolo è, Johnny?” riprese con le domande il
Soggetto N. 7 “Dove l’hai trovato?”.
“Era su una strada qui vicino… e sta parlando!”.
“Parlando? Ma che stai dicendo, Jo…” ma la frase del Soggetto N
3 fu interrotta da un’enorme figura luminosa.
Essa comparve dal nulla, sovrastando tutte le persone nel parco.
I mutanti in rosso e giallo rimasero tutti ammutoliti nel fissare
quell’essere così luminoso. Nonostante non possedessero tutti la
visione sovrumana di Arone, nessuno ne rimase abbagliato. Invece,
l’unico umano normale, si agitò sempre di più, come in preda ad
una crisi epilettica. Si dissolse nel nulla.
Inaspettatamente, nessuno degli eroi mosse un solo muscolo,
ipnotizzati da tale luce ultraterrena.
Come un magnete, Wayne si sentiva sempre più attratto verso quella
fonte luminosa.
“Johnny ascoltami!”.
La voce di Sara Silvestri parve risuonare lontana nella sua mente.
“Johnny, ascoltami! Non so bene come spiegartelo ma, seguendo ciò
che mi dice il nostro capo, non dovete più intervenire in alcun modo
per salvare quella persona e, soprattutto, lascia stare la luce e
rimani con la tua squadra!”.
Gli occhi di Johnny, dopo esser rimasti aperti e fissi per un tempo
che andrebbe contro natura, sbatterono. D’istinto, il pilota si
voltò verso i suoi amici.
Come se ritenesse di non essere più utile, il gigante di luce si
spense, senza lasciar traccia.
Di conseguenza, anche gli altri Humana ripresero conoscenza, seppur
ancora increduli a quanto avevano appena assistito.
“S-State tutti bene?” tentò di sincerarsi Frédérique.
“Come possiamo dirlo” sentenziò un Bernardo più ombroso che
mai.
Quartier generale.
Sara era madida di sudore in tutto il corpo e con un fiatone che non
le stava dando pace. Sembrava aver corso per chilometri e chilometri
senza un attimo di tregua.
Igor era collassato dalla stanchezza.
Jack, Juna e Chang in piedi e immobili come tre statue.
“Sai che, prima o poi, dovrai rivelarci chi è questo nostro capo…”
esclamò il ragazzo di colore, guardando con fare truce l’italiana.
“Io ne rimango!” commentò il britannico.
“Io… vado a preparare da mangiare” concluse l’asiatico.
Stazione ferroviaria di Trento
In una delle principali fermate della linea del Brennero, da un
classico modello di Freccia Rossa, scese un-ex pilota di formula uno
americano. Ad attenderlo, su una delle banchine presenti, vi era un
ex-soldato italiano.
I due, senza proferir parola, si strinsero calorosamente la mano, nel
più classico dei gesti di saluto.
Ad osservarli, a loro apparente insaputa, un viso baffuto e ligneo,
tipico dei Matoci, maschere caratteristiche di un comune di tale
provincia, Valfloriana.
Ad attendere la coppia, all’esterno della struttura, la candida
neve che scendeva lentamente sul suolo totalmente bianco. Su di esso,
si trovava un piccolo cestino con l’interno in fiamme. Vicino a
quella particolare fonte di calore, nell’intento di riscaldarsi, vi
era un uomo travestito da Peppe Nappa del carnevale di Sciacca.
“Cazzo, che freddo!” furono le prime parole pronunciate in
Trentino da Johnny Wayne.
“Dove ti credevi di essere?” replicò Andrea Alberti “ai
Caraibi?”.
Il giorno successivo, un grande sportivo come il biondo non poteva
certo rinunciare a provarne uno per lui totalmente nuovo: lo sci.
“Tieni i piedi più stretti!” gli urlò inutilmente l’indigeno.
“Ma porc!” fu l’ennesima imprecazione, da parte dello
statunitense, all’ennesima sua caduta.
A fare da spettatori a quel simpatico teatrino, vi era un trio
decisamente insolito.
Un corpulento contadino, una robusta donna coi capelli scompigliati e
un segaligno dai capelli e i baffoni arancioni.
“Bertoldo, ma sei sicuro che siano loro?” domandò la donna.
“Assolutamente certo, Marcolfa! Non mi credi?” rispose l’omone.
“C-Certo che… s-sono proprio scemi! N-Non come me, Bertoldino”
esclamò, con fare altrettanto stupido, il secco.
Nel frattempo, il tempo atmosferico era peggiorato piuttosto
rapidamente.
“Eh no! Ora ci manca pure la tormenta!” si lamentò di nuovo il
velocista.
Tra l’altro, con gli sci ai piedi, il suo potere risultava
decisamente inutile.
“Faremo meglio a rientrare” consigliò il mutaforma, rimirando in
cielo nubi minacciose “Non so quanto ancora abbiamo a
disposizione”.
Nella medesima situazione, ma ben imbacuccato in una pesante
pelliccia di montone li osservava silenzioso il Rollate di Sappada.
Mentre il vento soffiava sempre più forte, tagliando il viso dei due
mutanti, improvvisamente, comparso come un antico fantasma, si
trovarono di fronte un oscuro chalet.
“Entriamo lì dentro!” urlava, per farsi capire, il Soggetto N. 4
“piuttosto che morire di freddo qui fuori!”.
L’altro lo seguì senza fiatare.
Vicino a loro, ma ben nascosto dalla bufera, si trovava un triste
Pierrot, con una lacrima vera che si sovrapponeva a quella finta del
suo trucco facciale.
Appena ebbero messo piede nella veranda in legno dell’abitazione,
furono accolto dall’abbaiare, non certo dei più amichevoli, di un
alano.
Per tutta risposta, dall’esterno, si udì il muggito di una mucca.
Solo che questa, a differenza delle più tradizionali, aveva
decisamente una forma più umana.
“Cazzo!” imprecò il Soggetto N. 9, mentre il suo compagno stava
già mutando la forma della sua mano destra.
“Buona, Cassiopea!” fu l’ordine perentorio dato da una donna
“Voi chi siete?”.
“Ci scusi” esordì Andrea, mentre la mano era tornata normale “ma
siamo rimasti fregati dalla bufera”.
Fu quello il momento di ammirare il sorriso piacione di Johnny “Ci
chiedevamo se poteva gentilmente ospitarci qui da lei. Per lo meno
finché la pioggia non cessa un po’…”.
La signora continua a fissarli poco convinta, mentre il cane
proseguiva nel ringhiare minaccioso.
“Devo prima sentire mio padre”.
Detto ciò, fece comunque accomodare i due viandanti nell’ingresso
della baita.
Alle loro spalle, con uno scatto felino, un uomo con, sul volto,
passamontagna totale riuscì a non far richiudere perfettamente la
porta senza, al contempo, farsi notare dai presenti. Degno dello
Squacqualacchiun di Teora.
Il vero padrone di casa fece la sua comparsa: un uomo non più
giovanissimo, ma dalle spalle larghe e la folta barba bianca.
“Penso io ai signori, Jolanda” sentenziò il vecchio “Mi
dispiace, signori, ma non potete stare qui”.
“C-Cosa? E perché?” si allarmò il suo presunto connazionale.
Fuori dallo chalet, suona di campanacci da pecora, la porta si
spalanca e compare la maschera simbolo della Sardegna: il Mamuthones.
L’americano, anche grazie al suo superpotere, si voltò da una
parte all’altra con rapidità sovrumana. Dietro ai due inquilini,
un enorme spiedo di legno con della carne a rosolare per bene sopra
al fuoco nel camino. Nel ripiano sopra di esso, un’altra
tradizionale figura del carnevale sardo: lu Traicogghju. Solo la
maschera in legno, però.
Il suo cervello si autocensurava i suoi stessi pensieri. Vicino al
braciere, altre due maschere comparvero nella stanza.
“Purtroppo è proprio come stai pensando…” gli anticipò Pin
Girometta di Varese.
“Il mammifero nello spiedo… è umano!” concluse Capo Valàr di
Lazise.
La coppia in rosso e giallo rimase basita.
“M-Ma… c-che cazzo state dicendo?” balbettò Johnny.
Altri due tizi mascherati si unirono ai due precedenti.
“Sappiamo che voi siete dei mutanti che si fanno chiamare Humana”
intervenne la classica figura del marinaio genovese e del tifo
doriano, il Baciccia della Radiccia “e pensiamo che voi già
sappiate chi siamo…”.
“Immagino voi siate le Maschere, Elefante dell’Animorph Squad ci
ha parlato di voi” gli rispose Andrea.
“Benissimo!” proseguì la Réula, maschera che rappresenta un
anima penitente “Dunque sappiate che questo gruppo di persone,
conosciute come Famiglia Fantelli, sono in realtà dei luridi dediti
al cannibalismo. Ora dovranno estirpare la colpa di aver ucciso un
mio collega della Mascara Gadduresa”.
All’esterno della magione, mentre varie altre maschere facevano il
loro ingresso, le folate di vento si facevano sempre più forti e
spettrali. Sembrava il perfetto sottofondo musicale ad accompagnare
il dramma che si stava svolgendo al suo interno.
“Come potete venire qui, in casa nostra, e criticare il nostro
operato?” sbottò la più giovane della cosiddetta Famiglia
Fantelli.
“Hai anche il coraggio di chiederlo?!” gli urlò contro una delle
maschere femminili più facilmente riconoscibili nel panorama
italiano: Colombina.
“Credi che, perché sono una donna, non abbia il coraggio di
prendermi la responsabilità per le mie azioni?”.
La donna mascherata scosse il capo “Povera sciocca. È proprio per
difendere la libertà delle donne che ho deciso di indossare questa
maschera”.
Quasi con le lacrime agli occhi, la padrona di casa si voltò verso
l’americano.
“Anche voi, che subite il nostro stesso supplizio, davvero pensate
di agire nel giusto?”.
L’interpellato parve shockato “Che vuoi dire?”.
“Non darle retta a quella troia!” sbraitò Nasotorto, la cui
caratteristica facciale veniva evidenziata pure dal nome da
battaglia.
D’improvviso, una porta sbattuta con grande violenza.
“C’è un’altra troia!”indicò al gruppo, sempre più
numeroso, Nasoacciacato, per cui vale lo stesso discorso di
Nasotorto.
“Asia! Che ci fai qui?” le urlò contro Jolanda Fantelli.
“Quella deve essere la sorella minore…” ipotizzò ad alta voce
Cassandro, una maschera proveniente da Siena, città ben più famosa
per i suoi Cavalieri delle Contrade e le loro armature leggendarie.
“Jolanda!” parlò la nuova arrivata “Come osi parlare delle
faccende private della tua famiglia ad un perfetto sconosciuto? Per
di più americano!”.
“Beh…” intervenne lo sconosciuto “se tu sai pure la mia
nazionalità, vuol dire che tanto sconosciuto non sono…”.
“O magari anche i cannibali guardano la Formula Uno, yankee…”
sottolineò U Sceriff, maschera della provincia di Bari vestito in
perfetto stile cowboy.
“Solo perché hai incontrato il classico biondino con la faccia a
culo che incontri in vita tua!” proseguì l’aggressione verbale
della sorella.
Un colpo di pistola andò a conficcarsi nella pietra del soffitto. A
sparare non fu però l’arma da fuoco del finto sceriffo western ma
la mano destra mutata del Soggetto N. 4.
“Sarà il caso di darci tutti una calmata!”.
“E c’è bisogno di tirar giù tutta questa baracca?” lo ammonì
il parmense Al Dsèvod.
“Vuoi spararmi, bastardo?” Asia Fantelli si aprì violentemente
la camicia che aveva indosso, mostrando il suo seno nudo “Spara
qui, se hai le palle!”.
“Però! Che tette!” esclamò, con un finto accento francese,
Vulon di Fano.
Il trentino ghignò “Non penserai di impressionarmi con un paio di
bocce?”.
Fuori, la situazione peggiorava a vista d’occhio.
“Il vento sta aumentando!” gridò Re Biscottino verso un suo
collega.
“Lo vedo! Così come vedo che sarà fatta vendetta per tutta la
Sardegna!” replicò Sa Filonzana.
Un’altra porta che, sicuramente a causa del grande riscontro
ventoso, sbatte. La tensione del momento fa partire un altro colpo al
cecchino.
“No!” urlò con la mano in avanti Doroteo, mentre teneva ben
saldo il suo fedele scettro fatto con canna da zucchero.
Nemmeno la supervelocità del Soggetto N. 9 servì ad evitare che il
proiettile colpisse Jolanda alla spalla sinistra.
Lu Casaranazzu, ovviamente della città di Casarano, imprecò in
dialetto pugliese.
I due membri della Famiglia Fantelli rimasti in piedi non si
scomposero minimamente. Quella a terra, invece, dopo qualche attimo
di immobilità, iniziò a strisciare verso il camino. Finché non
strappò con la mano della spalla non offesa un pezzo della carne.
“Oddio! Non ditemi che lo fa davvero…” parlò schifato Su
Maimulu.
La donna a terra staccò, con un morso deciso, parte della pelle
ancora attaccata all’osso. Mentre deglutiva, la ferita alla spalla
iniziò miracolosamente a richiudersi.
“C-Cosa?” Wayne rimase esterrefatto da quanto stava osservando.
Il capofamiglia, fino a quel momento rimasto del tutto impassibile,
si prodigò in un incredibile scatto. Sbattendo contro il muro,
premette un mattone che si abbassò. Con un forte clangore metallico,
la parete di una gabbia scese dall’alto a dividere i cannibali
dagli onnivori.
“No!” sbraitò un Toro umanoide che, dopo una potente rincorsa,
tirò una testata contro le sbarre, incurvandole leggermente.
Dall’altra parte, il trio si diede alla fuga.
“Scappiamo! Svelti!” ordinò Asia.
“Dobbiamo inseguirli! Per la Sardegna!” incoraggiò Issohadores,
con il suo classico vestito da antico turco.
“Lasciate fare a me!” sentenziò il velocista, subito partito a
razzo e, grazie alla sua velocità in grado di scomporre le sue
stesse molecole, attraversò le sbarre, rendendosi momentaneamente
intangibile.
Nel frattempo, i tre della Famiglia Fantelli si erano chiusi alle
spalle una porta ben più spessa, di puro acciaio rinforzato. Poi,
per aggiungere ancora più sicurezza, avevano sceso a grandi falcate
una ripida scala in pietra. Fino a giungere in un’ampia sala
sotterranea.
Mentre riprendevano fiato da quella ritirata rocambolesca, la sorella
maggiore Jolanda, la bionda dai vaporosi capelli oltre le spalle, si
avvicinò al seno nudo ma semicoperto dalla camicia della sorella
minore Asia, la mora dai capelli fino alle spalle.
Aprendo la bocca e scostando leggermente la camicia, si mise a
leccarle il capezzolo destro con sensualità, mentre l’altra non
poté che emettere gemiti di piacere.
“Tu non hai qualcosa che ci può essere utile?” domandò
l’inquietante maschera del Maschkar al tizio in rosso e giallo.
“Posso provare con un nucleodistruttore” ipotizzò Alberti.
“Fai un po’ come cazzo ti pare, basta che fai qualcosa” lo
spronò in malo modo Bicciolano, mentre sgranocchiava l’omonimo
biscotto vercellese.
Appena la sua mano destra ebbe ultimata la trasformazione, il
Soggetto N. 4 sparò verso la gabbia.
i tubi in ferro colpiti dal raggio colorato si smaterializzarono
all’istante, come se non fossero mai esistiti.
“Andiamo, mia regina” invitò il Conte Tizzoni.
“Dopo di lei, mio conte” accettò la Regina Papetta.
“Ora smettetela con questo spettacolo disgustoso!” il padre
richiamò infuriato le sue due figlie.
Le lesbiche si staccarono all’istante.
“Piuttosto, preparatevi al rituale!”.
“C-Cosa?” Jolanda aveva il terrore negli occhi.
“Ma proprio adesso, papà?!” Asia protestò vivacemente.
“Zitte e ubbiditemi!”.
Le due giovani donne, rassegnate e con lo sguardo basso, si avviarono
verso due lettighe lì vicino, in puro stile Frankenstein. Nel più
completo mutismo, si spogliarono di tutto quando avevano indosso,
come dei semplici automi. Fatto ciò, si sdraiarono sui ripiani
orizzontali.
“Voilà!
Alla vista un umile veterano del vaudeville, chiamato a fare le veci
sia della vittima che… Vabbe’, il resto non me lo ricordo”.
Il capofamiglia si voltò di scatto verso la direzione da cui
proveniva quella strana litania.
Davanti ai suoi occhi vide una vera e propria marionetta prendere
vita. La sua immagine richiama immediatamente alla mente la pizza e
il mandolino. Oltre alla splendida e contraddittoria città di
Napoli.
“Cos’è? Uno scherzo?” ridacchiò il barbuto.
“Gli scherzi belli durano poco. Non te l’hanno mai detto i tuoi
colleghi?” osservò Pulcinella.
“Fermo!” il Soggetto N. 9 era finalmente arrivato a destinazione
“Voi siete più pazzi della famiglia Manson!”.
Precedentemente, aveva perso tempo a trovare il giusto mattone da
premere, così da togliere la sicura alla porta blindata e, di
conseguenza, far entrare tutte le altre maschere.
Il cannibale, vistosi perso, tentò una nuova fuga da un’apertura
alle sue spalle. Le sue due figlie, o presunte tali, rimasero
sdraiate, nude e con gli occhi chiusi.
“Voi Humana pensate al vecchio, noi Maschere ci occupiamo delle due
donne!” comandò la Cagnèra di Pesaro, dal volto totalmente
coperto.
Altre scale in pietra da percorrere alla disperata.
La mano destra dell’italiano aveva preso la forma di un cannone.
“Fermo, Andrea. Non fare fuoco qui dentro” lo avvertì
l’americano.
“Niente fuoco. Questo è un cannone ad acqua!”.
Il potente spruzzo che ne derivò colpì al centro della schiena il
suo obiettivo, che caracollò in avanti.
Come se niente fosse, l’uomo si rialzò, appoggiandosi al muro, da
cui afferrò un bastone.
Il bastone si rivelò subito un fucile a doppia canna. Come notò ad
alta voce anche Coviello, un’altra maschera napoletana.
Purtroppo l’uomo con il fucile si dimenticò della velocità
sovrumana di Johnny. Quest’ultimo, di fatti, riuscì in un batter
d’occhio a disarmarlo e immobilizzarlo.
“Sei… troppo… lento” gli sussurrò all’orecchio.
Al piano di sopra, Asia era riuscita incredibilmente a fuggire.
“Ahò! Richiappate quella scostumata!” fu il colorito rimproverò,
con tipico accento romano, di un uomo vestito con: panciotto
allacciato nella parte laterale, sciarpa usata come cintura,
fazzoletto al collo, pantaloni stretti al ginocchio e berretto in
testa. Meo Patacca.
La donna riuscì ad arrivare fino ai due mutanti. Finché Alberti non
riuscì a bloccarla con il suo corpo.
“Giovane! Non ne approfittare però…” lo richiamò il Dr.
Balanzone, con cadenza emiliana “Mica gli devi fare un’autopsia”.
La più giovane delle Fantelli, nonostante le sue nudità esposte,
continuò a dimenarsi per liberarsi dalla stretta del connazionale.
Vedendo che tutto ciò risultava inutile, si decise a mordere il suo
avversario sulla spalla destra.
“Ahi! Fermati, puttana!” si alterò il mutaforma.
“Lasciami, brutto figlio di puttana! Ma non capite? La nostra è
una malattia! Non possiamo agire altrimenti! È nel nostro DNA!”
strillò lei, disperata.
“Ma di che sta parlando?” domandò preoccupato Narcisino, facendo
oscillare i suoi lunghi boccoli biondi.
“Davvero non vi è chiaro?” esclamò sbigottita la donna, con le
lacrime agli occhi “A farci diventare così sono stati gli stessi
che hanno rovinato gli Humana!”.
“Di nuovo lo Spettro Bianco?” sussurrò spiazzato il Soggetto N
4.
Sempre Asia indicò l’uomo dalla la barba canuta “E anche se lui
può non essere il nostro vero padre, è però l’unico che
comprende la nostra maledizione. A differenza di voi Maschere”.
Il capofamiglia si avvicinò ad un’altra parete per premere un
nuovo mattone.
“Che ha fatto?” chiese preoccupato il perugino Bartoccio.
Il vecchio, rimanendo voltato verso il muro in pietra, rispose “Ho
attivato un ordigno esplosivo situato nei dello chalet”.
“C-Cosa?” scattò sbigottito Tarlisu, che dall’aspetto pareva
quasi un giocattolo a molla.
Proseguì lui “Avete appena un minuto per fuggire di qua”.
Nessuno disse più nulla. Prese forma uno scalmanato corteo
variopinto dalle maschere italiane più assurde. La Famiglia
Fantelli, invece, scelse di riunirsi insieme tutti e tre. Per
l’ultima volta.
Lo chalet esplose in un’enorme vampata, illuminando l’oscurità
tipica di quella notte alpina.
Incredibilmente, tutte le persone non cannibali presenti erano sane e
salve all’esterno, con la neve che aveva ripreso a scendere lenta e
pigra dal cielo.
Lo stesso Soggetto N. 9, abituato a corse ben più impegnative, era
comunque con il fiato corto, che gli usciva dalla bocca creando una
simpatica nuvoletta.
“Sapete già che vi incontrerete ancora con noi Maschere” disse
una persona, arrivatogli a fianco.
Il mutante alzò lo sguardo per fissare la maschera più colorata di
tutte: Arlecchino.
Strani cancelli si sono aperti in alcune parti del mondo. Cancelli
che non portano da nessuna parte ma, al contrario, sono un varco per
visitatori provenienti da altri tempi.
La persona che i tre mutanti avevano davanti sembrava uscita da
qualche carnevale dei più assurdi. Ma di maschere, in quel periodo,
ne avevano avute decisamente abbastanza.
L’uomo indossava un’uniforme da simil supereroe quasi totalmente
di colore verde scuro. Il tessuto era poi caratterizzato da un
disegno che, a colpo d’occhio, doveva ricordare le scaglie di
rettili. Sul suo petto allenato campeggiava la scritta nera “T-REX”,
il suo nome da battaglia. Infine, il suo volto era parzialmente
coperto dal cappuccio del lungo mantello, anch’esso verde ma più
chiaro, che aveva legato al collo. Oltre a due particolari
braccialetti, come piccolo vezzo di stile tale cappuccio aveva le
sembianze della bocca spalancata, o per lo meno della parte superiore
di essa, di un dinosauro, nello specifico un Tirannosaurus Rex.
“… Riguardo i dilofosauri poi, a seguito delle recenti scoperte
del dottor Grant, siamo venuti a conoscenza di peculiarità di cui
eravamo totalmente all’oscuro. Ad esempio, un collare di pelle
retrattile e, ben più pericolosa, la capacità di sputare un letale
veleno” concluse il dottor Robert Carter.
“Veleno?” esclamò sorpreso il Soggetto N. 2.
“Questa cosa del collare mi sembra ce l’abbiano anche qualche
lucertola…” aggiunse il Soggetto N. 9.
“Esatto” annuì il tizio in costume “per esattezza il
clamidosauro”.
I quattro ripresero la passeggiata nel paesaggio selvaggio in cui si
trovavano.
“Come vi dicevo prima, questo incredibile esemplare vivente per la
scienza sarebbe decisamente utile per puri scopi di ricerca. Perciò,
vi chiedo ancora una volta di fare tutto il possibile per catturarlo
vivo”.
“Non si preoccupi” lo rassicurò il Soggetto N. 5 “Non faremo
alcun male a qualsiasi forma di vita animale”.
“Vi ringrazio”.
Il quartetto si fermò a qualche metro da un laghetto.
“Di solito, l’ho visto abbeverarsi spesso lì” indicò la mano
guantata di verde.
“Perfetto. Lascia fare a noi, T-Rex, ormai siamo esperti del
mestiere” accompagnò il tutto con il pollice in su Johnny.
L’autoproclamatosi guardiano di quella che, da qualche tempo, era
stata ribattezzata “l’Isola dei Dinosauri”, parve soddisfatto e
si allontanò dal trio.
Questi, una volta da soli, si misero a fissare quella riserva idrica
naturale.
“Non so voi, ma questa faccenda del veleno non è di mio
particolare godimento” la buttò lì Jack, sempre più preoccupato.
“Ormai siamo qui e non possiamo di certo tirarci indietro!”
sentenziò stizzito l’americano.
“Come sta andando, ragazzi?” la voce del Soggetto N. 1 riecheggiò
nelle menti dei tre mutanti.
“Tutto normale, per ora” rispose Wayne “Abbiamo avuto modo
anche di conoscere Robert Carter”.
Intervenne Sara, sempre telepaticamente “Fidatevi, è un contatto
affidabile. Anche lui è da anni che collabora con noi per
contrastare lo Spettro Bianco. Da poco tempo si è trasferito su
quell’isola per studiare più approfonditamente gli strani fenomeni
che vi stanno avvenendo”.
“Strani è dir poco…” commentò il velocista.
“Infatti” riprese la bionda “pare ancora incredibile, ma gli
avvistamenti, su quel territorio, di esemplari di dinosauri viventi
sono sempre più numerose e documentate. Purtroppo, il solo T-Rex non
può affrontare tutta questa situazione da solo. Per questo, ha
deciso di contattare noi Humana per dargli un aiuto”.
“Ed è per questo che ho convocato qui con me tutti i membri
reperibili del nostro gruppo!” esclamò fiero Johnny.
“Perfetto. Fatemi sapere se ci sono novità” terminò la
comunicazione Silvestri.
O meglio, la comunicazione telepatica terminò per dare nuovamente
spazio a quella vocale, più canonica.
“Dovevo rendermi irreperibile anch’io, come hanno fatto quegli
altri” riprese il britannico.
“Gli altri non sono irreperibili, Jack, è solo che sono impegnati
con faccende meno complicate della nostra: Andrea dà una mano con la
fabbrica di famiglia, Bernardo si è associato con una piccola
federazione di lucha libre, Juna ha ripreso la sua battaglia contro i
bracconieri in Africa, Chang porta avanti il suo ristorante a Pechino
e Frédérique ha le prove per un nuovo balletto che debutterà a
breve”.
“E io potevo darmi malato” sbadigliò il dandy.
“Eccolo!” avvertì gli altri l’indiano d’America.
L’esemplare, che in quel momento stava con la parte terminale del
muso sommersa nell’acqua, aveva un’altezza di circa un metro e
mezzo. Una volta ripresa la posizione eretta, il sole illuminò le
sue caratteristiche doppie creste craniche. I suoi occhi tagliati da
rettile notarono gli umani in rosso e giallo. All’istante, i
muscoli delle sue zampe inferiori scattarono.
“Sta scappando!” urlò Geran.
“Sei pronto alla gara, Jack?” il velocista non attese nemmeno la
risposta che già era sparito.
“Ma piantala! Tu e le tue gare!” lo canzonò l’altro, mentre si
librava in volo.
Come da previsione, la via terrestre era decisamente più rapida se
praticata da Johnny Wayne. In aria, invece, il Soggetto N. 2 si trovò
di fronte una nuova minaccia: uno pteranodonte dalla squamosa pelle
marrone.
Quest’ultimo, con la sua enorme apertura alare, costrinse l’inglese
ad una repentina virata fino a precipitare al suolo.
Toccata appena terra, si attivò una diabolica trappola. Attorno al
mutante spuntò un rettangolo formato da sbarre d’acciaio e, a
concludere quella rapida procedura, altrettante sbarre andarono a
chiedere l’apertura superiore della struttura.
Accortosi appena di quanto accaduto al compagno, Giunan si trovò in
un attimo nella sua stessa situazione. Un’altra gabbia tutta
attorno al colosso.
Il pellerossa non si perse d’animo e, conscio dei suoi superpoteri,
afferrò due sbarre con l’intento di piegarle come fossero carta.
Di colpo, una forte scarica elettrica attraversò il suo corpo
muscoloso. Grazie alla sua resistenza sovrumana, resistette per
qualche minuto. Finché il Soggetto N. 5 non cadde al suolo esanime.
Nel mentre, la caccia del Soggetto N. 9 stava per avere la sua rapida
conclusione, quando egli si accorse della mancanza del suo collega
volante.
“Dov’è, Jack?” arrestando la sua corsa.
Nello stesso momento, il dilofosauro si voltò minaccioso verso di
lui. Accompagnato da un rumore simile al serpente a sonagli, il collo
del dinosauro si espanse, creandogli una parabola tutta attorno al
suo muso con le fauci spalancate.
“Cazzo!”.
L’americano fece appena in tempo a scansarsi ed evitare così il
viscido sputo velenoso che gli era stato appena lanciato contro.
“Ricordati del suo attacco velenoso!” gli urlò alle spalle
T-Rex.
L’uomo in verde stava cercando, accovacciato vicino alla gabbia del
Soggetto N. 2, di sbloccare quelle trappole elettriche di cui, a
quanto pare, era perfettamente a conoscenza.
“Non dovevano funzionare! Erano state disattivate!” si malediceva
in prima persona mentalmente “Qualcosa è andata storto!”.
Intanto, per Johnny il pericolo ora arrivava anche dall’alto.
Infatti, lo stesso pteranodonte di prima ora scendeva giù in
picchiata verso il mutante.
Grazie alla sua supervelocità, il biondo si rotolò a terra,
evitando l’attacco e, inoltre, anche una nuova gabbia attivata,
riuscendo ad attraversare le sbarre grazie al suo corpo resosi
intangibile.
Appena rimessosi in piedi, un boato fece tremare tutta la zona
circostante. Questa volta il dinosauro era decisamente enorme e,
ancora peggio, carnivoro.
Non era il corrispettivo animale di Robert Carter, ma comunque
alquanto pericoloso: un allosauro.
Le sue squame bluastre sembravano riflettere l’azzurro del cielo in
cui si stagliava vedendolo dal basso.
Rimasto anche lui spiazzato per qualche minuto, T-Rex era riuscito a
disattivare la gabbia con dentro il mutante britannico ed ora stava
armeggiando con i suoi particolari braccialetti. Anch’essi erano
verdi e presentavano una forma che richiamava le dita dei rettili
preistorici, con relative unghie nere e appuntite.
Dopo aver emesso un nuovo ruggito primordiale, l’allosauro voltò
la sua enorme testa. Con una rapidità impensabile vista la sua
enorme mole, azzannò al volo il dinosauro volante e, stringendolo
fra i suoi denti aguzzi in una morsa letale, non ebbe alcuna pietà
di esso.
Robert Carter aveva smesso di digitare sul suo bracciale destro ed
ora pareva prendere la mira verso il lucertolone, utilizzando tale
oggetto come fosse un’arma da fuoco. Quello che difficilmente si
riuscì a vedere fu una delle unghie scure del bracciale che partì,
più silenzioso di qualsiasi proiettile, e si andò a conficcare sul
largo collo dell’animale.
Per i primi minuti non parve succedere alcunché. Poi le palpebre
dell’allosauro iniziarono a sbattere ad un ritmo sempre più lento.
La carcassa dello pteranodonte gli scivolò giù dalle fauci, andando
ad impolverarsi con l’impatto sul terreno. L’antico predatore
barcollò, come fosse un gigante ubriaco, fino a crollare
rovinosamente al suolo. Il sedativo aveva funzionato alla perfezione.
Riuscito a rimanere miracolosamente in piedi dall’impatto, il
Soggetto N. 9 notò il dilofosauro che, silenziosamente, tentava una
ritirata strategica.
“Bel tentativo…” gli concesse il velocista, prima di partire in
un lampo.
Con un semplice pugno, dato ad una velocità elevata ma pur sempre
controllata, la bestia fu messa KO.
Infine, i due mutanti liberi avevano raggiunto T-Rex che, nel
frattempo, stava finendo di sbloccare l’ultima gabbia. Al suo
interno, l’indiano si era ridestato dallo shock elettrico.
“Allora com’è possibile che queste trappole si siano attivate?”
insistette lo statunitense.
“Non so. Anche perché sono solo dei prototipi quindi tuttora da
testare seriamente” replicò il connazionale, mentre la cella
scompariva sottoterra.
L’energumeno appena liberato parlò “Io un’idea ce l’avrei…”.
“Ipotizzo sia quella che abbiamo tutti... lo Spettro Bianco”
confermò l’inglese.
“Non sarebbe la prima volta che utilizzano delle strane creature
per i loro scopi, o peggio ancora contro di noi. Mi chiedo solo
quanto in là si spingerà quel bastardo di Mohammed Al-Shirida per i
suoi piano contro il mondo. Visto che nemmeno il riposo eterno dei
dinosauri è garantito da quel figlio di puttana!”.
Dopo
aver affermato ciò, Johnny Wayne fissò cupo il mare calmo della
Costa Rica.
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Capitolo 15 *** Almattki Ass ***
CAPITOLO 15
“Almattki Ass”
Un ragazzo, dai corti capelli scuri pettinati all’insù, con
indosso un’uniforme totalmente bianca, tranne che per la bandiera
italiana stampata in pieno petto. L’indumento, come lo stesso
giovane, si presentavano ridotti davvero male.
un bagliore accecante lo illuminò di botto.
Vicino a lui, una ragazza dai vaporosi capelli castani e col medesimo
vestiario, se non fosse per la bandiera islandese al posto del
tricolore e un corto mantello bianco legato alle spalle.
Quest’ultima, nell’enfasi dell’azione, stava recitando a
memoria dei versi scritti dal poeta islandese Jonas Hallgrimsson.
“Non so quanto potrò resistere” urlò lei con estrema fatica,
mentre si schermava il viso con la mano.
Riuscendo a malapena a muoversi, lui iniziò a parlare, pur non
muovendo la bocca “Hero Girl, mi senti?”.
“Ci sono, Hero Boy” una voce femminile rispose nella sua testa.
“Io e Miss Hero siamo allo stremo. C’è bisogno dei Global
Defenders”.
“Intendi la formazione originale?” domandò la bionda, con i suoi
occhi castani spalancati.
“No, tutti quanti!”.
La persona all’altro capo della comunicazione, anche lei con la
stessa divisa degli altri due ma con la bandiera stelle e strisce sul
seno, rimase paralizzata.
D’improvviso, si udì una voce profonda.
“Almattki Ass vi aiuterà”.
Autodromo
La monoposto di Formula 1 sfrecciava a gran velocità sul tracciato.
Sugli spalti, tra il pubblico, vi erano tre personaggi piuttosto
caratteristici.
“Però il telepate è il N. 1, giusto?” domandò telepaticamente
la Donna del Domani, una supereroina che, per un breve periodo, fu
anche membro della JLA.
“Basta che non lasciamo alcuna traccia di noi” affermò Black
Wing, un agente segreto curiosamente vestito tutto di nero.
“Io so solo che, a quest’ora, dovevo essere con la mia classe a
Siviglia!” protestò agitato il professor Archimede Formigoni.
Sull’asfalto rovente, lo pneumatico della vettura in testa sguazzò
sopra un liquido rossastro, proveniente direttamente dalla Twilight
Zone. Il nome in codice è Blob.
Nonostante questo breve ostacolo, il bolide sbandò appena, ma riuscì
comunque a tagliare il traguardo per prima.
Come secondo classificato, vi era un uomo che guidava talmente
spericolato da sembrare non temere la morte. Di fatti, il suo nome da
battaglia era Immortal Man.
A sventolare la tipica bandiera a scacchi vi era Commander Steel, un
agente canadese della Polizia Internazionale.
Una volta ferma la monoposto arrivata per prima, là dove tutti
immaginavo un sorridente Johnny Wayne, vi era invece un altrettanto
sorridente Jack Lincon. Ad aiutare il britannico a tirarsi su vi era
Diego Marano, un giovane calciatore del Napoli.
Appena in piedi, il mutante fu subito preso in spalla per i
festeggiamenti. Mentre sollevava una pesante coppa, fabbricata per
l’occasione, dietro di lui Johnny Dresden suonava un brano
accompagnandosi con la sua chitarra.
Tornato con i piedi per terra, una voce amica lo chiamò.
“Però, non te la cavi male…” si congratulò Andrea Alberti.
“Complimenti anche da Clifford Franklin!” gli diede una pacca
sulla spalla il giocatore amatoriale di football americano.
I due Humana scelsero di ignorarlo.
“Ti ringrazio, Andrea. Almeno Johnny la smetterà di chiedere
sempre di fare a gara”.
Intanto, la macchina veniva riportata nei box. Nel suo abitacolo ora
sedeva un gatto nero dal nome Daru.
“Piuttosto” riprendeva il discorso l’inglese “non ti sembra
che ci sai qualcosa di strano? Tipo una poltiglia scarlatta sulla
pista? Te ne sai nulla?”.
“A questa domanda, se permette signore, possiamo rispondere noi”
disse l’eroe brasiliano Raio Negro, mentre offriva una bottiglietta
d’acqua al dandy.
“E tu chi sei?” domandò subito allarmato il Soggetto N. 4.
Una figura eterea, vestita elegantemente in nero, comparve come dal
nulla “il mio nome è Leinhart, sono un mezzo vampiro. Insieme al
mio collega facciamo parte del più grande gruppo di eroi mai
esistito: i Global Defenders”.
Quartier generale degli Humana
Nell’elegante giardino, ben curato e tutto attorno alla villa, vi
era un lungo tavolo dove poter organizzare pranzi e cene all’aperto
e svariate sedie. Su una di esse, era seduto un uomo di mezza età
che, con fare un po’ traballante, sorseggiava fiero una lattina di
birra. Una volta terminata una lunga sorsata, terminò il tutto con
un sonoro rutto.
“Johnny, puoi scendere, per favore?”
All’interno dell’edificio, l’americano, sentendosi chiamare e
riconoscendo un tono leggermente allarmato della voce di Sara, scattò
a supervelocità dal piano superiore a quello inferiore.
Incredibilmente, una donna riuscì a seguirlo con gran facilità. Il
suo nome era Jenny Everywhere.
Giunto al piano di sotto, trovò l’italiana scortata da due figure.
Il primo aveva un uniforme molto simile a quella vista proprio da
Wayne indosso ad Elefante, durante la sua avventura messinese. Solo
che questo aveva il profilo di un picchio bianco su sfondo nero.
Il secondo era invece un volto abbastanza noto. Si trattava infatti
di Tryggvi Helgason, campione di Glima, la lotta tradizionale
islandese.
“A quanto pare, abbiamo visite”.
“Tranquilli” intervenne Igor Wansa, parlando normalmente “sono
brava gente che si fa chiamare Global Defenders”.
Accanto al russo vi era un uomo che sfoderò subito un tesserino ben
riconoscibile.
“State calmi, signori. Sono un agente FBI. Il mio nome è William
Graham”.
Improvvisamente, il grande televisore in sala si accese facendo
sobbalzare altre due persone lì vicino. Uno era Fat Fury, un uomo
estremamente grasso vestito da impiegato ma dagli cinredibili poteri,
l’altro era niente meno che Ercole Brandoletti, il portiere di
riserva della Juventus.
“Che succede?” domandò la kendoka sudcoreana Yoo Chae-Yi al
Soggetto N. 9, puntandolo con il suo shinai.
È una comunicazione la informò sbrigativo lui.
Nell’enorme display comparvero inquadrati i volti degli altri due
mutanti collocati all’autodromo più una terza persona. Ella era
Keito Aoyama, un-ex attrice bambina giapponese.
“Johnny” avviò la comunicazione l’italiano “vado subito al
sodo: bisogna andare con loro e radunare il resto degli Humana”.
Teatro
Frédérique Arone, vestita con un candido tutù, si librò
elegantemente in volo, esibendosi in un perfetto arabesque.
Ad accompagnarla in questa sua esibizione, fra le altre componenti
del balletto, vi era anche una nipponica di nome Kurumi Morino.
Tra il pubblico, seduto comodamente in platea, Johnny Wayne
applaudiva entusiasta l’amica. Ai suoi fianchi, altri due membri
dei Global Defenders: il capitano interstellare Joshua Rigg e
l’eroina vestita da coccinella Ladybug.
Terminato lo spettacolo, la francese si fiondò negli spogliatoi,
rispondendo a malapena ai complimenti del calciatore italiano
Pialtonelli.
Dopo una rapida doccia e un cambio di vestiti, uscì dagli spogliatoi
per raggiungere il suo amico.
Appena notatolo, lo salutò con la mano “Johnny, eccomi!”.
Accanto a lui, l’imbranato campione di golf Harvey Miller jr, suo
connazionale.
Spiegata velocemente la situazione alla donna, la coppia stava ora
già sfrecciando nella notte sulla Mustang del pilota di Formula 1.
A seguirli dall’alto, vi era un robottone italiano che di sicuro
Andrea Alberti conosceva: Bolzanius.
Ristorante cinese
Parcheggiata in maniera sportiva la fuoriserie, il duo si apprestò
ad entrare nel locale.
Nel marciapiede lì vicino, il campione di football americano Joe
Pendleton si stava allenando effettuando una classica corsa notturna.
“Benvenuti!” Nikki Peng accolse con anche eccessivo entusiasmo i
nuovi arrivati.
“Ciao, Nikki. C’è per caso Chang?” le domandò il biondo.
“Sì, certo!” rispose sorridente la cameriera, indicandoglielo “è
lì insieme a due persone che non ho mai visto prima”.
Difatti, il proprietario era seduto ad un tavolo rotondo con altri
due membri dei Global Defenders.
Uno era quasi del tutto invisibile e, vista anche la sua professione,
si faceva chiamare Voice the Invisible Detective.
L’altro, invece, era Marcus Daly, un pianista inglese,
specializzato nel jazz, che già ne aveva viste molte.
“Immagino tu sappia già tutto…” lo scrutò il velocista.
“Piuttosto” intervenne il Soggetto N. 3 “Sai per caso dove
possiamo trovare Berny?”.
“Che io sappia, è tornato in Messico ed ha allestito un piccolo
ring per la lucha libre aperto a tutti” rispose cordialmente il
Soggetto N. 6.
Messico
Come preannunciato dal cinese, Bernardo Borghi si trovava su un
piccolo ring improvvisato, pronto ad affrontare un curioso
avversario.
Una piccola bombetta in testa, logori guantoni
da pugile, pantaloni troppo larghi e due scarpe estremamente lunghe
ai piedi. Dei capelli ricci e neri e, sul viso, dei piccoli baffi
neri esclusivamente sotto il naso.
Il mutaforma decise di dare il cambio al suo
compagno di tag team. Conosciuto direttamente nella Twilight
Zone, fece il suo goffo ingresso Frankenstein
Boy.
Riuscito miracolosamente a passare con il testone fra due corde,
quando ormai era quasi del tutto sul ring, inciampò con il piede
rimasto impigliato e volò subito al tappeto.
Nel mentre, anche l’avversario aveva seguito l’esempio del
mutante e a dargli il cambio vi era un buffo
ometto, anche lui con baffi neri ma decisamente più estesi del
precedente, così come le folte sopracciglia, occhiali e un sigaro
tra i denti. Quest’ultimo, con una parlantina rapidissima, schernì
il mostro a terra.
Fra il pubblico, un tavolo da tre era
particolarmente euforico per l’assurdo match a cui stavano
assistendo.
Un rancher di nome Vern Haskell, L'Illusionista
di un supergruppo degli anni ’40, i Freedom Legionaires, e un
cantante blues vestito tutto in nero conosciuto come Elwood Blues.
Poco più in là, ad un altro tavolo ancora,
erano seduti i Soggetti N. 2 e 4.
Canada
Geran Giunan, com’era suo solito, stava seduto in meditazione
davanti ad un falò. Accanto all’energumeno, seduto anche lui al
suolo, c’era il secondo uomo a portare il manto di Nite Owl, ormai
arresosi al mutismo dell’indiano.
A rompere quel prolungato silenzio ci pensò invece un supereroe di
prima generazione, visto che suo figlio ne aveva raccolto l’eredità
e le facoltà sovrumane. Il suo nome era Pantagruel e il suo potere,
come si può intuire, consiste nell’essere in grado di aumentare a
suo piacimento le dimensioni del proprio corpo.
“Ehi, gigante! I tuoi amici ti voglio parlare” urlò mentre
teneva in mano un cellulare.
Congo
Stessa identica scena si stava ripetendo in terra africana. Questa
volta però, a porgere il cellulare era Sir Trunk, un tizio in
armatura medievale con, come effige sullo scudo, un ariete, mentre a
riceverlo c’era Juna.
“C’è una chiamata per te, Soggetto N. 8”.
Accanto allo zairese, intento fino ad allora ad ammirare la savana
dal loro misero accampamento, vi era la splendida cantante
afroamericana Rachel Marron.
Nella fitta giungla poco più avanti, un portale temporale portò nel
presente, esattamente dal 2079, l’ex-agente CIA Marion Snow.
Islanda
L’aereo spaziale, pilotato pilota e avventuriero Tracy Dixon, stava
discendo sulle piste d’atterraggio ghiacciate.
Ad accoglierli, in mezzo ad una terribile bufera, trovarono
l’astronauta Mark Watney, che gli spiegò sommariamente l’attuale
situazione atmosferica.
“Che freddo, gente!” si lamentò subito il Soggetto N. 7.
“Almeno Igor e Sara sono rimasti al calduccio” puntualizzò il
Soggetto N. 3.
Come loro guida per quella spedizione proibitiva era stato designato
era il giornalista Ruggero Manni, abituato in fredde mattine come
quella.
“Qui intorno è tutto bianco” osservò il Soggetto N. 6.
“Ma siamo certi che questa sia la direzione idonea?” domandò il
Soggetto N. 2.
il Soggetto N. 4 diede un’occhiata alla mappa che gli era stata
affidata “Se questa mappa è corretta, dovremo quasi esserci”.
Molto dei Global Defenders lì seguivano nel percorso.
Jack Carter, sceriffo della città utopica di Eureka, si affiancò al
Soggetto N. 5. Finché quest’ultimo non si bloccò di colpo,
fissando dritto davanti a sé.
Uno yeti, delle proporzioni molti simili al pellerossa, li stava
osservando avanzare. Dopo qualche secondo d’immobilità, gli indicò
la direzione da seguire.
“Peccato!” imprecò l’italiano “Pensavo fosse lui il nostro
nemico”.
“A quanto mi è stato rivelato” esclamò l’americano “colui
che dobbiamo affrontare e qualcuno di decisamente più potente”.
“Confermo!” intervenne Doppel, indicando l’uomo delle nevi “Lui
fa parte del Monster Commando, mentre io della Squadra MON”
indicando ora il messicano “Io sono una mutaforma proprio come
lui!”.
“Scusate, colleghi” fermò tale sproloquio la francese “ma pare
anche a voi che la temperatura si sia decisamente alzata?”.
Al suo fianco c’era la variopinta Girl One, proveniente dalla
particolare città di Neopolis, con cui si era intrattenuta a
chiacchierare fino ad allora.
“Non solo, si è alzata anche una fitta nebbia!” contemplò Ayase
Kishimoto, conosciuta ai più come FES, la vocalist dei Phantasm.
La nebbia stava avvolgendo Andrea e l’umano tramutatosi in orso
Ursa Major “Possibile che seriamente dobbiamo affrontare un dio…”
“Fermi!” urlò Johnny.
Yellow Iris, modella dall’aspetto felino, lo seguì alla lettera.
“C’è qualcosa di magico in questa atmosfera…” sospirò lo
scrittore Gil Pender, avvezzo a questo argomento.
“Magia o no, chiunque sia avrà a che fare con il mi inceneritore”
sentenziò il Soggetto N. 4, mentre la sua mano destra mutava forma.
“Ti seguo a ruota!” lo assecondò Space Knight, mentre la sua
armatura di metallo liquido creava cannoni al plasma sugli avambracci
e pistole laser sulle spalle.
“Si sta avvicinando qualcuno!” urlò spaventata il Soggetto N. 3,
mentre stava utilizzando la sua vista notturna, con accanto il
tennista Tom.
Dalla nebbia opprimente si vide comparire una figura femminile.
“Se questa nebbia non fosse così fitta, potrei provare a spazzarla
via” ipotizzò l’androide Red Tornado.
La donna misteriosa crollò a terra, facendo sobbalzare il
carabiniere Glauco Sperandio.
“Sacro Buddha!” esclamò il Soggetto N. 6.
“Che sia uno spirito?” si chiese la francese.
“Deve essere caduta!” controbatté l’americano.
“Fate attenzione!” li avvertì Yattodetaman.
Un capannello di persone si raccolse attorno alla donna.
“Riesci a sentirmi?” la osservava Johhny.
“Ti ricordi come ti chiami?” azzardò Frédérique.
“E magari di dove sei…” ironizzò Hong Kong Phooey.
Una moretta con la coda di cavallo e un’armatura rossa si fece
largo tra la folla.
“Ma quella è Miss Hero!” urlò sorpresa Rietta.
“La conosci? Sai di dov’è?” le chiese l’italiano.
“Anch’io la conosco” intervenne Veenyle “viene spesso nella
discoteca dove faccio la DJ. Dovrebbe stare in un paese qui vicino”.
“Allora dovrò portarcela all’istante!” il velocista l’aveva
già presa in braccio.
Mike Lowry, detective della narcotici di Miami, si scostò per
lasciare spazio al mutante.
“Aspetta, Johnny!” lo richiamò all’ordine la ballerina “Con
questa nebbia, che sono certa sia tutto meno che naturale, non saprai
di certo orientarti!”.
“Forse io vado più veloce di te” lo sfidò White Panther.
Wayne lo ignorò. Si avvicinò al Soggetto N. 5 e gli porse la
ragazza islandese.
“La lascio a te, Geran”.
Robottino, tentando di dargli una mano, si ritrovò con i piedi della
donna sulla sua testa tonda.
“C’è qualcos’altro!” gridò impaurita Arone.
Talmente impaurita da far girare di scatto le due Sareth, donne
provenienti dalla preistoria.
Tra i banchi di nebbia scura, si accesero due sfere di luce.
“Che siano i fari di un auto?” ipotizzò Borghi.
“A me sembrano più occhi…” scrutava l’orizzonte Alberti,
sempre con la mano armata.
“Magari è un UFO!” saltellò eccitata Uranus.
Ad azzeccarci fu il mutaforma. Quei bagliori si rivelarono essere gli
occhi di un animale. Un famelico lupo nero, grande quanto un toro. Le
fauci enormi spalancate che grondavano bava.
Una dozzina di eroi si scagliarono all’attacco del nemico.
Il poliziotto John Kimble sparò con la sua pistola d’ordinanza. Lo
stesso fece il sergente Bill King. Il marine Zack Mayo preferì il
fucile. Così come il soldato Ralf Jones. La brasiliana Fire lanciò
le sue fiamme verdi. Sceso in picchiata con il suo aereo, il tenente
Henry Purcell lasciò partire una gragnola di colpi. Mui Aiba sparerà
con la sua Arthur un raggio magico. Stessa modalità d’attacco fu
usata dalla canadese Nelvana. Il ninja Fujimaru gli scagliò contro
una raffica di vento fortissimo. Mega Bat di Hero City gli tirò
contro un boomerang a forma di pipistrello. Angel Hawk dell’Amalgam
fece roteare la sua mazza chiodata, per poi rilasciarla contro
l’obiettivo. Infine, la mutante Hope Summers utilizzò vari poteri
mutanti, grazie alla sua capacità di mimesi.
Per tutta risposta, il lupo scomparve come se non fosse mai esistito.
Tutti i presenti rimasero sbalorditi. La quarta Tigre Bianca aiutò
il Soggetto N. 6 a rialzarsi dal suolo.
“State tutti bene?” domandò in giro il Soggetto N. 8.
“Forse era da quel lupo che scappava Miss Hero…” ipotizzò il
Soggetto N. 9
“E noi allora cosa cazzo ci facciamo ancora qui?!” sbottò il
Soggetto N. 7.
La mummia rivissuta Tutenstein li guardava divertita.
Un sinistro gracchiare s’iniziò a udire dall’alto. Grazie al suo
meccanismo di movimento tridimensionale, Eren Jaeger si avvicinò di
più al cielo, mentre in basso Zombie Boy osservava tutto con la sua
espressione impassibile.
“Che roba è?” chiese il messicano.
“Sono corvi” gli rispose la francese, con accanto il verde Uomo
Libellula.
Il tennista nipponico Eiichiro Maruo provò a colpirli tirandogli
contro una palla, mentre il cane Spot gli abbaiava contro.
“Incredibile!” annunciò lo street dancer Eddie “La nebbia se
ne sta andando!”.
In effetti, il banco nebbioso si stava via via diradando.
“Quello cos’è?” indicò Johnny davanti a loro.
“Ignorante!” intervenne Jack “È Yggdrasill, l’albero del
mondo”.
Con la nebbia ormai del tutto scomparsa, un gigantesco albero dalla
corteccia scura si stagliava di fronte al gruppo di eroi.
“È davvero enorme!” esclamò Johnny Dynamic, dalla testa
altrettanto enorme.
“Guardate!” l’esploratore spaziale Reef Ryan indirizzò il dito
verso il basso “quello laggiù è una villaggio! Magari è proprio
quello di Miss Hero!”.
Fu così che il supergruppo s’incamminò o volò verso la pianura,
con Aisha che li allietava con la sua voce celestiale.
A valle, seduto all’ombra di un albero ben più piccolo rispetto al
precedente, vi era un anziano bardo. Con movimenti lenti,
strimpellava un antico liuto. Il detective James Carter osservava
tali movimenti totalmente rapito.
Tra le fronde della pianta, si nascondeva un ragazzino dagli
spiazzanti capelli verdi, posizionato la sopra come fosse una
vedetta. Appena lo vide, il Gorilla Lilla balzò in aria, si aggrappò
ad un ramo e lo spaventò.
Il fanciullo scivolò giù dalla corteccia dell’albero,
terrorizzato ancora di più dal curioso aspetto di Nobby
l’oritteropo.
“Stanno arrivando! Stanno arrivando!” strillava come un invasato,
mentre il coetaneo Johnny Dash lo teneva sotto tiro con la sua
fionda.
Di tutt’altro genere fu la reazione del vecchio, che aspettava i
visitatori nella più totale calma.
Mentre proseguiva nel suonare il suo strumento musicale, tre eroi gli
si pararono davanti: la dea in terra Urd, 13 del Face Team e il
membro del Japanise Force Kamikaze.
L’unica cosa che, giusto per qualche secondo, parve incuriosire il
musico fu la figura argentea di Silver Surfer sulla sua tavola da
surf volante.
Quando però riprese a suonare, Ryunosuke Fujinami sbotto “Ma
questo vecchio è impazzito?!”.
“Calmati ragazzina!” la richiamò all’ordine l’uomo
conosciuto soltanto come XIII.
“Perdonala, signore” Si scusò il Soggetto N. 3.
“Puoi dirci che posto è questo?” chiese il militare russo Wolf.
“Voi… chi siete?” replicò con un’altra domanda
l’interpellato.
“Che non lo sapevi?” si animò il Soggetto N. 7 “È arrivato il
circo in città!”.
Il doppiatore giapponese Yuki Hasumi non riuscì a trattenere le
risate. Così come il Soggetto N. 2.
“Non faccia caso a questo rincoglionito…” lo richiamò
all’ordine il Soggetto N. 9.
“Piuttosto” prese la parola l’avvocato Vincenzo La Guardia
Gambini “Sa per caso se c’è un posto in cui possiamo alloggiare,
gentilmente?”.
“Benvenuti” fu l’unica cosa che il villico seppe dire.
“Sarà davvero complicato” sentenziò la gemella Jennifer Eagle.
“S-Se v-volete…” fece nuovamente capolino il bambino con i
capelli verdi “Vi posso portare al palazzo. Li sicuramente ci sarà
posto per tutti voi”.
“Perfetto! Facci strada, ragazzo” lo invitò l’americano.
Nel mentre, il giovane attaccante italiano Francesco Siano gli mostrò
il pollice in su.
“Di qua” gli indicò il ragazzino.
Il guerriero egiziano Mathayus scrutò verso tale direzione.
Mentre il resto del supergruppo si avviava, Max Minsky, un giovane
appassionato di basket, proseguiva nel fissare il bardo.
Il primo a raggiungere finalmente il villaggio, tramite un fiume che
scorreva nelle sue vicinanze, fu Red Torpedo e il suo sottomarino. La
seconda, invece, fu la prosperosa archeologa Lara Croft, intenta già
ad analizzare lo stile di quel posto.
“Ma qui non c’è anima viva!” esordì Bernardo.
“In effetti” concordò la maestra di arti marziali cinese Shu
Lien.
“Senti ragazzino” Johnny richiamò l’attenzione dell’indigeno
“conosci questa donna?” indicandogli Miss Hero, ancora adagiata
fra le possenti braccia di Geran.
“No”.
“Come no?! Ma allora non sei di queste parti?” si alterò Andrea.
Horny Steven eseguì un possente facepalm.
Il velocista cercò di mantenere la calma “Ma almeno avete un
medico in questo villaggio?”.
“Medico?”.
“E io che mi lamento dell’idiozia dei miei compagni di squadra…”
pensò fra sé e sé Lola Bunny.
“Insomma…” ritentò il biondo “qualcuno che utilizza
medicine”.
“Ah, certo!” esultò il bambino “Seguitemi!”.
Intanto, la surfista Lena appoggiò la sua tavola vicino ad una serie
di damigiane.
“Ma possiamo fidarci di questa gente?” chiese sottovoce Li Shan
In.
“Non chiederlo a me” replicò l’arciere Yota Mikami.
“Eccoci al Palazzo Reale!” indicò con entusiasmo il ragazzino.
Davanti a loro comparve una costruzione maestosa. La struttura
ricordava decisamente un castello medievale, con tre possenti
torrioni a svettare da dietro l’alta cinta muraria.
“Si trova lì dentro il medico?” domandò Captain Paragon.
“Intanto entrate qua dentro. Del medico ce ne occuperemo più
tardi” si fece serio l’infante.
Ad entrare dentro il palazzo ci pensò il Soggetto N. 9, accompagnato
dalla telepate Nanase Hida e la giocatrice di softball Hikaru
Yoshimoto.
“Benvenuti!” gli si fece incontro un uomo basso, grassottello e
stempiato “Il mio nome è Kiko”.
“Senta, abbiamo bisogno di un medico per una nostra compagna”
andò dritto al sodo il mutante.
“Non preoccupatevi. Di lei ce ne occuperemo noi, anche se non mi
pare di queste parti”.
Disse quest’ultime parole mentre la osservava essere poggiata su
una sedia dal Soggetto N. 5 e dal mago taoista Jeon Woo-Chi.
“Piuttosto” riprese il discorso l’ospite “com’è che un
gruppo così variopinto si trova in un villaggio sperduto nel nulla
come questo?”.
“Secondo te? Siamo in vacanza premio!” lo sfotté il Soggetto N.
7.
Gunstar Green scoppiò a ridere. Al contrario, Kilo rimase
completamente impassibile.
Il messicano smise presto di ghignare “Comunque… ci hanno detto
che, in questa zona, si nasconde qualcosa di davvero spaventoso…”.
Intanto, il tedesco Klaus Wessel faceva roteare il suo frisbee in
aria.
“Se intende quell’albero gigantesco” affermò Kilo, indicandolo
attraverso una finestra da cui era ben visibile “Esso è
Yggdrasill. È sacro. A nessuno è permesso avvicinarglisi”
Il Soggetto N. 2 si gongolava nella sua previsione corretta, mentre
il praticante di arti marziali Tetsuo proseguiva nell’osservare la
gigantesca pianta.
“E che succede a chi, se ne frega, e ci si avvicina?” lo sfidò
verbalmente il mutaforma.
Magical Girl Ore gli fece il verso, cosa già di per se assurda se
fatta da omone muscolo vestito come una maghetta.
La voce del responsabile del castello si fece più minacciosa “In
tal caso, credo proprio che la punizione di Almattki Ass sarà
definitiva”.
A sentire quel nome, il Mostro di Fouke si bloccò pietrificato.
“Igar!” convocò ad alta voce Kilo “Fai accomodare più persone
possibili qui al palazzo”.
A rispondere al suo richiamo fu un colosso di almeno due metri, con
spalle larghe quanto un armadio a tre ante, con i corti capelli scuri
e gli occhi quasi socchiusi.
L’ex-schiavo di colore Jim ne rimase sorpreso.
“Per qualsiasi cosa, chiedete pure ad Igar” proseguì Kilo.
Pietro Bonutti squadrava l’energumeno con particolare interesse.
“Per la cena, vi avviseremo noi quando sarà tutto pronto”.
Kyouku Sakurami della squadra femminile di baseball si era già messa
ad ispezionare l’ampio ingresso.
Intanto, il locandiere bisbigliò all’orecchio del ragazzino “Hans,
tu continua a tenerli d’occhio”.
Adeline, armata con la sua mazza da lacrosse, aveva origliato tutto.
Con un gesto della mano, Kilo richiamò Igar, sotto osservazione di
Reinhardt Schneider.
“Sai cosa devi fare…”.
Il colosso non emise un fiato e si avviò verso la porta. l’ebreo
Saul Jacobson, che fisicamente gli somigliava parecchio, preferivi
scostarsi per farlo passare.
All’aperto, il nipponico Akatsuki Higashino aspettava proprio Saul
per fare due passaggi a basket.
Nel frattempo, Hans era risaluto sugli alberi. Uno di questi veniva
utilizzato da Seung-Hui per tenersi in allenamento.
Dentro una delle numerose stanze nel grigio castello, la vigilante di
Gotham City Spoiler e la studentessa cuoca Satsuki Yotsuba scrutavano
il mondo da una finestra, un anta a testa.
In un’altra stanza, Jack era comodamente seduto su di una sedia a
dondolo. Lì vicino, Nora Clark si esercitava in un balletto.
“Che fai, Berny?” chiese il dandy.
“Vado a farmi un giretto” rispose sbrigativo il baffuto.
In pochi secondi, si trasformò in un esemplare di corvo molto simili
a quelli avvistati in precedenza.
L’attrice virtuale S1m0ne gli spalancò la finestra. Insieme a lui,
partirono in ricognizione altri tre eroi: il ciclista spagnolo Pepe
Benengeli, il cantante inglese Ruper Beetle e il Texas ranger Joe
Riley.
Il veterinario Gorou Mutsumi stava osservando alcuni animali
nell’albero dove era appostato Hans. Quest’ultimo si sposto su un
alto ramo, occupato dalla gattina Minou, per continuare ad osservare
quel corvo mutante, mentre l’idol Yuri Hoshino stava canticchiando.
Intanto, il pennuto stava ancora abituandosi al giusto ritmo con cui
sbattere le ali. Improvvisamente, la testa volante di Ms. Fortune gli
comparve vicina, lanciata dal basso e spaventandolo.
“Mi raccomando, Soggetto N. 7, non allontanarti troppo!”.
Una volta che la semplice gravità ebbe fatto scomparire quel capo
parlante, il messicano riprese la sua trasvolata, ben conscio di
volersene fregare dei consigli altrui.
Dopo qualche minuto, vide un fiume, dove prima era arrivato Red
Torpedo e ora il coreano Koo Tae-Yang stava palleggiando con un
pallone, e poi, finalmente, il gargantuesco Yggdrasill, a cui anche
Doc Samson aveva sconsigliato di avvicinarsi.
Nel giardino del palazzo, Natsuo palleggiava con la sua palla da
pallavolo contro il muro. Qualche piano sopra di lei, una mano
bussava alle persiane di una finestra. Dentro la camera, vi era una
riunione tutta al femminile. l’hacker Lisbeth Salander sobbalzò
dallo spavento.
La boxer Okome Akino e l’undine di Neo Venezia Akira E. Ferrari si
fissarono a vicenda, sbigottite.
Alla fine, Frédérique si fece coraggio e urlò “Chi è?”.
Un uomo riuscì in un lampo ad aprire le serrande e spalancare i
vetri. Nello stesso momento, la porta della stanza fu tirata giù dal
cavaliere Billy in sella alla sua fedele moto, allarmato dall’urlo
di qualche secondo prima.
Tutti erano già pronti al combattimento, ma l’intruso, dai capelli
e occhi chiarissimi, alzò subito le mani.
“Fermi! Non sono un nemico! Mi chiamo Bark e sono il fratello di
Miss Hero!”.
Invisibile a tutti, il fantasma di Sam Wheat restò sorpreso.
“È tutto vero!”.
Quella conferma arrivò direttamente dalla bocca dell’interessata,
appena risvegliatasi sul letto in cui era stata sistemata prima. Ai
cui lati aveva di guardia l’agente FBI Milton Chamberlain e Blue
Panther di Hero City.
“I raggi divini!”.
La ciccia di Sum Sam fece la ola a quell’affermazione.
“Sono stati i raggi divini a renderla così!” proseguì il nuovo
arrivato.
“Dunque lo Spettro Bianco non c’entra niente” pensò la
francese, mentre Jimmy MacElroy sistemava le lame dei suoi pattini.
“Inoltre, qui al villaggio c’è un solo trattamento per chi osa
allontarsi nel mondo esterno: la morte”.
Al di fuori della camera, Batwing, il Batman connazionale del
Soggetto N. 8, ispezionava il perimetro, mentre Hans continuava a
sbirciare dal fogliame.
“Tranquillo, ci saremo noi a difenderla!” dichiarò decisa il
Soggetto N. 3.
Bark si guardò vicino. Da una parte aveva Sabra caricava la sua
pistola in dotazione al Mossad e dall’altra Nico Bonetti fece
altrettanto, la sua data in dotazione dalla polizia di New York.
“Francamente” affermò triste Miss Hero, mettendosi seduta sul
letto con accanto Mike Knight “non credo che basteremo noi tutti
contro la furia di Almattki Ass”.
“Nonostante questo” concluse il fratello rivolgendosi alla mezzo
demone Jennifer Tate, che gli era più vicina “vi ringrazio per
tutto quello che avete fatto per mia sorella”.
“Al diavolo!” s’infuriò Arone “Noi siamo i Global Defenders!
Niente ci può battere!”.
“Veramente… voi siete ancora in prova” puntualizzò Asterix il
gallico.
La ballerina lo zittì con un gesto “Parlaci piuttosto di questo
villaggio”
“Non posso. Anzi ora me ne vado perché sto già rischiando molto a
parlare con voi” concluse il giovane, portandosi nuovamente vicino
alla finestra.
Un ultimo sguardo tra i due fratelli. Poi l’islandese fu aiutato a
scendere da un'altra boxer nipponica, Ichiko Saitou, e da un
combattente proveniente dal futuro, Jay McCray.
Nel contempo, anche il maestro di Bajiquan Lee Diendou era entrato
nella stanza. Dalla finestra ancora aperta, il rugbista Asaya
salutava con la mano il fratello di Miss Hero.
Ancora in volo verso Yggdrasill, Bernardo Borghi si trovo con
un’ombra inquietante che gli veniva contro. L’ombra,
avvicinandosi sempre più, si rivelò essere lo stesso stormo di
corvi visto comparire nella nebbia. Il mutaforma si diede ormai per
spacciato, quando intervennero sette eroi in sua difesa.
La cantante Sherrie Christian li disorientò con un urlo sonico.
Masked Marvel ne centrò qualcuno con la sua pistola. Il Dottor
Scarafaggio utilizzò un drone armato artigianale di sua invenzione.
Ritsuka Nakano mette in atto le sue qualità di tiro con l’arco. Il
vampiro messicano Lugo, tramutato in pipistrello, ne fermò
definitivamente l’avanzata. Infine, i robot giganti Dangaio e
Laserion li allontanarono dalla zona.
Nonostante questo intervento riuscito, il mutante si era rifugiato a
terra camuffandosi da semplice cane. Questo non gli bastò a passare
inosservato visto che, appena risputato da dietro dei cespugli, si
trovò davanti un gallo alto quasi un metro.
Fortunatamente, anche a terra poteva contare su tre collaboratori. La
kunoichi Rayar Dragon scoccò le sue frecce infuocate. Il dinosauro
Gon si mise ad inseguirlo, affamato come sempre. Finché L’eroina
filippina Kai gli diede il colpo di grazia con un calcio alto. Anche
il gallo extralarge era sistemato.
Il Soggetto N. 7, sempre in fuga, vide l’eroina dell’Amalgam
Diana Prince e Re Gnocco delle Maschere nascosti dietro dell’erba
alta che spiavano qualcuno. Si avvicinò loro, facendosi riconoscere
e notò il possente Igar. Questo stava bussando sonoramente alla
porta di una capanna in legno con il tetto in paglia. Su di esso,
stava aggrappato in silenzio l’eroe australiano Grey Domino. Ad
aprirgli fu una donna tutta imbacuccata in nero, con solo la sua
brutta faccia da megera che spuntava da sotto il cappuccio.
“Che starà facendo qui Igar?” si domandava mentalmente il
messicano.
Dietro di lui, degli zoccoli fiammeggianti iniziarono a scalpitare
sul suolo polveroso.
“Gente…” richiamò l’attenzione l’attore americano Johnny
Cage.
Gli altri si voltarono. Un grosso cavallo bianco, con al posto dei
classici peli da criniera delle fiamme gialle. Come se non bastasse,
al suo fianco ricomparve il lupo del loro primo combattimento in
terra islandese. Ma i Global Defenders erano pronti alla sfida.
Uno dei gemelli Wagner, Chad, sbilanciò l’equino con un calcio
rotante. L’elefantino Dumbo lo colpì al corpo volando. Il colpo di
grazia gli fu riservato dalla rock star zombie Lord Raptor.
Per il lupo, Folletto del Monster Commando lo distrasse. Isabel
Fuentes lo abbagliò con il suo flash. Il colpo di grazia fu dato
dall’agente FBI Dana Scully.
Nonostante questo, tutti quegli assurdi animali scomparvero
all’istante.
La creatura Alma, sempre del Monster Commando, rimase basita.
“E ora che facciamo?” questionò il Rietto Robot.
“Non so voi, ma io andrei a cena” propose lo strambo supereroe
Ralph Hinkley.
Palazzo Reale
Immense tavolate su tutta la superficie calpestabile. Tutti i
possibili posti a sedere occupati. I Global Defenders erano a cena.
A dare una mano nell’impegnativo servizio a Igar vi erano Alice
Sutton e Pepa Marcos.
Era calata la notte fonda su tutta la valle. A sovrastarla,
silenziosa, una montagna ricoperta da una fitta boscaglia. Su uno
degli strapiombi presente in essa, stava in piedi un uomo. Lo sguardo
fisso verso il villaggio di case in legno.
L’uomo aveva un fisico esile ma atletico. Il suo vestiario era
composto da un semplice bianco kyrtill, la tunica tipica delle
popolazioni vichinghe, dei pantaloni e stivali in pelle animale. Sul
vestito, erano disegnati degli strani simboli rossi, molto
probabilmente di natura runica, che, al centro del suo petto,
scendevano verticalmente fino all’altezza dell’ombelico. Parte
del suo viso presentava una barba bionda e lunga, ai cui lati,
utilizzando proprio i suoi stessi peli facciali, erano state create
due piccole trecce, una per lato, che ricadevano verso il basso. I
suoi lunghi capelli biondi ricadevano liberi sul mantello azzurro che
si appoggiava alle larghe spalle, tenuto fisso da un ferma-mantello
in oro, composto da due grandi bottoni e una catena.
I suoi occhi erano totalmente bianchi, senza neanche un accenno di
pupilla. Improvvisamente, Almattki Ass alzò al cielo le sue braccia.
Con come sfondo il profilo scuro del Yggdrasill, l’eroe
italo-spagnolo Goldface sfrecciava nel cielo notturno.
Attorno al piccolo villaggio, svariate creature malvagie si
ridestavano, pronte all’assalto finale. Il cavallo fiammeggiante,
il grande lupo nero, un gigantesco serpente marino, un licantropo, un
troll armato di clava e una vecchia strega ghignante. Tutti loro in
attesa degli ordini di Almattki Ass.
Palazzo Reale
La numerosa cena era ormai giunta al termine. A sparecchiare le molte
tavole vi erano, fra gli altri, la leggendaria idol dell’era Showa,
Junko Konno, e l’eroina shi’ar Deathcry.
“Mi devo complimentare con lei per il sublime pasto, Onorevole
Chang” faceva i suoi complimenti il Soggetto N. 2, seguito a ruota
dalla famelica poliziotta giapponese Natsumi Tsujimoto.
“Per me è un grande onore, Onorevole Lincon” replicò il
Soggetto N. 6.
“Sarebbe invece l’ora di entrare in azione!” si esaltò il
Soggetto N. 7.
“Sono d’accordo con te!” alzò il pugno al cielo il pugile King
Jason, detto “The Black King”.
“Strano, non ti facevo così coraggioso, Berny…” lo canzonò il
Soggetto N. 4.
Sghignazzò la presunta cantante Maeva.
“Quello che davvero non capisco” proseguì l’italiano “è
perché non si decidano a dare il via a questa guerra, visto che qui
al villaggio, ne sono certo, non aspettano altro”.
“Non dimenticarti che, da questo villaggio, provengono anche Miss
Hero e suo fratello Bark” intervenne il Soggetto N. 3.
“Giusto!” concordò Blast Baker della Planet Police.
“Inoltre, dobbiamo prima capire il segreto nascosto in questo
villaggio” gli ricordò il Soggetto N. 9.
“Che palle!” imprecò il mutaforma bellico.
Tra i due mutanti, si erano infilati il calciatore spagnolo Renato
Gallegos e il bobbista giamaicano Derice Bannock, onde evitare
inutili risse.
“Secondo me invece dovremmo essere noi a sferrare il primo colpo,
invece che aspettare come dei coglioni!” in Andrea tornò la sua
educazione militare.
A rafforzare il muro umano di divisione arrivarono anche Robert
Foster, un australiano proveniente dal futuro, e il labrador Luath.
“Vedi che il mio parlare con gli animali ha funzionato…”
sussurrò il messicano ad uno Yondu poco convinto, indicandogli il
cane nella stanza.
“Signori” richiamò l’attenzione di tutti l’inglese “Direi
piuttosto che, per stasera, ci conviene andare a riposare le nostre
stanche membra”.
“Vedremo cosa accadrà domani” concluse la cestista cinese Xiao
Jie.
Monstress della Legione dei Super Eroi aprì la porta e tutti, a poco
a poco, lasciarono la stanza.
Le uniche che rimasero a vegliare sull’eroina islandese furono
Frédérique Arone e Thor. Quest’ultimo si sentiva colpevole di
quanto che stava accadendo perché, sebbene membro attivo dei
Vendicatori, faceva anche parte del pantheon della mitologia norrena.
Passato qualche minuto, la francese si alzò dalla sedia, per
sgranchirsi un po’ le gambe ed affacciarsi alla finestra, insieme
al piccolo Carlo Giuffrida, accompagnato dal suo fedele glockenspiel.
“Che villaggio assurdo…” esclamò, mentre contemplava al di là
del vetro la vampiresca figura di Rune, ben presto affiancata da
Black Condor (Ryan Kendall).
“In più, è da quando sono arrivata in questo posto che sento uno
strano suono nell’aria…”.
Una luna quasi del tutto piena faceva da sfondo a Jack Byrnes, agente
CIA in pensione, che tentava inutilmente di contattare la sua
famiglia.
Con il sorgere del sole, il canto del gallo diede la sveglia a tutti
gli eroi presenti nella vallata. Lo stesso gallo, di una statura più
naturale rispetto a quello del giorno prima, vene immediatamente
messo a tacere dagli spari dell’eroe canadese Phantom Rider.
Nella stanza di Miss Hero, era ora il turno di guarda del Soggetto N.
5 e del gatto Oggy.
“Sicura che non preferisci invece rimanere con Miss Hero?”
domandò nuovamente l’americano.
“Sì, tranquillo” rispose la ballerina “preferisco piuttosto
tornare a parlare con Bark”.
Dietro di loro, a fare quasi da scorta, vi erano la ragazza-lupo
Yuki, il “Wild Seven” Shuya Nanahara e il calciatore italiano
Mario Ciancone.
“Poi…” si rabbuiò Frédérique “Continuo a sentire quel
pianto…”.
“Quale pianto?”.
Nel mentre, la coppia era giunta in quella che sembrava la piazza
centrale. Qui, li stava aspettando l’investigatore privato Holland
March.
“Per assurdo, sembra che siamo noi i circondati…” Bernardo si
guardava freneticamente a destra e a manca “Io torno a fare il
cane”.
In pochi secondi, il corpo del baffuto tornò ad avere molti più
peli e a camminare a quattro zampe.
“Allora io spicco il volo!” controbatté il britannico, facendo
ciò che aveva promesso.
Anche questo duo aveva con sé i suoi tre personali “bodyguard”:
gli agenti dei servizi segreti Marshall Lawson e Gabriel Logan e il
vorticoso Slam Tasmanian.
In cielo, il Soggetto N. 2 si mise a piroettare attorno all’astronave
pilotata da Andrew Wiggin.
“Per l’appunto, non mi pare che nessuno dei nostri nemici riesca
a…”.
La spia spagnola Rio Rita fu la prima a preoccuparsi di
quell’improvviso mutismo.
Il velivolo a forma di gufo, guidato dal primo Nite Owl, gli si
avvicinò proprio mentre il mutante perse conoscenza e iniziò a
precipitare.
“Che succede, Jack?” gli urlò contro l’altro in rosso e
giallo, con accanto il campione di Combat 56 Piotr
Bonowicki.
Non ricevendo alcuna risposta, il mutaforma e il membro degli
Wolverine Matt Eckert si lanciarono per riceverlo.
Insieme al loro altri tre si tuffarono, in puro stile partita di
baseball: il pallavolista Ida Masaya, la tennistavolista Ayako
Sunayama e il professor Vivaldi.
Alla fine, il mutante fu di certo quello che si fece meno male. O
almeno così constatò la Donna Fiamma.
Appena rialzatosi, Borghi si mise subito in allerta, tramutando la
sua faccia in una maschera antigas.
“Che sia un attacco chimico?”.
D’istinto, Phantom Cat dell’Amalgam si tappò la bocca con le
mani.
“Fermi!” ordinò la telepate Karma “sento un forte potere
magico provenire da quella parte!”.
Su di una collina alberata, la strega proseguiva nel suo sortilegio.
Il campione di Robot Wars Devastabot, l’eroe francese Satanax e il
viceispettore spagnolo Victor Ros facevano da accompagnatori ad altri
tre Humana.
“A me questo paese pare proprio disabitato…” ipotizzò Andrea.
“Forse hanno paura di noi?” suppose Chang.
“Non ci sono nemmeno i bambini” osservò Juna.
Dietro di loro, l’alieno Paul, tutto tranne che coraggioso, faceva
caso ad ogni minimo spostamento, mentre l'hockeista
Ro Shirakawa perlustrava i vicoli tra le abitazioni.
“Proverò
io a farli uscire di casa!” si animò il cinese.
Il calciatore
giamaicano White e il ciclista giapponese Rin si guardarono poco
convinti.
“Venite
signori!” urlò il cuoco “Grandi specialità della cucina cinese
cucinate sul momento esclusivamente per voi!”.
Jaime Sommers
gli dava una mano battendo a ritmo le mani. Intanto, il mezzo sayan
Goten e Microwave, il membro dei Freedom Force, ispezionavano le
finestre più in alto.
“Involtini
primavera, ravioli al vapore, riso alla cantonese…” elencava
tutto il suo variegato menù.
“Smettila
Chang” lo richiamò l’africano “Mi stai facendo venire fame”.
“Nuvole di
drago, pollo alle mandorle, anatra alla pechinese…”.
Alain Costa
stava guidando la sua macchina da rally con, sul sedile del
navigatore, la strega Ferris e, all’esterno, Miki Takatsukasa a
cavallo, quando frenò di colpo.
Il
leggendario lupo Fenrir stava già ringhiando contro un suo simile:
il cavallo con la criniera infuocata.
“Bene, si
comincia!” si esaltò l’italiano, con la mano destra già in
trasformazione.
Il cavallo
evitò subito il supergattobalzo di GattoBoy dei Super-Pigiamini. Il
Soggetto N. 6 e Capitan Futuro gli spararono contro con il fuoco, ma
senza successo.
Hiroki Onishi
dei Kashima Antlers tirò una pallonata di fuoco direttamente alla
zampe. Ma l’equino lo saltò in bello stile e partì all’attacco,
mancando di poco il detective Charles Hilderbrandt.
“Qui
conviene scappare!” si diede alla fuga il Soggetto N. 8, seguito
dall’argonauta Bute e dal soldato Dale McCreary.
“Ho capito
che il fuoco non serve a nulla!” scappò anche l’asiatico
cercando anche di tenere al sicuro il medico autistico Shaun Murphy.
Il cavallo
balzò in aria. L’eroe olandese Gilles de Geus e l’eroe sentai
Kamen Rider furono sbalzati via.
Finalmente in
tre riuscirono a colpirlo: il Soggetto N. 4 con la sua arma a
vibrazioni, Ossolum dei Guardiani Italiani scagliandogli contro una
roccia e Cisty con una delle sue frecce.
L’animale
crollò solo per qualche secondo al suolo, per poi rimettersi in
piedi e balzare via. Un balzo di almeno una decina di metri in
altezza.
“Incredibile!”
esclamò Alberti, mentre l’atletica Captain Mizuki tentò
inutilmente di inseguirlo.
Nembo Star aiutò a rialzarsi Azir, l’imperatore delle sabbie.
“Cos’è questo rumore?” domandò improvvisamente il mutaforma.
Accanto a lui, il Comandante Mark tese le orecchie.
“Questo è il mare!” sentenziò lo zairese, mentre Gnar, l’anello
mancante, lo fissava dubbioso.
Poco più in là, in una spiaggia soleggiata, Riichi Ozaki si stava
allenando in solitario. Cary Ford arrivò sgommando con la sua moto
fiammante.
Al giungere degli altri, Aquilotto dell’European Forces notò
qualcosa su di uno scoglio.
“Guardate là!”.
alla sua sommità, una figura umana si buttò giù.
“Si è tuffato!” proclamò sbalordito il ragazzo del Trentino.
Lo scheletro vivente, Mister Bones, e il campione di Tae Soo Do,
Chul-Ho Yang, si tuffarono al salvataggio.
Prima di loro arrivarono però l’agente dello S.H.I.E.L.D.
Slingshot e il membro degli Humana.
Il mutante acquatico si avvicinò al delfino Flipper “Hai visto
dove si è tuffato?”.
Il cetaceo glielo indicò con il muso, mentre la tennistavolista
Koyori Tsumujikaze fece lo stesso con la sua racchetta da ping pong.
Il corpo galleggiava esanime nel fondale dell’oceano. Il
Soggetto N. 8, il tennista Franklin Cane e l’arciere Yota Mikami si
avvicinarono all’obiettivo.
Gli occhi del
presunto cadavere si spalancarono di colpo. Brillavano come fari
puntati verso i suoi probabili salvatori. Il suo fisico si allungò
ed aumentò di misura.
Il gigantesco
serpente marino si scagliò contro il campione di Beyblade Takao
Kinomiya. Il giovane lo evitò di un soffio mentre la poliziotta
Sally O’Neil si afferrò al suo corpo, tempestandolo di colpi di ju
jitsu.
Il mostro riemerse e con lui anche Juna e il suo simile Manipogo del
Monster Commando.
“Sparategli!”.
Ubbidendo a quel comando perentorio, Andrea fece fuoco insieme a Tara
the pirate queen e la sua Atomic Sword, Patriot e il suo scudo
indistruttibile, l’agente segreto Gary Unwin e la sua pistola
d’ordinanza, Koharu Hotta con palle da baseball e Sanae Mochizuki
dell’Istituto Shiroiwa con un AK-47.
Come prevedibile, la creatura fu colpita in più punti. Poi fu il
momento degli attacchi ravvicinati.
Takeru Ibaraki con la sua Witchblade, Hardball con i suoi pugni
protetti da sfere d’energia, Gengorou Takei che gli nuotava
intorno, Danny Bateman che tentò inutilmente di caricarlo in stile
football americano e il robottone Combatler V che gli diede il colpo
di grazia.
Il mostro dondolò per qualche secondo la testa serpiforme, con la
lingua biforcuta che penzolava da un lato delle fauci, per poi cadere
all’indietro.
La ballerina 36 del Face Team e lo struzzo Beep Beep fecero appena in
tempo a scappare dalla zona di mare in cui avvenne l’impatto e la
conseguente onda. Camus, batterista dei DMC, batté ritmicamente le
sue bacchette sulla corteccia di un albero.
Appoggiata con la schiena ad un altro albero, a chilometri di
distanza dal precedente, Bark fissava terrorizzato le fauci
spalancate dell’enorme lupo, con i denti aguzzi e la bava che
gocciolava da essi.
In sua difesa, comparve di fronte a lui a fargli da scudo Kanata
Livingston con la auto da corsa, la versione metallica di Superman
Acciaio e l’eroina australiana Britania.
Fu questa la situazione che trovarono Reptil e I Soggetti N. 3 e 9
quando arrivarono.
L’attenzione della bestia fu catturata dagli ultimi arrivati,
compresi il luchador El Oso e l’investigatore Michael Hammer.
Girato di scatto il muso nuovamente verso la sua preda, il quadrupede
saltò all’attacco. L’urlo di spavento di Frédérique fece da
sottofondo all’intervento di altri tre eroi: Mercoledì Addams con
un’accetta, Ratchet con la sua Onnichiave 8000 e Dave Podmore con
la sua mazza da cricket. Solo un quarto attacco, in versione multipla
da parte di Matrioska dei Defenders of Europe, non andò a segno.
Nonostante ciò, il lupo riuscì a rialzarsi e questa volta, oltre
all’intervento del velocista, che scattò lasciando impietriti
l’investigatore privato Frank Lincoln e la precog Linda Hanson, ci
furono pure il calciatore uruguaiano Camilla, il mago delle rune
Ryze, l’artista marziale tailandese Zen, l’uomo perfetto Edison
Crane e la poliziotta Madeline Foster.
Il colpo finale lo diede la piccola Matilda Wormwood che, con i suoi
poteri telecinetici, mandò l’animale a sbattere contro il tronco
possente di un albero. Appena il corpo peloso ricadde al suolo, il
calciatore spagnolo Gelmi entrò in scivolata con i tacchetti sulla
sua schiena.
Incredibilmente la bestia si rialzò. Ma, appena voltatosi, un nuovo
triplice assalto.
L’eptatleta Chris Cahill, Kaku con la fascia della potenza e il
pilota Black Commander.
Ormai esausto e pieno di ferite, il lupo cadde di fianco, alzando un
po’ di polvere dal terreno.
A fissare seri la salma, per ogni evenienza, vi erano Johnny Wayne,
il biondo spadaccino Lighting e il commissario Luigi Alfredo
Ricciardi.
Ormai al sicuro da quella feroce minaccia, Bark si avventò sulla
lottatrice e cuoca Nikaido.
“Quei mostri vogliono prendere mia sorella!”.
Poi cambiò soggetto è andò dallo studente liceale Billy McCarthy.
“Sono creature evocate direttamente dall’inferno!”.
Poi passò all’infermiera Akiko Tanizaki.
“Anche voi siete in pericolo in questo posto! Vi prego, scappate
via con lei!”.
“Ma abbiamo lasciato tanta gente con lei…” gli ricordò il
Soggetto N. 9.
Il ragazzo rispose guardando la musicista afroamericana Valerie Brown
“Io mi sento più tranquillo con voi a vegliare su di lei”.
Il velocista lo scrutò pensieroso. Scambiò uno sguardo con X-O il
Manowar.
“Io vado” partì allo scatto il biondo “Tu, Frédérique, resta
con lui”.
“Ok, fai attenzione, Johnny”.
A seguirlo c’erano il murciano Francisco Palacios, il pugile
Pinhead, Union Jack (Brian Falsworth), la cestita Hilary Uehara e il
colonnello Thomas Devoe.
Hans, il ragazzino dai capelli verdi, veniva portato in salvo dallo
scout dell’Impero Erondariano Ian Aranill.
Intanto, una finestra si frantumò per la collisione con i corpi del
Soggetto N. 5, del troll e del finto samurai Kikuchiyo.
L’Aquila dei Guardiani Italiani fece appena in tempo ad evitare la
pioggia di vetri rotti.
Hans, con un balzo, si imbucò dentro una giara, accanto a Mr. X
dell’universo Amalgam
Il troll oscillò la sua pesante clava, tenendola con entrambe le
mani. Geran, la studentessa cibernetica Patricia Peacock, l’operario
tuttofare Bubba e la mutante magnetica Polaris si abbassarono per
evitare il potente colpo.
Nel cercare di mantenere l’equilibro dopo tale mossa, la creatura
fu colpita in pieno volto dalla mazza rossa del Tenente Stripes.
Nel mentre, Johnny Wayne, seguito dalla luchadora Bunny Kisaragi,
raggiunse gli altri, fermandosi accanto ad Aktara, membro dei
Piranas.
Un urlo provenì dalla finestra distrutta della camera di Miss Hero,
da cui si riconosceva a malapena il supereroe Pit Stop.
Mr. Atomic afferrò il Soggetto N. 9 da sotto le spalle e gli diede
un passaggio fino alla stanza.
Un lurido essere, simile ad un gargoyle con ali da pipistrello, stava
stringendo la gola dell’eroina islandese.
All’istante intervennero in tre: l’incorporeo Deadman, il
bassista Ran Fuji ed il ninja Kouichi Aizawa. Il mostro fu facilmente
abbattuto.
Mentre la surfista Kanae Sumita e l’attrice Anna Scott lo tenevano
sotto controllo, l’americano e Ben-Hur si accertavano che
l’aggredita stesse bene.
“Tranquilla, Asdis. Ci siamo tutti noi a difenderti”.
La donna scansò la guerriera alata Wanda e abbracciò l’uomo in
rosso e giallo. I due si fissarono per qualche secondo, sotto lo
sguardo preoccupato dell’elegantemente vestito Milord Justice.
E poi scattò il bacio fra i due.
Con l’ululato di sorpresa da parte degli alieni in incognito
conosciuti come Dave Ming Cheng.
Quando le labbra dei due si staccarono, Miss Hero si ridistese sotto
le coperte, rimboccatogliele dall’allenatore di judo Enzo Capuano.
“Non lasciarmi più sola, ti prego”.
Il gargoyle era ancora steso a terra, fissato da Ragno Boy
dell’universo Amalgam.
Ripresosi da quel piacevole shock, lo statunitense si rivolse al
canadese appena rientrato “Geran, che ne è dell’altro mostro?”.
“Sistemato” tagliò corto il pellerossa, affiancato da Elixir dei
Nightmare e il mostro tibetano, grosso quanto il mutante, Kury.
All’esterno del Palazzo reale, collassato sul terreno ghiaioso,
stava il troll con la bocca spalancata e la lingua penzoloni. Il
tutto gli dava un’espressione alquanto ridicola. A fargli da
guardia c’era la fantina texana Diana Dixon.
L’altro americano si affaccio dalla finestra, insieme all’hockeista
e pattinatrice Ayumi, per scrutare la situazione esterna.
I Soggetti N. 2, 6, 7, 8 e il soldato statunitense Jamal Aiken si
erano radunati attorno al gigante verde e la sua clava lignea.
In pochi secondi, il Soggetto N. 9 li raggiunse, fermandosi accanto a
Tiger, maestro dello stile Huquan.
“Come state, gente? Avete incontrato qualcuno d’interessante?”.
“Una brutta strega” disse il messicano.
“Un cavallo infuocato” disse il cinese.
“Un serpente marino” disse lo zairese.
Il pilota di Formula 1 si accorse di un’assenza “Dov’è
Andrea?”.
“Ha detto che aveva da fare…” spiegò turbato Juna.
Lo stesso turbamento presente nel volto del tenente Dale Hawkins.
Il Soggetto N. 4, contornato da Sailor Saturn, Black Marvel,
l’ammazzavampiri Eric Lecarde, il golfista David e il luchador
Pirania, aveva di fronte una figura ammantata di nero. Il suo viso
poi era coperto da una maschera scura.
Senza proferir parola, si avvicino al gruppetto di eroi, superandoli.
Superò anche l’argonauta Menezio, che si era attardato dietro di
loro. Oltrepassò anche il campione di Kick Jitsu, il brindisino
Vincenzo Giacomini.
Arrivato a qualche metro di distanza, il nemico si voltò e iniziò a
sparare.
Tutti risposero al fuoco, anche l’investigatore Paul Callan, Raggio
(Ray Terrill), la recluta Keiji Kiriya, Meneghino delle Maschere e
l’anti-youkai Akina Hiizumi.
Il primo ad accorgersi di qualcosa di imprevisto fu la fotografa
Raika Meiki.
“I nostri colpi non gli fanno niente!” urlò l’ex-soldato.
Di conseguenza, l’uomo in nero rispose al fuoco con il fuoco.
La strega Ayaka Kagari, l’assurdo Cane Prodigio e l’uomo-scimmia
Bingo Bongo evitarono per un soffio il raggio laser. Invece, il
mutante in rosso e giallo, l’altro mutante Heatwave, l’altra
strega Phoebe Halliwell ed il bambino Ruff Rogers caddero giù da un
dirupo.
Un fulmine improvviso, scoccato da nubi scure, fece sobbalzare dallo
spavento l’ispettore Giuliano Scarpa e la spia Harry Palmer.
Appoggiati all’albero vi erano ancora il Soggetto N. 3 e Bark, con
il poliziotto Alonzo Harris e il cowboy Roy O’Bannon a fargli da
ali.
Il contadino Tshern e l’aliena Dangerous Girl si strinsero la mano
in segno di solidarietà.
“Bark” ruppe il silenzio Frédérique “per favore, parlami del
segreto di questo posto”.
L’orsetto rimbalzante Cubbi Gummi, Tesoriere degli Exogini e l’eroe
belga Suske si accasciarono davanti all’interpellato.
Dopo qualche secondo di mutismo, il ragazzo parlò “Va bene, te lo
dirò”.
Intanto il Green Ranger richiamava il suo zord. Un nuovo tuono
spaventò Longana del Monster Commando e il poliziotto Orin Boyd.
Le nuvole tempestose si stavano addensando sempre più. Come ebbe
modo di notare il karateka Mark.
Tra le torri del Palazzo Reale, si librava elegante il vampiro Lestat
de Lioncourt.
Al suo interno, la discussione era sempre più animata.
“A me sembra totalmente assurdo” esclamò Masa Kondo, professore
ed ex-lottatore olimpico.
“La cosa davvero assurda è questo schifoso villaggio!” ribatté
Bernardo Borghi “che è pieno solo di mostri!”.
Sorrise la maga Seska.
Gli occhi di Johhny Wayne si spalancarono, facendo allarmare subito
il tenente Frank Bartholomew Parker.
“Devo andare a recuperare Frédérique e Bark!” disse appena
prima di gettarsi dalla finestra, rischiando anche di travolgere El
Uruguayo dei Luchadores, e partire a tutta velocità, seguito
inutilmente da Phil Bagzton della Resistenza di un futuro
alternativo.
Un altro fulmine andò a sgomentare la studentessa Iroha Miyamoto e
Oscurità Scarlatta dei Global Defenders B.
La pioggia iniziò a cadere copiosamente. L’agente Rick Furious era
ormai totalmente zuppo.
Sotto l’albero tutti cercarono di ripararsi come potevano. Ad
esempio, il batterista Naoki Fujieda teneva le sue bacchette
incrociate sopra la testa.
Silenzioso ma letale, un proiettile sibilò nell’aria. Lisciò
Capitan Wonder dei Twelve, Regina Papetta delle Maschere, il Gatto
con gli stivali e l’agente di polizia Greg Jenko. per poi infine
andare a perforare la fronte di Bark.
“Bark!” urlò terrorizzata il Soggetto N. 3, mentre l’agente
segreto Fong Li, il suonatore di vibrafono Luigi Wilson e il pilota
di Formula 1 Bob Williams gli prestavano i primi soccorsi.
Di fronte al gruppo sotto l’albero comparve un essere. Il primo ad
accorgersene fu il fiero guerriero Rau Utu.
Christian Hero e le sue ali sanguinanti trasportava il tedesco Klaus
Wessel, mentre erano all’inseguimento del velocista. Poco più
avanti a loro vi era il calciatore e suo connazionale Ajax Mobius.
Ad attenderli, sotto il grande albero e la tempesta, trovarono la
giocatrice di baseball Kochou Kikuzaka. Nel laghetto lì vicino,
videro l’ufficiale di polizia Oswald Nelson e il calciatore Mancini
recuperare il corpo esanime di Bark.
“Bark!” lo chiamò inutilmente l’americano, mentre si
avvicinava a 59 del Face Team che ne annusava il cadavere.
“Ragazzi!” richiamò l’attenzione di tutti l’eroe australiano
Paladin.
Tutti si voltarono e videro chi li aveva chiamati e Hooded Justice
fissare la base del grande albero.
Incastrato fra le robuste radici, si trovava il corpo esanime della
francese.
L’altra australiana Susan Mathews e l’italiano Capitan Rovigo si
voltarono per vedere l’acqua del laghetto ribollire.
Un tuono devastante fece crollare al suolo il pistolero Judas, Cip
l’arcipoliziotto, il giocatore di football Champ e il regista Val
Waxman, mentre Arone riapriva incredibilmente gli occhi.
Davanti a lei, tre guerrieri vichinghi, armati di spada, con il volto
coperto da una maschera di ferro. Tutti e tre identici fra loro.
Immediatamente, l’attaccante Sho Kazamatsuri e Tatzelwurm del
Monster Commando si misero a fare scudo alla mutante.
A fronteggiare il trio andarono la principessa di Gemworld Amethyst,
Invisible Hood e l’upgrade umano definitivo Jake Foley.
“Sto usando la mia vista a raggi X” informò i presenti
l’imprigionata, con l’ambasciatore dei mostri Gedeon che si voltò
ad ascoltarla “sono dei fantasmi!”.
“Frédérique!” gridava disperato Johnny, ormai da più di
un’ora.
Ad accompagnarlo in quella disperata ricerca vi erano la ragazzina
chiamata Principessa Gigante, il Golem del Monster Commando, El Pavo
dei Luchadores e il leggendario judoka Sanshiro Sugata.
All’esterno del Palazzo Reale, sotto la pioggia incessante, la
Regina di Spade proseguiva nel suo allenamento.
All’interno, Kilo era tenuto immobilizzato da Aquaman e
l’israeliano Zohan Dvir.
“Come c’è finito questa creatura nella camera di Miss Hero?”
esordì il Soggetto N. 6.
“E tutti i mostri lì fuori?” proseguì il Soggetto N. 8.
“Rispondi, palla di merda!” concluse il Soggetto N. 7.
“Signori” tentò di parlare l’indigeno “vi assicuro che io
non ne so niente”.
Intanto, Igar e Kamandi, l’ultimo ragazzo sulla terra, fissavano
incuriositi il gargoyle morto.
“Non dire cazzate!” ruggì inferocito il messicano, trattenuto a
malapena dal ciclista Shunsuke Imaizumi.
L’albergatore fu rilasciato, sebbene sempre sotto il controllo del
dottor Doug Phillips e l’agente FBI Henry Durand.
“Possibile che non capite che, tutto questo, è per volontà del
grande Almattki Ass”.
L’uomo con i baffi, stufo, scartando anche Outworlder, lo colpì
alla faccia con un drop kick, facendolo finire dentro una stanza lì
vicino e accompagnando il tutto con un “Fanculo!”.
“Voi tre” riferendosi alla canadese Fleur de Lys, alla fotografa
Kiriko Mamiya e il pilota Jean Girard “Sorvegliatelo!”.
Un’altra porta si spalancò. Dalla fitta tenda di pioggia entrarono
il Soggetto N. 9, il vandel buster Slade e la zebra Marty.
“Johnny!” lo accolse Bernardo “Dov’è Frédérique?”
“Dispersa”.
L’amazzone Clitennestra rimase shockata.
“A proposito” esclamò Juna al vicino cowboy Jake Lonergan “anche
Andrea non è ancora rientrato”.
All’esterno, Ramarro rimaneva attaccato al muro del Palazzo Reale
sotto la pioggia battente.
Nella stanza di prigionia, l’aspetto di Kilo mutò. Sulle vecchie
assi di legno che costituivano il pavimento, stava ora in piedi
Almattki Ass. La divinità fissò l’uscio che si spalancò al suo
muto comando. Appena palesatosi sulla soglia, i sei presenti si
bloccarono. Chang, l’ex-giocatore di football Matt Gables, il
giovane spadaccino Ralph, il motociclista israeliano Rider, Cool One
della Lega dei Super Ragazzi e l’eroe filippino Kamandag sembravano
tante statue, mentre il norreno transitava con passo lento fra di
loro, fino ad uscire.
Solo l’arrivo di Black Samson dei quasi omonimi Guardians of the
Globe, di canadese Captain Canaduck e di Fulmine Nero della JLA
liberarono i loro compagni da tale incantesimo.
Appena ripresosi, il cinese scattò verso le scale, da cui stava
salendo Baby Head con il suo robot guidato dal bambino prodigio “Il
prigioniero è scappato!”.
Di fronte all’ingresso del Palazzo Reale, noncurante della pioggia
torrenziale, Almattki Ass s’incontrò con l’uomo in nero.
“Mio signore, ho eseguito i suoi ordini. Ho ucciso Bark il
traditore e imprigionato la donna nell’Yggdrasill”.
“Eccellente, mio fedele” poi alzò il capo verso una delle torri,
circondata dal soldato giapponese Hiro Taka e Singed il folle chimico
“Avete udito anche voi, miei rivali?”.
Nel frattempo, il Soggetto N. 6 aveva raggiunto il resto del gruppo,
accolto da uno dei Global Defenders originali, il francese Fantastic
Boy.
“Sappiate che sacrificheremo la vostra compagna per redimervi dai
vostri peccati”.
Il Soggetto N. 9, in mezzo al finestrone tra il teppista Makoto
Mizoguchi e la wrestler Miki Morita, trasalì a quella proclamazione.
“Ma non dire cazzate!”.
Tutti si voltarono verso il punto da cui proveniva quella voce.
Da dietro un albero, spuntarono dei redivivi Soggetto N. 4, l’altro
gemello Wagner, Alex, e la telepate Sookie Stackhouse.
“Vi è andata male” sogghignò l’italiano.
Dietro di lui comparvero anche la prostituta Carmela e il ragazzo
androide Kyashan.
“È vivo” esultò Johnny dando il doppio cinque a Venice Mask dei
Guardiani Italiani e la maghetta Alice.
“Sparate!” ordinò al nulla l’uomo in nero.
Attorno alla piazza in cui si trovavano i nostri personaggi,
comparvero decine di guerrieri vichinghi. A stridere un po’ erano
le moderne pistole con cui erano armati. Il primo ad accorgersene e
ad avvisare gli altri fu il wrestler Starman.
Andrea Alberti si nascose dietro un albero, con il cavaliere
Nightmaster, e rispose al fuoco con un lancia granate a ripetizione.
Nel mentre, i vichinghi utilizzarono direttamente un bazooka, il cui
colpo ricadde a qualche metro dal pompiere Guy Montag.
Wayne si mosse all’unisono con il portiere Gino Hernandez e sparo
insieme alla cantante e spia Kali.
L’esplosione sbalzò via la pallavolista Ayako Mochida.
Dopo qualche secondo di stordimento, i vari eroi si rialzarono.
“Tutto bene, signori?” domandò un traballante Lincon.
Accanto a lui, l’investigatrice Diane Matlock si stava rimettendo
lentamente in piedi.
Giunan, la Lanterna Verde Kyle Rayner e l’agente sovrannaturale
John Doe si assicurarono che Miss Hero fosse illesa dalla
deflagrazione.
“Ora basta!” si rialzò il Soggetto N. 9, seguito dal cowboy
Masked Raider e la valchiria Brunilde “È il nostro turno di
attaccare!”.
Solo il ranger Roas si accorse dell’allontanamento, dal campo di
battaglia, di Almattki Ass.
Il dio norreno, nel più totale silenzio, discese una ripida collina,
passò attraverso una fragorosa cascata d’acqua e poi si fermò.
“Destati dal tuo sogno Jona, mio possente guerriero”.
Di fronte ai suoi occhi bianchi, stava disteso un uomo gigantesco.
Come letto aveva la quasi totalità della grotta nascosta nascosta
dal muro liquido.
I nemici venivano sconfitti uno dopo l’altro. Dalla supervelocità
di Johnny Wayne, dalla pistola del detective della omicidi Brian
Heigh, dal costume da robot di Wren, dall’agilità di Marsupilami,
le mosse da wrestler di Golden Boy, dal superpotere di Captain Dynamo
e dalle arti marziali di Black Mask.
Dalla mitragliatrice di Andrea Alberti, dai poteri magici dell’eroina
messicana Hermelinda Linda, così come quelli di Serena Jounouchi,
dalla spada dell’eroina filippina Merza e dalla pistola del
poliziotto Kenneth Hutchinson.
Jack Lincon li colpiva dall’alto, mentre il camaleonte Rango e la
cameriera Toshiko Tatsuno scappavano.
Bernardo Borghi, Chang Yu, l’ammazzavampiri Reinhardt Schneider,
Templeton Peck e il campione di capoeira Ailton Barreto respingevano
gli attacchi. Finché una nuova esplosione li mise nuovamente a gambe
all’aria.
Fu in questo frangente che il messicano, Howard Powell dei Mercs e
Navajo Bear dei Dark Eagles si trovarono di fronte un loro nemico. Il
suo viso si allungò e si coprì ben presto di lunghi peli scuri.
“Pure un lupo mannaro!” si esaltò il mutaforma “Questo lo
voglio replicare anch’io!”.
Detto fatto. Il suo corpo diventa una copia quasi identica
dell’avversario.
Grazie anche agli interventi del linebacker Alvin Mack, di Isuzu
Sohma in forma di cavallo, dell’agente segreto e detective Super
Spy, di Riven l’esiliata e del Soggetto N. 6, anche l’uomo lupo
fu battuto.
“Eccone un altro!” avvertirono i siamesi Xia Leming.
Il cavallo infuocato si impennò, buttando a terra il golfista
Rannulph Junuh e il navigatore Spitfire, per poi evitare l’attacco
del calciatore Cal Casey.
L’equino infernale s’involò verso l’alto, ma qui fu subito
fermato dal Soggetto N. 2, dalla ballerina Denise, dall’eroe sui
pattini Muteking e dal calciatore meccanico Michele Barone.
Il mostro precipitò al suolo, con la fiamma della criniera che si
estinse per sempre.
“Si può dire che… si sia spento” il baffuto tentò di fare
l’ironico.
I primi ad accorrere furono il medico Steve Edison e il pugile Ippo
Makunouchi, mentre dall’alto atterrarono il britannico e Brad
Kilsten, grazie al suo controllo della gravità.
Il Soggetto N. 5 e Hikaru Shido, armata di shinai, abbattevano
svariati demonietti. Il Soggetto N. 8 e il samurai Kuroda facevano
altrettanto con i guerrieri vichinghi.
Dietro un albero, alle spalle dell’altro samurai Raikoh Minamoto,
fece capolino Hans.
Il Soggetto N. 9 e il lupo Ralph si accorsero di lui.
Il ragazzino tentò una disperata fuga, immediatamente bloccata dal
velocista, da Rogue degli X-Men, dal pirata Captain Kidd e dal topo
motociclista Pistone.
“Ok, nano” gli andò minacciosamente sopra il biondo “dov’è
il Soggetto N. 3?”.
Una nuova esplosione mandò a terra Beltrame delle Maschere.
“Ritirata!” ordinò l’uomo in nero, mentre dietro di lui Demon
Girl del Monster Commando sistemava alcuni dei suoi sottoposti.
Da dietro una masso comparvero il Soggetto N. 4 e Flamebird.
“Ritiratevi e riorganizzatevi!” proseguì il nemico, intanto che
la spadaccina Veiled Girl infilzava dei suoi scagnozzi.
“È il momento dello showdown, bastardo” la voce dell’italiano
provenì dalle sue spalle.
I due erano uno di fronte all’altro. A fargli da pubblico avevano
Ippon dell’Istituto Shiroiwa, Acrobata fuoriuscito da un quadro di
Picasso e il cavaliere francese Goffredo de Montmirail.
I due spararono all’unisono.
Il raggio laser del cattivo andò a sibilare tra Ninja Nero dei
Global Defenders B e il poliziotto nippoamericano Johnny Murata.
Nello sparare, l’ex-soldato si lanciò lateralmente alla sua
destra. Subito il pellerossa Acqua che Scorre accorse a soccorrerlo.
Sul viso del nemico era ora ben visibile la medesima maschera ferrea
indossata dagli altri guerrieri. Lentamente, ma sempre più
copiosamente, da sotto il bordo di ferro scorreva del liquido scuro.
Sangue.
Il detective privato William Hunter e la praticante di tai chi Ethel
inorridirono.
Il corpo sanguinante crollò all’indietro. Il chitarrista Drake
Parker lo seguì con lo sguardo.
“Avevo ragione…” sospirò il mutaforma bellico.
Gravità lo squadrò interrogativa.
L’altro proseguì “La lamina nei suoi occhi era più sottile”.
Si rialzò e, insieme alla ginnasta Hope Ann Greggory, raggiunse il
cadavere.
Di colpo, Johnny Wayne e l’ex-sicario Darkness attirarono
l’attenzione dei presenti.
“Ragazzi! Sappiamo dove si trova il Soggetto N. 3! È
all’Yggdrasill!”.
La prima a partire fu un membro originale dei Global Defenders: la
svedese Ice Girl grazie alla sua criocinesi.
Un essere, ancora più gigante rispetto all’albero della vita, si
stagliava davanti al vegetale.
La principessa Emiya Tachi, Dragonessa dell’Animorph Squad e la
leonessa Eliza lo fissavano allibiti.
L’americano frenò appena in tempo la sua corsa sovrumana “Cazzo!
Ci mancava anche un gigante!”
Da dietro una muraglia rocciosa, altri vichinghi e demonietti
iniziarono a sparare verso il wrestler Iron Sheik e gli altri.
“Ci sono anche tutti gli altri stronzi!” inveì l’italiano,
vicino al connazionale Buttutos delle Maschere e al dinosauro
acquatico Coo.
Jona si abbassò, afferrò un gigantesco masso, per lui nulla più
che una palla da gioco, e la lanciò.
Il cestista Anthony Keller e il calciatore Felipe Da Rosa fuggirono
in direzioni opposte.
“Riparetevi!” urlò Andrea Alberti.
Lennox, fanatico di extraterrestri, e Cheung Ka Ho, maestro di wing
chun, accolsero quel prezioso suggerimento.
La roccia si frantumò a pochi metri dalla principessa sirena Lucia
Nanami.
“Attacchiamolo ora!” gridò Johnny Wayne.
Avvenne un vero e proprio assalto collettivo. Come ad esempio Juni
Cortez e i gadget affidatagli dell’OSS, L’Ispettore Gadget che li
ha direttamente incorporati in sé e quelli futuristici di Beatrice
Prior.
“È tutto inutile!” sbottò Skyman, un eroe riemerso, come altri,
dal vaso di Pandora.
“Questi sono esseri che hanno origini dai tempi antichi della
nostra terra” spiegò rapidamente l’unico vero eroe islandese:
Sportacus.
“I nostri colpi non gli hanno fatto nulla!” osservò l’inglese.
“È indistruttibile!” replicò l’africano.
“E ora?” chiese deluso il messicano.
Ennesima esplosione che coinvolse l’aspirante surfista Sandy, il
programmatore Caleb Smith e Skylark dello Squadrone Supremo.
“Johnny!” chiamò il Soggetto N. 4, mentre dava una mano a per
rialzarsi ad Alan Dale della compagnia di Sherwood “Tu vai a
salvare Frédérique”.
“Ok! Lascio il resto a voi!” e il Soggetto N. 9 scattò, seguito
dal detective Will Dormer.
Durante il tragitto, il maratoneta Colin Smith e il violinista
Shoichi Suganuma lo avvertirono di un lago con un’acqua troppo
calda anche per una sauna rilassante.
In piedi sopra una delle gigantesche radici dell’ Yggdrasill, con
una forma ad arco, Almattki Ass osservava inespressivo il
sopraggiungere del mutante.
A sinistra il detective Patrick Carlyle e a destra Oro dei Metal Men
tentavano inutilmente di liberare le braccia della francese.
“Johnny!” sorrise felice la ballerina.
“Frédérique!” sorrise a sua volta il pilota di Formula 1.
Dedalo degli Exogini sorrise nel vedere la coppia ritrovata, poi si
accorse di altre presenze.
“Attenti!”.
Nuovi combattenti vichinghi li colsero alle spalle. L’idol Yu Son
Mi evitò un fendente mentre Death the Kid sparava tenendo le sue due
pistole sottosopra.
“State attenti!” avvertì i suoi compagni il Soggetto N. 3,
mentre sparava i raggi laser dai suoi occhi “Ne stanno arrivando
degli altri!”.
In effetti, i guerrieri erano sempre più numerosi, accerchiando
Johnny, il sollevatore di pesi coreano Jang Ryang, il mastino
tibetano dorato Doogee Yongzhi, l’ex-agente CIA Joe Matheson e la
ciclista Yayoi Ichinose.
Le forze degli eroi erano ormai allo stremo. Lo statunitense era
spalla a spalla con l’altro membro dei Blues Brothers, Jake Blues.
Il panda Panda vide sorridere Almattki Ass. il giocatore di baseball
Yuuji Namiki si mise a difesa del velocista.
Mentre Bigfoot del Monster Commando mette al sicuro il videogiocatore
Ian Maayrkas, Alberti si avvicinò a Lincon.
“Jack, portami in alto!”.
“Ai suoi ordini, messere”.
Il dandy fece passere le sue braccia sotto le ascelle del soldato e
spiccarono il volo.
Lo stesso fecero la Fiamma con il giocatore di baseball Takechiyo
Morimasa e il supereroe israeliano Uri Oan con la sopravvissuta del
Prometheus Ellen Ripley.
“Cercate di fargli aprirle la bocca!” ordinò il mutaforma
bellico, mentre il suo braccio destro stava cambiando.
La cantante Jane Jet attirò la sua attenzione con una sua canzone,
il protoplasma Gleep lo fece ridere con i suoi versi assurdi ed
infine l’eroe cinese Black Leopard si ingrandì fino alla sua
altezza e gli blocco la testa in direzione dei due Humana.
Il Soggetto N. 4 lanciò un missile che centrò in pieno la bocca
spalancata del gigante. L’asiatico lo lasciò in tempo per
l’esplosione. Una volta tornato alla sua altezza normale, fu
soccorso dal canadese Red Ketchup.
Accanto a loro, il controllore del ghiaccio Siberius e il tanguero
Angie lo videro barcollare senza testa.
In aria, il Soggetto N. 2 non credeva ai propri occhi “Com’è
possibile che riesca ancora a camminare?!”.
Il Soggetto N. 3, fiancheggiata dal grappe bulgaro Sotir Gorchev e da
Cyborg della Justice League, raggiunse infine la verità “Giusto!
Kilo è sempre stato Almattki Ass! Ci ha osservato fin da subito”.
Sotto di loro, la battaglia proseguiva. Il ciclista Presta the Clown,
l’anziano judoka Jubei Yamada, il golfista Baku, il campione di
krav maga Nir Dahan e il detective Rocky King si difendevano con
onore.
In cielo, Gozuki, vecchia conoscenza degli Humana, svettava su tutti,
mentre Joe Superboy gli svolazzava attorno. A terra, l’eroina
indipendente greca Demoscratos si difendeva a calci, il rugbista
Samuel a forza di spallate e Zanzibar utilizzava le sue arti magiche.
Su tutti, gli otto mutanti in rosso e giallo non cedevano di un
passo, seppur al limite delle proprie forze.
Almattki
Ass infine comprese. La guerra era perduta. Un bagliore accecante
avvolse tutti quanti i combattenti. Spenta la luce, non vi era più
traccia alcuna. Lo stesso villaggio era totalmente scomparso.
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Capitolo 16 *** Piramidi e cloni ***
CAPITOLO 16
“Piramidi e cloni”
La spuma bianca dell’acqua oceanica si infrangeva contro gli scogli
rocciosi ritmicamente.
Con i piedi infilati sotto la sabbia calda, Frédérique Arone
fissava verso l’orizzonte, usando la sua esile mano come schermo
per i raggi solari. Un bikini con fantasia floreale ne esaltava il
fisico snello e asciutto da ballerina di danza classica.
“Sei proprio sicuro di aver visto qualcosa?” chiedeva al vento.
Poco più in là, nel bagnasciuga, Johnny Wayne, con indosso un
costume a boxer blu, si apprestava a tuffarsi in mare.
“Sicuro. Anche se non capisco cosa sai”.
Con un tuffo dallo stile impeccabile, l’americano s’infilò tra
le onde.
“Tranquillo Johnny” rifletté la francese “Ci sono io a
guardarti le spalle”.
In effetti, grazie proprio alla sua vista sovrumana, la mutante
riusciva perfettamente a scorgere l’amico che si inabissava sempre
più. Finché non lo vide bloccarsi.
“Eccolo!” esultò mentalmente l’americano quando riconobbe un
arco semisferico spuntare dalle sabbie in fondo al mare.
Già il sentire, con il tatto, che tale materiale era inoffensivo
rassicurò il biondo. Quest’ultimo, con uno sforzo crescente,
iniziò a tirare verso di sé quella strana struttura.
Dopo interminabili minuti, l’uomo riaffiorò in superficie. Una
volta che ebbe messo i piedi sulla sabbia sommersa, si notò bene che
stava trascinando dietro di sé qualcosa di decisamente pesante.
Finalmente a riva, la donna accorse al suo fianco.
Poggiato sulla rena, vi era un grande cerchio di materiale scuro.
“Che cos’è?” domandò spiazzata lei.
“Non saprei. A me sembra un anello gigante. Con delle scritte da
hobbit!”.
L’unica soluzione fu portare il manufatto di origine sconosciuta al
quartier generale.
“… Il materiale sembra essere decisamente una lega metallica”
proseguiva nelle sue osservazioni ad alta voce Sara.
“Confermo. Grazie alla mia supervista, per quello che ne posso
capire” aggiunse Frédérique.
“Non capisco però cosa siano quelle scritte…” era perplesso
Johnny.
“Sono geroglifici” sentenziò secco Igor Wansa.
Gli altri tre si misero a fissare il ragazzino. Per poi tornare con
lo sguardo sul reperto ritrovato.
“In effetti, ricordano decisamente gli antichi geroglifici
egiziani” confermò Silvestri “E so anche chi potrebbe darmi una
mano a decifrarli…”.
Un’altra ora di attesa e, facendo il suo ingresso da un portale
magico, Bob Kramer si presentò timidamente nel salotto della villa
Humana.
Dopo aver salutato i suoi ormai conoscenti, l’appassionato di
Egitto si mise ad osservare attentamente e in silenzio ogni singolo
segno presente sul quel tondo con il buco.
Passò un’altra ora finché Mummie Boy si pronunciò.
“Molti di questi ricordano sicuramente dei geroglifici egizi. Però
altri sembrano proprio inventati…”.
“E cosa dicono, quei pochi che sei riuscito a tradurre?”
insistette l’italiana.
“Di sicuro parlano delle stelle. Poi di una specie di varco…”.
“A me sembra un enorme hula hop” ironizzò serio Chang Yu.
“Non mi resta che una cosa da fare” concluse il Soggetto N. 3,
già con il cellulare in mano “richiamare tutti gli altri!”.
Nel giro di qualche minuto, dei messaggi identici avevano raggiunto
Città del Messico, Victoria, Kinshasa, Londra e Trento.
Nel frattempo, il membro del Monster Commando, ormai vinta la sua
proverbiale timidezza, proseguiva nella suo esaminare il ritrovato
archeologico.
“… Credo non si possa nemmeno considerare una stele, data la sua
forma decisamente troppo singolare”.
Al suo fianco, il suo connazionale in rosso e giallo ascoltava le sue
parole.
“A proposito, come sta quel matto di Benji?”.
Bob ridacchiò “Al solito, è sempre il solito nerd di film horror.
Ora poi vuole utilizzare una parete dell'Amityville per appenderci
delle nostre foto”.
“Davvero?”.
“Sì. E sai come la vuol chiamare?”.
“Sentiamo…”.
Kramer si voltò verso il suo interlocutore “Hall of Fear”.
I due si fissarono allibiti.
“Sì, è sempre il solito matto” concluse il velocista.
Nel giro di qualche giorno, tutti gli Humana tornarono al loro
quartier generale. Grazie alla forza erculea di Geran, l’enorme
anello fu spostato nel giardino esterno della villa. Qui Mummie Boy,
tornato anch’egli per l’occasione, voleva effettuare un tentativo
mistico.
“Siamo tutti pronti?” domandò per conferma la francese.
“No!” rispose al volo il messicano.
“Berny non sarà mai pronto” osservò l’africano.
I mutanti si misero a ridere, mentre Sara si avvicinava alla mummia.
“Bob, sei convinto di quello che stai per fare?”.
“Abbastanza. In pratica, ripeterò alcune delle parole che sono
riuscito a leggere sopra il cerchio. Poi il resto spero lo faccia la
lancia di Anubi…”.
L’italiana assentì con la testa.
Passato il momento di ilarità, tutta la squadra si preparò per
qualsiasi cosa potesse accadere nei minuti successivi.
Bob Kramer diede inizio alla sua litania. Tali parole parevano una
dolce ninna nanna pronunciata dalla bocca bendata. Nel farlo,
l’interprete teneva le braccia spalancate e il capo reclinato verso
l’alto. Gli occhi chiusi per trovare la massima concentrazione.
Incredibilmente, qualcosa si attivò. Alcuni dei geroglifici incisi
si illuminarono. La stessa luce emanata comparve nel buco presente
all’interno di quella grande ciambella.
“Oh signore!” esclamò l’inglese “È un altro portale”.
“Chissà se questa volta sarà per Atlantide o per la Twilight
Zone?” s’incuriosì il russo.
“Purtroppo non riconosco la magia di Witch Girl, quindi di sicuro
non vi porterà da noi” replicò il membro del Monster Commando.
Il silenzio calò sui vari eroi presenti.
“Allora… chi va per primo?” si azzardò il cinese.
Nessuno si propose.
“Signori” intervenne Silvestri “dovremo comunque provare ad
esplorare cosa c’è lì dentro, a maggior ragione ora che
ipotizziamo il suo utilizzo”.
“Giusto” le diede ragione Bob “io starò qui a mantenere
aperto il portale”.
“Tu vieni con noi, Sara?” domandò Juna.
“Certo che sì, mi incuriosisci alquanto questo mistero” confermò
la bionda.
Tutti ancora immobili.
“Al diavolo! Vado io per primo!” si offrì Wayne che scattò a
supervelocità dentro il cerchio blu.
Incoraggiati dal loro leader, anche gli altri Humana si avviarono
verso quel mistico ingresso, finché non rimase soltanto il ragazzo
bendato da capo a piedi.
Una distesa di sabbia bianca come neve che si proiettava verso
l’infinito. La presenza di alte dune faceva ipotizzare essere un
vero e proprio deserto. Scavallata una di esse, gli Humana si
trovarono davanti qualcosa di ancora più maestoso.
Una piramide a base quadrata sovrastava tutto il panorama
circostante.
“State raggruppati!” ordinò Andrea, con la mano destra già
mutata di forma.
“Curioso, a me ricordata tanto l’Egitto, e a voi?” affermò
ingenuo Chang.
“Ma dai!” gli sbraitò contro Bernardo “Per me invece è Las
Vegas! Ma è ovvio che siamo in Egitto! Dove altro pensi che si
trovino le piramidi?”.
“Fate silenzio e state all’erta!” li richiamò all’ordine
Johnny.
“Non mi sento per niente tranquilla” sussurrò Frédérique.
Un assalto fulmineo e inaspettato. A finire a terra fu l’africano
e, con lui, lo stesso aggressore. Quest’ultimo, con gran rapidità,
si mise sopra al mutante, sdraiato supino sulla sabbia. Nello stesso
momento, con ancor più rapidità, l’americano scattò e colpì il
nemico in pieno volto. Tale colpo fece volar via l’elmetto
dell’avversario.
Il viso celato sotto di esso presentava lineamenti inquietanti. Tutta
la sua pelle era formata da viscide squame verdi. Gli stessi occhi
dell’individuo presentava caratteristiche più simili ai rettili
che agli esseri umani. Addosso aveva un’armatura che pareva, allo
stesso tempo, leggera ed efficace contro gli attacchi.
“Che orrore!” gridò il britannico.
“Sembra quella razza di alieni che si sente dire ogni tanto in tv:
i rettiliani!” esclamò stupefatto il messicano.
“Non muoverti o sei morto!” gli urlò contro l’italiano che già
avevo preso la mira.
Intanto l’indiano si era messo davanti al russo per protezione.
Il ragazzino faceva capolino da dietro l’energumeno pellerossa.
Improvvisamente, sul suo volto comparve un’espressione di stupore.
“Quel mostro sta pensando che siamo simili alla loro prigioniera!”.
“Cosa?” fu sorpreso Borghi.
“Ipotizzo dunque che tengono in ostaggio un’umana” si espresse
Lincon.
“Chissà con cosa è arrivato fin qui da noi senza udirlo?” si
chiese Yu.
Wayne si squadrò intorno. Poi indicò un punto poco distante dal
gruppo “Credo abbia usato quella!”.
Uno strano veicolo era parcheggiato sulla sabbia a pochi metri da
loro. La grandezza era quanto una Cadillac. La forma però ricordava
molto la punta di una freccia. Tutto il largo abitacolo era
circondato da una cupola di un materiale simile al vetro.
La squadra si avvicinò ad esso, con Alberti che teneva sempre sotto
tiro il loro ostaggio.
“Incredibile! Questa macchina non tocca terra!” Juna.
“Magari è magnetizzata. O qualcosa di simile” suppose Silvestri.
“Vedo delle forme di vita dentro a quella piramide” informò gli
altri Arone, mentre fissava seria tale monumento.
“Sembra che spazio su questo trabiccolo ce ne sia a sufficienza,
anche per Giunan. Però c’è qualcuno di noi che lo sa guidare?”
sentenziò il cinese.
Lo statunitense diede un’occhiata al posto guida.
“Vedo che c’è un solo pedale. Non credo che sarà così
complicato…”.
Come risposta ad un comando invisibile, parte della cupola sparì.
Sebbene alcuni di loro erano riluttanti, gli Humana salirono su
quella stramba automobile. Incredibilmente, bastò schiacciare
quell’unico pedale per metterla in moto.
La comitiva era da qualche minuto in viaggio, con la piramide che si
avvicinava sempre di più.
“Mamma mia che caldo!” si lamentò un Soggetto N. 2 alquanto
sudato.
“Ma fammi il piacere, Jack!” lo canzonò il Soggetto N. 7 “Per
me queste temperature sono da prima mattina!”.
“Fate silenzio e state concentrati sulla missione!” li redarguì
Sara.
Il Soggetto N. 6 osservava silenzioso e incuriosito l’italiano.
“Che arma stai usando attualmente, Andrea?” domandò.
“Uno spara palle di fuoco” rispose il Soggetto N. 4, senza
distogliere un attimo gli occhi di dosso al rettiliano.
La creatura era anche sotto osservazione attenta del Soggetto N. 1.
“Questo qui dice di classificarsi come Alien Hunter. E di stare
attenti agli squali del deserto”.
“Alien Hunter? Squali del deserto?” ripeté dubbioso il Soggetto
N. 5.
In risposta al gruppo iniziarono ad emergere, da sotto la sabbia
candida, qualcosa che assomiglia decisamente a pinne di squalo nere.
“Attenti! Siamo circondati!” allarmò tutti quanti il Soggetto N.
3.
Da sotto la rena, comparvero anche le minacciosi fauci degli squali.
Per fortuna, gli Humana erano pronti a difendersi.
“Utilizzate le pistole che avete in dotazione!” ordinò la
bionda.
I mutanti seguirono il consiglio. Il britannico si librò in alto,
più per fuga che per affrontare la minaccia, con l’assurda
collaborazione della cupola di vetro che si aprì per consentirgli il
decollo. La francese preferì utilizzare i suoi raggi laser sparati
dagli occhi, così come il cinese le sue vampate di fuoco emesse
dalla bocca.
Lo zairese osservava con attenzione i movimenti di quei pesci
assassini. Finché non prese una decisione.
“Io mi tuffo!”.
Nonostante le proteste degli altri, l’africano si tuffò e scoprì
di muoversi con la stessa abilità che aveva negli ambienti marini.
Intanto, l’italiano e l’Alien Hunter si scrutavano impassibili.
Passò ancora qualche minuto. Infine, il mutaforma si decise ad
utilizzare la sua arma contro quelle altre creature.
Con gran sorpresa dei terrestri, anche l’alieno si mise a sparare
contro quei predatori.
La battaglia fu davvero cruenta, con la macchina che non arrestò mai
la sua marcia ma, anzi, accelerò il più possibile verso la
piramide. Il Soggetto N. 8 si trovò perfettamente a suo agio in
questa lotta subacquea e, allo stesso tempo, sabbiosa.
Quando parve che non ci fossero più pinne all’orizzonte, il
veicolo si stava dirigendo a velocità folle verso la base
dell’enorme figura geometrica. Mentre Johnny tentava inutilmente di
frenare, visto che di pedale era presente soltanto quello
dell’acceleratore, nel muro della piramide si rivelò un’apertura.
Mettendosi in obliquo per un ultimo disperato tentativo di perdere
velocità, la vettura fece il suo ingresso nella struttura in
derapata. Nonostante questo, cappottò più volte. La cupola di vetro
resse.
Quando, per pura fortuna, il veicolo terminò le sue capriole in
piedi, il pilota si voltò verso i sedili posteriori.
“State tutti bene?”.
I suoi compagni, compreso anche l’alieno, erano tutti coscienti.
Bernardo aveva appena fatto in tempo a tramutarsi in un pallone da
calcio.
“Pare di sì, Johnny” gli rispose Frédérique.
“Fermo lì!” Andrea era già tornato ad avere nel mirino il loro
prigioniero.
Dall’esterno giunsero anche Jack e Juna.
Chang si avvicinò a Sara che si reggeva il braccio destro “Ti sei
fatta male, Sara?”.
“Non preoccuparti, è solo una botta”.
Parte del vetro scomparve, permettendo così a tutti gli occupanti di
scendere. L’ambiente attorno a loro era molto illuminato. Ad
occupare il pavimento vi erano ben poche cose, il resto era un
gigantesco spazio aperto. Quello che invece colpì di più gli uomini
in rosso e giallo furono le pareti. Esse, infatti, erano totalmente
ricoperte da celle della grandezza di una singola persona. La loro
parte frontale era costituita anch’essa da materiale trasparente,
ciò permise ai nostri di osservarne l’interno. La funzione
effettiva era quella di letti in verticale, caratterizzati da una
forma ergonomica per corpi umanoidi.
“Oddio!” esclamò, mettendosi una mano davanti alla bocca, la
francese.
“Jack” gli bisbiglio all’orecchio l’americano “potresti
fare un controllo veloce?”.
“E-Eseguo” l’inglese fu di nuovo in volo e, dopo aver fatto dei
rapidi cerchi su varie altezze di quota, tornò a terra.
Con poche parole diede la conferma ai suoi compagni: molte di tali
postazioni, erano occupate da centinaia di esseri della medesima
razza del loro prigioniero. Apparentemente, erano tutti in uno stato
dormiente.
“E ora che si fa?” bisbigliò appena il messicano.
“Igor” anche l’italiano parlava a voce bassa “guarda se
riesci a scoprire, dalla mente di quella lucertola, dove si trova la
prigioniera”.
Il ragazzino fissò attentamente il volto squamoso dell’Alien
Hunter. Quest’ultimo reggeva il suo sguardo con le sue fredde
pupille da rettile.
“Tutti quelli della sua razza sono dei famosi cacciatori di taglie
intergalattici… la ragazza si trova in una pedana nascosta al
centro della stanza… e lui è un disertore!”.
“Cosa?” esclamò sorpreso il cinese.
“Ma sentì sentì…” sogghignò il soldato, squadrandolo con
commiserazione.
“Se ho capito bene” proseguì il russo “lui è disposto a darci
una mano a liberare la donna, ma noi dobbiamo lasciarlo venire con
noi nel portale”.
Gli Humana fissarono dubbiosi il rettiliano per qualche secondo.
“Ok, digli che l’accordo è firmato” decise Sara “Ma che non
faccia cazzate”.
Il telepate riuscì, tramite il suo potere, a comunicare con
l’alieno. Egli alzò il braccio sinistro e andò a digitare
qualcosa sul suo bracciale.
Al centro dell’enorme spiazzo interno si aprì il pavimento in due
ante. Da sotto si sollevò un lettino. Sdraiata su di esso vi era una
donna esanime.
Il velocista fece avanti e indietro in un batter d’occhio.
“Andrea, serve una fiamma ossidrica per liberarla dalle tenaglie”.
Il trentino si avvicinò al giaciglio metallico. La cosa che lo
sorprese subito fu l’abbigliamento della signora. Seppur
palesemente una pacchiana riproduzione, il suo vestiario riproduceva
quello di un’elegante faraona, trucco e parrucco compresi. Tra i
tanti, un gioiello serpentiforme che le si avvolgeva attorno al
braccio sinistro.
La sua mano destra mutò per poter così sviluppare una lieve ma
continua fiammella azzurra. A dargli una mano arrivò anche Borghi,
il quale si trasformò nel visore oscurante per aiutarlo a
proteggersi meglio nell’operazione.
Dopo vari minuti, vissute con il patema di poter risvegliare tutto
quell’esercito di extraterrestri, i quattro anelli furono rimossi
rispettivamente da polsi e caviglie.
Il Soggetto N. 9 sollevò con delicatezza la fanciulla “Bene. Ora
possiamo…”.
Un allarme iniziò ad emettere il suo potente strillo.
“Cazzo!” imprecò il Soggetto N. 4 “Ci doveva essere un qualche
sensore di pressione! E questo coglione nemmeno lo sapeva!”
indicando l’alieno.
“Scappiamo!” urlò l’americano che, ancora con la prigioniera
liberata tra le braccia, partì nella sua supercorsa.
L’Alien Hunter, come per farsi perdonare di quella svista tremenda,
si mise alla guida del veicolo, ancora funzionante, con dentro alcune
delle persone coinvolte.
Il Soggetto N. 2 volò via mentre, sotto di lui, il Soggetto N. 7 si
era tramutato in uno struzzo che stava mettendo in atto la sua
elegante falcata.
Nel mentre, attorno a loro, tutte le postazioni si stavano aprendo,
con già qualche guerriero che si stava mettendo in moto.
La vettura dovette però arrestarsi perché il portellone della
piramide, attivato in fase di chiusura, si stava abbassando sempre
più.
Il Soggetto N. 5 scattò fuori appena in tempo per afferrarne il
bordo inferiore. Accompagnando il tutto con un possente urlo di
battaglia, lo ritirò in alto come fosse un semplice garage scassato.
Risalito al volo, la punta fluttuante sfrecciò verso il portale
magico. Degli spari proveniva dalle loro spalle. Grazie a essi, i
passeggeri contattarono che il materiale trasparente della cupola era
anche a prova di spari.
Chiaramente, il tempo per far scendere tutti non era disponibile. Per
questo, il guidatore da un altro pianeta si lanciò con l’auto e
tutti i suoi passeggeri direttamente dentro il cerchio blu.
il mezzo fluttuò sopra il giardino, prima di arrestare totalmente la
sua marcia.
“Ok, chiudi il portale Bob, ora!” comandò drastico il Soggetto
N. 7.
In fila ordinata, tutti scesero a terra.
“La ragazza dov’è?” domandò subito Sara.
“L’ho lasciata sul divano del salotto” le rispose il Soggetto
N. 9.
Un rombo improvviso attirò l’attenzione di tutti. Lo stesso
veicolo che poco fa gli aveva salvato la vita, aveva appena preso il
decollo, con ai comandi l’alieno in fuga.
“Non credo ci darà tanti problemi” rivelò serio il più giovane
del gruppo.
Passarono ore prima che le palpebre truccate della donna misteriosa
tornarono ad aprirsi.
Le sue pupille misero a fuoco un essere umano sconosciuto che
pronunciò “Ti sei svegliata?”.
Per tutta risposta, lei iniziò a urlare.
“Ma che?” si spaventò il Soggetto N. 4.
D’un tratto, nella sala dove quelle grida avevano richiamato tutti
quanti, si alzò un vento impetuoso, sebbene tutte le finestre
fossero serrate. I vari Humana si trovarono così impegnati a
salvaguardare sia la loro incolumità che il mobilio presente. Di
colpo, la donna si placò. E con lei anche la furia ventosa.
“Sei stato tu, Igor?” s’informò il Soggetto N. 5.
“Francamente, no” rispose il Soggetto N. 1.
“Tranquilli, è stato il mio capo” svelò l’arcano l’italiana.
Andrea Alberti si sedette accanto alla finta egizia, mentre questa si
era seduta in maniera più composta.
“Stai tranquilla, siamo esseri umani esattamente come te. Fidati,
qui con noi sei al sicuro. Ti Abbiamo liberata da quella piramide e
da quella specie di lucertole a due zampe. Ora, possiamo sapere come
ti chiami e da dove vieni?”.
Mentre l’italiano parlava, lei fissava a rotazione un po’ tutti i
personaggi presenti nella stanza. Quando sentì che il suo
interlocutore le aveva posto un quesito, esitò un po’. Per poi
rispondere.
“V-Vengo dagli Stati Uniti, anche se quei mostri mi hanno rapita
mentre mi trovavo in vacanza in Egitto…”.
“E sono stati loro a vestirti così?”.
Lei, per la prima volta, diede una rapida occhiata al suo vestito
“Ah… no, questo era per… uno spettacolo che volevo fare a… un
amico”.
Andrea era un attimo perplesso “O-Ok. Qual è il tuo nome?”.
“M-Mi chiamo Steve Ellis”.
Alberti sgranò gli occhi “Prego?”.
“Sì, sono un transessuale”.
La notizia sorprese tutti.
“Ecco perché…” esclamò il Soggetto N. 7, mentre riproduceva
le protesi mammarie di Steve nel suo seno.
“E sei stata tu prima a fare tutto quel casino?” riprese il
discorso il soldato.
“Sembrava manipolazione dei venti” suggerì il Soggetto N. 3.
“Non saprei che dirvi. Da quando sono stata catturata da quelle
creature, mi sento anche più strana del solito…” Ellis si mise a
reggersi la testa con entrambe le mani.
“Tranquillo… tranquilla, Steve” intervenne goffamente il suo
connazionale “con un po’ di allenamento di abituerai a questa
nuova vita, magari saranno i Global Defenders ad occuparsi di te…”.
Il trans alzò lo sguardo per fissarlo.
“Piuttosto” concluse Johnny “Hai già in mente un tuo nome da
supereroe?”.
Lei ci riflette con attenzione, per poi sorridere compiaciuta “Beh,
non mi dispiacerebbe usare il nome della località che dovevo
visitare prima di essere rapita: Giza!”.
Riuscire ad eseguire qualcosa di divino, soprattutto dopo aver
combattuto contro una vera e propria divinità, non era certo roba da
tutti. Eppure Johnny Wayne vi stava riuscendo.
I suoi piedi toccavano appena la superficie acquea, mentre sfrecciava
letteralmente sull’oceano. Grazie alla sua supervelocità, sembrava
di veder correre il più rapido motoscafo del mondo, con tutta la
schiuma bianca che faceva da coda al suo incedere.
Come se fosse routine di tutti i giorni, il biondo stava
tranquillamente riesaminando l’sms ricevuto il giorno prima. Nel
messaggio erano presenti solo numeri che, dopo una scrupolosa
analisi, aveva riconosciuto essere coordinate geografiche. L’unica
parte testuale erano due parole: SPETTRO BIANCO.
Seguendo il suo stile di vita, il velocista aveva volutamente evitato
di parlarne con il resto del gruppo. Inizialmente l’aveva
considerato alla stregua di una bufala. Poi, constatando che si
trattava della posizione di un’isola anonima poco lontana dalla
costa, si era convinto di andare a controllare tali coordinate
l’indomani.
Indossata l’uniforme degli Humana, era corso via a tutta velocità.
Il mare non l’aveva certo preoccupato. Ciò che temeva maggiormente
era l’effettiva esistenza di quella terra emersa.
“Spero solo di non stare perdendo tempo…” rifletteva mentre si
avvicinava alla locazione prestabilita.
All’orizzonte cominciò a comparire un profilo solido, fino a dare
la certezza di un atollo. La conferma definitiva la ebbe quando le
suole dei suoi stivali gialli toccarono la battigia.
“Ok” esclamò “mi do giusto un’ora di tempo. Se non succede
niente, torno immediatamente al quartier generale”.
Appena parlato, dei massi rotolanti iniziarono a venir già da una
pendenza lì vicina. Non erano particolarmente grandi ma piuttosto
numerosi. Il mutante scattò e riuscì ad evitarli tutti. Per lui,
era come se procedessero al rallentatore.
Una volta terminata questa breve valanga, l’americano non perse
tempo.
“Ora ti vengo a prendere, figlio di puttana!”.
Raggiunta in un lampo sulla cima, il Soggetto N. 9 si bloccò
stupefatto. Di fronte a sé aveva schierato la sua intera squadra,
fatta eccezione per il Soggetto N. 1.
“Johnny!” lo chiamò il Soggetto N. 8.
“Finalmente sei arrivato” lo redarguì il Soggetto N. 4.
“Però!” lo canzonò il Soggetto N. 7 “Ce ne hai messo di
tempo!”.
L’interessato li squadrava uno ad uno, sempre più sorpreso.
“Ma voi… che ci fate qui?”.
“E tu allora?” ribatté seccato il Soggetto N. 2.
“Onorevole Wayne, il messaggio è giunto anche a noi” lo informò
il Soggetto N. 6.
“Davvero?”.
“Tutto bene, Johnny?” gli si fece vicina il Soggetto N. 3.
“S-Sì” rispose poco convinto lui “però non capisco come sia
possibile…”.
“È semplice” intervenne nuovamente l’italiano “si tratta
dell’ennesimo piano dello Spettro Bianco per cercare di dividerci e
affrontarci singolarmente”.
“Quelle persone sono viscide come serpenti” s’infuriò il
messicano.
“Gente priva di qualsiasi onore” rincarò la dose il cinese.
“Mi dispiace che abbiano coinvolto anche voi” sibilò lo
statunitense.
“Non essere sciocco! Sai che dobbiamo rimanere uniti!” lo
confortò l’inglese.
“Comunque, è inutile restare qui inattivi” riprese il comando
l’ex-soldato “conviene dividerci e setacciare l’isola a
gruppi”.
“Ma non è peggio se ci dividiamo?” polemizzò il baffuto.
“Solo se fossimo impreparati” chiuse la questione il mutaforma
bellico.
“Mi raccomando, ragazzi” intervenne la francese “fate
attenzione!”.
“C’è davvero qualcosa che non va” proseguì nei suoi pensieri
il pilota di Formula 1.
Le coppie erano le seguenti: Andrea e Bernardo, Jack e Juna, Chang e
Geran, Johnny e Frédérique.
Erano passati giusto una quindicina di minuti, quando una nuova
valanga coinvolse l’ultimo duo.
“Ancora?!”.
Per fortuna Wayne se n’era accorto in tempo e, afferrata la donna
che era con lui, riuscì ad evitare tutte le rocce. Poi fu la volta
delle frecce. Ed infine della scure.
Scansato il fendente mortale, l’americano riuscì a vedere chi era
l’assalitore. Con sua somma sorpresa, aveva davanti niente meno che
lo stesso Giunan armato di un tomahawk.
“Geran! Che stai facendo?”.
L’altro non replicò.
Il Soggetto N. 9 evitò il secondo affondo e lo colpì con un
montante. Come aver colpito un muro di cemento armato.
“Ma che cazzo fai?” gli urlò contro poi, stranamente, iniziò a
sentire del calore sempre più intenso provenire dalla sua destra.
Scansatosi appena in tempo, vide le fiamme avvolgere il pellerossa.
Voltatosi, notò Il Soggetto N. 6 pronto per una nuova fiammata.
“Chang!” gli si avventò contro.
D’istinto, l’asiatico arretrò. La sua posizione era al limite di
un precipizio sul mare. Il terreno franò e con esso anche il
mutante.
“Oddio, Johnny!” Arone era sull’orlo delle lacrime “Che sta
succedendo? Forse erano sotto ipnosi?”.
Il velocista non ebbe nemmeno tempo di pensare ad una risposta
plausibile, che il Soggetto N. 2 gli planò addosso.
“Jack!”.
Solo allora Johnny notò che l’altro era armato di coltello. Riuscì
comunque a torcergli il polso e a fargli conficcare la lama sulla
spalla opposta.
Con il volo ormai fuori controllo, entrambi precipitarono in mare.
Sott’acqua, l’americano riuscì a liberarsi della stretta del
britannico. Fu così che si accorse dell’attacco di una figura
armata di tridente. Come un novello tritone, Il Soggetto N. 8 gli si
avventò contro. Il Soggetto N. 9 evitò anche lui e, preso dalla
furia dovuta a quella situazione inspiegabile, lo trapasso con quella
stessa arma mitologica.
Mentre il cadavere dello zairese galleggiava esanime, l’altro
riemerse in superficie. Ispirando profondamente, i suoi polmoni
tornarono a riempirsi di ossigeno.
Il suolo attorno a lui fu colpito da una raffica di armi da fuoco.
Alzato il capo, vide i Soggetti N. 4 e 7 che gli sparavano contro.
Entrambi con la mano destra tramutata in una specie di carabina.
C’era decisamente qualcosa che non tornava.
Sebbene sempre più disorientato, con due pugni alla supervelocità
li mise entrambi a nanna.
“Sono morti!” gridò Il Soggetto N. 3.
“Che cosa?”.
“I loro cuori non battono più. Così come quelli degli altri”.
“Non è possibile che siano morti per così poco!”.
“Ti dico di sì! E li hai uccisi tu!”.
“Non erano loro, Frédérique”.
“Ma cosa dici, Johnny?”.
“Te lo giuro! Ho visto Berny che si era trasformato come Andrea!”.
“È assurdo!”.
“No, sono loro che erano assurdi! E ti dirò di più, Frédérique…”.
“Cosa?”.
“Sono convinto che anche tu sei finta!”.
Detto questo, estrasse una pistola che aveva infilata nella cintura
nera e le sparò in pieno petto.
La ballerina si accasciò al suolo, nonostante dal foro della
pallottola non fuoriuscisse nemmeno una goccia di sangue. Il suo
assassino la osservò in silenzio.
Passato qualche minuto, il suo corpo iniziò a polverizzarsi,
divenendo una sostanza molto simile alla comune sabbia.
“Dei luridi cloni…” sentenziò a bassa voce il biondo.
Un boato si fece sempre più forte mentre, da dietro l’alta
vegetazione dell’isola, si sollevava in aria un piccolo aereo.
“Bastardi!” digrignò i denti Johnny quando, abbassando lo
sguardo, notò l’arma di Alberti che non si era ancora sgretolata.
Con uno dei suoi soliti scatti, la prese da terra e riuscì a sparare
contro il velivolo che si disintegrò all’istante.
“Sarete
stati anche in grado di prendere il nostro DNA, ma battere gli
originali non sarà così semplice, vigliacchi schifosi!” urlò al
vento.
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Capitolo 17 *** Nuzm e Lusca ***
CAPITOLO 17
“Nuzm e Lusca”
Abissi oceanici. L’acqua, di un azzurro cristallino, striata da
venature dorate provenienti direttamente dal sole in superficie.
Era in questo mondo silenzioso che il Soggetto N. 8 si ritirava per
ore ed ore. A sfiorarlo, in questo suo pellegrinare senza meta, la
più varia fauna di pesci di acqua salata. Ovviamente, ve ne erano di
ogni misura, dal più microscopico al più enorme.
Ed è proprio uno di questi ultimi che il mutante aveva davanti. Il
corpo scuro di una balena gli si fece improvvisamente davanti.
“Tu sei uno dei nove?”.
Quella voce maestosa comparve d’un tratto nella sua mente,
spaventando il giovane zairese.
“Che cosa è stato? Non può essere Igor, non credo riesca a
raggiungere certe profondità…”.
“No, Juna. Non sono il tuo compagno russo”.
“Sai anche il mio nome? Chi sei? Come fai a sapere queste cose?”
lui s’infuriò, seppur ad un livello esclusivamente mentale.
“Perdona la mia maleducazione. Il mio nome è Nuzm”.
“Che strano nome!”.
“Come credi che mi sembrino i vostri, allora?”.
“Nostri? Vuoi dire che non sono solo?”.
“I tuoi compagni sono sempre con te”.
“Non ci avrai presi tutti per dei novelli Pinocchio?” si presentò
il Soggetto N. 6.
“Tu, più che un burattino, sembri una palla da spiaggia!”
ironizzò il Soggetto N. 7.
“Piuttosto, vuoi dirci come fai a sapere così tante cose di noi?”
domandò il Soggetto N. 4.
“So anche che state combattendo una dura battaglia contro lo
Spettro Bianco” aggiunse la voce.
“Vi giuro ragazzi che non sono io!” si profetizzò innocente il
Soggetto N 1.
“Già è assurdo che tu abbia raccolto così tante informazioni nei
nostri confronti, si può sapere chi diavolo sei?!” si alterò di
più l’italiano.
Passò qualche attimo di silenzio.
“Andiamo Juna, sono proprio qui davanti a te!”.
Gli occhi dell’africano si spalancarono “Sei la balena?!”.
“Quale balena?” chiese sorpresa il Soggetto N. 3.
“Sì, cari i miei Humana. Potete tranquillamente considerarmi sia
un capodoglio che una megattera. Oppure una balenottera”.
“Come riesci a parlare con noi?” s’interessò il Soggetto N. 9.
“Sono secoli che navigo su questa terra, forse è solo per
combattere la solitudine che mi accompagna in questa mia lunga vita”.
“E sei riuscita a sopravvivere così tanto?”.
“Esatto, mio amico americano. Sopravvissuta a tutte le guerre”.
“Pure quella fredda, semifredda o tiepida?” ironizzò ancora il
messicano.
“Tutte, caro Berny”.
“Vuoi dunque dirci che fai parte di tutto quell’universo di
misteri che noi, in quanto Humana, ci dobbiamo trovare ad affrontare,
volenti o nolenti?” sentenziò il Soggetto N. 2.
“Non avrei saputo esprimermi meglio, Jack”.
Da sotto il gigantesco ventre di Nuzm, fece capolino una coppia di
delfini. I due mammiferi, ignari della multipla conversazione che
stava avendo atto in quel preciso momento, si misero a piroettare fra
di loro.
“Quindi riesci anche a viaggiare nel tempo?” riprese il discorso
l’inglese.
“È un po’ più complesso di così. Diciamo che il tempo mi
scorre addosso, come fanno le correnti che trovo in questi mari”.
I due delfini si allontanarono contenti.
“Riguardo a tutte le cose che sai su di noi?” Riprese Andrea.
“Tipo che siete da poco scappati a dei rettiliani dentro a una
piramide?”.
Tutti rimasero perplessi.
“Allora sai anche di Steve?” ipotizzò Chang.
“Naturalmente”.
“Che poi a te, Andrea, sembra anche interessarti…” buttò lì
Bernardo.
“Ma che cazzo dici, Berny?” replicò secco il mutaforma bellico.
“Non dovresti nascondere i tuoi sentimenti” lo redarguì Jack.
“Oggi niente avventura” parlò per la prima volta Geran.
“Non è detto!” si esaltò la balena “Basta solo un tocco di
fantasia!”.
Il Soggetto N. 4 si ritrovò circondato dalle piramidi. Il Soggetto
N. 5 si ritrovò circondato da alieni grigi. Il Soggetto N. 2 si
ritrovò circondato da tante lapidi. Il Soggetto N. 6 si ritrovò
circondato da vari rombi. Il Soggetto N. 8 si ritrovò circondato da
altri pesci. Il Soggetto N. 9 si ritrovò circondato da violenti
fulmini. Il Soggetto N. 3 si ritrovò circondato da svariati occhi.
Andrea sparava con la mano destra trasformata in una spara missili.
Geran assestava possenti colpi sulle enormi teste dei grigi. Jack
sorvolava quell’infinita distesa di pietre tombali. Chang sputava
fuoco contro i rombi. Johnny evitava a supervelocità le folgori.
Frédérique sparava raggi laser dai suoi occhi contro quelli degli
avversari.
Mentre questi otto affrontavano le proprie illusioni, il corpo del
Soggetto N. 7 era vittima di una profonda crisi mutaforma. Era come
vedere una sfera di plastilina impazzita. Improvvisamente, tornò in
forma umana e cacciò un urlo a squarciagola. Tale urlo fu talmente
potente da risvegliare tutto il resto del gruppo. Mentre una grande
esplosione avveniva nelle menti di tutti quanti.
Juna si risvegliò ancora galleggiante sott'acqua.
“Perdonami, Juna. Questa volta ho un po’ esagerato” disse con
tono dispiaciuto Nuzm.
“Un po’?!” s’infuriò l’africano, producendo varie bolle
dai suoi orifizi facciali “Con che coraggio dici “un po”?!”.
“Per farmi perdonare, assumerò una forma umana, così da potervi
chiedere scusa nella maniera più congeniale”.
L’enorme massa del cetaceo si ridusse sempre più, diventando più
o meno della stessa altezza del mutante. Nel frattempo, il suo corpo
veniva rimodellato per assomigliare a quello di un essere umano di
sesso femminile.
Appena aperti gli occhi, la fanciulla diede un’occhiata al suo
costume da bagno integrale di colore grigio scuro.
“Che ne pensi?” rivolta all’uomo che aveva davanti.
“Beh, se proprio devo dire la mia, credevo di trovarti nuda…”.
“Ehi, non esagerare!” lo rimproverò la tizia con i capelli
altrettanto grigio scuri “Ricordati che ci stanno guardando, se
così si può dire, anche una donna e un minorenne!”.
Gli altri Humana erano in imbarazzo per lui.
Nuzm lo fissava seria con i suoi occhi totalmente scuri. Poi sorrise.
“La vostra lotta è ancora lunga, miei cari Humana. Sappiate che
tante altre minacce giungeranno per affrontarvi. Siano essere
terrestri o provenienti da altri mondi o tempi. Però, ne sono certa,
sarete sempre in grado di affrontarle come avete sempre fatto fino ad
ora. Per quanto mi riguarda, se avrete bisogno del mio aiuto, saprete
sempre dove trovarmi. Qui, negli abissi delle profondità marine, il
vostro grido di aiuto arriverà sempre perfettamente alle mie
orecchie”.
Detto ciò, la donna tornò ad assumere le sue sembianze animali.
Mentre il Soggetto N. 8 la salutava sventolando una mano, Nuzm si
inabissò nell’oscurità oceanica.
Un lago placido e tranquillo. La superficie liquida appena increspata
da onde lievi e innocue.
Come collegamento con la terra attorno ad esso, un piccolo pontile in
legno. Seduto sulle tavole consumate, con le gambe penzoloni
sull’acqua, una persona solitaria impegnata, ma neanche troppo, in
una pesca sonnolenta.
Il suo nome era Mitchell Wade. Nonostante il cielo fosse
completamente sgombro da nubi minacciose, lui era totalmente coperto
da un ampio impermeabile giallo, compreso il cappuccio sollevato
sulla testa. L’unica cosa che, ogni tanto, dava segnali di vita era
la lenza della canna da pesca.
Improvvisamente, qualcosa parve fare capolino dalle profondità. Più
che si sollevava dall’acqua e più si allargava la sua
circonferenza. Poi ne spuntò un altro. E un altro. E ancora altri
due.
Nel giro di pochi secondi, degli oscuri tentacoli avevano circondato
il nostro sfortunato pescatore. Quest’ultimo, con fare impassibile,
si alzò in piedi. Dal lago, per tutta risposta, emerse una
gigantesca testa di calamaro, più altri tentacoli.
“Il pesciolino ha abboccato!” sussurrò soddisfatto “Venite a
prenderlo”.
Quell’enigmatico segnale d’aiuto, oltre a giungere al suo
presunto destinatario, arrivò anche nella mente di Igor Wansa.
Riuscendo anche a rivelare la posizione geografica del richiedente,
il telepate russo avvertì i suoi due compagni più vicini alla zona.
“… Hai capito di che lago sto parlando, Johnny?”.
“Tranquillo Igor, siamo già in viaggio!” rispose la scia rossa e
gialla.
Passato qualche minuto, i due mutanti comparvero sulla scena. Il
Soggetto N. 6, per nulla abituato a quel trasporto così rapido, fu
preso da un attacco di vertigini. Fatta qualche piroetta, resa
assurda dalla sua particolare forma fisica, crollò all’indietro
sull’erba alta.
“Tutto bene, Chang?” lo fissava tranquillo il velocista.
L’altro non replicò.
Subito però l’attenzione dell’americano fu catturata
dall’inquietante creatura che si sollevava dal lago. Un gigantesco
calamaro stava agitando in aria le sue numerose appendici con
ventose. Intanto, nella costa vicino al bacino lacustre, si stava
allontanando proprio il primo essere umano che aveva visto comparire
tale creatura.
Il biondo fissava inebetito quel terrificante spettacolo “Chissà
quanti tentacoli ha?”.
Accanto a lui un pipistrello, che stava sorvolando la zona, scese in
picchiata e, magicamente, assunse delle sembianze umane.
“Dovrebbero essere dieci…”.
“Ma che cazzo?” sobbalzò spaventato il Soggetto N. 9, facendo
rianimare anche il suo alleato.
Al suo fianco vi era ora Benjamin Luhan, conosciuto ai più come
Vampire Boy.
“Fanculo! Dovevo immaginare che eravate coinvolti voi in questa
faccenda” il biondo aveva ancora il cuore che batteva più rapido
della sua supervelocità.
L’altro, indifferente, proseguiva nel suo discorso “O per lo
meno, noi del Monster Commando manderemo dieci nostri membri ad
affrontarlo”.
“E dove sono ora i tuoi colleghi?” intervenne il cinese.
“Arrivano, tranquillo” rispose Benji.
Gli occhi vuoti del polpo li aveva infine notati. I quattro esseri
della terraferma stavano immobili di fronte a lui, fissandolo.
I suoi tentacoli viscidi si levarono in aria all’unisono, come ad
imitare una macabra preghiera. In quell’istante Johnny si accorse
che erano effettivamente una decina.
Il primo ad intervenire fu Arimaspi, una ciclope dall’altezza
umana. Armato di spada, tagliò una delle sue appendici, per poi
scoprire che essa si rigenerava all’istante ed esserne catturato.
Il secondo ad intervenire fu Minhocao, un gigantesco verme. Si
attorcigliò intorno a un suo tentacolo, non con particolare
rapidità.
La terza ad intervenire fu Dolly Dearest, una bambola assassina meno
famosa dell’originale. Tentò giusto qualche coltellata, che andò
pure a segno, ma fu ben presto catturata anche lei.
Il quarto ad intervenire fu Jupiter Boy, proveniente da “Le colline
hanno gli occhi”. Una volta afferrato da un tentacolo, lo prese
direttamente a morsi, dimostrando così di non essere affatto un
cannibale.
Il quinto ad intervenire fu Gandharva, una pseudo divinità indù
che, rimanendo totalmente immobile, si fece facilmente catturare
dall’acquatico.
Il sesto ad intervenire fu Ropen, una specie di pterosauro
proveniente dalla Papua Nuova Guinea. Dopo aver emesso due strilli
acuti, venne agguantato al volo dal polpo.
Il settimo ad intervenire fu Camazotz, un enorme pipistrello che,
nonostante fosse armato con un coltello sacrificale, subì lo stesso
trattamento riservato al precedente.
L’ottava ad intervenire fu Gata Carogna, una grossa gatta dal pelo
irsuto e rosso. Dopo aver soffiato ripetutamente all’indirizzo del
nemico, fu afferrata anche lei.
Il nono ad intervenire fu Cenocroca, una creatura formata da varie
parti animali. Nel giro di pochi attimi, fu catturato anche lui.
Il decimo ad intervenire fu, questa volta direttamente dal medesimo
lago da cui era emersa tale minaccia, Nereide. La ninfa acquatica
resistette decisamente di più rispetto ai suoi compagni di squadra.
Anche perché, in suo aiuto, aveva la sua controparte italiana,
Longana.
Benji osservava in silenzio e con attenzione lo svolgersi della
battaglia. Al suo fianco, Wayne era sempre più impaziente.
“Sei proprio sicuro che non devo intervenire?” reclamò
nuovamente il biondo.
“Assolutamente sì”.
“Non mi pare che i tuoi stiano andando particolarmente bene…”
insistette.
“Beh, quello è normale. Non è da molto che si sono uniti al
nostro gruppo”.
Alle loro spalle, con fare furtivo, si stava avvicinando una nuova
presenza.
“Scusa Benji…”.
Nuovo scossone violento del velocista.
Uno scheletro parlante lo fissava sbigottito.
“Oddio! E tu chi sei?” gli urlò contro il mutante.
“Io sono Johnny, e tu?”.
“Anch’io sono Johnny!”.
“Che cosa ambigua!” commentò Chang, rialzatosi finalmente.
“Non vorrai mica dirmi che tu…” il Soggetto N. 9 indicò il
nuovo arrivato “sei una mia versione futura che, una volto morto,
tornerà a tormentare una mia versione giovane, per farlo pentire di
un suo possibile peccato futuro?”.
Tutti lo fissarono in silenzio.
“No. Sono solo uno scheletro parlante”.
Altri attimi di mutismo.
Il teschio si voltò verso il vampiro “Comunque, Benji, dicono gli
altri che si sta facendo tardi. E Kaufman comincia ad avere fame…”.
“Ok…” rispose contrariato Luhan “Peccato perché se la
stavano cavando alla grande!”.
I bulbi oculari vuoti andarono a fissare il lago “Se lo dici tu…”.
“Benissimo! Ora sta a me entrare in scena!” si apprestò allo
scatto il pilota di Formula 1.
“Non occorre” lo frenò Vampire Boy “ci penserà Abisso”.
“Quale abisso?” domandò spiazzato il Soggetto N. 6.
“Lui!” puntò il suo dito ossuto Johnny.
Con un effetto ancora più assurdo, parve che l’acqua dolce avesse
preso letteralmente vita. Dal bacino si tirò su una gigantesca
figura umana trasparente, con al suo interno tutti i vari membri del
Monster Commando.
“Che diavolo è quello?!” esclamò Wayne.
“Quello è l’elementare dell’acqua” lo informò Luhan.
Uno dopo l’altro, vennero sputati fuori tutti i combattenti, tranne
il polpo abnorme.
Un portale azzurro comparve a mezz’aria di fronte al colosso
liquido. Con la stessa agilità di un nuotatore, Abisso ci si tuffò
dentro, scomparendo dalla radura.
Seguendo il suo esempio, anche il resto della comitiva oltrepassò
altri portali.
“Ve ne tornate a casa?” s’incuriosì Yu.
“Sì, rientriamo all'Amityville Headquarter”.
“E che ne fate di quel mostro?” s’intromise il velocista.
Vampire
Boy ci rifletté un po’ su “Penso proprio che lo chiameremo
Lusca”.
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Capitolo 18 *** Mongolia, droga ed aerei ***
CAPITOLO 18
“Mongolia, droga ed
aerei”
Mongolia
Accompagnato dal rumoroso roteare delle sue pale, un elicottero
atterrò delicatamente su di un manto innevato.
Quando ormai la motrice era in spegnimento, dal veicolo scesero
Johnny Wayne e Sara Silvestri. Ad accoglierli vi era una donna, tutta
bardata da un vestito termico e un simil colbacco in testa.
“Benvenuta signora Silvestri, spero abbia fatto un buon viaggio”.
“Grazie, sì non c’è male”.
“E lei sarebbe?” indicò l’uomo.
“Johnny Wayne. Puoi chiamarmi Johnny”.
“Allora” riprese il discorso l’italiana “nella mail che mi
avete mandato, avete scritto di una scoperta straordinaria…”.
“È proprio così! Vi prego di seguirmi, così ve lo mostreremo
direttamente”.
I due degli Humana seguirono la donna e salirono su di un veicolo,
attrezzato con cingolati idonei per potersi spostare su quel terreno
impervio.
Dopo una ventina di minuti, il mezzo si arrestò di fronte ad
un’imponente montagna. Ai piedi di essa, era ben visibile
l’apertura di una caverna. Fu da lì che il trio entrò.
“… Le assicuro, signora Silvestri, questa scoperta getta nuove
basi sull’intera storia umana!” la donna era sempre più esaltata
ad ogni parola.
Scese delle scale improvvisate nella neve, i tre si trovarono di
fronte ad un enorme blocco di ghiaccio, come è facile trovarne in
quella regione del mondo. La cosa sbalorditiva però giaceva
esattamente dentro di esso.
Un essere umano, alto quasi due metri, con petto e spalle di
un’ampiezza davvero notevole ma, soprattutto, con indosso dei
vestiti che riportavano subito alla mente gli antichi guerrieri che,
millenni prima, dominavano il territorio mongolo.
I due nuovi arrivati rimasero allibiti da tale visione.
“Capite di cosa stavo parlando? Noi stessi siamo rimasti spiazzati
appena lo abbiamo scoperto! Qualcuno dei miei ricercatori addirittura
pensava ad uno scherzo di Halloween o simile!”.
I due biondi continuarono a fissare l’essere.
L’altra riprese a parlare “Ecco perché abbiamo deciso di
rivolgerci a voi. Sappiamo che il vostro gruppo si occupa proprio di
queste stranezze e assurdità”.
“Sì… beh…” tentennò Sara “Diciamo che non è proprio il
nostro lavoro…”.
Il velocista si avvicinò ancora di più alla lastra di ghiaccio “È
incredibile come si sia mantenuto così bene in tutti questi anni!”.
Mentre fissava i suoi lunghi baffi e capelli neri, le palpebre del
ritrovamento si spalancarono.
“Cazzo! È vivo!” urlò spaventato il mutante.
“Cosa?” fu presa alla sprovvista Sara.
Ma le spiegazioni furono interrotte sul nascere dalle numerose crepe
che si disegnavano sulla superficie trasparente.
“Ma che succede?” la dottoressa era in preda al terrore.
“Forse sarà il caso di uscire!” ordinò l’altra.
“No, ferme!” le bloccò l’americano “Rischierete di rimanere
intrappolate nel tunnel!”.
Come predetto, il ghiaccio crollo, ma solo attorno all’antico uomo,
ora in grado di camminare nuovamente.
Il viso del guerriero, privo di espressioni, li fissava immobile.
“Bisogna assolutamente comunicare con lui!” bisbigliò
all’orecchio di Sara.
La scienziata, con voce tremante, iniziò a parlare utilizzando un
idioma sconosciuto.
L’uomo non produsse alcun tipo di riposta.
“Che utilizzi una lingua ancora più antica?” pensò Sara.
Di colpo, prese ad effettuare qualche lento passo. Il suo fare era
tutto tranne che minaccioso, perciò nessuno dei presenti si mise in
allarme.
L’andamento si fece sempre più deciso, finché non si trovò
all’esterno dell’antro.
“I suoi indumenti mi fanno pensare niente meno che al terribile
Gengis Khan. Che sia magari uno dei suoi soldati? O qualche suo
consigliere?” ipotizzò la studiosa.
“Io so solo che non credevo l’ibernazione funzionasse veramente!”
replicò il Soggetto N. 9, il quale non staccava un attimo gli occhi
da quella possibile minaccia.
Nello stesso momento, l’uomo venuto dal passato girava il suo
sguardo spaesato su tutto il panorama che aveva attorno. In
particolare, quello strano animale metallico con strambe ali che
giaceva lì vicino.
“Che abbia fame?” ipotizzò la dottoressa “Insomma, dopo essere
stato in criostasi per tutti quei millenni”.
“L’importante è che non ci scambi noi come prede” avvertì il
mutante.
“Non credo” suggerì lei “lo vedo ancora molto ingenuo verso
questo nuovo mondo che si trova improvvisamente davanti”.
Nel mentre, in tutto il campo base lì attorno, gli altri ricercatori
si avvicinavano con circospezione alla loro scoperta, ora viva.
Alcuni, non sapendo cosa proporgli come pasto dopo un sonno così
prolungato, gli lanciarono a qualche metro di distanza delle
bistecche crude, come si fa con le tigri chiuse in gabbia.
Altri, più entusiasti, iniziarono ad enunciare possibili nomi da
potergli affibbiare, come fosse un cucciolo appena regalato dai
genitori. Il più gettonato era decisamente Nergui. Letteralmente,
senza nome.
Tra di loro, malauguratamente, era presenta anche qualche operaio più
goliardico che, nell’ebbrezza della festa, non trovò di meglio da
fare che lanciare un razzo di segnalazione. Il fumo scarlatto fece da
scia alla sfera luminosa che arrivò fino in cielo per poi, con una
traiettoria a parabola, ricadere verso il basso.
Tutti quegli sconosciuti urlanti, più quell’assurdo serpente rosso
e incorporeo che si stagliava tra le nubi, fecero scattare l’ira di
Nergui.
“Fermi! Fermi! Colleghi, che cosa fate?!” gli avvertimenti della
dottoressa rimasero inascoltati.
Per primo, si avventò su un ricercatore a pochi passi da lui. Con
una leggera torsione del polso, gli troncò l’osso del collo. Poi
ne scaraventò un altro contro il gatto delle nevi, spezzandogli di
netto la schiena.
In mezzo al fuggi fuggi generale, la sua attenzione si rivolse verso
la ricercatrice.
Nonostante il mongolo caricasse verso di lei, chiaramente il Soggetto
N. 9 fu più veloce e la portò a metri di distanza.
In quell’istante, i due sfidanti si fissarono in silenzio.
L’asiatico afferrò un grosso tronco da un accatastamento alla sua
sinistra. All’unisono, scattarono l’uno verso l’altro. Solo
alla fine Johnny approfittò della sua supervelocità, scartando
verso destra.
Il suo vero obiettivo era il retro del collo del guerriero, talmente
ampio da non poter sbagliare il colpo. Fu così che gli piantò una
freccetta soporifera nella pelle.
Nergui, più infuriato che mai, si tolse subito quell’oggetto
minuscolo dalla carne, ma non in tempo. Dopo un primo barcollamento,
pur tentando un ultimo attacco all’americano, si accasciò
addormentato sul terreno innevato.
“Ti avevo detto che questa nuova arma poteva esserci utile…”
gli si avvicinò Sara.
“Tu sapevi già tutto, o sbaglio?” replicò il pilota di Formula
1.
“Lo sai, ho il mio buon informatore”.
“E sai anche qualcos’altro?”.
“Che quell’idiota che ha lanciato il razzo fa parte dello Spettro
Bianco, ad esempio”.
Dicendo ciò, gli indicò il tizio anche lui collassato al suolo. Era
facile intuire che fu la stessa bionda ad averlo ridotto così.
“Sono anche qui?”.
“Sono dovunque Johnny, lo sai!” il suo sguardo si fece
preoccupato “E temo che presto torneranno al contrattacco nei
nostri confronti”.
Wayne fissò l’energumeno mongolo sdraiato prono.
“Chissà che fine farà questo sfortunato?”.
La neve prese a scendere delicata dal cielo.
Ristorante di Chang Yu
Dopo molti mesi, il proprietario era incredibilmente dietro alla
cassa del suo locale, contemplandone l’arredamento in stile antico.
Come suo solito, comparve di corsa Johnny Wayne, seguito da una
violenta folata d’aria alle sue spalle.
“Benvenuto, signor Wayne” lo salutò il cinese, rimanendo
impassibile anche mentre teneva bloccati sul ripiano, con ambo le
mani, vari fogli di carta.
“Ciao Chang, hai un tavolo singolo disponibile?” ricambiò il
saluto l’americano.
“Per voi degli Humana, sempre. Possa sapere il motivo di tale
visita?”.
“Sara è in viaggio insieme a Jack e io avevo voglia di mangiare
cinese”.
“E alla villa non è rimasto nessuno?”.
“Certo che c’è qualcuno! Anzi fammeli chiamare per dirgli che
sono arrivato”.
Il velocista tirò fuori il cellulare dalla tasca, selezionò il
numero desiderato e si portò il cellulare all’orecchio.
Dall’altra parte dell’apparecchio, rispose la dolce voce di
Frédérique Arone.
“Pronto, Johnny? Sei arrivato da Chang?”.
“Sì, è andato tutto bene il viaggio. Sai niente di Sara?”.
“Sì, l’ho sentita poco fa. Anche lei è arrivata a
destinazione”.
“Perfetto. Ma ora sei da sola al quartier generale?”.
“No, siamo io e Igor. tra poco pranziamo anche noi”.
“Bene dai, allora vi lascio mangiare. Io rientro quando ho fatto
qui”.
“Ok, Johnny. Salutami l’onorevole Chang”.
Il biondo non fece in tempo a portare i saluti della donna che,
sbatacchiando la porta d’ingresso, entrò un ragazzo armato di un
lungo coltello.
“Vecchio, fuori i soldi!”.
Il Soggetto N. 6 era scandalizzato “Come “vecchio”?!”.
“Ho detto fuori i soldi!” insistette il rapinatore.
“Come questi?” il ristoratore fece comparire nella sua mano una
banconota di Renminbi cinese.
Mentre il delinquente cercava di afferrarli, il mutante soffiò una
lingua ardente dando fuoco alla carta colorata.
Il ladro pareva decisamente fuori di sé, con gli occhi vitrei e
sbarrati e la sudorazione elevata.
“Sarà il caso di finirla, che ne dici?” attirò la sua
attenzione il Soggetto N. 9.
L’altro si voltò di scatto e, preso dalla furia, gli si scagliò
contro con la lama sguainata. Solo la supervelocità permise che ogni
fendente finisse a vuoto.
Constatando l’inutilità dei suoi gesti, il tizio urlò disperato.
“Sapevo che quella roba era troppo per me!”.
“Che roba?” domandò perplesso Chang.
“Credo stia parlando di droga…”.
Nel mentre, dall’esterno dell’edificio, si iniziarono a udire le
sirene della polizia.
Con il malvivente ormai inerme, gli agenti lo arrestarono con
facilità.
“Questo è il quarto oggi. Dicono sia una nuova droga
mediorientale…” scappò detto, seppur a bassa voce, a uno di
loro.
“Questa storia non mi convince…” asserì il pilota di Formula
1.
“Come mai dici ciò?” chiese il cuoco.
“Dove c’è il medio oriente, c’è lo Spettro Bianco”.
“A proposito, dov’è andata Sara?”.
“Dopo la Mongolia, ha deciso di andare a…”.
Londra
Una bionda e un dandy percorrevano, con passo lento e piacevole, il
Tower Bridge.
“Riconosco che Londra ha sempre il suo fascino” affermò rapita
Sara Silvestri.
“Non farti ingannare, Sara. Anche la capitale dell’impero
britannico ha la sua faccia oscura e ben nascosta” la avvertì Jack
Lincon.
Mai parole furono più profetiche. Sulla cima di una delle due torri,
un uomo, vestito con una calzamaglia blu e un mantello bianco, come a
simulare il vestiario di un generico supereroe, stava per spiccare il
volo nel vuoto.
Per sua fortuna, il Soggetto N. 2 aveva alzato gli occhi e notato la
sua caduta.
“Santi numi!”.
Con un balzo, il mutante era a sua volta in aria. In pochi secondi,
riuscì ad afferrarlo e portarlo sul marciapiede sottostante.
“Ma che cosa hai in testa? Dimmelo!” gli sbraitò contro, mentre
l’altro era sdraiato al suolo.
“Io posso volare!” fu la risposta sconclusionata del tipo.
“È palesemente sotto effetto di stupefacenti” osservò
l’italiana.
“Beh, qui a Londra capita anche questo…”.
“Temo sia qualcosa di peggio…”.
“Sarebbe?”.
“Ultimamente ci sono sempre più notizie di una nuova potentissima
droga, prodotta in Iraq”.
Giusto il tempo di rientrare al quartier generale, e subito Johnny
Wayne era stato costretto ad indossare il suo costume rosso e giallo.
In una banca nelle vicinanze un tizio, armato di fucile, aveva fatto
una strage dei presenti e ora, apparentemente, si era messo seduto a
fissare il vuoto.
Questo fu quanto riferito da un nuovo agente di polizia al velocista.
“Vorrà dire che entrerò lì dentro”.
“Credi di essere in un film di supereroi?” lo bloccò il
poliziotto “Probabilmente quel pazzo ha altri ostaggi con sé”.
Dall’interno dell’edificio si udì uno sparo.
Uno dei pochi sopravissuti, tentando una fuga disperata, aveva
provato a muoversi.
Come rianimatosi, l’assassino lo aveva centrato in mezzo alla
fronte urlando “Voglio altra roba!”.
“La prego!” insistette furioso l’americano “Mi faccia
entrare! Con la mia velocità, quel bastardo non sarà in grado di
fare più del male a nessuno!”.
Il piedipiatti ci rifletté su per qualche secondo “D’accordo.
Ma, se succede qualcosa, la responsabilità è soltanto tua!”.
“Il prossimo che si muove gli infilo la canna su per il culo!”
minacciò il pazzo.
Un fulmine rosso e giallo entrò nell’enorme stanza e, in un batter
d’occhio, l’omicida era a terra esanime.
Quartier generale
“È ancora quella droga?” chiese preoccupata il Soggetto N. 3.
“Sì, purtroppo” confermò rattristato il Soggetto N. 9.
“Oddio, spero che non arrivi mai a bambini come Igor…”.
Londra
“Mentre io sono impegnata qua dentro, tu stai qui fuori e aspetta
l’arrivo di Geran” enunciò Sara “Tutto chiaro, Jack?”.
“Come un cielo d’estate” rispose, poco convinto, lui.
Seppur poco convinta, la donna entrò dentro un enorme palazzo in
stile barocco.
Passarono i minuti e, dalla via principale, fece la sua comparsa
l’enorme figura del pellerossa.
“Ben trovato, Lincon” lo salutò il nuovo arrivato.
“Sì…”.
Il silenzio calò tra i due.
“Mi togli una curiosità, Geran?” riprese l’inglese.
“Dimmi”.
“Come hai fatto a raggiungerci?”.
“Ho seguito il grande spirito”.
“Ah… ora mi è tutto più chiaro!”.
L’attenzione del dandy fu però catturata da qualcos’altro. Un
ragazzino, di circa dodici anni, vestito con un lungo impermeabile
consumato, camminava traballante sul marciapiede.
Nello stesso momento, un’automobile sfrecciava a tutta velocità
sulla carreggiata vicina.
Il ragazzo, come attirato dai fanali accessi dell’auto, si fiondò
verso di essa.
“Cazzo! Un’altra volta!” Sbraitò il mutante.
Il britannico fu così costretto a replicare il salvataggio di poche
ore prima. Il Soggetto N. 5 non sarebbe mai potuto intervenire con
tale rapidità.
“Ma cosa avete tutti oggi?” inveì nuovamente il salvatore.
L’adolescente, che presentava lo stesso sguardo spento dell’uomo
sul ponte, sillabò.
“Tu non vuoi davvero salvarmi! Perché mi salvi? Eh? Tu non vuoi
davvero salvarmi! Perché mi salvi? Eh?”.
Quartier generale
Il cellulare di Johnny Wayne si mise nuovamente a trillare.
“Pronto”.
“Ciao Johnny”.
“Ciao Andrea, dove ti trovi ora?”.
“Sono in Messico, insieme a Bernardo”.
“In Messico? Come mai ti trovi lì?”.
“Anche qui hanno avuto problemi con quella nuova droga”.
“Lì in Messico non è proprio una novità… ma so che i
Luchadores fanno il possibile nella lotta contro il cartello di
Tijuana”.
“Esatto. Purtroppo è capitato proprio durante un loro show di
lucha libre…”.
“Davvero?”.
“Sì. Bernardo era tra il pubblico”.
Città del Messico
Un numero elevato di persone si accalcava sulle tribune in legno,
pronti a godersi un nuova serie di incontri tra luchadores. Fra di
loro, sempre presente, vi era anche Bernardo Borghi, armato di panino
e bibita d’ordinanza.
Il titolo dello show era “Ring de Fiesta”.
Sul quadrato delimitato dalle corde, El Dios stava arringando la
folla.
“Benvenuti miei spettacolari fan a questo nuovo appuntamento con…”
Le parole dell’uomo mascherato furono interrotte da un colpo di
pistola.
Tra lo stupore generale Pumara, una luchadora, ospite per l’occasione
di quello show organizzato dall’associazione di vigilantes, aveva
appena sparato in pieno petto ad un luchador tutto vestito di nero.
Il cui nome era infatti El Negro.
“Figlio di puttana! Io ti ammazzo!” urlava impazzita la donna
mascherata, occhi spalancati e bava alla bocca.
“Porca vacca!”
Dallo spavento, il baffuto tra gli spettatori rovesciò il liquido
della sua bottiglietta sul pavimento.
Nella rampa d’ingresso al ring, con grande sprezzo del pericolo, El
Midget, lottatore affetto da nanismo, si tuffò sulle gambe della
donna.
Quest’ultima ruzzolò a terra, perdendo la presa sull’arma che
volò a qualche metro di distanza.
El Dios colse al volo l’occasione e, con una plancia suicida da
sopra la terza corda, volò sull’assassina, bloccandola a terra.
Tale manovra area esaltò tanto i presenti che scoppiarono in un
boato, come se stessero ammirando un incontro di quelli che erano
previsti dalla serata. L’applauso seguente fu così scrosciante che
El Actor, uno dei più narcisisti, lo raccolse
ingiustamente tutto per sé a braccia aperte.
Subito El Oficial de Policia, un vero poliziotto prestato ai
Luchadores, si avventò ad ammanettare la criminale. L’arma del
delitto fu invece recuperata da El Metal, un luchador con il costume
di carta stagnola ad imitare, appunto, il metallo.
A quel punto, il mutaforma ne approfittò per tramutarsi in un
piccolo topo curioso e avvicinarsi ai Luchadores.
“Gli effetti sono i medesimi che si hanno con quella nuova droga in
circolazione, “Il vento d’oriente”… ” a parlare con
cognizione di causa, data dalla sua vera laurea in medicina, fu El
Doctor.
Quartier generale
“Quindi quello schifo ora ha anche un nome” sottolineò il
Soggetto N. 9.
“Così pare” confermò il Soggetto N. 4.
La comunicazione telefonica tra i due durò ancora qualche minuto.
Appena lo statunitense chiuse la chiamata, la francese gli andò
vicina.
“Che succede, Johnny?”.
“Il gruppo deve tornare in azione!”.
Repubblica Democratica del Congo
Distesi al caldo sole dell’Africa, una leonessa e i suoi due
cuccioli giocavano allegramente mordicchiandosi tra di loro.
Juna li osservava in lontananza, con l’ausilio di un binocolo,
sorridendo. Finché il suo cellulare non suonò.
“Pronto”.
“Ciao Juna, sono Andrea. Ti disturbo?”.
“No tranquillo, stavo solo osservando la pace che tanto desidero
per la mia terra. Tu come mai mi hai chiamato?”.
“Dobbiamo riunirci per una nuova missione”.
Il Soggetto N. 8 stette per qualche attimo in silenzio “Ok, farò
il prima possibile per essere con voi”.
Nel giro di pochi giorni, i nove mutanti conosciuti come Humana si
ritrovarono nuovamente insieme. Pronti ad un’avventura delle più
pericolose.
Ma ora non è tempo per questa nuova battaglia, che verrà narrata
un’altra volta.
Uno schieramento in volo. Quattro aerei, di fabbricazione tedesca,
provenienti direttamente dalla seconda guerra mondiale.
Il Soggetto N. 9 li osservava da terra immobile, come rapito.
Ben presto fu palese anche il loro obiettivo: il quartier generale
degli Humana.
Nel soggiorno della villa, il Soggetto N. 1 si proiettò verso la
finestra a lui più vicina, andando anch’egli a rimirare verso il
cielo.
“Aerei nemici!”.
Quell’urlo prese alla sprovvista Sara Silvestri, facendole anche
cadere di mano la tazzina di tè che stava sorseggiando, mandandola
in frantumi.
In un turbinio rosso e giallo, Johnny si palesò nella stanza.
“Siamo sotto attacco dal cielo!”.
Il Soggetto N. 3 guardò verso il soffitto, ma con la sua vista andò
ben oltre.
“Sono armati! E decisamente ostili!”.
Igor esclamò “Bisogna radunare tutti quanti!”.
Il velocista non se lo fece ripetere due volte e, in pochi secondi,
aveva già effettuato il giro di tutte le camere occupate dai suoi
amici.
“Per Diana!” fu lo stupore del Soggetto N. 2.
“Aerei nemici?” fu sorpreso il Soggetto N. 4.
“Ma siete sicuri?” domandò Soggetto N. 8, appena giunto in sala.
“Magari sono solo turisti?” ipotizzò il Soggetto N. 6.
“Col cavolo!” fu lo stesso biondo a replicare “Questi vogliono
farci il culo! Ma questa volta prenderemo noi l’iniziativa!”.
All’esterno, un Heinkel He 112 sorvolò l’edificio, passando
molto vicino al tetto. Qualche attimo dopo, un Donrier Do 335 sganciò
una serie di cinque bombe sull’abitazione.
“Ma da dove vengono?” chiese preoccupato il Soggetto N. 7.
“Dal disegno della loro struttura, si direbbero dei caccia della
Luftwaffe” gli rispose convinto il militare.
Tutti gli Humana erano ora pronti a riceverli nel loro grande
giardino.
Con un’abilità degna del migliore cecchino, la francese riuscì ad
intercettare, tramite la sua vista calorifera, tutti gli ordini
esplosivi che stavano precipitando.
Wayne inseguì il primo aereo, riuscendo a colpire in pieno una delle
sue ali trapezoidali, lasciandolo precipitare a chilometri di
distanza.
Alberti tramutò il suo braccio destro in un pistola a lunga gittata.
Essa era armata di proiettili contente acido.
Appena colpita, la fusoliera dell’aereo iniziò a sciogliersi come
burro al sole.
Un terzo veicolo, per la precisione un Messerschmitt Me 210, si andò
a scontrare contro Jack Lincon, quest’ultimo ovviamente in volo.
Con una piroetta in aria, l’inglese riuscì ad evitare il cannone
Danuvia 96M, situato sul muso dell’aeroplano, aprire con la forza
bruta ed entrare nella cabina di pilotaggio.
Dopo una rapida colluttazione, il mutante fu in grado di portare via
con sé il pilota tramortito.
Visto l’andazzo del combattimento, il quarto aeromobile, un Junker
Ju 388, optò per un’indegna ritirata.
“Confermo, sono aerei tedeschi degli anni ‘40!” informò il
mutaforma bellico.
“E possiamo immaginare da chi sono stati assoldati questi nuovi
nazisti…” affermò il mutaforma non bellico.
A pochi metri di distanza, Sara aveva appena fatto atterrare il
britannico con il suo ostaggio.
“Scopriamo ora da dove vengono. Soggetto N. 6, fagli togliere il
casco!” ordinò la bionda.
“Molto volentieri, dolce Sara”.
Il cinese effettuò una forte inspirazione, per poi soffiare una
potente fiammata in pieno sulla visiera del nemico.
Il pilota, preso alla sprovvista, iniziò a sbracciare in preda al
panico. Con un gesto deciso, si staccò via il casco dal capo.
Il suo viso, inizialmente umano, con dei capelli scuri e degli occhi
chiari, iniziò a scurirsi e rattrappirsi. Frédérique distolse lo
sguardo per evitare di vedere quel cranio umano marcire ad ogni
secondo che passava.
“N-Non ti pare di aver esagerato, Chang?” la voce del messicano
tremava, così come tutto il suo corpo.
“Sono sicuro di aver calibrato bene la fiamma!” era sbigottito
anche l’asiatico.
La testa era ormai ridotta la metà di quanto era inizialmente. Le
orbite, che pochi attimi prima ospitavano gli occhi dell’uomo, ora
erano totalmente scure.
“Chi ti manda?” Johnny tentò un ultimo, disperato tentativo.
Un rantolo sembrò provenire da quella bocca ormai sdentata “Spettro
Bianco…”.
Laddove
una volte vi era un essere umano, ora vi era soltanto polvere.
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Capitolo 19 *** Spettro Bianco 243 ***
CAPITOLO 19
“Spettro Bianco 243”
Alla fine la bomba fu sganciata.
Essa, tramite un impulso elettromagnetico di portata mondiale, portò
anche alla morte istantanea di ogni apparecchiatura elettronica.
La natura, a causa di quell’ennesima insolenza da parte dell’uomo,
si scatenò con terremoti e tsunami.
Le radiazioni atomiche portarono alla decimazione di buona parte
della popolazione terrestre.
Nessuno dei cinque continenti venne risparmiato.
“ … Tutto il mio locale distrutto. Nemmeno la dolce e piccola
Nikki è stata risparmiata dalla brutalità degli eventi”.
Chang terminò il suo racconto e, nel frattempo, finiva di indossare
l’uniforme rossa e gialla da Humana, lasciando assurdamente ben
ripiegati in un angolo i suoi vestiti comuni ormai laceri.
Attorno a lui, nel salotto del loro quartier generale, era presente
tutto il resto del gruppo.
“Qua nella villa siamo stati anche troppo fortunati, visto che
tutta l’elettricità è data dagli impianti solari, o almeno così
dice Sara…” spiegò Wayne.
È esattamente così, Johnny. Purtroppo, c’è il rischio che si
riveli come da faro invitante per ospiti indesiderati” Sara era
preoccupata.
“Vorrà dire che li accoglieremo come meritano!” sbraitò furioso
Andrea.
“E così aggiungerai altra morte alla morte” lo riprese Jack.
“Ora calmatevi!” li richiamo all’ordine l’italiana “Sappiamo
tutti perfettamente che, dietro a tutto questo, c’è lo Spettro
Bianco. Per il momento, è fondamentale cercare di riorganizzarci”.
Nell’ampia cucina, grazie all’arte culinaria che lui ben
padroneggiava, il cuoco cinese dava sfogo al tormento interno che lo
consumava. A dargli una mano con l’impiattamento, c’era
Frédérique.
“Il mondo è davvero alla fine…” sentenziò rammaricato Yu.
“Non dire così, Chang!” lo zittì Arone “Ora come ora dobbiamo
cercare, almeno noi, di stare uniti e, nel contempo, prepararci a
difenderci dal mondo esterno”.
Mai parole furono più propiziatorie. Una coppia di disperati, armati
però con fucili da caccia, riuscì ad irrompere nella stanza, dopo
aver sfondato con una sassata una delle finestre presenti.
“Fermi tutti e non vi verrà fatto alcun male!” urlò uno dei
due.
“Senti che profumo! E guarda che bella troietta!” replicò
quell’altro.
I due mutanti, inizialmente sorpresi, rimasero immobili e in
silenzio, soprattutto perché entrambi sotto tiro. Ma quando il
secondo avvicinò troppo la mano al seno della francese, quest’ultima
la centrò con i raggi laser provenienti dai suoi occhi.
Ora era il turno dei due invasori per rimanere spiacevolmente
sorpresi.
“Ma che cazzo succede?” gridò il primo, mentre il suo compare
lamentoso si teneva la mano bruciata ben in profondità.
Fu allora che il Soggetto N. 6 fece qualcosa di cui, fino a qualche
giorno prima di allora, era certo non si sarebbe mai macchiato. Con
la più potente delle sue fiammate, arse vivi i due nemici,
ascoltandone le urla disperate mentre, ridotte in vere torce umane,
si accasciavano sul pavimento.
Lo stesso Soggetto N. 3 non proferì parola davanti a quello
spettacolo raccapricciante.
Nessuno degli Humana diede seguito all’accaduto. Ognuno di loro
preferiva staccare la spina dei pensieri, cercando possibili
comunicazioni tra le onde radio oppure setacciando disperatamente
tramite radar qualsiasi movimento aereo o terrestre.
“Nessuna novità?” domandò Sara all’intero gruppo.
Gli interpellati replicarono a malapena.
“Che disperazione!” il Soggetto N. 7, seduto, collassò deluso su
uno dei ripiani.
Improvvisamente, un bip metallico iniziò a risuonare nella stanza.
“Il radar sta captando qualcosa!” informò gli altri il Soggetto
N. 8.
Sara si precipitò al display “Fatemi vedere!”.
I suoi occhi castani erano fissi sulla schermata verde “È un
qualcosa che sta attraversando addirittura la ionosfera!”.
“Ma cos’è che può volare così in alto, di questi tempi?”
chiese il Soggetto N. 2.
La bionda attese qualche secondo per rispondere, cercando intanto di
convincere prima sé stessa “L’unica cosa che mi viene in mente è
un missile…”.
“Un missile?!” gli fece eco urlando il Soggetto N. 9 “Si può
sapere dove è diretto?”.
L’italiana si spostò rapida su un’altra postazione. Le sue dita
ballavano frenetiche sui tasti del pc. Il programma utilizzato
effettuò dei calcoli in un microsecondo.
“Siamo noi il suo obiettivo!” sussurrò appena.
Gli Humana andarono nel panico. Sullo schermo comparve un countdown
all’impatto di appena dieci minuti.
I dieci minuti passarono. L’impatto non avvenne. Era un bluff.
“Tutti attorno sono ancora vivi” comunicò agli altri, dopo un
fulmineo controllo telepatico, il Soggetto N. 1.
“Sara, possiamo calcolare anche il luogo di provenienza?” domandò
il Soggetto N. 4.
“Assolutamente sì” e la donna si rimise subito a digitare.
Attorno a lei, i nove mutanti fecero capannello, nella spasmodica
attesa del risultato.
Appena comparve sul display, Silvestri lesse le parole.
“Polo nord”.
“Ha senso” esplicò il Soggetto N. 5 “lì le radiazioni
difficilmente arrivano”.
“Allora” concluse il velocista “si va al fresco”.
Tra i mezzi di trasporto ancora utilizzabili dal gruppo vi era pure
un aereo che, oltre ad essere abbastanza capiente da ospitare tutta
la decina di persone, riusciva a raggiungere vette di velocità
paragonabili ad un jet. Fu con questo che gli Humana si diressero
verso l’estremo nord del globo terrestre.
Inoltre, buona parte del viaggio fu allietato da un antico canto
celtico eseguito dall’inglese, accompagnato da una cetra.
Ai comandi del velivolo era Andrea Alberti che, ad un certo punto,
annunciò “Signori, preparatevi all’atterraggio”.
“Perfetto!” intervenne Sara “Ma prima, Jack e Johnny voi uscite
ora per andare in ricognizione”.
I due convocati si prepararono, poi la bionda si voltò verso il
messicano.
“Bernardo, tu seguili tramutato in volatile”.
Il baffuto non era particolarmente felice per quella scelta, ma
ubbidì silente tramutandosi in cormorano.
Dopo una tranquilla planata, il britannico appoggiò al suolo lo
statunitense.
“Grazie, Jack. Ora tu fai una perlustrazione dall’alto, io
intanto proseguo a piedi” indicò Johnny.
“Sìssignore!” replicò Jack.
Fatto qualche passo, il velocista si trovò davanti un singolare
pinguino. Come un qualsiasi essere umano, lo salutava con una delle
ali.
“Berny, sei tu?”.
L’uccello fece un segno d’assenso con la piccola testa.
Lo stupore del Soggetto N. 9 fu subito cancellato dalla voce,
presente nella sua testa sicuramente grazie al Soggetto N. 1, del
Soggetto N. 2.
“Johnny, vieni verso nord!”.
Il biondo scattò subito, mentre il mutaforma, per potergli stare
degnamente dietro, si tramutò in uno struzzo.
Qualche metro più avanti, Lincon stava nascosto dietro un ammasso di
neve, scrutando il paesaggio al di là di esso. Solo all’arrivo
degli altri due mutanti si mise a parlare.
“Guardate quella volpe bianca”.
L’animale si muoveva stranamente con circospezione. Fatto ancora
qualche passo con le sue minuscole zampe, di colpo s’irrigidì e
stramazzò al suolo.
“È come se ci fosse una specie di barriera…” ipotizzò il
dandy.
Solo allora notarono la presenza di altre carcasse animali, tutte lì
attorno.
“C’è un solo modo per esserne certi…”.
Borghi si alzò dal loro nascondiglio naturale, fece una palla di
neve e la lanciò verso tale zona. Ancora in volo, la sfera si
disintegrò.
“Confermato” esclamò il messicano.
“Gente, potete scendere” parlò mentalmente l’americano “credo
proprio che li abbiamo trovati!”.
Fu il momento dell’entrata in scena di un nuovo veicolo in
dotazione agli Humana: un gatto delle nevi.
Al suo interno, Sara riprese a dare ordini.
“Chang, è il tuo turno”.
Appena il cingolato si fermò, il cinese ne uscì esclamando “E io
che volevo solo cucinare in santa pace…”.
Intanto, la donna si avvicinò al suo connazionale “Andrea, vai
anche tu”.
“Ok, Sara”.
Il congolese platinato ne fu sorpreso “Come mai vuoi che vada anche
Andrea?”.
“Non si sa mai” sibilò lei.
“Bene, bene. Dunque volete toglier di mezzo un po’ di ghiaccio,
giusto?” il Soggetto N. 6 aveva raggiunto gli altri tre.
Dopo una grande inspirazione, dalla sua bocca fu sparata un’enorme
fiammata.
Una volta che la gran quantità di vapore creatasi si sollevò verso
il cielo, sul suolo comparve un’apertura rotonda.
“Perfetto!” la voce di Alberti sorprese gli altri quattro
“Possiamo entrare”.
Per tutti, tranne Jack che preferì sfruttare il suo superpotere, fu
come andare sullo scivolo. Finché le suole dei loro stivali termici
non toccarono nuovamente una superficie.
“Porca vacca!” esclamò sorpreso Bernardo.
Varie strutture metalliche si ergevano, come palazzi, fino quasi a
toccare il terreno sopra di loro.
Nel frattempo, dentro il gatto delle nevi erano tutti in trepidante
attesa.
“Siamo sicuri che non si congeleranno lì fuori?” chiese
preoccupata Arone.
“Tranquilla, le vostre divise sono studiate per resistere alle
temperature più estreme, comprese quelle presenti qui nel territorio
artico”.
Improvvisamente, la terra iniziò a tremare.
“Un terremoto?!” urlò Juna spaventato.
D’istinto, Geran afferrò con una mano Igor e con l’altra
Frédérique.
In realtà non si trattava di un classico terremoto, ma bensì una
larga piattaforma circolare che, lentamente, stava facendo scendere
il mezzo di trasporto verso l’abisso. Di tutto ciò furono
informati gli Humana dalla francese.
Un’altra piattaforma, questa invece ben ferma e in profondità,
ospitava su di sé un gigantesco quanto minaccioso missile gigante.
“Incredibile!” ne fu quasi estasiato Alberti.
“E ora che facciamo?” domandò Lincon.
“Di sicuro, chi ha costruito tutto ciò è davvero potente”
sentenziò l’italiano.
“Non può che essere lo Spettro Bianco!” ne era certo il
messicano.
“Temo anche solo nel chiedermi quale sia il suo scopo” tremava
letteralmente il cinese.
“Guardate là!” indicò di colpo l’americano.
Alcuni soldati armati stavano marciando attorno a quell’arma.
“Sono davvero in pochi per far da guardia a quell’affare”
osservò l’inglese “che si sentano al sicuro grazie alla
barriera?”.
“Dubito che non si siano ancora accorti della nostra presenza”
informò il gruppo Andrea.
“Cosa?” subito allarmato Bernardo “E allora che facciamo qui?”.
“Aspettiamo che facciano la prima mossa…” gli rispose Johnny.
“Ragazzi, sono Igor!”.
I cinque nella base fecero uno scossone all’unisono.
“Noi siamo ancora dentro al gatto, ma siamo finiti in una
trappola!” urlò nelle loro teste Igor “Ora tanti cattivi armati
ci hanno circondati!”.
“E non solo voi…” replicò l’americano, fregandosene se gli
altri lo sentirono oppure no.
Di fatti, anche attorno ai cinque a piede libero, erano comparsi
almeno una decina di soldati. Tutti con l’arma pronta al fuoco.
“Non muovetevi o spariamo!” proclamò uno di loro.
Nel giro di pochi minuti, tutti i nove mutanti e Sara furono
ammanettati e portati dentro un enorme salone, tutto sempre sotto la
crosta terrestre.
Sempre attorniati dai vari soldati presenti, resi anonimi dai
passamontagna che indossavano, i prigionieri furono disposti al
centro della stanza.
“Benvenuti!” una voce metallica, proveniente da altoparlanti
disposti in vari punti della location, iniziò a parlare “Prima di
tutto mi congratulo con il vostro attacco improvvisato. Fin da subito
un futile tentativo, ma comunque ne ho ammirato l’impegno”.
I dieci proseguivano con il guardarsi intorno, nell’esile speranza
di capire con chi avevano a che fare e scoprire possibili vie di
fuga.
“Ma seriamente speravate di poter entrare furtivamente qua dentro?
Da noi che siamo stati in grado di simulare un attacco missilistico
nel vostro radar?”.
“Riesci a vedere qualcosa, Frédérique?” gli sussurrò
all’orecchio il Soggetto N. 7.
“Per il momento, solo roccia e cavi elettrici” rispose il
Soggetto N. 3.
“Puoi anche dire il vostro nome!” sbottò il Soggetto N. 9 “Siete
lo Spettro Bianco! Tu sei Mohammed Al-Shirida!”.
Sebbene ancora camuffata, su udì una lieve risatina “Beh, per
essere lo Spettro Bianco… sì, noi siamo lo Spettro Bianco. Ma
purtroppo, lo straordinario Mohammed Al-Shirida ci ha lasciati ormai
qualche anno fa…”.
La sorpresa si dipinse sui volti degli Humana.
“Come suo ultimo volere” proseguì quel cupo narratore “nominò
il nuovo capo che avrebbe portato altro splendore alla nostra
popolazione. E a venir scelta fui io: Marwa. Sua figlia”.
Un fascio di luce illuminò un punto in alto della stanza, come
l’occhio di bue in teatro. Un figura vestita di bianco si stagliava
in piedi su di un piccolo terrazzo. I suoi lunghi capelli neri,
sciolti su tutto il suo candido mantello, creavano un singolare
contrasto tra i due colori.
“Sua figlia?” si ripeté mentalmente la francese.
La carnagione creola facevano da sfondo a due occhi tagliente, con i
quali fissava i suoi obiettivi proprio dove li voleva: sotto ai suoi
piedi.
I dieci, totalmente impotenti, sembravano dei semplici soldatini di
piombo con cui sollazzarsi.
Dopo qualche secondo di silenzio, Marwa riprese la parola “E tu,
Sara, davvero nutrivi così tanta fiducia nei nove che hai scelto
tanti anni fa?”.
La donna, sentitasi chiamare in causa, serrò i pugni “Sai
benissimo che non fui l’unica a partecipare a tale scelta. Con me
vi erano anche il mio capo e l’uomo che dici essere tuo padre”.
“Che è mio padre!” la corresse secca l’altra.
“Comunque sì, ho fiducia in: un ragazzino, un dandy, una
ballerina, un militare, un guerriero, un cuoco, un buffone, un
guardiacaccia e un pilota!”.
“Sciocca! Con la tua volontà saresti stata preziosa allo Spettro
Bianco per cambiare il mondo!”.
“Il vostro non è cambiare, il vostro è rovinare il mondo!”.
“Solo se lo guardi dal lato sbagliato!”.
“E chi decide qual è questo lato sbagliato?”.
“Ovviamente la mente più intelligente al mondo, nata dalla fusione
del cervello di mio padre con altri due veri condottieri mondiali:
Napoleone Bonaparte e Adolf Hitler!”.
“Quella fu solo la più folle operazione chirurgica mai
realizzata!”.
“I veri folli siete voi! I pochi rimasti che non hanno creduto
nella lungimiranza del divino Mohammed Al-Shirida!”.
Qualcosa brillò negli occhi di Sara.
“Parli tanto di tuo padre, ma di tua madre…”.
La mora si rabbuiò “Che vorresti dire?”.
“Sei davvero così convinta che lei fosse d’accordo con le idee
di suo marito?”.
“Assolutamente sì! Anche lei si è sacrificata per l’incredibile
progetto dello Spettro Bianco!”.
“Allora è così che ti è stata raccontata…”.
“Cosa?”.
“Per quanto ne so io, fu proprio lei la prima a rivoltarsi contro
il suo progetto malato. Ed è per questo che fu uccisa!”.
“Tu menti!”.
“Ne sei così sicura?”.
Fu in quell’attimo che un’immagine si proiettò, non per il
volere di Wansa, nella testa di Marwa. Sua madre colpita in pieno
petto da un colpo sparato da suo padre.
Il terrore di quella scena produsse nella sua mano uno spasmo
muscolare che, involontariamente, andò a premere il pulsante di un
comando a distanza. Lo stesso che teneva legate salde le manette per
mutanti.
“Attacchiamo!” comandò Arone, con gli occhi che già le
brillavano sinistramente.
Partito di volata, Wayne mise a terra parecchi uomini con un solo
scatto.
Altrettanto fece Giunan che, afferratone uno, lo scaraventò contro
altri cinque.
Borghi tramutò il suo braccio destro in un tubo idraulico con cui
centrò in pieno la testa di un nemico.
Mentre, invece, il braccio destro di Alberti si trasformò in un
fucile dalla potenza di fuoco devastante.
La stessa potenza di fuoco che anche Yu sprigionò dalle sue fauci.
Nel mentre, Lincon spiccò il volo e, come un rapace, si fiondava in
picchiata contro chiunque poteva creare dei problemi ai suoi
compagni.
Mentre la battaglia impazzava, Sara continuava imperterrita a fissare
la sua rivale.
“Sai che è tutto vero!” le urlava contro.
Ancora l’immagine della sua amata madre che, con una macchia rossa
che le si creava nel petto, scivolava all’indietro.
Come a volerla prendere al volo, Marwa Al-Shirida si gettò in
avanti. Quello che ormai i suoi occhi non vedevano era la ringhiera
che, noncurante, oltrepassò con tutto il suo corpo.
“Mamma…”.
Furono le ultime parole prima che il suo corpo, ammantato di bianco,
si scontrasse contro il duro pavimento metallico.
Londra
Con estrema grazia, Jack Lincon poggiò il suo piede sull’ultimo
gradino delle scale interne, ben custodite dentro la graziosa
villetta in pura stile londinese di sua proprietà.
“Che gioia poter tornare qui nella mia dimora!”.
Fatto qualche passo, aprì una porta in legno antico e si trovò
dentro alla sua sfarzosa camera da letto.
Ad ampie falcate, raggiunse il letto matrimoniale e vi si lasciò
cadere.
“E non ho neanche mai volato, nemmeno una sola volta!” ricordò
ad alta voce, con un lieve fiatone a far da contorno.
Voltatosi alla sua destra, diede una gentile carezza alla sua morning
cloat di velluto rosso, poggiata e ben piegata sopra il giaciglio.
“Non augurerei a nessuno di diventare un mutante” riprese a
ragionare “dover rinunciare a vivere una vita semplice e normale
come tutti… oddio, non che la mia sia mai stata tanto normale…”.
Ruotando nuovamente il capo, questa volta si mise a fissare uno dei
quadri presenti nella stanza. Si trattava niente meno che di una
delle quattro copie di “Jo, la bella irlandese”, dipinto a olio
di Gustave Courbet, realizzato fra il 1865 e il 1866.
Come ipnotizzato dal fascino della donna ritratta nel dipinto, le
palpebre di Jack si fecero sempre più pesanti. Finché si
addormentò.
Poco dopo, una mano delicata e pallida carezzò il viso del dandy.
Quest’ultimo, a causa di tale tocco, si ridestò.
“Ben svegliato, tesoro” lo salutò la donna dalla pelle candida e
i voluminosi capelli rossi.
Il risvegliato sbatté un po’ gli occhi, facendoli riadattare alla
realtà.
“Ma sei… Jo?”.
“Eh sì, tesoro. Pensavo avessi voglia di parlare con qualcuna”.
“No, niente. È solo la vita che mi pesa come piombo” si rimise
in posizione seduta il Soggetto N. 2.
“E come mai? Forse io posso aiutarti”.
“Impossibile. Tu sei…”.
“Povera?”.
“No, che c’entra! Io ho solo avuto un po’ di fortuna…”.
“Ah sì, la fortuna…” lei si mise a fissare per terra “Quella
farebbe sempre comodo”.
Sollevando una mano davanti alla bocca, emise degli improvvisi quanto
violenti colpi di tosse.
“Sei malata?” gli si fece vicino.
“Sì, mi rimane un mese di vita…”.
“Solo un mese?”.
“E ti pare poco? L’importante è come lo si vive, quel mese”.
D’istinto e con le lacrime agli occhi, l’inglese abbracciò
l’irlandese.
“E non avere rimpianti o rimorsi” aggiunse lei.
L’uomo si mise a piangere.
“Ricordati di apprezzare sempre quello che i tuoi compagni fanno
per te e quello che tu fai per loro”.
A quelle parole, Jack si scostò da lei, e solo allora si accorse di
avere indosso l’uniforme rossa e gialla degli Humana.
Urlando, si alzò di soprassalto dal letto.
Con ancora più fiatone di prima, fece scattare il suo squadro verso
il dipinto. Era ancora lì, immobile e immutevole.
Lincon si calmò lentamente e le sorrise “Hai ragione tu, bella Jo.
D’ora in avanti, quando volerò, lo farò pensando a te dal
profondo del mio cuore”.
Trento
Prima di decidersi a suonare il citofono della casa di famiglia,
Andrea aspettò qualche minuto, tergiversando e facendo cambiare
forma alle sue braccia. Infine, premette il pulsante.
Attese qualche secondo, poi l’uscio si aprì.
Di fronte a sé trovò proprio la persona che meno voleva rivedere:
suo padre.
“Bentornato figliolo! Speravo così tanto di rivederti!”.
“Io francamente no!” pensò il figlio.
“Vieni, entra pure!” si fece da parte.
Una volta dentro, il babbo gli poggiò subito una mano sulla spalla.
“Ho sentito che ora sei in una nuova compagnia…”.
“Sì, più o meno…” rispose lui a denti stretti.
“E che ti sei specializzato nell’uso di varie armi da fuoco!”.
“Faccio del mio meglio…”.
“Bravissimo, figliolo! Di questi tempi, bisogna sempre stare
all’erta, lo sai.”
“Oh, sì. Non sai quanto”
In fondo, è grazie a me che hai imparato tutti i tuoi trucchetti…”.
Andrea rimase perplesso “Che vuoi dire?”.
“Ma sì, guarda!”.
Nello sgomento per l’assurdità della situazione, il braccio destro
del signor Alberti iniziò a muoversi in maniera innaturale. La sua
forma stava mutando esattamente nello stesso modo di cui era in grado
il Soggetto N. 4.
“Ma che cazzo?!” esclamò stupefatto il mutaforma più giovane.
Il padre si allontanò da lui.
“E non solo, ma spara pure!”.
Il giovane fece appena in tempo ad evitare un colpo di vibrazioni
soniche alla massima potenza.
“Questa si chiama Vibroshooter”!
Sdraiato dietro ad un muro, ora il mutante capì che non poteva
permettersi altro stupore, ma solo contrattaccare. Anche il suo
braccio destro mutò e sparò.
Tre missili dalle dimensioni tascabili partirono verso il suo
genitore. Ma solo all’ultimo curvarono e si andarono a schiantare
contro varia mobilia presente in salotto.
“So che puoi fare di meglio, figliolo!” lo incoraggiò il
capofamiglia.
Intanto, il suo braccio cambiò nuovamente aspetto e fece fuoco.
Il proiettile che ne uscì, grande all’incirca quanto un pallone da
rugby, esplose dopo pochi centimetri a mezza altezza, rivelando al
suo interno una rete, fatta di materiale scuro, che andò ad
imprigionare l’eroe.
“Sei sempre più scarso, figliolo”.
Le dimensioni della mano di Andrea si ridussero notevolmente, giusto
per far passare la canna creatasi tra i buchi della rete e far
conficcare la pallottola sparata, a forma di siringa, nel ginocchio
sinistro del suo nemico.
Il signor Alberti andò subito a togliersela tuonando “Che cos’è?”.
“Veleno, particolarmente adatto per chi ha il DNA mutato come noi”.
“C-Cosa?”
Improvvisamente, l’uomo iniziò a barcollare e, nel giro di pochi
secondi, crollò sul pavimento.
L’ex-soldato riuscì faticosamente a liberarsi dalla trappola in
cui era imprigionato.
“Igor aveva ragione, mio padre non c’è più” bisbigliò, una
volta nuovamente in piedi.
“Allora Sara, sei sicura che non sia un problema se anch’io torno
per qualche giorno a casa?” chiese nuovamente una Frédérique
Arone speranzosa.
“Tranquilla, Frédérique! Questo periodo sembra piuttosto
tranquillo” la rassicurò la bionda.
A far da spettatore muto al dialogo, vi era anche Geran Giunan.
La francese lo salutò “Pensaci tu a difendere la villa, gigante”.
“Non preoccuparti, Frédérique. Divertivi” la salutò a sua
volta il Soggetto N. 5.
Parigi
La ballerina si sentiva decisamente meglio, ora che tornava ad
annusare l’aria di casa. Tornava a camminare sulle vie che
l’avevano vista crescere.
Finalmente era davanti al portone del suo condominio, impegnata a
cercare disperatamente le chiavi di casa che, subdole, si erano
nascoste chissà dove dentro la sua borsetta.
Fortunatamente, qualcuno aprì dall’interno.
“Pierre!” esclamò sorpresa lei.
Il ragazzo, dai capelli castani scuri e gli occhi verdi chiari, fu
altrettanto sorpreso di vederla.
“Frédérique! Come stai? Da quanto sei tornata?”.
“Tutto bene e te? Sono appena arrivata!”.
“Bene anch’io, che fai ora di bello?”.
“Beh, ultimamente sto viaggiando parecchio… anzi, perché non ci
facciamo una bella passeggiata? Guarda che bel sole che c’è!”.
I due si misero a camminare per le vie della capitale francese. Si
conoscevano da tanti anni, abitando nello stesso edificio, e, per
qualche mese, fecero anche coppia fissa.
“Tu, piuttosto” riprese il discorso il Soggetto N. 3 “come te
la stai cavando?”.
Pierre Cote si strinse nelle spalle “Sai com’è, Frédérique…
ci si arrangia…”.
“Sei ancora senza lavoro?”.
“Ogni tanto trovo qualcuno a cui poter dare una mano. Ma sai,
questo non è un periodo facile in generale”.
“Lo so, Pierre. Basterebbe solo tu trovassi una ditta che creda in
te e ti dia tutto ciò che meriti, come in fondo è capitato a me”.
Lui sorrise malinconico “Quando c’eri tu, tutto era diverso. Le
giornate erano più divertenti, più splendenti. E poi, anche a
letto…”.
“Quei giorni sono ormai passati, Pierre, lo sai”.
“Sì, ma…”.
Improvvisamente, Pierre si mise le mani nei capelli e si piegò in
avanti.
“Che ti succede, Pierre?”.
La mutante controllò subito, tramite la sua vista a raggi x, si vi
erano danni all’interno del corpo dell’amico.
L’uomo stringeva forte le sue mani sulle tempie, come a volerle
strizzare.
“È che non ci riesco…”
“Non riesci a fare cosa?”.
“Attenta, Frédérique!” udì lei la voce del Soggetto N. 1 “Ha
un coltello!”.
Come previsto dal russo, il francese tirò fuori, dall’interno del
suo giubbotto scamosciato, un coltello a serramanico e, per pochi
centimetri, colpì solo di striscio il suo obiettivo.
Poi venne un lampo rosso e giallo. Pierre Cote fu reso inoffensivo.
“Fiù…
appena in tempo!” esclamò il Soggetto N. 9, passandosi le dita fra
i capelli biondi.
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Capitolo 20 *** Visioni tristi, rapimento e Distopia ***
CAPITOLO 20
“Visioni tristi,
rapimento e Distopia”
Igor Wansa scappava dalla sua vecchia casa in legno. Dentro di essa,
i suoi genitori entrambi morti.
Tutto attorno all’orfano era solo neve siberiana.
“Dove siete?” urlò disperato.
La splendida villa in stile vittoriano ormai dava la nausea al povero
Jack Lincon. Il tedio e la depressione ormai la facevano da padrone
alle sue giornate.
Di punto in bianco lui urlò “Dove siete?”.
Era il suo cavallo di battaglia. Un passo che non avrebbe mai e poi
mai fallito. Ma l’atterraggio di Frédérique Arone da
quell’arabesque le spezzò di netto la caviglia sinistra.
Tra le lacrime per quel dolore atroce, lei urlò “Dove siete?”.
Finalmente la guerra era giunta. Suo padre sarebbe stato sicuramente
fiero di lui. Almeno finché l’ordigno esplosivo non esplose
accanto a Andrea Alberti.
In quel bagliore caldo, lui urlò “Dove siete?”.
Le lamiere del camper iniziavano a farsi bollenti, a causa del calore
proveniente dall’esterno. Geran Giunan ci batteva contro le
possenti mani mentre veniva bruciato vivo.
Tra l’odore di carne bruciata, lui urlò “Dove siete?”.
Era l’ultima volta in assoluto che chiudeva la serratura del suo
prestigioso ristorante cinese. Chang Yu nulla sapeva riguardo le
procedure di fallimento.
“Dove siete?” urlò, alzando lo sguardo al cielo.
Il rimbombo ferreo si protrasse per qualche secondo. Quelle sbarre
metalliche rigavano il viso e la coscienza di Bernardo Borghi. La
galera non era proprio come se l’aspettava.
Afferrandosi a quei cilindri fissi, lui urlò “Dove siete?”.
Lo sfottò ormai si stava facendo decisamente pesante. Gli uomini
bianchi maltrattavano così apertamente il povero Juna che,
disperato, non replicava.
Poi lui urlò “Dove siete?”.
La vettura roteò in aria più volte, come fosse un aquilone. Finché
non ricadde in pista, andando letteralmente in mille pezzi. Come la
gamba destra di Johnny Wayne.
Immobilizzato sul lettino da ospedale, lui urlò “Dove siete?”.
All’unisono, tutti e nove i mutanti si tirarono su dal proprio
letto. Tutti e nove erano madidi di sudore.
Solo Sara Silvestri sapeva di questo piccolo scherzetto fatto dal suo
misterioso capo ai nove membri degli Humana.
“Come? Sei stato rapito?!” sbottò improvvisamente Frédérique
Arone.
Sara Silvestri sputò tutto sul tavolo il tè che si stava degustando
in quel momento. Dopo qualche colpo di tosse secco, riuscì con
fatica a proferire parola.
“Chi è stato rapito?”.
“Igor…”.
“Bello il mio tesoro!” ripeté, per l’ennesima volta, la donna
al volante.
Il suo volto poteva ricordare vagamente quello della francese. Ed è
stato proprio questo il motivo dell’errore da parte del russo.
Tutto questo veniva rivelato, tramite telepatia, dalla stessa vittima
alla ballerina.
“Ora si passa un attimo al supermercato così, se stai buono, ti
compro qualche bel videogioco che ti piace tanto!” proseguì la
rapitrice.
Negozio di videogame all’interno di un centro commerciale.
Igor si presentò alla cassa, poggiando nel contempo la custodia di
un videogame preso nel reparto lì vicino.
“Buona scelta” apprezzò il commesso, mentre passava il codice a
barre sul lettore infrarossi.
“Ti interesserebbe un secondo gioco con lo sconto del 10%?”
propose sempre il cassiere, cercando di essere il più convincente
possibile.
Il Soggetto N. 1 ancora una volta non proferì parola. Allo stesso
modo non fece trasparir alcuna emozione dalla sua espressione
facciale.
Vedendo l’apatia del bambino, l’altro si rivolse alla presunta
madre “Suo figlio non è un gran chiacchierone. Vero, signora?”.
“Ma no! È solo un po’ timido…” replicò lei facendo la
civettuola.
“Sarà… comunque grazie per il vostro acquisto!”.
“Grazie a lei. Arrivederci!” salutò la signora.
Nel mezzo di un parco cittadino, l’assurda coppia si appropinquava
ad una panchina di colore verde scuro.
“Che bella giornata! Vieni tesoro, sediamoci un po’ qui a
riposare!” disse la donna, mentre si stava già sedendo.
Poco più in là, un ragazzino, leggermente più piccolo rispetto al
mutante, stava tirando due calci ad un pallone di cuoio.
Allungandosela troppo con il piede d’appoggio, il giovane lisciò
completamente la sfera. Nella caduta si sbucciò leggermente il
ginocchio destro.
“Ahia!”
Preoccupata, la donna si avvicinò immediatamente.
“No piccolino no! Non è niente, guarda!” lo tranquillizzava,
mentre gli ripuliva delicatamente il ginocchio ferito dalla polvere.
“Sono al parco cittadino vicino casa…” proseguiva nel suo
riassunto mentale “Ma non credo sia malvagia, io rimango ancora un
po’ con lei”.
“Come sarebbe a dire “rimango ancora un po’ con lei”? Scappa
ora che è distratta e, quando ti sei allontanano abbastanza, avvisa
la polizia!” lo rimproverò infuriata Frédérique.
“No, aspetta” la bloccò Sara “se chiama la polizia si verrebbe
a conoscenza degli Humana, ed è una cosa che ora non possiamo
proprio permetterci!”.
“E allora cosa facciamo?”.
“Per il momento lasciamo fare e, intanto, avviso anche tutti gli
altri!”.
Qualche ora dopo, in tre in rosso e giallo si presentarono nel
medesimo parco.
“Magari sono quelli dello Spettro Bianco?” propose Chang.
“Dici?” lo guardò dubbioso Johnny.
“Beh, la mia è solo un’ipotesi…”.
Seduta sulla panchina, Arone era più disperata che mai “Se solo
quella stronza non fosse stata così somigliante a me”.
“Non ho ancora avuto altro contatto da Igor” comunicò tramite
cellulare Silvestri.
“Spero che non gli sia accaduto nulla per colpa mia…”
insistette il Soggetto N. 3.
“Non dire così, Frédérique” la consolò il Soggetto N. 9,
poggiandole una mano sulla spalla.
“Infatti” confermò Yu “Igor non è un ragazzino come tutti gli
altri. Se le cose si mettessero davvero male, sono certo che ci
farebbe sapere all’istante dove si trova!”.
Villetta a schiera in piena periferia.
Dopo un clangore di chiavi dentro la serratura, la donna e il piccolo
mutante entrarono dentro l’ampio ingresso, accedendo la luce.
“Eccoci a casa, tesoro!” esclamò esausta la donna, con due buste
della spesa penzolanti da entrambe le mani “Tempo cinque minuti, e
mi metto subito a preparare la cena!”.
Fu in quel momento di debolezza fisica, che il telepate riuscì alla
meglio a penetrare nella psiche della sconosciuta.
Lei felice, seppur stanca, sdraiata su di un letto d’ospedale. Al
suo fianco, un uomo con in braccio un neonato ben infagottato.
Lei a casa da sola con il bambino nella culla.
Il bambino che, forse affamato, piange sempre più forte. Un pianto
sempre più acuto e fastidioso.
Lei che afferra un coltello da cucina tagliente.
Una bara bianca.
Una scritta stampata su un referto medico: Depressione post partum.
Lei che, alla guida della stessa auto di prima, vede lo stesso Igor
camminare tranquillo nella strada che porta al quartier generale
degli Humana.
Seduti sulla panchina del parco cittadino, il trio era ancora in
attesa, sebbene il sole fosse del tutto calato e l’oscurità la
faceva ormai da padrona.
“Queste zanzare mi stanno divorando come un raviolo ripieno!”
cercò di sdrammatizzare il Soggetto N. 6, mentre gli insetti lo
stavano davvero prendendo di mira.
Di colpo, il Soggetto N. 3 si tirò su in piedi.
“Hai sentito l’indirizzo, Johnny?”.
“Assolutamente sì!” appena finita la frase, il Soggetto N. 9 era
già sparito.
Il velocista era già in direzione della stazione di polizia più
vicina. Rimanendo in incognito, facendo vibrare le molecole del suo
viso, diede tutte le informazioni utili possibili agli agenti
presenti.
“M-Ma chi d-diavolo sei?” balbettò terrorizzato uno di loro.
Nel mentre, ai giardinetti, una esile e giovane figura si avvicinava
lentamente alla coppia in rosso e giallo.
“Igor!” Frédérique gli si tuffò addosso, per poi stringerlo
forte in un abbraccio.
“Quella donna ora è in pace con sé stessa” le sussurrò
all’orecchio Wansa, mentre una lacrima solitaria gli scendeva su
una guancia.
Un muro gigantesco. Che lo si guardasse in senso verticale oppure in
senso orizzontale, realmente non ne si vedeva la fine.
Ma questa imponente barriera non arginò di certo gli Humana. Appena
comparsi dall’ennesimo bagliore luminoso, si trovarono nel bel
mezzo di un tumulto.
Uomini che parevano della specie di tutori dell’ordine, il cui viso
era completamente coperto da una maschera nera, caricavano dei
giovani ragazzi disarmati. Al contrario, i primi afferravano
saldamente nelle loro mani degli scuri manganelli.
Per tutta risposta, il Soggetto N. 9 partì a gran velocità e iniziò
a colpirne il più possibile. Il Soggetto N. 6 sputò una fiammata
contro una coppia di loro. Il Soggetto N. 2 ne fece volare
letteralmente un altro. Il Soggetto N. 8 si immerse in un laghetto lì
nelle vicinanze, portandosi con sé un poliziotto. Il Soggetto N. 3
difendeva Il Soggetto N. 1 con i raggi laser provenienti dai suoi
occhi. Il Soggetto N. 7 si era trasformato in una camionetta e
caricava a testa bassa ognuno degli uomini in divisa. Una camionetta
simile a quella che Il Soggetto N. 5 stava sollevando per poi
lanciarla via. Infine, Il Soggetto N. 4 rispondeva al fuoco
utilizzando un moschetto che sparava proiettili esplosivi.
Johnny Wayne corse in verticale su di un muro per poi fermarsi sul
corrimano di un terrazzo ed osservare tutto quel nuovo scenario
dall’alto.
“Ma dove siamo finiti questa volta?” chiese al vento.
I ragazzi sotto di lui lo festeggiavano, insieme agli altri uomini in
rosso e giallo.
“Gli ultimi due se la danno in ritirata!” lo informò,
indicandoglieli, Jack Lincon che planava accanto a lui.
I due fuggitivi fecero appena in tempo a passare attraverso
un’entrata, posta sempre nel muro gigantesco, che poi si richiuse
dietro le loro schiene.
Chang Yu si avvicinò a tale porta.
“Ci penserò io con la mia fiamma!” esclamò convinto.
Dopo un minuto di attacco calorifero, la parete non parve minimamente
scalfita.
“Provo io…”.
Geran Giunan assestò un poderoso pugno alla lamiera, tanto da
crearci fin da subito un buco circolare contornato da svariate crepe.
Nel mentre, anche tutto il resto dei mutanti li aveva raggiunti.
“E io che ci avevo messo tutto il mio fiato…” si rattrista il
cinese.
Uno dei ragazzi si avvicina al gruppo “Chi siete voi?”.
Il ragazzo, vestito con una tutta integrale di colore argento, aveva
i capelli scuri tranne per una striscia bionda che, come fosse
un’aureola divina, gli segnava con precisione millimetrica la
circonferenza del capo.
“Chi sei, tu? Piuttosto!” controbatté l’americano.
“Calmati, Johnny” lo redarguì Sara “scusaci ragazzo, puoi
dirci dove ci troviamo?”.
“Questa città si chiama Distopia, come fate a non conoscerla?”.
“È una storia lunga… tu come ti chiami?”.
“Mi chiamo Zyx”.
“Zyx… e poi?” insistette la bionda.
“Poi cosa?”.
“Non hai un cognome?”.
“Cos’è un cognome?”.
“Tipo… un altro nome”.
“Qui tutti hanno un solo nome, composto da tre lettere. A breve poi
inizieranno a mandarci quelli con quattro lettere”.
“Ma cosa? Chi è che vi manderebbe queste persone?”.
“Quelli al di là del muro”.
“E chi sono?”.
“Gli adulti”.
L’italiana fu spiazzata da quella rivelazione.
“Sono loro che hanno costruito questo muro?” prese la parola
l’altra donna.
“Esatto. Anzi, a dirla tutta, molti di voi non dovrebbero nemmeno
essere qui…” Zyx indicò improvvisamente il russo “Solo lui
potrebbe”.
“Che vuoi dire?” proseguì la ballerina.
“Una volta raggiunti i diciotto anni, noi tutti siamo obbligati a
passare dall’altra parte del muro. Quello stesso muro che ora voi
avete danneggiato…”.
“Pensi che sia così grave?” domandò la bionda.
“Non sarò io a deciderlo. Questo è un compito che spetta agli
Avvocabot provenienti dalla Zona di Legge”.
“Ah beh… tanto chi ha fatto il danno maggiore è stato Geran…”
ricordò l’italiano.
L’indiano lo fissò minaccioso.
“Ascoltami” gli si parò davanti il velocista “non c’è un
posto, in questo assurdo paese, dove potremo meglio mescolarci tra la
folla?”.
Zyx ci rifletté attentamente.
“L’unica possibilità è allo stadio del Gameball…”.
Non avendo ulteriori alternative valide, tutti gli Humana seguirono
l’indigeno, trovandosi incredibilmente in quello che, a tutti gli
effetti, poteva ricordare uno stadio da calcio.
“… E quello è uno dei più grandi campioni di Gameball: Raw”
concluse Zyx, indicandogli uno dei giocatori in campo
“Curioso…” osservò Wayne, mentre seguiva le varie fasi di
gioco “In certe regole mi ricorda il football…”.
“Però il campo in erba è decisamente da calcio” ricordò Juna.
“E certe regole sono come nel basket…” aggiunse Yu.
“Io continuo a preferire la lucha libre!” tagliò corto Borghi.
“E c’è anche qualcosa della pallavolo” sentenziò Arone.
“Che noia!” proruppe annoiato Alberti.
“Sono d’accordo con te, amico mio” concordò Lincon.
Wansa si fece rapidamente nervoso “Dobbiamo andarcene di qui!”.
“Che succede, Soggetto N. 1?” richiese spiegazioni Silvestri.
“Stanno venendo a prenderci…”.
Lentamente, dal cielo, iniziarono a calare degli strani veicoli.
Dalla forma, parevano per assurdo degli ascensori spaziali.
Gli Humana stavano già evacuando l’impianto sportivo.
“Qui è meglio darsi alla fuga!” nel dubbio, il mutaforma aveva
già assunto sembianze femminili.
Frédérique, mentre fuggiva, li osservò per qualche secondo.
“Dentro sono pieni di agenti come quelli di prima!”.
Appena uno di quei cosi atterrava e apriva gli sportelli, Johnny
partì a razzo e iniziò a fare piazza pulita di chiunque vi si
trovasse all’interno.
“Questi bastardi ci stanno dando la caccia!” urlò Andrea, mentre
il suo braccio destro si tramutava in una pistola lancia dardi
paralizzanti.
Zyx, che gli si era fatto vicino, consigliò a loro “Vi rimane una
sola cosa da fare…”.
“Cosa?”.
“Passare dall’altra parte! Le autorità vi cercano perché siete
adulti nel lato dei minorenni. Per quanto ne so, sono talmente idioti
che, una volta dall’altra parte, non vi creeranno problemi!”.
Sara ci pensò un attimo.
Poi ordinò “Facciamo come dice lui. Soggetto N. 4, sfonda quel
muro!”.
“Con piacere!” il suo connazionale si era già inginocchiato per
tenere più stabile, sulla sua spalla, la mano destra mutata in un
bazooka.
“Vai pure Andrea, dietro lì non c’è nessuno!” lo informò la
francese.
Il colpo fu preciso e la breccia grande abbastanza per fare passare
ognuno di loro.
Come al solito, il più rapido a varcare la soglia fu l’americano
che, una volta fermatosi dall’altra parte, rimase sbigottito.
“È incredibile…”.
Due metropoli, posizionate esattamente a specchio, una sopra
all’altra. Le cime dei grattacieli, presenti su entrambi i
versanti, parevano quasi toccarsi.
Nel giro di pochi minuti, tutti i mutanti erano passati dall’altra
parte. L’unico fu Geran che, visto la sua mole, con la forza bruta
dovete allargare leggermente il passaggio.
Nessuno dei presenti proferiva parola, rimanendo incantati davanti a
quell’incredibile capolavoro di architettura. Davanti ai loro
occhi, l’impossibile stava accadendo.
“E ora che facciamo?” Juna ruppe l’incanto sui compagni.
“Ah beh… non so voi, ma in questi casi io mi nascondo in qualche
vicolo buio finché non si calmano le acque…” suggerì Bernardo.
“Buona idea!” acconsentì Silvestri “Humana, dileguiamoci!”.
Un vicolo stretto e mal iluminato fu proprio quello che i tizi in
rosso e giallo trovarono.
Mentre riprendeva fiato, Chang notò una mancanza “un attimo, dov’è
finito il giovane che ci accompagnava?”.
“È rimasto dall’altra parte, forse non si riteneva ancora pronto
al mondo degli adulti…” ipotizzò Jack.
“Benvenuti…”.
Un’improvvisa voce metallica fece sobbalzare tutti i presenti, già
tesi come corde di violino.
Incredibilmente un ologramma, dalla forma umana e derivato da una
luce bluastra, li stava accogliendo a braccia aperte.
“Non abbiate paura, qui siete i benvenuti” l’uomo, o meglio
colui che veniva rappresentato, indossava una sorta di tunica
futuristica, aveva una lunga barba bianca che gli scendeva sul petto
e la testa completamente pelata.
“Chi sei tu?” chiese il Soggetto N. 3 alla rappresentazione
immateriale.
“Il mio nome è Ald. O meglio, lo era. La via in cui vi trovate
attualmente è dedicata proprio a me”.
I dieci si guardarono attorno, come a controllare che ciò
corrispondesse a verità.
“Anni fa, fui un famoso astrologo di Distopia” proseguì
l’essere.
“Vuoi dire che ora sei… defunto?” domandò il Soggetto N. 6,
incuriosito.
“Esattamente ma, non siatene sorpresi! Da un po’ di anni a questa
parte, qui a Distopia è stato deciso che, oltre ad affidare ad una
via il nome di un grande personaggio, in essa venga istallato un
proiettore olografico dedicato proprio a tale personalità”.
“Tutto ciò è assurdo!” era sbigottito il Soggetto N. 7.
“Quindi possiamo interloquire con te su qualsiasi argomento?”
ipotizzò il Soggetto N. 2.
“Più o meno” tentennò Ald “ricordatevi che state comunque
interfacciandovi con una memoria artificiale”.
“Ma allora forse tu puoi darci una mano nel capire come tornare a
casa!” gli scattò vicino il Soggetto N. 9, quasi ad aggredirlo.
“Cosa intendi, figliuolo?”.
“Saggio Ald, noi proveniamo da un’altra epoca, forse da un altro
mondo” gli spiegò il Soggetto N. 8 “l’unica cosa che sappiamo
è che, improvvisamente, una luce abbagliante ci avvolge tutti, per
poi farci trovare in mondi a noi sconosciuti”.
“Decisamente un fenomeno inspiegabile, a meno che…”.
Un forte rumore, proveniente dalla via principale, attirò
l’attenzione dei presenti.
“Jack!” lo chiamò il Soggetto N. 4 “Controlla che non ci siano
problemi attorno”.
Il Soggetto N. 2 obbedì silenzioso, spiccando il volo.
Questa volta fu il turno dell’indigeno di rimanere allibito “Oh
sacro Det! Ma voi siete esseri superiori!”.
Nessuno degli Humana si decise a rispondere.
“Questo allora cambia decisamente le cose!”
“Come?” chiese Sara.
“Vedete, fin da quando ero in vita, i più grandi scienziati di
Distopia ipotizzavano l’esistenza di varchi intradimensionali, in
grado dunque di varcare lo spazio e il tempo…”.
Il dandy discese in silenzio, per non interrompere l’astrologo.
“Però certe teorie non furono approvate dalla maggioranza della
popolazione, troppo semplice e bigotta. In particolare perché noi
stessi ipotizzammo che solo degli essere superiori, ossia come voi,
che io suppongo dotati di straordinari poteri, potessero essere in
grado di affrontare tali anomalie della natura…”.
“Ma come possiamo controllare questi varchi?” lo interruppe il
Soggetto N. 1.
“Per far ciò, ci vogliono per lo meno due fattori” spiegò Ald
“un fattore che individua il varco e uno che lo attiva”.
Si rifece avanti Arone “Per quanto riguarda l’individuarlo, io
sono, diciamo, un’ottima osservatrice… ma per attivarlo cosa
dobbiamo fare?”.
“Per quello bisogna accelerare il più possibile le particelle che
lo compongono, trasmutando la materia”.
“Accelerare?” si esaltò Wayne “Non c’è problema, accelerare
è il mio mestiere!”.
Mentre degli enormi soldati robot si stavano avvicinando
pericolosamente agli Humana, il piano fu messo velocemente in atto.
L’ologramma
blu osservò ammirato i dieci viaggiatori ripartire nella loro
odissea infinita.
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Capitolo 21 *** 8 storie ***
CAPITOLO 21
“8 storie”
Una moltitudine di lapidi, delle più svariate forme e colori,
schierate su una grande porzione di metri quadrati. Attorno ad esse,
mura solide per proteggere la giusta pace delle persone che vi
riposavano.
“Berny, si può sapere cosa ci facciamo in un cimitero?” domandò
spazientito Johnny Wayne.
“Ehi! Me l’hai chiesto tu, no? Per me questo è il luogo migliore
dove poter godere di un po’ di tranquillità” replicò stizzito
Bernardo Borghi.
“Certo… ma non intendevo l’essere circondato da morti!”.
“Perché? In un cimitero cosa pensavi di trovarci?”.
“Ma io non ci volevo proprio venire in un cimitero!”.
“Che hai paura dei fantasmi? Guarda piuttosto quel ragazzino. È da
solo eppure mi sembra bello tranquillo”.
Nel dire ciò, il messicano indicò un bambino, di circa 12 anni,
vestito con una maglietta verde sbiadita e dei jeans scuciti, che si
aggirava sperduto tra le lapidi.
“A me sembra piuttosto spaesato...” si preoccupò l’americano
“andiamo a sentire se ha bisogno di un aiuto”.
I due mutanti si avvicinarono al giovane che, di rimando, li fissò
sorpreso.
“Ciao amico, ti serve una mano?” lo salutò il biondo.
“Sto cercando una tomba...” replicò tranquillo.
“Beh, direi che sei nel posto giusto!” cercò di non essere
eccessivamente ironico il baffuto “Ti ricordi per caso il nome
scritto sulla tomba?”
“Non so”.
“Non te lo ricordi o non sei sicuro?” proseguì Johnny.
“Non so”.
“Facciamo così: iniziamo dal principio! Era un uomo o una donna?”
domandò Bernardo.
“Un uomo”.
“Oh, bene! Non ti ricordi il suo nome?”.
Il ragazzino rimase muto.
“Magari un soprannome… oppure l’iniziale?”.
Nel mentre, delle nuvole scure di pioggia si misero a copertura del
sole. Un tuono rimbombò sopra tutto il camposanto.
“Fidati di noi, ragazzo” lo tranquillizzò il velocista “mi
basta anche solo un indizio e sono in grado di trovartela in un
attimo!”.
Il giovane erano ancora piuttosto titubante “R-Ricordo che c’era
un albero...”.
Altro tuono.
“Perfetto!” esultò incautamente il mutaforma “Quanti alberi ci
saranno mai in questo cimitero?!”.
“Ok, vado e torno!”.
Il pilota di Formula 1 sfrecciò come una delle sue monoposto. Tempo
pochi secondi e fu di ritorno.
“Credo proprio di averla trovata! È… dov’è andato il bimbo?”,
Borghi si voltò verso lo spazio vuoto alla sua sinistra, dove fino
ad allora era stato il ragazzo senza nome.
Al limitare del sepolcreto, vicino al tronco di un giovane olmo, vi
era un semplice sepolcro. Sulla terra scura era conficcata una croce
bianca in legno. Su di essa un’incisione:
Al nostro adorato figlio
che adorava riposare sotto gli alberi
In quella zona di mondo le nevi era realmente perenni. Le temperature
difficilmente superavano i -40° C. Nessuno poteva vivere in quelle
condizioni così estreme. Eppure...
un‘automobile, attrezzata di tutto punto per non temere quelle
avversità, stava procedendo lentamente la neve ghiacciata presente
al suolo.
“”Ma è possibile che, per una volta che ci mandano in missione
all’estero, dobbiamo ritrovarci sempre nei posti più inospitali
che ci siano al mondo!” non abituato a certe velocità talmente
rallentate, il nervosismo di Johnny Wayne raggiungeva vette ben più
elevate di quelle rocciose che li sovrastavano.
Seduto al sedile del passeggero, Chang Yu si godeva beatamente la
gita fuori porto.
“Non arrabbiarti Johhny, non ti fa bene alla salute. Poi lo sai
com’è fatta Sara: appena vengono rivelate delle attività
inusuali, ci manda subito ad indagare”.
“Lo so! A quanto pare ci ha preso tutti per una banda di
investigatori dilettanti!”.
“Magari troviamo qualche locanda pittoresca del posto, dove
preparano dei piatti squisiti e poco conosciuti...”.
“Locanda? Ma non lo vedi che siamo circondati dal nulla assoluto!”.
“I miei occhi ci vedono benissimo, Onorevole Johnny. Forse sono i
tuoi che, annebbiati dalla collera, non hanno notato quell’abitazione
sulla sinistra.”
Di fatti, poco più avanti al loro percorso, era comparsa dal nulla
una casa a due piani. Tutto l’edificio era fabbricato in legno, con
il tetto in paglia secca.
Una volta parcheggiato di fronte alla costruzione, la coppia di
mutanti scese e, entrambi infagottati nei rispettivi giubbotti
termici, si presentò davanti alla porta d’ingresso.
Il cinese bussò con garbo. dall’altra parte della soglia, nessuno
rispose.
Evitando che il compagno ripetesse tale azione, l’americano afferrò
la maniglia e spinse. l’uscio era già aperto.
Guardinghi più che mai, i due entrarono silenziosamente dentro.
“Pare non vi sia nessuno...” azzardò il Soggetto N. 6.
“Ehilà!” urlò di colpo il Soggetto N. 9, spaventando anche
l’altro tipo in rosso e giallo.
L’eco si propagò per tutta la casa, praticamente vuota. Nessuna
risposta.
D’un tratto, il pavimento iniziò a tremare.
“Direi che quell’urlo era decisamente da evitare...” lo riprese
Chang, reggendosi allo stipite che aveva più vicino.
“Oh dai! Non crederai davvero che, con un semplice grido, io posso
aver provocato un’intera valanga?” si difese Johnny.
Dall’esterno, un rumore di confusione aumentava sempre il proprio
frastuono.
“A me pare proprio così...” sempre più tremolante l’asiatico.
Con gli occhi sempre più sbarrati dalla sorpresa, il velocista
afferrò l’altro per le spalle.
“Reggiti forte, Chang!”.
Afferrandolo stretto per il giaccone, lo statunitense portò fuori
l’amico in un lampo.
La valanga, tanto temuta, sotterrò quasi l’edificio. Ma non i
nostri eroi.
“Vedi, Johnny...” spiegò con una calma olimpica il cinese “in
certe zone innevate, basta anche un rumore leggermente più forte di
quelli naturali che, a causa della natura instabile della neve,
d’altronde stiamo comunque parlando di semplice acqua, si può
facilmente provocare una valanga come quella di poc’anzi...”.
“Piantala, Chang! Ora non ti vorrai mica mettere a farmi la lezione
di storia naturale!” sbottò furioso l’americano “Qualunque
cosa sia stata, l’importante è che ci siamo salvati!”.
“Perdonatemi, ma non potevo fare altrimenti.”.
Quella voce, così lieve e così sottile, spiazzò i due mutanti, che
si voltarono lentamente.
Una donna alta, dalla carnagione pallida come il kimono che
indossava, li stava fissando seria. A spezzare tutto quel candore, vi
erano soltanto i capelli corvini di lei che, nella loro notevole
lunghezza, ricadevano su tutto il suo abito.
“Qui da noi viene chiamata punizione del muro di ghiaccio”
concluse.
“E tu chi sei?” chiese il biondo.
“Non mi occorre un nome, tutti mi conoscono come la Principessa del
Ghiaccio”.
“Yuki onna…” sussurrò quasi l’asiatico.
Lei si voltò, piegando la bocca in un mezzo sorriso “Esatto. Sono
conosciuta anche così”.
“Continuo a non capire…” il velocista si grattava il capo.
La Principessa sbuffò leggermente. Appena alzato il suo braccio
destro, dalla mano aperta fu sparato un raggio congelante che colpì
il mutante confuso.
L’altro tizio in rosso e giallo fissava divertito il suo compagno,
ridotto ora ad una bella statua di ghiaccio.
“Ora hai capito?”.
Evitando di attendere una risposta che non sarebbe mai arrivata, il
Soggetto N. 6 utilizzò un soffio termico ben calibrato per riportare
alla mobilità l’amico.
“Cazzo! Questa non me l’aspettavo davvero!” esclamò tremante
l’uomo scongelato.
“Se volete” riprese la parola la criocinetica “per oggi potrete
essere nostri ospiti”.
“Perché “nostri”?” si girò incuriosito il pirocinetico.
Entrati attraverso un’apertura ben nascosta dai ghiacci, il trio si
ritrovò dentro a quello che, a tutti li effetti, pareva l'enorme
salone di un palazzo reale.
Su un piano rialzato attaccato ad una delle pareti ghiacciate, erano
poggiati due maestosi troni, ovviamente anch’essi composti dal
ghiaccio più lucente.
Nelle vicinanze di uno di quelli, un uomo enorme, con possenti
muscoli forgiati nel ghiaccio, li fissava con i suoi occhi totalmente
scuri, sormontanti da stallatiti puntati verso l’alto a fargli da
capigliatura.
Notata tale presenza, la donna delle nevi si rivolse agli ospiti.
“Lui è mio marito, il Principe del Ghiaccio”.
Wayne gli restituì lo sguardo torvo “Non sembra molto loquace”.
“Non ha mai parlato”.
“Ricordo di aver letto leggende in cui le yuki onna sposano invece
un essere umano” esclamò sorpreso Yu.
“Sì, beh...” la Principessa del Ghiaccio titubò “quella è
storia passata...”.
Il padrone di casa, sempre silente, indicò imperioso la lunga tavola
ghiacciata al centro della sala.
La donna annuì servile, poi si rivolse nuovamente ai mutanti.
“Vogliate gentilmente accomodarvi al tavolo per la cena”.
“Molto volentieri!” si esaltò il cuoco “Cominciavo ad avere un
certo languorino!”.
I quattro personaggi si sedettero, prendendo posto ognuno a un
relativo lato del rettangolo apparecchiato.
Una volta accomodati, sulla spalla destra della Principessa comparve
una donna minuscola, dall’altezza di una ventina di centimetri
circa, anch’essa ghiacciata come gli altri due, che le sussurrò
“Mia signora, la informo che la cena è pronta”.
“Ti ringrazio, Grandine” replicò lei “Fai pure servire il
pasto”.
La cena, in quell’ambiente così particolare ed esclusivo, passò
in maniera decisamente piacevole. Gustando uno squisito, e
inaspettato, stufato di renna, gli Humana poterono così stringere
un’importante nuova alleanza.
Un fulmine rosso e giallo fece il suo ingresso nella villa/quartier
generale.
“Buongiorno a tutti!” salutò il Soggetto N. 9, appena rallentò.
Davanti a sé, ad occupare una parte del tavolo usato anche per i
pasti, il Soggetto N. 1 era impegnato con l’esecuzione di compiti
scolastici impostigli dal gruppo.
Ma la cosa che sorprese il biondo fu che, a dare una mano didattica
al ragazzino, non vi era la solita Soggetto N. 3, ma bensì Sara
Silvestri.
“Dov’è Frédérique?” chiese lui.
“Oggi è arrivata sua sorella da Parigi, sono su in camera di
Frédérique” gli rispose la bionda, senza nemmeno alzare la testa
dal quaderno del suo studente.
Nella camera della francese, le due sorelle non davano riposo alle
proprie voci, raccontandosi tutto quello che passava loro per la
mente.
“… Ogni volta che ti vedo sei sempre più grande!” si
complimentò la sorella maggiore.
“Figurati! Non mi sembra vero che sono potuta venire nel tuo luogo
di lavoro!” le sorrise di rimando la sorella minore, seduta sul
letto, con le gambe tenute piegate al suo petto dalle sue braccia.
Fu proprio grazie a quella posizione che la mutante poté notare, ai
polsi dell’ospite, dei braccialetti del tutto simili a delle
catene.
“Come mai quelle catene?”.
“A dir la verità non c’è un motivo preciso, ma so che in un
vecchio anime si allenano così delle giocatrici di pallavolo”.
“Che scema che sei! E sarebbe per questo? Ma poi da quanto segui
gli anime?”.
“Beh...” Sophie si fece rossa in viso “da quando frequento un
ragazzo...”.
L’altra balzò seduta dalla posizione semisdraita in cui era.
“Cosa?! Davvero?! E chi è?”.
“Lui ecco… è… thailandese”.
“Ma è inconcepibile tutto ciò! Così porterei il disonore nella
nostra onorata famiglia!” la ballerina imitò la falsa
scandalizzata.
La pallavolista sbuffò in una risata “Vaffanculo! Comunque si
chiama Ii Cha”.
“E come vi siete conosciuti?” le si avvicinò ulteriormente,
tenendosi il viso tra le mani.
Al piano inferiore, un nuovo membro della squadra fece il suo
ingresso nel salotto.
“Stasera mangiamo cinese!” annunciò felice il Soggetto N. 6.
“Wow! Siamo in vena di grandi novità oggi…” ironizzò lo
statunitense.
Come prevede la buona educazione, gli Humana invitarono la sorella
della loro compagna a rimanere a pranzo con loro.
La ragazza accettò all’istante.
“Quindi sei anche tu una sportiva come me, Sophie!” intavolò un
discorso il pilota di Formula 1.
“Esatto!”.
“Che sport pratichi?” domandò il cuoco.
“Pallavolo”.
“Come sta andando?” riprese l’altro.
“Molto bene! Tra qualche giorno abbiamo la finale per il campionato
nazionale juniores!”
“Allora verremo tutti a fare il tifo per te!” esultò la
sorellona Arone.
Ogni promessa va mantenuta. Il giorno della finale, tutti gli Humana,
compresa Sara Silvestri, erano schierati sugli spalti del palazzetto
che la ospitava, striscioni compresi.
La gioia instillata nel cuore dalla visita a sua sorella portò
Sophie a disputare una straordinaria partita. Il risultato finale fu
una vittoria schiacciante per 3 set a 0.
Columbia Britannica
Tornato al suo accampamento indiano d’origine, il Soggetto N. 5
riconobbe subito il tipì che stava cercando.
Appena entrato nella tenda, vide subito accovacciata una persona.
Seduto per terra, a gambe incrociate, il capo indiano stava con la
schiena dritta e gli occhi chiusi.
La cosa che saltava immediatamente all’occhio, del suo
abbigliamento infine tipico dei nativi d’America, era la testa di
serpente poggiata sopra la sua testa umana.
Il rettile ti fissava come se, nonostante il suo attuale stato di
cadavere, la sua letalità non fosse scomparsa.
“Grande capo Serpente Pazzo” esordì il mutante “come vedi, ho
risposto alla tua chiamata. Posso saperne il motivo?”.
Per qualche secondo, l’interpellato non rispose. Poi spalancò gli
occhi.
“Ci attende una difficile caccia” proruppe.
“Chi sarà la nostra preda?”.
“Un essere malvagio”.
“Cosa ha fatto questo essere di così malvagio?”.
“Alcuni dei nostri, una sera, lo hanno visto abbattere una decina
dei nostri cavalli. Quel mostro succhiava via il loro sangue con le
zanne”.
“Siamo sicuri di questa affermazione?”.
“Purtroppo sì. Geran, abbiamo bisogno del tuo aiuto per catturare
questo mostro” concluse solenne Serpente Pazzo.
L’energumeno ci riflette su.
“Da quando sono con i miei nuovi compagni, tra le tante assurdità
che ho visto con i miei stessi occhi, sono venuto a conoscenza di una
strana creatura che potrebbe essere proprio ciò che andremo a
cacciare: i visi pallidi lo chiamano Chupacabra”.
“Qui non avrai i tuoi compagni a coprirti le spalle. Cosa hai
deciso, possente Geran?” gli domandò il grande capo.
“Potete contare sul mio spirito”.
Sul viso del richiedente si dipinse un sorriso inquietante.
Improvvisamente, scattò in piedi e, uscendo dal tipì, iniziò ad
urlare e danzare di gioia, nel classico stile pellerossa,
coinvolgendo con sé tutta la tribù.
Quella sera stessa, la trappola era stata messa in atto.
Come esca, era pronta al sacrificio una giovane giumenta dal manto
bianco, lasciata legata ad un palo di legno conficcato nel terreno.
Acquattati e ben nascosti dietro a degli alti cespugli, vi erano
Giunan, Serpente Pazzo e altri due membri della tribù Shoshoni.
Per ore, non accadde assolutamente nulla. Sdraia al suolo, la cavalla
si stava appisolando, così come gli essere umani che la scrutavano
in segreto.
A un certo punto, l’equino balzò in posizione eretta. Gli indiani
tornarono pienamente vigili e pronti all’azione.
Nonostante la naturale oscurità, si vide avvicinare qualcosa. La
taglia era quella di un cucciolo di orso. La luna emetteva dei
bagliori riflettendo su quelli che, allineati su tutta la sua
schiena, parevano degli aculei.
“Tenetevi pronti” bisbigliò il capo.
L’essere, seppur guardingo, si avvicinava a scatti alla preda.
Quest’ultima, percependo l’avvicinarsi della minaccia, scalciava
come un’ossessa.
“Aspettiamo che attacchi. Dobbiamo avere la conferma certa che sia
lui la causa delle nostre perdite” comandò il mutante.
Appena detto, la creatura balzò in groppa alla cavalla e, come i
vampiri europei, la addentò selvaggiamente al collo.
Fu questo il segnale per far scattare i quattro. Le urla di battaglia
fecero voltare il mostro, a cui luccicarono gli occhi dalla rabbia.
Prima che l’animale cadde a terra esanime, il Chupacabra balzò di
nuovo, questa volta atterrando sul collo di uno degli altri due
pellerossa.
Come fatto con il quadrupede, anche il bipede fu azzannato al collo.
Mentre il sangue spruzzava fuori dalla ferita mortale, Serpente Pazzo
gli si avventò contro impugnando il suo tomahawk. Il fendente tagliò
soltanto l’aria.
La creatura si era lanciata, sorvolando la testa del capo indiano,
contro una nuova vittima umana.
Solo che, questa volta, a venire morso fu il Soggetto N. 5.
In realtà, quello si rivelò infine soltanto un tentativo di morso.
Le zanne, a contatto con la pelle indistruttibile del colosso, si
spezzarono di netto.
Dopo qualche attimo di incredulità per l’accaduto, il Chupacabra
iniziò a guaire come un coyote ferito.
Gli altri pellerossa posarono le armi. Mentre il terzo membro andò a
constatare la morte del loro compagno, il capo si avvicinò a Giunan.
Questo teneva la preda sospesa in aria stretta per i suoi aculei,
come si fa con un gatto e la sua collottola.
“Che vuoi farne di lui, Geran? Vuoi che ci occupiamo noi di rendere
il suo spirito a Manitù? Oppure so anche di un certo Marco Oliveira,
un calciatore brasiliano, che adora questo genere di trofei”.
“Vedo che il tuo ritorno tra il mondo dei vivi ti sta creando nuove
conoscenze, Grande Capo Serpente Pazzo” era compiaciuto il
nerboruto “ma, se per voi non è un disturbo, darò questo scherzo
di natura ad un mio conoscente, di nome Benjamin Luhan”.
“Gli Shoshoni ti saranno eternamente grati, possente Geran!”.
E subito si esibì in una nuova danza tribale, questa volta per
festeggiare una nuova incredibile vittoria.
Nel 1977 fu girato, nella suggestiva montagna Torre del Diavolo sita
nello stato americano del Wyoming, la pellicola fantascientifica
intitolata “Incontri ravvicinati del terzo tipo”. Regia di Steven
Spielberg.
Nessuno avrebbe mai creduto che tale film sarebbe diventato una
previsione verso il futuro.
“Forse a prendere due passeggeri con me ho un po’ esagerato…”.
Questo pensava il Soggetto N. 9 mentre, sfrecciando a piedi, come suo
solito a grande velocità, teneva stretto con un braccio il Soggetto
N. 3 e con l’altro il Soggetto N. 1.
nel contempo, gli altri due stavano ben stretti al velocista, con gli
occhi chiusi per evitare anche solo il contatto visivo con quel mondo
così rapido.
In pochi minuti, la meta fu raggiunta. Con due mutanti su tre ancora
traballanti, ora il trio aveva di fronte proprio quel monumento
naturale.
“Dunque Igor mi confermi che l’obiettivo è questo?” chiese
l’americano.
“Confermo, Johnny” rispose il russo.
“Non… ci… credo…” sillabò ad occhi spalancati la francese.
“Che succede, Frédérique?” domandò il biondo.
“Ho visto cosa c’è lassù in cima…”.
“Non sapevo ci fosse qualcosa sopra il monte Torre del diavolo”.
“E noi come facciamo a salire fino sulla vetta?”.
In risposta al ragazzino, i loro sei piedi si sollevarono
improvvisamente da terra.
“Ma che ca…” imprecò lo statunitense.
“Lo stai facendo tu, Igor?” ipotizzò spaventata Frédérique.
“Assolutamente no!” il telepate era altrettanto terrorizzato “Non
ce la farei mai a sollevarci così tutti e tre insieme!”.
Il terzetto in rosso e giallo saliva sempre più in altezza. I loro
occhi fissavano la parete rocciosa graffiata che gli scorreva
davanti. D’un tratto, la parete finì.
“Non è possibile…” anche Johnny rimase spiazzato.
Adagiata sulla sommità piatta della montagna, li stava attendendo
quella che a tutti gli effetti pareva un’astronave.
Nuovamente in grado di muoversi, gli Humana tentennarono su come
precedere.
“Ora che facciamo?” Wansa cercavo l’aiuto degli adulti.
“Ho una strana sensazione…” informò gli altri Arone.
“Tutto è strano da quando siamo in questo gruppo!” esclamò
Wayne.
Accompagnato da un leggero sibilo, una rampa comparve dalla parte
inferiore del velivolo e si andò a poggiare sul terreno polveroso.
I tre si misero in posizione di attacco.
Con passi lenti e felpati, qualcuno scese giù. La sua forma era del
tutto umanoide, se non fosse per il volto che ricordava quello di uno
smilodonte. Gli abiti ricordavano quelli di un nobile lord. I suoi
occhi totalmente rossi fissavano impassibili i tre mutanti.
“Perdonatemi per l’attesa…”.
“Merda! Sa parlare!” bisbigliò colpito il pilota di Formula 1.
“Innanzitutto, vi comunico che vengo in pace. Il mio nome è Murwi
e sono, purtroppo, l’ultimo esponente della razza degli Zoomen”.
“Zoomen?” ripeté inebetita la ballerina.
“Esattamente. Da quasi un anno abbiamo dovuto effettuare un
atterraggio di fortuna proprio sopra questa altura”.
“Come mai? Vi è successo qualcosa?” era curioso il Soggetto N.
1.
“Sì, abbiamo avuto, qui sul pianeta Terra, un violento scontro a
fuoco con l’astronave di una razza a noi ostile: i Mechatron”.
“Allora sono anche loro qui tra noi?” sentenziò il Soggetto N.
3.
“Temo di sì. Oh, ma non preoccupatevi. Diciamo che con loro è più
una rivalità di concetto che una vera e propria questione bellica”.
“Che vuol dire?” chiese delucidazioni il Soggetto N. 9.
“Nello specifico, noi preferiamo omaggiare la natura e la forza che
essa dona, mentre loro idolatrano le macchine e qualsiasi cosa sia
meccanico”.
“Allora tu sei l’unico sopravvissuto allo schianto?” ripeté
quanto appena detto Frédérique.
“Ahimè sì. Ho scelto di rimanere comunque qua dentro perché,
nonostante per quelli della mia razza sia da considerarsi come un
cimitero, solo da qui riesco a controllare le onde Zoomen”.
“Che cosa sono?” domandò Igor.
“Sono onde invisibili, come ad esempio quelle elettromagnetiche,
che si propagano dal nostro veicolo spaziale in tutto il mondo”.
“Cosa?” si allarmò all’istante Arone “Ma sono
pericolosamente?”.
“Assolutamente no! Solo che, sugli esseri umani, hanno un curioso
effetto collaterale”.
“Che sarebbe…” lo invitò a proseguire Wayne.
“Sarebbe che può far mutare il loro aspetto in esseri che voi
classificate come genere animale”.
“Aspetta… ma questa è l’Animorph Squad!” si ricordò di
colpo il Soggetto N. 9.
“Esattamente! Negli ultimi tempi, tutti i terrestri attualmente
coinvolti hanno deciso di unirsi in questo curioso nome collettivo”.
“Non è possibile…” rimase sbalordito il biondo.
“Posso assicurarti che lo è” replicò l’alieno “anzi, per
l’occasione, vi presento una caso più unico che raro”.
Si voltò verso la direzione da cui era sceso “Vieni pure, Evelyn”.
Questa volta scese un personaggio che, almeno in apparenza, era del
tutto umano. O meglio umana, visto che si trattava di una giovane
donna, nonostante il colore dei capelli di un bianco candido.
“Salve!” salutò i presenti.
“Tu chi sei?” Frédérique era sempre più sorpresa.
“Mi chiamo Evelyn Blake e vengo dal New Jersey.
Nome in codice: Animorph Lass”.
“La mia allieva qui presente è un caso più unico che raro!”
riprese la parola Murwi “Difatti lei è in grado, a differenza dei
suoi compagni che possono con un unico animale, di mutare il proprio
aspetto in una qualsiasi forma animale presente in natura!”.
“Che figata!” si fece scappare il Soggetto N. 1.
“Puoi darcene una dimostrazione?” il Soggetto N. 9 sembrava
comunque scettico.
“Volentieri!” sorrise lei di rimando.
Dopo qualche secondo di concentrazione, la sua forma iniziò a mutare
e, come nello stile del Soggetto N. 7, il suo aspetto era ora
totalmente irriconoscibile.
Un piccolo gufo li osservava con i suoi enormi occhi castani,
sbattendoli non all’unisono.
Il trio in rosso e giallo era senza parole.
Nuova trasformazione ed ora era un rinoceronte. Poi un coccodrillo.
“Bene, non esagerare Evelyn!” la richiamò all’ordine il suo
maestro.
A quel richiamo, Animorph Lass riprese la sua forma originale.
“Scusatemi. Comunque faccio anche parte dei Global Defenders. Ormai
abbiamo superato i 20.000 membri!”.
Indianapolis
“Se Frédérique può ospitare la sua famiglia nella villa, allora
anch’io voglio tornare alla mia, di famiglia!” pensava fiero di
sé Johnny Wayne, mentre osservava, dal paddock, gli ultimi
preparativi per quella corsa.
Ad ospitare l’evento il mitico Indianapolis Motor Speedway.
“Pronto per la gara?” gli chiese Minetaro Shiroyama,
affiancandolo.
“Come sempre! E tu, sushi boy?”.
“Io vengo dall’Istituto Shiroiwa, una scuola piena di fenomeni,
vuoi che non sia in grado di affrontare così tanti campioni?”.
Di fatti, la corsa a cui si apprestava a prender parte, non era
relativa al campionato mondiale di Formula 1, ma una gara
d’esibizione con altri campioni di tale sport.
Una volta dentro la monoposto, l’americano si ripeté mentalmente
tutte le tredici curve che doveva superare prima di tagliare il
traguardo. E ricominciare da capo.
Dopo il classico giro di prova, i bolidi erano pronti a scattare.
Tutti i semafori rossi accessi insieme e poi spenti all’unisono.
Scatto bruciante che permise a Johnny di superare due piloti: il
primo era un altro pilota altrettanto esperto di quel circuito, Frank
Capua, mentre il secondo era Bobby Deerfield, presentatosi con una
vettura vintage a sei ruote.
Tra la prima e la seconda curva fu in grado di passare oltre
all’italiano Paolo Cortesi, finito lungo oltre il tragitto.
Durante l’esecuzione della quarta curva, superò di slancio Denny
Swift. Per assurdo, più abituato a correre sotto la pioggia che con
l’asfalto asciutto.
Altre due curve e di nuovo un dirizzone. Con il suo slancio,
arrivarono altri due sorpassi. l’altro nipponico Jiro Kanzaki,
proveniente dalla Formula 3, e il francese Jean-Pierre Sarti, finito
anche lui fuori pista.
Nella serpentina delle curve 8, 9 e 10, scavalcò Smith della
Ferrari, già di suo un gran risultato da annotare.
Nel breve dirizzone tra la undicesima e dodicesima curva, lasciò
dietro di sé il suo connazionale Joe Tanto, il pilota più anziano
della corsa.
Nel lungo-linea tra la 12 e la 13, sorpassò altri due piloti: una
macchina tutta variopinta, che procedeva a scatti, e il transalpino
Arezi.
Nella curva parabolica che portava al traguardo, fu il momento
dell’austriaco Kurt Langer di arrendersi.
Ma gli occhi di Johnny non era fissati sul traguardo. Il suo
obiettivo era il prossimo pilota da superare. La leggenda Michel
Vaillant.
Questo sì che sarebbe stato un avversario tosto. Ma Wayne era pronto
ad affrontarlo a cuor sereno. Canticchiando “Supreme” di Robbie
Williams.
Il trillo del campanello della villa degli Humana. Un suono più
unico che raro.
Ad aprire la porta andò Frédérique Arone, già conscia di chi
poteva trovarsi di fronte.
“Benvenuta!” la accolse con il suo migliore sorriso smagliante.
dall’altra parte della porta vi era una semplice ragazza sui
trent’anni, con i capelli neri raccolti in una coda di cavallo,
addosso una giacca scura, gonna fino al ginocchio a scacchi bianchi e
neri, calze scure e stivaletti bassi.
“Perdonatemi per il ritardo ma non sono molto pratica di questa
zona”.
“Non si preoccupi! Dunque lei deve essere la cosiddetta “la tata
leggendaria”, Rose Smith?” la fece accomodare.
“Oh, quello è soltanto un frivolo soprannome. Pensi che alle volte
mi chiamano anche “the witch”… ”.
“Davvero?” fu sorpresa la francese “Comunque non si preoccupi,
con questo ragazzino non le servirà alcun tipo di incantesimo!”.
“Anche perché, per quelli, abbiamo già Laura del Monster
Commando” proseguì mentalmente il discorso.
“Lo spero…” replicò la nuova arrivata.
“Il nostro ragazzino, si chiama Igor Wansa, è tranquillissimo.
Oltre a fare i compiti, i suoi passatempi sono dei più classici:
leggere, disegnare, guardare la tv…” le spiegò a grandi linee.
Dietro le due signorine, con una lentezza che proprio non gli
apparteneva, comparve Johnny Wayne, vestito con un abito elegante
grigio.
“Buongiorno, lei è la baby-sitter?”.
“Sì, salve. Mi chiamo Rose Smith”.
“Piacere mio Rose. Io sono Johnny” le strinse la mano “andiamo,
Frédérique? Che sennò rischiamo di fare tardi al teatro”.
“Sì, certo!” la ballerina sussurrò quasi all’orecchio della
bambinaia “Per qualsiasi problema, il mio numero di cellulare ce
l’ha, le basta mandare un messaggio”.
“Non si preoccupi, me la saprò cavare!”.
Una volta in macchina, la coppia si scambiò due battute.
“Strano davvero che ora Sara ci permetta addirittura di affittare
una baby-sitter…” rifletté turbato lui.
“Magari l’ha fatto per concederci ancora un altro po’ di svago”
ipotizzò lei “e poi io era da tanto che aspettavo di poter tornare
a teatro a vedere “Il fantasma dell’Opera”!”.
Una volta da sola in quella immensa villa, Rose fece la conoscenza
del Soggetto N. 1, con il quale instaurò fin da subito un buon
rapporto.
Mentre lo studente proseguiva con i suoi compiti a casa, la donna
pareva assente.
“Chissà poi cos’è questo Monster Commando?” pensò
preoccupata.
Ancora fissi sul quaderno a righe, gli occhi di Igor si spalancarono
a quei pensieri, voltandosi “Come fai a sapere del Monster
Commando?!”.
“C-Come?” anche Rose era altrettanto spiazzata.
“Da chi lo hai saputo?” questa volta, la domanda era stata
inviata telepaticamente dal russo.
“AH!” la tata, presa alla sprovvista, si cappottò indietro con
la sedia.
Effettuando subito una capriola all'indietro sul tappeto, si rimise
subito in posizione eretta.
“Chi è stato?”.
Wansa la fissava basito.
“Oh mio dio! Sei stato tu!”.
Lui non rispose.
Per tutta risposta, la donna scappò in cucina, sbattendosi
rumorosamente la porta alle spalle e incastrato la sua gonna tra di
essa e lo stipite.
Passato qualche minuto di totale silenzio e immobilità, con Igor che
fissava impassibile la porta, finché si aprì uno spiraglio.
Facendo affacciare appena la testa, la signorina Smith balbettò
“T-Tu… r-riesci a leggermi i pensieri?”.
“Sì” altra risposta mentale.
“Oh mio dio! Io credevo di essere l’unica al mondo a poterci
riuscire!”.
“Il mondo è più strano di quello che pensi” riprese a parlare a
voce il telepate.
“Da quanto hai questo potere?”.
“Beh… diciamo che non è tantissimo…”.
“Io praticamene da quando avevo la tua età!”.
La bambinaia sprizzava gioia da tutti i pori.
“Aspetta che lo sappia tutta la mia famiglia…”.
“Nessuno deve saperlo”.
“Cosa? Ah ok, preferisci mantenere il segreto, dato che sei ancora
così piccolo”.
“Diciamo così”.
“Giusto! Quindi non posso nemmeno dirlo al mio amico Kazuki Kato”
ponderava lei mentre si tamburellava la tempia sinistra col dito
“sai, lui ha lasciato l’Istituto Matsuda di Yokohama e ora fa lo
spazzacamino”.
“Mi dispiace, ma davvero nessuno deve sapere di questi nostri
poteri. Fidati che, altrimenti, le cose potrebbero peggiorare
parecchio”.
“Oh, capisco…”.
“Ma stai tranquilla che in un altro gruppo, si chiamano i Global
Defenders, una come te potrà rivelarsi molto utile”.
“Come Mary Poppins?” sorrise sognante Rose Smith.
Johnny si svegliò di soprassalto. Tutto il suo petto nudo sudato,
così come la fronte con i biondi capelli appiccati sopra. Con gran
fatica, si mise a sedere sul bordo del letto.
“Che sia qualcosa che ho mangiato?”.
Ancora in boxer, si alza in piedi.
“Dove sono gli altri?”.
Come suo solito, fa per scattare, ma qualcosa non funziona. La sua
supervelocità è totalmente assente.
“Ma che succede?”.
Esce dalla stanza con un semplice passo svelto. Scende le scale.
In cucina trova Frédérique, intenta a sorseggiare una tazza di
caffè. Anche in questo caso, c’è qualcosa che davvero non quadra.
Infatti, la francese pare una bella statuina, completamente in
blocco.
“Ma che cazzo succede?! Frédérique! Che stai facendo? Mi senti?”
cerca di smuoverla a forza l’americano.
La donna sembra pesante come un macigno.
“Forse il mio potere sta smattando? Il mio DNA sta mutando di
nuovo?” si mette le mani nei capelli madidi “Sara! Devo trovare
Sara!”.
Riparte con lentezza alla ricerca dell’italiana. La trova qualche
stanza più in là, intenta a massaggiarsi le tempia. Anche lei
immobile.
“Anche lei? Ma com’è possibile? Cosa mi sta succedendo?”.
Cercando una maniera di uscire da quella specie di blocco temporale,
il Soggetto N. 9, vestitosi con il solito costume rosso e l’enorme
H gialla davanti, si mise a correre per tutto il grande giardino
della villa.
“Non posso finire così i miei giorni!” pensava disperato il
velocista “Ho dovuto rinunciare alla Formula 1, ma almeno ho
trovato un gruppo di amici con cui impegnarmi per qualcosa di davvero
importante per il mondo!”.
Ormai insperata, qualcosa si mosse. Un uccellino, posato sull’asfalto
volò via per non essere travolto dall’umano. Per poi rimanere
bloccato a mezz’aria.
“Si è mosso!” esultò nella sua testa Wayne.
Tale esultanza fu interrotta da una voce “Johnny…”.
“Sara! Sei tu?”.
“Dacci ancora un attimo…”.
“Cosa?”.
Fu un attimo. l’uccellino volò finalmente via. Il suo passo
accelerò di colpo, raggiungendo una velocità oltre le umane
capacità. Rischiando di andare a sbattere contro il tavolino da
esterno, Johnny rientrò nell’abitazione. Per poi scontrarsi contro
Frédérique.
“Oddio!” fu l’unica cosa che riuscì a dire Arone, prima di
cadere all’indietro per l’urto.
Fortunatamente, il colpevole dell’accaduto fu rapido abbastanza da
prenderla al volo ed evitargli un nuovo colpo.
La stessa sorte non toccò invece alla tazza da caffè che aveva in
mano, la quale si andò a schiantare sulle mattonelle del pavimento,
finendo spezzata in mille pezzi.
“Che è successo, Johnny?”.
“Io so correre!”.
Alle loro spalle, Silvestri entrò nella stanza.
“Scusami
Johnny se non ti ho avvertito prima, ma il nostro capo ha tentato un
esperimento mentale su di te, cercando di bloccare i tuoi
superpoteri”.
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Capitolo 22 *** 5 storie ***
CAPITOLO 22
“5 storie”
Il bel mare oceanico risplendeva calmo e tranquillo. A rompere però
la piatta superficie liquida vi era niente meno che una gara
natatoria, sebbene improvvisata. Sei personaggi si dirigevano più
velocemente possibile verso la riva.
Con netto distacco arrivò primo Juna, anche grazie al suo potere
mutante che, in questo ambito, gli era decisamente utile. Dopo di
lui, un delfino si tramutò rapidamente in Borghi. Di seguito,
giunsero sul bagnasciuga Lincon, Giunan, Wayne e Arone.
“Però ti stavo per raggiungere!” osservò Bernardo, tornato in
forma umana, al vincitore.
“Comunque il tuo dovrebbe essere considerato doping, Juna”
protestò ironicamente Johnny.
“Ma sentilo… ma se mi hai pure aspettate per fare il gentiluomo”
lo rimproverò dolce Frédérique.
“Per quanto mi riguarda l’ho fatto solo per mantenermi in linea,
le gare sportive non riscuotono particolarmente il mio interesse”
Jack informò i presenti.
A pochi metri da loro Chang, mentre impugnava una vecchia canna da
pesca con l’amo in acqua, si voltò infuriato “Volete fare
silenzio che mi spaventate tutti i pesci!”.
“Invece lo sport è sempre una bella cosa!” replicò la
ballerina.
“Meglio se a motore!” aggiunse il pilota.
“Io preferisco rimanere fedele alla lucha libre” replicò il
baffuto.
“Seguo solo le olimpiadi…” proseguì il dandy.
“Le olimpiadi sono delle gran cazzate!” sbottò stufato Andrea,
al riparo sotto l’ombrellone con Igor “Anche i giochi olimpici si
sono dovuti fermare per le guerre, in più ora sono pieni di sponsor
e non più composte da soli dilettanti com’era nei primi anni!”.
Tutti lo fissavano basiti.
“Per non parlare poi di quando sono state boicottate per mere
questioni politiche!” concluse sempre più incavolato.
L’atmosfera si era fatta palesemente pesante.
D’un tratto, la lenza iniziò a tirare. La canna logora si tese
talmente tanto, finché lo spago non si spezzò di netto.
“Ecco fatto, niente pesca miracolosa!” annunciò il cuoco, mentre
osservava rattristato il danno appena subito dalla natura.
Ancora pensieroso, l’africano iniziò a lanciare sassi verso il
mare.
“Sarà come dice Andrea però, secondo me, in certi casi lo sport
può arrivare addirittura a salvarti la vita…”.
Come un gigante addormentato, un transatlantico aveva un proprio lato
adagiato sugli scogli aguzzi attorno ad un’isola selvaggia.
Sdraiata sulla sabbia, quasi a voler rassomigliare all’enorme
natante, una giovane ragazza dalla folta chioma bionda, con il corpo
pieno di tagli e i vestiti strappati, si stava ridestando con grande
fatica.
Rimessasi lentamente in piedi, barcollò senza metà nella spiaggia,
finché non si trovò davanti, a circa un chilometro davanti a sé,
una cupa magione.
Le sue gambe esili si rivelarono incredibilmente resistenti e, poco
dopo, riuscì a bussare alla pesante porta del castello.
Per alcuni minuti, tutto rimase immobile. Poi, con un sinistro
cigolio, l’uscio iniziò ad aprirsi. La minuta figura della donna
fu coperta da un’ombra gigantesca. Un energumeno, dalla folta barba
scura come i suoi occhi, con i quali la fissava impassibile, le si
parò d’innanzi.
Nonostante l'inquietudine iniziale, lei parlò. O meglio, tentò di
parlare. Con sua gran sorpresa, la sua gola parve non voler in alcun
modo collaborare con la comunicazione verbale.
“Chi è, Ivan?”.
all’udire quella voce proveniente dalle sue spalle, il nerboruto si
defilò, permettendo così all’ospite di poter entrare.
Un uomo vestito con un frac elegante, come il pizzetto nero e i
capelli ingelatinati all’indietro che lo caratterizzavano, la stava
osservando, stando in piedi e immobile su uno dei gradini a metà di
una scala in pietra.
“Benvenuta, signorina” lui riprese la parola, così come la sua
discesa.
Una volta giunto al loro stesso piano, proseguì.
“Io sono il conte Zaroff. Posso sapere il suo nome, di grazia?”.
La ragazza, ammaliata da quel fare così raffinato, si ridestò,
mettendosi a smanettare per fargli capire il suo improvviso deficit
comunicativo.
l’uomo la osservava basito.
Lei allora ebbe un’illuminazione. Dalla tasca posteriore dei suoi
calzoncini strappati e sporchi riuscì a tirar fuori una tessera
scolastica.
A fianco di una sua foto sorridente, vi era scritto il nome
dell’Istituto, Shiroiwa, la sua data di nascita, il 24 novembre, e
il suo nome: Kurako Takigawa.
“Dunque, una giapponese” dedusse il conte.
L’altra annuì con enfasi.
“Ipotizzo che lei sia l’unica sopravvissuta a quel terribile
naufragio di qualche ora fa”.
Appena saputa la verità su quanto accaduto, l’orrore le si dipinse
negli occhi. Il suo corpo si fece di colpo più pesante.
“Non si preoccupi, ora lei è in salvo, signorina” le disse lui,
afferrandola per un braccio in maniera preventiva “A quanto pare,
lo shock l’ha resa muta, spero momentaneamente…”.
“Ivan!” si voltò di scatto verso il suo servitore “Portiamola
nella sala ricreativa”.
Il colosso non se lo fece ripetere due volte e, afferratala
saldamente per le spalle, la scortò verso una nuova stanza.
Questa era piena di sedie e divani imbottiti e finemente costruiti.
Un ampio camino decorato faceva bella mostra in un angolo del salone.
Così come una larga tavolo rotonda in legno antico, un mappamondo
dal diametro di un metro e un pianoforte a coda. Alle pareti, vi
erano vari quadri con raffigurati soggetti piuttosto inquietanti.
Ma ad inquietare ancora di più Kurako era Ivan.
“Stia tranquilla, signorina Takigawa” la tranquillizzò il conte
“Ivan è solo un tranquillo e vecchio cosacco”.
La studentessa girò il suo sguardo verso l'aristocratico.
“Piuttosto, mi secca non poterle offrire niente, ma abbiamo
terminato la cena ormai da un bel po’…”.
La bionda si sentiva sempre più disorientata.
“Tralasciando ciò, lei immagino abbia degli hobby, dei passatempi,
in Giappone?” riprese a parlare Zaroff.
Takigawa annuì lentamente.
“Eccellente. Vede, anch’io ho i miei. Una su tutte è decisamente
la caccia! Nello specifico, prediligo utilizzare l’arco da guerra
tartaro”.
nel rivelare ciò, indicò un esemplare di tale arma infisso ad una
parete della stanza.
“Tra le mie prede preferite, vi sono assolutamente le tigri.
Inutile dire che, queste ultime, non apprezzano particolarmente
questa mia predilezione”.
Accompagnò tali parole con il passare l’indice della sua mano
destra sulla sua tempia destra. Su di essa, Kurako notò per la prima
volta una profonda cicatrice lunga una decina di centimetri.
“Oh, mi scusi la scortesia!” attirò nuovamente la sua attenzione
il suo ospite “Le posso offrire qualcosa da bere? Magari, un
bicchierino di vodka?”.
Lei scosse il capo negativamente.
“Ah, giusto! Lei signorina è ancora troppo giovane per bere.
Ivan!” di nuovo rivolto al suo servo “Porta alla nostra ospite un
bicchiere d’acqua, grazie!”.
Mentre lo stesso conte era impegnato a versarsi del liquore in un
calice, la giapponese ne approfittò per alzarsi e guardarsi un
attimo attorno. Affacciatasi appena da una finestra, notò al di
sotto una ventina di cani da caccia. Gli animali, come
radiocomandati, alzarono i loro sguardi all’unisono verso di lei.
Mentre Takigawa sorseggiava lentamente il bicchiere che le era stato
offerto, il conte Zaroff si accomiatò “Mi perdonai signorina
Takigawa, ma l’ora si è fatta tarda. Ovviamente, lei sarà mi
ospite, farò allestire per lei un’adeguata camera da letto da
Ivan”.
Nonostante quella situazione surreale, la ragazza riuscì a scivolare
in un sonno senza sogni. Finché lo squittio di topi la fece
ridestare in un lampo. Impaurita di aver a che fare con quei luridi
roditori, afferrò un candelabro, che per fortuna aveva lasciato
accesso sul comodino accanto al suo letto. Scesa dal suo giaciglio,
sempre più preda del terrore, aprì la porta della camera e si
decise a riscendere nuovamente in salotto.
Nella furia alimentata anche dalla totale oscurità, si ritrovò a
spingere una pesante porta in ferro e ad entrare in un’altra stanza
del castello.
Con il fiatone che le usciva dalla bocca in nuvolette, decise di
illuminare la parete a lei più vicina. Le fiamme traballanti delle
candele rivelarono un inquietante volto umano. Solo il suo mutismo
ancora presente non fece udire, in tutta la magione, il suo urlo
terrorizzato. Con le lacrime agli occhi, notò che quella testa,
riconducibile purtroppo soltanto ad un cadavere, era attaccata alla
parete da un cerchio ligneo, come si fa con i più tradizionali
trofei di caccia. Sul suo capo in decomposizione, era stato
appoggiato il capello tipico dei capitani navali. Così come quelli
delle crociere.
“Ma la preda che più amo cacciare, sarà sempre ed esclusivamente
l’uomo!”.
La voce improvvisa del conte Zaroff la fece voltare e sobbalzare. Lui
la stava fissando con un ghigno satanico dipinto sul volto.
La sua mente la stava abbandonando al suo destino, ma il suo coraggio
non rinunciò alla fuga. Con uno scatto disperato, evitò il padrone
di casa e si proiettò verso l’enorme portone d’ingresso. Davanti
ad esso vi era Ivan che, incredibilmente, lo aprì senza difficoltà
e la lasciò passare.
Il padrone di casa guardò compiaciuto il suo servo, mentre lo
raggiungeva.
“I miei complimenti, Ivan. Diamole un minimo di vantaggio.
Altrimenti la noia sarà eccessiva.”.
Mentre proseguiva in fuga dalla notte, Takigawa era ancora talmente
lucida da sapere dove andare.
Giunta nel punto più alto dell’isola, poté così constatare che
essa era molto più piccola di quello che sembrava. In più, la
vicinanza con la terra ferma non era per niente proibitiva.
Era passata più di un’ora quando Kurako, nascosta per riprendere
fiato dentro una piccola caverna, vide passare il suo personale
cacciatore, armato del suo fedele arco.
Attesa ancora qualche minuto, per essere certa che si fosse
allontanato il più possibile. Poi scattò.
“Dove scappi, mio bel leopardo?” le urlò dietro il conte.
Una freccia le sibilò vicino alla guancia sinistra. Ma lei fu più
rapida finché non raggiunse una palude.
Una nebbia spettrale copriva quel lato dell’isola, ma Zaroff le era
ancora alle calcagna.
“Signorina Takigawa, lei pensa che io non sappia come affrontare
ogni insidia della mia isola?”.
Afferrato dalla sua cintura un antico corno da caccia, si mise a
suonarlo.
Al castello, udendo quel segnale, Ivan aprì un cancello secondario.
Da quell’apertura, partirono alla carica i cani da caccia, con la
bava alla bocca e gli occhi iniettati di sangue.
La ragazza ormai non sentiva più i piedi. Le sue gambe toniche
percorrevano in automatico quella fuga disperata. Qualche lacrima le
uscì dalle palpebre e le rigò in orizzontale il viso. Anche quelle
furono lasciate indietro.
Un boato le si fece sempre più vicino. Delle cascate. Le scelte
erano due: un tuffo nell’oceano o sbranata dai cani. Kurako
Takigawa scelse la prima.
Quando infine giunse il conte Zaroff, non poté che fissare la spuma
fragorosa dell’acqua sugli scogli, mentre si percorreva con il dito
la cicatrice che aveva sul volto.
Come a dichiarare che l’isola stessa ne aveva abbastanza di quel
macabro passatempo, il terreno sotto ai suoi piedi si sgretolò
facendo crollare l’assassino, insieme al resto dello strapiombo
crollato, su quelle rocce acuminate.
A volte però i miracoli accadono. La giovane studentessa nipponica
riuscì a raggiungere la riva dove ancora regnava la civiltà. Una
volta nuovamente nella sua adorata scuola, diventerà un talento
dell’atletica leggera nei 10.000 metri. La parola però non le
ritornò mai più.
Repubblica Democratica del Congo, Parco Nazionale di Kisangani
Appena arrivato in jeep, Juna fu accolto da un gruppo rumoroso di
bambini festanti. Pareva il ritorno di un messia tra i propri fedeli.
“Ciao ragazzi! Come state?”.
I giovanotti risposero tutti insieme, creando una gioiosa e, al tempo
stesso, incomprensibile cacofonia.
Con un’enorme pazienza, il mutante si mise ad ascoltarli uno per
uno. Mentre proseguiva la sua opera di ascolto, notò uno di loro che
se stava più sulle sue, distanziato dal gruppo.
Appena sistemati tutti gli altri, gli si avvicinò.
“Ciao, io sono Juna. Tu come ti chiami?”.
“Io mi chiamo Bandu. Ti conosco, sei quello che salva gli animali”.
“Esatto!”.
“E non solo quelli…” proseguì nei suoi pensieri.
Il ragazzino continuava ad avere un’espressione mogia in viso.
“Cos’hai per essere così triste, Bandu?”.
Bandu abbassò lo sguardo. Dopo qualche minuto di reticenza, si
decise a confessarsi.
“Domani ho la prova di coraggio…” disse con un filo di voce.
Fu allora che Juna si ricordò di quell’antica tradizione della sua
tribù, sebbene altre culture l'avrebbero immediatamente etichettata
come barbara.
Per conclamare il passaggio definitivo da ragazzo ad uomo, il
partecipante deve tuffarsi in un laghetto, avendo come obiettivo il
recupero di una gemma lanciata poco prima al suo interno dallo
sciamano del villaggio. Le sue acque scure però nascondono la vera
difficoltà della prova: un branco numeroso di meduse d’acqua
dolce.
l’adulto abbozzò un sorriso “Hai paura?”.
Bandu annuì, sempre tenendo la testa bassa, fissandosi i piedi
scalzi.
“Stai tranquillo Bandu, ti darò una mano io!”.
Il ragazzino rialzò sorpreso il capo, con occhi e bocca spalancati.
“C-Come?”.
“Fidati di me”.
La sera si svolsero le danze rituali di buon auspicio. Lo stesso
Juna ne era l’ospite d’onore. Gli adulti indossavano della larghe
e pesanti maschere in legno, mentre danzano freneticamente attorno ad
un falò fiammeggiante.
Una volta terminata la festa, il povero Bandu non riuscì a chiudere
occhio per tutta la notte.
Nel frattempo, il Soggetto N. 8 approfittò che tutto il popolo era a
riposare per tuffarsi dentro a quello stesso lago che il giorno dopo
sarebbe stato protagonista. Per l’occasione aveva indosso la sua
divisa rossa con l’enorme H gialla sul davanti.
Il giorno del rituale tutta la popolazione era radunata attorno al
lago sacro. Il giubilo era talmente presente nelle loro teste che
nessuno parve notare un’assenza importante.
Chi di certo era presente era un bambino spaventato, con le gambe che
a fatica riuscivano a non tremare.
Come da cerimonia, lo sciamano fece zittire i tamburi celebrativi e
lanciò una piccola perla bianca al centro della distesa d’acqua.
“Giovane Bandu, va e diventa uomo!” gli ordinò il sacerdote.
Il giovane tentennava. Quando però sentiva il peso dell’attesa di
tutti i presenti addosso, chiuse gli occhi e si tuffò nelle acque
gelide.
l’oscurità lo avvolse in un attimo. Nonostante questo, la
lucentezza della perla sacra doveva garantirgli di essere scovata. Ma
Bandu non era certo preoccupato di tale evenienza, o della mancanza
di ossigeno nei polmoni che sarebbe sopraggiunta. Lui era pronto a
sentirsi pizzicare fino alla morte da tutte le meduse che vi
vivevano. Questa soluzione non avvenne mai.
Rendendosi conto di essere ancora pienamente cosciente, il ragazzino
aprì piano gli occhi. Come una vera e propria divinità marina, Juna
gli stava porgendo tranquillo la perla necessaria per la conclusione
della cerimonia. Attorno a loro due, gli animali tentacolari se ne
stavano ben distanti, come a fare da corteo a quel surreale incontro.
Trento
“… Sono 400 euro, non fare la troia con me!” le abbaiò contro
il tizio dalla faccia poco raccomandabile, che spuntava da sopra un
giubbotto pesante.
Dietro di lui, altre due persone dal medesimo stile.
“Ti ho già detto che non ce li ho al momento!” replicò secca la
donna.
“E allora farai la troia e mi succhierai il…”.
Il criminale non fece in tempo a finire la sua frase volgare che
scomparve, per ritrovarsi a chilometri di distanza dal luogo
precedente.
I tre presenti rimasero spiazzati da quello sviluppo così assurdo.
Finché non parlò una quarta persona.
“Interessante questa pistola variabile…”.
Osservò soddisfatto Alberti, mentre la sua mano destra cambiava
forma.
“Ma chi cazzo sei?” gli urlò contro uno degli uomini rimasti.
Lui rispose direttamente con un nuovo sparo. Come le pistole usate da
bambini, anche questa sparava acqua. Ma, invece che un esile schizzo,
una gigantesca onda sommerse i due malintenzionati.
Lei fissò la coppia portata via dalla marea. Poi tornò a guardare
il mutaforma.
“A-Andrea…” sussurrò sorpresa.
“Francesca”.
Giunto in un appartamento che non era il suo, Andrea tornò, dopo un
lungo tempo, ad abbracciare stretta la sua fidanzata.
“Amore mio! Dove sei sparito per tutto questo tempo?”
“Ho avuto un po’ da fare…”.
““Un po’ da fare”?! . È quasi un anno che non ho più tue
notizie! Ovviamente, a quel fascista di tuo padre non ho potuto
chiedere nulla perché figurati!”
“Mi dispiace Francesca, ma ho preferito non informarti per il tuo
bene”.
“Ah certo! Magari ora viene fuori che i tuoi amici militari ti
hanno mandato in qualche missione top-secret!”.
“Fidati, è anche più assurdo di così…”.
“E cosa è successo alla tua mano?” indicò l’arto menzionato.
“Fa parte di tutta questa situazione assurda”.
“Andrea…” lei lo fissò preoccupata “che ti è successo?”.
“E a te allora?” restituì lo sguardo lui “Che ci fai in questo
misero appartamento? Dove sono i tuoi?”.
La rabbia comparve sul viso della donna “Tu credi che sia semplice
andare avanti con un fidanzato scomparso nel nulla? Con la gente che
non perde un secondo per riempirti di domande? Magari pensando che
ero io la causa della tua scomparsa!”.
“Ma io ho parlato con i miei! Possibile che non ti abbiano detto
nu…”.
“Fanculo i tuoi, Andrea! Io volevo saperlo da te!” sbottò infine
lei, con un urlo fragoroso.
Il silenzio si frappose tra i due.
“Perdonami, Francesca” si scusò a voce bassa il Soggetto N. 4.
“V-Vuoi qualcosa da bere?” chiese spiazzante lei.
“O-Ok”.
La sua ragazza si avviò verso il frigorifero, poco distante.
Improvvisamente, s’inginocchiò di colpo a terra. Il corpo travolto
da un tremito di pianto.
Appena vide la scena, Andrea si buttò subito su di lei, stringendo
la sua schiena al suo petto e appoggiando il mento sulla sua spalla.
“Perdonami per tutto quanto, amore“ le bisbigliò all’orecchio
”Dov’è il letto? Così ti puoi sdraiare un po’”
“D-Di là” indicò con mano tremante.
Entrati nella camera da notte, l’uomo fece sdraiare delicatamente
la donna. Lei iniziò a rilassarsi, mettendosi una mano davanti agli
occhi per schermare la luce della lampadina.
“Non pensavo potesse essere così difficile per te” esordì
Alberti, seduto ai piedi del letto.
“Diciamo che ho dovuto crescere in fretta in questi mesi” esclamò
Francesca “quando anche i miei stessi genitori hanno cominciato a
dubitare di me, me ne sono venuta via e ho trovato questo
appartamentino in affitto…”.
“E per l’affitto hai chiesto a quelle persone?”.
“Non potevo fare altrimenti!”.
“E non hai fatto altro?”.
Nuovamente il silenzio tra i due fidanzati.
Francesca sollevò la mano dagli occhi per osservarlo bene. Pochi
secondi e si alzò in piedi. Con fare suadente, si mise a togliere
gli indumenti che aveva indosso.
Andrea la fissava muto, cercando di nascondere il più possibile la
propria eccitazione.
Nel giro di pochi minuti, era totalmente nuda di fronte a lui. Con
gli occhi nocciola che continuavano a fissarlo e i capelli biondo
chiari che coprivano a malapena il suo florido seno.
“Per quello, aspettavo il mio uomo…” gli sorrise maliziosa.
Il Soggetto N. 4 le restituì il sorriso erotico. In pochi secondi,
si ritrovò nelle stesse condizioni della sua amata.
Con il lettone a loro totale disposizione, fu facilmente intuibile
come avrebbero passate le ore successive.
All’esterno dell’abitazione, i tre sgherri di prima meditavano la
propria vendetta.
“Ma sei sicuro che ti trovavi così distante?” domandò uno dei
presenti.
“Cazzo sì!” sbraitò il capo del trio “Non so come sia
successo, ma ora quel figlio di puttana la pagherà!”.
“Ma invece non facciamo meglio ad andarcene?” propose un terzo.
“Che hai paura, coglione? Pensi che ci siano i fantasmi?”.
Il capo di colui che aveva appena parlato girò di colpo tutto a
sinistra. Poi a destra. Poi verso l’alto. Infine crollò esanime a
terra.
Gli altri due assistettero a tutta quella performance con occhi e
bocca spalancati.
Poi, anche per loro, arrivarono colpi potenti che non videro ma
subirono in pieno.
Nel frattempo, i due amanti ora si tenevano abbracciati pelle contro
pelle, sempre sdraiati nel loro giaciglio intimo.
“Non abbandonarmi più” gli ordinò tenera Francesca, mentre
fissava il soffitto.
“Te lo prometto” la assicurò Andrea, voltandosi verso di lei.
Improvvisamente, da fuori si udì un trambusto prolungato.
Allarmato, il mutante si infilò rapido i boxer e andò a spiare da
dietro le tende della finestra. Notando i tre individui al suolo, si
azzardò ad aprire il vetro.
“Ehi voi! Che state facendo lì?” gridò verso i tre.
“Scusa per la confusione, ho cercato di fare il più piano
possibile”.
Scattando di lato dallo spavento, il mutaforma vide comparire davanti
ai propri occhi, seduto sopra al breve ripiano della finestra, una
specie di quadrupede metallico.
“Tu chi sei? O cosa sei?” gli chiese stupefatto.
“Sono praticamente un capibara robot invisibile, ma non
preoccuparti! Mi manda Witch Girl! Ultimamente si è fissata con
l’evocare dei minion animali malvagi”.
Fu così che, grazie a quell’assurda creatura, il Soggetto N. 4
poté spiegare alla sua compagna come aveva passato gli ultimi mesi.
“Jack, hai i viveri?” chiese il Soggetto N. 1.
“Affermativo” rispose alla domanda telepatica il Soggetto N. 2,
mentre planava in direzione della villa degli Humana.
“Johnny, hai le bibite?”
“Certo che sì! Sperando che non si sgasino troppo durante il mio
rientro” replicò il Soggetto N. 9, mentre faceva a gara con un
treno ad alta velocità accanto a lui.
Nel giardino attorno al loro quartier generale, il resto del gruppo
attendeva i due ultimi arrivi. Tutti indossavano abiti estremamente
eleganti.
“Li vedo entrambi!” informò raggiante il Soggetto N. 3, mentre
gli altri due erano ancora a miglia di distanza.
“Perfetto!” si complimentò Sara Silvestri “Vediamo se almeno
questo capodanno lo organizziamo bene”.
“Allora io vado ad apparecchiare…” si propose il Soggetto N. 4.
“Ma no, Andrea!” lo fermò la francese “lascia fare a me!”.
“Io dunque mi occuperò della cucina!” annunciò fiero il
Soggetto N. 6.
“Tranquilla Frédérique, non c’è problema” insistette
l’italiano “almeno così mi rendo utile anch’io!”.
L’inglese atterrò con eleganza sul prato, con sé aveva un ampio
borsone della spesa “Di che cosa si lamenta ora il
mangia-spaghetti? Per una volta che non fai nulla…”.
“Parli proprio te che non hai mai fatto nulla in vita tua!”.
“Sempre meglio che avere, come unica ispirazione, quella di andare
a uccidere gente innocente nell’esercito!”.
“Almeno io ho uno scopo nella vita!”.
“Ma per favore!”.
“Calma, ragazzi!” cercò di placarli Frédérique.
“Siamo qui per festeggiare, non certo per infamarci a vicenda!”
si aggiunse il Soggetto N. 8.
“Davvero?” sbottò ancora di più il mutaforma bellico “Allora
io me ne vado, perché non ho proprio niente da festeggiare!”.
Detto ciò, si allontanò a grandi falcate verso il portone
dell’abitazione.
“Andrea, fermati! Torna qui!” tentò di richiamarlo la sua
connazionale.
Infuriato come non mai, il militare stava proseguendo nel lungo viale
che portava dalla villa fino alla strada principale.
“Ne ho le palle piene di questo gruppo!” bofonchiava incavolato.
“Ed è per questo che te ne scappi via?”.
Alberti aveva già riconosciuto quella voce. Appena voltatosi, vide
Lincon, che indossava ancora l’uniforme rosso e gialla utilizzata
per il volo, fissarlo minaccioso.
“Non sono affari tuoi, Jack”.
“Perché invece non ti batti da uomo a uomo?”.
Il trentino rimase sorpreso da quella richiesta “Cosa?”.
“Hai capito bene, stronzo. Tu ed io. Uno contro uno!” sentenziò
lo sfidante.
Lo sfidato ridacchiò “Guarda, caro il mio dandy, lascia…”.
L’altro gli si avventò contro con un drop-kick dritto allo sterno.
Caduto all’indietro supino, il britannico gli fu subito addosso e,
rovesciandolo in posizione prona, effettuò una cañonera.
Non contento, lo risollevò leggermente e mise in atto la Casita. Per
poi concludere il tutto con la presa a terra chiamata Rana.
“M-Ma che?” Andrea era shockato da tale agilità e rapidità
d’esecuzione.
Il dandy, come niente fosse, si tirò su con una capriola.
“E ora vieni dentro che ti offro una birra” gli porse la mano.
Lo sconfitto accettò l’aiuto e, ancora in stato catatonico, seguì
il vincitore nella villa.
“T-Tranquillo… noi inglesi lo reggiamo bene l’alcol… ich…”.
Era già il terzo boccale che si scolava. Jack iniziava a dondolare
pericolosamente sullo sgabello di cucina.
“Sei sicuro?” gli domandò dubbioso Andrea.
l’altro non gli rispose nemmeno, visto che era già intento ad
attaccare la quarta pinta di birra.
“Ehi, voi!” dall’altra stanza entrò Lincon. Un altro Lincon.
“Ma che cazzo?” imprecò spiazzato Alberti.
“Venite di là a festeggiare con tutti noi altri, screanzati!” li
infamò il britannico.
L’attenzione dell’italiano fu però subito catturata dal collasso
del suo compagno di bevute che, senza neanche un lamento, crollò
all'indietro.
Sporgendosi dalla seduta, Andrea scrutò, incredibilmente
addormentato sul tappeto della stanza, Bernardo che russava stile
trattore.
Grazie alle doti del messicano, l’armonia tornò a governare sul
gruppo di eroi. Allo scoccare di mezzanotte, si radunarono tutti
fuori in giardino. Per quella notte speciale, era in programma uno
spettacolo pirotecnico offerto dallo specialista giapponese Koichiro
Tamaya.
“Speriamo che il prossimo anno ci regali un po’ di pace” fu il
primo desiderio dell’anno pensato da Johnny Wayne.
Tokyo
“Specialità cinesi! Specialità cinesi, signori! Vi cucino tutto
ciò che ordinate!”.
Chang Yu aveva appena posizionato il suo carretto in legno, completo
anche di piastra e fornelli da poter utilizzare, che già si era
messo a richiamare l’attenzione dei passanti.
Una persona, più anziana di lui, si avvicinò alla postazione.
“Non ti conviene rimanere qui nelle vicinanze…”.
“Perché scusa? Più adatto del cortile di una scuola cosa c’è?”.
“Non è per il luogo, fidati”.
“Per cos’è, allora? Forse le 8 sono troppo presto?” controllò
l’orologio che aveva al polso.
“Nemmeno. La questione è più complessa”.
“Tu dici? Ma soprattutto, tu chi sei?”.
“Mi chiamo Seiya Inada, e ti assicuro che ho decisamente più anni
di esperienza di te”.
“Questo non lo metto in dubbio” il cuoco afferrò un recipiente
ligneo, scoperchiandolo nel contempo “Perché non provi uno dei
miei ravioli al vapore?”.
Il giapponese non fece in tempo ad allungare la mano che, a ricoprire
in maniera precisa la prelibatezza, una palla da basket ci si
conficcò sopra per una delle estremità.
Il potenziale cliente sbuffò “Ecco di cosa parlavo…”.
“Scusatemi, colpa mia” un ragazzo dai lunghi capelli neri si
presentò tra i due e riprese a forza la palla, stappandola a fatica.
Nel far ciò, il contenuto della ciotola finì tutto per terra.
“Oh cavolo, scusa! Io…” ma l’attenzione del giovane fu
catturata dall’orologio di Chang “devo andare! Mi iniziano le
lezioni!”.
Lo studente fece dietrofront e, ancora con il pallone in mano, si
avviò ad ampi passi verso l’ingresso scolastico.
“Ehi, tu!” lo richiamò imbufalito il mutante.
“Si chiama Ryo Soda” lo informò Seiya.
“Grazie!” lo ringraziò rapido, poi si voltò nuovamente verso il
suo obiettivo “Fermati!”.
Nonostante le leve decisamente più corte, il cinese tentò di
seguirlo fin dentro l’istituto Shiroiwa.
Scrutatosi un po’ attorno, riconobbe la stessa maglia rossa, con le
iniziali R e S bianche cucite sul davanti, del suo ricercato. Quello
che però la stava indossando era alquanto più basso.
“Come pensi di rimediare al tuo danno, giovanotto?” riuscì anche
a guardarlo negli occhi.
l’altro, che lo fissava impassibile con i suoi occhi ambrati, gli
mostrò i due guantoni da boxe che stava indossando.
“C-Che vuoi fare?” il Soggetto N. 6 si stava decisamente
preoccupando.
l’avversario non replicò e partì con il tempestarlo di pugni.
Chang riusciva a malapena a non beccarseli in pieno finché, vista a
repentaglio la propria vita, fu costretto ad utilizzare il suo fiato
infuocato.
I due guanti ora stavano andando a fuoco, mentre il loro possessore
non sembrava per niente sorpreso. Con un gesto secco di entrambe le
mani, se li sfilò in un colpo solo, lasciandoli a bruciare sul
pavimento.
“S-Scusa, ma non mi hai lasciato alternative…” tentava di
discolparsi il piromane.
Come per magia, due pugnali comparvero tra le mani del nipponico.
“Ma come ci sei riuscito?” fu spiazzato l’adulto.
Questa volta, gli attacchi fulminei furono condotti all’arma
bianca.
“Dai retta a me, sono Masao Kitano. Ti conviene scappare, coglione”
fu il suggerimento di un ragazzo con la faccia da teppista.
Vedendosi perduto, il Soggetto N. 6 fu costretto ad attuare una fuga
disperata.
Nonostante quell’inizio non certo promettente, i clienti si
presentarono via via più numerosi.
Erano ormai le 11 passate quando Yu stava servendo l’ennesima
specialità.
“Ecco a lei, signore!”.
Tutto il ripiano sul davanti, che serviva per consumare le
ordinazioni, era pieno di persone.
“Chi è il prossimo?” urlò raggiante il cuoco.
Fu allora che una nuova pallonata, questa volta con un pallone da
calcio, sparecchiò tutta la tavolata.
I clienti, indignati per quanto appena accaduto, si alzarono e si
defilarono. Ovviamente senza pagare alcunché.
“No, aspettate! Dove andate?”.
“Oh, scusa di nuovo!” si ripresentò Ryo, questa volta con un
vistoso codino “Ma tu ancora qua sei? Non hai di meglio da fare?”.
“Io non ho di meglio da fare?! Tu piuttosto? Vandalo che non sei
altro!” Chang stringeva le mani dalla rabbia.
“Beh, a dir la verità, ora ce l’avrei qualcosa di interessante
da fare… vero, Madoka?” si voltò con sguardo furbo lui.
“Certo amore, ogni volta che vuoi!” gli si fece vicina una
bionda, strusciandosi a lui.
“Beh, noi andiamo a fare un po’ di ginnastica!” esclamò Soda,
mettendo un braccio attorno alle spalle della ragazza.
“Aspetta un attimo…”.
Per tutta risposta, Madoka Sawaki gli mostrò la sua prosperosa
scollatura, accompagnando il tutto da un occhiolino e una linguaccia.
Il viso del mutante si arrossì, facendolo svenire di colpo.
Una volta ridestatosi, il Soggetto N. 6 tentò anche di riprendere la
sua attività di ristorazione.
“Riso alla cantonese per due, prego!”.
Il vociare dei passanti fu d’improvviso sovrastato dalla campanella
della scuola. Questa in particolare segnava la fine delle lezioni per
quella giornata.
“PISTAAAAAAA!”.
“Diamine! E ora che succede?” si allarmò subito il cuoco.
Difatti, proprio dall’ingresso dell’Istituto Shiroiwa, giungevano
a tutto gas due go-kart, uno rosso e uno blu.
Quest’ultimo riuscì a frenare in derapata. L’altro, invece, non
riuscì ad evitare l’urto devastante con il carretto di specialità
cinesi.
Si udì soltanto un “TESTATA ATOMICA!”.
Per fortuna, Chang era riuscito appena in tempo a saltare fuori dalla
zona cucina. Il suo carretto andò letteralmente in mille pezzi
Il pilota non incidentato si levò il casco. Sotto di esso, si
riconobbe così Minetaro Shiroyama.
“Oddio, Ryo! Tutto bene?”.
Dalle macerie, uscì illeso il tizio con una specie di permanente.
“Tranquillo! Te lo avevo detto che non mi occorreva il casco!”
alzò il pollice per conferma.
“Il mio carretto… il mio carretto… il mio carretto…”
bisbigliava il mutante con lo sguardo fisso verso il suo acquisto.
“Assomiglia ad un amico del mio collega Johnny Wayne…” lo
scrutava il kartista blu con fare indagatorio.
I due piloti lo fissarono per qualche minuto. Poi Ryo si voltò verso
l’amico.
“Vieni, andiamo a giocare a Chikara!”.
“Ok” acconsentì l’altro.
Infine la trasferta nella capitale giapponese non aveva più senso
per lui. Erano ore che vagava senza una meta e in stato confusionale.
Ormai si erano fatte le 19.
“Com’è possibile che sia capitato tutto proprio a me? Ma che ci
sono venuto a fare qui a Tokyo?”.
Passando nelle vicinanze di un parco cittadino, udì un rumore a lui
decisamente familiare.
Due ragazze, una delle quali con indosso la ormai famigerata
maglietta rossa, erano impegnate in un intensivo scambio di battute a
badminton.
“Blavo, Lyo! Sei decisamente migliolato ultimamente!” disse
l’altra, con un marcato accento cinese.
“È grazie al tuo allenamento, Li!”.
Per una buona mezz’ora si mise a fissare le due giovani, come
ipnotizzato. Finché si ridestò.
“Già!
Chissà come starà la mia piccola Nikki Peng?”.
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Capitolo 23 *** 4 storie ***
CAPITOLO 23
“4 storie”
Una platea gremita in ogni suo posto di fronte ad un palco con il
sipario chiuso. Tra il pubblico, vi erano presenti Chang Yu e Sara
Silvestri.
“Davvero strano…” osservò il cinese, mentre scrutava il suo
antico orologio da polso “Incredibilmente Johnny è in ritardo”.
“Avrà trovato traffico…” tentò di non sghignazzare
l’italiana.
Annunciato da un’improvvisa folata di vento, il posto alla destra
di Chang era ora occupato dall’americano.
“Che mi sono perso?”.
“Niente” lo informò il suo vicino “il cigno è ancora vivo”.
Nel frattempo, il telo rosso si aprì scorrendo lateralmente. Sulla
superficie elevata, comparve Frédérique Arone, vestita nel modo più
opportuno per interpretare l’opera “Il lago dei cigni”, di
Ciajkovskij.
“La protagonista della storia è la principessa Odette che, per
un’orribile maledizione, di giorno è costretta a vivere sotto le
sembianze di un cigno bianco…” la bionda sottovoce introduceva
all’opera l’asiatico, decisamente interessato all’argomento.
Ad ogni passo, il suo sguardo si fece letteralmente più cupo.
Sembrava che il rimmel le spuntasse direttamente da sotto le
palpebre, coprendole fino alle sopracciglia.
Quando anche il suo tutù, corredato di molteplici piume, iniziò a
tingersi di nero, gli spettatori iniziarono ad allarmarsi.
“Ma che sta succedendo?” esclamò spaventato Wayne.
Qualche giorno prima, il dolce viso della ballerina faceva trapelare
una profonda preoccupazione. Notando tutto ciò, Johnny le si
avvicinò.
“C’è qualcosa che ti preoccupa, Frédérique?”.
Lei si ridestò dai suoi pensieri e, fissando il suo interlocutore,
gli confessò “Ecco… vedi… mi è stata raccontata questa
storia… l’ultima prima ballerina ad aver interpretato “Il lago
dei cigni” è morta in un incidente stradale”.
“Ma dai!” tentò di sollevarle il morale lui “Di storie simili
penso sia pieno qualsiasi teatro! C’è sempre qualcuno che muore in
tragiche conseguenze, oppure il teatro va a fuoco, oppure compaiono
fantasmi a caso…”.
“Lo so. Ma a me queste storie danno comunque fastidio”.
“Cerca solo di non pensarci! Concentrati piuttosto sull’esibizione!
Ti hanno scelto proprio per il tuo alto livello, e per questo
immagino che pretendono molto da te”.
“A quello sono abituata, con tutti gli anni di danza classica e
moderna che ho alle spalle”.
“E poi stai tranquilla, Frédérique” intervenne Sara, dietro di
loro “allo spettacolo ci saremo sicuramente noi due a vigilare,
fantasmi e non!”.
Sul palco, il Soggetto N. 3 parlava a sé stessa.
“In me c’è più Odile che Odette… il mio colore è il nero!”.
Ai lati del palcoscenico, anche il resto del corpo di ballo si
affacciava preoccupato. Ognuno totalmente spiazzato dalla piega
soprannaturale che avevano preso gli eventi.
Proprio vedendo uno di questi ballerini, il Soggetto N. 9 scattò
come suo solito. Giunto sul palco prese, da una delle cinture dei
costumi indossati, un pugnale medievale.
Dribblando anche il ballerino che stava facendo coppia con la sua
amica, le piombò addosso trafiggendola all’altezza del cuore.
Tutti i presenti, compresi Chang Yu e Sara Silvestri, rimasero
shockati da quella scena.
Saliti anche gli altri due membri degli Humana, notarono il nero
scomparire dal corpo della francese e, nel contempo, la totale
assenza di sangue.
“Come speravo” esordì il Soggetto N. 6 “il coltello è
truccato. La lama è retrattile”.
“È quello che speravo anch’io” annuì il velocista “pensando
alla storia di questo balletto, ho ipotizzato che l’unica
possibilità era di uccidere la protagonista, anche solo per finta”
.
“Scusatemi, non so davvero cosa mi sia successo…” la danzatrice
aveva l’affanno mentre parlava.
“Credo sia stato un caso di possessione o simile…” spiegò Sara
“So che una cosa simile è capitata in passato ad una ballerina
americana di nome Nina Sayers”.
“Sentivo come se avessi la mia anima divisa a metà” rivelò la
posseduta “Da una parte, ero felice di essere tornata a danzare su
di un palco, dall’altra ero triste perché sapevo che, se non
combatto con i miei compagni, l’umanità sarà sempre più in
pericolo. Forse era questo che voleva comunicarmi lo spirito”.
La bella villa in stile Liberty degli Humana se ne stava quieta al
centro del suo florido giardino. A qualche metro di distanza
dall’abitazione, a coprirne parzialmente la vista verso
l’orizzonte, un’enorme roccia che pareva vibrare lentamente.
Avvicinandosi di più si scopriva poi l’arcano: a riposare
tranquillo sopra l’erba fresca, con appunto l’alzarsi e
l’abbassarsi ritmico del ventre, vi era un drago dalla pelle
squamosa e marrone.
All’interno dell’edificio, un gruppo di persona stava discutendo
con tranquillità.
“… Dunque, ricapitolando, vorreste organizzare questa trasferta
in Scozia… ” riassunse Johnny Wayne.
“Esattamente!” confermò Benjamin Luhan.
“Per catturare Nessie…” completò Frédérique Arone.
“Sì. Per lo meno, questo è l’intento” aggiunse Laura MacBean.
“Sapete che la sua esistenza è tutto meno che certa?” li informò
Sara Silvestri.
“Certo, Sara!” replicò Vampire Boy “Ma tranquilla che non ci
appoggiamo mai alla sola scienza per queste cose! È lo stesso Voltar
che, in un certo senso, ce lo suggerisce”.
“E come mai venite a chiedere proprio il nostro aiuto?” domandò
il Soggetto N. 9.
“Perché voi avete proprio le abilità speciali che servono per
questa missione, soprattutto anche dopo il successo con Lusca!” si
esaltò ancora di più il vampiro.
“A proposito di abilità speciali” si inserì Andrea Alberti “ho
saputo da fonti certe che tu, Witch Girl, ora ti sei specializzata in
incantesimi particolari…”.
“Esatto!” annuì la strega “Ora praticamente riesco ad evocare
delle specie di minion animali piuttosto variegati”.
“Tipo?” s’incuriosì il Soggetto N. 3.
La ragazza protese le mani davanti a sé ed enunciò “Liberate il
gatto domestico robot supersonico che si nutre di paura!”.
Al centro della sala dove si erano raccolti tutti i presenti,
comparve dal nulla un felino metallico che, appena accortosi di
essere circondato da tutta quella gente, emise un miagolio stridulo
ed azionò dei piccoli razzi sul suo posteriore per poi fuggire via,
meglio anche del velocista degli Humana.
Nel far ciò, per poco non investiva in pieno un piccolo kappa che,
giusto in tempo, saltò in aria facendo passare quella nuvola di
polvere sotto i suoi piedi palmati.
“Allora…” lievemente imbarazzato, Benji tentò di riprendere i
fili del discorso “Possiamo considerare siglato l’accordo?”.
Chiedendo ciò, avanzò una mano verso il pilota di Formula 1.
“Ok. Anche perché sennò ci invaderete la villa con tutti gli
altri vostri personaggi strambi!” il biondo strinse con vigore la
mano offertagli.
Una specie di cosplayer di Jupiter, da “Le colline hanno gli
occhi”, esultò rumorosamente.
Loch Ness, Scozia
Data l’importanza del viaggio, gli Humana coinvolti sfoderarono
niente meno che il loro aereo personale per la trasvolata. Stampata
su di esso, la classica H maiuscola gialla.
A fare da scorta, in volo al suo fianco vi erano l’enorme uccello
leggendario Ziz e l’elementale dell’aria Tornado.
Inoltre, all’interno del velivolo era presente anche l’altro
potente mezzo a loro disposizione: il fedelissimo sommergibile.
Una volta atterrati, quest’ultimo fu immerso in acqua, sotto
l’attenta supervisione di Ghost, eroe omosessuale del gruppo di
fratelli degli Heroes.
La Cenocroca, una stramba creatura dalla voce umana, si avvicinò a
Vampire Boy.
“Ce ne sono solo tre?”.
Lui le rispose “Sì, però tieni conto che gli altri dovevano
comunque rimanere nel loro quartier generale e, tra questi tre, c’è
il Soggetto N. 6 che hai poteri giusti che servono a noi”.
“E quell’altro? Oh oh oh!” gli si fece vicino Silent Deadly
Boy, un ragazzo con indosso il classico costume da Babbo Natale.
“Quello è il Soggetto N. 5!” gli rispose il vampiro, vedendo chi
veniva indicato dalla campanella dorata “Ha una forza che può
facilmente combattere a mani nude contro Nessie. Sempre se ce ne sarà
bisogno”.
Detto questo, lasciò indietro i tre membri del Monster Commando e,
tramutandosi brevemente in pipistrello per fare prima, raggiunse i
tre degli Humana.
“Bene, gente. Direi che ora possiamo andare a riposare, così
saremo belli freschi per l’impresa di domani! Qui vicino abbiamo
allestito una tenda ma, per questioni logistiche e come ben capirete,
noi del Monster Commando rientreremo all'Amityville Headquarter”.
Il trio di mutanti osservava lo specchio d’acqua innanzi a loro.
“Mi sembra così tranquillo questo lago… chissà se Nessie esiste
veramente” ipotizzò Juna.
“C’è chi dice sia una specie di plesiosauro” esclamò Johnny.
“Di certo è un figlio della natura come tutti noi” sentenziò
Geran.
Un Nekomata e un Chupacabra ascoltavano in silenzio le loro
osservazioni.
Notte fonda. La faccia luminosa della luna si specchiava sulle acque
increspate del lago.
Il sonno di Wayne venne disturbato da una sensazione preoccupante.
Poi un lieve suono di passi.
Con la sua consueta rapidità, uscì dalla tenda. Di fronte a sé
svariati sconosciuti armati non certo delle migliori intenzioni ma, a
suo favore, vi erano già tre dei suoi alleati all’opera per
neutralizzarli: il Salaawa dell’Africa settentrionale, L’Each
Uisge proveniente direttamente dal lago e il tarantino Avurie.
Dopo averne atterrati una decina, il Soggetto N. 9 riconobbe,
nonostante il poco colore che veniva riflesso, il bianco totale delle
uniformi di quegli incappucciati.
Nonostante il numero maggiore di questi sabotatori, presto si diedero
alla ritirata scomparendo come se non fossero mai esistiti.
“Ne ho arrestato uno!”.
Johnny in un lampo fu vicino a Maniac Cop Boy, mentre anche il toro
gigantesco Kuyutha lo sorvegliava attentamente.
Il mutante si avvicinò al prigioniero “Dì la verità, senza di
noi proprio non sapete stare, eh?”.
“Sei solo un coglione! Nessie deve rimanere libero e non agli
ordini di quei bastardi del Monster Commando!”.
“Certo, così poi magari sarete voi dello Spettro Bianco a
servirvene…”.
“Noi dello Spettro Bianco inseguiamo scopi ben più divini!”
“Come no… ad esempio, eliminando tutto il resto della razza
umana”.
“Tu sei solo un misero mutante, non potrai mai capire le nostre
motivazioni!”.
“Lurido figlio di puttana! Siete stati proprio voi a farmi
diventare così!”.
Prima che quella discussione degenerasse, i due contendenti furono
divisi da tutti i presenti e la pace parve tornare in quell’angolo
della Scozia.
Il mattino seguente, il sottomarino degli Humana si stava immergendo
nelle acque dolci. Questa volta, a fare da scorta vi erano Naga,
creatura comunque assimilabile all’acqua, e Angelo, che in ogni
caso non aveva bisogno di respirare ossigeno.
Sopra la torre in roccia che svettava sul lago, a fare da vedetta vi
erano una specie di cosplay del film “Hostel” e Qilin, così
immobile da sembrare una statua.
Un nave piena di turisti fu fermata dalla Chimera.
Una settimana passò, ma di risultati positivi nemmeno l’ombra.
“Strano. Che il Voltar si stia sbagliando?” rifletteva sconsolato
Vampire Boy, mentre accarezzava sulla testa squamosa Ammit.
“Magari Nessie ha solo… paura” questionò l’esperto in
materia Boogeyboy.
“Può darsi. Ma non tanto di noi, sebbene ci possa stare essendo
noi tutti dei mostri o simili. Credo invece che lei capisca la grave
minaccia rappresentata dallo Spettro Bianco”.
Il vampiro camminava in su e in giù per la sala dell’Amityville
Headquarter, evitando anche Leatherface Boy, accompagnato dalla sua
motosega ingombrante, il quale andava ad usufruire dei servizi
igenici della loro villa.
Inconsciamente, per tutti quello doveva essere l’ultimo giorno. Il
Voltar, che Benjamin aveva al collo, stava brillando più che mai.
L’equipaggio degli Humana aveva appena chiuso il boccaporto, mentre
ad accompagnarli questa volta c’erano il Leviatano e Dagon.
Mentre il sommergibile si inabissava, Vampire Boy rimaneva con lo
sguardo fisso su tale obiettivo. Dietro di lui, vi erano Witch Girl e
la sua “collega” slava Baba Jaga.
“Deve essere oggi. Ne sono convinto!”.
Improvvisamente, l’acqua iniziò ad agitarsi e a produrre una
notevole quantità di schiuma bianca. Di colpo, da essa emerse una
piccola testa bluastra attaccata ad un lungo collo. l’acqua pioveva
giù come sotto una cascata.
l’eroe tascabile africano Abatwa gridò a gran voce “È lui!
Esiste davvero!”.
In quel momento scattò l’attacco da parte dello Spettro Bianco.
Orde di uomini chiari accerchiarono i membri del Monster Commando.
“Ci attaccano! E tutti questi uomini sono troppi anche per me!”
aggiunse Succubo preoccupata.
Dalle profondità emerse anche il Soggetto N. 8. Incurante del
pericolo, si avvicinò alla creatura acquatica.
“Nessie! Se riesci a capirmi, devi immergerti! Qui su ora non sei
al sicuro!”.
Intanto, anche il sottomarino era tornato in superficie e ne erano
già scesi gli altri due mutanti, unendosi subito alla battaglia.
A riva, Laura s’impegnava disperatamente a tenere aperto il portale
d’ingresso per l’Amityville Headquarter.
La lotta fu decisamente cruenta. Nessuno dei due schieramenti
risparmiò colpi su colpi. Tra i vari mostri presenti, chi si
distinse particolarmente per l’impegno profuso furono la Sfinge e
Spring Heeled Jack.
Al termine della contesa, fu il cosiddetto bene a trionfare. Di
conseguenza, gli Humana poterono ripartire dalla Scozia per tornare
ad abbracciare i propri compagni rimasti a casa.
Sulle rive di Loch Ness, Benjamin Luhan ormai vedeva a malapena il
jet perso tra le nuvole.
“Devo ammettere che su di loro si può sempre contare!” poi
abbassò lo sguardo per fissare Nessie che lo fissava a sua volta,
incuriosita.
“E così abbiamo una nuova sorellina in famiglia…”.
Accanto a lui, Johnny lo scheletro appoggiò l’osso del suo gomito
sulla spalla del vampiro “Speriamo almeno che il nostro laghetto
sia abbastanza profondo per la signorina…”.
La sala più maestosa di Asgard. Non poteva esserci stanza migliore
per un ritrovo di così tanta solennità.
Il padrone di casa, Odino, aveva di fronte a sé tutti i padri
celesti equipollenti a lui. Ognuno a rappresentare una mitologia che
era ben lungi dall’essere morta. Dall’altra parte del largo
tavolo tondo a cui erano accomodati, aveva niente meno che Zeus,
padrone dell’Olimpo lì in rappresentanza anche della sua
controparte romana Giove. Poi, a procedere in senso orario vi erano:
Itzamna, il dio maya, Osiride, della religione egizia, Nuada, il dio
celtico, Manitù, lo spirito degli indiani d’America, Svarog, della
Russia, ed infine Tezcatlipoca, la divinità azteca.
“… Per questo vi dico, miei fratelli, che solo noi, unendo le
nostre forze illimitate, potremo sconfiggere quel vile di Almattki
Ass. perché, sebbene sia soltanto un’infima divinità sconosciuta,
quei quattro miseri mortali di nome Humana non saranno di certo
sufficienti a sconfiggerlo!” concluse il dio norreno con un occhio
solo.
“Purtroppo vi informo, fratelli miei, che quel vile di Almattki Ass
è riuscito a portare dalla sua parte il mio fratello Xocotl”
annunciò tristemente Tezcatlipoca.
“Non disperatevi, fratelli, i miei uomini hanno ripreso possesso
dei mortali che già in passato ci ospitarono e che gli Humana
conosco bene, per affrontarlo degnamente” li informò felice
Osiride.
“In più, tra di loro vi è il mio guerriero più fedele: Geran
Giunan” aggiunse Manitù.
“Infine, so che gli atlantidei dell’imperatrice Nea, miei lontani
parenti, manderanno in loro soccorso i loro cosiddetti Kaiju”
concluse Zeus.
“Da!” approvò deciso Svarog.
America Centrale
Un gigantesco essere, dal corpo di uomo e dalla testa di drago verde
e squamosa, sputava fiamme così alte che parevano poter bruciare
anche le nuvole in cielo.
Evitando una fiammata e l’altra, il Soggetto N. 2 riuscì infine ad
atterrare.
“Ho rischiato di finire troppe volte flambé per oggi!” si
lamentò con il fiatone l’inglese.
“Non saprei nemmeno che arma poter usare contro di esso!” il
Soggetto N. 4 era furioso “Tu che ne pensi, Berny?”.
“Io? Che era meglio restare a casa a farsi un sonnellino!” il
Soggetto N. 7 tremava visibilmente dal terrore.
“Qui non possiamo bastare noi. L’unica è contattare i Global
Defenders per…” ma il Soggetto N. 9 fu interrotto dalla comparsa
di un nuovo gigante.
L’egiziano Atum riuscì a bloccare entrambe le mani del mostro con
le sue.
Sopra le loro alte teste, comparve un uomo volante, abituato dalla
sua eterna sfida con Apopi a lottare contro creature gigantesche. A
sovrastare la sua testa di falco, era presente un gigantesco cerchio
arancione. Proprio da esso partì un raggio che colpì in piena
fronte l’azteco.
Essendo però Xocotl dio del fuoco e delle stelle, bastò un suo
sguardo per annullare il potere di Ra, che se ne batté in ritirata.
“Perdonateci per il ritardo…”.
Quell’improvvisa voce femminile fece sobbalzare il quartetto di
mutanti.
Iside, con il classico copricapo a forma di trono, proseguì “Il
pantheon di tutte le divinità riunite è dalla vostra parte,
coraggiosi Humana, sperando che tutte le nostre forze basteranno”.
“Vuol dire che nemmeno voi siete certi di come sconfiggere quel
coso?” domandò alterato l’americano.
Ma il suo capo si voltò di scatto, quando a rispondergli fu invece
Thot.
“Noi siamo qui soltanto come testimoni” l’uomo dalla testa di
ibis sacro stava annotando tutto su un papiro appoggiato sopra una
pietra piatta.
Nel mentre, Atum era stato buttato a terra ma, ancora più
problematico per Xocotl, era l’avversario successivo: Seth.
Nonostante le piccole dimensioni, il dio malvagio egizio colpiva come
una furia il suo obiettivo con tutte le armi che aveva a
disposizione.
Preannunciato dal rombo di un tuono, un altro uomo dalla testa di
falco si unì a dare man forte all’africano. Per la prima volta
nella loro vita immortale, Seth e Horus erano alleati e colpivano
come un sol uomo il loro rivale.
La divinità azteca era ora in ginocchio. Quello fu il momento giusto
per sfoderare l’Occhio di Horus. l’amuleto distruttore di
malvagità fu lanciato dal suo dio contro Xocotl. Incredibilmente
quest’ultimo lo respinse e l’arma, tenendo fede alle sue
caratteristiche, colpendo l’egizio dai capelli rossi, lo rese
impotente.
Horus stesso venne colpito, chissà quanto involontariamente, da un
raggio di Seth e, nascondendosi tra la boscaglia, venne soccorso
immediatamente da sua moglie Hathor.
“Nemmeno i nostri duellanti ce l’hanno fatta!” esclamò
sorpreso Amon, dalla pelle di colorazione bluastra ed un’evidente
erezione.
“Perché quel puffo ha la pannocchia dritta?” chiese a bassa voce
il messicano.
“Invece di giudicare mio marito, perché non combatti anche tu,
anzi che fare il vile!” lo aggredì verbalmente Mut.
“Pure tu ti ci metti?!” sbottò il mutaforma “Io non saprei
nemmeno in cosa trasformarmi per essere utile contro quella bestia!”.
L’altro mutaforma fissava serio il dio azteco.
“Io ci provo”.
Tutti si voltarono verso di lui, mentre il suo braccio destro
cambiava forma. Si allungò fino a sembrare un potente bazooka.
“Tenterò con la mia Ammazzadei” sussurrò Andrea, mentre
posizionava l’occhio destro davanti al mirino.
Maat gli si avvicinò all’orecchio.
“Concentra tutta la tua fede in questo colpo”.
Il Soggetto N. 4 seguì il consiglio e attese che l’arma fosse a
carica massima. La bordata partì, finendo in pieno petto di Xocotl.
Il dio traballò pericolosamente, camminando all’indietro. Aveva
già sollevato una gamba dal suolo e la schiena si stava inarcando
sempre più. Ma poi il suo enorme piede tornò a toccare il terreno.
Il suo sguardo furioso, come sentendo un richiamo silenzioso, si andò
a posare proprio sul gruppo di mutanti e dei.
Bastet, da brava dea-gatta, rizzò tutto il pelo della sua testa e
soffiò come un’indemoniata.
“Se solo ci fosse qui la mia controparte malvagia Sekhmet… ”
erano i suoi pensieri.
“Oddio, eccolo che arriva!” urlò terrorizzato il Soggetto N. 7.
Difatti, il gigante stava partendo alla carica contro quei moscerini.
Ma un nuovo dio si intromise, facendolo allontanare con un’onda
d’urto.
Anubi e la sua potente lancia schiaffeggiarono letteralmente il
mostro, con il collo che ruotava ritmicamente a destra e a sinistra.
Con altrettanta abilità, scansò anche le fiammate provenienti dalle
fauci del drago.
Purtroppo anche le divinità si distraggono e, forse concentrato
esclusivamente sul colpire l’avversario, il dio-sciacallo non notò
la mano di Xocotl che lo serrò stretto di colpo.
“L’ha preso!” gridò isterico il Soggetto N. 2.
Direttamente dalla natura selvaggia della savana, un nuovo
combattente fece il suo esordio. Ogun, l’Orisha del fuoco, si
avventò tagliando di netto con la sua lancia l’occhio sinistro
della creatura. Quest’ultimo, trovatosi spiazzato dall’organo
appena perduto, gli soffiò contro una potente fiammata. Il dio
africano la assorbì come fosse aria fresca.
“E questo qui chi è?” fu sorpreso il baffuto.
Ogun, non contento, ripartì all’attacco e tagliuzzò un po’
tutto il gigantesco corpo di Xocotl. Nel fare ciò, però, si accorse
all’ultimo della coda di alligatore che lo stava per scacciare come
fosse una zanzara fastidiosa.
Bastò quell’attimo per consentire al dio azteco di afferrare, con
la mano libera, la divinità appena comparsa.
“Eppure ci deve essere qualcosa che possiamo fare contro quel
bastardo?!” Johnny stringeva i denti e i pugni dalla rabbia.
Mentre Xocotl si avvicinava ad un lago vulcanico lì nei pressi, come
aveva preannunciato il divino Zeus, i Kaiju entrarono in azione.
La tattica di combattimento era decisamente
cambiata: dalle profondità del lago, i tentacoli di Edzisera, la
piovra gigante, serrarono saldamente le gambe; Prant,
la tigre coi denti a sciabola, con un balzo poderoso, gli conficcò
le unghie acuminate nel petto; Sany, lo
pterodattilo, gli atterrò sulle spalle, i suoi artigli perforarono i
deltoidi di Xocotl.
“Ma quelli sono i mostri di Atlantide!”
esultò Borghi
“Forse con loro riusciamo a batterlo!”
tentò di tranquillizzarsi Lincon.
“Eppure quello stronzo resiste!” si alterò
Alberti.
Nonostante quello scontro colossale,
l’attenzione di Wayne fu cattura da un bagliore che si faceva
sempre più vicino “Cos’è quella luce nel cielo?”.
Un oggetto volante e luminoso, dalla forma
piramidale, fermò la propria traiettoria sopra i quattro
giganti.
“La sua forma mi dà fiducia…” enunciò la dea alata Iside,
mentre osservava il tutto insieme agli altri.
Improvvisamente, un raggio verde fu sparato verso gli inermi
spettatori.
Questo raggio traente trasportò, con la sua medesima supervelocità,
il velocista degli Humana sull’apice della piramide fluttuante.
“E ora? Come ci sono finito qua su?” si domandò il pilota di
Formula 1, evitando di sporsi troppo e cadere giù a capofitto nella
giungla.
“Perdonami, Johnny. Mi chiamo Nyal e ti ho portato quassù perché
ho bisogno del tuo aiuto” rispose una voce androgina.
“Chi? Aiuto per cosa?” continuava a guardarsi intorno, con la
speranza di identificare la provenienza di tale voce.
“Guida il mio raggio nella bocca del mostro”.
Avendo compreso tutto con quelle semplici parole, il Soggetto N. 9 si
mise in posizione di partenza. Dalla punta del triangolo
tridimensionale saettò una linea retta blu. La sua larghezza era
precisa per metterci un piede dopo l’altro. E così fece il
mutante.
Come un cane al guinzaglio, la luce seguiva le suole degli stivali
gialli. Fu grazie alla loro prontezza che evitarono abilmente le
fiammate lanciate da Xocotl, accortosi
del pericolo nonostante l’occhio sanguinante.
Approfittando delle fauci spalancate per emettere altro fuoco, Johnny
eseguì alla perfezione quanto ordinatogli dall’entità invisibile.
L’onda d’urto che ne derivò scaraventò a metri di distanza i
vari Kaiju, compreso Atum ancora a terra esanime. Fortunatamente,
Wayne fu protetto dallo stesso Nyal.
Del dio ribelle non vi era più traccia, mentre tutti gli altri
contendenti, mutanti, divinità o creature gigantesche, erano rimasti
incredibilmente incolumi.
Come conseguenza di tutto questo dispiegamento di poteri divini, fece
la sua comparsa una nuova dea tra i mortali: Neith, la dea arciera
della caccia e della guerra.
ZOO
Tre lettere enormi, metalliche, su un arco in ferro che sovrastava
l’ingresso principale.
“Ne sei proprio convinto, Igor?” chiese, per l’ennesima volta,
Frédérique Arone.
“Certo Frédérique, fidati di me!” la tranquillizzò Igor Wansa.
“Che tipologia hai detto che è questo zoo, scusa?” domandò
Johnny Wayne.
“Praticamente, nella varie gabbie, non sono racchiusi i classici
animali da zoo, ma piuttosto delle loro versioni piuttosto strambe”
spiegò il bambino.
“Strambe quanto me?” disse Bernardo Borghi, mentre tramutava il
suo aspetto in uno yak.
L’altrettanto strambo quartetto entrò così dentro quell’area.
“Fuori dai coglioni!”.
È così che gli Humana furono accolti una volta entrati. La cosa che
però davvero spiazzò i quattro non fu l’ingiustificata
maleducazione rivolta loro, ma piuttosto che tale volgarità furono
esclamate da un rinoceronte grigio, dalla cui bocca spuntava un
grosso sigaro fumante.
Nella gabbia accanto, un ghepardo scese da un ramo per fissarli
meglio. Nella stessa maniera del Soggetto N. 7, il suo corpo mutò in
quello di un essere umano. Per la precisione, si trattava di un ninja
completamente vestito di colore verde scuro.
“Chi di voi sa pratica l’antica arte marziale del Xingyiquan?”
rivolse a loro questa assurda domanda, serio.
In un’altra gabbia, quella che a tutti gli effetti pareva una
tartaruga umanoide, si stava allenando come una forsennata
all’utilizzo di due sai, uno con la forma del tradizionale tridente
corto, mentre l’altro aveva la lama a forma di cuore stilizzato.
Il suo corpo era ricoperto da un’armatura dai colori giallo e
bianco, tranne avambracci e cosce lasciate nude. Sulla cintura
marrone aveva scritto in nero Teddy Raph-Skin. Infine, la forma del
casco che aveva sul capo rassomigliava a quella di un orsetto di
peluche.
In una seconda gabbia un ragazzo, dall’aspetto non particolarmente
intelligente, appena li vide si affacciò il più possibile tra due
sbarre.
“Vi prego, aiutatemi! Voglio tornare a casa mia! A Tokyo! Voglio
vedere i miei Exogini!”.
Il giovane indossava un completo tutto rosso con, all’altezza del
cuore, due iniziali R e S cucite in bianco.
In una terza gabbia, vi era un’altra tartaruga umanoide. Questa
invece, per il suo combattimento contro nemici immaginari, utilizzava
due spade katana. La sua armatura, come colori, aveva il blu al posto
del giallo e, sulla cintura, il nome scritto era Leo-Nerdo. Infine,
la forma del casco era a testa di elefante.
“Io il giapponese credo di conoscerlo…” Bernardo, tornato alla
sua forma umana, si lisciava riflessivo il suo paio di baffi scuri.
“Davvero, Berny? Sei sicuro?” era dubbiosa il Soggetto N. 3.
“Sì, me ne deve avere parlato Chang… se non ricordo male, mi ha
detto che si chiama Ryo Soda ed è un idiota trasformista”.
“Per non parlare delle tartarughe ninja…” aggiunse il Soggetto
N. 9.
a quelle parole, l’autopresentatosi come Leo-Nerdo smise il suo
kata e si avvicinò egli stesso alle sbarre, sbattendoci
rumorosamente contro una delle sue lame.
I quattro mutanti si voltarono verso di lui.
“Non osate mai più chiamarci così! Noi siamo i Mighty Mutant
Power Turtles!”
Il Soggetto N. 1, fino ad allora con un’espressione sempre più
corrucciata in viso, esplose di colpo in un urlo disperato.
“Aiuto! Aiuto! È scappato un leone!”.
Un altro ragazzo, della stessa età e dagli abiti simili a Ryo Soda,
si aggirava baldanzoso tra le gabbie. I suoi capelli castani afro
ballonzolavano fieri ad ogni passo.
Con tranquillità, si avvicinò al quartetto in gita.
“Dove? Dove? Dov’è questo leone, Igor?” la testa del messicano
pareva una pallina impazzita, voltandosi verso tutte le direzioni
possibili dello zoo.
“Ma come dov’è?” si alterò il russo, indicando il nuovo
arrivato “È proprio lì davanti a noi!”.
Gli altri tre rimasero alquanto perplessi.
“Ne sei sicuro, Igor?” chiese dubbioso l’americano.
La francese lo scrutò a fondo “A me sembra una persona
normalissima”.
Quest’ultima, seppur involontariamente, catturò all’istante
l’attenzione del presunto leone.
“Finalmente a luglio iniziano a spuntare le belle ragazze!”
esultò lui, in lingua italiana.
In un attimo, la ferocia del felino venne realmente fuori
dall’italiano. A grandi balzi, puntò verso la transalpina.
Lo stesso velocista rimase spiazzato da cotanta rapidità.
Borghi tentò di attirarlo, tramutandosi in una donna suadente e
completamente nuda.
“Ehi, bel maschione!”.
Il ragazzo dello zodiaco si fermò di botto. Voltò il capo verso il
mutaforma.
“Tze! Nude Girl è molto più eccitante di te!” sentenziò, per
poi ripartire alla carica.
Mentre l’autostima di Bernardo colava a picco, Frédérique ebbe
tempo di scaldare i suoi occhi nocciola e sparare una raffica di
raggi laser.
l’obiettivo fu colpito in vari parti del suo corpo. La scena ebbe
la drammaticità di un gangster crivellato di colpi durante gli anni
del proibizionismo. Il capellone crollò esanime al suolo, ma
pienamente in vita.
“Scusate”
il telepate ruppe il silenzio, dopo alcuni minuti di mutismo “questo
zoo è davvero una cavolata!”.
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Capitolo 24 *** Storie brevi ***
CAPITOLO 24
“Storie brevi”
Casa di riposo per musicisti “G. Verdi”, Milano
Una struttura fondata nel 1899 dall’omonimo e famoso compositore, è
un enorme ed accogliente villa in stile neogotico.
Davanti ad essa vi erano due persone ad attendere l’arrivo del
mutante italiano: 55, il polistrumentista totale della squadra
polisportiva Face Team, e Walter Mora, il più grande maestro di
piano esistente al mondo.
Finalmente, Andrea Alberti si palesò davanti a loro.
“Benvenuto Andrea!” lo salutò, in maniera poco formale, lo
pseudoatleta.
“È un onore averti nostro ospite” fece un lieve inchino il
pianista.
“L’onore è tutto mio di poter fare la conoscenza con un maestro
straordinario come lei, signor Mora” era visibilmente emozionato il
Soggetto N. 4.
“Sciocchezze, figliolo!” Mora scosse la sua folta capigliatura
canuta, caratterizzata dal corto codino che ricadeva sopra il collo
“Sappiamo perfettamente quanto tu e il tuo gruppo state facendo per
l’umanità”.
“Ed è per questo che noi del Gruppo Diapason speravamo di poter
incontrare almeno uno dei vostri membri” proseguì il biondo
ossigenato con l’orecchino sul lobo destro.
“Giusto! Mi hanno parlato della vostra splendida iniziativa! Siete
come dei Global Defenders della musica!”.
Mentre il trio proseguiva con i convenevoli, nell’aiuola circolare
davanti all’ingresso altre due figure osservavano la scena.
“Miiiii, e quello chi minchia è?” chiese, con uno stile
tipicamente siciliano, il palermitano Matteo Amadio, tenendo ben
stretto in tasca il suo scacciapensieri.
“Un po’ di contengo, Matteo!” lo redarguì l’organista
Giovanni Barbaro “Lui è uno degli Humana”.
Una figura femminile si avvicinò alla coppia.
“Io lo conosco! Ci siamo conosciuti in Egitto ” affermò fiera
Steve Ellis, in arte Giza, lì presente per la sua padronanza con il
sistro.
Intanto, il pesante portone in legno si aprì. A fare gli onori di
casa vi era una bella donna dai capelli ricci e biondi. Il vestito a
balconcino che indossava metteva in risalto il suo seno florido.
“Benvenuto nella nostra umile dimora…” gli sorrise dolcemente
Susanna Martini, rivelando però dei canini alquanto appuntiti.
Il mutaforma fu spiazzato da quel sinistro particolare, quando la sua
attenzione fu cattura da uno strano ometto.
“Vuoi per caso un buon gelato?!” chiese diretto.
“C-Come?”.
“Oh! Non ci far caso…” minimizzò Mora “è una sua
deformazione professionale, lui è un gelataio che si chiama Jacopo
Brandi”.
L’interessato replicò con una strimpellata di banjo, mentre la
donna gli fece eco con una di balalaika.
“Che gelato avevi in mente per noi, eh, Jacopo?” lo punzecchiò
Julie Carr, nome di battaglia Druid Girl, con poteri sia di
criocinesi che di pirocinesi “che così vedo di darti una mano, o
nel farlo o nello scioglierlo!”.
“Gelato fatto con pasta di biscotto con ripieno di torta di zucca,
patatine al caramello, torta di mele e marshmallow.” replicò serio
lui.
All’esterno della villa, altri curiosi si avvicinarono ad essa. A
Giza si affiancò un uomo dai suoi medesimi gusti sessuali.
“Ciao tesoro, è vero che dentro c’è uno degli Humana?” 30 del
Face Team era così incuriosito da lisciarsi i baffi nell’attesa
della risposta.
“Ma certo amo…” il trans si interruppe vedendo uno stormo di
piccioni, dall’aria decisamente poco amichevole, piombare su di
loro “Piccioni!”.
Nonostante quell’attacco improvviso, in tre si misero a difendere
la “dolce donzella”: Emanuele Chiappara, con il suo Chapman
stick, Dario Corradi, con la sua ciaramella, e Ailton
Barreto, con il suo berimbau ma, soprattutto, con la sua
padronanza della capoeira.
L’attacco dei pennuti fu respinto con onore. Le onde soniche,
emesse dai vari strumenti musicali, furono come un muro contro cui
andarono a sbattere i volatili.
“State tutti bene?” si informò Amuro Yotsuba,
proveniente dall’Istituto Shiroiwa, con la sua tromba
pocket.
Con tutto quel trambusto, Andrea uscì di corsa dall’abitazione e
si guardò intorno preoccupato.
“Che è successo?”.
“No, niente…” sdrammatizzò Andrea Coleman
“qui ogni tanto capita che ci assaltano i piccioni…”.
“E pensare che, alle volte, rischiamo anche di
far saltare i concerti, a causa loro” ricordò Valerio Pisani, con
le mani infilate nel laccio dei suoi piatti.
“Giusto a questi tre gay può piacere tutto
quello stormo di uccelli!” Mattia Carboni indicò, con il suo
triangolo, prima 30, poi Giza ed infine il ragazzo.
“Non sono gay! Come devo dirvelo?!” replicò
furioso il bassista.
“Piuttosto, perché non ci suoni qualcosa tu,
Andrea?” propose Arminio Rocchi, con le lenti dei suoi occhiali che
scintillavano al sole.
“Io?” si autoindicò il mutante, con la mano
che si era inconsciamente tramutata in una sorta di fucile atomico.
“Ma sì!” gli si mise sottobraccio Mai
Shinozaki, violoncellista e studentessa anche lei dell’Istituto
Shiroiwa “Non credo che il maestro Mora si faccia dei problemi a
farti usare il suo pianoforte, giusto?”.
“Come ti ho detto prima, per me sarebbe
assolutamente un onore” diede il suo benestare Walter, uno dei più
anziani del Gruppo Diapason.
Tutti i presenti si spostarono nell’enorme salone adibito ai
concerti. Andrea Alberti, seppur con le mani tremanti dall’emozione,
si mise a premere i tasti per farne uscire una melodia almeno
accettabile.
Ad accompagnarlo, vi era la tuba di Giovanni Jani, cugino del
ex-portiere dell’Istituto Fota e attualmente del Liverpool Luca
Jani.
Egitto
Nuovamente in terra egizia, Sara Silvestri si esaltò a spiegare il
possibile ritrovamento di un’antica tomba faraonica, mentre i
Soggetti N. 3 e 9 seguivano con gran difficoltà tutto quello
sproloquio di parole.
L’Italiana era talmente esaltata che, non
sentendosi particolarmente bene una mattina, fu costretta a mandare i
due mutanti alla ricerca di tale obiettivo.
Il risultato fu una stele, incisa direttamente nella roccia, che
recitava così.
“Qui gli dei non vengono a qualsiasi appello. La
senza nome deve restare per sempre sola. Voi non avvicinatevi alla
senza nome, perché la vendetta ucciderà. Guardatevi dall’uomo che
viene dal lontano cielo del nord. Lui libererà e scatenerà la sua
perfidia sulla terra”.
Per trovare l’ingresso, fu fondamentale il potere del velocista.
Una volta scoperto, riuscì a disintegrare la roccia di sigillo con
delle rapide vibrazioni delle sue dita.
“Figlia del sole, amata da Osiride, regina degli
egizi: Kara” fu una nuova incisione che trovarono all’interno
della tomba.
Purtroppo la gioia di quella riuscita fu contrastata, appena
rientrati all’albergo che li ospitava, dal ritrovare la loro
mentore svenuta.
Una volta portatola in ospedale, il mattino successivo i due mutanti
tornarono nella tomba. Qui scesero una lunga scalinata, alle cui
pareti erano rappresentati alcuni dei della religione egizia, loro
antichi rivali ed ora degni compagni di battaglia. Terminati i
gradini, ad attenderli vi era una grande sala piena di svariati
suppellettili, tra cui la testa bronzea di Anubi.
Nel mentre, in ospedale Sara si ridestò finalmente dal suo sonno
senza sogni.
Proprio nell’esatto momento in cui Johnny spinse il coperchio di un
sarcofago per aprirlo, nonostante Frédérique era alquanto
riluttante all’idea.
Rientrati euforici all’ospedale, comunicarono la lieta notizia alla
convalescente.
Il mattino dopo, la tomba era preda di vari
ricercatori, giornalisti ed alcuni facchini che, come una catena di
montaggio, prelevavano i vari tesori ritrovati al suo interno.
Particolare attenzione fu data chiaramente al sarcofago.
Purtroppo tale iniziativa non soddisfaceva un
impiegato del Cairo che, proprio nel bel mezzo del sollevamento del
sarcofago tramite cavo, bloccò di colpo il meccanismo. L’unica
conseguenza fu la rottura della fune che, con uno strano scherzo del
destino, andò ad avvolgersi attorno al collo dell’egiziano,
strozzandolo.
A seguito di tale evento infausto, fu deciso che il sarcofago sarebbe
infine rimasto in Egitto, mentre a Wayne fu regalato un antico
specchio, come ringraziamento a tutti gli Humana per il loro prezioso
aiuto. Per il trio giunse il momento del rientro a casa.
Passati mesi da questa loro trasferta, durante un’eclissi, la teca
protettiva di vetro si crepò misteriosamente.
Avvertito di ciò, questa volta fu mandato in terra africana il solo
Soggetto N. 9. Appena sceso dall’aereo, corse rapido verso il
sarcofago della regina, dove degli studiosi lo avvertirono che erano
obbligati ad esaminare la pelle della defunta per eventuali presenze
batteriologiche. Egli si imbufalì come se si trattasse di un suo
parente stretto.
Anche uno dei professori andò incontro ad una brutta fine: investito
da una macchina di fronte al museo di storia.
Fu allora che il pilota e la ballerina iniziarono ad ipotizzare
riguardo la natura demoniaca della regina Kara. A loro si unì
Silvestri che si dimostrava ancora più preoccupata. In particolare,
riguardo una procedura di resurrezione che dovrà avvenire alla
trentanovesima eclisse, tramite i vasi canobi, contenenti le viscere
della defunta, costretta fin da piccola a sposare il proprio
fratello.
Col passare dei giorni, l’americano divenne sempre più inquieto.
Sentiva come se l’Egitto lo stesse chiamando a sé.
Alla fine, i due mutanti tornarono nel continente di Juna, nonostante
la titubanza dell’italiana.
Nel frattempo, un trabocchetto nascosto nella
tomba, per la precisione uno spuntone retrattile dal muro, trapassò
un ricercatore che aveva appena scovato il sirtap, il sacrario
segreto.
Stessa sorte poteva toccare a Johnny, che invece scansò appena in
tempo la lama mortale. La ricompensa di quell’ennesima morte furono
proprio i vasi canobi.
Tali preziosi recipienti furono portati al quartier generale degli
Humana. Sara temeva sempre di più l’intenzione di Wayne di
replicare il rituale.
Ad avvalorare sempre di più il suddetto sospetto, fu il consulto che
lo statunitense ebbe con un famoso astrologo, da cui ebbe la conferma
che, di lì a breve, si sarebbe verificata esattamente l’eclisse
numero trentanove.
Mentre la bionda tentava di distruggere le reliquie egizie, subì un
potente attacco da parte di un poltergeist. Tutti gli oggetti della
villa sembravano avercela con lei.
In quello stesso periodo, anche Arone mostrava segni di squilibrio.
In lei sentiva come uno sdoppiamento di personalità, arrivando
persino a truccare il proprio volto con uno stile replicante quello
dell’antico Egitto.
La cosa peggiorò ancora di più quando la francese iniziò a parlare
in un idioma sconosciuto ed i suoi compagni obbligati ad un ricovero
forzato per la loro amica.
Qualche giorno dopo, la convalescente, appena risvegliatasi dai
sedativi, convinse Johnny a realizzare la procedura alla lettera.
In piena notte, il Soggetto N. 9 si intrufolò nel museo. Alla sola
luce di qualche candela, scoperchiò il sarcofago di Kara. Al suo
interno, un piccolo corpo mummificato.
“Ave Osiride, signore dell’eternità. Ave
Anubi, signore delle tombe. Gran dio, padrone della santa dimora, ti
imploro di concedere a Kara che risorga dagli inferi. Il mio sangue e
il fuoco purifica la tua polvere. Che la gran luce di Anubi ti faccia
respirare di nuovo. Che la gran luce di Osiride faccia ribattere il
tuo cuore.”
Magicamente, al suo fianco comparve la stessa Frédérique,
agghindata come una faraona leggendaria.
“Fa che Anubi apra la tua bocca e riempia il tuo
cuore” concluse il rito.
Sfondando i vetri delle finestre, fu proprio Anubi ad entrare e,
armato della sua lancia mistica, incenerire la mummia che stava per
possedere il corpo e l’anima del Soggetto N. 3.
Due donne, una di fronte all’altra, entrambe sedute su comodi
quanto sfarzosi divani. Una è la ballerina mutante di danza moderna
Frédérique Arone. L’altra è la famosa supermodella di nome Ivy.
quest’ultima vestita con una succinta minigonna e un abito, a
strisce orizzontali bianche e blu, decisamente scollato.
Dopo interminabili minuti di attesa, si fa finalmente vivo il maestro
fotografo designato per quella sezione di foto, il giapponese Naoto
Toriyama.
“Care! Perdonatemi davvero per tutto il tempo
che vi ho fatto aspettare!”.
“Non si preoccupi” rispose con un sorriso
rasserenante la francese.
L’americana non proferì parola, fissandolo con uno sguardo
seccato.
“Sono davvero dispiaciuto per questo ritardo ma,
al contempo, sono estremamente felice di averti qui con me, mia dolce
Frédérique”.
“Il piacere è tutto mio, maestro”.
“Che splendida che sei!” le sorrise lui con
una smorfia assurda, per poi tornare serio e voltarsi verso la
seconda donna “Cara Ivy, per prima tocca a te!”.
Nel giro di pochi minuti, il set fotografico fu allestito, con
faretti, paraventi e svariate macchine fotografiche.
Ivy ricomparve con un outfit ispirato alla cultura hippy. I suoi
capelli ramati erano agghindati con trecce dalle trame davvero
complesse.
“Mettetemi gli ABBA, svelti!” ordinò il
maestro ai suoi collaboratori.
Nonostante le note del quartetto svedese si sbizzarrissero nell’aria,
il volto della modella rimaneva comunque malinconico. Il Soggetto N.
3, sebbene rapita da quell’ambiente così magico e surreale, se ne
accorse senza nemmeno usare la sua supervista.
“Niente da fare! Non… ci… siamo…” Naoto
scuoteva tristemente il capo.
Finché il suo sguardo non si posò nuovamente sulla europea.
“Frédérique, amore, unisciti anche te alla
nostra Ivy. Sono certo che una coppia come voi farà faville!”.
“È sicuro, maestro?” l’interpellata
rimaneva dubbiosa.
“Assolutamente sì! Svelta, preparati e ritorna
qui sul set!”.
Giusto il tempo da dedicare a trucco e parrucco, e Arone aveva ora
indosso un tailleur di color lavanda di un’eleganza unica.
Timidamente, si accostò alla professionista.
“Fantastica! Benissimo, ripartiamo tutti
immediatamente!”.
La sezione fotografica ne guadagnò molto. Il fascino delle due donne
fu perfettamente catturato e valorizzato dall’obiettivo.
Passata qualche ora, l’artista dichiarò infine
il termine delle fotografie.
Tornate ai loro abiti quotidiani, le due si trovarono per caso sul
marciapiede davanti allo studio fotografico.
“Ti devo ringraziare…” furono le prime
parole udite provenire dalla top model.
L’altra ne rimase stupita “Per cosa?”.
“Grazie al tuo intervento, hai salvato questa
giornata”.
“Ma che dici, Ivy? Ho fatto solo quella che mi
veniva detto”.
“Sei stata davvero brava” proseguì lei “in
più, sei anche molto carina, complimenti”.
“Figurati!” Frédérique era nell’imbarazzo
più totale “Magari potessi avere il tuo fascino e la tua
eleganza”.
“In questo periodo mi sento tutto tranne che
bella, te lo assicuro” si rabbuiò Ivy.
“Come mai? Se posso saperlo ovviamente” la
francese le si fece vicina.
“Sento dentro di me una profonda tristezza. In
particolare, a causa di una persona…”.
“Chi?”.
“Una mia amica ed ex-collega. Si chiama Holly
Gibb”.
“Questo nome non mi è nuovo…”.
“Era la migliore della compagnia, finché non si
è messa in testa di fare l’attrice e ci ha lasciate tutte così,
di punto in bianco!”.
“Probabilmente sentiva che quella era la sua
strada. Da ballerina, in un certo senso, capisco questa sua scelta…”.
“È che… ho paura che possano rovinare la mia
Holly…”.
“Non preoccuparti, Ivy! Sono certa che questa
Holly abbia la determinazione giusta per affrontare gli ostacoli che
si troverà davanti”.
“Su questo hai ragione. Holly dimostra sempre
un’energia incredibile! Spero che si sappia difendere da tutti gli
squali che si troverà davanti” sorrise melanconica la rossa.
Il membro degli Humana le accarezzò dolcemente la schiena.
“Piuttosto Ivy, dovresti pensare anche alla tua
di vita. So che la tua carriera di modella è decisamente in ascesa
e, se sei arrivata fin qui, sono convinta che sia tutto per merito
tuo!”.
La statunitense sorrise divertita “Magari è solo fortuna…”.
D’un tratto, il suo cellulare si mise a squillare. Ivy lo tirò
fuori dalla piccola borsa che aveva a tracolla e ne fissò lo schermo
luminoso.
“È Holly!” in un istante, il viso le divenne
radioso.
“Perfetto! Oggi ti sei guadagnata di
chiacchierare un po’ con lei”.
“Sì!” gli occhi verdi della giovane passarono
dal display alla sua collega odierna “Grazie per le tue splendide
parole, Frédérique, e scusa per il mio comportamento di oggi. Sei
davvero una donna dal cuore limpido”.
Inaspettatamente, le diede un rapido bacio sulla guancia per poi
allontanarsi e rispondere alla chiamata dell’amica.
Appena stessa la tovaglia sul verde prato attorno
al quartier generale, Frédérique Arone ci si lanciò sopra felice.
Con l’arrivo della primavera, la francese sembrava ella stessa
sbocciare, come i numerosi fiori presenti.
Con lei vi era Igor Wansa, decisamente meno
entusiasta.
“Senti che bel profumo che c’è nell’aria,
Igor…” inspirò ad occhi chiusi.
“Sarà che dalle mie parti il freddo è l’unico
vero compagno, ma proprio non ci vedo nulla di straordinario in
questa stagione” sentenziò il ragazzino.
“Ma dai, Igor! Mica vorrai restare sempre in
casa anche con questo bel tempo?”.
“Io in villa mi ci trovo discretamente bene”.
“Beh ci credo, è una villa! E in più ci sono
anche tutti gli altri… però non rischi di annoiarti dopo un po’?”.
“Non particolarmente. Di recente poi ho visto un
film davvero inquietante…”.
“Addirittura!” Fu sorpresa il Soggetto N. 3
“Di che film si tratta?”.
“S’intitola “The human centipede”… ”
le rispose il Soggetto N. 1.
“Cos’è? Un cartone animato?”.
“Non proprio. È un film horror dove delle
persone vengono unite tra di loro cucendo assieme le loro bocche e i
loro ani, formandosi così appunto un centopiedi umano”.
La ballerina rimase shockata, tra l’allibito e il disgustato.
“Scommetto che è stato Johnny a fartelo vedere.
Oppure Andrea. Ma fidati, appena li vedo mi sentono quei due!”.
“Però in un certo senso è stato educativo
anche…”.
“Col cavolo! È solo schifezza! Ma come hai
fatto a guardare una cosa del genere? Mi viene da vomitare al solo
pensarci!”.
“A me fa più schifo il centopiedi che ti sta
camminando vicino alla gamba” le indicò il russo.
La donna si alzò di scatto urlando come la sirena di un’ambulanza.
“Oddio dove?! Che schifo! Mandalo via!”.
l’animaletto, più spaventato della stessa mutante, scappò subito
via, rifugiandosi tra i fili d’erba più vicini.
Il telepate non riuscì a resistere e scoppiò in una risata
fragorosa.
L’altra, offesa e furiosa per quel terribile scherzo, se ne andò
via minacciandolo.
“Ora vado subito a parlare con Sara! Così
insieme decidiamo subito una punizione per te e per tutti gli altri
scemi! Stronzetto!”.
Incredibilmente, il quartier generale degli Humana era totalmente
deserto. D’un tratto, il rumore secco della chiave girata nella
serratura presagiva una nuova venuta.
Sara Silvestri che, nonostante avesse dato lei stessa dei giorni di
permesso premio a tutti quanti, inizialmente si stupì di tutto quel
silenzio.
Posate le varie borse di cui era carica nell’ampio
salotto di casa, per rilassarsi e godersi anche lei quella giornata
libera da impegni, uscì nuovamente. Una bella camminata nel giardino
rigoglioso tutto attorno alla villa era proprio quello che le ci
voleva. La sua mente era totalmente svuotata da qualsivoglia
preoccupazione.
Improvvisamente, si accorse di una piccola presenza nella sua
proprietà. Notando questo bambino che giocava con dei non meglio
specificati balocchi, gli si avvicinò, pensando di aver già
individuato di chi si trattasse.
“Igor, che fai tutto qui da solo? Come mai non
sei con gli altri?”.
Il ragazzino sobbalzò udendo quella voce improvvisa. Addosso aveva
una maglia rossa con bottoni dorati e bavero bianco, un gilè verde
e, calcato per bene sulla testa, un cappello a strisce orizzontali
rosse e bianche.
Alzatosi in piedi come una molla, mettendo così in evidenza il suo
naso particolarmente pronunciato, fissò felice e poi sorpreso la
donna “Scusa compagna… oh, ma tu non sei Malvina?”.
Anche la bionda si accorse di aver frainteso l’identità di colui
che aveva davanti, tra l’altro notando su di lui una pelle che
pareva di fabbricazione lignea “Scusami, ti avevo confuso con un
altro. Ma piuttosto, tu chi sei? Come hai fatto ad entrare qui
dentro?”.
“Perdonami ancora compagna, il mio nome è
Compagno Pinocchio…”.
“Prego?”.
“Pinocchio”.
“Il burattino?”.
“Sì, quello è il mio secondo nome. Tu mi
conosci?”.
“Certo che sì! Sono italiana, sarebbe assurdo
che non conoscessi Pinocchio!”.
“Oh, io invece vengo dalla Russia. Mi sono
rifugiato qua dentro perché sto scappando da gente cattiva di nome
Carabas, Duremar, Alice e Basilio”.
“Però vedi che ci avevo preso che sei russo!
Comunque, chi sono questi quattro tipi?”.
“Un burattinaio, un venditore di sanguisughe,
una volpe e un gatto”.
l’espressione di Sara si fece sempre più confusa “Ok, a parte il
secondo, gli altri tre ce li ho presenti, anche se non avevano
proprio questi nomi…”.
“Sai, ad aiutarmi a scappare è stata una
bambina italiana proprio come te!”.
“E chi è?”.
Nascosta dietro un albero, fece capolino una nuova presenza. Una
bambina con indosso un abito estivo rosso, su cui erano disegnati
vari fiori bianchi, che terminava in una svolazzante gonna. In capo
aveva un grosso fiocco giallo e, ai piedi, delle scarpettine eleganti
con un fiocchettino rosso su ciascuna di esse.
“Ciao… scusaci sei siamo entrati nel tuo
giardino senza permesso”.
“Tranquilla, piccola. Tu come ti chiami?”.
“Mi chiamo Pirulì, sono la sorellina di
Pinocchio”.
L’espressione di Silvestri era sempre più
spiazzata. Tornò a fissare il ragazzino.
“Quindi hai anche una sorellina?”.
“No!” negò lui “Lei è sorellina di un
altro Pinocchio”.
La donna tornò ad osservare lei.
“Sì, io sono stata creata da Geppetto con del
legno avanzato per fare Pinocchio”.
“Ok, questa è la storia che conosco anch’io!”.
“Così insieme affronteremo meglio quei
vigliacchi!” esclamò Compagno Pinocchio, guardandosi attorno con
attenzione.
“Ma si può sapere cosa vogliono da voi queste
persone?” chiese l’italiana.
Il burattino prima osservò colei che aveva posto
il quesito. Poi la sua amica in legno. Infine, con fare guardingo,
estrasse da una delle tasche una chiave dorata. La sua lucentezza si
rifletteva come uno specchio negli occhi castani di Sara.
“Questa chiave è la custode di un grande
potere” sussurrò quasi il suo proprietario.
Silvestri squadrò quella coppia fiabesca. Nei loro sguardi notò sì
preoccupazione, ma anche tanta determinazione.
“Lasciate fare a me. Vi darò un mano io”.
In
breve, tutti e nove i membri degli Humana furono contattati e
risposero a quella convocazione inaspettata.
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Capitolo 25 *** Le nuvole si muovono ***
CAPITOLO 25
“Le nuvole si muovono”
Il salone di villa Humana era, incredibilmente, deserto e silenzioso.
Finché non si iniziò a udire rumore di passi che, tramite le
eleganti scale lignee, procedevano dal piano superiore a quello
inferiore dell’abitazione.
Con già indosso l’uniforme da battaglia rossa, con l’immancabile
H gialla sul petto, Igor Wansa notò un qualcosa di rettangolare
sull’ampio tavolo rotondo in salotto.
Incuriosito, si avvicinò ad esso e afferrò quella misteriosa
scatola nera con i i suoi guanti giallognoli.
Il contenitore era in legno scuro e, su quasi tutta la sua
superficie, presentava svariate volute finemente scolpite.
“Questo chi ce l’ha messo?” si domandò, mentre lo riposava sul
piano.
Fu solo allora che la sua attenzione venne catturata da un biglietto
di carta recante la dicitura “X JACK”.
“Sarà qualche altra stramberia che ha comprato in giro per il
mondo quel matto inglese…” concluse un russo ancora ben dubbioso
“Forse faccio meglio a contattarlo subi…”.
Non fece in tempo a concludere il suo monologo che una delle eleganti
finestre si spalancò di colpo. Allo stesso tempo, lo stesso
coperchio della scatola si impennò. Come uno stormo di uccelli, dei
piccoli rettangoli cartacei presero il volo verso l’esterno
dell’edificio, in una perfetta fila indiana aerea.
“Sembrano tarocchi!” gridò il ragazzino, mentre tentava
inutilmente di afferrarne qualcuno.
Temendo la possibile punizione che poteva toccargli per tale
incidente, sebbene non fosse egli stesso con certezza il colpevole,
il Soggetto N. 1 partì al disperato inseguimento saltando oltre la
stessa apertura utilizzata dalle carte.
Un rombo di motori era, via via che ci sia avvicinava, sempre più
udibile. Sebbene non al livello di decibel di ciò a cui era abituato
Johnny Wayne in Formula 1, anche questo kartodromo sapeva come
attirare l’attenzione dei molti appassionati.
In una fase di prove, uno dei veicoli, appena imboccata una curva in
pieno drift, stava sfrecciando a tutto gas in un dirizzone.
Improvvisamente, la peggior visione che possa comparire di fronte ad
un pilota: un uomo fermo in mezzo alla pista.
“Ma che cazzo!?” imprecò lo sportivo che, con un’ottima
padronanza del mezzo, sterzò di lato e fini oltre i cordoli del
tracciato.
A motore spento, il kartista cercava di riprendere fiato, sebbene
avesse la testa ancora dentro al casco e nella mente gli occhi di
quella persona. Due sfere rotonde in cui poter rabbrividire
osservando una pura follia.
Toltosi con le mani tremanti la protezione al capo, il giovane pilota
giapponese osservava, come smarrito, l’ambiente attorno a lui.
“Dov’è finito quel pazzo?”.
“Hai ragione ragazzo, era proprio il pazzo”.
Voltatosi di scatto verso quella voce femminile, vicino a lui scoprì
una donna affascinante, con un telo rosso che, dai capelli scuri, le
ricadeva lieve oltre le spalle nude, mentre il resto del corpo
sinuoso era velato da una tunica del medesimo colore.
“C-Cosa? E tu chi sei?”.
“Io sono la Sacerdotessa, ma alcuni mi chiamano pure la Papessa.
Con chi ho il piacere di parlare, di grazia?”
M-Mi chiamo Masaomi Akamine” l’altro proseguiva con l’osservarla
sotto i suoi capelli schiacciati da dopo gara “Che cosa intendevi
prima?”
“Mi dispiace essere portatrice di pessime notizie ma vedi, Masaomi,
il destino ti ha messo davanti ad un grave compito…”.
“Quale grave compito?”.
“A te viene affidata la custodia di oggetti magici così semplici
ma, allo stesso tempo, così potenti. Voi umani li chiamate
tarocchi!”.
“Tarocchi?! Ma che significa?”.
“All’apparenza semplici carte, come anche la mia e questo tarocco
del Serafino” dicendo ciò, ne fece comparire magicamente una di
esse nella sua mano sinistra “ma in grado di dar vita ad esseri
straordinari”.
Con un lieve bagliore, dalla superficie in carta del tarocco emerse
un piccolo angelo, caratterizzato però da ben tre paia di ali.
“Scusami, è tutta colpa mia” sopraggiunse trafelato il telepate.
Masaomi balzò via sorpreso da quel nuovo personaggio “E tu chi
sei?”.
“Proprio te aspettavo, Igor” gli sorrise la donna “Ora devo
raggiungere il tuo collega Jack per spiegargli cosa è accaduto ai
suoi artefatti mistici…”.
Appena pronunciata tale intenzione, la Sacerdotessa scomparve
dall’esistenza. Stessa sorte capitò anche al Serafino.
Quella strana coppia non ebbe modo nemmeno di conoscersi che, sempre
di fronte all’ora, comparve un altro strano tizio.
Quest’ultimo indossava un abito dai grandi sbuffi e un capello a
tesa larga, entrambi cuciti con rettangoli di svariati colori.
“Eccomi a voi, messeri! Io sono il Bagatto, anche detto il Mago!”.
Il giapponese si mise in posa di combattimento “E io vengo
dall’Istituto Shiroiwa e da grande sarò un ninja!”.
“Quindi è stata tutta colpa di quel nano sovietico!?” sbraitò
Jack Lincon mentre planava nell’aria.
“Tu proprio non vuoi comprendere, Jack!” iniziava a spazientirsi
la mistica, anche lei perfetta a suo agio a galleggiare senza gravità
“Questo incantesimo si sarebbe attivato con un qualsiasi Soggetto,
dall’uno al nove!”.
“Comunque il mio interesse ora è riversato verso ben altro, e
altrettanto misterioso!”.
“Cosa sarebbe, di grazia?” chiese sorpresa lei.
“Guarda giù e capirai” replicò lui.
Nella più classica delle risaie nipponiche, qualsiasi di assurdo era
ben visibilmente a tutti, ma soltanto in pieno volo.
Due cerchi perfettamente concentrici e, all’interno di quello più
piccolo, la classica rappresentazione grafica di una stella a cinque
punte.
Questo singolare cerchio nel grano aveva però attirato l’attenzione
non solo delle due persone scarlatte e volanti. Un ragazzo, le cui
vesti erano l’uniforme ufficiale dell’Istituto Shiroiwa,
“Che mi venga un colpo…” esclamò, mentre si grattava la chioma
scura, già solcata da strisce rasate che ricordavano le cuciture di
una palla da baseball.
Al fianco del giovane, si fece avanti una nuova donna. Ella aveva i
capelli castani con boccoli che ricadevano su un’altra tunica,
questa in puro stile antico romano, i cuoi colori erano esattamente
suddivisi tra il bianco e il marrone.
“Tu, plebeo, dove mi trovo? Rispondi!” gridò additando il
giapponese.
“E tu chi cazzo sei?! E come ti permetti di darmi del plebeo? Io
sono “Wild Seven” Baki Shiba, asso del club di baseball
dell’Istituto Shiroiwa!”.
“Pensi seriamente che per me abbia importanza tutte queste inutili
informazioni!” controbatté lei “Tu sei al cospetto
dell’Imperatrice!”
“Imperatrice?” la squadrò beffardo Baki “L’unico imperatore
che conosco è il nostro leggendario Eikichi Ozu!”.
“Ecciù!”.
“Salute, Eikichi.” replicò Frédérique Arone cortese “Non è
che, con tutti questi concerti, ti starai mica ammalando?”.
“Figurati!” sdrammatizzò il giovane “Noi imperatori non
possiamo ammalarci!”.
“Cosa ne può sapere un misero plebeo come te di cosa vuol dire
essere un imperatore!”.
La coppia, che fino ad allora era diligentemente seduta dentro un bar
di Tokyo, si voltò sorpresa da cotanta superbia.
D’innanzi a loro vi era un uomo alto, con i capelli e la barba
nera, un cerchio di allora attorno al capo e abiti identici, seppur
chiaramente declinati al maschile, dell’esponenti dei tarocchi di
poco prima.
Il giovane cantante si grattava perplesso il ciuffo alla Pompadour
“Certo che ce n’è di gente strana al mondo… oltre a voi
Humana…”.
“E non sai la cosa più assurda…” intervenne Soggetto N. 3,
mentre scansionava il nemico con la sua personale vista a raggi X
“Quest’uomo sembra composto totalmente di semplice carta!”.
Per tutta risposta, l’idol si mise in posa da karateka a
canticchiare una sua canzone: “Chihuhua the mini dog”.
La cosa più assurda non era la coppia umana presente in quel
momento, ossia un altro adolescente giapponese e un bambino italiano.
La cosa più assurda era l'inquietante omino grigio, alto poco più
di un metro, che avevano di fronte. Quest’ultimo li osservava in
silenzio con i suoi enormi occhi scuri.
“N-Non so cosa sia peggio in questo momento” balbettò a bassa
voce il nuovo studente dell’Istituto Shiroiwa “La città
infestata dalla criminalità, l'epoca di demoni e confusione in cui
viviamo, oppure questo alieno che ci è capitato davanti!”.
Il bimbo, decisamente meno preoccupato dell’altro, si voltò e
guardò in alto verso di lui “Forse lui vuole solo comunicare con
noi, Sunao”.
“E-E come vorresti comunicare con lui, Carlo?”.
L’italiano gli rispose andando a battere, tramite delle bacchette
con una piccola sfera ad una delle estremità, sui rettangoli
colorati di un Glockenspiel.
Il regista nipponico alzò appena la visiera del capellino da
baseball che portava sul capo, subito sopra un paio di occhiali “Ma
certo, tu sei del Gruppo Diapason quindi…”.
La dolce melodia venne inaspettatamente interrotta dalla comparsa di
una quarta persona. Quest’uomo, sebbene dal volto sconosciuto,
indossava degli abiti che ben difficilmente si sarebbero visti
addosso ad altre persone.
“Tu, figliolo!” il nuovo giunto indicò in maniera plateale colui
che aveva interrotto “Hai parlato di demoni poc’anzi? Ebbene, io
sono il tarocco che vi salverà dal peccato: io sono il Papa!”.
Gli altri tre rimasero sbigottiti da una tale presentazione.
“Io l’ho visto in tv il papa, ma tu non gli somigli affatto!”
replicò infine Carlo Giuffrida.
“Come osi tu, miscredente!” s’infuriò l’esponente dei
tarocchi.
“Più che altro, non è certo di un religioso che abbiamo bisogno
in questo momento!” Sunao Soma s’interpose tra i due “Ma
piuttosto di almeno di cinque xenolinguisti!”.
“Io sono qui perché un nuovo cataclisma magico sta per compiersi”.
Le prime parole dell’extraterrestre stupirono i presenti.
“Come ti chiami?” gli domandò il più giovane del quartetto.
“Alien Boy, faccio parte dei Global Defenders e devo trovare l'arma
definitiva”.
Fu allora che la mente dell’artista di Tokyo iniziò a fantasticare
su una macchina alquanto particolare: avvolta totalmente dalle
fiamme, di un rosso per l’appunto fiammante e, magari, guidata da
77 del Face Team. Il suo nome sarebbe stato Firecar.
“State fermi lì e alzate le mani al cielo!”.
Il Soggetto N. 4 aveva già pronta la sua mano destra mutata,
puntandola verso la strana coppia che era comparsa magicamente
davanti a lui.
Un uomo e una donna, le cui vesti riportavano direttamente ad
un’epoca vicina al tardo medioevo.
Il maschio con una giacca dalle strisce verticali rosso e verdi, una
cintura bianca alla vita, e una calzamaglia verdognola che gli
copriva le gambe fino a due stivali in pelle.
La femmina indossava un lungo abito scarlatto, con rifiniture in oro,
che terminava in un’ampia gonna e un soprabito di color azzurro
mare.
“No, fermati!” gridò quest’ultima, spaventata.
“Non siamo qui per farti del male!” aggiunse il suo compagno.
Il mutaforma li fissò con sospetto ancora per qualche secondo.
Finché non scostò di poco il suo braccio armato e sparò un colpo.
La parte di muro colpita si disintegrò all’istante, lasciando al
suo posto un cratere buio.
“Vi conviene iniziare a parlare o la mia pistola distruttrice farà
il resto…”.
“Noi siamo delle carte…” esordì lui.
“Cosa?”.
“Sì è così!” insistette lei.
“Che intendi con “carte”?”
l’uomo deglutì e riprovò “Noi rappresentiamo il tarocco degli
Amanti”.
“Proveniamo da un mazzo che appartiene ad un tuo conoscente di nome
Jack Lincon” concluse la donna.
La mano destra di Andrea Alberti restrinse le proprie dimensioni e
prese le sembianze di una banalissima pistola ad acqua. Il
proprietario se la portò con tranquillità alla bocca e fece muovere
il grilletto. Dalla sua canna partì un getto forte di coca cola
dritto nel palato.
Appena deglutito il liquido, l’italiano pareva più seccato che
altro “Se c’è di mezzo quello scemo di Jack, allora le cose
saranno ben più complicate per gli Humana…”.
“Ora calmati e dimmi con precisione cosa ti è successo”.
Il membro indiano degli originali Global Defenders, Psychic Girl,
stava tentando di tranquillizzare il più possibile la sua
connazionale shockata.
“I-I-I-Io… I-I-I-Io… ” tentò appena l’altra.
“Come ti chiami?”.
“I-Il mio n-nome è… Dola Debnath”.
“Bene, Dola” la telepate proseguiva con accarezzarle un braccio,
in modo materno “ora rilassati e spiegami cosa ti è successo per
farti stare così male”.
“Degli esseri malvagi mi hanno rapita e portato sulla loro nave
volante…”.
“Hai detto una nave volante?”.
“S-Sì… come quella!”.
La giovane guardava dritto in cielo. Un cielo notturno rischiarato da
una luminescenza incredibile che fluttuava a mezz’aria. Una volta
abituatisi a tale luminosità, si poteva ben identificare la forma di
una biga romana, con alla sua guida qualcuno di comunque indefinito.
Fu così che le due donne hindi fecero la conoscenza del tarocco del
Carro. Mentre, in seguito, la vittima di un caso di abduction
extraterrestre, diventerà egli stessa un’eroina dal nome Alien
Girl.
Nel silenzio della sua adorata valle, il Soggetto N. 5 attendeva.
Solo il suo legame mistico sapeva cosa il guerriero stava attendendo.
Dall’orizzonte infinito della radura, una figura muscolosa si
faceva via via sempre più nitida. Sulle sue possenti spalle faceva
bella mostra di sé una pelle di leone. Con sguardo altrettanto
feroce, ma ben più vivo, il colosso si fermò di fronte all’altro
colosso.
“Sono il tarocco della Forza” esordì il nuovo arrivato.
“Sono Geran Giunan” replicò l’indiano.
“Spero tu sappia il motivo per cui ci siamo incontrati…”.
“Sì, lo conosco perfettamente”.
Con un rombo di tuono, i due sfidanti si bloccarono entrambe le mani,
palmo contro palmo, in una presa così potente da essere degna dei
titani.
Per quasi un’ora i due lottatori rimasero bloccati in questa
situazione di stallo. Finché, all’unisono, mollarono la morsa.
“Mi sorprende trovare un uomo la cui forza è pari alla mia!” si
stupì l’essere di carta.
“In questo mondo, troverai tanta gente altrettanto forte e
valorosa” lo informò fiero il mutante in rosso e giallo.
Questa volta l’ambientazione era proprio il famigerato Istituto
Shiroiwa. Nel giardino esterno della scuola, due studenti erano alle
prese con un altro essere magico.
Makoto Ooba, anch’egli membro del club di baseball, capelli neri a
caschetto e occhi scuri.
Nene Onizuka, appassionata di chimica, capelli molto corti castani e
occhi del medesimo colore.
“Come te lo spieghi questo
personaggio?” domandò lui.
“Io? Non me lo spiego!” rispose lei.
Di fronte ai due giovani, vi era un anziano, dalla chierica sul capo
e la folta barba bianca che ricadeva su un vestito alquanto logoro,
fabbricato con cotone di color marrone scuro e legato, all’altezza
della vita, da una corda consunta utilizzata come cintura.
“Figlioli, non fatevi abbindolare dai bene materiali!” gridava
come un ossesso, mentre si esibiva in incredibili salti mortali sul
posto.
“Ma si può sapere chi sei?” gli chiese lo studente.
Lui placò le sue acrobazie e, da una qualche tasca nascosta nella
tunica, tirò fuori un barattolo in plastica. Ne svitò il tappo e si
mise a trangugiare una manciata di piccole multicolori, che faceva
scivolare giù dal contenitore.
“E quelle pasticche cosa sono?!” si allarmò la studentessa.
Biascicando rumorosamente, il vecchio replicò “Io sono l’Eremita
acrobatico e morale che dipende dai farmaci!”.
I due ragazzi ripresero a fissarsi a vicenda, totalmente spiazzati da
quello strambo figuro.
“Dici che è bene intervenire?” propose lui.
“Assolutamente sì!” decise lei.
Pronto alla battaglia, i lineamenti di Makoto iniziarono a cambiare.
Due canini appuntiti spuntarono da sotto il labbro superiore e i suoi
occhi si colorarono di rosso sangue.
“Così potrò dimostrare a Vampire Boy che i suoi allenamenti mi
sono stati utili” proclamò lui nel suo nuovo stato vampiresco.
Per nulla spaventata dalla trasformazione del compagno di scuola,
Nene chiuse gli occhi e spalancò le braccia. Nel giro di pochi
secondi, tutto il suo corpo perse di consistenza, acquisendo un
aspetto quasi trasparente.
“Se dobbiamo essere degli pseudomorti, tanto vale farlo per bene!”
sorrise beffarda lei.
Questa volta a rimanere sbigottito fu l’anziano folle.
“Figlioli, voi avete decisamente più problemi di me…”.
Un gran vociare di clienti caratterizzava quel tipico ristorante
cinese al centro di Pechino. D’improvviso, il telefono posto sul
bancone d’ingresso iniziò a trillare.
La giovane cameriera Nikki Peng si affrettò, con passi brevi ma
rapidi, ad alzare la cornetta dell’apparecchio telefonico.
“Ristorante dell’Onorevole Chang, buongiorno!”.
“Buongiorno signorina, le interesserebbe partecipare ad un quiz
spettacolare?”.
“Come scusi? Ma guardi che questo è un ristorante…”.
Chang Yu, uscito trafelato dalla cucina, notò subito la sua
dipendente palesemente in difficoltà con quella chiamata.
“Chi è al telefono, Nikki?”.
“Non so, Onorevole Chang. Dice che è per un gioco a premi….”.
mentre la moretta si discostava appena dal ricevitore, venne d’un
tratto sbalzata via da una forza invisibile proveniente proprio da
esso.
Al centro della hall, accompagnata da uno sfavillio di luci
lampeggianti, s’ingrandì un’enorme struttura circolare.
“Sì signori! Voi siete niente meno che i nuovi concorrenti de la
Ruota della Fortuna!” annunciò entusiasta una voce incorporea.
Tutti i presenti rimasero ammutoliti.
“Su signore, giri pure la ruota! Non abbia paura!”.
il cinese obbedì all’esortazione e diede una spinta poderosa.
“Ah, peccato! Perde tutto!” la voce lesse quanto indicato dalla
freccia, una volta che il cerchio smise di ruotare.
Soggetto N. 6, che ben mascherava la sua insoddisfazione, trovò ben
più sportivo esalare una delle sue fiammate potenti contro
quell’ammasso di carta stregata.
“Io, come tarocco della Giustizia, ribadisco che tutto ciò è
altamente illecito!” ribadì l’uomo sulla sessantina, con indosso
una lunga tunica viola e, afferrata con la mano destra, una bilancia
tenuta perfettamente in equilibrio.
Nel centro della sala, sdraiati su letti metallici, vi erano tre
esseri umani esanimi.
Mitsuru Akita, membro del club di pugilato dell’Istituto Shiroiwa,
sempre in eterna lotta con il suo collega Yutaka Doi, vero talento
naturale della nobile arte.
Tetsuya Yanagisawa centravanti della squadra di calcio dell’Istituto
Matsuda, anch’esso in Giappone.
Daniele Parisi, mutaforma di Modena facente parte dell’Animorph
Squad con il nome di battaglia di Canarino, ossia l’animale in cui
era in grado di tramutarsi.
“… In conclusione” riprese l’arringa questo giustiziere
“abbiamo scelto di rimuovere le sonde dai visi di questi poveri
sfortunati con l’ausilio del tarocco del Coltello”.
Estratta la suddetta carta , da essa si sprigionò una luce e,
insieme a ciò, fece la sua comparsa un ragazzo vestito in completo
rosso, con una R ed una S bianche cucite all’altezza del cuore, con
occhi ambrati, canini sporgenti e armato con due pugnali minacciosi
anche solo a guardarli.
Come rianimati dalla propria coscienza, il trio in questione balzò
in piedi all’unisono.
Tetsuya, senza proferir parola, si mise a ballare una break dance
eseguita ottimamente.
Canarino, Per tutta risposta, mutò il suo aspetto e si mise a
svolazzare in circolo vicino al soffitto della stanza.
L’unico che decise di intervenire fu il pugile.
“Ehi! Io conosco quel figlio di puttana! È quel finocchio della
mia scuola che gli piace travestirsi! Col cazzo che mi faccio operare
da quel bastardo!”
mentre Mitsuru si posizionava nello stile di difesa tipico di un
in-boxer come lui, con i guantoni ben vicini al proprio mento, tutto
attorno a lui comparvero delle fiamme di provenienza infernale.
Nonostante nel mondo tutto questo attacco magico stesse sconvolgendo
le vite di varie persone, Bernardo Borghi camminava bello tranquillo
nella sua campagna messicana, pensando magari al prossimo incontro
del suo luchador preferito, El Dios.
“Aiuto!”.
Sorpreso da quell’improvvisa richiesta di soccorso, il baffuto
iniziò a guardarsi freneticamente attorno, non notando però alcuna
forma di vita parlante.
“Sono quassù!”.
Seguendo l’indicazione della voce, Berny alzò il capo verso un
albero dalla forma alquanto curiosa: una croce.
Ai suoi rami era legato alla caviglia un uomo. Quest’ultimo aveva i
capelli biondi, una maglia leggera azzurra, i pantaloni rossi e le
scarpe senza lacci gialle.
“Aiutami a scendere! Ti prego!”.
“Tu chi sei? Come hai fatto a finire lassù?” domandò
incuriosito il mutante.
“Io sono il tarocco dell’Appeso, quindi puoi immaginare come ci
sono finito in questa situazione…” lo informò il tizio a testa
in giù.
“A dir la verità no. Ma fammi comunque provare a darti una mano…”.
Il Soggetto N. 7 sapeva che il suo superpotere poteva tornare utile
in tale situazione.
Nell’ordine, il nostro eroe si tramutò rispettivamente in: torcia
olimpica attaccandosi direttamente al tronco dell’albero ambiguo,
una sardina pressoché inutile, una barbabietola della medesima
utilità rispetto alla precedente, una capanna in legno che l’altro
tentò inutilmente di raggiungere ed infine una scala a pioli.
In un nuovo cambio di scenario, troviamo un attore già presentato in
questo spettacolo così surreale di eventi.
Alien Boy, lasciando la strana coppia formata da Sunao Soma e Carlo
Giuffrida al proprio destino, era passato dal tarocco del Papa a uno
ben più inquietante: il tarocco della Morte.
La presentazione avvenne direttamente tramite un dialogo telepatico
gestito dall’alieno “Non pensavo che la morte possa avere questo
aspetto così particolare”.
Questa persuasiva dea della morte assumeva la forma di una megera.
Era molto alta e aveva una corporatura grassoccia. Lei era calva. I
suoi grandi occhi erano grigio ferro. La sua pelle era ricoperta da
una sostanza tossica. Addosso indossava un'uniforme artistica, che
incorporava disegni ottagonali, e un cappello. Portava con sé un
almanacco sinistro. Poteva uccidere chiunque con un semplice tocco.
“Ma sappia, mia cara signora, che anch’io posso mutare le mie
sembianze e poter così passare inosservato tra la folla dei
terrestri.
L’extraterrestre, come preannunciato, si tramutò in Ayaka
Utsumiya.
Quest’ultima era una giovane studentessa dell’Istituto Shiroiwa.
Nonostante fin da piccola la sua più grande passione era sempre
stata il cucito, una volta entrata nella scuola superiore l’unico
club a cui era riuscita ad iscriversi, per tutta una serie di
inconvenienze fortuite, fu niente meno che il club di rugby, nelle
vesti di manager.
I lunghi capelli colorati con un biondo ossigenato, quasi bianco,
facevano da cornice ad larga faccia con al centro due occhi scuri e
penetranti. Come per magia, nella sua mano destro comparve una palla
ovale tipica proprio del suo sport.
“Ora vedrai cosa mi hanno insegnato i ragazzi del mio club!”.
Con uno scatto fulmineo, la ragazza stava caricando a tutta forza,
puntando dritta verso il suo obiettivo e tenendo ben salda la presa
sul pallone.
L’avversaria proseguiva con il fissarla incuriosita. Quando ormai
mancavano pochi metri ad impatto sicuro, Ella assunse una nuova
forma: quella di una gigantesca cavalletta dal colore marrone scuro.
Con un portentoso balzo da fermo, l’animale evitò infine la
spallata violenta.
Il suo almanacco, che altri non era che un Death Note da Shinigami,
fu in seguito ritrovata da una sua compagna di scuola, Sanae
Mochizuki, fidanzata storica di Ryusuke Yabuki, altro studente della
medesima scuola.
Una distesa infinita di acqua blu scura tutta attorno. Il silenzio
tranquillizzante che solo madre natura riesce a donare a chi sa
ascoltare.
A Juna non occorreva altro per essere in pace con il mondo. Da quando
poi era stato trasformato in un mutante, poteva passare giornate
intere avvolto in quella soavità.
Uno sciabordio improvviso lo ridestò dalla sua meditazione e lo
costrinse ad aprire gli occhi.
Fu allora che l’uomo in rosso e giallo si accorse i trovarsi
d’innanzi ad una figura femminile dalle dimensioni gargantuesche.
“Che cosa sta succedendo?!” urlò spiazzato il Soggetto N. 8.
“Perdonami se ti ho svegliato dal tuo sonno rifocillante” si
scusò la gigantessa, mentre travasava litri e litri di acqua marina
da un vaso titanico ad un altro “Ma io sono il tarocco della
Temperanza e questo devo fare”.
Uno scatto nella notte.
Una figura ricoperta da un’armatura futuristica stava evitando una
raffica di palle di fuoco sparategli da ogni angolazione.
Una volta terminata questa sparatoria assurda, l’uomo si guardò
attorno, mostrando un viso composto da squame verdastre, oltre ad un
muso allungato.
“Tutto qui quello che sai fare, eh?” urlò il rettile
antropomorfo.
Nessuno rispose.
“Ora capirai il motivo per cui sono conosciuto come Alien Hunter!”.
Una fiammata improvvisa, alta più di due metri, rischiò di bruciare
l’alieno infuriato.
“Finalmente ti sei deciso a mostrarti, bastardo!”.
Spento quell’incendio così limitato, un altro essere inquartante
si era presentato in quello spazio aperto. Il corpo era umano, ma il
colore della pelle rossa, due corna poderose sulla fronte, ali da
pipistrello che spuntavano dalla schiena e due zampe caprine al posto
delle più tradizionali gambe, decisamente meno.
“Tu che vieni dalle stelle non puoi comprendere la potenza
racchiusa nel tarocco del Diavolo!”.
“E sai una cosa? Anche noi rettiliani sappiamo cambiare forma! E
anch’io faccio parte dei Global Defenders! Ora poi che siamo in
24.000!”.
L’extraterrestre, come preannunciato, si tramutò in Fumika Sendo.
Quest’ultima, studentessa dell’Istituto Shiroiwa, era a capo del
club riguardante l’antica arte della cerimonia del tè. I suoi
lunghi capelli scuri erano fermati alla nuca da un pettine prezioso
e, ad avvolgerne il corpo, aveva un elegante kimono, caratterizzato
dalla rappresentazione di fiori di loto rossi su un tessuto fine e
bianco. Infine, nella mano destra teneva stretto un esemplare di
hishaku, il prezioso mestolo di bambù utilizzato per prendere
l’acqua.
Atterrando silenzioso dalle tenebre, un nuovo demone era comparso
sulla scena. In comune con il precedente aveva quasi tutte le
principiali caratteristiche suddette, compreso una ispida barba nera
a fargli da pizzetto.
“Non ti conviene avere a che fare con questa gente. Io mi chiamo
Zaras e, insieme alla mia controparte femminile, facciamo anche noi
parte di questo gruppo”.
La ragazza si voltò con grazia verso Zaras.
“Purtroppo so che ne fa parte anche quella schifosa di Fuyumi
Sumiyoshi”.
La velocità che stava raggiungendo si avvicinava molto a quella
della luce. Ma era l’unico modo per raggiungere il prima possibile
quella nuova anomalia.
Il velocista si fermò di colpo. Una torre scura, la cui altezza
pareva non concludersi mai, gli ostacolava il cammino.
“Immagino sia questo il nuovo problema da affrontare, a quanto mi
ha detto Igor… ” esclamò tra sé e sé il Soggetto N. 9.
“Ben arrivato” lo accolse un nuovo studente dell’Istituto
Shiroiwa “Io sono Susumu Kimura e sì, quella che hai davanti è il
mastodontico tarocco della Torre”.
“Da quant’è che si trova qui?” domandò il mutante.
“Non saprei” affermò sconsolato lo scrittore esordiente “sono
arrivato qui poco fa anch’io, dato che un mio compagno di scuola,
Ryo Soda, mi ha raccontato che qualcosa di simile è capitata anche a
lui”.
“E lui come l’ha affrontata?”.
“Ci è banalmente entrato dentro” indicandogli una posizione
nelle loro vicinanze “però noi penso che possiamo usare quella”.
Un’armatura lucente, dal color rosso cremesi, listata in bianco e
blu, era adagiata sul terreno adiacente l’edificio.
“La riconosco” rivelò Johnny Wayne, dandole appena un’occhiata
“Si tratta di una delle armature dei Cavalieri di Siena”.
“Interessante…” si grattava il capo il cugino di Sunao Soma
“Come mai si trova qui?”.
“È l’armatura del Cavaliere della Torre. Sono le armature che
decidono dove comparire e a chi affidarsi, di anno in anno”.
“Ancora più interessante… e ora noi cosa facciamo”.
“Non so te, ma io farò l’unica cosa che sono in grado di fare…”.
Senza neanche concludere la frase, il pilota di Formula 1 si ritrovò,
con i suoi stivali gialli folgoranti, ad scalare in verticale la
struttura.
Una volta solo, la quiete fu subito spezzata dall’animarsi magico
della corazza. Danzando con eleganza come le foglie in autunno, tutti
i pezzi si andarono a ricomporre nella persona del membro del club
scolastico di letteratura.
L'interno di quella prigione aveva un colore amaranto che dominava su
tutto l’aspetto asettico. Imprigionata dietro a solide sbarre di
ferro, vi era una giovane donna sdraiata di fianco sopra una branda
sospesa e attaccata alla parete.
Con una lentezza che denotava della sonnolenza residua, Lola Barnes
aprì infine le palpebre.
“Oddio… d-dove mi trovo?” si domandò, mentre spostava dal
volto una ciocca dei suoi capelli di color ramato.
Una voce riecheggiò nella sua mente “Non aver paura”.
“Chi ha parlato?” balzò in piedi lei.
Solo allora notò il suo vestiario decisamente ambiguo. Due spalliere
formata da cinque setole sovrapposte, un reggiseno con le due coppe
unite esclusivamente dal laccio orizzontale e dei calzoncini con,
suoi fianchi, due anelli ad unire il pezzo davanti con quello dietro
e, da essi, due veli che scendevano di lato alle sue gambe.
Quell’abbigliamento minimale era totalmente di color verde
smeraldo.
“Perché sono vestita in questo modo così vergognoso? Chi è stato
a farmi questo? Se è qualcuno dei miei studenti giuro che li bocciò
fino a che non vado in pensione!”
“Calmati, Lola Barnes” proseguì la voce.
Prima che la prigioniera potesse replicare, quattro corpuscoli
luminosi iniziarono a fluttuarle attorno.
“E questi che cosa sono?!” tentava di scacciarli con lo sventolio
delle mani “Si può sapere dove mi trovo?!”.
“Questi sono semplicemente il tarocco delle Stelle. Tu sei qui,
nella mia astronave, perché provieni da un limbo misterioso dove
risiedono personaggi di pubblico dominio”.
La terrestre, rimasta in silenzio, notò un barattolo simile al cibo
in scatola sul ripiano in cui riposava pochi istanti prima. Lo
afferrò decisa.
“Tutto ciò è assurdo!”.
Alla fine, con un lancio furioso, colpì una delle stelline
fluttuanti che esplose in mille scintille.
Quello scatto d’ira fu come la chiave per far scattare la serratura
del limbo stesso. Un vortice scuro si aprì su di un muro metallico
e, da esso, ne fuoriuscirono tre figure.
Un uomo dai pochi capelli canuti rimasti attorno alla nuca, bianchi
come la barba che aveva sul volto e la camicia.
“Signorina, mia chiamo Eon Tempus e sono qui per salvarla” si
presentò mentre, con un fucile di precisione, colpiva in pieno la
seconda stella.
Un uomo coperto soltanto da spalliere rosse, mantello giallo,
calzoncini azzurri con fibbia rossa e stivali rossi.
“Io sono Dr. Diamond e questo diamante, che mi è stato dato da un
monaco tibetano, mi dona la forza di cinquanta uomini!” esplicò ai
presenti, mentre sradicava il giaciglio e lo scaraventava contro la
terza stella.
L’ultima persona si presentava con il classico abbigliamento da
cowboy ma, al posto del classico capello, aveva invece un berretto da
aviatore con annessi occhialoni.
“Fate largo a Triggers! Direttamente dalle pianure del Texas per
sconfiggere i nazisti e salvare la bella Agent J-3!”.
Con un doppio sparo delle sue due pistole Smith & Wesson, fu
distrutta anche la quarta ed ultima stella.
In un’altra stanza presente all'interno di quella enorme nave
spaziale, Sara Silvestri osservava impassibile da due monitor la
sorte della coppia di prigionieri.
“Dunque ipotizzi seriamente che, prendendo in ostaggio queste due
persone, ti basti a comprendere la comparsa dei tarocchi in questo
universo?”.
“Questo è ciò che scopriremo”.
Mentre la bionda scuoteva negativamente il capo, notò una sfera
pallida e luminosa, grande quanto un pallone da basket, volarle
vicino. Tanto da poter notare dei piccoli crateri sulla superficie
biancastra.
“Fammi indovinare… questo è il tarocco della Luna”.
“Indovinato” confermò la voice over.
Una terza stanza presente in quella struttura aliena, identica a
quella in cui era prigioniera Lola, ospitava un essere umano
maschile, di nome Paul Reynolds.
L’uomo, dai capelli ed occhi scuri, aveva indosso un vestito viola,
con un disegno sul petto che ricordava un falco ad ali spiegate, con
delle bretelle gialle su cui erano affissi dei grandi bottoni
all’altezza delle clavicole.
“Quindi vuoi dirmi che anch’io provengo da questo limbo?”.
“Confermo, Paul Reynolds”.
“Beh figlio di puttana, puoi star sicuro che troverò il modo per
evadere da qui e farò sapere tutto quanto tramite un articolo sul
mio giornale!” urlò pieno di rabbia il prigioniero.
Le risposte a cotanto furore furono doppie: la prima fu che una
gigantesca palla di fuoco comparve vicino all’umano, facendolo
sbalzare via per non rimanere bruciato. La seconda fu la comparsa,
anche in questa cella, del vortice scuro.
Il reporter, sebbene ancora sdraiato prono sul pavimento freddo, si
sollevò a fatica sui gomiti “Che cos’è questa nuova follia?”.
“Si tratta del tarocco del Sole”.
Mentre tentava di resistere a quel caldo infernale, una delle due
persone uscite dal vortice lo aiutò ad alzarsi e ad allontanarsi.
“Si tenga a me, signore. Io sono Mickey Matthews e, non a caso, il
grande Deacon mi ha scelto come suo sidekick!”
Solo allora il giornalista si accorse di essere accanto ad un
semplice ragazzino biondo.
Alle loro spalle, un uomo in costume verde, con una X viola sul
petto, ed un casco rosso, con una V gialla sulla fronte, afferrò con
una facilità estrema il globo incandescente con entrambi i palmi
delle mani.
“Questa è la potenza dello Sky Chief!” proclamò, mentre
aumentava sempre di più la pressione sull’oggetto, finché non
deflagrò.
“Come promesso, li ho portati tutti qua davanti a te!” dichiarò
fiera di sé Sara “Ma se non sei tu la voce che avevo in testa, e
sono sicura non era nemmeno il mio capo, allora tu chi sei?”.
“Scusa Jack per i tuoi tarocchi…” si scusò rattristato il
Soggetto N. 1.
“Ora non ci pensare, Igor” tagliò corto il Soggetto N. 2.
“Infatti, nessuno dice che è colpa tua” lo consolò il Soggetto
N. 3, accarezzandogli la chioma.
“Piuttosto, ora prepariamoci alla lotta!” affermò il Soggetto N.
4, mentre la sua mano destra mutava in una qualche arma da fuoco.
“Un nuovo avversario forte” pronunciò il Soggetto N. 5, fissando
colui che avevano di fronte.
“E io che non ho nemmeno vinto nulla…” si lamentò il Soggetto
N. 6.
“Come al solito!” lo sbeffeggiò il Soggetto N. 7, mentre egli
stesso cambiava i propri connotati.
“Sono con voi, amici miei” si caricò il Soggetto N. 8.
“Ho percorso tutta la torre per giungere fino a qui!” disse il
Soggetto N. 9.
l’uomo, con una folta barba bianca che ricadeva sopra una tunica
color panna, siedeva sopra un altro scranno.
“Sono fiero di avervi tutti e dieci qui al mio cospetto. Ora
restate in attesa davanti al tarocco più temuto, il Giudizio!”.
Nello spazio profondo, al di fuori del veicolo spaziale, una figura
pallida, alta più di due metri nella sua corporatura filiforme,
totalmente calva e con due occhi neri come pozzi senza fondo ammirava
in contemplazione assoluta il pianeta Terra.
“Il popolo terrestre non è ancora pronto per tale rivelazione”
sussurrava appena dalla bocca minuscola presente sul suo cranio
allungato “Solo io, Alien Master dei Global Defenders B, sono a
conoscenza dell’ultimo tarocco”.
Poi
tornò il silenzio ad avvolgere il tarocco del Mondo.
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Capitolo 26 *** Fate e sirene ***
CAPITOLO 26
“Fate e sirene”
“Quindi queste foto fregarono anche niente meno che il grande
Arthur Conan Doyle?” ripeté Frédérique, mentre proseguiva con
l’analizzare le foto che aveva in mano.
Si trattava delle famigerate foto riguardanti le Fate di Cottingley.
“Esatto” confermò Sara, seduta accanto a lei in giardino “è
stata una delle più grande truffe mai conosciute, per lo meno in
ambito paranormale”.
“Ma dai!” intervenne seccato Johnny “Si vede benissimo che sono
dei ritagli di carta!”.
“Oggi puoi dire tranquillamente così. Ma pensa che, a quel tempo,
nessuno aveva i mezzi per analizzare seriamente delle foto!” gli
fece presente la bionda.
“Però sarebbe fantastico poter dialogare con certi esseri”
riprese Arone “magari evitando di andare a rischiare la vita
nell'Amityville Headquarter”.
Trento
“Figurati! Qui in Italia siamo pieni di leggende simili! Chiedi
pure a Sara se non mi credi…” parlava rumorosamente al cellulare
Andrea.
“Cosa? Proprio lei ti ha parlato di una tipologia presente qui in
Italia?” il suo sguardo si adombrò “Aspetta che sento Berny se è
interessato…”.
Pechino
“Possibile che tu sei sempre qui a scroccare cibo da me!” Chang
era una furia “La prossima volta dico a Nikki di chiuderti fuori!”
“Mica posso sempre mangiare tortilla e fagioli, ti pare?”
Bernardo gli fece l’occhiolino, mentre il suo cellulare si mise a
squillare.
“Pronto? Ciao Andrea, come va? Sì, dimmi tutto!”.
Trento
“Ma Sara ne è davvero così sicuro?” il messicano non credeva ai
suoi orecchi.
“Assolutamente sì!” confermò per l’ennesima volta l’italiano
“Mi ha pure mandato delle foto per dirmi che sono simili a queste”.
Nuovamente le foto delle Fate di Cottingley vennero mostrare sotto ai
baffi di Borghi.
“Sarà… ma queste rimangono comunque dei fake!”.
“Non m’interessa, Berny! Io ti ho fatto venire qui per vedere se,
con la tua abilità, riesci a replicare alla meglio una copia di
queste!”.
un’espressione seriosa, mai vista prima, si dipinse sul volto del
mutaforma. La sua concentrazione raggiunse picchi elevati. Non troppo
però, dato che la versione che venne fuori era eccessivamente
maggiorata e con i baffi sempre presenti.
Il militare rimase basito “No. Decisamente non ci siamo!”.
“Io esco un po’ in giardino!” annunciò urlando Frédérique
Arone, mentre era già sulla soglia del portone. Vestita con un top
bianco e una minigonna in jeans, si mise a sedere su una delle
eleganti sedie da esterno. Dopo pochi minuti, si parò i suoi occhi
speciali con un paio di occhiali da sole.
“Andrea e Berny sono in Italia… Johnny credo sia tornato a casa…”
stava riepilogando a voce alta la donna “Quanto vorrei anch’io
tornare un po’ a Parigi”.
Un rametto spezzato. Bastò questo minimo suono a far mettere in
guarda la mutante.
“Cos’è stato?” si domandò, mentre si toglieva dallo sguardo
le lenti scure.
Sentendo ancora qualche lieve fruscio, ne approfittò per dirigerci
la sua vista telescopica. Sembravano i classici fili d’erba verde
che crescevano rigogliosi in quella zona. d’un tratto, da dietro
alcuni di essi comparve una minuscola faccia griglia e grinzosa.
“Che diavolo è quella bestia?”.
Non fece in tempo a proferir altro pensiero, che la sua sedia fu
scossa violentemente e lei cadde in avanti sul terreno. Si voltò
subito verso la seduta e notò immediatamente altri due di quegli
esserini, vestiti con micro abiti in pelle scura, che sghignazzavano
tra loro.
“Che schifo! Aspetta, so cosa sono! Me ne ha parlato Sara!” pensò
il Soggetto N. 3, mentre i suoi occhi iniziarono a brillare di rosso
accesso.
“Schifosi folletti!” imprecò, mentre colpiva in pieno, con i
suoi due raggi laser ottici, la coppia di mostriciattoli.
Carbonizzati all’istante, si preparò subito a colpire anche il
terzo della banda. Purtroppo, non riuscì più a scovarlo da nessuna
parte.
Quello fu il segnale che gli Humana non potevano più aspettare. Il
loro jet partì subito in missione.
“Allora è confermato per Roma?” chiese il Soggetto N. 4, in
collegamento telefonico con Sara Silvestri.
“Sì, confermato. Anche perché non mi viene in mente fontana
migliore di quella di Trevi” confermò l’italiana.
A bordo dell’aereo con lei, vi erano anche altri membri del gruppo.
“Per quanto adori la mia cucina tradizionale, riconosco che
apprezzo molto anche quella italiana” confessò con aria
trasognante il Soggetto N. 6.
“A me piacerebbe sapere perché sono stato convocato anch’io per
questa missione…” polemizzò apertamente il Soggetto N. 8.
“Beh nelle fontane ce l’acqua e nell’acqua ci sei tu. Il
discorso torna” argomentò la risposta il Soggetto N. 9.
Roma. Fontana di Trevi. Notte fonda.
Giusto qualche turista non particolarmente vestita a dare un po’ di
colore a questa intensa nottata romana.
“Allora… fatemi concentrare…” sussurrava ad occhi chiusi il
Soggetto N. 7.
La sua fisionomia iniziò a mutare, mentre gli altri compagni del
gruppo lo osservavano.
Questa volta, la descrizione di Sara era stata particolarmente
dettagliata. Un essere alto mezzo metro, colore della pelle azzurro
chiaro, il viso caratterizzato da occhi a mandorla, mento pronunciato
e orecchie a punta.
Gli altri mutanti rimasero senza parola ad osservare da quella
particolare creatura.
“Un amico mi disse che si chiamano fate delle fontane…”.
D’un tratto l’idillio si ruppe. In pochi secondi, Bernardo tornò
alla sua forma originale.
“Scusatemi! Non mi aspettavo fosse così difficile mantenere quella
forma!”.
“Tranquillo Berny, ci hai provato” lo consolò Frédérique.
“E ti dirò: questa volta mi hai davvero impressionato!” esclamò
Johnny.
“Come vorrei farmi una bella nuotata…” seguiva i suoi pensieri
Juna.
Lo stesso fecero gli altri componenti del gruppo, ormai certi di una
serata non proficua.
“Oh! Bravo Berny! Ora ti è venuta anche meglio!” si complimentò
Chang.
“Ma che stai dicendo, ?” lo scrutò perplesso Bernardo “Io non
sto facendo proprio n…”.
Una creatura, decisamente più maestosa della copia messicana, li
stava osservando, incuriosita.
Lentamente, Sara le si mise davanti, inginocchiandosi per ritrovarsi
alla sua stessa altezza.
Le due si toccarono a vicenda i palmi delle mani, mentre si fissavano
sorridendosi. Alla fine, la fata emise una risata cristallina e,
appena ritirata la manina, si voltò e, con un balzo, si mise in
piedi sul margine della fontana.
Una volta lì, diede un ultimo sguardo dolce all’umana. Per poi
tuffarsi nello specchio d’acqua.
Tutti e nove gli Humana erano schierati, con indosso le loro uniformi
rosse e gialle. Con loro vi era anche l’ormai immancabile Sara
Silvestri.
Il relitto di una nave, grazie all’ausilio di potenti gru, veniva a
poco a poco issato al di sopra del livello del mare.
“Allora Sara” prese la parola il Soggetto N. 9 “Ridimmi un po’
perché siamo qui?”.
“Di nuovo?1” sbottò la bionda “L’associazione che si occupa
di questo recupero a chiesto la nostra collaborazione nel caso ci
fosse problemi, tutto qua!”.
“E non potevo bastare io con un’esplorazione subacquea?”
ipotizzò il Soggetto N. 8.
“No! È bene che per una volta ci sia tutta la squadra! Anche il
capo è d’accordo con me!”.
“Ma prima o poi, lo vedremo mai questo fantomatico capo?” azzardò
il Soggetto N. 7.
“Tra l’altro, è pure una cosa decisamente da maleducati…”fece
notare il Soggetto N. 2.
“Per il momento, voi occupatevi della missione!” tagliò corto
l’italiana.
“Non mi sento per niente tranquillo…” confessò il Soggetto N.
4 “mi sembra stia andando tutto troppo bene”.
L’imbarcazione si fece sempre più visiva, con la ruggine che aveva
preso possesso di buona parte del suo rivestimento in ferro.
“Vedi qualcosa, Frédérique?” chiese Sara.
la francese scansionò tutto lo scafo con la sua vista a raggi X.
“Oh mio dio sì! O meglio, qualcuna!” esclamò stupita il
Soggetto N. 3.
“C-Cosa?” urlò stupito il Soggetto N. 6.
A quella sconvolgente notizia, gli Humana decisero di entrare in
azione. Tutti e dieci, con estrema attenzione, si avventurarono
dentro quel gigante artificiale degli oceani.
“Ma era davvero obbligatorio scendere tutti quanti?” insistette
Jack, inascoltato.
“Per di qua…” proseguiva con le sue indicazioni Frédérique.
“Non era meglio se prima andavo io in perlustrazione?” propose
Johnny.
“E se poi ti perdevi? Tranquillo che sono già armato e pronto!”
lo rassicurò Andrea, il cui braccio destro era mutato in una pistola
con un raggio immobilizzante.
“Fate attenzione” redarguì tutti quanti Geran.
Molluschi e crostacei erano diventati i nuovi padroni della nave.
“Ora sento anch’io qualcosa!” Igor informò il resto del gruppo
“ma è molto flebile. Come se stesse sognando”.
“Ci siamo!” avvertì tutti Arone.
Di fronte a loro, la parte inferiore di un’enorme conchiglia.
Adagiata al suo interno, quella che a tutti gli effetti pareva una
ragazza svenuta. Ella aveva lunghi capelli biondi e indossava un
costume da bagno blu scuro.
“È una ragazza!” sentenziò Borghi.
“E quello è il tipico costume per la piscina delle scuole
giapponesi” riconobbe Yu.
“Ora che facciamo?” chiese Alberti, ancora guardingo.
“Io intanto mi assicurerei se è viva o morta” si allarmò Wayne
“magari è solo svenuta”.
“Come vuoi fare? Con un bacio? Mio bel principe” ironizzò teso
Lincon.
Mentre i nostri prendevano una decisione sul da farsi. Le palpebre
della giovane iniziarono a vibrare e, nel giro di pochi secondi, si
aprirono.
“Sì sta svegliando!” gridò Juna, con gli occhi spalancati.
Lasciando i suoi discepoli indietro, Sara Silvestri si avvicinò alla
sconosciuta. Quando fu abbastanza vicina, le parlò.
“Ben svegliata. Capisci la mia lingua? Il mio nome è Sara
Silvestri e il tuo?”.
l’altra parve lì per lì spaesata, poi il suo volto si illuminò.
“Mi chiamo Takako Esaka. Sono una studentessa dell’Istituto
Shiroiwa di Tokyo”.
“Ancora quella scuola!” il Soggetto N. 6 era sbigottito.
“Non dubito che conosciate altri miei compagni di scuola, dato che
anche loro mi hanno parlato spesso di voi, ma ora dovete aiutarmi”
tagliò corto Takako.
“Sei in pericolo?” le chiese il Soggetto N. 3.
“Purtroppo sì… ci sono delle creature che vogliono uccidermi”.
“Quali creature?” si allarmò il Soggetto N. 5.
“Io le chiamo le sirene rosse”.
“E dove sono questi mostri?” il Soggetto N. 7 stava già sudando
freddo.
“Giù” indicò lei “nelle profondità marine”.
“Scusa cara, ma come pensi che noi riusciamo ad arrivarci?” la
frenò il Soggetto N. 2.
“Non abbiamo nemmeno portato il sottomarino” constatò il
Soggetto N. 4.
“Per me non ci sono problemi…” gongolava il Soggetto N. 8.
“Voi seguite me, e vi assicuro che non vi accadrà nulla”.
Il gruppo era indeciso se fidarsi o meno di quella misteriosa
ragazza.
“Non so voi gente, ma io vado!”.
Detto ciò, il Soggetto N. 9 scattò con la sua supervelocità e si
tuffo in mare.
“Aspetta!” Esaka lo segui e si tuffò in bello stile nell’acqua
salata.
Uno dopo l’altro, tutto il resto del gruppo, compresa Sara
Silvestri, seguì i primi due in questa nuova assurda avventura.
Nel buio quasi totale degli abissi, il Soggetto N. 1 comunicò
impaurito con gli altri telepaticamente.
“Ci siete ancora tutti, compagni?”.
Intanto, il corpo della studentessa si era trasformato come faceva il
mutaforma messicano. Come l'iconografia più famosa della sirena, le
sue gambe erano state sostituite da una coda di pesce.
Ma le sorpresa non erano ancora finite. Improvvisamente, altre sirene
iniziarono a comparire dall’oscurità. In loro tutto era rosso:
pelle, occhi, capelli, scaglie. Tutto quanto.
Appena sfoderarono dei canini particolarmente appuntiti, stile
vampiro, Bernardo cambiò la sua anatomia in un merluzzo, in modo
tale da passare meglio inosservato.
“Di certo, il nome sirene rosse è appropriato!” riconobbe Johnny
che, nonostante la pressione idrica, riusciva a muoversi comunque ad
una velocità elevata e colpire ripetutamente una di esse.
Andrea, mutata la sua mano destra in un pistola in grado di
tramutarle totalmente in pesci, iniziò a fare strage di quei
bersagli sottomarini.
Jack e Juna, ruotando ognuno in senso in verso all’altro attorno ad
alcune di loro, le imprigionarono dentro un mulinello.
Geran, mentre difendeva gli altri componenti degli Humana, fu colpito
ma non per questo crollò.
“Ragazzina…” Frédérique, mentre sparava raggi laser dai suoi
occhi, richiamò l’attenzione della giapponese.
“In questa forma puoi chiamarmi Siren Takako”.
“Non me ne frega niente!” sbottò “c’è un modo per
sconfiggere queste stronze?”.
“Sì! Uno scrigno a forma di conchiglia!”.
Appena saputa questa informazione, la francese si mise a scandagliare
il fondale con la sua vista notturna. Dopo aver notato le varie forme
di vita che pullulavano in quella distesa di acqua salata, finalmente
notò quell’enorme mignatta adagiata sulla sabbia.
“Ragazzi, l’obiettivo da colpire è un’enorme conchiglia chiusa
in fondo!”.
Partirono in tre: i Soggetti N. 2, 4 e 9.
Con fiducia totale verso quanto detto dalla loro compagna, i tre
arrivarono a vista del loro bersaglio. Fu solo allora che videro
sopraggiungere, nella sua tipica camminata laterale, un granchio
gigantesco.
“E quello cos’è?” rimase stupito il britannico “Sembra
quello sconfitto da Ercole contro l’Idra!”.
“L’importante ora è togliercelo dalle palle!” esclamò lo
statunitense.
“Facciamo così: voi due virate ai miei esterni, io lo sovrasterò
e farò fuoco verso il target!” ordinò l’italiano.
Il piano scattò e, vedendo i due agli esterni allontanarsi di colpo
dal centrale, il crostaceo andò in confusione totale.
Il mutaforma bellico si alzò quel tanto che bastava per avere bene
in vista la conchiglia e, con il proprio braccio destro mutato in un
mitra, sparò. Lo strato protettivo fu presto bucherellato in più
punti, finché tali buchi crearono delle crepe tra loro, finché
tutta la struttura non si infranse in svariate schegge appuntite.
Tale evento diede vita ad un esplosione muta, la quale travolse sia
l’animale che i mutanti.
“Che cosa è successo?!” proruppe il messicano, tornato in forma
umana.
“I vostri compagni sono riusciti nell’impresa” informò seria
la sirena.
“Quindi ce l’abbiamo fatta?” chiese conferma Sara.
“Sì… anche se purtroppo so già che quelle creature torneranno a
tormentarmi. La mia colpa è troppo grande per essere cancellata con
questa unica vittoria”.
I tre in missione rientrarono incolumi con il resto del gruppo.
“Dobbiamo riemergere” sentenziò l’africano “se qualcuno non
si sentisse bene, me lo faccia sapere!”.
Nel giro di pochi minuti, tutti gli eroi coinvolti tornarono in
superficie.
“Tutto questo movimento mi ha fatto venire fame!” brontolò
affamato il cinese.
“Reggetevi a me, vi porto io a riva” disse l’indiano che
avvinghiò, uno per lato, l’italiana e il russo.
Silvestri non perse tempo per organizzare il rientro della sua
squadra “Ottimo lavoro Humana! Possiamo tornare al nostro aereo”
Nel frattempo, la nave era ormai, per lo meno per la maggior parte
dello scafo, emersa.
Sulla via del ritorno, all’interno del velivolo era calato il
silenzio.
“Anche il nostro fa i complimenti a tutta la squadra” Sara
Silvestri spezzò quel mutismo.
“Bueno…” assentì ironico il Soggetto N. 7 “Capiterà mai che
riusciremo a vederlo, prima o poi?”.
“Io almeno sono riusco a sentirlo…” confessò il Soggetto N. 1.
“C’è un grande mistero attorno a tutti noi…” annunciò
sibillino il Soggetto N. 5.
“La vita è piena di misteri…” replicò seccato il Soggetto N.
2.
“E io continuo ad avere fame!” informò tutti quanti il Soggetto
N. 6.
“Sai che novità!” lo canzonò il Soggetto N. 8.
“Fermi tutti!” urlò improvvisamente il Soggetto N. 3 “Cos’è
quella luce laggiù?”.
In effetti un bagliore, inizialmente confondibile con quello solare,
si stava espandendo sempre di più nella visuale del jet.
Il Soggetto N. 4, che era alla guida, sterzò più che poteva la
cloche “Provo ad evitarlo, ma sarà dura!”.
“Sembra
la stessa luce delle altre volte…” constatò il Soggetto N. 9,
prima che la luce avvolse tutti i presenti. Catturandoli via con sé.
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Capitolo 27 *** Versioni tristi ***
CAPITOLO 27
“Versioni tristi”
Siberia
Il piccolo Igor Wansa, come ormai tutte le mattine di quel gelido
inverno, si incamminava verso la sua scuola. Ai piedi aveva le
classiche racchette da neve, l’unico modo per poter deambulare in
quelle condizioni estreme.
Al suo fianco, vi era il suo fedele amico nonostante la differenza
d’età, Oleg Grachev, difensore centrale russo del CSKA Mosca.
“Se non altro, dicono che presto tornerà a far caldo…” buttò
lì il più grande.
“Basterebbe anche meno freddo” replicò il più piccolo.
Giunti all’istituto la coppia vide, scendere direttamente dal cielo
nuvoloso, un uomo in armatura bianca con, stampato in pieno petto, la
bandiera della nazione russa.
Una volta atterrato questo assurdo visitatore, i due raggiunsero il
capannello di persone che si era creato attorno a lui.
“Buongiorno, studenti, mi chiamo Iron Boy e faccio parte dei Global
Defenders” si presentò così “Sono qui per informarvi che la
nostra patria è scesa in guerra contro l’Ucraina”.
Lo stupore iniziò a serpeggiare tra i presenti.
“Ma è uno scherzo?” chiese stupefatto il calciatore.
“È dunque giunta la fine del mondo!” proclamò Rasputin, un
pazzo che fece parte a suo tempo degli World Heroes “Oh! Mia povera
Anya!”.
“Igor, sto captando un problema…” una voce metallica gli
riecheggiò nell’orecchio.
“Di cosa si tratta, Caterina?”.
“Sono io per prima ad esserne stupita” spiegò la donna robotica,
assistente dell’eroe corazzato “ma sembrerebbe una creatura
gigantesca…”.
“Quello è un Kaiju!” urlò terrorizzato Wansa, indicando
tremante il mostro.
Un gigantesco elefante, di colore viola, si faceva largo tra gli alti
alberi che circondavano l’edificio scolastico. Spalancata la bocca,
emise un devastante urlo sonico.
Iron Boy, il cui casco era riuscito a limitare i danni disorientanti
di quell’attacco, accese i piccoli propulsori negli stivali e
spiccò il volo.
“Ho già avvertito Red Dawn che vada a difendere la centrale
nucleare” informò nuovamente Caterina tramite auricolare.
“Perfetto! Anche perché gentaglia come l’Uomo Radioattivo
potrebbero approfittarne”.
“Mentre, per quanto riguarda UK Freeman si è di nuovo rifugiato in
Inghilterra”.
“Codardo!”.
“Devo fare altro, Igor?”.
“avvertì tutti i Rocket Red e le Dinamo Cremesi disponibili.
Dovremo essere il numero maggiore possibile per affrontare questo
mostro!” chiuse la comunicazione Iron Boy.
A terra, erano tutti fuggiti terrorizzati alla ricerca di possibili
rifugi sicuri. Tutti tranne un semplice ragazzino.
“Chiamerò quell’essere Coron” sentenziò Igor.
La tristezza in sé lasciò spazio ad un nuovo sentimento: la
certezza di poter essere utile nell’affrontare quella minaccia
orrenda. Il ragazzino si concentrò il più possibile.
La creatura percepì la sua presenza, si voltò verso l’umano,
nonostante l’interferenza del membro dei Global Defenders, e barrì
nuovamente.
“Oh no! Sta attaccando verso quel bambino!” sbottò la voce
robotica di Caterina.
“Lo vedo, Merda!” Iron Boy si lanciò giù in picchiata.
Londra
Chi invece aveva lasciato la tormentata madre Russia per la più
mondana capitale inglese era il dandy Eugenio Onegin.
“Che dire caro, benvenuto nel paese libero!” diede il benvenuto
il padrone di casa.
“Ti ringrazio, mio caro Jack. Ma in questo momento nemmeno il mio
cuore può dichiararsi libero” replicò l’ospite.
“Comprendo il tuo stato d’animo, amico mio, ma spero che il tuo
cuore riesca a trovare un minimo di pace, qui come mio gradito
ospite”.
“E io non te ne sarò mai grato abbastanza. A differenza del
pensiero di molti miei connazionali, la guerra era un'esperienza che
avrei evitato volentieri”.
“Come non essere d’accordo con te! Per noi dandy, le esperienze
piacevoli e irrinunciabili sono ben altre!”.
d’improvviso, il suono di un gong si udì nella stanza fastosa.
“Per Diana!” balzò dallo spavento il russo “Che accade ora?”.
“Placa la tua ansia, Eugy. Si tratta solo del campanello della mia
abitazione”.
“Rimarchevole!” apprezzò lui “Ma dunque aspettavi un ospite?”.
“Tranquillo, è una persona di cui mi fido” Lincon gli appoggiò
una mano rassicurante sulla spalla “Tu rimani pure qui che io vado
ad accoglierlo!”.
Detto ciò, il britannico uscì con passo svelto dal salone. l’altro
si mise a girovagare incuriosito dai vari suppellettili presenti.
Passando davanti ad un dipinto, rimase folgorato dalla bellezza di
Jo, la bella irlandese. I suoi occhi fissavano quelli finti ma, non
per questo, altrettanto vivi della donna raffigurata. A sbloccarlo da
quella catalessi artistica, ci pensò la voce squillante di Jack.
“Eccomi, Eugy. Ti presento il nostro ospite che, come particolare
aneddoto, si identifica a noi con soltanto un numero a due cifre:
40!”.
il nuovo arrivato, simile allo stesso inglese sia come fisico che
come look, aveva per l’appunto ricamato, si vari punti dei suoi
abiti pomposi ed eleganti, il numero 40.
“Perdonate l’intromissione e se ciò vi arreca disturbo, ma
passavo giusto appunto da queste parti” s’inchinò con reverenza
alla faccia nuova.
“Assolutamente nessun disturbo!” salutò cordialmente Onegin
“Piuttosto, sono decisamente incuriosito di sapere la storia dietro
quella cifra…”.
“Oh, beh…” giogioneggiava l’americano, mentre si toglieva i
guanti chiari che ornavano le sue mani “Si tratta soltanto di un
semplice accordo che mi lega alla squadra sportiva di New York, il
Face Team. Per caso ne è giunta voce anche dalle vostre parti?”.
Il russo ci rifletté per qualche secondo.
“In effetti, mi pare di aver letto qualcosa a riguardo…”.
“Non che gli ex-sovietici siano mai stati particolarmente propensi
ad informare di quanto avviene in territorio a stelle e strisce”
ricordò l’inglese.
“Confermo” esclamò il dandy dell’Europa dell’est.
“Hai qualche novità da narrarci provenienti dalle tue terre
natali?” domandò 40.
“Purtroppo niente che non veda coinvolte morte e distruzione”.
“Che scempio!” si irritò lo statunitense “Pensare che nessuno
riesca davvero a fare qualcosa per tutta questa situazione così
orrenda”.
“Qualcuno ci sta provando” lo corresse Eugenio “ma sono anche i
primi che cadono nei campi di battaglia”.
“Certe vole mi viene voglia di trasformarmi in una sorta di dandy
spaziale e, con la mia astronave, riuscire a volare via da questa
pallina azzurra che non vede l’ora di poter scoppiare, portando via
con sé tutti i i suoi inutili abitanti”.
Queste ultime parole di Lincon, fecero cadere l’intero appartamento
in un silenzio tombale.
Parigi
Il più grande raduno di ballerini era in pieno svolgimento
all’interno della romantica capitale francese.
Come padrona di casa, Frédérique Arone sentiva su di sé tutta la
pressione del caso. Dall’ansia che aveva dentro, faceva roteare la
sua caviglia destra il più al limite possibile per i suoi tendini
ben allenati.
“Nervosa?”.
La francese si voltò e vide, comparsa chissà da dove al suo fianco,
una ballerina italiana di nome Beatrice Franchi.
“Un pochino…” confessò lei “Non mi aspettavo tutta questa
grande risposta di pubblico”.
Una ragazzina asiatica comparì davanti alle due “Ciao, io mi
chiamo Chisato Fujita e vengo dall’Istituto Shiroiwa. Voi chi
siete? Da dove venite?”.
“Ecco, vedi!” indicò la nuova arrivata “sono arrivati perfino
dal Giappone!”.
“E che male c’è?” replicò la bruna italica “Pensa se, dato
che siamo a Parigi, finissimo tutte come Meg Giry del “Fantasma
dell’Opera”… ”.
“Cosa?” fu sorpresa da quelle parole la transalpina.
La stessa Beatrice parve traumatizzata da quanto appena dichiarato
“Oddio! Sto diventando come il mio Rob”.
“Io invece voglio vedere Quasimodo!” s’intromise nuovamente la
nipponica.
“Beh allora fate prima a conoscere Triple Boy del Monster Commando,
o come diavolo si chiama! Lui riesce a farli entrambi”.
“A me piuttosto basta non finire come Dominika Egorova, che
terribile infortunio!” sul volto di Bea si dipinse un’espressione
di dolore puro.
Il silenzio calò su questo trio multietnico. Finché un gruppo di
studenti piuttosto scalmanati entrò nel teatro, già di per sé
parecchio affollato.
“Quelli che scuola sono?” chiese incuriosita la giapponese.
Arone tentò di squadrarli alla meglio “Credo che siano il Glee
Club della William McKinley High School. Vedo che c’è 3 del Face
Team a dargli una mano”.
Nel mentre, il ballerino di colore con i capelli a rasta corti aveva
ben altro per la testa “Dove cazzo si è cacciata 36 invece di
darmi una mano?!”.
“Wow! Sarebbe perfetto come club da inserire nella mia scuola.
Anche se ne abbiamo già tantissimi…” sorrise Chisato.
“Sul serio?” le domandò sorpresa Franchi.
“Sì!” annuì l’interessata “Che poi, a proposito di 3, anche
noi abbiamo un ottimo ballerino: si chiama Mitsugu Adachi, lo
conoscete?”.
“Francamente è la prima volta che lo sento nominare” tagliò
corto Frédérique “Però sono felice che siano venuti anche dagli
Stati Uniti…”.
Mentre le tre proseguivano il loro colloquio, letteralmente
attraverso la parete a lato del palco in cui erano in piedi, comparve
una ragazza dai capelli castani legati in una coda di cavallo.
“Se vi interessa, anch’io sono americana! Mi chiamo Kitty
Pryde!”.
Il trio, in perfetta sincronia, sobbalzò dallo spavento.
“È uno yurei!” urlò terrorizzata Fujita.
“Ferme! Ci penso io!”.
Appena detto, il corpo di Beatrice iniziò a mutare. Triplicò la sua
massa e la pelle si riempì di squame verdastre.
“Lasciate quel mostro a me!” si precipitò sul palco una bionda
dal nome Niki Sanders.
Nel mentre Felicia, la più classica delle donne-gatto, salì
divertita a cavalcioni della creatura.
“Tutto ciò è assurdo!” sussurrò spaurita Frédérique.
Ormai in preda al panico, i suoi occhi iniziarono a brillare.
Trento
Il più grande raduno di militari era in pieno svolgimento tra le
Alpi che dividevano il suolo italiano da quello austriaco.
“Signore, è un piacere rivederla, signore!” il soldato semplice
Simone Sarti salutò con tutti gli onori il suo collega.
“Simone, piantala con queste cazzate. Lo sai che non le ho mai
sopportate” lo richiamò all’ordine, se così possiamo dire,
Andrea Alberti.
“Nessuna cazzata, signore. Solo rispetto fin dalla nostra missione
in Afghanistan”.
“Beh, piantala comunque! Mi hai preso per John Rambo”.
“No, signore. Lui non è ancora arrivato”.
“Appunto”.
“Però dagli Stati Uniti si è già presentato 12 del Face Team”.
“Allora siamo a cavallo…” concluse il discorso il padrone di
casa.
“Inoltre, vi sono voci che certificano la presenza anche di Capitan
America”.
“Ci sono pure i supersoldati allora. Magari hanno convocato pure
Bloodshot e il Soldato d’Inverno… Non mi piace”.
“Come mai, signore?”.
“Troppa gente in gamba e tutta nello stesso posto”.
“Ma tutti pronti ad agire, signore. Dalla mia caserma è pervenuto
anche Carlo Vullo”.
“Davvero?!” lo fissò stupefatto il trentino “Ma se è sempre
impegnato a bere e dare la caccia alle soldatesse?”.
“Nonostante ciò, posso garantirle che è un valido compagno,
signore”.
“Sarà, ma in ogni caso preferisco che oggi non ci sia presente
anche Sonya Blade…”.
Alle spalle dei due militari, si aprì un portale luminoso e
silenzioso. Da esso sbucarono fuori due figure armate per
l’occasione.
Appena la coppia si accorse della loro presenza, i due nuovi arrivati
erano già sotto tiro.
“Fermi! Fermi! Non sparate! Siamo dei vostri!” dichiarò uno
vestito con stivali, pantaloni mimetici e una maglietta verde
militare e, stampata su di essa, un'aquila nera stilizzata.
“Lui è War-Maker ed io sono Unknown Soldier”
presentò l’altro, vestito con una calzamaglia marrone con, sul
petto, cinque stelle gialle in cerchio e il volto coperto da una
maschera gialla.
“Sono quelli del limbo, signore” informò Simone, mentre
abbassava la pistola.
“Cazzo, ragazzi! Credevo che fosse il colonnello Jack O’Neill di
ritorno con uno Stargate” li rimproverò Andrea.
Di fianco a loro, un pezzo di roccia andò in frantumi, colpito da un
boomerang energetico giallo.
“E ora chi cazzo è?!” ritirò su l’arma Alberti.
“Perdonatemi!” alzò una mano in segno di scusa un americano dai
lunghi capelli biondi a spazzola “Sono il maggiore della United
States Air Force Guile e quello era un mio sonic boom”.
“Beh, faccia più attenzione, ” lo redarguì il suo subordinato
che notò la presenza femminile alle spalle dell’americano “La
signorina dietro è con lei?”.
“Affermativo. Lei è Cammy White”.
Si avvicinò all’orecchio del connazionale “Simone, ti conviene
comunque tenere d’occhio il tuo collega Vullo”.
“Sarà fatto, signore!”.
Fu allora che avvenne l’esplosione.
Andrea afferrò rapido la ricetrasmittente che aveva attaccata alla
cintura “Esplosione nel campo! Ripeto, esplosione nel campo!”.
Il quartetto si lanciò subito verso il vuoto, scivolando con
maestria sopra la roccia franabile.
“Cosa pensa sia stato, signore?”.
“Di sicuro, non gli alchimisti o Solid Snake, Simone!”.
Columbia Britannica
Il più grande raduno di pellerossa era in pieno svolgimento tra le
tranquille lande della nazione canadese.
Geran Giunan fissava tutti i presenti con fare fiero e, come suo
solito, nel più totale silenzio. Sempre più nativi di America
giungevano nella vallata che era stata autorizzata per il ritrovo di
questo popolo così affascinante e ricco di storia.
“Geran! Come stai?” il giovane gli si avvicinò festante.
“Tutto bene, per il volere del grande spirito. Tu, Acqua che
Scorre?” gli rispose il nerboruto.
“Sono felice di essere qui con tutta la mia tribù.
“Dunque c’è anche il tuo grande capo?”.
“Sì! Eccolo là, Serpente Pazzo”.
Gli indicò il suo compagno colorato che si stava già esibendo in
una danza sacra, seguito da molti dei presenti.
“E là nel confine, c’è Vento che Soffia che si sta allenando”.
Questa volta, gli stava additando un uomo in tenuta da atleta che
correva mantenendo un ottimo ritmo.
Ancora più esterno al perimetro, utilizzando la sua velocità
supersonica, vi era di vedetta il supereroe Speeding Arrow.
Mentre i due erano impegnati a fissare altrove, una giovane indiana,
dopo aver spettegolato un po’ con una sua collega di nome Giglio
Tigrato, si avvicinò al più piccolo.
“Eccoti qui, amore mio”.
L’altro, appena la vide, si produsse in un sorriso luminoso
“Fragola Gustosa, mia straordinaria compagna! Stavo mostrando a
Giunan tutta la nostra gente”.
“È splendido rivederti, Giunan” lo salutò la donna “Ancora
non hai trovato una moglie con cui condividere la tua gioia?”.
“Per il momento, tutta la mia vita è consacrata
all'irraggiungibile Sacajawea”. Replicò il colosso dal cuore
d’oro.
“Anch’io ho un grande rispetto per lei” annuì Acqua che Scorre
“come per il guerriero mohicano Natty Bumppo”.
dall’alto del cielo che stava giugendo all’imbrunire, piombò sul
trio una donna con il costume da gufo conosciuta con il nome di
battaglia di Owlwoman.
“Ti stavo cercando, Fragola Gustosa. Ho bisogno di parlarti di
alcune cose importanti”.
“Arrivo subito, Wenonah” la salutò mentre l’altra stava
atterrando poi, rivolgendosi ai due uomini “Perdonatemi se mi
allontano”.
Loro annuirono in segno di consenso. Dopo poco, Acqua che Scorre
tornò a fissare preoccupato il suo amico.
“Tutto bene, Geran?”.
“Non saprei, Acqua. Mi sento stranamente teso stasera”.
Come ad avvalorare tale preoccupazione, la fiamma di Serpente Pazzo
si alzò improvvisamente, stupendo anche tutti i presenti.
Distrattosi come tutto il numeroso gruppo, l’energumeno riuscì
appena in tempo a voltarsi e a bloccare due mani grosse e possenti
come le sue.
“Salute, Thunder Hawk”.
“Salute a te, Geran Giunan” rispose al saluto l’altro,
muscoloso quanto lui “Noto con piacere che continui a mantenere il
tuo fisico ben allenato”.
“Faccio quello che posso, Thunder Hawk. Le minacce potrebbero
sempre colpirti. In qualsiasi momento.”
“Il prossimo voglio essere io!” si fece avanti l’eroe
conosciuto come Warpath.
Questa volta la fiammata fu così intensa che molti dei presenti,
scapparono via impauriti.
Pechino
Nel ristorante più grande e più rinomato della capitale cinese,
ogni posto era occupato da dei clienti, come spesso accadeva in quel
locale.
Il proprietario era seduto appollaiato sopra una sgabello vicino alla
cassa. Dopo poco, gli si affiancò una giovane cameriera.
“Come sta andando il servizio, Nikki?”.
“Perfettamente, onorevole Chang” lo informò una Peng con gli
occhi che volavano da un tavolo all’altro.
“Allora continua così, Nikki. Tu da sola vali come mille uomini!”.
“Che bello! Proprio come Mulan?”.
“Come non detto… non pensare a certe frivolezze e rimani
concentrata, accidenti!” la redarguì Yu, più buffo che infuriato.
“Uffa, Onorevole Chang” sbuffò divertita lei “con lei non si
può proprio mai scherzare su nulla! Non come con Li Jian”.
“Ancora a parlare di lei?! Ricordati che adesso lei è in
Giappone!”.
“Sì, purtroppo…”.
“Ma tu non ci pensare! Guarda, al tavolo 66 hanno richiesto un Egg
Fu”.
“Ok, vado io!” partì a grandi falcate la moretta.
Mentre il suo datore di lavoro la osservava compiaciuto,
improvvisamente squillò il telefono sopra la scrivania che aveva di
fronte.
“Pronto? Sì è il ristorante. Come dice, scusi? Siete i leggendari
spiriti celesti e volete prenotare per tutti e trenta?! Guardi, per
me potete essere anche i cinque fratelli dell’Isola Liu che qui,
dentro al mio locale, non ci mettete piede!”.
Il ristoratore proseguì bofonchiando qualche offesa in mandarino
incomprensibile e infine sbattendo con violenza la cornetta del
telefono.
“Questo lavoro mi sta uccidendo…”.
Mentre l’uomo è ancora lì con la fronte appoggiata sulle sue mani
aperte, da una finestra aperta fluttuarono una coppia di ragazzi, che
andarono ad atterrare proprio davanti a lui.
Dopo qualche secondo in cui rimase totalmente basito, Chang chiese
con tranquillità “A-Avete prenotato?”.
Il ragazzo aveva tratti cinesi, mentre la ragazza aveva i capelli
biondi e i tratti occidentali.
“Ci scusi ma siamo inseguiti!” urlò lui.
“La prego, ci dia una mano!” supplicò lei.
“Che succede, onorevole Chang?” Nikki era appena tornata dal
servizio.
Con la furia di un ciclone, dall’esterno iniziarono ad entrare nel
locale un numero sempre maggiore di guardie imperiali.
“Ma cosa sta succedendo?” domandò impazzito Chang.
Fra i clienti in sala, si alzò Kung Fu Girl, membro dei Global
Defenders, e, già con la sua uniforme da battaglia, si parò davanti
agli aggressori.
“State indietro voi due!” scansò i giovani “E voi invece
fatevi sotto!”.
Come nel più classico film di genere , l’eroina si mise ad
abbattere ogni avversario tentava di avvicinarsi a pochi metri.
“Ma chi vi manda, Fu Manchu?” sbraitò incollerito Yu.
Sebbene i nemici fossero in numero ben maggiore, l’artista marziale
li stava abbattendo uno dopo l’altro con grande maestria.
Di colpo, un altro cliente in sala si alzò dal tavolo. Più furioso
che mai, egli iniziò a mutare forma. Tra lo stupore di tutti i
commensali, nel salone vi era ora un enorme minotauro con ali di gru
e, al posto della coda, un'anguilla viva.
Al culmine della rabbia, lo chef sputò in aria fiamma dalla sua
bocca spalancata.
Città del Messico
L’oscurità dominava tutto il sotto degli spalti, rischiarato
appena da strisce luminose e occupato esclusivamente dai pilastri in
ferro che reggevano l’intera struttura.
L’unica presenza umana era caratterizzata da Bernardo Borghi che,
in religioso silenzio, assisteva all’allenamento dei suoi luchador
preferiti.
“Ehi!”.
Quella voce infantile e improvvisa lo fece scattare in aria,
sbattendo anche rumorosamente la testa contro uno dei pali
orizzontali.
Di nuovo con le suole delle scarpe per terra, il baffuto si voltò,
massaggiandosi frenetico il capo “Santa Clarita! E voi chi siete?”.
“Siamo qui per guardare gli allenamenti” gli rispose un ragazzino
con il costume da luchador che pareva ispirato alla bandiera
americana.
“Tu, piuttosto, come osi parlare così alla Pulce?” lo guardava
un altro ragazzino, con il costume dallo stato di pulizia alquanto
basso.
“Anch’io sono qui per gli allenamenti!” gli rispose a tono
l’adulto.
“Lo sai che non è legale assistere a dei tryout a porte chiuse?”
fece presente l’unica femmina del trio di bambini.
“Questo allora vale anche per noi, Buena Girl” fece notare il
loro capo, Ricochet.
“Chi c’è sotto le gradinate?!” una voce dal ring li fece
nuovamente sobbalzare “Usciti subito di lì! Veloci!”.
Come i peggiori ladri colti nel fatto, i quattro si presentarono a
testa bassa agli sguardi dei vari lottatori presenti.
“Chi siete e perché eravate lì sotto?” chiese El Cielo
fissandoli serio, dall’alto del ring e con le braccia conserte.
“N-Noi siamo dei grandi di El Rey!” spiegò Ricochet, tirando
fuori un action figure relativa proprio al citato luchador
leggendario.
“E chi non lo è!” rise El Mensajero, con le ali di Hermes
laterali che gli ornavano la maschera.
“Tu, invece!” El Esqueleto indicò con il suo dito guantato che
simulava la struttura ossea umana “Cosa hai da dire a tua
discolpa?”.
“Eh… beh… io… ” Berny si grattava nervosamente i capelli
scuri, mentre elaborava una giustificazione da esibire verso i suoi
idoli.
“Dai gente, non siate così aggressivi con loro. Non lo capite che
volevano soltanto dare un’occhiata al nostro riscaldamento”.
Tutti si voltarono verso colui che aveva appena parlato. Il wrestler
più tecnico dei presenti e il più amato dai fan della lucha libre:
El Dios.
“Giustissimo!” Borghi si sdraiò stile tappeto sul pavimento
dell’arena “Voi per me siete un simbolo di rivalsa contro tutto e
tutti!”.
“Non importante arrivare a tanto, tirati su!” lo redarguì El
Tigre, proveniente direttamente dalla Tecmo World Wrestling.
“Infatti” annuì El Dios “anche perché non garantisco di certo
sull’ottimo stato di igiene di quelle mattonelle…”.
“Signori!” s’intromise gridando festante El
Piloto “Vi comunico che l’aereo è pronto per decollare da
Tijuana”.
“Dunque di loro cosa ne facciamo?” domandò La
Victoria, con la dea Nike rappresentata al centro del suo petto.
Come se fossero collegati a livello psichico, tutti i presenti
voltarono il proprio sguardo verso il luchador vestito con l’uniforme
da poliziotto.
“Per me non c’è problema! Io non ho visto
niente” sentenziò El Oficial de Policia.
Tutti proruppero in urla di gioia, tranne il povero Bernardo che
scoppiò in un pianto a dirotto.
Kinshasa
Un bambino accovacciato, di nome Bilbolbul, stava giocando con un
paio di legnetti che, usandoli a mo’ di spade, stavano dando luogo
ad un cruento duello. D’improvviso, come richiamato da una voce
invisibile, si alzò in piedi e si mise a scrutare in direzione del
lontano mare.
L’acqua cristallina dell’oceano a fargli da morbido letto. Era
così che si trovava Juna, disteso supino a braccia e gambe aperte.
Oltre ad essere totalmente nudo.
“Mi sento così vuoto e inutile” erano i
pensieri dell’uomo “Sono nullità di fronte a tutto questo mondo…
”.
A pochi metri di distanza da lui, qualcosa stava scivolando
silenzioso tra le increspature che caratterizzavano quel mare.
Incurante di tale presenza, lui aveva chiuso gli occhi, accompagnando
il tutto con un sospiro profondo.
“E dire che dovevo essere io nuda per te…”.
Le palpebre dell’africano si sbarrarono al suono di quella voce
femminile.
“Chi sei?” urlò, mentre si mise in posizione
verticale.
Di fronte si trovò una donna dai capelli corti color grigio scuro,
esattamente come il suo costume da bagno formato da un pezzo unico, e
dagli occhi totalmente neri.
“Nuzm!” sorrise Juna, sorpreso.
“Cosa ci fai qui tutto da solo, bel moretto?”
ammiccò lei.
“Sto aspettando che mi chiami Pantera Nera per
entrare a far parte dei Vendicatori, magari per affrontare l’Uomo
Scimmia di Wakanda… Oddio, se fosse invece Shuri a chiamarmi,
sarebbe anche meglio!”
“Sei sempre il solito pervertito!”.
“Ma tanto, queste sono cose che accadrebbero
soltanto se avessi dei superpoteri a mia disposizione…”.
“Eh già…” sorrise con aria furba la donna.
“E tu Nuzm, che ci fai?”
“Io aspetto direttamente l’invito di Tempesta
degli X-Men”.
“Figurati! Faremo sicuramente prima a trovare le
miniere di Re Salomone come ha fatto Allan Quatermain”.
“Preferisco qualcuno che sia amante degli
animali…”.
“Tipo?”.
“Tipo Tarzan” si esaltò Nuzm.
“Però! Te li cerchi anziani allora!” la
sbeffeggiò il platinato.
“Ma quali anziani?! Hai presente che fisico
statuario ha Tarzan?”.
“Certo, da nuotatore olimpico”.
“Appunto! Tu saresti il primo a sognarti di
avere un fisico così!”.
“Ah no, tranquilla. Ho smesso di sognare tempo
fa…”.
Detto questo, il congolese si mise a fissare serio e in silenzio
l’oscurità al di sotto della superficie liquida.
La donna, preoccupata per quel cambio d’umore così repentino, si
avvicinò all’uomo.
“Cosa vuoi dire, Juna? Che cosa hai?”.
L’interpellato rimase ancora per qualche istante nel più completo
mutismo.
“Sto così bene nell’acqua. Sono convinto che,
la pace presente nei suoi abissi, non riuscirò mai a trovarla qui
sulla terra”.
“Ne sei davvero convinto, Juna?” gli domandò
lei.
L’altro annuì convinto.
“Allora va e scoprilo…”.
l’africano, senza alcun ripensamento seguì il consiglio e si
immerse giù nell’acqua salata, finché l’oscurità non lo ebbe
inglobato.
Indianapolis
Il più grande raduno di piloti automobilistici era in pieno
svolgimento all’interno del rinomato impianto sportivo conosciuto
come l’Indianapolis Motor Speedway.
Una monoposto da Fomula Uno si era appena fermata all’interno di
uno dei box presenti nella struttura. Una volta toltosi il casco e
slacciato le varie cinture di sicurezza, Johnny Wayne ne uscì con un
agile balzello.
Appoggiato al muro e al riparo dalle innumerevoli traiettorie dei
percorsi dei meccanici, lo attendeva un suo collega giapponese.
“Niente male…” furono le sue uniche parole.
Mentre si stava spettinando i capelli biondi, l’americano lo notò
a malapena.
“Hanno fatto entrare pure te, Minetaro
Shiroyama?”.
“Ovviamente. Sennò chi altro ti poteva prendere
a calci in culo?” gli sorrise beffardo il nipponico.
“Sicuramente non un fottuto muso giallo!”
s’intromise, sbruffone come sempre, Ricky Bobby.
“Oh cazzo. Sapevo che non dovevamo invitare i
piloti della Nascar…” lo canzonò il suo connazionale.
“Già, come mai non c’è Stroke Ace? O, meglio
ancora, Jean Girard?” si chiese lo studente dell’Istituto
Shiroiwa.
“Cosa?! Quella lurida checca francese?!”
proseguì il pilota delle gare nell’ovale.
“Piantala, Bobby!” lo ammonì Johnny
“Piuttosto che gareggiare con te, preferirei sfidare Crash
Bandicoot!”.
Mentre leggeva un plico di documenti, entrò nell’ambiente Michel
Vaillant “Devo controllare se è stato convocato anche lui. E poi
Bobby si può sapere cos’hai contro i francesi?”.
Ma gli animi si placarono all’istante con la comparsa di un nuovo
pilota. quest’ultimo era vestito totalmente di nero ma, la cosa che
inquietava di più, era il suo volto completamente mascherato. Da un
paio di piccole fessure, s'intravedevano giusto gli occhi contornati
da pelle bruciata.
Il silenzio fu rotto soltanto quando questa figura fu transitata e
uscì all’esterno.
“Quello deve essere Frankenstein…”.
“Già…” gli fece eco Minetaro.
“E di certo non è quello del Monster
Commando…”.
“Di sicuro, trovo molto più piacevole la
presenza di Penelope Pitstop. Ma piuttosto anche di Vanellope Von
Schweetz!”.
“Le candidature delle minorenni non sono state
accettate” fece presente il francese.
“Infatti…” approvò lo statunitense
voltandosi spavaldamente verso l’asiatico “Quindi tu Minetaro te
ne puoi tornare tranquillamente ai go-kart!”.
“Col cavolo! Quelli li lascio a Masaomi Akamine
e Daigo Fukunishi”.
D’un tratto, un boato scosse le pareti attorno ai piloti.
“Cos’è stato?” lo sguardo impaurito di
Shiroyama passava freneticamente da una parte all’altra del
paddock.
Wayne
corse più veloce che poteva verso l’uscita, finché un’intensa
luce chiara lo travolse, facendone scomparire il profilo nel bianco
assoluto.
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Capitolo 28 *** Sparsi nel tempo ***
CAPITOLO 28
“Sparsi nel tempo”
tutta quella luce si era tramutata nel sole a picco in pieno deserto,
accompagnando il povero Igor Wansa finché, stremato e con la maggior
parte dei liquidi che aveva abbandonato il suo corpo sotto forma di
sudore, aveva raggiunto un piccolo villaggio.
Non fece nemmeno caso alle poche case, tutte costruite in legno, che
lo circondavano. Il suo istinto di sopravvivenza lo aveva guidato
direttamente verso l’edificio più grande.
Su di esso campeggiava una scritta a lettere maiuscole: SALOON.
Spostate a fatica le due tipiche ante sospese, si trovò di fronte le
figure più classiche del vecchio west: cowboy, cacciatori
di taglie e sceriffi.
“Ehi ragazzo!” esclamò uno dei presenti, seduto davanti al “Che
ti è successo?”.
“Dai, siediti qui accanto a me, ti offro una camomilla e vedrai che
poi starai subito meglio” lo invitò infine Cocco Bill.
La testa del russo iniziò a vorticare. Sarebbe di sicuro caduto
sulle assi del pavimento, se uno uomo mascherato non l’avesse preso
al volo.
“Vieni figliolo, mettiti a sedere qui che ti porto dell’acqua”
il Lone Ranger si voltò infine bofonchiando “Dov’è Tonto quando
ho bisogno di lui?”.
Dopo aver bevuto quasi un litro di quel nettare così prezioso in
quel momento, il mutante riacquist’ un po’ di forze per potersi
guardare attorno.
Vicino ad un muro, un pistolero dava prova di essere incredibilmente
ben più veloce della sua ombra ad estrarre l’arma. Il suo nome era
Lucky Luke. Il ragazzino era totalmente rapito da quella
dimostrazione di abilità.
Spostato leggermente lo sguardo, si trovò a fissare inorridito il
volto sfigurato di Jonah Hex, che a sua volta lo stava fissando.
Cacciato un urlo di terrore, il Soggetto N. 1 strillò “Ma dove
sono finito? E dove sono i miei compagni?”.
Tutti i presenti rimasero basiti.
“Ehi bimbo non urlare in questo rispettato locale!” gli si
avvicinò minaccioso un cowboy dalla bassa statura, i lunghi baffi
rossi e le folte sopracciglia del medesimo colore.
Igor lo guardava trattenendo a stento una risata.
“Cosa hai da ridere? Per Diana! Quelli della tua tua età
dovrebbero soltanto giocare con i pupazzetti e nient’altro!”
Sentenziato ciò, Yosemite Sam gli porse sgarbatamente un’action
figure dello sceriffo Woody, molto fedele all’originale.
Il giovane, con indosso l’uniforme rossa con la gigantesca H gialla
cucita sul davanti, tirò l’anello della cordicella che fuoriusciva
dalla schiena del giocattolo.
“Ho un serpente nello stivale” fu la replica della voce metallica
del balocco.
Poi, notando il suo vestiario, tentò un nuovo approccio.
“Avete per caso visto qualcun altro vestito come me?”.
Molti degli uomini scuoterono lentamente la testa.
d’improvviso, le ante si spalancarono nuovamente e un nuovo cowboy
fece la sua comparsa nel locale. Dietro di sé, tirandola con una
corda ben legata, si tirava a presso niente meno che una bara.
“Oddio, spero uno dei miei non sia finito lì dentro” pensava il
telepate, che temeva di usare il suo potere per sincerarsene.
“Dovresti chiederlo a Tex Willer e i suoi pards”.
“T-Tu chi sei?” domandò Wansa, rimanendo a bocca spalancata.
“Django”.
Dopo quel nome, anche i suoi occhi si spalancarono “Ma non eri
nero?”.
“Vieni giù Peter! Affrontami!”.
“Ma chi lo conosce mai questo Peter!” gli gridò contro isterico
l’uomo in volo tra le vele di quell’assurdo veliero “il mio
nome è Jack!”.
“Al diavolo! Solo quel bastardo di Peter Pan riesce a volare come
sai fare te!” il pirata lo minacciava da lontano
con il suo letale uncino.
“Ora calmati, Giacomo! Fallo scendere giù e
diamo modo al signore di spiegarsi!” tentò di placarlo il medico
Peter Blood.
Vedendo placarsi gli animi, il mutante decise infine di planare
delicatamente a prua dell’imbarcazione.
Nonostante quel gesto di fiducia, il Soggetto N. 2 continuava a
fissare qualsiasi membro di quello strambo equipaggio. In particolare
un tipo dai capelli verdi che, oltre a tenere due spade in mano, ne
aveva una terza afferrata saldamente tra le mandibole.
“Voi chi siete?”.
“Noi siamo i pirati di Los Rios, hai già
sentito parlare di noi?” fece orgoglioso la presentazione della sua
ciurma Joseph Hawkins, già membro dei Global Defenders.
Il britannico ignorò tale domanda “Dove sono i miei compagni?”.
“Dall’accento si direbbe decisamente inglese.
Lo capisco io che vengo dalla Malesia” sentenziò un attento
Sandokan.
“In effetti” appoggiò l’argomentazione il
suo fedele Yanez.
“Wow wow wow, signori!” s’intromise un
pirata variopinto e totalmente fuori di testa “Ascoltate il buon
vecchio Jack Sparrow. Freghiamocene del suo passato e, piuttosto,
pensiamo a cose ben più serie: Cosa avrà preparato per pranzo il
nostro caro Long John Silver?”.
Per tutta risposta, il collo di uno dei presenti si allungò a
dismisura fino a mettersi faccia a faccia con chi aveva appena
parlato.
“Io tanto preferisco il cibo di Sanji!”.
“Ma ma… cosa sta succedendo?” Lincon si mise
le mani tra i capelli, come a volersi schiacciare la scatola cranica
“come ho fatto a finire qua?”.
“Forse sei stato liberato dopo decenni da un
limbo in cui eri prigioniero, esattamente come è successo a me”
ipotizzò Captain Fight.
“Non perdiamo la testa, signori” alzò le mani
al cielo un pirata con una vistosa benda sull’occhio “Ricordatevi
che ci siamo riuniti per ritrovare il
tesoro nascosto dell’isola di Los Rios!”.
D’un tratto, un canto soave iniziò a riecheggiare su tutta la
distesa oceanica.
“Cosa sono queste voci?” chiese spiazzato il
mutante.
“Mi dispiace interrompere il mio quasi omonimo,
Willy. Ma queste sono sirene!” avvertì il resto della ciurma Will
Turner.
“Come mi ha insegnato la mia compagna di classe
Takako Esaka, dove ci sono delle sirene, ci sono anche dei mostri
marini!” esplicò lo studente
Hanamichi Furukawa, lì presente esclusivamente come pirata
informatico.
“Magari sono solo delle semplici scimmie… ”
tentò di sdrammatizzare un giovane Guybrush
Threepwood.
Mentre il dandy evitava appena in tempo una renna che galoppava
imbizzarrita sul ponte di comando, dagli abissi scuri emersero dei
giganteschi tentacoli violacei.
“Andiamo miei briganti da strapazzo!” caricò
i suoi Capitan Pirata.
Il membro degli Humana si accorse, per caso, del primo membro
femminile presente in quella masnada di bifolchi.
“Venga signorina!” la afferrò per un braccio
“le conviene scendere in coperta insieme a me!”.
Lei scosse i suoi capelli biondi mentre si liberò dalla presa
dell’uomo.
“Con chi credi di avere a che fare, imbecille!
Io sono Jolanda, la figlia del Corsaro Nero!”.
“Gentili ospiti, siamo lieti di annunciarvi la
presenza di Madame Arone di Parigi” annunciò pomposo uno degli
inservienti presenti a quel ballo.
Vestita con un abito così favoloso da far invidia a qualsiasi
principessa proveniente da una qualsiasi fiaba, la francese fece
elegantemente il suo ingresso nel salone. Al suo passaggio, tutte le
dame e i cavalieri si voltarono a salutarla e ammirarla.
“Se non altro, usando il mio potere”
rifletteva lei, che camuffava il tutto con semplici saluti di
cortesia a chiunque dei presenti “posso constatare che sono tutti
umani qua dentro”.
Il grande re Artù, in piedi al fianco della sua compagna Ginevra e
di fronte ai loro rispettivi troni, fissava fiero quella giovane
donna comparsa dal nulla qualche giorno prima.
Mentre ora, sebbene ancora spaesata, era dentro al suo castello
magico che parlava gentilmente con il suo praticamente omonimo.
“So come ti senti, Frédérique. Anch’io
provengo da un altro tempo, insieme al resto della mia squadra di
football. Spero con tutto il cuore che tu posso fare presto ritorno a
casa” le parlava sinceramente il cavaliere con l’armatura dorata
e la viverna sullo scudo.
Alla coppia si avvicinò un nuovo uomo in armatura, questa volta
totalmente nera.
“Mi rincresce di non poter contattare i miei
amici del tuo tempo, i Vendicatori” il Cavaliere Nero abbassò
rammaricato il capo “loro sicuramente avrebbero trovato una
soluzione a questa incresciosa situazione”.
Un nuovo cavaliere dorato si unì al terzetto.
“Sarà anche vero ciò che tu decanti, ma io non
ho mai uditi alcuna gesta di questi Vendicatori. Personalmente ho
conosciuto invece i ben valorosi Sette Soldati della Vittoria”
polemizzò il Cavaliere Splendente.
“Anch’io, Sir Tauino, sono stato nel futuro,
miei colleghi” si avvicinò al gruppo un tizio in armatura ben più
goffo “ma i miei si chiamavano Global Defenders”.
La sua fedele spada, chiamata Exsurgi, spesso viveva di vita proprio,
modificando addirittura la sua forma. Proprio come in quel momento,
quando dall’elsa spuntò un paio di ali di pipistrello che la
fecero fluttuare in mezzo alla stanza.
Mentre l’italiano tentava di recuperare la propria arma bianca, un
suo connazionale lo osservava apoggiato al muro, denigrandolo.
“Tu sie la vergogna di tutto ciò che puote
essere un cavalier d’armi” lo canzonò Brancaleone, scuotendo il
capo scuro e spettinato.
Un altro membro dei Cavalieri della Tavola Rotonda, anche lui nero
crinito, si aggiunse al capannello.
“Signori, date un attimo tregua alla nostra
graziosa ospite”.
“Principe Valiant, le vostre attenzioni nei miei
confronti mi lusingano immensamente” gli sorrise il Soggetto N. 3.
“È il minimo per una splendida dama come voi”.
“Non mi starete mica facendo la corte,
cavaliere?” lo provocò la ballerina.
“Non oserei mai, milady. Dovreste conoscere il
cavalier Orlando. Lui si che, quando si innamora, è vittima di una
vera e propria furia dei sensi”.
“Credo di aver sentito qualche sua gesta…”.
Il resto delle parole le morì in gola, quando vide entrare nel
salone un gigantesco cavaliere scuro. Ciò che più turbo Frédérique
fu però la totale assenza della testa da parte del nuovo venuto.
“Quell’uomo lìho già visto da qualche parte…
si fa per dire… ” rifletteva tra sé e sé la donna,
sghignazzando appena alla sua gaffe “Dovrebbe far parte del Monster
Commando. Gira e rigira, sempre con quel gruppo ci dobbiamo
confrontare… ”.
Alle spalle del Cavaliere Senza Testa, fece la sua comparsa un altro
essere altrettanto inquietante.
“Quello invece, se non ricordo male, dovrebbe
chiamarsi Sir Daniel Fortesque” si spremeva le meningi la castana,
mentre fissava anche troppo intensamente quello scheletro in
armatura.
Attorno al maestoso castello di Camelot, vi era una magica foresta,
dove nemmeno gli occhi speciali di Frédérique Arone riuscivano ad
arrivare.
Sfortunatamente per lei, dato che ciò sarebbe bastato per trovare
almeno uno dei membri del suo gruppo.
Di fatti Andrea Alberti, che si trovava proprio sotto le fronde di
quella stretta boscaglia, era alle prese con tre fazioni di cui si
sarebbe stupito, se non fosse per tutte le assurdità che si era
trovato ad affrontare con gli Humana. Alla sua sinistra, le fate, al
centro, i nani e, alla sua destra, gli elfi.
Il braccio destro del mutaforma si era già mutato in una specie di
moschetto con, attaccato alla bocca da fuoco, un semplice acciarino.
“Ora… con calma…” parlava lentamente
l’umano “chi mi vuol dire dove mi trovo e cosa sta succedendo
qui?”.
Per tutta risposta, una piccola fatina vestita di verde si avvicinò
alla fiammella dell’acciarino e, con un rapido sbattere delle sue
ali da insetto, la spense.
“Ben fatto Trilli” si complimentò l’arciere
con le orecchie appunta Legolas, puntando una sua frecce sul nuovo
arrivato “Piuttosto, dicci chi sei tu e da dove vieni”.
“E ti conviene parlare alla svelta!” aggiunse
burbero il nano Gimli.
“Io sono il Soggetto N. 4 degli Humana! Per
quanto riguarda come sono finito qui, francamente piacerebbe saperlo
anche a me”.
“Dal tuo modo di parlare, sembra che tu sia
italiano proprio come me” gli si fece vicina una fata dai capelli
turchini.
“Aspetta… ma io ti ho già vista… ”
s’illuminò il volto dell’italiano.
“Ehi!” s’intromise Ghim, un nano dai capelli
e la barba bianchi “come ha detto il mio quasi omonimo Gimli, non
ti conviene abbassare la guardia con noi!”.
“Manteniamo la calma, non occorre essere così
sospettosi verso un estraneo” riprese tutti i presenti la
sacerdotessa Tyrande Soffiabrezza.
Un’altra maga fatata, questa con il vestito di colore blu, si
affiancò alla precedente.
“Io ho già avuto a che fare con una donna del
tuo mondo, anche se ben prima della tua nascita. Si chiamava
Cenerentola”.
“Io invece mi ricordo sono stato in un paese
chiamato Tokyo dove ho conosciuto un ragazzo di nome Ryo Soda…”
si propose l’elfo Eiden.
“Mi fa un gran piacere sapere che in tanti di
voi hanno visitato il mio bel tempo, vorrei anch’io provare questa
esperienza, dato che ci sono!”.
Nel frattempo, un gruppo di nani, precisamente sette, si era messo a
canticchiare e ad allontanarsi, portandosi con loro un piccone a
testa.
“Oddio ma ci sono proprio tutte le fiabe qua…”
si spettinò la testa con la mano destra, tornata chiaramente in
forma umana.
un’altra fata, della stessa grandezza di Campanellino, si avvicinò
al volto del mutante, di modo che la sentisse perfettamente.
“Ciao, io ti conosco perché faccio parte del
Monster Commando… ”.
“Non mi dire che ci sono loro dietro a tutto
questo?!”.
“Certo che no! Ma sono sicura che stanno facendo
tutto il possibile per farti tornare nella tua epoca”.
“Allora spero che lo stiano facendo anche per i
miei compagni”.
“L’importante è non coinvolgere gli elfi
oscuri, quegli essere sono buoni solo a portare il caos” si
raccomandò l’elfo di prima.
“Al diavolo! Mi vanno bene di qualsiasi colore!
Mi va bene anche che sia un nano come Lord Emp degli Wildcats.
l’importante è che mi riporti a casa!” sbottò l’uomo del
Trentino.
Insieme a lui, anche l’ambiente tutto intorno si alterò. Un grande
boato, come se provenisse da ogni parte della vallata, riecheggiò
per minuti interi.
“Che succede?” Andrea si guardava attorno
spaurito.
“Cosa ci fai sulla mia nave?” sbraitò
Giasone, appena vide quell’energumeno in rosso e giallo apparso
letteralmente dal nulla.
“Veramente, questa nave sarebbe mia…”
dissentì a bassa voce il costruttore Argo.
Geran Giunan si guardava attorno esterrefatto da quel potente
esercito, divisa tra guerrieri e semidei, conosciuto come Argonauti.
“Finalmente un avversario degno di me!”.
A presentarsi baldanzoso di fronte al pellerossa fu niente meno che
Ercole. I due colossi si squadravano con sguardo fiero.
Nello stesso istante, i due si lanciarono l’uno contro l’altro,
bloccandosi entrambe le mani a vicenda. Per almeno una mezz’ora
rimasero così. Immobili, come una statua fatta di carne, ossa e
muscoli possenti.
“Che mi venga un colpo! È decisamente più
esaltante del mio matrimonio!” rise di gusto Piritoo.
“O di una gara di pentathlon!” aggiunse Foco.
Nonostante tutto i loro corpi nerboruti fossero madidi di sudore, i
due sfidanti non si muovevano di un millimetro.
“Qualcuno vuole del vino?” propose Stafilo, la
personificazione del grappolo d’uva.
Il figlio di Hermes, Echione, si avvicinò a Giasone per sussurrargli
all’orecchio.
“Mio signore, credo che possa bastare così. Non
mi pare che lo sconosciuto sia così bellicoso nei nostri confronti”.
Il capo di quella mitica spedizione ci pensò un po’ su.
“E sia” bisbigliò, per poi alzare la voce
“Ercole, mio fedele amico, può lasciare questo nostro ospite, ed è
così che voglio che sia trattato d’ora in avanti, da ospite”.
l’uomo più forte del mondo, ubbidendo a quanto appena detto,
lasciò sciogliersi la presa, così come fece il mutante.
“Sei una valido avversario!” si complimentò
Ercole, accompagnando il tutto con una sonora pacca sulla spalla
dell’indiano d’America, mentre suo fratello Ificlo gli si
avvicinava per sincerarsi del suo stato di salute.
Lo stesso fece Asclepio con Giunan “Benvenuto tra noi, nobile
guerriero. Senti dolore da qualche parte?”.
Per festeggiare quel nuovo membro aggiuntosi alla spedizione, Clizio
e Filottete scoccarono all’unisono due frecce verso il cielo
azzurro.
l’unico membro femminile del gruppo, Atalanta, fece i suoi
personali omaggi al nuovo ingresso nella ciurma.
“Benvenuto anche da parte mia. Ti avviso fin da
subito che, sebbene io sia una donna, non ti conviene approfittare di
me, se tieni cara la tua vita”.
L’altro non replicò, ma comprese appieno il messaggio. Notando
solo dopo della presenza di due gemelli attorno a lui, i Dioscuri.
“Tranquillo, è una cosa che dice a tutti
quanti…” esordì Castore.
“Ma ti assicuro che è una valida combattente!”
concluse Polluce.
Giasone, che indosso portava fieramente il leggendario vello d’oro,
sorrise al Soggetto N. 5 “Tranquillo mio nuovo amico, anche noi ci
siamo trovati, di recente, ad essere chiamati in un’epoca che non
era la nostra. Evocati da un giovane atleta di nome Genichiro
Fujimaki tramite un anello rappresentante questo mio sacro trofeo.
Anche lui aveva una pelle diversa dalla nostra, ma un colore diverso
anche dalla tua”.
Geran annuì con il capo, mentre l’eroe toccava uno delle corna
dell’ariete dorato.
“Stiamo procedendo nella direzione corretta, mio
valido Tifi?”.
“Sì, mio capitano. Come sempre!” rispose il
timoniere della nave Argo.
“Procedi pure che l’oceano è tutto libero per
noi!” annunciò Linceo, aiutandosi con la sua vista portentosa
Intanto i due figli del vento del nord Borea, Zete e Calai, si
alzarono in volo per soffiare un vento potente sulle vele
dell’imbarcazione.
Un cimitero gotico in piena notte fonda. Sicuramente il luogo meno
adatto dove voleva trovarsi Chang Yu in quel momento.
“Questa è decisamente una non bella situazione”
constatava a bassa voce il cinese.
Un sinistro ululato squarciò il silenzio tombale.
“No no no. Non mi sono mai piaciuti gli ambienti
tenebrosi…” proseguì lui.
“Non sono così male, una volta che ti ci sei
abituato”.
Dopo essere sobbalzato a causa di quella voce improvvisa, il Soggetto
N. 6, deglutendo rumorosamente, si decise a girarsi a scatti.
com’era capitato ad Andrea in un’altra realtà, si trovò di
fronte tre schieramenti spaventosi ed inquietanti. Alla sua sinistra,
i vampiri, al centro, i licantropi e, a destra, le streghe.
Mentre il suo corpo tozzo iniziò a tremare vistosamente, il mutante
tentò comunque l’approccio.
“V-Voi siete quelli che h-hanno quel talismano,
il Voltar?”.
“Noi vampiri non possediamo ciò che tu dici”
gli rispose la giovane Yuuki Cross.
“Nemmeno noi licantropi” lo informò colui
conosciuto con il nome di battaglia di Lincatropus.
“La stessa cosa vale anche per noi streghe”
concluse Incantatrice, membro della Justice League Dark.
“Oh beh, allora scusatemi, errore mio. Ora
magari è meglio se mi avvio…”.
Ma il mutante fu subito bloccato da altri tre esponenti.
“Non ci vuoi nemmeno dire chi sei?” lo fermò
Morbius, il cosiddetto vampiro vivente.
“O da che epoca vieni?” domandò Timber Wolf,
proveniente dal futuro.
“E con quale incantesimo sei giunto qui da noi?”
chiese la Buona Strega del Nord, esperta di incantesimi di trasporto.
“So solo che, fino a qualche attimo fa, ero con
i miei colleghi degli Humana. Poi mi sono ritrovato qui insieme a
voi”.
“Essere in un gruppo non è mai una buona cosa,
te lo assicuro” gli confidò Francis Varney “Io stesso una volta
facevo parte di uno di essi, si chiamava la Lega degli Straordinari
Gentleman…”.
“Ah no! Io non ce la faccio a risentirlo che
attacca con i suoi racconti!” si allontanò dal grosso gruppo lo
studente Scott Howard.
“Purtroppo, credo che rispedirti indietro sia un
incantesimo al di là anche delle mie possibilità” confessò la
mutante Scarlet.
“Non preoccupatevi. Sono convinto che i miei
compagni stiano già cercando una soluzione a questo problema”
l’asiatico agitava nervosamente la mano davanti a sé.
D’un tratto, lo schieramento dei vampiri si fece ancora più
silenzioso. La schiera di non morti si divise in due tronconi, per
consentire il passaggio ad uno di loro.
Tale figura si muoveva lentamente ma con solennità. Placò la sua
marcia a pochi metri da Chang che, anche solo inconsciamente, aveva
giù riconosciuto colui che aveva davanti.
“Non può essere lui…” la giovane Wolfsbane
fu così terrorizzata che si tramutò all’istante nella sua forma
di lupo.
“Contro di lui, nemmeno i miei incantesimi al
contrario possono nulla” Zatanna ammise alla mutante.
Il bassetto osservava quella figura disorientante come un’ombra con
gli occhi spalancati e traboccanti di puro terrore.
Le prime parole, dette con uno spiccato accento rumeno, di Dracula
furono.
“Tu cosa sai dei possessori del Voltar?”
“I-I-Io…”.
In lontananza, in mezzo alle imponenti lapidi ai bordi del campo
santo, fece la sua comparsa una quarta fazione di quelle creature
della notte: gli zombi.
Uno di loro, dall'apparenza giovane e la cui memoria aveva un’unica
scintilla per ricordarsi la sua iniziale, R, osservava tristemente
quel terrificante incontro.
Una gigantesca astronave, di colore bianco, procedeva lentamente
nello spazio cosmico, caratterizzato dal silenzio e dall'oscurità
tempestata di stelle lontane.
Al suo interno, una miriade di extraterrestri, ognuno proveniente da
altri pianeti e portatori di tecnologie diverse, si stava
confrontando nella maniera più pacifica possibile.
Tra di essi, Bernardo Borghi si divertiva a mutare il proprio aspetto
a seconda dell’essere che aveva davanti.
“Ma tutto ciò è fantastico! Sembra di essere
in una di quelle pellicole con protagonista El Santo, Blue Demon e
Mil Mascaras!” si esaltava sempre di più.
“Sicuro di non volerne un po’? Sono ottime!”
Eta Beta gli offrì nuovamente la confezione contente palline di
naftalina.
“Oh no, ti ringrazio” evitò di fare una
faccia schifata l’umano “sono troppo legato al mio caro cibo
messicano”.
“A me piacciono i broccoli!” s’intromise
immotivatamente la piccola principessa Dejiko.
“Un giorno di questi dovrei farti conoscere dei
miei amici che si chiamano Ok Quack e Reginella” proseguì l’alieno
con il gonnellino nero, che poi prese a ragionare con Marvin il
marziano.
“Non vedo l’ora…” affermò a malapena il
baffuto, mentre stava già guardando da un’altra parte della sala.
Un vulcaniano, passando vicino al terrestre, lo salutò con il suo
caratteristico allargare lo spazio tra il medio e l’indice della
mano.
“Lunga vita e prosperità”.
“A te, fratello!” fu la risposta, alquanto
meno nobile, da parte sua.
Gironzolando per l’enorme stanza, il Soggetto N. 7 si avvicinò ad
una delle teche presenti alle pareti. Dentro il vetro, si poteva
notare un ammasso gelatinoso di colore rossastro.
“Piuttosto schifoso, non ti pare?”.
Un uomo tutto vestito di nero, come la sua carnagione, si era
avvicinato al suo coplanetario, mentre quest’ultimo stava fissando
schifato quella creatura.
“Sul nostro pianeta, la terra, questa schifezza
viene chiamato Blob”.
“Per quanto mi riguarda, mi fanno più schifo i
rettiliani” scherzò su Berny “mi sembrano tutti dei Reptile di
“Mortal Kombat”… ”.
Di colpo, la sua attenzione fu rapito da una figura femminile dal
fisico attraente.
“Mentre quella potrebbe farmi un abduction ogni
volta che vuole!” i suoi occhi erano fissi sulle forme generose di
Starfire.
Un lieve movimento delle pupille e aveva trovato all’istante un
nuovo obiettivo: una aliena dai capelli verdi e il bikini tigrato.
“E quella ancora di più!”.
A distrarlo da cotanto spettacolo, ci pensò il sonoro brontolio di
una pancia affamata.
“Uffa! Quando mi hanno chiesto di partecipare,
io pensavo che almeno ci fosse un buffet!” si lamentava, tenendosi
la pancia sotto la sua tenuta da allenamento, Goku il sayan “O
magari qualcuno con cui allenarmi. Mi andrebbe bene anche Freezer”.
“Quindi tutta questa gente è stata invitata
qui” rifletteva mentalmente Borghi “Io però vorrei sapere dove
sono finiti tutti i miei compagni!”.
“Di voi terrestri non riuscirò mai a capire
l’attrazione verso il corpo femminile”.
Il maschio si voltò stupefatto versa quella figura femminea e bionda
di nome Andromeda.
“È una storia decisamente lunga e complessa…”.
“Allora signori! Dato che non ho voglia di
ritrovarmi un altro mortorio, vediamo finalmente di movimentare un
po’ la serata!”.
Frank-N-Furter si sapeva fa riconoscere, anche solo per il suo
particolare vestiario.
“Oh signore… ci mancava anche questo…” il
mutaforma era allibito.
Infastidito dal suo svolazzare vicino alla sua faccia, Bernardo
scacciò via con la mano, come fosse un semplice insetto, il piccolo
Blue Jay.
In questo mondo, l’oggetto della contesa era lo stesso Juna.
Nella più classica rappresentazione del duello tra inferno e
paradiso, una schiera di demoni e una di angeli si affrontavano per
avere il mutante, considerato come una sorta di messia.
“Perché nessuno dei miei amici viene a
salvarmi?” si chiedeva disperato l’africano, mentre erano nudo
davanti a tutti.
“Cosa vi fa credere di essere degni dell’anima
di questo mortale?” domandò a gran voce il demone Zaras.
“Potrei farti la stessa domanda, Zaras, non
provocarmi inutilmente!” replicò impassibile Angelo dei Global
Defenders.
I Balrog alle spalle dell’essere demoniaco si tenevano fermi a
stento.
L’angelo Zauriel si avvicinò all’orecchio del suo collega per
bisbigliarli un avvertimento “Preparati perché la battaglia sarà
cruenta”.
Angelo strinse forte l’impugnatura del suo arco. Così come fece
anche il piccolo Pit.
“Come vorrei che questo fosse un videogame…”
sperava vanamente in cuor suo.
“Goro vi distruggerà tutti e banchetterà con i
vostri corpi!” minacciò furioso il principe degli Shokan, levando
al cielo le sue quattro braccia muscolose.
Al suo fianco, Sheeva esultò a sua volta.
“Anche se sono solo in parte appartenente alla
vostra razza, donerò tutta la mia forza da kryptoniana per voi!”
rispose alle provocazioni Linda Danvers, alias Supergirl.
dall’altra parte dello schieramento, l’essere conosciuto come
Violator, nella sua forma clownesca, sbeffeggiava in maniera volgare
i suoi avversari.
Chi invece si teneva ben lontano dalla ressa, sempre tra le schiere
demoniache, era il povero Geppo, non a caso conosciuto come il
diavolo buono.
“E sei io non volessi accettare nessuna della
parti?!” tentò invano di farsi sentire il Soggetto N. 8.
Purtroppo, il frastuono era così assordante da non far percepire
nemmeno i pensieri.
“Ti capisco Juna, anch’io vorrei solo la pace
” lo fissava, con le lacrime agli occhi, l’alieno-angelo dorato
Jueil.
Ben diversa era la sensazione che provava la succube Lucifera “Tutto
questo odio mi fa godere come una cagna!”.
“Con il potere della luce distruggerò tutti
questi adoratori dell’oscurità!” fremeva dall’entrare in
battaglia la nuova posseduta dell’Angelus.
Chi invece rimaneva in disparte ad osserva il tutto dall’alto era
il giovane giapponese Akira Fudo, qui presente nella sua versione di
Devilman.
Stessa sorte era toccata ad altri due uomini che, con gran coraggio,
rifiutarono l’invito di schierarsi dalla parte del male: il dottor
Faust ed Hellboy.
“Come fate ad essere così sciocchi?!” non
demordeva lo zairese “Io non sono nato per essere il premio di
nessuno! L’unica cosa che voglio è tornare nel mio mondo e
rivedere i miei compagni degli Humana!”.
Nello sfondo che caratterizzava l’esercito dell’inferno, si vide
alzarsi un’imponente figura oscura. Il potente demone Chernabog si
era finalmente palesato.
“Solo gli angeli di Evangelion potrebbero avere
delle possibilità contro di lui” constatò Angelo, mentre il resto
del suo battaglione si era involontariamente indietreggiato.
“Possibile che non ci sia un modo per fuggire da
questo incubo?” si era ridotto ormai a bisbigliare un Juna a pezzi.
“Non ti spezzare, Juna. Non ancora” pareva
offrirgli un contorto appoggio morale Pinhead Boy, membro del Monster
Commando.
“Spero che le sorelle Halliwell stiano facendo
tutto possibile per darci un loro appoggio” parlava tra sé e sé
Leo Wyatt.
Il botto improvviso di un tuono, talmente forte da far tremare e
crepare il suolo, diede inizio alle ostilità nella valle dell’Eden.
Tutto bianco.
Nonostante non ricordasse più da quanto correva, Johnny Wayne non
vedeva altro che bianco attorno a lui.
Era tutto così confuso che non sapeva nemmeno se stesse percorrendo
una superficie, orizzontale, verticale, obliquo o altro ancora.
Stanco, ma solo psicologicamente, prese la decisione di fermarsi sul
posto.
“Così è troppo! Dov’è che sono finito? Dove
sono finiti i miei?” urlò l’americano contro tutto quel candore,
mentre si inginocchiava sconfitto.
Non gli rimase che una cosa da fare.
Piangere.
Passo un’indefinita quantità di tempo quando, con le lacrime che
ancora gli velavano gli occhi, gli parve di vedere una scintilla
rossa all’orizzonte.
Rimessosi in piedi, notò che effettivamente qualcosa pareva
avvicinarsi a lui.
Non ebbe nemmeno il tempo di effettuare il primo passo che un uomo,
vestito con una calzamaglia rossa e nera con, nel mezzo del torso,
un’enorme J, gli comparve davanti.
Il nuovo arrivato scuoteva la testa, caratterizzata da capelli neri
tirati in su e occhi castani.
“Voi Humana avete fatto davvero un bel casino,
lo sai questo, Johnny?”.
“Ma tu chi sei?” gli chiese il biondo con
l’uniforme rosso e gialla.
“Chiamami Justice Boy. È da tanto che vi sto
cercando per riportarvi al mondo che voi stessi avete mutato”.
“Che vuoi dire?”.
“Non è semplice da comprendere, e tanto meno da
accettare, ma voi, con le vostre avventure, siete stati in grado di
fondere assieme infiniti mondi”.
“C-C-Come?”.
“È assurdo, lo capisco, ma cerca di avere
fiducia in me. Ora, in unico globo terrestre, si trovano a convivere
tutti quei personaggi che possono scaturire da film, serie tv,
canzoni, fumetti, cartoni animati, libri, videogame e qualsiasi altra
opera ti possa venire in mente!”.
“E saremo stati noi a creare tutto questo? T-Tu
sei pazzo!”.
“Lui ha perfettamente ragione, Johnny”.
Il Soggetto N. 9, udita quella voce nella sua testa, si voltò alla
sua destra. Di fronte a sé aveva un semplice scimpanzé. l’animale
“Che cosa? Una scimmia parlante?”.
“Non avere paura, Johnny. Io sono colui che vi
ha riunito tutti insieme voi nove. Grazie anche all’aiuto di Sara
Silvestri”.
Il pilota crollò nuovamente in ginocchio. Per minuti stette a
fissare il nulla ammantato di bianco che era quella realtà.
Dopo un grande sospiro, rialzò la testa verso la scimmia delle
stelle.
“Vi prego, non era nostra intenzione condannare
il mondo…” pronunciò appena con un filo di voce e nuove lacrime
che gli rigavano le guance.
“Johnny, nessuno qui dice che avete condannato
il mondo” gli parlò il primate, senza muovere la bocca.
Justice Boy gli appoggiò la mano sinistra sulla spalla destra
“Infatti, basterà solo adeguarci a questo nuovo mondo”.
Lo sguardo di Wayne si spostò sull’altro velocista “E come
faremo?”.
Il suo interlocutore sorrise “Beh, i Global Defenders sono nati
proprio per questo!”.
Una volta aiutatolo a rimettersi in piedi, i due si fronteggiarono
nuovamente.
“Da dove dobbiamo cominciare?” una nuova
decisione era nata negli occhi di Johnny.
“Non ci crederai, ma basterà correre”.
Lo statunitense rise divertito per poi voltarsi verso la scimmia, non
trovandovi più niente. Solo bianco.
“Ma dov’è andato?”.
“Immagino che ci starà già aspettando, insieme
a tutti i tuoi colleghi”.
I dubbi si facevano sempre più numerosi nel cervello del mutante, ma
per lo meno ora sapeva cosa fare della sua esistenza.
“Allora, partiamo?” propose, con un ghigno
beffardo.
“Quando vuoi tu!” fu la replica di Justice
Boy.
Senza darsi nemmeno il via, i due scattarono alla velocità della
luce. Un bagliore rosso, giallo e nero tagliava letteralmente il
bianco. Forse è così che nascono i buchi neri.
Tutto
ciò verrà poi identificato dall’astronomo Jerry R. Ehman come
“Segnale Wow!”.
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