Ancora noi

di Demy77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** cap.1 ***
Capitolo 2: *** cap. 2 ***
Capitolo 3: *** cap.3 ***
Capitolo 4: *** cap. 4 ***
Capitolo 5: *** cap. 5 ***
Capitolo 6: *** cap. 6 ***
Capitolo 7: *** cap. 7 ***
Capitolo 8: *** cap. 8 ***
Capitolo 9: *** cap.9 ***



Capitolo 1
*** cap.1 ***


“Muovetevi, lumache, o arriveremo dopodomani!”
“Facile per te, che non hai le scarpe con il tacco!”
“Solo tu potevi indossare scarpe con il tacco in una circostanza simile, Constance!”
“Ti ho detto di non chiamarmi così, Jeremy! Mi dà fastidio, mi sembra di sentire Jud!”
“Non è giusto, non è corretto, non è appropriato! Ahahah! D’accordo, Clarence, farò come vuoi!”
“Sei proprio un idiota!”
When the moon is in the sky and like stars your eyes are shinin’…”
“Bella! Vuoi smetterla di cantare e pensare a camminare?”
“Ma io canto con la bocca, mica con i piedi!”
“Oh, insomma, fa’ quello che vuoi, basta che ti sbrighi…”
“Jeremy, guarda! Henry si è seduto e non vuole saperne di andare avanti!”
“Santa pazienza! Henry! Che cosa ti succede ora?”
“Sono stanco, non ce la faccio più!”
“Aspetta, adesso arriva il tuo fratellone che ti prende in braccio! Oh issa! A proposito, ma Valentine e Julia che fine hanno fatto?”
“Erano dietro di noi fino a poco fa, ma non riesco più a vederli…”
“Si saranno fermati a cogliere i fiori!”
“Che assurdità dici, Bella!”
“Speriamo solo che arrivino in tempo!”
“Meno male che mamma e papà avevano affidato a loro questi due… invece dobbiamo pensarci sempre io e te, Clo!”
“Io non ho bisogno che qualcuno badi a me, Jeremy! Sono grande!”
“Non hai ancora compiuto dieci anni, Bella. E il piccolo Harry ne ha appena quattro. Mamma non sarebbe mai partita per Londra, se non le avessimo giurato di badare a voi notte e giorno!”
“Mamma e papà tornano oggi, vero?”
“Sì, Harry. Stiamo andando appunto al bivio per Sawle, dove si ferma la diligenza, per fare loro una sorpresa. Non manca molto, tra poco siamo arrivati.”
“Dove sono finiti Julia e Valentine?”
“Vorrei tanto saperlo anch’io…mah, chi li capisce è bravo!”
Mentre i quattro figli di Ross e Demelza procedevano lungo il sentiero per Sawle i due maggiori, Valentine e Julia, si erano volutamente trattenuti più indietro dal gruppo dei fratelli.
Valentine, il maggiore, aveva 19 anni. Era diventato un bel ragazzo alto e bruno; somigliava molto a Ross fisicamente, ma aveva un carattere più ombroso e tormentato. Gli piaceva vestire in maniera elegante e ricercata ed esercitava un fascino straordinario sul genere femminile, ancor più di suo padre quando aveva la sua stessa età. Terminate le scuole aveva iniziato a dare una mano a Ross con le miniere, ma in generale non era portato per il lavoro manuale e preferiva esaminare le questioni economiche senza sporcarsi le mani. Pareva molto più interessato alla gestione di Trenwith che alle miniere, ad esempio. Aveva grandi idee e progetti ambiziosi, pareva quasi ossessionato dai guadagni e dal denaro, ed in questo Ross era preoccupato: gli sembrava, a volte, di rivedere in lui la sconsideratezza del cugino Francis, che per fortuna nel figlio si riusciva ancora a tenere a bada.
Julia aveva un anno in meno di Valentine. Aveva perduto un po’ della vivacità infantile ed era una ragazza piuttosto riservata e taciturna. Aveva un fisico delicato, i capelli biondi ma di una tonalità leggermente più scura rispetto alla sorella Clowance. Dalla madre aveva ereditato gli occhi verdi e le efelidi sul viso. Era la figlia più disponibile ad aiutare Demelza nelle faccende di casa; tutti i giorni si recava dal padre in miniera con un cestino di leccornie ed aveva sempre un sorriso ed una parola buona per tutti.
Dopo Jeremy e Clowance - che avevano da poco compiuto 15 anni e pur essendo gemelli erano diversi fra di loro come il giorno e la notte, sia fisicamente che per carattere - Ross e Demelza avevano avuto altri due bambini: Isabella Rose (detta Bella), la più vivace e peperina della famiglia, una bambola bruna che aveva già le idee ben chiare sul suo futuro  - da grande avrebbe fatto la cantante -  ed Henry, il cucciolo di casa, nato quasi sei anni dopo Bella. Henry, chiamato Harry in famiglia, era l’unico figlio che aveva ereditato i capelli rossi di Demelza. Era un bambino tranquillo e riflessivo, ubbidiente, adorato da Prudie perché era l’unico dei piccoli Poldark che non osava mai contraddirla e la seguiva ovunque andasse come un fedele cagnolino.
Ad un tratto Julia si chinò davanti ad un cespuglio di convolvoli. Adorava i fiori, come sua madre. Sfiorò con il dito qualche campanula colorata , con delicatezza. Valentine rimase fermo alle sue spalle, mordicchiando nervosamente uno stecchino di legno che aveva trovato in tasca. Poi girò intorno al cespuglio e le si parò davanti, con le mani sui fianchi.
“Julia, dobbiamo dirglielo – sbottò il ragazzo – Se non glielo diciamo, se ne accorgeranno prima o poi, non sono stupidi. Non possiamo tenergli nascosta una cosa simile a lungo. Non è giusto per loro e neppure per noi due”.
“Valentine, io non ne sono così convinta… - rispose la ragazza in un soffio – noi due siamo fratelli, non possiamo!”
“No, ti sbagli! – esclamò il ragazzo prendendole una mano come per infonderle coraggio – noi due non siamo fratelli! Voglio dire… siamo cresciuti come se lo fossimo, ma non abbiamo nessun legame di sangue. Sai bene che ho posto questa domanda più e più volte a mio padre, e mi ha assicurato che non sei sua figlia! Demelza stessa te lo ha confermato, anche se non ti ha mai voluto rivelare chi è il tuo vero padre.”
“Questo lo so, Valentine, ma è sbagliato lo stesso… io sono stata adottata da Ross, porto il tuo cognome, abbiamo quattro fratelli in comune ed agli occhi della nostra famiglia e di tutta la comunità io e te siamo fratelli! Come pensi che verrebbe accettata la cosa, se si sapesse in giro?”
“E’ forse colpa nostra se ci siamo innamorati?” – le disse lui con la voce che si faceva più dolce, inginocchiandosi accanto a lei.
Julia abbassò lo sguardo senza il coraggio di sostenere quello dell’altro. Valentine le prese il mento fra le dita e glielo sollevò, costringendola a fissare gli occhi verdi nei suoi.
“Io ti amo, Julia, e so che anche tu provi lo stesso per me. Capisco che è difficile accettarlo, ma prima o poi anche gli altri capiranno”.
“E’ peccato, Valentine…”
“Oh, insomma! – esclamò il moro sollevandosi in piedi di scatto – mi sembra di sentir parlare tuo zio Sam, il predicatore! Dimmi la verità, gli hai accennato qualcosa? È lui che ti ha messo queste idee in testa?”
Julia negò. Si vergognava talmente di quel sentimento che non aveva osato parlarne con nessuno, figuriamoci con quello zio dalle idee piuttosto bigotte. Era la sua coscienza che si ribellava all’idea che fosse nata un’attrazione fra lei ed il bambino con il quale si rotolava nel fango o tra la sabbia, il suo inseparabile compagno di giochi finché non erano nati i gemelli e poi, più in là, gli altri due figli di Ross e Demelza. Non erano fratelli di sangue forse, ma immaginare un diverso tipo di legame tra di loro le sembrava comunque incestuoso. Lei era una Poldark e tale si era sempre sentita, amava Ross come se fosse il suo vero padre e Valentine come un fratello… almeno, così aveva sempre creduto fino a quando, pochi mesi prima, aveva cominciato a guardarlo con occhi diversi, ad arrossire nello scoprire che lui la fissava, a trovare belli i suoi occhi e le sue labbra… Era stato lui per primo a dichiararsi, l’aveva anche baciata una volta e lei era fuggita, evitandolo per giorni; ma non aveva potuto negare l’evidenza, cioè che Valentine le piaceva e che aveva iniziato a provare nei suoi confronti un sentimento ben diverso dall’affetto fraterno.
Il viaggio di Ross e Demelza a Londra era arrivato giusto in tempo; con i genitori lontani da casa Julia aveva avuto modo di riflettere e ritrovare il proprio equilibrio interiore; la conclusione cui era giunta era che quella storia non poteva andare avanti. Lo aveva detto a Valentine, ma lui non accettava la sua decisione e la stava tormentando, fin da quando i genitori erano partiti, per convincerla del contrario. Ross e Demelza sarebbero rimasti sorpresi, forse ci sarebbero anche rimasti male all’inizio, ma non erano persone irragionevoli e conoscevano bene la forza dell’amore; nascondere loro la verità sarebbe stato peggio. In cuor suo, Julia sapeva bene che Valentine aveva ragione, la verità non si poteva celare, anche perché sua madre avrebbe notato immediatamente che qualcosa era cambiato nel suo rapporto con Valentine e fornire delle spiegazioni sarebbe stato imbarazzante.
“Se non vuoi dirglielo, se vuoi porre fine a questa storia - aggiunse il figlio di Elizabeth – c’è una sola cosa da fare. Devo andarmene da casa. Posso trasferirmi a Londra; in fondo papà e la zia Caroline conoscono tante persone lì e qualcosa da fare lo troverò. Altrimenti, non potrei sopportare di starti accanto ogni giorno senza poterti parlare, toccare… sei in età da marito, sicuramente ti troveranno qualcuno a breve, ed io che dovrei fare, recitare la parte del fratello maggiore che si congratula per il fidanzamento? No, grazie!”
“Valentine, non essere sciocco, io non voglio nessuno – nessun altro che te, avrebbe voluto dire, ma si trattenne – mamma e papà non mi imporranno nessun fidanzato, e tu non devi cambiare la tua vita per colpa mia… perché non ragioni? Tra di noi non può esserci nulla! Dobbiamo solo aspettare, è un’infatuazione che passerà, alla nostra età è normale…”
Valentine la scrutò pensoso. Non era solo un’infatuazione, e non sarebbe passata. Si era innamorato di Julia giorno dopo giorno, l’affetto fraterno improvvisamente aveva lasciato il posto a sensazioni nuove che non aveva provato mai per nessun’altra ragazza, e pure aveva infranto molti cuori in paese e non gli era mai stato difficile trovare compagnia femminile quando ne aveva voglia.
Conosceva tutto di Julia, e questo rendeva ancora più solido quel sentimento. Non c’era tanto da scoprire l’una dell’altro, perché era una vita che vivevano insieme, i difetti ed i pregi reciproci erano noti da tempo. Era quello che ancora era ignoto che era particolarmente allettante agli occhi di Valentine. Rinunciare a Julia era impossibile, dimenticarla altrettanto, salvo forse mettere miglia e miglia di distanza fra di loro; e non sarebbe stato facile neanche in questo caso.
I quattro fratelli più piccoli nel frattempo erano giunti al bivio per Sawle e si erano seduti in terra, con le gambe incrociate, in attesa dell’arrivo dei genitori; tutti tranne Clowance, ovviamente, che mai avrebbe assunto una posa tanto poco femminile rischiando di sgualcire l’abito color fiordaliso che indossava. Previdentemente aveva portato con sé un parasole, e lo faceva volteggiare in mano proteggendo la sua pelle diafana dai raggi del sole, incurante degli sfottò che come di consueto il fratello gemello le rivolgeva. Finalmente li raggiunsero anche Valentine e Julia, e nessuno dei fratelli notò quanto fossero di malumore l’uno e silenziosa l’altra. Quando Clowance era giunta allo stremo dallo stare in piedi e Harry aveva svuotato tutta la borraccia d’acqua che si era portato dietro, lamentandosi perché aveva ancora sete, apparve finalmente la diligenza proveniente dalla Capitale. Videro dunque Ross scendere per primo, assecondare con premura la discesa della moglie al suolo e, mentre il cocchiere sfilava il bagaglio dal tettuccio della carrozza, Demelza venne letteralmente sommersa dall’abbraccio dei sei ragazzi. Fu poi la volta di Ross, che strinse vigorosamente a sé i due maschi più grandi e fece volteggiare in aria Harry e Bella sommergendoli di baci. “Bentornato, papà” – gli disse Julia, dandogli un bacio sulla guancia, e lanciando uno sguardo a Valentine subito dopo, come per dirgli: “Hai visto?”
Fu poi la volta di Clowance, che era rimasta in disparte. Lei e Ross erano affini, bastava un solo sguardo per capirsi, senza tante smancerie. “Come stai, papà?” – gli chiese la biondina. “Bene, sono solo un po’  stanco. Starei meglio però se tu venissi a darmi un bacio. O sei troppo grande per questi slanci d’affetto?” Clowance era la figlia più orgogliosa e riluttante al contatto fisico, soprattutto da quanto aveva raggiunto la pubertà.
“Sono tutta sudata e piena di polvere. Ma se a te non dispiace…”
“Non desidero altro” – rispose Ross allargando le braccia.
L’allegra combriccola si incamminò poi verso Nampara. Bella aveva preso per mano Demelza e non facevano che canticchiare; Ross aveva issato Henry sulle spalle e chiacchierava con Jeremy di quanto fosse accaduto in loro assenza, sbellicandosi dalle risate per tutto ciò che riguardava Prudie e Jud; Valentine portava il bagaglio, da solo, perso nei suoi pensieri; Julia e Clowance chiudevano il gruppo e discorrevano a proposito di un cappellino che la più piccola aveva notato all’emporio di Truro, confidandosi sottovoce che sarebbe stato bello se la mamma avesse portato loro in dono qualche novità alla moda di Londra…
Giunsero a casa e i padroni di casa ricevettero i dovuti omaggi dei domestici, che avevano mostrato una discreta dose di buona volontà, rispetto al solito, in quanto la casa appariva in ordine ed un buon odore di carne arrosto proveniva dalla cucina.
Ross e Demelza salirono a rinfrescarsi in camera. Si tolsero gli abiti da viaggio e, prima di indossare quelli puliti, si lasciarono cadere entrambi sul letto, come se solo in quel momento tutta la stanchezza del viaggio si facesse sentire.
“Forse dovremmo parlare con i ragazzi, Ross” – disse ad un tratto Demelza.
“Non stasera però – rispose il marito dandole un bacio sulla fronte – lasciamo passare un paio di giorni, poi affronteremo l’argomento”.
“Spero che capiranno…” – aggiunse lei con lo sguardo crucciato.
“Sarà sicuramente così, mia cara. Ed ora, oltre al vestito, indossa il migliore dei tuoi sorrisi, perché è quello che tutti si aspettano da te! Coraggio!”
Demelza gli strinse una mano e gli sorrise. Suo marito aveva ragione come sempre: non era il tempo delle preoccupazioni: era tempo di festeggiare il loro ritorno a casa.

 

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Capitolo 2
*** cap. 2 ***


La moglie del dottor Enys ripose il cofanetto delle gioie sulla toilette e contemplò la sua immagine nello specchio ovale. Non aveva ancora compiuto 40 anni, eppure, rimirando con attenzione, si poteva notare qualche capello bianco spuntato qua e là tra la fluente chioma bionda. Era ancora una donna bellissima ed il trascorrere degli anni aveva inciso poco sulla sua vanità. Caroline, proprio come quando era solo una giovane ereditiera arrivata in Cornovaglia dalla Capitale, adorava spendere il suo denaro per acquistare abiti e cappelli dai colori vivaci, truccare le labbra di un rosso scarlatto e curare il suo aspetto con estrema attenzione. Tali sue abitudini erano state rafforzate dal fatto che, per volere del destino, lei e Dwight avevano messo al mondo tre figlie femmine, tutte bionde e graziose, non meno della madre.
Sarah, la maggiore, aveva sedici anni, uno in più dei gemelli Poldark; era vivace e piena di vita come la madre, ma anche di indole buona e generosa come il padre. Quando era molto piccola aveva avuto un problema cardiaco, che fortunatamente si era risolto con la crescita, e per tale motivo era stata una bambina molto vezzeggiata dai genitori durante l’infanzia. La secondogenita, Sophie, era nata due anni dopo ed era la figliola più giudiziosa ed ubbidiente degli Enys; adorava la lettura ed era un’allieva eccellente, la gioia di ogni precettore. La più piccola di casa, Melliora, era coetanea di Bella nonché sua fedele compagna di bricconerie. Le tre ragazze Enys ed i figli di Demelza e Ross erano cresciuti insieme, data l’amicizia esistente fra i genitori. Non ricordavano una festa comandata che non avessero trascorso in compagnia, alternativamente a Killewarren o a Nampara. Con il passare degli anni Jeremy, in quanto unico maschio del gruppo – Valentine era stato il primo a prenderne le distanze, frequentando altre compagnie– era diventato autore di una serie di tremendi scherzi ai danni delle ragazze, ma - poiché l’unione fa la forza - puntualmente egli diventava bersaglio della vendetta delle sorelle e delle loro amiche, che lo ripagavano con dispetti e prese in giro. I loro incontri, quindi, iniziati sotto i migliori auspici, culminavano spesso in litigi, zuffe, pianti e musi lunghi, con Jeremy che veniva additato sempre come il responsabile del malumore di tutti e finiva così per fare da capro espiatorio. Gli equilibri però erano mutati con l’ingresso nell’adolescenza dei ragazzi più grandi: secondo Clowance e Sophie, Sarah si era presa una bella cotta per Jeremy e da quel momento ella non aveva più voluto prendere parte agli scherzi ai danni del ragazzo; Jeremy d’altra parte, pur non ricambiandola, aveva iniziato a considerarla con più stima e a ricercare sempre più spesso la sua compagnia, bollando le altre come delle lattanti, sebbene Clowance avesse la sua stessa età e Sophie solo un anno di meno.
Anche quel giorno i ragazzi Enys e Poldark si erano riuniti per trascorrere la giornata insieme. Avevano in progetto di fare una scampagnata nei pressi del laghetto dei cigni. Con l’occasione Demelza era venuta a Killewarren a salutare l’amica Caroline, che non vedeva da prima della partenza per Londra. 
Da quando era morto lo zio Ray, circa dieci anni prima, Caroline era divenuta unica erede di quella proprietà e l’aveva gestita con grande oculatezza. Dwight, dal canto suo, non era rimasto con le mani in mano; il ruolo di consorte di una delle donne più facoltose del posto non gli era mai andato troppo a genio ed aveva proseguito nella sua professione abituale di medico del luogo. Nonostante l’impegno fisso alle miniere ed i consulti tra gli abitanti di Sawle Dwight si era appassionato con il tempo al settore della psicanalisi. Quando George Warleggan era stato confinato in manicomio Dwight aveva approfondito gli studi in materia di salute mentale, recandosi più volte anche nella capitale, ed aveva elaborato una innovativa teoria secondo cui i malati di mente avrebbero dovuto essere aiutati a guarire non in base ad una logica punitiva – quella preferita dalla società, per eliminare soggetti problematici, ritenuti pericolosi, segregandoli in luoghi dove non potessero nuocere agli altri – ma in una prospettiva diversa.  L’approccio di Dwight alla malattia di George era stato improntato sul valore terapeutico della parola, sulla dolcezza e la pazienza, attraverso colloqui che avevano portato il paziente a contatto con le emozioni dolorose che si celavano dentro di sé fino al punto di accettarle e dominarle. Era stato un percorso molto lungo e faticoso, ma dopo circa un anno George era stato in grado di tornare a vivere a Truro, nella casa di suo zio; lì aveva condotto una vita ritirata, evitando di farsi vedere in giro, incontrando praticamente solo Dwight e pochissimi altri intimi. Trascorsi alcuni anni, sempre grazie all’aiuto di Dwight, che andava periodicamente a visitarlo e curarlo, il banchiere aveva riacquistato fiducia in se stesso e aveva ripreso a farsi vedere in società, oltre a riprendere ad occuparsi degli affari in prima persona. Nel corso di un ricevimento aveva conosciuto una graziosa duchessa dello Yorkshire, lady Harriet Carter, e dopo un breve corteggiamento i due si erano sposati.
Nel frattempo il nome di Dwight era divenuto famoso non solo a Truro e dintorni, ma in tutta l’Inghilterra. I suoi servigi erano richiesti ovunque, tanto è vero che il giovane dottore aveva sentito la necessità di perfezionare i suoi studi e le sue teorie; aveva in progetto di racchiudere le sue esperienze in un libro. Per portare a termine questo progetto aveva deciso di compiere studi anche all’estero, in Francia ed in Italia, dove le biblioteche delle facoltà universitarie di medicina erano più fornite. Proprio in quel periodo Dwight si trovava a Napoli, dove un collega del posto stava svolgendo una sperimentazione simile alla sua su pazienti psichiatrici; era l’occasione per confrontare i rispettivi risultati e scambiarsi esperienze.
“Mia cara!” – esclamò Caroline abbracciando forte Demelza – “Come stai? Che cosa ti hanno detto a Londra? Sono così dispiaciuta che Dwight sia lontano… credo che rientrerà il mese prossimo. Ho anche provato a scrivergli, ma sai che una lettera dall’Italia arriva dopo un tempo infinito…”
“Sto bene – replicò l’altra - mi opereranno fra tre settimane, ma i ragazzi non lo sanno ancora. Ross ha preferito aspettare qualche giorno prima di dirglielo.”
“Oh, Demelza! Mi dispiace tanto! Però devi stare tranquilla, il dottor Evans è un collega di cui Dwight si fida ciecamente. Se ha detto che devi operarti vuol dire che è proprio necessario! E per il resto come va, accusi sintomi?”
Demelza scosse la testa. “Praticamente non sento nulla, a parte questa protuberanza all’addome quando sono distesa. E poi il ciclo che non mi è più tornato”.
Caroline le strinse la mano. “Immagino che Ross sia parecchio in ansia per te”.
“Ross è fiducioso. – rispose Demelza – Non possiamo negare che un’operazione chirurgica abbia sempre un margine di rischio, ma mio marito mi infonde tanta forza in questo periodo, te l’assicuro”.
“Però dovreste dirlo ai ragazzi, almeno ai due più grandi…” – osservò Caroline.
“Abbiamo deciso di dirlo a tutti, naturalmente usando le parole giuste per non farli spaventare.”
“Ma certo, non c’è nulla da preoccuparsi” – la rincuorò l’amica, anche se in cuor suo sapeva che quel problema all’utero, manifestatosi all’improvviso qualche settimana prima, non era cosa da prendere alla leggera.
Per tirare su di morale Demelza Caroline provò a virare la conversazione verso argomenti più leggeri. Le chiese se per caso a Londra aveva incontrato qualcuno di sua conoscenza e se Ross l’aveva portata a fare acquisti. Demelza le parlò soltanto di qualche noioso incontro formale con colleghi parlamentari di Ross, e che l’unica conoscenza abbastanza gradevole fatta nei giorni di permanenza a Londra era stata la giovane moglie di origine giamaicana di uno di loro. Fu l’occasione per ricordare la loro comune amica Kitty Despard, moglie di un ex commilitone di Ross e Dwight che avevano conosciuto molti anni prima e che si era da tempo trasferita ai Caraibi dopo la morte del marito, condannato alla forca dopo essere stato accusato, peraltro ingiustamente, di essere un sovversivo. Caroline e Demelza si erano tenute in contatto epistolare con lei e sapevano che Kitty aveva messo al mondo un figlio maschio, di circa un anno più grande di Melliora e Bella. Caroline, rievocando i tempi andati, osservò divertita che all’epoca aveva provato una profonda gelosia nei confronti di Kitty, trovandola molto spesso ad intrattenersi in lunghe chiacchierate con Dwight. Solo successivamente aveva compreso che la ragione di quella vicinanza era data dal fatto che Kitty aveva subito numerose interruzioni di gravidanza e, dopo aver scoperto di essere nuovamente incinta, per di più con la preoccupazione per il processo del marito, temeva di non riuscire a mettere alla luce il suo bambino.
“La gelosia è proprio una cattiva consigliera! Non sai quanto ti invidio, Demelza: tu non sei mai stata una persona eccessivamente gelosa!”
“Ti sbagli – la corresse l’amica – forse non lo davo troppo a vedere, ma ho sofferto tantissimo nel sapere Ross accanto ad Elizabeth, quando erano ancora sposati. Il tempo però mi ha fatto comprendere che anche quella parentesi dolorosa, e così pure i mesi in cui fui sposata con Hugh, fanno parte della nostra storia e ci hanno portati ad essere ciò che siamo oggi…”
Caroline annuì. “A proposito di Elizabeth, devo dirti una cosa. La settimana scorsa, come sai, ho invitato i ragazzi qui a cena, ed ho notato che Valentine era un po’ strano. Non so come spiegarti… taciturno, di malumore. Ho provato a parlargli, ma mi ha risposto a monosillabi. Solo verso la fine della serata mi si è avvicinato e mi ha posto una domanda un po’ strana.”
“Che domanda?” – chiese Demelza seriamente incuriosita.
“Mi ha chiesto se sua madre aveva mai conosciuto Julia”.
“Elizabeth e Julia? Che motivo aveva di chiederti questa cosa?”
“Non ne ho proprio idea! Forse era un pensiero venuto a lei e Valentine ha voluto, per così dire, indagare…Sai bene che tu e Ross siete stati sempre molto reticenti con i ragazzi su questa parte della vostra vita, e loro non erano abbastanza grandi da ricordare…”
“D’accordo, ma continuo a non capire che senso possa avere quella richiesta…e tu cosa gli hai risposto?”
“Gli ho detto la verità; che tua madre non aveva mai avuto occasione di frequentarti dopo la nascita di Julia, anche perché immediatamente dopo ti eri trasferita a Londra…Forse Valentine ha pensato che la tua gravidanza fosse la ragione per cui i suoi genitori si erano allontanati... probabile che egli ricordi, anche se vagamente, il periodo in cui Elizabeth si trasferì a Cusgarne. Era il periodo in cui tu ti eri nascosta qui da me, ci fu poi l’incidente alla miniera e tu riapparisti… successivamente se ne andarono a vivere Londra, Ross scoprì che tu ti eri sposata con Hugh e si arruolò partendo per il Portogallo… insomma, io credo che il bambino abbia percepito che i genitori non erano una coppia felice, e visto che tu sei ricomparsa proprio dopo che Elizabeth era morta, penso che lui abbia intuito che tu fossi in qualche modo legata al disaccordo di Elizabeth e Ross, che lui ti amasse già da prima…”
Demelza scosse la testa. “I ragazzi hanno sempre saputo che Julia non è figlia di Ross. Su questo siamo stati molto chiari. Julia sa di non essere figlia di Hugh, il mio primo marito, e di non essere nemmeno figlia di Ross; sa che il suo vero padre è morto prima ancora che nascesse e che non era di queste parti, cosicchè non ho mai conosciuto la sua famiglia e neppure quale cognome avesse. È stata la scusa migliore che abbiamo potuto trovare, per non farle scoprire di essere frutto di una violenza”.
“La mia sensazione – continuò Caroline – è che, al di là della favoletta che gli avete propinato, Valentine in qualche modo conservi nella sua memoria traccia di quegli anni; deve aver percepito la gelosia di Elizabeth nei tuoi confronti, anche se per ragioni diverse da quelle che lui crede. Può darsi che abbia pensato che Julia sia figlia di Ross e che non glielo abbiate mai confessato per non farlo soffrire e per non mettere in cattiva luce Ross, perché questo vorrebbe dire aver tradito sua moglie…”
“In ogni caso non avrebbe alcun senso preoccuparsene ora. Sua madre è morta, io sono la nuova moglie di suo padre e Julia è sua sorella a tutti gli effetti, Ross l’ha adottata. Non ha grande rilevanza se siano fratelli di sangue, perché lo sono di fatto. Rievocare il passato può portarci solo sofferenze inutili.”- concluse la rossa.
Caroline scrollò le spalle ed aggiunse, premettendo che Demelza non doveva offendersi, che Valentine le aveva sempre ricordato, in certi suoi atteggiamenti, la doppiezza di Elizabeth. Non voleva insinuare che fosse un cattivo ragazzo, ma certe volte quando parlava dava l’impressione di avere dei secondi fini, di cui non metteva a conoscenza il suo interlocutore.
Ross, nel frattempo, si trovava alla Wheal Leisure ed esaminava alcuni conti con Valentine. Il ragazzo, la testa china sulle carte, la piuma intinta di inchiostro che gli solleticava l’arco di Cupido, cercava di carpire gli insegnamenti paterni, ma la sua mente vagava piuttosto altrove. Erano giorni che non era più riuscito ad affrontare lo spinoso argomento con Julia, ma la ritrosia della “sorella” lo rendeva ancora più irrequieto ed impaziente. Era convinto che quella relazione fosse possibile e che i genitori, prima o poi, avrebbero dovuto accettarla. Poiché però le ombre del passato continuavano in qualche modo a tormentarlo suppose che, prima di adottare una decisione definitiva, dovesse avere qualche delucidazione da suo padre, quelle che Caroline non aveva saputo – o voluto – dargli. Anche al padre fece quindi quella domanda: sua madre, Elizabeth, aveva mai avuto a che fare con Julia?
Ross alzò la testa dalle pergamene e le iridi scure di suo figlio si scontrarono con il suo sguardo interrogativo. “Perché me lo domandi?” – gli chiese Ross.
“Una curiosità… non ricordo molto di quell’epoca, ma voi mi avete sempre detto che Demelza aveva lavorato a Trenwith come dama di compagnia di zia Agatha. Quando poi la proprietà venne perduta zia Agatha venne a vivere a Nampara. Fu in quel periodo che rimase incinta, giusto?”
Ross si irrigidì. Non gli piaceva affrontare quell’argomento, e meno che mai con suo figlio. “Non fu allora, era stato prima… qualche mese prima Demelza aveva lasciato il lavoro a Trenwith.” – rispose seccamente.
“Quindi aveva conosciuto il padre di Julia in quel periodo… si era allontanata da Illugan?”
“Valentine, sai che Demelza non ama parlare di quel periodo perché molto doloroso… cerca di capire. Anche io preferirei chiudere qui questa conversazione, di cui non comprendo lo scopo.”
“Non voglio essere indiscreto o irriguardoso nei confronti di Demelza, papà – replicò Valentine alzandosi di scatto in piedi – è solo che…c’è qualcosa che non mi torna! Se Demelza era rimasta incinta, a meno che non sia stata piantata dal suo innamorato, perché scomparve? E perché qualche mese dopo essere tornata andò via anche da Nampara? Voi avreste potuto aiutarla…Come fece poi a diventare amica di zia Caroline?  Ho la sensazione che mia madre avesse dei motivi di risentimento nei suoi confronti o forse ricordo qualcosa, qualche frase, chi può dirlo, quando vivevamo a Cusgarne… voi eravate sposati, ma vivevate separati… allora ho pensato che Julia potesse essere figlia tua… sia chiaro, io non ti giudicherei se fosse così, però voglio sapere la verità. Ne ho bisogno” – gli disse infine , tutto di un fiato.
Ross lo scrutò con un misto di incredulità e preoccupazione.   
“Julia non è mia figlia – disse scandendo bene le parole – non ho tradito tua madre con Demelza, sebbene abbia sempre provato dei sentimenti nei suoi confronti. Sono molto legato a Julia perché quando Demelza partorì, alla Wheal Grace, io ero con lei. Io e Demelza abbiamo sempre rispettato i nostri coniugi finchè essi sono stati in vita – aggiunse Ross, in parte mentendo – e solo dopo la loro morte ci siamo riavvicinati. Questo dovresti ricordartelo”.
“Perché Hugh Armitage non ha dato il suo cognome a Julia?” – proseguì imperterrito il ragazzo.
“Demelza non volle.”
“Come mai?”
“Non lo so”.
“E perché con l’eredità del marito ha riscattato Trenwith e l’ha acquistata a nome di Julia?”
“Perché voleva che tornasse alla mia famiglia”.
“Non eravate una famiglia ancora”.
“Basta, Valentine!” – sbottò Ross – ti proibisco di ritornare su questo argomento, tanto più in presenza di mia moglie! Sono stato chiaro?”
Per un attimo Valentine fu tentato di tenergli testa e raccontare al padre tutta la verità; ma gli voltò le spalle e, senza aggiungere altro, si diresse a larghe falcate verso casa.
Ross, in un gesto di stizza, fece volare le carte per aria. Quel ragazzo aveva proprio il potere di fargli perdere la pazienza. O era stata la preoccupazione per la salute di Demelza a farlo reagire in quel modo? Con lei doveva mantenere la calma, ma il timore di poterla perdere a causa di quella grave malattia lo assaliva nei momenti più impensati, e doveva sempre tenere la testa occupata per non pensarci. Decise che non era opportuno che vi fosse ulteriore tensione in casa; più tardi, dopo cena, avrebbe chiarito la situazione con Valentine.

 

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Capitolo 3
*** cap.3 ***


Nel giardino di Nampara, nel punto in cui tanti anni prima era stata seppellita la figlia di Elizabeth, Demelza aveva voluto che fosse piantato un cespuglio di ortensie: era un modo per ricordarsi che anche dal dolore poteva nascere qualcosa di bello. Fu lì, intenta a curare i suoi fiori, con Henry che le ronzava intorno riempendola ogni tanto di teneri baci, che Valentine la incontrò mentre ritornava dalla miniera. Il distratto “buonasera” a denti stretti che il ragazzo le rivolse fece intuire a Demelza che qualcosa doveva essere successo fra il ragazzo e suo padre. Non era una novità che quei due, con i loro caratteri così fortemente simili, facessero scintille, ma l’istinto della rossa le diceva che stavolta era successo qualcosa di grave.
Quando il giovane rientrò in casa il salotto era immerso nella quiete. Julia era sul divano a ricamare mentre Clowance leggeva un libro. Bella era in cucina a dare il tormento a Prudie con mille domande, e solo la sua vocina squillante movimentava l’atmosfera tranquilla della casa.
Che Valentine fosse di malumore fu subito chiaro a tutti. Solo Julia, vedendo il ragazzo pericolosamente vicino alla bottiglia del rum - il cui uso in genere gli era vietato prima di cena-  si arrischiò a chiedergli “è successo qualcosa alla miniera, Valentine?”. Ricevette in cambio una brusca risposta: “Sì, ho litigato con mio padre, Ross Poldark, che però non è anche il tuo!”; detto ciò Valentine tracannò il liquido ambrato e si allontanò rapidamente dirigendosi al piano superiore. Clowance alzò gli occhi dalle pagine e cercò smarrita lo sguardo della sorella. I gemelli sapevano che Julia era stata solo adottata da Ross, ma era un argomento talmente lontano dalle conversazioni di tutti i giorni della famiglia che era praticamente relegato in un angolo della loro memoria. La sorella maggiore scappò di corsa in camera sua piangendo e lasciò quella adolescente imbambolata in mezzo alla sala. In quel momento giunse anche Jeremy, tutto euforico per aver trascorso il pomeriggio all’officina dello zio Drake che stava forgiando dei ferri da cavallo e gli aveva chiesto assistenza; la gemella gli raccontò cosa era accaduto poco prima e i due convennero che doveva trattarsi di uno degli scoppi di rabbia improvvisi di Valentine, dettati dal suo pessimo carattere. Jeremy aggiunse che i due fratelli più grandi dovevano essere in grado di risolvere da soli i loro battibecchi e che non era il caso di coinvolgere i genitori, introducendo uno scomodo argomento a cena, in presenza dei fratelli più piccoli che forse non sapevano neppure nulla della faccenda e si sarebbero turbati inutilmente.
Julia intanto si era chiusa in camera a piangere. Con il viso riverso sul cuscino, a pancia in giù, dava sfogo alla sua disperazione.  Perché, perché Valentine si comportava così? Perché sembrava che avesse piacere a darle il tormento, a farla camminare lungo il ciglio di un burrone nel quale poteva sprofondare da un momento all’altro? Perché non si poteva proseguire la vita di tutti i giorni, la vita degli ultimi sedici anni, quella in cui Ross, sebbene non fosse il suo papà biologico, l’aveva amata e curata come farebbe un vero genitore? Per quale crudele scherzo del destino si era innamorata del suo compagno di giochi, di colui che per la società era suo fratello, al pari di Jeremy e di Henry? I suoi singhiozzi erano talmente acuti che neppure si avvide che qualcuno era entrato nella stanza. Sobbalzò quando il materasso si mosse, sotto il peso dell’altra persona.
“Che ci fai qui? Vattene!” – gli disse con tutta l’asprezza di cui era capace. Valentine si scostò dalla fronte un ciuffo lungo e ribelle e Julia suo malgrado pensò a quanto fosse irresistibile quando compiva quel gesto.
“Perdonami Julia. Non era mia intenzione ferirti. Non sopporto vederti piangere”- le disse il giovane.
La ragazza gli rispose che avrebbe dovuto pensarci prima e gli ribadì l’invito ad uscire dalla sua stanza.  Valentine rifiutò di andarsene e le disse che voleva spiegarle che cosa era accaduto esattamente alla miniera. Disse che aveva provato a domandare nuovamente a Ross se era lui il vero padre di Julia e che l’uomo aveva negato assicurandogli di non avere mai tradito Elizabeth finchè ella in vita. “Dovresti essere soddisfatto allora! Hai ottenuto la risposta che desideravi, perché sei così di malumore? Non ti rendi conto che ci stai solo avvelenando la vita con questa storia?” – sibilò Julia.
Valentine rispose che non era affatto soddisfatto del colloquio perché Ross, pur apparendogli sincero sulla paternità di Julia era apparso reticente ed inoltre si era alterato troppo. Egli sentiva che c’era qualcosa che non quadrava, non era possibile che né lui né Demelza gradissero parlare del vero padre di Julia, anzi quel giorno Ross gli aveva severamente proibito di ritornare sull’argomento. Se quell’uomo era morto, come si era sempre sostenuto, per quale ragione Julia non poteva conoscere neppure il suo nome? Chi era costui, e perché il segreto sulla sua identità doveva essere custodito così gelosamente? E poi c’era  la storia di Trenwith…
“Perché con l’eredità di Armitage tua madre comprò Trenwith e perché è proprio a nome tuo, e non di tua madre o di Ross? Ci hai mai pensato?”
Julia, che nel frattempo si era asciugata le lacrime e sedeva proprio di fronte all’altro, disse che non ci aveva mai riflettuto e che non le sembrava un argomento importante.
Valentine replicò che era assurdo non nutrire un minimo di curiosità per le proprie origini, e che solo scoprendo quella verità avrebbe avuto la definitiva certezza che non vi erano legami di sangue tra loro due.
“Io ti amo davvero, Julia, e non voglio rinunciare a te” – le disse accarezzandole lievemente una guancia. Julia allontanò la sua mano come se fosse stata scottata da un tizzone ardente. “Non voglio che mi tocchi in questo modo, in che lingua devo dirtelo? Non costringermi a dire tutto a mamma e papà, poi vedremo se sarai altrettanto spavaldo e sicuro di te…”
“Fallo, una buona volta! – la sfidò lui – così ci metteremo l’animo in pace, maledizione!” ed uscì sbattendo la porta.
Rimasta sola, Julia meditò su quelle parole che sembravano averla tanto turbata. Da un certo punto di vista Valentine ci aveva visto giusto: non era vero che non avesse alcuna curiosità sul proprio passato, ma si era accontentata di quei frammenti che la madre le aveva consegnato: l’amore con un uomo di passaggio, la cui famiglia non aveva nemmeno mai conosciuto, che era morto prima ancora di sapere che lei fosse incinta. Sapeva che la famiglia Poldark prima e Caroline Penvenen poi l’avevano aiutata durante la gravidanza, Demelza aveva infine conosciuto Hugh Armitage, il quale, sapendo di essere condannato a morte certa a  causa di una grave malattia, aveva compiuto un gesto di estrema generosità, accogliendo Demelza come sposa in casa sua. Julia conservava nella memoria dei vaghissimi ricordi di quell’uomo; immagini di un letto con lenzuola candide e profumate, una voce gentile che le leggeva delle rime prima che si addormentasse, e nient’altro… era troppo piccola quando Hugh era deceduto. Era strano che Armitage, avendo sposato sua madre, non le avesse mai dato il suo cognome. Da quando aveva iniziato le scuole era sempre stata chiamata Julia Poldark e una volta, molti anni prima, Ross le aveva mostrato la pergamena, il suo atto ufficiale di adozione. Lì aveva letto che prima si chiamava Carne come sua madre, non Armitage.
Julia non aveva chiesto altro, anche perché aveva percepito che sua madre avesse molto sofferto in quel periodo. Demelza aveva detto di essere sempre stata innamorata di Ross, non si era pronunciata sui sentimenti provati per l’altro uomo, quello che era suo padre. Aveva sempre affermato che esistono tanti tipi di amore e che, se Ross era stato l’uomo più importante della sua vita, il suo vero grande amore, vi erano state altre forme di affetto da custodire nel suo cuore. Supponeva che questo discorso includesse anche il suo padre biologico. Sua madre era una donna onesta, e se aveva avuto una relazione carnale con un uomo senza essere sposata doveva esserne profondamente innamorata.
Mentre i ragazzi meditavano Ross a sua volta aveva fatto rientro a casa. Smontato da cavallo il piccoletto dai capelli rossi aveva voluto essere preso a cavalcioni sulle sue spalle e Ross si era ritrovato a pensare che non aveva più l’età per fare il padre: viaggiava per i 45 ormai, e la sua schiena non era più quella di una volta. Senza contare la caviglia, che dopo il colpo di baionetta del 1782 in Virginia non era più tornata uguale e gli doleva quando portava dei pesi, come il figlio in braccio. Demelza lo prevenne, domandandogli di Valentine; ma Ross, stampandole un bacio sulla fronte, le rispose di non preoccuparsi, non era nulla di serio e le avrebbe raccontato tutto, con i minimi particolari, una volta a letto.
Valentine, intanto, si era steso supino sul letto e rimuginava. I dubbi che aveva non gli davano pace e l’atteggiamento scostante di Julia nei suoi confronti, la volontà di lasciar perdere tutto e fare finta di nulla non lo aiutavano di certo. Aveva un sospetto che da tempo gli frullava per la testa e decise che doveva arrivare in fondo alla questione, fare delle verifiche; sicuramente c’era chi poteva aiutarlo.
Quando era più piccolo lui e Jeremy avevano inventato un sistema per sgattaiolare fuori di casa senza essere visti: proprio fuori della loro finestra c’era un albero e nonostante fosse un po’ più robusto di corporatura rispetto a quando lo aveva fatto l’ultima volta, Valentine riuscì a saltare dalla finestra aggrappandosi ad un ramo. Con cautela si calò giù e poi corse fuori dalla loro tenuta, verso Sawle. Era l’imbrunire, ma non gli importava: avrebbe interrotto la cena di qualcuno, ma lui quelle risposte le esigeva il prima possibile.
Invano Prudie lo cercò in casa, visto che era ora di mettersi a tavola. Di fronte alle inevitabili domande che si stavano ponendo tutti i commensali Clowance decise che era il caso di riferire ai genitori quanto accaduto in salotto con Julia, ma inaspettatamente quest’ultima la zittì. Disse che aveva avuto una piccola discussione con Valentine a proposito del consumo di alcol, nulla di grave, e lui, come spesso faceva, aveva detto che avrebbe fatto due passi prima di cena perché era molto nervoso. Demelza, Bella ed Henry non ebbero motivo di dubitare di quelle parole. Ross, Clowance e Jeremy, che avevano qualche elemento in più per valutare, guardarono Julia con sospetto, chiedendosi per quale ragione quella ragazza di solito così trasparente dovesse mentire per coprire Valentine. Nessuno però esternò i suoi dubbi, e così la cena si svolse in serenità, tra le battute di Jeremy e le risate dei bambini a farla da padrone.
L’assenza di Valentine impedì ancora una volta a Ross e Demelza di parlare con i figli della malattia della madre. Volevano metterli al corrente senza allarmarli, e parlare con tutti insieme era l’ideale per non preoccupare i più piccoli. Se poi i figli maggiori avessero preteso ulteriori spiegazioni, le avrebbero avute, ma in separata sede.
Valentine tornò a casa dopo due ore di assenza. Demelza e gli altri erano andati a coricarsi; il ragazzo disse a Ross che aveva camminato senza una meta, poi aveva incontrato un amico e avevano fatto una bevuta insieme al pub. Chiese a Prudie di servirgli gli avanzi della cena e concluse scusandosi con il padre per il suo comportamento alla miniera. Gli assicurò che una condotta simile non si sarebbe più ripetuta da parte sua.
Tutto sembrava sistemato e Ross andò a letto più sereno. Demelza non dormiva ancora e si allietò nel sentire che padre e figlio si erano chiariti; pensò che fosse stato uno degli stupidi dissapori che avevano spesso a causa della cocciutaggine di entrambi e che fosse finita lì.
Valentine salì in camera sua ed accese una candela. Trasse fuori dalla giacca un foglio sul quale aveva vergato una serie di date, nomi ed appunti. Il reverendo Thatcher, che era subentrato ad Odgers una decina di anni prima, era rimasto molto meravigliato quando il rampollo Poldark gli aveva chiesto, a quell’ora tarda, di mettere mano ai registri parrocchiali, ma data la buona fama goduta dalla famiglia non aveva avuto motivo di negargli quel favore. Ed il ragazzo aveva avuto le informazioni che gli interessavano, e le aveva tracciate su carta per non dimenticarle.
Non aveva ancora un quadro certo dei fatti, ma il suo sospetto iniziale non pareva più così azzardato. Decise che a Julia non avrebbe detto nulla fino al momento della certezza definitiva sulle sue origini; l’indomani avrebbe cercato di colloquiare con una persona che certamente gli avrebbe potuto fugare ogni dubbio.

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Capitolo 4
*** cap. 4 ***


George Warleggan, chiuso nel suo ufficio di Truro, si stava dedicando ad una delle sue attività preferite: contare monete d’oro. Lo rilassava percepire sotto i polpastrelli il peso del prezioso metallo, poter tastare con mano la ricchezza, frutto dei suoi sforzi  di anni per elevarsi socialmente grazie al potere economico. Da tempo era ammirato e rispettato, non era più il nipote di un fabbro ammesso a frequentare le stesse scuole dei ragazzi ricchi, la sua banca finanziava le attività commerciali più fiorenti in zona; il matrimonio con una nobildonna dello Yorkshire, conosciuta l’anno prima, aveva ulteriormente contribuito a porlo in evidenza negli ambienti che contano. Harriet era una donna elegante e fascinosa, garbata ma non priva di carattere, e si era rivelata un’ottima compagna di vita per George. Non si era lasciata condizionare dalla malattia mentale che aveva afflitto il banchiere negli anni precedenti, si era mostrata priva di pregiudizi ed anche per questa ragione Warleggan se ne era innamorato e aveva deciso di sposarla. Adesso era in attesa del loro primo figlio e George non poteva che gioire di quella paternità inattesa, giunta quando egli aveva già passato la soglia dei 40 anni.
Il banchiere, compiaciuto per i profitti dell’ultimo trimestre, annotò con cura le cifre sul registro e chiuse le monete in una cassaforte. Mai avrebbe potuto immaginare che quella tranquilla ed ordinaria mattina di ottobre qualcuno  lo avrebbe distolto dalle sue attività, portandolo a ricordare eventi dolorosi che aveva cercato di rimuovere dalla mente.
Uno dei suoi impiegati bussò alla porta e gli comunicò che un giovane chiedeva udienza. Quando chiese più informazioni sull’identità della persona che voleva parlargli George restò meravigliato nell’apprendere che si trattava del figlio maggiore di Ross Poldark. Per un istante pensò di sottrarsi con un pretesto qualsiasi, ma poi, nascondendo la sua agitazione al sottoposto, gli disse di far accedere Valentine Poldark al suo studio.
Erano trascorsi almeno 15 anni da quando lo aveva visto l’ultima volta.  Al cospetto del giovane ricciuto che gli si parava dinanzi George non ebbe difficoltà nel riconoscere il bambino che aveva tenuto sulle sue ginocchia a Cusgarne, durante le numerose visite a sua madre. Al primo impatto Valentine assomigliava a Ross: aveva la stessa chioma ribelle, riccia e scura, lo stesso portamento fiero, lo sguardo tenebroso. Ad un occhio attento non poteva però sfuggire che il colore delle iridi era quello di sua madre e da Elizabeth aveva ereditato anche certe piccole movenze, il modo di scuotere la testa mentre parlava, i modi forbiti che doveva avere assimilato nei primi anni di vita grazie all’educazione materna. Dio, quanto aveva amato quella donna! George vacillò per un attimo ricordando la sua orribile fine, in cui lui aveva giocato un ruolo primario, ed il senso di colpa con il quale aveva combattuto per anni, giungendo infine a conviverci senza autodistruggersi.
“Vostro padre sa che siete qui?” – fu la prima cosa che il banchiere domandò al giovane, meravigliandosi della sua visita.
“No, e gradirei che continuasse a non saperne nulla anche dopo che avremo parlato– replicò Valentine– ho bisogno del vostro aiuto, signor Warleggan, perché siete l’unico a potermi fornire le risposte che cerco. Si tratta di una questione personale di cui non ho piacere di discutere con mio padre”.
George tremò al pensiero che il giovane Poldark intendesse conoscere aspetti del passato riguardanti il rapporto fra sé e sua madre. Dissimulò il suo turbamento e si limitò a precisare che, data l’esperienza passata, aveva giurato a se stesso che la strada sua e quella di Ross non sarebbero tornate ad incrociarsi; pertanto non intendeva condividere con il figlio del suo antico rivale alcun segreto, né essere coinvolto in qualche mistero riguardante Ross.
Valentine dovette faticare a lungo per convincere Warleggan a non metterlo alla porta. Giurò e spergiurò che suo padre non ne avrebbe mai saputo nulla e che quello che doveva domandargli era di vitale importanza. L’altro restava irremovibile. Aveva pagato duramente per le trame ai danni di Ross, un terribile segreto li aveva divisi in passato ed aveva indirettamente cagionato la morte di una persona, conducendolo quasi alla follia. Non avrebbe commesso due volte lo stesso errore.
“Vi scongiuro - insistette Valentine – eravate il più caro amico di mia madre; ricordo bene, anche se ero molto piccolo, l’affetto che nutriva per voi… abbiate la bontà di ascoltarmi, in nome di lei, in memoria dell’amicizia che vi legava! So che avete rischiato di perdere il senno dopo la sua morte, immagino che sappiate cosa significa amare una persona fino al punto da non poter sopravvivere senza di lei…”
“Basta! – tuonò il banchiere, mascherando con la rabbia il dolore che quelle parole facevano riaffiorare – fuori dal mio ufficio e dalla mia banca! Non voglio vedervi un secondo di più!”
George capì immediatamente che il figlio di Ross, in questo così simile a suo padre, non avrebbe accettato un no come risposta. Benchè fosse nel regno dei Warleggan, dove un solo cenno del padrone sarebbe stato sufficiente ad allertare chi di dovere per punire il minimo gesto di trasgressione, Valentine si avvicinò a George sovrastandolo con il corpo – Warleggan infatti era un uomo di non elevata statura – e gli fece notare come non convenisse a nessuno che quella conversazione si concludesse in maniera spiacevole. Di certo, se non voleva scontrarsi con Ross, la mossa più furba era evitare un conflitto con suo figlio.
“Anche se mio padre non sa che sarei venuto qui, non avrebbe piacere di ritrovarmi in tribunale a causa di una denuncia da parte vostra; e potete stare pur certo che se  qualcuno dei vostri scagnozzi mi mettesse alla porta mi metterei a gridare in piazza ad alta voce, mettendo in cattiva luce la vostra banca e la maniera in cui vengono trattate le persone oneste che vogliono solo investire i propri risparmi! Non dimenticate che sono il figlio del deputato eletto per il nostro distretto, godo di riflesso di una certa credibilità, non trovate?”
George fece un ghigno ironico. Quel maledetto moccioso era più odioso ancora del padre.
“Non ho tempo da perdere con voi. Che cosa volete sapere?” – concluse rapido.
“Nel 1785, l’anno della mia nascita, a giugno morì lo zio di mio padre, Charles Poldark, mentre a settembre suo figlio Francis. Ho controllato le date sui registri parrocchiali. Poco tempo dopo voi avete acquisito la proprietà di Trenwith all’asta, è così?” – chiese Valentine, trovando la conferma di George.
“Quando voi siete subentrato ai Poldark, la servitù che lavorava a Trenwith è rimasta al vostro servizio?” – continuò il ragazzo.
George, sempre più stupito da quelle domande, rispose che supponeva di sì, anche se non poteva esserne certo dopo tanti anni. Valentine gli domandò se era possibile ricavare i nominativi di tutto il personale dell’epoca. George replicò che era impossibile, e che comunque eventuali documenti del tempo non erano più nella sua disponibilità, dovevano semmai trovarsi a Trenwith “nella proprietà di vostra sorella”, tenne a sottolineare il banchiere. “Non. capisco poi perché non possiate chiedere questa informazione alla moglie di vostro padre, che come ben saprete aveva lavorato a Trenwith come dama di compagnia di Agatha Poldark fino a poco prima del mio arrivo. Per lei sarebbe certamente più agevole che per me ricordare i nominativi dei suoi colleghi!”
Un lampo di luce attraversò la mente di Valentine. “Come dite? Demelza era andata via da Trenwith prima della vendita all’asta?”
“Certo, questo lo ricordo benissimo. Si era licenziata qualche settimana prima del suicidio di Francis. Lo ricordo perché c’erano delle mensilità arretrate da pagarle, ma il maggiordomo mi disse che Ross gli aveva riferito che se ne sarebbe fatta carico sua zia; come era giusto che fosse, del resto.”
“Era andata via senza farsi pagare… ad agosto…” – ripeteva meccanicamente Valentine.
George, vedendo il ragazzo sbiancare, si sincerò che si sentisse bene. Valentine rispose che era tutto a posto, lo ringraziò per le informazioni che gli aveva dato ed uscì di corsa dai locali della banca. Salì in sella al cavallo che aveva lasciato legato fuori e si mise in cammino verso Nampara.
Mentre faceva rientro verso casa si sentiva disorientato. La verità era stata per tanto tempo dinanzi ai suoi occhi ed egli non l’aveva vista! Da principio credeva che il padre di Julia fosse un altro domestico; per questo aveva deciso di chiedere informazioni a Warleggan. In quale altro luogo poteva infatti Demelza aver conosciuto questo fantomatico uomo, se viveva a Trenwith tutto il tempo? Qualcun altro della servitù non poteva non aver notato il nascere di questa simpatia, ed anche se ci fosse voluto del tempo sentiva che prima o poi, interrogando le persone che vi lavoravano, avrebbe avuto la risposta che cercava. Quello che George gli aveva involontariamente riferito però cambiava tutto.
Gli ritornò alla mente un episodio di qualche anno prima: le sue sorelle stavano giocando alle dame, agghindandosi con dei gioielli. Demelza ad un tratto aveva detto che uno degli anelli nel cofanetto era di zia Agatha, era un antico anello di famiglia che la prozia aveva donato a Julia per la sua nascita… Valentine aveva letto sui registri parrocchiali che l’anziana zia di suo padre era morta una settimana prima che Julia nascesse… perché donare un gioiello di famiglia ad una perfetta estranea? Forse perché quella bambina non era una perfetta estranea…
Il cuore gli batteva a mille. Da un lato poteva sentirsi sollevato, lui e Julia non erano fratelli. Erano figli di cugini. Non c’era altra spiegazione.
Come era possibile che Demelza avesse provato una passione improvvisa per un altro uomo quando diceva di essersi innamorata di suo padre a prima vista? Perchè esattamente nove mesi prima la nascita di Julia Demelza aveva lasciato il lavoro senza pretendere nemmeno il pagamento delle sue spettanze? Perché la famiglia Poldark si era sentita in debito nei confronti della ragazza, tanto da volerla personalmente risarcire per lo stipendio perduto? Perché il dono dell’anello? Perché Trenwith era stata riscattata ed intestata proprio a nome della bambina? Solo una risposta combaciava con tutte quelle domande, e cioè che il padre di Julia era un Poldark; non Charles, che era morto almeno due mesi prima di quando Julia era stata concepita, ma Francis! E che non si fosse trattato di una normale storia d’amore lo rivelava il fatto che Demelza aveva lasciato la casa quando l’uomo era ancora in vita, e quando era impossibile che ella sapesse già di essere incinta! Una parte della storia narrata dai loro genitori era dunque vera: il vero padre di Julia era morto, prima ancora di sapere della gravidanza di Demelza. Quello che Valentine non avrebbe mai potuto immaginare prima di allora – e di cui era convinto, pur senza averne la certezza – era che Julia fosse frutto di una violenza. Ora comprendeva perché suo padre odiava affrontare l’argomento, scacciando quel ricordo devastante allo scopo di proteggere sua moglie!
Valentine provava una certa consolazione nel sapere che non vi erano ostacoli ad una sua relazione con Julia, ma al tempo stesso era profondamente turbato: come avrebbe potuto convivere con il segreto che aveva appena scoperto senza far trapelare nulla?  Julia non meritava di soffrire apprendendo una verità così sconvolgente. Gli dispiaceva anche per Demelza, per tutto ciò che aveva dovuto patire. Rifletté che la ragione dell’astio di sua madre nei confronti della giovane di Illugan forse stava proprio nel timore di dover affrontare uno scandalo a causa di una semplice domestica, oppure nella gelosia di vedere Ross così impietosito nei confronti della ragazza e pronto a fare di tutto per rimediare agli errori del cugino… si sentì male al pensiero che forse era stata proprio Elizabeth ad allontanare Demelza da Nampara! Possibile che sua madre avesse mostrato così poca empatia nei riguardi di un’altra donna? Fermò il cavallo, respirò a grandi boccate, fece il pieno di ossigeno e cercò di calmare il tormento che lo agitava. Scoperchiare quella vecchia storia gli aveva fatto più male che bene, ed ora doveva darsi un contegno dinanzi alla sua famiglia, anche se era difficile dissimulare il suo stato d’animo.
A casa, intanto, Ross e Demelza avevano deciso che era venuto il momento di affrontare con i ragazzi il tema della malattia della donna. Mancavano poco più di 15 giorni alla data dell’operazione, e Demelza e Ross sarebbero andati a Londra una settimana dopo per sottoporsi alle ultime visite e preparare l’abitazione per la successiva convalescenza di Demelza. Attesero che Valentine rientrasse a Nampara e spiegarono, con parole semplici e comprensibili anche dai figli più piccoli, che la mamma aveva un problema all’addome e che dei dottori di Londra dovevano curarla. Spiegarono che i bambini sarebbero rimasti con Prudie, perché la mamma e il papà non potevano prendersi cura di loro a Londra. Promisero ad Harry e Bella che appena la mamma si fosse sentita meglio la zia Caroline li avrebbe accompagnati nella grande capitale e sarebbero stati di nuovo tutti insieme.
Prudie soffiò il naso, nascondendo nel fazzoletto una lacrima furtiva. Jeremy, di solito così prodigo di parole, fissava ammutolito il pavimento. Bella strinse la mano di Clowance in silenzio. Valentine fissò suo padre, e cercò di comunicargli con lo sguardo che lo capiva, gli era vicino ed avrebbe fatto quanto in suo potere per alleggerire la situazione in famiglia. Julia abbracciò sua madre, chinando la testa sulla sua spalla. Solo Harry parlò, con voce flebile: “Ma dopo che i dottori ti hanno tolto la pallina dalla pancia, e dopo che ti sei riposata tanto tanto a Londra, mamma, poi ritorni qui?”
Demelza fece salire il bambino sulle sue ginocchia e lo rassicurò. Certo che sarebbe tornata! E ci sarebbe stata una grande festa a Nampara quel giorno, aggiunse Ross. Bella si lasciò entusiasmare dai dettagli della festa, trascinando anche i fratelli nei preparativi: assegnava compiti all’uno e all’altro e battibeccava addirittura sul menu di un buffet che era ancora tutto da organizzare!
La tranquillità sembrò ritornare a Nampara, anche grazie a qualche sgangherata battuta di Prudie sulle capacità organizzative dei ragazzi. Per evitare i soliti lamenti sul fatto che la domestica fosse la sola a portare il peso della gestione della casa, Bella e Clowance si offrirono di aiutare a sparecchiare, Jeremy fu mandato a controllare che la porta della stalla fosse ben chiusa ed Harry fu portato da Demelza a letto.
Julia e Valentine rimasero da soli con Ross nel salone.
“Sei preoccupato, papà?” – gli chiese Valentine.
Ross si versò da bere. “Come potrei non esserlo? – confessò – è un’operazione rischiosa, e lo zio Dwight non è qui… la sua presenza mi infonderebbe più fiducia, anche se il collega presso il quale ci ha indirizzato è un luminare nel suo campo. Mi raccomando, non dite nulla alla mamma né soprattutto ai vostri fratelli!”
Julia e Valentine assentirono, ed il ragazzo concluse che era certo che sarebbe andato tutto bene, non era il caso di preoccuparsi. Infine diedero la buonanotte al padre e si diressero entrambi verso le loro stanze. Giunti sull’uscio di quella di Julia, la ragazza chiese a Valentine se credeva davvero nel buon esito dell’intervento chirurgico oppure lo aveva detto solo per consolare suo padre.
“Dobbiamo tutti avere fiducia, Julia. Demelza è la colonna di questa casa, non riesco ad immaginare la nostra vita senza di lei!”
“Oh, Val!” – esclamò la fanciulla, gettandosi fra le sue braccia e scoppiando in lacrime. “Ho tanta paura…”
Valentine la strinse dolcemente a sé. Era importante starle vicino in quel momento difficile, ma da fratello. Non era giusto approfittare della sua debolezza per strappare a Julia qualcosa di più. “Andrà tutto bene, tranquilla… ed io per te ci sarò sempre quando avrai bisogno di parlare, ricordalo!” – le sussurrò. Julia sollevò il viso rigato di lacrime dalla spalla del ragazzo, lui la guardò e con i pollici le asciugò le ciglia. Dopo alcuni istanti che parvero interminabili Julia avvicinò la sua bocca a quella di Valentine. Era curioso, pensò il ragazzo: stava avvenendo ciò che aveva sempre desiderato, tuttavia quella sera gli sembrava così sbagliato…si allontanò giusto in tempo, e depositò un bacio sui capelli biondi di Julia. “Forse avevi ragione tu: meglio lasciare tutto com’è…”- le disse, lasciandola interdetta nel corridoio.
Valentine si chiuse nella sua stanza, appoggiò la schiena alla porta e si passò le mani tra i capelli. Forse Julia era rimasta delusa dal suo atteggiamento, ma non era più il momento di fare il bambino capriccioso. C’era un problema serio in famiglia, e non occorreva dare ai genitori altre preoccupazioni. Lui sarebbe stato l’uomo di casa per qualche settimana, ed intendeva comportarsi di conseguenza. Basta impuntature e colpi di testa, basta pensare soltanto a se stesso: avrebbe dimostrato maturità, e suo padre al ritorno da Londra sarebbe stato fiero di lui.

 

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Capitolo 5
*** cap. 5 ***


La carrozza che li avrebbe condotti a Londra – Ross ne aveva noleggiata una, volendo evitare la diligenza ed assicurare così a Demelza un viaggio più tranquillo – era ferma nel cortile di Nampara. Il cocchiere aveva caricato due grossi bauli, mentre Demelza, avvolta nel suo cappottino color verde bosco, salutava uno ad uno i figli. Qualche lacrimuccia era scesa, abbracci e sorrisi non erano mancati, infine la carrozza aveva imboccato il sentiero che conduceva alla strada carrabile scomparendo alla vista.
Solo dopo aver lasciato alle spalle il gruppetto degli otto, Prudie  e Jud compresi, Demelza si lasciò andare alla commozione con il marito; benchè infatti non lo avesse dato a vedere davanti ai ragazzi, era forte il timore che qualcosa potesse andare storto e che quel momento segnasse l’addio sia al focolare di Nampara che ai suoi amatissimi figli.
A molte miglia di distanza, intanto, anche un altro gentiluomo si era messo in viaggio; Dwight Enys non aveva potuto resistere all’accorato appello di Valentine, che gli aveva scritto una lettera chiedendogli di fare il possibile per rientrare in Inghilterra prima che Demelza subisse l’operazione. Aveva quindi salutato il bel golfo di Napoli e si era imbarcato su una nave diretta a Marsiglia; da lì avrebbe raggiunto via terra la sponda dell’Atlantico e si sarebbe nuovamente imbarcato per la terra natia.
Il primo giorno senza Ross e Demelza a Nampara iniziò sotto i migliori auspici. Henry e Bella si lavarono, vestirono e pettinarono da soli senza fare troppi capricci; Jeremy e Clowance diedero una mano a Jud rispettivamente nella stalla e nel giardino, Julia aiutò Prudie in cucina e Valentine si recò alla miniera a fare le veci di Ross. Fece la spola tutto il giorno tra la Grace, la Leisure e la Grambler, parlò con i rispettivi capitani, esaminò alcuni campioni di rocce, si incaricò di andare a Truro almeno una volta a settimana da Pascoe per esaminare i resoconti finanziari: Zacky Martin disse che lo avrebbe accompagnato a fine mese per prelevare le somme necessarie a pagare i lavoratori. Nel pomeriggio, poi, andò a Trenwith. Fece un controllo di tutto lo stabile e vide che vi era una grondaia da sistemare; diede ordine a Philip, il tuttofare, di occuparsene e disse invece che si sarebbe occupato lui stesso della falciatura del prato, in modo tale da essere impegnato in un lavoro manuale che lo distraesse dalle preoccupazioni per tutti gli impegni che lo attendevano. Mentre era lì gli tornò alla mente ciò che aveva scoperto sulle origini di Julia. Osservando dall’esterno le ampie finestre del piano superiore gli venne un brivido, pensando all’orrore che si era consumato dietro uno di quei vetri. Non conosceva i dettagli, ma immaginava che la giovane domestica fosse stata forzata dal padrone nella sua stanza da letto, nella quale doveva averla attirata con un  pretesto. Doveva essere accaduto di notte, se nessuno aveva udito per accorrere in soccorso di Demelza… Valentine scacciò dalla mente quei pensieri e si concentrò sul prato.
A Londra, intanto, Demelza e Ross si erano installati nell’appartamento che Ross normalmente occupava durante la stagione parlamentare. La locatrice, su richiesta di Ross, aveva fatto trovare le due ampie camere che lo componevano ben pulite, con le lenzuola fresche di bucato e mazzi di fiori colorati ad abbellire i vasi nel grazioso salottino cui si accedeva appena entrati. Demelza sorrise sfiorandone le corolle, intuendo quella che era stata una premura del marito nei suoi confronti. Essendo arrivati in tarda serata avevano avuto giusto il tempo di consumare una cena frugale ed erano andati a letto.
“Domani sera, però, ti condurrò ai giardini di Vauxhall” – disse Ross, pur sapendo che sua moglie non era molto interessata a fuochi d’artificio e spettacoli circensi.
Il giorno successivo, di mattina, avevano appuntamento con il dottor Evans. Purtroppo il suo responso non fu quello che i Poldark si aspettavano, per due ragioni. Innanzitutto il medico comunicò che non sarebbe stato possibile eseguire l’operazione stabilita prima di una settimana, poiché egli era stato convocato con estrema urgenza dalla Casa Reale per una emergenza che riguardava la regina Carlotta e doveva recarsi alla reggia e rimanervi finché non si fosse risolta. Inoltre l’utero di Demelza era molto ingrossato rispetto all’ultima visita e questo poteva voler dire che la massa da asportare era cresciuta in maniera notevole e che l’intervento era più rischioso.
Mentre Ross e Demelza a Londra fronteggiavano questi imprevisti senza perdersi d’animo, dandosi sostegno l’un l’altra, mentre Dwight proseguiva il suo viaggio di ritorno e toccava finalmente la costa settentrionale della Francia, a Nampara passavano i giorni e cominciavano a manifestarsi i primi segni di inquietudine. Prudie era sempre più nervosa a fronte della pigrizia di Jud, sentendo che la responsabilità della casa era completamente sulle sue spalle; il povero marito, dal canto suo, non era mai stato un uomo dinamico neppure in gioventù e a causa degli acciacchi non riusciva, pur volendo, ad essere completamente efficiente. Talvolta uno dei ragazzi Carter veniva ad aiutarlo nei lavori più pesanti, ma proprio in quella settimana egli si era ammalato di bronchite ed aveva dovuto rimanere a letto. Jeremy aveva dato una mano per quanto poteva, ma aveva un fisico mingherlino e non era portato per l’agricoltura; Prudie si era occupata degli animali, aveva annaffiato l’orto ed estirpato le erbacce, lamentandosi poi tutto il giorno per il mal di schiena ed inveendo contro il marito e contro la mala sorte. Clowance e Julia avevano riordinato la casa e cucinato, ma avevano calcolato male i tempi ed il pane non era lievitato a dovere, mentre la carne era risultata troppo cotta; Bella ed Henry erano stati in un angolo del salotto a giocare con animaletti di legno intagliati, fino a quando non era arrivata Caroline che li aveva portati a Killewarren a giocare con Sophie e Melliora; lì doveva esserci stato qualche bisticcio, perché a sera erano tutti di malumore, chi per una ragione, chi per l’altra. Fu quindi un vero sollievo per tutti potersi mettere a letto. Le luci della casa erano quasi tutte spente e Julia, dopo aver raccontato la fiaba della buonanotte ai fratellini, si era attardata in camera sua a leggere a sua volta un libro. Vedendo la luce accesa filtrare dalla porta Valentine bussò e chiese di parlarle un attimo: era abbastanza in pensiero perché temeva di non riuscire a stare dietro a tutto, inoltre lui non aveva il piglio deciso e l’autorità di Ross e gli sembrava che sia Henshawe che Foster non lo tenessero in gran considerazione.   
“Anche io non mi sento all’altezza di mamma – confessò la ragazza – lei è insostituibile, ma forse non dobbiamo chiedere troppo a noi stessi, non trovi?”
Valentine si specchiò in quegli occhi chiari e provò un tuffo al cuore. Julia aveva sempre il potere di trovare la parola giusta, in questo era molto simile alla madre, più di quanto credesse; forse anche lui era più simile a Ross di quanto credesse, e per questa ragione si era innamorato dell’unica persona grazie alla quale riusciva a sentirsi migliore…
Il giuramento che Valentine aveva fatto a se stesso prima della partenza dei genitori – lasciare Julia tranquilla, accantonando i sentimenti che provava per lei – diventava ogni giorno più difficile da mantenere. A fronte delle responsabilità che sentiva di avere come membro più grande in quel momento della famiglia Poldark, aveva sempre più bisogno di un sostegno e Julia era lì, pronta a rincuorarlo e dargli fiducia.
Per quanto Valentine fosse ambizioso e non privo di scaltrezza era pur sempre un ragazzo con poca esperienza negli affari. Un giorno, mentre si trovava a Truro  e stava riprendendo il cavallo per tornare a Nampara dopo aver avuto un colloquio con Pascoe, venne avvicinato da un uomo alto e bruno, con un monocolo ed uno strano cappello a cilindro, come cominciavano a vedersene sempre più in giro, soppiantando il tricorno diffuso nel secolo precedente. L’uomo elegante si presentò come Simon Parker e gli disse che proveniva da Birmingham ed aveva intenzione di fermarsi per due settimane in Cornovaglia prima di partire per la Francia, dove si sarebbe stabilito. Gli disse che in giro gli era stato fatto il nome dei Poldark in quanto proprietari di una bellissima tenuta che veniva affittata anche per brevi periodi. Valentine confermò che la tenuta era di proprietà di sua sorella – rabbrividendo quasi a pronunciare quel grado di parentela – ma aggiunse che di solito era suo padre ad occuparsi dei contratti, in quanto Julia era ancora minorenne. Parker sembrò molto deluso nell’apprendere che Ross non sarebbe tornato prima di una settimana e disse che era un vero peccato, perché egli aveva necessità immediata di trovare un posto dove vivere e le locande di Truro gli erano parse tutte squallide e non adatte alla sua posizione.
“Sapete, ho un credito aperto presso la banca Warleggan per oltre 20.000 ghinee” – e così dicendo Parker tirò fuori dal portafoglio e mostrò a Valentine una lettera di credito indicante la cifra che aveva appena menzionato.
Valentine non ebbe la prontezza di suggerire un consulto con Pascoe, il banchiere di famiglia, e si lasciò abbagliare dalla proposopea del suo interlocutore. Pensò che in fondo non sarebbe stato un male consentire a questo gentiluomo di occupare una stanza a Trenwith anche senza contratto, che sarebbe stato stipulato al rientro di Ross. Le ultime remore del ragazzo furono superate definitivamente quando lo sconosciuto gli disse che aveva a disposizione anche del denaro contante e che poteva dare un anticipo di 20 ghinee sull’affitto della prima settimana. Valentine allora gli disse di tornare nel pomeriggio a Trenwith, dove avrebbero concluso l’affare. Decise di farsi accompagnare anche da Julia, per dare maggiore solennità all’impegno; prese le monete d’oro di Parker e gli consegnò le chiavi della stanza che avrebbe da allora occupato. Sembrò strano ad entrambi i ragazzi che Parker non avesse con sé che una piccola valigia per i suoi effetti personali, ma, quasi prevenendo le loro domande, Parker spiegò che un suo valletto lo avrebbe raggiunto di lì a pochi giorni, ma non avrebbe arrecato disturbo perché sarebbe ripartito immediatamente per Birmingham ed avrebbe alloggiato altrove.
Valentine era abbastanza euforico e non faceva altro che rimirare le monete d’oro che, in un certo senso, costituivano il suo primo guadagno, anche se non spettavano a lui, ma alla famiglia.
“Le andrai a depositare in banca domani stesso, vero?” – gli domandò Julia, ottenendo una risposta affermativa.
Il giorno seguente, però, mentre era in sella a Seamus diretto verso Truro, Valentine venne assalito da un gruppo di briganti, che lo depredarono non solo delle venti ghinee d’oro, ma anche del denaro proprio che portava con sé e dell’orologio d’oro che aveva nel taschino. Non poteva certo dirsi colpa del signor Parker, eppure la conclusione era che quell’uomo aveva il diritto di occupare casa loro gratis per la prima settimana, non potendoglisi certo richiedere due volte il pagamento.
A sera Valentine era talmente avvilito che si era seduto per terra davanti alla stalla e si era messo a fumare uno dei sigari di Ross. Julia, come sempre, era andato a consolarlo, dicendo che non era certo colpa sua che fosse stato depredato; gli si poteva forse rimproverare di essere andato da solo, perché le strade erano spesso infestate da briganti, soprattutto di buon mattino e di notte, ma non era sua responsabilità se i soldi erano andati perduti.
Forse lo scoramento di Valentine era troppo profondo, forse Julia aveva mostrato più dolcezza del solito, fatto sta che ad un tratto Valentine non resistette: le accarezzò il viso, lo prese tra le sue mani e le baciò le labbra dolcemente, come se si fosse trattato di un succoso frutto da assaporare. La cosa sorprendente fu che lei non lo respinse: appoggiò timidamente le mani sul petto di lui e gustò quel bacio lungo e lento come se fosse la cosa più bella che le fosse capitata nella vita.
Entrambi ebbero la lucidità di interrompere quel contatto prima che il desiderio divenisse inarrestabile. Si fissarono negli occhi e si sorrisero, complici, senza bisogno di dire altro. Non si dovevano spingere oltre, ma era stato bello che fosse capitato.
Quel momento magico ed emozionante fu interrotto nella maniera più brusca possibile. Un tonfo li fece voltare e si trovarono di fronte un Jeremy dal volto livido, che aveva appena fatto cascare dalle mani un secchio colmo di biada, che probabilmente Jud o Prudie gli avevano affidato per saziare i cavalli prima di andarsene a dormire.
Valentine e Julia si guardarono sconsolati, perché la reazione del fratello poteva scaturire solo da una cosa: Jeremy doveva averli visti mentre si baciavano.
Valentine scattò in piedi e andò verso il fratello, subito seguito da Julia. “Jeremy...” – provò a dirgli, mentre la ragazza, istintivamente, gli prendeva una mano.
“Non toccarmi! – sbottò il quindicenne - mi fate ribrezzo, siete disgustosi, devo andare a dirlo a tutti!”
“Dove vai, fermati, abbassa il tono di voce! Non dirai nulla proprio a nessuno” – gli intimò il fratello maggiore.
“Ah, no? – replicò l’altro – mi fai schifo, Val, come hai potuto, è tua sorella, in nome del cielo! E anche tu, anche tu, che credevo una ragazza onesta…”- disse mettendosi le mani nei capelli, come a voler scacciare un pensiero indicibile.
Mentre Valentine ripeteva che Julia non era sua sorella e che Jeremy doveva farsi gli affari propri,  Julia tentava ancora di instaurare con lui un dialogo sereno: “ Jeremy, cerca di calmarti, ti prego, lascia che ti diamo una spiegazione!”, senonchè il giovane si negava a quel confronto, continuava a smaniare come in preda ad un delirio ripetendo che era disgustoso ed orribile e che si doveva impedire un simile abominio.
Si zittì solo quando si ritrovò in terra ed avvertì il sapore metallico e ferroso del sangue che gli era colato in bocca, dopo il pugno che il fratello maggiore gli aveva assestato in pieno naso.
“Scusami Jeremy, ma era l’unico modo per metterti a tacere. Lascia che ti spieghi, io e Julia ci siamo innamorati…”
“Non voglio sapere nulla; è una cosa orrenda, abominevole, è come se io e Clowance…” – e scosse la testa per cancellare quell’immagine sconvolgente, tamponandosi il naso.
Valentine si chinò in terra, si mise in ginocchio e con il suo fazzoletto pulì il volto del fratello dal sangue, poi gli parlò con calma.
“Non è affatto come dici tu. Non è la stessa cosa. Sai benissimo che io e Julia non siamo fratello e sorella. Demelza non è mia madre, e Ross non è suo padre”.
Jeremy lo contestò: “Sì, ma avete 4 fratelli in comune, avete giocato insieme e condiviso tutto fin da piccoli … come puoi considerarla in maniera diversa da una sorella? Come avete potuto innamorarvi?” – esclamò sconsolato, guardando anche la bionda, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, ma si era seduta per terra accanto a Jeremy.
“Al cuore non si comanda, Jerry – rispose il maggiore - non ho scelto di innamorarmi di lei, e Dio solo sa quanto abbiamo combattuto contro questa cosa... Julia soprattutto! Ma è successo, e non possiamo farci nulla…”
“Mamma e papà lo sanno?” – mormorò l’adolescente.
“No, e ti pregheremmo di tenere la cosa per te per il momento. Non abbiamo voluto dare loro pensieri, ma quando torneranno racconteremo loro tutto” – aggiunse Valentine.
“Ti prego – aggiunse Julia – capisco che tu sia sconvolto, lo comprendo bene, ed io stessa mi sento molto confusa… ma non posso negare di provare qualcosa per Valentine, qualcosa che va oltre l’affetto fraterno che ho sempre nutrito per lui… quello che è accaduto poco fa, era la prima volta e ti giuro che non succederà più, almeno finchè non avremo parlato con mamma e papà… te lo prometto” e mentre pronunciava queste parole fissò Valentine, perché quella promessa era un’implicita richiesta a lui di non cedere più ai sentimenti.
“E farete bene a mantenerla! Che sarebbe successo se al posto mio fosse arrivata Bella, oppure Henry, o Prudie, o Jud? Non sarete fratelli di sangue, ma siete fratelli agli occhi di tutta la comunità e non è semplice la posizione in cui vi siete messi! Chiunque sarebbe turbato, al posto mio!”. Detto questo, Jeremy si ricompose e garantì che avrebbe serbato il silenzio, anche se i due fratelli avrebbero fatto meglio a stare lontani il più possibile sia da lui che l’uno dall’altra. A suggellare la promessa, Julia andò via da sola a casa, mentre i due maschi diedero da mangiare insieme alle bestie nella stalla, cercando di ritrovare un po’ dell’armonia perduta.
A Nampara nessuno si accorse di nulla.Jeremy però trascorreva molto tempo da solo e cercava di non incrociare lo sguardo né con Valentine né con Julia. Un osservatore più attento si sarebbe però reso conto che egli seguiva con estrema attenzione i movimenti dei due fratelli maggiori, pronto a registrare qualsiasi scostamento dal giuramento che era stato pronunciato in sua presenza.

 

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Capitolo 6
*** cap. 6 ***


Era trascorsa meno di una settimana dall’arrivo di Ross e Demelza a Londra quando Dwight Enys bussò alla porta della pensione in cui Ross alloggiava nella capitale. Non ci fu bisogno di farsi annunciare, perché l’amico del capitano Poldark era ben noto alla padrona di casa. Non appena Ross aprì la porta, riavutosi dalla sorpresa abbracciò forte l’amico medico e gli espose per sommi capi quale fosse la condizione di Demelza, mentre l’altro gli spiegava che era stato a causa di una lettera di Valentine che si era messo subito in viaggio per raggiungerli. Udita la voce di Dwight, anche Demelza si unì a loro nel salottino dell’abitazione ed accolse con gratitudine la proposta di Dwight di accomodarsi in camera da letto ed indossare un abito più comodo, così che la potesse visitare. Demelza indossò la camicia da notte e si stese sul letto, mentre Ross, ansioso, osservava lo svolgimento della visita da un angolo. Dwight era calmo e concentrato; le toccò il ventre, si fece ripetere esattamente la diagnosi formulata dal collega e pose alcune domande: da quando tempo esattamente era scomparso il ciclo mensile e da quanto tempo Demelza aveva cominciato ad avvertire i primi disturbi.
La moglie di Ross tornò indietro nel tempo e con un certo sforzo riuscì a ricordare che l’ultima volta che aveva avuto il ciclo risaliva a circa quattro mesi e mezzo prima; in quel periodo infatti vi era stato un parto complicato per una delle loro vacche e lei ricordava di essersi molto stancata quel giorno, in cui tra l’altro Jud non c’era perché era andato a vendere degli animali alla tradizionale fiera di Redruth. Per quanto riguardava la seconda domanda, i disturbi si erano manifestati poco prima che Dwight partisse per l’Italia. Oltre al ciclo che tardava ad arrivare ormai da due mesi, Demelza aveva avvertito la presenza di uno strano rigonfiamento nella parte bassa dell’addome, non doloroso al tatto ma molto evidente, anche ad occhio nudo soprattutto quando si risvegliava al mattino ed era ancora distesa a letto. Dopo un primo consulto con Dwight ella si era quindi rivolta al dottor Evans di Londra, che aveva diagnosticato la presenza di una formazione all’utero che andava rimossa entro breve tempo. Nonostante tutto fosse stato organizzato, il medico aveva rimandato l’intervento ed aveva anche riscontrato un enorme aumento della massa da asportare, che rendeva l’intervento più rischioso. A questo punto fu Ross, impaziente come al solito, a sollecitare un parere di Dwight, soprattutto sulle cause per cui quel tumore era aumentato così all’improvviso, in quanto il dottor Evans non aveva dato spiegazioni in proposito, anzi era stato estremamente evasivo e quasi sgarbato, avendoli congedati in tutta fretta per recarsi a palazzo reale.
Dwight rispose che stava cercando di elaborare qualche teoria in proposito e pose un’altra domanda: se, da quell’ultima volta in cui Demelza ricordava di aver avuto le mestruazioni, la coppia aveva avuto momenti di intimità.
Sebbene fossero molto in confidenza con Dwight e lui stesse ponendo quelle domande in qualità di medico, Demelza arrossì. Dovette ammettere che sì, avevano avuto dei rapporti intimi; non c’erano mai stati problemi fra di loro sotto quel punto di vista e Ross era fatto in un “certo modo” che Dwight ben conosceva; da quando però erano andati a visita dal dottor Evans la prima volta, Ross non l’aveva più sfiorata. Data la natura del discorso entrambi i coniugi intuirono cosa Dwight stesse pensando e negarono risolutamente che quella teoria avesse fondamento. Demelza disse che aveva 39 anni e che negli ultimi cinque anni, dopo la nascita di Henry, aveva avuto un ciclo non molto regolare e non era più rimasta incinta. Ross invece espose razionalmente che era impossibile vi fosse una gravidanza in corso, in quanto un medico preparato come il dott. Evans lo avrebbe certamente capito e non avrebbe potuto confondere l’utero di una donna gravida con quello di una donna con una massa estranea da asportare.
“Calma, calma, tutti e due – li frenò l’amico – non sto negando che il tumore esista. Sto cercando semplicemente di spiegare per quale motivo Demelza si sia accorta della sua presenza solo negli ultimi tempi e per quale motivo esso sembra cresciuto in maniera notevole nell’ultimo periodo.”
Dwight ipotizzò che l’utero si fosse ingrossato rapidamente a causa della gravidanza, che contemporaneamente aveva spinto verso l’esterno la massa anomala, rendendola più percepibile e quindi dando l’impressione che fosse cresciuta a dismisura.
Demelza obiettò che aveva avuto altre quattro gravidanze e si sarebbe resa conto di essere incinta. Poi però riflettè che la sua attenzione negli ultimi mesi era stata calamitata da quella protuberanza nell’addome, aveva temuto che fosse giunta la menopausa, non aveva minimamente pensato ad una gravidanza, eppure non si poteva escludere che Dwight avesse ragione… cominciò a ricordare che nei primi tempi dopo l’ultimo ciclo non aveva avuto appetito e gli odori della cucina di Prudie l’avevano più volte disgustata, ma non ci aveva dato peso dato che la sua governante non era particolarmente dotata come cuoca; il seno era florido, i capelli setosi, la pelle distesa, inoltre nelle ultime settimane , a parte la stanchezza del viaggio, si era sentita piena di energia… se i calcoli di Dwight erano esatti doveva essere incinta da poco meno di quattro mesi. Mancava poco, un altro mese forse, per cominciare a sentire il bambino muoversi, il che le avrebbe dato la conferma di aspettare un figlio… mentre quasi accarezzava quell’idea, ricordò l’esistenza dell’altro problema di salute e domandò a Dwight cosa dovesse fare.
“Se è vero che sono incinta, quando sarò operata il bambino morirà…”- mormorò.
“E’ inevitabile” – rispose serio il medico.
“Se invece decidessi di non operarmi…”
“Non vi è alcuna certezza che la gravidanza giunga a buon fine. Il feto potrebbe non trovare spazio nell’utero, non crescere a sufficienza oppure morire nel tuo grembo; anche poi volendo sperare che la gravidanza giunga a termine con successo, potresti avere un parto con un sanguinamento eccessivo e rischiare la vita – spiegò il medico –vita che sarebbe comunque in pericolo perché non sappiamo sapere cosa succederà a quella massa tra cinque mesi, potrebbe essere cresciuta tanto da non essere più asportabile, aver invaso le tue cellule in maniera irrimediabile”.
“Mi stai quindi consigliando di operarmi ugualmente”- concluse triste Demelza.
“Come medico senza dubbio. Come amico, conoscendoti, so che non potresti perdonarti di aver pensato unicamente a te stessa, senza valutare altre possibilità”.
“Quali altre possibilità? – intervenne Ross, avvicinandosi al letto e frapponendosi fra sua moglie e Dwight – ti proibisco di farle venire strane idee! Non permetterò che metta in pericolo la sua vita! Abbiamo già sei figli che hanno bisogno di lei!”
Demelza rispose che i sei figli se la sarebbero cavata benissimo, avendo un padre, altri familiari e degli amici che avrebbero vegliato su di loro; il bambino nel suo grembo invece in quel momento non aveva nessuno che lo proteggesse, tranne sua madre stessa.
“Rischierei la vita comunque, operandomi immediatamente, questo lo sapevamo bene Ross; se c’è una sola possibilità di salvare sia me che il bambino, voglio conoscerla”- rispose fiera la donna.
“Demelza ha ragione – sentenziò Dwight – è giusto che siate informati di tutte le possibilità, poi prenderete la vostra decisione. Ovviamente i tempi per farlo sono piuttosto ristretti”.
Dwight spiegò dunque che si poteva tentare di attendere fino al settimo mese, così che il feto avesse maggiori possibilità di sopravvivenza; si sarebbe quindi tentato un parto cesareo, nel corso del quale il chirurgo avrebbe asportato anche la massa dall’utero. Non vi era alcuna garanzia di successo, ma poteva essere un tentativo. Una strada completamente priva di rischi sia per Demelza che per il bambino purtroppo non esisteva.
Dopo essere rimasti soli, Ross supplicò Demelza di non farsi assalire dai sensi di colpa e di scegliere la via più semplice, quella che anche Dwight come medico riteneva più percorribile. Disse che anche a lui dispiaceva condannare a morte una creatura innocente, ma ribadì che occorreva pensare alla loro famiglia già formata, a Bella ed Henry che erano ancora molto piccoli, e soprattutto a ciò che Demelza rappresentava per lui, per la comunità, a tutto il bene che poteva fare ancora per gli altri…
“Neanche io vorrei mai lasciarvi Ross, ma nessuno è così indispensabile su questa terra. Perché i nostri figli già nati dovrebbero avere più considerazione di questo in arrivo? Nel loro interesse l’altro dovrebbe essere sacrificato come se nulla fosse? Ascoltami bene: diciannove anni fa sono stata privata dell’innocenza nel modo più terribile, ero sola e senza mezzi, eppure ho scelto di non abortire, e mai un solo giorno della mia vita mi sono pentita di questa scelta: Quando guardo Julia non mi ricordo di Francis, del dolore e dell’umiliazione che ho provato, ma vedo una bellissima giovane donna, intelligente, buona, cresciuta con amore in una famiglia unita; vedo l’amore che tu sei stato capace di donarle, trattandola come figlia. Neppure questo bambino ha chiesto di venire al mondo, anzi per dirla tutta non era affatto nei nostri progetti; ma se Dwight ha ragione e sono davvero incinta, per quanto questa notizia ci abbia colto di sorpresa, non mi sentirei in pace con me stessa decidendo di non fare nemmeno un tentativo per salvarlo, o salvarla… sono stata capace di accogliere ed amare la figlia generata da un atto di violenza e dovrei far morire il figlio dell’uomo che amo?”
Ross obiettò che quando aveva scoperto di essere incinta di Julia Demelza era giovane e sana, mentre ora questa gravidanza era particolarmente rischiosa. Alla loro età di solito si diventava nonni, non genitori. Che cosa poi avrebbero pensato Valentine, Julia e gli altri? Che i loro genitori non erano neppure in grado di controllarsi, che si amavano irresponsabilmente come due fanciulli inesperti? Non sarebbero stati di buon esempio!
Demelza sgridò suo marito: i ragazzi non avrebbero dovuto osare pensare qualcosa di simile. Erano sposati, e nulla di ciò che accadeva nella loro camera da letto era affare dei loro figli. Tutti erano abituati a vivere in una famiglia numerosa, un fratellino o sorellina in più non avrebbe mutato i loro equilibri. Solo Henry, forse, avrebbe manifestato un po’ di perplessità, ma era un bambino di così buon carattere che presto si sarebbe abituato all’idea. Piuttosto, era preoccupante che vi fossero tante incognite e che il bambino rischiasse di non nascere in salute, per i motivi che aveva esposto Dwight.
“Se avessi la certezza che il mio sacrificio servisse a qualcosa, non esiterei ad aspettare il termine della gravidanza per metterlo al mondo: non mi interessa tanto salvare la vita, ma che lui o lei nasca sano”.
Ross la strinse forte tra le braccia: era la sua Demelza, capace di atti di generosità incredibili, ed era anche per questo che la amava così tanto. Sarebbe stato inutile insistere, lei non avrebbe mai messo a repentaglio la vita del bambino per salvare la sua. Decisero che avrebbero contattato subito il dottor Evans esponendogli la teoria di Dwight, insieme avrebbero valutato il da farsi, non scartando però la proposta di Dwight di portare avanti la gravidanza il più possibile senza mettere a rischio la salute di Demelza.
A Nampara, nel frattempo, le giornate si susseguivano in un clima teso, con Julia che trascorreva la maggior parte del tempo con le sorelle e con Henry, evitando di parlare sia con Jeremy che con  Valentine, mentre quest’ultimo, seguito come un’ombra dal fratello minore ed insofferente a questa forma di vigilanza, trascorreva sempre più tempo fuori casa, tendeva a pranzare o cenare fuori e nelle rare occasioni in cui era a Nampara teneva gli occhi bassi sul piatto limitandosi a poche frasi di circostanza. Se ci fossero stati Ross e Demelza si sarebbero senz’altro accorti che qualcosa non andava, ma Jud e Prudie non erano così perspicaci e quest’ultima in particolare nutriva nei confronti di Valentine il pregiudizio legato alla sua originaria antipatia per Elizabeth, così che, fin da quando era piccolo, attribuiva i suoi malumori alla genetica e lo lasciava da solo a sbollire la rabbia  o superare la malinconia.
Julia soffriva nel vedere Valentine comportarsi così; una volta Prudie le aveva raccontato che il nonno Joshua, quando era morta la moglie Grace, aveva affogato il dolore nell’alcol e che Ross stesso nei momenti di disperazione sembrava aver preso quella china, ma per fortuna aver incontrato Demelza era stata la sua salvezza. Era preoccupata quando il ragazzo rientrava tardi la sera ed era certa che trascorresse gran parte delle giornate al Red Lion o in altri pub a scolare gin e rum. Avrebbe voluto parlargli a quattr’occhi, ma certo Jeremy avrebbe frainteso, si sarebbe lasciato sfuggire qualcosa ed in quel momento bisognava assolutamente evitare che la servitù scoprisse cosa era accaduto. Jud e Prudie avrebbero considerato il fatto come una tentazione diabolica e probabilmente avrebbero chiamato lo zio Sam a disinfestare la casa dagli spiriti maligni, come minimo. Oltre a queste preoccupazioni, la assaliva l’incertezza sulla salute di sua madre; ora più che mai sentiva che aveva bisogno di lei, di un suo consiglio, perché i sentimenti che provava per Valentine non si potevano più negare e Demelza avrebbe sicuramente trovato le parole giuste per confortarla.
Jeremy, intanto, aveva acquisito una discreta sicurezza sul fatto che, grazie alla sua vigilanza, i fratelli avessero posto fine a quella storia. Si sentiva però inquieto e preoccupato per essere l’unico depositario di quel segreto: come sarebbe stato bello se ci fosse Demelza lì con loro! La madre era la più comprensiva della famiglia, era attenta ai desideri di tutti e sarebbe stata in grado di discernere qual era la cosa giusta da fare. Ross era testardo ed impulsivo e probabilmente avrebbe reagito peggio di lui quando li aveva scoperti. Demelza no, Demelza avrebbe trovato le parole giuste per distogliere quei due testoni dalla loro malsana idea di amore, senza però umiliarli e senza trattarli male, nel rispetto dei loro sentimenti.
Anche Valentine fremeva per la lontananza di Ross: avrebbe voluto parlargli il prima possibile e chiedere il permesso di trasferirsi a Londra. Se doveva rinunciare a Julia, doveva frapporre fra di loro molte miglia, occupare la mente in nuove attività, e Londra rispetto alla zona di Truro offriva molte più possibilità commerciali. Nelle lunghe giornate trascorse lontano da casa e dalla sorella adottiva era giunto a questa determinazione.
Clowance, apparentemente vanitosa e frivola, era una ragazza molto sensibile ed intelligente e in virtù di quel particolare legame che unisce i gemelli aveva percepito che Jeremy non era tranquillo; non aveva capito per quale ragione egli fosse sempre alle calcagna di Valentine oppure, inspiegabilmente, non si muoveva dal salotto mentre Julia era lì da sola, intenta a ricamare. Anche la sera, prima di andarsi a coricare, lo vedeva aggirarsi per i corridoi con una candela in mano come se fosse una sentinella, tanto che lo aveva anche preso in giro. Il gemello sembrava anche aver perso un po’ della sua ironia e del suo spirito faceto, sembrava serio e preoccupato e non rideva più nemmeno con il piccolo Harry, il suo preferito.
Una sera, proprio mentre Jeremy perlustrava il corridoio nonostante fosse notte fonda, Clowance si decise a chiedere spiegazioni del suo strano comportamento. Vuoi per la insistenza della ragazza, vuoi perché non ne poteva più di essere il solo a sostenere il peso della notizia, Jeremy confidò alla sorella la scena di cui era stato testimone qualche sera prima. Clowance rimase esterrefatta e si domandò come aveva potuto non accorgersi di nulla. Certo Julia era una ragazza molto riservata, era stata brava a non far trapelare nulla neppure quando avevano parlato tra ragazze delle loro prime cotte, dei ragazzi più carini della zona con cui avrebbero voluto fidanzarsi… era ovvio che il nome di Valentine non fosse mai venuto fuori, ma Julia aveva espresso il suo gradimento per il figlio di Jinny Martin che fisicamente era molto diverso da Valentine; inoltre la sua amica Kelly Spencer le aveva riferito che Valentine aveva avuto una storia con sua sorella Jane e che li aveva anche sorpresi a baciarsi una volta. Jeremy obiettò che era normale per un maschio avere più storie contemporaneamente, non c’era niente di male, ma si stupì del fatto che Clowance non fosse disgustata al pari suo dalla notizia in sé, perché quei due erano fratelli!
“Beh, ma non sono proprio fratelli, se ci pensi – aveva risposto la biondina – hanno padri e madri diversi, hanno in comune solo il fatto che i loro genitori si sono innamorati, sposati ed hanno avuto altri figli”
“Ma papà ha adottato Julia, è sua figlia!” – aveva continuato Jeremy, guardando al vincolo giuridico, che era importante per la società al pari di quello di sangue.
Clowance concluse che da qualunque prospettiva la si guardava era una storia molto triste; era triste cioè che Julia e Valentine non fossero liberi di vivere il loro amore come tutti, perché in una maniera o nell’altra ci sarebbe stato qualcuno che avrebbe sofferto.
“Chissà cosa gli direbbero mamma e papà se lo sapessero…” – pensò la ragazza prima di infilarsi sotto le coperte, mentre faticava a prendere sonno. Jeremy le aveva fatto giurare di non dire nulla, ma non sapeva come avrebbe fatto a comportarsi con indifferenza nei giorni a venire. Sentiva il bisogno di confidarsi a sua volta con qualcuno, ma con chi? Forse con Sophie Enys? No, era una brava ragazza ma lo avrebbe raccontato a sua sorella Sarah, era incapace di tenere un segreto per sé. Sarah a sua volta non avrebbe perso occasione per farsi notare da Jeremy, visto che ne era innamorata : quale migliore scusa di mostrarsi come amica fidata se non quella di riferirgli della violazione di un giuramento di segretezza da parte di Clowance? Inoltre non si poteva rischiare che gli Enys venissero a sapere la cosa prima di Ross e Demelza. Il segreto doveva restare in famiglia.
Per fortuna ai tormenti dei giovanissimi Poldark pose presto fine il ritorno anticipato dei genitori. Il dottor Evans dopo aver visitato nuovamente Demelza aveva concordato con la ipotesi formulata da Dwight e aveva preso atto che Ross e Demelza non intendevano procedere nell’immediato ad una operazione chirurgica. Dwight aveva deciso di non ripartire per l’Italia, così avrebbe potuto monitorare strettamente quella gravidanza così particolare, con l’intesa che, se non ci fossero stati altri disturbi, dopo tre mesi avrebbero valutato il parto cesareo.
Quando Ross e Demelza, con un certo imbarazzo, comunicarono la grande novità ci fu un attimo di silenzio cui seguirono grida e salti di gioia. La mamma stava bene e sarebbe arrivato un nuovo fratellino, o una sorellina! Bella osservò con un po’ di disappunto che al momento erano tre maschi e tre femmine, e questo nuovo arrivato avrebbe turbato l’equilibrio, a meno che non fossero due gemelli di sesso opposto come Jeremy e Clowance. Ross si lasciò scappare che sperava proprio di no! Superando l’ilarità generale Demelza volle che i ragazzi sapessero che la sua malattia non era improvvisamente scomparsa e che questo bambino rischiava di andare incontro a delle difficoltà per venire al mondo, per cui dovevano tutti pregare che potesse nascere sano e forte. Ross con una occhiataccia mise a freno la lingua di Prudie, che sotto voce mormorava con il marito che, quando si compivano prodezze sotto le lenzuola dopo aver passato i quaranta, il risultato era come minimo quello di dover stare nove mesi a letto per una gravidanza difficile, e chi ne avrebbe pagato le spese? Lei, come sempre!
Dopo la riunione di famiglia Ross si recò in miniera, raccomandando a Demelza di restare a letto e vietandole categoricamente di compiere alcun tipo di sforzo fino al settimo mese. Ross era ansioso come sempre e la sua imposizione era stata pronunciata davanti a tutta la famiglia e ai due servitori, perché di tutti pretendeva la collaborazione affinchè la moglie non si stancasse. Appena chiusa la porta però Demelza disobbedì, recandosi in giardino. Non aveva intenzione di trascorrere mesi a letto come una invalida, tanto più, pensò, se erano gli ultimi mesi della sua vita. A Ross non lo aveva confidato, ma aveva un brutto presentimento che la accompagnava, ciò nonostante si sentiva serena e fiduciosa.
Valentine aveva seguito Ross nel suo giro di ricognizione alle miniere, ognuno in groppa al suo cavallo. Avevano discusso delle estrazioni, della quantità di materiale raccolto, dei ricavi e degli investimenti fatti con Pascoe. Ross lodò l’impegno del figlio in quegli ultimi tempi e Valentine colse la palla al balzo per chiedere al padre l’autorizzazione a trasferirsi a Londra. Aveva dato dimostrazione di essere un ragazzo affidabile ed intendeva crearsi un proprio futuro in un settore che non fosse quello minerario, senza dipendere dalle fortune della famiglia. Ross tese le briglie e fermò il cavallo. Quel discorso lo sorprendeva moltissimo e cercò di comprendere quale motivazione ci fosse alla base di una decisione così drastica. Alla fine Valentine pensò che la cosa migliore era sgravarsi di quel peso, e così gli disse: “Papà, la verità è che voglio allontanarmi da Julia, perché mi sono innamorato di lei”. Ross restò sbalordito.
“Di Julia? Che cosa stai dicendo?” “Hai capito bene, papà. Di Julia, la figlia di Demelza”.
Ross, il viso contratto in una smorfia,  replicò che adesso comprendeva la ragione di tutte quelle domande che gli aveva fatto su Julia prima di partire per Londra. Valentine confermò che aveva fatto delle indagini per conto suo e aveva capito che Julia era figlia del cugino Francis, ma Ross non doveva temere: a Julia non aveva detto nulla di tutto ciò. Raccontò anche di come Jeremy li avesse sorpresi a baciarsi e che questa era la ragione per cui doveva andarsene. Ribadì tuttavia che Julia lo ricambiava.
Ross non sapeva che cosa rispondere. A differenza di quanto Valentine poteva aspettarsi non era sdegnato dalla notizia, ma solo meravigliato e molto preoccupato, per i due ragazzi ma anche per la loro famiglia in generale. Stavano già affrontando una prova difficile con la malattia e la gravidanza di Demelza, avrebbe preferito trovare tutti i figli uniti al loro fianco, mentre Valentine gli aveva appena mostrato una falla nella loro favola perfetta. Chiese al figlio di pazientare ancora qualche giorno prima di prendere una decisione definitiva, perché voleva parlarne con Demelza. Si sentì improvvisamente incapace ed impotente. Cosa avrebbe fatto senza di lei? Aveva dovuto assecondare quella sua folle scelta di portare avanti la gravidanza ed alla prima difficoltà non era in grado di dare un consiglio sensato senza ricorrere al suo aiuto. Per un attimo temette che tutto quello che aveva costruito con fatica negli anni crollasse e lui si ritrovasse solo e sperduto come si era sentito dopo il matrimonio con Elizabeth.

 

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Capitolo 7
*** cap. 7 ***


Prima ancora che Ross tornasse a casa Demelza era già al corrente di tutto ciò che c’era bisogno di sapere su Valentine e Julia. La sua primogenita, appena Demelza si era liberata dallo stuolo dei fratellini, le aveva rivelato il tormento del suo cuore. La madre era rimasta sorpresa di quella confidenza, ma la sua sensibilità le aveva impedito di giudicare male i due ragazzi; aveva anzi sofferto per loro, ricordando quanto ella stessa aveva patito da ragazza, cercando di strapparsi dal cuore, inutilmente, i sentimenti che provava per Ross. Certo le due vicende presentavano profonde differenze: Demelza non poteva ambire all’amore di Ross non solo per la differenza di posizione sociale, ma perché lui era già sposato, un ostacolo oggettivamente non sormontabile. Per Julia e Valentine l’unico vero ostacolo era l’opinione del mondo, che li aveva sempre considerati due fratelli di sangue. Demelza ascoltò dalla voce di Julia il resoconto della lite con Jeremy, che le fece toccare con mano come sarebbe stato difficile per chiunque, di famiglia e non, accettare quella relazione. Julia e Valentine non erano fratelli, ma erano stati cresciuti come se lo fossero, tanto che quasi nessuno ricordava che il padre di Julia non fosse Ross. La biondina narrò di come fosse stato improvviso il trasformarsi del legame affettivo con Valentine, che ella aveva considerato suo fratello fin da quando era bambina;  lui aveva cominciato a guardarla in modo differente da un giorno all’altro, senza un perché, e lei aveva scoperto che quegli sguardi la lusingavano e si era sorpresa a considerare che Valentine era affascinante, brillante, le piaceva molto più di qualunque altro ragazzo della zona. Julia rievocò con onestà tutte le sensazioni che aveva provato dopo essersi accorta di amare Valentine, soprattutto i sensi di colpa; aggiunse che i due ragazzi avevano deciso di allontanarsi non per il timore che ci fosse un reale vincolo di sangue tra di loro, ma dopo aver scoperto, in seguito alla reazione di Jeremy, quanto sarebbe stato difficile vivere davanti a tutti  il loro amore, dover dare spiegazioni, doversi quasi giustificare come se fosse un sentimento malsano ed immorale.
Sua madre aveva provato a consolarla, a dire che era molto giovane e che con il tempo avrebbe forse potuto scoprire che quella per Valentine era solo una infatuazione, avrebbe potuto conoscere altri ragazzi, qualcuno che le facesse battere il cuore e che desiderasse avere accanto per la vita. Julia tuttavia aveva dovuto tristemente ammettere che, per quanti sforzi avesse fatto, Valentine era sempre nella sua mente, come un chiodo fisso; disse che dubitava di potersi innamorare di un altro e che era disposta a rinunciare a lui solo perché pensava che fosse il bene di entrambi.
Demelza la abbracciò e le disse che ne avrebbero discusso con Ross e Valentine: tutti insieme avrebbero trovato una soluzione.
A sera quindi, nel momento tradizionale in cui i due sposi si ritiravano nella loro stanza e si confidavano le preoccupazioni della giornata, Demelza sapeva già buona parte di ciò che Ross voleva comunicarle; le mancava solo la parte relativa alla decisione di Valentine di trasferirsi. Sebbene la loro esperienza di vita insegnasse che neppure la lontananza era la soluzione giusta per annullare un sentimento profondo e radicato, Demelza suggerì di assecondare Valentine e lasciare che la separazione ed il tempo consentissero ai due ragazzi di fare luce sui loro reali sentimenti e recuperare un po’ di serenità.
“Se decideranno di stare insieme nonostante tutto, noi saremo dalla loro parte, vero, Ross?” , ed a quelle parole il marito annuì. Non era lieto di quella piega presa dagli eventi, ma non avrebbe mai fatto mancare il suo appoggio ai figli.
Trascorsero dunque le settimane e Ross fece del suo meglio per organizzare la partenza di Valentine. Decisero che si sarebbe trasferito a Londra, dove Ross aveva numerose conoscenze grazie alla sua attività politica, e si sarebbe occupato di commercio, da e per la Cornovaglia. In tal modo ogni tanto avrebbe potuto ritornare a casa e la sua partenza non avrebbe dato troppo nell’occhio. Nonostante tutte le precauzioni assunte, in breve tempo però la notizia divenne di dominio pubblico.
Un pomeriggio Ross e Julia si erano recati a Truro ad acquistare delle stoffe per Demelza, che voleva cucire una copertina per il neonato. Girando tra le botteghe i due si imbatterono in George Warleggan, tronfio come non mai per essere diventato da pochi giorni padre di due gemelle. Ross non poteva esimersi dal fargli gli auguri, e si fermò alcuni istanti a scambiare frasi di circostanza con il suo antico rivale.
“Mi è giunta voce di un imminente trasferimento di Valentine nella capitale, per dedicarsi al commercio - commentò il banchiere, e, dopo che Ross gliene aveva dato conferma: - Credo che sia un ragazzo sveglio, gli auguro le migliori fortune. L’importante è che non segua le orme di tuo cugino Francis! Sappiamo bene come andò a finire la sua disgraziata attività commerciale a Londra, fu l’inizio della fine! Digli comunque che sono a sua disposizione, se ha bisogno di qualche consiglio. Tu sei più uomo di azione che affarista...”
Ross trattenne l’impulso di afferrarlo per il bavero e fargli mangiare la polvere della strada e lo salutò con diplomazia. Una volta allontanatisi, cercò lo sguardo di Julia per commentare quanto era appena accaduto, ma la fanciulla era seria e turbata. Ross pensò che le parole di George l’avessero immalinconita e che le avesse trovate di cattivo auspicio.
“Non dar retta a quell’uccellaccio del malaugurio! Valentine si troverà bene a Londra, e farà grandi cose!” – provò a dirle. Ma non era quello il motivo che aveva rannuvolato l’umore della ragazza. Appena furono sul calesse che doveva riportarli a casa Julia mormorò: “Tuo cugino Francis ha vissuto a Londra per un periodo? Non lo sapevo…” Ross spiegò che Francis aveva cercato fortuna a Londra nel settore della vendita di pietre preziose, perché non aveva mai amato l’attività estrattiva di famiglia. Alla morte di suo padre, tuttavia, aveva dovuto fare ritorno a Trenwith, e non era stato purtroppo in grado di gestire l’eredità; era rimasto strozzato dai debiti, fidandosi eccessivamente dell’ “amico” George, che non aveva invece esitato a rovinarlo. Aggiunse che George era stato ingiusto a fare quelle considerazioni in loro presenza, ma che egli non aveva inteso rispondergli per le rime perché si era reso conto da tempo che non valeva la pena discutere con quel povero mentecatto. Ross si sentiva in imbarazzo a parlare di Francis con Julia e si era limitato a darle notizie molto scarne e sintetiche, ma la ragazza sembrava sempre più interessata ad approfondire l’argomento.
“Tu e lui andavate d’accordo?” “La vedevamo in maniera diversa su molte cose.”
“Non ti aveva parlato mai delle sue difficoltà economiche?” “No, altrimenti lo avrei aiutato”.
“Era una brava persona?” Ross si fermò un attimo a pensare. Francis aveva compiuto degli atti orribili, la sua condotta era stata tutt’altro che ineccepibile, ma in punto di morte aveva scritto una lettera in cui chiedeva perdono a Dio dei suoi peccati. Ross era certo che se Francis avesse saputo dell’esistenza di Julia se ne sarebbe fatto carico, e sarebbe stato capace di volerle bene.
“Sì, lo era. Ha commesso molti errori nella sua vita, ma se non si fosse tolto scelleratamente la vita avrebbe fatto ammenda, ne sono sicuro”.
Ross si accorse che calde lacrime rigavano il volto della fanciulla, ed istintivamente tirò le redini ed arrestò la marcia del calesse.
“Papà…” – mormorò la ragazza, soffocando i singhiozzi sulla spalla di Ross. Dopo essersi calmata, Julia si sciolse dall’abbraccio di Ross e gli disse: “Non dire niente alla mamma… io lo so che era Francis Poldark il mio vero padre. Lo so da parecchio tempo, e non perché me lo abbia confessato la mamma. La verità è che io non ho mai creduto alla storia dell’uomo misterioso di cui nessuno sapeva nulla, morto prima ancora della mia nascita. Mamma ha sempre amato solo te, io la conosco, e per quello che mi ha sempre raccontato del vostro immenso amore so che non sarebbe mai stata capace di darsi spontaneamente ad un altro. Quello che è accaduto è stato sicuramente un atto contro la sua volontà… No, non dire nulla! Non è una cosa che mi fa male, almeno non più… anzi mi fa comprendere quanto grande sia stato l’amore di mamma per me nello scegliere di darmi la vita nonostante tutto, e quanto grande il tuo amore per lei e la tua generosità nell’accogliermi! Mi sono turbata prima, alle parole del signor Warleggan, perché per un attimo ho temuto di essermi ingannata, che Francis non fosse il mio vero padre in quanto viveva a Londra all’epoca, e che mamma fosse stata davvero vittima dell’aggressione di uno sconosciuto. Tu però mi hai chiarito tutto”.
Ross era sgomento per quella confessione, ma sentiva che non poteva più tacere e negare non aveva alcun senso. “Julia, quello che ti ho detto prima è la verità. Mio cugino non era in sé, era disperato, ma ha chiesto perdono per il suo gesto in una lettera scritta prima di morire, che è giunta nelle nostre mani grazie al reverendo Odgers. Tua madre lo ha perdonato da tempo; io stesso, che sul momento avrei voluto ucciderlo con queste mani, oggi provo soltanto pietà per lui; anche tu, devi cercare di dimenticare!”
“Dimenticare non è possibile – rispose Julia – ma questa nostra conversazione è stata importante, perché da ora in poi potrò guardare con maggiore serenità alla mia storia. Non vivo più nell’incertezza sulle mie origini, ed è una gran cosa; e poi mi fido di te, di quello che mi hai raccontato. Tu non sei capace di mentire, Ross. Non sono la figlia di un mostro… e se avete perdonato voi… devo riuscirci anch’io”.
Ross abbracciò la ragazza ed ebbe la sensazione di sentirla più indifesa e fragile di quando l’aveva tenuta tra le braccia per la prima volta, appena nata.
Due giorni dopo la famiglia salutò Valentine: Demelza, Prudie e i due bambini più piccoli a casa, mentre Julia, i gemelli, Jud e Ross lo accompagnarono fino alla stazione di posta della diligenza per Londra. L’ultimo abbraccio, prima di porre il piede sul predellino, fu quello di Julia “Abbi cura di te…” gli sussurrò tra le lacrime, e Valentine le fece eco: “Anche tu”, e le diede un bacio sulla fronte. Jeremy e Clowance, d’istinto, si guardarono. Non sapevano se la decisione improvvisa di Valentine di trasferirsi fosse una scelta propria o gli fosse stata imposta da Ross e Demelza una volta appresa la verità; in ogni caso, percepivano la sofferenza dei due fratelli maggiori e se ne dolevano profondamente.
Il tempo, però, cura ogni ferita e la vita a Nampara riprese a scorrere serenamente come sempre. Due mesi passarono in un lampo, intervallati da lettere di Valentine che annunciava i suoi confortanti progressi nell’ambiente londinese. La stessa Caroline si era adoperata affinché il ragazzo frequentasse i figli di alcuni suoi vecchi amici, in modo da riuscire ad avere notizie sue anche per vie traverse, ed anche queste fonti confermavano che il figlio di Ross si stava integrando molto bene, si impegnava nel lavoro ed appariva sereno e soddisfatto.
Un brutto giorno però, in occasione di una delle solite visite periodiche che Dwight faceva per sincerarsi dello stato di salute di Demelza, il giovane medico uscì dalla stanza molto rabbuiato. Le cose andavano peggio del previsto: occorreva procedere al taglio cesareo il prima possibile, magari l’indomani stesso. Ross obiettò che non erano ancora trascorsi i tre mesi pattuiti, il settimo mese di gravidanza non era ancora compiuto, ma Dwight fu drastico: attendere più di un giorno significava mettere a repentaglio la vita di Demelza. Il sorgere del sole avrebbe garantito condizioni più favorevoli per operare, e solo per questa ragione Dwight non procedeva immediatamente. Inutile dire che quella notte a Nampara nessuno riposò, neppure Prudie che di solito aveva il sonno di un ghiro. All’alba, insieme a Dwight a Nampara arrivò Caroline, che caricò sulla sua carrozza Bella ed Henry ancora mezzi addormentati ed i gemelli, con la prospettiva di trascorrere una giornata insieme a Killewarren. A Nampara rimasero solo Julia e Ross, oltre a Prudie, mentre Jud fu mandato nei campi a svolgere le quotidiane incombenze. Furono ore di angoscia per Ross, cui come sempre non era consentito l’accesso nella stanza della partoriente, e la cui unica compagnia era il cane di casa, mollemente sdraiato davanti al camino. Verso le 9 del mattino giunse a casa l’amico Zacky Martin, con la scusa di aggiornarlo sugli scavi alla Leisure, che si trattenne a fargli compagnia; dopo un’ora buona udirono la voce di Prudie che chiamava dal piano superiore “Padron Ross! Il dottor Enys vi cerca!”. Ross corse le scale a quattro a quattro, mentre Zacky per discrezione si mantenne a metà scala. Dwight era in piedi, con le maniche di camicia ancora rimboccate ai gomiti ed una mascherina di stoffa calata sul mento, i segni della stanchezza sul volto. Ross intravide Prudie che portava dabbasso, in una grossa bacinella, dei lunghi guanti bianchi, un camice e delle lenzuola intrise di sangue.
“Demelza sta bene, sta riposando. Le ho somministrato del laudano. Ho dovuto asportarle l’intero utero, ma non ci saranno complicazioni per questo motivo. Era necessario, perché il tumore era cresciuto a dismisura. Dobbiamo sperare che passi la notte e che la ferita rimargini al più presto…”
Ross si sentì sollevato, anche se le preoccupazioni non erano certo finite. “Il bambino? Sta bene?” Dwight scosse la testa, e gli appoggiò fraternamente una mano sulla spalla “Era un maschio, Ross, ma non ho potuto fare nulla per lui, purtroppo. Era troppo piccolo, e non ha retto allo stress del parto. Mi dispiace davvero, amico mio, credimi”.  
Ross si sentì lacerare l’anima in due. Era come rivivere lo strazio della morte di Ursula, con la differenza che questo bambino era un figlio atteso ed amato, il figlio di una moglie adorata senza la quale Ross si sentiva perduto e che era tuttora in pericolo di vita. E se Demelza avesse avuto la stessa reazione di Elizabeth ed avesse perso anche lei il senno, non sopportando la morte del bambino? In quel momento Julia, con gli occhi gonfi di pianto, uscì dalla stanza di Demelza con in braccio il fagottino con il feto nato morto. Lo tese a Ross, il quale non ebbe il coraggio di aprire l’involto e di guardare. Lo seppellì in giardino accanto all’altra bambina, quella nata morta diciassette anni prima, perché così avrebbe voluto Demelza, ricoprendo il piccolo tumulo con un mucchio di sassi bianchi.
Ross pregò Dwight di ospitare in casa i suoi figli anche per la notte, perché non aveva cuore di affrontarli dopo una giornata del genere. Dwight assentì, disse che sarebbe rientrato per qualche ora a Killewarren e poi avrebbe trascorso la notte lì a Nampara per seguire da vicino la situazione di Demelza. Ci avrebbero pensato lui e Caroline a dare ai bambini la brutta notizia nella maniera più cauta possibile.
Ross rimase solo con Julia. Vegliarono Demelza, senza lasciarla mai sola, alternandosi solo con Prudie fino al ritorno del medico. Dwight disse che i ragazzi erano stati molto tristi nell’apprendere che il fratellino non era sopravvissuto e che Bella aveva deciso di chiamarlo William. Quando li aveva lasciati si erano messi tutti a letto senza fare storie. I gemelli avevano chiesto di tornare a casa il giorno successivo, perché volevano vedere la mamma, ma Caroline li aveva convinti ad aspettare un giorno ancora.
Verso sera Demelza riprese conoscenza , ma le salì la febbre. Nel delirio domandò del bambino, ma nessuno ebbe animo di rivelarle la verità. Soltanto passati alcuni giorni, quando si riprese del tutto, Dwight le raccontò i particolari del parto. Demelza ascoltò pallida come un fantasma e senza versare una lacrima. Ross era presente nella stanza, e le si avvicinò per confortarla; ma la rossa inaspettatamente chiese di essere lasciata da sola. Ross non l’aveva mai vista con lo sguardo così spento. Dwight stesso le disse che doveva farsi forza, doveva essere grata per aver recuperato la salute almeno lei; fin dall’inizio la sua si era profilata come una gravidanza rischiosa e senza garanzie di successo. Le suggerì di riposare, le somministrò alcune gocce di un calmante ed insistette affinchè anche Ross, che sembrava desideroso di restare, lasciasse la stanza. Ross, spronato da Dwight, stava per varcare la porta, ma tornò sui suoi passi, prese le mani di Demelza tra le sue e le baciò, inginocchiandosi ai piedi del letto. “Non affrontare questo dolore da sola – le disse – ricordati che era anche figlio mio”. A quelle parole Demelza si lasciò andare come un fiume in piena, e pianse, pianse, pianse, mescolando le proprie lacrime a quelle del marito.

 

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Capitolo 8
*** cap. 8 ***


Era l’antivigilia di Natale, ed una fitta coltre di neve aveva ricoperto la collina su cui sorgeva Nampara. Uno dei ragazzi Carter si era offerto di spalare il cortile, ma prima che ultimasse il lavoro il piccolo Henry aveva preteso di coinvolgerlo in una battaglia con le palle di neve. Le sue risatine infantili risuonavano fin dentro il salotto, dove Julia e Clowance intrecciavano addobbi natalizi con rametti di vischio e bacche di agrifoglio.
Bella intanto strimpellava alla spinetta, accompagnando le melodie con la sua voce squillante.
Al piano di sopra Demelza era seduta in poltrona, in prossimità della finestra, con uno scialle sulle spalle ed una coperta sulle gambe. Prudie l’aveva convinta ad alzarsi dal letto e le stava spazzolando i capelli con dolcezza.
Erano trascorsi due mesi da quando aveva perso il bambino, ma la moglie di Ross non aveva ancora messo piede fuori della camera da letto. All’inizio era stata molto debole ed aveva faticato a riprendersi fisicamente, perché la ferita le doleva e la febbre l’aveva accompagnata per giorni. Il morale aveva faticato ancora di più del fisico a risollevarsi, e non solo per la perdita del bambino. Demelza sapeva bene di non essere la prima madre a soffrire la stessa sorte; come avrebbe detto l’amica Caroline con il suo consueto cinismo, tanti bambini ogni giorno non vedevano la luce, oppure morivano di stenti. Il fatto che quel bambino fosse il proprio rendeva il dolore più vivo, ma non mutava quella crudele realtà. Del resto, Ross e Demelza avevano sempre saputo che quella gravidanza presentava notevoli rischi e piangersi addosso non era certo un atteggiamento da Demelza.
Dopo quel tragico parto la moglie di Ross non avrebbe potuto avere altri figli; ma a quarant’anni, dopo aver gustato le gioie della maternità più e più volte, non era poi una limitazione così grave, ed era certa che neanche il marito glielo avrebbe fatto pesare. Benché poi stesse invecchiando, Ross le dimostrava in mille modi quanto la trovasse ancora bella e desiderabile.
Il vero motivo per cui ella appariva solo l’ombra della donna di prima era un altro. Durante tutta la sua vita, anche nei momenti peggiori, Demelza era stata sorretta da un’unica, incrollabile fede: quella nell’amore per Ross, amore ricambiato, grazie al quale anche nei peggiori momenti di sconforto non aveva vacillato e si era sentita invincibile. A dispetto delle varie contrarietà che avevano dovuto affrontare prima e dopo il loro matrimonio erano stati sempre uniti ed affiatati.
Ora Demelza si sentiva come se tutto quello in cui aveva creduto e per cui aveva lottato fosse un enorme inganno.
Gli eventi degli ultimi mesi – l’innamoramento di Valentine e Julia, la partenza del ragazzo per Londra, la morte del piccolo che portava in grembo, le cicatrici che portava sul corpo– avevano fatto seriamente pensare a Demelza che quell’amore non fosse sufficiente a risolvere tutti i problemi. Lei e Ross avevano vissuto in quello stato di grazia per sedici anni, come se il loro fosse un amore da favola, capace di generare felicità coinvolgendo tutti coloro che li circondavano.
Amava Ross, ed era certa che anche lui l’amava ancora, ma all’improvviso Demelza si chiedeva se non fosse stato tutto un errore, riunire due persone così diverse, pretendere di educare i loro figli come fratelli in un’unica grande famiglia, salvo poi scoprire  che i due maggiori, non uniti da vincoli di sangue, si erano innamorati e non avevano neppure avuto il coraggio di confidarsi con i genitori, sentendoli come estranei.
La donna si sentiva completamente inutile: non era stata capace di comprendere i sentimenti di Julia, non era stata in grado di aiutarla e l’unica soluzione che aveva trovato nell’immediato era stata allontanare il problema, cioè Valentine. Aveva sacrificato l’unione della famiglia per godere, egoisticamente, di una situazione più serena durante quella gravidanza difficile. E a cosa era servito? A nulla. Non era morta a causa del tumore, è vero, ma continuava a tormentarsi e a chiedersi se c’era qualcosa che avrebbe potuto fare, e che non aveva fatto, per tutelare di più il bambino.
Trascorreva i giorni tra le lenzuola, alternando il sonno e la veglia, lei che era sempre stata così attiva. Nulla pareva avere più senso, neppure Ross e neppure i ragazzi.
Solo grazie all’insistenza di Prudie alla fine Demelza aveva ceduto ed abbandonato il letto, spostandosi in poltrona per alcune ore del giorno.
La cosa più strana era che neppure Ross aveva cercato di combattere l’apatia della moglie; le era stato vicino con discrezione e tenerezza, era stato in apprensione per lei ma poi, non ricevendo in cambio che silenzi e malumore, aveva ritenuto opportuno non forzarla e lasciare che vivesse il dolore a modo suo. Le aveva fatto percepire in mille modi il suo affetto, ma era difficile smuovere il muro di gelo ed indifferenza in cui Demelza era piombata.
Prudie era seriamente preoccupata. Aveva vissuto l’epoca infelice del primo matrimonio di Ross, aveva assistito in prima persona alla frustrazione derivante dall’incomunicabilità tra il suo padrone e la signora Elizabeth. Ora le sembrava di rivedere quelle stesse scene: un uomo cupo, scuro in volto, che preferiva trascorrere ore ed ore in miniera pur di non affrontare i problemi di casa. Prudie era sicura che se non fosse stato inverno padron Ross avrebbe sistemato un giaciglio di fortuna alla Leisure e non sarebbe tornato a casa neppure per dormire. Che senso aveva dividere il talamo con una donna sempre triste, che non gli parlava più, che pareva non avere intenzione di tornare alla vita di tutti i giorni, che non si curava neppure più degli amati figli?
I ragazzi andavano a trovarla in camera ogni giorno; Demelza cercava di sorridere e di rassicurarli sul suo stato di salute, ma tutti sapevano che la mamma non era quella di sempre. C’erano momenti in cui all’improvviso si incupiva e preferiva restare sola; i figli avevano imparato quel linguaggio silenzioso, e quando la mamma diceva di essere stanca e voler riposare abbandonavano giochi, libri e conversazioni e la lasciavano stare.
Dwight e Caroline avevano cercato ripetutamente di invitarla a Killewarren, ma nulla pareva utile a scuotere Demelza. Il medico era tornato spesso a visitarla , le aveva detto che poteva riprendere ad uscire e a camminare senza stancarsi. Demelza continuava a rispondere che si sentiva debole e che sarebbe uscita appena si fosse sentita meglio. Nei primi tempi lo stesso Dwight l’aveva assecondata ed aveva suggerito a Ross di avere pazienza con lei, ma intanto il tempo trascorreva e le cose non cambiavano.
L’unica che non aveva voglia di rassegnarsi era Prudie. Non riteneva giusto che la padrona si lasciasse andare così, e non riusciva francamente neanche a comprenderne il motivo. Ogni giorno cercava di scambiare con lei qualche parola, le raccontava episodi buffi che riguardavano Bella ed Henry, cercava di suscitare in lei il desiderio di tornare a tavola con loro, ma nulla. Era riuscita ad ottenere che si alzasse almeno dal letto e muovesse qualche passo nella camera, dal letto alla poltrona. Così quel giorno Demelza si era vestita, Prudie l’aveva convinta a lavare i capelli e la stava pettinando, come a volerle ricordare quanto fosse ancora bella. Tanti anni prima, quando la signora Elizabeth pretendeva di essere pettinata, Prudie odiava quei momenti, ma adesso sentiva di doverlo fare per una giusta causa.
Mentre la spazzola scorreva tra le chiome rosse, impreziosite appena da qualche filo  bianco alle tempie, la domestica pensò che si fosse creata la situazione adatta per fare delle confidenze alla padrona.
“Anch’io avrei voluto chiamarlo William, sapete” – sussurrò.
Demelza si voltò verso di lei con fare interrogativo e Prudie proseguì.  
“Avevo 19 anni; ero sposata da circa un anno ed io e Jud eravamo entrambi al servizio dei signori Poldark, i genitori di padron Ross. Fui molto felice quando scoprii di essere incinta, anche se non sapevo come avrei fatto a portare avanti il lavoro. La signora Grace, che Dio l’abbia in gloria, fu un angelo: mi diceva di non angustiarmi, che avrei cresciuto insieme i figli miei e suoi; padron Ross infatti era già grandicello e la signora era in attesa del povero signorino Claude. Un giorno però - era il mese di aprile, mi ricordo – mi svegliai in un lago di sangue. I padroni chiamarono il dottor Choake padre – quello che conoscete voi, il figlio, era molto giovane, appena laureato – che mi disse che il bambino era morto. Me lo disse senza mezzi termini, con queste stesse parole, come lo sto dicendo ora a voi. Non ebbi neppure il tempo di piangere; il medico mi disse che non c’era tempo di aspettare che mi venissero i dolori del parto, rischiavo di morire, e così decisero di aprirmi la pancia per evitare che morissi”.
“Oh, Prudie!” – esclamò Demelza stringendole le mani fra le sue.
La domestica si asciugò una lacrima con il grembiule. “Quando mi risvegliai – continuò – mi dissero solo che era un maschio e che era nato morto. Fu la signora Grace a dirmi la verità, che non avrei mai più potuto avere figli; quei due vigliacchi di uomini, il medico e mio marito, non ne ebbero il coraggio. Rimasi a letto per giorni senza mangiare, non riuscivo neppure a chiudere occhio la notte. La signora Grace aveva paura che avrei sofferto troppo a veder nascere il suo bambino e così, appena ebbi la forza di rimettermi in piedi, mi mandò a servizio da una sua cugina a Looe. Alla fine però mi feci coraggio, mi dissi che il destino non aveva voluto che diventassi madre, ma non era colpa di nessuno, e soprattutto di chi di figli ne aveva.  Decisi che il mio posto era a Nampara: tornai qui, amai il signorino Claude come se si fosse trattato del mio William… e padron Ross, avreste dovuto vedere le feste che fece nel rivedermi! Ricominciai ad essere grata di essere viva, di avere un tetto sulla testa, dei bambini di cui occuparmi, di avere a fianco quel testone di Jud, che non mi ha abbandonata nonostante quello che mi era capitato… nessuno più di me può capire come vi sentite, signora  Demelza … ma avete cinque figli meravigliosi, un marito che vi adora, degli amici sinceri che vi vogliono bene… tornate in voi, ve ne prego! Nampara non è più la stessa da quando vi siete confinata in questa stanza!”
Demelza le sorrise. Prudie aveva sempre avuto il pregio di parlare in maniera diretta, era una donna di cuore e i Poldark non erano per lei solo datori di lavoro, ma persone di famiglia. La governante non poteva intuire che il dolore di Demelza non era legato solo alla perdita del bambino, ma il suo interessamento sincero scaldò il cuore della padrona che, non trovando più valide obiezioni, assentì con un timido sorriso alla proposta di aiuto per sistemarsi e scendere di sotto.
“Mamma!” – esclamarono in coro le tre figlie appena videro Demelza scendere le scale, sorretta da Prudie. Lasciarono immediatamente quello cui erano intente, le furono intorno, la abbracciarono e la subissarono di baci, ben presto imitate dai due fratelli maschi, richiamati in casa dall’accavallarsi delle voci festose del salotto.
“Che gioia sarà per papà, quando ti vedrà qui di sotto con noi!” – esclamò Bella battendo le mani, e tanto era il suo entusiasmo che trascinò la madre alla spinetta per cantare e suonare insieme a lei.
“Non la stancare troppo…” – la rimproverò Prudie, pentendosi forse per l’insistenza con cui aveva convinto la padrona a ritornare alla vita di tutti i giorni. Eppure Demelza, anche se provata, sembrava felice, per la prima volta dopo mesi.
Ma le sorprese per quel giorno non erano finite. Una mezz’ora dopo si sentì bussare alla porta. Julia andò ad aprire e si trovò dinanzi Valentine, sacca in spalla e tricorno in testa, con i capelli bruni al vento. Per un attimo, Demelza ebbe l’impressione di rivedere Ross ragazzo, il reduce dalla guerra d’indipendenza americana di cui si era innamorata a prima vista, tanto erano somiglianti.
“Salve a tutti!” – esclamò, lasciando cadere in terra il borsone con un tonfo.
“Come mai sei tornato?” – gli domandò il fratello più piccolo.
“Non è forse Natale dopodomani, moccioso? – gli disse prendendolo in braccio e stampandogli un grosso bacio sulla guancia – pretendevi che me ne stessi tutto solo a Londra durante le feste?”
“E’ solo che non ti aspettavamo, Val – aggiunse Clowance – avresti potuto scrivere…”
Il primogenito di Ross fece una smorfia. “Chi ti dice che non lo abbia fatto? Solo che ho atteso fino all’ultimo giorno per spedirla, per essere certo di terminare il lavoro in tempo… alla fine sono arrivato prima io!”
Demelza si alzò dalla spinetta per andargli incontro, mentre Henry gli spiegava che era il primo giorno che la mamma si alzava dal letto e scendeva nel salotto. Valentine strinse la matrigna forte a sé e chinò il capo sulla sua spalla, commosso. La donna comprese che il dispiacere del ragazzo nasceva dal ricordo ancora bruciante di ciò che era accaduto a sua madre Elizabeth dopo la perdita di un figlio.
I due restarono per un po’ a conversare sulle poltrone accanto al camino e Demelza lo trovò più maturo e responsabile. Un’altra cosa che Demelza notò subito fu che Valentine cercava ogni tanto lo sguardo di Julia, mentre lei appariva imbarazzata e cercava di fare l’indifferente. Prima o poi però, pensò la donna, un confronto i ragazzi avrebbero dovuto averlo…forse, a dispetto della lontananza, nessuno dei due era riuscito a dimenticare l’altro.
Valentine, stanco del viaggio, infreddolito per la neve trovata sul cammino, fu spedito a fare un bagno caldo e a cambiarsi, mentre le ragazze e Demelza apparecchiavano in tavola, calcolando due commensali in più rispetto al previsto.
Mentre il salotto si animava di voci e rumori di piatti e stoviglie Jeremy si allontanò alla chetichella, andò in  camera di Valentine e lo attese, disteso sul letto con le gambe incrociate e i gomiti piegati dietro la testa.
Il ragazzo bruno tornò dal bagno coi fianchi avvolti da un asciugamano e si sorprese di quella intrusione del fratello minore, il quale motivò la sua scarsa discrezione con la voglia di fare due chiacchiere senza avere troppa gente intorno.
“Che mi dici di Londra, allora?” – gli chiese.
“Umida, nebbiosa, caotica. Ma offre tanti diversivi. E devo dire che il lavoro mi piace. Il mio principale, il sig. Thompson, è un tipo a posto. Le vendite vanno alla grande, e sto imparando tante cose sulla moda femminile, che finirò per diventare più esperto di Clowance!” – disse Valentine ridendo, mentre si frizionava i capelli. “Qui, invece?”
“Non bene, fratello, come puoi immaginare – rispose Jeremy – da quando mamma ha perso il bambino è stato sempre peggio. Henry ha detto il vero, è la prima volta oggi che la vediamo dabbasso dopo due mesi”.
“E’ stata così male?”
“Ha sofferto tanto, ma soprattutto ha perduto ogni vitalità, ogni interesse per le cose. Anche quando salivamo su a trovarla, non so come spiegarti, era come un fantasma, era spenta. Con Bella e con Henry cercava di controllarsi, ma con noi grandi era veramente taciturna, chiusa come un’ostrica. Non so come abbia fatto Prudie a convincerla oggi a scendere, davvero. Persino lo zio Dwight, che la mamma di solito ascolta come se fosse Dio sceso in terra, non era riuscito a tirarla su di morale.”
“Mi dispiace tanto. Immagino che anche papà sia stato in difficoltà con lei”.
“Ah! – sospirò Jeremy – Papà è quello che mi preoccupa di più. Lo vedo così disorientato, angustiato… Ti confesso che per un attimo ho temuto che se ne sarebbe andato via di casa!”
“Come via di casa? Ma che dici?” – esclamò Valentine.
“Sì, via di casa! Ho temuto che i nostri genitori si separassero, insomma!”
Valentine obiettò che non aveva mai visto due sposi più uniti e innamorati di Demelza e Ross. Jeremy fu d’accordo con lui, ma replicò che dopo quello che era successo al bambino tutti avevano avuto la sensazione che tra Demelza e il marito si fosse creata una frattura: che lei non lo volesse più accanto e che lui si fosse scoraggiato al punto da andarsene davvero.
“È nervoso, taciturno, al mattino va via presto e torna la sera quando è buio… si trattiene molto in salotto dopo cena, soprattutto con Henry, a volte lo accompagna in camera sua e vi resta finché non si addormenta… come se volesse ritardare il momento di salire in camera sua, con la mamma!”
“Forse vuole semplicemente fare sentire di più la sua presenza ai figli piccoli, data la situazione di Demelza…” - osservò Valentine. Jeremy rispose che ciò era possibile, ma che le cose non andassero bene tra di loro era palese.
“Nostro padre e mia madre, la sua prima moglie, non andavano d’accordo – ricordò Valentine – io ero molto piccolo all’epoca, ma tra i miei genitori non ho mai sentito scorrere quel calore che c’è tra Ross e Demelza. Tra due persone che si amano credo possa accadere un momento di tensione, ma questo non vuol dire che l’amore finisca … almeno credo! Papà non andrebbe mai via, lo sai. Se anche non provasse dei sentimenti per lei, il suo senso di responsabilità gli impedirebbe di abbandonarla.”
“Comunque sia, di questo clima in casa abbiamo risentito tutti. I bambini innanzitutto, ma anche io e Clo. E Julia, ovviamente.”
“Come sta?” – domandò distrattamente Valentine.
Jeremy scrutò il fratello. “La conosci. Tiene tutto dentro, ma è saggia. Poche parole dette al momento giusto, questa è Julia. Ha cercato di tenere un po’ le redini della situazione, essendo la più grande. Ha fatto la vice Demelza, in sostanza. E tu? – chiese Jeremy, dopo una pausa – tu come stai? Pensi sempre a lei… in quel senso?”
Valentine rifletté: “E’ difficile rispondere a questa domanda. Le voglio bene e non potevo certo smettere di volergliene in appena due mesi… a Londra ho conosciuto altre ragazze, se vuoi saperlo, ma non ho mai pensato di potermi innamorare di una di loro… nessuna mi interessava veramente. Tornando a Julia, non ti so dire se la amo. Quando sono partito per Londra ero convinto di amarla alla follia e di non poter vivere senza di lei; dopo aver discusso con papà e Demelza ho pensato che forse ero io ad aver equivocato, che la cosa migliore da fare era dimenticare, e ci ho provato, sul serio… per adesso posso dirti che non ci sono riuscito! Magari lei ha avuto più fortuna…”
Jeremy fece spallucce. Julia era riservata e non era in gran confidenza con lui. Non aveva idea di cosa le passasse per la testa. La malattia e convalescenza della mamma avevano assorbito le energie di tutti… forse la ragazza non aveva avuto neppure il tempo di pensare all’amore. L’unica cosa certa era che con il trascorrere dei mesi anche la rabbia di Jeremy nei confronti di Valentine si era affievolita, e quella relazione con la sorella, che gli sembrava inizialmente un abominio, adesso non gli faceva più tanto ribrezzo.
Alla Wheal Grace, intanto, Ross stava esaminando alcuni pregiati campioni di rame rosso di ottima qualità. Per sua fortuna, gli affari stavano andando a gonfie vele e gli consentivano di allontanare la mente dalle pene domestiche.
Non era mai stato il tipo da arrendersi di fronte alle difficoltà, ma questa volta non sapeva davvero che cosa fare con Demelza. Aveva cercato di starle vicino, di farle sentire quanto l’amava, ma era stato tenuto a debita distanza. La rossa di Illugan non aveva mai avuto la personalità algida ed anaffettiva di Elizabeth, e non riuscire a comunicare con lei come al solito rischiava di far diventare matto Ross. C’erano stati molti momenti di scontro tra di loro in passato, ma Demelza aveva combattuto per far valere le sue opinioni, ed ogni scontro si era tramutato in occasione di confronto. Ross non era più abituato ad una vita coniugale di finzione, ad una farsa in cui ognuno dei due sposi faceva la sua vita cercando di non incrociare la propria strada con quella dell’altro. Lui era stato costretto a vivere così per tre anni ed aveva giurato a se stesso che non si sarebbe mai più ripetuto.
La cosa peggiore era che non riusciva a capire quale fosse la sua colpa, se aveva commesso qualche sbaglio che aveva ferito Demelza e come poteva rimediarvi. E se invece non aveva fatto nulla, perché lei non si appoggiava a lui come aveva sempre fatto in quegli oltre sedici anni d’amore, ma lo trattava come un estraneo?
Scosse la testa, sforzando di concentrarsi sul lavoro, quando venne distolto da una voce femminile che lo chiamava. Come sempre accadeva nei piccoli centri, le voci correvano rapide e qualcuno doveva aver riconosciuto Valentine lungo il sentiero dalla fermata della diligenza a Nampara; così la moglie di uno dei suoi operai era venuta ad informarlo che suo figlio maggiore doveva essere ormai arrivato a casa.
La gioia di poter rivedere il figlio scacciò via gli altri fantasmi ed indusse Ross a mettersi in cammino prima del previsto verso casa. La presenza della neve sui sentieri, del resto, impediva di caricare troppo l’andatura del cavallo. Occorreva prudenza, se non voleva rimetterci l’osso del collo come era avvenuto a suo padre molti anni prima. Confidò che almeno i dintorni di Nampara e le vie più frequentate fossero state spalate da qualcuno di buona volontà, ipotesi che trovò conferma man mano che si avvicinava a casa.  
Quando Ross aprì la porta venne accolto da un’atmosfera briosa legata alla duplice novità del rientro di Valentine e del ritorno alla vita di Demelza. Valentine gli corse incontro e lo abbracciò. Solo in un secondo momento Ross notò la presenza di sua moglie, in piedi davanti a lui.
“Buongiorno, Ross” – gli disse soltanto, con la sua consueta semplicità, rivolgendogli un sorriso. Ross non sapeva cosa dire, era sorpreso ma anche emozionato; poi l’istinto prese il sopravvento, le sue labbra mormorarono “Demelza”, e poi quello stesso nome venne ripetuto a tono più alto, più e più volte, mentre le si avvicinava, la stringeva fra le braccia e la baciava fra i capelli. Demelza appoggiò la testa sul suo petto e si lasciò avvolgere dall’abbraccio, mentre tutti i ragazzi applaudivano e urlavano festosi la loro esultanza.
Prudie, osservando la scena, sorrise soddisfatta, e si sarebbe commossa se non avesse avuto in mano una zuppiera fumante da servire in tavola.
Mentre tutti prendevano posto, Ross lasciò scivolare Demelza dal suo abbraccio, anche se avrebbe voluto continuare a tenerla stretta sul cuore. C’era ancora tanto da chiarire, e lo sapevano entrambi. Per il momento, decise che si sarebbe fatto bastare quell’abbraccio ed il sorriso con cui lo aveva accolto.  

Angolo autrice: vorrei chiedervi scusa per l'attesa, ma in questi ultimi mesi sono stata subissata dagli impegni, oltre ad avere il classico "blocco dello scrittore"! Credevo che questo capitolo sarebbe stato l'ultimo, ma le cose da dire erano troppe e così dovrò scriverne ancora un altro! Grazie sempre a chi mi segue e commenta, ed anche a chi si limita a leggere! A presto (spero!)

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Capitolo 9
*** cap.9 ***


Fu un pasto allegro, uno di quelli di cui da tempo si sentiva la mancanza a Nampara. Persino Demelza riuscì a ridere di gusto e a partecipare alla conversazione, soprattutto con Valentine. Mentre il ragazzo raccontava della sua vita a Londra le tornavano alla mente le giornate trascorse nei parchi, in biblioteca, in società quando era la moglie di Hugh… una vita diversa, che sembrava aver cancellato, ma che era pur sempre parte della sua storia…e poi c’era Ross. Osservò suo marito all’altro capo del tavolo, e gli sorrise. Anche lui era sempre stato parte di lei. Era a Londra che aveva rinunciato a lui, a Londra si erano amati la prima volta, e alla fine per lui aveva deciso di lasciare tutto e tornare in Cornovaglia, perché l’amore sa sempre dove venire a cercarti.
La gioia nel riavere la famiglia riunita e riconciliata aveva contagiato soprattutto i più piccoli, Bella ed Henry, che faticavano a restare seduti e più volte dovevano essere richiamati per terminare ciò che avevano nel piatto.
Ad un certo punto incominciarono a parlare del Natale imminente e Ross ricordò improvvisamente che John Treneglos, vicino di casa e suo antico socio alla miniera, aveva invitato tutti loro per il tè alla vigilia di Natale, vale a dire il pomeriggio successivo. Ruth, la moglie di John, era stata la più cara amica di Elizabeth e per lungo tempo non aveva accettato che Ross si fosse risposato con Demelza, date le sue umili origini. Nel corso degli anni, tuttavia, aveva dovuto fare quel che si suol dire “buon viso a cattivo gioco”: Demelza era amata e rispettata da tutti, in società non aveva mai sfigurato, anzi mostrava dei tratti non consueti di eleganza e garbo; inoltre le due famiglie, i Treneglos ed i Poldark, erano legate da un’amicizia secolare che sarebbe stato scandaloso distruggere per una mera questione di principio. Suo malgrado, dunque, Ruth aveva dovuto accettare di avere a che fare con Demelza, dapprima scambiando con lei frasi di circostanza nelle rare occasioni in cui si erano incontrate. Dopo qualche tempo, però, come si confaceva alle famiglie perbene del luogo, era stato necessario scambiarsi qualche invito nelle rispettive dimore. Con grande sollievo di Ruth i Poldark erano, notoriamente, una famiglia che non faceva grossa vita mondana e che spesso  si trovava a declinare cortesemente gli inviti a cene e banchetti. In tutto, quindi, Demelza era stata a casa dei Treneglos in quegli anni non più di sei o sette volte, così come Ruth era stata a Nampara molto di rado, spesso adducendo malesseri improvvisi ed incaricando il povero marito di rappresentare la famiglia. In questa occasione in particolare Ruth, in cuor suo, sperava che Demelza fosse impossibilitata a presentarsi al rinfresco, date le sue precarie condizioni di salute.
Demelza stava appunto comunicando al marito che forse non se la sentiva ancora, per il suo stato di salute, di accompagnarlo in quella visita, e Ross diceva che allora non sarebbe andato neppure lui; già non era molto incline a fare salotto, figuriamoci senza Demelza! Disse che avrebbe trovato una scusa plausibile, magari un’indisposizione, un passeggero malessere di tutti i membri della famiglia. Bella, però, ebbe da ridire: “Io voglio andarci! Il signor Treneglos ha un bellissimo pianoforte e mi permette sempre di usarlo! Ho preparato tante canzoni natalizie e voglio farle ascoltare ad Agnes e Clara!”
Agnes e Clara erano le due figlie dei Treneglos, di 15 e 12 anni. La coppia aveva anche un maschio, Jonathan, che era pressappoco dell’età di Valentine.
“Andiamoci papà – insisteva Bella – sarà anche l’occasione per Julia per rivedere il suo pretendente!”
“Che vuol dire pretendente?” – domandò il piccolo Henry.
Senza peli sulla lingua, e senza che nessuno dei familiari facesse in tempo a zittirla, Bella proseguì, spiegando al fratellino, con un tono da maestrina: “Vuol dire che Jonathan Treneglos vorrebbe fidanzarsi con Julia, che lei gli piace, che se ne è innamorato insomma!”.
“Ma Julia non è innamorata di lui, quindi il discorso si chiude qui – troncò la discussione Demelza, che non aveva perso d’occhio un attimo Valentine, al pari di Ross e di Jeremy – se proprio insisti, Bella, ci andrai tu sola, magari con papà e Clowance. Non credo che Julia ne abbia voglia… vero, Julia?”
Julia annuì. Era troppo imbarazzata per aggiungere altro o dare spiegazioni. Era vero che Jonathan le faceva la corte, ma lei lo trovava una compagnia gradevole e nulla  di più. Negli ultimi mesi, proprio da quando Valentine era andato via, Jonathan pareva avere acquisito più coraggio ed iniziativa, come se la presenza del fratello maggiore di Julia gli avesse fino a quel momento impedito di aprirsi sinceramente con lei. Era capitato di passeggiare insieme talvolta, tra i sentieri che costeggiavano Nampara e la proprietà dei Treneglos, e ad un ballo a casa degli Enys Jonathan le aveva fatto da cavaliere in quasi tutte le danze. Era un giovane garbato, simpatico, ma forse troppo posato, e dunque troppo simile di carattere a Julia per andare d’accordo. 
Bella era una bambina molto sveglia, probabilmente si era accorta prima degli altri della natura dell’interesse di Jonathan per sua sorella. In teoria, pensò Ross, quell’invito proprio a Natale poteva essere un’occasione per John, che era molto in confidenza con Ross, per sondare il terreno in merito ad una possibile unione fra i loro rampolli. Fino a quel momento Ross e Demelza non avevano pensato ad una simile possibilità, tuttavia le parole di Bella ingenerarono quanto meno un sospetto. Ciascuno di loro però rifletté che la madre di Jonathan sarebbe stata di ostacolo: un conto era mantenere cordiali rapporti di buon vicinato, un conto consentire che il suo primogenito, erede della fortuna familiare, sposasse la figlia di un ex cameriera e di un uomo di cui non si conosceva neppure l’identità. Julia portava il cognome Poldark, era proprietaria di Trenwith, ma era pur sempre una figlia illegittima: per quanto la ricchezza facesse gola a Ruth, se Ross e sua moglie la conoscevano a sufficienza non avrebbe mai approvato quell’unione e non avrebbe mai consentito al marito John di sbilanciarsi sul punto.
Valentine, al sentire dell’interesse di Jonathan per Julia – una persona che stimava pochissimo, reputandolo un pavido ed un imbecille – aveva provato uno strano ribollire dentro, che non era altro che il tarlo della gelosia. Pensò che era stato uno stupido, si era allontanato dalla Cornovaglia per dimenticare Julia, ma non poteva certo impedire che altri nel frattempo si interessassero a lei… e sicuramente la ragazza non poteva restare zitella a vita, Ross e Demelza non lo avrebbero mai permesso. Forse non sarebbe stato Jonathan, ma con il tempo si sarebbero fatti avanti altri “pretendenti”, come li aveva definiti Bella. Fino a quando Julia avrebbe resistito? Era veramente innamorata di lui, o lo aveva già dimenticato?
Ultimato il pranzo Ross inviò un biglietto a casa Treneglos, tramite  Jud, porgendo le scuse di Demelza e comunicando che l’indomani sarebbero stati presenti lui ed i ragazzi. In realtà si erano organizzati affinché Julia restasse a fare compagnia alla madre, mentre Henry era ancora troppo piccolo per bere il tè in un salotto senza combinare disastri. Valentine era tentato di andare, per guardare in faccia quello sciocco di Jonathan e capire quali fossero le sue reali intenzioni con Julia; ma poi si disse che la voglia di spaccargli il muso era troppo forte e se avesse perduto il controllo avrebbe messo suo padre in difficoltà. Decise di restare a casa anche lui. Aveva meditato un giorno intero sull’accaduto, non era riuscito a riposare neppure bene quella notte:  si arrovellava negli stessi pensieri e malediceva se stesso. Perché non era rimasto a Londra? Lontano dagli occhi, lontano dal cuore: era bastato tornare a Nampara per veder risbocciare i sentimenti per Julia più forti che mai. Erano stati a tavola insieme per una cena e due pranzi, ma aveva avuto l’impressione che Julia evitasse il suo sguardo ed era stata più taciturna del solito. Demelza aveva cercato di mettere in chiaro che a Julia il giovane vicino di casa non interessava, ma allora che senso aveva che non si fosse recata a casa loro per quel tè, rischiando di apparire scortese senza motivo? E se Demelza e gli altri avessero agito così solo per non creare una diatriba familiare proprio nel periodo di Natale? Magari, una volta ripartito, Jonathan e Julia avrebbero ripreso a frequentarsi…Vivere in quell’incertezza era una tortura, e Julia non poteva continuare ad evitarlo per sempre. Doveva cercare di capire cosa le frullava nel cervello, pretendeva sincerità: se l’aveva dimenticato se ne sarebbe fatto una ragione.
Una volta usciti tutti per andare a casa Treneglos, approfittò del fatto che Prudie e Jud si erano chiusi in cucina a bere rum per riscaldarsi, Henry era di sopra con Demelza, e così sgattaiolò in biblioteca, dove Julia si trovava in quel momento, intenta a leggere un libro. Il ragazzo non sapeva che Demelza e sua figlia avevano lungamente discusso di quanto accaduto a tavola il giorno prima e che la madre aveva spronato Julia a fare chiarezza nei suoi sentimenti, promettendole che le sarebbe stata accanto qualunque fosse la sua decisione.
Julia immaginava di dover avere, prima o poi, un confronto con Valentine; non si stupì dunque che lui stesso fosse venuto a cercarla.
Valentine entrò e si premurò di chiudere la porta con circospezione.
“Dobbiamo parlare, Julia. Non possiamo continuare ad evitarci” – disse il ragazzo senza troppi preamboli.
“Non ti sto evitando, Val. E’ solo una tua impressione” – replicò Julia.
“Non hai capito cosa intendo dire. Evitare di parlare di noi, di quello che…”
“Che cosa vuoi sapere, coraggio? – lo interruppe Julia con una veemenza per lei inconsueta – se ti ho dimenticato, in questi mesi? Se intendo accettare la corte di Jonathan, o di qualcun altro? Ascoltami bene, te ne sei andato, hai fatto la tua scelta, io l’ho condivisa, sapendo bene che non avevamo un futuro, e adesso cosa pretendi? Non pensare che, ogni volta che ritorni a casa, puoi continuare a tormentarmi con la tua gelosia… e pretendere di decidere della mia vita, perché non è giusto!”
“Non è giusto, hai ragione – le rispose con dolcezza – ma avrò il diritto, almeno, di sapere cosa ti succede? Ti voglio troppo bene per vederti infelice… non voglio saperti accanto ad una persona che non ami, ma non voglio neppure che tu rinunci a vivere a causa mia…”
“Tra me e Jonathan non c’è nulla, e se mi facesse una proposta la rifiuterei. Mi è simpatico, ma non lo sceglierei come marito. Al momento non mi interessa nessuno, e non intendo sposarmi nell’immediato: sei soddisfatto?”
Valentine scosse la testa. “Lo dici come se fosse solo una questione di orgoglio, voler primeggiare ai tuoi occhi senza vedermi soppiantato da un altro: ti assicuro che non è così. Le mie intenzioni nei tuoi confronti sono sempre state sincere. Io ti a...”
Quelle parole furono interrotte da Julia che, con la mano, sigillò la bocca del figlio di Ross.
“SHHH! Non pronunciare parole di cui potresti pentirti! Sarà più difficile tornare indietro una volta che…”
Questa volta fu Valentine ad interrompere Julia, con lo stesso gesto.
“ ‘Una volta che’… cosa? Julia ti prego, sai bene che me ne andrò fra pochi giorni, ti chiedo solo, una volta per tutte, di essere sincera su ciò che provi per me… il che non vorrà dire che saremo liberi di sbandierarlo ai quattro venti, né che cambierò i miei progetti di vita… ripartirò, tornerò a Londra … ho sempre cercato di comprendere le tue paure e le tue remore, non ti ho forzato, ho accettato di allontanarmi da te, ma ora ho bisogno di sapere, di sapere se ha un senso quello che ho fatto e quello contro cui sto lottando…”
“Vuoi sentirti dire ciò che già sai? – replicò la fanciulla, gli occhi verdi già inumiditi dalle lacrime – perché credi che ti abbia baciato, quella volta in cui Jeremy ci scoprì? Sono innamorata di te, anche io ti amo, sciocco! Ora però lasciami in pace, sono stanca di soffrire a causa tua!”. E gli voltò le spalle asciugandosi gli occhi con la manica del vestito.
“Oh, Julia!” – fece Valentine, abbracciandola e stringendosela al petto. La ragazza si lasciò andare ai singhiozzi, liberatasi, con quella confessione, ma anche sopraffatta dall’intensità dei propri sentimenti.
In quel momento Henry spalancò la porta. Julia e Valentine si staccarono, come colpevoli di qualcosa, anche se in realtà non c’era nulla di disdicevole nel loro abbraccio. Il bambino, però, percepì il loro imbarazzo.
“Che c’è? – domandò – perché Julia piange? L’hai fatta piangere tu? Avete bisticciato?”
“No, Harry, no, non abbiamo litigato – rispose Valentine – Julia sta piangendo perché… perché … nel libro che stava leggendo era successa una cosa molto triste, e allora io la stavo consolando con un abbraccio!”
Henry guardò titubante la sorella, la quale annuendo gli diede conferma di ciò che aveva detto Valentine. “Adesso mi passa, capito, cucciolo? Era solo un momento di malinconia”.
“Ero venuto a cercare il mio cavallino di legno… lo avete visto per caso?”
Julia aiutò il bambino a cercare il suo giocattolo, che era finito sotto una poltrona. Appena Henry fu uscito trotterellando, felice ed ignaro di tutto, Julia guardò Valentine con amarezza e gli disse: “Capisci, ora, perché non potrà mai essere quello che tu desideri?”
Il resto della giornata corse via rapidamente: in breve fu sera, il calesse dei Poldark fece rientro e l’unica entusiasta della giornata trascorsa a Mingoose pareva Bella. Le sue chiacchiere riportarono buonumore, o almeno distrazione per i cupi pensieri di Valentine e le preoccupazioni di Julia. Dopo una visita da parte dei fratelli di Demelza, che si fermarono a cena, e dopo una innumerevole serie di canti intonati da Bella e Demelza i ragazzi, accompagnati dagli zii e da Prudie, si recarono alla funzione religiosa natalizia nella chiesetta di Sawle.
Ross e Demelza misero a letto Henry e rimasero finalmente da soli.
Già la sera precedente Demelza si era scusata con il marito per essere stata così assente in quelle settimane, per aver perduto la voglia di vivere ed averlo trascurato. Anche Ross si scusò per non essere stato capace di starle accanto nella maniera giusta. Dopo quel chiarimento si erano baciati con passione, non uno di quegli stanchi baci coniugali che ogni tanto, distrattamente, si scambiavano in presenza dei figli, ma un bacio profondo che ricordava loro come fossero ancora, dopo tanti anni, in primo luogo amanti.
La notte successiva, invece, Demelza aveva bisogno di parlare con il marito di una cosa importante. La notte precedente era stata dedicata a loro, a ritrovarsi, a dare sfogo alla passione ed alla tenerezza, ma la questione dei loro figli era più urgente che mai e dovevano prendere una decisione.
Entrambi si erano accorti che Valentine era rimasto turbato al pensiero che Julia avesse fatto battere il cuore ad un altro ragazzo. La sua gelosia era palese, ed era il segno che quella decisione di mettere varie miglia fra sé e Julia probabilmente non era servita a nulla. D’altra parte, non si poteva fingere che quella situazione fosse naturale; Bella ed Henry non sarebbero mai riusciti a capire una loro eventuale relazione, e gli stessi diretti interessati dovevano essere aiutati a capire cosa si agitava nei loro cuori, anziché lanciarsi precipitosamente in una strada senza ritorno.
Dopo aver a lungo ragionato, Demelza espresse il suo pensiero. “Ci ho pensato a lungo, Ross. Secondo me la soluzione più giusta in questo frangente è trasferirci tutti a Londra” .
“A Londra? – obiettò Ross sbalordito– ma la nostra vita è qui… ti ricordo che sei stata tu a voler sempre vivere in Cornovaglia, anche quando ero parlamentare!”
“Questo è vero - riconobbe Demelza - ma adesso la situazione è diversa. Si tratta di Valentine e Julia, Ross”.
“Abbiamo fatto tanto per separarli, e ora dobbiamo riunirli?”
“Non dobbiamo riunirli! Semplicemente, mi sono resa conto che non spettava a noi separarli! Oh, Ross, la vita è tanto breve, ci sono tanti dolori e difficoltà, perché rinunciare all’amore? Se è destino che devono stare insieme, troveranno comunque il modo di farlo, Londra o non Londra! Pensa a noi due: non venisti a cercarmi fino in casa di Hugh quella notte? Se ci penso, mi vengono ancora i brividi…”
“Se pensi questo, perché allora non far tornare semplicemente Valentine a Nampara? In questo modo invece stravolgeremo la vita di tutti gli altri, soprattutto di Bella ed Henry, che vanno ancora a scuola, e non potremo neppure portare Prudie e Jud con noi… senza contare che dovremo delegare a qualcuno la gestione delle miniere!”
“Non dico che dovrebbe essere per sempre, Ross. Ho bisogno che la famiglia sia di nuovo unita. Te ne prego. Nampara è la mia vita, lo sai, ma in questo momento mi riporta alla mente un ricordo ancora troppo doloroso… la perdita di William… vorrei respirare un’aria nuova e Londra può essere il luogo adatto. Fu la città che mi accolse tanti anni fa, nel momento in cui avevo più bisogno di ritrovarmi. Anche io, come Valentine, cercai di allontanarmi da un amore impossibile, e non ci riuscii mai…”.
Gli strinse la mano. “Capisco le tue perplessità, Ross, e comprendo anche che ti sto chiedendo molto. Vorrei però che mi accontentassi, ed avessi fiducia in me ancora una volta.”
“Ne sei proprio sicura, amore mio? Non ti spaventa questa rivoluzione così radicale della nostra vita? In fondo ti sei appena ripresa, dovremo chiedere a Dwight prima di prendere una decisione definitiva…”
“Londra è ancora più adatta di Nampara alla convalescenza. Qui ci sono tante cose da fare, fattoria, giardino, le miniere… lì invece mi farei vezzeggiare come una vera signora… magari avremo la fortuna di assumere una vera governante, che non mi faccia alzare un dito in casa!”. Rise.
“Se ti sentisse Prudie, amore mio…” – rise anche Ross.
“Il cambiamento spaventa anche me, ma a differenza della Demelza ventenne e con una bambina piccola a carico, adesso ho te al mio fianco, ed i nostri adorati figli”.
“Proprio per quanto riguarda loro… sei sicura che capiranno? Come giustificheremo tutto ciò? E Julia come la prenderà? Devi ammettere che non è una scelta molto razionale… prima li invitiamo a fare chiarezza e riflettere bene sui loro sentimenti, poi facciamo di tutto perché siano vicini… se li lasciamo liberi di amarsi è un conto, altrimenti credo che equivalga a sottoporli ad un’inutile tortura.”
Demelza scosse la testa. “Non mi sono spiegata bene. Valentine continuerà ad avere il suo alloggio a Londra. Tutti noi abiteremo da un’altra parte. La vivremo come se fosse una grande vacanza. I ragazzi potrebbero imparare una lingua straniera, magari il francese o il tedesco… Julia potrebbe cercare anche lei un’occupazione; come istitutrice, con le dame di carità, qualsiasi cosa che la distacchi, in un certo senso, dalla nostra famiglia. Ognuno dei due ragazzi deve costruire la sua vita, Ross. Devono acquisire, anche agli occhi dei fratelli, una loro individualità. Solo allora sarà possibile vederli come due adulti, non come i due bambini cresciuti fianco a fianco come fratello e sorella… capisci che voglio dire? A Nampara non potrebbero mai essere tutto questo. Tutti, da sempre, li vedono come fratello e sorella. Non ho paura dello scandalo, non è questo, ma se un domani decidessero di unire le loro vite sarebbe preferibile iniziare da un ambiente meno ostile”.
Ross era perplesso. Ciò che affermava Demelza non era del tutto astruso, ma si trattava pur sempre di un salto nel vuoto…
“Ti prego Ross, fidati di me. Saremo sempre insieme. A Londra o in capo al mondo, saremo ancora noi”.
Nella penombra della stanza, illuminata solo dalle candele, lo sguardo di Demelza luccicava.
Ross la strinse forte a sé. Avevano attraversato tante tempeste, e la loro forza era sempre stata quella di restare uniti: sua moglie aveva ragione: a Londra o a Nampara, non importava.  Quello che contava era essere insieme.
Londra poteva essere un nuovo inizio. Ross non sapeva cosa il futuro avrebbe riservato alla loro famiglia, ai ragazzi, ai piccoli di casa, ma era certo di una cosa: neppure una briciola dell’amore che lui e Demelza avevano da dare sarebbe andata dispersa.  

 

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