Il Paradosso del 27

di Milly_Sunshine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pre-season ***
Capitolo 2: *** Las Vegas ***
Capitolo 3: *** Opzione tredici ***
Capitolo 4: *** Circuit of the Americas ***
Capitolo 5: *** Conferenza stampa ***
Capitolo 6: *** Interlagos ***
Capitolo 7: *** Bahrein ***
Capitolo 8: *** Falso storico ***
Capitolo 9: *** Bandiera rossa ***
Capitolo 10: *** Kyalami ***
Capitolo 11: *** Sepang ***
Capitolo 12: *** Il nuovo eroe ***
Capitolo 13: *** Argento Tre ***
Capitolo 14: *** Albert Park ***
Capitolo 15: *** Imola ***
Capitolo 16: *** Valencia ***
Capitolo 17: *** Il documentario ***
Capitolo 18: *** La chiamata del CEO ***
Capitolo 19: *** Azerbaijan ***
Capitolo 20: *** Montecarlo ***
Capitolo 21: *** Finale di stagione ***
Capitolo 22: *** La prospettiva di Tina Menezes ***
Capitolo 23: *** Test prestagionali ***
Capitolo 24: *** Miami ***
Capitolo 25: *** Suzuka ***
Capitolo 26: *** Blackout ***
Capitolo 27: *** Verso la rinascita ***



Capitolo 1
*** Pre-season ***


DISCLAIMER: una storia simile a questa l'ho già pubblicata nel 2019 su Wattpad (con il nickname Sunshine295, account che utilizzavo allora) e su un forum a tematica Formula 1 e altre serie di automobilismo, del quale sono admin. Quella era una fan fiction e c'erano personaggi ispirati a veri piloti. In questa versione, la cui trama è per vari versi diversa da quella originaria, ciò ovviamente non accadrà in quanto EFP vieta di pubblicare fan fiction su sportivi (se siete appassionati di Formula 1, comunque, c'è caso che possiate notare qualche personaggio secondario velatamente ispirato a qualche pilota vero).
I personaggi principali, Yannick Leroy e Alysse Mercier, hanno fatto la loro prima comparsa nella fan fiction del 2019 (ai tempi intitolata "Il Paradosso del What-if") così come Ryuji Watanabe. Il personaggio di Tina Menezes, invece, l'avevo inserito in passato in altre fan fiction, faceva anch'esso la sua parte nella versione del 2019, per poi scegliere di mantenerlo presente anche in questa versione.
L'idea di piloti che devono mantenere segreta la propria identità mi è stata ispirata a suo tempo da una fotografia in cui era ritratto un gruppo di kartiste dell'Arabia Saudita, la maggior parte delle quali avevano preso parte alla foto di gruppo tenendo il casco in testa, facendomi ipotizzare che non volessero posare a volto scoperto per motivi religiosi, oppure che, essendo stato solo di recente rimosso il divieto di guidare per le donne del loro Paese, preferissero non rivelare la propria identità.

A mio parere non è necessario essere grandi appassionati di automobilismo per comprendere le dinamiche del racconto. Averne comunque una conoscenza di base (anche a livello "ci sono venti macchine che girano in tondo") può essere d'aiuto. La maggior parte della storyline, comunque, riguarda intrighi che non avvengono strettamente in pista.




Era la fine di settembre. Milionari disposti a spendere migliaia e migliaia di dollari per assistere dal vivo agli eventi che avrebbero fatto da contorno al Gran Premio di Las Vegas presto avrebbero potuto posare sulle tribune extralusso con l’aria annoiata e le mani sulle orecchie per proteggersi dal frastuono dei motori. Frattanto squattrinati disposti a spendere decine e decine di euro, dollari o sterline per sottoscrivere abbonamenti alle PayTV e acquistare gadget a tema, si sarebbero affaccendati sui social network a scrivere insulti rivolti a chi, per impegni lavorativi, avesse saltato la visione sistematica di qualsiasi sessione di prove libere. Non che fossero rimaste molte sessioni di prove libere, prontamente sostituite da gare sprint o a griglia di partenza invertita da dare in pasto all’affamato pubblico che amava la A+ Series, ma quello che contava era il concetto.
Talvolta lo stesso CEO si stupiva di quanto fosse facile raggiungere menti poco brillanti e di convincerle che tutto venisse fatto per assecondare i loro desideri. In realtà non erano che parte del tutto: seguivano un campionato automobilistico con un interesse maniacale per qualsiasi elemento di contorno, prestando addirittura più attenzione a colore delle paillettes della giacca che avrebbe indossato il celebre rapper Hamster Gangster al concerto di apertura della stagione piuttosto che alla competizione. Perfino quel pubblico che un tempo si lamentava perché il fragore dei motori era calato a poco a poco, nel corso degli ultimi tre lustri, aveva da tempo dimenticato l’argomento. Del resto ormai erano qualifiche e gare a fare da contorno a un evento più ampio, spesso contornato dalla presenza di ospiti d’onore che non avevano il benché minimo legame con l’automobilismo, piuttosto che il contrario.
Un tempo il CEO stesso era stato scettico di fronte all’idea di un simile futuro, ma un’ottima collaboratrice gli aveva aperto gli occhi e l’aveva messo a tu per tu con una verità scintillante: l’idea di preservare l’essenza delle competizioni motoristiche era il nulla, gli incassi erano tutto, e da ogni click, ogni flame e ogni commento ai colori delle bandane portate in testa dalle celebrità che si aggiravano per il paddock senza la benché minima comprensione di quanto vedevano portava all’aumento degli incassi.
La collaboratrice in questione si chiamava Maelle Heidelberg e aveva lavorato come social media manager della A+ Series fin dal primo momento in cui i social network avevano iniziato ad avere un ruolo attivo nello sport. A distanza di anni, tuttavia, era giunto il momento di una promozione. Il CEO aveva bisogno di collaboratori fidati e nessuno era più fidato della Heidelberg. Tra i quaranta e i cinquant’anni, il CEO non ricordava la sua età precisa, era una donna piuttosto pragmatica, che offriva il proprio contributo in molteplici forme. La sua competenza era molto utile, il suo genere anche: le tifose non facevano altro che invocare la rappresentazione delle donne nel motorsport e Maelle faceva al caso loro. Sorrideva con aria compiacente alle ragazzine che urlavano “girlpower!” e una volta tornata dietro le quinte si occupava di ciò che importava a ogni affarista, indipendentemente dal genere: l’interesse economico della categoria.
In più il CEO doveva riconoscerle una buona dose di sadismo. Non aveva molta confidenza con lei e non gli interessava conoscerla meglio in ambito non lavorativo - anzi, forse ne avrebbe quasi avuto paura - ma sul lavoro non aveva alcun pelo sulla lingua. Non si faceva remore a pronunciare ad alta voce parole o frasi che molti altri avrebbero avuto a malapena il coraggio di pensare e non era raro che se ne uscisse con qualche invettiva contro gli standard di sicurezza troppo elevati. Secondo Maelle, una maggiore possibilità che si verificassero incidenti gravi o addirittura mortali durante le gare avrebbe contribuito a innalzare il livello di attenzione da parte dei tifosi. Non aveva tutti i torti: buona parte del pubblico non l’avrebbe mai ammesso, ma il sogno di buona parte dei telespettatori era quello di vedere il proprio idolo morire e diventare un eroe. Non era più possibile alla stessa maniera di un tempo, ma bisognava lavorare a quell’aspetto. Purtroppo prima c’era una brutta gatta da pelare e, proprio per quella ragione, il CEO attendeva Maelle.
La Heidelberg bussò allo stipite della porta, prima di entrare. Conosceva la prassi: se trovava aperto, poteva introdursi liberamente nell’ufficio del CEO, a condizione di segnalare la propria presenza. Aveva l’aria soddisfatta, mentre si infilava dentro. Per chi non la conosceva, nel suo completo grigio e con i capelli raccolti, poteva apparire come una professionista qualsiasi. Non lo era e l’espressione del suo volto significava una cosa sola.
«Buongiorno Maelle» la accolse il CEO. «Si sieda.»
Maelle si accomodò di fronte a lui e, con un sorrisetto beffardo, osservò: «Il nuovo sistema di influenza esterna è fantastico. Secondo me dovrebbe essere sperimentato già a Las Vegas. Ho già in mente perfino il pilota.»
Quella donna stava facendo il passo più lungo della gamba.
«Maelle, l’ho convocata per parlare di Rosso Ventisette.»
«Sì, direttore, lo immaginavo. Pensavo che, dato che siamo qui, si potrebbe parlare anche della nuova opzione, tuttavia. Le assicuro che la mia idea le piacerà tanto quanto a me piace il concetto.»
«Non lo metto in dubbio» ammise il CEO, «Ma manca una settimana all’inizio del campionato e abbiamo un pilota che sta violando le regole della categoria, o quantomeno minaccia apertamente di violarle. Spero si renda conto della gravità della situazione e del fatto che necessiti la priorità.»
Maelle scrollò le spalle, con aria quasi indifferente.
«Mi ha chiamato per questo? Non voglio essere scortese, ma credo non abbia bisogno del mio parere per agire. Morto un Ventisette se ne fa un altro.»
«Lei è troppo ossessionata dalla morte» ribatté il CEO. «Quel tipo non deve essere soppresso, ma semplicemente radiato dalle competizioni. Dopotutto deve essere il suo obiettivo. Vuole andare a correre in Indycar, perché il suo sogno è ottenere la Triple Crown. Da come parla, sembra voglia lasciare intendere di avere già vinto la Ventiquattro Ore di Le Mans, e questo finirebbe per dare indizi sulla sua effettiva identità. Come se non fosse già abbastanza grave, sembra considerare la sua vittoria al Gran Premio di Montecarlo di parecchi anni fa come una vittoria effettivamente sua e non del numero che porta. Tutto ciò non è accettabile. Il lavoro fatto per rendere i colori e i numeri superiori alle scuderie di un tempo e ai piloti non può essere vanificato dalle sue ambizioni.»
Maelle obiettò: «Radiarlo, però, non farà altro che risvegliare la sua sete. Finora si sta trattenendo perché deve sottostare alle nostre regole. Dovremmo fare qualcosa di più. Potrebbe bastare poco, non dico necessariamente un’uscita di pista, quelle hanno effetti così difficili da controllare. Vediamo botti micidiali, ma fin troppo spesso i piloti ne escono senza nemmeno un graffio. Dicono che hanno visto tutta la loro vita scorrere davanti ai loro occhi, e quelle scemenze lì, ma il giorno dopo se ne dimenticano e tutto continua esattamente come prima. Non c’è molto che possiamo fare, da quell’aspetto, ma si può pensare ad altro. Non saprei, magari potrebbe ricevere una scossa elettrica dalla monoposto mentre è al volante e...»
Il CEO interruppe quella proposta sul nascere: «Dobbiamo rimanere ancorati alla realtà, Maelle. Mi rendo conto che sarebbe molto bello potere influire sulle gare e sulla vita dei piloti anche tramite scosse elettriche mentre stanno guidando, ma non possiamo spingerci così tanto in là, possiamo solo sognarlo. Abbiamo dodici opzioni meravigliose per controllare, se necessario, gli esiti delle competizioni. Rispettano tutte certi principi etici e non dobbiamo allontanarcene.»
Maelle riprese improvvisamente a sorridere.
«Dodici?»
«Finora erano dodici» ammise il CEO. «Lo so, vuole parlare a tutti i costi dell’opzione tredici, ma le assicuro che...»
Maelle lo interruppe: «Nero Trentasei.»
Il CEO non capì.
«Cosa intende?»
«Intendo Nero Trentasei, quel pilotino arrivato dalla Seconda Divisione.»
«So benissimo di chi sta parlando, ma in che modo si collega alla nuova opzione?»
«Quell’opzione deve essere sperimentata in opera» puntualizzò Maelle. «Abbiamo bisogno di una cavia e non potrei immaginare una cavia migliore di lui.»
«È solo un pilotino delle retrovie» replicò il CEO. «La gente si rende conto a malapena della sua presenza. Potrebbe essere chiunque: il figlio di un milionario qualsiasi, un pilota supportato da un grosso sponsor che ha creduto nel suo talento, oppure addirittura un pilota di seconda generazione con un cognome famoso. Però è solo Trentasei, l’ultima ruota del carro.»
«Appunto» ribatté Maelle. «Dobbiamo fare una prova, non qualcosa di altisonante. Quello di Las Vegas sarà il primo gran premio della stagione. Non abbiamo alcun motivo valido per bloccare all’improvviso e a sorpresa il traction control sulla vettura di uno dei big, quello potremmo farlo quando sarà il momento opportuno e inizierà a delinearsi la lotta per il mondiale. Per questo ho proposto Nero Trentasei. È solo un tizio qualsiasi di cui non importa nulla a nessuno. Non si farà male, le vetture di oggi sono indistruttibili. Poi c’è pure l’halo, non gli arriverà una ruota in testa, se dovesse staccarsi dalla sua vettura. Peccato perché al pubblico piace il sangue, ma in questo momento non dobbiamo pensarci.»
«Perché Nero Trentasei?»
«Perché mi piace l’ironia.»
«Le ho mai detto che è un genio del male, Maelle?»
«Decine e decine di volte.»
«Allora glielo ripeto, ma le faccio anche notare che certa ironia possiamo coglierla soltanto noi, che stiamo ai piani alti.»
Nemmeno a quelle parole Maelle smise di sorridere.
«Ancora meglio, non crede? Gli affari sono importanti, ma non bisogna mai smettere di cercare un po’ di allegria. Il modo migliore per trovarla è essere al di sopra di tutto. Il pubblico non sa. Il personale dei team non sa. La stampa e gli addetti ai lavori non sanno. Noi sappiamo benissimo chi c’è dietro a ogni numero, chi sono quei piloti senza identità che pubblicamente devono sempre indossare tuta e casco e parlare attraverso un congegno che neutralizza il loro accento. Nessuno può riconoscerli, ma noi sappiamo perfettamente quale sia l’identità di ciascuno di loro. Abbiamo un potere enorme, abbiamo il controllo di tutto. Dobbiamo sfruttarlo per il nostro interesse, ma non c’è nulla di male a farlo per puro divertimento personale. Ci pensi e mi faccia sapere cosa ne pensa, se sperimentare l’opzione tredici sulla macchina di Nero Trentasei non le sembra una possibilità meravigliosa.»
Il CEO annuì.
«Come vuole. Adesso, però, parliamo di cose serie. Ho già trovato un nuovo Ventisette, non ci resta altro da fare che formalizzare l’addio con quello precedente.»
Maelle non parve indifferente alla notizia.
«Chi è il nuovo Rosso Ventisette?»
«Non abbia fretta, Maelle» ribatté il CEO. «Ogni cosa a suo tempo.»
«Pensavo mi avrebbe dato almeno qualche anticipazione. Chiaramente è normale che io non sia stata consultata, nemmeno a titolo informativo, ma sa benissimo che può fidarsi di me. Abbiamo sempre gestito bene la stanza dei bottoni e mi piacerebbe se...»
«Lo so, le piacerebbe essere informata subito. È proprio insaziabile, Maelle. Uno vale l’altro, non crede? Ho scelto il profilo più adeguato per le nostre esigenze: Rosso Ventisette deve essere in grado di competere alla pari con Argento Quattro e con Viola Cinque. Dobbiamo chiaramente assicurarci che non vinca il mondiale, per la solita regola aurea secondo cui le monoposto di colore rosso devono arrivare vicine al titolo, almeno occasionalmente, ma non vincerlo, il che ovviamente sarà molto facile da controllare.»
«Si è assicurato che Rosso Ventisette sia un pilota più veloce del suo compagno di squadra? L’altra regola aurea è che alle vetture rosse corrispondono i numeri 27 e 28 e che chi porta il numero 27 debba essere considerato un pilota più interessante e promettente del compagno di squadra.»
«Non si preoccupi per questo aspetto, Maelle. Mi fa piacere che sia così interessata alle sorti del campionato, ma non metta costantemente in dubbio le mie capacità.» Il CEO ridacchiò. «Invecchiando non perdo colpi, anzi, mi viene sempre in mente qualche trovata migliore. Non sarò diabolico tanto quanto lo è lei, in alcune occasioni, ma me la posso ancora cavare.»
Maelle lo guardò con aria implorante, insistendo: «Il nome?»
Il CEO sospirò.
«Come vuole. Lo saprà.»
Fissò la sua assistente, mentre pronunciava le vere generalità del prescelto Rosso Ventisette.
Maelle parve spiazzata.
«Oh, non mi aspettavo che...»
Il CEO le strizzò un occhio.
«Lo vede? Sono ancora capace di stupirla. La A+ Series è in buone mani.»
«Assolutamente» convenne Maelle. «Mi fa piacere che abbia avuto questa idea. Non potevo immaginare candidati migliori, se devo essere sincera.»
«Veniamo alle cose davvero serie, invece» ribatté il CEO, un po’ come se il nuovo pilota chiamato a guidare la vettura più in vista della griglia fosse una questione di poco conto. «Ho convocato l’attuale - quasi ex - Rosso Ventisette per oggi. Arriverà tra circa un’ora. Voglio essere da solo con lui, quando lo informerò della sua radiazione. Gli proporrò un accordo vantaggioso anche per lui, affinché non gli venga in mente di violare le nostre regole anche quando non farà più parte della A+ Series. Presto questa faccenda sarà chiusa e potremo occuparci a tutto tondo del campionato imminente.»
«E i fan» osservò Maelle, «Potranno occuparsi del colore dei pantaloni attillati di Hamster Gangster come se da quelli dipendesse il destino delle corse automobilistiche.»
«Esattamente» confermò il CEO, «Mentre noi valuteremo come sperimentare la nuova opzione. Aveva ragione. Nero Trentasei potrebbe essere il candidato ideale.»
«Sapevo che avrebbe tenuto in considerazione la mia proposta» concluse Maelle. «Ne sono davvero felice, mi fa molto piacere.»

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Capitolo 2
*** Las Vegas ***


Concerti, spettacoli, passerelle per vip americani con un’idea piuttosto creativa di cosa fosse l’eleganza e una ancora più creativa di cosa fosse il motorsport: era così che iniziava il Gran Premio di Las Vegas, evento di apertura da tempo autoproclamato come il migliore di tutta la stagione. Argento Quattro era piuttosto scettico, non comprendeva la ragione di circondarsi di personalità dei reality show statunitensi che venivano invitati ad assistere all’evento, senza la benché minima idea di cosa fosse la A+ Series, e non nella maniera in cui non ne avevano idea gli statunitensi appassionati di Indycar o di NASCAR. Quel tipo di ospiti non sapeva nemmeno di cosa fossero Indycar e NASCAR e vedeva la A+ Series come un mero palcoscenico sul quale esibirsi.
Non era neanche tanto il caso di chi si esibiva veramente, come il rapper chiamato a cantare nel concerto di apertura, sulla cui identità c’erano comunque molti dubbi e che difficilmente era statunitense, dall’accento con cui parlava, quanto piuttosto di gente che, non sapendo fare niente, non poteva nemmeno essere convocata per fare spettacolo. Uomini e donne da reality show, conosciuti soltanto a un pubblico di teledipendenti a stelle e strisce, facevano grid-walk prima delle gare, urlando dei “mi lasci in pace, altrimenti chiamo le guardie del corpo, io sono una persona importante, mentre lei chi è?” ad affermati giornalisti del settore che chiedevano loro quale fosse la loro squadra preferita della A+ Series oppure se tifassero per un pilota nello specifico.
Argento Quattro disprezzava con tutte le proprie forze quel teatrino ed era molto felice che non venisse replicato in ogni dove. Fortunatamente almeno nei luoghi che avevano cultura dell’automobilismo quel fenomeno era molto più contenuto. Si contava ovviamente la presenza di qualche influencer, ma difficilmente l’influencer diventava il fulcro dell’evento stesso. Disprezzava quel teatrino, ma non vi si sarebbe mai opposto pubblicamente: quello che contava, per Argento Quattro, non era la piacevolezza dell’evento per il tifoso che avesse un’idea almeno vaga di cosa fossero le corse automobilistiche, quanto la possibilità di conquistare un titolo mondiale. Non gli importava nemmeno di offrire agli appassionati una guida spettacolare o manovre destinate a entrare negli annali, tutto ciò che contava era il risultato finale.
Il colore argento, con il 4 come numero di gara, aveva già vinto un titolo, diversi anni prima, e in quanto successore del precedente pilota, Argento Quattro era di fatto considerato un ex campione del mondo, ma quel ruolo gli era sempre stato stretto, così come le assurde regole della A+ Series secondo le quali, una volta che un pilota usciva di scena, chi veniva dopo di lui ne dovesse prendere l’identità. Nessuno veniva informato pubblicamente di questo avvicendamento, spettava ad appassionati, giornalisti o addetti ai lavori accorgersi dello scambio e tentare di comprenderne le ragioni: c’era chi si ritirava spontaneamente dalle competizioni, come sembrava fosse avvenuto nel caso del precedente Argento Quattro dopo la vittoria del titolo mondiale, chi veniva radiato per qualche ragione, come si vociferava che fosse accaduto a Rosso Ventisette, con il nuovo che veniva tacciato di essere un pilota diverso a quello che aveva guidato la monoposto rossa nelle passate stagioni, chi semplicemente veniva assegnato a un altro volante per qualsivoglia ragione.
Era accaduto anche questo, al vecchio compagno di squadra di Argento Quattro. Non ne conosceva l’identità, né di quello precedente né di quello nuovo, ma era ben felice che il vecchio Tre fosse stato levato di mezzo. Era forse il pilota più competitivo presente sull’intera griglia, avrebbe collezionato mondiali a raffica se non fosse stato spostato al volante di una vettura meno performante. Era molto probabile che fosse divenuto Arancione Otto, anche se statura, occhi e contorno occhi erano tutto ciò che rendevano riconoscibile un pilota, abbinati in minima parte al modo di muoversi e di parlare. Non veniva mostrato molto dei piloti, quando non erano al volante, ma vederli camminare in tuta e casco non era così inconsueto. Anche l’accento veniva neutralizzato da un apposito congegno, quando parlavano, ma era impossibile rendere i piloti del tutto anonimi, nonostante quell’aggeggio funzionasse anche come traduttore simultaneo, allo scopo di impedire di far trapelare fino a che punto un pilota fosse fluente nella lingua nel quale si esprimeva. Alcuni dei colleghi di Argento Quattro, incuranti dei rischi ai quali finivano per esporsi, spesso si lasciavano andare a esternazioni che non sarebbe stato difficile attribuire proprio a loro, anche da parte di chi non avesse saputo chi fosse a esprimere tali concetti. C’era chi si lamentava sempre delle manovre di altri piloti, comportamento del tutto innocuo, e chi faceva lo stesso tentando di screditare i piani alti del campionato.
Argento Quattro comprendeva il bisogno di ribellione, ma riteneva con convinzione che un certo tipo di atteggiamento fosse piuttosto infantile. Erano tutti adulti, non erano più scolaretti convinti che tutto dovesse essere contestato. Dopotutto gli adolescenti erano costretti a frequentare la scuola, dalla famiglia oppure dalle leggi dello Stato di residenza, ci stava in pieno che si sentissero stretti nelle imposizioni alle quali dovevano sottostare. Non funzionava così per i piloti della A+ Series e ogni tipo di ribellione era del tutto inutile: nessuno di loro era stato costretto a diventare pilota, ma anzi, la maggior parte di loro erano arrivati in alto grazie a sacrifici economici più o meno ingenti di famiglie già molto abbienti, in più ciascuno di loro avrebbe potuto scegliere tranquillamente di gareggiare in un’altra categoria. I piloti di Indycar, endurance, turismo, stock car e chissà quante altre categorie erano liberi di mostrare il proprio volto sotto la luce del sole e di presentarsi con il proprio nome. Potevano essere normalissimi esseri umani, portare partner, figli, genitori, fratelli, sorelle e amici con loro sui circuiti, potevano pubblicare sui social network i propri pensieri - a condizione, ovviamente, che esprimessero concetti accettabili ed entro i limiti della legalità, così come accadeva per qualsiasi altro libero cittadino - oppure le fotografie dei loro animali domestici. In più le vittorie e i titoli che ottenevano erano associati al loro nome e destinati a rimanere indelebili nella storia del motorsport per tutti i decenni a venire, così come era stato un tempo in Formula 1, la categoria automobilistica che aveva preceduto la A+ Series.
Detestare le dinamiche del campionato era assolutamente accettabile, ma Argento Quattro riteneva che ciascuno dovesse avere la decenza di tenere per sé i propri pensieri, invece di condividerli con il resto del mondo. Chiunque di loro avrebbe potuto andarsene in qualsiasi momento e dimostrare il proprio talento, mettendoci la propria identità, in qualsiasi altra categoria. I contestatori avrebbero fatto meglio a lasciare la A+ Series una volta per tutte e cercare di costruirsi una nuova carriera in Indycar o in endurance, senza aspettare di essere vicini alla soglia dei quarant’anni oppure di essere cacciati. D’altronde erano quelle le strade che tentavano una volta tagliati fuori, tanto valeva farlo prima, se le regole della A+ Series erano troppo strette per i loro gusti.
Chi restava, pensava Argento Quattro, avrebbe fatto meglio a tollerare personalità imbarazzanti che si aggiravano per i circuiti, così come un format creativo almeno tanto quanto gli indumenti fashion - altresì definibili come estremamente tamarri - delle star dei reality. Il programma del weekend poteva cambiare in corso d’opera ed era diverso da un gran premio all’altro. Solo uno degli eventi era ancorato a rituali precisi, destinati a non cambiare mai, ovvero il Gran Premio di Montecarlo che si svolgeva in genere nell’ultimo fine settimana di maggio. Ciò non avveniva per preservarne la storia, quanto piuttosto per aumentarne la percezione di anacronismo e spingere i tifosi a chiederne a gran voce la cancellazione. Si vociferava ormai da anni che fosse destinato all’eliminazione dal calendario, per essere sostituito da un gran premio a Miami. Il pubblico americano, quel tipo di pubblico attirato grazie a campagne social orientate all’adolescente medio, fosse esso adolescente per effettiva età o solo per età mentale, ne era entusiasta, convinto che Montecarlo danneggiasse l’etica dello sport in quanto vetrina per celebrità milionarie europee anziché per celebrità milionarie americane. Si parlava addirittura di un porto finto disegnato sul circuito cittadino di Miami, che non si trovava vicino all’acqua, nel quale piazzare yacht veri, a imitare lo scenario del Gran Premio di Montecarlo. Inutile dire che quel tipo di tifoseria, in prevalenza americana, sul quale si investiva tanto era molto affascinato da questa prospettiva. Si vociferava addirittura che a Miami si potesse gareggiare, in via sperimentale, all’avvio della successiva stagione, il che avrebbe significato rimpiazzare Las Vegas per un anno.
Ad Argento Quattro quell’ipotesi era indifferente, tendenzialmente i circuiti cittadini americani erano indecenti, tradizione ereditata dalla Formula 1 degli anni ’80, e rinunciare a un’edizione del Gran Premio di Las Vegas per avere al suo posto quello di Miami non gli avrebbe cambiato la vita. In più mancava ancora un anno e aveva ben altro di cui occuparsi. L’evento inaugurale della stagione 2021/22 non era andato male, anche se si sarebbe aspettato di più. Era inevitabile che i suoi pensieri andassero avanti e indietro verso la gara sprint nella quale si era imposto raccogliendo una certa quantità di punti, per poi non riuscire a rimontare nella seguente, con griglia di partenza invertita rispetto al risultato della prima. Nell’evento finale, quello che somigliava a un vero e proprio gran premio come quelli di un tempo e che assegnava la parte più grossa del punteggio, aveva ottenuto solo un quarto posto. Viola Cinque aveva dominato la gara e Rosso Ventisette e Rosso Ventotto erano saliti sui gradini più bassi del podio.
In sintesi, ciò che era iniziato bene si era trasformato in una delusione, nella fattispecie una di quelle delusioni che avrebbe dovuto cercare di togliersi dalla testa, perché Argento Quattro non era solo Argento Quattro. Quando si toglieva tuta e casco tornava a chiamarsi Yannick. Aveva ventinove anni, anche se ormai era vicinissimo ai trenta, gli piacevano le moto potenti, i film d’azione, la musica rock e le donne come Alysse. Si conoscevano di vista da diversi anni, ma solo alla fine del mondiale precedente avevano preso a frequentarsi. Non si erano incontrati nel corso dell’estate, ma erano rimasti in contatto. Yannick non sapeva esattamente che professione svolgesse Alysse, ma aveva dedotto che dovesse essere una social media manager o un’addetta stampa di qualche squadra della A+ Series.
Le aveva confidato di essere un pilota della categoria, ma ovviamente non aveva fatto cenno alla propria identità. Se fosse stata divulgata, sarebbe stato immediatamente radiato. Non poteva permettersi che ciò accadesse, non prima di avere placato la propria sete di vittorie conquistando il titolo, almeno, quindi non doveva mai abbassare la guardia. Alysse era una donna piacente di trentadue anni, con lunghi capelli biondi e l’aria piuttosto atletica, in apparenza leale e sensibile, con la quale era stato a letto un paio di volte e che gli aveva rivelato di essere stata sposata in passato, ma dietro a quell’immagine avrebbe potuto nascondersi una spia sul libro paga dei suoi avversari. Yannick sapeva di essere uno dei piloti più forti, tra i top-team, e non si sarebbe stupito se i suoi rivali avessero ricorso a qualsiasi mezzo pur di sbarazzarsi di lui. D’altronde, se avesse conosciuto l’identità di qualcuno di loro, non avrebbe esitato a usarla per ottenere i propri scopi: la A+ Series era un mondo maledettamente competitivo e c’erano due sole possibilità, essere pronti a tutto oppure mantenersi sempre molto entro i limiti della correttezza. C’erano tanti piloti dall’animo nobile che optavano per la seconda, ma ciò diminuiva di gran lunga le loro probabilità di vittoria. Yannick aveva capito già da tempo che quella strada non si abbinava bene ai suoi obiettivi. Non era dotato dello stesso talento che avevano le punte di diamante del campionato, se voleva batterli doveva colpirli dove meno se lo aspettavano.
Le sue riflessioni vennero interrotte proprio dall’arrivo di Alysse. Portava un abito rosso lungo fino al ginocchio che le stava d’incanto e si guardava intorno come a cercarlo. Yannick attirò la sua attenzione con un cenno e sperò che si accorgesse di lui e lo raggiungesse al tavolo. In altre circostanze avrebbe evitato di gran lunga di sedersi in un bar di Las Vegas, nel quale perfino un semplice caffè poteva costare quanto la cena di uno chef stellato, ma la prospettiva di incontrare Alysse dopo tanto tempo era più importante di tutto il resto.
La presunta social media manager venne verso di lui e gli si sedette di fronte osservando: «Non sono sicura che potrò permettermi il conto di questo locale.»
Yannick ridacchiò.
«Ci stavo pensando anch’io.»
Alysse gli strizzò un occhio.
«Non dire assurdità, lo so che voi piloti siete tutti pieni di soldi.»
«Allora avrei dovuto inventarmi che ero un inviato sottopagato di qualche televisione random» borbottò Yannick. «Sarebbe stato tutto molto più semplice.»
«Già, non ti avrei chiesto come sia andato il gran premio.»
«La devo prendere come una domanda?»
«Una domanda a cui temo non darai risposta» ammise Alysse, «Ma pur sempre domanda.»
«Hai ragione, non posso risponderti» confermò Yannick, «Comunque avrebbe potuto andare meglio.»
«So per certo che non hai vinto tu» ribatté Alysse. «Non puoi essere Viola Cinque.»
Yannick non sapeva se fosse opportuno alzare la guardia, di fronte a una simile osservazione, ma c’era solo un modo per scoprirlo.
«Come lo sai?» le chiese. «Per caso vai in giro a fare domande su di me?»
Alysse scosse la testa.
«No, figurati. Non faccio domande inutili, nessuno mi darebbe una risposta. Immagino, peraltro, che nessuno sappia chi sei davvero.»
«Immagini bene. Allora da che cosa hai dedotto che non sono Viola Cinque?»
«I tuoi occhi sono azzurri, ma non di quell’azzurro così brillante.»
Era tutto molto più semplice di quanto Yannick avesse immaginato.
«Non pensavo facessi caso al colore degli occhi dei piloti. Mi sembra un comportamento molto da fangirl. Non so se hai presente, quelle che sui social si comportano come se i piloti fossero componenti di una boyband.»
«Non faccio molto caso al colore degli occhi dei piloti o delle persone in generale» replicò Alysse, «Ma è l’unica cosa che ci è concesso vedere di voi. Ecco, è questa la ragione per cui ho fatto caso alle diverse sfumature di azzurro.»
A proposito di sfumature di azzurro, Yannick notò un uomo e una donna che si sedevano proprio in quel momento al tavolo accanto al loro. Quel tizio si chiamava Axel Frosch ed era una sorta di attivista ambientale che spesso veniva invitato agli eventi per discutere di biocarburanti. Le sue iridi avevano una tonalità molto simile a quella di Viola Cinque. Era molto probabile che Frosch non vi avesse mai fatto caso, ma la donna che gli stava accanto sembrava perdersi a guardarli, quegli occhi così appariscenti. Aveva lunghissimi capelli neri e lineamenti che potevano essere quelli di una latinoamericana. A Yannick sembrava di averla vista lavorare per la televisione brasiliana e, se non ricordava male, si chiamava Tina Menezes o qualcosa del genere. Notò che Alysse le rivolgeva un fugace segno di saluto, ricambiato prontamente dall’altra donna.
«La conosci?» le chiese.
Alysse annuì.
«Sì, ci ho avuto a che fare.»
Non aggiunse altro, lasciando intorno a sé un’aura di mistero. Yannick non poté fare a meno di pensare che, se da un lato i piloti mantenevano il riserbo assoluto sulla loro identità, dall’altro le persone che avevano intorno non erano molto ben disposte a raccontare qualcosa di sé. Si domandò per un attimo se fosse una diretta conseguenza dell’anonimato dei piloti, poi una cameriera venne a prendere le ordinazioni e allora non pensò più a niente, se non alla sua serata con Alysse.

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Capitolo 3
*** Opzione tredici ***


La serata svoltò quando Yannick osservò che si stava facendo tardi. Le propose di andare via insieme, e Alysse avrebbe accettato molto volentieri, se non avesse avuto qualcosa di molto importante di cui occuparsi. Una delle persone presenti all’interno del locale le aveva mandato una serie di messaggi, pregandola di fermarsi, quando i rispettivi compagni se ne fossero andati, allo scopo di discutere di un fatto probabilmente avvenuto durante il gran premio. Quel “probabilmente” fu la ragione che convinse Alysse ad accettare, nonostante desiderasse riprendere la relazione con Yannick dallo stesso punto in cui si era interrotta diversi mesi prima in occasione del Gran Premio di Montecarlo.
Rifilò una scusa a Yannick - non mentì, in realtà, informandolo che avrebbe dovuto vedere una persona per questioni di lavoro, e non ricevette domande in proposito, dato che il suo interlocutore sapeva che non gli avrebbe parlato di ciò che faceva - e attese che l’inviata della televisione brasiliana rimanesse da sola. Non fu necessario attendere molto a lungo: anche l’attivista con la passione dei biocarburanti doveva sentirsi un pesce fuori dall’acqua in quel posto.
Alysse abbandonò il proprio tavolo e andò a prendere il posto lasciato libero da Frosch.
«Eccomi qui» disse, sedendosi. «Di cosa devi parlarmi?»
«Come stai, Alysse?» le domandò Tina.
«Bene, grazie.»
«Com’è andato il fine settimana?»
Alysse si irrigidì.
«In che senso?»
«Non so cosa fai esattamente, ma lavori nello stesso ambiente frenetico in cui lavoro io» le ricordò Tina. «A volte non vedo l’ora che il weekend sia finito... e a dire la verità più si va avanti e meno un weekend è un semplice weekend, anche se, per qualche assurdo motivo, ci si riferisce alle settimane di gara come a dei fine settimana.»
«Gli spettatori, qui a Las Vegas, hanno talmente tanti soldi da vivere di rendita. Poi ci sono i ragazzini che seguono le sessioni da casa, saltando la scuola per vederle. Per questa gente è fine settimana anche di lunedì e glielo lasciano credere.» Alysse si rese conto che Tina attendeva ancora una risposta a proposito della sua esperienza a Las Vegas, quindi si affrettò ad accontentarla, in modo tale che non le ponesse altre domande. «Diciamo che non è andata male, per niente. Quest’anno mi sento molto più a mio agio, nell’attuale ruolo.»
Tina non le chiese nulla, si limitò ad affermare: «Anche il mio “fine settimana” non è stato poi così male. Diciamo che non avrebbe potuto andare meglio.»
I suoi occhi scuri brillavano, mentre pronunciava quelle parole, ma Alysse conosceva la prassi: non chiedere nulla, per quieto vivere. Passò quindi al sodo, ricordando alla Menezes la ragione per cui si erano trovate allo stesso tavolo dopo essersi sbarazzate dei propri partner.
«Cos’è successo durante il gran premio? Anzi, cos’è successo, probabilmente, durante il gran premio?»
Tina sospirò.
«Non lo so con esattezza, ma qualcosa di strano. Me ne ha parlato Axel.»
«Axel?»
«Sì, l’uomo che era seduto con me fino a poco fa.»
Alysse fece un mezzo sorriso.
«Axel è l’anagramma di Alex.»
«E quindi?»
«No, niente. In passato sono stata sposata e mio marito si chiamava Alex.»
Tina non doveva farsene molto di quell’informazione, dato che riprese a riferirle le confidenze di Frosch.
«Ad Axel piace scambiare qualche parola con i piloti, all’occorrenza. D’altronde non è vietato. Ogni tanto ne trova qualcuno piuttosto espansivo ed è il caso di Nero Trentasei. Dice anche che è un nuovo Nero Trentasei, ne è sicuro. Quello precedente potrebbe essere passato in Indycar. C’è un nuovo pilota che ha occhi che gli somigliano.»
«Ho sentito dire anch’io che Nero Trentasei non è più lo stesso pilota delle scorse stagioni, e in realtà neanche Nero Trentacinque» ammise Alysse, memore di avere udito pettegolezzi a proposito del fatto che il precedente Trentacinque fosse il nuovo Rosso Ventisette, «Ma è normale che sia così. Anche quando non ce ne accorgiamo, c’è un certo ricambio generazionale. Dopotutto ci pensi? Certi piloti che correvano quindici anni fa potrebbero avere già superato i quarant’anni da un pezzo, è ovvio che prima o poi vengano sostituiti.»
«Non è questo il punto» replicò Tina, «E non è neanche la nuova identità di Nero Trentasei, in realtà. Oggi ha raccontato ad Axel che gli è successo qualcosa di strano, mentre stava guidando.»
Alysse rise, con amarezza.
«Sarà un pilota appena promosso dalla seconda divisione. Le opzioni di disturbo sono molto più limitate, nelle serie minori.»
«Ovvio, sarà arrivato dalla seconda divisione» convenne Tina, «Ma non è uno sprovveduto, è pur sempre un pilota e sa come funzionano le corse di A+ Series. I novellini vengono istruiti a dovere, sanno cosa potrebbe capitare durante le gare. Nero Trentasei dice che è accaduto qualcosa di nuovo, qualcosa che non riesce a identificare. A un certo punto ha faticato a controllare la vettura, non ha capito cosa stesse accadendo. Axel ipotizza che potrebbe trattarsi di una nuova opzione.»
«Sono anni che non vengono inserite nuove opzioni.»
«Non è mai troppo tardi per inventarsi qualche nuova diavoleria, non credi?»
«Saremmo...» Alysse si interruppe. «In realtà noi no, ma almeno i piloti sarebbero stati avvisati.»
«Axel non ne è convinto» mise in chiaro Tina. «Crede alle parole di Nero Trentasei.»
«Axel è un attivista ecologico, non un pilota» puntualizzò Alysse. «Non può sapere con esattezza a quali sfide vengano messi di fronte i piloti.»
Tina annuì.
«Comprendo il tuo punto di vista, ma ti assicuro che c’è qualcosa di grosso nell’aria, altrimenti non si sarebbe scomodato di parlarmene.»
Alysse ammise: «Nero Trentasei potrebbe avere ragione e i suoi sospetti potrebbero essere fondati, non lo metto in dubbio, ma perché aggiungere una nuova opzione senza avvisare i piloti? È giusto che sappiano a che cosa vanno incontro.»
«È giusto che lo sappiano, certo, ma non sarebbe la prima volta che la dirigenza se ne sbatte dei principi etici di base» replicò Tina. «Credo che i piloti siano in pericolo. Ormai sono considerati solo come pedine per intrattenere il pubblico. Non sarebbe neanche tanto grave, se il pubblico non fosse così becero. Sto iniziando seriamente a preoccuparmi.»
Alysse cercò di rassicurare Tina, quella sera, ma se ne andò convinta che la Menezes avesse ragione. Per il CEO tutto era lecito e non c’era da stupirsi che Maelle Heidelberg, la sua fidata assistente, avesse ben poco controllo sulle sue azioni. Peraltro l’ex social media manager della A+ Series sembrava una persona pacata e ragionevole, ma erano qualità che il CEO non avrebbe ben visto in una collaboratrice così stretta. Talvolta ad Alysse veniva il dubbio che anche la stessa Maelle non fosse troppo diversa da chi le aveva dato un incarico di così alto livello.
Era dubbiosa, non sapeva cosa fare. In linea teorica non avrebbe dovuto sapere che Yannick era un pilota della categoria, ma sentiva di avere il bisogno di informarlo di quanto le era stato riferito. Non l’avrebbe fatto subito, non le piacevano le decisioni prese d’impulso, almeno in quelle circostanze. Ci avrebbe comunque riflettuto e, se avesse pensato ancora di doverlo mettere in guardia, l’avrebbe fatto senza più esitare.
Il giorno seguente si decise. Non aveva idea di dove fosse Yannick nel momento in cui si apprestava a telefonargli, chissà, magari era su un volo diretto dall’altra parte del mondo. Forse ci sperava, contava troppo sulla possibilità di non ottenere risposta. Non andò a quel modo, Yannick era raggiungibile e Alysse udì la sua voce soltanto dopo pochi squilli.
«Ehi, allora ti ricordi di me!»
Quell’esclamazione sorprese Alysse, che subito gli domandò: «Cosa intendi dire?»
«Ieri sera avevo fatto dei bei programmi, ma li hai mandati a monte» ribatté Yannick. «Pensavo fosse il tuo modo per segnalarmi che non ne volevi più sapere di me.»
«Se non ne avessi voluto più sapere di te» puntualizzò Alysse, «Non mi sarei nemmeno presentata all’appuntamento. Mi spiego meglio, non voglio dire che ti avrei dato buca, quanto piuttosto che ti avrei detto che non mi andava di uscire.»
«Cos’avevi di così importante da fare?»
«Niente.»
«Non dire assurdità» replicò Yannick. «Avevi una tale aria da cospiratrice. Per caso sospetti quale sia il mio alter-ego e vuoi sbandierarlo ai quattro venti per stroncare la mia carriera nella A+ Series?»
«Perché dovrei?» obiettò Alysse. «No, non so chi sei e, ovviamente, non mi verrebbe mai in mente di mettere in pericolo la tua carriera per la volontà di smascherarti. Conosco le regole a cui dovete sottostare voi piloti. Non farei nulla del genere contro nessuno, nemmeno contro quei piloti che vengono tacciati di essere troppo pericolosi per la categoria.»
«Okay, va bene, mi fido» ribatté Yannick. «Scusa se ti sono sembrato uno stalker. Ovviamente non devi darmi spiegazioni su quello che fai. Spero di non averti fatto una cattiva impressione.»
«Mi hai fatto una buona impressione già parecchio tempo fa» mise in chiaro Alysse, «E non mi farai cambiare idea tanto facilmente. Comunque hai ragione, avevo una cosa importante da fare e aveva a che vedere con la A+ Series. Ho parlato con una persona.»
«Con chi?»
«Una della stampa, ma non ha importanza.»
«Di cosa parlavate?»
«Di un fatto che le è stato riferito da un amico che ha ricevuto una confidenza da un pilota.»
Yannick azzardò: «La persona della stampa deve essere quella tizia che era seduta poco lontana da noi ieri sera, quella della televisione brasiliana. Su chi sia il suo amico, non saprei. La vedo spesso con un tale dal sorriso da ebete di cui non conosco il nome, oppure con Frosch, l’attivista che parla continuamente dei biocarburanti. Mi sembra di averla notata addirittura insieme a Hamster Gangster, l’altro giorno. Non ne sono totalmente sicuro: gli somigliava un sacco, ma non era vestito in modo ridicolo come quando sale sul palco per esibirsi. Anzi, era vestito elegante e sembrava un modello, piuttosto che uno svitato come al solito.»
«Ho visto anch’io Hamster Gangster in “abiti civili”, se così li possiamo chiamare» confermò Alysse, «E ha un certo fascino. Questo, però, non ha alcuna importanza. Non c’entra un cazzo Hamster Gangster e non c’entra niente chi sia stato a riferirmi quello che mi è stato detto. Solo, c’è un pilota convinto che esista una nuova opzione.»
«Chi?»
«Non ha importanza nemmeno questo.»
«Invece credo che ne abbia eccome. È uno di quelli importanti o un megalomane delle ultime file alla ricerca di qualche minuto di popolarità?»
Alysse rifletté un istante, poi la risposta le venne spontanea.
«Se fosse un megalomane che cerca popolarità, probabilmente avrebbe fatto una dichiarazione pubblica invece di parlarne con un tizio qualsiasi, non credi? E poi, perché i piloti delle ultime file dovrebbero essere dei megalomani? Non siamo più ai tempi in cui qualunque pilota di basso rango poteva comprarsi un volante.»
«Ti sbagli, Alysse, i pay driver esistono ancora» puntualizzò Yannick. «Nelle categorie minori vai avanti se hai gli sponsor giusti.»
«Non nego l’esistenza dei pay driver» replicò Alysse, «Sto solo dicendo che nessuno può avere un volante nella A+ Series senza essere selezionato dalla dirigenza. Certi lumaconi che un tempo avrebbero potuto tranquillamente gareggiare tra i migliori e intralciarli durante i doppiaggi al giorno d’oggi stanno esattamente dove dovrebbero stare, cioè fuori dai piedi e ben lontani dai circuiti della A+ Series, a meno che non siano stati invitati in qualche hospitality. Con questo non voglio dire che il campionato attuale sia migliore di quello precedente, sia chiaro, ma solo che bisognerebbe portare un po’ più di rispetto per i backmarker. Alcuni di loro, prima o poi, verranno promossi in una squadra di maggiore livello.»
«Verranno promossi, ma nessuno lo saprà mai» le ricordò Yannick. «Diventeranno qualcuno, ma nessuno saprà chi erano prima di diventare top driver. Nessuno saprà nemmeno che non sono più i top driver che prima vestivano gli stessi colori e portavano lo stesso numero.»
Alysse ridacchiò.
«Non so dove tu voglia arrivare con questa invettiva, ma potrebbe avere due significati diametralmente opposti.»
«Ovvero?»
«O sei un top driver che detesta i backmarker, oppure sei un backmarker che, per sviare i sospetti, finge di detestare i backmarker.»
Yannick replicò, con freddezza: «Chi sono in pista non è affare tuo. Anzi, ho sbagliato a farti capire di essere un pilota, molto tempo fa.»
«A proposito di sbagli, anche divagare come stiamo facendo noi adesso potrebbe essere un errore» osservò Alysse. «C’è un pilota che sostiene di essere stato vittima dell’attivazione improvvisa di un’opzione, ma si dice convinto che non sia una delle opzioni già esistenti. Ne sai qualcosa?»
«No» rispose Yannick, «Quel pilota non sono io.»
«Lo so.»
«Come puoi esserne certa?»
«Ha occhi diversi dai tuoi e probabilmente è molto più giovane. Sembra sia arrivato dalla seconda divisione.»
«Un megalomane, allora» tagliò corto Yannick, «Oppure uno che non capisce un cazzo delle opzioni esistenti.»
«Non ti spaventa nemmeno un po’ la possibilità che la direzione stia agendo alle vostre spalle?» obiettò Alysse. «Se hanno inventato qualcosa di nuovo e non siete preparati, potrebbero accadere degli incidenti. Non hai paura?»
«E di cosa? Che uno di quei ragazzini senza né arte né parte si faccia male? Sinceramente non è un problema mio. Hanno scelto loro di fare un mestiere che non è alla loro portata.»
Alysse sospirò. Yannick era troppo cinico, era impossibile concludere qualcosa, parlando con lui, aveva sbagliato a telefonargli.

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Capitolo 4
*** Circuit of the Americas ***


Il secondo evento della stagione era terminato. Si era svolto negli Stati Uniti, esattamente come quello precedente, dal momento che da quelle parti c’era un pubblico che aveva ancora bisogno di essere consolidato. Il circuito di Austin era ben costruito e degno di essere inserito in un calendario, ma quella valutazione aveva ben poco importanza. I tifosi statunitensi chiedevano a gran voce che la A+ Series smettesse di essere incentrata sull’Europa: in quanto mondiale doveva a loro parere toccare allo stesso modo tutti i continenti.
“Un gran premio in Europa, un gran premio in Asia, un gran premio in Africa, un gran premio in Oceania, un gran premio eventualmente in Sudamerica e tutto il resto del calendario negli Stati Uniti, perché possedere Indycar e NASCAR non basta più” si disse il CEO. “È questo che intendono.”
Ovviamente le location dei gran premi avrebbero continuato a essere incastrate secondo gli interessi economici del campionato, ma non si poteva sottovalutare un certo tipo di considerazione. Se da un lato nel resto del mondo gli appassionati di vecchia data avrebbero continuato a seguire la A+ Series indipendentemente dai circuiti sui quali gareggiava, seppure lamentandosi di certe innovazioni, il pubblico più recente teneva spesso il coltello dalla parte del manico. Non che il CEO considerasse certi soggetti così influenti - non sarebbe stato difficile trovare un altro pubblico target, avvicinandolo in maniera diversa - ma in nome del profitto era ben disposto a far credere loro di essere importanti.
«La vedo pensieroso» osservò Maelle.
Il CEO alzò gli occhi.
«Non l’avevo sentita entrare. Perché non ha bussato?»
«Oh, sì che ho bussato» si difese la Heidelberg. «Non mi ha sentito?»
Il CEO scosse la testa.
«Mi scusi, Maelle, stavo ancora pensando al Circuit of the Americas.»
«Non mi dica che stava pensando di raderlo al suolo e di disputare il prossimo gran premio texano all’interno di un parcheggio.»
«No, se dovessi radere al suolo un circuito a scelta e disputare il gran premio corrispondente in un parcheggio, allora distruggerei il Nürburgring e al suo posto proporrei un evento in una qualsiasi megalopoli americana.»
Maelle parve indispettita.
«Perché distruggere il Nürburgring?»
«Perché è sorpassato, ormai. Ai giovani non piace.»
«Dipende dai giovani.»
Il CEO ridacchiò.
«I giovani qualsiasi non mi interessano. I bimbiminchia che spendono tutti i loro soldi per abbonamenti televisivi o gadget, invece, mi importano tantissimo. Quelli sarebbero ben lieti se arrivasse una ruspa a portarsi via i tracciati storici. Peccato che la A+ Series non abbia il controllo dei circuiti e che questi vengano utilizzati anche per altre categorie, altrimenti sarebbe un segnale forte, per far capire loro che teniamo al loro parere.»
«Basta non raccontare loro dell’esistenza del Nürburgring» puntualizzò Maelle. «I tifosi di cui sta parlando non hanno la benché minima conoscenza della storia del motorsport... e per storia non mi riferisco a quello che succedeva a quaranta o cinquant’anni fa. Nemmeno cinque o dieci, in realtà. C’è gente che, in senso letterale, non sa cosa sia successo prima di cinque minuti fa, ma al contempo si autoproclama vera appassionata. Basta solo non dire loro quello che non vogliono sentirsi dire, ovvero che la A+ Series - e la Formula 1 in precedenza - avevano un pubblico piuttosto vasto, specie nei paesi che la conoscevano fin dai suoi albori.»
Quelle considerazioni erano interessanti, ma era meglio passare a qualcosa di meno astratto.
«Non le ho ancora detto perché le ho chiesto di raggiungermi, Maelle.»
«Mi dica.»
«Come ben sa, la nuova opzione finora non ha dato molti risultati.»
«Oh.»
Il CEO aggrottò la fronte.
«Quello che sto dicendo la stupisce?»
«No, per niente» ammise Maelle. «L’ho capito anch’io che potrà essere utile soltanto in certe situazioni. Magari, attivandola sotto la pioggia, potrebbe dare i suoi buoni risultati. Non è la prima volta che glielo dico.»
«Appunto, la pioggia, stavo pensando a questo» convenne il CEO. «Non l’ho chiamata per discutere della nuova opzione, quanto piuttosto per parlare di pioggia.»
«Non abbiamo controllo sulla pioggia.»
«Non c’è bisogno che me lo dica, Maelle. Lo so perfettamente, purtroppo non possiamo fare nulla per influenzare il meteo. Però possiamo sperare che il meteo sia poco promettente e fare qualcosa di concreto per rendere le gare più spettacolari, in quelle occasioni. Ci avevo già pensato e temevo fosse una follia, ma mi sono reso conto che potrebbe conciliare le esigenze di più tipi di pubblico. Te li ricordi i tifosi vintage, vero?»
«Tifosi vintage?» ripeté Maelle. «Quali intende, quelli che si lamentano perché le monoposto non fanno abbastanza rumore, perché non ci sono gare abbastanza spettacolari, perché non ci sono abbastanza incidenti gravi e perché una volta i piloti erano veri uomini che avrebbero guidato con le gomme slick sotto al diluvio?»
«Esatto, quel tipo di tifosi» confermò il CEO. «Non sono redditizi tanto quanto i tifosi di nuova generazione, ma non dobbiamo sottovalutarli. In fin dei conti certe sfumature dei bimbiminchia di cui parlavo prima ricordano il lato peggiore di questo tipo di appassionati. Anche i fanboy di oggi vorrebbero vedere incidenti gravi, non perché siano convinti che affrontare il pericolo possa incrementare lo status dei loro idoli, ma semplicemente perché così potrebbero sbarazzarsi dei piloti che non sono di loro gradimento. Amano un diverso tipo di circuiti, un diverso tipo di contesto, un intrattenimento totalmente diverso da quello di un tempo, ma non hanno solo ed esclusivamente idee radicalmente nuove. Ci ho pensato, durante il Gran Premio di Austin. Ci ho pensato mentre Argento Quattro dominava la gara conclusiva del fine settimana, quando c’era il cielo limpido e neanche l’ombra di una nuvola. Mi sono detto: sarebbe meraviglioso se cadesse un temporale, ma soprattutto sarebbe meraviglioso se i piloti fossero costretti ad affrontare il temporale con gomme da asciutto.»
Lo sguardo di Maelle si illuminò.
«Credo di capire dove voglia andare a parare.»
«Lo immagino, lei mi capisce sempre al volo» convenne il CEO. «Non possiamo influenzare il meteo, però possiamo decidere quali mescole di gomme sia consentito utilizzare e quali siano invece vietate. Le gomme intermedie o da bagnato estremo rendono le competizioni molto più sicure in caso di pista bagnata. Dobbiamo eliminarle.»
«E i team e i piloti cosa ne pensano?»
«I team e i piloti non hanno voce in capitolo.»
Maelle scosse la testa.
«Non sono sicura che possa funzionare.»
«Abbiamo autorità totale su di loro» replicò il CEO. «Depersonalizzarli totalmente, molti anni fa, è stata la mossa vincente. Non hanno più alcun potere. Certo, potrebbero rifiutarsi di correre, ma non lo faranno mai. Non sono nessuno, solo colori e numeri. Se Ferrari o Mercedes o altri nomi importanti facessero la voce grossa, qualcuno li starebbe a sentire. Non può succedere lo stesso, se a parlare sono solo dei fantocci riconoscibili dal loro colore. Allo stesso tempo, i piloti di una volta avrebbero potuto contestare idee a loro parere poco sensate senza correre il rischio di essere radiati definitivamente dalle competizioni. Non possiamo fare niente per radiarli da altre categorie motoristiche, ma possiamo impedire a chiunque vogliamo di gareggiare nella A+ Series. Mi dirà che alcuni piloti potrebbero accettare di buon grado anche di cambiare categoria, ma le assicuro che non è così. È vero, c’è una minima parte dei piloti che non rinuncerebbero a priori ad altre serie, se potesse essere una svolta utile per la loro carriera, ma chiunque corra nella A+ Series lo fa perché vuole la A+ Series a tutti i costi. Nessuno di loro nasconderebbe la propria identità e rinuncerebbe a vedere i propri successi associati al suo nome se non fosse perché considera questa categoria la più importante i tutte. I piloti di questo campionato fanno già tante rinunce in nome della A+ Series. Rinunciare alle gomme da bagnato non sarà così terribile, per loro.»
«Eppure, qualcuno di loro, già a Austin ha cercato di lamentarsi, per molto meno.»
Il CEO alzò le spalle, con indifferenza.
«Si riferisce al momento in cui Argento Quattro ha insinuato che fare ben tre gare sprint, tutte a griglia di partenza invertita, fosse un tentativo di ostacolarlo e di favorire i suoi avversari?»
«È successo.»
«Già, e ammetto che non me lo sarei mai aspettato, da Argento Quattro. Di solito è obbediente come una pecora, fa tutto quello che ci aspettiamo da un pilota senza battere ciglio. Peccato per quel suo sfogo, avevo un’opinione migliore di lui.»
Maelle azzardò: «Probabilmente lo considerava davvero un affronto nei suoi confronti. Dopo la vittoria di Viola Cinque nel Gran Premio di Las Vegas deve avere pensato che stiamo cercando di favorire il suo avversario. Lo considerava un pilota già finito e non l’ha mai nascosto. Non deve essere piacevole, per lui, ritrovarselo come avversario diretto. Le consiglio di non prenderla male. Argento Quattro è stato finora il pilota più adeguato alle nostre esigenze, ma è pur sempre un essere umano. Quando si sente toccato dove non dovrebbe, reagisce con un po’ di indignazione. Dopotutto mi sembrava molto più accomodante, dopo la vittoria finale. Certo, non gli faceva piacere condividere il podio con Ventisette e Ventotto, che già hanno ottenuto altri risultati di spessore, ma si è guardato bene dal fare altre invettive fuori controllo. Non abbiamo nulla di cui temere.»
Il CEO puntualizzò: «Invece abbiamo molto di cui temere, perché non sappiamo più come inquadrarlo. Non parlo della questione delle slick, ma proprio di lui come soggetto. Cosa potrebbe succedere se Argento Quattro non vincesse il mondiale nemmeno quest’anno? Accetterebbe l’idea, come ha sempre fatto, oppure corriamo il rischio che possa insorgere contro di noi?»
Maelle sbuffò.
«Direttore, la smetta di fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Non c’è alcun pericolo che si rompa la testa, se capisce cosa intendo. Non appena la fortuna gira a favore di Argento Quattro, ecco che torna docile come l’abbiamo sempre conosciuto. Non abbiamo ragione per temere che possa succedere qualcosa di diverso. Piuttosto, parliamo del prossimo gran premio. Spesso in Brasile otteniamo quello che vogliamo. Non la alletta l’idea di andare a Interlagos?»
«Solo perché spesso è piovuto a Interlagos, non significa che debba piovere per forza la domenica del gran premio all’orario in cui avviene il gran premio.»
«A Las Vegas c’erano due sprint, in Texas sono state aumentate a tre. Si potrebbero mettere più sprint, o comunque più prove. La fortuna ci assisterà, ci manderà un po’ d’acqua al momento giusto. Si potrebbero addirittura mettere le varie sprint a orario variabile, decidendo sulla base delle condizioni meteo.»
«Sta suggerendo un dry delay simile ai rain delay della NASCAR?»
«Qualcosa del genere.»
«E come lo giustifichiamo?»
«Non abbiamo nulla di cui giustificarci, direttore. Che cosa le succede? Non voglio essere indiscreta, ma mi sembra che sia un po’ meno determinato del solito. Pensi alla A+ Series. Pensi a tutto quello che rappresenta. È successo tutto grazie a lei. È stato lei che ha approfittato dalla confusione del 2009, dei dissidi tra la Federazione le squadre di Formula 1, per arrivare a questo. Se non avesse avuto le giuste intuizioni, probabilmente ci sarebbero stati due campionati alternativi, uno con i team storici, che non si chiamava più Formula 1, e uno con team senza un marchio importante, ma con il suo vecchio nome. Lei ha fatto molto di più: è riuscito a far sì che ci fosse un campionato solo e che i team per come li conoscevamo venissero spazzati via. Non ci sarà più nessuno che deciderà di smettere di seguire i gran premi perché uno specifico team vuole lasciare le competizioni, così come non ci sarà più nessuno che smetterà di guardarli in risposta al ritiro dalle corse del proprio idolo. La gente non ha più idoli, ma crede ancora di averne. Chiunque può essere rimpiazzato senza dare nell’occhio e tutto prosegue come prima. Può fare quello che vuole, ormai, il suo potere è assoluto. Ha messo le squadre e i piloti nella condizione di accettare l’idea di gareggiare con le gomme da asciutto sul bagnato...»
Il CEO obiettò: «Squadre e piloti non sanno ancora che dovranno correre con le slick in caso di pioggia.»
Maelle lo ignorò.
«Se può fare questo, allora può anche programmare gli orari delle gare come meglio crede.»
«Veramente ci sarebbero i diritti televisivi» le ricordò il CEO. «A seconda della fascia oraria, ci vengono in casa più o meno milioni.»
«Questa è una giusta considerazione.» Maelle, che fino a quel momento era stata in piedi, appoggiata contro la parete, prese una sedia e si accomodò di fronte a lui. «Dobbiamo lavorare a questo, altro che pensare al parere di team o piloti. Bisogna pianificare qualcosa, ormai abbiamo poco tempo. Non saprei, magari concordare con le televisioni una diretta nella quale le gare possono avvenire entro una certa fascia oraria, senza che si sappia effettivamente quando.»
«Dice che potrebbe attaccare con il pubblico?»
«Io dico di sì, almeno con un certo tipo di pubblico, quello che rende di più. Ci sono ragazzini che saltano la scuola per guardarsi le varie sessioni, insultando gli adulti che non saltano il lavoro per la stessa ragione e tacciandoli di non essere veri appassionati. Crede che per loro sia un problema passare sei o sette ore davanti alla televisione ad attendere che inizi una gara?»
«Ci penseremo.»
Maelle scosse la testa.
«No, non deve pensarci in futuro. Deve pensarci ora, prima che sia troppo tardi.»
Il CEO sospirò.
«Ha ragione, ma ammetto che al momento non riesco ancora del tutto a togliermi dalla testa le proteste di Argento Quattro. Non so se sia opportuno convocarlo e fargli notare che ci aspettiamo da lui un comportamento diverso.»
«Argento Quattro si è già dimenticato delle proprie proteste» replicò Maelle. «Non vedo motivi per cui dovrebbe essere lei a ricordargliele. La gente dimentica in fretta, dopotutto. È meglio fare finta di niente, la situazione è sotto controllo.»
Come al solito, Maelle aveva ragione. Il CEO si ritrovò a domandarsi come avesse fatto fino a poco tempo prima a lavorare senza il suo prezioso contributo.

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Capitolo 5
*** Conferenza stampa ***


Argento Quattro detestava il giorno dedicato ai media. Le interviste che precedevano il weekend erano una prassi comune, ma doversi presentare ai microfoni in tuta e casco e parlare con un traduttore simultaneo che cancellava ogni sfumatura dell’accento non era mai stato di suo gradimento. I piloti venivano convocati a rotazione, cinque per ogni evento, e purtroppo a Interlagos era toccato a lui. Si era preparato a dovere ed era certo di non avere detto o fatto niente di inconsueto. Al Circuit of the Americas si era lasciato andare a qualche dichiarazione fuori luogo, di quelle che detestava udire sulla bocca dei propri colleghi, e non era certo che alla dirigenza fosse passato tutto inosservato. Si era impegnato per rientrare nei canoni che più si addicevano alla sua personalità - o almeno al lato della personalità che aveva scelto di mostrare - ed era convinto di avere fatto un buon lavoro.
Seduto accanto a lui c’era Rosso Ventisette, un Rosso Ventisette molto diverso da quello che aveva gareggiato nella A+ Series fino alla stagione precedente. Argento Quattro non si era ancora fatto un’idea ben precisa del nuovo pilota che vestiva quei prestigiosi colori, ma non era certo che meritasse il suo rispetto. Il Ventisette precedente, quello che sognava la Triple Crown e aveva anticipato la sua potenziale presenza sulla griglia della Cinquecento Miglia di Indianapolis, era un pilota apprezzato e stimato, nonostante non apparisse proprio il massimo della simpatia, quando gli veniva messo un microfono davanti. Quello nuovo, che stando ai pettegolezzi nella stagione precedente era stato Nero Trentacinque, aveva addosso l’aura del backmarker promosso in mancanza di colleghi di maggiore talento. Argento Quattro non lo considerava un vero Rosso Ventisette, ma solo un fantoccio che si spacciava per tale. Parte della tifoseria la pensava come lui e Quattro sperava che durasse: se i tifosi avessero iniziato ad apprezzare Ventisette, sarebbe stato perché Ventisette vinceva e quella prospettiva lo faceva inorridire. Ne aveva già abbastanza di avere a che fare con Viola Cinque, l’ipotesi di un nuovo avversario che gli mettesse i bastoni tra le ruote non lo allettava per niente.
Quando l’intervista terminò, si alzarono contemporaneamente. Bianco Due, Giallo Quindici e Turchese Ventisei si allontanarono e Argento Quattro cercò di fare lo stesso. Non gli fu possibile: fu proprio Rosso Ventisette a trattenerlo.
«Volevo farti i complimenti per Austin.»
Argento Quattro lo guardò storto.
«Cosa intendi?»
«Austin, la scorsa gara» ribadì Rosso Ventisette. «Eri imprendibile. Ci abbiamo provato tutti a raggiungerti, ma non c’era niente da fare.»
Argento Quattro ridacchiò, sprezzante.
«Hai mai pensato che certi obiettivi non fossero alla tua portata?»
«Quali obiettivi?»
«Indossi una tuta rossa, porti il numero 27» gli ricordò Argento Quattro, «Ma fino a pochi mesi fa eri un semplice pilota delle retrovie. Non saresti dove sei adesso, se il vero Ventisette non se ne fosse andato, o per meglio dire non fosse stato costretto ad andarsene. Non sarai mai un pilota come lui.»
«Nessuno è un pilota come gli altri» puntualizzò Rosso Ventisette, «E nessuno è un vero Ventisette o un falso Ventisette. Portiamo il numero che ci viene messo addosso, finché la dirigenza non decide altrimenti. È sempre stato così, fin da quando esiste la A+ Series. Anche Argento Quattro, un tempo, era un altro pilota. Dicono che sia diventato un influencer, dopo il titolo.»
«Appunto, ha mostrato la propria vera natura» ribatté Argento Quattro. «Poi sono arrivato io e non faccio altro che dimostrare il mio valore. Tu, invece? Cosa pensi di potere ottenere? Ridicolizzerai il colore che indossi, il colore della monoposto che guidi.»
«Un colore è solo un colore.»
«E il tuo era il nero.»
«Perché tu da dove vieni? Sei nato al volante di una monoposto color argento, per caso?»
«Non stiamo parlando di me, ma di te e della tua inadeguatezza.»
Rosso Ventisette annuì.
«Giusto, stiamo parlando della mia inadeguatezza. Perché? Perché ho osato complimentarmi con te per la tua performance nello scorso gran premio. Sei sempre così? Ti metti a insultare tutti quelli che dicono qualcosa di gentile su di te?»
«E tu sei sempre così?» replicò Argento Quattro. «Perdi il tuo tempo a parlare con persone che, giustamente, ti considerano una nullità? Dovresti tornartene nei bassifondi. Perfino quell’incapace che hanno messo al tuo posto farebbe più bella figura di te su una vettura rossa.»
«Davvero?» ribatté Rosso Ventisette. «Ogni tanto, dopo i gran premi, mi leggo i pareri dei tifosi. Se ti riferisci a Nero Trentacinque, c’è chi l’ha bollato come uno dei peggiori piloti della A+ Series. Sostengono, per assurdo, che sia arrivato in alto solo perché ha un manager rilevante.»
«Da quando i manager dei piloti sono considerati dei personaggi in vista? Neanche possono farsi vedere insieme ai piloti stessi.»
«Vallo a spiegare ai fanboy.»
«Comunque i fanboy qualcuna la azzeccano, non ti pare?»
«Sono più o meno come gli orologi fermi: dicono la cosa giusta due volte al giorno e per tutto il resto del tempo non fanno altro che ripetere una marea di cazzate.»
«Quella del manager non ha senso» convenne Argento Quattro, «Ma non mi sembra che ti apprezzino molto. Di conseguenza sono più lungimiranti di molte menti illuminate.»
«Quando inizierò a vincere mi acclameranno.»
«Non inizierai a vincere.»
«Aspetta e vedrai.»
«Davvero, parlo sul serio» insisté Argento Quattro. «Che tu sia un pilota scadente non lo metto in dubbio, ma non è difficile riuscire a vincere almeno qualche corsa, se sei in una posizione di prestigio. Qualche gara te la lasceranno vincere, ti aumenteranno la potenza nei momenti più opportuni e ti accompagneranno sotto la bandiera a scacchi. Non illuderti: sarà solo per qualche gara, non arriverai mai al titolo mondiale. Lo dico per te, faresti meglio a rassegnarti.»
Rosso Ventisette replicò: «Non penso al mondiale. Voglio dire, ovviamente sogno di diventare campione del mondo, prima o poi, ma so che non accadrà in tempi brevi. Non ho ancora vinto un gran premio e, al momento, nemmeno una sprint. Chiaramente punto in alto, ma devo procedere per gradi. Adesso sto inseguendo la mia prima vittoria.»
«Punti in alto, ma vuoi procedere per gradi.» Argento Quattro rise. «Lo vedi? Nessun vero campione direbbe una simile assurdità.»
«Sì, me ne rendo conto, la maggior parte dei piloti vogliono tutto e subito, ma non concretizzano.»
«La maggior parte dei piloti non concretizzano e basta, perché non hanno abbastanza talento o fortuna o perché non sono i favoriti dalla dirigenza. Questo non significa, però, che avere un atteggiamento passivo e attendere che le stelle si allineino in nostro favore ci porti lontano. Tu non arriverai da nessuna parte, Rosso Ventisette, né come Rosso Ventisette né con qualsiasi altro numero o colore. Avresti dovuto rifiutare la promozione. Avresti dovuto rimanere Argento Trentacinque e fare coppia con quel novellino che ogni tanto fa manovre strane.»
«Manovre strane?»
«O non sa guidare, o è stato usato per degli esperimenti.»
«E-esperimenti?» Rosso Ventisette appariva turbato. «Che genere di esperimenti?»
«Dai, lascia perdere» lo esortò Argento Quattro. «Ci sta che i piloti di poco conto vengano usati come cavie. Adesso andiamocene... e soprattutto lasciami in pace. Mi hai già fatto perdere abbastanza tempo, non posso trascorrere tutto il giorno a parlare con un perdente come te.»
Rosso Ventisette sospirò.
«Certo che sei proprio strano.»
«Strano? Io? Non direi. Mi sembri più strano tu, con tutte le tue chiacchiere sul procedere per gradi. Non ho mai sentito un vincente fare affermazioni simili.»
«Non mi stupisce. Tu non hai mai detto niente del genere e non ho dubbi che tu sia convinto di essere l’unico pilota davvero vincente.»
Argento Quattro precisò: «Ho un’elevata considerazione di me stesso, lo ammetto, ma ho le mie buone ragioni. Conosco il mio valore, così come conosco il poco valore dei miei avversari. Viola Cinque è un pilota a fine carriera. Non sarà difficile batterlo, anche se ha vinto il Gran Premio di Las Vegas e, in un primo momento, sembrava destinato a grandi cose. Al Circuit of the Americas, però, ha iniziato a dimostrare di non essere quella scheggia che sembrava in Nevada.»
Rosso Ventisette obiettò: «Viola Cinque è sempre stato un grande pilota e continua a dimostrarlo. È vero, non avrà più le performance strabilianti di qualche anno fa - dopotutto ha dato il meglio di sé quando ha vinto tutti quei mondiali di fila - ma fai male a darlo per spacciato. Sono sicuro che ci riserverà delle grandi sorprese.»
«Quattro mondiali regalati, ecco cosa vale.»
«I mondiali non sono mai regalati.»
«Non fare l’ingenuo. Sai benissimo tanto quanto me che spesso sono pilotati dall’alto.»
«Allora sono tutti regalati, non solo quelli di Viola Cinque.»
Argento Quattro osservò: «Non ti arrendi proprio mai, fuori dalla pista. Strano, non pensavo fossi così determinato, quando si tratta di parlare e parlare. Forse dovresti metterci la stessa grinta anche quando sei al volante.»
«Non ho alcun bisogno dei tuoi consigli su cosa fare quando sono al volante» mise in chiaro Rosso Ventisette. «Me la posso cavare benissimo da solo.»
«Permettimi di avere qualche dubbio, ma hai ragione, non devo darti consigli. Anzi, dovrei accontentarmi di avere degli avversari incapaci, piuttosto che cercare di suggerire loro di uscire dalla loro inettitudine. Adesso, comunque, me ne vado. È stato un piacere discutere con te.»
«Il piacere è stato tutto mio» replicò Rosso Ventisette, «E ti assicuro che non sono ironico. Mi piace conoscere meglio i miei colleghi e ora ho le idee molto più chiare su di te. Inizio a credere che, se ti incontrassi senza la tuta e il casco, potrei quasi arrivare a riconoscerti.»
Argento Quattro si irrigidì.
«Mi stai minacciando?»
Rosso Ventisette rise.
«Assolutamente no. Cosa credi, che divulgherei le tue generalità?»
«Di solito è quella la ragione per cui si cerca di scoprire chi siano gli altri piloti.»
«Sarà come dici tu, ma non lo farei mai. Siamo tutti nella stessa barca. Dobbiamo cercare di tutelarci a vicenda.»
Argento Quattro obiettò: «Adesso anche la tutela degli avversari. Mi spieghi che cazzo di pilota sei?»
«Sono un pilota consapevole che in pista abbiamo degli avversari, ma non dei nemici» rispose Rosso Ventisette. «I veri nemici stanno in alto e hanno il comando della categoria. Possono distruggerci da un momento all’altro, solo perché lo vogliono o perché credono sia la cosa giusta da fare davanti agli occhi dei tifosi. Potrebbero addirittura mandarci a morire deliberatamente, se servisse per i loro comodi. Cercano di dividerci, di metterci l’uno contro l’altro. Lo fanno per tutelare i propri interessi, perché sanno che, se ci unissimo, potremmo avere qualche concessione.»
«Posso sforzarmi di comprendere il tuo punto di vista» ammise Argento Quattro, «E tutto sommato, da una certa prospettiva, potresti anche avere ragione. Però non è così che funziona. Sei solo un idealista, che vorrebbe avere voce in capitolo e crede che l’unione faccia la forza. Non è così. L’unione è solo un grande casino in cui gli altri cercano di convincerti che la tutela dei loro specifici interessi è anche interesse tuo. È una farsa in cui ciascuno bada solo a se stesso. È meglio essere lupi solitari, credimi.»
«Adesso perché mi dai questi consigli? Non sono più uno scarso che dovrebbe tornare a vestirsi di nero?»
«Certo che sei uno scarso che dovrebbe tornare a vestirsi di nero, ma stiamo parlando della nostra incolumità. Alcuni di noi sono dei campioni e altri degli incapaci, ma questo vale soltanto finché siamo in vita e in buone condizioni fisiche. Dopo la morte, non conta più niente se prima fossimo degli idoli delle folle oppure le ultime ruote del carro, e neanche dopo un infortunio grave.»
«Dopo la morte, gli idoli delle folle diventano degli eroi, mentre i piloti dei bassifondi vengono dimenticati. Oppure, se proprio bisogna ricordarli, si fa sempre notare che fossero troppo inesperti per stare al loro posto e che abbiano pagato le loro scarse capacità con la vita.»
«Non stai più parlando della A+ Series. Se un pilota muore, lo fa nell’anonimato. Qualcun altro prende il suo colore e il suo numero, a partire dall’evento successivo, e si va avanti come se nulla fosse accaduto. Quando un pilota ha un incidente grave e nell’immediato non abbiamo le prove che sia vivo, c’è addirittura il rischio di non scoprire se sia morto o se sia solo rimasto infortunato. Chi muore viene cancellato, non ha nemmeno diritto a una lapide con il proprio nome. Neppure i suoi familiari vengono informati del decesso. Se hai in mente funerali sfarzosi con i fan che si disperano fuori dal cimitero, in attesa del momento in cui potranno visitare la tua tomba senza essere mandati via, allora ti sbagli di grosso. Non è questo il destino a cui andiamo incontro, in caso di morte.»
«Va bene, hai ragione, ma questo cosa c’entra? Perché mi stavi suggerendo di non puntare ad alleanze tra piloti?»
«Perché nessuno si preoccupa davvero di te. Fai quello che devi fare per te stesso e punta a proteggere i tuoi interessi, perché gli altri non faranno niente per te. E ora scusami, ma devo davvero andare via.»
Argento Quattro riuscì finalmente a liberarsi del rivale e ad abbandonare la sala stampa. Doveva raggiungere il proprio retrobox, per andare a riprendere le sembianze di Yannick Leroy e uscirne senza dare nell’occhio, avendo cura di potere essere scambiato tranquillamente per un meccanico o un membro generico del team.
Vi riuscì, d’altronde era ormai un esperto in quell’ambito. Nessuno fece caso a lui, quando uscì dal box e si mise ad aggirarsi per il paddock. Vide il rapper Hamster Gangster, vestito in abiti decisamente più sobri di quelli che portava sul palco, che parlava con l’attivista ambientale Axel Frosch. Sembravano piuttosto affiatati, mentre discutevano di biocarburanti.
Yannick si allontanò domandandosi che cosa ci facessero quei due in Brasile. Per caso Hamster Gangster era diventato il cantante ufficiale della A+ Series? Per quanto riguardava Frosch, non era raro vederlo in compagnia di persone appartenenti al team che schierava monoposto verdi, quindi doveva esserci qualche rapporto di collaborazione, ma era comunque strano che seguisse quella strada in giro per il mondo.
I suoi dubbi vennero messi a tacere quando una voce, dietro di lui, lo chiamò.
«Yannick? Yannick Leroy?»
Si girò, piuttosto lentamente, senza sapere chi si sarebbe ritrovato di fronte. Vide un uomo di origini asiatiche, che portava al collo un pass della stampa.
«Ryuji?» esclamò Yannick, aggrottando le sopracciglia. «Sei tu? Che cosa ci fai qui?»
Davanti a lui, Watanabe rise.
«Sono proprio io, esatto. Lavoro per un giornale giapponese, adesso. Scrivo qualche impressione sui gran premi, da insider.»
«Insider?» replicò Yannick. «Da quando sei un insider della A+ Series?»
«Non proprio insider della A+ Series» puntualizzò Ryuji Watanabe, «Ma sono pur sempre un pilota che ha fatto carriera. Anzi, un ex pilota. Tu, invece? Che cosa ci fai qui in Brasile? Lavori per qualche team?»
Yannick annuì.
«Sì, lavoro per un team, ma non posso dirti né cosa faccio né il colore del team.»
Ryuji parve approvare.
«Mi sembra la decisione più saggia. È meglio cercare di non dare troppo nell’occhio. Comunque mi ha fatto molto piacere rivederti.»
«Anche a me» confermò Yannick. «Non pensavo ti avrei incontrato qui, dopo tanti anni. Possiamo andare a bere qualcosa insieme, una di queste sere.» Ridacchiò. «Magari alla fine del weekend.»
«Alla fine del weekend sarebbe perfetto» convenne Ryuji. «Prima è meglio di no, siamo dei professionisti, dopotutto.»

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Capitolo 6
*** Interlagos ***


Accadde tutto in un istante e Rosso Ventisette ebbe la certezza che nessuno, dall’alto, avesse cercato di proposito quel risultato. Anzi, doveva apparire come un ottimo diversivo da gettare in pasto al pubblico, dopo le performance dirompenti di Argento Quattro nelle sprint race che avevano preceduto il gran premio. Erano state quattro in totale, due con griglia di partenza stilata in maniera canonica e due con reverse grid. Quattro era scattato dalla pole position in due di esse, mentre quando la griglia di partenza era stata invertita aveva rimontato agevolmente fino a posizioni di spessore, il tutto senza essere mai aiutato dal meteo.
Il meteo, in realtà, aveva giocato un ruolo del tutto inesistente nel corso della settimana. Talora il Gran Premio del Brasile era un continuo scrutare il cielo, nell’attesa che i nuvoloni neri si traducessero in un violento scroscio d’acqua. Non era scesa una sola goccia e, quando le nubi avevano fatto la loro comparsa, se n’erano andate tanto rapidamente quanto quella domenica svanirono di punto in bianco le speranze di Rosso Ventisette di conquistare il primo gran premio della propria carriera. Non sarebbe stata considerata la sua prima vittoria personale, ma soltanto un’ennesima vittoria da associare al numero 27, ma Rosso Ventisette non dava troppo peso alle statistiche.
Argento Quattro aveva trascorso in testa la prima metà della gara, ma era stato messo fuori gioco da una foratura. Era un colpo di fortuna, Rosso Ventisette lo sapeva, ma era altrettanto a conoscenza del fatto che i colpi di fortuna dovessero essere sfruttati nel migliore dei modi. Non solo Argento Quattro era precipitato nelle retrovie e, molto probabilmente, aveva anche danneggiato il fondo della propria vettura mentre rientrava ai box su tre ruote, stando ai tempi fatti registrare dopo la foratura, ma anche Viola Cinque, l’altro avversario più temibile, aveva avuto problemi. Pareva si trattasse di motore.
La loro assenza dalle posizioni di rilievo non significava non avere avversari. Rosso Ventisette aveva capito fin dal primo momento che avrebbe dovuto vedersela con il compagno di squadra Ventotto, su una diversa strategia dopo essere partito su una mescola di gomme più dura rispetto alla sua. Dalle informazioni che gli giungevano via radio dai box, Ventisette sapeva di non doversi più fermare ai box. Ventotto, invece, prima della fine della gara avrebbe dovuto effettuare una sosta, anche se al momento non aveva ancora un degrado tale da vedere crollare le proprie prestazioni.
In sintesi, Ventotto non era nelle condizioni di potere lottare per la vittoria, nemmeno se fosse riuscito a passare in testa, a meno che non fosse accaduto qualcosa di totalmente imprevedibile. Non che gli ingressi della safety car che ribaltavano i risultati delle gare fossero totalmente da escludere, così come non si poteva stabilire a priori che non sarebbe stato necessario esporre una bandiera rossa, ma era tutte idee molto astratte. La soluzione più semplice, per Ventotto, sarebbe stato attendere pazientemente alle sue spalle che giungesse il momento della sosta. Infine, negli ultimi giri, con gomme più fresche rispetto alla concorrenza, avrebbe potuto giocarsela con eventuali piloti che gli si fossero messi davanti per effetto del suo pit-stop.
Inutile dire che Rosso Ventotto non era portato per quel genere di ragionamenti, né aveva mai avuto una visione di gara tale da prendere le decisioni più sensate. Ventisette lo sapeva, aveva sentito spesso critiche nei suoi confronti, anche nella stagione precedente. C’era chi, facendo notare il taglio orientale dei suoi occhi, sosteneva che doveva essere un pilota venuto dal Giappone, dove tendenzialmente le competizioni prevedevano uno stile di guida meno tranquillo e attendista. Non vi era, in realtà, alcuna prova che Rosso Ventotto fosse giapponese, né che avesse mai gareggiato in Giappone, così come non sempre i pettegolezzi corrispondevano a realtà. A volte, comunque, ci azzeccavano: si parlava tanto di Rosso Ventisette che nella stagione precedente era Nero Trentacinque, il che era maledettamente vero.
Come Nero Trentacinque non aveva mai potuto ambire a grandi risultati, dopotutto era in una squadra di fondo classifica, ma come Rosso Ventisette aveva avuto chiara fin dal primo momento la possibilità di prendersi delle rivincite. Sarebbe accaduto quel giorno, se Ventotto non l’avesse affiancato di colpo, tentando una manovra tanto assurda quanto inutile. Ventisette reagì d’istinto e chiuse ogni porta: cozzarono l’uno contro l’altro e la loro gara terminò con una lenta agonia. O meglio, quella di Ventotto si concluse di colpo, quando la sua vettura scarlatta rimase ferma, girata di novanta gradi, nel bel mezzo della pista. Mentre i loro avversari lo schivavano, Ventisette riuscì a dirigersi lentamente fino alla pitlane, ma giunto in corrispondenza del proprio box aveva già chiaro di essere destinato al ritiro.
Viola Sei vinse la gara, mentre Arancione Otto uscì vincente da un duello con Verde Quindici per la seconda posizione. Mentre celebravano sul podio, in maniera robotica come prevedevano le consuetudini della A+ Series, Rosso Ventisette attendeva, ancora in tuta e casco, che giungesse il momento delle dichiarazioni post-gara. Non aveva detto nulla e credeva che il suo compagno di squadra avesse optato per la stessa decisione, ma le immagini di Rosso Ventotto su uno schermo, con un microfono davanti, ribaltarono la sua convinzione. Lo ascoltò, inorridito dalle sue parole: Ventotto gli stava dando la colpa del loro contatto, il che era ridicolo.
In circostanze normali, Ventisette non si sarebbe stupito più di tanto di una simile affermazione, d’altronde i piloti avevano la pessima abitudine di dare sempre la colpa agli altri, qualunque incidente accadesse. Se Ventotto non fosse stato il suo compagno di squadra, avrebbe potuto prendere in considerazione l’idea di starlo almeno a sentire, prima di metterlo a tacere. Il fatto che appartenessero alla stessa scuderia cambiava tutto, non perché Ventisette fosse contrario ai duelli tra compagni di squadra - anzi, nelle retrovie vi aveva fatto l’abitudine, negli anni precedenti - quanto piuttosto perché a Ventotto, quando l’aveva affiancato, doveva essere ben chiaro di non essere nella posizione di lottare per la vittoria. Se avesse avuto qualche possibilità concreta di batterlo, con un tentativo di sorpasso, avrebbe avuto senso. Il fatto di essere comunque condannato a una seconda posizione, a una certa distanza dalla vetta, cambiava totalmente le carte in tavola.
Rosso Ventisette non aveva abitudine di fare polemica, dopo gli incidenti, dopotutto chi, nelle retrovie, aveva poco da perdere, spesso aveva la tendenza a rischiare più del dovuto e a infilarsi in situazioni che un top driver avrebbe preferito evitare. Non ne aveva l’abitudine, ma sapeva di dovere mettere in chiaro con Ventotto che non avrebbe tollerato ulteriori accuse pubbliche.
Trovò il suo compagno di squadra ancora in tuta e casco - del resto non avrebbe avuto altro modo di riconoscerlo - poco dopo avere udito la sua intervista. Gli si parò davanti, inveendo contro di lui come mai aveva fatto con altri.
«Che cazzo avevi in mente, coglione?»
«Ehi, calmati» ribatté Ventotto, senza lasciarsi intimidire. «Avevo in mente di passarti davanti ed è esattamente quello che sarebbe successo se tu non mi fossi venuto addosso.»
«Sei stato tu a venire addosso a me» replicò Ventotto. «Che cosa ti eri messo in testa di fare? Lo sai come funziona un gran premio della A+ Series?»
«Certo che lo so. Tu, invece, ne sei così sicuro? Ti hanno mai spiegato che non devi necessariamente fare a ruotate per tutta la durata della gara?»
«Ruotate per tutta la durata della gara? Di che cazzo parli?»
«Sappiamo tutti chi eri l’anno scorso... ed eri poco tranquillo, di solito. I fanboy maschilisti dei social, dicevano addirittura che guidavi come una donna.»
«Perché, come guidano le donne?»
«Non saprei, quantomeno non ho idea di come guidino quelle della A+ Series. Non sappiamo nemmeno se ci siano donne sulla griglia e chi siano.»
«Tu invece hai gli occhi a mandorla. Che sia vero quello che dicono dei piloti giapponesi?»
«Potrei essere anche cinese o coreano, per quanto ne sai, o magari un cittadino di Singapore, la Città del Leone.»
«La città di cosa?»
«Singapore. Città del Leone. Deriva dal sanscrito, “singapura”, e...»
Ventisette interruppe subito la spiegazione del compagno di squadra.
«Non ho bisogno di una guida turistica che mi illustri la città. Siamo a Interlagos, non a Singapore, peraltro.»
«Qui vicino al circuito» lo informò Ventotto, «Ci sono le case popolari del progetto Singapura, che parecchi anni fa fu finanziato dalla città-stato di Singapore. Sorgono dove un tempo c’era una favela.»
«Molto interessante, ma questo cosa c’entra con il nostro incidente?»
«Dicevo così, perché entrambi abbiamo bisogno di calmarci. Condividere questi aneddoti è bello, non trovi?»
«No, non trovo che sia bello, né ho alcun bisogno di calmarmi» replicò Ventisette, con freddezza. «Cosa pensavi di fare dopo essermi passato davanti? Pensavi davvero di potere allungare, in quei pochi giri che ti separavano dal cambio gomme, e di potermi rimanere davanti dopo la sosta?»
«Sono un pilota e, in quanto tale, non mi fermo di fronte a queste sottigliezze» mise in chiaro Ventotto. «È vero, non c’erano molte possibilità, per me, di giocarmi la vittoria, ma le gare finiscono quando viene esposta la bandiera a scacchi, non prima. Può succedere di tutto, fino a quel momento. Ecco spiegato perché ho provato a superarti.»
«Per colpa tua abbiamo buttato via una gara in cui avremmo fatto sicuramente doppietta.»
«No, non per colpa mia. Per colpa tua.»
Rosso Ventisette scosse la testa.
«Tu sei completamente pazzo.»
«No, per niente» replicò Ventotto. «Rifletti, dovevo ancora fermarmi e dietro c’erano dei piloti che avrebbero potuto rimanere davanti a me dopo la sosta. Se tu ti fossi levato di mezzo e mi avessi fatto passare, avrei potuto allungare e, una volta fatto il pit-stop, sarei riuscito a rimanere davanti a tutti, tranne che a te. Mi accusi di avere innescato un incidente, quando in realtà stavo solo cercando di massimizzare il mio risultato. Non ho mai voluto fare nulla contro di te.»
«Non hai mai voluto fare nulla contro di me» ribatté Ventisette, sprezzante. «Inventatene una migliore. Non fai altro che ripetere che tu non guardi mai in faccia a nessuno, che non ci sono compagni di squadra per te, ma solo avversari da battere.»
«Infatti avrei cercato di batterti, se fosse stato possibile» puntualizzò Ventotto. «Però ci vuole realismo e, a meno che non fosse accaduto nulla di strano, non sarebbe accaduto.»
Ventisette gli ricordò: «Hai detto tu stesso, pochi istanti fa, che stavi lottando per la vittoria. Un attimo dopo hai cambiato versione dei fatti. È l’atteggiamento tipico di chi ha torto e cerca di pararsi il culo a tutti i costi.»
«Non sto cercano di pararmi il culo, non ne ho bisogno» ribatté Ventotto. «Sono responsabile delle mie azioni, così come tu sei responsabile delle tue. E, per quanto tu voglia negare, hai la tua parte di responsabilità in quello che è successo.»
«Vedo che stai cambiando versione dei fatti un’altra volta» osservò Ventisette. «Prima era tutta colpa mia, adesso è colpa mia solo in parte. Ti vedo piuttosto indeciso. Del resto non mi stupisce, uno come te non deve essere molto sicuro di quello che gli passa per la testa. Non saprai nemmeno se sei un vero pilota o solo uno sfasciacarrozze...»
«Sembri uscito da una polemica sui social. Siamo ancora qui a mettere in discussione chi sia o non sia un vero pilota?»
«Impara a guidare e vedrai che nessuno lo metterà in discussione.»
«Forse sei tu che dovresti imparare a guidare e ad accettare l’idea di potere subire un sorpasso. So che nelle retrovie correvate sempre con il coltello tra i denti, ma qui funziona diversamente.»
Rosso Ventisette rise, sprezzante.
«No, per favore, non venirmi a spiegare tu come guidano i top driver. È la cosa più ridicola che potresti fare.»
«Lo ammetto, a volte mi sono ritrovato in qualche situazione non troppo simpatica» confermò Ventotto, «E ho fatto manovre avventate, ma oggi non è uno di quei giorni.»
«Eppure» precisò Ventisette, «La gara di entrambi è finita perché tu hai preso un’assurda iniziativa.»
«Il nostro mestiere è prendere iniziative» tagliò corto Ventotto. «Io ho preso la mia, tu hai preso la tua. Pensi che non avrei dovuto cercare il sorpasso? Va bene, posso accettarlo. Tu, però, devi accettare l’idea che io la pensi diversamente da te.»
«Adesso sei disposto ad accettare che io abbia un’opinione diversa, pur di non doverti più arrampicare sugli specchi per trovare una giustificazione, quindi.»
Rosso Ventotto sbuffò.
«Sembra di parlare con quel cazzone di Argento Quattro!»
Il loro collega non aveva esattamente un’ottima reputazione, per quanto riguardava il modo di rapportarsi con gli altri piloti fuori pista, quindi Ventisette si difese: «Non mi sembra di avere fatto nulla di tanto spropositato. Mi sono solo lamentato di essere stato messo fuori pista e tacciato di essere io il colpevole. Non so che cosa ti aspettassi da me, ma non puoi rovinarmi la gara e parlare male di me alle mie spalle senza vedere alcun tipo di reazione.»
«Ehi, piano con le accuse» si difese Ventotto. «Non ho parlato male di te alle tue spalle. L’ho fatto in un’intervista pubblica, che tu stavi ascoltando. Avresti potuto fare la stessa cosa, dare la tua versione dei fatti invece di startene rintanato nel retrobox. Era un tuo diritto, non è colpa mia se hai preferito tacere. La prossima volta svegliati prima, invece di lamentarti perché non tutto gira intorno alle tue esigenze.»
«Non tutto gira intorno alle mie esigenze?! Le senti le assurdità che stai dicendo? Sei tu, adesso, quello che somiglia ad Argento Quattro.» Ventisette voltò le spalle al compagno di squadra. «Va beh, ho già sentito abbastanza stronzate, meglio che vada. Cerca di non fare altri casini... intendo la prossima volta in cui ti metterai al volante, almeno quando non stai guidando immagino che tu sia capace di non fare danni.»
Si era già allontanato di alcuni metri quando, di colpo, qualcuno gli arrivò alle spalle e lo afferrò per un braccio.
Rosso Ventisette si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con il suo compagno di squadra.
«Cosa vuoi ancora?»
«Niente, solo dirti che per me questa storia finisce qui. Non sono come Argento Quattro e mi auguro nemmeno tu.»
«Come Argento Quattro?» ripeté Ventisette. «Cosa vuoi dire?»
Ventotto chiarì: «Più di una volta, quando succedeva qualcosa di controverso, ha avuto reazioni strane, a volte spropositate. Io non sono come lui. Non sono tipo da revenge crash o cose del genere, né da rallentarti di proposito in qualifica. Naturalmente mi aspetto la stessa cosa da te.»
«Mi stai dicendo che credi nella convivenza civile?»
«Assolutamente sì. Mi dispiace per l’incidente di oggi, anche se sono davvero convinto di non avere fatto nulla di esagerato e di non essere l’unico colpevole. Non si ripeterà più. O meglio, non escludo che prima o poi ci saranno altri incidenti tra noi due, ma di certo non intendo innescarne uno di proposito. Spero che anche per te valga la stessa cosa.»
Rosso Ventisette annuì.
«Sì, certo. Ho avuto la reputazione di pilota spericolato, e forse ce l’ho ancora, ma nemmeno io faccio danni di proposito. Puoi fidarti di me.»
«E tu di me» rispose Ventotto. «Per me quello che succede in pista finisce in pista. Non avrei nemmeno discusso dell’incidente con te, se non fosse stata tua intenzione farlo. Non sono uno di quei piloti che cercano di scoprire la tua identità per cercare di metterti in difficoltà. Chissà, magari ci conosciamo addirittura, fuori dalla pista.»
Non capitava spesso che qualcuno facesse una simile osservazione.
«Già, magari certi piloti con cui ci prendiamo a sportellate in pista sono addirittura nostri amici quando non stiamo guidando. Non credo sia il tuo caso, però: non ho amici giapponesi con i capelli sparati in aria e le punte tinte di blu.»
«Cosa ti fa pensare che io abbia i capelli sparati in aria e le punte tinte di blu?»
Ventisette ridacchiò.
«Non hai negato di essere giapponese. Forse è il primo passo per scoprire chi sei davvero. Non per farti radiare, sia chiaro, solo per poterti conoscere anche come persona.»
«Vola basso, Ventisette» gli suggerì Ventotto. «È meglio non farsi venire certe idee. Conoscersi come persone è pericoloso, sarà meglio evitarlo.»

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Capitolo 7
*** Bahrein ***


Era primo pomeriggio di domenica e mancavano ancora parecchie ore al via del Gran Premio del Bahrein. Era una delle poche piste del mondiale di A+ Series sulla quale si gareggiava di notte, lasciando le ore precedenti per le categorie di contorno. Una certa fetta di pubblico era in grado di fare polemica anche su quelle, ma Yannick sentiva il bisogno di restarne fuori e di non informarsi nemmeno di cosa succedesse: ne aveva abbastanza di pensare alle competizioni che lo coinvolgevano in prima persona e a non far capire a chi gli stava intorno fino a che punto fosse coinvolto. Le gare che avevano preceduto il gran premio erano andate relativamente bene, ma non poteva apparire troppo entusiasta del risultato del suo alter ego Argento Quattro, al fine di evitare di destare sospetti.
La frequentazione con Alysse gli permetteva di rimanere sul vago. Continuava a non fargli troppe domande, nonostante avesse il palese desiderio di scoprirne di più. Doveva rendersi conto di metterlo in pericolo, oppure poteva essere tutto parte di un piano già stabilito. Di per sé, Alysse non avrebbe guadagnato niente da una sua ipotetica radiazione qualora fosse venuta alla luce l’effettiva identità di Argento Quattro, ma Yannick non poteva scartare a priori la possibilità che fosse pagata da qualche avversario desideroso di sbarazzarsi di lui.
Cercava di non esporsi troppo, perché sapeva di non potersi fidare di nessuno. Poi, per ironia della sorte, qualche tempo prima in Brasile era comparso dal nulla Ryuji Watanabe. Il giapponese non era una spia sul libro paga di qualche team o pilota, quella era una certezza assoluta. Si trattava di un suo amico d’infanzia, conosciuto ai tempi in cui entrambi gareggiavano sui kart. Avevano disputato insieme anche qualche campionato minore sulle monoposto, poi le loro strade si erano separate. Mentre Yannick si era avviato verso un percorso che portava all’anonimato, risalendo lungo le serie minori strettamente collegate alla A+ Series, Ryuji aveva preso un’altra via, che l’aveva condotto a gareggiare per diversi anni in Indycar. A sorpresa, poco più di due anni prima, aveva annunciato il proprio ritiro dalle competizioni, nonostante negli Stati Uniti non avesse ancora ottenuto il successo desiderato. Ovviamente Ryuji non aveva mai saputo che Yannick fosse arrivato in A+ Series, né lo doveva sapere.
Era riuscito a evitarlo per giorni, ma non sarebbe durata a lungo: lo vide venire nella sua direzione e, ovviamente, non poteva sottrarsi al loro incontro. Inventarsi qualcosa per rispondere alle domande di Watanabe sulla sua presenza a Sakhir sarebbe stato di gran lunga meno controproducente del nascondersi quando l’altro l’aveva già visto.
Ryuji venne verso di lui ed esclamò, senza nascondere il proprio stupore: «Sei anche qui in Bahrein? Non avevo capito che lavorassi in pianta stabile per la A+ Series! Pensavo che la tua presenza in Brasile fosse un’eccezione, non la regola.»
«Ebbene sì, sono anche in Bahrein» ammise Yannick, che non poteva fare altrimenti. «Mi è toccata anche questa trasferta.»
Ryuji osservò: «Stavo parlando di te con dei colleghi, proprio ieri, e mi hanno detto che ti vedono spesso.»
«Parli di me con i tuoi colleghi?» borbottò Yannick. «Perché?»
Ryuji ridacchiò.
«Dai, non preoccuparti, non mi sono innamorato di te. E poi lo so che ti piacciono le donne. Si vedeva già quando eri ragazzino, come penso fosse già palese che a me interessano gli uomini.»
«Non parlavo di questo, non ho mai pensato che avessi delle mire su di me» puntualizzò Yannick. «Voglio dire, scusa se ti sono apparso brusco, ma che cosa ne sanno i tuoi colleghi di me?»
«Sei una personalità abbastanza conosciuta, qualcuno insinua addirittura che tu possa essere un pilota in incognito.» Ryuji rise di nuovo. «Gliel’ho detto, che da ragazzino eri un pilota, ma poi hai scelto un’altra strada. Dicono che hai fatto bene, che è meglio studiare e costruire qualcosa di concreto, piuttosto che continuare a gareggiare e finire in questa categoria ad andarsene in giro in tuta e casco senza potere nemmeno dire ai tuoi parenti più stretti chi sei.»
Yannick avvertì un lieve brivido. In realtà uno dei suoi parenti stretti era al corrente della sua identità, ma non aveva importanza, in quel momento. Suo fratello non aveva nulla a che vedere con la A+ Series - era davvero un ex pilota che aveva studiato e intrapreso un’altra strada, almeno lui - e non rappresentava alcun pericolo per lui.
Doveva affrettarsi a smentire le teorie dei presunti colleghi di Ryuji, quindi affermò: «Ci hanno visto giusto, sul fatto che sia meglio abbandonare le competizioni prima di diventare una sorta di robottino nelle mani del campionato. Ti immagini come sarebbe essere finalmente nella massima categoria, ma doverti nascondere? Non credo proprio che farebbe per me.»
«Puoi dirlo forte!» ribatté Ryuji. «Non c’è da stupirsi che certi piloti della A+ Series si stanchino di questa pagliacciata e cambino categoria.»
«Alcuni sono costretti a farlo.»
«Proprio costretti no.»
«Solo i migliori rimangono nella A+ Series.»
«Non è proprio così» obiettò Ryuji. «Non voglio contraddirti, magari ti sei fatto un’idea diversa dalla mia, ma qualcuno va via proprio perché lo desidera. Poi certo, per la dirigenza è facile radiare piloti dopo che questi hanno già deciso, ma a volte si prende “meriti” che non ha.»
«Parli dell’ex Ventisette?» azzardò Yannick.
«Parlo dell’ex Ventisette, ma non solo» rispose Ryuji. «Purtroppo il motorsport funziona esattamente come ogni altro aspetto della vita.»
«Cosa vuoi dire?»
«Voglio dire che nessuno è soddisfatto di quello che ha. Piloti di A+ Series costretti all’anonimato decidono di liberarsi dalle loro catene e di andare a correre in Indycar o in endurance. Al tempo stesso piloti di Indycar o di endurance sarebbero ben lieti di farsi incatenare, pur di sapere di essere stati in grado di arrivare nella A+ Series.»
Yannick chiese all’amico, a bruciapelo: «Tu ci hai mai pensato?»
«Al passaggio in A+ Series?» Ryuji riprese a ridere. «No, grazie.»
«Perché no? Magari ce l’avresti fatta.»
«Sì, è probabile, dopotutto ero un discreto pilota di Indycar, non certo un dilettante preso dalla strada, però davvero, non farebbe per me.»
«Neanche il campionato di Indycar fa più per te, mi pare di capire.»
«Le competizioni in generale non fanno più per me. Non fraintendermi, sono stata un’ottima parentesi della mia vita, ma ero stanco di non sapere se sarei tornato a casa vivo.»
Yannick annuì.
«Capisco quello che dici. Dopotutto è meglio vivere una vita più tranquilla, quando non te la senti più di prenderti certi rischi. Peraltro voi in Indycar eravate esposti a pericoli ben maggiori rispetto a quelli della A+ Series.»
Ryuji scosse la testa.
«No, non è proprio così. La possibilità di finire coinvolto in un pile-up su un ovale e di ribaltarsi potrebbe spaventare i piloti della A+ Series, ma ti garantisco che affrontano pericoli ben maggiori senza nemmeno rendersene conto. In Indycar, nessuno può provocare problemi a comando. In A+ Series, dall’alto possono influenzare perfino gli incidenti. E perché lo fanno? Solo ed esclusivamente in nome dei like, per attirare pubblico. Credimi, gli ovali saranno anche pericolosi, ma il rischio è più contenuto che nell’essere tra le mani di una banda di potenziali assassini.»
Yannick avrebbe voluto replicare, cercare di difendere la categoria nella quale gareggiava da ormai molti anni, ma si rese conto di non poterlo fare. Non avrebbe definito come potenziali assassini né il CEO né quei sottoposti che sembravano somigliargli molto, ma Ryuji non aveva tutti i torti.
Per fortuna replicare non fu necessario. Alysse spuntò fuori chissà da dove e venne verso di lui con un sorriso smagliante stampato sul volto. Doveva essere molto felice di vederlo e Yannick cercò di ricambiare quell’allegria.
«Ehi, Alysse, che piacere vederti! Posso presentarti il mio amico?»
Alysse posò lo sguardo su Ryuji.
«Ci siamo già visti da qualche parte, mi pare.»
«Sì, può essere, ma non ricordo di averti conosciuta personalmente. Mi chiamo Ryuji Watanabe, lavoro per la stampa giapponese.»
«Watanabe, l’ex pilota di Indycar» confermò Alysse. «Hai ragione, avrei dovuto arrivarci da sola. Io sono Alysse Mercier.»
«Alysse Mercier» ripeté Ryuji. «Mi ricordi qualcuno, ma immagino non sia tu la persona a cui sto pensando. Quella Alysse non si chiamava Mercier.»
A Yannick parve di cogliere una vaga esitazione sul volto di Alysse, che però non disse nulla.
Ryuji, da parte sua, sembrava già concentrato su altro.
«Sei la fidanzata di Yannick?»
«Non proprio.»
«Ah, meno male. Mi sarebbe dispiaciuto per te, se avessi dovuto sopportarlo.»
Alysse fece una risatina.
«Perché, è così terribile?»
«Non starlo a sentire!» ribatté Yannick. «Non ci vediamo da duecento anni e adesso pensa di potermi giudicare perché ci siamo incontrati già due volte, di recente.»
«Stavo scherzando» chiarì Ryuji. «Peccato che non siate una coppia, anche se quel “non proprio” fa pensare ci sia comunque qualcosa tra di voi.»
«Piantala di intrometterti nei fatti nostri» sbottò Yannick. «Non ce l’hai una vita privata tua di cui occuparti?»
«Non è poi così facile trovare l’anima gemella: non sei considerato così tanto appetibile, quando potresti morire da un giorno all’altro» replicò Ryuji. «L’hai detto tu stesso, gli ovali sono pericolosi.»
«Ma adesso te ne vai in giro per il paddock a raccogliere rumour di cui scrivere per il giornale della A+ Sereies» obiettò Yannick. «Mi sembra molto meno pericoloso che stare al volante di una monoposto che arriva a velocità spropositate.»
Ryuji gli strizzò un occhio.
«Non si sa mai. Basta pestare i piedi alla persona sbagliata per ritrovarsi molto più nei casini che al volante di una Indycar su un ovale.»
«Non sapevo ti occupassi di faccende scabrose» osservò Yannick. «Pensavo ti limitassi a pettegolezzi di poco conto, tipo quelli a proposito del nuovo Rosso Ventisette, che sembra essere il precedente Nero Trentacinque.»
«Quella è una faccenda ormai vecchia» obiettò Ryuji. «Preferisco occuparmi di contenuti di maggiore spessore. E, no, prima che tu me lo chieda, non faccio nemmeno insinuazioni su chi possa essere il nuovo Nero Trentacinque. Diversamente da Trentasei, non viene dalla seconda divisione, sembra ormai appurato. Deve essere uno dei piloti che stavano in standby, che occasionalmente venivano messi al volante quando c’era da sostituire qualcuno da un giorno all’altro, oppure uno dei tester non ufficiali. C’è chi dice che avrebbe potuto diventare Rosso Ventisette proprio lui, invece del precedente Trentacinque.»
«Si dicono tante cose sull’attuale Trentacinque» intervenne Alysse. «Tu cosa ne pensi, Ryuji? Credi si meritasse di diventare Rosso Ventisette più del pilota che lo è diventato effettivamente?»
«Non mi piace parlare di merito» precisò Ryuji. «Da pilota, credo di potere dire che non sempre otteniamo ciò che meriteremmo, ma allo stesso tempo non offriamo sempre quello che potremmo dare. Il talento conta, così come la fortuna, ma non bisogna sottovalutare l’essere al posto giusto nel momento giusto. Non dico solo essere nella squadra giusta in generale, ma nell’essere in una squadra che sia giusta per te.»
Le parole di Watanabe non avevano chiarito i dubbi di Yannick sulle questioni di cui si occupasse. Decise quindi di tornare a chiederglielo.
«Di cosa scrivi di solito?»
«Spesso parlo degli aspetti misteriosi e controversi del motorsport.»
«Aspetti misteriosi?» ripeté Yannick. «Per caso cerchi di scoprire le identità dei piloti?»
«Neanche per sogno! Alcuni di loro sono dei veri e propri stronzi in pista. Almeno quando sono fuori, in abiti civili, possono apparire persone a modo. Non vorrei mai scoprire che, a titolo di esempio, un tipo simpatico e cordiale come te è magari un figlio di puttana tipo Argento Quattro.»
Yannick si sentì avvampare. Era palese che Ryuji non prendesse minimamente in considerazione una simile ipotesi, ma non gli piaceva l’idea di sentirla pronunciare ad alta voce. Cercò di non incrociare lo sguardo di Alysse, che sapeva almeno parte della verità e, purtroppo, avrebbe potuto fare due più due.
Per fortuna Ryuji non aveva ancora chiarito il proprio ambito di interesse, quindi poté distogliere l’attenzione da se stesso, insistendo: «Aspetti controversi, hai detto. Quali sono le controversie? Parli di opzioni sperimentali?»
Ryuji rimase sul vago.
«Ci sono fatti del motorsport che non sono andati esattamente come ce li hanno raccontati. Ecco, è in gran parte questo, di cui mi occupo, non di questioni strettamente legate alle vetture e alle gare.»
«Da come ne parli, sembra che ci abbiano messo davanti una realtà alternativa.»
«Sì e no.»
«Cosa intendi? A cosa ti riferisci?»
«2009» declamò Ryuji, sibillino. «Pensi sia tutto chiaro, quello che ci è stato tramandato, o che ci siano ancora dei punti oscuri?»
«Mi sembra tutto chiarissimo» replicò Yannick, che non aveva alcun desiderio di inerpicarsi lungo un sentiero che avrebbe potuto riservare brutte sorprese. «Ci sono stati dissidi tra la Federazione e l’organizzazione dei team, la Formula 1 è precipitata nel baratro ed è nata la A+ Series. Non mi dirai che quei dissidi erano falsi.»
«Oh, no, erano verissimi» rispose Ryuji. «Non penso si possa dire altrettanto del disastro di Monza. Serviva un episodio che potesse giustificare la fine improvvisa della Formula 1 e quell’incidente è stato inventato di sana pianta.»
Yannick gli fece notare: «Se un pilota osasse fare una simile affermazione, verrebbe radiato seduta stante dalla A+ Series.»
«Lo so, ma io non sono un pilota» ribatté Ryuji. «Non ho alcun volante al quale aggrapparmi. Potrebbero impedirmi l’accesso al paddock, forse, vietarmi di avere un pass come giornalista, ma non potrebbero costringermi a tacere.»
«Se fossi al posto tuo, cercherei di non fare nulla di avventato» gli consigliò Yannick. «È vero, chiunque lavori nella A+ Series deve restare entro certi limiti, ma non è necessariamente un male.» Girò lo sguardo su Alysse, che sembrava essersi chiusa all’improvviso in uno strano silenzio. Dal momento che pareva fin troppo assorta nei propri pensieri, Yannick non la disturbò e continuò a rivolgersi a Watanabe. «Ci sono delle regole un po’ troppo rigide, è vero, ma credo sia meglio per noi cercare di rispettarle. L’hai detto tu che abbiamo a che fare con dei potenziali assassini.»

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Capitolo 8
*** Falso storico ***


«Ehi, sono tornato.»
Alysse sussultò, per poi alzarsi in piedi di scatto.
«Alex, non ti avevo sentito rientrare, mi hai spaventata. Quando sei arrivato?»
Suo marito sorrise, dando l’impressione di essere divertito.
«Ti spaventi con poco. Comunque sono tornato adesso ed è stata una giornata fantastica. Ho avuto una proposta meravigliosa.»
«Mhm» borbottò Alysse. «Per caso il CEO ti ha proposto un lavoro migliore, per colpa del quale dovrai allontanarti da me?»
«Allontanarmi da te?» Alex rise. «Ti ricordo, Alysse, che ogni due o tre settimane sei in un luogo diverso del mondo. Per non allontanarmi da te, dovrei diventare la tua ombra.»
«Con il fatto che lavori per il CEO, però, ci capita di stare insieme spesso, in un luogo o nell’altro del mondo» gli ricordò Alysse. «Ti prego, non dirmi che ti ha proposto qualcosa per il quale non dovrai più seguirlo.»
«Non ne abbiamo parlato» ammise Alex, «Ma esiste la possibilità che, prima o poi, io possa seguire te, e non per lavoro.»
«Non capisco.»
«Il CEO mi ha offerto un lavoro per il quale passerò meno tempo in ufficio oppure al suo seguito, ma verrò pagato molto di più.»
Alysse rimase in silenzio per qualche istante, poi gli domandò: «Da quando hai iniziato a credere che il CEO offra lavori miracolosi in cui si guadagnano un sacco di soldi riuscendo a eludere la sua presenza?»
«Non credo nei lavori miracolosi» puntualizzò Alex. «Credo però che il CEO ci tenga molto a certe faccende e che sia disposto a sborsare cifre decisamente interessanti per chi fosse disponibile a occuparsi di quelle faccende.»
Alysse sbuffò.
«In poche parole, lavoro sporco.»
«No, affatto.»
«Rifletti, Alex, deve esserci per forza qualcosa di poco chiaro, se è disposto a offrirti dei soldi per...»
Suo marito la interruppe: «No, Alysse, non hai capito. Va bene, ci sono questioni poco chiare, anche nella storia della A+ Series, ma io non devo fare niente di sconveniente. Mi ha chiesto se sarei disponibile a recitare una parte in una sorta di documentario sul disastro di Monza.»
«Un documentario» ripeté Alysse. «Recitare una parte in un documentario.»
«Qualcosa del genere.»
«Recitare una parte in un documentario in cui non sarà mai chiarito che sei un attore, immagino.»
«Una cosa del genere.»
«E tu accetteresti?»
«Non ci vedo niente di male.»
Alysse fu costretta ad ammettere che Alex aveva ragione. Non era compito suo accertarsi che la dirigenza della categoria non divulgasse bufale sulla nascita del campionato stesso e su ciò che l’aveva preceduto. Se fosse stato pagato per recitare una parte, si sarebbe sentito in pace con se stesso recitando quella parte.
«Sai già che documentario sarà?»
Alex scosse la testa.
«Il CEO non me l’ha detto.»
«Quando te lo spiegherà?»
«Mai.»
«Oh.» Alysse avrebbe dovuto capirlo. «Reciterai la tua parte, che sarà aggregata a tante altre parti di cui non sai nulla, dopodiché non vedrai il prodotto finché non sarà divulgato secondo i canali tradizionali. In pratica stai per fare un salto nel buio.»
«È un documentario» replicò Alex, «Di fatto è una sorta di film. Dovrò recitare qualche battuta, forse cambiare taglio di capelli, indossare una parrucca o, nel caso me lo chiedano, farmi crescere la barba. Poi, dopo poco, sarà tutto finito e sarò di nuovo Alexandre Mercier.»
«Ti sarai prestato, però, alla contraffazione della storia del motorsport» mise in chiaro Alysse. «Secondo me dovresti pensarci su, prima di accettare.»
«Ti ho detto che il CEO mi ha fatto una proposta, non di averla accettata» puntualizzò Alex. «Ci tenevo a parlarne con te.»
«Ci tenevi a parlarne con me prima di accettare» decretò Alysse. «Adesso stai pensando che io sia una fanatica della verità e non comprendi come mai ci tenga così tanto alla storia dell’automobilismo.»
«Hai detto tutto tu» ribatté Alex. «In ogni caso, lo ammetto, mi sembra un po’ esagerata tutta la passione che ci metti, quando si tratta di fatti che vengono tramandati in un certo modo da tanti anni, ormai. In fondo è sempre stato così: la storia la scrivono i vincitori.»
«La storia la scrivono i vincitori, infatti non avrei niente in contrario se il CEO e il suo entourage si limitassero a spacciarsi per i santi di turno che hanno salvato l’automobilismo a ruote scoperte dalla rovina, tacciando i loro predecessori di averlo danneggiato in ogni maniera possibile» precisò Alysse. «Qui, però, non si tratta più di elogiarsi da soli denigrando al contempo i propri nemici, si tratta proprio di far credere che un fatto mai accaduto sia vero.»
«Come sai, per certo, che non sia mai accaduto?»
«Mi stai dando della complottista visionaria?»
«No, ti sto ricordando che nel 2009 avevi solo vent’anni e non eri dentro a quel mondo.»
«Non posso raccontarti tutto per filo e per segno, perché ci sono tante persone coinvolte, la cui identità deve essere preservata» replicò Alysse, «Ma ti assicuro che ho parlato con gente che, ai tempi del presunto disastro di Monza, c’era e sa per certo che quell’incidente non è mai avvenuto.»
Alex annuì.
«Sì, lo so, mi hai detto più di una volta di avere parlato con Santiago Fernandez, che tuttavia non può rivelarsi come Santiago Fernandez.»
«Nemmeno con me si è presentato esplicitamente come Santiago Fernandez, ma era impossibile non riconoscerlo» insisté Alysse. «C’era, nel 2009 a Monza. C’era e sa benissimo che non è successo niente. Solo, così come tutti gli altri piloti, si è ritrovato costretto al silenzio. Non aveva alternative. Nessuno aveva alternative. C’era un solo pilota che, in linea teorica, avrebbe potuto mostrarsi con la propria vera identità, perché a Monza non c’era, ma sarebbe stato costretto a rinunciare alla A+ Series. O meglio, c’era un solo pilota, o forse due...»
Alex la fissò con la fronte aggrottata.
«Cosa vuoi dire?»
«Niente, lascia stare. Torniamo a parlare di te. Il CEO ti ha spiegato qualcosa di più preciso?»
«No, non mi ha detto molto, te l’ho già spiegato. Piuttosto, chi è l’altro pilota di cui parli?»
Alysse scosse la testa, sperando che Alex capisse che non avrebbe dovuto rispondere a quella domanda.
«Lascia stare.»
Alex, però, non era intenzionato a seguire il suo consiglio.
«Sai qualcosa?» insisté. «Sai qualcosa di importante? Conosci l’identità di qualche pilota? Qualcuno che non avrebbe dovuto essere presente al via dei primi campionati della A+ Series, ma invece gareggiava sotto falso nome?»
«Falso nome?» Quelle parole fecero sorridere Alysse. «Nessuno gareggia con un nome, nella A+ Series.» Valutò se potesse spingersi oltre, rivelargli l’identità di uno dei piloti del passato. Suo marito lavorava per il CEO, non era certa di potersi fidare totalmente di lui. Non metteva ovviamente in dubbio la sua lealtà e la sua sincerità, ma sapeva che anche le persone più leali e sincere finivano per fare piccole confidenze, per l’incapacità di tenere a freno la lingua. Dopotutto era quello che stava per fare lei stessa. «Posso rivelarti un segreto scottante del campionato?»
Alex azzardò: «Phil Corujas si è ripreso dall’incidente ed è tornato a gareggiare. Lo so. O meglio, non lo so, ma l’ho sempre sospettato. Bianco Due doveva essere lui, a un certo punto. Il suo sguardo era riconoscibile tra mille. Certo, aveva un occhio un po’ più aperto e l’altro un po’ più chiuso, ma deve essere stato effetto del suo infortunio.»
«Phil Corujas ha ripreso a gareggiare» confermò Alysse, «Anche se non sono sicura che sia stato solo Bianco Due. Penso abbia fatto qualche comparsa anche con altri colori e con un altro numero, anche se non saprei dirti per certo chi sia stato nel corso degli anni. Comunque sì, è stato Bianco Due, e quel bambino che si portava in giro come mascotte, sul quale in tanti facevano delle battute chiedendosi se andasse mai a scuola, quello che lo seguiva con tanto di tuta e casco, tenendo a sua volta nascosta la propria identità, pare non fosse una semplice mascotte. Si dice che fosse suo figlio.»
«Quel bambino era dolcissimo» osservò Alex. «Corujas è stato fortunato ad avere un figlio del genere. O forse è quel bambino che è stato fortunato ad avere Phil come padre. Deve essersi divertito un sacco ad andare in giro per i circuiti travestito come il padre. Lo chiamavano Piccolo Due. Chissà, magari un giorno diventerà un pilota... anche se, lo ammetto, è più probabile che, dopo avere conosciuto così bene il mondo della A+ Series, non gli passi neanche per la testa l’idea di avvicinarsi a un go-kart.»
«Molto probabile» ammise Alysse. Si chiese se fosse meglio non riprendere il discorso lasciato in sospeso, quello sull’altro pilota che aveva gareggiato in A+ Series, ma realizzò ben presto che parlare di Piccolo Due non avrebbe fatto desistere Alex. Gli rivelò, quindi: «Mihail Silberblitz ha gareggiato nel campionato e so anche con qualche identità.»
Alex spalancò gli occhi.
«Silberblitz?! Ma si è ritirato alla fine del 2008, dopo avere tentato per la seconda volta di vincere il suo ultimo titolo. Ti confesso che ero molto combattuto. Da un lato mi auguravo che potesse farcela, ma dall’altro anche Jäätä era un ottimo pilota e si meritava di diventare campione del mondo almeno una volta. Del resto, se Fernandez ha vinto tre titoli, anche quel tizio dagli occhi di ghiaccio se ne meritava almeno uno. A proposito, sono convinto di averli rivisti, quegli occhi di ghiaccio, nella A+ Series. Kamil deve essere scampato al disastro di Monza.»
Quelle parole misero Alysse di fronte alla solita realtà: la verità e la finzione si erano mescolate fin troppo l’una all’altra, ormai, al punto da rendere impossibile comprendere cosa fosse accaduto e cosa fosse stato inventato dalla dirigenza. L’idea che Alex potesse contribuire a quello scempio non la allettava affatto, ma sapeva di non potergli impedire di recitare in quel “documentario”. Anzi, con tutta probabilità la proposta del CEO era più un ordine che una proposta, sarebbe stato deleterio tirarsi indietro.
«Hai ragione, Jäätä si meritava un titolo» convenne, cercando di togliersi dalla testa quei brutti pensieri. «È stato un mondiale meritato, il suo, specie considerato che faceva coppia con Fernandez e che ormai era già stato dato per spacciato. Santiago veniva considerato un pilota imbattibile, ai tempi, e dopo il passaggio in McLaren il suo status di prima guida sembrava garantito. In molti dicevano che Jäätä avrebbe fatto meglio a passare in Ferrari, come era sembrato a un certo punto, invece di rimanere come suo compagno di squadra. Non so cosa sarebbe successo se avesse cambiato scuderia, forse non sarebbe cambiato molto, perché comunque poi è arrivato il disastro di Monza, se così vogliamo dire, e la Formula 1 è finita per sempre, ma non sono affatto sicura che avrebbe vinto quel titolo. Silberblitz era il più veloce di tutti, sarebbe stata dura per Jäätä stare al suo fianco. Mi verrebbe da chiedermi anche come avrebbe reagito Mihail, se gli avessero messo accanto un pilota di quel calibro, ma è tutto un discorso teorico. Non sapremo mai come sarebbe andata, così non sapremo mai cosa sarebbe successo se quel ragazzo della seconda divisione fosse stato promosso accanto a Fernandez, costringendo Jäätä a trovarsi un altro volante.» Alysse si rese conto che il termine “seconda divisione” non era utilizzato, a quei tempi, ma l’importante era che Alex potesse comprenderla. «A proposito, chissà che fine ha fatto quel pilota, così come gli altri ragazzi promettenti di quell’epoca. Chissà se qualcuno sia mai arrivato in A+ Series, o se abbiano preferito prendere altre strade.»
Alex azzardò: «Nessuno meglio di te potrebbe saperlo.»
«No, affatto, ti sbagli» replicò Alysse. «I piloti della vecchia guardia, di tanto in tanto, si sono lasciati sfuggire qualche indizio sulla loro identità. Quelli nuovi, della mia generazione, se ne sono guardati bene. Dopotutto perché un pilota dovrebbe cercare di rivelarsi, in qualche modo? È controproducente, specie per chi non ha nulla da dimostrare. Per gli altri era diverso. Diciamo che alcuni di loro erano costretti a fingersi morti. Anzi, tutti, dato che non era stato rivelato chi fossero i piloti che avevano perso la vita in quell’incidente disastroso.»
Alex insisté: «Secondo me sai più di quanto vuoi far credere.»
Alysse gli scoccò un’occhiata di fuoco.
«Tu lavori per il CEO. Forse ne sai più di me.»
Alex parve spiazzato per qualche istante, ma si ricompose molto in fretta. Stava per replicare. Forse disse qualcosa, ma Alysse non lo sentì.
All’improvviso non lo vedeva più, non aveva idea del perché.
Infine, spalancando gli occhi di colpo, le fu tutto chiaro. Alex non era con lei, non era tornato, non avevano parlato di Silberblitz, Jäätä e Fernandez. Era solo un suo ricordo e l’aveva rivissuto, a distanza di quasi sei anni.
Si guardò intorno, cercando di capire dove fosse. C’erano pareti bianche e un odore di disinfettante talmente insopportabile da rivoltarle lo stomaco. Doveva essere in ospedale, ma non aveva idea di come ci fosse finita.
Non era sola. Un paio di occhi di un azzurro intenso la fissavano. Appartenevano a un ragazzo biondo sui vent’anni, che chissà da quanto tempo si trovava in quella stanza.
«Alysse?» le chiese.
«Alysse» gli confermò.
«Mi chiamo Junior» rispose il ragazzo, «E credo di sapere chi sei.»
«Ju-junior» mormorò Alysse, che conosceva quel nome. «Sei chi penso io? Come sei arrivato qui?»
«Non ha importanza» replicò il ragazzo. «Quello che conta è che tu stia bene. Penso che ci stiano usando come cavie. Ti ricordi cos’è successo?»
Alysse si sforzò di scavare nel buio che aveva dentro di sé.
«Qualcuno mi è venuto addosso, credo» rispose. «Non so chi abbiano usato come cavia, ma non me. Mi ci sono ritrovata in mezzo. L’incidente non è partito da me.» Si rese conto con orrore di avere appena rivelato a quel ragazzo di essere una dei piloti della A+ Series, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. Comprese che anche Junior doveva essere uno di loro. «Vai via, prima che qualcuno ti veda insieme a me» gli suggerì. «Potrebbe essere pericoloso. Siamo totalmente nelle loro mani, e forse non solo quando siamo in pista. Ti prego, fai attenzione. È quello che tuo padre, molto tempo fa, disse a me.»

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Capitolo 9
*** Bandiera rossa ***


Era ormai ora di abbandonare il circuito. Il gran premio era terminato già da qualche ora e, con esso, anche le formalità legate alle competizioni. Le interviste post-gara erano già finite da tempo e non c’erano più piloti ad aggirarsi per il tracciato di Al Sakhir, sul quale si era svolto il quarto evento del mondiale 2021/22. La vittoria era andata ad Argento Quattro, seguito da Viola Cinque e Rosso Ventotto, tutti scampati ai danni che si erano consumati in quella folle gara disputata sul layout esterno. Raccontare il gran premio per filo e per segno non sarebbe stato facile e Ryuji Watanabe si ritrovò a constatare che, per fortuna, la narrazione lineare di ciò che succedeva in pista non era compito suo. La A+ Series sapeva essere un caos, anche inteso in senso assolutamente neutro.
Si stava ancora aggirando per la pista, cercando di valutare i fatti di quella sera da una prospettiva più distaccata. Il pilota di Indycar che era in lui tentava di convincersi che tutto fosse stato dettato dal caso, ma sapeva bene che si trattava di una stupida illusione. Ben poco era successo per caso, durante la gara, forse anche lo stesso incidente che aveva innescato la bandiera rossa. Interrompere la gara per rimuovere la vettura danneggiata non era stata un’idea terribile, ma Ryuji riteneva molto probabile che proprio la possibilità di avere un’interruzione che rimescolasse le carte in tavola avesse fatto sì che il primo incidente fosse pilotato dall’altro.
Per quanto riguardava la carambola che, al restart, aveva messo fuori numerosi concorrenti, i sospetti si trasformavano invece in una certezza. Tra i principali contendenti al titolo solo Rosso Ventisette era uscito di scena in quella circostanza, insieme ad altri quattro piloti. Ryuji non aveva idea di che cosa si fossero inventati dall’alto, ma qualcosa doveva essere accaduto.
Era talmente immerso in quei pensieri velatamente macabri che quasi non si accorse di Yannick alle sue spalle. Il suo vecchio amico fu costretto a chiamarlo diverse volte per attirare la sua attenzione. Solo a quel punto Ryuji si girò verso di lui.
«Anche tu ancora qui?»
«Già, anch’io ancora qui. Adesso, però, è meglio che vada.»
Ryuji si guardò intorno.
«Sei da solo?»
«Sì, perché?» replicò Yannick. «Chi ti aspettavi di trovare insieme a me?»
«La signorina Mercier, forse.»
«Signora Mercier.»
«È sposata?»
«Non più.»
Ryuji immagazzinò quell’informazione. Avrebbe cercato di verificare se esistesse la possibilità che Alysse Mercier fosse la persona che gli aveva ricordato al momento del loro primo incontro. Era un’Alysse con un cognome diverso, quella che aveva conosciuto molto tempo prima, ma il fatto che l’amica di Yannick avesse avuto un marito cambiava le prospettive: era plausibile che Mercier fosse il cognome di lui, non quello che portava fin dalla nascita.
«Non la vedo con te, comunque» osservò, cercando di non destare sospetti. «Dov’è andata a finire? Si è già stancata di averti intorno?»
Yannick scosse la testa.
«No, assolutamente. O meglio, non credo. Sarà già andata via, non so, forse aveva un volo per rientrare in Europa.»
«Ne deduco che Alysse sia europea. Lo sospettavo fortemente, ma effettivamente non le ho chiesto di dove fosse. L’accento sembra italiano, ma il cognome è francese.»
«Alysse è nata in Italia da padre italiano e madre francese» confermò Yannick, «Dal momento che ci vediamo soltanto nelle settimane e nei weekend di lavoro, non saprei dirti esattamente dove abiti. In ogni caso, da qualche parte, in giro per l’Europa.»
Tutto tornava: il cognome francese, nonostante il padre italiano, lasciava intuire che Mercier fosse proprio il cognome del marito, qualunque fosse la fine che aveva fatto. Anche la ragazza che Ryuji aveva incontrato molto tempo prima era italiana. Si sentiva sempre più convinto che si trattasse della stessa persona.
Non poteva approfondire quell’aspetto, quindi cercò di porre a Yannick domande del tutto normali.
«Non vi siete neanche sentiti?»
«No.»
«Vi mettete in contatto l’uno con l’altra solo quando volete vedervi?»
«In realtà non so cosa sia successo» ammise Yannick. «Di solito Alysse mi risponde. Stavolta non l’ha fatto. Forse non ha letto i miei messaggi. Anzi, sicuramente non li ha letti, l’applicazione me li dava come consegnati regolarmente, ma non visualizzati.»
«E tu non ti sei dato da fare per cercarla, ovunque fosse?»
«Io e Alysse non siamo fidanzati. Diciamo che è una partner occasionale... e con questo non voglio dire che io abbia anche altre donne e lei altri uomini. O quantomeno, io non ho altre donne, non so cosa faccia Alysse quando non è con me. La regola è non farci troppe domande.»
«Insomma, è una sorta di amante» dedusse Ryuji. «Nessuno dei due si vuole impegnare, mi pare di capire.»
«Non è tanto questione di volontà» obiettò Yannick. «Entrambi abbiamo una vita abbastanza complicata, in cui è difficile incastrare il lavoro nella A+ Series con l’avere una relazione. Ci ho provato, in passato, ma non è andata molto bene. Una fidanzata si aspetta di sapere che lavoro fai e per chi. Noi, qui, non possiamo raccontare molto di noi.»
«Figuriamoci i piloti.»
A Ryuji parve che Yannick si irrigidisse.
«Come dici?»
«No, niente, lascia stare. Stavo pensando che, se già è difficile per noi che non siamo piloti, deve esserlo molto di più per loro. Quantomeno noi possiamo rivelare la nostra identità, i piloti non possono raccontare a eventuali partner di essere piloti della A+ Series. La maggior parte di loro fingono di essere gente che ha lasciato le corse molto tempo fa.»
«Una volta eri un pazzo scatenato, adesso sei una persona ragionevole che si commuove per le sorti dei piloti costretti a mantenere segreta la loro identità» ribatté Yannick. «Cos’è successo? Chi sei veramente? Dove hai messo quel Ryuji Watanabe che conoscevo io?»
Ryuji ridacchiò.
«Crescendo, sono anche diventato adulto.»
«Mi pare un’ottima cosa.»
«Anche tu, a quanto vedo. Una volta inseguivi il vero amore, adesso insegui amanti occasionali che non sai neanche dove vivano.»
Yannick aggrottò le sopracciglia.
«Inseguivo il vero amore? Non mi pare, ai tempi inseguivo vittorie nelle formule minori, più che altro.»
«Andavi forte» osservò Ryuji. «È un peccato che tu abbia smesso. Con i giusti sponsor, saresti riuscito a fare una gran carriera.»
Yannick alzò le spalle, con indifferenza.
«È inutile parlare di quello che non è stato.»
«Hai ragione, parliamo del gran premio. Cosa mi dici di Argento Quattro?»
«Non lo so, cosa dovrei dirti?»
«Ha fatto una bella gara, non trovi?»
Yannick annuì.
«Sì, possiamo dire che abbia fatto una bella gara. Non entrerà negli annali, ma solo perché c’è stato un gran casino e nessuno ha fatto caso a lui, che praticamente è stato in testa dall’inizio fino alla fine. Purtroppo spesso le belle performance passano inosservate perché nel frattempo succede qualcosa di caotico che distoglie l’attenzione dal leader.»
«In effetti di confusione ce n’è stata parecchia» convenne Ryuji. «Il momento più pittoresco è stato quando Nero Trentacinque se n’è andato in giro per parecchie tornate con l’ala anteriore penzolante, senza che la direzione gara avesse nulla da ridire.»
«Cosa c’era di così pittoresco?»
«Niente, ma era una scena tragicomica. Sembra quasi che tutto ciò che può provocare un incidente sia ben accetto. Un tempo a Trentacinque sarebbe stata esposta senza troppi complimenti la bandiera nera con il cerchio arancione, per segnalargli che doveva rientrare ai box a sostituirla.»
«Ti sembra strano?»
«Certo che sì.»
Yannick confermò: «Lo è, ma non è niente di diverso da quello che accade di solito nella A+ Series. Per te che non ci sei abituato, può apparire tutto bizzarro, ma è così che funzionano le cose qui da noi. Hai passato troppo tempo in America, ti sei abituato troppo alle consuetudini del campionato di Indycar.»
«Le vetture di Indycar sono decisamente più solide di quelle della A+ Series» puntualizzò Ryuji. «È difficile che possa accadere quello che è successo a Trentacinque.»
Yannick cambiò argomento.
«Per quanto riguarda gli altri incidenti, invece, tutto regolare: gente che va a sbattere, obbligo di dare bandiera rossa e poi, alla ripartenza, gente che non ha ancora capito come si parte che non fa altro che andare a sbattere da tutte le parti. Per fortuna almeno i piloti più importanti sono riusciti a salvarsi e a proseguire.»
Ryuji obiettò: «I piloti più importanti, eccetto Rosso Ventisette.»
Yannick rise.
«Rosso Ventisette non è importante.»
«È il pilota che guida la vettura più rinomata e con il numero di gara più suggestivo» gli ricordò Ryuji. «Non puoi dire che sia uno qualsiasi.»
«Questo Ventisette non è al livello del precedente Ventisette.»
«A proposito, Santiago Fernandez prenderà parte alla prossima edizione della Cinquecento Miglia di Indianapolis, è stato ufficializzato poco fa.»
«Cosa c’entra Santiago Fernandez?»
«Ormai non sembra più un segreto. Era lui che, nelle passate stagioni, si nascondeva dietro all’identità di Rosso Ventisette.»
«Non seguo questi pettegolezzi di poco conto» rispose Yannick, «Ma non mi stupisce che fosse proprio Fernandez. Era un pilota valido e competitivo, si vedeva che era un vincente, anche se non è mai riuscito a vincere un mondiale in A+ Series. Però ne ha vinti tre prima, nel vecchio campionato. Se solo la gente avesse saputo chi era davvero, l’avrebbe venerato come una divinità ultraterrena.»
«È difficile credere che possa succedere, ma perché no?» replicò Ryuji. «In fondo ormai ci stiamo abituando alla glorificazione dei colori e dei numeri, ma non è sempre stato così. Un tempo i piloti venivano amati o odiati per quello che erano, non per il colore della loro vettura o della loro tuta. O meglio, spesso venivano amati o odiati per il colore della loro vettura e della loro tuta, dato che c’era molto attaccamento alle scuderie, ma avevano comunque un grande riconoscimento. Erano bei tempi, in fondo, è un vero peccato che tutto sia andato a finire così.»
«Penso che ciascuna forma di motorsport abbia i propri pregi e i propri difetti» obiettò Yannick. «È vero, questi piloti impersonali non sono amati o odiati per quello che sono, di solito, ma possono comunque provare a metterci del loro. Prendi Argento Quattro, per esempio. Parlo solo di quello attuale, non quello che è scappato a gambe levate dopo il titolo e si dice che adesso sia diventato un influencer. C’è chi lo ama e chi lo odia, ma non certo perché guida un’auto grigia.»
«Capisco quello che vuoi dire» confermò Ryuji, «Ma non è comunque più come una volta. Argento Quattro riesce a farsi apprezzare o detestare per il modo in cui si comporta. È sempre pacato, ma si intravede benissimo fino a che punto sappia essere stronzo. È un pilota scorretto e antisportivo, che cerca comunque di non mettersi mai troppo in cattiva luce, e quando scende dalla macchina continua a comportarsi allo stesso modo.»
«Meglio un pilota antisportivo che riesce a mascherare le proprie scorrettezze, piuttosto che un pilota caotico che fa danni solo perché non sa contenersi. L’attuale Ventisette appartiene a quella categoria, così come Ventotto. Certo, è stato bello vederli cozzare l’uno contro l’altro la scorsa volta in Brasile, ma al di là di questo non penso abbiano molto altro da offrire.»
«È stato bello, dici?»
Per qualche istante Yannick rimase in silenzio, come spiazzato, poi corresse il tiro: «Voglio dire, è stato sicuramente bello per i loro detrattori.»
«E tu sei uno di loro?» azzardò Ryuji.
«Non ho mai tifato Ferrari e, per estensione, non riesco ad apprezzare le monoposto rosse allo stesso modo in cui vengono apprezzate da un terzo degli appassionati di competizioni a ruote scoperte.»
«So che non tifavi Ferrari. Ti ho solo chiesto se sei un detrattore di Rosso Ventisette e Rosso Ventotto, perché lo sembravi, da come parlavi.»
Yannick accennò un sorriso.
«Vedi, Ryuji, sono qui perché sono affiliato a una squadra, e non è quella per cui corrono Ventisette e Ventotto. Tutto ciò che posso dire è che li considero avversari. Più danni fanno, ovviamente senza fare male a sé stessi o agli altri, più la squadra con cui ho a che fare lo considera un vantaggio. Mi rendo conto che sia brutto screditare piloti senza un motivo ben preciso, ma personalmente non scredito nessuno: mi limito ad affermare che non hanno quello che serve per lottare ad armi pari con Argento Quattro, a titolo di esempio. E prima che tu me lo chieda, no, nemmeno Viola Cinque è alla sua altezza. Alcuni piloti dello stesso livello ci sono, forse addirittura migliori, ma non gareggiano per le squadre di primo piano. Prendi Arancione Otto. Per me è il migliore in assoluto, mentre anche Verde Quindici non se la cava male, nonostante gliene dicano di tutti i colori. Anche Blu Ventuno non è da sottovalutare, se fosse in una squadra di primo piano probabilmente distruggerebbe tutti. Invece, essendo costretto al centro dello schieramento, non fa altro che cercare di farsi largo a sportellate, beccandosi le critiche di quelli con cui ha a che fare. Questo, almeno, è il mio parere. Tu, invece, cosa ne pensi?»
«Mhm...» Ryuji non sapeva cosa dire. «Secondo me sia Ventisette sia Ventotto sono due piloti che possono puntare molto in alto.»
«Parlavo di Blu Ventuno.»
«Oh.»
«Ti vedo spiazzato, Ryuji. Mi pare di capire che tu non segua molto attentamente le gare di Ventuno.»
«In realtà seguo le gare di tutti» si affrettò a replicare Ryuji. «Ventuno è ancora giovane. Secondo me lo sposteranno in una squadra migliore, prima o poi. Deve solo avere un po’ di pazienza, così come Argento Quattro deve pazientare ancora un po’. Quello che dici è vero, tra i top driver è forse il migliore. Vincerà sicuramente il mondiale, ma non deve avere fretta.»
Yannick alzò gli occhi al cielo.
«Non puoi chiedere a un pilota di non avere fretta, specie quando potrebbe essere sostituito da un giorno all’altro. Dovresti saperlo.»

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Capitolo 10
*** Kyalami ***


La A+ Series poteva avere portato più male che bene al mondo del motorsport, ma era riuscita in un obiettivo che la Formula 1 aveva sempre fallito: disputare un mondiale che prevedesse la presenza di cinque continenti. Il ritorno in Sudafrica, location che aveva ospitato un gran premio molti decenni prima, con ultime sporadiche apparizioni nella prima metà degli anni ’90, era uno dei motivi di vanto della dirigenza. Era il primo circuito veramente nuovo per la A+ Series che veniva introdotto da tempo - in Bahrein era stato utilizzato un layout differente da quello tradizionale, ma si trattava pur sempre di una diversa conformazione di un tracciato già stabilmente utilizzato - e Alysse avrebbe tanto desiderato potervi gareggiare. Purtroppo non era possibile: aveva ancora addosso gli strascichi dell’infortunio riportato ad Al Sahkir, quando il suo alter-ego era rimasto coinvolto in uno spaventoso botto al restart.
I medici le avevano dato speranze, inizialmente, ma non c’era stato molto da fare e, ai primi di gennaio, eccola a interpretare la parte della potenziale social media manager o PR per tutta la durata del fine settimana, come veniva chiamato generalmente il periodo di tempo, spesso di una settimana intera, nel quale si svolgeva un evento del campionato. Per Kyalami era prevista una sola gara sprint, o almeno così era stata definita, con la reverse grid, lunga però quanto almeno due terzi di un gran premio convenzionale. Nonostante ciò, il punteggio rimaneva piuttosto limitato.
Vedendo la situazione dall’esterno, Alysse fu costretta ad ammettere che era molto caotica. I tifosi di vecchia data dovevano confondersi tantissimo, con punteggi che variavano di volta in volta e un format che non aveva mai un andamento lineare. In compenso, quelli di nuova generazione sembravano non avere alcun problema con tutto ciò e, anzi, si esaltavano per un nonnulla, perfino per Blu Ventuno che vinceva la sprint. Ne aveva già vinte diverse, per quanto gareggiasse per una squadra di fondo classifica, o al massimo di centro nei suoi giorni migliori, quando partiva davanti a tutti era molto difficile da superare, stesso problema a cui andavano incontro i piloti che si ritrovavano ad avervi a che fare nel corso dei gran premi. Era veloce e determinato, come se portare a casa la posizione fosse una questione di vita o di morte. In molti sostenevano che, se fosse stato piazzato in una scuderia migliore, avrebbe potuto vincere almeno un titolo, se non una serie.
Purtroppo i piloti erano legati alla scuderia alla quale venivano assegnati, a meno che non venisse deciso diversamente. I piloti delle retrovie o di centro griglia potevano ambire a un volante migliore e, se dimostravano di meritarselo e di potere contribuire alla visibilità della categoria, venivano messi nella situazione di realizzare i propri obiettivi. Purtroppo succedeva anche l’inverso: piloti abituati a considerarsi top driver potevano essere messi da parte da un giorno all’altro, senza il benché minimo preavviso, e ritrovarsi nei bassifondi, oppure senza volante. In sintesi, buona parte delle ragioni che avevano portato allo sciopero dei piloti di quarant’anni prima proprio in Sudafrica erano state riciclate dalla dirigenza e accettate senza battere ciglio da quella sorta di robot che guidavano le monoposto negli eventi della A+ Series. A pensarla in quei termini, non c’era nulla di cui andare fieri.
Alysse si tolse dalla testa quei pensieri e cercò di concentrarsi sul monitor che aveva davanti. La partenza era ormai imminente e Argento Quattro e Rosso Ventisette erano affiancati sulla prima fila. Le inquadrature andavano ancora a cercarli, nonostante ormai avessero entrambi abbassato la visiera del casco e gli occhi assorti di Quattro non fossero più visibili. Allo sguardo di Ventisette, invece, era stata riservata solo qualche inquadratura fugace, un po’ come se le sue iridi di un azzurro maledettamente brillante fossero da proteggere come un segreto di stato.
Quando gli orologi segnarono le quattordici in punto, partì il giro di formazione. Faceva sempre uno strano effetto vedere su uno schermo le monoposto che percorrevano il circuito a bassa velocità. Argento Quattro completò quella tornata e andò a posizionarsi sulla casella della pole position. Al suo fianco, Rosso Ventisette si posizionò lievemente girato, un po’ come se fosse già pronto per andare a tentare di tagliare la strada all’avversario, strategia che tendenzialmente non aveva molto effetto e che, anzi, portava il pilota che la metteva in pratica a correre il rischio di non coprirsi abbastanza le spalle da chi aveva dietro di sé.
Le monoposto delle retrovie non si erano ancora posizionate, un po’ come se i concorrenti di fondo classifica contassero sulla speranza che i piloti che si trovavano nelle prime file dello schieramento, dopo la lunga attesa, potessero avere più facilmente un’esitazione, o che addirittura lasciassero spegnere le proprie vetture. Il pensiero del pilota medio, infatti, era quello di potere senza alcuna difficoltà evitare ogni intoppo, senza doversi lasciare minimamente spaventare dalla possibilità di ritrovarsi davanti qualcuno che partiva al rallentatore oppure che non partiva affatto. Alysse lo sapeva bene, così come sapeva quanto fosse deleterio credere di essere al di sopra di ogni rischio, specie in un campionato in cui spesso il rischio era pilotato dall’alto, ma non c’era molto che un pilota potesse fare per liberarsi del proprio istinto.
Anche le ultime monoposto, quelle di Nero Trentasei e Nero Trentacinque, andarono a posizionarsi sulla diciannovesima e ventesima casella. Le cinque luci rosse del semaforo si accesero, una dopo l’altra. Il Gran Premio del Sudafrica era pronto a scattare.
Scattò con Argento Quattro che manteneva la leadership, nonostante il tentativo piuttosto maldestro di attacco da parte di Rosso Ventisette. Viola Cinque, che partiva dalla quarta posizione sulla griglia, nonostante fosse dal lato sporco della pista poté approfittare del fatto che Ventisette si fosse spostato dall’altro lato. L’obiettivo di Cinque era palesemente quello di sorprenderli entrambi in un colpo solo, ma non poté fare nulla contro la vettura argentata, che mantenne la testa della gara. Qualche fila più indietro, Blu Ventuno cercava di farsi notare in duello ruota contro ruota contro Rosso Ventotto che, autore di una qualifica non eccezionale, era scattato soltanto dalla quinta fila.
Argento Quattro, Viola Cinque, Rosso Ventisette, quelle erano le prime tre posizioni una volta superata la prima curva e lo rimasero per tutta la durata del primo stint. Blu Ventuno cercò di impressionare come meglio poteva, del resto impressionare sembrava essere il suo scopo principale, mentre Rosso Ventotto riuscì a risalire di alcune posizioni, portandosi sesto alle spalle di Viola Sei e Argento Tre, che procedevano al quarto e al quinto posto a una certa distanza dal terzetto di testa, che invece era ancora piuttosto compatto.
In una situazione come quella tutto avrebbe dovuto andare per il meglio, in occasione del cambio gomme, affinché le posizioni rimanessero invariate. Argento Quattro fu il primo a rientrare. I meccanici furono molto performanti e la sosta si svolse senza il benché minimo intoppo. Chiaramente tutto parlava a suo favore, c’era da aspettarsi che, dopo il rientro dei suoi diretti avversari, potesse riprendere la prima posizione senza difficoltà.
Un giro più tardi fu la volta di Rosso Ventisette. La ruota posteriore sinistra ebbe qualche difficoltà di fissaggio, un paio di secondi preziosi se ne andarono irreparabilmente. Sarebbe riuscito a conservare la posizione, quello era certo, perché le vetture dal quarto posto in poi erano molto arretrate, dato che non i primi tre avevano allungato e non vi era stato ancora alcun ingresso della safety car, ma difficilmente avrebbe potuto insidiare la seconda piazza di Viola Cinque, se per quest’ultimo fosse filato tutto liscio.
Doveva essere il giorno fortunato di Rosso Ventisette. La vettura di Viola Cinque rischiò di spegnersi, durante la sosta, e la procedura andò per le lunghe. Cinque uscì dalla pitlane in terza posizione, staccato ormai di diversi secondi da Ventisette, che invece sembrava avvicinarsi al leader. Tutto parlava contro Cinque, ormai, il resto della gara sarebbe stato verosimilmente un doversi accontentare del gradino più basso del podio.
Alysse stava iniziando a stupirsi di come tutte le vetture fossero ancora in gara e non vi fosse stato alcun incidente, ma quel pensiero non durò molto a lungo. A causa di un’improvvisa foratura, Viola Sei uscì violentemente di pista andando a sbattere contro le barriere. Scese senza difficoltà dall’auto, mentre entrava la safety car affinché un mezzo dei commissari potesse rimuovere la monoposto incidentata. Il gruppo si ricompattò e Argento Tre ne approfittò per rientrare ai box. Fu l’unico a effettuare un secondo cambio gomme, tra i piloti che contavano, e finì per perdere diverse posizioni. Rosso Ventotto era ormai risalito quarto, con alle sue spalle un Verde Quindici che, dopo non avere mai davvero convinto fin dall’inizio dell’evento, sembrava improvvisamente sul punto di mettere a tacere i suoi detrattori. Se fosse riuscito a conservare la posizione in cui si trovava in quel momento fino alla fine avrebbe concluso la gara al quinto posto.
Alysse continuò a seguire la gara con attenzione, finché una persona, all’improvviso, dietro di lei non attirò la sua attenzione posandole una mano su una spalla.
Si voltò e fu sorpresa di ritrovarsi a tu per tu con l’assistente del CEO.
«Signora Heidelberg?»
L’altra sorrise.
«Già, proprio io, in persona.»
«Cosa posso fare per lei?»
«Dovrebbe seguirmi.»
Quelle parole non promettevano nulla di positivo, per cui Alysse cercò di prendere tempo.
«In questo momento non...»
La Heidelberg la interruppe: «Il CEO vuole vederla. Se fossi al posto suo, non lo farei aspettare.»
Alysse annuì.
«No, si figuri, non intendo farlo attendere. Vuole vedermi subito?»
«Se non volesse vederla subito, non sarei qui» replicò Maelle Heidelberg. «Forza, mi segua, non gli faccia perdere tempo.»
«Va bene, non gli farò perdere tempo» convenne Alysse. «Anzi, mi scusi se in un primo momento mi è sembrato strano. Non mi era mai successo prima d’ora.»
«Posso immaginare che non le fosse mai successo» confermò la Heidelberg, «Ma c’è sempre una prima volta.»
Iniziò ad avviarsi, e Alysse con lei.
«Dove dobbiamo andare?»
«Mi segua e lo scoprirà.»
Ormai erano sole, non c’era più nessuno nei paraggi, quindi Alysse si affrettò a domandare: «È successo qualcosa?»
«È successo che il CEO vuole vederla» fu la secca replica di Maelle Heidelberg. «Glielo dirà lui, quello che desidera.»
Alysse si rassegnò. Che la Heidelberg fosse o non fosse informata, non c’era mezzo di toglierle di bocca la verità.
Il CEO attendeva Alysse nell’edificio del circuito che ospitava le alte cariche della categoria. La Heidelberg la accompagnò fino a un ufficio situato in fondo a un corridoio.
«Bussi alla porta, poi entri, se il CEO la invita a farlo» la istruì. «L’incontro sarà riservato a soltanto voi due, io non ci sarò.»
Alysse la guardò allontanarsi, prima di bussare.
Il CEO la invitò subito a entrare.
Alysse abbassò la maniglia. Aveva appena scostato la porta, quando vide il CEO in piedi a poca distanza ed ebbe un sussulto.
«Avanti, entri» la esortò l’uomo. Alysse fece ciò che gli era stato ordinato e continuò a farlo quando si sentì dire: «Adesso richiuda e si sieda.»
Andarono ad accomodarsi e Alysse non poté fare a meno di chiedergli: «Come mai ha voluto vedermi? È successo qualcosa?»
«Immagino che sia stata una sorpresa, per lei» convenne il CEO. «Non avrei voluto spaventarla. Vorrei solo parlare della situazione che si è venuta a creare dopo il suo infortunio.»
«Oh.» Quelle parole non promettevano nulla di buono. «Mi dispiace, ho cercato di fare del mio meglio, ma i medici mi hanno bloccata e...»
Il CEO non la lasciò finire.
«Conosco la situazione. Sono stato io a chiedere loro di bloccarla.»
Alysse spalancò gli occhi.
«Che cosa?!»
«Ha sentito benissimo» ribatté il CEO. «Mi dispiace, non l’ho fatto contro di lei, ma c’era una cosa che dovevo provare. Nessuno le ruberà il volante in pianta stabile, ma volevo vedere come avrebbe potuto rendere un certo pilota al posto suo.»
«Perché?» obiettò Alysse. «Perché mi ha portato via il mio volante?»
«Come le ho detto, nessuno le ha portato via il volante» ribadì il CEO. «Dovevo fare un piccolo esperimento con il suo volante, ma lo riavrà molto presto.»
«In Malesia?»
«Vedremo.»
«Cosa farò nel frattempo?»
«Aspetterà, con pazienza.»
«Perché?» insisté Alysse. «Non ho mai fatto niente contro la categoria.»
«E infatti non mi pare di averla accusata» replicò il CEO. «Stia tranquilla, Alysse, presto riavrà ciò che le spetta.»
«Immagino di poterle chiedere, almeno, perché mi sta dicendo la verità.»
«Perché non era giusto nasconderglielo.»
«O perché vuole che io sappia di essere assoggettata al suo potere?»
«Questo lo sapeva già, Alysse. Non si preoccupi. Presto potrà tornare a occupare il suo ruolo. Al momento, però, non posso darle certezze per Sepang. D’altronde lo sa, nel motorsport non vi sono mai certezze.»
Non vi erano nemmeno in termini di risultato, avrebbe saputo una volta uscita dall’ufficio del CEO: un incidente tra Argento Quattro e Rosso Ventisette aveva spianato la strada della vittoria per Viola Cinque, con Rosso Ventotto e Verde Quindici a completare il podio. Qualcuno, nel frattempo, insinuava che il Verde Quindici di Kyalami non guidasse come quello visto in pista fino a quel momento, ma ovviamente non vi erano certezze nemmeno in tal senso.

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Capitolo 11
*** Sepang ***


Il CEO era soprappensiero. Affacciato alla finestra a scrutare il cielo, non si accorse di Maelle Heidelberg già all’interno della stanza. Non era possibile che fosse entrata senza segnalare la sua presenza, perciò non le chiese nemmeno se avesse dimenticato di bussare.
Da parte sua, Maelle gli domandò, centrando subito il punto: «Per caso sta tenendo d’occhio le nubi, direttore?»
Non gli capitava spesso di sorridere spontaneamente, se non nei casi in cui era molto compiaciuto. In quella situazione, tuttavia, il suo sorriso fu dettato da ragioni più “umane”. Maelle stava diventando brava a coglierlo di sorpresa.
«Sì, tengo d’occhio le nubi, un po’ come i tifosi che sperano in una gara bagnata.»
«Il radar dice che non cadrà pioggia.»
«Lo so.»
«È un vero peccato» osservò Maelle. «Non sarebbe il caso di iniziare a prendere sul serio l’idea degli irrigatori artificiali?»
«No, non mi piace l’idea degli irrigatori artificiali» obiettò il CEO. «Le squadre potrebbero in qualche modo arrivare preparate.»
«Anche alla pioggia possono arrivare preparate» replicò Maelle.
«Capisco quello che vuole dire e, lo ammetto, non mi dispiacerebbe affatto l’idea di avere gare bagnate in cui i piloti siano costretti a gareggiare con gomme da asciutto. È dall’inizio della stagione, o da poco più tardi, che non vedo l’ora che succeda. Il meteo, tuttavia, non sta mai dalla nostra parte.»
«Per questo suggerivo fosse opportuno dare una mano al meteo.»
Il CEO scosse la testa.
«Mi piacerebbe potere controllare il meteo, ma non è così. Un irrigatore artificiale non avrà mai lo stesso fascino di un temporale che arriva all’improvviso. Come avrà capito, non avrei problemi a stravolgere la storia e a cancellarla, se fosse possibile ricavarne denaro. Tuttavia non vedo come una gara bagnata in maniera artificiale possa incrementare i nostri profitti. Il fanbase invoca la pioggia, perché spera di vedere gare più caotiche oppure più incidenti. Non so se mi spiego.»
Maelle annuì.
«Si spiega, si spiega. Di per sé non è la pioggia, quella che vogliono, quanto piuttosto il caos e la possibilità che ci siano problemi, quindi bisognerebbe piuttosto lavorare costantemente su quello.»
«Esattamente» confermò il CEO. «Vogliono vedere piloti che affrontano fenomeni naturali, non un irrigatore che, per quanto ne sa il pubblico, potrebbe intervenire in maniera programmata. Non voglio una tifoseria convinta che le squadre e i piloti vengano informati in maniera preventiva dell’intensità dell’acqua e del momento esatto in cui questa arriverà sul circuito. Chiaramente, in caso di irrigatori, nessuno verrebbe informato, ma sarebbe difficile convincerne i tifosi. Per giunta potrebbero insinuare che certe squadre o certi piloti vengano favoriti con comunicazioni efficaci.» L’espressione che comparve in quel momento sul volto di Maelle Heidelberg fece comprendere immediatamente al CEO che cosa stesse per dirgli, quindi interruppe le sue proteste sul nascere. «Lo so, sta pensando che l’accusa di favoritismi comporti l’incremento dei flame e, di conseguenza, dell’interesse per la A+ Series. Me ne rendo conto anch’io, ma penso ci voglia comunque una certa dignità. Polemiche dovute a incidenti e penalità sono accettabili. Polemiche relative alla pioggia artificiale rischiano di coprirci di ridicolo. Per non parlare del fatto che c’è una ragione per cui le gare bagnate piacciono così tanto, ovvero che avvengono raramente e che non vi sia alcun possibile controllo. Si immagina se ci fosse una pioggia finta a ogni gran premio? I tifosi, per quanto trash siano, vogliono comunque vedere un po’ di poesia e non c’è nulla di romantico nella pioggia finta.»
Maelle si arrese, sfoderando un sorriso.
«Va bene, mi ha convinta.»
«Sapevo che l’avrei fatta ragionare» ribatté il CEO. «Adesso, in ogni caso, dobbiamo rassegnarci: oggi non pioverà, quantomeno durante la gara.»
«Ci vorrebbe una bandiera rossa» obiettò Maelle. «In tal caso la corsa finirebbe più tardi, per l’orario in cui è prevista una possibile perturbazione.»
«Rosso Ventisette è al comando e prosegue indisturbato, davanti ad Argento Quattro e Argento Tre» puntualizzò il CEO. «Oggi abbiamo già la nostra storia del giorno, senza doverci mettere in mezzo anche una bandiera rossa.»
«Il rosso è solo un colore e il 27 è solo un numero.»
«È un nuovo pilota che porta lo stesso numero. C’è chi lo capisce e chi approva l’idea che possa andare a conquistare la sua prima vittoria con quel colore. In più c’è chi disapprova. Lasciamo che tutto vada come deve andare. Ci sarà comunque da discutere: da un lato ci saranno i sostenitori di questo Ventisette, che affermeranno senza mezzi termini che è allo stesso livello di quello precedente, dall’altro ci saranno i suoi detrattori, convinti che quello di un tempo sia inarrivabile.»
«Nel frattempo Santiago Fernandez si appresta a diventare un pilota di Indycar.»
«Quello che fa Santiago Fernandez non mi tocca più.»
«Molti appassionati sono entusiasti della sua presenza in Indycar» puntualizzò Maelle. «Ci sono gruppi social in cui c’è gente che afferma che, per via della sua presenza in Indycar, inizierà a seguire un campionato che finora non ha mai preso in considerazione.»
Il CEO insisté: «Quello che fa Santiago Fernandez non mi tocca, così come non mi tocca quello che fanno i suoi sostenitori. Le altre categorie motoristiche non sono un nemico da annientare. Anzi, spesso ad appassionarsi a una serie sono quelli che già sono appassionati di altre categorie. Non deve interessarci se la gente disposta a spendere soldi per la A+ Series guarda le gare di Indycar o spende soldi anche per la Indycar. Tutto quello che importa è che continui a spendere soldi per la A+ Series e che non se ne allontani. Non possiamo prenderci il lusso di denigrare chi segue la Indycar o tifa per i suoi piloti, finiremmo per allontanare una parte del nostro stesso fanbase. Dobbiamo convivere con tutto ciò che non ci distrugge... e le altre categorie motoristiche, glielo assicuro, non ci distruggono. Anzi, per ogni Santiago Fernandez che se ne va, c’è un nuovo Ryuji Watanabe che diviene un nostro adepto.»
«Watanabe non era nessuno in Indycar» replicò Maelle. «Anzi, era un pilota che spesso e volentieri finiva per fare da contorno.»
«Infatti nessuno sa che Ryuji Watanabe sia divenuto un pilota della A+ Series» puntualizzò il CEO. «Non saremmo riusciti sicuramente a promuoverci grazie alla sua presenza, ma il fatto stesso che abbia accettato di gareggiare in questa categoria, fingendo di essersi ritirato dalle competizioni, significa che la A+ Series ha una rilevanza enorme.»
«Quel Watanabe è troppo scaltro, per i miei gusti.»
«No, è solo un idiota, come la maggior parte dei suoi colleghi.»
«Potrebbe riconoscere Ventisette.»
Il CEO la guardò storto.
«Che razza di idea è questa?»
Maelle precisò: «Voglio dire, potrebbe essere in grado di capire chi sia che sta disputando questo gran premio con quei colori.»
«Nessuno lo capirà» tagliò corto il CEO, «E in ogni caso nessun pilota potrà parlarne. Watanabe se ne resterà in silenzio, come prevede il suo contratto con la A+ Series. Comunque non si preoccupi, nessuno si è nemmeno reso conto che i quattro titoli consecutivi vinti da Viola Cinque non sono stati vinti dallo stesso pilota.»
«Nessuno può parlarne apertamente» ribatté Maelle. «Non possiamo avere la certezza assoluta che nessuno sappia.»
«Non possiamo averne la certezza assoluta, ma i pettegolezzi prima o poi giungono anche alle mie orecchie. Le assicuro che non mi è mai giunta alcuna voce su una presunta sostituzione di Viola Cinque nel corso della sua striscia vincente. Sono passati diversi anni, ormai. Se nessuno ha capito, possiamo avere relative certezze a proposito di molte altre sostituzioni. Non dobbiamo preoccuparci, se non in una sola circostanza, ovvero quando i nostri ex piloti decidono di rivelare segreti compromettenti, non avendo più niente da perdere. Convincerli a tacere, tuttavia, non si rivela mai così tanto complicato. Possiamo stare sicuri, Maelle, le assicuro che siamo in una botte di ferro e vi rimarremo molto a lungo.»
Maelle sospirò, poco convinta.
«Se lo dice lei.»
«Non veda sempre tutto così nero» la esortò il CEO. «Anche il cielo lo è, in questo momento, ma non cade una sola goccia di pioggia. A volte le nubi sono soltanto nubi.»
Inaspettatamente, Maelle si mise a ridere, senza dargli alcuna spiegazione.
Il CEO le domandò: «La cosa la diverte?»
«No» rispose Maelle, «Solo, non mi aspettavo fosse capace di un pensiero così poetico.»
«Devo esserne impressionato, oppure offeso?»
«Non volevo certo offenderla. Anzi, mi scusi se le sono scoppiata a ridere in faccia.»
«Non c’è nessun problema, Maelle» la rassicurò il CEO. «Anzi, sono felice di scoprire che abbia anche un lato umano.»
Maelle obiettò: «Parliamo spesso degli aspetti meno tecnologici del motorsport. Avrebbe dovuto capire che sono umana già molto tempo fa.»
«Più che umana, a volte mi sembra disumana» ribatté il CEO. «Sono certa che, mentre è qui che mi parla, stia pensando che un bell’incidente mortale renderebbe questo gran premio decisamente più movimentato e spettacolare.»
«No, affatto» replicò Maelle. «Personalmente non ritengo gli incidenti mortali il punto di partenza per avere spettacolo. Mi limito a rendermi conto una certa fetta di fanbase ne sia convinta. Quando lavoravo come social media manager, mi capitava spesso di vedere i commenti dei tifosi. Ce n’erano che stilavano classifiche di quali piloti avrebbero preferito vedere morire o infortunarsi gravemente. Altri si limitavano ad augurarsi la morte degli avversari diretti dei loro idoli. Non importa come la penso io, che cosa faccia battere il mio cuore quando vedo una gara. Anzi, per me le gare sono solo lavoro, ormai. Non nego che l’automobilismo mi abbia sempre affascinato e che il mio stesso mestiere sia ragione di soddisfazione, per me, ma non è intrattenimento. Ho scelto di dedicare la vita alla mia professione, non certo di dedicarla alla A+ Series in sé. Le opportunità mi hanno portata qui, ma ci sarebbero state altre opzioni altrettanto gratificanti, per me. Non mi interessa davvero se Rosso Ventisette vincerà oggi, né se sia più o meno veloce di quello ufficiale, né mi interessa se alla fine di questa giornata sarà vivo o morto. Tutto quello di cui mi importa è che Rosso Ventisette, insieme ai suoi diciannove colleghi, possa generare introiti per la categoria. Non mi interessa nemmeno quale percentuale del pubblico sarà soddisfatta dal risultato con cui finirà il gran premio di oggi, quello che conta davvero è che l’attenzione rimanga alta. Lo sa anche lei, d’altronde: una grande fetta di tifosi vorrebbe vedere un pilota in rosso vincere il mondiale, ma ci guardiamo sempre bene dal dare soddisfazione a quella tifoseria. Puntualmente, ogni anno, si illudono di un titolo mondiale destinato a non arrivare mai. Puntualmente si dicono delusi, disgustati dagli avversari, convinti di essere vittime di un complotto. Però rimangono legati alla A+ Series, legati ai colori che sostengono. Lo resteranno almeno fino al giorno in cui uno tra Ventisette e Ventotto realizzerà il loro sogno. Certo, rimarranno anche dopo, su questo non ho dubbi, così come rimarrebbero anche se vedessero i loro idoli vincere quattro o cinque titoli uno dietro l’altro, ma perché cambiare le cose? Il loro obiettivo, a parole, è assistere alla vittoria del campionato da parte della loro scuderia del cuore, ma la realtà è che sono abituato a vederla perdere.»
«La sua analisi delle dinamiche del campionato riesce a spiazzarmi ogni volta.»
«Il campionato, di per sé, è spiazzante.»
«Lei crede?»
«Non per noi, ma per chi lo vede dal di fuori.»
Il CEO obiettò: «Considerato quanto sia elevata la percentuale di presunti appassionati che danno più peso al colore del farfallino di Hamster Gangster ai concerti che non a quello che succede in pista, non sono sicuro che sia così spiazzante. Forse, per farli rimanere spiazzati, basterebbe far vedere loro Hamster Gangster vestito in modo sobrio, come effettivamente si veste quando non deve esibirsi.»
Maelle osservò: «Hamster Gangster è un bel ragazzo. È un vero peccato che spesso se ne vada in giro conciato come un pagliaccio.»
«Non per noi e per le nostre casse» ribatté il CEO. «Comunque, Maelle, riesce sempre a stupirmi. Non pensavo fosse il tipo di persona che si focalizza sulla bellezza esteriore delle persone, né che la notasse quando le si presenta davanti.»
«Perché, lei non è colpito dalle belle donne?»
«In minima parte.»
«Cosa significa?»
«Significa che un sacco di uomini potenti e facoltosi finiscono per utilizzare il proprio potere e i propri soldi per attirare a sé una donna di bell’aspetto - o più, magari saltando dall’una all’altra - con la quale finiscono per deconcentrarsi e non focalizzarsi più su quello che conta davvero. Se mi sta chiedendo se ho una vita sessuale attiva...»
Maelle lo interruppe: «Oh, no, non mi permetterei mai!»
Il CEO la ignorò: «Sì, ogni tanto scopo, però contare milioni è infinitamente più emozionante che avere un orgasmo. Ci sono uomini convinti che avere una mantenuta di bell’aspetto con cui andare a letto e che penda dalle loro labbra sia la parte migliore dell’avere tanti soldi. Io non sono come loro: la parte migliore dell’avere i soldi, è avere soldi. C’è chi pensa che il massimo dell’ambizione sia potere controllare una compagna facendola vivere nel lusso. Li trovo ridicoli. Non hanno idea di come ci si senta nel controllare un campionato di automobilismo, chiunque ci lavori e l’esistenza stessa di ciascun pilota. Per quanto mi riguarda, quegli uomini possono pure rimanere davanti alla TV a guardare Rosso Ventisette che vince il Gran Premio della Malesia per poi andarsene a scopare con le loro mogli o fidanzate subito dopo la bandiera a scacchi. Non li invidio. Anch’io potrei fare quello che fanno loro, da un momento all’altro. Nessuno di loro, tuttavia, potrebbe mai fare quello che faccio io.»

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Capitolo 12
*** Il nuovo eroe ***


Alcuni piloti sembravano nati per trascinare le folle, un concetto che poteva apparire la normalità in qualunque categoria motoristica, ma non nella A+ Series. Anche dall’altra parte dell’oceano, quando gareggiava con il suo vero nome, Ryuji Watanabe, Rosso Ventotto aveva visto quel tipo di attaccamento, ma aveva sempre ritenuto impossibile che un simile fenomeno potesse essere replicato laddove l’identità dei piloti rimaneva celata.
Dopo il suo passaggio in quella che comunque veniva considerata la massima categoria, si era dovuto ricredere e, ancora una volta, doveva ricredersi mentre il pubblico acclamava il suo compagno di squadra Rosso Ventisette, che svettava sul gradino più alto del podio. Era la prima vittoria, quantomeno con quel colore e con quel numero, per quel Ventisette e, chissà, forse sarebbe rimasta l’ultima.
Quegli ultimi due eventi non erano stati per niente facili per Ventotto. Era riuscito ad artigliare un’insperata seconda posizione in Sudafrica, mentre avrebbe lasciato la Malesia con una quarta posizione ottenuta a fatica, dopo un acceso duello con Rosso Ventuno che, ormai stanco di farsi notare soltanto le gare con reverse grid, nelle quali superava senza difficoltà la metà più lenta dello schieramento, dietro alla quale si apprestava a partire, risalendo fino alle posizioni di spessore, la domenica lottava senza alcun timore reverenziale contro piloti molto più altolocati di lui.
Nel frattempo Ventisette aveva lottato per la vittoria a Kyalami, prima di uscire di scena per una manovra controversa avvenuta tra lui e Argento Quattro - si erano accusati a vicenda dell’incidente, ma i commissari avevano deciso di lasciare correre, probabilmente sperando che la faccenda avesse risvolti polemici sui social media - mentre a Sepang era riuscito a imporsi davanti alle vetture argentate di Quattro e Tre. Sul podio appariva composto, ma faceva cenni al pubblico, mentre veniva acclamato. Sembrava sentisse di essere un eroe.
Quando la cerimonia di premiazione terminò, passò alle interviste insieme ai due colleghi in argento. Rosso Ventotto attese pazientemente che tutto fosse finito. Voleva complimentarsi con il compagno di squadra per la sua performance altisonante. Non gli faceva piacere essere andato molto più lento di lui per due gran premi consecutivi, ma aveva sempre saputo riconoscere il merito e il talento altrui. Non sapeva come l’avrebbe presa Ventisette, se gli avesse messo di fronte la verità, perciò aveva deciso di non esporsi troppo.
Attese di incontrarlo ed esordì, senza mostrare troppa emozione: «Sei stato fantastico. Oggi li hai messi in fila, quei due.»
Ventisette annuì.
«Sì, è andata bene, lo ammetto, anche se siamo stati fortunati che Viola Cinque e Viola Sei abbiano avuto dei problemi. Dove hanno finito?»
«Qualche posizione più indietro di me.»
«Tu, invece, avevi Ventuno attaccato al fondoschiena, mi hanno detto.»
«Già» borbottò Rosso Ventotto. «Quel ragazzino va davvero forte.»
Rosso Ventisette ridacchiò.
«Come sai che è un ragazzino?»
«Si vede che è giovane.»
«Ti ricordo che corre nella A+ Series da molti anni, ormai.»
«Dipende quanti anni aveva quando ha debuttato» puntualizzò Rosso Ventotto. «Si dice che probabilmente sia stato il più giovane debuttante della storia della categoria.»
Ventisette gli ricordò: «Questo non lo sapremo mai. Si raccontano un sacco di storie, ma non è detto che siano vere. Conosci la leggenda metropolitana secondo cui sarebbe in realtà il figlio di un backmarker della vecchia Formula 1, addestrato fin dall’infanzia per divenire un campione e vendicare quindi i risultati non troppo esaltanti del padre?»
«Eccome se la conosco, ma non ho idea di chi abbia messo in giro questa voce» ammise Ventotto. «In ogni caso, è un pilota velocissimo. Ti assicuro che è uno dei migliori, tra quelli attualmente presenti sulla griglia. Se la giocano lui e Arancione Otto, anche se...» Esitò, ma poi decise di andare fino in fondo. «Anche se non sottovaluterei Verde Quindici.»
«Verde Quindici?» ripeté Rosso Ventisette.
«Non quello che ha disputato l’evento di Kyalami e questo» puntualizzò Rosso Ventotto, guardandolo negli occhi azzurri brillanti. «Era un altro pilota.»
«Ha ottenuto un podio, la scorsa volta.»
«Un podio che nessuno attribuirà mai a lui.»
«Così è la A+ Series.»
«È uno dei tester, ne sono sicuro» insisté Rosso Ventotto. «L’hanno messo al volante provvisoriamente, forse quello vero tornerà al proprio posto.»
«Sì, il vero Quindici tornerà al proprio posto» confermò Rosso Ventisette. «Ovunque sia ora, tornerà alla sua vettura verde e al suo sperare ogni volta che qualcuno dei piloti di testa sia un flop, in modo da potere puntare a qualche buona posizione vacante.»
Ventotto abbassò lo sguardo.
«Non deve essere una bella prospettiva.»
Ventisette azzardò: «Cosa, tornare a guidare invece di stare a piedi?»
«Non sono convinto che Quindici sia a piedi, adesso» replicò Rosso Ventotto. «So che potrei apparire scortese, ma credo di sapere dove...»
Rosso Ventisette lo interruppe: «Non importa dove sia il vero Quindici adesso. Tu non sei nella A+ Series da tanto, vero?»
«È la mia seconda stagione.»
«Allora forse non ti è ancora chiaro. Sei sempre stato Rosso Ventotto.»
«Cosa non mi è chiaro?»
«Che nessuno di noi è un vero o un finto numero o colore. A nessuno importa di chi siamo davvero, siamo solo il nostro involucro. Hai visto come mi acclamavano, prima, mentre stavo sul podio? Non acclamavano me, acclamavano solo la tuta che indosso e il numero che porto.»
«Non sarebbe stato diverso ai vecchi tempi, quelli della Formula 1. Siamo vestiti di rosso, come i piloti della Ferrari ai tempi. Anche loro venivano amati quasi solo ed esclusivamente perché erano piloti Ferrari, dai loro tifosi.»
«Una volta che lasciavano la Ferrari, però, venivano visti o come traditori o come vecchi bolliti che avrebbero dovuto ritirarsi. In alternativa, se erano stati disprezzati quando guidavano la Rossa perché non ritenuti abbastanza competitivi, poteva capitare che venissero apprezzati se passavano in qualche team di centro griglia che non dava disturbo alla Ferrari. Che cosa ne sarà di noi, invece? Quando non saremo più al volante di una vettura rossa, la gente faticherà a distinguerci dai nostri successori, così come fa fatica a distinguerci dai nostri predecessori. Non si ricorderà di noi, nemmeno per scaricarci addosso odio e frustrazione. La A+ Series significa questo: non essere più persone, ma soltanto dei manichini votati all’intrattenimento del pubblico. Per compiacere chi ci guarda dobbiamo gareggiare, vincere, o all’occorrenza morire. Non siamo niente di più.»
«Sei così drastico.»
«Solo solo realista.»
«Allora, senza offesa, perché rimani?»
«Perché la Formula 1 era il mio sogno, fin da quando ero bambino e vedevo Silberblitz vincere titoli mondiali. La A+ Series è ciò che le somiglia di più al mondo.»
Rosso Ventotto scosse la testa.
«No, non le somiglia, è quello che vogliono farci credere.»
«L’hanno trasformata nella A+ Series, di fatto» insisté Rosso Ventisette. «È la sua diretta discendente. So che esistono altre categorie e che un pilota saggio sarebbe già scappato a gambe levate verso nuovi orizzonti. Io, però, non sono un pilota saggio. Sono ancora quel bambino che sognava, un giorno, di guidare una monoposto rossa, come Silberblitz.»
«E adesso che la guidi» volle sapere Ventotto, «Per caso ti senti appagato? Non mi pare, da quello che hai detto.»
«La vita non è fatta solo di appagamento» sentenziò Ventisette. «Non sarò mai come Silberblitz, non vincerò mai tanti titoli quanto lui e non ne vincerò nemmeno uno in tuta rossa. Nessuno si ricorderà di me, nessuno saprà mai che faccia io abbia. Però è tutto quello che posso avere. Ho cercato di fare del mio meglio, sempre, fin dal primo giorno, anche quando ho capito che quella vecchia categoria che un tempo sognavo non esisteva più. Cosa importa, adesso, se quando ero ragazzino speravo un giorno di vincere a Monza e di essere acclamato dai tifosi della Ferrari? Anche se, lo ammetto, il top non sarebbe stato vincere a Monza con una Ferrari, ma con una squadra che nessuno prendeva in considerazione, da outsider. Me la immaginavo così, a volte, la mia prima vittoria: uno sconosciuto che, per uno strano scherzo del destino, si ritrova a vincere a Monza, un giorno in cui le Ferrari sono escluse dalla lotta per il primo posto. Un rivale che vince a casa della Ferrari verrebbe fischiato e screditato, un outsider no, almeno fintanto che viene considerato innocuo.»
C’era un che di poetico, in quello che Ventisette gli stava raccontando. Non importava il colore degli occhi, non importava che questo fosse più alto, Ventotto poteva comprendere perfettamente già dalla sua personalità e dalle sue parole di non essere di fronte al suo solito compagno di squadra. Il pilota che era stato al suo fianco, sull’altra monoposto di colore rosso, in Sudafrica e in Malesia era una persona molto diversa, oltre che un pilota molto più competitivo e dotato. Con tutto il rispetto per il Ventisette visto in pista nella prima parte della stagione, Ventotto era convinto di essere di fronte a un potenziale campione del mondo. Chissà, magari aveva già vinto un mondiale, anche se non poteva chiederglielo. Decise comunque di osare, di spingersi un po’ più in là di dove fosse tradizionalmente consentito.
«Tu eri Verde Quindici, vero?»
L’altro non tentò nemmeno di negare.
«Come l’hai capito?»
«Tu non sei il mio compagno di squadra e quel Verde Quindici che è andato a podio la scorsa volta non era il solito Verde Quindici. Non è stato difficile fare due più due. Certo, mi verrebbe da chiedermi che fine abbia fatto il Rosso Ventisette che era mio compagno di squadra fino a qualche tempo fa, ma dubito che tu conosca la risposta.»
«Tornerà.»
«Quindi, invece, conosci davvero la risposta. Wow, interessante.»
«No, non so dove sia l’altro Ventisette, adesso» chiarì Verde Quindici/ Rosso Ventisette. «Il CEO mi ha convocato prima del Gran Premio del Sudafrica, mi ha detto che sarei stato spostato in un altro team, per breve tempo. Immagino che l’altro Ventisette si sia infortunato in quell’incidente in Bahrein. Però, non preoccuparti, non deve essere niente di grave. Presto tornerà al suo posto.»
«Lo spero.»
Quindici/ Ventisette ridacchiò.
«Vuoi liberarti di me?»
«No, non voglio liberarmi di te, figurati» ribatté Ventotto. «Anzi, lo ammetto, mi sembri un tipo simpatico. È solo che, in fondo, ammetto di volere bene all’altro Ventisette.»
«Non sai nemmeno chi sia.»
«È Ventisette. Sono abituato a vederlo in tuta e casco, così come Ventisette vede me in tuta e casco. Una volta mi ha detto che immagina che io abbia i capelli sparati in aria con le punte tinte di blu. Io stesso, di tanto in tanto, cerco di immaginarmelo, di figurarmi come possa essere a partire dai suoi occhi. Però non ho la stessa fantasia che ha lui.»
«Anche tu sembri un tipo a posto. Anch’io ho un’ammissione da fare: mi piacerebbe restare qui, se potessi, invece di tornare a vestirmi di verde.»
«Ti sembro un tipo a posto e vorresti restare.» Rosso Ventotto rise. «Mi stai dicendo che vorresti restare qui per me?»
«Ma no, cos’hai capito!» ribatté l’altro. «Sono contento di averti potuto conoscere meglio, ma non perché sia tu nello specifico. Le interazioni che abbiamo con gli altri piloti sono limitate. Non sappiamo quasi nulla l’uno dell’altro. Temo che torneremo a comportarci da estranei.»
«Capisco cosa vuoi dire, scendiamo in pista tutti insieme e, una volta che siamo fuori dalla pista, le nostre strade si dividono. Io, da parte mia, ho sempre cercato, in qualche modo, di costruire un minimo di rapporto con chi mi capita a tiro. Purtroppo molti preferiscono rimanersene per conto loro, ormai ci hanno fatto l’abitudine.»
«Tu invece no. Vieni da una categoria in cui tutti si conoscono, immagino.»
«Adesso ti stai allargando troppo. Non posso dirti da dove vengo.»
«Nemmeno io avrei potuto dirti da dove vengo, però lo sai, sai che fino a poco tempo fa ero Verde Quindici e, molto probabilmente, già dal prossimo gran premio smetterò di essere l’eroe delle folle che ha vinto qui a Sepang.»
«Tu eri Verde Quindici, io ero un nome e un cognome. Non è la stessa cosa.»
Verde Quindici/ Rosso Ventisette sospirò.
«Già, non è la stessa cosa e, se devo essere sincero, penso che tu sia più pazzo di me. Io, almeno, sognavo la Formula 1 e ho fatto di tutto per gareggiare nella categoria che ne è derivata. Non ho mai conosciuto altre realtà, una volta uscito dalle formule minori. Tu, invece, hai avuto un’altra vita e un’altra carriera, in cui potevi essere te stesso. Non avresti dovuto rinunciarvi.»
«Anch’io sognavo la Formula 1» fu costretto ad ammettere Rosso Ventotto. «Temo sia questa la ragione per cui sono qui.»
Fu l’ultima considerazione di un certo spessore, prima che le loro strade si dividessero. Rosso Ventotto andò a spogliarsi dei suoi panni di pilota e a farsi una doccia, pronto per tornare a essere Ryuji Watanabe. Decise che presto si sarebbe tinto le punte dei capelli di blu, affinché il solito Rosso Ventisette potesse riconoscerlo. Da parte sua, un’idea assurda stava iniziando a ronzargli in testa.
“I fanboy maschilisti dei social” l’aveva informato tempo prima, quella volta del loro incidente, “dicevano che guidavi come una donna.”
“Perché, come guidano le donne?” aveva replicato il suo compagno di squadra.
Quelle parole gli rimbombavano in testa e tutti i pezzi sembravano andare a incastrarsi al posto giusto. E se Rosso Ventisette fosse davvero stato una donna?
Alysse Montanari era stata una kartista e, all’improvviso, sembrava non avere più avuto nulla a che fare con gli sport motoristici. Di recente, però, era ricomparsa come Alysse Mercier, nel paddock della A+ Series, con un ruolo imprecisato. Sembrava sparita nel nulla, il giorno in cui Rosso Ventisette era verosimilmente rimasto infortunato ad Al Sahkir. Il taglio e il colore dei suoi occhi, così come la sua statura, erano compatibili con quelli del pilota. In sintesi, cercando di dare un’identità al proprio compagno di squadra, Ryuji stava iniziando a prendere in seria considerazione l’idea che si trattasse proprio di Alysse.

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Capitolo 13
*** Argento Tre ***


(Undici anni prima)
Come tutti i piloti che accedevano alle serie minori sotto il controllo della A+ Series, Alysse aveva ricevuto una sigla identificativa. Non riusciva ancora, tuttavia, a pensare a se stessa se non con il proprio nome, seppure consapevole di non poterlo più pronunciare, almeno finché era nei pressi di una monoposto. Era una novità alla quale non era abituata, così come non era abituata a indossare una tuta con imbottiture fabbricate allo scopo di nascondere le sue forme femminili. I piloti erano tutti uguali, differenziati soltanto dalla statura e dagli occhi che talora venivano inquadrati. Portavano tute nere e caschi in tinta, sognando il giorno in cui avrebbero potuto sfoggiare un colore, a meno di non finire a guidare la monoposto nera della A+ Series, che comunque era lucida di vernice invece che opaca come il carbonio. Molti di loro non ci riuscivano. I meno veloci venivano scaricati senza troppi complimenti, gli altri proseguivano. Non vi era garanzia di passare alla terza alla seconda divisione, né soprattutto vi era la certezza di potere arrivare alla A+ Series. La massima categoria, comunque, aveva bisogno di collaudatori che lavorassero dietro le quinte e, per chi non vi aveva accesso diretto come pilota, vi era comunque una seconda possibilità, che poteva occasionalmente trasformarsi nella possibilità di un sedile come titolare.
Alysse era consapevole di essersi gettata in una situazione senza via d’uscita, ma non aveva alternative. Il suo sogno di passare ai kart alle monoposto era inequivocabilmente sfumato a causa dell’assenza di sponsor e la A+ Series le stava dando una possibilità. In cuore suo, sapeva sia di avere le doti sufficienti per cavarsela a bordo di una vettura ai livelli della Formula 3, sia di essere disposta allo stile di vita che la professione di pilota le avrebbe imposto. Non la spaventavano le rinunce, non la spaventava l’idea di doversi sottoporre a stressanti allenamenti fisici che le consentissero di avere un corpo in grado di reggere la forza G. Non la spaventava nulla che potesse condurla verso il successo, o quantomeno il più in alto possibile.
Era stata selezionata come tanti altri piloti nella sua stessa posizione, con la prospettiva di guadagnarsi l’accesso alla terza divisione. Non solo, insieme ai suoi nuovi colleghi le era stato addirittura assegnato un pilota della A+ Series come coach.
Non era inusuale, era soltanto una sfumatura della A+ Series che rimaneva nascosta al grande pubblico. Inoltre non tutti i piloti di prima categoria accettavano di buon grado la prospettiva di avere come allievi un gruppo di giovani piloti convinti di essere futuri campioni del mondo. Di solito ad accettare quel ruolo erano quelli meno in vista, che speravano di ingraziarsi la dirigenza al punto tale da guadagnarsi un volante migliore. Argento Tre non era come loro, o quantomeno non aveva bisogno dei favori del CEO e dei suoi sottoposti. L’accenno di rughe intorno ai suoi occhi suggeriva che non fosse più giovanissimo e che gran parte della sua carriera fosse già stata spesa. Le performance in pista, occasionalmente di spessore, erano piuttosto altalenanti e spesso e volentieri si qualificava alle spalle del compagno di squadra Argento Quattro, oppure veniva battuto da lui in gara. Eppure, c’era qualcosa in lui che lo metteva come al di sopra dei risultati, non perché non gli importassero i successi, quanto perché sembrava già focalizzato su ciò che veniva dopo: Argento Tre era una vera gloria che, più che non rassegnarsi ai segni dell’età, sembrava avere scelto di dedicare alle competizioni tutto il tempo in cui avrebbe potuto ancora mostrare sprazzi di competitività. Era stata la passione a condurlo a diventare coach dei ragazzi che sognavano l’accesso alla terza divisione, la volontà di trasmettere a qualcuno ciò a cui prima o poi avrebbe dovuto rinunciare.
Alysse non seppe mai se Argento Tre fosse in grado di leggerle nella mente, oppure di intuire i suoi pensieri. Rimase spiazzata, il giorno in cui il veterano la avvicinò, mentre stava per andare a cambiarsi. Fece appena in tempo: Tre non sarebbe stato in grado di riconoscerla, nei suoi abiti civili, né doveva avere idea del fatto che fosse una ragazza. Non solo, anche Alysse non avrebbe potuto riconoscere Argento Tre, senza la sua tuta argentata e il casco dello stesso colore.
«Posso parlarti un momento?» Argento Tre cercava la sua sigla, scritta sulla tuta, un po’ come se volesse rivolgersi a lei chiamandola con una sorta di nome. «Scusa, non ricordo come ti chiami.»
«Non mi chiamo in quel modo» replicò Alysse. «Non mi piace essere identificata con numeri e lettere.»
«È quello che tocca a tutti i piloti. Nemmeno io impazzisco nel sentirmi chiamare Argento Tre.»
Alysse avrebbe voluto sorridergli, ma dubitava che Argento Tre se ne sarebbe accorto. Forse avrebbe notato qualcosa nel suo sguardo, ma non era certa di poterglielo trasmettere.
«Chiamarsi Argento Tre ha comunque il suo fascino. Sei un pilota della prima categoria.»
«Già, sono un pilota della prima categoria, ma forse anche tu lo diventerai.»
«Quando lo diventerò, non avrò problemi a farmi chiamare con un nome e con un numero.»
«Ti vedo molto determinato.»
«Se non lo fossi, me ne sarei già tornato a casa smettendo di inseguire i miei sogni.»
Argento Tre rise.
«Sogni. È davvero incredibile che ci sia ancora qualcuno che ha dei sogni.»
«Perché, tu no?» obiettò Alysse. «Chi te lo fa fare di gareggiare nella A+ Series? Chi te lo fa fare di farci da trainer?»
«Io ho già ottenuto i miei successi» replicò Argento Tre. «Non c’è più nulla che io possa ottenere. Credo nel motorsport. Questo non significa necessariamente che io creda nella A+ Series, ma non c’è altro che io sappia fare. Sono un pilota e lo sarò finché avrò gli stimoli per esserlo.»
«Hai mai preso in considerazione l’idea di cambiare categoria?» gli chiese Alysse, con sincera curiosità. «Hai mai pensato di passare in endurance, o nel DTM?»
«No.»
«Posso chiederti come mai?»
«Certo che puoi chiedermelo, ma non sono sicuro che capirai la mia risposta. Dopo tanti anni trascorsi in una categoria, ormai sento di farne parte, anche se non è più la stessa categoria. Sono disposto ad accettarlo, ad accettare di non potere essere quello di un tempo, a non potere mostrare il mio volto e il mio nome. Anzi, l’idea che non possano riconoscermi è quasi allettante. Ho passato tutta la mia carriera a trasformare in realtà le aspettative di squadre, addetti ai lavori e semplici appassionati, oltre che le mie. Adesso posso divertirmi, fare quello che amo.»
«Intendi dire che, siccome nessuno sa chi sei, puoi essere davvero te stesso?»
«Una specie.»
Quelle parole erano affascinanti. Alysse andò a cercare lo sguardo di Argento Tre. I suoi occhi verdi non lasciavano trapelare nulla di più di quanto le avesse detto.
«Mi piace il tuo modo di pensare» gli confidò. «Alla fine, tutto sommato, allora la A+ Series non è poi così male.»
«Non ho detto questo» la ammonì Argento Tre. «La A+ Series ha molte più ombre di quanto tu possa immaginare.»
«Ombre?»
«Ombre. Tantissime ombre.»
«Di cosa parli?»
«Niente, lascia stare. Cerca solo di fare attenzione, se mai dovessi arrivarci. Non è tutto come sembra e chi vi sta dentro ha avuto modo di rendersene conto.»
«Però è nata per migliorare il campionato che c’era prima» osservò Alysse. «La Formula 1 era ormai finita e la A+ Series è riuscita a salvare quel poco che ancora c’era.»
«Questa è la versione dei fatti che raccontano» replicò Argento Tre. «Non significa necessariamente che sia quella reale. Io stesso non dovrei parlartene, non dovrei farti questo discorso. Eppure, sento di doverti mettere in guardia, almeno tu.»
«Perché proprio io? Perché non uno degli altri ragazzi?»
«Mi sembri uno di quelli che faranno strada.»
«Dici sul serio?»
«Puoi fidarti di me, me ne intendo di piloti» ribatté Argento Tre. «Ne ho visti tanti, in pista, e so riconoscere il talento, quando c’è. Non so chi sei, molto probabilmente non scoprirò mai il tuo nome, ma sono sicuro che, prima o poi, arriverai nella A+ Series. Sarebbe inutile rischiare per avvertire gli altri, che usciranno di scena prima che sia troppo tardi. Ricordatelo, quando sarai in alto.»
Alysse cercò di mordersi la lingua per non parlare, ma le venne spontaneo porre ad Argento Tre una domanda potenzialmente compromettente.
«Cos’è successo a Monza nel 2009?»
«C’è stato un gravissimo incidente» rispose Argento Tre, in tono piatto. «Lo sai anche tu, com’è andata.»
«Ho sentito gente che mormora» replicò Alysse. «C’è chi sostiene che quell’incidente non sia mai avvenuto, che i video che girano siano dei falsi.»
«Ciascuno vede solo ciò che vuole vedere» sentenziò Argento Tre, in tono emblematico. «Non preoccuparti del 2009 a Monza, cerca di preoccuparti del futuro. Ormai la Formula 1 non esiste più, quello che è capitato non importa davvero.»
«Era meno di due anni fa» insisté Alysse. «È per questo che la A+ Series è pericolosa, vero? Perché una volta che ci sei dentro sei costretto ad adeguarti a storie false, inventate per giustificare le chiacchiere che mettono in giro? Alla fine era solo una questione di soldi, vero? Sono salite al potere persone nuove, si sono inventate un incidente mai avvenuto e hanno deciso di usarlo come spiegazione per la trasformazione della serie.»
Argento Tre sospirò.
«Non dovresti pensare a queste cose.»
«Perché no? La verità è importante.»
«Non so chi tu sia, ma se vuoi fare questi discorsi in pubblico, devi sperare che non lo scoprano mai neanche i pezzi grossi del campionato. Hai ragione, noi piloti siamo costretti ad adeguarci a imposizioni quantomeno strane, ma rimane una nostra scelta. O cerchi la verità, o fai il pilota. Non puoi fare entrambe le cose nello stesso momento. Rischieresti troppo. Lo sai, immagino, che possono condizionare i risultati dall’alto, qualora lo ritengano necessario.»
«Sì, ne ho sentito parlare, ma credevo fosse una leggenda metropolitana.»
«Beh, non lo è. L’unica ragione per cui questa informazione non viene divulgata è che il pubblico non sembra pronto ad accettare questa possibilità. Un giorno, quando una simile idea non farà più indignare la gente, potrebbero arrivare a parlarne pubblicamente.»
«Perché lo accettate?»
«Perché è una regola della categoria.»
«Non vorrei sembrarti scortese, ma il fatto che ci sia una regola in proposito è sufficiente per spingervi ad accettarlo?»
«Questa è una bella domanda. Farai strada, se terrai la bocca chiusa. Se invece parlerai, rischierai di scoprire di cosa sono davvero capaci. Possono condizionare le nostre gare, generare guasti di fatto telecomandati sulle nostre monoposto. Quando sei al volante, la cosa più importante è mantenere il controllo. Dall’alto, te lo possono fare perdere da un momento all’altro, anche senza che tu capisca cosa stia accadendo. Non si tratta solo dei risultati, ma anche della tua stessa incolumità. Se parli contro di loro, la tua vita potrebbe essere messa in pericolo.»
Alysse scosse la testa.
«Oh, no, non è possibile.»
«Ti assicuro che lo è» insisté Argento Tre. «Per questo ti sto dicendo che devi stare attento e misurare bene le parole. Lo so anch’io, l’ipotesi più saggia sarebbe scappare via da questo incubo. Forse dovrei trovarmi un volante nell’endurance o nel DTM. Se volessi intraprendere quella strada, non puoi immaginare quante squadre sarebbero disposte a darmi un volante. Se potessi usare il mio nome, non sarei considerato un tipo qualsiasi. Però la mia vita è questa, era la Formula 1 e adesso è la A+ Series. È così per me e anche per molti altri piloti. In più, abbiamo una responsabilità più grande. Ci siete voi, che siete il futuro. Siete dei sognatori, degli idealisti convinti che l’essenza del motorsport sia ancora la stessa di un tempo. Se ce ne andassimo e vi lasciassimo soli, potrebbero manovrarvi molto di più di quanto non facciano con noi. Cercheranno di tagliarci fuori, ma finché resterà qualcuno di noi, non avranno sui piloti il potere assoluto a cui mirano. Hai parlato di Monza e di quell’incidente. Io non c’ero, nel 2009, al Gran Premio d’Italia, ma altri piloti della A+ Series sì. Molti altri, aggiungerei. Sanno cosa sia successo davvero, sempre ammesso che sia successo qualcosa. Non parleranno, ovviamente, ma cosa potrebbe accadere se qualcuno decidesse di farlo, a proprio rischio e pericolo? Il CEO e i suoi collaboratori non vogliono correre questo rischio, quindi cercano di essere un po’ più elastici.»
«E quando non ci sarà più nessun pilota di un tempo?»
«Quando nessuno delle nostre generazioni ci sarà più, spetterà a voi decidere fino a che punto vorrete diventare pedine nelle loro mani. Noi possiamo cercare di fare del nostro meglio per aiutarvi a diventare determinati abbastanza da non lasciarvi schiacciare, ma il resto dovrete farlo voi.»
Alysse obiettò: «Tutto ciò di cui parli è sopravvivere nella A+ Series, ma rimanendo in silenzio. Nessuno di voi può esporsi, perché correrebbe troppo rischi. Ma se vi esponeste tutti insieme? Se vi metteste d’accordo per contrastare il potere del CEO?»
«Hai ragione, sarebbe la soluzione più semplice» convenne Argento Tre. «Potremmo metterci d’accordo e rivelarci tutti nello stesso momento, compresi i piloti che c’erano a Monza. Sarebbe la maniera più semplice per mettere fine a questo scempio.»
«Perché non lo fate?»
«Perché venti piloti non riusciranno mai a mettersi d’accordo per farlo. Io stesso, se avessi dieci o quindici anni di meno, non metterei in pericolo la mia carriera per senso di giustizia. Non sarebbe corretto chiedere ai miei colleghi di fare qualcosa che io stesso, al posto loro, non avrei mai fatto. È anche per questo che i piloti della tua generazione potrebbero essere importanti. L’hai detto tu stesso, dovremmo esporci tutti insieme e rivelare le nostre identità. A noi non accadrà, ma magari a voi sì. Forse sarete forti abbastanza da contrastare questa follia. Conto su di te.» Gli occhi verdi di Argento Tre fissarono Alysse con sguardo penetrante. «Spero che i miei figli non diventino piloti, ma qualora uno di loro dovesse diventarlo, mi auguro possa trovarsi davanti un mondo dell’automobilismo migliore di quello attuale. Magari tu stesso potresti fare qualcosa per cui, un giorno, mio figlio potrebbe ringraziarti.»

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Capitolo 14
*** Albert Park ***


Tornare a essere Rosso Ventisette fu un flop. In qualifica rimediò soltanto una decima posizione, a causa della quale partì al centro del gruppo in ogni gara, anche quella che prevedeva la reverse grid. A peggiorare la situazione, si ritrovò più volte a battagliare con Blu Ventuno e il miglior risultato del fine settimana fu una misera settima piazza in concomitanza con la gara a griglia invertita. Sulla scia del successo di Sepang - ottenuto da un altro pilota, che secondo le conoscenze del grande pubblico poteva essere sempre lo stesso - non si prese troppi insulti, ma non sarebbe passato molto tempo prima che in tanti iniziassero con le loro accuse.
Nel frattempo i suoi avversari lottavano per quel titolo che ormai sembrava solo un sogno lontano. Peraltro non sarebbe nemmeno stato un vero titolo, ai suoi occhi, qualora l’avesse conquistato, considerati i punti conquistati dal suo sostituto durante l’infortunio, sempre ammesso che si potesse definirlo tale. In più quella parte infinitesimale di fiducia che ancora riponeva nella dirigenza era ufficialmente venuta meno, visto lo stop forzato.
Erano passati molti anni, ormai, ma il monito del primo Argento Tre tornava a riecheggiare nella mente di Rosso Ventisette. Non aveva idea di che fine avesse fatto quel pilota, da un giorno all’altro era stato sostituito da colui che poi era diventato Arancione Otto, proprio poco prima che i rapporti di forza tra scuderie vedessero quella dalle vetture grigio argento risalire tra quelle dominanti. Doveva avere ben oltre i quarant’anni, quando aveva lasciato, specie alla luce del fatto che Ventisette era convinto di sapere quale fosse la sua vera identità.
Era stato un grande visionario, aveva compreso che perfino il pubblico era marcio dentro e stava solo aspettando di potere sfogare il proprio marciume. I vecchi commenti da bar, che in passato duravano per pochi secondi, erano ormai onnipresenti e ridondanti sui social media, in più qualsiasi pilota vi era esposto, mentre in passato quelli di secondo piano si salvavano dall’essere sempre al centro dell’attenzione. Che chiunque rischiasse di essere travolto, lo sapeva bene anche Nero Trentacinque, che nella sprint race con reverse grid, dopo una foratura, si era ritrovato a subire dei doppiaggi e aveva commesso l’errore di non guardare negli specchietti proprio mentre sopraggiungeva Rosso Ventisette. La settima piazza era stata considerata, dal grande pubblico, non il migliore risultato ottenuto sul suolo australiano, quanto piuttosto il segno che, senza Trentacinque, Ventisette avrebbe potuto fare molto di più. Gli erano piovuti addosso insulti a non finire, qualcuno gli aveva addirittura augurato un incidente mortale.
Terminate le competizioni del weekend, Rosso Ventisette sentiva il bisogno di spiegargli che stava dalla sua parte, non certo da quella degli utenti social che l’avevano insultato in tutti i modi. Si mise a cercarlo, mentre i primi tre classificati salivano sul podio. Doveva dirgli che considerava i fanboy che l’avevano pesantemente denigrato solo una massa di cretini.
Lo trovò, poco lontano da Nero Trentasei. Quest’ultimo rivolse a Rosso Ventisette un cenno di saluto, nonostante non avessero molto a che fare l’uno con l’altro. Rosso Ventisette ricambiò con un gesto della mano. Anche se non poteva vedere il suo volto, Nero Trentasei gli parve un po’ deluso, un po’ come se avesse sperato di essere lui il pilota che cercava. Gli dispiacque deluderlo, ma non aveva niente da dirgli. Lo vide comunque consolarsi molto presto, andando a raggiungere Verde Quindici e iniziando con lui una lunga conversazione.
Ventisette, nel frattempo, attirò l’attenzione di Trentasei, che non l’aveva ancora notato e parve stupirsi della sua presenza.
«Cerchi me?»
«Sì, ti disturbo?»
«No, figurati.»
Rosso Ventisette si chiese per un attimo se Nero Trentacinque sapesse che fino alla stagione precedente aveva vestito i suoi colori. Non aveva importanza, quindi si tolse subito dalla mente quei dubbi.
«Hai letto quello che hanno scritto su di te sui social?» volle sapere.
Nero Trentacinque alzò le spalle, con indifferenza.
«Ormai ci ho fatto l’abitudine.»
«Hanno scritto cose orribili» insisté Rosso Ventisette, «E solo perché ti sei ritrovato per caso sulla mia strada. Non lo trovo giusto nei tuoi confronti, volevo che lo sapessi.»
Nero Trentacinque annuì.
«Lo so, ma mi dispiace davvero se ti ho ostacolato. Non ti avevo visto, non stavo proprio guardando negli specchietti... anche se, lo ammetto, non è una cosa che parla proprio a mio favore.»
«Avrai anche sbagliato a non guardare negli specchietti» ribatté Rosso Ventisette, «Ma non è comunque giusto quello che scrivono di te. C’è chi va a sbandierare ai quattro venti il fatto di volerti vedere morto. È assurdo. Uno ha addirittura scritto che si augura che tu possa morire anche per effetto del nuovo regolamento, che così avrebbe finalmente un senso, e...»
«Non lo voglio sapere» replicò Nero Trentacinque. «Ormai non leggo più i commenti degli hater. Dicono che ho trovato un volante come titolare solo perché ho conoscenze importanti, rubando il volante a piloti che se lo meritavano molto più di me. Se la prendono così tanto perché non sanno chi sono, mentre di fatto ho testato vetture della A+ Series per quasi dieci anni, prima di essere promosso a titolare. Ne dicono di tutti i colori su di me... e sai cosa ti dico? Che se davvero dovessi morire come vogliono loro, il lato migliore della morte sarebbe non potere più leggere quello che scriveranno. Perché non ho dubbi: se mai dovessi avere un incidente mortale, diventerei seduta stante il loro idolo e sui loro profili social finirebbero per moltiplicarsi le mie foto come avatar. Mi aggiungerebbero come hashtag nelle descrizioni dei loro profili, #Nero35Forever, sempre nei nostri pensieri.»
Le considerazioni di Nero Trentacinque erano crude, ma maledettamente reali. Non ci sarebbe stato da stupirsi se chi tanto lo denigrava avesse finito per intraprendere proprio quel tipo di strada, in caso di disgrazia.
Rosso Ventisette cercò di rassicurarlo: «Non ci pensare, tanto non morirai.»
Nero Trentacinque rise.
«Lo vorrei sperare, ma non possiamo essere sicuri di nulla.»
«Già, tutto può succedere» convenne Rosso Ventisette, «Ma quello che conta è non essere troppo negativi e disfattisti. È meglio non pensare sempre male. Dobbiamo crederci, sperare di potere avere un buon futuro e ottenere risultati di spessore.»
«Tu, almeno» rispose Nero Trentacinque, con una punta di amarezza. «Dopo nove stagioni come tester mi ritrovo qui, a guidare una carriola con la speranza di raccogliere qualche punto, venendo spesso risucchiato dal gruppo durante le gare con griglia di partenza invertita. Non so quale possa essere il mio futuro, se avrò mai la possibilità di schiodarmi da questo lato della griglia. Eppure per loro sono il raccomandato che ha avuto più di quanto merita. Non hanno nemmeno la più pallida idea di chi io sia, ma si sono fatti le loro fantasie e devono assolutamente continuare a farsele.»
Rosso Ventisette osservò: «Lo vedi, allora? Il problema degli hater ti tocca molto più di quanto tu creda. Dici che non ti interessa che vadano a scrivere che si augurano di vederti morire...»
Nero Trentacinque lo interruppe: «No, davvero, non mi tocca personalmente. Si augurano di vedermi morire in diretta televisiva? Che le immagini vengano proposte e riproposte invece di essere censurate? Questo non mi dà fastidio. Non so perché vogliano vedere morire proprio me, ma è solo una parte del tutto. Il problema è che, se non riversassero il loro odio su di me, sentirebbero comunque la necessità di odiare qualcun altro. Non trovo una spiegazione ragionevole a tutto questo. Va bene, lo accetto, il nostro pubblico non è composto da delle gran cime, ma perché augurarsi di vedere qualcuno morire, per poi trasformarlo nel proprio idolo? Perché è questa la realtà: se qualcuno muore, diventa un eroe. Se lo era già prima, viene bollato come il migliore di sempre. Se era uno qualsiasi, diviene una promessa.»
«Non pensarci» replicò Rosso Ventisette. «Fa schifo tutto, ormai, quindi è normale che faccia schifo anche il pubblico. In ogni caso, se l’idea ti può consolare, anch’io sono stato un tester, in passato. Lo sono stato per qualche anno, prima di essere promosso sulla griglia.»
«Ed eri qui, dove sono io adesso.»
«Mi stavo giusto chiedendo se lo sapessi.»
«Le voci girano più in fretta di quanto tu creda.»
«Quindi sai anche che...» Rosso Ventisette si interruppe. «Niente, lascia stare.»
Nero Trentacinque parve avergli letto nella mente.
«So che non sei stato tu a vincere in Malesia? È questo che volevi chiedermi?»
«Si notava così tanto?»
«Non hai gli occhi così tanto azzurri. E poi, mi sembri un po’ più basso.»
«Il pubblico non se n’è accorto, o almeno non tutti l’hanno fatto» osservò Rosso Ventisette. «Dovrebbe farmi piacere, invece lo trovo agghiacciante. Mi sono preso i meriti di una vittoria non mia, mentre il pilota che mi sostituiva adesso è tornato nell’anonimato.»
«Verde Quindici» borbottò Nero Trentacinque. «Un grande pilota, non lo nego, ma non capisco perché l’abbiano messo al posto tuo.»
«Invece di metterci te?»
«Ma no, cosa dici?»
«Tutti vorrebbero guidare la vettura rossa, è normale che anche tu abbia una simile ambizione. Però, io che ci sono, posso assicurarti che non è così speciale come sembra. Fa pensare alla Ferrari, ma la verità è che la Ferrari, insieme a tutti i marchi storici e non, adesso corre in altre categorie e qui ci siamo noi, numeri e colori senza identità.»
«Comprendo il tuo punto di vista.»
«E io comprendo il tuo.»
«Non ti ho detto il mio punto di vista.»
Rosso Ventisette ridacchiò.
«Sei bravo a cambiare le carte in tavola.»
«Sarà, ma non vedo carte. Vedo solo un Verde Quindici divenuto Rosso Ventisette giusto in tempo per conquistarsi una vittoria storica, facendo infiammare il pubblico, e un povero tester senza nome e senza colore divenuto al contempo Verde Quindici per andare a prendersi, in Sudafrica, un podio che nessuno gli attribuirà mai. Nessuno di noi vedrà mai riconosciuti davvero i propri meriti, qualunque cosa ne pensino i fanboy che adesso mi odiano perché pensano ci siano favoritismi nei miei confronti. Se venissi rimpiazzato da un altro, nemmeno se ne accorgerebbero. Eppure, sono convinti che ci sia stato qualche genere di complotto a mio favore, per farmi avere un volante.» La loro conversazione fu interrotta dall’attivo di Nero Trentasei, di ritorno dopo lo suo scambio di vedute con Quindici. Alla vista del compagno di squadra, Trentacinque si affrettò a concludere: «È stato un piacere parlare con te.»
Nero Trentasei spostò lo sguardo dall’uno all’altro. Doveva essersi reso conto che il loro argomento di conversazione non era stato leggero.
«Di cosa parlavate?» domandò.
«Bada ai fatti tuoi, ragazzino» gli intimò Nero Trentacinque, in tono scherzoso. «Quando sarai adulto, allora ti prenderemo in considerazione!»
Nero Trentasei accennò una risata, poi prese a fissare Rosso Ventisette. Sembrava volesse dirgli qualcosa, ma rinunciò, lasciandolo andare via.
Pochi istanti più tardi, Ventisette si ritrovò a tu per tu con Ventotto, di ritorno dal podio: aveva concluso il Gran Premio d’Australia in terza posizione.
«È già finita la conferenza stampa?» gli chiese.
«No, in realtà deve ancora iniziare» gli spiegò Rosso Ventotto. «Sono venuto via un attimo per andare in bagno, ma devo scappare. Ci vediamo dopo, così mi racconti la tua gara.»
Rosso Ventisette obiettò: «Non c’è molto da raccontare.»
L’altro replicò: «Sei appena tornato da un infortunio, le cose non potranno fare altro che migliorare, in futuro. Il mese prossimo torneremo in Europa. Sono sicuro che là inizierà la tua vera stagione.»
«La stagione è iniziata molto tempo fa.»
«Lo so, ma non potrà sempre andare male. Ora vado, ma dopo ne riparliamo.»
«Sarebbe meglio non riparlarne affatto, ma...»
Ventisette si interruppe. Ormai Ventotto stava già scappando a gambe levate. Non gli restava altro da fare che decidere se voleva rivederlo dopo la conferenza stampa oppure risparmiarsi il supplizio di dovere discutere delle sue peripezie avvenute in quei giorni all’Albert Park.
La seconda opzione lo allettava di più, ma Ventotto era l’unico con cui poteva confidarsi. Rimase quindi ad aspettarlo pazientemente, fintanto che l’altro non tornò. Erano soli, completamente soli, e avrebbe potuto lasciarsi andare e rivelargli quello che era successo davvero. Non si chiese se fosse un rischio da non correre. Non aveva più voglia di fare domande, aveva solo il desiderio di fidarsi di qualcuno, un po’ come molti anni prima Argento Tre aveva fatto con quel “ragazzino” senza nome che sarebbe un giorno diventato Nero Trentacinque e poi Rosso Ventisette.
Spiegò al compagno di squadra che l’infortunio rimediato in Bahrein non era così grave, ma che la dirigenza aveva deciso di non farlo tornare in pista in Sudafrica, adducendo a un referto medico fasullo che attestava la sua non idoneità al rimettersi al volante. Infine aveva ricevuto comunicazione di essere out, per esplicita imposizione, anche per il Gran Premio della Malesia, nel quale il suo sostituto aveva trionfato davanti alle monoposto del colore dell’argento.
Rosso Ventotto ascoltò le sue parole spalancando gli occhi in diverse occasioni. Non parlò finché Ventisette non ebbe finito di raccontare, ma quello che disse fu piuttosto condivisibile.
«Sono delle merde e il CEO è una merda più di tutti gli altri messi insieme!»
«Ti suggerisco di non ripeterlo pubblicamente.»
«Sarebbe da fare.»
«Rischieresti di essere radiato.»
«Non credo. Mi terrebbe al mio posto, per dimostrarsi democratico.»
Rosso Ventisette rifletté.
«Forse sì, magari hai ragione tu. È più probabile essere radiati per avere violato qualcuna delle assurde regole a cui dobbiamo sottostare, piuttosto che per averlo insultato. In ogni caso non ti consiglio di farlo. Mettersi contro di lui spontaneamente non è mai una buona cosa. È meglio concentrarsi e fare attenzione su quello che conta davvero: non andare contro la sua volontà per errore.» Era più di quanto avrebbe dovuto dire a Ventotto, ma ormai sentiva di non potersi fermare. «Una persona a cui tenevo molto ha fatto una brutta fine per una piccola leggerezza. Non voleva andare contro al CEO, non ci pensava neanche lontanamente. L’ha fatto per sbaglio, senza riflettere... e l’ha pagata a caro prezzo.»
Rosso Ventotto parve incuriosito da quella rivelazione.
«Era un pilota?»
«No, era un suo assistente, lavorava per lui alcuni anni fa.»
«Quando dici che l’ha pagata a caro prezzo non intendi dire che sia stato semplicemente licenziato, vero?»
«No.»
«È per quella persona che resti qui?»
La domanda di Ventotto era spiazzante.
«Cosa intendi dire?»
«Conosci lo schifo che c’è in alto e adesso l’hai provato anche sulla tua stessa pelle. Esistono altri campionati. Ti basterebbe rivelare la tua identità per suscitare interesse di categorie di alto livello. I piloti della A+ Series, una volta che se ne staccano, hanno sempre un futuro molto promettente. Però resti qui, non pensi al passaggio in endurance, come fanno i piloti di una certa età, o in Indycar, come ha fatto Santiago Fernandez. Non che Fernandez sia più giovanissimo, ma questo è un altro discorso. Se avesse voluto restare, sarebbe rimasto ancora a lungo. Tornando a te, resti qui perché in qualche modo senti di doverlo a quella persona, vero? Oppure perché cerchi la verità su quello che è accaduto?»
Rosso Ventisette sospirò.
«Penso sia meglio se badi ai fatti tuoi. È una vicenda pericolosa.»
«Lo immaginavo» ammise Rosso Ventotto. «Quella persona è morta?»
«C-cosa...» Ventisette era spiazzato. «Che cazzo stai dicendo?»
«Quella persona è morta» dedusse Ventotto. «Mi dispiace per quello che è successo. Spero che tu possa ottenere quello che speri e senza metterti nei guai. Ci tengo a te.»
«Non sai nemmeno chi sono.»
«Non mi serve sapere che faccia hai per volerti bene. Stanno cercando di renderci sempre meno umani, ma tutto ciò che riescono a fare con me è risvegliare sempre di più i miei sentimenti.»
Ventisette gli strizzò un occhio, cercando di allentare la tensione.
«Non innamorarti di me, però.»
«Non preoccuparti, ti vedo solo come un amico» ribatté Ventotto. «Sei un po’ come il fratello che non ho mai avuto. O la sorella, dato che non posso essere sicuro che tu sia un uomo.»
Rosso Ventisette avrebbe tanto desiderato raccontargli la sua storia, parlargli di Alysse, la sua identità quando si toglieva tuta e casco. Non poteva, non sarebbe stato saggio spingersi così tanto in là. Aveva già parlato abbastanza ed era meglio fermarsi, prima che fosse troppo tardi. Doveva scoprire la verità su Alex, anche se non aveva idea di come fare.

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Capitolo 15
*** Imola ***


Il ritorno in Europa non riservò ad Argento Quattro grosse soddisfazioni. Il format prevedeva due sprint race la cui griglia di partenza era stilata dal risultato della sessione di qualifiche, una gara con reverse grid e infine il vero e proprio gran premio. Nelle prime due gare fu costretto ad accontentarsi del terzo posto, mentre fu il suo compagno di squadra a imporsi due volte. Nella prima fu Viola Cinque a separarlo dalla possibilità di andare a prendersi la vittoria mettendosi secondo tra lui e Tre, nella seconda quell’onore spettò a Viola Sei. La gara da reverse grid, invece, vide Rosso Ventisette scattare davanti a tutti, complice una rottura del motore in qualifica, a causa della quale sarebbe invece partito ventesimo in ogni altra gara dell’evento.
Rimasto in testa per oltre due terzi di gara, Ventisette iniziò a rallentare il ritmo negli ultimi giri, a causa del degrado delle gomme. Venne superato da Blu Ventuno, che lo staccò di parecchi secondi nei giri che li separavano dalla conclusione. Argento Quattro, partito dalle retrovie, non riuscì a risalire nella top-ten, ma era in buona compagnia: Viola Cinque arrivò alle sue spalle, mentre Rosso Ventotto rimediò un misero nono posto.
Il Gran Premio, la domenica, avrebbe potuto essere la gara della vita, per Argento Quattro. Bruciò i suoi diretti avversari alla partenza e iniziò a viaggiare in testa seminando il vuoto. Era imprendibile e tutto sembrava girare dalla sua parte, ma la peggiore delle delusioni lo attendeva dietro l’angolo. Mancavano appena tre giri quando il motore della sua monoposto esplose in una nuvola di fumo e i pensieri di molti appassionati - avrebbe scoperto più tardi - andarono a un episodio analogo, accaduto a Phil Corujas nel corso della stagione 2008. Fu uno shock e anche l’unica misera consolazione del fine settimana divenne del tutto ininfluente. Argento Quattro era stato molto felice di constatare che, dei suoi avversari più accaniti, soltanto Viola Cinque e Rosso Ventotto erano ancora due seri contendenti al titolo, ma di colpo le performance in netto calo di Rosso Ventisette iniziavano a non interessarlo più.
Nonostante tutto, non apprezzò di vederlo arrivare almeno decimo e artigliare l’ultimo punto disponibile. Si lasciò andare a un’assurda invettiva contro di lui, nelle interviste post-gara. Osservò che ormai chiunque doveva essersi accorto della sostituzione avvenuta in Sudafrica e Malesia, perfino chi era talmente idiota da non essersene accorto sul momento. Dipinse il pilota che aveva gareggiato a Kyalami e Sepang come un avversario degno di considerazione “a cui il vero Rosso Ventisette non è nemmeno degno di allacciare le scarpe”. Si lamentò del fatto che un pilota così scarso potesse occupare un posto di primo piano e arrivò a definirlo il peggiore che avesse mai gareggiato nella A+ Series. Soltanto quando era troppo tardi, si rese conto che le sue dichiarazioni non sarebbero state apprezzate. Anzi, si sarebbe probabilmente ritrovato addosso un cumulo di insulti, visto che buona parte delle sue affermazioni erano facili da smentire. Si immaginò che in molti rimarcassero che Ventisette era stato messo fuori gioco in qualifica da un guasto al motore e che, di conseguenza, fosse stato pesantemente condizionato da quel guasto. Qualcun altro, magari, avrebbe fatto notare che avrebbe potuto giocarsi la vittoria nella gara con reverse grid, sostenendo che, al massimo, si poteva tacciarlo di non essere un fenomeno nella gestione delle gomme. Avrebbe potuto avere dalla sua parte il pubblico più ignorante, incapace di fare simili ragionamenti, ma non era sicuro che fosse una consolazione.
Ben presto, tuttavia, scoprì di non avere tempo da dedicare a quei pensieri. Aveva appena smesso di essere Argento Quattro per tornare a essere Yannick Leroy quando fu raggiunto da Maelle Heidelberg in persona. Di solito non significava nulla di buono.
Cercò di non apparire turbato dalla sua presenza, nel domandarle, in tono cordiale: «Cosa posso fare per lei, signora Heidelberg?»
«Per me non può fare niente» gli rispose la donna, «Ma la invito a seguirmi, perché il CEO desidera parlarle di una faccenda seria.»
«Adesso?»
«Adesso.»
In tono della Heidelberg era irremovibile, quindi Yannick non aggiunse altro. Non voleva certo andare contro le volontà del CEO e della sua assistente, non quando poteva seriamente arrivare a giocarsi il tanto agognato titolo mondiale.
Mentre camminava alle spalle di Maelle, passò in rassegna tutto ciò che aveva detto o fatto nel corso dell’ultima settimana. Non gli sembrava di avere mai superato quel limite invalicabile che conduceva ad avere problemi seri con la dirigenza.
Fu condotto nell’ufficio del CEO, con il quale la Heidelberg lo lasciò solo. Yannick rimase in piedi, a fissare l’uomo che dettava legge sulla A+ Series, almeno finché questo non lo invitò ad accomodarsi.
«Prego, si sieda.»
Yannick fece ciò che gli era stato ordinato, azzardandosi a domandare: «Perché sono qui?»
Il CEO parve divertito da quelle parole.
«Davvero non ne ha la minima idea?»
«No.»
«Lo sospettavo.»
«Lo sospettava?» ripeté Yannick. «Mi devo preoccupare?»
«No, assolutamente» lo rassicurò il CEO. «Lei è uno dei piloti di punta del mondiale. Anzi, si potrebbe dire che sia l’unico pilota di punta del campionato.»
«Oh.» Yannick si guardò intorno, rendendosi subito conto di essere ridicolo. «Posso parlare liberamente?»
«Può identificarsi come Argento Quattro, intende?» Il CEO ridacchiò. «Certo che può, come ha avuto modo di vedere lei stesso, non c’è nessuno qui intorno, a meno che non esistano persone invisibili.»
«Sì, certo. Mi scusi se...»
«Se non sa come comportarsi? Non c’è problema. Molti non sanno come comportarsi, quando vengono nel mio ufficio. Lei, però, ha il coltello dalla parte del manico, o quantomeno non ce l’ha puntato alla gola. Se la sua preoccupazione è quella di avere potenzialmente violato le regole della categoria, le assicuro che non è accaduto. Nessuna regola le vieta di andare a letto insieme ad Alysse Mercier, oppure a fidanzarsi con lei.»
Yannick sussultò.
«A-Alysse?!»
«Non si inquieti, Yannick» continuò a rassicurarlo il CEO. «È tutto sotto controllo.»
«Cosa c’entra Alysse?» replicò Yannick, trovando un po’ di sicurezza. «Si tratta della mia vita privata, non ha niente a che vedere con il campionato. Non penso ci siano regole che ci impediscono di frequentare chi vogliamo.»
«No, affatto» mise in chiaro il CEO. «Però lei ha una relazione con Alysse Mercier e questo fa al caso mio. Ho bisogno, infatti, di qualcuno che la tenga d’occhio.»
«Cosa devo fare?»
Yannick stesso si stupì della facilità con cui gli uscirono di bocca quelle parole, ma non ebbe il tempo di rifletterci a lungo, dato che il CEO si affrettò a rispondergli: «Deve estorcerle delle informazioni. Ho bisogno di capire che cosa ne pensi la Mercier di me e dei miei collaboratori.»
«So che non dovrei chiederglielo, ma perché questo interesse per Alysse?»
«Non dovrebbe chiedermelo, ha detto bene.»
Yannick annuì.
«Lo so, ma ho l’abitudine di fare le cose per uno scopo. Non pretendo che mi spieghi per filo e per segno che cosa desidera da Alysse, ma almeno vorrei avere un minimo di comprensione. In più, mi piacerebbe sapere perché dovrei fare quello che mi chiede.»
Il CEO fece un sorriso subdolo.
«Avrebbe potuto dirmelo, che voleva sapere per prima cosa che cosa otterrebbe in cambio. In effetti mi rendo conto che pugnalare alle spalle la propria fidanzata - o amante, o qualsiasi cosa sia Alysse Mercier per lei - non è un’azione che si commette a cuore leggero. Però, se ho inteso bene le sue ambizioni, la mia impressione è che per lei il titolo mondiale venga prima di tutto.»
«Certo, gareggio nella A+ Series per il successo e questo, per me, conta più di ogni altra cosa» confermò Yannick. «Alysse è solo una donna che mi porto a letto. Ci tengo a lei, ma non tanto quanto alle vittorie. Non penso che potrei mettere una partner al di sopra del desiderio di diventare campione del mondo.»
Il CEO replicò: «Però è difficile diventare campione del mondo quando la meccanica si mette contro questa possibilità.»
«Cosa vuole dire?»
«Che oggi ha rotto il motore.»
«Sfortuna, ma mi rifarò.»
Il CEO scosse la testa.
«No, Yannick, non si è trattato di sfortuna. Dovevo dimostrarle chi comanda. Certo, è liberissimo di rimanere fedele alla sua Alysse Mercier, se lo desidera, ma in tal caso dovrò prendere le mie contromisure. Se, come ha detto, ci tiene così tanto al titolo mondiale, non sarà difficile per lei prendere una posizione definita. Vuole stare dalla mia parte oppure da quella di Alysse?»
Yannick aggrottò la fronte.
«Mi sta dicendo che il guasto al motore è stata una sua iniziativa? E che l’ha fatto per convincermi a collaborare con lei?»
«Vedo che capisce al volo.»
«Quindi, se io dovessi accettare, non accadrebbe più nulla di pilotato dall’alto e sarei libero di giocarmela? Mentre se rifiutassi, potrebbero succedere altri episodi come quello di oggi?»
«È molto perspicace, ma le offro di più.»
«Cos’altro potrebbe offrirmi?»
«Non metto in discussione né le sue capacità né le performance della monoposto che guida, ma potrebbe non essere sufficiente. Ha degli avversari pericolosi. Farò in modo che possa succedere a loro quello che oggi è successo a lei. Certo, dovrò lasciarli in lotta ancora per un po’, uno dei due magari fino alla fine della stagione, ma li fermerò quando sarà il momento opportuno.»
«Mi sta offrendo il sabotaggio dei miei nemici in cambio di collaborazione?»
«Mi piace il fatto che li definisca nemici, invece che avversari. Significa che posso contare su di lei?»
Yannick cercò di fermarsi un attimo a riflettere, ma si rese conto ben presto che non era possibile. Non sarebbe stato capace di tirarsi indietro, l’offerta del CEO era fin troppo allettante ed era disposto a piegarsi a tutto ciò che potesse ristabilire la giustizia.
«Come avrà capito, li detesto con tutte le mie forze. Credo che Viola Cinque sia un pilota finito che dovrebbe appendere il casco al chiodo. Tutto ciò che servirà a convincerlo che deve farsi da parte è ben accetto. Rosso Ventotto, invece, è un pilota eccessivamente caotico che si è messo in testa di essere un campione e di stare sulla strada di gente ben più quotata di lui. Infine, anche se non credo abbia molte possibilità di vincere il mondiale, Rosso Ventisette è un pilota di rara inutilità. Non so come sia capitato a gareggiare per un top-team, ma si stava molto meglio senza di lui.»
«Ha le idee chiare, Yannick.»
«Sì, so di meritarmi questo mondiale molto di più di chiunque di loro.»
«E lo avrà» gli assicurò il CEO. «Faccia quello che le chiedo e avrà ciò che merita.»
«Devo comunque chiederle perché» puntualizzò Yannick. «Non pretendo, ovviamente, che mi spieghi ogni singolo dettaglio, ma vorrei sapere che cos’ha fatto Alysse. Perché vuole tenerla sotto controllo?»
«Alysse, di per sé, non ha fatto niente» chiarì il CEO, «Ma si è convinta di molte idee sbagliate sulla morte di suo marito. Alexandre Mercier era un mio collaboratore. Purtroppo si è suicidato diversi anni fa, sul posto di lavoro. È stato un profondo dispiacere per me, perdere una persona che stimavo. La mia impressione è che Alysse abbia travisato. Vede qualcosa di poco chiaro nella morte di quel poveretto, ma solo perché non è in grado di accettare la verità.»
«Oh, non lo sapevo.»
«Alysse non le ha mai parlato di suo marito?»
«Mi ha accennato alla sua esistenza, ma credevo fosse divorziata, o quantomeno legalmente separata. Non ho mai sospettato che Alex fosse morto.»
«Come vede, Alysse le ha nascosto dei dettagli importanti.»
«In realtà non mi ha nascosto nulla. Non le ho mai chiesto di essere più chiara, in proposito. Mi bastava sapere che suo marito - che io consideravo il suo ex marito - non fosse presente nella sua vita e che non si mettesse tra di noi. Tutto ciò che mi interessava era di andare a letto con una donna che non fosse già impegnata con un altro e Alysse non lo era.»
«La capisco. Decisione saggia, perché complicarsi la vita per qualche scopata, dopotutto?»
Yannick decise di venire al sodo: «Cosa vuole che scopra su Alysse?»
«Voglio che si faccia raccontare per filo e per segno i suoi sospetti e me li riferisca. A quel punto agirò di conseguenza.»
«Perché non le parla?»
«Cosa intende?»
«Se Alysse sospetta che le stia nascondendo qualcosa a proposito del suicidio di Alex, potrebbe dare delle spiegazioni direttamente a lei.»
«Alysse Mercier non è il tipo di persona che si accontenta delle spiegazioni.»
Quello tracciato dal CEO era un ritratto che, secondo Yannick, si addiceva ben poco ad Alysse.
«Credo si sbagli.»
«Forse è lei che si sbaglia» replicò il CEO, con una strana luce negli occhi. «Mi dica, Yannick, è convinto di conoscerla bene?»
«Non benissimo, ma non penso sia in grado di nascondere nulla di serio.»
«Non come voi piloti, che siete costretti a nascondere la vostra identità e, di conseguenza, imparate facilmente a nascondere anche tutto il resto?»
«Una specie.»
«Mi dispiace deluderla, ma Alysse Mercier gareggia nella A+ Series. Questo, immagino, non fosse neanche lontanamente un suo sospetto.»
Yannick sussultò.
«Alysse... un pilota?!»
Il fisico ce l’aveva, in effetti, ma si era fidato di lei. Era riuscita a ingannarlo, mentre da parte sua si era sentito costretto a confidarle di gareggiare in quella categoria, seppure avesse mantenuta segreta la propria identità.
«Esattamente, Alysse Mercier è uno dei venti piloti titolari» ribadì il CEO. «Immagino che non sappia chi.»
«Immagina bene.» Yannick cercò di passare in rassegna gli occhi di tutti i suoi colleghi, per trovarne un paio che si adattasse alla sua partner. «Presumo sia un pilota delle retrovie.»
«Alysse Mercier è Rosso Ventisette, uno dei piloti che ha affermato di odiare» gli rivelò il CEO, a bruciapelo. «Questo cambia tutto, mi auguro.»
Quelle parole erano spiazzanti.
«R-Rosso Ventisette?»
«Rosso Ventisette» ripeté il CEO. «Non avrei voluto sconvolgerla, ma vedo quando questa notizia la turbi.»
Era più di quanto Yannick potesse sopportare.
«Maledetta stronza... e fuori dalla pista è sempre stata così dolce e carina!»
«Invece è una dei tanti che vorrebbero buttarla giù dal suo piedistallo» concluse il CEO. «Adesso che gliel’ho detto, so per certo da che parte starà. Non le sarà difficile estorcerle quello che vuole. “Alysse, raccontami tutto, oppure la tua carriera è finita, perché rivelerò al mondo che Rosso Ventisette sei tu”, come le pare?»
«Mi sta suggerendo di ricattarla?»
«Alysse Mercier fa parte di quella categoria che ha definito suoi nemici. Cerchi di non dimenticarselo.»
Yannick si arrese. Non l’avrebbe dimenticato. Si sarebbe vendicato di Alysse, avrebbe dato al CEO ciò che desiderava e sarebbe diventato campione del mondo. Tutto sarebbe filato liscio, con il trionfo del giusto vincitore.

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Capitolo 16
*** Valencia ***


Era la prima serata del sabato e, per giorni, era circolata insistente nel paddock la voce secondo cui Viola Cinque avesse organizzato una festa in occasione del suo presunto addio alle competizioni al termine della stagione. Sarebbe stato un evento a cui i piloti erano invitati a prendere parte in incognito, ovvero con la loro normale identità, invece che in tuta e casco. Nessuno avrebbe dovuto rivelare quale pilota fosse in realtà, né tantomeno l’accesso sarebbe stato consentito soltanto ai piloti. Argento Quattro non aveva ricevuto alcun invito, ma ne aveva sentito parlare al punto tale da spingersi a chiedere al suo vecchio amico Watanabe se ne sapesse qualcosa.
Quella conversazione era avvenuta soltanto il giorno prima, momento che gli sembrava ormai lontanissimo. La sprint race con griglia di partenza invertita, avvenuta quel pomeriggio, aveva stravolto totalmente le sue prospettive. Per la prima volta - la prima in cui non aveva ricevuto rivelazioni del CEO, quantomeno - aveva identificato con certezza uno dei propri colleghi, quello che l’aveva speronato, pareva accidentalmente, durante la gara. L’aveva seguito senza farsi vedere fino ai bagni e, da una finestra, aveva guardato all’interno, facendo una scoperta epocale.
Era combattuto tra il correre il rischio di farsi smascherare tentando di mandare a monte la carriera di Ryuji Watanabe, che non si era affatto ritirato dalle competizioni, ma si nascondeva sotto le mentite spoglie di Rosso Ventotto, o l’attendere pazientemente. Al party di Viola Cinque avrebbe potuto, con un po’ di fortuna, identificare qualche altro pilota, e al di là di una potenziale vendetta per l’incidente da lui innescato, Rosso Ventotto non era al momento il suo principale avversario. In ottica mondiale, era ancora Viola Cinque quello da distruggere. Certo, c’era l’assicurazione da parte del CEO che Cinque non avrebbe vinto il titolo, se Yannick avesse collaborato con lui, ma sapeva di non potere nutrire nei suoi confronti una fiducia totale. Era sicuro che, se si fosse tirato indietro, ne avrebbe pagato le conseguenze. Dall’altro lato, tuttavia, si era gettato in una situazione che non gli dava alcuna garanzia. Non gli era del tutto chiaro cosa fosse accaduto ad Alexandre Mercier, ma se il CEO l’aveva in qualche modo istigato al suicidio non si sarebbe certo tirato indietro di fronte alla prospettiva di non mantenere la parola data sull’aiuto ad Argento Quattro nella lotta per il campionato.
Decise di non fare nulla di avventato nei confronti di Ryuji. Con un po’ di fortuna l’avrebbe incontrato alla festa e gli avrebbe parlato di persona. Potevano ancora arrivare a un accordo. Watanabe non faceva altro che tacciare Argento Quattro di essere uno stronzo, era molto improbabile che non sapesse chi si nascondesse sotto quella tuta e quel casco. Rivelare pubblicamente chi fosse Rosso Ventotto avrebbe significato correre il rischio che l’ex pilota di Indycar ripagasse con la stessa moneta e Yannick voleva evitarlo. Non avrebbe accettato di gareggiare in un’altra categoria come Yannick Leroy, nonostante le offerte che sarebbero di sicuro fioccate una volta svelato il suo vero nome, quantomeno non prima di avere portato Argento Quattro sul tetto del mondo. Non poteva tollerare l’idea di una radiazione, non per causa di Ryuji.
Si diresse verso il locale nel quale si svolgeva la festa ed entrò. Venne accolto poco dopo da nientemeno che Tina Menezes. La trovò in compagnia di un terzetto di persone nel quale svettava un uomo dall’aria un po’ hippy, con capelli dorati dalla piega ondulata, tenuti indietro da una fascia che ne nascondeva la probabile stempiatura. Aveva un accenno di barba piuttosto curata e portava una camicia a quadri abbinata a un paio di jeans. Non era difficile riconoscerlo: si trattava di Axel Frosch, attivista ambientale che, evidentemente, nella vita non aveva null’altro da fare che starsene in giro al seguito della A+ Series. A quanto pareva gli attivisti ambientali che non facevano altro che parlare di biocarburanti dovevano guadagnare abbastanza da non dedicarsi ad alcuna altra attività professionale. Fu un po’ più difficile identificare il tale che stava accanto a Frosch in quel momento: era un uomo dalla pelle scura, con i capelli lunghi raccolti in una coda. Vestiva in maniera molto sobria e piuttosto elegante. Solo un tatuaggio che si intravedeva sul collo stonava un po’ con la sua mise tanto principesca, e proprio da quel lembo di pelle coperto di inchiostro Yannick lo riconobbe come Hamster Gangster. L’altro, infine, si chiamava Ricky Scarpelli, ultimamente aveva avuto occasione di scambiare qualche parola con lui, pur non avendo compreso di cosa si occupasse per mestiere. L’aveva già visto parecchie volte in compagnia di Tina Menezes e gli era rimasto impresso per il suo perenne sorriso a trentadue denti, che spesso aveva classificato come “sorriso da ebete”.
«Leroy?» gli chiese Tina, distogliendolo dalla sua fase di identificazione di quel gruppo.
«Yannick Leroy» confermò.
«È un piacere che tu sia qui» rispose Tina, in tono piuttosto cordiale, puntandogli addosso un paio di occhi scuri. «Non pensavo saresti venuto.»
«Perché no?» ribatté Yannick. «Non è una festa aperta ai soli piloti, mi pare di avere capito. Anche perché tu non saresti qua, in tal caso, né tantomeno i tuoi amici.» Quantomeno Axel Frosch e Hamster Gangster, si disse, dato che non aveva alcuna prova che Scarpelli non fosse un pilota. «Ti ha invitato Viola Cinque in persona?»
«Non importa chi mi abbia invitato» replicò Tina. «Tu, invece, come hai scoperto di questa festa?»
«Me ne ha parlato un mio amico che lavora per la stampa giapponese» disse Yannick. Non era del tutto falso, ne aveva effettivamente discusso con Watanabe. La parte meno veritiera era averlo definito un amico: alla luce di quanto aveva scoperto su di lui, non poteva più ritenerlo tale. «Ho pensato di venire. È sempre bello vedere dei potenziali piloti senza tuta e senza casco.»
«Potenziali piloti» ripeté Tina, lasciandosi andare a una mezza risata. «Effettivamente potremmo esserne circondati.» Posò una mano su una spalla a Frosch. «Hai sentito, Axel? Pure tu potresti essere un pilota, per quanto ne sappiamo!»
A Yannick non sfuggì lo sguardo desolato di Ricky, al contatto fisico seppure banale tra Tina e Axel. Gli venne spontaneo pensare che a Scarpelli piacesse la Menezes, ma che sapesse di non avere speranze con lei. Frosch, invece, doveva trovarsi in una situazione molto diversa.
«Se fossi un pilota» ribatté Frosch, «Temo che le mie performance ogni tanto sarebbero oscurate dalla volontà di salvaguardare la natura.»
Yannick azzardò: «Faticheresti a guidare vetture che non sono alimentate a biocarburante?»
«Secondo me non si fa abbastanza ricerca, a proposito dei biocarburanti» ammise Axel, «Ma non parlavo di questo. Mi riferivo piuttosto alle invasioni di animali che ogni tanto avvengono durante le gare. Abbiamo visto cani, lepri, marmotte, una volta addirittura un varano che ha tagliato la strada a Blu Ventuno durante una sessione di prove libere, per non parlare dei pennuti di varia natura in volo... e a volte anche non in volo. Se mi ritrovassi dei gabbiani giganti nel bel mezzo della pista, che non si schiodano di lì neanche a causa del frastuono delle monoposto, cosa potrei fare? Mi verrebbe spontaneo rallentare per evitarli, il tutto mentre chiunque altro se ne sbatte della loro presenza. Per esempio, tu, Hamster, ti rallenteresti per preservare l’integrità dei gabbiani?»
Udendo pronunciare il proprio “nome”, Hamster Gangster si girò all’improvviso.
«Di cosa parli, Axel?»
«Degli animali che attraversano la pista durante le gare. Se tu fossi un pilota, rallenteresti per schivarli o metteresti al primo posto la tua gara?»
«Non sono un pilota, sono un cantante.»
«Un cantante tamarro di musica orribile.»
«Tu non hai un minimo di buon gusto.»
«No, sei tu che non hai un minimo di buon gusto. Sul palco sei sempre vestito in modo insensato.»
Hamster Gangster gli strizzò un occhio.
«Non sono mica io che decido come vestirmi! Sono profumatamente pagato per trasmettere il messaggio che, se anche dovessimo andarcene in giro con un copripoltrona addosso, la gente deve essere obbligata a dirci che stiamo benissimo, altrimenti è body-shaming.»
«Il body-shaming è un’altra cosa» obiettò Axel Frosch.
«Sì, ma gli appassionati della A+ Series sono in gran parte individui mononeuronici, quindi non possono capire queste cose» puntualizzò Hamster Gangster. «Comunque anche tu sei pagato per parlare dei biocarburanti.»
«Io sono davvero interessato ai biocarburanti. Vorrei tanto un trattore a biocarburanti, per andarmene in giro per la mia fattoria.»
Quella conversazione stava diventando lunga e ripetitiva, quindi Yannick decise di defilarsi, non prima di avere notato Ricky che discuteva amabilmente con Tina. Doveva essere molto contento che Axel si fosse distratto a parlare con Hamster Gangster. Si allontanò, specie dopo avere intravisto una chioma familiare: capelli neri con punte colorate di blu, la stessa che aveva intravisto in bagno dopo l’incidente.
Aveva una questione in sospeso con Ryuji Watanabe, era giunto il momento di andare a raggiungerlo. Vide l’ex pilota di Indycar dirigersi verso la toilette, quindi si avviò in quella direzione. Prima di entrare, sbirciò all’interno. C’era un enorme antibagno con diversi lavandini, che si trovava davanti sia ai bagni maschili sia a quelli femminili, come un unico ingresso. Watanabe si stava lavando le mani a uno di essi e non doveva essersi accorto della sua presenza. Era probabilmente convinto di essere da solo, nel momento in cui se le asciugava con una salvietta di carta presa all’apposito distributore.
Yannick entrò, lo afferrò da dietro e lo spinse violentemente contro il lavandino, sibilando: «Ho scoperto chi sei, Rosso Ventotto di merda!»
L’altro, che aveva perso l’equilibrio, si rialzò a fatica, prima di girarsi verso di lui. Yannick notò con piacere che aveva un taglio sanguinante sul labbro inferiore.
«Y-Yannick?» esclamò Ryuji, tradendo una certa sorpresa.
«Devi stare attento a quello che fai» gli intimò Yannick. «Non puoi andartene in giro a provocare incidenti così come se niente fosse. Non ti interessa niente del titolo? Va bene, non è un problema mio, ma ci sono piloti che lottano seriamente per il campionato e non devi metterti sulla loro strada! Al prossimo casino che combini, tutti sapranno chi sei e sarai costretto ad andartene.»
Ryuji lo fissò con gli occhi strabuzzati.
«Argento Quattro?!»
Solo troppo tardi Yannick si rese conto che non era un’affermazione, ma una domanda. Ryuji non aveva capito che Argento Quattro fosse proprio lui, quantomeno fino ad allora. Si era tradito. Tutta l’attenzione che aveva messo per anni nel nascondere la propria identità era stata inutile.
Watanabe la prese come una conferma.
«Argento Quattro.»
«Cosa vuoi fare?» gli chiese Yannick, secco. «Non osare metterti contro di me.»
«Non mi metto contro nessuno, a meno che non siano gli altri a istigarmi» replicò Ryuji. «Fai finta di non sapere chi sono e sparisci, in tal caso fingerò di non sapere chi sei. Però tu dovrai fare lo stesso. È uno scambio equo, mi pare.»
«Tu non dirai a nessuno che sono Argento Quattro» ribadì Yannick, «Altrimenti farai una brutta fine. Sono stato chiaro?»
«Sei stato chiarissimo» rispose una voce.
Non era stato Ryuji a parlare, ma una donna alle spalle di Yannick, che subito si girò a guardarla.
«A-Alysse?»
«Sorpreso di vedermi?»
«Beh, sì» ammise Yannick. «Cosa ci fai qua?»
«Ero venuta a controllarmi il trucco, ma ci sono cose più interessanti nella vita, a quanto pare» rispose Alysse. «Forse dovrei chiederti cosa ci fate voi. Perché Ryuji è imbrattato di sangue? E perché tu hai appena detto di essere Argento Quattro?»
Yannick si rivolse ancora una volta a Ryuji: «Mi raccomando, non fare casini. Dimentica quello che ci siamo detti e anch’io dimenticherò.» Pronunciate quelle parole, prese Alysse per un braccio e la pregò: «Vieni con me, posso spiegarti tutto.»
Alysse parve divertita.
«Puoi spiegarmi? Che cosa? Vuoi dirmi che non sei davvero Argento Quattro? Oppure spiegarmi perché ti comporti sempre così da stronzo?»
«Dai, vieni con me, parliamone da soli, non davanti a questo cretino.» Si avviò verso la porta, lasciando il braccio di Alysse, che comunque lo seguì. «Va tutto bene, non preoccuparti.» Una volta fuori dall’antibagno, Yannick si guardò intorno. Vide una porta con la scritta “privato”. Provò ad abbassare la maniglia. Si aprì e comparve davanti ai suoi occhi uno sgabuzzino stipato di strumenti di pulizia. «Forza, vieni dentro.»
Alysse continuò a seguirlo.
Yannick richiuse la porta e vi spostò contro un carrello, come a bloccarla.
«Allora?» gli chiese Alysse. «Perché siamo qui?»
Yannick scattò verso di lei e la baciò. Alysse non si tirò indietro, ma non appena le loro labbra si separarono tornò alla carica.
«Sei davvero Argento Quattro?»
«Sì, sono Argento Quattro» ammise Yannick. Dopotutto il fatto che Alysse l’avesse scoperto non era così terribile. Aveva in mano elementi importanti contro di lei, non aveva molto di cui preoccuparsi. «Lo so, ti sembro uno stronzo, ma sono sempre io. Quando scopavamo, non ti sembravo stronzo, vero?»
Alysse fece una risatina.
«Beh, no.»
«Allora posso dimostrarti che non lo sono nemmeno adesso.» Yannick allungò una mano, ad abbassarle una delle spalline dell’abito da sera rosso che indossava. «Nessuno può vederci, adesso. Perché dobbiamo sprecare questo momento?»
Sarebbe stato un buon modo per prendere tempo. Inoltre sarebbe riuscito a coglierla davvero di sorpresa, alla fine, quando le avrebbe rivelato che sapeva che era Rosso Ventisette. Non avrebbe voluto arrivare a tanto, ma Alysse era una dei suoi avversari, non doveva dimenticarselo. In quel momento la Mercier non poteva sapere. Certo, disapprovava i suoi comportamenti in pista, così come molto probabilmente anche quello che era appena successo tra lui e Ryuji Watanabe, ma non abbastanza da volersi allontanare da lui. Per un attimo ancora, Yannick si chiese come avrebbe reagito, ma decise che non doveva importargli, almeno per un po’: quella sera il piacere - verosimilmente per l’ultima volta - sarebbe venuto prima del dovere.

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Capitolo 17
*** Il documentario ***


[Sei anni prima]
Alysse non avrebbe saputo spiegarsi perché avesse scelto di accompagnare Alex alla sede. Forse era stata la sua sicurezza nell’assicurarle che gli sarebbe servita solo una mezz’ora per definire alcuni punti insieme al CEO, forse la promessa che poi avrebbero trascorso il resto del pomeriggio insieme. Mentre suo marito non c’era, il disagio saliva, dentro di lei. Nonostante avesse sempre saputo di non potere fare niente per impedirglielo, non aveva mai approvato la sua scelta di prestare la propria immagine per un falso storico. Il finto disastro di Monza aveva avuto effetti devastanti non solo su un’intera categoria motoristica, ma anche sui piloti che avevano gareggiato in tale categoria. La versione ufficiale narrava che, dopo un devastante incidente che aveva sorprendentemente coinvolto tutte le monoposto, nessuna esclusa, subito dopo la partenza, con tanto di scontri multipli e vetture finite in fiamme, alcuni di loro avessero perso la vita. Il CEO in persona aveva dichiarato che la loro identità non sarebbe mai stata rivelata e, dopo l’immediata cancellazione della Formula 1 e la nascita della A+ Series, ai piloti “sopravvissuti” era stato chiesto di non rivelare mai di essere ancora in vita, pena la radiazione perenne dal nuovo campionato e la minaccia di escluderli da qualsiasi categoria motoristica e di trovare un modo per accusarli di essere responsabili dell’incidente avvenuto su suolo italiano.
Per quanto Alysse potesse comprendere le ragioni per cui la totalità dei piloti si era rassegnata a sottostare a quella regola, rendendosi complice della più grande menzogna della storia del motorsport, non le era altrettanto chiaro come mai persone esterne dovessero a loro volta partecipare alle falsità della A+ Series. Aveva fatto presente ad Alex che avrebbe potuto liberarsi da ogni impiccio abbandonando il proprio ruolo accanto al CEO e cercandosi un altro lavoro. Aveva tutti i requisiti necessari per trovare un nuovo impiego di primo piano, ma quando Alysse glielo aveva fatto presente aveva replicato che la A+ Series ormai faceva parte della sua esistenza.
Ovviamente Alysse non l’aveva costretto a tirarsi indietro. Nessuno dei due aveva l’abitudine di cercare di imporsi sull’altro, in più si rendeva conto di essere lei, tra i due, quella più esposta al pericolo. Se accettava senza mezzi termini di gareggiare in una categoria motoristica di quello stampo, allora non poteva certo pretendere che Alex non avesse a che fare con il CEO e con i suoi sporchi giochi. Doveva solo sperare che non si fosse lasciato trascinare così tanto da andare incontro a un punto di non ritorno.
Attese, sperando che la sua riunione con il CEO terminasse. Nel corridoio, appoggiata alla parete, ogni pochi istanti finiva per controllare l’ora sul quadrante del proprio orologio da polso. Stanca di aspettare senza fare nulla, si avviò verso l’ufficio nel quale si stava svolgendo l’incontro. Avrebbe aspettato là, decise, senza immaginare che quella decisione avrebbe contribuito a scoperchiare un enorme vaso di Pandora.
Il CEO aveva la porta aperta. Alysse poteva vedere Alex, che le voltava di spalle, seduto di fronte all’uomo che dirigeva la A+ Series. Quest’ultimo, all’improvviso, alzò gli occhi e la scorse. Alysse notò che diceva qualcosa ad Alex, che poi si girò fugacemente a guardarla. Non comprese le loro parole, ma si rese conto subito che il CEO non era indifferente alla sua presenza.
Si alzò in piedi e venne ad affacciarsi.
«Come mai è qui, Alysse?» le chiese.
«Ho...» Alysse cercò qualcosa di sensato da dire. «Stavo aspettando mio marito, quindi sono venuta a fare un giro lungo questo corridoio. Mi scusi se mi sono spinta troppo oltre. Non volevo disturbare in alcun modo.»
Il CEO parve piuttosto affabile.
«Non si preoccupi. Anzi, vuole entrare con noi?»
Alysse aggrottò le sopracciglia.
«Entrare? Oh, no, certo.»
Non le sarebbe dispiaciuto ascoltare quello che suo marito e il CEO avevano da dirsi, in realtà, ma lo riteneva altamente inopportuno. In linea teorica, Alex non avrebbe dovuto raccontare a nessuno della partecipazione al “documentario”. Il fatto che Alysse l’avesse accompagnato proprio in occasione di una riunione in proposito doveva apparire quantomeno sospetto.
Il CEO, ugualmente, le parve sospetto mentre la esortava: «Avanti, entri.»
«No, davvero» insisté Alysse. Cercò di salvare il salvabile, puntualizzando: «Mio marito non sa chi io sia davvero, mi sembra giusto non volermi intromettere nei suoi affari lavorativi.»
«Lei è una donna saggia, Alysse» osservò il CEO, con tono carico di approvazione. «Mi viene quasi difficile credere che sia la moglie di Alexandre Mercier.»
«Perché?»
«Non si offenda, ma il suo consorte non è sempre così affidabile.»
«Eppure è uno dei suoi più stretti collaboratori.»
«Devo ammettere che trovare collaboratori che siano sempre affidabili, dove per sempre intendo in ogni singolo momento, è più difficile di quanto possa sembrare.»
Quella conversazione stava durando ormai da troppo tempo. Era meglio cercare di congedarsi.
«È il caso che mi sposti in un luogo in cui non darò disturbo a nessuno. La lascio alla sua riunione... e mi scusi ancora se sono comparsa qui dal nulla. Non pensavo che avesse la porta aperta.»
«Chiudo la porta soltanto quando ho segreti, per esempio quando devo tutelare l’identità di qualche pilota. A proposito, immagino che suo marito non sappia con esattezza che lei è uno specifico pilota.»
«Naturalmente no.»
«Lei è una persona discreta, dopotutto.»
Alysse si sforzò di sorridere.
«Già. Diciamo che comprendo le esigenze di segretezza e faccio tutto ciò che è in mio potere per tutelare me stessa e la categoria.»
«Peccato sia un pilota. Sarebbe una collaboratrice affidabile, lei. Lo sarebbe molto più di suo marito.» Il CEO diede segno di essere sul punto di rientrare. «È stato un piacere vederla, Alysse.»
Stavolta si curò di chiudere la porta, lasciandola sola nel corridoio. Alysse tornò indietro, allontanandosi nella direzione dalla quale era venuta. Tornò ad appoggiarsi alla stessa parete, ma evitò di tenere sotto ossessivo controllo l’orario. Cercò di pensare ad altro e, quando si accorse di non riuscirvi, si limitò a non pensare.
Alex ricomparve circa un quarto d’ora più tardi. Sembrava entusiasta, quindi Alysse cercò di non dimostrarsi troppo delusa. Si ripeté che Alex aveva un lavoro e che, grazie a quel lavoro, cercava di guadagnare il più possibile. La partecipazione al falso storico, per lui, era dettata dalla cifra che gli era stata promessa e che in parte aveva già ricevuto. “Il resto” le aveva spiegato, “arriverà quando il documentario uscirà”.
«È andato tutto bene» le disse.
«Mi fa piacere» rispose Alysse, in tono piatto.
«Il CEO è stato molto soddisfatto del mio lavoro» le riferì Alex. «Non mi sono preso tutti i meriti, sia chiaro. Gli ho detto che sono fortunato ad avere una donna come te nella mia vita e che sei la mia musa ispiratrice.»
Alysse si irrigidì.
«Hai detto al CEO che, stando con me, sei riuscito a trovare la strada giusta per mentire a proposito della A+ Series?»
«Gli ho detto che, se non ci fossi tu nella mia vita, tutto sarebbe molto più complicato, per me» replicò Alex. «Comunque, quando mi ha chiesto se ti avessi informata di quello che ho fatto, gli ho detto che sai tutto e che sei orgogliosa di me. So che non è vero, che avresti preferito diversamente, ma visto che ti è imposto di non andare contro la narrativa ufficiale, gliel’ho lasciato credere.»
Alysse abbassò lo sguardo.
«Non avresti dovuto farlo.»
«Non avrei dovuto dirgli che, come pilota di questa categoria, segui le regole di questa categoria senza battere ciglio?»
«Non avresti dovuto dirgli che mi hai parlato della tua partecipazione al documentario. La segretezza è importante.»
Alex parve non preoccuparsi troppo.
«La segretezza è importante per voi piloti. Gli ho detto esplicitamente che non so chi sei, l’ho ribadito più di una volta. Io non devo nascondere la mia identità.»
«Spero che tu abbia ragione.» Alysse alzò gli occhi e lo fissò con fermezza. «Voglio augurarmi che non sia un problema, per il CEO, se mi hai messa a conoscenza del tuo nuovo ruolo. Potrebbe non esserne troppo entusiasta.»
Alex sembrò divertito.
«Cosa c’è, hai paura che mi licenzi, adesso?»
«Non lo so nemmeno io di cos’ho paura» ammise Alysse, «Ma inizio a pensare che tu ti sia gettato in una situazione sulla quale non hai alcun controllo.»
Alex le ricordò: «È da molto che lo pensi, non hai iniziato ora. Diciamo che, fin dal primo giorno in cui ti ho raccontato del mio nuovo incarico, hai sempre creduto che mi fossi cacciato in un guaio senza via d’uscita.» Sospirò. «In un certo senso è così. Il CEO mi ha chiesto di tornare domani pomeriggio... ma appunto, il problema è solo questo: ti avevo promesso che avremmo passato insieme tutta la giornata, invece non sarà possibile.»
«Oh, che peccato, mio marito va al lavoro invece di stare tutto il giorno attaccato alle scatole!» scherzò Alysse. «Non preoccuparti, con tutto il bene che posso volerti, ogni tanto è meglio se te ne vai.»
«Anche il giorno del nostro anniversario?»
«Soprattutto il giorno del nostro anniversario. Tre anni di matrimonio sono stati lunghi e intensi, riposarmi un po’ la mente mentre non ci sei sarà uno spasso.»
«Cercherò di tornare presto.»
«Se proprio devi!»
«Certo che devo. Va bene tutto, vanno bene i documentari, va bene lavorare a stretto contatto con il CEO, vanno bene i soldi che riceverò per quello che ho fatto... ma a tutto c’è un limite e quel limite finisce proprio dove inizi tu.»
Alysse sbuffò.
«Dai, non cercare di fare il poeta. Ti riesce malissimo. Suoni quasi ridicolo, quando hai queste uscite. Piuttosto, pensiamo ad andarcene da qua. O vuoi passare tutto il resto del pomeriggio qui in sede?»
«Per niente» ribatté Alex. «Se dovessi scegliere dove passare il resto del pomeriggio, sarebbe a letto con te.»
«Parla piano!» lo rimproverò Alysse. «Vuoi che qualcuno ti senta?»
«Sto pianificando di svolgere i miei doveri coniugali» puntualizzò Alex. «Non vedo perché dovrebbe essere un problema, se qualcuno mi sentisse.»
Alysse allungò una mano e fece il gesto di tappargli la bocca.
«Basta, andiamo, se non vuoi che ti chieda il divorzio prima ancora di arrivare a tre anni di matrimonio.»
«Come desideri, principessa.» Alex ridacchiò, spostando la sua mano. «Meglio andare, dato che, appunto, abbiamo programmi molto più interessanti.»
Il resto della giornata fu molto piacevole. Una volta uscita dalla sede, con il CEO e il suo “documentario” ormai alle spalle, non le venne più da pensare alle dinamiche vere e immaginarie del motorsport a ruote scoperte. Non rievocò minimamente gli avvertimenti del primo Argento Tre, né i suoi occhi verdi che somigliavano tanto a quelli dell’ex campione Mihail Silberblitz, né gli aventi antecedenti e successivi al presunto disastro di Monza. La sua mente non fu sfiorata dal ricordo di Santiago Fernandez che diventava campione del mondo per la terza volta consecutiva, né da quello di Kamil Jäätä che a sua volta, l’anno seguente, si imponeva in cima alla classifica piloti. Non rammentò gli albori del mondiale 2009, con un nuovo regolamento tecnico e un improvviso cambio di valori, né come quel campionato fosse stato drasticamente interrotto in corso d’opera senza mai arrivare alla sua naturale conclusione. Non si interrogò sugli albori della A+ Series, con il campionato 2010/11 come apertura, né su tutto ciò che aveva a che fare con auto e motori.
La vigilia del suo terzo anniversario di matrimonio con Alex non fu, per Alysse, nient’altro che un giorno positivo e pieno di spensieratezza, una volta superato l’ostacolo dell’incontro tra il marito e il CEO. Il fatto che Alex e quell’uomo dovessero rivedersi l’indomani pomeriggio non la turbava, sarebbe stato solo un appuntamento di lavoro come tanti, o almeno così credeva. Era ancora convinta che rivelargli di averla informata della partecipazione al “documentario” non fosse stata la migliore delle scelte, ma se cercava di essere realista si rendeva conto di come, qualunque fosse la conseguenza di quell’azione avventata, non sarebbe stata troppo drastica.
Il giorno dell’anniversario arrivò. Alysse dedicò la mattinata al training fisico, quindi ebbe poco tempo a disposizione da trascorrere insieme ad Alex. Pranzarono insieme, più tardi, e subito dopo suo marito si preparò per andare alla riunione con il CEO.
«Ci vediamo stasera» furono le ultime parole che le rivolse, prima di aprire la porta e andarsene.
Non sarebbe tornato mai più. Alysse l’avrebbe atteso invano, quella sera, poi sarebbe arrivata la telefonata che avrebbe cambiato il corso della sua vita. Suicidio, sarebbe stata la versione ufficiale dei fatti, avvenuto per avvelenamento da cianuro, ingerito con un bicchiere di tè dei distributori automatici. Qualcuno avrebbe osservato che era sorprendente che Alex Mercier si fosse all’improvviso tolto la vita, ma sarebbero rimaste soltanto parole al vento. In assenza di prove che giustificassero l’idea che fosse stato qualcun altro a mettergli il cianuro nel bicchiere, non vi sarebbe stata, per costoro, la possibilità di essere davvero presi sul serio.
Alysse avrebbe finito per rassegnarsi, quasi a credere all’ipotesi del suicidio. Non se ne sarebbe, però, mai convinta fino in fondo. Avrebbe cercato di non parlare mai di Alex, negli anni a venire, quando aveva intorno qualcuno che appartenesse al mondo della A+ Series. Anche a Yannick Leroy, l’uomo con cui avrebbe allacciato una relazione, non avrebbe raccontato per filo e per segno la sua vita coniugale passata, né gli avrebbe mai rivelato di essere la vedova di Alexandre Mercier.
Yannick, tuttavia, l’avrebbe scoperto da solo. Di punto in bianco, a una festa, alla quale Alysse avrebbe scoperto accidentalmente che Leroy era il famigerato Argento Quattro, l’avrebbe invitata a seguirlo in uno sgabuzzino. Avrebbero avuto un rapporto sessuale e poi, di colpo, l’avrebbe messa di fronte alla realtà.
«Eri sposata con Alex Mercier, vero?»
«S-sì.» Alysse avrebbe esitato, ma non avrebbe mai pensato che quella domanda potesse essere in qualche modo pericolosa. «Chi te l’ha detto?»
«Non ha importanza» avrebbe replicato Yannick. «Voglio sapere tutto di lui.»
Quelle parole avrebbero spiazzato Alysse, che avrebbe reagito d’istinto, obiettando: «Non ho niente da dirti, su di lui.»
«Invece credo che tu abbia molto da riferirmi» sarebbe stata la risposta di Yannick. «Credi che sia stato ammazzato, vero? Hai qualche prova? Oppure qualche sospetto serio? Dimmelo, Alysse, o tutti sapranno che sei Rosso Ventisette.»

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Capitolo 18
*** La chiamata del CEO ***


«Dov’è Ricky?» chiese Hamster Gangster, quando furono usciti dal locale.
«Già, appunto, dov’è Ricky?» gli fece eco Axel.
Tina alzò gli occhi al cielo.
«Dai, non è necessario stargli addosso come se fosse un bambino, è capace di cavarsela da solo e di andarsene a dormire senza che glielo accompagniamo, quando ne avrà voglia.»
«Ci eravamo detti che alle dieci e mezza ce ne saremmo andati» osservò Axel. «Si è dimenticato che domani ci sarà la gara più importante del fine settimana?»
«Non credo che Ricky se ne sia dimenticato» replicò Tina, «Ma non vedo perché tu debba essere così spaventato. Non diventerà un pericolo pubblico in pista soltanto se si limita ad andare a letto tardi, non credi? Poi, meno preparato è per la gara e meglio è per tutti.»
Axel ridacchiò.
«Tanto lo sai che non abbiamo comunque molte speranze.»
«Non sono d’accordo con te» replicò Hamster Gangster, rivolgendosi ad Axel. «Per quanto il CEO e i suoi sottoposti abbiano deciso di metterci al volante di due monoposto di centro gruppo al massimo, in modo da evitare che potessimo dominare come le nostre performance suggerivano, non dobbiamo mai perdere le speranze. Va bene, Argento Quattro sembra destinato a vincere il titolo, mentre noi non abbiamo mai avuto questa possibilità, ma anche le singole gare sono importanti. La gente non si ricorda solo dei campioni del mondo, ma anche dei piloti che vincono gare epiche.»
«Proprio questa è la ragione per cui il mio sogno era sempre stato quello di potere vincere a Monza o con la Minardi o con la squadra che ne avesse preso il posto» puntualizzò Axel. «Purtroppo questa possibilità è stata preclusa sia a me, sia al mio potenziale successore.»
«Quale potenziale successore?»
«Ti do un indizio, è vestito di giallo.»
Tina alzò gli occhi al cielo.
«Ce ne vogliamo andare o volete stare lì davanti all’uscita continuando a parlare di niente?»
«Non sono certo che Karl Percival sarebbe felice se sapesse che parlare di lui equivale a parlare di niente» obiettò Hamster Gangster. «Capisco che, come la maggior parte dei ragazzi della sua età, non brilli molto per intelletto, ma crede molto nelle sue doti di pilota.»
«Farebbe meglio a tenere a freno la lingua» replicò Axel. «L’ho sentito dire più di una volta di sentirsi un predestinato, che il suo percorso verso la A+ Series era già scritto. Ci manca poco che si metta anche a sbandierare ai quattro venti di essere Giallo Sedici e poi è fatta. Non capisco perché si debba fare terra bruciata intorno da solo. Sembra non rendersi conto che anche eludere le regole solo per la foga di parlare dei propri presunti successi, senza cattive intenzioni, è ugualmente pericoloso. Comunque non parlavo di lui: è Quindici il mio “erede”.»
«Axel, tu non hai mai vinto a Monza né con una Minardi né con una Toro Rosso» gli ricordò Hamster Gangster, «Di conseguenza Quindici non è un tuo successore.»
«Nemmeno Quindici ha vinto a Monza con una Minardi o una Toro Rosso, nonostante secondo me ne avesse le capacità. Quindi sì, Quindici è un mio successore.»
«Pensi che Quindici sia capace di un simile risultato?»
«Non vedo perché non dovrebbe.»
«Sembra sia un grande amico di Sedici. Può essere che come intelletto non sia tanto superiore.»
Axel sbuffò.
«Dai, Sedici non è così male. Va bene, dice un sacco di sciocchezze e se fosse il mio fratello minore lo prenderei continuamente a sberle, però è un bravo ragazzo. Sono sicuro che, quando smetterà di vivere della sua aura di predestinato e capirà che siamo tutti nella stessa situazione, allora qualcosa migliorerà. In ogni caso non ho mai detto che Giallo Quindici sia un futuro campione, o qualcosa del genere. Ho detto solo che ce lo vedrei bene a vincere a Monza. Peccato che abbiano tolto quel circuito, era uno dei migliori... ma del resto la A+ Series sembra volere togliere tutto ciò che c’è di bello nel motorsport. Possiamo solo rassegnarci o andarcene.»
Andarcene. Quella parola riecheggiò nella mente di Tina. Aveva un significato importante, per lei, ma non aveva ancora parlato con nessuno di come intendesse andare via, nemmeno con Axel. Non disse nulla e, per un attimo, anche Axel e Hamster Gangster rimasero in silenzio. Fu allora che sentì un lieve rumore nell’oscurità.
«C’è qualcuno?» chiese.
Nessuno le rispose.
«No, non c’è nessuno» la rassicurò Hamster Gangster.
«Già, nessuno ci ha sentiti» confermò Axel.
«Vorrei ben sperarlo» ribatté Tina. «Non vorrei che, dopo avere criticato Karl Percival perché non è molto discreto sul fatto di essere un pilota, foste voi quelli che si fanno cogliere sul fatto.» Si diresse verso il buio, dove le era sembrato di udire qualcosa e ripeté: «C’è qualcuno?» Fu allora che vide, a pochi metri di distanza, lo schermo di uno smartphone che si illuminava, tra le mani di qualcuno. «So che sei lì, chi sei, ci stai spiando?»
La persona con il telefono in mano avanzò di qualche passo, venendo alla luce nella penombra.
«Ero qui già molto prima di voi» replicò Alysse Mercier, in tono secco. «Mi stavo facendo i cazzi miei, quando all’improvviso siete arrivati e vi siete messi a tenere un comizio parlando delle vostre cavolate.»
«Cavolate» borbottò Tina. «Ci hai sentiti?»
«Ho sentito che menzionavate un certo Karl Predestival o qualcosa del genere, ma non me ne frega niente né di lui né di voi.»
Il tono di Alysse era piuttosto indispettito, un po’ come se non fosse stata lei a cogliere dettagli di una conversazione segreta, ma l’esatto opposto.
«Va tutto bene?» le chiese Tina.
«Sì, grazie.»
Il tono di Alysse era tagliente. Tina decise che valeva la pena di insistere.
«È successo qualcosa, vero? Se vuoi puoi parlarmene, magari posso aiutarti. Non...»
Fu interrotta dalla voce di Hamster Gangster.
«Ehi, Tina, andiamo? Eri tu che avevi fretta.»
Tina lo ignorò. Alysse, frattanto, le rispose: «Sì, è successo qualcosa, ma non c’è nulla che tu possa fare. A meno che tu non abbia a disposizione un’auto con cui portarmi al circuito, facendomi fare un passaggio in hotel per cambiarmi, nel giro di venti minuti.»
«Nel giro di venti minuti posso riuscire a portarti al circuito» replicò Tina, «Ma dovrai accontentarti di andarci così. Cosa devi fare?»
Alysse parve riluttante.
«Non so se...»
Tina azzardò: «Sei stata convocata dal CEO?»
«Sì.»
«Eri sposata con il suo assistente, in passato, giusto?»
«È giusto anche quello.»
«E tuo marito è morto da diversi anni.»
Alysse parve diventare sospettosa.
«Come fai a saperlo?»
«Mi piace informarmi a proposito dei miei nemici» ribatté Tina. «È il primo passo per non farmi mai cogliere impreparata.»
«I tuoi nemici?» ripeté Alysse. «Consideri me e mio marito come tuoi nemici?»
A Tina sfuggì una risata.
«Certo che no, parlo del CEO!»
«Una semplice opinionista che teme il CEO» mormorò Alysse. «Mi sembra una faccenda piuttosto interessante.»
«A me sembra una faccenda di cui non dovresti occuparti» obiettò Tina, «Così come mi sembra che tu stia perdendo tempo. Dobbiamo andare al circuito, o sbaglio?»
«Non so, vuoi davvero accompagnarmi?»
«Non vedo perché non dovrei. Lasciami il tempo di spiegare ai miei cari accompagnatori che dovranno prendere un taxi, se vogliono andarsene a dormire, poi sarò da te.»
Alysse non si oppose e Tina tornò da lei dopo pochi istanti. La accompagnò verso l’automobile a noleggio che utilizzava in quei giorni per gli spostamenti. Salirono a bordo e si diressero in silenzio verso il circuito. Erano quasi arrivate, quando Tina si girò a dare un’occhiata all’abito che Alysse indossava. Era piuttosto elegante ed era rosso.
«Hai paura che il CEO capisca che sei stata alla festa?» le chiese. «Non preoccuparti, non è la prima volta che ci sono party come quello di stasera. Fintanto che non facciamo le ore piccole, devastandoci prima di una gara, non è un problema, ovviamente a condizione che non trapeli in alcun modo la nostra identità.»
«La “nostra identitԻ osservò Alysse. «Mi stai rivelando di essere uno dei piloti della A+ Series?»
Tina ridacchiò.
«Anche tu hai appena fatto lo stesso.»
«Io non dico più niente e tu non dici più niente» le propose Alysse. «Ci stai?»
«Invece ho molto da dire» ribatté Tina. «Sbaglio o dobbiamo risolvere la questione del tuo abito?»
«Non c’è modo in cui si possa risolvere» replicò Alysse. «Devo andarci così, dal CEO.»
«Che non gradirà sapere che ti vesti di rosso, nella tua vita quotidiana.»
«Cosa vuoi dire?»
«Che di piloti in rosso ce ne sono due... e uno è asiatico, quindi non puoi essere tu.» Tina accostò, erano lungo una strada buia e poco trafficata. «Avanti, spogliati.»
Alysse parve stupita.
«Perché dovrei spogliarmi?»
«Non ti sto chiedendo di fare sesso con me in cambio del mio silenzio, se è questo che ti spaventa» precisò Tina. «Sai, non sei esattamente il mio tipo, preferisco quelli come Axel Frosch.»
«Stai insieme ad Axel?»
«Già.»
«Axel F., come la suoneria di “Crazy Frog”.»
«Ring a ding a dong» canticchiò Tina. «Tornando alle faccende serie, invece, così a occhio mi sembra che portiamo più o meno la stessa taglia. Togliti il vestito. Ti do la mia camicia e i miei pantaloni, così il CEO non scoprirà che ti vesti di rosso rischiando di far saltare la tua copertura.»
Non ci volle molto a convincere Alysse.
«Grazie, Tina.»
«Di nulla. Sono felice di poterti aiutare. Dopo, però, mi racconti per filo e per segno che cosa sta succedendo e parliamo delle nostre identità segrete.»
Alysse non accettò né rifiutò, si limitò a spogliarsi e a indossare gli indumenti di Tina, che invece infilò l’abito rosso. A quel punto riprese il proprio viaggio verso il circuito, dove lasciò la collega. L’incontro tra Alysse e il CEO durò all’incirca venticinque minuti e quando la Mercier tornò indietro si limitò a salire in macchina e a rimanere in silenzio.
Tina rimase ferma, con il motore spento.
«Allora?»
«Allora niente.»
«Cosa sta succedendo?»
«Non lo so cosa stia succedendo» ammise finalmente Alysse. «È tutto un casino, un enorme casino. Non so più di chi posso fidarmi... e non credo ci sia qualcuno di cui posso farlo.»
«Il tuo cavaliere che ruolo ha in tutto ciò?»
«Quale cavaliere?»
«Yannick Leroy.»
«Non sono sicura che “cavaliere” sia la definizione giusta per lui.»
«Ti ha lasciata?»
«Bada ai cavoli tuoi. Ti interessa il mio incontro con il CEO o la mia vita privata?»
«Mi interessa il tuo incontro con il CEO.»
«Mi ha parlato di mio marito. Mi ha detto che posso contare su di lui, se qualcuno mi importuna a causa del mio legame con Alex... e l’ha fatto proprio stasera. Mi è sembrato maledettamente falso, specie considerato che Alex è morto in circostanze non proprio chiare. Non so che cosa volesse davvero da me, ma non sono tranquilla.»
«L’ha fatto proprio stasera, hai detto» ripeté Tina. «In che modo questa sera è diversa dalle altre? Qualcuno ti ha effettivamente importunata solo perché eri la moglie di Alex Mercier? Se mi vuoi raccontare cos’è successo...»
Alysse la interruppe: «No, non sono stata importunata, in nessun modo. Solo, una persona a cui tenevo molto, mi ha fatto delle pressioni per sapere qualcosa su di lui, una persona che ha in mano degli elementi contro di me.»
«Il tuo presunto ragazzo ha scoperto che sei Rosso Ventisette e ti ha minacciata di diffondere la tua identità a meno che tu non gli parli di cose di cui non vorresti» azzardò Tina. «Stiamo parlando di Yannick Leroy, giusto?»
«Stiamo parlando di una persona che non può raccontare che sono Rosso Ventisette» chiarì Alysse, «Perché a sua volta ha un’identità da nascondere.»
«Quindi Yannick Leroy è un pilota.»
«Non ho mai detto questo.»
«A volte non è necessario dire qualcosa, affinché lo si venga a scoprire. È Argento Quattro, vero?»
«Non posso dirti niente.»
«È Argento Quattro.»
«Come vuoi utilizzare questa informazione?»
«Non voglio utilizzarla, anche se comunque è molto utile esserne a conoscenza. Da quanto tempo lo sai?»
«Da stasera.»
«Wow, si è fatto scoprire proprio quando intendeva ricattarti. Come ha scoperto, invece, che tu sei Ventisette?»
«Non ne ho idea. Comunque, se l’hai capito anche tu, non deve essere così difficile.»
Tina ridacchiò.
«Diciamo che sono molto perspicace, quando si tratta di assegnare l’identità ai piloti. Per esempio il tuo amico Watanabe è anche il tuo compagno di squadra, immagino.»
«Non mettere in mezzo Ryuji» la pregò Alysse. «Non ha niente a che vedere con questa storia. Non sa nulla di mio marito.»
«Non voglio mettere in mezzo nessuno» chiarì Tina. «Anzi, Ryuji mi è simpatico. Domani sera, quando il fine settimana sarà finito, dovremmo vederci tutti insieme. Io, tu, Ryuji, Axel, i miei amici Ricky e Hamster Gangster. Siamo tutti uniti, dalla stessa parte, in fondo: Argento Quattro detesta la maggior parte di noi e sarebbe disposto a tutto pur di distruggerci.»
«In che modo hai avuto a che fare con Argento Quattro?»
«Non mi dire che ancora non l’hai capito.»
«Sei uno dei piloti, questo mi è chiaro, ma chi? Viola Sei ha gli occhi scuri, ma non sono comunque i tuoi.»
Tina sospirò.
«A volte il colore degli occhi è solo un colore.» Accese la luce dell’auto, prese la propria borsa e iniziò a rovistarvi dentro. «Credo dovrò darti un piccolo aiuto.» Cercò la custodia delle lenti a contatto, le prese fuori e le indossò. A quel punto tornò a girarsi verso Alysse. «Adesso lo capisci?»
Si rese conto di averla spiazzata, quando l’altra esclamò: «Viola Cinque?!»
«In persona» ammise Tina. «Spero ti sia sufficiente a capire che non voglio fare niente di male né a te né a Watanabe. Lo ribadisco, siamo tutti dalla stessa parte.»

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Capitolo 19
*** Azerbaijan ***


Era domenica e mancavano ancora diverse ore al via del gran premio. Era stato preceduto da una lunga serie di gare sprint e alcuni argomenti di discussione non si erano ancora placati. C'erano stati diversi incidenti, complice anche la natura del tracciato cittadino di Baku, ma nessuno di essi riguardava i piloti che lottavano per il campionato. Era il penultimo appuntamento della stagione e Ryuji sapeva che le speranze del suo alter-ego Rosso Ventotto di vincere il campionato erano ormai molto ridotte. Non ci pensava più, come del resto non ci aveva mai pensato seriamente. Sapeva come funzionava la A+ Series: uno dei due piloti al volante di una monoposto rossa doveva arrivare vicino al risultato, ma senza ottenerlo. Di solito il pilota in questione era Ventisette, ma la sua stagione travagliata non l'aveva reso possibile.
In quel momento, in ogni caso, Rosso Ventisette non c'era ancora, Ryuji doveva accontentarsi di avere a che fare con Alysse. Qualcosa era cambiato nel loro rapporto da quando eranl venuti a scoprire le reciproche identità, e non certo in negativo.
La sua compagna di squadra non si era ancora accorta di lui: era impegnata a conversare con Hamster Gangster, altri pilota che Ryuji avrebbe ormai saputo identificare. Il rapper indossava abiti presentabili, quella volta, dal momento che non doveva esibirsi. La prassi avrebbe voluto vederlo rintanato da qualche parte senza farsi riconoscere, ma ultimamente i piloti avevano la tendenza a fregarsene della prassi, fintanto che non ricevevano reclami dall'alto.
Ryuji non sapeva se avvicinarsi. Non aveva molta confidenza con l'alter-ego di Arancione Otto, avendo rifiutato un invito di Tina Menezes a prendere parte a una serata con lei e i suoi amici dopo il Gran Premio di Spagna, ma ne aveva con Alysse. Si decise, si diresse verso di loro. La Mercier lo accolse con un sorriso e si rivolse al rapper, chiedendogli se lo conoscesse.
«Sì, conosco Watanabe» confermò Hamster Gangster. «Non sono un grande appassionato di Indycar, però, quindi non so molto di lui.» Si rivolse a Ryuji. «Tu hai vinto a Indianapolis qualche anno fa, vero?»
«Veramente no, quello era un mio connazionale» puntualizzò Ryuji. «Tra l'altro avrà almeno dieci anni in più di me e sarà dieci centimetri più basso.»
«Te l'ho detto, non seguo la Indycar.»
«Fai male, perché non esiste solo la A+ Series.»
«Me lo dice sempre anche Tina.» Hamster Gangster ridacchiò. «Secondo lei sono un ignorante patentato, quando si tratta cose che non riguardano la A+ Series. O, più genericamente, di cose che non mi riguardano nello specifico. Non mi sono nemmeno accorto di quando diventò Viola Cinque.»
Doveva sapere che erano tutti e tre a conoscenza di chi fosse l'alter-ego della Menezes, altrimenti non avrebbe mai fatto una simile osservazione.
«Non è così grave» obiettò Ryuji. «In fondo non dovremmo sapere chi sono i nostri colleghi.» Si guardò intorno. «E poi, va bene che non c'è nessuno, ma faresti meglio a parlare piano. Qualcuno potrebbe essere nascosto da qualche parte e sentirti.»
Hamster Gangster alzò le spalle, con una certa indifferenza.
«Mi fido degli altri piloti. Nessuno di noi minaccerebbe mai sul serio qualcuno di rivelare la sua identità.»
Alysse e Ryuji si scambiarono un'occhiata. Ryuji non disse nulla, ma in compenso ci pensò la sua amica.
«C'è chi l'ha fatto, forse Tina non te l'ha riferito.»
«Chi sarebbe questo stronzo?»
«Yannick Leroy.» Alysse pronunciò quel nome con voce tagliente, come se ci fosse qualcosa di più rispetto a quanto Ryuji già sapeva. «Argento Quattro, quel gran figlio di puttana.»
Ryuji avrebbe voluto chiederle come mai fosse così dura con il suo pseudo-fidanzato, ma ritenne non fosse il caso, davanti a Hamster Gangster. Quest'ultimo, frattanto, chiarì la questione di Viola Cinque.
«Non sarebbe stato così grave non riconoscere Tina, se non avessi già saputo che sotto il casco di Viola Cinque si nascondeva Axel. Siamo amici da molti anni, eravamo a conoscenza l'uno dell'identità dell'altro. Ebbene, quando Tina è stata messa al posto di Axel, e Axel è diventato Verde Quindici, non mi sono accorto di nulla. L'ho scoperto qui a Baku, qualche anno fa. Eravamo in lotta per la prima posizione, io e Viola Cinque. Era dietro di me. Poi è entrata la safety car, non ricordo perché. Ci siamo accodati e, per qualche assurdo motivo, Cinque mi ha affiancato e mi ha tirato una ruotata. Alla fine della gara ha addirittura affermato che me lo meritavo, perché avevo frenato davanti a lui di proposito.»
«Ricordo quella vostra polemica» osservò Alysse. «Un sacco di piloti improbabili hanno lottato per la vittoria, quel giorno, dopo che tu hai avuto problemi e Viola Cinque è stato penalizzato per la ruotata. Perfino Bianco Due sembrava un potenziale vincitore... ed era dai tempi in cui stava sistematicamente sulla strada di Rosso Ventisette - Santiago Fernandez, pare - che non vinceva una gara.»
«Phil Corujas, pare che fosse» mormorò Hamster Gangster. «Non era certo uno dei piloti più tosti che ci fossero in pista, ma per qualche motivo tentava di ostacolare in ogni modo possibile Fernandez - Ventisette, insomma. Tornando a noi, dopo quella ruotata ero convintissimo che fosse stato Frosch. Quella sera sono andato a cercarlo ovunque, nel paddock, e quando l'ho trovato gli ho tirato un cazzotto sul naso senza neanche dargli il tempo di pronunciare una parola. Oserei dire che è stata una delle peggiori figure di merda della mia vita. Axel ha insinuato che avessi bisogno di cure psichiatriche. È stata Tina, tempo dopo, a rivelarmi che Cinque era diventata lei, già da parecchio.»
Ryuji intervenne: «Vedo che voi veterani della A+ Series avete parecchi scheletri nell'armadio.»
Gli parve che Hamster Gangster non lo stesse ascoltando con grande attenzione, e infatti poco dopo si accorse che stava rivolgendo un cenno di saluto proprio alla Menezes. Si allontanò e si diresse incontro a Tina.
«Quella donna gli piace parecchio o sbaglio?» azzardò Ryuji, rivolgendosi ad Alysse.
«Non credo, in realtà» rispose Alysse. «Tina mi ha detto di essere fidanzata con Axel. Le ho chiesto se Hamster Gangster invece sia single. Sembrerebbe di sì, anche se Tina ha tacciato The Racing Prince di essere il suo amante.»
«The Racing Prince lo youtuber?»
«Sì, quello che secondo alcuni è il precedente Argento Quattro. Hamster Gangster comunque ha smentito, sostiene che lui e The Racing Prince sono solo grandi amici.»
«Farebbero una bella coppia insieme.»
«Da quello che ho capito io, Hamster Gangster è uno spirito libero. Vuole concentrarsi sulla sua carriera di pilota, non cercare l'anima gemella.»
Ryuji annuì.
«È ragionevole.»
«Già» convenne Alysse. «Le complicazioni sentimentali portano solo a problemi; un sacco di problemi, uno dopo l'altro. Ne so qualcosa.»
Ryuji ricordò la sua invettiva contro Leroy.
«Posso chiederti cos'è successo tra te e Yannick? Non penso che tu ce l'abbia così tanto con lui per via del nostro scontro.»
Alysse avvampò.
«Scusa se me ne sono andata con lui così come se niente fosse, quella sera, a Valencia.»
«È il tuo compagno, o qualcosa del genere» replicò Ryuji, «O almeno lo era. Non hai fatto niente di male.»
«Ci tenevo a lui e pensavo che anche lui ci tenesse a me» ammise Alysse. «Mi era chiaro che avesse sbagliato, però io non c'entravo niente. L'ho seguito, sono entrata con lui in...»
Si interruppe.
«Vi siete imboscati da qualche parte nel locale e avete fatto sesso là dentro?» esclamò Ryuji, non curandosi della propria invadenza. «Wow, è fantastico, credevo che cose simili succedessero solo nei film.»
Alysse abbassò lo sguardo.
«Sì, l'abbiamo fatto. E subito dopo mi ha detto che sa chi sono.»
«Ha scoperto che sei Rosso Ventisette?»
«Sì.»
«Non dalla Menezes o da Frosch, immagino.»
«Certo che no, Tina e Axel l'hanno sempre tenuto alla larga. Sanno che Argento Quattro è uno stronzo e che potrebbe rivelare le loro identità, se fosse utile al suo scopo. E pur non sapendo quale sia il suo scopo, Yannick mi ha fatto capire che mi avrebbe smascherata.»
Ryuji spalancò gli occhi.
«Ma perché?!»
«Non ne ho idea» rispose Alysse. «Mi ha fatto delle domande su mio marito, mi ha detto che, se gli avessi detto quello che voleva, non avrebbe detto a nessuno chi sono.»
«E tu?» volle sapere Ryuji. «Gli hai risposto?»
Alysse scosse la testa.
«Gli ho ricordato che anch'io so chi è lui. Gli ho fatto capire molto chiaramente che, se raccontasse che Rosso Ventisette sono io, il giorno stesso si troverebbe smascherato a sua volta. Abbiamo entrambi qualcosa da perdere, ma Yannick rischia molto più di me. Non sono certo io quella che potrebbe puntare a vincere un mondiale. Dopo l'ennesimo guasto, al Gran Premio di Spagna, sono ormai fuori dai giochi... e in ogni caso non ci sono mai stata dentro. L'idea di dovere rinunciare alla mia carriera non mi fa impazzire, ma è un'idea più sopportabile di quanto non lo sia per Yannick correre lo stesso rischio, proprio quando è vicino a realizzare il suo sogno. Il titolo è tutto per lui.»
Ryuji osservò: «I problemi tecnici che hai continuamente sono abbastanza sospetti. Sembri perseguitata dalla sfortuna, ma sappiamo bene che la sfortuna non esiste. O per meglio dire, non esiste nella A+ Series.»
Alysse gli rivelò: «Il CEO ce l'ha con me. Sa che ero la moglie di Alex, il suo assistente di qualche anno fa. Sono sicura che mio marito non abbia fatto quello che dicono. Non aveva alcuna ragione per togliersi la vita. Il CEO, invece, aveva molti motivi per volersi sbarazzare di lui.»
«Quell'uomo non ha etica, quando si tratta di gare e incidenti, questo lo sappiamo, ma sei davvero convinta che potrebbe arrivare a commettere un delitto?»
«Vorrei credere che non ne sia capace, ma non posso. So che c'è lui dietro la morte di Alex, non può essere andata diversamente. Deve avere capito che so, per questo sta cercando di ostacolarmi. Temo di essermi lasciata sfuggire, di tanto in tanto, di non credere alla versione ufficiale sul disastro di Monza, la voce deve essergli arrivata all'orecchio e deve avere intuito che penso che Alex sia stato ucciso perché non era capace di tenere la bocca tappata su quello che aveva fatto - la comparsa in un falso storico.»
«E Yannick? Come si incastra in tutto questo?»
«Non lo so.»
«Hai detto che non possono essere stati Tina e Axel a riferirgli che sei Rosso Ventisette, quindi deve essere stato qualcun altro. Cercava di estorcerti informazioni su tuo marito. Perché avrebbe dovuto? Ne avevate mai parlato?»
Alysse scosse la testa.
«Gli avevo detto di essere stata sposata, ma non gli avevo mai detto che fine avesse fatto Alex. A Yannick non sembrava importare, gli bastava sapere che fossi libera, perché non voleva complicazioni.»
Ryuji ipotizzò: «Potrebbe essere una spia del CEO. Quel gran figlio di buona donna potrebbe averlo ingaggiato per estorcerti informazioni e avergli detto chi sei.»
«No, non è possibile» obiettò Alysse. «Yannick è uno stronzo, ma non posso credere che lo sia fino a questo punto.»
«Venderebbe perfino sua madre per un mondiale» ribatté Ryuji. «Non ci sarebbe da stupirsi se avesse deciso di vendere te. Il CEO gli avrà promesso qualche genere di aiuto e Yannick avrà accettato di lavorare per lui.»
«È assurdo.»
«Era assurdo quando non sapevi che Yannick fosse Argento Quattro. Adesso che lo sai, dovresti accettare la realtà. È disposto a qualsiasi cosa, se si tratta di portare avanti i suoi interessi. Però non lo ammetterà mai, quindi non vale la pena di parlargli.»
Alysse aggrottò la fronte.
«Perché, stavi prendendo in considerazione l'idea di discuterne con lui?»
«Se ce l'avessi davanti, credo che non mi verrebbe voglia di parlare, ma solo di prenderlo a pugni» puntualizzò Ryuji. «Penso che Yannick mi farebbe a pezzi e non avrei la possibilità di cavarmela, contro di lui, quindi dobbiamo agire in modo diverso.»
«Dobbiamo agire?» ripeté Alysse, chiaramente senza capire.
«Eccome se dobbiamo agire.» Ryuji guardò l'orologio. «Appuntamento un'ora e mezza prima della gara nel motorhome di Rosso Ventotto, abbiamo un bel po' di cose da pianificare. Ci stai?»
«Non so cosa mi stai chiedendo.»
«Di vendicarti di quel bastardo e di farlo insieme a me.»
«Ne parleranno più tardi Ventisette e Ventotto» concluse Alysse. «Prima di accettare proposte, preferisco sapere di cosa si tratta.»
Ryuji annuì, prima di lasciarla da sola. Si allontanò, calandosi già nella mentalità di Rosso Ventotto. Era sempre stato un pilota pronto a tutto, ma leale, quantomeno con chi dimostrava di meritarsi lealtà. Argento Quattro non apparteneva a quella cerchia, Ventotto sentiva di non dovergli nulla.
L'avversario sarebbe partito secondo, sul lato sporco della griglia. L'ideale sarebbe stato strappargli la posizione al via - Ventotto partiva terzo - e da lì cercare di rallentarlo affinché Viola Cinque dalla pole position potesse scappare e fare il vuoto. Ventisette era quarto, in griglia. Dovevano focalizzarsi su di lui fin dalla partenza, trovare il modo di schiacciarlo a sandwich tra di loro e bloccarlo.
Quando più tardi espose il proprio piano a Rosso Ventisette, quest'ultimo gli domandò: «E dopo? La nostra gara consiste nell'aiutare Viola Cinque?»
«No, la nostra gara consiste nel mettere in atto un duello dal quale Argento Quattro non possa uscire in alcun modo vincente» spiegò Ventotto. «Userò ogni mezzo possibile per ostacolarlo e indurlo all'errore. Lo rallenterò abbastanza per permetterti di rimanergli negli scarichi, da dove dovrai metterlo sotto pressione. Se uscirà da solo, tanto meglio. Se non lo farà, mi farò affiancare e lo butterò fuori io stesso.»
Rosso Ventisette non gli sembrò convinto.
«Tu faresti tutto questo per me?»
«Non solo per te» replicò Rosso Ventotto, «Ma anche per me stesso. Credo di avere dimostrato sia di essere un pilota più forte di te sia di potere lottare per il mondiale. Il prossimo anno voglio ribaltare i pronostici, dimostrare che anche un pilota che guida una vettura rossa può diventare campione del mondo. Tu, ricordandoti di quello che ho fatto per te, mi aiuterai.»
«Mi stai chiedendo di diventare il tuo scudiero vita natural durante?»
«No, a meno che tu non pianifichi di morire entro maggio 2023. Mi basta un titolo, o almeno la possibilità di provarci senza che tu mi metta i bastoni tra le ruote. Non ti chiederò altro, comunque vada a finire: i nostri sforzi congiunti per il mio assalto al titolo, per una sola stagione. Dopo entrambi saremo liberi di lottare. Ci stai?»
Rosso Ventisette ridacchiò.
«Mi sembra un po' una truffa.»
«Ufficialmente sono ancora in lotta per il mondiale anche quest'anno» rimarcò Ventotto. «Per fare quello che ti ho detto, dovrò rinunciare alle mie possibilità di vittoria. È vero, è uno stronzo e mi ha aggredito senza motivo, a Valencia, minacciandomi di rivelare la mia identità, ma non è successo niente di irreparabile tra me e lui e non rinuncerei a giocarmela solo per questo. Lo faccio per te è questa è la mia condizione.»
«La accetto.»
«Guarda che poi non si torna indietro.»
«Non importa. Ti farò da numero due, la prossima stagione. Lo sai che cosa conta davvero, per me.»
Rosso Ventotto sapeva di potersi fidare. Per quanto la sua proposta potesse sembrare un colpo basso, era sinceramente convinto che Ventisette, proveniente dalle retrovie e ancora avvezzo al modo di gareggiare dei piloti dei bassifondi, non fosse pronto per lottare per il mondiale. Chiedergli di aiutarlo per una stagione non sarebbe stato umiliante, sarebbe inoltre stato disposto a ricambiare il favore, qualora se ne presentasse la necessità. Non voleva legare a sé Ventisette da un rapporto di sudditanza, ma solo coronare le proprie ambizioni con il suo aiuto.
Ciò che accadde durante la gara, indirettamente finì per legittimare ancora il loro patto: riuscirono a bloccare Argento Quattro tra di loro fin dal via, mentre Viola Cinque fuggiva. Verso metà gara, Ventotto fu costretto alla soluzione più estrema, che costò il ritiro sia suo sia di Quattro. Ventisette risalì al secondo posto che, inaspettatamente, divenne leadership quando il cambio di Cinque iniziò a dare segni di malfunzionamento. La vettura viola giunse fino al traguardo, ma perdendo diverse posizioni e portando a casa soltanto pochi punti. Alla luce di quel guasto, se Ventotto si fosse limitato a tenersi dietro Quattro, avrebbe potuto vincere la gara e rimanere in lotta per il campionato fino a Montecarlo, invece di ritrovarsi estromesso. Frattanto Rosso Ventisette tornava alla vittoria dopo Sepang, almeno ufficialmente, ma era la prima per quel Ventisette che quando si toglieva tuta e casco diveniva Alysse Mercier.
All'ultimo gran premio della stagione, Argento Quattro si sarebbe presentato con una manciata di punti di vantaggio nei confronti di Viola Cinque, mentre Rosso Ventotto avrebbe iniziato a sognare di essere a lottare con loro un anno più tardi.

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Capitolo 20
*** Montecarlo ***


Il Gran Premio di Montecarlo era uno dei più storici e, nonostante la A+ Series fosse ben disposta ad andare contro la propria storia, seguiva ancora il format tradizionale. La sola differenza rispetto al vecchio standard derivava anch'essa dalle tradizioni: al venerdì le vetture non scendevano in pista, lungo le anguste e tortuose stradine del Principato, pertanto le prove libere venivano anticipate al giovedì. Il fanbase non gradiva, sostenendo che fosse per qualche astrusa ragione ciò fosse un insulto ai tifosi. Quando sugli altri circuiti al giovedì veniva piazzata un gara sprint con reverse grid sembravano non avere alcuna avversione per le monoposto in pista, mentre se si svolgevano sessioni di prove libere a Montecarlo, improvvisamente il giovedì sembrava diventare ai loro occhi un giorno per tutta la cui durata nessuna vettura poteva uscire dal box.
Yannick aveva smesso da tempo di interrogarsi sul senso di certe convinzioni, del resto sapeva bene che non tutto doveva avere un senso. Gli piaceva il Gran Premio di Montecarlo, ma non avrebbe battuto ciglio se un giorno il CEO avesse deciso di cancellarlo. Del resto, pur di compiacerlo, si stava spingendo ben oltre quanto un tempo avesse pensato di potere fare. Aveva sempre optato per la convivenza civile, ma appunto, nulla che andasse oltre quel limite. Si era sempre attenuto alle regole senza mai cercare di fare troppa polemica contro la dirigenza, aspettandosi di essere trattato come tutti gli altri piloti; come uno destinato a vincere il campionato e non certo come uno qualsiasi, ma di essere comunque al livello di tutti gli altri.
Quando il CEO gli aveva proposto la loro sorta di collaborazione, Yannick si era ritrovato con le spalle al muro. Non sapeva come si sarebbe comportato dopo quel fine settimana. Si aspettava di vincere agevolmente il mondiale, nonostante quanto successo in Azerbaijan, ma non sapeva né se le promesse del CEO fossero da prendere sul serio, né se dopo sarebbe stato libero.
La sua rottura con Alysse era probabilmente definitiva, si era rassegnato. Ci aveva pensato e ripensato. Se in un primo momento era rimasto molto deluso di scoprire che la Mercier fosse in realtà uno dei suoi avversari, dall'altro si era reso conto che per Alysse lo shock doveva essere stato di eguale entità. Fino a poco prima nessuno dei due sapeva chi fosse l'altro e, anzi, Alysse non gli aveva mai mentito a proposito della poca stima che provava per Argento Quattro. Yannick le aveva rivelato di essere un pilota, Alysse aveva preferito non farlo, ma il comportamento della sua ex partner era stato in linea con quanto loro imposto dalla dirigenza. Non era colpa di nessuno se in pista erano avversari, né Rosso Ventisette era mai stato il più accanito dei rivali di Argento Quattro. Di fatto Alysse Mercier si era comportata con lui molto meglio di quanto Yannick non avesse fatto nei suoi confronti alleandosi con il CEO, doveva riconoscerlo.
Quando non si calava nella mentalità di Argento Quattro, arrivava perfino a comprendere come Ryuji Watanabe non avesse fatto nulla di illegittimo. Si era spacciato per un pilota ritirato dalle competizioni, invece che ammettere di essere un pilota di Indycar passato alla A+ Series, ma lo stesso Yannick non gli aveva rivelato di essere un pilota. In più Ryuji non aveva nulla a che vedere con le vicende di Alexandre Mercier e con l'accordo fatto con il CEO. Yannick avrebbe addirittura potuto arrivare a prendere in considerazione l'idea di chiedergli scusa per l'aggressione avvenuta nel bagno del locale di Valencia nel quale si era svolta la festa organizzata da Viola Cinque, per un probabile ritiro di cui molti parlavano, ma mai confermato ufficialmente dallo stesso pilota. Avrebbe potuto prenderla in considerazione, se solo Rosso Ventotto si fosse attenuto alle più basilari regole di decenza e fair play.
Non l'aveva fatto, a Baku l'aveva coinvolto in un duello che Argento Quattro avrebbe preferito di gran lunga evitare e, come se non bastasse, l'aveva speronato senza troppi complimenti buttandolo fuori pista e facendogli perdere punti preziosi. Certo, a conti fatti Quattro vi aveva guadagnato di più: se fosse arrivato secondo alle spalle di Cinque, il suo avversario avrebbe potuto arrivare a superarlo in classifica. I problemi al cambio della monoposto viola non erano stati casuali, Yannick ne era certo, erano un segno che il CEO gli stava dando, per ricordargli che avrebbe tenuto fede al proprio accordo. Questo, tuttavia, non assolveva Ventotto dalla propria responsabilità.
Yannick, frattanto, aveva spiegato all'uomo che aveva i loro destini tra le mani di non essere riuscito a fare molto per costringere Alysse a parlare, ma stranamente non era sembrato un problema. Il CEO lo stava spingendo a riavvicinarsi a lei, ma Yannick cercava di prendere tempo. Era sicuro di avergli fatto capire che voleva il mondiale a tutti i costi, poi avrebbe preso in considerazione l'idea di aiutarlo. Si aspettava una nuova convocazione, prima della conferenza stampa del mercoledì, che apriva l'evento, ma il tempo scorreva inesorabile. Quando fu certo che il CEO non avesse alcuna intenzione di incontrarlo quel giorno, Yannick si preparò per presenziare all'incontro con i media. Come potenziale campione del mondo era stato ovviamente convocato. Avrebbe dovuto sedersi accanto a Viola Cinque e sarebbero stati presenti anche Rosso Ventisette e Rosso Ventotto. In poche parole, stava per gettarsi nella fossa dei leoni, ma avrebbe dimostrato di potere ruggire più forte di loro.
Era ormai Argento Quattro, quando entrò in sala stampa e prese posto. Per fortuna Rosso Ventisette non era al suo fianco, c'era Viola Cinque in mezzo a loro. Dall'altro lato aveva Rosso Ventotto. La fortuna era dalla sua parte a trecentosessanta gradi, dal momento che le prime domande non furono minimamente imbarazzanti. Argento Quattro rispose quando interpellato, con la consapevolezza di potersela cavare evitando polemiche che potessero fargli perdere consensi in vista di un evento così importante. Sapeva di essere un pilota disprezzato da molti, ma al contempo aveva molti sostenitori, che spesso riempivano le tribune di grigio argento, sulle magliette e sui cappellini con il numero 4. Sembravano quasi ultrà, all'occorrenza, ma erano un prezzo da pagare per la popolarità... e non erano nemmeno l'elemento più costoso di tutti. Anzi, apparivano piuttosto "economici" al confronto con altre rinunce che Argento Quattro era disposto a fare.
Tutto si svolse per il meglio, almeno finché Rosso Ventotto non fu interpellato sull'incidente del gran premio precedente e non iniziò a dare una versione dei fatti piuttosto creativa dell'accaduto.
«Ero più veloce di Argento Quattro, non sarebbe mai riuscito a superarmi, nonostante mi fosse attaccato al retrotreno. Non so perché abbia pensato di potercela fare, ma si è trattato senz'altro di un suo errore di valutazione.»
«Non credo proprio» intervenne Argento Quattro, senza che gli fosse stata ufficialmente ceduta la parola. «Manovre del genere se ne vedono spesso, ma non da parte di piloti che lottano per il titolo o per le posizioni che contano nella A+ Series. Non so se tu abbia presente Ryuji Watanabe, l'ex pilota di Indycar, ma mi ricorda molto il modo in cui guidi e gli errori che commetti. Per caso sei imparentato con lui?»
Rosso Ventotto non diede il minimo segno di essere turbato, mentre replicava: «Ho sentito menzionare Ryuji Watanabe, ovviamente, ma non ho mai seguito il campionato di Indycar con un'attenzione tale da rendermi conto di come guidasse. Non posso né confermare né smentire che il mio stile di guida gli somigli, in ogni caso non lo prendo come un insulto.»
«Buon per te, ma non voleva essere un complimento.»
«Non importa... e, anzi, mi sembra poco rispettoso nei confronti di Watanabe discutere qui delle sue manovre.»
«Già, hai ragione. Il povero Watanabe magari è a casa che guarda la conferenza stampa e potrebbe sentirci.»
«Mi è giunta voce che in realtà Watanabe lavori per un giornale giapponese, adesso, che scriva sulla A+ Series. Può darsi che sia a Montecarlo, in questo fine settimana.»
Argento Quattro valutò se fosse opportuno ribattere, ma preferì non farlo. Aveva già ricordato a Rosso Ventotto di potere divulgare la sua identità da un momento all'altro. Rosso Ventisette e Viola Cinque non dissero nulla a proposito di Watanabe, era palese che fossero entrambi informati su chi si nascondesse sotto il casco di Ventotto.
Per fortuna arrivò una delle solite domande, che uno di loro si sentiva rivolgere ogni volta in cui aveva a che fare con i giornalisti.
«Viola Cinque, si parla sempre del tuo imminente ritiro, ma non ci hai ancora detto ufficialmente cosa farai.»
Argento Quattro si aspettava che, ancora una volta, Viola Cinque sostenesse che un suo ipotetico ritiro non potesse considerarsi tale, dato che il suo colore e il suo numero sarebbero stati assegnati a un altro pilota che ne avrebbe proseguito la storia. Fu spiazzato, invece, come la maggior parte delle persone all'ascolto, mentre il suo avversario affermava: «Sono consapevole che sia stato detto di tutto sul mio presunto ritiro, in questi ultimi mesi. C'è chi sostiene che dovrei appendere il casco al chiodo e far sì che a diventare Viola Cinque sia un pilota migliore di me. Alcuni dicono che Blu Ventuno si meriti una scuderia di primo livello e che se io mi togliessi di mezzo potrebbe finalmente dimostrarci tutto il suo talento. Per questa ragione sono stato tacciato di tenere più al mio sedile che al bene del motorsport. Sono convinto che la maggior parte di questi commenti siano frutto della mente di persone che non hanno la più pallida idea di che cosa mi passi per la testa. È vero, intendo smettere di correre alla fine della stagione, tra soli quattro giorni non sarò più un pilota della A+ Series e molto probabilmente non sarò più un pilota, in generale. Non lo faccio per il destino del fantomatico Viola Cinque, né perché mi auguro che Blu Ventuno prenda il mio posto. Lo faccio perché sento di avere già dato tutto quello che avevo da dare e, allo stesso tempo, anche la A+ Series mi ha già dato tutto. È giunto il momento di iniziare una nuova vita e ne ho già parlato con il CEO, si recente. Gli ho spiegato che il mio intento non è solo ritirarmi dalle competizioni, ma anche trasmettere qualcosa. Domenica, quando finirò la gara, il mio entourage pubblicherà un video, che ho già registrato, nel quale rivelerò la mia vera identità. So che questo sarà un punto di non ritorno e che, dopo averlo fatto, non avrò più alcuna possibilità di tornare indietro e di riavere un volante nella A+ Series, anche se dovessi cambiare idea. Non importa. Non voglio più nascondermi. Qualora dovessi decidere di riprendere a gareggiare, un giorno, lo farei in una categoria nella quale potrei usare il mio nome e il mio volto. Non me la sento più di essere Viola Cinque, di essere un colore e un numero senza un'identità. Non rinnego questi anni di successi - e anche di insuccessi, non posso negarlo - ma è giunto il momento di andare avanti e di iniziare un nuovo capitolo della mia vita, qualunque esso sia. Quando smetterò di essere Viola Cinque potrò finalmente vedere la A+ Series dalla mia prospettiva, invece che da quella del campionato.»
Finito il discorso, per qualche istante regnò il silenzio più assoluto. Fu proprio lo stesso Argento Quattro a romperlo.
«Sei davvero così convinto di potere vincere il mondiale?»
Viola Cinque si girò di scatto verso di lui.
«Quando l'avrei detto?»
«Beh, è ovvio che tu voglia ritirarti con un altro mondiale. Forse ti converrebbe aspettare, prima di rivelarti. Alla fine della stagione vorrai rimanere nella speranza di rifarti.»
«Forse stai confondendo me con te stesso. Il fatto che per te il titolo sia fondamentale non significa che lo sia anche per me. Comunque vada, non avrò rimpianti. Ho già vinto tanto e penso di potere ispirare di più una volta che mi sarò ritirato, piuttosto che continuando a gareggiare nella speranza di ottenere un altro campionato. So che batterti sarà difficile e lo accetto. E sai perché? Perché, diversamente da te, so riconoscere i meriti altrui. Sei un grande pilota. Il mio più grande rimpianto non sarà un'eventuale sconfitta contro di te, ma il non essere riuscito ad avere con te un rapporto sano. Ho avuto scontri molto duri con certi avversari, in passato, ma siamo sempre rimasti entro i limiti del rispetto reciproco. Purtroppo con te non è stato possibile. Hai sparato a zero contro di me fin dal primo giorno, cercando di denigrarmi a tutti i costi, quando non riuscivi a fare polemica a proposito di quello che succedeva in pista. Magari vincerai il mondiale e te lo meriterai, ma pensi davvero che valga la pena di perdere tutto, pur di arrivarci? Non avrai nessuno con cui festeggiare.»
Argento Quattro cercò di minimizzare.
«Nessuno di noi può festeggiare il mondiale insieme ai propri cari. O meglio, tu potrai farlo, ma a costo di chiudere con la A+ Series. Ciascuno di noi ha le proprie idee e le proprie ambizioni. Evidentemente abbiamo un modo diverso di pensare tutto qui.»
Viola Cinque obiettò: «La si può pensare in modo diverso, ma trattarsi comunque con rispetto. Con te non funziona così e sono pronto a ipotizzare che vada allo stesso modo anche nella tua vita privata.»
Argento Quattro decise di non replicare. Tutto ciò che desiderava era che quella conferenza stampa finisse. Per fortuna non dire niente funzionò. Le domande erano ormai esaurite e tutti e quattro i piloti poterono andarsene. I due in rosso lasciarono la sala, mentre Quattro si accorse che Viola Cinque lo fissava. Ormai nessuno poteva più sentirli, quindi gli domandò: «Hai paura di investire qualche gabbiano?»
Viola Cinque strabuzzò gli occhi.
«Come, prego?»
«So che sei Axel Frosch, quell'azzurro intenso non passa inosservato.»
Viola Cinque rise.
«Lo credi davvero? Allora vieni con me.»
«Dove?»
«Seguimi e non te ne pentirai.»
Argento Quattro lo seguì, notando con sorpresa che Viola Cinque si stava dirigendo verso i bagni.
Quando si fermarono, gli domandò: «Cos'è questa pagliacciata?»
«Nessuna pagliacciata, Yannick.» Quel nome lo fece rabbrividire, ma non ebbe il tempo di pensare alle implicazioni: Viola Cinque si stava slacciando la tuta. «Sei convinto che io sia Axel Frosch per il colore dei miei occhi? Ebbene, sarà un piacere smentirti.» Ormai si stava già spogliando, togliendo anche un'imbottitura che significava una cosa sola. La parte superiore del corpo di Cinque, coperto soltanto dalla maglia che indossava sotto la tuta, era caratterizzato dalla presenza del seno. «Dimmi, Yannick, secondo te Axel Frosch ha queste tette?»
Argento Quattro rimase in silenzio molto a lungo, per poi replicare, infine: «Cosa significa tutto questo?»
Viola Cinque rispose, con calma: «Significa che tu non hai la più pallida idea di chi io sia e che tra quattro giorni, comunque vada, entrerò per sempre nella storia perché sarò un simbolo delle donne nel motorsport. È molto probabile che tu vinca il mondiale, ma non sarai mai in grado di togliermi la gloria.»

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Capitolo 21
*** Finale di stagione ***


Era l'ultima domenica di maggio, il mondiale si apprestava a terminare, ma tutto stava andando storto. Il CEO non riusciva a capacitarsi di un simile guasto, mai accaduto nella storia della A+ Series. Rimpianse per un attimo i tempi della Formula 1: una volta sarebbe stato facile trovare una soluzione, se in una giornata di pioggia il semaforo fosse stato fuori uso. Aveva dovuto fermare il direttore di gara pochi minuti prima del via. Quel pazzo aveva optato per una partenza dietro la safety car, fregandosene della poca coerenza con le politiche della categoria.
Si era optato per gareggiare con gomme da asciutto nonostante la pioggia, al fine di dimostrare l'interesse per lo spettacolo e complicare la vita dei piloti, quindi uno start dietro la vettura di sicurezza doveva essere fuori discussione. Era necessario che le monoposto scattassero dalla griglia, che i piloti si prendessero rischi e che il pubblico fosse appagato da ciò che vedeva. Era la strada principale per i consensi e vi era una sola ragione per cui il Gran Premio di Montecarlo poteva partire in regime di safety car. Il CEO sperava che il guasto al semaforo venisse riparato in tempi ragionevoli, per non essere costretto ad ammettere una cocente sconfitta.
Purtroppo andò tutto molto male: l'intensità delle precipitazioni andava calando, rimandare ulteriormente la partenza poteva significare una gara asciutta. Quando Maelle Heidelberg cercò di trattenerlo, ricordandogli che c'era ancora tempo e potevano aspettare, replicò con fermezza: «È dall'inizio del mondiale che aspettiamo una gara bagnata, per vedere i piloti all'opera con le slick. Non possiamo rinunciarvi per colpa di un fottuto semaforo!»
«Lo so, ha ragione, ma il pubblico potrebbe non capire» obiettò Maelle. «Purtroppo, quando abbiamo poco tempo per pensare, rischiamo di prendere delle decisioni sbagliate.»
«Non sarà difficile farci perdonare delle decisioni sbagliate» puntualizzò il CEO. «Il direttore di gara sa che cosa deve fare: qualora il pubblico non apprezzi qualcosa, dovrà prendersi tutte le responsabilità e dimettersi. E poi, sottobanco, dovrà anche ringraziare per essere durato così a lungo. I suoi predecessori non sono stati altrettanto fortunati.»
«Quest'ultimo direttore di gara è un uomo molto fidato» gli ricordò Maelle. «Obbedisce ai suoi ordini senza battere ciglio. Speriamo che non gli tocchi di dimettersi, perché sarà difficile trovarne un altro leale e corretto quanto lui.»
«Lo ammetto, sarebbe una grossa perdita per noi» convenne il CEO, «Ma non penso che corriamo questo rischio. Il pubblico è solo una gran massa di capre senza cervello, sarà facile metterli a tacere. In più ci sarà molto altro di cui parlare. Oggi, nel tardo pomeriggio, scopriranno chi è Viola Cinque. Ho cercato di trattenere Tina Menezes, di convincerla a rimanere nell'anonimato, ma afferma che, in vista del ritiro, vuole rivelare la propria identità. Le ho fatto presente che questo avrebbe potuto comportare delle conseguenze, per lei, ma non le interessa. Non ha paura di perdere il titolo.»
«È molto sicura di sé.»
«Oh, no, affatto. Non voglio dire che abbia la certezza di vincere, quando piuttosto che l'idea della sconfitta non la spaventi. Per lei la cosa più importante è il ritiro dalla A+ Series, non le interessa ritirarsi con un titolo in più di quelli che ha già vinto.»
Maelle lo guardò negli occhi.
«Ha qualche intenzione specifica nei suoi confronti?»
Il CEO si ritrovò a sorridere.
«Rimanga qui a guardare la gara insieme a me e lo scoprirà.»
«Nemmeno una piccola anticipazione?»
«No, stavolta voglio sorprenderla.»
Maelle comprese che doveva esserci qualcosa di molto grosso in vista, ma si arrese: «Va bene, guarderò la gara con lei. Dopotutto sarà un gran premio destinato a essere ricordato molto a lungo.»
Aveva ragione, e ancora non sapeva quanto.
«Mi lasci comunicare al direttore di gara che tra venti minuti ci sarà la procedura di partenza, poi assisterà al più bello spettacolo della sua vita.» Il CEO ricordò quanto Maelle gli aveva riferito mesi prima e subito chiarì: «So che per lei si tratta di lavoro e che non guarda le gare per stupirsi, ma le assicuro che oggi si ricrederà. La storia della A+ Series sta per essere scritta, nel più poetico dei modi. Le chiedo di lasciarmi solo finché non arriverà il momento. Torni tra un quarto d'ora esatto.»
Maelle annuì e si diresse verso la porta. Meglio così, era più facile lavorare senza averla intorno, in quei momenti. C'erano le ultime faccende da definire, prima di mettere in scena il più grande spettacolo della storia del motorsport, che avrebbe permesso di chiudere la stagione con il massimo delle emozioni e probabilmente anche di depennare una volta per tutte dal mondiale di A+ Series quel Principato di Monaco tanto disprezzato dal pubblico di nuova generazione. Certo, quell'anno non ci sarebbe stata una gara noiosa e piatta, quindi qualcuno ne avrebbe invocato il ritorno, ma avrebbero avuto Miami e il suo porto finto pieno di yacht veri.
I minuti successivi furono piuttosto frenetici, ma tutto si incastrò alla perfezione. La partenza dietro la safety car sarebbe stata un male necessario, ma avrebbe anche permesso al poleman di mantenere la prima posizione senza dovere intervenire sulle monoposto dei suoi avversari. C'era solo da sperare che tutto il resto andasse liscio. Le vetture dalla seconda posizione in poi, ovviamente, non avrebbero avuto il massimo della potenza, per permettere a Viola Cinque di mantenere la testa della gara. Era necessario che i suoi rivali non arrivassero a ridosso del suo retrotreno, solo in quel modo avrebbe fatto una corsa controllata, mantenendosi entro certi limiti di rischio.
Maelle Heidelberg non rientrò dopo un quarto d'ora, bensì dopo venti minuti esatti. Il CEO non se ne lamentò, convinto che avesse voluto lasciarlo da solo fino all'ultimo. Quella donna era in grado di comprenderlo al volo, un po' come se avesse il potere di leggergli nella mente. Per fortuna non sempre ci riusciva, perché desiderava davvero stupirla.
Si sedette con lui di fronte al teleschermo, già concentrata sulla gara che di lì a pochi istanti sarebbe iniziata. La safety car si mosse e, con essa, il serpentone delle monoposto.
Maelle parve delusa, mentre domandava: «Tutto a posto per Viola Cinque?»
«Cosa si aspettava, che la sua macchina si spegnesse già al via?» obiettò il CEO. «Non nego che se lo sarebbe meritato, ma serve pathos. Se Viola Cinque si ritirasse adesso, ha idea di quanta gente spegnerebbe la televisione e andrebbe al centro commerciale con la certezza che Argento Quattro abbia vinto il mondiale?»
«Ha ragione, mi scusi, non ci avevo pensato.»
«Non è da lei non pensare a questo aspetto.»
«Gliel'ho detto, per me la A+ Series è lavoro. Se mi invita a guardare una gara per puro diletto, non riesco a rimanere concentrata sulle questioni che contano davvero.»
«Non si biasimi, Maelle. Se la prenda comoda, una volta tanto. Sia umana. Se l'ho convocata qui, è solo perché voglio provare a impressionarla, per una volta.» Il CEO mise le mani avanti. «Non si preoccupi, non voglio provarci con lei. Le ho già detto che il sesso non mi dà gli stessi brividi del controllo che ho sui piloti, ma soprattutto, se volessi un'avventura con una donna, non me la cercherei al lavoro.»
«Non l'ho mai pensato» lo rassicurò Maelle. «Seppure non comprenda la sua improvvisa volontà di condivisione, non mi ha nemmeno sfiorata un'idea simile.»
«Lei è un'assistente fidata, si merita due ore di pura emozione.» Il CEO indicò lo schermo. «Certo, quello che vede ora non sembra tanto entusiasmante, ma non si disperi. Del resto chi meglio di lei può pazientare e aspettare che accada qualcosa?»
«Il grande pubblico, però, non sa più pazientare.»
«C'è un mondiale ancora aperto, oggi attenderanno un po' di più.»
«Si aspettavano un incidente alla prima curva che assegnasse il mondiale così.»
Il CEO sbuffò.
«Questa gente non fa altro che ripetere di volere chiudere con il passato, ma allo stesso tempo strizza l'occhio al 1990. I tifosi non hanno un minimo di comprensione per le dinamiche della A+ Series odierna, nonostante non facciano altro che ciarlare a sproposito. Sono esseri profondamente irritanti.»
«Esseri profondamente irritanti, che però ci permettono di guadagnare un sacco di soldi.»
«Almeno qualche lato positivo dovevano pure averlo, per la legge dei grandi numeri.»
«Già.»
«Adesso, però, non parliamo più di loro. La safety car ha già spento le luci.»
«Per Viola Cinque sta arrivando la fine.»
Il CEO si voltò di scatto verso Maelle ed esclamò: «La prego, la smetta! Non mi imiti il tifoso da bar in un momento così solenne!»
Inaspettatamente, Maelle si lasciò andare a un attimo di ilarità.
«Non pensa che sarebbe stupendo se Rosso Ventisette e Giallo Sedici si lasciassero andare a un'emozionante lotta ruota contro ruota?»
«Per il secondo posto» scherzò il CEO, «Il tutto mentre Giallo Quindici vince, ma nessuno lo prende in considerazione. Sarebbe un bel remake di un certo duello del passato, ma questo è un finale di stagione, non un gran premio qualsiasi.»
«Devo tornare a suggerire un incidente al via tra i piloti che lottano per il mondiale, come ai tempi di Ademar Dos Santos? O magari lamentarmi del fatto che non abbiamo mai assistito a un vero duello tra lui e Mihail Silberblitz?»
«Conosce bene i nostri polli.»
«Le ricordo che facevo la social media manager ai tempi in cui i fanboy vintage ancora andavano per la maggiore. I nuovo fan discutono di scemenze senza paragoni. Si figuri che di recente ho visto un flame a proposito di Hamster Gangster e Axel Frosch: c'erano utenti che litigavano a proposito di chi vincerebbe più mondiali, se solo fossero piloti. Il bello è che non avevano la più pallida idea che siano davvero piloti. Era tutto un discorso campato in aria, un po' come se non volessero lasciarsi sfuggire l'occasione per fare polemica a tutti i cost-...» Maelle si interruppe. «Vedo che inizia a succedere qualcosa.»
«È solo un backmarker che si gira alla Sainte-Devote» minimizzò il CEO. «Chissà, magari i nostalgici di Corujas si saranno entusiasmati. Phil era bravo a finire in testacoda a Sainte-Devote!»
«E lei?» azzardò Maelle. «Per caso si sente particolarmente nostalgico oggi?»
«Dovrei?»
«Non che io sappia, ma si sta lasciando un po' andare: prima l'invito a guardare la gara insieme, poi i piloti vintage, poi quelli che correvano fino a qualche anno fa. Per caso vuole godersi gli ultimi minuti prima di un punto di non ritorno?»
Il CEO alzò le spalle, fingendo indifferenza.
«Non ci sono punti di non ritorno. Tutto va avanti, sempre e in ogni caso.»
«Non so cos'abbia in mente, ma la mia impressione è che oggi la storia della A+ Series cambierà per sempre e che stia iniziando a chiedersi se sia la cosa giusta» replicò Maelle. «Per caso ha paura di essersi spinto troppo oltre? Che dettare dall'alto in risultato di un mondiale proprio nel momento decisivo sia un po' troppo?»
Le parole della Heidelberg lo colpirono, ma il CEO sapeva di non potere tornare indietro. Ci aveva pensato, aveva riflettuto sulle implicazioni di ciò che stava per succedere... e quelle implicazioni gli piacevano. I piloti, per lui, non erano mai stati esseri umani, ma solo manichini da crash-test che potevano essere sacrificati in nome dello spettacolo, dei like e dei relativi introiti. Non dubitava che qualche appassionato di vecchia data, e magari anche qualcuno di quelli più recenti, potesse provare indignazione di fronte a un certo tipo di gestione, ma non aveva alcuna importanza. Se Tina Menezes aveva deciso quale finale dare alla propria carriera, tutto ciò che poteva fare era adeguarsi e diventare il burattinaio che avrebbe stroncato i suoi piani.
«Non si preoccupi per me, Maelle» suggerì all'assistente. «Gliel'ho già detto, si goda lo spettacolo, lei che ha pazienza. Le prometto che ne varrà la pena e che non dimenticherà mai il Gran Premio di Montecarlo 2022.»
Maelle Heidelberg parve convincersi. Tornò a seguire la gara in silenzio, tra qualche pitstop e qualche ritiro poco altisonante nelle retrovie. Viola Cinque, nel frattempo, sembrava dominare la gara, che proseguì senza intoppi, almeno finché una vettura nera non andò a schiantarsi violentemente a muro. Venne inquadrata squarciata e al CEO sfuggì un'imprecazione.
«Ti pareva che una giornata del genere non dovesse essere rovinata da un cretino incapace di guidare senza il traction control?»
A Maelle partì una risata.
«Allora vuole proprio farmi divertire a tutti i costi!»
«No, qui non c'entro niente» mise in chiaro il CEO. «Era nella stessa situazione di tutti gli altri, è finito fuori da solo. Oggi a nessuno interessa quello che fa un ragazzino, non avrei mai optato per un simile colpo di scena. È anche un grosso problema, perché con quel macello il direttore di gara non potrà fare altro che dare bandiera rossa. I tempi si allungheranno, sarà necessario pazientare ancora molto. Per non parlare del vantaggio abissale di Viola Cinque. Adesso si ripartirà come da zero, sarà tutto da rifare.»
C'era da pazientare, ma pazientarono. Quando la gara riprese, per lungo tempo l'attenzione fu tutta su eventi minori. Poi, all'improvviso, quando mancavano ormai una manciata di giri alla fine, accadde ciò che avrebbe dovuto coronare la gara, la stagione e anche la carriera di Tina Menezes. A Maelle sfuggì un urlo e il CEO seppe di averla sorpresa. Nemmeno uno sceneggiatore avrebbe potuto inventarsi un finale più bello e romantico per un campionato mondiale.

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Capitolo 22
*** La prospettiva di Tina Menezes ***


Mi guardo intorno, cerco di capire cosa stia accadendo. So di essere a Montecarlo, so che oggi ho corso l'ultima gara della mia carriera. Dovrei essere in grado di descrivere passo dopo passo quello che è successo, ma faccio fatica a mettere insieme tutti i pezzi. Ricordo la mia decisione di rivelare al mondo chi si nasconde dentro alla tuta e al casco di Viola Cinque, potrei quasi recitarla a memoria.
Mi chiamo Tina Menezes, ho trentasette anni e da ragazzina ho gareggiato nella Formula 3 brasiliana. La mia carriera è naufragata per assenza di sponsor, almeno fino al giorno in cui, vari anni dopo, non ho ricevuto una chiamata importante. Ero stata selezionata per un test della terza divisione. Ho accettato. Il test è andato bene. Mi è stato offerto un volante e non mi era chiesto di portare sponsor personali.
Dopo una sola stagione in terza divisione, avendo ottenuto risultati di un certo spessore, sono stata promossa alla seconda. Vi ho gareggiato per due anni, lottando per il titolo nella seconda stagione, contro piloti che forse avevano qualche anno in meno di me, ma che improvvisamente non avevano più il vantaggio dell'età.
Sono arrivata in A+ Series dopo tre anni passati nelle formule minori, al volante di una vettura blu. I miei primi anni nella categoria erano gli anni dei primi titoli di Viola Cinque. Ha vinto due mondiali, prima che mi fosse offerto il suo volante. Non so perché la dirigenza abbia preso questa decisione, il precedente Cinque era un grande pilota e credo lo sia tuttora. Non ricordo come mi sia venuta l'idea delle lenti a contatto azzurre, so solo che ero un po' spaventata dall'idea di non reggere il confronto con il mio predecessore. Speravo che, almeno per qualche tempo, nessuno facesse caso al fatto che il pilota era cambiato. Incredibilmente, ha funzionato. Ha funzionato fin troppo bene: non è durata solo un po' di tempo, è durata per tutto il resto della mia carriera.
Ho vinto due mondiali, prima di essere spodestata, se così posso dire. Arancione Otto e il precedente Argento Quattro sono sempre stati piloti molto forti, sapevo che prima o poi sarebbe successo. Anche l'attuale Argento Quattro è un pilota molto forte, tanto che non so ancora come finirà, se sarò io a vincere oppure se sarà Quattro il campione del mondo della stagione 2021/22.
Indipendentemente dal risultato, so che sarà comunque una bella fine, perché sono convinta che sia il momento giusto per andare in pensione. Non so cosa farò dopo, se effettivamente continuerò a lavorare per la televisione brasiliana come ho fatto finora come copertura. Oppure potrei rimanere nella mia casa di Valencia - città nella quale vivo fin dai tempi della terza divisione - e ritirarmi a vita privata, sperando che il mio compagno Axel Frosch, attivista ambientale che ho conosciuto nel paddock, un giorno decida di raggiungermi. Non credo che lo farà. Il giardino di casa mia è troppo piccolo per allevarvi galline biologiche, dice. Non mi ha nemmeno chiesto se vorrei dei pennuti intorno a casa. Non so se sia un bene o un male, mi piace l'idea che quando viene da me si senta un po' come a casa sua.
Questo è tutto, o almeno è la parte della mia vita che posso raccontare. Axel non è solo un attivista ambientale, è anche un pilota. Ha perfino fatto qualche test in Formula 1, prima che venisse cancellata e sostituita dalla A+ Series. Ha dovuto cambiare cognome, per non essere riconosciuto, ma non gli pesa. Ci sono piloti che hanno dovuto affrontare sacrifici peggiori.
L'automobilismo ha fatto parte della mia vita per tantissimi anni, ma adesso che ne sono ormai fuori mi rendo conto di quanto la A+ Series abbia totalmente assoggettato noi piloti alle volontà del CEO. È un uomo sadico, come è sadica la donna che lavora con lui, Maelle Heidelberg. Sono compiaciuti, a ogni nostro incidente, perché pensano alle view, ai like e introiti. Non solo ne sono compiaciuti, ma li innescano di proposito. Non sappiamo più che cosa sia vero e cosa non lo sia.
All'improvviso, mentre penso a tutto questo, ritorno in me, o almeno credo: ricordo lo start in ritardo a causa di un malfunzionamento del semaforo dovuto alla pioggia, la partenza dietro la safety car, con le gomme da asciutto come da nuovo regolamento, poi una bandiera rossa, a metà gara, per un incidente. Ho visto una vettura nera in condizioni pietose, prima di rientrare nella pitlane. Non so cosa sia successo esattamente al pilota, nessuno lo sa, spero che stia bene. Dopo che i commissari di percorso hanno ripulito la pista, ci hanno mandati di nuovo sulla griglia di partenza. Il mio vantaggio era ormai completamente annullato, dovevo solo sperare di potere mantenere la testa della gara al restart e di andare avanti così fino alla fine: chiudere la gara davanti ad Argento Quattro per vincere il mondiale.
Ce l'ho fatta, di nuovo davanti a tutti, di nuovo lanciata verso il trionfo finale, con la certezza che comunque andata sarebbe stata la fine. Rammento qualche giro, di nuovo il gap che aumentava, tra me e Argento Quattro, ma poi i miei ricordi si interrompono. Cerco di capire, giro per la pitlane, in cui vedo gente trafelata che sembra vivere il proprio incubo personale.
Vedo un gruppo di miei colleghi radunati a confabulare. Ci sono Giallo Sedici, Bianco Zero, Turchese Ventisei e Arancione Sette che dibattono.
«È uscito di strada all'improvviso, non è chiaro se sia stato un guasto» afferma Bianco Zero. «Blu Ventidue gli era poco dietro, doppiato. Mi ha detto di avere visto l'incidente.»
«Devono averlo fatto apposta» replica Giallo Sedici. «Volevano sbarazzarsi di lui.»
«Non ha senso» obietta Turchese Ventisei. «Non ci sarà comunque, nella prossima stagione.»
Bianco Zero lo corregge: «Non ci sarebbe stato comunque.»
«Non dire cazzate» interviene Arancione Sette. «Non parlare di lui al passato.»
«E come dovrei parlarne?» sbotta Bianco Zero, a quel punto. «Non ci sono speranze, lo sappiamo.»
Quindi è questo che è successo? C'è stato un incidente, uno di quelli gravi? Qualcuno, tra i miei colleghi, sospetta che sia stato telecomandato dall'alto... e devo dire che non mi stupirebbe. Dalla dirigenza pasticciano in prima persona con motori e scatole del cambio, innescando ritiri dovuti a problemi tecnici che non si sarebbero verificati se qualcuno non avesse deciso di provocarli. In più ci sono le altre opzioni di disturbo, quelle che possono arrivare a farci uscire di pista in modo arbitrario, se ci lasciamo cogliere di sorpresa. So dell'esistenza di quella neanche più tanto nuova, la cui prima cavia è stato Nero Trentasei, molti mesi fa, e di colpo, ripensando a lui, mi rendo conto che deve essere uno tra lui e il suo compagno di squadra il pilota protagonista dello schianto. Dopotutto, quando è stata data bandiera rossa, la sagoma che ho visto era nera.
Mi dirigo d'istinto verso l'ingresso della pitlane. Quello delle monoposto nere è il primo box. Vedo un pilota in tuta e casco, entrambi neri, su cui svetta il numero 35. Dunque il protagonista dell'incidente è Nero Trentasei e in apparenza gira voce che sia o morto o gravemente ferito.
Mi sento raggelare a quell'idea. Lo conosco, anche quando non è in tuta e casco, è un piccolo fanboy di Axel e non fa altro che rincorrerlo. Ha vent'anni o poco più e non riesco a credere che per un ragazzino di quell'età possa essere finita. Nonostante tutto, nel box non trapela nulla di negativo, un po' come se tecnici e meccanici non fossero in apprensione per le condizioni di Trentasei. È per effetto della mancanza di personalità e di umanità che ci hanno messo dentro? Oppure ho sbagliato tutto? Me lo chiedo, cercando di passare in rassegna tutto ciò che ricordo della gara. È possibile che abbia visto male, che l'auto incidentata non fosse nera?
Non era né grigio argento né rossa, così come non era gialla, verde o arancione. Non era nemmeno blu, turchese o bianca, ne sono assolutamente certa. Se Trentacinque è vivo e in buone condizioni fisiche, il pilota che se la sta vedendo brutta deve essere Trentasei.
Faccio un cenno a un meccanico. Vorrei chiedergli qualcosa, accertarmi che non sia accaduto niente di troppo grave e che i miei colleghi siano troppo impressionabili. Non mi degna di uno sguardo e non so cosa pensare.
Mi allontano, mi metto alla ricerca di qualcuno che possa illuminarmi. Sento gente parlare della vittoria di Argento Quattro e di come abbia finalmente conquistato il titolo, "seppure in una giornata negativa per la storia delle competizioni a ruote scoperte". Quindi mi ha superata, oppure non ho finito la gara. Non comprendo perché mi sia così difficile ricordare, tutto quello che posso fare è tornare in giro e cercare di raccogliere voci di corridoio.
Trovo Blu Ventuno insieme a Verde Quattordici e Turchese Venticinque. Quattordici parla, gli altri si limitano ad ascoltarlo. Dice che non sa nulla, ma Venticinque insiste che nessuno, se non lui, può avere sentito qualche notizia.
«No, non so niente, e non sa ancora niente neanche Quindici» replica Verde Quattordici, con fermezza. «Non gli hanno detto nulla.»
«Cos'è successo?» chiedo. «Per caso Trentasei, l'amico di Quindici, si è fatto male nell'incidente?»
Non ottengo risposta, un po' come se l'intero mondo si fosse coalizzato per non prendermi in considerazione. Che sia una vendetta del CEO e di Maelle Heidelberg per avere rivelato la mia identità? Il video deve essere già stato diffuso, ho il dubbio di essere stata condannata alla damnatio memoriae. Temo che agli altri piloti sia stato impedito di parlare con me e che anche meccanici e tecnici vari si stiano adeguando, ma non avrebbe molto senso. Nessuno ha mai subito un simile trattamento, alcuni ex piloti della A+ Series, una volta rivelata la loro identità, sono stati addirittura visti nel paddock come semplici ospiti. In più abbiamo sempre cercato tutti, almeno nel nostro piccolo, di eludere qualche regola. Anche se fosse stato imposto di fingere che io non esista, ci sarebbe qualcuno mi parlerebbe comunque.
Blu Ventuno, per esempio, non credo starebbe lì imbambolato a fissare il nulla. Ci tiene a passare per il giovane ribelle, non è da lui sottostare alle imposizioni meno importanti. Parlare con un ex pilota che ha svelato la propria identità non è certo un'infrazione da radiazione dal campionato. Uno come Ventuno, poi, sembra destinato a diventare una punta di diamante. Non mi stupirebbe se gli dessero davvero il mio volante, come dicono in tanti, anche tra gli addetti ai lavori.
Invece non fa nulla, non dà segno di avermi vista, e sentenzia: «Dovrebbero selezionare meglio i piloti. Quelli che non sono in grado di stare in pista o che non ne sono più capaci come un tempo dovrebbero andarsene a casa prima che succeda qualcosa di grave.»
Verde Quattordici e Turchese Venticinque mormorano qualcosa, pare stiano protestando. Non hanno tutti i torti: se da un lato Ventuno ha ragione, quando dice che dovremmo essere in grado di gestire le opzioni di disturbo durante una gara, dall'altro soltanto la sua saccenza potrebbe portarlo a pronunciare una simile affermazione dopo un incidente. Non possiamo controllare tutto e anche lui lo sa bene.
Non so ancora cosa sia accaduto a Nero Trentasei, ma avrei voglia di dirne quattro a quel bimbominchia di Ventuno. Sarà anche un ottimo pilota, ma non deve commettere l'errore di iniziarsi a sentire al di sopra di tutto e di tutti. Una simile convinzione può essere fatale, oltre che controproducente. Eppure eccolo insistere: «Sto solo dicendo che non dovrebbero lasciare gareggiare chi rischia di mettere in pericolo se stesso e gli altri. Stavolta non è successo niente agli altri piloti, ma non può sempre andare bene.»
«Non stiamo parlando di un pilotino qualsiasi» replica Verde Quattordici. «Non puoi dire che non fosse in grado di guidare una monoposto.»
«Durante le gare può succedere di tutto» insiste Blu Ventuno. «Dobbiamo essere pronti e reattivi.»
Turchese Venticinque puntualizza: «Se lo volessero, potrebbero ammazzarci senza che nessuno se ne accorga. Anzi, il pubblico potrebbe esaltarsi per la nostra morte.»
«Il rischio ci sarà sempre, nel motorsport, non solo nella A+ Series.»
«Nella A+ Series esiste anche un rischio controllato dall'alto.»
Blu Ventuno scuote la testa, di fronte alla replica di Turchese Venticinque.
«Non capisci un cazzo.»
«No, sei tu che non capisci un cazzo, bimbominchia di merda» replica Venticinque.
«Ehi, calmatevi» li invita Verde Quattordici, ma i due non mi sembrano molto propensi a starlo a sentire.
Me ne vado proprio mentre entrambi intimano a Quattordici di restare fuori dalla loro discussione, tanto non ho niente da fare accanto a loro. Fingono di non vedermi, un po' come se non ci fossi, quindi non otterrò nulla. Forse dovrei trovare Axel, o qualcuno dei miei amici.
Mi dirigo verso il box della squadra in arancione, sperando di trovare Arancione Otto. Inaspettatamente lo trovo, ma già nei panni di Hamster Gangster. Stavolta, con gli occhi del mondo puntati su di lui, sfoggia una camicia piena di brillantini abbinata a un paio di pantaloni attillati di dubbio gusto. È circondato di persone, ma cerca di eluderle. Il suo sguardo smarrito mi conferma che sia accaduto qualcosa di grave e che vorrebbe essere ad anni luce di distanza.
Non so cosa fare. In qualche occasione è stato visto parlare con dei piloti. Quando è in veste di celebrità estranea al mondo del motorsport, dubito che debba seguire eventuali regole inventate ad hoc contro di me, ma d'altronde non sono nemmeno convinta che ci siano regole contro di me messe in atto a partire da oggi.
Sono confusa, molto più confusa di quanto vorrei. Il colpo di grazia, comunque, me lo dà un ragazzo biondo che, all'improvviso, raggiunge il mio amico rapper. Riconosco immediatamente Junior Silberblitz, il cui alter-ego è Nero Trentasei. È qui, è vivo e sta bene. Mentre discute con Hamster Gangster mi chiedo chi sia, allora, il pilota protagonista del grave incidente di cui tutti stanno parlando.

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Capitolo 23
*** Test prestagionali ***


La stagione della A+ Series termina alla fine di maggio e ricomincia nel mese di settembre. Nel corso dell'estate vengono organizzate diverse sessioni di test collettivi, in genere su circuiti europei. La prima di questo summer break si svolge a Silverstone alla fine di giugno. Non dovrei essere qui, ormai ne sono fuori, ma mi aggiro per la pitlane guardando le vetture. Nessuna squadra ha ancora rivelato la nuova monoposto, utilizzano ancora tutte quella del mondiale 2021/22. Blu Ventuno ha preso il mio posto, diventando Viola Cinque. Riconoscerei il suo sguardo tra mille e non mi stupisce che stia in quella posizione. Nessun altro, meglio di lui, poteva tenere alta la reputazione del mio numero di gara. È molto diverso da me, così come da Axel, il mio predecessore, sia per carattere sia per stile di guida, ma ha tutte le carte in regola per sfondare. Avrebbe solo bisogno di qualcuno che gli desse una tirata di orecchie ogni tanto, ma le sue orecchie sono sempre sotto al casco.
Vedo i miei ex colleghi andarsene ancora in giro in tuta e casco, alcuni inseguiti da giornalisti desiderosi di sentire qualche parola da parte loro, prima di quelle ufficiali. Alcuni piloti saranno convocati per una conferenza stampa, pare a sorteggio, ma dubito fortemente che siano selezionati in modo casuale. Ne vedo alcuni che si avviano verso la sala stampa: ci sono Argento Quattro, Rosso Ventisette, Arancione Otto, Viola Sei e un pilota in tuta gialla, inizialmente non vedo se sia Quindici o Sedici. Li seguo - vedendo nel frattempo il numero 16 stampato sulla tuta di colui che ancora non avevo identificato - e mi infilo dentro la sala.
Non ho al collo alcun pass, ma nessuno sembra fare caso a me. Mi siedo in ultima fila, da sola, e vedo i piloti accomodarsi nelle loro posizioni. Le prime domande sono semplici formalità, passerà un po' prima di arrivare al sodo. Li ascolto, senza che dicano alcunché di interessante, almeno finché non vengono invitati a riflettere sul finale della stagione precedente e a condividere i loro pensieri in proposito.
Nessuno sembra tanto propenso a parlare, a parte Argento Quattro, che tuttavia non fa altro che pronunciare poche parole: «L'automobilismo è pericoloso. È necessario tenere sempre in considerazione la sicurezza, ma non tutto può essere controllato. Quando succedono disgrazie è ovvio chiedersi dove si sia sbagliato, ma non sempre c'è modo di intervenire. Si può solo sperare che non si ripeta più.»
Accanto a lui, Rosso Ventisette sembra a disagio. Lo osservo, mi viene da pensare che non sia la fantomatica disgrazia a metterlo in difficoltà, quanto piuttosto la presenza di Quattro o quello che ha detto. Sembra ci sia tensione tra di loro e mi sembra che Ventisette si allontani il più possibile, finendo per avvicinarsi a Giallo Sedici, che occupa la posizione centrale.
È proprio lui a prendere la parola dopo Quattro e non sembra avere la stessa sfacciataggine che ha quando non porta tuta e casco. So che quel pilota è Karl Percival, un tizio che più volte ha sminuito i risultati di Verde Quindici in presenza di Axel. Non ho mai capito se sapesse o meno di essere di fronte alla stessa persona, ma Axel non l'ha mai presa male. Ha detto che non gli dispiacerebbe avere un compagno di squadra come lui, in futuro, che sarebbe come una sorta di fratello minore svampito che dice cose strane.
«Certe tragedie ci mettono di fronte a una realtà a cui spesso tentiamo di fuggire» afferma Sedici. «Me lo sono chiesto, dopo il Gran Premio di Montecarlo, se valga la pena di mettere la mia vita in pericolo o se sarebbe più sensato lasciare perdere e cambiare vita. Il problema è che, per noi piloti, non è possibile cambiare vita. Anche quando pensiamo che la nostra carriera sia ormai finita, non ne siamo mai davvero convinti fino in fondo. È così che è andata, mi sono chiesto cosa volessi fare e mi sono risposto che non posso farci niente. Dobbiamo discutere di sicurezza, cercare di migliorare ancora la situazione, ma siamo piloti e lo restiamo, nonostante tutto, anche nei giorni in cui prima eravamo venti, poi all'improvviso ci ritroviamo in diciannove.»
Ne ho la conferma, qualcuno è morto. Seduto all'estremità, Viola Sei abbassa lo sguardo, mentre Arancione Otto, che si trova tra lui e Giallo Sedici, cerca di distogliere gli occhi dalle telecamere che lo inquadrano.
È Otto il pilota che prende la parola subito dopo Sedici e lo sento confermare: «Mi ritrovo nelle parole del mio collega. Quello che è successo a Montecarlo ha cambiato la mia vita, senza possibilità di ritorno, ma sono anch'io un pilota. Combatterò finché posso affinché non succeda più, ma resterò quello che sono. Penso che tutti siano d'accordo che, quando perdiamo un collega, il modo migliore in cui possiamo onorare la sua morte è continuando dritti per la nostra strada, con il suo ricordo sempre vivo.»
«Sono d'accordo» conviene Sei, senza alzare lo sguardo. «Nulla sarà mai più come prima, ma è importante non lasciare perdere i nostri sogni. Siamo tutti qui perché amiamo le corse. Sappiamo che il pericolo può essere dietro l'angolo in qualsiasi momento, ma finché abbiamo la convinzione di quello che facciamo, è giusto continuare a metterci al volante.»
L'unico che non ha ancora parlato è Rosso Ventisette. Si vede che preferirebbe rimanere in silenzio, ma viene esortato a dire la sua.
Si vede che è uno sforzo, quando afferma: «Noi piloti speriamo di non assistere mai a quello che è successo a Montecarlo, ma purtroppo ogni tanto torniamo alla realtà. Il lato che fa più male è che, per quanto speriamo che sia l'ultima volta, non ci sarà mai un'ultima volta. Prima o poi qualcuno morirà di nuovo. Può passare un mese, un anno, dieci anni... però non è mai l'ultima volta. Il prossimo potrebbe essere anche uno di noi, così come uno dei piloti di seconda o terza divisione che non è ancora vicino alla A+ Series quel tanto che basta per essere sicuro di arrivarci. Non lo sappiamo. Quello che sappiamo per certo è che prima o poi accadrà di nuovo. Possiamo solo cercare di impegnarci affinché avvenga il più tardi possibile. Per molti anni il motorsport ha cercato di avviarsi in tale direzione. La Formula 1 degli anni '80 inoltrati era molto meno pericolosa di quella dei decenni precedenti. C'erano ancora molti problemi, che sono emersi negli anni '90, con nuovi incidenti mortali. Di nuovo, la Formula 1 si è messa all'opera per cercare di migliorare ulteriormente la sicurezza. Ce l'ha fatta, al punto da permettere a piloti che hanno avuto incidenti che potevano essere molto gravi o di uscirne con ferite lievi o di non avere danni permanenti. Anche la A+ Series va nella stessa direzione, ma la mia impressione - e mi scuso se qualcuno si offende per le mie parole - è che lo stia facendo nella maniera sbagliata. Da un lato mette in pratica ciò che si vede in altre categorie. Ci ritroviamo quindi con gli abitacoli più protetti - il tanto bistrattato halo ha salvato varie vite - e con più tutele, rispetto anche rispetto allo scorso decennio, ma in certe circostanze si tenta di fare inversione di tendenza.»
Sulla sedia accanto, Argento Quattro borbotta, forte abbastanza da farsi sentire: «Stronzate!»
È la molla che fa scattare Ventisette, che adesso parla in tono molto più sciolto.
«Tu dici che sono stronzate, ma non sei forse costretto anche tu a guidare con gomme da asciutto quando piove? Non ti ritrovi anche tu con le gomme fredde, da quando sono state abolite le termocoperte? Tutto questo viene fatto per una sola ragione: avere gare "più movimentate". E cosa significa avere gare più movimentate? Cercare di avere un maggior numero di incidenti. Non si tratta necessariamente di incidenti gravi, anzi, la maggior parte non lo sono, ma è innegabile che ci sia la volontà di innescare più incidenti, per catalizzare l'attenzione del grande pubblico.»
Adesso Argento Quattro si rivolge direttamente a Rosso Ventisette: «Se non te la senti di gareggiare, nessuno ti costringe a farlo. La A+ Series non è un posto per ragazze senza palle.»
Mi viene da pensare che Quattro finirà nella bufera e gli verrà contestato un linguaggio sessista per avere paragonato Ventisette a una donna senza attributi. Immagino che Ventisette, invece, stia tremando di paura: Argento Quattro le ha implicitamente fatto capire di potere rivelare da un momento all'altro chi sia davvero. Spero che Alysse Mercier, sotto quella tuta, riesca a ribattere.
Non mi delude: «Se pensi di offendermi dandomi della "ragazza" ti sbagli di grosso. Ci sono grandi piloti dell'uno e dell'altro genere, ma soprattutto ti ricordo che, come piloti, non abbiamo genere. Siamo numeri, nient'altro che numeri. A nessuno importa se io sia un uomo o una donna, o che cosa sia tu. Sei solo Argento Quattro, almeno finché qualcuno non farà il tuo nome pubblicamente, e allora sarai radiato e non potrai più essere Argento Quattro. Oppure, se ti va meglio, lo sarai finché il CEO o chi per lui non deciderà di assegnarti a un'altra vettura, a un altro numero e a un altro colore.»
«Lascia perdere il passaggio a un altro team, torniamo al discorso della radiazione. Vuoi forse dire che, siccome non sono d'accordo con te, potresti fare il mio nome? Ti ricordo che anch'io conosco il tuo.» Si gira a fissare Ventisette, come a sfidarlo, poi torna a concentrarsi sul microfono. «Bene, signori all'ascolto, Rosso Ventisette in realtà si chiama Al-...»
Viene interrotto da Ventisette, che gli rifila uno spintone che per poco non lo fa cadere dalla sedia.
«Non provarci, pezzo di merda» gli intima. «Se ti piace guidare sul bagnato con gomme da asciutto ed essere messo in pericolo, non puoi pretendere che anche gli altri siano d'accordo con te. O devo insinuare che, per qualche motivo, ti sia stato concesso un trattamento di favore? Che mentre tu devi preoccuparti solo della pioggia e delle gomme non in temperatura, gli altri piloti siano esposti a pericoli extra messi in atto di proposito? Cos'hai fatto per meritarti questo status? In che modo ti sei venduto?»
Mi aspetto di sentire Quattro ribattere, ma rimane in silenzio. Non so cosa pensare, potrebbe addirittura trattarsi di una tacita ammissione. Non mi stupirebbe che abbia fatto qualche favore al CEO e al suo entourage, guadagnandosi una posizione di privilegio. Per quanto non mi sia del tutto chiaro cosa sia accaduto a Montecarlo, penso che non abbia vinto il campionato solo per i propri meriti.
Ero in testa, poi, all'improvviso, me lo sono ritrovata sul gradino più alto del podio. Non intendo insinuare che chi vince dopo il ritiro altrui non abbia meritato, ma Argento Quattro è esattamente il tipo di pilota che prenderebbe una situazione del genere come il trionfo della giustizia divina e se ne vanterebbe.
«Non dici niente?» insiste Rosso Ventisette, sfidando apertamente il suo avversario. «Non mi aspettavo niente di diverso da te.»
«Non dico niente perché non ne vale la pena» replica Argento Quattro. «Le tue illazioni sono prive di senso. Chiaramente non sono soddisfatto di dovere guidare sotto la pioggia con gomme slick, se è questa la tua preoccupazione, ma fa parte del gioco.»
«Un gioco mortale.»
«Se non te la senti di guidare sotto la pioggia, nessuno ti obbliga... e comunque, per quanto piovesse, non è stata quella la causa dell'incidente.»
Adesso è Rosso Ventisette quello che non replica. Vedo Giallo Sedici cercare di rincuorarlo con una pacca su una spalla. Ventisette si gira per un attimo verso di lui, in segno di gratitudine.
La platea di giornalisti ha molte domande da fare. Si procede come se nulla fosse accaduto, come se Argento Quattro non fosse stato a un passo dal rivelare l'identità del suo rivale. I piloti vengono esortati a parlare delle loro speranze per il mondiale 2022/23, che inizierà tra due mesi e mezzo a Miami. È proprio il circuito cittadino che aprirà il prossimo campionato il successivo oggetto di discussione.
«Si vocifera che l'edizione del 2023 del Gran Premio di Montecarlo - confermata dopo molti rumour sulla sua potenziale cancellazione - sarà l'ultima della storia» osserva un giornalista. «Dal mondiale seguente dovrebbe tornare Las Vegas, mentre il Gran Premio di Miami andrebbe a sostituire quello del Principato alla fine della stagione. Pensate che questo possa migliorare la percezione della A+ Series da parte del pubblico e dimostrare che il campionato guarda molto al futuro e alla volontà dei fan di superare eventi ormai obsoleti e incongruenti con i valori della società contemporanea?»
Trattengo a stento le risate. Per "valori della società contemporanea" si intende palesemente dare il contentino alla tifoseria statunitense indignata di fronte al fatto che Montecarlo si radunino celebrità che sono ricche sfondate pur senza essere americane. I miei ex colleghi non danno molta corda al giornalista in questione: mentre Argento Quattro, in maniera del tutto neutrale, afferma che non gli interessa dove si vada a correre, ma soltanto vincere, Giallo Sedici inizia una curiosa invettiva sulla storia e sul fatto che Montecarlo meriti di rimanere nel calendario. Viola Sei e Arancione Otto sostengono di amare gli Stati Uniti, ma non sembrano così desiderosi che le gare sul suolo a stelle e strisce si moltiplichino come non mai. Rosso Ventisette non dà grosse soddisfazioni a chi ha posto la domanda, deve essere ancora sconvolto dalla sua polemica con Argento Quattro.
Tutto finisce all'improvviso, i cinque piloti vengono lasciati liberi di andarsene. Quattro sembra intenzionato a defilarsi, ma vedo Ventisette inseguirlo. Una volta lontani dai giornalisti, Ventisette lo afferra per un braccio, mentre mi avvicino. Voglio sentire quello che si dicono.
«Non devi permetterti. So che cos'hai fatto.»
«Non sai niente, perché non ho fatto niente.»
«Ti sei venduto al CEO.» Rosso Ventisette sembra fermo sulla propria posizione. «Ti rendi conto che l'hanno ammazzata per causa tua?»
«Non l'hanno ammazzata» replica Argento Quattro. «È stato un incidente, solo un fottuto incidente.»
«Ha deciso di rivelare la propria identità e l'hanno fatta fuori» insiste Rosso Ventisette. «Nel frattempo, il CEO ti ha consegnato il mondiale. Cos'hai fatto per lui?»
«Niente. Non ho fatto niente. Lasciami in pace, Alysse.»
Vedo Rosso Ventisette sussultare, quando Argento Quattro pronuncia quel nome e anch'io ho un sussulto. All'improvviso mi è tutto chiaro e i ricordi dell'incidente iniziano a riaffiorare.
«L'hanno ammazzata» ribadisce Rosso Ventisette, «Ed è anche colpa tua.»
«Non ho fatto nulla.»
«Forse non hai fatto nulla, ma ti stai piegando senza controbattere alla volontà del CEO e della Heidelberg. Fermati, prima che sia troppo tardi.»
Mi aspetto una replica, da parte di Argento Quattro, ma non dice niente. Si allontana, senza dire una parola. Rosso Ventisette non fa nulla per trattenerlo. Non so cosa fare, se seguire Quattro, oppure se avvicinarmi a Ventisette. Dopotutto sarebbe tutto inutile: non ho più mezzo di comunicare con loro.

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Capitolo 24
*** Miami ***


È cambiato tutto, ma sto imparando a conviverci. Sono uno spirito errante, che sente di avere ancora qualcosa da fare. Mi ritrovo catapultata a Miami già da giorni, a guardare gare sprint ciascuna con regole diverse dalle altre. Non so nemmeno più quante ne abbiano fatte, ma il pubblico è entusiasta, sempre ammesso che si possa definire entusiasta una mandria di vip che ha come unico intento quello di mettersi in mostra.
Il campionato è stato aperto da un concerto di Hamster Gangster. Non è più Arancione Otto, adesso, è Argento Tre e fa coppia con Yannick Leroy. Il campione del mondo in carica ha mantenuto il proprio volante, mentre molti altri piloti hanno subito un grande turnover dopo i test estivi. Alysse Mercier non è più Rosso Ventisette, è tornata in nero, non è più Trentacinque come un tempo, ma Trentasei. Sembra tranquilla, quando la intravedo, come se il non essere più al centro dell'attenzione sia stato un toccasana per lei.
Axel è diventato Rosso Ventisette, ma ormai il pubblico non si ricorda quasi più di quel giorno di gloria in Malesia. Gli viene contestato un finale di stagione non troppo brillante, se non fosse per quella vittoria ottenuta più per incidenti e guasti altrui che per vero e proprio merito: è il paradosso del 27, essere la storia del proprio numero di gara invece che una storia personale. Ryuji Watanabe non sembra molto soddisfatto di avere perso Alysse, ma è sempre stato aperto alle sfide, quindi pare possa cavarsela, al fianco di Axel.
Blu Ventuno è stato promosso al posto mio, diventando ufficialmente Viola Cinque. Ricky, ovvero Sei, avrà le sue gatte da pelare, in questa stagione; quel ragazzino va molto più forte di me e l'ha già dimostrato più volte, in questa settimana, non solo nelle sprint, ma anche nella gara principale.
Il Gran Premio di Miami ha visto Argento Quattro leader per parecchi giri, poi costretto ad arrendersi a un guasto al motore. L'arrivo in volata tra il nuovo Viola Cinque e il nuovo Argento Tre è stato favorevole a Tre: il mio amico Hamster Gangster è riuscito a portare a casa la vittoria. Sembra felice, stasera, mentre prepara le valigie per tornarsene in Europa. Ci sarà un po' di tempo prima del Gran Premio del Giappone.
C'è Axel, insieme a Hamster Gangster, che lo distrae mentre cerca di concentrarsi su ciò che fatica a entrare nella valigia. Gli parla di una novità, inserita in questa stagione.
«A Suzuka l'impianto di illuminazione non è sufficiente per disputare un gran premio in notturna. È una follia, l'ennesima follia del CEO e della Heidelberg.»
Hamster Gangster non sembra molto convinto, ma il suo sguardo allegro ormai si è fatto cupo.
«Corriamo già a Singapore di notte... e a volte abbiamo corso con le luci artificiali anche in Bahrein.»
«Posti dove ci sono luci che illuminano la pista a giorno» precisa Axel. «Non mi fido più di loro, sono capaci di tutto.»
«Non lo fanno per eliminarci, se è questo che ti spaventa. Potrebbero farlo in qualsiasi momento, alla luce del sole, come è successo a Tina.» C'è amarezza, nella voce di Hamster Gangster. «Purtroppo non c'è niente che possiamo fare per provarlo. Le indagini volute dal CEO hanno avuto un risultato a suo dire inequivocabile. Però sappiamo bene che è assurdo, la macchina è partita per la propria strada all'improvviso ed è come implosa dopo un contatto lieve contro le barriere. Non è possibile un incidente del genere.»
Axel abbassa lo sguardo.
«Mi sento colpevole ogni fottuto giorno. Vorrei andarmene, eppure mi dico che non posso farlo. Devo restare qui, lo devo a Tina. Se la smettessi con la A+ Series, finirei per fare qualcosa di stupido.»
«Se tu lasciassi la A+ Series, la tua ex moglie tornerebbe sui suoi passi e prima o poi ti convincerebbe a tornare insieme. Hai paura che prima o poi accetteresti, vero?»
Axel alza gli occhi di colpo.
«Tra me e la mia ex è finita.»
«Lo so. Si era stancata di saperti sempre esposto al pericolo e nelle mani del CEO.»
«Sa che, se morissi nell'anonimato, verrei sepolto in una tomba anonima e nessuno le direbbe che non ci sono più. Non è questo che vorrebbe per suo marito e per il padre dei suoi figli. Quindi ha fatto tutto ciò che era in proprio potere: mi ha lasciato, sperando che ci ripensassi. Io, però, sono ancora qui. Mi dispiace che i miei bambini siano figli di un pilota di A+ Series, ma non posso farci niente. Sono quello che sono e Tina è l'unica donna che mi abbia mai accettato come tale. Non tornerò con la mia ex moglie. Resterò qui, in questo campionato maledetto, e cercherò di onorare la sua memoria.»
«Sono belle parole» ammette Hamster Gangster, «Ma forse dovresti davvero fare un passo indietro.»
Axel scuote la testa.
«No, non posso. Tu stesso non te ne vai.»
«Io non ho nessuno che mi aspetti, a casa. Tu hai tre figli, che non vedono l'ora di essere scarrozzati su un trattore tosaerba in giro per la tua fattoria, mentre tu li supplichi di non riferirlo alla loro madre.» Hamster Gangster lo fissa dritto negli occhi. «È davvero così importante guidare la vettura rossa?»
«È il mio sogno.»
«Quella vettura rossa non è la Ferrari di Silberblitz davanti a cui ti masturbavi da ragazzino sognando un giorno di emulare il tuo idolo.»
«Come sei volgare.»
«No, non sono affatto volgare. Svegliati, è solo una vettura come tante, ma è rossa. Non ti sta gettando addosso una storia piena di fascino, è solo una monoposto che, per puro caso, è stata dipinta con vernice rossa.»
«Non puoi capire» replica Axel. «Non posso lasciare proprio adesso, che sono a un passo dai miei sogni. Tina non l'avrebbe voluto.»
Infatti è proprio così, non voglio che rinunci solo perché sono morta. Certo, il mio incidente ha avuto una dinamica abbastanza preoccupante, ma noi piloti della A+ Series sappiamo a cosa andiamo incontro.
Li lascio soli, so che non ha senso spiare la loro conversazione. Sono qui per un motivo e non è sentirli dibattere dell'opportunità che Axel continui a gareggiare nonostante io non ci sia più. Mi ritrovo in un corridoio, devo essere al di là della porta della stanza nella quale si trovano il mio amico e il mio compagno. Sento che sto andando nella direzione giusta, quando di colpo mi trovo nella camera di Yannick Leroy.
Sta parlando al telefono, anzi, sta proprio urlando.
«Le dico che non posso fare niente! Alysse conosce la mia identità e non mi dirà mai una sola parola!»
Ha il vivavoce inserito, perché nel frattempo sta trafficando con un bicchiere e una bottiglia e lo smartphone è appoggiato sul tavolo. Posso sentire chiaramente la voce del CEO che replica: «Ormai ho aspettato anche troppo. Le ho fatto vincere un mondiale e non ho avuto in cambio quello che mi aveva promesso. Posso distruggerla, Leroy. Ha visto cos'è successo oggi.»
Yannick impreca, poi riattacca. Si è venduto in cambio del titolo, ma non può pagare quanto pattuito, qualcosa che ha a che vedere con Alysse.
Si porta il bicchiere alla bocca e dubito che il contenuto sia analcolico. Mi siedo di fronte a lui, vedendo che nella bottiglia manca una parte di contenuto abbastanza elevata. Lo osservo, mentre già si rende conto che l'alcool non farà nulla per dargli sollievo. Il CEO gli ha promesso di farlo diventare campione del mondo e l'ha fatto, ma non penso sia questa la ragione per cui sono morta. Sarebbe bastato che il motore esplodesse in una nuvola di fumo, per dare a Yannick ciò che gli aveva accordato. Mania di protagonismo, se posso spingermi a formulare un'ipotesi: il CEO voleva eliminarmi in ogni caso, non certo per rendere le cose più facili a Leroy, quanto per guadagnarvi in consensi, like e introiti. Non c'era nulla di più catalizzatore di attenzione che mandarmi a morte sotto gli occhi di tutti, mentre mi stavo giocando il mondiale, nell'ultimo gran premio della mia carriera.
Il telefono di Yannick resta muto. Sono convinta sia stato lui, poco fa, a contattare il CEO, non viceversa, deve essere per questo che nessuno lo sta richiamando. Adesso si versa un altro bicchiere e lancia un'occhiata fugace al cellulare. Sembra sul punto di prenderlo in mano, ma non lo fa. Riprende a bere e poi alza gli occhi su di me.
Non può vedermi, ma io vedo molto bene lui. Sembra solo la caricatura di un antieroe, ormai completamente allo sbando, senza più alcuna certezza.
«Perché l'hai fatto, Yannick?» mormoro. «Perché ti sei messo nelle mani di quello stronzo?»
Mi sembra che mi fissi, ma è solo una mia fantasia. Sta ancora bevendo. Non può né vedermi né sentirmi. O almeno è quello che penso. Mi rendo conto ben presto che l'alcool altera le sue percezioni.
«Tina?»
È la prima volta, da quando sono morta, che qualcuno dà segno di potere interagire con me. Mi viene il dubbio che fosse proprio questa la mia missione.
«Mi senti?»
«Sì.»
«E mi vedi?»
«S-sì. Un po'. Sei sfuocata.»
Non sembra spaventato, ma lo rassicuro: «Non posso farti niente.» Ridacchio. «Purtroppo. Vorrei tanto poterti afferrare per le palle e stringere con tutta la forza che ho in corpo. Però non ce l'ho più, un corpo. Chissà invece tu per quanto tempo ne avrai uno. Non te l'ha mai detto Alysse che con certe persone è meglio non averci a che fare?»
«A-Alysse?»
«Possibile che tu non sappia fare altro che balbettare? Di solito hai la lingua piuttosto sciolta e sembra che non ti spaventi niente. Vuoi forse farmi credere che avere davanti un fantasma ti mette in difficoltà? Non voglio farti del male, Yannick.»
«Lasciami in pace.»
«Stai tranquillo, quando ti avrò detto tutto me ne andrò e non mi vedrai più. Prima, però, dobbiamo fare quella chiacchierata che non abbiamo mai fatto quando ero ancora viva.»
«Cosa vuoi?»
«Innanzi tutto che ti rilassi. Eri così teso quando Alysse ti sbottonava i pantaloni?»
Per la prima volta da quando percepisce la mia presenza, Yannick sembra divertito.
«Vuoi sbottonarmi i pantaloni?»
«L'unica cosa che farei con il tuo membro è metterlo dentro un frullatore, quindi per tua fortuna non voglio sbottonarti i pantaloni... e nemmeno potrei. Però, dimmi, ti piaceva avere Alysse che trafficava con la cerniera dei tuoi pantaloni?»
«Beh, sì.»
«Se tu non avessi fatto quello che hai fatto, probabilmente adesso sarebbe qui e ti starebbe spogliando. Non saresti ubriaco e non staresti pensando che è stata tutta una fregatura. Ne valeva la pena? Se potessi tornare indietro, butteresti di nuovo via tutto per un campionato del mondo?»
Yannick abbassa lo sguardo.
«Non puoi giudicarmi.»
«Forse dovresti essere tu a giudicare te stesso» replico, fredda. «Magari, se ti rendessi conto della cazzata che hai fatto...»
Stavolta Yannick ritrova la sicurezza che ha sempre mostrato.
«Se mi rendessi conto della cazzata che ho fatto, cosa succederebbe? Sentiamo cosa faresti tu, al posto mio.»
«Cercherei di riallacciare i rapporti con Watanabe, specie considerato che è un amico di Alysse.»
«Non capisci proprio un cazzo, Tina. Se io e Ryuji tornassimo amici e cercasse di metterci una buona parola con Alysse, convincendola almeno a starmi a sentire, sarei comunque nella merda tanto quanto adesso. Il CEO vuole da me qualcosa che non posso dargli, non ho tempo per inseguire amici o fidanzate. Mi ha sabotato mentre ero in testa e potrebbe farlo tante altre volte.»
Gli strizzo un occhio.
«Pensa, ha sabotato anche me mentre ero in testa. È successo a Montecarlo, ma dopo non è più potuto succedere.»
«Non voglio mancarti di rispetto, Tina» puntualizza Yannick. «Non mi aveva detto che ti avrebbe ammazzata. Non ne avevo idea. Adesso, però, potrebbe farlo con me.»
«A maggior ragione dovresti scusarti con Watanabe. Almeno gli rimarrebbe un buon ricordo di te.»
«Fottiti.»
«Stavo scherzando. Cerca di essere meno suscettibile.»
«Cosa vuoi da me, Tina?»
«Non so, tu cosa volevi da me, quando hai fatto promesse che non potevi mantenere per convincere il CEO a farti vincere il mondiale? Eri davvero così convinto che, senza il suo prezioso aiuto, avresti perso?»
Yannick sospira.
«Credi davvero che sia stato io ad andarlo a cercare e a proporgli di farmi vincere il mondiale in cambio di qualche confidenza strappata ad Alysse?»
«Non so, magari puoi spiegarmi tu com'è andata» lo invito.
Me lo spiega.
«Il CEO mi ha fatto ritirare per un guasto al motore, poi mi ha chiesto se volevo evitare che succedesse di nuovo. Non solo, mi ha anche promesso il mondiale, in cambio del mio aiuto. Se avessi rifiutato, non mi avrebbe concesso la possibilità di cercare di vincere lealmente. Mi avrebbe mandato il motore in fumo ogni volta, impedendomi di ottenere risultati. O con lui o contro di lui, o vincere in modo telecomandato o essere sabotato affinché non vincessi. Sapeva i miei fatti privati. Aveva capito che Alysse non era solo una donna che mi portavo a letto, ma che valeva molto di più. Mi ha incastrato. Forse potevo tirarmi indietro, ma le conseguenze sarebbero state devastanti. Non l'ho fatto per "rubare" un mondiale, l'ho fatto per non essere derubato... o peggio, quindi faresti meglio a evitare di sparare sentenze. Non ti sei mai ritrovata messa con le spalle al muro. Ti ha fatta morire e basta, non ti ha mai chiesto di aiutarlo in cambio della tua presunta sopravvivenza. Non voglio dire che morire sia una cosa da niente, ma almeno non hai dovuto scegliere da che parte stare.»
«Ecco, appunto» confermo. «Io non ho dovuto scegliere. La storia della A+ Series è stato un continuo non avere scelta, per noi piloti. Con te, qualcosa è cambiato.»
«Avrei preferito che non accadesse.»
«Significa che il CEO non è più infallibile come una volta.»
«La mia scelta non era una vera scelta.»
«Però il CEO ti ha coinvolto. Fino a poco tempo fa non avrebbe cercato la complicità di un pilota. Con te l'ha fatto. Vuole dire che sente che potreste voltargli le spalle... e lo farete. So che lo farete.»
Yannick si lascia andare a un mezzo sorriso da ubriaco.
«Sei venuta qui per dirmi questo?»
«Sono qui per aprirti gli occhi che ti ostini a tenere chiusi» concludo. «Puoi farcela, Yannick. Tutti potete farcela. Potete uscirne fuori. Non dovete farlo per me, ma per voi stessi. Io sono morta, ma voi potete salvarvi. Promettimi che farai tutto quello che è in tuo potere per cavartela.»
Yannick mi fissa con sguardo assente.
Io insisto: «Promettimelo.»
«Non ti prometto che farò qualcosa» replica Yannick, «Ma cercherò di uscirne, in un modo o nell'altro.»
«Devi farcela» insisto. «Dovete farcela.»
Sono le ultime parole che pronuncio. Ormai ho esaurito il mio ruolo, è il tempo di passare oltre. Non so fino a che punto Yannick mi ascolterà, ma spero possa esserci una via d'uscita.

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Capitolo 25
*** Suzuka ***


Per la prima volta dopo tanto tempo Yannick e Alysse si incontravano di persona, quantomeno non in uno spazio comune e senza indossare tuta e casco. Ormai non erano più avversari diretti: al posto della Mercier, a guidare la monoposto rossa con il numero 27 era un pilota con gli occhi di un azzurro molto più intenso, verosimilmente lo stesso che aveva vinto in Malesia molti mesi prima. Non importava tanto, tuttavia, quello che accadeva in pista: Viola Cinque - Tina Menezez - aveva sempre avuto ragione su tutto, anche quando i suoi discorsi gli apparivano ridicoli.
Già da molti anni, da quando esisteva la A+ Series, i piloti si comportavano come una schiera di automi, costantemente calati nel ruolo per il quale erano stati a lungo preparati. Il loro compito era tenere alto il livello degli ascolti e dei consensi, la contrapposizione così dura tra di loro era una sorta di imposizione dall'alto. Yannick se ne stava accorgendo troppo tardi, e forse a causa dell'apparizione dello spirito errante della Menezes. Non ne aveva parlato con nessuno, nemmeno con suo fratello, l'unica persona che aveva sempre saputo della sua carriera nel campionato e dell'identità del suo alter-ego. Doveva essere un assurdo delirio alcolico, a seguito del quale aveva preso la drastica decisione di diventare astemio.
L'incontro con Alysse non sarebbe mai avvenuto, se non con la mediazione di Watanabe. Yannick aveva temuto che Ryuji lo mandasse a quel paese, quando si era messo in contatto con lui, invece il suo vecchio amico era stato ben disposto a starlo a sentire. Doveva anche avere un certo ascendente su Alysse, dato che, in un modo o nell'altro, aveva accettato l'invito di Yannick.
Erano uno di fronte all'altra, dopo che Yannick l'aveva fatta entrare nella stanza d'albergo nella quale aveva passato le poche ore libere per dormire nella settimana e dove sarebbe rimasto ancora un'ultima notte.
Si fissavano in silenzio già da qualche minuto, come se nessuno dei due volesse essere il primo a parlare. Alysse aveva richiuso la porta e con tutta probabilità stava aspettando che Yannick la invitasse a sedersi. O almeno, fu la conclusione a cui arrivò, quando Alysse andò effettivamente ad accomodarsi senza più attendere oltre.
Era giunto il momento di rompere il silenzio, quindi Yannick esordì: «Immagino che tu ti stia chiedendo come mai ti ho chiesto di vederci.»
«Esatto, me lo sto chiedendo» replicò Alysse, con freddezza, «Specie alla luce del fatto che non sono più Rosso Ventisette. O devo ipotizzare che il CEO ti abbia rivelato la mia nuova identità?»
Yannick si sedette accanto a lei.
«È più complicato di quanto tu creda.»
«Eppure mi sembra tutto così semplice.»
«Non volevo fare quello che ho fatto.»
«Di solito lo dicono quelli che ti cornificano con un'altra donna. Mentono, ma almeno hanno seguito solo il richiamo della carne. Non voglio dire che sia qualcosa di positivo, sia chiaro, ma semplicemente che posso comprendere che una persona già impegnata in una relazione possa provare attrazione per qualcun altro. Ma tu? Perché volevi estorcermi informazioni sulla mia vita privata? So che c'è dietro il CEO, ma tu come ci sei finito in mezzo?»
Yannick puntualizzò: «Te l'ho detto che è una storia complicata. Ci sono finito in mezzo perché, a un certo punto, non ho più avuto la possibilità di tirarmi indietro. Il CEO deve avere capito che la mia personalità si incastrava bene con il ruolo che voleva cucirmi addosso. Ho dovuto scegliere tra il mio futuro e il tuo passato. Dici che seguire il richiamo della carne è umano, ma non lo è forse anche piegarsi all'istinto di sopravvivenza?»
«Mi volevi gettare tra le fauci di una belva» replicò Alysse. «Ti sembra così umano?»
«Pensavo di non avere alternative.»
«C'è sempre un'alternativa.»
«Per esempio?»
«Ryuji mi ha detto che mi hai chiesto di vederci perché vuoi propormi un accordo. Non pensi che anche allora avremmo potuto inventarci qualcosa?»
«Non lo so, ai tempi non...»
Yannick non riuscì a finire la frase - e non fu esattamente un male, dato che non avrebbe saputo come concluderla - dal momento che Alysse lo interruppe, sentenziando: «Non ti è nemmeno passato per la testa, perché il CEO ti aveva offerto qualcosa per cui eri disposto a vendermi. Poi, quando ti sei accorto che non era tutto rose e fiori collaborare con lui, ti sei pentito delle tue azioni, quindi hai deciso di venire a cercarmi.»
«Ti assicuro che mi dispiace davvero quello che ho fatto» rispose Yannick. «In ogni caso non ti sto chiedendo di capirmi o di giustificarmi. Non ci girerò intorno: sono in una situazione senza via di uscita e, se il CEO insiste così tanto, significa che lo sei anche tu, anche se magari con te non interagisce più. Il tuo passato gli interessa e non fa altro che mettermi pressione. Hai visto cos'è successo, in questi giorni. Ho avuto guasti in tutte le gare.»
Alysse precisò: «Io non ho avuto guasti. Non vedo perché dovrei aiutarti.»
«Non lo devi fare per me» ribatté Yannick, «Ma per te stessa.»
«Qual è la tua proposta?»
«Gli darò quello che vuole, ma gli dirò esattamente quello che concordiamo insieme. È la soluzione migliore per tutti.»
«No» insisté Alysse, «È la soluzione migliore per te.»
«In alternativa dovrei inventarmi qualcosa» chiarì Yannick. «Preferisci che gli racconti quello che mi viene in mente rischiando di metterti nei casini?»
Alysse sbuffò.
«Mio marito, Alex Mercier, è stato, in passato, uno degli assistenti del CEO. Ha preso parte a una sorta di film sul passato del motorsport. All'inizio pensava fosse una buona idea, ma poi ha iniziato ad avere dei forti dubbi. Iniziava a trovare il lavoro che faceva troppo stressante e questo ha influito negativamente sui problemi psicologici che già aveva. Purtroppo non sono riuscita a capire quanto profondo fosse il suo disagio. Si è tolto la vita, mentre era al lavoro. Io lo stavo aspettando per festeggiare il nostro anniversario di matrimonio. È tutto qui, non c'è altro da aggiungere.»
«Ma è la verità?»
«È la versione che abbiamo concordato e che tu riferirai al CEO in cambio della possibilità di lottare di nuovo per il mondiale. Dopo ti lascerà in pace, al massimo farà morire i tuoi avversari diretti come è successo con Tina Menezes.»
Yannick rabbrividì.
«Non l'ha fatto per me.»
«Lo posso immaginare, il CEO di solito non fa nulla che non gli renda dal punto di vista economico» replicò Alysse. «Quello che non riesco proprio a capire è come mai tu sia finito nel suo mirino. Voglio dire, so che sei uno stronzo, questo l'ho capito, ma non al punto da somigliargli.»
«Tu ce l'hai con lui, e non solo per il modo in cui gestisce il campionato» affermò Yannick. «Si capisce che c'è qualcosa di più profondo. Pensi che sia stato lui a istigare tuo marito al suicidio? Oppure che l'abbia direttamente ammazzato? È vero che Alex aveva problemi di depressione?»
«Non intendo rispondere a queste domande.»
«Puoi fidarti di me.»
«Questa è la cosa più ridicola che ti abbia mai sentito dire.»
«Davvero, Alysse, io ci ho sempre tenuto a te.»
«Ti prego, non dirlo. Hai fatto sesso con me nello sgabuzzino di un locale e subito dopo mi hai minacciata di mettere fine alla mia carriera di pilota se non ti avessi dato le informazioni che volevi. Sei una persona squallida. Se fossi al posto tuo, non ci terrei a sembrare ancora più squallido.»
Yannick sospirò.
«Hai ragione, quello che ti ho fatto è stato terribile, ma ti assicuro che non l'ho fatto a cuore leggero e che lo considero il più grande errore della mia vita.»
Alysse si alzò in piedi.
«Cerca di non commetterne altri.»
«Di cosa parli?»
«Dico in generale. Prima o poi verrà il momento di ribaltare le assurdità di questo campionato. È solo questione di tempo. Quando verrà il momento, non stare dalla parte sbagliata. Solo se tutti ci ribelleremo, allora ci sarà qualche speranza.»
«Non capisco.»
«Pochi mesi fa è stato innescato di proposito un grave incidente che ha portato alla morte di un pilota. Adesso dobbiamo gareggiare senza che ci sia abbastanza luce e dobbiamo farlo sempre e comunque con gomme da asciutto, anche se per domani il meteo dà pioggia torrenziale. Quando abbiamo minacciato di non scendere in pista, è stata fatta trapelare alla vigilia del gran premio l'identità di uno di noi, che si è ritrovato fuori senza avere violato alcuna regola.»
Yannick minimizzò.
«Si dice che il Verde Quindici di quest'anno fosse il Nero Trentasei della passata stagione. Era solo un backmarker. L'identità dei piloti seri non verrebbe mai rivelata. Per non parlare del fatto che è stato scelto lui solo perché suo padre era un importante pilota del passato. Serviva a dimostrare che i campioni del passato non hanno lasciato niente, al massimo qualche figlio d'arte incapace di avvicinarsi anche solo minimamente al loro successo. Il CEO non voleva colpire noi, voleva solo dare un segnale. È stata una scusa, prima o poi sarebbe accaduto comunque. Anzi, mi stupisce che nessuno si sia mai insospettito nel vedere quel ragazzo. Ha l'aria molto più da modello, ma se lo giri ha lo stesso profilo del padre.»
«Io sapevo chi fosse» obiettò Alysse, «L'ho scoperto molto tempo fa. Tu dici che non importa quello che è successo, perché era solo un backmarker e si è trattato di un'azione dimostrativa per cercare di infangare la memoria di Silberblitz e dei suoi colleghi di un tempo, ma non capisci che è ancora più grave? Uno dei nostri colleghi è stato espulso dalla A+ Series nonostante abbia rispettato le regole, solo perché la dirigenza ha deciso così. Come puoi pensare che sia tutto a posto?»
«Nessuno toccherà te, e probabilmente nemmeno il tuo nuovo compagno di squadra» la rassicurò Yannick. «A proposito, hai già indagato sulla sua identità?»
Alysse scosse la testa.
«Trentacinque, per me, è solo Trentacinque, un pilota che viene snobbato dai fanboy senza alcuna ragione precisa e che si dice convinto che, se mai dovesse morire al volante di una monoposto, i suoi hater finirebbero per diventare suoi accesi sostenitori.»
«Lo vedi? Trentacinque si preoccupa delle solite faccende di sempre. La A+ Series è ben lontana dalla fine. Non ci sarà chiesto di schierarci contro le sue regole, né a favore. Ci toccherà fare quello che abbiamo sempre fatto.» Yannick guardò Alysse negli occhi. «Lo so, non è il massimo, ma se vogliamo correre in questo campionato dobbiamo sottostare alle sue imposizioni. Del resto tu stessa l'hai sempre fatto.»
«Non posso cambiare la A+ Series da sola» replicò Alysse. «Lo so, certe cose non ti toccano. Hai sempre detto che i migliori piloti riescono a guidare con le slick anche sotto la pioggia e che le regole valgono comunque per tutti, ma ti prego di pensarci. Prima le gomme da asciutto con il bagnato, poi le notturne senza la giusta illuminazione, poi un pilota a caso viene smascherato senza ragione per ledere il buon nome del vecchio campionato, il tutto mentre la morte di Tina Menezes è stata orchestrata in nome dello spettacolo. Se accettiamo tutto, finiamo per diventare marionette ancora più di quanto già siamo. Ora mi dirai che se vogliamo gareggiare nella massima categoria motoristica dobbiamo accettarlo... invece no, non è così. Ne ho parlato con diversi nostri colleghi, sai. Se domani andrà tutto bene, per qualche assurdo miracolo, allora daremo fiducia alla A+ Series ancora una volta. Se qualcosa dovesse andare storto, però, dopo la fine della gara ci toglieremo tutti il casco e riveleremo al mondo i nostri nomi.»
«Siete pazzi.»
«Siamo già più della metà e gli amici di Tina potrebbero coinvolgere anche qualcun altro.»
«Vi cacceranno.»
«Così dopo potrai scendere in pista da solo» sbottò Alysse, con voce tagliente. «Non sei contento? Vinceresti un altro agognato mondiale.»
«Non hai capito niente di me.»
«Invece ho capito tutto. In fondo sei disposto ad accettare qualsiasi cosa, purché non ti colpisca direttamente. Te ne fregavi degli incidenti degli altri piloti, te ne fregavi di tutto. Anche adesso pensi solo alla tua possibilità di vittoria.»
Yannick la smentì.
«No, Alysse, non è così. Sto solo cercando di comportarmi da adulto. Solo i ragazzini si ribellano a qualsiasi cosa, spesso per partito preso. Dobbiamo rimanere seri, almeno noi.»
«Ma infatti non si tratta di ribellarsi a qualsiasi cosa, ma a ciò che è profondamente sbagliato» insisté Alysse. «Non stiamo più parlando di gareggiare su circuiti trash, o fatti ai quali si può passare sopra. Potrebbero esserci le nostre vite di mezzo. Sei davvero disposto a rimanere ancora tra le mani di chi potrebbe ucciderti da un momento all'altro premendo un pulsante?»
«Certo che no.»
«E allora smettila di pensare di non avere scelta! Prima dicevi che ti dispiaceva esserti accordato con il CEO. Non credi che sia il momento di dimostrarlo?»
Yannick puntualizzò: «Mi dispiaceva di essermi accordato con lui per fare qualcosa che ti ha ferita. Mi dispiaceva per te, per averti persa. Non me ne frega un cazzo che Junior Silberblitz abbia o no un volante nella A+ Series e che venga utilizzato come strumento per denigrare il padre e, di conseguenza, la Formula 1. Nessuno gli ha imposto di diventare pilota. Poteva diventare giocatore di golf, per esempio, o qualsiasi altra cosa.»
«Tutti noi avremmo potuto diventare giocatori di golf» replicò Alysse, «Però siamo piloti della A+ Series e dobbiamo affrontarne le conseguenze. Non te ne importa dei backmarker? Va bene. Allora, se ti importa di me, stai dalla nostra parte. Fallo perché te lo chiedo io. Se succede qualcosa, rivelati anche tu.» Si avviò verso la porta. «O almeno pensaci. Potrebbe essere la tua ultima opportunità per dimostrare che Argento Quattro non è lo stronzo che tutti descrivono.»
Se ne andò, senza aggiungere altro. Yannick si domandò se avesse ragione. Il cuore gli diceva di sì, ma la mente obiettava che non spettava ai piloti della A+ Series comportarsi da idealisti. Non l'avevano mai fatto. Era da oltre un decennio che non lo facevano. Erano parte di un sistema già radicato che non sarebbe cambiato.
"E poi andrà tutto bene" cercò di convincersi Yannick. "Al massimo avrò l'ennesimo guasto al motore o al cambio, ma a nessuno importerà un fico secco di me e dei miei problemi."

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Capitolo 26
*** Blackout ***


Mancavano appena dieci minuti all'orario in cui sarebbe dovuto partire il giro di formazione. C'erano problemi, grossi problemi: un'avaria tecnica nella sala in cui lavoravano i social media manager sembrava ormai impossibile da risolvere. I tecnici erano all'opera, ma il CEO sapeva che non ci sarebbe stato molto da fare. Aveva mandato Maelle a verificare come procedessero le operazioni e, con il ritorno della Heidelberg, comprese di doversi mettere il cuore in pace.
«Non va ancora niente?»
«No.»
«Maledizione! I tifosi ci contano.»
«C'è una soluzione a tutto» replicò Maelle. «Qui abbiamo un computer funzionante, se non sbaglio.»
«Non permetterò a dei semplici social media manager di sedersi alla mia postazione» obiettò il CEO. «Mi dispiace, ma è fuori discussione.»
Maelle gli strizzò un occhio.
«Può permetterlo a me. Ho fatto quel lavoro per tanti anni, posso fare anche meglio di loro.»
«Una persona come lei è sprecata come social media manager.»
«Sono i social ufficiali della A+ Series a essere sprecati senza di me.»
Il CEO si alzò in piedi.
«Allora si sieda e chiami i suoi ex colleghi per farsi dare le password. Se il loro telefono non va, chiami qualcuno sul cellulare.»
Maelle gli agitò un foglio avanti agli occhi.
«Ho già fatto, le credenziali sono scritte qui.»
«Meglio così» concluse il CEO. «Si metta alla scrivania e si faccia venire in mente qualcosa. La gara sarà sicuramente emozionante, ma i piloti potrebbero fare qualsiasi cosa. C'era addirittura chi proponeva di rientrare ai box dopo il giro di formazione e non partire per la gara per ragioni di sicurezza.»
Maelle ribatté: «Quando i piloti erano veri uomini avrebbero gareggiato con qualsiasi condizione meteo.»
Il CEO obiettò: «Ai tempi dei "veri uomini" la partenza sarebbe probabilmente stata rinviata.»
«Lo so, ma mi stavo calando nella parte. Devo scrivere quello che la tifoseria vuole leggere, non importa che sia vero o meno. La verità è solo un concetto astratto, che di per sé non porta né like né soldi. Viviamo in un castello di menzogne, non importa spingersi sempre un po' più in là.» Maelle, che si era già seduta al computer, si infilò gli occhiali. «Almeno finché il castello non crolla... ma i piloti non riusciranno mai a trovare un accordo per farlo crollare. Hanno paura di perdere tutto, si guarderanno bene da fare anche un solo passo falso.»
La Heidelberg era sempre incredibilmente ottimista. Il CEO era certo che, se glielo avesse chiesto, Maelle avrebbe risposto di essere certa che il Gran Premio del Giappone sarebbe stato meraviglioso, destinato a rimanere sempre scolpito nella storia del motorsport.

[NERO TRENTASEI - Alysse Mercier]
Era sotto un enorme ombrello sorretto da un meccanico e stava ormai per calarsi nell'abitacolo, quando sentì un colpo su una spalla. Trentasei si girò, per ritrovarsi di fronte al proprio compagno di squadra. Erano ormai fuori tempo massimo, ma Trentacinque sembrava desideroso di scambiare le ultime parole prima del via.
«Secondo te questa pioggia calerà?»
«Ne dubito.»
«È da pazzi gareggiare così.»
«Già, senza nemmeno le gomme da bagnato.»
Trentacinque rimase in silenzio per qualche istante, poi all'improvviso scoppiò a ridere.
«Noi, però, un po' pazzi lo siamo, quindi in un modo o nell'altro ce la caveremo!»
«Ho sentito dire che l'impianto di illuminazione non ha superato i collaudi» gli confidò Trentasei. «Se fossi al posto tuo, non sarei così tranquillo.»
«Non sono tranquillo per niente, ma l'impianto ha retto durante le qualifiche e le sprint» replicò Trentacinque, «Quindi sono ottimista. Lo sono nel vero senso della parola: secondo me oggi finiscono tutti fuori pista e arrivo a podio!»
«Te lo auguro, ma il podio è ancora lontano» lo ammonì Trentasei. «Non sentirti troppo sicuro, perché potrebbe finire male.»
«Mi gratterei volentieri là dove non batte il sole, ma non sarebbe un gesto elegante da fare davanti a una signora.»
«Come sai che sono una signora?»
«Ho tirato a indovinare. Invece sono certo che tu non abbia idea di chi sono io.»
Trentasei gli confidò: «I tuoi occhi mi ricordano molto quelli di Karl Percival, ma il colore è un po' diverso. Inoltre penso che tu sia un po' più vecchio di lui. Secondo me hai più o meno la mia età, forse abbiamo gareggiato insieme in seconda divisione.»
Trentacinque concluse: «Se qualcosa dovesse andare storto, tutti i nodi verranno al pettine. Io sarò in prima linea accanto a te, quando sveleremo le nostre identità. E no, non sono Karl.»
Si voltò e si allontanò, diretto verso la monoposto che avrebbe guidato durante la gara. Non si salutarono, ma Trentasei non se ne curò. Non era un ultimo addio, stavano solo per disputare un gran premio.

[ARGENTO QUATTRO - Yannick Leroy]
Non era raro sentire un pilota affermare che, quando si metteva al volante, tagliava fuori qualsiasi altro pensiero, non solo mella A+ Series, dove i piloti dovevano calarsi nell'identità del loro alter-ego, ma anche nelle categorie in cui ciascuno mostrava il proprio volto ed era chiamato con il proprio nome.
Era stato uno di quei piloti, per molto tempo, ma di colpo si trovava nell'impossibilità di tagliare fuori tutto il resto: Yannick continuava a prevalere, gli era difficile essere Argento Quattro. Scattava a centro griglia, ormai era il momento del giro di formazione, ma sapeva di non potere stare tranquillo. Si sforzò di concentrarsi, quando dovette accodarsi alle vetture che lo precedevano.
Era un delirio, guidare in quelle condizioni sulle gomme da asciutto. Argento Quattro cercava sempre di minimizzare, ma iniziava a rendersi conto di quanto le slick complicassero le cose. Con un simile quantitativo di pioggia, sarebbe stato necessario guidare quasi alla cieca. Non era assolutamente auspicabile dovere anche pattinare sull'asfalto quasi allagato.
Già completare il giro di ricognizione fu un'impresa. La gara sarebbe stata molto peggio, di quelle da non vedere l'ora che arrivasse la bandiera a scacchi, sempre ammesso che non terminasse anzitempo. Per una volta, si rese conto Quattro mentre era di nuovo in attesa sulla griglia di partenza, non sarebbe stato così terribile subire un guasto al motore nelle fasi iniziali. Avrebbe addirittura potuto lasciare il circuito in largo anticipo e non essere presente qualora i suoi colleghi avessero deciso di commettere qualche pazzia istigata da Alysse.
I semafori iniziarono ad accendersi: una luce rossa, due luci rosse, tre luci rosse, quattro luci rosse, cinque luci rosse.
Si spensero, dando il via alle danze: un ballo macabro fatto di spray e di scarsissima visibilità. Da qualche parte, molto più avanti, Tre doveva essere leader della gara, l'unico che non doveva vedersela con l'acqua alzata da altre vetture.
Quattro non riusciva a stare in scia al pilota che lo precedeva. La monoposto andava da tutte le parti, tranne dove avrebbe dovuto. Mantenerne il controllo per oltre cinquanta giri sarebbe stato un atto eroico, qualsiasi cosa ne pensassero quei coglioni che, seduti sul divano con lo smartphone in mano, affermavano puntualmente che i piloti degli anni 2020 non valessero nemmeno un decimo di quelli di un generico passato che avrebbe potuto essere indistintamente il 1950, il 1975 o il 2000.

[ROSSO VENTOTTO - Ryuji Watanabe]
Per la prima volta da quando aveva lasciato le corse americane, rimpiangeva ferocemente le corse americane. Con un meteo del genere, in Indycar, a nessuno sarebbe mai passato in testa di scendere in pista. Ventotto non aveva mai guidato in quelle condizioni, se non talvolta nelle formule minori giapponesi. Nelle formule minori giapponesi, tuttavia, esistevano le gomme da bagnato estremo e, in generale, i piloti non erano mandati incontro a una potenziale morte solo per intrattenere un pubblico affascinato dal macabro.
Quella gara sarebbe stata uno strazio e quasi Ventotto fu sollevato, quando dopo un testacoda si ritrovò in una via di fuga. Per un attimo ebbe l'impressione che la sua gara fosse finita, ma non lo era, il motore era ancora acceso.
Ripartì. Non aveva idea di quale posizione occupasse, forse una delle ultime, ma non riuscì ad averne la conferma dal proprio box, perché la radio funzionava a tratti. Gli era parso di intravedere bandiere gialle, in precedenza, oltre che sagome che potevano essere mezzi di soccorso. Dovevano esserci stati vari incidenti e ritiri, anche se non era entrata alcuna safety car, né il direttore di gara aveva esposto quella bandiera rossa che in altre occasioni era stata tirata in ballo per molto meno.
Era l'Apocalisse dei gran premi della massima categoria e un giorno raccontare di averla vissuta in prima persona sarebbe stato motivo di vanto. Prima, però, era doveroso uscirne vivi e cercare di mantenere la lucidità, impresa sempre più difficile. Ventotto non riusciva nemmeno più a distinguere se la pioggia fosse costante, oppure se stesse aumentando. Tutto ciò che comprese era di avere di nuovo perso il controllo della vettura che stava guidando.
Non trovò una via di fuga, ma una barriera, contro la quale impattò ad alta velocità. La monoposto resse l'impatto: Ryuji Watanabe, ex pilota di Indycar che gareggiava con il nome di Rosso Ventotto, era giunto alla fine prematura del proprio gran premio di casa.
Si slacciò le cinture e rimosse il volante per scendere dall'auto. Il botto che aveva fatto era stato piuttosto pesante, ma il sollievo di essere vivo e fuori da quell'incubo prevaleva su ogni cosa. Sotto le luci soffuse dei lampioni, si avviò a piedi verso i box, che non erano molto lontani. Era ormai giunto a destinazione quando, all'improvviso, sul tracciato calò l'oscurità.
In lontananza le luci colorate delle monoposto erano puntini che facevano contrasto con il nero della notte di Suzuka. A Ryuji - ormai non si vedeva più come Ventotto - servirono diversi istanti per rendersi conto di cosa fosse successo: l'impianto di illuminazione del circuito era saltato.

[NERO TRENTASEI - Alysse Mercier]
Aveva volato, ribaltandosi. Era girato di novanta gradi, contro una barriera. C'era stato un contatto con un'altra monoposto. All'improvviso era tutto buio. Trentasei si chiese se fosse quella la fine, mentre giaceva immobile all'interno di ciò che restava della monoposto.
Era quella la morte? Alex aveva provato sensazioni simili, quando era stato avvelenato? Oppure Tina Menezes, al momento del suo incidente a Montecarlo?
Quel pensiero fu interrotto da un colpetto che sentì sul casco e poi una voce a malapena comprensibile.
«Stai bene?»
Nero Trentasei si mosse dentro l'abitacolo, per dare un segnale. Non stava morendo, anche se non vedeva più nulla. Sentiva la pioggia, così come percepiva qualcuno che cercava di prestargli aiuto. Non seppe dire come ne venne fuori, ma una volta uscito notò in lontananza, oltre che il rombo di qualche motore, qualche luce posteriore accesa, così come le più piccole luci decorative che risplendevano sulle monoposto ancora in pista.
Cercò di mettere a fuoco nell'oscurità, dove doveva esserci la persona che l'aveva aiutato a tirarsi fuori dalla vettura. Si guardò intorno e, girandosi, notò un monitor, che trasmetteva le immagini della gara. Era tutto buio, si vedevano appunto solo le stesse luci delle auto che vedeva anche Trentasei.
«È saltata la luce?» chiese.
«Sì» rispose qualcuno, accanto a lei.
«Chi sei?»
«Quattro. Tu?»
«Alysse.»
Quel nome venne fuori spontaneo. Ormai Nero Trentasei non c'era più e, se non fosse stato per quella pioggia maledetta, non avrebbe avuto problemi a togliersi il casco in quel momento stesso.
«Avevi ragione» disse Yannick, «Per loro non conta niente se siamo vivi o morti. Siamo solo pedine su una scacchiera.»
«Cosa ti è successo?»
«Non lo so. Di colpo una vettura mi ha travolto e ha iniziato a volare. Eri tu?»
«Penso di sì, ma non come sia andata.»
«Non importa.» Yannick scattò verso di lei e la strinse in un abbraccio. «Hai sempre avuto ragione tu.»
Alysse fu tentata di liberarsi, ma si lasciò andare. Il suo lato razionale le suggeriva di voltare le spalle a Yannick, ma non se la sentiva. Le aveva fatto molto male, era vero, ma un tempo aveva creduto di essersi innamorata di lui e sembrava che finalmente stesse dalla sua parte.
Lo strinse a propria volta e lo pregò: «Portami dagli altri. La luce è saltata. Non è andato tutto bene.»
Yannick non si oppose. Si avviarono a piedi verso il paddock, consapevoli che la A+ Series sarebbe cambiata per sempre.
Trovò la maggior parte dei suoi colleghi radunati, alcuni senza casco. Fece lo stesso, se lo tolse e si espose ufficialmente.
Alcuni dei piloti con cui si era accordata stavano trafficando con cellulari e altri mezzi elettronici. Axel Frosch le disse che alcuni di loro avevano già fatto un video in cui rivelavano le proprie identità e le chiese se fosse già pronta.
Yannick - Argento Quattro, indossava ancora il casco - obiettò: «Non sarebbe meglio aspettare che ci siano tutti?»
«No» replicò Alysse, con fermezza. «Dopo potrebbe essere troppo tardi. In più alcuni piloti sono ancora in gara. Dobbiamo pubblicare il video in cui divulghiamo la nostra identità il prima possibile, non appena la gara sarà finita... oppure» contò almeno tredici piloti presenti, «quando tutti finiranno fuori pista.»
Non ne mancavano più molti, magari il suo compagno di squadra sarebbe stato il prossimo a raggiungerli. Non andò così e ad arrivare fu Ryuji Watanabe, che teneva in mano il proprio casco. Alcuni dei presenti si stupirono nel riconoscere l'ex pilota di Indycar come un loro collega.
Non fu necessario attendere molto affinché arrivassero anche altri: il gran premio stava proseguendo al buio. Alla fine si radunarono tutti e presero tutti parte al video rivelatore.
Tutti tranne uno: all'appello mancava Nero Trentacinque.

[STANZA DEI BOTTONI - CEO & Maelle Heidelberg]
Di solito l'assistente era una donna pragmatica, poco propensa a perdersi d'animo. Il CEO rimase impressionato dal suo sguardo allucinato. Aveva lavorato incessantemente, seduta davanti al computer e con gli auricolari alle orecchie, dando segno di cavarsela nonostante il susseguirsi frenetico degli eventi. Non dovevano esservi molte ragioni di turbamento per lei, quindi fu facile azzardare la possibilità più ovvia.
«È per il blackout, vero? Per tutti gli incidenti che avrebbero potuto generare audience se solo ci fossero delle inquadrature decenti?» Il GPS dava tutte le monoposto ormai ferme, una vera carneficina, nonostante si contasse un solo pilota che non era sceso dalla vettura. «Non pensa che l'assenza di immagini possa comunque essere sfruttata in qualche modo? È affascinante non sapere cosa sia successo esattamente. Non...»
Togliendosi gli auricolari, Maelle lo interruppe: «È appena successo un disastro, direttore. Axel Frosch ha rivelato la propria identità tramite i propri profili social, ha detto di avere avuto una relazione con Tina Menezes e ci ha accusati di averlo fatto di proposito.»
Il CEO si irrigidì.
«Ecco un altro coglione. Non fa nulla, sarà radiato.»
«Anche Hamster Gangster si è rivelato, così come Ricky Scarpelli. Anche loro hanno lanciato accuse a proposito dell'incidente della Menezes.»
«Tre piloti da radiare in un colpo solo non sono una passeggiata, ma ce la cambieremo, anche se a conti fatti avremmo fatto meglio a radiare loro piuttosto che il piccolo principe Silberblitz.»
Maelle, guardandolo negli occhi, chiarì: «Non sono solo loro tre. Ci sono quasi tutti. Possiamo radiarli, certo, ma ci ritroveremo senza piloti e l'opinione pubblica sarà contro di noi. C'è perfino Yannick Leroy. E Alysse Mercier dice addirittura che probabilmente suo marito è stato ucciso perché non era abbastanza discreto a proposito della sua partecipazione a un documentario nel quale veniva falsificata la storia della Formula 1 e della A+ Series.»
«Merda» sibilò il CEO. «E la gente? Cosa dice la gente sui social? Da che parte sta?»
Lo sguardo di Maelle valeva più di mille parole.
Il CEO ruppe il silenzio, riprendendo: «Credo sia meglio discutere a lungo del da farsi. Le va di prendere un tè? Ho bisogno di zuccheri, per riflettere.»
Maelle fece per alzarsi in piedi.
«Vado a prenderli giù al distributore automatico.»
Il CEO la fermò.
«No, vado io. Lei continui a leggere i commenti e poi mi aggiorni.»
Uscì in corridoio, ormai certo che fosse finita. Era un vero peccato che i piloti avessero scelto di comportarsi in maniera così scellerata. Il CEO sapeva di avere perso. Fece ciò che doveva fare, poi tornò per sentire la conferma dalla bocca di Maelle.
«È successa anche una cosa bella» cercò di rassicurarlo la Heidelberg. «I soccorsi hanno raggiunto Nero Trentacinque. Niente respiro, niente battito cardiaco, niente segni di vita. C'è ancora un pilota senza nome.»
In altri momenti una sepoltura e una tomba anonima avrebbero riempito il CEO di soddisfazione, ma era plausibile che, accanto all'evento epocale appena accaduto, un banale incidente mortale passasse quasi inosservato.
«È la fine» mormorò il CEO, allungando a Maelle il tè.
La Heidelberg lo bevve tutto d'un colpo. La guardò morire allo stesso modo in cui era morto Alexandre Mercier. Teneva ancora in mano il proprio bicchiere. Doveva solo scegliere quanti istanti ancora volesse vivere. Non si sarebbe mai abbassato ad assistere alla conclusione del prodotto in cui aveva tanto creduto: sapeva che la A+ Series per come l'aveva concepita già non esisteva più.

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Capitolo 27
*** Verso la rinascita ***


Era strano come alla A+ Series fossero bastate appena poche settimane per rinnovarsi. Gli sciagurati eventi del Gran Premio del Giappone erano stati messi in secondo piano da quelli del dopogara, ma soprattutto dalla morte del CEO e della sua collaboratrice. Le circostanze del doppio avvelenamento non erano state del tutto chiarite, ma era ovvio che la causa istigante fosse stata il comportamento dei piloti. Qualche tifoso accanito, sostenitore della vecchia dirigenza, aveva urlato allo scandalo, ma facendosi poco sentire: c'erano stati un incidente mortale - a seguito del quale sembrava che non fosse mai esistito un solo fan che non avesse adorato Nero Trentacinque - e una rivelazione collettiva dei piloti, entrambi fatti che stimolavano l'interesse e la passione del fanbase. Un CEO era soltanto un CEO e qualcuno si augurava che la situazione non cambiasse troppo.
C'era chi sosteneva che il consiglio d'amministrazione avesse il dovere di fare sondaggi tra i tifosi, per stabilire chi dovesse essere il nuovo CEO, ma la maggior parte degli appassionati più accaniti preferivano richiedere a gran voce avere la possibilità di essere interpellati a proposito dell'assegnazione dei volanti. Altri erano impegnati a scandagliare le vite private dei piloti, se avevano profili social, per appurare se fossero o meno degni di meritarsi un volante nella A+ Series secondo il loro personale giudizio, non solo morale, ma soprattutto moralista. C'erano state addirittura petizioni contro il pilota fino a poco tempo prima noto come Verde Quattordici, a causa di un presunto tradimento ai danni della moglie immortalato e reso noto al mondo tramite pochi click. Un buon numero di presunti tifosi sostenevano di volere boicottare il campionato qualora non fosse stato radiato a vita. Una parte di costoro, inoltre, tartassavano la sua consorte sui social, per convincerla a chiedere il divorzio e l'affidamento esclusivo dei loro numerosi figli.
Yannick iniziava quasi a pensare che si stesse meglio quando le identità dei piloti erano celate, ma per il momento poteva stare sicuro. L'unica sua relazione pubblica conosciuta era quella con Alysse, la quale era vedova. O quantomeno, sperava che che il concetto di "finché morte non vi separi" fosse stato assimilato dalle menti dei tifosi più ossessivi, e che la sua relazione con una donna che era stata in passato coniugata con un uomo defunto da diversi anni non venisse presa di mira.
Si tolse quei pensieri dalla testa proprio perché Alysse, al suo fianco, gli mise fretta.
«Dobbiamo andare.»
«Di già?» Yannick guardò l'orologio. «Non pensavo fosse così tardi.» C'era una riunione con il nuovo CEO, che era stato incaricato soltanto quella mattina, alla vigilia del Gran Premio degli Emirati Arabi, che si sarebbe svolto sul circuito di Abu Dhabi, prima di tornare nel continente americano. «Cosa ti aspetti? Ho sentito dire che hanno scelto un pilota vintage.»
«Speriamo» mormorò Alysse. «Il fatto che sia un ex pilota è promettente: almeno avrà un'idea di che cosa sia tollerabile e cosa no. Quello che è successo a Suzuka», abbassò lo sguardo, «non deve più ripetersi.»
«Ti manca?»
«Trentacinque? Sì.»
«Chi era?»
«Non lo so. Non mi ha mai detto il suo nome.»
«Ho sentito che metteranno Junior al suo posto. Ne sai qualcosa?»
Alysse alzò gli occhi.
«Può darsi, ma non è sicuro.»
«Alla fine hanno annullato la sua radiazione, e addirittura quella di Santiago Fernandez» osservò Yannick. «Cosa ne pensi?»
«Fernandez ha fatto molto meno di quello che abbiamo fatto noi, mentre Silberblitz è stato messo in mezzo solo per "esigenze di trama"» rispose Alysse. «Direi che è giusto così.»
Senza aggiungere altro si diressero verso il luogo della riunione. Alcuni piloti erano in ritardo, Yannick e Alysse furono tra i primi a entrare nella sala in cui il nuovo CEO li avrebbe incontrati. Quando lo vide, Yannick rischiò di non credere ai propri occhi: quell'uomo sulla cinquantina, con i capelli biondi tagliati a caschetto, gli occhiali da vista e decisamente più corpulento rispetto a un tempo non era solo un ex pilota, era il suo idolo d'infanzia.
Accanto a lui, Alysse era ugualmente sorpresa.
«Non riesco a crederci, è Mirko Lentävä!»
«Non ci credo nemmeno io» convenne Yannick. «Quando ero piccolo, era il mio eroe! Anche se avevo solo dieci anni quando si è ritirato, l'ho sempre portato nel cuore. Peccato abbia lasciato le competizioni così presto, avrebbe potuto vincere ben più di due mondiali.»
Alysse non sembrava tanto interessata a tesserne le lodi per le performance al volante, quanto piuttosto a rimarcarne un aspetto che doveva apparirle ben più importante: «Lentävä è sempre stato molto equilibrato, anche quando era un pilota. Siamo di fronte a un cambiamento epocale. E poi lui stesso ha vissuto sulla propria pelle le conseguenze della poca sicurezza. Uno che ha visto la morte in faccia non può trattarci come manichini da crash test.»
Yannick non disse più nulla, per non doverle dare ragione ancora una volta. Frattanto i loro colleghi iniziavano a radunarsi nella sala e Lentävä li invitava a prendere posto. Yannick e Alysse si sedettero in prima fila, mentre dietro di loro si udivano le voci di quelli che, come fossero stati scolaretti delle elementari appena entrati in classe il primo giorno di scuola, discutevano sul dove piazzarsi.
Mirko Lentävä li invitò a mettersi sulla prima sedia che avevano davanti. Yannick si girò indietro e il fatto che Ryuji Watanabe fosse l'ultimo a prendere posto gli strappò un sorriso.
«Vedo che ci siete tutti, almeno voi titolari della A+ Series» esordì Lentävä, «Quindi posso iniziare. Come potete immaginare, sono il nuovo CEO della categoria e il mio obiettivo è portare il campionato al passo con i tempi. Come ben sapete, si è andati in una direzione molto estrema negli ultimi tempi, alla quale vi siete ribellati. Credo sia doveroso farvi sapere che avete fatto la cosa giusta e che avete la mia approvazione. Ciò che non ha la mia approvazione, invece, è tutto quello che ha portato ai fatti del Giappone. Il vostro collega Nero Trentacinque ha perso la vita a causa di decisioni scellerate, che hanno stravolto la natura delle competizioni a ruote scoperte. La A+ Series non è un demolition derby, anche se fin troppo a lungo è stata trattata come tale. Apprestandomi a prendere il posto di un CEO che aveva una visione totalmente opposta rispetto alla mia, vi avverto fin da subito che è impossibile ripensare di punto in bianco il campionato, ma la mia intenzione è lavorare affinché possano esserci dei miglioramenti. Per quanto il format degli eventi sia da rivedere in futuro, ciò che è già stato programmato - sprint race, reverse grid e quant'altro - resterà tale per questa stagione. Ciò che è da rivedere subito è tutto ciò che riguarda la sicurezza: nel corso degli anni siete stati esposti sempre di più al pericolo, con le opzioni di disturbo applicate a vostra insaputa mentre eravate alla guida e con imposizioni assurde come l'abolizione delle mescole di gomme da bagnato, sia intermedie sia full wet. Se già questa regola appariva fuori luogo in precedenza, con il Gran Premio del Giappone si è toccato il fondo. Se da un lato il pericolo non sarà mai totalmente annullato, dall'altro è opportuno non solo cercare di ridurlo al minimo, ma soprattutto non aumentarlo deliberatamente. A causa di questa assurdità, un uomo è stato sepolto in una tomba senza nome, nel cimitero delle vittime della A+ Series, senza che i suoi familiari siano stati informati della sua morte. Non sono stati rintracciati documenti che attestino la sua identità: il vecchio CEO e la signora Heidelberg sono morti portando con loro il segreto della sua identità. A questo proposito, se qualcuno di voi fosse stato a conoscenza del suo nome, lo pregherei di farmelo conoscere. Non necessariamente qui, in questa sede: possiamo parlarne anche in privato.»
Nessuno disse nulla. Yannick diede un'occhiata all'espressione dei suoi colleghi. Appariva molto probabile che nessuno sapesse chi fosse davvero Nero Trentacinque.
La riunione proseguì, con Mirko Lentävä che declamava tanti buoni propositi. Yannick non aveva dubbi: il suo idolo d'infanzia era determinato a trasformare la A+ Series in una categoria motoristica "normale".
«Naturalmente non farò tutto da solo» chiarì, in conclusione. «Mi sono circondato di collaboratori competenti, che sappiano quali sfide deve affrontare un pilota mentre è al volante. Ho scelto alcuni consiglieri che potrebbero apparire un po' fuori dagli schemi, ma penso che siano proprio le nostre differenze a dare valore aggiunto. Per esempio, in apparenza io e Juanito Cuernos-Caballo non abbiamo nulla in comune: io mi sono ritirato a poco più di trent'anni, mentre Juanito gareggia tuttora in diverse categorie, nonostante abbia molti più capelli grigi di me. Eppure sono convinto che possiamo lavorare insieme per migliorare la categoria e che possa accadere anche con tutti gli altri, compresi quelli che, per loro scelta, resteranno nell'ombra.»
Ci fu un lieve mormorare, nella sala. Cuernos-Caballo era un nome di pregio dell'automobilismo internazionale, aveva vinto gare in Formula 1, Indycar, NASCAR ed endurance, una vera e propria leggenda, anche se occasionalmente c'era chi lo tacciava di essere un pilota scadente perché non concordava con certe sue dichiarazioni colorite. Il suo nome e il suo ruolo nella nuova gestione venne comunque accolto con tono di approvazione e Mirko Lentävä congedò tutti i presenti.
Ancora una volta, come bambini delle scuole elementari, alcuni di essi iniziarono a fare più confusione di quanto fosse necessario. Frattanto Yannick si alzò in piedi e fece per allontanarsi insieme ad Alysse. Se ne sarebbero andati, se non fosse stato per la voce di Lentävä.
«Mercier?»
«Sì.»
«Puoi fermarti un attimo? Puoi...» Lentävä esitò. «Possiamo darci del tu?»
Alysse confermò: «Sì, certo.» Si avvicinò al nuovo CEO. «Di cosa si tratta?»
«Preferirei che rimanessimo soli, è una questione piuttosto riservata» rispose Lentävä.
Yannick guardò con aria interrogativa Alysse, che gli fece cenno di andare via. Uscì, rassegnato, e rimase ad attenderla fuori dallo stabile. Ci vollero poco meno di dieci minuti e non gli parte turbata, quando la rivide.
«È successo qualcosa?» volle sapere.
Alysse scosse la testa.
«Niente di grave.»
«Sa che sei stata tu a convincerci a rivelare le nostre identità?»
«L'ha capito.»
«Avete parlato di questo?»
«Non è un problema quello che ho fatto, per Lentävä» precisò Alysse. «Quello che è successo ha portato indirettamente a un omicidio- suicidio, ma è stato un evento fuori dal nostro controllo. Non abbiamo colpe, abbiamo fatto solo ciò che sentivamo e che lo stesso Lentävä non disapprova.»
Yannick tentò di insistere: «Allora perché ti ha convocata?»
Alysse alzò le spalle, con apparente indifferenza, e borbottò un monosillabo. Yannick si rassegnò: non avrebbe saputo altro, non c'era verso di convincerla a parlare.

☆☆☆☆☆☆☆

Erano usciti tutti, Alysse era sola con Mirko Lentävä. Si fissarono per qualche istante, prima che il nuovo CEO prendesse la parola: «So che non dovrei chiedertelo, ma ci sei tu dietro a quello che avete fatto voi piloti?»
Alysse si irrigidì.
«Devo comunque rispondere delle mie azioni, giusto? Abbiamo violato una regola che, comunque la pensi tu, esiste ancora e qualcuno deve pagare per questo? Non c'è problema, lo accetto, ma appunto per questo vorrei che la responsabilità fosse considerata soltanto mia.»
Mirko Lentävä replicò: «Non hai capito, Alysse. Vorrei solo che mi confermassi se ci sei tu, dietro, perché in tal caso uno dei miei collaboratori vorrebbe scambiare qualche parola con te.»
«Quale collaboratore?»
«Uno di quelli che lavorano nell'anonimato.»
La faccenda era misteriosa quel tanto che non permetteva ad Alysse di essere totalmente tranquilla.
«Qual è la fregatura?»
«Il fatto che il mio collaboratore abbia molti anni di più rispetto all'ultima volta in cui l'hai visto e che non sia nelle migliori condizioni di salute.» Lentävä fu molto chiaro: «Non è come ti aspetteresti di vederlo e soprattutto adesso potrà mostrarti il tuo volto.»
«È un ex pilota della A+ Series?»
«Lo scoprirai. Vieni con me.»
Senza esitare, Alysse seguì il nuovo CEO. usciti dalla sala in cui si era tenuta la riunione, imboccarono un lungo corridoio. Lentävä non la accompagnò fino a destinazione, ma le disse che la persona che avrebbe dovuto riceverla si trovava nell'ultima stanza in fondo. Alysse proseguì da sola, con tante idee confuse che non riuscì a concretizzare in un pensiero concreto.
La porta era accostata, quindi rimase incerta per un attimo a interrogarsi su come agire. Infine si convinse, la scostò e sbirciò all'interno. Vide un uomo girato di spalle, su una sedia a rotelle. Aveva i capelli grigi tagliati con la moda diffusa tra la fine degli anni '90 e la prima metà degli anni 2000: corti, ma non abbastanza per essere definiti a spazzola, acconciati con il gel a formare aculei in cima alla testa.
«Posso?» domandò Alysse, senza troppa convinzione, ma con il cuore che le batteva a mille, perché anche visto da dietro le appariva tremendamente familiare, nonostante non l'avesse mai visto dal vivo senza tuta e casco.
L'uomo in carrozzella si girò lentamente, mentre Alysse muoveva qualche passo verso di lui. Lo scrutò in volto, ancora riconoscibile, seppure invecchiato di molto da quando vedeva regolarmente sue inquadrature alla televisione o sue fotografie su giornali e riviste.
Aveva un nome, ma fissando i suoi occhi verdi tutto ciò che riuscì a fare fu balbettare: «A-Argento Tre?»
L'ex pilota scosse la testa.
«Ormai non sono più Argento Tre.»
«Lo so, ma Hamster Gangster non sarà mai come te.»
«Non sottovalutarlo. Può vincere quanto me, se non di più. Non ti ho chiamata qui per parlare di questo, però. So quello che hai fatto, so che sei stata tu a svegliare le coscienze.»
Alysse minimizzò: «Non ho fatto niente di speciale. Ci veniva chiesto qualcosa di insensato, ormai, un po' come se il nostro scopo fosse dare spettacolo a un pubblico becero assetato di sangue. Il mio compagno di squadra è morto per colpa di quelle regole.»
L'ex Argento Tre insisté: «Hai fatto quello che nessuno aveva mai avuto il coraggio di fare. L'ho capito fin da subito, quando ero il tuo coach, che avresti potuto farcela.»
«Sapevi chi ero?»
«No, ma ho sempre riconosciuto il tuo sguardo. Eri Rosso Ventisette, la scorsa stagione. Mi dispiace che non sia andata bene.»
«A me, non più. Non era la mia strada. Non so se l'ho trovata, ma posso dire di sentirmi molto più a mio agio adesso.»
«Ti auguro il meglio, Al-...» Esitò. «Posso chiamarti Alysse?»
«Sì, certo, è così che mi chiamo. E io posso continuare a chiamarti Argento Tre?»
«Preferirei Mihail.»
«Tu, per me, resterai sempre Argento Tre, il pilota che mi ha aiutata a diventare quella che sono.»
«Non dare tutti i meriti a me, Alysse» replicò Argento Tre. «Sei una grande donna. Non mi sbagliavo, su di te, ci ho sempre visto giusto, anche se dicevano che ero troppo vecchio per distiguere il giorno dalla notte.» Ridacchiò. «Grazie, Alysse. Grazie per quello che hai fatto. Un giorno sarai ricordata come la persona che ha salvato la A+ Series.»
Alysse scosse la testa.
«No, un giorno sarò ricordata per i miei risultati. Non guido più una vettura rossa, ma il meglio deve ancora venire, per me. Non so quale sia il mio futuro, ma sento che ho ancora tanto da fare.»
Argento Tre sorrise.
«Non potrò mai festeggiare con te, ma sappi che sarò al tuo fianco.»
«Perché?» chiese Alysse.
Argento Tre spiegò: «Perché la mia vita pubblica è finita molto tempo fa. Non sono fatto per stare sotto i riflettori. Preferisco vegliare nell'ombra sulla A+ Series e, per questo motivo, ti chiedo di non riferire a nessuno che ci siamo incontrati.»
Alysse si arrese alla sua volontà.
«Nessuno lo saprà.»
Si salutarono e se ne andò, tornando nel corridoio. Lentävä la aspettava a parecchi metri di distanza. Alysse gli fece un cenno, prima di uscire dallo stabile. Trovò Yannick ad attenderla. Non gli avrebbe mai detto di avere appena visto una leggenda del vecchio corso del motorsport.
Non le dispiaceva che il pilota che un tempo l'aveva così tanto ispirata facesse parte di una nuova dirigenza che puntava ad avere un mondo migliore. Il mondo, tuttavia, non aveva un grande margine di miglioramento: al di fuori tutto sarebbe rimasto uguale. Alysse lo leggeva nei commenti dei tifosi sui social, che di per sé non erano cambiati molto, così come lo vedeva nel moltiplicarsi degli avatar dedicati al suo defunto compagno di squadra dai suoi passati detrattori, divenuti suoi tifosi postumi come a rendere reali le sue profezie. Non vi era cura per certe ferite, una nuova A+ Series la attendeva, ma i fantasmi del passato avrebbero comunque dominato.






NOTE: ho scritto questa versione in un mese, dal 1° al 28 febbraio 2023, anche se l'ho pubblicata più lentamente su EFP. Tina Menezes è il mio personaggio preferito, anche se devo dire che scrivere le parti con il CEO e la signora Heidelberg è stato molto stimolante. Mi sono ispirata alla mentalità di certi fanboy e fangirl trash di nuova generazione che commentano la Formula 1 come se fosse una serie televisiva e non un campionato sportivo.
Le squadre impersonali rappresentate hanno per gran parte i colori delle vetture dei veri team di Formula 1, con l'eccezione delle squadre con colorazioni banali, ai quali ho sostituito colori di livree tradizionali di team non più esistenti. Molti numeri sono ispirati al sistema di numerazione presente in Formula 1 tra gli anni '70 e '90 (per esempio ho assegnato i numeri 27/ 28 alle vetture rosse, in quanto sono stati storicamente i numeri tradizionali della Ferrari per molti anni), quando non era possibile ho lavorato un po' di fantasia in tal senso.
Alcuni personaggi secondari che fanno solo qualche comparsa sono vagamente ispirati - alcuni neanche troppo vagamente - a piloti attuali o passati. La storia della Formula 1 a cui si accenna è rimasta inalterata rispetto a quella reale fino al 2006. L'anonimato eterno a cui è condannato il pilota deceduto negli ultimi capitoli è - purtroppo - ispirato alla poca memoria rimasta dei piloti deceduti durante le competizioni automobilistiche, se non avevano già raggiunto un livello di fama sufficiente a essere consacrati come idoli.


A J.B., perché mi sono chiesta per anni chi sarebbe potuto diventare.
A volte me lo chiedo ancora.

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