Le cronache di Ophiria

di Saekki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1- Ancora un respiro. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2- Promesse. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3- A te, diciotto anni nel futuro. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4- L'Erborista. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5- Colui che conosce. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6- Cuore di ghiaccio. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7- Cose che neppure io conosco. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8- Lacrime di sangue. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9- Il ragazzo della foresta. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10- Cavaliere di Grande Verde. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Nel cuore della notte più oscura, quando il vento ululava tra le cime delle montagne e il cielo era coperto da spesse nubi tempestose, una figura accovacciata in un alcova di roccia a ridosso di una parete scoscesa intenta a muovere i legni di un fuoco morente mormorava parole incomprensibili. Il vecchio si alzò, strisciando i piedi nudi contro la roccia ruvida ed umida che solo lontanamente poteva essere paragonabile ad pavimento. .

Una mano scheletrica si infilò lentamente all'interno di un sacco lacero in juta, traendone delle piccole ossa levigate ed incise, rune antiche intarsiate su queste ultime, dipinte con sangue oramai rappreso e divenuto marrone, trasudavano un'energia arcana antica di millenni. Le mani del viandante si strinsero attorno a quei minuti oggetti, portandoli così alle labbra mentre gli occhi scavati si chiudevano in raccolta, altre parole mormorate alle ombre che quel focolare gettava sulla piccola caverna prima di lasciarle cadere a terra.

Inginocchiandosi quel volto emaciato si avvicinò per leggere il risultato della propria divinazione, rune di disfatta, di morte e resurrezione, un presagio infausto che minaccia una rinascita blasfema. Trasalendo il vecchio cadde all'indietro, un'espressione di terrore dipinta sul volto attempato mentre una folata di vento seguita da un ululato di quest'ultimo ancora più forte spense quel poco che rimaneva del fuoco che illuminava la grotta. Un urlo di agonia e terrore squarciò la notte, trasportato lontano tra le cime dei monti. Qualcosa di antico aveva deciso di muoversi, strisciare tra le ombre per reclamare il compiersi di un'antica vendetta. I tempi erano maturi, i venti di tempesta soffiavano forti, il grande disegno si sarebbe compiuto.



 


-- E benvenuti alla fine di questo brevissimo prologo della mia primissima storia su efp. Il prologo è breve lo so, ma pubblicherò subito il primo capitolo della soria vera e propria, a presto! <3

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Capitolo 2
*** Capitolo 1- Ancora un respiro. ***


Cap.1- Ancora un respiro

 

 

-Lo scrosciare della pioggia incessante cozzava contro la strada di terra battuta oramai ridotta ad una pozza di fango viscido, impregnando il mantello nero e pesante di una figura minuta in ginocchio su quella medesima strada. I grandi occhi viola sbarrati mentre il volto candido dagli occhi e lineamenti affilati veniva illuminato dai bagliori rossastri di fiamme che come tempesta si mescolavano all'acqua, incendiando i tetti di paglia di quell'anonimo villaggio di provincia, avvolgendo i suoi abitati che tentavano inutilmente di sfuggire a quelle lingue di fuoco tra urla strazianti. E quelle grida si mescolavano al rumore di legno che va in frantumi, al pianto dei bambini lasciati soli, al ruggito che squarciava l'aria più dei tuoni in lontananza. Portandosi le mani a coprire quelle orecchie violentate da tanto caos fu la ragazzina inginocchiata ad urlare mentre le lacrime le solcavano le guance.-

Uno scossone svegliò Ilyria dal sonno nel quale era scivolata, le palpebre che si aprirono lentamente sotto l'orlo del cappuccio che le ricadeva sul capo. Una mano fasciata portata all'occhio destro per stropicciarlo raccolse involontariamente una lacrima che bagnava la guancia. Esalò un mezzo sospiro sollevando poi lo sguardo, la pioggia cadeva fitta ed insistente ma non pesante, tipico clima delle lande orientali nel tardo autunno, bagnando tuttavia inesorabilmente le vesti dei rifugiati che avevano trovato passaggio su quel carro logoro. Erano tre giorni che viaggiavano, tre giorni da quando il villaggio di Cohen era stato distrutto, tonalmente raso al suolo da una forza sconosciuta ma dalla potenza inarrestabile. Davanti a lei un ragazzo, di un paio di inverni più giovane, si stringeva in quello che rimaneva di un mantello lacero. Damien era il suo nome, erano stati vicini di casa per anni e fortuna, o sfortuna, volle che fosse ritrovato ancora vivo sotto le macerie della propria abitazione, il corpo della madre a fargli da scudo dalle travi crollate. .

Una storia tragica senza dubbio, ma su quella piccola colonna di sopravvissuti sui quali Ilyria poteva posare gli occhi le storie come quella erano la normalità, nessuno ne era uscito illeso, tutti avevano perso qualcuno. Stringendo le ginocchia al petto e cingendole con le braccia la ragazza dagli occhi violetti pensò a ciò che aveva perso lei, se da un lato non aveva mai conosciuto i propri genitori di certo sotto il fuoco incandescente aveva lasciato colei che l'aveva accudita da quando aveva memoria. Sapeva che la vecchia Elowen non era davvero sua nonna, ma per qualche motivo l'aveva cresciuta come propria nipote per almeno dodici inverni. Una mano chiusa a pugno venne portata alle labbra, mentre i denti affondarono contro le nocche, nel disperato tentativo di trattenere le lacrime che ancora una volta sentiva affiorare. La rabbia di essere stata impotente, la frustrazione di non ricordare nulla dell'accaduto né di come si fosse salvata né di che fine avesse fatto la donna che l'accudiva. Era stata trovata nel fango, nuda, tremante e delirante, trascinata via di peso e vestita di stracci. Solo quell'incubo a farle da tetra compagnia come ricordo della tragedia.

Delle voci distati la fecero tronare ancora una volta alla realtà, stirando di poco il collo oltre le spalle del conducente del carro trainato da un paio di cavalli malmessi tanto quanto coloro che trasportavano, un'espressione di stupore le si dipinse sul volto, un muro composto da alte palizzate si ergeva poco distante, nel quale un portone in legno era incastonato e sulla quale sommità del camminatoio svettavano delle guardie che tenevano alte delle torce che con difficoltà continuavano tuttavia a brillare nella pioggia. Alle proprie spalle, da un altro carro della colonna si levò un grido quasi liberatorio, rapidamente seguito da altre urla di gioia seppure flebili mentre la carovana continuava con il proprio incedere verso l'insediamento. Il pesante portone in legno venne aperto senza indugio al passaggio del primo carro, facendo ben sperare tutti i rifugiati nell'aver trovato almeno per il momento un porto sicuro. Qualche altra decina di metri e l'insieme della carovana giunse nella piazza principale, oramai ridotta anche questa ad una pozza di fango per la pioggia che aveva impregnato senza pietà alcuna il terreno.

Alcuni passi pesanti si mescolarono al nitrire dei cavalli esausti ed ai mormorii dei superstiti del disastro mentre le finestre delle case attorno a loro si aprirono, gli abitanti curiosi di capire cosa stesse succedendo quando infine un drappello di guardie imperiali, capitanate da un uomo in armatura fecero la loro apparizione, fermandosi a pochi metri dal gruppo di superstiti, una trentina in tutto, pochi uomini, quasi tutti bambini, ragazzi o donne. Lo sguardo dell'uomo che sembrava capitanare il piccolo manipolo di guerrieri armati squadrò i presenti dopo aver arrestato l'incedere della propria cavalcatura, gli occhi chiari color ghiaccio che sembravano tagliare in due l'aria, incastonati in un volto dai tratti ruvidi e spigolosi, la barba corvina screziata di bianco e lasciata incolta mentre la testa era coperta da un elmo in metallo che aveva sicuramente visto giorni migliori. Allo stesso modo la corazza che indossava recava lo stemma imperiale, un drago bicefalo al centro dei quattro quadranti di uno scudo in oro e argento. Ilirya deglutì vistosamente quando la voce dell'uomo, baritona e graffiante, ruppe finalmente il silenzio, attirando con ancora più decisione l'attenzione dei presenti.

< Cosa vi porta al villaggio di Acque Grigie? >

 

 


-- Ed eccoci al primo vero capitolo della storia, ancora siamo molto sul vago, ci sono tantissime cose da definire, da spiegare e via discorrendo, ma spero sarete abbastanza clementi da attendere il dispiegarsi della storia! Detto questo vi aspetto al prossimo capitolo, bye! <3

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Capitolo 3
*** Capitolo 2- Promesse. ***


Cap.2- Promesse

 

 

< Cosa vi porta al villaggio di Acque Grigie? >


Lunghi istanti di silenzio seguirono quella prima domanda, i rifugiati si guardarono tra di loro, confusione e forse vergogna nel loro sguardo mentre gli occhi color ametista di Ilyria su muovevano a scrutare le figure delle guardie imperiali davanti a loro. Aveva già notato le mani strette attorno ai pomelli delle spade che tenevano alla cintura, ancora infoderate certo, ma pronte per essere estratte in qualsiasi momento. E se lo sguardo del più anziano tra loro non tradiva nessuna emozione era ben visibile la paura sul volto di uno dei membri più giovani di quel drappello, le guance scavate, la posa nervosa e rigida. La ragazza si voltò poi in direzione di Damien, ancora avvolto nel suo straccio zuppo d'acqua nonostante il freddo, prima che l'attenzione dei presenti fosse attirata da un uomo abbastanza in là con l'età, non troppo alto dalla barba lunga e bianca oramai sporca di fango e dalla testa canuta seppure nascosta dal cappuccio di un mantello logoro, uno dei rifugiati che si era offerto di guidare quei carri malmessi attraverso le lande orientali in quei giorni di pioggia. Un fabbro che qualche anno prima dalle terre più centrali dell'Impero si era trasferito nel villaggio di Cohen nella speranza di vivere in pace gli ultimi anni di una vita alla quale gli Dei avevano evidentemente giocato un brutto scherzo. Lasciando le briglie degli animali smontò dal carro, non senza emettere qualche gemito di dolore, l'umidità e la stanchezza avevano decisamente fiaccato quelle ossa già indebolite dalla vecchiaia.


< Il mio nome è Caius, veniamo dal villaggio di Cohen, a tre giorni di cammino da qui. >

E mentre parlava con un gesto indicò gli altri presenti, che ovviamente si ritrovarono osservati non solo dal plotone in armatura ma da tutti gli occhi che si trovavano dietro le finestre poco illuminate aperte su quella piazza che, in giorni più soleggiati, sicuramente avrebbe servito da piazza del mercato.


< Il nostro villaggio è stato distrutto da… una calamità, noi siamo gli unici sopravvissuti. Chiederei di parlare con il vostro capo villaggio, chiediamo il vostro aiuto, non abbiamo più nulla. >


La voce dell'uomo che una Ilyria aveva sempre visto come possente, forte oltre ogni misura e sempre pronto a prestare una mano a lei e a sua nonna ora era ridotta ad un rantolo di dolore, una voce spezzata dalla stanchezza e dalla fatica che lasciava trasparire tutta la sofferenza alla quale era stato sottoposto. Tuttavia in un primo momento la risposta che giunse fu solamente il silenzio e lo scrosciare della pioggia, il volto contratto del vecchio pretoriano davanti a loro mentre la mano che teneva stretto il pomello della spada si sciolse, un mezzo sospiro ad abbandonare quelle labbra screpolate nascoste dalla barba.


< Il capo villaggio è venuto a mancare da quasi un mese ed il villaggio di Acqua grigia è sotto la giurisdizione pretoriana da allora. Io sono il pretore Alair, sono arrivato insieme ai miei uomini circa sette giorni fa dalla città di Dakia. >


L'uomo in armatura rimase al proprio posto mentre spiegava la situazione, le mani coperte dai guanti d'arme che sferragliavano leggermente mentre gesticolava.


< Potete sistemarvi nel granaio vuoto nella zona nord, è all'interno delle mura. Parleremo appena avrete messo in ordine le vostre cose. Gaius, scortali. >


E con uno schiocco di redini il pretoriano fece girare la propria cavalcatura al trotto, sparendo in un vicolo poco distante mentre proprio la guardia più giovane, quella adocchiata poco prima da Ilyria fece cenno allo spaurito gruppo di rifugiati di seguirli. La colonna si rimise in marcia mentre la ragazza, dopo aver assistito allo scambio di battute, tornò a sedersi all'interno del carro.

< Quindi ci accolgono? >


Una voce flebile le giunse alle orecchie e la ragazza dagli occhi ametista sollevando lo sguardo incontrò quello color foresta di Daminen. Stava per rispondere, le labbra spaccate dal freddo dischiuse come per parlare ma si trattenne. Era stato tutto troppo veloce, tutto troppo rapido. La notizia della giurisdizione imperiale, il fatto che nessuno abbia battuto ciglio nel vederli arrivare o che nessuno abbia posto domande e poi la tensione che caratterizzava i soldati. Qualcosa non sembrava in ordine ma osservando quello sguardo scavato e pieno di terrore misto a speranza negli occhi del ragazzo che aveva davanti, Ilyria tentò di sorridere, incurvando gli angoli delle labbra per poi sporgersi in avanti, una mano esile e diafana portata sul ginocchio dell'altro, deglutendo con forza forse per mentire anche a sé stessa.

< Si, andrà tutto bene. >


E quel contatto durò solo pochi istanti mentre sentiva le lacrime che tornavano a riempirle gli occhi, i denti che si serravano sul labbro inferiore nel tentativo di sopprimere quei sentimenti con il dolore fisico. Tirò su con il naso, portando la testa verso l'alto per impedire alle lacrime di rigarle le guance per l'ennesima volta. Un sospiro, una nuvola di condensa che si alzò verso un cielo che dopo le ultime, flebili gocce sembrava voler dare tregua ai rifugiati, seppure mantenendo il suo aspetto plumbeo.
Lo sparuto gruppo di reduci del disastro fu infine condotto in quella che sarebbe stata la loro temporanea sistemazione, un vecchio magazzino per il grano oramai in disuso, ma tutto sembrava una reggia in confronto al viaggiare per giorni e per notti tra il freddo e l'umidità delle lande orientali con solo stracci indosso. I carri e i cavalli oramai sfiniti vennero lasciati all'esterno mentre, su giacigli di paglia improvvisati i rifugiati avevano disposto i loro pochi averi.
Ilyria aveva scelto di sistemarsi sulle soppalco in legno che ancora in qualche modo aveva retto al passare del tempo, sapeva che quelle tavole in legno impegnate dall'acqua e dalle tarme non erano la migliore delle sistemazioni ma sempre meglio che sistemarsi sul terreno dove l'umidità la faceva da padrone. Ed aveva convinto anche Damien a seguirla, sistemando il giaciglio del ragazzo più giovane accanto al proprio. Adesso se ne stava da sola, seduta sul bordo del soppalco lasciando le gambe a penzolare nel vuoto mentre osservava i propri compagni di sventura finire la sistemazione nei giacigli di fortuna.
Tuttavia qualcosa attirò l'attenzione della ragazza, dall'altro capo del magazzino vide la porta in legno aprirsi leggermente, tracciando un segno arcuato sul pavimento polveroso della struttura e la figura di Alair stagliarsi contro la luce che veniva dall'esterno. Piombò il silenzio tra i presenti prima che la voce del pretoriano lo rompesse senza esitazione.


< Caius, vorrei parlare con te. >


Disse poi l'uomo in armatura, facendosi leggermente da parte sull'uscio della porta per lasciare spazio all'uomo per uscire. Seppure formalmente fosse una richiesta il tono del pretoriano non lasciava sicuramente spazio a repliche. La porta venne nuovamente richiusa dopo che fu il fabbro ad abbandonare la struttura, mentre un mormorio iniziò a serpeggiare tra i presenti Ilyria osservò Damien, che di rimando aveva sollevato lo sguardo verso quest'ultima. Portandosi un dito davanti al naso la ragazza dai capelli corvini gli fece cenno di rimanere in silenzio, per poi mettersi in piedi e muoversi lungo la parete che rappresentava il retro del granaio. Lì le assi che componevano il muro posteriore erano sufficientemente logore da lasciar trapelare la luce proveniente dall'esterno ed insieme a questa anche i suoni. Appoggiandosi contro le assi Ilyria portò lo sguardo attraverso una delle fessure, le iridi viola che si muovevano alla ricerca dei due uomini che poco prima avevano attirato la sua attenzione. Ed eccoli, poteva vedere distintamente la figura del fabbro e quella del capitano delle guardie poco distante dal retro della struttura, sembravano intenti a discutere in modo decisamente accesso, anche se la disparità di posizioni era ben evidente tra i due. Avvicinandosi leggermente in loro direzione muovendosi contro il muro e spostandosi una ciocca corvina dietro l'orecchio la ragazza appoggiò quest'ultimo contro lo spazio tra le assi, ringraziando sé stessa per l'ottimo udito che aveva sempre avuto.


< … Sto dicendo, e te lo ripeto, Acque grigie si trova in difficoltà, tuttele linee di rifornimento da Dakia sono interrotte per gli attacchi dei mezzi-umani, noi a stento siamo riusciti a giungere illesi. Con i mezzi che abbiamo non possiamo sfamare anche le vostre bocche. >

La voce di Alair era perentoria, seppure celava un velo di frustrazione per l'impotenza nella situazione che si era venuta a creare. Ma il fabbro non sembrava intenzionato a demordere

< Sto dicendo che capiamo la situazione, ma qualsiasi cosa abbia distrutto il nostro villaggio era ben più pericolosa di un manipolo di bestie o mostri. Quella… quella cosa è apparsa dal nulla, ha distrutto tutto, quasi trecento morti, Pretore, un'intero villaggio spazzato via in pochi minuti. Se quella bestia volasse in questa direzione si ripeterebbe di nuovo quello che è successo, moriremo tutti le dico! >

Caius era visibilmente agitato, gli anziani occhi incavati del volto raccontavano tutta la veridicità di quella storia, il terrore visto e vissuto sulla propria pelle. Lo sguardo dell'uomo in armatura si fece più duro, con un impeto prese la tunica del fabbro strattonandolo ed avvicinando le labbra all'orecchio dell'uomo. Parole bisbigliate che non riuscirono a giungere alle orecchie di Ilyria prima che i due si separassero nuovamente.
Un rumore alle spalle di Ilyria la fece girare di scatto, sobbalzando poi alla vista di Daminen e portandosi una mano al petto, tirando un sospiro di sollievo per poi lasciarsi scivolare contro il pavimento, la schiena poggiata alla parete.

< Hai sentito qualcosa di importante? Lì sotto hanno fatto tante di quelle ipotesi che ho la testa piena. >

Disse il ragazzo andandosi a sistemare accanto all'altra, un ginocchio raccolto al petto mentre una mano passava in quei capelli che sicuramente avevano visto condizioni migliori, un bellissimo biondo cenere sporcato dal fango e dalla pioggia, adesso spenti e crespi.
Scuotendo la testa Ilyria sbuffò, gli occhi sollevati verso l'alto ad osservare il soffitto mentre ripensava alla scena che aveva potuto osservare ed alle parole che aveva potuto sentire.

< A quanto pare hanno problemi con i mezzi-umani e la via verso Dakia è impraticabile, oltre a questo… nulla di che. >

Concluse infine, prima di posare lo sguardo sul ragazzo più giovane, sbilanciandosi leggermente da un lato per poi rifilargli una leggera spallata mentre un sorriso, dopo giorni, le increspò le labbra.

< Vedrai che ce la faremo, in qualche modo ce la faremo. >

Concluse poi, la mano che andò a scompigliare i capelli di Damien cercando di strappargli un sorriso che fortunatamente non tardò troppo ad arrivare, prima che questo poggiasse la propria testa sulla spalla di lei, lo sguardo fisso davanti a se, la voce improvvisamente seria

< Promettimi che ne usciremo insieme Ilyria, io e te. >

Lunghi istanti di silenzio seguirono quelle parole, prima che le parole di lei riempissero l'aria, quasi bisbigliate mentre una mano si poggiava sulla testa di lui, accarezzandola lentamente.

< Te lo prometto. >

 

 


-- Il secondo capitolo è arrivato prima del previsto, ma solo perché questa settimana sono impegnata e non sapevo se sarei riuscita a pubblicare Domenica così mi sono portata avanti. Alla prossima! <3 <3

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Capitolo 4
*** Capitolo 3- A te, diciotto anni nel futuro. ***


Cap.3- A te, diciotto anni nel futuro.

 

 

Un debole vagito segnò la fine di una notte senza fine di travaglio, dolori ed urla, una flebile vita era nata all'alba di un tiepido giorno primaverile nel continente australe, nelle soleggiate lande delle terre dei ciliegi. Il vento soffiava placido su una casa di campagna nei pressi della capitale del Regno Celeste del sud, Hirakimachi, che da oltre duecento anni aveva portato pace e la prosperità in quelle lande, nonostante le prime avvisaglie di una nuova guerra con l'Impero minacciassero quella tranquillità come nuvole di tempesta all'orizzonte.

Ma la gioia di un padre che sente il primo respiro di una nuova vita si tramutò rapidamente in orrore quando l'anziana levatrice con il suo lento incedere uscì da quella stanza con un'espressione mesta in volto e le mani dipinte di rosso scarlatto mentre teneva in mano un fagotto che a stento si lamentava. Scosse la testa, sollevando lo sguardo dalle iridi nere verso l'uomo che ancora si aggrappava ad una flebile speranza che scivolava via di secondo in secondo. La donna porse in sua direzione l'infante avvolta tra le fasce sporche di sangue mentre la voce gracchiante risuonava nell'umile dimora.


< Ha perso troppo sangue e la bambina... il suo cuore non reggerà, mi dispiace Hito. >

L'anziana deglutì con forza come nel tentativo di sciogliere quel nodo alla gola che l'attanagliava. Non era sicuramente la prima volta che assisteva un parto difficile, ma la prospettiva di perdere sia la madre che la bambina era aberrante e poteva solo lontanamente immaginare il dolore che l'uomo poteva provare in quel momento.
Dal suo punto di vista Hito, in pochi istanti, aveva visto il mondo crollargli addosso, non solo aveva perso la moglie dopo una notte di travaglio, non solo l'amore della sua vita lo aveva lasciato per sempre, ma adesso quel fagotto che stringeva tra le mani e che a fatica respirava, dal colore cianotico e sofferente invece che roseo, implorava il suo aiuto. Lacrime iniziarono a rigargli il volto, cadde in ginocchio stringendo al petto la piccola creatura destinata ad un destino infausto, singhiozzando mentre le prime luci dorate dell'alba filtravano dalle finestre, prendendosi beffe del dolore altrui.
La levatrice si mise in ginocchio davanti all'uomo, il volto contratto in una smorfia di dolore mentre una mano scivolava sulla spalla di lui, le dita ossute e tremanti che in un vano tentativo cercavano di placare quel dolore. Un raggio di sole le si posò sul volto, mettendone in risalto le rughe profonde ed in quel momento qualcosa le venne in mente, un'idea, un'ultima speranza.


< Prendi il tuo cavallo Hito, portala con te. Cavalca nel cuore della foresta fino ai piedi della Grande Montagna, lì un'antica divinità è addormentata, implora il suo aiuto, chiedi che la bambina abbia salva la vita, è la tua sola speranza. >


Lentamente l'uomo sollevò la testa, le proprie iridi che incontrarono quelle dell'anziana, gli occhi lucidi mentre con il volto ancora contratto e mosso da quel flebile ed ultimo miraggio, si costrinse ad alzarsi, le gambe tremanti, il corpo fiaccato, ma lo spirito che rifiutava di arrendersi. Senza proferire parola e portandosi il pesante mantello in lana sulle spalle l'uomo, con ancora in braccio la neonata uscì dalla casupola. La luce dorata del mattino investì i due, così come il tepore che questa portava. Muovendosi a passo svelto in direzione della stalla si sbrigò a sellare la giumenta che per mesi li aveva aiutati ad arare i campi, montandole in groppa mentre con una mano continuava a tenere stretta la piccola al petto, i movimenti e i vagiti di fame che di minuto in minuto si facevano più deboli. Chinandosi in avanti Hito si portò vicino alle orecchie della propria montatura mentre con la mano libera ne accarezzava il manto pezzato.

< Non tradirmi adesso, Haru. >

Bisbigliò prima di lanciare il cavallo al galoppo con uno schiocco di redini. Cavallo e cavaliere sfrecciarono lungo la strada sterrata in direzione della foresta che riempiva la vallata ad Est, dove il profilo della Grande Montagna si stagliava in tutta la sua magnificenza. La levatrice rimase sull'uscio della porta, ad osservare quella scena mentre Hito cavalcava in direzione del sole nascente.
La Grande Montagna era un'enorme monolito in basalto, la più alta montagna del continente a Sud, la vasta base conica si ergeva assottigliandosi per migliaia di metri verso il cielo, oltre le nuvole, le pendici più alte perennemente innevate, coperte da un tappeto candido, facevano capolino al di sotto dello strato di nubi, si scioglievano dando origine ad innumerevoli ruscelli e rigagnoli che confluivano in torrenti e poi fiumi che solcando le pendici del monte con cascate e rapide giungevano poi placide a valle, irrorando la foresta secolare che era cresciuta tutt'intorno, alberi centenari, se non millenari, dai fusti alti ed enormi che come pilastri in legno si ergevano verso l'alto a sorreggere una verde volta composta di foglie e rami, lasciando solo pochi sprazzi di luce a filtrare verso il basso, lasciando il sottobosco in una pallida penombra il cui silenzio era interrotto solo dal cinguettio degli uccelli e dagli zoccoli di Haru che, senza un attimo di sosta, fendevano la terra lasciando profonde impronte, il cuore della povera bestia giunto quasi al proprio limite mentre Hito, disperato, tentava di spronarla ancora di più per recuperare secondi che sarebbero potuti essere fondamentali.
Più si avvicinavano alla base della montagna più la vegetazione si faceva fitta, quasi a costituire una barriera naturale per visitatori non ben accetti. Smontando dalla propria cavalcatura oramai stremata il contadino non si prese neppure la briga di legarla ad un albero, sciolse le briglie e la sella, lasciandolo libero di pascolare. Sapeva che in qualsiasi modo sarebbe andata, che le anziana levatrice avesse avuto ragione o meno, lui non avrebbe mai lasciato quella foresta, avrebbe cercato un modo per salvare sua figlia o sarebbero morti entrambi nel tentativo.


Gettò uno sguardo al fagotto che ancora teneva stretto tra le braccia, mentre continuando a piedi si faceva strada tra gli arbusti e la vegetazione, la colorazione bluastra era peggiorata e l'infante sembrava sempre più sofferente e debole ad ogni respiro. Ancora con le lacrime agli occhi Hito non si fermò, ma con più convinzione prese ad avanzare.


Passarono minuti, poi ore, il sole era giunto alla fine del proprio arco nel cielo azzurro che ora si tingeva di rosso gettando lunghe ombre ed una tinta dorata sulla foresta che a perdifiato l'uomo aveva attraversato, senza pause, senza interruzioni, solo la speranza come carburante per i muscoli indolenziti.


La disperazione aveva quasi preso del tutto il sopravvento quanto, giunto finalmente nei pressi delle pendici della Grande Montagna, nel muovere l'ennesimo passo il piede poggiò su qualcosa di più duro del semplice terreno. Chinandosi e tenendo la bambina stretta a sé una mano venne portata sulla superficie insolita, spostando muschio e foglie, solo per scoprire quella che era la pietra di una strada lastricata oramai sommersa dalla natura. Hito trasalì, rimettendosi in marcia, con le ultime luci del giorno e dopo circa un'ora di cammino si trovò davanti a quella che con tutte le sue forze pregò essere la propria destinazione.


Su di un'enorme parete scoscesa in granito nero sembrava essere stata scolpita dalla nuda roccia l'immensa entrata di un tempio, immense colonne in pietra nera finemente levigata si ergevano per decine di metri in altezza a sorreggere un'architrave dalle proporzioni mastodontiche. La differenza di dimensioni davanti ad un monumento tanto immenso scolpito da mani ignote probabilmente all'alba dei tempi fece rabbrividire Hito, la vegetazione non sembrava voler crescere nei pressi della nera costruzione creando una sorta di alcova dove solo della rada erbetta di colore verde brillante faceva da tappeto. La nera roccia basaltica screziata di venature bronzee, un materiale mai visto prima dagli occhi dell'agricoltore, risplendeva alle luci di quel sole morente, mentre un brivido di paura, un terrore arcaico percorse la schiena dell'uomo mentre i propri occhi scrutavano quel nero abisso non illuminato. Cadde in ginocchio, la bambina ancora in braccio stringendola forte al petto, i muscoli stremati, le gambe tremanti ed il respiro affannato, ma nonostante la sensazione di paura che lo attanagliava qualcosa gli diceva che quello era il posto giusto, sapeva in qualche modo di essere al cospetto di qualcosa di antico che nonostante non si fosse ancora palesato già era ben conscio della propria presenza.

< Dio della foresta, imploro il tuo aiuto, salva questa bambina, permettile di vivere! >

A quelle parole urlate con l'ultimo fiato che aveva in corpo e che riecheggiarono nel vuoto abisso che aveva di fronte seguì un rombo, il terreno prese a tremare, gli uccelli che fino a quel momento avevano cinguettato si acquietarono e volarono via in stormi, riempiendo l'aria dei loro versi e del frusciare di ali. La terra continuò a tremare sempre più forte, il rumore di passi pesanti, talmente pesanti da scuotere le colonne di basalto, in quelle tenebre dense un paio di occhi enormi, le iridi color sangue spezzate da una pupilla verticale, splendenti di luce propria ed ardenti come tizzoni sembravano scrutare l'anima stessa dell'uomo, straziandone lo spirito. Un ruggito improvviso interruppe quel climax di terrore, talmente potente da scuotere la roccia, talmente assordante che Hito credette che la sua testa stesse per esplodere, un ruggito capace di scuotere la terra stessa, arcaico e primitivo, antico quanto il tempo.

---

Ilyria aprì gli occhi di scatto, lo sguardo violetto sbarrato, madida di sudore mentre il corpo non sembrava voler rispondere ai propri ordini, i muscoli irrigiditi mentre Damien l'aveva afferrata per le spalle tentando di scuoterla vigorosamente, il volto contratto in una smorfia preoccupata dell'altro mentre, nel freddo della notte passata in quel granaio tentava di non fare troppo rumore per non svegliare gli altri rifugiati.

< Ria forza, rispondimi Ria! >

Bisbigliò a denti stretti, continuando a scuotere la ragazza che lentamente sentì i propri muscoli sciogliersi seppure ancora intorpiditi, la sensibilità tornare lentamente alle punte delle dita per poi risalire lungo le braccia e le gambe, il petto che finalmente tornava ad alzarsi ed abbassarsi in maniera più regolare. Damien poggiò una mano sulla fronte di lei, ritirandola quasi istantaneamente. Ilyria scottava, anzi, bruciava quasi, sembrava avesse una febbre paurosa ma sotto i propri occhi il ragazzo dai capelli biondi la vide rilassarsi, tornare alla normalità da quello stato di catatonia rigida che lo aveva destato dal proprio sonno.
Lentamente si mise a sedere, portando una mano alla fronte, come a voler tamponare un crescente mal di testa mentre anche Damine si mise a sedere, tirando quasi un sospiro di sollievo.

< Si può sapere che ti è successo? Sono morto dalla paura! >

E seppure il sibilo poteva apparire quasi arrabbiato era ben evidente la vena apprensiva nella voce del ragazzo destato nel cuore della notte dall'improvviso irrigidirsi della ragazza e dal respiro affannoso. Quella mano poggiata sulla fronte scivolò lentamente tra le ciocche corvine, accarezzandole e riportandole all'indietro, sollevando la testa verso l'altro ad osservare il soffitto di travi logore appena illuminato dalla luce della luna che filtrava dalle finestre.

< Torna a dormire Damien, è tutto apposto, ho solo avuto un brutto sogno. >

Si sforzò di dire lei, la bocca impastata dall'assenza di saliva e la voce resa graffiante dalla gola secca mentre riportò il proprio sguardo sull'altro. Stringendo nelle proprie mani l'orlo della coperta che gli era stata data in cambio della precedente oramai ridotta ad uno straccio il biondo si limitò ad annuire, girandosi sul fianco e dando le spalle ad Ilyria. La sentì sdraiarsi dopo poco nel proprio giaciglio, in maniera speculare alla propria, ma un brivido continuava a corrergli lungo la schiena, a fargli vibrare le ossa dalla paura. Aveva visto quegli occhi viola brillare oppure era solo il riflesso della luce?

 

 


-- Ecco qui il terzo capitolo, credo che mi limiterò a pubblicare la domenica d'ora in poi, così da dare una cadenza settimanale alla storia ed avere più tempo per scrivere e correggere, anyway spero vi piaccia, bye! <3

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Capitolo 5
*** Capitolo 4- L'Erborista. ***


Cap.4- L'Erborista.

 

 

Erano passate oramai poco più di due settimane da quando i sopravvissuti del villaggio di Cohen avevano trovato asilo ad Acque Grigie, i primi giorni erano stati difficili, rimettersi in piedi dopo un tale disastro non era stato sicuramente facile ma le cose sembravano volgere per il meglio. Un messo era partito alla volta della città di Dakia insieme a Caius per informare il Barone dell'accaduto, per chiedere supporto ed inviare rifornimenti ove possibile, la notizia di una bestia di tale potenza non poteva di certo passare inosservata. Nel frattempo coloro che erano abbastanza forti per lavorare erano stati chiamati per dare una mano ai residenti e non far pesare troppo la presenza di ulteriori bocche da sfamare. Fortuna volle che il raccolto fosse stato abbonante quell'anno nonostante i commerci scarsi e quasi inesistenti con i territori limitrofi.


La notizia del disastro non aveva tardato a passare di bocca in bocca tra gli abitanti e tutti avevano chiesto informazioni riguardo la non ben precisata bestia, ma le informazioni erano decisamente scarne, perfino coloro che erano scampati facevano fatica a ricordare dettagli e particolari, ma ogni tentativo di ulteriori informazioni veniva troncato sul nascere dalle guardie, nello specifico Alair, il pretore, aveva disposto che il chiacchiericcio a proposito della "bestia" fosse ridotto al minimo.


Il sole era alto e finalmente le nubi plumbee avevano lasciato spazio ad un tiepido sole che troneggiava nel cielo cristallino di una primavera che a fatica tentava di reclamare il proprio posto dopo un inverno rigido ed impietoso. Il vento sferzava le colline che circondavano il villaggio con una gentile brezza che fece trasalire Ilyria che si strinse meglio nei propri vestiti prima di tornare a chinarsi per sollevare un cesto ricolmo di piante officinali da portare sopra la testa. Aveva lasciato Damien tra i campi, dove quest'ultimo stava aiutando gli agricoltori a dissodare il terreno indurito dal freddo. La strada in terra battuta che portava all'entrata del villaggio non era più ridotta ad un pantano di fango, seppure rimanesse ancora umida e con qualche pozzanghera sul ciglio, gli stivali sporchi precedevano con il loro suono l'incedere della ragazza dai capelli corvini che, in prossimità delle due torri in legno appena abbozzate che incorniciavano il cancello d'entrata, fece cenno alle guardie poste a vedetta di aprire.


Il villaggio di Acque Grigie era sicuramente più sviluppato del proprio ed ora che la pioggia aveva cessato di vessare i tetti delle case, aveva finalmente trovato nuova vita. Le bancarelle aperte, gli abitanti intenti a fare compere, a barattare i propri beni con altri, il chiacchiericcio costante di sottofondo diedero ad Ilyria una parvenza di normalità, di placida calma e gioia. Tuttavia nel suo incedere lungo la strada lastricata la ragazza non poteva non sentire lo sguardo altrui su di sé, i rifugiati erano ancora visti tanto con sospetto quanto con paura, non per quello che erano, ma visti come monito alla crudeltà di quelle lande ed agli orrori che essi possono nascondere, una testimonianza vivente chela vita in quei luoghi non va mai data per scontata.


Giunse così alla piazza della città, lo spiazzo nel quale al loro arrivo erano stati accolti per la prima volta, adesso poteva osservare meglio i dettagli, le case in legno dai tetti aguzzi affacciate sulla strada con i loro porticati avevano il loro pianterreno adibito a bottega, tra fabbro, conciatore, sarto ed erborista oltre che le varie bancarelle in legno ricolme di ortaggi, carne ed attrezzi di ogni tipo. Una struttura troneggiava su tutte, l'unica costruita in pietra seppure modesta, la chiesa del culto del drago bicefalo, Urulkoi, simbolo dell'impero e sua divinità, venerata da sempre per quanto ne sapesse Ilirya. La vecchia Elowen glie ne aveva parlato più di una volta, raccontandole qualche storia su come Urulkoi fosse il creatore degli umani, di come li avesse resi liberi dalla tirannia dei draghi malvagi ed avesse aiutato il primo imperatore a fondare il suo regno di pace e prosperità.


Con lo sguardo ancora perso in direzione della chiesa mentre rievocava quei ricordi alla mente un fischio la richiamò all'attenzione, voltandosi e stando attenta a non rovesciare quelle erbe raccolte con tanta fatica e riposte nel cesto di vimini che teneva in bilico sul capo gli occhi violetti trovarono il volto sorridente di un ragazzo a chiamarla con un cenno della mano, indicando poi proprio il carico di lei. Alyria Abbozzò quasi un sorriso mentre si incamminava verso la bottega dell'erborista, la sua destinazione finale.


< Ancora a sognare ad occhi aperti Ria? Mia madre ci ammazzerà se non ci mettiamo subito a preparare quella roba. >


< Lo so, lo so! Cerchiamo di sbrigarci, tanto quello che ci andrà sotto sarai tu Emmet. >


Scambiare finalmente qualche parola l'aveva decisamente messa di buon umore, non che si potesse essere tristi quando si ci trovava vicino ad Emmet. Era un ragazzone alto e robusto, dalla zazzera castana, gli occhi verdi ed il volto ricoperto di lentiggini. Doveva essere di qualche inverno di più grande di lei ed era stato il primo deilocali a rivolgerle la parola nei giorni successivi al proprio arrivo. Figlio dell'erborista di Acque Grigie si era presto distinto per un'affinità spiccata per la professione della madre, nonostante il suo fisico tonico e le mani ruvide facessero pensare ad altro. Il padre li aveva lasciati molti anni prima, arruolato nella guerra di liberazione del continente a Sud dal quale sfortunatamente non aveva più fatto ritorno.


Ilyria aveva trovato nella preparazione di unguenti e rimedi un ottimo modo per non pensare, spesso rimaneva lì in silenzio, a staccare foglie, petali, ripulire gambi mentre ascoltava Emmet parlare a ruota libera per ore. Non le dispiaceva tuttavia, sembrava che il ragazzo avesse qualcosa da dire su ogni abitante del villaggio, un aneddoto per tutti ed una curiosità su ognuno. E come nei giorni precedenti si sistemavano sotto il porticato della bottega, ognuno sul proprio sgabello a separare i componenti che più tardi la madre di lui avrebbe trasformato in rimedi da vendere alla comunità o scambiare per viveri.


< Spero abbiate finito per tempo voi due, non voglio ritardi. >


All'istante ed in maniera decisamente comica le mani di Ilyria ed Emmet si immobilizzarono, gli arbusti ancora tra le loro dita mentre ruotando di poco la testa entrambi portarono il loro sguardo sulla figura che si era appena palesata sull'uscio della porta della bottega. Parlando del diavolo, quella figura slanciata, avvolta da una pesante tunica verde scuro, finemente ricamata in fili bianchi con un delizioso motivo a foglie d'acero e che risaltava le curve ben proporzionate della donna mentre un pesante mantello nero le pendeva da dietro le spalle, fermato con una spilla in argento sul davanti, lasciava spazio ad un volto dai tratti affilati, gli occhi verdi più chiari di quelli di Emmet, quasi smeraldini mentre i capelli castani e ricci ricadevano morbidi davanti alle spalle. Sylvia era una donna stupenda, era incredibile come fosse rimasta sola per tutto questo tempo senza un marito mentre il tempo non sembrava lambirla minimamente se non per delle rughe appena accennate agli angoli degli occhi. Quegli stessi occhi che adesso stavano squadrando senza pietà i due giovani.


< Madre buongiorno! In realtà mi sono attardato, Ria era già arrivata ma, beh, ecco, abbiamo iniziato tardi, ma saremo veloci lo giuro, vero? >


Emmet era diventato paonazzo, le guance decisamente arrosate mentre tentava di farfugliare qualche scusa nei confronti della donna, prima di tirare alla ragazza un calcio da sotto il tavolo che la colse alla sprovvista. Mordendosi il labbro inferiore per trattenere un'imprecazione Ilyria si affrettò ad aggiungere.


< Certo saremo velocissimi lo giuro, guardi, siamo già praticamente a metà! >


Non era vero, non era assolutamente vero ed Ilyria lo sapeva benissimo, si morse la lingua maledicendo sé stessa in tutti i modi possibili e pregando che qualche divinità li graziasse.
Ma con uno sbuffo ed un mezzo sorriso divertito la donna scosse la testa, due dita portate alla base del naso quasi a pizzicarlo mentre gli occhi si chiudevano per qualche istante.


< Datevi una mossa, ho degli ordini che vanno preparati entro oggi e non voglio sentire Harold lamentarsi per il ritardo, sai quanto può essere pesante. >


Con un gesto della mano Sylvia si voltò, rientrando nella bottega e lasciando i due ragazzi alle loro faccende, continuarono a lavorare per tutte le due ore seguenti, senza fermarsi onde evitare l'ennesima strigliata. Quando l'ultimo gambo fu ripulito e l'ultimo petalo separato dal pistillo finalmente sia Ilyria che Emmet tirarono un sospiro di sollievo, buttando la testa all'indietro e sospirando la ragazza riportò il proprio sguardo sull'altro, abbozzando l'ennesimo sorrisetto.


< Direi che almeno per oggi non moriremo, non per mano di tua madre almeno. >


Sollevandosi dallo sgabello il ragazzo si stirò la schiena, emettendo un mezzo gemito quando una vertebra schioccò contro un'altra, prendendo poi in braccio i cesti da portare all'interno.


< Ancora presto per cantar vittoria mia giovane apprendista, spera di aver fatto un buon lavoro, altrimenti niente pranzo per entrambi! >


Facendogli un cenno con la mano Ilyria lo invitò ad entrare senza indugiare ulteriormente, con ancora un flebile sorriso sulle labbra si ritrovò nuovamente da sola ad osservare quella piazza che seppure non fosse gremita di gente mostrava una certa vitalità. Sollevandosi dalla propria seduta e stiracchiandosi a sua volta fece per voltarsi, entrando nella bottega. L'ambiente non era angusto, ma gli scaffali erano ripieni di oggetti, pietre di ogni tipo, forma e colore, mazzi di erbe e fiori appesi dal soffitto ad essiccare che riempivano l'aria con odori di spezie e profumi di ogni sorta mentre la poca luce che filtrava dalle piccole finestre fendeva l'aria con raggi dorati, mettendo in risalto le piccole particelle di polvere sospese. Il pavimento in assi di legno scricchiolava ad ogni passo mentre la ragazza si addentrava nel locale, lo sguardo che vagava da desta a sinistra ed oltre il bancone che aveva di fronte, dietro il quale nessuno era presente al momento. Aggrottando leggermente le sopracciglia Ilyria mosse qualche altro passo come se stesse cercando qualcosa, o qualcuno.


< Emmet è nel laboratorio sul retro, se lo stai cercando. >


La ragazza dai capelli corvini trasalì portandosi una mano al petto e voltandosi di scatto, i propri occhi color violetto che incontrarono quelli color foglia dell'erborista. Le labbra serrate mentre deglutiva con forza, cercando di sciogliere un nodo alla gola mentre il cuore batteva all'impazzata.


< Non volevo disturbare mi scusi! Mi chiedevo se servisse una mano. >


Si affrettò ad aggiungere in risposta a quella domanda, deglutendo ancora una volta mentre, con pacatezza, la donna face scivolare una mano sulla spalla di lei, il volto affilato si sciolse in un sorriso, prendendola poi sotto il braccio con delicatezza ma decisione.

< Vieni, voglio mostrarti una cosa. >

Camminando insieme ad Ilyria i cui passi si aggiunsero a quelli di Sylvia che la conduceva attraverso la propria umile seppure ben fornita bottega, la portò in un angolo più nascosto, scostando delle pesanti tende il tessuto color porpora che coprivano un vecchio scaffale in legno nero, la ragazza non seppe dire se per il tempo o per il tipo di materiale. Non appena i lembi di tessuto furono scostati davanti ai suoi occhi si palesò, tra tutti, un oggetto più particolare, una piccola pietra, dal colore bianco pallido, tendente all'azzurro, lucida e dai bordi levigati ma piatti, dalla forma che ricordava uno scudo.

< Sai cos'è questo? >

Sempre con un sorriso l'erborista mosse le dita lunghe ed affusolate verso l'oggetto, afferrandolo dalla porzione più piatta e maneggiandolo con cura. Le iridi violette della ragazza scivolarono su quell'oggetto tanto insolito quasi con morbosa attenzione, cercando di carpirne i particolari, notando solo adesso il fitto intreccio di venature azzurre che sembravano vagamente ricordare il profilo di fiamme danzanti. Scuotendo la testa Ilyria risollevò lo sguardo verso la donna, palesando la propria ignoranza.

< Si tratta di una scaglia di viverna, me la donò il mio mentore anni fa, durante il mio apprendistato. >

Dal canto suo l'erborista osservava l'oggetto con estremo interesse, rigirando la scalgia tra le dita che rispendeva come neve fresca appena caduta. Lo sguardo della donna scivolò dall'oggetto alla ragazza, mostrandoglielo con un movimento elegante, lasciandolo poggiato sul palmo della mano aperta.

< Si dice che all'alba dei tempi, quando i draghi dominavano il mondo come divinità, il loro re, Raizandum, creò degli esseri a loro immagine e somiglianza, le viverne, così che potessero incutere terrore e dominare le altre razze. Questa, nello specifico, era una viverna bianca, Si dice che l'ultima di loro viva sulle cime innevate delle montagne a nord nel cuore del Grande Verde. >

Con una mossa rapida le dita affusolate si strinsero nuovamente attorno al cimelio, poggiandolo nuovamente con un movimento delicato sulla mensola, prima di richiudere le pesanti tende. Voltandosi in direzione della più giovane, Sylvia portò lo sguardo negli occhi dell'altra, una mano che dolcemente si mosse ad accarezzarle una guancia mentre Ilyria sentì un brivido correrle lungo la schiena ed il sangue riempirle la cute delle gote.

< Voglio che tu sappia che puoi rimanere qui quanto vuoi Ilyria, posso solo immaginare quello che hai passato, ma se avrai bisogno d'aiuto sai a chi rivolgerti. >

E con un cenno del capo l'erborista si allontanò di poco, muovendo qualche passo in direzione del bancone. Interdetta la ragazza dagli occhi a mandorla deglutì nuovamente, prima di parlare.

< Perché fai tutto questo per me? Potevi lasciare che mi sistemassero insieme agli altri, che lavorassi nei campi, potevo dare una mano in altri modi. Perché me? >

Il tono non era accusatorio, anzi, fin dai primissimi giorni per qualche motivo la donna l'aveva sempre trattata con un certo riguardo, aveva spinto perché la potesse accogliere con sé, perché la potesse istruire come stava facendo con suo figlio nell'arte dell'alchimia e dell'erboristeria.

< Forse non c'è nessun motivo, forse ti ho solo vista indifesa e sola come lo ero io tanti anni fa, volevo solo fare quello che il mio mentore fece con me a suo tempo. >

Sylvia scosse la testa, come a scacciare altri pensieri, parole non dette , idee non esposte che lasciavano trasparire qualcosa che effettivamente non era stato rivelato, prima di sospirare e voltarsi nuovamente verso la ragazza, prima di sorriderle.

< E adesso vai a dare una mano ad Emmet, altrimenti te lo rinfaccerà per tutta la giornata. >

 

 


-- Nuova domenica, nuovo capitolo! Questa volta introduciamo i personaggi di Sylvia ed Emmet, che ritroveremo anche nei prossimi capitoli come parte integrante della storia, ma non dico altro, a presto <3 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5- Colui che conosce. ***


Cap.5- Colui che conosce.

 

 

Ilyria era seduta a ridosso di un grande albero in noce, una folata di vento le sollevò i capelli corvini, scompigliandoli, mentre inspirando a fondo assaporava l'aria di quel primo pomeriggio, carica degli odori della nuova stagione, quello dei fiori appena sbocciati, del polline degli alberi, ascoltando il canto degli uccelli. Si rilassò contro il grande tronco che le sorreggeva la schiena, sollevando lo sguardo in alto per intercettare la figura di Daminen sdraiato su di un ramo a qualche metro da terra, una gamba puntellata contro quest'ultimo mentre l'altra pendeva, ciondolando nell'aria. Si trovavano sul limitare del territorio che poteva ricadere nella giurisdizione del villaggio di Acque Grigie, sulla collina a nord, per essere precisi, lì dove la strada maestra costeggiava il Grande Verde per condurre attraverso le lande orientali verso Dakia e poi, continuando, verso la capitale imperiale, Septima Magna. La strada lastricata costruita generazioni prima aveva retto alla prova del tempo, fornendo supporto ai viaggiatori in tutto l'impero ma di recente gli scambi si erano interrotti e non per volere degli uomini.

Il piccolo scorcio del Grande Verde che si stagliava all'orizzonte ricordò ad Ilyria quanto vicine fossero le terre degli umani a quelle dei mezzi uomini. Si trattava di un'immensa foresta, che si diramava a perdita d'occhio verso nord, alcuni dicevano fino a raggiungere la costa settentrionale del continente, migliaia di ettari di alberi, letteralmente il confine di un regno silvano che spesso era entrato in contrasto con l'impero mentre gli insediamenti umani si espandevano e la foresta veniva progressivamente abbattuta per far spazio alle coltivazioni gli scontri con i mezzi uomini furono impossibili da evitare. Ancora ricordava quando, da bambina, vide per la prima volta un centauro, catturato da dei cacciatori. La bestia era enorme, per metà uomo e per metà cavallo, la metà inferiore di un lucido manto nero mentre dal ventre iniziava la metà umana, la pelle candida ricoperta di tatuaggi tribali, la muscolatura tonica, una chioma nera che era stata recisa di netto mentre il volto era imbrigliato con una pesante museruola in ferro, incatenato affinché non potesse scappare e rinchiuso in una grande gabbia che i cacciatori di bestie stavano trasportando in direzione della capitale. I Venatores, questo era il loro titolo ufficiale, erano al soldo dell'impero, specializzati nel braccare i mezzi uomini ed assicurare la pace nelle terre di confine. Per qualche tempo perfino lei da bambina aveva sognato di trasferirsi ed accedere alla grande Accademia di Caccia di Septima Magna, sogno ben presto estinto dalle parole della vecchia Elowen che le aveva ricordato come in quell'accademia potessero accedere solo i figli delle nobili famiglie imperiali, nonché i rampolli della famiglia regnante, non di certo una contadina come lei. E così erano sfumate anche le fantasie di gloria di una giovane ragazza, il sogno di esplorare, di inoltrarsi in quelle foreste e combattere da vera eroina contro bestie mitiche rimase solo un sogno.

Stava per alzarsi, un mezzo sorriso in volto quando il vento, che insinuandosi tra le fronde degli alberi, smise di colpo di far frusciare le foglie. Una calma piatta, innaturale quasi. Aggrottando le sopracciglia Ilyria si mise in piedi, osservandosi intorno, nulla sembrava essere cambiato, se non quell'improvviso silenzio che era piombato tutt'intorno. Sollevando un braccio verso l'alto cercò la gamba di Damien, senza trovarla, la mano fendé l'aria a vuoto. Sollevando lo sguardo di scatto non trovò la figura dell'amico che poco prima era sdraiato su quel ramo mentre in quell'esatto istante uno stormo di corvi gracchianti solcò il cielo, il battito di ali e quei versi striduli la fecero rabbrividire mentre voltandosi cercò con gli occhi il proprio compagno.

< Damien dove sei, torniamo al villaggio! >

Si voltò ancora una volta nella direzione opposta, il mondo sembrava vorticare rapidamente, mentre il rumore di quello stormo di uccelli non si placava

< Non sto scherzando, non è il momento di giocare, vieni fuori! >

La voce della ragazza era rotta, quasi implorante, lo sguardo venne tuttavia catturato da un lampo di luce proveniente dal Grande Verde all'orizzonte, che poco prima si era soffermata ad osservare. Nuvole di tempesta sembravano avvicinarsi rapide, nuvole che prima non aveva notato che riempivano la volta celeste con il loro colore bluastro frammisto a lampi. Ilyria fu costretta a tenere la gonna del proprio umile vestito con entrambe le mani quando un vento impetuoso iniziò a soffiare in sua direzione, costringendola a socchiudere gli occhi, fili d'erba strappati dal terreno iniziarono a vorticare nell'aria, i rami del grande albero di noce che si piegavano sotto la forza del vento, ondeggiando con violenza. Il fronte temporalesco si avvicinava a vista d'occhio ma Ilyria non si mosse da dove si trovava, sembrava aver perso il respiro, come se tutta l'aria che le stava soffiando contro avesse strappato via quella che aveva nei polmoni, impedendole di riempirli nuovamente. Con la bocca aperta, annaspando per un respiro si accasciò al terreno sulle ginocchia, portando una mano al petto, stringendo il vestito in un pugno mentre sentiva il cuore scalpitare, scoppiare, bruciare come una tempesta di fiamme. Provò ad urlare ma nessun suono uscì dalla bocca, la gola completamente paralizzata mentre il cielo era stato completamente ricoperto da quella coltre di tempesta. Gli occhi violetti sbarrati ad osservare la volta in tumulto. Provò ad alzarsi, puntellando un piede contro il terreno e reggendosi all'albero ma senza successo, crollò nuovamente a terra come se una forza ignota la stesse spingendo verso il basso. In quella posizione e solo con un braccio a tenere il busto sollevato facendo da perno contro la terra, il fragore delle saette unito a quello dei tuoni le riempì le orecchie, sollevando ancora gli occhi stavolta intravide qualcosa nelle nuvole, la sagoma di grandi ali membranose che si stagliavano contro quello sfondo di tempesta, in quella cacofonia di suoni i tuoni divennero ruggiti, tanto assordanti da scuoterle le ossa.

Gli occhi della ragazza erano sbarrati, pietrificata dal terrore iniziò a tremare, sentiva ogni centimetro del proprio corpo bruciare, ogni muscolo contratto fino al proprio limite. Un urlo acuto le abbandonò le labbra, stavolta con successo, mentre sfinita e stremata si accasciò al terreno, il volto poggiato di lato contro il suolo mentre la propria vista si annebbiava, fino a spegnersi del tutto nel buio.

--

< Non è la prima volta, mentre dormiva qualche settimana fa è successa la stessa cosa. >

La voce di Damien, preoccupata, riempiva la stanza da letto di Emmet mentre il biondo era seduto ai piedi del letto che apparteneva al ragazzo figlio dell'erborista, letto che al momento era occupato da Ilyria, priva di conoscenza, scossa da brividi e con le gote arrossate, uno straccio zuppo di acqua fredda poggiato sulla fronte nel vano tentativo di far scendere la temperatura corporea. Il volto del biondo era contratto in una smorfia di preoccupazione mentre il ragazzone dagli occhi verdi aveva poggiato una mano sulla sua spalla provando a rassicurarlo. Tirando su con il naso il ragazzino passò il dorso della mano contro l'occhio destro, strisciando via una lacrima e sollevando lo sguardo su Sylvia, che per tutto il tempo era rimasta in piedi appoggiata allo stipite della porta, le braccia incrociate sotto il petto, il volto corrugato in un espressione dura e riflessiva. Mentre il silenzio era calato nella stanza la tensione venne rotta da un vigoroso bussare contro la porta della bottega al piano inferiore. Voltandosi la donna scese le scale, con incedere calmo mentre ancora una volta il pugno di chi era all'esterno si schiantava con fragore ed insistenza contro le assi in legno.

Aprendo la porta l'erborista si trovò davanti a sé la figura in armatura di Alair, la carnagione olivastra dell'uomo in netto contrasto con quella candida della donna, il suo sguardo scuro che sfidava quello dell'altra posto più in basso.

< Ho sentito che una delle rifugiate sta male, si trova qui? >

E seppure quella potesse sembrare una domanda il tono lasciava intendere tutt'altro, perentorio e duro, sembrava voler ricevere una risposta che sapeva già di avere. Nel contempo dalla piccola balaustra che si affacciava sul piano inferiore Damien ed Emmet, in silenzio, si erano accovacciati per osservare la scena rimanendo in silenzio. Sylvia incrociò nuovamente le braccia sotto il petto, un sorrisetto a storpiarle il labbro prima di rispondere.

< Ilyria si trova qui, mi sto prendendo cura di lei. C'è forse qualche problema? >

Il tono era palesemente di sfida, c'era della tensione tra i due, tensione palpabile che nessuno sapeva dove affondasse le proprie radici. Alair sbuffò di colpo, la mano guantata d'acciaio che si andò a poggiare e stringere il pomo della spada tenuta nel fodero, assottigliando lo sguardo si avvicinò all'altra, chinandosi leggermente in avanti.

< Non ho ancora le prove per incriminarti, Sylvia, ma se hai usato la magia su quella ragazza avrò finalmente una scusa per avere la tua testa su un palo nel centro della piazza. Sai quali sono le leggi dell'impero. >

Tornò eretto, voltando di poco il capo e sputando a terra con disprezzo, prima di puntare il dito contro l'erborista, un ghigno feroce sul volto

< Un solo incantesimo e avrò la tua vita, strega. >

Si girò di scatto, allontanandosi dall'entrata della bottega e facendo cenno alle due guardie che aveva portato con sé di seguirlo, fino ad allora rimaste nascoste dietro l'angolo dell'abitazione.

< Sempre un piacere parlare con te Alair! >

Aggiunse poi sarcastica la donna, sporgendosi di poco oltre l'uscio prima di rientrare e richiudersi la porta alle spalle. Si portò le mani alle tempie, comprimendole leggermente mentre la schiena si appoggiava a quella porta da poco richiusa, le dita che si muovevano in modo circolare mentre una vena pulsava visibilmente sulla fronte. Quegli occhi color foresta si sollevarono sui due ragazzi che erano rimasti accovacciati alla balaustra del piano superiore.

< Emmet, Damien, mi servirà il vostro aiuto. >

Sentenziò la donna osservando i due giovani con occhi affilati, il tono che non ammetteva nessun tipo di replica

< Madre, avete sentito il pretore, non potete... >

Provò a controbattere il ragazzo più grande mentre Damien guardava confuso la scena, chiedendosi il perché di tanta preoccupazione e confusione. La donna sollevò una mano verso l'alto, come a scacciare una mosca invisibile, mentre avanzava lungo la propria bottega, movimenti rapidi mentre apparentemente a caso afferrava questa o quell'erba, tenendole delicatamente in pugno.

< Non è per lei, devo contattare qualcuno. Prendi il sale, fai come sai e tu Damien, vieni con me.>

Concluse poi, lo sguardo estremamente serio mentre, dopo aver raccolto tutto il necessario, salì le scale, avvicinandosi ai ragazzi che avevano aspettato al piano superiore. Una mano si mosse in direzione del volto del biondo, accarezzandolo dolcemente mentre scrutava lo sguardo di quest'ultimo.

< Le mie conoscenze non bastano per salvare Ilyria, devo chiedere consiglio al mio maestro e l'unico modo per contattarlo è quello non ortodosso. >

La mano dell'erborista scivolò lentamente verso il basso, sulla spalla del ragazzo e poi sul suo braccio, fino a sollevare di poco la sua mano e portarla all'altezza del proprio viso, stringendo con decisione il polso e girandone il palmo verso l'alto con un movimento repentino portò la propria bocca al suo indice, bucandone il polpastrello con un canino affilato, per poi far cadere una goccia di quel sangue scarlatto sul mazzo di erbe essiccate. Gli occhi verdi della donna iniziarono a brillare di luce propria, un sorriso a solcarle le labbra mentre scrutava quelli del biondo prima di bisbigliare.

< Zabyt' i spat'. >

A quel comando il giovane cadde all'indietro, prontamente afferrato dalle forti braccia di Emmet, che con un sospiro prese il ragazzo più giovane in braccio, dirigendosi verso la stanza della madre dove lo adagiò sul letto, coprendolo poi con una coperta in lana. Passandosi una mano tra i capelli il figlio dell'erborista uscì dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle.

< Sei sicura che sia proprio necessario? >

Emmet deglutì con forza mentre rivolgeva quelle parole alla madre, voltandosi in sua direzione, vedendone il bagliore degli occhi pian piano scemare fino a tornare alla normalità.

< Una goccia di sangue di persona cara, verbena essiccata per sei mesi e belladonna di due inverni fa. Non potevo fare altrimenti e lo sai. Ora lasciami sola per le prossime ore e sorveglia la porta. >

Sylvia entrò nella stanza che accoglieva la ragazza chiudendosi la porta alle spalle e serrandola con la chiave. Un sospiro le abbandonò le labbra nell'osservare la ragazza distesa ed apparentemente febbricitante. Si avvicinò lentamente, portando le dita della mano libera alle palpebre serrate con forza, aprendole per scoprire quelle iridi violette che splendevano con intensità, un bagliore deciso, potente e pulsante. Mordendosi il labbro inferiore la lascò andare per poi inginocchiarsi sul pavimento.

Iniziò a mormorare parole sconosciute, una lingua arcaica che riempiva l'aria con vibrazione ignote, un gessetto rudimentale tracciava segni e simboli antichi quanto il tempo, il rumore del gesso contro le assi del legno riempi la stanza per i minuti a venire, accompagnato da quella cantilena. La donna in ginocchio si ritrovò davanti a quello che era un intreccio di rune e forme geometriche, al centro del quale aveva deposto le erbe intrise di sangue. Messo da parte il gesso portò le mani vicine all'offerta su quell'altare improvvisato, gli occhi serrati mentre le parole farfugliate divenivano sempre più fitte e serrate, la cantilena sempre più incalzante finché, improvvisamente, quell'offerta prese fuoco, bruciando prima di rosso e poi di un vivido blu che riempì la stanza con quei bagliori inusuali. Sylvia aprì nuovamente gli occhi, che ancora una volta brillavano di un verde intenso, mentre osservava quelle fiamme che lentamente prendevano ondeggiavano seguendo i movimenti delle mani della donna intorno ad esse.

< Tot, kto znayet, rispondi alla mia chiamata, chiedo il tuo aiuto in tempi bui e ignoti. >

Con un guizzo le fiamme presero a danzare con più vigore, sempre più rapidamente fino ad acquietarsi, un sospiro abbandonò i polmoni della donna che esausta lasciò cadere le mani lungo i fianchi, come se fosse priva di forze, gli occhi che dopo aver brillato intensamente tornarono normali, privi di quella luce fulgida. Ondeggiando lentamente le fiamme di quel fuoco arcano si mossero per loro volontà, mentre una voce profonda e pacata riverberò nella stanza nella quale ombre sinistre continuavano a cambiare forma.

< Travnik, sono decenni che non sento la tua voce. Ma avevo previsto la tua chiamata, anche se ne ignoro i motivi. >
Le parole sembravano storpiate, come se fossero pronunciate a fatica da quella voce gutturale che sembrava fare eco fin nelle ossa dell'erborista.

< Maestro, non vi avrei disturbato se non fosse di vitale importanza. Questa fanciulla... Non credevo fosse possibile quando l'ho vista ma adesso ne ho la conferma, per quanto sembri assurdo. >

Una lunga pausa seguì quelle parole prima di continuare.

< L'energia al suo interno la sta consumando, brucia con il bagliore di mille soli, più di quanto abbia mai visto fare ad essere vivente, ed è solamente un'umana. E non ho idea di come salvarla. >

Il fuoco dai bagliori azzurri posto d'innanzi a Sylvia si acquietò, ondeggiando placidamente, prima che un guizzo di scintille sprizzare da un rametto scoppiettante.

< Non lasciare che si accorgano di lei, tienila nascosta. Usa il terzo sigillo di Man'Lor, dovrebbe essere sufficiente fino a quando ti contatterò di nuovo. Abbi fede, Travnik. >

E con quella breve frase di conclusione gli ultimi residui di quel fuoco arcano si bruciarono, le ultime parole morenti e distorte si persero nell'aria mentre i rimasugli si sgretolavano lasciando un cumulo di cenere bianca ancora fumante. Portando un pugno chiuso alle labbra e meditando sulle parole che aveva ricevuto Sylvia restò in silenzio davanti ai resti di quel cerchio rituale oramai consumato. Prima l'attacco di una bestia sconosciuta e adesso questo, cosa poteva significare?

 

 


-- Non mi sono dimenticada di pubblicare, niente paura! Vi auguro una buona pasqua a chi sta leggendo questa piccola storia. Per quanto riguarda il capitolo finalmente iniziamo a scivolare verso la componente più fantasy, tante domande e poche risposte che avranno lentamente una risposta. Fatemi sapere se preferireste avere una traduzione delle parole qui nella sezione a pié di pagina oppure preferite scoprirle pian piano, comunque sia, al prossimo capitolo! <3 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6- Cuore di ghiaccio. ***


Cap.6- Cuore di ghiaccio.

 

 

Un paio di grandi occhioni viola si aprirono lentamente sulla foresta che la circondava, le mani che toccavano l'erba corta e di un verde brillante, le dita che si muovevano tra quei fili soffici e vellutati mentre una lieve brezza calda accarezzava quel volto tondo e paffuto, gli occhi dal profilo allungato ed una zazzera di capelli neri. Voltandosi indietro la bambina sorrise nell'osservare l'immensa entrata della caverna che ben conosceva, le colonne in materiale nero dalle venature bronzee dietro le quali spesso si nascondeva per giocare a nascondino. Eppure non si era mai avventurata oltre quel piccolo spiazzo antistante l'entrata, le era stato tassativamente proibito. Sollevandosi da terra e lasciando che i piedi nudi si puntassero contro il terreno mosse i primi passi verso il nero abisso, prima che una folata di aria calda ed umida la investisse, un respiro potente che le sollevò i capelli, arruffandoli ancora di più. Sorridendo la bambina portò le mani davanti a se, battendole un paio di volte tra di loro e con un sorrisone sul volto a mostrare i denti candidi tra i quali un incisivo era mancante, lasciando una finestra aperta sull'interno della bocca.

< Snova, snova! >

La voce era squillante ed acuta, intervallata da una risata altrettanto pura e gioviale, prima che un paio di occhi enormi e scarlatti si aprissero illuminando il buio di quell'antro. L'aria prese ad entrare risucchiata nell'antico tempio prima di essere espulsa con forza, tiepida e piacevole ma con tanta forza che fece svolazzare il vestito in juta della bambina, costringendola a chiudere gli occhi e facendola cadere all'indietro sull'erba soffice. Quella risata cristallina riempì l'aria della foresta, unendosi al canto degli uccelli mentre la piccola si rotolava sul terreno.

---

Un gemito sfuggì alle labbra della ragazza mentre questa si portava una mano al volto, scostando il panno bagnato che le copriva la fronte e gli occhi. Le pupille si abituarono rapidamente alla penombra della stanza nella quale si trovava, pochi raggi di luce filtravano dalla finestra, illuminando lo scarno mobilio. Tentò di puntellare il gomito contro il materasso sottostante, prima che un gemito le sfuggisse dalle labbra, le sembrava che tutte le ossa le dolessero ad ogni minimo movimento, le coste che parevano quasi scricchiolare al respiro. A quel gemito una figura rimasta nell'ombra seduta su di una sedia addossata al muro sembrò destarsi, il volto di Damien scivolò fuori dall'oscurità, accorrendo al letto nel quale Ilyria era sdraiata.

< Finalmente sei sveglia, vado ad avvisare Sylvia. >

Stava per allontanarsi quando il ragazzo dalla zazzera bionda si sentì afferrare per un polso, la stretta della ragazza debole ma decisa, con quelle dita esili che si avvilupparono rapide per bloccare i movimenti dell'altro. Deglutì con forza, sentendo la gola secca mentre un brivido le percorreva la schiena.

< Per quanto ho dormito, Damien? >

Il ragazzo sembrò tentennare, per poi risponderle

< Tre giorni, avevamo incominciato a preoccuparci. >

Dalla voce de giovane traspirava tutto il sentimento di apprensione che aveva caratterizzato quell'attesa, ogni secondo passato a sperare che finalmente Ilyria aprisse quegli occhi che non avevano più mostrato segno di coscienza. La stretta attorno al polso di lui si sciolse lentamente mentre la ragazza si lascò cadere nuovamente sul cuscino, esalando un sospiro di stanchezza. Anche quel semplice movimento le era costato tutte le energie delle quali poteva disporre.
Damien uscì di corsa dalla stanza, lasciando perfino la porta aperta mentre il rumore di quei passi svelti che scendevano le scale in legno risuonava con fragore.

Pochi minuti dopo erano un tre in quella stanza, o meglio, Damien ed Emmet erano rimasti sull'uscio della porta mentre all'interno era entrata solo Sylvia. La donna dagli occhi color foglia si avvicinò lentamente, chinandosi verso la ragazza e poggiando le labbra sulla fronte di quest'ultima mentre chiudeva gli occhi, ad Ilyria le sembrò di sentirla mormorare delle parole o dei versi, ma non riuscì a coglierne il significato mentre una mano della donna che lentamente tornava eretta le accarezzò il volto, sorridendole dolcemente.

< Bentornata tra i vivi, Ilyria, vedi di non farci prendere altri spaventi del genere. >

Ammiccando in sua direzione l'erborista fece un passo indietro, porgendole poi la mano dalle unghie curate e la pelle morbida, facendole cenno di alzarsi, il sorriso che le increspava le labbra scoprendole i denti.

< Non farci aspettare troppo, abbiamo bisogno del tuo aiuto di sotto, il povero Damien ha dovuto svolgere il tuo lavoro mentre stavi a sonnecchiare. >

Ilyria stava per replicare come qualche istante prima non era neppure riuscita a mettersi a sedere, non si sarebbe mai riuscita ad alzare eppure... muoversi le sembrò assolutamente normale. Con facilità si sollevò, lasciando che le coperte le ricadessero sulle gambe lasciando il busto coperto solo dalla tunica bianca in cotone che indossava. Le gambe non sembravano intorpidite, facilmente scivolarono anch'esse fuori dalle coperte e quando i piedi nudi toccarono il pavimento di legno si scoprì in grado di mettersi in piedi. A stento riusciva a crederci ma in qualche modo si sentiva nel pieno delle proprie forze. Si osservò le mani, aprendole e chiudendole un paio di volte, prima di osservare i piedi, muovendone le dita una dietro l'altra. Sorrise poi, risollevando lo sguardo violetto sulla donna

< Eccellente! Va a cambiarti tesoro, credo che qualcuno voglia parlare con te non appena ti vedrà in piedi. >

Sylvia non aggiunse altro, semplicemente facendo battere le mani e facendo poi cenno in direzione dei ragazzi di abbandonare la stanza, prima di buttare nuovamente l'occhio verso Ilyria, un ultimo accenno di sorriso per poi uscire anche lei, richiudendosi la porta alle spalle.
Dopo poco la giovane dagli occhi viola era nuovamente presentabile, i capelli corvini legati in una crocchia che lasciava cadere sul davanti un paio di ciocche a contornare il volto, una veste color lilla tenue che si stringeva a mo' di corsetto sul petto, lasciandole tuttavia la scollatura ben coperta, per poi aprirsi verso il basso con una gonna non troppo larga, decisamente comoda che giungeva fino alle caviglie, dove un paio di stivali marroni facevano capolino.

Uscita dalla stanza dopo essersi risistemata a tracolla una piccola borsa in pelle con lo stretto indispensabile, stava scendendo le scale con la mano che scorreva lungo la balaustra quando a metà di questa si fermò ad osservare la scena al piano sottostante, le sopracciglia leggermente aggrottate. Il rumore dei propri passi aveva attirato l'attenzione dei presenti e tra questi non c'era solo la sorridente Sylvia, ma anche Alair, stavolta senza il solito elmo a coprirgli il capo, mostrando la testa canuta mentre quest'ultimo era tenuto sotto un braccio, l'attuale pretore di Acque Grigie la scrutò senza troppi complimenti da capo a piedi . L'erborista stava per parlare ma un movimento repentino dell'uomo che sollevò il braccio guantato in acciaio interruppe qualsiasi tentativo di interlocuzione.

< Bensvegliata, vedo che Sylvia si è presa cura di te. Come ti senti? >

Il tono era freddamente cordiale, la voce bassa e profonda riempiva il pian terreno della bottega risuonando con forza ad ogni sillaba. Annuendo e chinando di poco il capo Ilyria rispose

< Sto molto meglio, devo aver avuto un'eccellente guaritrice. C'é qualche problema? >

Lo sguardo violetto scivolò sulla donna per poi tornare agli occhi glaciali di Alair, il tono di voce era fermo, pacata, seppure un deglutire particolarmente vistoso tradiva una certa irrequietezza nell'eloquio della ragazza.
Scuotendo il capo e lasciando che le labbra si sciogliessero in un sorriso dai toni quasi sarcastici l'uomo portò una mano alla barba, accarezzandola dal mento fino alla punta di questa.

< Assolutamente, lungi da me voler disturbare la tua convalescenza ma abbiamo ricevuto visite dalla città di Dakia due giorni fa, una visita decisamente di alto profilo che gradirebbe parlare con i sopravvissuti di Cohen. Sarebbe scortese non acconsentire. >

Ancora una volta, più che una proposta od un invito quella era una richiesta senza possibilità di rifiuto. Con un colpo di tosse l'uomo in armatura portò una mano alle labbra nascoste dalla peluria, prima di ricomporsi e tornare ad osservare l'erborista assttogliando lo sguardo.

< Spero la preparerai a dovere, a Lady Angelise non piace aspettare. Perdonate la mia intrusione. >

Con quell'ultima frase il pretore fece un mezzo cenno in direzione della ragazza, quasi un inchino appena accennato nei confronti di Ilyria per poi girare i tacchi ed abbandonare la bottega, una mano che con forza sospinse la porta in legno verso l'esterno, lasciando che questa si richiudesse alle proprie spalle grazie alla forza di gravità con un tonfo secco. Ilyria interdetta rimase sulle scale, ad osservare la scena con occhi che tradivano preoccupazione per poi domandare.

< Lady Angelise? Cosa mi sono persa? E perché Alair sembrava così scontroso? >

Una tempesta di domande che non riuscì a trattenere le sfuggirono dalle labbra mentre dal canto suo Sylvia sospirava con forza, massaggiandosi le tempie.

< Diciamo che tra me ed il pretore non scorre esattamente buon sangue, ma questa è un'altra faccenda. A quanto pare hanno mandato una Venatores ad investigare sull'attacco al vostro villaggio, Ilyria, e fidati che questa sembra essere un pezzo grosso. >

Facendo schioccare le dita e voltandosi su sé stessa Sylvia si mosse dietro il bancone, i tacchi degli stivali che risuonavano contro il pavimento in legno mentre la ragazza dagli occhi viola prese a scendere finalmente quelle scale, giusto in tempo per ritrovare il volto sorridente della donna che teneva un ciondolo da una sottile catenina argentata.

< Questo è per te, ho pensato che un piccolo regalo potesse tirarti su di morale. >

Il ciondolo aveva la forma di una foglia di quercia in metallo, poco più grande di un pollice, anche questo in argento, sulla quale erano finemente incisi minuziosi dettagli che rendevano quell'oggetto una fedele riproduzione dell'originale, mentre sul retro piccole e minuziose iscrizioni runiche erano state incise. Tendendo la mano verso la donna Ilyria accetto di buon grado il dono, portandolo a sé senza indugiare troppo, assicurandolo dietro il collo e lasciando che il pendente le cadesse sul petto.

< Non dovevi Sylvia, è stupendo, ti ringrazio. >

Gli occhi della giovane sembravano brillare di gratitudine quando sollevò lo sguardo dal monile alla donna che glie lo aveva donato, un sorriso ad incurvarle le labbra, prima che l'altra le afferrasse le mani con le proprie, stringendole dolcemente e muovendo un passo verso l'altra, diminuendo la distanza che le separava.

< Ricorda queste parole Ilyria, se mai avessi bisogno di aiuto, chiamami con tutta te stessa. >

Un sorriso increspò le labbra dell'erborista prima che congedasse la giovane da quel contatto per poi muoversi all'indietro, fino a trovare il bancone contro il quale si appoggiò usando entrambe le braccia come perni.

< E adesso vai, Lady Angelise si trova nella chiesa del Drago Bicefalo, a quanto ne so, sei l'unica con la quale non ha ancora parlato. >

Con un cenno di assenso Ilyria chinò di poco il capo, portando il ciondolo all'interno del proprio vestito lasciando che solo la catenella si intravedesse attorno al collo. Uscendo dalla bottega la luce le del giorno la investì, costringendola a socchiudere lo sguardo per qualche secondo portando una mano alla fronte nel tentativo di schermare gli occhi da quei raggi. Quando si fu abituata finalmente poté osservare l'esterno, le palpebre che si chiusero ed aprirono un paio di volte mentre metteva a fuoco la piazza che aveva di fronte. Oltre alle solite bancarelle ed avventori intenti a far compere e scambiare merci un'altra cosa attirò la propria attenzione, delle guardie con i sigilli imperiali ed alte picche erano di guardia all'entrata della chiesa. Voltandosi nuovamente vide Emmet e Damien chini sugli sgabelli ed intenti a parlare e preparare le solite erbe, poco lontani dall'entrata. Silenziosa scivolò alle loro spalle, prima di aprire le braccia e buttarsi letteralmente tra i due, tenendoli stretti cingendo il collo di entrambi.

< Vi siete divertiti senza di me, vero? Spero non vi siate abituati troppo! >

Disse la ragazza con un mezzo sorriso prima di lasciar andare entrambi che a loro volta si voltarono, Damien con un sorrisone decisamente raggiante mentre osservava la ragazza mentre Emmet le rifilò una mezza gomitata nel fianco.

< Vedi di fare in fretta, siamo sommersi dal lavoro e ci servono un paio di mani in più. >

Disse poi ammiccando all'unica struttura in pietra del villaggio, Ilyria annuì nuovamente prima di muovere qualche passo all'indietro, separandosi dai ragazzi.

< Non c'è bisogno che me lo ricordi, Emmet, sarò di ritorno a breve. >

Il suono dei propri stivali rintoccò contro il selciato della piazza della città mentre la ragazza dai capelli corvini si avvicinava a quella struttura in pietra che sovrastava tutte le altre. Sollevò lo sguardo verso l'alto, ad osservare i due torrioni che facevano da cornice all'entrata, un alto arco in pietra a sesto acuto sbarrato da una pesante porta in legno che vedeva, ogni seconda luna piena del mese, il passaggio di tutti i membri del villaggio per le consuete celebrazioni verso la loro divinità. Mosse qualche altro passo in direzione della propria meta quando il clangore di metallo contro metallo la riportò alla realtà, le due guardie imperiali poste innanzi alla porta avevano portato il loro sguardo su di lei, facendo cozzare le punte di quelle picche con forza tra di loro, sbarrando ulteriormente il passaggio.

< Questa struttura è attualmente ad uso esclusivo della coorte imperiale, cosa vi porta qui? >

La voce dura e roca dietro quell'elmo in metallo che copriva ogni fattezza di un volto del quale solo gli occhi color nocciola si intravedevano fece trasalire la ragazza che con una mezza riverenza si affrettò ad aggiungere.

< Mi chiamo Ilyria, sono una rifugiata dal villaggio di Cohen. Il pretore ha detto che una certa Angelise voleva parlare con me. >

Un lungo silenzio seguì quelle parole mentre le due guardie si scambiarono un'occhiata dura, per poi riportare la loro attenzione sulla ragazza che aveva intanto preso a torturare un lembo di quel vestito tra le dita, preda del nervosismo.

< È Lady Angelise per te. Non dimenticarlo. >

Le picche si sollevarono di scatto lasciando così il passaggio libero verso la porta che ancora rimaneva chiusa. Ilyria semplicemente annuì, lungi dal controbattere contro quelle montagne di muscoli ed acciaio, per poi oltrepassarle e sospingere il ruvido legno con entrambe le mani.
l'interno della chiesa era modesto, una navata singola a pianta rettangolare che si estendeva per circa venticinque metri da un capo all'altro, alla fine della quale era posto l'altare dove si tenevano le celebrazioni nelle notti di luna piena, alle spalle del quale era posta una riproduzione in legno del drago bicefalo, con le ali spalancate ed intento a ruggire.
Ma al momento quel luogo sacro ai più era diventato una vera e propria base logistica. Bisacce ed armamenti erano stati sistemati sulle panche che altrimenti avrebbero accolto i fedeli, uomini intenti a lucidare i pezzi delle proprie armature, in silenzio, sollevarono lo sguardo verso quella figura esile che fece il proprio ingresso mentre il portone si richiudeva con un tonfo. Esattamente all'altro capo della chiesa, dietro quell'altare, spiccava la figura di una ragazza, i lunghi capelli bianchi gentilmente raccolti da una tiara, ricadevano morbidamente sulle spalle bardate in acciaio, una splendida armatura brillava come argento liquido e le adornava il petto, mentre le braccia erano ricoperte fino alle punte delle dita da altro acciaio. Al suo fianco una figura ammantata di nero e scarlatto, i quali tratti non erano visibili per via del cappuccio calato sul capo sembrava essere in procinto di bisbigliare qualcosa ma quel discorso venne interrotto proprio quando un paio di occhi azzurri, freddi come il ghiaccio, si posarono su Ilyria, facendola trasalire. La chiesa, piombata in un silenzio ancora più cupo la fece sentire a disagio, tremendamente a disagio, con tutti quegli sguardi puntati su di sé.
Si sbrigò ad accennare una riverenza, piegandosi sulle ginocchia e chinando il capo.

< Sono Ilyria, il Pretore Alair mi ha mandata a chiamare dicendo che Lady Angelise desiderava parlare con me. >

Deglutendo con forza e tenendo la testa abbassata verso il terreno per qualche ragione Ilyria sentì sudore freddo scorrerle lungo la schiena, la voce che a stento riuscì a mantenere un tono costante senza traballare mentre le gambe sembravano improvvisamente pesanti, la bocca secca ed impastata. Non le piaceva stare all'interno di quella struttura, non le piaceva stare vicino a quelle persone, sentiva di dover scappare il prima possibile, il più velocemente possibile ed il più lontano possibile.

< Alza la testa ed avvicinati, ti stavo aspettando. >

Una voce femminile interruppe quel silenzio assordante che si era creato, gli occhi violetti di Ilyria incontrarono quelli dell'altra ragazza, di un blu intenso, quasi ipnotico. Annuendo leggermente la ragazza dai capelli corvini si mosse lungo la navata della struttura, i tacchi dei propri stivali che rintoccavano contro il pavimento lastricato, fino a raggiungere la base dell'altare dove l'uomo accanto alla ragazza sollevò una mano, facendole cenno di arrestare il proprio incedere, costringendola adesso ad osservare i due sollevando la testa. Deglutendo poté osservare meglio i dettagli del vestiario della ragazza dai capelli bianchi, quell'armatura finemente intarsiata era costellata di rune dal significato sconosciuto, mentre una spilla in oro che ritraeva lo stemma della casata imperiale teneva fermo un mantello a ridosso della spalla sinistra celando in parte il pomello di una spada assicurata al medesimo fianco.
Osservando dei fogli posti davanti a sé sull'altare la ragazza dai capelli color neve portò le proprie mani per afferrarli, facendoli scorrere l'uno sull'altro, soffermandosi su alcuni per poi passare oltre.

< Quindi tu sei l'unica con la quale non avevo parlato. Mi hanno detto che hai avuto un malore, ti succede spesso? >

Quegli occhi azzurri si posarono solo per pochi istanti su di Ilyria che, in procinto di rispondere, venne fermata da un rapido gesto della mano dell'altra, come a dispensarla da una eventuale risposta.

< Io sono Angelise, Magna Venatores di Septima Ultima, mi è stato ordinato di investigare sull'attacco al vostro villaggio e sulla soppressione della bestia che ne è artefice. >

Una rapida spiegazione della propria posizione e del proprio titolo. Il titolo di Magnus o Magna che se la Venatores in questione era donna, come in quest'ultimo caso, veniva attribuito solamente ai ranghi più alti dell'ordine, a coloro che si erano distinti per meriti particolari, che avevano partecipato alle Grandi Battute di caccia imperiali come comandanti o che vantavano un lignaggio particolarmente alto. Delle tre opzioni, valutando la giovane età della cacciatrice e che che l'ultima Grande Battuta si svolse circa dodici anni fa, l'unica opzione plausibile era l'alto rango sociale della stessa, ipotesi decisamente rimarcata dall'atteggiamento e postura impeccabile che Angelise mostrava in ogni movimento, per non parlare dello sguardo di sufficienza che dedicava ad Ilyria ogni volta che le posava gli occhi addosso.

< Hai qualcosa da aggiungere che non sia solo farfugliamenti, fuoco, sangue, morti o lacrime? Perché i tuoi... compagni di sventura sono stati più che esaurienti su questi temi. >

Ilyria si sentì nuovamente la bocca secca, un nodo alla gola mentre il proprio sguardo violetto scorreva su quel viso dai tratti delicati ma totalmente disinteressato. La ragazza cercò di fare mente locale, recuperando dettagli che aveva forse, volutamente, dimenticato. Dopo qualche istante di silenzio iniziò a parlare, con ritrovata voce.

< Ricordo che era una bella giornata, il sole splendeva alto. Ero nei campi intenta a raccogliere della verdura quando ad un tratto si è fatto tutto buio. >

Una breve pausa in quel racconto, mentre la ragazza ricordava di come il cielo si fosse d'un tratto annuvolato, facendo piombare quelle dolci colline nell'oscurità di una nera tempesta.

< Aveva iniziato a soffiare un vento forte che minacciava pioggia, per questo sono corsa a casa. La pioggia aveva appena iniziato a cadere quando ho sentito quello che sembrava un tuono ma ora che ci penso sembrava un ruggito. >
Ilyria trasse un profondo respiro, socchiudendo gli occhi per qualche istante prima di riaprirli.

< Poi più nulla, mi hanno trovata tra le macerie ancora svenuta, mi hanno caricata su un carro e tre giorni dopo siamo arrivati qui ad Acque Grigie. >

In risposta a quelle parole Ilyria ricevette solamente uno sbuffo, quasi deluso da parte della Venatores, uno sguardo disinteressato mentre afferrava rapida una penna dal proprio supporto, intingendola rapida in un calamaio appuntando qualche rapida nota su uno di quei fogli.

< Nulla di interessante quindi, sei dispensata, torna pure alle tue faccende. Martius seguimi, dobbiamo discutere della battuta di caccia. Questa cosa deve pur aver lasciato qualche traccia che possiamo seguire. >

Neppure la guardò in volto, voltandosi semplicemente per darle le spalle, muovendo qualche passo in direzione delle piccole porticine in legno che davano sul retro della struttura. Ma più che l'indifferenza della ragazza quello che colpì Ilyria fu la sensazione di essere scrutata, osservata, analizzata quasi, da quell'uomo incappucciato. Le sembrò di vedere un fulgido seppur fugace bagliore rosso sotto l'orlo di quel cappuccio. Deglutì nuovamente per un istante che le sembrò infinito quando finalmente l'uomo le distolse lo sguardo di dosso. Senza neppure sapere perché sospirò con un senso di sollievo quando lo vide voltarsi e seguire la Venatores. Con l'ennesima accennata riverenza fu anche Ilyria a congedarsi.
Quando finalmente si ritrovò nuovamente all'esterno portò istintivamente una mano al petto, una sensazione di fastidio, quasi bruciore sulla pelle. Tirando su il ciondolo dalla propria catenella osservò quella foglia in metallo adagiata sul palmo della propria mano. Era calda, decisamente troppo perché il razionale di quella temperatura fosse il semplice contatto con la propria pelle. Scrollando di poco la testa per eliminare qui pensieri, Ilyria rimise il ciondolo al proprio posto allungando poi il passo in direzione della bottega.

 


-- Capitolo in anticipo questa settimana! Domani sarà una giornata un po' caotica, il capitolo era pronto ed onde evitare ritardi ho deciso di anticipare. Vi presento la bellissima Angelise, che potete vedere come protagonista della copertina del capitolo. Ho fatto un piccolo upgrade per le immagini, quindi da ora in poi avranno una qualità decisamente migliore, spero possiate apprezzare. detto questo, alla prossima! Bye! <3

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Capitolo 8
*** Capitolo 7- Cose che neppure io conosco. ***


Cap. 7- Cose che neppure io conosco.

 

 

La grande biblioteca imperiale di Septima Magna era una struttura a dir poco mastodontica, il vero gioiello dell’impero nascosto agli occhi dei più. L’intera struttura era stata costruita scavando il nero granito della montagna monolitica attorno alla quale si era eretto, nel corso dei millenni, l’inespugnabile anello interno della capitale imperiale. Accessibile solamente dall’interno del castello, attraverso un sistema di corridoi immensi ed ingegnosi elevatori si ci poteva districare nelle viscere di quella montagna, un dedalo inespugnabile dalla pareti color ebano che scendeva per centinaia di metri e si esplicava in anelli concentrici seguendo il profilo conico di quel monolite, ogni livello più in basso del precedente, una cerchia sempre più stretta di conoscenza proibita. In totale erano sei i livelli accessibili anche se le voci di un ipotetico settimo livello non erano mai state né smentite né confermate, ma si bisbigliava che solo l’Imperator in persona potesse avervi accesso, in quella sala che rappresentava il cuore stesso della montagna e dell’Impero.

Un giovane ragazzo era seduto ad uno dei numerosi scranni del quinto livello. Nonostante la giovane età con quel volto sbarbato ed affilato che tradiva poco più di diciannove inverni sulle spalle, aveva rapidamente attirato l’attenzione delle cariche più alte dell’accademia dei Venatores di Septima Magna. Le dita affusolate, leggermente ossute e diafane scorrevano rapide sull’inchiostro inciso in quelle pagine ingiallite dal tempo mentre un paio di iridi dall’insolito colore vermiglio erano parzialmente nascoste dietro una zazzera corvina che cadeva davanti a questi ultimi. Assottigliando di poco gli occhi sollevò il proprio sguardo a quel tomo solo per risistemare il bagliore bluastro che proveniva dal frammento di azzurrite incastonata in quel supporto metallico che aveva sistemato sullo scranno, indirizzandolo sul proprio grimorio afferrò con rapidità la piuma che era rimasta intinta nell'inchiostro alla sua sinistra, la mancina che rapida rimuoveva l’eccesso di china sul bordo della boccetta prima di scribacchiare ed appuntare delle rune sulle pagine decisamente meno rovinate e di più recente fattura.

< Martius, sempre il classico topo di biblioteca. >

Quelle parole ruppero il venerabile silenzio di quell’antico ambiente nel quale al momento era presente solamente il ragazzo. Insieme alla voce femminile che le pronunciò il pesante fodero di una spada venne poggiato un tonfo sulla superficie in legno dello scranno. Inutile aggiungere che quella penna tracciò un lungo solco nero sulla carta quando il ragazzo sobbalzò, portandosi una mano al petto ed imprecando a denti stretti. Voltandosi lentamente portò quegli occhi rossi ad incontrare un paio di iridi azzurre come il cielo, un volto gentile e sorridente che mostrava una schiera di denti candidi mentre i capelli, altrettanto candidi erano tenuti legati in una coda alta lasciando solo pochi ciuffi ad incorniciare il viso.
Mordendosi il labbro inferiore per trattenere ulteriori imprecazioni Martius rimise quella penna nel proprio astuccio in legno, chiudendolo con un gesto gentile ma deciso.

< Lady Angelise, qual buon vento, a cosa devo questa amabile visita? >

La voce del giovane era pacata, dolce quasi, seppure una spiccata vena sarcastica era ben udibile e difficilmente negabile.
Una risata proruppe da parte della ragazza dai capelli candidi che con un gesto rapido andò a sedersi sullo scranno, incrociando le braccia sotto il petto. Indossava splendidi abiti finemente ricamati, una trama fitta di colore nero che ricalcava le curve gentili, stringendosi attorno alla vita e serrandosi attorno al collo, alla base della mandibola, mentre un cinturone in cuoio del medesimo colore era assicurato attorno alla vita, una fibbia che riportava lo stemma del drago bicefalo in oro mentre in maniera poco consona ad una damigella la facevano da padrone un paio di pantaloni in pelle che terminavano con degli stivali alti, tutto rigorosamente a tinta unita, solo dettagli come cuciture e bottoni recavano uno splendido color oro.

< Non sei felice di vedermi? Diventerai cieco se passi troppo tempo qui a leggere al buio, portati una pietra di azzurrite più grande almeno! >

La ragazza allungò una mano in direzione dell’altro, le dita lunghe ed affusolate che schioccarono contro la sua fronte come a rimarcare quella ramanzina. Sbuffando e portandosi una mano alla pelle lesa, massaggiando leggermente, Martius sospirò.

< Sei venuta qui per qualcosa di serio o solo per darmi noia? Non ho tempo da perdere, sto facendo delle ricerche come puoi vedere. >

Le iridi azzurre di Angelise si spostarono sul tomo dal quale il ragazzo poco prima stava riportando dei passaggi, aggrottando le sopracciglia si chinò di poco per leggere meglio le rune antiche e le parole incise sulla carta. L’antica enciclopedia sembrava essere più un libro religioso che un annale storico, di fatti si trattava del “De bello nimbosum” un’antica raccolta di miti relativi alla prima battaglia degli uomini contro i draghi, di come con il favore delle tenebre e del drago bicefalo misero fine alla tirannia del sole e del suo figlio prediletto Raizandum, nonché dei suoi fratelli.
Con uno sbuffo Angelise tornò a guardare il ragazzo, scuotendo la testa.

< Non sapevo fossi un appassionato di religione, vorrai mica abbandonarmi per diventare sacerdote della Luna? >

Un sorriso sarcastico apparve sulle labbra della ragazza mentre canzonava l’altro, ammiccando al libro che era intento a studiare. Con un gesto secco Martius richiuse le pagine che esalarono uno sbuffo di polvere per poi riprendere a parlare.

< E lasciare che qualche mezzo uomo ti stacchi la testa per farne un addobbo della sua capanna? Saresti persa senza di me. >

Un sorrisetto adornò il volto del ragazzo quando, sollevando una mano a mezz’aria e mormorando parole incomprensibili i propri occhi scarlatti presero a brillare mentre il tomo, sconfiggendo ogni legge della fisica lentamente si sollevava a mezz’aria, per poi seguire il gesto delle dita, allontanandosi fendendo l’aria fino ad inserirsi, dolcemente, in un’alcova vuota in una mensola polverosa poco distante.

< Ti ricordo che stai parlando con la prima del nostro corso, caro il mio topo di biblioteca. Se avessi voluto usare i tuoi trucchetti lo avrei fatto. Ma perché dovrei quando ho lei. >

La ragazza dai capelli color neve ammiccò alla propria lama infoderata, il metallo finemente lavorato, intarsiato di incisioni runiche ed impreziosito da inserti in oro faceva da riparo ad una lama che definire di pregiata fattura sarebbe stata un insulto. Gli occhi del mago scivolarono su quella che era l’elsa di Belosnezhka, “bianca come la neve” nella lingua comune, metallo di origine sconosciuta intrecciato e ripiegato infinite volte, la leggenda vuole che tutte le lame imperiali furono forgiate nel fuoco del drago bicefalo e quella non faceva eccezione. La splendente gemma di un blu intenso che troneggiava al suo centro emanava un’energia prorompente, come una tormenta tenuta a bada da un sottile seppur impenetrabile velo di cristallo.

< Abbiamo una pista, pare che un villaggio nelle lande orientali sia stato raso al suolo. >

Continuò poi Angelise portando le braccia all’indietro, puntellandole contro la superficie dello scranno mente inarcava la schiena, facendo ondeggiare leggermente le gambe sospese nel vuoto, gli occhi puntati verso l’alto soffitto a volta della biblioteca, il volto stranamente pensieroso.

< E vogliono scomodare una Magna Venatores per? Sarà stato il solito attacco da parte dei mezzi uomini, le lande orientali sono al confine con il Grande Verde, non mi sorprende. >

Rispose di getto Martius mentre faceva per alzarsi dalla propria sedia, ma proprio mentre pronunciava quelle parole un dubbio attraversò la sua mente, il volto che rapidamente si fece corrugato, portando il proprio sguardo scarlatto sul volto della ragazza che, ricambiando l’occhiata, annuì.

< No, non lo avrebbero mai fatto. I Venatores di Dakia sono particolarmente preparati per queste evenienze. Ma il primo rapporto parla di un numero di vittime da duecento a trecento e di una sola creatura. Con ali, e che soffiava fuoco. >

Il volto della ragazza si fece immediatamente duro, smontando dallo scranno con un piccolo balzo ed afferrando il fodero della propria spada con la destra la riportò alla cintura, assicurandola affinché non scivolasse.

< So che i contadini di confine sono superstiziosi e spesso esagerano le storie per ricevere aiuto il più in fretta possibile ma stavolta il testimone oculare è un fabbro di Septima Magna ed indovina, ha partecipato alla Grande Battuta di dodici anni fa. >

La voce era bassa, quasi stesse mormorando un segreto indicibile mentre lo sguardo affilato della giovane era fisso in quello scarlatto del ragazzo che incredulo aveva afferrato il bordo dello schienale della sedia per sostenersi. Martius deglutì con forza, sentendo un brivido corrergli lungo la spina dorsale, la bocca fattasi improvvisamente secca e priva di saliva.

< È impossibile, l’ultimo drago è morto proprio in quella battuta, per dieci anni i cristalli della torre d’avorio non hanno captato nessun tipo di interferenza prima di diventare quiescenti, nessuna traccia della loro magia su tutta Ophiria, possibile che ne sia sfuggito uno? >

La voce del mago era tremante, mentre lentamente provava a rassettare i propri pensieri nella ricerca di una spiegazione logica, lo sguardo portato nuovamente sulla ragazza che scosse la testa.

< Ovviamente no. La traccia magica emessa da un drago è talmente potente che l’avremmo captata anche se si fosse trovato ai confini della terra. Non farti prendere dal panico, la risposta più probabile è che si tratti di un qualche tipo di viverna anziana. Alcune viverne verdi nel Continente a Sud sono state viste sputare acido, forse si tratta di un qualche genus non identificato, per questo mi servi. >

Scuotendo di poco il capo il ragazzo tornò a mettersi più composto, portando le braccia dietro la schiena, le mani che si intrecciarono tra loro mentre assumendo una postura leggermente più gobba, iniziò a ragionare su tutti i possibili fattori coinvolti. Se quello che Angelise affermava corrispondeva alla verità e scartando l’assurda opzione che si trattasse di un drago sopravvissuto in qualche assurdo modo, l’unica cosa plausibile è che fosse davvero un qualche genus sconosciuto di viverna o qualcosa che nei libri di caccia dei Venatores non era ancora stato descritto. Lentamente risollevò lo sguardo ma non su di lei, prendendo a camminare avanti ed indietro, il passo cadenzato, e ben calibrato, gli occhi sempre persi nel vuoto.

< Questo mondo è tanto vasto quanto misterioso, ci sono cose che persino io non conosco e che alle volte ho paura di conoscere. Non abbiamo informazioni sul tipo di preda, sulle sue abitudini e sull’areale di caccia, senza contare che almeno negli ultimi due anni questo è il primo evento documentato di tale entità. >

Facendo schioccare la lingua Martius arrestò il suo incedere, muovendo la testa per portare i propri occhi scarlatti in quelli azzurri dell’altra.

< Non c’è modo di avere accesso ai registri imperiali? Forse c’è qualcosa che è stato tenuto classificato che potrebbe aiutarci. >

Scuotendo la testa con forza Angelise mosse qualche passo in direzione dell’altro, sollevando una mano e portandola sulla spalla di lui, prima di rispondere.

< Calma i bollenti spiriti, non chiederò a quegli spocchiosi dei miei fratelli l’accesso al sesto livello, per quanto so che venderesti pure tua sorella per poterli visitare, se solo ne avessi una. >

Una leggera risata sfuggi dalle labbra della ragazza, che continuò.

< Ed io stessa non vi avrò accesso almeno fino al mio riconoscimento ufficiale, tra due anni. >

Un pizzico di amarezza era ben udibile in quelle parole, mista ad un senso di impotenza o forse di rabbia. In verità Angelise si era dimostrata superiore ai propri fratelli maggiori in tutti i campi, dal combattimento alle abilità strategiche, dalle arti arcane fino a quelle tributarie. Il prototipo perfetto di erede ma, nonostante questo, la legge imperiale prevedeva che la progenie dell’imperatore non potesse essere riconosciuta come tale, almeno non formalmente, fino al compimento dei ventuno anni d’età dopo essersi sottoposti al rito delle mille lune, un’antica cerimonia tramandata dal Primum Imperator e tenuta gelosamente segreta al popolo ed alla nobiltà, che consacrava i membri della famiglia imperiale come tali al cospetto del drago bicefalo.
La mano che si era posata sulla spalla del ragazzo scivolò via mentre Angelise tirava un sospiro, scrollandosi quei pensieri dalla testa.

< Ma voglio mostrare a quegli idioti quanto sia una cacciatrice migliore di loro, quale miglior preda se non una bestia sconosciuta? >

Un sorriso di sfida apparve sulle labbra della ragazza dai capelli candidi prima che rifilasse una sonora pacca sulla spalla del proprio compagno di avventure per poi allontanarsi di qualche passo, voltando di poco la testa per osservarlo ancora una volta.

< E non dimenticare che è un ordine della tua futura principessa, non dimenticarlo. >

Scoprendo i denti candidi Angelise ancora una volta sorrise facendogli poi cenno di seguirla. Martius si affrettò a riporre il proprio grimorio nella borsa di pelle che avrebbe da lì a poco indossato a tracolla con uno sbuffo, la sua ricerca irrimediabilmente interrotta dalla ragazza che non avrebbe mai accettato un no come risposta e che anzi, aveva già dato per scontato l’aiuto dell’altro, non che Martius si sarebbe mai sognato di rifiutare.

Per qualche istante gli balenarono in mente i ricordi dei primi anni nell’accademia dei Venatores. Seppure gli appartenenti alla stirpe del Primum Imperator non venivano ufficialmente considerati tali fino al compimento dei ventuno anni tutti, ovviamente, sapevano chi fossero. Le loro particolarità facilmente distinguibili, quei capelli candidi, le iridi azzurre, i tratti affilati, la forza e velocità fuori da ogni schema e limite umano e soprattutto l’innata propensione per la magia. Non era poi troppo strano che in alcuni luoghi dell’impero, soprattutto all’interno della capitale stessa, molti considerassero i membri della famiglia imperiale come semidei, meritevoli di devozione quasi quanto il drago bicefalo stesso.
Eppure Martius era stato l’unico che nei duelli di magia era sempre riuscito a tenere testa alla futura principessa, lui, il figlio adottivo di estrazione popolana di un barone di periferia, nonostante nessuno lo avesse mai preso in considerazione, rivaleggiava ed addirittura superava nelle arti arcane la linea di sangue che era stata benedetta dal drago bicefalo in persona.
Forse fu questa sua particolarità ad attirare le attenzioni di Angelise, dopo aver riconosciuto il valore di un mago tanto talentuoso la nobile aveva deciso di prenderlo come compagno di caccia o, come lei preferiva chiamarlo, il suo assistente personale, cosa che mandava Martius su tutte le furie ogni volta che lei tentava di punzecchiarlo.
Un paio di dita curate schioccarono di colpo davanti al suo volto, riportandolo alla realtà, un altro colpetto sulla fronte ad arrossare la pelle già precedentemente lesa mentre, con un gemito il ragazzo portava una mano nuovamente a massaggiare la parte dolente.

< Ma la vuoi smettere?! Lo sai che odio quando fai così! >

Sbottò lui, sbuffando sonoramente solo per ricevere, come risposta, una risata cristallina da parte di lei.

< Andiamo, è l’unico modo per riportarti con i piedi a terra quando hai quello sguardo perso, smettila di fantasticare e pensiamo ad organizzare. Abbiamo bisogno di una scorta, un paio di carri per il trasporto e dei viveri, nonché il necessario per condurre le ricerche. >

Angelise era già partita per la tangente, calcolava e contava ogni singola moneta d’oro necessaria a quella spedizione e probabilmente aveva già una lista di tutto l’occorrente e delle persone più adatte da chiamare. Martius la osservò mentre continuava ad elencare tutto l’occorrente, su chi contattare, quando e come farlo. La ammirava, profondamente, con ogni fibra del proprio essere. Angelise era sempre in grado di trovare una strategia, partire da un punto per arrivare ad un altro nel modo più efficiente, ma spesso questa sua caratteristica di inflessibile organizzatrice lasciava a desiderare l’attenzione per i dettagli, decisamente abituata a vedere il grande schema delle cose piuttosto che occuparsi delle minuzie che, puntualmente, sarebbero ricadute su di lui.

< Se la bestia è attualmente sconosciuta e considerando che possa essere un vivernoide o simile dobbiamo organizzarci ad ampio spettro. Se i racconti dei superstiti sono veritieri vedrò di preparare qualche contromisura, ma dobbiamo raccogliere più informazioni sul campo. >

La ragazza dai capelli candidi annuì mentre i due si avvicinavano all’elevatore posto sulla parete in pietra viva, nera come il carbone ma lucida come il vetro, che li avrebbe condotti al piano superiore e poi attraverso gli altri anelli della biblioteca, nuovamente nelle sale del castello.

< So già come fare. Ci sono una trentina di superstiti, secondo il nostro informatore si trovano al villaggio di Acque Grigie. Iniziamo ad interrogare loro e poi procederemo con un sopralluogo del villaggio distrutto, magari troveremo qualcosa di interessante. >

Aspettando che il proprio compagno di caccia entrasse all’interno della cabina di elevazione, con un gesto secco Angelise chiuse le grate della gabbia, serrandoli così all’interno e poggiando la propria mano su quella che era una runa intagliata nel metallo. Gli occhi azzurri della ragazza emisero un lieve bagliore, solo un minimo barlume di luce data l’esigua quantità di magia usata per attivare la struttura che traeva la propria energia altrove. Il marchingegno iniziò a muoversi, trainando verso l’alto la gabbia in metallo al quale interno si trovavano i due ragazzi.
Angelise sorrise nuovamente, i denti candidi che morsero il labbro inferiore, sentiva le punte delle dita fremere, un brivido percorrerla, l’adrenalina che montava sempre più forte.

< Qualcosa mi dice che sarà una caccia memorabile. >

 

 


-- Ancora una volta un capitolo in anticipo, sono riuscita a finirlo prima e mi sembrava un peccato non pubblicarlo! Ancora una volta il fine settimana sarà un bel casotto quindi per non lasciare la storia non aggiornata ho deciso di fare il drop anzitempo. Ci allontaniamo dal focus su Ilyria per inquadrare due personaggini ai quali tengo un sacco, potrei scrivere letteralmente una storia con loro come protagonisti ma ehi, magari in futuro arriverà uno spin off quando la saga di Ilyria sarà conclusa o3o anyway, ci vediamo al prossimo capitolo, bye! 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8- Lacrime di sangue. ***


Cap.8-Lacrime di sangue.

 

 

Il vento sferzava le dolci e basse colline che circondavano la strada battuta che attraversava le lande occidentali, una brezza carica degli odori della foresta e dei fiori appena sbocciati mentre un sole tiepido si affacciava oltre l’orizzonte rischiarando i prati ricoperti di brina dopo la notte, facendo scintillare quelle sottili lame d’erba di un colore verde brillante come migliaia di minuscoli gioielli incastonati nella terra.
Su quel panorama erano aperti gli occhi della giovane guerriera, Angelise teneva lo sguardo fisso sulla strada, le iridi del medesimo colore del cielo che si andava rischiarando che scrutavano ogni angolo mentre la placida calma del luogo era interrotta dallo scalpiccio dei cavalli, lei stessa in groppa al proprio destriero bianco procedeva con andatura lenta ma costante aprendo lo sparuto gruppo di Venatores che si erano messi in marcia verso le rovine dell’ormai compianto villaggio di Cohen.
Stringendosi meglio nel mantello nero fermato sulla spalla da una spilla in oro si voltò per qualche istante all’indietro, ad osservare la piccola carovana che stava guidando. Facendo scivolare gli occhi sui due soldati che la seguivano a ruota sui loro rispettivi destrieri passò in rassegna il carro poco distante che trasportava i vettovagliamenti necessari a quella battuta di caccia, un assonnato soldato dirigeva i due cavalli che trainavano la struttura in legno su ruote mentre non poté non sorridere nell’osservare Martius, con il cappuccio calato sul capo, intento come al solito a leggere.
Sorriso che tuttavia divenne rapidamente una smorfia quando quegli stessi occhi virarono su colei che stava di fronte a al proprio compagno, la popolana dai capelli corvini che avevano interrogato qualche giorno prima.
Sbuffò voltandosi nuovamente e concentrandosi sulla strada, non aveva la benché minima idea di perché il mago avesse insistito tanto per trovare una guida che li conducesse al villaggio distrutto e soprattutto perché, tra tutti i presenti, avesse così insistentemente chiesto di lei, quell’anonima popolana dagli occhi a mandorla. Che volesse una dama da compagnia per il viaggio? L’idea le attraversò la mente solo per pochi istanti prima che scuotesse la testa, scacciandola con forza, il ragazzo che conosceva era una delle persone più lontane da quel tipo atteggiamenti, senza tenere in considerazione la patologica mancanza di qualsivoglia tipo di sentimento affettivo che aveva avuto modo di constatare in prima persona, da parte dell’altro.

Sul carro invece, Ilyria se ne stava raccolta in quel mantello pesante che Sylvia le aveva donato prima che fosse costretta ad allontanarsi, il tessuto estremamente caldo seppur leggero la avvolgeva come una carezza, la delicata trama tinta di verde riportava dei ghirigori bianchi che ricordavano le foglie d’edera nel loro arrampicarsi sul tronco di un albero, l’ennesimo regalo da parte dell’erborista al quale non aveva saputo e potuto dire di no. La ragazza dal canto suo era rimasta di sasso quando, in serata dopo il proprio interrogatorio nella chiesa, Alair stesso era stato inviato per chiedere di lei, interrompendo la cena nell’umile dimora della donna che l’aveva presa a carico. Sorprendentemente neppure l’erborista si oppose a quella chiamata, nonostante le vigorose proteste di Emmet e Damien, nonché di Ilyria. Ma come disse, nessuna richiesta da parte di un nobile può essere ignorata per qualcuno appartenente al ceto del popolo.
E così quella sera stessa il piccolo gruppo si era messo in marcia al lume delle fiaccole, lasciandosi dietro le mura del villaggio di Acque Grigie per l’ignoto, o meglio, una spedizione verso un luogo di distruzione.
L’idea di tornare lì, dove tutto era iniziato fece rabbrividire la ragazza dagli iridi violette che si strinse meglio nel proprio mantello. Cogliendo di sfuggita l’occhiata che dalla testa della colonna in marcia le rifilò la Venatores esalò un sospiro, portando poi la propria attenzione sul ragazzo che aveva davanti. All’interno della chiesa non era riuscita a riconoscere i suoi tratti ma adesso che aveva modo di osservarlo più da vicino si era resa conto di quanto giovane fosse, praticamente un suo coetaneo.

< Devo essere davvero interessante, mi stai osservando da quando ti sei svegliata. >

La voce di lui ruppe il silenzio mentre quelle iridi scarlatte si alzarono, posandosi in quelle di Ilyria che rapida distolse lo sguardo, rivolgendosi nella direzione contraria al senso di marcia, osservando quel paesaggio che lentamente le scivolava sotto i propri occhi.

< Non capisco cosa vi aspettiate di trovare, non è rimasto nulla. Solo case distrutte e corpi bruciati dati in pasto ai corvi. >

Sibilò la ragazza a denti stretti, deglutendo con forza nel tentativo di sciogliere il nodo alla gola che la attanagliava. Si fece coraggio, voltandosi verso il mago ed assottigliando di poco il proprio sguardo, tentando di sostenere quello altrui.

< Ed io vi ho detto tutto quello che sapevo, non volevo rischiare nuovamente la vita qui fuori.>

Tagliò secco lei. Solo essere all’esterno, non avere delle mura a proteggerla la faceva sentire irrimediabilmente insicura. Le mani si strinsero tra loro, torturandosi a vicenda nel tentativo di reprimere l’ansia che le attanagliava le budella, le proprie dita, pallide e screpolate dal lavoro, in netto contrasto con quelle ossute ma ben curate del ragazzo che lentamente sfogliava il proprio grimorio. Una mezza risata, quasi di scherno sfuggì dalle labbra di questo che scuotendo la testa riportò l’attenzione sulle pagine che aveva davanti.

< Ti ricordo che sei in presenza di una Magna Venatores, solo lei sarebbe più che sufficiente per gestire una viverna, non sottovalutarla. >

Disse il ragazzo accennando a quella figura stoica e ben eretta dai capelli color neve che guidava la loro avanzata, per poi continuare.

< E ricordati che accompagni due nobili, porta sempre il dovuto rispetto ed anzi, prendilo come un onore, non sono molti i plebei che possono dire aver affiancato esponenti di tale rango in una ricerca di questo tipo. >

Le parole tuttavia suonarono decisamente atone, prive di un qualsivoglia senso di superiorità, parlava come se ripetesse un libro a memoria o pronunciasse parole sentite da altri e che stava semplicemente riportando. Con uno sbuffo ed un movimento secco della mano richiuse quel grimorio con uno schiocco, riportando la propria attenzione alla ragazza che nel frattempo aveva nuovamente distolto lo sguardo, pur continuando a parlare.

< Non volevo mancare di rispetto. È solo che… è da quando sono fuggita da Cohen che non smetto di avere incubi, continuano a perseguitarmi senza sosta, una notte dietro l’altra. >

Gli occhi violetti vennero nascosti dietro le palpebre mentre due dita andarono ad afferrare la base del naso, il volto contratto in una smorfia che sembrava il misto di stanchezza e frustrazione mentre Martius buttò la testa all’indietro, appoggiando la nuca contro il bordo in legno del carro traballante ed osservando il cielo che mano a mano si faceva più chiaro sopra di loro.

< È perfettamente normale dopo una situazione drammatica come quella avere degli strascichi per lungo tempo, soprattutto senza il dovuto allenamento. Ma non temere, noi siamo addestrati anche a questo. Piuttosto… Immagino tu non sia un’imperiale. Non di nascita almeno. >

Eccolo l’interrogatorio, Martius avrebbe sorriso se solo avesse potuto, aspettava un passo da parte dell’altra, uno spiraglio e quello era il momento perfetto per contrattaccare, battere il ferro finché è caldo come si suole dire, nel momento di maggiore malleabilità, o fragilità.
Lunghi istanti di silenzio seguirono tuttavia quella domanda, un senso di irrequietezza di aver allungato troppo il tiro iniziò a pervadere il mago finché la ragazza dagli occhi viola non fece cadere la prima barriera che li divideva, scuotendo il capo ed esalando un sospiro, quelle iridi che si spostarono lentamente per incontrare quelle di lui.

< Ho vissuto per gli ultimi dodici inverni con una donna, Elowen era il suo nome. La consideravo mia nonna, ma non era davvero tale, non di sangue almeno. L’ho persa quando il villaggio è stato distrutto. >

Annuendo blandamente a quella risposta il ragazzo incrociò le braccia al petto, assottigliando di poco lo sguardo.

< Mi dispiace riportare a galla ricordi tanto dolorosi. È solo che è particolarmente insolito vedere qualcuno che chiaramente appartiene al Continente a Sud qui, nelle Lande Orientali. >

Ovviamente il mago non provava il minimo rimorso, o meglio, quei sentimenti venivano sicuramente in secondo piano rispetto alla curiosità che aveva scatenato in lui quella ragazza. Curiosità che si era rapidamente trasformata in frustrazione dopo aver tentato di studiarla senza successo qualche giorno giorno prima, nella chiesa di Acque Grigie.
Martius era nato con un dono, un regalo della loro divinità dicevano, quegli occhi scarlatti si diceva fossero una benedizione del Drago Bicefalo stesso. Poteva sondare l’animo delle persone, percepire le loro vibrazioni, la loro energia, in poche parole da quando aveva memoria era stato in grado di sentire la naturale inclinazione magica degli esseri viventi, la loro connessione con il potere latente che scorreva nelle viscere della terra, quel flusso tumultuoso che affiora in superficie attraverso la vita stessa, dal più piccolo organismo fino al mago più potente, tutti erano legati da quel fluire incessante, una marea tumultuosa che montando dalle viscere di Opiria sosteneva tutti gli esseri viventi che la abitavano.
Ma con lei era diverso.
Quando provò ad osservarla quando la vide per la prima volta, sentì come un fastidio, un’interferenza, la medesima sensazione che ebbe quando da bambino tentò di osservare un’eclisse senza il monocolo che il proprio tutore gli aveva regalato. Ed ogni volta che usava il suo dono per osservarla, aveva quella sensazione che lo lasciava con un malessere profondo, una sensazione di sconforto e frustrazione. Così si era ritrovato a dover usare i vecchi metodi, per capire se l’altra avesse la minima idea di cosa fossero le arti arcane e se, in qualche modo a lui sconosciuto, le avesse usate per celare i propri poteri.
Ma le parole che poco prima aveva pronunciato lui stesso sembravano aver sortito qualche tipo di effetto, attirando la curiosità dell’altra che adesso pareva aver portato con più vigore la propria attenzione su di lui.

< Continente a Sud? Intendi quello della guerra di liberazione? >

Martius annuì lentamente, traendo dalla sacca che teneva a tracolla una borraccia in pelle, svitandone il tappo e portandola alle labbra, traendo un sorso di acqua.

< Esattamente, vedo che sei informata sulla faccenda. Le invasioni sono necessarie per portare stabilità in tutti i continenti del nostro tempo. Ophiria è un mondo pieno di insidie, noi portiamo pace e prosperità. >

Fece lui, porgendo poi quella borraccia alla propria interlocutrice, ennesimo gesto fatto per accaparrarsi altra confidenza nei propri confronti, un metodo basilare che viene insegnato in tutte le classi di convincimento ed interlocuzione con i plebei all’accademia dei Venatores, offrire qualcosa per avere fiducia in cambio.
Ilyria osservò per qualche istante l’oggetto prima di accettarlo, portando la borraccia a sua volta alle proprie labbra screpolate, buttando giù un copioso sorso per poi porgerla indietro, asciugando le gocce rimaste attorno alla bocca con la manica della propria tunica.

< La donna che mi ha accolta ad Acque Grigie ha perso il marito in quella campagna di dodici anni fa, una delle molte vedove da quello che ho potuto sentire. >

Rispose tuttavia secca la ragazza dai capelli corvini, sollevando un sopracciglio, sporgendosi leggermente in avanti, per poi sibilare nuovamente a denti stretti.

< A quanto pare l’Imperium adora sacrificare le vite dei propri abitanti in battaglia, giusto? >

Per qualche istante Martius si sentì nudo, inerme, quegli occhi viola che lo puntavano con una rabbia latente lo lasciarono senza parole, le labbra solo parzialmente dischiuse mentre una risposta a tono gli morì in bocca, per la prima volta nella sua vita quella lingua affilata non sapeva come replicare. Un senso di irrequietudine gli pervase le ossa, facendolo raggelare, come un topo messo all’angolo davanti ad un gatto tutte le fibre del proprio essere gli dicevano di scappare, la motivazione totalmente primordiale, arcaica e profondamente sconosciuta.
Ilyria rimase in quella posizione per qualche istante, aspettando una replica che non arrivò. Al suo posto un fischio acuto irruppe nell’aria, la piccola colonna in marcia si arrestò all’istante, facendo sobbalzare il carro e nitrire i cavalli che vennero trattenuti per le redini. Sul ciglio della collina, al crinale della salita che stavano percorrendo, si stagliava la figura di Angelise con un pugno alzato verso il cielo, segnale di arrestare l’incedere, per poi voltarsi verso il gruppo rimasto poco indietro.

< Siamo arrivati al villaggio di Cohen. >

Seppure il tono della principessa fosse melodioso come al solito la nota era decisamente grave, le iridi azzurre di Angelise contemplarono per lunghi secondi il tremendo spettacolo che si dispiegava davanti a lei.
Dove un tempo una stradina in terra battuta serpeggiava tra casupole di legno e deliziosi giardinetti curati ora rimanevano solo rovine, tronchi anneriti, bruciati fino al midollo e ridotti in cenere, la terra stessa diventata di un colore scuro come la pece dove nulla sembrava crescere, neppure un filo d’erba. Tutto attorno a quello che era stato il fulcro del disastro si irradiava un alone di distruzione, neppure le case più distanti dall’epicentro della deflagrazione sembravano essere state risparmiate. Il vento le investì il volto, portando con sé un odore di morte. Un respiro affannoso proveniente dalle spalle della ragazza dai capelli color neve la distraé da quel pietoso spettacolo. Martius che era sceso di fretta e furia dal carro era accorso al suo fianco, ad ammirare la devastazione. Gli occhi sgranati mentre osservava quelle lunghe strie nere serpeggiare e macchiare la terra come una goccia d’inchiostro dispersa in un bicchiere d’acqua.
Le iridi del mago si illuminarono di un bagliore rosso, provando ad usare il proprio dono per osservare la scena quel bagliore crebbe, ancora ed ancora, fino a farlo gemere ed urlare di dolore. Sentiva gli occhi bruciare come se vi avessero versato fuoco liquido, si coprì lo sguardo cadendo sulle ginocchia, raccogliendosi su sé stesso in agonia, mentre copiose lacrime scarlatte gli rigarono le guance andando ad imbrattare le mani che in un futile tentativo tentavano di tamponare il dolore.
Immediatamente Angelise smontò dalla propria cavalcatura accorrendo al fianco dell’altro, una mano a poggiarsi sulla sua spalla mentre l’altra si mosse sul volto di lui, sollevandolo leggermente e sporcandosi a sua volta con il sangue che l’altro stava letteralmente piangendo.

< Martius, cos’hai visto, che succede?! >

La principessa disse quelle parole a denti stretti, apprensione e paura nella voce a mozzare e storpiare le parole. Il ragazzo rimase accasciato al terreno, mentre le mani lentamente vennero rimosse dal proprio viso, scoprendo gli occhi arrossati e martoriati da quella visione, il viso contratto in una smorfia di dolore, il respiro rapido ed affannato mentre la vista appannata cercava di mettere a fuoco il volto della propria compagna di caccia.

< A-angelise, dobbiamo fuggire, tornare a Septima Magna, chiedere aiuto… >

La voce del mago era rotta dagli ansimi mentre tentava di riguadagnare lucidità, le mani che si alzarono ad afferrare con forza l’orlo del mantello dell’altra, tirandola più vicina a sé, insozzando quel pregiato tessuto con il vermiglio del proprio sangue, gli occhi ancora arrossati e lesi sbarrati in uno sguardo di terrore puro.

< Ti prego ascoltami, non possiamo gestire qualcosa del genere, va oltre le nostre capacità.>

Mentre i due discutevano, sul crinale di quella collina, Ilyria li osservava da lontano, lo sguardo leggermente assottigliato come per capire cosa stesse succedendo, il suono delle parole dei due non riuscì a raggiungere le orecchie della giovane ma quando vide il mago accasciarsi a terra all’improvviso capì che qualcosa non andava. Alzandosi in piedi sul carro come per scorgere meglio la scena fece appena in tempo a sentire un sibilo fendere l’aria dietro di sé, una freccia fulminea, sbucata dal nulla, le graffiò la guancia, portandosi via una mezza ciocca di capelli neri e conficcandosi con forza nel cranio dell’uomo seduto al posto del conducente sul carro proprio davanti a lei. Un colpo secco, netto. La vittima non fece probabilmente neppure in tempo a capire cosa lo avesse colpito, il dardo che aveva trapassato il cranio orizzontalmente, dall’occipitale al frontale, la punta in metallo scuro fuoriusciva dalla fronte di quest’ultimo gocciolando sangue scarlatto, mentre l’uomo, rigirando gli occhi all’indietro cadde inerme al terreno facendo imbizzarrire i cavalli che nitrirono rumorosamente.
Tutto avvenne nell’arco di pochi istanti, la ragazza dai capelli corvini non fu quasi in grado di voltarsi mentre una mano veniva portata alla guancia fortunatamente solo superficialmente lesa ma sanguinante, una figura umanoide in piedi su una roccia poco distante con gambe animali provviste di zoccoli che ricordavano quelle di un capro mentre un rudimentale pezzo di stoffa copriva le intimità della creatura che, pur essendo bestiale fino alla vita diventava umana sopra di questa, un corpo tonico, muscoloso, ricoperto di pitture nere ed una rudimentale armatura in cuoio faceva poi spazio ad un volto spigoloso, gli occhi di un giallo acceso. Se solo fosse stata più vicina Ilyria avrebbe potuto notare le iridi rettangolari, mentre un paio di corna ricurve crescevano ai lati di un capo ricoperto di capelli lunghi e neri. Una faretra sistemata a tracolla, un arco in una mano ed un lungo corno ricurvo nell’altra, la creatura portò quell’arcaico strumento alle labbra, suonandolo con vigore e riempiendo le orecchie dei presenti con quel richiamo di battaglia, un suono basso che riverberò a lungo nell’aria, una nota grave e lugubre.

Concentrata com’era sul mago sofferente intento a blaterare a proposito di qualcosa di troppo potente per loro Angelise non si rese conto dell’imboscata finché non sentì il suono del corno. Lo sguardo sbarrato di quest’ultima mentre le altre due guardie a cavallo si voltarono di scatto, tentando di sguainare le spade ma venendo crivellati a loro volta da una volata di frecce, i dardi che trapassarono le armature ed i cavalli con precisione quasi millimetrica, neutralizzando cavalcatura e cavaliere all’unisono. Mentre le povere bestie cadevano a terra tra nitriti di dolore si aggiunsero i gemiti degli uomini che esalarono i loro ultimi rantoli riversi su quella strada battuta sputando sangue.
Altre figure come la prima si palesarono, nascosti tra le rocce, gli arbusti e gli alberi che costeggiavano la strada che il gruppo aveva percorso, evidentemente dovevano averli seguiti da tempo. Angelise imprecò contro sé stessa, avrebbe dovuto portare più attenzione ad eventuali imboscate degli uomini bestia, avrebbe dovuto essere più accorta, adesso per colpa sua tre uomini erano morti, tre sottoposti avevano perso la loro vita. Si morse il labbro inferiore mentre con una mano cingeva la vita di Martius, alzandolo con facilità da terra e caricandolo senza troppe cerimonie su una spalla mentre l’altra mano andò a sfoderare la propria spada.
I mezzi-uomini pronti ad incoccare di nuovo i loro archi sembrarono arrestarsi per qualche istante alla vista dello spettacolo che si palesò davanti ai loro occhi e a quelli di Ilyria, l’unica ancora in vita del gruppetto rimasto indietro.
La figura della principessa sembrava una statua, il mantello mosso dal vento, l’armatura che luccicava nella luce di quelle prime ore del mattino, il volto contratto in una smorfia di dolore e rabbia mentre teneva Belosnezhka puntata verso il cielo, mostrando quel metallo che sembrava rifulgere di una pallida luce azzurra, le venature sulla lama ricalcavano le fratture di un pezzo di ghiaccio ed erano queste ad emanare tale bagliore. Il vento iniziò a soffiare più impetuoso, vorticando attorno alla figura della nobile il cui volto, distorto un una smorfia, lanciò un’ultima occhiata ad Ilyria, una barlume di supplica nello sguardo color ghiaccio che adesso risplendeva con la primordiale forza dell'energia arcana.

< Zamorozhennaya smert', obrush'sya na moikh vragov! >

Quelle parole riecheggiarono con la potenza di un tuono, l’aria sferzata da un vento gelido che vibrò con forza come se l’onda d’urto di un’esplosione l’avesse attraversata. L’energia di Angelise si mescolò a quella contenuta nella gemma incastonata nella propria arma, interrompendo per un brevissimo, minuscolo istante quel velo infrangibile che separava la tormenta che vi risiedeva all’interno dal mondo dei mortali, sprigionando un’onda di gelo che come una deflagrazione investì tutto ciò che la circondava. Quel fronte ghiacciato che si espandeva con terribile velocità in direzione non solo dei mezzi-uomini che tentarono inutilmente di trovare scampo ma contro Ilyria, evidentemente decretata come sacrificabile dalla Venatores. La ragazza dagli occhi violetti seppe essere sufficientemente veloce per voltarsi ed accovacciarsi su sé stessa prima che l’onda di ghiaccio la investisse, cercando istintivamente riparo al disotto del mantello che portava sulle spalle, avvolgendosi in quest’ultimo.

Quando le prime luci di quel sole nascente finalmente rischiararono la terra, si trovarono ad scintillare e rifrangere su quella scena cristallizzata nel tempo, i cadaveri della scorta dei due nobili, le bestie che cavalcavano e quelle che trainavano il carro, i mezzi-uomini intenti a fuggire in un ultimo, disperato tentativo, perfino una farfalla che aveva appena dispiegato le proprie ali in procinto a spiccare il proprio volo poggiata con grazia su di un fiore appena sbocciato, tutto era stato congelato, avvolto da quell’abbraccio glaciale che con impietosa misericordia aveva fermato il tempo al costo delle vite altrui, coperto con un soffice strato di neve fresca che con il suo candore si faceva beffe della morte in persona.
Un silenzio innaturale regnava sulla scena di quell’imboscata che si era rivoltata contro i suoi stessi artefici. Di Angelise e della sua montatura, nonché di Martius non vi era traccia, solo impronte di zoccoli al galoppo che si allontanavano in direzione opposta rispetto alle rovine del villaggio di Cohen mentre, contro ogni aspettativa, il rumore di ghiaccio che si spezza interruppe quella gelida placidità, come un bozzolo che si apre su un nuovo modo Ilyria emerse dallo strato di neve che l’aveva ricoperta, solo un sottile velo di ghiaccio aveva ricoperto il mantello nel quale, per istinto, si era avvolta. Il fiato corto, il cuore che batteva a mille, un freddo profondo che le pervadeva le ossa, ma viva.
Una piccola, ultima e flebile fiaccola di vita in quel paesaggio, una macchia di colore su quella tela bianca.

 


Ed è per festeggiare le prime cento visite sul prologo che, come capitolo bonus questa domenica esce il numero otto! Mi sono costretta a finirlo entro stasera, se c'è qualche errorino di grammatica lo modifico domani ma volevo comunque caricarlo u3u Finalmente un po' di azione, dramma, altri misteri e dio solo sa cos'altro, siamo ad un punto di svolta della trama, le presentazioni saranno sporadiche e gli spiegoni anche, ma non temete torneranno! per adesso grazie a tutti per il supporto e alla prossima, bye! <3

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Capitolo 10
*** Capitolo 9- Il ragazzo della foresta. ***


Cap.9- Il ragazzo della foresta.

 

Il primo respiro di quell’aria gelida le bruciò i polmoni, sembrava di aver inspirato migliaia di piccoli aghi che le trapassavano i polmoni senza pietà, si piegò in due Ilyria, tossendo rumorosamente mentre il respiro si faceva più superficiale quasi istintivamente, come se il proprio organismo tentasse da solo di limitare il dolore. Si alzò lentamente, gli stivali che si puntellarono contro quell’unica zona solo marginalmente lambita dal letale gelo che aveva cristallizzato tutto il resto. Il paesaggio le sembrava sempre più surreale di secondo in secondo, quel freddo innaturale aveva macchiato la terra irrimediabilmente, lasciando che tutto si congelasse così com’era in quei rocamboleschi istanti.
Rabbrividì non solo per la temperatura ma al solo pensiero di quello che la terribile magia della Venatores era stata in grado di scatenare, una potenza tanto letale quanto stupenda nella sua esecuzione. 

 

Stando attenta a non scivolare sulla neve e sentendo questa crepitare sotto le proprie suole scese dal carro incastonato in quel velo di ghiaccio. Lentamente si mosse verso la parte anteriore di questo, lo sguardo sconvolto della giovane che scivolò sui cavalli che trainavano il carro. L’espressione di terrore sul volto delle bestie non poteva neppure essere descrivibile a parole, l’indicibile paura che dovevano aver provato nel sentire il loro corpo congelarsi in pochi istanti, il manto che prima era di un delicato e caldo color ruggine adesso era più chiaro, tentando di allungare una mano Ilyria sfiorò quei crini che si sgretolarono come polvere al tatto, ritraendola di colpo e portandola al petto. 

Girando attorno alle bestie immobilizzate in quell’eterna posa la ragazza fece scivolare i propri occhi sulla sagoma ricoperta da uno strato di neve che ricordava un uomo. Accovacciandosi e smuovendo lo strato superficiale per poco non trasalì nel ritrovarsi il volto del soldato colpito alla testa davanti a sé. Portando una mano alla bocca tentò di non rimettere alla vista del cadavere, anche questo totalmente congelato, prima di spostarsi oltre, scendendo verso la cintura di quest’ultimo. Seppure la carne e la pelle si sgretolasse dopo un congelamento tanto rapido, lo stesso non si poteva dire dell’acciaio, il cinturone al quale era assicurata la spada del Venatores si spezzò di netto, liberando il fodero in metallo della spada che adesso Ilyria stringeva tra le mani. Facendo un po’ di forza riuscì ad estrarre anche quest’ultima, constatando come il freddo non avesse leso l’integrità della lama. Non aveva mai usato un’arma, non le era mai servito e non vi aveva mai neppure pensato. Certo tutti i bambini del villaggio fantasticavano sul voler diventare soldati, guerrieri od eroi e spesso si era ritrovata ad incrociare bastoni di legno che con il potere della fantasia erano diventate armi leggendarie insieme agli altri bambini del villaggio. Ma tenere tra le mani una lama vera era tutt’altra cosa. 

Deglutì poco convinta della propria scelta, ma conscia del fatto che non avrebbe avuto altro modo di proteggersi se non provare ad usarla. 

Un pensiero tuttavia le attraversò la mente quando, intenta ad osservare la scena, le iridi violette scivolarono su quelle statue di ghiaccio che altro non erano se non i corpi cristallizzati dei mezzi-uomini sul crinale della collina che fiancheggiava la strada e da dove questi avevano teso la loro imboscata.

 

< Come ho fatto a sopravvivere? >

 

Si ritrovò a sussurrare tra sé e sé. L’incantesimo scagliato da Angelise di certo non aveva risparmiato nulla e nessuno, un’ondata di energia arcana tanto pura e fragorosa che era impossibile avesse fatto distinzioni tra nemici ed amici. Portando lo sguardo verso il basso e facendo scorrere una mano in quel soffice tessuto del mantello che indossava lo sollevò, come per studiarlo meglio, stringendolo tra le proprie dita. Possibile che quell’oggetto non fosse un semplice mantello? E se così era, perché Sylvia possedeva un tale oggetto? E soprattutto perché lo aveva donato a lei e come ne era entrata in possesso?

Una tempesta di domande affollarono la mente di Ilyria mentre tentava di trovare una spiegazione senza tuttavia giungere a nulla. 

 

Risalendo il crinale da dove la principessa aveva sprigionato il proprio potere poté anche lei finalmente vedere la devastazione che aveva afflitto il villaggio che solo poche settimane prima aveva abitato. L’ennesimo nodo le attanagliò la gola mentre discendeva il crinale osservando quella terra macchiata di nero, come se la terra stessa si fosse putrefatta dopo essere stata lambita dal fuoco che aveva distrutto tutto il resto. Ogni passo sembrava essere più pesante del precedente, mentre si avvicinava alle rovine del villaggio ed irrimediabilmente al confine di quelle strie nere che come inchiostro macchiavano il terreno era sempre più titubante, sentiva ogni cellula del proprio corpo fremere mentre il cuore in petto batteva sempre più velocemente. Si accovacciò lentamente, osservando quella terra che ai propri occhi sembrava carbonizzata, allungando titubante una mano ne afferrò una manciata, osservandola sgretolarsi e scivolare come sabbia tra le dita, stranamente tiepida. 

Un brivido le percorse la spina dorsale mente voltandosi si sentì come osservata, gli occhi che tentarono di scrutare tra gli alberi di un boschetto poco distante, una delle tante propaggini del Grande Verde disabitato dai mezzi-uomini e che, al tempo, fungeva da fonte di legna per il villaggio stesso. 

Inoltrandosi tra le rovine il senso di disorientamento crebbe, tutti i punti di riferimento che ricordava non esistevano più, le case rese totalmente irriconoscibili dal fuoco che le aveva dilaniate, solo a tentoni riuscì a raggiungere quella che era stata la propria abitazione per anni. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime mentre osservava quella costruzione ridotta ad un cumulo di travi bruciate, gli occhi che si fecero lucidi prima che una manica strusciasse contro questi ultimi, ricacciando indietro l’amarezza per poi chinarsi ed oltrepassare una trave abbattuta per entrare in quel rettangolo di macerie che solo vagamente ricordava un’abitazione. 

Nulla era più distinguibile, i mobili in legno erano totalmente bruciati insieme alla cucina, senza contare la piccola camera da letto poco distante, l’unico arredo che aveva retto alla terribile distruzione era la base di un camino in pietra. Accovacciandosi davanti a quest’ultimo come aveva fatto centinaia di volte negli anni a venire le sembrò di sentire il fuoco scoppiettare ancora, il dolce calore che la riscaldava nelle fredde sere d’inverno mentre la vecchia Elowen le raccontava storie di eroi e cavalieri. 

Un mesto sorriso le affiorò sulle labbra prima di alzarsi e voltarsi, abbandonando quel luogo nel tentativo di lasciarsi alle spalle quanto più possibile il passato, un modo per proteggersi dalla sofferenza che il semplice ricordare le causava. 

Ma adesso qualcosa premeva più del resto, ossia trovare un modo per tornare ad Acque Grigie. Grazie all’incantesimo di Angelise non aveva modo di spostarsi se non a piedi, le vettovaglie e le provviste presenti sul carro erano state congelate a tal punto che il semplice sfiorarle consisteva nel mandarle in frantumi. Era senza cibo o acqua, in una terra ostile popolata da mezz’uomini e a diversi giorni di cammino dal primo insediamento sicuro. 

Usando un masso crollato dagli edifici circostanti per sedersi si mise a pensare, avrebbe dovuto aspettare i soccorsi? Probabilmente la Venatores la considerava morta insieme ai mostri e di certo una legione non era in marcia per venire a salvare una popolana, senza contare che…

Ilyria rabbrividì al pensiero, cosa avrebbe detto se l’avessero trovata viva? Che era sopravvissuta per pura fortuna? Nessun essere vivente sarebbe uscito indenne da un incantesimo del genere, non di certo una semplice ragazza come lei, l’unica spiegazione plausibile era che avesse usato la magia, ma appartenere alla classe della plebe ed usare le arti arcane corrispondeva ad una condanna a morte. Non era di certo un’esperta di leggi ma sapeva che quella era uno dei pilastri fondamentali della società dell’Imperium, il diritto di usare le arti magiche apparteneva ai nobili e nessun altro. Tutti coloro che ne nascevano in possesso ma non erano altrettanto fortunati da appartenere alla classe nobiliare, andavano incontro ad un destino infausto. Si diceva tuttavia che vi fosse una comunità di maghi nel Grande Verde, umani sfuggiti al controllo imperiale che avevano trovato rifugio in quelle lande popolate da orrori. Ovviamente erano solo voci che mai erano state confermate ed anzi sempre con forza smentite, non era possibile che dei semplici uomini potessero vivere nelle profondità di quella foresta popolata da bestie indicibili.

La ragazza scosse la testa nuovamente, doveva concentrarsi sull’immediato, trovare un modo per sopravvivere e alla svelta. Sollevò gli occhi violetti verso l’alto, il Sole non aveva ancora percorso neppure un quarto del proprio tragitto ad arco nel cielo, questo le dava almeno un vantaggio temporale. 

Osservò la borraccia che era riuscita a recuperare dal carro, quella dalla quale aveva bevuto quando Martius gliel’aveva prestata. Deglutì ripensando alle parole che aveva riservato al ragazzo, si era lasciata guidare troppo dalle emozioni e troppo poco dalla razionalità, nonostante l’apparente gentilezza dell’altro, seppure fosse in definitiva colpa sua se adesso si trovava lei stessa in quella situazione. Scuotendola leggermente si rese conto di come fosse quasi vuota, dandosi un primo obiettivo, riempirla

Mentre si muoveva tra le stradine distrutte del villaggio annerito gli stivali della ragazza affondavano leggermente nella terra che sembrava sabbia color onice, il suono ovattato dei propri passi unico segno di vita in quella landa devastata. Giunta alla struttura in pietra del vecchio pozzo a carrucola posto al centro dell’abitato quasi sorrise notando come la corda, miracolosamente, fosse rimasta intatta. Ilyria si risistemò il vestito ed il mantello, puntellando poi un piede contro il terreno e tirando con forza con entrambe le mani. La carrucola emise un suono atroce che quasi le fece venir voglia di smettere di tirare, il metallo strideva con forza ad ogni strattone ma quando infine il secchio giunse oltre l’orlo del pozzo non fù l’acqua cristallina che decine di volte aveva sollevato ad accoglierla. Afferrando il manico e poggiandolo sul terreno davanti a sé le sopracciglia si corrugarono nel notare come fosse ripieno di sabbia, la stessa sabbia nera che ricopriva il terreno del villaggio. Accovacciandosi allungò una mano per afferrarne una manciata, osservandola scorrere tra le proprie dita, tiepida come la precedente.

Ma un rumore la fece voltare di scatto, come un cerbiatto nella foresta spaventato dal suono di rami che si spezzano, quegli occhioni viola si aprirono al massimo per meglio scrutare il circondario, ogni muscolo era stato teso mentre il respiro era improvvisamente accelerato, sentiva il cuore nel proprio petto battere con una rapidità tale che credeva sarebbe scoppiato. Un brivido le percorse la schiena quando un secondo rumore attirò la propria attenzione, sempre proveniente dalla medesima direzione, le sembrò di vedere delle ombre muoversi rapide tra le casupole diroccate. 

Lentamente la ragazza dai capelli corvini tentò di mettersi nuovamente in piedi, arretrando mentre una mano tremante venne portata all’elsa di quella lama infoderata, deglutendo con forza nel tentativo di guadagnare controllo su sé stessa. 

Lo sguardo della giovane sgranò tuttavia quando, oltre l’angolo di un’abitazione distrutta vide scorgere una figura umanoide, la creatura del tutto simile a quelle che avevano teso l’imboscata al proprio convoglio qualche ora prima, l’unica differenza in questo caso era l’assenza di tatuaggi sulla parte superiore del corpo che sembrava più minuto, meno allenato seppure dai muscoli ugualmente definiti, le corna solamente abbozzate e non ritorte, il volto apparentemente più giovane mentre i capelli corti e corvini coprivano il capo in una zazzera disordinata. Il satiro imbracciava un arco, la freccia già tesa in direzione di Ilyria che seppure paralizzata dal terrore tentò di muovere un passo all’indietro, come a voler frapporre una distanza maggiore tra lei e il mezz’umano. 

 

< Ostanavlivat'sya! >

 

La voce della creatura era insospettabilmente più umana di quanto credesse, cosa che le fece raggelare ulteriormente il sangue. Mentre il satiro si muoveva zoppicando oltre l’angolo del rudere sempre tenendo quella freccia puntata in direzione della ragazza, questa potè vedere il motivo di tale affanno, il pelo della gamba destra sembrava intriso di sangue, che, dopo aver inzuppato il vello, gocciolava a terra. 

 

< Ostavaytes' na meste! >

 

Inutile dire che Ilyria non comprendeva neppure mezza parola di cosa stesse dicendo l’altro eppure, in qualche modo quelle parole le sembravano familiari, il suono di quella lingua aveva una qualche nota nostalgica non ben identificata. Il volto dell’uomo bestia o meglio, del ragazzo, era madido di sudore, lentamente la presa su quella freccia si allentò, lasciando che la corda dell’arco scaricasse la propria tensione mentre il satiro si accasciava in ginocchio, il volto riverso contro il terreno, privo di forze. 

Ilyria colse l’occasione per sfoderare la spada e stringerla tra le mani che non smettevano di tremare, serrando con forza i denti si costrinse ad avvicinarsi alla creatura inerme, tenendo la lama puntata in direzione di questo. Il respiro dell’altro era affannoso, il volto madido e pallido mentre gli occhi dalle iridi gialle e la pupilla rettangolare erano solo parzialmente dischiusi, come se fosse assente. 

La ragazza dagli occhi viola soppesò l’idea di eliminare quella minaccia prima che l’altro, in qualche modo, potesse riprendersi, l’acciaio scintillante puntato in direzione di quel volto che, da vicino, sembrava ancora più umano di quanto non avesse mai immaginato. Serrando la mandibola maledì sé stessa infoderando rapidamente l’arma, le mani che vennero portate alla propria veste, strappandone un lembo sufficientemente grande da poter essere avvolto attorno alla ferita del mezz’uomo. Non era eccessivamente profonda eppure sembrava aver perso una discreta quantità di sangue, per lo meno sufficiente a fargli perdere i sensi. Con un gesto secco e repentino legò ed assicurò quella garza improvvisata così da arrestare la perdita di sangue, per poi trasalire quando sentì stringere, seppur debolmente, il proprio braccio. Voltandosi di scatto vide la creatura osservarla per lunghi istanti senza proferire parola, gli occhi che sembravano emanare un misto di paura e rabbia allo stesso tempo mentre quella mano che l’aveva afferrata lentamente stava perdendo la propria presa, scivolando via insieme alla testa del satiro che tornò riverso contro il nero terreno. 

Ilyria poteva sentire il proprio cuore martellare con forza contro il proprio petto, il ritmo accelerato dopo quel fugace contatto. Nuovamente si chiese cosa stesse facendo, perché si fosse prodigata per aiutare quella che era poco più che una bestia ostile. 

Cosa certa era che non potevano rimanere così all’aperto, almeno lei doveva trovare un riparo ma lasciare il mezz’umano inerme ed indifeso non le sembrò la scelta più etica da fare. 

 

< Fanculo. > 

 

Imprecò la ragazza a denti stretti, si alzò dalla posizione accovacciata che aveva assunto per introdursi in una di quelle abitazioni diroccate. Dopo aver trovato un’asse di legno sufficientemente larga ed averla assicurata alla corda di quel pozzo oramai a secco con uno sforzo fece scivolare il corpo inerme del satiro sulla barella improvvisata, la creatura esalò un gemito di dolore per poi acquietarsi nuovamente non appena Ilyria smise di sospingerla, per poi afferrare la corda ed iniziare a trascinare il satiro ferito fuori dai confini del villaggio. 

 

Lì dove la terra tornava normale e sul limitare della foresta che faceva da confine a Sud rispetto alle rovine di Cohen la ragazza madida di sudore si lasciò cadere all’ombra di un grande albero, espandendo i polmoni al massimo per recuperare quanto più ossigeno possibile. La creatura ancora incosciente ma viva dato il petto che si alzava ed abbassava ritmicamente seppure in maniera debole. Non poteva fare altro se non aspettare, dopotutto non era di certo una guaritrice, anzi, le poche nozioni che era riuscita ad apprendere da Sylvia erano appena sufficienti per mettere insieme un unguento che potesse alleviare il dolore di una contusione, non di certo curare una ferita, senza contare che con sé non aveva nessun equipaggiamento utile. 

Gli occhi violetti della ragazza si posarono nuovamente sulla figura dell’uomo bestia, risalendo da quelle gambe caprine munite di zoccoli fino al volto di quest’ultimo, dove una leggera peluria accennata annunciava la crescita di una rada barba. Usando la corda la che aveva sfruttato per trainare quella barella improvvisata e tagliandola in due parti legò i polsi e le caviglie della creatura, tentando di stringere il più possibile affinché, nel caso si fosse svegliato, di certo non sarebbe riuscito a fuggire. 

Dopo quella breve operazione osservò il cielo, esalando un sospiro nel constatare come fosse già arrivata a mezza giornata e non avesse né acqua né cibo a propria disposizione, senza contare l’assenza totale di un riparo. 

Esplorando il circondario riuscì a raccogliere il necessario per un campo improvvisato, un cumulo di legna secca per accendere un fuoco da campo, qualche erba commestibile ed inaspettatamente perfino dei funghi.

Mentre il sole scorreva rapido nel suo tragitto ad arco lungo la volta azzurra fin quasi a gettarsi nuovamente oltre l’orizzonte opposto dal quale era sorto ecco che un sorriso apparve sulle labbra di Ilyria che, davanti a sé, era riuscita ad accendere un tenue fuocherello che aspettava solamente di essere alimentato. 

Ed alla luce di quelle fiammelle danzanti, che andavano a rischiarare il buio che l’astro oramai stanco si lasciava alle spalle, che la giovane sentì un gemito provenire dalla creatura che aveva assicurato al tronco di un albero qualche ora prima. Gli occhi viola della ragazza risaltavano alla luce di quelle fiamme che gettavano lunghe ombre, le iridi che scrutavano la penombra per scorgere i movimenti dell mezz’umano il quale, sollevando il capo, portò il proprio sguardo stanco su Ilyria. Le mani di lei si prodigarono rapide per afferrare la spada poggiata poco distante, stringendo frettolosamente l’elsa pur non estraendola mentre il respiro si faceva rapido, pronta a scattare. Sicuramente era più sicura quando sapeva la creatura tramortita, ora che si era svegliata non aveva idea del come comportarsi. Scosse la testa cercando di scacciare quei pensieri che la affollavano, maledicendo la propria stupidità per essersi cacciata in quella situazione. Era stato come incontrare un animale ferito ed inerme, aiutare era la prima ovvia risposta, ma poi? Ora che si trovava lì, alla luce di quel falò nel buio del bosco davanti ad una creatura selvatica, del tutto imprevedibile, non aveva idea di come avrebbe potuto reagire. 

Dal canto suo il satiro si dimenò per qualche istante, constatando come sia le zampe che le mani fossero legate, assicurato poi attorno al tronco di quell’albero non aveva molte opzioni a sua disposizione. Aggrottando le sopracciglia si chiese perché fosse ancora vivo, che l’umana fosse tanto stupida da sottovalutarlo? O che per qualche oscura ragione non avesse paura di lui? Di certo non appariva come una combattente, quel vestito strappato il cui lembo mancante era stato usato per fermare la sua emorragia e le mani tremanti che tenevano quella lama davano l’idea di una popolana in fuga, non di certo di un’avventuriera. 

Ma questi erano altri pensieri, con uno sbuffo ragazzo in parte bestia si lasciò andare, incapace di rimanere per troppo tempo con tutti i muscoli contratti, si sentiva ancora estremamente debole, sicuramente troppo per provare a liberarsi da quelle corde. 

Le iridi color miele dalle pupille rettangolari scivolarono prima sul falò, poi sulla ragazza ed infine sulla sacca in pelle che questa teneva alla cintura. La bocca arsa e la lingua impastata erano il fastidio preminente e, se l’altra non aveva ancora deciso di togliergli la vita, tanto valeva chiedere un ultimo sorso. 

 

< V-voda… > 

 

La voce del mezz’umano era debole, mentre con un cenno del capo provò ad indicare la borraccia che Ilyria teneva al fianco. Dal canto suo la ragazza trasalì, la mano che si strinse con più forza attorno all'elsa della spada mentre un brivido le correva lungo la schiena. Era come sentir parlare un cervo, od un cinghiale, un animale che Ilyria pensava potesse solo emettere versi adesso stava articolando parole in una lingua sconosciuta davanti a lei. Le ci volle qualche secondo per notare lo sguardo dell’altro che puntava alla propria, seppur poca, acqua. Deglutendo nervosamente mise da parte l’arma mentre sganciava la sacca in pelle, svitandone il tappo. 

 

< Acqua? > 

 

Disse lei, la voce vagamente tremula mentre sollevava di poco l’oggetto in direzione del satiro, il tono interrogativo, come se volesse chiedere conferma alla creatura. 

 

< Acqua. > 

 

La voce di questo era sorprendentemente umana seppur macchiata da un accento esotico, come uno straniero che tenta di ripetere una parola appena appresa storpiandola senza pietà. Allungando un braccio mentre l’altro teneva la bocca semi dischiusa Ilyria versò un rivolo d’acqua tra le labbra di questo, che avidamente bevve il liquido fresco e cristallino, una goccia che scintillando alla luce del fuoco cadde sul petto glabro del satiro, rotolando verso il basso e lasciando una scia bagnata sulla pelle del mezz’uomo, prima che la ragazza ritirasse la mano, sedendosi sul terreno davanti a lui, portando lei la borraccia alle labbra e trangugiando le ultime gocce che prosciugarono quel contenitore. Con un sospiro portò una mano al petto, indicando sé stessa, prima di parlare. 

 

< Io sono Ilyria, qual'é il tuo nome? > 

 

Lunghi istanti di silenzio seguirono le parole di lei, lasciando che fosse solamente il vento a frusciare tra le chiome degli alberi e la legna a scoppiettare tra le fiamme del falò di fortuna, melodie accompagnate in modo incostante dalle serenate dei grilli.
Il mezz’uomo sembrò sbuffare, per poi sollevare le proprie iridi gialle e puntarle in quelle violette dell’altra, di parlare. 

 

< Lesnoy. >

 


-- Bentornati in questa fiera della follia! Vi sono mancata eh? Lo so, il capitolo è arrivato in ritardo questa settimana, ma sono stata super impegnata, ero indietro con roba da fare ed indietro con il capitolo, mi sono costretta a finirlo oggi, quell'anticipo di settimana scorsa mi ha sconvolto la tabella di marcia ma volevo farlo(?) anyway come al solito conmmenti, consigli et similia sono super ben accetti, fatemi sapere cosa ne pensate, si apre un nuovo capitolo per Ily o finirà malissimo? Solo il tempo potrà dircelo, alla prossima, bye! <3 <3

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Capitolo 11
*** Capitolo 10- Cavaliere di Grande Verde. ***


Cap.10- Cavaliere di Grande verde

 

 

Fulmini e saette all’orizzonte squarciavano con il loro innaturale colore rosso scarlatto un cielo livido e nero, nubi di tempesta soffiavano sulle lande del continente a Sud, spingendosi sempre più oltre il confine della foresta che circondava la Grande Montagna, il suono dei tuoni che fendeva l’aria recava con se un’antica maledizione, un ruggito di vendetta che prepotentemente rimbombava nell’antro della bestia che, con iridi altrettanto scarlatte, osservava quel tumulto in rapido avvicinamento. L’enorme testa della creatura posta come un monolite sul mastodontico collo serpentino, incorniciata da scaglie dorate che ai bagliori di quella tempesta arcana assumevano sinistre sfumature color sangue, si sporse in avanti, portandosi fuori da quella cornice in pietra color ebano ed antichi glifi, le fauci immense spalancate a mostrare le zanne candide, lunghe come due uomini adulti ed affilate come schegge di ossidiana mentre una lunga lingua biforcuta schioccava con forza saggiando l’aria. Un rombo sordo e basso precedette quella che era una dichiarazione di guerra, un ruggito tanto potente da scuotere la terra stessa, da far tremare quelle colonne di pietra, schiantare gli alberi circostanti come fossero fili d’erba che si piegano alla forza dirompente di un uragano, un suono talmente potente che Ophiria stessa riverberò, come se tutto il mondo stesse tremando, un brivido di terrore talmente primordiale che perfino le montagne più antiche avevano dimenticato. 

Il richiamo all’ultima, grande battuta di caccia che il mondo avesse mai visto, un invito per un ultima furiosa battaglia rimandata da troppi millenni, una provocazione per l’ultimo dei propri nemici.

Le narici della bestia sbuffarono fumo nero mentre le fauci ancora semi dischiuse esalavano una nube rossastra che rapida si disperse nell’aria, un sospiro quasi avrebbe potuto dire un osservatore esterno, se una creatura di tali proporzioni era capace di sospirare. 

Gli occhi scarlatti del grande drago si voltarono ad osservare la piccola umana che era rimasta all’ombra delle colonne del tempio, nascosta dietro una di queste. 

L’immensa testa della creatura discese in sua direzione, osservando quelle piccole iridi violette che lo osservavano non con paura, non con rispetto, ma semplice e pura preoccupazione. Una mano venne mossa in sua direzione, la pelle soffice e candida della bambina in netto contrasto con le scaglie ruvide. 

Sapeva perfettamente perché aveva fatto tutto quello che aveva compiuto. Forse anche lui alla fine si era piegato alla mera avarizia umana, ad un senso di egoismo che lo aveva portato a tenere con sé quella bambina legata fin dal principio ad un destino infausto, tutto per un paio di occhi.  

Ma una tale creatura nata senza un cuore non poteva essere frutto del caso, che Ashun gli avesse mandato un segno, un ultimo barlume di speranza, un’ultima scintilla da far risplendere nelle tenebre che tutto divorano, il lascito di un dio morente al suo figlio primogenito. 

Per anni aveva cercato una risposta contemplando l’analemma solare, per sei anni aveva ricercato un senso a tutto quello che era successo ma nulla, neppure un indizio era stato rivelato. Forse la sua parte nel grande disegno era giunta al proprio compimento e non gli era dato sapere. Ma lei… lei doveva trovare una risposta. 

Il tempo non era dalla loro parte, Lui si era mosso prima del previsto senza lasciargli il tempo di addestrala od istruirla a dovere, senza lasciargli il tempo di conoscerla e neppure il tempo di ricordare. 

Il Sole Invincibile si era piegato al rammarico di un passato creduto oramai sepolto, una storia di dolore e rabbia che affondava le sue radici nella creazione del mondo stesso. 

Riportando la testa verso l’alto e stagliandosi contro il cielo plumbeo.

Raizandum ruggì ancora.

Un grido non di guerra ma di dolore, di rabbia, di tristezza, una maledizione talmente potente affinché, nella sua prigione millenaria, suo fratello potesse udirlo. 

Il Re avrebbe avuto giustizia, avrebbe posto fine alla scelleratezza di quella guerra millenaria, avrebbe portato a termine quello che non era stato in grado di concludere eoni prima. 

A lei l’aveva promesso. Il sole sarebbe sorto di nuovo, più splendente che mai, per squarciare la tempesta.

 

 

Svegliandosi di soprassalto Ilyria si ritrovò a boccheggiare per un soffio di aria, sentiva il polmoni bruciare, il petto scoppiare, il sudore colare dalle tempie ed appiccicare i capelli corvini sulla fronte madida. Erano passate svariate notti dall’ultimo incubo ma, dopo quel breve periodo di tregua, eccoli che erano tornati, ancora più vividi di prima. 

Davanti a lei le braci morenti del falò che aveva acceso qualche ora prima, ora ridotto solamente a pochi tizzoni ardenti risplendenti di tiepidi bagliori rossi che sembravano pulsare in maniera ritmica e costante. Un fastidio su tutti fu quello che l’aveva destata, infilando una mano nel colletto del vestito ne trasse il ciondolo che Sylvia le aveva regalato settimane prima, il metallo con il quale quella foglia era stata modellata scottava, emettendo un tenue bagliore che le rischiarava i tratti dolci del volto e quegli occhi dal taglio allungato che, nel buio della notte, sembravano risplendere di luce propria. Ancora scossa rimise il ciondolo al proprio posto, voltandosi lentamente verso l’albero poco distante, posando lo sguardo sulla figura del satiro che… non era più lì. 

Al suo posto le corde che aveva usato per tenerlo legato recise di netto e lasciate sul terreno. Presa dal panico si apprestò ad avvicinarsi, prendendo in mano incredula quei monconi di canapa, una scheggia, forse di corno, lasciata a terra. Probabilmente il mezz’umano aveva usato le proprie per recidere quelle funi e darsi alla fuga. 

“Merda.”

Imprecò a denti stretti la ragazza. Il secondo pensiero fu per la spada, si voltò nuovamente, accorrendo al proprio giaciglio improvvisato, anche questa era sparita, svanita nel nulla proprio come il ragazzo della foresta che si era identificato come Lesnoy. Solo la borraccia era rimasta dov’era. 

Scivolando sulle proprie ginocchia e stringendo quella fiasca in pelle al petto la giovane si lasciò abbandonare all’amarezza. Era sola, nel buio di una foresta sconosciuta rischiarata solo dai raggi di una luna piena che sembrava farsi beffe delle proprie sofferenze, insensibile alle sciagure degli uomini. Non aveva neppure la parvenza di protezione che recuperare quell’arma le aveva dato. 

Ma il fato non sembrava darle tregua, come una fiamma che attira le falene che cieche brancolano nella notte lei sembrava essere il fulcro di una spirale di eventi infausti senza fine. 

Lo scricchiolare di rami la colse nuovamente impreparata mentre il suono ovattato di qualcosa o qualcuno che si muoveva nella propria direzione la fece scattare in piedi, stringendo quell’unico avere tra le mani prese a correre, in preda al panico correva attraverso gli alti alberi che sembravano scorrere tutti uguali, gli stivali che rumorosamente calpestavano il terreno risuonando con forza nel silenzio interrotto solamente dal richiamo di uccelli notturni che interrompevano i loro vocalizzi al passaggio concitato della ragazza.

Il fiato corto mentre il petto si alzava e si abbassava rapidamente, una miriade di pensieri che si avvicendavano mentre durante la corsa rocambolesca i rami ed arbusti le ferivano il volto, le braccia e le gambe, lasciando subdoli taglietti che si tingevano di rosso scarlatto .

Come aveva fatto a finire in quella situazione, perché dopo tutto quello che era successo adesso si ritrovava nuovamente a rischiare la vita, quanto era stata stupida a pensare di poter sopravvivere lì, in quella natura selvaggia e popolata di orrori ai quali a malapena i cacciatori più addestrati riuscivano a scampare.

Lacrime iniziarono a solcarle il volto, lasciando lunghe scie umide prima di essere soffiate via dal vento che le soffiava contro. 

In quel tumulto di emozioni un piede venne messo in fallo, impigliandosi in una radice che emergeva dal terreno umido e soffice, l’equilibrio oramai perso mentre rovinosamente la ragazza capitombolava, rotolando giù per una ripida scarpata. 

Un gemito sfuggì dalle labbra di Ilyria quando provò a riprendersi dopo che quella rovinosa caduta si fu arrestata, quando il rumore di membra che sbattono contro il terreno e di ramoscelli spezzati si fu acquietato. Solo il verso di un gufo solitario sembrava farsi scherno della sofferenza della giovane che, sentendo ogni singola parte del corpo dolerle, tentava di rimettersi in piedi. La veste sgualcita e strappata, il prezioso mantello che le aveva salvato la vita donatole da Sylvia squarciato in più punti, il volto graffiato e sporco di fango così come le mani, la cui pelle candida era stata rovinata dal vano tentativo di arrestare la propria caduta. 

Scivolata oramai nello sconforto sollevò lo sguardo violetto verso quella volta di fronde che solo parzialmente lasciava filtrare la luce candida di una luna lontana, un singolo raggio pallido che rischiarava il viso della giovane. Una nuvola tuttavia oscurò quel flebile bagliore, interrompendo anche quel timido barlume di speranza, sostituito da un rombo possente, come di zoccoli che cavalcano attraverso la foresta sradicando qualsiasi cosa fosse sul loro passaggio, schiantando radici, falciando cespugli con forza indicibile. Poteva sentire la terra stessa riverberare e tremare sotto di sé al ritmo di quella corsa scellerata di qualcosa che si stava avvicinando sempre di più. Al culmine di quella tempestosa cacofonia venne il silenzio, solo un sommesso suono di zoccoli che avanzano a sostituire quella che prima sembrava una mandria impazzita. Dal buio della foresta d’innanzi ad Ilyria emersero un paio di iridi gialle, rifulgenti come gemme d’ambra incastonate in un volto equino le cui narici si aprivano e si chiudevano con forza, esalando nuvole di fumo nero, maestose e lunghe corna ritorte adornavano il capo della bestia che con le sue sei zampe calcava il terreno, smuovendolo ad ogni passo, lasciando profonde impronte nel soffice sottobosco. Ma nonostante il volto di quella bestia potesse somigliare solo vagamente a quello di un cavallo per la forma, le zanne bianche ed acuminate che scintillavano nel buio della notte raccontavano un altro tipo di storia, il manto lungo e lanuginoso che ne ricopriva il collo possente e muscoloso così come il corpo sinuoso e la lunga coda sembravano totalmente fuori posto, sei zampe calcavano il terreno mentre l’animale si avvicinava in tutta la sua terribile maestosità. 

A carponi Ilyria trattenne il fiato, la vista parzialmente oscurata da quelle ciocche nere che le ricadevano davanti al volto e che con fare frettoloso riportò dietro le orecchie prima che il proprio cuore avesse un sussulto. Non per la bestia in sé, ma per chi, o cosa, la stava cavalcando. 

La figura del cavaliere era decisamente più massiccia di quella di un comune umano, tanto da sembrare quasi proporzionata in groppa alla bestia da incubo che governava senza bisogno di redini. Un volto che pareva allungato, dalle fattezze quasi rettiloidi, simile a quello di un coccodrillo, la cui parte superiore era coperta da una maschera in metallo intarsiato, incorniciando un paio di occhi del profondo verde, risplendenti come smeraldi. Un’armatura, altrettanto finemente lavorata ricopriva il corpo della creatura, dagli spallacci alla corazza del petto, dagli schinieri ai bracciali, sembrava un completo estremamente pregiato nonché antico che esaltava la muscolatura prorompente della creatura

Ma quello che attirò l’attenzione della ragazza più di tutto fu la punta scintillante della lunga alabarda impugnata nella mano destra. La spessa ed affilata lama sembrava vibrare, trepidante di essere usata mentre rifletteva quei raggi di luna che si infiltravano tra gli alti rami che formavano una volta sorretta dai massicci pilastri in legno che altro non erano se non alberi. 

Per lunghi istanti seguì un profondo silenzio, interrotto solo dal respiro pesante della cavalcatura mentre, il suo cavaliere, sembrava tutt'al più una statua di marmo se non fosse che Ilyria poteva percepire quello sguardo che la scrutava, le iridi che la studiavano, se con attenzione o con disprezzo non avrebbe saputo dirlo. 

L’enigmatica creatura fletté un braccio verso l’alto, sollevando in aria la punta di quell’arma dalle dimensioni assurde. Gli occhi violetti della ragazza fissi sull’arma scintillarono pochi istanti prima che questa calasse con  forza e velocità oltre l’umana comprensione, non seppe neppure lei come riuscì a schivare quel fendente che, nonostante la distanza che li separava, sapeva in qualche modo sarebbe stato letale. Rotolò sul suolo ricoperto di foglie e muschio, la spinta che si era data sufficiente a coprire qualche metro mentre, voltandosi, capì perché il proprio istinto le aveva detto di schivare. Nonostante la lama avesse tagliato l’aria, un lungo e profondo solco sembrava squarciare la terra della scarpata sulla quale era rovinata, il terreno stesso spaccato da una forza brutale, il legno dei tronchi degli sfortunati alberi che si erano trovati lungo la traiettoria del colpo tagliato di netto con precisione chirurgica mentre i monconi scivolavano schiantandosi al suolo con suoni secchi. 

Il respiro della ragazza accelerò, mentre riportava lo sguardo sulla creatura che aveva preso nuovamente a muoversi, con i movimenti fluidi seppure oziosi di chi ha appena fallito nello schiacciare una mosca, sollevò nuovamente la propria arma. Stavolta Ilyria chiuse gli occhi, rannicchiandosi su sé stessa ed afferrando con entrambe le mani il monile che Sylvia le aveva donato, portandolo alle labbra. Non era di certo quello il modo in cui avrebbe voluto lasciare quella terra, non era questo il modo in cui si aspettava di morire. Adesso che era scampata alla distruzione, che aveva trovato un nuovo posto dove poteva essere felice, tutto questo stava per finire. I volti di Damien, di Emmet e di Sylvia le affollarono la mente mentre desiderava di trovarsi altrove, desiderava che qualcuno la salvasse, che la portasse il più lontano possibile da lì. 

Ma la scure del proprio boia non calò mai su di lei, un lungo e profondo richiamo riempì la foresta, un corno estremamente vicino. Sollevandosi dalla propria posizione la ragazza dagli occhi violetti portò proprio quelle iridi in direzione del suono stesso, osservando la figura di un satiro stagliarsi sul ciglio della scarpata dalla quale era scivolata. Aguzzando lo sguardo cercò di identificarne i tratti ed ebbe quasi un sussulto quando riconobbe la figura di Lesnoy che, quasi a scimmiottare uno dei principi delle leggende che accorrevano a salvare le principesse, sembrava aver interrotto, almeno momentaneamente, la propria esecuzione. Sentì le iridi gialle del ragazzo bestia posarsi per qualche istante su di lei, forse un’espressione di compassione sul suo volto. 

Il mezzo umano tuonò parole in una lingua incomprensibile, la voce esattamente come la ricordava dal breve scambio che avevano avuto poche ore prima, inspiegabilmente melodiosa ed armoniosa. 

< Rytsar, chiedo umilmente il tuo perdono, non è lei la tua preda. La principessa è già scappata, ti prego di risparmiarla.

Ilyria non riusciva a capire cosa dicesse, quella lingua per quanto familiare continuava ad esserle totalmente sconosciuta, ma quelle parole furono abbastanza perché l’impietoso cavaliere abbassasse lentamente la propria alabarda, portando la lama fin quasi a sfiorare il terreno.

< Giovane cacciatore, pensavo foste tutti periti, mi rincuora vederti ancora in vita. Ho cavalcato come il vento, ma non è stato abbastanza per arrivare in tempo, Lei aveva nascosto con abilità la propria presenza.

La voce del cavaliere era profonda, potente, sembrava che l’aria stessa vibrasse al suono delle sue sillabe. E se quelle iridi verdi erano portate sul satiro per qualche istante si portarono sulla ragazza inginocchiata, per poi tornare al proprio interlocutore. 

< Ma questa è un'umana, perché vuoi salvarle la vita? >

Un lungo silenzio seguì le parole del rettile mentre Lesnoy sembrava perso nei propri pensieri, lasciandosi scivolare lungo la scarpata e smorzando la discesa con i propri zoccoli arrivò sul fondo di quest’ultima, qualche metro alle spalle di Ilyria, portandosi una mano al petto. 

< Una vita per una vita, lei ha salvato la mia. E poi… Rytsar, ho sentito qualcosa in lei. Forse sa usare la magia. Potrebbe essere una di Loro. >

Durante la discussione la giovane era rimasta immobile, se non per qualche sguardo fugace a destra ed a sinistra, aveva valutato l’opzione di fuggire, ma era stanca, ferita e di certo non sarebbe mai stata più veloce di qualsiasi cosa fosse quella cavalcatura a sei zampe. Senza contare che non aveva idea di dove fuggire, non era neppure sicura che sarebbe riuscita a ritrovare la strada per uscire dal bosco, figuriamoci avventurarsi nelle lande senza equipaggiamento od una mappa. L’idea più saggia, almeno al momento, era quella di rimanere immobile, in un modo o nell’altro se la sua vita era stata segnata, provare a fuggire non avrebbe portato a nulla. 

Gli occhi verdi del cavaliere si spostarono lentamente sulla figura di lei, valutandola per lunghi istanti, prima di scuotere il capo. 

< Non percepisco nulla ma… mi fido dell’istinto di voi satiri. Se hai fiducia in lei, io l’avrò in te. >

Un sospiro lasciò le labbra di Lesnoy che, portandosi una mano alla fronte, sembrò essersi tolto un macigno dal cuore. Quella mano passò attraverso le ciocche corvine prima di accennare un sorriso, ma il cavaliere aggiunse. 

< Conducila a Serdtse Lesa, al cospetto di Tot kto Znayet. Ma se per qualche motivo non la reputerà degna, sarai tu a calare la lama su di lei. Sono stato chiaro? >

Un semplice cenno di assenso arrivò da parte del satiro, seguito da un emulazione di quel movimento da parte del cavaliere dalla testa di rettile. Con un semplice schiocco la bestia dalle sei zampe si impennò, girandosi su sé stessa e ritornando sui suoi passi, riempiendo la foresta del suono di quegli zoccoli che tornavano a calcare con forza il terreno mentre il misterioso cavaliere spariva nel buio della boscaglia.

Davanti ad Ilyria assorta nell’osservare quella figura sparire, si parò davanti la figura del satiro che, inaspettatamente, le tese una mano. La corrispettiva, ancora tremante della ragazza afferrò quella dell’altro, aiutandosi a tirarsi su mentre ancora scossa tentò di passare la mani sul proprio vestito sgualcito, liberandolo dagli arbusti che vi erano rimasti impigliati. Con un sospiro e mordendosi il labbro inferiore ricacciò le lacrime, ora che il pericolo era passato e l’adrenalina era scesa, sarebbe voluta scoppiare a piangere ma non poteva permetterselo. Semplicemente sollevò il proprio sguardo verso Lesnoy deglutendo con forza. 

< N-non so cosa tu abbia fatto… ma ti ringrazio. >

Una mano passò sotto l’occhio destro portando via una lacrima che, nonostante tutto, stava rotolando sulla guancia, tirando poi su con il naso. 

< Probabilmente neanche mi capisci ma grazie ancora. > 

La voce era tremante, visibilmente scossa per aver letteralmente visto la morte passarle davanti, ma un gesto inaspettato la fece trasalire. Sentì una mano poggiarsi sulla propria spalla, un contatto umano inaspettato che portò i propri occhi ad incontrarsi con quelli del satiro,  il viola riflesso nel dorato dell’altro. Un semplice cenno del capo da parte del ragazzo, non parlava sicuramente la sua lingua ma questo non gli avrebbe impedito di comunicare. Il mezz’uomo interruppe quel contatto, facendo cenno ad Ilyria di seguirlo, mentre il suono dei suoi passi interrompeva il ritrovato silenzio della foresta. 

Senza parlare anche la ragazza si incamminò, passi leggeri a seguire quelli dell’altro, un improbabile duo con una meta ancora sconosciuta.

 

 


-- Con un pochino di ritardo ma eccomi, il nuovissimo capitolo di questa fiera della sciagura! Finalmente entriamo un po' nel vivo della storia, ho intenzione di dare un po' di spiegazioni nel prossimo capitolo per poi spostare il focus sugli altri personaggi, chissà cosa stanno combinando la nostra principessa ed il suo amichetto, o come vanno le cose al villaggio di Acque Grigie, o magari introdurremo un nuovo pov? Io non spoilero niente, spero sempre che la storia vi stia piacendo e non annoiando ed inoltre vi lascio qui sotto una refery per il misterioso cavaliere, un'immagine alla quale mi sono ispirata più che altro per la cavalcatura. Alla prossima, bye! <3

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