La musica serve per colmare i silenzi dentro di noi

di musa07
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La musica serve per colmare i silenzi dentro di noi ***
Capitolo 2: *** Dove le Parole finiscono, inizia la Musica ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo ***



Capitolo 1
*** La musica serve per colmare i silenzi dentro di noi ***


Prompt: “The air in full of sound” di Marta B.
               “Ancora tu?” di Darlene

 
Questa storia è il continuo di questa
scritta per la challenge #comeasyouarenot2023

e sarà di diversi capitoli.
 
 
 



Capitolo 1
 
 

 
Hinata correva per i corridoi del Conservatorio illuminati dalla luce rosea del sole al tramonto, quasi avesse avuto le ali ai piedi. E nel momento in cui arrivò nell’aula, spalancando la porta incurante del fatto che dentro vi si stesse svolgendo una lezione o delle prove, beh: no, non si aspettava di farla franca. Non si aspettava di certo che Ukai-sensei sarebbe stato indulgente come lo era stato poco prima Takeda-sensei quando quest’ultimo era stato travolto da quel tornado, finendo gambe all’aria con spartiti e tutto.
Se quindi Shoyo non si aspettava da Ukai-sensei una sonora risata com’era esploso il suo collega, mai si sarebbe aspettato che la sfuriata invece sarebbe arrivata da Tobio, nel momento in cui aveva fatto irruzione nell’aula urlando un sonoro, quanto eccitato: KA.GE.YA.MA!
 
Dopo il loro incontro di qualche sera prima, conclusosi in quel locale vicino al Conservatorio proposto proprio da Shoyo (dove Shoyo aveva parlato e Tobio si era praticamente limitato ad ascoltare quel monologo fervido e infinito), Tobio non aveva capito perché quell’altro da quel momento si era sentito in dovere, e in diritto, di tampinarlo ovunque. Lo aspettava all’entrata del Conservatorio alla mattina, fuori dalle sue lezioni (a proposito: come faceva a trovarsi sempre già lì? Si teletrasportava alla fine delle sue?) e, ovviamente, se lo ritrovava tra i piedi anche al momento del rientro. Per non parlare della pausa-pranzo o durante le prove dell’Orchestra.
 
- Boke ma ti rendi conto?! – gli stava chiedendo sconcertato, dopo averlo trascinato a forza fuori dalla sala dove lui e altri archi si stavano esercitando in un quartetto per una serata di Beneficienza prevista tra qualche giorni – Hai interrotto l’esecuzione! –
- Lo so, perdonami Kageyama - si scusò mortificato, capo chino fissandosi la punta delle scarpe e stringendo a sé la custodia della sua tromba quasi a trarne conforto. – ma… - ci provò, illuminandosi, ricordando il motivo che l’aveva condotto là, ma l’altro fu irremovibile.
- Niente “ma”, non voglio sentir ragioni. –
- Ma… - ci riprovò Shoyo, alzando l’indice a voler richiamare l’attenzione dell’altro ma l’occhiata fulminatrice che Tobio gli lanciò, con annesso incrocio di braccia al petto, lo fece desistere per un istante.
- E’ una cosa che ti potrebbe interessare. – provò a tentarlo poi, ma il lieve inarcamento di sopracciglio del violinista gli fece capire che non era riuscito a destare la sua curiosità.
- Me ne potrai parlare quando avrò finito. – fu la replica irremovibile di Tobio e Hinata, seppur frustrato, non poté far altro che accettare quel verdetto, mettendosi a sedere tranquillo, imbracciando ancora una volta la custodia della sua tromba, sprofondando nella sedia e attendendo fuori dalla sala prove. Con un grosso sospiro tirò fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni il volantino che tanto voleva far leggere a Tobio, mentre si godeva come l’aria dei corridoi del Conservatorio – al solito – fosse piena di suoni. Un tripudio di strumenti e armonie. E, al solito, un sorriso felice gli apparve sulle labbra lasciandosi trascinare da quel caleidoscopio carezzevole.
 
Dopo essersi assicurato che la pece fosse ben distribuita sull’archetto, Tooru accarezzò con delicatezza i piroli assicurandosi che le corde fossero tese al punto giusto, pizzicandole appena. Soddisfatto del risultato, posò le dita con delicatezza. Le sue mani sembravano nate e fatte apposta per uno strumento come il violino. Lunghe. Affusolate. Leggiadre, ma allo stesso tempo forti e decise. Così com’era leggera ma decisa la pressione che il polso destro fece sull’archetto nel momento in cui attaccò la prima nota, scaturendo un suono pulito che si propagò nell’aria.
- Riconoscerei la tua maniera di accordare ovunque. –
E Tooru avrebbe riconosciuto quella voce, quel tono scanzonato ovunque.
Si girò verso la porta che aveva lasciato socchiusa ben sapendo chi vi avrebbe trovato. E fu così infatti…
Kuroo, appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate al petto, lo fissava divertito.
- Hai già finito per oggi? – si divertì a punzecchiarlo bonariamente il violinista, mentre appoggiava il suo prezioso strumento sulla custodia e si avvicinava alla porta. Sapeva perfettamente quale sarebbe stata la risposta, e già dovette frenare una risata. Risata che non gli riuscì proprio di soffocare quando vide l’altro prorompere nel suo solito sorrisetto storto.
- Neko-chan non puoi continuare a saltare le lezioni, o ancora peggio: a non esercitarti. Non all’ultimo anno almeno. – gli ricordò Tooru divertito, procurandogli un altro ghignetto divertito.
- Io mi esercito quanto basta. – fu la replica, che fece scoppiare a ridere ancora di più l’altro.
- E comunque, caro il mio sapientino e perfezionista al limite del maniacale, non sono venuto qui per farmi dare lezioni di educazione civica da te. – rincarò la dose Tetsurou – Ma per farti vedere questo… - proferì, sventolando sotto al naso dell’altro una locandina.
Tooru corrugò le sopracciglia mentre gli occhi scorrevano velocemente lungo le righe e Kuroo sorrise compiaciuto, perché era proprio il genere di reazione che si era aspettato dall’altro.
 
Incurante del vento gelido che stava sferzando dalla mattina, Sakusa Kiyoomi stava finendo di allacciarsi le stringhe delle scarpe da ginnastica per poter partire nella sua corsa. Non era un fanatico, assolutamente, ma dedicava a quell’attività almeno un’ora al giorno. Gli serviva, perché gli scaricava i nervi. Oltretutto, al di là di quello che potevano pensare i profani, stare seduto ore ad esercitarsi e provare, era stancante. Fisicamente stancante, oltre che mentalmente. I suoi insegnanti, in quegli anni, li avevano martellati fino alla nausea sul fatto che durante quel percorso di studi avrebbero dovuto dedicare anche specifica cura all’acquisizione di adeguate tecniche di controllo posturale ed emozionale. Il controllo emozionale lui ce l’aveva, di natura. Anche troppo, come gli ricordava sempre ridendo suo cugino Motoya, visto che era praticamente impossibile leggergli dentro, carpirne le emozioni, le sensazioni che gli passavano nell’animo. L’unico che ci riusciva, da sempre, era proprio Motoya appunto.
Kiyoomi sospirò, sgranchendo i muscoli delle braccia e della schiena prima di iniziare la sua falcata.
Controllo posturale ed emozionale, quindi. Ergo: una perfetta forma fisica gli sarebbe stata sicuramente d’aiuto per affrontare la professione che, si augurava con tutto il cuore, sarebbe stata la sua professione di vita. E nessuno aveva dubbi in proposito, visti i concorsi, i successi, i premi già ottenuti con una naturalezza sorprendente dato che pareva che il cello fosse il naturale prolungamento del suo corpo.
Quanti di loro, dei suoi compagni di corso, quando avevano iniziato il Conservatorio erano fermamente convinti e certi, nella beata incoscienza iniziale, che avrebbero fatto quello per sempre? Che suonare sarebbe stato il loro pane quotidiano. Tuttavia, arrivati quasi alla fine del percorso di studi, un pericoloso ticchettio aveva iniziato incessantemente a picchiettare nelle loro teste. Il tempo dei giochi stava per finire. Tic tac… tic tac… Sempre più pressante, sempre più vicino. Vedevano i loro stessi insegnanti più giovani arrabattarsi tra le lezioni al Conservatorio e i concorsi indetti da varie orchestre in giro per il paese, o anche oltre Oceano, perché in quel mondo - il mondo musicale, dell’arte – non bastava neanche essere un genio, era dura la strada che portava alla Vittoria. E tante vittime mieteva.
Con un grosso inspiro, Kiyoomi aumentò la sua andatura per la falcata finale, cercando di scacciare assolutamente quei pensieri affliggenti dalla testa. Ma, d’altra parte, il pensiero di cosa gli avrebbe riservato il futuro lo teneva così occupato che non aveva il tempo, né tantomeno le energie o la voglia di pensare ad altro.
Ancora ansante per lo sforzo fatto, con le mani appoggiate sulle ginocchia a cercar di riprender fiato, non lo sentì arrivare, fino a quando il nuovo arrivato non parlò.
E, nel caso in cui (impossibile) non avesse riconosciuto quella voce, il fastidioso nomignolo con il quale il trombettista si era sentito in diritto di chiamarlo fin dalla prima volta in cui si erano formalmente incontrati alle prove dell’Orchestra, non poteva passare inosservato.
- Omi! –
Kami Sama, quel cantilenare finale sulla lettera “i”… Non ce la poteva fare!
- Ancora tu? -
- È sempre un piacere per me vedere quanto tu sia felice di vedermi, Omi. – per nulla demoralizzato da quella fredda accoglienza. Anzi, era il loro modo di interagire e Atsumu se ne era affezionato ormai.
- Che vuoi, Miya? – ecco, con Miya Atsumu le sue emozioni, di fastidio, venivano fuori eccome.
- Senti, facciamola finita velocemente.  – gli si piantò davanti Kiyoomi, poggiando le mani sui fianchi e sovrastandolo con quei centimetri di altezza che li separavano, seppur anche l’altro fosse alto – Che cosa vuoi da me? –
- Beh, se me lo chiedi con questo tono… - fu la replica ammiccante di Atsumu che però gli procurò un’occhiata di palese degno e fastidio e lo vide costretto a fare una veloce corsettina per affiancare Kiyoomi che aveva deciso, visto quell’infelice uscita (l’ennesima di una lunga serie, a dover esser precisi) di lasciarlo al suo destino.
- Ti do tre secondi, Miya. – sollevando tre dita davanti al volto dell’altro – Tre… -
- Omi, ma come: non mi vuoi sperimentare per più tempo? Ti assicuro che non ne usciresti deluso. – di nuovo quel ghignetto sfacciato e dannatamente sicuro di sé. Che però non aveva nessun effetto su Kiyoomi. O almeno non l’effetto che sperava Atsumu.
- Due… - replicò infatti il violoncellista.
- Ok-ok! – si affrettò ora, Atsumu – Sono qui, perché ho bisogno del migliore. Ho bisogno di te. – gli disse, sventolandogli davanti al naso un volantino.
 
 
Continua…
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Dove le Parole finiscono, inizia la Musica ***


 “Dove le Parole finiscono, inizia la Musica”
 


 
CAPITOLO 2
 
- Hinata-kun, vedo che hai in mano il modulo di partecipazione per il concorso. – Shoyo venne risvegliato dai suoi pensieri grazie alla voce gioviale di Takeda-sensei. Questi era contento che i suoi studenti più promettenti accogliessero quella particolare occasione.
 
Il concorso al quale Takeda faceva riferimento era rivolto ai ragazzi degli ultimi anni di corso e prevedeva, per i vincitori, una borsa di studio e un contratto per un anno in una delle Orchestre Giovanili più prestigiose del Paese. La coppia avrebbe potuto portare un brano a scelta e uno scelto dalla Commissione in base al piano di studi dei due partecipanti e il giorno dell’esecuzione la Giuria avrebbe scelto quale brano far eseguire. Per chi lo desiderava, c’era anche la possibilità di partecipare al Concorso come parte dell’Orchestra e in questo caso sarebbe stato scelto – tra i fiati, gli archi e le vibrazioni – lo studente che si sarebbe dimostrato più meritevole, vincendo una borsa di studio sempre per un anno di studi di specializzazione all’Estero.
Le domande dovevano essere presentate entro la metà del mese corrente. Sarebbero state scelte dieci coppie che avrebbero partecipato alla selezione finale, scelte in base alla media dei voti degli esami sostenuti in quegli anni di studi e in base al voto ottenuto nelle pre-qualificazioni.
 
- Esatto. – squittì felice Shoyo, che non stava più nella pelle da quasi ventiquattro ore, alias dal momento in cui aveva visto la locandina appesa nella bacheca degli studenti e si era precipitato a cercar Kageyama.
Incredibilmente, non aveva dovuto sudar sette camicie per convincere Tobio a partecipare. A partecipare con lui, ovviamente. Non che Tobio, anche volendo, avrebbe potuto aver possibilità di scelta. Il trombettista sapeva esser molto convincente, se non altro perché alla fine ti beccava per sfinimento. Però Kageyama aveva posto una condizione prima di dare conferma definitiva dell’accettar di partecipare con lui o meno. Ed era proprio a questo che Shoyo stava pensando.
 
Il sensei batté le mani felice.
- Con chi parteciperai? – gli chiese entusiasta.
- Kageyama! – fu la replica altrettanto entusiasta.
- Ah, Kageyama-kun - sussurrò Takeda stiracchiando le labbra in un sorrisetto divertito. Ukai-sensei non era uno che elargiva complimenti o elogi nei confronti dei suoi studenti, ma Takeda gli aveva sempre sentito affermare che, nel suo corso, tre erano gli studenti brillanti e promettenti, e uno di questi era proprio Tobio.
- Ottima scelta. – lo lodò. – Trovo che Kageyama sia perfetto per te. Con la sua precisione e la sua meticolosità è in grado di frenare ma, al tempo stesso, esaltare e dare un senso alle tue irrefrenabili improvvisazioni stilistiche. –
E qui Shoyo – colto in sacco – si grattò la punta del naso imbarazzato. Takeda aveva pienamente ragione!
- Eh-eh… - ridacchiò nervosamente, facendo scoppiar a ridere di gusto il suo insegnante.
- D’altra parte – continuò quest’ultimo – proprio la tua maniera di improvvisare e far salti di modulazione della partitura son in grado di evidenziare e valorizzare la minuziosità di Kageyama-kun. – concluse, sorridendogli dolcemente, per poi portate lo sguardo verso gli occhi mielati di un altro dei suoi prediletti, nonché problematici e casinisti.
- Miya-kun, parteciperai anche tu? – gli chiese, piegando leggermente la testa di lato e attendendo.
- Ovvio sensei. - rispose Atsumu, asserendo vigorosamente con il capo e dando sfoggio al suo solito sorrisetto strafottente, che stava chiaramente ad indicare che per quanto lo riguardava, aveva già vinto.
- E tu con chi farai coppia? – gli domandò curioso, e quando il terzo dei suoi studenti prediletti – che completava quel trio – tentò di simulare un colpo di tosse per nascondere la risata che gli era salita prepotentemente alla gola, Takeda capì all’istante che l’obiettivo di Miya era un altro degli studenti tanto lodati da Ukai, anche se non suo allievo diretto.
- Ahehm… - biascicò Atsumu, tirando una gomitata a Motoya per farlo smettere di sghignazzare.
In effetti lui, nonostante fosse bravo a beccar la gente per sfinimento e con il suo sorrisetto ruffiano ma questa cosa con Kiyoomi evidentemente non funzionava, non aveva avuto una risposta positiva da parte del violoncellista. E sapeva di dover anche dei soldi a Motoya e Shoyo che avevano scommesso sulla sua disfatta.
Il giorno prima quando aveva fatto vedere il volantino del concorso a Kiyoomi, tutto pomposo, uscendosene con quella frase (ho bisogno del migliore), il violoncellista l’aveva squadrato con il suo sguardo in grado di farlo rabbrividire (e non di eccitazione in quello specifico caso) e sentirsi dire un sonoro “e che cosa ti fa credere, Miya, che io vorrei partecipare con te, in caso?”.
E alla sua risposta “perché io sono il migliore. Il meglio che tu possa desiderare, Omi”, Atsumu non sapeva ancora dirsi se avesse effettivamente scorto un sorrisetto di scherno apparire fugace sulle labbra di Kiyoomi o solo uno sguardo di palese fastidio e disprezzo, prima di superarlo.
 
- Non è finita qui. – proferì Atsumu, lanciando ai suoi due compagni di studio il suo solito ghignetto dei migliori, per poi rivolgersi verso Shoyo.
- Tobio-kun, eh? – il sorrisetto mordace si aprì ancora di più sulle labbra dell’alzatore. Sarebbe stato semplicemente da orgasmo multiplo battere Kageyama. Sakusa, a maggior ragione, doveva essere suo. Doveva assolutamente convincerlo!
 
- E tu Komori-kun, pensi di partecipare? – Takeda spostò ora lo sguardo su Motoya, che si strinse nelle spalle, sorridendo.
- Nahhh, non credo. Queste cose non fanno per me. – rispose.
E Takeda sorrise gentile. Lo sapeva che Motoya, a differenza di molti altri, suonava per il solo e puro piacere di suonare, per la gioia che ne ricavava. Tanto, con la sua bravura, aveva già ricevuto diverse proposte una volta che si fosse diplomato al Conservatorio. D’altra parte sarebbe stato impossibile non restare colpiti e ammaliati dalla musica coinvolgente, dalla carica, dalla forza, dall’energia che Motoya faceva scaturire dalla sua tromba. Era bellissimo come dalla sua musica emergesse il suo animo, la sua natura. La sua frizzante allegria era contagiosa. Mai una cattiva parola usciva dalla sua bocca, mai un cattivo gesto ma sempre una parola gentile per tutti, sempre qualche carineria delle sue fatta senza neppure rendersi conto del bene che faceva allo spirito altrui.
Se mai qualcosa pesasse nell’animo di Motoya o qualche compito fosse troppo gravoso e spiacevole, non lo dava mai a vedere ma affrontava sempre tutto con il sorriso rendendo anche il lavoro degli altri meno stancante. D’altra parte, quando erano più piccoli, Motoya aveva dovuto essere l’allegria anche di Kiyoomi.
 
- Io comunque vi ricordo che a breva abbiamo gli esami di fine trimestre e le prove dell’Orchestra. Sapete che io apprezzo sempre la lodevole voglia di partecipare a questo genere di iniziative ma non dimenticate ciò che viene prima. E non serve che vi dica quanto Washio-sensei ci tenga all’Orchestra. - Anche Takeda, che lo aveva avuto come insegnante di composizione a sua volta quando era un allievo, rabbrividì al pensiero del suo occhio che riusciva a vedere tutto, tipo occhio di Sauron.
- In ogni caso, adesso la giornata è finita e vi ricordo di prendervi del tempo per voi e per riposarvi. – ricordò loro alla fine, prima di scendere l’enorme, quanto sofisticato, scalone in marmo facendo un segno di saluto.
 
- Cosa ti preoccupa, Hinata? –
E Shoyo si riscosse dai suoi pensieri, interrotti dalla domanda di Motoya.
- Kageyama ha detto che parteciperà con me solo se gli dimostrerò che il mio modo di suonare lo convincerà completamente. –
- Che stronzo, cazzo! – ringhiò Atsumu ma Motoya, al solito, calmò gli animi.
- Credo che voglia esser certo che non sia una perdita di tempo per entrambi. Che la vostra musica e il vostro modo di suonare si incastri. –
- Sì, qualcosa del genere. – replicò Shoyo, sorridendo timidamente – Solo che tu, Motoya-san, l’hai detto in modo più gentile e carino. –
E qui Atsumu si lasciò sfuggire un piccolo ghignetto sghignazzante, beccandosi due occhiate divertite di biasimo da parte degli altri due. Almeno Shoyo non aveva ricevuto un “no” secco.
- Piantatale con queste facce da culo. Vedrete: riuscirò a convincere Omi. D’altra parte la mia è un’offerta che non può rifiutare. –
- In quale punto esattamente? – gli chiese divertito Shoyo, iniziando a camminare all’indietro.
- Nella mia persona. – fu la risposta scontata e divertita, mentre avevano iniziato ad attraversare il lungo corridoio che portava alla sala prove.
- Ho sentito che Oikawa gli ha chiesto di partecipare insieme… - si divertì a percularlo Motoya, (mentendo spudoratamente).
- Cosa?! – andò in escandescenza Atsumu – No dai, cazzo! Omi non può scegliere di partecipare con una prima donna come quello. Pretenzioso, pieno di sé, borioso, vanaglorioso e saccente. –
- Tu ti rendi conto che ti stai descrivendo, vero? –
E Atsumu dovette convenire che non avevano in effetti tutti i torti, per poi fermarsi con sguardo preoccupato.
- Mori, ma Oikawa gliel’ha chiesto veramente? –
- No. – scoppiò a ridere il diretto interessato.
- Sei proprio stronzo, oh! Si vede che condividete parte del corredo genetico tu ed Omi. –
- Comunque Oikawa-san è strabravo. – si permise di intromettersi Shoyo e Motoya convenì annuendo con il capo, beccandosi un’alzata di occhi al cielo infastidita da parte di Atsumu, che proseguì per la sua cacciata nei corridoi. I due volevano scortare Shoyo da Kageyama prima di uscire dal Conservatorio.
 
 
Tooru non aveva saputo di quel concorso se non esattamente ventiquattro ore prima a sua volta, quando Tetsurou si era presentato a lui, mentre si stava esercitando, con quell’identico volantino che avevano recuperato sia Shoyo sia Atsumu. E i due si erano messi a scartabellare tra i loro spartiti per trovare un pezzo di rilievo per Violino e Pianoforte. Optando niente meno che per la
Sonata numero 9 di Beethoven - Kreutzer.
- Tranquillo, tanto sto già diventando scemo con Rachmaninoff. – aveva riso Kuroo quando Tooru gli aveva chiesto se ne fosse sicuro – Cosa vuoi che sia spararmi anche Beethoven? – indubbiamente quel ragazzo faceva dell’autoironia, dell’autocanzonatura, la sua miglior arma. Oltre che il suo sorrisetto. Che tante vittime mieteva. E tra queste anche proprio il ragazzo che gli stava di fronte. Che comunque, a sua volta, tanti cuori aveva infranto e continuava ad infrangere.
 
- Tobio-chan mi fai sentire il tuo Re a corda vuota, per favore? – Tooru in quel momento si trovava con Kageyama.
Avevano appuntamento esattamente tra decina di minuti con gli altri due che facevano parte del quartetto per il concerto di beneficenza e si erano ritrovati prima per esercitarsi su di un passaggio di attacco particolarmente ostico.
Tooru aveva imbracciato il suo violino - cosa che stava facendo anche Tobio - per accordarlo dopo essersi tolto l’orologio dal polso destro.
Tobio eseguì la richiesta e il suono si propagò nell’aria. Le due casse armoniche degli strumenti vibrarono l’una sull’eco dell’altra. Istintivamente, i due sorrisero per la sensazione ogni volta sconvolgente di sentire come il violino vibrasse e fosse vivo su di loro.
- Partiamo da questa battuta, ok? – proferì Tooru, indicando con la punta dell’archetto il punto sullo spartito.
- Ok – replicò l’altro, cacciando l’aria fuori, sistemando la tensione dell’archetto, per poi posizionare nuovamente il violino sulla spalla, spostando gli occhi verso del suo senpai ad attendere il suo segnale di attacco.
Era indubbiamente esaltante suonare con uno virtuoso come lo era Oikawa.
 
Tobio, pur essendo un talento naturale che però si esercitava fino a sputare sangue, aveva il grande dono di voler sempre apprendere da chi considerava più bravo di lui. E per lui Oikawa, non solo come violinista ma anche come musicista in generale, era il top di gamma. Quindi ascoltava sempre i suoi consigli. Resi ancora più preziosi dal fatto che Tooru raramente li dispensava a lui.
 
- Ammorbidisci il polso, Tobio-chan. – suggerì Oikawa, ma non c’era traccia alcuna di fastidio o impazienza nella sua voce, quando sentì il terribile suono meccanico che il tremolo di Tobio stava producendo.
- Ahh, scusa. – si scusò terribilmente mortificato Tobio.
- Non c’è niente di cui tu ti debba scusare. – lo tranquillizzò Tooru, posizionandosi dietro di lui.
– Svuota la mente. – gli suggerì, mentre gli prendeva la mano destra nella sua per fargli mollare la tensione sull’archetto, facendo una leggera pressione sul polso.
- Rilassa. – gli ripeté in un sussurro divertito dato che Tobio, se possibile, si era irrigidito ancora di più.
Sussurro che arrivò come un soffio alle orecchie di Kageyama, il quale – docilmente – eseguì e con un grosso sospiro si lasciò guidare dall’altro, sentendo come si fosse abbassato quel tanto che bastava per poter arrivare a lui. Sentendo il calore che il suo corpo sprigionava sulla sua schiena.
- Ti rendo nervoso, Tobio-chan? – sussurrò nuovamente, Tooru, ma ora c’era indubbiamente una nota ammiccante nel tono.
- No, ovviamente. – replicò beffardo Tobio, restituendogli il sorrisetto.
- Peccato. Così si perde metà del divertimento. – ed ora il sorriso era diventato ferino, da predatore, mentre si sfidano con lo sguardo. Mollando gli occhi l’uno dell’altro solo nel momento in cui la porta della stanza si era aperta.
Erano arrivati Kiyoomi e Koushi per le prove del quartetto, non accorgendosi che nell’altra entrata i tre trombettisti non si erano persi nulla. E in tutto quel quadretto, l’attenzione di Shoyo e Atsumu era stata attirata da due cose totalmente differenti.
Quello che aveva colpito Hinata era che l’espressione di solito concentrata – e accigliata – di Kageyama, in quello scambio di battute tra i due (che a loro tre, da fuori, era stata praticamente impossibile da sentire ma solo da osservare) era un’espressione divertita e ammiccante, e non gliela aveva mai vista prima di allora.
 
Quello che aveva notato Atsumu, invece, era come Kiyoomi mentre tirava fuori il suo strumento dalla custodia, avesse dedicato un piccolo sorriso deliziato al proprio cello.
- Oh, vorrei ricevere anch’io un sorriso del genere da parte sua. Lo stesso sguardo carezzevole. – Motoya imitò il tono di voce e il modo di parlare di Atsumu, per prenderlo bonariamente in giro. E Atsumu non si scompose minimamente. Anzi, accettò la sconfitta scoppiando a ridere. Si rendeva conto di star letteralmente sbavando dietro a Kiyoomi.
- A me vanno bene anche degli insulti pur di ricevere qualcosa da lui e purché mi rivolga la parola. – proferì Atsumu, che lo stava letteralmente scannerizzando.
- Tu stai male.  – lo piccò divertito Motoya – No, sul serio: fatti curare. –
- Ehh senti bellino, lascia perdere, visto che tu sei quello che fissa il pacco di mio fratello in modo insistente e poco sgamabile poi. – lo redarguì seccato il biondo.
- Non è mica colpa mia se tuo fratello ha un pitone tra le gambe. – fu la risposta serafica di Motoya mentre si stringeva nelle spalle - Come te del resto. L’attenzione degli occhi cade per forza lì. -
- Motoya-san che ne sai tu del cazzo di Atsumu-san? – rise di cuore Shoyo, mentre si allontanavano di poco per non disturbare l’esecuzione dei quattro.
- Perché quando casualmente (e qui mimò le virgolette) passa a trovarmi a casa si mette sempre in mutande. –
- Eh? – chiese interdetto Shoyo, piegando la testa di lato.
- Metto in mostra la mercanzia, Shoyo-kun, nel caso in cui Omi-Omi si degnasse di metter fuori il naso dalla porta della sua stanza, dove si rintana puntualmente quando io arrivo nel loro appartamento. Oh, a proposito di cazzi… Mori? -
- No, non mi chiedere niente dell’attrezzo di mio cugino perché non ti risponderò. – si negò Motoya mentre recuperava il cellulare dalla tasca dei pantaloni che aveva iniziato a trillare. – Oh, guarda un po': parli del pitone… - disse, mostrando il display illuminato del telefono.
- Ma perché quel coglione di mio fratello chiama te invece che me?! – si alterò Atsumu.
- Perché sono indubbiamente più affidabile.  Dai, muoviamoci che lui e Rin ci stanno aspettando fuori. In bocca al lupo con Kageyama, Hinata. -
 
Ma la prova, per Shoyo, sarebbe stata rimandata. Non sarebbe stata sicuramente per quel giorno. Tobio aveva altri impegni per quella sera.
 
 
 
 
Come al solito Tooru, che aveva la mania di dormire a stella, occupava più della metà del letto.
Allungando un braccio, mentre si stiracchiava nella dolce incoscienza del dormiveglia, la mano andò a sfiorare la schiena della persona che giaceva profondamente addormentata al suo fianco.
Oikawa spalancò gli occhi, per poi addolcire l’espressione, sorridendo alla visione dell’altro. Lentamente, senza nessuna fretta, si avvicinò a lui, sentendo il fruscio delle lenzuola al suo passaggio. Appoggiandosi sull’avambraccio, si sollevò di poco scostandogli una ciocca di capelli da davanti agli occhi, per poi abbassarsi verso il suo volto.
Soffiandogli delicatamente sugli occhi chiusi, l’attenzione delle sue labbra si portò poi verso l’orecchio.
- Ehy, bell’addormentato: è l’ora della colazione. -
 


 
Continua…
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Terzo capitolo ***


Questo capitolo partecipa alla challenge #wipspring indetta da Ame Tsuki sul gruppo FB “Komorebi Community - Fanfiction Italia
 
Dopo un anno (mi vergono anche a dirlo, guarda!) riprendo in mano questa AU grazie a questa challenge.
Se linkate sui titoli delle canzoni che trovate nel testo, vi rimanda al link su youtube della stessa.
 
 
 
 
TERZO CAPITOLO
 

- Io non partecipo ai concorsi perché è carino e divertente, Boke. Se partecipo ai concorsi è per vincerli. – fu l’inappuntabile replica di Tobio quando Shoyo, con il suo solito entusiasmo estenuante, gli aveva proposto come possibile duetto la
Gavotte di Gusac.
 
- L’ho portata al saggio di terza elementare. – era stata la replica di Tobio, replica abbastanza scioccata anche a dirla tutta. Non aveva pronunciato quelle parole per sminuire l’altro o per cercar di passar per quello borioso, ma perché davvero era rimasto altamente perplito.
- Sì ma non con la mia tromba in duetto. – non si era dato per vinto Shoyo, sedendosi ora al tavolino dove Tobio stava consumando il suo tè, incurante del fatto di non esser stata invitato a farlo
- Hah? – ecco che era partito il suo cipiglio dei migliori, pronunciato con quel filo di voce in grado di gelare anche l’Inferno e, infatti, Shoyo tacque saggiamente per un istante.
Tobio avrebbe solamente voluto bersi il suo tè in santa pace, dopo la nottata movimentata che aveva passato, per ridare un senso logico ai suoi neuroni. E ai suoi pensieri.
- Kags? – ma la voce dell’altro glielo aveva impedito.
 
Kags?” si era chiesto dentro di lui, nuovamente inorridito, e allora aveva lentamente poggiato la tazza sul tavolino sul quale era seduto, nella sua caffetteria preferita, a metà strada tra lo stabile formato da monolocali che il Conservatorio metteva a disposizione per i suoi studenti e il Conservatorio stesso.
Shoyo, di fronte allo sguardo glaciale di Tobio che si era sollevato lentamente su di lui, era arretrato inconsciamente con il busto e aveva ben pensato di cercare di ammansirlo uscendosene con quella frase del fatto che suonare insieme alla Gavotte al Concorso sarebbe stato divertente.
- Io non partecipo ai concorsi perché è carino e divertente, Boke. Se partecipo ai concorsi è per vincerli. –
- È per questo allora, Kags, che hai sempre questa rughetta sul viso. – Shoyo, vedendo che l’altro non aveva intenzioni di azzannarlo alla gola come aveva temuto, ebbe tanto ardire di sporgersi verso di lui con il busto, e premergli l’indice con forza tra le sopracciglia.
- Proprio questa rughetta qui. – rise il rosso cercando di appianargliela e trovandosi il polso intrappolato nella morsa d’acciaio delle dita di Tobio.
- Vuoi forse che ti ammazzi? –
- Ohh, come siamo suscettibili. – ridacchiò Shoyo, per nulla turbato né dalla minaccia di morte né dal tono, ritornandosi a sedersi – Se resti senza il tuo partner in crime come fa a vincerlo il concorso. – lo citò, mimando le virgolette.
- A parte il fatto che non ho ancora accettato proprio un bel niente. – gli ricordò Tobio, per poi lasciare andare il peso contro lo schienale della sedia, sospirando grevemente – Senti: so che Oikawa-san e Kuroo-san vogliono portare la
Sonata.No.9 per violino di Beethoven. –

- Ah... – l’entusiasmo di Shoyo si smorzò per un istante.

Non che temesse il confronto con quei due mostri sacri del Conservatorio – e se non lo temeva era solo perché aveva quel suo modo di essere felice per ciò che faceva e il fatto di doversi confrontare con due come loro avrebbe significato scatenare in lui una doppia dose di impegno e quel senso di sfida che gli permetteva il cercare di migliorarsi sempre più - ma ok che lui era un inguaribile ottimista, ma gli era lampante come la luce che c’è in cielo che i due pezzi avevano poche possibilità di competere. La sonata di Beethoven, nella sua non poca difficoltà di esecuzione, metteva perfettamente in risalto i virtuosismi dei quali un musicista era capace. Sempre se eri in grado di eseguirla, ben si intende. E Shoyo non aveva dubbi che né Oikawa, né Kuroo non fossero in grado di farlo.

- Wow! Sarà uno spettacolo vederli e sentirli. – esclamò con le guance che presero colore per l’emozione del solo pensiero.
- Hah?!  - Tobio era incredulo. Possibile che quel ragazzo non si facesse scoraggiare da niente? 
Questa cosa lo fece in parte sorridere, forse – dopo tutto – non erano così diversi.
Boke ma hai capito che sarebbero nostro avversari e che quindi dobbiamo portare qualcosa che sia in grado di competere con il loro? -
- È inutile, Kags, che tenti di fulminarmi con il tuo doppio laser fulminante, ne sono immune. – rise Shoyo, contagiandolo per poi lanciare un’informazione a caso – Anche Atsumu-san vuole partecipare. –

Miya Atsumu?
Ok, ora Tobio era certo che l’ictus fosse imminente. Infatti, a quel nome, sentì un principio di mal di testa farsi spazio. Si portò l’indice e il pollice a stringersi la radice del naso.
Miya Atsumu e il suo modo fastidiosissimo di... di essere e di vivere. Doveva essere una prerogativa dei trombettisti. No, aspetta! Komori-san era sempre molto gentile con lui (come lo era con tutti) e lo aiutava sempre, prima o dopo le prove, a rivedere insieme certe parti, certe legature, coinvolgendo – suo malgrado – anche Sakusa. Ed ecco che, a questo punto, appariva sempre magicamente anche Miya Atsumu, like avvoltoio sulla spalliera.
Cosa, questa, ossia quella di apparire magicamente, che pareva essere una sua prerogativa, perché era nello stesso identico modo che quella mattina, poco dopo l’alba, se l’era trovato in giro per i ballatoi del terzo piano del dormitorio. Quando lui stava uscendo da uno dei monolocali dove non si sarebbe assolutamente dovuto trovare. E da chi si era fatto beccare? Niente meno che da Miya Atsumu, che stava evidentemente rientrando dalla sua corsa mattutina.
I due si erano fronteggiati, fermandosi e fissandosi negli occhi. E, no: Tobio non aveva sperato neppure per un istante che Miya Atsumu avrebbe fatto finta di non vedere che la porta dalla quale era appena uscito era quella del monolocale di Oikawa Tooru. Lo aveva capito da come il suo sorrisetto da stronzo si era a poco a poco allargato, sornione.
- C’è chi va e c’è chi torna, eh Tobio-kun? – gli aveva detto, posandosi una mano sul fianco e piegando di poco la testa di lato, in quella sua posa da primadonna.
E lui cosa avrebbe potuto rispondergli?
No, una testata sui denti non era sfortunatamente eticamente contemplata.
Non aveva replicato quindi, superandolo, mentre finiva di infilarsi la camicia nei pantaloni.

- …yama? Kageyama? –
La voce di Shoyo lo richiamò alla realtà.
- Miya Atsumu hai detto, eh? –
- Sì. Se riesce a convincere Omi-san. – ridacchiò Shoyo, rilassandosi sulla sedia.
Sakusa?
Merda! Sakusa aveva un modo di suonare che ti prendeva e ti scaraventava dentro la sua musica. Era come subire un sortilegio. Come sentire il canto delle sirene. Non riusciva a staccartene più. Era pazzesco come una persona che pareva sempre distaccata da tutto e da tutti, quando suonava subiva una vera e propria trasformazione e chi lo guardava non poteva che restarne totalmente incantato.
- Ora tutto si fa veramente interessante... – la voce di Tobio era praticamente un sussurro. Un sussurro divertito. Era tutto così dannatamente ostico. E quindi dannatamente eccitante ed invitante.
Portò lo sguardo su Shoyo con una nuova luce negli occhi.
Non amava molto suonare in duetti, a meno che il proprio compagno non fosse una sfida da avere al proprio fianco. E quel gamberetto era indubbiamente una bella sfida. Oh, eccome se lo era!
- Ohy! – lo richiamò Tobio e Shoyo questa volta quasi cadde dalla sedia.
- S…sì? –
- Alle 12.45, puntale, nell’aula 10 dell’ala nord. Voglio vedere che cosa siamo in grado di fare tu ed io insieme. – alzandosi con una felicità febbrile e un’eccitazione negli occhi che Shoyo non gli aveva mai visto.

______________________
 
A Kiyoomi piaceva suonare in due momenti particolari.
All’alba o al tramonto.
Quei due momenti particolari, in cui non era ancora giorno e non era ancora notte.
Aveva l’impressione che il suono si propagasse meglio nell’aria, che fluttuasse sospeso.
Ecco perché quel pomeriggio, sul finir del giorno, si trovava in una delle aule del Conservatorio rivolte proprio verso il tramontare del sole, con la finestra socchiusa in modo che una dolce brezza carezzevole gli accarezzasse il volto, così come i raggi dell’ultimo sole.
Suonare gli permetteva di rilassarsi, di non pensare e di immergersi totalmente nella sua musica.
“È come una magia!” aveva detto la prima volta, da bambino, quando suo nonno gli aveva permesso di usare il suo archetto e il suo violino. Esser riuscito a produrre un suono, modularlo, essere stato lui a farlo, lo aveva fatto emozionare come qualcosa che mai prima di allora era successo.
 
Le sue labbra si piegarono in un lieve sorriso senza che se ne rendesse conto.
Stava eseguendo l’assolo per cello del terzo movimento del
celloconcert di Haydn, senza minimamente rendersi conto che qualcuno lo stava osservando. O meglio, sarebbe stato più giusto dire che stava ammirando ogni suo movimento della sua estasi musicale.
Gli capitava sempre. Non si rendeva conto di ciò che lo circondava. Era questo il bello di quando suonavi un pezzo che ormai era totalmente tuo.
Ma si accorse eccome quando la melodia di un altro strumento si legò alla sua.
Aprì gli occhi e si ritrovò catapultato di nuovo nella realtà.
Non lo vedeva, ma lo poteva udire perfettamente. E non fece fatica a capire di chi si trattasse.
Il concerto prevedeva la presenza di fiati, ma di oboi e corno, non di trombe, ma doveva dire che l’effetto non era proprio niente male.
Sorrise di nuovo, sornione, e proseguì imperterrito fino alla fine.
Era la prima volta che suonavano insieme, loro due da soli e fu solamente quando il suono delle ultime note vibrava ancora nell’aria che se ne resero conto; Atsumu stava ancora accarezzando i pistoni, mentre Kiyoomi lasciò fluire l’archetto sulle corde del violoncello producendo l’ultima vibrazione…
Nessuno dei due riuscì a proferire parola alcuna, ancora troppo presi da quello che erano riusciti a creare insieme, anche se non si stavano ancora vedendo.
“È stato come una magia.” si trovò a pensare Kiyoomi, nel momento in cui si prese un altro istante per godersi quella sensazione prima di alzarsi e spostarsi verso la finestra. E fu quando fu arrivato a sporgersi e guardare fuori, verso il basso, che Atsumu riprese a suonare.
E fu Kiyoomi, ora, appoggiato al davanzale a perdersi a guardarlo.
Il
pezzo non era pensato per un assolo per tromba, ma per un’intera orchestra, ma Kiyoomi doveva dire che non era proprio niente male perché comunque il suono squillante della tromba riusciva a fondersi bene in quella melodia dai toni quasi melanconici, ne faceva emergere la sua forza. Eccola la forza di Miya Atsumu: essere in grado di piegare anche la musica alle sue esigenze.
Socchiuse gli occhi per immergersi totalmente dalla melodia, facendosi accarezzare anche da essa ora.
Di nuovo, quando ancora l’ultima nota vibrava nell’aria, ecco che ora entrambi schiusero gli occhi l’uno sull’altro.
- Allora Omi-Omi: ti ho convinto? – ecco che Atsumu era ritornato a fare ciò che gli riusciva meglio nella vita. Il minchione.
- Sei pessimo meglio, Miya. - ma Kiyoomi si trovò ad emettere una risatina divertito (uccidendo Atsumu ma ok, dettagli).
- Omi veramente, come ho già avuto modo di dirti, sono il meglio che ti potesse capitare. –
- Guarda che io non ho pietà. –
- Oh, sono tutto eccitato solo a sentirti dire queste parole. Farò tutto quello che vuoi, padrone. –
Kiyoomi emise un sospiro sconsolato.
- Confermo: sei il peggio che mi potesse capitare. –
E Atsumu esplose nella sua risata sfacciata e sicura di sé, mentre stringeva la sua tromba con entrambe le mani, continuando a tenere lo sguardo verso l’alto, verso la finestra dove si trovava Kiyoomi.
- Non ti sconterò niente, nessun errore o nessun ritardo o nessuna svogliatezza. –
- Omi quando suono do sempre il massimo. E costringo gli altri a fare altrettanto. –
Le labbra di entrambi si piegarono in un piccolo sorrisetto ferino divertito.
Kiyoomi lo sapeva che quel concorso prima di tutto sarebbe stata una sfida l’uno per l’altro. Ma se Kiyoomi aveva accettato era perché sapeva che con uno come Miya Atsumu, con le sue doti, avrebbe potuto fare qualcosa di ottimo.
Miya Atsumu e la sua sfacciata sicurezza, che più di qualche volta lo portava ad esser rimproverato per le proprie letture dei pezzi, dei virtuosismi, costringendo chi suonava insieme a lui o ad adattarsi o a corrergli in qualche modo dietro.
Sarebbe stato indubbiamente divertente. Lui che era uno preciso e che, anche quando il pezzo prevedeva un accompagnamento, si assicurava anche durante l’esecuzione stessa che non ci fossero sbavature di alcun genere da parte degli altri.
Sì, sarebbe stato indubbiamente divertente.
 
- Vengo da te stasera allora, Omi-Omi? –
- Come fai sempre, mi sembra. Anzi: mi stupisco che tu mi stia chiedendo in qualche modo il permesso. –
Atsumu cercò di prodursi nel suo solito ghignetto ma gli morì lentamente sulle labbra quando vide l’altro chiudergli la finestra in faccia e fargli un “ciao-ciao” con la manina ghignando divertito davanti alla sua espressione sconcertata di fronte a quel gesto.
 
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Anche a qualcun altro piaceva suonare o esercitarsi sul calar della sera.
E, tra le tre coppie formatosi, Tooru e Tetsurou erano indubbiamente quelli che stavano partendo più avvantaggiati, poiché avevano già deciso il loro pezzo.
Eccoli lì, quindi, a loro volta in una delle aule riservate agli studenti per le esercitazioni.
Si trovavano seduti fianco a fianco nello sgabellino posto di fronte all’elegante pianoforte a coda.
Dopo aver fatto un accurato e attento esame delle due partiture e, da intonse quali erano come sempre all’inizio, ecco che i due spartiti iniziavano ora ad avere i primi segni in matita, di cancellature e di riprese, con legature varie.
Tooru, concentrato, si portò gli occhiali da vista tra i capelli, non accorgendosi così di essersi sporcato, nel movimento, la fronte con il bianco delle pece.
- Che cosa c’è, Neko-chan? – domandò vedendo l’altro scoppiare a ridere.
- Aspetta. – proferì Tetsurou, ripulendolo passandovi sopra delicatamente il pollice – Ecco, a posto. Ti eri sporcato con la pece. – spiegò, facendogli vedere il dito.
- Ed io che mi ero illuso che tu ci stessi provando con me. – Tooru emise un sospiro teatrale.
- Ti pare che avrei un modo così scontato di provarci con te? – stette al gioco l’altro, sgranando gli occhi in modo altrettanto teatrale.
- Sì, perché sei un Gattaccio scontato e romantico. – il violinista gli fece una linguaccia divertita mentre si alzava e prendeva posto davanti al proprio leggio dove, tenendo la matita tra i denti, posizionò il primo foglio della partitura.
Diede una rapida lettura alle prime note, solfeggiandole, anche con il movimento delle dita. E Kuroo ne osservò il profilo e lo sguardo concentratissimo, almeno fino al momento in cui si girò nuovamente verso di lui e sfoggiò il suo solito morbido sorriso dannatamente sicuro di sé.
- Ok, sono pronto, Gattaccio. –
- Al tuo servizio! – Tetsurou mimò un servile inchino per poi sistemare meglio l’altezza dello sgabellino, dando una rapida carezza ai tasti del pianoforte, pronto ad iniziare. Lui, anche quando suonava, seppur si concentrasse tantissimo, manteneva sempre quel sorrisetto adorabilmente sornione sulle labbra. Ed eccolo lì, concentrato, dopo l’attacco in assolo del violino, entrando già perfettamente in sincrono con l’altro. E lo stesse fece Tooru, quando riprese, ma Tetsurou vide, con la coda dell’occhio, come si accigliò leggermente e si fermò prima che glielo facesse fare l’altro.
- Che c’è? – gli domandò, divertito. Adorava il perfezionismo al limite del maniacale di Tooru.
- Pensavo che qui forse potrei partire in levare. –
- Proviamo. Ripartiamo da questa battuta qua, che dici? –
- Perfetto. – annuì Tooru. Le ultime due battute del pianoforte. Imbracciando il violino e l’archetto, segnò la levatura, per poi posarsi nuovamente il violino sotto al mento, sistemandolo con cura sulla mentoniera.
Era concentratissimo e galvanizzato. Certo: come sempre, ma ora aveva il momento della sfida e questa cosa lo galvanizzava non poco. Soprattutto perché la notte prima Tobio, nel suo appartamento, mentre lui si trovava disteso a pancia sotto, con il mento poggiato sulle mani a coppa, il lenzuolo gettato pigramente addosso a coprirgli solo in parte lo splendido corpo nudo, si era lasciato scappare che Hinata Shoyo gli aveva chiesto di partecipare insieme al concorso.
E lo vide, Kuroo, quel sorriso e quella luce negli occhi, che conosceva perfettamente bene in Tooru.
Quello che non si aspettò di certo fu di sentire lo stridere dell’archetto sulla corda di la e quasi cadere a terra.
- Tooru! – si preoccupò non poco, soprattutto vedendo la smorfia di dolore che l’altro non riuscì a mascherare in nessuno modo – Ti sei fatto male? – il tono della voce era indubbiamente preoccupato. E lo sapeva, lo sapeva perfettamente Tetsurou, che Tooru avrebbe negato fino alla morte. Come fece, infatti.
- No, tutto ok. – eccolo che rispose con il suo solito sorriso che faceva quando per lui la discussione era chiusa  - Credo che forse sia meglio che attacchi in battere e non in levare. – concluse mantenendo il suo sorrisetto, mentre dentro di lui si sentì come se lo avesse investito una doccia d’acqua gelata.
Merda! Maledetta neuropatia compressiva del nervo ulnare! Aveva ripreso a non dargli tregua.
 
 
Continua…
 
 
 
Spero di non metterci un altro anno adesso…

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