Gentle and the Kraken

di genius_undercover
(/viewuser.php?uid=827667)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** IV ***
Capitolo 6: *** V ***
Capitolo 7: *** VI ***
Capitolo 8: *** VII ***
Capitolo 9: *** VIII ***
Capitolo 10: *** IX ***
Capitolo 11: *** X ***
Capitolo 12: *** XI ***
Capitolo 13: *** XII ***
Capitolo 14: *** XIII ***
Capitolo 15: *** XIV ***
Capitolo 16: *** XV ***
Capitolo 17: *** XVI ***
Capitolo 18: *** XVII ***
Capitolo 19: *** XVIII ***
Capitolo 20: *** XIX ***
Capitolo 21: *** XX ***
Capitolo 22: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo 
 

Tanto tempo fa, ai confini del mare, un giovane capitano governava un vascello maestoso. 

Benché avesse ai suoi ordini la ciurma migliore che si potesse desiderare, e aveva conquistato ricchezze a non finire, il ragazzo era diventato avido, spietato e crudele.

Accadde però che una notte d’estate, la sua nave ne incrociò un’altra, completamente distrutta a causa di un abbordaggio e prossima a schiantarsi contro gli scogli vicini. 

Tra il legno carbonizzato ancora fumante, una giovane donna, unica superstite allo scontro, chiese salvezza al capitano, offrendogli in cambio un rosso fazzoletto di seta come pegno di ringraziamento.

Lui, che di un umile straccio non se ne faceva nulla, rifiutó malamente il dono e ordinò la rotta verso altri porti, con l’intenzione di depredarli. 

Ella tentò di fermarlo, intimandogli di non percorrere quella strada: se avesse continuato a sprecare la sua esistenza conquistando ricchezze inutili e seminando morte, sarebbe presto andato incontro ad una fine terribile. 

Tuttavia, non era ancora troppo tardi: per salvarsi dalla sventura, il capitano aveva bisogno di trovare qualcosa non conquistabile con nessuna arma o inacquistabile con qualsivoglia moneta, perché la vera ricchezza non si trovava certo all’interno di forzieri sotterrati nella sabbia.  

Il giovane, che non disdegnava affatto le sfide, ragionò per diversi attimi sulle di lei parole.

Alla fine trovò semplicemente impossibile, che al mondo potesse esistere qualcosa di così inestimabile da non poter essere acquistato o conquistato. 

Perciò rise. Sprezzante. E la ragazza si gettò improvvisamente tra i flutti del mare, trasformandosi nella leggendaria ammaliatrice, la minaccia più pericolosa per qualsiasi marinaio esistente.

Il capitano, per nulla impressionato, invece di preoccuparsi di salvarla, la istigò a vincere la corrente infuriata e avvicinarsi alla sua nave. 

Ella però era tutt’altro che debole: cantando una melodia così straziante da cavare il cuore di qualsiasi essere umano, maledisse l’equipaggio, devastò il vascello nella sua interezza e tramutò il giovane avido in un’orrenda bestia, al tempo ancora umana per metà del corpo.

Infuriato per via del suo aspetto sempre più mostruoso, egli si ritirò nei suoi alloggi sottocoperta, con una bussola come unica guida per navigare. 

Il cuore, che alla fine gli era uscito fisicamente dal petto, era rinchiuso in uno scrigno, che rimase sigillato per quindici lunghi anni, e avrebbe cessato di pulsare non appena il capitano avesse raggiunto la trasformazione completa. 

Se avesse smesso di vivere empiamente, trovando ciò che la mistica creatura gli aveva detto, la maledizione si sarebbe spezzata. 

In caso contrario, la sua vita sarebbe inesorabilmente finita.

Con il passare del tempo, il capitano cadde preda alla disperazione e perse ogni speranza. 

Chi avrebbe mai potuto amare, un Kraken?


__
ANGOLETTO AUTRICE:

*la risposta a questa domanda la sappiamo tuttǝ. È piuttosto ovvia a dire il vero, ma temo che dovremo aspettare il prossimo aggiornamento per fare nuovamente la conoscenza del nostro co-protagonista! 

Ora ciancio alle bande, ciao a te e bentrovatǝ su questi lidi! 

Sarò onesta, non vedevo l’ora di pubblicare questa AU, ed è letteralmente l’esperimento più particolare che mi sia mai capitato fin’ora, dato che non ne avevo mai scritta una! 

Precisamente, ho scelto l’universo della Bella e la Bestia non solo perché mi si adatta all’OTP, ma anche perché è nella mia top 3 di classici Disney preferiti, ci sono proprio sentimentalmente legata!

Come ultima ma non ultima cosa, ringrazio infinitamente la mia cara Ineffable per tutto il supporto che mi ha dato in fase di scrittura. (Cara, se non ci fossi tu!)

E ringrazio anche te, per essere arrivatǝ a leggere fino a qui, spero che fino ad adesso ti piaccia. 

Un bacione e a prestissimo, 

-gen

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** I ***


I

 

16 novembre,

 

sono ormai trentacinque anni che sono qui, in questo piccolo paesino.

Sarebbe più giusto dire che ci sono praticamente nato…non ci crederai, o lettore, ma ogni giorno assomiglia al primo di quando ho memoria. 

E per quanto abbia tentato a far qualcosa di diverso in tutta la mia miserabile esistenza, ho capito che non lo si può cambiare. 

In questo momento mi trovo in città. Tutto il centro si snoda davanti a me: la mia casa sulla collina, il fioraio che vende le stesse noiose peonie, il fornaio che vende il solito pane, la taverna di Spanish Jackie non ha un cliente diverso da oltre vent’anni. 

Persino i gentiluomini che mi danno il buongiorno da quando ero un bambino, sono gli stessi. 

È tutto fermo. Anche il mare sembra esserlo sempre...non si vede una tempesta da giorni!

Ma partiamo dall’inizio. 

Il mio nome è Stede Bonnet, ho quasi trentacinque anni e ho deciso di tenere queste memorie per sconfiggere l’inedia. (Forse dovrei assumere uno scrivano, far annotare tutto questo a qualcuno diverso da me per avere una visione più oggettiva, ma non è ancora il caso!)

Non fraintendermi, ho natali molto nobili. Non sono così ingrato da lamentarmene, ma i soldi non sono la mia priorità: ho sempre sostenuto che una buona conversazione con una persona stimabile valga più del mondo intero, e una persona stimabile è cosa assai rara, di questi tempi!

Ah, non ti ho detto che sono incredibilmente sposato e padre di due bellissimi bambini: Alma, di dieci anni. Louis di appena sei. 

Sono la mia unica gioia. 

Dio mi perdoni, lo stesso non posso dire della loro madre. 

Si chiama Mary e le cose tra noi non vanno bene da anni. Diciamo direttamente che non sono mai andate bene, non sono proprio cominciate!

Non ci siamo neanche scelti, a dire il vero: la nostra unione è combinata, voluta fortemente dalle nostre famiglie, al solo scopo di espandere i rispettivi possedimenti.

Contavamo che, conoscendoci, avremmo imparato ad amarci…invece non è mai accaduto, neanche dopo che sono nati i piccoli. 

Ecco perché prima ho detto che la mia vita è miserabile. L’unica cosa che avrei voluto, era trascorrere il resto della mia vita insieme a qualcuno che mi amasse davvero, visto che la mia famiglia d’origine non si è mai curata di farlo, ed io non riesco ancora a rassegnarmi. 

Alma e Louis sono la sola ragione per cui non ho ancora perso la testa.  

In questi anni di reciproco disinteresse, però, ho avuto modo di impiegare parte della mia ricchezza in qualcosa di…costruttivo, letteralmente!

Ho ideato una nave, l’ho fatta realizzare e l’ho equipaggiata con tutti gli agi possibili e immaginabili. Perché per un gentiluomo, essi sono sempre importanti. 

Ho persino un camino, dei lampadari e una biblioteca che non vedo l’ora di riempire!

(Ti allego uno schizzo che ho fatto io stesso, per farti vedere quanto è bella.)

Sì, lo so che tutte le navi hanno un nome…ma io non so davvero come chiamarla. Deve essere un nome forte, imponente, lussuoso. Un nome che incuta la giusta dose di timore, ma mantenga la sua bellezza.

Esattamente come una nave pirata.

A proposito, ho letto tutto sui pirati, ho addirittura un’intera sezione della mia biblioteca personale dedicata alla pirateria.

William Kidd, Nathaniel Flint, Henry Morgan, Benjamin Hornigold…conosco tutte le gesta che questi capitani hanno compiuto, praticamente a memoria. Mi invento addirittura delle storie su di loro, tanto li conosco bene, ed ho finito per far appassionare anche i miei figli. 

Uno dei nostri giochi preferiti è appunto interpretare i pirati, anche se Mary ce lo proibisce. 

(Non dirlo a nessuno: noi ci giochiamo lo stesso, quando lei non guarda.)

Ma tornando a noi, un giorno vorrei riuscire a trovare il coraggio di togliere gli ormeggi, assoldare una ciurma -che pagherei senz’altro come si conviene- e partire alla volta del mare.

Non c’è niente qui, per me. 

L’avventura è l’unica cosa che mi rimane, l’unica cosa che mi impedirebbe di non pensare alla mia solitudine sempre più opprimente. 

Peccato che non esista nessuno che mi capisca. Peccato davvero, non avere qualcuno con cui condividere—”
 

“Eccolo lì, lo strambo delle Barbados!” 

Stede staccò immediatamente la punta del carboncino dal foglio e cacciò il taccuino in tasca, alzando gli occhi al cielo. 

“Rackham.” Riconobbe, con un certo sconforto.
 

Ci mancava solo lui, a completare la mattina. 
 

“Come sarebbe a dire, Rackham! Dopo tutti questi anni di corte serrata ancora mi chiami per cognome, Stede?!” 

“Oh. Chiedo venia.” 

“Così educato, così istruito…dai, fai il bravo, vieni qui e salutami come si conviene.”

Dio, non posso credere che lo sto per dire per davvero. “Buongiorno, Calico Jack.

Jack si avvicinò a lui, schioccandogli un sonoro bacio sulla guancia. “Così mi piaci, ragazzona!

“Togliti!” Ribatté Stede, allontanandoselo con un debole spintone. “E non chiamarmi così!”

“E che cazzo! Come puoi ferirmi in questo modo? Io ti dimostro il mio amore tutti i dannatissimi giorni e tu mi tratti così?” 

Stede non voleva la corte di quel marrano, non l’aveva mai voluta. Era maleducato. A tratti sembrava completamente senza cervello. 

Tuttavia, da una parte gli faceva pena: amare qualcuno e non essere corrisposto doveva essere un’agonia bella grossa. “Mi dispiace.” Mormorò quindi. 

“Sí, come no! Per stavolta ti perdono e solo perché sei tu!” Jack lo prese sottobraccio. “Allora, mia graziosa violetta campagnola, la sai l’ultima?”

“No,” rispose stancamente Stede. “Che cosa è successo stavolta? Un’altra rissa fuori dalla taverna?”

“Come hai fatto ad indovinare?”

“Tu e i gemelli Badminton siete clienti più che abituali. Diciamo che lì dentro ci vivete. Contro chi eravate, stavolta?”

“Allora, c’era questo stronzo che a un certo punto mi ha pestato un piede e—”

“Aspetta un momento, non mi dire che hai di nuovo picchiato Geraldo?!”

“No, no, niente di tutto ciò. E poi se lo meritava, quell’idiota!”

“Ma davvero? Perché qualsiasi cosa quell’idiota avesse combinato, tre contro uno mi sembra un’azione da vigliacchi! Scommetto che tu e i Badminton non ci avete pensato due volte, a menare le mani!” 

“Oh, mio dolce Stede, come devo fare con te?” Chiese Jack con fare drammatico, baciandolo ancora sonoramente. 

“Smettila. Ci vedranno.”

“Ah, ma che m'importa! Che vedano, che ti ammirino! Sei così per benino che non ti posso resistere!” 

Stede si liberò nuovamente dalla sua presa insistentemente soffocante. “Temo che dovrai contenerti, perchè ho un sacco di cose da fare!”

In realtà non rientrava mai prima di sera, e questo, Jack lo sapeva.

“Te ne vai già a casa?” Gli chiese infatti. 

“Naturale! Io ne una!” 

Rackham gli rivolse un sorriso sghembo da sotto i baffi. “Non ti conviene.”

“E perché, sentiamo?”

“Dammi retta, non andare.” 

“Non ne vedo il motivo.”

"Eccotelo qui, il motivo: quella gran bagascia di tua moglie si sta facendo il pittore, proprio adesso, mentre parliamo.”

“Ehi! Non parlare di mia moglie a quel modo! È una donna decisamente rispettabile a differenza tua, che sei sempre ubriaco fradicio e violento! E ora, se permetti, tornerò proprio da lei!”

Calico fece finta di scoppiare a piangere. “Tu non mi credi, non è vero?!”

“Me lo chiedi anche?! No, che non ti credo!” 

“E allora chiedi a chiunque!” 

“Non voglio!”

“Ti rifiuti, perché in fondo sai benissimo che è vero. Insomma, guardati intorno: tutta la città ne è a conoscenza. E poi  Dimmi un po’, tesoro, da quanto tempo è che non ti concedi una scopata decente? O meglio, da quanto è che non scopi in generale?”

Il biondo non rispose. 

“Saranno almeno dieci anni.” Provó a indovinare Calico, e non era molto lontano dalla verità. 

(Erano sei, più o meno.)

Stede si sentì oltraggiato, oltre che imbarazzato, per quella domanda così intima. “Sei spregevole.”

“E tu sei più cornuto di un demonio. Lo sanno tutti, qui.”

Il gentiluomo si guardò intorno: erano nel centro della città, dove c’era sempre qualcuno a qualsiasi ora del giorno, e quel momento non faceva eccezione. Una piccola folla di gente era dinanzi a lui, e fino a quel momento aveva osservato tutto. “N–non rivolgermi mai più la parola, animale!” 

“Che Dio mi aiuti! Sei ancora più desiderabile, quando sei arrabbiato.”

“Vai al Diavolo, Jack!”

Sposami, Stede. Sposami e lo scandalo verrà presto insabbiato.”

“No—non ci penso nemmeno!”

“Pensaci bene: mi preoccuperei per te, sai? E sono un bravissimo amante: mi occuperei di te in modi che tu e tua moglie potreste solo lontanamente immaginare!”

“Non voglio. E ancora non ti credo. Mia moglie è integra.”

Jack sorrise di nuovo. “Ehi, Nigel!” 

Il gemello Badminton, che proprio in quel momento passava di lì, si trascinò dall’altra parte della strada. 

Camminò incurante delle carrozze di passaggio, fino a raggiungerli. 

“Ma guarda chi si vede!” Biascicò, palesemente sbronzo. “Il piccolo Bonnet, con la sua piccola faccia imbronciata.” Si rivolse a Jack. “Non te lo sei ancora fatto?”

“Non ancora, non ancora, me lo sto lavorando.” Rispose quello. 

Stede era arrivato al limite. “Andatevene all’inferno entrambi.”

“Scopa di più, Bonnet!” Ribatté Nigel. 

Allora la notizia era già di dominio pubblico! 

Il gentiluomo diede loro le spalle e fece per andarsene con ostentata calma, come se fosse tutto a posto. Rimpianse intimamente, di non aver portato Arthur con sé.

“Dimmi un po’, amico, secondo te la moglie del nostro caro Stede è in compagnia?” Chiese Jack a voce volutamente alta.

“Oh, certo!” Rispose a tono Badminton. “È con il pittore.”

Stede continuò a camminare. 

“Cammina, cammina, patetico Bonnet. Se ti metti a correre può darsi che arrivi in tempo per vederli finire!”

La risata malevola di quei due fu l’ultima cosa che Stede sentí prima che gli cedessero i nervi e si mettesse davvero a correre fino a perdere il fiato nei polmoni. 

Ricominciò a respirare una volta giunto alla volta del cancello della sua proprietà.

Arthur, che pascolava libero sull’erba, gli trottò immediatamente incontro, nitrendo allegro. 

“Ciao, bello!” Salutò Stede, abbracciandolo sul collo e dandogli due pacche affettuose sui fianchi. 

Forse non aveva l’amore di sua moglie, ma poteva giurare di avere almeno l’affetto del cavallo. “Ho avuto una mattina terribile. Mi auguro che la tua sia stata migliore.”

Il destriero si diresse verso la stalla, dando al padrone la possibilità di entrare in casa. 

“Piccoli?” Chiamò Stede, sperando che i bambini non fossero impegnati in qualche noiosa -anche se assolutamente necessaria- lezione con il precettore. “Mary?” 

Percorse il corridoio, oltrepassando le sale vuote di quella casa immensa, e prese le scale. 

“Padre?” Bisbigliò la minuscola voce di un ragazzino.

“Sei già a casa?” Ne fece eco un’altra. 

“Tesori!” Stede si inginocchiò davanti ai suoi figli e li abbracciò con dolcezza. “Che cosa fate rinchiusi in questa stanza?” 

“Nostra madre ci ha ordinato di rimanere qui e di non uscire per nessun motivo.” Esclamò leziosamente Louis. “Altrimenti niente più pane e marmellata!”

“Oh…state giocando, per caso?”

“No! È a causa delle lezioni di pittura.” Informò Alma.

A Stede si gelò il sangue nelle vene. “Come sarebbe a dire?”

“Non vuole che assistiamo.” Precisò la piccola. “Non vuole che ascoltiamo niente di ciò che dice al maestro, neanche da lontano. Ti senti bene, padre?” 

Il gentiluomo era diventato pallido come un cencio lavato. 
 

Se ti metti a correre può darsi che arrivi in tempo per vederli finire!
 

“Sto bene, mia cara. Dov’è tua madre?” 

“Non puoi andare da lei!” Protestò Louis.

“Certo che sì.” Ribatté Stede. “Ma non la disturberò affatto, vado solamente a porgerle i miei saluti. Inoltre prende lezioni da più di un anno, ormai, ed io in tutto questo tempo non ho mai avuto occasione di conoscere il suo maestro. Sapete meglio di me, quanto conti l’educazione in questa casa.”

Quella risposta parve convincere i due bambini. 

“È nel suo laboratorio.” Rivelò Alma. 

Intelligente, pensò Stede. Lo studio di Mary era situato nei pressi del cortile esterno, praticamente dall’altra parte della casa. 

Il più lontano possibile dal suo. 

Si odiò immediatamente, per quel pensiero. Si vergognò per aver ceduto alla bassezza di ragionare come i due ignobili individui che rispondevano ai nomi di Jack e Nigel. 

Mary stava seguendo una lezione d’arte. E lui stava andando a salutarla e a conoscere il suo insegnante. 

“D’accordo, aspettatemi qui.”

“Ma non dirle niente!” Volle assicurarsi Louis. 

“Non dirò una singola parola su voi due, promesso!”

Così in incamminò. Ad ogni passo, la sua stessa casa gli sembrava fredda e decisamente inospitale. Stede non poté fare a meno di sudare freddo. 

Più si avvicinava, più le sue gambe sembravano diventare pesanti, le caviglie e le ginocchia cedevoli, come fatte di legno scadente e marcio. 

Bene. Notò, guardando dinanzi a sé: le tende dello studio erano aperte. Doveva esserci qualcuno per forza. 

Sbirciare all’interno della stanza era da codardi. Passare dalla via interna, lo era dieci volte di più, ma l’unico erede di Edward Bonnet non si era mai considerato coraggioso in vita sua. 

Stede deviò quindi la strada e finí in un minuscolo corridoio, che si concludeva in un varco comunicante, ovviamente chiuso. 

Prima di afferrare la maniglia, si arrestò: ansiti, versi, persino risate e preghiere di dubbia religiosità superavano di gran lunga il legno rigido del passaggio. 

Stede, benchè fosse un uomo fatto, non aveva mai avuto dimestichezza con il sesso. 

Non l’aveva avuta neanche da ragazzo, a differenza dei suoi ex compagni di collegio, che da dopo il loro sviluppo non sembravano pensare ad altro che alle donne. 

Lui non aveva mai amato, nel senso più rude del termine, non l’aveva mai fatto neanche per soddisfare il proprio piacere personale…ma non era neanche del tutto estraneo. 

L’aveva studiato. Aveva due figli, diamine! 

Sapeva come funzionava il meccanismo in maniera sia biblica che scientifica…e non v’erano dubbi, su cosa stesse accadendo dietro quella porta.

No… Pensò, sentendosi morire. Sperò fino all’ultimo di sbagliarsi, di ingannarsi persino davanti alla prova concreta e reale. No, non può essere.

Non è vero.

​Non è vero.

______


*ANGOLETTO AUTRICE*

Ehm...bene!
Salve a te, o cortese lettor*! Questo era il primo capitolo ^^. Spero ti piaccia e di averti intrattenut*almeno un pochino, come sempre se ci fosse qualcosa di strano, segnalamelo pure, sono sempre aperta a commenti, critiche e consigli! 

Un bacione e a lunedì prossimo! 

-C

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** II ***


II

 

Oh, mio Dio! Oh mio Dio! Continuava a ripetere nella mente. 

Era nauseato. 

Tutto il mondo cominció a crollargli sulle spalle. 

Cominciò a sentirsi un incapace, inetto e inadatto persino al suo ruolo di consorte, indipendentemente dalla sua volontà.

Quasi fosse guidato da una presenza invisibile, Stede abbassò la maniglia e fece ingresso nella stanza senza neanche realizzarlo. 

I gemiti gli rimbalzavano in testa con prepotenza quasi disturbante, mentre avanzava lentamente. 

Dietro il divano. Registrò. Provenivano da dietro al grande divano che, per fortuna, gli ostacolava la visuale. 

Lo sconvolgimento che stava provando era tale da non accorgersi dell’enorme vaso che torreggiava sul piccolo tavolo tondo, a meno di un passo da dove si trovava.

Lo urtò con orrore. E i due amanti ebbero anche il coraggio di mettersi a gridare, stavolta per lo spavento. 

Stede rimase di pietra. 

Rimase di pietra perché adesso avrebbero affrontato le conseguenze. Rimase di pietra quando la persona che condivideva il suo letto da quando lui aveva compiuto sedici anni, gli si palesò dinanzi con i capelli scarmigliati in tutte le direzioni, il volto paonazzo, il collo candido chiazzato di rosa, e l’espressione sbigottita. 

Inoltre, era coperta unicamente da una camiciola semitrasparente che non lasciava proprio nulla all’immaginazione. 

Lui l’aveva sposata…ma non l’aveva mai vista in quello stato. Nemmeno durante la loro prima notte di nozze. Neanche quando avevano dovuto adempiere ai loro doveri coniugali per cercare disperatamente il nuovo erede maschio di casa Bonnet.

Erano stati sempre vestiti, in quei momenti. 

Completamente. 

Il che aveva reso tutto più faticoso, oltre che umiliante. 

Stede non aveva mai avuto idea di come fosse fatto il corpo di quella donna, adesso colpevole e terrorizzata a morte da lui. 

Il momento peggiore, però, fu quando anche il suo amante decise di rivelarsi, affiancandola. Almeno lui aveva avuto la decenza di rivestirsi. 

Stede lo osservò bene: era un uomo dall'aspetto tutto sommato decente, con i capelli biondo cenere e gli occhi gentili, che non sembrava meno colpevole o dispiaciuto di lei. Anzi, era estremamente mortificato.

“Stede…” sussurrò Mary. 

Lui non la sentí. 

Era troppo occupato a pensare che se ci fosse stato suo padre vivo, e fosse venuto a conoscenza di quanto stava accadendo, sicuramente avrebbe diseredato il suo stesso figlio e rinchiuso la nuora fedifraga in un convento, accertandosi personalmente che la madre badessa buttasse via la chiave.

…ma Stede non era come suo padre. 

Non avrebbe fatto a Mary niente del genere, anche se ne aveva senz'altro tutto il potere in quanto uomo e in quanto vittima di tradimento. 

E poi non era in grado di fare un bel niente, confuso com’era. 

“Stede.” tentò di nuovo Mary. 

E il gentiluomo quella volta la sentí. 

Era fuori di sé, ma non disse una parola. 

Riservò ai due amanti clandestini un ultimo sguardo sdegnoso, per poi dirigersi fuori dalla stanza a grandi falcate, stavolta passando dall’uscita principale e chiudendo la porta di schianto. 

—-

“Stede…andiamo, non puoi continuare ad ignorarmi in questo modo!” 

Stede aveva passato gli ultimi due giorni diviso tra il suo studio e la camera da letto. 

Leggendo un libro dopo l’altro, smaltiva la rabbia, teneva impegnata la mente e soprattutto si impegnava a non perdere quel briciolo d’orgoglio che gli era rimasto mettendosi a piangere come l’uomo patetico che si sentiva. 

Era consapevole, che i pochi servi che avevano, fossero largamente informati della vicenda, e non poteva sopportare di essere oggetto di scandalo anche per loro, non dopo una città intera che si era accorta di tutto addirittura prima di lui!

Mary si era trasferita a tempo pieno nel salone. 

Piangeva, scriveva freneticamente lettere che poi sistematicamente gettava nel fuoco. Stede non voleva mai ascoltarla, e lei andava nel panico ogni minuto di più, timorosa di perdere tutta la sua vita e la libertà. 

La cosa più importante, ad ogni modo, era proteggere i bambini. 

Almeno su quello, era certa che suo marito fosse d'accordo con lei.  

Peccato che i piccoli avessero già percepito immediatamente che c’era stato un cambiamento importante. Lo sentivano nell’aria tesa. 

Non avevano mai visto la loro madre così preoccupata, così come non avevano mai visto loro padre comportarsi e agire in modo così…strano. 

Quella notte andò addirittura a svegliarli. 

“Che cosa c’è?” Chiese un assonnato Louis. “Padre, se è per la marmellata, non sono stato io!”

“Ci attaccano i pirati?” Fece eco Alma, alzandosi immediatamente.

E Stede avrebbe potuto mettersi a piangere davvero: che cosa ne sarebbe stato di lui, se non avesse avuto loro a fianco?

“Niente di tutto ciò, state tranquilli!”

“Allora perché ci hai svegliati?” Domandò nuovamente la ragazzina. 

“Vi va di vivere un’avventura per un po’?” 

La risposta era stata un entusiastico “sì” da parte di entrambi. 

E Stede aveva consigliato di preparare una borsa ciascuno, per mettervi tutto ciò di cui avevano bisogno. Giocattoli, libri…e i vestiti. Soprattutto i vestiti, perché sarebbero mancati per qualche giorno. 

“Ma nostra madre?” Volle sapere Alma, prima che potessero lasciare la casa. “Che dirà, quando non ci vedrà domattina?”

“Non ti preoccupare, me la vedrò io con lei.” 

“E se si arrabbiasse mentre siamo via, per il fatto che non l’abbiamo invitata?” Domandò Louis. 

“Le spiegheremo che questo è stato semplicemente un nostro gioco. Adesso andiamo, ho una grossa sorpresa per voi!”

“Quanto grande?” 

Non ne hai idea. Pensò Stede, scompigliando i capelli biondi di suo figlio. “Lo scoprirai prestissimo.”



*ANGOLETTO AUTRICE*

Salve di nuovo a te, e bentrovatə su questi lidi!
Innanzitutto mi scuso per la brevità di questo capitolo di passaggio, ma non potevo fare altrimenti. Diciamo che ho voluto più che altro concentrarmi sulla delusione di Stede perché mi sembrava doveroso.
Nel prossimo ci sarà un bel po' d'azione, giurin giurello! 
Detto questo, ti ringrazio tantissimo per aver letto fino a qui, se trovassi errori di qualsiasi natura segnalameli pure, nel frattempo ti mando un grande abbraccio. 

A prestissimo! 
-gen

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** III ***


III


Era da poco passata la mezzanotte, quando i tre salirono sul cavallo. 

Stede l’aveva sellato personalmente, per fare a meno di svegliare lo stalliere. 

L’aria secca dell’inverno si nebulizzava davanti ai loro visi. 

“Avete freddo, piccoli?” 

“No, padre!” Fu la pronta risposta dei fratellini. 

“Allora tenetevi forte, Arthur ci porterà direttamente dalla vostra sorpresa, lui conosce tutte le strade!”

Il docile destriero diede davvero prova d’intelligenza quando li condusse al porto immerso nell’oscurità sconfinata. 

Senza i pescivendoli e il mercato, o semplicemente la luce del sole, quel luogo sembrava piú spaventoso di un cimitero. 

“Che cosa ci facciamo qui, padre?” Domandò Alma. 

“Io ho paura!” Sussurrò Louis.

“Siamo quasi arrivati.” Assicurò Stede, smontando da cavallo per accendere una torcia.

Avvicinandosi alle banchine, però, Arthur cominció ad agitarsi. 

“Che cosa—Arty, stai buono!” Disse Alma, tentando di calmarlo. 

Lei aveva passato molto tempo su Arthur. Stede la portava con sé a cavalcare sin da piccolissima. 

Ma il quadrupede, in genere estremamente obbediente, non voleva proprio saperne, di starsene tranquillo. 

Stede fece appena in tempo ad impedire al cavallo di impennarsi. Tolse i bambini dalla sella e legò prontamente le briglie al primo appiglio che trovò.

Arthur allora cominciò a tirare indietro il muso per liberarsi, pestando a terra e nitrendo come un pazzo.

“Ci sono i lupi, padre?” Chiese timorosamente la ragazzina più grande, rimembrando l’unica volta in vita sua in cui aveva visto il cavallo agitato in quel modo. 

“No, non credo. Sono mesi, che non si vedono da queste parti.” 

Stede prese i figli per mano e li condusse alla banchina più lontana. 

“Ecco.” Esclamò, fermandosi davanti a un vascello di legno chiaro.

Louis sgranó gli occhi. “Dici davvero?!” 

“ABBIAMO UNA NAVE?!” Fece eco Alma. “Da quando?”

“Da un bel po’. Non è ancora pronta per navigare, il timone deve essere collaudato e devono sistemare le vele…ma il resto è a posto. Potremmo dare un’occhiata dentro per divertirci!”

“Io voglio navigare!” Esclamò Louis entusiasta. “Come i pirati veri!” 

“Ho una scialuppa pronta. Non dovrebbe essere tanto difficile da governare.” 

“L’hai fatto prima?” Chiese la ragazzina.

“No, ma ho letto tutto sull’argomento. Aspettatemi qui e non muovetevi fino a che non vi chiamo.” 

I bambini si strinsero a vicenda, mentre Stede afferrava una cima e spariva all’interno della nave. 

Dopo una lunga attesa, i piccoli avvertirono il sospirato segnale. Corsero verso la banchina e Stede li aiutò a sistemarsi sulla piccola imbarcazione a remi. 

Erano così emozionati che non riuscivano quasi a parlare. 

Il cuore del gentiluomo si strinse di gioia.

Lasciò la corda che li teneva ancorati al porto. 

“Sapete? C’è un’isoletta tranquilla a qualche miglio da qui che si potrebbe visitare.” Li informò, tenendo stretti i remi. “Ma dato che mi state facendo il favore di accompagnarmi in questo piccolo viaggio, deciderete voi la rotta!” 

“E tu la seguirai?” Domandò Alma, entusiasta almeno quanto Louis. 

Stede chinò la testa con estrema cortesia. “Mi rimetto ai vostri ordini, signorina!” 

La piccola indicò un punto preciso dell'orizzonte. “Allora andiamo di là!”

“Molto bene!” Stede fece per mettersi a remare. 

Non fu affatto facile, però: la barca sembrava avere vita propria. 

Dopo circa un’ora di tentativi disastrosi in cui Stede ringraziò mentalmente qualsiasi Dio esistente di non trovarsi di fronte agli occhi di nessuno diverso dai suoi figli, cominciarono a dirigersi nella direzione indetta da Alma. 

Nonostante il freddo, il mare era fortunatamente calmo e la notte limpida. Le stelle facevano loro compagnia, prestandosi ai giochi dei due bambini che, ancora avvolti dentro la pesante coperta, tentavano di indovinare costellazioni o se le inventavano direttamente di sana pianta.  

Stede, benché ancora malinconico, si sentiva incredibilmente in pace. Avrebbe dato qualsiasi cosa, per cristallizzare il tempo e fare in modo di non tornare più a soffrire. 

Sembrava che solo il mare potesse accogliere il suo dolore, cullarlo un po’ e addirittura inghiottirlo, concedendogli il sollievo che cercava da giorni. Forse da tutta la vita. 

“Mi sapreste dire in che direzione stiamo andando?” Chiese poi, sorridendo apertamente. 

“A sud?” Tentò Louis. 

Stede scosse la testa. “Sai cosa succederà fra qualche ora?”

Il bambino si concentrò molto, sulla domanda. “Sorgerà il sole.” Concluse infine. 

“Proprio così, bravo. E dov’è che sorge il sole?”

“Sempre a Est.” Recitò Alma. Non era un caso, che avesse chiesto a suo padre di seguire proprio quella rotta: il tempo di percorrere qualche miglio, che i primi, deboli raggi, fransero il nero della volta del cielo…ma non arrivarono mai alla loro piccola barchetta o sui loro visi.

“Strana, questa nebbia.” Mormorò Stede, guardandosi intorno nell’aria densa di umidità che li aveva  inspiegabilmente circondati.

“Padre…” pigolò Louis. “C—che cos’è, quello?”

“Quella è la pinna dorsale di un delfino!” 

“Ne sei proprio sicuro?” Alma si sporse a sua volta dal bordo della scialuppa, guardando i punti in cui l’acqua si increspava. “Il maestro dice che i delfini hanno la pinna curva. Quelli che ce l’hanno dritta sono—”

“Squali!” Si corresse atterrito il gentiluomo, riportando sua figlia al sicuro. “Non è possibile…”

Invece, contro ogni pronostico, un branco intero si stava appostando proprio sotto di loro. 

Louis era completamente terrorizzato. Alma stava per mettersi a piangere. 

Stede li strinse entrambi a sè. Aveva completamente dimenticato che in inverno gli attacchi ai pescatori avvenivano in via più frequente, rispetto all’estate. 

“Voglio scendere!” Mormorò Louis con voce strozzata. 

“Che cosa facciamo adesso?” Domandò la ragazzina. 

“Restate fermi, non muovete un muscolo. Magari se non facciamo rumore se ne andranno presto.” 

“ODDIO!” Gridò il bambino, appena una pinna aguzza urtò il legno della barchetta. 

“Padre!!” Fece eco Alma: se avessero continuato in quel modo, si sarebbero ritrovati in acqua. 

Stede non riuscì più a mantenere la calma. Si alzò in piedi. 

Una volta afferrati i remi con forza, cercò di spostarsi, tentando nel contempo di colpire i pescecani, ma inutilmente: le mani gli tremavano troppo, un remo affondò. 

Alma e Louis cominciarono a chiedere aiuto a gran voce e gridavano ad ogni colpo che Stede non riusciva a parare. 

Non sarebbero potuti andare avanti per molto. Stede non poteva rischiare di far ribaltare la scialuppa con i bambini dentro. 

Ponderò l’idea di gettarsi in mare lui stesso e di distrarre così gli squali. Con un po’ di fortuna, Alma e Louis si sarebbero salvati e Mary l’avrebbe mandato lui all’inferno per l’idea malsana che aveva avuto. 

Ad un tratto, un colpo più forte degli altri li fece gridare di puro terrore tutti e tre. 

Stede chiuse gli occhi, temendo di aver urtato uno scoglio: si aspettò di sentire il legno sotto di sè sgretolarsi piano e il gelo dell’ acqua avvolgere il suo corpo. 

Si maledisse. 

Se fosse successo qualcosa ad Alma e Louis ci sarebbe sceso lui stesso, all’inferno, decise. 

Anche senza l’aiuto di Mary. 

Non seppe dove trovò il coraggio di riaprire gli occhi e guardare alle proprie spalle: grazie alla luce del giorno ormai sorto, poté accorgersi che la sua piccola scialuppa era finita contro una parete di legno marcio e maleodorante. 

Dinanzi a lui, gli squali continuavano ad attaccare.

I bambini erano ancora immobili, in trappola. 

Stede doveva fare qualcosa. 

Con il cuore bloccato in gola, alzò ulteriormente lo sguardo e tra la nebbia fitta, riconobbe una corda, posta miracolosamente a poca distanza da dove si trovava. 

Bastava allungare una mano, per afferrarla e tirarsi su. 

“Niente paura.” Mormorò allora, sull’orlo della disperazione. “Ce la faremo! Adesso fate esattamente ciò che vi dico.” 

Alma e Louis annuirono obbedienti. 

Sia lui, che Mary avevano sempre tenuto a quell’aspetto: per quanto le cose potssero essere disfunzionali nel loro matrimonio, i loro figli dovevano avere un’educazione impeccabile. 

Soprattutto Alma, doveva essere istruita tanto quanto Louis. Era una cosa fuori dal comune, per una bambina, in un modo in cui solo l’uomo contava qualcosa. 

Tra le lezioni con il precettore, che comprendevano ogni aspetto delle loro giovani vite, oltre che alla lettura e l’imparare a fare di conto, i piccoli Bonnet non avevano quasi mai tempo per fare nient’altro. 

Quando Stede se n’era accorto, si era accordato con il maestro di dimezzare i tempi, lasciando i bambini fare ciò per cui i bambini erano stati creati: giocare. 

Lui sapeva che loro svaghi non erano sempre uguali, a causa della rispettiva età e dei loro caratteri totalmente opposti. 

Louis era riflessivo e calmo anche durante il divertimento. Amava giocare con tutti gli animali della tenuta e informarsi su qualsiasi cosa attirasse la sua attenzione, fosse essa un vivente o meno.

Tuttavia, grazie a un buon trascinatore, poteva trasformarsi in una vera peste. 

Alma era di gran lunga più spericolata ed entusiasta: amava correre, possibilmente senza le scarpette, odiava le acconciature, preferendo invece tenere i capelli sciolti, ed era solita gridare. 

Non aveva che dieci anni, e da altrettanto tempo pagava il prezzo di quel suo modo di essere. 

Ma se c’era una cosa di cui Stede era sicuro, era che entrambi i suoi figli avevano la passione comune dell'arrampicata. 

Mary aveva perso la voce a forza sgridarli, ogni volta in cui li trovava abbarbicati sugli alberi nel giardino o su qualche antico mobile della casa, decisamente troppo pericolante per sostenere il peso di entrambi.

Stede in quei casi manteneva la facciata severa, e quando sua moglie si dileguava, raccontava subito qualcosa di divertente per evitare di farli piangere. 

Stede era  quindi certo di avere la loro fiducia completa. Era sicuro che anche se la situazione fosse stata ulteriormente grave, loro l’avrebbero ascoltato. 

E così avvenne. 

I bambini furono ben felici di smettere di avere paura e di giocare a “chi risale la corda più velocemente”. Il rischio che cadessero in acqua c’era, ma l’avevano fatto troppe volte, per potersi sbagliare. 

Salí Louis per primo, Alma al suo seguito. Stede lasciò la barchetta giusto in tempo: sarebbe bastato un istante più e le assi di legno si sarebbero aperte, facendoli annegare tutti o peggio. 

Gli squali finalmente si dileguarono.

Il gentiluomo notò che nonostante il giorno fosse sorto in tutto il suo splendore, la luce sembrava schermata dalla nebbia fitta che non accennava ancora ad andarsene.

Con un salto, il gentiluomo atterrò su quello che doveva essere il ponte di prua di una nave, e sospirò per il sollievo di avere i suoi bambini sani e salvi, a pochi passi di distanza da dove si trovava. 

“Che nave è questa?” Chiese Alma a mezza voce. 

“Non ne ho idea, piccola…credo che lo scopriremo presto.”

“Ho paura, padre!”

Stede stava cercando di recuperare il controllo di sé stesso, sorpreso del fatto che non gli fosse già venuta una crisi di nervi. Si chinò per prendere Louis in braccio, e il piccolo si tenne stretto. 

“No…non temere, figliolo. Probabilmente siamo soli.”

Alma si appostò dietro le gambe di suo padre, rimanendo sempre seminascosta.

Iz!” Sussurrò una flebile voce all’improvviso. “Ehi, Iz, svegliati! Svegliati!”

“Che vuoi, scocciatura?!” Rispose un’altra, sempre sussurrando.

Abbiamo visite!” 

“Magnifico, torniamo a dormire!” 

“È permesso?” Chiese cautamente il biondo gentiluomo, accortosi di quei bisbiglii apparentemente lontani. “C’è qualcuno, qui?”

Sei un gran cretino!” Continuò a sussurrare la prima voce.

Facciamo finta di niente, forse se ne andrà!”

“Non fare il fifone!”

“Tu non fare cazzate! Edw—Il capitano si arrabbierà!”

“Mi dispiace tanto disturbare,” continuò Stede, ormai sicuro di essere in compagnia, “sono stato attaccato da un branco di squali e…ho bisogno di una scialuppa per andarmene perché ho perduto  la mia. Sono disarmato.” Aggiunse, “E ho due bambini piccoli che vorrebbero tornare a casa…” 

Una sagoma oscura si palesò fuori dalla penombra. “Ma certo, signore, ti aiuteremo noi!” 

“Oh, cazzo!!” Sobbalzò il biondo, ritrovandosi davanti a un giovane con la metà del viso orribilmente deturpata. La sua pelle era innaturalmente rossiccia, e punteggiata da solchi e ventose, che non lo rendevano dissimile ad una stella marina. 

“Padre!” Redarguì Louis, mentre Alma ridacchiava per la brutta parola. “Non dire certe cose!” 

“Hai ragione, tesoro mio. Scusami, non accadrà mai più.” Assicurò Stede, rivolgendosi poi al losco figuro. “E scusami anche tu…ragazzo.” 

“Normalmente mi riterrei oltraggiato a morte, ma non fa niente. Per stavolta posso capire: non sono più carino come un tempo!”

“Non volevo offenderti, mi dispiace, è che con questa strana strana luce non ti ho proprio—” Stede dovette fermarsi nuovamente: un’altra figura si palesò.

Si trattava di un uomo un po’ basso e anche lui orribilmente sfigurato per metà…solo che la sua pelle sembrava viscida e lattiginosa come quella di una murena.

“Va’ via.” Dichiarò quello. “Finché sei in tempo.”

“È esattamente quello che sto cercando di fare!” Ribatté a tono il gentiluomo. 

“Ma non dire sciocchezze! Vuoi andartene così, sui due piedi?” Replicò il più giovane, allungando una pacca amichevole sulle spalle di Stede, “saranno secoli che non abbiamo a che fare con nessuno!” Guardò poi Alma e Louis, leggermente intimoriti dall’aspetto dei due. “E cosa dire di questi graziosi angioletti! Staranno morendo di paura e di fame!”

“Niente di tutto ciò!” Assicurò Stede, sempre timoroso di disturbare più del dovuto. “Forse sono un po’ provati, ma terranno il loro miglior comportamento finché non ce ne andremo. Siamo di Bridgetown, il porto è proprio qui vicino. Posso ricompensarvi bene, per la traversata." 

“Non ce n’è bisogno, vi accompagneremo volentieri! Ora seguitemi, vi porto da Oluwande, lui saprà cosa fare!”

Il ragazzo attraversò il ponte e li condusse per un lungo corridoio alla fine di una scalinata.

“Io non scenderei oltre, se fossi in te.” Ammonì a mezza voce l’uomo più basso. 

“Io voglio andarmene e se questo signor Oluwande può aiutarmi, credo proprio che lo farò. Gli spiegherò la situazione e toglierò il disturbo.”

“È pericoloso. Il mio capo non è affatto gentile.”

“Ah, il capitano non se ne accorgerà nemmeno, e non solleviamo l’ancora da almeno dieci anni!.” Esclamò il pirata più giovane, continuando a camminare. “Falla finita di spaventare inutilmente i nostri ospiti.”

Stede si riscosse. “Non ho affatto paura, signor–”

“Lucius Spriggs. Tu chi sei?”

“Stede Bonnet.”

“Nessuno mi aveva mai chiamato signore in tutta la mia vita. Sei davvero un gentiluomo, Stede. Mi dispiacerà, quando te ne sarai andato, anche se ti conosco da meno di cinque minuti!”

“Ah, dai, non fare così! Se saremo fortunati ci incroceremo presto di nuovo! Se ti tratterrai in città sarò davvero felice di ospitarti nella mia tenuta, tu e gli altri.”

L’uomo più basso sbuffò a quelle parole, ma non smise di seguirli.

Il ragazzo di nome Lucius li condusse in quella che doveva essere la stiva, una stanza sporca e dall’odore di chiuso che un tempo doveva essere stata piena di ogni sorta di provviste. 

“Dannazione!” Imprecò poi il giovane, guardandosi freneticamente intorno. “Non c’è!” 

“Chi…” Mormorò Stede. “Chi, non c’è?”

“Olu!” Rispose Lucius, esasperato. “Scommetto che è a spassarsela con Bonifacia, in questo momento!”

“E non ci sarebbe qualcun altro che–”

“Ragazzi!” Mormorò una voce, e tutti quanti si voltarono verso l’uscita della stanza. Fece capolino un altro giovane alto e robusto. Doveva essere qualche anno più grande di Lucius e aveva il volto più gentile che Stede avesse mai visto, il che rendeva la sua sfigurazione un vero peccato. “Siete voi, per fortuna!” Aggiunse, precipitandosi all’interno della stanza e chiudendo la porta appoggiandovisi di peso. 

“Ah, sei qui!” Esclamò Lucius. “Credevo fossi con Bonifacia!” 

“Tu devi essere Oluwande.” Mormorò Stede, tendendogli la mano, ma egli non potè stringerla: era sfigurata anche quella. 

“Che ci fa qui quest’uomo?” Chiese il nuovo arrivato, rivolto ai due compagni. “Che cosa avete combinato?”

Lucius non fece in tempo a giustificarsi che un rombo terribile scosse la nave. Una cosa davvero innaturale, data la calma del giorno. 

Stede cominciò a spaventarsi di nuovo. 

“Maledetto spione!” Sbottò Lucius, guardando con astio l’uomo più vecchio. “Sei stato tu?!”

“Come avrei fatto, se sono sempre stato qui con te, scemo!!” 

Un secondo rumore ancora più forte del primo rimbombò nella stanza spoglia.

“Padre, che sta succedendo?” Sussurrò Louis.

“È troppo tardi.” Dichiarò tetramente l’uomo dalla voce ostile. “Lui sa che siete qui.”

E Stede credette di star vivendo un’allucinazione. 

Proprio davanti a lui, la porta si divelse dai cardini, permettendo ad un’enorme figura ammantata di nero di fare ingresso. Fu un vero miracolo che i bambini non avessero cominciato a gridare di paura.

“C’è un estraneo!” Esordì la sagoma, del tutto pleonasticamente. La sua voce avrebbe potuto crepare il marmo, da quanto era roca. “E vedo che è ancora vivo. Perché, è ancora vivo?” 

“È stata tutta colpa mia, Capitano!” Esclamò Lucios con pragmatismo. “Questo gentiluomo ha avuto un incontro ravvicinato con un branco di squali, ha due figli e tanto bisogno di aiuto!” 

La figura lo ignorò, passando accanto all’uomo più basso. “E tu dov’eri,” gli chiese minaccioso, “dormivi?” 

“No, Capitano. Ho cercato di impedire che questo damerino salisse a bordo, e anche di farlo scendere, se proprio lo vuoi sapere, ma—“

“RAZZA DI IMBECILLI!”

Oluwande, capendo che la situazione sarebbe precipitata si appostò davanti agli ospiti sgraditi, sperando che il Capitano perdesse presto interesse o che Lucius potesse distrarlo almeno per un altro po’: l’uscita secondaria non era lontana.

Fu tutto inutile. La figura ammantata superò presto anche l’altro ragazzo, finendo a pochi passi di distanza da Stede.

“CHI SEI?” Chiese l’ombra, avanzando ulteriormente verso di lui. “CHE CHE COSA CI FAI QUI?!”

“Io…vi ho trovati per caso—”

“Non sei il benvenuto.”

“L’avevo capito, s—signore, e mi dispiace. Non avrei mai voluto arrecare tanto disturbo!”

Signore…” Ripeté quello, rivolgendosi poi verso qualcuno alle proprie spalle. “Avete sentito, ragazzi?! Quest’uomo ha le palle di prendermi per il culo.” 

Dei loschi figuri che il gentiluomo fino a quel momento non aveva mai notato a causa del terrore paralizzante che gli scorreva al posto del sangue, risero di scherno. 

E adesso che erano praticamente petto a petto, Stede notò che il Capitano non era tanto più alto di lui. Cercò di alzare il viso, per capire come fosse fatto il suo. 

“STA’ LONTANO DA MIO PADRE!” Gridò all’improvviso una voce femminile. 

Il Capitano, spostò la propria attenzione sulla ragazzina imbronciata. 

“Però.” Commentò, sinceramente sorpreso. “Senti, senti: abbiamo del fegato, qui. E tu chi diavolo saresti?” 

“Mi chiamo Alma!”

“Shhh Alma, zitta! Non dirglielo! Non dobbiamo parlare con gli sconosciuti!” Rimproverò Louis, attirando a sua volta l’attenzione su di sé. 

La figura ammantata indugiò un lungo terribile attimo. “Sono miei.” Dichiarò poi, piccato. 

“NO!” Gridò Stede, indietreggiando. Ormai era certo: doveva andarsene il prima possibile da quel vascello di pazzi. “Stai lontano!” Aggiunse, allungando anche un braccio per dare uno spintone al Capitano. 

Egli neutralizzò immediatamente la sua intenzione, anticipandola come se la aspettasse. 

L’ombra si mosse a sua volta con una rapidità inaudita e afferrò il polso del gentiluomo, bloccando poco lontano dalla sua testa. 

Stede si meravigliò di quanto fosse forte quella presa. 

Poi si rese conto: non era una mano, quella che lo teneva.

Era un...tentacolo

Allora sgranò gli occhi, senza emettere un suono. Quale essere umano aveva un tentacolo al posto delle braccia? 

Non potè darsi una risposta: l’essere scoprì un altro tentacolo e lo avvicinò ai ragazzini.  

Il biondo cercò di allontanarsi ulteriormente, ma i loschi figuri che fino a quel momento si erano limitati a ridere, lo circondarono e lo immobilizzarono.

Stede tentò di respingerli, stringendo i figli con tutte le sue forze. 

“NOOOOO!” Pianse Louis, non appena venne strappato dalle braccia di suo padre. “LASCIAMI!”

Alma nel frattempo stava cercando di tirare dei calci alla testa del Capitano, che osservava del tutto impressionato, quasi divertito. 

“RESISTETE, PICCOLI!” Gridò Stede. “NON VI LASCERÒ QUI.” 

Non era mai stato coraggioso in vita sua, ma per i suoi figli sarebbe morto.

Strinse i denti, intenzionato a liberarsi. 

“VIGLIACCO!” Gridò nuovamente, rivolgendosi direttamente all’essere coi tentacoli. “SEI UN VIGLIACCO!” 

Ad un tratto, il suo naso si ritrovò davanti alla lama di un pugnale, e dovette smettere di combattere di nuovo: una creatura -molto probabilmente una donna dai capelli corvini, anch’essa dal viso sfigurato e con i denti aguzzi- lo stava tenendo sotto tiro. 

“Ti consiglio di scegliere bene le tue prossime parole e di non di agitarti oltre, señor.” Mormorò quella, con voce graffiante. “No tienes la mas pallida idea di chi hai davanti.”

Stede non riuscì a rispondere.

“Che ne facciamo di lui, Capitán?” 

“Fallo sparire.” 

“Lo uccidiamo?” 

“No! Spediscilo da dove è venuto. I suoi figli sono un prezzo sufficiente per garantirgli la vita.”  

“Non fare loro del male!” Si riprese Stede. “Sono innocenti, li ho portati io, qui!” Disperato, il biondo decise di giocare la sua ultima carta. “Ascolta, sono ricchissimo. Posso pagarti quanto vuoi per il disturbo, basta che ci lasci andare illesi.”

“Ho più ricchezze di qualsiasi re su questa terra.” Sancì l’ombra oscura, ormai prossima ad andarsene con il suo bottino vivente. “Ma loro sono miei, amico! Per sempre.”

“LORO NON SONO TUOI AFFATTO E IO NON SONO TUO AMICO! PRENDI ME, SE HAI IL CORAGGIO! PRENDI ME, SE SEI UN UOMO.”

A quel punto, il Capitano si fermò, e senza che nessuno potesse prevederlo, abbassò il cappuccio, rivelandosi parzialmente nella luce troppo pallida. 

Stede pensò di morire: l’essere davanti a lui aveva un nugolo di capelli ricci aggrovigliati che gli incorniciavano un viso totalmente deturpato da una pelle grigiastra e delle minuscole ventose. 

Una folta e lunga barba grigionera come fumo fitto lo copriva da sotto quello che doveva essere il naso e si estendeva oltre il mento, fino al petto. 

Gli occhi, invece, erano piccoli e rilucenti, rossi come il fuoco. 

 “Mi chiami uomo!” Derise l’essere. “Eri curioso di vedere il volto del Kraken, non è vero?!”

“Ma per carità!” Ribatté Stede, senza fiato. “Non sapevo neanche che esistessero, i Kraken, prima di questo preciso momento!” 

“Razza di impudente!” Sibilò il mostro. “La pagherai cara.”

“La mia offerta resta valida: qualunque sia il tuo prezzo, sarò ben felice di pagarlo io e io soltanto! Tutta la mia vita in cambio delle loro."

“Tu…” Il Kraken rimase stupito. Letteralmente senza parole, “tu, prenderesti davvero il loro posto?”

“Sì...” Ripeté Stede, cercando di dare alla voce un’inflessione autoritaria. “E se io rimango…li lascerai andare?” 

Il mostro valutò. “Abbiamo un accordo.” Concluse infine. “Dunque sei condannato a restare qui.”

“Non mi importa di me….mantieni l’accordo e io farò la mia parte.” 

“Israel!” Chiamò il Kraken, sempre più soddisfatto. 

L’essere che aveva cercato di cacciare via Stede fin dall’inizio si fece avanti. “Sbarazzati dei mocciosi. Mi raccomando, assicurati che giungano a destinazione.” 

“E devo farlo proprio io?”

“Quando mai ho dovuto ripeterti un ordine?”

“Considerali già fuori di qui.” 

“Oh, cielo…” Il cuore di Stede si spezzò di netto. 

“PADRE, AIUTAMI!” Si lamentò Louis, continuando a piangere. 

“Va…tutto bene, piccolo! Presto rivedrai tua madre!” 

“LASCIAMI!” Gridò Alma, che nell’agitazione era riuscita a tirare una gomitata in pieno volto al ceffo di nome Israel. “LASCIAMI, BRUTTO!”

“Alma, calmati, ti prego! Devi portare tuo fratello a casa sano e salvo.” 

“VAI, IZZY!” Incalzò il Kraken.

Egli si diresse fuori dalla porta insieme quella creatura spietata. Le grida dei bambini diventavano sempre più lontane. 

“No…no, aspettate!” Mormorò il gentiluomo, emergendo dal suo stato catatonico. “ASPETTATE! ALMA!! LOUIS!” 

Non poteva arrendersi. Doveva fare qualcosa.

Prima che potesse riuscire a superare le creature che ancora lo circondavano e correre verso la porta, il mondo di Stede Bonnet divenne oscuro.


*ANGOLETTO AUTRICE*
 
Buonsalve! 

Oggi capitolo più lungo per compensare quello di lunedì scorso! 
Spero non sia stato troppo pesante da leggere, soprattutto spero che la descrizione dei nostri adorabili pirati sia chiara. 
In caso contrario, darò i dovuti chiarimenti già nel prossimo capitolo! 

A presto!

-gen

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** IV ***


IV
 

Alma! Louis…”

Le fauci dello squalo erano dritte davanti a lui. 

Gridò. 

Gli occhi infuocati, impietosi di una bestia terribile si materializzarono al loro posto. 

I bambini, scomparsi. 

Alma…Louis…” 

Di nuovo. 

Era la milionesima volta in mezz’ora, che ripeteva quei nomi. 

Possibile che quello strano uomo non conoscesse altre parole?

Mary…” 

“Questa è interessante.” Mormorò il Kraken tra sè e sè. “Chi è questa Mary, adesso?” 

La domanda rimase senza risposta. 

L’uomo aveva voltato la testa verso di lui, con le palpebre sigillate dal terrore provocato sicuramente da qualche brutto sogno. 

Prendi me, se hai il coraggio…

Quando era tornato indietro, il Capitano l’aveva trovato a terra tremante e sanguinante a causa di una ferita alla testa: qualcuno della ciurma non si era regolato con la forza. 

Ah, ma l’avrebbero pagata, quella leggerezza. Nessuno si poteva permettere di toccare un prigioniero a parte lui. Nessuno

Disturbato oltre misura da quel corpo riverso a terra, il mostro aveva voluto agire, sollevandolo delicatamente per le spalle e deponendolo su dei sacchi contenenti la polvere da sparo ancora sigillata. 

Prendi me, se sei un uomo!

Come aveva osato, quello stolto, parlare così a lui? Il Kraken non era stato in grado di smettere di rimuginare su quelle parole, e se il pensarci ripetutamente lo stava infastidendo, trovava semplicemente allucinante la piega degli eventi appena accaduti. 

Dei passi in avvicinamento lo riscossero. 

“Ecco lo straccio e l’acqua che mi avevi chiesto, Capo!” Esclamò Lucius, perché di lui si trattava. “Posso medicarlo?” 

“Ci penso io.”

Il ragazzo si sorprese. “Ne sei…sicuro?” Chiese.

“So disinfettare una fottuta ferita da taglio!” 

“Pensavo anche un’altra cosa!”

“Ma tu non la pianti mai di parlare?!” 

“Temo di no, dato che in tutti questi anni sono praticamente l’unico ad avere abbastanza palle da parlarti in maniera diretta. Non che gli altri se la facciano sempre addosso, eh, ma tu mi hai preso con te per questo motivo.”

“Odio, quando hai ragione…”

“Allora,” Continuò il giovane con un sorriso soddisfatto, “visto che questo bel signore dovrà rimanere qui per un po’ di tempo -praticamente tutta la sua vita- forse potrebbe essere una mossa intelligente mostrargli i suoi alloggi, una volta che si sarà ripreso.” 

Il Capitano si costrinse a mettersi in quella prospettiva: sentiva che in quel caso non poteva proprio delegare il compito qualcun altro. “Lascia tutto qui e vattene dietro la porta. Che non entri nessuno.” 

“Agli ordini.” 

Non appena il ragazzo lasciò la stanza, il Kraken afferrò la pezza e la immerse nell’acqua gelida. 

Si ritrovò a sperare che la ferita non si fosse infettata, o quell’uomo avrebbe davvero rischiato la vita e loro sarebbero morti tutti. 

Fece in tempo a tamponare il sangue dai suoi capelli un paio di volte, poi il prigioniero riprese conoscenza di colpo.

“EHI, LASCIAMI IN PACE!” Gridò, ritrovandosi di fronte alla realizzazione del suo incubo. “VILE MALEDETTO, CHE NE HAI FATTO DEI MIEI BAMBINI?! LI HAI UCCISI! LI HAI UCCISI!”

Il mostro si ritrasse di poco. L’uomo si prese la testa dolorante tra le mani, impotente.

“Non ho avuto nemmeno il tempo di dare loro il mio addio.” Mormorò, mentre due grosse lacrime rotolavano sulle sue guance. “Non li vedrò mai più…” 

Il Kraken avvertí una fastidiosa, benché impercettibile stretta nel luogo in cui anni prima batteva il suo cuore. E la cosa lo straní parecchio.

Era capitato molto spesso che vedesse uomini piangere davanti a lui, quando era un ragazzo: in genere le persone si inginocchiavano implorando pietà, e la stragrande maggioranza delle volte si trattava di miserabili che avevano anche il doppio dei suoi anni.

Il Capitano si sentiva al pari di un dio, in quei momenti, un giudice in terra che poteva disporre delle vite altrui a piacimento. 

Raramente, però, riservava clemenza. 

E non aveva mai provato strette al cuore.

“Ti mostrerò la tua cabina.” Decise, zittendo tutti quei pensieri che gli affollavano la testa. 

“La mia…cabina?” Domandò il gentiluomo, sconvolto all’inverosimile. I suoi occhi brillavano incredibilmente, resi lucidi dalle lacrime. 

“Vuoi…dormire nella stiva?!”

“No!”

La bestia sospirò. “Lucius,” chiamò, certo che il ragazzo avesse ascoltato e visto tutto, “aiutalo ad alzarsi e poi venite con me.” 

Solo allora, Stede si rese conto di essere inspiegabilmente sdraiato sul morbido. 

“Su, su, coraggio.” Mormorò il giovane con un sorriso tirato, sostenendo il gentiluomo per un braccio.

“Stammi lontano.” Sussurrò quello, allontanandosi del tutto. Dopo di che, il gentiluomo si costrinse a camminare appresso al Capitano, il quale conduceva inesorabilmente la via. 

Anche se alla luce, quella nave aveva un aspetto più spettrale del previsto. 

Il legno delle pareti era quasi decomposto e incrostato. C’erano delle alghe a rovinarlo ulteriormente, la polvere era ovunque, e delle macchie di sangue contribuivano ad imbrattare l’opera. 

Dio, perdona tutti i miei peccati. Fa’ che Alma e Louis siano sani e salvi e posa una mano sulla mia fronte. 

“Capo, questo ha cominciato a pregare” sussurrò Lucus, “credo proprio che dovresti parlargli.”

“Io…” Esordí allora la voce roca del Kraken, “confido che prenderai confidenza con il resto della ciurma.”

Il gentiluomo non diede segno di aver sentito, anche se il Capitano era sicuro che le sue parole non fossero volate nel vuoto. 

“Tutta la nave è a tua completa disposizione, puoi fare quello che vuoi e andare dove ti pare, tranne che nelle mie stanze.”

“Perché?” Domandò Stede di riflesso, dando voce al dubbio quasi meccanicamente. “Che cosa c’è lì?”

“NIENTE CHE TI RIGUARDI, TI DICO CHE NON CI DEVI ENTRARE!”

“D—d’accordo, va…bene.” Balbettó, sgranando gli occhi. Era completamente terrorizzato. Di nuovo. “Me ne terrò lontano.” 

Una volta attraversato il ponte sottocoperta, giunsero di fronte a un’altra porta. 

Il Kraken l'aprì, e Stede fece meccanicamente ingresso. 

“Se ti occorre qualcosa, urla il nome di Lucius. O quello di Izzy, che peraltro è il mio primo ufficiale.” 

Il biondo non rispose. 

“Da questo momento in avanti non potrai mai più lasciare questa nave.” Sentenziò il mostro, chiudendo forte la porta. 

Stede ci si buttò contro di peso, tentando inutilmente di aprirla: era chiusa a chiave. 

“No!” Si lamentò disperato. Era in trappola. Era in trappola per tutta la vita. 

Completamente stravolto, fece appena in tempo a raggiungere la branda improvvisata al centro della stanza, vi si rannicchiò sopra e si addormentò piangendo. 

__


“Allora, Rackham. Come procede con il piccolo Bonnet?”

Badminton era riverso rozzamente sul bancone della taverna di Spanish Jackie, tracannando l’ennesimo bicchiere di rum.

I suoi giorni passati al servizio della Marina Britannica erano solo un ricordo lontano, da quando Nigel si era fatto arrestare per detenzione illecita e consumo di alcolici durante il servizio. 

Quel diavolo di suo fratello aveva bevuto così tanto durante l’ultima missione, da farla fallire completamente e ovviamente aveva incolpato anche Chauncey. 

La Marina Reale non aveva perdonato. Non aveva voluto sentir ragioni o raccomandazioni: li aveva espulsi entrambi. 

La vecchia gloria dell’impeccabile ammiragliato secolare dei Badminton si era disintegrata. 

L’onore di famiglia, scomparso. 

L’eredità stava facendo la stessa fine. 

La fortuna però era cominciata a girare proprio in quella taverna, quando una decina di anni prima, i due gemelli avevano incrociato uno strano tizio avente dei trascorsi da pirata. John Rackham.

All’inizio, la cittadina era rimasta a dir poco rapita dalle sue rocambolesche avventure. Per molto tempo, egli aveva goduto dell’ospitalità delle poche famiglie barbadiane un po’ più in vista e dei privilegi accordati dalle suddette persone, imbambolate dai suoi racconti. 

Calico Jack aveva finito per farsi un nome.  

Solo Stede Bonnet era stato l’unico apparentemente ben informato sulla pirateria, per cui non aveva creduto a tutte quelle balle nemmeno per un istante. 

La cosa aveva impressionato molto, il presunto avventuriero. 

Soprattutto, l’apprendere della sua condizione economica e il suo matrimonio-farsa, l’avevano colpito a tal punto da spingerlo a volerlo sposare in tutti i modi.

Ovviamente, se le cose fossero andate in porto, Jack avrebbe ottenuto la risoluzione a tutti i suoi problemi e anche i problemi finanziari dei fratelli Badminton -i quali peraltro conoscevano Bonnet dai tempi del collegio- si sarebbero magicamente sistemati. 

Erano letteralmente anni che Jack provava a far cedere Stede. 

Nessuna ragazza gli aveva mai resistito tanto. Nessun uomo aveva mai avuto le palle di rifiutarsi di scoparlo.

Stede invece sì. 

“Non lo so, Chauncey. Credo di averla combinata grossa, stavolta.”

“Merda, che cosa gli hai fatto?”

“Gli ho raccontato come stavano le cose. Temo che il piano del matrimonio stia fallendo.” 

“Ah…sei un imbecille.” 

“Ma doveva saperlo! Non potevo separarlo da sua moglie senza un buon motivo, ti pare?”

“L’hai visto, oggi?”

“Affatto. Lo cerco da tre giorni e dubito che si sia rinchiuso in casa!” Ammise Jack. “Se devo essere sincero, sono stupito che non sia già venuto a piangere da me.” 

E proprio mentre pronunciava quelle parole, Jack non avrebbe potuto immaginare che, di lì a pochissimi secondi, qualcuno di molto vicino a Stede Bonnet sarebbe entrato di prepotenza dentro la taverna di Jackie…con un cavallo.


*ANGOLETTO AUTRICE*

Saaaaaalve bellə!
Mi scuso di nuovo per la brevità di questo capitolo di passaggio. Come sempre, compenserò con il prossimo!!

A presto!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** V ***


V

 

“AIUTO, QUALCUNO CI AIUTI! AIUTO!” 

“LO TIENE RINCHIUSO NELLA NAVE! NON PUÒ PIÙ USCIRE!”

“Chi?” Chiese uno degli avventori spaventati dal trambusto.

“Nostro padre!!” Rispose Alma, tenendo salde le briglie. “Si chiama Stede!” 

“Dobbiamo aiutarlo!” Aggiunse Louis, con le lacrime agli occhi. “Io in realtà voglio vedere la mamma, prima!” 

“Mi venga un colpo secco se questi qui non sono i figli dello stramboide!” Borbottò schifato Chauncey. “Jackie, se questo diventa un posto per mocciosi, cambio locale!” 

Calico colse l’occasione immediatamente. “Woh, woh, calmatevi!” Disse, attirando l’attenzione di tutti. “Chi è, che tiene vostro padre rinchiuso nella nave?”

“Un mostro gigante e cattivo che dice di chiamarsi Kraken!” Rispose Alma. 

“Ah, sì? E sentiamo, com’è fatto? Aveva gli occhi grandi?” Volle sapere Badminton, divertito.

“No, non tanto, a dire il vero!” Ricordò Louis.

“Erano rossi?” 

“E luccicanti!” Confermò Alma.

“Aveva anche un sacco di tentacoli!” Fece eco il ragazzino.

“Tranquilli, marmocchi,” proclamò il baffuto, alzandosi pomposamente dallo sgabello davanti al bancone, “è la vostra sera fortunata! Vi aiuterá lo zio Jack!” 

“Sei…un amico di nostro padre?” 

“Puoi scommetterci, tesoro." Assicurò quello, afferrando sgraziatamente le briglie di Arthur. “Amico intimo.”

“Tu non sei suo amico più di quanto non lo sia io!” Ribatté una voce proveniente dal fondo del locale. 

I ragazzini riconobbero l’uomo all’istante, così come lo riconobbe Jack. 

“Il pittore.” Esclamò quell’ultimo, guardandolo con un ghigno derisorio. 

“Il malfattore.” Ribatté l’artista, restituendogli uno sguardo sdegnato. “Dammi le redini.” 

“Altrimenti?” 

“Farò in modo di fartene pentire.” 

“E io farò quello che Stede non ha le palle di fare perché è troppo gentiluomo.”

“Stede è davvero troppo gentiluomo per questo mondo,” riconobbe il pittore, “ma io non lo sono. Se vuoi risolvere le cose alla vecchia maniera, incontriamoci di qui. Ora dammi quelle redini.”

Jack esitò. 

“Rackham.” Ammoní Jackie da dietro il bancone, con voce spaventosamente bassa. “Non farmi usare la pistola davanti a due bambini. Lasciali andare.”

Alma e Louis trattennero il fiato. 

“Ti è andata bene, bambolone.” Cedette Calico. “Ma non finisce qui!”

“Sai dove trovarmi” Dichiarò l’artista, conducendo fuori cavallo e cavalieri. 

Stede trascorse il resto della notte a dormire, e spese tutto il giorno successivo a fissare il soffitto della stanza, finché la vista di quelle anguste pareti non iniziò a soffocarlo. 

Non aveva sognato più nulla, ma il suo pensiero correva sui visi di Alma e Louis in continuazione. 

Paradossalmente era lì, distante giusto qualche miglia dal porto. Così vicino, eppure così lontano…

Sperò che stessero bene. Sperò che Mary presto o tardi potesse perdonarlo, magari il giorno stesso in cui sarebbe morto.

L’attenzione del gentiluomo venne attirata dal click della maniglia.

Si alzò immediatamente, preparandosi mentalmente a ricevere chiunque con le dovute maniere. 

“È…permesso?” Domandò invece una voce amichevole, che non aveva nulla a che vedere con quella roca e cavernosa del mostro con i tentacoli. 

Si palesò un ragazzo alto e magro, anche lui avente lo stesso aspetto per metà disumano dei suoi compagni. I suoi capelli erano ricci e neri, ma tra essi spuntavano degli spuntoni rossi e bianchi, e in bocca teneva un mozzicone di sigaretta ancora acceso.

“Salve!” Esordì. 

“Salve…” Emise Stede, decisamente incuriosito. “Posso aiutarti? Che cosa...vuoi?”

“Sapere come ti senti.” Comunicò il giovane, avvicinandosi propriamente. 

Senza che il biondo potesse fermarlo, il nuovo arrivato cominciò ad spostare le bende dalla ferita ed osservare il taglio, annuendo e valutandone la condizione come se se ne intendesse. 

Stede si allontanò subito. 

“Sta’ tranquillo, sono un medico. Non ti toccherò con il mio lato velenoso, promesso.” 

Il gentiluomo allora non si mosse, parzialmente rassicurato. 

“Ti porto le scuse del resto della ciurma.” Annunciò poi il ragazzo. “Non era nostra intenzione colpirti, soprattutto Lucius teneva molto a farti sapere che non avrebbe mai voluto fregarti. Stava cercando di aiutarti sinceramente, anche se ti è sembrato il contrario...peccato, che il tempo sia stato a suo sfavore.”

“Io…sono confuso.” Ammise Stede.

“Noi abbiamo eseguito degli ordini. Non volevamo ridere di te e nemmeno ostacolarti, quella mattina.”

“Ma l’avete fatto.”

“Non sapevamo chi fossi. Sei un estraneo per noi, tanto quanto noi lo siamo per te, però non siamo cattivi, se è quello temi. Non troppo, almeno!”

“Dio…fino a due secondi fa sono stato convinto di essere circondato da gente completamente pazza assetata di sangue e adesso vengo a sapere tutto questo.”

“È sempre così che funziona. L’apparenza inganna sempre, dal principio.” 

“È che distinguo a malapena il giorno dalla notte. Non so se posso fidarmi, non so quando morirò, non so se tra poco anche tu mi farai del male–”

“Ehi, amico, rallenta! Nessuno ti farà del male d’ora in poi.”

“Tranne che il tuo capitano, dico bene?”

“Guarirai prestissimo.” Dichiarò il medico, deviando l’argomento e cambiando le fasciature. 

“Ma la testa mi fa male.”

“È anche per questo, che sono qui.” Il ragazzo sorrise. “Speravo gradissi una buona bottiglia di rum!” 

“Che genere di dottore sei, tu?” Chiese Stede, concedendosi di sorridere appena, e accettando il dono con gratitudine. Ovviamente, non avrebbe bevuto.

“Sono anche un cuoco! E a proposito di questo, il Capo si scusa del suo precedente comportamento. Mi ha detto che vorrebbe vederti a cena.”

“Quando?”

“Subito.”

“Sei davvero gentile e caro, ma–”

“Roach.”

“Roach?”

“È il mio nome.”

“Oh, naturalmente! Io mi chiamo Stede.”

“Sì, già lo sapevo. Lucius ci ha tanto parlato di te. È un piacere constatare che quel piccolo lestofante non ha mentito sul tuo conto.”

“Piacere mio. E per favore, riferisci al tuo Capitano che non accetto scuse e non mi unirò a lui.” 

“Ricevuto: tu non mangerai con–aspetta, fai sul serio?”

“Altrochè! Non voglio vederlo.” 

Roach annuì, comprensivo. “So che può sembrare un mostro, e in effetti lo è decisamente. Ma era un essere umano decente, almeno all’inizio, dico davvero! Sono convinto che non lo troveresti così male, se solo lo conoscessi un po’.” 

“Conoscerlo? Vuole uccidermi e probabilmente voleva mangiarsi i miei figli!”

“Che cosa?! Lui non voleva affatto–ah, non importa. Non è un invito sai? È un ordine. Sei proprio sicuro di voler rifiutare?”

“Più che mai. Non voglio avere niente a che fare con lui!”

“Allora…ecco, io sono dolente, ma se metti le cose in questo modo, temo che manderà Izzy a cercare di convincerti. E Izzy è una vera spina nel culo."

“Faccia pure, mi mandi chi vuole…ho smesso da tempo di avere paura.” 

Stede era consapevole che quell’ultima fosse una grande menzogna ma, tolta la gentilezza di Roach e dagli apparenti tentativi di salvataggio di Lucius, era ancora terrorizzato a morte. 

Sperò che da lì, all’arrivo del temibile Izzy, la bugia si convertisse in realtà.

“Perché ci vuole così tanto?! L’ho mandato a chiamare più di venti minuti fa! Perché non è già qui?!”

“Pazienza, Capitano!” Rispose Lucius. “Quel tizio ha perso i suoi cari bambini da pochi giorni, non puoi—”

“Non posso?! Te lo faccio vedere io, se posso!” Il Kraken smise di camminare avanti e indietro come una bestia ingabbiata e sbottò: “IZZYYY! FOTTUTISSIMO COGLIONE TORNA SUBITO QUI!”

“Capitano, hai pensato che il gentiluomo potrebbe essere…utile, alla nostra causa?!” 

“Certo, sì, ci ho pensato, è dall’inizio che ci penso! Non sono un idiota!”

“Allora è tutto sistemato: presto torneremo completamente umani, d’aspetto e di sentimenti!” 

“Non è così facile,” fece presente Oluwande, anch’egli da sempre nella rosa i consiglieri più fidati, “credo che ci voglia ben più di un giorno, perchè le cose finalmente inizino a ingranare. E se avessimo sbagliato a tenere un prigioniero e la sirena non si presentasse neanche stavolta?”

“Chi se ne importa?! Sono passati più di dieci anni, Olu! Il tempo sta scadendo, il Capitano rischia di morire da un momento all’altro e noi con lui!”

“Lucius, hai fottutamente ragione!” Concordò il Kraken. 

“Allora ammetti finalmente che agire da cazzone tenebroso è stata una stronzata enorme, da parte tua?”

Il mostro sbuffò. “Lo ammetto. Ma non farci l’abitudine.”

“Ce la faccio eccome, l’abitudine! Se ci avessi lasciato fare, a quest’ora avremmo un amico! Forse addirittura tre.”

“Ma non è ancora finita.” Incoraggiò Olu. “È tardi, certo, però possiamo sempre tentare un’ultima volta, prima che le cose vadano in malora del tutto. E poi quell’uomo mi sembra un tipo davvero a posto.”

“Lo è!” Confermò Lucius, sorridendo civettuolamente. “Mi ha chiamato signore!”

“Allora non ti ha visto bene.” Borbottò acidamente la bestia, guardando sottecchi il suo consigliere.

“E poi sembra che sia ricchissimo per davvero!” Continuò Olu. “Un nobile di alta classe, a giudicare da come è vestito!”

“È tutto inutile,” borbottò il Kraken, più frustrato che mai. “Lui sembra tanto gentile, così…”

“Così come?” Volle sapere Lucius. “Affascinante? Attraente? Bellissimo?”

Umano! E io sono…be’, guardatemi, dannazione! Farei spavento a mia madre!”

“Allora dovrai aiutarlo a conoscere la parte più decente di te!” Affermò saggiamente Olu.

“Hai idea di quanti anni sono che non intrattengo una conversazione decente con qualcuno di diverso da voi stronzi?! Sono secoli!” 

“Pessima scusa!” Esclamò Lucius. “E se fossi in te, cambierei completamente approccio!” 

“Che cazzo dici?” Chiese la bestia, sinceramente confusa. 

“Tanto per cominciare sei sempre stato alto e prestante, Capitano! Stare ingobbito sminuisce la tua postura!”

“I tentacoli mi pesano!” Provò a protestare il Kraken. “Non ho più venticinque anni!” 

“Sciocchezze! Quando il gentiluomo arriverà qui, dovresti proprio accoglierlo a tentacoli—ehm, braccia, volevo dire braccia aperte! Forza, fammi vedere l’accoglienza!”

Il Kraken si rassegnò definitivamente e si costrinse a raddrizzare la schiena. “Merda, non posso credere che lo sto facendo davvero.” 

“Coraggio, non vergognarti!” Spronò Olu. “Ti abbiamo visto in condizioni ben peggiori!” 

“Persino senza vestiti!” Concordò Lucius.

“Non farmici pensare.” Esclamò il Capitano, scostando due coppie di tentacoli posti dove una volta erano attaccate le sue braccia. Fece davvero del proprio meglio per risultare ospitale, anche se i due ragazzi sembravano tutt’altro che rassicurati. 

Se dovevano essere sinceri tutti e tre, era un completo disastro.

“E non minacciare più quel povero cristo!” Continuò Lucius.

“Impressionalo, raccontandogli una delle nostre avventure!” Propose Olu.

"Perché diavolo dovrebbero interessargli!?” Domandò il Kraken, venendo completamente ignorato.

“E mi raccomando, tralascia i dettagli troppo cruenti: noi. non. vogliamo. spaventarlo!!” Aggiunse Lucius, punteggiando ogni parola con l’indice della mano ancora umana. 

“Sorridigli come facevi una volta con noi!” Fece eco Olu, rimembrando i bei vecchi tempi in cui il suo capitano aveva il sorriso più ammaliante che si fosse mai visto. 

Invece adesso era apparentemente un mostro assetato di sangue dagli occhi vermigli. “Come cazzo faccio a—” 

“Non dire le parolacce, Capo!” Redarguí il ragazzo più giovane. 

“Fai l’educato!” Esclamò l’altro consigliere. “E soprattutto—”

“—cerca di controllarti!” Conclusero entrambi in coro.

Il Kraken era sul punto di impazzire per tutte quelle raccomandazioni, quando la maniglia scattò in basso. 

Rimasero tutti in silenzio, inizialmente, in attesa. Poi diventarono decisamente delusi, quando dalla porta fece capolino unicamente la faccia scocciata del primo ufficiale. 

“E allora?” Domandò la bestia. “Dove si trova il mio ospite?” 

“Ci ho provato.” Dichiarò Izzy, con una scrollata di spalle. 

“Che cazzo significa, che ci hai provato?”

“Non ha la minima intenzione di uscire!”

“Cosa?”

“Proprio così! Ha detto che per lui puoi andartene a succhiare le uova all’inferno.”

Il Capitano rimase attonito per un lungo momento, indeciso se mettersi a ridere o infuriarsi.

Nonostante fosse assolutamente divertito, scelse la seconda via. 

Mentre si precipitava come una furia fuori dalla stanza, si riscoprì sempre più affascinato e doveva vederci chiaro. 

“NO, FERMATI, CAPO!” Gridò Lucius, correndogli dietro come un forsennato. “ASPETTA!!” 

“NON ESSERE PRECIPITOSO!” Fece eco Oluwande. 

Quando anche Izzy giunse, il Kraken stava già percuotendo il legno dell’entrata della cabina degli ospiti, con una forza tale da far tremare le pareti. 

“CREDEVO DI AVERTI ORDINATO DI SCENDERE IN CAMBUSA!!”

“NON HO FAME.” Rispose Stede, al di lá della porta precedentemente chiusa a chiave. “E NON PRENDO ORDINI DA TE!” 

“VIENI FUORI IMMEDIATAMENTE O DISTRUGGO QUESTA PARETE E TI DIVORO INTERO SENZA NEANCHE MASTICARE!”

“Capitano!” Chiamò Lucius col fiatone. “Magari mi sbaglio, ma…non credo che questo sia il modo migliore per invogliare il nostro ospite a desinare con te.” 

“MA QUELLO FA IL DIFFICILE!” 

“E tu sii gentile!” Redarguì Olu.

Il Capitano emise un sospiro profondo, abbassando drasticamente il tono della voce. “Scenderesti in cambusa?”

“No!”

Il Kraken indicò la porta, esasperato. 

“Mantieni la calma!” Incoraggiò Lucius. “Come dicevamo prima. Chiediglielo di nuovo con garbo, usa la cortesia…”

“Mi farebbe un grande piacere, signore, se scendessi subito in cambusa!” 

“Chiedi per favore!” Suggerì Olu.

“Col cazzo!” Protestò la bestia.

“Chiedilo!!” Incalzò Lucius. 

Il Kraken sospirò spazientito. Cominciava ad averne abbastanza di tutta quella sceneggiata. “Per favore?” 

“No, grazie!” Rispose causticamente Stede. 

“NON PUOI RESTARE LÍ PER SEMPRE!” 

“POSSO ECCOME, SE MI AGGRADA! SONO IN PRIGIONE!”

“BENE! HAI APPENA FIRMATO LA TUA CONDANNA A MORTE!!” Il terrore dei mari si rivolse ai tre. “IL PRIMO DI VOI TESTE DI CAZZO CHE GLI PORTA DA MANGIARE, FINSICE NELLO STOMACO DI UN FOTTUTO PESCECANE!” 

Detto quello, il Kraken sparì più infuriato che mai. 


*ANGOLETTO AUTRICE*

Saaaaalve bella gioia!

Questo è il capitolo che fino ad adesso preferisco in assoluto, spero ti abbia divertit* almeno un pochino!

A prestissimo,

-gen

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VI ***


VI

 

Stede si rigirò per l’ennesima volta sull’amaca, rischiando di cadere, sbuffando e imprecando internamente: non voleva cedere ai crampi sempre più rumorosi che gli facevano dolere la bocca dello stomaco. 

Riuscì a resistere a quel digiuno forzato per un’altra mezza giornata, poi, poco prima che cominciasse ad avere le vertigini, si costrinse ad alzarsi. 

“Lucius.” 

Chiamò, accostandosi alla porta ancora sigillata.

“Lucius!” Ripeté, a voce un po’ più alta.

Il ragazzo apparve all’interno della stanza come per magia. “Guarda guarda chi si è deciso a socializzare!” Esclamò sarcastico, ma con un sorriso sincero sulle labbra.

“Come hai fatto a–”

“Ah, lasciamo perdere. Temo che presto diventeremo parte di questa nave orribile.”

“Oh…”

“Però non accadrà: adesso abbiamo te, gentiluomo.”

“E questo cosa dovrebbe significare?”

Il giovane guardò altrove e cambiò completamente argomento. “Hai bisogno di qualcosa, amico mio?”

“No.” 

“Come sarebbe a dire, no?!”

“Volevo dire sì, ma—“

“Hai fame?”

“Molta…ma se questo significa metterti nei guai, lasciamo perdere. Non lo so nemmeno, perché t’ho chiamato…forse volevo un po’ di compagnia.

Lucius scrollò le spalle una volta, poi ammiccò. “Seguimi!”

Stede rimase in silenzio mentre scivolava fuori dalla cabina per la prima volta da quando vi era stato rinchiuso. 

Il corridoio sotto il ponte di coperta era tetro, il pavimento malandato gemeva sotto i loro passi.

Una lunga scalinata conduceva al piano superiore. “Questa nave è enorme.” Mormorò Stede.

“Puoi dirlo forte. È la nostra ammiraglia, non a caso. Avresti dovuto vederla prima che andasse tutto alla malora!”

“Potrei sapere–”

“No.” Tagliò corto Lucius. “Non puoi sapere come si chiama, non puoi sapere niente sulla maledizione, o il nome del Capitano.”

“Ma perchè?”

“Ordini del Capitano.” 

Stede camminò in un silenzio imbronciato per un lungo attimo. “Immagino che prima o poi mi ucciderà.”

“Mh, ho i miei dubbi, ma se servisse a tranquillizzarti, questo puoi chiederlo direttamente a lui!” 

“Non ci penso nemmeno!”

Lucius ridacchiò sommessamente. 

“Ho parlato con Roach, prima.” Continuò Stede. 

“Ragazzo adorabile e cuoco di talento.”

“È stato assolutamente gentile.”

“Lo è, sì, anche se ogni tanto è un po’ pazzo.”

“Mi ha lasciato intendere che nessuno mi farà del male e anche tu adesso mi stai dicendo che il tuo capitano non ha intenzione di uccidermi.”

“L’unico che ha parlato di uccisioni sei tu. Io ho detto di nutrire seri dubbi sulle sue intenzioni, non che non lo farebbe, se volesse.” 

“Allora se -ipoteticamente- non vuole la mia morte, sono curioso di sapere a che scopo mi trattenga qui.”

“Non puoi continuare a farmi domande in questo modo!”

“Oh, ma io non ti ho domandato proprio niente, adesso.”

“A che gioco stai giocando?”

“Sono lieto,che tu me l’abbia chiesto! Possiamo farne uno, quindi!”

“No, Stede! Non possiamo!”

“Ma se l’hai proposto tu!”

“Non intendevo affatto–”

“Allora ti tiri indietro?”

Lucius era tentato di dire di sì, che si sarebbe tirato indietro, e che anzi, era bravissimo, a tagliare la corda nei momenti più o meno opportuni. 

Il senso di colpa verso il recente incarceramento del gentiluomo lo obbligò moralmente a comportarsi in modo contrario. “Accidenti a te.” Disse, cedendo.

Stede rise trionfante. “Il gioco consiste in questo: io farò delle supposizioni, ma tu confermerai solo quelle che indovinerò e quelle che non ti metteranno nei guai con il tuo Capitano.”

“Altrimenti?”

“Altrimenti cosa?”

“È un ricatto, questo?”

“Oh, no. Il ricatto è un’arma ignobile. Il nostro è un patto tra gentiluomini a cui tu potrai sottrarti senza alcuna ripercussione semplicemente lasciandomi nel dubbio.”

Lusingato e rassicurato, Lucius cedette di nuovo. “Se…se è tra gentiluomini, allora potrei accettare più volentieri.”

“Fantastico.”

Arrivarono al ponte della nave senza alcun intoppo: nonostante sembrasse tutto troppo pericolante, la struttura su cui si muovevano era insolitamente robusta. 

Le creature che il biondo aveva intravisto il giorno della sua cattura, si affannavano sotto la pioggia battente, lavorando senza tregua. 

Allora Stede pose la prima domanda: “Perché i tuoi compagni lavorano con questo buio?”

“Perchè ti hanno colpito.”

“Non mi hanno colpito!”

“Hai un bernoccolo grosso come una noce di cocco e una fasciatura ancora più grande. Non hai bisogno di fingere con me: ero lì, quando il Capitano è tornato indietro e ti ha trovato sanguinante."

“Credo che dovessero farlo. Roach ha detto che non potevano disobbedire.”

“Il Capitano aveva ordinato di fermarti, non di ferirti. Si è arrabbiato, quando ti ha visto in quello stato.”

“Arrabbiato?”

“Già. E non sapendo chi era stato, ci ha puniti tutti. Io sono potuto venire da te perché ho sbrigato prima i miei compiti. Se avessi chiamato Izzy, probabilmente saresti ancora lì ad aspettare una risposta.”

“Diamine…” Stede fissò nuovamente quelle figure mostruose che scontavano la loro punizione nel buio, e invece che repulsione provò una gran tenerezza. “Che cosa devono fare?”

“Riparare il castello di prua…ma è inutile: domani tornerà distrutto, esattamente come lo era il giorno della maledizione. Sembra che persino il tempo non esita più, qui.”

“Tutto questo è terribile! Non possiamo farli smettere?”

Lucius lo guardò accigliato, come se al posto dell’educato gentiluomo si trovasse dinanzi al Diavolo in persona. “Vuoi che smettano?”

“Certo!” 

“Andiamo, ragazzi!” Gridò allora il giovane. “Basta così!” 

Dopo neanche due secondi, tutti gli attrezzi di riparazione si schiantarono sul pavimento in tonfi assordanti, e le figure si lasciarono andare al sollievo.

L’unico che aveva ancora qualcosa in contrario, era proprio Izzy, che fronteggiò Lucius con autentica furia. “Chi cazzo ti ha detto che potevamo fermarci, eh!?” Dopo di che, notò Stede. “E che cazzo ci fa lui, fuori dalla sua cabina?!”

“Ti rispondo con ordine: nessuno mi ha detto che vi è permesso smettere, ma non potevate più andare avanti così. Per quanto riguarda lui, ha semplicemente fame!” Ignorando deliberatamente le proteste del primo ufficiale, Lucius si rivolse alla seconda creatura della ciurma che conosceva anche il gentiluomo: “Hai sentito Roach? Quest’uomo ha fame, accendi la fottuta fornace!!”

“Con grande piacere!” Il cuoco-medico si diresse subito in cambusa. 

“Ma il Capo ha detto—” Provò a dire un pirata con il cranio mezzo trasparente come la cupola di una medusa. 

“Si fotta il Capo,” proruppe Olu, battendo una mano sulla spalla di Stede, “stasera abbiamo un ospite!”

“Voi siete dei pazzi furiosi, mi farete passare l’inferno!” Protestò Izzy.

“Perché, non lo passi già tutti i giorni?!” Replicò un altro individuo alto e magro.

“Non è la stessa cosa! Se il capitano si arrabbia dovrò sorbirmelo io!”

“Non accadrà.” Intervenne Stede. “Lo affronterò io al posto tuo, l’ho già fatto.”

Izzy rimase inizialmente colpito da quelle parole. Poi si riprese, afferrando il biondo per il colletto. “Non ho la più pallida idea di chi ti credi di essere, ma non ho bisogno di essere difeso da un nobile coglione come te.”   

“Allora puoi anche farla finita di frignare.” Ribatté il ragazzo alto e magro di poc’anzi, allontanando il gentiluomo dalle grinfie dell’uomo-murena. “Noi andiamo a mangiare. Tu, Dizzy puoi benissimo avviarti a fare in culo.” 
__

Inaspettatamente, la cambusa era la stanza più illuminata di tutta la nave. Le torce affisse su ogni parete bruciavano, rendendo l’ambiente confortante.

Lì, Stede ebbe modo di vedere bene i volti e l’aspetto dell’equipaggio che un tempo era formato da uomini interi.

“Sono molto imbarazzato,” stava dicendo Roach, con uno sguardo apologetico. “Non ho davvero un gran che da offrirti a parte un po’ di pesce pescato di fresco stamattina e la mia scorta speciale di spezie!” 

“Non mangiamo quasi più, noi!” Intervenne l’uomo dalla testa di medusa. “Mi chiamo Black Pete, comunque.”

“Io Stede. Davvero, non mangiate?” 

“Solo quando ce ne ricordiamo, ormai. Un’altra delle sorprese della maledizione…eravamo completamente umani, un tempo, e ora cerchiamo di comportarci come tali.” 

“Mi dispiace…” Stede guardò il cuoco. “Qualsiasi cosa cucinerai andrà benissimo Roach, grazie!”

“Sta’ tranquillo, amico!” Rispose quello, alzando allegramente una mannaia. “Sarò maledetto e sicuramente velenoso, ma mi ricordo ancora come si fa!”

“E cosa sarebbe una cena senza un po’ di intrattenimento?” Continuò Lucius con ritrovata allegria, tirando un ragazzo per il polso. 

“Mi chiamo Frenchie,” Si presentò il giovane gentile che aveva tenuto testa a Izzy sul ponte. Salutò Stede con un inchino assolutamente traballante, “sono il bardo della nave, ma all’occorrenza il sarto!” 

“Piacere mio!” 

“Wee John.” Esclamò semplicemente un omone alto e piazzato con un enorme guscio di testuggine sulla schiena. “Io governo il fuoco.”

“È leggermente fissato con la polvere da sparo.” Sussurrò Lucius all’orecchio del gentiluomo.

“Salute, affascinante straniero!” Esordì poi un uomo dall’aspetto curioso. Stede avrebbe giurato che fosse per metà pesce palla. 

“Lui è Buttons, il timoniere.”

Improvvisamente, uno strano uccello metà gabbiano metà cormorano atterrò sul suo testone tondo.

“Lei è Olivia, gli occhi e le orecchie di questa bagnarola.” Lucius accarezzò il collo del docile volatile, che cercava di nascondere il becco e la testa dietro l’ala scura, il cui piumaggio strideva bestialmente con la controparte candida. “Adesso non fare la timida, abbiamo un nuovo amico qui, e lui sa che sei maledetta come noi!”

“Livy è vanitosa, quando si tratta di estranei” Dichiarò Buttons. “Ma ti porge i suoi omaggi!”

“È bellissima.” Assicurò il biondo, sorridendo di cuore. “Andrebbe molto d'accordo con Arthur, il mio fiero cavallo.”

“Lui è Lo Svedese.”

Stede si ritrovò davanti a un tizio tremendamente somigliante ad un pesce chirurgo giallo. 

“Skål!” Disse quello, offrendogli un corno cavo contenente un liquido somigliante a birra. 

“Salute a te.” Rispose il gentiluomo, alzandolo. 

Lo Svedese mimò il movimento, facendo cozzare rumorosamente il proprio boccale con il suo a metà strada. 

"Questo uomo è simpatico.” Dichiarò, dopo aver svuotato metà bevanda, che Stede invece assaggiò appena.  

“Questi sono Ivan e Fang.” Lucius indicò gli altri due elementi più robusti della ciurma. Il primo aveva il volto mezzo nero e mezzo bianco, l’altro presentava un paio di zanne oblunghe, nonostante l’aria estremamente affabile. 

Stede li salutò con un cenno educato, che essi ricambiarono immediatamente con un gran sorriso.

“Gentiluomo?” Chiamò Olu, con un enorme sorriso sulle labbra. “Vorrei presentarti il mio compare Jimenez.”

“Jimenez?Ripeté il biondo. La donna col pugnale, riconobbe poi. “ Compare? Un appellativo particolare, per una creatura femm–”

“Non sono una señora.” Rispose prontamente l’essere dai tratti affilati, digrignando i denti aguzzi. 

“Oh, d'accordo, Jim–ehm…sono tremendamente imbarazzato: temo di non ricordare già più il resto del tuo cognome.”

Il volto della non-ragazza si illuminò all’improvviso.“Por mi va bene.” Disse, guardando Olu e il resto degli uomini. “llámateme Jim. Mi piace, Jim.”

Stede allora si rilassò e prese finalmente posto a tavola. 

Rimase in silenzio, all’inizio, ascoltando i discorsi delle persone intorno a sè, ma la cena non tardò ad arrivare: ben presto, il gentiluomo si rese conto che Roach era davvero un cuoco di talento, e che quello che aveva nel piatto era il pesce più buono che avesse mai mangiato in vita sua. 

Inoltre, una musica allegra si era propagata nella stanza: Frenchie pizzicava le corde di un liuto di legno sgangherato, canticchiando un’allegra canzone inventata sul momento. 

Il tempo di finire la cena, che tutti i membri della ciurma si unirono a cantare i versi: “stia con…noi, qui con noi…” 

“Dovrò rimanere qui con voi per un po’, temo” Sorrise Stede, battendo le mani alla fine di quell’esecuzione un po’ sgangherata ma sincera. “Ma così mi sento davvero il benvenuto, grazie! Ditemi come posso ricambiare la vostra ospitalità!” 

“Non lasciamo questo molo da una vita…” Disse Lucius. “Sai…stesse cose, stessi giorni…stesse brutte facce.” 

Qui la ciurma si mise a ridere, e Stede, in quell’ilarità generale vide semplicemente undici ragazzi che, seppur maledetti cercavano di vivere meglio che potevano. 

Si sentì un verme, ad essersi lamentato della sua vita. 

“Dicci qualcosa di interessante.” Concluse Olu, notando la sua faccia triste. 

“Volentieri!” Si riprese subito il gentiluomo. “Cosa volete sapere?”

“Ci va bene qualunque cosa.” Disse Ivan.

“Vi piacciono le storie?” 

L’equipaggio emise un borbottio concitato. 

“Bene!” Sorrise Stede. “Non sapete quanti libri ho! Potreste andarli a prendere a casa mia, se volete! Posso darvi le indicazioni per arrivarci, non è difficile–”

“Ehi, Ehi! Rallenta, Stèfano.” Esclamò Jim. “No podemos tocar el suelo.” 

“Cosa–perchè?”

“Guai e disgrazie accadono a chi ci prova.” Tuonò la voce solenne di Buttons. “Olivia questo lo sa bene.”

“Il povero Karl.” Olu si tolse il berretto e Jimenez il cappello. “Grande gabbiano. Grande amico.”

“Voleva recuperarci delle provviste perché stavamo morendo di fame. Non ha mai più fatto ritorno.” Sussurrò Roach a voce volutamente bassa, per evitare di turbare la piccola Olivia già in agitazione. “Gli sono andate le ali in fiamme ed è precipitato in mezzo al mare. Noi faremmo sicuramente quella fine, se provassimo a mettere piede fuori di qui.”

“Vi chiedo scusa.” Stede portò una mano sul petto. “A volte dimentico della vostra…situazione.

“Ce ne vorremmo dimenticare anche noi, una volta tanto.” Asserì Frenchie. “Ma tu puoi aiutarci a non pensare per un po’.”

“In realtà conosco una storia molto carina. Conoscete la leggenda de La Ragazza che morì tre volte?”

Immediatamente si levò un coro di: “Ma non è possibile morire tre volte! No, non la conosciamo! Mai sentita!” 

Ovviamente, non la conoscevano ed erano molto curiosi di sentir raccontare qualcosa di diverso dalle storie marinaresche ad un uomo nobile, nato e cresciuto a terra. 

Il biondo sorrise. “Ci sono molte versioni e sono sicuro che se avessi il libro sarebbe tutta un’altra cosa, ma farò del mio meglio per raccontarvi ed aiutarvi a dimenticare.”

Inaspettatamente Stede si alzò e spense qualche candela. Dopo di che, con una mezza giravolta si voltò nella penombra e aprì i palmi delle mani con aria teatralmente misteriosa. 

“Mettetevi comodi, miei cari gentiluomini,” proclamò, “e lasciatevi trasportare in uno dei castelli più sontuosi della Germania." 
 

*ANGOLO AUTRICE*

Buonsalve, bella gioia! 

Prima di tutto grazie per essere arrivat* a leggere fino a qui. 

Mi sembrava giusto, dato che la ciurma ormai si è presentata tutta, far capire bene a te che leggi con che sorta di animali condivide l’aspetto fisico: 

Lucius: Stella Marina Rossa https://it.wikipedia.org/wiki/Echinaster_sepositus

Izzy Hands: Murena Muraenidae - Wikipedia

Black Pete: Medusa Cubozoa Cubozoa - Wikipedia

Nathaniel Buttons: Pesce Vampiro (per via della dentiera)  pesce vampiro - Ricerca Google

Olivia: Cormorano Phalacrocorax carbo - Wikipedia

Oluwande Boohdari: Myliobaltis Aquila (Aquila di Mare) Aquila di Mare | Habitat e descrizione di questo pesce cartilagineo (viaggipersub.it) 

Jim Jimenez: Barracuda Sphyraena barracuda - Wikipedia

Ivan: Orca Orcinus orca - Wikipedia

Fang: Pesce Abissale pesce abissale con luce - Cerca con Google

Svedese: Pesce Chirurgo Giallo Zebrasoma flavescens - Wikipedia

Roach: Pesce Scorpione pesce scorpione - Cerca con Google 

Frenchie: Riccio Fiore riccio fiore - Cerca con Google

Wee John: Tartaruga Azzannatrice Tartaruga azzannatrice comune - Wikipedia

Ed: Kraken The Best Cthulhu Art from the Lovecraft Mythos » Mega Pencil 

Per quanto riguarda la storia della ragazza che morí tre volte…tutto avrà senso nel prossimo capitolo, promesso! 
Un salutone,

-C

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VII ***


VII
 

L’equipaggio rise con divertimento e si accomodò in un cerchio attorno al tavolo. Cominciano tutti a trovarlo davvero simpatico, quell’ometto educato, anche se in quel momento sembrava assolutamente fuori di testa per aver messo in piedi quella messinscena. 

“La nostra storia inizia un bel giorno con una bellissima e buona regina, la quale, dopo essersi punta un dito con un ago da cucito, sognò di avere un figlio bianco come la neve, nero come l’ebano e rosso come il sangue.”

Stede non poteva credere a quello che aveva davanti: aveva l’attenzione completa di quel gruppetto di marinai, che pendevano letteralmente dalle sue labbra. 

Mai in vita sua, qualcuno era mai stato interessato a ciò che diceva -se non si contavano Alma e Louis.

Intimamente commosso ed elettrizzato, proseguì. 

“Ella restò incinta dopo poco, ma come avrete capito, non ebbe un bambino, bensì un’incantevole bambina dalla pelle diafana, i capelli neri e le labbra vermiglie, che chiamò Biancaneve. Il Re, ormai rimasto solo–”

“Che fine fece la regina?” 

“Ottima domanda, Wee John. La poverina morì di parto. Il Re, allora si risposò con un’altra donna bellissima, ma estremamente invidiosa.”

“Come si chiamava, questa donna?” Chiese Fang, mordendosi le poche unghie che aveva.

“Non si è mai saputo. Ma la sua gelosia esplose quando Biancaneve compì sette anni. Secondo lei, la grande bellezza della figliastra era una minaccia, quindi occorreva toglierla di mezzo.”

“Cre stronza! Prendersela con una bambina di sette anni! Avremmo dovuto farla parlare col Capitano–” Proruppe Roach entusiasta, beccandosi uno spintone da un intimorito menestrello. 

“Ma sei scemo a nominarlo?!” Chiese infatti Frenchie, guardandosi nervosamente intorno e ignorando le risate degli altri intorno a sé. “Non rovinare tutto!”

“Aaaah, smidollato!” Ribatté il cuoco dottore, massaggiandosi un braccio. 

“Smidollato a me?!” 

Sarebbe scoppiata una gran rissa, se una lama di pugnale non fosse scattata fuori dal fodero. Bastò quella, per ristabilire il silenzio di poc'anzi. 

“Grazie, Jim.” Disse Stede con gratitudine. 

“Racconta, amigo. Andale.”

“Ehm, dov’eravamo? Ah, sì, la matrigna. Ebbene la suddetta stronz–ehm, donnaccia, incaricò un cacciatore di uccidere Biancaneve e di portarle il fegato, i polmoni e il cuore -non per mangiarli, no, ma per mera prova della sua morte. 
Il cacciatore però era un brav’uomo, ed ebbe pietà della piccola: la allontanò dal pericolo, poi uccise un cinghiale al suo posto.

“Un cinghiale?” Ripeté Lucius nauseato.

“Geniale!” Intervenne nuovamente Roach, stavolta con ironia. “Chi non saprebbe riconoscere le budella di una bestia di quelle dimensioni, da quelle di una marmocchia di sette anni!”

“Ma vuoi stare zitto?!” Sbottò Pete. “Scusa Stede, va’ avanti.”

“Il cacciatore riportò quindi gli organi alla matrigna, e quella, credendo che fossero di Biancaneve, se li mangiò, anche se aveva detto che non l’avrebbe fatto. 
La bambina nel frattempo era fuggita nei boschi lontani dal castello e crebbe lì, aiutata dagli animali che aveva conosciuto e soprattutto grazie a sette piccoli minatori che, vedendola sola e denutrita, l’accolsero nella loro casetta.
Biancaneve nonostante tutto crebbe diventò una giovane splendida, buona d’animo ed estremamente ingenua. 
La bellissima quanto perfida matrigna venne a sapere dopo anni che la figliastra era ancora viva e vegeta grazie al suo specchio magico, che glielo rivelò per sbaglio. Infuriata, prima fece uccidere il fedele cacciatore ormai anziano per averla ingannata, poi meditò vendetta per proprio conto.”

“E il Re dov’era??” Interloquì Lo Svedese.

“Non lo so proprio. Credo fosse morto. Comunque, la matrigna aveva un piano: ucciderla. Sfigurando il proprio volto e abbigliandosi come una semplice venditrice, cercò la figliastra in lungo e in largo, finché non riuscì finalmente a trovarla. 

Approfittando dell’assenza dei sette piccoli uomini, riuscì ad entrare nella sua casa e a convincerla a comprare un nastro, con cui poi la soffocò stringendoglielo in vita. 
Gli ometti, quando la trovarono a terra e priva di sensi, disperarono moltissimo; tuttavia, tagliando quel nastro, capirono che non era troppo tardi: la loro protetta era morta, e miracolosamente si salvò.”

La ciurma esultò. 

“La matrigna non si arrese.” Continuò Stede. “Tornò il giorno dopo e le vendette un pettine ahimè avvelenato. Gli ometti la salvarono anche stavolta, togliendoglielo dai capelli. 
Alla terza volta, la giovane fu avvisata di non comprare più niente da quella vecchia apparentemente innocua, ma ella era così ingenua e pura che si lasciò convincere il giorno successivo a comprare una mela avvelenata. La strega quella volta le propose addirittura di fare a metà.”

A questo punto, Stede notò che la ciurma stava trattenendo il fiato.

“La mela però non era completamente intrisa di veleno: la matrigna tenne la parte sana per sé, destinando quella cattiva alla ragazza, che la morse e cadde in un sonno profondo.
I sette tornarono alla casetta dopo aver lavorato, e quella volta capirono che era fatta: Biancaneve era morta.”

Fang iniziò a singhiozzare senza ritegno sulla spalla di Ivan, ma la tristezza era generale.

“Nonostante tutto, la giovane era così bella che gli ometti non se la sentirono di rinchiuderla in una bara e seppellirla sotto terra. 
Così ne costruirono una di vetro e la posero su un prato di candidi fiori bianchi, in modo che tutti potessero ammirarla anche nella morte. 
Dopo tre giorni di veglia passò di lì il Principe del regno vicino, che vedendola rimase folgorato d’amore. 
Chiese ad uno degli ometti di aprire il coperchio e avvicinandosi per guardare Biancaneve bene in viso, non poté fare a meno di baciarla. 
Biancaneve si svegliò per miracolo, sfuggendo alla morte per la terza volta. Il principe la chiese subito in moglie e dopo un bel matrimonio vissero per sempre felici e contenti nel loro castello e con tanti bambini da amare.”

Stede finì di raccontare con un bel sorriso e la ciurma esplose in un applauso.  

Se avessero potuto abbracciarsi, certamente l’avrebbero fatto, ma non potevano, combinati com’erano. 

“Ho una domanda!” Esordì ad un certo punto l’uomo-tartaruga. 

“Certo, chiedi pure!” Il biondo rimase in ascolto. 

“La morte del Re  è sospetta! La matrigna deve averlo fatto saltare in aria!”

“Per te salterebbero tutti in aria, Wee John!” Rispose Frenchie, evitando a Stede di pensare ad una giustificazione troppo realistica per una fiaba.

“E poi un’esplosione avrebbe distrutto almeno mezzo castello!” Osservò Ivan.

“La tua teoria non regge, amico!” Fece eco Fang. 

“La questione più importante è un’altra!” Replicò Lucius, sovrastando la voce di tutti quanti. “E se biancaneve non avesse voluto essere baciata?”

Y como crees que avrebbe fatto el príncipe a despertarla? Eh, hombrecito?” Domandò Jim, zittendolo immediatamente. 

“E poi com’è possibile vivere con sette uomini e non farci niente?!” Chiese Lo Svedese. 

“Tu, amico mio, sei proprio un imbecille!” Replicò l’uomo-medusa. “Quella era una principessa!”

“E una principessa non ha degli istinti, idiota?!” Rimbrottò Roach, in difesa dell’amico nordico. “È una femmina!”   

“Ehi, un momento!” Ribatté Lucius, sentendosi nuovamente chiamato in causa. “Come hai chiamato il mio Pete?!”

“Idiota!” Scandì bene il cuoco-dottore.

“Dimmelo in faccia, brutto mostriciattolo che non sei altro!”

Lucius gli saltò al collo e non ci fu verso di fermarlo. Volarono per sbaglio delle manate e delle gomitate che innescarono inesorabilmente una rissa. 

In un attimo, l’equipaggio cominciò a darsele di santa ragione e a nulla servirono i richiami atterriti del gentiluomo di farli smettere.

Stede decise quindi di lasciare la stanza: era un momento d’oro per gironzolare indisturbato, senza contare che l’antipatico di quel mostrone tentacolato sembrava essersi volatilizzato. 

Intraprese quindi la strada opposta a quella da cui era venuto, camminando più lentamente di quanto volesse. 

Il cuore gli batteva forte. 

Le gambe tremavano leggermente. 

La tensione che gli aveva chiuso lo stomaco era la consapevolezza di star infrangendo un ordine ben preciso, e che ci sarebbero state sicuramente pessime conseguenze se le cose fossero andate nel verso sbagliato. (Cosa molto probabile, considerata la calamita che Stede aveva per i guai.)

Il gentiluomo notò che lo stato della nave peggiorava man mano che si addentrava nel cuore del vascello, ma la curiosità fu di gran lunga più forte della paura. Proseguì. 

Continuò il suo incedere leggero finché il corridoio del ponte sottocoperta non non divenne buio pesto. 

Non c’era mai una gran luce, dentro quella nave…eppure i suoi occhi verdi e luminosi erano ancora troppo disabituati all’oscurità totale. 

Allora continuò a tentoni, adattandosi alla parete laterale colma di melma e alghe che gli solleticavano viscidamente la mano. 

Storse il naso per il fastidio, ma non fece in tempo a lamentarsi: la fronte, il ginocchio destro, e poi tutto il resto del suo corpo andarono a urtare duramente un ostacolo di legno massiccio. 

“Diamine!” Esalò, ritrovandosi disteso a terra. 

Quando si riprese, la testa gli girava come non mai, ma riuscì a rimettersi prima in ginocchio e poi in piedi. 

Tendendo le mani davanti a sè, capì di trovarsi dinanzi ad una porta chiusa. 

Sempre a tentoni trovò la maniglia dal pomello importante e quando fece per tirarla a sé, per poco non gli cadde tutto addosso di nuovo.  

Ovviamente, quella porta era scardinata, segno che il suo irruento proprietario doveva essersela tirata alle spalle ben più di una volta.

Il pavimento invece scricchiolava come non mai, sembrava tutto così malandato che era difficile credere che quella nave fosse un’ammiraglia. 

Dopo qualche passo, il buio fortunatamente finì, o meglio, diminuì: tre candele illuminavano debolmente quella che era la stanza messa peggio di tutte. 

Gli stendardi e le bandiere che un tempo adornavano le pareti, erano logore e stracciate, cadenti, marce. 

Un grande letto completamente intatto era attaccato ad una di quelle pareti, e dall’alto livello di polvere depositata sulle coperte, Stede dedusse giustamente che nessuno vi trovasse riposo da anni. Il camino accanto, neanche a dirlo, era sporco di cenere e carbone. 

La mobilia era distrutta, meticolosamente fatta a pezzi, il pavimento era ricoperto di vestiti neri, calzoni e camicie che un tempo dovevano essere stati di ottima fattura. 

Solo un tavolo zeppo di fogli gettati alla rinfusa e una poltrona ribaltata, si erano parzialmente salvati dalla furia distruttrice del Kraken, perché quella, altro non poteva essere che la sua tana.

Che cosa aveva da nascondere, quindi, la bestia? Perché tanta segretezza? 

Era la cabina più orribile che Stede avesse mai visto. 

Forse il Capitano si vergognava del disordine!

Il biondo non fece in tempo a ridere di quel pensiero, che il suo sguardo seguì l’ultimo bagliore di luce presente nell’altrimenti eterna penombra. 

Sulla scrivania zeppa di carte marce era posta la terza candela gocciolante di cera e ormai prossima a consumarsi del tutto. Avvicinandosi al sudiciume composto da inchiostro rovesciato e ormai secco, carte nautiche gettate alla rinfusa decisamente inutilizzabili e teschi di dubbia provenienza, il gentiluomo notò un piccolo scrigno d’argento lucido che emetteva un sinistro bagliore e un ancora più strano ticchettio nel silenzio totale.

Stede non sapeva perché quel cofanetto lo attirasse come la falena alla luce di una torcia. Non poteva resistere alla tentazione di avvicinarsi per metterci su le mani. 

Il ticchettio divenne sempre più intenso. 

Si rese conto, adesso che ci prestava attenzione, che il suono era ritmico, martellante, esattamente come quello di…

…no, non è possibile. Pensò frastornato. Eppure…




*ANGOLO AUTRICE*

Salve, bellezze!
Ecco qui il capitolo, spero che ti abbia intrattenutə almeno un pochino!

Per quanto riguarda la fiaba, ovviamente è Biancaneve. Ma non quella della Disney: infatti ho ripreso la versione dei Grimm Biancaneve - Wikipedia del 1812! (Rielaborata un po' a modo mio!)

Un salutone e alla prossima,
-C

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** VIII ***


VIII

Eppure solo una cosa poteva emettere quel rumore. 

Le mani presero a tremargli pesantemente. 
Sobbalzò, mentre sollevava il coperchio e la serratura scattava senza opporre alcuna resistenza. 

Lui sapeva che ciò che stava facendo era  una cosa profondamente sbagliata, e non era neanche da lui essere tanto curioso…o meglio, lo era, ma un gentiluomo sapeva sempre dove arrestare la propria fame di conoscenza. Lui ormai non capiva più se l’inquietudine che stava provando fosse a causa della superficie gelida a contatto con la pelle altrettanto fredda delle sue mani o per la curiosità immensa che l’aveva travolto. 

Non appena il contenuto del forziere si palesò ai suoi occhi, Stede gelò per il terrore. 

C’era un cuore umano, lì dentro. 

Ed era rosso di sangue, come se fosse stato appena estratto dal petto di una persona da pochi istanti. 

Stede represse un conato di vomito, allontanandosi immediatamente dalla scrivania, ma ormai era troppo tardi: un’alta figura dagli occhi rossi lo stava osservando, probabilmente da tutto il tempo, da quando aveva messo piede nella cabina. 

“Tu…” Ringhiò minaccioso il Kraken, fronteggiandolo. “Che cosa ci fai qui?”

“Io...”

“Ti avevo avvertito che non potevi entrare qui dentro!!” 

“Ma non stavo facendo niente!” Emise il biondo con voce strozzata. 

“TU VOLEVI UCCIDERMI!” Esplose il mostro infuriato, ribaltando la scrivania con un calcio e terrorizzando ulteriormente il gentiluomo, il quale si immobilizzò come una statua di marmo.

“Questo n–non è vero!” Tentò di dire. “No–non sono c–capace di–”

“Vattene.”

“Cosa?”

“SEI SORDO?? VATTENE DI QUI!” 
__

Stede fece quanto ordinato. 

Corse nel buio, senza sapere come trovare la forza di muoversi. 
Quando la luce fu più chiara, allungò le falcate, correndo fino a farsi dolere le gambe, sorpassando la stanza in cui la rissa era ancora in atto e facendola smettere. 

“EHI, DOVE STAI ANDANDO?!” Gridò Lucius, correndogli dietro insieme a Olu e Jim. 

“VIA!” Gridò semplicemente Stede di rimando, senza arrestare la corsa. 

Ormai erano arrivati tutti e quattro sul ponte di coperta. 

Le intenzioni del biondo divennero chiare. 

“NO STEDE!!” Gridò Olu. “SEI PAZZO, FERMATI! FERMATI SUBITO!!”

Fu tutto inutile. 

I tre si arrestarono al corrimano pericolante che li separava dal mare, attoniti e sconvolti. 

“Vado a chiamare el Capo!” Annunciò Jim, precipitandosi via.

“Io vado dagli altri!” Esclamò il consigliere più giovane, tremando per il freddo e per i nervi.
__

Il gelido abbraccio del mare lo accolse.

…stranamente era ancora vivo. 

L’inverno era alle porte, il semplice impatto con l’acqua avrebbe dovuto togliergli la coscienza, poi il respiro, poi il resto. 

Ma il suo cuore batteva ancora. 

Forse lo sarebbe rimasto al mondo pochi istanti, il tempo di dedicare un ultimo pensiero alle persone che amava, poi sarebbe disceso direttamente agli inferi. 

Stede era immobile, insensibile a nient’altro che non fosse la corrente sottostante. Non aveva mai imparato a nuotare. 


I volti sorridenti di Alma e Lois gli apparvero all’improvviso, seguiti dagli occhi gentili di Arhtur. Li tenne a mente, mentre il corpo sprofondava nell’abisso e i suoi polmoni cominciano a scoppiare. 

Anche se nei momenti peggiori l’aveva desiderato, Stede non avrebbe mai immaginato di morire tanto presto, nell’anonimato del mare, cieco e gonfio d’acqua.

Non potè fare in tempo a disperarsi, qualcosa l’aveva artigliato fermamente per la vita, togliendogli definitivamente la poca aria che gli era rimasta. 

Allucinazioni, pensò. Erano un grande classico, prima del livor mortis. Il suo odiato padre aveva dato segni di delirio, subito prima di spirare. 

Però quella presa forte intorno ai suoi fianchi non poteva essere irreale. 

E Stede non seppe cos’era, non seppe per quale motivo si sentisse trascinato verso una direzione sconosciuta dentro il mare, all’improvviso si ritrovò a sentire la brezza del vento…

…aria!

Pensò, aprendo finalmente gli occhi. 

Non appena fu in grado di mettere a fuoco, si rese conto che la nave sopra di lui era illuminata a giorno, così tanto da eclissare il chiarore delle stelle, e che lui stesso era aggrappato ad una scialuppa calata apposta dalla ciurma, che gli stava dicendo accoratamente qualcosa. In realtà erano un sacco di cose, ma lui ancora non riusciva a comprenderle. 

Quando anche l’udito si decise a tornare, il biondo capì. 

“SALI!!” 

Gli stavano gridando, sbracciandosi dalla fragile balaustra. 

“SALI, STEDE, MUOVITI!”

Stede non poteva: il freddo si era preso il suo corpo, e divenne ancora più difficile per lui muovere un muscolo, quando numerose pinne aguzze bucarono il pelo dell’acqua. 

Parato davanti a lui c’era il Kraken, che non lo stava guardando. 
Gli dava la schiena, intento a capire quale dei pescecani avrebbe attaccato per primo. Aspettava una mossa, come se se li stesse aspettando. 

Stede sperò che la Bestia potesse spaventare le altre che stavano avanzando inesorabili, sempre più vicine, invece fu tutto vano. 

Il primo squalo attaccò, cercando di aggirare i tentacoli, ma venne afferrato e scaraventato al largo con una forza sovraumana. 

Il secondo puntò dall’altra parte. Il Kraken gli fece fare la medesima fine, dopo di che creò un’onda per rallentare il branco in avvicinamento. 

Alla fine, gli squali attaccarono in contemporanea. Stede riuscì a scorgerne quindici, mentre dinanzi a sè si dipanava lo scontro più impossibile che gli fosse mai capitato di vedere. 
Si rese anche conto con terrore, che quelli non avevano alcun interesse per il mostro con i tentacoli: avevano cercato di evitarlo ed aggirarlo fin dall’inizio. 

Era a lui, che stavano puntando. 
E la Bestia lo stava inspiegabilmente proteggendo.

“SALI SU QUELLA CAZZO DI SCIALUPPA!” 

Ringhiò Kraken, confermando quel pensiero. 

Stede sentì gli occhi bruciargli di lacrime. Il corpo gelato e intirizzito non era ancora in grado di rispondere ai suoi comandi.

Come poteva salvarsi, mentre il Kraken combatteva fino allo stremo? 

L’acqua si muoveva agitata.

Onde alte si formavano e si infrangevano secondo i movimenti del Capitano, mentre degli spari risuonarono nell’aria.
Il gentiluomo si accorse che Izzy Hands aveva la pistola puntata contro i predatori e stava ordinando alla ciurma ormai radunata di caricare i cannoni. 
Inutilmente: uno squalo riuscì ad arrivare alla spalla del Kraken, apparentemente sempre più stanco. 

Stede avrebbe volentieri fatto qualcosa, a quel punto. Se doveva essere sì certo, avrebbe agito dall’inizio, ma non aveva mai imparato a  nuotare. 

Dio, ti prego, fa’ qualcosa. Fa’ qualcosa!

Poi, come per un macabro miracolo, sull’acqua cominciarono presto a galleggiare pinne, teste staccate e il calore del sangue si riversò, decretando la fine del combattimento. 

Il Kraken si lasciò andare sulla schiena. Il rosso dei suoi occhi andava spegnendosi ogni minuto che passava.

A Stede ricordarono le lucciole morenti, ogni qualvolta le osservava nel suo giardino. Era una cosa che faceva spesso, sin da quando era piccolissimo. 

Non aveva mai smesso di farlo, una volta adulto, e la sensazione di impotenza era sempre così devastante nel suo cuore sensibile, da risultare insopportabile. 
Si ritrovò quindi ad allungare la mano di slancio verso il mostruoso Capitano, prima che la corrente se lo portasse via, e lo trasse a sé. 

“ANDIAMO, STEDE, SALI! MORIRAI CONGELATO!” Gridavano dalla nave. 

E stavolta il biondo salí davvero. 

Andò per primo, ma solo per avere la possibilità di tirare il Kraken a bordo. 

Era pesante. Dio, se lo era, e il corpo di Stede aveva poco a soccombere per l’ipotermia. 
Nonostante fosse più tremante di un pulcino spaventato, riuscì nell’impresa, e la scialuppa prese a sollevarsi come per magia. 

Gli attimi seguenti furono pura confusione.
Il biondo non riusciva a distinguere di nuovo le figure che l’avevano accerchiato, si sentiva strattonato da una parte all’altra, mentre le sue gambe cedevano, facendolo crollare sul pavimento ligneo e rovinato. 

La testa gli girava terribilmente. Come se avesse ricevuto una seconda botta in testa. 

Dopo tempo immemore aprí gli occhi -che non si ricordava di aver chiuso- e guardò davanti a sè: qualcuno si stava occupando del Kraken. 

Sentendosi rassicurato, li richiuse, e si accorse che solo quando la ciurma si era affaccendata intorno al capitano, lui aveva ripreso il comando sul proprio corpo. 

Solo da quel momento, Stede aveva ricominciato a respirare. 


*ANGOLO AUTRICE*

Salve bella gioia! E buon lunedì. 

Questo era ufficialmente il capitolo più complicato da scrivere, ma ce l’ho messa tutta. 
Spero che ti sia piaciuto almeno un po’ e che non abbia fatto troppi orrori grammaticali e sintattici.

Dal prossimo ci si diverte. 
Un abbraccione!


-gen

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** IX ***


 IX


“Fermo. Non ti agitare così.”

La Bestia mugugnò e si ritrasse.

Il biondo gentiluomo non si arrese.

“Ti ho detto che non ti devi muovere!” 

“FA MALE, CAZZO!” Fece presente il Kraken, ringhiando.

“Se non ti muovessi tanto, avresti già smesso di soffrire!” Ribatté piccato Stede.

“SE MI AVESSI DATO ASCOLTO, NON CE NE SAREBBE STATO BISOGNO AFFATTO!”

“Se non mi avessi cacciato, io non me ne sarei andato!” 

“E ALLORA—”

“ALLORA DOVRESTI DAVVERO IMPARARE A CONTROLLARE LE TUE ORRIBILI MANIERE, EDWARD TEACH!” 

Il Kraken geló. 

Non era possibile: non osavano chiamarlo in quel modo da più di dieci anni. 

Nessuno dell’equipaggio sano di mente si sarebbe mai azzardato usare quel nome di fronte al più famoso pirata della storia e contestare i suoi modi -o peggio, chiedergli di cambiarli, urlandogli in faccia senza alcuna remora. 

“Tu sai di me.” Affermò quindi la Bestia, stupita all'inverosimile. “Il mio nome. Come hai fatto? Chi te l’ha detto?”

“Il tuo scrigno.” Spiegò Stede, ora decisamente più calmo. “C’era scritto Barbanera, ed io–io l’ho semplicemente collegato a te. Quella in cui siamo adesso è la Queen Anne’s Revenge."

Diamine, se sei intelligente! Pensò il Kraken, decisamente ammirato. 

Il più ammirato dei due, però, era proprio Stede, che stava…stava sorridendo. Come un povero cretino. “Tu sei un pirata!” Dichiarò con voce adorante. “E anche mitico!”

“Be’, non esagerare. Non mi definirei un mito proprio per niente.” 

“Ti sei ammutinato a Hornigold a diciotto anni, battendolo su tutti i fronti! Hai conquistato il porto di Nassau con una sola nave e–”

“Non era una sola nave e di anni ne avevo diciassette. Queste storie sono solo leggende.” 

“In tutte le leggende che ho letto, ho imparato che c’è sempre un fondo di verità."

“Tu sai leggere!”

“Ma certo. Ho imparato abbastanza presto, a dire il vero.” 

Il Capitano non poté fare a meno di pensare a quanto Edward Teach avesse suonato bene, pronunciato da lui. Come se in qualche modo quelle undici lettere avessero assunto per un istante un altro significato. 

“Non ho mai sentito la ciurma rivolgersi a te con il tuo nome.” Asserì Stede. “Perché?”

“L’ho voluto io.”

Il terrore dei mari rimase immobile, permettendo finalmente al gentiluomo di avvicinarsi propriamente alla sua ferita, l’unica che ancora si ostinava a sanguinare. 

Subito dopo essere tornati sulla nave, Stede era rimasto privo di sensi per un po’. Si era svegliato ore dopo sulla sua branda con un gran mal di testa e con addosso nient’altro che la sua vestaglia da notte dorata.

Il tempo di rimettersi in piedi, era corso subito in direzione della stanza proibita, vestendosi per strada con gli unici vestiti che fortunatamente era riuscito portarsi, e ignorando chiunque gli avesse detto di mantenersi lontano da quella cabina, aiutò Roach, il quale per tutta la notte si era preso cura di lui e del Kraken per tutta la notte. 

Era stato grottesco, vedere quella temibile creatura con i tentacoli riversa pacificamente dentro una vecchia vasca da bagno. 

Stede notò che per quanto fosse alto, il Capitano aveva dovuto piegare le lunghe gambe umane, scoperte, e intirizzite dal freddo.

Per fortuna, aveva portato con sè una seconda vestaglia. Era la sua preferita, calda e di stoffa pregiata, con un delizioso motivo a fiori.

Non ci aveva pensato due volte a metterla addosso alla Bestia. 

Il cuoco-dottore aveva detto che tutte le coperte che avevano erano inevitabilmente marcite con lo scorrere degli anni, e piuttosto che coprire il capitano con il suo mantello logoro e fradicio, aveva preferito tenerlo scoperto.

Alla fine, Roach aveva accettato di andarsene a letto, rassicurato dal fatto che Stede sarebbe rimasto al fianco del Capitano per tutto il resto del giorno, e così aveva fatto, finché egli non aveva ripreso conoscenza. 

“Ecco. Fermo così." Mormorò nuovamente il biondo con tono dolce. “Farà male.” Annunciò poi premuroso, come se non fosse già abbastanza ovvio. “Puoi darmi la mano, se vuoi. O i tentacoli…cielo, non so come parlare senza offenderti.”

“Offendermi?“ Il mostro non fece in tempo a porre il resto della domanda, che si ritrovò una mano di Stede sulla spalla. Da sotto il tessuto ricco, poteva sentire sia il suo calore, sia la fermezza cortese della sua presa. “Che cosa pensi di fare, Gentiluomo?”

“Ti aiuto.” Rispose semplicemente Stede, continuando a medicare il taglio con dedizione. 

Come se il mostro ad un tratto se lo meritasse. 

Come se fosse normale

E fu estremamente confortante…il Capitano non sentí più alcun dolore.

“Sì, lo vedo—lo so, questo.” Balbettò. “Quello che intendevo è: perché diavolo ti preoccupi così tanto per…uno come me.” 

“Perché mi hai salvato la vita. E perchè voglio farlo, indipendentemente da tutto. Sei stato straordinario, contro quei pescecani.”

Il Kraken avvertì nuovamente una scossa dalla parte sinistra del petto. Stavolta fu estremamente forte. 

Gli mancò l’aria a causa della sensazione. 

Per un breve, intenso momento, gli sembrò essere tornato umano, quando aveva due arti invece dei tentacoli pesanti, un bel volto, e soprattutto il cuore al posto che gli spettava.

“Insomma…è così che funziona l’amicizia tra brave persone.” Corresse il tiro Stede. 

“Non mi devi niente.” Ribatté il mostro, non appena tornò a respirare. “Io non sono certo bravo, non lo sono mai stato. Non sono nemmeno più una persona! Per quanto riguarda gli amici, non credo di averne mai avuti.” 

Stede mise via la pezza insanguinata per afferrare delle bende. “Questo non è affatto vero.” Protestò con cautela. “Izzy ti è molto fedele, era molto preoccupato per te. Poi hai una ciurma intera che ti segue da anni…e anche io potrei esserti amico.”

“No. Io…non ne sono affatto degno.”

“Ascolta, Ed—posso chiamarti Ed, sì?” 

Quello annuì, sempre più sconvolto. 

Chiamami come ti pare. Avrebbe voluto aggiungere. Ed, Edward, Kraken, idiota. Kraken idiota…Bestia.

“So che ho detto di non volerlo essere, all'inizio, ma ero troppo spaventato. Ho cambiato idea, sai? E solo gli stupidi non cambiano idea. Possiamo fare finta che tutto ciò che è successo tra noi non esista, in modo da poter ricominciare. Ti piacerebbe?"

“Mi piacerebbe, sì…ma solo se sta bene a te.”

“Io ne sarei felice, non ho mai avuto molti amici neanche da bambino.” Assicurò Stede sorridente, finendo di medicare la ferita. “Ecco fatto—ehi, stai piangendo.”

“Ah, davvero?” Chiese il pirata maledetto, continuando a singhiozzare silenziosamente. “Non sapevo nemmeno di poterlo più fare!” 

“È…per una cosa buona o è perché ti ho fatto male?”

“Ho avuto ferite ben peggiori, non mi hai fatto alcun male.” Tirò su col naso. “Mi piace lamentarmi.” 

“Sono contento che ti senta meglio” Stede si alzò e gli rimboccò la coperta addosso. “Riposa.” Aggiunse.

“Grazie…” Mormorò il pirata. “Ehi, Gentiluomo.” 

“Che c’è?”

“Prima che io dica qualcosa di sbagliato, devo confessarti che mi dispiace.”

“Per cosa?”

“Per averti fatto prigioniero e per averti separato dai tuoi figli.”

Il volto di Stede si accartocciò. “Io…dimmi solo che cosa ne hai fatto, te ne prego.”

“Li ho rimandati al porto della città con Izzy.”

“E Izzy è affidabile?”

“Non mi disobbedirebbe mai. È al mio fianco da troppi anni, per non sapere cosa potrebbe succedergli se non fa come dico io."

Stede abbassò gli occhi, per nulla soddisfatto della risposta. Non osava chiedere dettagli, né espresse dubbi. 

Il Kraken si sentì quindi in dovere di continuare.

“Ha detto che la ragazzina, quella più grande, lo ha minacciato di morte per tutto il tragitto. Il bambino invece faceva domande su domande, rendendogli la vita impossibile.
Quando li ha lasciati, li ha visti correre verso un bel cavallo dal crine marrone.” 

“Arthur…” Adesso il biondo era più sorpreso che mai. “A–allora ce l’hanno fatta. Non li hai uccisi, nè mangiati."

“Era il nostro accordo: la tua vita per le loro. E per tua informazione non mi nutro di uomini.”

“Mi spiace di aver dubitato.”

“No, non provare a scusarti, amico. Se qui c’è qualcuno che dovrebbe farlo sono solo io.”

“Allora perchè non mi liberi e basta? Perchè i miei bambini ti servivano qui, vivi? Perché ti servo io?”

“È storia per un’altra notte. Ma in tutto questo tempo, tu non mi hai ancora detto il tuo nome.”

“È vero. Perché tu non l’hai voluto sapere.”

Edward aveva sentito un nome, nella confusione. 

Qualcosa tipo Steve

O Steven

Un nome che in ogni caso non apparteneva ad alcun membro della sua ciurma. E nella furia della battaglia non era affatto sicuro di aver capito bene. “Come ti chiami?”

“Chiedimelo un’altra notte.”

Il Capitano sorrise tra le lacrime e annuì. “Mi sembra giusto.” 

Un attimo prima di uscire, Stede si voltò indietro un'ultima volta. “Edward?”  

“Sì, Gentiluomo?”

“Sei perdonato.” 

Ne’ il Gentiluomo né il Pirata riuscirono a dormire, quella notte.

Il primo per l’agitazione. 

L’altro per abitudine.
Edward non aveva mai avuto molte occasioni per riposarsi, in vita sua, almeno non da quando aveva lasciato la casa della sua povera madre. 

Le notti sulla nave di Hornigold non erano mai totalmente sicure da permettergli di chiudere entrambi gli occhi per più di due ore, ma quella notte…be', c’era stato ben altro, a trubarlo. 

Forse era la vestaglia fiorita, che profumava di vaniglia e lavanda. Non aveva potuto fare a meno di indossarla.

Probabilmente erano i tagli ancora doloranti.

Oppure era l’incredulità per avere finalmente trovato qualcuno disposto ad essere suo amico.

Soprattutto, Edward Teach non aveva mai saputo cosa si provasse ed essere perdonato. 

Stede avrebbe avuto tutte le ragioni a pretendere di andarsene. Invece non solo non l’aveva fatto, ma gli aveva anche dedicato delle cure amorevoli. 

E in quanto a quel gentiluomo…erano secoli, che qualcuno non lo chiamava. 

La Bestia si era alzata dal suo giaciglio non appena sorta l’alba.

“Gentiluomo.” Esclamò, notando la sua figura avvolta dai raggi del sole. 

I suoi capelli rilucevamo ancora di più che alla luce della luna.

“Oh, Edward, sei tu! Buongiorno!” Sorrise allegramente Stede, voltandosi dalla balaustra a cui era appoggiato. Notò con piacere che il Kraken aveva di nuovo addosso dei pantaloni e soprattutto stava indossando la sua vestaglia rossa. 

Improvvisamente, per il Capitano il sole era diventato intollerabile, da guardare, nonostante la perenne nebbia.

E Dio, quel viso…era pieno di lentiggini.

Chissà perché Edward non se n’era accorto prima! 

Decise di contarle, per un fugace attimo. Ne notò una sullo zigomo. 

La seconda più su, sotto il suo occhio. Ne trovò una quarta accanto al naso…diamine, quello sì, che era un naso adorabile! 

E poi cinque, sei, sette, otto, nove…. 

“Roach ha cucinato la colazione!” Fece presente Stede, riportandolo alla realtà.

“Sí.” Rispose il Kraken. “L’ho voluto nel mio equipaggio per questo.” 

“Ehm, lo so, lo so…è che non ti ho visto, in cambusa! Forse è perché sei il Capitano e ti piace mangiare nei tuoi alloggi—“

“Non mangio più oramai.” Si schermí il mostro, staccandogli finalmente gli occhi di dosso. “Ma sono contento se tu continui a farlo.” 

“Perché—”

“Che ci facevi su una scialuppa di legno assolutamente troppo leggera per reggere l’attacco degli squali, e per di più in piena notte?” Chiese il Kraken, stanco di venire interrogato. 

“Stavo fuggendo.” Rispose semplicemente l’altro, come se niente fosse. 

“Da cosa?”

“Dalla realtà.” Ammise il biondo. “Dalla mia vita.” 

“Beh,” la bestia si appostò al suo fianco, “hai trovato il posto giusto per liberartene.”

“Mi dispiace solo che i bambini siano finiti in mezzo a tutto questo.” 

“Perché li hai portati con te?” 

Stede continuò a rifuggire il suo sguardo. “Non mi va di parlarne.” 

“Peccato, perché sono davvero curioso.” 

“Cosa—”

“Vedi, io non sono un padre -e il mio, di padre, era un enorme bastardo- ma finché non sono stato maledetto ero abbastanza uomo da capire il comportamento di quelli degli altri. 
Per inciso, la prima cosa che un uomo fa quando vuole cambiare vita, è liberarsi da chi glielo impedisce.” 

“Dove vuoi arrivare?” 

“Prendi la mia ciurma: la stragrande maggioranza di loro è stata abbandonata dal proprio vecchio. Qualcuno non l’ha mai conosciuto. 
Qualcun’altro è direttamente figlio di una sgualdrina.”

“Sono bravi ragazzi, però.”

“Sono pirati. E non esattamente del tipo che si ferma ad ascoltare la storia della ragazza bianca-come-la-neve…” 

“L’hai ascoltata anche tu…”

“Sí.” Confessò il Kraken, felice di poterlo guardare nuovamente in viso. “Mi è piaciuta.”

“È anche una delle preferite dei miei figli.” 

“Sono sicuro che siano speciali, per non essere stato capace di lasciarteli alle spalle insieme alla tua brutta vita.” 

“Io…io ho semplicemente chiesto loro se avevano voglia di vivere una breve avventura e loro hanno accettato.” 

“La più grande. Si chiama Alma, non è vero?”

“Esatto. È sveglia e vivace. E sono convinto che conosca una discreta quantità di imprecazioni, anche se fin’ora non ne ha mai detta una davanti a me.”

Il mostro rise brevemente e Stede sorrise commosso. 

“È davvero in gamba, la mia bambina.”

“Ha colpito Izzy in piena faccia. Certo, che lo è.”

“Louis è il suo esatto opposto. Oserei dire che per certi aspetti mi somiglia.”

“In quale aspetto?”

“Riesce a memorizzare le cose dopo appena una volta averle lette, e a ricordarle nel tempo. Ha tanta voglia di imparare tutto...”

“Stammi a sentire, Gentiluomo, volevi vivere un’avventura? Te la procuro io. So che non è un gran che, ma ti piacerebbe imparare a fare il pirata?” 

Stede sgranò gli occhi. “Se mi piacerebbe??” Esclamò col fiato corto e il viso adorabilmente arrossato. “È un mio sogno!” 

Il Kraken sorrise da sotto la barba oblunga. “Allora, per prima cosa ti devi procurare una nave.” 

“Credo di essere già a posto, per questo.” 

“Perfetto. Hai mai dato un pugno a qualcuno?”

“Io ehm…non esattamente—“

“Come te la cavi, con la spada?”

“So come funziona un duello…ho letto molte cose a riguardo, ma–”

“Non sai combattere.” 

“Non so combattere.” 

“Hai mai sparato?”

“No…”

“Bene! Potrei…potrei dirti io, come fare tutte queste cose.” 

“Mi insegneresti tu? Per per davvero?”

“Si dà il caso che io abbia parecchia esperienza, alle mie spalle.” E poi era un’ottima occasione per fare ammenda.

“Ma certo!” Il gentiluomo battè le mani. “Sei il pirata migliore del mondo, è chiaro che hai esperienza! Iniziamo domattina?”

Il Kraken si guardò intorno: il ponte era libero. “Perchè non subito?”

“Mi procuro delle spade, Capitano!”

“Ehi, piantala subito con questa stronzata del Capitano!” Lo riprese. “Puoi chiamarmi Edward.”

Il biondo lo guardò con gli occhi luminosi e un sorriso così dolce da togliere il fiato.  

“Chiamami Stede.”

 

*ANGOLETTO AUTRICE*

Salve gioia, 
Eccoci qui a questo capitolo di passaggio. Spero di non aver esagerato con le descrizioni e che sia tutto chiaro! 
Mi scuso per il ritardo nella pubblicazione, ma tra il lavoro e la fine del corso (di cui devo dare alcuni esami) trovare il tempo è complicato. 

Stay turned, peró! Appena trovo cinque minuti pubblico il resto! 

Un abbraccio,

-C

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** X ***


 X

 

“Alza quel braccio, Stede.”

“D’accordo.”

Si allenavano da giorni. 

Era diventata la loro routine: alzarsi, fare colazione insieme -o meglio: Stede mangiava, il Kraken si limitava a bere. 

Una volta finito, i due si battevano a duello, continuando per tutta la mattina, fino a che Stede non insisteva per aiutare la ciurma a svolgere i soliti compiti e imparare il più possibile le mansioni di tutti quanti.

I pirati erano entusiasti di spiegare i loro compiti ad un nobile gentiluomo, anche se era una cosa atipica da vedere. 

La maggior parte delle volte se ne approfittavano -soprattutto mentre Edward era assente- lasciandogli i compiti più faticosi.

E Stede finiva per girare sulla Queen Anne’s come una trottola, indaffarato, chiamato a destra e a sinistra. 

Disabituato da tutta la vita a muovere un solo dito, faticava, si lamentava anche, ma lo faceva sempre col sorriso…

E sorrideva perché finalmente aveva trovato un amico, un amico che ogni volta lo pregava di riposarsi, e lui per tutta risposta gli diceva di non essere affatto stanco. 

Quindi Stede e Barbanera tornavano ad affrontarsi per un’ora la sera, dopo la storia della buonanotte.

“Mantieni la concentrazione e non abbassare mai la guardia, potrebbe esserti fatale.” Ripeteva il Kraken con atipica pazienza. 

“Giusto!” Esalò stancamente Stede, cercando di parare i colpi sicuri e precisi del suo avversario. “Scusami…”

“Non chiedermi scusa! Il tuo affondo è terribile.” 

Il biondo assunse tratti dispiaciuti, mentre Edward ridacchiava. 

“Ma ti dirò una cosa.” Aggiunse, tirando Stede a sè per un braccio. Mimò un affondo così preciso che pose la parola fine all’allenamento.

Il gentiluomo lo fissava negli occhi senza paura e soprattutto senza fiatare. Era come sperduto dentro i propri pensieri. 

 “C’è un punto del tuo corpo che devi preservare.” Continuò il Kraken, senza mollarlo. Era sempre compiaciuto, quando aveva la completa attenzione del biondo -ovvero la stragrande maggioranza del giorno. 

Perchè Stede lo cercava in continuazione. Gli parlava, lo coinvolgeva nelle sue conversazioni, lo considerava davvero come se fossero conoscenti da una vita. 

E solo in quei momenti, il Kraken diventava Edward. La bestia si sentiva Edward. Si sentiva vivo, e degno di essere chiamato per nome. 

“Il fianco destro.” Continuò a spiegare, mimando l’affondo una seconda volta, lentamente, spiegando il movimento in modo che Stede, petto a petto con lui, potesse capirlo bene.

“Oh…” Il gentiluomo  nel frattempo si teneva alla sua spalla, incerto se la voce del Capitano si fosse fatta o meno più profonda del normale. “Perché proprio il destro?”

“Tutti gli organi principali sono a destra…quindi devi difendere quel lato, e di conseguenza colpire l’altro con tutta la forza che hai.” 

Il Kraken si allontanò a malincuore.

“Sei certo, che sia proprio così?” Chiese Stede, sempre col fiato corto. “La cosa degli organi…voglio dire, il fegato?”

“Chi se ne importa del fegato!” Esclamò il Capitano, alzando nuovamente la guardia. L’altro lo imitò all’istante con un sorriso luminoso sulle labbra. “Vedi se riesci a battermi, una sera o l’altra!”

“Era una sfida, questa?” Replicò Stede ridendo. 

“Probabile.” 

“Prendi questo, Teach!” 

Inutile dire che il duello duró meno di cinque minuti. Il tempo di scambiare tre colpi, il biondo era in ginocchio, mentre Edward tratteneva a stento le risate.

Ma era in qualche modo…inesorabilmente ammirato, da quell’uomo così particolare. Era tenace, in un certo senso. Sicuramente molto testardo.

Si avvicinò di un passo, quindi, riponendo la spada in modo fin troppo impacciato, per una Bestia.

Stede non si mosse finché non lo sentì vicino. 

Si sentiva così esausto…cercò di rialzarsi degnamente, determinato a riprendersi un minimo di contegno. 

…e fu tutto invano, perché adesso era occhi negli occhi col Kraken. Di nuovo. 

Fu lui, il primo a rompere il ghiaccio. “Dovresti riposarti.” Dichiarò burbero. 

Stede scosse la testa. “Non sono stanco.” 

“Ah no?”

“No.”

“Alzati.” 

Il gentiluomo tentò un paio di volte. Non ci riuscì a causa del duello: nel cadere aveva battuto le ginocchia con forza. Stede non avrebbe mai voluto rivivere la sua infanzia per niente al mondo. Niente, per lui sarebbe più terribile di rivivere quegli anni disgraziati, ma in quel momento, per la prima volta, rimpianse amaramente di non avere dieci anni di meno e meno stanchezza in corpo. 

“Andiamo, Stede.” 

Il biondo avrebbe voluto rispondere che no, non ce la faceva, ma non ebbe bisogno di ammetterlo ed umiliarsi: voltandosi, si accorse che Edward -ben attento a coprirsi la viscida pelle col mantello- gli stava offrendo il braccio. 

O meglio, quello che un tempo era stato il suo braccio. 

Stede si appoggiò a lui volentieri, fino a rimettersi in piedi. 

“Grazie, Edward…” mormorò, stupito all’inverosimile da tanta cortesia.

Il Kraken abbassò gli occhi. “Sveglia Roach.” 

“Non è necessario.”

“Sei caduto, devi curare i tuoi lividi. Sveglia Roach e digli di aiutarti, è un ordine.” 

“Ma Ed—”

“Allora va’ a dormire, Stede.” 

“Sì, va bene…buonanotte.” 

La Bestia non rispose. Il gentiluomo mosse mal volentieri i passi che l’avrebbero separato dal suo nuovo amico, avviandosi con lentezza sotto coperta. 

Scese le scale che portavano ai corridoi in cui vi erano le stanze della ciurma, e per ultima trovò la sua cabina.

Una volta chiusosi la porta alle spalle, fece per iniziare a spogliarsi dei vestiti fradici di sudore, sfilandosi di dosso prima la camicia, poi i pantaloni. 

Sedette sulla branda più confuso che mai…perché adesso quella sensazione mai provata prima lo pervadeva.

Che cos’era? 

Perché il suo cuore batteva in modo esagerato? Dio, era quasi fastidioso. 

Non avrebbe potuto immaginare che, poco dopo, qualcuno avrebbe bussato timidamente. 

“Roach!?” 

Il cuoco-dottore molto assonnato aveva fatto capolino con delle pezze d’acqua ghiacciata. 

“Stai bene, Stede? Il Capo te le ha suonate?” 

“Oh no, niente affatto.” 

“Mi ha dato l’ordine di visitarti.”

“Lascia perdere, è molto tardi. Io sto bene, davvero.”

“Sembri sconvolto.”

“Sono solo un po’ scosso. Non sono abituato a muovermi così tanto senza un cavallo, non so se mi spiego.” 

“Uhm…allora come la mettiamo?”

“Che tu adesso continui a dormire e io domani mi sveglierò alla solita ora, riposato e senza un graffio.” 

Il ragazzo aveva dunque scosso le spalle, e anche se poco convinto, si era avvicinato all’uscita della cabina. “Se lo dici tu…” 

“Grazie, Roach. E ringrazia lui per lo specchio.” 

Se n’era accorto proprio quella sera, poco prima di riprendere l’allenamento serale: appena era entrato nella sua stanza, aveva trovato un grande specchio ad altezza naturale appoggiato ad una parete ad aspettarlo. 
Dove Edward l'avesse preso, lui non lo sapeva. Non sapeva nemmeno che ci potessero essere tali oggetti ancora intatti su quella nave, se doveva essere sincero...non che lui avesse esplorato a fondo la sua cabina di Edward. 

“Ringrazialo tu di persona, oppure non farlo...Lui tanto già sapeva, che l’avresti apprezzato.” 

Stede attese che Roach fosse uscito, prima di alzarsi e scostare la vestaglia quel poco da scoprirgli una gamba. 

Il riflesso sul vetro lucido gli rimandò un livido enorme e violaceo proprio sotto il ginocchio. Gli faceva male, è vero, ma non aveva voluto curarselo. 

Se lo tenne gelosamente tutto il tempo, segretamente dispiaciuto quando, in futuro, sarebbe scomparso dal suo corpo. 

Una volta che i due amici si furono ritirati, una possente razza, una graziosa stella marina e una letale murena avevano indetto una riunione sul ponte spezzato della Revenge. 

Avevano osservato tutto, nascosti dal favore della notte.

Oluwande e Lucius avevano ogni volta il fiato sospeso. Izzy invece si dimostrava piuttosto schifato, e, senza eccezioni per le precedenti, quella notte si stava annoiando a morte.

“Avete visto anche voi, quello che ho visto anche io fin'ora?” Chiese Lucius sgomitando. 

“Ammetto che sono sempre più sorpreso.” Concordò Olu. “Non volevo crederci, all’inizio. Jim mi ripete da giorni che ho perso il cervello.” 

Era da tanto, che i tre consiglieri tenevano d’occhio il loro Capitano e il Gentiluomo. 

“Qui serve una terapia d’urto.” Dichiarò il più giovane. “Dobbiamo aiutarli!” 

“Hai già in mente qualcosa, Lucius?” Chiese Olu, segretamente impaziente di passare all’azione. 

“Ma per piacere, non facciamo stronzate! Il Capitano ci butterà a mare prima di subito.” Decretò Izzy, nonostante fosse perfettamente consapevole che tanto sarebbe stato tutto inutile. 
 

*ANGOLO AUTRICE IN ATROCE RITARDO🥺*

Okay, tre cose: 

1- perdonami, ho avuto praticamente l’Universo contro fino a questo preciso istante. Il capitolo è breve, di passaggio (e non ho la minima idea di come sia venuto fuori, se devo essere sincera), ma nel prossimo ci si diverte, giurin giurello!

2- sono tornata 

3- al prossimo capitolo!

Un abbraccio forte,

-C

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** XI ***


XI


Era tutto praticamente perfetto. 

La ciurma aveva deciso di entrare in azione quella sera stessa e nessuno stava più nella pelle. 

Secondo Frenchie avrebbero addirittura potuto organizzare un combattimento tra granchi e testuggini e il Capitano non se ne sarebbe accorto mai, tanto era occupato con il Gentiluomo più…gentile di tutto il mondo. 

Quella buffa, affabile anima nobile era persino riuscita a convincere il Kraken a concedere all’equipaggio una giornata libera. 

Proprio la sera prima, Stede parlato di una cosa chiamata vacanze. 

Nessuno di loro ne aveva sentito parlare fino a quel momento, ma persino Barbanera aveva mostrato interesse, e la giornata si era come organizzata da sola. 

La ciurma aveva quindi fatto ciò che voleva per tutto il dí, mentre, una volta spezzato il digiuno, si erano divisi come da programma.

"Sarà fantastico, fidatevi di me!" Stava esclamando Lucius esagitato, guardandosi intorno. “È un piano geniale!”

Wee John e Lo Svedese avevano pensato alla cura del rudere su cui navigavano, sistemandolo meglio di quanto tutti avessero mai creduto possibile. E il meglio doveva ancora accadere. 

C’era qualcosa che stava cambiando, nell’aria, anche se impercettibile. 

A cominciare dalla Queen Anne’s stessa: dei punti completamente in rovina stavano pian piano facendosi solidi. 

Izzy avrebbe potuto giurare che le vele avessero smesso di marcire da almeno una settimana.

Poi c’era la voglia di mangiare, che nessuno aveva più provato con tale intensità. 

Più il tempo passava, più i pirati si accorgevano di aver ricominciato a provare la fame e la sete. 

Roach aveva semplicemente acceso le fornaci senza dire niente, aveva apparecchiato per tutti e preparato pesce in abbondanza. Ogni sera, le porzioni si ingrandivano. 

“Aspettate un momento,” aveva esordito Frenchie a un certo punto, puntando al proprio piatto. “Non è un po’ come essere cannibali?”

La domanda ebbe un effetto alquanto devastante. 

Ivan e Fang avevano portato immediatamente le mani alla bocca. 

Lo Svedese era sull'orlo del pianto. 

Izzy Hands si era alzato e se n'era andato borbottando qualcosa tra i denti. 

Lucius e Pete per poco non si erano strozzati con i rispettivi bocconi. 

Olu aveva guardato il Kraken con gli occhi sgranati, e quello aveva immediatamente abbassato la sua solita fiaschetta di rum. 

(Lui era l’unico che ancora non era riuscito a mangiare niente, nonostante il biondo gli decantasse da tempo la leggendaria confettura di arance prodotta nella sua tenuta, di cui andava estremamente fiero.) 

Gli unici a non essere rimasti toccati dall'argomento erano la piccola Olivia e il suo amico Buttons, il quale continuava a mangiare la sua razione con un coltello. 

Ma non appena Jim si fece il segno della croce, finirono tutti a ridere come non avveniva da anni, e la serata era tornata a proseguire tranquilla. 

E così il giorno dopo. E il giorno dopo ancora.

 Non avevano voluto parlarne, però. Chi per scaramanzia, chi per paura, non avevano osato citare o anche solo nominare quegli aspetti nella nuova realtà che stavano incredibilmente vivendo.  

E poi c’era il Stede. 

Il loro Capitano era…sembrava tutto, meno che la Bestia che ormai avevano imparato a temere, quando lui gli stava intorno.

 Se quello significava qualcosa -perchè doveva pur significare qualcosa- allora avrebbero dovuto agire in fretta, prima che fosse troppo tardi, o meglio, prima che Barbanera tornasse nei suoi panni e mandasse tutto alla malora. 

"...se si rifiutasse?" Chiese Oluwande, pensando proprio a quella possibilità. 

Ogni passo che compivano li portava più vicini alla cabina del Kraken, il quale come minimo li stava già sentendo arrivare. 

"Ci hai pensato, se lui non fosse d'accordo?"

"Me ne frego, se non è d'accordo, tanto abbiamo Jim!” Ribatté Lucius, mentre Jimenez si limitava a sbuffare. 

Segretamente, però, era felice di essere considratə così abile da poter tenere testa al Capitano in persona (o in qualsiasi forma egli fosse). 

“E poi non si rifiuterà! Insomma, guarda come abbiamo combinato questa bagnarola. È carina! Come minimo, quando uscirà ci rimarrà così male che–”

“Che ci darà subito in pasto agli squali.” Concluse Olu. 

“E andiaaamooo!" Rimproverò Lucius, prima che la paura potesse attanagliare anche lui. “Non fare il mollusco del malaugurio! Abbiamo anche Izzy fuori dalle scatole, stasera!” 

“Ecco perchè mi sentivo così tranquillo!”

“Oh, ricordami di ringraziare profumatamente Ivan e Fang.” Esclamò sognante il ragazzo più giovane. 

“Ricordatelo da solo!” Ribattè l’altro, disgustato. “Dove l’hanno portato?” 

“Chi?”

“Mio nonno.” 

“E chi lo conosce, tuo nonno?”

Olu alzò gli occhi al soffitto. “Parlavo di Izzy, Lucius! Dove l’hanno portato, Ivan e Fang?”

“E parla chiaro, accidenti! L’hanno portato a pescare dall’altra parte del porto. Rientreranno direttamente domattina–OH PORCA PUTTANA!"

Di colpo, i tre si fermarono: la porta dinanzi a loro era aperta. 

E la porta della cabina del Capitano Teach non era mai aperta.

"Yo no me fido…" Sussurrò Jim, cercando istantaneamente la mano di Olu, il quale la strinse subito. "Esto es strano."

"Be’, non facciamo i conigli spaventati, adesso!” Si riprese Lucius. “Qualcuno che non sono io deve entrare lì dentro!" 

“Ma sei impazzito?!” Mormorò Oluwande, allarmato più che mai. 

Tú estás loco, amigo.”

“Non vi azzardate a tirarvi indietro! Siamo arrivati fino a qui!”

"Non possiamo entrare!" 

Seguì un lungo attimo di panico, in cui i tre arrivarono a ponderare seriamente se fosse il caso di allontanarsi da lì, fare finta di niente e mandare al diavolo il resto della serata. 

"Voi sarete pure due codardi,” il giovane prese fiato e varcò la soglia della stanza buia come la notte, “ma nessuno dice a Lucius Spriggs cosa fare! Neanche il Capitano.”

“Lucius, no!” Esclamò Olu, il quale si ritrovò a seguire l’amico, senza lasciare la mano di Jim.

Impiegarono giusto un attimo ad abituarsi all’oscurità, e quando riuscirono a vedere qualcosa, si sarebbero aspettati di ritrovarsi di fronte alla furia fatta a Kraken…invece, ciò che stavano vedendo era di gran lunga più sconcertante. 

Il Capitano era riverso all’interno della sua vasca da bagno, immobile. Gli occhi rossi, sigillati. Sembrava privo di sensi, o peggio…

Dios mio!” Esalò Jim. 

“Non mi sento bene…” Dichiarò Lucius, cadendo tragicamente in ginocchio, già provato dell'atto di coraggio di poc'anzi. 

“Capitano!” Il secondo consigliere più fidato di Barbanera si era avvicinato alla vasca con le lacrime agli occhi. “Edward, per carità.”

“Non è possibile che sia già così tardi…siamo fottuti.” Lamentò il più giovane, anch’egli con la voce rotta. “Credevo avessimo più tempo!”

“Olu…” 

Il ragazzo si voltò. “Jim, ascoltami bene, prima che la maledizione finisca inesorabilmente di fotterci, devo dirti che ti amo, che ho sempre provato amore per te da quando ho incrociato il tuo sguardo e–"

"Olu–" Esalò Jim.

"Lo so, lo so che è un brutto momento, avevo immaginato uno scenario completamente diverso per dirtelo, più romantico del luogo in cui il nostro Capitano è morto, ma–"

"EHI, MORTO A CHI?!"

Jim e Lucius pietrificano. 

Oluwande si sentì avvampare di vergogna. 

Era stato così preso dalla sua dolce ma frenetica dichiarazione da non accorgersi che invece alle sue spalle qualcuno si era svegliato, e a niente erano serviti i richiami di Jimenèz o il mutismo preoccupante dell’altro consigliere, il quale adesso si era messo a sorridere tra le lacrime come un idiota. 

"Insomma, era ora che glielo dicessi!" Continuò il Kraken, a sua volta più imbarazzato che mai: aveva capito da tempo il debole che il suo caro Oluwande aveva sempre avuto per Jim. "Avete la mia benedizione, se ve ne frega qualcosa, ma vi sarei grato se queste smancerie rimanessero fuori dalla mia stanza!" 

I tre non si mossero. 

“Trovatevi una cabina, avanti!” Continuò Barbanera, alzandosi del tutto dal suo giaciglio e tendendo i tentacoli per indicare loro la via. "Levatevi di torno!" 

"Oh, Capo!!" Gridò Lucius, andandogli in contro a braccia spalancate. "Sono tanto contento che stai bene!"

"Credevi che stessi male?!" Domandò la Bestia, sempre più confusa per la preoccupazione e per l'abbraccio non richiesto che il giovane gli stava regalando. "E levati di dosso, anche tu! Sei più appiccicoso di un boa costrictor!" 

Non ci volle molto a che il ragazzo eseguisse l'ordine.

"Santo cielo, Capo: tu puzzi veramente peggio della moglie di un pescivendolo!" 

"Fatti i fatti tuoi! Anzi, spiegami di chi è stata l'idea di venire a disturbarmi mentre stavo dormendo in pace!"

"Tu stavi…cosa?" Domandò cautamente Olu, mentre gli altri due tacevano di nuovo. 

"Io stavo…per dormire." Ripeté il mostro, stavolta come a rendersi conto dell'assurdità che aveva appena pronunciato. "Finché non siete arrivati."

Barbanera non dormiva mai. 

Già dormiva poco quando era un uomo. 

Da quando era stato maledetto non aveva chiuso occhio una singola ora…ma quel giorno, forse a causa degli allenamenti con Stede -o perché di fatto stava invecchiando- si era sentito stanco, molto stanco. 

E dato che aveva intelligentemente distrutto il letto anni prima, non aveva potuto fare a meno di riempire la vasca con le coperte logore che gli erano rimaste alla bell’e meglio e appoggiarsi ad esse per un pò. 

"Be'..." Riprese Lucius. "La porta era spalancata."

Il Kraken non poté ribattere. 

Non l'aveva voluta chiudere di proposito. 

Forse perché nel profondo aveva sperato che qualcuno infrangesse le regole di nuovo e lo andasse a trovare. 

…qualcuno che non fossero i suoi due consiglieri e l'assassino letale della Queen Anne’s. 

"Noi volevamo parlarti, Capo." Ricominciò Oluwande, portando la conversazione sull'argomento principale.

"Di cosa?"

"Di Stede." Rivelò Lucius.

Il Capitano spalancò le iridi vermiglie. "Che gli è successo, sta bene?"

"Calmo, calmo, lui sta benissimo…" assicurò il giovane per metà stella marina. "È solo che–che  abbiamo notato una cosa, io e gli altri." 

Il Kraken rimase in attesa. 

“Non pensi che…non sia proprio tutto tutto, quello di cui gli hai raccontato fin'ora?” Incalzò Lucius. "O meglio, non ti sembra troppo, quello che non gli hai detto?" 

"Non gli ho detto della maledizione." Riconobbe Teach. "Ma eravamo d'accordo tutti quanti, sulla faccenda!"

“Non ci riferivamo affatto, alla maledizione." Azzardò Olu. 

"E a che cosa?!" 

"Noi…ecco…pensavamo che non sei stato proprio onesto con lui, Capo. Completamente, intendo." 

"Completamente?!"

"Non ti sei dimenticato qualcosa, Edward?" Chiese Lucius, decisamente meno delicato dell’altro ragazzo. 

Il Kraken ci pensò a lungo. 

I tre pirati non erano sicuri di quali espressioni potessero celarsi sotto quella barba grigia come la nebbia della notte e aggrovigliata, ma il silenzio in cui egli stava ragionando, era diventato più eloquente di uno strillone per strada. 

Alla fine, Barbanera alzò lo sguardo. 

“Devo insegnargli a sparare!" Sancì, sinceramente soddisfatto di essere arrivato tutto da solo alla radice del problema. Effettivamente, non avevano ancora mai affrontato le armi da fuoco, lui e Stede.

Olu e Lucius scossero la testa esasperati, mentre Jimenèz lasciò andare ad una breve, sincera risata, a quella risposta, rendendo il diretto interessato tremendamente curioso e ancora più confuso. 

"Jim, sinceramente, ci hai capito qualcosa?” Sbottò, cominciando a spazientirsi. 

“Sì, Capitán: tu quieres mucho a Stede." 

"Io…" Emise Edward, con voce rotta. "Io piaccio a Stede?!" Domandó semplicemente, sorprendendoli. 

Non poteva crederci. 

Non voleva illudersi nemmeno…eppure non poteva dire che un po' non se ne fosse accorto. 

Era strano

C'era qualcosa, tra loro. Cosa fosse, non lo sapeva ancora dire, ma da quella pericolosissima nuotata con gli squali, Edward avrebbe potuto giurare che Stede avesse cambiato modo di guardarlo. 

Certo, era gentile, lo era sempre stato…ma se prima era sempre spaventato a morte, adesso, non un'ombra di paura aveva coperto la luce nei suoi occhi. Mai. 

Nemmeno quando si allenavano, o la sera, quando lui finiva per raccontargli alcuni degli abbordaggi più pericolosi che avesse mai compiuto. La loro conversazione finiva sempre con Barbanera che costruiva delle scuse. 

Non fa niente!” Rispondeva Stede, completamente affascinato. “Mi piace studiare queste cose.”

Edward aveva pensato che quella del gentiluomo fosse solo gratitudine, all'inizio. 

O meglio, che fosse affetto dalla pura e semplice stoltezza, dato che, insomma, provare un qualsiasi tipo di affezione per il tuo carceriere era una cosa da pazzi furiosi…

Ma Stede non sembrava pazzo! 

Anzi, era la persona più assennata che Edward avesse mai incontrato! 

E di un'altra cosa era certo: lui non aveva mai smesso di guardarlo così

"E a te piace lui." Concluse Jim, riportandolo alla realtà. “Ti piace tanto.”

Il Kraken reagì di nuovo in modo estremamente insolito, per uno della sua tempra: non gridó, né imprecó, e soprattutto non affermò mai il contrario.

“Gli sto insegnando a battersi." Ammise invece. "È mio amico–"

"Ecco, questo è esattamente ciò che pensa anche lui, peccato che anche per Stede non sia così." Fece presente Olu, riprendendo la parola. "Secondo noi…secondo tutti noi, tu per lui vali molto di più di un amico!"

“Stede non si è accorto di quello che provi, Capitano." Aggiunse Lucius. "Non lo sa."

"Meglio così!" Esclamò la Bestia, con un misto di rassegnazione e dispiacere nella voce. "Che non lo sappia mai."

"Tu devi dirglielo!” 

"Neanche sotto tortura! Il primo che si azzarda anche solo ad accennarglielo, lo sbudello con le mie man–oh, insomma, lo spedisco a fare compagnia all'ancora, va bene?"

Jim sbuffò. 

"Non va bene per niente!" Protestò Lucius. 

"Come ti sentiresti, se non te lo dicesse lui?" Domandò Oluwande, senza alcun bisogno di alzare la voce per farsi ascoltare. "Se Stede provasse qualcosa per te, vorresti saperlo, giusto? Perché io, se sapessi che qualcuno tiene a me così tanto, sarei felice di saperlo…"

"Io…non l'avevo mai pensata, in questo modo." Per un attimo, una nuova luce si irradió dagli occhi del Kraken. “Certo. Certo, sí, vorrei saperlo. Quindi anche io devo dirgli che—no, non posso. Non ce la faccio!”

“Ci tieni a lui?” Domandò Olu. 

“Sì." Rispose Barbanera, senza pensarci due volte, considerando che si era quasi addormentato pensando al suo bel sorriso.*

"Allora fagli un favore, levati questo straccio orribile di dosso: stasera ti tirerai così a lucido che quel gentiluomo si specchierá nelle tue spire!" 

"Se siamo fortunati, ci si avvolgerá, nelle sue spire!" Canzonó Lucius, malizioso più che mai. 

"Attento a te, ragazzino!

"Vado a prendere l'acqua!" Si offrì Jim, mentre gli altri due avrebbero pensato a riportare Edward Teach sulla Revenge

"Adesso puoi guardare, Jim!" La voce di Lucius era arrivata forte e chiara. 

Una volta che l'acqua era giunta a destinazione, l’assassinə era rimastə a fare il palo tutto il tempo, per evitare che Stede potesse anche solo pensare di avvicinarsi alla cabina di Barbanera, stavolta per un buon motivo. 

E dopo un tempo insopportabilmente lungo per Barbanera e divertente come non mai per i due consiglieri, la situazione era drasticamente cambiata. 

Quando Jim si sporse nella stanza, notò il suo Capitano molto diverso dalla massa oscura e incappucciata che aveva imparato a conoscere per quasi dieci anni. 

Sembrava quasi che lo spettro di Edward Teach fosse rinato dalla penombra. 

Rimase ad osservarlo per diversi minuti, senza pronunciare una parola. 

"Adesso manca solo uno specchio!" Esclamò Lucius entusiasta come non mai. 

Olu non si prese il disturbo di guardarsi intorno e procurarglielo: tolto l'angolo in cui adesso avevano spinto la vasca colma d'acqua, la distruzione regnava ancora sovrana.

"Tome esto, Capitán." Jim gli avvicinò una delle sue lame con un gesto fluido e rapido come il battito d'ali di colibrì. 

A Edward bastò meno di un occhiata per ricordarsi perché a un certo punto aveva infranto ogni superficie riflettente disponibile. 

"Non ci vado!" Pensò. 

Era passato così tanto, dall'ultima volta in cui aveva avuto occasione di guardarsi allo specchio, che non si ricordava nemmeno come fosse il suo volto senza quella barba che l'aveva reso famoso e temuto in tutti i sette mari.  

Nel corso della sua esistenza era capitato spessissimo, che le persone più disparate avessero rivolto apprezzamenti al suo aspetto. Uomini e donne, indistintamente, erano sempre rimaste soggiogate dal suo aspetto, già alimentato di per sé dalla leggenda. 

Glielo facevano presente, che fosse bello. 

Chi per compiacerlo, chi con un secondo fine…

La sua mamma, invece, era sempre stata solita ricordarglielo ogni volta in cui lo metteva a letto. 

E lui -all'epoca un bambino di pochi anni- sorrideva sempre a quel complimento, ridacchiava e poi si nascondeva sotto le coperte per la timidezza. 

Sua madre a parte, Edward aveva capito di avere un bell'aspetto, certo, ma della bellezza non era mai importato niente.

Quella volta, però, avvenne l’eccezione: si sentì un mostro. 

“Non ci vado.” Dichiarò, stavolta ad alta voce e restituendo il pugnale. 

"Sì, che ci vai!" Ribatté Lucius. “Non sei male, sai? Hai un aspetto così…così…“

“…stupido.” Con il viso coperto, gli occhi rossi, i tentacoli al posto delle braccia e il busto di un fottuto polpo. “Mi sento un idiota.” 

"Ma non puoi rinunciare adesso! Non hai visto il resto di ciò che abbiamo fatto!"

“Taci, hombrecito!” Sbottò Jim.

"Falla finita, Lucius, è già abbastanza nervoso!" Fece eco Olu.

"Io non sono nervoso!” Protestò Edward. “E…che accidenti avete fatto?!”

“Capo." Jim gli porse la vestaglia fiorita con un’espressione sul volto che in anni di servizio non gli aveva mai rivolto. Sembrava quasi…affettuosa? Barbanera non poté leggerla per più di un istante, ovvero il tempo che aveva sempre impiegato Jim a compiere qualsiasi azione, ma si sentì stranamente incoraggiato da quel gesto. “Mettiti questa e vieni fuori a scoprirlo.” 

__

“Olivia!”

Si era insinuata nella sua cabina da quel pomeriggio. 

Stede aveva passato tutto il resto di quel giorno completamente in solitudine, ma ci aveva messo più o meno cinque minuti a rendersi conto che la storia delle vacanze era stato un grande buco nell'acqua: non sapeva nemmeno perché avesse proposto quella cosa assurda alla ciurma…forse sperava di poter passare più tempo con Edward.

Voleva continuare a studiare le cose della sua vita, voleva conoscere sempre di più le sue avventure, allenarsi a scherma, imparare a navigare. 

Se doveva essere sincero, aveva aspettato e sperato che lui entrasse nella sua cabina, invece al suo posto si era presentata Olivia. 

E Stede aveva accolto quella bestiolina tanto simpatica quasi con gioia, almeno finché non si era messa la sua giacca azzurra in becco e si era librata in aria. 

“Per favore, ridammela!" Lamentò. "Non posso uscire, senza!” 

Invece anche prima che potesse rendersene conto, si ritrovò sul ponte della Revenge. 

Olivia invece era volata fuori bordo per non farsi prendere e ogni tanto emetteva dei versetti di scherno in direzione di Stede, il quale ovviamente non poteva volare per riprendersi il maltolto.  

Quel che non aveva visto, erano Frenchie e Roach che ridevano sottecchi, seminascosti sul castello di prua, mentre Buttons, l’unico che poteva farsi obbedire dalla piccola gabbiana dispettosa, era opportunamente sparito.

— 

“Ma che cosa…come avete fatto?” Domandò il Capitano, sinceramente impressionato. “Non eravate in vacanza?”

La nave brillava. E affatto in senso negativo. In genere era lugubre. Invece adesso vi erano torce accese ovunque, e messe così bene da scaldare l’ambiente come non mai. 

L’aspetto spettrale a cui tutti erano abituati, si sembrava completamente volatilizzato per lasciare il posto a quello spettacolo accentuato dalla notte.

“Io non capisco…”

“Non c’è niente da capire, Capitano.” Fece presente Olu. “Si chiama sorpresa.” 

“Per me?” 

“Per te, per Stede e anche per noi.”  Chiarì Lucius. 

“Dopo mucho soffrir, queremos estar contenti, por una vez.” 

“Hai ragione, Jim.” Edward si affacciò alla balaustra della nave, attirato dallo svolazzare di Olivia e dalla scena più divertente del mondo: Stede che cercava di acchiapparla. “Olu,” Disse poi, “ormeggia una—“

“Scialuppa già ormeggiata, Capo!” 

“Questa è la cena per Stede!” Aggiunse Roach sbucando dal nulla e porgendo un fagotto a Edward. “È pronto anche Frenchie!” 

“Che cosa vuole Frenchie?!”

“Suonerò i miei migliori pezzi per voi!” Rispose il diretto interessato, apparendo da dietro l’albero maestro. 

“Assolutamente no!”

“Assolutamente sì,” esclamò il cuoco-dottore, dando man forte all’amico. “L’atmosfera è importante! Insomma, guarda quanto è diventato bello questo postaccio!”

Il Kraken rimase in silenzio per un attimo, valutando seriamente la possibilità che ascoltare un po’ di musica avrebbe fatto piacere a Stede.

Poi ricordò di quanto il suo bardo fosse bravo, quante volte fosse stato determinante a risollevare gli animi, soprattutto nei momenti post-tempesta, in cui il morale dell’equipaggio era più profondo degli abissi su cui navigavano in quello stesso istante. 

Frenchie era un ottimo sarto, e un musicista ancora migliore. Non v’erano più dubbi. 

“E sia.” Cedette. “Ma niente di troppo volgare: Stede è aristocratico, sicuramente non gli piacciono le canzoni da taverna. E soprattutto niente di romantico! Quella brodaglia non piace a me!”

“Oh, non preoccuparti, Capo! Ho giusto la canzone adatta all’occasione.”

“Cerca di rimanere…insomma non vorrei che–”

“Sarò discretissimo!”

“Lo saremo tutti.” Assicurò Olu.

Edward guardò di nuovo in basso, verso Stede, lisciandosi la vestaglia addosso. 

“Ora va’." Consigliò Jim. "Sarà felice, di vederti.”

 

*ANGOLETTO AUTRICE*

*C’è una bestia che 

Si addormenterà 

Ogni volta che, bella come sei,

Le sorriderai 

Ciao, bella gioia. 

Questi versi sono tra i versi che più mi hanno accompagnata nel corso dell’infanzia. 
Ogni volta che li ascolto è come se le voci di Gino Paoli e di sua figlia (interpreti italiani dell’end credits, che nella versione inglese del cartone del ‘91 cantarono gli immensi Celine Dion e Peabo Bryson) mi prendessero per mano e mi riportassero indietro, in un periodo in cui la mia vita era senz'altro più felice. 

La bella e la bestia (Gino/Amanda): https://www.youtube.com/watch?v=-1Jiw5eshEI
Beauty and the beast (Celine/Peabo): https://www.youtube.com/watch?v=pgYEJHJXFB4


Mi sembrava quindi carino tentare di fare una specie di omaggio a questa canzone che, neanche a farlo apposta, mi si adattava perfettamente a uno dei momenti che più mi è piaciuto scrivere di questo capitolo di passaggio, che invece è basato tutto su Something there (https://www.youtube.com/watch?v=R-GoD0rmegE) a parer mio uno dei pezzi più BELLI di tutte le canzoni Disney. 

Spero di non mancare più così tanto🥺
Scusami e grazie. Per la pazienza prima di tutto, e poi per aver letto questo aggiornamento fino a qui...spero che continuerai a dare una chance a questa storia, nonostante tutto. 

A presto! 

-gen

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** XII ***


XII
 

Non se lo fece ripetere due volte. 

Scese dal castello, fino a raggiungere il ponte principale a passo spedito. 

La ciurma osservò le mosse del Capitano concuriositá. 

Sorrisero, quando videro il Gentiluomo arrossire furiosamente e ancora di più quando Edward gli fu davanti. 

Fu allora, che decisero di ritirarsi e di festeggiare per conto proprio: come aveva detto Lucius, la festa era anche per loro.

Stede non riusciva a capacitarsi dell'aspetto che doveva avere, avvolto nella propria vestaglia dorata. 

Nel suo mondo, uscire in veste da camera era considerata una cosa da villani, quasi un affronto verso chi si doveva incontrare…

Invece, casualità quasi divertente, Edward era vestito praticamente nello stesso modo. 

Sembrava diverso.

Nella confusione generale, Olu e Lucius erano riusciti a rimediargli un paio di calzoni grigi e logori, ma sempre meglio di quelli che aveva portato fino a quel momento. 

Mentre lo aiutavano a vestirsi, si erano accorti che la pelle maledetta del Kraken gli stava mangiando la carne di una gamba, amalgamandosi a quella viscida del resto del torace. 

Non avevano voluto farne parola, tutti e tre, ma doveva far male, visto che negli ultimi mesi Edward aveva preso a zoppicare. 

Poi, non avendo camicie o casacche degne di quel nome neanche per loro stessi, Jim aveva avuto la brillante idea di fargli indossare l'unica cosa da cui il Kraken non si separava mai: la vestaglia rossa. Quella sera speciale avrebbe sostituito il solito mantello nero che rendeva della Bestia un'ombra imponente. 

Ma vederlo con quella veste rossa…Stede non poteva, né sapeva spiegarselo, gli stava facendo male il cuore dalla gioia.  

Addirittura aveva rischiato di non rendersi conto del drastico cambiamento della nave, tanto era estasiato. 

"Da…quanto sei qui, Ed?" Chiese infine, con palese imbarazzo. 

Il Kraken rivolse un sorriso invisibile da sotto la barba aggrovigliata, alla visione delle guance del Gentiluomo che si imporporavano adorabilmente di nuovo. 

"Abbastanza." Rispose quindi con pacatezza impressionante, visto quanto era agitato. 

Rivolse un'occhiata al cielo. "Strano, che se la sia presa con te." 

"Chi?" Chiese sognante Stede, mentre fissava l'orizzonte insieme a lui. 

"Olivia." 

"O–livia?" 

"Sì." Ed spostò lo sguardo su di lui. "In genere non è dispettosa." 

Stede annuì, mentre le sue guance si coloravano per l'ennesima volta: aveva fatto nuovamente la figura del babbeo. 

Se l'era quasi dimenticata, Olivia.  

"Hai visto proprio tutto." Lamentò, pensando a quanto Ed avesse potuto trovarlo buffo, vedendolo rincorrerla. 

"Era così importante per te, quella giacca?" Chiese la Bestia. 

"No." Rispose subito il Gentiluomo. "Neanche un po'."

Edward lasciò andare una risata, totalmente incapace di trattenersi oltre e Stede lo seguí, decisamente più calmo. 

"È bello, qui." Esclamò poi quell'ultimo, guardandosi propriamente intorno.

"Tutto merito di quegli scalmanati." 

"Sono stati magnifici. Dove sono finiti? Vorrei far loro i complimenti–" 

"Sono in vacanza." Rispose subito Ed, riluttante a dividere la presenza di Stede, dato che non lo vedeva fa tutto il giorno.

"Oh…" il biondo sembrò deluso. "È vero, se lo meritano. Non voglio disturbarli." 

Edward si dispiacque a sua volta, poi il viso di Stede si illuminò con un sorriso. 

"Vorrà dire che racconterò loro ben due storie, domani sera!" Sancì contento. 

Il petto del Kraken prese a dolere: ciò che stava provando per quell'uomo, era qualcosa  decisamente fuori dal mondo. 

"Mi sembra una cosa molto…giusta." Balbettò in difficoltà. "Un'ottima idea."

Stede sorrise, inconsapevole dell'effetto e delle sensazioni che stava suscitando nell'altro. "Che facciamo adesso, Ed?"

"Ti andrebbe di venire in vacanza?" Propose il Kraken. "Che cosa ne pensi? Io non ci sono mai stato e da solo non saprei cosa fare."

"Penso che sia un'idea splendida, Capitano." 

Il Kraken era al massimo della…gioia. Sì. Perché non poteva essere altro che quella, ciò che stava provando. 

"Allora seguimi, ho preparato una cosa!"  

Stede seguí la Bestia accanto alla balaustra in cui un tempo erano posizionati i cannoni, e lo vide calarsi su una scialuppa. 

"Non avere paura." Esclamò il Kraken. "Sei al sicuro." Con me.

Stede aveva sempre avuto una discreta paura dell'altezza, delle arrampicate e di tutte le cose che in genere implicavano lo scendere da qualche parte.

Ma alla fine si fece coraggio. Scese la scala di corda annodata apposta per l'occasione senza alcun problema, ma poco prima di lasciarla, avvertì il bisogno di appoggiarsi a qualcosa: il braccio di Ed -il quale si trovava perfettamente in equilibrio al centro della piccola barchetta- era troppo vicino. 

Lo sostenne senza problemi e lo aiutò a sedersi. 

Poi, come se nulla fosse accaduto, Ed prese posto a sua volta sedendosi di fronte a lui e afferrò i remi. 

Stede non aveva mai avuto modo di notare quanto fossero lunghe le loro gambe: se non stavano attenti, le loro ginocchia rischiavano di toccarsi ad ogni leggero colpo di remi. 

Spostò allora lo sguardo verso la nave che emanava bagliori nella nebbia che si stava alzando. 

Come un faro.

"Dove siamo diretti?" Domandò Stede, torturandosi le mani in grembo.

"Ha importanza?" Chiese Ed, il quale per tutto il tempo si era adoperato a scovare la luna nella volta celeste. "Tanto non possiamo allontanarci più di qualche miglio. La maledizione…"

Eccolo. L'argomento che Stede stava disperatamente cercando per uscire dalla tensione in cui era imbrigliato. 

Edward si pentì di aver tirato in ballo proprio quello. 

Stede non poté trattenersi dal porre la prima domanda. 

"È stato doloroso?" 

"Cosa, venire maledetto?"

Stede annuì. "So che non ho il diritto di chiederlo, so che non ne parli volentieri–"

"Sí." Rispose Ed, sorprendendolo. "Fa male. In tutti i sensi. Ogni notte, ogni giorno, anni, non si ferma mai. Ma ciò che passo io è niente." 

Stede di quello ne dubitava: Edward aveva letteralmente il cuore fuori dal petto. 

Era piú che convinto che Barbanera stesse minimizzando la sua sofferenza per senso di colpa, e ne ebbe la conferma nelle parole successive. 

"Avresti dovuto porre la medesima domanda ai miei uomini."  

"L'ho fatto." Ammise il Gentiluomo, senza preoccuparsi delle conseguenze. "Ho chiesto a Lucius."

"Se non gli avessi ordinato di stare zitto -lui, come gli altri- ti avrebbe certamente raccontato di quanto ha patito in dieci anni. Il suo giovane aspetto sfigurato, la sua vita imprescentabilmente legata a me, quasi mai alla luce del sole, mai più un giorno a terra. Da qui, il logoramento della fame, del sonno…sono anni che nessuno dorme. Più il tempo passa, più fa male. Ho sentito Izzy svegliarsi urlando più volte di quante me ne ricordi, e così anche gli altri.”

Gli occhi di Stede si velarono di dispiacere. Divenne incapace di esprimere una sola parola. 

“Olu e Jim si amano.” Riprese Edward. “E non possono scambiarsi più di un sorriso, perchè presto diventerà loro impossibile persino stringersi una mano.” Lasciò i remi e gli mostrò le braccia, per rimarcare il concetto. 

“Poveri ragazzi–”

“La loro unica colpa è stata la loro presenza al momento dell'incantesimo. Probabilmente, se fossi stato solo avrei potuto salvarli.”

“Io…mi dispiace, Ed. Mi dispiace davvero…ecco, a tal proposito, mi chiedevo un’altra cosa. Puoi non rispondermi, se non vuoi, solo che da quando sono qui non sono proprio riuscito a capire–”

“Com’è successo.”

“Sì. Insomma, una maledizione è una cosa grande, per un essere umano…”

Il Kraken sospirò. “È stata una sirena.” Stede sgranò gli occhi e aprì la bocca per rispondere, ma Ed non gliene diede modo. “Sì,” disse,  “prima che tu possa chiedermelo, a quanto pare le fottute stronze esistono.”

“Non l’avrei mai messo in dubbio!” Esclamò il gentiluomo con veemenza. “Le sirene sono responsabili di eventi pericolosi, come inondazioni, tempeste, naufragi e annegamenti. In alcune tradizioni popolari, però, possono essere benevole. Concedere dei doni o…innamorarsi degli esseri umani.”

Barbanera rimase di pietra. “Tu come sai tutto questo?”

“Libri di mitologia greca.”

“Che roba è la milotogia greca?”

“Mitologia.” Corresse Stede con dolcezza. “Sono risposte. Risposte che gli uomini più antichi e saggi di noi si davano per spiegarsi l'impossibile. Ci hanno scritto una marea di libri a riguardo, e per lo più cose vere. Per questo ti chiedo…insomma, lei era…innamorata di te?”

Ed si riprese dalla spiegazione e per poco non scoppiò a ridere. “Ehi, hai inteso con chi stai parlando? Ma mi hai visto bene?”

“Scusami.” Stede buttò lo sguardo sull’acqua. “No-non volevo insinuare niente. Ho pensato che siccome eri d’aspetto umano, al tempo–”

“Non era innamorata di me.” Assicurò il Kraken. 

Il biondo trovò il coraggio di guardarlo negli occhi di nuovo, ponendogli inesorabilmente la prossima domanda. “Cosa ti ricordi, di quel giorno?”

“La pioggia battente. Era una notte orribile, e io navigavo insieme alla ciurma da queste parti…avevamo appena finito di dare una lezione a un galeone inglese, dato che la Marina ci da la caccia da sempre e volevamo fare porto per rifornirci in città, ma non ci siamo mai arrivati.” Le braccia di Edward tremarono per i brividi. “Prima che potessimo attraccare abbiamo incrociato una nave praticamente distrutta, incagliata a una scogliera. E non era opera nostra. Non appena ci siamo avvicinati è apparsa una ragazza.”

“Una ragazza? Ma non era una sirena?”

“Ci sto arrivando, Stede.” 

“Perdonami. Vai avanti. Sei bravo, a raccontare.” 

Edward non riuscì a sorridere al complimento. “Lei mi chiese aiuto." Continuò. “Una ragazza sola, dentro un relitto. Mi aveva offerto un fazzoletto di seta rossa come pegno. Magari era suo. Magari era l’unica cosa che le era rimasta. E me la stava offrendo per la sua vita.”

Stede sentì freddo. Un pesante groppo gli stava salendo inesorabilmente alla gola. 

“Avrei dovuto buttarmi in acqua e salvarla seduta stante. Senza volere niente. Invece non l’ho fatto.” 

"L'hai…rifiutata per il suo dono?" 

"No. Non l'ho mai voluto, quel fazzoletto. Volevo andarmene. Ma lei mi fermò, dicendomi che se avessi continuato a vivere con la mia vita come l'idiota scruteriato che ero, per me sarebbe finita male. 
Avevo anche una speranza. L'ho buttata via senza pensarci due volte e lei si è rivelata. La dannata sirena." 

"Edward…è tutto vero…"

“Guardami. Guarda come mi ha reso. E sai qual è la cosa peggiore? Che non ha fatto altro che portare alla luce quello che avevo dentro. Io sono questo, Stede." 

"Sei questo e molto altro, invece."

"Non ero mai contento, in passato. 
Vagavo per il mare senza un vero motivo. Volevo migliorare la mia vita, all’inizio…poi ho perduto la rotta.” 

"La ritroverai, ne sono sicuro. Sei il capitano migliore che conosca, un vero pirata!"

"Non è una rotta da scoprire, che spezzerá l'incantesimo." 

"Ma io ti aiuterei comunque a cercarla." 

La bestia per poco non scoppiò in lacrime. Sospirò, per controllare quella voglia. "Tu dovresti stare lontano da tutto questo. Ti metteresti nei guai ancora più di adesso…nuotare con gli squali sarebbe di gran lunga meno pericoloso."

“Non sarebbe la prima volta che rischio la vita. Se devo essere sincero, la prima volta in cui ho pensato di morire me la ricordo bene. C'era la mia Alma.”

Edward alzò il volto alla menzione della ragazzina. Come se avesse anche lei sulla coscienza, per qualche strano motivo. “Perchè me ne stai parlando?”

“Non lo so. Posso smettere, se vuoi."

“No. No, ti sto ascoltando.”

“Louis era ancora in fasce. E io ero in tremenda apprensione per un altro bambino nella mia vita. 

Erano giorni strani. Alma sembrava persa, silenziosa come non lo era mai stata…volevo fare qualcosa per lei, e stare meglio anch'io per aiutare sua madre. Una sera ho quindi preso il mio cavallo e l'ho portata con me a cavalcare.'

"Bestie infide, i cavalli. Non mi avvicinerei a loro memmeno sotto tortura." 

"Alma non ha mai avuto paura di Arthur. L'ho portata tante volte insieme a me…ma quella sera c'era la neve, e non eravamo soli."

"Qualcuno vi ha seguiti?"

Stede annuì. "I lupi." 

"Diamine. Non ne ho mai visto uno da vicino." 

"E ti auguro di non affrontarli mai. Sono spaventosi."

"Più di me?"

Il gentiluomo sorrise all'implicazione. "Tu almeno sei simpatico!" 

Edward rise brevemente. "Be' a questo punto sarei curioso di sapere come ti sei salvato." 

"Arthur ha corso come mai prima di allora. Aveva fiutato il pericolo ancora prima di noi, e ci ha portati in salvo fin dentro la stalla della mia tenuta. Poi la servitù ha cominciato a sparare." 

"A proposito di sparare, qualcuno mi ha ricordato che dovrei proprio insegnarti. Ti tornerebbe molto utile, a quello che sento." 

"Nel senso che i guai mi seguono?" 

"Sei proprio una calamita, Stede." 

Ti sorprenderà

Come il sole ad Est

Quando sale su e spalanca il blu dell'immensitá

"Cos'è questa musica?"

Domandò il biondo Gentiluomo, cadendo dalle nubi. 

"Frenchie." Rispose Barbanera. 

Lui e Stede stavano dondolando vicini alla Revenge, quasi poteva immaginarsi il menestrello appollaiato sulla coffa, a pizzicare il suo liuto. 
Aveva sempre avuto una voce incantevole, quel dannato, e in quel momento stava riempiendo l'aria in maniera quasi inquietante, tanto pareva carica di magia.

Quando sembra che 

Non succeda più 

Ti riporta via 

Come la marea

La felicità

Stede avvertì il proprio cuore tremare per l'ennesima volta: era esattamente così che si sentiva quella benedetta notte. 

Mentre guardava il Kraken assorto e tranquillo a remare sugli abissi, già sapeva che quei versi non se li sarebbe mai dimenticati in tutta la vita. 

 

*ANGOLETTO AUTRICE*

Bene, bella gioia! Questo era l'appuntamento-vacanza del Gentiluomo e il Kraken. 

Spero di essere stata all'altezza delle aspettative, e data la mole di dialogo che c'è, di non essere stata pesante. 

Ti ringrazio di cuore e ti do appuntamento a prestissimo con il prossimo capitolo. 

-C

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** XIII ***


XIII

"Allora?!" 

Domandò Lucius, cercando di mantenere la voce bassa. "Se la stanno spassando?!" 

"Lo spero!" Esclamó Frenchie di rimando, visto che, -a parte Olivia- era l'unico che poteva avere una visione periferica della barchetta. "Stede sembra lacrime, ma il Capitano è tranquillo! Troppo tranquillo!"

La gabbiana appollaiata accanto al menestrello garrì in accordo. 

“Che cosa stanno facendo?” Chiese nuovamente Lucius.

“Li ho persi, dannazione! La nebbia è troppo alta!” 

"Dite che si è dichiarato?" Chiese Oluwande. 

Lo Svedese, Buttons e Wee John fecero spallucce.

Jim invece non si vedeva in giro dal momento esatto in cui i due erano saliti sulla scialuppa. 

“Chi doveva dichiararsi a chi?” Chiese improvvisamente una voce alle loro spalle. 

“STEDE!” Sobbalzarono i pirati. 

Il Gentiluomo rise, capendo di averli colti di sorpresa a confabulare qualcosa. Era risalito dalla parte opposta a quello che tutti si aspettavano.

"Frenchie!” Chiamò invece Edward ad alta voce, apparendo al suo fianco. “Scendi immediatamente di lì, ragazzo! Non mi sei più utile, se ti spezzi il collo!" 

“Sì, Capitano!” Rispose il giovane, affrettandosi a scendere per il sartiame disastrato.

"Volevo farvi i miei complimenti, ragazzi." Esclamò Stede. "Avete davvero corto il significato di vacanza, e non è da tutti!" 

"Un momento, che fine ha fatto Izzy?" Domandò il Capitano, facendo mentalmente il conto dei presenti. "E Fang e Ivan dove sono?" 

"A prepararsi." Rispose istintivamente Roach, prima che un'ondata di panico prendesse piede.

Barbanera divenne sempre più sospettoso. "Prepararsi a che?!"

"A-alla recita che stavamo mettendo su." Continuò il cuoco-dottore. "Mentre tu e Stede eravate in vacanza!" 

Normalmente, il Kraken stava per dire che non aveva mai sentito una scusa più cretina in tutta la sua vita, e avrebbe aggiunto che se se Izzy, Fang e Ivan non fossero saltati fuori da lì ai prossimi cinque minuti, li avrebbe legati tutti alle vele fino a nuovo ordine.  

Questo, se non fosse stato per Gentiluomo al suo fianco. Dannato lui e i suoi occhi luminosi. 

"Voi…stavate preparando uno spettacolo?!" Chiese il biondo, più sorpreso che mai. 

"L'espressione artistica è importante." Esclamò incredibilmente l'uomo dei gabbiani. 

"Buttons." Riprese Ed. "Noi non sapevamo neanche che significasse quella roba artistica che hai detto, prima di Stede." 

"Stede vuole assistere." Borbottò Jim. 

Il Kraken dové ammettere che aveva ragione. 

Anche se non si era espresso. 

"Potrei solamente sapere quale storia andrà in scena?" 

"Quella di quei due tizi italiani." Rispose Frenchie. 

"Quelli che crepano avvelenati." Precisó Black Pete.

"Romeo e Giulietta." Rifletté Lucius. "Ma se ci abbiamo pianto una settimana inter–"

Wee John smolló un potente scappellotto alla nuca del giovane. "Io farò Giulietta!" Annunciò. 

Stede sorrise sorpreso e curioso. 

"E va bene, allora–" cedette il Capitano, "continuate pure la vostra manfrina–"

"Edward!" Rimproverò Stede.

"La rappresentazione artistica!" Si corresse immediatamente il Kraken. 

La ciurma rise, felice di essersela cavata con una pericolosissima balla inventata sul momento, e li lasciò soli di nuovo. 

I due rimasero per un momento in silenzio, appoggiati alla balaustra più solida della nave, cercando di ascoltare strascichi di discorso dell'equipaggio.  

“Stede…” 

“Ed?”

Il Kraken sospirò. “Sei felice, qui?” Si voltò per affrontarlo.  “Lo so che questa nave è ridotta uno schifo e il mio aspetto non è il massimo…ma io non ti considero più un prigioniero da un bel po' e mi chiedevo se–”

“Sì.”

“Cosa hai detto?”

“Io…non mi importa niente del tuo aspetto, o di quello dei ragazzi. 
All'inizio mi sentivo in prigione, è vero, ma da quando mi hai salvato la vita e abbiamo cominciato a conoscerci, non più. 
Sono contento, credo. 
Per una volta, sento di aver trovato un posto nel mondo. Non precisamente su questa nave, magari, ma sicuramente sul mare. 
Mi sembra di vivere più…leggero, senza la città intera che mi chiama stramboide appena volto le spalle, o la costante voce di mio padre che mi ripete quanto sia stato fortunato ad essere nato nell’agiatezza, quanto io sia un inutile spreco di spazio e che non mi meriti niente.”

Edward scattò nervosamente. “...è ancora vivo?”

“Chi?”

“Tuo padre. È ancora vivo?”

“È morto da tempo. Perché?"

"Perché si meriterebbe di bruciare all’inferno.” Perchè ti meriteresti il mondo, Stede Bonnet, ed io già so che non mi perdonerò mai, per averti fatto soffrire. “Se ti consola, potrebbe benissimo essere a far compagnia a quello stronzo del mio, di padre.”

Stede lo guardò con tristezza. “Mi dispiace, Ed.”

“No, dispiace a me di averti provocato ricordi poco belli.”

Per un lungo momento rimasero in silenzio, protetti dalle calme tenebre della notte. 

Stede non sapeva più cosa pensare di sé stesso. 

Si sentiva un essere umano orribile: stava bene. 
Stava bene su un rudere maledetto piantato in mezzo al mare, lontano dalla terra che gli aveva dato la vita. 

Edward invece non aveva più alcun dubbio. 

Né di cosa provava, né di cosa dovesse fare da quel preciso istante. 

“C’è qualcosa che non va, in te.” Esordì allora, a mezza voce. “Devi andartene di qui.”

“Cosa–” trasalì il Gentiluomo, “p–perchè?”

“Perché mi hai mentito. Non sei felice.”

“Edward, io–”

“Tu non mi hai raccontato proprio tutto. Scommetto che c’è qualcosa che ti manca.”

Stede rimase di pietra. 

Era vero. 

Terribilmente, inesorabilmente vero.

“Come fai a saperlo?”

La Bestia si tolse la vestaglia di dosso, rimanendo per la prima volta completamente allo scoperto davanti a lui. “C’è un motivo, se sono diventato così.”

Al biondo salirono le lacrime, ma non per la paura, né perché lo ripugnasse Ed. 

Se doveva dirla tutta, si sentiva inutile, impotente. 

Non sapeva proprio il motivo per il quale, l'idea di sapere quella creatura infelice, lo distruggeva. 

Come se non bastasse, il senso di colpa per Mary era uno dei pochi sentimenti che riusciva a distinguere nella marea che gli si agitava dentro, e…solo in quel momento si era reso conto che gli occhi di Ed erano…diversi

“La mancanza può essere logorante, a lungo andare." Riprese quell'ultimo. "È…una forza peggiore della corrente del mare, più potente del fuoco e del vento messi insieme. Finirebbe per mangiarti l’anima giorno dopo giorno, minuto dopo minuto. Non puoi ridurti a diventare un mostro come me, non te lo posso permettere.”

Una grossa lacrima rotolò da una guancia di Stede.

Aveva commesso un torto enorme nei confronti della donna che altri avevano posto al suo fianco. 

Se non fosse incappato in quella nave, probabilmente a quest’ora sarebbe lontano, con Alma e Louis, lasciando lei sola con il suo dolore, per una volta. 

“Non sono meno mostro di te.”

“Non ci credo, Stede. Tu sei nobile.”

“Non ho scelto io di esserlo. Ci sono nato.”

“Non sto parlando di questo, ma della tua anima. Qualsiasi cosa tu possa aver fatto, sappi che nella disperazione si possono commettere tante cazzat–sciocchezze. 
Sono loro, che ti mancano, non è vero?
I tuoi bambini.”

Stede singhiozzó commosso, colto sul fatto.“Non ti nego che mi piacerebbe vederli, anche solo per un minuto.”

Edward trattenne il fiato per un attimo, poi disse: “Li vedrai per tutto il tempo che vorrai. E non ti volterai mai indietro.” 

Il biondo tremò. “Questo significa che…sono libero?”

“Sì. Fa’ attenzione mentre vai, e tieni questo.” Senza preoccuparsi se il suo tocco l’avrebbe schifato o meno, Ed afferrò il polso di Stede con un tentacolo e dopo un istante gli chiuse la mano. 

Poi si ritirò subito, allontanandosi per recuperare l'adorata veste da camera.

Stede, che aveva frainteso il gesto di poc'anzi con una stretta di mano, si ritrovò improvvisamente con qualcosa di freddo e metallico contro il palmo. 

Quando lo aprì, vi trovò qualcosa che brillava. 

“Non posso accettare.” Disse, dispiaciuto di non avere con sé nient'altro da donare a Ed a parte la vestaglia rossa, se l'avesse voluta.

“Se c’è una cosa che ho imparato da tutta questa storia è che i regali non si rifiutano mai. Se questo pegno lo consideri tale, puoi anche ricrederti. Sei stato -sei- parte della mia ciurma. È tuo di diritto.”

Stede realizzò all’improvviso che ogni singola persona dell’equipaggio aveva addosso qualcosa di prezioso. 

Lucius teneva una spilla dorata a forma di candelabro sempre appuntata alla maglia ormai stracciata. 

Izzy portava un anello d’argento sempre legato a quella specie di cravatta che non toglieva mai. 

La dentiera aguzza di buttons doveva essere senza dubbio di madreperla, Lo Svedese aveva un vistosissimo dente di metallo, Wee John e Frenchie, condividevano due bracciali di onice nera praticamente identici. 

Black Pete invece vantava una lucentissima cavigliera di bronzo. 

Fang e Ivan indossavano sempre due cinture intarsiate. Olu possedeva una fine collana anch’essa d’argento, e tra i pugnali affilatissimi di Jim, ce n’era uno in platino. 

Stede aveva ricevuto un anello d’oro, con una pietra turchese incastonata. “Oh, Ed–”

“Portalo con te.” Tagliò corto il Kraken, voltandosi per dirigersi sottocoperta. “Così quando sarai al sicuro della tua grande casa e lo guarderai, ricorderai quel testone di un calamaro che all’inizio ti ha fatto tanta paura.” 

“Aspetta!” Stede lo raggiunse in pochi passi e gli afferrò una spalla, inducendolo a guardarlo in faccia per un’ultima volta. “I tuoi occhi…”

Ed non riuscì a capire. 

Rimase in attesa un ultimo istante, sperando che il gentiluomo trovasse le parole prima che potesse crollare, cosa che purtroppo non avvenne.

“Vai, Stede.” Mormorò quindi il pirata, spostandosi lentamente dalla sua presa. “Chiama Olu. Lui ti aiuterà volentieri e senza troppe domande.”

“Addio, Ed.” Sussurrò Stede, una volta che egli sparì dalla sua vista. Senza rendersene conto, già stringeva il suo anello contro il palmo, così forte da lasciare il segno. “Non ti dimenticherò mai.”

“Bene, adesso siamo tutti!” Annunciò felice Lucius qualche ora dopo, immensamente felice di vedere il suo Capo che scendeva i gradoni della cambusa con pesantezza. 

Avevano passato tutto il tempo a inventarsi uno spettacolo degno del miglior drammaturgo che si fosse mai visto, con tanto di battute e costumi arrangiati. 

Izzy, una volta tornato dalla seduta di pesca con Ivan e Fang, aveva rischiato di assistere ad una rissa scatenata dalla decisione di chi dovesse interpretare o no la Balia di Giulietta. 

Aveva deciso di astenersi, dunque, dato che quello era l'unico ruolo rimasto, concedendo così a Buttons un doppio ruolo. 

“Non siamo tutti, caro." Osservò Pete. "Manca Stede!”

“Stede non si unirà a noi." Sancì Edward. "Non lo rivedremo più.”

Un leggero brusio scese sulla stanza.

“Che cosa gli è successo?” Domandò Ivan.

“Io l’ho lasciato andare.”

“L’hai fatto andare via?” Chiese Fang, con dispiacere.

“Non ci senti?!" Sbottò Edward. "Te l’ho appena detto!”

“Aspetta, aspetta, fammi capire bene:" intervenne Izzy, "tu l’hai mandato via illeso? Senza ammazzarlo?!”

“Perché avrei dovuto ucciderlo, non è mica scappato!”

“Oh Dio, Capo!” Gridò Lucius. “I tuoi occhi!”

“Sì, li conosco." Tagliò corto il Krakran. "Ora avanti, fate il vostro spettacolo, finchè siete ancora in tempo!”

“Ma noi…credevamo che tu e il Gentiluomo foste amici, ormai!” Mormorò Roach.

“Già. Lo eravamo.”

“E allora...perché?" Chiese Pete.

“Perchè…” Mi sono innamorato. “Perchè non era contento di starsene lontano dalla sua famiglia, dato che a differenza nostra, lui ne ha una. Potete biasimarlo?”

“No, ma–”

“Non era felice. E io non ho più voluto trattenerlo. Mi dispiace. Contenti ora? Per quello che vale, potete anche prendervela con me e uccidermi con le vostre mani…non vi fermerò affatto.”

Per un momento, la Bestia temé che veramente la ciurma gli sarebbe piombata addosso, portando a termine quello che la sirena aveva cominciato anni prima. 

“Il Capitano ha agito con giustizia.” Decretò invece l'ultima persona che ognuno si sarebbe mai aspettato potesse parlare in un momento tanto delicato e teso. 

“Io…” Edward si sentì perso. “Grazie, Buttons.”

“Bravo, Capitano.” Fece eco Oluwande. 

“Mi dispiace, ragazzi. Mi dispiace davvero…vi ho condannati.”

“Tanto eravamo già nella merda.” Fece presente Izzy, scrollando le spalle. 

“Allora ho finito di maledirvi.”

“Fanculo la maledizione, almeno tutto questo finirà.” Mormorò stancamente Lucius. “E poi, se siamo fortunati ci vediamo dall’altra parte, no?”

“Il Valhalla ci attende!" Annunciò lo Svedese. 

"Ma sì, vaffanculo alla maledizione!" Fece eco Pete. 

"Sì!" Rispose in coro il resto della ciurma, stringendosi in conforto. 

“Io…sono stato un capitano degenere e un uomo ancora peggiore. Ma voi…voi siete davvero la ciurma migliore che un essere umano potesse desiderare. L’ho sempre saputo. Stede me l’ha fatto notare in tempo, prima che fosse troppo tardi.”

“Capo…” mormorò Frenchie, ma venne ignorato. 

“Non vi chiederò di perdonarmi, perché la vostra sofferenza è stata a causa mia e dopo tutti questi anni mi rende imperdonabile. Ma dovevate saperlo, prima che io vi perda del tutto.”

“Edward, i tuoi occhi!” Insistè Izzy. 

“Che diavolo!" Protestò il Kraken. "Si può sapere perché ce l’avete tutti con i miei cazzo occhi, stasera?”

“Perchè sono tornati.” Rivelò Lucius, senza un'ombra di scherno nella voce.

“Sono cosa?”

“Non sono più rossi, Capitano!” Fece presente Roach. 

“Fatela finita con le stronzate, sto cercando di scusarmi!”

Jim sfilò il pugnale dalla manica per farlo specchiare con la lama, esattamente come aveva fatto ore prima. 

Uno dei rarissimi gesti di Jim, a cui Edward si stava abituando volentieri.  

“Porca troia, non mi dire che–”

I suoi occhi non erano davvero più piccoli e rossi. 

Ma neri, grandi e profondi, resi luminosi dalla luce calda delle torce appese nella stanza. 

Anche la sua gamba stava improvvisamente facendo meno male.

E quello poteva significare solo una cosa. 

“C’eri quasi riuscito.” Asserì Olu, dando voce al pensiero di tutti. “Eravamo quasi salvi.”
__

Stede si trascinò via dal molo della città distrutto dentro e un'insana, grandissima voglia di bere. 

Non aveva la testa, per affrontare le ire di Mary. E nemmeno la voglia, se doveva essere sincero. 

Se ne vergognó come non mai. 

Percorse la strada che portava alla cittá con le lacrime che gli appannavano la vista, ma deciso a non lasciarne andare nemmeno una, alzò lo sguardo verso la taverna dove, era sicuro, avrebbe potuto  dare il peggio di sé stesso. 

Spanish Jackie. 

Aprì la porta senza degnare di uno sguardo i pochi avventori che soggiornavano, data l'ora tarda.  

Era notte inoltrata, quasi l'alba, e una persona rispettabile non si sarebbe fatta trovare in un posto come quello. 

Ma oramai non gli importava. 

Raggiunse l'ultimo tavolo, il più lontano dal resto della sala e rimase seduto, in attesa. 

La proprietaria in persona andò a servirlo, tuttavia non gli parlò: le era bastato guardarlo da lontano, per capire di cosa avesse bisogno. 

Gli allungò quindi un bicchiere, e una caraffa intera del vino più forte che avesse. 

Vediamo quanto ti regge il fegato, Bonnet. Pensò, osservandolo con forse troppa insistenza.

Stede si limitò a lasciare delle monete sulla superficie legnosa rovinata, più di quelle che sarebbero servite a pagare, e impiegò una giornata intera a svuotare la brocca. 

Non era affatto abituato a bere così volgarmente. 

Non aveva mai preso una sbronza in vita sua, e aveva sempre ripugnato chi invece era solito ubriacarsi tutto il tempo…quella volta, invece, man mano che l'alcool gli scorreva dentro ottenebrando ogni suo pensiero e annegando la disperazione di ora in ora, un po' sentì di poter capire. 

Eppure avvertiva il vuoto, in sé. Il vuoto di una solitudine schiacciante. 

Non sarebbe bastato tutto il vino del mondo a colmare l'assenza. 

Fu quando il locale cominciò a pienarsi di gente malfamata, che la donna si avvicinò di nuovo al suo tavolo. 

Stede si era addirittura addormentato riverso sul legno, preda dei fumi dell'alcool. 

Jackie tirò un calcio alla sua sedia, svegliandolo. 

"Fila via, Bonnet."  Consigliò poi, afferrandolo per le spalle e accompagnandolo fuori dal locale senza un minimo di grazia. "Vattene a casa." 

Casa…

Si era fatta sera di nuovo. 

Il freddo circostante era pungente. 

C'era solo una cosa, che Stede Bonnet avrebbe voluto fare al posto di tornare alla sua tenuta, ovvero scomparire.  

Ma era stanco, troppo stanco. E la testa gli doleva. Lo stomaco bruciava. 

E gli veniva di nuovo da piangere. 

Non aveva scelta. Non tentò nemmeno di protestare il gesto di Jackie. 

Risalí la collina, passo dopo passo, il suo stesso peso a gravargli sulle lunghe gambe, il vento autunnale tra i capelli come una sorta di sinistro monito ad accompagnarlo, finché un nitrito familiare lo accorse. 

"Oh, Arthur…" Sussurrò e tese una mano, sicuro di trovare il collo del suo cavallo dall'altra parte. 

Non sbaglió. 

Sorretto dalla bestia felice come non mai di rivederlo, avanzò a tentoni verso la porta. 

Prima adattó il suo palmo al legno gelido. Dopo di che, chiuse la mano a pugno con lentezza, sbattendoci su le nocche di una mano. 

Bussò piano, inizialmente. Poi sempre più forte. 

 

*ANGOLETTO AUTRICE*

Giuro -GIUROOOO- che questo è l'ultimo capitolo di passaggio che vedremo. 

Dal prossimo si passa all'azione. 

Un abbraccio, bella gioia. E grazie della pazienza 🤍

Ci vediamo prestissimo, promesso

-C 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** XIV ***


XIV

 

 

Erano ben poche, le cose di cui era certa Jackie la Spagnola. 

Primo: lei non era spagnola.

Secondo. Geraldo, suo marito, era un idiota.

Terzo, quel Calico Jack era ancora più idiota di Geraldo. 

Dalla sospetta scomparsa di Stede Bonnet, quella sottospecie di delinquente aveva dato spettacolo, declamando nulla la validità del matrimonio del gentiluomo con la signora Bonnet e pretendendo di sposarlo di fronte a tutta la città. 

E per fortuna, la nobildonna si era difesa bene: affacciata alla finestra con gran dignità, l’aveva mandato al diavolo seduta stante. 

Era assurdo: una persona rispettabile come Stede, sposato a quel cafone di Jack avrebbe destato uno scandalo nazionale. 

Era quindi stata quasi una fortuna, che il biondino fosse misteriosamente sparito. 

I problemi, però, erano cominciati quando i suoi figli avevano chiesto aiuto alla taverna. 

Jack ne aveva approfittato immediatamente.

Prima, dicendo che la fantasia dei due mocciosi non aveva confini...poi una sera era tornato dietro lui stesso, urlando come lo scriteriato che era. 

Jackie aveva visto una città intera correre al porto dietro quel pazzo. Lei li aveva seguiti con l’unico e solo intento di farsi una risata prima di andare a dormire…ma era stato allora, che tutti (lei compresa) avevano visto una nave in rovina al largo.  

Una fregata di stampo francese, a quello che aveva visto, ed era enorme, imponente, impressionante. 

Un’ammiraglia in piena regola che si stagliava sull’acqua rilucendo alla luna, quasi fosse infestata da qualche presenza maligna.

Quella, secondo Jack -e quindi secondo quanto detto dai piccoli Bonnet- doveva essere la tana del Kraken. 

Jackie non capiva perché quel rudere galleggiante le fosse sembrato tremendamente familiare. 

Non aveva avuto il tempo di pensarci: l'unica cosa che aveva sentito da quel momento in avanti, erano stati i piani d'assalto a quella nave. 

E soprattutto, se c'era davvero un Kraken a bordo, allora andava immediatamente eliminato. 

Calico Jack e i fratelli Badminton si sarebbero occupati personalmente di eseguire la condanna, aiutati "dalla brava gente di Bridgetown."

Così aveva detto. 

E quello Stede Bonnet aveva avuto il coraggio di riapparire piangente e disperato proprio la sera successiva. 

Per un attimo, Jackie aveva temuto di sfiorare sfiorata la tragedia. Sarebbe bastato che la gente avesse riconosciuto Stede prima del tempo. 

Quindi l'aveva cacciato via di corsa. 

Di chiunque fosse quella nave, Jakie aveva già deciso che non avrebbe mai preso parte a quell’assalto. 

Insomma, quanto si poteva essere idioti, ad abbordare una nave con l’ancora incagliata? Sarebbe stato capace un uomo cieco. 

E per quanto riguardava il Kraken, leggenda narrava che non lo si doveva neppure nominare, figurarsi dargli la caccia. 

Se la maledizione era vera e la Bestia esisteva, Calico, Chauncey e Nigel ne sarebbero usciti per orizzontale. 

“Tesoro…” 

L’enorme villa era immersa nel buio pesto. Lui era ancora fin troppo disabituato a vedere nell’oscurità. 

Imparerai col tempo. Mormorò una voce dentro la sua testa. 

Ed...

Non poteva pensarlo oltre, o sarebbe scoppiato in lacrime, e Stede si sentiva già un immenso miserabile.

“Sono a casa!”

Compì un paio di passi in avanti, urtando un prezioso vaso e inciampando nel piccolo puf sul quale i bambini erano soliti sedersi per togliersi le scarpe. 

Dannazione! Pensò. Dannazione, dannazione–

“Padre?” Sussurrò poi una vocina. 

“Padre!” Ne fece eco una seconda. Ed era troppo convinta per essersela immaginata.

Preda della testa che girava e del battito del suo cuore che lo stava lasciando senza fiato, Stede Bonnet sentì cedere le proprie gambe. 

Alma e Louis gli si erano lanciati tra le braccia non appena le sue ginocchia avevano toccato il pavimento. 

Lui li tenne stretti a sé piangendo di gioia e lasciando finalmente andare tutta la disperazione che aveva trattenuto fino a quel momento.  

"Bambini, che cosa–" La voce di donna accompagnò dei passi alle loro spalle. 

"Stede…" 

Mary Bonnet era a pochi passi da lui. Avvolta nella sua camicia di notte più pesante, reggeva una candela accesa, e lo guardava con un'espressione indecifrabile. 

Se Stede avesse avuto il coraggio di alzare gli occhi un momento e guardarla, si sarebbe accorto che anche lei era in lacrime. 

Si svegliò all'alba del terzo giorno con la testa in fiamme.

Le ultime ore erano state un'accozzaglia confusa. 

Mary, la notte in cui era arrivato, aveva aiutato il Gentiluomo ad alzarsi, insieme ai bambini, poi l'aveva accompagnato in quello che fino a poco tempo prima era stato il loro letto. 

Lei si era accontentata di sistemarsi nella dependance della casa, esattamente dentro lo studio in cui dipingeva i suoi quadri. 

La presenza dei due coniugi era ingombrante, non sarebbero bastate due, di tenute, per contenerla. 

Anche se Mary rimaneva in disparte e Stede sprofondava in sonni agitati. 

Fu così, che il biondo trascorse il suo primo giorno di ritorno a casa. 

Dormendo. 

Mary invece cercava di contenere la curiosità entusiastica di Alma e Louis curandosi di loro personalmente, e nel frattempo si scervellava su cosa dire al suo consorte, una volta che si fosse degnato di svegliarsi. 

Da una parte cercava di convincersi che no, non le sarebbe dovuto importare niente, che quell'uomo ormai era un ricordo per lei…

Dall'altra, invece, non poteva fare a meno di chiedersi cosa avesse vissuto, cosa gli fosse capitato di così terribile, per tornare a casa in quello stato pietoso. 

Si concluse così anche il secondo giorno, nel silenzio con cui era cominciato. 

Stede non aveva avuto la forza di aprire gli occhi per ore infinite, anche se sprazzi di coscienza l’avevano pervaso per diversi attimi. 

Aveva riconosciuto i piccoli, irruenti passi dei bambini, una volta che erano entrati nella sua stanza a trovarlo. 

Aveva riconosciuto sempre la voce di sua moglie, che domandava costantemente alla servitù le sue condizioni. 

Ora che aveva sete e moriva di fame, si era costretto ad aprire gli occhi e a mettere a fuoco le immagini che aveva davanti: la domestica di casa Bonnet si stava sfaccendando proprio in quel momento accanto alle tende. 

Quando si accorse che Stede era sveglio, preparò velocemente la vasca da bagno posta poco distante dal letto e diede ordine alle cucine di preparare il pasto della giornata.

Stede si sentì quasi in colpa, a farsi servire in quel modo, anche se quella situazione per lui era normalità da quando era piccolo. 

Una volta a porte sbarrate, si era concesso quello che definitivamente avrebbe ricordato come il bagno più soddisfacente della sua vita, poi si era vestito e aveva cercato di mangiare qualcosa, oltre che bere acqua o tè. 

Verso la metà del pomeriggio, ricevette la visita che, lo sapeva, sarebbe arrivata. 

"Mary." Salutò con un filo di voce e alzandosi in piedi come si conveniva, alla presenza di una signora.

"Proprio io, Stede." Rispose lei, più seria che mai. Si sarebbe aspettata di vederlo ancora stravolto e trasandato, invece il lato decente di Stede aveva prevalso. "Hai finito?" Chiese, notando il vassoio con il pasto ancora praticamente intatto.

"Non ho fame." Confermò il Gentiluomo. 

La donna rimase un momento in contemplazione, sorprendendosi di sé stessa: suo marito era davanti a lei, vestito in maniera semplice e addirittura con un filo di barba a ornargli il volto teso…e lei di tutte le cose che aveva intenzione di dirgli, non se ne ricordava più neanche una. 

Capì di non essere pronta ad affrontarlo. Nonostante tutto. 

"Mi dispiace, per l'altra notte." Cominciò quindi Stede, sorprendendola di nuovo. "Ti ho spaventata."

"No." Si riprese Mary. "Mi hai dato prova di quanto può essere imbecille un essere umano." 

Stede buttò lo sguardo a terra, incapace di protestare sia per vergogna, sia per consapevolezza di essere nel torto più profondo. 

Quell’atteggiamento fin troppo schivo che lui adottava da tempo immemore, bastò a far perdere finalmente le staffe alla signora Bonnet. 

“Ne ho veramente abbastanza.” Sbottò quell’ultima, facendo trasalire il biondo. “Vuoi spiegarmi che diamine ti è preso?! Cosa credevi, di poter punire me Doug–”

“È così che si chiama?” Scattò Stede, interrompendola per la prima volta in anni di convivenza.

Mary non se lo sarebbe mai aspettato. “Sí…” Dichiarò sconcertata. “Mi insegna pittura.” 

“Lo so bene.” 

La donna sospirò, agognando calma. “Mi spiace, che tu sia venuto a scoprirlo in quel modo orribile, è normale che ce l'avessi con me, ma–” 

“Lo porti a casa nostra quasi tutti i giorni da più di un anno…avrei potuto scoprirlo in qualsiasi momento, anche senza che quei due ignobili individui dei Badminton facessero la spia. E no, non ce l’ho con te.” Ammise Stede, dopo un breve silenzio. “Non ho fatto i salti di gioia, ovviamente, ma ora, a mente fredda e lucida, posso dire di sentirmi quasi…sollevato.” 

Mary non sapeva più cosa pensare o come comportarsi. Chi diavolo era quello, e che cosa ne aveva fatto del vecchio insicuro e scostante Stede Bonnet? “Quindi…quindi puoi spiegarmi perché avresti preso i bambini e sei scappato!?”

“L’ho fatto perchè ero arrabbiato. Perché almeno avrei avuto qualcuno che…qualcuno che—Dio, come sono stato stupido.“

Stede non poteva ammettere di essere stato disperato a tal punto. 

Ma lei capí comunque. 

“Volevi qualcuno che ti volesse bene.” Realizzò. Il cuore le salì alla gola. “E anche io ero -e sono- così infuriata con te…ma non avevi il diritto di togliermeli. Non so cosa ti avrei fatto, se fosse accaduto loro qualcosa.”

Egli annuì, porgendole uno sguardo sinceramente dispiaciuto. 

Vide che Mary non era meno dispiaciuta di lui, e forse, per la prima volta nelle loro vite, si sentirono entrambi sullo stesso piano. 

“Li amo, Stede.” Continuò lei. “Li amo immensamente. Mi dispiace di non poter provare lo stesso per te. L’idea mi rammarica tremendamente, te lo giuro.”

“Non è colpa tua. Evidentemente non sono un gran che, come consorte. Per quanto riguarda i bambini, sono stato vile ed egoista. Dispiace a me, di aver cercato portarteli via. Non avrei mai dovuto farlo.”

Mary avanzò di qualche passo, avvicinandosi ulteriormente. 

Lui cadde seduto sulla cassapanca di legno ai piedi del letto. Sembrava triste e infelice come l’inferno. 

“Stede…”  mormorò dolcemente Mary, sedendoglisi accanto. “Parliamo, una buona volta. Non siamo mai riusciti a comunicare correttamente in diciannove anni, ma io ti conosco abbastanza da capire che la tua tristezza è il riflesso della mia. 
Tu non sei mai stato felice, della tua vita.” Gli prese le mani tra le sue, inducendolo a guardarla di nuovo negli occhi: vi lesse dentro vergogna e notò le sue lacrime trattenute a forza. “Ho sempre ammirato la tua abilità di estraniarti dal mondo.”

“Dici…dici davvero? Credevo non lo sopportassi!” 

Esclamò lui, e lei sorrise appena.

“In realtà ti invidiavo. Appena le cose andavano male, correvi dai tuoi figli, immergevi il naso in un bel libro o ti mettevi a scarabocchiare chissà cosa sul tuo taccuino. E così, nonostante tutto, riuscivi ad andare avanti ogni giorno. Da quando sei tornato non sei più tu. Qui davanti a me non c’è lo stesso uomo che se n’è andato.” 

“Cosa vuoi dire?”

“Che sei troppo calmo. Rassegnato. Non ti sei mosso tutto il giorno e tu invece sei peggio di Alma e Louis messi insieme anche con la febbre alta.”

“Ero ubriaco–”

“Non c’entra niente.” Insisté lei.  “Ascolta, io non so cosa hai visto, non so cosa hai vissuto mentre eri via di qui…se ti hanno fatto del male—”

“Che cosa sai a proposito della leggenda del Kraken?” Tagliò corto Stede.

“So che non è una storiella per tenere buoni i bambini. Esiste da sempre. Tu l’hai visto, vero? Tu hai avuto a che fare con la nave maledetta, il capitano e l’equipaggio fantasma che terrorizzava i sette mari, finché non è accaduto qualcosa di terribile.”

“Questo è ciò che dicono i bambini.” Confermò Stede, senza lasciar andare la sua mano. “Ciò che raccontano i libri. Ma io ho visto tutto, Mary. Ci sono stato. La ciurma è maledetta per un motivo preciso, la nave appartiene letteralmente al Kraken.”

“Alla Bestia?”

“Non lo sapevo, all’inizio. Mi sembrava un relitto abbandonato. Poi ho cominciato a scoprire ogni cosa. Sai, mentre ero prigioniero, ho conosciuto qualcuno e…”

“E?” Incalzò Mary, sempre più curiosa. 

“Non so davvero che cosa dirti. Mi sento strano solo a pensarci.” 

“Strano in che senso?” 

“Non saprei proprio!”

“Sei sempre stato impeccabile con le parole, Stede. Non mollare proprio adesso che sto cercando di capirti.”

Incoraggiato da quel complimento sincero e da quel tentativo di comprensione tanto veemente, l’uomo decise di tentare.  

“Le cose per me non sono state sempre rose e fiori, su quella nave. Ero ferito e terrorizzato. All’inizio ho addirittura valutato di buttarmi in mare, non avevo la minima speranza di ritornare sulla terra ferma. Poi qualcosa è cambiato. 
Ho avuto modo di conoscere bene l’equipaggio, e che tu ci creda o meno, sono tutti anime meravigliose. 
Poi, come ti dicevo prima, c’era quest’altra…persona, che ho conosciuto. Mi ha insegnato più cose di quante potrei mai leggerne sui libri e una sera mi ha chiesto se fossi felice lì, malgrado fossi solo un prigioniero.”

“E tu?”

“Perdonami, Mary…ho risposto che lo ero. E dicevo sul serio…mi sono sentito come mai mi era mai capitato in tutta la vita.

Però lui ha capito che mentivo: c’era un lato di me che impazziva dalla colpa per ciò che è accaduto. Un lato che ancora si vergogna di ciò che ti ho fatto. E mi mancavano i bambini da morire.

Non sono mai fuggito da quella nave. Il capitano mi ha lasciato andare.”

Mary era sempre più allucinata. “Questa persona ha convinto il capitano a lasciarti andare?!”

“Non è andata proprio così, ma sì, il senso è che me sono andato.”

“Quindi saresti così triste perché sei tornato a casa.”

“No.”

“Sei triste perché volevi che questa tua conoscenza ti seguisse a terra?”

“Be'…non poteva seguirmi da nessuna parte.”

La donna portò una mano al ponte del naso. “Oh, è vero!" Riconobbe. "Dimenticavo la maledizione.”

“Già…e in ogni caso non avrei mai potuto chiedere che un pirata di quel calibro, per quanto stanco fosse di esserlo, lasciasse il mare per me.”

“Pirata!? In che senso, pirata!? Dimmi di più, per favore.” 

"Ehm…" Stede iniziò a sudare. “Ovviamente era un essere umano come te e come me, prima della trasformazione.”

“Ovviamente…”

“E sí, è un pirata. Il suo passato è davvero molto travagliato, non ha mai avuto modo di vivere come voleva e per questo ce l’ha avuta col mondo per un po’…tutti giudicavano. Nessuno ha mai voluto capire." Il Gentiluomo sorrise con nostalgia. "Invece basta ascoltare un attimo, per capire quanto sia speciale.” 

“Ti sei affezionato.” Notò la donna, consapevole del fatto che le mani di Stede si fossero appena scaldate. 

“Sono triste perché stando così lontano non riesco proprio ad essere felice." Dichiarò quindi l'uomo, accigliandosi. "Mary, io…non so come fare, non so che mi succede, non capisco che mi prende. Non sono ubriaco…non più, almeno. Probabilmente mi sono ammalato. Ti sembro malato?”

“No, Stede, tutt’altro!” Rispose Mary trionfante, con il più improbabile dei sorrisi. “Tu sei innamorato!” 

Stede sgranò gli occhi. “Io sono…” boccheggió. "Sono cosa?" 

“Sei completamente perso! Ecco perché ti senti così depresso, non sei con la persona che ami!” 

Stede arrossí, e il sorriso di Mary si fece ancora più grande. 

“Sono sicura che questa creatura fosse una donna davvero bellissima e soprattutto interessante, prima della maledizione! O non ti avrebbe mai conquistato! Vuoi dirmi il suo nome?”

Stede sospirò un paio di volte. 

“Ed.” 

Rivelò, con voce carica di orgoglio e di amore

“Lui si chiama Ed.”

A Mary cadde la mandibola. Stede si ritrovò tra le sue braccia ancora prima di riuscire a realizzarlo. 

Era il primo abbraccio consenziente che si scambiavano da quando si erano sposati. 

“Sono così felice per te!!” 

“Grazie...” Esalò lui con le lacrime agli occhi. "Grazie, Mary. 

“Non vedo l’ora di conoscerlo!” 

“Sono sicuro che ti piacerebbe, è assolutamente adorabile!” 

La donna sciolse l’abbraccio senza smettere di sorridere e si alzò. “Sai che Calico Jack è venuto qui blaterando di volerti sposare?!”

Stede trasalì. “Davvero?”

“Lo pretendeva. Quell’idiota ubriacone dal nome ridicolo! Non l'ho permesso, ovviamente!”

“Oh, allora grazie anche per avermi salvato da lui.”

“Be' ero arrabbiata con te, ma non avrei mai potuto farti questo!” 

Improvvisamente, Stede si rese conto di un gran vociare proveniente dall’esterno della casa. Corse ad affacciarsi. 

Fu il turno di Mary, a sgranare gli occhi. “Oh mio Dio…tu non sai.” 

“Che cosa—“

“Doug me l’aveva accennato, ma io non gli avevo creduto!” 

“Mary…” Stede iniziò a preoccuparsi: stava avendo un pessimo presentimento. “Parlami, per favore! Sta succedendo qualcosa di grave?”

“Jack e i Badminton!” Gridò la voce di qualcuno entrato nella stanza all’improvviso.

I due ex coniugi si voltarono: era arrivato il pittore in persona. 

Sembrava avesse corso a perdifiato, ma non si arrestò finché non fu proprio davanti a Stede. “Finalmente ti ho trovato, ti ho cercato ovunque.” Dichiarò, cercando di riprendersi. “Scusami se sono entrato così—”

Stede non aveva voglia né tempo di parlare di quanto fosse in disaccordo che quell'individuo fosse appena entrato in casa sua, neanche gli fosse sempre appartenuta. 

Si stava agitando. Si stava agitando come non mai. 

“Al diavolo i convenevoli, dimmi che vosa sta succedendo. Parlavi di Jack e dei Badminton.”

“Hanno ascoltato il racconto dei bambini alla taverna di Jackie! All’inizio non ci hanno creduto, ma da qualche tempo i cittadini parlano di questo Kraken, consapevoli che non è una leggenda. Poi sei sparito e la cosa è aumentata!”

“Ma perchè dovrebbero crederci adesso!?" Domandò il biondo. "Non hanno prove, la nave non è visibile!”

“Lo è diventata quattro giorni fa, invece. 

L’hanno vista tutti, me compreso: si trova a qualche nodo dal porto. Ora quei tre la vogliono assaltare avvalendosi della folla impazzita e uccidere la bestia!”

“Oh mio Dio!” Stede si affacciò di nuovo e osservò bene il viavai di torce e uomini che si dirigevano verso il porto: erano tutti armati. “Lui non lo sa…lo massacreranno. Massacreranno Ed!” 

“Aspetta, cosa c’entra Ed col Kraken?” Domandò Mary, confusa.

“Ed è il Kraken!” 

“ED È IL KRAKEN?!” 

“Il Kraken si chiama Ed?” Chiese Doug, confuso anch'egli all'inverosimile.

“È una storia lunga e complicata!” Ribatté Stede, affrettandosi verso l’uscita della stanza. “Non si tratta solo di lui, ma anche di Lucius, e Pete, e Olu, Jim, Wee Jon, Buttons, Lo Svedese, Izzy, tutti! Sono tutti in pericolo, e io me ne sono andato!”

“Allora devi tornare indietro e aiutarli!” esclamò Mary.

“Io…"

“Non ti fermerò, Stede. È la tua avventura, questa. La tua vita. Combatti per essa.” 

“Vai, padre!!” Gridò dal nulla la vocetta di Louis. 

“Devi assolutamente salvarli!!” Fece eco quella di Alma. 

Stede si arrestò di colpo, guardandoli in tralice. “Da dove saltate fuori?!” 

I piccoli sbucarono da dietro una pesante tenda di broccato. 

“E da quanto, sareste qui?” Domandò Mary, puntando severamente le mani sui fianchi. 

“Da prima che iniziaste a parlare!” Confessò Alma. “Giocavamo a rincorrerci.”

“Siamo moooolto contenti di aver ascoltato!” Aggiunse Louis. “Oh, ciao Doug, buonasera!”

Il pittore sorrise. “A te, giovanotto!"

“Molto bene!” Sbottò Stede. “Voi quattro resterete qui dentro a porte sbarrate e non vi azzardate a muovervi finchè la situazione non sarà tornata alla normalità!” 

“Non se ne parla!” Ribatté l’artista. “Dicci cosa possiamo fare per aiutarti.”

“Non è il caso.” 

Per favore. So che abbiamo cominciato davvero male e mi dispiace. Mi sento davvero un verme per quello che ho fatto, come l’ho fatto, e me ne vergognerò per anni. Ma ora non c’è tempo. Il minimo che posso fare adesso è darti una mano.”

“Non devi fare un bel niente. I sensi di colpa non sono un deterrente per–”

"Voglio fermarli perchè non è giusto. Non sono mai stato d'accordo coi Badminton! E in tutta franchezza, Bonnet, non mi dispiacerebbe prendere quel Calico Jack a calci nel–”

“Nel culo.” Concluse Stede, stringendogli finalmente la mano. “Il che era anche il mio obiettivo.”

“Ti lascerò l’onore.”

“Allora accetto il tuo aiuto. ”

“Il cavallo già ti aspetta.” 

"Si è lasciato avvicinare?" 

"No, mi ha dato un calcio, ma alla fine l'ho sellato." 

“Fantastico.” Esclamò Stede.



L’artista e il Gentiluomo percorsero la casa, fino a raggiungere la stalla. 

Arthur scalpitava. 

“Chi ti ha detto che ero tornato?” Domandò Stede, controllando la sella. 

“Spanish Jackie in persona.” Rispose Doug, aprendo le porte. ”Io non sapevo dove cercarti, non sapevo nemmeno che fossi sparito…ma per fortuna lei ti ha visto tornare prima di me.”

“Grazie.”

“Non dirlo nemmeno per scherzo. Sono io, che dovrei ringraziarti per non avermi ucciso immantinente, quel giorno. Ora va’ a salvare i tuoi amici, ti proteggo le spalle.”

__

E Stede lanciò il suo destriero al galoppo.
Se c’era anche solo una possibilità di salvare la situazione, l’avrebbe sfruttata al massimo, a costo di farsi male lui stesso. 

Non sapeva ancora bene cosa fare, ma mentre correva nella notte, decise di non farsi prendere dal panico: qualcosa si sarebbe inventato e la cosa fondamentale era riuscire ad avvisare Edward e i ragazzi. 

 

*ANGOLETTO AUTRICE*

Salve, bella gioia! 

Eccoci qui in dirittura d’arrivo, qualche capitolo  ancora e ci siamo, nel frattempo spero che questo sia stato di tuo gradimento! 

A prestissimo con il prossimo! 

-C

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** XV ***


Trigger warning
Non credevo che mi sarebbe servito in una AU del genere, ma io lo metto lo stesso. 
Se mai fossi sensibile descrizioni di violenza, sangue e infilzamenti vari, ti prego di farti un favore e non proseguire la lettura. 

 

XV

Sto arrivando, Ed. 

Quando Stede  giunse al porto buio, la luna splendeva incontrastata. 

Intorno a lui, l’inferno: i cittadini, sobillati dai fratelli Badminton, stavano davvero organizzandosi per raggiungere la Revenge, ferma e immobile in mezzo al mare. 

Sperando di passare inosservato, il Gentiluomo legò Arthur ad uno degli agganci ai quali si ormeggiavano le navi, e corse a cercare la propria. 

Per fortuna ho fatto fare tre scialuppe, pensò, una volta che l’ebbe trovata. Il suo cuore stava volando: questione di minuti e avrebbe potuto rivedere Edward e gli altri. 

Bastava solo ricordare come indirizzare la barchetta ed era fatta. 

Stede aveva la vacanza ancora impressa a fuoco nella mente, aveva osservato ogni singolo movimento di Ed, doveva riuscirci. 

“Guarda guarda chi ho trovato!” 

Quella voce lo fece sobbalzare.

“Nigel!” Escalmò Stede, più nauseato che mai, senza contare che il fiato di quell’uomo avrebbe potuto stendere un esercito di soldati in guerra,

“Ehi, Jack!” Gridò poi il gemello, senza permettergli di allontanarsi. “Il piccolo Bonnet sta cercando di salire sulla sua piccola barchetta!”

Ed ecco ciò che Stede aveva cercato di evitare dall’inizio. 

A nulla erano servite le accortezze, la speranza di riuscire a passare inosservato tra la folla inferocita e fregarli sul tempo. 

“E tu che cosa ci fai, qui, ragazzona?” Domandò Calico, 

Stede sorrise esattamente come si farebbe di fronte ad una carogna ripugnante.

“Potrei farti la stessa domanda, deficiente." Dichiarò glaciale. 

Calico rimase di pietra. “Ti ho sempre trovato adorabile, quando perdi la pazienza…ma stavolta no."

“Non mi importa!" 

“Uhm…questo potrebbe essere un problema.” Jack afferrò il polso di Stede e lo strinse. 

“Ti do due secondi per lasciarmi andare.” SIbilò il Gentiluomo.

“Oppure?”

“Sarà peggio per te.”

“Sai una cosa? Penso che non potrei mai essere capace di lasciarti andare." Il baffuto rise con disprezzo, poi diventò mortalmente serio. "Di’ lo  stesso, Stede. Di’ che provi le stesse cose.”

“Mai, Jack.” Esclamò il biondo, cercando di mascherare il dolore al polso ancora chiuso in una morsa. 

“Cosa?”

“Io…io ti farei un torto enorme, e poi non sarebbe la verità–”

“DILLO!” 

“No! Io non ti amo, tu non sei–”

“Ah, c’è qualcun altro, allora." Calico Jack per tutta risposta girò intorno al corpo di Stede, torcendogli direttamente tutto il braccio.  "Chi è. Stede?”

E il Gentiluomo compì l’errore di onestà più grande di tutti: guardò per un istante di troppo verso la Queen Anne’s. 

Calico strinse ulteriormente la presa. Stede stava per mettersi a piangere dal dolore, sentiva il gomito in procinto di piegarsi in maniera così innaturale che temè per un istante che si potesse spezzare da un momento all’altro.

“Allora non avrò pietà.” Sibilò l’uomo dietro di lui. “Chiunque sia il tuo nuovo amichetto, lo troverò e ti garantisco che quando arriverai su quella nave lo troverai in cenere." 

"No…non lo farai." 

"Dove pensi che sia, Chauncey, in questo momento, eh?" 

La risposta non tardò ad arrivare: Stede notò una nave staccarsi dal porto, sicuramente capitanata dal fu ammiraglio Badminton. 

Jack non stava mentendo. 

Spalancò gli occhi più per l'aspettiva terribile, quanto per il colpo di pistola che era appena esploso in aria poco distante da dove si trovava lui. 

Quindi ne approfittò per far finire il dolore insopportabile che stava provando, divincolandosi e frangendo il proprio pugno stretto chissà quando, sul naso di Jack. 

Stede non seppe chi aveva guidato quell’azione così violenta per la sua stessa natura, ma per una volta non si sentì in colpa.

Calico Jack adesso si era allontanato a causa del colpo inaspettato. Era piegato in avanti a tenersi il naso gocciolante di sangue, mentre NIgel Badminton rideva biecamente al risvolto degli eventi.

“Bel colpo, Bonnet.”  Commentò all’improvviso Spanish Jackie, perché era stata lei a sparare. 

E sempre lei puntò la pistola verso i due scellerati, mentre Stede si allontanava. 

“Il primo che si muove lo riempio di piombo.” Minacciò. “Ti copro le spalle, Bonnet.” 

"Ma Chauncey–"

"Ci penseranno i miei mariti." 

Stede vide una seconda nave enorme mollare gli ormeggi e dirigersi al largo. 

“Va’ da lui.” Aggiunse Jackie. "Hai il vantaggio della leggerezza della tua scialuppa e il vento a favore. Se remi bene lo raggiungi." 

“Tu…” Balbettò Stede, sorpreso all’inverosimile. “Tu sai–”

“Digli che un maledetto bastardo fortunato e che gli devo da bere.”

Il Gentiluomo annuì grato come non mai e saltò letteralmente giù dal molo. 

Edward gli aveva insegnato atterrare sulla scialuppa in modo che non gli facessero male le ginocchia, e soprattutto mantenere l’equilibrio senza ribaltarsi e finire in mare.

…non gli riuscì: finí sulle ginocchia, ma non osò lamentarsi. Non ne aveva il tempo. 

Il suo obiettivo principale era raggiungere la Queen Anne’s. 

“Capo!” 

Oluwande fece irruzione nella sua stanza insieme a Lucius. 

“Smettila subito di rimuginare!" Aggiunse quell'ultimo. "Non sai cosa sta succedendo!” 

“L’ho già visto.” Esclamò passivamente la Bestia. 

Era Barbanera, un tempo, ed esattamente come un tempo, a Barbanera non sfuggiva mai nulla. 

“E non si può fare niente?” Domandò Lucius, incredulo all'inverosimile. 

“Sapete combattere, mi pare.” Rispose Edward voltandosi a guardarli.

“Noi sì, combatteremo, ma tu–” Provó a dire Oluwande. 

“Io mi aspetto che pensiate a difendere la vostra pelle con qualsiasi mezzo troviate. Non osate preoccuparvi per me…che vengano pure.” 

Perculiamoli!” Proruppe Lucius. 

“Questa è un’ottima idea.” Riconobbe Ed. “Vi ricordate come si fa?”

“Non ce ne siamo mai dimenticati, Capitano.” Assicurò Olu. "Ora parliamo con Izzy." 

"D'accordo."

"E non preoccuparti, Capitano, andrà tutto bene!" 

"Anche perché peggio di così è un po' difficile!" Esclamó Lucius con una risata mentre usciva.

L'ultima cosa che Edward sentí fu la voce del giovane scrivano che si lamentava per la gomitata che gli era appena arrivata. 

Calico Jack non avrebbe mai creduto che abbordare una nave sarebbe stato tanto facile, così come lo era stata la fuga da Spanish Jackie. 

Le aveva sparato ad una gamba all'improvviso, poi si era buttato in acqua insieme a Nigel, il quale, gridando, aveva fatto fermare la nave di Geraldo dopo qualche bracciata.

In pochi nodi, avevano raggiunto Chauncey che li attendeva come da piano con il resto della gente e come se non bastasse erano riusciti a fregare anche Bonnet…quell'idiota si era inspiegabilmente volatilizzato ancora prima che potessero divertirsi a prenderlo a cannonate: man mano che si avvicinavano al rudere, una nebbia fitta e nera come fumo si era alzata in maniera fin troppo sospetta.

Meglio così. Aveva pensato Jack. Avrebbero risparmiato la polvere e ogni singola munizione per la Bestia. 

La sua nave era davvero impressionante anche da vicino. 

Sembrava apparentemente deserta, e incuteva un certo timore nel silenzio della notte. 

"Andiamo, idioti!" 

Comandò Jack a coloro che l'avevano seguito. Non erano che un centinaio di anime, tutte assetate di morte. 

Jack mosse qualche passo sul ponte scricchiolante e all'improvviso, dei versi immondi riempirono l'aria. 

La vela di trinchetto prese a muoversi senza vento. 

I presenti sobbalzarono. 

"Jack…" Mormorò Nigel. "Io ho paura–"

"È stregato davvero, questo posto!" Fece eco Chauncey, il quale non stava facendo altro che guardarsi intorno con nervosismo.

"Ma andate a cagare!" Rimproverò Jack, fermando la comitiva di gente intimorita. Salì sul castello di poppa per guardare ognuno. "Non lo vedete che non c'è nessuno!?" 

I presenti non risposero.

Sembravano intirizziti dal freddo, oltre che dal terrore: piano piano, lentamente, delle figure ammantate di nero si palesarono alla penombra lunare. 

Non erano che ombre, e si stavano avvicinando minacciose e in silenzio, come branchi di pantere affamate. 

Solo il bianco dei loro occhi era visibile. 

Una di esse in prima fila, si tolse il cappuccio, rivelandosi. 

Jack per poco non se la fece addosso per la sorpresa: davanti a sè c'era un uomo fuso con una murena. 

E gli stava digrignando contro le zanne. 

Una volta che furono tutte vicine le sagome si rivelarono a loro volta. 

I Badminton erano a tanto così dallo gettarsi in mare, tanta era la paura: dovevano fronteggiare esseri fusi a creature marine.

Bestie infuriate. 

“ORA!” 

Gridò qualcuno. 

E quelle cominciarono a sparare. 

"AVANTI!" Gridò Jack, alzando la pistola a sua volta. 

Ma del centinaio di uomini che erano partiti, la metà circa si tuffarono nelle gelide acque sotto di loro. 

Stede, che ancora remava a pochi nodi di distanza, sentì urlare. 

Quando giunse a destinazione, il Gentiluomo si sentì morire: era arrivato troppo tardi. 

Legò la scialuppa al fianco della Queen Anne’s, che aveva preso letteralmente fuoco a causa del fumo presente nell'aria. 

La nebbia artificiale si stava diradando, ma allo stesso tempo respirare era difficoltoso. 

Salì la scala di corda in fretta, e quando giunse sul ponte, per poco non svenne. 

L'albero maestro aveva preso fuoco. 

Olivia volava come impazzita con dei sacchi di polvere da sparo legati alle zampe. 

Wee John e Frenchie aspettavano che quella cadesse su di loro per alzare le torce e farla esplodere. 

Izzy Hands se la stava vedendo coi gemelli Badminton, i quali sembravano star affrontando un demonio abile sia con la spada, che con la pistola. 

Roach e Balck Pete rincorrevano i loro assalitori sventolando le rispettive accette, Fang e Ivan li stavano letteralmente prendendo a pugni. 

Jim e Oluwande erano circondati, ma si stavano proteggendo le spalle a vicenda, schiena contro schiena. 

Frenchie se la stava vedendo con i cannoni, caricandoli insieme allo Svedese che  gridava e sembrava posseduto. 

Lucius e Buttons, invece, arrampicati sul sartiame, scagliavano pezzi di legno appuntiti sulla folla nemica. 

Il Kraken invece, coperto solo dalla vestaglia rossa, era davanti al timone. 

Immobile. 

"EDWARD!!" Gridò Stede a pieni polmoni. "EEEEEED!" 

Stede?! La Bestia si riscosse. Giró la testa a destra e guardò a sinistra. Non lo vide. "Stede! Dove sei?!" 

Il gentiluomo si arrampicó su una corda calante, e incurante di essere colpito dai pugnali vaganti di Jim o dai proiettili di Olu, si mostrò al di sopra della ressa. "SONO QUI!"

Ma non stava sorridendo, notò Ed. Anzi, aveva la faccia rossa per gli sforzi compiuti fino a quel momento. 

"VATTENE, STEDE!" Gli disse di rimando. "È PERICOLOSO!"

"ATTENTO, ED!!" Insistè il biondo, più allarmato che mai. "ATTENTO, È DIETRO DI TE!!" 

Edward fece appena in tempo a schivare la pistola di Calico Jack, ed estrasse la spada, prima che quello potesse nuovamente premere il grilletto. 

"Non lo sai, che attaccare alle spalle è da codardi??" Tuonò.  

"Ho ho, ma tu sai parlare!" Calico Jack gli sparò dritto a una spalla. 

Edward non si mosse, aveva perso di vista Stede: la corda a cui era aggrappato fino a quel momento aveva preso fuoco. 

Jack sparò di nuovo a bruciapelo, nello stesso identico punto. "Che cosa ti succede, Bestia." Sputó beffardo. "Tutto qui, quello che sai fare?" 

Ed non sentiva alcun dolore. O almeno non lo distinse da quello acuto che già provava di norma. 

Non voleva nemmeno combattere: lui sapeva, che sarebbe bastato un pugno, per far fuori quell'idiota che pensava di farlo morire sparandogli due miseri colpi di pistola. 

Non aveva più voglia di combattere in generale. Era stanco.

Al di là delle colonne di fuoco che ora invadevano la poppa e la prua, il Kraken notò che una terza nave lo stava affiancando dall'altro lato. 

Vanamente: la folla armata che aveva invaso la sua, si era ritirata. 

Adesso tutto ciò che vedeva erano i suoi uomini che gridavano alla vittoria come pazzi. 

"EDWARD!"

Fu nuovamente quel richiamo lontano, a farlo riscuotere. 

Ma Calico non si arrese. "Belva lurida." Apostrofó, piantandogli un coltello alla sinistra del petto e strappando un lembo di vestaglia. "Come hai avuto questa?" 

Edward impiegò un istante, a capire che era appena stato pugnalato dalla parte del cuore. 

E i pirati caddero uno a uno. 

Lucius, Izzy, Fang…i corpi pesanti sbattevano sul legno come oggetti inanimati.

Stede era in mezzo a loro, l'unico rimasto in piedi in mezzo al ponte.

"No…" Mormorò terrorizzato. Quando poi vide la Bestia, cadde in ginocchio anche lui. 

Era finita.

"Ed…" pianse, occhi negli occhi con lui. "No, Ed…no…" 

Fu in quel momento, che Jack capì tutto. "Tu…" Si rivolse al Kraken, mentre una risata gutturale gli invadeva il corpo. "Eri tu, l'amichetto di Stede. Non ci posso credere, è te che vuole!" Le risate divennero sempre più alte, nervose. Isteriche. 

E quella volta, Ed reagì. 

Col pugnale ancora piantato nella carne, assalì Jack spingendolo verso le fiamme sempre più vicine.

L'altro tentò un pugno e il Kraken lo incassó, così come incassó tutti gli altri pugni maldestri e ciechi che si abbatterono su di lui. 

Stede notò che Ed stava cercando di non colpirlo a sua volta. 

All'improvviso, il pennone avvolto dalle fiamme cadde e i due lo evitarono per un soffio.

Stede si sentì afferrare per il colletto della camicia.

"Cosa diavolo pensi di fare qui impalato, Bonnet!?"

"Jackie!" 

"Andiamo, aiutami a portare via di qui questi figli di puttana!" Ordinò la donna, caricandosi il corpo di Jim in spalla. "Sulla tua scialuppa saranno in salvo. La mia nave al momento è occupata dagli stronzi che volevano assalirvi, non so se mi spiego." 

Stede capì: Jackie era riuscita a ripescare la gente che si era precipitata in mare prima, dopo e durante i combattimenti. Adesso erano prigionieri lì. 

"Ma i Badminton–"

"Li ho gettati in gattabuia." Tagliò corto la donna, incespicando verso la balaustra ormai inesistente. "Muoviti diamine! Siamo su una cazzo di polveriera, quanto pensi che regga?!"

Stede prese il braccio inerme di Izzy e se lo portò sulle spalle, alzandolo di peso. "È la terza volta, che mi salvi la vita..."

"Non me lo ricordare."

"La tua gamba–" notò poi il biondo.

"Non è per me, che devi preoccuparti." 

In verità, Stede era preoccupato per tutti. 

Per la ciurma ormai morta e per Ed, che ancora combatteva in mezzo al fuoco. 

Le risa di Calico Jack echeggiavano nella notte agitata. 

"Sei innamorato di lui, mostro!" Provocò, attaccando nuovamente il Kraken. "Pensi davvero che uno come Stede possa ricambiare?! Lui ama le cose belle. Lui ama me." 

Estrasse una seconda pistola. "Lui è mio e basta." 

Edward non poté più trattenersi. 

Gli strappò l'arma di mano con un tentacolo, con l'altro, mentre lo teneva fermo, franse il calcio contro il suo viso una, due, tre volte, fino ad aprirlo e farlo sanguinare.

Fino a che le risate dell'uomo non si fermarono. 

Dopo di che, lo sollevò per il collo e con uno sforzo continuò al alzarlo fino che gli consentiva la propria altezza. 

Più andava in alto, più le fiamme erano calde.

Fu allora che Jack Rackham chiese pietà. 

Non lo fece a voce. I rantoli spezzati, la tosse e il volto tumefatto furono più che sufficienti. 

“Vattene.” Ringhiò, guardandolo negli occhi cerulei. 

Dopo di che, vivo e parzialmente illeso, lo lasciò cadere. 

"ED!" 

La Bestia si voltò, ma non lo vide di nuovo. Colonne di fuoco stavano inghiottendo la nave da cima a fondo. Presto si sarebbero unite e un unico pilastro avrebbero consumato la nave intera. "Stede!" 

Il fumo era di nuovo avvinto intorno a lui.

"Non ti vedo, Stede!" 

"LO SO, ED, MA IO SÌ! SEGUI LA MIA VOCE, DOBBIAMO ANDARCENE SUBITO!" 

"Stede, non l'ho ucciso!" Esclamó Ed, camminando a tentoni. Iniziò a tossire. "Non l'ho ucciso."

"EDWARD PER L'AMOR DI DIO, VOLTATI!!" 

Fu troppo tardi. 

Edward avvertì un secondo morso gelido trapassargli il corpo da parte a parte. 

Improvvisamente, un dolore immenso, monumentale, infinito gli esplose dentro, facendolo gridare in maniera disumana. 

Crollò su un fianco, sfinito e senza fiato, mentre alle sue spalle il pavimento crepato si apriva.

Calico Jack molló la presa sull'elsa della spada che aveva appena usato, e scomparve dentro al ventre della nave maledetta. 

 

*ANGOLETTO AUTRICE*

Okay bella gioia, tutto a posto? 😱

Spero -al di lá di non aver fatto confusione con le descrizioni e tutto il resto,- spero con tutto il cuore di non aver urtato la tua sensibilità e soprattutto di non aver esagerato troppo con i toni.

Ci vediamo nel post-battaglia, daccordo? Prometto che andrà tutto bene.

Non è ancora finita.

Un abbraccione,

 

-C

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** XVI ***


XVI 

 

"BONNET!" 

Gridò Spanish Jackie.

"DOVE PENSI DI ANDARE?!"

Stede non rispose.

Ancora attaccato alla scaletta, aveva messo una mano sul pavimento del ponte, per testarne la solidità. 

Il fumo si era alzato, permettendo a lui e a Ed di guardarsi negli occhi prima della fine imminente.

Il biondo aveva visto la Bestia crollare, arrancare un breve momento nel dolore, cercarlo, finché non aveva incrociato il suo sguardo. 

E l'aveva retto, Edward

Aveva resistito finché la luce nelle sue iridi scure non si era spenta.

Stede si rese conto che Ed l’aveva fatto volutamente: aveva voluto vederlo per l'ultima volta.

"Devo andare." Mormorò allora, con la vista appannata di lacrime. "Devo andare da lui."

"NON TI AZZARDARE!" Sbraitó la donna aggrappata a sua volta alla scala di corda.

Le fiamme divamparono ovunque, il legno cedette, l'aria ebbra di fumo era diventata completamente irrespirabile. 

Spanish Jackie trascinò Stede Bonnet giù dallo scheletro della Queen Anne’s quasi per miracolo, prima che quella collassasse con loro appesi al suo fianco. 

La ciurma di Barbanera giaceva silenziosa sulla scialuppa sottostante, ignara e impassibile all'onda d'urto che si era creata man mano che l’ammiraglia scompariva sul pelo dell'acqua.

Stede era avviluppato nel dolore, mentre la notte lasciava posto ai raggi deboli di un'alba troppo pallida. 

Raggomitolato contro il fondo della barchetta, pianse in silenzio, e continuò a farlo finché Jackie non lo avvertì che erano arrivati alla spiaggia adiacente al porto. 

Stede lo conosceva bene, quel posto. 

Ci aveva portato Alma e Louis a giocare più volte di quante ne avesse raccontate a Mary. 

E la poca gente che si era rifiutata di partecipare all'assalto, si era radunata proprio lì. 

Silenzio e timore regnavano.

Nessuno avrebbe mai osato avvicinarsi. 

Quando Stede mise piede sulla sabbia grigia, le sue lacrime erano secche, e in qualche modo fu felice di vedere che né Mary, né i bambini avessero assistito -anche da lontano- a quell'inutile massacro.

Doug aveva mantenuto la parola. 

"Disponiamoli sul bagnasciuga." Mormorò Jackie, trasportando Pete e Izzy fuori dalla scialuppa.

"Loro…non potevano scendere terra." Sussurrò Stede a mezza voce, notando con dispiacere che persino Olivia era caduta, e ancora si trovava accanto alle braccia di Buttons. 

"Quindi lasciamo che le onde del mare e la sabbia li tocchino." Asserì Jackie, mostrandosi dispiaciuta per la prima volta in tutto il tempo che lei e Stede avevano trascorso insieme. 

Quando ogni singolo membro della ciurma fu disteso sulla sabbia, anche i due vivi si sedettero poco distanti. 

La donna con un cipiglio in volto. 

Il biondo con la disperazione negli occhi. 

Non si era nemmeno accorto di aver ricominciato a piangere silenziosamente, tanto era concentrato a guardare le onde minuscole.

Calde e dolorose, le sue lacrime cadevano nell'acqua gelida che gli arrivava alle caviglie. 

"Sai…eravamo praticamente dei mocciosi." Mormorò Jackie. "Io lo conoscevo." 

Stede sospirò. 

Non ebbe bisogno di chiederle a chi si stesse riferendo.

Incassó la testa nelle spalle, il mento appoggiato alle ginocchia.

"Io lo amo." Confessò sconvolto. 

E il sole apparve all'orizzonte.

Il Gentiluomo rimase in silenzio per un momento. Poi non poté più mantenerlo. 

Non sopportava di udire alcun rumore che non fosse provocato dall'acqua intorno a sé. 

Perché, quella maledetta donna doveva mettersi a farlo proprio in quel momento!?

Proprio adesso che si sentiva impazzire a causa di tutto ciò che aveva sentito quella notte. 

Forse il fumo gli aveva dato alla testa. Forse era stata la polvere da sparo. Oppure semplicemente il trauma di aver assistito alla morte di quei ragazzi così bravi.

"Jackie…" Esordì mortificato il biondo. "Ti chiedo scusa, ma…mi fa male la testa. Potresti smetterla di cantare?" 

"Io non so cantare…" Ribatté la donna a mezza voce. 

Ecco perché aveva quel cipiglio. 

Perché aveva sentito qualcosa ancora prima di lui. 

Si trattava di un suono etereo, tetro, melodioso insieme, un canto intriso di qualcosa che non poteva essere niente di buono. E stava diventando sempre più forte, ogni minuto di più. 

Fu allora, che Stede la vide. 

La sirena…

Era immobile, seduta vicino a un gruppo di scogli a diversi metri da dove si trovavano. Una giovane così bella da togliere il fiato. 

"Oh, cazzo!!' 

Sbottò Jackie di colpo. 

"Questi respirano! Respirano!!" 

Stede si alzò in piedi di scatto, guardando verso la ciurma esamine. Era tutto vero. 

Respiravano

"Lucius!" Provó a chiamare ad alta voce. "Jim!!" 

I due, però, non riuscivano ad aprire gli occhi, non ancora. 

"Izzy?" 

Niente.

Sembravano tutti soggiogati da quel canto che adesso era diventato quasi stordente nella luce piena del sole.

Il biondo corse allora in direzione della creatura mitologica, la quale fino ad allora non aveva fatto altro che osservarli da lontano. Tuttavia a metà strada, quando ormai l'acqua gli arrivava alle ginocchia, Stede si accorse che quella era scomparsa.

Fa' qualcosa…

Chiese nella propria mente, sovrastando la sua stessa voce. Non sapeva esattamente come comunicare o cosa dire. 

Però di una cosa era certo: se per il Capitano della Queen Anne’s Revenge era finita, allora voleva a tutti i costi la salvezza di quell’equipaggio. 

Come se gli appartenesse. 

Ti prego... 

Il canto divenne presto intollerabile.  

Stede poteva a malapena tenere gli occhi aperti, tanto era confuso. La sua testa era sul punto di scoppiare.

Rinunciò quindi al tentativo di controllare i ragazzi: se si fosse voltato, sarebbe sicuramente finito in acqua e lui non aveva mai imparato a nuotare. 

Jackie avrebbe saputo cosa fare, nel caso si fossero ripresi. 

Ora, l'unica cosa che lui poteva fare, era guardare avanti, all'orizzonte. 

C'era qualcosa, dentro il mare, a giudicare dalle increspature sullo specchio dell'acqua altrimenti piatta a causa della bassa marea e dell'assenza di vento. 

Ma che cosa…

Il canto cessò di esistere di colpo. 

Il cuore di Stede prese a battere all'impazzata nel silenzio assordante.

Guarda.

Ordinò l'eco di una voce lontana, giovane e allo stesso tempo, antica quanto il mare stesso.

L'eco della voce che aveva cantato.

Guarda.

Ripeté. E Stede si forzó a fare quanto richiesto. 

Provó e riprovò a chiarire la propria vista, finché l'unica cosa che riuscì a distinguere dopo svariati minuti fu la sagoma di un uomo che dal largo si stava dirigendo verso la riva. 

Avanzava lentamente, come se si stesse trascinando fuori dal fondo dell’oceano. 

Il suo capo era chino. 

I capelli lunghi fino alle ginocchia impedivano qualsiasi visuale del suo volto. 

Una cosa in particolare catalizzó l'attenzione del biondo. 

Si trattava di un piccolo, grande dettaglio che condividevano solo lui e colui che amava: una vestaglia rossa fiorita, che l’’uomo aveva praticamente appiccicata al corpo.

Era bucata dalla parte sinistra del petto, un taglio trasversale si estendeva poco più in basso. 

Stede non poteva crederci. 

Nuove lacrime spinsero il retro dei suoi occhi stanchi, per poi irrompere ogni argine. 

Edward. Pensò, immobile e senza fiato. Non è possibile…

Lui era morto. 

Eppure adesso sembrava tutto il contrario, visto che gli finì di fronte, rimanendo immobile e alzò lentamente lo sguardo. 

Lunghi capelli intrigati da dieci anni di maledizione incorniciavano il viso ornato dalla barba, anch'essa intrigata e lunga all'inverosimile. 

Ma gli occhi…quegli occhi grandi e profondi erano i suoi

Erano di Ed

"Sei tu?" Domandò Stede, incerto sul quando avesse smesso di piangere e iniziato a sorridere. 

Anche la persona davanti a lui, sembrò sorridere. 

Non gli rispose, però, non ancora. 

Senza smettere di guardarlo negli occhi, finí di percorrere i pochi passi di distanza che li separava. 

Stede notò quanto la loro altezza fosse simile, adesso.

Ma non poteva ancora crederci. 

L'uomo dagli occhi di Ed sembrava averlo capito. Si aprì la vestaglia quel tanto che bastava a delle cicatrici fresche. 

Una era sul cuore. 

L'altra, più lunga, poco sotto le costole.

Stede notò anche che dentro la sua mano sinistra vi era un fazzoletto di seta, anch’esso rosso. 

Alzò una mano a sua volta, quasi fosse attratto da quelle ferite, sfiorando prima la stoffa rossa con la punta delle dita, poi passò alla cicatrice più in alto. 

La cosa più sorprendente fu avvertire i battiti delicati del cuore che si infrangevano agitati sotto la pelle calda. 

"Sei proprio tu." Riconobbe emozionato. Adesso era sicuro, era lui. "Ed…" 

"Stede." 

Edward gli si buttò tra le braccia, mentre il biondo, che aveva pensato a fare alla stessa cosa, lo chiuse in una morsa stretta e lo tenne proprio lì, in mezzo al mare, dove sotto il benestare di iridi ora misericordiose, la maledizione del Kraken si era definitivamente spezzata. 

"Oh…dormire mi stronca, proprio…"

"Lucius?" 

"Mmm…Pete. Che giorno è?" 

"Svegliati, piccolo, e scoprilo tu stesso." 

"Ma sto così comodo!" 

E come dargli torto. 

Mentre i superstiti sulla spiaggia si stavano riprendendo, Lucius aveva pensato bene di continuare a dormire tra le braccia di Pete, il quale, spaventato a morte, non l'aveva lasciato un attimo. 

Fang e Ivan si erano ripresi per primi. 

Come se niente fosse, si erano accostati allo specchio dell'acqua e avevano scoperto di essere tornati…uomini. 

Poi avevano intrapreso una lunga discussione con Jackie, tanto per fare qualcosa mentre il resto della ciurma ancora dormiva. 

Buttons era stato il secondo, ad alzarsi. Si era tolto tutti i vestiti e insieme ad una felicissima Olivia dalle piume candide come la neve, aveva salutato il sole. 

Lo Svedese a seguito. Quando aveva capito cosa era successo, si era rannicchiato in un angolino e aveva pianto di gioia. 

Non appena Roach si era svegliato, era andato a consolarlo, e dopo poco si erano ritrovati a correre felici sulla spiaggia. 

Wee John e Frenchie, non appena ripresa conoscenza, erano corsi ad abbracciarsi, così come avevano fatto Olu e Jim.

Olu avrebbe ricordato quello, come il più bel risveglio della sua vita: non appena aveva aperto gli occhi, aveva guardato verso l'alto e aveva trovato Jim incombente su di lui e sull'orlo delle lacrime. 

Immediatamente aveva posto una mano sul lato del suo viso che un tempo era rovinato…Jim non aveva fatto altro che adagiarsi al suo tocco, troppo emozionatə per poter parlare. 

Ci aveva pensato Olu, però. 

Aveva fatto appena in tempo a sussurrare un: 'Sei bellissima,' che Jim aveva posato le labbra sulle sue, e lui aveva circondato immediatamente la sua esile figura, felice come non mai. 

Dopo tanto tempo, in cui aveva potuto a malapena sfiorare la sua mano, scoprire di avere la libertà completa di poter stringere tutto il suo corpo, era assolutamente inconcepibile. 

"ASPETTA UN MOMENTO!" Sbottò finalmente  Lucius, poco distante da loro. 

Si era svegliato da appena due secondi, eppure -come al suo solito- era riuscito a calamitare l'attenzione su di sé. "Sono vivo…"

"Ben svegliato, tesoro." Rise Pete. 

"Pete, tu sei–" Lucius lo guardò con gli occhi sgranati: era proprio il Black Pete che si ricordava. Quello di dieci anni fa. "Oh cazzo…" 

Lo sguardo del giovane vagó sulla spiaggia, e vide che piano piano tutti i suoi compagni si stavano avvicinando a lui. 

Ed erano tutti umani, stanchi e meravigliosi. Soprattutto con lui a completare il quadro.

"In piedi, carogna morta." Dichiarò la voce scocciata del primo ufficiale di Barbanera. 

“Sì!” Si alzò il consigliere. “Ti piacerebbe! Sai vecchio mio, ora che ti vedo sei ancora più brutto di quando eri un pesciaccio maledetto!” Aggiunse serio, facendo così ridere i presenti.

"Izzy Hands." Chiamò una voce sconosciuta, prima che il pirata più vecchio potesse dare in escandescenze.

"Spanish Jackie?!" Riconobbe Izzy, rinunciando momentaneamente a rincorrere il ragazzino e suonargliele di santa ragione. 

La donna gli rivolse un mezzo sorriso. "Mi ricordavo vagamente, della tua gentilezza."

"Cosa diavolo ci fai, qui?!" Chiese Izzy, porgendole una mano che lei strinse immediatamente.

"Chi pensi che ti abbia parato il culo, mentre eri su quella bagnarola in fiamme?!" 

“La fottuta nave da guerra che ci ha affiancati a un certo punto era la tua?”

“Proprio così.”

Quella era una notizia davvero eccezionale. Il capitano doveva saperla. "Dov'è Ed–oh…" 

I pirati guardarono verso il mare. 

Il loro Capo era ancora tra le braccia di un biondo Gentiluomo di loro conoscenza. 

Aveva il capo appoggiato alla sua spalla, il volto quasi nascosto nell'incavo del suo collo. . 

"Finalmente." Sorrise Lucius, malcelando l’emozione. "È vivo, il bastardo. E anche decisamente occupato…lasciamolo con Stede." 

"Dove andiamo?" Chiese Pete. " Piccolo, non possiamo certo rimanere qui!" 

"Io ho fame!" Lamentò Fang. 

"Io ho sonno." Annunciò Ivan. 

"Olu…voglio dormire." Si rese conto Jim. 

"Sono tanto stanco anch'io." Rispose il secondo consigliere.

La ciurma intera si scoprì distrutta e affamata all'inverosimile. 

"C'è la mia taverna." Propose Jackie. 

"La tua che?!" Izzy era sempre più sorpreso. "Ce l'hai fatta, allora!" 

"Certo, avevi dubbi!? È a vostra disposizione finché non vi sarete rimessi in sesto."

"Ti siamo riconoscenti, ma–" proruppe Olu. "Non abbiamo davvero niente con cui pagarti." 

"E chi ti ha chiesto niente, giovanotto?!" Ribatté la donna. "Il vostro silenzio con la Marina mi sarà più che sufficiente."

"Hai la nostra parola." Assicurò Izzy. "Mi occuperò personalmente di chi si tradirà."

Il resto della ciurma assentì in accordo, compresa Olivia che garrì orgogliosa.

"Allora seguitemi." 

"Mio dio, non ci posso credere…" Mormorò Stede. "Temevo di non rivederti più."

Edward si allontanò per un momento per riuscire a guardarlo in faccia. "Non riesco a capire.” Rispose calmo. Stede notò che anche la sua voce aveva un'inflessione diversa, adesso che il Kraken era scomparso. “Lui mi aveva colpito. Ero morto."

Calico Jack.

E per un lungo attimo, le loro menti si pienarono dei ricordi del pazzo che aveva osato sfidare la Bestia. 

"Ho cercato di avvisarti.” Proruppe il biondo col cuore in gola. “Ho sperato di arrivare in tempo–”

“L’avevo già visto arrivare.” Esclamò Ed, assolvendolo immediatamente da tutte le colpe. Così come ho visto te. "Me ne sono accorto subito e anche i ragazzi erano pronti, comunque fosse andata.” Il pirata ebbe quasi un mancamento quando si rese conto che la sua ciurma era sparita. Dovette aggrapparsi al tessuto della giacca di Stede con forza per non cadere in mare di nuovo. “Dove sono…”

Stede si voltò, pronto a rispondere, ma la spiaggia era vuota e anche Jackie era scomparsa. 

Barbanera cominciò a tremare in quel silenzio confuso.  "Dovrei essere con loro! Il capitano va giù con la nave, loro hanno combattuto, non si meritavano di–”

 “Sono vivi, Ed.”

“Cosa?”

“Li ho lasciati in mani amiche, prima di venire qui. Sono al sicuro. Credo anche di sapere dove siano.” 

“Sono vivi–”

“E in mani amiche.” Asserì Stede con dolcezza. "Te lo giuro."

“Ma come…non è possibile.”

“La Sirena deve avervi salvati. I ragazzi e anche te.”

Edward pensò che non aveva senso. 

Però non era neanche del tutto impossibile, dato che lui stesso era sopravvissuto a due colpi mortali e a una maledizione, che già di per sé non avrebbe dovuto esistere. Poi scosse la testa. “Tu, mi hai salvato. Hai spezzato la maledizione.”

"Io…"

“Ti ho trovato, Stede. Sei tu…sei tu, quello che cercavo.” Il pirata tentò di sorridere attraverso la barba. "Sei sempre stato tu." 

“Edward–" 

Mi fa male il cuore dalla gioia. 

Non potrei esserne più felice. 

"Fai attenzione." 

Il Capitano per poco non perse nuovamente l'equilibrio, scoprendosi improvvisamente incapace di mantenersi in piedi da solo. 

"Sto bene…" Assicurò affaticato. "Non capisco che mi prende."

Stede lo guardò sottecchi: notò che gli occhi di Ed erano arrossati e cerchiati di scuro. 

"Da quanti anni non dormi?"

Egli accennò una risata. "Davvero non te lo ricordi?" 

Stede arrossí. "Non mangi da altrettanto, vero?" 

"Indovinato." 

"Allora devi venire con me."

"Dove?" Chiese Barbanera, guardandosi intorno.

"Fuori da qui, per esempio. Se resti oltre, finirai per prenderti un malanno."

Sostenendosi al Gentiluomo, il Terrore dei Mari proseguì agitato: ogni passo che compiva era più vicino alla terraferma.  

Quando arrivò a pestare la sabbia asciutta per poco non scoppiò a piangere di nuovo. 

Stede non l'aveva mai lasciato. 

Si rendeva perfettamente conto che quello doveva essere un momento sacro, per Ed, quindi si limitò a sostenerlo, tenendo il proprio braccio intorno alla sua vita, fino a che il suo peso Ed non finí per gravargli addosso. Ma non importava. 

Non lo sentiva neanche. 

Era semplicemente troppo contento di trovarsi lì con lui, per poter notare qualsiasi altra cosa.

"Vuoi fermarti?"  Gli chiese.

"Fermarmi?"

"Sei esausto, posso vederlo." 

Stede già si era immaginato tutto: avrebbe tenuto Ed a sé per il giorno intero, proprio per farlo riposare alla luce del sole. 

Sedersi sulla spiaggia non sarebbe stato un problema per nessuno dei due, occorreva solo trovare un angolino tranquillo e–

"Devo ritrovare la mia nave, Stede." Rispose il Capitano, infrangendo inconsapevolmente i sogni dell’altro.

"Io–io non so come dirtelo, ma…temo che la Queen Anne’s non esista più, ormai." 

“Oh…” Il volto di Ed cadde sulla sabbia candida: almeno per quel giorno, niente ciurma e addio per sempre Queen Annes’s Revenge. 

"Vieni a casa con me." Propose Stede, senza pensarci due volte. 

"Casa…" Ed non ce l'aveva mai avuta, a parte quella di sua madre. 

Ergo, aveva cominciato a considerare il mare come tale da quando l'aveva abbandonata.

"Potrai mangiare tutto quello che vorrai, e dormire tutto il tempo che vorrai." Continuò Stede. 

Come se servisse dell'altro a convincerlo. 

Come se Edward Teach gli potesse mai rifiutare qualcosa, dannato lui e i suoi occhi verdi…poi non aveva sinceramente idea di come fosse fatta la casa di un gentiluomo. 

"Dormiresti su un letto! Ho un sacco di camere grandi e vuote con un sacco di letti grandi e vuoti, e non saresti di troppo, perché Mary sa tutto." 

"Ah sì?" Chiese Ed, incantato da quella parlantina. Poi realizzò le parole. "Chi diavolo è Mary?"

"Mia moglie–" 

"Sei sposato?!" Trasalì Barbanera. 

"Sí, ma è finita, siamo amici perché ora lei ha Doug. Se ti stai chiedendo chi è Doug, ti spiego tutto dopo!" Rispose con veemenza il biondo. "Allora, vogliamo andare?" 

Edward non sapeva davvero cosa rispondere. Un po' si vergognava anche: non fosse stato per il provvidenziale invito di Stede, non aveva davvero un posto dove stare. 

"Tu mi hai ospitato nella tua casa." Continuò il Gentiluomo, percependo l'imbarazzo e la reticenza.

"Ti avevo imprigionato." Puntualizzó Barbanera. “Sulla mia nave.”

"Semantica." 

"Che–?"

"Dettagli irrilevanti."  Si corresse subito Stede, cercando di non sembrare forbito come un maledetto avvocato proprio in quel momento.

Edward, nonostante fosse già praticamente convinto dalla prima parola, ancora non si sentiva nel giusto ad accettare. "Solo per questo, non me lo merito.” Tentò di spiegare. “Insomma, tu sei…gentile. Sei gentile in maniera quasi disarmante, ma io–"

Stede gli prese il volto tra le mani. "Io sarei tornato indietro altre mille volte, anche se Jack non ti avesse dichiarato guerra. Era questione di tempo, che tu mi creda o no." 

"Ti credo." Sussurrò Teach, rincuorato e profondamente commosso. 

"Quindi vieni con me? Ho la marmellata!" 

Il pirata si limitò ad annuire una volta, prima che l’altro continuasse con la lista di tutte le cose che avrebbe voluto fargli provare. "Se è per la marmellata…" 

Stede sorrise trionfante, offrendogli il braccio per camminare. 

"Non pensare di non meritarlo." Lo ammoní poi, mentre lasciavano il lido. "Non avrei capito niente, se non mi avessi mandato via." 

Ed si sentiva sempre più stanco. "Che cosa dovevi capire?" 

Che io ti amo.

"Che non ero felice, qui." Disse Stede. "Ero sincero, quando me l'hai chiesto." 

Ed sospirò al ricordo della splendida vacanza che aveva passato con Stede. "Ma questa Mary lo sa, che le stai portando un pirata?" Chiese poi.

"È anche casa mia, fino a prova contraria." Dichiarò deciso il Gentiluomo. "E mi ha confidato che non vede l'ora di conoscerti." 

"Stede." 

"Potrei averle parlato di te." 

"Stede…" 

"Oh Ed, ti senti male?" 

"No." Il Capitano stava letteralmente arrancando. "Volevo solo sapere quanta strada manca. È troppo strano per me, camminare…"

"Resisti, tra poco arriviamo da Arthur." 

"Chi è Arthur, adesso?" 

"Questo non te lo dico, perché già so che la risposta non ti piacerà affatto!" 

Quando raggiunsero il molo, il destriero era ancora legato. 

Se n'era stato tranquillo per tutta la notte precedente, aspettando il suo padrone come richiesto. 

Edward invece faticava sempre più a stare sveglio. Non lo vide nemmeno, il cavallo. 

Stede fece in modo di attirarlo in sella, sedendosi dietro di lui, accertandosi che non cadesse. 

"Ora andiamo a casa, Ed." Esclamò, tenendo forte le redini. 

Il pirata annuì appena e rimase in silenzio, sentendosi trasportare da qualcosa. 

Non sapeva bene di che si trattasse, ma si fidava di Stede. 

Rimase in silenzio ad ascoltare i suoni che lo circondavano: il vento tiepido della metà del giorno, i gabbiani che garrivano in lontananza, il suono della sua voce calmante, malgrado la propria coscienza andasse e venisse in maniera irregolare e il fatto che avrebbe potuto seriamente addormentarsi così appoggiato a Stede. Sperò solo di non pesargli troppo. 

Stede continuò a sussurrargli tutto ciò che gli veniva in mente, per non annoiarlo e soprattutto per non farlo spaventare per tutto il resto del tragitto, ma Ed rimase calmo in sella fino a che non giunsero alla tenuta Bonnet


*ANGOLETTO AUTRICE*

Saaaalve bella gioia, è bentrovata! 

Non ci crederai, ma di tutti quanti, questo post-battaglia è stato forse più impenativo della battaglia stessa! Ho dovuto revisionarlo e correggerlo un’infinità di volte e ancora non sarei soddisfatta del tutto. 

A te però spero sia piaciuto! 

Ci vediamo al prossimo aggiornamento, siamo in dirittura d’arrivo! 

Un saluto, 

-C

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** XVII ***


XVII

"Mary?" Chiamò Stede.  

Edward si era praticamente addormentato appoggiato al suo petto, e lui proprio non sapeva come farlo scendere da cavallo. 

"MARY!" Tentò nuovamente. Era da poco passata la metà del giorno, sua moglie doveva esserci per forza. 

Non servì di chiamarla una terza volta: la porta principale della tenuta si spalancò poco dopo, rivelando la padrona di casa affaticata dalla corsa che aveva appena fatto. 

Si fermò appena varcata la soglia.

"Oh, mio Dio, Stede!!"  Esclamó, stupita ed estremamente sollevata di vedere il suo ex marito sano e salvo. 

Si avvicinò con circospezione, notando che non era solo. 

Stede, di contro,  le vide uno splendido sorriso a dipingerle i tratti. 

"Ce l'ho fatta." Le annunciò, stanco ma felice come non mai. 

Mary annuì e si avvicinò ulteriormente, curiosa. "E lui…" 

"Ha passato una nottataccia, non so come farlo scendere senza farlo cadere da quassù."

La donna afferrò immediatamente le briglie di Arthur e diede due strattoni decisi. 

Arthur pestó nervoso: non voleva proprio saperne, di abbassarsi. 

"Ehi, non ci provare." Ammoní la signora Bonnet. Benché fosse alquanto intimorita dall'animale, ricordava che Stede le aveva sempre detto di non darlo a vedere. "Guarda che prendo il frustino, non ho mica paura!" 

Esclamò, sperando di risultare intimidatoria: se Arthur non si fosse convinto, non avrebbe proprio saputo dove andare a cercarlo, un frustino, dato che Stede non l'aveva mai usato. "E niente più carote per una settimana!" 

A quelle parole, il cavallo sbuffò di pura stizza, ma dopo qualche secondo piegò le ginocchia, abbassandosi fino a toccare terra con la pancia. 

Stede poté così scendere dal dorso e sorreggere Ed, il quale nel frattempo aveva socchiuso gli occhi.

"Sei stata incredibile." Esclamò grato, trascinando il compagno all'interno della casa. 

"Che cosa gli è capitato?" Cominciò a chiedere Mary, ansiosa di vederlo in volto. 

"Dieci anni di maledizione." Rispose Stede. 

"Ehi, Gentiluomo! Ti serve aiuto?" Domandò Doug il pittore, comparendo da dietro il corridoio. Osservò bene Stede, sorpreso di trovarlo ancora vivo, e soprattutto osservò bene la persona in rottami che Stede stava stringendo tra le braccia. "Lui è–" 

"Ed."

"Non sembra affatto a forma di Kraken!" 

"L’incanto si è spezzato. Fammi un favore: va' a controllare la sua ciurma, sono alla taverna."  

"Consideralo fatto."

"Senti di cosa hanno bisogno e riferiscimelo: provvederò ad aiutarli, poi resta con lei." 

"D'accordo."

"Grazie…per non averla lasciata sola." Mormorò il biondo. "E grazie per aver coperto me e avvertito Jackie." 

Doug non rispose, sorpreso di come Stede avesse capito che era stato lui ad avvertire la proprietaria della locanda. 

L'aveva fatta arrivare in tempo, impedendo a Calico Jack di far fuori Stede alla prima occasione. 

"Di niente. Sono contento che stai bene." 

"Sei un brav'uomo Doug. Lo stesso vale per te. Fa' attenzione mentre vai." 

Il pittore annuí e strinse una mano a Mary. "Torno tra poco." 

"Posso fare qualcos'altro anch'io, per Ed?" Domandò la donna. 

"Stai già facendo così tanto…io credo che sia meglio farlo dormire in pace, magari dargli prima qualcosa da bere."

"Ma sta bene? È ferito?" 

"Grazie a Dio non più, ha solo tanti anni di sonno da recuperare." 

"Allora allerto la servitù, tu portalo in camera."

Stede finì di percorrere la strada mancante, camminando più lentamente possibile per il lungo corridoio che portava ai locali degli ospiti. 

Edward, nonostante si trovasse sempre più nell'incoscienza che il contrario, non smise mai di muoversi a sua volta. 

Vedeva vagamente che sotto i suoi stivali vecchi e logori un sontuoso tappeto, e alla fine, dopo tanto camminare, giunse davanti ad una porta finemente dipinta d’oro e azzurro.

Vide la mano del Gentiluomo poggiarvisi sopra e aprire una stanza. 

La prima cosa che Ed sentì proseguendo all'interno, fu un intenso odore ancora indefinito, ma i suoi sensi non fecero in tempo a captare altro: Stede lo aveva adagiato delicatamente su qualcosa di morbido -troppo- per poter essere ignorato. 

"Stede…"

"Riposa, Ed. Sei al sicuro, adesso." 

Non appena il Gentiluomo uscì dalla camera, si ritrovò davanti Mary. 

Per un lungo attimo rimasero a fissarsi, entrambi emozionati all'inverosimile e sorridenti. 

Non ci volle molto a che la donna si facesse avanti per abbracciarlo. Tutta la tensione, tutta l'adrenalina che il biondo stava mantenendo, si allentò completamente. 

Non dormiva da due giorni interi.

"Ti va di raccontarmi la tua, di nottataccia?" Chiese poi lei, incamminandosi verso la sala grande, quella in cui avrebbero accolto gli ospiti, qualora ne avessero avuti.

“Dimmi prima di Alma e Louis.”

“Stanno dormendo, stai tranquillo. Siamo stati in piedi tutta la notte, c’era tanto rumore e poi…poi eravamo davvero preoccupati per te.”

Stede sospirò cadendo pesantemente sul divano. 

“Adesso che è finita posso dirtelo,” cominciò, “non avrei mai creduto di uscirne vivo.”

“Ora che è finita posso dirtelo: non abbiamo mai dubitato che potessi farcela, anche se davvero, ogni cosa era contro di te.” 

“È stato tutto…come un sogno impossibile, e neanche di quelli belli.”

Mary sorrise: l’uomo che aveva davanti era cambiato così clamorosamente da non sembrare vero. Adesso se ne stava lì, davanti a lei, senza forze per la battaglia appena combattuta.  “Ma il finale ti è piaciuto, scommetto.” 

“Indovinato.” Fu il turno del biondo, a sorridere di nuovo. “Solo per quello, ne è valsa la pena.”

Solo per Ed.

“Okay eroe, allora direi che adesso devi davvero andare a dormire.”

“Non posso!”

“Prego?”

“Devo rimanere sveglio!”

“Ehi…hai paura, per caso?”

“Sì.”

La verità era che non sapeva davvero come gestirla. Il cuore gli faceva male al solo pensiero che Barbanera dormisse a un corridoio di distanza, e allo stesso tempo, quella stessa cosa lo impauriva terribilmente.

Rimase quindi insieme a Mary per il resto della giornata, parlandole delle avventure trascorse sulla Queen Annes’, di ciò che Ed gli aveva insegnato, della ciurma, fino a quando la servitù non li interruppe per portar loro la cena. 

Stede mangiò appena. 

“Hai intenzione di rimanere spaventato a lungo?”

“Non riuscirei comunque a dormire…ma tu vai. C’è Doug che ti aspetta, ne sono sicuro.”

“Buonanotte, Stede.” Momrorò Mary alzandosi. “E bentornato a casa.” 

Quello fu il risveglio più strano che Edward Teach avesse mai vissuto: lo stomaco gli doleva da far paura, non sapeva dove accidenti si trovasse, per di più aveva la gola così secca da non riuscire a parlare.

Soprattutto, qualcuno lo aveva portato sul letto più alto e comodo che avesse mai provato in tutta la vita.  

La stanza era di per sé meravigliosa, di gran lunga più bella della cabina personale di Hornigold. 

Tende pesanti e ricche oscuravano i finestroni a vista, la mobilia era rifinita e raffinata, persino le pareti erano ornate di candelabri d’oro massiccio. 

Come se non fosse abbastanza, accanto al camino acceso vi era una vasca da bagno con dell’acqua calda che…profumava in maniera incredibile. 

E i ricordi tornarono nella mente di Ed con prepotenza.

“Stede…” mormorò senza voce, stringendo la stoffa morbida della vestaglia in cui si era raggomitolato fino a quel momento. Stede l’aveva salvato, poi l’aveva tenuto con sè.

Proprio mentre un’ondata d'amore lo travolgeva, sentì la porta scattare e ne uscì un’anziana di nero vestita che andò dritta ad aprire le tende. 

Edward la osservò incuriosito affaccendarsi intorno al fuoco e alla vasca da bagno, finchè quella non si voltò verso di lui: non appena si accorse che era sveglio, si mise a gridare. 

Ed spalancò gli occhi. Non sapeva cosa fare. 

Davvero era così sgradevole alla vista?

D’istinto avrebbe voluto alzarsi, invece scoprì di non averne ancora le forze, quindi tentò di parlare.

“Signora!” Riuscì ad esclamare dopo vari tentativi in cui non aveva emesso un suono. “Non  ti agitare! Stede…sono un amico di Stede.”

La donna finì finalmente di gridare, e guardò il suo interlocutore con muto terrore.

Barbanera la guardò negli occhi, poi prese una lunga ciocca di barba e gliela porse. 

Fu allora, che lei capì.

Afferrò saldamente un rasoio dal comodino accanto al letto e balbettando gli chiese: "Quanto…quanto–"

"Falla sparire." Ordinò il pirata, sperando che quella che aveva capito fosse la domestica, non finisse per tagliargli il viso. 

__

Il lavoro risultò più impegnativo del previsto, ma dopo ben due ore, a Ed sembrava di essere rinato. Si sentiva più leggero. 

Anche la vecchietta benchè all’inizio timorosa, si rivelò arzilla e simpatica. 

Mentre gli accorciava i capelli e toglieva la barba, gli aveva raccontato di quanto fosse inflessibile la signora Bonnet, ma allo stesso tempo di quanto fosse una gran brava donna.

Gli raccontò anche delle avventure e qualche misfatto dei piccoli di casa, e di quanto invece a differenza della moglie, Stede fosse meno intransigente con loro, ma che anzi, a volte sembrava che li incoraggiasse. 

“Ti serve aiuto per lavarti, giovanotto?” Domandò poi, distogliendolo dai suoi stessi pensieri. “Mi sembri sciupato!”

“No!” Rispose istintivamente Ed. “No…grazie.” Si corresse. 

Non era propriamente giovanotto, ma per Dio, non era ancora così vecchio o malandato da aver bisogno che una donna o chiunque altro lo aiutasse a fare qualsiasi cosa. 

“Se ti servisse qualsiasi cosa, riferisci pure al padrone di casa.” 

Edward annuì, e l’anziana domestica se ne andò sorridendo.

Una volta che la porta fu ben chiusa, il Capitano provò a scendere dal letto. 

Tolse gli stivali, uno per volta, poi passò alla vestaglia, e infine i calzoni, che gli scivolarono direttamente giù dai fianchi. 

Barcollando un po’ per la spossatezza, un po’ per la fame, Ed riuscì a raggiungere la vasca profumata e a calarcisi dentro senza far versare l’acqua. 

Istantaneamente, i suoi sensi si svegliarono, e non solo quelli. 

Ciò che gli stava accadendo dalla vita in basso non avrebbe mai creduto che fosse più possibile, dopo tutto quel tempo. 

Decise di non pensarci. Di concentrarsi su quanto fosse bello essere vivo e senza altri pensieri se non rimettersi in sesto. 

Quindi notò che accanto alla vasca dove si trovava ci fosse un piccolo sgabello in cui c’erano un bel tocco di sapone dal colore violaceo e un lungo telo candido, scaldato dalle fiamme del camino poco distante.

Sembravano messi a punto perché lui li prendesse. Chissà se erano lì grazie a Stede. 

Edward afferrò quindi il sapone e se lo portò sotto il naso: profumava di lavanda e miele. Avrebbe potuto mangiarselo, da quanto gli piaceva. 

Profuma come Stede. 

Allora cominciò a usarlo, insaponandosi i capelli e risciacquandoli diverse volte, per far andare via il sale, il mare e gli ultimi stralci di maledizione. 

Ben presto, il colore dell’acqua divenne ancora più viola, ad accezione delle bolle bianche che ormai lo circondavano fino alle spalle e gli avevano coperto le ginocchia.  

Pensò che sarebbe stato bello, se l’acqua del mare profumasse così…di buono. 

Avrebbe navigato volentieri per tutto il resto della sua vita, non avrebbe mai più rinunciato a quel profumo, se avesse potuto. 

Ed rimase immerso finché le fiamme del camino non si spensero e l’acqua, di conseguenza, prese a freddarsi. 

Afferrò il telo, se lo calò addosso e uscì estremamente contro voglia.

Non appena pose i piedi sul pavimento, la ferita al ginocchio sinistro di secoli e secoli prima prese a fargli male, ennesimo segnale di come il suo corpo stesse tornando a rispondergli.

“Bentornata, vecchia mia.” Mormorò, incamminandosi di nuovo verso il monumentale giaciglio. “Tu davvero non mi mancavi.”

Arrivò alle sponde del letto senza quasi accorgersene, quindi per un attimo gelò, guardandosi intorno. 

Non c’era niente con cui coprirsi, a parte il telo che aveva addosso e la vestaglia. Ma Stede gli aveva spiegato tempo prima che quella non era fatta per dormirci. Era fatta per stare fuori, e lui non voleva stare fuori. 

Prima di tutto perché era nudo come un verme, e poi cominciava ad avere freddo.  

Lo odiava, il freddo. 

Pensò che anche i brividi, non gli erano mancati affatto. 

Avrebbe dovuto chiamare l’anziana signora e chiedere dei vestiti?

No, non se ne parlava. 

Non c’era altra soluzione che mettersi a letto così com’era., anche se non sapeva se tra i nobili fosse usanza o meno. 

Forse loro avevano dei panni appositi per dormire. 

Da piccolo, ricordava vagamente di andare a dormire con i vestiti di tutti i giorni e che ciclicamente sua madre glieli cambiava perché a un certo punto diventavano corti. 

Stede non gli aveva mai detto niente a riguardo, e lui non aveva chiesto.

Attese ancora un lungo attimo, poi si fece coraggio e spostò un lembo di coperte. 

Il letto sembrava quasi imbottito dalle stesse, Ed si rese conto di quante fossero dalla poca altezza del materasso. 

Era confuso: nella sua cabina della Queen Annes’ non aveva mai avuto più di due lenzuola. 

Provò quindi a farsi spazio, aprendo ancora un po’ le coperte e ci si pose dentro in fretta, lasciando a terra il telo che fino a quel momento l’aveva coperto. 

Gli venne quasi da piangere, per la sensazione: sentiva il corpo come completamente avvolto nelle nuvole, e i cuscini…Dio, i cuscini erano di raso. 

Lentamente, con calma, si spostò verso il centro del letto e tirandosi le coperte fino al mento, si addormentò in pochi istanti. 

Non avrebbe mai potuto immaginare che, diverse ore dopo, qualcuno avesse allentato la serratura per sbirciare all’interno della sua stanza, soprattutto perché, quel qualcuno era niente di meno che la padrona di casa. 

__

“Stede, accidenti!”

Era stato l’ennesimo richiamo esasperato  di Mary. 

“Io non ti capisco.” 

“Dagli tregua, tesoro!” Esclamò la voce calma di Doug.

“Stai zitto, tu!” Protestò la donna. “E dipingi!”

“Agli ordini.” Replicò l’uomo, riprendendo il suo quadro. Era stata quasi una casualità: Stede era davanti alla finestra dello studio di Mary, Doug era arrivato proprio nello stesso momento, cominciando a ritirarlo immediatamente, ma il gentiluomo non si era accorto della sua presenza fino all’arrivo dei bambini e della sua ex moglie. 

“Cosa devi capire?” Chiese il biondo, rivolgendo lo sguardo su di lei. 

“Sono quasi tre giorni che è qui e tu non sei andato a trovarlo neanche una volta!” 

“Ne ha passate tante.”  Asserì Stede. “Deve riposarsi.” 

“No. Io non capisco come tu possa startene qui da solo a farti fare un ritratto, quando di lá c’è…insomma—“

“C’è Ed.” Concluse semplicemente Louis, il quale leggeva il suo libro di avventure poco lontano degli adulti.. “Che sta dormendo.”

Mary avrebbe risposto dicendo un uomo mezzo nudo che ti aspetta, ma il concetto era il medesimo.

“Tu che ne sai, che sta dormendo?" Chiese Strade, girandosi propriamente verso di lui, e Louis abbassò la testa. 

Non avrebbe mai tradito sua madre, rivelando che fosse andata a sbirciare nella stanza senza chiedere niente a nessuno. 

Il bambino l’aveva scoperto esclusivamente perché quando si era svegliato la mattina dopo la battaglia al porto, aveva posto a sua madre di così tante domande su Ed, a cui lei stessa non aveva più potuto resistere a rispondere.

“Possiamo andare a trovarlo, madre?” Domandò Alma, spostando fortunosamente l’attenzione altrove.

“Per favore?” Chiese il ragazzino, ora guardando supplicante verso Stede.

“Cominciate ad andare, io devo finire di scambiare due parole con vostro padre.” Concesse Mary. “Però non svegliatelo e non dategli troppo fastidio, mi raccomando. È pur sempre un estraneo."

E un pirata. Pensò Stede, adesso pienamente consapevole del fatto che Mary fosse largamente a conoscenza che quello che dormiva nella stanza degli ospiti fosse il fottuto Barbanera. 

“Io non ci posso credere!” Aveva cominciato a dire la donna. 

Ecco. ci siamo. Pensò Stede, innaturalmente calmo. “Giuro che te l’avrei detto!” Rispose.

“Seriamente, Stede? Barbanera?”

“Be’, sì.” 

Ed sta per Edward Teach, come ho fatto a non pensarci prima?!” 

“C’è un sacco di gente, che porta quel nome, Mary!” Ribatté il Gentiluomo. “Hai ragione ad arrabbiarti, so che la sua fama non lo aiuta, ma  non è pericoloso! Non più, almeno! È buono e gentile…è mio amico. Si è annoiato di fare il pirata, non vuole più fare quella vita, è uno dei motivi per cui è stato maledetto!”

“Ascolta, non mi importa se fa il pirata di mestiere, o il pastore o il contadino!” Spiegò la donna. “Mi importa che un giorno se ne andrà e tu stai qui a perdere tempo con me! Magari raduna la ciurma e parte domani!”

Il Gentiluomo pensò bene a quell’eventualità. "Davvero non ti interessa, che Ed sia un pirata?”

Mary abbassò la testa per evitare che il suo sorriso diventasse più grande del dovuto. “Solo perché l’ho sempre trovato il più affascinante di tutti. E a ragione, direi!”

“Credo…” Stede arrossì come un ragazzino. “Credo che allora–”

“Fila, Stede.” 

Ed si svegliò con lo scatto della maniglia che si abbassava. 

Si aspettò fosse la vecchia signora arzilla, o Stede…

No, non Stede, erano giorni che si aspettava di vederlo, ma niente, sembrava scomparso nel nulla.

Aprendo gli occhi, si rese conto che il male alla testa si era finalmente deciso a lasciarlo stare. 

Allora pensò che fosse divertente far spaventare chiunque ci fosse al di là di quella porta. (Anche se fosse stato Stede per davvero.)

Quando sentì i cardini cigolare, preparò l’espressione più terribile che gli riuscisse di fare, anche se senza barba era difficile. 

Rinunciò totalmente quando si rese conto che l’altezza del visitatore che era appena entrato non superava le colonne del letto. 

O meglio, i visitatori erano due. 

“Ciao.” Esordì una vocina.

“Shh, zitto!” Rimproverò un’altra

“Ehi.” Salutò Ed, sorprendendoli. Si sarebbe aspettato chiunque altro, tranne loro. “Cosa ci fate qui?”

“Come sarebbe a dire?” S’impuntò la bambina più grande. ”È casa nostra, questa.”

Uno a zero per la mocciosa. “Ma certo.” Concordò il pirata. “ Alma e Louis. Siete molto coraggiosi, per essere dei ragazzini.”

Il piccolo Bonnet, dapprima accigliato e sulle sue, sorrise immediatamente per il complimento. “Grazie, signore!” 

“Louis! Nostra madre si è raccomandata di non parlare troppo con gli estranei!”

Estraneo? Lui? 

Che razza di storia era quella? La signora Bonnet aveva indubbiamente ragione, ma Edward sentiva che quel punto lo doveva assolutamente rimediare. “Oh. Mi chiamo Ed.”

“Non serve che ti presenti. Già sappiamo che sei amico di nostro padre!” 

“Il che non mi rende del tutto un estraneo, giusto?“

Alma sì imbronció, colta sul fatto. 

Uno pari. Pensò Ed.

“Guarda che io so arrampicarmi. Corro più veloce di mio fratello,” fece presente la giovane, quasi l’avesse sentito. “E so picchiare.” Aggiunse, incrociando le braccia.

Edward accennò una risate. “Sì, so anche questo. Izzy si è lamentato molto, a riguardo.”

“Ah, quello che ho fatto al signor Izzy non è niente! Posso picchiare ancora più forte, se mi arrabbio, vuoi provare?”

“Sono disarmato.” Esclamò subito il capitano, scoprendo le braccia da sotto le coperte e portando le mani all’altezza delle proprie spalle.  “Posso esservi utile per qualcos’altro?”

“Noi volevamo solo…vedere com’eri.” Rispose Louis, sincero. 

Be’, allora…spero mi riteniate meno mostro di quanto lo sia stato con voi due, l’ultima volta che mi avete visto.” 

“Dipende!” Ribatté Alma.

“L’unica cosa che posso dire a mio favore è che non vi avrei mai torto un capello, ma separarvi da vostro padre in quel modo è stato orribile, da parte mia. E–insomma, ero decisamente arrabbiato. Posso chiedervi scusa?”

“Mh mh.” Il bambino annuì. “Siamo amici ora?”

Questo mi ricorda qualcuno. Pensò Ed, annuendo con gli occhi fastidiosamente lucidi. Senza darsi modo di pensare, si allungò verso di loro, che lo guardarono accigliati. 

Erano decisamente impressionati dai tatuaggi sul suo braccio, soprattutto dall'enorme serpente che lo percorreva e finiva sul dorso della mano. 

“Si deve stringere.” Spiegò il pirata, riferendosi alla propria mano tesa. “È un segno di rispetto tra capitano e…co-capitani?” 

I due bambini avvicinarono le loro piccole mani e Ed le prese entrambe nella sua, più grande. Le strinse delicatamente in contemporanea per un momento, quando le lasciò andare Alma e Louis erano già irrimediabilmente affascinati. 

“Eri un pirata famoso, prima di incontrare nostro padre, vero?” Domandò subito Louis. 

“Famoso e molto triste.” Confermò Ed, cercando di rimettersi in ordine i capelli lunghi fino alla metà bassa della schiena. Dormendo, si erano un po’ intrigati. 

“Anche lui era tanto triste, prima di ritornare a salvarti!”

“Davvero?” Chiese Ed.

“Non sorrideva più.” Asserì Alma, con aria grave. 

“E si è messo a bere quella cosa schifosa che trasforma gli uomini per bene in sciocchi bifolchi!” Recitò Louis. 

Vino. Pensò il pirata. Rimase stupito all’ennesima potenza: Stede aveva bevuto un sacco vino, quando si erano separati…per qualsiasi altra persona sarebbe stato un dettaglio irrilevante. 

Ma Stede…

Edward non riusciva davvero più a immaginarselo triste. O ubriaco di tristezza. Era come se il sole stesso decidesse di spegnersi proprio nell’ora di punta.

“Ma anche quando ha scoperto di Doug, non sorrideva!” Fece presente Louis. 

“Non è la stessa cosa!” Obiettò Alma, la quale a suo tempo aveva ascoltato e osservato tutto con attenzione. “Anche nostra madre dice che non ha mai visto nostro padre così triste. Significa che a Ed ci tiene molto, moltissimo, e che lontano da lui sta male!”

“Era molto triste anche per voi due.” Fece presente il pirata, quasi con timidezza. Si sentiva morire sia per l'apprendere la portata dei sentimenti di Stede, anche se ancora faticava a comprenderla a pieno, sia per la consapevolezza che Stede aveva dovuto compiere una scelta che gli aveva fatto male. “Dico davvero. Ha pianto, per voi!"

“Ha pianto??” Chiese Louis.

“È stato solo per un po’, sono stato attento a non farlo accadere mai più!”

“Se lo fai piangere di nuovo ti cerchiamo e poi ti picchiamo!” Promise Alma. 

“Chi è che vorreste picchiare, voi due?!" Domandò la voce più gentile del mondo. 

“Padre!” Trasalirono i bambini. 

Stede avanzò nella stanza come se niente fosse, come se Ed non fosse lì a fissarlo congelato con gli occhi spalancati. 

Ci mancò poco a che si portasse le coperte sul viso per nascondersi. 

"Scordatevela, questa cosa della violenza, perché non porta mai a niente!” Continuò Stede con voce ferma e convinta. 

“Sì, padre.” Mormorò Louis.

“Scusa, padre.” Fece eco Alma.

“Andate a cena." Ordinò il biondo, e i due bambini si incamminarono verso la porta. 

“Ciao ciao, Ed!” Esclamò Louis, mentre Alma lo salutava educatamente con la mano. 

Edward rimase incantato a guardarli per un attimo, poi si riprese e fece l’occhiolino a entrambi. 

La loro risata divertita fu l’ultima cosa che sentì, prima che la porta si chiudesse. 

Adesso non ci sarebbero più stati nascondigli. Adesso lui e Stede avrebbero dovuto affrontarsi.

Fu il Gentiluomo a muoversi per primo, portando semplicemente lo sguardo sul pirata poco distante. 

Rimase folgorato: il viso di Edward era sorprendentemente elegante. L’assenza della barba aveva evidenziato i suoi tratti affilati e allo stesso tempo dolci, e i suoi occhi scuri sembravano ancora più grandi.

Il tutto era incorniciato da una massa di capelli neri e bianchi che scendevano in onde morbide sui cuscini e sul torace.  

Edward Teach era l’uomo più bello che Stede Bonnet avesse mai visto in tutta la sua vita. 

“Stede.” Mormorò Ed preoccupato. “Va tutto bene?” 

“Sì…” farfugliò il Gentiluomo, sull’orlo di un collasso: per l’angoscia, Ed si era tirato su di poco, e le coperte si erano abbassate fino al petto. "Si è spento il fuoco.” Esclamò, scattando verso il camino e accendendolo in pochi gesti. 

“Che mi sono perso?” Domandò il capitano, intenzionato ad abbattere l’enorme muro di parole non dette che lo separava da Stede. “Quanto ho dormito?”

“Oggi sono tre giorni.” Rispose Stede, rimanendo al centro della stanza. 

Ed se ne dispiacque. Forse c’era qualcosa che spaventava Stede, o che lo metteva a disagio. “Sono...così spaventoso per te?” Domandò, tirando su le coperte di nuovo. 

Stede si rese conto delle paure di Ed da quel gesto, quindi si affrettò ad avvicinarsi a lui, e attendendo il consenso che arrivò immediato, si sedette sul bordo del materasso. 

“Assolutamente no.” Rispose. Sei bello anche troppo, per uno come me. “È che non mi sembra vero, di averti qui con me.”

Edward rimase immobile di nuovo, le guance gli si stavano scaldando neanche fosse faccia a faccia con le fiamme dell’inferno. “Che cosa è successo sulla spiaggia?”

“Sei praticamente crollato poco dopo avermi…abbracciato.”

L’espressione di Ed mutò completamente: ogni traccia di timore scomparve, per lasciare posto all’espressione più scaltra che si fosse mai visto, con tanto di sopracciglio alzato e un mezzo sorriso che Stede avrebbe fatto sparire impulsivamente in qualche modo. “Ah, davvero?”

“Non–non ti ricordi?” 

Il mezzo dorriso di Ed divenne più grande. “Sì, vagamente…qualcosa…”

“Smettila.” Rimbrottò Stede, con finta drammaticità. “Ero in ansia!”

Ed stava per scoppiare a ridere, poi si ricordò che anche lui, aveva qualcosa per cui essere in ansia. “I ragazzi? Dove sono i ragazzi, che fine hanno fatto?”

“Sono da Jackie, alla taverna!” Rispose prontamente Stede. “Si sono ripresi completamente.”

“Non mi dire?! Spanish fottutissima Jackie ha aperto la sua taverna, alla fine!?”

Stede sbatté le palpebre un paio di volte. “In effetti mi  ha detto che ti conosce." 

“Dannatissima femmina, certo che mi conosce! Parlava di volere un suo locale da quando eravamo due reietti nella Repubblica dei Pirati!”

“Anche lei è un pirata, quindi…ora mi spiego tante cose!”

“Dopo che Hornigold è diventato il leccapiedi del Re, Jackie è scomparsa perché non voleva grane. 

Nessuno sapeva dove fosse finita, la Marina Reale ha persino setacciato tutta Nassau! Non avrei potuto immaginare che si fosse nascosta qui alle Barbados.”

“Doug dice che lei sia stata una dei pochi a tentare di sedare la massa. Quando ha capito che con il Kraken c’entravi tu, ha combattuto per aiutarti e poi ha immediatamente offerto le sue stanze alla ciurma. Erano così scossi che hanno fatto giusto in tempo ad entrare e poi sono crollati dalla stanchezza.”

“Aspetta aspetta, Jackie la Spagnola si sarebbe alleata col sottoscritto?!!

“Sì! Le persone che ti hanno attaccato sono ancora dentro la sua nave, a scontare la pena.” 

Ed annuì impressionato. "Chi diavolo è Doug?” 

“Il fidanzato di mia moglie.”

“Che brav’uomo.” Commentò il Pirata,. Stede non seppe dire se con ironia o meno. “E tu mi avresti portato da solo?”

“Non proprio.” Rispose Stede, sentendosi avvampare. “Sul cavallo.” 

“Che cosa hai detto?” 

“Non potevo lasciarti di nuovo!"  

Ed sgranó gli occhi, spostando finalmente lo sguardo su di lui. Stede però non lo stava più guardando. Aveva abbassato la testa, per nascondere le lacrime che gli appannavano la vista. 

“Oh Ed, e avessi saputo!” Mormorò a mezza voce. “Mi dispiace…mi dispiace così tanto!”

Edward si dimenticò completamente dell'imbarazzo. Tirandosi a sedere, prese una mano di Stede tra le sue e si accorse che il Gentiluomo teneva il suo anello all’anulare della sinistra. 

“Ehi, amico.” Disse. “Va tutto bene, è–è passato, ormai.”

Stede trattenne un singhiozzo. “Non hai detto niente. Hai rischiato di morire tutto il tempo, lasciandomi andare a casa. Era questione di tempo prima che la maledizione diventasse permanente e lo sapevi. Perché l'hai fatto comunque?"

“Se io l’avessi confessato, tu mi avresti lasciato?”

“Io…no. Non lo so, forse?”

Ed sorrise con dolcezza e inclinò la testa. “No, che non l'avresti fatto. E io non potevo sopportare di farti soffrire un minuto di più, non dopo tutto quello che hai passato.” Il leggendario pirata sorrise, la voce roca d’emozione. “Tu hai reso felice Ed. E lo rendi felice adesso che sei libero, perchè sei tornato.”

Stede rafforzò la stretta nella sua mano e tornò deliberatamente a guardarlo di nuovo negli occhi. Quegli occhi così caldi, grandi e colmi di luce. “Non me ne sono mai andato.”

"Pensi di poter restare ancora un po'?"

"Non vorrei essere in nessun altro posto. Scusa, se ci ho messo tanto." 

Ed si avvicnò a Stede. I loro volti quasi a contatto. "Non fa niente."  Disse, felice di aver capito che l’assenza di Stede fosse dovuta alla pura insicurezza e al più bello dei fraintendimenti. 

"Non hai letto–" Cominciò a dire il Gentiluomo, spostando l’attenzione altrove e allontanandosi di nuovo. 

"Cosa dovevo leggere?" Chiese Ed divertito. 

"Avevo paura che ti annoiassi, quindi ti ho fatto portare questi" 

Edward lanciò uno sguardo veloce ai libri posti sul comodino accanto al letto. 
Ne prese uno a caso, ponendolo davanti a sé sulle coperte morbide. 

Lo aprì da destra, con eccessiva attenzione.  "Eh, io non–" 

"Non ti piacciono?" Chiese Stede. Poi notò che il libro di Ed era posto al contrario e che anzi, lui non sapesse proprio come guardarlo. “credevo che le storie–”

"Mi piacciono. Ma non so come si fa.” Ammise il pirata, mortificato. 

“Oh, ci penso io.” Esclamò il Gentiluomo, portando una poltrona accanto al letto. “Se vuoi.”

Ed per tutta risposta gli porse il libro e si mise comodo su un fianco. 

Stede restò colpito dall’'impazienza che stava dimostrando. “È un libro di leggende.”

“Mi piacciono tanto.” Confermò Ed. “Quale è questa?”

“San Giorgio e il drago."

“Chi l’ha scritta?” 

“Un vescovo italiano, un sacco di tempo fa.”

“Italiano…lo stesso dei tizi morti avvelenati della storia che piace tanto a Wee John?”

“No, Ed.” Rise Stede. “Quello era un drammaturgo inglese!”

“Ah, dimmi di più su questo tizio e il suo amico drago." 

“Non erano proprio amici…”

“In che senso?”

“Nel senso che il drago non sopravvive.”

“Come sarebbe a dire!? Il tizio lo uccide?!”

“Be’, sì!” 

“Ma che diavolo! Chi sarebbe così idiota da uccidere una così bella bestia?!”

“Possiamo cambiare storia, se vuoi.” 

“No! No, ti ascolto.” 

Stede si accomodò meglio sulla poltrona e iniziò a leggere: “Si narra che in una città chiamata Silene vi fosse un lago così grande da poterci nascondere un drago.” 

“Forte! E il drago ci si nascondeva per non essere beccato, giusto?”

“Non direi. Il drago è il cattivo!”

“Allora è molto intelligente, per essere cattivo. Anche io mi nascondevo, quando dovevo combattere, così coglievo tutti di sorpresa.” 

“Davvero?”

“Dovevi vedere che facce idiote quando saltavo fuori dall’ombra o vedevano la mia nave in lontananza!”

“Hai nostalgia di quei giorni, Ed?” Chiese cautamente Stede, stringendo forte la rilegatura del libro con la mano. 

“No.” Ammise sinceramente il pirata con un sospiro. “Sono stanco, Stede. Non posso più fare quella vita, e non voglio nemmeno.”

“Quindi cosa farai adesso?” 

Edward distolse lo sguardo. Non ci aveva ancora pensato, non ne aveva avuto il tempo. A mente calda, sentiva di dover togliere il disturbo il prima possibile: Stede l’aveva salvato, adesso lo stava ospitando, Stede aveva una famiglia, lui aveva la sua ciurma sgangherata. Stede era nobile, e Ed era tutto meno che nobile. 

Non c’entrava niente, con lui. 

“Ti…ho detto qualcosa di male?” Domandò il biondo preoccupato da tutto quel silenzio.

“Continua a leggere, per favore.” Mormorò Barbanera. “Voglio sapere come fa il tizio a sopraffare il fottuto drago e soprattutto perchè lo ammazza.” 

“Resterai stupito…”


*ANGOLETTO AUTRICE*

Ci siamo quasi, bella gioia. 

Due capitoli ancora ed è fatta!
Come sempre, spero che questo non sia stato troppo pesante o noioso. 

Un abbraccio enorme.

-C

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** XVIII ***


XVIII


“Che…che cos’è, questa?“

“Marmellata. Su un toast.” 

Era stata una mattinata davvero interessante. 

Una delle più belle, a detta di Edward: Stede era rimasto insieme a lui tutta la notte, si era addormentato sulla poltrona accanto al suo letto, con il libro ancora aperto sulle ginocchia.

E non era stata nemmeno la parte migliore: Stede non solo gli aveva fatto trovare degli abiti splendidi con cui vestirsi, ma l'aveva persino invitato a colazione. 

Edward dopo anni, si era ritrovato a mangiare. 

“Mio Dio, è da pazzi.” Esclamò, lottando per non dare a vedere troppo l'estasi. 

Ci stava riuscendo malissimo, dato il sorriso felice che Stede stava dimostrando.

Sembrava quasi più felice di lui. 

“Sapevo, che ti sarebbe piaciuta!" Rispose trionfante. 

Edward cacció indietro le lacrime e rivolse l'attenzione alla graziosa tazzina dipinta di Nontiscordardime blu che aveva davanti. 

“E questo è–”

“Si chiama tè.”

“Sembra il colore del rum. Sa di rum?”

“Totalmente diverso."

Ed portò la tazzina alla bocca, poi storse i tratti. "È…amaro." Borbottò, buttandolo giù comunque. 

"Prova con questo!" 

Stede gli avvicinò un bricco di latte.

Ed se ne versò un po' e provò nuovamente la bevanda. "Meglio." 

"Mettici anche questo!" Propose il biondo.

Ed guardò l'ennesima tazzina decorata, contenente tanti piccoli cubetti bianchi. 

Ne prese uno tra le dita per osservarlo, poi  lo lasciò affondare nella propria con un piccolo tuffo. 

Evidentemente trovò la cosa divertente, visto che ripeté il gesto per quattro o cinque volte. 

Stede cominciò a preoccuparsi quando Ed manifestò l'intenzione di bere dopo la settima zolletta. 

"Forse così è un pochino troppo–" 

Ma gli occhi del famigerato pirata si erano aperti di meraviglia: gli era piaciuto. Gli era piaciuto da morire. 

E non potè fare a meno di tornare al suo pane e marmellata. Stede si era premurato di fargli avere una bella porzione di cibo, ma non avrebbe mai creduto che Ed avesse la forza di finirlo quasi tutto. 

"Ti piacciono le cose dolci…" Mormorò intenerito, aggiungendo alla mente l'ennesima delle cose che aveva capito piacessero a Edward. 

Una era il calore. 

L'altra i bei vestiti. 

Il sapone alla lavanda. 

E adesso i dolci. 

"Cristo, non potrei farne a meno." Confermò il Capitano, dispiaciuto di aver già concluso il pasto.

Stede si alzò di colpo dal tavolo, tendendogli la mano.  "Allora vieni, ti faccio conoscere Arthur."

Ed pose il proprio palmo sul suo, e il gentiluomo lo condusse fuori dalla stanza senza alcun timore di incrociare Mary o i bambini. 

Per la seconda volta in tutta la sua vita si sentiva invincibile. 

Se prima credeva fosse una mera sensazione dovuta alla mancanza di sonno e all'adrenalina di una battaglia appena vinta, adesso ne era sicuro: non aveva alcuna vergogna di essere visto dalla servitù o dal mondo esterno. 

Con Ed per mano avrebbe potuto fronteggiare il Re in persona. 

"Mi piace questa casa." 

La voce del diretto interessato lo riscosse dai suoi pensieri. 

"Cosa–"

"È bella." 

Per l’intero tragitto, Edward aveva guardato in alto. Aveva osservato tutto ciò che poteva con gli occhi spalancati. 

Ogni cosa lo meravigliava. 

Ogni cosa che vedeva era capace di sorprenderlo. 

Stede strinse un po' la presa. Gli dispiaceva che Ed non si considerasse davvero parte del suo mondo. Gli dispiaceva che avesse avuto così poco di valore, nella sua vita, nonostante fosse il pirata più famoso della storia e doveva aver accumulato i tesori più inimmaginabili. 

"Mi hai portato in una stalla, Stede?" Si sentì chiedere di colpo il gentiluomo, che si limitò a sorridere. 

"Lo sapevi dall'inizio, di' la verità." Esclamò. 

Eppure mi hai seguito

"Credevo che tuo amico Arthur fosse una grossa mucca." Sì giustificó Ed.

"Ti prometto che è buonissimo, non ti farà del male!" 

"Amico, non credo proprio che–" 

Proprio in quel momento il baldo destriero decise di palesarsi, finendo con il muso poco lontano dalla spalla del pirata. 

Edward si paró immediatamente davanti a Stede. La mano che prima era ferma nella sua, adesso era scesa al proprio fianco a cercare la pistola o la spada, le quali ovviamente non c'erano. 

Un gesto istintivo, si rese conto Stede. Ed doveva averlo compiuto un'infinità di volte. 

"Calmati, non pericoloso." Il biondo andó immediatamente ad accarezzargli il muso. “Vieni qui, prova ad avvicinarti. È docile!”

Il capitano restò immobile. 

"E se allunga il collo e mi da' un morso come fece quello di Sant'Antonio al Drago?"

"Era San Giorgio. Hai più paura tu di lui, Ed." 

"I cavalli ammazzano i draghi! Certo, che ho paura!" 

Stede infilò le briglie lunghe al destriero e porse le estremità a Ed. 

"Portalo a spasso." 

"Non ci penso nemmeno!'

"Vuoi andare dai ragazzi o no?" 

"Certo, ma non su un dannato cavallo!" 

"Vorrà dire che lo porteremo in giro senza salirci su.”

“Se lo porti per me, sappi che la ferita sta bene–”

“Lo porto perché potrei aver di nuovo bisogno di lui. Senza di Arthur non saremmo mai arrivati a casa.” 

“Oh, e va bene…” 

Il biondo tenne l’altro capo delle briglie e Ed decise di aggirare l’animale dall’altra parte per mettersi di fianco a Stede. 

Lasciarono le stalle in silenzio.

Edward aveva gli occhi fuori dalle orbite, assorbiva ogni singolo dettaglio della strada in discesa della collina come se non avesse mai visto nulla in vita sua. 

La sensazione dell’erba sotto gli stivali era inebriante. Il vento calmo gli carezzava il viso e muoveva delicatamente i suoi capelli intrecciati, insieme agli alberi secolari con le loro foglie profumate ai margini del camminamento. 

Poi c’era il persistente odore di lavanda percepibile nonostante il cavallo. 

Ed credette di aver visto almeno un paio di volpi durante la strada. 

Stede invece si sentiva in pace col mondo. Era incredibile come la sola presenza dell’uomo al suo fianco potesse infondergli una sicurezza del genere. 

Inoltre, non poteva credere di star vivendo una giornata più calma e piacevole. Era perfetto. 

Era tutto perfetto. 

Fu Ed a parlare per primo, quando superarono le soglie della città. 

“Stede.” Chiamò. E dovette farlo un paio di volte, prima che l’altro avesse la sua attenzione. 

“Che succede?” Domandò. 

“Ce l’hanno con me.”

Il gentiluomo lo guardò propriamente. “Chi è che ce l’ha con te?”

“Tutti, credo.” Rispose Ed, al massimo del disagio. “Soprattutto quello lì accanto ai fiori.”

“Oh, non devi preoccuparti di lui.” Rispose il biondo, sorridendogli con dolcezza e notando che più o meno tutta la città lui stava fissando con grottesca curiosità. “Non devi preoccuparti di nessuno di loro.”

“Ma che cosa vogliono da me?”

“Niente. Ti stanno guardando perchè non ti conoscono. Perchè sono curiosi di vedere chi sei, come sei.”

“Ho qualcosa di diverso da te?”

La domanda fece trasalire Stede: avrebbe voluto rispondergli di sì. Era diverso, da lui, totalmente. Era incredibilmente bello, tanto per cominciare. 

”In che senso, Ed?” Chiese invece, notando quanto il compagno stesse cedendo ai nervi. 

“Non hanno mai visto un uomo che cammina?!” 

“Non è questo…”

“Forse è perchè sono un pirata.”

“Clico Jack diceva di essere un pirata, ma mai nessuno si è disturbato a guardarlo.”

“E allora cosa c’è?”

Stede abbassò lo sguardo, arrossendo furiosamente. “É che non hanno mai visto un uomo che cammina accanto a me.”

Quella risposta sconvolse il pirata, come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco all’improvviso. 

Arrestò la sua camminata per qualche secondo: come diavolo era possibile una cosa del genere?! 

Stede non passeggiava mai con sua moglie? E soprattutto, come diavolo si permettevano, quelle persone? 

D’istinto, Edward avrebbe voluto prenderli tutti a pugni, dal primo all’ultimo. Loro, e i loro sguardi morbosi e giudicanti. 

Poi cambiò idea. 

“Mi dispiace tanto, Ed.” Mormorò Stede, sentendosi più patetico che mai.  

Il pirata lo guardò negli occhi, sperando di riuscire a comunicargli quanto invece fosse meraviglioso.  

“Avrei dovuto dirtelo, ma io sono abituato a tutto questo. Se la cosa ti mette a disagio torniamo indietro, possiamo tornare stasera con calma e—”

“Nemmeno per sogno.” Decise Ed avvicinandosi ulteriormente e prendendo la sua mano libera nella propria. 

Poi gli fece l’occhiolino. 

Stede sorrise divertito e non si ritirò. Anzi, sembrava ben felice che Ed avesse mimato il gesto che lui stesso gli aveva fatto a casa. 

“Che cosa stai facendo?” Chiese, incantato dalla sua espressione. 

“L’uomo che ti cammina accanto.” Rispose semplicemente il capitano, fronteggiando la strada con fierezza. “Che guardino pure.”

Stede avrebbe potuto piangere. Dando una leggera spinta ad Arthur, riprese il suo incedere con gli occhi illuminati di gioia. “Siamo quasi arrivati.” Annunciò poi, notando l’insegna dipinta di rosso della taverna di Jackie. 
__

Non appena misero piede nel locale, i due ricevettero un’accoglienza così calorosa e rumorosa che, già sapevano, non avrebbero mai dimenticato negli anni a venire. 

Soprattutto, non la dimenticò mai Ed. 

Non appena Stede aveva chiuso la porta alle loro spalle, la ciurma riunita ad un lungo tavolo poco vicino l’ingresso, si era voltata per guardarli un secondo e poi non aveva battuto ciglio. 

Edward aveva guardato Stede per un attimo, poi avanzò di un passo verso di loro. 

“Capitano!” Riconobbe allora Izzy, alzandosi all’istante. 

Ed lasciò Stede per andare immediatamente a stringergli la mano. 

La ciurma era ancora attonita nel vedere il loro capitano vestito di tutto punto, con i capelli intrecciati e soprattutto senza barba.  

Fu Ed per primo, però, a non credere ai propri occhi. 

Si prese il suo tempo per osservare il primo ufficiale. Se lo ricordava con meno capelli bianchi, magari un po’ più alto, ma senza l’ingombro della maledizione era come se il tempo non fosse mai passato. 

Era Izzy. 

Con i suoi vestiti scuri, il fazzoletto al collo, l’umorismo ancora più nero, il carattere tagliente e gli occhi chiari e limpidi. 

Poi posò lo sguardo su Lucius. Quel caro ragazzo allegro che si era alzato ad abbracciarlo senza alcun problema. 

Poi si era aggiunto Olu, il suo consigliere e amico più fidato. 

L’aveva seguito Pete, poi Fang, Ivan, Roach. Ed non ce la faceva nemmeno ad arrivare a tutti. 

Servì Wee John a contenerli tutti. 

Alla fine, Jim e Buttons e Frenchie si fecero avanti, mentre gli altri si erano messi a salutare Stede. 

“Che gioia rivedervi!” Stava dicendo il biondo, commosso e sorpreso di essere tanto benvoluto. 

La proprietaria della taverna si palesò poco dopo. 

Ed si estraniò un momento da tutta la gioia che lo stava circondando, lasciandola solo a Stede. 

La donna scambiò giusto uno sguardo con lui. Solo uno. 

Poi fu lei, a parlare.

“Finalmente ti rivedo, Edward Teach.” 

“Spanish Jackie.” Salutó il capitano. “Non sei invecchiata di un giorno.” 

“Senti chi parla!” Ribattè la donna. “Sparisci dieci anni per poi riapparire con un manipolo di ragazzi affamati e conciato come un aristocratico.” 

Jackie fece l’occhiolino a Stede, il quale arrossì. 

Ed si lisció il gilet nero che indossava con firerezza e rispose: “Dieci anni e qualche giorno, per essere precisi. E Immagino di doverti ringraziare. Mi hai salvato il culo.” 

“Immagini bene, ma sarebbe stato comunque troppo tardi. Se non fosse stato per Bonnet non saresti direttamente qui.” 

“Lo so.” 

Ed  e Stede si guardarono di nuovo intensamente. 

Ne avevano fatta, di strada, da quando un uomo spaventato aveva trovato per caso un relitto di mostri e deciso di restarci per salvare la vita dei suoi bambini. 

“Gradirei una parola con te, se non ti dispiace.” Esclamó Jackie, inducendo i due a dividersi. “È successo qualcosa, mentre ti riprendevi dalla maledizione.”

E Stede capì che da quel momento in avanti sarebbe stato di troppo. 

Uscì dal locale alla chetichella, perfettamente consapevole che nè Ed, nè i ragazzi se la sarebbero presa. 

Era giusto che passassero del tempo insieme, come la famiglia che erano.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** XIX ***


XIX
 

Quella sarebbe stata la prima sera che Stede avrebbe trascorso senza avere Ed a casa. 

Siccome era tornato solo, aveva gentilmente spiegato ad Alma e Louis che il suo amico fosse rimasto coi ragazzi della ciurma, con il solo risultato che i due bambini avevano insistito per il resto della giornata di voler andare da Jackie anche loro. 

Alla fine della cena, Alma e Louis, erano riusciti a strappare al loro padre una promessa: “Jackie non vuole ragazzini nella sua taverna. Ma le posso domandare se vi può ospitare un pomeriggio!” 

Neanche un’ora più tardi, qualcuno aveva pensato bene di attaccarsi al campanello della tenuta. 

La servitù era in licenza. 

Con Stede che era andato a leggere la favola della buonanotte ai bambini, toccó a Mary, l’infausto compito di andare a vedere chi fosse a quell’ora ignobile. 

Non appena aprì la porta, si ritrovò davanti due tizi estremamente strani: uno era alto e magro, l’altro tutto il suo opposto. 

“Madama!” Esordì il primo soggetto dall’accento spagnolo. Sembrava letteralmente una donna. 

“I signori desiderano?” Domandó Mary. 

“Stavamo cercando tu marido.” 

“Per favore!” Aggiunse il ragazzo più basso. 

“Aspettate qui.” 

Mary sparí di corsa, lasciando i due ad osservare l’androne. 

Era così maestoso, lì dentro, che anche solo l’ingresso pareva un palazzo. 

“Ehi, Jim!” Riconobbe Stede dopo qualche attimo, facendo loro segno di passare. “Olu!” 

I due avanzarono fino a raggiungerlo in mezzo al corridoio. 

“Abbiamo pessime notizie.” Annunciò il consigliere.

Stede si accigliò subito. “Ossia?”

“Il capitano vuole partire.” 

"Cosa–perchè?"

Mira.” Jim tiró fuori un manifesto da ricercato. “Esto es ritratto orribile ma insomma, è lui, si capisce.”

“Un milione.” Lesse Stede. Un misero milione di ghinee per la testa di Barbanera. La Corona doveva essere impazzita: Edward Teach era inestimabile. 

“Arriveranno a cercarci. Dobbiamo andarcene, capisci?” Domandó Olu. 

“Cosa? No!” Stede andò nel panico. “Quando ve l’avrebbe detto? Quando lo ha deciso?”

“Be’, oggi pomeriggio! Ci ha avvisati Jackie e lui ha detto che dobbiamo togliere subito il disturbo. Credevamo che l’avessi capito.”

Stede rimase in silenzio abbastanza a lungo da fare intendere che invece no, non se lo sarebbe immaginato assolutamente. 

“Ci mancherai, Stede.” Esclamò Olu, dandogli una pacca sulla spalla. “A noi e agli altri.” 

Il gentiluomo annuì mestamente. 

“Ah, Eduardo quiere vederti esta noche.” Aggiunse Jim, cercando di lenire il suo dispiacere palese. “Ti aspetta fuori dalla locanda.” 

“Sí, in realtà eravamo venuti a dirti questo.” Aggiunse nervosamente Oluwande. “E ora che te l’abbiamo detto, ce ne andiamo.” 

Hasta luego, Stede!” 

“Grazie, ragazzi.” 

Stede attese un bel po', prima che potesse trovare il coraggio di uscire di casa. 

Il cuore non aveva potuto fermarsi, quindi decise di non portare Arthur: sperava che camminando si sarebbe calmato. 

Prese giù per la collina a grandi falcate, superò i cancelli, intraprese il sentiero che portava da basso senza quasi respirare. 

Non appena giunse al limitare del bosco, notò un’alta figura appoggiata contro un albero. 

Riconobbe immediatamente chi era. 

“Mi aspetti da molto?” Chiese il biondo, ricordando che l’appuntamento doveva essere almeno due ore e mezzo prima.

“Niente affatto.” Rispose Edward, uscendo allo scoperto e mettendosi di nuovo accanto a lui. 

“Perché ti nascondevi lí?” 

“Temevo arrivassi a cavallo.” 

Stede abbassó la testa e sorrise, prendendo a camminare con più naturalezza. 

“Te l’hanno già detto, quei mascalzoni?” Domandó Ed. 

“Qualche parola. Ma gli do il beneficio del dubbio.” 

“Cosa vuoi dire?” 

“Che voglio sapere cosa hai intenzione di fare, e voglio saperlo direttamente da te.”

“Tanto per cominciare porto via i ragazzi dalla taverna di Jackie o sarò costretto ad ormeggiare la nave da solo con Olivia, mentre quelli smaltiscono la sbronza più grande della loro vita. Non li biasimerei in ogni caso. Tu che cosa farai?”

Stede ponderó bene la sua risposta. 

“Be’, anche io vorrei andarmene, ma…” 

La mia famiglia. 

Era sempre lì, il dilemma. 

Il gentiluomo cominciava ad essere veramente esasperato alla prospettiva di dover per forza scegliere sempre tra il dovere e la libertà. 

“Non puoi rimanere con me?” Esplose poi, tirando Ed per un gomito e inducendolo così a fermarsi. 

“Stede…”

“Non andare. Resta qui con i ragazzi.” Insistè il biondo, senza lasciarlo. “La mia casa è enorme, l’hai vista! Curerei ogni cosa personalmente, io–tu hai detto che avresti voluto smettere di fare il pirata!”

“Tu hai detto che non volevi più fare il signore!” Ribattè Ed. 

“Non è questo il punto!” 

“Ascolta, Stede–”

“Noi…noi siamo amici, giusto?”

Amici. 

“Sì.” Confermò il leggendario capitano, sentendo il proprio cuore farsi pesante come un macigno. Era confortante e straziante allo stesso tempo, sapere di aver conquistato in qualche modo la simpatia di Stede Bonnet, indipendentemente dall’incanto della sirena.

“I ragazzi adorerebbero senz’altro restare a vivere in questo bel posto, solo che non posso farlo io. 
La città potrebbe essere fatta per me e per quanto desideri di smettere di essere Barbanera, un giorno non lontano, Barbanera è ciò che sono adesso. 
Mi cercano, Stede. Lo sai. C’è una taglia enorme sulla mia testa e non vorrei che la marina reale venisse qui a fare del male a questa brava gente.”

“Non tutti, ma se lo meriterebbero.”

“No, non dire questo. Non è da te.” Ed decise di giocarsi l’unica carta che aveva, intenzionato a far leva su quell’unica cosa che, lo sapeva, sarebbe stata in grado di convincere l’uomo migliore che conoscesse. “Che ne sarebbe della tua famiglia? Che ne sarebbe di te?”

“So combattere.”

“Sei a malapena decente.”

“Adesso mi sento molto ferito nell’orgoglio.”

Edward rise brevemente. 

Gli sarebbero mancate, quelle risposte eccessivamente drammatiche e sarcastiche. Quindi si avvicinò e guardò quegli occhi che tanto gli piacevano e in cui sarebbe annegato volentieri. 

“Dopo più di dieci anni di maledizione, ho finito di mettere in pericolo la gente di cui mi importa e diamine, non sopporterei che accadesse qualcosa proprio alla persona che am–che considero amica.”

“Ma io…”

“Io ti devo la mia vita.” 

Lo sguardo di Stede si velò ancora di più, mentre cercava di non scoppiare in lacrime di fronte a lui. “Non mi devi niente…” sorrise, “e almeno così siamo pari.”

Ed cercò di continuare a sorridere, ma non gli riuscì. I suoi tratti caddero e dovette abbassare la testa. 

“Quando salperai?” Chiese il biondo, con un filo di voce. 

“Al prossimo tramonto. Vieni a dirmi addio.”

“Io…perdonami, non so proprio se ce la farei a vederti andare via.”

“Allora rimarrò al molo fino a che ci sarà la luce. Qualunque decisione prenderai, sarò lì.”

Come previsto, Stede non chiuse occhio per tutta la durata della notte. 

Rimase rinchiuso nei suoi appartamenti per la prima metà del giorno. 

Sentiva il cuore spezzato ogni minuto che passava, non riusciva a trovare nessuna distrazione che fosse particolarmente potente da farlo smettere di pensare.

Verso il primo pomeriggio decise di farsi un bel bagno caldo e dopo altre due ore di logoramento, sgusció nel cortile, selló Arthur e corse insieme a lui finché non gli si indolenzirono le gambe. 

Era tanto, che non cavalcava libero. Mesi.

E quello in genere funzionava sempre, lo calmava come non mai…quella volta, invece, servì solo a sopire l’agitazione. Il dolore era sempre lì. 

Rientrò sfinito e triste a sera inoltrata, totalmente impreparato alla montagna di domande che gli sarebbero arrivate. 

“Padre, dov’è Ed?” Domandó subito Alma, non appena avvertì i passi del padre avvicinarsi alla sala in cui giocava col fratello. 

“Perchè non ci viene più a trovare?” Fece eco Louis. 

Stede sospiró. “Edward se ne va.”

“E perchè non saresti con lui?” 

La voce di Mary lo fece trasalire. 

Stede non si era minimamente accorto di lei: credeva che fosse nel suo studio a finire l’ultimo quadro insieme a Doug, invece anche lei si era messa a dipingere proprio in quella stanza. 

L’unica cosa che il biondo fu in grado di risponderle fu: “Ho già commesso l’errore di lasciarvi una volta e…”

“E guarda caso non appena hai messo piede fuori questa dannatissima tenuta hai trovato l’amore della tua vita.” Stede sgranò gli occhi, posando lo sguardo prima su Mary, -la quale stava tranquillamente pulendo i pennelli- poi sui bambini. “Non fare quella faccia, l’hanno capito dopo appena due minuti, che lui ti piaceva. Probabilmente l’hanno capito anche le colonne di questa casa.”

“Ma non so nemmeno se mi ricambia!” 

Mary si avvicinò, mettendo definitivamente via il suo lavoro. “Stede. Mio caro, intelligente, brillante Stede, Ed ti ha regalato un anello, hai presente? Quell’oggettino dorato che ti porti sempre al dito e che fissi in continuazione sospirando!?”

Stede alzò la mano. “Oh, questo? Me l’ha dato perché sono stato parte della sua ciurma, ogni membro della Queen Anne’s ha una cosa preziosa addosso. E poi non è vero, che lo fisso!”

“Sì, invece!” Ribatté Alma. 

“Scusa, padre, hanno ragione loro!” Aggiunse Louis, dando man forte alla madre e alla sorella. “Hai sospirato anche prima!” 

“Okay, okay, riesci a ricordare cosa ti ha detto?” Chiese Mary, riprendendo la parola. 

“Cosa vuoi sapere esattamente?”

“Se sei stato così stupido da avergli già detto addio.”

“Non l’ho fatto. Ma non vedo come questo possa confermare i suoi sentimenti…”

“Cosa ti ha raccontato?” Insistè la donna. “Perché se ne va?”

"Perché è ricercato.” Rispose il gentiluomo. 

“Okay. Ora il vero motivo, per favore.” 

“Ha detto che non sopporterebbe l’idea che qualcuno possa farmi del male. Se lui restasse qui con me, la Marina verrebbe sicuramente a cercarlo per via della taglia e io sarei in pericolo...”

“Quindi che altro deve fare un uomo, per farti capire che ti ama, me lo spieghi?! E soprattutto, perchè vuoi lasciarti sfuggire l’unica cosa che hai? Non c’è niente per te, qui.”

“Ci siete voi.”

Mary gli rivolse un sorriso indecifrabile, ma morbido. Forse il primo vero sorriso in tanti anni di matrimonio imposto. “Noi…” gli disse, “il fatto che tu sia così disposto a rinunciare a lui per dovere nei nostri confronti ti fa onore, Stede. Ci hai dimostrato tutto l’amore che potevi, e noi abbiamo capito. 

Sei tutto, per noi. 

Continuerai ad esserlo anche da lontano. Se restassi ne saremmo felici, certo, ma la decisione finale se andartene o meno deve essere tua e solo tua.” 

“Daccordo.”

“...quindi ti voglio fuori di qui entro mezz’ora, o non risponderò delle mie azioni nei confronti del tuo sedere.”

Stede si portó una mano sugli occhi. “Mary. Grazie.”

“Ti voglio bene, idiota.” Confessó la donna, avvicinandosi per appoggiargli la guancia sulla spalla in un blando abbraccio. “Mi spiace di aver capito che razza di persona meravigliosa ho avuto al fianco per tutti questi anni, proprio mentre te ne stai per andare.”

“Io–oh al diavolo! Bambini miei, venite qui.”

Alma e Louis gli volarono tra le braccia. 

Erano consapevoli, che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbero visto i loro genitori insieme, soprattutto che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbero visto loro padre. 

“Portaci un regalo.” Disse la ragazzina, abbracciandolo più forte. 

“Vi mando tutto ciò che volete, piccoli! E anche di più.” Rispose Stede, ora totalmente incapace di trattenere le lacrime.

“Fa’ buon viaggio, padre!” Auguró Louis. “Ti voglio bene.” 

— 

“Capitano, questo è un grosso problema.” 

“Lo vedo, Lucius.”

“Come facciamo a–”

“Ci sto pensando!”

“Ma–”

“E sta’ zitto, dannazione!”

Avevano passato l’ultima ora e mezza nel silenzio più totale. 

Edward se ne stava su quel molo da tempo, impettito con l’espressione meditabonda accentuata dal sopracciglio alzato e le braccia conserte.

Lo sguardo fiero era concentrato sui ruderi della fregata che aveva conquistato -quelli che ormai considerava secoli prima- con valore. 

Ma l’ammiraglia che l’aveva accompagnato fino a quel momento non era sopravvissuta alla loro ultima avventura, e  adesso era ridotta ad un ammasso di legno lucido. 

“Lo scrivano intelligente ma rompiscatole ha ragione, Edward…” la voce tagliente di Izzy lo riscosse, “non possiamo navigare con la nave in questo stato.”

“È l’unica che abbiamo!” Ribattè il capitano. “E poi ci sono affezionato!”

“Rischiamo?” Provocò Oluwande. 

“Andate a vedere se è irrecuperabile anche dentro.”

“Se non lo fosse?” Provocò Lucius. 

“Troverò una soluzione.” Edward sospirò. “Lucius, segnati tutti i danni che trovi.”

“Non se ne parla nemmeno.”

“Cosa?!”

“Io non ci metto piede, là sopra! È sicuramente un rottame anche dentro e si vede anche da qui, figurati se non–”

“Lucius!”

“Daccordo, testone.” Cedette il ragazzo. “Ma se ci saliamo tutti insieme facciamo prima.”

“Come mi hai chiamato?!” Chiese il capitano. 

“Avete sentito, ciurma??” Gridò provvidenzialmente Izzy, “Muovete il culo, andate!”

Edward alzò la testa. 

Non sarebbe mancato molto a che il sole scomparisse del tutto all’orizzonte. 

Il cielo era nuvoloso e l’aria era umida, senza contare che presto si sarebbe alzato il vento e ciò avrebbe voluto dire incappare in un gran temporale con una discreta sicurezza. 

Per quanto da un lato volesse andarsene, Ed sapeva perfettamente che la Queen Anne’s non sarebbe stata in grado di lasciare quel porto, nonostante in quel momento la superficie del mare fosse piatta come una tavola.

 “La quiete prima della tempesta.” Pensó. 

E la conferma ai suoi timori giunse dalle labbra di Jim, arrampicatǝ sull’albero maestro. 

“Capo!! Eres todo un desastre, aquí...” 

"Ecco. Perfetto."

Edward stava per rispondere, quando la faccia dell’elemento più letale della sua ciurma si illuminò d’un tratto. “Ci accampiamo alla playa!” Gridò. 

 “No!” Barbanera aveva completamente cambiato idea: non poteva assolutamente accettare che la sua nave fosse inagibile. “Salpiamo immediatamente.” 

“Non possiamo!” Replicò Olu. 

“Ci rifiutiamo!” Diede man forte, Black Pete. 

“Sì, esatto!” Confermò anche Lo Svedese, incrociando le braccia. 

“Questo è un ammutinamento!” Fece presente Edward. 

“Se non ci siamo ammutinati dopo dieci anni di maledizione non lo faremo adesso che sei diventato meno stronzo!” Affermò seccamente Lucius. 

“Ehi, chi ti ha dato il permesso di parlare anche a nostro nome!?” Lamentò Roach. “Io volevo ammutinarmi!” 

“Anche io, volevo!” Esclamò Fang, alzando la mano. “Scusa, Capo,” aggiunse poi, “non è assolutamente una cosa personale!”

“Ma siete impazziti?!” Abbaiò il primo ufficiale. “Come osate insubordinarvi in questo modo?”

“Stai zitto, Izzy!” Rimbrottò Frenchie. “Tu sei il primo, ad aver proposto l’ammutinamento!” 

“Che cosa hai detto, canaglia?!”

“Izzy!” Wee John gli tirò immediatamente uno scappellotto. “Non chiamare canaglia il mio amico!” 

“Oh, ma vaffanculo, avete vinto! Andiamo tutti sulla stramaledetta spiaggia!!” Sbottò stizzito Edward. L’ultima cosa che avrebbe voluto era che la ciurma si mettesse a litigare. 

“Tu non puoi venire con noi!” Decise Ivan, sbarrandogli la strada con la sua stazza possente. “Un possibile ammutinamento è una cosa seria e segretissima!”

“Permettici di discuterne in privato.” Stabilì Olu, decisamente più conciliante. 

Adios, Eduardo!" Esclamò Jim, dandogli le spalle. 

“La pazienza è la virtù dei forti, Capitano!” Proclamò Buttons, mentre Ed rimaneva impotente e confuso ad osservare la sua ciurma che se ne andava a riunirsi senza di lui.

__

"Avanti, Arthur!” Aveva esclamato Stede esasperato. “Diavolo di un cavallo, non puoi iniziare a disobbedirmi proprio ora!”

Arthur non accennava a voler muovere un solo zoccolo. 

“Ah, accidenti!” Dopo innumerevoli tentativi, il Gentiluomo si era rassegnato a scendere di sella. “Ma si può sapere che ti prende?” Aveva chiesto, mettendosi davanti al suo muso. 

Rimase decisamente sconvolto, una volta accortosi che l’amico dagli occhi solitamente gentili aveva l’aria più infelice del mondo. 

“Mi mancherai tanto anche tu.” Aveva detto infine, capendo di colpo la sua tristezza. “Mi mancherai davvero, ma tornerò a trovarti, promesso. E…prenditi cura di Alma e Louis per me. Tienili lontani dai guai, se puoi.”

Arthur aveva nitrito piano in risposta, e Stede si era incamminato a piedi, salutando silenziosamente quella casa a cui era rimasto imprigionato da quando era un ragazzino troppo cresciuto che per tutta la sua vita sarebbe dovuto scendere a compromessi col mondo.

Ma le cose stavano per cambiare ancora una volta. 

Adesso Stede Bonnet stava letteralmente correndo verso la sua libertà, certo dell’appoggio di sua moglie, della comprensione dei suoi figli, e forse, se era ancora fortunato, dell’amore dell’uomo che amava.
__

Giunse al molo all'inizio del tramonto. Aveva corso così tanto da temere che i suoi polmoni non avrebbero retto, e quasi cadde in ginocchio quando vide che, per fortuna, il famigerato Barbanera era ancora lì.

“Ed…” sussurrò senza fiato, osservando la sua figura seduta con le gambe a penzoloni sullo specchio dell’acqua. 

Il sole, che nel frattempo si era liberato dal banco di nuvole che aveva oscurato tutta la giornata, adesso illuminava interamente la sua figura. Stede notò che la sua schiena era curva, e la testa era china. 

“Ed!” Ripeté ad alta voce, accorgendosi anche del rudere della Queen Annes’ Revenge che si stagliava distrutto davanti a lui

Forse Edward era triste per la sua nave. 

No, no, era un pensiero stupido. Stede si diede dello stupido: se quell’uomo era triste, la sua nave non c’entrava niente. Improvvisamente, si sentì invadere da un’ondata d’amore che lo portò a continuare a correre, gridando forte il suo nome. 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** XX ***


XX


“EDWARD!”
 

Fu allora, che si voltò di scatto. 

Le lacrime salirono verso i suoi occhi, mentre si rimetteva in piedi appena in tempo per venire completamente travolto dalle braccia di Stede Bonnet.

“Sei qui.” Mormorò Ed, ricambiando immediatamente quell’abbraccio, che tutto sembrava significare, meno che addio. “Sei davvero qui, non sto sognando.”

“Sarebbe un bel problema, se ritardassi così tanto anche nei tuoi sogni, Capitano Teach.” Rispose il gentiluomo, sorridendo con dolcezza nonostante il fiatone. “Mi dispiace tanto per averti fatto credere che non sarei arrivato.”

Ed sorrise appena e abbassò lo sguardo: separarsi da quell’uomo sarebbe stata la cosa più triste che avesse mai vissuto…

Ma poi Stede lo sorprese, sciogliendo l’abbraccio e tenendogli una mano nella sua, mentre con l’altra stava armeggiando qualcosa nella tasca della giacca. 

“Questo è per te.” Chiarì, infilandogli un anello all’anulare. “E non ti azzardare a ringraziarmi.”

Ed lo fissò sconvolto: si trattava di una una fascia d’oro finemente lavorata, sottile e raffinata.  Una lucida pietra d’onice nera era incastonata al suo centro.

Non fece in tempo a pronunciare una misera parola, perchè Stede si avvicinò di un passo, unendo la fronte alla sua. Catturò volutamente il suo sguardo nel proprio, come se volesse imprimersi i suoi grandi occhi scuri nella mente per l’ultima volta. 

Il Capitano pensò che da lì a qualche istante, il commiato si sarebbe compiuto e ognuno sarebbe andato per la sua strada. 

Invece Stede lo sorprese di nuovo attirandolo a sé e adagiando le labbra sulle sue, all’inizio in maniera impacciata, poi con più decisione. 

Edward non poté fare altro che assecondare quel contatto dolcissimo e Stede lo rese più profondo, realizzando il primo, vero bacio della sua vita.    

“Non ti dimenticherò mai, Stede.” Riuscì a dire Ed, ormai sul punto di scoppiare in lacrime. 

“Oh, di questo sono piuttosto sicuro.” Rispose il gentiluomo, rivolgendogli un mezzo sorriso adorabile, nonostante l’aria scombussolata. “Perchè verrò con te.”

“CHE COSA?” Edward lo afferrò per le spalle, fuori di sé dalla gioia. Si rese conto di essere stato più brusco del previsto, ma gli serviva una conferma di aver sentito bene. E doveva sentirla da lui. “Hai idea di cosa significhi essere un pirata? Dei rischi che corro tutti i giorni? E se non riuscissi a proteggerti?!”

“Non mi importerebbe niente se la Marina venisse a catturarmi domani stesso. Io sono innamorato di te…completamente perso. Non sai che paura ho provato quando combattevi. Non posso perderti, Ed.” Confessò Stede, e non riuscì a spiegare altro, perché stavolta fu proprio il pirata a prendere l’iniziativa, reclamando le sue labbra e baciandolo con trasporto ancora maggiore di poc’anzi.

Il gentiluomo, per buona misura, affondò una mano tra i suoi capelli e cercò di esprimere tutto ciò che non aveva mai potuto dirgli a parole per minuti interi. Tutta la paura che aveva davvero serbato in sé fino a quel momento, la disperazione quando aveva pensato di averlo perso, tutto l'amore che non aveva capito di provare e poi sì…glieli espresse sulle labbra, finché non si ritrovò intontito e senza fiato. 

“Ti amo anch’io!” Dichiarò Ed, sorridendo ancora. “Questo…questo è il giorno più felice della mia fottutissima vita!”

Stede si ritrovò fisicamente incapace di lasciarlo andare. “Anche il mio.” Rispose emozionato, abbracciandolo stretto e accarezzandogli i capelli di nuovo. “Non avrei mai potuto lasciarti andare, e se l’avessi fatto me ne sarei subito pentito a morte.” 

“Ma come farai con–”

“Ho promesso che sarei tornato a trovarli."

“Ma certo! Tutte le volte che vorrai. Adesso però partiamo o perderemo la marea, e si va davvero poco lontano, senza la marea!”

Stede si guardò intorno, sciogliendo finalmente l'abbraccio. “I ragazzi dove sono finiti?”

"Chi?–Oh cazzo, è vero, i ragazzi! Hanno voluto per forza andare ad accamparsi sulla spiaggia!” Il pirata prese la mano del gentiluomo, incrociando gentilmente le dita con le sue. “Dobbiamo andare ad avvisarli che vieni con noi, così magari si dimenticano anche di ammutinarsi!"

"A–ammutinarsi? Contro di te?"

“Ehi, non guardarmi così! Stavolta non ho fatto niente!”

Stede attirò Ed a sè per baciarlo un’ultima volta, poi si lasciò trascinare, felice come mai lo era stato prima. 

Peccato che però i due non poterono percorrere che pochi passi: la ciurma era apparsa proprio davanti a loro. Ogni membro dell’equipaggio era inspiegabilmente sorridente, come se quegli incredibili uomini avessero già capito come stavano le cose. 

(Tranne Izzy. Izzy sembrava perennemente scocciato anche senza maledizione.)

E Edward cominciò a capire perché avessero insistito tanto a lasciarlo solo fino a quel momento. Comprese perfettamente che la faccenda dell’ammutinamento era stata una frottola. 

Jim, dall’alto dell’albero maestro della nave, aveva visto Stede arrivare di corsa. Era quindi bastata un’occhiata per convincere gli altri ad inventarsi una storia per temporeggiare, evitando così di far fare al loro Capitano l’errore madornale di partire a bordo di una nave completamente dilaniata e ritrovarsi nuovamente con l’acqua alla gola ad appena tre nodi di distanza dal molo. 

“Congratulazioni, Capo!” Proruppe Olu, battendo le mani.

“Finalmente!” Aggiunse Lucius, abbracciato a Pete.

“Evviva!” Dissero in coro gli altri. 

“Quando, il matrimonio?” Domandó Roach. 

“Non qui e non adesso.” Si schermì Ed. “Se e quando Stede vorrà ci penseremo.”

“A proposito di qui e adesso…” Interloquì Stede, prendendo la parola a stento dopo quella dichiarazione monumentale. “come pensavate di salpare, esattamente?”

“Ehm…” Ed non sapeva da dove cominciare. “In realtà speravamo di trovare il modo di andarcene con la nostra nave–”

“Che è in condizioni disperate.” 

“Veramente.” 

“Prendete la mia.”

“Ma Stede!”

“Ma niente, Ed.” Sorrise il Gentiluomo. “Dico davvero, puoi avere la mia!” 

Il pirata sorrise a sua volta. “Accetto ad una condizione: che diventi il mio co-capitano.”

A Stede cadde la mascella."Io…co-capitano. Ma certo!!”

Corsero entusiasti dall’altra parte del porto, in cui Stede aveva lasciato il suo vascello personale. 

Dissero tutti che quella che avevano davanti era davvero una bella nave. 

Piccola, ma resistente. 

“Allora, come chiamiamo questa graziosa fregata?” Domandó Edward, notando come l’aspetto di quella nave rispecchiasse il suo proprietario. 

“Revenge.” Rispose Stede, con gli occhi luminosi di gioia. “Aspettavo di chiamare così il mio prossimo cavallo…immagino che vada bene anche per una nave.”

“Non ci beccheranno mai, su una bagnarola del genere.” Commentó Izzy, a quel punto pienamente favorevole alla nuova imbarcazione. “Mi sembra anche ben equipaggiata.” 

“Lo è.” Confermó Stede. “Ho provveduto già.” 

“E sia.” Decise Edward, osservando la loro nuova casa alla luce del tramonto. “Revenge.”

La ciurma rimase assolutamente incantata, quando salì a bordo. 

Erano imbarcati su un vero e proprio gioiello, non avrebbero potuto essere più felici.

La stiva era piena di cibo e vino, ogni membro dell’equipaggio aveva la sua cabina personale e con il fatto che avessero la bandiera inglese issata si era ridotto il rischio di incorrere nei soldati. 

Durante lo scorrere dei mesi, ognuno aveva ripreso il proprio compito: lo Svedese al sartiame, Izzy comandava in vece dei capitani, Fang e Buttons si alternavano al timone in compagnia della piccola Olivia. 

Roach aveva immediatamente preso posto in cucina, Frenchie allietava le loro giornate con il suo liuto nuovo di zecca e la sua voce melodiosa. 

Olu e Jim invece studiavano la rotta, Pete si occupava delle vele e Lucius faceva ciò che più gli riusciva meglio: scrivere. 

Non a caso, Stede gli aveva offerto l’incarico di essere il suo scrivano personale e lui aveva accettato di buon grado di tenere il diario di bordo. 

Lucius però non si limitava solo a quello: arricchiva le sue parole di disegni splendidi, e la cosa che più adorava ritrarre era l’amore in boccio dei due capitani. 

Non si erano più divisi, da quando avevano scoperto di amarsi. 

Edward sembrava cambiato in ogni senso: non aveva più niente, dell’insensibile e tormentato Barbanera che avevano conosciuto. Così come non era rimasto niente del Kraken.

Sorrideva, adesso. 

E quasi tutto il giorno. Mai una volta aveva alzato la voce con qualcuno di loro. 

Insegnava a Stede tutto ciò che sapeva con pazienza e il suo allievo, per contro, imparava con dedizione enorme e impegno appassionato. 

Inoltre, c’erano dei momenti in cui si estraniavano da tutti per scambiarsi delle piccole tenerezze che in genere portavano a veri e propri momenti privati che dovevano essere vissuti in cabina. 

A dire il vero, certe volte erano disgustosi e imbarazzanti anche solo per come si guardavano, ma ai ragazzi andava bene. 

Stede aveva portato la pace nel cuore del loro capitano e stava illuminando la vita di tutti: fintanto che c’erano le sue storie della buonanotte e la marmellata a colazione, non poteva andare meglio. 

Infine, era strano, ma…ogni tanto, quando la sera era calma e il sole si allineava con l’acqua, l’equipaggio intero -chi prima e chi dopo- avrebbe potuto giurare di scorgere una creatura amica nei flutti del mare. 

Una visione, una sirena. Che alzava un braccio in loro direzione e li salutava in lontananza. 


ANGOLETTO AUTRICE
Ebbene sí, siamo arrivati alla fine di questa storia.
Chiedo umilmente scusa per il ritardo con cui ho aggiornato e ringrazio infinitamente TUTTI voi che avete letto. 
Ho deciso di scrivere un epilogo che pubblicherò domani, proprio per ringraziarvi in maniera più effettiva. 

Io mi auguro che vi sia piaciuto un po’ tutto, questo esperimento che mai avevo fatto prima d'ora e per chiunque volesse, presto spero di riuscire a salpare per un'avventura ancora più grande. 

Un enorme grazie ancora, noi ci vediamo domani!

_C


 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** EPILOGO ***


EPILOGO


 

            Caro Stede,

mi sto rendendo conto che in tutti questi anni di matrimonio non ti ho mai scritto una lettera neanche una volta -non che ne avessi bisogno. Invece adesso ho tante cose da dirti, ma assurdamente non so da dove cominciare. 

Prima di tutto, dai doni che stiamo continuando a ricevere, deduco anche che tu sia riuscito ad arrivare in tempo al porto e a salpare con Ed. 

La seconda cosa che devo dirti è grazie. Grazie che trovi sempre un momento della tua giornata per scrivere a noi, rimasti qui a Bridgetown, le tue avventure. 

Chi è entusiasta più di me, sono i nostri bambini. 

Louis continua a darmi grandi soddisfazioni in campo scolastico. 

Il precettore è sempre più felice della sua voglia d’apprendere, tanto che è convinto che diventerà un maestro, uno studioso, o un precettore a sua volta. 

(Io però sono convinta che il ragazzo diventerà un sarto, o uno stilista, dato che già da adesso comincia ad appassionarsi ai tessuti.) Ha persino fatto costruire una piccola aggiunta alla tua monumentale libreria, di cui ora è avido fruitore, pienandola con dei tomi riguardanti i procedimenti di cucito e tessitura. 

Dio mi aiuti, è proprio tuo figlio. 

Gli manchi, sai? Ma credo che studiando così, abbia trovato il suo modo di averti accanto. Inutile dire che conserva gelosamente tutto ciò che gli regali. 

Alma invece ha sviluppato un’enorme passione per la pittura, il che mi ha certamente sorpresa…ma non sono mai io, l’oggetto dei suoi dipinti, nè ritrae i soggetti che in genere amo riprodurre. 
 

Sei tu, Stede. 

 

Sei sempre tu, il protagonista dei suoi quadri. 

E Edward è sempre al tuo fianco. 

È incredibile, quanto sia dotata. Già mi supera in bravura. 

Il suo animo è sempre irrequieto, se te lo stessi domandando. I suoi capelli sono ancora più indomabili e lunghi. Parla sempre a voce troppo alta per una signorina e si arrampica ogni volta che può o appena crede che io non la veda…ma non potrei essere più orgogliosa di lei. 

È una piccola donna entusiasta della sua vita, e questo grazie a te. 

Perché insegnandole il valore della libertà, le hai dato ad intendere che in questa difficile società c’è posto per tutti, e se invece il posto non si trova, c’è il mondo intero a disposizione. 

Alma ha capito che può essere ciò che vuole, e non vede l’ora di crescere per compiere e seguire le proprie avventure. Nel frattempo, però, fantastica sulle tue. 

Dio mi aiuti, è proprio tua figlia. 

E a proposito di figli…come dire…sono in dolce attesa. Se fosse un maschio, insieme a Doug avremmo deciso di dargli il tuo nome. 

Spero che la cosa non ti dispiaccia, e conto di rivederti presto. 

Ti abbracciamo forte, estendiamo un abbraccio alla ciurma, a Olivia e soprattutto al tuo Edward. 

Vi aspettiamo. Sempre.

Mary, Alma, Luouis, Doug.




 

Mia cara, carissima Mary,

non mi sarei mai aspettato di ricevere tue notizie: la mia gioia, quando la gentile Olivia mi ha portato la tua lettera, è stata enorme. 

Cielo, sono così emozionato da tutte queste belle parole che sono costretto a procedere con ordine a mia volta. 

Innanzitutto sono felice di sapere che abbiate apprezzato i miei regali e i miei racconti, che altro non sono che verità.

Davvero? Louis sta cominciando ad interessarsi ai tessuti?

E Alma dipinge come te?? 

Diamine, come sono fiero! Ti prego, porgi loro i miei complimenti, abbracciali forte, e rassicurali: c’è un mondo intero, qui, che li sta aspettando. 

Sono convinto che i nostri cari ragazzi lo conquisteranno. C’è del pericolo, è vero, ma c’è anche libertà. 

Louis può diventare chi vuole e sarà eccezionale. 

Alma può essere chi desidera, fare ciò che vuole, amare chi il suo cuore deciderà. 

E sarà giusto. 

Credimi, i miei pensieri, ogni mattina in cui apro gli occhi e ogni sera prima di chiuderli, sono per voi. 

Oh, non devi ringraziarmi di niente, sai? Prendermi un momento per scrivervi e inviarvi delle cose mi rende felice e ne sento il bisogno io stesso per sentirmi più vicino, perché mi mancate immensamente. 

Per quanto riguarda la faccenda della partenza, hai dedotto bene: non solo sono arrivato in tempo al porto, (dai una carezza ad Arthur da parte mia e poi anche uno scappellotto, se ti riesce) ho avuto il coraggio di confessare i miei sentimenti e, ancora una volta, avevi completamente ragione... 

Sono ricambiato. Meglio ancora, sono molto ricambiato.

Credo seriamente che potrei morire felice. 

Amo Edward con tutto me stesso…non avrei sopportato di passare la mia vita lontano da lui, che mi ripete ogni singolo giorno che sono diventato la sua ragione di vita. 

Ah, gli sto insegnando a leggere e a scrivere. Lui mi sta insegnando a navigare e comandare, impegnandosi a sua volta a diventare il capitano che non è mai potuto essere, per il tempo che gli resta.  

Adesso sta dormendo qui vicino a me, non sai quanto è bello. (Ehm, su quest’ultima cosa suppongo di essere di parte, scusami!) 

Ma adesso veniamo all'argomento principale: aspetti un bambino?!

Mary, è meraviglioso! Congratulazioni a te e a Doug! 

E certo! Certo, che potete dargli il mio nome, sono così onorato che mi tremano le mani! Non vedo già l’ora di scoprire cosa farà il piccolo Stede in giro nella tenuta, cosa combinerà. 

A proposito, contaci alla tua tavola per l’ultimo giorno dell’anno. Ci azzarderemo a tornare a Bridgetown, dato che la Marina, vedendo la Queen Anne’s distrutta ha dato per scontanto che Ed e i ragazzi siano morti. 

Non hanno idea che invece stanno tutti bene sulla mia nave, che abbiamo chiamato Revenge. 

La ciurma è felice. Ricambia i tuoi abbracci. 

Sai, Mary, ho parlato loro di te e incredibilmente non vedono l’ora di conoscerti di persona. 

Roach vuol farti assaggiare le sue torte all’arancia e cioccolato, Lucius vuole chiacchierare con Louis, e Jim vuole assolutamente insegnare ad Alma a lanciare i coltelli! 

Sarà meraviglioso.

Concludo con l’ultimo verso di una canzone del nostro straordinario menestrello Frenchie: 

“Ti riporta via, come la marea, la felicità!” 

 

È tutto quello che ti auguro, perché anche io mi sento così. 

A presto, 

 

le firme della ciurma:

                   
Livy e Buttons        

Lucius
        JIM
         
        Olu                  RøACH

Izzy (Buonasera signora, vaffanculo Bonnet) 
               
              FAnG


Svedese 


Frenchie         Wəə John

Stede, EDWARD X

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4051593