Strane Opportunità - L'assurda storia di Espedito

di Zyadad_Kalonharysh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incidenti diplomatici ***
Capitolo 2: *** Nen: desiderio o necessità? ***
Capitolo 3: *** Diritto al caffè ***
Capitolo 4: *** Comma 2 ***



Capitolo 1
*** Incidenti diplomatici ***


Le Petit Dejeuner

La tua rassegna mattutina a portata di click!
MONDO – GEOPOLITICA
Come fa un aereo a sparire nel nulla?
Domenica, 10 Marzo 2019 – Articolo a cura di Letizia Squaratti
 

La scomparsa del volo WCS003 avvenuta lo scorso maggio è ufficialmente passata alla storia come uno dei casi più misteriosi dell’aviazione generale. Sull’aereo c’erano ventidue persone, di cui cinque dirigenti della Worlds Communication Services.
Ma cos’è la WCS?
Ce lo spiegò Huldrych Petracelli in persona, ex presidente del parlamento europeo scomparso anch’egli nel volo: «la WCS nasce dall’unione di piccole divisioni dei servizi segreti di diversi stati e si occupa principalmente di tutto ciò che è oltre i confini delle nostre cartine geografiche. Quando Horst Schaffen ha teorizzato e poi dimostrato l’esistenza di altri continenti, i governi hanno manifestato poco interesse verso la cosa, preferendo evitare di innescare conflitti. L’intenzione della nostra organizzazione, però, non è creare conflitti ma connetterci con il mondo esterno». Huldrych è stato pochi mesi prima della scomparsa al centro di un grave scandalo che coinvolse vari funzionari europei, legato a un giro di prostituzione.

POLITICA – Il presidente Petracelli è sotto inchiesta, parole gravissime: escort e corruzione.

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La gestione della WCS è stata affidata ad Espedito Petracelli, figlio di Huldrych e attore di fama internazionale, che conta al suo attivo ben dieci premi Oscar, un Emmy e due Grammy. Ironia della sorte, poco prima che la sua vita fosse spiazzata da questo evento ha ricevuto una nomination per i Tony Awards, con la quale potrebbe essere consacrato allo status di EGOT.
SPETTACOLO – Espedito Petracelli inarrestabile: quattro Oscar per il film “Dov’è finita Audrey?”
MODA – Espedito Petracelli in Jean Paul Gaultier sul red carpet degli Oscar del 2019

Dichiarata la scomparsa di Huldrych, la prima azione di Petracelli come direttore generale della WCS è stato presenziare alla conferenza di Anversa. Tale conferenza si è svolta a porte chiuse e non ci è dato sapere cosa sia successo, ma delle indiscrezioni parlano di un capo di stato “alieno” venuto a contrattare.

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Alla conferenza c’era anche Grazyna Piotrowski (spesso translitterata dalla stampa in “Graziina Petrovsky”), la quale non ha avuto peli sulla lingua nel commentare l’evento poche ore dopo sul suo profilo Twitter, pur non specificando il motivo del suo disappunto (probabilmente, sarebbe incorsa in una violazione del segreto istruttorio).

MUSICA – Step Right Up, l’album di Gracie che è da trentasette settimane nelle classifiche Billboard
GOSSIP – Gracie è tornata single, fine della storia con l’attore Robert Kessler

Virali sono gli hashtag #LetUsKnow e #Anversa, lanciati dopo le proteste che si sono verificate in tutto il mondo da parte dei cittadini spaventati, stanchi di essere tenuti all'oscuro di tutto.
Uno scambio che ha aggiunto tensione è quello tra l'agente NSA Natasha Valente, che ha espresso scetticismo sul nepotismo insito nella WCS, e la presidente di commissione WCS Patricia Buffay, la quale ha maldestramente cercato di calmare le acque, ricevendo migliaia di critiche dall'opinione pubblica che sembra schierarsi con la NSA.

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Capitolo 1

Il defunto Huldrych lascia al figlio Espedito un ingrato compito.

Incidenti diplomatici

Mostri, animali rari, tesori e ricchezze, terre selvagge e luoghi sconosciuti. La parola “sconosciuto” porta con sé un enorme fascino. Ci sono molti uomini incredibili attratti da tutto questo potere, attratti più dall’avventura e dal rischio di per sé che dai potenziali bottini.
Ci sono storie memorabili di eroi, uomini perseveranti gonfi di speranza che intraprendono pericolosissimi viaggi per perseguire i loro obiettivi. Parenti da ritrovare, tragedie da vendicare, amici da salvare e amici da supportare. Sono queste le cose che spingono un uomo a diventare un eroe, una figura che diventerà di ispirazione e le cui gesta racconteremo ai nostri figli.
 
Se pensate che questa sia la mia storia, forse è il caso di iniziare subito con un collettivo bagno di realtà.
Benvenuti nell’era del disincanto. Nessuno vuole diventare più forte e nessuno ha storie da ricordare. Ci alleniamo per dimagrire e le nostre storie sono da dimenticare. Il personal branding e il non essere tagliati fuori dalla società hanno la massima priorità.
Achille si è gettato dal ponte di Brooklyn e Ulisse non ha mai fatto ritorno sulla Staten Island. Non viviamo di sogni e determinazione a New York.
Viaggiamo, paghiamo le tasse, spendiamo quattrocento dollari per una borsa di Valentino e non abbiamo compagni di avventure.
 
Io non avrò compagni, ma ho qualcosa di meglio: le mie amiche.
Sembra appena ieri, quando mi sono trasferito in questa città con la mia amica di infanzia Graziina Petrovsky. La quota Polly Anna della mia cerchia è venuta qui con la speranza di diventare una popstar. Penso che il fatto che quasi ogni anno ha portato a casa un Grammy, per un totale di quattro, significhi che ci sia riuscita. Partner di caccia e avventure tra Escada, Dior, Versace e Roberto Cavalli, ha ventuno anni e si presenta sempre con i suoi capelli neri piastrati e un vestitino rosa che è un faro nella notte. Il suo albero genealogico è un po’ incasinato: suo padre è polacco, sua madre è italiana e parte della sua famiglia è ebrea.
Quando mio padre Huldrych è morto e sono diventato presidente della WCS, ho affidato a lei il grande dipartimento delle pubbliche relazioni. Nonostante questa sia un’esperienza potenzialmente mortale, lei ha accettato di darmi una mano.
Un anno e mezzo fa, invece, ho conosciuto Maxine Parker, avvocata penalista di ventinove anni. Capelli rossi e quasi sempre corti, si veste sempre di colori caldi. Donna di enorme talento e ampia gamma di competenze che spaziano dalla balistica alle investigazioni speciali sul terrorismo. Mi ero rivolto a lei dopo la morte di mio padre per una grossa serie di peripezie legali dovute al suo dubbio operato quando era in vita. Il suo lavoro ineccepibile più il fatto che ha rappresentato grandi multinazionali come Johnson & Johnson, Volkswagen e Telecom Italia sono tra i motivi per cui l’ho scelta al mio fianco. Oggi, è la presidente del dipartimento ufficio legale della WCS.
Quanto a me, il mio nome è Espedito Petracelli e sono una pluripremiata star cinematografica. Non lo dico io, che sono una persona umile. A dirlo sono i miei quattro Academy Awards. Ho ventiquattro anni e vivo a New York da dieci anni. Mentre la mia terra natale è Lugano e il mio intero albero genealogico non esce dal Ticino.
E adesso siamo qui. Pronti per un’avventura completamente nuova e sicuramente con un livello di rischio che mai abbiamo sperimentato prima. Ma abbiamo fatto i compiti, le nostre ricerche e un duro addestramento. Forse non tutto è perduto.
 
La vita è una cosa strana. Nel giro di un secondo, può cambiare la rotta che hai pianificato per vent’anni e ti ritrovi a rifare tutto da capo. Possono accadere cose monumentali, ma sono fiero di essere rimasto la persona che ero, nonostante tutto.
Oggi è quel giorno. È da un’intera mattinata che preparo meticolosamente il mio look. Ho fatto sistemare i miei lucenti capelli corti e biondi, qualche iniezione di acido ialuronico perché non si sa mai e controllato che tutti i bagagli fossero già all’interporto. Ma gran parte del tempo l’ho speso per scegliere come vestirmi. E lì, nella mia enorme e illuminata cabina armadio, mi ritrovo in quello che finora è stato il mio dramma più grave: un armadio pieno di vestiti e nulla da mettere. Scelgo di stare comodo. Metto su una camicia e pantaloni neri di Prada, lasciando tutta la scena a una giacca dorata di Roberto Cavalli. Mi sento finalmente pronto, così afferro la mia borsa Alexander Wang e mi precipito fuori casa.
 
Dopo qualche isolato a piedi, Graziina spunta dall’angolo della strada. Come immaginavo, è completamente firmata Dior tra l’abito, il berretto vintage e la stupenda borsa in pelle di Lady Dior. Ovviamente, è tutto così rosa da renderla riconoscibile persino tra il pubblico del Madison Square Garden quando giocano gli Yankees.
«Ho sbagliato l’indirizzo!» piagnucola. «Devo ancora abituarmi al fatto che hai una casa nuova. Hai lasciato SoHo per l’Upper East Side, che coraggio.»
«Tu abiti da sempre nell’Upper East Side», le faccio notare, mentre ci incamminiamo verso la mia limousine. «Non ti smuoveresti mai da Park Avenue.»
«SoHo è bella per le serate, ma non ci abiterei. Dopo la baldoria mi piace tornare nel mio lussuoso condominio, nel mio appartamento da favola. L’altra sera c’è stato il galà di Serena Graham…»
«Non sarai andata a una festa di cocainomani!» la guardo stizzito. Serena Graham è una ragazzina che spende i soldi del padre per eleganti e austeri ricevimenti dove le persone più schifosamente ricche di Park Avenue si riuniscono. Questo, almeno, sulla carta. In realtà, quelle feste sono una scusa per vendere cocaina. «Se hai pippato ti lascio qui sulla trentaduesima e vado in missione da solo.»
«Ma no! Sono solo passata per dare un’occhiata. Ho incontrato Robert.» le scappa una risatina.
«Cioè, in altre parole, lo hai tampinato sperando in una riconciliazione», le dico, ricevendo uno sguardo da cane bastonato come risposta. «Come farai quando saremo a duecentomila chilometri da qui?»
«Potremmo riconciliarci a distanza!»
Graziina è un caso perso, un concentrato di ingenuità e romanticismo infantile. Per questo non commento oltre.
Faccio accostare alla Fifth Avenue per prendere Maxine. Al suo ingresso, scoppiamo dalla gioia nel rivederla. L’emozione per ciò che stiamo per fare si taglia con il coltello.
«Allora ragazze, avete ripassato?» Ci chiede Maxine, particolarmente entusiasta. Oggi è splendida: indossa un pratico vestito ocra e un quantitativo anomalo di collane e braccialetti. Ha con sé una Hilfinger con libri e quaderni pieni di appunti al suo interno. Ha raccolto tutte le informazioni possibili su hunter, Nen, geografia del nuovo continente, specie animali, vegetali e tanto altro.
 
L’aereo della WCS è stato rimodernato dopo l’ultima spedizione. La prima mia preoccupazione in quanto presidente è stata quella di assicurarmi che il mezzo con il quale mi sarei trovato a viaggiare per oltre cinquanta ore diventasse il volo di prima classe più lussuoso che si possa avere. È l’unica cosa che mi avrebbe permesso di reggere un viaggio così.
Con un aereo normale, il viaggio da New York a York Shin City sarebbe durato quasi centonovanta ore. Fortunatamente, i lavori di potenziamento hanno dato i loro frutti. All’interno dell’aereo abbiamo le nostre suite, tutte decorate in legno e dotate di doccia, sedili che diventano letti e piccoli frigobar per le bevande. Le suite sono aperte, tanto che possiamo parlare tra noi tranquillamente, ma hanno porte enormi che ci isolano completamente una volta chiuse.  
 «Oh. Mio. Dio.» Graziina spalanca la bocca appena entriamo. «È tutto così splendido!»
«Come promesso, il meglio del meglio!» le rispondo, mentre mi accomodo sul mio sedile. Penso al fatto che non abbia visto il bar e la cabina ristorante situate in fondo, verso la coda dell’aereo.
Maxine sta già frugando nella colonnetta accanto al suo sedile, trovando spuntini, salviette, pantofole, bibite refrigerate e altre cose utili per le nostre cinquanta ore di permanenza ad alta quota.
«Gradisce una Bacca dell’Addio?» Cecily, l’assistente di volo, mi porge un piattino pieno di frutti rossi dalla forma sferica perfetta che, però, io non ho mai assaggiato.
«La Bacca dell’Addio è un tradizionale frutto di benvenuto dello stato di Saherta. Cresce sull’Albero del Mondo, si dice che sia alto 1784 metri», spiega Maxine, mentre afferra una di quelle bacche. «Tuo padre le ha fatte importare, c’è una piccola piantagione in Kazakistan. Trovi tutto in uno di questi», mi porge una pila di libri presi dalla sua borsa, sembrano tutti dei mattoni.
«Sei sempre la prima della classe», la canzono, mentre provo uno di quei frutti. Non mi piace, è troppo aspro.
«Ti ci vuoi trasferire in quel continente?» scherza Graziina.
«Volevo solo informarmi per arrivare preparata. Sapete quanto sono ansiosa quando si tratta di studio», risponde, mentre tira fuori delle riviste.
«Abbiamo cinquanta ore davanti, oggi è venerdì e arriveremo lunedì a mezzanotte. Direi di riprendere lo studio fra una decina di ore», suggerisco io. Le ragazze annuiscono.
«E quando vi serve una pausa da tutte le informazioni utili…» Maxine tira fuori delle riviste dalla stessa borsa. Ce le ha tutte: Vogue, Marie Claire, il New Yorker e qualche giornalaccio scandalistico che ci vergogniamo di leggere in pubblico. Uno di questi giornalacci riporta un titolo che lascia poco spazio al dubbio: “Tradisce la moglie mentre lei è in viaggio per lavoro”.
Sfortuna vuole che questa rivista finisca dritta sotto gli occhi di Graziina, già in ansia per la “riconciliazione” a distanza con il suo ex, la quale prende la rivista e se la porta nella sua suite.
«Devo ammettere che sono eccitata!» Maxine continua a parlare, ignara dell’horror psicologico che si sta consumando dietro di lei. «Chissà quante cose impareremo!»
«Come “non portare HELLO! Magazine su un volo di cinquanta ore insieme a una donna facilmente impressionabile”», faccio notare, mentre butto un occhio preoccupato. Maxine si ammutolisce, con uno sguardo colpevole, e prende posto.
 
Poco più tardi, ci raduniamo al bar dell’aereo. Un ampio spazio dominato da un bancone illuminato dietro al quale è esposta una ricca selezione di alcolici. Graziina è silenziosa, continua a tenere in mano quella rivista.
«Tesoro, hai già riletto quell’articolo dodici volte. Che dici di buttare questo rifiuto editoriale?» la scuote Maxine.
«Tutta questa situazione è già un macigno psicologico», faccio notare io. «Se ci struggiamo pure per gli uomini, siamo spacciate.»
«A voi non preoccupa questa storia che potremmo morire?» risponde lei, con un tono di voce abbastanza serio.
«Tutti i giorni», risponde per prima Maxine. «Ma siamo bravi e lo siamo abbastanza da riuscire a non morire. Come minimo.»
«Io direi di fare un brindisi», mi introduco, mentre ordino tre calici di Dom Perignon. «E di accettare dei regalini che ho comprato da Van Cleef & Arpels!»
Tiro fuori una busta verde con tre bracciali Alhambra di colori diversi. Il mio è blu, quello di Graziina è rosa e quello di Maxine è rosso.
«Anche i colori!» Maxine sembra contenta. «Sai che si abbineranno ai nostri guardaroba. Non me lo toglierò nemmeno sotto la doccia.»
«Se hai voglia di far finire cinquemila dollari nello scarico, fa’ pure!» puntualizzo.
«L’oro è aumentato così tanto?» Graziina sgrana gli occhi. Generalmente non ci facciamo problemi per i regali costosi, è la norma e sappiamo di poterli sempre ricambiare.
«Ormai siamo in questa cosa fino al collo. Questo bracciale mi ricorderà voi ogni volta che lo guarderò», cerco di non essere troppo serio. «Che cosa farei se non vi avessi mai incontrate?»
Missione fallita: Graziina è scoppiata a piangere.
 
Poche ore più tardi, la mora è finalmente nella sua suite sprofondata nel sonno. Maxine arriva nella mia per anticipare le ripetizioni per le quali è sprofondata nell’ansia.
«La documentazione di Washington», dice, mettendomi in mano un faldone ritirato in ufficio questa mattina. Ad una prima lettura veloce, già ho la prima sincope.
«Cosa vuole il Mossad?» domando, freddo. «Ho già detto che con Israele non voglio avere nulla a che fare.»
«La CIA ha insistito per inserire la clausola “antiterrorismo”», mi spiega. Ora capisco l’ansia. «Non interverranno finché non ci troveremo ad attaccare frontalmente.»
«Definirla una clausola vessatoria è un pallido eufemismo. Sanno bene che possiamo solo agire per autodifesa. Che bastardi», mi lamento, arrivando alla pagina dove sono riportate le reazioni alle indagini preliminari. «Hanno invalidato le deposizioni?»
«Questa è bellissima: sono arrivate lamentele all’ufficio legale in merito a “testimoni maleducati”», le scappa una risatina. Io onestamente non so cosa pensare. «Pensano sia stato di cattivo gusto intervistare Hisoka.»
«La deposizione più inutile della storia, lui che parla a ruota libera per un’ora e gli investigatori troppo impauriti per fargli domande dirette. Di chi è stata l’idea?»
«Il coroner, quello che si è dimesso subito dopo.»
«Beh, non posso dire che mi dispiaccia», questo fascicolo è tutto uno schifo. «Non si riesce nemmeno a coordinare le indagini. Ho voglia di spararmi in testa.»
Che è quello che ha fatto il coroner ancora precedente quando è stato informato della scoperta del nuovo continente.
«Io non posso lamentarmi del mio dipartimento, siamo solo in cinque e si lavora benissimo.»
L’idea che il suo ufficio avrebbe potuto essere come quello del procuratore ha fatto recuperare a Maxine un po’ di autostima.
«Nemmeno io, anche se devo sempre star loro dietro», lancio con disprezzo il fascicolo Washington sul sedile di fronte e mi appresto a trasformare il mio in un letto. «Quella che se l’è passata peggio è Graziina. Le hanno rifilato una commissione di sette paesi, parlano tutti lingue diverse e nessuno ha un buon inglese. Inoltre, ci sono dei soggetti davvero incommentabili.»
«Sbaglio o i governi non prendono minimamente sul serio la situazione?» Maxine qui sottolinea l’ovvio.
«Siamo dovuti intervenire per forza, se avessi lasciato l’incarico sarebbe scoppiata una guerra», dico, mentre prendo dalla colonnetta le cose per fare la doccia. «Che palle, ero così felice quando mi sono laureato in scienze politiche. Odiavo quella robaccia, speravo di non doverla più toccare per il resto della mia vita. Ecco come è finita.»
«Per me è veramente difficile associare te a quella facoltà. Tanto meno alla tua tesi di laurea su Chernobyl. Ma perché…?»
«Mio padre», spiego, molto brevemente. «Mi ha lasciato recitare a patto che riuscissi a laurearmi, non si è smosso nemmeno quando ho vinto il primo Oscar. Ha sempre voluto che io lavorassi nei servizi segreti. Alla fine, ha ottenuto esattamente ciò che voleva.»
«E invece Graziina… ha scelto lei di laurearsi in relazioni internazionali?» cerca di farsi due conti.
«Sì, non sapeva che altro fare. Almeno ha una laurea a ventun anni, ci ha messo due anni e qualcosa. Io, invece, mi sono laureato a ventitré. Ha superato persino me, ti rendi conto?», devo ammettere che quando parlo dei suoi successi mi brillano un po’ gli occhi per lei, ma dall’altro lato c’è sempre quello spirito di competizione che non mi abbandona.
«Sembra di vivere in un manga», si lamenta Maxine. «Ma ti immagini? Io prima di qualche anno fa lavoravo su casi di frode, qualche omicidio, criminalità organizzata. Avevo a che fare con procuratori, studi legali… gente rispettabile! Ora ci sono gli Hunter. Per lavoro girano il mondo, si scazzottano e credono che il velluto a coste sia adatto ad una conferenza.»
«Il velluto a coste… Pariston!» quell’aneddoto mi fa sempre piangere dalle risate. «E se la sentiva anche!»
«Con le fantasie scozzesi!» Maxine per poco non si strozza dalle risate.
Pariston è il vicepresidente dell’associazione Hunter. Quando c’è stata la prima conferenza intercontinentale ad Anversa, Netero mandò lui. Si presentò con una giacca orrida e infeltrita davanti a tutti i delegati dei servizi segreti europei, presenziavano anche Trump e Putin (prima che la Russia venisse estromessa dalla missione). Un episodio che alla WCS ci raccontiamo ancora con shock.
Se non altro sono riuscito a far ridere Maxine, raffreddando un pochino gli animi.
«Ho bisogno di un altro drink», Graziina si materializza nella suite, assonnata, scioccata e distrutta. Ha appena letto le mail, glielo si legge in faccia. «Oggi, nella commissione internazionale, la rappresentante spagnola si è presentata con una maglietta con su scritto “Lunga vita a Franco e Salazar”.»
«No, non mi avevi detto che fosse pure franchista», mi cadono le braccia. «Devi assolutamente importi con i servizi segreti, non possono rifilarti i loro peggiori scarti.»
«Ovviamente ho scritto una lettera di lamentele. Non posso lavorare con una così!»
 
Dopo una cinquantina d’ore di studio, cocktail, musica, cocktail, film, cocktail, lavoro d’ufficio e cocktail, l’aereo inizia ad atterrare.
«Bene, l’ultima volta che questo aereo è atterrato…» Maxine va nel panico.
«Non dirlo nemmeno per scherzo.» La blocco subito. Non posso lasciare che si crei un’allerta basata sul niente. «Ma sei scema?»
L’atterraggio non è per nulla disastroso: l’aereo arriva sulla pista senza alcuna difficoltà e degli uomini armati ci scortano all’uscita dell’interporto.
«Ma… è tutto vero?» sento mormorare Graziina, la quale si è appena accorta di aver lasciato quello che per noi era il mondo conosciuto.
«Lo stiamo facendo sul serio?» dico io, colto da un’improvvisa ansia.
I nostri bagagli subiscono un rapido controllo da parte degli agenti governativi degli stati di Saherta e, nel frattempo, dei sottoposti dell’associazione Hunter arrivano senza presentarsi con lo scopo di scortarci all’edificio di Swardani City dove si trova la sede dell’associazione. Notiamo subito che il controllo dei bagagli stia richiedendo troppo tempo.
Il capo di questi uomini, che in realtà si chiama Tsezguerra, mormora cose con l’agente governativo guardando lo schermo dove ci sono i risultati dei controlli.
«Mi scusi, presidente Petracelli.» Tsezguerra si avvicina a me, con un modo di fare estremamente imbarazzato. «Lei ha portato droghe?»
«Che cosa?!» Questa è una cosa talmente ridicola che scoppio a ridere.
Di tutta risposta, mi conduce nella stanza dei controlli e fa vedere come nella scansione un determinato punto della mia valigia risulti completamente rosso.
«Quelli sono ormoni e antidepressivi.» Mi disturba non poco doverlo dire ad alta voce davanti a perfetti sconosciuti. «Non ha mai conosciuto qualcuno con la depressione maggiore e l’ipotiroidismo? Faccia qualcosa!» prendo Tsezguerra dal braccio e glielo sussurro aggressivamente.
«Mi dispiace», risponde lui. «Non possiamo lasciare passare né gli ormoni né le droghe. Sono illegali, c’è gente che li usa per… sa… drogarsi e fare altre cose strane.»
È ufficiale, sono all’inferno.
«Dai, Espedito, manderemo una lettera all’ufficio di Albany e si risolverà tutto», Maxine mi prende per un braccio, convincendomi a desistere dall’ammazzare qualcuno. Nel giro di tre giorni potrei ritrovarmi a impallidire, avere le occhiaie e strani punti in faccia. Non ci voglio pensare, è troppo brutto. «Devi solo attendere qualche settimana.»
«Senza pasticche, creme e vitamine sprofonderò di nuovo nella depressione e nell’orrida pubertà maschile», borbotto, sull’orlo di una crisi di nervi. «Quando tornerà a crescermi addirittura la barba perderò completamente la testa e ci saranno vittime.»
«Ti sconsiglio di usare questi termini durante una missione di pace quando dei funzionari governativi stranieri ci ascoltano», interviene subito Graziina. «Forza e coraggio. Pensa positivo. Pensa ai benefit.» Dice, indicandomi la Maybach con autista che ci aspetta di fronte a noi. Già, i benefit. Grazie a Dio ci sono sempre i benefit.
 
Mentre vengo trasportato a Swardani City, non posso che ammirare il paesaggio. Non credo nemmeno di aver capito che razza di bioma sia, dovrebbe essere una pianura ma con piante che ricordano quelle di una giungla. A guardare meglio, non credo nemmeno di riconoscere le specie vegetali che mi ritrovo davanti. Non posso fare a meno di sorridere e lasciarmi sorprendere dal nuovo.
L’edificio dell’associazione Hunter è enorme, lo vedo in lontananza e lo riconosco dalla gigantografia del logo riconoscibile in alto. Quando siamo nel cortile esterno, davanti alla fontana, ci riuniamo un attimo prima di entrare tutti e tre insieme. Abbiamo avuto modo di farci una doccia e cambiarci prima di scendere. Ci scambiamo delle occhiate per accertarci di essere a posto. Io indosso un completo blu scuro di Prada, Graziina va sul sicuro con Lady Dior in rosa e Maxine in rosso con Valentino. Ci guardiamo negli occhi ed entriamo nella sede dell’associazione a passo coordinato, ostentando sicurezza e classe.
Gli interni non sono male. Da fuori, la sede sembra un complesso di uffici comunissimo, mentre all’interno è tutto molto strano. Rimango particolarmente colpito dalla lampada gigante della hall a forma di grappolo d’uva rosso.
Un fagiolo antropomorfo, che dovrebbe essere il segretario, per qualche motivo ci riconosce subito e ci conduce all’ascensore. Finalmente, forse, avremo l’onore di incontrare il famigerato Netero.
Mentre attendiamo che si aprano le porte del suo ufficio, un inserviente ci porta del tè caldo fatto con una strana ricetta del posto.
«Lo preparano con acqua di rose e cumino», sottolinea Maxine, ovviamente preparatissima, mentre prendiamo una tazza ciascuno.
Nel berlo, la rossa strizza gli occhi e tira un gran sorriso facendo un verso di gradimento. «Molto interessante.»
Anche io ho modo di assaggiarlo. «Molto diverso», sorrido. È tremendo, voglio dell’acqua minerale.
Mi giro verso Graziina, immersa nel suo inferno personale perché è palese che le faccia schifo ma deve sforzarsi di essere gentile. «Da’ qua», glielo prendo, «non è il tuo tipo di tè».
Finalmente, le porte dell’ufficio si aprono. Tutti e tre ci chiediamo se sul serio vedremo in faccia quell’uomo tanto misterioso.
«Buongiorno!» ci saluta lui. Sembra un uomo anziano ma dal corpo molto tonico che potrebbe appartenere a un trentenne. Indossa un kimono con delle fantasie classiche e degli zoccoli. Beh, non il più pratico degli abbigliamenti da tenere in ufficio. La sua voce è rauca, mi domando se ce la faccia a parlare. «Che eleganza!» si complimenta. «Mi presento, sono Isaac Netero.»
«Io sono il presidente Espedito Petracelli», gli stringo la mano. «Dipartimento gestionale interno e servizi segreti.»
«Piacere, Graziina Petrovsky. Dipartimento pubbliche relazioni e servizi umanitari», si presenta la mora, facendo addirittura un inchino.
«Maxine Parker. Ufficio legale e squadra investigativa speciale», la rossa, la più tosta e autoritaria, resta a qualche metro di distanza.
«Intende farmi causa?» ride lui, guardando Maxine.
«Prego?» risponde quest’ultima, un po’ imbarazzata e sicuramente non in vena di scherzi.
«Lei è un avvocato, giusto? Nel caso queste trattative andassero male, sarà lei a fare causa a tutti.»
Il presidente Netero ha deciso di tirar fuori il suo senso dell’umorismo. Sfortunatamente per tutti in questa stanza, Maxine non è tipo da ridere e scherzare con chi non conosce. Men che meno in un contesto professionale. Però, quando deve, sa affermarsi.
«Esattamente. È così che si fa dalle nostre parti. Noi non vorremmo, ma se questo ci eviterà una guerra all’ultimo sangue, tanto vale fare una guerra all’ultima pratica.»
A quell’ultima battutina, il presidente ride di gusto e ci sediamo tutti.
Tutti e tre apriamo le nostre cartelle e tiriamo fuori l’intera documentazione che abbiamo preparato. Oltre mille e quattrocento pagine in un totale di trenta documenti diversi. Poniamo il tutto sulla scrivania, sistemato in un faldone diviso in buste catalogate in base al dipartimento. Ognuno presenterà il suo. Sembriamo i tre Re Magi che portano oro, incenso e mirra.
«Come può vedere, queste sono le disposizioni interne legate all’amministrazione generale», dico, aprendo gli anelli del faldone e tirando fuori la mia busta. «Qui può trovare tutte le informazioni utili legate al nostro modus operandi nella sottoclasse con la dicitura “trasparenza”, organigrammi e una descrizione sommaria di diciotto pagine del progetto.»
«Queste, invece», interviene timidamente Graziina con la sua busta, «descrivono la missione politico-umanitaria nel dettaglio, la nostra collaborazione con i servizi segreti attraverso l’istituzione di una commissione esterna e le intelligence che ci sostengono. CIA, AISE, DGSE… il tutto completo di indagini statistiche e, ovviamente, anche qui un’ottima trasparenza sul modus operandi.»
Graziina è dolce e cara, sicuramente avrà fatto una buona impressione. Ma sta omettendo che queste “collaborazioni” lo siano solo sulla carta, poiché la CIA ci sta addosso e sta facendo il possibile per beccarsi la missione al posto nostro e, in tal caso, anche i francesi della DGSE e l’Unione Europea banchetteranno sulla nostra sconfitta. Ha omesso anche che non abbiamo sostegno da parte dello stato di Israele, che il Mossad ci rema contro e che gli italiani dell’AISE – i nostri unici alleati – siano quelli meno importanti politicamente.
«Questa, invece, è tutta la documentazione legale. Segue il protocollo internazionale voluto dalle Nazioni Unite ed è firmato da centocinque paesi», spiega sempre lei, tutta concitata.
Ovviamente, anche il fatto che ottantotto paesi si siano rifiutati di firmare è stato omesso. Tanto, nessuno può dirci nulla: tutte queste informazioni che stiamo omettendo sono citate nelle sottoclassi “trasparenza” che nessuno legge. Qui dobbiamo solo fare bella figura, non stiamo imbrogliando nessuno. «Ci sono tutti i protocolli ordinati in ordine alfabetico. Seguono informative sul trattamento dei dati, casi di segretezza e procedimenti civili.»
Netero è un po’ a disagio con tutti quei fogli sul tavolo. Ma, esattamente, cosa si aspettava? Non è prassi qui tenere un archivio contabile e tracciare il lavoro tramite rapporti, verbali e circolari?
«Che noia», sbadiglia mentre a stento apre il fascicolo di Maxine, quello con meno pagine.
Nel silenzio tombale, io inizio ad infuriarmi e percepisco l’astio anche da parte delle altre. Ma come si permette? Ma ha capito il tipo di situazione in cui ci troviamo? Perché tutti al netto di noi tre stupide sembrano prendere sottogamba tutto ciò?
«Che noia? Ho sentito bene?» il tono di Graziina è sempre molto delicato, ma il suo disappunto è palese. Le persone scambiano spesso la sua buona educazione per stupidità. Le persone sono stupide.
«Questo non è affatto professionale», commenta Maxine, sprezzante.
«Non è per voi, davvero», si spiega Netero. «Ci sono tante cose che la nostra associazione ha sottomano, fidatevi che il vostro caso in confronto è una barzelletta.»
«Ma come si permette?» sbotto io, stranamente non abbandonando totalmente la compostezza. «Lei lo sa cosa significano questi documenti?»
«Un utilizzo pessimo degli alberi?» mi ridacchia in faccia. Questo non ha capito proprio un cazzo, se permettete. E si crede pure simpatico.
«Questi sono un anno di dibattiti e controversie politiche per mettere i governi d’accordo sulla salvezza della nostra gente», lo freddo sul posto. «Qui ci sono le speranze non solo dei governi ma anche di sette miliardi di persone che temono per le proprie vite. Sette miliardi di persone che non vogliono una guerra. Questi fogli sono tutto. Tutto ciò che abbiamo, tutte le nostre possibilità sono qui, catalogate e formattate alla perfezione perché lei ci prenda sul serio. E lei ha il coraggio di sbuffare e riderci in faccia? Ma chi si crede di essere!»
«Espedito!» mi rimprovera Graziina, cercando di calmarmi.
«No, va bene così. Mi piace», gongola Netero, mentre prende i fogli e li pone ordinatamente in un angolo della vostra scrivania. «Siete tre tipi interessanti.»
Ma pensa che sia una sorta di gioco? Ma che razza di modo di lavorare è questo?
«Quindi ha intenzione di prendere sul serio la cosa e permetterci di procedere?» gli fa Maxine, scocciata.
«Se mi aiutate un po’, sì. Con queste carte mi verrà il mal di testa», confessa con l’aria sorniona che ha da quando siamo entrati. «Cos’è che volete, esattamente?»
Quello che tutte e tre stiamo pensando è che quest’uomo non sappia minimamente come lavorare. Nonostante tutto, cogliamo quest’apertura per parlargli in maniera chiara.
«Vogliamo aprire un arbitrato con la vostra associazione per determinare i rapporti tra i due continenti», gli spiega Maxine, indicando con il dito i passaggi chiave presenti sui protocolli di Albany. Praticamente, lo sta imboccando spiegandogli le cose come si fa ad un bambino. «Lei sa cos’è un arbitrato, vero?»
«In realtà, no.»
Mi cadono le braccia.
«Non è difficile», interviene Graziina con un sorriso a trentadue denti che si alza e si mette accanto a lui dall’altra parte della scrivania. «Guardi questi modelli, rappresentano le varie possibilità. Si definisce controversia un contrasto di interessi od opinioni. Ci sono vari modi per risolverne una, generalmente si ricorre a un procedimento giudiziario. Ma noi non vogliamo questo.»
«Il procedimento giudiziario no. Non lo vogliamo», ripete lui cercando di fissare quell’informazione.
«Si apre così il grande campo dei “metodi alternativi di risoluzione delle controversie”», interviene Maxine, contagiata dalla bonarietà di Graziina. «Possiamo abbreviarli in ADR. La parte importante è che ce ne sono quattro tipi, ma togliendo quelli che riguardano il diritto privato e l’economia, quello che ci interessa è l’arbitrato. Un incontro con i nostri legali dove ognuna delle due parti discuterà le proprie esigenze, per poi giungere a un compromesso. Il lodo avrà la stessa valenza di una sentenza di tribunale, ma senza tribunale.»
«Quello che vogliamo è chiudere la controversia nella maniera più pacifica possibile. Al compromesso sarà associato un trattato di non aggressione tra continenti che istituirà una vera e propria legislatura ad hoc in modo che ogni minaccia alla pace sia ritenuta un illecito.» Alla fine, anche io mi scomodo a spiegargli le cose.
«Vede, è che abbiamo sbagliato», confessa Graziina, facendomi sussultare. «Siamo entrati in questo ufficio con le nostre idee e il nostro linguaggio, dando per scontato che il nostro sia la norma. Non è vero, perché anche noi facciamo una gran fatica a capire il mondo degli Hunter e non abbiamo considerato che dalla vostra prospettiva potesse essere lo stesso. Cambiando atteggiamento, speriamo di riuscire a collaborare.»
Dopo quell’azzardo enorme da parte di Polly Anna, il silenzio di Netero ci lascia in uno stato di forte nervosismo.
«Siete tre soggetti molto singolari», dice mentre si accarezza la barba. «Devo riconoscere le vostre valide argomentazioni e la vostra professionalità. Sarò lieto di fare ciò che posso per aiutarvi.»
Cerchiamo di congedarci con classe e distacco, ma internamente io sto esultando come non ho mai fatto in vita mia. Non posso credere che ce l’abbiamo fatta. Anche se non siamo nemmeno alla linea di partenza, abbiamo vinto la prima sfida e mi sento di celebrare questo piccolo grande progresso.
Quando siamo nel corridoio, tiro Graziina per un braccio. «Cosa ti è preso là dentro?» le faccio una piccola lavata di capo.
«Volevi quell’arbitrato o no?» mi fa la linguaccia. Effettivamente, non è che posso contestarla più di tanto.
«Abbiamo rischiato tanto per via della tua “intraprendenza”», mormoro fingendo di essere arrabbiato. «Ma ce l’hai fatta, complimenti.»
«Graziina è un’anima semplice, ha un approccio positivo alla vita e vede il buono in chiunque», interviene Maxine. «Anche se non lo condivido, è bello che ci siano ancora persone così.»
«Quoto tutto», quasi quasi mi commuovo. «Ma la prossima volta, concordiamole prima certe cose.»
 
Trenta ore senza dormire e sono ancora le quattro del pomeriggio. Abbiamo fatto scorta di Zolpidem, così questa notte bilanceremo nuovamente il nostro orologio biologico. Per quanto riguarda arrivare a stasera senza svenire per strada, c’è Caffè Borbone. L’autista ci porta a York Shin City, dove abbiamo un altro impegno e dove si trova il nostro albergo. Qualche mese prima della nostra partenza, abbiamo affittato un ufficio provvisorio in città. Contiamo, però, di avere una vera e propria ambasciata una volta finito l’arbitrato.
«Chi c’è nell’ufficio?» chiede Graziina, mentre siamo sedute al bar.
«Edna, la divisione dell’ufficio contabile e quella dell’ufficio archiviazioni», le risponde Maxine. Edna è la segretaria del mio dipartimento. «E speriamo di non dover mai convocare nessuna squadra operativa.»
«Penso che tu sia destinata ad essere delusa», sbuffo. «Non possiamo sapere cosa ci aspetta.»
«Ma io dico… pensate che dobbiamo… ehm… anche combattere per difenderci?» chiede timidamente la mora.
«No, l’addestramento serviva per la prova costume», ribatte la rossa, sarcastica. A quella battuta rido di gusto.
«Per essere una metropoli, questa città sembra un paesino di campagna dove hanno ficcato dei grattacieli a caso», commento io, guardandomi intorno.
«Ma infatti, è strana», borbotta Graziina. «Cosa dovevamo fare, oggi?»
«L’incontro col cacciatore di teste», le ricorda Maxine. «Se farà come il presidente, io giuro che mi metto a urlare.»
«Io ho sonno!» si lamenta l’altra.
«Posso vedermela io con il cacciatore, voi fate un pisolino così posso andare a letto due ore prima», mi prende un attacco di altruismo. In realtà, vorrei che l’incontro sia quanto più breve possibile. Un tête-à-tête è molto più scorrevole di una seduta di gruppo come quella con Netero.
«Sarebbe stupendo!» Graziina subito esulta per la cosa.
«Come fai con l’ufficio contabile?» mi domanda Maxine.
«Non farò nulla, a loro basta vedermi per spaventarsi. Se mi portano una documentazione fatta male, giuro che si dimezzeranno.»
«Vuoi licenziare mentre sei in missione?» ride lei.
«Avevamo detto niente violenza fisica», mi canzona l’altra.
«Infatti sto pensando al mobbing per indurli ad andarsene da soli», chiudo io.
 
 
 
Sono le cinque del pomeriggio quando arrivo all’ufficio provvisorio. L’edificio è abbastanza vecchio, l’ascensore sembra un pezzo d’antiquariato e la moquette dei corridoi andrebbe cambiata. Mi faccio il segno della croce prima di entrare perché, se queste sono le premesse, questo posto farà sicuramente schifo.
Oddio, non è che sia male, ma sembra più un call center nella fine degli anni Novanta. Se penso che ci servirà solo per depositare verbali e mandare fax ad Albany, non mi turba. Tanto non ci passerò più del tempo necessario di una firma e una fotocopia, sarà solo un problema dei dipendenti.
«Voglio sulla mia scrivania tutte le documentazioni di oggi. Adesso», non sono nemmeno entrato e già do ordini perché sì. «Edna», la chiamo. «Chiama l’intelligence e riportami i progressi sul nuovo sistema di cifratura. Se esce solo un’altra pagina su WikiLeaks, mi presento subito ad Albany e faccio una strage. Chiama anche l’ufficio legale e, nel caso, dì loro di procedere con querele e diffide. Quando la missione sarà finita, potranno aprire tutti i cablegate che vogliono.»
«Ricevuto», annuisce Edna, mentre sulla mia scrivania si è magicamente depositata una quantità assurda di fascicoli. «Mi consenta, presidente. Il blacklist hunter è già qui.»
«E dov’è?» le chiedo.
Lei mi indica la sala d’attesa e vedo un ragazzo dai capelli biondi e dall’orribile abbigliamento. Un po’ mi stranisce, dai lineamenti del volto deduco che arriverà a stento ai diciotto anni. Ma, dopo l’incontro con Netero che possiamo descrivere come un quadro di Grosz, non mi stupisce più nulla. Tra l’altro, sembra pure abbastanza annoiato e distaccato dalla situazione, visto che si è messo lì a leggere un libro come se nulla fosse. Ma in questo continente c’è qualcuno che abbia voglia di lavorare?
«Prego», dico appena arriva, facendogli cenno di sedersi sulla sedia disposta davanti alla scrivania. Tra i fascicoli sul tavolo, ci sono le informazioni raccolte dall’ufficio risorse umane su di lui. Cioè, il nulla cosmico. Mi toccherà andare a mietere vittime anche da loro. «L’ho fatto contattare dalla mia segretaria perché so che si occupa di taglie.»
«È giusto», differisce rapidamente. È un tipo di poche parole, ma sembra abbastanza educato.
«Bene, Kurapika», dico, leggendo il nome. «Qui non c’è il cognome», noto controllando tutte le pagine del fascicolo.
«Non ce l’ho.»
Vorrei fare domande ma non ne ho voglia. «Io penso che sia stato già adeguatamente informato della situazione. So che ha avuto un canonico colloquio per via telefonica con la signora Biete del dipartimento pubbliche relazioni.» Mentre gli parlo, a stento lo vedo negli occhi, sono assorto a leggere le documentazioni. «Nel caso, ripeterò brevemente. Lei sarà come una guardia del corpo, ma in una maniera particolare. Dovrà fare da radar individuando taglie e ogni tipo di rischio per chi lavora alla WCS. Lei dispone di una regolare licenza da Hunter, con la quale può ottenere informazioni specifiche alle quali noi non abbiamo accesso. È disposto a farlo?»
«Credo di potermene occupare», dice con poca modestia pur non sembrando arrogante.
«Per quanto riguarda il pagamento, viene elargito mensilmente attraverso un assegno circolare presso la banca nazionale di York Shin City. Sono fondi governativi, non se ne occupa la WCS, quindi dovrà vedersela con la banca», quando mi accerto di aver detto tutto il necessario, mi appresto a chiudere la conversazione. «Bene, se non ha altre domande possiamo passare alla firma. Mi dia la sua PEC[1]
«La mia cosa?» mi domanda, stranito.
«Posta elettronica certificata. Deve pur averne una.»
«Mi dispiace, ma non dispongo di nulla di simile», alza le braccia al vento. «Posso lasciarle il mio cellulare.»
Questa cosa non ha senso. Non c’è un campo per il numero di telefono sul portale dell’organizzazione. Per queste cose si usa la PEC, è una questione di professionalità e affidabilità. Ma non ho voglia di affrontare un’altra mediazione, ci perderei definitivamente la testa. E anche se rifiutassi lui, probabilmente non troverei comunque nessun Hunter con una PEC. E meno male che sul discorso “tasse” non mi ci addentro nemmeno.
«Va bene. Risolviamo così», gli dico. «Il numero di cellulare lo tengo io, per le comunicazioni strettamente importanti. Ma, purtroppo, non posso procedere senza un indirizzo di posta elettronica certificata. Se non è di troppo disturbo, posso chiedere alla segreteria di fargliene una ad hoc.»
«Non ho problemi in merito», dice con fare un po’ stranito. È un tipo a cui non piace perdere tempo, su questo siamo più che in sintonia.
«C’è da firmare il contratto e diverse liberatorie a cui prestare il consenso informato», gli porgo il fascicolo. «Questo è il contratto, poi c’è l’informativa sul trattamento dei dati, quella sulla crittografia, quella sulla sicurezza e l’accordo biunivoco di segretezza», gli spiego, indicandogli ognuno dei documenti, mentre chiamo Edna con la linea interna.
Kurapika sembra molto sorpreso da tutte queste scartoffie che ci sono di mezzo. Beh, non l’ho inventata io la burocrazia.
«Non ho mai visto un operato così… qui ci sono descritte una marea di casistiche…» commenta.
«So che è un po’ pesante. Vede, mi piace fare le cose in maniera trasparente e pulita. Per questo sono molto esigente con la burocrazia», gli spiego. In qualche modo si è guadagnato la mia simpatia. Quando il biondo consegna tutta la documentazione compilata, la passo subito ad Edna per farla archiviare. «Se ha tempo, possiamo vederci domani a pranzo per discutere del da farsi. Sarà un appuntamento di lavoro, ma almeno non saremo immersi nelle carte.»
 
 
 
Mentre sono in camera d’albergo, non riesco a non pensare a quel ragazzo. Come sarà finito a fare un lavoro del genere? Non c’è nulla di lui che non mi sia rimasto impresso, dallo sguardo al suono quasi robotico della sua voce. Decido di incontrare le ragazze nella camera di Maxine.
«Che tipo era?» mi domanda Graziina che sta morendo dalla curiosità.
«La sua voce è così alienante. Mi dà l’impressione di… Al Qaida», lo descrivo mentre sono ancora in stato di shock. «Chissà che avrà passato.»
«Cosa ti aspetti da chi fa un lavoro simile?» interviene Maxine. E ha pure ragione.
«Vero. Però è giovanissimo, non so nemmeno se sia maggiorenne», questo dettaglio, invece, sorprende le ragazze. «Domani lo incontro a pranzo. Voi ci siete?»
«Io vorrei farmi avanti con il lavoro, che ne dici se vengo alla fine? Per il caffè?» dice Maxine, mentre lancia e inghiottisce una pasticca di Zolpidem.
«Penso che farò così anche io. Vorrei fare un giro di telefonate», dice Graziina.
Tornato in camera mia, tiro su le persiane e resto piacevolmente sorpreso dalla luminosità del cielo. È pieno di stelle e la luna sembra più grande di come la vedo a New York. Mi infilo il completo da notte e ingoio anche io una pasticca.
 
Vengo svegliato dall’alba che, a quanto pare, qui arriva molto prima. Sfrutto l’ora che precede il suono della sveglia per farmi una doccia e prepararmi al meglio. Anche oggi sono tutto un Dior e, avvolto nel mio completo azzurro, cammino per le strade ancora fredde di York Shin City per ammazzare il tempo.
Forse mi merito una mattinata libera e potrei rimandare di qualche ora il lavoro. Forse, se oggi quei fascicoli restano ancora un po’ sulla scrivania, non scoppierà la Terra.
Quando si fanno le dodici, fermo un taxi dall’altra parte della strada. O, almeno, ci provo. Mentre sono a pochi metri da esso un tizio mi spinge via ed entra al posto mio. Ha pure l’ardire di esclamare: «Scusami, caro!». Ma scusami tu un paio di palle. È un uomo alto con gli occhiali, vestito da ufficio e con tanto di ventiquattrore in mano. Insomma, un Clark Kent dei poveri. Roba che non si vedeva dagli anni Settanta.
E no, eh! Ci sono diverse cose che, se non si vuole compromettere il mio quieto vivere e quello di chi mi sta intorno, non devono essere mai – e dico mai – fatte. Posso passare sull’ammazzare mio padre o, peggio, copiarmi un look per il red carpet. Ma soffiarmi un taxi è decisamente sopra tutto.
Così, vedendo che il veicolo si ferma al semaforo rosso dopo pochissimi metri, mi avvicino con nonchalance e apro furiosamente la portiera.
«Vedo che qui la classe sia un optional», dico mentre mi siedo prepotentemente accanto a lui. Oggi mi sento così dispettoso da aprire il finestrino e accendermi una sigaretta.
«Le dispiacerebbe non fumare in auto? Per cortesia, eh», Clark Kent ha l’ardire di sentenziare sulla mia sigaretta. Dopo l’atto immondo che ha appena commesso, questo si permette pure di giudicare.
«È già tanto che non te la spengo in un occhio o su per il culo», oggi mi sento anche un gran poeta.
«Non hai nemmeno detto dove devi andare, cretino», mi ride in faccia.
«Akihabara Place», urlo al tassista.
A sentire quella frase, Clark Kent sbianca in viso. Oh, cazzo. Stiamo andando nello stesso posto. Il rischio imminente di trovarmi dinanzi a Superman con il Nen mi secca non poco.
 
Appena entro nel ristorante, Kurapika mi vede e mi fa un cenno. Pochi attimi dopo, anche Clark Kent fa il suo ingresso e si dirige proprio verso il nostro tavolo. Oggi stanno tutti cercando di far uscire la mia cattiveria. Perché non accontentarli? Accolgo il tizio occhialuto con un sorriso glaciale e cattivo, mentre lui è visibilmente in imbarazzo.
«Io sono Leorio», si presenta. «Perdonami se siamo partiti col piede sbagliato.»
Così non vale! Avevo voglia di bullizzarlo subdolamente per tutta la durata del pranzo. Gli rispondo con un cenno di accondiscendenza.
«Visto che con Leorio abbiamo già parlato in maniera… confidenziale», dico, mentre lui si volta dall’altra parte. «Possiamo darci tutti del tu, se a voi va bene. Fuori dal contesto lavorativo, si intende.»
«Per me non c’è problema, Espedito», risponde il biondino in maniera amichevole.
Okay, cosa è successo? Ieri somigliava a Bin Laden, oggi sembra un ragazzo normale. Possibile che la presenza di una figura amica lo abbia modificato così? Può essere che la presenza di un amico stretto e fidato lo porti ad allentare le difese?
«Abbiamo chiamato anche due nostri amici», dice Leorio. «Quando hanno saputo di tutta la faccenda, si sono interessati parecchio e volevano dare un’occhiata. Se a te va bene, ovviamente.»
«Certo, da un punto di vista personale sì. Mi piacerebbe capire un paio di cose. Per il caffè, invece, arriveranno le altre due direttrici», rispondo fantasticando su quante cose potrei scoprire facendo amicizia.
«Direttrici?» fa l’occhialuto, non nascondendo uno sguardo compiaciuto. Vorrei rispondergli malissimo, ma facciamo che rimando l’astio a dopo l’antipasto.
«Mi sento come se fossi in una sorta di mondo alieno», mi confesso. «A volte mi sembra di star sognando.»
«Mi sono sentito così ieri, quando mi hai dato tutte quelle carte», ironizza Kurapika, facendomi ridere di gusto.
«Sono molto preciso», mi pavoneggio. «Oggi devo leggere mille e novantuno pagine di verbali.»
A quella frase entrambi mi guardano straniti. Onestamente, non so come riuscire a farmi capire su questa cosa. Non è facile spiegare perché la burocrazia sia così complicata. Effettivamente, a volte fatico a capirlo anche io.
Il pranzo procede in maniera limpida. Fino al caffè, non ci siamo ancora fatti alcuna domanda diretta. Mi sono limitato a scherzare un po’ e a tenere la conversazione su argomenti neutri, preferisco aspettare che la tensione si sciolga di più.
«Quindi il tuo lavoro è questo?» domanda Leorio, all’improvviso. «Cioè, era il tuo sogno presiedere a un’organizzazione umanitaria?»
Che modo strano di fare questa domanda.
«In verità no», dico con onestà. «E questo non è il mio lavoro.»
Non vedo l’ora di vedere le loro facce quando glielo dirò.
«E qual è?» domanda Kurapika.
«Sono un attore.»
Entrambi rimangono a bocca aperta. Io li guardo e rido di gusto.
«Scherzi?»
«No, Huldrych Petracelli era mio padre», anche questa è un’informazione abbastanza scioccante. Infatti, Kurapika mi guarda ancora più scioccato. Evidentemente sa dell’omicidio di mio padre.
«Oh, io... mi dispiace», dice quest’ultimo.
«A me no», rido. «Mio padre era un essere spregevole e, da quando se ne è andato, questa fogna di mondo è diventata un posto migliore.»
Bingo, sono devastati.
Proprio in quel momento, entrano Graziina e Maxine nel ristorante e si dirigono subito verso il tavolo. Appena si accomodano, si presentano subito agli altri. Maxine se ne sta ferma e si limita a una stretta di mano, Graziina è più sciolta e sorride.
«E per voi? Essere hunter è il vostro primo lavoro?» chiedo io, per riprendere la conversazione.
Kurapika annuisce.
«Io sto cercando di diventare medico», dice Leorio.
«Medico? Sembri più un venditore di aspirapolveri», gli rispondo, ricevendo già un’occhiataccia da parte di Graziina che però se la ride sotto i baffi.
Mentre conversiamo animatamente, due bambini si avvicinano al tavolo e salutano i due Hunter.
«Oh!» esclama la mora, intenerita. «Avete dei figli!»
Kurapika è rosso come un peperone e Leorio ride di gusto.
«No», dice l’occhialuto, ancora soffocando dalle risate. «Sono hunter anche loro. Sono nostri amici.» 
Okay. Questo, invece, è inquietante. In che senso dei bambini che potrebbero essere miei figli fanno un lavoro del genere? Questa deve essere una presa in giro.
«Ma sono bambini…» mormora Maxine, un po’ sconvolta.
«Non so, ho capito bene? Loro sarebbero degli hunter?» anche Graziina sembra molto dispiaciuta.
«Io sono Gon!» si presenta all’improvviso il bambino vestito di verde. Ha i capelli neri rizzati a 90 gradi che formano delle punte.
In risposta alla sua presentazione poco formale, io mantengo il mio atteggiamento stringendogli la mano e dicendo il mio nome. Mentre fa la conoscenza delle altre, mi viene da fissare l’altro bambino. Ha i capelli bianchi e morbidi, occhi azzurri enormi e un atteggiamento distaccato associato a uno sguardo fragile.
«Come ti chiami?» gli chiedo dal nulla.
«Killua», risponde senza guardarmi negli occhi.
Che conversazione interessante.
Graziina, invece, sta chiacchierando animatamente con Gon. I due sono già molto in sintonia.
«E cosa hai intenzione di fare con questo Greed Island?» gli chiede lei. Stanno parlando di uno strano videogioco che ha un prezzo schifosamente alto all’asta.
«Cerco mio padre», risponde sorridente. Eh?
«L’ha rapito qualcuno?» chiede Maxine spaventata portandosi una mano al petto.
«No!» il piccolo moro ride a crepapelle. «Lo sto cercando per incontrarlo!»
La cosa inizia a suonare strana. «E perché devi cercarlo per incontrarti con lui?» gli chiedo. Non avrei dovuto.
«Mio padre se ne è andato quando ero ancora in fasce per diventare un hunter. Così ho deciso di diventarlo anche io per trovarlo!» Gon sgancia questa bomba che fa sussultare tutte e tre.
E la cosa peggiore è che ne parla con il sorriso, come se fosse una roba divertente. Cala un silenzio imbarazzante perché nessuna di noi tre sa cosa rispondere, è quasi un minuto che ci guardiamo in vistoso imbarazzo.
«Ho detto qualcosa che non va?» chiede, fissandomi preoccupato.
«Chi glielo dice?» mormora Maxine con fare cinico.
«Non ora, Maxine», sussurra Graziina.
«Gon, ma perché?» alla fine non resisto e glielo chiedo.
«Se la professione di Hunter è così appassionante per lui da spingerlo ad abbandonare suo figlio, deve essere qualcosa di sensazionale!» E fa quel sorriso ebete che ha costantemente.
«Ma sei deficiente?» in preda a un impeto di rabbia, mi scappa l’insulto. «Ma che trauma hai?»
«Per piacere, moderiamoci», mi sgrida Kurapika.
«Santo cielo, qualcuno lo aiuti!» anche Maxine è partita. C’è puro orrore nel suo sguardo, così come nel mio. «Dio, ma che schifo.»
«Sono così angosciata», interviene Graziina, prendendo la mano di Gon. «Mi dispiace tanto. Ti assicuro che andrà meglio e che la vita, un giorno, ti sorriderà.»
Io a questo nel giro di un annetto lo vedo sottoterra, altroché.
«Smettetela di parlare senza sapere», interviene Killua con tono di sdegno. «Non capite nulla. Gon sta bene.»
«Das ist wirklich peinlich», Graziina mi parla in tedesco per non farsi capire.
«Sie müssen nur die Sozialarbeiter anrufen. Tatsächlich der Internationale Gerichtshof für Menschenrechte», le rispondo.
«Scusate!» sbotta Leorio. «Non è appropriato mettersi a parlare in una lingua diversa per non farsi capire.»
«Credo che il discorso che è appena stato fatto non sia appropriato», gli rispondo a tono. È che proprio non riesco a passarci sopra.
«Mi ha lasciato una cassetta. Mi ha sfidato a trovarlo, vuole solo mettermi alla prova», Gon continua a parlare non capendo che sta solo peggiorando la situazione.
«E continui?» esclamo, mettendomi le mani nei capelli. No, non ce la posso proprio fare. «Ma che brutta cosa. Non ti fa onore! Perché tu stai distruggendo la tua vita a quest’età per una persona che non ti vuole!»
«Hai mai considerato l’eventualità di vedere un’analista?» anche Maxine non va troppo per il sottile.
«Okay, un bel break ragazze!» ci ferma Graziina. «Sono inorridita esattamente quanto voi, ma questo assalto è controproducente.»
«Oh, finalmente!» esclama Leorio.
«Avete detto delle cose molto pesanti, dovreste fare delle scuse», sentenzia Kurapika.
Vorrei polemizzare perché io certo non ritiro la mia versione, ma capisco che la situazione sia stata un macigno.
«Mi scuso per la mia irruenza. Non ritratto ciò che ho detto perché non sono ipocrita, sono una persona schietta e onesta e, costi quel che costi, dico sempre la verità. In ogni caso, non avrei dovuto dirtela in questo modo», questo è il massimo che riesco a fare.
«Quoto ciò che ha detto Espedito», si accoda Maxine.
«Non c’è problema, davvero», ci rassicura Gon. La cosa folle è che non sembra minimamente scalfito dalle nostre parole. «Non l’avevo mai pensata da questo punto di vista.»
Ed eccoci qua. Direi che… lasciamo perdere.
«Le nostre culture sono molto diverse», interviene Graziina nel suo solito ruolo di mediatrice. «Per persone come noi, le parole di Gon sono follia pura, perché siamo cresciuti con modelli completamente diversi e in contesti che non hanno nulla a che vedere con questo. Il vostro mondo è completamente diverso.»
Gli sguardi di Kurapika e Leorio si inteneriscono alle parole di Graziina.
«Aspetta, posso capire tutto ma questo è relativismo morale», voglio farle notare.
«Puoi girarla come ti pare, ma non è difendibile e tu lo sai», rincara la dose la rossa. «Un conto è essere educate, un altro è dire che il re è vestito. Allora per le bambine in Yemen che vengono date in spose a uomini adulti va tutto bene perché è la loro cultura? E i crimini di guerra?»
«Maxine, per favore, non c’è bisogno di metterla così in scala», devo fermarla persino io perché sta proprio partendo per la tangente.
«Voglio dire, abbiamo fatto più che presente la nostra disapprovazione», continua la mora. «Adesso possiamo passare oltre e non turbare i presenti ulteriormente.»
«Maxine», richiamo preventivamente la rossa perché so che vorrebbe polemizzare ancora. E lo vorrei fare anch’io, ma mi rendo conto che non avrebbe alcuna utilità se non peggiorare le cose.
Riusciamo miracolosamente a far proseguire la cena senza intoppi. L’ansia generale è calata e la situazione è che Graziina piace a Kurapika e Leorio, io pure ma sono ancora un punto interrogativo per loro, mentre con Maxine immagino si farà molta fatica. L’unico che finora è stato in disparte è Killua. Non capisco che opinioni abbia, ma suppongo che sia ancora un po’ restio ad aprirsi con noi. Direi che il siparietto di prima non abbia aiutato.
«Killua, tu che ci racconti? Sei così silenzioso!» gli dà a parlare Graziina.
«Non ho nulla da raccontare», borbotta girandosi dall’altra parte.
«Perché hai scelto di diventare un hunter?» gli chiede lei, che non si arrende.
«Non avevo voglia di portare avanti l’attività di famiglia. I miei genitori mi hanno imposto fin da piccolo di fare quello che volevano loro», finalmente si apre un po’.
«Ti capisco tanto», gli dico con sguardo compassionevole. «Che cosa fanno i tuoi genitori?»
«Sono degli assassini», dice con naturalezza.
«Ritiro tutto.»
«Kurapika!» Graziina, per non far vedere il suo secondo shock di fila, cambia subito discorso.
«Madre di Dio, smettetela», Maxine ci implora di non fare altre domande. Lo so, ma io ormai sono troppo curioso.
«Ho scelto di diventare un hunter per recuperare gli occhi dei miei compagni. Il mio clan è stato sterminato da un’organizzazione criminale. Il motivo sono i nostri occhi scarlatti, considerati una rarità.»
All’ennesima storia allucinante, in quella situazione orribile, mi esce una lunghissima risata isterica mentre mi accascio sul tavolo.
«Ma quindi… mentre erano ancora vivi li hanno… oh, mio Dio!» Graziina, naturalmente, ci è arrivata dopo.
«Scusate!» chiedo genuinamente scusa. «Non sto dormendo decentemente, sono sconvolto e mi hanno pure bloccato i farmaci in dogana. Ho un enorme peso addosso. Non ce la faccio, non ce la posso fare.»
«Io posso assicurarvi che voglio solo diventare un medico», Leorio cerca di sdrammatizzare, strappandoci una risata.
 
Alla fine di quel pranzo infinito, io e le ragazze siamo nell’area comune del bagno per sistemarci allo specchio. La luce blu del bagno crea uno stranissimo effetto, mi ricorda il periodo in cui mi facevo di ecstasy.
«Non so cosa dire», rompe il ghiaccio Maxine. «Mi sento come se stessi giocando a un videogioco con un visore spaventosamente realistico. È da un po’ che ho questa sensazione di realtà aumentata.»
«Io me la sto vivendo bene. Credo di essere impazzita e che tutto questo sia solo un mio delirio. È così divertente, è come guardare una serie TV!» scoppia a ridere l’altra, facendo una stranissima risata nasale. Secondo me è impazzita sul serio, ma chi sono io per giudicare.
«Io credo di essere in coma», dico scioccando le altre. «Tutto questo non può essere vero. Avrò fatto un’incidente ed eccomi qui. Chissà se voi due esistete nella vita reale. Devo fare un reality check.»
Così, mi guardo l’orologio, poi distolgo lo sguardo e poi lo guardo di nuovo. Fa due volte lo stesso orario, quindi il primo test è superato. Poi cerco l’interruttore per spegnere e accendere la luce. Ci riesco, secondo test superato. Poi mi guardo le mani e sono normali, se provo a passare con un dito attraverso il palmo dell’altra mano non ci riesco. Terzo test superato. Nello specchio mi vedo normale, quarto test superato.
«Oh», dico. «Siamo proprio qui.»
«Mi viene da piangere», all’improvviso Graziina ritratta la sua versione.
«Io sto pensando cose deontologicamente aberranti», dice Maxine.
Tutte e tre ci abbracciamo, facendoci forza a vicenda prima di uscire. A un certo punto tutto questo diventerà routine. E pensare che non è ancora cominciato nulla. Devo essere più forte di così, devo corazzarmi bene psicologicamente.
La verità è che ho solo bisogno di alcol.
Le ragazze vanno poi in bagno mentre io faccio per tornare a tavola. Gli altri sono ancora nel ristorante, ma mi trovo di fronte Kurapika. Non capisco se sia arrabbiato o altro. Non capisco e basta.
«Avevo bisogno di darmi una rinfrescata», gli sorrido.
«Hai un po’ perso il controllo, vero?» mi dice. E adesso cosa vuole?
«Non te lo negherò, sto ancora metabolizzando il fatto di essere qui.»
«Deve essere stato uno shock», si avvicina con aria dolce. «Sei una persona…»
«Basta così!» lo interrompo. Conosco già il cliché. «Non ho voglia del classico teatrino dove mi si legge dentro o cose del genere. Non sei tu, sono io.»
«Va bene!» Kurapika scoppia a ridere, accompagnandomi di nuovo al tavolo.
Finalmente io e le ragazze mettiamo le mani su una tazza di caffè.
Fa schifo. È imbevibile, acqua sporca.
Muore mio padre, e va bene. Devo farmi carico di un’organizzazione, e va bene. Devo venire qui e rischiare la morte, e va bene. Ma un caffè scadente dopo un pranzo così estenuante? Questo è davvero oltre il mio limite di sopportazione.  
«Nonostante sia stato difficile mettersi sulla stessa lunghezza d’onda, ho adorato questo pranzo», dico, così da ben disporre i presenti. «Ma io ho davvero bisogno di un Amaro del Capo in questo momento.»
Confido che almeno il liquore sia buono.
«Che?» domanda Leorio.
«Liquore, digestivo, grappa, sakè, ammazzacaffè…» le sparo a caso nella speranza che ne riconosca almeno una.
«Oh, sì sì!» esulta lui, entusiasta all’idea di bere. Finalmente su una cosa ci capiamo. «Ovviamente voi due non potete», indica Gon e Killua.
Io credo che l’alcol sia l’ultimo dei loro problemi. Ma chi sono io per giudicare? In fondo, non sono nemmeno affari miei.
«Io passo, detesto il sapore dell’alcol», dice il biondo.
 
 
Quando si fa sera, devo fare delle ricerche specifiche. Maxine mi aveva già informato del fatto che, senza una regolare licenza di Hunter, la stragrande maggioranza delle informazioni che servono sono inaccessibili. Kurapika e Leorio sono già rincasati e Killua si è chiuso nella sua camera d’albergo a guardare la TV. Gon, stranamente, si offre di aiutarmi. È strano, dopo che l’ho insultato in quel modo ha deciso di aiutarmi.
«Oh!» mi avvisa, mentre lo guido verso il mio albergo. «Non è il caso di usare il tuo computer, dovremmo andare in un internet cafè. Ce ne è uno qui vicino, ci vado sempre con Killua.»
«Perché dovremmo? Ho un contratto satellitare, la mia connessione è veloce.»
Non sentivo parlare di “internet cafè” dal 2001. Da quando scaricavo le canzoni delle Destiny’s Child illegalmente e avevo paura di ritrovarmi virus o materiale pedopornografico sul mio hard disk personale.
«Potrebbero tracciarci per mirare alla licenza. L’ha detto Killua», insiste.
Ed è sempre Killua e mai “il mio analista”.
Queste persone hanno mai sentito parlare di una cosa chiamata “firewall”? Non insisto oltre, ho capito che è tutto inutile. E poi, la licenza è sua e mi sta facendo un grande favore, non mi pare il caso di fare storie. Lo seguo fino all’internet cafè.
All’inserimento della licenza, una marea di schede si aprono. Tiro fuori il mio registro e inizio a scrivere.
«Cosa fai?» si avvicina a pochi centimetri dalla mia faccia e mi ritrovo i suoi enormi occhi color ambra ad occupare il mio intero campo visivo. D’istinto mi allontano.
«Ogni giorno devo trascrivere tutte le mie scoperte su un verbale e mandarlo via fax.»
Non so nemmeno se Gon sappia cosa sia un fax. Nel frattempo, ha digitato delle parole chiave e sono uscite cose. In cima alla lista, c’è il nome di mio padre e la data del volo.
Lo interrompo prima che apra qualsiasi cosa e decido di prepararmi psicologicamente. Scorgo un narghilè posato per qualche motivo su un tavolo vuoto vicino alla parete. È mezzo pieno e ci sono ancora i carboncini un po’ consumati, come se fosse stato utilizzato da poco. Non essendoci nessun altro in sala, lo prendo e lo porto accanto al nostro computer. Faccio partire dalle casse del computer un po’ di Bossa Nova e faccio un tiro, sa di cocco. Noto lo sguardo confuso di Gon mentre suona Tin Tin por Tin Tin di João Gilberto, la cosa mi fa sorridere.
«Apriamo insieme?» mi sorride, capendo che sono abbastanza stressato. Il che è molto strano visto che io non ho dato alcun segno di sconforto. Lo so perché ho il massimo controllo sulle mie microespressioni facciali e sul tono di voce. Se avessi tradito qualche emozione, come ad esempio è capitato a pranzo, me ne sarei accorto.
E poi, perché è così gentile con me? Anche se non è arrabbiato, comunque ci conosciamo da poche ore.
Ma non è il momento adatto per farsi domande. Non sono sicuro di voler sapere cosa abbia trovato Gon cercando su quello strano motore di ricerca. Consapevole del fatto che i dubbi non mi abbandoneranno mai, decido di afferrare il toro per le corna e premo subito il tasto destro del mouse.
C’è un video di quella che sembra una riunione, dove si stava discutendo il caso di mio padre. Ho capito cos’è, si tratta della conferenza in seguito alla sparizione. Quando l’ex legale di mio padre ha cercato di mettersi in contatto con la Azur Corporation (quella che ha fornito la pista di atterraggio per il volo WCS001, nonché il luogo dove sono morti tutti i passeggeri).
All’inizio si è pensato ad un incidente aereo o attentato terroristico, ma sono tutti morti dopo l’atterraggio. L’aereo è stato lasciato intatto, la scatola nera compariva sui radar e il transponder non è mai stato spento. Addirittura, siamo riusciti a farlo rientrare e i controlli non hanno rilevato nulla di anomalo. Anche i corpi sono spariti.
Giro il video per e-mail a Maxine, va catalogato come reperto e depositato in archivio. Metto tutto a verbale, questa è roba grossa. Poi scarico tutto ciò che trovo senza aprirlo e faccio altrettanto. Durante le indagini non è stato rinvenuto nulla di simile, il video della riunione è andato perduto col cambio di gestione e non capisco chi e perché lo abbia pubblicato qui. 
«Come era tuo padre?» mi domanda Gon a bruciapelo, distraendomi da ciò che sto facendo. Ha un tono di voce talmente innocente da non far apparire nemmeno quella domanda come indiscreta. Mi piace questo lato di lui, senza tabù. È quel bambino che urla “il re è nudo”, ma non per metterlo in imbarazzo come farei io, ma perché nella sua ingenuità non ha filtri.
«Problematico», gli rispondo. «Non ho nemmeno pianto al funerale. Questo fa di me una cattiva persona?»
«E allora perché sei qui?»
Nessuna risposta indignata, nessun imbarazzo e nessuna reazione. Semplicemente una domanda legittima. I suoi ragionamenti sono semplici, vanno da A verso B in maniera automatica e fluida.
«Devo chiudere questo cerchio e devo farlo io. Voglio poter tornare a recitare e non saperne più nulla.»
Mi sorride. Ho detto una frase molto egoista, potevo parlare del mondo in pericolo o del senso del dovere, ma ho detto la verità. Eppure, lui, così innocente, mi ha sorriso.
«Ti capisco. Per me è lo stesso con Ging», dice. Quando lo guardo con sguardo interrogativo, specifica. «Ging è mio padre. Lo chiamo per nome, non mi sento a mio agio nel chiamarlo “papà”.»
«Mi sembra il minimo della decenza», gli dico con tono divertito, fingendo di asciugarmi la fronte.
E ride di nuovo, come se ne fosse consapevole anche lui.
«È così strano incontrare persone che vengono da un altro mondo…» commenta.
«Lo stesso vale per me! O siete voi quattro ad essere strani, o siamo completamente diversi e basta. Quando ho saputo di Killua, ero intenzionato a inviare una lettera di lamentele all’ufficio delle Risorse Umane.»
«Com’è il posto in cui vivi?»
«Dici New York? È l’amore della mia vita. Una città splendida dove c’è tutto ed è anche molto bella. È grande almeno dieci volte York Shin City. Piuttosto, tu abiti qui?»
«No. Casa mia è sull’Isola Balena», dice, con un po’ meno trasporto verso la sua terra natale. Ma l’Isola Balena quella che sta in Nuova Zelanda? O è un caso di omonimia? Penso più la seconda. «Ci si fermano dei pescherecci, ha proprio la forma di una balena. Per questo si chiama così.»
Mentre chiacchieriamo devo proprio ringraziarlo, ha alleggerito di molto la tensione. Dalla porta del locale, vedo entrare Killua. Gon lo chiama rompendomi un timpano.
«Come ti chiamavi, tu?» mi fa con tono arrogante. Questo moccioso, invece, è proprio insopportabile.
«Espedito.»
«Troppo difficile, meglio Speedy», ridacchia come per provocarmi.
Vorrei dirgli “ti uccido” ma, sai com’è, non sono propriamente nella posizione di farlo. Mi limito a fargli una smorfia.
«Non farci caso, sbaglia persino il nome di Leorio!»
Vengo distratto dalla notifica sul mio cellulare. Mi è arrivata una mail dalla divisione investigativa. È un verbale sulle ricerche fatte dall’ufficio legale.
«Cos’è la Brigata Fantasma?» chiedo, mentre leggo la mail. Lo dico con noncuranza, il termine “brigata” non mi suscita particolare timore. Questa non l’avevo mai sentita nominare.
«Ti conviene non invischiarti con quella gente», mi avvisa Killua. «Sono pericolosi anche per dei pro-hunter come noi.»
«Sono quelli che hanno ucciso il clan di Kurapika», aggiunge Gon.
«E che ci fanno questi sul mio verbale?!»
Okay, niente panico! È solo un verbale, sono sicuro che in sede legale sarà smentito ogni coinvolgimento.

 


[1] Il circuito PEC, nello specifico, è utilizzato solamente in Italia. Negli USA, invece, esiste la “certified mail” che è su per giù la stessa cosa. Per questo ho pensato fosse giusto “tradurlo” così.

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Capitolo 2
*** Nen: desiderio o necessità? ***


Le Petit Dejeuner

La rassegna mattutina a portata di click!
 
MONDO – Cronaca Nera

WCS003. L’aereo è intatto, i passeggeri scomparsi. Il procuratore: «Siamo pronti ad andare in tribunale»

Domenica, 17 Marzo 2019 – Articolo a cura di Mathieu Bernard
 
I radar hanno finalmente individuato l’aereo scomparso grazie alla sua scatola nera perfettamente intatta. Il gran giurì della settimana scorsa ha giudicato ammissibile un processo contro la Azur Corporation, l’azienda che ha fornito la pista d’atterraggio quel fatidico giorno.
 
Cosa c’è da sapere
Il volo WCS003 era decollato il 3 maggio 2018 dalla base WCS di Albany. La denominazione “WCS003” deriva dal fatto che si tratta del volo preparato per ultimo, quello che trasportava il presidente Petracelli. I voli WCS001 in partenza da Kuala Lumpur con il capitano Bronstein e il WCS002 in partenza da Montreal con la commissaria Buffay sarebbero dovuti partire una settimana dopo, ma sono stati soppressi non appena WCS003 ha smesso di comunicare con la base.
L’aereo ha proseguito regolarmente per oltre 54 ore fino ad arrivare alla pista d’atterraggio – in una regione identificata come “Repubblica di Padokea” – per poi smettere di comunicare con la base.
 
«La scorta avrebbe dovuto chiamare per confermare l’atterraggio» ha detto la commissaria Patricia Buffay alla conferenza stampa tenutasi a Montreal lo scorso giovedì. «La cosa misteriosa è che fino all’ultimo è andato tutto bene. L’aereo non è sparito, è lì fermo e in ottime condizioni. È davvero impossibile figurarsi che fine abbiano fatto i passeggeri.»
 
La situazione interna alla WCS
L’attuale struttura della Worlds Communication Services è divisa in tre dipartimenti: “Gestionale e Servizi Segreti (GSS)”, “Pubbliche Relazioni e Servizi Umanitari (PRSU)” e infine “Ufficio Legale e Squadra Investigativa Speciale (ULSIS)”.
Il GSS è in mano al presidente Espedito Petracelli, il PRSU a Graziina Petrovsky e l’ULSIS a Maxine Parker.
Lo staff è stato completamente rinnovato, se non per alcune eccezioni.
«Ora che tutte le mele marce sono fuori dall’organizzazione, possiamo sul serio parlare di lavoro» ha detto Petracelli alla conferenza di Anversa.
Alle conferenze stampa hanno partecipato anche i leader delle seguenti squadre:
  • Commissione Interna della Coordinazione Speciale (CICS): capitanata da Patricia Buffay, a sua volta facente parte del GSS. È composta da quattro commissari, principalmente procuratori e strateghi politici.
  • Commissione Esterna della Relazione Intercontinentale (CERI): Capitanata da Debora Bianchi (Svizzera), a sua volta facente parte del PRSU. Si tratta di una commissione di otto delegazioni dei diversi servizi segreti di tutto il mondo.
Né l’ULSIS né le squadre investigative hanno preso parte alle conferenze stampa.
 
FOCUS – Chi è Maxine Parker, la super avvocatessa di Telecom Italia
 
Il caso “Azur Corporation”
«Siamo quasi sicuri che la sicurezza dell’equipaggio sia stata violata grazie alla complicità della Azur» ha detto il procuratore Michael Thompson Jr. alla conferenza stampa di Albany.
«Si tratterà quasi sicuramente di un processo in contumacia» ha ribattuto, però, la dottoressa Parker poco dopo essersi insediata. Ha poi detto, senza alcun pelo sulla lingua: «Non abbiamo modo di far costituire la Azur dinanzi alla giuria. Non abbiamo nulla per fare giustizia, questa trovata del procuratore è tutto fumo e niente arrosto.  
 
 
 
 
 

 
 

Capitolo 2

Le ragazze cercano di imparare il Nen.

Nen: Desiderio o necessità?

 
Carte, carte e carte. La pila di documenti sulla mia scrivania aumenta costantemente. Nonostante io lavori come un dannato e alla velocità della luce, non riesco a contrastare questo aumento continuo, così mi sembra di scavare in un buco infinito. Sto subendo un fuoco di saturazione. Ormai la mia routine è “leggi, verbalizza, fax”. Leggi, verbalizza, fax, ufficio archiviazioni. Leggi, verbalizza, fax, ufficio archiviazioni, timbro. Leggi, verbalizza, fax, ufficio archiviazioni, timbro, pistola alla tempia, spara.
Mi chiedo se tutto questo scrivere mi porterà da qualche parte. Ma sono ligio al dovere e finisco il lavoro comunque. La burocrazia è essenziale.
Verso il tardo pomeriggio, io e le ragazze abbiamo un appuntamento per quanto riguarda il discorso “Nen”. Anche quello è tutto un viaggio. Vengono con noi Gon e Killua a intercedere, come si fa per i santi.
Entriamo in un appartamento dal pavimento giallo e le pareti rosa, con dei tappeti asiatici sparsi qui e lì. Ottima strategia di combattimento, perché questo accostamento di colori è un pugno in entrambi gli occhi.
«Gon! Killua!» un tizio alto, dai capelli neri e con gli occhiali li accoglie. Sembra uscito dal peggior film indipendente giapponese, nel tipico ruolo di impiegato frustrato che poi diventa un criminale o un puttaniere. E la camicia non sa mettersela nei pantaloni.
«Da quanto tempo, signor Wing!» esclama Gon. «Questi sono i miei amici dell’altro mondo.»
«E speriamo che dopo ci sia il camposanto», ironizzo, prima di presentarmi adeguatamente.
«Credo di aver capito. Quel continente che è stato scoperto da poco, giusto?» ci chiede lui.
Ci sediamo tutti di fronte a lui, mentre porta al centro della stanza una lavagna. Io, Maxine e Graziina ci disponiamo su un divano bianco posto al centro della parete. Gon e Killua sono seduti per terra alla nostra destra.
Poi, entra in stanza un ragazzino in tenuta da karate. Vedo che qui i bambini tutto fanno tranne essere bambini. 
«Lui è Zushi, il mio migliore allievo», lo presenta Wing.
«Abbiamo trovato il sosia di Topo Gigio», rido. Il piccoletto sembra offeso. «Scusa, è che proprio non riesco…» dico, soffocandomi dalle risate.
«Non dargli ascolto, è odioso», borbotta Killua.
«Osu!» dice lui, inchinandosi. Inizialmente non ci faccio caso, ma poi noto che lo fa ripetutamente, più o meno ad ogni respiro.
«E questo cos’ha?» mi sussurra Maxine, che sta già roteando gli occhi.
«Credo che abbia il singhiozzo», le rispondo io, stavolta ad alta voce. Tiro fuori dalla mia borsa un antipsicotico e glielo porgo. «Ti serve? È per il singhiozzo!»
«Io non ho il singhiozzo», dice. Questo significa che dovrò sorbirmi quel verso per tutta la serata?
«Sicuro che non vuoi comunque un antipsicotico?» gli chiedo, beccandomi un pugno alla gamba da parte di Killua.
Che ci posso fare se, quando vedo una persona perfetta da bullizzare, non ci penso due volte a farlo?
Quando il professore inizia a parlare, Maxine sta prendendo appunti meticolosamente per tutte e tre. Le gioie dell’avere una compagna di studio. Ci sono strani caratteri e grafici sulla lavagna, poi una “mappa” del corpo umano accanto.
«Per apprendere la strada del Nen, dovete temprare la vostra mente e il vostro spirito prima di tutto…»
«Madre di Dio», sussurro alle altre, causando una risatina generale.
Quando entrano in gioco i concetti di Ten, Ren, Zetsu e Hatsu, il mio cervello inizia a liquefarsi. Tutte e tre guardiamo il professore con sguardi alquanto confusi, inclinando la testa per seguire gli schemi alla lavagna. Gon e Killua, rilassati, ci fissano con sadica soddisfazione.
«Quindi per nascondere la propria presenza si chiudono gli Shouko», dice Maxine, l’unica che sta capendo qualcosa.
«Fin qui ci siamo, ma come si chiudono?» chiedo io.
«Adesso vi do una dimostrazione pratica», il professore si sistema i capelli e si avvicina a noi. Gon e Killua scattano già sulla difensiva.
Sento una fortissima botta allo stomaco e inizio a sudare freddo. Percepisco una sorta di energia negativa che mi fa scattare sull’attenti. Mi viene da prendere tutto e andarmene correndo lontano da qui.
«Ma tu hai capito qualcosa?» mormora Graziina verso di me.
«Mi sento in imbarazzo e non so perché», dice Maxine, ancora assorta a guardare.
«Vi ho scagliato addosso un intento maligno», spiega. Questo potevo capirlo da solo, il punto è come?
«Andiamo a pregare la Madonnina per togliercelo», scherza sottovoce Maxine, facendoci soffocare per trattenere le risate.
«Il Ten è la prima cosa che vi serve per rilasciare l’aura…» come se non sentisse ciò che diciamo, il professore continua a parlare voltato di spalle mentre aggiunge altre cose alla lavagna. «Concentrarsi sulla radice dell’aura…»
«Radice?!» Credo di essermi perso un passaggio ma questa è troppo divertente.
«Poi c’è la tecnica dello Shu. Una versione avanzata del Ten e consiste nell’estendere l’aura a un oggetto. Come se diventasse un’estensione del corpo», Wing spiega e Maxine riesce perfettamente ad appuntare ogni cosa. Io sono ancora alquanto confuso.
«Ma vale anche per il sesso?» ci sussurra Graziina in maniera genuina, stimolata dalla curiosità.
Né io né Maxine riusciamo a risponderle seriamente, non riuscendo più a trattenere le risate. Abbiamo contagiato Gon, che per una risatina si è appena preso un pugno al fianco da Killua.
«Le persone che stanno ridendo possono ricomporsi? Grazie», ci redarguisce il maestro facendoci cadere in un imbarazzante silenzio.
Dopo circa mezz’ora, con lo sguardo assorto che si ha di fronte a un incidente d’auto, stiamo ancora seguendo il maestro Wing che ci illustra il modo in cui si sarebbero dovuti aprire gli Shouko.
«Per aprirli da soli, è necessario un tempo che dipende dal vostro talento», precisa.
«Mi ci vorrà una vita», penso ad alta voce.
«Io quasi quasi non ci provo proprio», sbuffa la rossa.
«Ma come vi viene in mente di parlare così?» Graziina ci sgrida. «Siamo arrivate fin qui, siamo forti e siamo brave. Rimettetevi in piedi, ragazze!»
«Ho la cervicale», le rispondo scherzosamente, non nascondendo che le sue parole mi abbiano esortato parecchio. Anche Maxine è visibilmente rinvigorita.
«Oppure, potete farlo mediante un intervento esterno!» aggiunge il professore. Oh, questo è bello. Quindi c’è speranza anche per me? «Ma dovremmo discutere se sia giusto farlo.»
«Veda, non per essere il tipico allievo impaziente e arrogante. Conosco il cliché dei film, del resto io i film li faccio. Per farla breve, è una tipologia di personalità che sta antipatica anche a me. Il punto è che a noi manca proprio il tempo, materialmente», provo a spiegargli, stavolta con educazione.
«Ci servirà solo per la missione», aggiunge Graziina. «Non siamo interessati né a diventare Hunter né cose del genere.»
«Vediamo cosa posso fare…» dice lui, mettendosi una mano sul mento. «Sedetevi in piedi!»
«Eh?! Ha bevuto qualcosa che le ha fatto male?» faccio io, confuso.
«Su, andiamo, avete capito!»
Ci alziamo in piedi e ci disponiamo di fronte a lui. Decide di iniziare da me, facendomi mettere di spalle. Non so che sortilegio si sia messo a fare ma in un lampo vengo scosso da una sensazione fortissima che mai ho provato prima. Come se qualcosa stesse uscendo violentemente dal mio corpo. Per qualche secondo, non ci vedo più e sento un rumore bianco in sottofondo. Quando la sensazione si attenua, riprendo lucidità e cerco di capire cosa stia succedendo.
«Adesso proviamo a fare una cosa», dice il maestro dopo aver fatto lo stesso con Graziina e Maxine.
Zushi porta un tavolino con le rotelle sul quale è poggiato un bicchiere riempito d’acqua e con una foglia lasciata lì a galleggiare. È arrivato il momento di una sorta di test. Gon e Killua, adesso, ci fissano con gli occhi pieni di interesse. È evidente che siamo giunti a un momento chiave di questa strana esperienza.
«Userete l’hatsu», dice.
«L’hatsu qual era?» chiedo sottovoce a Maxine, nel panico.
«Semplice rilascio dell’aura su un oggetto», mi sussurra lei.
Ad aprire le danze è Maxine, si avvicina al bicchiere e dispone le mani intorno. Ricordandosi la spiegazione, riesce a rilasciare dell’aura e a concentrarsi sul suo obbiettivo. Un leggero movimento spinge la foglia a muoversi da una parte all’altra del bicchiere. Appena abbassa lo sguardo per vedere cosa stia succedendo, salta indietro per lo spavento.
«Complimenti, sei della Manipolazione!» le spiega Wing, mentre la rossa sta ancora recuperando qualche battito.
«Anch’io! Anch’io!» come una bambina, Graziina si lancia subito verso il tavolino, impaziente di provare. «Come devo mettere le mani?» dice, facendo sussultare il maestro.
Iniziamo benissimo.
Appena capisce cosa fare, la mora rilascia la sua aura intorno al bicchiere. Quando abbassa lo sguardo, nota che il livello dell’acqua sta aumentando fino a strabordare.
«Che significa?» domanda lei, stupita da quell’effetto.
«Che sei del Potenziamento», la informa il maestro.
«Evviva!» sento Gon urlare da dietro. «Siamo della stessa categoria!» il piccolo sembra molto felice della cosa. Killua, invece, è diventato particolarmente inacidito all’idea e si volta dall’altra parte.
È il mio turno. Mi appropinquo lentamente a quel tavolino con le palpitazioni, anche se riesco a nascondere la cosa. Mi tremano le mani, chissà cosa succederà!
Non so bene in che modo si liberi l’aura, mi limito a procedere di istinto. Mi concentro sull’acqua nel bicchiere e, a poco a poco, sento nuovamente quel senso di flusso nel mio corpo. Vedo un leggero movimento nell’acqua. Sarò della manipolazione anche io? Inaspettatamente, nel giro di qualche secondo, la foglia prende fuoco e il bicchiere si rompe scagliando pezzi alla velocità della luce. Se non fosse stato per i miei riflessi fuori dal comune, mi sarei tagliato le mani e sfregiato in volto. Questo esito ha stupito tutti i presenti, persino Gon e Killua.
«A quanto pare…» il maestro a stento riesce a parlare. «Sei della Specializzazione. Nessuno dei tipi che abbiamo citato prima.»
Avevo dato per scontato che non sarei riuscito ad accaparrarmi nulla se non qualche potere da quattro soldi; invece, sono di una categoria rara e particolare. Assurdo!
«Io sono raro e particolare», esulto, anche se non so esattamente cosa significhi il tutto.
 
La lezione si è rivelata un vero parto. Sono le otto di sera e siamo entrati qui alle tre. Adesso basta, ho bisogno di un cocktail. Siamo per strada sotto la casa di Wing mentre mi viene in mente una cosa.
«Oggi è sabato!» realizzo gioiosamente.
«E quindi?» Killua risponde seccato.
«Non dirmi che hai intenzione di restare in camera!» gli dice Graziina.
«Ti sembro il tipo che si preoccupa del sabato sera?» ci risponde in maniera provocatoria. «Io passo, preferisco guardare un po’ di televisione o giocare a qualcosa. Andiamo, Gon», lo chiama, ma il moro sembra opporre qualche resistenza.
«Io vorrei camminare un po’!» gli dice, facendogli gli occhioni. «Non ti vuoi unire?»
«Non sono interessato», l’altro diventa improvvisamente scontroso, avviandosi per tornare a casa.
 
Gon torna in camera con Killua per prepararsi, noi facciamo altrettanto.
Ma nel frattempo, nella camera d’albergo dei due ragazzini, il moro è impegnato a lavarsi e il ragazzo dai capelli bianchi sta girando i canali alla ricerca di qualcosa di interessante da guardare. Appena uscito dal bagno, però, Gon si rende conto che qualcosa non va nell’altro. Non è tanto il fatto che Killua sia andato a letto così presto, nonostante sia molto un tipo da ore piccole può capitare quando ci si stanca molto. Il problema, appunto, è un altro: il fatto che sia stato così silenzioso per tutto il tragitto.
«Va tutto bene?» gli chiede Gon, avvicinandosi al letto dove Killua è disteso a pancia in giù.
«Uh?» si volta, guardando gli occhi color ambra dell’altro. «Niente che non vada. Semplicemente, non sono molto in vena.»
«Vuoi che resti qui con te? Guarda che chiamo subito Graziina e le dico di andare da senza di me…» propone Gon.
«Ma no! Goditi l’uscita!»
«Il mio numero lo hai!» esclama il moro mentre si infila una maglietta nera da abbinare al jeans. «Chiamami per qualsiasi evenienza.»
«Gon.» Lo ferma improvvisamente mentre ha già aperto la porta. Il moro si volta a guardarlo, chiedendosi cosa Killua voglia dirgli. «Fai attenzione.»
 
Pochi attimi dopo, l’autista ci fa accostare sotto l’albergo di Gon. Lo vediamo subito all’ingresso a chiamarci in maniera molto animata. Appena lo facciamo salire, partiamo per il centro per esplorare un po’ la vita notturna da queste parti.
«Che macchina spaziosa!» dice il moretto, spalmandosi sul suo sedile come se non fosse mai stato in nessun tipo di automobile. Graziina ride di gusto.
Entriamo in un locale con un’atmosfera particolarmente retrò, ma è molto movimentato. Nello specifico, c’è della musica disco stile anni Settanta. Prendiamo un tavolino al centro della sala, così da poter dominare la vista e poter vedere tutte le persone che ci sono.
«Guarda, guarda!» mi sussurra Maxine, indicando un tavolino verso l’angolo.
Vedo che la sua caccia è già iniziata, andiamo bene!
Mentre Gon si siede al nostro tavolo, noi tre ci disponiamo in piedi con Graziina al centro e guardiamo tutte dove la rossa ci ha indicato. È una figura incappucciata con metà viso coperta da uno scaldacollo. Ha i capelli neri e rizzi, sembrano aculei di un porcospino. Quando si abbassa lo scaldacollo per consumare un drink, notiamo che ha anche un viso abbastanza carino.
«Non è male!» mi sussurra Graziina.
«Già, è proprio carino», aggiunge Maxine.
«Non posso darvi torto, è davvero carino. Quasi quasi vedo se mi offre un drink», ho già gli occhi a cuoricino. «Che cosa sappiamo?»
«Non è registrato da nessuna parte, proviene sicuramente da Meteor City. Diverse fonti sostengono che la Brigata si sia originata lì», mi spiega Graziina, assicurandosi di non farsi sentire.
«La stampa non ne parla, abbiamo recuperato qualche fonte sul sito degli Hunter e poi, in ufficio, analizzato le immagini satellitari. Meteor City è un’enorme discarica di detriti abitata da un numero incalcolabile di persone che per la società non esistono. Non c’è assistenza di alcun tipo, né governo, non sono coperti da alcun tipo di servizio. Ho provato a triangolare i ripetitori e da quelle parti non c’è segnale», mi aspettavo da Maxine una spiegazione così dettagliata. Fortunatamente, non mi delude mai.
«Da queste parti, le istituzioni sono completamente inutili. Lasciano che si formino dei non-luoghi così e poi si lamentano della criminalità. E noi che ci lamentiamo dei nostri…» osserva Graziina, girandosi verso di me. «L’intelligence sconsiglia ogni intervento diretto a Meteor City.»
«Mi pare ovvio. C’è stato un momento in cui avete seriamente considerato di fare una cosa simile?»
Ci guardiamo tra noi e scoppiamo a ridere subito dopo.
«Sarà gay o etero?» si domanda Graziina.
Mi sforzo un attimo di guardare nella sua direzione. Preparo lo sguardo da gatta morta caso mai dovesse notarmi, così da non fargli capire che sto cercando di spiarlo. Vedo qualche movimento e poi faccio caso ai vestiti.
«Gay», affermo con sicurezza. «Vorrà dire che vado io.»
«Cosa pensi di fare?» mi tira Maxine, divertita.
«Analizzo il linguaggio del corpo. Voglio vederlo da vicino», le spiego.
Sono sicuro di me. Nessun uomo mi dice mai di no e nessuno lo ha mai fatto. Nemmeno quelli eterosessuali.
Faccio un piccolo check: indosso una camicetta crop-top bordeaux, dei pantaloni neri larghi di seta pieni di brillantini, un berretto francese in testa e ho viso e capelli perfettamente in ordine. Questa volta, però, è tutto Valentino. Raramente tradisco Dior, speriamo che il karma non mi faccia morire adesso. Sbottono un po’ i primi due bottoni della camicetta e decido che posso avvicinarmi. Oh, male che vada, prima di uccidermi mi scopa.
Appena mi volto per guardare nuovamente verso il tavolo, noto che lui è sparito. Ho distolto lo sguardo solo per due secondi mentalmente cronometrati, è assurdo che si sia volatilizzato così. Infatti, una cameriera accorre e sbuffa accennando a qualche bestemmia. Si sta lamentando del fatto che se ne sia andato senza pagare.
Mi avvicino alle ragazze, con aria sconfitta, trovando solo Graziina seduta al tavolo e Maxine in piedi a fissare la folla che balla in fondo alla sala.
«Sparito prima ancora che io potessi avvicinarmi», le dico.
«Ma come?», mi domanda la mora.
«Aveva l’En attivo, probabilmente», spiega Maxine. «Ma è improbabile che abbia capito che si tratti di noi. Ti ho visto mentre lo guardavi, sembrava davvero che tu volessi provarci. Reciti bene!»
Eh già, recito proprio bene!
«Scusa, ma Gon quanti cocktail ha bevuto?» provo a non ridere guardando una certa situazione vicino alle casse.
«Un paio, perché?» risponde Graziina, che non sta vedendo la scena.
Così, con un ghigno sulla faccia, indico il moretto che balla in mezzo alla folla divertita. Qualcuno ha fatto mettere la canzone Doctor’s Orders di Carol Douglas. Deve essere stata Graziina, perché questa è la sua canzone preferita. Noto che alle persone del posto è piaciuta.
 
Tornando verso le nostre ubicazioni, io e le ragazze sembriamo aver retto bene, mentre Gon è definitivamente partito. Scesi dal taxi ed entrati nel cortile del suo albergo, ci sediamo su una panchina per farlo calmare.
«Tesoro, copriti! Fa freddo!» gli raccomanda Graziina, mentre il piccolo corre per il cortile urlando. «Vado io o vai tu?» domanda poi a me.
«Io l’ho trascinato fin qui, adesso vai tu!» le rispondo io.
Per Maxine, invece, è fuori discussione a prescindere da tutto.
Graziina si avvicina a Gon e gli prende le braccia delicatamente per calmarlo, guardandolo negli occhi. Lui ondeggia con le braccia, come se volesse ancora ballare, mentre lei per un po’ lo asseconda.
«Sei così gentile…» mormora Gon.
«Non preoccuparti, sai quante volte ho trovato Espedito così, la sera?» Graziina alza la voce e si volta a guardarmi, mentre io le faccio la linguaccia.
«Tu hai strisciato per tutta Park Avenue e hai perso anche le chiavi di casa!» le ricordo. 
 
Aiutiamo Gon a entrare in camera mentre Graziina gli tiene la bocca tappata per evitare che svegli qualcuno. Lo lasciamo sull’uscio della porta, tornando poi nel nostro albergo.
Mentre noi rientriamo, Gon deve fare i conti col suo esigente compagno di stanza.
«Hai idea di che ore sono?» sbotta Killua, seccato, quando il moro è già sul suo letto.
«Ho tardato un po’, scusami. Stai meglio?» l’altro, ubriaco, si mangia le parole.
«Ma che hai?» il ragazzo dai capelli argentati si avvicina con sguardo indagatore. «Ma tu sei ubriaco!»
«Solo un pochino», dice Gon tra un singhiozzo e l’altro, facendo un sorriso ebete. Poco dopo, sente una forte sensazione di dolore alla guancia destra, distogliendo velocemente lo sguardo dagli occhi preoccupati dell’amico.
«Mi è scappato», borbotta questi, per poi tornare a letto.

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Capitolo 3
*** Diritto al caffè ***


Capitolo 3

Illumi e Hisoka disturbano la colazione di Espedito.

Diritto al caffè

Ero con mia madre nel nostro salotto di casa mentre il nostro avvocato ci faceva delle domande. Il cortile era assediato dalla stampa ogni giorno tutti i giorni, non potevamo uscire. Nonostante tutto, nessuno di noi due piangeva. Eravamo lì, con le nostre emozioni spente e nei nostri abiti migliori mentre ci chiedevano cose dolorose e scattavano foto senza preavviso.
«Come ha saputo dello scandalo che ha coinvolto suo padre?» domandò a me l’uomo incravattato, senza andarci per il sottile.
«Mentre lavoravo, l’ho sentito dalla CNBC», risposi sinceramente. Notai il suo sguardo interrogativo, come se stessi parlando una lingua che non conosce. «Io e mio padre non parliamo molto, ero a New York e sono sempre pieno di lavoro, io.»
«No, capisco! È che non possiamo smentire in tribunale il fatto che suo padre ha mentito, ma dobbiamo far capire che l’ha fatto nel tentativo di nascondere la sua relazione extraconiugale alla famiglia, non per nascondere… lo sa», mi spiegava facendomi dei gesti come se stesse parlando a un bambino.
A quel punto, mi sentii esplodere la testa e feci per andarmene dal salotto. Era troppo per me.
«Dove vai?» mi richiamò mia madre.
«A fare un bagno caldo. Se tu vuoi gettare ciò che resta della tua dignità così, non posso più fermarti. Ma io non ce la faccio, questo è davvero…» non finii la frase e mi diressi subito sulle scale.
Non capivo perché dovessi rendermi complice delle faccende losche di mio padre. Ero troppo ferito da tutto. Anche se non abbiamo mai avuto un buon rapporto, mai in vita mia avevo messo in dubbio che fosse una persona perbene.
«Ti senti meglio?» mia madre mi raggiunse nella mia stanza. Risposi facendo cenno di no. «Papà ha chiesto perché non vai a trovarlo in carcere. Dice che lo rilasceranno presto…»
«Mamma!» non riuscii a non urlare. «Quell’uomo ci ha dato in pasto ai media. Ha messo a repentaglio la mia carriera, ha umiliato te come donna e potrebbe lasciarci senza un soldo. Non ha pensato alla sua famiglia mentre compiva tutti quegli abusi d’ufficio. Solo a pensare allo sfruttamento, alle escort che giravano, a quante altre cose sono successe e sono state insabbiate… come fai ad avere così poco rispetto per te stessa?»
«Lo faccio perché voglio proteggere te», disse lei. «Io ho preparato già le carte del divorzio. Fosse per me, sarei già andata via da un pezzo. Ma devo preservare quel poco che resta della nostra reputazione. Siamo una famiglia rispettabile e prima che si distrugga dobbiamo far finta che non è successo nulla. Per questo, la gente deve sapere che tuo padre è innocente. Poi, tu tornerai a New York e io andrò a stare per un po’ dai nonni a Monte Carlo.»
 
~~~
 
Le sei e mezza della domenica mattina in ufficio, perché io un po’ mi odio. Devo recuperare il lavoro arretrato. Mi pento con tutto me stesso di essere stato a zonzo ieri. Mi sono svegliato con la voce squillante di Maxine nella stanza accanto che sta intrattenendo dalle cinque del mattino una telefonata molto animata con l’ufficio del procuratore. Qualcosa mi dice che lavorare lì non le manchi per nulla.
«Usciamo a fare indagini», improvvisamente Graziina mi tira via dalla scrivania.
«E su cosa?» le domando, destabilizzato.
«Abbiamo preso l’associazione Hunter ma non abbiamo considerato i privati», mi spiega, tirando fuori un suo fascicoletto. «Questa città è in mano alle mafie, non c’è un’azienda che non sia infognata in cose del genere. Indovina un po’ chi si è fatto vivo?»
Graziina mi pone in mano un registro, indicandomi un punto preciso.
«Azur Corporation? Stai scherzando?» per poco non urlo dallo stupore. «Gli stessi che un anno fa si sono resi irrintracciabili?»
«Beh, a quella distanza e senza ambasciate né accordi internazionali diventa facile coprire la fogna», dice lei, avendo pure ragione. «A noi serve un caso, questo è perfetto. Raccoglieremo informazioni per far iscrivere il reato nel registro del procuratore.»
«Frena, sorella», la richiamo. «C’è già stata un’indagine contro la Azur e il reato è stato fatto cadere in prescrizione. Cosa ti fa pensare che riapriranno il caso?»
«Lo so», ridacchia lei. «Ma quello era un processo civile, io credo ci siano gli estremi per aprirne uno penale.»
«Ti sei svegliata con molta fantasia, oggi», rido un po’ anche io. «Per queste cose dovremmo affidarci a Maxine, non credi?»
«Di cosa dovete parlarmi?» la rossa ci incrocia nel corridoio, facendomi sobbalzare.
«Azur Corporation», saltella Graziina tutta concitata.
Ci sediamo nell’ufficio di Maxine, mentre Graziina inizia a mostrare la relazione che la divisione “Servizi Umanitari” del suo dipartimento, composta da criptoanalisti e diplomatici, ha fatto sulla presenza delle mafie a York Shin City.
«Ma è peggio di Tijuana», esclama Maxine, scioccata.
«L’asta è un evento annuale che attira le mafie di tutto il continente. Ne fanno anche una a porte chiuse, probabilmente per la tipologia di beni venduti. Ogni anno, secondo lo studio del dipartimento, il tasso di crimini commessi aumenta dieci volte rispetto al resto dell’anno.»
«E la Azur come si colloca in tutto ciò?» le chiedo, super interessato alla cosa.
«Non lo so, speravo me lo diceste voi», risponde lei, con uno sguardo colpevole e un sorriso ebete.
«Avevi trovato il loro nome su un registro, ci dici almeno cos’era?»
«Ah già! Me ne ero dimenticata», dice tirando fuori quel documento, mentre io e Maxine ci stiamo facendo grasse risate. «Queste sono le presenze ad un’asta di una settimana fa.»
«E come l’hai avuto?» la rossa, scioccata, lo legge scrupolosamente.
Conosciamo già la risposta a quella domanda, tant’è che ci guardiamo tra noi e con un ghigno esclamiamo all’unisono: «Cablegate!».
«Beh, finché non mettono il naso nei fatti nostri, la diffusione dei cablogrammi non mi dispiace», dico ridendo.
 
Verso le otto del mattino, decido che è ora di prendere un caffè. Ho bisogno di fare due passi, perciò vado a prendermene uno al bar e poi li prendo da asporto per le altre. Mi fermo a un bar non molto lontano dall’ufficio, situato allo sbocco della strada sulla piazza centrale.
Sotto al tendone del bar, vedo da lontano delle facce familiari che hanno avuto la mia stessa idea, tutte sedute a un tavolo.
«Buongiorno!» Mi avvicino amichevolmente e faccio loro un saluto. «Dormito bene?»
Kurapika e Killua annuiscono sorridenti, Leorio ha qualche dubbio mentre fissa Gon. «Questa mattina lo abbiamo trovato così», dice.
Ops.
«Ne ha bevuti solo un paio, io ero in giro», spiego, mentre prendo posto accanto a loro. Killua mi sta fissando malissimo. «Oh, c’è Hisoka», noto con tono scocciato, mentre vedo due figure avvicinarsi dall’altro bordo della piazza. Riconosco Hisoka ma l’altro tipo non so chi sia, sono entrambi molto strani.
Prima del caffè, è una dose decisamente eccessiva.
«Come fai a conoscere Hisoka?» domanda Gon, improvvisamente rinsavito.
«Come fate voi a conoscerlo!» domando ridendo. «Hisoka è un “caro amico” dell’organizzazione, era un sospettato e quando è stata aperta la prima inchiesta fu uno dei primi a collaborare presentandosi alle deposizioni. Il problema è che si metteva a parlare allegramente dei cazzi suoi per un’ora di fila e gli investigatori erano troppo impauriti anche solo per dirgli che i dettagli sul potere “bungee gum” sono irrilevanti ai fini del caso. Diciamo che ci tiene compagnia, ma è molto fastidioso e vorrei non vederlo anche fuori dal lavoro.»
«Cosa ci fanno insieme delle persone che mai avrei pensato che si conoscessero?» pochi minuti dopo, il clown è già vicino al tavolo e tutti sembrano irrigidirsi. Io no, mi preoccupo solo di fingere che la sua presenza non mi annoi a morte.
«Stavo proprio dicendo loro di quanto sei stato di “compagnia” durante le indagini preliminari. Hai intenzione di venirci a trovare fino all’arringa finale?» gli sorrido freddo e con un po’ di sarcasmo.
«Ho trovato altri hobby da allora, ma quando posso…»
«È lui il tuo nuovo hobby?» indico il ragazzo silenzioso che è a fianco a lui. Ha i capelli neri e lunghi, sembrano quelli di Graziina ma chiaramente non vedono una maschera o un qualsiasi tipo di trattamento da almeno vent’anni. Il suo viso ha una forma strana, lunga e appuntita e anche gli occhi sembrano due bottoni neri come la pece. Che scorfano! «Non capisco perché ci voglia così tanto ad avere un caffè», borbotto dopo, distogliendo lo sguardo, pensando alla lentezza del cameriere. Tutti al tavolo sembrano spaventati e mi guardano straniti per il mio normalissimo atteggiamento. Killua in particolare sta sudando freddo alla vista dello scorfano.
«Stiamo lavorando», specifica lo scorfano, con aria scocciata.
«Bello il vostro lavoro!» scoppio a ridere, con una punta di invidia nella mia voce.
«Sei molto presuntuoso», continua lui.
«Lo dici adesso? Se passa un altro minuto in cui non ho un caffè in mano, vedrai la mia trasformazione.»
È chiaro che io non stia capendo qualcosa che c’è sotto e che il mio comportamento sia, a quanto pare, molto spericolato. Mi stanno guardando tutti con aria terrorizzata.
«Ti rendi conto che se continui così morirai sul posto?» mi sussurra Leorio.
So che è serio e adesso sono preoccupato, ma non tradisco nemmeno una goccia di spavento.
«Posso essere ammazzato dopo il caffè?» domando loro.
Killua, nonostante il terrore che prova e lo sguardo sottomesso, riesce comunque ad imbarazzarsi e mettersi una mano sulla fronte. Mi alzo con nonchalance per andare in bagno. Gon, istintivamente, si alza e mi segue fino a dentro il locale.
«Quello che sta con Hisoka è il fratello di Killua!» mi sussurra, tutto spaventato.
«Giura!»
«Lo giuro!» si mette una mano sul petto.
«Era un modo di dire…» mi viene da ridere e piangere contemporaneamente. «E non si salutano?»
«Illumi vuole mangiargli il cervello e portarselo a casa per fargli continuare l’attività di famiglia», mi spiega.
Non dovrei ridere, ma il modo in cui lo spiega è troppo divertente.
Appena usciamo dal bar, l’ultima cosa che vedo è Illumi sussurrare qualcosa al fratello minore. Non so cosa gli stia dicendo, ma lo sguardo di Killua è un qualcosa che mi rimarrà impresso per giorni. Di Hisoka, invece, non c’è più traccia.
Nel frattempo, anche Graziina e Maxine si sono presentate qui al bar per cercarmi, trovando una scena che non si aspettavano.
«Te lo dissi tempo fa e ancora non l’hai capito, Kil. La tua vocazione è quella di essere un assassino, non puoi essere un hunter. Nel tuo cuore c’è solo oscurità, ti prosciuga di ogni desiderio. È come ti abbiamo plasmato io e papà», ripete poi il fratello maggiore, alzando la voce questa volta.
Killua sembra diventato una bambola di porcellana. È lì a fissare il fratello con occhi spenti e sembra essersi completamente arreso al suo potere. Riesco a sentire la rabbia di Gon, qui a fianco a me, che vorrebbe saltargli addosso. Maxine guarda la scena con distacco, si sente impotente e completamente aliena al tutto. Graziina non so cosa stia pensando. Nel silenzio generale, faccio un sorriso e guardo Kurapika e Leorio seduti alla mia destra.
«Il tuo cammino, che sia lungo o corto, finirà in questo modo. Cerca di non dimenticarlo, Kil», afferma Illumi, con una sicurezza tale che non mi spiego.
«Ma vedi tu se si può dire a quest’ora del giorno “lungo o corto”», borbotto in disparte, rompendo il silenzio che dominava questo lato dell’edificio.
«No! Non osare!» Killua, da che era completamente spento davanti al fratello, si attiva immediatamente per zittirmi.
«Questo è indicativo», continuo a parlare come se nulla fosse. «Questa è proprio frustrazione sessuale.» Sto gongolando da solo per la sceneggiata che ho messo in piedi. «Non so a chi pensi mentre dici queste cose. Magari ad Hisoka che è appena uscito da qua, avete visto come lo scorfano si è illuminato in viso…»
«Non approfittarti del fatto che sono impegnato qui con mio fratello, perché vengo da te prima che tu possa parlare ancora», mi minaccia Illumi, alquanto irritato dalle mie parole.
«Intendeva il tempo… lungo o corto», balbetta Leorio, spaventato e imbarazzato allo stesso tempo.
Nonostante le occhiatacce, l’atmosfera è improvvisamente diventata più leggera. Sono riuscito nel mio intento, la situazione era troppo insostenibile per me.
«Però, povero Killua, deve essere dura», sussurra Graziina, affranta dalla scena a cui stiamo assistendo.
«Scusatemi», ridacchia Maxine voltandosi dall’altra parte. «Meglio che non ripeto cosa ha detto Graziina.»
«Graziina sta dicendo “è duro!”. Ma che cosa è duro? Spiega», chiedo ad alta voce mentre la mora, imbarazzata, mi tira il braccio per farmi stare zitto.
«È dura, ho detto!» urla lei, accasciandosi a terra dalle risate.
«Vi prego, basta!» Killua ci urla contro, anche se noto la sua espressione più rilassata.
«Oggi non lo so, è una giornata hard!» concludo, riprendendo il mio posto e cercando di tornare composto.
«Non si riesce a restare seri per un minuto con te», mi dice Gon, ridendo sotto i baffi. «Grazie», sussurra poi, con un tono di voce così basso che lo capisco solo dal labiale.
Kurapika e Leorio, disposti di lato, non dicono una parola ma stanno fissando il pavimento imbarazzati. Il secondo, però, sta ridendo di nascosto da un bel po’. Killua, scioccato dall’accaduto, si allontana e si rinchiude in bagno ignorando i richiami del fratello. Mi domando perché quei due pagliacci dovessero presentarsi proprio all’ora del caffè mattutino, come se il tutto non fosse abbastanza stressante di suo.
Di morire per mano loro, in realtà, non mi interessa. Se non mi ammazzano loro, lo farà qualcun altro nel giro di poco tempo.
Mentre Illumi cerca di entrare, lo fermo alzando amichevolmente la mano.
«Costava tanto aspettare che prendessi il caffè?» gli dico.
«Togliti di mezzo.»
Alla risposta di lui, una mano mi tira via per farmi sedere. Lui, incattivito, continua a fissarmi. 
«Espedito, il caffè!» urla Graziina, dandomi la mia tanto agognata tazzina di espresso.
«Scusate», alzo la mano interrompendo tutti per berlo. «Il caffè prima di tutto.»
«Mi dici che cosa vuoi?» ribatte Illumi. «Questa è una questione di famiglia. Non hai idea di cosa stia succedendo davvero. Stanne fuori, perché questi non sono affari tuoi.»
«E questa è una questione del mio buon inizio di giornata. Sto parlando dell’inalienabile diritto al caffè delle otto di mattina. Tu l’hai rovinato quindi sì, sono affari miei», le risposte che sto dando rendono la situazione talmente surreale che chiunque intorno a me non sa se ridere, avere paura o provare genuino imbarazzo.
«Ha detto che non ti vuole parlare», gli dice Gon con fare minaccioso, al suo ennesimo tentativo di entrare nel bar.
«E io ho detto che voglio parlare con mio fratello», Illumi si avvicina a lui con aria intimidatoria.
Sfortunatamente, a me non interessa.
«No, ragazzi. Questo è un complotto contro di me!» sbuffo, pronto ad alzarmi per fare una cacciata. Tutti stanno cercando inutilmente di dissuadermi dal parlare oltre. «Adesso la dico proprio come mi sento di dirla. Come mi esce, mi esce.»
«Per piacere, fermati ora», Leorio ha un’aria spaventatissima e per poco non mi salta addosso.
«Ma se Killua non ti vuole parlare, perché te la prendi con noi? Ma secondo la tua mente malata puoi mai farti volere bene da qualcuno con quello che dici e quello che fai? Ma accendi il cervello e ragiona, ma che ti sei messo in testa? Tu sei “Gon Due La Vendetta”!» urlo da seduto e gesticolo come non mai. Devo dire che fare polemica nei momenti meno opportuni mi diverte. Mi aiuta a gestire lo stress.
Quando lo scorfano perde finalmente la pazienza, materializza delle spille sua mano. Gon si para tra noi due per difendermi. Dire che sono sorpreso da questa cosa è un eufemismo. Nonostante ciò, Illumi non si ferma e dirotta la sua aggressività sul ragazzo dai capelli a porcospino.
«Fermati», Hisoka, che a quanto pare è tornato a trovarci, lo interrompe tempestivamente.
«Sono davvero fastidiosi», gli risponde, facendo sparire le spille.
«Ti ho detto che non devi intralciarmi almeno un milione di volte», Hisoka sembra tenergli il muso, adirato come non mai. Ma di cosa sta parlando? Mi viene da ridere.
«Non era lui il mio target, si è solo messo di mezzo. E comunque, non è successo niente», si giustifica lo scorfano.
Nel frattempo, io e Graziina stiamo ridendo come due papere e ci sussurriamo aumentando progressivamente il tono di voce.
«Perché io… fate silenzio!» ci urla sempre lui, mentre parla con Hisoka.
Di tutta risposta, io mi alzo dalla sedia e, ridendo, alzo le mani al cielo per la situazione surreale in cui mi trovo.
«Perché chiunque fugge da te. Non piaci a nessuno!» rido e salto mentre tutti sono preoccupati per la piega della situazione. «Devi andare da un analista. Anzi, dovreste andarci tutti!»
«Per piacere, basta», mi compare Killua dietro che prega di fermarmi.
«Uno scorfano come te solo l’assassino poteva fare!» non riuscivo a fermarmi prima della battuta finale.
«Nooo!» tutti e quattro mi si gettano addosso, disperati.
«Ha un problema di mente, non ha il controllo su quello che dice», dice Leorio con sguardo implorante verso Illumi.
I due pagliacci alzano i tacchi e se ne vanno senza degnarci di uno sguardo. Una parte di me tira un sospiro di sollievo.
«Tu sei completamente fuori di testa!» sbotta l’occhialuto, sconcertato. «Ti farai ammazzare!»
«L’unica cosa che è stata ammazzata è la mia colazione», dico, rimettendomi la giacca Chanel. «Ma vedi tu che gente, oh!»
«Tu sei la persona più strana del mondo», Kurapika non riesce a smettere di fissarmi.
«E sei stressante», l’albino ha improvvisamente ritrovato la lingua. «Lo siete tutti e tre», indica anche Graziina e Maxine.
«Dov’era questa parlantina quando il tuo fratello scorfano era a due centimetri da te?» lo provoca Maxine, non ottenendo risposta se non uno sguardo scocciato.
«Calma ragazze, è stata una situazione pesante per lui, non c’è bisogno di infierire», interviene Graziina con la sua solita mediazione.
«Non ho bisogno che tu mi difenda. Tra i tre, tu sei quella che meno sopporto», lo fredda lo Zoldyck inspiegabilmente. Graziina è sconcertata ma, vista la situazione, decidiamo tutte di non dire altro. «C’è una cosa che ti voglio chiedere dalla prima volta che ti ho visto», mi dice, tornato improvvisamente spigliato e amichevole. «Hai un addome così strano. Le costole di sotto che fine hanno fatto?»
Ho notato tempo fa la sua abitudine di fissarmi la cassa toracica. Non so esattamente perché e non credo di volerlo sapere.
«Me le sono fatte asportare. Esigenze artistiche. Che occhio, però! I miei complimenti», gli rispondo con fierezza.
«Immagina ridursi a questo pur di sentirsi desiderabili. Ora capisco perché in faccia sembri fatto di gomma», mi punzecchia Leorio. Kurapika gli tira un braccio intimandogli di scusarsi.
«Brutta bestia l’invidia! A te servirebbe proprio un lifting. Quanti anni avrai, quarantacinque?»
«Sei fuori strada, ne ho diciannove», questa risposta di Leorio mi fa rabbrividire. L’ho visto fin da subito come un noioso uomo di mezza età e, invece, è di ben cinque anni più giovane di me. se non altro, questo fa vincere me perché gli anni li porto bene. «Tu sembri un ragazzino e tutti i ritocchini non aiutano.»
«Preferisco avere ventiquattro anni e dimostrarne quindici piuttosto che averne diciannove e dimostrarne quaranta», concludo, lasciando tutti nello shock.
«Ventiquattro?» esclamano all’unisono.
«A quanto pare sono quello meno giovane, pazienza!»
 
Quando torniamo in ufficio, Graziina sembra ancora sotto shock. Stiamo facendo due cose veloci, ormai siamo rimasti da soli.
«Che ti prende?» le chiedo, guardando il suo sguardo perso nel vuoto.
«Pensavo a quello che mi ha detto Killua», confessa. «Non so perché ma sembra avercela con me.»
«Te lo ha detto esplicitamente», scoppio a ridere, facendoglielo notare. «Scusa, ma che ti importa?»
«No, sai… ogni volta che parlo con Gon mi guarda sempre male», mentre parla, io so già dove sta cercando di arrivare e sto per sbottare. «E non vorrei passare per strana o cose così.»
«Lo stai facendo di nuovo», la fisso negli occhi con sguardo severissimo e mi appoggio alla scrivania.
«Ma non è questo… è che mi dispiace per lui. Anche a te è dispiaciuto quando hai saputo del padre, no? È umano.»
«A me è dispiaciuto perché la trovo una cosa sconcertante di per sé. Tu perché hai percepito l’abbandono nei suoi occhi e ti è subito scattato il complesso del cucciolo di panda in pericolo», le faccio notare.
«Si tratta di umanità. Lo sai che sono una persona empatica.»
«Graziina, tesoro», cerco di parlarle con dolcezza. «Lui è morto.»
«E questo che cosa c’entra?» scatta sulla difensiva. «Posso provare empatia per una persona?»
«Lui è morto», glielo ripeto un’altra volta. Purtroppo, in questi momenti, con Graziina si deve fare solo così. È l’unico modo per bloccare quella malsana catena di pensieri.
 
 
Lunedì mattina siamo di nuovo in ufficio. Graziina ha ridisposto alcuni mobili riuscendo a creare molto più spazio nella sala conferenze. Meno male che lei ha voglia di fare queste cose, perché né io né Maxine ci saremmo mai scomodate, tanto meno per un ufficio provvisorio.
«Che cosa abbiamo?» chiede Maxine verso la telecamera, mentre sul proiettore è in videoconferenza l’ufficio legale della WCS di Albany.
«Il precedente processo contro la Azur Corporation si è concluso perché il titolare ha smesso di essere rintracciabile e l’Associazione Hunter non ha fatto nulla in merito. Il reato di negligenza è caduto in prescrizione.»
A parlare, dall’altra parte del globo, è John Gardner, l’associato dell’ufficio legale.
«Questo lo so, c’ero anche io. Ci sono novità?» chiede Maxine.
«Purtroppo, non siamo riusciti a ottenere altro all’infuori di quel registro. La segretezza dell’Associazione Hunter non è alla portata nemmeno del nostro team informatico. E non penso che possiamo andare avanti sperando in fughe di dati spontanee da parte di anonimi. Riusciremo a ottenere un accesso stipulando il contratto con il presidente Netero?»
«Non ci darà mai nulla di simile», ribatte Maxine. «Possiamo solo sperare nell’aiuto di un hunter.»
«Pensi sia saggio far sapere a terze parti della nostra azione legale?» le chiede John, molto dubbioso all’idea di coinvolgere qualche hunter. Maxine inizia a fissarmi.
«Non useremo né Kurapika né gli altri. Manipolarli per ottenere informazioni facili è al limite dell’etico. E poi, non possiamo sapere quali ripercussioni rischierebbero se Netero si arrabbiasse con noi. Qualsiasi aiuto da parte loro deve essere richiesto previo consenso informato e regolare compenso», sentenzio io, non ammetto repliche su questo.
«Già, e comunque non sta bene nemmeno da un punto di vista deontologico», la presidente di dipartimento si siede, guardando il pavimento con aria pensierosa. Che dire, fortunatamente siamo persone con dei principi. «Facciamo così: noi abbozzeremo un’indagine sul campo di persona. Non convochiamo ancora le squadre operative né le commissioni, non facciamo scattare allerte immotivate. Temporeggeremo fino all’arbitrato e, quando avremo l’accordo in mano, procederemo con la collaborazione dell’Associazione. Sarà obbligatoria, in quel caso.»
“Temporeggiare” è un termine che mi manda in bestia. Ma Maxine non è donna da farsi correggere e, in ogni caso, non abbiamo altra via. Siamo in uno stallo totale.
«Rischi un esaurimento se ti fai coinvolgere emotivamente da quei ragazzi», mi rimprovera lei, appena chiusa la conferenza.
«Prego?» sussulto.
«Li conosci da una settimana e già ti stracci le vesti per proteggerli. Questa volta avevi la scusa del codice deontologico, la prossima?» mi sorride, mentre ripone i documenti nella sua Hilfinger e si rimette la giacca. «Tocca sempre a me fare la poliziotta cattiva, tu in fondo sei come Graziina, sei solo un po’ più realista.»
«Non mi piacciono le ingiustizie», mi giustifico. «Sono fatto così.»
«Dico sul serio, Espedito. Questa non è una situazione semplice, abbiamo addosso un peso psicologico non indifferente. Corazzatevi», chiude il discorso con fare preoccupato.
«Ragazze!» fuori dalla porta sembra siano arrivati i Cavalieri dell’Apocalisse, in realtà è Graziina che corre maldestramente sui tacchi alti. «Ho delle cose», indica lo scatolone che ha in mano. Dove l’ha presa tutta quella roba?
«Faccele vedere!» ride la rossa.
«Partiamo dalla cattiva notizia.» Non era stato fatto riferimento a nessuna cattiva notizia, questo mi fa indispettire. «Il registro è contraffatto. Qualcuno l’ha messo in giro di proposito per depistarci. Sono andata personalmente alla sede dell’asta a chiedere l’elenco delle aziende partner, non c’è traccia della Azur Corporation. E qui non è facile cercare delle coordinate per identificare una persona o attività.»
«Questa non è una cattiva notizia, questa è una notizia pessima», sbotta Maxine, adirata dal fatto che quel briciolo che avevamo per le mani fosse falso.
«Non ho finito, c’è la buona notizia!» Graziina ci ridà speranza. «Ho fatto delle ricerche su noleggi di piste d’atterraggio per elicotteri o voli privati e ho trovato dei loro clienti. L’interporto della Falesie, un’impresa di generi alimentari con sede a York Shin City, apparteneva alla Azur. Sono andata da loro e mi sono fatta dare il registro dei trasporti.»
«Come li hai convinti?» le domanda Maxine.
«Il guardiano appena mi ha vista sembrava molto gentile! Non ho nemmeno dovuto dirgli perché mi servisse il registro», la mora si comporta come se il suo fosse un colpo di fortuna.
«Già, chissà per quale motivo», sbuffo, prendendo in mano la copia del registro. «Codice identificativo 415886YS21», ripeto ad alta voce mentre lo trascrivo su un foglietto.
«Tutto il resto che cos’è?» domanda Maxine, indicando lo scatolone sul tavolo.
«Me ne ero dimenticata, certo», sobbalza, prendendo un documento rilegato. «Una vecchia inchiesta sulle mafie a York Shin City, è fatta da un giornalista d’assalto che è morto trent’anni fa. Sulla strada qui accanto stavano chiudendo uno studio legale, mi sono messa a frugare nella spazzatura.»
«Ma che schifo!» urlo, inorridito. Dalla mia borsa tiro fuori un flacone di gel disinfettante e mi ci sfrego le mani fino all’anno prossimo.  
«E le è anche andata bene!» aggiunge Maxine, doppiamente inorridita, che prende un po’ del mio gel. «E a cosa ci serve un’inchiesta sulla mafia?»
«A tante cose! Non potevo mettermi a chiedere della Brigata o di Meteor City, avrei dato nell’occhio e ce li saremmo subito trovati tutti addosso. Non sono mica stupida!» spiega. In effetti il suo ragionamento ha senso, conta di trovare qualche indizio nell’inchiesta che ci porterà poi dove vogliamo. Non devono sapere che la Azur sia solamente il nostro punto di partenza. Graziina, poi, fa per mettere sul tavolo uno di quei fascicoli e io la fermo.
L’Escherichia coli sul tavolo, no.
 
Abbiamo il codice identificativo della Azur e quella vecchia inchiesta. A quest’ultima ci pensa Graziina (che non dovrà rimettere piede qui senza un certificato vaccinale), io mi limito a rintracciare l’amministratore di questa azienda fantasma. Trattandosi di un’azienda che non esiste più, almeno ufficialmente, dovrò cercare a fondo. Apro il motore di ricerca e inizio a fare un po’ di prove. Non trovando informazioni soddisfacenti, cerco l’archivio internet di questa zona e provo a svolgere diverse ricerche di pagine che non sono più online. Smanettando un po’, riesco a trovare dei contatti.
Vahn Girakuru, Shaina City.
«Permesso?» Qualcuno bussa alla mia porta. È Kurapika, si avvicina alla scrivania sorridendo e con sguardo amichevole. «Brutto momento?»
«Non ce n’è mai uno buono, non preoccuparti!» lo invito ad accomodarsi. In fondo, per qualche motivo sono felice di vederlo.
«Da quanto sei chiuso qui dentro?» mi domanda.
Faccio due conti. «Dall’ultima volta che ci siamo visti. Non tantissimo.»
«Dodici ore?» ribatte, stranito. Oddio, non pensavo fossero già le dieci di sera. «Avete già iniziato con la missione senza di me?»
«No, non è questo», rido. «Ci stiamo inoltrando verso le istanze preliminari. In sostanza, dobbiamo avere un caso che ci autorizzi a far partire la missione. Poi mandiamo tutto al procuratore, si iscrive il caso nel registro e poi il delirio. Mi sento male a pensare che questo non sia nemmeno l’inizio.»
«Posso darti una mano?»
Mi domando perché sia così gentile. In fondo, l’organizzazione lo paga a partire dal mese prossimo.
«Grazie, in effetti c’è qualcosa…» dico, invitandolo a venire dalla mia parte della scrivania.
«Non ringraziarmi, era ora che iniziassi effettivamente a lavorare», mi sorride.
Vabbè, tanto non lo pago io.
«Se ti do un nominativo, riesci a trovarmi un riscontro in qualche circuito?» gli chiedo, prima di passargli il foglietto. «Non so… clan, riciclaggio di denaro...»
«Da quando ti occupi di mafie?» mi domanda, stranito. Vorrei saperlo anche io.
«C’è il sospetto che la cellula terroristica che ha fatto fuori mio padre sia a stretto contatto con la mafia.»
Non voglio ancora introdurre a Kurapika l’argomento “Meteor City”. Sono sicurissimo che lui sappia un sacco di cose, ma non voglio bruciare tutte le tappe adesso.
L’hunter lascia l’ufficio portandosi via delle fotocopie. Quando quel plico di documenti esce dalla stanza, mi sento improvvisamente più tranquillo.
 
Due ore dopo, a mezzanotte, sono in camera d’albergo con le ragazze. Stiamo ancora lavorando.
«Mi ricorda i tempi dell’università», ride tra sé e sé Maxine. «Procedura penale.»
«Diritto comparato», si aggiunge Graziina, tenendo ancora il naso tra i documenti.
«Diritto amministrativo», dico io, finendo di trascrivere i verbali al computer. «Vi hanno detto nulla della base?»
«So solo che sarà nella periferia di York Shin City e hanno deciso di intitolarla a Richard Nixon», risponde distrattamente la rossa.
«Hanno intenzione di commettere un’effrazione, illeciti amministrativi e intercettazioni illegali per far saltare tutto?» domando, facendo il segno della croce.
«Che ci vuoi fare? Quando muori e passano decenni la gente ricorderà solo le cose belle di te» ironizza Graziina.
«E questa cos’è?» sbotta Maxine all’improvviso, tirando fuori un foglio che ho già visto prima. «Guardate!»
«È il rapporto delle autorità di Padokea, lo avevamo già visto in sede un anno fa!» le dico con fare confuso.
«Guardate questa lineetta in alto a destra» continua a insistere, sbattendomi il foglio davanti agli occhi.
«Macchie di toner?» biascico. In verità, non ci ho mai fatto caso.
«Una graffetta?» dice Graziina.
«Non c’è pagina due! Questo è stato archiviato come foglio unico!» fa notare ancora la rossa.
«Frena, frena, frena», le dico io, bloccando il suo entusiasmo con la mano. «Non saltiamo a conclusioni affrettate. Chi ci dice che non è un’altra trovata come il finto registro per depistarci?»
«Nessuno. Ma può essere utile per sollevare insinuazioni in tribunale. Ti ricordo che ci saranno dei giurati, puntiamo sul popolo.»
 
 
Non potevo privarmi di andare a vedere cosa vendono in queste famigerate aste. Per un momento ho pensato di risparmiarmi questa perdita di tempo ma, tranquillizzandomi con il pretesto di fare osservazioni da vicino (e quindi restare nel produttivo), mi sono convinto ad andarci.
«Quindi è qui che avete incontrato quei tizi», dice Maxine indicando l’ingresso dell’edificio. Da fuori è un enorme grattacielo, da dentro sembra un castello i cui ampissimi spazi mi mettono in soggezione.
«Esattamente, ogni volta qui fuori si raduna la peggio feccia. Non si può stare tranquilli», risponde Killua, guardandosi intorno.
La mostra della serata è alquanto interessante. Stando alla rivista letta stamattina, Ruki Hartur era una hunter molto ricca che, in tarda età e dopo una vita di duro lavoro, si sistemò in una casa di campagna contando sull’affetto dei suoi compagni che la andavano a trovare spesso. Un giorno, però, si ritrovò la serratura cambiata e un coltello in gola. Pensate che questa sia la parte peggiore? No, il momento più umiliante lo stiamo vivendo proprio adesso, davanti a tutti i suoi averi messi all’asta.
«Oh, mio Dio!» mi scappa un urlo quando scorgo una teca contenente un bracciale di oro bianco da 18 carati come non se ne trovano più, decorato con uno strano motivo, tipo tribale. Deve essere mio.
«Guarda quanto è grande quel diamante!» anche Graziina sembra aver perso la testa per un gioello. Peccato che quello sembri proprio un anello di fidanzamento, il che è molto triste.
«Un piccolo punto luce!» ironizza Maxine, indicando una collana con un enorme pendente di diamanti a forma di goccia.
«Quello è pacchiano!» ride Graziina, ricevendo uno sguardo di approvazione dal sottoscritto.
«Ehi ragazzi, che ne dite se partecipiamo all’asta?» chiedo ai due ragazzini rimasti in disparte.
«Mi sembra uno spreco di tempo e di denaro, ma può essere interessante!» dice Gon, mentre Killua si limita ad annuire.
 
Non c’è molta gente, ci sediamo alle prime file aspettando l’arrivo del nostro lotto. Anche Graziina si è convinta a fare shopping, puntando quello stupendo anello di prima.
“Lotto numero quarantacinque! Bracciale di oro bianco 18 carati che apparteneva all’hunter Ruki Hartur!” urla una voce metallica dagli amplificatori che per poco non mi fora un timpano.
Non me lo faccio dire due volte e alzo la paletta per offrire diecimila jeni (circa venti dollari, il tasso di conversione è molto favorevole).
«Chi offre di più? Ah! Siamo già a ventimila, qualcuno offre venticinquemila?» esclama il banditore dopo aver ricevuto un’altra offerta.
«Venticinquemila!» alzo il cartello, mentre altri numeri vengono urlati velocemente.
«Qualcuno offre trentamila? Perfetto, trentamila.»
Indispettito, mi guardo intorno per vedere in viso lo stronzo che cerca di soffiarmi il bracciale. Gli occhi si posano inevitabilmente su una donna che parla al telefono.
«Quella signora sta facendo offerte per qualcuno al telefono!» urla Gon, facendomi collegare subito che la mia avversaria sia proprio lei.
«Cosa? ma non è giusto! È legale una cosa simile?» sbotta Killua.
«Brutta stronza» mi limito a sbuffare.
«Qualcuno offre cinquantamila?» chiede nuovamente il banditore.
«Cinquanta cazzutissimi mila!» sbraito alzandomi in piedi, facendo ridere tutta la sala.
A quel punto, la signora chiude la telefonata e non sembra intenzionata a fare altre offerte. Ho vinto.
 
Dopo quell’interessante serata decidiamo di prendere un gelato tutti insieme. Maxine, come sempre, si allontana per fare interminabili telefonate. A me non succede mai, quando non lavoro chiudo tutte le linee ad eccezione della Linea Uno, quella per chiamate di massima priorità. I miei sottoposti sanno che utilizzarla per cose che non siano di assoluta emergenza provoca disastrose conseguenze, perciò mi lasciano tranquillo.
 

«Questo è il tuo ufficio?» mi chiede Killua, guardandosi intorno con fare schifato.
«Presto ne avremo uno vero. Questo fa schifo», rispondo distrattamente mentre sono al computer.
Gon e Killua volevano vedermi lavorare. O meglio, Gon ha insistito, Killua non voleva ma alla fine sono finiti entrambi qui per qualche ragione.
Improvvisamente, qualcuno apre furiosamente la porta sbattendola sul muro.
«Tradimento!» mi urla contro Maxine, spaventando persino i due hunter. «Mi serviva un fax importantissimo da Washington, ma, guarda un po’, ad Albany si è rotta la fotocopiatrice mentre cercavano di deviarmelo.»
Vi prego, no. Non di nuovo la storia della fotocopiatrice!
Jodie, la mia ex assistente, ha la sfortuna di far inceppare qualunque fotocopiatrice o stampante a cui metta mano. L’ultima volta si è fusa la scheda madre mentre cercava di inviarmi un reperto.
A quanto pare le risorse umane anziché licenziarla l’hanno affibbiata a Maxine. Dio ce ne liberi. Segue una guerriglia di urla e tentativi vani di calmarci, con Gon e Killua che assistono alla scena gustandosela fino all’ultima battuta.
«Mi spiace interrompere questo litigio… in realtà no», Graziina spinge Maxine dentro la stanza attirando l’attenzione su di sé e interrompendo tutto. «Hanno appena inviato il profiling di Vahn Girakuru.»
«Sì, perché a lei il fax funziona!» rincara la dose la rossa. Scelgo di ignorarla.
Ci spostiamo nella stanzetta delle conferenze (perché “sala conferenze” non la si può chiamare) e Graziina proietta il documento dove c’è tutto ciò che sappiamo di Vahn.
Vahn Girakuru, 25 anni. Ha a suo carico diverse denunce per molestie sessuali e una condanna per frode. Dei quattro anni di reclusione, ne ha scontato uno e mezzo per buona condotta, è uscito di prigione nel 2018 (due anni fa).
La foto mostrata risale all’arresto. È un uomo rachitico, occhialuto e dal viso lungo e a punta, ha i capelli spettinati che sono di colore verde petrolio, arruffati e privi di una qualsiasi forma.
«È brutto proprio», sottolinea Maxine.
«Il contratto con la Azur è stato siglato il 28 dicembre del 2018, sette mesi dopo che Vahn è uscito di prigione. Possibile che Huldrych non sapesse di essersi accordato con un criminale?» mi chiede Graziina.
«Mio padre era un criminale, ovvio che non gliene importava. Dovevano buttarli in gabbia entrambi e buttare la chiave», sbotto, attirando tutti gli sguardi su di me.
Dopo quella frase non dico più nulla e in sala cade il silenzio.
Qualche minuto dopo, tutto torna alla normalità: Maxine si attacca al telefono, Graziina legge le sue carte e Gon e Killua giocano e si punzecchiano tra loro.
A spezzare la tranquillità è una chiamata sulla Linea Uno, cioè la linea telefonica di massima priorità che mi collega direttamente con le autorità governative. Non può trattarsi di un mio sottoposto, sono tassativo sul fatto che non vada utilizzata se non per ragioni di estrema emergenza. Quando tiro fuori il cellulare, sul display esce il nome “Ufficio del Procuratore”, ma io so benissimo di chi si tratta.
«Ciao Tinì. Sono già seduto», dico con fare pragmatico, mettendomi una mano sulla testa per prepararmi al peggio.
«Tinì??» sussurrano le ragazze all’unisono, unendosi alla mia preoccupazione.
«Chi diavolo è Tinì?» borbotta Killua.
«Per prima cosa non allarmatevi. Non ce n’è bisogno.»
«Mi telefoni sulla Linea Uno e la prima cosa che dici è “non allarmatevi”?» alzo involontariamente la voce. Subito mi ricordo che questa telefonata è registrata e che potrebbe essere intercettata dalla Casa Bianca in questo esatto momento; perciò, cerco di mantenere un certo decoro.
«Porto segnalazioni. Sto venendo lì di persona, non è sicuro parlare su questa linea da un telefono mobile.»
Annuisco. Questa è una supercazzola: non c’è alcun rischio di intercettazioni nemiche legato all’utilizzare un dispositivo mobile. La Linea Uno è super controllata e, al netto della Casa Bianca e dell’ufficio del procuratore, nessuno può intercettare. Perciò, il vero motivo per cui Tinì non sta parlando è che non vuole informare il coroner (o la Casa Bianca) di ciò che sta facendo.
Il che mi sta spaventando ancora di più. “Porto segnalazioni” è un’altra frase vuota, vuol dire che c’è qualcosa di grosso che sta bollendo ma non si vuole usare un linguaggio che desti troppo scalpore.
«Che ne dite di fare un riassunto?» chiede Killua, infastidito dall’essere tagliato fuori tutto questo.
«Inizio io: stiamo cercando di riaprire il caso contro la Azur Corporation. In questo momento stiamo cercando di costruire un caso solido così da poter sporgere regolarmente denuncia», dice Maxine.
«Ma…» prende subito parola Graziina «tra soli quattro giorni abbiamo l’arbitrato con il signor Netero per avere il nostro statuto ad hoc.»
«E finché non avremo quello statuto la prendiamo sonoramente in culo!» concludo snervato, per nulla in vena di scherzare. «Il punto è che dobbiamo costruire qualcosa di consistente. Finora abbiamo solo il nome del titolare della Azur e il fatto che la polizia locale abbia occultato delle prove.»
Anche questa volta, su Meteor City non fiatiamo.
E se la segnalazione di Tinì riguardasse quello? Oh no!

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Capitolo 4
*** Comma 2 ***


Capitolo 4

I tempi si stringono a causa dell’imminente gran giurì.

Comma 2

Usciamo dall’aula con il nostro agognato statuto, con le nostre firme appostate sotto quelle di Pariston e Netero. Lo statuto prevede che ogni minaccia alla pace fra continenti sia considerato un reato per entrambe le giurisdizioni, riuscendo quindi a perseguire penalmente i terroristi.
Abbiamo da poco finito il trasloco nella sede ufficiale, molto più grande e nuova di zecca. Abbiamo finalmente una vera sala conferenze, uffici separati e ubicazioni per accogliere l’intero staff principale.
Per via del lavoro, non ce la siamo goduta neanche un po’. In sala conferenze abbiamo disposto una serie di documenti sul tavolo. Sono i reperti che abbiamo intenzione di presentare per il processo Azur Corporation.
«Questo processo mi farà venire un esaurimento», sbotta Maxine, mentre apre e chiude il suo quadernone degli appunti.
«Perché sei così nervosa? Siamo nella stessa situazione da una settimana! Nulla è cambiato», le fa notare Graziina, allegra come sempre.
La conversazione viene interrotta dai quattro adorabili hunter che entrano nella stanza senza bussare. Ormai Edna li conosce, li trova simpatici e li fa sempre entrare senza problemi. Peccato che questa cosa di interrompere le riunioni vada assolutamente corretta.
«Scusate! Edna ha detto che eri qui dentro e io sono in orario…» si giustifica Kurapika.
Oggi dovevamo iniziare ad indagare su Vahn, mi era completamente scivolato via dalla testa.
«Questo è il problema, siamo in stallo. Il coroner ha convocato il gran giurì per mercoledì. Cioè, fra tre giorni» sputa il rospo Maxine.
Questo non può essere vero, cazzo.
«Merda, vorrai scherzare?» rispondo ansioso, con la mascella che per poco non mi cade. «Ve la faccio breve», dico poi per spiegarlo agli altri, «il gran giurì è una riunione a porte chiuse convocata dal procuratore, decideranno se le prove che abbiamo prodotto sono sufficienti per far partire il caso. Sarà una giuria popolare, secondo me non capiranno un accidente.»
«E fammi indovinare, quello che dobbiamo fare è aiutarti a trovare materiale!» ridacchia Killua, centrando perfettamente il punto.
In un’altra saletta, ci riuniamo tutti per illustrare la situazione. Trasmetto nuovamente il profilo di Vahn sul proiettore e diversi frammenti che abbiamo ritrovato fino a questo momento.
«Queste informazioni le abbiamo recuperate da un archivio web che ha fortunatamente catturato alcune pagine, tutte rimosse quando Vahn è stato condannato a un anno e sei mesi per frode. Grazie allo statuto, la nostra squadra legale avrà accesso agli atti del suo processo per trovare informazioni utili. Ma, come immaginerete, non ci sarà il tempo di utilizzarlo per il gran giurì. E qui entrate in gioco voi…»
«Perfetto, dove si trova Vahn ora?» chiede Gon tutto agguerrito, cacciando uno sguardo determinato che mi fa ridere per quanto è goffo.
A quel punto, Maxine avanza la sua teoria: «Questo non lo sappiamo perché le informazioni raccolte su di lui non vanno oltre al 18 agosto dell’anno scorso. Il che è strano pure per una persona particolarmente scaltra e riservata. Questo ci apre tre opzioni:
  1. Vahn è morto. Dati a favore: l’assenza totale di informazioni che vadano oltre il 18 agosto, tabulati telefonici non disponibili, presenza non rilevata in nessuna struttura amministrativa o sanitaria quale può essere un municipio o un ospedale. Dati contrari: nessuno se non l’assenza di un certificato di morte o un loculo al cimitero.
  2. Vahn ha cambiato la sua identità. Lui è cittadino della repubblica di Padokea, ma ha lavorato per dieci anni a York Shin City fino al 2008, per poi finire in carcere, uscirne per poi sparire nel nulla. C’è la probabilità che dopo l’incidente WCS abbia cambiato paese. A York Shin City una delle attività criminali più redditizie è proprio la falsificazione dei documenti.
  3. Vahn si è spostato a Meteor City…»
A quel punto, Maxine si interrompe e nella sala cade il silenzio.
«Sapete di Meteor City?» domanda Kurapika, stupito.
«Sì, Kurapika, sappiamo di Meteor City.» rispondo io.
Questa è una situazione molto sconveniente.
Sappiamo di Meteor City perché nei primi mesi del mio insediamento alla WCS ho fatto una cosa brutta. L’allora procuratore Michael Thompson Jr. ha pressato affinché i servizi segreti si documentassero sulla criminalità nel nuovo continente. Ho acconsentito a una manovra poco etica effettuata da una squadra di crittoanalisti che hanno intercettato alcuni funzionari dell’associazione Hunter. A capo di questa squadra di crittoanalisti della NSA c’era proprio una dipendente dell’ufficio del procuratore, Antonia Todd.
Anche detta Tinì.
«Nessuno parla di Meteor City, dubito che l’associazione si sia esposta così con voi. Suppongo che lo abbiate scoperto in modalità poco lecite», interviene Leorio con tono molto serio. Mi sento già giudicare nelle loro menti, vedermi descritto come una persona moralmente ambigua e problematica. Questa cosa, per quanto io cerchi di inghiottirla, non riesco a non accusarla e rimanerci male.
Voglio morire.
«Una squadra di crittoanalisti della NSA ha commesso un illecito amministrativo intercettando funzionari dell’associazione Hunter. Era passato poco tempo dall’attentato ed eravamo sotto pressioni di ogni tipo da parte dei vari organi governativi, in particolare il nostro procuratore distrettuale. In quanto esecutivo della WCS, ho acconsentito alla cosa. Tutto ciò che posso dire a mia discolpa è che ero molto inesperto e non sapevo come gestire la pressione. Chiedo umilmente scusa.» trovo il coraggio di confessare.
«Però… e dire che fa tanto il perfettino!» sento Killua mormorare verso Gon.
«Va bene», si limita a dire Kurapika. «Non è stata una tua decisione. Hai dovuto avallarla per forza, dico bene?»
«Si tratta comunque di una mia responsabilità», insisto.
«Il procuratore Thompson era particolarmente insistente al riguardo. Espedito era appena arrivato e io e Maxine eravamo ancora più scombussolate di lui. Siamo stati raggirati in una situazione molto fragile» Graziina si butta in mezzo per difendermi.
«Allora, ribadisco, va tutto bene», si ripete Kurapika.
«Se era questa cosa a spaventarvi, potete chiedere a noi tranquillamente», Leorio sembra calmarsi un attimo. «Anche se Meteor City è una bella gatta da pelare…»
«Quando si tiene il gran giurì?» chiede Gon, con aria di chi ha voglia di impelagarsi in qualcosa di pericoloso.
«Si terrà a Boston fra tre giorni esatti. Ci serve il tempo per scovare le prove e inviarle via fax», spiego io.
 
Diverse ore più tardi, mi ritrovo ancora a rileggere gli atti nel mio ufficio. Non capisco come sia possibile che la situazione sia ancora così inceppata. Continuo a pensare che qualcosa mi sia sfuggito. Deve essere così, con le risorse a nostra disposizione dovremmo sfrecciare come razzi.
«Presidente, c’è una donna che la cerca. Dice di essere un hunter, la faccio accomodare?» mi chiede Edna facendomi prendere un colpo.
Io non conosco nessuna donna che faccia l’hunter. Nonostante il buonsenso mi direbbe di non fidarmi, la curiosità mi uccide troppo per dire di no.
Dalla porta del mio ufficio entra una ragazzina che sembra quasi coetanea di Gon e Killua con un appariscente vestito e due codini biondi simili a due molle.
«Mi scusi per averla disturbata in tarda serata», si introduce mentre si avvicina alla poltrona sita alla parete.
«Non si preoccupi!» per qualche ragione, sono molto ben disposto nel parlarle. «Purtroppo non credo di conoscerla…»
«Non ci conosciamo. O meglio, io conosco lei di nome. Ero una giurata nel primo processo contro la Azur… quello che si è interrotto.»
Non che ce ne siano stati altri dopo quello, ho tanta paura che questo nuovo processo farà la fine del precedente.
Poi si avvicina un po’ di più e sussurra: «Non so come tu ci riesca, Espedito. Io mi sarei andata a nascondere da qualche parte. E invece sei qui…»
Già, purtroppo sono qui.
Faccio finta di non aver sentito e apro il fascicolo che avevo proprio sottomano.
«Eri per caso la giurata numero cinque, Biscuit Krueger?» le dico, ricevendo in risposta un cenno affermativo. «Molto lieto, Espedito Petracelli.»
«Mi è particolarmente dispiaciuto tutto ciò che è successo, immagino il terrore che si prova dalle tue parti. Per questo volevo cercare di darvi una mano. Sono molto esperta in combattimento e conosco tante…»
«Vuoi sapere se sei intercettata, giusto?» ridacchio interrompendo quella presentazione così offa.
«Fate già intercettazioni?» mi fa, stupita.
«No», rido per sdrammatizzare. «Ma, per esperienza, una persona che si presenta alla tua porta dicendo che può aiutarti è o qualcuno che ha bisogno a sua volta di un favore o qualcuno che ha paura di finire nelle tue mire. Tu di quale fazione sei? Bisognosa o impostora?» dico, aprendo già i vari fascicoli alla ricerca di qualcosa. «Perciò, se ho ragione veniamo al punto. Ti serve qualcosa o hai qualche scheletro nell’armadio che non vuoi vedere saltar fuori durante il processo? In fondo, mi farebbe comodo avere informazioni in più e cassare qualche prova.»
«Non credi nel fatto che le persone possano provare solidarietà o semplice empatia nel vedere qualcuno in difficoltà?», mi risponde con tono compassionevole guardandomi negli occhi. «Sei molto giovane, è brutto che tu abbia già questo approccio alla vita.»
«Credo proprio che ci servirà qualcosa da bere», le sorrido, prendendo dal frigobar una bottiglia di Martini e preparando i bicchieri.
Nel giro di venti minuti, sono già riuscito a collocare Biscuit nel mio schema. Ipotizzavo dal suo portamento un po’ accidentato che qualcosa le facesse paura, come se nascondesse qualcosa e volesse da me la grazia di occultarla. Ma non mi sembra malintenzionata, né una persona con interessi criminali. Sembra più una persona che non vuole che dettagli imbarazzanti della sua vita privata non vengano sbandierati ai quattro venti in sede processuale.
«Non voglio che vengano mostrate queste mie foto», si decide finalmente a confessare, mostrandomi sul display del suo cellulare delle fotografie in cui ha tutto un altro aspetto: altissima, corpo pieno di muscoli fino a scoppiare, una mascella enorme e uno sguardo tutt’altro che carino.
«Perché non l’hai detto subito?» dico io, scioccato. «Hai fatto benissimo a venire qui, questo è un diritto inalienabile!»
«Dici sul serio?»
«Sì! Ti capisco tanto, sai? Devo confessarti che prima della chirurgia ero orribile. Che fatica cambiarmi i connotati anche sui documenti! Approverò il documento falso che hai presentato la volta scorsa!»
«Era così palese fosse falso?»
«Hai attaccato la foto con la colla…» faccio il possibile per non riderle in faccia. «Fu Pariston a dirci di chiudere un occhio perché ti conosce.»
Mentre entrambi ridiamo di gusto per la cosa, sento la porta sbattere nuovamente e qualcuno sta correndo disperatamente verso il mio ufficio. In men che non si dica, vedo Leorio materializzarsi nella stanza.
«Ma nessuno bussa più di questi tempi?» sbotto infastidito.
Leorio ignora il mio rimprovero e sbatte una busta sulla mia scrivania.
«Che cos’è?» gli chiedo.
«Aprila», mi ordina. Sembra adirato nei miei confronti.
Faccio come dice e quello che viene fuori è semplicemente sconvolgente.
«Questo è un mandato di comparizione per il gran giurì», mi muoiono le parole in bocca mentre leggo.
«Vuoi dire che non ne sapevi niente?» continua a inveirmi contro. «Piantala di prenderci in giro, mi hai proprio scocciato!»
«Assolutamente no, credimi! Devo subito chiamare le ragazze. Siediti lì e aspetta.»
«Che sta succedendo?» chiede Biscuit, che ha assistito alla conversazione senza capirci un’acca.
«Bisky ti conviene lasciare il mio ufficio, qualcuno sta giocando sporco.»
Biscuit non si offende e si congeda educatamente.
 
Nel giro di pochi minuti, nell’ufficio piombano sia le ragazze sia gli altri del quartetto degli hunter. Sto facendo troppe figuracce e credo seriamente di essermi giocato la fiducia di tutti.
«Espedito vuole farci credere di essere estraneo alla faccenda. Immagino che tu sia estraneo a questa lettera come lo eri alle intercettazioni dei tuoi amichetti…» continua a punzecchiarmi l’occhialuto.
«E perché dovrebbe essere coinvolto?» gli risponde Maxine. «Guarda che non ci guadagniamo niente a mandarti lì. Anche pensandola cinicamente, tu ci servi qui con noi.»
«Ma perché proprio Leorio?» domanda Kurapika.
«Perché è il soggetto più stabile», spiega Graziina. «Leorio tra di voi è l’unico che ha un’identità ben esposta e rintracciabile, con dei documenti regolari e, soprattutto, è considerato più facile da catturare.»
«Per questo motivo non c’è alcuna fuga di dati», dice sempre Maxine. «Hanno pescato il primo che sono riusciti a rintracciare. Se avessero voluto del materiale avrebbero chiamato Kurapika. Ma sapevano bene che Kurapika avrebbe potuto sbattersene del mandato senza conseguenze.»
«Ma non mi basta», sbotto, intenzionato ad andare a fondo alla faccenda, sconvolgendo i presenti per l’apparente ribaltamento dei ruoli. «Ho detto all’avvocato Gardner in maniera esplicita che i ragazzi non dovevano essere coinvolti e adesso pretendo delle spiegazioni. Maxine, telefona al tuo ufficio e io parlo col procuratore.»
«Forse è meglio che parli io col procuratore», interviene Graziina. In effetti lei non farebbe degenerare il tutto in una litigata. «Tu occupati dei ragazzi.»
Devo occuparmi io di fare le pubbliche relazioni con questi ragazzi. Non perché io sia emotivamente coinvolto come sostiene Maxine o perché abbia iniziato a prenderli a simpatia. Io avevo fatto promesse, c’è un accordo scritto sulla privacy! Ne va della mia immagine e di quella dell’organizzazione. È solo questo.
«Guardate che noi siamo qui ad ascoltarvi!» protesta Killua.
«Avete ragione», dico io. «Devo chiedervi nuovamente scusa» mentre lo dico mi scappa un singhiozzo e loro sembrano notarlo.
«Gli credo», interviene Kurapika.
Questa è la seconda volta che mi difende e crede a ciò che gli dico. Non me lo aspetto da lui, dovrebbe essere un tipo diffidente, anche perché mi conosce da poco. Tutta questa fiducia inaspettata non fa altro che allarmarmi. Che stiano complottando contro di me?
Dopo l’intervento di Kurapika, tutti gli altri sembrano rilassarsi. A quanto pare loro si fidano ciecamente di lui, che a sua volta si fida di me.
«Cosa devo fare?» dice infine Leorio. «Io non ne so niente di questa roba.»
«Per prima cosa, ti serve un avvocato», dico io. «Non può essere Maxine, in questo momento sei un testimone super partes, ci sarebbe un conflitto di interessi. Fortunatamente, ho un’amica che mi deve un favore», gli spiego per poi premere sul telefono fisso il numero dell’interno di Edna. «Edna, chiama Louise Bishop e dille di mettersi in contatto con me il prima possibile.»
«Secondo te per quale motivo ci hanno presi di mira?» Killua, non fiducioso quanto gli altri, continua a punzecchiare.
«La mia organizzazione è informata della collaborazione e il procuratore segue il nostro caso. Si può trattare di un tentativo in buona fede, pensano che convocare un hunter al gran giurì ci faccia vincere facile», mi limito a spiegare. «Ciò non giustifica l’atto di non informarmi della cosa ed esporre Leorio al sistema giudiziario americano senza che lui abbia modo di difendersi. Avevo chiesto a chi di dovere di non coinvolgervi a tradimento, visto che già l’ufficio legale aveva avanzato questa richiesta. In un certo senso è comunque colpa mia.»
«Il procuratore non dovrebbe essere dalla nostra parte?» Gon alza la mano. «Dico, tu combatti i terroristi, non vedo perché remarti contro.»
«Perché il procuratore fa solo ed esclusivamente i propri interessi. Lui vuole combattere i terroristi ma vuole anche farsi rieleggere. Ci sta addosso perché se il nostro operato smerda quello degli uomini di mio padre, i suoi amichetti finiranno per prendersela con lui.»
Dopo aver dato quest’ultima spiegazione smetto subito di parlare. Mi sto rendendo conto giorno dopo giorno di quanto io sia solo. Tutti mi remano contro da ogni lato, noi tre non abbiamo proprio alleati. E non ho ancora abbastanza coraggio di chiedere ai ragazzi di aiutarmi per davvero.
«Il procuratore vuole che Leorio descriva alla giuria la situazione criminale di York Shin City e quello che conosce sulle cellule assassine», Maxine piomba in stanza lanciando la bomba. «Se sei ben informato, elaboriamo una strategia. Se non sai nulla, dovrai appellarti al quinto emendamento.»
«Quinto emendamento?» le fa eco, non sapendo a cosa si riferisca.
«Il diritto a non rispondere. Ad ogni domanda non dovrai dire nulla se non: “mi rifiuto di rispondere alla domanda perché potrei autoaccusarmi”. A un certo punto perderanno la pazienza e ti manderanno via, così da liberarti da questo impiccio.»
«Dici che il procuratore se la prenderà se facciamo così?» chiede Graziina ansiosa.
«E chi se ne frega? Ci ha tirato un colpo basso e si meriterebbe di peggio. Ha violato i patti», rispondo cercando di celare tutta la mia rabbia.
«Non c’era alcun accordo scritto», mi bacchetta Maxine. Come al solito, lei si dimostra umana come un cyborg. Dovrebbe mettere un freno agli automatismi di tanto in tanto, si sta veramente trasformando in un automa.
«Certo che nell’ufficio del procuratore stanno veramente impazzendo! Prima il gran giurì improvviso, poi la convocazione di Leorio totalmente senza senso e Tinì che sta venendo qui da sola senza dirci il perché» sbuffa l’altra, stanca di non riuscire a venirne a capo.
Cazzo, Tinì. Me ne ero completamente scordato, arriva questa sera per cena.
«Tinì è una brava ragazza», le risponde Maxine. Almeno su questo siamo d’accordo. «Credo che si caccerà in un guaio. È palese che stia agendo di nascosto», prende un sospiro stanco. «Ci toccherà coprirla.»
«Ho male ai capelli», Graziina si siede alla scrivania, vi si appoggia con i gomiti e si regge la testa con le mani.
«Certo che le vostre conversazioni sono così incasinate!» sbuffa Killua, guardando le ragazze con aria di sufficienza. «Hai idea di cosa possano volere al gran giurì? È gente tua, non nostra.»
Non so perché si stia riferendo a me quando qui l’esperta è Maxine. Rispondo con una faccia seccata, per poi voltarmi verso l’avvocata per dirle tacitamente di rispondere al posto mio.
«Il procuratore vuole elementi tali per cui il caso venga aperto. Vale a dire, credono che convocando direttamente un hunter avranno informazioni subito per poterci scavalcare.»
 
È stata una giornata infernale. Mi ritiro in camera d’albergo e metto l’acqua nel bollitore elettrico per prepararmi un tè verde. Ho trascorso quattordici ore in ufficio, sono fisicamente a pezzi. Arriverà il giorno in cui mi stancherò.
Ho un paio d’ore di tempo prima che Tinì si faccia viva al ristorante qui di fianco, devo assolutamente riposare.
«Apri la porta», sento Maxine bussare a tutta forza.
Mio Dio, speriamo non sia un’altra disgrazia!
«Maxine, che succede? La cena è tra due ore…» le dico non appena apro la porta, non riuscendo a nascondere tutta la mia stanchezza.
«Non voglio litigare, voglio solo mettere in chiaro una cosa», mentre entra la vedo prendere un bel sospiro. «Non mi piace essere scavalcata né che mi facciate passare come la stronza acida di turno. Mi sono laureata a Princeton in diritto, ho frequentato l’accademia forense a Yale, ho praticato in otto studi legali diversi, faccio parte del consiglio di amministrazione del Fondo per la difesa. Sono una stronza solo perché ho le mie credenziali e faccio il mio lavoro nel modo corretto?»
Immaginavo che il caos di oggi avrebbe fatto inalberare Maxine. Litigare con lei non è proprio la cosa che ci serve. Non ho mai negato che sia la più qualificata dei tre e che senza di lei saremmo persi, eppure questo argomento ogni tanto si ripresenta.
«Nessuno ha insinuato nulla di simile. Che cosa è successo?» le chiedo cercando di non sembrare infastidito, anche perché non lo sono. Ho la testa che mi esplode e non ho voglia di fare ginnastiche mentali. L’idea che la forte coesione tra noi tre possa essere minacciata mi fa stare genuinamente male.
«Cosa è successo? Lo chiedi anche? Prima di tutto hai messo bocca sul mio dipartimento, come se noi fossimo capaci di fare cose poco etiche. E la tua priorità in tutto questo è stata discolpare te stesso e tenerti buoni quei tizi senza alcuna ragione!»
«Mi dispiace Maxine», le rispondo, sinceramente colpito da quelle parole. «Non l’avevo vista in questo modo.»
«Ci credo! Ultimamente stai dando i numeri. Ti ho detto di non farti coinvolgere emotivamente da questa gente, rischi di compromettere la missione e anche di farti del male da solo. Perché ti comporti così? Adesso vuoi fare il poliziotto buono di punto in bianco? Mi sembra ci sia già Graziina a ricoprire quel ruolo…»
«Sai cosa? Non mi farebbe schifo avere degli amici da queste parti», le confesso con tono infastidito.
Di tutta risposta, Maxine mi ride in faccia. «Amici? Ho capito bene? Siamo in uno stupido film per ragazzini?»
«Sì, amici. Persone che ci danno una mano senza tenderci trappole ad ogni dove e senza interessi per cui remarci contro alla prima occasione. Sono stanco dei funzionari governativi, sono delle merde e io ho bisogno di un cazzo di porto sicuro.»
«Lascia che te lo dica: ti sei rammollito», rincara la dose lei, non intenta a riflettere sulla cosa. «Sei la persona più forte che io conosca, sei persino più forte di me. Finora hai mostrato una tenacia senza precedenti e adesso, solo perché le cose si sono fatte un tantino più difficili del solito, inizi a lamentarti implorando l’arrivo di un amico?»
A quella frase non so cosa risponderle e resto a fissarla in silenzio.
Maxine mi afferra per il colletto della camicia e mi guarda dritta negli occhi a distanza ravvicinata. «Ma quali amici? Tu devi fotterlo il mondo!» urla.
 
Le parole di Maxine mi rimbombano in testa mentre cammino senza una meta per la strada. Oggi va così, ho bisogno di camminare per far scorrere i pensieri passo dopo passo, in modo che la matassa piena di nodi nella mia mente si districhi. C’è chi va in terapia per questo, un tempo ci andavo anche io. Be’, si fa quel che si può.  
Sto per mettere gli auricolari quando il suono di alcune voci molto familiari mi preleva dalla bolla di pensieri nella quale ero calato. Dietro l’angolo c’è una paninoteca e le voci provengono da un tavolino sul marciapiedi. A quanto pare, il destino continua a mettermi quei quattro per strada.
Non sta bene origliare, però…
No, Espedito, non esiste. L’hai sentita Maxine? Cambia strada e non ci pensare! Non deve interessarti né la loro vita fuori dal lavoro né cosa pensano di te.  
«Tu sei sicuro di volerci ancora collaborare?» sento la voce di Leorio, con tono evidentemente poco convinto.
A quel punto, mi nascondo nuovamente dietro l’angolo e prego di non essere scoperto, trattenendo disperatamente il fiato. Devo assolutamente sapere cosa si stanno dicendo.
«La catena della pressione non ha mai rivelato bugie da parte sua. Espedito è un tipo onesto», gli risponde Kurapika, con aria di sufficienza.
Catena della pressione? Cosa sarebbe? Io non ho visto nessuna catena!
«Troppo onesto, direi» si sente anche il solito tono saccente di Killua.
«Perché sei ancora così diffidente? Kurapika ha detto che dice la verità!» gli domanda Gon confuso.
«Infatti, non diffido di lui. Non fraintendetemi, è comunque un pagliaccio, ma non è lui che mi spaventa.»
«Sembra il poliziotto cattivo ma non lo è», aggiunge Leorio. «Quella Maxine mi mette i brividi.»
«Lei è solo una trentenne frustrata, non deve preoccuparci!» ridacchia l’albino. «Quella che non me la dice giusta è la fata confetto, ha qualcosa che non va. Il mio istinto dice che è pericolosa.»
«E perché mai? Graziina è una ragazza così bella e gentile!» Leorio ride di gusto a quell’affermazione.
«Anche a me piace tanto! La trovo adorabile», si aggiunge Gon.
«Perché pensi questo, Killua?» gli domanda Kurapika, interessato a sapere quale sia la sua analisi. «Tu che cosa hai visto?»
«Tutti e tre hanno questa particolarità di mantenere una sorta di maschera. Maxine ha sempre uno sguardo spento e il viso smorto, non comunica alcun tipo di emozione.»
Merda. Ci ha preso.
«Graziina, al contrario, sorride costantemente e ti guarda con occhi compassionevoli, oltre alla sua parlata in falsetto che è insopportabile.»
Anche qui ci ha preso. Merda due volte.
«Espedito, a differenza delle altre, ho notato che fa tantissime smorfie quando parla e sa come fare per attirare tutta la sua attenzione su di sé. È della specializzazione, tutto torna.»
Ma come fa? C’è una sorta di oroscopo con le tipologie di Nen? Della serie: “Ehi, Specializzazione! Oggi è il tuo giorno fortunato, potresti incontrare un bel Manipolatore che si rivelerà la tua anima gemella! Evviva gli sposi!”.
«E cosa distinguerebbe Graziina in negativo dagli altri due se non il fatto che piace tanto a Gon?» lo provoca Leorio facendolo diventare fucsia in viso, tra le risatine degli altri due.
«Non c’entra niente! Quella ragazza ha qualcosa di strano dentro, è come se tutta quella gentilezza avesse un secondo fine. Fa la svenevole e ha sempre quel sorriso idiota stampato in faccia anche quando è da sola e nessuno la guarda. È pazza, nasconde qualcosa e il suo amichetto la copre!»
«Ora sei proprio irragionevole», Leorio continua a ridergli in faccia, non prendendo minimamente sul serio le sue parole.
«Ti assicuro che sto dicendo la verità. Non hai notato che c’è una sorta di schema? Espedito e Maxine attaccano ferocemente e poi subentra lei a cercare di mediare la situazione, così da ben disporci anche nei confronti degli altri due. Non pensi che sia tutto organizzato? Che lei lo faccia di proposito per manipolare le persone?»
«Sono degli operatori di pace, devono essere persuasivi… Evidentemente la loro tecnica funziona» minimizza Kurapika, il quale sembra il più rilassato di tutti. «Non mi sembra una cosa che deve preoccuparci!»
«Sì, ma…» Killua vorrebbe obiettare, ma viene interrotto da Kurapika.
«Credo che tu ti stia facendo prendere da un’antipatia personale. Basta andarci cauti e andrà tutto bene. Hanno i loro interessi, finora non c’è nulla di cui preoccuparsi.»
Le parole del biondo hanno tranquillizzato tutti, infatti hanno cambiato argomento e stanno proseguendo la loro cena tranquillamente.
Tiro un sospiro di sollievo.

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