Nobody's home di LadyG (/viewuser.php?uid=64043)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** going under ***
Capitolo 2: *** La morte e la bambina ***
Capitolo 1 *** going under ***
Cristo
è morto per i nostri peccati. Abbiamo la sfacciataggine di
rendere
vano il suo martirio non commettendone? Feiffer
C’era
una volta…
Tutte
le favole che leggevo iniziavano così: c’era una
volta.
Solo
ora mi
soffermo
a soppesare
l’importanza di
quell’imperfetto: “C’era”. Non
c’è. Non ci sarà. C’era.
Eppure da bambina avevo la sciocca pretesa, di immaginarmi la mia
vita come una favola. Ben lungi da immaginarmi i dilemmi che ella mi
avrebbe riservato, la veneravo. Incondizionatamente. La ritenevo la
mia “amata immortale”. Nulla di più
sciocco. Ora come ora, non
posso definirmi disgustata da essa, sarei un ipocrita, ma quantomeno
ne sono profondamente delusa. Ripercorrendo mentalmente ogni singolo
minuto della mia esistenza, rivedo una serie di errori innumerevoli.
Ho trascorso la mia infanzia in Inghilterra. I miei genitori erano
ricchi, e rientravano in quella classe definita, in
tempi scorsi, Elite.
Forse, il loro era stato l’ultimo matrimonio combinato della
storia. Non erano felici. Ma la parola “divorzio”,
non rientrava
nel loro vastissimo dizionario. Io e mia sorella minore, imparammo
prestissimo a compensare l’assenza di nostro padre, e le
stramberie
di nostra madre. Tuttavia, la seconda occupò un posto
parecchio
rilevante nella mia vita. La ricordo bene. Era bellissima. Passava le
ore davanti allo specchio dalla cornice d’argento, in camera
sua.
Amava più me di mia sorella. Io ero più graziosa.
E quando era di buon umore, mi mandava a chiamare, e mi teneva con se
nella sua stanza. Per me, così poco abituata ad avere
contatti
umani, quei momenti erano quanto di più dolce si potesse
desiderare.
Me ne vantavo per settimane con mia sorella, che all’inizio
mi
fissava rapita, e poi per difendersi,costruiva un delizioso e inutile
broncio. Forse è in quei momenti di vana gloria, di cui
tanto
gioivo, che va ricercata la futura ostilità di
questa nei
miei confronti. Ma
tornando a mia madre,
dove
ero rimasta? Ah, si. In quei pomeriggi, chiuse nella camera
padronale, lei mi truccava e
mi vestiva. Finivo sempre per rassomigliare a una bambola. I vestiti
di pizzo, le labbra precocemente tinte di rosso, i grandi occhi grigi
spalancati che contrastavano con le morbide trecce nere. Di bambole
mamma ne aveva tante. Le curava, come una bambina, facendole
cambiare i vestiti dalle domestiche. Riversava su di esse
l’affetto,
che avrebbe dovuto appartenere a mia sorella e me. Tutta via non me
ne lamentavo. Mi piacevano quelle bambole, tutte perfette, tutte
diverse pur essendo simili. Erano di porcellana, fredda e dura, con i
capelli veri e le labbra dipinte a mano. A volte, se le osservavi
nella penombra, le notti di luna piena, sembravano vive. Anche in
quei momenti di eccezionale intimità, io e mia madre
conversavamo
poco. Sei bella, Hinata. Sei molto bella. Troverai un buon marito che
ti amerà, perché sei bella. Per molti anni,
l’idea che l’uomo
potesse giudicare una donna, in base a un criterio diverso, rispetto
a quello esteriore, mi parve una cosa ridicola. Mia sorella dal canto
suo, si chiudeva sempre più in se stessa. Non parlava, non
leggeva,
non scriveva,e non dipingeva. Si rifiutò di imparare a
scrivere fino
all’età di sei anni, ed anche allora lo fece
passivamente. Non
coltivò mai nessun interesse prima dei tredici anni. Io ero
diversa.
Mi dedicavo anima e corpo alla bellezza, per compiacere mia madre.
Mio padre mi riteneva, già all’epoca, una bambina
frivola. Non me
ne curavo. Lui non c’era mai. Lui non mi conosceva. Tuttavia
il
mondo letterario mi affascinava. Mi piacevano le favole. Quelle, che
per l’appunto iniziavano con c’era una volta, e
finivano con
vissero felici e contenti. Mi piaceva vivere, quanto amavo stare
sola. La prima cosa mi divenne sgradevole con
l’età, la seconda mi
riuscì sempre facile. E così, i primi sei anni
della mia vita, li
passai tra sogni di felicità, e frammenti
d’ideali. Vedevo mio
padre di tanto in tanto, e la cosa mi lasciava indifferente. Ormai
abituata agli sbalzi d’umore di mia madre, consideravo le sue
follie come normali. Fui cresciuta da Titite. La vecchia domestica,
che aveva cresciuto anche mio padre. Era una donna pia, dai capelli
argentati e le mani grandi e sgraziate. Tuttavia era gentile, si
prendeva cura di me e mia sorella,come fossimo figlie sue. Quando
realizzai che quello era il suo compito, ne rimasi delusa. Speravo
che almeno il suo amore,fosse incondizionato, come quello che i
principi nutrivano per le belle principesse. Ci crebbe con la giusta
decisione, e ci incoraggio a coltivare le nostre passioni.
Tuttavia,disprezzava la mia abnegazione nei confronti di un ideale di
bellezza,che lei definiva”Opera di Satana, destinata a punire
i
giusti figli di Dio,e indurli in tentazione”. Oscillava fra
una
totale devozione nei confronti di mio padre, e un disdegno profondo
per il suo modo di trattarci. Disapprovava che non si curasse
minimamente di noi. Lui dal canto suo se ne infischiava. Hyashi
Hyuuga, si definiva un uomo integro. Aveva una laurea in medicina,
conquistata a pieni voti, tuttavia non esercitava. Suo padre, mio
nonno, gli aveva lasciato due fabbriche gemelle da gestire, una in
america e l’altra a Londra, che rendevano bene. Godeva dei
benefici
di un titolo nobiliare, pur vivendo in un mondo in cui stava perdendo
importanza, e aveva vasti possedimenti. La casa d’oro delle
miei
memorie da infante, nell’Hampshire, era semplicemente la
più
lussuosa, che noi alternavamo con quella di Londra. Vestiva in modo
distinto, ma al contempo sobrio. Non si distingueva in nulla, ma
brillava in tutto. Tra un viaggio e l’altro, aveva sposato
mia
madre. All’epoca non conoscevo bene mio padre. Non sapevo che
tipo
di musica ascoltasse, ne che romanzi amasse. Neanche se gli piacesse
la cioccolata. Nulla. Ne soffrivo, ma ero arrivata a considerare
quella situazione normale. Sapevo che avevo i suoi occhi, e che mia
sorella aveva il suoi lineamenti e gli stessi capelli. Sunako Hyuuga,
mia madre, era una donna strana. Oscillava tra periodi di enormi
frivolezza e dissolutezza, con altri in cui appariva estremamente
calma e saggia. Perfettamente istruita, aveva una laurea in lettere,
presa tra una gravidanza e l’altra. Si era sposata a diciotto
anni
per volontà di suo padre. I capelli scuri e gli occhi
ardenti, un
profilo nobile e la pelle candida. Scoprii solo molti anni dopo, che
a causa di una complicazione durante il parto di mia sorella, al suo
cervello era mancata per pochi istanti l’aria, e si era
rovinato.
Era impazzita. Ecco spiegate le bambole, e le scenate. Nei momenti in
cui riacquistava la lucidità, era una donna incredibile. La
sua
unica sfortuna fu sposarsi. Ne conservo ancora un ricordo dolce,
guastato
da un leggero retrogusto amaro. Ricordi. E così fino
all’età di
sei anni, vissi nel mio mondo fatato. Un mondo di sola bellezza,
prati fioriti, risate, Titite e di specchi incantati. Una giungla
intricata di romanzi, rossetti, bambole e pianti. In cui tutta via
non trovavo nulla di strano. All’epoca credevo che
“C’era una
volta” equivalesse a c’è qui ora. Mi
sbagliavo ma me ne accorsi
molto dopo. No. Non ho mai rivelato queste cose a uno psicologo,
sarebbe cambiato qualcosa? Penso di no. Siamo noi a crearci il
nostro destino, ma forse qualcosa è già scritto.
Se non la vedo in
quest’ottica, impazzisco.
Non
mi chiedete come la mia povera mente bacata abbia partorito un simile
incipit, ne dove voglia andare a finire. A dire la verità
non so
neanche se lo continuerò...è uscito di getto, e
ho deciso di
pubblicarlo così, quasi per gioco. Spero comunque che
gradiate.
LadyG
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Capitolo 2 *** La morte e la bambina ***
Non è vero che la
morte ci giunge come un esperienza in cui siamo tutti
novellini: Tutti prima di nascere eravamo morti.
Cesare
Pavese, da il mestiere di vivere
Quando,
quella mattina di Agosto, il cadavere di mia madre fu portato via
avvolto nelle lenzuola di seta, scoprii il dolore e la paura. Morire
è parte stessa della vita. Cosa che sono riuscita ad
accettare, al
meno in parte, solo ora . Per molti anni credetti che la morte desse
un senso alla vita, sottraendola. Era il non senso che da un senso,
negando questo stesso senso. Ero l'anticristo di Vladimir
Jankelevitch. Tuttavia, rimane radicato in me un terrore del tutto
irrazionale. La paura della morte è dovuta all'incertezza di
ciò
che ci attende, ma penso sarà esattamente come prima che
fossimo.
Prima della mia nascita non so se ero o no, ne dov'ero, neanche mi
ponevo la domanda. Non credo in Dio, e neanche nel paradiso. Cenere
siamo e cenere ritorneremo. Anche se è poco probabile che
per me
finisca tutto con la mia morte, sarebbe troppo comodo cavarsela
così
facilmente. Eppure gli occhi vuoti, vitrei, spalancati dal terrore
di mia madre mi fanno sperare in qualcos'altro oltre il nulla.
Poverina. In vita fu così infelice, probabilmente quel
giorno
d'Agosto fu una liberazione per lei. Mio padre non venne al funerale.
Non penso pianse nemmeno, come mia sorella d'altronde, lui era solito
dire che sua moglie era morta da anni. Io non realizzai subito. La
perdita è come un buco nero, ti inghiotte lentamente. Ci
impiegai
tre giorni per far uscire le lacrime, dodici anni per liberarmi del
senso di colpa, una vita per perdonarla. Per perdonarmi. Forse, va
ricercato in questo mio trauma infantile il comportamento
autodistruttivo che mi contraddistinse
in seguito. Fui io a trovare il cadavere. Aprii la grande porta di
mogano della sua stanza per gioco, volevo nascondermi da mia sorella.
Fui accecata da un raggio di sole, le pesanti tende rosse erano
spalancate. Lei era sdraiata sul letto, e se non fosse stato per
tanta luce, avrei potuto pensare che stesse dormendo. Non ricordo
cosa provai, solo il silenzio. Opprimente. Sordo. Irreale. Non so
quanto tempo impiegai a raggiungere il suo letto, ma una volta
lì mi
tranquillizzai. La morte può anche essere bella quando al
volto di
tua madre e ancora non la conosci. Nessuno, me l'aveva mai
menzionata. Nel mio mondo rosa caramellato non vi era posto per cose
brutali. Le presi una mano, timidamente, e rabbrividii. Era fredda.
Mi arrampicai sul letto e mi infilai tra le sue braccia, appoggiando
la testa accanto alla sua, provai a capire cosa stesse guardando. Una
bambola di porcellana. Un odore di latte, pungente e acre, mi
avvolse. Non era sgradevole, ma non era quello fresco di fresia di
mia madre. Nelle fiabe non moriva ma nessuno, tranne i cattivi, ma
mamma era buona. Non so se davvero non capii cosa stesse succedendo
intorno a me, o se invece, lo intuii subito e in tutta la sua
gravità. Rimasi lì per ore, crogiolandomi nelle
braccia del
cadavere di mia madre, osservando la bambola. Tranquilla mamma,
sarò
come lei. Sarò bella e tutti mi ameranno, tu sarai fiera di
me. Lo
giuro. La cameriera che ci scoprì, corse urlando per tutta
la casa. Quattro giorni dopo, mio padre mandò una missiva.
Dovevo trasferirmi
a Londra, la grigia capitale, con Titite. Avrei continuato
laggiù i
miei studi. Mia sorella non era menzionata. Ubbidii, dopo la scoperta
della morte, la grande casa dell'Hampishire, aveva perso la sua
innocenza. Il giorno della mia partenza, presi la chiave della
camera di mamma, la chiusi, e infilai quell'oggetto di bronzo grande
quanto il mio pollice nella tasca del mio abitino bianco. Nessuno
sarebbe più entrato lì senza il mio permesso,
improvvisamente mi
sentii potente. Cosa che cercai di essere per tutta la vita,
inutilmente aggiungerei. Stavo per salire sull'automobile, quando
mia sorella uscì correndo dalla magione e si
aggrappò al mio
vestito. Sento ancora le sue mani serrate, e la muta richiesta
d'aiuto nei suoi occhi. Non avevo mai amato quel minuscolo esserino
che portava il nome di Hanabi. Ne lei, era mai stata spinta da amore
fraterno a fare qualcosa per me. Eppure era carne della mia carne,
sangue del mio sangue. Una delle poche persone destinate ad amarmi.
Le accarezzai il viso, lei iniziò a piangere. Portami con
te. Non
abbandonarmi. Avrei voluto, davvero, ma Titite mi tirò per
il
braccio e io non opposi resistenza. Mia sorella ruzzolò a
terra. La
portiera si chiuse, la macchina sgommò e lei
iniziò a piangere.
Solo ora riesco, vagamente, a immaginare la solitudine di quella
bambina. Abbandonata da tutti all'età di quattro anni. Io ho
odiato
persone per molto di meno.
Fatto!
Nel prossimo capitolo entra in scena Neji, il cugino fermamente
deciso a prendersi cura di Hinata e il primo amore,,,che
finirà
male. Ma la vita continua e la mia piccola mente bacata sta
elaborando un sacco di cosucce interessanti. Scusate per il capitolo
breve, ma la scuola è una priorità incipiente .XD
Spero abbiate
gradito...
ps
non tarderà ad arrivare anche Tenten, e in seguito quasi
tutti i
personaggi di Naruto...Ah, qualche consiglio per i paring? Arigato
Gozaimas LadyG
Blutigen91:
Grazie, spero di non averti deluso neanche con questo capitolo, anche
se è stato scritto un po' più in fretta del
precedente. Davvero
sono stata capace di incuriosirti? Me molto sorpresa e lusingata. Se
hai qualche consiglio dimmi pure e grazie davvero per l'appoggio
morale XD
Raven85:
Grazie infinite!!! A volte tendo a modificare completamente la
natura dei personaggi di Naruto e sono davvero molto contenta che
qualcuno apprezzi, appena avevo finito di scrivere il primo capitolo
ho pensato di essere definitivamente impazzita XD Diciamo che
sarà
una storia un po' particolare, e se avrai il coraggio di continuare a
seguirla, farò di tutto per non deluderti ...almeno spero.
Che ne
pensi di come sto continuando? Se hai consigli di pure, ho letto le
tue storie e l'ho trovate molto belle, però ho visto che non
scrivi
su Naruto...so che non sono fatti miei ma penso sia un peccato.
Vabbè
faccio meno l'impicciona e vado a studiare. Grazie ancora LadyG...
Mille
ringraziamenti anche a chi l'ha solo inserita nei preferiti, o nelle
seguite. E anche a chi ha solo letto. Sono Onorata. LadyG
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