Nobody's home

di LadyG
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** going under ***
Capitolo 2: *** La morte e la bambina ***



Capitolo 1
*** going under ***


Cristo è morto per i nostri peccati. Abbiamo la sfacciataggine di rendere vano il suo martirio non commettendone? Feiffer


C’era una volta…

Tutte le favole che leggevo iniziavano così: c’era una volta.

Solo ora mi soffermo a soppesare l’importanza di quell’imperfetto: “C’era”. Non c’è. Non ci sarà. C’era. Eppure da bambina avevo la sciocca pretesa, di immaginarmi la mia vita come una favola. Ben lungi da immaginarmi i dilemmi che ella mi avrebbe riservato, la veneravo. Incondizionatamente. La ritenevo la mia “amata immortale”. Nulla di più sciocco. Ora come ora, non posso definirmi disgustata da essa, sarei un ipocrita, ma quantomeno ne sono profondamente delusa. Ripercorrendo mentalmente ogni singolo minuto della mia esistenza, rivedo una serie di errori innumerevoli. Ho trascorso la mia infanzia in Inghilterra. I miei genitori erano ricchi, e rientravano in quella classe definita, in tempi scorsi, Elite. Forse, il loro era stato l’ultimo matrimonio combinato della storia. Non erano felici. Ma la parola “divorzio”, non rientrava nel loro vastissimo dizionario. Io e mia sorella minore, imparammo prestissimo a compensare l’assenza di nostro padre, e le stramberie di nostra madre. Tuttavia, la seconda occupò un posto parecchio rilevante nella mia vita. La ricordo bene. Era bellissima. Passava le ore davanti allo specchio dalla cornice d’argento, in camera sua. Amava più me di mia sorella. Io ero più graziosa. E quando era di buon umore, mi mandava a chiamare, e mi teneva con se nella sua stanza. Per me, così poco abituata ad avere contatti umani, quei momenti erano quanto di più dolce si potesse desiderare. Me ne vantavo per settimane con mia sorella, che all’inizio mi fissava rapita, e poi per difendersi,costruiva un delizioso e inutile broncio. Forse è in quei momenti di vana gloria, di cui tanto gioivo, che va ricercata la futura ostilità di questa nei miei confronti. Ma tornando a mia madre, dove ero rimasta? Ah, si. In quei pomeriggi, chiuse nella camera padronale, lei mi truccava e mi vestiva. Finivo sempre per rassomigliare a una bambola. I vestiti di pizzo, le labbra precocemente tinte di rosso, i grandi occhi grigi spalancati che contrastavano con le morbide trecce nere. Di bambole mamma ne aveva tante. Le curava, come una bambina, facendole cambiare i vestiti dalle domestiche. Riversava su di esse l’affetto, che avrebbe dovuto appartenere a mia sorella e me. Tutta via non me ne lamentavo. Mi piacevano quelle bambole, tutte perfette, tutte diverse pur essendo simili. Erano di porcellana, fredda e dura, con i capelli veri e le labbra dipinte a mano. A volte, se le osservavi nella penombra, le notti di luna piena, sembravano vive. Anche in quei momenti di eccezionale intimità, io e mia madre conversavamo poco. Sei bella, Hinata. Sei molto bella. Troverai un buon marito che ti amerà, perché sei bella. Per molti anni, l’idea che l’uomo potesse giudicare una donna, in base a un criterio diverso, rispetto a quello esteriore, mi parve una cosa ridicola. Mia sorella dal canto suo, si chiudeva sempre più in se stessa. Non parlava, non leggeva, non scriveva,e non dipingeva. Si rifiutò di imparare a scrivere fino all’età di sei anni, ed anche allora lo fece passivamente. Non coltivò mai nessun interesse prima dei tredici anni. Io ero diversa. Mi dedicavo anima e corpo alla bellezza, per compiacere mia madre. Mio padre mi riteneva, già all’epoca, una bambina frivola. Non me ne curavo. Lui non c’era mai. Lui non mi conosceva. Tuttavia il mondo letterario mi affascinava. Mi piacevano le favole. Quelle, che per l’appunto iniziavano con c’era una volta, e finivano con vissero felici e contenti. Mi piaceva vivere, quanto amavo stare sola. La prima cosa mi divenne sgradevole con l’età, la seconda mi riuscì sempre facile. E così, i primi sei anni della mia vita, li passai tra sogni di felicità, e frammenti d’ideali. Vedevo mio padre di tanto in tanto, e la cosa mi lasciava indifferente. Ormai abituata agli sbalzi d’umore di mia madre, consideravo le sue follie come normali. Fui cresciuta da Titite. La vecchia domestica, che aveva cresciuto anche mio padre. Era una donna pia, dai capelli argentati e le mani grandi e sgraziate. Tuttavia era gentile, si prendeva cura di me e mia sorella,come fossimo figlie sue. Quando realizzai che quello era il suo compito, ne rimasi delusa. Speravo che almeno il suo amore,fosse incondizionato, come quello che i principi nutrivano per le belle principesse. Ci crebbe con la giusta decisione, e ci incoraggio a coltivare le nostre passioni. Tuttavia,disprezzava la mia abnegazione nei confronti di un ideale di bellezza,che lei definiva”Opera di Satana, destinata a punire i giusti figli di Dio,e indurli in tentazione”. Oscillava fra una totale devozione nei confronti di mio padre, e un disdegno profondo per il suo modo di trattarci. Disapprovava che non si curasse minimamente di noi. Lui dal canto suo se ne infischiava. Hyashi Hyuuga, si definiva un uomo integro. Aveva una laurea in medicina, conquistata a pieni voti, tuttavia non esercitava. Suo padre, mio nonno, gli aveva lasciato due fabbriche gemelle da gestire, una in america e l’altra a Londra, che rendevano bene. Godeva dei benefici di un titolo nobiliare, pur vivendo in un mondo in cui stava perdendo importanza, e aveva vasti possedimenti. La casa d’oro delle miei memorie da infante, nell’Hampshire, era semplicemente la più lussuosa, che noi alternavamo con quella di Londra. Vestiva in modo distinto, ma al contempo sobrio. Non si distingueva in nulla, ma brillava in tutto. Tra un viaggio e l’altro, aveva sposato mia madre. All’epoca non conoscevo bene mio padre. Non sapevo che tipo di musica ascoltasse, ne che romanzi amasse. Neanche se gli piacesse la cioccolata. Nulla. Ne soffrivo, ma ero arrivata a considerare quella situazione normale. Sapevo che avevo i suoi occhi, e che mia sorella aveva il suoi lineamenti e gli stessi capelli. Sunako Hyuuga, mia madre, era una donna strana. Oscillava tra periodi di enormi frivolezza e dissolutezza, con altri in cui appariva estremamente calma e saggia. Perfettamente istruita, aveva una laurea in lettere, presa tra una gravidanza e l’altra. Si era sposata a diciotto anni per volontà di suo padre. I capelli scuri e gli occhi ardenti, un profilo nobile e la pelle candida. Scoprii solo molti anni dopo, che a causa di una complicazione durante il parto di mia sorella, al suo cervello era mancata per pochi istanti l’aria, e si era rovinato. Era impazzita. Ecco spiegate le bambole, e le scenate. Nei momenti in cui riacquistava la lucidità, era una donna incredibile. La sua unica sfortuna fu sposarsi. Ne conservo ancora un ricordo dolce, guastato da un leggero retrogusto amaro. Ricordi. E così fino all’età di sei anni, vissi nel mio mondo fatato. Un mondo di sola bellezza, prati fioriti, risate, Titite e di specchi incantati. Una giungla intricata di romanzi, rossetti, bambole e pianti. In cui tutta via non trovavo nulla di strano. All’epoca credevo che “C’era una volta” equivalesse a c’è qui ora. Mi sbagliavo ma me ne accorsi molto dopo. No. Non ho mai rivelato queste cose a uno psicologo, sarebbe cambiato qualcosa? Penso di no. Siamo noi a crearci il nostro destino, ma forse qualcosa è già scritto. Se non la vedo in quest’ottica, impazzisco.



Non mi chiedete come la mia povera mente bacata abbia partorito un simile incipit, ne dove voglia andare a finire. A dire la verità non so neanche se lo continuerò...è uscito di getto, e ho deciso di pubblicarlo così, quasi per gioco. Spero comunque che gradiate. LadyG


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Capitolo 2
*** La morte e la bambina ***


Non è vero che la morte ci giunge come un esperienza in cui siamo tutti novellini: Tutti prima di nascere eravamo morti.

Cesare Pavese, da il mestiere di vivere


Quando, quella mattina di Agosto, il cadavere di mia madre fu portato via avvolto nelle lenzuola di seta, scoprii il dolore e la paura. Morire è parte stessa della vita. Cosa che sono riuscita ad accettare, al meno in parte, solo ora . Per molti anni credetti che la morte desse un senso alla vita, sottraendola. Era il non senso che da un senso, negando questo stesso senso. Ero l'anticristo di Vladimir Jankelevitch. Tuttavia, rimane radicato in me un terrore del tutto irrazionale. La paura della morte è dovuta all'incertezza di ciò che ci attende, ma penso sarà esattamente come prima che fossimo. Prima della mia nascita non so se ero o no, ne dov'ero, neanche mi ponevo la domanda. Non credo in Dio, e neanche nel paradiso. Cenere siamo e cenere ritorneremo. Anche se è poco probabile che per me finisca tutto con la mia morte, sarebbe troppo comodo cavarsela così facilmente. Eppure gli occhi vuoti, vitrei, spalancati dal terrore di mia madre mi fanno sperare in qualcos'altro oltre il nulla. Poverina. In vita fu così infelice, probabilmente quel giorno d'Agosto fu una liberazione per lei. Mio padre non venne al funerale. Non penso pianse nemmeno, come mia sorella d'altronde, lui era solito dire che sua moglie era morta da anni. Io non realizzai subito. La perdita è come un buco nero, ti inghiotte lentamente. Ci impiegai tre giorni per far uscire le lacrime, dodici anni per liberarmi del senso di colpa, una vita per perdonarla. Per perdonarmi. Forse, va ricercato in questo mio trauma infantile il comportamento autodistruttivo che mi contraddistinse in seguito. Fui io a trovare il cadavere. Aprii la grande porta di mogano della sua stanza per gioco, volevo nascondermi da mia sorella. Fui accecata da un raggio di sole, le pesanti tende rosse erano spalancate. Lei era sdraiata sul letto, e se non fosse stato per tanta luce, avrei potuto pensare che stesse dormendo. Non ricordo cosa provai, solo il silenzio. Opprimente. Sordo. Irreale. Non so quanto tempo impiegai a raggiungere il suo letto, ma una volta lì mi tranquillizzai. La morte può anche essere bella quando al volto di tua madre e ancora non la conosci. Nessuno, me l'aveva mai menzionata. Nel mio mondo rosa caramellato non vi era posto per cose brutali. Le presi una mano, timidamente, e rabbrividii. Era fredda. Mi arrampicai sul letto e mi infilai tra le sue braccia, appoggiando la testa accanto alla sua, provai a capire cosa stesse guardando. Una bambola di porcellana. Un odore di latte, pungente e acre, mi avvolse. Non era sgradevole, ma non era quello fresco di fresia di mia madre. Nelle fiabe non moriva ma nessuno, tranne i cattivi, ma mamma era buona. Non so se davvero non capii cosa stesse succedendo intorno a me, o se invece, lo intuii subito e in tutta la sua gravità. Rimasi lì per ore, crogiolandomi nelle braccia del cadavere di mia madre, osservando la bambola. Tranquilla mamma, sarò come lei. Sarò bella e tutti mi ameranno, tu sarai fiera di me. Lo giuro. La cameriera che ci scoprì, corse urlando per tutta la casa. Quattro giorni dopo, mio padre mandò una missiva. Dovevo trasferirmi a Londra, la grigia capitale, con Titite. Avrei continuato laggiù i miei studi. Mia sorella non era menzionata. Ubbidii, dopo la scoperta della morte, la grande casa dell'Hampishire, aveva perso la sua innocenza. Il giorno della mia partenza, presi la chiave della camera di mamma, la chiusi, e infilai quell'oggetto di bronzo grande quanto il mio pollice nella tasca del mio abitino bianco. Nessuno sarebbe più entrato lì senza il mio permesso, improvvisamente mi sentii potente. Cosa che cercai di essere per tutta la vita, inutilmente aggiungerei. Stavo per salire sull'automobile, quando mia sorella uscì correndo dalla magione e si aggrappò al mio vestito. Sento ancora le sue mani serrate, e la muta richiesta d'aiuto nei suoi occhi. Non avevo mai amato quel minuscolo esserino che portava il nome di Hanabi. Ne lei, era mai stata spinta da amore fraterno a fare qualcosa per me. Eppure era carne della mia carne, sangue del mio sangue. Una delle poche persone destinate ad amarmi. Le accarezzai il viso, lei iniziò a piangere. Portami con te. Non abbandonarmi. Avrei voluto, davvero, ma Titite mi tirò per il braccio e io non opposi resistenza. Mia sorella ruzzolò a terra. La portiera si chiuse, la macchina sgommò e lei iniziò a piangere. Solo ora riesco, vagamente, a immaginare la solitudine di quella bambina. Abbandonata da tutti all'età di quattro anni. Io ho odiato persone per molto di meno.


Fatto! Nel prossimo capitolo entra in scena Neji, il cugino fermamente deciso a prendersi cura di Hinata e il primo amore,,,che finirà male. Ma la vita continua e la mia piccola mente bacata sta elaborando un sacco di cosucce interessanti. Scusate per il capitolo breve, ma la scuola è una priorità incipiente .XD Spero abbiate gradito...

ps non tarderà ad arrivare anche Tenten, e in seguito quasi tutti i personaggi di Naruto...Ah, qualche consiglio per i paring? Arigato Gozaimas LadyG


Blutigen91: Grazie, spero di non averti deluso neanche con questo capitolo, anche se è stato scritto un po' più in fretta del precedente. Davvero sono stata capace di incuriosirti? Me molto sorpresa e lusingata. Se hai qualche consiglio dimmi pure e grazie davvero per l'appoggio morale XD


Raven85: Grazie infinite!!! A volte tendo a modificare completamente la natura dei personaggi di Naruto e sono davvero molto contenta che qualcuno apprezzi, appena avevo finito di scrivere il primo capitolo ho pensato di essere definitivamente impazzita XD Diciamo che sarà una storia un po' particolare, e se avrai il coraggio di continuare a seguirla, farò di tutto per non deluderti ...almeno spero. Che ne pensi di come sto continuando? Se hai consigli di pure, ho letto le tue storie e l'ho trovate molto belle, però ho visto che non scrivi su Naruto...so che non sono fatti miei ma penso sia un peccato. Vabbè faccio meno l'impicciona e vado a studiare. Grazie ancora LadyG...


Mille ringraziamenti anche a chi l'ha solo inserita nei preferiti, o nelle seguite. E anche a chi ha solo letto. Sono Onorata. LadyG

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