I Will Burn for You

di Cassidy_Redwyne
(/viewuser.php?uid=445821)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** DAY I ***
Capitolo 2: *** DAY II ***



Capitolo 1
*** DAY I ***


DAY I
 

But I can see you
Your brown skin shining in the sun
You got your hair combed back and your
Sunglasses on, baby
I can tell you, my love for you will still be strong
After the boys of summer have gone

(The Boys of Summer, Don Henley, 1984)

 

«Siamo quasi arrivati» la informò Mina, mentre trafficava con l'autoradio, cercando invano di cambiare stazione. 

Dalle casse partì all'improvviso un famoso pezzo dei Journey a tutto volume, ma nemmeno il vociare del cantante bastò a coprire le urla che provenivano dal sedile posteriore.

«NON VEDO L'ORA!»

«Cecilia, calmati!» protestò la zia, tutto sommato divertita dalla situazione.

Ma Celia non poteva calmarsi. Quella era la prima vera vacanza della sua vita, dopo quindici lunghi anni passati solo a immaginare di poter caricare una valigia in auto e partire alla volta del mondo.

La meta prevista, in realtà, era molto più precisa. Cecilia Jones era diretta al campo estivo, situato nella baia di Monterey, dove da tre anni la cugina Mina – Wilhelmina, per la precisione, ma lei preferiva di gran lunga il suo soprannome – era solita passare due settimane delle sue vacanze. Quell'anno aveva proposto a Celia di venire con sé e la risposta potete ben immaginarla. 

Il Gallant Ranch era solito organizzare centri estivi per i suoi soci e, per due appassionate d'equitazione come lo erano Celia e Mina, rappresentavano il modello di vacanza ideale.

In cuor suo, oltre alla grande emozione, Celia era un po' preoccupata. La cugina, al contrario di lei, aveva avuto modo di tenersi in allenamento l'intero inverno, montando in un maneggio che aveva trovato vicino alla sua nuova casa, dopo il trasferimento a Merced, avvenuto tre anni prima. Lei si era occupata come sempre di Currant, il vivace puledro della sua famiglia, ma si erano limitati a fare passeggiate nelle praterie, e Celia non montava all'inglese, in un vero campo di sabbia, da quasi cinque anni.

"Te la caverai", le aveva detto sua madre prima di lasciarla partire, notando la sua preoccupazione. Lei lo sperava davvero.

«Siamo arrivati!» annunciò la zia, interrompendo il corso dei suoi pensieri.

Entrambe le ragazze si precipitarono sui rispettivi finestrini per dare un'occhiata: di fianco a uno sconfinato campo di girasoli era piantato un cartello di legno, con su scritto Gallant Ranch in vernice verde.

In mezzo ai campi di fiori gialli sorgeva una stradina sterrata, che la zia imboccò con sicurezza. Mentre l'utilitaria dondolava al ritmo delle buche, Mina ripeté per l'ennesima volta alla cugina i consigli di sopravvivenza per frequentare il maneggio a cui erano dirette, ovvero che Ian, l'istruttore, era terribilmente burbero ed era solito sputare insulti e imprecazioni ai suoi allievi, anche se a fin di bene; che avrebbero dovuto dividere uno dei tre bungalow con molte altre ragazze; che il figlio della proprietaria era piuttosto carino; che nel tempo libero potevano andare in spiaggia con il resto del gruppo.

Celia ascoltava con attenzione, nonostante sapesse quelle informazioni ormai a memoria, da quante volte la cugina gliele aveva ripetute.

Dopo qualche altro minuto di sballottamenti a suon di sassi e buche, la macchina inchiodò in quello che doveva essere il parcheggio del Gallant Ranch.

«Forza, si scende» le spronò la zia, smontando di macchina.

Le due ragazze la imitarono e si affrettarono a prendere i propri bagagli dal retro dell'auto. Mina aveva una valigia molto più comoda e leggera della sua, pensò Celia con un sospiro; ma dopotutto era anche molto più esperta in fatto di vacanze e lei, non sapendo bene cosa aspettarsi, aveva preferito mettere una cosa in più che una in meno.

Entrambe afferrarono l'impugnatura delle proprie valigie e si caricarono gli zaini in spalla, incamminandosi lungo il vialetto.

La strada conduceva a una piccola costruzione in legno, con sopra disegnato il logo del ranch: doveva trattarsi senza dubbio del Club House. Dietro di esso c'era una grande casa dal tetto spiovente, confinante con altre tre abitazioni, dipinte di colori sgargianti: rispettivamente rosso, giallo e blu. I bungalow.

«Wilhelmina? Finalmente!»

Dal Club House uscì una donna alta e magra, dai corti capelli grigi, che inforcò un paio di occhiali e si diresse correndo verso le nuove arrivate, dando un rapido abbraccio a Mina per poi stringere la mano di sua madre.

«È un piacere rivederla» disse, facendo poi un amichevole cenno di saluto a Celia.

«Tu devi essere la nuova arrivata. Cecilia, giusto? Io sono Francine» aggiunse con un sorriso, tendendole una mano.

Celia annuì, ricambiando la stretta. A primo impatto le parve una persona davvero simpatica.

«Le ragazze sono tutte in spiaggia, adesso. Se volete potete raggiungerle, dopo aver disfatto le valige. Tra un'oretta dovremmo metterci a tavola e nel pomeriggio ci dedicheremo ai cavalli» spiegò, in tono pratico. «Siete entrambe nella casa blu: penso non abbiate problemi a capire di quale si tratti» continuò, ammiccando.

Sua zia rise e Celia tirò un sospiro di sollievo. Mina si voltò per lanciarle uno sguardo d'intesa: sapeva bene quanto significasse per la cugina essere nello stesso bungalow.

Celia era sempre stata molto timida e trovarsi da sola in una casa con ragazze mai viste e conosciute sarebbe stato traumatico. Mina era sempre stata disposta a farle da salvagente, aiutandola a sbloccarsi e a farsi nuove amicizie.

«Se avete bisogno di me, mi trovate qui. A più tardi!» fece Francine, congedandosi in tutta fretta. Dava l'impressione di non stare un attimo ferma e forse era davvero così.

La zia abbracciò prima Mina e poi lei, augurando loro di passare delle belle settimane, e poi tornò alla macchina passando attraverso il vialetto.

«Francine ti sembra simpatica?» domandò Mina, mentre si incamminavano verso la costruzione di colore blu.

Man mano che si avvicinavano, Celia poté osservarla con più attenzione: le rifiniture erano bianche e ai davanzali delle finestre c'erano numerosi vasi di rigogliosi gerani rossi.

«Molto!» rispose lei.

«Lo è. Vedrai che ti troverai benissimo» le assicurò Mina.

L'interno della casa era molto accogliente e i vestiti sparsi un po' dappertutto lasciavano intendere che le ragazze a cui appartenevano dovessero essere state lì fino a poco tempo prima.

Gli interni erano color crema, lo stile minimale e semplice, anche se Celia notò una certa ricercatezza nell'arredamento, che a prima vista sembrava essere sistemato un po' per caso.

«Le ragazze hanno lasciato una stanza matrimoniale tutta per noi» annunciò Mina, dopo un breve giro di ricognizione per la casa. «Anche l'anno scorso ero qui! Che bello vedere che le cose non sono cambiate per niente.»

Celia si affrettò a seguire la cugina lungo le scale, che dovevano portare alla loro camera. «Quante siamo qui, lo sai?»

«Dai letti occupati, direi quattro» rispose Mina, facendosi di lato per farla entrare nella loro camera da letto.

La stanza era molto piccola: il letto a due piazze la occupava interamente e lasciava giusto uno stretto corridoio che rasentava la parete per poter passare; annesso alla camera c'era anche un piccolo bagno con doccia, e sopra la testiera del letto, sullo sfondo salmone della carta da parati, era appeso un lungo quadro raffigurante due angioletti che Celia a primo impatto trovò piuttosto inquietanti.

«Sì, quei cosi fanno paura» commentò Mina, che doveva aver seguito il suo sguardo.

Celia scoppiò a ridere. «Angioletti a parte, è carina» disse poi, registrando ogni particolare che trovava mentre passava la stanza in rassegna con lo sguardo.

«Già!»

Mina depositò le loro valigie sul letto e quindi si accinse a disfare la sua, subito seguita da Celia.

Dopo che i loro vestiti furono ordinatamente sistemati nell'armadio, gli asciugamani appesi ai ganci nel bagno e i propri comodini riempiti fino all'inverosimile, le due ragazze poterono ritenersi soddisfatte.

«Raggiungiamo le altre ragazze in spiaggia?» propose Mina, che aveva lasciato fuori un costume per quell'evenienza.

Celia annuì, mentre cercava rapidamente nell'armadio un costume da mettere, tra quelli che aveva portato con sé. Alla fine optò per un costume intero con una fantasia a righe blu e bianche ma, mentre stringeva la stoffa fra le dita, non si sentiva convinta. Era abituata a fare il bagno a lago, in solitudine – a volte anche senza costume, quando se lo scordava al ranch – ma l'idea di spogliarsi di fronte a degli sconosciuti la metteva vagamente a disagio.

Al ranch non si era mai posta problemi sul suo corpo e, d'altronde, non ne aveva motivo. A lei bastava che potesse sostenerla mentre compiva le faccende, che le permettesse di correre nei paddock insieme a Currant o di tornare in superficie quand'era sul fondo del lago e si scopriva ad aver bisogno d'ossigeno. A che altro serviva un corpo, sennò? Ma, di fronte ad altre persone, cambiava tutto. Non era come al ranch, dove la sua più fedele compagna, dopo la partenza di Mina, era stata la solitudine. Di fronte agli sguardi degli estranei, di colpo quel corpo che occupava un sacco di spazio, al punto che spesso doveva chinarsi per passare sotto le porticine più anguste, che tirava le magliette in corrispondenza del petto, dandole un sacco di fastidio, era un problema. Un problema che non voleva mostrare agli altri.

Si voltò verso la cugina, sforzandosi di soffocare quel pensiero. «Tu sai dov'è la spiaggia?»

«Certo, ci andiamo tutti gli anni! Non vedo l'ora di presentarti qualcuno!»

Mina afferrò il suo costume e, in uno slancio improvviso dato dall'allegria, piroettò su se stessa, facendo ondeggiare i lunghi capelli bruni, prima di chiudersi nel bagno.

Una volta dentro, Celia la sentì ridere. Doveva essere stata una scena abbastanza comica, in effetti, ma la ragazza l'aveva vista senza guardarla davvero.

Il pensiero che di lì a poco avrebbe conosciuto tutte le ragazze dei bungalow, infatti, aveva monopolizzato la sua mente, lasciandola senza fiato per un solo, lunghissimo attimo.

 

Come tutte le spiagge californiane che si rispettino, anche Santa Cruz, confinante con il Gallant Ranch, era sconfinata, rumorosa, e pullulava di bagnanti come un formicaio, nonostante l'ora di punta fosse passata da un pezzo.

Era lunga un chilometro e mezzo – forse qualcosina di più – calcolò Celia guardandosi intorno. Ovunque posasse lo sguardo, sul bagnasciuga come nell'acqua, c'erano persone. 

Abituata com'era ai laghi semideserti in cui era solita imbattersi, nella Sierra Nevada, la prima cosa a cui pensò fu la ritirata. 

Fu travolta dalle risate dei bambini, dagli strilli di chi veniva schizzato dall'acqua, dalle chiacchiere e dai pianti e rimase spiazzata, mentre si guardava intorno con aria spaesata.

Fortunatamente ci pensò Mina, ben più abituata di lei al caos delle spiagge, a trascinarla senza tanti complimenti nella mischia.

«M-ma quello è un luna-park?» balbettò Celia, gli occhi strabuzzati. Da dove si trovava poteva intravedere la cima di un'enorme ruota panoramica, dal quale proveniva una musica circense sparata a tutto volume.

«Proprio un luna-park» replicò Mina, senza neanche voltarsi. «Ci siamo andati un paio di volte, è divertente.»

Attraversati una dozzina di stabilimenti balneari gremiti di persone, il caotico luna-park in questione, con le musiche e gli sgargianti colori delle montagne russe che scintillavano sotto i raggi del sole e tanti, tanti ombrelloni sparsi qua e là sulla sabbia, le due cugine si fermarono.

Davanti a loro si stagliava un padiglione di tela verde a quattro lati aperti, con sopra il logo del ranch, collocato nell'angolo della spiaggia più lontano dall'ingresso dal quale erano arrivate. Lì vicino c'era un cancello, dal quale si snodava una stradina che si inerpicava tra le dune e che la cugina le rivelò essere l'accesso alla spiaggia riservato ai clienti del ranch.

«E perché diamine non siamo passate di lì?» sbottò Celia, con il cuore che ancora le batteva forte nel petto.

«Perché volevo mostrarti la spiaggia» spiegò la cugina, scoccandole un sorrisino innocente.

Celia sbuffò, guardandosi intorno con malcelata curiosità. 

In quel tratto di spiaggia libera, nonostante la confusione ci fosse sempre, si poteva avere un attimo di respiro: gli ombrelloni non erano accavallati gli uni agli altri e lasciavano un comodo passaggio per i bagnanti; in acqua la situazione non poi era così disperata come nelle vicinanze e la differenza con il gigantesco stabilimento balneare che sorgeva lì accanto, con annesso un affollato bar – e, come Celia lesse sull'insegna, una scuola di surf – era abbastanza evidente.

«Siamo arrivati!» annunciò Mina, lasciando finalmente la presa su Celia, che tirò un sospiro di sollievo. Per un attimo aveva seriamente temuto di non farcela.

Notando la sua espressione distrutta, la cugina ridacchiò. «Sarà meglio che tu ci faccia l'abitudine, Celia. Per fortuna questa parte della spiaggia è sempre stata la meno affollata.»

Avvicinandosi al padiglione verde, Celia notò una decina di ragazze sdraiate sugli asciugamani all'ombra, che chiacchieravano animatamente, e qualcosa le si mosse in fondo allo stomaco.

Vedendole, le ragazze ammutolirono all'istante, finché qualcuna non domandò: «Mina, sei tu?»

«Ehi, salve a tutte!»

Mina divorò i pochi metri che la dividevano dal padiglione e Celia la seguì con trepidazione. La cugina aveva già iniziato ad abbracciare e a salutare persone a destra e a manca e lei rimase immobile, incerta sul da farsi.

«Tu sei la cugina di Mina?»

Una ragazza le era comparsa davanti, la mano tesa affinché lei potesse stringerla. Era tutta sorridente, con due brillanti occhi castani che la scrutavano amichevolmente da sotto una matassa di capelli scuri. La sua pelle era olivastra, costellata di lentiggini, e copriva un volto squadrato e un po' spigoloso, che Celia trovò bello e bizzarro insieme. Era alta e molto magra, senza forme, il fisico androgino fasciato da un costume a due pezzi con la vita alta.

«Io sono Joan. Mina mi ha parlato un sacco di te, l'anno scorso!»

Celia ricambiò la stretta annuendo, appena rincuorata dal fatto che almeno la prima ragazza a cui si presentava sembrasse simpatica.

«Piacere. Io sono Cecilia» disse lei, abbozzando un sorriso.

«Che invidia, avere un rapporto del genere con la propria cugina! Io le mie a malapena so che esistono...» commentò una ragazza dai lunghi capelli rossi, distesa sul suo telo da bagno per prendere il sole. Disse di chiamarsi Olga e presentò per lei anche la sua gemella, Summer.

Fisicamente, notò Celia, erano quasi del tutto identiche: altezza nella media, molto magre, rosse di capelli. Tra le due, però, Summer aveva una spruzzata di lentiggini sulle guance e uno scintillio amichevole negli occhi che Celia preferì istintivamente alla sorella.

Dopo di loro, Celia ebbe modo di conoscere Helen e Catherine, che scoprì essere le loro compagne di bungalow. Era la prima volta che frequentavano il campo estivo del Gallant Ranch, proprio come lei, anche se quella per loro era la seconda settimana e sembravano già essersi perfettamente ambientate. Entrambe le parvero subito piuttosto simpatiche, nonché molto legate l'una all'altra. Helen le spiegò infatti che erano amiche da tempo e che frequentavano anche lo stesso maneggio, non molto lontano da Santa Cruz.

Celia notò che le due si somigliavano anche nell'aspetto: entrambe avevano chiarissimi capelli castani, quasi tendenti al biondo, e pelle color dell'avorio; Helen aveva però gli occhi a metà tra l'azzurro e il verde, Catherine del tutto castani.

Quando Celia si presentò poi ad Alice e all'amica Sharleen, capì subito di trovarsi di fronte a due ragazze provenienti da un mondo che non era il suo.

Alice era abbronzatissima e alta diverse spanne più di lei, Sharleen molto bassa, con un visetto immacolato e angelico, ma certo non fu questo a indurre Celia a pensarla così. Era l'aura che le avvolgeva, una sorta di consapevolezza di trovarsi un gradino più alto rispetto a tutte le altre ragazze presenti.

Nelle presentazioni non si dimostrarono ostili con lei, tutt'altro, ma Celia intuì comunque, diversamente dalle impressioni che aveva avuto di Helen e Catherine, che con loro non ci sarebbero state grandi occasioni per fare amicizia.

Quando poi conobbe un altro membro del loro gruppetto, Kate, il solco che aveva inizialmente tracciato nella sua testa si fece ancora più netto: la ragazza era in carne e molto imponente nell'aspetto, con un volto su cui Celia poté leggere un'evidente irritazione. Scoprì che aiutava Francine con i centri estivi al Gallant Ranch e la ragazza sperò in cuor suo di doverla frequentare il meno possibile, durante quelle settimane.

Dopo che Celia e Mina ebbero concluso tutte le presentazioni e si furono sistemate all'ombra con le altre ragazze, poterono prendersela un po' comoda. Vedendo che nessuna di loro sembrava intenzionata a fare il bagno, Celia fu più che lieta di lasciarsi addosso la maglia.

Mentre le chiacchiere del più e del meno riprendevano vivacemente, Celia ne approfittò per guardarsi intorno. 

In mare, oltre a dei bambini che giocavano fra gli spruzzi e diverse persone che valutavano l'idea di buttarsi o meno, c'erano dei surfisti.

L'insegna della scuola di surf nel vicino stabilimento balneare le lampeggiò subito in mente e aguzzò con curiosità la vista, ma poi la voce di Mina, vicino a lei, attirò la sua attenzione.

«Com'è la situazione, fino ad ora? Necessito degli aggiornamenti!» domandò, con un tono di voce volutamente lagnoso che fece scoppiare tutte a ridere.

«Nulla di nuovo, in realtà» rispose Joan, facendo spallucce.

Grazie alla cugina, Celia aveva scoperto che lei viveva poco lontano e di conseguenza frequentava il Gallant Ranch tutto l'anno, non solo nei mesi estivi, e sempre lì teneva i suoi due cavalli, Dragon e Armani. Che invidia!

«Ian è schizzato come al solito, Francine sta facendo i salti mortali per stare dietro a tutto e Ed ha intenzione di organizzare almeno cinque feste questa settimana.»

«Non oso immaginare cosa succederebbe se Francine lo venisse a sapere!» esclamò Helen, nascondendosi il volto tra le mani.

«Lo ucciderebbe, poco ma sicuro» commentò Mina, sghignazzando.

«Wilhelmina Price, non sei neanche finita di arrivare e sei già a parlare male di me?»

Una voce divertita risuonò alle loro spalle, facendole voltare di scatto. Mina, colta in flagrante, divenne paonazza.

Di fronte a loro si ergeva un ragazzo alto e dai folti capelli castani, zuppo d'acqua mentre stringeva fra le braccia una tavola da surf. Il timore che poteva incutere il suo aspetto imponente si dissolveva incrociando il suo sguardo, dolce e totalmente rassicurante. Mina non aveva davvero tutti i torti quando le diceva che era carino!

«Dopo questa, Mina, potrei anche decidere di non invitarti più» scherzò lui, fingendosi offeso.

«Avanti, smettila di tenermi il broncio!» Mina balzò in piedi scoppiando a ridere, ripresasi completamente dall'imbarazzo, mentre il resto del gruppetto li osservava in un silenzio divertito. «A proposito, ti presento mia cugina Cecilia.»

Mina la indicò a Edward, che le rivolse uno sguardo curioso. La cugina le aveva spesso parlato del figlio di Francine definendolo, oltre che un bel ragazzo, anche un cavallerizzo di talento.

Celia si fece avanti, un po' titubante, e si strinsero energicamente la mano.

«Piacere di conoscerti.» Ed le sorrise affabile, mettendola istintivamente a suo agio.

«Tu e i ragazzi siete tutti in acqua?» intervenne Alice, osservando il mare con una certa insistenza.

Edward si voltò nella sua direzione e Celia ne approfittò per rimettersi a sedere.

«Sì, ma anche loro si preparano per rientrare. Logan sta finendo una lezione con una bambina. Un tesoro, tra l'altro.»

«C'è anche Logan?» Alice si fece d'un tratto interessata, mentre un lampo indefinibile le attraversava lo sguardo.

Celia, dal canto suo, drizzò le antenne; non lo aveva mai sentito nominare prima.

«Chi è?» chiese, non riuscendo a trattenersi. 

Si maledisse di non aver tenuto la bocca chiusa quando sedici paia d'occhi si voltarono a fissarla, a metà tra il divertito e il compassionevole.

Alice la fissò a bocca aperta, ma poi la consapevolezza mutò l'espressione del suo volto. «Ah, giusto, tu sei nuova di qui...»

«Logan è il mio migliore amico» spiegò Edward, per niente infastidito dalla sua interruzione.

Celia era sinceramente sorpresa. «E va a cavallo pure lui?»

Ed stava per risponderle, quando la voce squillante di Olga lo interruppe all'improvviso. «Ma guarda qui! Parlano del diavolo e spuntano le corna!»

Dall'acqua erano emerse due figure. Una bambina piccola, con degli adorabili codini biondi, stringeva con tutte le sue forze una tavola da surf della sua misura, e qualcosa in Celia si agitò convulsamente quando spostò lo sguardo sul suo accompagnatore.

Perché raramente aveva visto un ragazzo così bello, nel suo costume a righe, i corti capelli tutti spettinati e la pelle abbronzata impregnata di salsedine. Era molto muscoloso, ma l'altezza faceva sì che non avesse un aspetto tarchiato come quello di molti palestrati, a cui qualche metro in più invece avrebbe fatto comodo; le spalle larghe e il bacino stretto erano unite da un'armoniosa linea curva, che contribuiva a renderlo ancor più aggraziato. Il viso era per metà coperto da un paio di occhiali da sole scuri ma, nell'istante in cui Celia lo vide, seppe che era dall'altezza di tutto il resto.

Le ragazze si dovevano essere accorte che era rimasta teatralmente a bocca aperta, perché ridacchiarono sommessamente.

«Il Gallant Ranch non sarebbe lo stesso senza la sua principale attrazione, non trovi?» commentò Joan divertita, dandole di gomito.

Decisamente no, avrebbe voluto replicare Celia con la stessa malizia, ma in quel momento aveva totalmente perso la facoltà di parola, soprattutto visto che l'affascinante istruttore di surf stava venendo nella loro direzione, sempre con la deliziosa bambina al seguito.

Quando entrambi furono davanti al padiglione, Logan si chinò fino ad arrivare al livello della piccola, che gli diede un sonoro bacio sulla guancia, prima di correre, con la tavola e un po' difficoltà, verso quella che doveva essere la madre.

«Hai cominciato a fare il baby-sitter?» lo prese in giro Kate, mentre tornava in piedi.

Celia ammirò la sua disinvoltura; in quel momento le pareva di essere un automa.

«Be', io almeno sono capace di farlo» ribatté lui, sogghignando.

Celia notò che le guance di Kate si stavano facendo paonazze, non avrebbe saputo dire se per l'imbarazzo o per l'irritazione.

«Su, andiamo a cambiarci» esclamò Edward, raggiungendo l'amico. «Tra poco si mangia. Vieni con noi, Logan?»

Lui si passò una mano fra i capelli, in un gesto palesemente studiato che però fece aumentare il batticuore a Celia. Quando incrociò per un attimo lo sguardo di lei, mentre osservava il gruppetto sotto al padiglione, lo stomaco le fece una capriola e si affrettò a voltare la testa di scatto. Subito dopo si maledisse per quell'azione avventata ma, quando tornò a guardarlo, Logan era coinvolto nella conversazione con Edward.

«Ho una lezione subito dopo pranzo, quindi preferirei rimanere qui. Ci vediamo dopo, però!»

Logan gli fece un cenno di saluto e si incamminò, tavola sottobraccio, verso lo stabilimento balneare dove lavorava, quello che avevano praticamente davanti.

«Ma quanto è figo?» commentò Summer, appena fu abbastanza lontano.

La frase fu accolta da una serie di risatine a cui Celia si unì, suo malgrado. Edward le fissava, scuotendo la testa divertito.

«Qualcuna qui non è rimasta indifferente al fascino del bagnino in questione, eh?» bisbigliò Alice, ammiccando verso Celia, che arrossì, abbassando gli occhi a terra e facendole ridere ancora di più.

«Le ragazzine timide come te Logan se le mangia a colazione» disse Olga freddamente.

«È fidanzato?» esclamò Mina in tono distratto.

Celia si voltò a guardarla di scatto e la cugina le rivolse uno sguardo d'intesa, mentre Kate le spiegava che sì, era single, ma ciò non significava che lui non avesse compagnia. Semplicemente, le relazioni stabili non gli andavano a genio.

«Anche se è molto che non lo vedo con una ragazza...» commentò Sharleen con uno strano sorrisetto.

Giunta l'ora di pranzo, mentre le ragazze riordinavano le loro cose per prepararsi a tornare al ranch, Celia ebbe modo di racimolare qualche altra informazione su Logan. Aveva vent'anni, lavorava per lo stabilimento balneare vicino come bagnino e istruttore e la sua più grande passione era il surf. Pareva che non avesse per niente a che fare con i cavalli, nonostante fosse un grande amico di Edward e bazzicasse spesso al Gallant Ranch. Informazioni di cui comunque non si sarebbe fatta nulla, visto che lei non aveva niente a che spartire con un ragazzo del genere. Olga poteva essere stata brutale, pensò Celia con un sospiro, ma le aveva detto la verità.

«Pensi ancora al surfista?» la canzonò Mina sulla via del ritorno, vedendola sovrappensiero.

«Macché» borbottò Celia. «Penso alla lezione di oggi.»

Era vero. Superate le presentazioni, restava ancora uno scoglio davanti a lei, che l'aspettava quel pomeriggio e, ora dopo ora, si faceva sempre più vicino.

«Su, andrà benissimo» la rassicurò Mina, dandole una pacca sulla spalla.

Il sentiero che stavano percorrendo, la stradina in sabbia costeggiata da dune, arbusti e bassi cespugli disposti a grappoli, leggermente in salita, era deserta rispetto al resto del bagnasciuga. Celia sarebbe stata più che lieta di usufruire di quella scorciatoia, da lì in avanti: non aveva più alcuna intenzione di attraversare di nuovo quella marea umana solo perché Mina le potesse mostrare la spiaggia.

«Sei preoccupata?» si intromise Catherine, affiancando le due cugine.

«Be', dopotutto deve ancora conoscere Ian» commentò Helen, abbracciando Catherine per le spalle e lanciando a Celia un'occhiata solidale.

«Ian è fatto a modo suo, ma non deve spaventarti» mormorò Catherine sorridendo. «Helen, mollami!» esclamò poi, ridendo.

«Il fatto è che...» Celia sospirò. «Non so se sono più in grado di montare in campo. All'inglese, poi! Sono cinque anni che non faccio una lezione...»

«Cinque anni?!» esclamò Helen, strabuzzando gli occhi.

Notando la sua espressione, Celia ridacchiò. «Già.»

«Celia monta nelle praterie come un'indiana» mormorò Mina, ridendo.

«Ma dai, che figata!» commentò Catherine, impressionata. «E hai un cavallo tuo?»

Celia annuì sorridendo. «Un paint. Si chiama Currant.» Dopo un attimo di esitazione, spinta dall'atteggiamento amichevole delle due, si azzardò a chiedere: «E voi?»

«Io no» sospirò Catherine. «Ma prima o poi riuscirò a convincere i miei a comprarne uno!»

«Io ho una pony di nome Eagle» rispose Helen, sorridendo. «È qui al ranch!»

Celia ricordò in un lampo che c'era la possibilità di portare il proprio cavallo con sé per tutta la durata del campo estivo, in modo da allenarsi con lui, e pensò a come sarebbe stato bello portarvi Currant. Entrambi avrebbero avuto davvero bisogno di qualche dritta.

«E tu, Mina?» chiese Helen, voltandosi verso di lei.

Il sorriso che la cugina di Celia sfoggiava in ogni occasione le tremò sulle labbra. «Non ho un cavallo mio» mormorò dopo un lungo momento, rabbuiandosi.

Captando il suo tono, le due ragazze preferirono non insistere. Quanto a Celia, sapeva bene che per la cugina quello era un tasto dolente. Erano anni e anni che cercava di convincere gli zii a comprarle un cavallo, ma loro erano irremovibili. Eppure, se c'era una persona che si sarebbe meritata di averne uno, quella era Mina: Celia non aveva mai visto nessuno montare bene come la cugina.

 

A pranzo, Celia ebbe modo di conoscere coloro che quella mattina non si erano recati in spiaggia.

A dire il vero, a presentarsi fu solo Chris, un ragazzo alto e biondo dall'aspetto pericolosamente altezzoso, che non faceva altro che scherzare con Alice, Sharleen e le due gemelle, e che Celia pensò subito essere un membro del loro gruppo ristretto. Contro ogni previsione, però, il ragazzo stupì piacevolmente Celia con un sorriso amichevole prima e con la decisione di sedersi al loro tavolo dopo, lasciando le altre ragazze da sole.

Nello stanzone adibito a sala pranzo, nella casa dal tetto spiovente che Celia aveva notato appena arrivata e che scoprì essere l'abitazione di Ian, Francine e Ed, c'erano tre lunghi tavoli, in cui i ragazzi si sparpagliarono in tutta fretta, essendo piuttosto affamati.

Lei e Mina si sedettero insieme a Joan, Helen, Catherine e Chris; in un altro presero posto Alice, Sharleen, Olga e Summer; nell'ultimo c'era un gruppetto di ragazzi che non aveva mai visto, ma nessuno fece il gesto di presentarsi. Celia non poté fare a meno di notare che facevano una confusione pazzesca, mentre Alice e le altre lanciavano loro delle occhiate piuttosto seccate.

«Chi sono quelli?» chiese, gli occhi fissi su di loro. Erano dieci, ad occhio tutti più piccoli di loro, ad eccezione di una ragazza dai lunghi capelli bruni che sembrava essere sua coetanea.

«È il team di mounted games* del ranch» le spiegò Joan, seguendo il suo sguardo. «Loro sono come me, non sono qui per il campo estivo.»

«Ho sempre voluto provare i mounted games» commentò Chris, mentre si versava da bere.

«Nessuno ti prenderebbe sul serio, con quelle gambe lunghe che ti ritrovi» sogghignò Helen, guadagnandosi uno spintone scherzoso da parte di Chris.

«Cibo, finalmente!» esclamò Joan, alzando lo sguardo. «Sto morendo di fame.»

Kate aveva fatto il suo ingresso nella sala, seguita a ruota da Edward. Entrambi avevano tra le mani dei piatti di plastica con sopra hamburger e patate fritte.

Lo stomaco di Celia brontolò rumorosamente, mentre i due ragazzi facevano la spola tra la cucina e la sala da pranzo per servirli tutti quanti. Ed non sembrava essere affaticato dalla cosa, mentre Kate aveva un'espressione cupa stampata in volto, come se si stesse chiedendo come mai quell'incombenza fosse toccata proprio a lei.

«Nessuno dà una mano?» bisbigliò Celia, dando di gomito alla cugina, che Ed aveva appena servito.

«Oggi è il turno di Ed» rispose Mina, addentando una patatina. «AHI! Cavolo se scotta...» La abbandonò sul piatto e si soffiò sulle dita. «Nei prossimi giorni toccherà anche a noi aiutare Kate, vedrai.»

Non appena la ragazza bionda le ebbe schiaffato davanti il suo piatto, Celia si avventò sul panino, malgrado fosse ustionante.

Il loro tavolo era stato l'ultimo ad essere servito e, mentre mangiava, Celia osservò Ed, con il suo piatto in mano, lanciare un'occhiata nella loro direzione, prima forse di realizzare che era al completo e rassegnarsi a sedersi insieme a Kate al tavolo delle sue amiche.

Anche Francine aveva fatto la sua comparsa ed era stata accolta da una pioggia di saluti affettuosi. Dopo aver arraffato un panino dalla cucina, si era seduta a mangiare sulla soglia della porta di cucina.

E poi, all'improvviso, era arrivato lui.

«Eccolo!» commentò Mina, a bocca piena.

Celia deglutì a vuoto. L'uomo che aveva appena varcato la soglia con passo solenne aveva completamente ignorato la figura Francine seduta sui gradini, che si dovette bruscamente fare di lato per non finire travolta. Nel farlo, diverse patatine si sparsero sul pavimento.

«Fa' attenzione, papà» borbottò lei, scoccandogli un'occhiataccia.

Celia lo osservò con il cuore in gola. Dunque era quello il famoso Ian. Alto e secco, aveva lunghi capelli bianchi che spuntavano a ciuffi da sotto un cappellino con visiera. Le folte sopracciglia e i baffi erano ugualmente candidi, così come la camicia bianca, che portava sopra un logoro paio di pantaloni da equitazione. Aveva stivali da equitazione lunghi fino a metà polpaccio, da uno dei quali spuntava l'estremità di un frustino. Ma quello che colpì Celia fu il suo sguardo torvo, in confronto al quale lo sguardo annoiato di Kate sembrava il ritratto della felicità. Sembrava che qualcuno gli avesse rubato il portafogli e che, guardandosi intorno nella sala e osservando uno ad uno i presenti, fosse a caccia del ladro.

Quando i loro sguardi si incrociarono, Celia si affrettò ad abbassare gli occhi sul piatto. Quell'uomo aveva davvero un'aria minacciosa, ma nessuno sembrava essere rimasto troppo colpito dalla sua entrata, visto che tutti continuavano a chiacchierare come al solito, specialmente il tavolo dei ragazzini di prima.

Ian attraversò a grandi passi la sala, diretto verso la cucina, quando una delle giovani promesse dei mounted games del ranch, nel gesticolare animatamente, fece cadere il proprio piatto a terra. Schizzi di ketchup colpirono i pantaloni crema di Ian, che stava passando proprio in quell'istante.

L'istruttore si immobilizzò ed il silenzio calò per un attimo nella sala. 

Ian si voltò per fissare il ragazzino, che nel frattempo era diventato bianco come un cadavere. Celia notò che il colorito dell'uomo si stava facendo violaceo, mentre il labbro inferiore gli tremava impercettibilmente.

«Porca puttana Fred, che cazzo credi di fare?» berciò, facendo trasalire il povero ragazzino e anche Celia, malgrado si trovasse al sicuro al suo tavolo.

«Papà, falla finita» giunse la voce annoiata di Francine, dalla soglia.

«Raccogli subito questo casino!»

Fred continuava a non dire una parola, sempre più pallido e tremante.

«Raccoglilo, ho detto!»

«C-certo» balbettò infine lui, chinandosi a terra.

Celia distolse lo sguardo da quella scena e vide che i ragazzi del suo tavolo la stavano fissando con l'aria di chi la sapeva lunga.

«E così hai fatto la conoscenza di Ian» proruppe Mina, scuotendo leggermente la testa.

Celia deglutì. Qualcosa le diceva che non sarebbe sopravvissuta alla lezione di quel pomeriggio.

 

Più tardi, Francine assegnò loro i cavalli per la lezione e comunicò a Celia che quel giorno avrebbe montato un certo Black Beauty.

«Io adoro Black Beauty!» commentò Mina, mentre si incamminavano verso le stalle.

La cugina la precedeva di qualche passo, saltellando come suo solito. Le era stata assegnata una cavalla di nome Miss che, a detta sua, era veramente terribile da montare, ma non sembrava che la notizia le avesse rovinato il buonumore.

I boxes e i paddock erano situati sulla destra, al di là dello spiazzo dove si trovavano i loro alloggi, dalla parte opposta rispetto al parcheggio.

Celia e Mina erano tornate un attimo ai bungalow per mettersi gli stivali e avevano appena superato la casa di Francine. Anche da quella distanza, però, la ragazza poteva vedere quanto i paddock fossero enormi. Ad occhio e croce, circa sei ettari di terreno. Esattamente di fronte ad essi, s'intravedevano due ampi campi in sabbia, centoventi per sessanta, avrebbe detto Celia; in uno di essi vide sparpagliati dei coni, dei barili e dei teli di plastica e ipotizzò che si trattasse dell'area di mounted games; nell'altro c'erano montati degli ostacoli. Era il loro.

Le altre ragazze, già tutte pronte all'ora di pranzo, erano tra i boxes a preparare i cavalli. Celia passò in rassegna il corridoio con lo sguardo, alla ricerca di Helen, Catherine o Joan, ma non le vide. Dovevano essere andate a prendere i loro cavalli nei paddock.

Celia era disorientata da tutta quel viavai, da quelle costruzioni così imponenti, abituata com'era a Currant, al suo recinto e alla modesta capannina che usava per ripararsi e che di tanto in tanto cedeva durante i temporali più violenti, costringendo lei e il padre a ripararla. Non credeva di aver mai visto dei boxes così belli, in lucido legno di castagno, con le sbarre verdi verniciate di fresco, a giudicare dalla loro brillantezza. In fondo a quella sconfinata fila di boxes – trenta per lato – l'uscita conduceva ai paddock sul lato sinistro, al campo sul lato destro.

Mentre attraversavano a passo svelto il corridoio tra le due file di boxes, dai quali di tanto in tanto si affacciava il muso incuriosito di qualche cavallo, Celia e Mina si imbatterono nella figura di Alice, che stava sellando un pony grigio pomellato, legato all'anello del suo box.

Celia rimase incantata dall'aspetto dell'animale che, nel vederla passare, si voltò verso di lei con un'espressione dolcissima sul piccolo muso.

«Lui è Zar» disse Alice in tono d'orgoglio, notando il suo sguardo incantato.

«È bellissimo» mormorò Celia, voltandosi appena per fronteggiare la ragazza, che in quell'istante si stava allacciando il cap, i vaporosi ricci bruni che rendevano difficoltosa l'impresa. «È tuo?»

«Già» fece lei, sorridendo, seguita dal click dell'allaccio. «L'ho portato perché Ian ci alleni per le nazionali di quest'autunno.»

Celia annuì distrattamente. Non aveva seguito granché la risposta di Alice, dal momento che tutta la sua attenzione era stata catalizzata dal suo elmetto: in un lampo, ricordò di averlo già visto su una rivista di equitazione alla quale era abbonata. Costava sui seicento dollari.

«F-fantastico» balbettò, affrettandosi a seguire Mina, che nel frattempo aveva ripreso a camminare a passo svelto.

Un sottile senso di inadeguatezza si era diffuso in lei. Di colpo si sentì un'intrusa in quel posto lussuoso, in cui le ragazze partecipavano ai più importanti concorsi di salto ostacoli e si vestivano con caschetti che costavano quanto il guadagno di due mesi di suo padre.

Poco prima dell'uscita c'era la selleria. In linea con il resto del posto, era perfettamente ordinata. 

Quando Celia e Mina ebbero varcato la soglia, la ragazza cercò, fra le dozzine di finimenti appesi alle pareti, quelli di Black Beauty, che Francine le aveva detto essere in paddock.

Li individuò in un angolo e si affrettò a prendere capezza e lunghina, appesi sotto una lucida sella di cuoio nero.

«Merda, quelli di Miss non ci sono» udì Mina borbottare. Voltandosi verso di lei, la cugina aggiunse: «È la cavalla di un privato. Chissà dove li avrà cacciati!»

La ragazza uscì trafelata dalla selleria, non prima di aver detto a Celia: «Vado a chiedere. Tu intanto avviati nei paddock.»

«Aspetta!» esclamò Celia. «E io come faccio a capire chi è Black Beauty?!»

La testa della cugina fece capolino dalla soglia, un sorriso furbetto dipinto sulle sue labbra. «Be', è nero.»

Gli occhi di Celia si levarono d'istinto verso il soffitto. «Grazie» borbottò, guardandola storto. «E immagino sia l'unico morello di tutto il maneggio!»

Mina scoppiò a ridere. «Dai, avviati. Io arrivo subito.»

 

Come aveva notato mentre vi si avvicinava, i paddock erano sconfinati. E misuravano sei ettari.

Celia si rincuorò nel vedere che, malgrado i boxes di lusso e tutto il resto, i cavalli erano tenuti fuori e avevano un'espressione serena sui musi, mentre la osservavano passare lungo il sentiero, con i manti tutti sporchi e infangati di chi era abituato a passare ore e ore all'aperto.

Dopo una discreta sfacchinata, Celia finalmente individuò un cavallino nero che corrispondeva alla descrizione – un po' più approfondita – che Mina le aveva fatto su Black Beauty, dopo le sue proteste.

Era piccolo e nero, un po' tozzo, con un pelo così infangato da sembrare quasi grigio. Sembrava essere l'unico abitante del suo paddock e la fissava con le orecchie ritte, l'aria guardinga, dalla cima di una collinetta. Sembrava un cavallo selvaggio.

Celia passò sotto il filo della corrente e fece per avviarsi, quando una voce la bloccò.

«Ehi, ma che stai facendo?»

Celia si voltò di scatto. Edward era sul vialetto, gli occhi fissi su di lei, con le lunghine di cinque cavalli tra le mani, che gli scalpitavano intorno come tanti cani che tiravano al guinzaglio. Delle ragazze gli stavano venendo incontro, che Celia riconobbe come Helen, Summer e Sharleen: dopo aver preso tre dei cavalli che aveva con sé, si avviarono in fila indiana verso i boxes.

«Sto prendendo Black Beauty» disse lei debolmente, non più tanto convinta. Qualcosa, nel tono del ragazzo, l'aveva messa in guardia. Il suo gesto, in qualche modo che lei non sapeva spiegarsi, l'aveva turbato.

«Quello non è Black Beauy» rispose Ed. «Questo è Black Beauty» aggiunse, sollevando una delle lunghine che teneva fra le mani, a cui era legato un cavallino morello esattamente identico a quello cui Celia stava andando incontro in paddock.

Celia lanciò qualche improperio contro Mina dentro di sé e si affrettò ad uscire dal recinto, raggiungendo il ragazzo e i cavalli sul sentiero.

«Scusa, non lo sapevo» mormorò, afferrando la corda che Edward gli stava tendendo.

Lui scrollò le spalle. «Figurati. Non potevi saperlo, sei appena arrivata.»

Il suo sguardo corse verso il paddock dal quale Celia era appena uscita e, voltandosi, la ragazza vide che il cavallo non si era ancora mosso dalla collinetta, gli occhi fissi su di loro come se stesse ascoltando quello che dicevano. «Ma è meglio se non ti avvicini a quello lì.»

«Ok» rispose Celia, non sapendo come interpretare quell'avvertimento.

Salutò Black Beauty – davvero carino, pensò – con un buffetto sul muso e tornò a rivolgersi a Ed. Le era venuto in mente che la cugina non l'aveva ancora raggiunta. «Hai idea di dove sia la capezza di Miss? Mina la stava cercando.»

Ed sorrise. Pareva vagamente divertito. «Ce l'ho io» disse, per poi indicare con lo sguardo il cavallo che gli era rimasto, un sauro dal muso leggermente convesso e il collo lungo, un po' sproporzionato rispetto al tronco. «Miss è questa qui.»

Celia si illuminò. «Ah, fantastico!» Rivolse poi un'occhiata esitante al ragazzo. «Posso portargliela?»

«Certo» fece lui, passandogli la lunghina. «Io intanto vado a prendere quelli che mancano.»

Con i due animali al seguito, Celia si avviò lungo il sentiero, in direzione dei boxes.

Sopra di lei, il cavallino nero continuava ad osservarli.

 

A Celia Black Beauty piacque fin dal primo istante.

Come altezza le ricordava il suo Currant, anche se pareva molto meno vivace del suo puledro.

Celia e Mina avevano legato i loro cavalli alla staccionata, posizionata all'uscita dei boxes, al centro del piccolo spiazzo dal quale partivano i sentieri che conducevano ai paddock da una parte e ai campi da lavoro dall'altra.

Le due cugine lavoravano fianco a fianco, strigliando i loro animali di buona lena e, dopo averli sellati e aver visto che le altre ragazze si stavano cominciando ad avviare verso il campo ostacoli, si allacciarono i cap e si affrettarono a seguirle.

Man mano che si facevano più vicine all'entrata del campo, l'ansia cresceva ad ondate nel petto di Celia. Stava per fare lezione. All'inglese. In un recinto. Con un istruttore che sembrava matto da legare.

Ian le aspettava al centro del campo. Stava dando dei calci alla sabbia e, dall'espressione che aveva stampata in faccia, sembrava non aver ritrovato il fantomatico ladro del suo portafogli.

«Ma perché sembra sempre così incavolato?» bisbigliò a Mina, mentre faceva fermare Black Beauty al centro del campo.

Lei le rivolse un'occhiata dubbiosa. «Non ne ho idea. Ma ti assicuro che è un istruttore davvero in gamba.» Il suo sguardo si posò su Alice, già in sella al suo Zar, che in quel momento stava raspando la sabbia del campo con l'anteriore sinistro. «Altrimenti Miss Perfezione non verrebbe certo al Gallant Ranch

Celia inarcò un sopracciglio. Non aveva mai sentito Mina parlare in modo così sprezzante di qualcuno, prima d'allora. Alice le era sembrata un po' snob, ma non crudele. Quanto a Ian, più lo inquadrava e meno le piaceva: aveva come il sospetto che il suo comportamento sgarbato si sarebbe volatilizzato quando si fosse rivolto ad Alice e ad altre allieve del suo livello.

Osservando lei e gli altri, Celia si rese conto in un soffio che avevano tutti le ghette sopra gli stivali. Lei e Mina erano le uniche a non indossarle: al posto di esse, loro due si erano abituate a portare dei calzini spessi, lunghi fino al polpaccio, ormai scoloriti ed infeltriti dal tempo.

«Non hai caldo, con quegli affari?» domandò Summer, sfilandole accanto su una pony palomina, come se le avesse letto nel pensiero.

Celia scosse la testa e distolse lo sguardo in preda all'imbarazzo, ritrovandosi a fissare gli altri binomi con vergognosa insistenza. Mentre si guardava attorno nel campo, si accorse che erano davvero in tanti. Dieci, per l'esattezza. Ian sarebbe riusciti a seguirli tutti? Oltre a Summer e la palomina, nonché Alice e Zar, c'era Helen su una grigia, che doveva essere la sua Eagle; Catherine su un grosso sauro e Olga su un arabo grigio; Sharleen montava una baia sottile e scattante, Joan un sauro che presentò a Celia come Armani.

«È bellissimo» disse lei, mentre finiva di controllare il sottopancia di Black Beauty.

«E del mio Pepper non dici nulla?»

Celia si voltò di scatto verso la voce, che riconobbe come quella di Chris, il quale torreggiava su di lei dalla groppa di uno dei cavalli più belli che avesse mai visto.

«Wow» fu tutto quello che riuscì a dire, mentre fissava incantata il baio scuro del ragazzo. Aveva un fisico imponente, da saltatore, e un manto così lucido che scintillava sotto gli ultimi raggi del sole.

«Ti presento Sergent Pepper's» mormorò Chris, in un tono talmente solenne che a Celia sfuggì una risatina.

«Piacere mio» rispose, non potendo fare a meno di pensare che quel ragazzo fosse davvero buffo.

«Avete finito di ciarlare?»

La voce esasperata di Ian s'intromise di colpo nella conversazione e Celia divenne paonazza.

«Tu.» L'istruttore, che l'aveva raggiunta, l'additò e le rivolse un'occhiataccia. «Non sei ancora salita? Che stai aspettando?»

Guardandosi freneticamente attorno, Celia vide che tutti – Mina compresa – erano già in sella e si sentì inorridire.

«Sei capace o hai bisogno di un aiutino?» aggiunse, la voce che grondava sarcasmo.

Una risatina, che Celia identificò come quella di una delle due gemelle, fendette l'aria, e la ragazza deglutì a vuoto.

«Ce la faccio» disse, a voce così bassa che dubitò che lui l'avesse sentita.

Dopo aver lanciato un'ultima, frettolosa occhiata al sottopancia, montò in sella. Infilandosi i piedi nelle staffe, si accorse subito che avrebbe dovuto allungare gli staffili di qualche buco, ma non osò farlo, con gli occhi di Ian ancora fissi su di lei come se la stessero trapassando da parte a parte.

«Io non ti ho mai visto» realizzò di colpo l'istruttore, aggrottando le folte sopracciglia. «Chi saresti?»

«Sono Cecilia» si affrettò a dire lei, intimorita. «La cugina di Mina» aggiunse a chiarire, ma, a giudicare dall'espressione confusa che lui assunse, non doveva avere la più pallida idea di chi fosse sua cugina.

«Perfetto» concluse lui, scrollando le spalle. «Tanto tra cinque minuti me ne sarò già dimenticato.»

Tornando a fronteggiare il gruppo, esclamò a gran voce: «Bene, siamo pronti? Forza, mettetevi in fila.»

Ian fu interrotto da un improvviso colpo di tosse e, quando riattaccò a parlare, Celia realizzò come l'istruttore riuscisse a fare lezione senza neanche prendersi la briga di imparare i nomi dei suoi allievi. Grazie a Dio, conosceva almeno quelli dei suoi cavalli.

«Zar, in testa» berciò. «Countess, Pepper, Eagle, Bee, Goldrush, Miss, Shiraz, Black Beauty. Armani in fondo. Sbrigatevi!»

Celia spalancò la bocca di fronte a quella valanga di nomi che non aveva mai sentito nominare prima d'allora e si aggrappò con tutte le sue forze ai pochi che conosceva, come un faro nel bel mezzo della tempesta.

Io sono dopo Shiraz. Dopo Shiraz. Ma chi cavolo è Shiraz? Be', se ha detto che è dopo Miss...

Nel frattempo, Alice e il suo pony grigio si erano diretti sulla pista, seguiti da Sharleen e il baio – la baia, si corresse mentalmente Celia – di nome Countess, poi Chris e il suo meraviglioso cavallo. Lo seguirono Helen e Eagle, Summer e la sua palomina, Catherine e il cavallo sauro e... in un lampo, Celia vide Mina dare di gambe a Miss e aguzzò la vista, alla ricerca del binomio che l'avrebbe seguita.

Alla cugina e la sua saura ben presto si accodarono Olga e l'arabo grigio che, a quanto pareva, si chiamava Shiraz, e Celia si affrettò a spronare Black Beauty. Tremava dal nervoso, mentre si sistemava sulla sella. Ian non l'avrebbe colta impreparata una seconda volta!

Black Beauty fremeva sotto di lei e Celia cercò di trattenerlo. Non si ricordava quale fosse la distanza ideale da mantenere tra i cavalli, ma di certo non era quella che il morello avrebbe assunto se lei non l'avesse trattenuto.

«Cecilia, allontanati di più» sentì bisbigliare Joan, dietro di lei, in sella ad Armani.

«Grazie» si affrettò a dire lei, voltandosi appena verso la ragazza e rivolgendole un sorriso riconoscente.

Black Beauty però continuava a tagliare gli angoli e aumentare la distanza tra loro e Shiraz si rivelò più semplice a dirsi che a farsi. Celia si sedette indietro con il busto e continuò a tirare le redini, ma scoprì che il morello era piuttosto duro di bocca. Per non parlare di quelle staffe corte, che le rendevano faticoso ogni singolo movimento delle gambe. Celia si trovava benissimo con le staffe lunghe della sella americana e sapeva di non essere più abituata alla monta inglese, ma quelle lì erano davvero troppo corte.

Ian nel frattempo continuava a strepitare, i suoi berci che rimbombavano nelle orecchie di Celia, la quale aspettava da un momento all'altro di udire un urlo contenente il nome del morello, cioè il suo.

«Countess, smettila di tirarle in bocca, così la rovini! Goldrush, cos'è quella roba? Ti sembra un passo di lavoro? Sveglialo, porca puttana! Shiraz, anche tu, fallo aumentare!»

Olga obbedì e, quando vide il posteriore del grigio allontanarsi da lei, Celia tirò un sospiro di sollievo e si affrettò a frenare l'avanzata di Black Beauty, che aveva aumentato il passo a sua volta per poterlo seguire. Dopo qualche istante, il cavallo si rassegnò all'idea che Shiraz si sarebbe allontanato da lui e tornò alla placida andatura di prima. Quando abbassò il collo e distese l'incollatura, Celia lo lasciò fare. Sapeva che in quel modo i cavalli rilassavano la schiena; quando Currant lo faceva, durante le loro passeggiate, lei ne era sempre lieta.

«Black Beauty, ma che fate, rilassati in quel modo? Tiragli su quel collo, noi stiamo lavorando, mica è una sessione di yoga!»

Celia trasalì come se l'avessero schiaffeggiata e divenne rossa come un peperone, mentre si affettava a recuperare le redini di Black Beauty e se le accorciava fra le dita.

Il cavallo scosse la testa con evidente fastidio e, dando una rapida occhiata agli altri, Celia vide che tutti avevano le redini corte e stavano già arrotondando le incollature dei loro animali. Con un moto di vergogna, la ragazza realizzò che non aveva idea di come si mettesse tondo un cavallo.

Con un altro bercio isterico, Ian annunciò loro di iniziare il trotto e Celia obbedì, anche se non le veniva facile battere la sella, abituata com'era ad anni ed anni di monta americana. Tentò di fare appello a qualche reminescenza dalle lezioni che aveva fatto in maneggio tanti anni prima, maledicendo le proprie staffe corte ad ogni battuta.

«Black Beauty, hai intenzione di andare all'ippodromo, con quelle staffe?» le chiese Ian, a cui la cosa non doveva essere sfuggita, dopo un po'. «Forse è il caso che tu venga qui ad allungartele, che dici?»

Celia si morse il labbro e si accinse a fare come le era stato detto, anche se non aveva messo in conto il volere di Black Beauty, che non aveva nessuna intenzione di lasciare la fila. Dopo aver rallentato il passo, si piantò nel bel mezzo della pista, bloccando il passaggio a Joan ed Armani.

«Mi dispiace!» pigolò Celia, senza il coraggio di guardare la ragazza in faccia, mentre cercava di smuovere il cavallo.

«Non c'è problema» rispose lei e il suo tono conciliante indusse Celia ad incrociare il suo sguardo, che non era affatto adirato come credeva, bensì piuttosto comprensivo.

«Blackie, muoviti» mugugnò Joan, sventolando il frustino che aveva in mano.

Come l'oggetto entrò nel suo campo visivo, il cavallo scartò in avanti, liberando Celia da quella spiacevole situazione.

Ian intanto la osservava dal centro campo, le braccia incrociate sul petto.

«Non sai gestirlo» constatò scuotendo la testa, quando lei e Black Beauty lo ebbero raggiunto.

Celia non rispose, ingoiando un rospo fatto di praterie sconfinate, un puledro non domato sotto di lei e nessuno che potesse darle una mano.

«Vieni» fece sbrigativamente Ian, spostando un polpaccio con malagrazia per poter sollevare il quartiere della sella.

Celia lo lasciò fare, la vergogna e l'irritazione che si agitavano convulsamente dentro di lei, immobile al centro campo mentre gli altri continuavano a trottare, lanciando di tanto in tanto delle occhiate verso il centro campo. Si sentiva come una bambina piccola messa in punizione, costretta a guardare gli altri continuare a giocare senza potersi unire a loro.

Su una cosa, però, Celia si era clamorosamente sbagliata. Aveva creduto che Ian avrebbe riservato un comportamento di favore ad Alice e alle sue amiche, visto che erano ricche sfondate, ma scoprì che l'istruttore non aveva pietà per nessuno.

Alice e Sharleen ricevettero gli stessi commenti sgarbati di tutti gli altri; in misura minore, forse, visto che erano indiscutibilmente cavallerizze di talento, ma neanche loro uscirono indenni dalla sequela di insulti e imprecazioni che l'istruttore vomitava loro addosso. Sembrava avercela con il mondo intero, mentre correggeva in malo modo i loro errori.

Dopo che Ian le ebbe allungato le staffe, Celia tornò a trottare sulla pista, più che sollevata di allontanarsi da lui e, insieme agli altri, compì altri quattro giri del campo al trotto. Alzando un momento gli occhi dalle orecchie di Black Beauty, la ragazza vide che nel campo adiacente a loro, quello adibito ai mounted games, il gruppo di ragazzi che erano con loro a pranzo stava montando, senza nessun istruttore a sorvegliarli. Era stata così presa dal pensiero di non attirare le ire di Ian che non se n'era neanche accorta.

Quando l'istruttore li richiamò tutti a centro campo per farli galoppare, Celia cercò di tenere a bada l'ansia. Fece avvicinare Black Beauty a Miss, sopra la quale sua cugina la stava fissando con un sorriso solidale.

Mina stava per aprire bocca, forse per chiederle come se la stava cavando, quando la voce di Ian rimbombò prepotentemente nelle loro orecchie.

«Black Beauty, galoppo in pista!»

Celia impallidì. Aveva sperato di osservare qualcuno prima di lei, in modo da imitare la sua velocità, dato che non aveva idea di quanto dovesse lanciare Black Beauty sulla pista.

«I-io...» provò a dire, ma Ian non sentiva ragioni.

«Voglio vedere come te la cavi» sentenziò e poi aggiunse, assottigliando le palpebre: «Il tuo assetto non mi piace.»

Celia tentennò, travolta dalla sua schiettezza, ma stavolta fu la voce squillante di Mina a venirle in soccorso.

«Solo perché è da tanto che non monta all'inglese, Ian.»

«Ma allora che ci fa qui?» giunse la voce ironica di Olga, che colpì Celia come una coltellata.

Si affrettò a dare di gambe a Black Beauty e ricacciò dietro le palpebre le lacrime che le erano salite di colpo agli occhi, sperando che nessuno le avesse notate.

Il cavallino fece qualche storia, non volendosi distaccare dal branco, ma alla fine si lasciò condurre sulla pista, dove trottò obbedientemente fino all'angolo, dove Celia gli chiese il galoppo. A quel punto partì senza esitazioni – giusto, constatò Celia con un sospiro di sollievo, sporgendosi appena dalla sella per controllare – e aumentò subito l'andatura. Malgrado la piccola falcata, era davvero veloce. Che fosse un po' troppo veloce per una lezione in campo?

«Rallenta!» le urlò dietro Ian, come a conferma dei suoi pensieri.

Celia si sedette indietro sulla sella, destabilizzata dalle sue piccole dimensioni, dal fatto che fosse così aperta, così esposta rispetto a una sella americana e alla sicurezza che le dava, e tirò appena le redini.

«Questa pensa davvero di essere all'ippodromo» borbottò Ian, rivolto a nessuno in particolare. «RALLENTA, HO DETTO!»

Ancora? pensò Celia, confusa. Quel galoppino a cui stava costringendo Black Beauty le sembrava ridicolo, almeno in confronto alle corse sfrenate di Currant in mezzo ai campi, con gli arbusti e il vento che le graffiavano il volto e le gambe, l'adrenalina che le scorreva nelle vene. Malgrado ciò, lo fece rallentare ancora, come Ian le aveva detto di fare.

Quando fece ritorno verso gli altri, trovò Ian ad attenderla al centro del campo, che la fissava scuotendo la testa. A Celia ricordò vagamente un cavallo che tentava di scacciarsi le mosche di dosso.

«Come pensavo» disse lui, fissandola in cagnesco. «Non lo sai gestire.»

 

«Povera Cecilia!»

Catherine si sedette sul bordo letto che Celia divideva con la cugina, dove la ragazza si era buttata vestita dopo essere tornata in camera, provata fisicamente e mentalmente da quella giornata. Nemmeno l'ottima cena che Francine aveva preparato loro aveva contribuito a ridarle le forze.

«Ha avuto un battesimo di fuoco» commentò Helen, una sfumatura vagamente divertita nella voce, che in quel momento stava curiosando nel loro bagno. «Ehi, ma è molto più carino del nostro!»

«Mi odia. Mi odia!» sentenziò Celia, coprendosi gli occhi con le mani.

Non sapeva cosa pensare. Aveva atteso quel campo estivo per mesi interi, pensando a come ogni cosa sarebbe stata perfetta, ma solo adesso che si trovava lì si rendeva conto di quanto la realtà fosse diversa. Il posto era magnifico, le sue compagne di bungalow sembravano simpatiche, ma i commenti delle gemelle ancora le bruciavano nel petto, per non parlare di come Ian l'aveva trattata davanti a tutti. Se solo ci pensava, le veniva da piangere per la rabbia e per l'ingiustizia: lei non era una principiante. Certo, le mancava un po' di dimestichezza, ma lui l'aveva trattata come se non avesse mai montato un cavallo prima di quel pomeriggio. "Non lo sai gestire". Il suo tono beffardo le risuonava ancora nelle orecchie.

«Ma no, Celia.» Mina si distese accanto a lei, i lunghi capelli bruni sparsi sulle lenzuola.

«Sì, invece. La mia vacanza è rovinata!»

«Smettila di fare la melodrammatica» ribatté la cugina, dandole una spinta scherzosa.

«E poi, non c'è solo Ian» intervenne Catherine. «È Francine a fare la passeggiate, e poi ci sono un sacco di altre cose! Il mare, le feste di Ed...»

«...Logan!» aggiunse Mina con un sorrisetto malizioso.

«Infatti!» concordò Helen, in tono complice. «Almeno ti sei rifatta gli occhi!»

«Vaffanculo!»

Sbuffando sonoramente, Celia afferrò un cuscino dal letto e lo lanciò in direzione delle ragazze, che scoppiarono a ridere come matte.

 

*mounted games: l'equivalente angloamericano dei pony games.

Ciao!
Non so perché non avessi pubblicato questa storiella senza pretese anche su EFP (la potete trovare su Wattpad fino al capitolo cinque), ma eccola qui.

Qualche commento e curiosità random. Cecilia è insopportabile, di una moscitudine (passatemi il termine) che mi dà sui nervi, ve lo giuro XD Però è una cosa voluta. Volevo che la protagonista fosse un po' una disagiata, per farla crescere nel corso del campo estivo, lol. Menomale che c'è Mina a controbilanciare <3

Mina ha un nome improbabilissimo, perché volevo a tutti i costi darle un nome lungo, altisonante, da poter abbreviare :) Inizialmente l'avevo chiamata Josephine (detta Jo), ma mi sapeva un po' troppo di Piccole Donne XD

Non so perché abbia ambientato la storia in America (lo confesso: le teen fiction pseudocaliforniane che spopolavano su Wattpad mi hanno contagiata), sarà che adoro narrare di posti che non conosco. Certo, da una parte si ricade inevitabilmente nella surrealtà (dubito che a due passi dalla spiaggia di Santa Cruz sorga un ranch, ehm) ma dall'altra immaginare posti lontani con la fantasia, sperando prima o poi di vederli sul serio, mi piace da matti. Abbiate pietà di una povera sognatrice!

Vorrei tanto che i personaggi della storia non vi sembrassero solo un'infinita sequela di nomi, anche se, uff, sarà dannatamente difficile. Infatti ognuno di loro ha una personalità spiccata, che vorrei riuscire a far emergere nel corso dei giorni. È che sono veramente tanti da gestire e a volte l'elenco stile lista della spesa è inevitabile D:

PS: Shiraz è il nome di un vigneto. Non so, mi piaceva.

PPS: Logan è un bonazzo. 

Passo e chiudo.

Cassidy

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** DAY II ***


DAY II
 

Every breath you take and every move you make
Every bond you break, every step you take, I'll be watching you
Every single day and every word you say
Every game you play, every night you stay, I'll be watching you

(Every Breath You Take, The Police, 1983)
 

«Ehi, Cecilia.»

Mina osservò la cugina alzare gli occhi dai pancakes che quella mattina avevano per colazione e incrociare lo sguardo di Francine.

La donna le aveva raggiunte al tavolo, lasciato sgombro da Helen e Catherine, che erano tornate un attimo in camera. Dopo un momento, i suoi occhi si spostarono su di lei.

«Ciao anche a te, Mina. Posso sedermi un momento qui con voi?»

«Certo» si affrettò a dire lei, dopo un attimo di esitazione.

L'aveva notato di nuovo. A volte era più evidente, altre meno, e Mina si chiese distrattamente se anche Celia se ne fosse accorta.

C'era qualcosa sul fondo degli occhi di Francine, oltre la sua espressione boriosa e gentile. Come se quella non fosse che una maschera, una fragile maschera che di tanto in tanto s'incrinava e in guizzo lasciava intravedere cosa c'era al di sotto. E Mina per un attimo lo aveva scorto, quello che c'era al di sotto, e ne aveva avuto paura. Perché negli occhi vivaci di Francine sembrava celarsi un enorme dolore.

Celia intanto continuava a fissarla, visibilmente perplessa dalla sua richiesta di sedersi lì con loro. A Mina cadde l'occhio sul foglietto che la donna si stava stropicciando tra le mani e capì in un lampo.

«Ian mi ha detto che hai avuto problemi con Black Beauty, ieri» proruppe, fissando Celia dritta negli occhi.

Francine parlava sempre con franchezza, al pari di Ian, ma senza l'insolenza del padre. Mina l'aveva sempre ammirata, per quello e una dozzina di altri motivi.

La cugina boccheggiò e le sue gote si colorarono. Mina sapeva che quella era un'ingiustizia bella e buona, perché Ian aveva frainteso il comportamento di Celia mentre galoppava con Black Beauty, ma conosceva la cugina come le proprie tasche. Sapeva che non avrebbe avuto il coraggio di ribattere e avrebbe incassato il colpo, come sempre.

«Per questo ho pensato di darti un cavallo un po' più tranquillo, oggi. Più adatto per chi è alle prime armi» proseguì la donna, penetrando il suo silenzio.

Quando vide la cugina abbassare gli occhi sui suoi pancakes, perché Francine non notasse le lacrime che avevano fatto capolino tra le sue ciglia, Mina non ci vide più.

«Celia non è alle prime armi» esclamò. Francine si voltò di colpo a guardarla. «A casa lei sta addestrando un puledro. Non è vero, Celia?»

La cugina alzò gli occhi e le rivolse un sorriso riconoscente. Mina sorrise a sua volta.

«Sì, è così» rispose Celia, il tono di voce più sicuro mentre ricambiava lo sguardo di Francine.

«A volte uno con un cavallo non ci si trova e basta» concluse Mina, facendo spallucce.

Lei e Miss ne erano l'esempio lampante, nonostante Francine avesse spesso la brillante idea di affibbiargliela. Quando era Ed ad assegnare i cavalli, non succedeva mai.

«Va bene, va bene» fece Francine, sorridendo. Sembrava aver intuito che alla base doveva esserci stato un malinteso con Ian. «Per oggi però rimaniamo così. Celia, tu con Goldrush, mentre a te, Mina, ho assegnato Countess. Va bene?»

Gli occhi di Mina si illuminarono. «Perfetto!» disse.

 

Non appena Francine le aveva dato quell'ottima notizia, Mina era corsa ai boxes, lasciando la cugina nelle mani di Helen e Catherine. Si sentiva vagamente in colpa al pensiero di averla completamente abbandonata a se stessa, ma si disse che alla cugina avrebbe fatto sicuramente un gran bene rimanere in compagnia delle due ragazze.

Celia si era sempre trovata molto più a suo agio con le cifre che con le persone e Mina era dell'idea che avesse davvero bisogno di sbloccarsi un po', timidissima com'era. Le loro compagne di bungalow, oltretutto, le erano parse davvero carine, Helen con quella parlantina che le ricordava un po' la sua e Catherine, più timida e riflessiva – proprio come Celia! – ma amichevole quanto l'altra. In un soffio, Mina ricordò di quel gioco di sguardi a cui aveva assistito il giorno prima e si domandò se lo avesse solo immaginato. Scrollò le spalle. Dopotutto, non è che le importasse granché. Diamine, stava per montare Countess!

Quando arrivò correndo nei boxes, scoprì da Ian che Countess era in paddock e si diresse a passo rapido verso l'uscita. Stava per incamminarsi lungo il sentiero, quando un movimento a destra del suo campo visivo attirò la sua attenzione, costringendola a voltarsi. Ed si stava allenando nel campo ostacoli.

Vinta dalla curiosità, si avvicinò piano alla staccionata e guardò al di là di essa, dove il ragazzo e un'imponente cavalla morella, dal manto lucido e una lista bianca sul muso, stavano affrontando un percorso ad ostacoli.

Ed montava in un modo davvero invidiabile, pensò Mina. Era sciolto sulla sella e assecondava con il bacino ogni – enorme – falcata della cavalla, come se fossero stati uniti da qualcosa di molto più profondo di un paio di redini.

Il ragazzo condusse la sua cavalcatura sul primo degli ostacoli, un oxer che ad occhio doveva essere sui centoventi centimetri, e i due lo superarono con un balzo, apparentemente senza alcuno sforzo. Ed si chinò con un gesto aggraziato sul collo dell'animale e l'attimo dopo era di nuovo seduto in sella, che indirizzava la cavalla sul prossimo ostacolo, il primo elemento di una doppia gabbia, con un lento galoppo cadenzato.

Dopo aver superato la combinazione come se si fosse trattata di un paio di barriere, Ed concluse il percorso volando sopra un verticale. Quando la cavalla tornò con tutt'e quattro le zampe a terra, Ed si congratulò con lei, dandole delle poderose carezze sul collo e fu a quel punto, passando in rassegna il campo con lo sguardo, che la vide.

«Ehi, Mina!»

Lei agitò una mano nella sua direzione. «Ciao!» Spostando lo sguardo sulla cavalla, aggiunse: «Quella chi è?»

I due si stavano avvicinando alla staccionata e, nel sentire la domanda, un'ombra di confusione attraversò per un attimo lo sguardo di Ed, subito sostituita da un lampo di consapevolezza.

«Ah, già!» esclamò. «È arrivata quest'inverno, tu non l'avevi ancora vista. È Barbara Ann.»

«Ed è tua?» si affrettò a chiedere Mina, osservando la magnifica cavalla.

«Certo» rispose lui, come se lei gli avesse appena chiesto se Francine era sua madre.

Mina si sforzò di ricacciare dentro di sé una fastidiosa sensazione che le si era affacciata alla bocca dello stomaco.

«Barbara Ann?» ripeté poi con aria meditabonda, sperando che lui non si fosse accorto di nulla. «Che razza di nome è?»

Ed scoppiò a ridere. «Porta un po' di rispetto per i Beach Boys, Wilhelmina.»

Mina levò gli occhi al cielo. Da quando Ed aveva scoperto che lei non aveva molta simpatia per il suo nome, si divertiva a punzecchiarla.

«Comunque puoi chiamarla Baba. Ho come il sospetto che anche lei preferisca il suo soprannome» proseguì lui, sogghignando. Dopo un momento, abbandonato il suo sorrisetto e scoccatole uno sguardo esitante, aggiunse: «Se vuoi puoi montarla, stamattina. Io ho finito, devo andare a dare una mano a Vera con il gruppo dei mounted games

Mina deglutì, osservando quella magnifica cavalla morella, che gridava soldi da ogni crine, il muso che era più lungo del suo braccio. Il tono quasi indifferente di Ed nel dire che era sua, come se stesse parlando di un paio di calzini.

«No, grazie» mormorò, chiedendosi se anche lei avrebbe mai provato quella sensazione.

 

«Sguardo fiero, mi raccomando, Celia» esclamò Helen, allungandole una gomitata, mentre entravano nei boxes. «Ian, non ti temiamo!»

Celia ridacchiò nervosamente. «Ci proverò.»

Quando Mina le aveva detto che si sarebbe avviata da sola ai boxes, dopo colazione, lei si era sentita raggelare. Era contenta che la cugina potesse montare quella che era da sempre la sua cavalla preferita del Gallant Ranch ed era comprensibile che volesse passarci quanto più tempo possibile, ma l'idea di rimanere sola con Helen e Catherine per Cecilia era una prospettiva da incubo. Certo, erano simpatiche e piuttosto gentili nei suoi confronti, ma avrebbe dovuto farci conversazione per tutto il tragitto fino ai boxes. Era quanto di più terribile riuscisse ad immaginare.

«Guarda che non ti mangiano mica» le aveva detto Mina, prima di sparire.

E no, effettivamente non l'avevano mangiata.

Anzi, Celia si scoprì ad apprezzare la compagnia delle due ragazze. Avevano stilato con lei una serie di tattiche con cui far fronte ad Ian – lo sguardo fiero rientrava tra di esse – ed erano vivaci, scherzose e riuscivano incredibilmente a mettere Celia a suo agio. Non aveva bisogno di arrovellarsi nel pensare a qualcosa da dire per non fare la figura dell'idiota: in loro presenza si sentiva spontanea e le parole le uscivano di bocca senza che avesse bisogno di pensarci su.

«Ieri hai montato Goldrush, giusto?» chiese Celia a Catherine.

«Sì» fece lei, a cui quel giorno era stato assegnato proprio Black Beauty. «È molto bravo, anche se un po' vecchiotto.»

«Sai che era il cavallo da salto di Ian?» intervenne Helen.

Celia sgranò gli occhi. «Sul serio?»

«Già. Gli è molto affezionato.»

Celia deglutì. Aveva come il sospetto che quella lezione non sarebbe stata diversa dalla precedente.

All'altezza del decimo box, le ragazze si separarono. Quella mattina, infatti, Goldrush si trovava nei boxes, mentre Black Beauty e Eagle erano fuori nei paddock.

Celia era sul punto di entrare nel box di Goldrush – l'ottavo – quando uno scalpiccio di zoccoli e un grido attirarono la sua attenzione.

«Merda!»

Il box accanto al suo venne aperto di schianto e ne uscì Alice, trafelata, trascinandosi dietro Zar per la capezza. In mano, Celia notò che aveva una lunghina rosa arrotolata fra le dita, il moschettone chiuso nel palmo.

Guardandosi freneticamente intorno, lo sguardo della ragazza si posò su di lei.

«Cecilia!» esclamò, illuminandosi.

Celia, dal canto suo, corrugò la fronte. Non credeva neanche che Alice si ricordasse il suo nome.

«Puoi tenermi Zar un attimo? Mi si è rotto il moschettone della lunghina, devo andare a prenderne un'altra.»

«Certo» mormorò lei, afferrando la corda che Alice le stava porgendo.

Celia osservò la figura slanciata della ragazza attraversare il corridoio tra le due file di box, per poi sparire in selleria, e si ritrovò a pensare quanto fosse bella, con i ricci mori che le ondeggiavano sulle spalle e il fisico magro e longilineo. Sembrava uscita da una rivista pubblicitaria.

«Grazie mille per l'aiuto» le disse sorridendo, quando fu di ritorno, almeno una decina di minuti dopo.

«Figurati» rispose Celia. Sentì che anche i suoi lineamenti si stavano distendendo in un sorriso. «È così bello» aggiunse, lanciando un'occhiata al meraviglioso pony grigio.

«Da quanto ce l'hai?» domandò, dopo aver riflettuto un attimo se porre quella domanda o meno.

«Da due anni» rispose Alice. «Vedi...»

«Celia!»

La voce di Mina la riscosse bruscamente e Celia si voltò in direzione dell'uscita, dal quale era appena spuntata la cugina, con Countess al fianco.

Dopo essersi scusata con Alice, la ragazza si avviò verso di lei, avendo percepito una nota d'urgenza nella sua voce.

«Che c'è?» le chiese, perplessa, vedendo che Mina aveva cominciato a legare Countess alla stessa staccionata dove avevano sistemato i cavalli, il giorno prima, e non sembrava avere alcun bisogno d'aiuto.

«Ma che stai facendo?!» l'aggredì la cugina, voltandosi di colpo verso di lei. Si sforzava di parlare a bassa voce, mentre lanciava delle occhiate in direzione di Alice.

Celia inarcò le sopracciglia, presa in contropiede da quella reazione. In presenza di quelle ragazze, Mina diventava un'altra persona e lei stentava a riconoscerla.

«Le stavo solo dando una mano» rispose, perplessa.

«Non dare confidenza a quella lì» mormorò Mina, continuando a guardare storto la ragazza, che nel frattempo aveva iniziato a strigliare Zar. «Fidati di me.»

Celia annuì distrattamente, ma in cuor suo credeva che sua cugina stesse esagerando. A dirla tutta, Alice era stata gentile con lei, sicuramente più di quanto lo erano state le gemelle.

«E poi, cosa stai aspettando a prendere Goldrush?» riprese Mina, inchiodandola con lo sguardo. «Se Ian ti becca a non fare nulla sono guai!»

«Sì, giusto!» rispose Celia, riscuotendosi di colpo.

Almeno su quello sua cugina aveva dannatamente ragione, pensò, mentre si dirigeva correndo verso il box del sauro.

 

Mina lasciò che Countess allungasse il muso verso Dragon, il quale aveva proteso a sua volta il capo verso di lei per poterla annusare meglio.

«Si piacciono!» commentò Joan, ridacchiando.

Mina annuì, pensierosa. Countess era solita comportarsi come una vera primadonna con gli altri cavalli ed era una rarità che si mostrasse così socievole.

«Direi che possiamo rimandare le effusioni a più tardi» fece Ian, spuntando tra i due bai. Allontanò piuttosto sgarbatamente le teste dei due animali e Mina scosse la testa, rassegnata e divertita al tempo stesso. Dubitava che Ian sarebbe mai cambiato.

Quella mattina l'istruttore aveva annunciato loro che avrebbero fatto salto ostacoli. Mina aveva subito lanciato un'occhiata in direzione di Celia, alla quale sembrava fosse stato annunciata una morte particolarmente dolorosa, e sospirò rumorosamente, sperando che se la cavasse. Era da quando aveva nove anni che non saltava un ostacolo, se si escludevano i tronchi d'albero e i fossati della sua campagna, ma poteva sempre contare sull'esperienza di Goldrush. Così, almeno, sperava Mina.

Ian collocò lei e Countess in seconda posizione, dietro Zar, alla cui padrona Mina scoccò un'occhiata d'odio, anche se lei, voltata di spalle, non poteva certo vederla. Se ripensava a come aveva adescato sua cugina, poco prima, le ribolliva il sangue. Era lampante che le stesse tendendo una trappola e non riusciva a capire come Celia non potesse rendersene conto. Geniale sì, ma a volte sua cugina era ingenua come una bambina.

Dopo averle fatte riscaldare con svariati giri di trotto e galoppo – e aver lanciato loro qualche improperio, perlopiù rivolto a Celia – Ian posizionò delle barriere a terra e disse loro di passarci sopra stando sollevati sulla sella.

L'ordine dei cavalli era lo stesso di prima e Mina attese con un velo di impazienza che Alice e il suo grigio fossero passate sopra le barriere, per poi condurvi Countess al piccolo trotto.

Quando qualcuno svolgeva un esercizio correttamente, Ian non si sperticava mai di lodi né diceva alcunché. Ma il «mpf» (il massimo del suo apprezzamento) che gli sfuggì dalle labbra quando lei e Countess ebbero concluso l'esercizio fu musica per le orecchie di Mina.

Fin da quando aveva ricordo, Mina aveva sempre dovuto farsi un gran culo, nel mondo dell'equitazione. Nessuno le aveva mai regalato niente.

Era cresciuta insieme alla cugina nel ranch di famiglia, tra le montagne della Sierra Nevada, e lì aveva appreso i primi rudimenti dell'equitazione, insegnati loro da suo zio, il padre di Celia. Ma poi, tre anni prima, era cambiato tutto.

Sua madre aveva deciso di darci un taglio con quella vita, fatta di grandi sacrifici e ben poche soddisfazioni, e si era trasferita al sud con il papà, portandola via dal ranch, da quella cugina che per lei era come una sorella. Era ancora una ferita aperta nel cuore di Mina.

Aveva continuato ad andare a cavallo, perché non poteva farne a meno, ma aveva dovuto fare i conti con quel mondo dell'equitazione lussuoso e patinato che le era del tutto estraneo, in cui tutto ciò che contava era l'apparenza. Solo che lei non aveva alcuna intenzione di piegarsi a loro.

Aveva perso il conto dei maneggi che le avevano sbattuto la porta in faccia, dicendole che non le avrebbero più permesso di fare lezione se non avesse iniziato a indossare dei veri pantaloni di equitazione al posto dei jeans, se non si fosse messa gli speroni come tutti gli altri, ma soprattutto le ghette, che per lei erano quanto di più scomodo ci fosse al mondo. Per non parlare di sua madre, che non riusciva a capire come mai sua figlia non si fosse adeguata alla loro nuova vita di città, come mai fosse rimasta una ragazzotta di campagna un po' rozza, come se la faccenda dell'equitazione fosse solo un capriccio, e non fondamentale quanto l'aria che respirava.

Era sempre stata una strada in salita per Mina. Non aveva le ghette, l'eleganza, i soldi, figurarsi un cavallo. Ma aveva il talento.

E Ian, del Gallant Ranch, era stato il primo a notarlo.

Per questo Mina non poteva che volergli bene, malgrado il suo pessimo carattere. Sapeva che lui andava oltre certe cose, lacerava l'apparenza come se la prendesse a scudisciate. Sapeva che per lui non era il soldo a renderli cavalieri: ai suoi occhi erano tutti uguali. Lei ed Alice potevano essere come il giorno e la notte, una figlia di una contadina che aveva invano tentato di riscattarsi e l'altra figlia di un ricco allenatore di cavalli da salto, ma in quel campo erano esattamente alla pari. Quel campo, forse, era l'unico posto in cui Mina avrebbe potuto batterla.

Per questo non aveva dubbi. Potevano non essere partiti con il piede giusto, ma Mina sentiva che presto o tardi Ian avrebbe capito di che pasta era fatta Celia, e l'avrebbe apprezzata tanto quanto lei.

 

Ian adocchiò subito Celia quando lei e gli altri si fermarono al centro del campo, dopo essere passati sulle barriere al trotto sollevato.

«Ehi jockey, come andiamo oggi?»

Celia non replicò, limitandosi ad abbassare gli occhi sulle proprie mani che, tremanti, impugnavano le redini di Goldrush. Le sue guance erano bollenti.

«Le staffe sono giuste, stamattina?» riprese Ian, lungi dal lasciarla in pace.

«Sì» bofonchiò lei, senza guardarlo.

Sentiva su di sé gli sguardi a metà tra il divertito e il compassionevole degli altri e quello, insieme alla prospettiva che da quella mattina si sarebbero dedicati al salto ostacoli, la turbava non poco. In compenso, però, fino a quel momento si era trovata piuttosto bene con Goldrush. Era molto tranquillo e, anzi, lo aveva dovuto "svegliare" diverse volte con le gambe, fino a che Ian non le aveva consegnato un frustino. Con la sua mole e il suo atteggiamento placido, trasmetteva a Celia un grande senso di sicurezza. Sicurezza che, in ogni caso, vacillò quando Ian iniziò a montare gli ostacoli del piccolo percorso.

«Partiremo dalle basi» stava dicendo, mentre sollevava le barriere a formare una crocetta. «L'obbiettivo è portarvi, entro la fine della settimana, a completare un percorso piuttosto complicato, come quello che fareste in un concorso. Tra di voi c'è già chi è in grado di farlo e chi no...» Celia pregò di essersi solo immaginata l'occhiata rivolta a lei che Ian fece seguire a quelle parole. «...ma il mio compito è portarvi pressappoco tutti allo stesso livello.» Dopo una pausa, aggiunse, sospirando: «Il che sarà dannatamente difficile.»

Celia si era già psicologicamente preparata all'essere scelta come cavia del piccolo percorso – composto da quattro ostacoli, rispettivamente due crocette e due verticali – ma, con suo enorme sollievo, Ian chiamò Summer per prima sulla pista.

La ragazza era in sella alla pony palomina che aveva montato anche il giorno precedente e che Celia aveva scoperto essere di sua proprietà. Il suo nome era Bumblebee, anche se Summer si riferiva sempre a lei chiamandola affettuosamente Bee.

Il binomio affrontò il basilare percorso senza alcuna difficoltà e, al termine di esso, Ian non disse nulla: Celia sapeva dalla cugina che, se il burbero istruttore non apriva bocca alla fine di un esercizio, era perché non aveva nulla da ridire al riguardo. In conclusione, un ottimo segno.

Dopo fu il turno di Helen e Eagle, anch'esse impeccabili, poi Chris con Pepper, che planò sui piccoli ostacoli come se fossero stati di centotrenta centimetri ciascuno, infine... lei.

Quando udì Ian urlare "Goldrush!" lo stomaco le sprofondò negli stivali e fu con autentico terrore che indirizzò il grosso sauro lungo la pista, il quale, dal canto suo, sembrava tranquillo come suo solito. Celia cercava di non farsi prendere dal panico, ripetendosi come in una nenia che dopotutto saltare per i cavalli era un gesto naturale e lei non avrebbe dovuto fare altro che assecondare i movimenti di Goldrush. Al resto avrebbe pensato lui.

Spronò il sauro al galoppo nell'angolo e lo indirizzò verso la prima delle crocette, che svettava dritta di fronte a loro. Malgrado fosse alta una cinquantina di centimetri appena e la stazza di Goldrush non fosse indifferente, a Celia parve comunque piuttosto imponente.

«Meno rigida in sella!» le gridò Ian.

Lei cercò di obbedire, ma la paura le irrigidiva le membra e le pareva di essere fatta di legno, mentre seguiva con difficoltà i movimenti di ricezione di Goldrush. Quando percepì gli arti del sauro raccogliersi in prossimità del salto, si sollevò sulle staffe e accompagnò il movimento dell'animale sulla crocetta.

Atterrarono senza intoppi e Celia riprese in fretta la sua posizione in sella, affrettandosi a recuperare le redini, che aveva allentato appena perché Goldrush potesse distendere l'incollatura sul salto.

Il cavallo aveva già percorso un paio delle sue ampie falcate prima che Celia si ricordasse che il verticale che dovevano affrontare dopo si trovava alla loro destra. Fece bruscamente girare Goldrush in quella direzione e si diressero galoppando verso l'ostacolo in un modo che, non poté fare a meno di notare Celia, era pericolosamente storto.

Con tutta probabilità, anche Goldrush aveva notato la stessa cosa. A pochi passi dalla battuta, infatti, piantò gli zoccoli nel terreno e si fermò di botto.

Celia volò dall'altra parte dell'ostacolo, dritta sulla sabbia del campo.

 

«Ti fa ancora male?» domandò Joan circa una mezz'ora dopo, mentre facevano pascolare i cavalli nel prato antistante i boxes, dopo aver fatto loro una rapida doccia. Dragon si era appena rotolato e il suo mantello baio scuro era cosparso di fili d'erba e terriccio, con grande felicità di Joan, che dopo avrebbe dovuto pulirlo.

«No, per niente» rispose Celia, alzando le spalle. A dire la verità si sentiva ancora un po' dolorante, anche se la vergogna, come al solito, bruciava più della botta.

Tutti l'avevano fissata come se il suo fosse stato un esilarante numero da circo, e le risatine delle gemelle e di Sharleen avevano amplificato quella sensazione. Ian stranamente non aveva infierito, ma Celia si sentiva così abbattuta e umiliata che si era rifiutata di riprovare il percorso.

«L'anno scorso, in passeggiata, sono caduta da Shiraz e sono finita nel fiume» intervenne Mina, suscitando le risate delle altre ragazze. «Te lo ricordi, Joan?»

«Oddio, sì!» fece l'altra, sghignazzando. «La caduta più epica della scorsa estate!»

«Avrei voluto vederla» commentò Catherine, ridendo.

Celia, che stava osservando Goldrush brucare, sorrise leggermente, contagiata dal divertimento delle altre.

In quel momento, una risata più acuta delle loro attirò la sua attenzione.

Alzando lo sguardo, vide che al margine del campo si erano radunati i ragazzi del mounted games, anch'essi intenti a far pascolare un po' i loro cavalli dopo la doccia. Tra tutti loro spiccava una ragazza dai lunghi capelli bruni, la stessa che Celia aveva notato a pranzo, che in quel momento stava tentando di scivolare lungo il posteriore del pony grigio chiaro che teneva alla lunghina, tra le risate degli altri.

«Ma che problemi hanno?» udì Sharleen commentare, gli occhi fissi su di loro e un'espressione vagamente disgustata sul volto.

«Vera è matta, lo sai» mormorò Alice, accanto a lei, scuotendo la testa.

Celia ipotizzò che si riferisse alla ragazza più grande degli altri, che nel frattempo era riuscita nella sua impresa dello scivolo e si stava esibendo in una serie di esagerati inchini di fronte agli altri ragazzini, che applaudivano divertiti.

«Ma loro non fanno mai lezione con noi?» domandò Celia, voltandosi verso le altre.

Joan scosse la testa. «No, mai.»

Tornata a guardarli, Celia incrociò per una frazione di secondo lo sguardo della ragazza castana, che forse si era accorta di aver attirato la loro attenzione. Colta in flagrante, Celia stava già per distogliere lo sguardo quando, contro ogni sua previsione, sul volto della ragazza comparve l'ombra di un sorriso e, dopo un attimo, sollevò una mano in un'inequivocabile cenno di saluto.

«Stanno sempre per conto loro...» proseguì Joan.

«Ma che cazzo vuole quella lì?» commentò Olga, a cui la scena non doveva essere sfuggita.

Celia ricambiò timidamente il suo cenno, gli occhi fissi in quelli della ragazza castana.

Joan scoccò un'occhiata ad Olga e sospirò. «Come dare loro torto, dopotutto?»

 

Celia allungò i piedi sulla sabbia, lasciando che i friabili granelli le si infilassero fra le dita. Accanto a lei, sotto il padiglione del Gallant Ranch, Catherine ed Helen si stavano spalmando la crema solare, Sharleen stava leggendo un libro ed Alice era stesa a prendere il sole. Mina e Joan erano andate a fare il bagno insieme a Chris, mentre le gemelle quel giorno erano state reclutate da Kate per preparare il pranzo.

Avevano portato i cavalli in paddock e si erano recate a fare un rapido tuffo prima di andare a mangiare. La spiaggia era sempre gremita e, pur trattandosi dell'ora più calda, a Celia parve affollata quanto il giorno prima. Nelle orecchie aveva il rimbombo assordante delle musichette provenienti dal luna-park.

Celia lanciò un'occhiata diffidente al mare, dritto davanti a lei. Non ne era una grande amante, oltre al fatto che, se fosse uscita sotto il sole a quell'ora, si sarebbe sicuramente beccata un'ustione. A volte si chiedeva come facessero lei e Mina ad essere imparentate, visto che la ragazza aveva già una discreta abbronzatura e sarebbe diventata bronzea verso la fine dell'estate; lei, al contrario, sarebbe rimasta sempre pallida come una morta.

«Potete prestarmi la crema solare?» chiese, rivolta ad Helen e Catherine.

Era all'ombra del padiglione, ma il sole picchiava forte anche lì e non aveva alcuna intenzione di diventare un gambero.

«Certo!» rispose Helen, lanciandogliela.

Celia la afferrò al volo con non poche difficoltà ed iniziò a spalmarsela sulle spalle, gli occhi fissi sulla linea dell'orizzonte.

La prima cosa che aveva fatto, non appena avevano messo piede in spiaggia, era stato puntare lo sguardo sulla scuola di surf, sperando di intravedervi Logan almeno per un attimo. Ma, con una punta di delusione, aveva realizzato che non c'era traccia dell'affascinante istruttore.

Si stava ormai rassegnando all'idea che fosse già andato in pausa e che non l'avrebbe visto quando, spostando lo sguardo sul mare, aveva riconosciuto un familiare costume a righe e il suo cuore aveva perso un battito.

Celia non aveva potuto fare altro che rimanere a fissare imbambolata la figura di Logan in lontananza, incurante dello scorrere del tempo e delle ragazze intorno a sé, sperando in cuor suo che loro non avessero notato cosa – o meglio, chi – aveva calamitato tutta la sua attenzione.

Logan stava facendo una lezione a due ragazze, che dall'altezza sembravano avere pressappoco la sua età e, a giudicare dai loro numerosi tuffi in acqua mentre tentavano con scarso successo di issarsi sulla tavola, dovevano essere alle prime armi.

Travolta da una sottile invidia, Celia provò un'istintiva antipatia nei loro confronti, ma ben presto la loro goffaggine suscitò la sua solidarietà. Goffaggine che non faceva che mettere in risalto l'agilità di Logan, che in quell'istante stava mostrando loro la postura corretta da assumere una volta saliti sulla tavola: il ragazzo vi si dondolava senza sforzo, come se avesse avuto i piedi incollati.

Approfittando di un'onda comparsa all'orizzonte, Logan si chinò giù, si stese sulla tavola e prese a pagaiare in quella direzione. Sotto gli occhi attenti delle due allieve, sedute a cavalcioni sulle loro tavole, e quelli altrettanto attenti di Celia, al sicuro sotto il padiglione, Logan si sospinse a forza di bracciate fino a che non raggiunse l'onda, sempre più imponente man mano che prendeva forma. A quel punto il ragazzo drizzò la schiena, si mise a sedere e girò con un rapido movimento la tavola verso il bagnasciuga.

Nel frattempo, l'onda aveva attirato l'attenzione di altri surfisti solitari, i più esperti dei quali avevano già iniziato a pagaiare a loro volta, nel tentativo di raggiungerla prima che si infrangesse.

Logan si issò in piedi sulla tavola e Celia vide che aveva gli occhi fissi sulle due ragazze, la bocca che si apriva e si chiudeva nel fare una spiegazione che lei, da quella distanza, non poteva udire. Mentre continuava a gesticolare in direzione delle sue allieve, il ragazzo si lasciò trascinare in linea retta dalla forza dell'onda, cavalcandola come se fosse la cosa più naturale di questo mondo.

Celia era pietrificata dalla sua bravura. Osservandolo da quella distanza di sicurezza, compiuto da Logan con quei movimenti sicuri, quasi indifferenti, sembrava che il surf fosse davvero una bazzecola. Ma Celia era pronta a scommettere che non lo fosse affatto. Quelle due ragazze e i loro capitomboli, dopotutto, ne erano la prova lampante. Si ritrovò a pensare che, in un certo senso, fosse simile all'equitazione.

Quando cavallo e cavaliere si muovevano in sincronia, in campo, sembrava tutto così semplice, così naturale. L'animale sembrava completamente piegato al volere di chi vi era sopra.

Tutto era perfetto, alla stregua di un sogno. Eppure nessuno conosceva il prezzo di quel sogno. Quanti sacrifici, quanti pianti e quante rovinose cadute vi fossero dietro quell'apparente semplicità. Il rischio corso dal cavaliere nel riporre la propria vita nel suo cavallo ogni volta che si sedeva sulla sella e si affidava a lui, un animale che, per quanto addestrato, rimaneva sempre imprevedibile, come se non avesse mai del tutto rinunciato al suo essere libero.

E non era forse lo stesso per il mare? Selvaggio ed incontrollabile, nessun surfista poteva prevedere come si sarebbe comportato nei suoi confronti. Celia osservò Logan raggiungere la riva, gli occhiali da sole calcati sul viso e un sorriso che gli andava spuntando sul volto abbronzato, e si chiese quante ore di allenamento ci fossero dietro quei gesti esperti, quanti sacrifici e graffi sulla pelle avessero consacrato la sua bravura e la sua qualifica di istruttore.

Imprimendosi nella mente il sorriso sghembo di lui, che sembrava essere esattamente nel suo elemento, Celia si disse che, per quanti fossero stati, di certo ne doveva essere valsa la pena.

 

Celia, Mina, Helen, Catherine e Joan stavano pranzando, poco più tardi, gli occhi fissi sul loro croccante pollo fritto e la mente annebbiata dalla fame, quando un piatto lasciato rumorosamente cadere sul loro tavolo, di fronte all'ultimo posto libero rimasto, le fece trasalire di colpo.

Tutte e cinque alzarono all'unisono gli occhi sulla nuova arrivata.

«Ciao» disse Vera mettendosi a sedere, sotto gli sguardi esterrefatti delle altre.

«Ciao..?» rispose Mina, incerta.

Celia osservò con viva curiosità la ragazza, che intanto aveva preso a mangiare come se nulla fosse, uno sguardo del tutto indifferente negli occhi. Il tavolo dei mounted games, al contrario, non doveva essere preparato a quell'azione da parte della loro leader, a giudicare dalle loro espressioni stralunate. Quanto ad Alice, Sharleen e le gemelle, non si erano accorte di nulla e continuavano a chiacchierare tra loro; Chris quel giorno si era unito a loro e sedeva vicino a Sharleen, gli occhi bruni scintillanti di divertimento, mentre rideva e scherzava con la ragazza.

«Non guardatemi così» biascicò Vera, dopo un momento.

Probabilmente anche le loro facce dovevano essere il ritratto dello sbalordimento, al pari di quelle dei suoi amici.

«Ho visto che mi stavate fissando, stamattina» spiegò, facendo spallucce. Di fronte alla sua schiettezza, Celia sussultò leggermente. «Volevo solo presentarmi. Sembrate a posto, voi

Aveva pronunciato quella frase calcando molto sull'ultima parola e poi aveva lanciato una significativa occhiata al tavolo che avevano alle spalle, quello di Alice.

In quel momento Ed fece la sua comparsa dalla cucina, il suo piatto fra le mani e gli occhi speranzosi fissi sul loro tavolo. Dopo aver visto che anche quel giorno era al completo, il ragazzo si rabbuiò e, mogio mogio, andò a sedersi a quello della sopracitata.

Kate, che veniva dietro di lui, si sedette invece con Francine sul suo ormai conclamato posto sui gradini dell'ingresso.

«Lo siamo» assicurò Helen a Vera, strizzandole l'occhio. «Io sono Helen, comunque.»

«Io Veronica» rispose l'altra, accennando un vago sorriso. «Ma potete chiamarmi Vera.»

«Io sono Mina» si presentò sua cugina.

Vera assottigliò le palpebre. Sembrava stesse riflettendo. «Tu c'eri anche l'anno scorso, vero?»

Mina annuì. «Questo è il mio terzo campo estivo al ranch.»

«Mi ricordo. Monti bene» osservò lei, accentuando il sorriso.

Sua cugina sorrise di rimando e, dopo che anche Celia e Catherine si furono presentate – Joan si limitò ad osservare la scena con genuina sorpresa, come se non sapesse cosa aspettarsi – ripresero a mangiare, chiacchierando del più e del meno tra un boccone e l'altro.

«Quanti anni avete?» chiese Vera dopo un po'. Le fissava con due occhi verdi sinceramente curiosi, come se l'espressione un po' sostenuta con la quale si era seduta fosse una maschera di cui non vedeva l'ora di sbarazzarsi. «Io quattordici!»

«Quattordici?» ripeté Catherine, strabuzzando gli occhi. «Sembri molto più grande!»

«Io e Cathy ne abbiamo sedici» mormorò Helen. «Io sedici e mezzo, per la precisione.»

«Io quindici» rispose Celia, ricambiando lo sguardo di Vera.

«Diciotto» esclamò Mina in tono solenne.

Il silenzio calò per un attimo tra le ragazze.

«Mina» proruppe Helen, fissandola con tanto d'occhi. «Aspetta, hai seriamente diciotto anni?»

La cugina di Celia scoppiò a ridere fragorosamente. «Sì, come Joan!»

«No, non ci credo. Stai mentendo.»

Mina rise e levò scherzosamente gli occhi al cielo. «Me lo dicono tutti. Sembra Celia la più grande, eh?» Senza attendere risposta, aggiunse: «Dopotutto tra noi è lei quella tranquilla, pacata, coscienziosa, affidabile, responsabile...»

Celia ridacchiò. Erano esattamente i commenti che faceva sua zia quando faceva le faceva una ramanzina e metteva le due cugine a confronto, portando Celia come modello.

«Quindi vai al college, come Joan?» domandò Helen.

«Già» rispose Mina, sogghignando. «Studio pedagogia.»

«Sul serio?» esclamò Vera, fissandola. «Anche io voglio farla!»

«Sai già cosa fare all'università?» domandò Joan, divertita. «A quattordici anni?»

«Io non ne ho la più pallida idea... e ne ho sedici» borbottò Helen, contrita.

«E mezzo» fece Catherine di rimando, guadagnandosi uno spintone da parte dell'amica.

«E tu, Celia?» Gli occhi incuriositi di Vera si erano d'un tratto spostati su di lei.

Celia si sentì di colpo la bocca asciutta. Avvertiva su di sé lo sguardo penetrante di Mina, come un invito a parlare. Il cuore aveva preso a batterle all'impazzata. Poteva dirglielo? O avrebbero pensato che, visto tutto l'esercizio che faceva, era una un po' strana?

«Non lo so ancora» disse infine, abbassando gli occhi sul piatto.

 

«Non ho mai visto Vera comportarsi così» mormorò Joan mentre lei, Mina e Celia si incamminavano verso il Club House, poco dopo pranzo.

Dalla casupola proveniva musica a tutto volume e, avvicinandosi, le tre ragazze videro che, seduti sulle travi di legno, ad armeggiare con uno stereo e una dozzina di cassette – sedici, si corresse Celia, dopo un'occhiata – c'erano Ed, Alice, Sharleen, Chris, le gemelle, Catherine e... Logan, realizzò con un sussulto.

Il ragazzo era seduto vicino a Sharleen, gli occhiali da sole calcati sui capelli ancora un po' umidi. Indossava una maglia rossa sbiadita sopra il solito costume a righe e, solo nello scorgerlo, il cuore di Celia aveva preso a battere un po' più forte. Al pari degli altri, lo sguardo di Logan era fisso sulla figura che troneggiava fra tutti loro.

Helen sedeva a gambe incrociare su una delle sedie di vimini della veranda, con una benda intorno agli occhi, e gli altri la guardavano come se si aspettassero che si librasse in volo da un momento all'altro.

«Che stanno facendo?» chiese Celia, voltandosi verso Mina e Joan ma, a giudicare dalle loro espressioni perplesse, dovevano saperne quanto lei.

Gli occhi di Mina erano fissi sull'enorme radioregistratore nelle mani dei ragazzi. «Quello è il boombox di Ed» disse, a bocca aperta. «Ieri sera mi aveva detto di averlo comprato. Diamine, è gigantesco.»

In quel momento la voce squillante di Helen si sovrappose per un attimo alla musica, le prime note di un pezzo recente che Celia aveva sentito qualche volta alla radio, ma di cui non si ricordava assolutamente il nome. «Questa è facile» stava dicendo, la bocca imbronciata. «You Spin Me Round. Dead or Alive.»

«Sì, è vero, ti abbiamo aiutato un po'» ammise Ed, sogghignando, tra le risate degli altri. Premette un tasto sul radioregistratore e quello sputò fuori la musicassetta, che il ragazzo si affrettò a sostituire con un'altra.

Logan osservava la scena con attenzione, gli occhi fissi su Helen, e Celia si scoprì a provare un'emozione indefinibile, eppure molto fastidiosa, nel vederlo fissare così la ragazza. D'un tratto l'istruttore di surf inclinò appena il capo per rimettere al loro posto gli occhiali da sole, che gli erano caduti in avanti, e i suoi occhi si posarono su di loro, rimaste immobili a pochi metri dal Club House.

Incrociando per la prima volta quello sguardo senza barriere, Celia percepì il suo stomaco attorcigliarsi su se stesso. Gli occhi di Logan erano bruni, ma c'era qualcosa in essi, a cui Celia non avrebbe saputo dare un nome, qualcosa di riflessivo e profondo che non sembrava appartenere ad uno spensierato ragazzo di vent'anni. Qualcosa che la travolse, la spogliò di ogni difesa e le fece franare la terra sotto le scarpe. Qualcosa che la spazzò via come se fosse stata colpita da un uragano, lasciandola nuda, inerme e tremante. Abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, le guance in fiamme. Non ricordava di aver mai provato delle sensazioni tanto forti ed intense, quasi dolorose. Di certo non se le ricordava in quel modo, le cotte.

Malgrado la sua timidezza cronica le impedisse di vivere come una qualsiasi quindicenne, infatti, Celia non era del tutto estranea ai misteri dell'amore. Certo, per i motivi sopracitati non aveva avuto alcuna esperienza pratica, ma aveva già sperimentato il batticuore in precedenza, suscitatole, per la precisione, da un bel giovanotto di nome Tony, che aveva lavorato per anni come bracciante nel ranch della sua famiglia. Ovviamente la vergogna le aveva impedito di confidarsi con qualcuno, tantomeno di avvicinarlo, provocandole un rossore incontrollato le sporadiche volte in cui lui rivolgeva la parola, principalmente per chiederle dove potesse trovare suo padre.

Aveva così passato mesi a crogiolarsi nell'immaginazione di come le cose sarebbero potute andare fra loro due, se solo lei avesse trovato il coraggio di lasciarsi un po' andare, finché, un pomeriggio in cui erano uscite a cavallo, Mina non le aveva confidato con una vena di malizia che lei e Tony avevano fatto sesso nel fienile, la sera prima. A quella notizia, i sogni d'amore di Celia si erano frantumati in mille pezzi e potete solo immaginare il senso di colpa di Mina, nello scoprire che colui con cui aveva condiviso una breve avventura era in realtà l'amore di una vita di sua cugina.

In ogni caso, era stata una grande – e dolorosa – lezione di vita per Celia. Sua zia poteva forse mettere le due cugine a confronto, lamentandosi del perché Mina non avesse preso un po' più da lei, ma in realtà Celia si chiedeva spesso perché non fosse accaduto il contrario. Sua cugina era così diversa da lei: se Mina voleva qualcosa, se lo andava semplicemente a prendere. Sapeva esattamente quel che desiderava, non si faceva alcun problema ad ammetterlo e la maggior parte delle volte riusciva ad ottenerlo. Perché lo stesso non poteva riuscire anche a lei?

Celia alzò esitante lo sguardo sul Club House e, nel vedere che Logan aveva voltato la testa ed era tornato a guardare Helen come tutti gli altri, le parve di poter tornare a respirare. Nel frattempo la musicassetta di Ed era partita al massimo volume e la canzone non fece in tempo a partire che la ragazza era trasalita.

«Facilissima!» esclamò. «Karma Charmeleon

«Di chi?» chiese Chris, additandola.

Helen inarcò un sopracciglio e arricciò le labbra. Anche se i suoi occhi erano coperti dalla benda, era chiaro che avesse assunto un'espressione offesa. «E me lo chiedi anche? I Culture Club.»

Risate e commenti ammirati esplosero tra i ragazzi, mentre Helen si dondolava sulla sedia, un sorriso furbetto sulle labbra. Sembrava proprio a suo agio al centro dell'attenzione, pensò Celia.

«È peggio di un juke-box» commentò Joan, in tono d'ammirazione.

Olga intanto si era sporta per mandare avanti la cassetta.

«E questa?»

Due note esplosero dalla radio e Helen aveva già sorriso, annuendo tra sé e sé. «Super Trouper. Amo gli ABBA!»

Mentre i ragazzi ridevano, in visibilio, Celia scosse piano la testa, divertita dai talenti di Helen. Lei non ne sarebbe mai stata in grado: non era una patita delle hit parade e di quel mondo commerciale che andava a braccetto con i musicisti. Eppure c'era da dire che la musica le piaceva, la rilassava enormemente. C'era chi pensava che non fosse nient'altro che caos e confusione, ma per Celia c'era un certo ordine nella musica, un dolcissimo equilibrio, e le piaceva da matti mettere qualche compositore classico di sottofondo, mentre faceva i suoi esercizi. Pensando cos'avrebbero pensato gli altri, che ascoltavano gli ABBA e Cindy Lauper e George Michael e chissà chi altri, se lo avessero saputo, si sentì avvampare.

«Andiamo?» fece Joan ad un certo punto, mettendosi a camminare.

I ragazzi stavano continuando a sfidare Helen, ma Celia si sentiva un po' a disagio, sia all'idea di rimanere lì come un'allocca, sia di unirsi a loro, che sembravano così uniti gli uni con gli altri; la sua apparizione sarebbe apparsa come nient'altro che una fastidiosa intrusione e fu grata dell'appiglio che Joan le diede.

«Va bene» rispose quindi, incamminandosi dietro alla ragazza

«Comunque, tornando a Vera» proruppe Mina, che in tre falcate le aveva superate e stava saltellando come suo solito. «Sembra simpatica, però in tre anni è la prima volta che mi rivolge la parola.»

«Te l'ho detto, non me l'aspettavo da parte sua» mormorò l'altra.

Celia aggrottò la fronte e poi chiese, rivolta a Joan: «Perché, con te come si comporta?»

L'alta ragazza castana scrollò le spalle. «Non familiarizza con nessuno, se non con quei bambini molto più piccoli di lei. Insomma, dai, è un po' strana...»

«Anche tu pensi che sia un po' mezza matta?» domandò Celia di getto, ripensando alle parole con cui l'aveva apostrofata Alice.

Rendendosi conto di com'era suonata indelicata, arrossì di botto e fece per scusarsi con Joan ma, a giudicare dal colorito paonazzo che avevano assunto le sue gote, in quella domanda posta a bruciapelo doveva esserci un fondo di verità.

«Non lo so» ammise infine lei. «In realtà mi sembra gentile, ma non abbiamo mai davvero avuto una conversazione prima di oggi. Non sono mai riuscita a spiegarmelo. Io parlerei pure con i sassi» mormorò, facendo scoppiare a ridere Celia, che si ritrovò a pensare a quanto fossero simili lei e sua cugina. « E poi, mi sembrerebbe normale allearsi, vista la nostra situazione.»

Di fronte allo sguardo sbigottito di Celia, Joan si affrettò a spiegare: «Sia io che lei siamo un po' diverse dallo standard di ragazza che frequenta il Gallant Ranch. Ora sono partite per le vacanze, ma sappi che le ragazze che vengono qui a cavalcare potrebbero essere sorelle di Alice.»

Celia abbassò gli occhi, capendo cosa intendeva la ragazza. E Joan, indubbiamente, era diversa dalla tipica cavallerizza elegante e inamidata, con i suoi pantaloni laceri, la polo rosa coperta di polvere e i capelli sudati legati in una treccia sfatta. Così come lo erano loro, del resto. Solo che né Celia né Mina frequentavano abitualmente il Gallant Ranch, al contrario di Vera che, con tutte le sue bizzarrie, rientrava a pieno titolo tra le sovversive.

Osservando di sottecchi il profilo squadrato di Joan, su cui era dipinta un'espressione a metà tra il rammarico e la rassegnazione, Celia realizzò che dovesse sentirsi molto sola.

 

Quel pomeriggio sarebbero andate in passeggiata con Francine.

Nell'udire quella notizia, il cuore di Celia si era svuotato di un macigno. Niente lezione in campo, niente Ian. Per la prima volta dal suo arrivo, si era sentita al settimo cielo all'idea di cavalcare.

Prima che Francine le chiamasse per comunicare loro quali cavalli avrebbero montato, Mina e Celia, separatesi da Joan, erano tornate nel bungalow per un po'. Nessuna delle due aveva particolarmente voglia di percorrere il – seppur breve – tragitto che portava alla spiaggia per rinfrescarsi, ma volevano a tutti i costi sfuggire a quel caldo torrido.

Mina si era messa a guardare un po' di televisione in soggiorno, Celia a fare qualche esercizio sul blocco, seduta a tavola. Poi, la domanda che Celia temeva con tutta se stessa era arrivata.

«Perché non hai detto la verità, a pranzo?»

Celia si bloccò dallo scrivere, il fastidio che le cresceva nel petto nel percepire il peso dello sguardo di Mina su di sé. Alzò titubante lo sguardo sulla cugina, stravaccata sul divano, con il telecomando tra le mani e gli occhi severi fissi su di lei.

«Io...» Celia sospirò. «Non lo so. Mi vergognavo.»

Mina sbuffò, roteando gli occhi. «Celia, tu ti vergogni sempre di tutto, è questo il punto. Oltretutto, spiegami cosa ci sarebbe di male!» Fece una pausa e, quando riprese a parlare, il suo tono si era addolcito. «Joan è un tesoro e, quanto alle altre, nessuna di loro mi sembra incline a giudicare. Figurati, poi, se sono...»

Mina sembrò sul punto di aggiungere qualcosa ma, sotto gli occhi perplessi della cugina, scosse la testa e cambiò discorso. «Tra poco andiamo, che dici? Francine potrebbe avere bisogno di una mano.»

 

Per la passeggiata, a Celia fu assegnato un massiccio sauro bruciato di nome Admiral che, a detta di Francine, era un ottimo cavallo per i trekking ed era molto tranquillo, tant'è che spesso lo usavano anche i bambini. La notizia del capitombolo di quella mattina in sella a Goldrush doveva esserle arrivato all'orecchio, probabilmente alimentando la sua convinzione che Celia fosse un'incapace.

Nei boxes, la ragazza fissò con una punta d'invidia sua cugina mentre sellava Shiraz, il meraviglioso arabo grigio ticchiolato da cui Mina era caduta, l'estate prima. Le venne da sorridere al pensiero che quel particolare tipo di manto grigio, coperto di macchioline marroni simili a lentiggini, veniva associato ai morsi delle pulci.

«Lo hanno comprato in un allevamento insieme a Sherazade, quella lì» le stava spiegando Mina, indicando un'altra piccola araba baia, che veniva condotta alla lunghina da Sharleen lungo la fila dei boxes. «Sono divertentissimi da montare!»

Celia lanciò un'occhiata di sbieco ad Admiral, immobile, con le palpebre socchiuse, che diede un rapido cenno di vita solo per sbadigliare, e sospirò rumorosamente.

«Ci credo...»

 

La passeggiata fu magnifica.

Abituata ai terreni brulli della Sierra Nevada, orlati da montagne e creste di roccia ricoperte da nient'altro che rada vegetazione, cavalcare in mezzo ai campi fioriti che confinavano con il Gallant Ranch, per Celia fu come avventurarsi in un giardino incantato.

Al contrario degli arabi – e come lei, del resto, aveva immaginato – Admiral non era affatto divertente da montare, con un passo lento e stanco che Celia trovò fin da subito avvilente, ma su una cosa Francine era stata di parola: il grosso sauro era tranquillissimo ed in questo modo Celia poté godersi il meraviglioso paesaggio.

Salirono in sella nel campo ostacoli, dove strinsero i sottopancia e regolarono le staffe, per poi disporsi in formazione dietro a Francine, che montava Miss.

Celia ed Admiral si posizionarono quasi in testa, dietro Sharleen e l'araba baia che Mina le aveva detto chiamarsi Sherazade, subito dietro Francine e la cavalla saura. Voltandosi, Celia vide che a seguirla era Helen, la quale le fece un cenno di saluto da sopra Eagle. La pony grigia appariva minuscola in confronto ad Admiral.

«Complimenti per i tuoi talenti musicali» mormorò Celia dopo un momento, facendola scoppiare a ridere.

Mina e Shiraz venivano dietro Helen, a sua volta seguiti da Chris e Pepper; con un certo stupore Celia vide che Alice si trovava in fondo alla fila, a debita distanza da Olga e Black Beauty, i penultimi della fila.

«Zar è un cavallo da concorso» mormorò Helen con un velo di disprezzo. La ragazza doveva aver seguito il suo sguardo. «Non è abituato alle passeggiate.»

In quel momento Francine richiamò la loro attenzione e diede l'ordine di spronare i cavalli. Uscirono dal campo in fila indiana e, mentre attraversavano l'ampio spiazzo tra i boxes e i paddock, Celia intravide Ed intento a montare una cavalla morella, talmente alta che persino lui, mentre gli sistemava la sella sul garrese, a confronto sembrava minuto. Aveva capito da spezzoni di frasi che il figlio di Francine si allenava da solo e, quando non aiutava Ian a preparare i cavalli per le lezioni, portava i ragazzi in passeggiata al posto della madre. Mina le aveva detto che le passeggiate di Ed erano di gran lunga più divertenti, anche se un po' più spericolate.

Costeggiarono i paddock, inerpicandosi lungo il sentiero che Celia aveva percorso già svariate volte, in quel giorno e mezzo. Man mano che salivano, dalla posizione privilegiata che le dava essere in sella ad un cavallo robusto quanto Admiral, poteva vedere fin dove si estendevano i paddock e ancora una volta si stupì nel vedere quanto fossero vasti. Arrivavano fino al cuore del boschetto che vi era dietro i boxes e il filo elettrico, disposto tra gli arbusti, da lì era appena visibile. I cavalli all'interno dei paddock sembravano davvero sereni, mentre pascolavano in solitudine tra l'erba tagliata fine o si grattavano l'un l'altro.

E poi Celia lo vide di nuovo.

Il cavallino nero del giorno prima, quello da cui Ed le aveva detto di guardarsi. Nello scrutarlo, Celia si chiese perché lui le avesse detto una cosa del genere, quando quell'animale sembrava totalmente innocuo. Solo molto, molto solo.

Il cavallo nitrì debolmente quando vide passare i suoi simili e trotterellò fino allo steccato, dal quale si sporse spasmodicamente per annusarli, gli occhi sgranati per la curiosità. Francine e Sharleen lo ignorarono, le teste fisse sul sentiero che si snodava davanti a loro, mentre Celia allungò una mano e gli accarezzò il ciuffo ispido, scoprendosi a sentirne la mancanza quando Admiral lo ebbe superato e i crini le furono sfuggiti dalle dita.

Trotterellando, il cavallino seguì la carovana fin dove glielo consentiva la staccionata e, quando non fu più in vista, Celia si voltò verso di lui sulla sella, conscia dell'imprudenza che stava compiendo ma altrettanto consapevole che Admiral non si sarebbe scomposto più di tanto.

Il piccolo morello era immobile contro la palizzata, gli occhi fissi su di loro, nessuno che faceva caso a lui. Celia si sentiva oltremodo attratta da quell'animale così trasandato. Era come se riuscisse a scorgere qualcosa che brillava sotto quel suo mantello sudicio e sporco, un diamante grezzo che la attirava a sé. Le inspiegabili parole che Ed le aveva rivolto, il giorno prima, non facevano che rafforzare quell'attrazione. Avrebbe voluto chiedere qualche notizia del cavallo a Francine, ma si vergognava a chiamarla in quel momento e si ripropose di farlo più tardi, quella sera.

Tornata a malincuore a guardare il sentiero, Celia si lasciò avvolgere dai rumori della campagna intorno a lei, il clop-clop degli zoccoli di Admiral sullo sterrato, gli uccellini che passavano loro davanti in un frullio d'ali, i girasoli che si piegavano al passaggio del vento come se si stessero inchinando al suo cospetto.

Celia si guardava intorno, bevendo ettari ed ettari di campi in fiore con gli occhi, con il cuore sazio di quello spettacolo. Aveva sempre adorato le passeggiate: le aveva sempre preferite alle lezioni in campo, perché più dinamiche, più rilassanti, ognuna diversa l'una dall'altra.

Francine non li fece mai galoppare, tenendoli al passo per tutta la durata della passeggiata finché, quando furono giunti in un ampio sentiero di sabbia, non propose loro di fare un po' di trotto, idea che venne accolta da tutti con grande entusiasmo.

Trottarono per un lungo tratto, Celia che andava pian piano abituandosi alle scomode battute di Admiral. Alla biforcazione che ben presto raggiunsero il gruppo prese la strada di sinistra, che da un lato costeggiava un piccolo boschetto diviso dal sentiero da una vecchia recinzione di filo spinato, dall'altro un campo arato da poco.

A quel punto rallentarono al passo e, alzando gli occhi dalle orecchie del sauro, Celia vide in lontananza i tetti dei bungalow e dei boxes, davanti a sé, e capì che stavano facendo ritorno al maneggio.

«Tutto bene, Cecilia?»

Celia si riscosse e vide che Francine si era voltata verso di lei, mentre Miss proseguiva spedita, la sua figura che compariva e spariva nel campo visivo della ragazza ad ogni oscillazione di Sharleen e Sherazade.

«Certo» mormorò, corrugando la fronte.

Si sentiva un po' a disagio all'idea che la donna continuasse a considerarla una cavallerizza alle prime armi, ma alla fine, intuendo che glielo stesse chiedendo con genuino interesse, accompagnò un sorriso alla sua risposta.

Francine sorrise di rimando e tornò a guardare la strada. Seguendo i movimenti della donna, l'attenzione di Celia fu attirata da uno scintillio in un angolo del campo arato, sulla destra. Voltando il capo, vide che si trattava di un sacchetto di plastica verde, che rotolava mollemente, trasportato dal vento. Probabilmente doveva essere sfuggito dalle mani del contadino che stava lavorando il campo, poco lontano.

Celia strinse istintivamente le redini di Admiral ma, se anche il sauro aveva notato lo strano oggetto, non diede segno di esserne spaventato. Al contrario di Sherazade.

La cavalla baia scartò, facendo quasi perdere l'equilibrio a Sharleen, e poi si immobilizzò, gli occhi fissi sul sacchetto, che continuava ad incedere gonfiato dal vento. Sharleen la spronò più e più volte, ma l'araba rimase immobile.

«È spaventata dal sacchetto» disse Celia timidamente, ma Sharleen la ignorò.

«Avanti!» le ordinò in tono perentorio, dandole di gambe.

«Ehi, che succede?» Francine si era voltata di nuovo, allarmata dal tono di Sharleen.

Celia si voltò un momento verso il resto del gruppo, immobile perché Sherazade aveva bloccato la fila, e poi tornò a guardare il sacchetto e l'uomo che zappava poco più avanti e che non sembrava essersi accorto di nulla.

«Possiamo chiedere al contadino di recuperarlo» mormorò Celia, stavolta a voce un po' più forte ma, ancora una volta, Sharleen la ignorò.

Piantò i talloni nel costato di Sherazade, che fece uno scatto in avanti, talmente poderoso che le due quasi affiancarono Francine e Miss. Vedendo che la situazione sembrava essersi risolta per il meglio, la donna incitò la saura ad avanzare, la quale, al pari di Admiral, non sembrava essere granché colpita dal sacchetto.

A quel punto la ragazza dai ricci capelli bruni si voltò un'unica volta verso Celia, un'espressione di sfida dipinta sul volto.

«Visto?» mormorò trionfante, raddrizzando le spalle.

In quel momento Sherazade scartò di nuovo, facendo ondeggiare pericolosamente Sharleen, che si affrettò a voltarsi per calmarla.

Celia non replicò, limitandosi ad inarcare un sopracciglio. In quel momento, la voce squillante di Mina si levò dal fondo della fila.

«Mi scusi signore, potrebbe riprendere quel sacchetto? Sta spaventando i cavalli!»

 

Più tardi, a cena, non si parlò d'altro che della festicciola di Ed che si sarebbe tenuta quella sera.

Tutti cercavano di mantenere un tono di voce basso, nel tentativo di non far insospettire Francine e Ian, ma Celia pensò che dovevano essere davvero duri d'orecchio per non cogliere il principale argomento di conversazione.

Ed era solito organizzare i suoi festini in spiaggia, sotto il padiglione del Gallant Ranch, ma più spesso nel fitto boschetto dietro i boxes, come quella sera, dove potevano stare al riparo da occhi indiscreti.

Quando lei e Mina entrarono nella sala da pranzo – un po' in ritardo, come loro solito – Celia non si era certo scordata dei suoi propositi, ma ogni sua intenzione vacillò pericolosamente quando vide che, seduto al tavolo di Alice, c'era anche Logan.

Il ragazzo era seduto vicino a Ed e pareva immerso in una conversazione molto divertente, a giudicare dalle risatine che provenivano dal loro tavolo. Non alzò mai gli occhi dalle ragazze che aveva attorno ma, nonostante ciò, Celia si sentì un blocco di ghiaccio mentre si sedeva al solito tavolo con la cugina, al quale si erano già accomodati Helen, Catherine e Chris. Vera era al tavolo dei mounted games ma, quando le vide, si illuminò in volto e rivolse loro un festoso saluto.

«Voleva venire qui, ma le ho fregato il posto» disse Chris a mo' di spiegazione, fissando a sua volta la ragazza castana.

Helen lanciò un'occhiata di sbieco al tavolo a cui era seduto Logan. «Sei stato spodestato?»

Chris si rabbuiò. «Lasciamo perdere.»

Guardandosi intorno, mentre Kate e Joan distribuivano la cena, Celia adocchiò la figura magra di Francine, che stava attraversando la sala per andarsi a mettere nel suo posto di rito, e si ricordò che voleva parlarle.

Chiamò a raccolta tutto il suo coraggio e, dopo aver lanciato un'ultima occhiata furtiva a Logan – che continuava a chiacchierare con Ed e le ragazze – e aver recuperato il suo sandwich dalle tozze mani di Kate, raggiunse Francine sull'ingresso.

Mentre si alzava in piedi dal tavolo, tremante, Mina le lanciò uno sguardo confuso e lei le fece un cenno, come a dire che più tardi le avrebbe spiegato ogni cosa.

Francine aveva il piatto con il suo panino in grembo, ma non l'aveva ancora toccato, e teneva lo sguardo fisso davanti a sé. Trasalì appena quando Celia le si sedette accanto.

«Ehi, Cecilia» esclamò, lanciandole una breve occhiata prima di tornare a guardare l'esterno, con il Club House e i tre bungalow, su cui stavano calando le prime ombre del crepuscolo.

«Ciao Francine» rispose Celia, incerta su come proseguire.

Le pareva di essersi intromessa in un momento molto privato e di averla disturbata, ma fortunatamente ci pensò lei a rompere il silenzio.

«Sei stata brava oggi, in passeggiata.»

«Grazie» rispose Celia, sorridendo. Fece un respiro profondo. «Volevo...» esitò. «Volevo chiederti una cosa.»

Francine si voltò per scrutarla, lo sguardo di colpo attento. «Dimmi tutto.»

Celia tormentò con le dita il bordo del piatto di plastica, sovrappensiero. «Quel cavallo nero... quello che c'era in paddock oggi e che ci ha seguiti per un bel pezzo, chi è?»

«Ah.» Francine abbassò un attimo gli occhi sugli scalini prima di tornare a guardarla. Un'ombra le aveva attraversato lo sguardo. «Intendi Calcifer.»

«Calcifer» ripeté Celia lentamente, come per imprimersi meglio il nome nella testa, sentire che effetto faceva pronunciarlo. Calcifer. Decise che le piaceva.

«È il fratello di Black Beauty» spiegò Francine, dopo un lungo silenzio. Era tornata a guardare il paesaggio che sprofondava nelle tenebre, lo sguardo lontano.

«Ecco perché si somigliano così tanto» disse Celia più a se stessa che a lei, capendo la causa del malinteso del giorno prima.

Sul volto scavato di Francine comparve l'ombra di un sorriso. «Già.»

«Lo usate per la scuola?» le chiese Celia, rafforzata da quella reazione.

L'ombra che era stata un sorriso morì sulle labbra di Francine, lasciando spazio ad un'espressione cupa. «No» rispose in un soffio. «A dire il vero, è meglio se lo lasci perdere, Cecilia.»

Si alzò bruscamente in piedi e rientrò dentro l'edificio, nella confusione che regnava all'interno, lasciando Celia da sola, in compagnia delle cicale e di un venticello fresco che d'un tratto le parve freddo ed ostile.

Si chiese se si fosse solo immaginata le lacrime che avevano fatto capolino dagli occhi di Francine, un attimo prima che rientrasse in casa.

 

«Ti divertirai da matti» assicurò Mina a Celia mentre, in compagnia di Helen e Catherine, si dirigevano verso il boschetto.

Joan e Vera avevano dato forfait, dicendo di essere troppo stanche per fare baldoria. Nessuna delle due sembrava essere un animale da festa e Celia aveva come l'impressione che neanche lei avrebbe dimostrato di esserlo.

Annuì alle parole di Mina – peraltro poco convinta – ma aveva la testa da tutt'altra parte. Aveva provato a parlarle di Calcifer, ma la cugina, così come le altre ragazze del suo tavolo, ne sapevano tanto quanto lei.

«È sempre in paddock, nessuno lo monta mai» le aveva detto, con un'alzata di spalle. «Perché ti interessa tanto?»

Celia aveva sospirato. «Non so, mi piace. Non trovi che sia bello?»

«Eh? Bello?» Mina l'aveva guardata come se stentasse a credere alle sue orecchie. «Quella bestiolina lì?»

Per tutta risposta Celia l'aveva fulminata con lo sguardo, facendola scoppiare a ridere.

«Giusto, si sa che tu hai dei gusti discutibili» l'aveva presa in giro la cugina. «Come con il surfista.»

«Abbassa la voce!»

«Ah ah» aveva sghignazzato Mina, per poi farsi improvvisamente seria. «No, mi duole ammetterlo, ma Logan è davvero un gran figo. Lo è sempre stato. E non sei l'unica ad averlo puntato...»

Mina aveva ragione. Le gemelle, ma soprattutto Sharleen, non gli toglievano mai gli occhi di dosso e persino Alice, che Celia aveva saputo essere fidanzata, faceva spesso la stupida in sua presenza. Anche in quel momento, mentre il loro gruppetto li precedeva di qualche metro sul sentiero che conduceva al bosco, le ragazze continuavano a stargli attaccato, spintonandolo scherzosamente. Celia le fissava con uno strano senso di nausea alla bocca dello stomaco, rimpiangendo amaramente di non avere il loro carattere intraprendente.

Anche quando ebbero raggiunto la piccola radura dove, a detta di Ed, si radunavano di solito e si furono messi a sedere, chi per terra e chi su dei tronchi d'albero rovesciati, Sharleen, Olga e Summer accerchiarono Logan, che sedeva a gambe incrociate su un tappeto di foglie, la schiena mollemente poggiata contro un tronco. Li avevano raggiunti altri amici di Ed, tra cui un alto ragazzo dai corti capelli neri a spazzola e marcati tratti asiatici che si presentò come Mike.

«Si può sapere dov'eri?!» gli domandò Mina in tono scherzoso, quando lo vide, salutandolo con un abbraccio. Celia notò che sembravano piuttosto in confidenza.

«Sono arrivato oggi» spiegò lui. «Avevo un torneo di surf.»

Ad esclusione del frinire dei grilli, la radura era immersa in un religioso silenzio e avvolta dalle tenebre. I rami degli alberi si intrecciavano sulle loro teste a formare una cupola e i pochi raggi lunari che riuscivano a penetrarvi attraverso disegnavano dei giochi di luce sul terreno, dove Celia intravide i resti di un falò, proprio al centro di un ampio cerchio fatto dai tronchi, su cui i ragazzi si stavano sparpagliando.

Celia si sedette su uno di essi, dalla parte opposta rispetto a Logan, in compagnia di Helen e Catherine, lo stomaco stretto in una morsa. Mina era andata a prendere da bere e Celia la osservò chinarsi a terra insieme a Mike, di fronte alla cavità rotonda di un tronco, dal quale estrassero una, due, tre confezioni di birre.

«Non è geniale?» fece Helen accanto a lei, dandole di gomito.

Celia annuì, non troppo convinta.

Mina fu ben presto di ritorno con quattro lattine tra le braccia, che si affrettò a distribuire fra le ragazze.

«Tu bevi, Celia?» domandò Catherine, facendosi in avanti per poterla guardare in faccia.

«Certo che beve» rispose Mina, schiaffandole in mano una lattina.

Celia non disse nulla, limitandosi a scuotere leggermente la testa. Il tono di Catherine era giustamente curioso e stupito insieme, e come poteva biasimarla? Anche se di tanto in tanto suo padre le riempiva il bicchiere di vino, al ranch, aveva quindici anni. Su certe cose sua cugina era fin troppo iperprotettiva con lei, ma su altre era inspiegabilmente libertina.

La osservò di sottecchi. Mina era rimasta in piedi e stava giocherellando con la sua lattina, uno scintillio furbetto nello sguardo. Anche gli altri ragazzi avevano le loro birre in mano e, come Celia notò corrugando la fronte, le stavano incidendo con dei coltelli, tirati fuori dalle loro tasche. Dalle incisioni ben presto iniziò a sgorgare birra a fiotti, alle quali i ragazzi si attaccarono con un gesto repentino, per non farla cadere a terra. Celia osservò Logan portarsi la lattina alla bocca, il pomo d'Adamo che faceva rapido su e giù, il suono della sua risata quando Sharleen si sbrodolò tutta nel tentativo.

Nel distogliere lo sguardo da quella scena, Celia si accorse di un'altra cosa. Mike era in piedi, con la lattina finita tra le mani, la birra che gli gocciolava fra le dita, e il suo sguardo era fisso su di loro. Si sentì di colpo la gola secca.

«Ehi, Mike» esclamò di colpo Mina, che se ne doveva essere accorta. «Ci presti il tuo coltellino svizzero?»

Il ragazzo non pareva aspettare altro che avvicinarsi. Si cacciò la mano in tasca e allungò il coltellino a Mina, per poi lasciarsi cadere a terra, proprio di fronte al loro tronco. Accartocciò la lattina con la mano e poi alzò improvvisamente lo sguardo. I suoi occhi rilucevano alla luce della luna come quelli di un predatore.

«Ciao ragazze» mormorò. «Siete del campo estivo?»

«Già» rispose Catherine, in un tono che a Celia parve insolitamente neutro. «Piacere, Catherine.»

«Helen» fece l'altra, inclinando appena il capo. I suoi lunghi capelli biondi le finirono sulla faccia e lei si affrettò a sistemarseli dietro le orecchie, in un gesto affettato che Mike seguì senza toglierle un attimo gli occhi di dosso.

Dopo un lungo momento, il suo sguardo si posò su Celia, come se si fosse ricordato di lei solo in quell'istante.

«Io sono Cecilia» mormorò lei, stringendo convulsamente la lattina di birra, ancora intatta.

Percepiva una strana tensione salire lì intorno ed era una sensazione che non le piaceva affatto. Di colpo provò l'istinto di fuggire.

Mentre Mike riattaccava a parlare, lei prese a guardarsi freneticamente attorno, alla ricerca di una via di fuga, ma sembravano tutti divertirsi un mondo. Mina aveva finito la sua birra senza rovesciare neanche una goccia, aveva passato il coltellino a Catherine e si stava facendo servire un'altra lattina da Ed; Kate, Alice e dei ragazzi che non conosceva stavano fumando a cavalcioni di un tronco, mentre Logan e le ragazze continuavano a sghignazzare, come se fossero a conoscenza di qualche scabroso segreto che non volevano condividere con nessun altro.

Quando i suoi occhi si posarono su Chris, però, il suo cuore ebbe un fremito.

Il ragazzo biondo sedeva in disparte su un tronco, sulla destra, gli occhi fissi sul gruppetto di Logan, l'espressione contrita. I suoi pugni erano serrati e la lattina che aveva ai piedi era intonsa.

I suoi piedi si mossero istintivamente nella sua direzione, ma nessuno fece caso a lei. Mina era già alla terza birra, Mike continuava a parlare con Helen. Celia si avvicinò piano a Chris, le sue scarpe che scricchiolavano sulle foglie, e si lasciò cadere accanto a lui, sul tronco.

«Ehi» mormorò il biondo, senza neanche voltarsi. Pareva calamitato a quei ragazzi che pure lei quella sera non aveva perso d'occhio un istante e, seguendo il suo sguardo, Celia si chiese chi fosse dei quattro ad attirare in quel modo il suo attenzione.

Ai piedi dei ragazzi giacevano decine di carcasse di birre. Di colpo Sharleen allungò una mano e, quasi distrattamente, sfiorò l'avambraccio di Logan, che il ragazzo teneva disteso sul tronco al quale si era appoggiato. Chris e Celia trasalirono all'unisono.

Logan si irrigidì di colpo e lanciò un'occhiata significativa a Sharleen che, dal canto suo, scoppiò a ridere. Una risata argentina su un sorriso bellissimo, fu costretta ad ammettere Celia, che le fece apparire due deliziose fossette sulle guance. Di fronte a quel suono così contagioso, le membra di Logan si rilassarono e Celia lo vide rivolgere alla ragazza un sorriso altrettanto largo, il brillio dell'alcol che si agitava nei suoi profondi occhi scuri.

Celia abbassò gli occhi sulle sue scarpe, sentendosi di colpo accartocciata come le lattine di birra che i ragazzi avevano ai loro piedi.

«Non è bellissima?»

Celia alzò di colpo gli occhi su Chris. «Eh?»

«Solo a lui sorride in quel modo.» La voce del ragazzo era carica di rammarico.

Fu lì che Celia capì e si diede della deficiente. Capì che il biondo doveva aver notato a sua volta le deliziose fossette di Sharleen, che forse avevano provocato in lui quello che a lei suscitava incrociare lo sguardo di Logan anche solo per una frazione di secondo.

«È bellissima» ripeté Chris, l'aria sognante.

Celia ripensò al comportamento di Sharleen di quel pomeriggio e realizzò che molto probabilmente "bellissima" non sarebbe stato il primo aggettivo che avrebbe usato per descriverla. Però bella lo era sul serio, quello doveva ammetterlo: piccola e graziosa, con quel visetto angelico e i boccoli bruni che le scendevano come onde sulle spalle. Era più o meno alta quanto Mina ma, se una pareva un piccolo terremoto, l'altra era la quintessenza della grazia e della femminilità.

«Sì» fece Celia, incerta se proseguire o meno. Dopo un attimo, si decise ad aggiungere, timidamente: «Io però preferisco Logan.»

Chris si voltò di scatto a guardarla, un sorriso divertito che andava sostituendosi alla sua espressione malinconica. «Ti piace Logan?»

Sentendosi addosso quello sguardo così insistente, Celia arrossì fino alla radice dei capelli. «Un po'» bofonchiò infine, evitando il suo sguardo.

Chris rise di gusto. Quando il suono della sua risata si fu spento, fuso insieme a quelle di tutti gli altri ragazzi, tra i quali gli effetti dell'alcol iniziavano a farsi sentire, i due tornarono in silenzio ad osservare il loro gruppetto, le fonti dei loro batticuori.

Chris recuperò la sua lattina dal terreno e la aprì con uno schiocco.

«Riusciremo a conquistarli» lo sentì dire in tono solenne.

Celia ridacchiò e scosse piano la testa. «Chissà.»

Non ne era granché convinta, ma aprì a sua volta la lattina. Niente coltelli, niente incisioni, niente tagli sulla bocca nel tentativo di bere senza fare disastri. Senza dare spettacolo, come piaceva a lei.

Celia sbatté rumorosamente la sua birra contro quella di Chris e, gli occhi fissi su Logan, la bevve fino all'ultima goccia.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4052010