Moon's Sides (demo)

di Bloody Hell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giunti a destinazione. ***
Capitolo 2: *** Didi? ***



Capitolo 1
*** Giunti a destinazione. ***


Giunti a destinazione 

 

“Egregio Signor Brian…” iniziai a scrivere con la penna fra le mani, un foglio svolazzante mezzo strappato, appoggiata alla meglio sul misero e sudicio tavolino del treno a vapore su cui stavo viaggiando. Risi sommessamente. “Nah, nemmeno io mi prenderei sul serio.” continuai a scrivere. 

“Onestamente non avrei mai pensato che ci avrei impiegato così poco a riscriveresti tramite queste insignificanti lettere.” sospirai profondamente. Ormai ero in viaggio da un paio di giorni, forse tre, avevo perso il conto. Solo le notti insonni passate a rigirarmi in scomparti microscopici al posto di letti ricoprivano la mia mente. Assieme al meraviglioso e immancabile sottile mal di testa che accompagnava le mie giornate ormai da anni. 

“Mi sento molto scombussolata, persa… e mi manchi da morire, lo ammetto. Stare senza la mia altra metà potrebbe togliermi ogni singolo raggio di vita da dentro.” continuai ad aggiornare il testo della lettera che stavo scrivendo per Brian, mio fratello gemello. Guardai fuori dal finestrino, inevitabilmente pensando a tutto quello che avevo lasciato alle mie spalle intraprendendo questo viaggio. Non era nemmeno un viaggio che avrei voluto fare, era solo una mera copertura della vita che non avrei mai condotto se fossi rimasta a Veletrum. Che anzi, mi sarei rifiutata di condurre: sposare un uomo, più grande di me, che non mi ha mai trattata bene, solo per dare ascolto a mio padre. Mai mi sarei abbassata a tanto. 

“Ammetto però che un po’ mi manca casa… mi mancate un po’ tutti. A parte… a parte tu sai chi.” scrissi ancora. Mio fratello sapeva tutto e ormai parlavamo in codice. A casa erano tutti un po’ troppo espansivi, c’era chi aveva la tendenza a controllare tutto. Come mio padre e Jean, il mio “promesso” sposo. 

“Conto 3 giorni di viaggio da quando sono partita… o almeno così credo. Ormai la cosa meno traumatica che mi possa essere successa è avere un lieve mal di testa, tra dirigibili e navi.” una lieve pulsazione alle tempie mi fece capire che stavo sforzando troppo le meningi, e che ormai stavo per vomitare a forza di guardare la penna che scriveva. Decisi di concludere momentaneamente la scrittura e di continuarla una volta scesa dal fantastico treno in cui mi trovavo. 

“Al momento comunque mi trovo quasi a destinazione, su un treno davvero terribile e mal messo. Sono quasi arrivata a Rainfort: l’agitazione si fa sentire.”

Non feci in tempo a chiudere il pennino antiquariato che avevo in mano che il treno frenò in maniera davvero brusca. 

«Attenzione! Si avvisa la gentile clientela che siamo arrivati all’ultima fermata: Stazione Principale di Rainfort, quartiere di Moonsight. Che Dio vi benedica.» 

Dove diavolo avevo guardato tutto questo tempo? Ero al centro di Rainfort e nemmeno mi ero resa conto.

«Oh! Accidenti!» esclamai all’improvviso, nel mentre il treno frenava e irrimediabilmente ogni cosa che avevo in mano assieme ai fogli svolazzanti mi cadde nel pavimento sudicio. Mi affrettai subito a raccoglierli, notando che nessuno degli altri passeggeri evidentemente si sarebbe messo ad aiutarmi. “Sigh” pensai, “te sogni ancora troppo Nives”. 

Mi guardai un po’ intorno, dopo essermi risistemata e dopo essere scesa dal treno. Lanciai letteralmente contro una parete un po’ più nascosta la borsa a tracolla che avevo e anche la pesante valigia che mi portavo dietro dalla città di Munimir. Tentai di appiccicarmi alla parete di mattoni di una delle colonne portanti che caratterizzavano la stazione, guardando bene come l’umidità della città di Rainfort le bagnava piano, per evitare che occhi indiscreti si poggiassero sulla mia figura. Mio malgrado, era un posto aperto e anche piuttosto illuminato, sia artificialmente che naturalmente, date le immense vetrate. Mi affrettai a sistemarmi il pesante giaccone che avevo prontamente portato con me prevedendo le temperature basse del paese. C’era una bella differenza tra la nazione di Veletrum e quella di Groundlane: nel mio paese c’era sempre il sole d’estate, ma il freddo rigido dell’inverno non ci chiudeva perennemente nelle case, soprattutto se si abitava al sud; mentre qui era una pioggia perenne, assieme alle perenni basse temperature… non sarebbe stato facile stare qui, anche se era dicembre e ormai ero abituata al freddo. Una volta concluso di ragionare sulle differenze immense che dividevano i nostri paesi, iniziai a guardarmi intorno. Notai le tubature ramate che sporgevano e che correvano lungo le colonne, lungo i muri e persino sull’alto e antico soffitto che caratterizzava la stazione, i vapori che fuoriuscivano addirittura dai mattoni, le goccioline di pioggia che trapelavano anche dalle vetrate che illuminavano l’ambiente. Fuori non era eccessivamente buio, nonostante i nuvoloni carichi di pioggia che si intravedevano all’orizzonte, da dove ero arrivata. Notai anche la quantità infinita di persone che brulicava dentro di essa. Un continuo via vai, c’era chi doveva lavorare, chi doveva partire per giorni, chi tornava, chi si trasferiva… come me. Decisi di aver visto troppo e che forse era ora di andare a destinazione, a quella definitiva: la Febes. Prima sarei dovuta passare alla dogana a lasciare e ritirare dei documenti… le solite burocrazie per il trasferimento. Mi trovavo lì per lavoro, nulla di più. Mi avviai dunque a passo svelto, cercando di non inciampare ogni due passi sulla valigia o sulla mia borsa, verso l’uscita effettiva della stazione, andando a cercare il punto ritrovo in cui vendevano e fornivano mappe ai turisti. Diciamo che ogni stazione ne aveva una, ogni luogo in cui si atterrava o arrivava a destinazione c’era. Era un obbligo, anzi un diritto, così aveva decretato il papa. Proprio in quel momento notai il suo bel manifesto spiaccicato su un palazzo, in bella vista, chiaro come la luce del sole quando è mezzogiorno. 

“Che pallone gonfiato.” inutile dire che non mi era mai stato simpatico. 

Dopo varie peripezie e dopo essermi persa svariate volte per i vicoli poco raccomandabili del quartiere di Moonsight finalmente recuperai una mappa decente e…

«Signorina Sperium!» mi voltai verso una voce calda che mi stava chiamando. O perlomeno, che stava chiamando il nome che avevo fornito. 

«S-sì?» guardai un po’ a vuoto non vedendo il proprietario della voce. Nessuna risposta. Mi guardai intorno nuovamente ma scrollai la testa. 

“Iniziamo bene: pure le allucinazioni uditive, adesso. Possibile che tu te lo sia solo immaginato visto il numero di ore dormite che hai sulle spalle.” mi ripetei. Tornai a concentrarmi sulla mappa, tentando di capire qualcosa nella gestione degli spazi e dei luoghi. 

«Signorina!» sentii una mano avvolgente appoggiarsi sulla mia spalla e sussultai immediatamente. Mi voltai di scatto, completamente colta alla sprovvista. Mi ritrovai di fronte a un uomo di bell’aspetto, molto curato, con capelli brizzolati, probabilmente sulla cinquantina. Aveva un sorriso teso, e sembrava dispiaciuto del piccolo inconveniente. Portava un bel giaccone nero, molto lungo, e delle cinghie attorno alle braccia, decorate con dei fini ingranaggi dorati; aveva un cappello cilindrico e degli occhiali tondi poggiati giusto sopra, i tipici “goggles” di Groundlane. Aveva persino un bastone che pareva piuttosto pregiato, dati i dettagli del legno. 

«Mi perdoni, non avevo intenzione di spaventarla, Miss» mi disse con più dolcezza, ritraendo delicatamente la mano. Aspettò che mi calmassi qualche secondo prima di  continuare. 

«Sono venuto da parte della Febes per scortarla fino alla nostra sede, in modo tale che non si perdesse e che non faticasse in tal maniera a piedi.» rimasi interdetta dalla distanza fredda delle parole che espresse. Di solito questo tipo di adulti non si rivolgono con così tanto rispetto verso noi ragazzi ventenni, mi suona quasi… sospetto. 

«Oh, uhm… non si preoccupi per lo spavento. In ogni caso è davvero molto cortese da parte vostra, io non-» mi interruppi. Volevo davvero farmi vedere come una tale sprovveduta? Guardai un punto dietro di lui prima di riprendere lo sguardo e di continuare a parlare. 

«Io mi stavo incamminando da sola, comunque.» esaurii io infine, puntando i miei occhi nei suoi color noce. Tentai di mantenere il più possibile uno sguardo vuoto e a tratti inquietante: non è che mi fidassi molto. 

«Miss, non si preoccupi, qui nessuno la vede come una sprovveduta. Volevamo solo evitare di farle fare tutta quella strada a piedi con una valigia così pesante addosso.» sorrise, socchiudendo lo sguardo, lasciandomi intendere che era lui quello più adulto nella conversazione, non si sarebbe lasciato chiudere in una simile maniera da una ragazzina come me. Ricacciai giù con violenza la sensazione di rabbia incontrollata che mi stava crescendo dentro a dismisura, e sorrisi a mia volta, ringraziandolo e chiedendogli di farmi strada. Detestavo farmi mettere così i piedi in testa. Ci dirigemmo verso una carrozza chiusa, data l’immensa pioggia che stava dilagando, era piuttosto vecchia, piena di intarsi e decorazioni nero e oro, al limita del pacchiano. Distorsi il naso notando la pochezza nel gusto che avevano i Rainfortniani, ma provai a passarci sopra: del resto solo i veri artisti di Veletrum, come me, potevano davvero comprendere il buon gusto dei colori e dei loro abbinamenti. Salii senza troppi problemi, aprendomi la portiera da sola e lasciando a bocca asciutta l’uomo, di cui, in maniera scortese, ho scordato di chiedere il nome. Presi posto in un angolo della vettura, posizionai la valigia tra le mie gambe e poi fissai l’uomo che aveva preso posto dalla parte opposta alla mia. Sembrava molto più alto e più grande rispetto all’angolo angusto in cui si era messo. 

«Miss, credo che sia tutto iniziato col piede sbagliato. Ricominciamo: come le è andato il viaggio?» esordì dopo un lungo silenzio riempito solo dai rumori esterni, cui pioggia, vociare di persone che camminano lungo i viali e il trottare dei cavalli. Sospirai.

«Sì, ha ragione. Il mio viaggio purtroppo è stato tortuoso e stancante. Ma sono stata scortese, non le ho nemmeno chiesto come si chiama.» discostai lo sguardo mentre pronunciavo quelle frasi, tornando prorompente sull’ultima parte. 

«Mi chiamo William Withman, ma la prego mi chiami solo Will» sorrise, annuendo leggermente con la testa. 

“E’ davvero un bell’uomo, bisogna ammetterlo, per avere più di 50 anni si tiene fisicamente bene” mi portai delicatamente una mano alla bocca, tentando di nascondere il sorrisino che mi scappò pensando queste cose. Acconsentii alla sua richiesta e mi spiegò brevemente in cosa consisteva effettivamente la Febes, dato che ancora non mi era eccessivamente chiaro, anche se era conosciuta internazionalmente per le sue prestigiose università di Geologia e Cristallografia. 

«Dunque, Miss, la Febes oltre ad avere alcune delle più prestigiose università dell’intero continente sotto il suo nome, è anche un luogo principale di ritrovo, scambio di idee e dibattiti. Ma oltre a questo, nei secoli si è andato a delineare un ordine un po’ più complesso di ciò che è il cuore della Febes» fece una pausa, per garantirmi di interiorizzare le informazioni che avevo appena appreso. Realmente, sapevo già cosa fosse la Febes, mia nonna in gioventù mi raccontò che era un membro di essa, ricoprendo un rango molto importante. Nel tempo però, mi raccontò anche che non era quello che diceva di essere e se ne andò volontariamente, sentendosi in trappola in mezzo a persone… poco raccomandabili. Infatti, ero restia a trasferirmi lì proprio per questo. Ma finsi di non saperne nulla, approcciandomi con una domanda sciocca.

«Ordine? Non si tratta mica di una setta, vero?» esposi la mia domanda fingendomi anche un po’ preoccupata, conferendomi un aspetto un po’ ingenuo. E abboccò.

«Miss, non si preoccupi che non è assolutamente quel tipo di luoghi. Siamo coperti dalla Chiesa, che ormai è nostra alleata da molti anni» sorrise dolcemente. 

“Incredibile come abbia abboccato a questo, mentre poco fa aveva palesemente intuito il mio stato d’animo confuso, quando ho provato a mascherarlo” pensai, rimanendo un po’ interdetta, senza darlo troppo a vedere. 

«In ogni caso, sotto il nostro ordine abbiamo raccolto anche la banca della nazione di Groundlane e i siti archeologici principali. Oltre a controllare, appunto, tutti gli scavi geologici e gli studi dei cristalli» continuò Will. Finsi di apparire disinteressata, guardando fuori dal finestrino colorato di scuro, tentando di vedere qualcosa, scostando le tendine delicate che vi erano appoggiate davanti. In che razza di situazione assurda mi stavo cacciando lo sa solo Dio… Forse. 

«E… che cosa ci farò io nella Febes? Qual è il mio scopo? Perché mi avete contattata?» gettai fuori queste domande che ormai avevo ripetuto a sufficienza nella mia testa. Sapevo benissimo perché fossi lì, sapevo benissimo a cosa sarei servita, ma speravo che i motivi fossero altri, diversi. 

«Questa, Miss, è un’informazione privata che spetterà al Direttore fornirla. Però, posso assicurarle che si troverà molto bene qui, la gente che popola i nostri luoghi è molto aperta alla comunicazione. Avrà anche la possibilità di studiare, qualora lo desiderasse» mi rispose sorridendo lui. Si era distanziato ancora di più, era un sorriso freddo quello che mi aveva mostrato. Avrei dovuto aspettare ancora per avere delle risposte che smentissero i miei dubbi. 

«Siamo arrivati» esordì William. Deglutii. 






 

 


(Attenzione! Mancano descrizioni di luoghi e persone, l'interesse è incentrato principalmente sulla trama essendo una demo.)

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Capitolo 2
*** Didi? ***


«Didi, vieni qui vicino a me» una voce calda e dolce mi stava chiamando dalla piccola saletta di quella casa antica in cui abitavamo molti anni fa. Forse avevo 6, 7 anni. Tutto sembrava annebbiato e fin troppo luminoso intorno a me, come se stessi vivendo un ricordo. Era un posto accogliente e non era eccessivamente grande, ma caratterizzato da uno stile molto eccentrico. Mi ero persa ad osservare per l’ennesima volta il soffitto dell’entrata principale, fatto con pesanti travi di legno scuro, completato coi meravigliosi dipinti che riempivano le pareti. C’erano raffigurate creature lontane, d’altri tempi, simili a umani ma più animali, più… magici. Parevano degli elfi, o dei nani, con tratti somatici differenti dai nostri. E avevano le corna, delle corna a volte lunghe e longilinee, altre volte spesse e contorte su loro stesse. E poi avevano la coda, di diverso tipo, senza una apparente linea biologica a delinearne il perché. Forse no, non erano elfi, la loro pelle non era della nostra specie, non era umana: forse erano pellicce, oppure la colorazione tendente al viola era proprio la loro…

«Nonna, quelle creature cosa sono?» le chiedevo puntualmente, cercando il suo sguardo e indicando un punto non specifico. Con estrema pazienza e affetto mi si avvicinava, aveva una certa passione per quello che mi spiegava, si accovacciava al mio fianco e, prendendo la mia mano mi indicava ogni singola creatura raffigurata. Aveva la casa piena di statuette e quadri o affreschi di questi esseri maestosi, assieme ai simboli che rappresentavano sistema solare ed altri simboli antichi. Lei li chiamava Lierki. 

«I Lierki sono creature primordiali, sin da prima di noi umani, con la capacità di creare e lavorare con la magia degli elementi naturali, soprattutto quella dei cristalli»

«E quei mostri invece?» proseguivo, indicando ulteriori esseri malformati, di dimensioni immense, mostruosamente inquietanti. Mi affascinavano e terrorizzavano nello stesso momento, 

«Quelli sono i Fenlis, Didi. Esseri mostruosi nati dall’unione di umani e Lierki. Regole non scritte dell’universo, tesoro» concludeva, schioccandomi un bacio sulla fronte. Regole non scritte, che da piccola non comprendevo, ma che col tempo si fecero piuttosto chiare: le specie non possono mischiarsi, altrimenti usciranno dei mostri, ripensandoci poi a mente lucida. “Umani siete e umani rimarrete”, diceva il Papa. La nonna non andava mai oltre con le spiegazioni, era troppo pericoloso: la Chiesa e il Papa controllavano ogni cosa, dall’economia all’istruzione, dal cibo che mangiavamo fino ad arrivare a dirci come farsi un bagno. L’inquisizione insorgeva terribilmente in quegli anni. Era tutto decisamente troppo instabile. 

Un giorno, però, mi ritrovai particolarmente incuriosita, più del solito. La scoprii leggere un tomo pesantissimo: aveva un quantitativo di pagine indefinito, nel quale notai scritte formule e simboli piuttosto sinistri, o almeno secondo quanto imposto dalla Chiesa. Non me ne preoccupai, nonna era sempre stata un angelo e una guida per me. Non avevo paura di quello che faceva o nascondeva ad occhi indiscreti.

«Vedi, Didi, ci sono alcune cose del mondo antico, dei nostri antenati, che non possono rimanere nascoste, e soprattutto non possono essere dimenticate» mi aveva risposto, alla domanda su cosa rappresentasse tutto questo. 

«Qual è la loro storia allora? Dai nonna, dimmelo! Prometto di non dirlo a nessuno!» insistetti io, attratta da quell’enorme mistero. Era proibito conoscere quelle formule e conservare quei libri, lo sapevamo tutti in casa, ma con la nonna si facevano eccezioni. E si proteggeva un segreto famigliare secolare, che sarebbe altrimenti andato bruciato assieme a tutti gli altri libri e alle altre famiglie come la nostra, dalla Chiesa. 

«Secondo la leggenda e i testi antichi… I Lierki si estinsero improvvisamente, un giorno, e tutto il loro sapere andò perduto. Tranne quello sulla magia potente dei cristalli.

Un giorno, infatti, un uomo di chiesa, un frate come tutti gli altri, scoprì alcuni resti delle civiltà antiche, e, tentando di decifrarne i significati, scoprì che si era in grado di utilizzare i poteri dei cristalli per guarire la gente, per raggiungere i propri scopi o addirittura governare il mondo. 

Nel tempo, però, la Chiesa si ruppe profondamente da dentro, mentre una forza sovrannaturale, indubbiamente mandata dall’Universo, stava facendo rinascere un potere e una specie ormai estinta» mi si illuminarono gli occhi ad udire queste parole, e la interruppi senza remore. 

«Esistono i Lierki?» chiesi, trepidante, appoggiandomi con forza al suo braccio, facendole quasi rovesciare addosso la boccetta che stava preparando, assieme alla cera bollente di una delle sue enormi candele. Lei fece un sorriso dolce amaro, consapevole della mia innocenza di bambina, non badando alla mia irrequietezza. 

«Mi piacerebbe risponderti di sì, bambina, ma ciò che rinacque fu la conoscenza tra gli uomini» rimasi contrariata da tali affermazioni, iniziando a giocherellare con le sue numerose fiale contenenti oli, sali, pietre e rocce poggiate e dimenticate sul tavolo enorme che aveva nel suo studiolo. Era meravigliosamente pieno di cose, oggetti di ogni tipo, da fogli di carta a pergamene antiche, penne di ogni genere, piume, pietrucce con scritte delle rune, candele di ogni dimensione e fiammiferi, libri e tomi giganteschi dove appuntava i suoi pensieri e da dove spuntavano pezzi di fogli strappati e svolazzanti; pezzi di ossa e polveri di dubbia provenienza, anche se garantiva fossero del tutto naturali; oltre ad avere un immenso specchio di fronte al muro, che rifletteva ogni cosa presente in casa. Era messo in un punto tale che riuscisse a scrutare ogni angolo dietro l’osservatore. Per me, lei è sempre stata un genio. 

«Però, Didi, posso dirti che alcuni umani possono sviluppare dei poteri speciali che hanno a che fare coi cristalli» aggiunse, togliendomi delicatamente di mano una boccetta con dentro dei gusci di uovo rotto, aprendola e rovesciando parte del contenuto nella boccia che stava preparando. 

«Davvero??» balzai in piedi, istantaneamente, facendo ribaltare la sedia su cui ero seduta all’indietro. 

«Sì, è così. Ma a volte, sarebbe meglio non averli» mi guardò un attimo sospirando piano, con degli occhi vacui, forse guardando dietro di me, in un punto impreciso, ma riprese subito dopo. Concluse la sua boccetta chiudendola con un tappo di sughero fatto in casa, versandoci sopra della cera d’api calda di colore giallo pallido. Me la porse con delicatezza, accorgendomi in quel momento che l’aveva legata ad un filo intrecciato per far sì che potessi portarla al collo.

«E prima che tu mi chieda perché, sappi che qualunque cosa di diverso ci sia dalla chiesa è peccato. I cristalli sono una forza naturale, non sono un gioco Nives. E’ importante che tu lo sappia. Ed è importante che tu ne stia alla larga, se non ci sono io con te» nell’ultima frase, si abbassò al mio livello, puntandomi i suoi occhi verde chiaro nei miei, carezzandomi una guancia. Io annuii, non potendole chiedere ulteriori dettagli. Ormai conoscevo quando arrivava ai suoi limiti. 

 

Non parlammo più dei cristalli e dei loro poteri, da quella volta, fino ai miei 18 anni, momento in cui un’energia bianca e pizzicante si presentò nelle mie mani, prepotente, facendo tremare la terra quando…

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