Se la Guerra Viene

di Ephram
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fuga ***
Capitolo 2: *** Un Estraneo in Casa ***
Capitolo 3: *** Incubi ***
Capitolo 4: *** Una Situazione Strana ***
Capitolo 5: *** Buon Viaggio ***
Capitolo 6: *** Scovato ***
Capitolo 7: *** Prima che tutto ricominci ***
Capitolo 8: *** Piani ***
Capitolo 9: *** Obiettivi ***
Capitolo 10: *** I Freddi Venti del Nord ***
Capitolo 11: *** L'Orizzonte in Arrivo ***



Capitolo 1
*** Fuga ***


Correre immezzo alla neve alta fino alle ginocchia non era decisamente la migliore delle opzioni quando si tratta di disertare dall'esercito dispiegato in un Paese straniero, dispiegato in preparazione di quella che potrebbe tradursi in una vera e propria Guerra su vasta scala.

Per giunta la neve continuava copiosa a cadere in un paesaggio innevato con temperature prossime ai -25 C°.

Eppure per sfuggire ai controlli e alle guardie intirizzite dal freddo, nonostante indossassero uniformi termiche, questa era l'unica opzione plausibile nonostante i rischi di beccarsi un proiettile dritto alla nuca.

Avvolto in pesanti indumenti termici con il fiato che si condensava nell'aria attraverso il tessuto della sciarpa, attraversai a fatica più veloce che potevo i campi innevati con il costante scricchiolio della crosta di neve sotto il peso dei miei passi e giunsi in prossimità di un bosco, attraverso il quale mi inoltrai.

Molto probabilmente al campo base avevano già notato la mia assenza e quindi scoperto la mia fuga, quindi l'elevata possibilità che avessero iniziato le mie ricerche mediante l'utilizzo di cani da fiuto e l'utilizzo di droni in grado di vedere dall'alto e trasmettere immagini in diretta al campo mi spingevano ad accelerare il più possibile nonostante le mie gambe iniziassero già ad avvertire i crampi della fatica.

Se a trovarmi fossero stati i cani da fiuto molto probabilmente una volta catturato mi avrebbero riportato al campo per l'esecuzione pubblica con un colpo di arma da fuoco, come monito per chi stava pensando qualcosa di simile.

Se invece a localizzarmi fossero stati i droni aerei, un missile a corto raggio a localizzazione termica sarebbe stato sganciato rapido ed efficente nel colpire il bersaglio, anche se in costante movimento.

In quel paesaggio innevato era impossibile trovare altre fonti termiche con le stesse temperature del corpo umano, quei sofisticati sistemi erano in uso da ormai diversi anni nelle forze armate europee con lo scopo di abbattere possibili spie anche a notevole distanza e possibili disertori, quando fosse stato impossibile raggiungerli.

Sulle aree urbani naturalmente il codice dell'esercito, eccetto che in caso di scenario di guerra reale, erano proibiti dal momento che tali fonti di calore erano la norma e in costante movimento.

Nel bosco il manto nevoso era assai ridotto grazie al fatto che le cime della pineta ne trattenevano un buon carico prima di spezzarsi sotto il peso eccessivo e cadere a terra.

Senza dubbio questo avrebbe reso più complicato inseguire le mie impronte, senza contare che la neve continuava a cadere fitta coprendo le tracce che avevo lasciato attraversando i campi.

Nonostante fosse aprile le temperature erano molto basse in questa regione dell'Estonia, senza contare il fatto che il sole stava calando, quindi dopo una breve "cena" a base di barrette proteiche avrei dovuto cercarmi un posto per passare la notte senza rischiare l'assideramento.

Molto facile pensarlo, ma realizzarlo era il vero problema.

Il buio stava scendendo molto in fretta, nel mio campo visivo le sagome degli alberi si stavano facendo sempre più indistinte, camminai per un lungo tratto seguendo un'immaginario sentiero tra gli alberi fino a quando con il fiato lungo non raggiunsi nuovamente il limitare del bosco.

Un'estesa prateria innevata si diramava fino ai limiti di una cittadina di cui non conoscevo il nome, tuttavia ben sapevo che se si era in fuga dall'esercito i primi posti più ovvi dove sarebbero passati a controllare sarebbero stati proprio le aree urbane e le aree periferiche più popolate.

La profondità del manto nevoso mi arrivava fino alle natiche quindi, per quanto poco mi garbasse l'idea vista la situazione di urgenza, quello era l'unico posto in cui potevo permettermi di recuperare un minimo le energie indisturbato senza correre significativi rischi durante la notte.

All'ombra di un'abete infilai un paio di occhiali per la visione notturna sottratto circa quindici ore prima, prima che disertassi dal Secondo Battaglione dell'esercito europeo.

Non vidi movimenti sospetti per i successivi dieci minuti, controllai a lungo dal momento che ne andava di mezzo la mia vita.

Avevo camminato e corso attraverso strade secondarie non asfaltate e coperte dalla neve e attraversato praterie e boschi per tutte le ultime quindici ore, razionando metodicamente le scorte di barrette proteiche e acqua potabile.

Il freddo intenso e l'affannarsi tra campi, boschi e praterie immezzo a una spessa coltre nevosa avevano decisamente esaurito le mie forze, nonostante i ripetuti e pesanti allenamenti alla quale eravamo sottoposti al centro di addestramento della NATO, in Polonia.

Sotto la fitta nevicata, dopo aver mangiato una razione di barretta proteica cercai con un bastone un punto nella quale il manto nevoso era sufficientemente profondo, una volta trovato un avvallamento adatto sotto la neve iniziai a scavare a mani nude, fortunatamente avvolte nei guanti.

Sentivo il freddo insinuarsi fastidioso sotto la tuta termica, chiaro segno che ero rimasto fermo troppo a lungo.

Scavai una sorta di cavità sotto la neve dove in seguito compattai le pareti e ne accumulai parte lungo i bordi della buca rendendola quasi del tutto invisibile mano a mano che piegandomi mi accucciavo all'interno prendendo posto nella cavità, ricavando quindi anche un piccolo spazio per lo zaino davanti alle ginocchia.

Essere alto un metro e sessantasette mi era stato di molto aiuto.

Coprii l'apertura in superficie con dell'altra neve fino a quasi tapparla, quindi mi rannicchiai il più possibile portando mani e braccia attorno alle ginocchia nel tentativo di scaldarmi.

Durante la notte sarebbe potuto cadere un metro di neve ma con le pareti compattate non correvo alcun rischio di rimanere sepolto vivo sotto il manto nevoso.

La cavità avrebbe limitato la dispersione di calore, specialmente con la neve compressa lungo le pareti, dove l'acqua che si sarebbe formata attraverso il calore emesso dal mio corpo sarebbe stata riassorbita dalla neve facendo da auto-isolante.

Accesi la torcia e controllai l'ora sul mio orologio.

Le 00.14, era già passato così tanto tempo?

Non ebbi molto tempo di pensarci che nonostante il freddo, molto minore ora rispetto a quello esterno, mi addormentai in una dormiveglia costellata da una sequenza di sogni-ricordi del passato recente.


Rividi quella fredda domenica di dicembre nel periodo natalizio in cui, in vacanza con la mia ex, avevo attraversato il fiume Tamigi congelato pattinando dove cadendo mi ero preso una brutta botta alle natiche, cadendo sul sedere.

Poi mi ritrovai a scuola quando, del tutto indifferente, saltavo le ore di religione e giravo per i corridoi dell'istituto agrario.

In quel periodo frequentavo una ragazza di nome Daria, avevo circa diciassette anni, quindi era quasi un passatempo rinchiudersi nei bagni dell'ala est della scuola.

Successivamente gli echi della mia mente sentivano qualcuno che chiamava il mio nome, quindi le immagini nella mia testa cambiarono facendomi ritrovare durante uno dei giorni scolastici di semi-convitto pomeridiani in una delle aule sotterranee della stessa scuola dove tutti erano attaccati ai televisori ad attaccare una notizia flash dell'ultimo momento della stessa importanza data al crollo delle Torri Gemelle l'undici settembre del 2001.

Seul, la capitale della Corea del Sud, era stata rasa al suolo da un improvviso attacco nucleare della Corea del Nord, dove i morti diretti si contavano a milioni, mentre quelli indiretti da parte della radioattività erano al momento solo oggetto di stima.

Era divampata la Seconda Guerra di Corea che avrebbe portato alla riunificazione dei due Paesi e alla morte di migliaia di soldati sia coreani sia americani.

Per la seconda volta nella storia del XXI secolo il mondo non sarebbe stato più lo stesso, ciò si sarebbe tradotto in un nuovo Vietnam americano ma anche in una Seconda Guerra Fredda tra l'Europa, gli USA e la Russia, accusata direttamente di aver appoggiato tale guerra.

Complicata dal fatto che se un tempo i fronti erano due ora i fronti erano molteplici e divisi in alleanze vecchie e nuove:


-L'Inghilterra aveva abbandonato l'Europa per riunificarsi con le principali potenze del Commowealth: Australia, Nuova Zelanda, Canada.

Una sorta di nuovo impero britannico.


-La Russia si era unita con alcune ex repubbliche sovietiche formando un nuovo blocco militare ed economico, contrapposto all'Europa e agli Stati Uniti.


-La Cina dominava l'economia mondiale unendo l'intero continente eurasiatico in una sofisticata rete di avanzate ferrovie ad alta velocità con la quale venivano trasportate merci di vario tipo ai vari paesi, come un gigantesco sistema di arterie d'acciaio che alimentavano la potenza militare ed economica di Pechino.


Mi svegliai alla luce del giorno che filtrava tiepida attraverso i cumuli di neve sopra di me.

Avevo ripreso sufficienti energie per muovermi ma, accidenti, sarebbe stata una giornata piuttosto lunga.

Il mio primo obiettivo era procurarmi un auto per allontanarmi più velocemente dalla zona.

Una stazione dei treni per lasciare il paese sarebbe stata indispensabile una volta che l'avessi trovata.

 

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Capitolo 2
*** Un Estraneo in Casa ***


Aveva nevicato tutta la notte e quando tornai alla superficie sopra il manto nevoso il paesaggio ammantato di neve fresca aveva un qualcosa di accecante, proprio a causa della rifrazione luminosa della neve, senza parlare del freddo notturno che faceva sentire i suoi effetti anche al mattino tardivo.

Mi rimisi lo zaino in spalla e mi rimisi a camminare affondando i passi fino alle gambe nel manto nevoso.

Dopo che finalmente ebbi attraversato quella distesa nevosa raggiunsi la strada asfaltata, dove indubbiamente gli spazzaneve avevano lavorato incessantemente per tutta la notte, e mi inoltrai in direzione della cittadina dove lo scopo principale non era chiaramente quello di dare nell'occhio, quanto al fatto di sostituire l'uniforme militare con abiti civili, per poi procurarmi un'auto e allontanarmi il più possibile, specialmente in direzione di una stazione ferroviaria che se non ricordavo male ce nel era una nella non molto lontana città di Narva.

Verso dove? Interessante domanda.

Il cielo era di un freddo colore celeste e sul mio orologio digitale lo schermo segnava le 06.45.

Per la cronaca, portavo nascosta sotto la giacca una pistola elettrica in quanto un fucile dell'esercito portato per chilometri e chilometri a falcate tra il manto nevoso sarebbe stato solo un peso inutile che avrebbe contribuito a rallentarmi.

Il cielo in lontananza in direzione dell'orizzonte indicava che presto sarebbe sorto il sole, altra fonte di guai una volta che la gente avrebbe iniziato a svegliarsi per iniziare la propria abitudinaria routine delle cose quotidiane.

Passai in rassegna man mano che camminavo lungo le vie deserte della cittadina diversi edifici, molti dei quali abbandonati e trasformati in fredde rovine dal passare del tempo.

Diverse case erano invece in ottimo stato, sembravano persino più pulite e di qualità rispetto a gli edifici che avevo visto in Germania durante le missioni anti-terrorismo nel 2024 a Francoforte.

La cosa non mi sorprendeva dal momento che l'Estonia era un paese con persone molto più precise e positive dei loro omologhi di Berlino.

Tuttavia la maggior parte delle case che vidi con lo stile nordico del posto era abitato da famiglie benestanti con i loro classici sistemi di allarme e riconoscimento vocale digitalizzati, o addirittura con il riconoscimento della retina degli occhi.

Stavo perdendo le speranza fino a quando non trovai una casa con un Pick Up parcheggiato che immaginai fosse abitata solo da una singola persona. Probabilmente pagando l'affitto.

Contrariamente a chi ha l'intelligenza di installare allarmi sulle porte molte persone raramente prendono reali contromisure per proteggere le finestre, nonostante vengano installate con sistemi antiscasso.

Fortunatamente la casa era ad un singolo piano, se si escludeva la cantina e il bunker o rifugio anti-atomico sotteraneo diventato obbligatorio per legge in tutta Europa dal 2025, vista la crescente minaccia di un'attacco nucleare dai vicini di confine.

Dopo che ebbi localizzato l'area del salotto da quella della cucina e della camera da letto, dalla dimensione e dalla posizione delle finestre, non mi fu difficile forzare quella senza far rumore ed entrare senza far rumore arrampicandomi sul davanzale e facendo leva con le mani scivolare su di esso con con il resto del corpo per entrare.

Mi ritrovai in una stanza semi-buia a causa delle tende tirate sulla finestra che richiusi.

Buia ma calda, il che fu solo un parziale sollievo dal momento che mi trovavo in casa di entranei.

Mi serviva semplicemente uno strappo in macchina verso la più vicina stazione ferroviaria di Narva , ma per averlo mi servivano le impronti digitali del proprietario del Pick Up.

Chiederlo gentilmente suonando alla porta avrebbe destato sospetti vista l'uniforme militare, senza contare che anche il solo rischio di far sapere ai militari dove ero mi avrebbe condannato all'istante dal momento che ero un disertore.


Con uno scorcio alla tenda della finestra guardai fuori oltre il caseggiato di fronte, in direzione del cielo, dove notai quasi subito due punti scuri che si muovevano avvicinandosi.

Non erano elicotteri, si muovevano troppo piano.

Gli aerei da trasporto normale invece erano ancora più veloci.

Erano droni da ricognizione, impossibile non indovinare chi stessero cercando, tuttavia fino a quando rimanevo chiuso nascosto in quella casa ero al sicuro.

-Chi sei?- una voce femminile dal corridoio buio mi fece sussultare. Chiunque fosse non l'avevo sentita arrivare.

Voltandomi piano, con le mani alzate dopo aver sentito il "click" classico di una pistola vidi prima la canna cromata di un rosso metallico nella penombra del salotto.

Poi una volta che riuscii a mettere a fuoco mi accorsi che ad averla in mano era una ragazza ancora in vestaglia da notte, color panna, alta almeno quanto me e assai magra con l'espressione tipica di chi non si flette fino a quando una questione non è chiarita e risolta.

-Solo uno di passaggio- spiegai piano – non sono un ladro come forse avrai capito dall'uniforme e dal volto scoperto..-

-Zitto- mi interruppe di nuovo -te lo chiedo di nuovo, chi-diavolo-sei?-

La ragazza non scherzava.

- Sasha Norge- dissi guardandola con attenzione.

-Cosa ci fai in casa mia, Norge- disse scandendo bene le parole – ammesso che questo sia il tuo vero nome.-

-Sono un disertore delle forze armate,- confessai, la ragazza non sembrava amare i giri di parole e sospettavo riconoscesse una dichiarazione falsa da una vera.

- Questo non mi dice cosa ci fai nel salotto di casa mia.-

Era inutile girarci intorno, le sue braccia erano distese ma ferme, non tremavano, la pistola sufficientemente potente da passarmi attraverso con un proiettile e conficcarlo nel muro come parte dell'arredamento.

Non sarei stato sufficientemente veloce per disarmarla, ne sarebbe stato possibile.

Sapeva il fatto suo.

-Ho attraversato a piedi da ieri non so quanti chilometri di praterie e boschi innevati - iniziai a dire – e sono entrato di nascosto in casa tua perchè mi serviva che qualcuno mi aiutasse ad andare in auto fino alla più vicina stazione dei treni. Poi non mi avresti più rivisto.-

-Vuoi dirmi che già stanotte stavi dormendo in casa mia?-

-No.-

-E dove avresti dormito?- avevo attirato la sua curiosità.

-Sotto la neve.-

-Come??-

-Ho scavato una buca, una cavità sotto la neve e ci ho dormito sotto.-

-E io dovrei credere ad una simile idiozia, specialmente con l'aria polare che tira di fuori?-

-Siamo stati addestrati per questo.-

L'avevo sorpresa, forse questo poteva darmi una possibilità a mio vantaggio.

-E ora cosa dovrei fare con te?- mi chiese con un tono da far gelare il sangue, a quel punto compresi di essere sul filo del rasoio.

Deglutii, quindi con calma valutai la situazione e mi dissi che tanto valeva la pena dirle i fatti come stavano. Dopotutto quali rischi correvo peggiori dell'incriminazione come disertore?

-Non intendo crearti problemi, eccetto questa richiesta che ti ho fatto- dissi -ammetto che avrei usato la pistola per costringerti se non mi avessi colto alla sprovvista, ma questo solo per farmi portare alla tua macchina e farmi scendere alla stazione dei treni di Narva.-

-Non sei silenzioso come pensi, ne io così ingenua da non essere preparata in caso di ladri in casa mia, o simili.-

-Ho notato.-

-Bene, per iniziare puoi consegnarmi le armi, lo zaino e ciò che porti addosso, poi puoi abbassare le mani, e io farò lo stesso con la mia pistola.- ordinò perentoria – e già che ci sei anche la piastrina, così vediamo se è il tuo vero nome.

-Ce l'hai un nome?-

-Anastasia.- disse lei studiando i miei movimenti con sguardo gelido.

Tipici nomi russi ereditati dall'Unione Sovietica.


Qualche minuto più tardi eravamo in cucina, una stanza dall'aspetto modesto in cui il caffè stava gorgogliando nella caffettiera.

Prima che tutto ciò avvenisse Anastasia, ammesso che questo fosse il suo vero nome, mi aveva costretto a consegnarle la pistola, il coltello militare che tenevo legato in una stringa di cuoio attorno alla vita sotto la divisa militare, e lo zaino che perquisì con estrema cura più o meno come fece con me con la mano libera mentre con l'altra esaminava la possibilità dagli scarponi in su che non avessi altre armi.

Era estremamente diffidente e come darle torto, tuttavia un caffè per riscaldarmi era ben accetto.

-Finito il caffè me ne vado subito- dissi, ormai il mio tentativo era chiaramente fallito.

-No.- disse lei, era un ordine fermo che non ammetteva repliche.

-Intendi consegnarmi alle autorità?- avrei corso il rischio di beccarmi un proiettile in testa pur di correre il rischio di una simile eventualità.

-Non lo so, e finora non ho detto questo.-

-Non me lo diresti comunque.-

Lei mi guardò per un istante prima di servire il caffè su due tazze bianche.

-Allora cosa intendi fare?- insistetti.

-Perchè hai disertato?-

La domanda mi colse alla sprovvista tuttavia era lei ad avere il coltello, o meglio la pistola, dalla parte del manico.

-Non intendo partecipare ad una guerra che non mi appartiene, specialmente morirci.- dissi- quando mi sono arruolato l'ho fatto solo per partecipare alla sicurezza in Europa, non per entrare in una guerra su vasta scala.-

-Allora non avresti dovuto arruolarti, sapevi i rischi che correvi senza dubbio, quindi la domanda si sposta sul perchè hai scelto comunque di farlo.- mi rispose.

-Perchè era obbligatorio, abbiamo tutti ricevuto la chiamata alle armi direttamente dallo stato, o almeno dall'Europa.-

Trattenni il fiato in un lungo sospiro per poi rilasciarlo poi continuai -Chi rifiuta l'arruolamento obbligatorio finisce in carcere con l'accusa di diserzione. Chi invece è in servizio in questi tempi dove sembra prepararsi una guerra imminente e quindi diserta, viene condannato dalla legge marziale con un'esecuzione pubblica, come monito per gli altri.-

-Della serie, colpirne uno per educarne cento.-

-Hai reso l'idea.-

-Di che paese sei?-

Forse doveva già averlo capito dall'accento ma glielo dissi comunque.

-Norvegia.-

-Già, ricordo che una volta alla sui treni carico, una volta ho visto differenti tipologie di blindati, tedeschi, americani, svedesi e addirittura norvegesi, state preparando qualcosa di davvero grosso laggiù.-

-Già, dopo la cosidetta Rivoluzione 4.0 le industrie e le fabbriche di tutto il continente hanno introdotto tutte sistemi ad intelligenza artificiale che mediante l'automazione dei sistemi producono costantemente pezzi di ricambio per i blindati e una vasta produzione di armamenti di vari modelli per le forze armate, compresi i pezzi per la contraerea.-

-Una bella situazione non c'è che dire- commentò lei sorseggiando il suo caffè -e quanti siete?.

-Soldati, dici?-

-Si.-

-Decine di migliaia tra europei e americani, schierati dall'Ucraina fino a quassù in Estonia, oltre che in altri paesi europei.-

-Vi state preparando.-

-Non è la mia guerra.-

-Lo hai giù detto.-

-In ogni caso non mi sono ancora chiare le tue intenzioni.-

Anastasia si accese una sigaretta e rimase riflessiva fissando il vuoto.

-Quindi?- volli sapere.

-Sta zitto.- sto riflettendo.

Attesi in un silenzio che avrei potuto affettare con un coltello vista la tensione nell'aria, almeno in quella che sentivo io.

Anastasia fissò in silenzio il vuoto, chiaramente preoccupata anche lei su cosa fare visto che aveva un soldato disertore in casa, quindi finì la sigaretta che spense sul portacenere in vetro.

-Fino a quando farà giorno sarai un facile bersaglio sia per chi ti stà cercando sia per i droni che sanno fare il riconoscimento facciale già da notevoli distanze- ragionò a voce alta -e per la cronaca hanno sorvolato la città anche ieri quindi farai come ti dico.-

-Sono passati qua sopra già ieri?-

-Si. Non è stato difficile notarli, ma non ne capivo il motivo fino a quando stamattina non sei capitato nel soggiorno di casa mia.-

-Merda!-

-Non mi sembri molto lungimirante, Norge- disse lei -stanotte partiremo in macchina con il favore dell'oscurità e ti porterò alla tua dannata stazione dei treni, poi le nostre strade si divideranno per sempre.-

-Perchè hai deciso di aiutarmi?- chiesi sorpreso da quella decisione quanto mai inaspettata.

-Mi sembri una brava persona e potrei facilmente sbagliarmi. Ma allo stesso tempo è il modo più semplice che ho per liberarmi di te senza che nessuno dei due corra rischi, dal momento che potrei essere sospettata complice di averti aiutato.- Anastasia si alzò in piedi dalla sedia e buttò ceneri e sigaretta giù per il lavandino, quindi si voltò verso di me.-Intanto mangerai qualcosa e recupererai le forze con un po di sonno, in salotto, dal momento che l'hai trovayo di tuo gusto.-

-Tu non lavori?- le chiesi.

Anastasia sorrise -Ho diciotto anni e faccio l'Università a Tallin, lavoro solo nei finesettimana come barista.-

-E come ti mantieni da sola?-

-Sovvenzioni dallo stato per gli universitari, si pagano affitti più bassi fino al compimento dei vent'anni di età.-

 

 

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Capitolo 3
*** Incubi ***


Sul calare del tardo pomeriggio Anastasia rientrò in casa lanciandomi una borsa piena di indumenti civili.

-L'abbigliamento militare puoi togliertelo, quella è la roba che ti ho preso.-disse mettendo la giacca marrone chiaro nell'attaccapanni, -sono andata ad occhio, quindi scusami se non ho preso le misure esatte di tutto quanto.-

La generosità di questa ragazza con la pistola stava iniziando a sorprendermi sempre di più.

La vidi andare in corridoio, probabilmente a cambiarsi in camera sua.

-Grazie.- dissi.

Mi levai rapido gli indumenti militari che buttai in un mucchio ai piedi del divano restando scalzo.

Rapido indossai i jeans quando nel salotto la vidi rientrare in abbigliamento casalingo dove quando mi vide a petto nudo rallentò un istante prima di dirigersi verso la cucina.

Probabilmente non era abituata a vedere la muscolatura di chi è abituto a fare esercitazioni militare e portare il peso di un fucile tutto il giorno.

-Esiste anche il bagno.-

-Scusami non ci avevo pensato, vado subito.-

-Ti vanno bene?- mi chiese avvicinandosi e rientrando dalla cucina.

-Alla grande, ti ringrazio, dopo di rendo i soldi.-

-Non ce ne è bisogno, ho preso roba di seconda mano che costava meno.- rispose lei.

-Come preferisci, anche se avrei insistito-presi la camicia e iniziai rapido ad abbotonarla, seguita successivamente da un maglione di lana in stile estone -le misure comunque erano giuste.-

-Bene- fece Anastasia allontanandosi, notai sotto il suo maglione scuro la forma della pistola, impossibile da non riconoscere per chi ha passato gli ultimi anni ad addestrarsi nell'esercito.

Al posto suo con un nuovo inquilino estraneo in casa, specialmente in divisa militare avrei fatto la stessa cosa. Forse anche peggio.

-A che ora partiamo?-

-Dopo cena. Vedi di essere preparato. La tua roba te la restituisco quando partiamo.- disse lei.

-E gli indumenti militari?-

-Li brucerò alla prima occasione, dubito che mi serviranno mai.-

Mi legai gli scarponi di un nero lucido.

-Posso aiutarti a fare qualcosa nel frattempo?-

-Ti sveglio a ora di cena, più tardi accendo il fuoco nel camino. Farai bene a riposare, ne avrai bisogno per qualunque luogo tu voglia andartene, non che francamente me ne freghi qualcosa.- quindi la vidi rientrare in cucina.

Fantastico, mi tolsi nuovamente gli scarponi.

In effetti sentivo il peso delle poche ore di sonno trascorse sotto la neve.

Appoggiai la testa al morbido schienale del divano di colore blu, e una volta chiusi gli occhi, i rumori iniziarono a diventare sempre più ovattati fino a quando non sprofondai in quello stato semi-coscienza dalla quale quando si viene svegliati si perde completamente la cognizione del tempo, tanto che pochi minuti possono sembrare un ora.


I sogni-ricordi tornarono a infestare i meandri della mia memoria come spire gassose di una nebbia senza tempo. Impossibile da vedere impossibile da lasciare.

Mi ritrovai nuovamente in quel duro inverno nel periodo natalizio in vacanza a Londra con la mia ex.

Durante quell'inverno il freddo era tale che il fiume Tamigi era ghiacciato per tutta la sua interezza dalla sorgente alla foce come gli altri fiumi europei che avevo visto durante il viaggio in aereo sull'Europa imbiancata dalla neve.

Quello era un periodo di riposo dal mio addestramento militare in Polonia fino alla fine delle vacanze di Natale, scelsi di partire con una ragazza del posto che frequentavo da un po.

Jasmine Kovich, un poco più alta di me, esile, riccioli capelli biondi e occhi di ghiaccio con un'età prossima ai vent'anni.

Gli abitanti dei paesi nordici come me, e dell'est europa, come lei, tollerano molto bene il freddo dal momento che gli inverni di estrambe le regioni europee sono soggette da centinaia di generazioni agli inverni freddi e nevosi.

Tuttavia quando arrivammo in Inghilterra, trovare un simile inverno polare in quella regione fu un'autentica sorpresa, alla quale fortunatamente a differenza degli abitanti britannici eravamo abituati.

La cosa più memorabile del periodo natalizio fu quando nella notte di Capodanno alla Fair Frost (Fiera del Ghiaccio) messa in piedi sul ghiaccio compatto del fiume Tamigi nei pressi di Mill River Bridge, i vapori alcolici mi impedirono di stare in piedi nonostante il ghiaccio fosse stato cosparso con la ghiaia .

A quel punto mi ci vollero due persone, Jasmine e un'altro sconosciuto ad aiutarmi a tornare in strada, facendoli addirittura cadere lungo il tragitto.

Il sogno-ricordo successivamente continuò nella sua versione peggiore, due giorni dopo ero nuovamente in Polonia per essere trasferito su ordine dei superiori in Repubblica Ceca dove stava divampando il caos a causa di un'epidemia di Ebola che si stava rapidamente diffondendo in nuovi letali focolai in tutto il continente.

Il panico e il caos stavano diffondendosi in tutto il Vecchio Continente, mano a mano che il ceppo del virus mutato, si diffondeva dall'Africa all'Italia e poi ovunque mediante le arterie del turismo, vale a dire i viaggi aerei, i sistemi ferroviari ad alta velocità e quelli ipersonici.

Il virus si diffuse anche molto rapidamente in quanto aveva un'incubazione massima di due settimane, vale a dire il tempo sufficiente per qualcuni di spostarsi da un paese all'altro senza manifestare sintomi e nel frattempo entrare in contatto con altre persone.

L'intervento militare e l'applicazione forzata della quarantena in tutti i punti strategici in Europa fu garantito solo mediante l'uso della forza, rallentando e quindi impedendo ulteriormente il diffondersi della malattia.

Jasmine fu infettata molto probabilmente quando arrivammo in aeroporto. Non ce la fece.

La rividi come in sogno per l'ultima volta in ospedale solo che stavolta mi urlo contro dal suo letto con gli occhi iniettati di sangue facendomi sobbalzare sul divano di Anastasia.


La prima cosa che vidi fu il buio totale poi misi a fuoco il caminetto che crepitava con qualche ciocco di legna, poi sentii un'odore di aglio e capii che la ragazza stava preparando la cena.

- Chi è Jasmine?- la voce di Anastasia ruppe il silenzio cogliendomi di sorpresa.

-Mi trovi interessante mentre dormo?- mi sollevai dallo schienale del divano in parte sveglio, in parte goffo -Quanto ho dormito?- guardando in direzione della finestra era calata di nuovo l'oscurità.

- Circa un paio d'ore.- disse lei alzandosi dalla sedia in un angolo accanto al caminetto.

-Perchè stavi lì nel buio?-

-Quando un'estraneo dorme e parla terrorizzato nel sonno, nel mio salotto difficilmente resto indifferente.-

-Dovrò tenerlo a mente.-

-Chi è Jasmine?-

-Credevo che non ti interessassero i fatti miei.-

Mi alzai in piedi stirandomi gambe e braccia, forse non era la migliore della risposte ma dopotutto quello era un ricordo abbastanza privato di chi ora non esisteva più.

Nella luce arancione delle fiamme l'espressione di Anastasia parve cambiare, quindi anche lei si alzò in piedi per allontanarsi in direzione della cucina.

-Hai ragione, la cena comunque è pronta tra un'ora poi partiamo.-

Era palesemente offesa.

-Aspetta.-

Lei si fermò davanti alla porta della cucina voltandosi.

-La mia ragazzza è scomparsa alcuni anni fa durante l'ultima epidemia di Ebola- spiegai deglutendo -non è una cosa che dici a molte persone.-

-Capisco- abbassò gli occhi -mi dispiace.-

-Ti va di farmi un po di compagnia? Negli ultimi tempi è una cosa piuttosto rara, specialmente negli ultimi tempi visto quello che sta succedendo.-

Lei annuì silenziosa, per poi tornare a sedersi sulla sedia accanto al fuoco del camino.

-Quanti anni hai Norge?-

-Puoi chiamarmi Sasha, se ti va.-

-Quanti anni hai Sasha?- ripetè con una nota di sarcasmo.

-Ventisette, tu invece?-

-Te lo ho già detto oggi, diciotto.-

-Lo so, ma mi serviva un'incipit per continuare la conversazione.- sorrisi -Jasmine ne aveva venti quando tornammo da Londra, morì poco dopo quando l'epidemia di Ebola era solo agli inizi.-

-E' arrivata anche da queste parti ma per fortuna i morti furono solo poche centinaia, in Svezia e in Germania invece ho sentito ne sono morti a migliaia.-

-La Norvegia fortunatamente non è stata raggiunta dall'epidemia, però ho sentito che ci sono stati dei casi sporadici anche in Russia.-

-Ho sentito anche io, adesso si manifesta ogni inverno anche se viene dall'Africa, ma per qualche motivo il virus è mutato presentandosi da ottobre a marzo come una comune influenza stagionale.-

Ci fu un breve momento di silenzio.

-Comunque- iniziò Anastasia -vestiti puliti a parte, le ciabatte e la vasca da bagno sono infondo al corridoio a destra-

-In che senso?-

-Puzzi come un contadino, sento odore si sudore fino a qui.-

-Ah- ci rimasi un po male -grazie per la schiettezza.-

-Ma figurati non c'è di che- fece lei con un sorriso sarcastico.

Mi alzai in piedi e mi avviai verso il corridoio scalzo, seguendo il suo consiglio mentre lei intanto si alzò per andare in cucina.

-Quasi dimenticavo- disse Anastasia facendomi voltare-quando hai finito, la tua roba è in camera mia,la stanza di fronte.- poi fece per rientrare in cucina.

-Quasi dimenticavo- la vidi sporgere la testa dalla cucina per ascoltarmi-grazie di tutto.-

Lei sorrise e rientrò.

 

 

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Capitolo 4
*** Una Situazione Strana ***


Sentire l'acqua calda scorrermi dalla testa in giù era come rinascere.

I miei muscoli si rilassarono al punto che quando uscii dalla doccia il piccolo rifugio di fortuna allestito meno di ventiquattro ore prima sotto la neve sembrava un fatto successo anni prima.

Tuttavia i ricordi della mia diserzione e della mia fuga tornarono rapidi ad alimentare le mie preoccupazioni che già persistevano.

Rapido mi asciugai i corti capelli castani, passando una mano sulla carta vetrata da taglio militare che era la mia testa, poi una volta completamente asciutto mi rivestii con il mio nuovo abbigliamento: jeans, calzini, camicia e maglione di lana...e poi le ciabatte.

Quindi spensi la luce e uscii dal bagno per poi rientrare nella camera di fronte come da indicazione.

Accesi la luce.

Era una semplice camera da letto con due armadi ambo le pareti, una finestra e un letto singolo.

La ragazza se la passava piuttosto bene, visto l'arredamento.

La mia roba era sulla sponda del suo letto.

Presi la pistola elettrica con la fondina e il coltello militare con la fodera

Anastasia aveva giustamente requisito le armi non il resto dello zaino che si trovava in salotto accanto al divano.

-Toglimi una curiosità- mi voltai e vidi Anastasia sulla soglia con le braccia incrociate -come funziona quell'affare con la batteria?-

A quanto pare amava le entrate improvvise.

-Dodici proiettili che mediante una scarica elettrica che ne accelera il moto, vengono sparati più veloci delle pistole comuni. Sono in uso da poco esclusivamente nelle forze armate europee.-

-Interessante- fece lei avvicinandosi -hai mai sparato a qualcuno?-

-Non credo tu lo voglia veramente saperlo.- dissi legandomi la fondina attorno alla vita.

-Si lo voglio sapere.-

-In una missione in Serbia, ad un soldato serbo che mi stava per sparare in un momento critico durante la  Guerra Civile- confessai -era una questione di vita di me o di lui.-

-L'hai ucciso?-

-Normalmente un buco in fronte non li fa stare meglio.- ironizzai.

-Usi il sarcasmo perché ti pesa parlarne, non lo fai volentieri. Altri invece se ne vanterebbero come se fosse una cosa giusta, normale.-

-Perché me lo hai chiesto?-

-Per vedere come mi avresti risposto.- disse lei facendosi più vicina, incrociandole braccia.

-Ti faccio paura?-

Lei sorrise.

-Non più di qualcuno che al mattino ti sveglia e pensi che siano arrivati dei ladri.-

Sorrisi anch'io.

Sentii la pressione sotto le gambe aumentare, c'era una strana intesa, impossibile da notare a occhio nudo.

Fissavo gli occhi scuri di Anastasia, poi i suoi lunghi capelli castani fino alle spalle in un taglio regolare. Dovevo ammettere che era davvero molto carina.

Ma perché stavo facendo questo pensiero?

-Allora perché continui a portare la pistola?- stavolta la sorpresi, ma poi fu lei a correggermi.

-Portavo.-

Mi prese una mano nelle sue dita esili e mi fece sentire il fianco sinistro in cui poco prima la portava, -Visto,- poi mi prese l'altra mano – controlliamo anche dall'altra parte- e mi portò la sinistra sul suo fianco destro dopo aver tolto e gettato la fodera con il coltello militare a terra.

Tenendo le mani ferme sui fianchi sollevò il suo viso davanti al mio.

-Sei più pericoloso tu in questo momento, non io.-

Guardai il suo viso di fronte al mio, i suoi occhi scuri, i suoi capelli castani e i suoi orecchini dalla forma piatta, le sue spesse labbra.

Il mio sguardo colse tutto ciò nell'arco di un solo istante.

Sentii le sue dita carezzare piano le mie ferme con le sue sui suoi fianchi.

Poi il suo volto si piego e mi venne incontro schiudendo le labbra.

Un lungo istante di silenzio...

Fu comunque una sorpresa.

Quando la sua nuca eclissò il mio volto la mia bocca si schiuse permettendo alla sua, a lei, di entrare in contatto con la mia, con me.

Il movimento liquido della sua lingua incontrò la mia per un'istante dove le nostre labbra socchiuse si incontravano, per poi esitare, e infine permetterle di entrare in un lento assecondarsi di movimenti intimi.

Baciandoci, le sue mani sui suoi fianchi con le mie ferme sulle mie intrecciarono le nostre dita mentre la sentivo fare un altro passo portando il suo corpo a contatto con il mio.

Indietreggiai di un passo a mia volta, perdendo l'equilibrio e finendo seduto sulla sponda del letto di lei.

Anastasia mi si sedette a cavalcioni sulle ginocchia, facendo cadere le pantofole dai suoi piedi, unendo nuovamente le sue labbra alle mie, incrociando le mie dita alle sue e facendomi sdraiare sulla trapunta del letto, lei distesa sopra di me.

Rotolai di lato invertendo i ruoli e guardandola un'istante.

La domanda di un'istante: stiamo facendo la cosa giusta?

Non sapemmo mai la risposta che calai nuovamente il mio volto sul suo.

Mani nelle mani. Respiro nel respiro. Occhi socchiusi.

Dopo quello che durò un lungo momento mi separai da lei con uno schiocco liquido.

Mi tolsi maglione e camicia, poi jeans abbandonati con la fodera della pistola sul pavimento.

In breve, finimmo nudi sotto la trapunta eccetto per la biancheria intima.

Lei allungo la mano e premette sull'interruttore sulla testa del letto spegnendo la luce.

-Sei sicura?- chiesi nel buio totale.

-Non parlare...-

Nel buio sentii la sua bocca aprirsi nuovamente contro la mia permettendo alla sua lingua di entrare.

Le mie mani risalirono le sue gambe fino alle natiche e poi all'elastico delle mutande che abbassai per poi risalire la schiena liscia come marmo e sganciare i ganci del reggiseno.

Morsi piano il suo collo, poi traccia una scia di baci fino ai suoi seni che morsi piano, passando la lingua sui suoi capezzoli.

Le mani di lei esplorarono il mio corpo, abbassandomi i boxer e risalendo la mia schiena, poi lei mi morse il collo dove sentii la sua lingua fino a scendere sul mio petto...

Nell'oscurità fu tutto un susseguirsi di carezze, graffi, piccoli gemiti e schiocchi liquidi con il sottofondo del fruscio delle coperte, poi ci ritrovammo stretti l'uno all'altra, le mie braccia attorno alla schiena di lei, le sue mani attorno al mio collo con lei sotto di me, dove muovendomi dentro di lei, tra le sue gambe i nostri respiri si confondevano, la nostra bocca che fiatava ravvicinata.

Facemmo l'amore dove tra una spinta e l'altra ci baciammo mentre il nostro corpo si rilassava l'uno nell'altro.

 


Rimanemmo lì fermi completamente nudi sul letto per quella che sembrò un'eternità.

Nel buio sentivo Anastasia stretta a me, la sua testa appoggiata al petto dove sentivo il suo respiro sulla mia pelle.

Non sapevo se era sveglia o meno.

Poi la sentii voltare la testa dall'altro lato. Era sveglia.

Non volli interrompere quel piacevole momento di silenzio tra di noi ma fu lei che goffamente si mosse e si drizzò a sedere sul letto.

La sua mano scivolò sulla parete trovando l'interruttore che accese la luce, facendomi strizzare gli occhi.

-La cena è pronta, ti aspetto.- disse una volta vestita, voltandosi.

Mi guardò per un lungo istante mentre mi rimettevo a sedere iniziando a vestirmi.

-Non lo scorderò.- quindi con un lieve sorriso uscì dalla stanza.

Rapido mi rivestii non dimenticando niente.

Dovevo ammettere che erano state delle ore piacevoli, quanto inaspettate.

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Buon Viaggio ***



Il tavolo era apparecchiato per due, l'uno di fronte all'altra con la finestra della cucina che mi dava le spalle.

C'era un'atmosfera più distesa rispetto a prima, decisamente più serena rispetto alle ore successive in cui mi aveva scoperto alla mattina presto dopo essere entrato dalla finestra del suo salotto.

-Dove andrai adesso- mi chiese-torni in Norvegia?-

-No, sarebbe il primo posto in cui mi cercherebbero, molto probabilmente mi sposterò a sud verso l'Europa centrale. In Germania ho sentito che la necessità di manodopera è tanto alta che alcune fabbriche assumono anche senza contratto.-

-I tedeschi sono gente che non mi è mai piaciuta.-

-Neanche a me, ma è pur sempre un modo di iniziare.-

-Devo ammettere che un po mi dispiace la tua partenza.-

-Avrei voluto conoscerti in differenti circostanze.-

La cena proseguì in modo tranquillo, quando guardai fuori dalla finestra notai che aveva ripreso a nevicare e indubbiamente avrebbe fatto molto freddo.

Erano le 23.13 quando con una giacca blu da civile nuova di zecca partimmo con il Pick Up di lei in direzione della città di Narva. Chi l'avrebbe mai detto.

Anastasia inserì l'impronta digitale nell'apposito schermo di riconoscimento e una volta accesa l'auto fece retromarcia e partimmo con i tergicristalli automatici attivati.

-Come è che hai fatto a scappare?-

-Ho memorizzato gli orari della sorveglianza e il cambio turno per due settimane, studiavo sempre con attenzione persino i periodi in cui si accendevano una sigarette a quando andavano in bagno..-

-...ah.-

-...poi una sera mi sono preparato uno zaino e ho fatto un tentativo di prova uscendo dal campo e nascondendolo nel bosco sulla cima di un abete, dove era impossibile vederlo a occhio nudo, e poi sono tornato al campo stando ai tempi del cambio di guardia..-

Deglutii ripensando ai rischi che avevo corso.

-... fino a quando nei giorni successivi mi si è presentata l'occasione giusta per muovermi.-

-Non si sono accorti delle impronte lasciate nella neve?-

-Il terreno era per la maggior parte calpestato dalle precedenti esercitazioni di addestramento che facevamo di routine, senza contare il fatto che da queste parti nevica quasi sempre e tende a confondere le impronte fresche con quelle più vecchie.-

-Avrei fatto la stessa cosa.-

-Fai attenzione, i militari potrebbero aver allestito dei posti di blocco per controllare o perquisire le auto.-

-Non mi sorprenderebbe, comunque io conosco le strade meglio di loro dal momento che sono del posto.-

La neve continuava a scendere abbondante e il termometro digitale sullo schermo dell'auto segnava -20 C°, rimanemmo senza parlare per un bel pezzo prima che fossi di nuovo io a riprendere la parola, dando voce ai miei pensieri.

-Si stanno mobilitando tutti per la guerra.-

-Sono in molti a pensarlo, non credo tuttavia che inizierà a breve.-

-Perche?-

-Entrambi gli schieramenti hanno pari vantaggi e svantaggi su quasi ogni punto di vista, prima di tutto quello nucleare, sarebbe come tentare si spegnere un focolaio con un barile di benzina.-

-Intendi che sarebbe in ogni caso una sconfitta da ambo le parti, oppure che la ritorsione di un attacco porterebbe a più danni che tutto il resto per la parte europea.-

-Non sono così ingenua come sembro, un po le comprendo queste cose e in entrambi i casi sto dicendo che entrambe le parti diventerebbero polvere radioattiva in caso di guerra.-

-Dopo tutti quei blindati che ho visto arrivare al campo e sui treni merci e l'enorme elenco di ordinazioni che le forze armate europee hanno fatto sugli armamenti di vario tipo, non so più cosa pensare.-

La discussione proseguì a lungo, tanto che il tempo sembrò dimezzarsi ed eravamo quasi arrivati alla stazione dei treni ad alta velocità di Narva.

L'espressione di Anastasia sembrò farsi più cupa.

-Siamo quasi arrivati.-

Dopo aver percorso qualche tratto del parcheggio, lei svoltò e parcheggiò.

Eravamo stati davvero fortunati a non trovare alcun posto di blocco militare, ma ipotizzavo che la ragazza avesse imboccato delle scorciatoie di proposito senza che me ne accorgessi dal momento che non conoscevo la strada.

Scendemmo sotto la fitta nevicata, caricai lo zaino sulla spalla destra e chiudendo la portiera mi avviai dall'altra parte del Pick up a salutare Anastasia.

-Quindi eccoci qui..- disse lei guardandomi attraverso la fitta nevicata, in parte impacciata quando si tratta di salutare qualcuno che probabilmente non rivedrai mai più.

Soffiava un vento gelido che le scompigliava i capelli i lunghi capelli costringendola ad aggiustarli e portarli dietro l'orecchio.

-Gia, sono in debito con te e non ti ringrazierò mai abbastanza per quello che hai fatto..- dissi.

-..oltre ai rischi che hai corso.-

-Credo ne sia valsa la pena.-

Feci un passo verso di lei guardandole il viso attraverso i grossi fiocchi di neve che cadevano.

Ci guardammo per un lungo breve istante di silenzio, attraverso il frastuono urbano di freni, treni in movimento e auto, quindi l'istante successivo avevo già azzerato la distanza tra i nostri volti.

Con il mio viso contro il suo respirando lo stesso fiato, la tenni stretta a me per lunghi istanti con le sue mani unite dietro il mio collo mentre la neve continua a cadere intorno a noi.

A tratti il nostro sguardo si incrociò.

Pochi istanti dopo ci separammo.

-Fatti sentire.- mi disse -buon viaggio.-

Ci allontanammo l'uno dall'altra.

-Grazie-

Quindi mi avviai verso la stazione, incurante della neve che continuava a cadere.

Essendo con i capelli cortissimi indossai il berretto di lana che avevo in tasca, utile anche per non riconoscere il taglio di capelli in stile militare, oltre che a difendersi dalle raffiche di vento gelido.

 

 

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Capitolo 6
*** Scovato ***


Avviandomi sotto la neve verso la stazione ferroviaria notai con sorpresa che c'era un certo numero di militari che ispezionavano il perimetro, compreso il parcheggio, molto probabilmente si aspettavano che avrei tentato di lasciare il paese attraverso le ferrovie ad alta velocità.
Accidenti, dovevo aspettarmelo.
Inoltre avevo lo zaino militare uguale nel colore a tutti quelli che lo usavano al campo dalla quale ero fuggito, senza dubbio qualcuno avrebbe potuto notare qualcosa di familiare.
Non ero del tutto sicuro che stessero cercando proprio me, ma le probabilità non giocavano in mio favore.
Cercando di non dare nell'occhio mi avvisi con aria indifferente ma costantemente in allerta in direzione della biglietteria dove dovetti, impaziente, attendere cinque minuti di fila.
Quando fu il mio turno il bigliettaio dall'altra parte della vetrina mi chiese attraverso il citofono dove dovevo andare.
-Un biglietto per Tapa.- dissi.
Il personaggio con I baffi dall'aria annoiata lavorò per qualche istante con il pannello semitrasparente del computer, poi dopo aver stampato il biglietto pagai e lui me lo consegnò.
Non attesi lo scontrino e mi avviai verso i sottopassaggi che portavano alle rotaie dei treni in cerca degli orari.
-Cazzo.-
Il treno più recente era partito alle 01.30, dieci minuti fa, il prossimo sarebbe partito alle 04.30 del mattino.
Avevo perso il treno per Tapa dieci minuti fa, questo significava che per le prossime tre ore avrei dovuto elaborare qualcosa, programmarmi le prossime tappe prima di andare in Germania.
Innanzitutto però non sarei rimasto in giro per Narva senza prima essermi andato a riscaldare da qualche parte, possibilmente un locale.
Non avevo sonno, avevo già dormito a sufficienza a casa di Anastasia, quindi infilai i biglietti nel portafogli e mi avviai rapido verso l'uscita della stazione dei treni, osservando e annotando le posizioni dei soldati.
Nessuno aveva un'aria familiare, sicuramente non appartenevano al mio battaglione norvegese.
Un battaglione in genere era composto da 2000 soldati, in Estonia le forze armate europee ne avevano schierati due di due differenti paesi, uno britannico e uno norvegese.
Uno tedesco e uno austriaco invece erano posizionati in Lettonia ecc.
Tutti schierati in modalità intimidatorio lungo il confine russo.
Tuttavia anche la presenza militare nelle aree urbane spesso congiunta con altri Paesi era diventata la norma.
Attentati di varia matrice e spionaggio erano diventati la norma di questo decennio
Non andava meglio in altre parti del mondo dove proteste di varia natura, spesso economica erano diventate frequenti.
Uscendo rapido sotto la fitta nevicata, iniziai a percorrere le strade di Narva, attraversando strisce pedonali e guardandomi in giro con attenzione finché non vidi un locale ancora aperto nonostante l'ora tarda.
Avevo proprio bisogno di qualcosa di caldo.
Quando entrai notai che il locale era frequentato da almeno una ventina di uomini tra i venti e i cinquant'anni, alcuni seduti ai tavoli con il boccale di birra, altri che facevano una partita a biliardo nella sala apposita.
Il locale di per sé aveva un aspetto momento moderno come vasta parte della città, fatta eccezione una serie di palazzi più che incrociavano uno stile combinato con quello ancora dell'era URSS.
Mi sedetti su uno sgabello metallico al banco e ordinai un caffè beccandomi un occhiata bizzarra da parte del barista vista la tarda ora.
-Grazie.- dissi una volta che strinsi tra le mani una bella tazza fumante.
Mi ci scaldai per qualche istante le mani intirizzite dal freddo, nonostante i guanti, prima di sorseggiare con calma.
-Non sei di queste parti, vero?- mi chiese il barista intento ad asciugare i bicchieri per poi metterli l'uno sull'altro pronti per spinare le prossime birre.
-Norvegia,- dissi -sono in vacanza per qualche giorno qui in Estonia.- mentii.
-Al posto tuo avrei scelto la Spagna, almeno da quelle parti le spiagge sono sempre calde anche d'inverno.- disse passandosi una mano sulla sua testa calva.
-Da come ne parli sembra che tu ci sia già stato.- dissi.
-Ci vado ogni estate a luglio. È un posto che non stufa mai.- rispose.
Il barista aveva l'aria stanca, eppure non sembrava che discutere lo stufasse.
-La prossima volta ci farò un pensiero.- dissi sorseggiando il mio caffè.
-Perché hai scelto proprio l'Estonia?- mi chiese poi lui.
-Non ci ero mai stato, ed ero curioso di vedere questo paese in questo periodo dell'anno.-
-Allora spero che ti sia piaciuto, che lavoro fai?-
-Cameriere in un locale italiano nel mio paese.- mentii nuovamente.
-Dall'aspetto pensavo fossi un soldato. Negli ultimi anni da queste parti ho perso il conto di quelli con differenti nazionalità che sono passati da queste parti.- disse lui.
"Ma non mi dire." pensai.
-...americani, svedesi, tedeschi..- continuò ad enumerare.
-Capisco, - finii il caffè - quindi sta arrivando la guerra?- chiesi incuriosito dalla sua opinione.
-Ormai credo che siamo alle porte.- disse arricciando le labbra come se avesse mangiato qualcosa di amaro.
-Senti, fammi una birra.- dissi quasi senza pensarci.
-Meglio che cambiamo discorso...- fece il barista.
-Si figuri, per me non c'è problema, - dissi - possiamo continuare se vuole.-
Dal momento che era da un po di tempo che non giravo e non ero aggiornato sugli avvenimenti nel resto del mondo, le informazioni che avevo erano frammentarie, viste le poche uscite con i permessi che facevo, sapere qualcosa di più su come stavano andando le cose avrebbe potuto essermi utile.
Sempre con il rischio che correvo di essere riconosciuto dalle foto segnaletiche che indubbiamente ora circolavano tra i reparti dell'esercito e della polizia estone.
In tempi normali la pena per un cosiddetto disertore erano dai 3 ai 7 anni di carcere.
In tempi di guerra invece un esecuzione marziale.
Mi guardai un istante in giro mentre il barista spinava la birra.
Tutti erano intenti a discutere i propri affari, uno si era addormentato con le braccia incrociate sul tavolo, gli altri invece mostravano altrettanti segni di stanchezza vista la tarda ora.
-Ho sentito che recentemente sono iniziati i test nucleari nello spazio.- disse il barista porgendomi la birra.
-Grazie. Avevo sentito qualcosa di simile, stanno testando le armi ad impulso elettromagnetico.- dissi.
-Già, per neutralizzare l'elettronica del nemico in caso di guerra.- disse lui.
-Lo facevano anche ai tempi della Prima Guerra Fredda.- commentai sorseggiando la birra.
-Si ma stavolta è diverso, parlano di far saltare i satelliti spia stranieri.- disse il barista.
-Dove lo hai sentito?- chiesi.
-In televisione, ne hanno parlato tutti i notiziari, non li guardi.- disse il barista.
-Non ultimamente.-
La conversazione si protrasse a lungo, interrotta solo periodicamente da qualche cliente che ordinava l'ultimo giro.
Poco dopo decisi di levare le tende, sperando di non essere riconosciuto dalla polizia o dai militari.
Pagai il conto e mi avvisi verso l'uscita.
-Buon viaggio di ritorno.- mi salutò il barista.
-Grazie. Buon lavoro.- risposi di rimando.
Quando uscii, con lo zaino in spalla, mi accolse una fredda ventata di aria gelida.
La neve continuava a scendere e periodicamente le strade erano attraversate dagli spazzaneve.
Cominciava a starmi stretta questa città, quindi non mi dispiacque rivedere le luci della stazione dei treni dall'altra parte della strada, nonostante i rischi che correvo.
Rividi la strada la strada fatta con Anastasia e il luogo in cui aveva parcheggiato l'auto.
Incredibile a dirsi, mi sarebbe mancata.
Mentre attraversavo la strada vidi una volante della polizia estone venire nella mia direzione.
Non ci feci caso, non potevano avermi riconosciuto così su due piedi...
Nella direzione opposta un'altra volante della polizia estone accese i lampeggianti, seguita poi stessa cosa dalla prima.
Seguì poi un ululare di sirene in avvicinamento. Mi avevano trovato.
Guardai in direzione della stazione come primo pensiero di fuga, ma poi mi ricordai dell'ampia presenza militare, i quali dovevano indubbiamente aver ricevuto aggiornamenti sull'avvistamento del "disertore."
In uno scatto di adrenalina mi voltai e cominciai a correre in direzione opposta a quella della stazione.
Il tentativo di circondarmi della polizia estone venne reso inutile, ma mentre correvo lungo le vie poco affollate della città anticipai che si sarebbero coordinati con le altre pattuglie per bloccarmi la strada.
Alla prima strada secondaria tra gli edifici svolta a sinistra mentre nella fredda aria notturna risuonavano le sirene delle pattuglie.
I disertori erano tra le prime priorità dell'esercito e dello stato, in quanto su temeva che potessero passare informazioni al nemico.
Dall'altra parte ad attendermi c'erano già due poliziotti che mi puntarono contro le pistole.
Chiaramente correndo ero io che svoltavo alla cieca, loro erano i cittadini, io lo straniero.
Mi bloccai e iniziai a correre nella direzione opposta, tornando indietro.
Uno di loro mi gridò qualcosa poi un colpo secco al muro accanto a me fece esplodere alcuni pezzi di calce.
Avevano sparato un colpo, con il silenziatore a giudicare dall'assenza di boato.
Rapido passai accanto ad un bidone della spazzatura dove mi nascosi per evitare possibili proiettili, quindi estrassi la pistola elettrica ed esponendomi per un breve istante sparai un colpo mirando alla gamba di uno dei due.
Seguì un suono secco seguito da un urlo, centro.
Avrei costretto i poliziotti a ripararsi per evitare altri colpi.
Fu proprio di quegli istanti di tempo che approfittai per correre fuori dal viottolo e tornare sulla strada principale.
Sentivo le sirene delle pattuglie che si avvicinavano, probabilmente coordinati con i loro colleghi.
Ripresi a correre, avevo il fiatone e l'aria polare mi bruciava i polmoni mentre correvo.
Alle finestre alcune persone spostavano le tende per vedere cosa stesse succedendo.
-'Fanculo.- sentivo che non ce l'avrei fatta.
Sentii un auto sgommare e venire nella mia direzione.
Un Pickup dall'aria familiare inchioda accanto a me con il finestrino abbassato. Mi fermai.
-Muovi il culo!- gridò Anastasia.
Rimasi sbalordito nel rivederla, ma non me lo feci ripetere due volte e salii alla sua destra.
Quindi lei partì svoltando a destra e poi ancora a destra per poi inchiodare e parcheggiare in un area non trafficata accanto ad altre auto.
-Ma che cazzo fai, dobbiamo seminarli...- gridai.
-Sta zitto, abbassati e non fiatare. Quest'auto potrebbe essere qui da ieri per quel che ne sanno.- spiegò lei.
Ci abbassammo proprio mentre una volante della polizia svoltava l'angolo nella nostra direzione, rallentando mentre perlustrava con una torcia i vicoli secondari e avanzando fino a scomparire svoltando.
Io e Anastasia ci rimettendo a sedere, io stavo ancora cercando di riprendere fiato.
Lei inserì l'impronta digitale nello schermo e partì.
-Tu e io dobbiamo parlare.-


 

 

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Capitolo 7
*** Prima che tutto ricominci ***


AVVERTIMENTO: Capitolo con brevi scene a tematica sessuale.

La strada per tornare a casa era troppo lunga e il pericolo di essere fermati troppo alto, inoltre l'orario notturno decisamente sconsigliato.
Quindi Anastasia prenotò una camera per due in un ostello dove avremmo passato la notte ma sicuramente anche discusso.
Letto e bagno, questa era la nostra stanza con un aria decisamente trasandata, ma non era il caso di lamentarsi vista la situazione.
La finestra della stanza si affacciava sul fiume Narva, solcato da lastre di ghiaccio viste le basse temperature.
L'ostello si trovava in un area chiamata Sutthoffi Park.
Dopo aver guidato per un ora evitando le aree troppo urbanizzato e piene di telecamere a videosorveglianza e aver controllato di non correre rischi, Anastasia aveva pagato per ventiquattro ore usando un proprio documento, dal momento che i miei avrebbero fatto capire i miei movimenti alle forze dell'ordine.
-Cosa ci facevi in quel posto?- le chiesi una volta che fummo comodi.
-La stazione era piena di militari, quindi sono tornata indietro per assicurarmi che non ti avessero preso,- spiegò lei -quindi ho letto l'orario del treno per Tapa e ho capito che non avevi fatto in tempo a partire, allora ti ho cercato.-
-Decisamente una città molto grande per farlo.- ironizzai
-Infatti stavo per andarmene fino a quando non ti ho visto scappare dalla polizia, quindi dal momento che questa città la conosco come le mie tasche sapevo le scorciatoie per la strada in cui stavi andando.-
-Hai corso dei rischi notevoli, solo per aiutarmi.- dissi.
-Sono stata attenta, e comunque non c'è di che.-
-Sono solo preoccupato per te. Mi chiedo piuttosto come abbiano fatto a localizzarmi, era come se mi stessero aspettando.-
-La risposta è molto semplice, tu sei un disertore, quindi l'identikit essendo diffuso tra i reparti dell'esercito e della polizia estone ora viene riconosciuto tramite una I.A attraverso le corrispondenze somatiche del viso.- spiegò Anastasia.
-Geniale, avrei dovuto immaginarlo.-
-Non lo hai fatto, fortuna che sono passata io.- ironizza lei.
-Cosa facciamo ora?-
-Primo. Sono le cinque del mattino, quindi adesso dormiamo, non corriamo rischi di essere trovati al momento. Secondo. Ormai per un po io e te dovremmo collaborare perché ci sono dentro anche io ora. Terzo. Domani penseremo a qualcosa.-
Dovevo ammettere che si era data molto da fare.
-Grazie di essere tornata, Anastasia.-
Lei si stava già mettendo sotto le coperte, i vestiti erano piegati con cura sulla sedia, era in mutande e reggiseno.
In effetti la stanza era forse fin troppo riscaldata.
-Non c'è di che,- disse lei - ora dormiamo.-
Mi tolsi gli abiti restando solo in mutande e canottiera, quindi spensi la luce e mi misi sotto le coperte a sinistra di lei che mi dava di schiena.
Nel buio sentii il suo respiro regolare.
Nessuno parlò per un po.
Allungai una braccio cercando la sua mano, lei la strinse incrociando le sue dita tra le sue.
Non sapevo cosa pensare di lei, non esisteva un termine per quella strana situazione tra di noi, e forse era meglio così.
Quanto era importante lei per me?
Mi accostai accanto a lei e allungai una mano attorno alla sua vita.
Nel buio la sentii girarsi verso di me dove mi si strinse, sentii il suo respiro vicino al mio viso.
Respirando piano, la baciai sulla fronte.
Poi la sentii alzare il viso davanti al mio respirandomi in bocca con la sua vicina alla mia.
Dal mio fianco la sua mano si spostò a sfiorarmi il viso, poi con la testa appoggiata al cuscino le sue labbra cercarono le mie, si schiusero in un breve assecondarsi di movimenti intimi, si staccarono, poi premettero le une sulle altre baciandosi di nuovo.
La mia mano carezzava piano la sua schiena.
Poco dopo sollevai la testa dal cuscino e portando il viso sopra quello di Anastasia la baciai di nuovo.
Le nostre labbra si aprirono e rimanemmo li fermi a baciarci per istanti lunghissimi.
Poco dopo ci staccammo e Anastasia portò la testa contro il mio petto.
Ci fu di nuovo silenzio totale, poi il suo respiro divenne profondo.
Si era addormentata.

Quel sonno non fu diverso dagli altri
Pochi anni nell'esercito e in differenti missioni a scopo militare sono in grado di mutare per sempre l'inconscio di un uomo.
Stavolta mi trovavo direttamente in un teatro di guerra vera e propria dove da anni si consumava una guerra senza fine per il controllo delle risorse petrolifere
Dopo il crollo del governo di Saddam Hussein nel 2003, che per decenni aveva tenuto a freno varie fazioni rivali che per generazioni si erano combattute tra di loro, il Paese era diventato vittima di questa guerra e attentati terroristici in una spirale che sembrava non avere mai fine.
Durante i combattimenti per riprendere il controllo del territorio di una regione controllata dal nemico chiamato Stato Islamico, non si era mai sicuri se le donne coperte dal burqua che fuggivano, o i guerriglieri che si arrendevano, fossero in realtà dei kamikaze che pronti per farsi esplodere con lo scopo di portare con sé più vittime possibili.
Le Forze Armate Europee venivano mandate sia come rinforzo agli americani, sia con lo scopo di migliorare la loro esperienza sul campo di battaglia in missioni della durata che variava da sei mesi ad un anno in una coalizione con altre forze armate straniere.
Dal momento che le Forze Armate Europee erano sorte in meno di un decennio per rendere l'Europa più autonoma da altri paesi e per fronteggiare il rischio di una grande guerra con la Russia, la scarsa esperienza generale spingeva alla necessità di prepararle non solo mediante diversi tipi di addestramento, ma anche in altri campi di battaglia.
Quella preparazione per la maggior parte dei soldati fu utile, ma con un notevole cambiamento psicologico.
Durante uno dei combattenti in un centro abitato devastato dai bombardamenti ancora dai tempi di Saddam, un bambino che non doveva avere più di cinque anni venne rilasciato di proposito da un punto non precisato degli edifici mezzi distrutti da anni di guerra.
Era in corso una sparatoria con alcuni terroristi che non volevano arrendersi e si nascondevano tra gli edifici tenendo delle famiglie in ostaggio, e per giunta io e i miei commilitoni eravamo bloccati e riparati dietro ad un muro crollato.
Il bambino stava correndo con sguardo perso immezzo alle rovine, forse a cercare la madre.
Gli gridammo di nascondersi, di andarsene, gli facemmo pure un cenno con la mano rischiando un proiettile, ma molto difficilmente quel bambino ci avrebbe capiti in qualunque senso.
Dopotutto era l'ultima cosa che ci aspettavamo di vedere in una situazione del genere, anche se di persone in fuga dalla guerra ne vedevamo tutti i giorni.
Stranamente il bambino non piangeva, lo notai subito, tuttavia ciò che mi accorsi all'ultimo istante fu che un mio commilitone, Emmanuel il francese, aveva abbandonato la sua postazione per fare l'eroe.
Gli intimammo tutti di tornare indietro perché era una trappola, troppo tardi, aveva già raggiunto il bambino per portarlo a riparo.
Fu l'ultima cosa che vedemmo prima che un'esplosione devastante squarciasse l'aria sollevando una nuvola di detriti.
Un bambino-kamikaze con una bomba nascosta comandata a distanza.
I detriti dell'esplosione piovvero su di noi, accucciati dietro il muro.
Alcuni fumanti, altri tiepidi e umidi.
Furioso per la perdita e disgustato allo stesso tempo, localizzai la posizione del responsabile ad una distanza di diversi metri visibile appena su una finestra senza vetri...

-Ehi, sveglia!-
Mi risvegliai sul letto dell'ostello, Anastasia accanto a me che mi guardava preoccupata.
-Incubi?-
-Ricordi,- la corressi -che ore sono?-
-Le quattro di pomeriggio quasi.-
-Ora di prepararsi.-
Feci per alzarmi dal letto.
-No,- lei mi prese la mano - è ancora presto, parliamo un po se non ti va di dormire.-
-Ma...-
-Non conosco questa parola, abbiamo ancora un po prima che tutto ricominci, quindi vorrei approfittarne. Qui siamo al sicuro.-
Distesi la testa sul cuscino rassegnato e mi voltai verso di lei.
-Tu hai dormito un po?-
-Si mi sono svegliata poco fa.-
-Ti ho svegliata io?-
-Si.-
-Scusami ogni tanto mi succede.-
-È la seconda volta che lo noto, ma deve essere più di un ricordo o sbaglio?-
-Ce ne sono diversi, ognuno in un posto e in una situazione differenti. Sono perlopiù situazioni in cui ero in missione.-
Sotto le coperte la sua mano cercò la mia.
-Ti vengono spesso?-
-A volte riesco a dormire tranquillo, altre volte invece parlo nel sonno o addirittura urlo svegliando i miei commilitoni o compagni di stanza.-
-L'eredità della guerra.- concluse Anastasia.
-Già, negli Stati Uniti dopo la guerra in Iraq nel 2003, alcuni presentavano sintomi identici, addirittura uno fu beccato di notte a scavarsi una trincea nel giardino di casa.-
Sbuffai.
Anastasia scoppiò a ridere.
-Cosa c'è? Non credo che per lui siano state belle esperienze.-
-Non intendevo quello. È solo che mi sono immaginata la faccia che avrei fatto se al posto di trovarti nel salotto di casa mia, ti avessi invece scoperto a scavare una trincea in giardino alle sei del m
attino.-
Il pensiero mi fece sorridere.
-In effetti.-
-Comunque sia immagimo che non sia piacevole rivivere le tue esperienze ogni volta che vai a dormire.-
-Preferisco stare sveglio.-
-Se vuoi un giorno mi racconterai qualcosa, forse potrebbe aiutarti.-
-Stiamo già parlando di un "noi" in futuro?-.
Anastasia ci pensò per qualche istante.
-In effetti nonostante ti conosca da non molto, certe cose ora mi vengono spontanee.-.
-Come ti è venuto spontaneo quello che abbiamo fatto ieri?-
-Non ne abbiamo più parlato.-
-Lo so.-
Ci fu un istante di incertezza tra di noi.
Non sapevamo cosa dire. Niente di quello che c'era tra noi aveva un nome.
-Tu cosa ne pensi?- chiese lei rompendo il silenzio.
-Non ho un opinione.-
Questo parve ferirla, tanto che lasciò andare la mia mano sotto le coperte e si drizzò a sedere sul bordo del letto per alzarsi.
-Meglio andare.-
-Anastasia..-
-Dobbiamo pensare a come...- stava per alzarsi dal letto.
Portai un braccio attorno alla sua vita e la trascinai giù sulle coperte.
-Lasciami stare.-
Fece per rialzarsi ma ormai sopra di lei le bloccai entrambe le mani.
-Non ho un opinione su certe situazioni,- mi corressi - ma su una cosa sono sicuro, sei fantastica.-
Poi senza permetterle di rispondere la baciai portando i palmi delle mani sui suoi e intrecciando le dita.
Quindi separai piano la mia bocca dalla sua.
Ci guardammo per un lungo istante.
-E adesso?- mi rispose lei.
Mi distesi su un fianco accanto a lei che si girò a guardarmi.
Le presi la mano dove giocherellammo qualche istante incrociando le dita.
Il suo sguardo si perse per un istante, poi si avvicinò.
-Abbracciami.-
Il suo corpo venne a contatto con il mio mentre la stringevo con le sue braccia attorno alla mia schiena nuda, la testa su una spalla.
Restammo fermi per qualche minuto e capii che non era solo la nostra situazione, quanto quella generale che procurava una tale tensione dentro di lei. Anzi, inquietudine.
Quando lei allentò la presa, portò il viso contro il mio e schiuse la bocca tra la mia, lasciando che il nostro respiro diventasse uno solo. Nessuno dei due si staccò, quasi a sottolineare che ormai eravamo in due, non uno solo.
Perso in quelle labbra aperte tra le mie in un bacio liquido, assecondai i suoi lenti movimenti, incontrando il suo sguardo d'intesa.
Ci baciammo con trasporto per istanti lunghissimi, poi fu Anastasia che separandosi mi guardò con il viso a pochi centimetri dal mio. Ci capimmo.
Facemmo di nuovo l'amore cogliendo quei momenti di assoluta tranquillità, solo nostri.
La situazione parve ripetersi, ma stavolta sia lei che io avevamo una maggiore confidenza, o sicurezza dell'altro/a. Sia fisica che personale. Sotto le coperte eravamo nuovamente stretti l'uno all'altra.
Un riflesso interiore regolava l'intensità delle nostre spinte accompagnate da lunghi sospiri e gemiti mentre mi muovevo dentro di lei.
Con le mani attorno al mio collo, le sue unghie che affondarono nella mia pelle.
Fummo sul punto di raggiungere il culmine.
I suoi occhi castani si aprirono fissandosi nei miei, la sua espressione divenne più distesa.
Con i volti e il corpo che bruciavano, restammo distesi insieme mentre fuori le ombre della giornata si allungavano.
Portai un braccio attorno alla schiena nuda di Anastasia che si stava svegliando.
-Sono felice di averti incontrata.- le sussurrai.

 

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Capitolo 8
*** Piani ***


Quando venne sera ci rivestimmo.
Mi sentivo più vivo di quanto non fossi stato da molto tempo.
Ci spostammo a mangiare in quello che era un ristorante non molto lontano da dove avevamo dormito.
Non c'era rischio che la polizia estone o l'esercito scoprissero dove mi trovavo, la camera era stata a nome di Anastasia ed era estremamente improbabile che sapessero che ero con lei dal momento che era comparsa solo per un breve istante in quel viale quando c'era stata la sparatoria. Almeno così speravo.
Questa zona della città difficilmente sarebbe passata sotto setaccio, era degradata e addirittura priva di telecamere.
Quella sera per recuperare le energie avevamo bisogno di roba sostanziosa, di conseguenza dal momento che io non parlavo l'estone ma lo era Anastasia lei ordinò sulla base della conoscenza che aveva della cucina estone.
"Mulgikapsad", un piatto a base di carne di maiale, con crauti e servito con patate bollite.
-Qual'è l'idea di cui mi hai parlato prima, quando eravamo in macchina?- le chiesi.
Anastasia seduta davanti a me finì di masticare una patata bollita.
-Io ho la doppia cittadinanza russa,- iniziò -potremmo varcare il confine e andare dall'altra parte nella Federazione oppure...andare con la mia macchina oltre il confine estone da qualche altra parte.-
-Andare in Russia non ci porterebbe in un paese in guerra?- le chiesi perplesso.
-Difficilmente entreranno in guerra, sono superiori all'Europa e alla pari con gli americani, sarebbe un annientamento reciproco.- spiegò lei.
-Forse dimentichi che sono, che ero, un militare, anche in Europa esistono armamenti avanzati.- le dissi.
-Ma l'Europa non è in grado di difendersi da un attacco nucleare, la Federazione si.-
-Come le sai queste cose, sei una specie di spia?- chiesi insospettito.
-I miei genitori erano madre estone e padre russo, sono morti in un incidente anni fa, per questo ho la doppia cittadinanza.
Seguo i notiziari sia europei che russi.- spiegò lei.
-Sei piena di risorse.- ironizzai.
-Mio padre era direttore di un'industria che produceva armamenti, mia madre invece lavorava come infermiera in un ospedale estone.-
-La casa allora come l'hai avuta?- chiesi perplesso.
-I programmi nazionali e dell'Europa mi hanno permesso in un apposita struttura dove abbiamo, io insieme ad altre persone con storie simili, studiato e portato avanti una professione.- spiegò lei.
Stavo per chiederle cosa studiasse ma fu lei ad anticiparmi.
-Raccontami qualcosa di te, cosa facevi in Norvegia prima di entrare nell'esercito?- mi chiese lei.
A quanto pare stavamo passando sul piano personale.
-Lavoravo come operaio semplice in un'industria di stampi di alluminio. Poi l'economia è cambiata quando sono entrati in vigore i dazi su alluminio e acciaio e mi sono dedicato a lavorare nella pesca, almeno fino a quando non sono stato convocato nell'esercito.- dissi.
-Ti piaceva il tuo lavoro?- fece lei.
-Quasi nessuno dei due, ma almeno la pesca era all'aria aperta, in fabbrica invece non era il massimo.- commentai.
-Non molto salutare in effetti.- osservò Anastasia.
-Avevo una casa in riva al mare ereditata, ma per il resto nulla di così interessante.- dissi.
- Stavi con qualcuno?-
-Saresti gelosa?-
-Chi? Io? Ma figurati.- ironizzò lei.
-Non ho mai avuto niente di serio, o quasi.- le spiegai.
-Tornando a noi, sai che mi è venuta un idea che cambierebbe i piani di entrambi.- disse Anastasia illuminandosi.
-Cosa intendi?- chiesi.
-Andare a Londra.- disse lei.
-Così? Su due piedi? E la tua vita qui?-
-Stavo già valutando da tempo di lasciare l'università, e comunque se andremmo nel Regno Unito per un po, non ho molto da perdere qui.- disse lei.
-Seriamente, perché vuoi andartene?- chiesi.
-Se la guerra è imminente, come molti dicono, preferisco essere altrove.-
-Quindi la decisione è presa?-
Anastasia ci pensò su un istante bevendo un sorso di birra mentre mandava giù un boccone.
-Dovremmo comunque arrivare fino a Tallin, usare le rotte commerciali della Nuova Via della Seta marittima e probabilmente imbarcarci su una o forse più navi mercantili, una volta capite le rotte.- fece lei analitica.
-Dal momento che per me i viaggi aerei sono esclusi, muoversi in macchina per il Vecchio Continente è rischioso, i treni non fanno eccezione, quindi non vedo molte opzioni.- osservai.
-Dovremmo comunque arrivare a Tallin in macchina, prima però passeremo a casa mia a recuperare un po di roba.- disse lei.
-Va bene.-

Quando finimmo di cenare uscimmo dal locale, l'esperienza mi insegnò di dare una rapida occhiata in giro nell'individuare persone sospette oppure che apparissero fuori luogo.
Non ce ne erano.
Aveva persino smesso di nevicare.
Una soffiata di vento fece sventolare un paio di manifesti attaccati al muro, lungo la strada. Erano vecchi ma ancora leggibili, l'uno accanto all'altro.
Uno mostrava la Cancelliera europea Inna Rimbauer, l'aspetto magro e asciutto con i capelli bianchi di una donna minuta raffigurata con un espressione tesa e preoccupata.
La scritta diceva "ARRUOLATI PER IL TUO FUTURO E LA TUA LIBERTÀ."
Il secondo invece raffigurava un uomo in pantaloni militari a torso nudo con la muscolatura in evidenza nell'atto di depositare un blocco di cemento su un muro in fase di costruzione. "STIAMO COSTRUENDO UNA NUOVA EUROPA."
Non commentai.
Sembrava un remake di un film americano.
Una volta saliti in macchina, Anastasia inserirì l'impronta e accese l'auto.
-Non mi devi niente?-
-Cosa?- chiesi perplesso guardandola.
Anastasia stava aspettando qualcosa, guardandomi.
-Ah..-
Mi protesi e la baciai sulla bocca.
Lei sorrise, quindi partì verso casa.


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Capitolo 9
*** Obiettivi ***


Poco dopo mezz'ora ci lasciammo le zone urbane alle spalle e ci dirigemmo in aperta campagna con alcuni tratti di bosco, lungo la strada che avevamo imboccato poco prima
-Prima di arrivare a Tallin sarà un viaggio molto lungo, quindi vale che durante la notte organizziamo dei turni di guida.- disse Anastasia.
-Quindi come intendi procedere?- chiesi.
-Non ho molti affetti personali ma dei zaini come il tuo ci faranno molto comodo, le valige sarebbero troppo ingombranti.- osservò lei.
-È la scelta migliore. Toglimi una curiosità, posso chiederti dove hai imparato a combattere e ad usare la pistola?- feci.
-Ho sempre fatto palestra per conto mio, e ogni tanto andavo al poligono di addestramento.- spiegò lei.
-Questo spiega i tuoi riflessi pronti quando mi hai scoperto nel salotto di casa tua.-
-In che senso?-
-Eri molto attenta e sembravi chiaramente in grado di maneggiare la tua pistola, come se l'avessi usata di frequente.-
-Sei attento ai dettagli vedo. Credo che il mio carattere e il mio desiderio di sentirmi viva abbiano lavorato sulla mia autodifesa.-
-Non lo metto in dubbio, i tuoi fidanzati cosa ne pensavano?-
-Ho capito dove vuoi andare a parare, comunque non c'è stato nessun fidanzato, eccetto qualche breve storia che non ho voluto approfondire.- 
-Spero almeno di durare qualche mese.- ironizzai.
-Tu sei molto diverso.-
-Vale a dire che sono un ex militare?-
-No, è il tuo carattere e modo di agire che mi hanno sorpreso.-
-Tipo costruire un riparo sotto la neve per dormire?-
-Qualcosa di simile ma non quello, la tua personalità.- spiegò lei.
-Se non si ha un obiettivo successivo a quello fissato non si potrà mai andare avanti, in un modo o nell'altro.-
-Forse hai ragione.-
Il viaggio in auto proseguì tranquillo senza particolari argomentazioni, fino a quando avvicinandoci al paese dove abitava Anastasia, non iniziai a riconoscere i tratti famigliari del paesaggio innevato.
Quando Anastasia parcheggiò il Pick Up davanti casa mi sembrò quasi strano tornare nel luogo in cui quarantotto ore prima avevo fatto irruzione di prima mattina.
Entrando mi sorpreso persino che quel posto mi fosse mancato.
-Partiremmo alle 05.00, quindi tanto vale organizzarci subito.- disse Anastasia mettendo la sua borsetta color ocra sul divano, ancora scomposto da quando avevo dormito.
Accese le luci del corridoio che dava verso il bagno e la sua camera, quando notai per caso un movimento estraneo verso il bagno, un ombra vista appena di sfuggita.
-Anastasia, non ti muovere...- la avvertii.
Leo fece appena in tempo a voltarsi verso di me che un colpo secco di una pistola con il silenziatore seguì un forte gemito di dolore mentre lei indietreggiava contro il muro con una mano sulla spalla.
Istintivamente feci per raggiungerla ma una sagoma scura comparve sul mio campo visivo nello stesso tempo in cui un pugno mi colpì una tempia stordendomi mentre un esplosione di colori appariva nel mio campo visivo.
Caddi in avanti di fronte a lei, le braccia in avanti per attutire la caduta contro il pavimento.
Ancora stordito sentii l'aggressore muoversi verso di me con passo pesante, probabilmente per finirmi, mi voltai di scatto sferrando un calcio il punto in cui poteva trovarsi la sua gamba facendolo barcollare leggermente. 
Mi rialzai rapido in piedi e nonostante vedessi ancora leggermente sfocato mi avventai su di lui con il rischio che gli partisse un colpo, ma non avevo scelta, finimmo contro un attaccapanni.
Recuperando la vista vidi che indossava un passamontagna per celare il viso.
Prima che potesse muovere la pistola nella mia direzione con un colpo secco in pieno volto lo colpii con una testata, stordendolo per un istante, ne approffittai per sbattergli il polso contro il muro facendogli cadere la pistola, ma la successiva testata la ricevetti io direttamente sul naso dove di riflesso indietreggiai.
Lui rapido si piegò per recuperare l'arma ma fui più rapido di lui ed estrassi la pistola elettrica dalla fondina sparando due colpi in rapida successione al petto e al collo.
Egli ricadde a terra, muovendosi debolmente. 
Feci due passi verso di lui e con un calcio allontanai la pistola sul pavimento dell'aggressore che non si mosse più mentre una chiazza di sangue nero si allargava attorno a lui.
Raggiunsi Anastasia che si era seduta, dolorante.
-Mi ha solo colpito la spalla.-
Afferrai con entrambe le mani una manica della tuta militare che avevo ammucchiati vicino al divano l'ultima volta, e ne strappai un lembo.
La manica della giacca di Anastasia era zuppa di sangue.
Gliela tolsi, facendo attenzione a non farle troppo male.
Sotto il maglione la ferita non era grave, il proiettile aveva colpito la spalla senza fare danni gravi, eccetto per la perdita di sangue che doveva essere subito arginata.
-La ferita non è grave, ma devi andare in ospedale, premi questo sulla ferita.- le diedi nella mano sinistra lo straccio ricavato dalla giacca militare.
Raggiunsi l'aggressore e gli tolsi il passamontagna, avrà avuto almeno quarant'anni, capelli rasati e segni del gelo sul viso con la pelle arrossata.
-È un mercenario su commissione.-
Perquisii le tasche ed estrassi un telefono cellulare che studiai.
C'era l'indirizzo di questo centro abitato, più due foto di me e Anastasia con i rispettivi nomi.
-Cosa diavolo voleva? Chi lo manda?-
Anastasia si era alzata in piedi, una mano premuta sulla spalla.
-Siamo stati scoperti, sanno che sei con me.-
Non c'erano altri modi di dirlo.
-Degnati di darmi una spiegazione.-
-Siediti, sei ferita. Si tratta di sicari a pagamento che le Forze armate Europee usano per neutralizzare persone non gradite che minacciano il successo di operazioni militari o sanno troppe cose, io rientro nell'ultima categoria dal momento in cui me ne sono andato.- spiegai.
-Voleva sapere cosa sapevo o a chi ne avevo parlato, per questo non mi ha subito sparato in testa.- intuì Anastasia.
-Prima interrogano con l'uso della forza, poi finiscono il lavoro.-
Spezzai il cellulare, aprii la finestra del salotto dalla quale ero entrato l'ultima volta e gettai i rottami fuori sulla neve.
Nessun documento di identificazione.
-Non possiamo andare in ospedale, specialmente con una ferita da arma da fuoco, denuncerebbero tutto alle autorità e allora saremmo fottuti.-
Anastasia aveva ragione.
Riflettei un istante. Decisi.
-Senti, io ti tiro fuori il proiettile, ma tu sei ancora in tempo per tirarti indietro, inventa una storia, in caso contrario sarai una fuggitivo proprio come me e mia complice.-
-Ormai sono fottuta in ogni caso dopo averti aiutato a sfuggire dalle autorità a Narva, sanno già chi sono e che ti sto aiutando, anche in caso contrario non cambio idea. - disse lei guardandomi negli occhi.
-Deve essere lì che le telecamere ti hanno riconosciuto...- ipotizzai ad alta voce.
-Muoviti, toglimi questo pezzo di ferro dalla spalla, così avremmo un problema di meno!-

Qualche minuto dopo eravamo in cucina, lei seduta sulla sedia in cui solitamente mangiava, la mano sporca di sangue premuta sulla ferita.
Frugai sotto il lavandino seguendo le indicazioni di lei fino a quando non trovai una bottiglia di alcool, ottimo come disinfettante.
-Farà male.- dissi.
-Come se non lo sapessi.- fece lei.
-In che guai ti ho cacciata.- dissi.
-Non potevi prevedere niente di tutto ciò, - disse lei - tra come stava andando la mia vita, tra la minaccia di una guerra al confine nessuno vive più tranquillo qui.-
Iniziai a scoprire la ferita.
-L'importante è pur sempre restare vivi, non rischiare la vita.- commentai.
-Parla il soldato.-
-L'uomo che sono, non il militare che ero.-
-Lo sarai sempre, ormai è parte di te, tanto vale che lo acc...Ahi!!!-
-Scusami.- dissi.
Controllai il foro lasciato dal proiettile che pur avendo smesso di sanguinare non aveva un bel aspetto.
Passai un po di disinfettante sulla pinza presa dal bagno di Anastasia, sempre meglio di niente.
Il proiettile non era un grosso calibro, si poteva facilmente estrarre con una pinza, l'importante era afferrarlo.
-Farà male.-
-Non sono né scema né sorda, passami uno straccio.-
Rapido le passai un asciugamano accanto al lavandino dove lei lo mise tra i denti.
Chinandomi sulla sua spalla, facendomi luce con il lampadario, infilai le pinza nel foro facendo attenzione a seguirne la direzione.
I gemiti di dolore furono tremendi come il sentire le dita della sue mani scrocchiarre dalla stretta dei pugni, come pure le dita dei piedi grattare la suola interna delle scarpe.
Due lunghissimi minuti. 
Fu quando che gettai il proiettile sul lavandino che la vidi rilassarsi, era tutto finito.
Mi pulii le mani sporche di sangue sull'asciugamano.
-Qualche istante e sarà tutto finito.- 
-Grazie.- 

Dopo averne disinfettato la ferita, pulito il sangue e fasciato con delle bende, Anastasia mi diede indicazioni per la sua camera su dove trovare vestiti puliti.
Non ci misi molto e le diedi una mano a rivestirsi.

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Capitolo 10
*** I Freddi Venti del Nord ***


-Tra un paio d'ore probabilmente capiranno che il sicario ha fallito, ne potrebbero mandare un'altro.- dissi, anche se non ne ero così convinto.
-Tanto vale muoverci.- rispose Anastasia cercando di rialzarsi ma ricadendo sulla sedia, ancora indebolita e dolorante.
-Non ti muovere, riprendi le forze.- dissi.
-Dammi una mano, portami sul divano.-
La sollevai di peso con entrambe le braccia facendo in modo che poggiasse le testa sulla mia spalla, quindi la portai in salotto facendo spazio con i cuscini.
-Dopo dovrai guidare tu.- mi informò.
-Mi indicherai la strada.-
-Nessun problema, sono ammaccata non stordita.- disse lei.
-Ti preparo uno zaino.-
-Sai dov'è la mia roba?- chiese lei.
-Ormai credo di sì-.
Non ci volle molto prima di aver fatto l'inventario della casa e aver preparato uno zaino con l'essenziale per il viaggio.
Nell'entrare nella camera di Anastasia provai una leggera fitta nello constatare che il letto era ancora sfatto da quando eravamo partiti.
Quando tornai in salotto vidi che Anastasia si era già messa a sedere.
-Come ti senti?-
-Un po dolorante ma sto meglio.- disse lei.
-Bene, dobbiamo muoverci, non credo che ci metteranno molto prima di mandarci qualche altra sorpresa.- dissi.
-Cosa ne facciamo del nostro amico nel ripostiglio?- chiese Anastasia.
Lo avevo trascinato io prima di rimuovere il proiettile.
-La sua pistola ce l'ho io, non aveva documenti, quindi se lo verranno a prendere loro.-
-La mia pistola è nel Pick Up.-
-Ce ne andremo con quello, nel frattempo ti consiglio di liberarti del cellulare, potrebbero facilmente intercettarci.- spiegai.
-Ce l'ho nella borsetta, prendilo e lascialo qui, così farà da diversivo.- disse lei.
-Bella idea, riesci a camminare?-
-Si, mi sono ripresa.-
Presi la sua borsetta e misi il suo cellulare sulla sedia accanto al caminetto, quindi la aiutai a rimettersi la giacca. Ormai riusciva a camminare normalmente.
-Perché non hanno mandato direttamente la polizia a prenderci?- fece Anastasia.
-Perché l'apparato dell'esercito non vuole ingerenze nelle sue questioni, preferiscono neutralizzare ogni diffusione, anche sospetta, di informazione alla radice.- spiegai.
-Una specie di codice di condotta.- osservò Anastasia.
-Si, come ben sai questo è anche non ufficialmente un fronte di guerra.-
Mentre discutevamo controllai rapido sia il mio che il suo zaino, come inventario non mancava niente di quello che ci serviva.
-È ora.-
Anastasia si guardò attorno. Era chiaro che le dispiaceva abbandonare quella che per anni era stata la sua casa.
-Sasha..-
Ero sulla porta con entrambi gli zaini in mano. Quando mi voltai, Anastasia mi venne incontro.
-Riguardo a prima, non voglio che tu ti senta in colpa per me. Qui si vive una stasi continua di paura che la guerra inizi da un momento all'altro, da quando ci si sveglia la mattina a quando si va a dormire la sera.-
-Cosa stai cercando di dirmi?-
-Ti sto dicendo che da quando sei comparso in casa mia in quella fredda mattinata, per me sei la cosa più imprevista ma bella immezzo a tutto ciò.-
Detto questo approssimò il suo volto al mio in un bacio.

Quando partimmo per prima cosa scesi dal Pick Up poco più avanti ricordandomelo solo all'ultimo momento, una volta trovato il dispositivo di geolocalizzazione di fabbrica lo staccai e lo gettai lontano tra la neve.
Anastasia, seduta alla mia destra, inserì l'impronta digitale come prassi e finalmente ripartimmo.
-Una volta disinserito il tracciamento satellitare non potranno più rintracciarci.- dissi.
-Te ne intendi.-
-Sai che prima o poi dovremmo anche cambiare l'auto.- dissi.
-Purtroppo sì.-
Lasciammo il paese per la seconda volta.
Ormai quel paesaggio innevato mi era diventato famigliare.
In quel momento con la coda dell'occhio, dalla direzione in cui ero arrivato fuggendo attraverso i boschi e le campagne, una luce nel cielo attirò la mia attenzione.
Un flash improvviso si accese nel cielo riflettendosi sul paesaggio innevato.
Seguì un istantanea scia luminosa e poi un esplosione, proprio dal paese che ci eravamo lasciati alle spalle.
Una palla di fuoco e fumo densi salirono al cielo.
-Che diavolo...- Anastasia non credeva a ciò che aveva visto attraverso il finestrino.
-Questo era dopo il sicario.- intuii.
La casa di Anastasia era stata distrutta da un missile ipersonico lanciato da un drone alzatosi in volo da una base vicina, probabilmente attirati dall'intercettazione del cellulare di lei.
Il boato si udì a malapena nell'auto in movimento.
-Quella era casa mia !-
-Si.-
Ora nonostante la distanza si vedeva la colonna di fumo illuminata dalle fiamme alla base che bruciavano su quanto rimaneva della casa di Anastasia.
-Questo dovrebbe darci tempo di vantaggio prima che si rendano conto che siamo spariti.- osservai.
-Era pur sempre casa mia !- protestò lei.
-Scusami lo so, ma sono stato abituato a pensare in modo..- mi giustificai.
Non sapevo trovare le parole adatte, il mondo civile era sempre molto differente da quello militare.
-Ho capito cosa intendi.-
Il viaggio proseguì tranquillo con entrambi immersi nei nostri pensieri. Ciò che sarebbe stato e quello che sarebbe successo.
Ora Anastasia aveva scelto di venire con me, quindi i miei piani di andare verso l'Europa centrale erano cambiati dove al momento la priorità era quella di arrivare a Tallin, la capitale dell'Estonia, lì ci saremmo organizzati meglio.
Lanciai uno sguardo ad Anastasia. Si era addormentata sul sedile, decisi di non disturbarla.
Mi ero elaborato una mappa mentale della direzione in cui stavo andando e ricordavo piuttosto bene, soprattutto grazie all'esperienza militare la mappa dell'Estonia.

Guidai per il resto della notte orientandomi con i cartelli stradali e facendo il punto della situazione con la mappa mentale che avevo in testa.
Stavo indubbiamente attraversando una regione disabitata dell'Estonia, foresta e praterie.
Cominciai gradualmente a tranquillizzarmi.
Il paesaggio fuori appariva completamente innevato con alti cumuli di neve ai lati della strada, l'inverno in questo Paese era ben lungi dall'essere finito.
Guardai un istante Anastasia, appena visibile nel buio grazie ai fari delle auto.
Dovevo ammettere che quando dormiva era davvero carina.
Ultimamente ne aveva passate diverse, mi dispiaceva davvero averla coinvolta ma ormai non potevo più tornare indietro.
Nelle successive due ore la guida fu piuttosto costante, lo scopo non era quello di evitare direttamente le grandi aree urbane che stavamo attraversando, ma piuttosto di muoverci direttamente attraverso la periferia, in aree poco sorvegliate dai controlli di routine della polizia, oppure dalle telecamere che mediante la lettura automatica della targa avrebbero potuto, con una certa approssimazione, far intercettare la nostra posizione alle autorità locali e anche a qualcun altro.
Nelle ore che passai alla guida attraversammo le città di Jöhn e Rakvere, percorrendo almeno sessanta chilometri da quando eravamo partiti.
Il viaggio sarebbe durato molto meno se non fosse dipeso dal fatto che avevo percorso una sequenza di strade secondarie, evitando le strade principali.
Decisi di fare una sosta, quindi mi fermai in un parcheggio improvvisato in una strada che si perdeva tra i prati innevati, poco trafficata.
-Dove siamo?- biascicò Anastasia svegliandosi.
-Poco oltre Rakvere, come ti senti?-
-Piuttosto bene, nonostante quello che è successo.-
-Fammi vedere la ferita.-
Mi sporsi per controllare le bende e il foro del proiettile. Non c'era rischio di infezione.
-Stai guarendo.-
-Come hai fatto ad arrivare a Rakvere senza che ti dessi indicazioni?-
-Ho una memoria fotografica quando si tratta di ricordare le mappe di Paesi piccoli, soprattutto quelle stradali.- spiegai.
-Ti hanno addestrato piuttosto bene.-
-In situazioni di emergenza è sempre giusto avere a mente gli schemi delle piantine degli edifici, in un Paese straniero invece le strade principali per non muoversi alla cieca.-
-Cosa facciamo adesso?- chiese lei.
-Una breve pausa.-

Nell'arco di quarantotto ore riuscimmo ad arrivare a Tallin, parcheggiare il Pick Up in un parcheggio lontano dai porti, ripulire l'auto dalle impronte digitali e qualsiasi traccia avessimo lasciato e poi con un po di fortuna imbarcarci su una della auto mercantili, senza che qualcuno ci facesse troppe domande, che ci avrebbe portati fino a Copenaghen nell'arco di pochi giorni, e con lo stesso sistema saremmo arrivati mediante la successiva rotta marittima fino al porto marittimo di Tilbury.
Sarebbe stato un viaggio lungo diversi giorni, ma almeno il primo passo era stato fatto.
I freddi venti dell'inverno continuavano a soffiare anche sul Mar Baltico dove le onde del mare mosso trasportavano spessi banchi di ghiaccio e lastre che sbattevano contro la spessa chiglia d'acciaio del mercantile, appositamente rinforzato.
Appoggiati lungo il bordo sia io che Anastasia indossavamo sciarpa e berretto di lana contro la fredda aria salmastra che soffiava dal mare.
La sua ferita stava guarendo bene, ma quando si girava nel sonno il dolore era insopportabile.
Fissando persi il mare mosso ricoperto da spesse lastre di ghiaccio stavamo valutando la situazione.
-Dovremmo farci dei documenti falsi quando arriveremo a Tilbury, e soprattutto cambiare gli euro in sterline.- osservò Anastasia.
-So che ci sono delle aree dove li cambiano, anche delle apposite macchinette alla stazione ferroviaria, da quanto ricordo.- dissi.
-Quanto accettano al massimo?- chiese lei.
-Non me lo ricordo.-
-Intanto meglio che facciamo un passo alla volta, tra un paio di giorni saremmo a Copenaghen.-
-Vero, spero che non faccia così freddo.-
-Non sarò esperto di clima a queste latitudini, ma non è un po troppo avanzato questo inverno?- chiesi.
-Normalmente in questo periodo non è così rigido, ma finisce a maggio in questi Paesi.- spiegò lei.
-Anche in Inghilterra è diventato più freddo negli ultimi anni, se non ricordo male.-
-Se non mi sbaglio, in Scozia hanno iniziato a formarsi alcuni ghiacciai sulle cime più settentrionali.- osservò Anastasia.
-È da ormai diversi anni che il Tamigi gela durante l'inverno, ci tengono anche delle fiere chiamate Fair Frost.-
Anastasia parve sorpresa.
-Se restiamo in Inghilterra mi ci porterai.-
-Devo ancora abituarmi all'idea che stiamo insieme, comunque si, ti porterò.-
La vidi sorridere.
-Lo stesso è per me, però stai migliorando.-
-In che cosa?-
-A vedere dalla prospettive di un "noi".-
I suoi occhi scuri parvero sorridere nonostante il viso fosse per metà celato dalla sciarpa.
Mi avvicinai a lei abbassandomi la mia, quindi feci lo stesso con la sua e ci baciammo.
Ci baciammo a lungo, quasi fossimo due amanti verso l'avventura.

I mesi trascorsero quasi con la medesima velocità dei giorni in cui attraversammo l'Atlantico, dopo aver cambiato su un'altro mercantile a Copenhagen che imboccò la rotta commerciale per Tilbury.
Ricordo ancora come l'Oceano Atlantico sembrasse un mare polare che un oceano temperato.
Come io e Anastasia apprendemmo chiacchierando con un tizio che lavorava sul mercantile da ormai diversi anni, freddi venti da nord avevano iniziato a soffiare per tutto l'anno sull'oceano, tanto che spessi banchi di ghiaccio avevano iniziato a essere visti fino a latitudini di Londra e New York fino ad aprile, minacciando le rotte e costringendo i mercantili a rafforzare la chiglia delle navi.
Arrivammo a Tilbury in una fredda notte in cui soffiava un po di nevischio.
Quando mettemmo piede per la prima volta ci guardammo attorno, poi ci guardammo.
Eravamo arrivati in Inghilterra.
Anastasia mi prese il viso tra le mani e accostando il viso al mio schiuse le labbra tra la mia bocca.
Mi persi nel sapore liquido di quel bacio.
Eravamo arrivati a destinazione.
Tempo di pensare al futuro.

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Capitolo 11
*** L'Orizzonte in Arrivo ***



I mesi una volta giunti nella capitale inglese furono piuttosto difficili.
La cosa meno difficile per ironia della sorte fu procurarsi dei documenti falsi, tuttavia gradualmente l'ingranaggio della vita iniziò a prendere piede in quella città multietnica popolata da una moltitudine di gente straniera.
Per spostarsi a grandi distanze nel minor tempo possibile si usava la metropolitana, tuttavia per fortuna per me è Anastasia questo non era un problema dal momento che vivevamo in una stanza in affitto nella periferia nord della città in fase di rapida espansione urbana.
Nuove fabbriche e industrie erano sorte nel corso degli anni per soddisfare il fabbisogno di una popolazione in rapida crescita.
Io al momento avevo trovato lavoro in una fabbrica dove si lavoravano e stampavano prodotti in alluminio.
La metà dei macchinari era robotizzata e funzionava in modo automatico connessi con un'intelligenza artificiale che monitorava costantemente che i parametri fossero tutti corretti.
Non tutti i macchinari tuttavia erano automatizzati, io ero nell'area degli stampi, dove per buona parte della giornata ero sottoposto a temperature infernali.
La tipologia dei prodotti che veniva stampata ogni mese variava costantemente, da modelli di armi, pezzi di motore, termosifoni, tubature ecc.
I miei turni impegnavano perlopiù la notte dalle dieci fino alle sei del mattino, dove quando arrivavo a casa per andare a dormire trovavo Anastasia già alzata per andare a fare il turno delle sette come cameriera, in un locale poco distante dal centro residenziale in cui abitavamo.
Sapevo che le mancava la sua vita di prima ma al momento la nostra era solo una fase transitoria.
Ogni mattino io rientravo in casa alle sei e mezza e lei stava uscendo per andare al lavoro, dove la aspettava il taxi in strada.
Buona parte delle auto della CANZUK Union (Canada, Australia, Nuova Zelanda, Inghilterra) stavano passando al pilota automatico, il taxi era tra di queste.
Rispetto all'Europa eravamo avanti di almeno due decenni.
Quel pomeriggio, dopo essermi alzato dopo l'ennesimo turno di notte mi preparai il pranzo, accesi la televisione con il comando vocale e iniziai a mangiare ascoltando gli ultimi aggiornamenti.
Un rompighiaccio svedese rimasto incagliato nella banchisa alle Svalbard Island, cosa strana per essere giugno, nuovi test nucleari nell'Oceano Pacifico da parte di Cina e Federazione Russa, proteste in tutta Inghilterra a causa della disoccupazione..spensi subito la televisione. Mi ero già stufato.
Una vasta percentuale degli inglesi assai disoccupata o con un salario troppo basso, la valvola di sfogo di questi cittadini erano come al solito chi era emigrato in Inghilterra, dove girava diceria che fossero meglio tutelati rispetto ai connazionali.
Era impossibile dare un giudizio a tutto ciò, soprattutto quando il mondo stava diventando una vera e propria polveriera.
Forse era il caso che io e Anastasia iniziassimo a prendere serie precauzioni per il futuro, nel caso la situazione iniziasse a diventare irreversibile.
Quando finii di mangiare gettai tutto nella lavastoviglie, spensi il televisore e uscii a fare due passi, introducendo il blocco della porta con la password, un sistema ormai diffuso in tutti gli appartamenti inglesi.
Cosa strana per questo periodo dell'anno la primavera continuava a tardare, anche se Londra era famosa per la pioggia assai frequente. Il cielo era plumbeo e minacciava un'acquazzone, senza contare le temperature che erano assai piuttosto basse.
Comprai un giornale e mi fermai in un angolo a sfogliarlo.
In lontananza si sentivano le voci di una protesta studentesca dove centinaia di universitari e studenti del liceo si erano organizzati per indire una manifestazione contro alcuni tagli di finanziamento del governo verso il settore scolastico.
Con pazienza aspettai che Anastasia finisse il suo turno alle tre del pomeriggio, c'erano delle novità in arrivo.

Quel pomeriggio dopo aver dormito un altra ora prima che ricominciassi il turno di notte questa sera, io e Anastasia partimmo per un viaggio su un auto presa a noleggio fuori dalla periferia di Londra, dove ancora non era arrivata l'urbanizzazione, durante quei quaranta minuti di viaggio lei ne approfittò per farsi una breve dormita vista la stanchezza del dopolavoro.
Arrivammo in aperta campagna dove il profilo degli edifici della City si vedevano appena in lontananza.
Poco dopo la strada asfaltata cedette il passo a quella sterrata, circondata da praterie dove l'erba era già alta fino alla vita dopo le eccessive piogge di aprile-maggio.
Qui fui costretto a passare dal controllo automatico a quello manuale dell'auto dal momento che non c'erano punti di riferimento alla quale l'intelligenza artificiale dell'auto potesse fare riferimento con il rischio di andare alla cieca.
Eccetto il profilo di Londra all'orizzonte in direzione ovest, praterie collinari si estendevano a perdita d'occhio.
Parcheggiammo in prossimità di un vecchio albero secco del tutto privo di foglie che sembrava morto da generazioni.

Un caldo tiepido vento a tratti più fresco faceva oscillare la verde distesa di erba alta fino al bacino della prateria.
In lontananza si vedeva l'addensarsi di nuvole temporalesche color petrolio, ma al momento si era aperta una provvisoria schiarita di sole.
Sdraiati l'una sull'altro ai piedi del vecchio albero, con la mia testa appoggiata ad una grossa radice, il nostro sguardo si perdeva spensierato in quello sprazzo di cielo color cobalto tra le nuvole.
Essere lontani dal caos urbano, da tutta quella inutile vita frenetica, anche solo per una giornata andava a beneficio di entrambi.
In quel posto esisteva il totale silenzio.
Da quando eravamo giunti in Inghilterra, il cambio di ambiente aveva avuto effetti positivi per entrambi.
Soprattutto per il fatto di non doversi più guardare alle spalle e di non essere a pochi chilometri da una potenziale zona di guerra internazionale.
Ma sapevo che era tempo di prendere nuove decisioni.
-Ce la siamo cavata piuttosto bene in questi mesi.- mormorai guardando distrattamente l'erba che oscillava avanti e indietro spinta dal vento.
-Eccetto il fatto che ho dovuto rimanere ferma un mese senza fare nulla, direi di sì.- commentò lei.
-Adesso ti sei perfettamente rimessa.-
-Sì, anche se ho ancora dei momenti in cui mentre servo al lavoro mi vengono delle fitte alla spalla.-
-Ci vorrà un po.-
-Lo so, ma devo dirti una cosa.- disse lei cambiando leggermente tonalità della voce, e capii che era importante.
-Anche io.-
-Questo lo so, me ne sono accorta quando hai deciso di fare questa piccola gita.-
Risi.
-Londra è decisamente troppo caotica per affrontare certi argomenti.-
-Sempre meglio che restare in Estonia, comincio io o cominci tu?-
-Tra un paio di mesi quelli per cui lavoro vogliono trasferirmi all'estero dove c'è carenza di manodopera, si tratta di una zona piuttosto a sud. E poi di nuovo in un altro posto dopo altri due mesi.- spiegai.
Anastasia mi studiò attentamente.
-Quanto a sud?-
-Molto.-
-Cioè, ce l'ha un nome questo posto?-
-Tristan de Cunha.-
-Direi che non potevano mandarti in un posto più adatto.-
-Si trova nel bel mezzo dell'Oceano Atlantico, in linea retta con la capitale del Sud Africa, Cape Town.-
-L'avevo capito, ma cosa stanno facendo laggiù?-
-Stanno mettendo in piedi due nuove fabbriche, nonostante le proteste della gente del posto, e costruendo una nuova base militare inglese, - spiegai - si tratta di un posto strategico sia dal punto di vista militare che commerciale.-
-In quel posto?-
-A ovest ci sono il Brasile e l'Argentina, a est le economie africane.-
-Ok, hai reso l'idea.-
-La Liandri Corporation è in fase di espansione e sta aprendo nuove fabbriche in tutto il Commonwealth Britannico, vista la nostra situazione io direi che potremmo approfittare. Cosa ne pensi?-
-Sono incinta.-
Due sue parole bastarono per zittirmi dalla sorpresa.
Lei si alzò a sedere accanto a me, studiando la mia reazione, appoggiandosi all'albero.
-Questa si che è una novità.- dissi.
Il vento che faceva oscillare l'erba le soffiava parte dei suoi capelli lungo il viso.
Mi alzai in piedi e camminando scalzo a piedi nudi tesi una mano a lei, aiutandola a rialzarsi, anche lei scalza.
-Quale nome le daremo se sarà femmina?-
Lei sorrise intuendo ciò che intendevo, e mi abbracciò.
Ci stringemmo entrambi, persi tra il fruscio dell'erba scossa dal vento forte e il tuono lontano di un temporale in arrivo.
Il suo bacio seguì un altro tuono.
Ci distendemmo tra l'erba baciandoci per minuti lunghissimi mentre il vento andava aumentando e il ritmo dei tuoni sempre più frequenti.
Quando ci sedemmo nuovamente ai piedi del vecchio albero iniziai subito a riflettere su ciò che avrei dovuto fare e organizzare nei prossimi settimane e mesi.
-No, non farlo adesso.- mi interruppe lei.
-Cosa?-
-Ti perdi nei tuoi pensieri. Non farlo adesso, godiamoci questi momenti.-
-Ormai mi conosci.- sorrisi.
-Più di quel che pensi.-
-Da quanto è che lo sai?-
-Ho ripetuto due volte il test i giorni scorsi.-.
Era davvero una sorpresa, non che mi fossi mai aspettato di diventare padre, ma ero indubbiamente sereno.
-Dovremmo cambiare i nostri programmi.-
-No, io verrò con te a Tristan de Cunha, dopo quello che abbiamo passato insieme.. - Anastasia non aggiunse altro.
-Ne sei sicura? Ci saranno altri trasferimenti, potremmo finire persino in Nuova Zelanda o in Europa.- la avvisai.
Lei parve rifletterci su. -Non credo che ci saranno problemi.-
-Stiamo parlando di viaggi aerei con probabilmente diversi scali, o viaggi in mare di oltre una settimana, come in questo caso.- spiegai.
-Non soffro il mal di mare e per il resto ci organizzeremo quando il bambino sarà nato.- concluse lei.
-O la bambina.-
-Ammesso che non siano due gemelli.-
-Questo sarebbe indubbiamente un grande grattacapo.-
-Non lo metto in dubbio.-
Restammo lì fermi a guardare per qualche istante il cielo che in lontananza diventava sempre più scuro tuonando.
-Hai con te il coltellino svizzero?- mi chiese Anastasia.
Certo, a cosa tu serve?-
-Tu dammelo.-
Dopo aver frugato in tasca glielo passai.
Lei si alzò in piedi e dopo aver scelto un punto adatto iniziò a incidere il tronco.
La guardai perplesso, mi alzai in piedi e capii.
Aveva inciso le nostre iniziali all'interno di un cuore nel legno.
-Quando torneremo qui, tra un anno o forse chissà quando, queste scritte saranno ancora qui.- disse Anastasia prendendomi la mano. Quindi premette la sua bocca contro le mie labbra, quando si staccò fece un passo verso la macchina strattonandomi.
Mi fece ridere questa sua allegria contagiosa.
-Andiamo, sta arrivando un temporale.- disse lei.
La seguii mentre il vento iniziava a soffiare più forte e il fruscio dell'erba alta ormai era costante.
-Lo so.-
 
 
 
 
 
 
 
Ps. Una recensione? :(  

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