L'Ombra Mezzosangue

di Ghostro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Punizioni, inseguimenti e voci nella testa ***
Capitolo 2: *** Una bacchetta è per sempre ***
Capitolo 3: *** Notte movimentata a Notturne Alley ***
Capitolo 4: *** Il Diavolo ***
Capitolo 5: *** The show must go on ***
Capitolo 6: *** Orgoglio Tassorosso ***
Capitolo 7: *** Tempo ***
Capitolo 8: *** Doni di Natale ***
Capitolo 9: *** Di Spade e Scudi ***



Capitolo 1
*** Punizioni, inseguimenti e voci nella testa ***


PUNIZIONI, INSEGUIMENTI E VOCI NELLA TESTA
 

Damien varcò l’aula di pozioni in perfetto orario.
La divisa da Tassorosso svolazzava alle sue spalle mentre scivolava tra i banchi impolverati e il fumo scaturente dai calderoni posti su un’enorme tavolo. Il calore gettava sul suo viso dei tiepidi contrasti con il freddo che ristagnava in quell’ambiente chiuso, insieme a un ricco assortimento di odori tutt’altro che piacevoli.
Prese posto a qualche banco di distanza dalla cattedra del professor Piton.
Lui, come sempre, non diede impressione averlo notato, ma per esperienza Damien sapeva che non era così. Al primo anno aveva sorpreso il suo amico Richie a spiaccicare una caccola sotto il banco; gliel’aveva fatta volteggiare sopra la testa un paio di volte e poi l’aveva fatta filare nella sua bocca. Quel giorno Tassorosso aveva perso la bellezza di venti punti ed era meglio sorvolare su quanto spaventosa diventasse la professoressa Sprite dopo un rimprovero di Severus Piton.
Capo della casa Serpeverde, nonché nemico pubblico numero due del famoso Harry Potter, da quando la Umbridge era stata ordinata nuovo insegnante di Difesa contro le arti oscure. Il professore più temuto di tutta Hogwarts. Tanta era la paura di Richie in sua presenza che ancora oggi entrava sempre per ultimo e usciva tra i primi, con un viso talmente verdognolo da sembrare che stesse sul punto di vomitare.
«Di nuovo in orario, Kiran?»
«S-Sì, professor Piton. Signore» rispose, mentre distendeva una pergamena intonsa sul banco da lavoro tirato a lucido.
Severus Piton chiuse il libro che stava leggendo e si girò verso di lui con una fluidità innaturale. Il suo viso pallido e lungo non aveva espressione, gli occhi neri privi di altra luce che non fosse lo scintillio pericoloso che s’intravedeva nel fondo dell’iride. «È straordinario vedere uno studente così ansioso di dimostrare la propria mediocrità. Voi tassorosso siete davvero delle creature speciali. Dimmi: il tuo amico Gallagard ha deciso che sarà dei presenti, quest’oggi?»
Damien deglutì. «La professoressa Umbridge l’ha messo in punizione, s-signore. Ha detto che a lei non sarebbe dispiaciuto.»
«Questo è evidente anche per la mente più ottusa.» Damien l’osservò tornare al suo libro e intingere la penna d’oca nel calamaio. Cominciò a scrivere qualcosa senza distogliere gli occhi dalle pagine. «Tuttavia, il giovane Gallagard rimane un mio studente e non dispone del talento che gli consenta di saltare le mie lezioni.»
«Certo, signore. Vuole che informi la professoressa?»
Piton lo trafisse con un’occhiata nauseata. «La magia esiste per un motivo, signor Kiran.» La sua bacchetta emerse dalla lunga manica della veste nera. Gli bastò puntarla in quella direzione perché il messaggio impresso su carta prendesse vita e iniziasse a svolazzare fuori dalla stanza.
 
«Non puoi immaginare che cosa mi ha chiesto di fare la Umbridge» sussurrò Richie, prima di sedersi accanto a lui. «Scrivere.»
Damien sbatté le palpebre. «Cosa?»
«Sì, scrivere!» Per un attimo Richie sorrise, facendo risplendere l’azzurro nei suoi occhi. «C’era una penna d’oca rossa sulla cattedra. E un foglio di carta. Voleva farmi scrivere, ma…» Si voltò verso Piton.
Damien arricciò le labbra. Non c’era bisogno di frequentare più d’una lezione con la Umbridge per capire quant’era stravagante. Eppure stentava a credere che un professore potesse infliggere una punizione del genere.
Il suo sguardo passò in rassegna gli studenti del suo corso fino a Ginny Weasley. Si conoscevano dal primo anno, ma non erano mai entrati in confidenza. Avevano dei caratteri troppo diversi. Lui era timido e straordinariamente ordinario, lei invece era coraggiosa e a quattordici anni ne aveva già viste di ogni. Lo sguardo che lanciava alla Umbridge faceva impallidire quello di palese inimicizia che mostrava al cospetto di Piton.
Sapeva che era sbagliato giudicare in base all’opinione degli altri. Giunti al quarto anno, si chiedeva agli studenti di iniziare a pensare con la propria testa, Piton lo ripeteva spesso, ma da quando la conosceva l’istinto di Ginny non aveva mai deluso e non poteva fare a meno di prenderlo in considerazione. Dopotutto, Damien si era preoccupato delle voci sulla Camera dei segreti solo quando aveva visto il pallore sul suo viso. Quando Sirius Black aveva aggredito gli studenti nel dormitorio dei Grifondoro, Ginny era tra le voci che predicavano di mantenere la calma; alla fine era andata bene, nonostante Black fosse ancora a piede libero. L’anno scorso era stata una dei pochi a sostenere che Harry Potter non avesse alcun motivo d’imbrogliare il Calice di fuoco.
Anche quell’anno Potter era al centro dell’attenzione. Voci che solo pensare potessero avere un fondo di verità gli si rizzavano i capelli sulla nuca. Eppure, lei ci credeva.
E Damien, dentro di sé, iniziava a temere.
Sua madre non avrebbe voluto mandarlo a Hogwarts, dopotutto. Se suo padre non fosse stato categorico: era tardi per iniziare a frequentare scuole ordinarie. Vero, per i mezzosangue come lui esisteva un dipartimento nel Ministero della magia col compito di convertire i crediti scolastici in documenti babbani, ma molte delle nozioni che avrebbe dovuto conoscere erano solo formali. Certo, Pozioni richiedeva la conoscenza di alcune regole matematico-scientifiche per le creazioni più elaborate, Storia della magia s’intrecciava con quella dei non maghi e la professoressa Sprite era molto esigente in fatto di Geografia, ma i due mondi erano troppo lontani e il suo futuro non avrebbe atteso che il ritorno di Tu-sai-chi fosse smentito.
Quando aveva scoperto di essere un mago era stato eccitante. Peccato che nessuno lo aveva avvertito sulle clausole in piccolo: gli effetti collaterali che comportava possedere una bacchetta lunga qualche pollice.
«Beh, ti sta bene. Hai riso della sua vocina di fronte a tutti. Come ti aspettavi che reagisse?»
Richie sghignazzò il più silenziosamente possibile mentre estraeva dalla tracolla il libro di pozioni e una pergamena pulita. «Che ci posso fare? Mi ha ricordato la mia prima insegnante di kart, mentre ci spiegava come salirci sopra.» Dovette coprire una risata con il pugno. «È caduta come una pera.»
«Gallagard, Kiran.» La voce insidiosa del professore li riportò alla realtà. «Ritenete sia troppo gravoso concedermi la vostra attenzione, invece di parlottare come due piccioncini amorosi?»
Damien arrossì tra i risolini fino alla punta dei capelli. «Nossignore!»
Piton cominciò a muoversi dritto verso di loro.
Si fermò davanti a un Richie completamente cereo e posò, in modo paurosamente lento, le mani sul suo banco. Lo fissò intensamente e a lungo, in un silenzio teso che costrinse il suo amico a deglutire sonoramente.
«Quanto a te.» Piton si girò di scatto verso Damien, facendolo sobbalzare. «Dal momento che sei così ansioso di condividere i tuoi fallimenti con il signor Gallagard, vi concederò tutto il tempo di cui avete bisogno. Stasera. In punizione.»
 
«Grandioso!» borbottò Richie mentre vagabondavano tra i sempreverdi della Foresta proibita. «Piton non ha cuore. Ecco, l’ho detto.»
Damien non poteva dargli torto. Non era la prima volta che ammoniva la loro scarsa attenzione, ma un castigo così duro era insolito. Si diceva che la punizione del guardiacaccia fosse inflitta ai primini che venivano sorpresi in giro per la scuola dopo il coprifuoco, per spaventarli e scoraggiarli dal violare le regole; nulla di davvero pericoloso, se ad accompagnarli c’era un mezzo-gigante imponente come Rubeus Hagrid. Farlo mentre il resto della scuola era a cena, inoltre, aveva qualcosa di meschino.
«Forse oggi era di pessimo umore» azzardò Damien, mentre dava uno sguardo al castello. Le finestre erano illuminate e all’interno si udiva un gran fracasso anche da quella distanza. Gli altri si stavano divertendo un mondo.
Richie sospirò. «Amico mio, tu sei troppo buono. A volte le persone sono meschine e basta. Questo mondo ti schiaccerà.»
«Sbaglio o ci siamo conosciuti perché mi eri franato addosso?» Era sfrecciato attraverso il muro del binario nove e tre quarti come un treno e per rallentare aveva avuto la brillante idea di usarlo come ammortizzatore.
Lui si schiarì la gola. «Si, beh… Ah, non si può ragionare con te!»
«Forse è opera di un Gorgosprizzo» rivelò, rompendo il suo silenzio, la voce cantilenante e tiepida della maga alla loro destra.
Richie gelò sul posto. Mosse la testa a scatti come se avesse paura d’incrociare un demone, o un troll. «C-Cosa?»
Luna Lovegood si voltò con una lentezza impressionante. I suoi occhi tondi e cristallini sembravano puntare entrambi e nessuno dei due. «Sono piccolissimi. Ti entrano nelle orecchie e succhiano via i pensieri dalla testa fino a lasciarti disorientato. Il San Mungo ne è pieno, sapete?» Annuì un paio di volte, ma non riuscirono a capire se fosse per enfatizzare il discorso o un tic nervoso.
Quando lei tornò, lentamente, a guardare la strada, Richie corse alla sinistra di Damien. Il suo viso terrorizzato era orripilante. «Ok, Lunatica è già partita per il mondo delle sue creepypasta. Mi fa paura.»
Damien alzò un sopracciglio. Richie non era meno inquietante in quel momento. Ma neanche lui riuscì a guardare Luna Lovegood negli occhi. Arrossì quando chiese: «E tu, Luna? Come mai sei stata messa in castigo?»
«Il professor Vitius ha suggerito alla Umbridge che digiunare e passeggiare nella Foresta proibita sarebbe stato più educativo. Forse si è scordato che chiedevo spesso dei permessi per venire qui, ci abitano i miei amici.» All’improvviso, il suo viso fu attraversato da un sussulto. «Spero non sia opera dei Nargilli. Poverino.»
Richie si avvicinò al suo orecchio. «È pazza, Dam! È pazza, ti dico! Io non la passo una notte nella foresta con lei. Nossignore!»
Damien roteò gli occhi. «Calmati. Non ti mangia mica.»
E mentre lui rispondeva terrorizzato che l’avrebbero fatto “i suoi amici”, non poté fare a meno di notare che Vitius aveva usato più o meno le stesse parole di Piton. Possibile che si fossero messi d’accordo? Per quanto ne sapeva, il professore di pozioni non era il tipo che confabulava con gli altri insegnanti davanti a un sorso di succo di zucca.
– Forse ritengono che scrivere non sia una vera punizione – pensò, mentre teneva gli occhi bassi e di tanto in tanto li posava per un attimo sulla strega alla sua destra.
Aveva un debole per Luna da quando erano piccoli, ma non aveva mai avuto il coraggio di vincere le occhiate piene di scherno degli altri studenti e avvicinarsi a quella ragazza così diversa. Lui non era coraggioso come Ginny ed era costantemente bersaglio di quella fetta di serpeverde che si divertiva a tormentare gli studenti nei corridoi.
Forse Malfoy aveva ragione quando ripeteva che i tassorosso erano solo un branco di spostati scartati dalle case più illustri. Non avevano coraggio, ingegno, né ambizione. L’unico lampo di luce della loro generazione era stato Cedric Diggory. Ucciso a un passo dalla gloria.
Dal Signore oscuro, se Harry Potter diceva il vero.
E lei era bella. Non quella bellezza ricercata dalle ragazze, ma gli piaceva. Il suo stile così stravagante, i lunghissimi capelli biondi che, seppur in disordine, al calare del sole assumevano una tonalità di argento pallido. I lineamenti del viso così morbidi e paffuti, perennemente distesi in un’espressività distratta. In molti ritenevano che fosse tocca, ma non poteva essere: il Cappello parlante non sbagliava mai. Con lui non l’aveva fatto.
Avrebbe voluto strapparlo in mille pezzi il giorno che l’aveva smistata pronunciando quell’odiosa parola: Corvonero. Nero, come era diventata la sua faccia per un intero semestre; l’unico caso mai registrato di primino che non era minimamente affascinato dalle bellezze del mondo magico.
«Capisco.» In verità, non aveva capito granché. Damien sapeva solo che, da quando era diventata Inquisitore supremo, alla Umbridge bastava che uno studente non respirasse nel modo che riteneva consono per metterlo in castigo. «Ad ogni modo, perché dobbiamo badare da soli ai compiti del professor Hagrid mentre lui è via? Il Preside non dovrebbe assumere qualcuno che lo sostituisca?»
Nessuno dei due seppe dargli una risposta. Nessuno dei due in realtà si curò di quello che stava dicendo. Luna aveva iniziato a canticchiare qualcosa di stranamente familiare e Richie era troppo impegnato a farsi scudo dietro di lui.
 
Nelle ore notturne, non erano solo il buio e la paura a mettere alla prova chi si avventurava nella Foresta proibita. Gli alberi erano così alti e le loro fronde fitte che a malapena si notava il cielo notturno. Il terreno era sconnesso e tempestato di rametti. Lo scricchiolio che producevano calpestandoli mandava Richie in paranoia e la luce della lanterna, che Damien stava sorreggendo, bastava a malapena per guardare dove mettevano i piedi. Faceva freddo. Molto. Il loro fiato a contatto con l’aria gelida creava condensa e i loro corpi infreddoliti tremavano; soprattutto lui, da quando aveva insistito per prestare a Luna il suo mantello. Procedevano ingobbiti, falcidiati da un leggero vento contrario che entrava nei loro abiti aggravando la sensazione di gelo.
Mentre un ululato faceva voltare il loro compagno, Damien sentì Luna tirare su con il naso. «Tutto bene?»
«Sei carino a chiederlo. Ma è utile prendere freddo, una volta o due. Gli Yllen ti lasciano in pace.» Infagottata nel mantello che le aveva prestato, Luna gli lanciò uno sguardo indecifrabile. «Sei fortunato, sai? Non odori di niente.»
«Oh… Mi dispiace.»
Anche nell’oscurità riuscì a notare le sue labbra incresparsi in un mezzo sorriso. «Perché? È una buona cosa. A loro piace il caldo, e sono puzzolenti. Per questo papà si raccomanda sempre di fare un bel bagno freddo. Con tutte queste lezioni ravvicinate, però, fatico a trovare un momento libero. Forse dovrei iniziare a lavarmi dopo pranzo.»
«No!» strepitarono Richie e Damien allarmati.
«Sei impazzita o cosa?! Vuoi morire?» gracidò il primo.
«Ehm, Luna, non sarebbe saggio. I-Insomma, anche loro dovranno mangiare. Se ti facessi il bagno prima che tornino, l’effetto sarebbe meno… duraturo, no? È-È poco pratico» disse Damien, più conciliante.
Luna tornò a guardare la strada con disarmante tranquillità. «Forse hai ragione.»
Richie stava per risponderle a tono, ma il rumore di un’esplosione tuonò in lontananza.
Vide il suo amico impallidire e le sue parole trasformarsi in un’esalazione impaurita.
Si guardarono un momento, prima di annuire e affrettarsi verso l’origine del frastuono. Guardinghi, a passo felpato per non disturbare la notte. Essere studenti del quarto anno non era garanzia d’incolumità. Il Torneo Tremaghi aveva mostrato e bene quante creature ci fossero ancora da scoprire, tutte pericolose, e francamente Damien non aveva alcuna intenzione di trovarsi faccia a faccia con qualche mostruosità sconosciuta.
Non erano passati dieci minuti quando, all’improvviso, Luna stese il braccio impedendogli di proseguire. C’era un’ombra, poco più avanti. Lì rivolse la bacchetta che teneva assicurata tra l’orecchio e la testa. «Rictusempra
Qualunque cosa fosse, prese letteralmente il volo e lanciò un buffissimo grugnito.
«Un Berretto rosso. Scava delle buche nel terreno dov’è stato versato sangue umano.»
Richie s’irrigidì. «Giuro su tutto. Solo un’altra creepypasta, solo una.»
«Non lo è. Li abbiamo studiati l’anno scorso, ricordi?» Damien aggrottò la fronte. «Solo che non l’avrei mai riconosciuto così in fretta.»
«Oh. Giusto.»
«Spesso io e mio padre veniamo morsi o graffiati in giardino. Se non li cacciassimo, ne avremmo la casa piena» rispose Luna. E con la stessa “enfasi” sottolineò: «Chissà perché c’è del sangue umano.»
Richie rabbrividì. «Credete che ci sia un altro studente?»
«E l’avrebbero mandato in giro da solo?»
«Non fare il pignolo, Dam. Starà insieme ad altri studenti.»
Studenti, diceva.
Davanti a loro si apriva un’enorme fossa. La foresta sembrava essere sprofondata di un paio di metri all’improvviso, sebbene la flora era assolutamente intatta. Effettivamente, chinandosi sui talloni, vide delle gocce di sangue sparse sul terriccio. Poche. Quelle tracce scarlatte erano quasi invisibili ad occhio nudo, e conducevano al fosso. Al centro del quale era sito un monumento di roccia: una sorta d’isola conquistata dai rampicanti.
Damien procedette per primo e insieme a Richie aiutò Luna a scendere.
«Molte grazie.»
Avvicinandosi, scoprirono una profonda spaccatura nella parete rocciosa. Non sembrava naturale: lo squarcio conduceva all’interno e c’erano tracce di polvere e detriti ovunque. Damien esitò nel proseguire. «Perché degli studenti dovrebbero entrare qui dentro?»
«Forse per nascondersi.» Richie si accorse dopo qualche secondo che lui e Luna si erano girati a fissarlo. «Che c’è? Se un Lupo mannaro vi inseguisse, vi fermereste a guardarlo?»
Sospirò. Non voleva proprio entrare in quella grotta, ma se c’era davvero un ferito non potevano tirarsi indietro. Dovette sforzarsi per mettere mano alla bacchetta. La sua mano ne rifuggì il semplice tatto, tuttavia riuscì a estrarla e nasconderne il fremito.
«Lumos» sussurrarono, e dalla punta di ognuna scaturì un bagliore luminoso.
 
La grotta che si aprì loro era angusta e maleodorante. C’erano delle pitture disegnate sulle pareti. Erano ordinate e precise; per quanto potesse esserlo qualcosa pennellato palesemente a mano libera. Anche sopra le loro testa. Una miriade. Simboli simili a rune antiche, dalle forme più disparate. Alcuni erano quasi trasparenti e sfuggivano facilmente alla vista, ma altri avevano una colorazione più marcata: blu o nero.
«Non credevo che questo posto fosse un posto. Non è per niente inquietante…» mormorò Richie.
Damien evitò di rispondergli. Aveva paura, ma non voleva fare la figura del codardo davanti a Luna; già doveva ringraziare il buio per aver nascosto il suo rossore, quando lei si era lasciata afferrare al volo.
Esplorarono a lungo una galleria che sembrava non avesse fine.
Durante la traversata ebbe l’impressione che la strada fosse in discesa. Un’inclinazione quasi impercettibile, ma sapeva che certe magie consentivano di distorcere lo spazio e quei glifi suggerivano d’essere ben altro che semplici decorazioni.
«Non ho mai sentito parlare di questo posto» ammise Luna, mentre studiava i simboli. «E non riconosco questi segni.»
Damien si fermò. Pervaso da un terribile presentimento ragionò in fretta, con le labbra assottigliate. «Richie, Luna, tornate indietro. Se dovessimo trasportare in fretta dei feriti, senza un adulto sarebbe troppo rischioso attraversare la foresta.»
«Tu non sai cosa c’è in fondo, Dam. Potrebbe essere pericoloso.»
Per questo doveva andare: per quanto terrore provasse, lui era sacrificabile. «Un buon motivo per chiamare i rinforzi. In due non avrete problemi a tornare indietro.»
Erano esitanti, ma, in un modo o nell’altro, capì di essere riuscito a convincerli.
Presto cessò anche l’eco dei loro passi.
La solitudine rese agghiacciante il più lieve rumore. Nonostante il freddo che sentiva invaderlo fin dentro le viscere, le mani che stringevano la sua bacchetta di cipresso erano sudaticce. I simboli che lo circondavano iniziavano a riempire le pareti in maniera opprimente. Erano sempre più numerosi e, se non prestava particolarmente attenzione, con la coda dell’occhio gli sembrava di vederli muoversi, iniziando a confondergli il cervello. Il cuore batteva forte. L’eco dei suoi passi si rifrangeva acuto e tutto sembrava diventare sempre più angusto, soffocante.
Seppe di essere arrivato quando trovò una pozza di sangue. Non era ancora rappreso, non del tutto. Era concentrato in un angolo a sinistra, ai piedi di una rientranza scavata nella roccia. C’erano due solchi all’interno, coronati da centinaia di quei segni sovrapposti. Uno era vuoto, sporco di chiazze cremisi. L’altro, invece, custodiva una sorta di monile; puntando la bacchetta in quella direzione, Damien lo vide riflettere di blu acquatico. Sembrava un antico braccialetto cerimoniale, dalla forma di due serpenti aggrovigliati le cui estremità erano teste sottili. Al centro, le code s’intersecavano formando una sorta di croce storta.
Non c’era nessuno.
Cautamente, fece per muoversi a ritroso. Troppe partite giocate a D&D con Richie e i suoi compagni di dormitorio fino a tarda notte per non sapere che quel posto puzzava, e tanto. Difatti, come mosse un passo, il monile ebbe un sussulto.
Damien deglutì velocemente e se la diede a gambe levate senza neanche pensare!
Corse con quanto fiato aveva in corpo, ma la strada era diversa da come la ricordava. Se prima non ammetteva deviazioni, adesso sentiva che il percorso in qualche modo si stesse spostando. L’affanno aumentava di pari passo alla sensazione strisciante di trovarsi in trappola. Corse come se da questo ne valesse la vita, talvolta gettando un’occhiata alle spalle per accertarsi di non essere seguito. Ma la strada continuava a deviare. Spesso e volentieri la sua corsa si arrestava contro un muro di roccia impenetrabile.
Un sasso lo fece inciampare e cadere.
Quando alzò il viso, il sangue nelle sue vene lo sentì gelarsi: il monile a forma di serpente era lì, a terra davanti ai suoi occhi spaventati. E alle sue spalle, un verso gorgogliante gli fece mancare al suo cuore un battito.
Lentamente, ruotò la testa. C’era un cadavere basso e deforme in piedi davanti lui. La testa storta si agitava in modo frenetico, le fattezze erano per metà decomposte e scheletriche.
Quando spalancò all’improvviso due occhi blu e luminosi, Damien gridò di puro terrore!
 
– Mi senti? Mi senti, ragazzo? –
Damien grugnì prima di aprire gli occhi. Il posto dove si trovava era buio e freddo, non lo riconosceva. Si mise a sedere, ma si sentiva debole. Non riusciva a mettere a fuoco. «Che diavolo è successo?»
– Finalmente ti sei ripreso! –
Sbatté le palpebre un paio di volte e istintivamente mise mano al braccio destro, dove sentiva una leggera pressione. La sua mano tastò qualcosa d’insolito. Lo sfiorò più volte, non riuscendo a comprenderne l’origine.
Ci mise un po’ per capire che proveniva da sotto gli abiti.
La tensione aspettò quel momento per fulminarlo dalla testa a piedi! Scostò con frenesia le maniche del golfino e della camicia, solo per trovare un bracciale blu a spirale, dalla forma di due serpenti incrociati, e immediatamente i ricordi tornarono a galla per infliggere una sensazione di profondo panico.
– Calmati. Respira. –
Damien fece l’esatto contrario. Una lacrima di sudore scese lungo la tempia mentre adocchiava la grotta in cerca di quella voce. «Chi sei?» Intorno a lui non c’era niente.
– Il mio nome è Glyn. Piacere di fare la tua conoscenza. – Damien stava cercando furiosamente di strapparsi quel bracciale di dosso. – La vuoi piantare?! –
«Cosa accidenti è?!» gridò nel panico.
– Un bracciale. –
«Levamelo di dosso!»
– Non posso. –
«Levamelo, ho detto!»
– Non posso farlo, ragazzo. Devi ascoltarmi. – Era una voce giovane e calda, ma in quel momento Damien non sarebbe riuscito a calmarsi neanche se a parlare fosse stato Silente in persona. – E va bene. Va bene! Vuoi che te lo tolga? Lo farò. Dopo che mi hai avrai ascoltato. –
Incapace di toglierselo senza sentire la pelle dolere in modo atroce, Damien dovette arrendersi e appoggiarsi alla parete. «Questo non è un semplice bracciale.»
– No, hai ragione. È incantato con una magia oscura che non desidero tramandare e mi è caro. Guai a te se lo graffi. – Per un attimo, quella voce rimase in silenzio. – Ho davvero bisogno del tuo aiuto. C’era un altro bracciale in questo luogo. Qualcuno l’ha rubato ed è importante che lo riconsegni. Aiutami e te lo toglierò. –
«Perché dovrei aiutarti?»
– Ho fatto una promessa! – tuonò quella voce, facendolo trasalire. – Ti supplico. Se hai un briciolo d’onore, aiutami. –
Damien strizzò forte gli occhi. Non capiva cosa stesse succedendo, ma era chiaro che non aveva scelta; in ogni caso, un adulto avrebbe saputo cosa fare. Doveva uscire da quella grotta e raggiungere gli altri. «C’era del sangue. Prima, dov’era custodito questo affare» disse mentre si rialzava.
– Allora il ladro non sarà troppo lontano. Fa’ presto. Ti prego. –
 
La prima cosa che vide, prima di mettere un piede fuori dalla grotta, fu un lampo arancione che si schiantava contro la roccia.
Si sporse leggermente, solo per trovarsi davanti a una scena da brividi. Cinque uomini dai lunghi mantelli neri avevano le bacchette puntate contro Richie e Luna. I due si stavano nascondendo dietro un masso, al riparo dai loro incantesimi. Per un attimo Damien fu pervaso dal terrore che si trattasse dei famigerati Mangiamorte, ma scacciò subito quel pensiero dalla testa. C’erano Silente e un pezzo grosso del Ministero a Hogwarts, in quel momento. Non aveva senso.
– Invasati – sibilò la voce.
– Invasati? – ripeté Damien. – Cos’è un Invasato? –
Nessuno di loro sembrava sporco di sangue, ma non l’avrebbe sorpreso scoprire che il ladro fosse uno di loro.
Quello più a destra sorrise in modo inquietante. Il cappuccio che lo copriva si distese leggermente, mettendo in mostra un viso giovane ma consunto, e sporco, pieno di strani tatuaggi e simboli neri. Agitò la sua bacchetta verso un altro masso. Non appena questo iniziò a levitare, lo lanciò verso la testa di Luna.
Accade qualcosa di strano: il monile iniziò a strisciargli lungo il braccio. Letteralmente uscì fuori dalla manica, prendendo la forma di una bacchetta blu a spirale. Damien fece in tempo a stringerla tra le dita, prima che una forza sconosciuta l’animasse trascinandolo goffamente fuori dalla grotta.
Damien reagì d’istinto. Le parole gli uscirono di bocca senza che sapesse cosa stava faendo: «Diffindo!» Il masso si divise in due pezzi che cambiarono traiettoria, mancando Luna per un soffio.
Un altro Invasato puntò la bacchetta contro di lui.
– Schiva! –
Ancora una volta fu la bacchetta a tirarlo. Nell’attimo in cui l’incantesimo gli mancò l’orecchio per un soffio, un impulso fatto di calore ed elettricità si fece strada attraverso braccia e gambe. Damien si ritrovò a scagliare un incantesimo non verbale sfoggiando un riflesso e una destrezza fulminei. Travolse l’Invasato facendolo volare per diversi metri.
Riuscì ad approfittare dell’occasione per lanciarsi letteralmente a fianco di Richie, prima che una raffica d’incantesimi s’infrangesse contro la roccia.
«Amico.» Richie era stupefatto. «È stato fichissimo!»
«Sì? Io non so ancora cos’è successo» ammise col fiatone, mentre detonava di tutto.
«Rictusempra.» Luna rallentò un altro Invasato emergendo per un istante dal riparo. «Sì, sei stato veramente bravo.»
«Chi diamine sono?»
Richie gli tirò giù la testa quando la sollevò un po’ troppo. «Dei pazzi! Appena siamo usciti dalla grotta, ci hanno attaccati così a caso.»
– Dobbiamo muoverci! Il ladro sta scappando – incalzò la voce.
– Ma…? –
– Fidati e fa’ come ti dico. –
Che scelta aveva?
Damien prese un respiro profondo e uscì allo scoperto. Si lanciò subito a terra, schivando due fatture volanti. «Stupeficium!» La bacchetta agì di propria iniziativa puntando prima uno e poi l’altro mago. Damien fece un giro completo a terra e ripeté l stesso incantesimo, schiantandone un altro.
Ne mancava solo uno.
«Everte statim.» Schiantato contro un albero da un lampo argenteo.
A lanciarlo era stato Richie.
«Che c’è? Oggi fai il fenomeno e io non posso scopiazzare Malfoy?»
Damien sorrise. «Non ho detto niente.»
Arrossì come un peperone quando Luna gli porse la mano.
Gli Invasati che avevano appena sconfitto giacevano svenuti. Sebbene si sentisse sollevato per averla scampata, adesso veniva il problema. Abbandonarli in quello stato, con tutti i pericoli che si aggiravano in quella foresta, sarebbe stato un atto quasi criminale; Richie gli restituì la stessa occhiata di rammarico.
«Attento!»
Al grido di Luna, reagì di pura reazione. Ancora una volta fu la bacchetta a guidare il suo braccio e un istinto estraneo lo spinse a enunciare: «Protego!» Lo schiantesimo s’infranse su uno scudo invisibile.
Fu allora che la videro: una figura sinistra, ammantata da una veste e un cappuccio color quercia. Una maschera di tessuto gli copriva la bocca fino al naso e i suoi occhi brillavano di una strana luce bianca e opaca. Dal modo in cui si teneva il fianco, sembrava ferito.
Ma non fu lui a lasciarli senza parole. Dalla sua bacchetta fuoriuscì del vapore nero e immediatamente altre figure ammantate si fecero largo dalle sue spalle. Uscivano da dietro gli alberi e libravano a mezz’aria.
Richie chiese imprecando a denti stretti, e con un filo di voce, cosa fare.
C’era una sola risposta possibile: «Correte!»
Se li gettarono alle spalle in meno di un secondo, cominciando a scappare.
All’improvviso un altro Invasato emerse dai cespugli.
«Stupeficium!» Di nuovo, la bacchetta blu guizzò fulminea.
Richie gridò terrorizzato: «È possibile che ogni dannatissimo anno dobbiamo rischiare la morte?!»
Quelle cose nere stava sbucando da tutte le parti, persino dalle fronde. Sembravano in tutto e per tutto delle strane ombre volanti; furono a tanto così dall’acciuffarli, quando risalirono il fosso. Sembrava di essere inseguiti da un esercito di fantasmi!
– Dovete fuggire, e in fretta! – disse la voce.
«Davvero?!»
Richie disse qualcosa, ma nella fretta di far da scudo a Luna con il proprio corpo e trascinarla per la manica non riuscì a capire. C’erano altri Invasati tra quelle ombre. Le fatture che lanciavano stavano esplodendo a pochi passi da loro, sovrastando i suoi strepiti.
– Se vuoi il mio aiuto, dovrai farci uscire vivi da qui! –
– Conosco un paio di incantesimi che potrebbero ucciderli facilmente. –
Un brivido scosse la schiena di Damien. – Assolutamente no! Non uccideremo nessuno. –
Richie si fermò all’improvviso e per poco non gli franarono addosso.
Era diventato rigido, come se fosse stato colpito da un incantesimo. Ma non lo era: stava solo guardando qualcosa, con uno sguardo stralunato che gli aveva visto fare in troppe occasioni. Corse cambiando direzione e immediatamente gli furono dietro, scansando le fatture che li assalivano.
«Oh-ho-ho-ho! Non ci posso credere!» La sua voce divenne più profonda, quasi suadente. «Salve, bellezza
Nascosta tra i cespugli c’era la carcassa di una vecchia automobile. Il marchio sulla fiancata la identificava come una Ford. Era azzurra, con il tettuccio bianco. Sicuramente un vecchissimo modello.
Richie l’avvicinò incurante del caos che si stava scatenando intorno e ai loro piedi. «Dam! Questa è una Ford Anglia del 1959! Mi sono appena innamorato.»
«Che sta facendo? Dobbiamo andarcene!» strillò Luna.
Il suo amico corse alla portiera e la aprì. «Salite.»
«Salire?! Non sappiamo nemmeno se funziona!» obiettò isterico.
«Salite, salite.» Lo disse con una leggerezza snervante, mentre richiudeva la portiera.
Damien e Luna si guardarono negli occhi.
Si odiò per ciò che stava per dire. «Dobbiamo rischiare.»
– Rischiare? Dico, sei impazzito?! Cos’è quella creatura?! –
– Una macchina. Una cosa babbana – gli rispose, mentre proteggeva l’ingresso di Luna.
Damien prese posto nell’esatto momento in cui un incantesimo incrinava la portiera. Richie stava carezzando il cruscotto come se fosse il manico liscio di una Nymbus, con tanto d’occhi lucidi.
«Spero che tu sappia cosa fai.»
«Amico.» Il motore si accese con un lamento scoppiettante. Richie lo guardò con una sfrontata sicurezza e mise mano al cambio. «Mai dubitare di una signora.»
Con un rapido scatto dei pedali, diede gas e tutti e tre furono scaraventati contro il poggiatesta dalla forza motrice. La vettura scattò come una gazzella dopo aver sgommato sul terriccio per qualche secondo.
Le ombre continuarono a inseguirli, ma adesso erano diventate un problema relativo. La Ford Anglia scattava destreggiandosi tra gli alberi e il terreno sconnesso, cigolando e sobbalzando. Se Damien reagì aggrappandosi al cruscotto, Richie fu tutt’altro che intimidito dalla velocità. Le spalle dritte, la posa sicura anche quando mise la seconda e poi la terza marcia.
All’improvviso, la vettura cambiò direzione di sua iniziativa e Richie faticò a manovrarla.
«Che succede adesso?!»
«Pare che la signora abbia un carattere caliente. Mi piace.» Sembrava un boscaiolo eccitato. Stringeva il volante di pelle che si agitava imbizzarrito con una presa sicura.
Alla fine riuscì a domare il mezzo e rimettersi sul sentiero prima di affrontare una brutta discesa. Il contraccolpo li fece saltare sui sedili.
La risata di Luna squillò alle loro spalle.
Damien si sporse verso di lei. «A proposito, scusa se mi sono messo davanti.»
Nonostante il pericolo mortale, non poté fare a meno di notare che aveva una risata, per quanto bizzarra, davvero piacevole. «Il tuo amico si è beccato un incantesimo Confundus?»
«No. È che quando guida una macchina sente solo il bisogno di comportarsi da idiota.»
«Quando è al volante di una signora» lo corresse il diretto interessato.
Damien lo ignorò e cercò di aggrapparsi meglio, come d’altro canto anche Luna. «Suo padre è un babbano. Un meccanico, anzi un pazzo. Due anni fa gli ha fatto provare una macchina per la prima volta ed è impazzito.»
«Ho scoperto l’amore
«È impazzito» ripeté invece Damien, facendola ridere di nuovo.
Poi gli occhi della strega si sgranarono. «Attento!»
Richie si accigliò. «A cosa? Non c’è niente.»
«Per tutti i Ricciocorni schiattosi, gira!»
Damien dovette implorarlo! «Fallo, dai!»
Richie sbuffò e con una rapida manovra di sterzo mise la macchina di traverso in una sbandata controllata. La Ford percorse tutto il crinale derapando, mancando per un nulla gli alberi intorno, e una volta raggiunto il bordo spiccò letteralmente il volo. Per più di qualche secondo: la macchina levitò a mezz’aria e tutti e tre gridarono di puro terrore!
Poi udirono un sonoro crack. La vettura cigolò e i fari lampeggiarono.
Tornarono a terra, bersagliati da fatture che provenivano da punti imprecisati.
«Ora ripetimi che non è pazza» vociò il suo amico; Luna intanto si era voltata per osservare chissà cosa. «Adesso vede pure le cose invisibili.»
«Quelli sono i miei amici» sbottò lei.
«Beh, io ho chiuso con gli amici immaginari quando avevo sei anni. Forse è il caso che ti dai una mossa!» Damien lo vide ingranare la quarta, scalare di due marce per affrontare una curva stretta e poi risalire di giri. «Ecco perché odio le ragazzine.»
«Richie, ti ricordo che tu parli con le macchine.»
«Parlo a un gioiello» ribatté lui. «Anche se, lo ammetto: le gomme sono un po’ usurate e sgonfie. Il telaio… ha subito dei danni minimali.»
«Minimali! È più ammaccata di mia nonna e qui sul parabrezza c’è un cratere! Sbanda di continuo.» A riprova, Richie dovette effettuare una leggera controsterzata.
«Basta qualche lavoro di fino.»
«Ah, sta zitto.»
«Sta zitto tu.»
Una fattura si portò all’improvviso via lo specchietto.
«Pervertiti!» gridò Richie, tirando fuori la testa dal finestrino.
Anche Damien si girò. Dopo aver visto Luna intenta a fissare il suo amico con le braccia incrociate e uno sguardo truce, tornò a guardare avanti immediatamente.
– Così non va. Le ombre che hanno evocato vi raggiungeranno. –
– Ombre? – Rinunciò a chiedere. – Dovranno pur avere un limite. –
– Delle debolezze, sì. Ho bisogno che tu vada nel posto più scoperto che conosci. Uno che possa riflettere la luce. –
Damien sperò che avesse ragione. «Richie, portaci al Lago nero. Ho… un piano. Credo.»
 
La superficie del lago rifletteva un cielo notturno oscurato dalle nubi.
Damien si era lasciato trasportare fino alla sponda e poi aveva chiesto a Richie di portare Luna al sicuro.
Li sentiva. Stavano arrivando.
– Vedo che non ti sei mai imbattuto prima in questo incantesimo. Perciò, per eseguirlo, dovremo usare la mia lingua madre. Muoviti come ti dico. –
Damien prese un respiro profondo.
Alzò la bacchetta. Trascinò il piede destro lungo il bagnasciuga, verso e oltre il piede sinistro. Diede inizio a una danza: un movimento oscillante e ragionato di braccia e gambe, ripetuto senza mai cambiare ritmo. Le parole che quella voce gli chiese di enunciare appartenevano a una lingua a lui estranea, grezza. Qualcosa che non aveva mai sentito, neanche dalle voci di corridoio. Non era latino. Era più antica.
Le ombre stavano arrivando. Il cuore accelerò di un battito, ma continuò a dimenarsi e padroneggiare i movimenti. La voce aveva ragione: erano tante e fluttuavano veloci. Sembravano un vero e proprio esercito di entità vaporose e antropomorfe, simili nella forma a Dissennatori.
– Ora! –
Un’esplosione di luce bianca e blu fluì dalla bacchetta a spirale. Un’enorme flusso acquatico che Damien fece roteare intorno a sé in modo vigoroso, e sempre più ampio. Prima che tutto diventasse luce, giurò di aver visto la forma eterea di un’aquila spiccare il volo e tingere la notte con uno splendore senza precedenti.
No, non era mera luce. C’era calore, un senso di pace che spazzò via il freddo riscaldando il cuore e la pelle. Era una sensazione bellissima, fresca come la primavera. Persino la tensione cessò di esistere, lasciandolo da solo in un limbo bianco. Una culla, un caldo ritrovo in mezzo alla tempesta di luce che si scatenava tutt’intorno.
Non seppe con precisione cosa accadde. Nel bianco che lo circondava, vide un’immagine sfocata: una donna. Stava eseguendo sotto un cielo tempestato di stelle la stessa danza e i suoi capelli rossi ondeggiavano come fiamme, carezzando un corpo femminile e maturo.
 
Quando udì il suono della sua risata, Damien riaprì gli occhi e si ritrovò improvvisamente sulle sponde del lago.
C’era solo silenzio intorno a lui, e il ritmico scrosciare delle onde. Le ombre erano sparite, e anche la voce nella sua testa.
Il suono di un motore malridotto annunciò il loro arrivo. Richie e Luna scesero dalla Ford e lo raggiunsero di corsa.
«E magari adesso vuoi farmi credere che li hai sgominati sfoderando la torcia più grande del mondo.»
Damien rivolse a Richie un’occhiata di scuse. «Più o meno.»

Angolo autore:
Salve a tutti!
Questa è la mia prima ff in assoluto a tema Harry Potter e sono un po' emozionato. Ci tengo ancora a rigraziare l'utente Fiore di Cenere per avermi dato l'opportunità di immaginare una storia che mi ha davvero preso, come spero farà anche con voi. E ovviamente voglio di nuovo scusarmi per il ritiro.
Come avrete notato, questa storia prende piede durante gli eventi del quinto libro e sarà parallela, talvolta vicina alle avventure di Harry Potter e dei suoi amici, ma non convergeranno mai. Ci sarà un nuovo trio, supportato dai personaggi che tutti conosciamo e amiamo, a partire da Luna Lovegood e Severus Piton. Ma non mi dilungherò oltre per non anticipare nulla.
L'unico dettaglio che mi sento di speficiare, perché in nessun modo verrà svelato ai protagonisti delle vicende, è che i due bracciali su cui si poggerà la trama sono antichissimi Horcrux.
Grazie a tutti per essere arrivati sin qui. Spero che questa piccola storia possa piacervi e appassionarvi ^^
Ghostro
 

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Capitolo 2
*** Una bacchetta è per sempre ***


UNA BACCHETTA È PER SEMPRE
 
Il colpo di cannone annunciò il ritorno dei campioni.
La folla si alzò in piedi alla vista di Potter e Diggory riversi al centro della piazza, esplodendo un boato assordante. Damien aveva gli occhi lucidi. Non riusciva a crederci: due studenti di Hogwarts erano riusciti a vincere il torneo e uno di loro aveva solo un anno più di lui! Dalla sua postazione in alto riusciva a vedere tutto. I suoi compagni tassorosso in festa, così come il padre di Cedric. Luna e Ginny che festeggiavano, i gemelli Fred e George Weasley che correvano a riscuotere le vincite. Persino Rodriguez, pochi spalti in basso rispetto a lui, si concesse di battere le mani ed emettere un fischio d’esultanza.
Damien non poteva essere più fiero d’essere un Tassorosso.
Cominciò con un sussulto. Un brusio di sottofondo che divenne mano a mano una torbida paura, un terrore gelido come il ghiaccio che incrostava la superficie di un vetro al passaggio di un Dissennatore. La musica cessò. I singhiozzi di Harry Potter furono i soli a riempire un silenzio che diventava attonito.
Qualcuno corse verso il giovane campione di Grifondoro.
Damien non riuscì a capire cosa stesse succedendo, ma il fiato nel suo petto sembrava glielo avessero portato via. I sussurri sibilavano come serpenti nella notte, di bocca in bocca, accompagnati da voci tremanti e tese.
«È stato ucciso un ragazzo.»
«Lì, guardate.»
«…Non è possibile.»
Quell’attesa incessante, stridente come una lama che lacerava l’anima, ebbe fine nel modo più atroce: l’urlo disperato di Amos Diggory raggiunse tutti i presenti senza esclusione, facendolo rabbrividire. Damien non riusciva a crederci, non poteva. No, non era vero.
Cedric era morto.
 
Non ricordava esattamente cosa successe in seguito. Forse era rimasto in piedi a osservare Amos Diggory disperarsi per un tempo indefinito. Ore, giorni, settimane.
Ricordava in modo nebuloso voci intrise di un’ansietà contagiosa, lacrime di disperazione. Era tornato alla sala comune. I suoi compagni di casata piangevano e si stringevano tra loro. Richie era sparito chissà dove e per i corridoi si respiravano piagnistei commossi e un’oscura diceria che aveva il sapore di una condanna.
Damien ricordava di aver corso senza meta, mentre incessanti voci sul ritorno del Signore oscuro si facevano più concrete e paralizzanti passo dopo passo. Ricordava che le gambe l’avevano mantenuto in piedi a stento, di essersi spinto fuori dalle mura del castello. Lungo il ponte di pietra.
Il panico e la paura avevano reso il suo affanno doloroso. Gli tremavano le mani e la vista si era offuscata. Si era visto costretto a reggersi al parapetto mentre guardava il fiume scorrere centinaia di metri sotto di lui, con le lacrime che cadevano dal suo viso. Forse aveva urlato, difficile esserne sicuri quando il panico bussa alla tua porta. Forse si era accasciato sotto il peso della sofferenza e della paura.
Ciò che ricordava con assoluta certezza era che, nell’attimo in cui aveva realizzato tutto questo, il terrore e il dolore si erano fusi in una cosa sola e gli avevano chiuso lo stomaco. Aveva vomitato, mentre stringeva nelle mano la sua bacchetta di cipresso.
La bile gli aveva rubato le forze, ma aveva chiaro e in mente l’attimo in cui l’odio e il terrore verso la magia erano diventati una cosa sola. Aveva osservato la sua bacchetta con un disgusto viscerale e l’aveva buttata via, con tutte le sue forze, mettendo nel braccio ogni briciolo d’odio e rabbia che stava provando.
Insieme a un grido straziato.
 
Richie aveva preferito parcheggiare la macchina in un posto sicuro, prima di tornare al castello. Damien l’aveva dedotto dal contesto. Aveva la testa altrove e quando il suo amico aveva deciso di spiegarsi si era limitato ad annuire soprappensiero.
Quella voce gli aveva permesso di fuggire da quelle strane ombre. Gli doveva la vita, il minimo che potesse fare per rigarla era fare qualcosa a proposito del ladro. Possibilmente che non comprendesse tornare indietro e mettere al setaccio la foresta in cerca di qualche squilibrato col mantello.
Aveva suggerito perciò di tornare indietro e spiegare la situazione al suo “capo villaggio”; quella parola aveva avuto l’effetto di zittirlo, almeno per un po’.
Non sapeva come funzionasse il manufatto magico appiccicato al suo braccio o quanto quella voce parlante fosse consapevole di ciò che lo circondava. Non appena l’imponenza di Hogwarts si stagliò all’orizzonte la udì chiaramente trasalire.
– Cos’è quella creatura? –
– Quella è Hogwarts. Una delle scuole di magia più rinomate del mondo magico. Hai mai visto un castello prima d’ora, no? –
– No. Cos’è una scuola? –
Una domanda che lasciò Damien basito. – Com’è possibile che tu non lo sappia? –
– Potrei chiederti perché indossi delle pellicce così strane e leggere, o cosa calzi ai piedi, ma voglio rammentarti che c’è un ladro da fermare! Dimmi qualcosa su quello strano gigante di roccia e se il ladro potrebbe utilizzarlo come suo famiglio. –
Damien radunò la calma e cercò di spiegargli che un castello non era una creatura, perlomeno per quel che ne sapeva, mentre attraversava il ponte di legno che dava sulla foresta. Poi percorse i corridoi pieni di studenti in marcia verso i dormitori, o la torre di astronomia.
«Dove stiamo andando?» chiese d’un tratto Luna.
«Non so voi, ma io filo in camera mia. Per oggi ho dato abbastanza con il rischio di andare incontro a una morte orrenda. Grazie e buonanotte.»
Damien fermò Richie afferrandolo per il mantello. «Non possiamo andarcene a dormire come se nulla fosse. Per di più siamo ancora in punizione. Dobbiamo dirlo alla Umbridge.»
Non c’era bisogno che Richie aprisse bocca per indovinare gli anatemi che frullavano in quella sua testa sormontata da una chioma biondo paglierino. Lo udirono sbuffare, ma annuì svogliatamente.
«Io non credo che dovremmo dirglielo» intervenne Luna. «La Umbridge non sta facendo gli interessi di Hogwarts in questo momento. Dovremmo parlarne agli insegnanti che ci hanno messo in castigo.»
Anche con i capelli in disordine e la divisa sporca di terra, Luna rimaneva una visione affascinante. Tuttavia l’imbarazzo non gli impedì di ragionare a mente lucida. «È un’insegnante, quali interessi dovrebbe sostenere? Non credo sia negli standard della scuola giocare con la vita dei propri studenti. Inoltre è l’Inquisitore, la figura più vicina al preside. Deve saperlo!»
Forse era stato troppo duro. Per un attimo aveva rivisto il corpo senza vita di Cedric e la rabbia aveva preso il sopravvento sulla ragione.
Lei gli si parò davanti, impedendogli di superarla. «Silente non è riuscito a convincerla sul ritorno di Tu-sai-chi. Secondo te crederà alla storia di tre studenti in punizione?»
– Tu-chi o cosa? –
Damien dovette respirare profondamente per calmarsi. Si voltò verso Richie in cerca di sostegno.
«Non guardare me, bello. Non mi cambia nulla andare da chi mi ha punito o chi ha trasformato la mia punizione in una passeggiata al gusto dark. Però la biondina del terzo tipo, qui, si è presa il punto: la racchia ti chiederà se hai bevuto succo di bolle corretto al rum, probabilmente con il tono di una maestrina d’asilo.»
Entrambi lo guardavano così intensamente che dovette cedere. «E va bene. Andiamo da Piton.» Moriva dalla voglia.
 
Siccome Richie non parlava mai al cospetto di Piton e Damien non si sentiva particolarmente loquace quella sera, fu Luna a dover spiegare la situazione al professore.
Nel suo lugubre studio, dietro una lugubre scrivania di legno consunto, in una lugubre stanza che aveva a malapena due o tre candele fluttuanti accese; fortuna che la strega di Corvonero dimostrava con i professori una parlantina tanto sciolta quanto strana e infantile diventava nelle situazioni normali. Sembrava non temere lo strapotere fatto di paura e graffiante sarcasmo che Piton riusciva ad evocare semplicemente muovendo le labbra perennemente imbronciate.
– Questo sarebbe il tuo capo villaggio? –
– Lui è uno dei suoi… consiglieri. Diciamo. –
Damien lasciò cadere la conversazione. Luna stava iniziando a parlare della grotta, e del fatto che lui l’aveva esplorata più a lungo. Ovviamente il professore di pozioni lo scrutò subito con attenzione. Come se volesse estrapolare la verità dai suoi occhi; o forse la sua anima, per poterla strappare in mille pezzi. Dovette deglutire e prepararsi a mente qualcosa di vagamente simile a un discorso sensato.
«Fatemi capire: voi tre avreste trovato una grotta nella Foresta proibita e una volta usciti sareste stati aggrediti da uomini che vestivano abiti neri.» Piton congiunse le mani sopra il tavolo. «Uomini che voi non avevate mai visto prima.»
«Esatto.» Luna annuì un paio di volte.
Chiudendo le palpebre, Piton rimase in silenzio per qualche secondo. «Sarete a conoscenza, mi auguro, che la scuola è protetta da incantesimi che impediscono l’accesso a visitatori ostili. Le protezioni che la circondano sono numerose e antiche, e di nuove sono state tracciate dal preside in persona. Si deve anche a queste difese il pregio, che ha questa scuola, di essere un baluardo per la conoscenza e la sicurezza dei propri iscritti, perfino in tempi difficili. E voi tre avete la pretesa di affermare che qualche buono a nulla è riuscito ad oltrepassarle senza essere notato, per attaccare tre studenti che convenientemente stavano scontando un castigo fuori dalle mura.»
Umbridge un paio di troll. Certe volte non capiva perché si ostinasse a seguire i consigli di Richie. Per fortuna con sé aveva una prova inconfutabile della verità.
Fece per scoprirsi la manica del braccio destro. Le dita artigliarono il tessuto per portarsela su e fu in quel preciso momento che il suo corpo si bloccò diventando immobile. Riusciva ancora a respirare, a provare emozioni ed avere coscienza di ciò che lo circondava, ma aprire la bocca o muoversi divenne all’improvviso impossibile.
– Mi spiace. Non posso lasciartelo fare. –
Se avesse avuto il controllo completo sul suo corpo, Damien era certo che sarebbe andato in iperventilazione. – Cosa vuol dire? –
– La magia che ha fuso la mia anima a questo bracciale non dovrà mai essere studiata o tramandata. Dovrà morire con noi. –
– Noi? –
Glyn non rispose. Tutto ciò che lo circondava divenne improvvisamente buio e Damien scivolò in un sonno senza sogni.
 
Riprese conoscenza boccheggiando ferocemente.
Tirandosi a sedere, le coperte scivolarono lungo il suo corpo sudato. Mentre ansimava per la paura, scosso dai brividi, comprese pian piano di trovarsi nella sua stanza. Gli altri con i quali la divideva dormivano profondamente; Richie sembrava una mummia, così rigido e con le braccia incrociate al petto. Damien si passò una mano sulla fronte sudaticcia, domandandosi se ciò che aveva vissuto non fosse altro che un brutto incubo.
– Non lo è. –
Alzò la testa. Nel buio che dominava la stanza, una figura era sorprendentemente chiara sedeva sul bordo del suo letto. Era un uomo giovane e atletico, forse sulla trentina. Vestiva come un babbano, sportivo e con un giaccone di pelle foderato di pelliccia. I suoi capelli erano lunghi, sporchi, raccolti in tante trecce a loro volta legate in una tronfia coda dietro la nuca. I suoi lineamenti avevano una fisionomia affilata, aggressiva come quella di un lupo, e gli occhi chiarissimi scintillavano di una strana luce gialla. Un po’ di cura e qualcuno l’avrebbe scambiato per un modello svedese di una pubblicità per profumi.
– Glyn? – azzardò. Lui annuì. – Che cosa mi hai fatto? –
– Credo sia il momento di spiegare. Vedi, le nostre anime sono entrate in contatto. Se tu possedessi una forte volontà, forse riusciresti ad allontanarmi e fermare il rituale che mi riporterà in vita a tuo scapito. Da quello che ho potuto constatare, non la possiedi. Per questo motivo talvolta mi sentirai sparire. Già in questo stato potrei influenzare la tua mente fino a renderti un’insignificante passeggero dentro il tuo stesso corpo. Se non lo faccio, è perché non ne ho intenzione. Men che meno di tornare in vita. L’altro, tuttavia, avrà già assunto il controllo del suo ospite. –
Damien si sentì soffocare. «È mostruoso.»
– Perché altrimenti saremmo stati sigillati nelle profondità della terra? Nessuno avrebbe dovuto disseppellirci. La nostra esistenza doveva restare inosservata fino alla fine dei tempi. Invece il vostro clan si è stabilito nei pressi della nostra tomba. E quel che peggio, l’altro possiede ancora dei seguaci. –
Non riusciva a smettere di tremare. – E adesso cosa vuoi fare? Usarmi come un cane da riporto per andare a caccia di Invasati? –
Glyn rimase in silenzio per un momento, torturandosi le dita. – No. Quel consigliere non è un uomo da sottovalutare. Il vostro racconto è riuscito a instillargli un dubbio e dubito che il ladro si lascerà scovare tanto facilmente. È ferito, aspetterà. Lo faremo anche noi. Il tuo clan comprenderà presto l’entità della piaga che è stata liberata. –
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma le parole divennero un disperato lamento sfiatato.
– C’è un motivo se voglio restare nell’ombra. La magia che ci lega è pura oscurità. Chi possiede l’altro bracciale in questo momento è sotto il giogo di un potente mago oscuro. –
Bastò quella parola per fargli ricordare di Cedric, di Tu-sai-chi, di quella notte.
Il panico produsse qualcosa di terrificante: un ricordo, qualcosa che non gli apparteneva.
 
Sembrava un campo di battaglia. Le fiamme e il fumo s’innalzavano feroci e attorno a lui si stendeva un mare di corpi agonizzanti. Figure sinistre, ammantante di nero, libravano intorno ai sopravvissuti di quella piana. Il cielo era rosso come il sangue, eppure nei loro pressi tutto sembrava diventare grigio e freddo. Damien sapeva benissimo cosa fossero quelle creature, il secondo anno ne aveva incrociata una fin troppo da vicino: Dissennatori.
C’era un uomo, in mezzo a tutto questo. Stringeva la bacchetta blu a spirale nella mano destra con una forza tale che le dita tremavano. Urlò qualcosa. Qualcosa che fece girare un altro uomo verso di lui. E quell’uomo stava stringendo con eleganza una bacchetta in tutto e per tutto gemella, nera, in deferenza con entrambe le mani. Sembrava triste. Forse stava piangendo; Damien non riuscì a comprenderlo, tutto si stava sfocando.
I due parlarono di qualcosa, ma le loro voci erano soffocate e lontane.
Poi rivolsero le bacchette l’una contro l’altra e si diedero battaglia.
 
Il terrore e il disgusto che gli provocò quella scena per poco non gli fecero perdere i sensi. Nella sua testa tornarono a soffiare un’infinità di voci che parlavano della morte di Cedric e il ritorno di Lord Voldemort, di urla, di pianti. Era tutto nella sua testa! Dovette stringersela con entrambe le mani fino a piantarci le unghie.  
– Che ti prende? –
Il panico risvegliò l’odio e la rabbia che ruggivano dentro di lui. Quasi non riconobbe la sua stessa voce, quando a denti stretti sibilò: «Vattene.» Avrebbe voluto che quell’affare smettesse di restargli appiccicato. Gettarlo lì, in mezzo alla stanza, e scappare il più lontano possibile.
– Ho già spiegato che non posso farlo. Sii uomo e vedi di darmi una mano. –
«Ti ho detto andartene!!»
Il baccano provocato dalla sua voce scatenò qualcosa. Quella pallina da baseball non la vide arrivare e lo colpì dritto in faccia, spedendolo contro il cuscino e a vedere le stelle.
«Avevi un incubo» mormorò la voce assonnata di Richie.
No, il vero incubo era appena diventata la sua vita. «Grazie, amico...»
«Figurati.»
 
~
 
Damien si rialzò lentamente dal pavimento ancora umidiccio dei bagni. Tiger e Goyle si erano divertiti a ficcargli la testa nel gabinetto e lui non si era nemmeno dibattuto.
Perché avrebbe dovuto? Tutto aveva cessato di avere un senso da ben prima che quel bracciale maledetto gli s’incollasse addosso. Si trascinava per i corridoi senza uno scopo. I suoi voti erano crollati, persino un’insegnate paziente come la McGranitt aveva rinunciato. Per educazione si presentava ancora in orario, ma era evidente che Hogwarts non era più il suo posto. Paradossalmente, la sua avversione verso la magia e le conseguente feeling verso un insegnamento di sola teoria gli aveva fatto guadagnare le simpatie della Umbridge. Forse quella donna aveva davvero qualcosa che non andava col cervello. In lui vedeva uno studente modello e più d’una volta gli aveva fatto dono dei punti che il resto del corpo insegnanti gli toglieva per punire la sua negligenza. C’erano veramente poche cose che riuscissero ancora a tenerlo in qualche modo vivo. Per il resto, cercava dove possibile di non dare nell’occhio.
Giorno dopo giorno si recava in biblioteca ogni volta che poteva, per cercare qualcosa che potesse aiutarlo a liberarsi di Glyn e di tutti i problemi che si portava dietro. La sua voce era sparita in quei giorni e non sapeva se fosse per merito proprio o del supposto allontanamento di cui gli aveva parlato. Ma la sua influenza c’era ancora. Damien la sentiva scuotersi ogni qual volta si trovava di fronte a un’insegnante e cercava, invano, di mostrare il bracciale. Non si era mai sentito più impotente e in trappola nella sua vita. Ormai passava i giorni ad appuntare formule sempre più estreme sul suo diario personale e a maledire quell’ingenua visita nel fondo della grotta.
Dopo essersi dato una ripulita e lasciato che la divisa asciugasse, si diresse ancora una volta in biblioteca e cercò di reperire quanti più libri possibile riguardanti ricerche sui legami tra i vivi e morti, e la morte in generale.
Ultimamente nessuno restava al suo fianco mentre approfondiva quelle ricerche. Tra gli studenti che dovevano prepararsi ai G.U.F.O. e quelli che si riunivano per fare i compiti assieme, amici e conoscenti erano occupati con le loro cose; e di certo non doveva far piacere dividere la postazione con qualcuno che improvvisamente divorava volumi e volumi di rituali post-morte e robe simili.
Rimase perciò di stucco, tanto da dimenticare come si chiudeva la bocca, quando un libro cadde all’improvviso davanti a lui. Luna gli si era appena seduta di fronte.
«Incanto Patronus.»
Passò almeno un minuto di assoluto silenzio prima che riuscisse a connettere il cervello. «Cosa?»
«Credo sia la magia che hai compiuto l’altra sera» disse, assolutamente indifferente, o ignara, dei risolini degli studenti alle sue spalle.
Damien accettò il libro che gli porgeva e lesse velocemente il contenuto. «Qui non accenna a nessuna danza. Le parole sono in latino.»
Luna lo studiò per un momento senza dire una parola. Poteva essere morta, per quel che ne sapeva. «Leggi più sotto. Si narra che l’Incanto Patronus sia nato molto prima della fondazione della scuola. Utilizzato dagli antichi druidi celtici per scacciare i Dissennatori.»
Difficile tenere il filo del discorso quando l’interlocutore utilizzava uno strano fiocco violaceo, storto, per legare i capelli in una lunghissima treccia, ma fece un tentativo. «Io però non ho antenati druidi. Almeno credo. Insomma, i miei genitori non sono nemmeno maghi. E poi non ricordo esattamente cos’è successo.»
«E, dimmi, sbatti spesso la testa?» Incredibile che la sua espressione non accennasse a fare una piega nemmeno quando interrogava qualcuno.
«Beh, il più delle volte me la infilano dentro il gabinetto.»
«Bizzarro.» Fu il commento assolutamente neutro di Luna. «Mio padre potrebbe essere interessato a scriverci un articolo sul Cavillo.»
Alla fine aveva scoperto cos’era successo tramite voci di corridoio. Luna e la Umbridge erano entrate in conflitto per questioni legate alla rivista del padre. Anche a lei in origine era stata destinata la “penna d’oca della discordia”, ma il professor Vitious era riuscito a intercedere cambiando la punizione.
Passarono altri minuti di puro silenzio, mentre si chiedeva cosa accidenti potesse esserci di spaventoso in una penna d’oca. Luna sembrava smarrita nei propri pensieri. Eppure, non lo trovò pesante. A Damien piaceva la quiete e raramente la importunava se non aveva qualcosa da dire.
«Il tuo amico?» Luna diede nuovi segni di vita.
«Richie? L’ultima volta che l’ho visto è stato due giorni fa, a colazione. All’improvviso si è alzato da tavola ed è corso via. Come ho detto ad Hannah, tornerà quando avrà finito quello che deve fare.» Damien non poté trattenere un sorriso. «Penserai che è strano.»
«Un po’.»
«Non sarò io a negarlo. Richie è un tipo che quando si mette in testa una cosa ci si butta a capofitto. Si lascia assorbire e non da peso al resto. È un po’ eccessivo, ma lo ammiro molto.» E ammirava lei, ma questo non lo disse.
Luna non parlò più. Fece saltare fuori da una borsa di paglia e iuta un libro, che aprì immediatamente, una pergamena ingiallita, e poi inchiostro e penna d’oca. Iniziò a fare i compiti come se nulla fosse successo. In qualche modo, Damien ebbe la sensazione di aver azzeccato qualcosa.
Anche se non riusciva a capire cosa.
 
«Ehi, Luna» disse, ore più tardi, mentre uscivano dalla biblioteca. «Per caso hai novità sulla foresta? Insomma, se alla fine hanno dato un’occhiata.»
«Penso che gli insegnanti vogliano agire con discrezione. Tu l’hai detto alla Umbridge?»
«No. Sono un po’ distratto, ultimamente.»
Lei impiegò cinque secondi per sbattere le ciglia. Frugò nella sua borsa fino a trovare quella che aveva tutta l’aria di essere una barretta e gliela porse. «Cioccolato. Il professor Lupin diceva che aiuta a riprendersi.» Silenzio. «Chissà se è vero.»
Era oggettivamente sformato e molle, ma a Damien non poteva importare un accidenti. Rimase impalato a guardarla imboccare il corridoio, tenendo stretta quella barretta come se ne valesse la vita.
«Ma guarda un po’.» Una risata sprezzante. «Kiran, non vorrai dirmi che ti piace quella svitata di Lovegood? Si vede lontano un miglio che non ha cervello. Altrimenti a uno sfigato come te non rivolgerebbe neppure la parola.» Come sempre, Tiger e Goyle risero della battuta di Malfoy come due troll particolarmente tonti.
Damien si voltò accigliato. «È possibile che tu debba essere sempre così stronzo?»
Il serpeverde si accigliò. «Cos’è uno stronzo?»
«Il modo babbano per indicare quello che ti esce quando siedi per ore nel gabinetto dorato di Villa Malfoy.»
Non aspettò che lui recepisse per darsela a gambe. A differenza dei due gorilla che lo accompagnavano, Malfoy era intelligente. Iniziò a inseguirlo, gridando qualcosa a proposito del padre ricco e di un incontro ravvicinato tra la sua testa e il gabinetto del terzo piano.
– Guarda un po’. Allora ce l’hai il fegato. –
– Sta’ zitto! –
Non aveva tempo per Glyn. Aveva sentito Draco ordinare a qualcuno di afferrarlo e per evitare il plotone di serpeverde che gli stava venendo addosso deviò verso il muretto che dava su un giardino interno. Damien non lo scavalcò: lo superò agilmente issandosi sulla ringhiera con le braccia e cominciò a correre sul prato, saltando sulle panchine di pietra per scansare studenti e ostacoli. Uscendo dall’altra parte del giardino, per cambiare direzione andò a sbattere contro la parete del corridoio e continuò a correre mentre Malfoy strepitava altri ordini.
Svoltò per le scale. C’era troppa gente per i suoi gusti. Saltò sul corrimano e si lasciò scivolare. Poi ci rimase ancorato e si gettò nel vuoto. Afferrò quello del piano sottostante e con un colpo di reni lo scavalcò, guadagnandosi i sinceri complimenti di Glyn.
Udì la voce di Malfoy ordinare a qualcuno di acciuffarlo, perciò continuò a scendere di corsa un’altra rampa, tallonato da almeno un paio di maghi. Il rumore fragoroso che preannunciava un cambiamento fu seguito da uno scossone. La scala iniziò a muoversi di novanta gradi mentre Damien si trovava al suo esatto centro. Gli inseguitori erano vicini. Non ebbe altra scelta se non saltare sul corrimano e mettere forza sulle gambe per spiccare un balzo. Atterrò con una fluida capriola su un pianerottolo rimasto orfano del piano inferiore e continuò a scappare; prima, si tolse lo sfizio di guardare quei due tonti vestiti di nero-verde e fargli un saluto con due dita.
Per depistarli, scelse di risalire il castello passando per un’altra ala. Fino al settimo piano. Aveva bisogno di un posto dove nascondersi, e in fretta, prima che qualcuno lo incrociasse per caso mandando in fumo i suoi sforzi.
«Psst! Psst…»
Vide una creatura minuscola affacciarsi da un portone di quercia massiccio: un portone che sembrò formarsi mentre quella creatura con le orecchie a punta gli faceva segno di avvicinarsi. Gli elfi domestici erano particolarmente vicini alla sua casata, sgattaiolò dentro senza pensarci due volte.
Era un posto spoglio, completamente. Un quadrato di spazio illuminato dalla luce che proveniva da una finestra e occupato soltanto da un letto simile a un futon, ora sfatto e sporco di qualcosa che odorava di alcol.
«È una stanza speciale. Appare solo a chi ne ha davvero bisogno. Il signore deve stare tranquillo, chi lo insegue non riuscirà a trovarlo qui» disse la vocina della creatura dalle orecchie appuntite.
Era piccola e deperita, con una veste di stoffa consunta e sporca di moccio. Ai piedi portava un calzino e, se ricordava qualcosa delle sue lezioni di Storia della magia, ciò lo identificava come un elfo libero.
«G-Grazie» sussurrò Damien, chino a riprendere fiato.
«Dobby ha sentito cosa il signore tassorosso ha detto a padron… A Draco. Dobby voleva aiutare.» L’elfo si torturò le dita piccole e nodose. «Il signore può informare Dobby se il suo aiuto è stato buono?»
«Sì» rispose ansante. «Sei stato gentilissimo. Grazie, Dobby. Io mi chiamo Damien.»
«Molto piacere, signor Damien.»
«Solo Damien. E ti devo un favore.»
– Gli elfi sono creduloni. Se loro prometti qualcosa devi mantenere la parola, o ti faranno a pezzi. Anche se questo elfo è strano. Dev’essere un esiliato. –
Dobby sgranò i suoi grandi occhi a palla. «Oh, no, no, no. Dobby è solo felice di aver aiutato. Dobby vuole imparare come aiutare meglio. L’ultima volta che Dobby ha cercato di aiutare, ha quasi ucciso Harry Potter.»
«Così va benissimo! D-Davvero. È perfetto!» gli rispose, con voce tremula.
Per fortuna Dobby non parve notarlo. Anzi, annuì solenne. «Allora, Dobby farà così. Dobby vuole ringraziare Damien e ricordargli che può venire in questa stanza quando vuole. Basta passare tre volte e pensare a cosa hai bisogno. Ora Dobby deve andare a cercare la sua amica Winky. È stato un piacere.»
Quando uscì dalla porta che si era appena formata, Damien si sentì libero di accasciarsi sul muro e scivolare giù. Tirò un sospiro di sollievo.
La borsa si allentò e vuotò a terra il suo contenuto. Tra gli effetti c’era ancora il libro che gli aveva prestato Luna. Aveva giurato di sfoderare la bacchetta solo se fosse stato assolutamente necessario, ma c’era anche un’altra cosa, da quella notte, che proprio non riusciva a togliersi dalla testa: la sensazione di calore e pace che aveva provato evocando quella magia. Erano mesi, da quando Cedric era scomparso, che si sentiva un vuoto crescere dentro di sé e quell’incanto, per un momento, lo aveva arrestato riempiendolo di una luce sottile: era tornato a quel maledetto giorno, ad esultare mentre lo vedeva imboccare il Labirinto. L’ultima volta che aveva visto il suo amico ancora vivo.
Damien prese in mano il suo diario e iniziò ad appuntare le informazioni contenute nel libro.
 
Quando poteva, sgattaiolava nella stanza segreta e cercava di perfezionarsi.
Mormorò le parole che erano uscite dalla sua bocca quella notte. Improvvisò persino la danza. Dalla bacchetta non usciva altro che un flebile vapore pallido.
Damien strinse i denti. Aveva provato e riprovato. Per ore, per giorni. L’incantesimo non voleva saperne di funzionare. Aveva ripassato e controllato di aver trascritto bene le istruzioni centinaia di volte. Niente. Non ci riusciva.
– Non funziona così – disse Glyn.
«Non rompere. Il libro dice che può essere normale faticare, le prime volte.»
– Ho solo una vaga idea su cosa sia quella cosa che chiami libro, ma so cosa ti manca. Le nostre anime s’incrociano dove risiede l’istinto. Tutto ciò che compi impulsivamente, io posso assimilarlo. La tua lingua madre, le formule magiche in cui ti sei imbattuto almeno una volta nella vita. Tramite il bracciale posso replicare tutto. Ma se vuoi imparare quell’incanto per conto tuo, dovresti quantomeno conoscere la formula del tuo tempo. E concentrarti su un ricordo felice. Il più potente che hai. –
Effettivamente il libro del Ministero si limitava a un generico “aggrapparsi alla propria felicità con un bel sorriso”. – Già. Gran bella fregatura, professoressa Umbridge. –
Andò a sedersi in un angolo, sconfortato.
– Possiamo parlare un attimo? O farai un’altra scenata? –
Damien rovesciò la testa lungo il muro. – Perché non puoi semplicemente lasciarmi in pace? –
Dopo ore di incessanti pressioni, gli riferì a grandi linee come si era evoluto il mondo magico rispetto ai suoi tempi. Il Ministero, le scuole, il concetto stesso di società magica per come Damien lo considerava.
Lui sembrò sorpreso. – Ora capisco perché voi giovani sembrate tutti così deboli. Nella mia epoca un mago doveva eccellere sia nella magia che nel corpo, se voleva sopravvivere. Tu non sei robusto, ma sei agile. Questo te lo concedo. –
– I miei “amici” babbani mi paragonano spesso a una scimmia, ma lo prenderò come un complimento – gli rispose; poi dovette spiegargli cos’era una scimmia.
– Ascoltami, Damien. Non ho riserve sui nati babbani, e sono sempre stato dell’opinione che gli dei non fanno incrociare i cammini di due guerrieri per caso. Comprendo le tue angosce, ma la paura non proteggerà te o il tuo clan se lasciassimo il ladro libero di agire indisturbato. Tu mi sei apparso in quella grotta e dovrai aiutarmi. Se non per onore, detta le tue condizioni. –
«E io te lo sto ripetendo da ore: sono un ragazzo, e neanche così dotato nel duello. Se vuoi che qualcuno ti aiuti, dovresti chiederlo al professor Silente.»
– Possiamo stare qui a discutere per un intero ciclo lunare. Se temi per la tua incolumità, non devi temere. Finché indosserai il bracciale, ci penserò io a proteggerti. –
Damien chiuse gli occhi, rivedendo ancora una volta il corpo spento di Cedric che aleggiava nei suoi incubi. – La magia non protegge. È solo un’arma, come una pistola o una daga. –
– Anche questo Patronus, di cui ha parlato la ragazza? –
Damien preferì non rispondere.
– Mi pare di capire che vorresti apprenderlo. Io posso insegnartelo, ma dovrai stringere un patto con me. A quanto pare mi sbagliavo: sei in grado di resistere. Ma non mi sono ancora impegnato come potrei. Cosa rispondi? –
«Cosa dovrei rispondere? Sei un infame bastardo.»
– Non saresti il primo a parlami in questo modo. – Curiosamente, Glyn parve divertito. – Allora, abbiamo un patto? –
«Bel patto: muori o muori in modo diverso.»
– La vita non è per i pavidi. –
E con queste premesse, preferì afferrare la mano sinistra con l’altra per placarne il motivatissimo tremore. Damien si maledisse mille volte e mille ancora. L’unico pensiero che lo confortava era che, quantomeno, era riuscito a salvare Richie e Luna da una potenziale morte prematura.
Si chiese se anche Cedric avesse pensato questo, mentre gettava il suo nome tra le fauci azzurre e fiammeggianti del Calice di fuoco. Lui però aveva scelta; un lusso che Damien, invece, temeva che non avrebbe potuto permettersi.
«D’accordo.» Si arrese, chinando la testa. Sentiva già gli occhi pizzicare e il naso sfrigolare di moccio. «Però dovrai insegnarmi quella magia.»
– Un patto è un patto, Damien Kiran. –
Immediatamente, subì un nuovo blackout.
 
Era notte. Si ritrovò nella Foresta proibita.
– Ti ho osservato in questi giorni, ragazzo. Temi la magia, nonostante tu sia un mago, e questo lo rispetto. Anche il nemico più infimo, se preso con leggerezza, può rivelarsi letale. Attento, però, a non dare troppa corda alla paura. Ti distruggerà. Per questo siamo qui. – Davanti, si stagliava l’enormità della montagna. – Hai eretto un muro invalicabile tra te e il mondo magico che ti circonda. Vuoi imparare il Patronus? Inizia scavalcandolo. –
Damien guardò attentamente. Rimase in silenzio e annuì deciso.
Prima di fare dietrofront. «Tu sei scemo.»
Il bracciale lo tirò subito indietro. – Sii uomo e scala questa montagna! –
«Senza strumenti? Senza motivo, se non per sport. Faccio prima a prendere una pietra e darmela in testa finché non mi fratturo il cranio!»
– Abbiamo un patto. – Si ostinò lui, intransigente.
«Sì, ma se da morti ci si potesse muovere nel mondo dei vivi, tu non avresti bisogno di me.» Il bracciale lo stava facendo barcollare a furia di fare pressione per smuoverlo. «Non voglio salire su quella diamine di…»
Aveva protestato, animatamente, per ore intere. Alla fine, Damien aveva dovuto cedere e tentare l’impossibile.
Per tre notti aveva tentato, e fallito. Ogni giorno si svegliava con le occhiaie per il sonno arretrato, le vesciche scoppiate alle mani e i piedi, e tanti di quei lividi che il suo carnato da roseo era diventato zebroso. Sembrava uno zombie che si trascinava per i corridoi della scuola ed era troppo dolorante per sfuggire alla vendetta di Draco Malfoy e dei suoi scagnozzi; per fortuna, qualche serpeverde aveva avuto pietà di lui e aveva iniziato ad avvertirlo sulle “ronde” di quei tre figli di papà.
Ogni pomeriggio, Glyn lo trascinava in quella stanza strana e lo costringeva a potenziare il corpo con dei percorsi a ostacoli molto simili ad arrampicate pregne di trappole mortali. Poi lo aiutava a cercare la formula dell’incantesimo fino al calar del sole, e dopo cena dritti nella Foresta proibita per tentare l’impossibile.  
Alla quarta notte di seguito passata praticamente insonne, sentiva le mani e i piedi più dolenti che mai per le vesciche. Strinse i denti e continuò a salire sfidando ostacoli naturali e un vento impetuoso che rischiava di farlo cadere ad ogni raffica potente. Attraversò sentieri naturali, si arrampicò su pareti di roccia polverose; se perdeva la presa, la bacchetta blu aveva subito pronto un incantesimo da fargli evocare per sorreggerlo. Carpe Retractum, si chiamava, sebbene in quei frangenti avesse dimenticato dove l’avesse sentito per la prima volta.
Perse il suo diario durante la scalata di quella notte. Era scivolato via dal mantello e l’aveva visto cadere giù fino a diventare un puntino minuscolo. Fortuna che non soffriva di vertigini, perché non era mai arrivato così in alto. Preferì comunque chiudere gli occhi. Si diede del pazzo, ma continuò a salire su incito di Glyn: la sua voce riusciva a trasformare la fatica in determinazione e il dolore in nuova forza. Ripensò a Cedric. Ai serpeverde e i babbani che si erano sempre accaniti su di lui. I loro risolini di scherno, i fallimenti. Tutti i ricordi che si mischiavano al sale delle lacrime di dolore, ma continuò a salire.
Era quasi l’alba quando raggiunse la cima. Il sole, a contatto con le nuvole, iniziava a risplendere e disegnava nel cielo immenso tinte d’azzurro, arancio e chiazze violacee. Il paesaggio che si stagliava davanti ai suoi occhi, mentre riprendeva fiato, era immenso e di una bellezza incomparabile. Lo ammirò a trecentosessanta gradi. Aveva il sapore della conquista.
Non riuscì a trattenere l’impulso euforico di urlare a pieni polmoni, dando pieno sfogo a tutte le emozioni che provava!
– Così! Questo è lo spirito! Quale che sia l’epoca, c’è qualcosa che ogni generazione deve sempre tenere a mente: la maggior parte delle cose importanti nel mondo sono state compiute da persone che hanno continuato a provare quando sembrava che non ci fosse alcuna speranza. È giusto aggrapparsi alla vita, come anche affrontarla con sfiducia. Ma essa non offre solo ombra. C’è anche luce, e calore. Il mondo che ci circonda ha molto da offrire per coloro che scelgono di non arrendersi. –
Effettivamente, sentiva fin dentro le ossa che tutta quella fatica era stata ripagata.
– Vale per il cielo, i suoni, gli odori, i sapori. I nostri sentimenti. La vita, come gli dei della natura, vive di contrasti. Anche la magia. –
Damien non riusciva a non rabbrividire, sentendola nominare. «Cosa vuoi dire?»
– La magia non è solo un’arma. Sei vivo perché afferri l’aria che respiri. Sai provare emozioni perché hai un cuore che ti pulsa nel petto. Sei un mago perché la natura ti ha scelto. Un mago che sceglie di vivere ignorando la magia è come un uomo che pretende di vivere senza respirare, o provare amore: non è naturale. Hai imparato ad apprezzare ciò che ti circonda. Impara ad apprezzare anche la magia. Lascia che lei ti afferri quando cadi. –
«Io… Non saprei.»
– Hai infagottato il tuo mantello come ti ho chiesto, vero? – Damien annuì con riluttanza. – Bene. Girati un momento, se non ti dispiace. –
Lo fece con cautela, dando le spalle al dirupo.
Si diede subito dell’imbecille. La fatica e l’adrenalina l’avevano rimbambito per un momento di troppo. Non fece in tempo a tramutare i suoi sospetti in parole che la bacchetta blu effettuò un incantesimo che lo spinse oltre il precipizio e poi si ritirò dentro la manica!
– Afferra il tuo mantello e la tua bacchetta, Damien! –
Il suo urlo di puro terrore fu assorbito dal forte vento che gli sferzava contro il viso! La sensazione di trovarsi sospeso, mentre in basso si stagliava sempre più vicina e opprimente l’immensità del Lago nero, lo lasciò paralizzato e tramortito. Damien passò preziosi secondi ad agitarsi e gridare.
– La tua bacchetta – ripeté Glyn, paziente.
Stavolta la sfoderò goffamente e la strinse nella mano sinistra. «C-Carpe Retractum. I-I-I-Incendium
Una mano invisibile lo tenne ancorato al mantello, ora infagottato a mo’ di paracadute. Dovette evocare in fretta e senza mai fermarsi delle piccole sfere di fuoco, che lo fecero ascendere quel tanto da trasformare la caduta in una discesa controllata. Damien continuò a incendiare l’aria mentre piangeva e moriva di paura, attraversato da una serie infinita di emozioni che si mischiava anche ad un’insana, folle euforia. Il cuore batteva così forte da temere che stesse per esplodergli nel petto!
 
Aveva ancora il fiatone, ma neanche un filo di voce o forza nelle braccia, quando il suo corpo si rifiutò di muoversi e precipitò per gli ultimi due metri che lo separavano da terra. Franò, per citare Richie, come una pera cotta. Per un attimo temette di essere esploso. Solo girandosi sulla schiena comprese che l’umido che sentiva addosso era il suo sudore e non la poltiglia del suo corpo.
Per tutto il tempo che gli servì a riprendersi da un potenziale infarto, Glyn sghignazzò allegro e fiero. – Liberatorio, vero? –
«Ti odio. Se non fossi già morto, ti avrei ucciso», riprese fiato avidamente, «con le mie stesse mani.»
Continuò a ripetersi e lui ad ignorarlo raccontando delle sue passate peregrinazioni in tutta la sua terra natia. La testa di Damien era piena di un ciarlare infinito che gli diede il mal di testa. Aveva male dappertutto, la nausea, era sudato, sporco, con le orecchie che fischiavano. E quel giorno la Mcgranitt avrebbe fatto anche una verifica di Trasfigurazione. Se un buon giorno si vedeva dal mattino, quello che stava iniziando, per lui, si era già sfracellato a terra.
 
La bacchetta gli era scivolata di mano durante gli ultimi istanti di caduta. Damien la trovò ai margini del lago, chiara come l’alba che si rifletteva sulla superficie di cipresso. Mentre la raccoglieva, fu attraversato dal ricordo di chi gliel’aveva resa.
 
Quanti studenti potevano vantarsi di aver ricevuto il preside nella propria stanza?
Aveva sentito la porta aprirsi all’improvviso e la veste lunga del preside scivolare sulla moquette appena ripulita. Emanava un’aura di autorità e dolcezza, eppure Damien si era alzato in piedi spaventato. Sua madre sorrideva emozionata alle spalle di Silente, senza sapere cosa dire. Quando lui aveva chiesto un momento in privato, i suoi genitori si erano messi a disposizione.
«Ho visitato spesso Londra. Una città magnifica, e le persone che la abitano sono cordiali.» Aveva sorriso. Più di tutto, l’aveva catturato con il suo sguardo profondo e azzurro. «Posso sedermi?» Damien si era affrettato ad annuire e guardarlo sistemarsi sul bordo del suo letto con leggerezza. «Mi rincresce per questa visita improvvisa, ma i miei affari al Ministero avranno luogo solo tra qualche ora e, come si dice, ho colto l’occasione al balzo.»
Damien aveva chinato la testa. «È per Tu-sai-chi? Volete chiudere la scuola?»
«Sì. E no» gli aveva risposto. «Qualcosa era ansioso di tornare da te.» Tra le mani di Silente era apparsa la sua bacchetta di cipresso. «È un materiale assai frainteso, sapevi? Spesso associato alla morte, e ciò impedisce alle persone di guardare oltre l’apparenza.»
«Cosa vedrebbero?»
Silente continuava ad esaminarla attraverso i suoi occhiali a mezzaluna. «La lealtà. Sono bacchette che si legano solo ad un mago dal cuore nobile. Sono capaci di scrutare un’anima nel profondo, certamente più di quanto i nostri occhi lascino trasparire.»
«È vero, signore? Quello che si dice su Tu-sai-chi?»
Silente aveva sorriso e gli aveva consegnato la bacchetta con entrambe le mani. Damien aveva esitato. Era stato percorso da un brivido di paura solo afferrandola. Infine, aveva stretto la presa. «Possibile. Eppure c’è chi giura il contrario. Tu cosa pensi?»
«Con tutto il rispetto, professore. Non credo abbia importanza cosa penso io.»
Se possibile, l’espressione di Silente era diventata più dolce. «Mio caro ragazzo: è tutto ciò che conta.» Dopo essersi alzato e aver aperto la porta, il preside aveva afferrato i bordi dell’uscio e si era voltato. «Hogwarts avrà sempre un posto per coloro che desiderano imparare, ma ciò di cui un mago avrà sempre bisogno non risiede nella conoscenza. Quella bacchetta è legata a te, quale che sia il cammino che sceglierai di percorrere. Te ne raccomando: tienila sempre al tuo fianco.»
 
Ancora oggi non riusciva a capire le parole del preside, ma non aveva più abbandonato la sua bacchetta. Per quanta repulsione provasse stringendola tra le dita. Damien la ripose nella tasca e si girò, pronto per tornare al castello.
Solo per trovarsi davanti il professor Piton, intento a sfogliare le pagine del suo diario.

 
 

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Capitolo 3
*** Notte movimentata a Notturne Alley ***


NOTTE MOVIMENTATA A NOTTURNE ALLEY
 
 
Severus Piton lo condusse nell’aula di pozioni.
Aveva scansato per quanto gli era possibile gli sguardi dei curiosi, ma sapeva che presto o tardi Dolores Umbridge ne sarebbe venuta a conoscenza: era un fatto assai insolito che un professore conducesse uno studente, per altro non appartenente alla sua casa, nel suo studio a quell’ora del mattino.
Quando si chiuse le porte alle loro spalle, intimò al giovane Kiran di sedersi e sfoderando la bacchetta sbarrò tutte le inferiate con un certo nervosismo. Il ragazzo provò ad aprire bocca, gli ordinò di tacere alzando un dito. E nella semi-oscurità, raccolse il mantello nero dietro la schiena e si sedette dirimpetto al ragazzo, separati da una vecchia scrivania ricca di pergamene e libri consunti.
«Credevo fosse chiaro, signor Kiran, che è severamente proibito per uno studente avventurarsi nella Foresta proibita durante la notte, senza autorizzazione.»
Il ragazzo s’ingobbì. I suoi occhi scuri fissavano intensamente la scrivania, in particolare il diario. Un ragazzo magro, con i capelli castani tagliati corti e un viso facilmente preda del rossore. «Sì, signore.»
Piton lo esaminò con un’espressione contesa tra rabbia e freddezza. «E quale scusa vorresti produrre per giustificare, oltre a questo, le tue corse sfrenate per i corridoi e svariati tentativi di mettere a rischio la propria incolumità che oserei definire suicida?»
«Nessuna, signore.»
Batté le mani sul tavolo e si alzò, facendolo sussultare. «Un agire tanto sconsiderato me lo sarei aspettato da Potter e i suoi amici. Voi studenti state diventando una combriccola incontrollabile di scapestrati.» Kiran rimase in silenzio, aizzando la sua ira. «Spiegami cos’è questo diario.»
«È i-il mio diario, signore.»
«Davvero?» Sfogliò con energia le pagine. «Vogliamo scomodare il tuo insegnante di Rune antiche e tradurre cosa che c’è scritto?» La sua espressione confusa lo fece infuriare. «Tu e il tuo amico Gallagard avete fatto un salto nel reparto proibito, di recente? Rispondi!»
Kiran sgranò gli occhi. «R-Reparto proibito?»
Severus aggirò il tavolo e lo afferrò per il bavero della camicia. «Non mentire. La magia che hai trascritto con tanta premura è pura malvagità. Dovrei ritenere che sia finita per caso sul tuo diario personale?»
Eccoli di nuovo: quegli occhi. Anche guardandolo intensamente, con tutto il terrore che sapeva di poter infondere, Piton non rilevò alcuna traccia di menzogna in quelle iridi così simili alle proprie. Vi lesse paura, tristezza, ma anche innocenza.
«Io volevo solo… Non lo so. Da quando Tu-sai-chi è tornato, non so cosa fare. Mi sento impotente. Certi giorni ho paura ad alzarmi dal letto e non vorrei mai essere nato mago. Non so neanche cosa ci faccio qui.»
Severus allentò la presa. «Sei patetico» si affrettò a precisare, cercando di rimanere nel personaggio.
Udirono le porte dell’aula spalancarsi e i passetti di Dolores Umbridge annunciarla prima del suo gesto emblematico di schiarirsi la gola. Severus la osservò approcciarsi impettita, interamente rosa vestita, con un sorrisetto malcelato su un viso che recitava bonarietà. Ma i suoi occhi non mentivano, ed erano disumanamente diversi da quelli di Lily. «Posso sapere cosa succede, Severus?»
Piton lanciò al ragazzo un’occhiata di neutro distacco. «La media del signor Kiran è allarmante e inizio a temere di stare sprecando i miei preziosi ingredienti.»
«La scuola si occupa di ripristinare le tue scorte, Severus. Il tuo compito come insegnante è preparare gli studenti a saperle dosare, nulla più.» Emise una risata sobria e civettuola. «Mi pare, inoltre, sia compito di Pomona rimproverare i suoi studenti. Se ce n’è bisogno, s’intende. Il giovane Kiran mi sembra un ragazzo con la testa sulle spalle. Lei non crede?»
«Profondamente.»
Dolores s’illuminò. «Splendido! Andiamo, ragazzo. Gradisci una tazza di tè?»
Kiran fu trascinato via, preso a braccetto da quel diavolo in rosa.
 
Quando era entrato nell’ufficio di Silente, Severus era furioso.
«Ho trovato la grotta, nei suoi pressi non c’era nessuno. Ho notato tracce di quelli che sembrano pneumatici. Sappiamo entrambi che Potter e Weasley…»
Albus Silente continuava a fissare il Pensatoio con attenzione. «Non credo sia opera loro, Severus. Le azioni del giovane Harry sono attentamente sorvegliate dal Ministero in questo momento.»
Aleggiava una domanda in quel silenzio sospeso.
«Crede sia opera sua?»
«Tom sa bene che la paura di Cornelius è il suo più importante vantaggio. Non rischierà di rivelarsi prima che i tempi siano maturi. Ciò che è accaduto stanotte non lo riguarda.»
«Il Ministero, dunque.»
Silente si era voltato lentamente. «Sono tempi bui. Dobbiamo agire con molta cautela.»
Lo erano, sì. Mentre il ricordo di Silente cadeva su quello strumento prezioso, Piton si era perso nei propri pensieri. Ciò che si era consumato quella sera era un evento raro e allarmante. Black e Lupin potevano essere stati un’eccezione, ma un gruppo di maghi capaci di arrivare così vicino alle mura non poteva esserlo. Non quando le difese del castello erano state potenziate per impedire ai Mangiamorte di oltrepassarle. Senza che nessuno degli insegnanti si fosse accorto di nulla, per giunta. Anche se non c’erano prove a sostegno della presenza di maghi oscuri all’interno dei confini, inseguendo un presentimento aveva deciso di avvisare il preside e decidere insieme sul da farsi tenendo all’oscuro il resto del corpo insegnanti, soprattutto l’Inquisitore supremo.
 
Già una volta, tuttavia, si era affidato completamente a Silente.
Predicava attenzione, ma Severus temeva che dietro quel mistero ci fosse qualcosa che dovevano assolutamente scoprire. Prima che fosse troppo tardi. Il ritorno dell’Oscuro signore era di per sé un evento nefasto, senza che nuove minacce operassero nell’ombra indisturbate, pronte a impensierire i piani dell’Ordine.
Dopo aver affrontato il giovane Kiran, si era deciso ad assentarsi dalle lezioni per tutta la giornata e consultare la sezione proibita. Ricettacolo che classificava numerosi incantesimi ritenuti proibiti o troppo oscuri perché fosse raccomandabile, per chicchessia, prenderne visione. Ma la scuola, specialmente per chi si sarebbe impegnato nella professione di Auror, aveva il compito di raccogliere quanta più conoscenza possibile, per preparare i servitori del Ministero ad ogni genere di arte oscura mai concepita. Perlopiù si trattava di nozioni sommarie, mirate a contrastare gli effetti di un incantesimo ostile. Ma ricordava il ragazzo che un tempo era stato percorrere nella notte quegli scaffali e saziarsi del sapere proibito finanche a creare un incantesimo personale.
Il suo vecchio libro di pozioni traboccava dell’odio che aveva provato per James Potter e i suoi amici. Aveva creato il Sectumsempra mentre rivedeva giorno e notte l’espressione sorniona di quel lurido maiale arrogante. Un odio che non era mai svanito. Un odio che non era mai riuscito a farsi scivolare di dosso. Lo teneva sempre con sé, stipato in un angolo della sua anima, come quel vecchio libro corroso dal tempo.
Lasciando fluttuare qualche candela attorno alla sua persona, si era impegnato per ore leggendo molti volumi dalle rilegature ruvide, pieni di pagine ingiallite e fragili, sfogliando con il consueto tatto delle sue dita esili. Da quella notte aveva osservato attentamente le mosse del giovane Kiran, ma quando aveva preso in mano quel diario aveva sentito come un richiamo. Forse dal passato, forse era stata solo tentazione. Aveva riconosciuto subito qualcosa di oscuro nel mezzo di due pagine incollate dall’umidità. Non era una formula, ma l’estratto di un racconto che cercava di portare alla luce qualcosa.
Era scesa la notte quando finalmente trovò un riscontro, e un rumore improvviso gli fece sollevare la testa. Sfoderando in silenzio la bacchetta, iniziò a esplorare destreggiandosi tra gli scaffali con cautela. Percepiva qualcosa. C’era qualcosa, o meglio qualcuno.
Certo di aver udito un rumore, svoltò l’angolo in fretta e puntò la sua bacchetta dritta davanti a sé. Non c’era niente. Solo una finestra, lasciata aperta, che sbatteva di tanto in tanto a causa del vento.
Piton spense le candele e facendo sventolare il mantello alle sue spalle decise di mettersi all’opera. Di uscire dal castello in gran segreto usando la sua scopa personale.
 
Le strade di Notturn Alley pullulavano di malfattori e ladri: erano il posto perfetto dove nascondersi e ordire trame all’insaputa dei propri nemici.
Coperto da un cappuccio nero, aveva visitato quell’intricato sobborgo di viuzze grigie e strade invase dal sudiciume. I suoi ex compagni Mangiamorte potevano essere in agguanto nelle tenebre, nascosti in mezzo alla gente deperita che abitava quel posto squallido, conquistato dal lezzo. Non erano loro che stava cercando.
Si era trascinato per i vicoli. Per un uomo come lui, abituato a muoversi nell’ombra, era stato facile accorgersi di essere seguito. Aveva soltanto finto di non sapere. Si era convinto che quello che aveva letto sul diario del ragazzo fosse una provocazione ed aveva intenzione di raccoglierla.
Sarà stato per il richiamo che suscitavano ancora le arti oscure, seppur più debole rispetto al passato. O forse la fretta di chiudere quella faccenda prima che degenerasse. Gli anatemi contro i quali Harry Potter si stava confrontando ogni giorno erano già sufficienti a mettere la sua vita a rischio. Non aveva alcuna intenzione di lasciare che altri pericoli lo avvicinassero indisturbati.
Non sarebbe rimasto a guardare un’altra volta.
Decine di uomini e donne sbucarono da ogni direzione. Deperiti, giovani e vecchi, i visi e le braccia cosparsi di strani simboli e tatuaggi neri come la pece. Al loro cospetto Severus si tolse il cappuccio, ma non abbandonò la sua espressione di sufficienza.
 
Adesso c’erano dozzine di maghi che giacevano svenuti intorno a lui. Alcuni erano adagiati contro i muri dove li aveva schiantati, altri a terra. Gli uni sopra gli altri, in un intreccio di corpi che gemevano doloranti o privi di coscienza.
Ne pescò uno dal mucchio e poggiò la punta della bacchetta a contatto con la sua guancia. «Dimmi dov’è il tuo signore.»
Aveva scelto di usare incantesimi e fatture non letali, ma ciò non aveva risparmiato ferite e contusioni su quel viso già malato. L’uomo rise, mostrando una bocca sporca di sangue. Un sibilo nell’aria, una sensazione di disagio che gli annodò lo stomaco. Furono tutto ciò che poté avvisarlo del pericolo imminente.
Solo un mago che conosceva la magia oscura avrebbe potuto accorgersene.
E replicare: «Expecto Patronum
Dalla sua bacchetta scaturì una cerva eterea che illuminò la notte di bianco e blu. E con orrore, la vide gettarsi contro qualcosa di ripugnante: sembrava un Patronus, ma nero. La cerva e quell’essere, simile a un Dissennatore, si diedero battaglia sotto forma di luce e ombra, equivalendosi fino a scomparire insieme.
Al loro posto comparve un figuro ammantato in abiti color quercia. Doveva essere il mago di cui gli aveva parlato Damien Kiran. «Conosci i miei poteri.» Aveva una voce camuffata.
Piton non disse una parola. Di qualunque magia si trattasse, era stato il racconto del giovane Kiran a fargli intuire che un Patronus potesse contrastarla. Sebbene non ci fossero ombre intorno a lui. Solo una: quella magia rivoltante.
«Dimmi: cosa sazia la tua felicità? L’amore? Ma certo che sì. Riconosco il sapore di un uomo innamorato appena lo avverto.» Il mago oscuro piegò leggermente la testa. «Quanto dev’essere trascinante, mi domando, se ora ti trovi al mio cospetto invece che gioire al fianco di chi desideri. Ti prego, fammelo assaporare.»
Fu rapidissimo. Il suo incantesimo non verbale scagliò di nuovo quell’essere oscuro e per Piton fu difficile intervenire. Riuscì a evocare la cerva, ma, questa volta, la creatura approfittò del vantaggio per avvolgerle intorno al collo le sue mani in una presa opprimente.
Gli occhi del mago si accesero di blu. «La vedo… Lily.» Quando pronunciò quel nome, Severus vacillò e si accasciò su un ginocchio. Gli mancava il fiato. Nella sua testa correvano i ricordi della sua infanzia, come se la sua mente fosse stata colpita da un potentissimo incantesimo di legilimanzia. «È molto bella. E dimmi, dov’è? Lasciami vedere.»
– No! – avrebbe voluto urlare, ma la sua voce si era spenta. – No. –
Più la cerva perdeva la propria luce, più il gelo iniziava a farsi strada attraverso la pelle, il cuore, l’anima. Severus provò a gracidare qualcosa, ma era impotente. E impreparato contro gli effetti disarmanti di quell’incantesimo.
«È morta.» Nell’istante in cui la cerva scomparve. «Hai il mio rispetto, amico mio. Il vero amore non appassisce mai, neanche dopo la morte. Sarà il pasto più succulento che abbia mai assaporato.»
Le forze lo stavano abbandonando, e così la vista. Per un attimo vide qualcosa lampeggiare, ma doveva essere la sua immaginazione. Tutto ciò che riuscì a concepire prima della fine fu Lily, il suo sorriso.
Poi, qualcosa gliela portò via. «Lily…»
 
*
 
«Vai, vai, vai, vai!» gridò Damien, intimando a Richie di spingere a tavoletta.
Il suo amico sterzò all’ultimo, facendo sì che la macchina colpisse il ladro con la fiancata. Il rumore di un corpo che ruzzolava sulla carrozzeria e poi dall’altro lato rimbombò in tutta l’abitacolo. La Ford si fermò a un dito dal professor Piton.
«Oddio! Speriamo non si sia rotto nulla» strillò Richie.
«Voleva uccidere Piton, dovevamo.»
«Che mi frega del ladro, io parlavo della macchina!»
Damien roteò gli occhi e aprì la portiera.
Si stava già rialzando. Essere investito sembrava non aver sortito alcun effetto su quell’uomo! Quando i loro occhi s’incrociarono, un scossa di pura elettricità attraversò Damien dalla testa ai piedi. La bacchetta blu a spirale emerse dalla manica e spinse la sua mano a puntare quella che, in tutto e per tutto, era la gemella di colore nero.
I due schiantesimi si scontrarono a metà strada, creando un urto che lo spinse duramente contro la fiancata della macchina. Quando riaprì gli occhi, del ladro non c’era traccia.
«Portiamolo via!»
«È pesante! Vieni a darmi una mano, Dam.» Caricarono Piton di peso, gettandolo alla rinfusa tra i sedili posteriori.
Richie diede gas mentre il fanale posteriore veniva disintegrato da una fattura e s’infilò nel primo vicolo a destra. «Dici che è morto?»
Damien si girò per accertarsene. Non aveva una bella cera, ma gli sembrava che respirasse ancora. «No. Anche se fa più impressione con gli occhi chiusi che da sveglio.»
«Forse dovremo dargli una pozione.»
«Richie, se scoprisse che uno di noi due ha anche solo pensato di somministrargli qualcosa, ci ucciderebbe con la maledizione Cruciatus.»
Lui sibilò tra i denti. «Mi sono bastate le lezioni di Malocchio, passo. Ma cosa facciamo? Se la Umbridge ci scoprisse di ritorno con un professore svenuto, ci farebbe internare ad Azkaban e lì i Dissennatori giocano a Quiddich con i galeotti. Solo che loro sono la Pluffa, i Bolidi, e se si rivelano particolarmente veloci a scappare i Boccini!»
«Richie, davvero devi smetterla di credere alle dicerie che senti quando mangiamo.»
«Dicerie, dici?» Ridacchiò come l’avventore di un bar che ne aveva viste di ogni. «Te lo ricordi, due anni fa, cosa diceva quel grifondoro di Sirius Black? A mani nude non lo afferri mica il fumo. E ci ha preso.»
Damien fu talmente esacerbato da dover socchiudere le palpebre e riavviare il cervello per qualche secondo, rimettendo in ordine gli eventi.
 
Aveva impiegato mezza giornata per liberare la vescica da tutto il tè che aveva bevuto. L’ufficio della professoressa Umbridge era una cornucopia di cose stranezze e di un ordine che rasentava la malattia, una mentale. Decine e decine di quadri di gatti che miagolavano ed entravano e uscivano dalle cucce, un rosa fastidioso e avvolgente. Sembrava la camera di una bambina di sei anni mancante di qualche barbie e del disordine cronico.
L’inquisitore era stato particolarmente gentile. Gli aveva offerto tè, biscotti, gli aveva chiesto come si stesse trovando nel castello cercando di conversare del più e del meno. Damien era talmente stremato che a malapena si reggeva in piedi. Difficile non dare a vedere il suo aspetto trasandato, ma la Umbridge non aveva battuto ciglio. Gli aveva accordato un permesso per assentarsi e sistemarsi. Poi l’aveva mandato a chiamare prima di pranzo. Poi il primo pomeriggio. La sera. Gli aveva spiegato che il professor Piton si era preso un giorno di permesso – fatto assai strano, vista l’energia con cui l’aveva interrogato giusto quel mattino – e con molta probabilità stava cercando di scoprirne il motivo. Ma a parte un diario sequestrato e un’accusa di operare magie proibite, di cui Glyn gli aveva “giovialmente” intimato di tacere, non ebbe altro da dire.
Glyn di contro gli era sembrato turbato. In qualche modo le parole di Piton avevano fatto breccia, lo percepiva. Non era mai stato così silenzioso.
Solo verso sera si era deciso a scucirsi. – Ti ho visto entrare e uscire per giorni dalla stanza segreta dove si è stabilito il tuo clan. Gli altri clan hanno accesso alla vostra dimora? –
– Intendi Grifondoro, Serpeverde e Corvonero? Direi di no. Se provassero a entrare nel nostro dormitorio verrebbero investiti da fiumi di aceto, e la botte segreta in ogni caso non si aprirebbe. Per di più, il quadro di Tosca Tassorosso vedrebbe l’intruso e lo comunicherebbe subito al capo della mia casata. –
– Allora ti consiglio di fare attenzione, Damien. –
– Attenzione? –
– Ragiona. Se esistono luoghi, come la tua casa, protetti dalla magia, e nessuno dei due ha scritto magie oscure su quel diario… –
Era sbiancato. Effettivamente ci sarebbe arrivato prima, se ogni parte del suo corpo non lamentasse dolori indicibili e la mancanza di sonno. Se c’era una magia oscura trascritta sul suo diario e non era stata opera di Glyn, qualcun altro l’aveva inserita. Qualcuno che fosse in grado di soffiargli il diario senza che se ne accorgesse nemmeno, o peggio: che avesse libero accesso al dormitorio e alla sua stanza mentre dormiva. Una prospettiva tutt’altro che rosea sulla quale avrebbe dovuto indagare al più presto.
Aveva chiesto come prima cosa a Madama Chips un rimedio contro il sonno arretrato e i dolori muscolari che lo assillavano. Quando poi, la sera, uscito dal bagno, aveva incrociato Richie per la prima volta da giorni, era andato a salutarlo. Intento a lavarsi le mani sporche di grasso e raccontargli i segreti che aveva scoperto a proposito della macchina volante, il suo amico aveva anche giurato di aver visto Piton sfrecciare nel cielo sopra una scopa. Su incito di Glyn, Damien aveva pregato Richie di aiutarlo a inseguirlo. Si sentiva ancora tremendamente in colpa.
 
La Ford sterzò ancora, portandoli sulla strada principale.
– Posso fare in modo che il Patronus conduca qualcuno da lui, ma noi non possiamo perdere questa opportunità – disse Glyn.
– Si può fare davvero? –
– Certo. –
«Richie, fermati. Io scendo qui.»
Lo fece accostare sul lato della strada. Il suo amico sembrava restio, ma considerato che stava per aprire la portiera in corsa non poté fare altrimenti.
«Porta Piton da una parte e nascondi la macchina. Qualcuno lo troverà. Meglio non farsi vedere con un professore svenuto in spalla, inoltre c’è bisogno di un professionista» gli disse, mentre la bacchetta blu usciva dalla manica. «Io troverò un modo per tornare.»
«Sei pazzo?!» sibilò lui. «Che accidenti vuoi fare, Dam?»
Dalla bacchetta fuoriuscì stavolta solo un globo di luce. Ancora non riusciva a capire perché effettuare il Patronus per lui fosse così difficile, ma per quella volta lasciò correre.
«Probabilmente metto a repentaglio la mia vita» gli rispose, tutt’altro che entusiasta.
Richie lo guardò stralunato. «Per fare cosa? Che sta succedendo?»
«Fidati: meno sai, meno…» Damien fu percorso da un brivido e guardò a sinistra. Il ladro camminava verso di loro e aveva già la bacchetta in pugno. Prese Richie per la maglia. «Vai!»
Richie imprecò più volte. «Vai bella! Vai!» Diede un paio di colpi al cofano della macchina e questa iniziò a muoversi autonomamente, trasportando con sé Piton e il Patronus.
«Che stai facendo?!»
«Potrei farti la stessa domanda, Dam! Accidenti a te.» Un incantesimo s’infranse contro lo spigolo del muro dietro il quale si erano spostati. «Spero solo che qualunque cosa stai facendo ne valga la pena!»
Nonostante le magie che continuavano a sbattere contro l’angolo, Damien non poté fare a meno di annuire e guardare il suo amico con gratitudine. «D’accordo. Per prima cosa direi che è meglio toglierci dalla strada. Una volta ho sentito dire che Notturn Alley è un postaccio. Sarà pieno di criminali.»
«Già… Come se non avessimo già un Terminator, lì, che mi pare bello incazzato. Dopo dovrai spiegarmi in che razza di guaio ci siamo cacciati. A proposito, cos’è quella bacchetta?»
Lo prese di nuovo per la spalla e iniziarono a fuggire per i vicoli. «Una cosa per volta!»
 
*
 
Luna osservava con placido divertimento il chiasso e i rituali sociali che si susseguivano in quel pub di Notturn Alley. Non era la prima volta che lei e Ginny sgattaiolavano fuori dal castello all’insaputa della Umbridge. Alma era nata in quel sobborgo e dal primo anno chiedeva permessi per uscire la notte ed esibirsi come cantante nel locale del padre.
«Allora, Rum di ribes rosso per Angelina, una Burrobirra per Dean e me» urlò George Waesley, cercando di sovrastare confusione.
«E succo di zucca per la nostra adorabile sorellina» intonarono insieme i due gemelli, guadagnandosi un’occhiataccia dalla sorella.
«Insomma, ho quattordici anni! Posso permettermi almeno una Burrobirra» protestò lei.
«Sicuro. Come uscire da scuola di nascosto» disse uno.
«Ma non penso che nostra madre approverebbe.»
«O nostro padre, o il preside.»
«Per non parlare di Ron.»
«Già, lui non ti avrebbe mai accompagnata attraverso i passaggi segreti della scuola.»
Ginny si arrese con un lungo sospiro. «Per carità. Già mi sta dando il tormento per…»
«Cosa?» S’interessò Dean.
«Niente.»
Vedendola in difficoltà, Luna distolse l’attenzione dalla folla. «Credo sia per Hogsmeade.»
Come proprietario del Cavillo, suo padre era costretto ad affrontare spesso le critiche e il dissenso dei suoi rivali in affari. Non era estranea alle occhiate di dubbio, sconcerto, o di graffiante ironia, ma si era abituata a non dare peso all’opinione di chi negava a priori un’argomentazione bollandola come favola. Il suo amico di penna, Rolf Scamander, le ripeteva spesso che molte creature erano ritenute maligne o spaventose solo perché nessuno voleva comprenderle. L’unico modo per farlo era tenere la mente aperta.
Sapeva che effetto faceva alle persone e aveva imparato a lasciar correre. Se al mondo esistesse una risposta a tutto, si ripeteva, non avrebbe visto sua madre schiacciata dalle macerie del soffitto; e se il suo modo di esistere poteva togliere la sua amica dall’imbarazzo, tanto meglio.
Finse di non vedere l’occhiata di gratitudine di Ginny e passò in rassegna i presenti con fare spensierato. Angelina si bagnò le labbra con il rum per nascondere l’imbarazzo, mentre George prendeva posto accanto a lei. Dean deglutì sonoramente e Michael Corner si appiccicò a Ginny per fare spazio agli altri.
Fred si sedette vicino a lei e Neville. «A proposito, Rodriguez sarà dei nostri?»
«A causa dei permessi che chiede non può rischiare un castigo, ma farà in modo di depistare i ficcanaso mentre andiamo alla Testa di porco» gli rispose.
Luna e Ginny gliel’avevano proposto insieme in biblioteca, mentre studiavano allo stesso tavolo di Hermione Granger. Era stata quest’ultima ad avviare la conversazione, dopo aver sbirciato le ricerche di Luna in merito al Patronus. Le aveva anche rivelato che Harry Potter sapeva evocarne uno e che la formula dell’incantesimo era Expecto Patronum. Era stato il professor Lupin a insegnarglielo, poiché si trattava di una magia di livello avanzato e ben al di là del programma del terzo anno.
Era giorni che si domandava come Damien fosse riuscito a padroneggiarla pur non conoscendola. Forse stava solo mentendo perché si sentiva in difetto, ed era indecisa se chiedergli o meno spiegazioni. Ad ogni modo, in quei giorni trovarlo era diventato praticamente impossibile. Dopo ogni lezione spariva improvvisamente ed era già tanto se riusciva a intravederlo nella tavolata dei tassorosso durante il pranzo o la cena.
All’improvviso, le luci si spensero.
La folla iniziò a esultare e su incito dei gemelli Weasley tutti loro accesero una luce flebile sulla punta delle bacchette, iniziando a far ondeggiare il braccio. Ginny sembrava più vivace del solito, tanto che persino Luna si concesse un sorriso.
Fari multicolore illuminarono il palco e la ragazza che lo occupava. Alma Rodriguez stava picchettando la ribalta con la punta del tacco. Gli strumenti magici che la circondavano presero man mano vita. Batteria, dischi, e le altre bizzarrie babbane che producevano dei suoni scoppiettanti e frenetici. All’improvviso alzò i suoi occhi nocciola sulla folla e usando la bacchetta per amplificare la voce iniziò a cantare.
Dapprima lentamente.
 
Luci e ombre da lassù attraversan il cielo e tu
Lampo azzurro, libertà, vita ed eternità
Ho scoperto il tuo segreto, la tua illusione troppo a lungo mi ha stregata
Non è azzurro o luccicore questo splendente blu, ma d'avorio si mischia e tu
 
In un crescendo di reazioni e motivi acustici che trasformò le parole nel canto di una sirena, in una sinfonia frenetica capace di trascinare tutti fino a farli cantare insieme a lei, saltare, esultare.
 
Verde segreto che ti nascondi a me, voglio scoprir perché
Sento il bisogno di sapere che, sol per me, per me, per me
Voglio vincer le menzogne e le mie paure, voglio vivere sfondando porte imperiture
Voglio te. La passione mi travolge fino alle lacrime e il mio cuore batte forte
Forte per te. Trascinante. Inconsapevolmente tuo.
 
Sento un sussurro nella testa che non è pensiero mio,
Sento un grido di dolore che diventa blu, ed io
Il cuore pulsa e la ragione mi guida,
ma le strade tortuose delle mie emozioni portano sempre a te
 
Verde segreto che ti nascondi a me, voglio scoprir perché
Sento un bisogno di sapere che, sol per me, per me, per me
Voglio vincer le menzogne e le mie paure, voglio vivere sfondando porte imperiture
Voglio te. La passione mi travolge fino alle lacrime e il mio cuore batte forte
Forte per te. Trascinante. Inconsapevolmente tuo.
 
Una cacofonia caotica e trascinante, sincera, a volte dura, a volte così melodiosa da sembrare che un Gorgosprizzo fatto di miele stesse entrando nelle sue orecchie.
 
Il rosso mi circonda, la tua voce mi spaventa
Mi riporta indietro e tu
Lampo azzurro, mia dolce prigione, culla del mio amore perduto
Ho scoperto il tuo segreto, la tua illusione troppo a lungo mi ha stregata
Non è azzurro o luccicore questo splendente blu, ma d'avorio si mischia e tu
 
Verde segreto che ti nascondi a me, voglio scoprir perché
Sento un bisogno di sapere che, sol per me, per me, per me
 
Verde segreto che ti nascondi a me, voglio scoprir perché
Sento un bisogno di sapere che, sol per me, per me, per me
Voglio vincer le menzogne e le mie paure, voglio vivere sfondando porte imperiture
Voglio te. La passione mi travolge fino alle lacrime e il mio cuore batte forte
 
Forte per te. Trascinante. Inconsapevolmente tuo.
 
È un marchio sulla pelle che diventa nero. È vitreo sguardo ma sincero
Io lo so... È tutto vero
 
Alma era fatta così: un gioco di opposti.
Il carnato della sua pelle rosea che sfumava nel bronzo, gli occhi sinceri ma perennemente imbronciati, l’immancabile e alta, foltissima, coda di cavallo che tirava indietro i suoi capelli bruni e li lasciava aprirsi in un cespuglio ordinato e liscio. La lunga gonna nera che fasciava il suo corpo e frusciava ad ogni movimento culminava con dei tacchi altissimi e tempestati di glitter. Una giacchetta di pelle bianca sormontava un top azzurrino che lasciava scoperta parte della pancia. Anche così, e con quelle povere tracce di trucco, riusciva a esprimere femminilità e il suo essere un maschiaccio con ogni gesto, in ogni movenza. Il modo in cui sorrideva e poi chiudendo gli occhi tornava seria rendendo la sua voce pura potenza. Lo schioccare le dita, le elaborate coreografie che illuminavano la sala da ballo di colori e scaturivano da un semplice gesto della sua bacchetta.
Quella fu la prima di tante canzoni. Tutte diverse e incantevoli, ognuna coronata da un ritmo così trascinante che persino Luna sentì il bisogno di battere i piedi seguendolo. Chiunque fosse così fortunato da essere raggiunto da lei, mentre si aggirava per la sala, non esitava a raccogliere il suo invito a danzare ed essere allontanato in modo teatrale, come se conoscesse a menadito cosa fare per mandare avanti lo spettacolo.
Persino Fred fu raggiunto e spronato dal vociare dei suoi amici a prenderle la mano e raggiungerla sul palco. Vederlo cercare di destreggiarsi senza sembrare un manico di scopa fu esilarante. Alma fece di tutto per metterlo a suo agio, e ci riuscì in un batter d’occhio, lasciandosi seguire nella danza. Girando intorno a lui mentre i loro sguardi divertiti s’incrociavano senza mai staccarsi.
Tutto ciò le ricordò tantissimo il suo primo viaggio in treno verso Hogwarts, quando lei, Damien e Ginny, si erano intrufolati nella sua carrozza vuota e avevano cominciato a conoscersi. Era stata Alma a rompere il ghiaccio; e sempre lei il naso del ragazzo che aveva riso del farfallino ocra che Luna aveva scelto d’indossare quel giorno.
 
Dopo un paio d’ore, Alma riuscì finalmente a ritagliarsi un momento per raggiungerli.
«Ehi, Rodriguez! Pezzo nuovo?» chiese Fred. «Era davvero pessimo.»
Lei sfoderò un sorriso furbo e gli diede un leggero pugno sulla spalla. «Meglio delle tue pasticche vomitose di sicuro, Weasley.» Salutò George scambiando il pugno e sorrise raggiante a tutti mentre riprendeva fiato, le mani posate sullo schienale della sua sedia e quella di Fred. «Voi siete dei pazzi, lo sapete? E se la Umbridge vi scoprisse?»
I gemelli Waesley la presero sul personale. «Hai sentito Fred? La signorina si permette d’insultarci.»
«Beh, George, che ci vuoi fare? I principianti ci sottovalutano sempre.»
Ginny finse di tossire. «Detto da quelli che hanno perso la macchina di papà.»
«Ehi! Noi non c’entriamo, è stato Ron!»
Angelina rise, chiedendo spiegazioni. Mentre George si affrettava a raccontare la storia a lei, Dean e Neville, Alma si rivolse al gemello e Ginny. «E vostro fratello Bill? Stamattina Luna mi ha accennato di una lettera dall’Egitto.»
Entrambi si misero una mano sulla faccia.
Luna rispose per loro: «Pare sia ancora invaghito di quella Fleur. Dice di averla intravista alla Gringott, ma nella confusione l’ha persa subito di vista.»
«Quella Fleur?» Alma sghignazzò. «Quindi abbiamo un Weasley appassionato dai draghi e un altro dalle mezze-veela. Tu desideri confessarci qualcosa, Fred?» Quella domanda fece ridere Ginny a crepapelle e risputare nella tazza il succo che stava bevendo.
«Si dice che il Verme dei sogni infranti nidifichi nelle persone che trattengono a lungo i propri segreti. Dovresti davvero liberarti» rincarò Luna, preoccupata; Ginny rise persino con più trasporto, tanto che dovette appoggiarsi a lei.
«Molto divertente. Chissà, magari un giorno anch’io sposerò i miei spartiti, Rodriguez.»
«Oppure un bolide» suggerì Ginny.
«Te lo ripeto, sorellina: hai colpito George, ai provini di Quiddich, non me.»
Alma passò una mano sulla fronte di Fred tirandogli indietro i capelli rossicci. «E allora questo bernoccolo come te lo sei procurato?»
«Giù le mani.» Fred tuttavia non sembrava infastidito, quando l’allontanò.
Neville attese che tutti smettessero di ridere. «Alma, vuoi che ti prendiamo qualcosa?»
«Mi piacerebbe, ma…» Si girò verso il bancone, dove un uomo muscoloso, pieno di tatuaggi sulle braccia, stava pulendo i bicchieri con un panno e li salutava con le dita. «Non penso che mio padre si farebbe fregare così facilmente.»
A differenza di Xenophilius Lovegood, il padre di Alma era un babbano ma sapeva compensare la mancanza di magia con un aspetto piuttosto imponente e caratteristico. Sembrava un orso gigante, con tanto di barba foltissima e capelli simili a una criniera leonina. Neville deglutì sonoramente prima di rispondere al saluto con cautela.
La porta del pub si spalancò all’improvviso, producendo un frastuono infernale.
Luna rimase confusa e stupefatta. Damien e il suo amico Richie cercavano di rimettersi in piedi mentre un gruppo di maghi vestiti di nero invadeva l’ingresso e iniziava a circondarli con intenti tutt’altro che amichevoli.
Gli stessi uomini che li avevano inseguiti quella sera nella foresta.
«Ehi!» vociò Alma, che si diresse verso di loro. «Cosa problemi avete, deficienti? Se avete dei problemi, andate a risolverli fuori. C’è gente che sta lavorando, qui.»
L’uomo al centro la spinse, facendola inciampare e barcollare indietro.
«Oh-oh.» Il sussulto dei gemelli fu il preludio di un immediato silenzio.
Essere amici di Alma li metteva al sicuro, ma molte delle streghe e dei maghi presenti non erano affatto delle persone raccomandabili. Quando videro i nuovi arrivati spintonarla, si alzarono in piedi con una lentezza minacciosa. La tensione si poteva tagliare con il coltello. Alcuni avventori avevano degli sguardi davvero cattivi e dentro le tasche dei loro abiti logori stavano trafficando con qualcosa.
Alma non disse una parola. C’era almeno una ventina di maghi in nero davanti a lei, ma ciò non le impedì di distendere le labbra in un sorriso tagliente. O tirare un pugno così forte da rompere il naso a chi l’aveva appena spinta. Si scatenò il caos: gli avventori sfoderarono bacchette e spranghe di ferro, e si lanciarono contro i nuovi arrivati dando vita a una vera e propria rissa da bar.
Tra fatture volanti, detriti e schegge di legno, e denti che iniziarono a saltare, Fred e George ebbero la prontezza di rovesciare il tavolo calciandolo e aiutarli a ripararsi. Luna colse di sfuggita Damien mentre aiutava Richie a rialzarsi e a scansare i vari combattimenti.
«Dobbiamo andare» disse Fred, mentre osservavano un tizio placcare uno degli Invasati, andando a finire oltre il bancone e a picchiare contro le bottiglie in vetrina.
George stava accompagnando Angelina e Ginny in un angolo più riparato. «A quanti nasi siamo arrivati, Fred?»
«Saranno una ventina.»
Risero, intanto che George invitava anche lei e Neville a raggiungerlo.
Luna dovette scansare un uomo volante. L’invasato che l’aveva steso si stava già dirigendo verso di lei e a nulla valse l’aiuto di Neville; spintonato via. Luna indietreggiò fino a toccare il bordi di un tavolo, indecisa se sfoderare la bacchetta o mettersi a correre. Ma un’ombra la salvò dall’incombenza: qualcosa che fece leva sul tavolo e con un’acrobazia librò sopra la sua testa. Vide il piede di Damien centrare in pieno la faccia del mago mentre lui si contorceva a mezz’aria.
Atterrò davanti a lei con una naturalezza incredibile. Tra tutte le emozioni che stava provando, Luna fu travolta dalla curiosità. «Che magia hai usato?»
«N-No, n-non… era magia. Mi arrampico sugli alberi da quando sono piccolo» balbettò lui. «Luna, che ci fai qui?»
«Potrei farti la stessa domanda» rispose pacata.
«Sì, sì. È molto bello, siamo tutti sani e salvi. Ora ce ne possiamo andare?» Richie Gallagard teneva una vecchia scopa assicurata sulla spalla ed era visibilmente sudato e sporco.
Damien alzò una bacchetta a spirale e li protesse da un paio di incantesimi vaganti. «Richi porta Luna e…»
«Neville.»
«E Neville. Al sicuro. Adesso!»
Luna si vide afferrare per il polso e trascinare via. Neville era già dietro di loro.
«Tu guarda che serataccia doveva venire fuori!» ruggì Richie, mentre apriva la porta delle cucine con un calcio. C’erano numerosi cuochi impauriti e confusi in cerca di spiegazioni. Il tassorosso li ignorò e li fece tirare dritto fino alla porta di servizio.
Sprangata. Richie imprecò in un modo che Luna preferì ignorare.
Neanche il tempo di girarsi e gli inseguitori erano già arrivati. Disarmarono Richie facendo schizzare la sua bacchetta chissà dove. Uno di loro li separò con un incantesimo e diede inizio a una breve colluttazione.
La scopa cadde ai loro piedi.
Richie stese la mano. «Su!» E mentre questa s’innalzava, Luna lo vide chiaramente sferrare un calcetto per spingerla a ribaltarsi. Afferrandola per il manico, l’amico di Damien sfruttò l’accelerazione con cui la scopa era salita a mezz’aria per colpire l’avversario in pieno viso con la parte inferiore e farlo capitombolare dall’altra parte di un bancone pieno di piatti e pentole.
Richie la lanciò a Neville e scappò a raccogliere la bacchetta.
Dietro di lui, Luna vide il grifondoro agitarla contro un altro Invasato a mo’ di spada. Questi sorrise dei suoi tentativi goffi di colpirlo, ma, appena gliela strappò di mano, Luna estrasse la bacchetta e s’inserì tra loro. «Ascendo.» La scopa iniziò a schizzare da una parte all’altra della stanza, facendo scontrare il mago contro il soffitto, il muro, le postazioni in disordine.
«Feraverto
Girandosi di nuovo verso Richie, lo scoprì a gettare un calice d’acqua sull’uomo che l’aveva costretto con la faccia contro un tavolo. Il tassorosso enunciò velocemente, e in una posa scomodissima, un contro-incantesimo e l’oggetto tornò ad essere un topolino veramente arrabbiato, in volo verso la faccia del mago.
Luna scavalcò l’Invasato che cadeva a terra e cercava di togliersi il topo di dosso, aiutò Richie a correre di nuovo verso la sala. Sembrava che non avessero di che nascondersi quando un nuovo Invasato tagliò loro la strada, ma Neville riuscì ad afferrare la bacchetta prima che potesse lanciare l’incantesimo e deviarlo verso l’altro nero vestito alle loro spalle.
«Accio… scopa di Piton!» Richie lo colpì in faccia dopo che afferrò al volo la scopa, un momento prima che potesse liberarsi di Neville, facendo esplodere il manico in tre pezzi e polvere farinosa. «Oh, cavolo…»
«Cavolo davvero!» esultò Neville. «Quella scopa era di sensazionale!»
«La scopa di Piton, la scopa di Piton, la scopa di Piton» continuava a ripetere il tassorosso, sempre più cereo; afferrando il significato di quelle parole, Neville abbassò il pugno e cominciò a prendere le distanze con evidente imbarazzo.
Luna gli posò una mano sulla schiena. «Perché avevi la scopa di Piton?»
«Era… una garanzia per la macchina.»
Dalla sala provenne all’improvviso un gran fragore.
«Oh, no. No, no, no, no, no, no, no. E che cavolo!» Fece il tassorrosso, sconfortato alla vista del mago di quella notte. «Ma non ci eravamo liberati almeno di Terminator?»
Eccezion fatta per lui e i suoi compagni, ogni altra persona nella sala era riversa a terra, svenuta. I loro amici si stavano nascondendo tutti dietro ripari di fortuna, eccetto Damien: brandendo una strana bacchetta blu, stava tenendo testa al mago sfoggiando un’abilità e destrezza incredibili. Si proteggeva e contrattaccava con incantesimi e fatture volanti. Sembrava che riuscisse a combattere come un adulto, o meglio ancora come un Auror.
In quel caos di fatture volanti e boati, tutti e tre scivolarono accanto ad Alma.
Richie fece per intervenire, ma Luna lo fermò e la sua compagna corvonero lo zittì premendogli l’indice sulle labbra. China su un ginocchio al fianco di George, Alma si custodiva l’orecchio destro tra le dita. Il suo viso era una maschera di pura concentrazione, mentre osservava i due combattenti affrontarsi a colpi di magia; tutti erano rivolti verso di lei, in attesa d’istruzioni.
Quando Alma si rabbuiò, Luna capì che era pronta. «Neville, ce l’hai la Ricordella?»
Lui la estrasse goffamente dalla tasca lacera dei pantaloni. Il fumo all’interno era di un rosso intenso. La lanciò ad Alma, la quale passò immediatamente a Ginny. Poi, con due calci ben assestati, Alma spaccò due gambe del tavolo e le consegnò ai due gemelli.
Facendosi capire a gesti, ordinò loro di spingersi ai lati della sala aggirando i due sfidanti. Neville le passò anche una mela; stavolta, Alma la diede ad Angelina… prima di estrarre dalla tasca del giacchetto un tirapugni d’acciaio e infilarselo nella mano destra.
Poi uscì dal riparo.
Iniziò a incamminarsi incurante degli incantesimi che esplodevano intorno a lei, Alma non li considerò nemmeno. Richie provò a dire qualcosa e Luna gli coprì la bocca.
«Ostendo symphoniae!»
Non appena Alma enunciò l’incantesimo, la punta della sua bacchetta brillò e la sala si tinse pressoché all’istante di uno sfondo astratto blu e violaceo. Simboli bianco splendente apparvero ai loro piedi, in tutto e rispecchianti le note di uno spartito musicale. Note che cambiavano fisionomia davanti ai loro occhi, assumendo complessità, forme e colori differenti.
Luna non riuscì a trattenere un sorriso. Adorava quella magia!
Guardò Richie. Investiti dal blu che ondeggiava intorno a loro, i suoi capelli adesso sembravano più biondi che castano paglierino. «Segui i colori delle note ed evita il rosso: significa pericolo.» Tutti, nessuno escluso, aveva già iniziato a farlo.
Ginny, Angelina e i gemelli avevano seguito calpestandola una scia di note blu fino a cambiare postazione. Gli altri iniziarono letteralmente a danzare cercando di non calpestare quelle rosse. Per ogni simbolo che il loro piedi toccavano, si diffondeva una nota melodiosa e candida come la neve, calmante.
Alma era al centro di tutto: danzava tra una nota e l’altra, schivando quelle rosse e con esse le fatture vaganti con la grazia di un felino e la rapidità del vento, sembrava quasi che prevedesse il futuro e riuscì man mano ad avvicinarsi ai due combattenti.  
Non appena si creò davanti a lei una nota gialla e la calpestò, Ginny lanciò la Ricordella di Neville. Sia Damien che il mago la schivarono, ma Fred uscì dal tavolo dove si nascondeva e la colpì con la gamba del tavolo, facendola esplodere in tante schegge di vetro e una nube rossa.
Le note e la musica che produssero divennero più frenetiche.
Angelina lanciò la mela verso George, e dal lamento che sfuggì a Damien seppero che era stato colpito. Mentre il mago diradava la nebbia rossa con un incantesimo, Luna trovò Alma esattamente alla fine di una scia di note verde brillante: sopra Damien, usando la sua schiena come sponda per spiccare un salto e chiudere la sinfonia con un pugno violento e ben assestato.
“Terminator”, come l’aveva chiamato Richie, cadde a terra e Alma fu rapida a calciare via la bacchetta nera dalla sua mano. Poi iniziò a insultarlo e pestarlo.
Fred, George e Angelina le furono subito accanto con le loro bacchette.
«Damien! Io non so cosa ti sia venuto in mente, ma stavolta l’hai fatta grossa. Ti avviso: noi due faremo un bel discorsetto» sibilò Alma. «Ma prima voglio proprio vedere chi è lo sclerato dietro questa maschera.»
Quando strappò via il tessuto che copriva la bocca, il cuore di Luna ebbe un sussulto. Divenne pallida e indietreggiò. Se non fosse stato per Ginny, sarebbe caduta per terra. «M-Mamma…» mormorò, sentendo la sua voce incrinarsi.
In qualche modo quel viso lasciò in molti completamente di sasso. Sua madre si trasformò in un pipistrello senza che nessuno provasse a fermarla.
China sulla finestra rotta del locale, riprese forma umana. Fece scivolare la mano lungo la guancia e il mento, e il suo viso s’illuminò d’azzurro iniziando a mutare. Divenne nient’altro che una lucina che danzava tra le dita di un uomo. Di mezz’età, denutrito, con vistosi tatuaggi neri su tutto il viso.
Le sue labbra si stirarono in un mezzo sorriso. Prima che potessero fermarlo, l’aria intorno a loro divenne così fredda che ogni nuovo respiro fu doloroso come una lama rovente. Due ombre si fermarono ai fianchi dell’uomo: due Dissennatori. Le due creature posarono una mano ciascuna sulla sua spalla e in un vortice d’ombra si materializzarono via.

 
 

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Capitolo 4
*** Il Diavolo ***


Il DIAVOLO
 
 
Dolores sorseggiava lentamente dalla sua tazza di tè. Gli studenti Kiran, Gallagard, Rodriguez e Lovegood erano disposti in fila davanti a lei, con accanto Severus Piton.
«La Traccia ha avvertito che voi quattro avete adoperato la magia fuori dalle mura scolastiche. Posso sapere, cari fanciulli, in che modo siete giunti fino a Notturne Alley e perché avete creato dei disordini insieme a dei criminali?»
Odiava i mocciosi, in particolar modo quelli che si ostinavano a violare le sue regole e metterla in imbarazzo. Aveva accettato la cattedra di Difesa contro la arti oscure pur sapendo che l’equilibrio delle sue giornate sarebbe stato disturbato da marasmi e polemiche infantili, ma Potter era la chiave per incastrare Silente e non c’era nessuno, più di lei, che avesse a cuore la missione di aprire gli occhi a Caramel. Ora che ricopriva la carica d’Inquisitore supremo, il suo potere non poteva essere messo in discussione all’interno delle mura del castello, men che meno il preside. Al di fuori, tuttavia, scoprire che tre minorenni erano evasi sarebbe stata una cattiva pubblicità. Caramel le aveva dato carta bianca, ma l’opinione pubblica non poteva essere controllata con qualche decreto. Necessitava di una spinta, forte. Fare troppo rumore nel modo sbagliato avrebbe minato la sua credibilità e per estensione i metodi che stava disperatamente cercando d’inculcare in quelle teste vuote. Per di più, un professore era finito in infermeria a causa di circostanze non ancora chiarite. Ai confini della Foresta proibita.
«Temo sia colpa mia, professoressa.»
Dolores preferì nascondere la sua reazione furente dietro un altro sorso. Tre di questi li aveva già identificati come studenti problematici. Avrebbe fatto i conti con ciascuno di loro, ma in un altro momento. Kiran, d’altro canto… L’aveva studiato attentamente nelle settimane trascorse dal suo insediamento. Era un ragazzo debole e tristemente ingenuo. Molto vicino alla tragedia che si era consumata solo qualche mese prima.
L’omicidio di Cedric Diggory, l’ascesa di Lord Voldemort. Bugie e inganni.
Era il ragazzo perfetto per svelarli.
«Sì? E in che modo sarebbe stata colpa tua?»
Ciò che Damien Kiran le raccontò andava ben oltre ogni sua più torbida previsione. Pur di non incrociare gli occhi di Severus Piton, lasciò che la sua espressione diventasse dura come la pietra.
Dannato Mangiamorte! Era certa che dietro le azioni del suo cane ci fosse Silente, e si diede della stupida. Potter era solo una pedina, ce n’erano altre che si muovevano per conto del preside. Aveva già notato l’assenza di Rubeus Hagrid, e se c’era una cosa che lo accomunava al viscido verme che se ne stava lì impalato era che Silente li aveva salvati da una condanna ben peggiore della morte; era stato magnanimo con loro come con la figlia della Mangiamorte Ramona Rodriguez. C’erano troppi fedeli e potenziali criminali che si aggiravano indisturbati tra quelle mura.
Urgeva un’epurazione.
Posò la tazzina sulla scrivania. «Fatemi capire. Non molto tempo fa voi fanciulli sareste stati attaccati da una setta di maghi malintenzionati. Avete messo al corrente il qui presente professore dell’accaduto e, temendo per la sua incolumità, l’avreste seguito temendo che fosse in pericolo.» Dovette rivolgersi a lui. «Silente ne è al corrente?»
«Non ancora.»
Molto comodo che il galoppino del preside si assumesse ogni responsabilità. «Dunque hai deliberatamente omesso di metterci al corrente.»
Severus Piton non batté ciglio. «Mi risulta che gli studenti in questione fossero in castigo. E come Inquisitore, le rammento, è bene informata sulla portata delle difese che può vantare questa scuola. Era piuttosto interessata sull’argomento, perciò saprà bene quanto me che non c’è prova a sostegno del loro racconto. Per quanto mi era dato sapere, potevano mentire per rifuggire il castigo.»
«Ma non è così. Vero?» controbatté velenosa. «E devo dedurre che già avevi più di un sospetto, se hai convocato il giovane Kiran di primo mattino.»
«Ho interrogato Kiran perché i suoi voti stavano precipitando e perché l’ho sorpreso spesso aggirarsi insonne in giro per il castello, nelle ultime notti. Ciò mi ha portato a supporre che potesse essere l’autore delle visite illecite che di recente affliggono la sezione proibita.»
Dolores si accigliò. «Come hai detto?»
«Gazza non glielo ha riferito? Sono giorni che la sezione proibita viene violata, ogni notte.»
Dovette raccogliere di nuovo la tazza di tè e placare il tremore iroso delle sue mani. Lurido Magonò. Inaffidabili e sporchi come il loro sangue. Chiuse gli occhi e indugiò per il tempo di un sorso. Se non poteva fidarsi nemmeno dei pochi che si erano schierati apertamente dalla sua parte, mettere ordine sarebbe stato oltremodo problematico. «Immagino che la tua assenza sia dovuta a questo. Quanto a Notturne Alley?»
«Metropolvere. Inseguivo un sospetto. Immagino che uno di loro tre mi abbia scoperto e poi avvertito gli altri. E quando sono tornato indietro, smarriti, avranno visto nel pub della signorina Rodriguez un posto dove restare al sicuro.»
«E che mi dici di te?»
«Credo che il visitatore della sezione proibita si aggiri in questo castello. Come Inquisitore supremo, dovrebbe essere lei a prendere dei seri provvedimenti per la sicurezza dei nostri confini.»
Il veleno dentro di lei lo sentiva crescere e dimenarsi. Sapeva riconoscere una menzogna quando ne ascoltava una, ma fino a prova contraria aveva le mani legate. Quegli studenti non avevamo fiatato ed era certa che avrebbero negato fino alla morte, se interrogati attraverso metodi convenzionali. Ciò che poteva fare al momento era proseguire con i suoi intenti e potenziare la sicurezza. A partire dalla messa sotto discreta sorveglianza di tutti i punti d’accesso alla Metropolvere.
«Lasciatemi parlare in privato con il giovane Kiran.» Ma si tolse un sassolino. «A proposito, signorina Rodriguez» esalò con tutto il rammarico che poté fingere. «Temo che non potrò permetterle uscire da questo istituto, nuovamente. A nome della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, i suoi permessi sono revocati.»
Adorava vedere il cuore di quegli immorali piccini infrangersi in mille pezzi. «Cosa?!»
«È naturale, cara. Alla luce di ciò mi è appena stato riferito e dei pericoli che avete dovuto affrontare, mi sembra una decisione inevitabile.»
«Inevitabile?» ringhiò lei. «Se posso permettermi di restare in questo istituto, è solo…»
«I suoi problemi non possono mettere a rischio l’incolumità degli studenti.» concluse lapidaria. Prima di aprirsi in un sorriso rassicurante. «Fino a prova contraria, lei è uno studente. Lo sto facendo per il suo bene.»
 
C’era voluto tutto l’impegno di Piton per evitare che quella selvaggia le saltasse addosso. Alma Rodriguez. Solo sentire quel nome le dava il voltastomaco. C’era quando il Wizengamot aveva condannato sua madre a scontare un ergastolo ad Azkaban. Dalla figlia di un mago oscuro non poteva che aspettarsi lo stesso temperamento criminale. Ma avrebbero fatto i conti, oh sì.
A cominciare da Damien Kiran.
«Io ti credo, caro ragazzo» soffiò, con tutto il tatto che poteva. «Ma devi capire che è compito degli insegnanti, quello di proteggervi. Se temevi che il professor Piton stesse agendo in modo poco raccomandabile, dovevi riferirmelo.»
«Professoressa, io non ho mai detto…»
Lo fece tacere con un gesto della mano. Dolores si alzò, per guardare fuori dalla finestra. «Sono costernata per ciò che è accaduto al giovane Diggory. Mi dicono che eravate in buoni rapporti.» Lo vide annuire attraverso lo specchio. «Ovviamente sappiamo entrambi che a ucciderlo non è stato un sedicente mago oscuro.»
«È stata la magia» rispose lui, cupamente.
Curvò le labbra in un sorriso astuto. «Esattamente.» Annuì e si voltò. «Esatto. Una magia, invocata da qualcuno. Ma chi?»
Damien Kiran drizzò la testa. Sembrava uno stupido scimpanzé. «Come?»
Dolores gli posò la mano sulla spalla. «Voglio svelarti un segreto. La mia presenza in questo castello si deve a un’importante indagine. Il Ministero vuole vederci chiaro sulla tragica scomparsa di Cedric Diggory. C’è chi mente tirando in ballo Tu-sai-chi, chi crede sia stata opera del Labirinto. Ma se ti dicessi che c’erano ben tre Mangiamorte quel giorno… e che uno di loro è appena uscito da questa stanza?»
Il ragazzo sgranò gli occhi. «Temo di n-non aver capito.»
«Sì, invece. Severus Piton era un Mangiamorte. Come Igor Karkaroff, fervente sostenitore del suo pupillo Viktor Krum. E il tuo vecchio insegnante di Difesa contro le arti oscure, Malocchio, si è scoperto essere un impostore. Non hai pensato che fosse piuttosto insolito per un professore insegnare le tre Maledizioni senza perdono a degli studenti così giovani? Riesci a concepire quale pericolo rappresenti tutt’oggi? E se un minorenne, incosciente della gravità delle sue azioni, usasse a sproposito uno solo di questi incantesimi?» Si avvicinò al suo orecchio. «E se fosse accaduto e qualcuno stesse cercando di nasconderlo?»
Mentre si allontanava per guardarlo in viso, capì di averlo portato dove voleva.
«Sì, giovane Kiran. Silente nasconde molti segreti ed Harry Potter potrebbe essere la chiave per svelarli. Ma ho bisogno di prove per poter agire come un ufficiale del Ministero, e non come Inquisitore. Portamele e dimenticherò ciò che è accaduto questa notte.» Per il momento la sua priorità era smascherare Silente e non cedere i suoi inganni.
 
*
 
Richie si sentiva ancora scombussolato dai recenti avvenimenti.
Prima la punizione nella Foresta proibita, poi l’inseguimento di Piton fino a Notturne Alley, la rissa da bar, il richiamo della Umbridge. Per non parlare dell’esperienza più terrificante di tutte: essere trascinati per la collottola da Piton in persona nel suo ufficio, subito dopo che Damien era uscito dalle stanze dell’Inquisitore. O peggio ancora: guardarlo negli occhi mentre gli restituiva i resti scomposti della sua vecchia scopa.
Avrebbe voluto morire in quell’istante.
Fece di tutto pur di non sostenere il suo sguardo da brividi. «Mi scusi…»
Quell’ufficio sapeva di caccole, di muschio e di fumo. Perlopiù provenienti dai resti della scopa che aveva trovato e sequestrato durante la fuga, come garanzia che non succedesse qualcosa alla macchina; con la sua signora era stato amore a prima vista, non avrebbe permesso a nessuno di separarli.
Piton non disse una parola. Forse come ringraziamento per avergli salvato le chiappe pallide, oppure perché l’aria che tirava lì dentro non era delle migliori. E non solo per merito dello sguardo raggelante del professore. Non sapeva cosa fosse preso a Damien: guardava Piton con un gelo davvero insolito per un tipo pacifico come lui.
«Spero che vi siate resi conto del pericolo corso questa sera.»
Nessuno aprì bocca, lasciando aleggiare nella stanza un silenzio imbarazzante. Richie avrebbe desiderato ardentemente allentare il colletto della camicia, ma aveva paura di muovere un solo muscolo che fosse uno; nella sua testa c’era la certezza che avrebbe preso fuoco all’istante nell’attimo in cui avesse, anche solo per sbaglio, distolto gli occhi dagli arredi dell’ufficio.
«Ve lo chiederò una volta soltanto: c’è qualcosa che avete omesso di rivelarmi?»
«No» rispose prontamente Damien.
In realtà ci sarebbe stata una certa bacchetta blu da menzionare.
Richie rabbrividì vedendo Piton muovere il braccio e aprire il cassetto della scrivania. Tirò fuori quello che gli sembrava un diario simile a quelli di Damien; per un momento la sua mente fu attraversata dallo sconfortante pensiero che entrambi si rifornissero dalla stessa edicola, e si appuntò mentalmente di non tornarci mai più.
«In tal caso, lasciate che vi renda partecipi di ciò che ho scoperto. Pare che i Fondatori di quest’antica scuola abbiano scelto questo luogo ignorando, o scegliendo di farlo, un’antica leggenda. Stiamo parlando di migliaia di anni fa. All’epoca, gli storici della magia sostengono che il confine tra maghi e babbani non fosse netto come lo è oggi. Le prime famiglie Purosangue si pensa non avessero ancora visto la luce e il concetto stesso di civiltà magica era assai labile.»
«In pratica parliamo dell’Età della pietra.» Piton lo trafisse con un’occhiata repellente. «Mi scusi…»
«I maghi in questo paese erano chiamati druidi. Erano rispettati e temuti. La magia che è stata trascritta in questo diario è priva di formula. In realtà, rappresenta l’estratto di un antico mito, copiato deliberatamente da un tomo della sezione proibita. Si narra di un druido oscuro. Nella lingua antica, il suo nome può essere interpretato come l’Amato.»
Richie e Damien si guardarono confusi.
«Saprete, mi auguro, che nel mondo magico esistono persone dotate di talenti fuori dall’ordinario. Capacità innate che nemmeno il più elaborato degli incantesimi può replicare. Salazar Serpeverde era in grado di parlare con i serpenti, così come l’Oscuro signore. La vostra compagna Rodriguez possiede un altro di questo talenti e così l’Amato. Un uomo che si narra sia stato cresciuto… dai Dissennatori.»
Rimasero ammutoliti.
«Crescendo tra loro, imparando a cacciare sotto la loro ala protettiva, egli riuscì a inventare un incantesimo oscuro capace di replicare il Bacio di un Dissennatore. Se questa magia esista o sia solo un mito, non è chiaro.»
«Aspetti. Cosa significa che può replicare il Bacio?»
Piton non ebbe alcuna esitazione. «Straziare la mente di una persona. Succhiarne via ogni linfa di emozione e vita. Infine, anche l’anima. Spesso l’Amato si serviva di questo presunto incantesimo per nutrirsi dei suoi fedeli. Ciò che restava erano esseri vuoti, del tutto privi di emozioni o arbitrio. Da questo, il nome Invasati.»
La storia faceva così spavento che Richie era certo che non ci avrebbe mai creduto. Ma mai nella vita. Nell’agitazione di trovarsi ad affrontare certi discorsi, si mosse a disagio sulla sedia e involontariamente il suo braccio toccò quello destro di Damien.
Successe una roba psichedelica. C’era qualcosa di rigido tra le pieghe dei suoi abiti. Toccandolo, era stato attraversato da un’immagine raccapricciante: un uomo, circondato dai Dissennatori. Le mani di centinaia di quegli esseri erano posate sulla sua figura slanciata, in un abbraccio fatto di dita scheletriche. Tra le mani aperte di quell’uomo c’erano due globi luminosi verso i quali quelle creature si protendevano come in una scena raffigurata in un quadro. Il sorriso di quel tipo gli rimase stampato in fronte, era triste e inquietante nello stesso momento.
Durò un battito di ciglia.
Ovviamente diede la colpa ai fumi allucinogeni che libravano indisturbati nella stanza.
Le labbra di Damien si piegarono in una smorfia dura. «Ci sono prove di quello che dice?»
«Temo di sì» rispose Piton, per nulla intimidito dall’indisposizione del ragazzo. «Professi la tua innocenza ed in questo momento non ho prove del contrario. Dobbiamo dunque considerare la possibilità di un ospite indesiderato che si stia aggirando nella scuola. Non visto.» Quando si alzò in piedi, Richie reagì d’istinto trascinandosi indietro di qualche metro con tanto di sedia, facendo un gran baccano. «Gli Invasati sono maghi. È probabile che le loro caratteristiche particolari siano la causa della falla nelle difese scolastiche. Il preside e chi l’ha preceduto non hanno mai dovuto proteggersi o respingere dei maghi privi di un’anima. Essi tuttavia non sono maghi e non sono babbani. La loro esistenza rifugge le consuete leggi naturali.»
«Se sono senz’anima, non dovrebbero essere… m-morti?» chiese, con un filo di voce.
«Come detto, non c’è alcuna certezza.» Piton si voltò verso Damien. «Quella sera hai chiamato Invasati i maghi che vi avevano attaccati. Un nome piuttosto singolare per definirli. Posso conoscerne il motivo, signor Kiran?»
«Anche Mangiamorte è un nome piuttosto caratteristico. Posso sapere come è venuto in mente a Tu-sai-chi, signore?» Damien ripagò il sarcasmo di Piton con la stessa moneta.
Rich si sentì tremendamente un incomodo mentre quei due si guardavano in cagnesco.
L’imbarazzo si stava protraendo un po’ troppo per i suoi gusti. Decise d’intervenire e tirare Damien per il colletto della divisa fino a farlo cadere goffamente, insieme a tutta la sedia. «Senta, professore. Abbiamo passato la notte a fuggire per i vicoli da criminali, o come si chiamano, e uno Schwarzenegger che ho dovuto evitare mi uccidesse giocando a Twister con delle note musicali che mi ballavano sotto i piedi. Lei sa che mi mette i brividi e io so che lei sa, e lo sa anche Damien. Ma siamo esausti e francamente dubito che potremo esserle d’aiuto in questo stato. Perciò ci mandi a dormire. O in castigo. Ci tolga punti. Insomma, faccia quello che vuole. Ma, per favore, la scongiuro, lo faccia prima che la Umbridge si accorga che siamo qui. Sappiamo entrambi che nessuno ha usato la Metropolvere.» Passarono altri secondi di assoluto silenzio. «Mi scusi…»
«Molto bene. Tornate al vostro dormitorio. Ma sappiate… che vi terrò d’occhio.»
 
~
 
«Dunque, vediamo se ho capito bene» disse, mentre procedevano infagottati nei loro cappotti, cappelli, guanti e ogni diavoleria potesse tenerli al caldo tra le strade ormai innevate di Hogsmeade. «In quella grotta c’erano una pozza di sangue e un bracciale vivente.»
«Sì.»
«E dentro questo coso c’è l’anima del vecchio più incartapecorito del mondo.»
«In teoria sì.»
«E si tratta di una magia oscura che ti può controllare il cervello.»
Damien annuì. «Ah-ha.»
«E Terminator, che a quanto pare ha le mamme Dissennatore, ha un bracciale gemello ed è a capo di questi Invasati.»
«A quanto pare.»
«E se non lo rimetti al più presto in quella grotta potrebbe diventare il Don Vito Corleone della terza età. Cosa che non è molto rassicurante, dal momento che c’è gente che giura sia tornato anche Tu-sai-chi.»
«È possibile.»
Sorrise malizioso. «Quindi dentro quel bracciale c’è l’idiota di questa storia.»
«Forse.» Damien non fece in tempo ad accorgersi del tranello e mordersi la lingua. Emise un lamento e si tastò il braccio come se qualcuno gli avesse dato un pugno. «Ouch! E piantala, almeno tu, Rich! Non hai un briciolo di pietà? Guarda in che situazione del cavolo mi trovo!»
No: quello era un gran bel casino, uno coi fiocchi.
«Beh, guarda il lato positivo» cominciò, dopo aver smesso di ridere.
Damien lo trafisse con un’occhiataccia. «Illuminami.»
«Puoi combattere come un Auror. Puoi farti insegnare tutti i trucchetti che quei libri per bambini del Ministero non spiegano, e invece di farti mettere la testa nel gabinetto potresti far germogliare dei gabinetti intorno alle teste di Tiger e Goyle. Mandare Piton vestito come la nonna di Paciock in giro per la scuola...»
«Finiscila» gli rispose, divertito.
«Creare», saltò su un muretto e fece ondeggiare le dita come se fossero bacchette di un direttore d’orchestra, «un leggiadro campo fiorito nel bel mezzo della torre d’Astronomia, dove la tua biondina preferita possa spiegarti perché Gorgorgilli bevono lo Spritz.»
«Credo che li abbia chiamata Gorgosprizzi.»
«Chissene come li ha chiamati, Dam!» Scese di nuovo per affiancarlo. «Il punto è che, se riporti a nanna il tizio della bacchetta nera e ti tieni quella blu, potresti fare una vita da figo assoluto e lui… Beh, una vita. T’immagini cosa possono essere migliaia di anni chiusi in una tomba? Tipo che si è perso le cose migliori della nostra epoca.»
«Tipo? E bada che non te lo sto chiedendo io.»
Poggiò l’indice sull’altra mano aperta. «Le macchine.» Il medio. «I motori.» L’anulare. «Rambo.» Il mignolo. «Praticamente tutte le cibarie e i condimenti che rendono il cibo… Beh, cibo commestibile.» Infine, il pollice. «E ovviamente D&D. Siamo fermi da un po’ su di D&D, vero?»
Damien sbatté le palpebre. «Sai, mi ha sempre conturbato l’idea che ci raduniamo ogni fine settimana per giocare in mondo fantasy immaginario quando…», mosse le dita da una parte all’altra come per ribadire il concetto, «la nostra realtà di tutti i giorni è effettivamente un mondo fantasy.»
«Già. Così è la vita, che ci vuoi fare.» Camminarono in silenzio per qualche secondo. «Vuoi giocare stasera?»
«Ho promesso a Glyn che l’avrei aiutato a rimettere in cantina questo Amato. Sai: i criminali, l’inseguimento dell’altra sera, il rischio mortale che abbiamo corso già due volte, Terminator…»
«Capisco. Già che ci sei, sgraffigna tu qualcosa dalla cucina stavolta.»
«Guarda che ti sto dicendo che non vengo.»
«E va bene, va bene. Quante storie che fai! Stavolta non inviteremo Lucilla e Zabini. Ma devi davvero fartela passare. Sono serpeverde. È normale che vogliano ruolare personaggi astuti e dalla lealtà ambigua. Non è colpa loro se sei finito sotto un vulcano, nelle fauci di un drago o che so io. Tu sei un credulone.»
Damien sospirò. «Puoi tornare serio per un momento?»
Si fermarono.
Letteralmente c’erano delle persone che stavano andando verso la Testa di porco invece che ai Tre Manici di Scopa: Luna, Ginny Weasley e Neville Paciock. Insomma, non dei novellini del terzo anno. Perché solo gli sprovveduti del terzo anno potevano andare a curiosare in quella bettola, senza arrivare all’epifanica soluzione che, se il locale sembrava dismesso e deserto, c’era un motivo.
C’era la seppur labile possibilità che Luna Lovegood avesse convinto gli altri due a giocare ai magizoologi, anche se non capiva perché una ragazza carina come la Weasley dovesse sprecare il suo tempo con l’amica corvonero invece che spupazzarsi il suo ragazzo corvonero; il suo cervello, per natura tarato in modalità consuocera, lavorò alacremente per trovare una soluzione all’enigma.
Luna si accorse di loro. Fece verso di loro un lievissimo cenno di saluto, e un sorriso, mentre proseguivano in quella direzione.
«Non trovi che la neve all’improvviso sia molto più bella?»
«Assolutamente» rispose Richie, anche lui perso nel suo mondo. «Non c’è niente di meglio che spifferare del bianco in cui un certo Michael Corner sta per essere mandato.»
«Rich, sei un Tassorosso. Che diamine!»
«Oh, andiamo! Come se fosse chissà quale sorpresa. Una ragazza che ha sei fratelli maggiori iperprotettivi? Se non lo molla lei, sarebbe scappato lui. E poi… c’è Harry Potter.»
«Cosa c’entra Harry Potter?»
Richie ruotò il viso di Damien. Poco dopo che Luna e la sua compagnia erano spariti dietro le abitazioni del paesello, ecco passare Harry Potter, Hermione Granger e Ronald Weasley, impegnati a percorrere la stessa strada.
Era stato un po’ lontano dal concistoro del gossip ultimamente, per cui le notizie non erano più fresche come una volta. L’anno scorso il pentagono amoroso tra Potter, Granger e Chang, Cedric e Krum, aveva tenuto banco per mesi, ma quest’anno, complice l’ascesa di quella puritana della Umbridge, non c’erano più le notizie succulente di una volta. Harry Potter, la star della scuola, era in rotta di collisione contro un asteroide chiamato Ministero neo-fascista della magia e dicevano che ultimamente era un po’ schizzato. La Granger l’anno scorso era diventata per qualche mese una donna vera, e non quella specie di calcolatore umano mandato da Skynet nel passato per uccidere Sarah Connor.
Weasley era simpatico, però. Eccetto quando qualcuno cominciava a fare troppi complimenti alla sorellina in sua presenza. Ah, quanti ragazzini pieni di sogni e occhi a cuoricino erano stati spaventati a morte dal più giovane del casato Weasley. Un po’ si sentiva in colpa nei loro confronti, ma era troppo divertente spifferare a Ron chi avesse detto cosa riguardo Ginny e vedere cosa succedeva.
Sì, Richie si riteneva un piccolo, innocente diavolo.
Tornando a rivolgere le sue attenzioni verso Damien, non lo trovò più al suo fianco. Si era avvicinato all’angolo di una casa e sbirciava la comitiva che era appena passata.
«Ehm, posso sapere cosa stai facendo?» chiese, dopo averlo raggiunto.
Damien gli fece segno di tacere. Sembrava interessato al trio più esclusivo della scuola e fece addirittura per muoversi verso un altro vicolo per pedinarli.
«Ehi!» Una voce arrabbiata li fece scattare come gatti davanti a un cetriolo.
Alma Rodriguez li stava raggiungendo a grandi falcate e non sembrava affatto per scambiare quattro chiacchiere. Prese Damien per il bavero della giacca con entrambe le mani e lo sbatté contro il muro con una tale forza da staccarlo per un attimo da terra.
«Proprio te cercavo, razza di stupido imbecille che non sei altro!»
«A-Alma! E-Ehi! Ascolta, io…!» Un pugno in pieno stomaco lo piegò in due. Successe tutto così in fretta che Richie non riuscì nemmeno a reagire. Alma gettò Damien nella neve facendolo ruzzolare e sporcarsi tutto. «Razza di bastardo, è tutta colpa tua!»
Il resto non seppe davvero descriverlo. Vedere il suo amico a terra, ridotto a boccheggiare e tenersi lo stomaco, gli mandò il sangue al cervello. «Ehi!» Spinse malamente quella scema di una corvonero con entrambe le braccia. «Che razza di problemi hai, stronza?!»
«Tu non credere di passarla liscia, Gallagard. Ce n’è anche per te!»
«Davvero?» Arrivarono presto ad affrontarsi viso a viso, fino a far cozzare le loro teste. «Allora scopriamo quanto è duro il tuo testone da secchiona.»
«Finitela» biascicò Damien, mentre tossiva.
Avevano entrambi occhi spiritati e la voglia di menar le mani.
«Per colpa vostra non potrò più lavorare. E se non posso lavorare, chi me le paga le esercitazioni e la retta di questa scuola?»
«Secondo te mi frega qualcosa? Forse non l’hai notato, cervellona, ma ci volevano accoppare. E poi che razza di cantante è uno che s’imbosca in mezzo ai criminali? Fatti il favore e trovati un lavoro onesto la prossima volta.»
Alma lo spinse con una forza considerevole. «Prova a ripeterlo. Tu prova solo a ripeterlo!»
Richie allargò le braccia. «Se hai una penna te lo sottoscrivo!»
Fu così che le ostilità si trasformarono in una vera e propria rissa. Rodriguez gli saltò addosso e finirono insieme a rotolarsi nella neve, combattendo con le unghie, pugni, prese al collo. S’insultarono a vicenda, strinsero i denti e non si diedero tregua.
«Immobilus!»
Una forza superiore li bloccò all’istante. Alma era sopra di lui, ma nessuno dei due poté fare altro se non guardare l’altro in cagnesco. Damien la prese delicatamente e la spostò fuori dal suo campo visivo. Quando permise a entrambi di tornare a muoversi, Richie lo trovò in mezzo a loro, a guardare prima l’uno e poi l’altra.
«Mi dispiace, Alm» iniziò. «Davvero, mi dispiace. So che diventare una Cantante magica è il tuo sogno e sono pronto a giurartelo: non lo sapevo. Non lo sapevo» continuò, mentre questa si alzava in piedi.
Rodriguez si spazzò via la neve dagli abiti. Cercava di nascondere il luccicore dei suoi occhi, ma tirare su con il naso smascherava i suoi veri sentimenti.
Non durò che un attimo, quel momento di fragilità. Quando tornò a guardarli, lo fece con una rabbia che rasentava l’odio. «Nessuno di voi due può capire quello che mi è successo. Per colpa vostra, adesso mio padre dovrà rimettere a posto tutto il locale e io non so nemmeno se… Sei morto per me, Damien. Hai capito? Morto!» La sua voce si stava incrinando, le labbra tremavano.
Richie la vide andarsene mentre si rimetteva in piedi. «Le ragazzine sono tutte delle sclerate.» Fu il suo commento, mentre si liberava della neve. «Tu almeno stai bene, Dam? Dam?»
Era silenzioso. Imbambolato sulla orme della strega che s’era appena andata.
«Dobbiamo scusarci con lei, Rich.»
«Sei impazzito?» Gli corse davanti, tagliandogli la strada. «Ha cominciato lei, non mi scuserò con un pazza che colpisce la gente a caso.»
«Dobbiamo farlo» predicò lui, con pazienza.
Richie si accigliò. «Hai presente che ho appena lottato nella neve per te? Non farmi arrabbiare, amico. Non è proprio aria.»
Certe volte, gli occhi di Damien sembravano ingrandirsi come quelli di un cucciolo di cane. Quelle pupille nere sembravano luccicare, fastidiosamente penetranti. Richie distolse lo sguardo, ma le sentì pungere addosso comunque. Era snervante.
«E va bene. Va bene! Guarda tu che razza di amico mi sono dovuto trovare.»
 
«Sei ancora arrabbiato con me?» gli chiese, mentre nel bagno dei Tre Manici di Scopa succedeva il finimondo.
Richie guardò dall’altra parte, le braccia conserte mentre si appoggiava al muro del corridoio. Lucilla Ollivander gli aveva detto che Alma era entrata in fretta e furia nella locanda e si era chiusa nel bagno. A giudicare dal fracasso che proveniva da lì dentro, presto sarebbe stato dichiarato inagibile.
Tu guarda che scocciatura! Andare a Hogsmeade solo per trovarsi davanti alla porta di un bagno e fare il palo per una con un complesso di rabbia repressa grande quanto un campo da calcio.
«Io non ci parlo con te, Giuda.»
Damien sospirò. Bussò cautamente alla porta. «Alm, possiamo parlare?»
«Vattene via!» Un grido disumano spaccatimpani.
Richie sbatté la mano sulla coscia e indicò platealmente la porta. «Visto? Sarà anche una pazza isterica, ma almeno è coerente con sé stessa, lei. Andiamocene e godiamoci il resto della gita.» Si mise le mani nei capelli e imprecando se ne andò via, quando Damien bussò di nuovo. Salvo poi ritornare sui suoi passi.
Rodriguez intanto continuava a distruggere cose.
«Mi spieghi perché sei amico di quella lì? Insomma, cos’è andato in blackout nel tuo cervello un giorno per dire: “Sai che c’è, mi piace farmele suonare da una cantante. Almeno le mie ossa rompendosi a suon di botte faranno un bel rumore.”»
Lui si aprì in un mezzo sorriso. «Adesso può non sembrare, ma Alma è davvero una persona piacevole.» Scivolò lungo la porta, fino ad accucciarsi sui talloni. «È un po’ sopra le righe quando si arrabbia, ma non ti metterà mai la testa nel gabinetto.»
«Certo che non lo fa, se prima ha la sanissima abitudine di sfondarli!» ribatté acido.
Damien intrecciò le sue mani. «Ti ricordi la famosa settimana infernale di Pozioni, due anni fa?» Richie annuì. «È stata Alma a passarmi il formulario con le spiegazioni che ci hanno permesso di sopravvivere.»
«Questo spiega perché all’improvviso riuscivi a creare pozioni quasi decenti.»
«E quando l’anno scorso hai perso la bacchetta e volevi dare la colpa al gatto della Granger? È stata Alma a consegnarmela.»
Richie si accigliò. «Scusa, perché l’ha data a te se neanche mi conosceva?»
«Perché te l’avevo nascosta io. Mi disse di farla finita.»
«Ma che… viscido infame.» Gli tirò il berretto con tutta la forza. «Stavo per scuoiarlo, quel gattaccio porcino.»
Damien lo prese al volo ridacchiando. «Dovevo. Stavi andando in paranoia con la storia del Ballo del ceppo. Se non ti avessi distratto, avresti invitato ogni ragazza che ti passasse davanti.»
«Prima o poi qualcuna doveva accettare.»
«Lo ammetto: con un paio c’eri andato davvero vicino. Ma non penso che la legge dei grandi numeri ti avrebbe aiutato, in questo caso. I-Insomma, si dice che c’è una serratura per ogni chiave, non un passpartout.»
«Temo che Sean Connery abbia molto da ridire in merito. Le donne gli sbavano dietro ovunque vada: è chiaramente un passpartout umano. E poi quello che dici non ha senso. Ci sono i grimaldelli per un motivo, e se non basta puoi sempre sfondare la porta a calci.»
«Appunto. Non penso che a una ragazza faccia piacere essere “grimardellata”.»
Richie sospirò. «Ora capisco perché quel bracciale ha scelto te: siete due vecchi.» Iniziò a gesticolare per chiarire il concetto. «Se non saggi le serrature, come puoi sapere qual è quella giusta? Non abbiamo un sesto senso per queste cose, dobbiamo andare a tentativi.»
Un pugno devastante fece scricchiolare la porta. «Volete andare a parlare da un’altra parte, razza di deficenti!» ruggì Alma, dall’altro lato.
Damien si rivolse a lui sillabando: “Tè con scaglie di cioccolato e menta.”
Richie sgranò gli occhi. Gli fece capire a gesti piuttosto eloquenti e frenetici che non voleva andare a prenderle una bevanda.
Il suo amico lo scongiurò indicando la porta.
Richie protestò di nuovo.
Passarono diversi minuti di tira e molla. Poi, dopo averlo mandato platealmente a quel paese, si arrese e scese al piano di sotto per andare a prenderglielo.
 
«Sbrigati. Passami un braccio intorno alle spalle e girati» bisbigliò Lucilla Ollivander.
Richie reagì prontamente, dando le spalle appena in tempo a Malfoy e la sua combriccola di gorilla che stavano entrando. La serpeverde si appiccicò a lui e gli mise in testa un berretto rosso per nascondere i suoi capelli. Accadde tutto così velocemente da passare inosservato al resto dei presenti che chiacchieravano ignari.
Si lasciò trascinare in un angolo lontano da quegli scassa-cerchioni. Presero posto a un tavolo per due. Lo schiocco di dita della strega attirò l’attenzione del locandiere, che li raggiunse nel momento perfetto; Tiger si era voltato nella loro direzione, ma vide soltanto la schiena dell’uomo accorso a prendere le ordinazioni.
«Succo di mandorla e olive. Mescolato» disse Lucilla.
«Tè… con scaglie di cioccolato e menta» sussurrò esasperato.
Lei sfoderò un’espressione maliziosa e confusa. «E da quando?»
«Non seccarmi.»
Lei ridacchiò, celando la boccuccia tra le dita. «Si direbbe una giornataccia. Prima la rissa a Notturne Alley, poi nella neve a “girarsi e rigirarsi” con Alma Rodriguez. Sei stato piuttosto arzillo ultimamente. E i piani alti l’hanno notato: sai che Piton ci ha chiesto di spiarti?»
Richie scosse la testa. «Giuro, prima o poi capirò da dove ottieni tutte queste informazioni. Sei più inquietante del tuo prozio, certe volte.» E aveva una risatina sgradevole, come un goblin in preda a qualche isterismo allucinogeno potente.
«Questo è un segreto, Gallagard.» Gli strizzò l’occhio.
«Beh, devo cominciare a disintossicarmi dai tuoi segreti. Quando mi hai spifferato che Piton stava lasciando la scuola con una scopa, non pensavo che l’avrei inseguito.»
«Che colpa ne ho io? Era insolito. Avrebbe potuto smaterializzarsi, oppure usare la Metropolvere. L’istinto mi dice che volesse attirare l’attenzione. Ma di chi?» Si passò un dito sulle labbra, pensierosa.
«Lascia stare Piton. Dov’è la mia signora? E non fare battute.»
Lei ridacchiò di nuovo. «Stai tranquillo, dicono che sia scappata non appena Madama Chips ha preso Piton insieme a Vitous. È un mezzo di trasporto molto fedele.»
«È un gioiello» rispose immediatamente. «Almeno non sono stato espulso. E ho avuto modo di testare le gomme nuove che il tuo misterioso contatto mi hai procurato. Sa anche volare, sai? Anche se c’è qualche problema da risolvere.» Richie dovette arrendersi al suo maledetto senso dell’onore. «Grazie. Cosa posso fare per sdebitarmi?»
Il locandiere le portò immediatamente ciò che aveva ordinato.
Lucilla lo fissò intensamente con i suoi occhi smeraldini da dietro un sorso che poteva sembrare piuttosto lungo; invece, si era solo bagnata le labbra. «Sai cosa voglio in cambio dei miei favori, caro Richie: informazioni» sussurrò con voce suadente. «La moneta che muove il mondo.»
Decise di stare al gioco. «Beh, recentemente la tua risata perfida è diventata più insopportabile del solito. Ti eserciti, per caso?» Lei tirò indietro la testa e rise di gusto. «Senti questa: Ginny Weasley e Michael Corner potrebbero lasciarsi.»
«Mhm, intendi dire che gli sguardi penetranti di Ronald Weasley alla fine l’hanno fatto scappare a gambe levate? Chi l’avrebbe mai detto?»
Richie assottigliò le palpebre. Lei già sapeva. «Come?»
«Forse perché so di un certo raduno, in un certo locale che non nominerò, ma che possiede un chiaro riferimento alla sua sozzeria nel nome, e che lei non c’è affatto andata con il suo boyfriend.»
«Perché dovrebbero andare alla Testa di Porco?»
Le sbatté le ciglia con fare da cerbiatta.
«No, lascia perdere. Ho già chiesto un favore al Diavolo, non voglio sporcare la mia anima ulteriormente.» Per un attimo si perse nel modo provocatorio in cui la sua lingua ripulì le labbra dalle tracce di succo. Dovette scuotere la testa per tornare in sé. «E se ti dicessi che Ginny ha una cotta per Dean Thomas?»
Lucilla s’illuminò. Prese da una parte i suoi lunghi capelli corvini e iniziò a carezzarseli come se fossero un peluche. «Intrigante. E da cosa l’hai dedotto?»
Gli bastò ricordare le occhiate che si erano lanciati quella sera a Notturne Alley. Adesso che aveva trovato uno spunto su cui ragionare, nuovi indizi venivano a galla da soli e lo schema iniziava a delinearsi; il fatto che Lucilla lo ascoltasse con attenzione, non faceva che altro che confermare quei sospetti.
«Beh, non è succoso come la lovestory dell’anno scorso, ma non possiamo ancorarci al passato. Inoltre ho scoperto che Chang parteciperà a questo incontro. Sono proprio curiosa di scoprire se quello con Potter è stato solo un fuoco di paglia» risolse lei, mentre il locandiere gli consegnava la tazza di tè.
«Umbridge del cavolo» si lamentarono all’unisono.
«Mhm! Giusto, volevo chiedertelo da un po’: Damien ha fatto progressi con la biondina?»
Un brivido corse lungo la schiena al solo pensiero. «Prego di no. T’immagini dovermi trascinare per i corridoio in compagnia di Luna Lovegood, e solo perché esce con il mio migliore amico? Potrei seriamente pensare di lasciarlo.»
«Oh, che tenero! Sei geloso del tuo fidanzatino.»
«Divertente, detto da un demone che è attratto più dai pettegolezzi che dai ragazzi.»
Lucilla si sporse verso di lui e sussurrò provocante. «Io non ho bisogno di sentirmi amata da un oggetto per aumentare la mia autostima, Gallagard.»
«Che ne vuoi saperne tu di quello che c’è nella testa di un ragazzo. Le auto d’epoca sono delle signore. Devono essere trattate come Dee e corteggiate appassionatamente. Quando sarai avanti con l’età, forse ti mostrerò la differenza tra come si trattano una signora e una signorina.»
«Uh! Dovrò aspettarmi una serenata davanti al balcone della mia stanza da letto o davanti alla porta di casa?»
Richie assunse l’espressione più ammiccante del suo repertorio. «Non insultarmi. Ti porterei a cena con un mazzo di rose, sarei elegante e raffinato, affascinante.»
Lei si avvicinò di più. «Spiritoso, socievole, sicuro di sé.»
«Sarebbe la serata migliore della tua vita» concluse, con voce calda.
«Affascinante. E poi?»
«Se avrò fatto bene i calcoli, dovrei riuscire a scaricarti a casa in tempo per tornare nella mia e guadare la Formula Uno.» Di nuovo, Lucilla rise a lungo e senza vergogna, strappandogli un sorriso.
Aveva le lacrime agli occhi. «Tu sì che sai come conquistare una signora! Dovresti insegnare qualche mossa al tuo amico. O forse è il caso che lo faccia lui con te. Aver paragonato Malfoy a un escremento per difendere Luna è stato molto carino.»
«Che ha fatto?!»
Certo che se n’era perse di cose, mentre era impegnato a effettuare i primi interventi di riparazione alla macchina. Sapeva che Damien era agile come gatto, ma usare queste doti per insultare prima e scappare poi da una banda di bulli erano azioni decisamente lontane dal suo classico repertorio.
Avrebbe voluto davvero restare un altro po’, ma il tè si stava freddando. Lo prese tra le mani e si alzò dopo essersi accertato di essere fuori dai radar di Malfoy. «Ollivander, come al solito è stato sgradevole e vomitevole parlare con te. Ovviamente ognuno paga la sua parte.»
Lucilla gli indicò la strada con un cenno della testa. «Vedi di sparire, tassorosso, mi rovini la reputazione.»
 
«Grazie infinite.» Damien stava già allungando le mani sulla tazzina.
«Avrei fatto prima, ma ero troppo impegnato a scoprire che hai dato a Malfoy dello sterco di animale. Certo che sei proprio cotto di Luna, tu.»
Damien s’irrigidì e gli fece ad ampi cenni di tacere. “Dormono nella stessa stanza” sillabò, riferito ad Alma. Era divertente vederlo agitarsi.
«Mi spieghi cosa ci dovresti fare con questa roba?»
«Sta’ a vedere» bisbigliò, prima di rivolgersi alla porta. «Ehi, Alma. Ti ho portato del tè.»
Attesero semplicemente che il silenzio dietro la porta si protraesse per mesi.
«Scaglie di cioccolato e menta?»
«Come piace a te.»
Alma aprì la porta dopo qualche altro secondo. Il casino di lavandini rotti e legno in frantumi quasi nascondeva le rare tracce di lacrime nei suoi occhi arrossati. Prese la tazza dalle mani di Damien e la osservò attentamente.
Poi sbatté loro la porta in faccia.
 
Alma aveva ancora una faccia funerea, ma sembrava più calma. Tenere le mani sul tavolo, invece che sulle loro facce, doveva per forza di cose estrinsecazione di miglioramento. Richie non sapeva che conoscesse l’incantesimo Reparo, ma questo spiegava perché i proprietari non erano saliti e avevano lasciato che Damien si occupasse di tutta la faccenda.
Carezzava con i pollici la tazzina ormai vuota. Guardava altrove.
Anche Richie lo stava facendo. In mezzo alla folla, vide per un istante Lucilla alzare impercettibilmente un bicchiere di succo nella sua direzione, prima di dedicarsi ad Astoria Greengrass e i suoi compagni serpeverde.
«Perché Luna non mi ha detto niente di questa storia?» Lei mosse la mano come a voler lasciar perdere. «Ultimamente mi sono concentrata troppo sul lavoro. Non ho nemmeno cominciato a indagare su chi le sta rubando le cose.»
Damien si accigliò. «Qualcuno le sta rubando le cose?»
Alma sgranò gli occhi esterrefatta. «È questo che ti preoccupa? Non il fatto che c’è un altro mago oscuro in giro là fuori? Uno che, tra parentesi, mi ha distrutto casa.»
«Hai ragione, scusa.»
Richie preferì non rispondere.
«Beh, come lo troviamo?» Osservava entrambi come se volesse sfidarli a contraddirla. «Quel bastardo la deve pagare. Tenetemi fuori da questa storia e noi tre avremo di nuovo dei problemi, sappiatelo.»
«Alma, è un mago oscuro.»
«No, è un uomo morto. Non mi lascio intimorire da un reperto storico.»
Sospirando, Damien si voltò verso di lui. «Non sei costretto ad aiutarci, se non vuoi.»
Infatti non avrebbe voluto. Era già stata dura accettare che Cedric era morto, figurarsi se voleva infilarsi in quella situazione senza via d’uscita. Quella non era una cosa da niente: Damien e Alma dovevano essere dei pazzi, se non avevano considerato che c’era il rischio di morire. Game Over. Fine. Tanto valeva rassegnarsi all’idea che Lord Voldemort fosse risorto. Ma non poteva lasciare Damien da solo.
Lui non l’aveva fatto.
 
Erano giorni che gli studenti più grandi continuavano a punzecchiarlo. Solo per aver detto quello che pensava: il Quiddich cos’aveva, in fondo, più degli sport babbani? E celebrità come Gilderoy Allock cos’avevano più di un Silvester Stallone? Sapeva della magia da quando aveva memoria, ma non aveva mai amato quel mondo così esclusivo più dell’altro. Nascondersi alla vista dei babbani, vestire in modo ridicolo. Se sua madre non gli avesse fatto così tante storie, non gli sarebbe dispiaciuto fare il meccanico come papà. Alla fine, vivere nel mondo magico non era più esaltante o esotico di riparare un’auto, o più comodo di lasciare che fosse un frigo a conservare il tuo cibo invece che farlo fare alla magia. Lui non ci trovava nulla di sbagliato.
Era figlio di una strega e un babbano. Perché doveva avere delle preferenze?
Solo perché qualche pugno di idioti potesse volare in giro e spaccarsi i denti per colpa di qualche bolide. Tanto valeva affittare un kart e provare il brivido della velocità sulla propria pelle, e ascoltare il rombo dei motori.
In quel posto erano tutti degli esaltati. Persino i coloro che avevano almeno un genitore babbano, o entrambi. Si erano abituati in fretta alle abitudini da maghi, dimenticandosi che lo erano solo per metà. Avevano capito in fretta che gli altri non avevano interesse per le “faccende babbane”, e si erano lasciati contagiare. Beh, lui non ci stava.
Anche se questo significasse restare senza amici.
Mentre se ne stava accucciato in un angolo, immusonito, aveva sentito dei passi fermarsi davanti a lui. «Richie?» Damien lo fissava dall’alto. «Perché stai qui? Non vedi la partita?»
Era il ragazzo che aveva investito nella fretta di attraversare il binario nove e tre quarti.
«Non mi piace il Quiddich.»
«Non è così male, dai. Certo, non è il mio sport preferito, ma nemmeno il peggiore.»
Richie aveva sentito qualcosa nel suo petto farsi più leggero immediatamente. «Tipo?»
«C’è il calcio. Sono un tifoso dell’Arsenal, a proposito.»
«Ti piacciono anche gli sport con le auto da corsa?»
Lui aveva ondeggiato con la testa. «Mi piacciono i Rally e la Formula Uno, le altre corse mi sembravano un po’ troppo strane.»
Quel giorno, Richie aveva iniziato ad acculturarlo come si deve. Ma Damien gli aveva dato qualcosa di molto più importante: un amico con cui parlare davvero di argomenti magici e babbani, e che condividesse i suoi stessi interessi.
 
Se le cose erano migliorate rispetto al passato, lo doveva anche a lui. Avrebbe potuto fregarsene del suo essere babbano, invece non l’aveva fatto. Aveva accettato di diventare suo amico nonostante ciò che si diceva in giro dello “strano” Richie Gallagard, il mangiacaccole. Ed era qualcosa che Richie non avrebbe mai dimenticato.
«No, ci sono anch’io. Ma vi avviso: fosse dipeso da me, mi sarei fatto i fatti miei. Il fatto che mi aggreghi non vuol dire che accetterò di rischiare la vita, se potrò evitarlo.» E indicò tutti e due.
«Cavolo. Tu sì che se un cuor di leone, ragazzo» sputò Alma.
«Vedi di non tirartela troppo, cervellona. Se vuoi morire, accomodati pure. E la prossima volta che provi a picchiare Damien in mia presenza, quella tazza lì te la spacco in testa.»
«Rich!»
«No, ha ragione.» Rodriguez si massaggiò la fronte. «Ho esagerato. È che… Il pub, il lavoro. Non voglio andarmene da questa scuola, ma non voglio nemmeno essere un peso economico per papà. Dovrà ricostruire in fretta tutto il locale.»
«Scuse accettate» disse Dam, immediatamente.
Richie si accigliò. «Davvero? Ti propina una storiella strappalacrime e siamo apposto?»
Damien roteò gli occhi. «Se la prossima volta colpirà te, potrai farle fare tutti i salti mortali che ti pare.»
«Oh, non ci sarà una prossima volta, se ci prova» gli rispose, incrociando le braccia al petto. «Io non sono un sacco da boxe. E non lo sei neanche tu.»
Alma annuì. «Siamo d’accordo.»
Perlomeno doveva riconoscerle che non era il tipo di ragazza che piangeva a comando. Ne aveva incontrate molte, soprattutto a lavoro da papà, e conosceva i loro stratagemmi. Rodriguez si era scusata davvero, e ad ogni modo era impostata per picchiare la gente invece che frignare. Per il momento decise che andava bene così.
«Allora, come troviamo questo…»
«Amato» specificò Damien.
«Piton l’ha chiamato così.»
Il suo amico annuì, rimanendo concentrato su Alma. «Credo che per prima cosa dovremo tenere d’occhio la sezione proibita. Avete sentito cos’hanno detto, no? Chiunque si aggira in questo castello, sta cercando qualcosa e la sta cercando tra quei libri.»
Richie sospirò. Si alzò battendo le mani sul tavolo. «Ho capito.»
«Dove vai?»
«A vendere l’anima al Diavolo. Di nuovo…»
 

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Capitolo 5
*** The show must go on ***


THE SHOW MUST GO ON
 
 
Vitious continuava ad agitare la bacchetta, assecondando il vocalizzo del coro con la solita energia. Era un insegnante di statura minuta, dalla personalità talvolta sempliciotta, ma aveva una conoscenza degli incantesimi così profonda che pochi altri maghi al mondo potevano vantare. Non a caso era uno degli insegnanti più illustri che la scuola aveva da offrire, nonché il Capo della casata che faceva della conoscenza e l’ingegno il suo cavallo di battaglia: Corvonero. Di cui, in gioventù, era stato membro.
Era il primo professore che Alma aveva conosciuto al suo arrivo ad Hogwarts. Un autentico pozzo di conoscenza, anche se, come Vitious ripeteva spesso, si riteneva dotto solo la metà del professor Silente. Entrambi avevo un’indiscussa passione per la musica, nonostante la praticassero in modi totalmente differenti. Ma non aveva potuto di dirgli di no quando l’aveva implorata di partecipare al coro scolastico; se non come voce principale, almeno per accompagnarla.
Ancora una volta, la Umbridge passeggiava nei suoi pressi. A causa di “insistenti voci” sulla formazioni di gruppi studenteschi non regolari, aveva deciso di mettere al bando anche il coro della scuola. Pur permettendone l’immediata ricostituzione, ma alle sue regole. Il suo intento era chiaramente quello di trasformare una delle più recenti ma illustri istituzioni della scuola in una banda di studenti “rispettabili” che cantava su dei testi adattati per un pubblico da asilo nido.
Presenziava ad ogni dannatissima seduta.
 
«Muovete quelle bocche!»
Ricordava benissimo la prima volta che era intervenuta. Alma stava facendo di tutto per evitare di dare in escandescenza. Non aveva mai odiato a prima vista qualcuno come quella diabolica faccia da rospo, e non era il tipo che sbagliava spesso a giudicare le persone. Era cresciuta a Notturn Alley, figlia di madre galeotta e un padre babbano. Aveva imparato a farsi rispettare da criminali, contrabbandieri, ogni genere di malfattore e disperato potesse ospitare quel sobborgo infernale. La gente vestita bene non sapeva niente, non aveva mai dovuto arrivare a mordere la vita. Era abituata a guardare le persone dall’alto del loro sporco piedistallo. Inquisitore supremo per lei era solo un titolo pomposo come tanti altri, nient’altro.
Le sue emozioni erano un calderone traboccante di ostilità già prima che lei provocasse il suo autocontrollo. Aveva preso un metro, quella vigliacca, e l’aveva usato deliberatamente per misurare l’altezza del professore davanti a tutti. Inizialmente Vitious non aveva capito cosa stesse succedendo, ma non ci aveva messo molto a fare due più due.
«C-Cosa sta facendo?» aveva bofonchiato allibito.
Inspirando a pieni polmoni, Alma ci aveva rosso dalla rabbia. Aveva stretto le mani a pugno fino a conficcare le unghie nella carne; per un momento, le era anche parso che lo sguardo della Umbridge fosse rivolto verso lei. La tentazione di metterle le mani addosso si era fatta sentire. Il cuore pompava all’impazzata nel petto. Era un prurito fastidioso che reclamava a gran voce soddisfazione. Un bisogno fisico.
Una mano si era chiusa intorno alla sua, delicata e sottile. La timida Astoria Greegrass aveva scosso la testa impercettibilmente e quell’attimo rubato era riuscito in qualche modo a far evolvere la situazione senza il suo contributo.
«Nulla.» Aveva precisato la Umbridge con quell’odiosa vocina gentile.
«A me non sembra nulla.»
«Spetta a me decidere cosa possano sembrare o meno le mie indagini sul corpo insegnanti, professore. Le continui pure le sue attività e non faccia caso alla mia presenza.»
«Interroga tutti gli insegnanti» aveva sussurrato Astoria. «Daphne mi ha detto che ha fatto lo stesso con Piton e la professoressa Caporal. Vuole istigarli.»
«Allora dico di spezzarle le gambe e riportarla da Caramel bell’infiocchettata. E con un dito mozzato dentro un piccolo cofanetto» aveva replicato velenosa.
Astoria era rimasta orripilata. «Sei matta? Vuoi finire ad Azkaban?»
Alma si era limitata a fissare quella stronza con disprezzo.
Lei si era voltata un paio di volte, salvo poi decidersi a guardare davanti. «Senti, sappiamo entrambe che non posso fermarti. Ma qualunque cosa ti passa per la testa, non farlo qui. E magari ripensaci più di una volta, già che ci sei. Con la violenza non si risolve nulla.»
Tipico modo di pensare per chi non era cresciuto a Notturne Alley.
 
«Rodriguez, una parola» disse Vitious alla fine dell’esercitazione.
Mentre i suoi compagni uscivano dall’aula, Alma sbuffò. Si sistemò la borsa a tracolla sulla spalla e lo raggiunse. Era così piccolo che doveva sedersi sotto un’amplia pila di libri solo per arrivare alla sua altezza.
«Ti stai comportando in modo molto maturo. Forse dovrei prendere lezioni da te.»
«Di cosa sta parlando?»
«Di quell’insopportabile, scandalosa…» Cercava disperatamente una parola consona al suo vocabolario altolocato.
Fu così divertente vederlo diventare rosso in viso che sorrise e attese incrociando le braccia al petto.
«Una…»
«Vuole una parola?»
«No, ce la faccio! Una… Una…!» Stava diventando viola.
«S.T.R.O.N.Z.A» sottolineò Alma, mettendo enfasi su ogni lettera.
Vitious rimase allibito. «Modera il tuo linguaggio, ragazzina!» Alma roteò gli occhi. «Questo uso che fai delle parole non è appropriato per questa scuola prestigiosa. Non essere irrispettosa!» Poi si massaggiò il mento. «Però, effettivamente, questo termine grezzo potrebbe esprimere in modo», la sua espressione era ancora di rimprovero, «sciatto e sconsiderato il mio pensiero.»
Alma ondeggiò con la testa. «Dalle mie parti si dice: “Grazie”.»
Vitious sbuffò e grugnì più volte come un treno a vapore che iniziava a carburare. «Insolente. Sfrontata. Sfacciata.»
Il sorriso di Alma si allargò. «Sta parlando di me o della Umbridge?»
Dal modo con cui si passò una mano sul viso, forse non lo sapeva nemmeno lui. «Tu sarai la mia rovina, Rodriguez. Lo sai? La mia rovina.» Con la mano, fece cenno di lasciar perdere. «In queste settimane pensavo che avresti voluto parlarmi di quello che è successo a Notturne Alley, prima o poi.»
«Mi perdoni la franchezza, professore. Se intende parlare di aiuti economici o robe simili, la fermo subito. Sa già come la penso.» Lei non aveva bisogno di alcuna elemosina.
Era un argomento di cui avevano discusso spesso. Vitious era affascinato dalla sua voce. Le aveva offerto di pagare di tasca propria i più prestigiosi maestri della magia canora in circolazione, pur di valorizzare quello definiva un “diamante grezzo”. Alma le aveva sempre respinte in blocco. Non voleva una vita tra aristocratici che analizzavano la purezza del sangue come i somelieur una bottiglia di vino. Non avrebbe permesso che suo padre finisse per essere il bersaglio di qualche invidioso Purosangue. E altrettanto importante: la musica classica, i cori e tutto il resto, potevano anche fottersi per quel che la riguardava.
«Non è di questo che volevo parlarti. La Traccia ha identificato l’incantesimo che hai lanciato fuori dal castello.»
Arrossì. «Oh, quello! Ho dovuto usare l’Ostendo symphoniae per cacciare qualche malintenzionato dal locale.»
Adesso il professore d’incantesimi sbuffava come un treno che viaggiava ad alta velocità! «T-Tu hai usato un incantesimo di complessità inenarrabile, un incantesimo studiato e creato attraverso secoli di studio e perfezionamento dai geni della musica canora, la quintessenza della sinfonia magica, un incantesimo che Silente in persona non è mai, mai, riuscito a padroneggiare e che io con fatica sono stato in grado di replicare una sola volta nella mia vita, per combattere?»
«Sì.»
Il professore cadde a sedere sui libri. «Mi sento male. Mi sento male…!»
Corse a riempire un calice d’acqua e glielo consegnò bello pieno. Vitious lo bevve tutto d’un fiato. Era convinta che se avesse avuto la capacità di parlare, in quel momento la sua lingua si sarebbe prestata più che volentieri a un “uso dei vocaboli ‘sì grezzo e turpiloquio”. Alma fece del suo meglio per non mettersi a ridere.
Passarono minuti interi di affanno e leggere pacche sulla schiena perché, finalmente, lui riuscisse a sillabare di nuovo parole di senso compiuto: «Tu sarai la mia rovina, Rodriguez. La mia rovina, sappilo.»
«Prima o poi dovrà succedere. È un po’ avanti con l’età.» Gli fece la linguaccia.
Lui scosse la testa. «Insolente.» Accennando con la mano, le chiese sbrigativamente di andare al centro della stanza. «Fammi vedere i tuoi progressi.»
«Aspetti, intende adesso?»
Vitious con un cenno della sua bacchetta sgombrò la stanza in tempo di record, lasciando banchi e libri ammassati in modo ordinato agli angoli. Le disse di prendere in mano la bacchetta e con la propria sollevò una serie di lanterne, che aveva provveduto ad accendere. Il suo compito era semplice: usare l’Ostendo symphoniae per guidarlo. Un compito facile, ma la sua complessità diventava inimmaginabile se per fargliele appendere era costretta a improvvisare una melodia completa, spingendo Vitious a far volteggiare tutti i lumi a ritmo di musica.
«È un esercizio meccanico» le disse. «Devi abituare la tua mente a stimolare la creatività e produrre una melodia mentre il resto del tuo corpo, occhi e orecchie, dovranno essere attenti a calcolare come risolvere ogni ostacolo che metterò sulla tua strada.» Molti libri iniziarono a sollevarsi, galleggiando nell’etere come bolidi pronti a disturbare il moto delle lanterne. «L’Ostendo symphoniae è un incantesimo che richiede grande abilità solo per essere evocato. Controllo, postura, un uso pressoché massimo dei sensi e dei percorsi cognitivi. È come guardare a destra e sinistra nello stesso momento.»
Anche ripeterglielo in continuazione faceva parte dell’esercizio, diceva. Il corpo, come la mente, aveva una memoria, degli automatismi che ogni mago o strega per diventare competente doveva stamparsi a fuoco nel cervello e saper padroneggiare. Il discorso era molto simile agli incantesimi non verbali: enunciare la formula permetteva di evocare l’incantesimo con facilità, ma tra pensare, enunciare e agire, un mago più scaltro o veloce poteva facilmente prendere il sopravvento.
Prima che potessero cimentarsi con quell’esercitazione, la porta dell’aula fu spalancata. Albus Silente entrò in silenzio e se la chiuse alle spalle.
«P-Preside.» Vitious era intontito.
Silente le sorrise bonario e poi si rivolse a lui. «Oh, non badare a me, Filius. Ero solo di passaggio. Spero di non essere sfacciato chiedendovi se posso guardare. Prometto di non disturbarvi.»
Adesso gli sbuffi di Vitious erano come due treni in corsa che andavano a schiantarsi frontalmente. «M-Ma scherza?! È un onore. Le prendo subito…»
«Non occorre. Ma ti ringrazio per la premura.»
Per essere un uomo che doveva insegnare dei ragazzini come cantare, Vitious rimaneva spesso senza parole. Annuì e basta, e si schiarì la gola.
 
Quello fu il pomeriggio più strano che Alma avesse mai vissuto: allenarsi con un Vitious più impettito del solito, con un petto tronfio d’orgoglio, e probabilmente il mago più potente degli ultimi secoli che li osservava in perenne silenzio, poggiato sul bordo di un banco con le mani conserte in grembo. Per fortuna la presenza di Silente esercitava un’innata spinta verso l’armonia. Non parlò mai, come aveva promesso. Rimase per ore a osservarla prendersi i rimproveri e gli sproni di Vitious, sordo ad ogni imprecazione che Alma fece uscire dalla sua “bocca irrispettosa”.
«Bene. Direi che per oggi è abbastanza» disse Vitious al calar della sera.
Alma annuì, china a riprendere fiato. Il preside era stato raggiunto dalla sua fenice attraverso un finestra lasciata aperta. Accucciata al suo fianco, Fanny si lasciava accarezzare il muso con dolcezza. Era una creatura incredibile, dai colori sgargianti e il rosso fuoco dominava il piumaggio in modo assurdo. Una delle cose più belle che avesse mai visto, sebbene non apprezzasse particolarmente quel colore. In lei, tuttavia, s’intonava così bene che non era possibile provare ribrezzo.
«Come vede, signor preside, Alma deve ancora migliorarsi. Tuttavia non ho alcun dubbio che sentiremo presto parlare di lei, una volta ottenuto il M.A.G.O.» L’orgoglio nella voce del professore la mise in leggero imbarazzo.
Silente annuì. «Non ne dubito, vecchio amico. Alma, sono sicuro che qualunque futuro sceglierai d’intraprendere sarà luminoso.»
Divenne rossa. «G-Grazie, preside.»
«Questa, da che rammento, è la prima volta che Hogwarts accoglie un Omnilofono. Non abbiamo avuto modo di conoscerci in questi anni, ma sappi che ti ho tenuta d’occhio. Ho incontrato maghi dal talento straordinario, altri dalle capacità incredibili e rare. Persino io devo ammettere di aver letto della tua solo nei libri. Potrei disturbarti per una testimonianza? Incontri come questo non capitano tutti i giorni.»
Alma scosse la testa e distese le labbra in un sorriso. Silente non era la prima persona curiosa dei suoi poteri e non si era mai data pena per spiegarli. «Posso dirle quello che ripeto a tutti: è come se tutto ciò che mi circonda produca un rumore che non è un rumore. Più mi sforzo, più a fondo e concentrata diventa la mia percezione di ciò che mi circonda. Se volessi, potrei ascoltare la voce del battito dei vostri cuori. Il mio udito non è più sviluppato di altri. Mi basta parlare, o semplicemente respirare, e ciò che torna a me io riesco a concepirlo soprattutto attraverso l’udito. Ma anche la mia pelle vibra, e i miei occhi sanno dove guardare. Certe volte mi pare di sentire il sapore delle note nella mia bocca, di respirarlo. È… tutto intorno e dentro di me. Non so come spiegarmi meglio.»
«Cara ragazza, non occorre. Sei stata esaustiva, e di questo ti ringrazio.» Alma rispose al suo sorriso curvando le labbra. «Vorrei avanzare solo un’ultima richiesta, se mi è lecito. Gradiresti mettere alla prova ciò che hai imparato oggi con me?»
Temeva di non aver capito.
Guardò prima Vitious, anche lui confuso, poi accettò l’invito del preside a duellare. Si disposero l’uno contro l’altro a una certa distanza e, seguendo il suo esempio, si profuse in un profondo inchino. Aveva già la bacchetta stretta tra le mani, perciò attese che Silente tirasse fuori dalla manica la propria.
Per poi mettersela dietro la schiena, custodita tra le mani e le braccia conserte.
Alma rimase confusa. «Professore?»
«Comincia quando ti senti pronta, signorina Rodriguez.»
Davvero non riusciva a capire. Ma, ehi, quando avrebbe avuto un’altra occasione per affrontare il mago più potente in circolazione? Alma si concentrò sul cuore, iniziava sempre da lì. Chiunque avesse intenzioni ostili verso di lei, accelerava sempre il battito prima di attaccare. Quello di Silente era calmo, armonioso. Stava aspettando.
L’aveva chiesto lui. «Acqua Eruptio. Bullae volanti.»
Dalla sua bacchetta sprizzò una raffica di bolle d’acqua. Alma prese un respiro profondo… e fu questo a salvarla. Non solo nessuna nelle bolle travolse il preside, quando lui mosse la bacchetta con un fluido movimento ad arco, ma ascoltando Alma comprese che qualcosa sopra la sua testa stava precipitando! Dovette scartare a lato, evitando una bolla d’aria tiepida.
Ne schivò a fatica un’altra, e un’altra. Provenivano da tutte le direzioni!
Allora sollevò la bacchetta in aria. «Tranquillitates!» Attorno a lei si creò la bonaccia e le onde d’aria scomparvero. «Ostendo symphoniae.»
Un rivolo di sudore le corse lungo la tempia quando i suoi sensi e l’incantesimo divennero un tutt’uno: le note rosse apparvero all’istante e a centinaia, la circondavano da tutti i lati! Non c’era scampo: dozzine, se non centinaia di bolle d’aria tiepida si scagliarono contro di lei da tutte le direzioni.
Facendola, gentilmente, barcollare all’indietro.
Alma aveva chiuso gli occhi prima del colpo finale. Quando li riaprì, non avrebbe mai immaginato di essere ancora viva e vegeta; se il preside avesse avuto cattive intenzioni, per lei sarebbe stata la fine. Lo sforzo appena compiuto e quella consapevolezza le misero il fiatone.
Guardò il preside, ancora fermo con le mani conserte dietro la schiena. «Ancora» disse determinata, dopo essersi pulita il muso con la manica della divisa.
Silente non disse una parola. Ad ogni azione rispondeva e lo faceva con una maestria incomparabile. Tra loro c’era una differenza abissale, come un bambino che si confrontava con un uomo adulto forgiato dall’esperienza. Non riusciva a creare delle sinfonie che potessero aiutarla a sfuggirgli. Ogni tentativo di superare la sua abilità finiva con un nulla di fatto.
Si tolse il mantello, si annodò i capelli che andavano sciogliendosi e si concentrò maggiormente. Le note ai suoi piedi divennero delle versioni colorate e perfettamente in scala di sé stessa. Ogni Alma si spostava in una direzione diversa e quelle che si coloravano di rosso cercava di evitarle. Seguiva solo le movenze di quelle verdi, creava percorsi alternativi improvvisando, eliminando dalle sue percezioni tutto ciò che non le serviva. Tutto divenne estraneo, eccetto loro.
Fallì, riprovò ancora.
Fallì, s’impegnò per fare meglio.
Fallì, ma si ostinò a continuare.
Cominciava a vederlo: uno schema. Silente non le dava alcun riferimento, ma piano piano si stava abituando al suo ritmo. Lo ascoltava. La sua danza e la musica che riusciva a scatenare diventavano sempre più accordate e melodiose. Nonostante il suo corpo reclamasse riposo a gran voce, Alma non era intenzionata a cedere alla stanchezza. Voleva arrivare a lui. Era un bisogno viscerale, e sbaglio dopo sbaglio ci stava riuscendo.
– Di più, Alma. Ancora più veloce – si ripeté.
Ce la fece! Trovò nel marasma rosso che la circondava una scia verde, un percorso che riprodusse fedelmente, evitando con agilità tutte le bolle d’aria sulla sua strada. Era quasi fatta! C’era vicinissima ad afferrarlo per la veste!
Un rumore improvviso spezzò il suo ritmo e con esso la sua concentrazione. Fu come essere colpita al centro della testa. Franò sulle ginocchia, tenendosi le meningi con forza. Man mano che perdeva la concentrazione, quel suono estraneo trovava forma e dimensione: era il canto della Fenice, ora appollaiata sulla spalla di Silente.
«Eccellente. Eccellente» disse il preside, mentre le offriva la mano.
Alma strinse i denti. Si sentiva giocata. «Ha imbrogliato.»
Vitious si agitò sul posto. «Rodriguez!»
Silente ridacchiò dolcemente e l’aiutò a rialzarsi. «I miei complimenti, signorina Rodriguez. Riuscire a padroneggiare un incantesimo tanto complesso alla tua età è un risultato encomiabile. Non mi sorprende che tutti loro si siano affidati a te, quella sera.»
Ci mise un po’ per registrare cos’avesse appena detto. Il contatto con la sua mano suscitò in lei per un attimo una sensazione di familiarità, come un richiamo dal passato.
Possibile che lui sapesse che Luna, Damien e il suo amico Richie non fossero gli unici presenti nel pub? Era solo un presentimento, ma, dal modo in cui aveva parlato, Alma l’aveva sentito emergere dentro di lei con prepotenza.
Smarrita nei suoi pensieri, si lasciò dare qualche leggera pacca sulla mano che Silente ancora teneva tra le proprie. «Le amicizie che stringiamo sono un legame prezioso. Ci infondono allegria, e coraggio nei momenti difficili. Ci aiutano a superarli. Per proteggerle occorre ardimento, coltivarle è una nostra scelta. Guidarle, una responsabilità.»
Silente le sorrise un’ultima volta. Poi la lasciò andare.
Salutò entrambi prima di materializzarsi altrove, lasciandola più confusa che mai.
«Che significa, professore?»
Vitious si accarezzava il mento, cercando di nascondere un lieve sorriso. «Penso che il significato più vicino alle sue parole possa tradursi in questo: “Qualunque cosa succeda, lo spettacolo deve andare avanti.”»
«Qualcosa più terra terra?»
«Sei un Corvonero, Alma Rodriguez. Sei più che qualificata per risolvere l’enigma.»
 
*
 
Piton continuava a sfogliare il diario di Damien Kiran, quasi che in quelle pagine potesse trovare una risposta alle domande che affollavano la sua mente da giorni. Lo scontro di quella sera l’aveva scosso. C’era qualcosa che non riusciva a comprendere. Era lì, vicina, poteva quasi sfiorarla con le dita, ma mancando di comprenderne la natura questa gli sfuggiva. Si sentiva frustrato.
Era stato avventato. Aveva creduto di poter risolvere la faccenda da solo e si era sbagliato. Se quei due ragazzini non l’avessero salvato, quel mago oscuro l’avrebbe ucciso. No: si sarebbe nutrito di lui. Come se i suoi sentimenti fossero un pezzo di carne succulenta dove affondare i denti. E le aveva sentite, le zanne: quando aveva pronunciato il nome di Lily, qualcosa dentro di lui si era incrinato. Aveva ceduto. E tutto il suo dolore si era manifestato in una forza gelida capace di renderlo impotente, fino a sfinirlo.
Lily Evans.
Aveva commesso un errore. Di nuovo. Aveva messo a repentaglio la sua vita, e tutto ciò che essa rappresentava. E la parte peggiore era che, per un momento, si era sentito un estraneo nel suo stesso corpo. Come quel bambino senza Lily, pallido ed emaciato mentre si trascinava nella solitudine. Aveva commesso un errore. Come quella volta, al cospetto del Signore oscuro.
Visitando l’armadio consunto dell’aula di pozioni, trovò il suo antico libro di testo. Di proprietà del Principe mezzosangue c’era scritto. Ciò che lui era un tempo. Un tempo prima di Lily. Un tempo dove l’odio aveva prevalso, prima che abbandonasse per sempre quella parte di sé seppellendola nel dolore e le lacrime per la morte della sua amata.
Perché lo stava stringendo tra le dita con tanta forza?
Severus lo gettò tra il resto dei libri come se scottasse e chiuse le mandate dell’armadio percorso da un brivido. Era stato tentato. Come non succedeva da tanto tempo. Respirava velocemente, la terra gli mancava da sotto i piedi e dovette sedersi.
«Sempre» ripeté al vento, ma soprattutto a sé stesso.
Perché sentiva così freddo?
 
La sua ronda per i corridoi della scuola proseguiva nel silenzio assoluto. Gli studenti erano andati a dormire, come i quadri animati che riempivano le mura dei molti corridoi che impegnava senza neanche guardare. Conosceva a menadito le strade più battute di Hogwarts. Come Damien Kiran, era stato un ragazzino distante, preda dei bulli. Il cui unico compagno, quando mancava la presenza di Lily, erano diari e soprattutto quel consunto libro di pozioni avanzate. Forse era per questo che sentiva un’affinità con il ragazzo. Erano molto simili, eccezion fatta per il talento. Eppure diversi.
Il giovane Potter aveva preso molto del carattere paterno, ma gli occhi erano quelli di lei. Bellissimi e pieni di vita. Quelli del ragazzo tassorosso esprimevano invece lo stesso dolore, la stessa sensazione di disarmo che per anni aveva visto riflessa ogni volta che si guardava allo specchio. La morte di Cedric Diggory aveva sconvolto la casata Tassorosso, ma per alcuni, più di altri, quel dolore era ancora vivo. Pulsava, e non se ne sarebbe andato facilmente.
Forse Silente aveva sempre avuto ragione nell’ordinargli di tenersi lontano, ad essersi allontanato lui stesso dal giovane Potter. Stringere legami con un persona era alimento, e un tormento. Quel legame che vincolava Harry al Signore oscuro era un varco aperto nel suo cuore. E più amore l’avesse riempito, più dolorosamente il sangue sarebbe sgorgato dalla ferita che Voldermort gli avrebbe inferto, prima o poi. L’amore era l’arma più potente che esistesse, diceva Silente. Ma dov’era quanto lui ed Harry avevano pianto insieme, mentre Lily diventava fredda tra le sue braccia?
Lui non c’era. Lei non c’era più. Tutto ciò che era rimasto si trattava di rimembranze che andavano sbiadendosi e Severus non voleva che accadesse: le lacrime era tutto ciò aveva. Se le avesse esaurite, Lily Evans avrebbe cessato per sempre di esistere.
Sentiva sempre più freddo.
Una porta si aprì all’improvviso. Gazza, il custode del castello, si affacciò dall’uscio. Era un uomo nato senza poteri magici, in una famiglia di maghi. Magonò li definivano. I suoi abiti erano logori, consunti come quei filamenti di capelli che cadevano dalla una testa che accennava calvizie. Il suo viso lungo, arcigno, si aprì in un sorriso dai denti ingialliti.
«Professore. Entra, siedi con me.»
Una richiesta insolita. Piton avrebbe volentieri tirato avanti per la sua strada. Fu la curiosità a frenarlo e spingerlo ad accettare il suo invito. Arcus Gazza aveva già predisposto un tavolo di legno davanti al camino acceso. Si era tolto il soprabito. Sedeva su uno sgabello con nient’altro che i pantaloni e una camicia bianca sfilacciata. C’erano due bicchieri di vetro. Li stava riempiendo versando un liquido dal colore simile a rum.
Severus sedette mentre questi terminava il suo compito.
Gazza non attese che si servisse prima ingollare un sorso. Accarezzato dalla luce delle fiamme, il suo viso perse parte della solita ruvidezza. Annusò il contenuto, Piton, prima di prendere un sorso. Il liquore era incendiario e forte, gli bruciò la gola.
«Perché non hai avvertito l’Inquisitore supremo?»
«Dovrebbe saperlo, professore. Il mio lavoro è sorprendere quei diavoli e farli piagnucolare mentre li porto dai loro insegnanti.» Il suo sorriso fu disgustoso. «Questo impertinente in particolare vuole giocare a nascondersi nella sezione proibita, ma lo troverò.»
Severus attese che sorseggiasse di nuovo, prima di indulgere lui stesso del liquore.
«Sembri spento, ultimamente. Il professore di pozioni che sviene ai confini della scuola. Non è qualcosa che si vede tutti i giorni» disse lui, dopo aver vuotato gran parte del bicchiere. Sogghignò, notando suo silenzio. «Eh, inizia sempre così. Prima è un richiamo, poi un dubbio che ti assale. Prima che te ne accorgi, i volti delle persone che conosci iniziano a sembrarti estranei. E in un attimo… sei vuoto.» Gazza sogghignò di nuovo.
«Di cosa stai parlando?»
L’alcol stava iniziando a fare effetto. La sua risata sgradevole divenne grassa e raschiante. «Dimmi, professore. Tu avverti il calore del fuoco?»
Lo studiò attentamente, mentre gli occhi di Gazza si perdevano nelle lingue di fiamma che danzavano nel camino acceso. Adesso che glielo faceva notare, Piton realizzò avvertiva a stento l’abbraccio della temperatura.
«Io non lo sento. Da molto tempo. Eppure c’è stato un momento in cui lo sentivo anche io, il calore.» Gazza vuotò tutto il bicchiere in una volta. «Alle famiglie di maghi non piace che la loro stirpe sia macchiata da chi nasce senza poteri. Non li ritengono meritevoli di essere considerati. Per loro sei peggio di un babbano.»
Si alzò e fischiettando richiamò la sua gatta. «Andiamo Msr Purr. Stanotte si va a caccia di ombre. Faresti bene a non perdere quelle ultime braci del tuo calore, professore. Senza di esso, è come essere già morti.»
Piton lo osservò uscire. A contatto con il fuoco, sentiva meno freddo. Prese un altro sorso, ascoltando nel silenzio il crepitare delle fiamme.
 
*
 
Iniziava sempre così: una notte di tempesta, una figura che avanzava correndo nella pioggia incessante e nel fango. Urla, il rumore di scontri. Poi, tutto ciò che vedeva finiva sottosopra, distorto, sfasato, oscurato. La pioggia era come un velo d’acqua impenetrabile, il rosso, scuro come l’inchiostro con cui intingeva la penna d’oca, sgorgava come la corrente di un fiume. Fulmini verdi squarciavano la roccia e il suono che producevano cantava di morte. E a quel punto, Alma sapeva che stava per arrivare: un gigante, dai lineamenti celati dall’oscurità. Imponente aleggiava su di lei, fendendo il velo d’acqua con la sua mole. Il suo occhio blu incontrò i propri e il mondo intorno a lei inizio a gridare stridendo.
Alma si mise a sedere di scatto.
Ansimava, il cuore le martellava nel petto e nella gola con una forza micidiale. Era solo un sogno, ma, come ogni volta che ci posava la mano, scoprì che la sua fronte era imperlata di sudore. La sua camicia da notte era fastidiosamente umida e le coperte dove si era raccolta gettavano fuoco dentro di lei. Le calciò via e venne tramortita da coltelli affilati: lance di freddo che punsero la sua pelle dandole la pelle d’oca.
Solo l’acqua corrente della doccia riuscì a riscaldarla. Alcuni rubinetti gettavano sulla sua testa dei flussi bollenti, capaci di sciogliere i suoi muscoli rigidi mentre il vapore la circondava. Sarebbe potuta rimanere così, per ore, a sostenere il muro piastrellato con le mani mentre osservava l’acqua defluire ai suoi piedi e poi nello scarico. Rimuginando su quel sogno che la tormentava da che aveva memoria.
Chiudendo gli occhi, il ticchettare delle gocce d’acqua riuscì a creare uno spazio rasserenante ed Alma lo visse per interi minuti, allontanando il gigante che la inseguiva fino agli angoli più remoti del suo io. Si abbandonò al calore gratificante dell’acqua e liberò la mente.
 
Uscì dal divisorio con indosso il suo asciugamano.
Trovò Luna ad attenderla. «Ancora quell’incubo?»
A malincuore, dovette annuire. «Ti ho svegliata? Mi dispiace.»
Luna scosse la testa dopo qualche momento. «Se vuoi, posso crearti una collana che scacci le maledizioni. Sai, prima che gli Svitigni decidano di creare un nido nei tuoi incubi.»
Alma distese le labbra in un leggero sorriso. «Beh, che ho da perdere?»
«Moltissimo. Il sonno, la vista. Dicono che nei casi più gravi gli occhi diventino…»
«Luna, va bene. Metterò questa collana» le disse, prima che iniziasse un soliloquio.
Lei si aprì in un sorriso sincero. «Domani te la metto sulla scrivania.» Al che, sfoderò la bacchetta. «Excoquatur
I capelli umidi, che fino a un momento prima le si erano appiccicati al collo e al viso, divennero improvvisamente asciutti e indomabili. Le caddero fino alle spalle. Chiese il permesso e Alma non ebbe nulla in contrario. Si sedettero a un muretto che dava sulla finestra e raccogliendole i capelli nel pugno Luna iniziò a pettinarla con delicatezza. Nonostante la sua apparenza portasse le persone a definirla sciatta, Lovegood ci sapeva fare. I denti del pettine affondavano senza strapparle alcun ciuffo. Era una coccola che si protraeva passaggio dopo passaggio, mentre domava l’irrequietezza della sua chioma.
«Perché non mi hai mai parlato degli Invasati?» le chiese di getto.
La risposta arrivò dopo molti colpi di pettine. «Non saprei. Forse avevo paura che saresti andata a cercarli.»
«Ok, ma perché non l’hai fatto almeno la notte del pub?»
Il pettine si fermò. Luna aveva le labbra assottigliate. «Lo sai mantenere un segreto?» Alma annuì. «Spero sia solo per colpa di un Gorgosprizzo che vive nella mia testa. Per un momento quel Terminator aveva assunto il viso di mia madre.»
«Cioè, Piton ha detto che questo Amato può entrarti nella testa e danzare il Valzer con la tua immaginazione.» Ultimamente aveva pensato molto su ciò che le avevano raccontato Richie e Damien.
Abbracciò Luna. Le carezzò la schiena e parlò solo quando sentì il suo mento premerle contro l’incavo del collo. «Non era lei. Non era tua madre.»
«Come puoi dirlo?»
«Se quella notte gli ho permesso di fuggire è perché… sul suo viso, per un momento, è apparsa la mia. Tua madre non c’entra nulla, e neanche lei. È tutta colpa di quel mago.»
Rimasero strette in un abbraccio, legate da qualcosa che pochi potevano comprendere.
Era più piccola di Luna quando aveva appreso che sua madre era morta durante la prigionia ad Azkaban. Non l’aveva mai vista, perlomeno non ricordava che viso avesse. Sapeva solo che si chiamava Ramona, che era un’eversiva, una Mangiamorte al servizio di Tu-sai-chi. Anche Luna aveva perso la madre da piccola. Alma l’aveva scoperto il primo giorno a Hogwarts. Lei era rimasta affascinata da qualcosa che gli altri studenti non riuscivano a vedere. Nemmeno Alma le vedeva nitidamente, per lei erano solo macchie sfocate che tiravano le carrozze. Ma le percepiva, questo sì.
Erano le sole ad avere una cognizione piena di quelle creature. Quando l’amica le aveva spiegato cosa fossero, Alma aveva capito che avevano più cose in comune di quanto credesse: erano entrambe orfane di madre. Luna Lovegood poteva essere una ragazza molto strana, ma aveva il pregio di essere trasparente. E in un mondo viscido com’era quello dov’era sempre vissuta, fatto di bugie e intimidazioni, una persona del genere era merce rara.
Da quel giorno, Alma si era assunta l’impegno di tenerla lontano dai guai.
«Andiamo a dormire» propose in un bisbiglio.
Luna annuì lentamente.
 
«Harry, Fred e George sono ancora banditi dal Quiddich?»
Ginny era visibilmente di pessimo umore. «Comincio a credere che quell’arpia li terrà in punizione per tutto l’anno.»
Non era sorpresa. «Già. So cosa stanno passando. Senza offesa, da una parte mi rincuora sapere che loro saranno fuori dai giochi. Forse Corvonero avrà una possibilità, quest’anno. Dall’altra, comprendo la frustrazione di voi grifondoro. La Umbridge sta diventando sempre più isterica» replicò Alma.
Luna continuava a seguirle mentre leggeva il Cavillo, al contrario. «Davvero non possiamo fare niente per loro? È così ingiusto.»
«Dal momento che il compito della Umbridge è fare di tutto pur di annodarge la bacchetta di Harry, non vedo una via d’uscita. Angelina mi ha chiesto di fare il Cercatore e non ho potuto dirle di no.»
«Sono sicura che te la caverai.»
«Già. Prima di giocare, però, spalma un po’ di crema all’essenza di rospo sulla coda della scopa. Scaccia i malocchi. Dovrei averne un po’ nella borsa.»
Mentre Luna setacciava nella sua tracolla, Alma e Ginny videro Richie e Damien procedere di soppiatto con fare sospetto. Le azioni di quei due per lei continuavano ad essere un mistero impossibile da svelare.
«A proposito. Come è andata a finire con loro due?» le domandò Ginny.
«Sono talmente fuori dal mondo che possono essere solo innocenti, credimi. Erano nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, in compagnia dei malintenzionati sbagliati. Già che ci siamo, scusate se non ho fatto il palo come avevo promesso, a Hogsmeade. Quando li ho visti, mi sono saliti i cinque minuti.»
«Che intendi per “malintenzionati sbagliati”?»
Soppesò attentamente cosa dire. «Un nuovo gruppo di sbandati è arrivato in città. Vogliono fare la voce grossa, ma sono talmente disperati da attaccare briga con due studenti.»
«Non mi sembravano tanto disperati» obiettò Ginny. «Quei tipi sembravano sapere esattamente cosa stavano facendo. E anche Damien. Per non parlare dei Dissennatori.»
«Di Damien non saprei cosa dire, ma non è la prima volta che un Dissennatore sfugge al Ministero. Forse questi tipi sono i responsabili dell’agguato a Harry e suo cugino. La Umbridge mi è sembrata piuttosto furiosa, quella sera. Avrà già comunicato la notizia a Caramel.»
«Per fortuna non ha saputo di voi altri. Quando ci ha convocati, ho pensato che ci avrebbe espulsi all’istante» rincarò Luna.
La grifondoro a quel punto si convinse. «Sì, abbiamo rischiato molto. Mi dispiace per il tuo lavoro, Alm. Se non fosse stato per te, avremmo dovuto sicuramente usare la magia.»
«Sarei stata peggio se qualcuno di voi si fosse fatto male.»
Finse di non vedere l’occhiata che Ginny e Luna si lanciarono.
Fu la seconda a parlare. «Alma, se vuoi possiamo spiegarti cosa stavamo facendo, a Hogsmeade.»
«Vi ringrazio, tutte e due, ma al momento non credo di essere la persona giusta per… qualunque cosa stiate facendo. Sono finita sotto la lente di quell’abominio di donna. Meno cose so, meglio è per tutti.»
«Come vuoi» risolse Ginny. «Se cambi idea, basta che ce lo fai sapere.»
Continuarono a passeggiare chiacchierando del più e del meno. Ormai loro tre erano diventate una compagine consolidata. La Weasley era simpatica e inoltre era una delle poche persone che riuscissero a considerare Luna oltre l’apparenza. Era un Grifondoro nel vero senso della parola e al pari di lei possedeva un carattere schietto. Il secondo anno c’era mancato poco che si scannassero. Non ricordava nemmeno per quale motivo. Alma sapeva solo che non si era sorpresa di vedere la loro amicizia scoppiare come una pozione di Seamus Finnegan. Nessuna delle due era abituata a fare un passo indietro. Poi quella guerra fredda si era risolta con Ginny che l’aveva invitata a passare le vacanze di Natale alla Tana; uno di quelli che ricordava con più piacere. Era stato in quei mesi che aveva approfondito la conoscenza di Fred e George e della famiglia Weasley in generale. Il modo in cui l’avevano fatta sentire a casa le faceva provare sempre un pizzico d’invidia, questo non poteva negarlo. Come non poteva negare che quelle due fossero le migliori amiche che una strega potesse avere.
Sebbene ci fossero dei lati del suo carattere che potevano solo aver fiutato. Erano consapevoli che vivere a Notturne Alley non era facile, e non l’avevano mai giudicata per i suoi contatti con la malavita locale. Sapevano con certezza era che nessun criminale le avrebbe toccate, finché entrambe godevano della sua amicizia. Non c’era bisogno che sapessero perché.
Anche se potevano immaginarlo.
 
Giunte a un passo dalla biblioteca, Alma avvertì un rumore.
Si fermò. Ricordava perfettamente cosa Damien e Richie avevano detto a proposito dell’Amato. Cercava qualcosa nella sezione proibita e sembrava piuttosto motivato a trovarla. Pose un dito sulle labbra prima che una delle sue amiche potesse parlare e tirò fuori la bacchetta; entrambe la imitarono all’istante. Aprendo le mandate, filtrarono all’interno a passo felpato.
I rumori diventavano più netti. Uno sfogliare di pagine, il tonfo di un libro che veniva poggiato sulla scrivania. A quell’ora, la biblioteca era deserta. Era il momento perfetto.
Alma si guardò indietro.
Luna si era già fatta un’idea della situazione, le fece un cenno di complicità con la testa. Ginny tra loro doveva essere la più ignara, eppure il suo viso era diventato granitico nella concentrazione. Fece a entrambe segno di procedere ai lati, adagio fra gli scaffali. Quanto a lei, proseguì per la sua strada.
Procedette china sulle ginocchia fino all’angolo di una libreria. Quando si sporse, lo vide chiaramente: un Invasato. Uno di quelli vestiti di nero. Reggeva una strana bacchetta a spirale, nera come una notte senza stelle. L’aveva già vista quella notte: l’artefatto di cui Damien le aveva parlato settimane fa. Quel figlio di madre ignota se ne stava lì, seduto come se nulla fosse, a leggere pagine su pagine con una frenesia animalesca.
Prese un respiro profondo e tutto ciò che percepì fu una sensazione di freddo glaciale. Era un essere disgustoso, ogni percezione che Alma ebbe di lui era estranea, innaturale. Sembrava quasi non essere umano.
Decise di uscire allo scoperto e affrontarlo.
Lui si accorse immediatamente di lei. Proprio come voleva.
«Stupeficium!» Ginny e Luna emersero dal riparo all’unisono e scagliarono i loro incantesimi da due direzioni diverse, con una coordinazione pazzesca!
L’Invasato si protesse da entrambi.
Ma non poté farlo da lei. «Acqua Eruptio!» Un geyser d’acqua costante lo travolse colpendolo al centro del petto. La pressione lo fece vorticare a mezz’aria, oltre il tavolo.
«Expelliarmus!» L’incantesimo di Ginny colpì la bacchetta nera, ma in qualche modo rimbalzò su di essa e andò a colpire un libro in cima agli scaffali.
L’Invasato fece roteare intorno a sé un vortice nero. Libri e fogli di carta iniziarono turbinare in quel ciclone di oscurità e il vento si propagò fortissimo, facendo finire i capelli di Ginny sul viso.
Una mano scheletrica e nera emerse da quell’affare, dritta verso di lei.
«Attenta!»
«Stupeficium!» Lo schiantesimo di Luna colpì la loro amica e la face fluttuare lontano dagli artigli che avevano cercato di ghermirla.
Stavolta un’ombra emerse dal vortice e scattò verso di lei. Alma dovette iniziare a correre, tallonata da quell’essenza immateriale e putrida. Era velocissima! Le finì davanti in un batter d’occhio. «Stupeficium!» Non aveva la stessa dimestichezza delle sue amiche, da quella distanza pregava che non le servisse.
L’incantesimo attraversò semplicemente l’ombra, che si lanciò su di lei.
Fece per afferrarla, ma lei scartò di lato. Evitò ogni presa mentre la creatura fluttuava e ondeggiava a mezz’aria in modo imprevedibile. Sembrava potesse ingrandirsi e allungarsi in qualsiasi momento, aumentando il raggio e la portata delle sue braccia.
Messa con le spalle al muro, Alma le diede la schiena. Puntò in alto la bacchetta. «Ascendo!» Una forza magica la spinse in alto. In cima a una libreria.
A quel punto le fatture del mago oscuro iniziarono a inseguirla e dovette iniziare a correre. A lanciarsi da una libreria all’altra mentre procedeva china per non battere la testa sul soffitto. Sapeva di non poter continuare all’infinito: presto o tardi una fattura o una delle nuove ombre che iniziavano a formarsi l’avrebbe raggiunta.
«Nebula Maxima!»
Dalla sua bacchetta iniziò ad emergere una cortina di nebbia. Presto avvolse tutto quanto.
Alma scese subito a terra. Aiutandosi con le dita, emise un fischio vigoroso. La voce della biblioteca intera le ritornò indietro, permettendole di captare ogni cosa. Dall’Invasato che cominciava a muoversi a Ginny, ancora stordita dall’incantesimo, e Luna che cercavano in qualche modo di cercare dei riferimenti.
«Dove sei, piccolo usignolo?» sibilò la voce camuffata dell’Invasato.
«Ostendo symphoniae!» Immediatamente, centinaia di note musicali brillarono nella nebbia. «Sono proprio qui, brutto scemo! Vieni, che ti picchio per bene questa volta.»
Lui non poteva vederla bene quanto lei. Iniziò a tempestarlo di insulti, mentre l’eco delle note che calpestava si confondeva con quelle di Luna e Ginny.
«Mi dicono che sei un vecchietto in pensione. Che c’è, l’ospizio dove ti avevano schiaffato non accettava più la carta di credito?»
«C’è molto che devo ancora imparare di quest’epoca. Poco tuttavia ha destato la mia curiosità come hai fatto tu. Non avrei mai immaginato che una ragazzina potesse sconfiggermi.»
«Forse da dove provieni erano ancora impegnate a stendere i panni per voi maschietti. A proposito: benvenuto nel ventesimo secolo, bello.»
Il mago oscuro ridacchiò. «Mi piace il tuo spirito. Nella mia epoca, gli sfidanti di valore avevano un nome. Ci terrei a conoscerlo.»
«Il mio nome è Dolores Jane Umbridge» gli disse.
«Molto piacere, Dolores Jane. Il mio nome potrebbe essere difficoltoso da enunciare. Puoi chiamarmi semplicemente Ombra. No, anzi. Leggo che quest’epoca è molto attenta sulla purezza del sangue. Un concetto barbaro e ahimè privo di significato. Il sangue che scorre in ognuno di noi è sporco, siamo noi i parassiti che abusano della magia in un modo che non rispecchia il volere degli dei. Chiamami l’Ombra Mezzosangue. Sì, mi piace.»
Megalomane. «Terminator mi sembra più appropriato.»
«E cosa dovrebbe significare?»
Un calpestio sulla nota gialla da parte di Luna fu il segnale.
Alma diradò la nebbia. «Significa: “Hasta la vista, baby!”»
Davanti a lui apparve una Ginny agguerrita in modalità “ti spacco la faccia”. Un riflesso violaceo scaturì dalla punta della sue bacchetta mentre la Weasley la sollevava oltre la testa rossiccia; Luna lanciò qualcosa a mezz’aria, vicinissimo all’Ombra.
«Reducto!» L’incantesimo partì dalla bacchetta come un colpo di cannone fatto di pura energia. Quando colpì l’ampolla, avvenne una deflagrazione assurda. Un boato che sbalzò via tutte e tre, centrando in pieno quell’idiota senza cervello.
«Porca miseria!» esordì, dopo essersi rimessa in piedi, tra l’ammirazione e lo spavento. «Ragazza, “fare colpo” d’ora in avanti avrà tutto un nuovo significato.»
Quando Ginny fu aiutata da Luna a rialzarsi, tuttavia, era più sorpresa di lei. «Per tutte le Pluffe, cosa c’era in quell’ampolla?»
Luna rimase per un momento incerta ma assolutamente serena. Frugò un attimo nella borsa. «Oh, che sbadata! Ho lanciato l’unguento sbagliato.»
«E che unguento era?» fece Ginny, un po’ spaventata e un po’ scioccata.
«Grasso di Salamandra» rispose la corvonero, assolutamente in pace con sé stessa. «Che avete da guardarmi così? È un ottimo deterrente contro gli Yllen.»
Deterrente, diceva. Alma non aveva mai visto le fiamme divampare nella biblioteca. Anche se erano piccole, sparse e morenti. Quello era il genere di cose per cui non odiava completamente la gente che sparlava di Luna. Quando si trattava di lei, c’era da aspettarsi che se ne andasse in giro con un materiale altamente esplosivo: i pericoli dell’esserle amica. L’incantesimo di Ginny inoltre ci aveva messo il suo.
Le aveva più o meno accennato che avesse imparato il Reducto e che fosse diventata anche bravina. Va’ a pensare, però, che fosse così devastante.
Alma percorse in fretta il resto della stanza, scampando al fumo e i pezzi di legno bruciacchiati che la riempivano. Arrivò a lui. Giaceva svenuto in mezzo ai detriti, ma della sua bacchetta nera non c’era traccia, e nemmeno l’Accio riuscì ad attirarla.
«Wingardium Leviosa.» Usando la bacchetta, li spostò tutti e iniziò a trascinarlo per la gamba.
Luna e Ginny stavano finendo di spegnere il fuoco quando, dalla porta d’ingresso, la McGranitt cacciò un singulto e si appoggiò all’uscito. «Oh, santo cielo! E-Esigo una spiegazione immediatamente. Da tutte voi.»
Alma indicò l’Ombra Mezzosangue. «Lo chieda a questo svitato quando si sveglia. Ha fatto un casino.»
 

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Capitolo 6
*** Orgoglio Tassorosso ***


ORGOGLIO TASSOROSSO
 
 
Il prigioniero sedeva su una vecchia sedia in una cella nelle segrete del castello. Piton, Minerva e Dolores Umbridge lo stavano osservando con attenzione. Non aveva detto una sola parola da quando si era svegliato. Se ne stava fermo, con il capo chino. Il viso, le braccia, erano cosparsi di segni di ustione e tatuaggi dalla forma tribale. Neanche la Legilimanzia era stata in grado di cambiare lo stato delle cose. Nessun segno d’insofferenza: la sua mente non era protetta da alcun incantesimo o volontà ferrea. In quel mago non c’era assolutamente nulla.
Era vuoto.
«Allora?» lo pressò l’Inquisitore supremo. L’impazienza aveva reso la sua voce più stridula e adulta. «Niente?»
Severus attese che la sua indagine avesse fine prima di aprire bocca. «La sua mente è vuota. Qualunque cosa sia successa a questo mago, la Legilimanzia non funziona.»
«Come non hanno funzionato le difese del castello e la nostra supervisione. Ma quando avevate intenzione di riferirci che dei criminali si stanno aggirando nel castello? La vita di cinque studenti è stata messa a repentaglio!» Se Dolores Umbridge era tesa, la sua collega Minerva McGranitt tratteneva a stento la furia.
L’Inquisitore fece un verso di scherno. «Adesso non essere melodrammatica, Minerva.»
«Come, prego?»
«Non fare finta di essere preoccupata per l’incolumità dei tuoi studenti, questa scuola è stata alquanto indolente in fatto di sicurezza, in questi ultimi anni.»
Colse solo con la coda dell’occhio quanto l’insegnante di trasfigurazione fosse scandalizzata. «Questa scuola ha sempre considerato l’incolumità dei propri studenti come prioritaria. Non le permetto di accusarci di negligenza, o peggio d’insinuare che permettiamo a certe nefandezze di avere luogo senza intervenire.»
«Davvero?» La vocina di Dolores divenne più acuta. «Avete o non avete custodito un oggetto di valore inestimabile e appetibile nel mercato nero come la Pietra filosofale? Per un anno, dopo il quale il suo creatore, Nicholas Flamel, ha deciso di porre fine alla sua vita distruggendolo, temendone le ripercussioni se fosse finito nelle mani sbagliate. Tre anni fa la scuola stava per essere chiusa a causa della pietrificazione di alcuni studenti e voci insistenti a proposito di una camera degli orrori. Due anni fa un evaso da Azkaban, tutt’ora a piede libero e strettamente legato al Lupo mannaro che all’epoca stava insegnando in questo castello, si è infiltrato nel dormitorio proprio da lei custodito mettendo a repentaglio la vita di molti studenti. L’anno scorso c’è stato un ricercato che ha insegnato Difesa contro la arti oscure per un intero anno! E un morto.» Inspirando profondamente, Dolores gonfiò il petto. «Tacete
Minerva dovette farlo, di fronte all’evidenza. Tuttavia mantenne un cipiglio tutt’altro che arrendevole.
Piton risolse quell’attimo di tensione pescando una boccetta lilla da un tavolo imbandito di pozioni. «Veritasserum.»
«Il siero della verità, già…» bisbigliò la Umbridge con fare distratto.
«Se in quest’uomo è rimasta una scintilla di vita, sarà obbligato a mostrarcela.»
La porta dei sotterranei si aprì. Albus Silente fece il suo ingresso.
«Mi lasci indovinare, Silente: un altro cavillo? Non mi è concesso, in quanto Inquisitore, interrogare un eversivo che si è infiltrato nel castello? Spetta anche questo al preside, come l’allontanamento di quella mentecatta?»
«Oh, non ritengo esista un cavillo simile. Se vuole, posso sempre controllare. In questo momento sono qui solo in veste di preside. Proteggere la scuola e i suoi studenti è ancora un mio compito, se non erro.»
Dopo aver versato il Veritasserum nella bocca del prigioniero, Piton gli chiuse la bocca per costringerlo a mandare giù. L’Invasato non oppose alcuna resistenza. I suoi occhi vacui non ebbero alcuna variazione.
Poi furono attraversati da un sussulto. L’espressione dell’uomo assunse piena vita, diventando un sorriso tagliente in un oceano di sufficienza e divertimento. L’iride iniziò a sportarsi lungo i confini visibili dell’occhio in modo raccapricciante e disgustoso.
Si fermò su di lui. «Piton, Severus: il banchetto.»
Poi la Umbridge, e il suo sorriso si ampliò. «A quanto pare la ragazzina è furba.»
«McGranitt, Minerva: serva dei demoni.»
Silente raggiunse Piton, lasciandosi ammirare dal prigioniero.
«Silente, Brian, Wulfric, Percival, Albus.» Sorrise in modo perverso. «Tenebra di luce.»
Dolores li superò impettita. «Chi sei tu?»
Per spostarsi verso di lei, le iridi dell’Invasato curvarono e rotearono in modo raccapricciante. «Nessuno. Ma so chi sei tu: il nemico.»
«Nemico» ripeté l’Inquisitore supremo. «Se io sono il nemico, chi è che servi? È in questa stanza, dimmi? È lui, questo cosiddetto Tenebra di luce?»
L’Invasato rise di gusto. «Chi servo non ha amici qui dentro.»
In uno scatto iroso, Dolores puntò la bacchetta sotto al collo del prigioniero prima che potessero fermarla. «Chi è il tuo padrone?»
«L’Ombra… Mezzosangue.»
«Adesso basta!» Minerva la allontanò con una certa enfasi. «Basta così. Basta enigmi e basta mezze verità.» Stavolta fu lei a porre la domanda: «Cosa stavi cercando nella sezione proibita? Cosa vuoi da noi?»
«Giustizia.» In un attimo, il viso dell’Invasato si era trasfigurato nella collera. «Hogwarts. Ministero. Mangiamorte. Potete chiamarvi con i nomi che preferite. Voi lo state servendo, tutti. Non ve ne rendete nemmeno conto.»
«Il Veritasserum dovrebbe obbligarti a dire la verità» sentenziò Piton.
Lui rise. «È la verità. Abbiamo risvegliato il nostro leader dalla tomba per guidarci in questi momenti bui. Presto uno di voi chiederà il favore del Dio sbagliato e per la vita, come la conoscete, sarà la fine. Noi stiamo cercando di impedirlo e lo faremo con ogni mezzo. Ostacolateci, e la nostra vendetta non conoscerà confine.» Lentamente, il viso e la pelle del prigioniero iniziarono a liquefarsi davanti ai loro occhi increduli.
Il busto cadde a terra staccandosi dalle braccia e il resto del corpo come se la pelle fosse liquame, tra i versi di disgusto delle due streghe. Riverso a terra, con il viso per metà ridotto a uno scheletro e l’altro disciolto fino ai muscoli e la cartilagine, l’Invasato disse infine: «Presto i due amanti torneranno ad unirsi nel loro talamo di tenebra e morte. Temete quel giorno, servi del male.»
 
*
 
Damien era seduto accanto al davanzale della finestra. Vedeva il via vai di studenti attraverso una fessura tra la finestra e il soffitto della sua camera. Lo vedeva da giorni. Udì la porta aprirsi e uno studente alto, dai lineamenti simili a quelli di un elfo delle sue favole babbane, fece il suo ingresso. Quel ragazzo era Cedric Diggory e quel giorno, con un sorriso smagliante, si prese la “responsabilità” di tendergli la mano e farlo innamorare di quella scuola fantastica.
 
«Rictusempra!» Finalmente, dalla bacchetta di Damien fuoriuscì quel maledettissimo flusso arancione che tanto l’aveva fatto penare. Cedric fu mandato con le chiappe a terra, ma non se la prese. Il suo viso era entusiasta, come quello di chi lo circondava.
«Ce l’hai fatta!» esultò.
Come Richie, Hanna Abbott, Ernie Macmillan, Susan Bones, Justin Finch-Fletchley, Zacharias Smith e tutti gli altri. Stavano applaudendo, tutti. Davanti ai loro complimenti si sentì imbarazzato e felice come finora non era mai stato.
 
«Tanti auguri a Damien…! Tanti auguri a te!»
Con un sorriso raggiante, sua madre gli mise davanti una gigantesca torta di compleanno al cioccolato e fragole. Lui e Richie erano di ritorno dalla pista di kart che suo padre gli aveva fatto visitare tutto il giorno. C’erano tutti. Anche la madre di Richie, che di solito era sempre impegnata con il suo lavoro al Ministero.
 
«Cioccolato. Il professor Lupin diceva che aiuta a riprendersi.» Silenzio. «Chissà se è vero.»
 
«Damien. Allora, cosa ti ha detto?»
Si era un attimo guardato intorno. Cedric aveva allestito un picnic all’aperto, in mezzo ai fiori e in piena vista del lago. Un luogo davvero romantico.
«Cho ha detto di sì. Cioè: è felice di raggiungerti qui. Me lo sono fatto dire espressamente.»
Non aveva mai visto Cedric così euforico. Ci mancava poco che cominciasse a saltellare avanti e indietro come un canguro. Per qualche ragione, vedere il suo sorriso scintillante rese Damien davvero felice.
 
Niente. Damien si accasciò a terra, sconfitto. Le aveva provate tutte, ma quel Patronus non voleva proprio saperne di uscire. In quei giorni, poi, aveva la testa sottosopra e non riusciva nemmeno a concentrarsi. Sentire Alma e Richie litigare in continuazione, mentre aggiustavano la macchina, certo non aiutava; si stava pentendo amaramente di aver mostrato al suo amico quella stanza.
Non riusciva a non pensare alla Umbridge, a Piton, a quel mago oscuro che, per un momento, aveva assunto il viso di Cedric dopo che Alma gli aveva tolto la maschera. Avevano addirittura appreso che, mentre lui mostrava a Richie quella stanza speciale, lei, Luna e Ginny si erano scontrate con lui. Della bacchetta nera, ancora una volta, si erano perse le tracce in modo inspiegabile.
– Finché non mettiamo le mani su quella bacchetta, questa storia non avrà fine. Dovremmo aiutare il tuo professore – ripeté Glyn per la milionesima volta.
– No. Hai sentito quello che ha detto Richie? Perché Piton avrebbe dovuto uscire a bordo di una scopa? Non ha senso. Questa faccenda del diario potrebbe essere stata solo una trappola, e forse Piton è coinvolto in tutto questo. Se non fosse stato per Alma, io e Richie saremmo morti. –
– Fammi capire: adesso non ti fidi più di lui? Perché? È da quando quella strega ha pronunciato quella parola, Mangiamorte, che te ne stai sulla difensiva. Cos’è, esattamente un Mangiamorte? –
Damien strinse i denti. – Sono dei maghi oscuri, contento? Sono degli assassini. – Ripensò a Cedric, alle insinuazioni della Umbridge. – Sono malvagi. –
– Anch’io sono un assassino – mormorò Glyn con un certo fastidio. – Anch’io sono rimasto invischiato con la magia oscura. Eppure di me ti sei fidato. –
Damien preferì non rispondere.
Il ricordo da cui Glyn attingeva per il suo Patronus era tra i più piacevoli che avesse mai visto. Forse era anche per questo che, alla fine, si era aperto con lui. Ma Damien non aveva dimenticato che lo stava costringendo a fare qualcosa che metteva a repentaglio non solo la sua vita, ma anche quella di chi gli stava vicino.
– Non te l’ho mai chiesto. La notte in cui abbiamo scacciato quelle ombre, per un momento mi è parso di vedere qualcuno. È il ricordo da cui attingi per il Patronus, vero? Chi è quella donna? –
Glyn rimase in silenzio per qualche momento. La mente di Damien fu attraversata di nuovo dall’immagine di quella donna dai capelli rossi. – Aine. Era il capo dei druidi del nostro villaggio. –
– Da come ne parli, sembra qualcosa più di questo. –
– Certo, era molto bella. E durante i rituali di fertilità ero più che lieto di… –
– Sì, non è una cosa che ci tengo a sapere, quella. Ti sto chiedendo se l’amavi. –
– Con tutto il mio cuore. Ma apparteneva a un altro. –
– Chi? –
– L’Amato. – Stavolta, Damien fu attraversato dalla visione dei due bracciali cerimoniali, candidi, che Aine portava su ciascun braccio. Somigliavano terribilmente ai due manufatti che possedevano lui e gli Invasati, ma erano bianchi come le pellicce che quella donna bellissima stava indossando. – La legge degli dei l’aveva vincolata a lui ed io, impotente, ho dovuto restare a guardare. –
– Perché non siete semplicemente fuggiti insieme? –
Lui emise un verso di condiscendenza. – Se avessimo abbandonato i nostri doveri, saremmo stati inseguiti fino ai confini del mondo e i nostri corpi sarebbero stati usati per propiziare il favore degli dei attraverso una pratica sacrificale che, se te la descrivessi, segnerebbe per sempre i tuoi sogni di giovane uomo. – Damien deglutì sonoramente. – È stata Aine a insegnarmi il rituale del Patronus. Era bellissima, di animo gentile. Ciò che sono oggi lo devo a lei, nel bene e nel male. –
– Ma perché la danza? Insomma, il Patronus che hai lanciato per aiutare Piton era diverso. Più… –
– Debole? Sì, il Patronus ha molte forme e “livelli di potenza”. Generalmente, l’animale sacro che ne fuoriesce dovrebbe riflettere la nostra vera natura. Anche se non sempre è un bene. Talvolta i druidi non ne producono di alcuna forma, o l’animale sacro che ne fuoriesce rappresenta una creatura a noi sconosciuta. Nel nostro villaggio, quei druidi li offrivamo in sacrificio agli dei. –
Rimase a bocca spalancata per l’orrore. «Perché?»
– Io non sono mai stato d’accordo, e per un buon motivo. Ma per gli anziani del villaggio quello era sintomo di estraneità. Se la tribù non aveva mai visto quella bestia, dicevano che il cuore del druido era straniero. Per fortuna, ciò accadeva raramente. –
Damien aveva sempre immaginato i popoli del passato come una banda di motociclisti che viveva in un mondo senza regole e offriva i propri sacrifici a qualche divinità pagana. Sentirlo da una testimonianza così diretta gli fece pensare a quanto fosse stato fortunato: se un suo antenato, per un qualsiasi motivo, fosse caduto in uno di questi rituali barbari, adesso non sarebbe stato tra quelle mura a imparare la magia.
Metteva le cose sotto una certa prospettiva.
– Lui può fare davvero quello che ha detto Piton? L’Amato. –
– Può. Per fortuna il tuo professore conosceva il Patronus, o avrebbe perso la sua anima. E non solo: ciò che hai visto, per un momento, è un altro dei suoi talenti. Come i Dissennatori, l’Amato può fare leva sulle tue paure e gli episodi più oscuri della tua vita. Più la tua esistenza è stata segnata dal dolore, più facile sarà per lui insidiare la tua mente. Non permettere che succeda. Lui avverte le tue paure e si nutre della tua felicità. Se inizi a provare freddo, devi iniziare a temere. –
– Perché accidenti avete permesso a un tizio simile di vivere tra voi? –
Glyn pronunciò quelle parole con molto dolore. – Perché gli animali si riuniscono in branchi, Damien? Ci hai mai pensato? –
– Per cacciare insieme. –
– E per proteggersi. Dai predatori. La mia faida con l’Amato non è iniziata in vita ma nella morte. Sono stati i discendenti del nostro villaggio a concluderla, guidati dalle nostre anime che da secoli giacciono intrappolate nei bracciali magici di Aine. Noi affrontammo un temibile predatore e in quello scontro lei perse la vita per colpa nostra. Cercava di farci ragionare, ma io ero troppo geloso e cieco… – Glyn si prese un momento. – Quando ci sigillò nelle profondità della terra, promisi alla discendente di Aine che avrei impedito con ogni mezzo all’Amato di tornare a infestare queste terre. Il suo amore per Aine è diventato follia. Il suo dolore potrebbe corrompere i popoli che con tanto impegno c’impegnammo per preservare quel giorno. –
 
*
 
Luna spalancò con un certo timore la porta della Stanza delle necessità che improvvisamente si era formata davanti ai suoi occhi. Solo per trovarsi davanti a una scena davvero curiosa: Alma e Richie stavano armeggiando con l’auto di quella notte nella foresta, ed erano abbastanza presi in quello che facevano da non accorgersi di lei.
«Mhm.» Alma stava curvando le labbra con fare pensieroso, mentre studiava gli interni della creatura. «Sì, penso che tu abbia ragione. Chiunque abbia incantato questa macchina sa il fatto suo. Non sono un’esperta, ovviamente, ma resto dell’idea che l’incantesimo non durerà per sempre.»
La testa di Richie emerse dalle fauci aperte della macchina. «È quello che temevo. Posso cambiare le gomme, riparare il telaio. Però questa signora è viva. So che non è educazione chiedere, ma devo sapere quanto tempo ci resta.»
Luna era così affascinata dal fatto che i denti e la lingua di quella creatura fossero fili e pezzi squadrati, neri come il carbone, da perdere il filo dei loro discorsi. Era una cosa davvero bizzarra.
«Se vuoi una stima informale, penso che sia arrivata all’incirca a metà vita. Incantesimi così complessi di solito hanno una data di scadenza. Se vuoi che questa macchina viva più a lungo, penso che dovresti trovare un modo per farla funzionare con qualcos’altro oltre alla magia che la anima.»
«Intendi un supporto, tipo un bastone da passeggio o robe simili?» Era disgustato.
«La tua signora non è più giovincella. È la dura realtà e non possiamo…»
Fu Alma ad accorgersi di lei. Poi Richie, che saltò sul posto come se avesse visto un Tamarillo. Infine Damien.
«T-Tu come hai fatto ad aprire la porta?» strillò il secondo.
«Stavo cercando le mie cose. I Nargilli me le hanno nascoste» rispose pratica.
Com’era strana la vita. L’Esercito di Silente aveva impiegato settimane per trovare quella stanza, e solo per merito di un elfo di nome Dobby. Se avesse chiesto a uno solo di loro tre, si sarebbero risparmiati giorni e giorni di ricerche. Ma non poteva. Alma si era chiamata fuori. Quanto a Damien e Richie, secondo Michael Corner erano troppo vicini alla Umbridge, soprattutto dopo gli eventi di Notturne Alley. Fred e George avevano capito a grandi linee che Piton era coinvolto in qualcosa di losco e avevano chiesto a tutti loro di tenere la bocca chiusa. Che fosse opera di Tu-sai-chi o meno, Harry aveva già “troppe grane”. Si erano assunti il compito d’indagare sulla faccenda.
«Forse intendi questa.» Damien prese dalla tasca la sua collana di tappi di Burrobirra e gliela porse timidamente. «Ti era caduta nella rissa del pub. Ultimamente è difficile incontrarti, perciò…»
Gli occhi di Luna s’illuminarono. «L’hai trovata!»
Mentre Damien farfugliava qualcosa, Luna vide Alma prendere Richie per l’orecchio e tirarlo via. «Dove andate?»
«Oh, niente di che. Pensavo di pestare chi ti ruba le cose. Lui mi darà una mano.»
«Ma i Nargilli sono praticamente invisibili. Come farete?»
Lei sorrise in modo astuto. «Ho i miei metodi, amica mia. Ho i miei metodi.»
 
Certe volte non riusciva a capire se Alma fosse una creatura magica o una sua coetanea. Forse era semplicemente merito del suo essere un Omnilofono. Le sarebbe piaciuto da matti scoprire che fosse una creatura semi-umana come i centauri.
Stava percorrendo la Foresta proibita a piedi nudi, con una borsa piena di carne fresca assicurata alla vita. Damien si era offerto di accompagnarla. Era stato gentile. Era sempre gentile. Forse anche troppo per gli standard umani; magari era anche lui una creatura magica, ma non sarebbe stato carino chiederglielo.
«Sei sicura che vada bene? Insomma, non hai freddo ai piedi?»
Luna distese le labbra in un lievissimo sorriso.
«Dove stiamo andando di preciso?»
Superarono un albero, e poi un altro. «Ultimamente sono stata distante dai miei amici.»
«Ah, quindi è una visita. Scusami, non l’avevo capito. Pensavo volessi sgranchirti le gambe perché qualcosa ti turba.»
Non aveva torto. «Quell’uomo, l’altra sera. Per un attimo ho visto una persona che conoscevo.»
«Capisco cosa intendi. Anch’io ho visto qualcun’altro, per un attimo. Non ho ancora capito che incantesimo abbia usato, ma ti assicuro che non era reale.»
«Lo so» rispose, mentre il terriccio si infilava in mezzo alle dita.
«Mi dispiace per quello che è successo, comunque.»
Sì, Damien era davvero insolito. Come Alma, come Ginny ed Harry Potter. In ognuno di loro c’era qualcosa di diverso che la affascinava. Seguivano degli schemi diversi dalla gente comune. Forse le piacevano proprio per questo.
 
Arrivati nei pressi di una radura, vide i Thestral iniziare a radunarsi. Dalla borsa estrasse un pezzo di carne cruda e lo lanciò verso di loro. Il modo in cui Damien sbiancò vedendolo sparire nel nulla fu buffissimo.
«Ok. C-Cosa sta succedendo?»
Pur di non mettersi a ridere, dovette coprirsi la bocca con le dita. Ne lanciò un altro e vide un rivolo di sudore scivolargli lungo la tempia.
«Il tuo amico ha rischiato di travolgerne uno, settimane fa. Era solo un cucciolo.»
Poteva quasi vedere il suo cervello entrare in funzione. «I tuoi… amici?»
Luna lanciò un altro pezzo, guardando un adulto afferrarlo al volo. «Si chiamano Thestral. Sono creature invisibili che abitano la Foresta proibita. Sono molto timidi.»
«Timidi?»
«Sono loro a tirare le carrozze che ci portano al castello.»
Damien sbatté le palpebre. «Scusa. Vorrei crederti, ma questo non è possibile. Richie una volta è inciampato davanti alla carrozza che doveva portarci al castello. Non c’era niente.»
Luna sorrise. Aspettò che un Thestral la salutasse poggiandole la fronte contro la spalla e gli carezzò il muso dolcemente. «Prova ad accarezzarlo.»
Dovette insistere per convincerlo.
Damien sollevò la mano nel vuoto, ma a un passo dal dorso della creatura questa s’incurvò con l’elasticità di un gatto privo di ossa ed evitò il contatto. Allora consigliò a Damien di porgere loro un pezzo di carne. Mentre questo spariva davanti ai suoi occhi, il tassorosso allungò la mano e stavolta riuscì a toccarlo.
Lo vide sgranare gli occhi. «Ma questo è un cavallo!»
«Si possono definire destrieri, sì» gli rispose, mentre coccolava il suo.
«Sembrano pelle e ossa. Mangiano a dovere?»
«Sono fatti così. Se tu potessi vederli, non li definiresti carini. Ma… sono giocosi.»
«Tu puoi vederli?»
Luna annuì. Poggiando la fronte su quella del Thestral, chiuse gli occhi. «Possono essere ammirati solo da chi ha visto qualcuno morire, e l’ha compreso. Mia madre. Avevo nove anni, perciò alcuni di loro li conosco da quando ho iniziato a frequentare la scuola. È stato Silente a spiegarmi cosa sono.»
«Mi dispiace. Per tua madre, intendo. Immagino che siano pochi gli studenti che riescono a vederli.»
«Alma li intravede soltanto, il che è un po’ bizzarro. So per certo che Harry Potter può vederli nitidamente quanto me. Immagino sia per Cedric.» Quando aprì gli occhi, scoprì che Damien era turbato. «Tutto bene?»
«Sì. Pensavo solo che è triste. Insomma, vivere sapendo che il resto del mondo non può vederti. Se non in condizioni spiacevoli.»
«Io non la vedo in questo modo.» Luna lasciò andare il Thestral e si avvicinò a Damien per aiutarlo. Lo sentì sussultare quando gli prese la mano, ma si lasciò condurre. «Molti ritengono che i Thestral siano un segno di cattivo presagio, eppure loro rallegrano le mie giornate da quando avevo undici anni. Forse il loro aspetto può scoraggiare, ma… vedere qualcuno morire davanti ai tuoi occhi ti scoraggia allo stesso modo. Non trovi? La vita va avanti tranne per chi vive nel lutto. Ti senti solo prima di vederli apparire davanti ai tuoi occhi. Credo che loro vogliano insegnarci proprio questo.» Lo guardò intensamente e Damien la ricambiò. «Tu non sei solo. E anche se le cose brutte accadono e tutto sembra diventare buio, c’è ancora luce. Devi solo avere il coraggio di stendere la mano e scoprire che non tutto è come sembra.»
Nell’attimo in cui toccarono il muso della creatura, le loro dita s’intrecciarono leggermente.
Successe qualcosa di strano: Damien arrossì come un fungo velenoso e si agitò così tanto da inciampare e cadere a terra in modo buffissimo.
 
Rinvenne dopo qualche minuto. Luna gli aveva fatto poggiare la testa sul suo grembo, seduta accanto al tronco di un sempreverde. «Sei un tipo imbranato, Damien Kiran.»
Lui provò a rialzarsi e fallì miseramente. «Mi gira la testa.»
«Passerà. Prenditi un momento» gli suggerì, mentre lo carezzava tra i capelli. «Non sono esperta d’incantesimi di guarigione, ma tra poco dovresti stare bene.»
Lui annuì, conteso tra la veglia e il sonno. «Ora capisco perché il Cappello parlante ti ha assegnata a Corvonero. Sei incredibile, lo sai?»
«Chissà. Cerco solo di fare quello che mi piace, come te.»
«Se fosse vero, avrei trovato il coraggio d’invitarti al ballo. L’anno scorso.»
Luna controllò che la sua fronte non scottasse per la febbre. «Ci vuole davvero tanto coraggio per parlare con me?» chiese curiosa.
«Silente è venuto a trovarmi, quest’estate. Ha detto che persino un’opinione come la mia conta. Ma come potrebbe? Non sono un Grifondoro, o un Corvonero: non ho il coraggio di esprimere quello che sono, e se anche lo avessi evidentemente non varrebbe molto.»
«E cosa sei, allora?»
«In questo momento? Vorrei essere un Thestral: invisibile.»
Luna sorrise. «D’accordo. Facciamo che sei un Thestral e solo io posso vederti.»
«Sarebbe un sogno. E adesso cosa dovrei fare?»
«Chiudi gli occhi» gli sussurrò con dolcezza, aiutandolo a chiudere le palpebre. «Riposati.»
Continuò ad accarezzarlo tra i capelli anche dopo che si addormentò. Damien era davvero una creatura esotica.
 
*
 
Aveva seguito Luna anche per interesse.
Di soppiatto, mentre tornavano al castello, l’aveva vista prendere dalla tasca una moneta. L’aveva seguita. Solo per guardarla entrare nella Stanza delle necessità in compagnia di molti, tra cui Ginny, il fratello Ron e… Harry Potter.
Aveva atteso in silenzio che la porta si chiudesse e sparisse, nascosto all’ombra di un angolo. Pressato dai dubbi.
 
Damien era chino sul parapetto del ponte di legno. Stava ammirando il tramonto.
Quel posto era deserto a quell’ora. Ci passavano pochi studenti e solo per affrettarsi a tornare al castello prima delle ore buie. Per lui quel momento rievocava un ricordo in particolare.
Era stato proprio in quel punto, dove adesso poggiava i gomiti, che aveva affrontato Cedric. Gli aveva chiesto perché consigliare ad Harry Potter di usare il bagno dei Prefetti. Dopo un solo anno dalla sua scomparsa era incredibile quanto di una persona si riuscisse a dimenticare. Il suo viso diventava sempre più astratto e irriconoscibile, fino a far sorgere il dubbio che quei ricordi fossero solo frutto dell’immaginazione e quelle avventure non fossero mai avvenute.
Quello in particolare andava tuttavia controcorrente: lo ricordava perfettamente.
«Damien, perché tu non hai mai indossato la spilla che prendeva in giro Potter, qualche mese fa? Sei stato uno dei pochi in tutto il castello.» A quella domanda, non aveva saputo come rispondere. «Avrei dovuto impedirlo. Non l’ho fatto. Noi tassorosso dovremmo sostenere un gioco leale, essere di esempio. Ho tradito la mia casa. Harry Potter… è stato migliore di me. Sai, lui mi ha parlato dei draghi.»
Ricordava, come se fosse ieri, che Ced si era voltato per guardarlo dritto negli occhi.
«Sei stato un vero Tassorosso. Dovresti esserne orgoglioso
Adesso si stava facendo buio. Damien allungò la mano oltre il bordo e vide la sua pelle contesa tra luce e ombra. Gli tornarono alla mente le parole di Luna a proposito dei Thestral, quelle di Glyn e di Cedric, mentre osservava quella lotta serrata proseguire sulla propria pelle.
Un ultimo barlume di sole morente spazzò via ogni traccia di ombra.
 
L’ufficio della Umbridge era un posto rosa, pieno di quadri animati da gattini miagolanti e un ordine maniacale. Aveva bussato prima di entrare ed era stato ricevuto da una professoressa raggiante e più rosa del solito. «Signor Kiran. Bene. Hai già trovato delle prove?»
«No.»
Accadde in un attimo. Tutto lo scintillio del suo viso da rospo si spense in un’espressione di pura freddezza e le ci volle qualche secondo per stentare un nuovo sorriso. «Non capisco. Cosa sei venuto a fare qui, allora, caro ragazzo?»
Non si scomodò a sedersi. Poggiò il dito sullo stemma ricamato sul petto della sua divisa da Tassorosso. «Sa cosa vuol dire questo, professoressa?»
«Signor Kiran, non ho tempo per giocare. Ho una scuola da mandare avanti.»
«Ma noi stiamo già giocando, professoressa» le rispose immediatamente. «Qualche notte fa non ha deliberatamente deciso di iniziare a farlo con i miei sentimenti?»
Il dado era tratto. Lo vide dal cambio di postura della Umbridge, dal modo lieve ma decisivo in cui si accigliò e assottigliò le labbra. «Ora, ascoltami attentamente…»
«Se lo risparmi. Non sono venuto qui per fare questione, ma per mettere un punto: non farò la spia per lei, non tradirò i principi della mia casa per scoprire la verità sulla morte di Cedric. Ho rispettato la sua scelta di non insegnare la magia perché anch’io la ritengo pericolosa, nelle mani sbagliate. Ma il fatto che io condivida i suoi metodi non significa che debba tradire la memoria di Ced.»
«Tradire la sua memoria?» La Umbridge rise. «In che modo tradiresti la sua memoria?»
«Facendo un passo indietro, invece di restare al mio posto: tra lei e i miei amici.»
L’Inquisitore supremo smise immediatamente di sorridere. «Allora consiglio a lei e i suoi amici Luna Lovegood e Richie Gallagard di fare le valige. Immediatamente.»
«Non faremo nulla del genere, e le dirò perché: se avesse potuto interrogarci, o toccare Harry Potter, l’avrebbe già fatto.»
«Molto bene. Dica ai suoi amici che vi aspetto stasera dopo cena. Il vostro atteggiamento eversivo merita di essere corretto con una punizione esemplare.»
«Non farà neanche questo.»
«Ti sorprenderebbe sapere cosa sono capace di fare, signor Kiran.»
«Ed io non ho niente da perdere. Lei invece sì. Forse non sarò intelligente come un Corvonero, o coraggioso come un Grifondoro, e chiaramente non sono un Serpeverde, ma un Tassorosso rimane leale fino alla fine e la mia lealtà non appartiene al Ministero. Punisca me, se vuole, ma parli anche solo un’altra volta di espulsioni o punizioni in mia presenza e la polvere sotto al suo tappeto rosa shocking potrebbe presto infestare l’opinione pubblica.» Pose entrambe le mani sul bordo della scrivania. «Vogliamo continuare a giocare?»
– Non ci ho capitolo molto, ma… Bella mossa, ragazzo. –
 
*
 
«Insomma, si può sapere perché accidenti mi hai preso per l’orecchio?»
«Falla finita» gli disse. «So che a Damien piace Luna, e se sei davvero suo amico dovresti saperlo anche tu. Non ci vuole un genio.»
«Cribbio, che brusco risveglio per me. Ed io che pensavo di avere un Q.I. da cervellone. Non c’era un modo meno doloroso di trascinarmi via?»
Alma roteò gli occhi. Quel ragazzo era una cornucopia di sarcasmo. «Se quello è doloroso, meglio che non finiamo quello che abbiamo iniziato a Hogsmeade. Quello per te sarebbe stato l’inferno.»
«Ehi, ehi, ehi, bella. Non ci provare. Guarda che mi stavo trattenendo.»
Le venne da ridere. «Trattenendo?»
«Odio le ragazzine, ma in futuro queste potrebbero sbocciare in delle attraenti signore. Insomma, siete come delle crisalidi da cui usciranno delle farfalle mature. Colpirvi sarebbe uno spreco.»
Alma si girò allibita. «Tu sei, completamente, pazzo.»
«Te ne accorgi solo ora, corvonero? Non sei così intelligente.»
C’era disgusto sul suo viso, quando riprese a camminare. «Sì, ora capisco perché riesci a parlare con una strega come Lucilla Ollivander con tanta disinvoltura. Solo un pazzo lo farebbe.»
«Sì, come ti pare. Ma dove stiamo andando?»
Le serre erano dietro l’angolo. Alma fermò Richie prima che potesse svoltarlo e lo imprigionò tra il suo braccio e il muro. «Ascoltami attentamente. Quelle come Lucilla Ollivander sono persone davvero pericolose. Al di là di queste mura non vedrai rose e fiori, meglio che ti ci abitui. Il mio è un consiglio spassionato.»
Richie sbatté le palpebre. «Quindi che si fa ora? Restiamo così a guardarci negli occhi?»
«Scusami tanto se ho questo aspetto bozzoloso. La prossima volta mi bevo una pozione Polisucco e ti parlerò con la faccia della McGranitt.»
Il fatto che non rispondesse alla sua battuta acida le diede i brividi. «Per tutte le bacchette, sei disgustoso!»
«Ehi! Generalmente non corro dietro alle anzianotte, ma ammettiamolo: potrebbe portarseli peggio, gli anni.»
Alma brontolò e svoltò l’angolo pur di abbandonare quella conversazione ambigua. Lo dicevano che Richie Gallagard non aveva tutte le rotelle a posto, ma pensava che gli altri studenti si riferissero alla sua fissa per la merce babbana. Quel tipo era matto come un cavallo. Iniziò a temere che Damien gli fosse amico contro la sua volontà.
Il corridoio svolta a sinistra in una stanza ricca di finestre opache. Riflettevano malamente la luce del sole e chi c’era dentro, ed era per questo che lei l’aveva scelta. C’erano due ragazzi a guardia della porta. Due energumeni serpeverde che rispondevano al nome di Tiger e Goyle. Alma li raggiunse ignorando i richiami di Richie.
Goyle la vide per prima e stese il braccio. «Ehi, qui non entra…»
Prima che potesse sfiorarla, afferrò quell’arto e glielo torse dietro la schiena, spedendo la sua faccia a mangiare il vetro. Guardò allora Tiger e lo sfidò con un’occhiataccia.
«Lasciateli entrare» disse la voce all’interno della serra.
Goyle fu libero di prendere le distanze. C’era l’odio nei suoi occhi, ma Alma non si lasciò impressionare. A braccia conserte, attese che entrambi i serpeverde la superassero per andare a fare il palo nel corridoio.
Fece segno a Richie di seguirla e insieme varcarono la serra.
Lucilla Ollivander si stava prendendo cura di un piccolo alveare. Sfiorava le celle dove quegli insetti stavano producendo del miele senza alcuna protezione, se non una vecchia cuffia bianca sulla testa e un grembiule consunto sopra la sua divisa da Serpeverde.
«Alma Rodriguez» disse la strega senza neanche girarsi. «Ho sentito che ci sono stati dei disordini in città non molto tempo fa. Spero che i tuoi uomini stiano bene.»
«Tutto sotto controllo.»
«Me lo auguro. Mio padre non è il tipo che ama il concetto di ritardo.»
«I soldi di questo mese sono stati già consegnati.»
La strega sogghignò. «È un peccato. Mi sarebbe piaciuto ricevere la mensilità da Alma Rodriguez in persona.»
Pestò il piede di Richie prima che potesse parlare aprire bocca. «Sai perché sono qui. Richie ti ha chiesto un favore.»
Lucilla si voltò, si stava pulendo le mani con un panno. «Ciao, Richie Gallagard.»
«Diavolo.»
«Fai combattere le tue battaglie alle ragazzine, adesso?»
«In verità non so nemmeno cosa ci faccio qui. E da quand’è che hai il pollice verde?»
Lei sorrise davvero come un piccolo diavolo. «A ognuno i suoi capricci. E immagino che i vostri siano alquanto esotici. Un uomo armato con una bacchetta nera che non è di legno? Forse non corre buon sangue tra la mia famiglia e il mio caro prozio ma, signori, persino io so ciò che vi direbbe: non esistono bacchette simili.»
«Non siamo ancora dei signori, Lucilla.»
«Oh.» Lei finse palesemente stupore all’obiezione di Richie. «Perdonami, è stato un lapsus.»
Trovarsi tra quei due le fece provare l’imbarazzante sensazione di essere un incomodo. Aveva provato ad avvertire Richie che non era saggio immischiarsi con Lucilla Ollivander. Ma, in fin dei conti, se quel pazzo faceva il sordo non sarebbe stata certo lei a fermarlo.
«Ci aiuterai o no?» disse infine, troncando ogni altro discorso sul nascere.
Lucilla curvò leggermente la testa. «Fammi capire bene: vuoi che io metta da parte i miei affari per dare la priorità alla ricerca di una bacchetta dall’esistenza improbabile? Sta bene, talvolta fa bene svagarsi un po’, ma…» Sbatté gli occhi con una falsa innocenza. «Sapete cosa voglio in cambio.»
«Se ci dai un momento…»
Lucilla alzò il dito. «Non mi riferisco a te, tesoro. Parlavo a lei.»
Alma chiuse gli occhi. «Cosa vuoi sapere?»
«Oh. Dai, amica mia. Davvero c’è bisogno che te lo chieda apertamente?»
Non erano affatto amiche. Non lo sarebbero mai state. «Sputa il rospo, Ollivander.»
Un sorriso astuto si disegnò sulle labbra di Lucilla. «Tua madre era un Mangiamorte come si dice in giro?» Diretta, spiazzante. Spietata.
Non a caso era la figlia di un boss della malavita di Diagon Alley.
«Sì.»
«Affascinante.» Sogghignando, Lucilla aprì tutte le gabbie e consentì alle api di uscire. Presto lo sciame la avvolse completamente, come se fosse entrata in una nube di insetti. «Molto bene. Troverò questa vostra piccola bacchetta.»
Al diradarsi dello sciame, in quella serra rimasero solo lei e Richie.
 

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Capitolo 7
*** Tempo ***


TEMPO
 
 
George fece segno a Fred con la testa. Uscirono allo scoperto in un corridoio deserto e presero a braccetto Damien Kiran ciascuno da un lato, come fecero con Harry Potter solo un paio d’anni prima. «Gran bella chiacchierata con la Umbridge.»
«Già, una lunga chiacchierata.»
«Non pensavamo che ti piacessero le vecchie megere, Kiran.»
«O le fan sfegatate dei gatti animati.»
«Che portano strani fermagli a forma di mosca sulla testa.»
Lo gettarono ai piedi di una scalinata e con le braccia conserte attesero che si sedesse sul gradino più basso. L’avevano preso in simpatia da quando avevano saputo dell’insulto a quello scemo di Malfoy, ma non ci sarebbero andati leggeri con lui se non avesse vuotato il sacco.
«Immagino che vogliate delle spiegazioni per quella notte» disse lui, tranquillissimo.
«Puoi dirlo forte» rispose George. «Sapevamo di portare la nostra sorellina in un posto poco raccomandabile. Se non sapessimo che Rodriguez è a capo di quella combriccola di delinquenti, non ci saremmo nemmeno azzardati.»
«Nessuno può mettere in pericolo la nostra sorellina. Tu e il tuo amico ci dovete una spiegazione.»
«Credici: non ti conviene vederci arrabbiati.»
«Ragazzi, va bene. Solo, possiamo parlarne in un posto più discreto?»
Si guardarono un momento, prima di annuire.
 
Rimasero di sasso scoprendo che i membri dell’Esercito di Silente non erano i soli a conoscenza della Stanza delle necessità. Quando Damien li aveva preceduti fino al settimo piano, avevano iniziato a temere che fosse una trappola. Poi la porta si era manifestata e guardandolo aprirla avevano scoperto, con assoluto sbigottimento, che era già occupata. Un grammofono sparava musica ad alto volume. Alma Rodriguez, vestita in abiti informali, stava saltellando e ballando in giro per la stanza a ritmo di musica, ondeggiando più volte la testa e quel cespuglio di capelli che teneva legato con un codino. Stava imbrattando i muri facendo librare dozzine di bombolette spray volanti, tingendoli con murales raffiguranti quella che doveva essere la caricatura dell’ormai ex professoressa Cooman circondata da dozzine di sfere di cristallo; era un’opera d’arte davvero pessima, ma ci tenevano troppo alla vita per confessarglielo.
Era raro vederla così spensierata e assorta. Per un momento, rimasero impalati a fissarla fare avanti e indietro balzando, ancheggiando, rigirandosi su sé stessa. Tutto in maniera improvvisata.
«Ogni tanto fa così» disse Damien. «Dice che riesce a “svuotare la mente” e creare i suoi testi. Immagino che ognuno abbia le sue manie. Non ditelo in giro, ci ha minacciato di spezzarci le gambe e siamo propensi a crederle.»
Ed era anche un bel vedere, pensò Fred. Questo però non lo disse ad alta voce.
C’era un altro rumore di sottofondo nella stanza. Più rumoreggiante e fastidioso, metallico.
«Ma questa…?!» Guardando alla sua destra, verso la fonte, rimase allibito.
«Questa è la macchina di papà! Dove l’avete trovata?»
Alma e Richie Gallagard ebbero la stessa reazione: si girarono all’improvviso, facendo delle facce assurde.
«Un corno!» Il secondo gettò via panno sporco di grasso e si alzò per minacciarli con un manico di scopa. «Sapevo che prima o poi sarebbero sbucati dei “proprietari”! Se anche lo foste, ed è da dimostrare, la mia signora è stata abbandonata senza riguardo nella foresta. Tenete giù quelle manacce. Adesso è mia!»
Damien dovette trattenerlo. Quel matto stava procedendo dritto verso di loro e di certo non per acquistare i loro articoli. «Rich, penso che la legge avrebbe qualcosa da ridire in merito» obiettò, nello sforzo.
Alma si voltò verso di lui. «Che vuol dire che la leggere avrebbe qualcosa da ridire? Chi trova tiene. È sempre stato così.»
Mentre quei tre si scambiavano informazioni sulle leggi babbane, Fred si affacciò dallo sportello per guardare dentro l’abitacolo. «La stai tirando a lucido, vedo.»
«Già, davvero un bel lavoro. E non ti preoccupare. Ron ha fatto passare a nostro padre dei mesi d’inferno con la storia della macchina. Noi non abbiamo visto niente» rispose George, mentre fissava i fanali nuovi di zecca.
«Oh… Allora guardate pure.» Per un attimo gli occhi azzurri del tassorosso brillarono di una luce pericolosa. «Se scopro che state mentendo, vi concerò in modi che vostra madre non potrà più riconoscervi.»
«Garantito» gli risposero in coro.
George girò attorno alla macchina con occhio critico. «Non pensavo che la Stanza delle necessità potesse riparare anche le auto. Come accidenti avete fatto a portarla fino al settimo piano?»
«In verità la stanza mi fornisce solo i materiali. Al resto penso io. Quando Damien me l’ha mostrata, ho semplicemente pensato che sarebbe stato il posto perfetto dove ripararla in santa pace. Tempo due secondi, si è aperto un passaggio verso la Foresta proibita.»
Alma ticchettava con le dita sulla carrozzeria. «Sì, è una stanza parecchio interessante. Strano che voi non la conosceste, ragazzi.»
«Chi ha detto che non la conoscevamo?»
«Ma se avessimo una stanza che ci rifornisce di tutto e subito, dove sarebbe il divertimento?»
Alma scosse la testa. «Tipico. Beh, immagino che Damien vi abbia portato qui per parlare di quella notte. Intanto che ne pensate di aiutarci con le riparazioni? Gallagard sta iniziando a diventare una donnicciola isterica.»
Il tassorosso s’inalberò parecchio. «Donnicciola isterica?»
«Su, su…» Alma gli posò una mano sulla spalla. «Devi stare tranquilla. L’aggiusteremo la tua signora. Anche perché, se la macchina era di loro padre…»
La testa di Richie Gallagard scattò come se fosse un automa che prendeva vita. Fu inquietante. «Carte, bollo, libretto di circolazione e dati assicurativi. Libretto d’istruzioni. Tirateli fuori all’istante.»
Tutto ciò che Fred e George capirono di quelle assurdità fu che Damien Kiran si mise una mano sulla faccia.
 
«Ehi.» Fred si sedette accanto a Rodriguez nella biblioteca.
Lei gli rispose con un cenno della testa. «Weasley.» E tornò china sui libri.
George girò al contrario la sedia di fronte a lei e si sistemò con le braccia incrociate sulla punta dello schienale. «Quindi è colpa di questo “Amato” se Ginny ha fatto saltare in aria una parte della biblioteca.»
Presa a tenaglia, Alma capì l’antifona. Ma non rispose a parole: si toccò due volte la punta del naso. «Se volete delle scuse per aver trascinato vostra sorella nei casini, posso anche farvele. E già che ci siamo v’informo che preferirei avere cento di lei a guardarmi le spalle, piuttosto che mille di voi.»
«Ouch!» risposero in coro. «Questo è un colpo basso.»
«Sì, ci ha straziato il cuore.»
«Ma siamo pronti a perdonarti, volendo.»
«Se ci dirai perché in questa scuola nessuno sa ancora niente.»
Il grugnito di Alma Rodriguez poteva essere benissimo un lamento di frustrazione. La corvonero chiuse di scatto il libro d’incantesimi che stava leggendo e li guardò, uno per volta. «Cosa volete che vi dica? La McGranitt si è presa quell’idiota in custodia e l’ha portato chissà dove. Non so altro. Davvero Ginny non vi ha detto niente?»
«Muta come un pesce. Quindi non sono stati i professori a intimarvi di tenere la bocca chiusa?»
Alma fece uno strano sorriso. «Oh, che cara amica… Voglio ritrattare: mi serviranno solo dieci Ginny. Se vostra madre può clonarmele entro l’estate, sarei disposta a pagare in galeoni.»
Fred dovette schioccare le dita per riportarla alla realtà. «Andiamo, Rodriguez. Siamo seri. Stanno già succedendo in giro delle robe pericolose, senza aggiungere questi… Invasati che girano incontrollati per la scuola.»
Alma stava per aprire bocca quando un primino inciampò all’improvviso e franò sul loro tavolo, facendo cadere un marasma di libri. Dopo averli radunati in fretta e furia, se andò farfugliando qualche scusa. Si era dimenticato un foglietto accartocciato, però. Alma non ebbe alcuna esitazione ad afferrarlo e srotolarne il contenuto. Ciò che vi lesse la fece alzare di scatto.
Fred e George la seguirono dopo essersi lanciati una rapida occhiata. La tallonarono per tutta la biblioteca. Anche dopo lei che svoltò l’angolo. Se ne stava appiccicata agli scaffali. Cercava qualcosa. Il suo dito scorreva lungo le rilegature dei libri, lentamente. Si fermò solo quando un’ape si posò sul dorso della mano. Rodriguez non si curò di scacciarla. Estrasse il libro su cui il dito si era fermato e con la mano libera frugò nello spazio lasciato vuoto. C’era un altro foglietto. Stavolta ben piegato e la grafia, quando lei lo aprì, era elaborata e stilisticamente perfetta.
Lo lesse così in fretta da non lasciargli il tempo di fare altrettanto, poi alzò la testa. In quella direzione, c’era una strega serpeverde intenta ad alzare leggermente un calice di vetro. «Perché Lucilla Ollivander ci sta salutando?»
«Lascia perdere.» Alma si voltò verso di loro. «Venite con me.»
 
*
 
Qualcuno bussava alla porta del suo studio con insistenza. Innervosito da quel richiamo fastidioso, Piton si alzò per andare ad aprirla. Riuscì a mascherare per tempo la sua indisposizione, trovandosi davanti Alma Rodriguez e i gemelli Weasley. «Ebbene?»
«Damien dice che è lei ad occuparsi della faccenda.»
«Quale faccenda?»
«Abbiamo delle informazioni per lei. Riguardo l’Amato.»
– Kiran… – C’era almeno uno studente, in tutto il castello, che non avesse la mania di ficcare il naso nelle faccende che non lo riguardavano? Severus tornò alla sua scrivania senza dire una parola. Uno dei figli di Molly chiuse la porta dietro di sé e insieme agli altri si avvicinò a passo deciso. «Immagino che Kiran vi abbia raccontato tutto.»
«Capita quando un pazzo cerca di attentare alla nostra vita, e più d’una volta.»
Alzando gli occhi dalle pergamene che aveva ricominciato a correggere, Severus non poté fare a meno di notare che la somiglianza tra lei e sua madre non era solo nell’aspetto. Ramona Rodriguez era stata una fervida sostenitrice di Voldemort. Aveva un carattere irrequieto e testardo, proprio come la figlia. In lei certo non albergava la follia di Bellatrix Lestrange, ma aveva la stessa indole crudele. Non lo sorprendeva che un tempo fossero state tanto amiche. Se Bellatrix non fosse una strega d’indiscutibile talento, Ramona tra le due sarebbe stata senz’altro la più pericolosa. Cinica, dove l’amica peccava di un’ossessione viscerale verso l’Oscuro signore e infantile sadismo.
Ancora oggi non riusciva a capire come quella strega, con dei principi morali riguardo la razza tanto distorti, si fosse innamorata di un babbano. Un altro criminale, certamente. Appartenere ai Mangiamorte significava rinnegare ogni goccia di sangue babbano che potesse infettare la purezza del proprio sangue, e la volontà di Ramona in questo era sempre stata incrollabile.
Alma Rodriguez si era già indirizzata sulla stessa strada criminale. Silente non voleva ammetterlo, ma era la pura verità. Lo sapeva lui, e lo sapeva Vitious. Severus non era incline ad accettare l’idea che la natura di una persona potesse cambiare. Il passato definiva qualunque mago e strega, era così da sempre. E quello che la ragazza si stava costruendo presto avrebbe iniziato a puzzare di rimpianto.
«Avete intenzione di restarvene lì impalati ancora per molto?»
Uno dei gemelli Weasley parlò sopra di lei. «Sappiamo che questo tizio stava leggendo un libro che elenca gli artefatti magici più rari del mondo magico.» Posò sulla scrivania un tomo particolarmente grosso e pesante.
«Inoltre, brandisce una bacchetta speciale. Non è fatta di legno come le altre. Quando Ginny l’ha colpita, l’incantesimo è rimbalzato via.»
Ciò rapì l’attenzione di Severus. Il loro scontro a Notturne Alley era stato troppo veloce per ricordarne i dettagli, ma le parole del giovane Weasley evocarono qualcosa, nella sua mente, mentre sfogliava pigramente le pagine del tomo. La ricordava quella bacchetta nera. «È tutto?»
Alma Rodriguez sbuffò indignata. «Tutto? Ci siamo fatti il culo per sopravvivere e trovare queste informazioni. Non credi sia il caso di ricambiare dicendo anche a noi cosa sta succedendo?»
«Non essere irrispettosa.»
Provarono a tirarla da parte. Come la madre, Alma Rodriguez si divincolò con rabbia dai gemelli e non volle sentir ragione. «Dovrebbe essere il suo lavoro. Ma forse sei troppo impegnato a svenire in mezzo agli alberi per darti da fare.»
«Dieci punti in meno a Corvonero.»
«Dieci…?» Oltraggiata, Alma avrebbe scavalcato la scrivania se non l’avessero fermata.
Piton non ebbe pietà. «Altri dieci punti in meno a Corvonero.»
Lei e Ramona erano due gocce d’acqua. Solo un uomo come l’Oscuro signore avrebbe potuto spaventarle. Si sarebbero accanite contro chiunque avesse osato sfidarle fino allo sfinimento. Fred e George Weasley dovettero trascinarla indietro di peso mentre si dibatteva.
«Forse, signorina Rodriguez, dimentichi qual è il tuo posto. Qui non siamo nella vita di tutti i giorni: questa è una scuola di magia. Non è compito degli studenti quello d’indagare su affari che non li competono. Lo è far entrare nelle loro testoline eversive il sapere che c’impegniamo ogni giorno d’inculcarvi. Questa non è Notturne Alley e nessuno dei corsi che frequentate mira a rendervi degli Auror. Ci sono delle regole da rispettare.»
«Regole.» Fece una falsa risata. «Forse dovreste rivederle, allora. Sa, professore, non penso che stiano funzionando granché a dovere ultimamente.»
«Sei proprio come tua madre» le disse. «Una ribelle senza speranza. Incapace di sottostare alle leggi perché troppo impegnata a disegnare le sue.»
«Adesso basta!»
Nessuno si era accorto che la porta era stata spalancata. Vitious e Minerva McGranitt sostavano all’ingresso. Dove l’una sembrava una maschera di pietra, l’altro non si curò di nascondere un certo fastidio. Nonostante l’altezza, appariva austero quanto la collega ed egualmente intimidente.
«Potete lasciarci da soli? Rodriguez, parlo anche a te.»
Piton e gli altri attesero che richiudessero la porta; non prima che Alma Rodriguez gli lanciasse uno sguardo torvo. Non era finita: il messaggio era chiaro. Solo in seguito entrambi presero posto sulle sedie davanti alla sua scrivania, assumendo un aria che non lasciava presagire una conversazione di breve durata; con enorme frustrazione, lasciò cadere l’intento di correggere le sue pergamene per quella sera.
«Minerva mi ha raccontato dell’interrogatorio.» Piton non rispose.
«Tu e quella donna siete a conoscenza di questi… Invasati da più che qualche settimana, e così? Con la minaccia di Tu-sai-chi alle porte, come vi è potuto venire in mente, a te e Silente, di non dirci nulla?» s’inserì la McGranitt, altrettanto allarmata.
«Credevo di poter risolvere questa faccenda da solo.»
«Una decina di studenti coinvolta! Intrusioni reiterate nel reparto proibito, uomini… senz’anima! Che cosa faresti se venissero coinvolti gli studenti della tua Casa, Severus?» Minerva diventava più infervorata parola dopo parola e Vitious non sembrava più accondiscendente.
«Gli avrei suggerito di non ficcare il naso. Sapete bene, tutti e due, cosa succede a lasciare che dei ragazzi s’intromettano in faccende che non li riguardano. Da quando Potter è entrato in questa scuola, tali violazioni sono all’ordine del giorno ed è un miracolo che nessuno si sia fatto male. Eccetto, ovviamente, il ragazzo di Amos Diggory l’anno scorso.»
«Lasciamo fuori Potter da questa storia» intervenne Filius.
«I gemelli Weasley riferiscono a Potter ogni loro più insignificante impresa. Per quanto tempo ancora credete che ne resterà all’oscuro? Per non parlare della più giovane ficcanaso di casa Weasley.»
La McGranitt scosse la testa con crescente turbamento. «Abbiamo già avvisato Ginny Weasley e Luna Lovegood di non farne parola con nessuno. Parlerò anche a quei due. Severus, devi dirci tutto. Perché Rodriguez è venuta da te, di cos’altro dovete ancora informarci?»
Fece scorrere il tomo verso di loro. «Stando alla sua testimonianza, pare che l’Invasato stesse sfogliando questo. Se vogliamo credere che ciò sia vero, potrebbe essere interessato a reperire uno di questi artefatti. O cercarne un altro che in questo testo non figura. Silente ha requisito alcuni dei libri più oscuri, ma ciò di cui questa cosiddetta Ombra è in cerca potrebbe non essere mai stato un incantesimo oscuro.»
Vitious intrecciò le mani in grembo. «Avete già in mente un piano per scovarlo? Non possiamo consentire che un criminale scorrazzi in libertà per tutto il castello, non un’altra volta. La Umbridge ne è già al correte e in questo momento un inasprimento dei decreti ministeriali sarebbe catastrofico.»
«Filius ha ragione. Dobbiamo fare qualcosa, Severus.»
Dopo un momento di silenzio, Piton si decise ad annuire. «Il preside ha invitato i fantasmi a setacciare il castello. Inoltre, questa non è la prima testimonianza di uno studente che raccolgo quest’oggi. Lucilla Ollivander mi ha informato su delle attività sospette appena al di fuori delle mura del castello.»
Minerva assottigliò le labbra con evidente indisposizione, ma non parlò. E non lo fece neanche Vitious.
«Ebbene, direi che vale la pena d’indagare» disse infine il Capo della casa Corvonero.
 
La casa di Hagrid sorgeva al confine della Foresta proibita. Era ancora disabitata, ma stando alle parole della signorina Ollivander strani rumori provenivano dall’interno, da qualche notte. Il guardiacaccia non era famoso per l’igiene, l’odore stantio di carne essiccata era un buon motivo perché dei predatori la visitassero. Ma i predatori non accendevano dei lumi.
Qualcuno stava usando quella casa. E non si stava proprio nascondendo.
Seduto sopra i gradini, c’era un Invasato.
Successe così in fretta che Piton e i suoi accompagnatori non ebbero il tempo di reagire. La prateria che li circondava divenne fredda e sterile, i loro fiati nuvole di condensa. Il turbinio delle nubi accompagnò l’avvento del freddo. Fu solo questione di momenti prima che almeno una dozzina di Dissennatori li circondasse, precipitando dal cielo notturno come correnti d’aria che scuotevano brandelli di stracci neri; Minerva e Filius non mascherarono lo sconcerto di trovarsi davanti alle creature del Ministero.
«Severus Piton. Ci incontriamo di nuovo» disse l’Invasato, divertito. Tra le dita stringeva una bacchetta nera.
«Chi sei tu?»
«Tu sai chi sono. L’hai capito: non importa quanti Invasati sconfiggi o dietro quali vesti io mi celi. Io non sono loro. Eppure, in un certo senso, tutti loro sono me. La vera domanda è: a chi va la tua lealtà? Al Ministero, ad Hogwarts. I Mangiamorte? O forse il Possessore di Glyn è riuscito a portarti dalla sua parte?»
Severus preferì non avventurarsi in una risposta. «Possiedi una bacchetta alquanto singolare.»
L’invasato ridacchiò. «Avremo modo di approfondire la conoscenza di questo artefatto, ma non ora. Non ho intenzione d’indispettire oltre il tuo preside con la mia presenza.» Allungò la mano e ne aprì il palmo, mettendo in mostra un globo luminoso. «Questo è ciò che ti ho sottratto, Severus Piton, durante il nostro scontro. Vedo che ti stai tenendo ben stretta l’ultima brace del sentimento che ti ho sottratto. Esso, dopotutto, è una risorsa assai preziosa.» I Dissennatori ne sembrarono attratti in modo viscerale. Un paio avevano tese le braccia per afferrarla e l’Invasato dovette ritirare la mano, lentamente, lasciando che quelle dita scheletriche la sfiorassero. «Sono pronto a restituirtelo, se in cambio mi darai ciò che voglio.»
«E cosa vorrebbe un criminale come te?» s’inserì Minerva con voce graffiante. «Con che coraggio ti rivolgi a un insegnante di Hogwarts aspettandoti che obbedisca ai tuoi biechi ricatti?»
Vitious azzardò un passo verso di lei. «Resta concentrata, professoressa.»
«Ricatto? Non lo chiamerei così. Voglio solo che scopra dov’è il mio amore. È uno scambio equo.» L’Amato si alzò, lentamente. «Dev’essere difficile sopportare il freddo che si fa largo nelle tue viscere, ora dopo ora il compito diventa sempre più arduo e il vuoto che senti cresce di conseguenza. Immagina cosa significhi sopportare questa mancanza per migliaia di vite mortali. È straziante.» Il silenzio si protrasse finché l’Amato non fece fluttuare qualche frammento del globo luminoso verso di lui. «In segno di buona fede.»
Nessuno di loro riuscì ad evitare che quei pochi filamenti di luce entrassero nel suo petto. La sensazione fu frustrante, ma allo stesso tempo un sollievo. Come se un po’ di calore gli fosse scivolato dentro la pelle e la vita avesse assunto all’improvviso più colore. Rimaneva ancora una pallida imitazione delle giornate che furono, ma fu sufficiente per fargli maturare una cupa consapevolezza: la sensazione disagevole che stava provando era opera sua.
Tornò alla realtà scoprendo che Minerva lo sorreggeva. Stanca di chiedergli se stesse bene, rivolse i suoi timori direttamente all’Amato: «Che cosa gli hai fatto?»
«La domanda, strega, è cosa nascondi tu. Tu e il Ministero siete i suoi agenti.»
Vitious fece un passo avanti. «Agente del Ministero, lei? Sei tu che comandi i Dissennatori, mi pare.»
In un certo modo, capirono che le sue parole l’avevano offeso. «I Dissennatori mi hanno sussurrato cos’accadde nei pressi di questo luogo, due anni fa. Il suo potere infesta ancora queste mura. Lo sento sulle tue vesti, donna. Loro lo avvertono nel cuore del Ministero, e su due studenti di questa scuola.»
«Di cosa stai parlando?» chiese Severus, quando riuscì a sostenersi da solo. Il freddo li stava pressando da troppo tempo ormai. Presto non sarebbero riusciti a sostenerlo, se non avessero qualcosa.
L’Amato fece un cenno con la testa verso Minerva McGranitt. «Chiedetelo a lei. Chiediti se sei disposto a rinunciare a cosa ti ho rubato. Le lancette dell’orologio scorrono, Severus Piton. È una legge degli dei: se ti ostini a non prendere una decisione, il tempo lo farà per te.»
Due Dissennatori presero ciascuno per una spalla l’Invasato. Si materializzarono altrove in un battere di ciglia.
 
*
 
Damien e Alma finirono insieme di posare il nuovo motore nel vano del cofano. Fu un lavoro abbastanza faticoso, concentrati com’erano per non fare alcun danno. Minuti interi in cui tennero le loro bacchette tese e puntate verso quella scatola fatta di tubi e scatole più piccole, e altri filamenti quasi invisibili che li attraversavano legandoli tra loro.
Alma si deterse la fronte dal sudore, poi andò a raccogliere una bottiglietta d’acqua fluttuante. La osservò in silenzio prendere dei lunghi sorsi. Aveva le spalle così contratte che un pugile, alla pesa che precede il più importante incontro della sua vita, al confronto sarebbe sembrato rilassato e gioviale. Era entrata come una furia, tallonata dai gemelli Weasley, e chiedendo loro qualcosa da fare si era concentrata sulle riparazioni senza aprire bocca. Se non per parlare con Richie in una lingua che Damien era stato capace di decodificare solo in parte. Era venuto fuori che anche lei se ne intendeva di motori; non come Richie, lui era un fissato, ma aveva una discreta padronanza del lessico che coinvolgeva cavalli, cilindri e tubi di scappamento.
Non c’era bisogno di dare un’occhiata ai due rossi nella stanza per capire che qualcosa non andava.
«Tutto bene?» le chiese, avvicinandola.
«Certo. Perché non dovrebbe?» Scontrosissima.
Damien preferì sedersi contro il muro. «Un po’ ti conosco. Beh, magari non come loro due, ma…»
«Ti ho detto che sto bene.» Ostinata, con una punta di cupezza che recitava: “Stammi alla larga.”
– Ragazzo, non so come voi trattiate con le donne in questo secolo, ma se posso darti un consiglio… –
«Insomma, so qual è il tuo tè preferito.»
Alma sbuffò. «Cosa vuoi, Damien?» Infastidita, con una vena sul collo che iniziava a pulsare come un cuore.
«Niente.» Distolse lo sguardo da lei per rivolgerlo agli altri. Si stavano occupando delle ultime migliorie della giornata. «Sai, mi è piaciuto lavorare tutti insieme, oggi. Era da un po’ che non vedevo tanta gente sorridere. Mi ha fatto sentire nostalgico.»
«Parli di Cedric?» Annuì. «Già… Mi dispiace, Dam. Avrei dovuto chiederti come stavi molto prima. No, lascia perdere. Quel che è fatto è fatto. Sono stata pessima.» Gli scivolò accanto. «Come è andata con Luna?»
«La Umbridge mi ha chiesto di trovare delle prove su Harry Potter in cambio della nostra permanenza nel castello» le confessò, con voce piatta.
Dire che le aveva piazzato una bomba sotto il sedere avrebbe creato meno scompiglio! «E tu che cosa le hai detto?» Ora grattava nervosamente il tappo della bottiglia.
«Ho le prove che Ginny e Luna stanno combinando qualcosa insieme a lui e… Immagino i gemelli, loro fratello, la Granger, e chissà quanti altri. Avrei potuto dirglielo, ieri. Non l’ho fatto. L’ho… più o meno mandata al diavolo.»
Alma cercò di mascherare un sussulto, ma era difficile non notare l’espressione divertita dietro la sua mano. «Vorresti dirmi che tu, il Nonnino di Hogwarts, avresti dato dell’escremento a Malfoy e mandato l’Inquisitore supremo a seguirne la puzza nell’arco di un solo semestre?»
Alzò entrambe le sopracciglia. «Tu come lo sai?»
«Come se si potesse nascondere che un idiota ha spiccato un balzo dalle scale, dopo aver insultato un Prefetto
«Oddio…» Damien si coprì il viso con entrambe le mani. «E Luna lo sa?»
«Oh, non penso che se ne accorgerà prima della prossima estate. A meno che qualcuno non glielo dica prima.»
«Divertente» replicò sarcastico. In cambio, da lei ricevette una leggera spallata.
«Sai che la Umbridge non si fermerà, vero? Quella donna potrà anche spacciarsi per carina e coccolosa, ma è una vipera. Se qualcosa non va come vuole, saprà come vendicarsi.»
«Lo so. Ma non m’importa e, francamente, paragonato a quello che stiamo passando, non vedo come possa fare peggio degli Invasati. È rassicurante sapere che non dovrò affrontarli da solo. Non voglio che i miei amici paghino per questo, però.»
La strega ripose la bottiglia mezza piena nella borsa e sospirò. «Piton» disse infine, come se quello fosse la risposa per tutto. «Non lo sopporto. Gli abbiamo detto quello che cercava l’Amato e mi sono beccata venti punti in meno.» Appoggiò la testa contro la parete. «Ha parlato male di mia madre. Non mi è andato giù.»
Damien annuì. Alma ne parlava raramente, forse perché non l’aveva mai conosciuta davvero. Sapeva solo quello che lei raccontava in giro; probabilmente era tutto ciò che sapeva. Ramona Rodriguez era nata in Argentina, ma aveva sempre vissuto a Notturne Alley. Era una Purosangue che non apparteneva alle sacre ventotto, e alla fine si era innamorata perdutamente di un babbano. Una notizia che all’epoca doveva aver fatto un certo scalpore, considerato che il mondo magico aveva appena iniziato a riprendersi dalle macerie lasciate dalle distorte idee sulla razza di Tu-sai-chi.
«Fortuna che le vacanze di Natale stanno per iniziare, allora. Per qualche giorno non dovrai rivederlo.»
«Già… Finalmente potrò controllare in che stato è il locale. Cerca di non passare per Notturne, se ti è possibile, in questi giorni. Non vorrei dover ricominciare daccapo.»
«Ha-ha.» Lei gli fece la linguaccia. «Possiamo anche prenderci questi giorni come pausa. Sai, ricaricare le batterie. Da quando avete affrontato l’Amato in biblioteca, non abbiamo più visto o sentito nulla» proseguì, continuando a osservare gli altri tre mentre si davano da fare.
«Sempre che lui non abbia già trovato quello che cercava» gli rispose lei, con le braccia incrociate.
Tre schiocchi di dita in rapida successione li attirarono verso Richie. Il suo amico li stava osservando con un’espressione intransigente. «Qui non si batte la fiacca. Riposerete quando la mia signora sarà di nuovo a posto. Come dovrebbe sempre essere.» E lanciò occhiataccia ai gemelli.
Damien si limitò a guardare Alma che si alzava e avvicinarsi a loro mentre proponeva delle modifiche artistiche alla carrozzeria; tutte respinte in blocco da Richie. Incrociando le braccia al petto, per la prima volta da un po’ le sue labbra si aprirono in un leggero sorriso. Gli sarebbe mancato vedere quelle scene, per un po’. Per la prima volta dalla morte di Cedric, sentiva che Hogwarts era tornato ad essere quel posto interessante a cui ripensare con nostalgia. E fu pervaso da un desiderio.
«Ragazzi. Ragazzi!» Tutti si girarono verso di lui. «Che ne dite di fare qualcosa tutti insieme, prima delle vacanze?»
 
«Dunque. Se ho capito bene io ti dico una cosa e tu, tirando un dado, mi dici cosa succede?» domandò Luna, con una voce contesa tra confusione e leggerezza. Ginny rise e le sussurrò all’orecchio qualcosa. «Oh, un’azione!»
Damien annuì e rispose all’occhiolino della Weasley con un’occhiata tra il grato e l’imbarazzato, prima di passare in rassegna tutti i presenti.
Richie continuava a fissarlo con un’aria da “Perché?” stampata in faccia. Sedeva accanto a una Lucilla Ollivander autoinvitatasi alla festa. Il luogo che avevano scelto per incontrarsi si trovava nei pressi della guferia. Una piccola casetta ai piedi del precipizio che un tempo si diceva venisse usata come ressa per i gufi, prima che fosse costruito per loro un luogo apposito. Era ancora in piedi, piena di scartoffie e oggetti in disuso. Lucilla aveva giurato che non ci abitava nessuno ormai da secoli; forse, in effetti, era per questo che aveva scoperto di quell’incontro.
Ad ogni modo, con la Umbridge partita in direzione Ministero e la scuola che andava svuotandosi, erano riusciti a ritagliarsi un momento tutto per loro. Lontano dai G.U.F.O., da Invasati e insinuazioni gratuite di un Ministero che non la smetteva di screditare chiunque la pensasse diversamente sull’argomento Tu-sai-chi.
Era stato un lavoro di gruppo. Lui e Richie si erano preoccupati dei pezzi, i gemelli Weasley di trovare le cose che mancavano e fare incetta di scorte, mentre il resto si dedicava a mettere in ordine quanto bastava. Col risultato che la stanza era stata sgombrata di tutto tranne che un tavolo e delle sedie, e decine di materassi, tappeti e coperte erano stati disposti in ogni dove.
Damien sedeva in un angolo e accanto a lui c’era Luna Lovegood, con Ginny che, sdraiata, poggiava la testa sulle sue gambe raccolte. Dall’altro lato della casetta c’erano Richie e Lucilla, che dividevano una coperta. Neville Paciock sedeva attorno al tavolo insieme a Blaise Zabini e Hannah Abbott. Alla sua destra, Damien aveva Fred e George Weasley che parlavano insieme ad Alma.
Si schiarì la voce. «Allora, sappiamo tutti perché siamo qui. Spero.»
«Parla più forte!» Dal fondo della casetta, il richiamo provenne dalle mani unite davanti alla bocca Richie; al suo fianco, Lucilla ridacchiò.
Damien li scrutò torvo. «Avvicinatevi voi, invece! Dicevo: chi di voi non ha mai giocato a D&D?» Vide molte mani alzate. «Beh, allora, le regole sono…»
Passò un quarto d’ora a spiegare le regole e una mezz’oretta per far creare loro dei personaggi. Come Dungeon Master aveva predisposto un’avventura tra i ghiacci, alla ricerca di una fiamma che potesse disperdere un velo impenetrabile di nebbia che dava sul mare; un altro quarto d’ora era volato solo per ascoltare la consueta allusione di Zabini sul fatto che sua madre fosse una mangiauomini; Richie aveva seguito con attenzione quelle storie finché Alma, dando una schicchera alla Cioccorana, non gliel’aveva tirata in testa.
«Ok, ok, ok. Cominciamo. Vi trovate al nord, in un regno invaso dalla bufera. Il gelo invade le strade e siete…»
«Voce!» All’ennesimo richiamo di Richie, Ginny lo fece urlare come una ragazzina con una fattura Orcovolante.
Si rivolse dapprima a lei. «Grazie. Dicevo: …siete di fronte a una minaccia serissima. Il mare… è pieno di nebbia. Ogni uomo o donna del regno sa che creature di ogni sorta e pericoli inimmaginabili affollano il continente al di là del mare. Se la nebbia non viene diradata, loro potrebbero attraversarlo e causare la morte di centinaia d’innocenti. Lo Jarl ha chiamato voi, i migliori guerrieri di tutto il continente, per cercare chi ha rubato l’artefatto magico che dirada la nebbia. Siete voi gli eroi che avranno il compito di salvare il continente. Ebbene, cosa fate?»
«Chiedo allo Jarl se qualcuno ha visto qualcosa» disse Ginny.
«Io controllo che nessuno di noi abbia addosso dei Gorgosprizzi» s’inserì Luna con entusiasmo.
Damien lanciò il dado due volte e si affrettò a rispondere. «Nessuno ha visto nulla.» Con riluttanza, indicò poi Luna. «Sì, la tettona guerriera matura di Richie ne ha uno su per il naso.» Lei chiuse la mano a pugno e scosse il braccio leggermente a mo’ di esultanza.
L’interpellato sgranò gli occhi tra le risa di tutti. «Ehi! Mi prendi in giro?!»
«Questo però l’hai sentito…»
In rassegna, tutti dissero la loro e l’avventura poté cominciare.
Dopo un’ora di varie peripezie, dopo che tutti si erano stretti intorno a una coperta, i loro protagonisti stavano abbordando un vascello nemico in mezzo al mare. «All’improvviso,» disse Damien «davanti alla porta della cabina del capitano si apre un portale magico violaceo e ne esce un gigante. Pelle rossa come la sabbia del deserto, sei braccia e gambe così muscolose che sembrano rocce scolpite dal vento e la marea. Tre grandi teste fuse insieme. Brandisce due grosse asce cosparse di fiamme. La barca cigola e rimbalza nell’acqua sotto il suo enorme peso. La sua voce baritonale è possente come il rumore di un corno da battaglia soffiato da un guerriero vichingo. Cosa fate?»
– Esistono davvero creature simili? – chiese Glyn, sconcertato.
– Prego ogni giorno di no. –
Luna alzò il braccio. «Una creatura del genere non dovrebbe inciampare sostenendo il peso di tutte quelle braccia?»
Scoraggiato dall’ennesima domanda tecnica, Damien si abbandonò al suo istinto zen. «Per questo ha gambe muscolosissime.» Luna annuì convinta.
Lo alzò, tremante, anche Neville. «Posso buttarmi in mare?»
Damien controllò il numero del dado mentre Fred e Alma gli davano del codardo. «No.»
Fu il turno di George. «Posso dargli dello scemo e attirarlo su di me?»
Damien lanciò i dadi. «È sordo.»
Alma si accigliò. «Se era sordo, non potevi dircelo subito?»
«Lo è diventato dopo aver gridato.»
«Ma che vuol dire questa cosa, Dam?!»
Lucilla fece per aprire bocca. Richie la fermò distendendo il braccio con fare plateale e gonfiando il petto. «No.» Aveva un’aria così combattiva ed egocentrica che Damien non riuscì a non deglutire intimidito. Il suo amico finse persino l’atto di alzare un cappello immaginario e tirare fuori qualcosa prima di rimetterselo. «Lancio le mie fidatissime biglie… ai piedi del gigante.»
Tutti furono contagiati dall’atmosfera pesante che scese nella casetta e assistettero con il fiato sospeso al nuovo lancio dei dadi. Quando si fermò sul numero giusto, Damien chiuse gli occhi. «Io non ci posso credere... Hai più culo che anima.»
«Che è successo?» chiesero tutti
«Dillo!» Richie era già pronto ad alzarsi ed esultare.
«Il gigante muove un passo e…» Damien chiuse gli occhi. «scivola sulle biglie, precipitando in mare.» Al che lui si alzò e sollevando l’indice e il medio di entrambe le mani assunse una posa eroica, celebrato dagli applausi di tutti.
«Signori, signori, vi prego. Calmatevi tutti. Sapete, Becca la Bacca non lo fa per la fama, ma per…»
Ginny lo fece tacere con un’altra fattura Orcovolante. Dopodiché scambiò il pugno con Damien.
«Ricordati d’insegnarmela dopo che abbiamo finito qui» le disse. Prima di lanciare i dadi, però, arrossì le rivolse un’occhiata di scuse. «Se hai un po’ di tempo, ovviamente.»
Le ore passarono velocemente, mentre l’avventura diventava sempre più intensa e articolata. Damien aveva predisposto anche un momento coreografico, in cui Ginny e Alma si misero a cantare le parole di un testo scritto sul momento. Fu come sentire un usignolo e un merlo cantare insieme, ma tutti apprezzarono il coraggio della Weasley; non che ci fosse qualcun altro che avesse una voce in grado di accompagnare la loro compagna corvonero. Il gruppo si stava comportando abbastanza bene, almeno finché Fred e George non decisero di mettere pepe passando al “lato oscuro” di Zabini diventando dei traditori; conoscendolo, Damien aveva preparato anche quella possibilità. Ginny non prese bene la sua morte, ma il personaggio di Luna con la sua assistenza divenne improvvisamente più attaccato alla vita che mai.
«Neville. Un serpente gigantesco scivola verso di te. Cosa fai?»
«P-Posso darmela a gambe?»
Tiro di dado. «No.»
Alma emise un verso frustrato. «Ti lancio la mia spada.»
Damien tirò di nuovo. «Hai sbagliato mira.»
«No, adesso basta! Tu mi stai prendendo in giro!»
«Faccio scivolare il mio stiletto verso di lui con un calcio» dettò Lucilla, all’improvviso.
Neville finalmente smise di tremare e balbettò. «L-Lo prendo!»
«Neville riesce a prenderlo all’ultimo e infilzare la testa del serpente.» Tutti esultarono. «E muore.»
«Cosa?!» Fu un lamento generale.
Si limitò a indicare la serpeverde, che già ridacchiava. «Era avvelenato, ricordate?»
«A-Aspetta, Dam. Lui ha impugnato il manico» obiettò Hannah.
«Nessuno sbaglio» le rispose Lucilla. «Il mio coltello era avvelenato sul manico. Veleno magico.»
Richie scosse la testa. «Sei il diavolo.»
«Sono solo un’elfa senza morale con un’immunità al veleno, Rich.»
In tutto questo, Hannah si rassegnò e diede una pacca sulle spalle di Neville. «Coraggio, non ti abbattere. La prossima volta che affronterai un serpente, ti procureremo una spada che il veleno ce l’ha sulla lama.»
Presto l’avventura iniziò a delinearsi verso una conclusione. L’ultimo dungeon era una città sotterranea e Zabini, Rich, Luna e Lucilla, gli unici sopravvissuti a contendersi la gloria. Ormai tutti quanti si erano sistemati sui vari materassi e sacchi a pelo, per ripararsi dal freddo, e osservavano con il fiato sospeso l’evolversi degli eventi.
«Un enorme Troll, nero come la notte, si staglia in mezzo a voi. La fiamma d’argento arde proprio dietro di lui mentre tutto intorno a voi si muove e frana. Il soffitto trema e stride per effetto dei suoi passi. Non c’è più tempo e lui non sembra intenzionato a lasciarvela prendere. Cosa fate?»
«Lancio le mie biglie fortunate!»
«Le divora e te le tira indietro come fossero proiettili. Addio a Becca.»
Mentre Richie rimaneva sconcertato, Zabini propose di aggirare il Troll mentre gli altri si occupavano di lui.
«Lancio una cerbottana avvelenata su Blaise e sul Troll» disse Lucilla, fomentata.
«Ok… Hai ucciso Blaise, rallentato il Troll, e si è rotta la cerbottana» dichiarò subito. «Lui continua ad avvicinarsi. Il tempo scorre!»
Ginny sussurrò qualcosa a Luna, ma dalla sua espressione si poté intuire che ciò che disse la corvonero non fosse quello a cui aveva pensato: «Lancio un antidoto al Troll!»
Lucilla agitava i pugni con energia. «Corro verso la fiamma!»
Damien sorrise con una punta di perfidia. Tirò il dado e… «La torcia che regge la fiamma è una trappola. La tua pelle si ramifica e ti trasformi in un salice. Le tue radici si diramano immediatamente in tutta la città sotterranea, fermando le frane.» Si girò verso Luna. «Il Troll sapeva della maledizione, per questo stava cercando di tenervi lontani. Scoprendo della tua buona fede, lui ti risparmia la vita e lascia a te la vera fiamma, che trovate nascosta nell’insenatura sotto l’altare. Congratulazioni: hai vinto!»
Dopo un momento di assoluto silenzio, un’ovazione s’innalzò per l’impresa di Luna. Persino Lucilla, che aveva perso all’ultimo momento, si concesse di applaudire.
L’unico che rimase perplesso fu Richie. «Ma che vuol dire, scusa?»
Damien si strinse nelle spalle. «Beh, l’idea mi è venuta quando una certa persona mi ha fatto capire che non tutto è per forza come sembra.» Luna sorrideva appena quando le rivolse un’occhiata di sfuggita. In quel modo fatato che la faceva sembrare sul punto di scoppiare a ridere per l’euforia.
– A proposito: non ti ho mai ringraziato per averci salvato. Mi dispiace – disse infine a Glyn.
 
«Expecto Patronum?»
Luna annuì. «Hermione Granger dice che Harry Potter l’ha usato contro cento Dissennatori in una volta.»
– Niente male. – Fu il commento di Glyn.
«Non te l’ho detto prima perché i Nargilli mi stanno dando qualche noia, ma», ai toccò la collana fatta di anelli di bottiglia, «sento che adesso le mie cose torneranno. Prima o poi.»
Damien assottigliò le labbra. «Non suona molto incoraggiante.»
«Ma lo è!» Gli occhi di Luna, ingrandendosi, s’illuminarono. «È avvincente come un’avventura. Non come le tue, certo. Mi è piaciuto, l’altra sera. A proposito. Quando possiamo rifarlo?»
Arrossì fino alle punte dei capelli. «Quando… vuoi? I-Insomma. Con le vacanze incombenti, posso concentrarmi sul Patronus. Ora che so la formula. Ma posso sempre ritagliarmi del tempo per scriverne un’altra.»
«Posso aiutarti?»
«Perché no? È un lavoro di…» Stava per dire “fantasia” e preferì non farlo. «Un lavoro di scrittura! Tuo padre ha un giornale, di sicuro sa scrivere meglio di me. E qualche trucco lo saprai di sicuro.»
Lei annuì con entusiasmo. «A proposito. Se vuoi posso chiedere a Harry d’insegnartelo. Sai, è molto bravo.»
Prima che potesse risponderle, una voce chiamò Luna. Si girarono entrambi e a Damien quasi venne un colpo. Hermione Granger stava venendo verso di loro a passo spedito. Il Prefetto di Grifondoro con una mente tanto acuta quanto pesanti erano i libri che si portava appresso; aveva forse scopetto della loro partita notturna a D&D?
Passò un minuto di puro imbarazzo. Luna non chiese nulla, sembrava che qualcuno le avesse staccato la spina del cervello, e la Granger era esitante. Facendo rimbalzare lo sguardo dall’una all’altra, Damien non capiva se fosse stato saggio intervenire o tenere la bocca chiusa.
Per fortuna la strega risolse la situazione schiarendosi la voce. «Dovrei parlarti di una cosa.» Luna non rispose.
Damien non riuscì a trattenersi. «È per la guferia? Non abbiamo fatto niente di male, lo giuro.»
Lei si voltò verso di lui, confusa, poi su di lei. Poi, più in imbarazzo e confusa che mai, di nuovo su di lui. «È… Cosa? N-No, non… c’entra niente la guferia. Avrei bisogno di parlare con Luna. In privato.»
«Oh… O-Ok. C-Con permesso, allora.» Rivolse a Luna l’ombra di un saluto con la mano, e poi si ricordò di farlo anche a lei.
«Ciao, Damien. Ci vediamo dopo le vacanze.»
– Aspetta! –
Per poco l’urlo di Glyn non lo fece saltare sul posto. – Che c’è? –
– Quella strega… C’è qualcosa in lei che per un momento mi ha turbato. –
– Sarebbe? –
Glyn non gli rispose subito. – Non lo so. Forse me lo sto solo immaginando. –
 
Bussò alla porta dell’ufficio di Piton ed educatamente attese che lo invitasse a entrare.
«Buongiorno. Pansy Parkinson ha detto che mi cercava.» Tecnicamente non glielo aveva “detto”; si era aiutata a calci e pugni per esprimere il concetto.
Piton trascinò la sedia accanto alla scrivania senza degnarlo di una risposta. «Siedi.» Lo tirò per il maglioncino. E appoggiò una mano sullo schiena per tendersi certo di lui. «Quanto ancora hai intenzione di spifferare che c’è un mago oscuro in giro per il castello?»
«Signore?»
«Ti sei forse dimenticato cos’è successo quando Sirius Black cercava di uccidere Harry Potter? Dei Dissennatori? Quanto tempo ancora credi che impiegherà il nostro Inquisitore supremo per circondarsi di quelle creature?»
La prospettiva non era certo allettante. Se l’Amato poteva esercitare un ascendete su di loro come la notte del pub, non osava immaginare se si fossero rivoltati contro gli studenti e gli insegnanti. «Ma non ha senso. Il Ministero controlla i Dissennatori. Lei crede davvero che potrebbero tradire il ministro?»
Si avvicinò così veloce da tappargli la bocca semplicemente accostando il suo viso aquilino al proprio. «Non credere che i Dissennatori siano delle creature ottuse senza un’indole. Seguono gli ordini del Ministero per sopravvivere, ma sarebbero più che lieti di servire un nuovo padrone.»
«Non… sta parlando dell’Amato, vero?» chiese con un filo di voce. Prima di sgranare gli occhi. «Anche…?!»
«In passato l’Oscuro signore si circondava di ogni genere di creatura che subisse le limitazioni del Ministero. Giganti, ragni, serpenti soprattutto. I Dissennatori sarebbero più che lieti, se venisse concessa loro l’occasione…»
Damien deglutì sonoramente. Strinse i bordi della sedia con forza, stringendo le gambe. «Alma doveva saperlo. Mi avrebbe ucciso se non gliene avessi parlato.»
«E i marmocchi di Molly e Arthur Weasley? Lucilla Ollivander.»
«Sto…» Sospirò sonoramente per cercare di non mangiarsi le parole. «Sto solo cercando di aiutare. Se non avessi detto ad Alma, a Luna, dell’Amato, chissà cosa sarebbe successo in biblioteca. Lei non saprebbe neanche cosa cercava.»
«Intendi questo?» Gli lanciò in grembo un libro pesantissimo. «Un libro di artefatti? Sarebbe come cercare un Bezoar nell’armadietto delle scorte di Horace Lumacorno. Secondo te cosa starà facendo davvero in quella biblioteca?» Scosse la testa, spaventato dalla sua voce affilata e penetrante. Sentirla ronzare nelle orecchie gli impediva di pensare. «Informazioni. Quando si sarà documentato a sufficienza, potrà fare la sua mossa. Non ha alcun interesse nel far del male a degli studenti. Sebbene… pare che abbia mostrato una certa propensione verso di te, Gallagard e Lovegood.»
Sussultò quando Piton lo afferrò per il bavero. «Professore…!»
La bacchetta sfilò fuori dalla manica. «Legilimens
Fu un lampo. Un bagliore che lo scagliò indietro nella sedia, mentre la stanza iniziava a vorticare senza scampo causandogli una forte vertigine. Fu come osservare la propria vita che passava davanti. Il Cappello parlante che lo smistava in Tassorosso. La volta in cui Ginny passò nei corridoi della scuola con uno sguardo vacuo e una voce sibilante. Quel momento, che non riusciva a dimenticare, quando vide Hermione Granger entrare in infermeria con una faccia da gatto.
O quella in cui se la vide sparire nel nulla, due anni prima, mentre lui stava varcando la soglia dell’aula di Difesa contro le arti oscure.
– Un momento! –
Forse era stata opera di Glyn. O forse Piton aveva trovato ciò che cercava; dal suo sguardo improvvisamente distante, non riusciva a intuirlo. Seppe solo che sia Glyn che il professore stavano mormorando qualcosa, e lui anche cercando di capirci qualcosa su quanto era appena successo.
Il professore di Pozioni gli strappò il libro e dopo averlo gettato sulla scrivania, in un tripudio di polvere e odore di muffa, cominciò a sfogliare con energia. «Quella era l’aula del professor Lupin, se non erro.»
Quel tono non era per nulla colloquiale. «S-Sì. Ma lei come…?»
Finalmente, lui trovò la pagina che cercava. Damien dovette allungarsi pur di dare un’occhiata, scoprendo l’artefatto che stava studiando con attenzione. “Giratempo” recitava il libro. Un nome che a lui non disse nulla, eppure provocò nel suo corpo una sensazione di cedimento. No, non era lui: era Glyn.
– Che succede? –
– No, non può essere… –
– Cosa c’è? Perché un ciondolo dovrebbe essere così importante. –
– Non è il ciondolo! – replicò lui, furente. – Voi… Voi non avete idea di cos’avete creato. Siete dei folli!! –
La sua reazione lo lasciò interdetto. – Smettila di girarci intorno e dimmi che succede! – – Succede che è stato tutto inutile! La morte di Aine è stata inutile. Nessun significato. Io, lei e l’Amato abbiamo combattuto insieme pur di eliminare per sempre quel demone e la sua magia. Ora, voi la date a dei giovani maghi e streghe senza alcun rispetto e coscienza del pericolo. Stolti. Ingrati. Traditori! Damien, finora pensavo che l’Amato volesse tornare solo per vendetta e sete di potere. Solo ora capisco. Lui non ha mai mirato a me. Voleva che ne fossi informato. –
– Informato di cosa? –
– Prega che quella Giratempo sia solo una pallida imitazione. Se esistesse un mago capace di utilizzare la Magia del tempo, l’Amato sarebbe l’ultimo dei nostri problemi… –

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Capitolo 8
*** Doni di Natale ***


CAPITOLO OTTO – DONI DI NATALE
 
 
Damien e Richie arrivarono alla stazione di King’s Cross in perfetto orario, come sempre. E come sempre attesero che l’addetto del binario desse loro il via libera per attraversare al contrario il muro invisibile del nove e tre quarti all’insaputa dei babbani.
Dopo quattro anni, continuava a provare una strana sensazione passandoci attraverso. Andare incontro a un muro come se fosse Don Chisciotte della Mancia alle prese con i mulini a vento, tornare indietro passando davanti allo stesso, all’incirca illusorio, impenetrabile varco fatto di mattoni; non sapeva nemmeno se il processo potesse essere descritto in questo modo, ma non aveva ancora trovato una soluzione al dilemma.
Come sempre, venne loro incontro la madre di Richie. La signora Gallagard era una strega dall’aspetto ordinato e profumava sempre di un’essenza simile alla menta. Portava degli occhiali dalla montatura nera e spessa ed era solita legare i capelli brunetti in un chignon impeccabile. Se non fosse per quel tallieur violetto, che la faceva sembrare tremendamente una donna d’affari, avrebbe potuto essere scambiata per una di quelle maestre attraenti che affollavano le riviste osé nell’officina del signor Gallagard. Aveva due occhi azzurri così chiari e penetranti da fare impressione.
Richie non fece in tempo ad aprir bocca. Tabita lo prese per l’orecchio e lo torse. «Sì può sapere cosa ci facevi a Notturne Alley, razza di perdigiorno?»
Lui dovette gonfiare le guance per trattenere un lamento. «Ciao anche a te, ma’. Come va, tutto bene?»
La signora Gallagard gli torse l’orecchio con più forza. «Ringrazia che ci sono dei babbani qui in giro o ti farei vedere io come va!» sibilò astiosa. «Come quand’eri piccolo, ricordi? Dentro la boccia di vetro, trasformato in un pesciolino.»
In quel momento, Damien ringraziò il cielo di essere nato in una famiglia di babbani. «Ehm, signora Gallagard…»
Si vide puntare il dito contro. «Dopo ce n’è anche per te!»
E così facendo, naufragò il suo disastroso tentativo di mediare la situazione. La signora Tabita era furiosa. Certo, lavorando al Ministero era chiaro che potesse esserle arrivata una voce sulla loro “uscita” a Notturne Alley, ma né Damien, né Richie, ci avevano pensato minimamente durante il viaggio di ritorno; e se lei lo sapeva, non c’era motivo per cui non avrebbe dovuto esserne all’oscuro anche la sua famiglia. Era stati troppo impegnati, assieme ad Alma, a discutere di ciò che era accaduto nell’ufficio di Piton solo pochi giorni prima.
Con il risultato che per tutto il tragitto verso la macchina e poi fino metà strada, erano stati sommersi da una paternale spaventosa. Certe volte faceva più paura lei degli Invasati. «Ingrati. Incoscienti. Screanzati che non siete altro!»
– Di cosa sta parlando questa donna? Sembra quasi che non voglia che suo figlio impari a combattere. –
– Sai com’è: nell’epoca moderna, sulla carta, si cerca di non ricorrere alla violenza per risolvere i problemi. –
– E questo viene insegnato in ogni villaggio, in ogni famiglia? –
– Perlopiù, sì. –
Glyn tacque. In qualche modo, Damien ebbe l’impressione che quella risposta l’avesse messo di pessimo umore. Damien continuava a dimenticarsi che lui proveniva da un’epoca terribilmente diversa. Per lui, probabilmente, tutti loro dovevano sembrare degli alieni che avevano per pura coincidenza gli stessi tratti distintivi della sua specie, e sapevano usare la magia. Non doveva essere una sensazione piacevole.
«Si può sapere cosa ci siete andati a fare in un postaccio del genere? Cosa si è acceso nelle vostre testoline idiote per farvi uscire di nascosto dalla scuola e istigare dei criminali? Come ci siete arrivati?»
Richie sbuffò. «Volando, ma’.»
«Non mi rispondere così, razza di delinquente! Non ti azzardare!»
«Se mi lasciassi mai parlare!»
«Parlare?! E di cosa vorresti parlare? Sei fortunato se non ti sbatto in riformatorio per questa bravata.»
«Ah, sei impossibile!» Richie incrociò le braccia e girò la testa verso il finestrino.
Continuarono a litigare finché la signora Gallagard non lo scaricò con tanto di bagagli davanti casa. Nell’isterismo che aveva contagiato lei e il figlio, si era completamente dimenticata di lui e Damien tirò un grosso sospiro di sollievo.
Raccolse il baule e si diresse verso il cancello del condominio dove abitava.
Faceva uno strano effetto tornare a vestire abiti babbani, salire sette piani di scale assolutamente normali e immobili, aprire la porta con un mazzo di chiavi tintinnante. Fu accolto dal rumore dell’aspirapolvere che risucchiava lo sporco accumulatosi sulla moquette e la voce del notiziario che dava le ultime novità sul tempo.
«Sono a casa!»
Dalla sala da pranzo, sua madre lo raggiunse brandendo l’aspirapolvere. Era una donna robusta, dai capelli corti, leggermente più scuri dei suoi, e un paio d’occhi di un raro grigio verde come le nuvole che oscuravano un cielo pomeridiano. «Tesoro! Bentornato.» Lo stritolò nel suo solito abbraccio spaccaossa.
Certe volte lo stringeva così forte da soffocarlo, ma Damien ne aveva passate così tante negli ultimi mesi che si aggrappò quell’abbraccio come all’aria che respirava. «Ciao, mamma.»
Fu preso per mano e portato in soggiorno.
Dove suo padre, seduto su un vecchio divano con una federa a fiori, mise in muto il televisore. «Ehilà, campione! Come stai?»
«Bene. Ho le gambe un po’ indolenzite per il viaggio, ma sto bene.»
Parlarono del più e del meno per un’ora buona, tanto che sua madre dovette ordinare la pizza a domicilio perché si dimenticò di spegnere il forno. Era stato un inizio difficile, dopo la morte di Cedric, ma, inaspettatamente, non dovette mentire quando gli chiesero come stesse andando a scuola. Certo, era rimasto molto indietro, ma rispetto all’inizio dell’anno i suoi risultati stavano migliorando; anche grazie al fatto che aveva riacquistato un minimo di fiducia nell’impugnare la sua bacchetta.
«Spero che questa posta per gufi funzioni. Tabita ci ha parlato del signor Arthur Weasley e abbiamo voluto scrivere una lettera alla madre della tua amica Ginny.»
Damien sbatté le palpebre. «Non capisco.»
«Non te l’hanno detto? Il signor Weasley è stato aggredito mentre era a lavoro. È stato trasferito d’urgenza in un ospedale. Il M… Il Mun…»
«San Mungo?»
«Sì, proprio quello!» Suo padre sospirò. «È triste, e a poche settimane dalla vigilia di Natale! Non ci voleva proprio. Povera famiglia.» Con quei sottili occhiali dalla montatura a tartaruga e gran parte della testa stempiata, sembra anche più rattristato. «Damien, devi prometterci di fare attenzione. I rischi del mondo magico non sono poi tanto diversi dai nostri, ma nessuno di noi due può usare la magia e…»
Nessuno dei due poteva proteggerlo, se un criminale o peggio un Mangiamorte lo avesse aggredito.
Damien lo lesse facilmente tra le righe, vedeva la frustrazione che attanagliava entrambi e preferì tenere per sé, ora più che mai, il fatto che avesse un grosso “guaio” del mondo magico perennemente attaccato al braccio.
Mangiarono, discussero del più e del meno. Con un certo sollievo comprese che la signora Tabita aveva preferito tenere i suoi genitori all’oscuro, forse per non dare loro troppe preoccupazioni. Di certo non era una madre dolce con Rich, ma anche lei aveva il suo lato buono.
Più tardi, disteso sul letto con le braccia incrociate dietro la testa, Damien continuava a guardare il soffitto in attesa che il sonno decidesse di arrivare.
– Così è in questo modo che si è evoluta la civiltà babbana. Sembra tutto molto… squadrato. –
– Si chiama tecnologica. Ci stanno lavorando da un po’. –
– Immagino. Eppure sono sorpreso che non siano più solo i maghi a creare degli artefatti. –
Annuì, guardando le luci della strada cambiare forma e posizione sul soffitto. Se pensava all’ultima volta che le aveva guardate, adesso si accorgeva di quanto le cose fossero cambiate nell’arco di pochissimi mesi. La morte di Cedric continuava a rimanere una cicatrice profonda, forse non si sarebbe mai rimarginata. Aveva fatto dei notevoli progressi con la sua bacchetta, però; anche se, con tutti i rischi di morte che si era preso per garantirsi quel sottile miglioramento contro la sua fobia, non poteva definirsi una vittoria.
– Posso farti una domanda? – chiese all’improvviso. – Se i seguaci dell’Amato sono riusciti a sopravvivere in tutti questi secoli, perché hanno atteso tanto prima di liberarlo? Insomma, chi c’è dietro a tutta questa storia? –
– Questa è una buona domanda, e vorrei tanto avere una risposta per te. La Magia del tempo è oscura, ragazzo, molto oscura. Se l’avessi saputo, anche io avrei fatto di tutto pur di fuggire da quella tomba. Ma non credere, non farlo mai, che l’Amato agisca solo per vendetta. Dopo che avrà finito con il Ministero, io sarò il prossimo. La morte di Aine ha lasciato di lui soltanto la parte peggiore. Non esiterà a schiacciare coloro che ritiene responsabili. E non si fermerà, dopo che avrà ottenuto ciò che ora brama. –
Damien fu percorso da un brivido. – E se qualcuno lo stesse usando? Qualcuno come Tu-Sai-Chi, per esempio. Siete stati seppelliti nel territorio di Hogwarts e Silente dice che lui l’ha frequentata. –
– Intendi il mago oscuro più terribile di quest’epoca? Quello che la gente non osa neanche nominare? No. –
Colpito dalla sua fermezza, Dam sollevò entrambe le sopracciglia. «Perché?»
– Perché, se ho ben capito come stanno le cose, ognuno avrebbe ragione di odiare l’altro. Il tuo insegnante di Pozioni dice il vero quando afferma che l’Amato fu cresciuto dai Dissennatori. Quello che la leggenda non racconta è che lui aveva dei genitori, ed erano babbani. Due servi dei druidi. E quando i loro padroni scoprirono che il figlio aveva il dono, li trucidarono e diedero all’Amato la caccia; anche ai miei tempi per preservare la purezza del loro sangue “eletto” dagli dei avrebbero fatto di tutto. Certe cose non cambiano, vero? Voldemort odia i babbani e i maghi come te, che sono nati con il loro sangue impuro nelle vene. L’Amato odia tutto ciò che il concetto di sangue puro rappresenta. Solo Aine era riuscita a trasformare l’odio che lo pervadeva in amore. –

 
*
 
«Idiota. Fetente. Troll di seconda categoria!»
Rich aprì la porta di casa con un calcio ed entrò dentro senza troppe cerimonie. Era furioso.
«E non dare calci alla porta di casa!»
«Vuoi pure che doni un rene alla scienza, già che ci sono?!»
Sua madre gli torse l’orecchio così forte che giurò di aver sentito qualcosa rompersi. «Non mi rispondere così, ti ho detto! Non mi rispondere così!»
«Sei… impossibile!» gracchiò, tra un gemito di dolore e l’altro.
«Fila in camera tua, e restaci finché non mi sarà passata la voglia di ucciderti!!»
«E come faccio?! Mi sono scordato la palla di vetro nell’aula della Cooman!»
Rossa di rabbia, stava per dare di matto alla stragrande. Ci mancava davvero poco.
Dal piano di sotto, udirono un lamento prolungato ed eloquente. «Oooooooh! Che state facendo lì sopra?» Il cigolio delle scale chiassò insieme al pesante infrangersi delle scarpe di suo padre mentre risaliva.
Ed eccolo sbucare il testone biondo, dai capelli lunghi perennemente in disordine. Era sporco di grasso su mani e braccia, e anche un po’ sul viso.
«Ma dico: neanche il tempo di tornare a casa? Schiaritevi almeno la gola per riscaldarvi, finirà che stasera non avrete più voce.»
Sua madre arricciò il naso. Per quello che aveva detto e per l’immancabile disordine che attorniava il marito. «Diventerà un delinquente, Al! Di questo passo dovremo andare a portargli le arance ad Azkaban.»
Richie scambiò con lui uno sguardo. Poi, suo padre tornò a lei. «Ti-tì, perché adesso non ci diamo tutti una bella calmata e andiamo di là?»
«Calmarmi, dico ti pare il momento?! Qui c’è in gioco la fedina penale di nostro figlio, e i nostri soldi subito dopo. Se perdo la faccia, il Ministero mi liquiderà all’istante.»
«Sai che problema! Non lavorare per quei fascisti del…» borbottò, ma non abbastanza sottovoce.
«E il cibo in tavola chi te lo porta, se perdo il lavoro?! Uhm?!»
Rich roteò gli occhi. «Se lavorassi all’officina di papà, gli affari si decuplicherebbero in una settimana.»
Stavolta fu suo padre ad arrabbiarsi. «Bada a come parli, ragazzino!»
«Ben detto, Al!»
«Ti pare che permetterei a quei pervertiti dei miei clienti di mangiare con gli occhi la mia moglie mozzafiato?!»
«Al!» strillò sua madre, rossa in viso, prima di posarsi una mano sulla fronte. «Sapete che c’è? Ne ho abbastanza.» Con un rapido movimento del polso, agitò la bacchetta e le lingue di entrambi si incollarono al palato; non fu piacevole. «Siete…» Emise un verso iroso e si chiuse nel suo studio sbattendo la porta.
Per il resto della giornata in quella casa non filò una mosca che fosse una. Ed era già meglio dell’essere messi in castigo.
Rich e suo padre passarono il tempo a guardarsi, perlopiù. Poi a fissare sua madre mentre le servivano la cena.
Gli intimò con gesti inequivocabili di filare in camera sua e Rich lo fece. Per un po’ ci fu ancora silenzio.
Sua madre era ancora così furiosa che ogni scalino gemette, quando ci salì di sopra.
Fu seguita una buona mezz’oretta dopo. Richie stava giochicchiando con Gameboy settato su muto, quando sentì aprire la porta.
«Al! Ma che…?! No! No, dai, sei tutto sporco. Va’ a farti una doccia, per l’amor…!»
Furono le sue ultime parole. Beh, quantomeno quell’insieme di versi che avesse un senso compiuto. Dopo ci furono solo risolini e… Rich fece in tempo a mettersi le sue potentissime cuffie anti-rumore.
Il fatto che fosse un figlio unico era un mistero che né la magia, né la scienza, erano in grado di spiegare.
 
Il mattino seguente la trovò ai fornelli, intenta a preparare la colazione. Indossava la camicia stropicciata di papà e canticchiava qualcosa con aria svagata, le lunghe gambe nude che si muovevano impercettibilmente a ritmo del motivetto. I capelli non li aveva ancora raccolti, cadevano spettinati lungo la schiena.
«Giorno…» mugugnò insonnolito, prendendo posto sull’isola della cucina.
«Vuoi anche tu uova e pancetta?»
Rich si strinse nelle spalle. «Se avanza.» E afferrò il bicchiere di succo sul tavolo.
«Dobbiamo finire il discorso di ieri sera» ribadì. Anche se visibilmente in pace coi sensi.
«Per forza? Insomma, non è che lo fatto apposta. Ok? Damien…»
«Richie, se vuoi proprio inventarti delle frottole, non iniziare con “Damien”. Dei due, sei tu la cattiva influenza e lo sai.»
Si strozzò con il succo e dovette tossire. «Grazie della fiducia!»
«Come se non fosse vero…»
«Sì, beh…» Arrossì. «Ma stavolta è diverso. Non è colpa mia, e nemmeno sua.»
«Certamente. Vi siete solo trovati per puro caso nel posto sbagliato, al momento sbagliato.» Tabita sospirò. «Ascolta, tesoro. Hai preso fin troppo da me, e so che sopportare Dolores Umbridge non è facile. Non ci riesco io, figurarsi un adolescente. Quella donna è diventata più insopportabile del solito da quando abbiamo votato a favore dell’assoluzione di Potter, alla fine dell’estate. Sei il figlio di un membro del Wizengamot, che ti piaccia o no devi tenerlo a mente.»
Non era una questione di immagine, Rich lo sapeva. Se avessero voluto ricattarla, sarebbe bastato minacciare la sua incolumità o quella di suo padre. Figurarsi ora che c’erano tensioni interne su chi disprezzava Silente e chi, come sua madre, lo sosteneva e non a bassa voce.
Suo padre entrò prima che potesse aprire bocca. Le cinse la vita in un abbraccio e si baciarono sulle labbra dolcemente; le sussurrò qualcosa che la fece ridacchiare.
«Allora, avete finito di discutere?» chiese a entrambi.
Tabita spense i fornelli. «Non ancora. Rich…»
Il campanello suonò all’improvviso. Suo padre si offrì di andare ad aprire e… «Signor preside! Prego! Entri pure, si accomodi.»
Rich non fece in tempo a lanciare un’occhiata perplessa alla madre che Albus Silente in persona fece il suo ingresso in cucina, trovandosi davanti lui, che sputacchiò un altro sorso di succo, e una strega che arrossì visibilmente fino alle punte dei capelli.
Prima di affrettare qualche scusa e Materializzarsi.
Rimasero soli. Guardò il preside e fu ricambiato. «Le piacciono i vestiti babbani» disse infine, alzando le spalle.
Silente sorrise. «Devo ammettere che hanno fatto un notevole passo avanti, in fatto di comodità.»
«Preside, si sieda. Gradisce qualcosa da bere?»
«Ti ringrazio, Aldo. Ma per questa volta devo declinare la tua gentile offerta. In effetti, sono venuto per riferire una decisione del corpo insegnanti a Tabita.»
E “come” per magia, sua madre scese dalle scale vestita di tutto punto. «Eccomi, professore. Mi perdoni il disordine.» Riuscì a non balbettare d’imbarazzo nemmeno una volta.
«Oh, non devi scusarti in alcun modo. Sono io che ho scelto di disturbare a un orario insolito, e senza annunciarmi.»
«Non è una buona scusa per essere stata irricevibile. Mi dica.» Guardò severamente il marito e Rich. «Gli avete offerto qualcosa?»
«Tuo marito e tuo figlio sono stati molto cortesi» rispose Silente. «Ma, come ho detto, ho solo bisogno di riferire una decisione del corpo insegnanti. Visti i recenti trascorsi, abbiamo convenuto di sospendere la fornitura di Giratempo per gli studenti di Hogwarts.» A quelle parole, Rich raddrizzò le antenne.
Tabita intrecciò le mani. «Mi lasci indovinare: non c’è stato alcun consiglio in merito e lei non vuole dare alcuna scusante a Caramel per aizzare le voci contro di lei.»
«Mi leggi nel pensiero.»
Ciò la fece ridacchiare. «No, non è così. Non voglio adularla, ma sappiamo entrambi che lei ha un’intelligenza molto al di sopra della norma, e della mia. Riferirò alle persone giuste la sua decisione.» Poi si affacciò verso Richie, guardandolo in cagnesco. «Non è che hai usato uno di quei cosi per finire a Notturne Alley, vero?»
«Non so nemmeno cosa sia» borbottò, sulla difensiva.
«Oh, sono dei prodigiosi congegni che permettono di tornare indietro nel tempo di qualche ora. Molto utili per degli studenti ansiosi di frequentare più lezioni nello stesso momento. E oltremodo pericolosi, se usati avventatamente. Ho affidato ai direttori delle quattro case il compito di valutare se i loro protetti siano meritevoli e scienti dei rischi che comportano questi artefatti.»
«Ah, ho capito. Tipo la trama di Terminator ma più in piccolo.»
«Terminator?»
«Rich! Per l’amor del cielo! Smettila di citare ai maghi ogni film babbano che vedi!» ringhiò sua madre. «Lo scusi, professore. Devo ancora disciplinare questo ragazzo come si deve.»
Ma Silente sorrideva bonario. «Lungi da me intromettermi negli affari di famiglia, Tabita. In effetti, ci tenevo a cogliere l’occasione per rassicurarvi. Suo figlio ha dimostrato di essere un degno Tassorosso, quella famigerata notte a Notturne Alley. Se lui e il giovane Kiran non avessero scelto di trasgredire le regole della scuola, la vita del professor Piton sarebbe stata in grave pericolo. Sfortunatamente, l’Inquisitore supremo e il Ministro hanno convenuto di mantenere il riserbo su questo incidente.»
Tabita si voltò all’istante verso di lui. Aveva una faccia strana. «Davvero?»
Fu il turno di Silente, che lo fissò con uno sguardo penetrante.
«Ecco… Sì. I-Insomma, la Umbridge si è trattenuta a parlare con Dam, ma… Se non siamo stati espulsi, ci sarà un motivo. C-Credo…» All’improvviso il suo succo d’arancia divenne stranamente invitante.
Illuminandosi, sua madre guardò al marito. Si accorse che entrambi la fissavano. «E va bene! Forse ho un tantino esagerato.»
«Un tantino?» rincarò Richie.
«Ne hai combinate così tante che è un miracolo se ho ancora i capelli di questo colore.»
«È per questo che non ci sono dei mini-Richie che corrono in giro per casa?»
La battuta fece diventare i suoi genitori l’uno divertito e l’altra preda di un imbarazzo assurdo.
«In mia difesa, figliolo, non è che non ci ho provato.»
L’altra arrossì visibilmente più forte. «Vi sembra un argomento da sollevare quando il Preside di Hogwarts si trova nella nostra cucina?! Razza di scostumati!.»
Richie si limitò a guardare Albus Silente per una frazione di secondo. «Beh, io non torno a casa per parlare di scuola. E poi non è sempre stato vecchio. Insomma, se ho gli occhi vedo, se ho una lunga parlo, se ho un p…»
«RICHIE GALLAGARD!»
«Converrai sia saggio lasciare che certi argomenti rimangano nel privato, giovane Gallagard» disse il preside, riportando serenità con la sua sola voce. «Ma, nella tua schiettezza, hai sollevato una questione di estrema rilevanza: nulla accade senza una ragione. Come menti pensanti, naturalmente spinte alla curiosità, dobbiamo imparare a guardare oltre le apparenze. Se si vuole scoprire la verità.» Si girò, facendo frusciare la sua lunga veste. «Vi ringrazio per la vostra generosa ospitalità. Auguro a tutti e tre delle buone feste. E mi raccomando, signor Gallagard: non faccia tardi per il suo ritorno a scuola.»

 
*
 
Alma aprì la porta del bar, trovandosi davanti un locale completamente ricostruito. I tavoli erano lucidi e le sedie poste su di essi in modo ordinato. Il palco, il grande bancone dall’altro lato, erano di nuovo interi e le bottiglie occupavano i vani di legno alle spalle di suo padre come facevano un tempo.
«Tesoro!» La salutò lui, intento a pulire un bicchiere di vetro. «Bentornata.»
Alma si lasciò andare a un tiepido sorriso. Posò i bagagli in un angolo e si arrampicò sullo sgabello davanti a lui. «Grazie.» Attese, ma non ottenne altro che un sorriso luminoso da sotto il cappuccio che gli copriva il viso. «Dai, papà. Non fare il finto tonto. Chi ti ha aiutato a ripulire tutto il casino che c’era?»
«I ragazzi sono stati molto gentili. Hanno pattugliato le strade, il locale ha ripreso a funzionare in fretta e siamo riusciti a pagare per tempo. Direi che puoi stare tranquilla, tesoro.»
Assottigliò lo sguardo. «Per questo non mi hai scritto uno straccio di lettera? E perché ti nascondi la testa?»
«Non so come si usano questi gufi, lo sai! Sono un…»
Roteò gli occhi. «Papà! Non giochiamo.»
Duncan Rodriguez era un uomo grosso e muscoloso, con un passato tutt’altro che roseo alle spalle e nella pessima situazione di ritrovarsi babbano in una città di maghi. Aveva scelto di prendere il cognome della moglie e ritirarsi in latitanza nel mondo magico, ed era stato in quegli anni che l’aveva conosciuta. Alma non aveva mai osato chiedere se il loro fosse stato un colpo di fulmine, vista e considerata la setta di sbandati di nome “Mangiamorte” a cui, in passato, Ramona Rodriguez aveva aderito con tanta convinzione.
Questi sospirò e si lanciò il panno bianco su una spalla. «Senti, ho pensato che staccare per un po’ dai problemi del bar non sarebbe stata una cattiva idea, per te. Sei giovane. Sei un portento a cantare. Dovresti pensare al tuo futuro e socializzare con i ragazzi della tua età, non…»
«Andare in giro di vicolo in vicolo a sistemare chi crea dei problemi nel mio quartiere?» ribatté con asprezza. «Lo sai che la figlia degli stronzi che ci chiedono il pizzo ogni mese frequenta le mie stesse lezioni, sì? Fatichiamo già abbastanza per stare dietro ai loro ricatti, ci manca solo che mi lasci fuori.»
«Posso gestire gli Ollivander.»
Alma distolse lo sguardo con una smorfia di puro sarcasmo. «Certo, come no! Se la faranno sotto alla vista di un babbano, ci scommetto.»
«Ehi.» Duncan la indicò perentorio. «Non è il mio primo rodeo. Vivo in mezzo ai criminali da prima che tu nascessi. Maghi o non maghi, ho i miei metodi per far abbassare la cresta a qualcuno. Ma quando ci siamo trasferiti qui, io e tua madre ci siamo ripromessi di smetterla con queste cazzate.» E picchiettò il tavolo. «Abbiamo aperto questo posto per te. Perché potessi restare fuori da questo mondo, non per lasciarti giocare al capobanda insieme a qualche teppista da quattro soldi.»
«Avremmo dovuto andare a vivere un po’ più lontano, allora» borbottò con fermezza. «Senti, io non lo faccio perché mi va. Ci guadagniamo da vivere onestamente e non ho intenzione di cambiare idea, ma non possiamo chinare la testa davanti al primo stronzo che passa. Ci schiaccerebbero, e lo sai. L’hanno fatto con la mamma, e sappiamo come è andata a finire.»
Suo padre picchiò i pugni sul tavolo. «Non è tua la responsabilità di badare a questa comunità, Alma!»
«Lo è, invece» disse, con tatto ma risoluta. «Dobbiamo collaborare per sopravvivere, e i “teppisti” di questo quartiere, come li chiami, si fidano di me.»
Duncan scosse la testa. «Sei testarda come lei. Ma non sei lei. Sei nostra figlia, e sono tuo padre. È mio dovere proteggerti e Ramona sarebbe d’accordo con me.»
Era più accigliata che mai. «Papà, togliti il cappuccio.»
«Cosa?»
«Ho detto di toglierti il…»
La porta del bar si aprì all’improvviso. A seguire, il locale fu invaso da non meno di una decina di uomini.
Indossavano dei cappucci neri come le loro vesti, ma non erano Invasati. Le maschere a forma di teschio che gli nascondevano i lineamenti erano inequivocabili, e l’unico che li accompagnava a volto scoperto non era certo un tipo raccomandabile.
Rude Ollivander era un uomo imponente quanto Duncan. Il padre di Lucilla, nonché il Signore del crimine di Diagon Alley. Proveniva da un altro ramo della famiglia del famoso fabbricante, ma era un uomo di tutt’altra indole. Indossava come sempre un lungo mantello elegante, pantaloni in tinta con una divisa militare verde scuro, e un gillet di pregiata pelle di daino sopra di essa. Occhi smeraldini e un viso rasato di fresco, duro, squadrato, con un mento pronunciato e grande da sembrare una seconda bocca che digrignava i denti. I suoi capelli corvini erano tenuti in perfetto ordine con una riga laterale.
Attorniato dai Mangiamorte, quell’uomo appariva più minaccioso e solenne di quanto già non fosse. Legato alla cintura elegante che portava in vita, era assicurato il fodero di uno stocco antico.
Suo padre s’irrigidì. Alma, invece, trasformò il suo viso in una maschera di ghiaccio.
Lucius Malfoy apparve dalle spalle di Rude in tutta la sua eleganza signorile, trascinandosi pigramente sul bastone che celava la sua bacchetta. «Bene, bene. Rodriguez e figlia. Che quadretto interessante.» Il suo sorriso fu freddo, denso di malizia.
Scesa dallo sgabello. Alma azzardò un passo verso di loro e guardò i Mangiamorte duramente. «Dovrei sentirmi onorata, se i capi di due famiglie purosangue come le vostre sono venuti a farmi visita.» Rispose con un ghigno altrettanto velato. «Cosa volete? Mi pare di aver già pagato il mio contributo mensile.»
«Tu e i tuoi uomini farete un lavoro per noi» rispose Rude, con la solita voce profonda.
Incrociò le braccia al petto, Alma. La sua voce diventò dura come un sibilo raggelante. «E perché dovrei scomodarmi? L’accordo è chiaro: tieni i tuoi uomini alla larga dalle mie strade e io sarò più che lieta di pagare la tua tassa extra-lusso. Niente di più.»
«Cosa odo» disse improvvisamente un voce raschiante, come un sibilo metallico che ti entrava nel cervello. Fu orribile. «La figlia di Ramona ha carattere. Hai preso da tua madre, giovane Alma.»
Dovette torcere le mani a pugno per nasconderne il tremito. Preceduto dal sibilo di un enorme serpente, il locale sembrò cambiare colore diventando grigio, ostile, un luogo di paura. Non dovette indovinare a chi appartenesse il viso disumano che comparve dalla soglia.
Lord Voldemort entrò camminando con leggerezza, come se i suoi passi, nascosti dietro la lunga tunica verdastra che lo avvolgeva, scivolassero lungo il pavimento. Aveva un viso raccapricciante, scarno, la pelle pallida e viscida come quella di un rettile. Due occhi rossi splendevano di una luce crudele e le fessure che aveva al posto delle narici sfrigolarono dilatandosi leggermente.
Lottò strenuamente contro l’istinto che le urlava di scappare, di nascondersi, restando esattamente dov’era. Divenne di pura pietra. Ma anche spremendo ogni goccia della sua volontà, non poté restare indifferente davanti a lui. Sentiva il cuore battere all’impazzata, il sudore inumidirle le mani. Se avesse avuto uno specchio a portata di mano, il riflesso che avrebbe visto sarebbe stato paonazzo.
«E il suo padre babbano, nientemeno.» Il disgusto, il disprezzo insito in quelle parole, fece ridacchiare più di un Mangiamorte.
Voldermort tornò a concentrare la sua attenzione su di lei.
«Ti hanno parlato di me, presumo?»
Sapeva che prima o poi sarebbe arrivata, ma sentirsi rivolgere quella domanda diretta le procurò un brivido lungo la schiena. La paura le stava facendo dei brutti scherzi, per un attimo la vista si offuscò e tutto il calore del suo corpo, quello sguardo predatore, sembrava quasi che gliel’avesse portato via.
Dovette sforzarsi per biascicare: «Sì…»
«Davvero eccellente» dichiarò, con un ampio sorriso senza labbra. «Tua madre era una strega assai fedele. Sono certo che hai il potenziale per esserne una degna erede. Mi dicono che possiedi un talento innato, è vero?»
Se avesse parlato probabilmente la sua voce sarebbe stata un insieme di squittii senza senso. Si limitò ad annuire, tenendo gli occhi bassi.
«Il Signore oscuro ti ha posto una domanda» ringhiò Rude Ollivander.
«Oh, non temere, Rude.» Sentirsi sollevare il mento da quelle unghie affilate le provocò i conati di vomito. Peggio fu doverlo guardare negli occhi e sopportare in silenzio il crescere di un terrore che le afferrò l’anima. «Sono certo che Alma si rivelerà una risorsa fedele. Dico bene, Alma? Ha solo bisogno… di una dimostrazione.» Voldemort sollevò la bacchetta.
Verso il bancone. «Avada Kedavra
L’anatema che uccide fu scagliato con un bagliore verdastro.
S’impedì di piangere, sentendo il corpo esanime di suo padre che cadeva. S’impedì di lasciar trasparire alcuna emozione, o lacrima. Gli occhi e la gola bruciavano, ma serrò le labbra e tenne a freno il terrore, l’odio, la disperazione. Voldemort, davanti a lei, sorrideva in modo perverso e disgustoso.
«Ora che abbiamo ripulito la stanza dalla… viscida presenza che respirava, veniamo a noi. Necessito dei tuoi uomini e dei tuoi talenti per un compito di estrema importanza. Vedi… i miei più fedeli sudditi hanno subito per anni nella tortura e la prigionia, senza che la loro fede verso il mio ritorno abbia mai vacillato. Ed io sono un signore misericordioso.» Il sorriso dell’Oscuro signore si allargò. «Chi meglio della figlia di Ramona, che ad Azkaban ha tragicamente perso la vita, dovrebbe essere colei che espugnerà una volta per tutte quella prigione? Lo farai per me, Alma?»
Avrebbe voluto sputargli addosso, maledirlo, ma era paralizzata dalla paura. «L-Lo… Lo farò.»
«Bene.» La carezza della dorso di quella mano viscida rischiò di far cadere la maschera che si era cucita addosso. «Molto bene. Dimostrami lealtà e… dimenticherò che una parte del tuo sangue è, come possiamo dire… guasta
Un suo cenno e tutti i Mangiamorte svanirono.
Presto fu il turno di Rude, poi di Voldemort insieme al suo serpente.
La lasciarono sola, in un locale improvvisamente silenzioso, sporco, come se il calore che aveva sempre respirato lì dentro si fosse corrotto.
Non seppe nemmeno come ci arrivò sullo sgabello, con quelle gambe malferme. Rimase distante, per un tempo indecifrabile, a guardare tutto e niente davanti a sé, le gambe e le mani che tremavano. Non voleva vedere il cadavere di suo padre, sapeva che se l’avesse fatto sarebbe crollata. E non poteva, non in quel momento.
Se avesse ceduto, i maghi e le streghe del quartiere avrebbero potuto agire impulsivamente e sarebbe stato peggio. Doveva rimanere salda. Doveva impedirsi di lasciare che la rabbia divampasse, e con essa le lacrime.
Si spogliò di ogni emozione, ignorando l’umido pungere delle lacrime che premevano per uscire.
«Dunque è lui il famigerato Tu-Sai-Chi.» Una voce alle spalle la fece sobbalzare.
Si girò, solo per trovarsi davanti un Invasato. No, non un Invasato. Dopo quel momento di debolezza, aveva riacciuffato in fretta la lucidità e deglutito. Aveva riconosciuto subito la presenza dell’Amato.
Sebbene, in questo caso, il suo nuovo ospite fosse una donna piena di tatuaggi sul viso e le braccia.
«Cosa vuoi?» domandò, con voce spenta.
«Gradivo parlare con te, Dolores Umbridge. O dovrei chiamarti Alma? Sapevo che prima o poi saresti tornata in questo posto. Qui mi hai sconfitto, e in quella biblioteca hai ripetuto l’impresa. Sono colpito.» Agitò all’improvviso la sua bacchetta nera e una pietra lì accanto divenne… suo padre.
Duncan era imbavagliato, spesse corde gli mordevano i polsi. I suoi occhi le imploravano di scappare, ma Alma rimase esattamente dov’era.
Se lui era lì…
«Sì, era un mio Invasato» precisò l’Amato. «Non è stato difficile rapire un babbano. Mi chiedevo se fosse stato il caso di nasconderlo e lasciare che uno dei miei uomini si fingesse lui. A quanto pare è stata una scelta utile.»
«Utile?» Poteva serbare per sé la paura, e il sollievo, ma il ribrezzo glielo vomitò addosso senza esitare. «Un tuo servitore è appena morto e ti compiaci per la riuscita del tuo bel piano?»
«Sì.» La sua semplicità fu disarmante. «Ognuno dei miei servitori, come li chiami, è ben consapevole dell’importanza della missione. Non mi avrebbero riesumato, altrimenti. Vedi, giovane Alma, la vita è la cosa più fragile che ci sia. Maghi, babbani, possono perderla all’improvviso. Se io non avessi rapito tuo padre, a quest’ora sarebbe lui l’uomo riverso dietro quel bancone.»
Si avvicinò con noncuranza, sedendosi sullo sgabello accanto al suo.
«Agli esseri che respirano sono concesse due strade: sopravvivere, protrarre più a lungo possibile quella… magia che in qualche modo ci rende vivi, o lottare fino all’ultimo respiro per qualcosa di più grande di noi. Nel nostro caso…»
«Il tempo» concluse lei, senza lasciarsi impressionare; ricordava ancora cosa aveva detto loro Damien.
«L’hai capito. Ebbene, posso immaginare lo sdegno di Glyn. Come se fosse il mio. Abbiamo versato lacrime e sangue per uccidere tutti i druidi del tempo. E il vostro… Ministero, come se nulla fosse accaduto, dona senza criterio oggetti di cui non comprende appieno il pericolo.» C’era una bottiglia di rum incendiario. L’Amato la incantò perché rovesciasse in un bicchiere quel liquore e prese un sorso. «La mia ira non si estinguerà finché anche solo una Giratempo sarà in loro possesso.»
Alma diede una fugace occhiata a suo padre, che cercava ancora di liberarsi dalle corde. «Tutto qui?»
«Perdonami?»
Adesso la mano non tremava più. Voldemort le faceva paura, per l’Amato… provò solo rabbia. «Hai creato tutti questi problemi solo per distruggere qualche Giratempo? Se Hogwarts, come dici, le ha ricevute, sono certa che il preside è più che consapevole dei rischi. Nessuno…»
«Puoi provarlo?» Non era furioso, semplicemente… calmo.
«Come?»
L’Amato si voltò verso di lei. Era serissimo. «Se fosse stato davvero tuo padre, il cadavere che giace lì a terra. Se io lo uccidessi in questo stesso istante, e tu avessi i mezzi per provare a fermarlo, non li useresti?» Ingollò rudemente il resto del rum. «Se tu avessi la facoltà di tornare indietro nel tempo e salvare tua madre, lo faresti? Sii onesta.»
«Sì.»
«Sappi che non ti biasimo. È suadente, vero, il semplice pensiero di cosa potresti fare se ci fosse concesso di rompere le regole degli dei. Salvare una persona cara, predire le mosse del tuo avversario, vincere una guerra scoprendo quando agire, e come. E ciò solo pensandosi. Immagina quanto possa crescere l’avidità, se effettivamente possedessimo questi talenti.»
«È per questo che non ce ne sono, sul mercato. Sono certa che il Ministero le consegni solo nelle mani giuste.»
«Mhm. Certamente. Molti druidi e… maghi hanno dimostrato di non cedere alle lusinghe delle pratiche oscure. E gli altri? La maggioranza. Le persone deboli, che si fregiano dei loro privilegi e che per mantenerli sarebbero disposti a entrare nelle grinfie di un folle? Pensa cosa potrebbe fare un uomo come Voldemort. O Gellert Grindelwald prima di lui.»
«E di te? Che mi dici?»
L’Amato sorrise. «Stai pensando alla persona che amo? La sto cercando, sì. In ogni volto che incontro, in ogni ricordo. Ci apparteniamo. Ma per quante regole degli dei abbia trasgredito, non mi avventurerei mai indietro nel tempo per ritrovarla.»
«Perché?»
«Il tempo, ragazzina, è un mostro. Si nutre delle nostre speranze, le consuma fino a cancellarne ogni traccia. Strappa ogni brandello della nostra carne finché la nostra stessa esistenza non diventa nulla.»
«Come te? Non è quello che fai con il tuo incantesimo?» replicò con tanto astio che suo padre emise un verso allarmato.
Ma l’Amato rise. «Può darsi. Ma sarebbe infinitamente più dolce. È come accasciarsi in una tormenta di neve, aspettando che il gelo ti avvolga nelle sue spire. Per un po’ sarà intenso, ma… dopo il primo bacio non proverai dolore o paura.» Si alzò con fluida eleganza. Un movimento della bacchetta e Duncan fu liberato. «Sconfiggermi per due volte è stato encomiabile, ragazzina. Ero curioso di conoscerti meglio, ora sono più felice che mai di aver salvato la vita di tuo padre.»
Alma rimase silenziosa.
Anche quando lui tese la mano. «Mi occorre un capello.»
Fu come se il suo cervello fosse riuscito ad afferrare, come un boccino, il significato di quella richiesta. Lasciandola esterrefatta. «Tu vuoi andare ad Azkaban al posto mio usando la pozione polisucco. Perché?»
«I Dissennatori riconosceranno che non c’è solo il Ministero. Saranno le mie spie per conto di questo… Tu-Sai-Chi, e tu», la indicò maliziosamente, «sarai in debito con me. Due volte, se non erro. Gli dei si devono divertire molto a creare questi intrecci del fato. Ma la prossima volta che ci vedremo, giovane druida, non sarò così generoso. Siamo ormai a Natale, direi che è tradizione scambiarci questo regalo.»

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Capitolo 9
*** Di Spade e Scudi ***


CAPITOLO NOVE – DI SPADE E SCUDI
 
«Insomma, stai dicendo che queste “Giratempo” esistono davvero e sono a disposizione degli studenti di Hogwarts» puntualizzò Damien, seduto accanto al finestrino. «E Silente ne ha sospeso la fornitura a tempo indeterminato.»
Richie annuì impaziente. «Sì, te l’ho detto! Silente è venuto a casa mia mentre facevo colazione.»
«Ma perché agire soltanto adesso? L’Amato non gironzola nel castello da mesi, ormai?»
Nessuno dei due seppe rispondere e rimasero chiusi in un silenzio meditabondo.
«Forse l’Invasato che ha arrestato la professoressa Mcgranitt ha cantato» azzardò Rich.
«Non credo. Non avrebbero aspettato l’arrivo delle vacanze. Se avesse messo le mani su una di quelle cose, l’Amato potrebbe tornare indietro nel tempo a suo piacimento. I-Insomma, devono averci pensato!»
«Non hai detto che lui e Glyn odiano questa “Magia del Tempo”?»
Damien annuì. «Non sono sicuro che i professori lo sappiano, però. Piton mi ha cacciato via subito dopo aver scoperto che l’Amato cercava le Giratempo. Cercava.» Incrociò le braccia al petto. «Tu che ne pensi, Alma?» Si schiarì la gola. «Alm!»
Seduta dirimpetto a Damien, la strega stava guardando con aria assorta il paesaggio al di là del finestrino con la testa appoggiata contro il vetro. «Ci sono. Non c’è bisogno che ti ripeti.»
Richie si sporse verso di lei. «E allora?»
«State dimenticando due cose. Primo: Hogwarts è una scuola di magia. Ha già dovuto affrontare la sua buona dose di scandali in questi anni. Mettere di nuovo a rischio la vita degli studenti è l’ultimo caso di cattiva pubblicità di cui ha bisogno. E vi invito a ricordare quante volte l’abbiamo rischiata soltanto in questo semestre. Secondo: fossi in te, razza di pervertito, mi chiederei perché il preside in persona si è presentato alla mia porta, senza annunciarsi, per parlare con un membro del Wizengamot e il figlio che, guarda caso, è direttamente coinvolto nella vicenda.»
Damien e Richie si guardarono negli occhi, ponendosi la stessa domanda: «Se non era un caso, cos’ha in mente Silente?»
«Piton ha scoperto della Giratempo leggendoti nella mente, giusto?» Poi si voltò verso Rich. «E subito dopo Silente appare alla tua porta. È come se volesse confermarci che siamo sulla strada giusta, non credete? Altrimenti perché riferire di persona un messaggio che poteva banalmente essere spedito tramite gufo?»
«Per sviare il Ministero.»
«Non essere sciocco, Dam. La madre di Richie sarà sotto osservazione da mesi, vista la sua dichiarata amicizia con Silente.»
«In effetti, mamma ha capito subito che c’era qualcosa di strano. Solo che non sa cosa. E Silente mi ha detto di non fare tardi il giorno del mio ritorno a scuola… Ma il motivo della visita non può essere questo, giusto? Cosa si aspetta che facciamo: andare a caccia del mago oscuro che si nasconde sotto il suo naso?»
Damien si torturò le dita nervosamente. Non poteva fare a meno di ricordare quella volta in cui il preside era entrato nella sua, di casa, solo per riconsegnare una bacchetta. Anche quello era un caso? Gli aveva spiegato che aveva un affare da sbrigare, e vista la data aveva immaginato che si riferisse all’udienza di Harry Potter. Era folle pensare che il preside avesse voluto consegnare un messaggio a Richie. Eppure…
Il suo sguardo si soffermò di nuovo su Alma. Continuava a guardare fuori dal finestrino, ma c’era qualcosa di diverso, in lei, quel giorno, che Damien proprio non riusciva ad afferrare. Una sorta di pallore malaticcio, proprio lì, stampato sul suo viso.
La strega disse loro che doveva andare al bagno e si defilò nel corridoio.
Damien non la fermò, ma continuò ad ascoltare i discorsi di Richie con la mente rivolta altrove. Continuava ad essere turbato da qualcosa. In questo, l’arrivo di Lucilla Ollivander capitò proprio al momento giusto. La Serpeverde entrò nella cabina con il suo solito sorrisetto indecifrabile e si sedette al posto di Alma. Damien dovette solo aspettare che lei e Richie cominciassero a spettegolare su un presunto bacio tra Harry Potter e Cho Chang, prima di abbozzare una scusa e uscire anche lui.
Trovò Alma verso il fondo del vagone successivo, alle prese con Ernie Mcmillian. Il Tassorosso le stava dicendo qualcosa con un tono severo. C’era Hannah Abbott insieme a loro. «Lo sai che come prefetto…» Non appena lo vide, il ragazzo sbuffò. «Damien, anche tu! Si può sapere che vi prende, oggi? Non si va in giro per le cabine quando il treno è in corsa. Tornate subito ai vostri posti.»
«Scusa, Ernie! Avevo un po’ di nausea e Alma si è offerta di chiamare la signora del carrello. Sono venuto per dirle che mi è passata.»
Ernie li scrutò, se possibile, ancora più severo. Fu Hannah a toglierli dall’impaccio pregandolo di lasciarli andare. Damien attese con un sorriso tirato che lo superassero, senza distogliere gli occhi da Alma. Non stava sognando: sembrava davvero turbata per qualcosa.
«Se non vuoi parlare, avrai le tue ragioni.» Rimase silenziosa e capì di non doverle mettere fretta. «Ti… aspetto di là. Vedi di non farti trovare da Malfoy, però. Un prefetto Serpeverde in infermeria costerebbe a Corvonero parecchi punti.»
«Damien.» Lo chiamò quando si era ormai girato. «Non farti strane idee. Volevo solo prendere un po’ d’aria.»
«No, non è vero.»
 
Passò il resto del viaggio a riflettere.
Glyn gli aveva mostrato i suoi ricordi. Gli aveva raccontato di aver combattuto gli Invasati per secoli, servendosi di maghi più o meno ignari del fatto che una parte di lui vivesse dentro un bracciale. Eppure quella notte gli Invasati non erano venuti per vendicarsi di lui, ma per riprendersi l’Amato. Di quella storia aveva capito che Glyn, insieme all’Amato e alla loro compagna Aine, avevano affrontato un “Mago del Tempo” e che Aine era morta. Una sua discendente aveva sigillato i due sopravvissuti in quella grotta nella Foresta Proibita e poi nulla. Erano passati secoli. I Fondatori avevano scelto di costruire Hogwarts proprio sulle rive del Lago Nero e fino ad oggi non era successo niente. C’era davvero qualcosa che gli sfuggiva. E non solo sugli Invasati. Aveva ripensato a quella notte un’infinità di volte. Ricordava l’esplosione, di essere entrato nella grotta, quegli strani glifi. Aveva convinto Luna e Richie a tornare indietro. La fuga e… nulla. Qualcosa gli sfuggiva. Pur sforzandosi, non riusciva a capire.
Finché un tonfo non attirò la sua attenzione. Luna Lovegood era appena entrata nella cabina con in mano una bottiglia bianca dalle fattezze di uno scheletro. – Oh… Porca miseria! – Il suo cuore cominciò a battere a mille.
– Cosa c’è? – domandò Glyn, in allarme.
– Porca miseria. Porca miseria! Porca miseria!! – Fece di tutto per non dare a vedere di essere sbiancato. – C-C-C’era un coso in quella grotta! U-U-U-Uno zombie! Un morto vivente, u-u-un…! –
– Ah, lui. No, non devi preoccuparti. Ero io. – Lo disse con una tale semplicità da lasciarlo senza fiato.
– Tu?! Ma che…?! Come?! –
– Quello è il mio corpo. Il mio corpo adesso. Non per vantarmi, ma in gioventù ero parecchio attraente. –
– Cosa può fregarmene di com’eri da giovane?! –
– Questo è il tipico atteggiamento di chi non ha ancora conosciuto davvero una donna. O, certamente, che non possiede il coraggio per sedurne una... –
Damien chiuse gli occhi per mantenere la calma. Luna forse gli stava parlando, ma la sua testa era mille miglia altrove. – Puoi spiegarmi, gentilmente? La faccenda del corpo! –
– Se certi argomenti imbarazzano i ragazzi di oggi, piango per l’umanità. Ad ogni modo, quando ti dicevo che io e l’Amato siamo stati seppelliti insieme non mentivo. Vedi, le nostre anime non risiedono in un solo “corpo”. Parte di me vive ancora in me, seppur condannata a sopportare questa sorta di non-vita. Io sono… Puoi immaginarmi come il Glyn al momento della mia “morte”. L’altro ha vissuto per secoli, sepolto per l’eternità a rimuginare sul passato. –
Era qualcosa di così assurdo che aveva paura a credere che fosse vero. – Intendi dire che la tua anima è stata strappata in due pezzi e tu sei… cosa: una specie di ricordo pre-morte, che però è vivo? –
Glyn ci rifletté sopra per un momento. – Direi che più o meno è esatto. Ma non ti dirò altro, ragazzo. Come ti ho già spiegato, non ho intenzione di tramandare questa magia oscura. –
– Ok, ma l’Amato? Ci sono due… “Amato”. Insomma, c’è un altro zombie in quella grotta? –
– Gli Invasati hanno preso solo un bracciale, no? Ciò vuol dire che l’Amato, l’altro Amato, è ancora lì dentro. –
– M-M-M-Ma allora voi due siete immortali! –
– Lo siamo? – C’era qualcosa di beffardo, e al tempo stesso di malinconico, nella sua voce. – Può darsi. Ma è una maledizione che ci trattiene su questa terra, su questo non c’è dubbio. Non passa giorno senza che io ripensi al momento in cui ho perduto Aine. In qualunque forma io esista. Mentre giaccio sepolto, eternamente a guardia del mio antico amico… ed eterno nemico. Di chi ha rubato il cuore di lei. Fidati, ragazzo: questa non è vita. –
 
«Non avevo mai visto un mago più distratto di te» disse Luna, mentre s’incamminavano verso le carrozze.
«Scusami. Ero...» Chinò la testa, un po’ abbattuto dal fatto che la strega si era avvicinata per parlargli e il suo cervello non l’avesse nemmeno considerata. Certo, non accadeva tutti i giorni di avere una conversazione con un uomo praticamente immortale. Neanche lei, però, poteva essere definita un essere ordinario. Luna Lovegood era come una cerva: una creatura selvatica e sfuggevole. Vederla avvicinarsi era un’occasione che per uno come lui capitava una, forse due volte nella vita. E l’aveva completamente sciupata.
«Oh, non fa niente! Anche io mi perdo spesso nei miei pensieri. È come fare un bel viaggio in un posto pieno di creature rarissime.»
Già s’immaginava il commento acido di Richie. «Immagino di sì.»
«Cosa stavi immaginando di bello?»
Damien non sapeva esattamente cosa l’avesse spiazzato in quella domanda. Impiegò del tempo per pensare a cosa risponderle, e anche di più per sussurrarle quanto bastava. Tanto che la carrozza trainata dai thestral stava per uscire dai confini della Foresta Proibita.
«E questo è quanto. A te… pare possibile, quello ho visto?»
L’espressione di Luna Lovegood non fece alcuna inflessione. «C’è solo un modo per scoprirlo, non credi?»
«Quale?»
Lei lo prese per mano e si alzò, scansando l’intreccio di gambe e piedi degli studenti che li circondavano. Damien era troppo scioccato per opporre resistenza. «Indagare, naturalmente.»
«Intendi a-adesso?» Si guardò intorno. Tutti quegli occhi fissi su di lui lo mettevano in soggezione.
Luna annuì. «E quando, se no? Andiamo!»
 
Non pensava che Luna fosse il tipo di strega capace di mettersi nei guai. Era eccentrica, e non c’era bisogno che Richie gli spiegasse perché, ma tra il loro incontro fortuito a Notturne Alley, quelli segreti a cui partecipava con Harry Potter e la sua cerchia di amici, era evidente che Damien non la conoscesse bene come avrebbe potuto; un pensiero gli cuciva sempre addosso un profondo senso di tristezza. Le offrì ancora una volta la mano e la aiutò a scendere, come già era successo qualche mese prima.
«Molte grazie.»
Stavolta Damien riuscì a non arrossire, ma anche quella volta aveva la bocca troppo impastata per risponderle. Lo spiazzo era esattamente come lo ricordava. Era lì che avevano affrontato gli Invasati la prima volta. Il varco aperto nell’isoletta di roccia continuava a sembrare minaccioso e buio; Damien si scoprì a deglutire a vuoto, ripensando all’ultima volta che l’aveva attraversato. Aveva troppa paura che potesse succedere qualcosa a Luna. Non se lo sarebbe perdonato.
«Forse è meglio se resti qui. Faccio un controllo veloce e…»
«E perdermi di nuovo l’occasione di esplorare questo posto? Potrebbe essere la tana di una creatura magica.» I suoi occhi s’illuminarono di emozione. «Forse troveremo finalmente una traccia del Ricciocorno Schiattoso! Devo assolutamente…»
L’afferrò per la manica. «Luna, sono serio.»
«Anche io» rispose lei. «Non scherzo mai quando si tratta di creature magiche.»
Arrossì, ma non cedette. «Davvero, potrebbe essere pericoloso.»
«Allora è un bene che ci sei tu. Conosco solo uno studente più in gamba di te nella Difesa contro le Arti Oscure.» Si girò, solo per tornare a rivolgergli un sorriso svagato. «Ma non così tanto, sai?» E cominciò a incamminarsi.
«Non è vero» sussurrò Damien a denti stretti, prima di seguirla.
Se Cedric non l’avesse preso sotto la sua ala, non sarebbe stato capace di lanciare un banalissimo incantesimo Riddikulus. Era Glyn a fare tutto. Lui non doveva fare altro che lasciarsi manovrare come una marionetta e fare da spettatore mentre quello spirito, ricordo pre-morte, o come accidenti voleva chiamarsi, usava il suo corpo meglio di quanto lui sarebbe mai stato in grado di fare. Stava imbrogliando, ecco la verità! Prendendosi dei meriti che non erano suoi; se Glyn non gli avesse proibito di farne parola ad anima viva, l’avrebbe già confessato a tutti. Odiava quella situazione, ma più di ogni altra cosa temeva che qualcuno potesse guardarlo con occhi diversi, vedere in lui un nuovo Cedric. Quello non sarebbe proprio riuscito a sopportarlo: nessuno avrebbe mai eguagliato Ced, men che meno un bamboccio come lui.
Prima quella storia fosse finita, meglio sarebbe stato. Per tutti.
«In verità, c’è un’altra persona» aggiunse Luna, mentre Damien la raggiungeva.
Il Tassorosso s’ingobbì sotto il peso di quelle parole. «Davvero, Luna. Non sono niente di speciale...»
«Alma» sillabò con semplicità, prima di guardarlo con i suoi occhi azzurri strabuzzanti.
«Alma?»
«Non ti ricordi? Quella notte al pub. È stata lei a mettere l’Amato a tappeto.»
Fosse stato per Damien, quella notte l’avrebbe se la sarebbe estratta dalla memoria a mani nude. Si sentiva male al solo pensiero. Glyn non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma quando si erano collegati per combattere Damien aveva guardato dentro di lui e aveva provato le sue stesse sensazioni. Era stato messo alle strette e, se non fosse stato per Alma, davvero non sapeva come sarebbe andata a finire.
«In effetti ha colto di sorpresa un mago capace di battere il professor Piton. Quell’incantesimo che ha usato è un portento.»
«La conoscenza è una risorsa preziosa, se aspira alla grandezza. Il professor Vitious lo ripete in continuazione.»
Damien si grattò la guancia. «Davvero, Luna, non sono così speciale…»
Ma lei era un treno in corsa. «È la sua pupilla, lo sapevi? Conosce tantissimi incantesimi, per essere solo una studentessa del quarto anno.»
«Non era la Granger, la pupilla di Vitious?» Di quella strega sentiva spesso dire in giro che avesse portato l’espressione “pozzo di conoscenza” ad un nuovo livello. Metabolizzava informazioni a colazione, pranzo e cena, come se avesse scoperto un incantesimo capace di potenziare la comprensione e la memoria del 200% rispetto ai comuni mortali; Richie aveva addirittura teorizzato che avesse dei circuiti cibernetici al posto del cervello. 
Per una frazione di secondo, Luna fece una strana smorfia. «Ha dovuto accettare a malincuore che una Corvonero nata è stata assegnata a Grifondoro, ma rimane il nostro direttore. Sai meglio di me quanto gli insegnanti possano essere protettivi con gli studenti della propria casa.»
Aveva ragione. Non passava giorno senza che la professoressa Sprite gonfiasse il petto per ogni impresa di Cedric. L’anno scorso, durante il Torneo Tremaghi, era talmente elettrizzata che dalla sua bacchetta non di rado sprizzavano scintille; la serra aveva rischiato di prendere fuoco almeno cinque volte in un mese! Per non parlare di Piton, sempre pronto a coprire le malefatte dei suoi protetti. Solo la McGranitt sembrava mantenere una sorta di aplomb… ma sotto sotto si vociferava che fosse la più competitiva del corpo insegnanti.
«Immagino di sì.»
Continuarono a esplorare la grotta con le loro bacchette puntate verso l’oscurità. Non di rado, Luna lanciava degli sguardi indagatori ai glifi sparsi sulle pareti di roccia, tuttavia sembrava così decisa ad andare fino in fondo, questa volta, da non soffermarsi su nessuno in particolare. Procedeva così veloce che Damien si chiese come facesse a non inciampare sui propri passi.
«Secondo te hanno già dato un’occhiata a questo posto?»
«Come?»
«Gli insegnanti. Piton non ci avrà creduto quella notte, ma dopo quello che è successo a Notturne Alley e…»
Si fermò così all’improvviso che Damien si guardò immediatamente intorno, aspettandosi di veder sbucare da un momento all’altro chissà quale mostruosità. «Cosa?! Oh, parli della biblioteca! M-Me l’ha detto Alma, prima delle vacanze. Penso che lo sappiano anche Fred e George Weasley, e Richie naturalmente. Però non lo abbiamo detto a nessun altro. Sappiamo che i professori vi hanno ordinato di non dire niente. Solo… I-Insomma, nel bene o nel male in questa storia siamo tutti coinvolti.»
Anche quello era stato strano: un’intera biblioteca esplosa e quasi nessuno sembrava essersi accorto dell’accaduto. Glyn era furioso, quando aveva saputo dell’incontro ravvicinato tra le tre ragazze e l’Amato. Anche questo non l’avrebbe mai confessato apertamente, ma quella facilità, che aveva l’Amato, di muoversi indisturbato in ogni angolo della scuola cominciava a preoccuparlo. Damien… era come se lo percepisse. Certe volte gli sembrava di vedersi mancare la terra sotto i piedi. Ma quel senso di turbamento non apparteneva a lui. Non del tutto.
«Ma cosa vuole questo mago?» domandò Luna.
«Non lo so. Possiamo solo fidarci dei professori. È già successo con la Camera dei Segreti, ricordi? E con Black. Sapranno sicuramente…»
E all’improvviso la terra sotto i piedi gli mancò letteralmente! Il terreno si aprì in una piccola buca e Dam ci capitombolò dentro con tutte le scarpe. Picchiò almeno tre, quattro volte contro qualche spigolo di roccia mentre precipitava. Il tonfo finale fu rumoroso; tremendi i suoi squittii di dolore.
«Damien! Stai bene?»
«Sì» le rispose, cercando di mascherare un gemito di dolore. «Questa non c’era l’altra vol…»
E nemmeno quel viso piagato dalla putrefazione, dagli occhi luminosi, che lo fissava nell’oscurità!
Damien trasalì. Era lui, lo riconosceva! L’essere che aveva visto prima di perdere i sensi. Prima che il bracciale azzurro si attaccasse al suo braccio; prima che quella brutta storia avesse inizio. Cercò a tentoni l’appoggio della parete e dopo essersi sollevato ci rimase appiccicato, senza avere il coraggio di muovere un muscolo, senza fiatare.
– Piano, adesso. –
Damien non diede ascolto alla voce di Glyn. Il suo sangue sembrava che gliel’avessero appena succhiato via tutto d’un fiato, lasciando nelle sue vene soltanto il gelo. Una riga di sudore discese lungo la tempia, scandendo il passare di quegli attimi interminabili. – C-Che sta facendo? –
– Ci sta studiando – disse Glyn, mentre la figura scivolava tra le ombre, e si avvicinava. – Si starà domandando perché non gli abbiamo riportato ciò che vuole. –
– Tu non… Tu non sai cosa sta pensando? –
Non gli rispose, e lo zombie continuava ad avvicinarsi. Un passo sconnesso alla volta, alla volta. Alla volta… Damien lo vide stendere un braccio e iniziò a sudare freddo. La mano, secca e nera, viscida di adipocera, si stava allungando. Sempre più vicina al suo viso.
«Vedi qualche traccia del Ricciocorno?»
La creatura ebbe un sussulto alla voce di Luna. Guardò in alto, prima di fissarlo intensamente con quegli occhi ultraterreni. Poi si dileguò nelle tenebre.
Damien scivolò di nuovo a sedere, incapace di esalare una parola che fosse una.
 
«È qui che ti sei fermato?»
Damien annuì: era un’altra bugia, ovviamente. Aveva esplorato quella grotta fino a trovare uno strano altare tempestato di glifi. Allora la strada era stata dritta come la punta di una freccia. Quel giorno, invece, avevano preso così tante svolte e deviazioni che temeva seriamente di aver perso l’orientamento. C’era qualcosa in quella grotta che la rendeva speciale. Era come se ogni galleria potesse muoversi a suo piacimento, un po’ come le scale del castello. Ma ad Hogwarts Damien aveva sempre la cognizione che le cose stessero per cambiare. Qui, invece, il mutamento era furtivo e disorientante. Luna non poteva immaginarlo, ma Damien ormai l’aveva capito: qualunque magia fosse all’opera, qualcosa, o meglio qualcuno, non voleva che Luna vedesse cose che non doveva vedere. Cose che solo lui aveva visto.
Soltanto lui, in effetti. – Come hanno fatto gli Invasati a raggiungere l’altare? –
– Non sono io a controllare questo posto. – Fu l’unica risposta che ricevette da Glyn.
«Direi che da qui si può solo tornare indietro.»
Se era delusa, Luna doveva essere brava a mascherarlo. Il suo viso non aveva alcuna espressione, era come se il suo cervello si fosse fermato improvvisamente mentre elaborava un pensiero. Cominciò a ispezionare con attenzione i vari glifi che brillavano intorno a loro. Camminandoci vicino, passando le mani sulla parete con fare pensieroso. «Tu hai idea di cosa significhino?»
Damien non aveva idea della stragrande maggioranza delle cose che aleggiavano intorno a Glyn e alla sua presunta non-morte e francamente non aveva nemmeno tutta questa voglia d’indagare. Era certo che non ne avrebbe ricavato nulla di buono. Se rispose, fu solo per educazione: «Non saprei. Mi viene in mente soltanto che il Patronus e l’incantesimo dell’Amato hanno gli stessi colori. Blu e nero, vedi?»
Luna scosse la testa. «Ma c’è anche l’argento.» Gli indicò una porzione di roccia che a prima vista sembrava sgombra. «Proprio lì.» Aguzzando la vista, Damien fece un passo avanti. Allungò il braccio dove Luna aveva indicato e trovò un segno sbiadito, opaco, quasi impercettibile ad occhi nudo. «Sono dappertutto» riferì la giovane strega, mentre lui esaminava con attenzione.
«Sì, adesso ricordo. Probabilmente sono solo delle rune antiche. Qualunque cosa significhino...»
«Non ti sembra un po’ strano?» Luna gli si accostò vicinissimo. «Questo posto era ben nascosto, eppure gli Invasati sapevano benissimo dove cercare. Qualunque cosa volessero, per loro era così importante che ci avrebbero ucciso. Loro sanno cosa significano questi segni.»
La mano di Dam andò a sfiorare uno dei simboli sbiaditi e tutto ciò che lo circondava, immediatamente, iniziò a ruotare in modo impazzito! Fu come se una voragine si fosse di nuovo aperta sotto i suoi piedi. Si sentì trascinare via dalla forza centripeta. Urlò, ma nel marasma di boati fragorosi e vortici impetuosi l’eco della sua voce era come un sibilo nel vento. Fu sballottato dalla corrente e trascinato verso il fondo, sempre più a fondo. In un luogo dove non c’era altro che tenebra. Che diventava molle, poi di nuovo solido. E di nuovo molle. Quell’abisso stava facendo a brandelli tutto ciò che lo circondava. Lo piegava, lo spezzava in frammenti minuscoli di terra e cielo che si mischiavano in modo confuso.
Prima che se ne rendesse conto, quella stessa corrente lo spinse via. Rigettandolo, spedendolo a rotolare sulla sabbia. Lo fece diverse volte prima di riuscire a fermarsi.
Gemette, cominciando a rialzarsi. Aveva le braccia e le spalle dolenti e la schiena la sentiva completamente a pezzi. Quando provò ad aprire gli occhi, vide tutto grigio. «Cos’è successo?» biascicò. «L-Luna?» La cercò in ogni direzione, ma della strega non c’era traccia. «Ma… dove sono finito?»
Il cuore cominciò a battergli all’impazzata. Intorno a lui non c’erano più le anguste pareti di una grotta buia. Si trovava all’esterno: un luogo a cielo aperto, costeggiato da un enorme fiume. Piante acquatiche crescevano sulle sue sponde. Tutto era grigio come il metallo; persino il fuoco e la miriade di bancarelle fatte di tela e corde di canapa che lo circondavano. Sembrava di trovarsi nel cuore di un mercato orientale. Antico, con le strade fatte ancora di terra battuta e illuminate non da lampioni ma da grandi bracieri; sullo specchio dell’acqua, per un momento, scorse il dorso di un enorme rettile e indietreggiò spaventato.
«Che posto è questo? P-Perché è tutto grigio? Perché…?» Rimase a bocca aperta.
Un’enorme piramide svettava sulla piazza di quel mercato. La gente del posto andava e veniva senza curarsi minimamente della colossale struttura che si ergeva sopra le loro teste. Come se fosse sempre stata lì, e fosse lui, in realtà, quello fuori posto. Forse era vero, ragionò, mentre osservava la marea di persone che piano piano diventava sempre più densa; come se ogni secondo il loro numero si moltiplicasse, rendendo quel piazzale sempre più angusto e ricco di astanti.
Non c’erano solo maghi e non erano nemmeno vestiti con abiti moderni. Se stava guardando un raduno di amanti della storia, dovevano essere davvero preparati. I costumi, la sceneggiatura: era la perfetta rappresentazione di un popolo mediorientale. Tremendamente perfetta. Egiziano, forse. Di sicuro molto antico. E perché continuava a vedere tutto grigio?
«Fa’ attenzione» gli comunicò Glyn. Di punto in bianco, era apparso fisicamente alla sua destra, vestito come la prima volta che si erano incontrati faccia a faccia. Non gli lasciò nemmeno il tempo di riprendere fiato. Lo prese per il colletto e iniziò a trascinarlo per le bancarelle. «Stammi vicino.»
«O-Ok, ok! Piano, però!»
«E fa’ silenzio» sibilò. «Il passato è un tempo pericoloso.»
«Questo è il…!»
L’espressione truce e minacciosa che gli lanciò, lo indusse al silenzio. Oltrepassarono carretti pieni di merci esotiche. Nella fretta, Damien riuscì a cogliere solo pochi dettagli. Vide piante carnivore che… cantavano? Avevano voci davvero stridule. Un mago palleggiava con degli alberelli travasati in dei recipienti fatti letteralmente d’aria; lì usava come palloni, neanche fosse Maradona, per l’estasi della folla che gli si era accalcata intorno. Strani strumenti simili a flauti e archetipe fisarmoniche libravano nell’aria, producendo uno sfondo musicale dai toni piuttosto accesi. C’erano incantatori di serpenti, folletti che passeggiavano avvolti in turbanti grandi la metà di loro; donne dall’aspetto curato e dai trucchi più elaborati che Damien avesse mai visto passeggiavano qua e là, accompagnate da strane creature simili a enormi felini. No, non erano creature: quei tatuaggi prendevano forma e poi ritornavano a spalmarsi tra le pieghe e le profonde scollature dei loro abiti. C’era una quantità abnorme di gatti; una donna corpulenta, coperta da decine di strati di veli azzurri, ne era completamente carica e al suo passaggio la gente chinava la testa in forma di rispetto.
«Sì, questo è un ricordo. Perché accidenti hai toccato quel glifo?!»
«Perché non mi hai detto di fermarmi?!»
Glyn grugnì. Continuava a trascinarlo lontano dalla strada principale. «Sei nel mondo magico! Se vedessi una salamandra, ti precipiteresti a toccarle la coda senza prima farti due domande?» Damien gli disse subito di no. «Forse perché niente è come sembra. Non siamo babbani. Sei un druido, per tutti i dei! Mago, o come vuoi farti chiamare! Come sei sopravvissuto fino ad oggi?»
«Sono ancora uno studente!»
Il druido rispose con un verso seccato: «Studente …»
«Sì, beh, magari non sono tra i più brillanti del mio corso, ma…»
«Silenzio, ho detto! Questo ricordo è pericoloso: molto pericoloso. Stai per vedere qualcosa di terribile, ragazzo. Spero che tu abbia lo stomaco per sopportarlo, perché l’uscita si trova proprio nella tana del mostro. Da qui non si torna indietro.»
Qualcuno che si aggirava nelle ombre. Grigio come tutto ciò che li circondava, eppure attirò l’attenzione di Damien come sprigionasse mille colori. Era un uomo. Nastri di stoffa gli coprivano il viso, eccezion fatta per gli occhi. Vestiva una casacca senza maniche che metteva in evidenza due braccia esili ma muscolose, sporche di fuliggine. Indossava delle brache larghe e calzature molto simili a pantofole sottilissime. Lungo tutto il braccio destro era avvolto un ciondolo lunghissimo, simile nella forma a un rosario. Si stava dirigendo verso la grande piramide; proprio dove Glyn li stava conducendo. Veloce come un’ombra nella notte, agile e scattante. Saltava lungo i tetti delle casette limitrofe in terra battuta; per un momento diventava quasi invisibile, salvo poi riapparire poche svolte più avanti. I suoi passi non emettevano alcun suono; le sue orme magicamente sparivano dopo il suo passaggio e il terreno tornava liscio e intonso.
Due guardie sorvegliavano l’accesso alla piramide. Due uomini armati di lunghe picche, che si appoggiavano svogliati alle porte di un lungo passaggio sotterraneo.
Glyn lo costrinse ad accucciarsi insieme a lui dietro una grande palma. «Ascoltami attentamente. Questo popolo è molto lontano dal nostro. Si trova a Sud, molto più a Sud di quanto tu possa immaginare. I loro Dei erano diversi dai miei, e anche le loro tradizioni. Qui erano soliti seppellire i morti di grande valore in queste enormi tombe, ma prima…»
«Lo so che facevano gli egizi» gli rispose Damien.
Il druido sembrò spiazzato dalla sua risposta. «Li conosci?»
«Studio storia. Lo sanno tutti. Mi sorprende che lo sappia tu, a dire il vero.»
«Mi stai dando dello stupido per caso?»
«No! Ma non sapevi cosa fosse una scimmia, quindi vai a capire quanto ne sai di geografia…»
Se era arrossito, Damien non riuscì capirlo. Sia per il grigio che li circondava, sia perché Glyn si era girato di nuovo verso le guardie, borbottando qualcosa come: «Le mie battaglie con l’Amato non conoscevano confine. Molti popoli hanno sanguinato a causa della nostra faida. Molti campioni mi hanno indossato prima di te.»
Mentre lo diceva, lo straniero che avevano inseguito si avvicinò di soppiatto alla prima guardia. Gli prese la testa tra le mani e… Dam volse lo sguardo altrove pur di non assistere e si tappò le orecchie pur di non sentire. Aveva la nausea. Per un attimo fu sul punto di vomitare, poi Glyn gli assestò un paio di pacche decise sulla schiena e gli tirò forte la guancia. «Tirati su. Dobbiamo andare.» E indicò la piramide.
 
Avrebbe avuto gli incubi per settimane. Lo straniero si era lasciato dietro una montagna di corpi, riuscendo a muoversi tra le ombre senza far scattare l’allarme. Si muoveva sinuoso come un serpente. Con movimenti lenti, pazienti… ma letali. A volte attendeva il suo bersaglio per interi minuti in una posizione favorevole, prima di aggredirlo e metterlo fuori combattimento. Procedeva inesorabile verso il suo obiettivo, tanto che Damien e Glyn avevano dovuto iniziare a correre per stargli dietro.
Osservarlo, soltanto per pochi attimi di sfuggita, gli era bastato per capire cosa intendesse Glyn quando diceva che nella sua epoca i maghi erano anche dei guerrieri. Non era solo un potente fattucchiere: affrontava le guardie anche a mani nude, le soffocava in prese contorte fino a farle perdere i sensi. Avrebbe dato del filo da torcere persino a un drago come Bruce Lee; se Richie l’avesse visto, sarebbe andato in brodo di giuggiole.
Le stanze che attraversavano erano tempestate di gradini che salivano, scendevano, deviavano verso destra o sinistra, verso ampi archi che conducevano verso altre centinaia di stanze. Lo straniero era riuscito ad arrampicarsi su una trave e poi a cadere su due guardie calandosi su di loro e facendole cadere per diverse rampe; aveva pietrificato un’altra guardia prima che potesse conficcargli la lancia nella spalla, senza nemmeno pronunciare l’incantesimo, e aveva fatto ruotare quella stessa lancia sopra la sua testa prima di sbatterla sul muso di un altro guardiano.
Non stava usando nemmeno una bacchetta: era quello strano rosario a lanciare le fatture. Sembrava un’entità quasi… viva. Si attorcigliava intorno al collo o al torace dei suoi bersagli e consentiva allo straniero di proiettarli con facilità; il sortilegio scudo poteva essere lanciato da una qualsiasi delle perle che lo componevano e che fluttuavano intorno a lui. Se le appoggiava al muro, ciascuna perla s’illuminava e i mattoni iniziavano a muoversi come un formicaio vivente; certe volte era lo straniero a entrarci, attraversandoli, altre i suoi nemici, che sparivano all’interno di quell’ammasso semovente senza mai più riapparire.
 
Damien aveva il fiatone, quando il suo predecessore varcò l’entrata dell’ultima stanza. Era stata una salita faticosa, sentiva le gambe a pezzi. Eppure, mentre lui era chino sulle ginocchia, lo straniero sembrava non aver versato nemmeno una goccia di sudore.
«Entriamo.» La voce di Glyn divenne più grave e profonda che mai.
Lo seguì dentro e, per la prima volta da quando era entrato in quel ricordo, Damien rabbrividì di paura. Il freddo lo investì all’improvviso, così intensamente che, per lo sforzo di respirare, i polmoni lamentarono una fitta di dolore atroce. Quella stanza sembrava un luogo d’imbalsamazione. C’era un forte odore di putrefazione e composti chimici. Decine di mummie erano disposte in modo ordinato su delle lettighe. Le bende che li avvolgevano erano strappate in corrispondenza degli organi vitali. Nonostante le enormi finestre che davano verso l’esterno, il buio era quasi totale e nell’oscurità tutto ciò che risaltava era il luccichio di due occhi felini.
Quanto più quelli di Damien si abituavano, più particolari affioravano tutti insieme.
Lo straniero guardava dal basso una figura seduta su un trono elaborato. Enorme. Fatto interamente di mattoni grigi e innalzato sopra un altare. A separarli, una lunghissima scalinata. Alla cui metà esatta c’era un altare. Su di esso era deposto un cadavere avvolto da un sudario grigio. Un grigio diverso. Più nitido, rispetto alle tonalità sbiadite che lo circondavano.
C’era un donna, seduta sullo scranno. Una fanciulla dai capelli scurissimi come ali di un corvo e occhi magnetici che rilucevano dello stesso luccichio sinistro che aveva intravisto pochi istanti prima. La sua veste era lunga e scollata. Centinaia di gioielli e bracciali la adornavano, insieme a un elaborato copricapo sacerdotale, ma a far trasalire Damien un solo oggetto, quello stretto al suo braccio destro: due serpenti gemelli che s’intrecciavano, neri. Quella donna era la portatrice dell’Amato.
Lo straniero disse qualcosa in una lingua antica, sprezzante. «… la tua indecenza non conosce limite. Impossessarti del corpo di una donna? Sei riprovevole.»
L’Amato distese le labbra carnose della posseduta in un sorriso di sufficienza. «Cosa c’è, Glyn? Sei troppo uomo per provare a metterti nei panni di una donna? Questo non è più il nostro tempo. La civiltà si evolve. È un procedimento lento ma inarrestabile. E le fondamenta su cui un tempo si reggevano i nostri valori ora vacillano.» Si guardò le unghie. «Senza aprirsi a nuove esperienze, come potremmo sperare di stare al passo? A volte, sai, fa bene cambiare prospettiva.»
«Sei disgustoso. Ora scendi. Qualunque cosa stessi architettando di far per profanare questi morti, finisce qui.»
Il sorriso dell’Amato questa volta divenne più ampio e sornione. «Credo che se tu ragionassi attentamente sul modo in cui ha pronunciato le tue ultime parole, vecchio amico, ti renderesti conto del tuo errore. Vedi, dal mio punto di vista, invecchiare significa smettere di imparare, e di acquisire conoscenza. Di essere. Si diventa più saggi, ma il prezzo è chiudersi al progresso. Sei una reliquia del passato, caro Glyn, più di quanto non sia io.»
Le perle del rosario s’illuminarono. «Scendi, ho detto!»
«Ti sei sempre servito di campioni che sono a tua immagine e somiglianza. Da loro non hai imparato altro che l’arte del combattimento. Ma d’altronde, non sei mai stato famoso per l’erudizione. Io…» A un suo breve gesto della mano, il sudario iniziò a sussultare. «… e te, non potremmo essere più diversi.»
Anche lo straniero percepì quel lieve movimento. Fece un passo avanti. «Creare gli Invasati non ti bastava, adesso vuoi servirti anche degli Inferi?»
«Credi davvero che abbia fatto tutta questa strada per creare degli Inferi? Questo popolo ha ampliato il suo sapere sulla vita e la morte. Nessun druido ha mai raggiunto una simile conoscenza, ed ora è mia.» Il sudario iniziò a sollevarsi lentamente e a cambiare forma. «Dimmi, amico mio: cosa me ne faccio di meri cadaveri, quando al mio fianco ho i Dissennatori?»
La stanza, adesso, era più gelida che mai. La creatura che prese forma intorno al sudario finì di assumere una fisionomia che Damien riconobbe immediatamente: una che, rispetto a ciò che li circondava, era fin troppo reale. A differenza dei Dissennatori che aveva visto finora, quello era più grande e grigio; il freddo che portava con sé era più gelido, tanto che sentiva la pelle iniziare a incrostarsi di ghiaccio.
«Q-Quello c-che cos’è?» domandò con un filo di voce e i denti che battevano all’impazzata.
Bastò quel flebile sussurro per far girare la testa della creatura proprio verso di lui.
«Questo Dissennatore non è nato: è stato creato» gli rispose Glyn, guardingo, facendolo trasalire. «È più forte, più maligno. Più simile all’uomo… Scappa.»
Ancora una volta, Glyn lo prese per un braccio e ricominciò a trascinarlo di peso.
«Scappare? Stai scherzando?! Prima mi trascini qui e ora mi dici di darcela a gambe?!»
Il sibilo spaventoso che sentì alle spalle, tuttavia, lo spronò a correre più veloce che mai, ignorando la fatica e il dolore. Il più lontano possibile, con quanto fiato aveva in corpo.
«Te lo spiego se sopravviviamo!»
«Se sopravviviamo?!!»
Si guardò alle spalle e ciò che vide lo fece rabbrividire: il Dissennatore era già alle loro calcagna! Damien non avrebbe mai immaginato che un ricordo potesse effettivamente uccidere, ma il sesto senso gli suggeriva che cadere nelle grinfie di quella creatura non sarebbe stato affatto salutare; quello e grida di Glyn che gli intimava di muoversi! Aveva paura: una paura terribile. Aveva rischiato la vita ormai decine di volte, ma in quel momento la prospettiva di morire era più concreta che mai ed entrò nel panico più completo. Le gambe tremavano, la sua corsa era diventata così instabile che non si sorprese quando inciampò sul gradino dell’ennesima scalinata. Rotolò giù fino a sbattere con la testa contro l’angolo della parete ai piedi delle scale.
«Ragazzo!» La voce di Glyn echeggiò da qualche parte, ma Damien era troppo stordito per rialzarsi.
Aveva la vista annebbiata. Un rivolo di sangue caldo cadeva dalla fronte e seguiva i contorni di un viso paralizzato nel terrore. Il Dissennatore era lì. Braccia scheletriche, pallide, che fuoriuscivano dal suo sudario e protendevano verso di lui unghie acuminate come artigli. Damien era paralizzato dal terrore. Non riusciva a muoversi, non riusciva respirare. Guardava le forme orribili della creatura, alla bocca che pian piano si apriva, liberando il tanfo della morte. Per un momento non successe nulla. Poi le sue speranze iniziarono a crollare come un castello di carte. La speranza, sembrava che gliel’avessero appena portata via; la felicità, se mai fosse esistita nella sua vita, era solo una pallida ombra della verità. Ricordò il volto esanime di Cedric. S’impresse a fuoco nella sua testa, insieme ai suoi ricordi più orribili. Era come se il muro dietro il quale li aveva imprigionati si fosse dissolto, facendo dilagate le più tremende storture della sua esistenza.
La mano della creatura si serrò intorno alla sua gola. Gli artigli si conficcavano nella carne più in profondità con ogni respiro. Davanti a lui esisteva solo la bocca della creatura: circolare, nera, senza denti, come un orbita vuota dentro alla quale non esisteva altro che vuoto profondo. E più a lungo scavavano, più quelle dita era come se scivolassero sotto pelle, come tentacoli che si aggrovigliavano all’interno della testa. Provocando dolore, sconforto, assorbivano tutto ciò che lo rendeva vivo.
Sprofondarono senza freno finché qualcosa non li frenò improvvisamente.
 
Damien si ritrovò catapultato in un nuovo ricordo. Stavolta non stava osservando la scena da lontano. Era lui a viverla, in prima persona, ma era tutto decisamente diverso da come era stato. Una luce dorata investiva la Sala Grande di Hogwarts. Gli studenti del primo anno, che come lui attendevano di essere smistati, erano ombre che si muovevano come le fronde di un albero. Nessuno di loro era definito. Sembravano le caricature sfocate e annerite di una fotografia davvero troppo vecchia.
«Ginny Weasley» chiamò la voce della McGranitt.
Un’ombra si staccò dal loro gruppo e si fermò dove solitamente veniva posto lo sgabello.
«Oh! Un altro Weasley! Una piccola Weasley, questa volta. Anche con te so esattamente cosa fare. C’è coraggio, in te, ma anche un terribile peso. Quando te ne libererai, spiccherai il volo. Ne sono certo. Grifondoro!!»
Damien non aveva mai capito cosa intendesse il Cappello Parlante. Ginny era sempre stata una ragazza solare e contagiosa. Se mai avesse avuto un peso da portare, lo nascondeva bene.
«Richie Gallagard…»
Un’altra ombra prese il posto di Ginny, che scomparì pian piano sullo sfondo. All’epoca, ancora non conosceva bene il suo migliore amico. Era solo lo strano ragazzo che l’aveva tamponato una volta varcato il passaggio del binario nove e tre quarti.
«Uhm, sei bizzarro, ragazzo. Vedo molta incoscienza, in te. Vedo un futuro roseo, ma non sai ancora come coltivarlo. Se solo ti applicassi, potresti fare grandi cose. Corvonero sarebbe l’ideale, ma sospetto che troppe regole, per uno spirito come il tuo, sarebbero controproducenti. Credo proprio che Tassorosso sia la scelta più giusta.»
Fu il turno di Alma. «Erano anni che non incontravo qualcuno come te. Staresti bene in qualunque casa dovessi collocarti e ciascuna avrebbe su di te la sua influenza. Serpeverde coltiverebbe la tua ambizione, Corvonero soddisferebbe senz’altro la tua sete di conoscenza. In Grifondoro e Tassorosso troveresti degli amici sinceri e leali, pronti a seguirti. Basterebbe una spinta, e il tuo destino cambierebbe in modo così netto che ne provo quasi paura.» Inaspettatamente, le pieghe del Cappello Parlante erano svanite. «Forse non è una spinta, ciò di cui hai bisogno, ma di una mano tesa nel momento del bisogno.»
«Io non ho bisogno d’aiuto» aveva replicato Alma.
«No, certo che no. Non da me, almeno. Ma un aiuto verrà dato sempre, ad Hogwarts, a chi ne ha bisogno. Fino ad allora, sarà meglio… Corvonero!»
Per Damien era impossibile pensare ad Alma in abiti diversi da Corvonero. Sembrava che le fossero stati cuciti addosso come una seconda pelle. Eppure non aveva dimenticato quanto lei potesse essere spaventosa, quando si arrabbiava, o coraggiosa, o protettiva nei confronti di chi voleva bene.
«Lucilla Ollivander.» Era stata l’unica volta, in tutta la serata, in cui la voce della McGranitt aveva avuto un’esitazione. Il Cappello Parlante l’aveva sorteggiata in Serpeverde quasi subito.
«Damien Kiran.»
Quello era il suo momento. Lo ricordava perfettamente. Aveva le gambe di gelatina e gli tremava la voce. Era caduto pesantemente sullo sgabello e si era ingobbito mentre fissava il Cappello Parlante che veniva poggiato sulla sua testa. Sentirlo ridacchiare sopra le sue orecchie era stata una sensazione decisamente strana. «Non poteva capitare una scelta più facile. In te non vedo ambizione, né coraggio. E la conoscenza certamente non è qualcosa a cui un mago come te ambisce.» Ci fu qualche risatina. «Ma non è per queste mancanze che sei degno di sedere tra i Tassorosso…»
 
Riaprendo gli occhi, Damien fu abbagliato da un raggio di luce dorata. Il Dissennatore ne fu investito in pieno e iniziò a disperarsi e stridere come se avesse appena preso fuoco.
Una mano gli afferrò di nuovo il braccio. «Forza, ragazzo!» E insieme a Glyn ricominciarono a correre mettendo più distanza possibile tra loro e il Dissennatore. In quei momenti frenetici, Damien colse con la coda dell’occhio che c’era qualcosa alle spalle della creatura. Sembrava… fumo. Fumo dalle fattezze di una persona incappucciata e due grandi cerchi bianchi al posto degli occhi. Reggeva qualcosa tra le dita della sua mano tremante.
Poi insieme a Glyn superò la soglia della stanza e l’immagine del suo salvatore sparì.
«Chi era quello?»
«Non ne ho idea» gli disse il druido, che protese il braccio verso la parete e strinse la presa sulla manica di Damien.
Non ebbe alcun timore di finirci addosso, ma non era pronto per ciò che l’attese una volta che l’oltrepassarono. Quel vortice inteso che l’aveva risucchiato e risputato nel passato, adesso l’aveva di nuovo catturato nel suo frenetico vorticare. Cercò di rimanere aggrappato a Glyn come se da questo ne dipendesse la sua vita; ed era così. Ma era troppo debole, troppo provato dal Bacio del Dissennatore per mantenere una presa pulita.
Ancora una volta finì per essere rigettato e scaraventato via.
Stavolta, in una stanza ricca di colori e che riconosceva. O almeno, rimase contagiato da una profonda sensazione di familiarità per qualche momento. Quella era l’aula di Difesa contro le Arti Oscure. I tavoli erano stati accatastati agli angoli per fare spazio alla classe che la stava occupando. Maghi e streghe si trovavano nel bel mezzo di una lezione. Avevano tutti più o meno la sua età, eppure per Damien nessuno dei loro volti era familiare.
«Enunciate bene il nome di quest’incantesimo. È fondamentale che, qualora siate in una situazione di pericolo, ne abbiate padroneggiato i gesti e le parole. Quanto più rapidamente riuscirete ad evocarlo, tanto più la morsa della paura non avrà effetto su di voi» stava spiegando una voce maschile. «Di nuovo.»
«Riddikulus!!» ripeterono tutti in coro. Due ragazzi all’ultima fila sghignazzarono cercando di non farsi scoprire.
«Potter, Black. Vedo che vi state divertendo…»
Potter? Damien sbatté gli occhi, mentre un ragazzo dal viso familiare rifilava una gomitata al tizio riccioluto del duo. Effettivamente il ragazzo con gli occhiali era molto simile all’Harry Potter che aveva visto ritratto in milioni di riviste. I suoi occhi però erano diversi e tradivano un luccichio quasi febbrile. Anche l’amico riccioluto, Black, sembrava estremamente familiare, ora che ci pensava; dal modo in cui qualche strega li adocchiava, Damien era certo che Richie avrebbe saputo riconoscerli immediatamente; lui e Lucilla avevano un ossessione per il gossip che rasentava la malattia e quei… quattro ragazzi - sì, anche il Serpeverde minuto che si nascondeva dietro di loro -, avevano tutta l’aria di essere dei tipi che facevano parlare di sé.
Il ragazzo con gli occhiali, Potter, si schiarì la gola. «Ehm, sì, professore. Non è forse questo l’obiettivo di questa lezione? I Mollicci si sconfiggono con le risate.»
«Indubbiamente» gli rispose il… Professore?
Quando si girò, vide che effettivamente la Umbridge non c’era. L’uomo, in piedi vicino alla cattedra, era indecifrabile. Sembrava giovane, ma al tempo stesso c’era qualche ciocca bianca tra quei ricci neri e vivi. Occhi profondi e un viso che non avrebbe fatto fatica a catturare il cuore di qualunque strega volesse. Persino il suo portamento era magnetico, con quelle mani conserte dietro la schiena che mettevano in risalto una postura raffinata. Damien non aveva idea di chi fosse, ma era impossibile che un tipo del genere passasse inosservato.
- Deve essere un altro ricordo. -
«I Mollicci sono creature affascinanti. Hanno compreso che la paura è un’arma e possiedono l’ineguagliabile capacità di leggere nel cuore dei maghi e scoprire ciò che loro più temono. Avete mai riflettuto sulle loro impareggiabili abilità di metamorfosi? Vi siete mai interrogati su quanto intimamente essi siano legati al concetto stesso di magia? Essi possono esistere in molte forme. Possono replicare le abilità stesse della altre creature.»
«Senza questo incantesimo, sarebbe le creatura più pericolosa in questa stanza» rispose una voce sottile.
In molti si girarono verso la fonte: un ragazzo magrolino, dai capelli unti che gli cadevano sul viso e un naso adunco pronunciato. Al suo fianco, una strega dalla sfavillante chioma rossa annuì e prese parola: «Uno solo di essi potrebbe gettare questa scuola nel panico.»
«Molto bene. Il signor Piton e la signorina Evans hanno centrato il punto: la paura è un’arma temibile. Forse, è la più grande e pericolosa fonte di potere per un Mago Oscuro. Immaginate cosa significhi provare una terrore così intenso da cessare qualsiasi pensiero razionale. Temere a tal punto il proprio avversario non osare pronunciare neanche il suo nome. Sarebbe come affrontare una battaglia già persa in partenza. Ed è questa la vera forza della Magia Oscura: provocare paura.» Il professore guardò nuovamente verso Potter e Black. «Una volta che la paura s’insinua dentro di te, è difficile sconfiggerla con qualche risata. Talvolta, ridere non è che una… neanche così sottile manifestazione di paura.»
«Non è il mio caso» replicò Potter; Black rise insieme a lui.
«È chiaro…» replicò l’altro, con una voce melliflua che adesso assomigliava terribilmente a quella del professor Piton. «Sei più portato a terrorizzare i miei studenti, piuttosto che metterti nei loro panni. Dico bene, signor Potter?» Lentamente, il professore iniziò a liberare le braccia conserte. «Dev’essere difficile per uno come te provare empatia.»
Con la grazia di un serpente, il professore puntò la sua bacchetta contro il ragazzo di Grifondoro. Lui e il suo amico ebbero appena il tempo di inorridire, prima il professore enunciasse: «Tirannia.»
Gli effetti dell’incantesimo non furono subito visibili. Potter e Black rimasero immobili, quasi pietrificati sul posto. I tremori iniziarono dopo una dozzina di secondi. Violenti, spasmodici. Le pupille dei loro occhi si dilatarono in un modo che Damien trovò sinceramente in    quietante ed entrambi caddero a terra, girandosi e rigirandosi in preda alla disperazione.
Fu questo che la fece scattare. La ragazza dai capelli rossi, Evans, si precipitò verso di loro per accertarsi della situazione. Sembrava spaventata quanto loro, se non di più. Quando si voltò, aveva le lacrime agli occhi. «La smetta! Professor Voldemort, la smetta!»
Voldemort…
Per un attimo, Damien temette di non aver capito bene. Poi una scarica di adrenalina discese lungo la schiena e tutto ciò che lo circondava divenne più ovattato. Il suo stomaco si contrasse in una morsa feroce. Anche lui si voltò, lentamente, in preda al panico e al terrore più puro. Il più famigerato Mago Oscuro di tutti i tempi era proprio lì, davanti a lui. Un viso d’angelo e un’anima più nera delle pupille dei due Grifondoro che si rivoltavano nella paura. Anche Damien provò paura: un primitivo istinto di fuggire si fece strada attraverso di lui e le sue gambe si mossero da sole per indietreggiare.
Che cosa ci faceva lì il mago che aveva ucciso Cedric? Perché Silente gli aveva permesso di insegnare nel castello? Cosa stava succedendo?
Nonostante la sua nomea, Voldemort ebbe pietà dei due studenti. Sciolse l’incantesimo e per un po’ si limitò a osservare la giovane strega che si sincerava delle loro condizioni. Potter e Black apparivano provati dall’esperienza. Erano ancora a terra e nessuno dei due dava l’impressione di voler alzare la testa.
«Venti punti… saranno assegnati Grifondoro, signorina Evans.»
La strega si voltò immediatamente, come se fosse stata colpita da uno schiaffo. Nei suoi occhi verdi c’era un rancore che non poteva essere espresso a parole. «Ai professori non è concesso usare la magia contro i propri studenti.»
Voldemort annuì. «E ai maghi non è concesso usare magie che il Ministero ha severamente proibito.»
«Silente non approverà mai…»
«Silente mi ha assunto per insegnare a voi giovani studenti come difendervi dalle Arti Oscure ed è ciò che ho intenzione di fare. Il mondo al di fuori di queste mura pullula di maghi e streghe che ogni giorno cedono al suadente richiamo della magia oscura. Uomini e donne che non si faranno alcuno scrupolo ad usare la paura per fare del male. E se un giorno dovessero rivolgere i loro talenti contro i vostri cari. Resterete a guardare, mi domando? Tu, Lily Evans, sei rimasta a guardare?»
«Non lo farei mai.»
E all’improvviso, lo sguardo di Voldemort trovò Damien. Come se riuscisse a vederlo, come se la barriera tra presente, e un passato che non riusciva a concepire, si fosse assottigliata consentendogli di guardare al di là. «Perché il coraggio sarà sempre il nostro strumento più potente contro la paura. Ma la paura non è solo un’arma. Essa può essere uno scudo, impenetrabile quanto potente sarà il nostro bisogno d’impedire che i nostri peggiori incubi possano avverarsi.»
Una mano lo afferrò per il cappuccio della divisa da Tossorosso e lo trascinò via.
 
Un battito di ciglia e si ritrovò nella grotta. Accanto a Luna.
Era accaduto tutto così in fretta da lasciarlo scosso. Avrebbe avuto il fiatone, se il suo corpo non fosse stato paralizzato nell’apnea. La Corvonero lo stava guardando come se gli avesse appena fatto una domanda e si aspettasse una risposta. Quello che aveva visto, quello che aveva sentito… Possibile che lei non si fosse accorta di nulla?
«Ti senti bene? Hai la stessa faccia del tuo amico quando lo interroga il professor Piton.»
«I-Io… non lo so» ammise Damien. «F-Forse è il caso che torniamo indietro. Si staranno preoccupando.»

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