La lunga strada che mi porta a te

di Risa_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Ringrazio infinitamente @Bombybomey e @ClauAlbertini per i preziosi consigli.

FANDOM: Haikyuu!!
TITOLO: La lunga strada che mi porta a te
PERSONAGGI: Ushijima Wakatoshi, Oikawa Tōru
PROMNT: @Amalia frontali
se non ci fosse questa rete di mezzo...
Incontrarsi per caso vent'anni dopo
senza radici, senza lacrime
AVVERTIMENTI: metto le mani avanti, possibile OOC ma la mia volontà era di mantenere in IC i personaggi.

 

 

 Capitolo uno

 
 

Wakatoshi entrò nell’enorme loft in perfetto orario.  Lasciò il cappotto al cameriere ed entrò nel salone dove si teneva il ricevimento.
“Eccoti, Ushijima-san!” Kuroo Tetsuro lo salutò con il suo solito fare suadente; aveva i movimenti sinuosi di un gatto che aveva avvistato la sua preda, calmo e seducente si avvicinò sorridendo: “Benvenuto.”
“Grazie, come stai, Kuroo-san?” chiese cortese, Wakatoshi alzò lo sguardo sulla sala per trovare un argomento di conversazione, quando due spalle attirarono la sua attenzione.
“Lo sapevi?”
“Cosa?” Kuroo seguì il suo sguardo e il suo sorriso si allargò. “Intendi Oikawa-san; beh no, è stata una sorpresa anche per me. A quanto pare ha accettato di allenare i Tachibana Red Falcons all’ultimo minuto.”
Non gli importava granché il motivo. Rivederlo aveva risvegliato in lui tutto ciò che faticosamente aveva cercato di cancellare.
Certi amori non si dimenticano, rimangono scolpiti dentro, e ciclicamente ritornano nei pensieri. Basta poco: chiacchiere con l’amico di sempre, una parola in un libro, un volto di uno sconosciuto che gli somiglia, un incontro casuale.
Ushijima Wakatoshi era fermo nel tempo, incatenato ad un amore senza speranza.  Quando Oikawa Tōru si voltò verso di loro, gli sembrò di essere ancora un giovane illuso sperando di ricevere anche una briciola di quello che provava, ma invece era stato trattato come se fosse un rifiuto. Nonostante ciò, continuava ad amarlo come il primo giorno.
“Ushiwaka, che piacere rivederti!”
Il tempo era stato clemente con lui; conservava intatto il suo naturale fascino e le rughe d’espressione intorno ai suoi occhi caldi gli donavano un aria più matura.
“Non vedo l’ora di vedere i miei red falcons sconfiggere i tuoi razzi verdi, ah, ah, ah!”
“Noto con piacere che non sei cambiato affatto, Tōru.”
In quel momento Tsukishima Kei si avvicinò, “Tetsuro, puoi venire un attimo?”
“C’è qualche problema?”
Tsukishima si sistemò gli occhiali sul naso. “Il presidente vuole presentarti all’ente di beneficienza per cui stai organizzando il torneo.”
“Scusateci,” disse Kuroo rivolto a loro, suo marito, invece, fece un leggero inchino prima di seguirlo verso l’altra parte della stanza.
La Japan Volleyball Association aveva organizzato un piccolo torneo di beneficenza con le squadre della divisione uno, e Kuroo era il principale promotore. Il party di quella sera era uno dei tanti appuntamenti che rientravano nel programma per l’organizzazione.
“Ci sono tutti quelli che contano, non è così?” Tōru chiamò un cameriere e prese due calici uno per sé e uno lo offrì a lui.”  Wakatoshi alzò appena il calice prima di bere. “E’ importante anche curare le relazioni, questo Kuroo-san lo sa bene.”
Oikawa annuì: “Lo so, è un vecchio gattaccio furbo.” Il tono usato era di sincera ammirazione per quello che faceva in nome dell’amore per la pallavolo. Né Wakatoshi né Tōru potevano vantare un rapporto di amicizia oltre a quello professionale, eppure sapevano quanto Kuroo fosse leale, e legato alle sue amicizie, ma era anche capace di creare connessioni quando c’era di mezzo il semplice interesse.
 
“Sei tornato in Giappone, alla fine.” Era una semplice affermazione senza nessun tipo di allusione o significato nascosto, fatta per lo più per evitare un silenzio imbarazzante.
“Se per questo anche tu,” ridacchiò, osservava il salone pigramente senza un reale interesse per le persone e i loro discorsi, “da quando hai smesso di giocare in Polonia, intendo.”
“Non è la stessa cosa, tu hai lasciato tutto, cambiato nazionalità, è molto di più di giocare un periodo in un paese straniero.”
Oikawa alzò un sopracciglio: “Ti stai preoccupando per me?”
“Sì.” Wakatoshi era lapidario sempre, per questo rimase interdetto dalla sorpresa dell’altro. Tōru arrossì e distolse lo sguardo. “Non ho più radici, non ho più neanche lacrime.”
“Stai dicendo che riesci a lasciarti ogni cosa alle spalle senza soffrirne?” 
Oikawa si sistemò una ciocca castana dietro l’orecchio. “È più semplice, sì.”
La risata gli scaturì dal basso ventre con tale naturalezza che sorprese anche Wakatoshi. L’abilità di mentire a se stesso pur di lasciare agli altri l’immagine di forza e imbattibilità, era ancora sopraffina. Se avesse voluto avrebbe potuto continuare ad indossare quella maschera perfetta nascondendo le ferite davanti a tutti, tranne che a lui.
“È una balla.”
Tōru sembrò molto contrariato, lo fissò con il suo tipico broncio adorabile. “Non sai tutto di me, Wakatoshi.”
 “Ne so abbastanza, tu non vivi distaccato, ti affezioni a cose e persone, per te lasciarle andare è sempre doloroso,” svuotò il bicchiere e lo lasciò sopra un tavolino, “e non fare quell’espressione.”
“E perché mai?”
“Mi viene voglia di baciarti.”
“Ah? e al tuo dottorino non pensi?” lo sbeffeggiò Tōru.
“Kenjiro ed io ci siamo lasciati.”
La reazione di Oikawa fu quanto mai strana: l’espressione del viso si indurì dalla rabbia trattenuta, come se quello fosse stato un torto fatto alla sua persona.
“Cos’è successo?” chiese sommesso ma la sua testa era da un’altra parte.
La conversazione non aveva nessun senso: Oikawa non aveva nessuna ragione di essere geloso e nessuna ragione per essere dispiaciuto per lui. Aveva preso la sua decisione anni prima lasciandolo senza diritto di replica.
Kuroo interruppe il chiacchiericcio invitandoli ad avvicinarsi al tavolo per la cena. “Signori, accomodatevi, i posti sono assegnati.”
“Non ha funzionato,” rispose Ushijima; si sistemò la cravatta, e andò a sedersi al suo posto.
 
 
***
 
 
Gli occhi di Toruu continuavano a saltare dal suo piatto al volto di Ushijima; voleva riprendere la conversazione che la cena aveva bruscamente interrotto. Wakatoshi sedeva troppo lontano e comunque non avrebbero potuto parlare con tutte quelle orecchie indiscrete.
Mentre cercava una scusa per poter avvicinarlo di nuovo, si limitava osservarlo, mentre, completamente a suo agio ascoltava le chiacchiere di Uto-san, il presidente della Azuma Pharmacy Green Rockets la squadra che, l’ex capitano della Shiratorizawa, allenava ormai da circa dieci anni.
Erano passati vent’anni dagli Allstar 2022, quando la sua bellissima favola era cominciata. Se non ci fosse stata quella rete di mezzo, avrebbe potuto avere la storia che tutti sognano, come quella di tanti suoi amici, invece aveva preferito dar retta a quella sua insana voglia di rivalsa, dimostrare il suo valore a chi poi?  Ushijima non aveva fatto altro che lodarlo, Kageyama lo aveva sempre visto come un modello a cui ispirarsi, Iwa-chan e la sua squadra credevano in lui cecamente. Soltanto Oikawa non vedeva se stesso: eppure lo aveva compreso alla fine che il talento sbocciava in tante forme diverse in un tempo impossibile da stabilire.
 Era stato l’orgoglio a fregarlo.
Nonostante fosse diventato un giocatore professionista di alto livello e avesse mostrato il suo fulgore al mondo, ancora quel tarlo lo infastidiva, lo spingeva ad essere odioso con l’unico uomo che lo amava incondizionatamente. Aveva reso gli anni della loro relazione un inferno, tra la distanza e il suo brutto carattere; alla fine, si era fatto da parte, aveva scelto il silenzio sperando che Wakatoshi potesse essere felice come non era stato con lui. Tuttavia, quel suo sacrificio non era servito a niente.
“Dottorino da quattro soldi, ti odio.”
“Come dici Oikawa-san?”
Tōru aveva parlato ad alta voce senza accorgersene: Tsukishima lo stava guardando beffardo.  Non aveva voglia di raccontare i fatti suoi, perciò, mentì: “da quanto tempo non ci vediamo? dal matrimonio di Takeru e Nastu?”
Tsukishima, doveva ammettere, era bravo a fingere di aver creduto ad Oikawa e di non aver sentito la vera frase che aveva pronunciato.
“No, al compleanno di Hinata sei anni fa” rispose quello tranquillo.
“Ah, è vero! è stata una gran bella festa.”
Tsukishima tagliò un pezzo di carne, portò il boccone alla bocca e masticò lentamente. “All’epoca allenavi una squadra sconosciuta scozzese, mi pare di ricordare.”
“Ricordi bene,” disse sorridendo, “è stata una bella esperienza.”
Dopo il suo ritiro dal palcoscenico mondiale, aveva fatto di tutto per non ritornare in Giappone.  Aveva viaggiato parecchio, sud America, stati uniti, Europa, accettando un incarico dietro l’altro. Preferiva allenare squadre poco famose, basse in classifica per lavorare sodo per portarle a vincere il campionato oppure alzare il loro ranking. Poi, ottenuto l’obbiettivo, firmava il contratto con un’altra società.
Quando Shoyo lo aveva invitato alla sua festa, ne aveva approfittato per fare una bella vacanza per stare un po’ con i suoi.   Aveva pianificato ogni ora, ogni minuto di tutta la sua permanenza a Miyagi per impedirsi di correre a cercare Wakatoshi, pur di non rovinare il suo sacrificio. Doveva scoprirne di più.
“Invece, cosa si dice da queste parti?”  L’uomo lo fissò perplesso e Tōru fu più diretto: “qualche storiella divertente, novità piccanti…”
“Ti sembro uno che s’interessa ai pettegolezzi?” chiese Tsukishima incredulo.
“Non proprio… ma anche tu conoscerai qualche cosa dei presenti…”
“Ascolta Oikawa-san,” cominciò il quattrocchi spazientito, “sappiamo benissimo cosa t’interessa sapere, e sinceramente, visto che potresti andare a chiedere al diretto interessato, evita giri di parole.”
Colpito e affondato.
Oikawa alzò le mani in segno di resa. “Da quando Ushijima ha divorziato?”
“Tre anni fa, il motivo non lo so. Ushijima per ora è single.”
Aveva tutte le informazioni necessarie per agire, non si sarebbe fermato davanti a niente.
 
 
 
***
 
 
 
Ushijima fece scattare la serratura del auto con il semplice tocco della sua mano, aprì la portiera della sua auto. Tōru lo aveva seguito, ma si accorse di lui soltanto quando parlò: “te ne vai di già?”
Wakatoshi si raddrizzò. “Domani devo alzarmi presto e…” Tōru finì la frase al posto suo: “e non ami le feste.”  Si mise una mano sul collo, imbarazzato: “scusa, stavi parlando tu.”
“Non è un problema,” disse, “è vero non amo questo tipo di feste.”
“Cioè?”
“Le feste per intessere relazioni d’interesse commerciale. Sono indispensabili, ma preferisco presenziare quanto basta per non fare brutta figura.”  Tōru annuì comprensivo: “per il bene delle società ci vuole anche un buon marketing.”
Cadde un silenzio innaturale, non avevano nulla da dirsi ma nessuno dei due si convinceva a salutare ed andarsene. Alla fine, Wakatoshi chiese: “volevi dirmi qualcosa?”
Era più una speranza mai morta.
“Perché ti sei lasciato con Shirabu?” Chiese a bruciapelo Oikawa, alzò un dito per impedirgli di parlare, “sì non ha funzionato, ma cosa di preciso?”
“Perché ha tanta importanza?”
“Perché volevo vederti ridere.”  Le labbra tremavano, gli occhi erano accesi da una luce rabbiosa, il viso segnato delicatamente dagli anni sembrava ancora più bello. “Il tempo per stare insieme era sempre troppo poco, non ti bastava mai, ed io troppo concentrato sulla carriera per darti retta, ero così preso da me stesso nella speranza di eguagliarti e finalmente superarti…”
Oikawa fece una pausa, chiuse gli occhi, li riaprì. “Speravo davvero che tu potessi cominciare una nuova vita come la volevi, quella che non potevo darti io.”
“Quella che non hai voluto darmi,” lo corresse Wakatoshi. Chiuse la portiera dell’auto, e si appoggiò con una spalla all’automobile.  “Dopo il tuo ritiro avresti potuto tornare a vivere in Giappone; avremmo potuto scegliere un alternativa che avrebbe permesso di vivere insieme ma tu hai deciso per entrambi, troncando di netto la nostra relazione.”
Non aveva mai voluto legare Tōru a sé impedendogli di fare la carriera che voleva, costringerlo a tornare a casa quando ancora giocava. Vivere lontani era difficile, non poteva negarlo ma per amore suo aveva tenuto duro. Quando davanti a loro si era aperta la prospettiva di poter vivere sotto lo stesso cielo, Tōru era fuggito.
“Non sono un tipo facile, l’hai sempre saputo,” obbiettò Tōru, per una volta Wakatoshi non gli permise di vincere quella battaglia: “è la cosa che amo più di te, non cercare scuse inesistenti.”
Tōru rimase zitto, poi annuì meccanicamente. “Hai ragione.”
Wakatoshi rimase sorpreso dalla sua ammissione: si era aspettato di dover lottare molto di più per far valere le sue ragioni.
“Mentre tu volevi il passaggio successivo, io non ero pronto a mettere su famiglia; avere una casa, magari un cane da portare a passeggio, dividere i compiti in casa, passare le sere davanti alla tv, o fare cene per amici e parenti. Mi sembrava una sconfitta. Tutto girava intorno a te, e mi faceva sentire debole.” Tōru si avvicinò, le mani nelle tasche dei pantaloni, più deciso che mai. Continuò: “Per questo ti ho lasciato; non eri felice e non potevo sopportarlo. Ho preferito vederti con un altro.”
E Kenjiro era pronto a prendere il suo posto, non completamente; non avrebbe mai potuto essere ciò che era Tōru, ma era serio e posato, con i suoi stessi interessi e gli stessi progetti.  Era stato facile costruire il loro mondo, ma altrettanto facile era stato chiudere la porta ed andare avanti.
“Dunque vuoi sapere perché il mio matrimonio è finito.” Oikawa fece cenno di sì con la testa, Ushijima lo accontentò. “Non mentirò; sono stato felice con lui, ma le cose non vanno sempre come pianificato. Ci siamo allontanati un po’alla volta e alla fine la separazione è stata l’unica scelta da fare.”
“Bene” disse Oikawa. Gli afferrò la cravatta di seta e lo attirò a se in un bacio rovente. “Visto che il dottorino non è riuscito a tenerti con se, ti riconquisterò.”  Lo lasciò la presa sulla stoffa; con un cenno lo salutò e tornò alla festa.

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


#bingospring   #fuorichallenge

FANDOM: Haikyuu!!
TITOLO: La lunga strada che mi porta a te
PERSONAGGI: Ushijima Wakatoshi, Oikawa Tōru
PROMNT: @Elena Altamura
Ossessione
Slogarsi un polso è cosa da nulla, che succede se invece capita ad un campione?
Capitolo uno: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4051489&i=1
PREMESSA: Non ho trovato informazioni su quanto una slogatura al polso possa influire su un pallavolista perché non è tra i principali problemi che affligge chi gioca in questo sport. Ma trattandosi di un alzatore ho creduto possibile che possa dare problemi seri. Ma non ho molte conoscenze in merito, perciò spero sia comunque credibile.


 

Capitolo due

 
 
 
Allstar 2022, Tokyo
 
Oikawa Toruu sventolava il suo asciugamano, fischiettando, mentre si dirigeva verso gli spogliatoi.  Era soddisfatto di come era andata la partita: si era divertito molto di più di quanto si fosse aspettato.
Si accorse quasi per caso che, poco più in là, Ushijima camminava nella stessa direzione.  Gli si fermò davanti quando anche Ushiwaka si accorse della sua presenza.
Tōru appoggiò l’asciugamano su una spalla. “Ushijima, posso parlarti?”
Wakatoshi fu sorpreso di essere stato interpellato proprio da lui, annuì pronto ad ascoltarlo.
“Cosa ne dici del mio inutile orgoglio?” chiese. Wakatoshi sorrise con una luce negli occhi che non aveva mai visto prima in lui: “è meraviglioso.”
“Ah, ah, ah! puoi dirlo forte!”
Una mano comparsa dal nulla colpì sia la sua schiena sia quella di Wakatoshi spingendoli in avanti. Iwazumi si era frapposto fra loro. “Non è il caso di deporre l’ascia di guerra?”
“Non so di cosa stai parlando, Iwa-chan…”
Il preparatore atletico della nazionale giapponese ridacchiò: “non fare il finto tonto, smettila di essere insopportabile con Ushijima.”
“Sai questa tua amicizia con Ushiwaka non mi piace per niente.”
Gli altri due si scambiarono un’occhiata complice. “Forse uscire a bere qualcosa aiuterebbe a risolvere, vi andrebbe?” chiese Wakatoshi.
Iwazumi scosse la testa: “è un ottima idea, ma non posso, andate voi. Ma mi raccomando non accoltellatevi.”
“Beh, se non vai tu…” provò a dire ma la mano di Iwa-chan strinse ancora più forte la sua spalla; Oikawa dovette fare marcia in dietro. “… sarò felice di fargli compagnia io.”
Appena Ushijima scomparve dietro la porta degli spogliatoi della squadra B, l’alzatore si voltò verso il suo migliore amico. “Si può sapere cosa ti è preso?”
Iwazumi non smetteva di fargli paura quando i suoi occhi si infiammavano; all’occhiataccia di Iwa-chan indietreggiò un poco e tacque all’istante. L’amico sbuffò: “smettila con questi comportamenti puerili, potresti conoscere una persona interessante,” gli puntò un dito nel petto, “comportati bene o ti prenderò a calci.”
Oikawa prendeva seriamente ogni sua minaccia, perciò, si mise sulla attenti e annuì: Signorsì.”
Quella che doveva essere una semplice bevuta in un bar o in un pub, quattro chiacchiere veloci poi ognuno a casa sua, si trasformò in una cena super lusso nel ristorante più famoso di Tokio.
“Conosci il proprietario per caso?» chiese Toruu sbalordito, “per mangiare qui bisogna aspettare mesi!”
 “Una specie,” rispose, “è un conoscente fan dei Schweiden Alders: per la squadra ha sempre un tavolo disponibile.”
Il maître li accompagnò al loro tavolo. “Ecco il menù, chiamate quando siete pronti.”
La lista delle pietanze era altisonante e interessante come l’uomo seduto di fronte al lui. Era abituato a vederlo a quadretti, un immagine rimasta impressa nella sua mente: lui col sedere per terra e Ushiwaka svettava in piedi, dietro la rete, con la sua tipica espressione marmorea dipinta nel volto.
In quel momento era rilassato, sempre padrone di sé, e la cosa lo faceva imbufalire non poco, però sembrava molto più umano e meno uomo bionico.  Notò i dettagli degli occhi, il taglio allungato, il colore cangiante, le labbra sottili ma ben disegnate, la mascella forte e squadrata e le spalle larghe: era la virilità fatta a persona.
“Cosa prendi?” gli chiese Ushijima; Tōru stizzito dai suoi stessi pensieri chiuse il menù di scatto: “decidi per me, sorprendimi.”
Ushijima lo fece.  “Prendiamo, gambero rosso con estratto di mandarino, fiori di salvia e ananas; per secondo, l'aragosta blu al vapore con alghe,” ordinò al cameriere e gli restituì il carnet.
Riuscì a comprendere i suoi gusti senza esitazione; indovinò ogni portata che Oikawa stesso avrebbe scelto, con suo sommo dispiacere. Cercava disperatamente un suo solo difetto, nonostante le persone sincere ed oneste come lui non ne avevano.  Voleva che fosse noioso, antipatico, presuntuoso, invece la sua conversazione era brillante, la sua fiducia in se stesso era basata su fatti inoppugnabili e in lui non c’era un briciolo di boria. Era un cuore puro secondo solo a Tobio-chan.
“La partita è stata davvero interessante,” cominciò Ushijima. Oikawa non si lasciò scappare l’occasione per’ schernirlo: “ovvio ti ho stracciato!”
Ushiwaka rise: aveva una bellissima risata e Tōru si maledì per averlo pensato.
 “È stata un’esperienza istruttiva e molto soddisfacente. Kuroo dovrebbe organizzare altri eventi simili.”
Oikawa fu d’accordo. “Un ottimo allenamento, e poi hai visto la gente? È bello sapere che il nostro gioco fa amare la pallavolo.”
 “È una bella sensazione,” confermò Ushiwaka, “anche se l’ho capito tardi.”
“Oh?”
“Un bambino mi ha detto che il mio modo di giocare e la pallavolo erano noiosi; ci sono rimasto male.”
Tōru rischiò di soffocare con un sorso di vino.  “Non ci posso credere! Voglio sapere di più,” si sporse sul tavolo con gli occhi brillanti, “quando è accaduto?”
“Qualche anno fa, gli ho fatto un autografo e quel giorno ho capito che avevi ragione tu,” rispose con un tono basso, di una dolcezza disarmante.
La risatina di Tōru si spense immediatamente; il cuore gli si era stretto in una morsa. Gli faceva scaturire sentimenti talmente forti e contrastanti che Tōru non era capace di contenere e finivano sempre per travolgerlo. L’ossessione che non faceva dormire la notte, un pensiero ricorrente durante le ore del giorno, mentre correva, si allenava, giocava, qualsiasi cosa facesse. Era sì il desiderio di batterlo, ma c’era anche quel sentimento strisciante, invadente, che cercava inutilmente di cacciare indietro perché era insopportabile.
“Lo so, non ho bisogno che me lo dica tu.”
Ushijima scosse la testa: “non è per te ma per me, finalmente ho capito dove sbagliavo; la forza e la tecnica non bastano per giocare a pallavolo; sono necessari anche passione e affiatamento. Probabilmente non avresti dato il tuo massimo alla Shiratorizawa.”
Boom.
Davanti a lui era comparsa una creatura misteriosa con la stessa faccia del suo acerrimo rivale, come faceva ad essere sprezzante ora?  La sua resistenza venne meno talmente tanto che alla fine della serata Tōru accettò di rivedere Ushiwaka.
“Quando parti?” chiese Ushijima.
 Tōru gli scoccò un’occhiata guardinga. “Hmm…rimarrò qui fino alla metà di settembre. Perché?”
“Vuoi uscire con me?”
Tōru fu colpito alla sprovvista da quella richiesta e non fece in tempo a trovare una frase tagliente per troncare di netto ogni possibilità. Wakatoshi fu più veloce. “Mi piaci, vorrei conoscerti meglio.”
“Se avrò tempo, Ushiwaka, perché no?”
“Wakatoshi.”
Oikawa sospirò, forse il vino forse la soddisfazione della vittoria, o l’ammissione che aveva ottenuto come regalo, acconsentì. “Wakatoshi sia… è stata una bella serata, grazie.” Si voltò per andarsene, poi ci ripensò. “Ci vediamo venerdì alle 18:00, vienimi a prendere in Hotel.”
“Ci sarò.”
 
 
 2028 – Hospital for Special Surgery, New York
 


Il dottor Sullivan osservava attentamente la radiografia; borbottava fra sé parole che Tōru non riusciva a comprendere.  Ushijima gli stringeva la mano sana nel vano tentativo di consolarlo.
Durante una partita di allenamento era caduto procurandosi una slogatura al polso; in un primo momento Tōru pensò fosse una semplice distorsione curabile con il ghiaccio, tuttavia, erano passate parecchie settimane ma la sua mano non cessava di essere gonfia e rossa e il polso faceva un male cane. Ushijima aveva preso per lui un appuntamento nel miglior centro ortopedico del mondo e aveva trascinato a forza il suo fidanzato a fare una visita.
L’esame clinico aveva individuato due possibili situazioni: una frattura o una lesione legamentosa senza però dare un risultato certo. Così Tooru aveva dovuto fare una radiografia per indirizzare ulteriormente la diagnosi verso uno o l’altro esito.
“Allora dottore?” chiese Wakatoshi al suo posto.
Il medico si voltò verso di loro. “E’ una lesione legamentosa,” disse, “da quello che posso vedere, è anche abbastanza severa, per cui avrà bisogno di un intervento chirurgico. Prima però, dovrà sottoporsi ad esami più specifici.”
 Visto che Oikawa continuava a fare scena muta, Wakatoshi chiese: “Per cosa sono utili questi esami?”
“Servono per capire bene dov’è la lesione legamentosa, qual è l’entità del danno, per poi procedere con l’intervento chirurgico nel modo più mirato possibile. Ad esempio, se dovrò riparare il legamento, oppure in caso di una rottura, rinfilarlo nell’osso.”
“Ma guarirò?” Tōru chiese di getto, “e quanto tempo ci vorrà?”
“Dipende dalla complessità delle lesioni. Nei casi più gravi potrebbero volerci dalle 8 alle 10 settimane, con buone probabilità di riprendere la totale funzionalità del polso.”
Tōru tirò un sospiro di sollievo. “Bene, potrò tornare a giocare.”
Il dottore tossì. “Beh, questo tipo di lesioni non è tipico per un giocatore di pallavolo, però dovrà considerare che, essendo lei un alzatore, potrebbe comunque avere problemi a tornare a giocare ai suoi livelli. In ogni caso, è presto per fare previsioni precise.”
Senza dirlo l’ortopedico stava dicendo: “Se fossi in lei, considererei un ritiro.”
Il dottore prese un appuntamento per fare una risonanza magnetica e uno per dare a lui il modo di visionarla. Sarebbero rimasti a Ney York per un'altra settimana.
“Grazie dottore,” disse Ushijima.
Uno scambio veloci d strette di mano e furono fuori dallo studio medico.
Oikawa camminava veloce dribblando le persone che incontrava, quasi senza rendersene conto. Voleva uscire più in fretta possibile dall’ospedale. Wakatoshi lo teneva per il braccio, quello sano, stando al suo passo.
Finalmente all’aria aperta, Tōru disse: “scordatelo.”
“Possiamo aspettare di arrivare in hotel?” chiese. Non aveva bisogno di capire a cosa si riferisse il suo ragazzo, conosceva troppo bene la sua testardaggine. Non stava evitando l’argomento, ma voleva discuterne in un posto più tranquillo.
Infatti, appena giunti nella loro camera disse: “potresti almeno considerare l’idea.”
Tōru afferrò la rivista Monthly Volleyball dal tavolo, dove l’aveva lasciata, brandendola come una spada. Era il numero in cui Wakatoshi annunciava il suo ritiro. “Dovrei fare come te? Non è la stessa cosa! Non esiste che io smetta di giocare proprio ora.”
“Fare come me? Intendi accettare che il mio fisico non abbia più vent’anni anziché andare avanti ad oltranza?”
Si prospettava una delle litigate epiche che li contraddistingueva. Tutto nel contegno di Wakatoshi lasciva presagire che non avrebbe mollato l’osso: voleva farlo tornare alla ragione.
“Beh, io…” balbettò non trovando la risposta adatta, “cosa dovrei mettermi a fare? So solo giocare!”
“Non è vero, ci sono moltissime cose che puoi fare. Non solo professionalmente, pensa a quello che potremmo fare insieme.”
Eccolo di nuovo ad un bivio, quello che aveva evitato per sei anni; dire addio alle lunghe chiamate, ai viaggi interminabili per stare insieme la metà del tempo, niente più litigi per appuntamenti mancati e smettere di patire l’assenza. Svegliarsi insieme la mattina, andare a correre insieme e tutto il tempo libero a loro completa disposizione sembrava il paradiso. Ma tutti i desideri hanno un costo da pagare e per Tōru il conto era troppo salato.
Gli montò una rabbia indescrivibile, eccolo di nuovo ad un passo indietro all’aquila reale: lui seduto per terra mentre Wakatoshi rimaneva in piedi.  Quest’ultimo si ritirava per scelta mentre lui era costretto al ritiro.
“Ma non capisci? È la peggior sconfitta! Posso guarire!”
“Perderai comunque la stagione Tōru.  Dovrai smettere di allenarti per un periodo troppo lungo perché tu possa riprendere a giocare ai tuoi livelli. Vuoi davvero continuare sapendo benissimo che finirai come quei giocatori consumati e sfiniti, che si accontentano delle briciole?”
La risposta era ovviamente no.
“Tōru so che è difficile,” Wakatoshi si avvicinò ma Oikawa lo rispinse, “lasciami in pace! voglio stare da solo,” scacciò via la mano del suo uomo, e si rinchiuse nella camera da letto della suite, sconfitto e perso.
Decisero di rimandare ogni decisione a quando il dottore avrebbe potuto dare una diagnosi certa: quella arrivò come un proiettile nel petto.
“Mi dispiace Oikawa-san ma la sua distorsione è di terzo grado, la forma più grave. Due legamenti lesionati, di cui uno completamente fuoriuscito dall’osso, l’altro è danneggiato in maniera consistente,” era stata la diagnosi definitiva del Dr. Sullivan dopo aver visionato le lastre della risonanza.
Possibilità di tornare a giocare: Zero.  L’intervento chirurgico poteva ridare la completa mobilità al suo polso ma non avrebbe potuto più sopportare gli sforzi a cui era abituato. Game over per Oikawa Tōru.
“Sei sicuro di voler tornare a casa?”
Oikawa fissava il tutore al polso e non alzò lo sguardo sul suo ragazzo. “Cosa dovremmo fare qui? l’intervento è fra un mese.”
“Prendersi qualche giorno in più e visitare New York,” propose Wakatoshi.
“Non sono in vena di fare il turista,” sputò velenoso, “come te che sembri quasi contento.”
Ushijima fece per dire qualcosa ma cambiò idea, disse solo: “compro i biglietti.”
 

Sei mesi dopo…


“Mi hanno offerto un contratto come allenatore in Brasile, ho deciso di accettare.”
Ushijima era seduto sul divano, gli occhi vitrei ed inespressivi. “Hai già firmato?”
“No, ma è cosa fatta, ho deciso e non tornerò indietro nelle mie posizioni.”
“Non ci ho pensato lontanamente, Oikawa Tōru pensa solo a se stesso, “disse Wakatoshi, “cosa ne sarà di noi?”
“Sii forte, è la decisione migliore” pensò.
L’intervento era andato bene e quando era completamente guarito aveva iniziato a pensare a cosa fare della sua vita da quel momento in poi. Nessuna delle prospettive che gli proponevano sembravano allettarlo, e più rimaneva a riposo più si sentiva un leone in gabbia. IL suo malumore continuava a crescere, le litigate con Wakatoshi aumentavano di frequenza sempre di più. Non poteva funzionare, se fossero rimasti insieme avrebbero finito per bruciare qualsiasi cosa.
Drizzò le spalle: “E’ da un po’ che ci penso, ma non sono più sciuro di amarti…” si bloccò; perse il coraggio di fronte a quella menzogna spudorata.
“Di quello che devi dire, fallo ora,” la voce di Ushijima era tagliente come una lama, Tōru era bravo a farlo arrabbiare, ma non era il giorno giusto. “Penso sia meglio chiuderla qui,” disse.
Aveva cercato la fine ed ora l’aveva ottenuta; Wakatoshi si alzò e si diresse verso la porta prima di andarsene, si voltò, e disse: “Non ci credo a quello che stai dicendo, ma se è quello che vuoi, va bene. Ti amo, ma non posso perdere la stima in me stesso, pregandoti di restare. Addio, Tōru.”

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


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TITOLO: La lunga strada che mi porta a te
PERSONAGGI: Ushijima Wakatoshi, Oikawa Tōru
PROMNT:
@MartaBiagini
Vittoria amara
Acqua alta
Oltre il muro
@Elena Altamura
“Vorrei dire che non è stata colpa mia, ma il colpevole lo trovo riflesso nello specchio ogni giorno.”
@FedericaRayColombo
“Che ne diresti di provarci insieme?”
CAPITOLO UNO: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4051489&i=1
CAPITOLO DUE: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4051931
PREMESSA: Sono partita con un idea ben precisa in testa, sia come rendere bene i prompt sia come concludere la fic, e spero di averla resa al meglio. Chiedo scusa per eventuali errori (segnalateli pure) fuggiti al mio controllo (li vedo sempre dopo).
 

Capitolo tre

 
 
Oikawa Tōru sistemò le sue cose in un borsone e uscì dalla palestra dei Falcons. Come sempre era l’ultimo ad andarsene; era una vecchia abitudine del liceo, dettata non solo dalla sua dedizione, ma essere l’ultimo a sistemare ogni cosa per il giorno successivo, aveva il magico potere di schiarire i suoi pensieri.
E di cose su cui riflettere ne aveva molte.
Quando aveva accettato di allenare i Red Falcons, non pensava che avrebbe potuto riassemblare tutta la sua vita nel modo corretto, riavere ciò che aveva perduto anni prima.  Tornare a casa sua era stato un modo per non affogare nell’acqua alta, trovare un posto per riprendere il respiro.
Poteva vantare una carriera ineccepibile, sia come giocatore sia come allenatore. Di premi, coppie poteva tappezzare un intero palazzo, eppure il sapore della vittoria rimaneva sempre amaro.
Gli ultimi anni erano stati davvero faticosi, non avere altro che il lavoro lo stavano consumando. Non si fermava mai in un posto per più di cinque anni, e sentiva mancargli le forze ogni giorno sempre di più.  Non sapeva più cosa facesse, dove andava e nemmeno perché. Intorno a lui spesso le cose diventavano sfuocate, lontani e indistinguibili, i volti dei ragazzi, la sua stessa voce diveniva un mormorio indistinto, ogni cosa non aveva più il minimo significato, nessuna importanza.  Aveva perso completamente il controllo della sua vita, non era più lui l’artefice del suo destino. Così aveva deciso di prendersi una pausa: tornare alle origini, almeno avrebbe avuto la sua famiglia e gli amici, anche se quello significava rivedere senz’altro Wakatoshi. Tōru si era promesso di essere forte: avrebbe fatto l’indifferente e forse sarebbero potuti tornare ad un rapporto cordiale ma strettamente professionale.
Il suo brillante piano, invece, era fallito al primo incontro con Ushijima.  Dentro di sé Tōru non poté soffocare la speranza di riappropriassi di un’opportunità che si era negato.
Non si pentiva di nulla se non di quell’unica scelta; aver lasciato l’uomo che amava era il suo peggior rimorso. Se ne era pentito nel momento stesso in cui aveva preso quella decisione, ma era troppo testardo per lasciare perdere.
Aveva ragione Wakatoshi quando lo accusava di essere fuggito. Poteva accampare mille scuse, non era pronto ad un passo del genere, si sentiva schiacciato nel dover prendere quella decisone forzatamente ma la verità che voleva essere il sole al centro dell’universo.  Quando era con Wakatoshi l’asse inevitabilmente si spostava: Tōru diventava un piccolo girasole che si muoveva dove il sole andava.  Senza la pallavolo rimaneva spogliato ed inerme di fronte a qualcosa di così grande e potente.
Ma ora finalmente aveva la preziosa occasione di rimediare agli errori.
Prese il su smartphone dalla tasca dei pantaloni. Il numero di Ushijima era sempre lo stesso, Iwa-chan glielo aveva confermato. Tōru compose il numero e Wakatoshi rispose dopo tre squilli. “Ciao Tōru.”
“Hai ancora il mio numero?” chiese sorpreso. Aveva questa insana idea che, dopo la loro rottura, Wakatoshi avesse distrutto qualsiasi cosa lo riguardasse.
Wakatoshi tagliò corto. “Posso fare qualcosa per te?”
 “Ti andrebbe di uscire?”
 Ushijima fece una lunga pausa prima di chiedere: “Fai sul serio?”
Oikawa scoppiò a ridere. “Ti riferisci a quello che ti ho detto l’altra sera? Certo che faccio sul serio.”
“Mi dispiace Tōru, non credo che possa far bene tornare insieme, a nessuno dei due.”
“Mi hai chiesto se faccio sul serio perché pensi che io stia giocando con te?” chiese Tōru dolcemente. Non c’era biasimo né rabbia ma solo comprensione.
 “No, non lo penso,” rispose, “in ogni caso credo che non sia la scelta giusta.”
“Perché allora?”
 Oikawa non poteva vederlo ma immaginò Wakatoshi sistemarsi lo smartphone tra la spalla e lo orecchio; prendere il bicchiere di vino e poggiarlo davanti alla sua cena, perché di sicuro a quell’ora stava cenando, poi sedersi su uno degli sgabelli introno all’isola della cucina.
“La domanda giusta è perché adesso, Tōru? Cos’è cambiato? E perché proprio adesso?” disse, “con te mi sembra sempre di stare ad un passo nel vuoto, e non riuscirei a sopportare un’altra volta una tua fuga. Puoi comprendermi?”
“Certo che posso! Lo so che io…accidenti!”  la voce di Tōru era cristallina, “quindi è un rifiuto?”
“Si.”
Oikawa annuì al vuoto. “Okay…ci vediamo, buona sera.”
 
***
 
 
 
Se Wakatoshi pensava di aver finito con quella chiamata ogni discussione sulla possibilità di riprendere la vecchia relazione, si sbagliava di grosso.
In sei anni di relazione, Wakatoshi non si era mai sentito tanto corteggiato nonostante Tōru non facesse nulla di eclatante: mandava messaggi, trovava sempre la scusa giusta per chiamarlo; si interessava alla sua vita, ai suoi interessi, a come stava. Incredibilmente riusciva ad incontrarlo con finta casualità, una quantità di volte impressionante. 
“Questa conferenza è interessante!” esclamò Tōru mentre prendeva la tazzina di caffè, “grazie di avermi invitato, Iwa-chan.” Il diretto interessato bofonchiò qualcosa di incomprensibile, nascondendosi dietro il suo bicchiere di spremuta d’arancia. Wakatoshi sospettava che Oikawa avesse chiesto di essere invitato.
Si voltò verso Kageyama Tobio cercando un diversivo dal suo ex compagno. “Come sta Hinata?”
Tobio sorrise ignaro. “Bene, Shoyo ha parecchio da fare con le Lil' Tykes Volleyball Class.”
Tōru si intromise: “me ne ha parlato la scorsa settimana; ha detto che ci sono parecchie leve interessanti!”
La pallavolo era l’argomento di conversazione che più amavano, il legante che li teneva uniti. Cominciarono a parlare dei prossimi nazionali liceali e dei giocatori più promettenti del momento.  Quando Wakatoshi li guardava giocare, animarsi per ogni punto, innervosirsi per ogni muro subito, provava un moto di nostalgia del tempo in cui anche lui giocava su quel primo palcoscenico.
“Vi ricordate quando eravamo così giovani innocenti?”  chiese Tōru con lo sguardo perso nel vuoto.
Hajime aggrottò la fronte: “tu innocente? E quando?”
“Certo che lo sono stato!” Tōru puntò un dito contro Tobio, “e tu non stare ad annuire per dargli ragione!”
“Devi ammettere che innocente non è proprio il primo aggettivo a cui penseresti per descriverti,” notò Wakatoshi.
“Ti ci metti pure tu?”
La discussione continuò fino alla fine della pausa pranzo. Doveva ammettere che avere intorno Tōru era… piacevole e divertente.  Non c’era disagio, imbarazzo ma sembrava naturale come se non si fossero mai lasciati.  E questo lo spaventava; montava in lui il desiderio di riprovarci e tuttavia la ragione lo sconsigliava di farlo.
I vasi rotti non possono essere aggiustati.
“Ci vediamo…” cominciò Tōru finita la conferenza, ma Wakatoshi lo bloccò: “te l’ho già detto non credo sia il caso…”
“Wakatoshi parlavo della partita…” disse perplesso Oikawa.
Ushijima si diede dell’idiota: la prossima partita dei Green Rocket era contro i Red falcons di Oikawa. Era talmente concentrato nel pensare ad un modo per rifiutare gli inviti di Tōru da farlo in automatico. Eppure, nonostante avesse avuto molte occasioni per farlo, l’ex alzatore non aveva ancora fatto nessuna nuova proposta.  Non lo aveva assillato con continue richieste, anzi sembrava attento a ricucire un rapporto strappato con minuzia e pazienza.
“Si, hai ragione, scusa…”
“Beh, non posso darti torto, è vero che spero in un tuo sì.”
 
***
 
“Signore e Signori Benvenuti! I Azuma Pharmacy Green Rocket sfideranno i Tachibana Red Falcons,” esclamò lo speaker dalla sua postazione privilegiata, “ecco le formazioni!”
I red falcons erano la squadra ospitante e furono presentati per primi; Ushijima rimase con lo sguardo fisso davanti fino a quando il giornalista non nominò il suo ex compagno.
“Sono guidati Oikawa Tōru, tornato in Giappone per allenarli!” Tōru salutò la folla con il suo fare suadente e frivolo, poi si sedette sulla panca osservando i suoi ragazzi sfilare con i piccoli bambini.
Non c’era giorno in cui Wakatoshi non lo avesse pensato, aspettando la prossima occasione di rivederlo. Se ne vergognava profondamente ma il potere che Oikawa aveva su di lui non era diminuito affatto.  Pur essendone consapevole, Tōru non ne aveva approfittato, era rimasto ai margini senza oltrepassare mai la linea sottile che Wakatoshi aveva tracciato tra di loro. Ed eccoli l’uno contro l’altro come allenatori.
Fin dalla prima azione, Ushijima notò la presenza del direttore d’orchestra: la squadra avversaria si muoveva in sinergia, fluidi come se fossero un solo uomo e una sola testa. Quel tipo di gioco tanto diverso dal suo ma che amava osservare ed ammirare.  Arrivarono a giocare il quinto set, con un divario di punto davvero minimino, ma i green rocket riuscirono a vincere.
“Bella partita” Tōru si avvicinò con la mano tesa, “la prossima volta vinceremo noi.”
Ushijima gliela strinse. “Un tempo, non l’avresti presa così bene,” notò. Tōru alzò le spalle, “sono cresciuto, e poi mi porterai a cena fuori per consolarmi!”
L’avances arrivò talmente improvvisa che Wakatoshi non riuscì a reprimere uno sbuffo divertito. “Tōru…”
“Sto scherzando…” si difese l’altro, “però davvero dovremo uscire una volta; non ci siamo mai davvero chiariti, perciò voglio farlo, se poi vorrai non ti infastidirò più.”
Il problema era che non voleva che smettesse di farlo, almeno il suo cuore. “Va bene, dove?”
Oikawa fece l’occhiolino. “Sorpresa!”
 
***
 
Wakatoshi guardò perplesso le norme cupola grigia posizionata al centro del maestoso edificio. Perché scegliere un acquario per vedersi?  Se il suo obbiettivo era sorprenderlo, Tōru c’era riuscito alla grande.
“Andiamo?” lo invitò Oikawa con un gesto del braccio, “è un ottimo posto per parlare.”
L’acquario era enorme: oltre al foyer ben illuminato dove acquistare i biglietti e un negozio di souvenir, al piano rialzato c’era un’enorme caffè. Dal basso, Wakatoshi poteva vedere la folla di persone che sedevano ai tavoli; parlare con quel chiasso sarebbe stato difficile. Il suo accompagnatore aveva però altri programmi; acquistò due biglietti e si diresse verso l’ingesso che portava alle vasche.
Fu come entrare in un altro mondo fatto di luci soffuse, calma e silenzio; i visitatori parlavano piano ma per lo più rimanevano rapiti dalle creature straordinarie che nuotavano nelle vasche trasparenti.
Wakatoshi era rimasto colpito da un branco di pesci dalla forma particolare, quando Tōru gli rivolse la parola: “Vorrei dire che non è stata colpa mia, ma il colpevole lo trovo riflesso nello specchio ogni giorno.”
Ushijima si voltò verso Tōru, ma anche lui stava fissando lo stesso branco di pesci che aveva colto la sua attenzione. “Non volevo smettere di giocare, non accettavo l’idea di dover abbandonare lo sport che più amo per vivere una vita fatta, magari, di un altro lavoro, casa e famiglia con te.”
“Soprattutto con te,” ribadì Oikawa.
Wakatoshi provò un moto di delusione e di dolore profondo: “mi odiavi ancora nonostante tutto?”
“No! Non hai capito ancora quanto sono meschino?”, esclamò l’ex alzatore voltandosi a guardarlo, “ti ho sempre amato ma tu eri il muro contro cui mi sono scontrato finendo con il perdere ogni singola volta; mi ricordavi il mio senso di inadeguatezza, qualcosa di cui ho sempre faticato a superare. Così ho sempre cercato di allontanarti nonostante farlo mi costasse dolore e lacrime.”
Wakatoshi inspirò; proseguirono il giro fino alla vasca delle balenottere mentre osservavano uno splendido esemplare chiese: “mi hai spiegato perché mi hai lasciato, ma non mi hai spiegato perché dovremmo tornar insieme adesso…”
“Non ti ho detto tutto; sono già tornato sui i miei passi una volta.”
Le spalle di Wakatoshi si irrigidirono. “Cosa intendi dire?”
Circa un anno dopo Tōru tornò in Giappone per ricucire la sua relazione con Wakatoshi: si era reso conto di quanto fosse stato stupido a lasciarsi frenare da sentimenti tanto irrazionali.
“Ti ho cercato ma tu avevi iniziato a frequentare Shirabu, sembravi felice e mi sono chiesto: con che faccia tosta torni a rovinare ogni cosa? Lui ti amava come nessun al mondo, era di certo migliore di me, così ho lasciato perdere.”
Le parole che si erano scambiati dentro il parcheggio acquistarono finalmente un senso; non mentiva quando gli aveva detto che voleva vederlo felice: era tornato ma aveva fatto un passo indietro dimostrando quanto fosse cambiato. Non prendeva più tutto quello che voleva, ma era capace di lasciare agli altri lo spazio, l’arte di donare.
“Non ho mai smesso di amarti neanche un secondo,” disse e Ushijima sapeva che quelle parole erano vere. Oikawa appoggiò un dito sul vetro e i pesci lì vicino si allontanarono velocemente. “Mi rendo conto di non poter cambiare il passato, che ciò che avevamo, ciò che avremmo potuto essere non potrà più essere. Non ti sto chiedendo di fare coppia fissa, ma di passare del tempo insieme. Magari frequentarci facendo le cose che fanno quelli della nostra e età, e aspettare di vedere cosa accade.”
Aveva lasciato andare Tōru senza opporre nessuna resistenza perché lo amava talmente tanto da dargli qualsiasi cosa volesse. Era andato avanti ma lasciarlo andare era stato come strapparsi il cuore dal petto.
Bisogna lasciare andare le persone che amiamo, se non tornano vuol dire che non ci sono mai appartenute, se invece lo fanno, vuol dire che sono davvero nostre.
“Cose tipo?”
“C’è un corso per fare il pane fatto in casa. Una sera a settimana uno chef ti insegna i segreti della lievitazione,” disse Oikawa, “Che ne diresti di provarci insieme?”
Wakatoshi sorrise: “Mi sembra una bella idea.”
Era un nuovo inizio, né più né meno; la prima pagina di una nuova storia tutta da raccontare.
 

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