Sotto il cielo del Nord

di Star_Rover
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il rifugio ***
Capitolo 2: *** Incontri segreti ***
Capitolo 3: *** La ferrovia ***
Capitolo 4: *** L'Organizzazione ***
Capitolo 5: *** Cambiamenti ***
Capitolo 6: *** Decisioni pericolose ***
Capitolo 7: *** Senso del dovere ***
Capitolo 8: *** Partenze ***
Capitolo 9: *** Divise verdi ***
Capitolo 10: *** Crepe nel ghiaccio ***
Capitolo 11: *** Prima linea ***
Capitolo 12: *** Ribelli ***
Capitolo 13: *** Bombe e proiettili ***
Capitolo 14: *** Compromessi ***
Capitolo 15: *** L'ultima resistenza ***
Capitolo 16: *** Silenzio ***
Capitolo 17: *** Tregua ***
Capitolo 18: *** Lo spettro della Rivolta ***
Capitolo 19: *** La spiaggia ***
Capitolo 20: *** Venti di guerra ***
Capitolo 21: *** Il ritorno ***
Capitolo 22: *** Il Rosso e il Bianco ***
Capitolo 23: *** L’incontro/La runa di von Rosen/Poika ***
Capitolo 24: *** Compagni di viaggio ***
Capitolo 25: *** Separazioni ***
Capitolo 26: *** L'altro uomo ***
Capitolo 27: *** Sulle montagne ***
Capitolo 28: *** Presagi ***
Capitolo 29: *** Cinque donne ***
Capitolo 30: *** La lepre ***
Capitolo 31: *** Sangue ***
Capitolo 32: *** Incubi ***
Capitolo 33: *** Helsinki ***
Capitolo 34: *** Il momento della verità ***
Capitolo 35: *** Un buon amico/Divergenze/Nella foresta ***
Capitolo 36: *** Il confronto ***
Capitolo 37: *** Un futuro incerto ***
Capitolo 38: *** La scelta ***
Capitolo 39: *** Una via di salvezza ***
Capitolo 40: *** La stagione del disgelo ***



Capitolo 1
*** Il rifugio ***



I. Il rifugio  



Non vi è valle né collina
né sponda tanto amata
come la patria dei nostri antenati,
questa cara terra del Nord!

 
I tuoi fiori sbocceranno di nuovo,
la tua speranza e la tua gioia
nel loro splendore
innalzeranno i nostri cuori,
e ancora una volta, o amata patria,
alta la tua canzone riecheggerà. 
[1]
 
Jari sollevò lo sguardo dal foglio stampato per osservare il paesaggio innevato attraverso i vetri appannati del salotto. Riuscì a scorgere il profilo delle colline, la candida foresta e il lago ghiacciato. Quella vista così familiare suscitò in lui una profonda sensazione di pace e serenità. Era trascorso del tempo dall’ultima volta in cui aveva fatto ritorno al villaggio, nella caotica Helsinki sentiva sempre di più la mancanza di quel silenzio. Non poteva che provare affetto e nostalgia per i luoghi in cui era cresciuto. Ma ancor più in città soffriva per la lontananza delle persone care, in particolare del suo affezionato amico d’infanzia, il cui ricordo gli donava sempre conforto.
I suoi pensieri vennero interrotti dall’arrivo di sua sorella Kaija, una ragazza dal viso grazioso e i capelli raccolti in due lunghe trecce castane.
«Che cosa stai leggendo?» chiese con viva curiosità poggiando le mani sul tavolo.
Il giovane rispose distrattamente: «Le avventure dell'alfiere Stål»
Lei osservò il libro con più attenzione: «non sembra una delle tue solite letture»
«A dire il vero è stato un mio compagno a prestarmelo»
«Dunque hai degli amici in città…non ne parli mai nelle tue lettere»
Jari rimase in silenzio, le sue amicizie all’interno dell’università potevano essere considerate piuttosto sconvenienti, per questo preferiva mantenerle nascoste. Aveva appena iniziato ad avvicinarsi agli ambienti nazionalisti, per quanto conoscesse ancor poco di quel mondo ne era rimasto particolarmente affascinato. Non sapeva ancora a cosa avrebbe portato tutto ciò, ma quegli incontri segreti erano diventati il suo unico stimolo di interesse ad Helsinki.
Kaija non insistette sulla questione rispettando la riservatezza del fratello. Egli era sempre stato un ragazzo timido e introverso, quel comportamento non era strano da parte sua. Si limitò ad allietarsi del fatto che egli non soffrisse di solitudine così lontano da casa.
La giovane provò comunque a farsi narrare qualcosa riguardante la sua nuova vita.
«Raccontami almeno un po’ come è la città»
«La prossima volta» fu la fugace risposta. 
La sorella provò ad insistere: «ma…perché non adesso?»
«È tardi, devo andare» disse semplicemente Jari rialzandosi dalla sedia.
Kaija incrociò le braccia al petto rivolgendogli uno sguardo di rimprovero: «dove hai intenzione di andare?»
Egli indossò il pesante cappotto: «a caccia nella foresta»
La ragazza scosse la testa: «papà non sarà contento di sapere che sei sparito di nuovo»
«Avrà tempo di rimproverarmi al mio ritorno» replicò lui con un irriverente sorriso.
Kaija emise un sospiro rassegnato.
«Prima o poi dovrai prendere sul serio la sua proposta»
«Non credi che abbia già fatto abbastanza per lui?»
«Sai che vuole semplicemente aiutarti. Desidera solo ciò che è meglio per te» disse con innocenza.
Jari rispose con una smorfia: «dovresti smetterla di giustificarlo in continuazione. Quando inizierà a prendere decisioni anche per te non la penserai più in questo modo»
Kaija non diede troppa importanza al suo sfogo, sapeva che il rapporto tra il fratello e il padre era sempre stato difficile e tormentato, anche se in fondo entrambi provavano rispetto e affetto reciproco. Forse il genitore aveva sbagliato ad imporsi con tanta insistenza, ma le sue intenzioni erano sempre state buone. Sperava che Jari potesse comprendere ciò e abbandonare il suo rancore prima che fosse troppo tardi.
«Non aspettatemi per cena» concluse il ragazzo abbandonando la stanza.
 
Jari uscì dalla stalla, si avvicinò alla recinzione in legno e con un fischio richiamò Onni, un magnifico cavallo dal manto castano. L’animale riconobbe immediatamente il suono del suo padrone ed obbedì al comando.
Il giovane gli accarezzò la macchia bianca sul muso, quell’esemplare era così docile e mansueto che riuscì a sellarlo senza alcuna difficoltà. 
«Forza bello, ci aspetta una bella corsa!» disse con entusiasmo.
Onni rispose con un forte nitrito.
Jari scoppiò in un’allegra risata. Rapidamente salì in groppa al cavallo e con decisione lo incitò al galoppo in direzione dei boschi.
 
 
In cima alla collina si trovava un giovane in sella al suo Suokki [2] dal particolare manto scuro, stringeva saldamente le briglie tra le mani e in spalla portava il suo fidato fucile da caccia. Il suo sguardo era rivolto alla vallata, i suoi occhi trasparenti scrutavano con attenzione il sentiero che portava al villaggio in attesa di scorgere qualcuno sbucare dalla foresta.
Ancora nascosto tra le conifere Jari riuscì a vederlo per primo, riconoscendo immediatamente il profilo di Verner. Stagliata all’orizzonte in quel panorama innevato la sua figura appariva alquanto suggestiva. Per un breve istante ebbe l’impressione di trovarsi davanti ad uno dei valorosi cavalieri finnici tanto elogiati nei poemi di Runeberg.
Appena lo sentì avvicinarsi Verner non perse tempo e senza esitazione spronò il cavallo nella discesa della collina per corrergli incontro.
«Finalmente sei tornato!» gridò con gioia a pieni polmoni.
Jari smontò da cavallo, l’amico fece lo stesso e affondando gli stivali nella neve percorse l’ultima distanza che ancora li separava. Nonostante gli abiti irrigiditi dal gelo riuscì a trasmettergli tutto il suo calore in quell’abbraccio.
«Mi sei mancato» ammise in un sussurro.
«Anche tu» rispose Jari stringendo l’amico a sé.
Quando si distaccarono Verner aggiunse: «è bello sentirti parlare la nostra lingua» [3]
Il ragazzo si stupì: «perché dici così?»
«Temevo che trascorrendo tanto tempo con quei borghesi di città avessi già dimenticato il finlandese!»
Jari si impensierì, la sua battuta scherzosa aveva un fondo di amarezza.
«Io invece ho paura che presto la nostra lingua diventerà il russo» replicò angustiato.
Verner scosse le spalle con indifferenza.
Il giovane intuì che egli non avesse intenzione di sprecare altro tempo sull’argomento.
«Scusami, è solo che ultimamente non riesco a smettere di pensare a questa questione»
«Il tuo problema è sempre stato quello di pensare troppo» concluse Verner con un benevolo sorriso.
 
I due legarono i cavalli e proseguirono a piedi seguendo il sentiero nella foresta. Jari approfittò di quella passeggiata per iniziare una seria conversazione con il suo compagno.
«Il vecchio Elmer mi ha detto che è stato costretto a chiudere la sua bottega»
«Già, è stata colpa della malattia» spiegò Verner senza particolare trasporto. 
Jari intuì che con quell’atteggiamento distaccato egli stesse cercando di mascherare il suo turbamento.
«Mi spiace, so che eri un buon apprendista ed Elmer apprezzava il tuo lavoro. Secondo lui devi avere un gran talento per intagliare il legno in quel modo!»
«Devo aver ereditato questa capacità da mio padre»
«È davvero un peccato che tu non possa più portare avanti l’attività di famiglia» disse tristemente.
«Non importa, in questi tempi posso ritenermi fortunato a non soffrire la fame»
Jari rifletté sulla situazione del suo compagno e azzardò una proposta.
«Helsinki non è così male, forse potresti fare un tentativo, la gente trova lavoro più facilmente in città»
L’altro scosse la testa: «non voglio andarmene»
Jari abbassò lo sguardo con aria colpevole, si sentiva responsabile per qualcosa di imperdonabile, in qualche modo credeva di averlo tradito con la sua decisione.
Verner si pentì per aver reagito in quel modo.
«Scusa, non intendevo accusarti»
«Avrei davvero voluto restare, ma ho dovuto accettare dei compromessi» disse stringendo i pugni per la frustrazione.
«Lo so, non devi giustificare le tue scelte»
«Quando avrò terminato gli studi tornerò al villaggio come promesso»
«In tanti non sono più tornati» fu il triste commento. 
«Io non sono come gli altri!» ribatté il ragazzo.
Verner incrociò lo sguardo dell’amico e accennò un sorriso. Sapeva di non poterlo contraddire, Jari era davvero diverso da tutti gli altri, di questo ne era certo.
Al termine di quelle constatazioni il giovane interruppe il silenzio.
«E comunque non devi preoccuparti, ho già trovato un altro lavoro» disse riprendendo la conversazione precedente.
L’altro si incuriosì: «di che si tratta?»
«Sono stato assunto come operaio per la costruzione della nuova ferrovia»
Jari non riuscì a mascherare del tutto la sua apprensione, quello era un mestiere pericoloso e massacrante anche per un giovane in forze e in salute. Trovandosi in condizioni più agiate avrebbe voluto fare qualcosa per lui, ma in passato ci aveva già provato e sapeva bene che l’amico era troppo testardo ed orgoglioso per accettare simili favori. Se avesse osato avanzare una proposta del genere avrebbe ottenuto il solo risultato di offenderlo. In fondo si fidava di lui, sapeva che era un ragazzo sveglio e intelligente, era in grado di provvedere a sé stesso e non aveva bisogno dei suoi assillanti consigli. Una parte di sé però non poteva evitare di preoccuparsi per lui. Era una responsabilità che sentiva fin da quando erano ragazzini, il suo dovere era sempre stato quello di tenere il compagno lontano dai guai. Il carattere ribelle e irriverente di Verner non gli aveva reso il compito semplice, più volte era intervenuto a suo favore per evitargli il peggio in brutte situazioni, che si trattasse di coprire le sue marachelle o di difenderlo durante le dispute con gli altri ragazzi del villaggio.
Era certo che Verner si fosse risparmiato un bel po’ di punizioni e forse anche qualche pugno in faccia grazie a lui, anche se non l’avrebbe mai ammesso. 
Jari scosse il capo con rassegnazione, ormai non erano più ragazzini.
 
I due giovani trovarono un buon riparo tra le rocce, si sistemarono nel nascondiglio e restarono appostati con i fucili controvento in attesa di una preda. Ogni tanto interrompevano il silenzio scambiandosi qualche battuta.
Il tempo passava, ma nulla sembrava muoversi in quella radura deserta. Soltanto i rami oscillavano al vento. I ragazzi però conoscevano bene quei luoghi ed erano certi che la paziente attesa sarebbe stata ben ripagata.
Come previsto da entrambi ad un tratto scorsero dei movimenti sospetti. Una lepre uscì dalla vegetazione esponendosi alla vista dei cacciatori. L’animale attraversò la distesa innevata, ignaro del pericolo. L'obiettivo era nel mirino, le dita sfiorano prontamente i grilletti. 
Due spari echeggiarono nella vallata, ma soltanto uno colpì in pieno il bersaglio. Verner era stato il primo ad adocchiare l’animale, la sua rapidità gli aveva concesso un minimo vantaggio, mentre la sua abilità di tiratore gli aveva permesso di sparare un colpo preciso e letale.
Jari non fu sorpreso dalla vittoria del suo compagno, egli era sempre stato un ottimo cacciatore. Non ricordava una volta in cui avesse mancato il bersaglio.
Verner uscì dal nascondiglio e poco dopo si ripresentò con il suo bottino: «ero certo che non saremmo tornati a mani vuote!»
«Con te non avevo dubbi»  
«Anche tu sei stato bravo, l’hai mancato davvero per poco!»
Jari apprezzò il suo incoraggiamento, quella sfida tra i due giovani era vissuta da entrambi con una rivalità sportiva che mai aveva intaccato la loro amicizia, anzi, al contrario contribuiva a rafforzare ancor di più il loro legame.
 
Il sentiero che conduceva al rifugio di caccia era stretto e tortuoso. In quel periodo dell’anno nessuno si avventurava così lontano dal villaggio. I due giovani sbucarono dalla fitta foresta per ritrovarsi in una piccola radura. Poco distante dal ruscello si trovava un modesto capanno di legno. Era stato il nonno di Jari a costruire quel rifugio isolato nel bosco e da allora era sempre appartenuto alla sua famiglia.
Per anni era stato il posto in cui i due amici avevano condiviso momenti felici e spensierati della loro gioventù immersi nella natura. Quel luogo però aveva acquisito un significato ancor più importante da quando il loro rapporto era diventato qualcosa di più di una sincera amicizia.
Inevitabilmente Jari ripensò a quel che era accaduto un paio di anni prima.
 
Quel giorno lui e Verner si erano avventurati nella foresta senza preoccuparsi delle cupe nubi che pericolosamente si stavano avvicinando. All’improvviso si era alzato il vento e la fitta nevicata si era tramutata in un’implacabile tempesta. I due giovani avevano tentato disperatamente di trovare un riparo, rischiando di perdersi nella tormenta. Miracolosamente erano riusciti a ritrovare il sentiero e avevano raggiunto il rifugio tremanti e quasi assiderati. Nell’ultimo tratto Verner era stato costretto a sorreggere il suo compagno, ormai esausto e intirizzito dal gelo.
Finalmente al riparo i ragazzi si erano avvicinati alle fiamme per scaldarsi accanto al fuoco. Verner si era occupato dell’amico, assistendolo con particolare premura e attenzione.
«Come ti senti?» aveva domandato con apprensione.
Jari aveva tentato di rassicurarlo sulle sue condizioni: «adesso sto meglio, non preoccuparti»
Verner gli aveva preso le mani stringendole e sfregandole delicatamente tra le sue per riscaldarle. Il ragazzo aveva avvertito il battito accelerare, il suo viso aveva ripreso colore avvampando leggermente.
I due si erano guardati a lungo negli occhi senza interrompere quel contatto.
Verner era sempre stato il più intraprendente e impulsivo, e l’aveva dimostrato anche in quella occasione. Era stato lui il primo a manifestare la vera natura dei suoi sentimenti. Inaspettatamente aveva preso il volto dell’amico tra le mani, avvicinandolo a sé e unendo le loro labbra in un bacio. Era stato un atto istintivo, forse indotto dal timore di poter perdere la persona di cui era innamorato senza aver mai rivelato ciò che provava realmente.
Jari era rimasto sorpreso dal gesto del suo compagno, ma non l’aveva respinto. Gli aveva permesso di approfondire ancor più quel bacio, schiudendo le labbra e cedendo alle sue carezze. Se la sua mente era ancora annebbiata e confusa da quelle nuove e intriganti sensazioni il suo corpo fremente non aveva lasciato alcun dubbio su ciò che davvero stava provando in quei momenti. Ben presto ogni titubanza era svanita lasciando spazio solo alla passione e al desiderio. Per la prima volta i due giovani avevano trovato il coraggio di amarsi.
Da quel giorno la casa nel bosco era diventata il loro nido d’amore. Quello era il loro rifugio sicuro, l’unico luogo al mondo dove potevano vivere a pieno il loro rapporto senza alcun timore o preoccupazione.
 
Jari spostò la pesante tavola di legno che sbarrava la porta d’ingresso ed entrò all’interno. Inizialmente fu avvolto dal freddo e dall’oscurità. Quando i primi raggi filtrarono dalle finestre poté riconoscere ogni particolare di quella stanza, sembrava che il tempo si fosse fermato. In quel remoto capanno nella foresta tutto era rimasto immutato, resistendo allo scorrere del tempo e all’abbattersi delle intemperie.
Jari tornò alla realtà avvertendo i passi del compagno alle sue spalle, i pesanti stivali coperti di ghiaccio e neve batterono sulle assi scricchiolanti.
Verner si occupò di sistemare l’attrezzatura mentre egli preparò la legna per il fuoco.
 
Il camino acceso contribuì a rendere quel luogo ancora più caldo e accogliente. Jari rimase ad ammirare i colori delle fiamme ardenti che danzavano nella penombra. Ad un tratto percepì una stretta al braccio, la presa era delicata, ma decisa. Si voltò di scatto, ritrovandosi a pochi centimetri di distanza dal viso di Verner, il quale non indugiò oltre. L’avvolse in un abbraccio e l’avvicinò a sé baciandolo con irruenza, manifestando a pieno il suo desiderio. Erano rimasti lontani per tanto tempo, non potevano più attendere. Jari si lasciò travolgere dall’impeto del suo compagno, ritrovandosi con le spalle alla parete, bloccato dal quel corpo virile che premeva contro al suo. Si distaccarono a fatica, avvertendo i battiti accelerati e i respiri affannati. Jari afferrò l’amante per la manica e l’accompagnò verso il piccolo giaciglio.
Ripresero a baciarsi con foga, liberandosi freneticamente dall’ingombro dei vestiti. Verner mostrava un corpo aitante e muscoloso, forgiato dal duro lavoro e dalla costante attività fisica. Anche Jari poteva essere considerato un giovane atletico e prestante, seppur apparisse più magro ed esile rispetto al suo compagno.
Ben presto i due si ritrovarono nudi a rotolarsi tra le coperte. Jari si distese sulla schiena, trascinando l’altro sopra di sé. Verner si abbassò su di lui, lasciandogli roventi baci sul collo ed esplorando il suo corpo con calde carezze. Il ragazzo non riuscì a mantenere a lungo il controllo mentre era preda di quelle attenzioni. Il suo corpo fremette a quel tocco sempre più deciso ed insistente, socchiuse gli occhi lasciandosi sfuggire gemiti di piacere. Verner trovò particolarmente eccitante la visione del giovane ansante e accaldato disteso sotto di sé, così si avventò su di lui lasciandosi sopraffare dall’istinto.
Entrambi si abbandonarono senza più inibizioni a quel vortice di passione.
 
Restarono sdraiati uno accanto all’altro, abbracciati sotto alle pesanti coperte. Lentamente i respiri tornarono regolari, così come i battiti dei loro cuori.
Jari poggiò la testa sulla spalla del suo compagno, Verner passò una mano tra la sua folta chioma, accarezzandola dolcemente.
«Quando ripartirai?» chiese tristemente sfiorando un ciuffo di capelli castani.
«Domani»
Verner non riuscì a nascondere del tutto la delusione per quella notizia, ciò significava che il tempo a loro disposizione era già esaurito. Dopo qualche istante di esitazione porse la seconda domanda.
«E quando tornerai?»
Jari sospirò: «non lo so, dipende se riuscirò ad ottenere un permesso…»
Verner cercò di non cedere allo sconforto, aveva imparato a considerare prezioso ogni istante che potevano trascorrere insieme. Non aveva mai preteso nulla di più, pur soffrendo nell’incertezza non aveva mai dubitato delle sue parole. In fondo egli restava sempre il suo caro amico d’infanzia, lo conosceva meglio di chiunque altro, ed era certo che in ogni caso avrebbe fatto di tutto per tornare al più presto da lui.
Verner strinse a sé l’amato in cerca di ancora un po’ di calore e affetto, era consapevole che non avrebbe più potuto averlo tra le braccia per diverso tempo e che avrebbe dovuto far tesoro di quei momenti divenuti sempre più rari.
Jari ricambiò con altrettanto sentimento. Lo guardò nei suoi occhi di ghiaccio, infine si chinò su di lui baciandolo intensamente per rassicurarlo e rinnovare ancora una volta la sua promessa.
 

 
 
 
 
 
 
Note
 
[1] Johan Ludvig Runeberg, "La nostra Terra" da "Le avventure dell'alfiere Stål", 1848-1860. Originariamente scritto in lingua svedese il testo divenne l'inno nazionale finlandese.
 
[2] Razza di cavallo finlandese.
 
[3] La Finlandia è ancora oggi una nazione multilingue. Agli inizi del’900 una piccola parte di popolazione finlandese, appartenente al ceto borghese e benestante, parlava svedese.
 
 

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Capitolo 2
*** Incontri segreti ***


 
II. Incontri segreti  
 

Jari si risvegliò scosso da un brivido di freddo. Riaprì le palpebre osservando il paesaggio desolato della Carelia meridionale che scorreva davanti ai suoi occhi. Il treno procedeva a tutta velocità sulle rotaie.
Il giovane avvertì una profonda sensazione di sconforto, lasciare il villaggio era sempre difficile, in quei momenti veniva colto da un’intensa malinconia.
Mestamente si strinse nel suo cappotto, ripensando ai caldi abbracci e ai dolci baci del suo amato. Quei ricordi riuscirono a donargli almeno un po’ di conforto.
Si sentiva in colpa per aver abbandonato Verner e per aver in parte tradito la sua promessa. Forse era anche per questo che si era avvicinato agli ideali nazionalisti, era il suo modo per dimostrare soprattutto a sé stesso che non aveva voltato le spalle alla terra natia. Era intenzionato a proteggere e difendere le persone che amava, seppur lontano da casa.
Jari non aveva mai nascosto i suoi ideali politici, ma prudentemente non aveva rivelato a nessuno il suo coinvolgimento negli ambienti nazionalisti. Il suo silenzio era a fin di bene, non poteva però ignorare il fatto che ciò rappresentasse l’unico segreto tra lui e Verner.
Il ragazzo sospirò, al momento opportuno avrebbe rivelato la verità, era certo che il suo migliore amico avrebbe potuto comprendere e accettare le sue motivazioni.
Jari cercò di non dare troppa importanza a quelle preoccupazioni. Il viaggio era ancora lungo, così si raddrizzò sul sedile e tornò a leggere le pagine del suo libro.
 
Quando il treno raggiunse la stazione di Helsinki Jari scese dal vagone e con la valigia in mano si diresse lungo la banchina. Continuò a camminare a fianco dei binari cercando di farsi spazio tra la folla. Ad un tratto scorse strani movimenti vicino ai cancelli. Davanti all’edificio principale vide un posto di blocco, immediatamente riconobbe le divise dell’esercito imperiale.
Il giovane si avvicinò senza particolare apprensione, negli ultimi tempi i controlli erano sempre più frequenti.
Un soldato si rivolse a lui in russo: «documenti, prego»
Il ragazzo obbedì, convinto di non aver nulla di cui preoccuparsi.
La guardia non cambiò espressione e con ancor più diffidenza e sospetto iniziò a porgli una lista di domande.
Jari tentò di rispondere, seppur il suo vocabolario fosse piuttosto limitato.
Ad un tratto il russo che stava leggendo le sue carte si allarmò e immediatamente avvertì il suo compagno. Jari tentò di comprendere la situazione, sembrava che la causa di tanta agitazione consistesse nel fatto che egli fosse uno studente.
Il ragazzo provò a chiarire quel che considerava essere soltanto un assurdo malinteso.
Il russo però si rivolse a lui con atteggiamenti sempre più aggressivi, l’afferrò per la giacca e lo spinse violentemente contro al muro. Il soldato iniziò a perquisirlo mentre il suo compagno si occupò di esaminare il contenuto del bagaglio.
Jari continuò a dichiarare la sua innocenza, ma nemmeno quando i due non trovarono nulla di sospetto non si decisero a lasciarlo andare. Sempre con modi rudi lo costrinsero ad entrare all’interno della stazione.
Jari si ritrovò in un ufficio che per l’occasione era stato adibito a stanza degli interrogatori. Questa volta i russi ebbero l’accortezza di fornirgli un interlocutore che parlasse svedese per evitare ulteriori incomprensioni.
Quest’ultimo gli rivolse nuovamente le stesse domande con sempre più insistenza.
«Sono uno studente di medicina, questo è l’unico motivo per cui mi trovo ad Helsinki» ripeté il giovane per l’ennesima volta.
Dopo aver letto più accuratamente i documenti il militare sembrò tranquillizzarsi. Senza dire nulla si rialzò e uscì dalla stanza per riferire qualcosa ai suoi commilitoni.
Jari restò solo ad attendere per un tempo che gli parve infinito. La guardia davanti alla porta non aveva nulla di rassicurante. Si domandò che cosa avesse scatenato quella reazione così violenta da parte dei russi, pensò se fosse il caso di iniziare a preoccuparsi. Come avrebbe potuto difendersi senza conoscere nemmeno il motivo per cui era considerato un sospettato? Quali colpe potevano avergli attribuito? Quali accuse gli erano state rivolte?
Jari alzò lo sguardo al soffitto, lentamente tornò a calmarsi. In ogni caso in quella situazione avrebbe dovuto mantenere i nervi saldi.
Finalmente i russi tornarono, senza fornire alcuna spiegazione gli riconsegnarono i documenti ed esprimendo una certa irritazione per il tempo perso lo rilasciarono.
 
Jari si ritrovò per le strade di Helsinki, ancora sconvolto e frastornato per quel che era appena accaduto. Era indignato per il trattamento subito, ma purtroppo non era la prima volta che si trovava davanti a simili episodi. Ripensò ai racconti di suo padre, il quale durante i giorni della rivolta aveva assistito in prima persona alle atrocità dei cosacchi, i quali avevano devastato la città disseminando orrore e terrore nelle strade.  
Jari pensò che in fondo le cose non fossero affatto cambiate da allora. Forse questo era un segno che il popolo finlandese si stesse risvegliando.
 
Il tram era pieno e affollato, Jari non amava la confusione, inoltre il rumore delle ruote che stridevano sulle rotaie era fastidioso e irritante. Durante il tragitto cercò di distrarsi osservando i suoi compagni di viaggio. L’uomo davanti a lui era impegnato nella lettura di un giornale dalle scritte in caratteri cirillici. Anche la stampa era gestita dai russi, tra propaganda e censura. Poco più in là invece si trovava una donna con il suo bambino tra le braccia, almeno il piccolo appariva tranquillo e sereno, cullato dolcemente in seno alla madre.
Il veicolo si fermò vicino al porto, il ragazzo scese dal vagone e prese un profondo respiro inalando la fresca brezza marina. Le barche avevano ormeggiato all’alba, i pescatori erano impegnati a riparare le reti o a sistemare le pesanti corde. Alcuni riposavano sul molo chiacchierando e intonando vecchie canzoni popolari.
Jari restò ad osservare al scena stringendosi nel cappotto per ripararsi dal vento. Quella visione servì a calmarlo, il mare aveva sempre avuto quell’effetto su di lui.
Finalmente riuscì a trovare la forza per riprendere il cammino, lentamente proseguì verso il centro della città.
 
Il sole stava tramontando, una luce calda e rosea avvolgeva le facciate degli imponenti edifici dalla caratteristica architettura neoclassica. Jari oltrepassò il porticato e attraversò i giardini coperti da uno spesso manto di neve candida. Gli edifici davanti suoi occhi mostravano tutta la loro autorevolezza e imponenza. Gli ambienti dell’antica università suscitavano in lui una certa soggezione, ma nonostante tutto dopo il lungo viaggio e la spiacevole disavventura fu lieto di ritrovarsi in un luogo conosciuto.
 
La mensa era stranamente quieta e silenziosa, gli studenti seduti ai tavoli comunicavano tra loro bisbigliando e sussurrando.
Jari si concentrò sul suo piatto, troppo stanco e affamato per occuparsi d’altro. A fargli compagnia c’era Yrjö, un ragazzo alto e smilzo che aveva conosciuto al suo arrivo in università e con il quale si era trovato subito in sintonia.
«Come è stato il ritorno a casa?» chiese l’amico tra un boccone e l’altro.
Egli sospirò: «per me è sempre difficile tornare ed è triste andarmene»
«È normale che tu sia legato al tuo paese e alla tua famiglia»
«È strano, un tempo pensavo che sarei rimasto in quel villaggio per sempre. Non ho mai provato il desiderio di andarmene, ma forse è giusto così…»
«In fondo Helsinki non è così male» disse Yrjö per confortarlo.
L’altro esitò: «mi piace qui, ma ad essere sincero non sento di appartenere alla grande città»
«Vedrai che ti abituerai presto. E poi se vuoi davvero unirti alla nostra causa la capitale è il posto migliore per trovare i contatti giusti»
L’espressione sul viso di Jari divenne ancor più seriosa.
«Non ho alcun dubbio sulla mia decisione» affermò.
«Ero certo che non avresti avuto ripensamenti. Sei originario della Carelia, il cuore della Finlandia. Nelle tue vene scorre il sangue dei nostri antenati»
Il giovane non diede troppa importanza a quelle parole, erano gli ideali a motivarlo più delle antiche leggende.
«A proposito, hai trovato un po’ di tempo per leggere i poemi di Runeberg?»
Egli annuì.
«Che ne pensi?»
Jari espresse il suo sincero parere: «è stato bello leggere di grandi battaglie e di valorosi combattenti mossi da nobili ideali, puri nel cuore e nello spirito. Peccato che siano tempi lontani e ormai perduti»
«Il popolo finlandese è ancora disposto a combattere per la Libertà»
Proprio in quel momento Lauri si unì al tavolo interrompendo la loro conversazione.
«Ei, voi due dovreste cucirvi la bocca! Siete impazziti a fare certi discorsi davanti a tutti?» li rimproverò severamente.
«Qui dentro siamo al sicuro» si giustificò Yrjö.
«La prudenza non è mai troppa»
Detto ciò Lauri si rivolse Jari, notando la sua aria stanca e sconvolta.
«Che ti è successo? Non sembri affatto stare bene»
Il ragazzo si guardò intorno con circospezione, soltanto quando fu certo che nessuno stesse prestando attenzione ai loro discorsi si decise a raccontare la verità.
«In stazione sono stato fermato dai russi, quando hanno saputo che ero uno studente mi hanno trattenuto trattandomi come un criminale!»
Lauri non si stupì: «certo, dopo quel che è accaduto le cose peggioreranno ancora»
«Di che stai parlando?» domandò Jari.
«Davvero non sai nulla di quel che è successo?»
Il giovane scosse la testa.
«C’è stata una sparatoria un paio di giorni fa. Un attentato alle truppe russe, due soldati sono rimasti uccisi. L’esercito ha trovato e catturato i responsabili, un gruppo di studenti della Ostrobotnia»
«Li conoscevate?»
«No, non sapevamo nulla a riguardo dei loro piani»
«Che cosa gli accadrà adesso?»
«Saranno deportati e condannati…come tutti gli altri» fu la dura risposta.
Jari rimase colpito da tutto ciò, per il resto della cena non riuscì a liberarsi da quella sensazione di rabbia e frustrazione.
 
Quella sera Jari seguì i suoi amici nella vecchia biblioteca. Ormai da tempo quel luogo era diventato la sede per gli incontri clandestini del circolo degli studenti. Queste riunioni erano frequentate principalmente da fervidi sostenitori degli ideali nazionalisti. Jari non si era trovato male in quegli ambienti, ma percepiva fin troppa ipocrisia tra i suoi compagni. Ovviamente era affascinato da quegli ideali e condivideva pienamente certe opinioni politiche, ma riteneva che ben pochi sarebbero stati davvero disposti a cambiare le cose in quel gruppo di intellettuali appassionati delle opere di Runeberg e Lönnrot.
Quella sera però fu costretto a ricredersi. Per la prima volta assistette a discorsi che affrontavano questioni concrete e non si perdevano in vani vagheggiamenti.
Jari si avvicinò, curioso di vedere chi fosse quell’intrigante oratore.
In piedi davanti al pubblico di studenti trovò un giovane intento ad esporre le sue argomentazioni con enfasi e passione. Ad attirare la sua attenzione fu il suo aspetto alquanto singolare. Trovò particolari i suoi capelli biondo cenere, più scuri rispetto alla maggior parte dei suoi compatrioti, e le sue iridi dalle intense sfumature verdi. Entrambe erano caratteristiche piuttosto rare a quelle latitudini.
«Chi è quel ragazzo?» domandò al suo compagno.
Yrjö si stupì: «davvero non lo conosci? È Bernhard Winkler»
«Non è finlandese» notò.
«È tedesco» precisò l’amico.
«Un tedesco che parla svedese…che cosa pensa di sapere lui della Finlandia?» commentò Lauri, squadrandolo con diffidenza.
«Be’, a dire il vero è metà tedesco. Sua madre è finlandese» specificò Yrjö.
«Questo non cambia di molto le cose»
«A me sembra che conosca bene l’argomento, concordo pienamente con quel che dice» intervenne Jari lasciando trasparire la sua ammirazione.
Lauri sbuffò: «non ritieni che sia fin troppo intransigente?»
«Almeno ha il coraggio di dire la verità!»
Egli scosse il capo con disapprovazione.
Jari rimase ad ascoltare il suo discorso, lasciandosi conquistare dalla potenza delle sue parole e dal suo innegabile carisma.
 
«Oggi Helsingfors ha preso il nome di Helsinki. È evidente che da tempo questa terra non appartenga più agli svedesi. Ma dall’altra parte nessuno di noi vorrebbe diventare russo. Questa è la Patria di un popolo che ha sempre lottato per la sua indipendenza. Non mi sto riferendo soltanto all’esaltazione di grandi ideali, c’è anche chi è stato disposto a uccidere e morire per la Libertà. Agli inizi di questo secolo abbiamo ottenuto grandi risultati, c’è stata la rivolta, abbiamo avuto le elezioni e il suffragio universale. Sembrava che il mondo potesse cambiare, ma i nostri padri si erano sbagliati. Così noi siamo ancora soggiogati dall’aquila imperiale. Il Granducato tiene strette le nostre catene, il nostro destino viene deciso a Pietrogrado mentre la verità continua ad essere oscurata dalla censura. L’Impero ci governa con la forza, ma ancora non è riuscito a sopprimerci. Per ribellarci a queste ingiustizie però abbiamo bisogno di un’attiva resistenza, soltanto in questo modo potremo conquistare la nostra agognata Indipendenza»
 
Al termine del discorso la folla si alzò in piedi tra applausi e grida di approvazione. Winkler rimase immobile e ben composto al suo posto, mantenendo lo sguardo fisso davanti a sé, come un soldato sull’attenti. Attese il silenzio e dopo un breve ringraziamento cedette la parola all’oratore successivo.
 
Mentre la sala iniziava a svuotarsi Jari notò Winkler che dopo aver concluso un’animata discussione con un gruppo di compagni era rimasto a sistemare i fogli con i suoi appunti.
Accorgendosi che era solo il giovane prese coraggio e decise di avvicinarsi.
Giunto a pochi passi di distanza Jari esitò, ma alla fine vinse la timidezza e con educazione poggiò una mano sulla sua spalla nel tentativo di attirare la sua attenzione.
Winkler si voltò, restando in silenzio in attesa di sentire le sue parole.
«Ehm…io…ho appena ascoltato il tuo discorso e…be’, ecco…volevo congratularmi di persona»
Il tedesco mostrò un modesto sorriso.
«Ti ringrazio, è sempre un piacere avere un confronto diretto. Il mio obiettivo è risvegliare gli animi dei miei uditori, anche se a volte temo che quegli applausi siano solo una cortesia e che le mie siano state solo parole al vento»
«Oh, no…sono certo che non sia così. È difficile che qualcuno sia rimasto indifferente a un simile discorso. Qui tutti sanno parlare, ma in pochi dimostrano di essere davvero disposti ad affrontare seriamente certe questioni»
Lo sguardo di Bernhard si illuminò, l’iniziale curiosità si tramutò in sincero interesse.
«Come ti chiami?»
«Jari Koskinen» si presentò con lieve imbarazzo.
«Sei un attivista?»
Egli annuì.
Winkler l’osservò con più attenzione: «non ricordo di averti già visto da queste parti»
«A dire il vero non ho iniziato da molto a frequentare il circolo, solo recentemente mi sono avvicinato agli ambienti nazionalisti»
«Capisco. Per quale motivo hai scelto di unirti al movimento indipendentista?»
«Perché credo nella libertà, desidero difendere questa terra e proteggere il mio popolo»
Bernhard rifletté qualche istante, poi azzardò la sua proposta.
«Dovresti partecipare alle riunioni dell’Organizzazione»
«Di che si tratta?»
Il tedesco fu piuttosto evasivo nella risposta: «avrai modo di scoprirlo, sono certo che ti troverai bene con noi»
Jari rimase interdetto, allo stesso tempo incuriosito e intimorito.
Winkler gli fornì un indirizzo invitandolo a presentarsi in quel luogo la notte seguente, poi si congedò frettolosamente e si allontanò scomparendo in fondo al corridoio.
Jari restò immobile al centro della stanza, ancora incredulo per quell’assurda conversazione. Non sapeva se poteva fidarsi realmente di quel giovane, ma dentro di sé aveva già deciso di non poter mancare a quell’appuntamento.
 
 

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Capitolo 3
*** La ferrovia ***



III. La ferrovia


Il sentiero che conduceva alla ferrovia si snodava all’interno della foresta, seguiva l’andamento del fiume e infine giungeva nell’ampia radura.
Verner si era alzato prima dell’alba per presentarsi puntuale all’inizio del turno. I primi raggi di luce iniziavano a filtrare tra la fitta vegetazione di conifere, il vento gelido irrigidiva gli abiti pesanti e provocava intensi brividi.
Il giovane sistemò il mantello sulle sue spalle e proseguì lungo la strada, fortunatamente conosceva bene quei luoghi e poteva orientarsi senza troppe difficoltà. Nonostante tutto trovò piacevole quella passeggiata tra le montagne innevate e i laghi ghiacciati.
Verner approfittò di quel raro momento di pace per perdersi nei suoi pensieri. Nella sua mente era ancora vivo e nitido il ricordo degli ultimi istanti trascorsi insieme a Jari. Per quanto detestasse i sentimentalismi doveva ammettere di provare profonda tristezza ogni volta che era costretto a separarsi dal suo amato.
Senza nemmeno accorgersene si ritrovò a riflettere sulla natura del loro legame. Jari era veramente importante per lui. Il loro rapporto era qualcosa di unico e prezioso che aveva sempre cercato di preservare e proteggere. Aveva sempre avuto la certezza che Jari fosse speciale e questa sua convinzione aveva trovato conferma quando aveva avuto la consapevolezza che la loro non era una semplice amicizia.
In fondo però non si era mai illuso, sapeva che prima o poi Jari avrebbe dovuto compiere le sue scelte. Aveva fatto del suo meglio nel mostrarsi accondiscendente per il suo bene, ma non aveva potuto impedire a sé stesso di soffrire per le sue decisioni.  
Una parte di sé voleva ancora sperare che un giorno tutto sarebbe tornato come prima, o almeno che le cose non sarebbero cambiate irrimediabilmente.  
Tante volte avevano provato ad immaginare il loro futuro al villaggio. Jari avrebbe ereditato lo studio del padre, mentre lui avrebbe portato avanti l’attività di famiglia. Avrebbero continuato a vedersi ogni giorno, ad andare a caccia nella foresta, e a vivere il loro amore in segreto, al sicuro nel loro rifugio tra le montagne. Forse non sarebbe stato facile, ma in ogni caso sarebbero rimasti insieme, non avrebbero avuto bisogno di nient’altro.
Queste erano le promesse che i due giovani si erano scambiati prima dell’inevitabile separazione.
Verner non era un ingenuo, era consapevole che un simile cambiamento avrebbe avuto le sue conseguenze. Aveva già avuto prova di ciò, l’aveva visto con i suoi occhi, Jari non era più lo stesso. Era più schivo e silenzioso anche nei suoi confronti. Era certo che gli stesse nascondendo qualcosa.
Pensò alla sua proposta, forse per lui la vita di città non era così male, in fondo era quello che la sua famiglia si augurava per il suo futuro. A differenza sua Jari aveva altre responsabilità, una carriera e un nome da difendere. Per quanto tutto ciò potesse aver valore.
Verner non aveva mai dato troppa importanza alle differenze sociali ed economiche che li dividevano, era convinto che lui e Jari potessero continuare a ignorare certe questioni, ma fuori dalla loro intimità era tutto diverso.
Verner non poté negare la realtà a sé stesso, era preoccupato per quello che sarebbe potuto accadere.
La paura di perdere il compagno accresceva sempre di più.
La verità era che Verner temeva che allontanandosi dal villaggio Jari avrebbe potuto allontanarsi anche da lui. I suoi commenti perlopiù irriverenti nascondevano la sua insicurezza.
Non sapeva perché permettesse a quei dubbi di assillarlo e perturbare il suo animo così nel profondo. I due erano uniti fin da bambini, di certo non aveva ragioni per dubitare della fiducia dell’amato. Jari aveva sempre dimostrato di tenere davvero a lui e al loro rapporto.
Quelle riflessioni riportarono alla sua mente un episodio avvenuto quando i due erano ancora ragazzini.
 
Era disteso nel suo letto. Stava male, aveva la febbre alta, sudava e tremava scosso dai brividi. La testa pulsava dal dolore ed era troppo debole per compiere qualsiasi movimento. In quelle condizioni aveva aperto gli occhi percependo qualcuno accanto a sé. Con sorpresa quando la vista era tornata nitida aveva riconosciuto il suo fedele compagno.
«Jari…sei tu»
Egli si era sporto sul bordo del letto, donandogli un rassicurante sorriso.
«Temevo di stare ancora sognando…sono felice di averti davvero qui»
L’amico aveva preso la sua mano per rassicurarlo e dargli una prova tangibile della sua presenza.
«Grazie per essere rimasto»
«Non avrei potuto lasciarti da solo sapendo che stavi male»
Verner aveva provato sincera commozione in quel momento, nessuno si era mai preoccupato così tanto per lui. Jari era sempre pronto a dar prova della sua sincera amicizia e a dimostrare il suo affetto, sapeva che in lui c’era qualcosa di speciale. Anche in quell’occasione aveva trovato conforto nell’averlo al suo fianco.
Jari aveva passato delicatamente un panno umido sulla sua fronte madida di sudore.
«Adesso torna a dormire, devi riposare. Vedrai che presto ti sentirai meglio»
Verner aveva indugiato: «sarai ancora qui al mio risveglio?»
«Certo» aveva risposto l’amico senza esitazione.
In quel momento di debolezza fisica il giovane aveva esternato anche la sua vulnerabilità.
«Per favore, non andare via» l’aveva supplicato.
«Non preoccuparti. Resterò sempre vicino a te. Te lo prometto»
Soltanto allora Verner aveva socchiuso gli occhi.
«Anche io ci sarò sempre quando avrai bisogno di me»
«Lo so» aveva risposto semplicemente il compagno, già conscio di questo.
 
Verner dovette ammettere che per tutti quegli anni era stato davvero così. I due erano sempre stati pronti a sostenersi nei momenti di difficoltà.
Questa consapevolezza servì ad attenuare la sua angoscia. Nonostante tutto fidava di Jari, non aveva ragioni per dubitare della sua lealtà.
Il giovane si sistemò il carico sulle spalle, pensò che non avesse senso continuare a tormentarsi in quel modo. Era normale che certe cose sarebbero state destinate a cambiare nel tempo, ma ciò che era davvero importante tra loro era sempre rimasto lo stesso.
 
***

I lavoratori erano impegnati a svolgere i loro compiti con il capo chino e lo sguardo fisso a terra. I loro volti erano mesti e grigi. Il suo arrivo attirò l’attenzione di alcuni di loro, i quali alzarono la testa per squadrarlo con circospezione e sospetto oppure con pietosa compassione.
Verner tentò di ignorare quegli sguardi e si affrettò ad eseguire i comandi del suo supervisore, ma qualcosa cominciò a insospettirlo. Fin dal primo momento percepì una strana sensazione, il suo istinto gli suggerì di restare in allerta. L’atmosfera non era affatto serena, una certa tensione aleggiava nell’aria.
Era ancora perso in questi pensieri quando tra quella massa di uomini malridotti riconobbe un volto conosciuto. Si trattava di Karl Manninen, un vecchio amico di famiglia.
L’uomo non si stupì nel trovare quel ragazzo tra i nuovi arrivati, l’espressione sul viso però parve rattristarsi.
«Verner, quasi faticavo a riconoscerti. Diamine, l’ultima volta in cui ti ho visto eri ancora un ragazzino!»
«In effetti è trascorso del tempo dalla tua ultima visita» confermò il giovane.
«Come sta il buon Elmer?»
Egli distolse lo sguardo: «purtroppo non molto bene, la malattia peggiora ogni giorno di più»
Manninen poggiò una mano sulla sua spalla: «mi spiace, conosco tuo zio da tanto tempo…è davvero triste pensare alla sua sofferenza»
Verner rimase in silenzio, non aveva bisogno della compassione di nessuno.
«È per questo che sei qui? Per aiutare la tua famiglia?»
Il ragazzo annuì.
Karl scosse la testa con aria afflitta: «non saresti dovuto venire qui, questa dannata ferrovia diventerà la tua condanna»
Il giovane non capì: «di che stai parlando?»
«Ascolta qualcuno con più esperienza. Adesso tu sei ancora un giovane in forze e in salute, ma questo lavoro ti consumerà fino alle ossa. Se sarai sfortunato potrebbe capitarti un incidente, e anche se dovessi sopravvivere sarebbe comunque una grande disgrazia! Perderesti il lavoro e ti ritroveresti invalido e sbattuto per strada»
Verner trovò alquanto esagerata quella visione del tutto pessimista e catastrofica.
«Non sto dicendo tutto questo per spaventarti, voglio solo che tu sia consapevole di quel che potrebbe accadere. Questa è una vita dura, per quanto tu possa essere disposto al sacrificio non dovresti sottovalutare i rischi e i pericoli»
«Non è stata una mia scelta, ho bisogno di questo lavoro»
«Certo ragazzo, a nessuno qui piace l’idea di morire di fame»
Verner rifletté su quelle parole.
«Se è davvero così terribile perché nessuno fa niente per queste ingiustizie?»
Karl rispose con amarezza: «gli scioperi servono solo a prendere bastonate! E poi chi ha figli da sfamare non vuole certo finire in galera!»
«Io non ho intenzione di farmi mettere i piedi in testa da nessuno!» chiarì Verner con decisione.
«Se fossi in te non andrei a caccia di guai, i piantagrane non hanno vita lunga da queste parti»
Egli non seppe se percepire ciò come un avvertimento o una minaccia.
«E stai attento a non farti venire strane idee! Certa gente è pericolosa»
Il giovane si domandò a chi si stesse riferendo, ma non poté approfondire quella conversazione poiché proprio in quel momento fu richiamato dai suoi compagni.
 
Verner ebbe presto prova della veridicità delle parole di Karl. Il lavoro era duro e faticoso, il suo caposquadra si rivelò rigido, severo, intollerante e intransigente. Ogni minimo errore comportava gravi conseguenze.
Il giovane cercò di fare del suo meglio per adattarsi a quella situazione, ma una parte di sé già iniziava a dar segni di insofferenza. Le pessime condizioni di lavoro, i turni massacranti e le ingiuste punizioni erano difficili da sopportare. Verner capì in fretta perché sui volti di quegli operai compariva sempre un ghigno incarognito. In quelle condizioni si sentivano tutti più bestie che uomini.
 
Durante una pausa Verner sostò a lato dei binari in compagnia di un altro giovane del villaggio. Non aveva mai avuto molta confidenza con lui, dai tempi della scuola ricordava solo che il suo nome era Jussi.
Il ragazzo estrasse dalla giacca un contenitore metallico e gli offrì una sigaretta. Verner accettò, almeno quello era un modo per scaldarsi.
I due iniziarono a conversare, ben presto l’argomento principale divenne il lavoro.
«Prima ho parlato con Karl, lui è convinto che questo posto sia l’inferno!»
Jussi non poté contraddirlo: «be’, non ha tutti i torti. Ma se posso essere sincero quell’uomo si comporta come un vigliacco, è rassegnato al suo destino e pensa di trascinare tutti nella sua commiserazione!»
«Però quel che dice è vero»
«Ciò non significa che non possiamo far nulla per cambiare le cose»
Verner sospirò: «forse avrei dovuto dare ascolto a Jari e trasferirmi a Helsinki…»
«Jari Koskinen? Il figlio del dottore? Oh, non penso che quel ragazzo possa aiutarti con i suoi consigli»
Egli si stupì: «per quale ragione?»
«Be’, quelli come lui non sanno che cosa significa lottare per sopravvivere»
«Jari non è uno sprovveduto, sa come funziona il mondo» disse prontamente in sua difesa.
 «Di questo ne sono certo, ma…ecco, questa è una realtà che puoi comprendere solo se ti ritrovi a viverla davvero. Chi non ha mai sofferto i crampi della fame e non si è mai spaccato la schiena di lavoro non può comprendere la nostra condizione»
Verner non mise in dubbio le buone intenzioni di Jari, ma pensò che forse era stato fin troppo ingenuo nel pensare di poterlo aiutare in quel modo.
«I nostri compaesani che lasciano il villaggio sono dei vili traditori. Guardati intorno, le montagne, i laghi, le foreste…la Carelia è la nostra terra. Dovremmo proteggerla e non abbandonarla»
Verner non esitò a difendere il suo amico da quelle accuse: «anche andarsene è una scelta difficile»
«In ogni caso Helsinki è una scelta deplorevole. In città i ricchi sono sempre più ricchi, e i poveri sempre più poveri»
«Come fai a saperlo con certezza?»
«Mio padre ha vissuto in città per tanto tempo, è tornato dopo anni di lavoro in fabbrica con i polmoni distrutti dal fumo e il fisico devastato dallo sforzo e dalle percosse»
Verner rimase impressionato: «è terribile»
«Almeno quelli come lui sono consapevoli di quel che sta accadendo»
«Quelli come lui?» domandò.
«I comunisti» rivelò Jussi con inaspettata fierezza.
Verner restò diffidente, era sempre rimasto estraneo alla politica. Egli era un giovane pragmatico e concreto, non apprezzava affatto i comizi pieni di parole e pochi fatti. Almeno fino a quel momento era questa l’idea che si era fatto di certi ambienti.
«Credimi, i rossi sanno bene qual è l’unica soluzione» affermò Jussi con estrema convinzione.
«E quale sarebbe questa soluzione?»
«La rivoluzione! È questo che serve a un proletariato sfruttato e denigrato!»
Verner non mostrò particolare interesse, anzi, non era nemmeno certo di aver compreso del tutto quelle parole.
Jussi portò avanti il suo discorso: «mio padre è stato arrestato durante lo sciopero del 1905. Lui e gli altri lavoratori hanno rischiato di rimetterci la pelle, per fortuna allora c’erano le Guardie a difenderli»
L’altro gli rivolse uno sguardo interrogativo.
«Le Guardie Rosse, la milizia armata. I volontari hanno combattuto valorosamente, ma i Cosacchi hanno messo fine alla rivolta con la violenza»
«Dieci anni fa le cose erano diverse» commentò Verner.
«Almeno i lavoratori finlandesi hanno dimostrato di saper reagire» replicò Jussi.
Il giovane stava per ribattere, ma la loro conversazione venne interrotta dal fischio del caposquadra.
«Forza, smettetela di perdere tempo! Tornate tutti al lavoro, svelti!»
 
Per il resto della giornata Verner pensò alla discussione avuta con Jussi. Ricordava che quel ragazzo non gli era mai piaciuto, era troppo arrogante e sicuro di sé. Eppure doveva ammettere che in quel che diceva c’era un fondo di verità.
Verner continuò a scavare la sua buca nella neve, era ancora irritato per il poco rispetto che Jussi aveva mostrato nei confronti di Jari. Aveva giudicato il suo compagno soltanto in base alla classe d’appartenenza, senza nemmeno conoscerlo.
Forse in passato una parte di sé aveva ritenuto Jari colpevole per le sue scelte, ma non avrebbe mai potuto considerarlo come un traditore. Era consapevole che la sua era stata una decisione difficile e sofferta.
Poteva però comprendere le ragioni di Jussi, condivideva il suo desiderio di rivalsa e il suo attaccamento alla terra natia. A lasciarlo perplesso erano stati i suoi ideali politici e il suo eccessivo trasporto.
Era chiaro che con il suo discorso Jussi avesse cercato di ritrarre i rivoluzionari come eroi del popolo, ma la questione era decisamente più complessa. Istintivamente pensò alle paterne raccomandazioni di Karl, non si sarebbe sorpreso nello scoprire che erano proprio i comunisti ad avere idee pericolose.
Verner affondò con forza la pala nella neve. Probabilmente l’amico di suo zio aveva ragione, era meglio stare lontani da certe questioni.
Se Jari fosse stato al suo fianco gli avrebbe consigliato di comportarsi in modo responsabile e pensare soltanto al bene della sua famiglia. Quel lavoro era importante per lui, forse con un po’ di buona volontà e sopportazione avrebbe potuto tollerare quei compromessi.
 

Un gruppo di giovani operai si era riunito vicino al deposito, tra loro parlavano russo, ma sembravano comprendere bene il finlandese. Inizialmente Verner suppose che fossero disertori dell’esercito, non erano molte le ragioni per nascondersi nelle foreste, per la maggior parte quelli come loro erano criminali.
In ogni caso non prestò troppa attenzione quando passò accanto ai lavoratori in pausa per trasportare il suo carico. Fu uno di loro a rivolgersi a lui quando si accorse del peso sbilanciato sulle sue spalle.
«Ei! Stai attento! Hai intenzione di spaccare la testa a qualcuno?»
Il russo l’aiutò a trasportare la sbarra di ferro per poi riporla cautamente a terra. 
«Grazie» disse Verner per semplice cortesia.
L’altro gli porse la mano con un gesto amichevole: «io sono Aleks, se hai bisogno di qualcosa puoi chiedere a me e ai miei compagni. Lavoriamo alla ferrovia da abbastanza tempo da sapere come funzionano le cose da queste parti»
Verner si presentò a sua volta, ma rifiutò la stretta, mantenendo una certa diffidenza. 
Il russo percepì il suo astio, probabilmente aveva già riscontrato altre volte quella reazione, riconobbe subito quello sguardo.
«Che ti prende? Ti ho forse offeso in qualche modo?»
Il finlandese scosse la testa.
«Non mi fido dei russi, soprattutto se si dimostrano così affabili e disponibili nei miei confronti»
Il suo interlocutore e i suoi compatrioti scoppiarono in una sonora risata.  
«Temo proprio che tu ti stia sbagliando. Noi non siamo al servizio dello zar» replicò Aleks, esternando completo disprezzo per l’autorità imperiale.   
Verner li guardò tutti con più attenzione, sul volto portavano i segni della fame e della fatica, i loro fisici erano provati dal duro lavoro allo stesso modo di qualunque finlandese.  
«Siete comunisti?» ipotizzò.
Il giovane negò: «siamo anarchici. Siamo fuggiti oltre il confine per evitare l’arresto, ma presto torneremo in Patria. La nostra gente sta aprendo gli occhi, le cose stanno cambiando…»
«A me non importa nulla della vostra gente!» fu la fredda risposta del finlandese.
Aleks scambiò uno sguardo d’intesa con i suoi compagni.
«Ad alcuni tuoi compatrioti sembra interessare parecchio la situazione politica russa» continuò.
Verner rimase perplesso: «di chi stai parlando?»
«Dei rossi»
Il finlandese restò perplesso e confuso dalla situazione: «credevo che voi non foste comunisti»
Aleks scosse le spalle: «possiamo accettare il fatto di avere obiettivi in comune»
Verner sbuffò: «per me siete tutti uguali»
L’altro mostrò un sarcastico sorriso.
«Eppure nemmeno tu sembri così diverso» affermò guardandolo dritto negli occhi.
Il finlandese non diede troppa importanza a quelle parole, era certo che la sua fosse soltanto una provocazione. Senza aggiungere altro voltò le spalle e si allontanò per tornare al suo lavoro.
Il russo restò a fissarlo finché un suo compagno non richiamò la sua attenzione.
«Avresti dovuto lasciarlo stare. Sai come sono questi finlandesi, freddi come i loro ghiacciai e testardi come le loro renne!»
«A me è sembrato un tipo a posto. Ha carattere»
«Non è un rosso»
«Questo non è un problema»
Il suo compagno non comprese l’esatto significato di quella frase, ma intuì che avesse qualcosa in mente.
«Non credo ci abbia preso in simpatia, dubito che lo rivedremo da queste parti»
«Io invece sono certo che tornerà» concluse Aleks con aria soddisfatta.

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Capitolo 4
*** L'Organizzazione ***


Ringrazio di cuore tutti i lettori che stanno seguendo il racconto. Un ringraziamento speciale ai cari recensori per il prezioso supporto.
 

 
IV. L’Organizzazione
 

Il dormitorio era avvolto dal silenzio, dal freddo e dall’oscurità. Nella sua stanza Jari era ancora sveglio, non aveva nemmeno tentato di spogliarsi e stendersi sul letto. Troppi pensieri si erano accumulati nella sua mente tra dubbi e incertezze.
Il giovane emise un profondo respiro. In notti come quelle al villaggio avrebbe sempre potuto contare sul supporto e il conforto di Verner. Avrebbe potuto confidargli i suoi più intimi timori, l’amico l’avrebbe ascoltato dimostrando piena comprensione. Alla fine gli avrebbe semplicemente detto di non preoccuparsi, perché lui era sempre stato un ragazzo sveglio e intelligente. Qualunque fosse stato il problema avrebbe trovato la giusta soluzione, doveva solo avere fiducia in sé stesso.
Verner riusciva sempre a ridonargli speranza anche nei momenti più difficili. Nessun altro avrebbe potuto rassicurarlo in quel modo, tra le sue braccia svaniva ogni tormento.
 
Yrjö intravide la luce accesa dal corridoio, dopo qualche istante di esitazione si decise ad entrare nella stanza del suo compagno. Lo trovò seduto di fronte al piccolo scrittoio, si teneva la testa tra le mani, sconsolato e affranto.
«Dovresti provare a riposare, domani mattina dobbiamo presentarci presto a lezione»
Egli gli rivolse uno sguardo rassegnato: «temo che in ogni caso non riuscirei a dormire»
«Qualcosa ti preoccupa?»
Jari distolse lo sguardo: «non ho intenzione di affliggerti con i miei tormenti»
Yrjö si avvicinò: «sono disposto ad ascoltarti, in veste di buon amico»
Il giovane apprezzò quel gesto, ma non era certo di volersi confidare con il suo compagno, in ogni caso non avrebbe potuto rivelargli la verità.
«Si tratta di quel che è accaduto questa sera?» ipotizzò Yrjö.
Jari annuì: «non riesco a smettere di pensare a quei discorsi, quelle frasi continuano a vagare nella mia mente»
«Be’, bisogna ammettere che Winkler è davvero un buon oratore»
«Le sue non sono solo parole»
Yrjö sollevò lo sguardo: «che cosa intendi?»
«Winkler non è il solo a pensarla in questo modo, ci sono persone davvero disposte a lottare per la Libertà»
«Pensi che gli altri non siano altrettanto sinceri?»
«Gli altri sono degli ipocriti, desiderano solo ottenere approvazione con i loro bei discorsi di indipendenza, ma tutto quello che fanno è leggere poesie e parlare di vani ideali senza mai mettere sul tavolo nulla di concreto!»
«Per queste cose c’è bisogno di tempo»
«Non ritieni che il nostro popolo abbia atteso anche troppo a lungo?»
Yrjö avvertì dei segnali ben poco rassicuranti, la questione stava diventando rischiosa.
«Se fossi in te affronterei tutto questo con più cautela»
«Stai dicendo che dovrei lasciar perdere?»
«No, ma…questa è una faccenda pericolosa. Ricordi quel che ha detto Lauri? Gli studenti della Ostrobotnia che hanno messo in atto l’attentato sono in attesa della loro condanna»
«Se non faremo nulla per cambiare le cose allora la loro morte resterà vana»
Yrjö abbassò il capo restando in silenzio.
Jari si voltò in direzione della porta socchiusa: «a proposito…dov’è Lauri? È strano che non si sia accorto di noi»
Il compagno rispose con malizioso sorriso: «non è nella sua stanza, è uscito per una delle sue fughe notturne»
Jari non fu sorpreso, non era difficile evadere da quelle mura se si conoscevano i metodi giusti. E Lauri era sempre stato bravo a trovare il modo per ottenere quel che voleva.
«Dove è andato?»
«Considerando il tempo che ha impiegato per prepararsi immagino ad un appuntamento galante»
«Ero certo che questa storia riguardasse una ragazza»
«Oh, credo che si tratti di qualcosa di serio, ultimamente Lauri non fa altro che parlare di lei. Si chiama Marja. Pensa che mi ha anche mostrato una sua fotografia, è davvero molto bella»
Jari non fu sorpreso da quella notizia.  
«Lauri spesso si comporta come un incosciente, ma a volte mi piacerebbe avere la sua spontaneità» ammise Yrjö.
Jari comprese il suo stato d’animo, sapeva perfettamente cosa significasse provare quella sensazione.
«Conosco bene qualcuno così impulsivo, per molto tempo ho pensato che fosse mio dovere aiutare questa persona a mantenere i piedi per terra, ma mi sono sempre sbagliato. La verità è che sono io ad aver bisogno del suo entusiasmo, me ne rendo conto adesso che sento la sua mancanza»
Egli avvertì gli occhi lucidi, era la prima volta che parlava a qualcuno di Verner, seppur indirettamente.
L’altro percepì qualcosa: «non sono solo i dilemmi politici a tenerti sveglio, vero?»
Jari sospirò: «temo di essermi lasciato sopraffare dalla nostalgia, la notte è sempre malinconica»
L’amico tentò di confortarlo: «so che per te non è semplice sopportare questa lontananza, voglio però che tu sappia che qui non sei solo»
Il giovane accennò un lieve sorriso: «grazie, apprezzo davvero quel che stai facendo per me»
«Vorrei poter fare qualcosa di più per farti sentire meglio»
«Non preoccuparti, ho solo bisogno di un po’ di tempo per adattarmi a tutto questo»
Yrjö osservò l’orologio: «è molto tardi, dovresti davvero provare a dormire»
Egli annuì, quella chiacchierata era servita a quietare il suo animo, pian piano la stanchezza aveva iniziato a farsi sentire.
Il suo compagno si congedò con un ultimo saluto, poi si allontanò richiudendo la porta alle sue spalle.
 
***

Quella mattina era iniziata come molte altre, non aveva nulla di speciale. Lauri osservò con aria annoiata e lo sguardo spento le scritte alla lavagna, stringeva la penna tra le dita, ma il foglio davanti a lui era rimasto bianco.
Jari riportò il suo compagno alla realtà con una lieve gomitata: «dovresti stare attento. Questa lezione è importante»
L’altro sbuffò: «stamattina non riesco a concentrarmi»
«Se ieri notte fossi tornato a un’ora decente adesso non avresti problemi» disse lui senza smettere di scrivere.
Lauri sorrise: «sono uscito con una bella ragazza, sai, credo che potrebbe essere quella giusta…»
Jari non rispose e tornò a seguire il discorso del professore.
«Saarinen ti adora, sono sicuro che prenderai il massimo anche in questo esame»
«Di certo non accadrà se continui a distrarmi così» protestò.
Lauri alzò le spalle, si distese sullo schienale e si guardò intorno. Gli altri studenti non sembravano molto più interessati di lui alla spiegazione del docente. Ammirò il paesaggio cittadino che intravedeva dalla finestra, poi voltò gli occhi all’orologio appeso alla parete. Era come se il tempo si fosse fermato, le lancette si muovevano con una lentezza esasperante. Il ragazzo si arrese, trattenne uno sbadiglio e con gran forza di volontà scrisse qualche parola sul suo quaderno.
 
Durante la breve passeggiata per raggiungere il refettorio Lauri decise di confrontarsi apertamente con Jari.
«Si può sapere che ti prende? Ultimamente ti comporti in modo davvero insopportabile!»
Il suo compagno tentò di evitare l’argomento con una vaga risposta.
«Questo è un periodo piuttosto impegnativo, ho molte questioni di cui occuparmi»
«Hai bisogno di distrarti, trovati una ragazza e divertiti un po’!» gli suggerì.
Jari scosse la testa: «non credo che questo potrebbe aiutarmi»
«Il tuo problema è che prendi sempre tutto troppo sul serio»
«Non dovresti preoccuparti per questo» commentò distrattamente.
«Dico veramente. Diamine, hai diciotto anni, prova a comportarti come un ragazzo della tua età ogni tanto!»
«Diciannove»
«Cosa?»
«Ho compiuto diciannove anni il mese scorso» gli ricordò il giovane.
«Immagino che tu non abbia nemmeno festeggiato»
Jari non rispose, era vero, non aveva avuto occasione di festeggiare mentre si trovava lontano da casa, tormentato dai sensi di colpa per aver voltato le spalle alla terra natia e per aver deluso e abbandonato la persona che amava.
«Tu non puoi capire» sputò fuori con amarezza.
Lauri intuì di aver superato il limite, forse aveva preteso troppo con la sua esuberanza. Non era sua intenzione mancare di rispetto all’amico.  
«Mi dispiace…volevo solo provare a darti una mano»
«Non ho bisogno di niente, davvero»
«D’accordo. Posso almeno darti un consiglio?»
Jari rimase in silenzio.
«Non tutti sono come sembrano. So che per te sono soltanto un rampollo viziato, ma non sono uno stupido»
«Non penso affatto che tu sia stupido» replicò.
Lauri scosse le spalle: «ho notato come guardavi Winkler ieri sera, eri completamente stregato dal suo discorso, pendevi letteralmente dalle sue labbra…»
Jari avrebbe voluto ribattere, ma sapeva di non poter negare la verità.
«Dovresti stare attento, forse non troverai in lui quello che stai cercando. Non vorrei che aprissi gli occhi troppo tardi»
«È per il fatto che è tedesco? È per questo che non ti fidi di lui?»
Lauri non rispose, ma il suo sguardo lasciò ben intendere quale potesse essere la verità.
Jari provò un senso di repulsione, non poteva credere che per il suo compagno i pregiudizi fossero più importanti degli ideali.
«Non ho intenzione di lasciar perdere questa storia. Se davvero ti ritieni un attivista per la Libertà anche tu dovresti essere disposto a correre dei rischi»
«Lo farò, quando sarà il momento giusto»
Jari non riuscì a trattenersi: «il momento giusto arriverà quando ti deciderai ad agire!»
Dopo aver detto ciò il giovane accelerò il passo, superò il suo compagno e si allontanò rapidamente con passo deciso.
 
***

Più tardi nell’antica biblioteca Lauri parlò a Yrjö dell’accaduto.
«Mi chiedo che cosa si sia messo in testa. Non mi era mai capitato di discutere con lui in quel modo» si lamentò.
L’amico si dimostrò più tollerante nei confronti di Jari. 
«Devi avere pazienza, sai che sta passando un momento difficile»
L’altro era ormai convinto che ci fosse qualcosa di insolito in quella faccenda.
«Non posso dirlo con certezza, ma credo che qualcosa in lui sia cambiato»
«Forse non l’hai mai conosciuto davvero»
Lauri sbuffò: «non sono dell’umore adatto per queste tue risposte enigmatiche»
«Dico soltanto che Jari è sempre stato convinto dei propri ideali» spiegò Yrjö.
Il suo compagno rimase perplesso: «tu che cosa pensi di tutta questa storia?»
Egli continuò a sfogliare le pagine ingiallite del grosso volume di anatomia.
«Forse è ancora troppo presto per giungere a delle conclusioni. In fondo non conosciamo ancora nulla per certo» fu l’onesta risposta.
«Già…ma la vicenda è sempre più pericolosa. Io sono convinto che Winkler e i suoi compagni abbiano a che fare con i ribelli della Ostrobotnia»
L’amico sgranò gli occhi azzurri: «pensi che abbiano organizzato loro quell’attentato?»
«È molto probabile»
Yrjö iniziò a preoccuparsi: «anche io ho sempre sostenuto gli ideali di indipendenza, ma non posso giustificare in alcun modo quei criminali»
«Il loro è stato pur sempre un atto patriottico»
«Hanno commesso degli omicidi!»
Lauri rifletté qualche istante.
«E se la rivoluzione fosse davvero la nostra unica possibilità? A questo punto dovremmo tutti prendere una decisione»
Yrjö impallidì, ma rispose razionalmente: «al momento sarebbe impossibile mettere in atto una rivolta»
«Con quel che sta accadendo a occidente le cose potrebbero cambiare in fretta anche qui»
Egli preferì non azzardare alcuna previsione per il futuro: «per il momento è meglio stare attenti e tenere gli occhi aperti»
Lauri concordò con il suo compagno. Al termine di quella conversazione tornò a leggere il suo libro con aria pensierosa, le parole di Jari l’avevano scosso nel profondo.
 
***

Al crepuscolo Jari si incamminò verso la sede di un circolo sportivo, era quello il luogo che Bernhard gli aveva indicato. All’interno di quelle mura si svolgevano gli incontri segreti della sua misteriosa organizzazione.
Il giovane avvertì un brivido di eccitazione, per la prima volta da quando aveva lasciato il villaggio sentì di trovarsi esattamente dove avrebbe dovuto essere. Per questo era lì, per prendere parte alla lotta per l’Indipendenza della sua amata Patria, per liberare il suo popolo dalla tirannia russa.
Jari si lasciò travolgere da questi pensieri, in quel momento aveva una sola consapevolezza, da quel momento non avrebbe più potuto tirarsi indietro, ormai aveva preso la sua decisione.
Le stanze erano fredde e vuote, i suoi passi echeggiarono nel silenzio. Percorse il lungo corridoio sorpassando una serie di ritratti appesi alle pareti.
Il ragazzo raggiunse l’ampio salotto, provò una strana sensazione ritrovandosi in un ambiente così raffinato ed elegante. Era difficile credere che i giovani dall’aspetto borghese che frequentavano quelle riunioni fossero in realtà ribelli e cospiratori.
Immediatamente riconobbe Bernhard, il quale sembrava attenderlo oltre la soglia.
«Jari, ero certo che saresti venuto»
Il giovane provò una certa soddisfazione nel constatare che Winkler si fosse ricordato di lui.
Il tedesco l’accolse con un’amichevole stretta di mano, poi lo prese per un braccio e senza esitazione lo presentò ai suoi compagni.
Jari scoprì presto che tutti i presenti erano attivisti dei circoli studenteschi di diverse università. Per la maggior parte erano finlandesi di origini svedesi.
Bernhard lo invitò a sedersi al tavolo. Il giovane prese posto cercando di non esternare il proprio nervosismo. Era curioso e impaziente di scoprire qualcosa di più, ma allo stesso tempo provava anche una certa agitazione.
Winkler si sistemò a capotavola, con calma si accese una sigaretta e soltanto dopo aver scrutato con attenzione il volto di ognuno dei partecipanti si decise ad iniziare il suo discorso.  
«Immagino che tutti voi siate a conoscenza del motivo per cui siamo qui»
Gli altri risposero con un lieve cenno del capo.
«Non possiamo più continuare ad agire da soli, abbiamo provato a collaborare con gli anarchici, ma questo non è stato sufficiente. Se vogliamo davvero sconfiggere l’armata dello zar dobbiamo avvalerci di soldati ben addestrati a combattere»
Jari trasalì: «ciò significa che dovremo prepararci alla guerra?»
Bernhard rivolse al nuovo arrivato uno sguardo freddo e severo.
«La resistenza armata è la nostra unica possibilità. Se non reagiremo in tempo presto perderemo anche la poca libertà conquistata con il Granducato»
«Si tratterebbe quindi di un esercito clandestino»
«Già, per questo abbiamo bisogno di un alleato più forte e potente che possa garantirci il suo supporto»
A quel punto intervenne un altro studente che si rivolse a Winkler: «è per questo che abbiamo deciso di affidarci a te. Sei il nostro intermediario con la Germania, i tedeschi hanno interesse nell’indebolire l’Impero dello zar, potrebbero dimostrarsi favorevoli a questa alleanza»
Bernhard rispose con una smorfia esternando la propria frustrazione.
«Purtroppo gli ultimi accordi non sono andati a buon fine»
«Huber era l’uomo sbagliato»
Jari riconobbe quel nome, Huber era l’ex-ambasciatore tedesco a Helsinki. La faccenda doveva essere seria, quello era un caso internazionale.
«Dunque adesso a chi pensate di rivolgervi?» domandò il ragazzo.
Winkler sorrise: «non siamo degli sprovveduti, abbiamo sempre un piano di riserva. Abbiamo già pensato a contattare i nostri alleati a Stoccolma»
«Loro potranno aiutarci?»
Bernhard confermò: «il prossimo obiettivo sarà presentare la nostra richiesta a un ufficiale dell’Esercito tedesco»
 
Mentre gli altri erano impegnati in animate discussioni Jari fu preso in disparte da Winkler. Il tedesco restò impassibile mentre con lo sguardo cercò di interpretare l’espressione sul viso del compagno.
«Suppongo che non ti aspettassi nulla di tutto questo»
«Io…devo ammettere di essere sorpreso» rivelò Jari.
«Puoi chiedere quello che vuoi, da me avrai solo risposte sincere»
Il ragazzo esitò qualche istante, alla fine trovò il coraggio di parlare.
«Qual è il tuo ruolo in tutto questo? Sei una specie di agente segreto?»
Winkler negò mostrandosi divertito da quella fantasiosa ipotesi.
«No, sono semplicemente un messaggero. So che la mia posizione è pericolosa, entrambe le fazioni potrebbero accusarmi di starmi approfittando della situazione e di voler favorire l’una o l’altra parte…»
Inevitabilmente Jari ripensò agli avvertimenti di Lauri.
«E tu? Da quale parte stai veramente?»
«Ho cuore tedesco e sangue finlandese. Non posso rinunciare a nessuna parte di me»
Jari capì il significato di quelle parole.
Bernhard l’afferrò per un braccio e con un gesto deciso l’avvicinò a sé.
«Voglio sapere solo una cosa da te» disse con fermezza guardandolo dritto negli occhi.
Jari ebbe un lieve sussulto.
«Ora che conosci la verità sei disposto a unirti a noi?»
Il ragazzo annuì senza esitazione.
«Immagino che tu sappia che questa decisione avrà le sue conseguenze»
«Sono disposto a fare tutto il necessario per il bene della Finlandia»
Winkler parve soddisfatto, aveva ottenuto quel che voleva. Sorrise e con disinvoltura liberò il compagno dalla sua stretta.
«Bene…adesso è meglio che te ne vada, hai sentito abbastanza per oggi»
Jari fu sorpreso: «come faremo a restare in contatto?»
«Mi farò vivo quando sarà il momento. La discrezione è fondamentale»
Il giovane comprese perfettamente quelle motivazioni. Non poté far altro che obbedire, nonostante tutto si fidava di Winkler e voleva dimostrargli piena collaborazione.  
La porta si richiuse alle sue spalle con tutti i suoi segreti.
Jari prese un profondo respiro, da quel momento nulla sarebbe più stato come prima. Con questa consapevolezza si incamminò in direzione del dormitorio, seguendo la fioca luce dei lampioni nella notte.
 
 

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Capitolo 5
*** Cambiamenti ***


 
 
V. Cambiamenti  
 

Verner si rigirò tra le coperte, nonostante la stanchezza faticava ad addormentarsi, era tormentato da dubbi e incertezze. Nella sua mente continuavano a riaffiorare le parole di Jussi, aveva particolarmente preso a cuore la triste storia di suo padre. Inoltre l’incontro con quel russo l’aveva lasciato con sensazioni che oscillavano tra la diffidenza e la curiosità. Era convinto che Aleks avesse voluto istigarlo a reagire con le sue risposte irriverenti, come se in qualche modo avesse avuto intenzione di metterlo alla prova.
Tutto ciò era alquanto sospetto. Sentiva di non doversi intromettere in simili questioni, eppure una parte di sé voleva scoprire di più. Non si era mai tirato indietro davanti a una sfida.
Il giovane tentò di non dare troppa importanza a tutto ciò, aveva promesso a Jari di tenersi lontano dai guai e quella era decisamente una faccenda pericolosa.
Abbandonandosi ai suoi pensieri Verner non poté evitare di rammentare il passato. Ripensò al rifugio nella foresta, in quei momenti di solitudine cercò conforto in quei frammenti di felicità condivisi con la persona amata. Ricordò quando per la prima volta avevano rivelato i reciproci sentimenti.  
 
La bufera infuriava fuori dal rifugio, il vento ululava tra gli alberi e la neve cadeva violentemente sul tetto. Il fuoco scoppiettava nel camino, le fiamme ardenti danzavano nella penombra.
Verner aveva stretto le mani gelide del compagno tra le sue, sfregandole delicatamente per riscaldarle. Quando aveva alzato lo sguardo su di lui aveva notato un lieve rossore sulle sue guance.   
«Come ti senti?» aveva domandato con apprensione.
«Adesso sto bene, non preoccuparti» aveva risposto Jari.
Verner conosceva l’amico meglio di chiunque altro, sapeva che stava mentendo soltanto per cercare di rassicurarlo.
In quel momento era stato costretto a fare i conti con la propria coscienza. Nella tormenta aveva rischiato di perdere la persona più importante della sua vita senza aver avuto l’occasione di essere del tutto sincero nei suoi confronti. Non avrebbe potuto sopportare quel senso di colpa, non voleva avere rimpianti.
Da tempo aveva iniziato a provare sentimenti ben più profondi nei suoi confronti, seppur inizialmente avesse cercato di reprimere e nascondere quel lato di sé, non poteva più nascondere la verità. Quel sentimento di puro affetto si era presto tramutato in qualcosa di fisico, e quando erano vicini diventava sempre più difficile reprimere quelle naturali reazioni.
Temeva di rovinare tutto, per questo non aveva mai osato rivelare all’amico la vera natura dei suoi sentimenti, non avrebbe potuto sopportare di perderlo. Per quanto avesse sempre avuto fiducia in Jari aveva comunque paura di spingersi troppo oltre, forse quella volta lui non avrebbe potuto comprenderlo.
Tante volte si era domandato se anche Jari provasse lo stesso nei suoi confronti, o se quelle fossero state soltanto vane illusioni.
Verner era sempre stato un giovane istintivo e impulsivo, il solo desiderio di preservare quella preziosa amicizia gli aveva impedito di esporsi fino a quel momento. Quando aveva temuto di non poter avere un’altra possibilità si era deciso a esternare i suoi sentimenti, non era più riuscito a trattenersi. Aveva guardato il suo compagno negli occhi, incrociando il suo sguardo non era riuscito a pensare ad altro, doveva rivelargli la verità. Così aveva finalmente trovato la forza di agire, prendendo il suo viso tra le mani e unendo le loro labbra in un bacio tenero e incerto. Credeva di essere respinto, invece Jari gli aveva permesso di approfondire quel bacio, stringendosi a lui in quell’abbraccio. Quando si erano distaccati non avevano avuto bisogno di dire nulla, in un solo sguardo avevano riconosciuto il medesimo desiderio.  
Verner era tornato a baciarlo con ancor più decisione e trasporto. Jari l’aveva attirato a sé, entrambi si erano lasciati travolgere dalla passione, riuscendo ad abbandonare ogni timore l’uno nelle braccia dell’altro. Si conoscevano da una vita, eppure nell’amplesso era stato come incontrarsi per la prima volta. Con l’unione dei loro corpi, tra fremiti d’eccitazione e gemiti soffocati, erano riusciti a vivere a pieno il loro rapporto, trovando il coraggio di amarsi.
 
La tempesta si era placata, la quiete era tornata nella vallata, ogni rumore era attutito dalla neve. I due giovani erano rimasti avvinghiati sotto alle coperte, stretti in un caloroso abbraccio.
Jari aveva poggiato la testa al petto del suo compagno, avvertendo il ritmo del suo respiro e il battito del suo cuore. Verner gli aveva accarezzato delicatamente la chioma castana, avrebbe voluto soltanto godersi quel dolce momento, ma le preoccupazioni erano presto tornate a tormentarlo.
Jari aveva avvertito la sua apprensione.
«Qualcosa non va?»
Il ragazzo aveva esitato qualche istante prima di esternare i suoi pensieri.
«Non hai paura che tutto questo possa essere…sbagliato?» aveva domandato con voce tremante.
Jari si era sollevato leggermente per guardarlo in viso con i suoi intensi occhi grigi.
«Io so solo che quel che provo per te è reale e sincero»
Egli si era commosso nel sentire quelle parole, ancora una volta Jari gli aveva dimostrato di tenere davvero a lui.
 
Verner tornò alla realtà ritrovandosi nel suo letto. Rimasto solo al freddo e al buio realizzò ancor più quanto desiderasse stringere a sé il corpo del compagno. Il giovane si lasciò trasportare dai ricordi, ritornando con la mente alla notte in cui si erano scambiati la loro promessa.
 
Si erano ritrovati ancora una volta al rifugio, dove tutto era iniziato. Avevano cercato di rimandare quella conversazione più a lungo possibile, ma il silenzio si era rivelato ancora più opprimente.
Alla fine Verner si era deciso ad affrontare la questione.
«Dunque hai preso la tua decisione»
«Sai che non avevo altra scelta» si giustificò Jari.
«Non ti sto incolpando per questo. Devi fare quel che è giusto per te»
«Tutto ciò che vorrei davvero è restare qui con te»
«Sapevamo che questo non sarebbe potuto durare per sempre»
«Quando avrò terminato gli studi tornerò al villaggio e tutto sarà come avevamo programmato»
Verner non si era illuso: «qui non avresti nulla, in città invece potresti crearti un futuro. Potrò comprendere le tue ragioni se deciderai di non tornare»
Il compagno si era indignato di fronte a quella possibilità: «non dovresti nemmeno pensare una cosa del genere! Sai che non potrei mai abbandonarti»
«Sono soltanto realista. So che i tuoi sentimenti sono sinceri, ma…»
Jari non gli aveva nemmeno permesso di terminare la frase: «non potrei mai infrangere la nostra promessa!»
Verner si era rassicurato nel sentire quelle parole, egli era riuscito a donargli ancora speranza.
«Anche se saremo distanti voglio che tu sappia che resterò sempre al tuo fianco, qualunque cosa accadrà»
Verner si era ricordato del loro giuramento: «lo so, non ho mai dubitato della tua lealtà»
Jari aveva sfiorato il suo viso con una dolce carezza: «ti amo, questo non potrà mai cambiare»
Il giovane non aveva potuto far altro che cedere ancora una volta ai sentimenti.
«Anche io ti amo» aveva risposto prima di avventarsi sulle sue labbra per un ultimo bacio, intenso e appassionato.
 
Verner sospirò nel silenzio. Ormai non gli restavano altro che quei ricordi, tanto dolci quanto dolorosi.
Il ragazzo tentò di non abbandonarsi allo sconforto, aveva fiducia in Jari e voleva credere che un giorno avrebbero davvero potuto tornare insieme. In fondo avevano sempre saputo che quel rapporto non sarebbe stato semplice e che avrebbero dovuto affrontare numerosi sacrifici…ma il loro amore restava una promessa di speranza.  
Alla fine Verner cedette alla stanchezza, mancavano solo poche ore all’alba, presto avrebbe dovuto alzarsi per un’altra estenuante giornata di lavoro.
 
***

Il sentiero si addentrava nella foresta, dopo l’ultima curva iniziava la discesa, dopo aver attraversato il ponte di legno sul fiume ghiacciato doveva svoltare a destra per raggiungere la radura. Verner liberò gli scarponi dagli sci e si caricò il peso in spalla per percorrere a piedi l’ultimo tratto.
La prima persona che incontrò prima di raggiungere la ferrovia fu Karl. L’uomo lo salutò con un benevolo sorriso e lo invitò a fargli compagnia lungo la strada.
I due chiacchierarono tranquillamente finché ad un tratto il giovane non decise di riprendere la conversazione che avevano lasciato in sospeso.
«Posso farti una domanda?»
Karl intuì che dovesse trattarsi di una questione importante, annuì con serietà.
Il ragazzo parlò direttamente: «l’altro giorno quando mi hai detto di stare attento a certe persone ti riferivi ai comunisti?»
Manninen confermò: «ovviamente, i comunisti sono pericolosi fanatici»             
Verner notò disprezzo nel suo tono, ma anche timore.
«Per quale motivo sono così pericolosi?»
«Perché sono disposti a tutto in nome dei loro ideali, vogliono raggiungere i loro obiettivi con le armi e con la violenza»
«Stai dicendo che potrebbe davvero esserci una rivolta?»
Karl assunse un’espressione pensierosa: «sono dieci anni che i rossi attendono la loro rivincita»
Il giovane rimase perplesso: «le loro ragioni però possono essere condivisibili»
«Vogliono far credere al popolo di essere giustizieri e non veri criminali!»
«Si tratta dunque di propaganda?»
«Certo, vogliono attirarti dalla loro parte soltanto per sfruttarti!»
Verner si insospettì: «sembra che tu conosca bene certe dinamiche»
L’uomo s’irrigidì: «come ti ho detto, dovresti fidarti di qualcuno con più esperienza»
Il ragazzo percepì qualcosa di strano, sembrava che Karl sapesse più di quanto volesse rivelare. Il suo astio nei confronti dei comunisti pareva andare oltre alla sfera politica, quel suo comportamento lasciava intendere che quella fosse una questione ben più personale.
Verner si separò dal suo collega avvertendo la sensazione che anch’egli gli stesse nascondendo qualcosa sul suo passato.
 
***

La lunga e faticosa giornata di lavoro non era ancora giunta al termine. Verner infilò una mano in tasca in cerca di una sigaretta, dopo tutta quella fatica riteneva di essersi meritato qualche istante di riposo. Stava per unirsi a un gruppo di colleghi intenti a chiacchierare tra loro quando all’improvviso percepì una forte presa sulla sua spalla. Qualcuno lo strattonò violentemente afferrandolo per la giacca.
«Ei, ragazzo! Sei stato tu a scavare quella fossa?»
Egli annuì, domandandosi quale potesse essere il problema. Dall’atteggiamento irritato il suo superiore sembrava intenzionato a dargli una bella strigliata.
«Questa buca ti sembra abbastanza profonda?»
Verner tentò di mantenere la calma: «è profonda quanto aveva chiesto»
L’uomo interpretò quelle parole come una risposta irriverente e una provocazione.
«Non provare a prenderti gioco di me ragazzino!»
«Non era mia intenzione offenderla»
Il caposquadra sbuffò con disapprovazione.
«Forza, porta a termine il lavoro. Svelto!»
Verner raccolse la pala da terra e si avvicinò al bordo dalla fossa. Quando fu abbastanza vicino il suo superiore l’afferrò per la giacca, spingendolo giù con forza. Il giovane ruzzolò lungo il pendio, cadendo sul fondo con un tonfo.  
«Avrei dovuto immaginarlo, siete tutti quanti un branco di scansafatiche!» commentò il caposquadra rivolgendosi agli altri lavoratori, i quali non dissero nulla, ma continuarono ad esprimere odio e rancore attraverso i loro sguardi infuocati.
Verner si rialzò trattenendo un lamento di dolore, nonostante tutto strinse i denti e cominciò a scavare nel fango.
 
Al termine del lavoro Verner faticò a sorreggere il peso della pala, a stento si sorresse in piedi con muscoli doloranti. I vestiti erano macchiati di fango e il volto sudato coperto di terra. Le mani sanguinavano per lo sforzo. Con sforzo immane il giovane si arrampicò sulla parete del cratere, dopo qualche tentativo fallito trovò un braccio pronto ad aiutarlo. Ormai stremato, accettò quell’aiuto senza esitazione. Giunto in superficie riconobbe Jussi, il quale si preoccupò nel vederlo in quelle condizioni.
«Dannazione, quel bastardo se l’è proprio presa con te!»
Egli rimase in silenzio, sapeva che anche una parola di troppo avrebbe potuto essere pericolosa.
«Davvero vuoi lasciarti trattare in questo modo?»
«Posso sopportarlo» disse a denti stretti.
«Guarda come sei ridotto, sembri un randagio bastonato. Non ti importa nulla della tua dignità?»
Verner si pulì via la terra dal viso con il dorso della mano, in altre circostanze non avrebbe esitato a farsi valere, ma quella volta era diverso, aveva davvero bisogno di quel lavoro.
«Smettila con questa storia. Non ho intenzione di finire nei guai a causa tua!»
«Perché non vuoi capire? Sto solo cercando di aiutarti»
Verner sbuffò, ormai spazientito da quei discorsi.
Jussi lo guardò con aria di sfida: «prima o poi la tua coscienza si risveglierà e allora ti deciderai a unirti alla nostra battaglia»
Il giovane scosse le spalle: «ho già abbastanza problemi, l’ultima cosa che voglio è perdere questo lavoro»
«Come puoi ignorare la realtà? Hai avuto prova sulla tua pelle delle ingiustizie che dobbiamo subire ogni giorno!»
Verner si allontanò in silenzio, faticò a reprimere l’istinto di ribellione alimentato dalle parole del suo compagno, ma riuscì a mantenere il controllo. Una parte di sé però provò un certo rammarico, sarebbe stato difficile sopportare quella profonda frustrazione. Non sapeva per quale ragione, ma rifiutando la proposta di Jussi si era sentito come un traditore. 
 
***

Quella sera Verner decise di recarsi nell’unica locanda del villaggio per distrarsi dai suoi tormenti davanti a un boccale di birra. Il giovane camminò nella neve per le stradine deserte, stringendosi nel cappotto per ripararsi dal freddo. Era ormai giunto a destinazione quando qualcosa attirò la sua attenzione, sul fondo della via riconobbe qualcuno parlare in russo. In strada riconobbe i compagni di Aleks, i quali dovevano appena aver abbandonato la locanda dopo una bella bevuta. Parlavano tra loro ad alta voce, ridendo barcollando allegramente. Verner li osservò con attenzione, Aleks non era tra loro. Il ragazzo entrò all’interno del locale e immediatamente iniziò a cercare il russo con lo sguardo. Lo trovò seduto a un tavolo con una bottiglia di vodka ormai mezza vuota.
Appena Aleks lo notò lo salutò con un cenno e lo invitò a sedersi. Verner si guardò intorno, i pochi frequentatori del locale erano tutti uomini mezzi ubriachi. Alla fine si decise a raggiungere il suo collega, in fondo non gli dispiaceva l’idea di avere un po’ di compagnia.
Aleks gli offrì un bicchiere: «coraggio, ti aiuterà a scaldarti. È molto meglio di quei liquori annacquati che bevete voi finlandesi!»
Verner buttò giù un lungo sorso, l’alcol bruciò in gola, ma egli rimase impassibile.
Il russo sorrise: «immagino che anche la tua sia stata una dura giornata»
Il finlandese si soffermò a studiare il volto del suo interlocutore, era la prima volta che lo osservava così da vicino. Aleks doveva avere solo pochi anni in più di lui, anche se il suo volto era invecchiato dai segni dalla fame e dalla fatica. I folti capelli corvini circondavano i duri lineamenti del suo viso, nascondendo in parte il suo sguardo cupo e intenso.
«Sai, mi sei piaciuto subito. Ho capito fin dal primo momento che eri come noi»
Verner si stupì nel sentire quelle parole: «che cosa intendi?»
«Ho riconosciuto nel tuo sguardo il medesimo desiderio di rivalsa»
Egli non restò particolarmente colpito: «credi di poter conoscere qualcuno da un solo sguardo?»
«Per avere salva la pelle un anarchico deve imparare a riconoscere le persone che meritano fiducia»
Il giovane non poté contraddirlo, da quelle parole intuì che quell’uomo dovesse aver vissuto momenti davvero difficili prima di raggiungere la Finlandia come rifugiato. Per certe questioni non poteva mettere in dubbio la sua esperienza.
«È vero, non sopporto le ingiustizie. Conosco la povertà e la sofferenza, so cosa significa lottare per sopravvivere…ma questo non significa che sia disposto a unirmi a dei criminali!»
«È questo che credi? Pensi che noi siamo dei comuni criminali?»
«Come dovrei considerarvi?»
«Rivoluzionari, nel bene o nel male è questo che siamo» rispose il russo con estrema fermezza.
Verner rimase in silenzio per qualche istante, poi spinto dalla curiosità porse un’altra domanda.
«Da dove è nata questa alleanza con i comunisti?»
Aleks si mostrò compiaciuto per l’interesse.
«È tutto iniziato con la rivolta della fortezza di Sveaborg» spiegò sapientemente.
A Verner quel nome risultò familiare.
«Si tratta della battaglia avvenuta dieci anni fa?»
«Esattamente. Ci fu una rivolta, i soldati della fortezza si ribellarono, rifiutando di eseguire gli ordini e barricandosi all’interno. Le Guardie Rosse si schierarono dalla parte degli insorti e combatterono contro l’Esercito dello zar»
«Da quel che ricordo non finì bene per i vostri compagni»
«Già. I leader della rivolta furono condannati a morte, gli altri disertori invece vennero incarcerati o destinati ai lavori forzati»
«Deve essere stata un’amara sconfitta…»
Aleks scosse la testa.
«No, il loro sacrificio è di esempio per tutti noi. Il loro spirito non è morto con loro, è nostra responsabilità portare avanti gli ideali della rivolta» affermò sempre con convinzione.
Verner fu colpito dalla sua devozione alla causa, trovò ammirevole il rispetto che dimostrava per i suoi connazionali che avevano sacrificato la propria vita in nome dei loro ideali.
«Hai detto che il vostro popolo è pronto per cambiare le cose…» accennò.
«È vero, l’Impero è sull’orlo del declino, presto sarà il popolo a prendere il potere»
Verner rimase piuttosto scettico.
«Hai molta fiducia in questa rivolta»
«Le cose stanno cambiando in tutta Europa, cambieranno presto anche qui» sostenne Aleks.
«E tutto questo ha a che fare con la Finlandia?»
Il russo annuì: «noi siamo a favore dell’indipendenza della vostra patria»
Verner esitò.
«Noi stiamo dalla stessa parte» continuò Aleks.
Il finlandese scosse il capo: «io non sono dalla parte dei rossi»
«Però vuoi giustizia per il tuo popolo»
«Sono soltanto un semplice operaio, non so niente di queste cose…»
«Eppure sei qui con me a discutere di politica»
Verner non rispose, non sapeva ancora per quale ragione avesse deciso di sedersi a quel tavolo e intraprendere quella conversazione, qualcosa però stava iniziando a smuoversi dentro di lui.
Mentre era immerso in quei pensieri il giovane si riempì nuovamente il bicchiere.
«Almeno apprezzi qualcosa della Russia, è già un inizio» commentò Aleks riferendosi al liquido trasparente.
Verner rispose con un mezzo sorriso.
Il russo non insistette con le sue argomentazioni, preferì terminare quella discussione con un’ultima bevuta.
«Alla Libertà!» esclamò con entusiasmo alzando il bicchiere.
Verner, in parte aiutato dall’alcol, vinse la sua iniziale diffidenza concedendosi quel brindisi: «alla Libertà!»
 
 

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Capitolo 6
*** Decisioni pericolose ***


 
VI. Decisioni pericolose
 

Il vento gelido soffiava violentemente a largo delle Isole Åland, l’imbarcazione proseguì la sua rotta verso ovest, navigando tra le onde. Dal ponte Bernhard osservò la costa finlandese allontanarsi sempre di più all’orizzonte. Si strinse nel pesante cappotto ed espirò una nuvola di fumo.
Era sempre stato diviso tra due Patrie. Suo padre non aveva mai mancato nel ricordargli le sue origini, il tedesco era la lingua che conosceva fin dalla nascita. Sua madre invece gli aveva insegnato ad amare quella terra che ai forestieri appariva soltanto fredda e ostile. Egli non era uno straniero nelle lande del nord, questi erano i luoghi dove era cresciuto, eppure dentro di sé sentiva una fastidiosa sensazione di incompletezza. Amava la Finlandia, ma allo stesso tempo sentiva la mancanza della Germania.
Quella era la sua occasione per riconciliarsi con sé stesso. Avrebbe potuto lottare per l’indipendenza della Finlandia restando fedele alla Germania. Questo era il suo obiettivo.
Quando l’Organizzazione gli aveva proposto di diventare l’intermediario tra le due Nazioni per portare avanti quei negoziamenti non aveva esitato nemmeno per un istante. Fin dal primo momento aveva avuto la certezza di essere la persona giusta per quel ruolo. Non aveva mai dubitato delle buone intenzioni dei suoi compagni, ma era consapevole di trovarsi in una posizione pericolosa, in certe situazioni la prudenza non era mai troppa.
In quel momento ripensò a Jari, la curiosità e l’entusiasmo di quel ragazzo l’avevano piacevolmente sorpreso. In lui aveva visto qualcosa di diverso, non era soltanto uno dei tanti giovani borghesi che avevano deciso di unirsi all’organizzazione per motivazioni politiche. Jari credeva fermamente nei valori di indipendenza, era un sognatore, ma allo stesso era determinato ad agire nel concreto per cambiare le cose. Aveva riconosciuto fin dal primo momento la luce che brillava nei suoi occhi. Quella terra aveva bisogno di giovani arditi e coraggiosi, Jari era l’esempio perfetto, incarnava lo spirito dei nazionalisti che avrebbero portato la Finlandia all’indipendenza. Era curioso di metterlo alla prova, non aveva mai sbagliato nel valutare le sue reclute, ma necessitava di qualcosa di più per decidere se egli fosse realmente affidabile.
Bernhard si riprese da quei pensieri avvertendo una presenza alle sue spalle. Un suo compagno si avvicinò a lui, prima di rivolgergli la parola sollevò lo sguardo ammirando con soddisfazione il cielo terso e limpido.
«Il tempo è buono, il capitano ha detto che sarà una traversata tranquilla»
Il tedesco si limitò ad annuire, in assenza di imprevisti avrebbero raggiunto presto la loro meta.
«Volevo dirti che apprezzo davvero quel che stai facendo. Hai avuto coraggio nell’accettare questo incarico»
«Non avrei potuto rifiutare un compito tanto importante. Non tradirei mai la fiducia dei nostri compagni»
«Non ho mai avuto dubbi a riguardo»
Winkler si rassicurò, egli era uno dei pochi che non aveva mai mostrato diffidenza nei suoi confronti.
«Sei davvero convinto della buona riuscita di questa missione?»
Bernhard annuì: «i nostri contatti sapranno fornirci l’aiuto necessario»
«Sarà un viaggio pericoloso»
«L’intera faccenda è un grande azzardo, ma tutti noi siamo disposti a rischiare»
Il finlandese concordò con quell’affermazione.
«Credi che la Germania accetterà questi accordi?»
«I tedeschi vogliono vincere la guerra, non perderanno l’occasione di indebolire un nemico come lo zar»
Il suo compagno tornò ad ammirare l’orizzonte: «spero davvero che tu abbia ragione»
 
***

Lauri attraversò rapidamente il lungo corridoio del dormitorio giungendo davanti alla stanza del suo compagno. Yrjö era seduto davanti al piccolo scrittoio intento a scrivere una lettera. Quando avvertì i battiti alla porta diede il permesso di entrare, non ebbe bisogno di voltarsi per riconoscere la presenza dell’amico.
«Dobbiamo parlare, si tratta di una questione importante»
Yrjö rimase in silenzio, come sempre preferì scoprire qualcosa di più prima di esprimersi. Aveva già intuito che la questione fosse seria, così restò in attesa e in allerta.
Lauri si guardò intorno: «Jari non è qui?»
Il compagno scosse la testa: «è in biblioteca a studiare»
«D’accordo, forse è meglio così. Preferisco prima parlarne solo con te»
Yrjö poté immaginare quale sarebbe stato l’argomento di quella conversazione.
«Questa notte ho continuato a pensare a quel che mi ha detto Jari…e devo ammettere che alla fine lui ha ragione»
«Riguardo a che cosa?»
«Alla questione dell’attivismo. Siamo stati noi a coinvolgerlo in questa faccenda trascinandolo negli ambienti indipendentisti. Abbiamo sempre parlato di grandi ideali ed ora che si è presentata anche per noi la possibilità di agire ci stiamo tirando indietro come vigliacchi!»
«Credevo che avessimo deciso di essere prudenti»
Lauri iniziò a camminare avanti e indietro esternando il proprio nervosismo.
«A cosa potrebbe servire la prudenza adesso? Siamo sulla strada della rivolta, prima o poi dovremo schierarci»
«Fino a ieri non la pensavi in questo modo. Si può sapere che è successo?»
Lauri distolse lo sguardo: «le parole di Jari mi hanno fatto riflettere…poi è stata Marja a farmi prendere la decisione definitiva»
Yrjö stentò a credere a quelle parole: «da quando sei diventato quel tipo di persona che cambia per amore?»
«Sono sicuro che lei sia quella giusta. Ho pensato a noi, al nostro futuro insieme…e ho capito di non voler creare una famiglia in una Finlandia privata della sua libertà e della sua indipendenza»
«Posso condividere le tue motivazioni, ma sei davvero sicuro che sia questo il modo per ottenere la libertà?»
«Non ho alcuna certezza, so soltanto che non posso più attendere il momento giusto per agire»
«Dunque dovremmo fidarci di Winkler e i suoi compagni»
«Io sono il primo a diffidare di quel tedesco, ma il Comitato ritiene che sia affidabile e per questo sono disposto a dargli una possibilità»
«Non ho intenzione di diventare un terrorista come gli studenti dell’Ostrobotnia»
«Queste sono le parole di un ipocrita!»
Yrjö trasalì, non aveva mai ricevuto simili accuse da parte del suo compagno.
«Non sono un ipocrita. Sono disposto ad accettare le conseguenze delle mie scelte, ma non a corrompere la mia morale»
«Che cosa credevi che sarebbe successo? È troppo tardi per tirarsi indietro»
Il giovane esitò, quella conversazione stava avanzando rapidamente verso un punto di non ritorno.
«Hai sentito anche tu quei discorsi. Le cose stanno già cambiando e noi dobbiamo prendere una decisione al più presto» insistette Lauri.
«Se tu e Jari siete disposti a compiere questo passo non sarò certo io a fermarvi, ma non aspettatevi che vi segua in questa follia»
L’amico si rattristò nel sentire quella risposta.
«Credevo che anche tu fossi intenzionato a combattere per la nostra indipendenza!»
«Non ho tradito i nostri ideali, ritengo solo che questa non sia la soluzione» si giustificò.
Lauri non replicò, si voltò e senza aggiungere altro abbandonò la stanza.
Yrjö tornò a sedersi alla scrivania, prese un profondo respiro per poi prendersi la testa tra le mani. Non era pentito per quel che aveva detto, non era sua intenzione abbandonare i suoi compagni, desiderava solo prendere la giusta decisione. Aveva bisogno di tempo per riflettere sulla questione, non sapeva cosa sarebbe successo, ma voleva credere che ci fosse un’altra possibilità, non voleva rinunciare alla propria integrità.
 
***

Karl conosceva Elmer da molto tempo, tanto che ormai aveva smesso di contare gli anni. Le loro vite si erano separate e unite più volte, alla fine però il loro rapporto di amicizia era sempre rimasto intatto. 
Per questa ragione quando Karl aveva rivisto il nipote del suo vecchio compagno al cantiere della ferrovia aveva provato profondo rammarico. Era triste pensare al destino di quel giovane, Karl conosceva fin troppo bene quella vita e sapeva che presto anche per lui quel lavoro si sarebbe tramutato in una condanna.
Quell’incontro però aveva anche risvegliato altri pensieri, riportando alla sua mente il ricordo di una vecchia amicizia.
Così colto dalla malinconia ne aveva approfittato per far visita a Elmer. Quando entrò nella sua stanza avvertì una fitta al petto nel vedere quell’uomo, che ricordava forte e in salute, disteso nel letto, pallido e sofferente.
Nonostante tutto fu felice di rivedere una persona cara, anche Elmer esternò una sincera commozione per quel ricongiungimento.
I due si salutarono con caloroso affetto, dedicando i primi momenti a ricordare tempi passati.
Ad un tratto Karl si guardò intorno, sorpreso dal silenzio. Sapeva che Elmer aveva una famiglia numerosa, ipotizzò che i nipotini più piccoli fossero usciti per giocare nella neve.
«Verner non è in casa?» domandò con curioso interesse.
«Deve essere nel vecchio capanno, come mio fratello ha un gran talento nell’intagliare il legno, spero davvero che continui a portare avanti questa sua passione. Purtroppo a causa della malattia sono stato costretto a chiudere la bottega…»
«Lo so, tuo nipote mi ha detto tutto. Mi dispiace davvero per quel che è successo»
«Oh, non devi provare pietà per me. L’ultima cosa di cui ho bisogno è la compassione di un buon amico»
Karl prese un profondo respiro: «non è per questo che sono qui»
«Dunque a cosa devo questa visita?»
«A dire il vero si tratta proprio di Verner»
Elmer sospirò: «che cosa ha combinato questa volta?»
«Non voglio allarmarti. Egli è un ragazzo sveglio e intraprendente, ma ho paura che anche per questo potrebbe finire per cacciarsi nei guai»
«Verner è sempre stato attratto dai guai fin da quando era bambino» commentò suo zio.
«In questo caso potrebbe trattarsi di qualcosa di veramente pericoloso»
Elmer sollevò lo sguardo mostrando i suoi occhi cristallini.
«Per me Verner è come un figlio, mi sono sempre preso cura di lui dopo la morte di mio fratello»
«Sono certo che tu abbia sempre avuto a cuore la sorte di quel ragazzo»
«Temo di dover chiedere ancora una volta il tuo aiuto»
Karl scelse di essere onesto e sincero nei suoi confronti, era lieto di poter fare qualcosa per l’amico, ma non aveva molte speranze di riuscire nel suo intento.
«Cercherò di parlargli, ma conosco bene quelli come lui, non credo che potrei fargli cambiare idea tanto facilmente»
Elmer era consapevole di ciò, quel giovane era testardo esattamente come il padre. Per tutta la vita aveva tentato di evitare per lui il medesimo destino, ma ogni suo sforzo sembrava non essere stato sufficiente.
 
***

Kaija attendeva sempre con ansia le lettere di suo fratello. I due erano sempre stati molto uniti e il loro legame si era rafforzato ancora di più dopo la prematura scomparsa della madre. Kaija aveva sempre visto Jari come un buon fratello maggiore, lo rispettava e lo ammirava, sapeva che egli aveva sempre cercato di fare del suo meglio per prendersi cura di lei e per proteggerla. Non era stato semplice affrontare quella separazione, le cose erano inevitabilmente cambiate dopo la sua partenza. Quella casa appariva sempre più vuota, non era abituata a quella solitudine.
La giovane strinse la missiva tra le mani, trepidamente aprì la busta e si affrettò a leggere il contenuto.
 
Alla mia cara sorella Kaija.
Mi spiace per non averti scritto prima, nell’ultimo periodo ho avuto diverse questioni di cui occuparmi.
Temo di deluderti nell’affermare che la vita qui è molto più noiosa di quanto si possa immaginare. È vero, Helsinki è una grande città dove ogni giorno può accadere qualcosa di nuovo, ma continuo ad essere dell’idea che qui non ci sia molto per me. Credimi, preferirei tornare a percorrere il sentiero della fattoria e vagare tra le nostre foreste e le lande desolate piuttosto che gettarmi nuovamente nelle strade caotiche e affollate. Mi manca il silenzio e il profumo delle conifere.
Almeno c’è il mare, nei momenti di quiete e tranquillità posso distrarmi con lunghe camminate vicino alla costa.
In università mi trovo bene, anche se trascorro la maggior parte del tempo sui libri e non trovo particolare interesse per le numerose attività dei centri studenteschi. Sono stato fortunato a trovare una buona compagnia, ho amici di cui posso fidarmi. Ti prometto che quando ci rivedremo cercherò di rivelarti di più sulla mia vita sociale. Ultimamente ho conosciuto qualcuno di interessante, una persona che mi ha convinto a prendere una decisione importante. Sono certo che questo incontro sia stato il reale motivo del mio trasferimento nella capitale. È stato come se il destino avesse voluto darmi un segnale.
Ma questa non è l’occasione giusta per parlare di certe questioni, avremo modo di discuterne in futuro. Adesso ho voglia di sapere qualcosa del villaggio, provo sempre una profonda malinconia, soprattutto in momenti come questi, alla sera, quando sono solo nella mia stanza.
Non ho più avuto notizie di Verner, ad essere sincero sono un po’ preoccupato per lui. Sta passando un momento difficile e mi sento in colpa per essermene andato quando lui aveva bisogno di me. Ti chiedo solo il favore di fargli sapere che può contare su di me e che sarò sempre disposto ad aiutarlo.
So che sarai così gentile da fare questo per me, ti ringrazio di cuore per questo.
Abbi cura di nostro padre, anche se le cose tra di noi sono complicate voglio che sappia che gli voglio bene.
Spero di rivedervi presto.
Con affetto,
Jari

 
La ragazza ripose la lettera, era lieta di sapere che il fratello stesse bene, eppure avvertì uno strano presentimento. Quelle parole sembravano nascondere un messaggio più profondo, aveva terminato di leggere le ultime righe con una certa inquietudine.
Era consapevole che Jari stesse soffrendo per la lontananza da casa e per la separazione dalle persone amate. Forse però c’era anche dell’altro.
Kaija raggiunse l’altra stanza, nel salotto trovò suo padre seduto al tavolo intento a leggere il giornale mentre fumava un sigaro.
Quando la vide l’uomo mostrò un tenero sorriso, aveva sempre avuto particolare riguardo per la secondogenita, in lei rivedeva sempre più la sua amata moglie. Come genitore aveva cercato di fare del suo meglio per crescere da solo i suoi due figli. Il rapporto con il primogenito era delicato e complesso, ma quello con sua figlia invece era sempre stato sereno.
Egli distolse lo sguardo dalle pagine stampate per rivolgere a lei la sua attenzione.
La ragazza riferì della lettera, annunciando al padre le notizie di Jari.
Il signor Koskinen ascoltò attentamente: «l’importante è che stia bene»
Kaija non riuscì a nascondere la propria inquietudine: «ad essere sincera sono un po’ preoccupata per lui»
Il padre poggiò il sigaro nel posacenere: «per quale motivo?»
«L’ultima volta non mi è sembrato del tutto convinto di questa sua decisione»
«Tuo fratello deve farsi carico delle sue responsabilità»
«So che Jari non vuole deludere le aspettative che sono state riposte su di lui»
«Egli non è più un ragazzino, è giusto che impari ad affrontare da solo certe difficoltà»
Kaija si mostrò dispiaciuta per quella fredda risposta, pensò che il padre fosse troppo severo nei confronti del fratello.  
La ragazza preferì non insistere sull’argomento, scelse di fidarsi delle parole del genitore. Forse si stava angustiando troppo, in fondo desiderava solo che suo fratello potesse essere felice.
 
***

Aleks si incamminò lungo la strada deserta. Il percorso ghiacciato era avvolto dall’oscurità.
Il giovane alzò lo sguardo al cielo stellato, gli astri brillavano luminosi sfumati solo dal debole chiarore della luna. In una notte come quella aveva abbandonato la sua amata patria, fuggendo da Pietrogrado seguendo i binari fino al confine. Lui e i suoi compagni erano ricercati dalle autorità come pericolosi criminali, abbandonare la Russia non era stata una scelta. Aleks era consapevole di non essere un traditore, in passato aveva provato a vivere onestamente nella Russia imperiale, ma ben presto si era reso conto di non poter ignorare la verità. Aveva conosciuto la fame e la povertà, la sua coscienza gli aveva impedito di voltare semplicemente lo sguardo e chinare la testa.
Qualcuno avrebbe potuto giudicarlo incolpandolo per aver anteposto i propri ideali ad ogni cosa, anche alla sua famiglia. La realtà però era diversa, era proprio perché amava i suoi cari che voleva provare a cambiare le cose.
Aleks gettò via la sigaretta, i tempi stavano cambiando, ne era sicuro. Ormai era solo una questione di tempo, il popolo era stanco di sottostare al volere dell’aristocrazia.
In quanto anarchico Aleks non aveva particolare simpatia per i comunisti, ma doveva ammettere che quell’alleanza avrebbe potuto risultare vantaggiosa per entrambe le parti.
Le ultime notizie giunte dalla madrepatria si erano rivelate particolarmente interessanti. Aleks e i suoi compagni avevano provveduto a mantenere i contatti oltre il confine, con un’intricata rete di informatori potevano avere accesso a fonti sicure e attendibili. Lo scoppio della guerra aveva avuto le sue conseguenze, le ambizioni imperialistiche dello zar non avevano trovato pieno supporto nella popolazione. Tra i suoi connazionali era ancora vivido il ricordo della guerra contro il Giappone, una sconfitta che aveva acceso la prima fiamma della rivoluzione. Riaprire quella ferita avrebbe potuto essere la scintilla definitiva.
Aleks sorrise, quella guerra avrebbe potuto soltanto alimentare lo spirito ribelle del popolo.
L’esito del conflitto avrebbe potuto determinare la fine del suo esilio, quello sarebbe stato l’unico modo per tornare in patria come uomo libero.
In tutto questo Aleks non poteva restare fermo a guardare. Non aveva di certo raggiunto la Finlandia soltanto per nascondersi come un vigliacco.
I comunisti finlandesi avrebbero potuto rivelarsi preziosi alleati, così come era accaduto dieci anni prima, quando le due parti si erano unite per tentare di ottenere la libertà. L’indipendenza della Finlandia sarebbe stato l’ennesimo attacco al potere zarista, ma era anche importante non perdere la fiducia e l’alleanza che si era creata in tutti questi anni. Dunque se ciò significava sostenere la causa comunista sarebbe stato questo che avrebbe fatto.  
Nella sua vita aveva imparato che per sopravvivere doveva essere disposto ad adattarsi ad ogni situazione, l’importante era non perdere di vista l’obiettivo. Non aveva alcun rimorso, era convinto che non avrebbe potuto agire diversamente. Eppure ogni notte prima di addormentarsi rivedeva davanti a sé l’amata moglie che stringeva il figlio appena nato tra le braccia. Era condannato a rivivere costantemente e ripetutamente il dolore provato al momento della loro separazione. Non poteva sapere se avrebbe avuto l’occasione di ricongiungersi con la sua famiglia, ma il ricordo dei suoi cari era solo un motivo in più per non arrendersi.
Aleks sussultò avvertendo il rumore di alcuni passi, prontamente si voltò notando qualcuno avvicinarsi. Immediatamente riconobbe la figura che si muoveva nella penombra, si trattava di Mikhail, uno dei suoi fedeli compagni.
«Pietrogrado non è così lontana» commentò il nuovo arrivato intuendo i suoi pensieri.
Aleks sospirò: «siamo sempre troppo lontani da casa»
«Suppongo sia normale provare malinconia per quel che abbiamo lasciato»
«Torneremo quando la nostra patria sarà libera»
Mikhail rifletté su quelle ultime parole.
«Sapevo che non ti saresti arreso tanto facilmente. Quando ti ho conosciuto con i tuoi discorsi ti sei dimostrato fin dal primo momento sicuro e determinato, per questo ho scelto di restare al tuo fianco. Non pensavo però che ti avrei seguito fino a qui»
«Ti sei pentito per questo?»
Il suo compagno scosse la testa: «no, affatto. Ma per me la questione è diversa»
«Che cosa intendi?»
«A differenza tua io non ho più nulla da perdere»
Aleks distolse lo sguardo: «ho dovuto allontanarmi dalla mia famiglia solamente per proteggerla, non ho mai avuto intenzione di abbandonarla»
«Lo so. Ciò dimostra che credi davvero nella nostra causa»
«Se non hai dubbi sulla mia onestà perché mi stai parlando in questo modo?»
«Mi stavo solo domandando a cosa ci porterà tutto questo. Non sei stanco di nasconderti come un criminale?»
«Certo, ma non abbiamo alternativa. Se vogliamo continuare a combattere dobbiamo accettare queste condizioni»
«Sarà questo il nostro destino?»
«Presto avremo l’opportunità di fare il nostro dovere»
Mikhail restò diffidente: «ritieni che i finlandesi siano affidabili?»
Aleks annuì: «desiderano l’indipendenza della loro patria e sanno che non potranno ottenerla senza il nostro supporto»
«I rossi non sono gli unici a sostenere di voler liberare questo Paese dall’egemonia imperiale»
«Noi siamo sempre stati dalla parte della giustizia e dell’uguaglianza sociale»
Mikhail concordò con il suo compagno, a quel punto della loro battaglia sarebbe stato decisivo il destino della Finlandia.

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Capitolo 7
*** Senso del dovere ***



VII. Senso del dovere
 

Jari poggiò i libri sul tavolo e si avvicinò alla finestra. La visuale dalla sua stanza era piuttosto limitata, poteva scorgere parte del giardino interno e del sentiero che portava in città. Egli restò qualche istante ad osservare gli studenti che lasciavano impronte nella neve, stringendosi nei cappotti per ripararsi dal vento gelido.
Il giovane inspirò profondamente, era stanco di aspettare. Non aveva più avuto notizie di Bernhard, ormai era trascorso del tempo dal loro ultimo incontro.
Jari aveva continuato a frequentare gli ambienti indipendentisti e le riunioni dell’Organizzazione, spesso anche in compagnia di Lauri. Aveva mantenuto fede alla sua parola, dimostrando di essere davvero intenzionato a fare la sua parte come ogni buon patriota.
Il silenzio di Winkler però continuava a preoccuparlo. Ricordava le sue ultime parole: mi farò vivo quando sarà il momento. Era disposto ad avere fiducia in lui, ma la sua scomparsa iniziava a risultare sospetta.
Aveva chiesto ad altri suoi compagni, i quali avevano semplicemente risposto che Winkler era impegnato in una missione segreta di elevata importanza. Ovviamente nessuno aveva voluto rivelare i dettagli del piano al nuovo arrivato, così era stato costretto ad accontentarsi delle poche informazioni che era riuscito a trovare. Ciò che sapeva per certo era che l’esito di quella missione sarebbe stata determinante per il futuro dell’Organizzazione. Era evidente che le cose fossero destinate a cambiare, si avvertiva una fremente tensione per quell’attesa.
Jari si lasciò cadere sulla sedia, in tutto questo anche altri pensieri tornarono a tormentarlo. Era in ansia per Verner, da quando aveva lasciato il villaggio non aveva mai smesso di pensare a lui e al suo destino. Quando l’amico gli aveva riferito che era stato costretto ad accettare il lavoro in ferrovia non aveva potuto evitare di preoccuparsi. Era ben consapevole di quale vita l’avrebbe atteso al cantiere, Verner era un giovane forte e in salute, ma anche per lui sarebbe stato impossibile sopportare a lungo i massacranti turni da operaio. Inoltre egli non aveva mai mostrato particolare dedizione alle regole e di certo non era una persona incline alla subordinazione, la sua indole ribelle non gli avrebbe permesso di abbassare la testa e restare in silenzio.
Jari tentò di calmarsi, Verner non era uno sprovveduto, era in grado di badare a sé stesso. Era abbastanza maturo e consapevole da poter far fronte alle difficoltà.
Pur essendo certo di tutto ciò Jari non riuscì comunque a darsi pace. Non avrebbe voluto lasciare solo il suo compagno, avrebbe desiderato rimanere al suo fianco come aveva sempre fatto. Sentiva di aver tradito la sua promessa, quelle premure erano soltanto un tentativo di rimediare alla sua inevitabile assenza.
Nell’ultima lettera sua sorella Kaija aveva tentato di rassicurarlo, riferendogli che Verner stava bene e che comprendeva a pieno le sue motivazioni.
Jari era certo che Verner non provasse rancore nei suoi confronti, ma conoscendolo meglio di chiunque altro sapeva che egli non avrebbe mai esternato il proprio dolore. Temeva di averlo ferito con la sua partenza e il suo silenzio rischiava di allontanarli ancora di più. Aveva sempre avuto fiducia nel loro rapporto, riconoscendo il valore di quel legame ancor prima di riconoscere i reali sentimenti che li univano.
Jari tentò di non cedere allo sconforto, ma non poté evitare di lasciarsi sopraffare dalla malinconia. Sentiva la mancanza di Verner, la sua sola presenza avrebbe potuto essere un appiglio sicuro in quel mare di incertezze.  
 
Per non restare più solo con i suoi pensieri Jari decise di abbandonare la sua stanza per vedere Yrjö.
Poiché la porta della sua camera era aperta decise di entrare annunciando la sua presenza.
Il compagno si voltò mostrando insolito stupore per quella visita.
«Oh, dunque per te esisto ancora…»  
Jari si interrogò sul motivo di quella fredda accoglienza.
«Perché non dovrei far visita a un amico?» domandò avvicinandosi a lui.
Yrjö replicò con rassegnazione: «Lauri continua a evitarmi, è il suo modo per farmi sapere che mi considera sempre un codardo»
Il giovane si rattristò nel sentire quelle parole.
«Mi dispiace, questa non dovrebbe essere una questione personale»
Yrjö restò diffidente: «credi che lui abbia ragione? Anche tu pensi che vi abbia traditi?»
«Io penso che tu stia soltanto cercando di fare la cosa giusta come tutti noi» rispose con sincerità.
«Nemmeno per me è facile prendere questa decisione» ammise.
Jari cercò di mostrarsi comprensivo.
«Ne sono consapevole, infatti non ho alcuna intenzione di accusarti»
Yrjö percepì le sue frasi come sincere, ma riconobbe anche una certa delusione da parte sua.
«Il fatto che non voglia unirmi all’Organizzazione non significa che abbia voltato le spalle ai nostri ideali»
«Però non ritieni che questa sia una valida causa per cui combattere»
«Non ho detto questo. Semplicemente non penso che la violenza sia l’unica soluzione»
Jari fu costretto ad ammettere che il suo amico avesse le sue ragioni per sostenere ciò, pur non condividendo quella scelta non poteva ignorare la verità. Dal suo punto di vista però il fine giustificava i mezzi.
«Non possiamo perdere questa occasione, potrebbe essere la nostra unica possibilità»
«Non ho intenzione di giudicarvi per le vostre scelte, ma non sono disposto a tradire la mia morale per unirmi a questa battaglia»
«Perché no? Anche tu sei un finlandese che desidera l’indipendenza»
«Potrei essere pronto a morire per la mia Patria, ma non potrei uccidere un altro essere umano. Non in un modo così crudele e meschino come quei criminali. Non sono un assassino»
«È questo che credi? Consideri i nostri compagni come degli assassini?»
«Non è questa la realtà dei fatti?»
«Loro hanno dimostrato di essere disposti a tutti per ottenere la Libertà della nostra terra e del nostro popolo. Dovresti mostrare rispetto nei loro confronti»
«Forse sei tu che non dovresti considerarli come degli eroi» suggerì.
«Almeno quei rivoluzionari hanno agito nel tentativo di cambiare le cose»
«Posso condividere i loro stessi ideali, ma non riesco a giustificare quel che hanno fatto»
«Dunque è così? Anche io diventerò un criminale per te?»
Yrjö distolse lo sguardo senza dire nulla, non trovò né la forza né il coraggio di rispondere a quella domanda. Jari non ebbe bisogno di altro, quel silenzio fu sufficiente.
«Spero che un giorno tu possa capire perché stiamo facendo tutto questo»
«Ed io spero che possiate aprire gli occhi prima che sia troppo tardi»
Prima di andarsene Jari sostò sulla soglia.
«Posso chiederti solo una cosa?»
Egli annuì.
«Per quale motivo continui a proteggerci?»
Yrjö comprese la ragione per cui gli era stata posta quella domanda, in fondo per lui sarebbe stato semplice denunciare quel che stava accadendo.
«La nostra amicizia è più importante di tutto questo»
Jari provò sincera commozione nel sentire quelle parole, ma avvertì anche una profonda tristezza. Forse non avrebbe potuto affermare lo stesso con la medesima certezza.
«Potete continuare a fidarvi di me, non condivido le vostre scelte, ma non potrei mai tradirvi»
Jari esitò: «suppongo di doverti ringraziare per quel che stai facendo»
«Non è necessario, promettimi soltanto di stare attento. Non vendere la tua morale in cambio di illusioni e false promesse»
«L’indipendenza della Finlandia non è un’illusione e la Libertà non è un falso ideale. La nostra è una battaglia concreta, una di quelle che devono essere combattute in prima linea»
Yrjö ebbe l’ennesima prova che Jari credesse davvero nella causa. Non sapeva se essere lieto di ciò, oppure se preoccuparsi ulteriormente. Per il momento decise semplicemente di accettare il fatto che l’amico fosse consapevole delle proprie scelte.
 
Quella sera Yrjö ripensò alla conversazione avuta con il suo compagno. A differenza di Lauri Jari era più disponibile al dialogo e al confronto. Avevano differenti punti di vista, nonostante ciò continuavano a dimostrare rispetto reciproco.
Yrjö tornò a sedersi al tavolo prendendosi la testa tra le mani. Pur essendo sicuro della propria posizione per lui non era stato semplice prendere quella decisione, più volte si era chiesto se non fosse davvero un codardo o un traditore. Aveva tentato di conciliare il suo desiderio di libertà con la sua integrità morale, ma ogni suo sforzo e sacrificio non sembrava essere sufficiente. Non voleva abbandonare i suoi amici, così come non voleva rinnegare parte di sé stesso. Il ragazzo ripensò a tutte le volte in cui lui e Jari avevano discusso di grandi ideali, citando poemi epici e sonetti patriottici. Quella volta però non si trattava di astrazioni e fantasie. Era giunto il momento di abbandonare ogni romanticismo e guardare in faccia la realtà. Una realtà crudele e spietata.
Yrjö scosse la testa, forse Jari aveva ragione, non c’era alternativa a quella guerra.
Il giovane tentò di non pensare al peggio, dentro di sé però continuava a porsi la medesima domanda: se fosse stato necessario avrebbe potuto scendere a compromessi anche con la propria coscienza?
 
***

Karl non aveva perso di vista Verner per tutto il giorno, non aveva potuto evitare di notare che il giovane si stesse circondando di conoscenze pericolose. Inizialmente non aveva intenzione di lasciarsi coinvolgere in quella faccenda, ma aveva promesso a Elmer di tenere d’occhio il ragazzo e in onore della loro amicizia aveva accettato la responsabilità di portare a termine quel compito. Era certo che le sue parole non avrebbero potuto dissuadere quel giovane, ma sentiva che fosse suo dovere metterlo in guardia.
Così quando i due si ritrovarono soli sul sentiero di casa Karl non esitò ad affrontare l’argomento.
«Ti avevo avvertito, certe persone sono pericolose. Dovresti stare lontano dai russi e dai comunisti…finirai solo per cacciarti nei guai»
Verner non si mostrò particolarmente turbato dai suoi avvertimenti.
«Non ho fatto nulla di male» si giustificò.
«Credimi, ti ritroverai immischiato in qualcosa di pericoloso senza nemmeno rendertene conto e poi sarà troppo tardi!»
Il ragazzo si insospettì: «come puoi esserne così certo?»
Karl ripeté la solita risposta: «so come funzionano queste cose, come ti ho già detto dovresti fidarti di chi ha più esperienza di questa vita»
Verner non diede troppa importanza a quelle parole, ormai era stanco di sentire quei rimproveri.
«Credi che non abbia già visto giovani come te illudersi in questo modo? Inizialmente credono di poter davvero cambiare le cose, pensano di agire per il bene della comunità e ritengono di essere nel giusto. In realtà sono stati manipolati da chi ha voluto soltanto sfruttarli per i loro interessi. Quando si rendono conto di essere andati troppo oltre è ormai tardi»
«Per te è stato lo stesso?»
Karl distolse lo sguardo senza rispondere. 
Verner iniziò a spazientirsi: «forse in passato è stato così, ma adesso le cose stanno cambiando»
«Ho già sentito queste parole più di dieci anni fa. Guardati intorno, nulla è cambiato»
«Mi dispiace che tu non abbia più fiducia nel futuro, ma io non sono come te…non posso accettare queste ingiustizie senza reagire, non ho paura di far valere i nostri diritti»
Karl scosse il capo con rassegnazione.
«Alla tua età è difficile distinguere il coraggio dall’incoscienza»
«Non voglio vivere il resto della mia vita tormentato da rimpianti e rimorsi»
Manninen si armò nuovamente di pazienza. 
«Ascolta, so che vorresti soltanto fare la cosa giusta, ma devi pensare al bene della tua famiglia. Tuo padre è morto e tuo zio è gravemente malato. Adesso sei tu l’uomo di casa…tua madre e tuo fratello contano su di te per non morire di fame»
Verner strinse i pugni, dovette trattenersi per non replicare bruscamente. In fondo sapeva che quella era la verità, ma era anche per questo che voleva agire. La sua non era l’unica famiglia a soffrire di fame e povertà.
«Sarei un egoista ad anteporre i miei affetti personali all’intera causa»
«Prendersi cura dei propri cari non mi sembra affatto una scelta egoistica»
Verner non poté ignorare il peso di quelle parole.
Ancora una volta ricordò le raccomandazioni di Jari, se avesse scelto di dare ascolto al proprio istinto ribelle al posto che comportarsi in modo responsabile e razionale avrebbe deluso anche lui. Sarebbe stata soltanto l’ennesima prova della sua inaffidabilità, le buone intenzioni non avrebbero potuto giustificare una simile decisione.
Karl poggiò una mano sulla spalla tentando di rassicurarlo con tono paterno.
«Non sarà facile, ma ogni scelta necessita dei sacrifici. A volte ci vuole coraggio anche per comprendere i propri limiti»
Verner non credette del tutto a quelle parole.
Per il resto del percorso rimase in silenzio, al bivio si separò dal collega accennando soltanto un lieve saluto.
Imboccò la strada di casa rimuginando sulla questione, portandosi sulle spalle il peso di quella responsabilità. Per quanto amasse la sua famiglia rinunciare a quella battaglia avrebbe avuto lo stesso sapore di una dolorosa sconfitta.
 
***

Jari uscì dalla biblioteca e si incamminò lungo il corridoio, al termine di quel lungo pomeriggio di studio voleva soltanto tornare nella sua stanza. Di certo non sarebbe riuscito a riposare, ma almeno avrebbe potuto provarci. Era ansioso e allo stesso tempo eccitato per l’incontro di quella sera. Ormai era diventato un membro riconosciuto dall’Organizzazione, aveva prestato giuramento come tutti gli altri, ciò significava che presto anche lui avrebbe avuto un ruolo attivo. Jari sorrise a quel pensiero, aveva atteso a lungo quel momento, finalmente avrebbe avuto l’occasione di mettersi alla prova. Voleva dimostrare di essere all’altezza della situazione, sapeva che i suoi compagni si fidavano di lui e per questo non voleva deluderli.
Era assorto in questi pensieri quando ad un tratto qualcosa attirò la sua attenzione. Nella fiumana di studenti che affollava il corridoio scorse qualcuno di familiare. Riconobbe immediatamente la figura alta e snella di Bernhard. Ancora incredulo Jari si avvicinò, con stupore realizzò di non essersi sbagliato nell’identificare quel giovane.
«Bernhard! Sei tornato!» esordì senza riuscire a trattenere l’entusiasmo.
Il tedesco rispose con il suo solito sorriso.
«Dove sei stato? Si può sapere perché sei sparito nel nulla per tutto questo tempo?»
Bernhard si guardò intorno con circospezione: «questo non è un posto sicuro dove parlare»
Jari concordò con lui, senza esitazione indicò al compagno di seguirlo e proseguì per raggiungere le scale. I due si allontanarono dalla confusione ritrovandosi al piano superiore. Il dormitorio era tranquillo e deserto.
Jari accompagnò Winkler nella sua stanza e si accertò di chiudere bene la porta prima di iniziare quella conversazione.
«Allora vuoi spiegarmi che sta accadendo?» ripeté con ancora più insistenza.
Bernhard rispose con estrema calma: «immagino che tu abbia saputo della mia missione a Stoccolma»
«Gli altri mi hanno solo detto che ti stavi occupando di una questione importante, non avevo idea di dove fossi o di cosa stessi facendo»
Il tedesco non si stupì.
«Capisco, i nostri compagni sono sempre attenti e previdenti. Dunque ti rivelerò tutto personalmente. Avevo il compito di contattare segretamente un ufficiale dell’Esercito tedesco»
Jari ripensò a quel che egli stesso gli aveva rivelato in passato a riguardo del suo ruolo nell’Organizzazione.
«Dunque in Svezia sei riuscito a incontrare questa persona?» domandò con titubanza.
Winkler annuì: «i comandanti hanno accettato la nostra proposta. Un battaglione finlandese entrerà a far parte dell’Esercito tedesco»
Jari fissò il compagno con aria perplessa: «che cosa significa?»
«Non possiamo difendere questa Nazione senza una forza armata, non abbiamo bisogno di ribelli esaltati, ma di soldati esperti e competenti»
«Dunque la soluzione sarebbe addestrare volontari finlandesi in Germania?»
Bernhard confermò: «noi abbiamo gli uomini, loro le risorse»
«Ciò vuol dire che dovremo combattere per i tedeschi?»
«Combatteremo per la Finlandia, la Russia è un nemico comune. Soltanto con questa alleanza potremo pensare di sconfiggere le truppe dello zar»
Jari rifletté sulla situazione, l’obiettivo degli indipendentisti sarebbe rimasto lo stesso, ma non si sarebbe più trattato di organizzare missioni di sabotaggio, attentati oppure omicidi politici…quella era una vera e propria chiamata alle armi.
«I primi volontari si imbarcheranno alla fine del mese, spero di ritrovarti tra loro» concluse Winkler prima di andarsene, richiudendo la porta alle sue spalle.
Il corpo di Jari fu scosso da un intenso brivido, in quell’istante avvertì un misto di timore ed eccitazione.
 
Più tardi quella sera Jari vagò per l’edificio ormai deserto in cerca di Lauri. Le informazioni rivelate da Bernhard non sarebbero rimaste segrete ancora a lungo, almeno all’interno dell’università, così decise di non perdere tempo per confrontarsi con l’amico.
Fortunatamente trovò Lauri ancora nella sua stanza, dopo aver bussato con insistenza egli giunse ad aprire la porta con aria infastidita.
«Come mai sei qui? Ti avevo chiesto di non disturbarmi questa sera, tra poco devo uscire per vedere Marja»
«Mi spiace rovinare la tua serata romantica, ma temo che dovrai rimandare» disse Jari senza dare ascolto alle sue proteste.
«Per quale ragione?»
«Ho bisogno di parlare con te» insistette.
«Non puoi aspettare fino a domani?»
«No, è importante»
Lauri notò estrema serietà sia nel tono della sua voce sia nell’espressione del suo volto. Immediatamente comprese la gravità della situazione.
Jari non perse tempo e riferì al compagno tutto ciò che gli era stato rivelato, stando attento a non tralasciare alcun dettaglio.
Lauri replicò subito con disapprovazione.
«Dunque i tedeschi hanno intenzione sfruttarci in questo modo?»
L’altro non esitò a difendere le motivazioni di Winkler e i suoi sostenitori.
«Questa guerra non ci è estranea, combattere a fianco dei tedeschi significherebbe indebolire la Russia. La vittoria della Germania potrebbe rivelarsi un passo importante verso la nostra indipendenza»
Lauri non poté negare la veridicità di quelle parole. Analizzando la situazione a mente lucida riuscì a comprendere le motivazioni dei suoi connazionali.
«In effetti sono stanco di star qui ad ascoltare vani discorsi sulla libertà e l’indipendenza della nostra Nazione. Ad Helsinki siamo considerati come criminali, in Germania sarebbe tutto diverso. Forse hai ragione, è arrivato il momento di combattere per quello in cui crediamo!»
«Questa guerra non è un gioco» rammentò il giovane.
«A questo punto preferisco morire sul campo di battaglia piuttosto che nascondermi come un codardo!»
Jari fissò il suo amico negli occhi: «quindi saresti disposto ad arruolarti?»
Egli annuì: «abbiamo giurato fedeltà alla Finlandia, nonostante tutto siamo chiamati a fare il nostro dovere»
 
Jari tornò nella sua area del dormitorio stanco e sconvolto dagli ultimi avvenimenti. Sembrava però che per quella giornata le sorprese non fossero ancora terminate. Davanti alla porta della sua stanza trovò qualcuno ad attenderlo. Nella penombra riconobbe uno dei suoi compagni.
«Jari, per fortuna sei qui. Ti stavo cercando» esordì l’intruso.
Egli si allarmò.
«Per quale motivo?» chiese con fin troppa agitazione.
Il giovane gli porse una lettera: «devo averla ricevuta per errore dato che abbiamo lo stesso cognome. In ogni caso è indirizzata a te»
Jari parve rassicurarsi, con ritrovata calma ringraziò il compagno ed esaminò la missiva senza aprirla.
«Quest’anno sei stato fortunato» commentò il ragazzo.
Jari gli rivolse uno sguardo interrogativo.
«È un documento ufficiale, devono aver approvato la tua richiesta. Un permesso prima delle vacanze di Natale è davvero un bel regalo!»
Detto ciò il giovane si allontanò per scomparire rapidamente in fondo al corridoio.
Jari attese ancora qualche istante prima di rientrare nella sua stanza e aprire la busta. Il suo compagno aveva avuto ragione, si trattava proprio del documento che gli avrebbe consentito di lasciare l’università prima di Natale per tornare a casa. Quando aveva richiesto quel permesso aveva pensato soltanto a rispettare la sua promessa e rivedere al più presto il suo amato. In quel momento però provò sentimenti contrastanti per quella partenza anticipata. Ovviamente era felice di tornare da Verner e dalla sua famiglia, ma allo stesso tempo era consapevole che quella visita avrebbe potuto tramutarsi in un doloroso addio.
Per mantener fede ai suoi ideali avrebbe dovuto voltare le spalle alla sua famiglia. Per suo padre sarebbe stata soltanto l’ennesima delusione da parte di un figlio ingrato. Sua sorella invece avrebbe realmente sofferto per la sua mancanza, purtroppo non avrebbe potuto comprendere le sue motivazioni.
Ciò avrebbe significato anche abbandonare Verner, questa volta senza alcuna promessa.
Lasciare la Finlandia per arruolarsi nell’Esercito tedesco avrebbe significato rinunciare a tutto ciò che amava per seguire ciecamente i propri ideali. In fondo non poteva contraddire Lauri, doveva essere disposto a tutto per combattere per la Libertà.
Jari avvertì un’intensa fitta al petto. Non avrebbe potuto conciliare la promessa fatta all’amato con il giuramento alla Patria. Inevitabilmente avrebbe dovuto essere disposto a compiere dei sacrifici.
Jari strinse i pugni fino a sentire dolore, stava lottando inutilmente contro sé stesso.  
Non aveva molto tempo a sua disposizione, ma ormai nemmeno questo aveva importanza, in cuor suo aveva già preso la sua decisione.

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Capitolo 8
*** Partenze ***


VIII.  Partenze
 

“Tenente, voi sguainate la spada con una mano ferita,
Eppure osate offrire la vostra vita
Per il Re e per il Paese.
Anche io ho una vita nella primavera delle sue forze.
E il cuore ardimentoso che ha battuto nel mio petto per soli quindici anni,
Ditemi, non dovrei osare offrirlo?”

 
Yrjö rilesse ancora una volta i drammatici versi di Runeberg. Fin da quando era ragazzino si era particolarmente affezionato a quella storia. Era la vicenda del giovane Wilhelm von Schwerin, un ragazzo che a soli quindici anni aveva sacrificato la sua vita nella sanguinosa battaglia di Oravainen, dimostrando onore e coraggio combattendo contro i cosacchi.
La morte di von Schwerin era diventata simbolo di sacrificio patriottico, ed era quello stesso spirito di sacrificio che gli era stato richiesto dai suoi compagni.
Egli era cresciuto con quei valori di onore e lealtà, non poteva rinnegare parte di sé stesso, non era nemmeno intenzionato a tradire i più nobili ideali della sua Patria.
Yrjö non era un codardo, non gli mancava né il coraggio né l’audacia del giovane Wilhelm. Non avrebbe esitato a pronunciare le sue stesse parole se fosse stato necessario.
Fino a quel momento aveva sempre considerato le missioni delle organizzazioni indipendentiste come atti terroristici illegali e ingiustificabili. L’insurrezione anarchica era una manifestazione di violenza fine a sé stessa.
La situazione però era cambiata, si parlava di Esercito, di guerra al fronte…una vera guerra.
Yrjö come molti suoi coetanei non aveva potuto sottrarsi al suo senso del dovere, era sua responsabilità rispondere alla chiamata alle armi. La Patria chiedeva il suo aiuto, i suoi compagni non potevano essere abbandonati.
 
L’edificio in fondo alla strada all’apparenza sembrava un comune complesso di uffici, nessuno avrebbe potuto sospettare che in realtà quello era un centro di reclutamento clandestino.
Yrjö salì le scale ritrovandosi in un ampio corridoio, fu sorpreso nel ritrovare una lunga fila in attesa, perlopiù si trattava di altri giovani conquistati dal medesimo spirito bellico che aveva iniziato a diffondersi nella capitale. Seppur la loro esistenza dovesse restare segreta per il popolo finlandese i volontari avevano iniziato ad acquisire una certa fama. Molti approvavano e sostenevano questo movimento nazionalista, Yrjö fu piacevolmente sorpreso da tutto ciò.
Un grido lo riportò bruscamente alla realtà.
«Il prossimo!»
Il ragazzo mosse un passo in avanti.
«Nome, età e professione» ripeté meccanicamente l’uomo dietro alla scrivania.
«Yrjö Schjerfbeck, vent’anni, studente di medicina»
Lo sconosciuto sollevò la testa e con lo sguardo squadrò attentamente il suo interlocutore.
«Un altro studente, bene…la gioventù sarà la salvezza di questa Nazione» commentò.  
«Siamo tutti disposti a fare il nostro dovere»
Il reclutatore rispose con un sorriso compiaciuto.
«Da quel che vedo è forte e in salute, non avrà problemi a superare la visita medica»
Dopo aver detto ciò l’uomo lo congedò con una stretta di mano.
«Lei ha fatto la scelta giusta decidendo di rendere il suo servizio alla Patria»
Yrjö decise di credere a quelle parole. Ripercorrendo il corridoio si confrontò nuovamente con i giovani in fila per il reclutamento. Osservando quei volti imberbi non poté evitare di porsi la triste domanda: quanti di loro erano Wilhelm von Schwerin?
 
***

Lauri aveva organizzato tutto prima della sua partenza. Il suo progetto di vita era cambiato da quando aveva conosciuto Marja e poi era mutato nuovamente dopo aver preso la decisione di arruolarsi nell’Esercito tedesco.
Partire per la guerra avrebbe scombinato ancora una volta i piani, ma egli non aveva alcun ripensamento, si sarebbe sentito un codardo nel restare tra le mura dell’università o nella villa di famiglia mentre i suoi connazionali rischiavano la vita al fronte. Per tutta la vita si era rifugiato negli ambienti dell’alta borghesia godendo della fortuna della sua famiglia senza alcuna preoccupazione. Non si riconosceva più in quel giovane egoista e viziato, da quando aveva avuto modo di conoscere la realtà al di fuori della sua gabbia dorata provava soltanto disgusto e vergogna nel pensare al suo passato. Yrjö e Jari l’avevano aiutato ad aprire gli occhi. Desiderava dimenticare la persona che era stato, dimostrando a sé stesso e ai suoi compagni di essere cambiato. Dare il suo contributo in quella guerra era il suo modo per ripagare i suoi debiti con la società.
In tutto questo anche l’incontro con Marja aveva avuto la sua importanza, lei era diversa da tutte le altre ragazze che aveva frequentato in precedenza. Il sentimento che provava per lei era puro e sincero, ed era anche per questo che aveva scelto di combattere quella guerra. Desiderava un futuro migliore per loro.
Lauri pensava a questo mentre ammirava estasiato la bellezza della sua amata, la quale era distesa al suo fianco. Giaceva nuda tra le coperte, con ancora il volto arrossato e i capelli scompigliati dopo il passionale amplesso. Lauri mostrò un malizioso sorriso. Lentamente seguì i lineamenti sinuosi del suo corpo, sfiorando la sua pelle calda con la punta delle dita. Al suo tocco la sentiva fremere leggermente. Si chinò su di lei per baciarle il collo, scendendo poi sui seni e sul ventre piatto. Marja si concesse a quelle attenzioni, esprimendo il suo apprezzamento lasciandosi sfuggire ansimi e gemiti di piacere.
Lauri era intenzionato ad andare oltre, ma improvvisamente lei lo fermò. Si scostò dolcemente dal suo abbraccio e si sollevò per guardarlo negli occhi.
«Voglio chiederti una cosa…»
Egli le rivolse uno sguardo incuriosito, invitandola a continuare.
«Tu vuoi sposarmi?»
Lauri fu sorpreso da quella domanda, ma non si mostrò impreparato nel rispondere.
«Certo che voglio sposarti. Non c’è nulla che desideri più di questo»
La ragazza non dubitò della sincerità delle sue parole.
«Allora perché non me l’hai chiesto?»
L’espressione sul suo viso si incupì: «perché sto per partire per il fronte…non voglio angustiarti con questi discorsi, ma dobbiamo essere realisti. Se fossimo sposati ed io non dovessi tornare tu saresti condannata al triste destino di una giovane vedova»
Marja non si arrese: «non pensiamo a un futuro incerto, l’importante è il presente. Adesso noi siamo felici insieme, perché non vivere a pieno il nostro amore?»
Lauri riconobbe di non trovarsi davanti a ragazzina ingenua, ma a una giovane donna innamorata ed estremamente determinata. 
«È questo che desideri veramente? Vuoi diventare la moglie di un soldato?» chiese tentando di riportarla alla realtà.
«Desidero diventare tua moglie» fu la pronta risposta.
Lauri scosse il capo con rassegnazione.
«Se dipendesse da me acconsentirei all’istante, ma non è così semplice»
«Conosco coppie che si sono sposate in segreto, potremmo farlo anche noi»
«Credevo che sognassi la cerimonia perfetta, con le campane che suonano a festa, l’abito bianco e tanti invitati sorridenti»
La ragazza si strinse a lui, rifugiandosi tra le sue braccia: «sono disposta a rinunciare a tutto questo per averti»
Lauri non poté resistere a lungo al suo sguardo dolce e innocente.
«Ti amo e voglio solo renderti felice» disse scostando una ciocca bionda dal suo viso.
«Io sono felice quando sono con te»
Il giovane si chinò su di lei sfiorando le sue labbra con un tenero bacio.
«Non preoccuparti per l’abito bianco, sarai comunque una sposa bellissima»
 
***

Jari non aveva un ricordo nitido del suo primo incontro con Verner, la sua figura era sempre stata presente fin da quando aveva memoria. La loro amicizia era nata in modo semplice e naturale, in poco tempo i due erano diventati inseparabili. Ogni evento della sua infanzia era condiviso con lui. Il loro era un rapporto di lealtà, fedeltà e complicità. Il giovane rammentò piacevoli momenti del passato: risate tra i banchi di scuola, passeggiate sulle colline, gare a cavallo, battute di caccia nella foresta…
Aveva creduto che sarebbero rimasti uniti per sempre, qualunque cosa sarebbe accaduta. Era la loro promessa. Erano sempre stati disposti a sostenersi a vicenda.
Fino a quel momento erano riusciti a superare ogni difficoltà, nemmeno la distanza era riuscita ad intaccare il loro rapporto. Seppur non fosse semplice avevano trovato il modo di ritrovarsi.
Jari avvertì gli occhi umidi, non poteva credere che tutto ciò stesse per giungere alla fine. E ancor più non voleva credere di essere lui la causa di quella separazione. Doveva farsi carico delle sue responsabilità.
Il ragazzo tentò di distrarsi da quei pensieri tornando a concentrarsi sulla melodia che stava suonando al pianoforte. Aveva bisogno di liberare la mente dalle sue preoccupazioni.
Seppur per poco la musica l’aiutò in questo, aiutandolo a calmarsi per affrontare quella situazione.
Era appena giunto al termine dello spartito quando con la coda dell’occhio notò una sagoma ferma sulla porta. Non ebbe bisogno di voltarsi per riconoscere la figura di sua sorella.
Kaija si avvicinò porgendogli sinceri complimenti per l’esecuzione appena conclusa.
«Mi è sempre piaciuto sentirti suonare, dovresti farlo più spesso. Sei davvero bravo»
Egli mostrò un modesto sorriso.
«Tu non puoi ricordarlo, ma nostra madre amava la musica…è stata lei a trasmettermi la sua passione per il pianoforte»
Kaija si commosse nel sentire quella confessione, comprese quanto quel passatempo fosse importante per lui.
«Sono contenta di riaverti qui»
Jari avvertì un nodo alla gola.
«Purtroppo non resterò a lungo» rivelò tristemente.
Sua sorella non poteva avere alcun sospetto sul suo coinvolgimento politico.
«Devi già tornare in università?» chiese con ingenuità.
Il ragazzo scosse la testa: «il dovere mi chiama altrove»
Kaija non capì, ma quelle parole furono sufficienti ad allarmarla.
«Di che stai parlando?» domandò esternando la propria inquietudine.
Egli non mascherò in alcun modo la verità: «presto partirò per il fronte»
La ragazza stentò a credere a quelle parole, sentiva che suo fratello stesse nascondendo qualcosa e forse poteva immaginare che si trattasse di una questione pericolosa, ma non credeva che egli si fosse spinto così oltre.
Inizialmente provò soltanto panico e terrore al pensiero che Jari potesse trovarsi in pericolo. Conosceva bene suo fratello, non lo considerava uno sprovveduto, sapeva che se aveva preso quella decisione dovevano esserci delle valide ragioni. Questa consapevolezza però non servì ad alleviare il dolore.
«Hai davvero intenzione di partire per la guerra?» chiese sconcertata.
«Non ti chiedo di approvare o condividere le mie scelte. Ho voluto solo essere onesto nei tuoi confronti»
Kaija tentò di fare del suo meglio per non cedere allo sconforto.
«Ne hai già parlato con nostro padre?» domandò trattenendo a stento i singhiozzi.
«No, è meglio che non sappia niente prima della mia partenza»
«Ma…è pur sempre tuo padre, deve sapere la verità» obiettò.
«Se scoprisse le mie intenzioni farebbe di tutto per impedirmi di partire. Penserebbe che abbia soltanto deciso di rovinare i suoi piani, non potrebbe comprendere le mie motivazioni»
«Potresti pentirti per non essere stato sincero con lui»
«Non posso permettermi di espormi in questo modo, non solo per la mia sicurezza, ma anche per i miei compagni»
«Allora perché mi stai rivelando tutto questo?»
Jari strinse teneramente la mano della sorella: «perché mi fido di te»
Kaija non riuscì più a trattenere le lacrime.
«Non voglio pensare a quel che potrebbe accaderti laggiù…non potrei sopportare di perdere anche te»
«So che questa mia scelta è difficile da accattare, non avrei mai voluto causarti altra sofferenza, ma devi capire che si tratta di una questione davvero importante. Voglio che tu sappia che sto facendo tutto questo per il futuro della nostra Nazione, del nostro popolo…e anche della nostra famiglia»
La giovane cercò conforto tra le sue braccia: «non c’è davvero nulla che potrebbe convincerti a restare?»
«Mi dispiace, ormai ho preso la mia decisione»
«Promettimi che starai attento e che scriverai sempre a casa»
«Certo, non devi preoccuparti per questo. Anche se sarò lontano il mio cuore resterà sempre qui. Non potrei mai abbandonare le persone che amo»
Kaija si asciugò il volto bagnato dalle lacrime, sentì che l’unica cosa che potesse fare per suo fratello in quel momento fosse dimostrare il suo affetto incondizionato e il suo totale supporto.
 
 
Jari legò il cavallo a un albero poco distante dal rifugio. Aveva pensato a lungo a come affrontare quel discorso, ma alla fine era giunto alla conclusione che non esistesse un modo giusto per dire addio alla persona amata. Avrebbe soltanto dovuto trovare il coraggio di essere sincero, non poteva fare altro per alleviare il dolore di quella separazione.
Il ragazzo entrò all’interno del capanno trovando il camino acceso e le candele accese. Istintivamente cercò Verner con lo sguardo.
Il suo compagno si alzò dalla sedia, restando però immobile, fissandolo come se fosse un fantasma.
«Jari…non sapevo che fossi tornato»
Egli si avvicinò: «è stato un ritorno improvviso. Ti ho cercato a casa, ma tuo zio mi ha detto che ti avrei trovato qui»
«Vengo spesso qui in cerca di pace…anche se senza di te è tutto diverso»
Jari prese un profondo respiro, sentendosi in colpa per quel che stava per fare.
«Devo parlare con te»
L’altro lo interruppe: «aspetta, dato che sei qui voglio darti una cosa»
Verner si allontanò di qualche passo per poi tornare con un oggetto che immediatamente offrì al suo compagno.  
Jari accettò con lieve imbarazzo ritrovandosi tra le mani una piccola scultura in legno. L’opera di artigianato rappresentava un cavallo dai tratti familiari.
«È il tuo Onni. Ho pensato che sentissi la sua mancanza lontano da casa» spiegò l’amico.
Il giovane esaminò la figura con attenzione, la raffigurazione dell’animale era accurata nei minimi dettagli, Verner aveva dato prova di tutto il suo talento nel realizzare quel piccolo capolavoro.
«È davvero bellissimo» disse sinceramente colpito da quel prezioso dono.
All’improvviso avvertì un nodo allo stomaco, si sentì ancora più in colpa, non riuscì a tenere ancora dentro di sé quel segreto così opprimente.
Verner percepì il suo turbamento: «qualcosa non va?»
Jari non poté far altro che essere sincero con lui.
«Non posso più attendere, devo dirti una cosa davvero importante»
Il suo compagno cominciò ad esternare preoccupazione: «di che si tratta?»
A Jari mancò il fiato, dovette ricorrere a tutta la sua forza interiore per trovare il coraggio di parlare.
«In realtà sono tornato a casa solo per un addio, quando ripartirò non tornerò ad Helsinki»
«Che significa?» domandò l’amico con aria confusa.
«Ho deciso di arruolarmi nell’Esercito tedesco, presto partirò per il fronte»
Verner gli rivolse uno sguardo incredulo: «stai dicendo sul serio?»
Egli annuì con fermezza.  
Il suo compagno reagì d’istinto.
«Sei completamente impazzito?» urlò con rabbia e disapprovazione.  
Jari tentò di giustificare le proprie intenzioni.
«So che si tratta di una decisione pericolosa, ho riflettuto a lungo sulla mia posizione. Voglio combattere per la libertà e l’indipendenza della nostra Patria. Sento che è questo il mio dovere e non posso tradire il mio giuramento»
Verner ricordò le parole di Aleks, nel suo compagno riconobbe la sua stessa determinazione.  
«Questa guerra non condurrà il nostro Paese all’Indipendenza» disse lapidario.
«Per i nazionalisti questa potrebbe essere l’unica possibilità per liberare la Finlandia dall’egemonia russa»
«Dunque credi che questa sia la soluzione migliore? Vuoi abbandonare la tua terra per servire un esercito straniero?»
Jari era ormai convinto delle proprie idee.
«I tedeschi sono nostri alleati in questa battaglia. La Russia è un nemico comune, abbiamo bisogno di questa guerra per sconfiggere le forze dello zar»
Verner scosse il capo: «non puoi credere realmente a queste assurdità»
«Mi dispiace che tu non riesca a comprendere le mie ragioni, ma ormai ho preso la mia decisione»
Il suo compagno cercò di calmarsi, discutere sulla questione era solo una perdita di tempo, d’altra parte era certo di non poter fare nulla per dissuaderlo.
«Dunque questo è un addio?»
Jari rispose con voce tremante: «credimi, non avrei mai voluto abbandonarti»
Verner lo guardò dritto negli occhi: «quando partirai?»
«I primi volontari raggiungeranno la Germania alla fine del mese, ho intenzione di unirmi a loro»
L’altro rimase qualche istante in silenzio senza più esprimere il proprio dissenso.
Jari era certo di averlo deluso, temeva che egli non avrebbe potuto né comprendere né tantomeno perdonare quel suo tradimento.
Inaspettatamente Verner si avvicinò a lui, prese il suo volto tra le mani accarezzandolo dolcemente.
Il giovane si rassicurò a quel contatto, fu piacevole sentire ancora quel calore familiare sulla sua pelle. I suoi occhi si persero nelle iridi celesti del suo compagno. Riconobbe il dolore nel suo sguardo, ma scorse anche una luce di speranza.
Verner pensò al tormento di quell’ultimo periodo, a quanto avesse sofferto per la mancanza del suo amato. Il suo incubo era diventato realtà, considerava Jari come ciò che aveva di più prezioso, avrebbe desiderato continuare ad amarlo e proteggerlo, invece era costretto a lasciarlo andare. Non era pronto a convivere nuovamente con il timore di perderlo. Il suo orgoglio gli impedì di mostrare il lato più debole di sé. D’altra parte sapeva che opporsi alla sua decisione non avrebbe significato lottare per il suo amore.
«Non capisco perché tu voglia andartene, ma rispetto la tua scelta. Se credi di dover partire non posso impedirti di fare ciò che ritieni giusto»
Jari si commosse nel sentire quelle parole.
«Se non potrò avere un’altra occasione, almeno non voglio sprecare questi ultimi momenti insieme»
Verner concluse quella amara conversazione con un intenso bacio. Jari ricambiò con altrettanto ardore.
I giovani si strinsero in quell’abbraccio, tra baci appassionati e lascive carezze.
Ben presto le questioni politiche passarono in secondo piano, ed entrambi tornarono ad essere soltanto due amanti desiderosi l’uno dell’altro.
Animati dalla passione cominciarono a spogliarsi a vicenda, lasciando cadere gli abiti pesanti sulle assi di legno. Jari si lasciò cadere sul materasso trascinando il compagno sopra di sé. Verner continuò a baciarlo con foga, strappandogli gemiti di piacere. Si avventò su di lui con impeto e veemenza, dimostrando quanto bramasse ogni parte del suo corpo. Jari cedette a quel vortice di passione, abbandonandosi a quella marea di emozioni. Entrambi sfogarono la frustrazione e il dolore in quell’amplesso, trovando ancora una volta conforto in quel rapporto ormai privo di futuro.
 
Verner ammirò il volto dell’amato sfiorandolo con una leggera carezza.
«Non riesco a dirti addio» ammise con profonda tristezza.
Jari rispose con un sussurro: «nemmeno io»
Il suo compagno si sollevò fino a sedersi sul letto.
«Si sta facendo tardi, è meglio che tu vada adesso»
«Non posso lasciarti senza sapere che cosa provi realmente per me»
«Non è così semplice»
«Voglio solo la verità» insistette.
Verner, seppur con titubanza, cedette alla sua richiesta.
«Non condivido le tue idee politiche e ti ritengo colpevole per aver scelto di abbandonare la nostra Patria, ma sono consapevole che tu sei davvero convinto di questa decisione. Ti conosco da tanto tempo e sono sicuro che tu sia animato da buone intenzioni. Sinceramente non so cosa provo per te in questo momento, una parte di me si sente delusa e tradita dal tuo comportamento, l’altra invece ha solo paura di perderti per sempre»
Jari apprezzò la sua estrema sincerità.
«Non mi aspetto che tu oggi possa comprendere le mie ragioni. Mi chiedo però se un giorno potrai concedermi un’altra possibilità ed essere disposto a perdonarmi»
Egli si rattristò nel realizzare di non poter accontentare la sua richiesta.
«Temo di no…ma quel che è appena accaduto dimostra che non potrò mai smettere di amarti»
Jari non trovò contradditoria la sua risposta.                 
«Forse questa separazione è ciò che è meglio per entrambi»
Verner avrebbe voluto riporre fiducia nel suo compagno come aveva sempre fatto, ma ormai qualcosa tra loro si era rotto per sempre.
Non aveva bisogno di discutere ulteriormente sulla questione, ne avrebbe soltanto sofferto. Il suo unico obiettivo fu dimostrare che nonostante tutto il loro rapporto avrebbe sempre avuto un posto speciale nel suo cuore. 
Senza dire nulla attrasse Jari a sé, unendo le loro labbra in un ultimo bacio intriso di passione e disperazione.

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Capitolo 9
*** Divise verdi ***


 
IX. Divise verdi
 

Lasciare la terra natia fu doloroso per tutti i volontari che avevano scelto di arruolarsi, al momento della partenza regnava un’atmosfera silenziosa carica di amarezza, tra volti mesti e cupi. Nonostante ciò ognuno di loro era consapevole che quella sarebbe stata una sofferenza necessaria. Il desiderio di proteggere e liberare l’amata patria dal dominio russo ardeva negli animi dei giovani finlandesi.
Lauri e Jari furono sorpresi nel trovare anche Yrjö tra i loro compagni, entrambi erano convinti che egli avesse preso la sua decisione. All’istante furono colti da sensazioni contrastanti, in parte lieti di ritrovare l’amico, ma allo stesso tempo sospettosi e incerti sulle sue intenzioni.
Yrjö si preoccupò subito di fornire le dovute spiegazioni: «non avrei potuto lasciarvi soli. Ho compreso che è mio dovere combattere al vostro fianco»
I due giovani si commossero nel sentire quelle parole, ammirarono il coraggio dell’amico e riconobbero l’importanza di quella prova di fedeltà. Lauri però non aveva dimenticato le loro animate discussioni.
«Credevo che non volessi avere nulla a che fare con l’Organizzazione»
Yrjö rimase fedele a sé stesso: «è vero. Non avevo intenzione di prendere parte a una rivolta, ma adesso le cose sono cambiate, questa è una guerra che deve essere combattuta in prima linea»
L’amico poté comprendere le sue motivazioni, eppure non riuscì ad abbattere del tutto il suo muro di diffidenza.
«Ricordo bene quel che mi hai detto. Consideravi tutti noi come assassini, se sei qui significa che hai cambiato idea a riguardo»
«Non condivido alcun genere di violenza, non penso che questa sia una guerra giusta, ma riconosco che non c’è altro modo per difendere la nostra patria e liberare il nostro popolo»
Lauri non lo contradisse, limitandosi ad approvare le sue parole restando in silenzio. Jari invece esternò sincera ammirazione.
«Ero certo che alla fine non ci avresti abbandonato. Sono contento che tu sia qui con noi» 
Yrjö si sforzò di sorridere, era consapevole che il rapporto tra loro non sarebbe più stato lo stesso dopo tutto quel che era accaduto, ma sentiva che erano destinati ad affrontare insieme quella guerra.
 
Il viaggio si rivelò lungo e faticoso. Per raggiungere e superare il confine i giovani finlandesi furono costretti a marciare nella neve, tra le montagne e le lande desolate, attraversando ogni villaggio con il timore di essere scoperti dalle guardie russe. Lungo il percorso trovarono il supporto dei civili, i quali non esitarono a proteggere e soccorrere i valorosi protettori della patria. Ma i volontari non poterono riporre piena fiducia nemmeno nei loro connazionali, anche tra di loro potevano nascondersi vili traditori. Fortunatamente Jari e i suoi compagni incontrarono soltanto collaborazionisti veramente devoti alla loro stessa causa. Trovarono altri membri di organizzazioni indipendentiste, militanti e attivisti filotedeschi, ma anche semplici cittadini disposti ad offrire cibo e riparo a un gruppo di giovani stremati e affamati.
Dopo giorni di cammino riuscirono a raggiungere il confine con la Svezia, superata la frontiera poterono considerarsi al sicuro. Il viaggio però era appena iniziato e ad attenderli c’era una perigliosa traversata.
 
***

Jari credeva che una volta raggiunta la Germania avrebbe ricevuto il medesimo trattamento degli altri militari. Era un volontario, ma aveva superato i test fisici e gli esami per il reclutamento senza alcuna difficoltà, dunque riteneva che fosse suo diritto essere considerato a tutti gli effetti come un soldato.
Il giovane rimase deluso nello scoprire che in realtà i servizi segreti tedeschi avevano provveduto a integrare i nuovi arrivati come civili. Bernhard gli assicurò che ciò sarebbe servito a rendere meno sospetta la loro presenza, ma Jari non esitò ad obiettare.
«Non siamo turisti in vacanza, siamo qui per combattere!»
«Non preoccuparti, quando l’addestramento sarà terminato saremo tutti riconosciuti come soldati dello Heer»
Jari sbuffò: «ad essere sincero non mi piace il modo in cui ci hanno trattato quegli ufficiali. Credono di avere a che fare con dei ragazzini e non con dei veri combattenti»
«Non devi dimenticare che abbiamo scelto di arruolarci in un esercito straniero, combattiamo per la Finlandia, ma qui siamo al servizio della Germania. Siamo stati avvertiti prima dell'arruolamento, è nostro dovere sostenere e servire il Reich tedesco. Ciò significa anche che dovremo obbedire agli ordini dei nostri superiori»
Jari non riuscì a trattenersi dal commentare: «forse per te è più facile accettare queste condizioni»
Winkler tentò di ignorare la sua provocazione: «questa alleanza è già abbastanza complessa e delicata, non abbiamo bisogno di creare altre tensioni»
«Sto solo cercando di capire al meglio la situazione»
Il suo compagno giunse direttamente al punto: «i tedeschi sono nostri alleati. Saranno loro ad addestrare e finanziare il nostro esercito, dunque è nostro interesse essere qui»
«Non metto in dubbio la fiducia dimostrata. Voglio solo accertarmi che a noi sia riservato il dovuto rispetto»
«Ti ricordo che per il Granducato di Finlandia e l’Impero russo siamo colpevoli di tradimento, al momento la Germania è anche l’unica nazione che può fornirci protezione»
«Sono consapevole delle conseguenze delle nostre scelte»
Winkler guardò l’amico negli occhi: «il nostro obiettivo è dimostrare ai tedeschi di essere davvero disposti a combattere questa guerra»
Jari si limitò ad annuire, era sempre convinto delle proprie scelte, allo stesso tempo era conscio di non avere alternative.
 
Il campo di Lockstedt, un accampamento sperduto nel mezzo della campagna dove erano alloggiati i volontari finlandesi, diventò ben presto una base militare a tutti gli effetti. I giovani aspiranti soldati furono sottoposti ad un addestramento ancor più rigido e severo di quello riservato alle reclute tedesche. I comandanti vollero mettere alla prova la resistenza fisica e la dottrina dei loro uomini. Le esercitazioni erano lunghe e noiose, ma necessarie perché dei civili che non si erano mai approcciati al mondo militare prima di quel momento potessero raggiungere gli obiettivi prestabiliti.
La disciplina prussiana ebbe un’ottima presa sui finlandesi, poche settimane di addestramento furono sufficienti alla messa in pratica sul campo di diverse manovre e tattiche con estrema dedizione ed efficienza. Gli ufficiali tedeschi poterono considerarsi soddisfatti dei loro allievi, i quali superarono di gran lunga le aspettative generali. Alcuni di loro iniziarono anche a provare una certa soggezione nel constatare che in diversi casi le abilità di tiro, la resistenza di marcia e le prestazioni atletiche dei finlandesi superavano quelle dei loro connazionali. Dal punto di vista tecnico la creazione di un reparto speciale di volontari era stata un successo, i finlandesi potevano essere una preziosa risorsa per la Germania. La loro sorte però era ancora incerta.
 
Per Jari e i suoi compagni la permanenza nell'Holstein non fu affatto un’esperienza gradevole. I finlandesi furono alloggiati in misere baracche, a loro erano concesse poche ore di riposo su scomode brande di legno ed erano sottoposti a turni estenuanti di lavoro e addestramento. La lingua tedesca, seppur per di più limitata a ordini e lessico militare, non era familiare a quasi nessuno di loro. Jari cercò di imparare il più possibile da Winkler, costringendo l’amico a insegnarli qualcosa di nuovo in ogni momento libero della giornata. Questo però non fu sufficiente a rendere più semplice l’apprendimento.
Anche il cibo risultò come un problema per i finlandesi. Nessun piatto teutonico aveva un sapore abbastanza gradevole per i gusti nordici, e anche se per necessità si ingurgitava ogni cosa le scarse porzioni non erano di certo sufficienti a colmare lo stomaco di quei giovani affamati e stremati dalla fatica.
La parte peggiore della giornata però era sempre la sera, quando sopraggiungeva la tristezza e la malinconia per la Patria lontana. La speranza restava l’unico conforto.  
 
***

Durante le settimane di addestramento Jari ebbe modo di conoscere meglio i suoi compagni. Molti erano studenti che come lui si erano lasciati sopraffare dall’ondata di patriottismo che ormai da tempo aveva invaso la Finlandia. Tra di loro c’erano medici, avvocati, ingegneri e letterati. Seppur questi rappresentassero la maggior parte dei volontari erano presenti anche comuni cittadini, marinai, lavoratori e contadini.
Jari trascorse un intero pomeriggio alla postazione di tiro a fianco di un operaio di Tampere. Durante le pause i due affrontarono diverse conversazioni. Ben presto si ritrovarono a parlare delle ragioni che li avevano portati ad abbandonare la terra natia.
«Sapevo di non avere alcun futuro, in quell’ambiente non c’è nulla per quelli come me. Ero stanco di sopportare ogni genere di maltrattamenti e soprusi. Nella Finlandia dominata dai russi non mi attende altro destino che morire di fame e di stenti. A questo ho preferito scegliere di provare a cambiare le cose, se dovrò perire sul campo di battaglia almeno potrò andarmene con onore»
Dialogando con lui Jari non poté evitare di pensare a Verner, probabilmente anche lui si trovava a vivere in condizioni non molto differenti. Da quando aveva lasciato il suo villaggio non aveva mai smesso di pensare al loro addio. Era consapevole di averlo deluso, ma non aveva alcun rimorso per le sue scelte. Riteneva di aver fatto la scelta giusta, per quanto dolorosa. Aveva abbandonato la sua terra per il bene delle persone che amava. Voleva lottare per un futuro migliore. Poteva comprendere le motivazioni di Verner, l’amico si riteneva tradito e abbandonato. D’altra parte Verner non aveva nemmeno voluto ascoltare le sue ragioni, si era dimostrato talmente testardo da non riuscire a capire che era anche per lui che aveva deciso di combattere quella guerra.
Il ragazzo avvertì una fitta al petto, quella rottura aveva lasciato un vuoto incolmabile dentro di sé. Continuare a ricordare ciò che aveva perduto avrebbe causato soltanto sofferenza.
Jari tornò tristemente alla realtà, il passato appariva già lontano. La sua vita aveva preso una svolta del tutto differente, da quando aveva scelto di dedicare la sua esistenza alla lotta per la Libertà tutto era cambiato. Aveva dovuto rinunciare a tutto ciò che amava, alla sua terra, ai suoi cari e anche ai suoi sogni. I progetti per il futuro erano svaniti.
Pur non avendo alcun rimorso Jari non poté far nulla per lenire quel dolore. Purtroppo anche Verner faceva parte di quel passato che si era lasciato alle spalle. Non poteva sapere se il destino avrebbe potuto farli ritrovare, in ogni caso nulla sarebbe potuto tornare come prima.
Jari prese un profondo respiro, la sua sorte era incerta come quella della sua Patria.
 
***

Lauri fu il più entusiasta del gruppo nello scoprire di essere stato assegnato al reparto d’artiglieria. Prima di ritrovarsi davanti a una mitragliatrice non aveva mai provato particolare interesse per le armi. Era sempre stato un buon tiratore, con il suo fucile da caccia era praticamente infallibile. Al campo d’addestramento però la questione era ben diversa. Si divertiva a mirare ai bersagli e provava un brivido di esaltazione ogni volta che premeva il grilletto e udiva l’assordante scoppio degli spari, sentiva il sangue scorrere nelle vene il cuore battere nel petto. Ormai avvertiva come familiare e addirittura piacevole l’odore della polvere da sparo e il calore della canna fumante. Non soffriva nemmeno più la fatica nel trasportare la pesante attrezzatura nelle campagne desolate o nello scavare trincee nel fango.
Inizialmente preferiva ignorare il fatto che prima o poi quelle sagome inanimate utilizzate come bersagli sarebbero diventati uomini in carne e ossa. Forse sul campo di battaglia questo non avrebbe avuto molta importanza. Sparare per primo era una legge di sopravvivenza in prima linea. Era per questo che erano qui, per combattere…e inevitabilmente anche per uccidere.
Lauri tentò di scacciare quei pensieri dalla sua mente. Era tutta colpa di Yrjö, era lui a tormentarlo con i suoi dilemmi morali. Trovava assurdi certi suoi discorsi, era convinto che al momento di agire nemmeno lui avrebbe esitato a premere il grilletto.
Lauri era determinato a fare il suo dovere, ma allo stesso tempo desiderava mantenere la sua promessa e fare tutto il possibile per tornare a casa. Aveva più motivazioni per combattere quella guerra, per lui non esistevano solo grandi ideali, in gioco c’era anche il suo futuro.
A volte mentre attendeva che il suo compagno tornasse alla postazione di tiro con munizioni e rifornimenti si ritrovava a contemplare il paesaggio con aria assorta fino a rendersi conto di quanto quel luogo risultasse estraneo ai suoi occhi. Allora avvertiva la mancanza di casa e veniva colto dalla malinconia. Per non cedere allo sconforto provava ad immaginare il suo ritorno, pensando a quando finalmente avrebbe potuto stringere nuovamente la moglie tra le braccia. Aveva progetti per il loro futuro, di certo desiderava dei figli.
Sognava di far crescere la sua famiglia in una Finlandia libera, dove finalmente avrebbe regnato la pace.
 
***

Il treno correva sulle rotaie accompagnato dal ritmico rumore metallico e dallo sbuffare della locomotiva.
Bernhard osservò il panorama della campagna della Bassa Sassonia scorrere davanti ai suoi occhi. Il paesaggio bucolico suscitò in lui sensazioni di pace e tranquillità. Per quanto quei luoghi fossero differenti dalle gelide lande nordiche sentì comunque qualcosa di familiare. Non poteva ignorare quel senso di appartenenza, quella terra era anche la sua terra.
Era convinto di trovarsi nel posto giusto, in Finlandia non avrebbe potuto raggiungere gli obiettivi prefissati dall’Organizzazione. In quell’occasione però non erano soltanto le questioni politiche a interessarlo.
Non avrebbe mai potuto rinnegare parte della sua identità, quello per lui era anche un viaggio alla scoperta di sé stesso.
Il giovane tentò di fare del suo meglio per non lasciar trasparire troppo il suo entusiasmo e la sua emozione. Il maggiore Bayer era seduto vicino a lui insieme ad altri due giovani ufficiali. Il comandante ripose il giornale e offrì al suo ospite una sigaretta.
Bernhard accettò per cortesia, se ne portò una labbra e l’accese con un fiammifero.
«Dunque come è stato il ritorno a casa?» domandò Bayer con vivo interesse.  
Bernhard si sentì lievemente a disagio: «non ero mai stato in Germania, sono contento di essere qui. Le mie radici appartengono a questa terra, ma la ragione per cui sono qui è la Finlandia. Come tutti i miei compagni desidero liberare la mia terra e il mio popolo»
Il tedesco parve deluso da quella risposta, probabilmente la considerò poco patriottica, in ogni caso rispose con accondiscendenza.
«Devo ammettere che la fedeltà alla Causa è davvero ammirevole»
«Voglio servire la Germania e combattere per la Finlandia» ribadì con fermezza.
«Sì, certo. Comprendo perfettamente la sua posizione.
I due giovani ufficiali, rimasti in rigoroso silenzio, si scambiarono uno sguardo enigmatico, Bernhard non seppe se considerare quel gesto come un segno buono o cattivo.
Bayer riprese il discorso: «che cosa pensa dei suoi compagni finlandesi?»
 Winkler non esitò a rispondere: «sono giovani ardimentosi e volenterosi. Sono determinati a combattere e sono disposti a morire in nome dei loro ideali»
Il maggiore mantenne un’espressione seria e severa.
«Si dimostreranno fedeli all’Impero tedesco in ogni circostanza?»
Winkler confermò: «posso assicurarle che tutti i miei compagni sono uomini d’onore»
«Immagino che lei sappia quanto sia importante questa alleanza per entrambe le parti»
«Sì, certamente»
Il comandante espirò una nube di fumo con aria pensierosa.
«Questo viaggio a Berlino deciderà le sorti dei suoi connazionali. Sarà dovere dei miei superiori valutare se questi uomini potranno essere degni di far parte dell’Esercito tedesco»
«Non ho dubbi a riguardo» affermò Bernhard guardando il suo interlocutore negli occhi.
Bayer sorrise, mostrandosi compiaciuto dalla sua determinazione e convinzione.
 
***

A differenza dei suoi compagni Yrjö non si era lasciato travolgere dall’entusiasmo bellico. La guerra per lui non era la grande avventura che tutti immaginavano perlopiù in modo irrealistico e infantile. Yrjö considerava quella guerra un male necessario, non poteva evitarlo, solo per questo riteneva che fosse suo dovere combattere. Sentiva costantemente la necessità di ricordare a sé stesso le motivazioni per cui aveva scelto di arruolarsi. Nella sua mente ripensava spesso alle parole del professor Juntunen, il quale aveva tenuto un breve discorso agli studenti che avevano scelto di partire come volontari per il fronte.
 
La nostra eredità per voi, i giovani e le future generazioni della Finlandia, è di lasciarvi ciò che riteniamo più prezioso: fiducia nel futuro della Finlandia come paese indipendente e libero, fede incrollabile nella legittimità della lotta per la libertà e per la vittoria, anche quando tutto sembra senza speranza, la volontà e il coraggio di combattere in ogni momento per questa causa
 
Yrjö credeva fermamente nei propri ideali, questo però non era sufficiente a giustificare il peso delle sue azioni. L’unico conforto che poteva trovare era la consapevolezza di non aver tradito i suoi compagni. In fondo era per loro che aveva scelto di partire. Voleva mostrare il suo supporto e restare a fianco dei connazionali disposti a morire per la libertà.
Ultimamente si era riavvicinato ai suoi studi frequentando costantemente l’infermeria del campo. Il dottor Lange, un tedesco che parlava fluentemente la lingua svedese, era un uomo gentile e disponibile. Aveva preso Yrjö in simpatia, apprezzando l’interesse e la passione che il ragazzo dimostrava per la medicina e per il suo mestiere. Il giovane aveva colpito positivamente il medico, il quale un giorno si decise ad azzardare una proposta.   
«Sai, stavo pensando che avrei davvero bisogno di aiuto, mi sarebbe utile qualcuno che conosca bene il finlandese. So che eri uno studente di medicina, ti andrebbe di diventare mio assistente?»
Yrjö rimase sorpreso, incredulo davanti a quella possibilità.
«Perché lo sta chiedendo a me? Potrebbe trovare qualcuno con molta più esperienza» replicò con umiltà e modestia.
Lo sguardo di Lange si incupì: «credimi, nessuno è pronto ad affrontare quel che troveremo al fronte. Se ti sto offrendo questa opportunità è perché ritengo che tu abbia le potenzialità per ricoprire al meglio questo incarico»
 Yrjö aveva riflettuto qualche istante, ma dentro di sé aveva già preso la sua decisione.
«Sarei davvero onorato di accettare»
 
***

Quella sera Jari e Lauri si ritrovarono al Café Schütt, uno dei pochi locali dove i finlandesi potevano trascorrere il tempo in libera uscita. Gli abitanti del villaggio avevano ben accolto i volontari, agli occhi dei civili erano considerati come eroi giunti da lontano per aiutare la Germania a vincere la guerra. Ben presto si era creata una naturale armonia tra i giovani delle due nazionalità.
Da un tavolo in disparte Lauri osservò i suoi compagni che animavano il salone tra brindisi e danze.
«A quanto pare loro si stanno divertendo» commentò.
Jari bevve un lungo sorso di birra: «nessuno ti vieta di unirti alla festa»
L’amico scosse la testa: «un tempo non avrei esitato a bere un bicchiere di più e a ballare con qualche bella ragazza, ma adesso non mi interessa più nulla di tutto questo»
Jari fu sorpreso da quelle parole, Lauri era veramente cambiato da quando aveva preso sul serio la sua relazione, a suo parere questo poteva solo essere positivo. Aveva sempre mal sopportato l’immaturità del suo compagno.
In quel momento i due amici furono raggiunti da Yrjö. Il nuovo arrivato si sedette al tavolo mostrandosi particolarmente turbato.
«Qualcosa non va?» domandò Jari con apprensione.
«Non avete saputo quel che è successo?»
Lauri negò, anch’egli si era allarmato nel vedere il suo compagno così preoccupato.
«Sono giunte notizie dalla Finlandia. Alcuni nostri compagni sono stati arrestati dai gendarmi russi mentre tentavano di superare il confine. C’è stato uno scontro a fuoco, purtroppo non sappiamo altri dettagli»
Jari si rattristò per la sorte dei suoi connazionali, Lauri invece non si perse in sentimentalismi e rispose in modo più pragmatico.
«Dunque sarà sempre più difficile trovare nuovi volontari, adesso che i russi hanno scoperto le nostre vie di fuga per la Svezia il rischio è molto più alto»
Yrjö non volle pensare al peggio: «non credo, anzi, sono certo che questo accaduto contribuirà a diffondere ancor più desiderio di ribellione e rivalsa nei nostri compatrioti»
«Mi auguro che sia così» disse Lauri.
Jari tentò di risollevare l’animo dei presenti: «dobbiamo continuare ad avere fiducia e speranza per la Finlandia»
I due amici concordarono con le sue parole, al termine di quel breve discorso alzarono i loro boccali.
«Per la Finlandia!»
 
***

Il mattino seguente Bernhard si presentò indossando una divisa da ufficiale. L’inconfondibile uniforme verde degli Jäger era stata spogliata di ogni distintivo per essere utilizzata dai volontari finlandesi ufficialmente integrati nello Heer.
Winkler sfoggiava con orgoglio la giacca con i bottoni d’ottone e gli stivali lucidati, ai suoi compagni non era passato inosservato il fatto che egli avesse preso davvero sul serio la sua carriera nell’Esercito tedesco. In questa situazione i primi dubbi e sospetti non avevano atteso a diffondersi. 
Osservando l’amico così fiero del suo grado di superiore anche Jari non poté evitare di formulare certi pensieri.
«Dunque il viaggio a Berlino ha avuto il suo effetto» commentò freddamente.
Bernhard rispose seriamente: «il nostro destino è stato deciso, ad essere sincero le cose sono andate meglio del previsto»
«Spero che non ti stia dimenticando la vera ragione per cui siamo qui»
Bernhard sollevò lo sguardo.
«Credi che giurando fedeltà alla Germania abbia tradito i miei doveri nei vostri confronti?»
«No, affatto. Voglio solo accertarmi che non ti stiano venendo strane idee»
«Questa promozione non mi ha dato alla testa» replicò in sua difesa.
«Desidero solo metterti in guardia. Tutte queste adulazioni potrebbero essere sospette»
«Stai insinuando che i tedeschi abbiano intenzione di ingannarci?»
«Razionalmente è un’ipotesi che non possiamo escludere»
«Non ho motivo per credere che sia così. Anzi, vuoi sapere che altro è stato deciso a Berlino?»
Jari lo invitò a continuare.
«I tedeschi hanno accettato di fornire le loro risorse per la nostra causa. Le loro navi cariche di armi e munizioni raggiungeranno le coste Finlandesi…è solo l’inizio, ma quando scoppierà la rivolta non saremo impreparati. Stiamo costruendo le basi per questa alleanza, come puoi ben vedere non ho dimenticato la vera ragione per cui abbiamo deciso di arruolarci»
Jari si pentì per essere giunto a conclusioni troppo affrettate. Forse Bernhard aveva davvero sfruttato la situazione a suo vantaggio, ma questo non gli aveva impedito di continuare ad agire per il bene della Finlandia.
Il tedesco si rivolse al compagno con serietà: «adesso voglio parlarti come tuo comandante. Devo sapere se potrai concedermi la tua fiducia da questo momento in poi»
«Ero disposto ad affidare la mia vita nelle tue mani quando eri considerato come un criminale, non esiterò a fare lo stesso in guerra»
Winkler sentì il peso di quella responsabilità: «ti prometto che non verrò mai a meno della mia parola, come ufficiale e come uomo»
«Mi dispiace, non avrei dovuto mettere in dubbio la tua onestà»
Bernhard accettò le sue scuse, dopo qualche istante di silenzio riprese la parola.
«In ogni caso ero venuto da te per riferirti notizie importanti»
«Di che si tratta?»
«La richiesta del maggiore Bayer è stata approvata»
Jari sussultò: «questo significa che presto parteciperemo ai combattimenti?»
Winkler annuì.
«A partire da domani le truppe finlandesi saranno mobilitate, potremo dire addio al campo di Lockstedt. La nostra prossima meta sarà la prima linea»
Jari trasalì, nonostante la naturale preoccupazione il suo corpo fu scosso da un brivido di eccitazione. Finalmente era giunto il momento di entrare in azione.

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Capitolo 10
*** Crepe nel ghiaccio ***


 
X.  Crepe nel ghiaccio
 

Verner passeggiava lungo il sentiero innevato in compagnia di Saija. La cucciola di meticcio che suo fratello aveva salvato dal gelo era cresciuta in fretta, il suo fisico inizialmente gracile e debole era diventato robusto e resistente, coprendosi di una pelliccia grigia e folta. In poco tempo aveva acquisito l’aspetto di una lupacchiotta, in cui si poteva riconoscere parte della sua natura selvaggia. 
Saija si era affezionata subito ai suoi salvatori, dimostrandosi obbediente e fedele. Pur essendo mansueta con i suoi padroni però continuava a mostrarsi diffidente nei confronti degli estranei.
Verner aveva preso l’abitudine di portarla sempre con sé durante le sue passeggiate nei boschi, trovava piacevole la sua compagnia. Non aveva bisogno di parlare per comunicare con la sua nuova amica, lei riusciva a comprenderlo con un semplice sguardo. Tra i due era nata una bella complicità.
Saija si trovava perfettamente a suo agio mentre vagava tra le foreste di conifere, non soffriva né il freddo né la fatica, amava correre in libertà in quel paesaggio innevato. Verner riteneva che in fondo non fossero così diversi.
 
I due erano ormai di ritorno sulla strada di casa quando ad un tratto Saija si immobilizzò, alzò la testa e fiutò l’aria avvertendo qualcosa di insolito.
Dal suo comportamento il giovane intuì che ella avesse percepito un reale pericolo, per precauzione strinse la presa sul fucile.
Saija rivolse i suoi occhi di ghiaccio in direzione della foresta, la sua attenzione era rivolta a un obiettivo nascosto dalla nebbia. Con uno scatto il meticcio scese dalla collina, scomparendo alla vista di Verner. Quest’ultimo non poté far altro che rincorrere l’animale seguendo le sue orme nella neve fresca. Con i polmoni in fiamme e il fiato corto il ragazzo abbandonò il sentiero per addentrarsi nella pineta. Seguì i latrati di Saija ritrovandosi in una piccola radura, avvicinandosi udì delle voci. Dunque non erano soli in quella foresta.
Uscendo dalla boscaglia riconobbe un gruppo di uomini, indossavano uniformi militari e parlavano in russo.
Verner richiamò il suo cane con un fischio, Saija obbedì tornando accanto al suo padrone.
Dopo i primi istanti di incertezza i russi si mostrarono lieti di incontrare un altro essere umano in quel territorio desolato. Uno di loro si presentò provando a pronunciare qualche parola in finlandese. Era un ufficiale, sull’uniforme portava i gradi di tenente.
Verner restò in allerta, scegliendo di relazionarsi con cautela al suo interlocutore.
«Non sapevo che questi boschi fossero pattugliati dall’esercito»
Il tenente non esitò a fornire spiegazioni nella speranza di ottenere in cambio qualche informazione utile.
«Siamo sulle tracce di un criminale, si tratta di un fuggitivo che si sta nascondendo ormai da tempo in queste foreste. Sappiamo per certo che deve aver trovato rifugio in uno dei vostri villaggi»
Verner iniziò ad avere dei sospetti, ma non esternò in alcun modo la sua preoccupazione.
«Mi spiace, temo proprio di non potervi aiutare»
L’ufficiale insistette mostrandogli una foto segnaletica.
«Il suo nome è Aleksej Sokolov, ma potrebbe aver utilizzato una falsa identità»
Il finlandese rimase ad osservare il volto di un giovane dagli occhi scuri e i folti capelli corvini. Immediatamente riconobbe Aleks, il suo aspetto da ragazzo presentava alcune differenze, i lineamenti del suo viso e l’intensità del suo sguardo però restavano inconfondibili.
Non poteva capire le scritte in cirillico, riuscì solo a leggere la data, quello scatto risaliva a quattro anni prima.
«Abbiamo ricevuto l’ordine di catturare quest’uomo» continuò il tenente.
«Quale reato ha commesso?»
«È un anarchico sovversivo, questo fa di lui un nemico dello zar»
Verner esitò qualche istante, non aveva ragioni per collaborare con quei gendarmi. Inoltre non avrebbe potuto tradire Aleks. Pur non condividendo a pieno i suoi metodi rivoluzionari doveva ammettere di provare stima e rispetto nei suoi confronti.  Consegnare il suo compagno alle autorità avrebbe decretato la sua condanna a morte. Ciò era ingiusto, così decretò che fosse suo dovere proteggerlo.
Al termine di queste considerazioni riconsegnò la fotografia nelle mani del tenente.
«Non ci sono russi da queste parti, e anche voi rischiate di non essere i benvenuti» disse lapidario.
L’ufficiale gli rivolse uno sguardo glaciale: «la sua è forse una minaccia?»
«No, affatto. È un avvertimento» replicò con tono serio.
I gendarmi non stentarono a credere alle sue parole, erano sempre in aumento i casi di soldati russi rimasti vittime di attentati. Le espressioni ansiose sui loro volti esternarono reali paure.
Verner tornò a rivolgersi al comandante.
«Se accetta un consiglio da parte di un finlandese, tenente, lei e i suoi uomini fareste meglio a tornare a valle. Tra poco si alzerà il vento, rischiate di perdervi nella tormenta e non ritrovare più il sentiero»
L’ufficiale replicò con sdegno e sufficienza: «siamo soldati dell’Esercito imperiale, non sarà un po’ di neve a ostacolarci»
«Posso assicurarle che anche un soldato esperto e ben addestrato può morire assiderato durante la gelida notte su queste montagne»
I soldati si scambiarono uno sguardo preoccupato, erano stremati per la lunga marcia e di certo non erano intenzionati a perire di freddo in quella terra straniera e ostile.
Il tenente valutò attentamente la situazione, indeciso se fidarsi delle parole di un civile. Doveva fare il possibile per portare a termine la sua missione, ma preoccuparsi dei suoi uomini era sempre suo dovere.
«D’accordo, riprenderemo la ricerca quando il cielo si sarà rasserenato» concluse con un certo disappunto.
Verner indicò ai russi la via più breve e sicura per raggiungere la loro meta. I militari si congedarono ringraziandolo per l’aiuto, poi si allontanarono tornando sui loro passi.
Saija restò a fianco del suo padrone, con il suo istinto innato parve avvertire la tensione e continuò mostrare le zanne ai soldati finché non scomparvero tra i pini.
Il giovane tentò di rassicurare la compagna accarezzando il suo manto argentato: «coraggio bella, torniamo a casa»
 
Quando Verner tornò alla sua abitazione davanti alla soglia trovò suo fratello Hjalmar. Saija corse immediatamente da lui in cerca di coccole e affetto. Il ragazzino esaudì le sue richieste, ma questo non lo distolse dal suo intento principale, ovvero rimproverare il fratello maggiore.
«Ero preoccupato, saresti dovuto tornare ore fa»
«Avevo bisogno di un po’ di tempo per stare da solo» si giustificò.
Hjalmar era ormai abituato a vederlo in quelle condizioni. Da quando era stato abbandonato dal suo inseparabile compagno non si era più ripreso, lasciandosi sopraffare dalla tristezza e dallo sconforto. Avrebbe desiderato fare qualcosa per lui, ma ogni suo tentativo non aveva portato ad alcun risultato. L’unica in grado di farlo tornare a sorridere era stata Saija, almeno con lei sembrava essere sereno.
In quell’occasione però Hjalmar riconobbe che il fratello era particolarmente sconvolto.
«È successo qualcosa?» domandò.  
Verner indugiò, valutò alcune possibilità, alla fine decise di essere sincero.
«In effetti è accaduto uno strano evento. Ho incontrato dei gendarmi nella foresta»
Il ragazzino sussultò: «che cosa ci fanno dei russi da queste parti?»
«Sono sulle tracce di un ricercato, un loro connazionale. La questione non deve riguardarci» rispose mascherando il suo coinvolgimento.
Hjalmar parve rassicurarsi: «credi che torneranno?»
«No, non troveranno nessuno e si stancheranno presto di vagare nel nulla. Noi però dobbiamo essere prudenti nel caso in cui dovessero presentarsi al villaggio»
Il ragazzo annuì.
Verner gli accarezzò il capo scompigliandogli i capelli, sapeva che suo fratello sapeva badare a se stesso e che non avrebbe mai disobbedito al suo volere.
«Come sta lo zio?» chiese con sincera apprensione.
«Non molto bene, la mamma è sempre più preoccupata»
Verner si intristì nel sentire quelle parole, purtroppo era consapevole della sua condizione, il medico aveva detto che probabilmente non avrebbe superato l’inverno. A volte pensava che forse sarebbe stato meglio che lo zio potesse lasciare in pace quel mondo piuttosto che prolungare la sua sofferenza.  
Il giovane si riprese da quei pensieri udendo la voce del fratello.
«Posso chiederti una cosa?»
Egli annuì.
«Perché in questa casa nessuno vuole parlare di nostro padre?»
Verner rimase sorpreso da quella domanda, solo in quel momento realizzò che erano trascorsi esattamente dieci anni dalla sua morte. Al tempo lui aveva nove anni, suo fratello invece soltanto quattro. Era probabile che egli nemmeno ricordasse il volto del genitore.
«Lo sai che papà e lo zio Elmer non avevano buoni rapporti, la mamma invece preferisce il silenzio al dolore» spiegò senza troppi giri di parole.
«Tu conosci la verità su di lui?»
«Che cosa vorresti sapere?»
Hjalmar guardò il fratello negli occhi, voleva accertarsi che egli fosse disposto ad essere pienamente sincero.
«Ho scoperto che nostro padre è stato arrestato e condannato dai russi»
«È stato giustiziato per aver ucciso un soldato» rivelò Verner.
«Lui non era un criminale!» ribatté Hjalmar con gli occhi lucidi.
Verner non tentò di giustificare il defunto genitore: «suppongo che egli sia stato spinto ad agire in quel modo dalla disperazione, alla fine ha pagato le conseguenze»
Hjalmar avvertì un nodo alla gola, non poteva credere che suo padre fosse davvero un assassino.
«Mi dispiace, ma questa è la verità»  
Il fratello tentò di contenere il dolore e la rabbia. Verner poggiò una mano sulla sua spalla in segno di solidarietà.
«Credo che nostro padre abbia fatto tutto il possibile per proteggerci. È questo che voglio ricordare di lui»
Hjalmar tentò di non cedere allo sconforto, era ancora sconvolto, ma le parole di suo fratello riuscirono ad essere di consolazione. Non voleva commettere lo stesso errore degli altri suoi parenti, Verner aveva ragione, nonostante tutto la memoria di suo padre non doveva esser perduta.
 
***

Il mattino seguente Verner si presentò al cantiere avvertendo una strana sensazione. Il silenzio era insolito e inquietante. I volti dei suoi compagni apparvero più mesti e i loro sguardi ancor più cupi e spenti del solito.
Inizialmente il giovane non diede troppa importanza a tutto ciò, si caricò la pala sulle spalle e si preparò ad affrontare un’altra dura giornata di lavoro.
Il vento gelido lo fece rabbrividire, era segno che presto sarebbe tornato l’inverno. Verner continuò a scavare nel terreno ghiacciato, incurante dello sforzo e dei muscoli doloranti, finché non avvertì qualcuno gridare il suo nome. Un suo compagno lo richiamò in superficie.
«Adesso basta, hai bisogno di riposare se non vuoi rimanerci là sotto!»
Verner sbuffò, in ferrovia non faceva altro che ammazzarsi di lavoro, tanto da essersi abituato a sgobbare senza mai lamentarsi. Inoltre sapeva che se voleva mantenere quel lavoro doveva sopportare ritmi sempre più estenuanti.
Durante quella pausa forzata Verner ne approfittò per fumare in tranquillità. Si era appena seduto su un grosso ceppo con una tra le labbra quando fu raggiunto da Jussi.
«Dunque anche tu sei un uomo del popolo» commentò con tono ironico, riferendosi alla sua Työmies [*].
Verner accennò un lieve sorriso, estrasse un’altra sigaretta dal taschino della giacca e la offrì al suo compagno.
Jussi accettò con gratitudine e si posizionò al suo fianco.
«A dire il vero oggi non è un gran giorno per essere allegri» disse tornando improvvisamente serio.
«Ho notato l’umore nero di tutti quanti, che cosa è successo?»
Jussi espirò una nube di fumo: «si tratta di Olavi»
«L’aiutante di Heikkinen?» domandò cercando di ricordare meglio il suo volto.
L’amico annuì: «già, proprio lui. Ha avuto un incidente con quei dannati macchinari…per poco non ci ha rimesso la pelle! Per salvarlo hanno dovuto amputargli un braccio, adesso è invalido e senza lavoro!»
Verner rimase particolarmente colpito da quella notizia.
«È davvero terribile» commentò con sincero rammarico.
«Olavi è stato sfortunato, ma questa sorte potrebbe capitare a chiunque»
Verner ricordò ciò che gli aveva riferito Karl, quel ragazzo non era il primo e non sarebbe stato l’ultimo ad essere vittima di simili ingiustizie.
«Purtroppo è così che funziona il mondo» fu l’amara considerazione.
«Non credi che dovremmo fare qualcosa?»
Il giovane scosse le spalle con rassegnazione: «non c’è nulla che possiamo fare»
Jussi insistette: «non possiamo continuare a permettere tutto ciò! Olavi merita giustizia!»
Verner rivolse al compagno uno sguardo severo: «se hai intenzione di metterti nei guai dovrai farlo senza di me. Non voglio perdere questo lavoro»
«Io e gli altri abbiamo già deciso, organizzeremo uno sciopero per protestare. Se non ti unirai a noi ti comporterai come un codardo!»
Verner restò fedele alle proprie convinzioni, seppur con rammarico fu costretto a voltare le spalle ai suoi compagni.
Jussi si rialzò e gettò via il mozzicone.
«So che non sei un vigliacco, spero che tu possa trovare la forza di dimostrarlo»
 
***

I battiti sul portone divennero sempre più insistenti. Aleks andò ad aprire soltanto dopo aver riconosciuto l’identità del suo visitatore. Fu sorpreso di trovare Verner sulla soglia del suo misero appartamento.
«Come mai sei qui?» domandò con tono inquisitorio.
«Devo parlarti di una questione importante»
Il russo lo lasciò entrare invitandolo a sedersi al tavolo.
«Di che si tratta?» chiese riempiendo due bicchieri di acquavite.
Verner giunse subito al punto: «tu e i tuoi compagni siete in pericolo»
Aleks ebbe un lieve sussulto: «che stai dicendo?»
«I gendarmi stanno perlustrando l’intera zona per catturarti. Sanno che ti stai nascondendo su queste montagne…qualcuno deve averti tradito»
Il russo reagì con una smorfia di disprezzo, non poteva credere di aver riposto la sua fiducia in un vile traditore. Uno dei suoi contatti doveva aver parlato, probabilmente dopo esser stato incarcerato e torturato.
«Che cosa sanno su di me?»
Verner buttò giù l’alcol in un sorso: «praticamente tutto. Hanno anche una tua fotografia…non sapevo che fossi stato arrestato»
Aleks sospirò: «al tempo ero solo un idealista ingenuo, ho scontato la mia pena»
«La prigione non ti ha dissuaso dalle tue idee» dedusse Verner.
Il russo mostrò un amaro sorriso: «in un certo senso ho imparato dai miei errori»
«La questione adesso è seria, quel tenente sembrava disposto a scandagliare l’intera Finlandia per trovarti!»
Aleks lo rassicurò: «conosco un posto dove nascondermi almeno per il tempo necessario»
«Si tratta di un rifugio sicuro?»
«Sono un latitante da diverso tempo ormai, sono diventato piuttosto bravo a scomparire»
Verner non poté far altro che fidarsi di lui.
«Mi chiedo come fai a vivere in questo modo» disse versandosi un altro bicchiere.
«Non sarà così ancora per molto, i miei compagni stanno portando avanti la lotta, quando scoppierà la rivolta tornerò in Patria per combattere al loro fianco»
Verner provò sincera ammirazione per la sua dedizione, ma allo stesso tempo si domandò se le sue convinzioni potessero diventare realtà oppure fossero destinate a restare vane illusioni.
«Da quanto tempo non vedi la tua famiglia?»
Aleks distolse lo sguardo: «ormai sono trascorsi quattro anni»
«Non ti senti in colpa per aver abbandonato le persone che ami?» chiese nel tentativo di comprendere le sue motivazioni.
«Mio figlio sta crescendo senza un padre e mia moglie non ha un marito al suo fianco. Ovviamente sento di averli delusi, nonostante ciò non ho rimorsi per quello che ho fatto. Il mio fallimento come padre e come marito è una questione personale, irrilevante per la lotta per la Libertà del mio popolo»
«Immagino che tu abbia dovuto compiere delle scelte difficili»
«Il fatto che abbia anteposto questioni politiche alla mia vita privata non significa che non mi importi della mia famiglia. In gioco c’è anche il futuro delle persone che amo e che desidero proteggere. Non posso rinunciare alla lotta, se la rivolta dovesse fallire allora preferirei morire. Almeno mio figlio potrà sapere di non aver avuto un codardo o un ipocrita come padre»
Il finlandese percepì una nota di amarezza e dolore in quelle parole. Inevitabilmente pensò a Jari e alle sue scelte, probabilmente anche lui credeva di agire per il bene del suo popolo. Non condivideva le sue scelte e continuava a considerare il suo abbandono come un tradimento, ma forse ora poteva comprendere più a fondo le sue ragioni.
Aleks sollevò la testa per guardare il suo compagno negli occhi: «adesso puoi rispondere tu a una domanda?»
Il giovane annuì.
«Per quale motivo hai voluto proteggermi?»
«Ho solo fatto quel che ritenevo giusto»
«Hai messo a rischio la tua incolumità per salvare la vita di un russo»
Verner rimase in silenzio, non sapeva spiegare nemmeno a sé stesso perché avesse scelto di agire in quel modo.
«Se ritieni che io meriti una possibilità forse anche tu senti il dovere di fare qualcosa di più per la tua Patria…»
«Mi dispiace, ma ho fatto le mie scelte. La mia famiglia ha bisogno di me, puoi giudicarmi come un codardo per questo»
«Non ritengo affatto che tu sia un codardo, rispetto la tua presa di posizione, ma…mi chiedo se questo sia ciò che tu voglia veramente»
Verner non rispose, il suo carattere impulsivo l’aveva sempre portato ad agire d’istinto. Poteva cercare di fare del suo meglio per reprimere il suo desiderio di ribellione, ma non sapeva per quanto tempo avrebbe potuto continuare a resistere.
 
***

Il dottor Koskinen non aveva espresso alcuna opinione riguardante la scelta del figlio. Quella volta non poteva giudicare le sue decisioni. Ricordava bene gli anni della rivolta, alla quale aveva preso parte solo come spettatore inerme. Al tempo aveva una moglie malata e due figli piccoli di cui prendersi cura, la prospettiva di una guerra civile era una reale minaccia per il futuro della sua famiglia. Per questo si era schierato dalla parte delle autorità, tutto ciò che desiderava era la pace.
Adesso però era tutto diverso. Forse era davvero giunto il momento per la Finlandia di lottare per la sua libertà. Una parte di sé provava orgoglio per il coraggio dimostrato da Jari, il quale era determinato a combattere per ciò in cui credeva. In quanto genitore però si sentiva in colpa per non essere riuscito a proteggerlo. In fondo era questo che aveva sempre tentato di fare, seppur con metodi rigidi e severi.
Era dispiaciuto per il fatto che Jari non avesse voluto nemmeno dirgli addio, per quanto il loro rapporto fosse delicato e complesso avrebbe almeno desiderato che il figlio potesse avere la consapevolezza che suo padre gli aveva sempre voluto bene.
 
Kaija era a conoscenza della sofferenza del padre, ma era anche consapevole che egli non avrebbe mai ammesso i suoi errori e le sue debolezze. Ogni volta che aveva tentato di affrontare l’argomento lui si era limitato a rassicurarla deviando rapidamente il discorso. La ragazza non aveva potuto fare altro che rassegnarsi e fidarsi delle sue parole.
Nemmeno per lei però era semplice affrontare quella situazione. Aveva cercato di mostrarsi forte e comprensiva davanti al fratello, ma il suo addio aveva lasciato un vuoto incolmabile.
Kaija sentiva di non poter più sopportare tutto ciò, aveva la necessità di sfogare questo suo dolore.
La giovane uscì di casa, si strinse nel mantello e a passo sicuro si diresse verso il sentiero ai confini villaggio. Sapeva che soltanto un’altra persona avrebbe potuto comprendere a pieno ciò che stava provando.
 
***

Verner abbatté con forza la scure sul ceppo spaccando il legno in due perfette metà. La frustrazione di quei giorni fu d’aiuto per svolgere quel duro compito. Era necessario faticare per prepararsi all’inverno.
Stava per colpire l’ennesimo tocco di legno quando ad un tratto avvertì qualcuno chiamare il suo nome. Verner riconobbe immediatamente quella voce femminile.
«Kaija, come mai sei qui?»
La ragazza esitò qualche istante prima di trovare il coraggio di parlare.
«Si tratta di Jari»
Verner si allarmò: «hai avuto sue notizie?»
Lei scosse il capo: «no…io…a dire il vero speravo che tu sapessi qualcosa»
«Non ho più saputo nulla di lui da quando se ne è andato» disse freddamente.
Kaija abbassò tristemente lo sguardo: «scusami, è solo che sono preoccupata per mio fratello»
Verner poggiò l’ascia a terra: «anche io, ma ho fiducia in lui. È vero, ultimamente ci siamo allontanati, ma sono comunque certo di conoscerlo meglio di chiunque altro. Posso assicurarti che Jari è il ragazzo più in gamba che abbia mai incontrato. È sveglio e intelligente, credimi, ha tutto quel che gli serve per sapersela cavare laggiù»
La ragazza si asciugò una lacrima, commossa da quella prova di affetto.
Verner cercò di fare del suo meglio per rassicurarla, riteneva semplicemente di fare la cosa giusta. In un certo senso pensava che fosse sua responsabilità prendersi cura di lei.
Pian piano Kaija tornò in sé: «mi dispiace…non volevo assillarti con i miei tormenti»
«Posso comprendere la tua preoccupazione. Non voglio illuderti, ma al momento non possiamo fare altro che sperare per il meglio»
Lei apprezzò il suo sostegno, aveva bisogno di condividere con qualcuno il suo dolore. In quell’occasione non poté evitare di notare che Verner avesse ancora a cuore la sorte di suo fratello.
«Sono certa che Jari non avrebbe mai voluto abbandonarti» affermò con convinzione.
«La nostra separazione era inevitabile»
«Eppure tieni ancora a lui»
Verner sbuffò.
«Non approvo le scelte di tuo fratello, ma gli ho sempre voluto bene»
«Egli è davvero convinto delle proprie decisioni, questo non significa che non abbia sofferto per essersene andato»
Verner intuì quale fosse il suo intento.
«L’amicizia di tuo fratello resterà sempre qualcosa di unico e prezioso per me, ma le nostre strade si sono divise e nulla potrà tornare come prima»
Kaija si rattristò nel sentire quelle parole.
«Sei davvero sicuro di non poterlo perdonare?»
Egli ribadì la sua presa di posizione.
«In ogni caso spero che Jari possa tornare a casa al più presto» concluse per rassicurarla.
Kaija non dubitò della sua sincerità, riconobbe rammarico nel suo sguardo. Si allontanò mestamente, domandandosi come quella guerra avesse potuto rovinare un legame così intenso e profondo.
Verner recuperò l’ascia e tornò alla sua attività di spaccalegna. L’impegno fisico gli impedì di dedicarsi a pensieri pericolosi. Nonostante tutto nemmeno lui era pronto a considerare la possibilità che Jari avrebbe potuto non fare più ritorno.
 
 
 
 
 
 
N.d.A.
 
[*] Le sigarette di marca Työmies erano note in Finlandia come “le sigarette del popolo” poiché per il prezzo accessibile erano diffuse particolarmente nella classe operaia.

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Capitolo 11
*** Prima linea ***


 
XI. Prima linea
 

Il treno si fermò nel mezzo del nulla. Avevano lasciato ormai da tempo l’ultimo villaggio abitato, non dovevano essere molto distanti dal confine. Jari sbirciò dal finestrino notando soltanto una distesa sterminata di campi incolti. Nemmeno lì si avvertiva l’ombra della guerra.
L’ordine di scendere dai vagoni venne eseguito rapidamente, in pochi istanti i soldati si ritrovarono schierati davanti alle rotaie. Proseguire oltre in treno era impossibile, si stavano avvicinando al fronte.
I volontari finlandesi marciarono con fucili e zaini in spalla per due giorni quasi ininterrottamente, sostando solo per poche ore di riposo.
Jari riusciva a sopportare la fatica grazie alla sua esaltazione. Era impaziente di vedere la guerra con i suoi occhi, dopo aver trascorso più di sei mesi al campo di addestramento era ansioso di assistere a una vera battaglia. Lungo la strada prestava attenzione ad ogni minimo particolare, osservando tutto con estrema curiosità. Aveva atteso a lungo quel momento, tante volte aveva provato a immaginare il suo arrivo in prima linea. La realtà però si rivelò piuttosto deludente, del nemico non c’era ancora alcuna traccia. 
 
Le truppe iniziarono a spostarsi durante la notte per evitare di essere notati dai russi. Jari iniziava a dubitare che tutte quelle precauzioni fossero necessarie. Fino a quel momento non era stato testimone nemmeno di un evento riconducibile all’esistenza del nemico. Stentava a credere che oltre al fiume esistesse realmente il confine.
La lunga fila di soldati aveva da poco ripreso la marcia quando all’improvviso si udì un crepitio in lontananza, seguito da un sordo botto. Un soldato poco più esperto avrebbe subito riconosciuto l’eco di un cannone.
«Laggiù si spara» constatò un suo compagno.
Jari fu scosso da un brivido di eccitazione, finalmente la guerra appariva qualcosa di reale e concreto. Quell’unica esplosione però rimase a lungo l’unico segno di attività bellica al fronte.
I giovani volontari erano pronti all’azione, ma la loro entrata in guerra non fu né eroica né trionfale. La zona assegnata al Battaglione finlandese era una vasta area paludosa. Per settimane i soldati si ritrovarono a scavare le trincee nel fango e nella melma.
 
***

Winkler aveva finalmente ottenuto il comando del suo plotone. I tedeschi erano stati costretti ad affidare potere e responsabilità anche nelle mani degli ufficiali finlandesi. Loro erano gli unici a potersi rapportare con estrema fiducia ai loro connazionali.
Bernhard era determinato a rispettare i propri doveri sia verso i suoi compagni sia nei confronti del Reich. Si sentiva onorato per il ruolo che ricopriva in favore della Germania, voleva dimostrare ai suoi superiori che anche nelle sue vene scorreva sangue teutonico.
Non era stato semplice conquistare la fiducia e il rispetto dei suoi compagni d’armi tedeschi, alcuni di loro vedevano ancora con sospetto quell’alleanza. Soltanto dopo aver trascorso abbastanza tempo tra le truppe finlandesi avevano avuto prova della loro lealtà.
Nell’ultimo periodo Winkler aveva stretto un rapporto di amicizia con il tenente von Stein. Egli era un giovane ufficiale di cavalleria che era stato spedito al fronte subito dopo aver ottenuto la sua promozione. Come molti suoi coetanei si era arruolato come volontario. Purtroppo la guerra era scoppiata quando egli non era ancora in età per il reclutamento, così aveva dovuto attendere tra impazienza e insofferenza, perdendosi il primo anno e mezzo di conflitto.
«Temevo che la guerra potesse finire prima che io avessi la possibilità di dare il mio contributo per la Patria»
Bernhard apprezzava lo spirito patriottico del suo compagno, lo riteneva un ottimo esempio da stimare e rispettare.
Anche von Stein aveva trovato stimolante quell’amicizia, era incuriosito e affascinato dalla storia di quel popolo in lotta per la libertà.
«Posso farti una domanda?»
Winkler annuì.
«Se in Finlandia dovesse scoppiare la guerra tu che cosa faresti?»
Il giovane impallidì, aveva pensato spesso a questa eventualità. In fondo era per questo che lui e i suoi compagni si trovavano coinvolti in quel conflitto. Si stavano preparando per combattere il nemico in Patria.
Bernhard rifletté qualche istante prima di rispondere.
«Ho intenzione di rispettare l’impegno preso, ho giurato fedeltà al Reich come tutti voi»
«Dunque non torneresti in Finlandia per combattere con i tuoi connazionali?»
«Seguirò il volere dei miei superiori, qualunque esso sarà. Se gli accordi saranno rispettati non avrò motivo di pentirmi per le mie scelte»
Il tenente von Stein parve soddisfatto da quella risposta.
«Dunque sei un uomo d’onore»
«Credo nei valori per cui combatto, sia come finlandese sia come tedesco»
«Non deve essere facile mantenere la fedeltà di due bandiere»
«Avere un obiettivo comune è un punto di forza» rivelò.
Von Stein sorrise: «questa vittoria condurrà la Germania all’Unità e la Finlandia all’Indipendenza»
 
Jari attese con impazienza il ritorno di Winkler dal quartier generale per avere notizie. Appena lo vide svoltare l’angolo della trincea gli corse subito incontro, rivolgendosi a lui tralasciando le formalità.
«Allora? Hai saputo qualcosa?»
Egli scosse la testa: «non sono stati disposti nuovi ordini, nessun piano prevede ancora il nostro coinvolgimento»
Il giovane non riuscì a mascherare la sua delusione, strinse i pugni per la frustrazione, fino a quel momento la vita in trincea per i soldati finlandesi era stata caratterizzata soltanto da duro lavoro. Era stanco di sopportare quella situazione, non era così che aveva previsto di servire la sua Patria.
Quando sollevò lo sguardo Jari si soffermò ad osservare la figura di Winkler. Lo vide nella sua posa da ufficiale, deciso e sicuro di sé. L’uniforme gli conferiva autorità, ma il suo volto era ancora quello di un ragazzo dai lineamenti delicati, illuminato da due intensi occhi verdi.
Non poteva negare che il tedesco avesse esercitato un certo fascino su di lui fin dal primo momento. Parte del suo carisma derivava sicuramente dal suo bell’aspetto.
Jari fu scosso da quelle sensazioni. Fino a quel momento non aveva mai creduto di poter vedere in quel modo qualcuno che non fosse Verner.
Il giovane cercò di distogliere l’attenzione da quei pensieri tornando a discutere con il suo comandante.
«Quand’è che prenderemo finalmente parte all’azione? Non ci siamo arruolati come volontari per ristagnare in questa palude!»
Winkler tentò di calmarlo: «in quanto tuo superiore posso solo dirti di attenerti al tuo dovere di soldato. Avrai l’occasione di mettere alla prova le tue capacità quando sarà il momento»
Jari si rassegnò, non poté obiettare in alcun modo.
Prima di tornare nel suo rifugio Bernhard poggiò una mano sulla spalla del compagno, rivolgendosi a lui come amico.
«So quanto sia stato difficile affrontare tutto questo, voglio che tu sappia che sono orgoglioso di te»
Jari accennò un debole sorriso: «per me sarà un onore combattere al tuo fianco»
 
***

Il dottor Lange era un buon insegnante, paziente e comprensivo, ma anche severo e puntiglioso all’occorrenza. Yrjö aveva avuto modo di apprendere molto in quanto suo aiutante. La sua esperienza come assistente medico si stava rivelando un’ottima occasione di formazione.
Al suo arrivo al fronte il giovane era stato istruito a dovere, ma non aveva ancora sperimentato la dura realtà della guerra.
In trincea Yrjö ebbe modo di confrontarsi con il personale medico tedesco. I due compagni con cui condivideva l’angusto rifugio erano un barelliere e un infermiere. Entrambi si trovavano al fronte dall’inizio della guerra.
Il ragazzo si presentò porgendo la mano ai suoi colleghi.
«Sono l’assistente del dottor Lange» disse notando i loro sguardi diffidenti.
L’infermiere lo squadrò con attenzione: «sei uno studente?»
Egli annuì.
«I libri non possono prepararti per ciò che vedrai qui»
Yrjö non si lasciò impressionare da quelle parole.
«Il dottor Lange mi ha scelto come suo assistente perché ritiene che ne abbia le competenze» disse in sua difesa.
«Nessuno lo mette in dubbio» lo rassicurò il barelliere con tono benevolo.
«Dunque a cosa fanno riferimento i vostri avvertimenti?»
L’infermiere indicò un oggetto riposto sul tavolo: «sai che cos’è?»
Yrjö ispezionò il frammento metallico: «sembra una scheggia di granata»
«Già...hai idea di come un simile ordigno può ridurre la carne umana?»
Il giovane esitò.
«Abbiamo visto soldati mutilati, sfigurati…alcuni addirittura sventrati. A volte non avevamo idea di come raccoglierli da terra per quanto erano malridotti»
Yrjö restò impassibile, quella testimonianza non servì a intimorirlo, in ogni caso era determinato a svolgere il suo dovere.
«Non voglio spaventarti, ma prima conoscerai la realtà e più facile sarà affrontarla» spiegò l’infermiere.
Il finlandese pensò che al fronte nulla sarebbe stato facile, ma era pronto ad accettare ogni sfida gli si sarebbe presentata.
«Smettila con questi discorsi! Il nuovo arrivato avrà presto occasione di confrontarsi con le atrocità di questa guerra» asserì il barelliere.
L’altro scosse le spalle, borbottò qualcosa di incomprensibile in tedesco e poi sparì nel cunicolo che conduceva all’uscita del rifugio.
Yrjö si preoccupò: «ho forse fatto qualcosa di male?»
Il barelliere negò: «devi scusare i metodi rudi di Hermann. Credimi, se tu avessi passato quel che ha vissuto lui al fronte allora saresti altrettanto disilluso»
«Mi spiace, non avevo intenzione di turbare il tuo compagno»
«Non fartene una colpa, credo solo che sia stata la tua presenza a turbarlo»
Egli non capì: «in che modo?»
«Be’, sei giovane e ancora non sai niente di questa guerra. È triste pensare che un tempo noi eravamo come te…e che presto tu sarai come noi»
Yrjö ribatté con decisione: «non sono un ragazzino ingenuo, ho scelto di arruolarmi come volontario. Sono qui per sostenere i miei compagni e dare il mio contribuito in questa guerra»
Il tedesco poté comprendere le sue motivazioni: «tutto ciò è davvero ammirevole. Ma adesso basta parlare di queste cose, è ora di mettere qualcosa sotto ai denti, immagino che avrai fame»
Il finlandese annuì, era a digiuno da quella mattina e fuori era già buio. 
L’uomo si avvicinò alle provviste e preparò un modesto piatto composto da carne e pane raffermo.
«Coraggio, serviti pure. C’è abbastanza cibo per tutti»
Il giovane ingurgitò tutto con avidità, in quel momento gli parve che quella salsiccia fosse la pietanza più buona al mondo.
Dopo aver mangiato, il barelliere preparò il giaciglio sia per lui sia per il nuovo compagno.
«Riposati, per questa notte non preoccuparti dei turni di guardia. Ci alterneremo io e Hermann»
Yrjö fu commosso da tanta gentilezza, aveva sempre riposto fiducia nei suoi amici e connazionali, ma fu solo in quel momento, mentre condivideva le coperte con uno sconosciuto, che comprese il vero significato del tanto elogiato cameratismo.
Avrebbe sicuramente trovato un modo per ricambiare quel favore, ma dopo tante fatiche si lasciò sopraffare dalla stanchezza. Il giovane si addormentò con la consapevolezza di trovarsi al sicuro insieme ai suoi commilitoni.
 
***

Al mio adorato marito.
So di averti promesso di essere forte e non lasciarmi sopraffare dall’angoscia e dal dolore per questa separazione, ma per quanto rispetti e condivida le tue scelte non posso evitare di temere per la tua sorte.
Nei momenti di sconforto cedo al pianto e alla malinconia.
Non devi fraintendere le mie parole, voglio che tu sappia che non ho alcun rimorso. Ovviamente sono felice e orgogliosa di essere la moglie di un vero finlandese che ha deciso di combattere per liberare la sua Patria…questa consapevolezza però non può lenire in alcun modo la mia sofferenza.
Voglio credere che tutto questo sia necessario, per noi, per il nostro futuro. Per me è stato difficile accettare la tua partenza, ma tu hai sempre avuto piena fiducia nella causa. Hai sempre avuto chiaro quale fosse il tuo ruolo in questa guerra, la tua determinazione è riuscita a placare anche le mie paure e insicurezze.
Immagino che per te non potesse esistere alcuna alternativa, il tuo posto è lì, a combattere a fianco dei tuoi compagni. Forse anche io dovrei essere meno egoista e considerare il fatto di non essere l’unica a piangere per la mancanza di un marito, un fratello, un figlio…
Eppure in questo momento riesco solo a pensare alla solitudine del nostro letto freddo e vuoto. Vorrei averti qui per stringermi al tuo petto, concedermi ai tuoi baci e alle tue carezze, fare l’amore e addormentarmi al sicuro tra le tue braccia.
Ma anche questa notte la luna è tramontata, e tu non sei qui con me.
È strano realizzare come tutto sia cambiato così rapidamente. Mi capita spesso di ripensare al nostro primo incontro. Dall’istante in cui incrociai il tuo sguardo capii che eravamo destinati a stare insieme. Non sarà questa guerra a separarci, non per sempre.
Attendo il tuo ritorno, nella speranza che il conflitto possa concludersi al più presto.
Con amore,
Marja
 
Lauri ricevette la lettera con settimane di ritardo a causa degli ovvi ritardi postali. Quella stessa sera si ritirò nel suo rifugio per scrivere una risposta.
 
Mia cara, sono davvero lieto di ricevere tue notizie.
Mi addolora riconoscere di essere causa delle tue sofferenze. Questa guerra che consideri solo come un ostacolo per il nostro amore potrebbe essere la salvezza della nostra Patria.
Ciò non significa che per me sia semplice affrontare questa situazione.  
A volte penso a come sarebbe la nostra vita in tempo di pace. Vedo la nostra casa, un gran bell’appartamento nel centro di Helsinki. Certo, inizialmente le stanze appariranno ampie e vuote, ma sarà tutto diverso quando verranno riempite dalle gioiose risate dei bambini. Desidero creare una famiglia con te, sono certo che saresti una splendida madre per i nostri figli.
So di aver spinto oltre la mia immaginazione, ma nulla ci vieta di sognare.
Tutto questo però non potrà mai realizzarsi in una Finlandia privata della sua libertà. Per questo mi trovo qui.
Il fronte non è un posto così terribile come si potrebbe immaginare. In realtà siamo sommersi dalla noia.
Non ho ancora sparato un solo colpo, ad essere sincero in prima linea non ho mai visto il volto di un russo con i miei occhi. Capita solo di sentire le loro voci o di avvistare ombre furtive nella notte.
Attendiamo il momento di attaccare, siamo impazienti di affrontare il nemico.
Nessuno può sapere con certezza quando finirà questa guerra, non voglio darti false illusioni. Ti prometto che farò tutto quel che è nelle mie facoltà per tornare da te.
Per quanto sia consapevole della priorità del mio dovere è sempre più difficile soffrire la tua assenza. Mi manca il profumo dei tuoi capelli, il calore della tua pelle e il dolce sapore dei tuoi baci.
In questa sera fredda e oscura, nella mia solitudine, mi consola il tuo ricordo. Spero di poter tornare presto a stringerti tra le mie braccia. Se così non dovesse essere voglio che tu sappia che i miei sentimenti nei tuoi confronti sono puri e sinceri. Ti ho sempre amata e sarò pronto a dimostrarlo se Dio vorrà concedermi il tempo.
Per sempre tuo,
Lauri
 
Il giovane terminò di scrivere quelle righe con profonda malinconia. Ma non ebbe il tempo di perdersi nei suoi tormenti. All’improvviso le pareti del rifugio tremarono violentemente, le travi si inclinarono, un cumulo di polvere cadde dal soffitto.
D’istinto Lauri si rannicchiò contro alla parete di terra, un secondo botto causò una frana, alcuni suoi compagni furono scaraventati al suolo. Il giovane rimase immobile al riparo per un tempo che gli parve interminabile.
Quando la situazione sembrò calmarsi Lauri si rimise in piedi, prontamente si avvicinò a un suo compagno, il quale era rimasto inerme dopo la rovinosa caduta. Era coperto di polvere e sabbia dalla testa ai piedi.
«Stai bene?» domandò aiutandolo a rialzarsi.
L’altro tossì e si massaggiò il braccio indolenzito.
«Suppongo di essere ancora tutto intero» constatò con sollievo.
Lauri si guardò intorno cercando di capire che cosa fosse accaduto. Un colpo di artiglieria doveva essere caduto poco distante dal rifugio. Dunque era questo che si provava ad essere sotto attacco? Panico, incertezza, senso di impotenza.
Un altro colpo, più debole e distante, rimbombò nei sotterranei. Immediatamente il ragazzo salì in superficie per valutare la situazione da vicino.
Il capitano Fricke era in piedi alla postazione di osservazione, intento a scrutare con il binocolo oltre alle linee. Lauri notò dei bagliori nell’oscurità, gli echi divennero sempre più lontani.
«Stanno combattendo a est della nostra posizione, un tiro mal calibrato ha raggiunto le nostre linee» spiegò Fricke ai finlandesi che con aria preoccupata si erano radunati intorno a lui.
Lauri non era certo di aver ben compreso la questione: «significa che sono stati i nostri compagni a colpirci?»
L’ufficiale confermò distrattamente per poi annotare qualcosa sul suo taccuino.
«Dov’è la staffetta? Oh, bene, ecco il telefonista! Avverta il capitano Schreiber, lo informi che per poco non ci ha fatti saltare tutti in aria!»
Lauri fu sorpreso dal tono quasi scherzoso con cui l’ufficiale aveva riferito quel messaggio. Il giovane trovò una macabra ironia in tutto ciò.
Era vero che in trincea ogni occasione era buona per lasciarci la pelle, ma essere vittima di un simile incidente non era certo un modo eroico o glorioso per andarsene.
Riprendendosi da questi pensieri Lauri tornò a rivolgersi al suo superiore.
«Signore, non facciamo niente?» domandò attonito.
L’ufficiale lo guardò con aria perplessa: «cosa vorresti fare?»
«Il nemico sta attaccando, dobbiamo rispondere al fuoco!» replicò Lauri pensando al regolamento e prendendo come esempio le numerose esercitazioni effettuate negli ultimi mesi per il solo scopo di essere pronti ad agire alla prima occasione.
Il capitano sorrise, quasi divertito dall’ingenuità di quel novellino.
«Ragazzo, questo non è un attacco»
«Ma…i russi sparano!» insistette Lauri indicando il punto da dove si potevano avvistare ancora i lampi biancastri delle esplosioni.
Fricke abbassò il binocolo.
«Due colpi di cannone non sono nulla fuori dall’ordinario, ti abituerai presto alle notti al fronte»
Lauri fu costretto a desistere, non poteva contestare il volere del suo comandante. Si vergognò per la sua inettitudine e ignoranza. I tedeschi stavano combattendo quella guerra da quasi due anni, doveva affidarsi alla loro esperienza.
Il giovane tornò a testa bassa al rifugio per aiutare i suoi compagni a riparare i danni provocati dall’esplosione. In una pozza di fango ritrovò un foglio strappato, era tutto quel che rimaneva della lettera della sua amata moglie.
 
***

Jari vagò a tentoni tra i cunicoli ostruiti dal pantano, ormai era evidente, si era perso. Il ragazzo trattenne un’imprecazione tra i denti. I suoi compagni sembravano essere svaniti nel nulla.
La sua squadra avrebbe dovuto terminare il giro di perlustrazione e tornare nel suo settore, un incarico piuttosto semplice, ma che si era rivelato più complicato del previsto.
Le gallerie erano tutte uguali, non c’erano punti di riferimento nell’oscurità, quell’area era completamente deserta. Sperava di incontrare un gruppo di artiglieri alla postazione di tiro, ma con gran disappunto la trovò vuota.
Jari tornò sui suoi passi, improvvisamente fu colto dall’inquietudine. Doveva trovare il modo di tornare al più presto dai suoi compagni.
Decise di arrampicarsi sul muro di terra e di sporgersi oltre al parapetto per provare a individuare qualcosa nell’oscurità. Se quel che gli era stato riferito era vero doveva trovarsi a circa duecento metri dalle linee nemiche. Ciò era piuttosto strano. Anche nel silenzio più assoluto non avvertiva alcun segnale di pericolo, forse anche il nemico aveva abbandonato la sua postazione.
Jari prese un profondo respiro, un’idea gli balzò in mente. Avrebbe potuto evitare di perdersi nuovamente in quel groviglio di passaggi sotterranei se avesse proseguito in superficie. Era una scelta rischiosa, ma non vedeva alternative.
Così si fece coraggio, scavalcò l’ultimo ostacolo e con un balzo si ritrovò in campo aperto. Restò immobile per qualche istante, osservando la terra di nessuno con ansia e preoccupazione. Soltanto quando fu certo che nessuno avesse notato la sua presenza riprese ad avanzare verso la sua postazione.
Riuscì a progredire piuttosto velocemente, il percorso si rivelò libero dagli ostacoli che precedentemente aveva incontrato in trincea. Camminare in campo aperto, per quanto pericoloso, era decisamente più semplice che strisciare nel fango. Nonostante ciò doveva sempre prestare attenzione a dove metteva i piedi, c’erano zone irregolari, buche causate dalle frane e anche grossi crateri a forma di imbuto. Quelle erano le aree dove dovevano essere cadute le bombe.
Jari era ormai convinto di riuscire a raggiungere la sua meta quando all’improvviso fu costretto a fermarsi. Era certo di aver individuato qualcosa davanti a sé. Per precauzione il finlandese si gettò a terra.
Un lampo squarciò il cielo notturno. Si trattava di un razzo illuminante. Jari premette il suo corpo contro al suolo e affondò il viso nel fango, sperando di non essere individuato dalle sentinelle nemiche.
Quando rialzò la testa da terra quasi sobbalzò per lo spavento. C’era davvero qualcuno a pochi metri di distanza, poteva riconoscere tre figure appostate con i loro fucili, le baionette scintillavano ai raggi di luna.
Il finlandese si guardò intorno, ma non riuscì ad individuare nessun riparo. Dunque non aveva altra possibilità, doveva farsi riconoscere da quei soldati. Aveva riconosciuto l’uniforme degli Jäger, ciò era piuttosto strano, per quale motivo dei suoi commilitoni dovevano trovarsi in campo aperto?
Jari non si pose troppe domande, cautamente si avvicinò ai compagni. Quando fu abbastanza vicino perché potesse essere udito pronunciò la parola d’ordine, prima con un sussurro, poi con un tono leggermente più alto.
Non ricevendo alcuna risposta Jari tentò ancora di farsi notare. Ripeté la parola d’ordine ad alta voce, prima in tedesco e poi in finlandese…sempre silenzio.
Il giovane iniziò a preoccuparsi, non mancava molto tempo all’alba, anche per i suoi commilitoni era rischioso trovarsi così distanti dalle loro linee. Qualcuno doveva avvertirli.
Così il soldato Koskinen si gettò nella sua prima missione di salvataggio.
Il ragazzo si mosse nella loro direzione, provò ancora una volta ad attirare la loro attenzione, ma senza successo. A quel punto una strana sensazione iniziò a diffondersi nel suo corpo, tutto ciò non era affatto rassicurante. Giunto a fianco del primo soldato Jari scoprì con orrore quale fosse la verità. Quegli uomini non potevano rispondere alle sue chiamate poiché erano morti.
Soltanto in quell’istante il giovane si accorse che le divise non erano quelle delle truppe finlandesi. Quei soldati non erano suoi connazionali. Si trattava di fanti tedeschi appartenenti al battaglione che aveva presidiato il fronte prima del loro arrivo.
Jari osservò i cadaveri ormai ridotti a scheletri. Stava letteralmente guardando la morte in faccia, quello avrebbe potuto essere il suo destino. La macabra visione lo riportò bruscamente alla realtà, non voleva restare solo con quei corpi inanimati un attimo di più, doveva tornare dai suoi compagni.
Rapidamente si sollevò da terra ed iniziò a correre a tutta velocità verso la trincea di avvicinamento, senza più preoccuparsi di poter essere un facile bersaglio per il nemico.
Quando la sentinella lo vide superare i reticolati non esitò a sporsi per ripotarlo al riparo.
«Dannazione! Che ti è successo? Sembra che tu abbia visto un fantasma!»
Jari non rispose, lasciandosi trascinare dal suo compagno sul fondo della trincea. La vita tornò a scorrergli nelle vene con la consapevolezza di essere di nuovo al sicuro.

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Capitolo 12
*** Ribelli ***


  
XII. Ribelli
 

Verner strinse il coltello tra le dita, continuando a scalfire sapientemente il legno. La sua era un’abilità innata, era un ottimo scultore come suo padre. Il giovane era orgoglioso di aver ereditato quell’arte del genitore, ricordava che quando era bambino amava osservare il padre intento nel suo lavoro.
«Che cosa stai facendo?»
Verner sollevò lo sguardo, suo fratello stava ammirando con curiosità la sua opera ancora incompleta.
Il ragazzo mostrò meglio la sua figura di legno: «è Saija…non le assomiglia?»
Hjalmar confrontò i lineamenti dell’oggetto con la cagnolina accoccolata ai suoi piedi.
«Già, è proprio lei!» affermò con un sorriso.
Verner tornò a dedicarsi alla sua attività di intagliatore, ma ben presto intuì che il fratello non fosse venuto da lui solo per parlare del legno.
«Qualcosa non va?»
Hjalmar esitò prima di rispondere.
«Non hai mai voluto sapere la verità sulla morte di nostro padre?»
Verner sussultò, per poco non si ferì con la lama. Sollevò la testa rivolgendo al fratello minore uno sguardo severo.
«Che cosa intendi?»
«È vero, egli ha ucciso e ha pagato per questo, ma io non credo che nostro padre abbia commesso un omicidio senza una ragione!»
Il maggiore sospirò: «lui non era un uomo violento, è probabile che abbia reagito per difendersi»
«Dunque potrebbe essere stato condannato ingiustamente» ipotizzò.
Verner cominciò ad esternare la propria insofferenza, quella conversazione stava diventando sempre più pericolosa.
«Non lo so, in ogni caso questo non cambia le cose»
Il ragazzino strinse i pugni: «davvero non ti importa conoscere la verità?»
Verner fu scosso nel profondo da quelle accuse, ma tentò di fare del suo meglio per non esternare le sue reali emozioni. Restò impassibile, limitandosi a riprendere il fratello per la mancanza di rispetto.
«Mi dispiace, ma sono stanco di tutte queste menzogne. Non sono più un bambino, posso accettare la verità»
Il fratello poté comprendere la sua frustrazione, così si mostrò più accondiscendente.
«Ti prometto che sarò sempre sincero nei tuoi confronti»
Hjalmar non dubitò delle sue parole.
«Mi dispiace, ma…sento che dobbiamo fare qualcosa per nostro padre, per la sua memoria» concluse con voce tremante.
 
Verner rifletté sulle parole del fratello per l’intera serata. Egli stesso si era posto le sue stesse domande in passato, senza mai trovare una risposta. Con il tempo si era rassegnato all’idea di non poter conoscere la verità, ma ora che il fratello aveva dimostrato interesse a riguardo era tornato a volerne sapere di più.
Il giorno seguente Verner si presentò a casa di Karl, egli era l’unico che avrebbe potuto fornirgli delle risposte. Non attese a lungo prima di rivelare il vero motivo di quella visita.  
«So che sei amico di mio zio da molto tempo. Conoscevi anche mio padre?» domandò.
Egli annuì: «non conoscevo Aaro bene come suo fratello, ma eravamo buoni amici»
«Immagino che tu sappia il motivo della sua condanna»
Karl impallidì: «non so se sia il caso di affrontare questo discorso»
Verner lo trattenne per la manica della giacca.
«Per favore, mio zio sta per morire e di certo preferirebbe portarsi la verità nella tomba piuttosto che rivelarla a me e a mio fratello. Da quando nostro padre è morto la mia famiglia non ha fatto altro che fingere che egli non sia mai esistito. Ho bisogno di conoscere la verità»
«Elmer sta solo cercando di proteggervi, non ho intenzione di tradire la sua fiducia»
«Non ritieni che un figlio debba conoscere come è morto suo padre?»
«Certo, ma…»
«Ho sempre considerato mio padre come un assassino, ho creduto che fosse un uomo motivato da buone intenzioni che avesse commesso un errore. Ma in fondo sentivo che ci fosse qualcosa di più»
«La verità non riporterà in vita tuo padre, anzi, servirà solo a rivivere il dolore per la sua perdita»
«Preferisco soffrire per la verità piuttosto che credere in una menzogna»
A quel punto Karl non poté più ribattere. Si trovava in una posizione delicata, non riteneva di essere la persona adatta per quel compito, ma dal momento in cui aveva scelto di intromettersi nella vita di quel giovane aveva accettato di avere delle responsabilità. Sapeva che Elmer aveva sbagliato, ormai Verner era un adulto, era giusto che potesse scegliere da solo in cosa credere.
Così alla fine si rassegnò.
«Coraggio, siediti. Parliamo con calma» disse invitandolo ad accomodarsi.
Verner si lasciò condurre al tavolo, era nervoso, ma era pronto a tutto.
Karl guardò il ragazzo negli occhi, freddi e trasparenti come quelli del padre. Finalmente si decise a parlare.
«Al tempo i russi stavano rafforzando le difese al confine. Quasi tutti gli uomini del villaggio erano stati obbligati a lavorare per l’esercito. La tensione tra civili e militari era sempre più difficile da gestire. Un giorno accadde l’inevitabile. Un finlandese si rifiutò di eseguire i comandi e un soldato per riportarlo all’ordine si accanì su di lui con estrema violenza. Aaro non era quel genere di persona che sopportava le ingiustizie, così non esitò a intervenire. Agì per difendere il suo compagno, non credo che avesse intenzione di uccidere quel russo, suppongo che il suo unico intento fosse fermarlo»
Verner non stentò a credere a tutto ciò, i ricordi che ancora conservava del padre supportavano la versione dei fatti. Egli era un uomo buono, che credeva nella giustizia e nella libertà.
«Dunque la mia famiglia ha sempre preferito considerare mio padre come un assassino piuttosto che lottare per la giustizia?»
Karl tentò di riportarlo alla ragione: «non è così semplice»
Verner si rialzò, sconvolto e indignato. Non poteva credere che i suoi cari fossero tutti dei vigliacchi, non voleva diventare come loro. Suo fratello aveva ragione, non potevano continuare a sopportare in silenzio. Ormai aveva preso la sua decisione.
 
***

Jussi frequentava assiduamente le riunioni del partito comunista. Era un rappresentate e un attivista, ormai da tempo aveva un ruolo di rilevanza in quegli ambienti.
Quella sera il giovane poté considerarsi soddisfatto, i partecipanti erano più numerosi del solito. Ciò significava che il popolo finlandese stava finalmente aprendo gli occhi, sempre più gente era disposta a lottare per i propri diritti.
Proprio in quel momento qualcuno entrò dalla porta, restando in disparte sul fondo della stanza. Jussi riconobbe immediatamente il nuovo arrivato, sorpreso e incuriosito si avvicinò a lui.
«Verner, sono felice di vederti qui. Hai deciso di unirti a noi?»
Il giovane annuì.
Jussi sorrise: «sapevo che sarebbe stata solo una questione di tempo. Ho riconosciuto fin dal primo momento il desiderio di rivalsa nel tuo sguardo»
Verner fu costretto ad ammettere la verità: «avevi ragione, ho sopportato anche troppo a lungo tutte queste ingiustizie. Anche per me è giunto il momento di reagire»
«Non deve essere stato semplice per te prendere questa decisione, so quanto tieni alla tua famiglia»
«È anche per la mia famiglia che ho scelto di agire. Non voglio che la morte di mio padre resti vana»
«Tutti noi siamo in cerca di giustizia» disse Jussi con convinzione.
L’amico si guardò intorno con aria curiosa, era ansioso di scoprire qualcosa di più a riguardo di quelle riunioni segrete. Jussi l’accompagnò a un tavolo e gli offrì un boccale di birra.
«Mi dispiace per quel che è accaduto a Olavi, so che la protesta purtroppo non ha avuto successo»
«Già, due dei nostri sono stati arrestati, ma non abbiamo intenzione di arrenderci»
«Avrei dovuto essere anche io al vostro fianco, mi sono comportato come un vigliacco»
Jussi non lo incolpò per la sua assenza: «l’importante è che ora tu abbia capito da quale parte stare»
Verner accennò un sorriso, non aveva più alcun dubbio a riguardo.
«Abbiamo bisogno di soldati disposti a combattere, questa è diventata una vera guerra» continuò Jussi con tono serio.
«Sono disposto a fare tutto il necessario per il bene del nostro Paese e del nostro popolo»
«I nazionalisti hanno scelto di combattere sotto un’altra bandiera, noi invece siamo intenzionati a restare fedeli alla nostra terra»
«Noi non siamo dei traditori» replicò il compagno, lasciando trasparire il suo disprezzo.
«Già, alla fine i più coraggiosi sono quelli che restano, nonostante tutto»
Verner assistette al comizio lasciandosi coinvolgere in discussioni politiche e patriottiche. Per la prima volta poté rendersi conto che le cose stavano realmente cambiando.
Non era certo di aver compreso a pieno tutti quei discorsi, ma si ritrovò a condividere gli stessi ideali di giustizia e uguaglianza.
 
Quella notte Verner rifletté a lungo sulla propria decisione. Era determinato a dimostrare a sé stesso e ai suoi compagni che era pronto a prendere parte a quella battaglia per difendere la sua terra e le persone che amava.
Era consapevole che quella scelta avrebbe avuto le sue conseguenze, ma ormai riteneva di non avere altra scelta. Era rimasto inerme anche troppo a lungo, era stanco di essere vittima degli eventi, non era mai stato quel genere di persona. In fondo aveva sempre saputo che non avrebbe potuto reprimere il suo innato istinto di ribellione per molto tempo. Avvertiva sempre di avere delle responsabilità, ma erano cambiate le prospettive. Era consapevole che suo zio gli avesse mentito a fin di bene, ma era stanco di vivere nel silenzio e nelle menzogne. Suo padre meritava giustizia.
Verner accarezzò il muso di Saija, la quale sembrava aver percepito la sua preoccupazione, rannicchiandosi al suo fianco.
Il giovane ripensò alle parole di Jussi a riguardo dei nazionalisti. Inevitabilmente il ricordo di Jari riaffiorò nella sua mente. La sua partenza era ancora una ferita aperta nel suo animo, questo non poteva negarlo. Si era sentito tradito e abbandonato dalla persona che amava. E anche in quel momento, pur provando rancore e disprezzo per le sue scelte, non riusciva ad odiarlo.
Era certo che non avrebbe mai potuto perdonarlo, egli era diventato un traditore a tutti gli effetti. Eppure una parte di sé tentava ancora di comprendere e giustificare le sue azioni.
Ripensò all’ultima notte trascorsa insieme nel loro rifugio. Per un istante socchiuse gli occhi percependo ancora le medesime sensazioni dei suoi baci e delle sue carezze sulla pelle.
Verner prese un profondo respiro, avrebbe dovuto lasciarsi quella vicenda alle spalle, ma ciò non era affatto semplice. Jari era stato il suo compagno per tutta la vita, per quanto cercasse di detestarlo per ciò che aveva fatto finiva sempre per avvertire la sua mancanza.
Nonostante tutto era stato sincero con Kaija, sperava davvero che Jari potesse tornare.
 
***

Aleks trasalì, risvegliandosi scosso dai brividi. Si sollevò a fatica dal suo giaciglio, avvolgendo il suo corpo denutrito intorno alla pesante coperta. Il freddo era insopportabile.
Da quando era stato costretto a tornare a nascondersi aveva dovuto adattarsi a quelle condizioni. Aveva abbandonato il villaggio per trovare riparo in un rifugio abbandonato. Per il momento poteva considerarsi al sicuro, sopravvivere in quei boschi non era un’impresa semplice, ma Aleks non era uno sprovveduto. Nella sua seppur breve vita aveva dovuto sopportare anche di peggio.
Il giovane si guardò intorno, scrutando nella penombra le quattro pareti del capanno. La stanza era avvolta dall’oscurità, soltanto un flebile raggio di luce filtrava attraverso le finestre sbarrate.
La sua mente lo riportò al periodo trascorso in Siberia, dove aveva scontato la sua pena in un rigido campo di prigionia. Al tempo aveva vent’anni, era soltanto uno studente innamorato degli ideali di libertà e uguaglianza. Non era un criminale, le sue uniche colpe erano state quelle di partecipare a riunioni segrete e scrivere articoli considerati sovversivi dalla censura zarista. Si era avvicinato da poco agli ambienti anarchici, era ancora ingenuo e aveva commesso l’errore di riporre fiducia nelle persone sbagliate. Qualcuno l’aveva tradito e una notte la polizia era giunta a prelevarlo dal suo appartamento per condurlo nelle prigioni, dove per una settimana era stato interrogato e torturato dalle guardie. Seppur fosse ancora un ragazzino egli si era dimostrato determinato a mantenere il silenzio, non aveva parlato, nemmeno quando gli avevano bruciato la pelle e strappato le unghie.
Ormai era pronto ad affrontare a testa alta la sua condanna a morte, invece qualcuno, forse impietosito dalla sua giovane età, aveva preferito rinchiuderlo in un campo di lavoro.
Durante il lungo tragitto in treno attraverso le lande desolate Aleks aveva rivolto ogni pensiero a Sofiya, la sua fidanzata. Aveva fatto di tutto per proteggerla, l’unico conforto era sapere che fosse al sicuro. Si era domandato se lei avesse saputo del suo arresto e se avesse tentato di ricevere sue notizie. Probabilmente era stato così…e poi cosa sarebbe successo? Lei sarebbe stata delusa da lui? Si sarebbe sentita tradita dalla persona che amava? Avrebbe scelto di dimenticarlo? Oppure avrebbe continuato a sperare e ad attendere il suo ritorno?
Aleks si era lasciato tormentare da questi dubbi durante l’intera sua prigionia. Poiché non sussisteva alcuna prova che lo collegasse a reati più gravi egli era stato rilasciato dopo un anno di lavori forzati.
Era tornato a Pietrogrado in uno stato pietoso, il fisico era consunto dalla fame e dalla fatica, ma il suo spirito non si era spezzato. All’interno del campo aveva avuto modo di conoscere altre persone che avevano condiviso le loro storie di sofferenze e ingiustizie. Il suo desiderio di rivalsa non aveva fatto altro che crescere giorno dopo giorno.
In libertà Aleks aveva rispettato la sua promessa. Si era presentato senza alcuna pretesa da Sofiya, per dirle che non aveva mai smesso di pensare a lei e che l’amava, ma che avrebbe capito se lei avesse scelto di non perdonarlo. Voleva solo che sapesse che era stato solo grazie a lei che aveva trovato conforto per tutto quel tempo.
Con sua sorpresa Sofiya l’aveva accolto tra lacrime di felicità e commozione. Anche quando era venuta a conoscenza della verità la ragazza non aveva perso la speranza.
Aleks si riprese per un istante da quei ricordi, era consapevole di aver commesso un errore. Non avrebbe dovuto permettere a quel legame di interferire con i suoi piani. Il suo amore era sincero, ma il suo cuore apparteneva alla causa.
Per un po’ di tempo Aleks era rimasto lontano dai guai, i traumi della Siberia tornavano spesso a manifestarsi nei suoi incubi. Il giovane si era illuso di poter vivere in quella pace apparente, cercando di lasciarsi il passato alle spalle. Si era sposato, aveva trovato un lavoro onesto, ma non aveva dimenticato la sua promessa. Portava sulla pelle i segni di una battaglia che non aveva ancora abbandonato, non aveva dovuto attendere a lungo prima di avvertire nuovamente la chiamata alle armi.
Così era tornato a frequentare gli ambienti anarchici, in quel periodo la rivoluzione sembrava già pronta a scoppiare. Ogni giorno si manifestavano atti di ribellione da parte del popolo, erano sempre più frequenti scioperi, attentati e omicidi. Purtroppo la violenza era l’unica soluzione per coloro che avevano scelto di lottare per i propri diritti.
Una sera un suo compagno l’aveva messo davanti alla dura verità.
«Sei davvero sicuro di voler continuare a combattere questa battaglia?»
Aleks aveva risposto con convinzione: «sì, certamente»
«Non fraintendere le mie parole. Non dubito affatto di te»
«Allora di che si tratta?»
«Hai una famiglia, presto diventerai padre. Non pensi al tuo futuro?»
«È anche per la mia famiglia che ho scelto di unirmi alla rivolta»
«Sai bene che presto dovrai prendere una decisione definitiva»
Aleks aveva distolto lo sguardo, il tono della sua voce si era incrinato leggermente: «non credere che sia stato semplice per me accettare questi compromessi. Sono disposto a compiere i dovuti sacrifici per raggiungere il nostro obiettivo. Il fatto che abbia molto da perdere significa che sono davvero convinto delle mie scelte»
Il suo compagno non aveva osato ribattere, non aveva potuto far altro che ammirare la sua determinazione, ma allo stesso tempo aveva riconosciuto il suo dolore.
Aleks avvertì un nodo alla gola e gli occhi umidi. Non provava alcun rimorso, eppure non poteva ignorare la sofferenza per aver abbandonato la sua famiglia. Ricordava suo figlio come un neonato in fasce, aveva i suoi stessi occhi. Faticava a credere che fossero trascorsi ormai quattro lunghi anni dall’ultima volta in cui l’aveva stretto tra le braccia.
Quel bambino stava crescendo senza un padre, pur difendendo le sue motivazioni non poteva evitare di sentirsi responsabile. Il senso di colpa non aveva mai smesso di tormentarlo.
Ogni notte prima di addormentarsi rivolgeva il pensiero ai suoi cari, si domandava che aspetto avesse suo figlio, se gli somigliasse. A volte si chiedeva se crescendo egli avrebbe potuto comprendere le sue ragioni, oppure se avrebbe scelto di non perdonarlo.
Aleks avvertì un’intensa fitta al petto, in quel momento fu costretto ad ammettere che desiderava tornare a casa, voleva rivedere la sua famiglia, anche solo per un ultimo saluto.
Inevitabilmente ripensò a quando aveva scelto di andarsene, a quando aveva stretto la moglie tra le braccia per l’ultima volta.
L’aveva guardata negli occhi prima di rivelarle la verità.
«Voglio che tu sappia che sto facendo tutto questo perché credo veramente in questi ideali, e perché desidero un futuro migliore per questa Nazione»
Lei aveva poggiato la testa sul suo petto: «lo so, posso comprendere le tue motivazioni. Questo però non rende questo addio meno doloroso»
«Non avrei mai voluto lasciarvi, ma è anche per il vostro bene. Devo fare tutto ciò che è nelle mie facoltà per proteggervi»
Sofiya aveva accarezzato dolcemente la sua guancia: «quando ti ho sposato ero consapevole che non avrei mai potuto averti, avevi già deciso di dedicare la tua vita alla causa»
«Il mio amore per te è sempre stato sincero, ma non posso restare, devo rispettare la mia promessa»
«Non ho mai dubitato sulla purezza dei tuoi sentimenti»
Aleks si era rassicurato nel sentire quelle parole.
«Farò il possibile per farti avere mie notizie in modo sicuro»
«Attenderemo il tuo ritorno»
«Qualunque cosa accada voglio che nostro figlio sappia che gli ho sempre voluto bene, e che ho fatto tutto questo per offrirgli un futuro migliore»
La giovane non era riuscita a trattenere le lacrime.
Egli non aveva potuto fare molto per rassicurarla, aveva stretto la moglie tra le braccia concludendo quell’addio con un intenso bacio.
Quella notte Aleks aveva abbandonato Pietrogrado insieme ai suoi compagni, fuggendo verso la sua unica salvezza.
In una stazione di confine però i fuggitivi erano stati sorpresi da una pattuglia di polizia.
Aleks non aveva esitato ad estrarre la pistola e a premere il grilletto. Aveva sparato agli agenti con estrema freddezza, il suo unico obiettivo era sopravvivere. In nome della causa aveva appena rinunciato alla sola cosa che amava, la sua famiglia, ormai non aveva più nulla da perdere.
Tutto ciò che era accaduto da quel momento in poi era stato un susseguirsi di eventi confusi, dove lui e i suoi compagni non avevano fatto altro che cercare cibo e riparo. Dopo aver varcato il confine Aleks aveva trovato rifugio nelle lande della Carelia, dove nonostante tutto sentiva di essere ancora vicino a casa.
Adesso però anche quella precaria sistemazione rischiava di essere pericolosa. I gendarmi dello zar erano ancora sulle sue tracce, forse anche i servizi segreti erano stati coinvolti.
Il giovane si prese il capo tra le mani, avvertendo la testa pulsare del dolore. Era stanco di nascondersi e fuggire, ma ormai era questo il suo destino.
Aleks fu riportato alla realtà dal rumore di alcuni passi nella neve, istintivamente portò la mano alla pistola, c’era qualcuno fuori dal capanno.
Il russo si rannicchiò contro alla parete di legno, sbirciando tra le fessure. Soltanto quando riconobbe la figura di Verner e udì i latrati del suo cane tornò a calmarsi.
Il finlandese spalancò la porta e batté gli scarponi sulle assi del pavimento per liberarsi dal peso del ghiaccio e della neve. Subito dopo poggiò a terra lo zaino e il fucile.
«Ti ho portato delle provviste e delle coperte, con questo freddo ti saranno utili»
Aleks nascose nuovamente l’arma e lentamente si avvicinò a Verner.
«Non saresti dovuto venire» lo rimproverò.
«Ho pensato che avessi bisogno di aiuto»
Il russo fu commosso da quel gesto, quel ragazzo aveva messo a rischio la sua vita per soccorrerlo.
Verner si preoccupò nel constatare lo stato in cui si trovava il suo compagno. 
«Stai tremando, devi avere la febbre alta»
Il finlandese sostenne il malato fino al suo giaciglio, aiutandolo a distendersi.
«Sei sicuro che nessuno ti abbia seguito?» chiese Aleks.
Egli annuì.
«Sei l’unico a sapere che sono qui»
Verner comprese l’importanza di quell’affermazione, significava che Aleks si fidava realmente di lui.
«Non preoccuparti, qui sei al sicuro. Adesso cerca di riposare, penseremo io e Saija a fare da guardia»
Aleks si lasciò rassicurare da quelle parole, sapeva di poter affidare la propria vita nelle sue mani.
«Perché stai facendo tutto questo?»
Verner passò un panno umido sulla fronte sudata dell’infermo.
«Perché voglio fare la cosa giusta» rispose con estrema fermezza.
 
***

Il tenente Smirnov consegnò il rapporto al suo superiore con la consapevolezza di aver fallito nella sua missione.
«Così la sua squadra non è riuscita a trovare il nostro uomo» fu la severa critica.
«Abbiamo perquisito ogni villaggio e pattugliato ogni bosco da qui fino al confine. Non c’è traccia di quel criminale»
Il maggiore sbuffò: «la polizia segreta non sarà lieta di ricevere queste notizie»
«Potrebbero mandare i loro uomini a morire di freddo su queste montagne» suggerì Smirnov con aria di sfida.
«Fingerò di non aver assistito a questa sua risposta irriverente e irrispettosa»
«Mi scusi signore, ma personalmente ritengo che esistano questioni più importanti di cui occuparsi piuttosto che perdere tempo alla ricerca di un uomo morto. Se davvero quel ricercato è fuggito nelle foreste ritroveremo soltanto un cadavere congelato»
Il suo superiore ascoltò con attenzione quelle frasi di protesta.
«Che cosa intende nel dire che esistono questioni più importanti?»
«Mi sto riferendo alle insurrezioni, agli attentati e agli omicidi messi in atto dai ribelli finlandesi»
«Questo è sempre stato un popolo indisciplinato, ogni tanto è utile ricordare che questa terra appartiene all’Impero»
«La situazione si sta aggravando, è probabile che i comunisti stiano organizzando una vera e propria rivolta»
«Tenente, lei sta esagerando con queste previsioni catastrofiche. La situazione è sotto controllo»
«Voglio sperare che sia così»
«Per il momento si attenga agli ordini, le ricordo che è questo il suo dovere»
«Sì, signore»
Il maggiore rispose con una frase di circostanza e congedò il suo sottoposto, ma l’espressione sul suo volto lasciò trasparire una viva preoccupazione.

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Capitolo 13
*** Bombe e proiettili ***


XIII. Bombe e proiettili
 

La vita al fronte aveva iniziato a diventare abitudinaria e monotona. Per molti l’entusiasmo iniziale si era tramutato in triste rassegnazione.
Jari notava gli sguardi dei suoi compagni diventare sempre più vacui e spenti, così come i loro volti pallidi e scarni. La guerra aveva cominciato a logorare i loro animi, privandoli di energie e speranze.
L’unico conforto restava il ricordo di casa.
Quella sera i giovani soldati si radunarono intorno al fuoco.
«Sono giunte notizie dal quartier generale?» domandò Yrjö con apprensione.
Jari scosse il capo: «no, gli ordini rimangono quelli di mantenere la posizione»
Lauri ribatté: «quando si decideranno a farci entrare in azione?»
«Suppongo che la questione sia ben più complessa»
«Abbiamo accettato di unirci all’esercito tedesco per imparare a combattere, abbiamo ricevuto un addestramento dignitoso, ma non abbiamo esperienza sul campo. Questa non è la vera guerra» si lamentò.
«Dobbiamo avere fiducia nei nostri comandanti, sono certo che al momento giusto anche noi prenderemo parte ai combattimenti» disse Jari con estrema convinzione.
«Certo, se non moriremo prima di freddo e di fame» fu l’amara risposta.
Yrjö tentò di placare quegli animi irrequieti: «questa guerra è terribile per tutti, ma dobbiamo ricordarci del motivo per cui siamo qui. Non possiamo arrenderci allo sconforto, il destino della nostra Patria dipende da noi. Dobbiamo resistere per la nostra terra e per i nostri cari. Stiamo facendo tutto questo per il futuro della Finlandia»
Lauri parve apprezzare le parole del compagno: «devo ammettere che questa volta tu abbia ragione. È inutile star qui a lamentarci, siamo jäger ed è come veri soldati che affronteremo questa guerra»
Gli altri parvero condividere il suo punto di vista, la questione non sollevò più alcun dibattito.
Dopo qualche istante di silenzio i ragazzi tornarono a conversare, inevitabilmente i loro pensieri furono rivolti alla Patria lontana.
Iniziarono a ricordare le vite che avevano abbandonato nella terra natia, ben presto finirono per immaginare un ipotetico ritorno a casa.
«Quando tornerò ad Helsinki mi dedicherò a terminare gli studi. Lavorare a fianco del dottor Lange mi ha fatto capire quanto tenga davvero a diventare medico» dichiarò Yrjö.
«Non avevamo dubbi a riguardo, sembra proprio che tu abbia trovato la tua strada» commentò Lauri.
«Tu invece mi sembri più adatto alla vita da soldato piuttosto che a quella da studente»
Egli non poté contraddirlo.
«Non so cosa farò alla fine della guerra, l’unica certezza è che tornerò da mia moglie»
«È strano, non avrei mai pensato di vederti come un marito fedele e devoto» lo provocò Yrjö.
«L’importante è trovare la donna giusta. Da quando ho conosciuto Marija non ho desiderato altro che stare con lei»
«Forse ti preferivo quando non eri così romantico» commentò il suo compagno con una mezza risata.
«Non fare troppo lo spiritoso, anche a te prima o poi capiterà di perdere la testa per una ragazza»
Yrjö scosse il capo, mostrandosi divertito dalla reazione dell’amico.
«E tu Jari? Che cosa farai?» domandò Lauri per cambiare argomento e distogliere l’attenzione da sé.
«Probabilmente tornerò al villaggio dalla mia famiglia, anche se sarà tutto diverso…»
I suoi compagni avvertirono una nota di tristezza nella sua risposta, ma interpretarono ciò come un’espressione di malinconia.
«Adesso basta pensare a queste cose, non sappiamo nemmeno se saremo vivi domani mattina» esordì Lauri rialzandosi in piedi.
«Hai ragione, dobbiamo spegnere il fuoco e organizzare i turni di guardia» disse Yrjö imitandolo.
Jari restò ancora qualche istante seduto a terra ad osservare le braci ardenti.
Aveva scelto di arruolarsi senza pensare alle conseguenze, per lui ormai non esisteva più nulla oltre alla Causa.
 
***

La vallata era avvolta dal silenzio, tutto appariva tranquillo. Nessun rumore sospetto proveniva dal lato opposto del fiume. Guardando attraverso il cannocchiale da campo si potevano notare i bagliori dei fucili e degli elmetti, ma il nemico non aveva ancora dato segno della sua presenza.
Lauri sbuffò con impazienza. Nei giorni precedenti lui e i suoi compagni avevano faticato come muli per trasportare ininterrottamente casse di munizioni lungo il sentiero.
Le trincee erano state rinforzate, i nidi delle mitragliatrici erano stati scavati nel fango, la postazione era ben fornita, tutto era pronto per l’attacco, eppure non era stato sparato ancora nessun colpo.
Il comandante aveva ordinato di restare in posizione e prepararsi all’azione.
Lauri tornò ad accovacciarsi accanto alla mitragliatrice, era stanco e affamato. Il cammino era stato lungo e faticoso, non era stato affatto semplice affrontare la marcia appesantiti dalle armi. Il giovane si inumidì le labbra con un po’ d’acqua, ciò servì a placare la sete, per riempire lo stomaco e riposare le membra avrebbe dovuto attendere il calare del sole.
Il suo compagno gli offrì un sorso dalla sua borraccia: «prendi, hai l’aria di aver bisogno di qualcosa di più forte»
Lauri avvertì l’odore di alcol, intuì che il liquido all’interno fosse acquavite. Al fronte quello era un bene prezioso. Il giovane accettò l’offerta, aveva bisogno di un po’ di sollievo, anche dell’alcol di pessima qualità poteva essere d’aiuto.
Lauri percepì una piacevole sensazione di calore, nonostante la stanchezza riuscì a recuperare un po’ di energie. Socchiuse gli occhi per qualche istante, nel tentativo di riposare.
In quel momento assistette a una discussione tra i suoi commilitoni.
«Sono giunte notizie dalla Finlandia» accennò il soldato dell’acquavite.
«Che genere di notizie?» domandò un altro con curiosità.
«A quanto pare i comunisti stanno creando un bel po’ di problemi ai russi»
Il compagno espresse il suo disappunto: «quelli sono soltanto dei criminali!»
«In fondo anche loro credono nell’Indipendenza»
«Noi siamo qui a combattere e a rischiare la vita per il nostro Paese mentre i rossi con i loro attentati stanno disseminando terrore tra la nostra gente»
Lauri non ebbe il tempo di farsi un’idea chiara su quelle opinioni, all’improvviso sobbalzò udendo una raffica di spari. Provenivano dal lato opposto della collina.
Il giovane ebbe l’istinto di sporgersi dal riparo per controllare la situazione, ma uno dei suoi commilitoni lo trattenne.
«Che ti prende? Perché sei così nervoso? Lo sai che sparano solo per farci sapere che sono ancora lì»
Egli rispose con una smorfia, quella volta avvertì qualcosa di diverso, non sembrava che i russi avessero solo voglia di far esplodere qualche botto per noia o divertimento.
Le detonazioni continuarono a ritmi regolari e ravvicinati, anche l’artiglieria si era messa in movimento.
Lauri avvertì i nervi in tensione e il sangue che scorreva nelle vene, provò una forte eccitazione, finalmente stava vivendo a pieno quella guerra.
Ad un tratto sentì un rombo alle sue spalle, altri colpi echeggiarono nella vallata.
«Questi siamo noi. Le batterie rispondono al fuoco!» annunciò il suo compagno.
Lauri provò profondo orgoglio nel sentire quelle parole, stava prendendo parte a un’azione in prima linea, era per questo che aveva deciso di arruolarsi.
Era intenzionato a tornare alla sua postazione quando all’improvviso udì un fischio. Sui volti dei suoi compagni apparvero espressioni di panico e terrore. Intense nubi di fumo e polvere si sollevarono sulla collina, seguite dal fragore delle esplosioni.
«Dannazione, i russi sparano!»
Lauri si domandò se fosse il caso di prendere posto alla mitragliatrice, avrebbero dovuto prepararsi al contrattacco. Il giovane era intenzionato a raggiungere la postazione di tiro, ma proprio in quel momento un altro fischio lo costrinse ad abbassare la testa. Strisciò nuovamente nella buca insieme ai suoi commilitoni. L’aria era sempre più pesante, si respirava fumo e polvere da sparo.
Lauri avrebbe voluto alzarsi in piedi per controllare la situazione, ma era troppo pericoloso sporgersi oltre al parapetto. Ogni tanto qualcuno cercava di parlare sopra al rumore delle esplosioni, ma era difficile riconoscere i suoni in quella confusione, alle sue orecchie giungevano solo grida confuse. Era necessario gettarsi a terra in continuazione per evitare di essere colpiti dai detriti.
Lauri sentì un nodo alla gola, ebbe la sensazione di soffocare sottoterra, soffriva per il peso dei suoi compagni che gravava sulle sue spalle. Ma non poteva muoversi, doveva stare in allerta. I colpi continuavano ad abbattersi sulla sommità della collina, sempre più rapidi, sempre più vicini. Gli alberi sradicati saltavano in aria insieme ad enormi zolle di terra.
Dopo l’ennesima esplosione i finlandesi alzarono la testa per individuare il punto in cui era caduto il proiettile.
«Che succede? Perché non rispondiamo al fuoco?» domandò Lauri.
Nessuno fu in grado di rispondergli, in quel momento la tattica militare era passata in secondo piano, la priorità era salvarsi la pelle.
«Giù la testa! Svelto!» urlò qualcuno afferrandolo bruscamente per la manica e trascinandolo nuovamente a terra.
Lauri sentì il terreno tremare, il settore ovest era stato colpito.
 
Il bombardamento nemico si placò all’improvviso, i cannoni iniziarono a sparare colpi più distanziati, a ritmi irregolari. Ciò permise ai finlandesi di organizzarsi e prepararsi al contrattacco.
Lauri sentì una gran liberazione quando udì i boati delle batterie finlandesi, finalmente anche i loro colpi potevano andare a segno.
Il giovane si rialzò in ginocchio, quando sollevò la testa intravide delle figure muoversi tra le nubi di fumo. Proprio in quel momento sentì l’ordine del capitano. Il nemico era uscito dalle trincee, ciò significava che bisognava agire.
Prontamente Lauri strisciò fino alla sua postazione, prendendo il controllo della mitragliatrice. Compì ogni azione meccanicamente, così come aveva fatto decine di volte durante le esercitazioni. I colpi nemici continuavano a fischiare sopra alla sua testa, ma ormai era abituato, non era più spaventato, era solo il rumore della guerra. Senza esitazione puntò l’arma in direzione della vallata, scorse alcune sagome muoversi nella terra di nessuno, una squadra era uscita allo scoperto. Era la prima volta che si trovava davanti ad altri soldati, fino a quel momento i suoi avversari non avevano ancora preso la forma umana. Non ebbe il tempo di porsi troppe domande, istintivamente premette il grilletto, la prima raffica si abbatté contro ai russi. Vide due di loro cadere a terra senza più rialzarsi. Era stato lui, li aveva colpiti.
Lauri fu sopraffatto dall’adrenalina, investendo le linee nemiche con una seconda scarica di proiettili.
Distolse lo sguardo dalla canna fumante soltanto per rivolgersi al suo compagno: «munizioni! Svelto! Servono altre munizioni!»
 
***

Jari aveva ormai terminato il suo turno di guardia. Aveva appena abbandonato la postazione di osservazione, allontanandosi per seguire il sentiero e raggiungere le trincee di avvicinamento.
All’improvviso notò delle nubi di fumo bianco e nero sollevarsi all’orizzonte, la terra di nessuno aveva iniziato a bruciare.
Il giovane si bloccò, ma dopo qualche istante di esitazione decise di proseguire. Non aveva altra scelta se non attraversare quell’area colpita dai proiettili per tornare dietro alle sue linee.
Proprio in quel momento un proiettile esplose a pochi metri di distanza, il ragazzo si gettò a terra per proteggersi dai detriti. Poco dopo altre detonazioni scoppiarono ovunque intorno a lui. L’intero settore era stato preso d’assalto dall’artiglieria nemica.
Alle sue spalle poté udire le grida dei suoi compagni, i quali iniziarono a correre in modo disordinato in ogni direzione in cerca di un rifugio sicuro.
«Al riparo, presto!»
Jari era ancora in ginocchio, frastornato dalla confusione e dall’eco delle esplosioni. Non aveva idea di dove fosse, non sapeva quale direzione prendere, a causa del fumo aveva perso ogni punto di riferimento.
Era ormai rassegnato al suo destino di disperso quando ad un tratto avvertì una salda presa sulla spalla, qualcuno si chinò su di lui per soccorrerlo.
«Sei ferito?» domandò il compagno con apprensione.
Jari riconobbe la figura sfocata di Bernhard.
«No, io…credo di stare bene» rispose con voce tremante.
Winkler aiutò l’amico a rialzarsi e sorreggendolo lo trascinò in direzione di un riparo. I due erano ancora troppo distanti dalle trincee, il bombardamento divenne sempre più intenso e le esplosioni si fecero più vicine.
Bernhard realizzò che non avrebbero mai potuto raggiungere le linee finlandesi in tempo. Fortunatamente scorse una fossa nelle vicinanze, così decise di utilizzare quella buca come riparo. Afferrò la giacca del suo compagno e rapidamente lo spinse verso il bordo della cavità.
Jari seguì il suo comandante, strisciando a fatica nel fango, mentre intorno a lui avvertiva il frastuono delle detonazioni. Un proiettile cadde vicino ai reticolati, Jari sentì il terreno tremare sotto di sé, istintivamente si appiattì al suolo tentando di proteggere il capo sotto all’elmetto.
«Non fermarti. Avanti, manca poco» lo incoraggiò Winkler.
 
Il tedesco strisciò sui gomiti raggiungendo il compagno all’interno della buca. L’ennesima bomba scoppiò vicino al loro riparo. Bernhard si rannicchiò insieme al suo sottoposto cercando di proteggerlo dalle schegge.
Jari poggiò la schiena contro alla parete di terra, ritrovandosi stretto al tenente. Lo spazio limitato in quella fossa non consentiva alternativa. Per condividere quel rifugio dovevano restare uniti uno all’altro come in un abbraccio.
Il finlandese fu grato al fatto che la drammaticità della situazione non gli permettesse di pensare ad altro.
In quelle condizioni non avrebbero potuto far altro che attendere la fine dei bombardamenti, nella speranza di trovarsi al sicuro.
Jari tentò di calmarsi, per quanto gli fosse possibile. Il corpo di Winkler premeva su di lui. Soltanto in quel momento realizzò di non essersi mai trovato così vicino al suo compagno. Poteva avvertire il calore del suo respiro sulla pelle e i battiti del suo cuore contro al proprio petto.
I due restarono rannicchiati in quella buca finché non avvertirono gli echi delle esplosioni sempre più flebili e distanti.
Soltanto quando il pericolo fu passato Winkler si distaccò dal suo commilitone per sporgersi oltre al bordo del cratere.
 
***

Yrjö uscì in superficie insieme agli altri soccorritori. Lo scenario di devastazione che gli apparve davanti gli provocò un intenso senso di inquietudine. La terra di nessuno, bruciata dalle esplosioni, era deturpata da profondi crateri. Le trincee interrotte da crolli e detriti impedivano il passaggio.
Quella situazione divenne ancor più macabra e spaventosa quando udì le grida terrificanti dei feriti. Infermieri e barellieri correvano ovunque, nel tentativo di riportare in salvo i loro compagni.  
Yrjö aiutò Hermann a trasportare la barella, seguendo i consigli e gli avvertimenti del commilitone più esperto. Dovettero scavare nel fango per riportare in superficie i sopravvissuti ai crolli e alle frane.
Dopo l’ennesimo viaggio dove avevano ritrovato solo cadaveri il tedesco decise di fermarsi.
«Abbiamo fatto tutto quel che potevamo»
«Ma…potrebbe esserci ancora qualcuno là fuori!» protestò Yrjö.
Hermann tentò di non essere troppo brusco nei confronti di quel giovane.
«Mi dispiace, ma non restano molte speranze»
Egli non diede ascolto alle sue parole, deciso a portare avanti la sua missione scavalcò ancora una volta il parapetto.
Mosse qualche passo nella terra di nessuno, quando incontrò un altro infermiere anch’egli pensò di avvertirlo.
«Dottore, torni indietro! È troppo pericoloso proseguire, mi creda…troverà solo cadaveri»
Il giovane provò una strana sensazione nel sentirsi chiamare in quel modo, la croce rossa sul suo braccio lo identificava come semplice soccorritore. Ma non ebbe il tempo di riflettere a lungo su quel malinteso. Ormai aveva preso la sua decisione, così incurante degli avvertimenti si spinse oltre ai reticolati.
 
Yrjö avanzò nel mezzo del campo di battaglia, seguì il filo spinato per non perdere il senso dell’orientamento. Ad un tratto avvertì qualcosa, un debole rantolio proveniva da una trincea crollata. Immediatamente si avvicinò all’orlo della fossa, nell’istante in cui si sporse una mano si aggrappò al suo braccio, tirando così forte da rischiare di trascinarlo sul fondo.
Yrjö aiutò il suo compagno, stremato e sconvolto, a risalire in superficie. Il soldato aveva la divisa macchiata di sangue e gli occhi sgranati dal terrore. Con le ultime forze si trascinò verso il suo salvatore.
«Laggiù sono tutti morti…sono rimasto solo io» singhiozzò prima di crollare ai suoi piedi.
Yrjö si chinò su di lui, il polso era debole. La divisa era strappata e insanguinata sul petto. Individuò facilmente una lacerazione all’altezza della quinta costola. Non era visibile alcun foro d’entrata, dunque doveva esser stato colpito da una scheggia. La macchia vermiglia continuava ad espandersi, così tentò di fare il possibile per contenere l’emorragia. Il ferito era privo di conoscenza, aveva perso molto sangue.
Il giovane però non era intenzionato ad arrendersi. Cercò di attirare l’attenzione di due barellieri, i quali corsero immediatamente nella sua direzione.
«È sicuro che sia ancora vivo?» domandò uno dei soccorritori con estrema freddezza.
Yrjö annuì: «sì, il respiro e i battiti sono deboli, ma può ancora essere salvato!»
I due caricarono il ferito sulla barella e faticosamente iniziarono la loro corsa in direzione dell’ospedale da campo.
Yrjö diede un’ultima occhiata al fondo della fossa. Vide i corpi dilaniati dei suoi commilitoni, ormai irriconoscibili. Arti e membra erano stati ridotti in brandelli dalle schegge metalliche.
Il giovane rabbrividì, istintivamente si allontanò. Avvertì un’intensa sensazione di nausea, barcollò sulle gambe tremanti, alla fine fu costretto a inginocchiarsi a terra per vomitare.
 
***

L’attacco, per quanto violento e spietato, non aveva particolarmente colpito gli ufficiali di comando. Il numero di feriti e dispersi venne semplicemente annotato nel rapporto, per molti quella fu soltanto un’altra giornata di guerra.
I tedeschi poterono ritenersi soddisfatti dei loro alleati, le truppe finlandesi avevano dimostrato di essere pronte ed efficienti in azione.
Quella sera in prima linea giunse solo un messaggio che invitava i soldati a compiere il loro dovere e a servire la Patria con orgoglio e determinazione. Parole che non servirono a rassicurare gli animi di chi quel giorno aveva assistito alla morte dei propri compagni, scampando per miracolo al loro stesso destino.  
 
Il villaggio abbandonato sulle rive del fiume era calmo e silenzioso. Sul sentiero che proveniva dal fronte marciava una lunga fila di soldati dai volti mesti e cupi.
Jari distolse lo sguardo da quel triste corteo e riprese il cammino. Aveva girovagato ovunque in cerca di notizie dei suoi compagni, fortunatamente aveva appreso che Lauri e Yrjö si trovavano al sicuro. Il primo era tornato nelle retrovie insieme agli uomini del capitano Fricke, l’altro invece aveva raggiunto l’ospedale per assistere i feriti.  
Il giovane si era tranquillizzato nel sapere che i suoi amici erano sani e salvi, sperava di potersi ricongiungere a loro al più presto.
Jari accelerò il passo in direzione di una casa in pietra, una delle poche sopravvissute ai bombardamenti. All’interno si trovavano gli alloggi degli ufficiali.
 
Bernhard non fu sorpreso nel ricevere la visita del suo sottoposto, fu lieto di avere compagnia, quella sera non voleva restare solo con i suoi pensieri.
«Sono felice di vederti qui» disse con sincerità.
Jari tentò di nascondere il nervosismo: «io…volevo ringraziarti per quello che hai fatto»
«Ho solo svolto il mio dovere. Non avrei mai potuto abbandonarti»
«Mi hai salvato la vita»
«È questo che fanno i compagni, si aiutano a vicenda, giusto?»
Il ragazzo annuì.
L’ufficiale assunse un’aria pensierosa, lasciando trasparire una certa inquietudine.
Jari percepì la sua preoccupazione.
«Qualcosa non va?» domandò con la dovuta discrezione.
Il tenente sospirò: «non dovrei parlarti di certe cose, ma sento di poter essere sincero nei tuoi confronti. Ormai ci conosciamo da tempo, sei mio amico prima di essere un mio sottoposto»
«Il mio dovere, come amico e come soldato, è sostenerti» ricordò Jari.
Bernhard prese un profondo respiro prima di rivelare i suoi più intimi timori.
«Temo di aver fallito nel mio intento. Credevo di poter combattere per la Finlandia e servire la Germania. Invece sento di aver deluso tutti quanti»
«Non dovresti preoccuparti per questo. Sei un ottimo comandante, ciò che è accaduto oggi ne è la prova. Hai anteposto la vita di un commilitone alla tua incolumità. Hai dimostrato di essere un ufficiale meritevole di stima e rispetto»
Winkler apprezzò quelle parole di incoraggiamento, ma ciò non fu sufficiente a rassicurarlo.
«I nostri compagni continuano a diffidare di me. Non si fidano di un tedesco»
«Credimi, nessuno può accusarti di non essere un buon comandante»
«Sto cercando di fare il possibile per il bene della Finlandia, eppure non è sufficiente»
«Senza di te molti di noi non sarebbero qui, sei stato tu a risvegliare in questi giovani il senso di giustizia e la voglia di libertà. Ho voluto seguirti perché ho riconosciuto in te un uomo determinato a combattere per quel in cui crede. Niente più di questo potrebbe fare di te un vero finlandese»
Winkler si commosse davanti a tanta devozione.
Jari riconobbe che per il compagno non dovesse essere stato semplice condividere le sue debolezze e insicurezze.
«Io non ho mai pensato che tu potessi tradirci» affermò con decisione.
Bernhard accennò un debole sorriso: «lo so, sei sempre stato un compagno leale»
Jari provò sincero orgoglio nel sentire quelle parole, una parte di sé aveva sempre cercato la sua approvazione. Vedeva in lui un esempio da seguire, desiderava essere all’altezza della situazione.
Inoltre doveva ammettere di provare una certa soddisfazione nel compiacerlo.
«Sai, non ho mai avuto occasione di dirtelo, ma…devo ammettere di aver sempre ammirato la tua determinazione. Fin dal primo momento hai dimostrato di essere disposto a tutto per la causa»
Jari credette di non meritare quegli elogi, aveva solo fatto quel che riteneva giusto.
«Sono lieto di sapere che tu abbia scelto fin dall’inizio di fidarti di me» continuò il tedesco.
«Non ho mai dubitato di te»
I due restarono immobili per qualche istante, guardandosi intensamente negli occhi. Il giovane finlandese trascurò ogni formalità, perdendosi nelle sue iridi verdi.
La distanza tra loro si era ridotta ulteriormente, Jari realizzò che avrebbe dovuto solo sporgersi in avanti per ritrovarsi tra le braccia del suo compagno. Sapeva che avrebbe dovuto allontanarsi prima di perdere del tutto il controllo, ma lo sguardo magnetico di Bernhard continuava ad attirarlo a sé.
Il tedesco si mostrò sempre sicuro di sé, probabilmente già da tempo aveva compreso la vera natura dell’interesse di quel giovane. Dal modo in cui ricambiava il suo sguardo, con consapevolezza e complicità, sembrava altrettanto coinvolto.
L’intimità di quel momento venne bruscamente interrotta da degli insistenti battiti contro alla porta. I due tornarono rapidamente alla realtà.
«Tenente Winkler! C’è un messaggio urgente per lei!»
L’ufficiale si impadronì nuovamente della sua autorevolezza e si presentò alla staffetta per recuperare la lettera.
Jari, ancora scosso per quel che era appena accaduto, tornò a rivolgersi al suo compagno in quanto suo sottoposto.
«Sono ordini dal quartier generale?»
Winkler annuì, poi proclamò con tono freddo e severo: «presto torneremo in prima linea, l’intero battaglione sarà coinvolto in un grande attacco»
Jari trasalì a quella notizia, aveva atteso a lungo il momento di entrare in azione. Pur provando sensazioni contrastanti doveva focalizzarsi sulla sua unica priorità, come tutti si trovava al fronte per combattere.
 
Quella notte Jari faticò ad addormentarsi. Si rigirò nel suo giaciglio, senza riuscire a trovare pace.
Si ritrovò a ripensare agli eventi recenti, in particolare a quel che era accaduto con Winkler.  
I sensi di colpa iniziarono a tormentarlo. Fino a quel momento aveva tentato di reprimere ciò che provava realmente, ma fingere diventava sempre più difficile.
Bernhard rappresentava tutto ciò in cui credeva, condivideva i suoi ideali, egli poteva comprendere pienamente le sue scelte. Si era innamorato dei suoi ideali, forse era stato questo a indurlo a provare attrazione per la sua persona.
Jari non era pronto a confrontarsi con i propri sentimenti, soprattutto dopo quel doloroso abbandono, che ancora restava una ferita aperta nel suo animo. Verner continuava a occupare un posto speciale nel suo cuore. Doveva però riconoscere che il loro rapporto fosse ormai irrimediabilmente corrotto. La loro separazione era stata inevitabile e definitiva. Nulla avrebbe potuto tornare come prima. Era ormai certo di aver perso Verner per sempre.
Jari rifletté sulla situazione, le cose stavano diventando sempre più complesse.
Bernhard non era soltanto un fedele compagno e un prezioso amico, egli restava pur sempre un suo superiore.  
Non poteva trascurare il suo obiettivo, indipendentemente da emozioni e sentimenti. Presto il suo plotone sarebbe stato coinvolto in un grande attacco, avrebbe avuto bisogno di una mente fredda e lucida per svolgere il suo dovere.
Questo fu il suo ultimo pensiero prima di abbandonarsi alla stanchezza, qualunque cosa sarebbe accaduta avrebbe mantenuto fede al suo giuramento.

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Capitolo 14
*** Compromessi ***


Ringrazio di cuore tutti i lettori che stanno continuando a seguire questo racconto. Un ringraziamento speciale ai gentilissimi recensori per il prezioso supporto.

 
XIV. Compromessi
 

Kaija uscì dalla piccola chiesa in pietra grigia, scese gli scalini facendo attenzione a non scivolare sul sottile strato di ghiaccio e iniziò ad avviarsi lungo il sentiero nel giardino innevato. Continuò a passo svelto, cercando di allontanarsi dalla piccola folla di fedeli che aveva iniziato a disperdersi al termine della funzione. La ragazza cercò Verner con lo sguardo, avrebbe voluto parlare con lui, sentiva che egli fosse l’unico in grado di comprendere il suo dolore. Quella volta però non riuscì a trovarlo, in chiesa aveva visto solo la madre e il fratello.
Kaija assunse un’espressione preoccupata, era trascorso del tempo dall’ultima volta in cui si erano incontrati, temeva che la sua assenza fosse dovuta a qualcosa di serio. Forse avrebbe dovuto chiedere spiegazioni a Hjalmar.
Ella non ebbe il tempo di riflettere sulla questione. All’improvviso avvertì qualcuno afferrarla per il braccio.
La giovane sussultò per quel gesto inaspettato, ma immediatamente riconobbe il suo amico Kris.
Il ragazzo si approcciò con un rassicurante sorriso.
«Scusami, non volevo spaventarti…ti ho vista prima a messa, sembravi piuttosto scossa. Che cosa ti è successo?» chiese con apprensione.
Lei prese un profondo respiro prima di rispondere.
«Ad essere sincera questo è un periodo piuttosto difficile, devo ammettere che per me niente è stato più lo stesso da quando mio fratello è partito per la guerra»
«Mi dispiace, so che siete sempre stati molto uniti»
«Già, non siamo mai stati separati per tanto tempo. Prego per lui ogni giorno, spero che possa tornare a casa sano e salvo»
«Per quanto possa essere di conforto tutti noi siamo disposti a sostenere i nostri coraggiosi soldati al fronte. Tuo fratello è considerato come un eroe»
La ragazza gradì la sua solidarietà, ma ciò non riuscì a rassicurarla.
Kris la prese a braccetto accompagnandola nella sua passeggiata.
«Sai, non credo che restare sempre sola possa aiutarti ad affrontare questa lontananza» 
«Non sarei di gran compagnia per nessuno in questo momento»
«Sono certo che Jari non vorrebbe vederti così»
Kaija si asciugò una lacrima che era scivolata sul suo viso. 
«Forse hai ragione. In ogni caso non intendevo angosciarti con questi miei pensieri» si scusò.
«Non preoccuparti. È giusto che tu condivida il tuo dolore. Vorrei solo poter fare qualcosa di più»
Kaija avvertì la sua presa stringere sul braccio, con un gesto Kris l’avvicinò ancor più a sé.  
«Dicono che sia nei momenti difficili che si impara ad apprezzare quel che si ha»
«Suppongo che sia così»
I due proseguirono il cammino fino a fermandosi davanti ai cancelli.
«Avrei voluto incontrarti in circostanze più liete, ma devo ammettere di essere felice di stare qui con te»
«Anche a me ha fatto piacere rivederti» rispose per gentilezza.
«Ti conosco da tanto tempo, so che sei abbastanza forte per superare anche queste difficoltà»
«Fatico ancora a credere che tutto questo sia vero. Vorrei risvegliarmi e scoprire che è stato solo un brutto incubo»
«In ogni caso voglio che tu sappia che non devi affrontare tutto da sola. Per qualsiasi cosa potrai sempre contare su di me»
Kris sfiorò la sua mano, ma lei la ritrasse immediatamente, mostrandosi a disagio in quella situazione.
«Adesso devo andare, mio padre mi sta aspettando»
Il giovane lasciò trasparire una certa delusione, era evidente che avrebbe desiderato prolungare ancora la loro conversazione.
Kaija si congedò rapidamente, senza lasciargli il tempo di aggiungere altro.
Egli rimase immobile a fissare la sua esile figura allontanarsi. Con rammarico e frustrazione si accese una sigaretta, maledicendosi per aver sprecato anche quella occasione.
 
***

Il dottor Fredrik Koskinen sistemò i documenti sulla scrivania, poi tornò a chinare il capo sulla lettera che stava scrivendo. Quando terminò di richiudere la busta sollevò lo sguardo da quelle carte per osservare la figlia. La ragazza era in piedi davanti alla finestra, ad ammirare il panorama innevato con aria assorta.
L’uomo provò profonda commozione nel riconoscere in lei i tratti dolci e delicati dell’amata moglie. 
Fu sopraffatto dalla malinconia. Quelle sensazioni riportarono alla mente ricordi del passato.  
Ai tempi egli era appena giunto al villaggio per svolgere il suo lavoro. Aveva ereditato lo studio di un vecchio collega, per quanto quell’impiego non si adattasse alle sue ambizioni di giovane dottore era comunque intenzionato a fare del suo meglio. Non avrebbe mai pensato di restare in quel luogo disperso tra le montagne per così tanto tempo. Era ancora ignaro di quel che il destino gli avrebbe riservato. Quando aveva conosciuto Helena si era subito innamorato di lei, era bastato uno sguardo a fargli capire che sarebbe diventata la donna della sua vita. Era stato stregato dalla sua bellezza, dai lineamenti armoniosi del suo viso e dai suoi grandi occhi castani che le donavano uno sguardo dolce e innocente. 
Con rammarico aveva scoperto che lei era già fidanzata con un giovane del villaggio. Questo però non gli aveva impedito di provare a conquistarla. Inizialmente Helena aveva cercato di resistere alla tentazione, ma le attenzioni del giovane medico non erano state affatto ignorate. Consapevole che ella ricambiasse i suoi stessi sentimenti Fredrik aveva continuato a corteggiarla, finché quello che era cominciato come un gioco di seduzione non si era tramutato in una passione travolgente.
Helena non aveva esitato a rompere il fidanzamento per dare una possibilità a quella nuova relazione. Fredrik doveva ammettere di aver sempre provato un certo orgoglio nell’esser riuscito a strappare l’amore della sua vita dalle braccia di un altro uomo. Era certo che le cose non avrebbero potuto andare diversamente, era scritto nelle stelle, loro erano destinati a stare insieme.
Durante il loro fidanzamento i due apparivano a tutti come la coppia perfetta, erano felici e innamorati. Avevano già deciso di sposarsi quando Helena aveva scoperto di essere incinta. La nascita del primogenito aveva rafforzato ancora di più il loro legame. Il dottor Koskinen aveva sempre desiderato un figlio maschio, per questo aveva riposto in Jari grandi aspettative.
Due anni dopo era nata Kaija, che aveva portato altra gioia ai giovani genitori. Dalla prima volta in cui Fredrik aveva stretto la piccola tra le sue braccia aveva sentito solo il desiderio di amarla e proteggerla.
Per un breve periodo la famiglia Koskinen era stata lieta e felice. I bambini crescevano forti e in salute, in quella casa regnavano la pace e l’armonia.
Le cose erano peggiorate all’improvviso, quando Helena si era ammalata. Le sue condizioni non miglioravano, ogni giorno lei diventava più debole.
Purtroppo quelli erano stati tempi difficili anche dal punto di vista economico. Fredrik era stato costretto a separarsi dalla sua famiglia, era tornato ad Helsinki per cercare di guadagnare qualcosa in più. In quel periodo aveva assistito in prima persona alle rivolte e agli scontri soppressi con violenza dai cosacchi. Era consapevole di essersi comportato come un vigliacco, restando sempre in disparte, senza mai trovare il coraggio di alzarsi e piedi, di alzare la testa e prendere posizione. Aveva scelto il silenzio e l’accondiscendenza per paura, aveva delle responsabilità e molto da perdere. Per questo aveva anteposto il bene della sua famiglia al proprio senso di giustizia.
Quando la situazione si era aggravata il dottor Koskinen era tornato al villaggio per prendersi cura dei bambini e assistere la moglie. Era rimasto accanto ad Helena fino al suo ultimo respiro, dimostrandole tutto il suo amore in quegli ultimi momenti trascorsi insieme.
Non era mai riuscito a liberarsi da quel senso di colpa, la missione della sua vita era curare le persone, ma non era riuscito a salvare la sua consorte dal suo triste destino. Pur essendo consapevole di aver fatto tutto il possibile, continuava a sentirsi responsabile.
La morte di Helena aveva lasciato solo vuoto e dolore nel suo cuore. Da quel momento aveva cercato di fare del suo meglio per crescere da solo i suoi due figli. Forse aveva sbagliato, riconosceva di aver commesso degli errori, eppure era sempre stato animato da buone intenzioni. Desiderava solo il meglio per loro.
Il dottor Koskinen si rialzò dalla sedia per avvicinarsi alla figlia.
«Qualcosa ti preoccupa?» domandò.
«No, non è nulla di importante…» mentì la ragazza.
Fredrik non si lasciò convincere.
«Quando sei nervosa ti mordi sempre il labbro in questo modo, lo fai da quando eri piccola»
Kaija si stupì per quel particolare: «davvero te lo ricordi?»
«Certo, non potrei mai dimenticare nulla della mia bambina»
«Non sono più una bambina» replicò con una timida protesta. 
Il padre mostrò un benevolo sorriso.
«Oh, questo lo so. Ormai sei una ragazza in età da marito»
La giovane abbassò lo sguardo, arrossendo leggermente.
«Non voglio intromettermi, ma ecco...vorrei sapere se avessi intenzione di fidanzarti»
Lei esitò: «forse…quando troverò la persona giusta, per il momento non c’è ancora nessuno»
«Davvero? Neanche il figlio del signor Hallenberg? Mi è sembrato di vedervi piuttosto in sintonia insieme»
Kaija negò: «io e Kris siamo solo buoni amici. Non c’è altro tra noi»
Il dottor Koskinen si mostrò piuttosto favorevole allo sbocciare di quel rapporto.
«Egli è un bravo ragazzo, la sua è una famiglia rispettabile»
Lei non riuscì a nascondere il nervosismo: «perché stiamo parlando di questo?»
«Stavo semplicemente pensando al tuo futuro»
«Ritieni che debba sposarmi?»
«Un buon matrimonio potrebbe garantirti una certa stabilità»
«Non credo di essere pronta per questo. Kris è sicuramente una brava persona, ma io non desidero diventare sua moglie»
Il padre comprese la sua condizione: «non preoccuparti, non devi prendere una decisione ora. Volevo solo affrontare l’argomento con te»
«Sembra che tu abbia già espresso la tua opinione a riguardo»
«Voglio solo che tu sia felice»
«In questo momento soltanto il ritorno di mio fratello potrebbe rendermi felice»
Il dottore percepì un’intensa fitta al petto, nonostante tutto doveva ammettere che la partenza di Jari aveva lasciato un vuoto incolmabile nel cuore di entrambi.
«Tuo fratello ha deciso di combattere per quel che ritiene giusto. Dovremmo essere orgogliosi di lui, ha dimostrato di avere determinazione e coraggio»
La giovane si stupì nel sentire quelle parole, suo padre non aveva mai esternato tanta ammirazione nei confronti del primogenito.
«Dunque approvi la sua scelta?»
Egli annuì.
«Ovviamente sono preoccupato per lui, ma rispetto la sua decisione»
Kaija avvertì gli un nodo alla gola e gli occhi lucidi.
«Non voglio perdere anche lui»
Fredrik prese la sua mano stringendola dolcemente.
«Dobbiamo avere fiducia in Jari. So che è difficile, ma non possiamo fare altro che sperare per il meglio»
La ragazza ricambiò la sua stretta, voleva davvero credere in quelle parole.
 
Rimasta sola Kaija rifletté sulla conversazione avuta con il padre. Inevitabilmente ricordò le parole di suo fratello.
“Dovresti smetterla di giustificarlo in continuazione. Quando inizierà a prendere decisioni anche per te non la penserai più in questo modo”.
Kaija non giustificava l’astio che Jari provava nei confronti del padre, ma ora poteva comprendere le sue ragioni. Sapeva che il genitore era animato da buone intenzioni e che il suo unico intento era agire per il loro bene, eppure aveva sempre trovato il modo di imporre la sua volontà.
In fondo suo padre era stato comprensivo, anche se alla fine non aveva nascosto la sua delusione.
Fino a quel momento Kaija non aveva mai considerato l’eventualità di fidanzarsi, credeva di avere ancora tempo per trovare la persona giusta.
D’altra parte il dottor Koskinen non aveva suggerito un’ipotesi così assurda. Kris non aveva mai nascosto il suo interesse, ma per quanto tenesse alla loro amicizia lei non aveva mai ricambiato i suoi sentimenti.
Era certa che suo padre non l’avrebbe mai obbligata a sposare un uomo che non amava, ma allo stesso tempo sentiva di dover rispettare il suo volere. Con la partenza di Jari responsabilità e aspettative erano ricadute su di lei.
Kaija fu costretta ad accettare la realtà, da quel momento avrebbe dovuto pensare seriamente al matrimonio.
 
***

Verner raggiunse la radura nella foresta dove si trovava il rifugio di Aleks. Come sempre si assicurò che la zona fosse sicura prima di inoltrarsi nel bosco. Sapeva che quelle visite erano pericolose, ma era anche consapevole che il russo potesse contare solo su di lui. Era l’unico a conoscere il suo nascondiglio, in fondo era contento di esser riuscito a conquistare la sua fiducia.
Inizialmente si era avvicinato a lui con diffidenza, ma ora che aveva avuto modo di conoscere più a fondo le ragioni del compagno desiderava soltanto aiutarlo.
«Sono lieto di rivederti in forze. Ero preoccupato»
Aleks continuò ad ingurgitare avidamente la sua zuppa.
«Ho dovuto sopportare anche di peggio» commentò tra un boccone e l’altro.
Il giovane si incuriosì: «ti riferisci a quel che è accaduto dopo il tuo arresto?»
Egli annuì: «sono stato condannato a un anno di lavori forzati in un campo di lavoro in Siberia. Ho resistito al freddo, alla fame, alla fatica e a ogni genere di tortura»
Verner rimase impressionato dalla sua testimonianza. Provò ad immaginare quel che doveva aver passato e a tutto ciò che era stato costretto a sopportare per sopravvivere.
«Deve essere stato terribile»
«Già…a volte ho creduto di non farcela»
«Come hai trovato la forza per andare avanti?»
Aleks esitò prima di rispondere, nonostante fosse trascorso del tempo per lui non era semplice ripensare a quel periodo, il quale era stato il più difficile della sua vita.
«Sapevo di non potermi arrendere. Avevo delle ragioni per continuare a vivere, desideravo portare avanti la mia battaglia e tornare dalle persone che amavo»
Verner non poté far altro che mostrare rispetto e ammirazione per chi aveva dato prova di possedere tanta forza di volontà. Fu in quel momento che decise di rivelargli la verità.
«Ricordi quel che mi hai detto durante il nostro primo incontro? Be’, alla fine avevi ragione, non potevo più restare fermo a guardare…ho scelto di unirmi alla causa dei comunisti»
Aleks non si mostrò sorpreso da quella dichiarazione, era certo che quel ragazzo non avrebbe potuto restare neutrale in quella situazione.
«Così hai scelto di schierarti dalla parte dei rossi…»
«Non si tratta di una questione politica, o almeno non del tutto. Desidero solo fare qualcosa per aiutare il mio popolo e proteggere i miei cari»
«Certo. Tutti noi siamo stati costretti a cedere a compromessi»
Verner restò qualche istante in silenzio, assorto nei suoi pensieri.
«Quello che hai detto a riguardo della rivoluzione, è tutto vero?»
Lo sguardo di Aleks si illuminò: «sì, certamente. Ormai è solo una questione di tempo, i miei compagni sono pronti a ribellarsi all’egemonia imperiale!»
«Se questo dovesse accadere, se davvero dovesse avvenire questa rivoluzione…la Finlandia potrebbe avere un’opportunità per ottenere la sua libertà»
Aleks parve soddisfatto nel sentire quelle parole.
«Vedo che hai iniziato a capire come funzionano le cose»
«Dieci anni fa la collaborazione tra ribelli russi e finlandesi ha portato solo alle violente repressioni dei cosacchi»
«Il fatto che la generazione precedente abbia fallito non deve precludere a noi la possibilità di riprovarci. Anzi, dovrebbe essere un incentivo per non ripetere gli stessi errori. Abbiamo delle responsabilità. Dobbiamo ai nostri padri la vittoria che non sono riusciti a conquistare»
Verner ebbe un lieve sussulto, Aleks intuì di aver colpito nel segno.
«Dunque tuo padre era un ribelle»
Il ragazzo scosse la testa: «no, lui era semplicemente un uomo onesto che non tollerava le ingiustizie»
«Che cosa gli è successo?»
Verner rimase qualche istante in silenzio. Suo fratello era l’unico al quale aveva rivelato la verità. Non era pronto ad affrontare nuovamente quella perdita. Doveva però riconoscere che il suo compagno aveva fatto lo sforzo di aprirsi con lui, raccontando anche gli aspetti più dolorosi del suo passato. Sentiva di dover almeno ricambiare questo atto di fiducia.
«È stato giustiziato per aver ucciso un soldato» disse semplicemente.
«È stato condannato ingiustamente?»
«Lui voleva solo salvare la vita di un suo compagno, ma per i russi la verità non aveva importanza. Ai loro occhi mio padre era un finlandese che aveva ammazzato un loro connazionale»
«È per questo che hai deciso di schierarti? Per rendere giustizia alla memoria di tuo padre?»
Verner confermò.
«Penso anche a mio fratello, egli è soltanto è un ragazzino. Non voglio per lui il mio stesso destino»
«Capisco che cosa intendi. Vogliamo risparmiare dolori e sofferenze a chi è ancora innocente»
Il ragazzo intuì il vero significato di quelle parole.
«Stai pensando a tuo figlio?»
Aleks non poté mentire a riguardo.
«Non mi hai quasi mai parlato di lui. Qual è il suo nome?»
«Yakov…ma per me e mia moglie è sempre stato il piccolo Yasha. Era soltanto un neonato quando sono stato costretto ad andarmene, è triste pensare che non abbia nemmeno un ricordo di suo padre»
Verner si stupì nel vedere il suo compagno come un genitore amorevole.
«Sono certo che tu abbia fatto il possibile per la tua famiglia»
«Vorrei solo che mio figlio sapesse che non ho avuto intenzione di abbandonarlo, e che in tutto questo tempo non ho mai smesso di pensare a lui»
«Potrai dirglielo di persona, quando scoppierà la rivolta non sarai più un ricercato e potrai tornare a casa come un uomo libero» affermò Verner con estrema convinzione.
Aleks avrebbe davvero voluto credere in quelle parole, ma non era un ingenuo. Aveva piena fiducia nei suoi compagni, i quali erano disposti a tutti per la causa, ma temeva che raggiungere il loro obiettivo non sarebbe stato così semplice.
«Adesso pensa solo a riprenderti, qui puoi stare tranquillo»
Il russo diede prova della propria insofferenza: «non posso continuare a nascondermi. Devo contattare i miei compagni alla ferrovia per avere notizie»
«Sei sicuro di poterti fidare di loro?»
«Non sono stati loro a tradirmi, di questo ne sono certo»
Verner preferì restare diffidente a riguardo.
«Cercherò di farti avere le tue informazioni, ma per il momento è meglio che tu rimanga al sicuro»
Aleks fu costretto ad accettare quelle condizioni.
«E tu cosa hai intenzione di fare?»
Lo sguardo di Verner si incupì: «credo che sia giunto anche per me il momento di agire, sono rimasto fermo a guardare anche per troppo tempo»
«Spero che tu non abbia alcun rimorso»
«Sono convinto di star facendo la cosa giusta. Non ho dubbi a riguardo, sono pronto ad accettare le conseguenze delle mie scelte»
«La strada che abbiamo scelto non è semplice, l’importante è avere sempre chiaro il nostro obiettivo»
«Non condivido i metodi dei ribelli, ma se non c’è altra soluzione sono disposto a fare il mio dovere»
Aleks riconobbe la sua stessa determinazione nel suo sguardo. Quel giovane aveva preso la sua decisione, ormai il suo destino era deciso.
 
***

Quella sera Verner si recò al solito locale per incontrare Jussi. Immediatamente avvertì qualcosa di diverso, l’atmosfera all’interno era carica di tensione.
Il giovane raggiunse il compagno sedendosi al suo tavolo.  
«Ti stavo aspettando» disse l’amico con tono serio.
«È successo qualcosa?» domandò Verner senza perdere tempo.
Jussi annuì: «voglio assegnarti la tua prima missione»
Il ragazzo fu scosso da un brivido misto di ansia ed eccitazione.
«Di che si tratta?» chiese con impazienza.
Il suo compagno si guardò intorno con circospezione, soltanto dopo essersi assicurato che nessuno li stesse ascoltando riprese il discorso.
«Conosci la vicenda di Eugen Schauman?»
Verner annuì: «certo, ogni finlandese conosce la sua storia. Egli fu un rivoluzionario, un indipendentista che nel 1904 uccise il Governatore russo ad Helsinki»
«Schauman è un esempio di coraggio ed eroismo»
«Egli si suicidò subito dopo l’attentato» ricordò freddamente.
«Si è sacrificato per la Patria»
Verner non poté negare la verità. Da come era iniziata quella conversazione intuì facilmente quale fosse il reale messaggio.
«Dunque è di questo che si tratta? Dobbiamo commettere un omicidio?»
Jussi fornì ulteriori spiegazioni: «il nostro obiettivo non è un politico, ma una spia»
«Come possiamo essere certi che egli sia un traditore?»
«Abbiamo le prove. Sappiamo per certo che egli ha partecipato ad incontri segreti con i russi»
Il giovane trasse rapidamente le sue conclusioni.
«È stato lui a denunciare i nostri compagni?»
Jussi rispose senza alcuna esitazione: «non ci sono dubbi a riguardo. È lui il colpevole»
Verner ascoltò con attenzione la descrizione del loro bersaglio.
«Se decidessi di accettare questo incarico diventerei un assassino come mio padre»
«Nessuno ha detto che sarebbe stato semplice. Ci sono dei rischi che dobbiamo correre e delle conseguenze inevitabili. Questa è una guerra e noi dobbiamo essere pronti a combattere come veri soldati. Siamo disposti a uccidere e a morire per la Finlandia»
Verner era consapevole dell’importanza di quell’incarico, lo stavano mettendo alla prova. Da quel momento non avrebbe più potuto tornare indietro.
«Avremo bisogno di un piano ben organizzato»
Jussi rispose con un sorriso complice: «non preoccuparti, non siamo degli sprovveduti. Abbiamo programmato ogni mossa, saremo pronti ad ogni evenienza»
Il giovane guardò il suo compagno dritto negli occhi. 
«Allora posso contare su di te per compiere questa missione?» domandò Jussi.
«Sì, certamente. Non sono né un codardo né un traditore, non ho intenzione di rinunciare»
«Dunque è deciso, questa sarà la tua prima missione»
I due giovani sollevarono i bicchieri, concludendo quell’accordo con un brindisi.
«Per la Finlandia!»

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Capitolo 15
*** L'ultima resistenza ***


 
XV. L’ultima resistenza
 

Yrjö seguì il dottor Lange nel lungo corridoio, il suo corpo fu scosso da un brivido di freddo, poiché il numero di feriti era in costante aumento erano stati costretti ad adibire ad ospedale d’emergenza i sotterranei di una vecchia chiesa. Il medico non aveva avuto un momento di riposo dopo l’ultimo attacco, le maniche del suo camice erano sempre insanguinate.
Il giovane assistente aveva tentato di fare il possibile per rendesi utile, ma anche con il suo aiuto la situazione pareva soltanto peggiorare.
Nelle brande accatastate una vicina all’altra giacevano feriti finlandesi e tedeschi, soldati e ufficiali, uno di fianco all’altro. Tutto ciò che Yrjö vedeva erano divise strappate, ferite aperte e arti in cancrena.
Ormai si era abituato alla vista del sangue, degli organi maciullati e delle ossa sporgenti. Tutto ciò non aveva più il potere di impressionarlo, il corpo umano era una macchina complessa e delicata, ma ogni elemento aveva la sua funzione. Ciò significava che era possibile trovare le cause, ma non sempre si poteva agire. Così se i polmoni collassavano, se troppo sangue era perso nell’emorragia, se i cuori smettevano di battere…era un processo irreversibile, dove era fisicamente impossibile intervenire. Razionalmente la morte era qualcosa di estremamente banale, forse era proprio questo a spaventare così tanto l’essere umano.
Se con la mente Yrjö riusciva a comprendere perfettamente tutto ciò, dentro di sé faticava ad accettarlo. Ogni volta si domandava se davvero fosse troppo tardi, se realmente non avrebbe potuto fare niente per salvare quella vita.
Le grida di dolore e sofferenza, quelle raccapriccianti richieste di aiuto e pietà, gli ricordavano di non poter perdere quella lotta contro il tempo, per quanto fosse ardua e disperata.
Nonostante la sua determinazione c’erano casi in cui non poteva fare altro che arrendersi.
Ogni volta che si mostrava così emotivamente coinvolto il dottor Lange lo rimproverava severamente: «non abbiamo tempo per i cadaveri, dobbiamo occuparci di chi ha ancora una speranza di essere salvato»
 
Quella sera Yrjö si ritrovò a vagare per i corridoi dell’ospedale, aveva terminato il suo turno di lavoro ed era intenzionato a raggiungere il suo alloggio per qualche ora di meritato riposo. Aveva ormai raggiunto le scale quando ad un tratto vide un giovane che barcollando si stava dirigendo nella sua direzione. Aveva una gamba fasciata e si reggeva in piedi con una stampella di legno arrangiata con mezzi di fortuna.
«Lei deve essere l’assistente del dottor Lange» esordì il ferito con insolito entusiasmo.
Il ragazzo annuì.
«Finalmente l’ho trovata! La stavo cercando!»
«Che cosa posso fare per aiutarla?» chiese Yrjö mantenendo la sua professionalità.
Lo sguardo del giovane sconosciuto si illuminò: «oh, lei ha già fatto un miracolo per me!»
Egli non capì, soltanto in quel momento il volto pallido e smunto di quel soldato gli parve familiare.
«Lei ha salvato la vita di mio fratello! Senza il suo intervento sarebbe sicuramente morto in quella fossa»
Yrjö sussultò, nella sua mente ricordò ciò che aveva visto il giorno della battaglia. Per un istante quella macabra visione suscitò in lui terrore e disgusto, ma riuscì a mantenere un degno autocontrollo. Finalmente scoprì l’identità del suo interlocutore, era il fratello del soldato che aveva salvato.
«Mi ricordo bene di lui, come sta?» chiese con sincero interesse.
«È stato portato nelle retrovie, il medico ha detto che con il tempo si riprenderà»
«È una buona notizia»
In quell’istante Yrjö realizzò di non conoscere nemmeno il nome del ragazzo a cui aveva salvato la vita.
«Come si chiama tuo fratello?»
«Matti Virtanen»
«Sono felice che sia vivo, non sarà facile per lui riprendersi, la sua è una grave ferita. Avrà bisogno di tempo, ma potrà tornare a casa»
Il giovane non nascose la commozione: «non potrò mai ringraziarla abbastanza per quello che ha fatto»
Yrjö non riteneva di meritare del tutto quegli elogi, c’erano così tante variabili che avevano portato a quel risultato, era però indubbio che senza il suo intervento non ci sarebbe stata alcuna speranza.
«Auguro ad entrambi buona fortuna» concluse prima di congedarsi.
 
Yrjö si allontanò scomparendo lungo il corridoio. Era stata una giornata difficile, avrebbe dovuto imparare ad accettare i propri limiti. Ma quella volta aveva salvato la vita di Matti Virtanen.
Il giovane medico provò pura gioia a quel pensiero, adesso aveva ben chiaro il motivo per cui si trovava al fronte.
 
***

Le truppe ebbero l’opportunità di riposarsi per qualche giorno nelle retrovie prima di essere richiamate in prima linea. Lauri sentiva ancora l’adrenalina scorrere nelle vene dopo l’ultimo scontro. Non aveva mai provato una sensazione simile prima di allora, era come essersi risvegliato da un lungo sonno. Era appena tornato da un campo di battaglia, aveva assistito ad orrori e atrocità, poteva dire di aver guardato la morte negli occhi, eppure non si era mai sentito così vivo.
Tutto aveva acquisito maggior intensità, dal calore del fuoco al sapore del cibo.
Nella piccola locanda i soldati ordinarono da bere e con ritrovato amore per la vita tornarono a ridere e scherzare tra loro.
Inevitabilmente però la conversazione finì per trattare il tema della guerra. Alcuni preferirono restare in silenzio, altri invece si rivelarono ansiosi di condividere le proprie sensazioni a riguardo di ciò che avevano appena vissuto.
Lauri espresse i suoi pensieri senza alcuna esitazione.
«Ho ucciso il mio primo nemico, poi il secondo e anche il terzo…dovrei provare sensi di colpa o vergogna, ma volete sapere la verità? Io non sento assolutamente nulla! Se non avessi sparato per primo adesso avrei una pallottola nel petto. È così che funziona la guerra»
«Non è così semplice» ribatté un suo compagno.
«Non sono orgoglioso di quello che ho fatto, ma…dannazione, sono stato addestrato per questo!» ribatté Lauri.
«Dunque è questo che siamo? Macchine addestrate per uccidere? Bersagli nel mirino di un fucile?»
«È per questo che siamo qui, per combattere»
«Questa non è una battaglia! È una follia, un inutile massacro!»
«Che cosa ti aspettavi dal fronte?»
Il soldato rimase in silenzio, ma continuò a reggere lo sguardo del suo commilitone. In lui sembrò non riconoscere altro che un’anima perduta, già corrotta dall’insensatezza della guerra.
«Un giorno, se sopravviveremo a questa guerra, ci renderemo conto dei nostri peccati, e allora proveremo soltanto disprezzo per noi stessi. Quel giorno ci vergogneremo di noi stessi e desidereremo soltanto essere morti al posto degli innocenti. Credetemi, voi pensate di combattere per un mondo migliore, ma la verità è che siamo già tutti all’inferno!»
Per un momento all’interno della stanza regnò un lungo silenzio, come se quelle parole così potenti avessero avuto a pieno il loro effetto. Ma fu solo un’illusione.
Ben presto qualcuno poggiò una mano sulla spalla sul soldato premonitore, invitandolo ad andarsene a riposare.
«Non date ascolto al buon Harjula, deve essere già ubriaco!»
Lauri esitò qualche istante, ma poi si unì anche lui alle risate dei suoi compagni. Si sentì uno stupido per essersi lasciato impressionare da quelle parole e continuò la serata ordinando un'altra birra.
Quella notte nessuno voleva ricordare quanto potesse essere miserabile il destino di un soldato.
 
***

Jari attraversò le strade di quel piccolo villaggio sentendosi estraneo e fuori luogo, la pace e la tranquillità della vita civile parvero irreali dopo quel periodo trascorso nelle trincee.
Al contrario dei suoi commilitoni preferì fuggire dalla confusione, si allontanò dalla piazzetta e passeggiò per i vicoli deserti. In lontananza poteva ancora avvertire la musica e le grida dei suoi compagni, così decise di incamminarsi lungo un sentiero di campagna in cerca di silenzio e serenità.
Nella sua mente comparvero i paesaggi invernali della Carelia, cominciava a soffrire sempre di più la mancanza di casa.
Era ancora assorto in quei pensieri quando ad un tratto si accorse di non essere solo. Notò una figura di spalle, qualcuno si era poggiato ad una vecchia staccionata per consumare la sua sigaretta. Una nuvola di fumo si dissolse nell’aria, lo sguardo dell’uomo era rivolto al paesaggio notturno.
Avvicinandosi Jari scorse la divisa da ufficiale, quando egli si voltò riconobbe i lineamenti del tenente Winkler al chiaro di luna.
Bernhard gettò a terra il mozzicone, non parve affatto sorpreso dalla sua presenza.
«Dunque anche tu sei un’anima solitaria» commentò.
Il ragazzo esitò: «stavo solo facendo una passeggiata. Non sapevo che anche tu fossi qui, spero di non disturbarti»
Il tedesco scosse il capo: «la compagnia di un buon amico è sempre ben gradita»  
Jari si rassicurò dopo aver udito quelle parole, anche lui fu lieto per quell’incontro. Inconsciamente il suo istinto l’aveva guidato dal suo comandante.
Il tenente rivolse lo sguardo al sentiero.
«Come è la situazione al villaggio?»
«I ragazzi sembrano aver voglia di divertirsi, ma in realtà credo che siano tutti ansiosi per la prossima battaglia»
«Capisco, almeno sono consapevoli di quel che li attende»
«È per questo che siamo qui, per combattere e svolgere il nostro dovere»
«Purtroppo questa non sarà un’impresa semplice»
«Siamo comunque disposti ad accettare il nostro destino»
L’ufficiale riconobbe la sua sincerità, ma non parve pienamente soddisfatto da quella risposta.
«E tu Jari, che cosa provi in questo momento?»
Il ragazzo ebbe un lieve sussulto, ancora una volta la vicinanza del suo superiore riuscì a metterlo in soggezione.
«Io…non lo so. A dire il vero preferisco non pensare al domani»
«Tutti sono spaventati, è giusto così. A volte la paura è utile, l’importante è saperla gestire»
Jari rifletté su quelle parole.
«Qualunque cosa accada, voglio che tu sappia che sono orgoglioso di averti come comandante»
Winkler provò sincera soddisfazione, ciò dimostrava che era riuscito a conquistare la sua fiducia. Dentro di sé però quella rivelazione acquistò anche un più intimo significato.
I due si guardarono negli occhi, per un lungo momento restarono così, fermi l’uno di fronte all’altro.
Bernhard sfiorò il suo volto con una leggera carezza, egli non si ritrasse, trovando conforto in quel contatto umano.
In quel momento i rispettivi ruoli e gradi militari non avevano più importanza, per quella notte erano soltanto due giovani che non volevano restare soli ad affrontare dubbi e incertezze.
«C’è una cosa che sento di doverti dire…» azzardò Winkler.
Il ragazzo rimase in ascolto, allo stesso tempo ansioso e speranzoso.
«Non voglio avere alcun rimpianto»
Dopo aver pronunciato quelle parole il tenente attirò Jari a sé e lo baciò. Aveva atteso anche troppo a lungo, l’attrazione tra loro era innegabile, era ormai certo che il suo compagno provasse quel desiderio con la medesima intensità. Ne ebbe la prova quando sentì il suo corpo reagire e fremere a quel contatto.
Jari si abbandonò a quelle sensazioni, lentamente dischiuse le labbra, approfondendo sempre di più quel bacio.
Si distaccarono solo per riprendere fiato, rimanendo stretti in quell’abbraccio. Restarono immobili, avvertendo il battito accelerato dei loro cuori e il ritmo irregolare dei loro respiri. Jari poggiò la testa sulla spalla del suo superiore, nonostante tutto in quel momento si sentì al sicuro.
Poco dopo Bernhard si avventò nuovamente su di lui, baciandolo con ancor più impeto e passione.
 
Jari ebbe bisogno di qualche istante per realizzare quel che era appena accaduto. Quando finalmente tornò in sé fu colto dal panico.
Winkler notò la sua agitazione, tentò di calmarlo prendendo la sua mano, ma Jari si ritrasse immediatamente.
«Non avremmo dovuto, mi dispiace…» farfugliò con voce tremante.
«Non preoccuparti. Nessuno saprà mai niente, rimarrà il nostro segreto»
Il giovane finlandese non riuscì a liberarsi così facilmente dai sensi di colpa.
«È solo successo l’inevitabile. Era quello che tutti e due desideravamo, non è così?»
Jari non poté mentire, quella era la verità.
Bernhard si inumidì le labbra e aggiunse con tono lascivo: «ad essere sincero non mi sembra affatto che questo ti sia dispiaciuto»
Il ragazzo non poté ribattere.
«Non pretendo nulla da te, spero solo che tu possa capire»
Jari prese un profondo respiro, poteva comprendere perfettamente le ragioni per cui avevano trovato conforto in quel legame. Avrebbe voluto trovare le parole giuste per esprimere quel che provava, ma non fu necessario. Non c’era altro da aggiungere, quel bacio aveva già espresso ogni cosa.
Winkler si allontanò in silenzio, incamminandosi lungo il sentiero. Jari scelse di non seguirlo, preferì restare ancora solo per qualche istante.
Avrebbe potuto giustificare a sé stesso quel che era accaduto ricorrendo alle estreme circostanze della guerra, ma non era stata solo la disperazione a spingerlo tra le braccia del suo superiore.
Jari sospirò, forse Bernhard aveva ragione, non c’era tempo per i rimorsi.
In ogni caso il giorno seguente tutto sarebbe stato diverso. Doveva riuscire a separare i sentimenti dal proprio dovere sul campo di battaglia.
 
***

Il ritorno in prima linea riportò Jari e i suoi compagni nel mezzo del conflitto, ad affrontare la dura realtà della guerra. Le truppe finlandesi avevano raggiunto la loro postazione dopo lunghi giorni di marcia, da un po’ di tempo i soldati erano bloccati in quell’avamposto, in attesa del grande attacco.
L’atmosfera era carica di ansia e tensione, i volontari restavano in trincea, muti e silenziosi. Nonostante la stanchezza nessuno pensava a riposare, i tormenti che li affliggevano da svegli si trasformavano in incubi durante il sonno. Le illusioni erano ormai svanite, i giovani erano consapevoli di non potersi permettere speranze per il futuro, ma tentavano in ogni modo di non pensare al peggio.
Jari voltò lo sguardo al tramonto, come i suoi compagni fu invaso da una profonda malinconia. Era trascorso ormai più di un anno da quando aveva abbandonato la sua Patria e la sua famiglia.
Era sempre più difficile sopportare quella lontananza, eppure continuava a ritenere di star combattendo per la giusta causa, non rimpiangeva in alcun caso le sue scelte.
Jari rientrò nel rifugio per rannicchiarsi accanto ai suoi commilitoni. Erano tutti distesi a terra, avvolti nelle pesanti coperte, stretti l’uno all’altro. Cercavano di farsi forza a vicenda, lasciandosi confortare dalla semplice presenza dei connazionali.
Jari osservò le gavette vuote avvertendo i crampi allo stomaco. Aveva fame, tutti avevano fame, ma laggiù i rifornimenti faticavano ad arrivare. Bisognava accontentarsi, in quelle condizioni potevano considerarsi fortunati ad avere qualcosa da mettere sotto ai denti, seppur poco era sufficiente a sopravvivere.
Il giovane si rannicchiò nel suo giaciglio, rimase a lungo ad ascoltare i rumori che giungevano dalla superficie. In lontananza poteva avvertire l’eco delle esplosioni. La battaglia ormai era sempre più vicina. Nonostante i mille pensieri e le costanti preoccupazioni alla fine anch’egli fu costretto a cedere alla stanchezza, addormentandosi a fianco dei suoi compagni.
 
Jari si risvegliò avvertendo il forte botto di un’esplosione. La luce tremolante di una candela illuminava il rifugio. Davanti a lui riconobbe le ombre dei suoi commilitoni. Uno di loro tentò di rassicurarlo.
«Questa non era per noi, è meglio tornare a dormire, domani sarà sicuramente una giornata impegnativa»
Il giovane non diede troppa importanza a quelle parole, si riaddormentò sognando i laghi ghiacciati e colline innevate della Finlandia.  
Si risvegliò nuovamente nel mezzo della notte, tutto appariva tranquillo. Tutto sembrava ricordare la quiete prima della tempesta.
Nel buio Jari avvertì una strana sensazione, ormai aveva la certezza che l’attacco avrebbe avuto inizio all’alba.
 
***
 
La situazione al sorgere del sole si era rivelata ben più preoccupante del previsto per i finlandesi. Durante la notte i razzi avevano continuato ad illuminare la terra di nessuno, per tutto il tempo gli spari avevano echeggiato nella vallata.
«Dov’è il nemico?» si chiedevano i soldati scambiandosi sguardi attoniti.
Nessuno poteva saperlo con certezza. L’ultimo messaggio riferiva che i russi avevano conquistato terreno avanzando rapidamente. Poi la postazione d’osservazione era stata distrutta e da allora non era più giunta nessuna notizia.
Avevano notato del movimento oltre ai reticolati, ciò significava che la battaglia era iniziata.
Jari e i suoi compagni però non avevano ricevuto alcun ordine, se non quello di difendere la loro posizione.
Dopo aver atteso a lungo nell’incertezza il giovane si decise a uscire dal suo rifugio per controllare di persona la situazione. In trincea ognuno era impegnato a compiere al meglio il proprio dovere. Le sentinelle erano sveglie e in allerta mentre gli artiglieri erano pronti ai nidi delle mitragliatrici.
Nonostante ciò Jari poté avvertire un insolito nervosismo.
«Che succede?» domandò notando le espressioni preoccupate dei suoi commilitoni.
«La squadra del tenente Winkler non è rientrata. Abbiamo perso ogni contatto con gli esploratori»
Jari avvertì un nodo stringersi in gola, fu sopraffatto dall’angoscia e non riuscì a trattenere la sua reazione più istintiva. 
«Non possiamo abbandonare i nostri compagni, dobbiamo organizzare una missione di soccorso!»
Il sottotenente Rosberg scosse la testa: «il fuoco è troppo intenso. Presto sarà nostro dovere respingere l’attacco, avremo bisogno del sostegno di ogni singolo uomo. Nessuno abbandonerà la postazione sotto il mio comando!»
Jari non poté far altro che obbedire agli ordini del suo superiore. Seppur con rammarico si riunì ai suoi commilitoni e prese posizione accanto alla mitragliatrice.
Il suolo continuava a tremare, le esplosioni erano sempre più intense e ravvicinate. Il nemico aveva intenzione di sfondare per riconquistare il terreno precedentemente perduto.
Jari osservò la terra di nessuno avvolta dal fumo e dalla polvere, sperava ancora di scorgere le sagome di Winkler e i suoi compagni, ma nessun essere umano riemerse dalla nebbia.
 
Erano trascorse ore interminabili, la situazione restava drammatica, peggiorando sempre di più. Il nemico avanzava, il fuoco aumentava, ma non si sapeva nulla più di questo. I soldati erano in attesa di nuovi ordini, ma a causa dell’incessante bombardamento nessuna staffetta avrebbe potuto raggiungere quell’avamposto. Un proiettile aveva colpito i cavi del telefono, dunque erano isolati dal resto della compagnia. Non avevano modo di mettersi in contatto con il centro di comando, non avevano idea di come stesse progredendo la battaglia e di come si fossero organizzate le forze alleate. Dove era la postazione d’artiglieria più vicina? Forse dovevano avanzare nella terra di nessuno per riunirsi ai loro compagni, oppure avrebbero dovuto ritirarsi per rafforzare le difese nella grande trincea?
Per il momento non avevano alcuna risposta alle loro domande.
Il sottotenente Rosberg impugnava saldamente il suo fucile e a denti stretti ripeteva costantemente le stesse parole, probabilmente più per convincere sé stesso che i suoi sottoposti.
«Coraggio, dobbiamo resistere!»
Jari riconobbe il medesimo sconforto nello sguardo spento dei suoi compagni. Erano consapevoli che i rinforzi non sarebbero arrivati, ma allo stesso tempo sapevano di dover portare a termine il loro dovere.
Il bagliore accecante di un’esplosione squarciò il cielo, il giovane restò incantato da quella visione tanto terrificante quanto affascinante. Era pronto ad affrontare il suo destino.
 
Il soldato Halme rientrò nella buca dopo aver completato il suo giro di perlustrazione. Il giovane aveva il volto pallido e si reggeva a stento sulle gambe traballanti. Riferì il suo resoconto con voce tremante.
«Signor sottotenente, l’intera zona è deserta. Ci sono solo cadaveri…»
Rosberg deglutì a vuoto, nonostante cercasse di mantenere un dignitoso autocontrollo dal suo sguardo trapelò puro terrore.
Jari si occupò del soldato Halme offrendogli un sorso d’acqua dalla sua borraccia.
«È stato tremendo, erano tutti morti…quei corpi dilaniati dalle esplosioni erano irriconoscibili. Spero almeno che i sopravvissuti siano riusciti a mettersi in salvo»
«Sono certo che sia così» disse il giovane per rassicurarlo.
«Se non ci decideremo a fare qualcosa anche noi saremo destinati a condividere il loro stesso destino!» replicò il compagno ormai in preda al panico.
«Il sottotenente Rosberg sta rispettando gli ordini, dobbiamo mantenere e difendere la postazione, anche se la nostra resta l’ultima resistenza»
Halme sembrò comprendere la situazione, lentamente tornò in sé. L’agitazione e il nervosismo però restarono evidenti.
«Credi che il tenente Winkler e i suoi uomini siano ancora vivi?» domandò Jari con apprensione.
Il suo compagno mantenne lo sguardo fisso a terra: «purtroppo temo che non abbiano molte speranze»
Jari avvertì una profonda sensazione di ansia e preoccupazione, ma non poteva permettere a questioni personali di distrarlo dal proprio compito.
 
Le prime raffiche si abbatterono sulla loro postazione. I proiettili volarono sopra alle teste dei finlandesi sfiorando gli elmetti.
Jari strinse il fucile, poco dopo i suoi compagni azionarono la mitragliatrice per rispondere al fuoco. Il sottotenente Rosberg era determinato a difendere quel pezzo di terra ad ogni costo.
Jari seguì l’esempio dei suoi commilitoni, si appostò sul bordo della trincea, puntò il fucile e premette il grilletto. Oltre al reticolato poteva scorgere le divise russe. Il giovane riprese a sparare un colpo dopo l’altro.
I finlandesi continuarono a difendere la postazione con tutte le loro forze finché all’improvviso una bomba non colpì in pieno la trincea. Anche i soldati che non furono coinvolti direttamente nell’esplosione furono raggiunti da una pioggia di terra e schegge metalliche. Jari fu scaraventato contro la parete, riprese conoscenza ritrovandosi disteso al suolo. Aveva la vista annebbiata, la testa pulsava dal dolore. Tentò di muoversi, soltanto in quel momento si accorse del sangue che stava fuoriuscendo dal fianco sinistro. Il liquido vermiglio aveva impregnato la divisa squarciata.
Intorno a lui riconobbe i corpi inermi dei suoi compagni rimaste vittime della detonazione. Il giovane provò l’istinto di gridare, ma dalla sua gola uscì soltanto un lamento strozzato.
Fortunatamente un suo commilitone sull’orlo del cratere si accorse che egli era ancora vivo e rapidamente si preoccupò di soccorrerlo. Il soldato fasciò la ferita con una medicazione piuttosto rudimentale, in quelle condizioni non poté fare altro.
In quella drammatica situazione il clamore della battaglia proseguiva inesorabilmente.
I russi attaccarono nuovamente, altri proiettili esplosero nella terra di nessuno.
Il sottotenente Rosberg incitò i suoi sottoposti, provando orgoglio e commozione nel costatare che essi non si erano perso d’animo.  L’ennesimo proiettile scoppiò nelle vicinanze sollevando un’intensa nube di fumo e polvere.
Jari era ormai privo di forze, il sangue riprese a scorrere copiosamente dalla ferita aperta.
Il ragazzo si accasciò al suolo, prima di perdere i sensi i suoi ultimi pensieri furono rivolti ai suoi compagni d’armi dispersi in quella battaglia. La consapevolezza di aver compiuto il suo dovere fu il suo unico conforto. In lontananza poté avvertire ancora le grida dei suoi commilitoni, poi tutto fu avvolto dall’oscurità.
 
***

Yrjö aveva appena terminato di assistere il dottor Lange in una lunga e delicata operazione, era stanco e affaticato, avrebbe soltanto desiderato sdraiarsi sulla sua branda e riposare almeno per il tempo necessario a recuperare le energie. Purtroppo le notizie dal fronte non erano affatto rassicuranti, la battaglia proseguiva ininterrottamente da quella mattina. L’eco delle esplosioni giungeva fino alla parte opposta della vallata, di certo non avrebbe avuto occasione di chiudere gli occhi ancora per molto tempo.
Yrjö prese un profondo respiro, in ogni caso non avrebbe potuto dormire in una situazione del genere, era pronto a tornare al lavoro. Quando vide Hermann entrare nella stanza con un’espressione preoccupata intuì che fosse accaduto qualcosa di grave.
Il tedesco parve esitare davanti al suo collega.
«Coraggio, dimmi…che cosa è successo?» lo incitò il giovane.
«È appena arrivata un’altra ambulanza dalla prima linea, tra i feriti ho riconosciuto uno dei tuoi compagni…immagino che tu voglia vederlo»
Yrjö non esitò nemmeno per un istante, immediatamente chiese all’infermiere di accompagnarlo da lui. Purtroppo Hermann non era riuscito a fornirgli molte informazioni, tutto ciò che sapeva era che il giovane si trovava in gravi condizioni.
Yrjö percorse quel breve tragitto quasi di corsa, il cuore iniziò a battere all’impazzata nel suo petto, ancora non voleva credere che quell’incubo fosse realtà.   
Hermann gli indicò una branda in fondo al corridoio, per rispetto decise di rimanere in disparte. Il giovane assistente si precipitò al capezzale del suo compagno, immediatamente riconobbe Jari disteso tra le coperte insanguinate. Tentò di fare del suo meglio per svolgere il suo compito senza lasciarsi sopraffare dalla più umana preoccupazione, ma non poté evitare di farsi coinvolgere emotivamente.
Yrjö controllò i parametri vitali e sistemò la fasciatura all’addome, il medico che aveva estratto la scheggia all’ospedale da campo aveva sicuramente tentato di fare del suo meglio con quel che aveva a disposizione.
Il giovane si rassegnò, non c’era altro che potesse fare. Jari giaceva inerme nel suo giaciglio, il suo volto era pallido e respirava a fatica. Era incosciente, il suo corpo era scosso da intensi brividi a causa della febbre alta. Doveva aver perso molto sangue, di certo il proiettile doveva aver causato delle lesioni, ma la ferita non si era infettata. Restava ancora qualche speranza.
Yrjö avvertì gli occhi umidi, con grande sforzo riuscì a mantenere abbastanza autocontrollo per non scoppiare in lacrime accanto all’amico ferito. Era talmente sconvolto da non essersi accorto di un’altra presenza alle sue spalle. Ad un tratto uno sconosciuto si avvicinò a lui, doveva trattarsi di uno dei barellieri che si era occupato di trasportare il ferito nelle retrovie.
«Il soldato Koskinen è un suo amico?» domandò notando la sua apprensione.
Yrjö annuì.
«Allora consegno a lei questa busta, era nel taschino della sua giubba»
Dopo avergli affidato la lettera il soccorritore si allontanò per tornare al suo lavoro.  
Yrjö esitò qualche istante, per l’agitazione la missiva scivolò dalle sue mani tremanti. Poiché la busta era aperta il contenuto cadde per terra. Il giovane si affrettò a raccogliere quei fogli di carta, con sua sorpresa trovò anche una fotografia. Incuriosito si soffermò su quell’immagine. Lo scatto ritraeva una ragazza dai lineamenti delicati e i lunghi capelli castani. Sul retro erano scritte poche righe.
 
Al mio amato fratello.
Torna presto a casa, io e papà sentiamo la tua mancanza.
Con affetto,
la tua sorellina Kaija.

 
Yrjö osservò con attenzione il ritratto, ammirando quel viso così dolce e innocente. Pensò che quella ragazza fosse davvero bellissima. Per la prima volta da quando si era ritrovato in quell’inferno provò qualcosa di diverso dall’angoscia e dalla paura.
Avrebbe dovuto provvedere il prima possibile a scrivere alla famiglia di Jari per informare i suoi cari sulle sue condizioni, sentiva che questa fosse una sua responsabilità in quanto amico e commilitone.
Non ebbe tempo di pensare ad altro, dal fondo del corridoio sentì qualcuno invocare il suo aiuto. Rapidamente il giovane infilò le carte e la fotografia nel taschino della giacca e senza più esitare corse a svolgere il suo dovere.

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Capitolo 16
*** Silenzio ***


 
XVI. Silenzio
 

La neve cadeva lentamente, volteggiando al vento per poi poggiarsi sul suolo ghiacciato. Il cimitero era avvolto dal freddo e dal silenzio.
Hjalmar si strinse nel cappotto per ripararsi dal gelo, un brivido scosse il suo corpo.
Il ragazzino sollevò timidamente lo sguardo per osservare gli altri presenti. Tutti avevano un’espressione triste e affranta sul volto, sembravano davvero sconvolti e addolorati per quella perdita.
Il giovane apprezzò la vicinanza dei suoi compaesani in quel momento così difficile per la sua famiglia. Egli era certo di non poter essere di supporto per i suoi cari, davanti a quel lutto preferiva restare in disparte. La morte di suo zio non era stato un evento inaspettato, si sentiva in colpa ad ammetterlo, ma in un certo senso aveva provato addirittura sollievo. Per mesi aveva assistito all’agonia di Elmer, il quale non aveva potuto nulla contro la malattia che giorno dopo giorno l’aveva consumato nell’animo e nel corpo. Almeno ora avrebbe potuto riposare in pace senza più soffrire.
Hjalmar avvertì la mano di sua madre stringere la sua in cerca di conforto. In quel momento incrociò il suo sguardo, notando gli occhi lucidi di lacrime. Quella scena lo riportò indietro nel tempo, esattamente a dieci anni prima. Ebbe la sensazione di rivivere la sepoltura di suo padre, ricordava che anche allora sua madre l’aveva stretto a sé, soffocando i suoi singhiozzi in quell’abbraccio.
Lui invece non aveva pianto nemmeno in quell’occasione, nonostante la tenera età, aveva sempre sopportato il dolore in silenzio.
Al termine della funzione pian piano la folla che si era radunata nel cimitero iniziò a diradarsi. Hjalmar rimase immobile anche quando sua madre si allontanò per unirsi agli altri parenti.
Il ragazzo osservò le due lapidi avvertendo una strana inquietudine. Le tombe dei fratelli giacevano ora una accanto all’altra, i due erano uniti dopo la morte, seppur in vita non avessero mai avuto un buon rapporto. Hjalmar non sapeva molto a riguardo, ma era convinto che fossero state le ideologie politiche ad allontanarli. In ogni caso dopo la morte del fratello minore Elmer non aveva esitato a prendersi cura della cognata e dei nipoti.
Il ragazzo stava pensando a questo quando avvertì il rumore di alcuni passi, non ebbe bisogno di voltarsi per riconoscere la presenza di Verner.
Il fratello maggiore si affiancò a lui.
«Mi dispiace» disse con sincero rammarico.
Hjalmar non capì: «per che cosa?»
Egli prese un profondo respiro.
«Per non essere stato presente per te e la mamma in questi ultimi mesi. Non deve essere stato semplice affrontare tutto questo»
Il più giovane scosse il capo: «non preoccuparti. So che avevi le tue ragioni per essere lontano da casa»
Verner si guardò intorno per accertarsi che fossero realmente rimasti soli.
«Avevi ragione a riguardo di nostro padre»
Hjalmar sollevò il capo esprimendo stupore e curiosità per quell’affermazione.
«Che cosa intendi?»
«Ho voluto scoprire qualcosa di più su di lui e sulla sua condanna. Egli era un uomo onesto, non tollerava le ingiustizie. È morto lottando per ciò in cui credeva»
Il giovane si impensierì.
«Non capisco…per quale motivo tutti lo hanno sempre considerato come un criminale?»
Verner non esitò a dire la sua opinione.
«Credo che la nostra famiglia abbia sempre considerato la sua condanna come una vergogna»
«Tutto questo non ha senso! Se nostro padre era davvero una brava persona perché dovremmo infangare la sua memoria in questo modo?»
«Non è così semplice. Egli è stato giustiziato per omicidio, non importa del motivo per cui ha ucciso quel soldato, per i russi è soltanto un assassino. Immagino che nostra madre e lo zio Elmer abbiano tentato di fare il possibile per proteggere la nostra famiglia»
Hjalmar faticò a credere che quella fosse la verità.
«Tutto ciò è assurdo! Nostro padre merita di essere ricordato come un eroe e non come un criminale!»
Verner rimase colpito, provò commozione davanti alla reazione del fratello, invidiò la sua ingenua convinzione.
«Quando questa terra sarà libera anche la memoria di nostro padre potrà riavere la giustizia che merita»
Il giovane comprese il significato di quelle parole, era consapevole che la sua famiglia non era l’unica ad aver subito ingiustizie e ad aver sofferto a causa dell’egemonia russa.
Hjalmar osservò la tomba del padre, si rattristò nel pensare che per lui egli restava poco più di una figura sfocata nelle sue memorie. Era ancora un bambino quando era rimasto orfano di padre, non aveva molti ricordi del genitore, egli non tornava spesso a casa. Sapeva che lavorava molto per provvedere alla sua famiglia, ma nonostante tutto aveva sempre trovato il modo di poter trascorrere del tempo con i suoi figli. Ricordava le gite nei boschi durante le quali il padre aveva avuto occasione di tramandare i suoi consigli. Era stato lui a insegnare a Verner a cacciare e pescare, gli aveva anche trasmesso la sua passione per la scultura del legno.
Doveva ammettere che il fratello maggiore assomigliasse molto al padre, sia fisicamente che caratterialmente. Aveva ereditato i suoi stessi occhi di ghiaccio.
Hjalmar era certo che Verner avesse deciso di unirsi ai ribelli anche per sentirsi più vicino al genitore, compiendo scelte che egli avrebbe potuto comprendere e approvare.
Per lui invece la situazione era diversa, l’impossibilità di agire l’obbligava ad attendere nell’incertezza.
Il ragazzo iniziava a provare sempre più frustrazione per la sua situazione.  
«Ad essere sincero sono stanco di tutto questo, vorrei poter fare qualcosa di più» rivelò.
Verner sussultò, non avrebbe mai permesso a suo fratello di mettersi in pericolo. Aveva sempre ritenuto che fosse suo dovere proteggerlo, ancor più dopo la prematura scomparsa del genitore.
Il giovane si rivolse al fratello con tono serio e severo.
«Devi promettermi che resterai vicino alla mamma, in questo momento lei ha bisogno di qualcuno al suo fianco»
Hjalmar annuì, il suo sguardo però lasciò trasparire la sua preoccupazione.
«E tu cosa farai?» domandò con apprensione.
Verner decise di essere sincero nei suoi confronti.
«Devo andarmene dal villaggio, ho una missione da portare a termine»
Dal tono della sua voce Hjalmar intuì che dovesse trattarsi di qualcosa di importante e probabilmente pericoloso. Non osò fare domande, in fondo sapeva che non avrebbe ricevuto le risposte che avrebbe voluto.
«Cerca di stare attento…»
Verner tentò di rassicurarlo mostrando un mezzo sorriso.
«Tornerò presto, te lo prometto»
Hjalmar scelse di credere in quelle parole.
 
Verner si allontanò dalle lapidi, ritornando sui suoi passi vide la figura di Karl davanti al pesante cancello di ferro battuto.
L’amico di famiglia si levò il cappello e porse educatamente le sue condoglianze.
Verner poté ben comprendere il profondo dolore che stava provando quell’uomo, il quale aveva appena perso il suo migliore amico.  
Karl accompagnò il ragazzo lungo la strada, per un po’ i due camminarono uno di fianco all’altro senza dire una parola.
«Dunque hai preso la tua decisione?» domandò Karl all’improvviso.
Verner si limitò ad annuire.
«Spero che tu sia davvero convinto di quel che stai per fare»
«Non potrei agire diversamente, so di aver fatto la scelta giusta»
Karl non si stupì, ormai aveva imparato a conoscere la determinazione e l’ostinazione di quel giovane.
«Elmer aveva ragione, tu sei testardo e incauto come tuo padre»
«È questo che mio zio diceva di me?»
Karl esitò.
«Lui temeva per la tua incolumità. Conosceva bene Aaro, suppongo che avesse riconosciuto in te questo aspetto del suo carattere»
«Preferisco essere considerato un incosciente piuttosto che vivere come un codardo»
«Elmer non era un codardo»
«Non è quel che ho detto. Posso comprendere le motivazioni di mio zio, ma io non sono come lui»
Karl non si rassegnò: «dovresti fermarti prima che sia troppo tardi»
«Questa faccenda non ti riguarda»
«Ho promesso a Elmer che avrei fatto il possibile per aiutarti»
«Mio zio non avrebbe mai potuto comprendere le mie decisioni, esattamente come non ha mai accettato le scelte di mio padre»
Karl non poté ribattere, in fondo sapeva che quella era la verità.
 
Verner montò in sella, strinse le redini e spronò il suo Suokki al galoppo. Avrebbe dovuto affrettarsi per raggiungere la sua meta prima del tramonto. Jussi era stato chiaro a riguardo del loro appuntamento, tutto era stato pianificato per il buon esito della missione.
Nonostante la convinzione di aver preso la giusta decisione Verner provò sensazioni contrastanti. Pensò ad Aleks e alle sue scelte, egli non aveva esitato a porre i suoi ideali al di sopra della sua stessa famiglia. Non sapeva se un giorno sarebbe stato disposto a un così grande sacrificio, ma aveva giurato a sé stesso che avrebbe fatto tutto il possibile per il bene dei suoi cari. E se per combattere quella battaglia avrebbe dovuto rinunciare al loro affetto, allora avrebbe accettato il prezzo da pagare in cambio della libertà del suo popolo.
Prima di abbandonare il villaggio rivolse lo sguardo verso il sentiero che conduceva al rifugio nella foresta. Si domandò che cosa avrebbe pensato Jari di lui in quel momento. Avrebbe dovuto comprendere le sue ragioni, come lui aveva deciso di agire e lottare per ciò che riteneva giusto. Nonostante ciò era convinto che l’amico non avrebbe mai approvato le sue scelte. Aveva deciso di unirsi a un gruppo di ribelli clandestini ed ora stava per diventare un assassino. Questo era ciò che avrebbe considerato dal suo punto di vista.
Verner non aveva più alcun dubbio, eppure il giudizio di Jari continuava ad avere peso sulla sua coscienza. Una parte di sé continuava a sentire la sua mancanza.
Il giovane tentò di non dare troppa importanza a quelle sensazioni, ormai ciò che rimaneva del loro rapporto erano soltanto ricordi. Le loro strade si erano divise la notte in cui Jari aveva deciso di andarsene. Non era ancora pronto ad accettarlo, ma era consapevole che nulla sarebbe più stato come prima.
Verner aumentò la velocità, nella quiete della foresta poté avvertire solo il rumore degli zoccoli che battevano sulla neve fresca.
 
***

Il tenente Smirnov osservò i suoi uomini che con aria stanca e annoiata consumavano la loro cena. Da quando si erano insediati in quel villaggio avevano dovuto adattarsi, le truppe erano state sistemate in un vecchio fienile, un posto del tutto freddo e inospitale, così come l’ambiente circostante.
Il tenente aveva cercato di valutare la situazione dagli ordini del suo comandante. L’arrivo di nuovi rinforzi in quella particolare area della Carelia poteva significare solo una cosa, ovvero che l’esercito aveva interesse a riarmare il confine. I suoi sospetti si erano rivelati esatti, stava accadendo qualcosa in Finlandia, qualcosa di imprevedibile e pericoloso. In quanto ufficiale dell’Esercito Imperiale Smirnov era consapevole che il suo dovere fosse proteggere e difendere i territori dello zar. La sua famiglia aveva servito nell’Esercito per generazioni, alcuni suoi antenati erano anche riusciti a distinguersi per le loro doti militari, ottenendo promozioni e onorificenze. Suo fratello aveva perso la vita con onore sul campo di battaglia durante la guerra in Manciuria. Egli aveva intenzione di dimostrarsi all’altezza dei suoi predecessori e consanguinei, credeva nei valori con cui era cresciuto. Quello era sicuramente un momento difficile per la sua patria, devastata dalla guerra, dalle insurrezioni e dai disordini interni. Smirnov non poteva sapere che cosa sarebbe accaduto, ma riteneva che il suo unico obiettivo fosse restare ligio al suo dovere.
Stava pensando a questo quando ad un tratto una conversazione tra alcuni soldati attirò la sua attenzione.
«È assurdo, al fronte si sta combattendo una vera guerra, mentre noi siamo qui sperduti nel mezzo del nulla!»
«Preferiresti sparare ai tedeschi?»
«Sempre meglio che marciare per giorni nella neve senza mai arrivare da nessuna parte!»
L’ufficiale si fermò vicino al tavolo, proprio di fronte al soldato che aveva esposto quelle frasi irriverenti. Il ragazzo impallidì, immediatamente si raddrizzò sulla sedia.
Smirnov guardò le reclute in viso, riconoscendo i loro tratti ancora ingenui.
«Forse per voi essere spediti ai confini dell’Impero, in queste lande desolate, lontano dal fronte di guerra, può sembrare quasi un’umiliazione. Ma posso assicurarvi che qui la situazione non è tranquilla come sembra»
Nessuno osò dire nulla.
«Dobbiamo restare in allerta, la scintilla potrebbe scoppiare da un momento all’altro»
Le reclute risposero all’unisono: «sì signore»
Il tenente fu certo quei giovani avessero recepito il messaggio, non intendeva spaventare i suoi sottoposti, ma doveva ricordare loro quale fosse il ruolo di un soldato, indipendentemente dalle circostanze.
Dopo quegli avvertimenti Smirnov uscì dal capanno per raggiungere le sentinelle. Lungo il sentiero incontrò alcuni finlandesi, i quali stavano tornando alle loro case dopo la giornata di lavoro. Alla vista dell’ufficiale gli uomini parvero irrigidirsi, si ammutolirono e passarono al suo fianco rivolgendogli sguardi freddi e diffidenti.
Smirnov proseguì con indifferenza, ormai era abituato ad essere giudicato e disprezzato dagli abitanti del luogo a causa della sua divisa. Non era la prima volta che si trovava in una situazione simile.
Il tenente era molto severo per quel che riguardava la disciplina dei suoi soldati, sotto il suo comando non era mai avvenuto nulla di increscioso. Eppure molti finlandesi consideravano come invasori tutti i militari, a prescindere dal loro atteggiamento.
Fortunatamente non tutti tendevano a comportamenti così ostili. Aveva incontrato finlandesi disposti a collaborare, e doveva anche ammettere che in determinate situazioni la sua uniforme da ufficiale riusciva ad attirare piacevoli attenzioni femminili. Smirnov dovette ammettere che in quella notte non avrebbe disprezzato una più calda compagnia.
Tralasciando quei pensieri il tenente raggiunse il posto di guardia e interrogò le sentinelle. I suoi sottoposti non riferirono nulla di insolito. L’ufficiale restò ad ammirare il panorama notturno. Rivolse lo sguardo verso il profilo scuro delle colline, in quel momento, mentre tutto era avvolto dal silenzio, provò una piacevole sensazione di pace.
 
***

Kaija attraversò lentamente la stanza, si soffermò davanti al pianoforte ed osservò lo strumento con aria malinconica. Fin da piccola era abituata ad ascoltare le melodie suonate prima da sua madre e poi da suo fratello.
La ragazza sospirò, il silenzio in quella casa era diventato sempre più opprimente.
Kaija strinse il foglio che teneva tra le mani tremanti, rilesse ancora quelle parole con il cuore colmo di ansia e preoccupazione. In tutto quel tempo era stata in apprensione per la sorte del fratello, ogni giorno diventava sempre più difficile sopportare la sua assenza. Poteva solo immaginare ciò che egli aveva dovuto affrontare al fronte. Ricevere la notizia del suo ferimento sul campo di battaglia e sulle sue precarie condizioni fisiche aveva aggravato ulteriormente la situazione.
Forse Kris aveva ragione, non avrebbe dovuto affrontare tutto ciò da sola. Condividere il suo dolore con qualcuno che avrebbe potuto comprendere avrebbe potuto essere di sostegno. Aveva però ritenuto che non fosse il momento adatto per rivelare a Verner una simile notizia, non se l’era sentita di arrecargli altri tormenti dopo il recente lutto. Si sarebbe comunque premurata di informarlo a riguardo delle condizioni di Jari al più presto.
Suo padre aveva tentato di fare del suo meglio per rassicurarla, ma anch’egli era rimasto profondamente turbato da quella lettera. Pur senza scomporsi aveva lasciato trasparire la preoccupazione per il figlio.
Quando Jari le aveva rivelato le sue intenzioni Kaija aveva intuito che egli non avrebbe esitato a dimostrare il proprio valore, non era codardo, su questo non aveva alcun dubbio. Era stata la sua ostinata determinazione a condurlo in prima linea. Per quanto avesse desiderato dissuaderlo aveva sempre saputo di non poter impedire al fratello di fare ciò che riteneva giusto.
Kaija tentò di non abbandonarsi allo sconforto, cercò di allontanare i pensieri negativi e far forza su ciò che sapeva per certo. Jari era vivo, questo era l’importante.
Nonostante tutto la ragazza non volle abbandonare la speranza, quella lettera era la prova che Jari non fosse solo, qualcuno si stava prendendo cura di lui. Colui che l’aveva scritta si era definito un suo caro amico, oltre che un fidato commilitone. Qualcosa in quelle parole le donò la forza di credere che suo fratello fosse in buone mani.
 
Il dottor Koskinen usciva raramente dal suo studio, dopo aver appreso le notizie riguardanti le gravi condizioni del figlio aveva trovato rifugio tra quelle mura, dove poteva rimanere solo con i propri tormenti.
Egli osservò la fotografia dell’amata moglie riposta sul tavolo. Nello scatto Helena mostrava il suo timido sorriso, era bellissima, lo sarebbe stata per sempre.
Il medico si lasciò trasportare dai ricordi, commuovendosi nel rivivere quei momenti.
«Mi dispiace» sussurrò tristemente, sfiorando la fotografia con la punta delle dita.
L’uomo provò profonda amarezza nel realizzare di aver fallito nel compito più importante della sua vita. Aveva promesso alla moglie che avrebbe sempre pensato al bene dei loro figli, che avrebbe fatto il possibile per proteggerli. Aveva davvero tentato di fare del suo meglio, ma era costretto ad ammettere di aver commesso degli errori. Nonostante le sue buone intenzioni non era riuscito a mantener fede alla sua promessa.
In quanto padre si sentiva responsabile, non poteva reprimere in alcun modo i sensi di colpa, ma in fondo dentro di sé sapeva che non avrebbe potuto impedire in alcun modo al figlio di partire per quella guerra. Il giovane aveva scelto di agire e combattere per quel che riteneva giusto.
Fredrik dovette riconoscere che il figlio aveva dimostrato determinazione e coraggio nella sua decisione. Era stato forse sprovveduto nel sottovalutare il pericolo, come qualsiasi giovane idealista e impulsivo. Jari aveva scelto di porre la sua vita al servizio della Patria, in nome dei suoi ideali e della libertà. Per questo non poteva che provare rispetto e ammirazione. Comunque sarebbero andate le cose, egli sarebbe stato orgoglioso di lui.
Aveva un unico rimpianto, ovvero il fatto di non aver mai avuto occasione di essere sincero nei suoi confronti. Aveva preferito mascherare i suoi sentimenti dietro alla sua autorità, senza mai mostrare al figlio il suo lato più umano e comprensivo. Il loro rapporto non era mai stato semplice, Jari era un ragazzo timido e introverso, con il quale faticava ad entrare in sintonia. Avrebbe dovuto essere più paziente e tollerante nei suoi confronti, soltanto ora riconosceva i suoi errori, ma era troppo tardi.
Aveva creduto di agire per il suo bene, ma le sue premure erano finite per diventare opprimenti per un giovane in cerca della sua strada. Era stato questo ad allontanarlo, aveva riposto in lui troppe aspettative, caricando sulle sue spalle il peso di responsabilità che egli non era pronto ad affrontare. Aveva del tutto ignorato i suoi sentimenti e la sua volontà quando gli aveva imposto di proseguire gli studi ad Helsinki. Per questo Jari era giunto a detestarlo a tal punto da non avergli concesso nemmeno un ultimo saluto.
Il dottor Koskinen chinò il capo riconoscendo i propri sbagli, avrebbe riposto piena fiducia nel figlio, se solo avesse avuto un’altra possibilità.
 
***

Come previsto Verner incontrò Jussi nel luogo prestabilito, una vecchia locanda di pescatori vicino al lago. Affittarono una stanza fingendo di essere forestieri giunti in quella zona della Carelia in cerca di lavoro. Non ebbero bisogno di portare avanti a lungo la loro copertura, nessuno parve insospettito dalla loro presenza.
Soltanto dopo essersi rifugiati nella loro stanza ebbero modo di discutere i dettagli del piano.
Verner caricò la pistola, la maneggiò con cura facendola scivolare tra le dita, poi la poggiò sul comodino e si avvicinò alla finestra. La luce argentea della luna era riflessa dalla superficie del lago, all’orizzonte si intravedevano le sagome delle imbarcazioni.
Jussi notò la sua preoccupazione: «qualcosa non va?»
Egli scosse la testa: «no, sono pronto a fare il mio dovere»
L’altro gli rivolse uno sguardo severo: «sei sicuro di voler andare fino in fondo a questa faccenda?»
Il giovane annuì.
Il compagno rispose con un sorriso soddisfatto: «d’accordo. Ricordati, dovremo stare attenti ed essere pronti ad ogni evenienza»
Verner nascose l’arma all’interno della giacca: «non preoccuparti, tutto andrà secondo i piani»
Jussi non dubitò delle sue parole: «mi fido di te»
 
Più tardi i due si presentarono nel salone della locanda, dove trovarono una folla di marinai già mezzi ubriachi.
«Sei sicuro che è qui che troveremo la persona che stiamo cercando?» sussurrò Verner con aria perplessa.
L’amico confermò indicando con lo sguardo il fondo del locale.
«Laggiù, è lui il nostro obiettivo»
Verner osservò l’uomo seduto a pochi tavoli di distanza, egli non sembrava affatto diverso dagli altri avventori. Appariva un semplice finlandese, faticava a credere che in realtà fosse una spia nemica.  
«Per quale motivo un nostro connazionale dovrebbe vendere informazioni ai russi?»
Jussi scosse le spalle: «per denaro si fanno cose impensabili»
Verner replicò fermamente: «io non potrei mai farmi corrompere in questo modo»
L’altro sorrise: «certo, perché tu sei un uomo onesto e leale. Purtroppo non tutti i finlandesi hanno a cuore il destino della loro nazione più del guadagno nelle loro tasche»
Il giovane rispose con una smorfia di disprezzo.
Jussi ordinò un paio di birre, nessuno dei due era intenzionato a bere, ma per controllare la situazione dovevano evitare di dare nell’occhio.
 
Durante quell’attesa Verner iniziò a riflettere su ciò che sarebbe potuto accadere. Uccidere un informatore avrebbe avuto le sue conseguenze. Questo sarebbe potuto divenire un messaggio di avvertimento per tutti gli altri finlandesi corrotti, i quali ci avrebbero pensato due volte prima di parlare. Ma i russi come avrebbero reagito? Probabilmente avrebbero capito subito che i ribelli avevano identificato e giustiziato il traditore. Sicuramente non avrebbero lasciato correre un simile affronto. In ogni caso non sarebbe stata la paura a impedirgli di portare a termine il suo dovere.
Verner pensò alla sua famiglia, a tutto ciò che aveva dovuto sopportare per colpa dell’egemonia russa. Era pronto a compiere quel passo, ormai non aveva più nulla da perdere.
 
Quando il locale si fu svuotato Jussi diede il segnale, i due si rialzarono dal tavolo per avvicinarsi al loro obiettivo. Si affiancarono a lui, Verner lo bloccò puntandogli l’arma alla schiena, il compagno invece si posizionò davanti alla porta per impedirgli la fuga.
L’uomo fu colto di sorpresa, inizialmente non sembrò comprendere la situazione. I ribelli lo intimarono a restare in silenzio e lo trascinarono fuori dall’edificio.
Verner continuò a mantenere la pistola puntata, conducendo il suo ostaggio lungo un breve tratto del sentiero. Si fermarono in un piccolo spiazzo nella radura. Jussi spinse il prigioniero a terra, obbligandolo a inginocchiarsi nella neve.
«Chi siete? Cosa volete da me?» domandò l’uomo con voce tremante.
Jussi rispose con sincerità, quando nominò i compagni condannati notò un lampo di terrore nel suo sguardo, era chiaro che avesse capito ciò che sarebbe successo. Continuò a interrogarlo anche se ormai non aveva più dubbi sulla sua identità. Insistette finché le sue risposte non risultarono soddisfacenti.
Dopo la sua confessione i due non indugiarono oltre, avevano già perso troppo tempo con quel traditore.
Verner non si lasciò sopraffare dalla compassione, non provava alcuna pietà per un essere così spregevole.
Un solo sparo echeggiò nella notte, poco dopo si udì il tonfo sordo del corpo che ricadde sul suolo ghiacciato. La neve si macchiò di sangue.
Verner rimase qualche istante immobile accanto al cadavere, aveva appena commesso il suo primo omicidio, eppure non provava alcun rimorso. Aveva ucciso in nome della causa, giustiziare il responsabile per la morte dei suoi compagni era stato un atto di giustizia.
«Ha avuto quel che meritava» commentò Jussi con freddezza.
«Almeno d’ora in poi resterà in silenzio»

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Capitolo 17
*** Tregua ***


Carissimi^^
Chiedo scusa per la lunga assenza, finalmente sono riuscita a trovare il tempo da dedicare al racconto. Spero di non farvi attendere troppo per i prossimi aggiornamenti.  
Grazie di cuore per la costanza e la pazienza, vi lascio alla lettura del capitolo.



 
XVII. Tregua  
 

Jari era solo all’interno del rifugio, attendeva con ansia il ritorno del suo compagno.
Il ragazzo provò emozioni contrastanti nel ritrovarsi in quel luogo, i ricordi di quel che era accaduto solo pochi giorni prima erano ancora vividi nella sua mente. Si trovava proprio in quel punto, in piedi davanti al camino, quando Verner gli aveva rivelato ciò che provava realmente nei suoi confronti.
Jari avvertì il cuore sobbalzare nel petto, il suo corpo fremeva ancora nel rivivere quelle sensazioni.
In fondo aveva sempre ritenuto speciale il loro rapporto, era consapevole che quel legame fosse molto di più di una semplice amicizia. Eppure fino a quel primo bacio non aveva mai compreso la vera natura di quei sentimenti. Tutto aveva acquisito un senso dal momento in cui quell’attrazione si era concretizzata in un gesto d’amore. Non era più né confuso né spaventato dalle sue stesse emozioni, ora poteva essere certo di quel che provava.
Jari era ancora perso nelle sue riflessioni quando finalmente il portone di legno si spalancò e Verner entrò nella stanza. Egli si soffermò sulla soglia per un breve istante, ma quando Jari gli corse incontro gettandogli le braccia al collo non ebbe più alcuna esitazione. Ricambiò quell’abbraccio con altrettanto ardore, e senza più indugiare lo baciò con passione.
Doveva ancora abituarsi all’idea di non dover più nascondere nulla al compagno, da quando Jari aveva dimostrato di ricambiare i suoi stessi sentimenti tra loro non c’erano più segreti. Almeno quando erano soli, poteva cedere agli istinti che per tanto tempo era stato costretto a reprimere.
Ben presto i due giovani si ritrovarono distesi nel piccolo giaciglio, l’uno nelle braccia dell’altro.
Jari si rannicchiò contro il petto dell’amato, sollevò lo sguardo incrociando le sue iridi cristalline. Con un tenero gesto scostò una ciocca bionda dal suo viso, accarezzandolo dolcemente.
Verner l’attirò e sé unendo le loro labbra in un tenero bacio.
«Quando hai capito che noi due avremmo potuto essere innamorati?» domandò Jari.
Verner rispose onestamente: «forse una parte di me l’ha sempre saputo, di certo è da tanto che cercavo il momento giusto per confessarti il mio amore»
«Per quale motivo hai atteso così a lungo prima di dirmi la verità?»
Egli l’avvicinò a sé, stringendolo ancor più in quell’abbraccio.
«Avevo paura che se ti avessi rivelato i miei veri sentimenti le cose tra noi non sarebbero più state le stesse. Temevo di rovinare il nostro rapporto di amicizia, non volevo perderti»
«Sai che questo non potrebbe mai accadere»
«Come puoi esserne certo?»
«È la nostra promessa, qualunque cosa accada, noi saremo sempre uniti»
Verner assunse un’espressione pensierosa: «certe situazioni sono complicate»
Jari guardò il suo compagno negli occhi: «sono certo che insieme potremo superare ogni difficoltà, è quel che abbiamo sempre fatto. Ascoltami, tu non mi perderai mai»
Verner si commosse nel sentire quelle parole, tanto ingenue quanto sincere. In quel momento volle credere davvero che nulla avrebbe potuto distruggere un rapporto così profondo e sincero. Conosceva Jari meglio di chiunque altro, non aveva ragioni per dubitare di lui. Sapeva che non sarebbe stato semplice, ma era disposto a rischiare e a lottare per quella relazione. Jari era la persona più importante della sua vita, avrebbe fatto di tutto per preservare quel rapporto unico e prezioso. Era però consapevole di non poter pretendere più di quel poco che gli era concesso, il loro amore aveva dei limiti. C’erano dei compromessi che entrambi avrebbero dovuto accettare, ma nessun ostacolo appariva insormontabile per un cuore innamorato.
«Nemmeno tu dovrai mai dubitare di me, io sarò sempre al tuo fianco» disse Verner al termine delle sue riflessioni.
L’altro sorrise: «lo so»
Egli continuò con tono serio: «promettimi che ti ricorderai sempre di questo»
Jari non comprese a pieno l’importanza di ciò, si limitò ad annuire, con il solo intento di rassicurare il suo amato.
Verner non insistette ulteriormente, mettendo fine a quella conversazione con un intenso bacio. In fondo non c’era nulla di male nell’illudersi di poter essere felici, erano soltanto due giovani alla scoperta del primo amore, il futuro per loro era ancora lontano.
 
***

Jari si risvegliò con un sussulto, faticava a respirare, gli mancava l’aria come se fosse appena riemerso da una lunga apnea. Spalancò le palpebre ritrovandosi confuso e disorientato, senza poter riconoscere nulla di quel che lo circondava. La testa pulsava dal dolore, percepiva ogni parte del suo corpo trafitta da decine di lame invisibili. Ogni minimo movimento era un’atroce sofferenza. Aveva ancora la vista offuscata, in quelle condizioni riuscì a distinguere soltanto la sagoma di un giovane dalla chioma bionda.
La sua mente lo riportò ad un unico ricordo.
«Verner...» biascicò con un sussurro.
La figura si avvicinò, soltanto quando fu abbastanza vicina poté distinguere nitidamente i lineamenti di quel volto. Poco dopo avvertì una voce familiare.  
«Jari, sono io, Yrjö. Non mi riconosci?»
Il ragazzo tornò alla realtà realizzando di ritrovarsi tra le lenzuola di un letto d’ospedale. D’istinto tentò di rialzarsi, ma il dolore gli impedì di muoversi liberamente.
L’amico l’afferrò saldamente, evitandogli una rovinosa caduta.
«Che cosa è successo? Perché sono qui?» domandò l’infermo con voce tremante.
«Non agitarti. Devi stare tranquillo, va tutto bene» lo rassicurò Yrjö.
Jari non si oppose quando il medico l’aiutò a ridistendersi tra le coperte.
«Davvero non sai cosa è successo?» domandò Yrjö con apprensione.
«Io…ricordo la battaglia e l’eco di un’esplosione, qualcosa deve avermi colpito a un fianco, ho urlato per il dolore e ho visto il sangue…poi devo aver perso i sensi. Non rammento più nulla da quel momento»
«Sei stato portato al sicuro dai nostri compagni. Le tue condizioni erano piuttosto gravi, sei rimasto incosciente per giorni. Ho davvero temuto che fosse troppo tardi e che non ti saresti più svegliato»
Jari stentò a credere a quel che era successo, si ritenne fortunato per essere sopravvissuto, ma doveva il merito di ciò ai suoi fidati commilitoni per averlo soccorso.
«Mi hai salvato la vita» disse tentando di esprimere la propria gratitudine.
«Ho solo svolto il mio dovere. Sono felice che tu ti sia ripreso»
Pian piano Jari riacquisì piena coscienza degli avvenimenti che avevano preceduto il suo ferimento.
«Che ne è stato del tenente Winkler?»
Yrjö non si stupì per quella domanda, sapeva che l’amico aveva stretto un forte legame con il suo superiore, per il quale provava sicuramente stima e ammirazione. Pensò che per lui fosse normale provare apprensione per la sorte del suo comandante.
«Anch’egli è rimasto ferito durante l’ultima battaglia, da poco è stato trasferito in un ospedale tedesco insieme ad altri ufficiali»
Jari avvertì gli occhi umidi per la commozione: «dunque è ancora vivo!»
Il medico annuì.
«Il comandante si è preoccupato molto per te, mentre era qui ha chiesto spesso tue notizie»
Il giovane si sentì in colpa per aver causato tanto tormento al suo superiore.
Immediatamente si rivolse al compagno: «credi di poter informare il tenente sulle mie condizioni?»
«Vedrò cosa posso fare a riguardo. Adesso però non pensare a questo, devi riposare»
Jari non poté contraddire le sue parole, era ancora scosso per l’accaduto, inoltre la stanchezza rendeva sempre più difficile sopportare il dolore.
«Cerca di recuperare le energie e di rimetterti in forze. Vedrai che presto ti sentirai meglio» disse Yrjö con tono rassicurante.
Jari avrebbe voluto continuare quella conversazione, aveva altre domande a cui desiderava avere risposta. Non sapeva quale fosse stato l’esito della battaglia, non aveva idea di come stesse progredendo l’avanzata tedesca. Voleva conoscere di più sulla sorte di Winkler e dei suoi compagni. Non aveva nemmeno più avuto notizie di Lauri, anche lui doveva esser stato coinvolto negli ultimi scontri.
E poi c’era la sua famiglia, avrebbe dovuto scrivere a casa al più presto. Suo padre e sua sorella potevano aver pensato al peggio non ricevendo più sue lettere dal fronte.
Jari fu tormentato da questi pensieri finché il suo corpo, aiutato dall’effetto della morfina, non cedette alla stanchezza. Ormai sfinito richiuse gli occhi, abbandonandosi a un sonno profondo.
 
***

Il dottor Lange era un signore tranquillo e pacato, al di fuori del contesto bellico avrebbe potuto essere un rinomato professore oppure uno stimato intellettuale. Non aveva affatto l’aspetto di un uomo d’azione, eppure in guerra aveva dato prova di saper gestire anche le situazioni più drammatiche.
Yrjö era rimasto particolarmente colpito dalla sua freddezza, in certe circostanze gli era parso addirittura insensibile. Il giovane assistente si domandava spesso se la guerra avrebbe potuto cambiare anche lui in quel modo. Non voleva perdere del tutto la sua umanità, nemmeno se questo avrebbe potuto migliorare le sue prestazioni come chirurgo. Era convinto che fossero anche i suoi sentimenti ad aiutarlo nei momenti di difficoltà. Infatti era certo che il suo coinvolgimento emotivo gli avesse donato la forza di non arrendersi e di continuare a lottare per salvare la vita di Jari. 
Era impegnato in queste considerazioni quando ad un tratto si sentì chiamare dal suo superiore.
«Per oggi hai lavorato anche troppo, pure tu hai bisogno di riposare»
«I pazienti potrebbero ancora avere bisogno del mio aiuto» si giustificò.
«Ogni medico crede di dover fare di più. Dobbiamo arrenderci al fatto che non sia sempre così, a volte non possiamo fare nulla. Coraggio, esci da questa stanza e cerca di dormire almeno per qualche ora»
Il giovane si rassegnò: «probabilmente lei ha ragione, sarò più utile a tutti domani mattina»
L’uomo mostrò un benevolo sorriso, ma poco dopo il suo volto si incupì: «a volte mi chiedo come tu possa trovare la forza per essere ancora qui»
Yrjö non capì: «di che sta parlando?»
«È vero, un medico deve imparare ad abituarsi ad ogni genere di orrore, ma nessuno dovrebbe assistere a tutto questo. Guardati, hai solo vent’anni e già hai visto l’inferno con i tuoi occhi»
«Sono qui per fare il mio dovere come tutti»
«Certamente, non ho nulla da dire a riguardo. Ma…anche il più dedito studente di medicina si ritroverebbe demoralizzato e sconfortato in una simile situazione. Tu invece hai sempre dimostrato di avere i nervi saldi e il sangue freddo, non ti sei mai arreso, anche quando tutto sembrava perduto. Non hai mai rinunciato alla speranza»
«Desidero solo salvare i miei compagni» fu la sincera risposta.
«Hai preso molto seriamente la tua missione»
Il giovane annuì senza esitazione.
«Mi dispiace che tu debba sopportare tutto questo» ammise il dottore con sincero rammarico.
«Non deve preoccuparsi per me. Mi sono arruolato come volontario, è stata una mia scelta e non ho alcun rimpianto. So di trovarmi dove dovrei essere, avere cura dei feriti è il mio ruolo in questa guerra»
Il dottor Lange si mostrò colpito da quelle parole.
«Sono certo che un giorno diventerai un buon medico, e spero che tu possa trovare la pace insieme ai tuoi connazionali»
Yrjö restò fedele ai propri ideali: «la Finlandia troverà la pace soltanto quando potrà essere libera»
Il medico riconobbe in quel ragazzo la stessa enfasi con cui le giovani reclute esaltavano il nazionalismo tedesco.
«Sul campo di battaglia ogni vita è ugualmente preziosa» ricordò.
«Ne sono consapevole»
Era la verità, Yrjö non aveva mai anteposto i propri ideali al suo dovere. Diverse volte si era occupato dei prigionieri russi senza dimostrare alcun rancore.
Il dottor Lange non aveva alcun dubbio a riguardo, ma aveva preferito essere chiaro con il suo aiutante.
«Non voglio essere troppo severo nei tuoi confronti, il mio unico intento è quello di aiutarti» sottolineò.
Yrjö rispose con gratitudine: «le sono davvero grato per tutto quello che sta facendo per me»
Il medico lo congedò con un ultimo saluto, quel breve dialogo era stato sufficiente per conoscere più a fondo il suo giovane collega. Il dottor Lange poteva essere certo di avere un valido assistente.
 
***

Era ormai notte fonda quando Jari si destò nell’oscurità della sua stanza. Era ancora debole e febbricitante, l’effetto della morfina doveva essere svanito.
Il giovane tentò di riaddormentarsi, ma senza riuscirci. Inevitabilmente dubbi e incertezze tornarono a tormentarlo.
Era probabile che al suo risveglio la sua prima reazione fosse stata semplicemente ignorata da Yrjö, ma lui era ben consapevole del motivo per cui aveva pronunciato quel nome. In quelle condizioni, malato e sofferente, la prima persona che avrebbe voluto al suo fianco era Verner.
Avrebbe potuto giustificare quella reazione istintiva con una banale scusa, in un momento di debolezza era tornato a manifestare l’attaccamento al suo amico di infanzia. In fondo egli era colui con cui aveva condiviso gioie e dolori per tutta la vita.
Dentro di sé però Jari sapeva di non aver cercato conforto in Verner soltanto in nome della loro amicizia. Ricordava bene la loro promessa, era a questo che aveva pensato, era stato quel ricordo a donargli la forza di resistere per tutto quel tempo. Nonostante tutto, qualcosa del loro rapporto continuava a sopravvivere.
Non poteva dimenticare quel che Verner gli aveva rivelato al momento della loro separazione.
Non sarò disposto a perdonarti, ma non potrò mai smettere di amarti.
Quelle parole, per quanto dolorose, riuscivano a donargli speranza.
Jari scosse il capo, forse stava ancora vaneggiando a causa della febbre alta.
Aveva detto addio a Verner quando aveva scelto di arruolarsi, questa era la triste verità.
E poi c’era Winkler, per il quale provava interesse e attrazione. Il tedesco aveva dimostrato di comprendere e supportare le sue ragioni, oltre a ricambiare i suoi sentimenti. In lui aveva trovato il conforto e l’approvazione che non era riuscito ad ottenere da Verner.
Allora perché non aveva sperato di rivedere lui al suo risveglio?
Jari non poté trovare una risposta razionale, probabilmente non avrebbe dovuto dare troppa importanza a tutto ciò. In fondo si trattava solo di un’allucinazione febbrile. Eppure ogni pensiero tornava sempre a Verner, questo non poteva negarlo, in un modo o nell’altro avvertiva la sua mancanza, e nessuno avrebbe mai potuto colmare il vuoto che egli aveva lasciato nel suo cuore.
 
***

Al termine di quella lunga giornata Yrjö si ritirò nella sua stanza. Si sedette davanti al piccolo scrittoio e dal primo cassetto estrasse alcune lettere. Tra quei fogli, riposto con cura, c’era il ritratto di Kaija.
Yrjö sapeva che presto avrebbe dovuto riconsegnare la fotografia a Jari, per qualche ragione però era restio nel separarsene. Il pensiero che ci fosse qualcos’altro al di fuori di quella guerra gli donava conforto.
Quella ragazza aveva acquisito sempre più importanza per lui, soprattutto da quando aveva avuto modo di interagire con la sua persona. Le aveva scritto una lettera per informarla sulle condizioni di Jari, lei gli aveva prontamente risposto. Dalle sue parole aveva avuto modo di scoprire che ella non era soltanto una bella ragazza. Aveva mostrato un animo dolce e sensibile, dando anche prova di essere una giovane sveglia e intelligente. Yrjö era rimasto piacevolmente sorpreso dalla sua lettera.
Il giovane esitò qualche istante, domandandosi se la guarigione di Jari avrebbe determinato la fine di quel breve rapporto. In fondo non aveva più alcun motivo per portare avanti quella corrispondenza, se non per interesse personale.
Yrjö osservò ancora una volta la fotografia, contemplandola con aria sognante.
Tornò bruscamente alla realtà quando qualcuno aprì all’improvviso la porta alle sue spalle. Il ragazzo sobbalzò sulla sedia, voltandosi di scatto verso l’ospite inatteso.
«Lauri! Non sapevo che anche la tua unità fosse tornata al villaggio»
L’amico sbuffò esternando la propria disapprovazione: «dopo l’ultima battaglia siamo stati inviati tutti nelle retrovie. Adesso è il turno dei tedeschi di occupare la prima linea»
Yrjö riconobbe l’assurdità di quella situazione. Qualunque soldato sarebbe stato felice di restare a riposo per un paio di settimane, il suo compagno invece sembrava soffrire per la lontananza dal fronte. Addirittura provava invidia per chi avrebbe preso il suo posto.
Lauri era sempre stato attratto dal rischio e dal pericolo, la guerra era diventata la sua principale fonte di eccitazione.
Probabilmente questo faceva di lui un buon soldato, ma Yrjö temeva che quella assuefazione alla violenza avrebbe potuto diventare sempre più pericolosa.
«Sono certo che un po’ di riposo lontano dalla prima linea ti farà bene»
«Non mi sono arruolato per questo» protestò.
«Potresti fare buon uso del tempo che ti è stato concesso»
Lauri parve perplesso: «in che modo?»
«Potresti scrivere ai tuoi genitori» gli suggerì.
Egli negò manifestando il proprio dissenso.
«Sono convinto che alla mia famiglia non importi nemmeno che sia ancora vivo»
Yrjö si stupì: «per quale motivo pensi questo?»
L’amico sospirò: «ho abbandonato l’università per unirmi a un esercito clandestino e mi sono sposato contro la loro volontà»
«Davvero i tuoi genitori non hanno approvato il tuo matrimonio con Marja?»
«Ritengono disdicevole che un loro figlio non abbia sposato una donna ricca e di buona famiglia»
Il medico scosse il capo: «è assurdo. Marja è una donna stupenda e stare con lei ti ha solo fatto del bene. Voi due vi amate, questo è l’importante. La tua famiglia dovrebbe essere felice per te»
«Apprezzo il tuo sostegno, ma devi capire che certa gente è diversa, in determinati ambienti importano solo le apparenze»
«Mi dispiace» fu tutto ciò che riuscì a dire.
«Non preoccuparti, in fondo è meglio così. Quando questa guerra sarà finita potrò ricominciare una nuova vita con mia moglie, e tutto questo non avrà più importanza»
Yrjö si rasserenò al quel pensiero: «dunque hai già dei piani per il futuro»
Egli annuì: «io e Marja vogliamo avere dei bambini»
«Non avrei mai pensato di vederti come un padre di famiglia»
«Già…nemmeno io l’avrei immaginato, ma adesso so che è quel che voglio davvero. È anche per questo che sto combattendo questa guerra. Desidero che i miei figli possano crescere in una Finlandia libera e indipendente»
Yrjö si domandò se in tempo di pace il suo amico sarebbe davvero stato in grado di abbandonare per sempre quella parte di sé che viveva di azione e adrenalina.
Ad un tratto Lauri si avvicinò al tavolo notando la fotografia di Kaija.
«A quanto pare hai trovato altri interessi oltre alla medicina» commentò con tono allusivo.  
«Non è come pensi…»
«Davvero? Allora perché tieni il ritratto di una bella ragazza sulla scrivania?»
Il medico preferì non trattare l’argomento, Lauri non era la persona adatta a cui rivelare certe confidenze. Era consapevole che egli non sarebbe stato d’aiuto in quella situazione. Non poteva confessargli di essersi innamorato di una ragazza che non aveva mai visto, soprattutto se la giovane in questione era anche la sorella di un caro amico.
«D’accordo. Non ho intenzione di intromettermi nella tua vita privata, ma in quanto tuo amico voglio darti un consiglio. Entrambi sappiamo che qui non abbiamo alcuna certezza, dunque è bene non avere alcun rimpianto»
Dopo aver detto ciò Lauri terminò la sua visita con un ultimo saluto.
Rimasto solo Yrjö tentò di distrarsi con altri pensieri, eppure quelle ultime parole continuarono a vagare nella sua mente.
 
***

Bernhard sistemò la fasciatura al braccio, fortunatamente si trattava di una ferita superficiale, presto sarebbe rimasta soltanto una cicatrice come ricordo di quella terribile esperienza.
Aveva trascorso lunghe notti insonni ripensando all’accaduto, in preda agli incubi e ai rimorsi.
Era consapevole che la sua squadra avrebbe dovuto affrontare una missione pericolosa, nonostante ciò non aveva esitato ad eseguire gli ordini. Era suo dovere pensare al bene dei suoi uomini, anche se questo avrebbe significato mettere a rischio la propria vita.
Così era partito senza alcun indugio, abbandonando le trincee per esporsi al fuoco nemico. Aveva guidato i suoi sottoposti attraverso la terra di nessuno, in cerca di un passaggio sicuro per ricongiungersi al resto della compagnia. Aveva ricevuto il compito di individuare un percorso agibile per permettere ai suoi commilitoni di mettersi in salvo prima di rimanere isolati ad affrontare il nemico in uno scontro che non avrebbe lasciato alcuna speranza.
Ovviamente il suo principale obiettivo era portare a termine la missione, ma per tutto il tempo non era riuscito a smettere di pensare alla sorte di Jari. In quanto ufficiale era consapevole di non poter considerare quel giovane diversamente da qualsiasi altro soldato, eppure qualcosa gli impediva di essere del tutto imparziale nei suoi confronti.
Aveva trovato una motivazione in più per non arrendersi, la vita di quel giovane era nelle sue mani.
Quando aveva appreso che Jari era stato ferito aveva percepito di aver in parte fallito. Non era riuscito a proteggerlo come promesso.
Fin da subito si era preoccupato di informarsi sulle sue condizioni, che purtroppo apparivano sempre più gravi.
Durante la sua convalescenza il tenente aveva avuto il tempo di riflettere su diverse questioni, tra cui anche il suo rapporto con Jari. Era consapevole di aver commesso un errore nel dichiararsi a un suo sottoposto, per quanto fosse certo che egli ricambiasse i suoi sentimenti.
Ma per lui Jari non era soltanto un soldato, si erano conosciuti lontano dai campi di battaglia, quando tra loro non esistevano né gradi né gerarchie. Fin dal primo momento quel giovane aveva suscitato il suo interesse. Erano stati il suo entusiasmo e la sua devozione alla causa a fargli capire che in lui brillava una luce differente. Jari rappresentava l’ideale del giovane rivoluzionario che aveva sempre ammirato, forse era proprio per questo che aveva iniziato a provare qualcosa di più nei suoi confronti. Più volte aveva avuto prova che anche il giovane non fosse rimasto indifferente al suo carisma, ma non aveva mai avuto intenzione di approfittarne. Desiderava aiutare Jari a diventare un buon militante, indipendentemente da tutto il resto. In un certo senso si sentiva responsabile nei suoi confronti.
Inoltre Jari era stato l’unico a credere in lui e a fidarsi senza mai dubitare della sua lealtà.  
In prima linea il loro rapporto si era consolidato ulteriormente, davanti ai pericoli e all’incertezza della guerra avevano trovato supporto l’uno nell’altro. Riteneva che quel bacio fosse inevitabile, era solo una questione di tempo prima che il loro sodalizio si affermasse anche sul piano fisico.
Bernhard scosse il capo, non era mai stato un uomo sentimentale, il suo cuore ardeva soltanto per i propri ideali di giustizia e libertà. Jari rappresentava un’eccezione alla quale non avrebbe potuto rinunciare.
Per il momento poteva solo sperare per il meglio, in caso contrario non avrebbe mai potuto perdonarsi.
Winkler non ebbe il tempo di lasciarsi opprimere da più cupi pensieri. All’improvviso una staffetta batté con impazienza alla sua porta.
«Signor tenente, un messaggio urgente da parte del maggiore Bayer»
Bernhard si stupì, non attendeva alcuna comunicazione dal centro di comando.
Nel leggere il contenuto del telegramma il tedesco ebbe un lieve sussulto, doveva esserci una valida ragione dietro ad una seconda convocazione a Berlino.

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Capitolo 18
*** Lo spettro della Rivolta ***


 
XVIII. Lo spettro della Rivolta  
 


La foresta di betulle e conifere era coperta da uno spesso manto di neve fresca. I riflessi argentei brillavano con i raggi dorati, creando magici giochi di luce. L’unico rumore proveniva dagli zoccoli dei cavalli che battevano sul suolo ghiacciato.
Verner strinse le redini, anche sotto ai guanti le mani erano intorpidite dal gelo.
«Ormai manca poco al villaggio» disse Jussi, anch’egli stanco e affamato dopo il lungo viaggio.
Il compagno assunse un’espressione preoccupata: «dobbiamo arrivare prima che faccia buio»
Jussi osservò il sole che stava tramontando dietro alle colline, tra gli scheletri degli alberi spogli intravide le sfumature rosso fuoco del cielo.
«Non preoccuparti, conosco una scorciatoia, seguimi!»
Verner sospirò, pur fidandosi ciecamente dell’amico non poteva avere la certezza di trovarsi al sicuro. Quelle foreste erano pattugliate dai russi, dunque era necessario restare sempre in guardia.
Cautamente Verner si inoltrò nella boscaglia, seguendo il compagno lungo un sentiero invisibile.
 
Giunsero ai confini del villaggio con l’apparizione delle prime stelle e l’arrivo delle tenebre. Legarono i cavalli fuori dalla locanda, il solo pensiero di un pasto caldo fu una lieta consolazione.
Ancor prima di entrare furono fermati da un gruppo di uomini arcigni e sospettosi.
«Chi siete? Da dove venite?»
Jussi rispose con la sua solita menzogna: «siamo cacciatori di renne, abbiamo avuto una giornata sfortunata e cerchiamo solo un posto dove trascorrere la notte»
Verner dovette ammettere che quella era la storia migliore da raccontare per poter continuare a girare armati senza destare sospetti.
Gli uomini sembrarono credere a quella storia, ma restarono diffidenti nei loro confronti.
Verner non poté incolpare gli abitanti del villaggio per quella fredda accoglienza, sapeva che i rossi non erano i benvenuti. I ribelli avevano causato disordini in tutta la Finlandia, spesso ricorrendo a metodi violenti. Pur non giustificando certe azioni, il giovane poteva comprendere che la ragione dietro a tutto ciò fosse la disperazione, nonché il desiderio di rivalsa.
«Ormai siamo considerati come criminali» commentò tristemente.
«Presto si renderanno conto che non siamo noi il nemico»
«Credi che la rivolta scoppierà presto?»
Jussi annuì: «certo. Con quello che sta accadendo in Russia le cose cambieranno presto anche qui»
Verner pensò ad Aleks, anch’egli era convinto di ciò, non aveva motivo di dubitare delle parole dei suoi compagni.
 
Il salone era illuminato dalla fioca luce delle candele, la stanza era avvolta dal fumo di sigaretta. Gli operai parlavano ad alta voce, discutendo animatamente tra un boccone e l’altro. Bicchieri e boccali si svuotavano rapidamente. 
Verner consumò la sua cena in silenzio, osservando con discrezione gli altri avventori, restando vigile e attento.
Jussi notò il suo nervosismo.
«Qualcosa non va?»
Il suo compagno scosse il capo: «no, ma è meglio non abbassare la guardia»
«Qui siamo al sicuro» replicò Jussi.
«Non puoi esserne certo»
Jussi scosse le spalle: «presto saranno tutti abbastanza ubriachi da non accorgersi nemmeno della nostra presenza»
Verner non era ugualmente convinto, in ogni situazione lui era sempre il più previdente.  
«Come puoi essere così tranquillo?» domandò notando la calma del suo compagno.
«Abbiamo portato a termine la nostra missione con successo, tutto sta procedendo secondo i piani. Sei tu a preoccuparti troppo!» lo accusò.
«Dannazione, almeno ti rendi conto di quello che abbiamo fatto?»
«Certamente. E non ho alcun rimpianto. Non avevamo scelta, abbiamo fatto il nostro dovere»
Verner buttò giù un lungo sorso di birra. Non aveva mai avuto dubbi a riguardo, ma allo stesso tempo sapeva di non poter sfuggire alle conseguenze delle sue azioni. Non poteva dimenticare il fatto di avere le mani sporche di sangue.
In quel momento alcuni giovani si avvicinarono al loro tavolo. Inizialmente i due restarono diffidenti, ma ben presto la tensione svanì. I ragazzi erano solo curiosi interessati alla caccia delle renne.
L’esperienza di Verner e la fantasia di Jussi si unirono alla perfezione nel ricreare un’avvincente storia per intrattenere i loro ascoltatori. I giovani furono così entusiasti da offrir loro un’altra birra.
«Dovete scusarci per prima, ma qui non vogliamo problemi. Non dopo quello che è successo…»
Verner sollevò lo sguardo: «di che stai parlando?»
Il ragazzo si stupì: «davvero non sapete niente?»
I due forestieri negarono.
«Qualche settimana fa il nostro villaggio è stato assalito da alcuni banditi, erano rossi armati. Hanno derubato la bottega del paese, per giorni siamo rimasti senza scorte di cibo. Noi siamo stati fortunati, abbiamo saputo che in altri casi ci sono stati anche morti e feriti»
«È terribile» commentò Verner, sinceramente angosciato. Jussi restò in silenzio.
«Già, povera Finlandia…è una terra condannata, dove ormai regna solo il terrore»
«Stiamo vivendo tempi difficili, ma non possiamo perdere la speranza»
«La nostra unica speranza sono i ragazzi al fronte» disse uno degli operai al tavolo a fianco.
In breve si iniziò a discutere del conflitto.
«Sembra che i tedeschi stiano vincendo la guerra»
«Non abbiamo notizie certe. Laggiù si sta ancora combattendo»
«Dobbiamo sperare che i nostri soldati possano tornare a casa»
«Ho saputo dal fratello di Tuomas che in Germania i finlandesi sono trattati con rispetto»
«In ogni caso gli Jäger non torneranno presto» commentò qualcuno tristemente.
Verner pensò a Jari, non aveva più avuto sue notizie dopo la sua partenza. Si era ritrovato spesso a chiedersi quale fosse il suo destino. Dentro di sé voleva credere che fosse ancora vivo e che stesse bene, nonostante tutto. Pur non condividendo le sue scelte non aveva dimenticato la loro promessa. Non poteva sopportare l’idea che egli avrebbe potuto non fare più ritorno.
Jussi osservò la sua espressione assorta e preoccupata.
«Sei sicuro di stare bene?»
Con quella domanda Verner si riprese dai suoi cupi pensieri.
«È meglio andare a riposare, domani dovremo partire prima dell’alba»
L’amico concordò con lui, pur accorgendosi del suo turbamento preferì non approfondire la questione. In fondo era consapevole di non poter fare nulla per alleviare quei tormenti.
 
Nonostante la stanchezza Verner non riuscì a chiudere occhio. Nel letto vicino Jussi era profondamente addormentato, probabilmente l’alcol aveva aiutato ad annebbiare ricordi dolorosi e sensi di colpa.
Verner invece rimase sveglio, a scrutare l’oscurità, mentre pensieri sempre più opprimenti si inseguivano nella sua mente. Prima di tutto c’era la consapevolezza di aver abbandonato la sua famiglia. Non avrebbe mai voluto lasciare suo fratello in quel momento di difficoltà, anche se sapeva di non aver avuto scelta. Aveva sempre desiderato aiutarlo e proteggerlo, ed ora era venuto a meno della sua promessa in nome dei propri ideali. Per quanto Hjalmar si fosse dimostrato comprensivo e pronto ad accettare le sue responsabilità, in fondo era poco più di un bambino.
Poi c’era il fatto che la realtà si fosse rivelata ben diversa dalle aspettative. I grandi ideali di indipedenza e libertà sembravano non avere nulla a che fare con i crimini commessi dai suoi compagni. Verner non poteva evitare di chiedersi se tutto ciò fosse davvero necessario.
Jussi non si era posto alcuna domanda a riguardo, credeva ciecamente che quello fosse l’unico modo per ottenere giustizia.
Gli atti compiuti dai rossi sono nulla in confronto alle atrocità commesse dai soldati russi. Pensa a tutte le ingiustizie che abbiamo dovuto sopportare in tutto questo tempo, non credi che sia giusto ribellarsi con la forza a tutto questo?
Le parole del suo compagno erano state fredde e taglienti, in lui Verner aveva riconosciuto la sofferenza e la rabbia del suo popolo. Non poteva incolpare i suoi patrioti per il loro desiderio di rivalsa, doveva però chiedersi fin dove sarebbe stato disposto a spingersi in nome dei propri ideali.
Infine la sua mente lo riportò nuovamente al ricordo di Jari. Continuava a provare sentimenti contrastanti nei suoi confronti. Non era disposto a perdonarlo, lo considerava sempre un traditore.
Eppure in quei momenti di solitudine, nell’oscurità e nel gelo della notte, avvertiva la sua mancanza.
Nel profondo del suo cuore sapeva che egli restava l’unico in grado di donargli amore e conforto.
I dolci ricordi del passato svanirono in un istante. Verner tornò rapidamente alla realtà, allertato da alcuni rumori provenienti dall’esterno.
Prontamente scivolò fuori dal letto per svegliare il suo compagno. Egli si destò sussultando.
«Che succede?»
«Non hai sentito? C’è qualcuno là fuori!»
Jussi affinò l’udito, avvertendo il nitrito dei cavalli, la neve che scricchiolava sotto agli stivali e voci soffuse che non parlavano finlandese.
«Dannazione! Sono i russi!»
Verner non si lasciò sopraffare dal panico nel ricevere quella notizia.
«Non possiamo restare qui, forza, dobbiamo andarcene prima che giungano a perquisire le stanze!»
Jussi non si fece ripetere quelle parole, rapidamente infilò gli stivali e indossò la giacca.
Verner recuperò il fucile, poi con cautela aprì la porta e si avviò verso il fondo del corridoio, avanzando nell’oscurità. Il suo compagno lo seguì, anch’egli armato e pronto a sparare in caso di necessità.
I due giovani raggiunsero il passaggio che conduceva al tetto, salirono le scale di legno, ritrovandosi sulle assi ghiacciate.
«Attento, stai giù…così rischiamo di farci notare»
Jussi si acquattò dietro al camino fumante, cercando di seguire le indicazioni dell’amico. Dalla sua postazione poté notare i soldati russi che stavano pattugliando il villaggio.
«Spero che tu abbia un piano per farci fuggire da qui»
Verner indicò il lato del tetto che scendeva verso la piccola stalla.
«Vorresti calarti da lì?» domandò Jussi, incredulo e titubante.
«È la via più sicura per raggiungere i cavalli, con un po’ di fortuna saremo già abbastanza lontani quando si accorgeranno di noi»
Jussi non si mostrò particolarmente convinto, ma quando il compagno sparì lanciandosi nel vuoto non poté far altro che imitarlo.
Atterrò su un cumolo di neve fresca, il quale servì ad attutire la caduta e il tonfo. Verner era già appostato dietro l’angolo, rapidamente gli diede il segnale, la strada era libera.
Jussi trattenne un’imprecazione tra i denti, strinse la pistola e si affrettò a raggiungere le stalle. Era intento a slegare i cavalli quando avvertì l’eco di uno sparo.
Verner lo raggiunse di corsa: «svelto, non abbiamo più tempo!»
Jussi saltò in sella e senza esitazione uscì in strada, spronando l’animale al galoppo. Dietro di lui poté avvertire la presenza del Suokki del suo compagno.
Per allontanarsi furono costretti a percorrere le vie strette del piccolo villaggio, lo sparo precedente aveva allertato i militari nella zona, ma fortunatamente nessuno riuscì ad individuare i due fuggitivi per tempo.
Jussi avvertì altri spari alle sue spalle, ma ormai erano già lontani e l’oscurità fu una buona alleata nella loro fuga nella notte.
Tornò a rivolgere la parola al suo compagno soltanto quando fu certo di essere abbastanza distante dal villaggio.
«Dannazione, questa volta ci è davvero mancato poco! Ero già pronto a trovarmi davanti a un plotone d’esecuzione!»
«Dovresti continuare a preoccuparti considerando che per il momento siamo dispersi nei boschi»
«Preferisco la compagnia dei lupi piuttosto che quella dei gendarmi» replicò Jussi.
Verner si guardò intorno con più attenzione: «aspetta, riconosco questo posto…credo di sapere dove potremo trovare riparo per questa notte»
«È un luogo sicuro?»
Egli annuì: «certo, ma non saremo soli…»
 
***

Helsinki non era più la stessa, Marja aveva iniziato ad avvertire i primi cambiamenti quando i volontari erano partiti per la guerra, da allora non aveva più avuto alcuna certezza.
Non si era mai illusa, era consapevole delle motivazioni che avevano portato il suo amato a prendere quella scelta, lei stessa sosteneva le sue decisioni e le proprie convinzioni. Nonostante ciò la lontananza di Lauri era sempre più difficile da sopportare.
La ragazza pensava a questo mentre percorreva le strade del centro ricoperte di neve e ghiaccio. Ad accompagnarla in quella passeggiata c’era suo fratello Evert, il quale continuava ad avere dubbi e sospetti sul suo matrimonio.
«Hai avuto notizie dalla Germania?»
Marja tentò di non esternare troppo la sua preoccupazione: «no, è trascorso ormai un mese dall’ultima lettera di Lauri»
Evert rispose con una smorfia, egli continuava ad essere diffidente nei confronti del cognato.
«Mi chiedo perché tu abbia voluto sposare quell’uomo, ti conosco bene e so che la ragione non sono i soldi»
«Io e Lauri ci amiamo, questa è l’unica ragione per cui abbiamo deciso di sposarci»
«Credi davvero che lui sia disposto a rinunciare a tutto per te?»
Lei non capì: «di che stai parlando?»
«Come puoi essere così ingenua? La sua famiglia non approverà mai la vostra unione, e non penso che egli vorrà rinunciare alla sua eredità e alla sua reputazione»
«Tu non conosci Lauri, lui è diverso da quel che credi»
«Per la tua felicità spero davvero di sbagliarmi»
«Speravo che almeno tu avresti potuto supportarmi in questo momento»
Evert fu pronto a giustificarsi: «è proprio perché tengo a te che mi sto preoccupando»
Marja non dubitò delle sue buone intenzioni.
«A noi non è mai importato dei soldi e della reputazione. Tutto ciò vogliamo è stare insieme e avere una famiglia»
«Le cose stanno cambiando e non so cosa accadrà, ma nel caso in cui tuo marito dovesse tornare dalla guerra dovrà prendere una decisione. Suppongo che un soldato voglia restare fedele alla sua divisa»
La ragazza si impensierì nel sentire quelle parole, ma non si abbandonò allo sconforto. In ogni caso lei sarebbe stata disposta a sostenere le decisioni di suo marito. Si fidava ciecamente di lui.  
Marja era ancora immersa in questi pensieri quando ad un tratto udì delle grida provenire dalla piazza. Svoltando l’angolo vide una grande folla riunita nella strada principale. Una lunga fila di manifestanti con bandiere e cartelli di protesta.
La giovane iniziò a preoccuparsi quando notò che alcuni di loro erano armati.
Marja era ancora sconvolta da quella confusione quando suo fratello la strattonò lontano dalla folla.
«Andiamo, non è sicuro restare qui»
La ragazza si lasciò trascinare via da Evert, il quale si preoccupò di allontanarsi da quella situazione potenzialmente pericolosa.
«Che sta succedendo?» domandò la ragazza, voltandosi un’ultima volta verso i protestanti. 
Evert preferì non allarmarla: «è soltanto un altro sciopero, ci penserà la polizia a riportare l’ordine»
Le sue parole non furono sufficienti a rassicurarla.
«Ho letto sui giornali che ci sono stati degli scontri violenti in città»
Lo sguardo di Evert si incupì: «è colpa del governo, i lavoratori protestano per i loro diritti, e se alzare la voce non ha portato ad alcun risultato non mi sorprende che abbiano deciso di ricorrere alle armi»
Marja avvertì una stretta al petto: «dunque tu credi che loro abbiano ragione»
«Non giustifico la violenza, ma allo stesso tempo non tollero le ingiustizie»
«Oh, fratello mio, non dovresti lasciarti coinvolgere in certe questioni»
«Hai sposato un uomo che è partito per la guerra in nome dei propri ideali, dovresti dimostrare più comprensione nei miei confronti»
Marja non poté contraddirlo, sarebbe stato ipocrita da parte sua.
«Non preoccuparti, ho solo espresso la mia opinione a riguardo, non ho intenzione di unirmi alla lotta operaia» la rassicurò Evert.
La giovane si sforzò di sorridere, preferì cambiare argomento e lasciarsi quella discussione alle spalle. Dentro di sé però iniziò a temere per la sorte dell’amato fratello.
 
***

Hjalmar lavorava come garzone nella vecchia bottega del signor Räikkönen. Dopo la morte di suo zio e la partenza di Verner aveva sentito il bisogno di rendersi utile per il bene dei suoi cari. Desiderava alleviare le preoccupazioni di sua madre contribuendo all’economia di famiglia.
Il signor Räikkönen era un uomo burbero e scontroso, trascorreva la maggior parte del tempo a rimproverarlo e a criticare il suo lavoro. La paga non era affatto soddisfacente, considerando anche il pessimo trattamento. Hjalmar però sopportava in silenzio, come aveva sempre fatto.
Quel pomeriggio era impegnato a spazzare il pavimento quando ad un tratto un cliente si avvicinò a lui. Si trattava di un giovane che portava il berretto calato fin sotto agli occhi.
«Ei, ragazzo. Avrei un compito da affidarti, ti andrebbe di guadagnare qualcosa?»
Hjalmar esitò restando diffidente.
L’uomo gli mostrò un pezzo di carta, dicendogli che se avesse recapitato il messaggio sarebbe stato ricompensato dal destinatario.
Il ragazzo non ebbe bisogno di altre prove per constatare che si trattasse di qualcosa di pericoloso, d’altra parte si riteneva in grado di svolgere quel compito, e il denaro poteva sempre essergli utile.
Così dopo qualche tentennamento decise di accettare.
Lo sconosciuto sorrise, poi gli fornì le informazioni necessarie per svolgere il suo incarico.
 
Hjalmar giunse a destinazione con il fiato corto e il viso accaldato per la rapida corsa. Prese un profondo respiro, poi si fece coraggio e salì le scale.
Bussò con tre colpi ben distinti, esattamente come gli era stato detto. Quando la porta si aprì il giovane esitò prima entrare. Si ritrovò in una stanza buia, illuminata solo dalle candele. Intorno al tavolo erano radunati tre uomini, al suo arrivo sollevarono contemporaneamente lo sguardo dalla carta topografica che stavano esaminando.
«Ho un messaggio per il capitano Hentilä»  
Il più alto del gruppo mosse qualche passo in avanti, non ebbe bisogno di presentarsi per chiarire la sua identità.
Hjalmar consegnò il prezioso foglio di carta. Il capitano lesse il messaggio, poi lo avvicinò alle fiamme delle candele, riducendolo a un cumolo di cenere. Qualunque fosse l’informazione ormai non poteva più essere recuperata.
Dopo aver fatto ciò l’uomo si avvicinò nuovamente al ragazzo.
«Non ti ho mai visto prima. Qual è il tuo nome?»
«Hjalmar» rispose con voce tremante.
«Bene. Hai fatto un buon lavoro, meriti la tua ricompensa»
Il ragazzo si meravigliò nel ritrovarsi in mano due monete d’argento.
«Immagino che tu abbia capito chi siamo» continuò il capitano.
Egli annuì, non ebbe bisogno di ulteriori conferme per riconoscere di ritrovarsi in un covo di militanti.
«Possiamo fidarci di te?»
Hjalmar rispose con un cenno di assenso.
«D’accordo. Mi sembri un ragazzo sveglio, ti andrebbe di continuare a collaborare con noi?»
Il giovane guardò gli occhi grigi del capitano, pensò a suo fratello, si sentì in dovere di fare la sua parte. Era consapevole dei rischi e dei pericoli, ma ciò non parve spaventarlo, prima di rispondere il giovane strinse in pugno le monete.
 
***

Aleks si era ripreso in quegli ultimi mesi, il suo fisico non era più così debole e anche il suo umore sembrava essersi risollevato. Pian piano aveva recuperato le forze, adattandosi alla sua vita da latitante.
Il giovane versò la zuppa e porse le ciotole fumanti ai due finlandesi.
Verner si avventò subito sul cibo, senza alcuna esitazione, Jussi invece rimase diffidente.
«Non è avvelenata» disse Aleks per convincerlo.
Jussi prese lentamente la ciotola tra le mani: «so che sei dalla nostra parte»
«Eppure continui a non fidarti di me, è perché sono russo?»
«No, se fossi comunista non avrei problemi, ma gli anarchici non mi piacciono. Voi siete…imprevedibili»
Aleks scoppiò in una sonora risata.
Verner ignorò l’ennesimo battibecco tra i due compagni, ormai era abituato ai loro confronti, i quali risultavano sempre inconcludenti.
«Non dovrete preoccuparvi ancora a lungo del dominio imperiale, presto lo zar perderà il suo potere» affermò Aleks con estrema convinzione.
Almeno in questo Jussi parve concorde.
«La Rivolta è anche un vostro interesse. Il suo successo determinerà la fine del Granducato, sarebbe la giusta opportunità per dichiarare la vostra tanto amata indipendenza» continuò il russo.
Verner si mostrò interessato di fronte a questa possibilità.
«Hai avuto notizie da parte dei tuoi compagni?»
Aleks annuì: «è solo una questione di tempo, il popolo è stanco e irrequieto, basterà una scintilla…e poi ovunque si divamperà l’incendio»
«Il tuo racconto è molto evocativo, ma dobbiamo guardare in faccia la realtà» puntualizzò Jussi.
Aleks rispose con filosofia: «un rivoluzionario è sempre un idealista, le azioni sono soltanto conseguenze»
«Non lo sopporto quando si comporta così!» commentò il finlandese rivolgendosi al suo connazionale.
Verner scosse le spalle, egli era estraneo ad ogni genere di ideologia politica, tutto ciò che voleva era ottenere la libertà del suo popolo. Era preoccupato per ciò che stava accadendo nella sua amata Patria, la lotta di classe non riguardava soltanto il dominio straniero. I suoi compagni erano pronti a combattere, presupponendo che il fine potesse giustificare i mezzi. E lui, che cosa avrebbe scelto di fare?
Le sue riflessioni furono interrotte da Jussi.
«Adesso basta perdere tempo. Non c’è stata ancora nessuna rivoluzione e i gendarmi sono ancora sulle nostre tracce. Verner, questa notte spetta a te il primo turno di guardia!»
Il giovane si rialzò dal tavolo con rassegnazione, prese il suo fucile ed uscì dal rifugio.
Le stelle brillavano nell’oscurità, in lontananza si intravedevano i profili delle montagne, illuminati al chiaro di luna. Osservando la bellezza di quel panorama notturno Verner non poté far altro che rinnovare il suo giuramento di fedeltà a quella terra. Si ricordò del motivo per cui aveva deciso di unirsi ai ribelli, e giunse alla conclusione di non aver ormai più nulla da perdere.

 

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Capitolo 19
*** La spiaggia ***



XIX. La spiaggia
 

Il capanno di legno, utilizzato come magazzino e posto di guardia, era l’unica prova umana su quella spiaggia. Al calare del sole, quando l’ultima squadra di addestramento si ritirava per cena, quel luogo diventava del tutto deserto. Le impronte degli stivali sulla sabbia erano l’unica prova che in giornata altri esseri umani avessero messo piede su quelle sponde. Ma quando le stelle iniziavano a comparire nel cielo e l’unica luce diventava quella della luna che si rifletteva nelle onde, si poteva avere la certezza di essere soli. Si avvertiva soltanto il rumore della risacca nel silenzio della notte.
Durante il suo turno di guardia Jari trascorreva la maggior parte del tempo scrutando nell’oscurità, dove il mare si confondeva all’orizzonte con il buio della notte. Da qualche parte, oltre quelle onde, si trovava la costa scandinava, l’isola di Gotland era l’unico riferimento che poteva ricondurlo ad Helsinki, ancora troppo lontana.
Jari era perso in questi malinconici pensieri quando ad un tratto avvertì il rumore di alcuni passi. Il giovane si voltò di scatto, riconobbe immediatamente la figura dell’ufficiale.
«Bernhard!»
Jari non esitò ad abbracciare il suo compagno, i due non si erano più rivisti dopo l’ultima battaglia.
«Ho davvero temuto di perderti per sempre!» disse commosso.
Il tedesco trascurò le formalità, almeno per quel momento.
«Anche io ero preoccupato, sono felice di sapere che stai bene»
Quelle frasi erano sincere, aveva realmente sofferto nell’abbandonare il commilitone in fin di vita in quel letto d’ospedale.
«Yrjö mi ha detto che sei stato ferito!»
Il tenente cercò di rassicurarlo: «non è nulla di grave»
Jari fu costretto a credergli sulla parola.
«Sei stato a Berlino?» chiese, ansioso di conoscere ciò che avrebbero dovuto affrontare nel prossimo futuro.  
Il comandante annuì, ma il suo sguardo afflitto lasciò intendere che le cose non erano andate come previsto.
Jari era sempre più impaziente: «dunque? Cosa è stato deciso?»
Bernhard fu sincero e diretto: «gli Jäger non torneranno in prima linea»
Il suo compagno non capì: «che cosa significa? Forse i tedeschi non si fidano di noi? Oppure non ci considerano degni combattenti?»
Il tenente tentò di calmarlo: «no, non è così!»
«Allora che sta succedendo?»
Winkler prese un profondo respiro.
«Resteremo qui, questo campo di addestramento sarà la prima base gestita e comandata da ufficiali finlandesi»
Jari rimase scettico: «quale vantaggio avranno i tedeschi in tutto questo?»
Bernhard scosse le spalle: «qualcuno doveva restare di guardia in questo avamposto»
Il giovane rimase perplesso a riguardo.
«A proposito…dovresti parlare con il capitano Knahts»
Jari sussultò: «per quale motivo?»
«Per chiedere di essere ammesso al corso per sottufficiali»
«Credi che potrei ricoprire un ruolo del genere?»
«Certamente, hai dimostrato di essere un buon soldato. E poi…voglio uomini di fiducia al mio fianco»
Jari rifletté sulla situazione.
«Cercherò di fare del mio meglio»
Winkler sorrise: «ne sono sicuro»
Il tedesco si voltò per tornare alla base, ma Jari lo trattenne.
«Aspetta! Non credi che dovremmo parlare di quel che è successo prima della battaglia?»
Bernhard scosse il capo: «non adesso, devo tornare al campo per occuparmi di una questione importante»
Jari fu colpito dalla freddezza del suo compagno, era evidente che volesse evitare quel confronto.
Pur continuando a riporre fiducia in Winkler, non poté evitare di insospettirsi per la vaghezza di quelle ultime parole.
 
***

Winkler risalì il sentiero che dalla spiaggia conduceva all’accampamento, l’uniforme era sporca di sabbia mentre in bocca poteva avvertire il sapore del sale. Provò una strana sensazione, si trovava in territorio neutrale, né in Finlandia né in Germania, era a metà strada, nella terra di nessuno.
Così si sentiva anche nel profondo del suo cuore, era diviso tra due identità, senza sapere da quale parte stare definitivamente. Poteva realmente aiutare la Germania senza tradire la Finlandia?
Bernhard ripensò a quel che era accaduto a Berlino.
 
Dopo aver partecipato alla riunione ufficiale con alti esponenti dell’esercito, ovviamente sotto il rigido controllo del maggiore Bayer, aveva ricevuto un invito particolare. Era stato contattato direttamente dai servizi segreti.
Bernhard era già stato in contatto con agenti tedeschi, ma era sempre stato un intermediario per l’Organizzazione. In quella specifica occasione invece i servizi segreti si erano interessati direttamente alla sua persona.
Spinto dalla curiosità, ma anche da una certa preoccupazione, Winkler si era presentato all’appuntamento in un’affollata birreria.
Dopo una lunga attesa un uomo in abiti scuri si era avvicinato al bancone, indicandogli con discrezione di seguirlo sul retro del locale. Con stupore Bernhard si era ritrovato in una stanza nascosta, al centro era presente un ampio tavolo. L’uomo l’aveva invitato a sedersi. Istintivamente egli aveva obbedito. Lo sconosciuto si era posizionato davanti a lui, l’aveva squadrato attentamente per poi presentarsi con una virile stretta di mano e un affabile sorriso.
«Tenente Winkler, lieto che abbia accettato di incontrarmi. Io sono l’agente Schäfer, mi è stato assegnato l’incarico di discutere con lei di una questione importante»

L’ufficiale si era mostrato alquanto sospettoso.
«Sono qui per farle una proposta» aveva continuato Schäfer.
Bernhard aveva esitato.
«Mi chiedo perché i suoi superiori abbiano deciso di rivolgersi a me, ci sono comandanti ben più autorevoli»
«Lei ha esperienza con i servizi segreti, immagino che sappia che è necessario agire in modo discreto per non destare sospetti»
Bernhard aveva annuito, in fondo ciò aveva senso.
«Questa alleanza potrebbe rivelarsi preziosa per entrambe le parti, però è necessario fare in modo che gli accordi vengano rispettati»
«Fino ad ora gli agenti finlandesi non hanno esitato a svolgere il loro dovere»
«Così come l’organizzazione tedesca non si è mai rifiutata di fornirvi armi e risorse per la vostra causa»
Winkler aveva guardato l’uomo negli occhi.
«L’ultima missione si è conclusa con successo?»
«Le nostre navi sono rientrate senza aver subito danni e i vostri compagni hanno recuperato il carico senza problemi»
«Immagino che ora sia il vostro turno di fare richieste»
Sul volto di Schäfer era comparso un sorriso d’intesa.
«Il vostro esercito porterà avanti la battaglia con il nostro supporto armato, ma questo sarà solo quel che accadrà in superficie. Le informazioni possono determinare l’esito di una guerra, per questo abbiamo bisogno di una rete di agenti esperti ed addestrati disposti a servire la Germania in territorio finlandese, e ancor meglio oltre al confine russo»
«Così lei sta cercando futuri agenti tra gli Jäger?»
«Dove altro potrei trovare uomini coraggiosi e determinati a fare di tutto per il loro Paese, se non tra i volontari in prima linea?»
Bernhard aveva finalmente capito: «vuole affidare a me questo incarico?»
«Voglio fidarmi di lei tenente Winkler, in questi anni ha dimostrato di essere disposto a servire il Reich»
 
Bernhard tornò alla realtà, quelle parole continuavano a vagare nella sua mente. Tormentato da questi pensieri rivolse un ultimo sguardo alla spiaggia deserta. Tutti i suoi sforzi avrebbero reso libera la Finlandia? Oppure sarebbero svaniti nel tempo disperdendosi come granelli di sabbia?
 
***

Il soldato Heitala aveva ottenuto una strana fama tra i convalescenti dell’ospedale. Aveva sempre avuto una grande passione per l’arte e al fronte aveva trovato il modo per far valere questo suo talento con un buon tornaconto. Disegnava per i suoi compagni qualunque cosa gli fosse richiesto. Per quanto fossero romantici i suoi paesaggi e suggestive le sue composizioni, la maggior parte si rivolgeva a lui unicamente per i suoi realistici e dettagliati ritratti di nudi femminili.
Una volta aveva venduto uno di questi disegni erotici a un ufficiale tedesco, il quale era stato così soddisfatto da offrirgli il doppio del compenso.
In un certo senso era diventato un artista su commissione.
Yrjö aveva sentito parlare del talento di Heitala parlando con i pazienti, e in alcune occasioni aveva avuto modo di vedere i suoi lavori con i propri occhi. Trascurando i soggetti più volgari, doveva ammettere che quell’uomo era un vero artista.
Una mattina, dopo aver terminato il solito giro di visite, il giovane medico si trattenne davanti al suo letto.
«Ho saputo che vendi ritratti» accennò dopo aver scambiato qualche parola di circostanza.
«Al modico costo di due sigarette» rispose Heitala, seppur con una gamba fasciata, al pensiero della ricompensa sembrava ignorare completamente il dolore. Per lui il tabacco aveva un effetto migliore della morfina.
Il dottore prese un profondo respiro prima di mostrare la sua preziosa fotografia.
«Potresti disegnare lei?»
Egli osservò con attenzione l’immagine della ragazza.
«Per i nudi chiedo quattro sigarette, ma per lei dottore posso fare un’eccezione, tre sigarette soltanto!»
Yrjö arrossì fino alla punta delle orecchie, immediatamente chiarì il malinteso.
«No, voglio solo che il ritratto sia identico alla fotografia»
Heitala sorrise, divertito dall’imbarazzo di chi per mestiere non doveva dare troppo importanza al pudore.
«Oh, mi scusi. Non volevo mancarle di rispetto. È che…insomma, molti mi chiedono ritratti del genere. E poi, ecco, lei è così bella che ho pensato…»
Il medico lo zittì consegnando nelle sue mani le due sigarette.
«Ottimo, dottore. Per la prossima visita avrà da me ciò che ha richiesto» concluse Heitala riponendo con cura la sua ricompensa.
Yrjö si allontanò con titubanza. Per quanto assurda, quella era l’unica idea che gli era venuta in mente per non doversi separare dall’immagine di Kaija.
 
***

Lauri osservò i soldati tedeschi che abbandonavano il campo per raggiungere il fronte. Provò profonda invidia nei loro confronti, desiderò essere nei loro panni solo per tornare a combattere.
Ai suoi occhi quel periodo di addestramento era solo una perdita di tempo, non avrebbero sconfitto i russi correndo nella sabbia.
Quella sera non esitò ad esporre a Jari i suoi pensieri.
«Penso che per noi sia più utile imparare dai tedeschi piuttosto che limitarci ad eseguire i loro ordini» ribatté l’amico con estrema convinzione.
Lauri sbuffò: «è stato Winkler a metterti queste idee in testa?»
«Non dovresti essere così severo nei suoi confronti, è pur sempre il nostro comandante»
«Forse hai ragione, ma continuo a chiedermi a cosa sia servito tutto questo…i nostri compagni sono morti per rispettare degli accordi o per liberare la nostra Nazione?»
Jari fu profondamente colpito da quelle parole.
«Purtroppo non posso darti una risposta»
«Abbiamo avuto prova di cosa significhi combattere in prima linea, ma questo è soltanto l’inizio»
Il suo compagno era ben consapevole di ciò.
«In Finlandia sarà diverso»
«Credi che scoppierà un’altra guerra?» domandò Lauri.
«Non lo so…»
«Sono certo che i tedeschi abbiano un piano per ogni eventualità, ma noi non possiamo continuare a sottostare al volere di un’altra Nazione!»
«Non sono discorsi da affrontare adesso. Il nostro unico obiettivo è ottenere l’Indipendenza»
«Sono stanco di tutti questi compromessi»
Jari iniziò ad irritarsi: «abbiamo forse un’altra scelta?»
Lauri si limitò a scuotere la testa con disapprovazione.
I due giovani restarono a lungo in silenzio, avevano idee discordanti riguardanti quel conflitto, ma nonostante tutto la loro amicizia restava di conforto.
«Tutto ciò che vorrei è fare la cosa giusta» ammise Jari.
Lauri poggiò una mano sulla sua spalla nel tentativo di rassicurarlo: «non ho mai messo in dubbio la tua lealtà alla causa»
Il ragazzo fu consolato da quelle parole, non avrebbe mai voluto tradire la fiducia dei suoi compagni.
 
Rimasto solo Jari rimuginò sull’accaduto. Quella guerra aveva messo tutti quanti alla prova, prima o poi avrebbero dovuto affrontare i dubbi e le incertezze.
Inevitabilmente ripensò all’incontro avuto la sera precedente con Winkler.
Si domandò se egli sarebbe stato all’altezza del suo nuovo incarico. Sapeva che Bernhard si fidava di lui e che faceva affidamento sulle sue capacità. Il tenente lo riteneva un buon combattente oltre che a un devoto compagno. Era per questo che aveva voluto spronarlo a fare carriera.
Non aveva dubbi a riguardo, eppure c’era qualcosa in Winkler che non riusciva a comprendere. Era sempre così schivo e misterioso, in parte era dovuto alla carica che ricopriva, ma dentro di sé era convinto che ci fosse qualcosa di più.
Ricordava bene il suo atteggiamento prima della battaglia, quando l’aveva stretto tra le sue braccia baciandolo con passione e trasporto. Sembrava che quella parte di lui fosse svanita dopo quel viaggio a Berlino.
Jari pensò che il suo cambiamento dipendesse esclusivamente dal suo ruolo, quello non era né il momento né il luogo per parlare di sentimenti. Pur comprendendo le sue motivazioni si sentì deluso dal suo comportamento.
Forse si era illuso, Bernhard teneva a lui, ma non nel modo in cui aveva sperato.
 
***

Yrjö si sedette alla sua scrivania, era stata una giornata lunga e impegnativa. Da quando le truppe avevano occupato quel piccolo villaggio sulla costa non c’erano più stati episodi di combattimento. Doveva però occuparsi dei tedeschi trasportati nelle retrovie, dei civili e dei numerosi incidenti che potevano accadere in un accampamento militare. C’era stato un episodio sulla spiaggia, dove alcuni soldati erano stati gravemente feriti nel tentativo di disinnescare delle mine.
Yrjö aveva assistito il dottor Lange dall’alba al tramonto, era esausto, la situazione non era migliorata da quando era stato chiamato in prima linea.
L’unico momento della giornata in cui poteva dimenticare le disgrazie di quel conflitto era quando rientrava nella sua stanza, prima di crollare sul suo letto per poche ore di riposo, spesso interrotte a causa di qualche emergenza.
Yrjö rimase a lungo immobile, assorto nei suoi pensieri. Quella sera aveva riconsegnato la busta indirizzata a Jari con il suo contenuto al legittimo proprietario. L’amico gli era stato riconoscente per aver informato la sua famiglia durante la sua convalescenza.
Yrjö si sentì colpa per aver nascosto al compagno la corrispondenza con Kaija, egoisticamente aveva voluto tenere per sé quel segreto. Quelle lettere erano il suo unico conforto.
Yrjö pensava a questo mentre osservava il ritratto realizzato dal soldato Heitala. L’artista era stato fedele, riproducendo alla perfezione quel volto dai lineamenti dolci e delicati. Poté nuovamente ammirare la bellezza di quella ragazza, seppur impressa su un foglio di carta.
In quel momento ripensò alle parole di Lauri: qui non abbiamo alcuna certezza, dunque è bene non avere alcun rimpianto.
Il giovane decise così di aggiungere altre righe alla missiva che stava scrivendo.
 

Probabilmente ti sembrerà assurdo, poiché ci siamo conosciuti solo tramite queste lettere, eppure io sono convinto di amarti. Sei ciò che ho di più prezioso in queste notti di solitudine, le tue parole mi liberano dall’angoscia e dal dolore della guerra. Quando penso a te riesco a trovare una ragione per non abbandonarmi allo sconforto, c’è ancora qualcosa di bello e puro in questo mondo, ed è il sentimento che provo nello scriverti queste parole colme d’ammirazione e d’affetto.
Spero che tu possa comprendere lo stato d’animo in cui mi trovo, perdonami se dovessi aver ingenuamente frainteso il nostro rapporto. Desidero solo che tu sappia la verità, qualunque sarà il mio destino, non voglio alcun rimpianto.


 
Yrjö aveva appena terminato di scrivere le ultime parole quando avvertì dei battiti insistenti alla porta. Prontamente si rialzò in piedi. Davanti a lui si presentò un soldato dall’aria sconvolta, in preda a una crisi di panico. Aveva gli occhi sbarrati e tremava per l’agitazione.
«Dottore, mi spiace disturbarla, ma un nostro compagno sta davvero molto male. La prego, deve aiutarlo!»
Yrjö non perse tempo, immediatamente recuperò il necessario e seguì il giovane all’accampamento.
Le baracche di legno dove alloggiavano i soldati finlandesi erano le stesse utilizzate dai russi prima che gli avversari conquistassero il villaggio. Si trattava di costruzioni precarie e pericolanti, l’interno era gelido e umido.
Il malato era disteso sul suo giaciglio, stretto nelle coperte in cui i suoi commilitoni l’avevano premurosamente avvolto. Tossiva compulsivamente e faticava a respirare. Il suo volto pallido ed emaciato era madido di sudore.
Per il medico non fu necessario approfondire la visita, appena vide il fazzoletto sporco di sangue non ebbe più alcun dubbio.
«Dobbiamo portarlo subito in ospedale! Non può restare qui»
Il soldato che era corso ad avvertirlo si allarmò: «che succede dottore? È molto grave?»
Yrjö non rispose, preoccupandosi di ammonire i presenti: «chiunque in questa stanza deve farsi visitare al più presto!»
«È contagioso?» domandò qualcuno con apprensione.
Il medico confermò dichiarando con fermezza: «si tratta di tubercolosi»

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Capitolo 20
*** Venti di guerra ***


XX. Venti di guerra
 

In tutto quel tempo Aleks aveva tentato di fare il possibile per avere informazioni sulla sua famiglia. Aveva atteso a lungo, senza mai riuscire a ottenere nulla. Durante quegli anni di forzato esilio aveva mantenuto i rapporti con i suoi compagni a Pietrogrado, ma non aveva mai avuto occasione di restare in contatto con i suoi cari. Nelle ultime settimane, quando era scoppiata la rivolta, Aleks aveva sentito nuovamente quella necessità. Aveva bisogno di sapere che sua moglie e suo figlio stessero bene e che fossero al sicuro.
Purtroppo Aleks si ritrovò ancora una volta a vivere nell’incertezza.
Era rimasto separato dalla sua famiglia per tanto tempo, eppure non aveva mai smesso di preoccuparsi per la sorte di chi amava. Sperava di tornare, nonostante tutto.
Era consapevole di non poter rimediare ai suoi errori come marito e come padre, ormai era troppo tardi. Però desiderava fare il possibile per dimostrare di non aver dimenticato le sue responsabilità e di aver sempre tenuto ai propri affetti.
Sofiya era sempre stata una donna forte e comprensiva, non gli aveva mai impedito di portare avanti la sua battaglia per la giustizia. Aleks si sentiva in colpa per non aver mai potuto offrirle il futuro che avevano sognato insieme, ma la realtà si era dimostrata ben più ardua da affrontare. Seppur giovane e idealista, in passato non aveva mai ceduto a false promesse. Quando aveva saputo della gravidanza aveva provato sensazioni contrastanti, ovviamente era stato felice per la lieta notizia, ma allo stesso tempo aveva provato tristezza. Fin dal primo momento aveva saputo che non avrebbe avuto l’occasione di essere un buon padre. Aveva ceduto anima e corpo alla sua causa, non avrebbe potuto rinunciare alla lotta, nemmeno per amore di un figlio.
Aleks avvertì un groppo in gola e gli occhi lucidi, inevitabilmente ripensò a uno degli ultimi momenti prima della sua partenza.
 
Era rientrato nel suo appartamento a notte fonda, anche quella volta era tornato da una delle sue riunioni segrete. Sua moglie era rimasta sveglia ad aspettarlo, seduta sul bordo del letto. Quando era entrato nella stanza l’aveva accolto con un rincuorante sorriso, probabilmente era rimasta in pensiero durante tutta la sua assenza.
Aleks si era avvicinato lentamente, ammirando la sua figura nella penombra. Si era inginocchiato al suo fianco, poggiando delicatamente una mano sul suo ventre ormai prominente.
«Voglio che nostro figlio conosca la verità. Deve sapere chi era davvero suo padre, qualunque sarà il mio destino, un giorno sarà lui a giudicare il peso delle mie azioni. Spero che possa capire, ma se non dovesse perdonarmi, allora potrei comunque comprendere»
Lei l’aveva rassicurato: «tuo figlio non potrebbe mai odiarti»  
Il giovane aveva abbassato il capo, abbandonandosi alla rassegnazione.
«Mi dispiace…davvero, per tutto»
Sofiya aveva sfiorato il suo viso con una dolce carezza.
«Non preoccuparti. Adesso sei qui con me, non devi pensare a nient’altro»
Aleks aveva sollevato lo sguardo, incrociando i suoi occhi colmi di affetto e speranza. In quel momento aveva pensato che fosse bellissima.
«A volte mi chiedo perché una donna meravigliosa come te possa amare un miserabile come me»
Lei aveva risposto senza alcuna esitazione.
«Ti amo perché ti conosco, so che sei un uomo buono, onesto e coraggioso»
«Senza di te sarei perduto»
Sua moglie aveva cercato conforto tra le sue braccia. Egli l’aveva stretta a sé, baciandola con passione.
 
Aleks si riprese da quei ricordi avvertendo intensa malinconia. Sentì la mancanza di quel contatto fisico, del calore di un abbraccio, del sapore di un bacio…
Sapeva di non aver avuto altra scelta, eppure continuava a sentirsi in colpa per aver abbandonato la donna che amava, la madre di suo figlio.
La sola consapevolezza che Sofiya e il bambino potessero essere ancora vivi avrebbe potuto consolarlo. Invece poteva solo aggrapparsi a una flebile speranza. Si sentiva inutile e impotente davanti a ciò che stava accadendo.
 
Ormai da giorni Aleks era consumato dall’ansia e dall’apprensione. Verner si era preoccupato nel vederlo in quelle condizioni, temeva che prima o poi avrebbe potuto prendere decisioni avventate.
Finalmente i due decisero di affrontare la questione, ormai era evidente che il russo non potesse continuare a sopportare quella situazione.
«Non posso più nascondermi come un codardo. Devo tornare per supportare i miei connazionali e per difendere la mia famiglia!»
Verner si mostrò impassibile: «è troppo pericoloso pensare di attraversare il confine adesso. L’esercito ha rafforzato le difese, credimi, l’ho visto con i miei occhi, le guardie sparano a vista»
«È un rischio che devo correre»
Il ragazzo si oppose «credi di essere di supporto al tuo popolo in questo modo?»
«Questa volta è diverso. Tu non puoi capire…non si tratta solo della rivolta. Devo pensare a mia moglie e a mio figlio»
Verner scosse la testa.
«Anche per loro dovresti preoccuparti della tua incolumità»
«Non potrò nascondermi per sempre. La mia sorte è ormai decisa, per questo voglio almeno tentare di ricongiungermi con le persone che amo prima che sia troppo tardi»
Verner avvertì un nodo alla gola, ma tentò di fare del suo meglio per mascherare la propria apprensione. In fondo sapeva che non poteva trattenere il compagno dal seguire il suo istinto, eppure non si sentiva pronto a separarsi da lui. Aleks era stato il suo punto di riferimento negli ultimi mesi, era l’unica persona di cui poteva fidarsi. Da quando Jari se n’era andato non aveva più avuto nessuno al suo fianco. Ora rischiava di perdere anche l’unica persona che gli aveva offerto supporto.
Non era pronto a dirgli addio, ma dentro di sé sentiva quale fosse la giusta scelta per lui.
«Anche qui scoppierà una rivolta?» domandò.
«Questo dipenderà da voi…sicuramente il nuovo governo cercherà in tutti i modi di impedire ai Rossi di prendere il potere. Se il popolo si dimostrerà abbastanza unito e determinato a far valere i propri diritti allora potrete sperare nella giustizia e nella libertà»
Verner si limitò ad annuire in silenzio, ormai non aveva più dubbi sulle motivazioni che lo avevano spinto a combattere.
Il russo poggiò una mano sulla sua spalla.
«La Finlandia ha bisogno di giovani coraggiosi e valorosi come te»
Il ragazzo provò sincero orgoglio, trovando conforto in quelle parole. Quella notte abbandonò il rifugio avvertendo una strana sensazione, forse già sapeva quel che sarebbe successo.
 
Il mattino seguente, ancor prima che il sole sorgesse oltre alle colline, Aleks si rialzò dal suo giaciglio.
Prese il suo zaino, si preoccupò di recuperare le ultime provviste e infine si infilò il fucile in spalla. Era tutto pronto per la sua partenza.
Quando uscì per avviarsi lungo il sentiero Saija lo seguì, come era solita fare quando andava a caccia nei boschi.
Aleks si fermò per ammonirla: «no piccola, questa volta non puoi venire con me»
La lupacchiotta guaì, continuando ad osservarlo con sguardo implorante.
«Oh, non guardarmi così. Lo sai che devi restare qui ad aspettare il tuo padrone»
Il russo si inginocchiò per accarezzare un’ultima volta il muso del cane.
«Brava. Stai di guardia, Verner tornerà presto» disse con tono rassicurante.
L’animale si rannicchiò nella neve, docile e obbediente.
Aleks si allontanò, si accertò che Saija avesse ben inteso i suoi ordini, poi riprese il cammino senza più voltarsi. Si sentì in colpa per aver nascosto la sua fuga a Verner, ma sapeva che se avesse rivelato i suoi piani egli avrebbe fatto di tutto per fermarlo.
Sarebbe stato un viaggio lungo e pericoloso, ma era pronto a tutto per ritornare a casa. Per quanto lontana, Pietrogrado era la sua unica salvezza.
 
 
Verner tornò al rifugio in compagnia di Jussi. Entrambi notarono subito qualcosa di strano, fu il comportamento di Saija ad allarmarli. L’animale era più irrequieto del solito e continuava ad abbaiare in direzione del sentiero. 
«Credi che sia entrato qualcuno?» domandò Jussi con sospetto.
Verner notò le impronte semi-nascoste nella neve.
«No, piuttosto penso che qualcuno sia andato via»
Jussi si affrettò a raggiungere la porta, immediatamente entrò all’interno chiamando il nome del compagno, ma trovò la stanza deserta.
«Dannazione, il russo ha deciso di fuggire!»
«Non è scappato. È intenzionato a tornare in Russia»
Jussi reagì con incredulità: «è assurdo, non potrà mai raggiungere Pietrogrado. I gendarmi lo uccideranno ancor prima che possa avvicinarsi al confine»
«Aleks è abbastanza determinato a raggiungere il suo obiettivo» replicò l’amico.
Jussi sbuffò: «te l’avevo detto, gli anarchici sono folli e imprevedibili!»
Detto ciò, il ragazzo tornò a rivolgere le attenzioni a Saija, preoccupandosi di scaldarla e nutrirla.
Avvicinandosi al tavolo Verner notò un foglio di carta ripiegato e riposto sulla superficie. Intuì subito di che si trattasse, così lo prese tra le mani ed iniziò a leggere.
 
La Rivolta sta avendo successo, la Russia è finalmente libera dall’egemonia imperiale.
Ciò significa che il mio esilio è giunto al termine, devo tornare a casa.
Non so cosa accadrà alla mia Patria, in ogni caso ho intenzione di mantenere la mia promessa e restare fedele ai miei compagni.
Non dimenticherò quel che hai fatto per me, ti devo la vita e non potrò mai ringraziarti abbastanza per questo.
Spero che il tuo popolo possa presto conquistare la meritata libertà.
Addio,
Aleks

 
***

Il tenente Smirnov non aveva potuto fare altro che attenersi agli ordini, nel tentativo di mantenere ordine e disciplina nel mezzo del caos più assoluto. Era consapevole che la situazione fosse ormai giunta al limite, ma non pensava che le conseguenze sarebbero state così drammatiche. Il mondo era crollato davanti ai suoi occhi, nulla sarebbe più stato come prima. Per tutta la vita Smirnov aveva servito nell’esercito senza mai mettere in discussione l’autorità imperiale. Così anche in quella occasione non aveva avuto alcun dubbio su quale fosse la scelta giusta. Nonostante tutto sentiva di dover restare fedele al suo giuramento. Non poteva permettere che la sua Patria finisse nelle mani di quei criminali, per questo doveva continuare a combattere. A quel punto lo scontro armato era inevitabile.
I suoi uomini non l’avevano tradito, i casi di diserzione erano stati rari e contenuti. I suoi commilitoni erano soldati leali e fedeli ai loro comandanti.
Smirnov era determinato a difendere i suoi valori e proteggere i suoi compagni. Non si trattava solo di onore, ma anche di onestà verso se stesso e i propri ideali.
 
***

Il capitano Solbakken bevve con parsimonia la sua tazza di caffè, era impaziente, ma continuava a mantenere la sua calma apparente.
«Jänis arriverà a breve»
L’uomo sollevò lo sguardo per guardare in viso il tenente Hedmann.
«Jänis
«La lepre, è la nostra staffetta. Un ragazzo sveglio e in gamba, è veloce e affidabile» precisò l’ufficiale.
Solbakken sollevò un sopracciglio con aria scettica: «sa come la penso a riguardo, non avrebbe dovuto coinvolgere un ragazzino»
«Non ho dovuto convincerlo con l’inganno, si è offerto come volontario. E poi non vedo nulla di male, i giovani sono la speranza di questa Nazione»
«Non voglio problemi con quel ragazzo, ho già i miei soldati di cui occuparmi!»
«Signore, la consideri una mia responsabilità»
Il capitano stava per ribattere, ma proprio in quel momento sentirono dei battiti regolari alla porta, era il codice prestabilito.
Hjalmar entrò nella stanza consegnando il prezioso biglietto nelle mani del capitano. Il comandante gli rivolse un’occhiata fredda e severa prima di leggere il messaggio.
«Il Governo ha dichiarato la propria autonomia»
«Che cosa significa?» domandò Hedmann perplesso.
«Che da questo momento non dovremo più sottostare all’autorità del Gran Duca»
Il tenente rifletté attentamente su quelle parole.
«La Finlandia si dichiarerà indipendente?»
«Suppongo che questa sarà la prossima mossa di Svinhufvud»
«Non possiamo permetterlo! Il potere deve tornare nelle mani del popolo!»
«Le Guardie Bianche difenderanno la causa dei conservatori sostenendo di credere nell’Indipendenza»
«Dopo tutto quello che abbiamo passato non possiamo permettere che i nostri diritti vengano calpestati in questo modo!»
«La rivolta armata è inevitabile» affermò il capitano Solbakken.
«In Russia la Rivoluzione sta avendo successo»
Hjalmar ascoltò quei discorsi senza riuscire a comprenderne il reale significato politico. Pensò subito a suo fratello, chiedendosi se finalmente avrebbe potuto tornare a casa. Sentiva la sua mancanza, e anche quella di Saija.
Il ragazzo tornò bruscamente alla realtà udendo la voce del tenente Hedmann.
«Jänis! Presto, abbiamo una nuova missione per te!»
 
***

Da quando suo fratello era partito per il fronte Kaija si era sempre occupata del suo cavallo. Ogni giorno si recava alla stalla per prendersi cura di lui. Anche Onni sembrava soffrire la mancanza del padrone, non era più allegro e vivace come un tempo.
La ragazza accarezzò l’animale, sfiorando la sua macchia bianca sul muso.
«Anche io sono triste per Jari, ma dobbiamo fidarci di lui e sperare per il meglio. Tornerà presto, ne sono sicura»
Onni parve comprendere quelle parole, almeno questa fu l’impressione che Kaija ebbe nel guardare quei grandi occhi scuri.
La giovane tornò con rassegnazione al suo lavoro. Aveva ormai terminato i suoi compiti quando all’improvviso udì delle grida.
«Kaija! Kaija!»
La ragazza sussultò nel sentirsi chiamare con tanta impazienza, riconobbe immediatamente quella voce. Rapidamente si affacciò alla finestra del capanno.
«Kris, sono qui!»
Il giovane entrò di corsa nella stalla, presentandosi con il fiato corto e il volto arrossato dallo sforzo.
Kaija si preoccupò nel vederlo in quello stato.
 «Che succede?» 
«Devo parlarti, non ho molto tempo»
La ragazza notò la sua agitazione.
«Sei sicuro di stare bene?» 
Egli annuì, ma l’espressione sul suo volto rimase angosciata.
«Cosa devi dirmi di tanto importante?»
Kris esitò, per un istante sembrò voler dire qualcosa, ma restò in silenzio. Si avvicinò a Kaija e impulsivamente si chinò su di lei per baciarla.
La giovane fu così sorpresa da quel gesto da non riuscire a reagire, lasciandosi trasportare da quel bacio intenso e passionale.
Riprese il controllo di sé quando le loro labbra si furono separate. Istintivamente si distaccò da quell’abbraccio.
«Mi dispiace, avrei voluto che le cose tra noi andassero diversamente, ma ormai non ha più importanza. Tutto ciò che desideravo era un bacio d’addio»
La ragazza era ancora confusa dall’accaduto.
«Non capisco. Che cosa significa?»
Kris rispose con estrema fermezza: «sono in partenza per Helsinki. Tuo fratello aveva ragione, è giunto il momento di lottare per la Finlandia. Per questo mi sono arruolato con le Guardie Bianche»
Kaija ripensò a quel che le aveva detto Jari prima della sua partenza.
«Sei davvero convinto di questa tua scelta?»
Il giovane annuì: «ho intenzione di fare il mio dovere come tutti»
La ragazza si rattristò nel sentire quelle parole. Kris era sempre stato un amico fedele, anche se non ricambiava i suoi stessi sentimenti teneva a lui. Non voleva rischiare di perdere un’altra persona così importante nella sua vita.
Anche in quell’occasione però non poté far altro che rassegnarsi alla triste realtà, Kris aveva preso la sua decisione, riteneva di essere già stata troppo egoista nei suoi confronti.
«Cerca di stare attento»
Kris l’abbracciò per un’ultima volta: «te lo prometto»
Kaija tentò di non abbandonarsi allo sconforto: «allora buon viaggio, spero di rivederti presto»
Il giovane si rimise lo zaino in spalla e si allontanò, giunto alla staccionata si voltò per un ultimo saluto.
La ragazza rimase poggiata allo stipite della porta, continuò a seguire la sua figura con lo sguardo finché non scomparve nella nebbia.
Kaija si asciugò una lacrima, inevitabilmente pensò alle parole di suo padre. Kris era davvero un bravo ragazzo. Era certa che se non fosse stato per la guerra l’avrebbe sposato, e forse in altre circostanze avrebbe potuto amarlo.
 
***

Karl si presentò nello studio del dottor Koskinen. Conosceva il medico da tanto tempo, per la precisione dal primo giorno in cui aveva messo piede al villaggio. Inizialmente non l’aveva visto di buon occhio, per lui era solo uno straniero, un borghese di città che alla prima occasione avrebbe abbandonato quel luogo sperduto tra le montagne per far ritorno ad Helsinki.
Era stato solo dopo il suo matrimonio con Helena che aveva iniziato a considerarlo come un componente della comunità. Si era dispiaciuto per la sua dolorosa perdita, quell’uomo era sempre stato gentile e generoso con tutti, la sorte era stata crudele a destinargli una sofferenza così grande.
Aveva visto crescere Jari e Kaija, si era affezionato a quei ragazzi come a tutti gli altri giovani del paese. Alla fine aveva imparato a provare rispetto per Koskinen, tanto da considerarlo un buon amico.
«Fredrik! Sono lieto di rivederti» disse con sincerità.
Il dottore si sforzò di mostrare un mezzo sorriso, ma l’espressione sul suo volto manifestava ansia e preoccupazione. Il viso pallido e gli occhi stanchi erano la prova delle sue notti insonni.
Karl si avvicinò, il suo sguardo si soffermò sul giornale piegato sulla sua scrivania, i titoli in prima pagina in quel periodo non erano affatto rassicuranti.
«Ci sono state delle proteste ad Helsinki, i gendarmi hanno sparato sulla folla causando morti e feriti»
«È terribile»  
«Con quello che è successo dovremo aspettarci solo il peggio da parte dei russi» constatò Koskinen con rassegnazione.
Karl tentò di sollevare l’animo del suo compagno.
«Spero di portarti buone notizie»
Il medico esibì uno sguardo sospettoso, ma allo stesso tempo incuriosito.
«Ho saputo da alcuni miei colleghi alla ferrovia che gli Jäger torneranno presto dalla Germania»
Fredrik sussultò: «stai dicendo sul serio?»
«Alcuni esponenti delle Guardie Bianche hanno confermato la notizia. Un sottomarino tedesco ha raggiunto le coste finlandesi, oltre che a rifornire l’esercito di armi e munizioni ha anche riportato in patria alcuni dei nostri ragazzi»
Lo sguardo di Koskinen si illuminò: «ciò significa che anche Jari potrebbe tornare a casa?»
«Spero proprio di sì»
«Oh, Karl…non avresti potuto rendermi più felice!»
L’uomo fu lieto di aver ridonato speranza all’amico, ma qualcosa di impedì di gioire con altrettanto entusiasmo.
Fredrik notò la sua titubanza: «c’è dell’altro, dico bene?»
Karl non poté mentire: «mi spiace, non avevo intenzione di rovinare questo momento»
«Preferisco che tu sia sincero. Coraggio, che cosa ti affligge?»
«Sembra che ovunque si avverta aria di guerra. Il nuovo Governo vuole separarsi dalla Russia mentre i Rossi hanno il sostegno dei bolscevichi. Le Guardie Bianche stanno organizzando un esercito, le rivolte stanno scoppiando in tutto il Paese…insomma…che cosa accadrà adesso?»
«La guerra civile»
Karl annuì tristemente: «purtroppo non vedo alternativa»
Il medico si limitò ad un cenno di comprensione, ma non esternò più alcun parere. Non riteneva prudente esprimere apertamente i propri pensieri a riguardo. Sapeva che l’unico modo per raggiungere l’Indipendenza sarebbe stato sostenere il Governo e i Bianchi, ma questo avrebbe significato schierarsi contro i propri connazionali, concittadini, amici e parenti. La Finlandia avrebbe pagato la Libertà con il sangue.
Koskinen tentò di non pensare al peggio, almeno qualcosa di positivo stava per accadere. Presto suo figlio sarebbe tornato a casa, avrebbe potuto riabbracciare Jari e dirgli la verità.  Non era troppo tardi, aveva ancora una possibilità. Fredrik si commosse a quel pensiero.
«Scusami, adesso devo andare. Voglio che Kaija sappia da me del ritorno del fratello»
Karl poté ben comprendere le sue motivazioni.
«Certamente. Solo un’ultima cosa…»
Koskinen rimase in ascolto.
«Se dovesse accadere qualcosa, rivolgiti al reverendo Larsson. Credimi, non sono una persona religiosa, ma mi fido di quell’uomo, anche se è uno svedese. Sono certo che potrebbe aiutare te e la tua famiglia in caso di necessità»
Fredrik ringraziò Karl con una stretta di mano e gli augurò buona fortuna, nella speranza che le loro presupposizioni potessero non avverarsi.
Quando l’amico fu scomparso il dottor Koskinen si ritrovò a riflettere sull’accaduto, era rimasto colpito e anche un po’ spaventato da quell’ultimo consiglio.  

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Capitolo 21
*** Il ritorno ***



XXI. Il ritorno  
 

Verner ravvivò il fuoco, restando ad osservare le fiamme che ardevano nella penombra. I recenti eventi gli avevano dato molto su cui riflettere. I Rossi erano pronti a combattere, avevano il supporto dei bolscevichi, era solo una questione di tempo prima che giungesse l’ordine di insorgere.
Verner non aveva più dubbi, aveva conosciuto la fame e la sofferenza, la sua famiglia meritava un futuro migliore. La Rivolta era l’unica soluzione e la sola speranza.
Inevitabilmente ripensò agli insegnamenti di Aleks, la sua improvvisa partenza l’aveva lasciato privo di una guida, ma non avrebbe smesso di seguire i suoi consigli. Poteva comprendere le sue motivazioni, in fondo quella non era la sua guerra. Aleks non aveva mai nascosto le sue vere intenzioni, non era un codardo e viveva il suo esilio come una terribile punizione. Sapeva che al momento opportuno non avrebbe esitato a combattere per il suo popolo e la sua terra. Provò comunque profonda tristezza nel ritrovarsi nuovamente solo.
Verner stava pensando a questo avvertì un’altra presenza nella stanza.
Irina si avvicinò al figlio, sedendosi anch’ella davanti al camino.
Il ragazzo cercò di mostrare un sorriso rassicurante.
La donna lo guardò con commozione.
«È bello rivederti a casa»
Verner non volle illuderla: «ripartirò presto»
Irina non poté far altro che rispettare la sua volontà, si fidava del figlio.
«Avevo bisogno di parlarti, è importante»
«Di che si tratta?»
«Sono preoccupata per tuo fratello»
Il giovane si interessò subito alla questione: «per quale motivo?»
«Egli è intenzionato a fare il suo dovere per aiutare i tuoi compagni, temo che possa mettersi in pericolo»
Verner non fu sorpreso, ma non poté evitare di mostrare apprensione.
«Ha solo quindici anni e tu non dovresti parlargli di certe cose…» continuò Irina.
«Non puoi pensare di proteggerlo per sempre dal mondo. È meglio che sappia da me la verità piuttosto che scoprirla da solo»
Sua madre lo rimproverò: «credi di sapere tutto su questa guerra, ma presto scoprirai che la realtà è ben diversa da quel che immagini»
«Tutto quel che so è che voglio aiutare la mia famiglia» rispose Verner in sua difesa.
Irina guardò il figlio negli occhi, riconoscendo in lui la stessa determinazione del padre. In quel momento ebbe la certezza di non poter fare nulla per impedire ai suoi figli di prendere parte alla rivolta. Seppur con le migliori intenzioni, entrambi avevano intrapreso una strada pericolosa. Si domandò se fosse stata colpa sua, una buona madre avrebbe potuto permettere ciò? I suoi figli erano cresciuti, ed ora rischiava di perderli.
Verner uscì per prendere altra legna, le fiamme si stavano affievolendo.
Irina tornò nella sua stanza, soltanto quando fu sola si abbandonò ai singhiozzi.
 
Prima di avvertire i passi di suo fratello, Verner udì Saija abbaiare con entusiasmo. La lupacchiotta era sempre felice di rivedere il ragazzino che l’aveva salvata. Tra loro si era creato un legame speciale.
Verner accolse Hjalmar con un abbraccio, per poi invitarlo a sedersi al tavolo della cucina.
Inizialmente parlarono di questioni di poco conto, scambiandosi opinioni e battute come una normale coppia fratelli che si ritrovava dopo tanto tempo. Ad un certo punto però Verner si sentì in dovere di affrontare una conversazione più seria.
«Mamma è preoccupata per te e conoscendoti temo che ne abbia motivo»
Hjalmar abbassò lo sguardo, ma non disse nulla.
«Voglio solo sapere la verità, ti prometto che la questione resterà tra noi»
Il più giovane esitò, ma alla fine cedette, sapeva di non aver nulla da dover nascondere al fratello.
«A volte consegno messaggi per il tenente Hedmann» ammise.
Verner sgranò le iridi celesti.
«Hai intenzione di unirti alla sua squadra?»
«Non voglio combattere, cerco solo di rendermi utile»
Il fratello maggiore rimase in silenzio.  
«Sei arrabbiato con me?» domandò Hjalmar.
Egli scosse la testa.
«No, voglio solo che tu sia consapevole di quel che stai facendo»
«So che si tratta di un compito pericoloso, ma i miei compagni si fidano di me»
Verner poté comprendere le sue ragioni: «non posso impedirti di fare ciò che ritieni giusto»
«Ti prometto che starò attento, non ti deluderò»
Il giovane mostrò un mesto sorriso, aveva sempre cercato di fare del suo meglio per proteggere il fratello, anche in quell’occasione tentò di optare per la scelta più prudente. Se l’avesse obbligato a stare lontano dai ribelli sicuramente avrebbe ottenuto l’effetto opposto.
Inoltre si fidava dei suoi compagni e voleva credere che anche loro potessero aver cura di Hjalmar. In fondo aveva solo quindici anni, si sentiva grande, ma era poco più di un ragazzino.
«A proposito, ieri ho recapitato un messaggio che potrebbe interessarti…»
Verner guardò il fratello con curiosità.
«Gli Jäger torneranno presto» affermò Hjalmar.
Il giovane ebbe un momento di esitazione.
«Sei sicuro?»
Il ragazzino annuì.
Verner rimase sconvolto da quella notizia, tanto che non seppe come reagire. Per tutto quel tempo aveva sperato che Jari potesse tornare sano e salvo, ma ormai erano cambiate tante cose, loro erano cambiati. Lo considerava pur sempre un traditore, forse avrebbe preferito non rivederlo mai più.
Hjalmar continuò a parlare: «il tenente Hedmann dice che la guerra scoppierà presto»
Verner preferì non affrontare l’argomento.
«È tardi, riparleremo di questo domani»
Hjalmar percepì l’angoscia del fratello, senza aggiungere altro si avvicinò a lui per abbracciarlo.
«Sono felice che tu sia tornato» disse prima di scomparire sulle scale.
 
***

Jari aveva provato a immaginare molte volte il suo ritorno in Patria, soprattutto dopo l’armistizio che aveva determinato la fine dei combattimenti sul fronte orientale.
Jari era convinto che i tedeschi avrebbero assegnato al 27° Battaglione un nuovo ruolo nella riorganizzazione delle forze belliche. Per questo era rimasto sorpreso quando gli era stato riferito che finalmente gli Jäger avrebbero fatto ritorno in Finlandia. Aveva chiesto più volte conferma a Bernhard, il quale l’aveva sempre rassicurato sulla veridicità di quelle informazioni.
Ben presto tra i volontari iniziarono a diffondersi opinioni contrastanti sull’esito della guerra e sul destino della Finlandia.
Nonostante dubbi e incertezze, tutti si mostrarono lieti di tornare a casa. Quando giunse la notizia ufficiale l’intero campo si dedicò ai festeggiamenti.
Yrjö fu l’unico a non partecipare, preferendo restare nella solitudine della sua stanza. Qualcosa in lui era cambiato da quando aveva lasciato l’ospedale di Libau.
Il dottor Lange si era accorto di ciò, ma aveva preferito lasciare del tempo al suo giovane assistente per stare solo con i suoi pensieri. Quella sera però il medico si decise ad affrontare la questione.
«Credevo che saresti stato felice di tornare in Finlandia» iniziò con dovuta discrezione.
Il ragazzo sospirò: «suppongo che non sarà così semplice…»
«Già, ma non è la situazione politica incerta ad affliggerti in questo momento. Dico bene?»
Yrjö intuì di non poter mentire al suo collega più anziano. Dopo qualche istante di esitazione decise di confessare la verità.
«Non riesco a darmi pace per quello che è accaduto» ammise tristemente.
«Hai svolto il tuo dovere»
Il giovane non parve convinto: «probabilmente è così…eppure continuo a sentirmi in colpa»
«Non hai responsabilità a riguardo» replicò il medico.
«Forse avremmo potuto fare di più»
«Eravamo al fronte a combattere contro un’epidemia di tubercolosi, le cose sarebbero potute andare anche molto peggio di così» fu l’oggettiva risposta.
Yrjö scosse la testa: «dunque non dovrei far altro che accettare la morte dei miei compagni?»
«No, è giusto che tu stia provando dolore in questo momento. In qualche modo però dovrai superare tutto questo. Non è semplice, ma prima o poi tutti noi dobbiamo far fronte alla triste realtà. Prima di essere medici siamo uomini, abbiamo i nostri limiti. Non possiamo salvare tutti. L’importante è sapere di aver fatto il proprio meglio»
Yrjö rifletté su quelle parole.
«Hai dimostrato di essere un ottimo medico. Quando tornerai in Finlandia i tuoi connazionali potrebbero aver ancora bisogno del tuo aiuto. La paura di fallire non può fermarti dalla volontà di fare del bene»
Il giovane sollevò lo sguardo: «crede davvero che potrei diventare un buon medico?»
«Non ho alcun dubbio a riguardo, ma dipende tutto da te»
Yrjö rivolse al suo mentore uno sguardo colmo di riconoscenza e gratitudine.
«Farò tesoro dei suoi consigli»
Il dottor Lange mostrò un benevolo sorriso: «credo che tu debba tornare dai tuoi compagni adesso»
Il giovane annuì, non era ancora pronto a superare l’accaduto, ma condividere la gioia dei suoi amici per l’imminente ritorno a casa poteva essere una necessaria distrazione.
Il medico tedesco rimase qualche istante immobile per osservare la figura del ragazzo scomparire oltre al corridoio. Nel suo giovane assistente aveva riconosciuto il se stesso del passato, quando ancora era tormentato da timori e incertezze. Crescendo non aveva trovato una risposta a tutte le sue domande e ancora soffriva a causa del suo mestiere, nonostante tutto era consapevole di non potersi arrendere.
Questa esperienza, per quanto terribile, avrebbe aiutato Yrjö a capire il valore delle sue scelte.
Il dottor Lange aveva fiducia in lui e nelle sue capacità, era certo che il suo allievo non avrebbe deluso le sue aspettative.
 
 
Pur restando in disparte Yrjö fu lieto di vedere i suoi connazionali coinvolti nei festeggiamenti. Dopo aver trascorso più di due anni lontano da casa i volontari erano felici di poter finalmente far ritorno.
Il medico si avvicinò ai suoi compagni che si erano radunati intorno al fuoco.
Lauri porse all’amico la sua borraccia, Yrjö avvertì l’odore dell’alcol, ma quella volta accettò. D’altra parte si trattava di un’occasione speciale e almeno per quella sera poteva permettersi un goccio di brandy. Il giovane buttò giù un sorso, non essendo abituato si ritrovò a tossire con un’espressione di disgusto.
Lauri rise recuperando la sua borraccia: «scusa, avrei dovuto avvertirti»
«Non importa, avevo bisogno di qualcosa di forte»
L’amico si sistemò al suo fianco.
«Che succede? Non sembri affatto felice di tornare a casa»
Yrjö prese un profondo respiro.
«Dopo tutto quello che è successo non penso di poter semplicemente voltare pagina»
«Nessuno pretende che tu debba farlo»
«E come dovremmo affrontare il nostro futuro?»
«Non lo so, ma…l’importante adesso è essere vivi»
Yrjö rimase a lungo in silenzio, osservando le fiamme con lo sguardo perso e vacuo.
«Dunque la vedrai?»
Il giovane medico sussultò, sorpreso da quella domanda.
«Cosa?»
«La ragazza della fotografia…la incontrerai quando tornerai in Finlandia?»
Yrjö dovette ammettere che, nonostante tutto, non aveva mai smesso di pensare a Kaija.
«Suppongo che certe cose possano sopravvivere solo in guerra» ammise con amarezza.
Lauri non esitò a ribattere: «sei così riluttante solo perché si tratta della sorella di Jari?»
L’amico arrossì con lieve imbarazzo.
«Davvero credevi che non l’avrei scoperto? Non sono stupido!»
«Non…non è questo il problema. Il fatto è che…oh, dannazione! È tutto così complicato…»
«Tu sei complicato. La situazione è semplice. A te piace quella ragazza e c’è una buona probabilità che anche lei sia innamorata di te. A questo punto perché vuoi tirarti indietro?»
Yrjö non trovò una risposta, in fondo nemmeno lui conosceva il motivo della sua titubanza. Credeva di non meritare nulla di bello, non dopo quel che era successo. Percepiva ancora le mani sporche di sangue…il senso di colpa gli impediva di aprire il suo cuore a un sentimento puro e nobile come l’amore.
 
 
Jari si allontanò dalla folla di soldati già mezzi ubriachi per cercare il suo comandante. Vagò nell’oscurità tra le baracche del campo, seguì la rete di filo spinato e proseguì lungo il sentiero fino a raggiungere l’alloggio del tenente. Bussò alla sua porta sperando di trovarlo solo, aveva bisogno di parlare con lui in privato.  
Winkler era seduto al tavolo, impegnato a scrivere lettere su carta dai timbri imperiali. Jari non ebbe dubbio che fossero destinate a Berlino.
«Devo dedurre che anche il nostro ritorno sia stato pianificato»
Il tedesco annuì: «abbiamo fornito il nostro contributo in questa guerra»
«Che cosa accadrà adesso?»
Bernhard guardò l’amico negli occhi: «non lo so, ma di certo non resteremo fermi a lungo. La nostra Patria ha bisogno di essere difesa e protetta»
«I tedeschi continuano a sostenere la nostra Indipendenza?»
L’ufficiale annuì: «abbiamo armi e uomini ben addestrati, tutto questo grazie al supporto della Germania»
Jari non poté contraddire le sue parole, non aveva motivo per sospettare ancora dei loro alleati. Tutta quella diffidenza non era più necessaria. Soltanto in quel momento poté comprendere il vero obiettivo di Winkler e si pentì per aver dubitato di lui in passato.
Bernhard si rialzò in piedi, avvicinandosi lentamente.
Il giovane rimase immobile, fremendo tra incertezza e desiderio.
Winkler lo strinse a sé, Jari non trovò il coraggio di sottrarsi a quell’abbraccio. Sapeva di non poter pretendere nulla da quel rapporto ed era consapevole che una volta tornati in Finlandia le loro strade si sarebbero separate nuovamente. In quel momento però si sentì al sicuro.
Non aveva dubbi, era certo che i sentimenti del suo compagno fossero sinceri. Come per dimostrare ciò Winkler prese il suo viso tra le mani e lo baciò.
Jari cedette ancora una volta a quella passione proibita, desiderando soltanto trascorrere quell’ultima notte tra le sue braccia.
 
***

L’accampamento delle Guardie Bianche nascosto tra le montagne era quieto e silenzioso, nella notte si udiva solamente il rumore delle sentinelle che camminavano nella neve.
Il soldato Lars Sjöberg offrì una sigaretta al suo compagno.
«La situazione a sud è sempre più preoccupante…Helsingfors non è più sicura»
«Intendi Helsinki?» domandò Kris con aria perplessa.
«Già…anche se quando le Guardie Rosse prenderanno in controllo la città tornerà ad essere russa»
«Questo non possiamo permetterlo!»
«Purtroppo le Guardie Bianche non riusciranno ad organizzarsi in tempo per difendere la capitale»
«Per quale motivo?»
«Perché nessuno poteva immaginare quel che sarebbe successo in Russia. Non pensavamo che i Rossi avrebbero deciso di portare la Rivoluzione anche oltre al confine»
Kris provò un’intensa sensazione di rabbia e frustrazione: «avremmo dovuto agire per difenderci!»
«Calmati ragazzo, non è ancora troppo tardi per questo»
«E nel frattempo cosa dovremmo fare? Restare nascosti sulle montagne come esiliati?»
«Il reclutamento ha avuto successo, ma i volontari come te devono essere addestrati prima di essere schierati in prima linea»
«Non sono un novellino, so sparare con un fucile!»
L’uomo mostrò un ironico sorriso: «i Rossi sono ribelli senza alcuna disciplina, noi invece siamo un vero esercito, i nostri soldati sono ben addestrati. Il maggiore Tanner è un ex-ufficiale dell’esercito imperiale, mentre il capitano Blomström è appena tornato dalla Germania. Gli Jäger hanno visto la guerra con i loro occhi, sanno bene quel che dovremo affrontare. Dunque, se vuoi un consiglio, cerca di apprendere il più possibile dai tuoi comandanti»
Kris ascoltò attentamente quelle parole. Inevitabilmente pensò al fratello di Kaija, si domandò se anche lui fosse tornato in Finlandia. Forse il capitano Blomström sapeva qualcosa su di lui. Alla prossima occasione avrebbe tentato di indagare a riguardo.  
«Fortunatamente abbiamo il supporto dei tedeschi. L’ultima nave ci ha riforniti di armi a munizioni. Abbiamo abbastanza risorse per mantenere la pace, almeno per il tempo necessario a rafforzare l’esercito»
«Perché i tedeschi vogliono aiutarci?»
«Semplice. Perché anche loro vogliono sconfiggere i comunisti!»
«Si tratta di questioni che riguardano la guerra?»
«Anche la Germania sta lottando per l’Indipendenza, suppongo che l’alleanza sia nata per questo»
Kris non poté far altro che fidarsi del suo compagno.
«Per quale motivo il capitano Blomström è tornato mentre altri Jäger sono rimasti in Germania?»
«Non lo so, ma è probabile che questa decisione abbia a che fare con la Cavalleria. Quasi tutti gli Jäger che sono tornati con l’ultima nave dalla Germania appartengono a quel Reparto»
Kris rimase perplesso a riguardo.
«In ogni caso sono certo che presto tutti gli Jäger faranno ritorno in Patria» continuò Lars.
Il giovane volle credere alle parole del suo commilitone.
In quel momento il silenzio della notte fu interrotto da alcuni rumori sospetti.
Istintivamente Kris strinse il fucile, immediatamente riconobbe il rumore degli zoccoli che battevano sulla neve ghiacciata.
I due soldati si appostarono vicino al sentiero, poco dopo notarono un civile a cavallo, era solo e sembrava avere fretta di raggiungere l’accampamento. Appena riconobbe i due soldati il giovane sconosciuto si fermò.
Kris gli ordinò di scendere da cavallo, egli obbedì senza protestare.
«Chi sei? Cosa fai qui?»
«Devo parlare con il vostro comandante, c’è stata una rivolta in città»
Lars esitò: «è la verità?»
Il ragazzo aveva il volto arrossato dal pianto, ma la sua voce rimase ferma e decisa.
«Sì, signore. I Rossi hanno ucciso mio padre e mio fratello»
Kris avvertì un nodo alla gola nel sentire quella testimonianza. La situazione stava degenerando rapidamente.
Sjöberg non perse altro tempo.
«Coraggio ragazzo, vieni con noi»             
Il giovane seguì i due soldati, per tutto il tragitto rimase in silenzio, ma il suo sguardo cupo manifestò a pieno la sua brama di vendetta.
 
***

Il ritorno degli Jäger in Patria fu ostacolato dal gelo. Una rompighiaccio giunse in soccorso per liberare il passaggio e permettere alla nave tedesca di raggiungere Vaasa, la nuova capitale della Finlandia non comunista.
I soldati furono accolti come degli eroi. Una gran folla si radunò nella piazza della città per omaggiare i soldati tra applausi e grida di approvazione.
Il 27° Battaglione era ormai stato dismesso dallo Heer ed ora era pienamente parte del nuovo esercito finlandese. Jari era stato lieto di disfarsi delle divise tedesche per indossare l’uniforme delle Guardie Bianche. Tutti coloro che avevano ricevuto un addestramento speciale avevano ottenuto un’immediata promozione. Così anch’egli mise piede sul suolo finlandese con il grado di sottotenente.
Fu orgoglioso di partecipare alla parata ufficiale dove i volontari ricevettero gli onori dal generale Mannerheim in persona.
Ovviamente i nuovi arrivati erano preoccupati per la situazione in cui si trovava la Finlandia, in Germania avevano seguito le ultime notizie riguardanti la guerra civile, ma non avevano idea di cosa fosse realmente successo. Avevano abbandonato la Finlandia sotto il comando degli invasori russi, ritrovandosi a distanza di pochi anni in una Nazione divisa, dove due fazioni appartenenti a ideologie diverse e ceti sociali opposti stavano combattendo un’aspra guerra di conquista per il potere.
Ufficialmente gli Jäger erano un Reparto speciale dei Bianchi, così come Winkler e i suoi sostenitori avevano pianificato fin dall’inizio. A differenza del piano originale però i russi non erano il loro unico nemico.
Jari aveva affrontato decine di volte quei discorsi con i suoi compagni, nessuno era realmente convinto di quella guerra, ma non c’era altra possibilità. Le Guardie Rosse dovevano essere fermate, la Finlandia non poteva diventare comunista.
Le motivazioni politiche, sociali ed economiche potevano avere la loro rilevanza, ma per Jari e i suoi commilitoni si trattava di senso del dovere. Avevano lottato per l’Indipendenza ed ora dovevano continuare a combattere per difendere l’amata Patria.
Jari pensava a questo mentre la banda suonava le note di Sibelius e i soldati intonavano in coro il ritornello della marcia militare.
 

Il nostro dovere non sarà compiuto,
finché il popolo della Finlandia non avrà ottenuto la Libertà.

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Capitolo 22
*** Il Rosso e il Bianco ***


 

XXII. Il Rosso e il Bianco
 


Il vento fischiava tra gli alberi, battendo violentemente contro alle pareti metalliche.
Verner fu il primo a riaprire gli occhi nella semi oscurità. Altri dieci corpi erano distesi sul fondo del vagone, rannicchiati e stretti l’uno all’altro per ripararsi dallo spietato gelo invernale.  
Il giovane mosse i primi passi avvertendo le membra intorpidite. Al confine i Rossi non avevano città occupate, dunque la loro unica possibilità era trovare rifugio nei vagoni dei treni blindati abbandonati dai russi. Vivevano come banditi, recuperando cibo e rifornimenti dove riuscivano, a volte erano fortunati e trovavano il supporto della popolazione, in altri casi invece erano costretti a rubare e saccheggiare per sopravvivere. Per quanto Verner non approvasse questi eccessi di violenza e anarchia, doveva essere obiettivo e riconoscere di non avere altra scelta. In qualche modo dovevano superare l’inverno, in attesa del supporto dei bolscevichi per il prossimo attacco.
Verner si riprese da quelle riflessioni avvertendo dei passi avvicinarsi, poco dopo riconobbe la figura di Jussi comparire dalla boscaglia. Subito si avvicinò al falò per riscaldarsi.
«Sono stato all’accampamento, per il momento è tutto tranquillo» disse l’amico poggiando a terra lo zaino e il fucile.
«Hai ricevuto nuovi ordini?»
Jussi annuì: «dobbiamo occuparci di un’altra missione»
Verner sollevò leggermente lo sguardo: «di che si tratta?»
«Una fattoria al confine, il proprietario è un traditore. Sai bene qual è il nostro dovere»
Il giovane si limitò ad annuire, l’espressione sul suo viso si incupì.  
Senza aggiungere altro tornò a prestare attenzione alla sua arma. Ispezionò con cura il fucile, accertandosi che fosse carico.
«So che è difficile, ma presto le cose cambieranno. Quando le condizioni saranno favorevoli i russi potranno inviarci armi e munizioni. Allora torneremo a combattere» lo rassicurò Jussi.
Verner fu costretto a riporre fiducia nei loro alleati.
«Mi è stato riferito che a Pori undici prigionieri sono stati giustiziati» continuò il suo compagno.
Egli non aggiunse alcun commento, ogni giorno ascoltava notizie del genere, indipendentemente da quale parte del fronte provenissero. Rossi e Bianchi si massacravano a vicenda, spesso coinvolgendo civili e innocenti. Era la guerra, questa era l’unica risposta che poteva darsi.
«Sei preoccupato per Hjalmar?» domandò Jussi.
«Ho intenzione di tornare da lui al più presto»
«Prima dobbiamo portare a termine la missione» 
Verner sistemò la fascia rossa al braccio. 
«Gli altri sono pronti a partire?»
Jussi confermò: «coraggio, è ora di andare!»      
 
Tutto procedette come previsto, ma Verner si accorse che la situazione era degenerata in fretta. I suoi compagni non avevano esitato ad eccedere con la violenza.  
Allontanandosi gli uomini a cavallo seguirono il sentiero nella foresta. Era sempre necessario essere prudenti al confine, anche se nelle ultime settimane quelle zone si erano rivelate deserte. Le Guardie Bianche si erano ritirate per rafforzare le difese, l’inverno aveva bloccato il progredire della guerra.
Verner fermò il suo Suokki vicino al ruscello per permettergli di dissetarsi. Istintivamente rivolse lo sguardo verso valle, dove avvistò il fumo nero innalzarsi sopra agli abeti innevati.
Jussi lo affiancò notando il suo turbamento.
«Che ti prende?»
«Era necessario dar fuoco alla fattoria?» chiese Verner con tono accusatorio.
«I Bianchi capiranno il messaggio» fu la pragmatica risposta.
«È per questo che avete impiccato quell’uomo nel fienile?»
Jussi sbuffò: «che ti importa? Era uno sporco traditore! Almeno abbiamo risparmiato le pallottole!»
Egli scosse il capo esprimendo il proprio dissenso.  
«Credi che i Bianchi avrebbero avuto pietà per te?»
Verner rimase in silenzio, conosceva bene la risposta a quella domanda.
«Abbiamo fatto quel che era necessario» concluse Jussi.
Il giovane si rassegnò, l’importante era aver portato a termine la missione.  
 
Il giorno seguente Verner fece ritorno a Tampere per incontrare il tenente Hedmann e vedere suo fratello.
La città occupata dai ribelli era buia e silenziosa, per le strade il giovane incontrò soltanto guardie e soldati con la fascia rossa stretta al braccio. Fortunatamente riuscì a raggiungere il rifugio del suo comandante senza imprevisti. Il tenente Hedmann era rintanato nel suo ufficio a studiare carte topografiche, mentre il suo assistente era impegnato a decifrare messaggi alla radio. Anche se il fronte appariva immobile qualcosa stava accadendo.
Verner notò un insolito fermento, ma non pose domande, al momento opportuno gli sarebbero state fornite le informazioni necessarie.
Il giovane fu lieto di rivedere Hjalmar, ogni volta che era costretto a separarsi da lui provava profonda angoscia. Percepiva delle responsabilità nei suoi confronti, in quanto fratello maggiore sentiva ancora il peso di quel ruolo. Dopo la prematura scomparsa del padre egli era diventato il suo unico punto di riferimento, sapeva di non essere sempre stato un buon esempio per Hjalmar, ma a suo modo aveva tentato di dimostrare il suo affetto. Ovviamente era orgoglioso del coraggio dimostrato dal fratello, ma il pensiero che potesse trovarsi in pericolo continuava a tormentarlo.
«Ho saputo che anche l’ultima missione è stata compiuta con successo» disse Hedmann con soddisfazione.
«Sì, signore»
«So che la situazione al fronte è difficile, ma dovrete resistere ancora per qualche settimana, finché le condizioni atmosferiche non permetteranno ai russi di inviare rinforzi»
«Non so per quanto potremo resistere, le scorte di cibo stanno esaurendo, non abbiamo armi e munizioni a sufficienza per resistere a un ingente attacco»
«Ciò significa che dovremo organizzare altri assalti agli accampamenti nemici»
«È così che dovremo affrontare questa guerra? Comportandoci come criminali?»
Il suo comandante alzò le spalle: «questo è ciò che significa combattere dalla parte degli insorti»
Verner dovette accettare quell’amara realtà.
Hedmann prese posto al tavolo, offrì una sigaretta al suo sottoposto ed estrasse un fiammifero dal taschino. Dopo aver espirato una nube di fumo si rivolse a Hjalmar.
«Sono giunti nuovi ordini da Helsinki. Deve essere consegnato un messaggio urgente al tenente Holmberg»
Verner si alzò in piedi con uno scatto. Gli uomini del tenente Holmberg erano appostati al confine e per raggiungere le loro trincee era necessario esporsi al nemico.
«Dannazione, mio fratello è ancora un ragazzino! Non può pensare di affidargli una missione così pericolosa!»
Il tenente Hedmann rimase impassibile.
«Jänis è la nostra staffetta»
«Dia a me quella lettera, sarà mia responsabilità recapitare il messaggio»
L’ufficiale guardò il giovane negli occhi, avrebbe dovuto redarguire il suo sottoposto per la mancanza di rispetto, ma poté comprendere le sue motivazioni. Senza aggiungere altro consegnò la busta nelle sue mani.
«Grazie signore» concluse Verner prima di congedarsi e uscire dalla stanza per dedicarsi alla sua nuova missione.
Hjalmar sollevò timidamente lo sguardo: «signor tenente…sono giunti nuovi ordini anche per noi?»
Hedmann scosse la testa: «no, è nostro dovere restare a difendere la città»
Il ragazzino non riuscì a nascondere il proprio turbamento, nonostante la preoccupazione sentì il desiderio di agire.
L’ufficiale poggiò una mano sulla sua spalla.
«Verner desidera solo proteggerti» disse con inaspettato tono paterno.
Hjalmar annuì, per quanto desiderasse rendersi utile era consapevole di non potersi intromettere in certe questioni. Tutto ciò che poteva fare era riporre fiducia in suo fratello.
 
Verner cavalcò nell’oscurità, l’unica fonte di luce era il riflesso argenteo della luna. Il giovane attraversò la foresta seguendo il corso del fiume ghiacciato, così come gli era stato riferito. Il confine era ancora lontano, non avrebbe potuto proseguire in quelle condizioni. Il suo cavallo soffriva il freddo e la fatica, e anche lui iniziava ad avvertire i crampi della fame. Ricordò le indicazioni ricevute e decise di prendere il sentiero che avrebbe dovuto condurlo ad un rifugio sicuro.
Non dovette percorrere molta strada prima di incontrare una squadra in perlustrazione. Verner scese da cavallo e si fece riconoscere.
I suoi compagni si avvicinarono con cautela, temevano di essersi imbattuti nel nemico, ritrovare un alleato fu rassicurante.  Tra di loro Verner riconobbe una ragazza, la quale indossava abiti maschili e portava un’arma come tutti gli altri. Avrebbe potuto scambiarla per un ragazzino se non fosse stato per le trecce bionde nascoste sotto al colbacco.
Fu proprio lei ad accompagnarlo al rifugio, una fattoria occupata dove trovò anche una stalla per lasciar riposare il suo cavallo.
La ragazza, che poco dopo scoprì chiamarsi Leena, lo invitò ad entrare nel capanno. Altri soldati erano accampati nelle stanze spoglie, arrangiati come potevano per trascorrere la notte.
Verner si sistemò in un angolo più appartato, non aveva molto tempo per riposare, sarebbe dovuto ripartire prima dell’alba.
Poco dopo Leena tornò da lui con un piatto fumante.
«Non è rimasto molto, ma spero che qualcosa di caldo possa comunque essere gradito»
Verner accettò con piacere, aveva bisogno di riempirsi lo stomaco e recuperare energie. In quelle condizioni anche una misera zuppa poteva essere un cibo prelibato.
Leena rimase al suo fianco.
«Posso chiederti perché sei qui?»
«Come ho detto ai tuoi compagni devo portare a termine una missione importante»
Lei indicò la fascia rossa stretta al braccio.
«Intendo perché hai deciso di unirti alla nostra causa»
Il giovane prese un profondo respiro, l’unico con cui aveva parlato onestamente di se stesso era Aleks. Non aveva motivo di aprire il suo cuore a una sconosciuta, eppure in quel momento così intimo sentì di dover condividere qualcosa del suo passato. 
«Vengo dalla Carelia, il mio villaggio è stato colpito dalla carestia. Ho scelto di unirmi ai comunisti per difendere la mia famiglia e la mia terra. Mio padre è stato ucciso ingiustamente dai soldati dell’Impero, io e mio fratello abbiamo deciso di portare avanti la sua lotta per la libertà»
«È stata una decisione coraggiosa»
Verner si limitò ad alzare le spalle, credeva di aver fatto solo ciò che riteneva giusto.
Leena decise di ricambiare quella fiducia raccontando la sua storia.
«Vivevo a Varkaus prima della guerra. Una notte le Guardie Bianche sono arrivate in città, hanno perquisito ogni casa in cerca dei ribelli. I soldati erano convinti che fossimo tutti colpevoli. Non hanno avuto pietà per nessuno. Erik, il mio fidanzato, reagì per difendermi. I Bianchi lo trascinarono via a forza dopo averlo percosso e bastonato. Poco dopo ho udito lo sparo. Non voglio parlare di quel che mi hanno fatto…ma posso dirti che per loro è stato un errore lasciarmi viva»
Verner ascoltò quella testimonianza provando soltanto orrore e ribrezzo. 
«Tutto ciò è davvero terribile»
La ragazza non disse più nulla a riguardo, restò qualche istante in silenzio, quando tornò a parlare cambiò argomento.  
«Dunque sei diretto al confine?»
Egli annuì: «devo consegnare un messaggio importante»
«Dovrai seguire il sentiero a nord, la strada verso le montagne è sicura»
Verner ringraziò per le indicazioni, poi tornò ad osservare i corpi dei soldati distesi sul pavimento, rannicchiati e infreddoliti.  
«A volte mi chiedo a cosa ci porterà tutto questo…non c’è giustizia in questa guerra»
Leena rispose prontamente: «ti sei unito alle Guardie Rosse perché anche tu hai sofferto a causa delle ingiustizie»
«Sì, certo. Non mi sono affatto pentito delle mie scelte e ritengo necessario difendere gli ideali della rivoluzione, ma…»
Il suo discorso venne interrotto bruscamente dalla sua compagna.
«Da dove vengo io uomini e donne lavorano fino allo stremo delle loro forze senza riuscire a guadagnare abbastanza per sopravvivere. Così mentre i loro corpi vengono consumati dalla fatica e dalla malattia i loro bambini muoiono di fame»
Verner riconobbe profondo dolore nelle parole di quella donna, egli stesso aveva avuto prova di quella terribile realtà.
«Tutti noi proviamo odio e rancore. Loro non hanno mai mostrato pietà nei nostri confronti, per questo non ho mai esitato a premere il grilletto»
Il giovane guardò Leena negli occhi, le iridi argentee ardevano di rabbia e desiderio di rivalsa.
«Sono un soldato valido come chiunque altro» affermò lei sostenendo con orgoglio il suo sguardo.
«Non ho dubbi a riguardo» affermò Verner con sincerità. La determinazione e la freddezza di Leena l’avevano profondamente colpito.
I due restarono a lungo in silenzio, entrambi assorti in cupi pensieri.
Prima di andarsene Leena si rivolse un’ultima volta a Verner.
«Ti ringrazio»
Egli non capì: «per che cosa?»
«Per non aver sottovalutato le mie capacità»
«Per me è più utile giudicare i fatti e non le apparenze» disse semplicemente.
Leena rispose con un cenno di comprensione, per poi ritirarsi nell’altra stanza.
Aveva incontrato diversi soldati in quelle foreste, ma nessuno si era comportato con tanto rispetto nei suoi confronti. Solitamente quegli uomini si limitavano a vederla come una donna indifesa e a non prendere seriamente il suo desiderio di combattere. Verner invece aveva compreso le sue motivazioni, trattandola esattamente come un suo pari, senza pregiudizi.
Quel giovane era diverso, l’aveva notato fin dal primo momento.
Quella notte, prima di distendersi sul suo giaciglio, Leena pregò per lui, perché potesse tornare sano e salvo.
 
***
 
Marja aveva faticato ad accettare il trasferimento lontano da Helsinki, la città dove era nata e cresciuta, dove aveva vissuto interamente la sua vita. Purtroppo insieme ad altre centinaia di persone non aveva avuto scelta, la città non era più sicura da quando era diventata la capitale della Finlandia comunista. Aveva deciso di fidarsi di suo fratello, accettando di partire senza di lui.
In tutto questo aveva trovato conforto con il ritorno di Lauri. Pur essendo sposati da quasi tre anni, i due giovani avevano trascorso insieme soltanto pochi giorni come marito e moglie. Ritrovarsi dopo tutto quel tempo fu emozionante per entrambi.
Dopo i primi momenti di pura commozione, i due non poterono ignorare la realtà intorno a loro.
Stretta nel suo abbraccio Marja confidò all’amato le sue profonde paure.
«Hai intenzione di tornare a combattere?»
Egli annuì: «presto dovrò tornare a Vaasa insieme agli Jäger»
Marja si rattristò al pensiero dell’imminente separazione.
«Sono preoccupata per Evert…lui è rimasto ad Helsinki»
Lauri si insospettì: «tuo fratello è un sostenitore dei Rossi?»
«Non lo so, non ha voluto darmi alcuna spiegazione»
Suo marito le rivolse un’occhiata severa.  
«Non sto mentendo, è la verità»
«Capisco che tu voglia proteggere tuo fratello. Mi dispiace, ma io non posso farti alcuna promessa»
Marja avvertì gli occhi lucidi. Non avrebbe mai potuto scegliere tra Evert e Lauri, per lei le questioni politiche non avevano alcuna importanza rispetto ai propri sentimenti. Eppure non poteva ignorare la realtà, quella guerra avrebbe causato soltanto dolore alla sua famiglia.
La ragazza non volle pensare al peggio, in quel momento era al sicuro tra le braccia di suo marito.
«Oh, Lauri. Mi sei mancato così tanto…attendevo sempre con ansia le tue lettere, ho avuto così tanta paura di perderti»
Egli la strinse a sé, capì di esser stato fin troppo severo nei suoi confronti, ma in fondo preferì essere stato sincero.
Il futuro era incerto, non sarebbe servito credere nelle illusioni.
 
Lauri non era più lo stesso da quando era tornato dalla Germania. Marja l’aveva capito fin dal primo momento, quando nel suo sguardo non aveva riconosciuto il ragazzo allegro e spensierato di cui si era innamorata.
Quella notte ebbe la prova del suo distacco. L’avvertì distante anche nel momento di più intima condivisione, nonostante roventi carezze e baci passionali non riuscì a leggere vero amore nel suo sguardo.
Marja era certa che il suo Lauri non fosse scomparso per sempre. Volle credere che quel cambiamento fosse dovuto alla guerra e che la pace gli avrebbe riportato indietro l’amore della sua vita. Nonostante tutto continuava a credere nella loro promessa.
 
***

Jari si distaccò dall’amorevole abbraccio della sorella, la quale si era subito gettata tra le sue braccia, esprimendo a pieno la sua commozione.
«Sono così felice di rivederti! Non posso credere che tu sia davvero qui!»
Il giovane sorrise: «anche voi mi siete mancati, non è stato semplice stare lontano da casa per tutto questo tempo»
Kaija esaminò con attenzione il fratello, come per accertarsi che la sua presenza fosse reale. Egli era cambiato in quegli anni, non era più un ragazzino, la guerra aveva contribuito a conferirgli un aspetto più maturo. Era quasi irriconoscibile mentre indossava la divisa da sottufficiale.
Quella sera la famiglia Koskinen cenò riunita al tavolo della cucina.
Jari fu tempestato di domande, per quanto possibile cercò di rispondere. Parlò soprattutto del campo di addestramento, dei suoi compagni, e di quanto fosse diversa la Germania.
Cercò di narrare gli eventi più rilevanti riguardanti la guerra, la maggior parte erano notizie lette sui giornali. Non raccontò nulla di quel che aveva visto in prima linea.
 
Dopo cena il dottor Koskinen invitò il figlio nel suo studio, aveva atteso a lungo il suo ritorno, non voleva perdere altro tempo per chiarire le cose tra loro e provare a recuperare quel rapporto.
Jari dimostrò la sua maturità accettando l’invito. Seppur con diffidenza prese posto sulla poltrona.
Il padre riempì due bicchieri di acquavite.
«Suppongo di doverti parlare da uomo a uomo ormai…» affermò con un benevolo sorriso.
Jari bevve il primo sorso con indifferenza.
«Vorrei avere una conversazione sincera tra padre e figlio, spero che tu voglia concedermi questa possibilità»
«Se sono qui è perché sono disposto ad ascoltarti»
Fredrik lo guardò dritto negli occhi.
«Voglio che tu sappia che sono orgoglioso di te, lo sono sempre stato»
«Credevo che non approvassi la mia decisione di partire per la guerra»
«Quando ti sei arruolato eri soltanto un ragazzo innamorato dei tuoi ideali, in quanto genitore volevo proteggerti da una più dura realtà»
«Non sono pentito per aver disobbedito al tuo volere»
Il dottor Koskinen apprezzò la sincerità. 
«Non posso biasimarti per le tue scelte. Avrei dovuto essere disposto ad ascoltarti e a supportarti quando avevi bisogno di me»
«Ormai non ha più importanza»
«Desideravo solo il meglio per te. Riconosco i miei errori e ti chiedo di perdonarmi per i miei sbagli»
Jari si stupì di sentire quelle parole.
«Sei mio figlio, io resterò sempre al tuo fianco, non devi mai dimenticarti di questo»
Il giovane comprese il vero significato di quelle parole.
«Devo portare avanti la missione e rispettare il giuramento. È mio dovere tornare a combattere insieme ai miei compagni»
«In tre lunghi anni ho compreso quanto questa battaglia sia importante per tutti noi»
Jari ribadì le sue intenzioni: «si tratta del destino della Finlandia ed io sono pronto a fare il mio dovere»
Il dottor Koskinen non poté far altro che rispettare la volontà del figlio. Davanti a lui non aveva più un ragazzo testardo, ma un giovane uomo deciso e determinato.
 
Jari salì le scale lentamente, guardandosi intorno con passiva indifferenza. Aveva la sensazione di essere un fantasma tra quelle mura, era come se non fosse realmente in quella casa, quel mondo non gli apparteneva più. La sua mente lo riportava sul campo di battaglia, non poteva evitare di domandarsi cosa stesse accadendo sul nuovo fronte di guerra.
A distrarlo da quei pensieri fu l’apparizione di sua sorella, la quale lo invitò a parlare nella sua stanza.
«Quanto tempo resterai?» domandò con apprensione.
«Dovrò partire la prossima settimana»
Kaija abbassò tristemente lo sguardo.
«Speravo che potessi rimanere per più tempo»
Egli tentò di rassicurarla prendendo dolcemente la sua mano.
«Sono tornato dalla Germania e adesso sono qui. Stiamo tutti bene, non è questo l’importante?»
Kaija ricambiò la sua stretta.
«Sono cambiate tante cose da quando te ne sei andato…»
Jari rifletté su quelle parole, era vero, nulla era rimasto come prima. Niente sarebbe potuto tornare come prima della guerra. L’aveva avvertito al suo arrivo, ricevendo una silenziosa e fredda accoglienza dai suoi compaesani.
«Sai, molti giovani hanno deciso di partire, anche Kris si è arruolato con le Guardie Bianche»
Jari percepì l’angoscia della sorella, sapeva che i due erano sempre stati molto uniti, era certo che ella avesse sofferto per quella separazione.
«I comandanti dei Bianchi sono Jäger ben addestrati, puoi fidarti di loro»
Kaija scelse di credere alle sue parole.
«Pensi davvero che sia giusto combattere questa guerra?»
Jari sospirò: «tutto quello che so è che non abbiamo scelta»
La giovane guardò il fratello con commozione, per un istante rivide in lui il ragazzino timido e introverso che amava leggere e suonare il pianoforte, ormai quell’innocenza era svanita.
 
Rimasto solo nella sua stanza Jari provò una profonda inquietudine. Credeva che sarebbe stato felice di tornare a casa, invece quella visita gli aveva procurato solo altri tormenti.
Ovviamente era stato lieto di rivedere il padre e la sorella, ma il loro affetto, per quanto sincero, non avrebbe potuto esser d’aiuto. Loro non avrebbero potuto comprendere, sentiva il bisogno di tornare al fronte dai suoi compagni. Fino alla conclusione della guerra non avrebbe mai potuto trovare la pace.
Jari era assorto in questi pensieri quando all’improvviso la sua attenzione fu catturata da un oggetto riposto sulla scrivania. Si trattava della scultura in legno che ritraeva Onni, era l’ultimo dono di Verner.
Ricordava bene il loro addio, in tutto quel tempo era tornato spesso a quei momenti. Ancora soffriva per quel che era successo, ma non provava alcun rimorso per le sue scelte.
Non si sentiva un traditore per aver abbandonato il villaggio e nemmeno per aver combattuto sotto un’altra bandiera per il bene della Finlandia.
Inevitabilmente si domandò cosa fosse accaduto a Verner in tutto quel tempo. Conoscendolo poteva ben supporre che non fosse rimasto indifferente a quella guerra. Un brivido scosse il suo corpo al pensiero che egli potesse aver preso decisioni avventate.
Alla fine non poté far altro che sperare che, nonostante tutto, il suo caro amico d’infanzia stesse bene.
Jari tornò a distendersi sotto alle coperte, sorprendendosi per quanto fosse ampio, caldo e accogliente quel letto. Ormai abituato alle assi immerse nel fango delle trincee o alle rigide brande della caserma aveva dimenticato certe comodità.
Il giovane richiuse gli occhi, lasciando che la stanchezza prendesse il sopravvento.
Quella notte sognò la baita nella foresta.

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Capitolo 23
*** L’incontro/La runa di von Rosen/Poika ***



XXIII. L'incontro. La runa di von Rosen. Poika 


«E così voi Jäger eravate al fronte con i tedeschi?»
Yrjö annuì.
«Quanto tempo siete rimasti laggiù?»
«Un anno di addestramento, un altro anno in prima linea e poi a difendere il nord fino alla resa dei russi»
«Dannazione! Non deve essere stato facile resistere così a lungo»
Yrjö rivolse lo sguardo fuori dal finestrino, il panorama innevato della Carelia risplendeva davanti ai suoi occhi. Jari aveva ragione, quelle terre erano davvero magiche.
Lo sconosciuto con cui condivideva lo scompartimento continuò il suo informale interrogatorio.
«Ha detto di essere un dottore…» disse osservando con curiosità la fascia stretta al suo braccio.
«Sono stato promosso a ufficiale medico dopo il mio ritorno»
L’uomo sorrise: «il generale Mannerheim ha voluto onorarvi per il servizio reso alla Patria»
«Purtroppo la nostra missione non è ancora terminata»
«Questa guerra non durerà a lungo. Anche gli svedesi sono dalla nostra parte, preferiscono vederci indipendenti piuttosto che comunisti!»
Yrjö rimase perplesso, non aveva idea di quel che sarebbe accaduto, la sua unica certezza era che in meno di due giorni sarebbe tornato a combattere.
«È diretto a nord?»
Il medico esitò: «devo raggiungere Vaasa, ma…prima voglio far visita a una persona»
Lo sconosciuto impallidì, mostrandosi seriamente preoccupato.
«La Carelia non è sicura, soprattutto per i soldati»
«In questi tempi nessun posto in Finlandia è sicuro» fu la pronta risposta.
«Questa persona deve essere davvero importante»
Yrjö si rialzò dal suo sedile accorgendosi di essere ormai giunto a destinazione.
«Oh, certo. Lei è la ragione per cui sono ancora vivo» concluse prima di abbandonare lo scompartimento.
 
Jari aveva parlato spesso di casa sua, definendola come una modesta fattoria ai margini della foresta. In realtà la proprietà della famiglia Koskinen era la perfetta dimora di un medico di campagna, borghese e benestante.
Yrjö attese davanti all’entrata, aveva bussato in modo pacato, ma deciso. I rumori provenienti dall’interno dell’abitazione gli confermarono che qualcuno si era accorto della sua presenza.
Quando Kaija si presentò alla porta egli si bloccò per un lungo istante, non potendo far altro che restare immobile ad ammirarla. Era bellissima, ancor più dell’immagine che aveva adorato per tanto tempo.
Lei fu sorpresa da quella visita inaspettata, dalla divisa suppose che quel giovane stesse cercando suo fratello.
«Mi dispiace, ma Jari è uscito per una passeggiata a cavallo nei boschi»
«A dire il vero non sono venuto qui per lui» 
La ragazza osservò il suo volto con più attenzione, pur non avendolo mai visto prima trovò qualcosa di familiare in lui.
«Yrjö? Sei davvero tu?» chiese con la voce spezzata per l’emozione.
«Nell’ultima lettera avevo promesso di venire da te»
Kaija sorrise ed invitò il giovane ad entrare.
«Devi essere stanco per il viaggio. Posso offrirti qualcosa di caldo?»
Egli non esitò ad accettare la proposta.
 
Yrjö strinse tra le mani la tazza fumante, assaporò il dolce sapore del miele, inebriato dal profumo delle erbe aromatiche. Il salotto aveva un aspetto familiare con un’atmosfera intima e accogliente. 
I due giovani cominciarono a conversare spontaneamente, si trovarono subito in sintonia, in fondo si conoscevano già da molto tempo.
Kaija parlò del suo passato e della sua famiglia, dell’affetto che provava per il fratello e anche del dolore per la perdita della madre. Esternò la sua preoccupazione per Kris e il timore per i recenti eventi che avevano sconvolto la Finlandia.
A sua volta Yrjö le raccontò della sua passione per la medicina e del dilemma interiore che aveva dovuto affrontare prima di decidere di arruolarsi. Parlò del suo rapporto con il dottor Lange e di quanto si sentisse solo e perso senza di lui. Riuscì persino ad esternare il senso di colpa che non l’aveva mai abbandonato dopo il suo ritorno in Patria.
Kaija ascoltò con interesse le sue parole, mostrando comprensione ed empatia nei suoi confronti. Si commosse nel conoscere le sue più intime motivazioni, non aveva mai dubitato delle sue buone intenzioni.
Il giovane medico trovò conforto in quel viso dolce e innocente.
Dopo un lungo silenzio Kaija decise di chiarire ciò che nelle lettere era rimasto in sospeso.
«Perché sei venuto qui?»
«Volevo vederti prima di partire»
La ragazza avvertì un nodo alla gola.
«Quello che hai scritto nelle tue lettere è tutto vero?»
Yrjö confermò senza esitazione.
«Allora dimmelo adesso»
Egli la guardò negli occhi: «ti amo»
Kaija sfiorò la sua guancia con una tenera carezza, avvicinò il viso al suo, finché le loro labbra non si unirono in un bacio leggero e delicato.
Yrjö si stupì quando lei si allontanò, distaccandosi dal suo abbraccio.
«Mio padre e mio fratello torneranno presto. Puoi restare per cena, saresti un ospite gradito»
Il giovane tornò mestamente alla realtà.
«No, io…non voglio disturbare la tua famiglia. Cercherò alloggio in una locanda per questa notte»
Sul viso di Kaija apparve un’espressione angosciata.
«Questo significa che stai per andartene?»
«Non avrei nemmeno dovuto concedermi questa tappa, non posso perdere il treno di domani mattina»
La ragazza provò profonda tristezza, si erano appena incontrati e già dovevano dirsi addio.
I due giovani si separarono frettolosamente, quasi freddamente.
Yrjö si ritrovò solo in strada, aveva sperato in un ultimo bacio, invece lei non gli aveva più rivolto alcun segno d’affetto.
 
Per tutta la sera Yrjö pensò a quel che era accaduto, domandandosi se in quel caso avesse commesso un errore a seguire il suo cuore. Kaija sembrava ricambiare i suoi sentimenti, ma lui non avrebbe potuto far altro che causare altro dolore a quella ragazza. Era stato egoista e si sentiva in colpa per questo.
Consumò la cena alla locanda tormentato da questi pensieri, finendo per bere qualche bicchiere di troppo. Tornato nella sua stanza si distese sul letto, con la testa pesante e le immagini del fronte davanti agli occhi aperti.
Il giovane era rassegnato a trascorrere un’altra notte insonne, quando ad un tratto avvertì dei battiti alla porta.
«Yrjö! Per favore, apri!»
Egli si rialzò di scatto, confuso e sorpreso nel riconoscere quella voce femminile. Rapidamente corse alla porta.
«Kaija…»
La ragazza esitò sulla soglia.
«Posso entrare? Fa freddo qua fuori»
«Come mai se qui?»
Lei tornò tra le sue braccia: «non potevo lasciarti andare via così…voglio stare con te questa notte»
Yrjö cedette al suo istinto, l’effetto del vino gli permise di superare ogni inibizione ed esprimere senza più timore il suo desiderio. Non voleva sprecare quell’occasione, consapevole che sarebbe potuta essere l’unica.
La strinse a sé, le accarezzò dolcemente i lunghi capelli castani, inebriandosi del suo profumo. La baciò con dolcezza, e poi con passione. Le mani scivolarono sui fianchi mentre continuò a cercare le sue labbra con sempre più trasporto.
Kaija slegò i lacci del vestito lasciando cadere la pesante stoffa sulle assi di legno.
Yrjö rimase immobile ad osservare la sua figura nella penombra della stanza, riuscì solo a pensare che fosse bellissima.
Lei prese l’iniziativa, iniziando a slacciare i bottoni della sua divisa. I due amanti si distesero sul materasso, esplorandosi a vicenda con baci roventi e bramose carezze.
Yrjö avvertì la ragazza fremere e ansimare al suo tocco. Lei prese la sua mano, premendola sul proprio petto, in modo che potesse percepire il battito accelerato del suo cuore e il respiro affannato.
Kaija non era mai stata con un uomo, eppure con Yrjö non provò alcun timore. Intrecciò le dita alle sue, abbandonandosi alla crescente sensazione di piacere. Fare l’amore insieme fu dolce e romantico, ma anche intenso e passionale.
Spossato e appagato, Yrjö si distese al suo fianco. Kaija si rannicchiò contro al suo petto.
Egli scostò delicatamente una ciocca dal suo viso.
«Quello che hai fatto è un vero miracolo»
Lei non capì: «di che stai parlando?»
«Quando sono tornato dalla guerra credevo che non avrei mai più potuto conoscere la felicità. Invece adesso sono convinto di non essere mai stato più felice»
Kaija si commosse nel sentire quelle parole.
Restarono abbracciati nell’oscurità, scambiandosi parole dolci, addormentandosi l’uno stretto all’altra.
 
Kaija riaprì gli occhi con i primi raggi del giorno che filtravano dalla finestra. Yrjö era seduto sul bordo del letto, già vestito, intento ad infilarsi gli stivali.
«Stai già andando via?»
«Il mio treno partirà tra meno di un’ora»
Lei lo guardò con apprensione, ma rimase in silenzio. Non poteva pretendere alcuna promessa da quell’addio.
Yrjö si chinò su di lei per salutarla con un ultimo bacio.
Quando la porta si fu richiusa Kaija si ritrovò sola, ancora mezza nuda tra le coperte.  
La giovane si nascose il viso tra le mani, abbandonandosi a un silenzioso pianto.
 
***

Dopo il suo ritorno in Finlandia Bernhard aveva dovuto affrontare una serie di avversità. Per quanto gli Jäger fossero stati accolti in Patria come degli eroi, su di loro gravavano ancora molte responsabilità.
Inoltre il suo addio alla Germania era stato particolarmente doloroso. Winkler non poteva considerarsi estraneo al destino del popolo tedesco.
Mentre il conflitto stava incendiando l’Europa, oltre al Mare del Nord, la Finlandia era dilaniata dalla violenza e dall’orrore della guerra civile.
Bernhard, da sempre diviso tra le sue due identità, si ritrovò a provare ugual disperazione nell’assistere a quei sanguinosi eventi.
La situazione era problematica anche per questioni politiche. Non si fidava del generale Mannerheim, il quale sembrava più interessato al suo tornaconto personale piuttosto che alla salvezza della Patria.  
In ogni caso Winkler era determinato a rispettare gli accordi e fare il suo dovere. Aveva lottato per tanto tempo al fine di raggiungere i suoi obiettivi. La formazione di un esercito, l’alleanza con la Germania, la lotta per l’Indipendenza…a quel punto la guerra civile era inevitabile.
Winkler osservò la sua scrivania, sulla superficie in legno era riposta l’ultima lettera ricevuta da Jari.
L’ufficiale prese un profondo respiro. La loro separazione non era stata semplice da affrontare, quel giovane era l’unico in grado di donargli conforto.
Sicuramente sarebbe tornato a combattere con il grado di ufficiale.
Era orgoglioso di lui, ma allo stesso tempo temeva di perderlo. Una parte di sé avrebbe desiderato continuare a proteggerlo come aveva sempre fatto fino a quel momento, ma era consapevole che ciò non sarebbe stato possibile.
Aveva riflettuto a lungo sulla natura del loro rapporto, alla fine aveva compreso di non potersi permettere di giocare con il fuoco.
La loro attrazione, seppur innegabile, era una vana illusione. Entrambi erano innamorati di ideali. Bernhard vedeva nel finlandese la rappresentazione dei valori patriottici che aveva sempre sostenuto, allo stesso modo Jari cercava nel suo superiore un punto di riferimento.
Questa consapevolezza poteva aiutare Winkler a giustificare le sue scelte, ma sarebbe stato comunque difficile rinunciare a colui che, prima di ogni cosa, si era dimostrato il suo unico vero amico.
 
Bernhard stava osservando con aria assorta la linea di confine tracciata sulla mappa quando all’improvviso avvertì dei battiti alla porta. Prontamente diede il permesso di entrare.
Poco dopo sull’uscio comparve la sagoma del tenente Halvari.
«Capitano Winkler, gli svedesi sono appena arrivati. Dovrebbe venire a vedere che bel regalo ci hanno portato!»
Bernhard si rialzò, incuriosito e insospettito da quell’esclamazione.
I due ufficiali attraversarono l’accampamento superando le baracche dei soldati.
Una gran folla era radunata ai confini del campo, tanto che era impossibile scorgere l’oggetto di tanta attenzione e meraviglia.
«Lei è stato in Germania?» domandò Halvari.
Winkler annuì.
«Allora ciò che vedrà non sarà una novità, però posso garantirle una bella sorpresa!»
Quell’ultima affermazione sollecitò ancor più la sua curiosità.
Finalmente i due ufficiali raggiunsero la loro destinazione, facendosi spazio tra la folla si aggiudicarono un posto in prima fila. Winkler non credette ai suoi occhi, davanti a lui si trovava un aereo, un monoplano biposto in ottime condizioni.
«Si tratta di un velivolo da ricognizione, per l’occasione è stato armato di mitragliatrice» specificò il tenente Halvari con soddisfazione.  
Bernhard si avvicinò per ammirare l’aereo con più attenzione, la fiancata era decorata con la runa blu di von Rosen [*].  
«Credevo che la Finlandia non avesse un corpo di aviazione» commentò.
«Questo è vero. Dovremo fare affidamento sui volontari»
«Volontari?»
«Già, diversi piloti stranieri hanno deciso di schierarsi dalla nostra parte. Svedesi, danesi…persino russi!»
Winkler mostrò un affabile sorriso.
«Spero che siano tutti onorati di volare per la nostra causa»
«Siamo certi che questa collaborazione potrà essere un gran vantaggio per noi»
 
Bernhard tornò al suo alloggio pensando che in fondo l’alleanza con la Svezia potesse avere anche i suoi lati positivi. Per vincere quella guerra avevano bisogno di mezzi, armi e uomini. Se necessario dovevano scendere a compromessi.
Winkler terminò con calma di fumare la sua sigaretta, non aveva motivo di preoccuparsi, almeno per il momento la situazione era sotto controllo.
 
***

Evert camminava per le strade di Helsinki con il fucile in spalla e lo sguardo vigile. Osservò il viale deserto, poi voltò l’angolo e proseguì per un’altra ronda.
Quando tornò dai suoi compagni avvertì un’insolita tensione, ma inizialmente non diede troppa importanza a quelle sensazioni.
L’ufficiale che gli chiese rapporto era piuttosto irrequieto, fumava nervosamente e parlava a chiunque con tono aggressivo.
Evert avvertì l’odore di alcol ancor prima di avvicinarsi. 
Ad un tratto l’uomo l’afferrò per la giacca, come se fosse intenzionato ad aggredirlo. Fortunatamente intervenne un altro tenente, il quale separò i due e si preoccupò di calmare il suo parigrado.
«Per questa sera è meglio che tu vada a riposare, non è il caso che ti faccia vedere in questo stato dai tuoi uomini!»
L’ubriaco esitò un istante prima di allontanarsi senza dire nulla.
Evert stava per obiettare, ma il suo superiore lo fermò.
«Dobbiamo lasciarlo in pace, è ancora sconvolto per quel che è successo»
Il giovane gli rivolse uno sguardo interrogativo.
«Ieri suo fratello è stato giustiziato, è stato suo dovere ordinare agli uomini di premere il grilletto»
Evert rabbrividì nel sentire quelle parole.
«Tutto ciò è davvero terribile»
Il tenente scosse le spalle.
«La guerra è guerra» fu l’amara risposta.
Evert rimase turbato da quella narrazione, per quanto fedele alla causa, egli non avrebbe mai potuto compiere un atto del genere. Forse avrebbero potuto considerarlo un vigliacco, eppure lui non aveva alcun rimorso. Aveva tradito i suoi ideali e i suoi compagni quando aveva deciso di aiutare sua sorella a fuggire. Era certo di averle salvato la vita obbligandola ad abbandonare Helsinki per rifugiarsi oltre al confine.
Marja era innocente, eppure tra i Rossi c’era chi non avrebbe esitato a farle del male, accusandola di tradimento. La sua unica colpa era stata quella di innamorarsi di uno Jäger.
Evert non approvava la relazione di sua sorella ben prima dello scoppio della guerra civile e le questioni politiche non avevano nulla a che fare con tutto ciò. Considerava Lauri egoista e arrogante, per quanto ritenesse sincero il suo amore per Marja, temeva che egli l’avrebbe fatta soffrire.
Aveva tentato di farle aprire gli occhi prima del matrimonio, ma lei non aveva voluto ascoltare le sue motivazioni. Alla fine non aveva potuto fare altro che rassegnarsi e sperare che almeno Marja potesse essere felice.
Per quel che riguardava Lauri non aveva cambiato opinione in tutto quel tempo, ma era stato costretto a nascondere l’avversità nei suoi confronti.
Non si era sorpreso quando aveva saputo della sua partenza per la guerra in Europa, doveva ammettere di aver sperato che egli non facesse più ritorno. Ma amava troppo sua sorella per augurarle un triste destino. Per qualche ragione lei era davvero innamorata di quell’uomo e la sua perdita le avrebbe causato solo un profondo dolore.
Evert era stato paziente, consolando Marja per tre lunghi anni in assenza del marito. Aveva sempre tentato di proteggere la sua famiglia, ma ora non c’era più nulla che potesse fare, se non sperare che nonostante tutto le persone che amava stessero bene.
 
Evert tornò in strada in compagnia di un suo commilitone, il quale non aveva affatto l’aspetto di un soldato. Quel giovane non poteva avere più di sedici anni, indossava abiti troppo larghi e a stento reggeva il peso del fucile.
Evert non conosceva nemmeno il suo nome, tutti lo chiamavano semplicemente Poika, il ragazzino.
I due si addentrarono nel distretto di Kaartinkaupunki oltrepassando le vecchie caserme. Avanzando nell’oscurità si accorsero che le strade diventavano sempre più strette e silenziose.
Istintivamente Evert imbracciò il fucile, a suo giudizio quella zona era fin troppo tranquilla.
Allertato da un rumore si voltò di scatto, puntando l’arma nel buio. Era certo di aver intravisto un’ombra. All’improvviso un gatto randagio uscì dall’ombra per attraversare la strada e scomparire oltre a un muretto di mattoni. Il soldato sussultò arretrando.
Poika non riuscì a trattenere una risata, divertito nel vedere un uomo armato spaventarsi per un gattino indifeso.
Evert sbuffò, maledicendo il povero felino.
«Calmati, è tutto a posto. Hai bisogno di rilassare i nervi. Vuoi una sigaretta?» domandò il ragazzo offrendogli la sua scorta.
Evert non ebbe il tempo di rispondere, nell’istante in cui voltò lo sguardo udì il botto di uno sparo.
Poika cadde in avanti, accasciandosi tra le sue braccia.
Il giovane tentò di sorreggere il compagno, trascinandolo al riparo. Altri spari echeggiarono nella notte, mancando di poco il secondo obiettivo. Dopo l’ultimo colpo l’attentatore fuggì via come un’ombra nella notte.
Evert si rannicchiò dietro al muro, adagiò il ferito a terra, chinandosi su di lui.
«Poika! Poika…dannazione, rispondi!»
Quando si rese conto che era troppo tardi Evert prese il compagno tra le braccia, stringendolo a sé in preda alla disperazione.
«Mi dispiace…scusami…non ho potuto fare nulla» farfugliò tra le lacrime.
Per un istante rivide ancora il suo sorriso, ma quando riaprì gli occhi trovò soltanto un viso pallido e contratto dal terrore. Le labbra sottili erano cianotiche, un rivolo di sangue fuoriusciva dal lato bocca. Gli occhi vitrei non brillavano più con innocente spensieratezza.
Ancora sconvolto Evert si rialzò sulle gambe tremanti, quando le guardie allertate dagli spari gli domandarono che cosa fosse accaduto ringhiò con rabbia.
«Poika è morto, i Bianchi lo hanno ucciso!»
 
 
 
 
 
 
 
[*] Lo stemma personale del conte svedese Eric von Rosen era una svastica blu, il simbolo fu scelto dal nobile per il suo significato nella cultura vichinga. La runa era considerata un auspicio di buona fortuna.
Il primo aereo donato da von Rosen determinò la nascita dell’aereonautica finlandese, per questa ragione la sua svastica venne adottata come insegna dal 1918 al 1945. Soltanto dopo il 1920 essa acquisì l’accezione politica della Germania Nazista. Lo stesso von Rosen negli anni ’30 divenne un convinto sostenitore del nazionalsocialismo.

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Capitolo 24
*** Compagni di viaggio ***



XXIV. Compagni di viaggio
 


Linea di difesa delle Guardie Rosse, acquartieramento a sud di Vilppula.

Verner legò il cavallo e corse velocemente all’interno dell’edificio che gli era stato indicato come il rifugio del tenente Holmberg. Bussò con insistenza, gridando a pieni polmoni il nome dell’ufficiale.
Appena gli fu concesso di entrare il giovane consegnò il prezioso foglio nelle mani del suo superiore.
«Un messaggio urgente, proviene direttamente da Helsinki»
Il tenente lesse il contenuto della lettera, l’espressione sul suo volto rivelò un lampo di preoccupazione, ma fu solo questione di un istante. Il comandante non aggiunse alcun commento, limitandosi a ringraziare il portaordini per aver svolto il suo dovere prima di congedarlo.
Quando uscì nuovamente in strada Verner trovò Leena ad attenderlo, la ragazza aveva insistito per accompagnarlo e lui non aveva potuto fare niente per impedirle di prendere parte alla missione. In fondo un compagno di viaggio si era rivelato utile, avevano potuto dividersi le fatiche della giornata e alternarsi durante i turni di guardia. Leena si era rivelata un buon soldato, dimostrando di meritare stima e rispetto al pari dei suoi compagni.
«Il messaggio è stato consegnato, possiamo tornare a Tampere» annunciò.
«Presto sarà buio, forse è meglio fermarci per la notte»
«Non ho tempo da perdere, seguendo la ferrovia possiamo muoverci anche con l’oscurità»
«Almeno potremmo far riposare i cavalli»
Verner sospirò, la sua compagna non aveva tutti i torti.
«D’accordo, ho visto una locanda in paese, forse potremmo trovare un posto per la notte»
Leena approvò con un cenno.
I due attraversarono le vie affollate, il villaggio era occupato dalle truppe rosse. Carri e armamenti bloccavano il passaggio ovunque. Gli uomini marciavano verso il fronte.  
Quando entrarono all’interno del locale la presenza di Leena non passò inosservata tra i soldati, alcuni si limitarono a guardarla con vivo interesse, altri invece non si trattennero dal pronunciare commenti ben poco garbati nei suoi confronti.
La giovane era abituata a sopportare in silenzio, ma Verner non esitò ad esprimere apertamente il suo dissenso. Il suo discorso severo e autoritario riuscì ad essere convincente, tanto da indurre i più irriverenti al silenzio.
«Non ho bisogno di un cane da guardia, se necessario so difendermi anche da sola» disse Leena quando egli tornò a sedersi al tavolo.
 «Questo lo so, ma in ogni caso non tollero la mancanza di rispetto tra commilitoni»
La ragazza non fu sorpresa dal suo comportamento.
«Penseranno che tu abbia interesse nei miei confronti»
«Se può servire a fargli tenere chiusa la bocca possono pensare quello che vogliono» ribatté lui.
Leena sorrise: «grazie. Voglio che tu sappia che apprezzo quel che fai per me»
«Siamo compagni, preoccuparmi per te è mio dovere»
«Fin dal primo momento ho avvertito qualcosa di diverso in te, adesso sono lieta di aver avuto la prova che sei davvero una brava persona»
Verner scosse il capo: «sono solo un soldato che deve eseguire gli ordini»
«Eppure da quel che mi hai detto ti sei opposto a un tuo superiore per proteggere tuo fratello»
«Con Hjalmar è diverso…sarei disposto a tutto per salvarlo da questa guerra»
Leena si commosse nel sentire quelle parole.
«Erik era come te, un freddo uomo del nord, ma di buon cuore»
Verner notò il suo volto intristirsi: «mi dispiace per la morte del tuo fidanzato. So cosa significa perdere qualcuno di importante»
«Quella notte avrei solo voluto morire con lui. Ho pregato il soldato che mi ha violentata di uccidermi, ma lui non l’ha fatto…ha puntato la pistola alla mia tempia senza avere il coraggio di premere il grilletto. Avrebbe dovuto sparare, se l’avesse fatto adesso sarebbe ancora vivo»
Verner non poté biasimare quella ragazza per aver cercato vendetta. Non poteva nemmeno immaginare la sua sofferenza.
«Sei una donna forte. Sono certo che Erik sarebbe orgoglioso del tuo coraggio»
«So che lui avrebbe scelto di combattere questa guerra, per questo sono qui, per rendergli onore e giustizia»
Verner poté comprendere le sue ragioni, pensò a suo padre, anche lui aveva deciso di combattere per portare avanti la sua battaglia. 
 
Quella sera Verner si ritrovò a camminare per le strade ormai deserte. La confusione del giorno era svanita dopo il tramonto. Soltanto le squadre di pattuglia uscivano nell’oscurità.
Il giovane rivolse lo sguardo verso il fronte, presto avrebbe raggiunto i suoi compagni in prima linea. Prima però doveva occuparsi di una questione importante, doveva tornare a Tampere per parlare con suo fratello. Voleva assicurarsi che egli fosse al sicuro prima di tornare in azione.
Era consapevole di non poter imporre la sua volontà su di lui, era orgoglioso del suo coraggio, eppure continuava ad avvertire delle responsabilità nei suoi confronti.
Era immerso in questi pensieri quando percepì una presenza ormai familiare al suo fianco.
«Dovresti riposare, domani partiremo prima dell’alba» disse senza voltarsi.
Leena si scusò: «non volevo disturbarti, ma prima ti ho visto così afflitto…ho pensato che forse avresti avuto bisogno di parlare con qualcuno»
Egli rifletté qualche istante.
«In effetti volevo chiederti una cosa…»
«Di che si tratta?»
«Se dovesse accadermi qualcosa, vorrei che qualcuno si occupasse di mio fratello»
Leena si rattristò a quel pensiero.
«Tu faresti questo per me?» domandò Verner.
Lei lo guardò negli occhi: «soltanto se fosse il tuo ultimo desiderio»
«È così. Mi fido di te»
«Allora non tradirò la fiducia di un compagno»
Il giovane non ebbe alcun dubbio sulla veridicità delle sue parole.
Leena strinse delicatamente il suo braccio: «è meglio rientrare, anche tu hai bisogno di dormire questa notte»
 
***

Nykarleby, campo di addestramento delle Guardie Bianche.

Kris osservò la lunga fila di cannoni schierati fuori dalle mura, gli era stato spiegato che erano calibro 76, sequestrati ai russi prima della guerra. Si trovavano in buono stato, ma alcuni dovevano essere riparati per poter essere utilizzati in battaglia. Il meccanico aveva detto qualcosa a riguardo degli otturatori, ma non era riuscito a comprendere molto di più. Molti suoi compagni alla scuola di artiglieria erano svedesi, anche quando si sforzavano di parlare in finlandese risultavano spesso incomprensibili.
Da parte sua Kris aveva avuto modo di imparare qualche frase in svedese, il minimo necessario per comprendere gli ordini sul campo di battaglia.
Nonostante il limite linguistico, Kris si era trovato bene con i volontari svedesi. Essi si erano dimostrati davvero intenzionati a fare la loro parte in quella guerra e si erano rivelati compagni fedeli e affidabili.
Il giovane stava ispezionando uno dei cannoni quando ad un tratto avvertì una voce alle sue spalle.
«Kristian!»
Egli sussultò voltandosi di scatto. Un ragazzo scese di corsa dalla collina per raggiungerlo.
«Scusa, non volevo spaventarti» disse il nuovo arrivato con forte accento svedese.
Il giovane si raddrizzò: «non mi hai spaventato, è solo che non sono abituato a quel nome. Tutti mi chiamano semplicemente Kris»
L’altro gli porse la mano: «d’accordo, Kris. Io sono Gunnar»
«Sì, mi ricordo di te. Sei stato il migliore questa mattina al poligono di tiro»
Lo svedese rispose con un modesto sorriso, poi rivolse lo sguardo ai cannoni.
«Diamine, sembra che entreremo in guerra in grande stile!» commentò con entusiasmo.
Kris assunse un’aria pensierosa: «entro una settimana questi pezzi d’artiglieria saranno al fronte, e noi con loro»
«Hai mai combattuto prima?»
Il finlandese scosse la testa: «sono rimasto per qualche tempo nelle retrovie vicino ad Helsinki. È stato prima che la città fosse conquistata dai Rossi»
«Dunque non sei mai stato su un campo di battaglia…»
«No. Questo sarà a tutti gli effetti il mio battesimo del fuoco»
Gunnar estrasse due sigarette dal taschino dell’uniforme, offrendone una al suo compagno. Kris le accese entrambe con il suo accendino.
«Posso farti una domanda?»
Lo svedese annuì.
«Per quale motivo hai scelto di partire come volontario? In fondo questa non è la vostra guerra»
Gunnar espirò il fumo.
«Be’, potrei elencarti una lista di motivazioni politiche per cui noi svedesi dovremmo sostenere la vostra indipendenza, ma…ad essere sincero non mi importa più di tanto di ciò. Sono qui perché ne ho avuto l’opportunità, ho imparato a combattere e voglio vivere l’esperienza della guerra»
Kris poté comprendere solo in parte le sue motivazioni, doveva ammettere che anche a lui la vita militare era parsa intrigante. La verità però era che aveva deciso di arruolarsi perché non aveva visto alternative. Tutti i giovani finlandesi erano chiamati alle armi, sarebbe stata solo una questione di tempo prima di dover intraprendere il percorso del soldato. Ovviamente credeva negli ideali per cui combatteva, ma in altre circostanze probabilmente avrebbe agito diversamente.
«Sai, uno degli aspetti positivi di questa divisa è che attira sempre l’attenzione delle belle ragazze!» continuò Gunnar con tono spavaldo.
Kris abbassò lo sguardo: «se solo fosse così semplice…»
L’altro notò la sua frustrazione.
«Problemi di cuore?»
Il finlandese decise di confidarsi con il suo compagno.
«Si tratta di una ragazza del mio villaggio…ho sempre creduto che noi fossimo destinati a stare insieme. L’ho corteggiata per tanto tempo, ma da lei ho ottenuto solo un bacio di addio»
«Sembra che questa donna sia davvero importante per te»
Kris era ormai rassegnato: «temo che mi abbia già dimenticato»
Gunnar si sentì in dovere di confortarlo.
«Non preoccuparti. Quando questa guerra sarà finita potrai tornare da lei e sicuramente riuscirai a riconquistarla!»
«Credi davvero?»
«Certo! Sarai considerato da tutti come un eroe! Potrai avere qualunque ragazza desideri!»
Kris trovò quella prospettiva allettante.
Gunnar poggiò una mano sulla sua spalla in segno di supporto.
«Coraggio, entro pochi giorni saremo nel vivo della guerra!»
Kris si lasciò coinvolgere dal suo entusiasmo, era pronto ad affrontare la sua grande avventura al fronte. Le parole di Gunnar avevano colpito nel segno, infondendo nel cuore del giovane finlandese fiducia e speranza.
 
***

Kammiovuori, linea di confine a nord-est di Tampere.  

Aleks proseguì imperterrito, marciava da giorni senza sosta, determinato a raggiungere il confine. Arrancava nella neve, ormai stremato dal freddo e dalla fame. Eppure non aveva alcuna intenzione di arrendersi. Avrebbe rivisto sua moglie e suo figlio, oppure sarebbe morto nel tentativo di tornare a casa. In ogni caso non avrebbe rinunciato, doveva dimostrare a se stesso di essere disposto a tutto per la sua famiglia, voleva provare che, nonostante gli errori del passato, non aveva mai abbandonato coloro che amava.
Questi pensieri erano il suo unico supporto, non gli restava che quella speranza per rimanere vivo. L’amore che provava per i suoi cari era la sua unica fonte di calore.
 
Aleks raggiunse i margini del villaggio con il buio. Si trovava in uno stato pietoso, coperto di neve e fango dalla testa ai piedi.
Il paese era disabitato, ovunque regnava un silenzio irreale. L’unico suono proveniva dall’eco dei suoi passi.
Il giovane si avvicinò alle costruzioni apparentemente abbandonate. Dopo essersi accertato che non ci fosse nessuno si intrufolò in una casa in cerca di cibo. Riuscì a recuperare qualche provvista, tristemente constatò che chi aveva lasciato la propria abitazione doveva averlo fatto all’improvviso, lasciando tutto con molta fretta. 
Aleks decise di proseguire con la sua esplorazione, era convinto che quello non fosse un luogo sicuro dove accamparsi per la notte. Di certo doveva essere accaduto qualcosa di ben poco rassicurante.
Per le strade trovò i primi cadaveri, alcuni indossavano la fascia rossa al braccio, altri erano semplici civili. Il russo proseguì cautamente, una terribile sensazione iniziò a diffondersi dentro di sé.
Istintivamente strinse l’arma tra le dita. Lentamente si allontanò dalle abitazioni e imboccò un sentiero ai confini della foresta. L’inquietudine aumentava ad ogni passo.
Ad un tratto il giovane si bloccò, la neve era macchiata di sangue. Aleks seguì con lo sguardo la scia vermiglia, poco distante riconobbe una fossa scavata nel terreno ghiacciato.
Restò immobile, una parte di sé avrebbe solo voluto fuggire da quel villaggio maledetto, ma allo stesso tempo sapeva di dover scoprire la verità su ciò che era realmente accaduto.
Prese coraggio e dopo un profondo respiro si decise ad avvicinarsi al bordo della buca. Sbirciò solo per un istante, poi fu costretto a voltarsi per distogliere lo sguardo da quell’orrore. Le gambe cedettero ed egli si ritrovò piegato a terra, tremante e singhiozzante.  
Ebbe bisogno di un po’ di tempo per tornare in sé. Nella sua vita aveva visto ogni genere di atrocità, aveva assistito a soprusi e violenze durante la sua prigionia in Siberia e aveva preso parte a sanguinose battaglie…ma nulla era paragonabile a quell’orrore. Sul fondo della fossa giacevano decine di cadaveri di vittime innocenti, ragazzini, donne e bambini. Erano stati tutti giustiziati, i corpi erano poi stati gettati nella fossa e abbandonati nella foresta.
Aleks non aveva dubbi, i responsabili di quella strage dovevano essere le Guardie Bianche. Non sapeva se quei territori fossero sotto il controllo dei russi o dei finlandesi, ma ciò non aveva importanza. Quelle erano le conseguenze della guerra civile.
Aleks si rialzò a fatica, sorreggendosi al tronco di un albero. Non ebbe il coraggio di voltarsi, si asciugò il viso dalle lacrime e mestamente tornò sui suoi passi.
Sconvolto per ciò che aveva visto il giovane decise di riprendere il cammino, anche se mancava poco al tramonto non voleva restare un istante di più in quel villaggio.
 
Quella notte Aleks non riuscì ad addormentarsi, nonostante la stanchezza ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva gli orrori di quel giorno. Inevitabilmente pensò a Sofiya e al piccolo Yasha, erano i loro volti che vedeva tra quei cadaveri.
Si sentiva in colpa per aver abbandonato i suoi cari, se anche loro fossero stati in pericolo lui non avrebbe potuto fare nulla per aiutarli. Non poteva nemmeno immaginare il dolore di quelle famiglie distrutte dalla guerra, sapeva solo che se fosse accaduto qualcosa di male a sua moglie e a suo figlio non avrebbe mai potuto perdonarsi.
Pensò anche a Verner, domandandosi che ne fosse stato di lui. Quel ragazzo gli aveva salvato la vita, scegliendo di aiutarlo e proteggerlo. In lui aveva riconosciuto uno spirito forte e coraggioso, era certo che fosse ancora vivo e che stesse continuando a combattere in nome dei propri ideali.
Volle sperare che egli fosse riuscito a comprendere le sue motivazioni, e che in fondo al suo cuore avesse potuto assolverlo dalla sua colpa.
Aleks avvertì il vento fischiare fuori dal suo rifugio, quella sarebbe stata una notte di bufera.
 
***

Il tenente Smirnov osservò il profilo delle montagne attraverso il vetro opaco. La finestra della baita offriva una splendida vista alla luce dell’alba, ma il giovane ufficiale sembrava avere lo sguardo fisso nel vuoto. Nelle ultime settimane era stato coinvolto con i suoi uomini in violenti scontri lungo il confine. Quando era scoppiata la guerra aveva deciso di restare fedele ai propri ideali e di schierarsi con i Bianchi. Mentre l’Impero per cui aveva combattuto crollava a pezzi lui sentiva di dover restare fermo al suo posto. Non era disposto a cedere a compromessi, non voleva ripudiare ciò in cui aveva sempre creduto. Ad essere sincero non voleva nemmeno essere giustiziato come un criminale qualsiasi. Per questo aveva scelto di restare al comando del suo plotone ormai decimato e portare avanti il suo dovere.
Avrebbe preferito morire in terra straniera piuttosto che tornare in una Patria che non riconosceva più.
I suoi cupi pensieri furono interrotti dall’improvvisa irruzione del soldato Saitov, il quale entrò rabbrividendo, battendo gli stivali sulle assi di legno per liberarsi dal ghiaccio.
«Signore, un testimone afferma di aver riconosciuto un fuggitivo nella foresta»
Smirnov sospirò: «non potrei mai giustificare un disertore, ma in queste condizioni posso comprendere la sua disperazione»
«A dire il vero non si tratta di un soldato. L’informatore sostiene di aver visto il suo uomo»
L’ufficiale non ebbe bisogno di ulteriori chiarimenti per capire di chi stesse parlando.
«Sei sicuro di quel che stai dicendo?»
«Sì, signore. Abbiamo anche trovato delle impronte nel bosco»
Smirnov non attese oltre, prontamente ordinò al suo sottoposto di organizzare una squadra. Seppur in svantaggio erano ancora in tempo per agire.
Per tutto quel tempo non aveva smesso di pensare alla sua ultima missione ufficiale, l’unica che non era riuscito a portare a termine. Nonostante tutto, il suo senso del dovere lo induceva a ritenere che trovare e catturare quell’anarchico sovversivo fosse sua responsabilità.
 
Il tenente Smirnov guidò i suoi uomini seguendo le tracce nella foresta. Il fuggitivo non poteva essere lontano, sicuramente era stato rallentato dalla neve e dal gelo.
I russi si addentrarono nel bosco finché non si ritrovarono in una piccola radura.
«Signore, sembra che il nostro uomo sia scomparso»
L’ufficiale scosse il capo: «è impossibile, il vento ha cancellato le impronte…ma deve aver seguito questa direzione. Il suo obiettivo è raggiungere la cima per superare il confine»
Smirnov aveva appena terminato di dire quelle parole quando udì i botti di alcuni spari. Un grido echeggiò poco dopo tra gli alberi.
«Tenente! C’è qualcuno laggiù!» affermò il soldato che aveva sparato.
L’ufficiale si affrettò a dare ordini: «svelti, andate da quella parte! Voi invece bloccate la via di fuga lungo il sentiero. Io proseguirò da solo»
 
***

Aleks si abbassò appena in tempo per evitare i proiettili, i quali si conficcarono nel tronco della betulla alle sue spalle. Rapidamente si rialzò in piedi, arrancò tra le rocce, cercando di nascondersi alla vista dei soldati. Pensò di difendersi per rallentare i suoi avversari, ma la sparatoria non durò a lungo, ben presto fu costretto a gettare l’arma ormai scarica.
Altri proiettili lo inseguirono, egli continuò a correre fino ai confini della foresta. Senza esitazione saltò giù da una breve discesa, senza fermarsi riprese ad avanzare. Udì delle voci, per di più imprecazioni in russo. Ancora spari, e poi silenzio.
Aleks frenò la sua corsa, la neve gli arrivava fin sopra ai polpacci. Dietro di lui non avvertì più nessuno. Forse i soldati avevano rinunciato a seguirlo.
Il giovane ansimò, era rimasto senza fiato e ormai privo di forze. Mosse solo pochi passi prima di veder comparire una figura davanti a sé, riconobbe subito la divisa. Un tenente si avvicinò a lui con la pistola puntata.
L’ufficiale doveva aver percorso un sentiero alternativo per raggiungerlo oltre alla radura, mentre il resto dei suoi uomini era rimasto bloccato nella foresta.
 
Smirnov mantenne l’arma fissa davanti a sé.  
«Se fossi in lei sceglierei di arrendermi. Presto sarà circondato! Non ha alcuna possibilità di fuggire!»
Aleks guardò il suo avversario negli occhi. Non provò paura, soltanto ribrezzo.
«Che ha intenzione di fare? Vuole arrestarmi? Oppure preferisce uccidermi con un colpo in testa come hanno fatto i suoi uomini con dei poveri innocenti?»
L’ufficiale strinse la pistola tra le dita: «non so di cosa sta parlando…»
«Non è stato lei a ordinare di sparare a donne e bambini al villaggio?»
Smirnov sgranò gli occhi azzurri, attonito e sconvolto di fronte a quelle accuse.
«Mi creda, giustizierei io stesso il responsabile di una simile atrocità»
«Ho visto con i miei occhi i cadaveri abbandonati nel fango dalle Guardie Bianche»
«Forse per lei è più semplice pensare che io sia un criminale di guerra, ma si sbaglia. Quel versante della montagna è in mano ai finlandesi. I loro Bianchi considerano gli stessi connazionali come traditori, tanto da massacrare le famiglie dei comunisti. È davvero triste, un solo popolo diviso e condannato alla violenza»
Aleks intuì che l’ultima frase era rivolta alla Russia, non alla Finlandia. Le due nazioni parevano unite dal medesimo destino. Per qualche ragione sentì di potersi fidare dell’innocenza del tenente.
«Lei sembra un uomo onorevole, mi chiedo come mai stia ancora indossando quella divisa»
«È per rispettare il mio dovere che ho scelto di non tradire i miei ideali. I miei compagni fanno affidamento su di me, un comandante non abbandona i suoi uomini»
«Tutto ciò la rende meritevole di rispetto, ma lei sa la verità…il mondo sta cambiando, e questa guerra non potrà fermare la volontà del popolo russo»
Smirnov guardò il suo interlocutore con severità, ma non disse nulla.
«Lei è al comando di un plotone di fantasmi, spettri di una Russia già morta e sepolta»
Il tenente iniziò a spazientirsi: «adesso basta! Le ho concesso anche troppo tempo!»
Aleks mostrò un mesto sorriso: «non trova che sia uno strano scherzo del destino ritrovarci qui? Siamo due condannati a morte. Almeno io sono consapevole del mio destino»
L’ufficiale rimase perplesso.
«Quale pensa che potrà essere il suo futuro? Se dovesse tornare in Patria sarà accusato di tradimento. Potrebbe fuggire, ma lei non è il genere di persona che scappa dalle proprie responsabilità, dico bene?»
«Mi sorprende tanta apprensione da parte sua per la mia sorte»
«Che cosa farà quando sarà tutto finito? Quando anche l’ultimo dei suoi uomini si sarà arreso non resterà più nessuno da comandare…nessun Impero per cui combattere. Conserva un ultimo proiettile in quella pistola?»
Smirnov dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per rimanere impassibile.
«Lei deve pagare per i crimini che ha commesso» disse freddamente.
Il tenente era pronto a premere il grilletto, ma proprio in quel momento avvertì un boato alle sue spalle, il terreno tremò sotto ai suoi piedi. Anche Aleks sollevò lo sguardo, rivolgendo un’occhiata atterrita verso il crinale.
L’ufficiale non ebbe il tempo di voltarsi. Una forza incontrastabile investì entrambi all’improvviso, scaraventandoli giù dalla scarpata, trascinandoli nell’impetuosa valanga.

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Capitolo 25
*** Separazioni ***



XXV. Separazioni
 

Jari era stato lieto di ritrovare i suoi compagni, aveva affrontato il viaggio con impazienza, desideroso di raggiungere la sua meta al più presto. Aveva lasciato il villaggio senza troppi rimorsi, si era sentito addirittura sollevato al pensiero di allontanarsi da casa. Per quanto volesse bene ai suoi cari, sentiva di non poter restare un giorno in più insieme a loro.
Aveva chiarito la questione con suo padre, il quale aveva finalmente approvato le sue scelte. Per la prima volta si era sentito meritevole del suo orgoglio, non doveva più dimostrare niente al genitore. Alla fine era riuscito a imporre la sua volontà, mostrandosi deciso a combattere per la giusta causa.
Gli dispiaceva solo per Kaija, sua sorella aveva sofferto molto per la sua partenza, questo era il suo unico rammarico.  
Jari non aveva potuto fare nulla per rassicurarla, l’aveva salutata con un ultimo abbraccio, le aveva detto che le voleva bene, e poi se ne era andato.
Il giovane tentò di non abbandonarsi allo sconforto, era convinto di aver preso la giusta decisione, dunque non aveva nulla da rimproverarsi.
Al suo ritorno a Vaasa molte cose erano cambiate, inoltre doveva ancora abituarsi al suo nuovo incarico nell’esercito. Era onorato di tornare a combattere nel ruolo di ufficiale, ma i gradi sulla sua divisa erano anche simbolo di nuove responsabilità. Era rimasto sorpreso da quella promozione, ma era pronto a dimostrare di essere all’altezza di quel merito.
In quanto Jäger godeva di rispetto e ammirazione da parte dei suoi compagni, ma c’era anche chi non si fidava di coloro che avevano combattuto a fianco dei tedeschi.
Fortunatamente Jari non aveva riscontrato problemi. Il fatto di appartenere ad un corpo speciale per i suoi uomini era un ulteriore motivo per considerarlo meritevole di stima. La sua esperienza in Germania avrebbe potuto rivelarsi utile sul campo di battaglia.
 
Al termine dell’addestramento Jari si affrettò a raggiungere gli alloggi degli ufficiali. Con tutto quel che era accaduto dopo il suo ritorno non aveva ancora avuto occasione di rivedere Bernhard.
Lo cercò a lungo all’interno della caserma senza riuscire a trovarlo da nessuna parte. Alla mensa degli ufficiali decise di interrogare il tenente Halvari.
«Lei sa dove posso trovare il capitano Winkler?» chiese con tono ansioso.
L’ufficiale rispose sbrigativamente: «il capitano è impegnato in una missione speciale» 
«Ho bisogno di parlare con lui» insistette il giovane.
Halvari abbassò lo sguardo sul suo piatto: «mi dispiace, ma dubito che egli abbia tempo per lei»
«Winkler ed io siamo buoni amici» specificò.
Il tenente esitò prima di rispondere: «se vuole può provare al campo d’aviazione, ma non le garantisco che riuscirà ad incontrarlo. Come le ho detto il capitano è molto impegnato»
Jari ringraziò il suo parigrado e senza perdere tempo si affrettò a raggiungere la sua nuova meta.
 
Bernhard si trovava solo all’interno dell’hangar dove era custodito il prezioso aereo di von Rosen. Il tedesco era intento a razionare provviste ed esaminare mappe.  
Quando Jari entrò nel capanno intuì che Winkler dovesse essere coinvolto in qualcosa di importante. Sembrava tutto pronto per un’imminente spedizione.   
Subito volle chiedere spiegazioni.
«Che cosa significa tutto questo?» domandò prima di ogni cosa.  
Il capitano, non affatto stupito da quella visita, rispose senza esitazione.
«Domani mattina io e il pilota Hansen partiremo per una missione speciale»
Jari iniziò a insospettirsi.
«Di che si tratta?»
Winkler sapeva di potersi fidare del suo compagno, in quell’occasione parlò a lui da amico e non da suo superiore.
«Raggiungerò la penisola di Hanko per unirmi all’avanzata delle truppe tedesche»
Jari non fu sorpreso dal fatto che Bernhard fosse rimasto in contatto con Berlino. I tedeschi avevano dunque rispettato il patto, non solo avevano rifornito i Bianchi con armi e munizioni, ma avevano finalmente deciso di apporre il loro contributo alla guerra inviando truppe in Finlandia.
«È stata una tua decisione?» domandò.
Egli annuì: «mi sono offerto come intermediario con le autorità finlandesi»
Jari non seppe come reagire a quella notizia, ovviamente stimava Bernhard per il suo coraggio, eppure una parte di sé si sentì tradita per quell’abbandono.
Winkler guardò il suo compagno soffermandosi sui gradi sulla sua divisa.
«Sono certo che sarai un buon comandante»
Jari sussultò: «sei stato tu a proporre il mio nome per una promozione?»
L’altro non diede troppa importanza alla questione: «ho solo detto la verità su di te»
«Sei stato tu a fare di me un soldato, senza il tuo esempio non sarei qui»
Bernhard fu grato per quel sentito riconoscimento.
«Voglio che tu sappia che sono orgoglioso di te» disse con un triste sorriso.
«Farò del mio meglio per non deluderti»
Il capitano non dubitò delle sue parole. I due restarono immobili uno di fronte all’altro, in silenzio, senza avere il coraggio di dirsi addio.
Jari sollevò lo sguardo incrociando le iridi smeraldo del suo comandante, in quel momento cedette ai sentimenti. Si abbandonò tra le sue braccia, baciandolo con trasporto e disperazione.
Quando si distaccarono Bernhard non lasciò trasparire alcuna emozione.
«Buona fortuna, tenente Koskinen» concluse prima di tornare alla sua postazione.  
Jari avvertì gli occhi lucidi, ma tentò di fare del suo meglio per non lasciarsi sopraffare dallo sconforto. Si congedò formalmente come ultimo saluto, poi se ne andò senza più voltarsi.
 
Nella sua stanza Jari si ritrovò solo con i suoi tormenti. Sapeva che prima o poi Bernhard avrebbe dovuto prendere una decisione definitiva, alla fine aveva scelto di tornare a combattere per la Germania. Pur perseguendo il medesimo obiettivo aveva preferito affrontare quella guerra dalla parte dei tedeschi e non dei finlandesi.
Jari non poteva realmente comprendere le motivazioni di Winkler, ma dentro di sé restava convinto delle sue buone intenzioni. Il suo compagno credeva in quell’alleanza, desiderava aiutare il popolo finlandese, senza però tradire le sue radici teutoniche.
Il giovane avvertì gli occhi lucidi. Non era deluso da Bernhard per le sue decisioni politiche, ciò che davvero l’aveva ferito era il suo abbandono. Se avesse potuto non avrebbe esitato a seguirlo, così come aveva fatto in Germania quando si era arruolato.
Jari scosse la testa, non era così che avrebbe dovuto reagire, aveva delle responsabilità. Di certo non avrebbe potuto abbandonare i suoi compagni per una questione personale. Doveva portare avanti il suo dovere e rispettare il suo giuramento. Era quello che Bernhard si sarebbe aspettato da lui.
Non poteva tradire la sua fiducia, doveva rispettare la sua volontà. Non dubitava della lealtà di Winkler, era certo che il suo contributo sarebbe stato fondamentale per quell’alleanza.
Jari si lasciò cadere sul materasso, nascose il volto sul cuscino e trattenne i singhiozzi. Razionalmente poteva comprendere quell’inevitabile separazione, ma emotivamente si sentiva nuovamente solo e perso senza il suo compagno. Non si sentiva pronto ad affrontare il suo destino senza una guida, aveva paura delle sue nuove responsabilità. Non voleva deludere i suoi commilitoni, ma allo stesso tempo non trovava abbastanza forza per superare le sue incertezze.
Jari stava per cedere alla disperazione quando all’improvviso avvertì dei battiti alla porta.
«Tenente Koskinen!»
Il giovane ufficiale si rialzò quasi di scatto, rapidamente tornò in sé, riconquistando sufficiente autocontrollo.
Poco dopo diede il permesso di entrare, il tenente Halvari si presentò richiudendo la porta alle sue spalle.
«Mi spiace disturbarla, ma si tratta di una questione importante»
«Che succede?»
«Volevo avvertirla che è appena giunto l’ordine di mobilitare le truppe. Domani il suo plotone partirà per il confine»
«Credevo che avremmo avuto più tempo per addestrare le reclute»
Halvari sbuffò rivolgendo al parigrado uno sguardo di sufficienza.
«Voi Jäger avete avuto un anno per diventare soldati lontano dal fronte, ma qui non siamo in Germania. In Finlandia non abbiamo avuto la vostra fortuna. Qui non c’è tempo, dobbiamo agire in fretta per fermare l’avanzata dei Rossi!»
Jari protestò: «al fronte gli uomini devono essere pronti a combattere»
«Quando si troveranno davanti alle pallottole nemiche lo diventeranno»
«Lei non conosce la vera guerra. Questi uomini senza un’adeguata preparazione saranno solo carne da macello!»
Halvari si indignò: «non è con questo spirito che vinceremo la guerra! Questi soldati sono disposti a tutto per difendere la loro Patria, sarà suo compito guidarli come un buon comandante»
Jari fu costretto ad accettare la realtà.
«Quale sarà la nostra meta? Varkaus?»
Halvari scosse il capo: «no, il prossimo convoglio sarà diretto a Tampere»
 
***

La luce soffusa delle candele illuminava i dettagli del suo corpo, la schiena nuda, i fianchi stretti e il ventre piatto. Il seno si sollevava al ritmo del suo respiro. I lunghi capelli castani leggermente scompigliati ricadevano sulle sue spalle. Incrociò il suo sguardo, perdendosi nei suoi grandi occhi ambrati. Sul suo volto lievemente arrossato comparve un dolce sorriso.  
Desiderò baciare ancora le sue labbra, sentire il suo sapore, percepire il calore della sua pelle, avvertire il suo profumo, stringerla tra le sue braccia…
 
«Yrjö! Yrjö!»
Il giovane tornò bruscamente alla realtà. Davanti a lui comparve l’espressione spazientita di Lauri.
«Si può sapere che ti prende? Non ti sei accorto che ti stavo chiamando?»
«Scusami…» farfugliò il medico. 
L’altro lo rimproverò: «la licenza è finita. Non puoi permetterti distrazioni qui!»
«Lo so, mi dispiace. Non capiterà più» lo rassicurò.
Lauri sospirò: «stavi pensando a lei, vero?»
Yrjö rimase in silenzio.
L’amico mostrò un irriverente sorriso: «ero certo che alla fine l’avresti incontrata»
«Ho solo avuto il tempo di confessarle il mio amore e di dirle addio»
Lauri non si lasciò coinvolgere dai sentimentalismi.
«Be’, sei vuoi tornare vivo da quella ragazza cerca di restare sempre vigile e in allerta. E adesso muoviti, ti stanno aspettando in infermeria. Un novellino si è ferito durante le esercitazioni…»
Yrjö non perse tempo, affrettandosi ad eseguire il suo dovere.
Lauri osservò il compagno scomparire tra la folla di soldati. Si fidava di lui e non aveva dubbi sul fatto che egli fosse un bravo medico, ma temeva che il suo buon cuore potesse rivelarsi un ostacolo in quella guerra. Il suo amico non era un combattente, desiderava aiutare gli altri e questo era sicuramente ammirevole, ma ciò non gli avrebbe salvato la vita al fronte. Prima o poi anche Yrjö avrebbe dovuto rinunciare alla sua innocenza, soltanto in questo modo avrebbe potuto sopravvivere.
 
Yrjö strinse le bende intorno alla mano del povero malcapitato. Il giovane era pallido e sofferente, ma aveva stretto i denti senza emettere nemmeno un lamento.
«Non preoccuparti, la ferita si rimarginerà presto» lo rassicurò il dottore.
La recluta annuì in silenzio.
«Che cosa è successo?» domandò Yrjö mentre sistemava la medicazione.
«È stato un incidente…»
«Questo me lo hai già detto. Ho bisogno di sapere qualcosa di più»
Il giovane esitò, abbassò lo sguardo mostrandosi sempre più nervoso.
«È successo durante le esercitazioni…non ho prestato abbastanza attenzione nel fissare la baionetta e mi sono ferito la mano»
«Capisco. Per fortuna non è nulla di grave» commentò il dottore.
«Penserà che sono uno stupido»
«No, affatto. Perché dovrei?»
Il ragazzo sospirò: «mi sono arruolato per combattere e non so nemmeno badare a me stesso! Non diventerò mai un buon soldato!»
Yrjö mostrò un benevolo sorriso.
«Non preoccuparti, tutti commettono degli errori. L’importante è imparare dai nostri sbagli»
«Il tenente Koskinen dice sempre che in prima linea ogni errore può essere fatale»
Il medico provò una strana sensazione nel sentire chiamare il suo amico in quel modo.
«Il tuo comandante ha ragione, ma nessuno è infallibile. Per questo dobbiamo aiutarci e supportarci a vicenda»
Il giovane sembrò rassicurato dalle sue parole.
«Lei è già stato in guerra?» domandò.
Yrjö annuì.
«In Finlandia si raccontavano storie assurde su ciò che accadeva laggiù. Era tutto vero?»
Il medico scelse di non mentire: «per la maggior parte sì»
«Dunque è vero che in guerra i soldati muoiono in modi così orribili?»
In quel momento Yrjö capì.
«Non è stato un incidente, vero?»
La recluta sbiancò ulteriormente, le labbra iniziarono a tremolare mentre i suoi occhi si inumidirono di lacrime.
«Ho paura dottore…» ammise tra i singhiozzi.
Il medico riconobbe il terrore nei suoi occhi.
«Mi dispiace, sono solo un vigliacco» continuò il ragazzo, ormai in preda all’agitazione.
Yrjö tentò di rassicurarlo: «adesso respira, piano, ecco così. Avvertirai un po’ di dolore, ma poi ti sentirai meglio»
Il giovane notò che egli stava preparando un’iniezione.
«Che cosa vuole darmi?»
«Solo un calmante. Ho già visto uomini nel tuo stato, anche i più forti e coraggiosi possono cadere vittime di una crisi di nervi»
«Non voglio morire…per favore dottore, mi aiuti!»
Yrjö aiutò il paziente a distendersi sul materasso, fu costretto a trattenerlo finché il sedativo non manifestò i suoi effetti.
Il medico rimase accanto al giovane, poggiò un fazzoletto umido sulla sua fronte, la pelle bruciava a causa della febbre.
Yrjö rifletté sulla situazione, se avesse riportato la verità sull’accaduto quel soldato sarebbe stato accusato di codardia, processato e forse addirittura condannato. D’altra parte non poteva permettergli di raggiungere il fronte in quello stato, le sue condizioni avrebbero potuto solo peggiorare.
Dopo aver meditato a lungo sulla questione Yrjö prese la sua decisione.   
«Il paziente deve essere trasferito al più presto in ospedale. Temo che sussista un rischio di setticemia, ha bisogno di un periodo di isolamento e riposo»
Yrjö abbandonò l’infermeria dopo aver lasciato queste raccomandazioni, non avrebbe potuto fare nulla di più.
 
Lauri aveva appena concluso il suo turno di guardia ai confini dell’accampamento. Il soldato prese posto davanti al falò, avvicinandosi al calore delle fiamme per scaldarsi. I suoi compagni ridevano e scherzavano intorno a lui, condividendo una preziosa bottiglia di vino. Un dono del comandante per celebrare l’imminente partenza.
Lauri rimase in silenzio e in disparte. In altre occasioni non avrebbe esitato a far baldoria con i suoi commilitoni, ma quella sera avvertì qualcosa di diverso.
Osservando il cielo stellato ripensò all’ultima conversazione avuta con sua moglie.
 
Marija non era pronta a separarsi da suo marito, così finalmente aveva trovato il coraggio di affrontare i problemi del loro rapporto.
«Perché hai scelto di partire?» aveva domandato pretendendo una valida risposta.
Lauri non aveva esitato a difendere la sua decisione: «sono uno Jäger, devo tornare a combattere»
«La guerra è finita. Ho aspettato tre anni il tuo ritorno, e adesso tu mi stai abbandonando di nuovo»
«Non era mia intenzione farti soffrire, ma sono sempre stato sincero nei tuoi confronti. Per questo non volevo che tu mi sposassi»
«Credevo che tu mi amassi»
«Certo che ti amo. Per questo non avrei voluto farti soffrire»
«Ho paura che tu stia soltanto fuggendo»
Lauri non aveva capito: «che stai dicendo?»
«Troverai sempre un’altra battaglia. La verità è che ami la guerra più della tua famiglia»
Il giovane si era sentito offeso da quelle accuse: «ho rinunciato a tutto per te. Come puoi pensare che non ti ami abbastanza?»
Marija era scoppiata a piangere.
Lauri si era pentito per essere stato così severo nei confronti della donna che amava. Si era avvicinato a lei, prendendo il suo volto tra le mani e asciugando dolcemente le sue lacrime.
Lei aveva poggiato le mani sul suo petto: «tutto quel che voglio è stare con te. Ho bisogno di mio marito al mio fianco»
«Anche io soffro quando sono lontano da te»
«Ricordi come eravamo quando ci siamo sposati? Desideravamo solo stare insieme, costruire una famiglia, avere dei figli…»
«Voglio ancora tutto questo»
«Allora resta qui con me. Ti prego»
Il giovane aveva abbassato tristemente lo sguardo.  
«Non posso, mi dispiace»
Marija l’aveva stretto a sé, reprimendo il suo dolore con un ultimo bacio.   
 
Lauri si riprese da quei pensieri, le voci dei suoi commilitoni lo riportarono alla realtà. Qualcuno gli porse tra le mani una tazza colma di vino.
«Bevi, coraggio. Ti aiuterà a scaldarti!»
Egli ringraziò il compagno e seguì il suo consiglio. Dopo aver buttato giù un lungo sorso avvertì una piacevole sensazione di tepore diffondersi nel suo corpo. Pian piano il pensiero di casa divenne soltanto un lontano ricordo. Non era il momento di abbandonarsi allo sconforto, entro poche ore avrebbe raggiunto il fronte. I suoi compagni avevano bisogno di lui.
Ancora una volta la chiamata alle armi risvegliò il suo spirito di soldato.
 
***

Il treno si fermò alla stazione di Ruovesi, gli sportelli si aprirono all’improvviso, lasciando entrare l’intensa luce del sole. Una voce ordinò agli uomini accalcati all’interno del vagone di uscire rapidamente e schierarsi nel piazzale.
Hjalmar seguì i suoi compagni, accanto a loro sembrava solo un bambino, a stento riusciva a reggere il peso dello zaino e del fucile. 
I soldati si posizionarono sull’attenti, con l’arma in spalla e lo sguardo fisso in avanti. Restarono in attesa, così come gli era stato ordinato dal caposquadra.
Dopo un po’ si presentò un ufficiale con la fascia rossa al braccio. Indossava un cappotto russo, da un lato portava la pistola, dall’altro la spada. Appariva piuttosto giovane, l’espressione sul suo volto era seria e severa.
«Soldati, io sono il tenente Antti Eskola. Domani affronterete il nemico in prima linea, spero che siate tutti pronti a combattere»
Il comandante camminò lentamente davanti ai suoi uomini, esaminando i nuovi arrivati con lo sguardo. Quando giunse davanti a Hjalmar lo squadrò dall’alto in basso con aria perplessa.
«Quanti anni hai?»
«Diciotto»
L’ufficiale scosse il capo.
«Non credo proprio. Quanti anni hai realmente?» chiese di nuovo, il suo tono era deciso, ma gentile.
Hjalmar mantenne lo sguardo fisso davanti a sé.
«Quindici signore. Sono una staffetta, ho un messaggio del tenente Hedmann…è stato lui a inviarmi qui»
Eskola rimase diffidente.
«Davvero? Mostrami la lettera»
Il ragazzino estrasse un foglio dalla tasca della giubba e lo porse al comandante, il quale lo esaminò con attenzione. Rifletté qualche istante prima di prendere la sua decisione.
«Non sei un soldato, ma potresti comunque essere utile. Ti andrebbe di diventare il mio attendente?»
Hjalmar annuì con entusiasmo: «sì, signore. Farò del mio meglio, signore»
Il tenente parve soddisfatto: «bene. Allora puoi andare alle scuderie a preparare il mio cavallo, dobbiamo essere pronti a partire il prima possibile»
Hjalmar si congedò portandosi la mano al berretto, poi corse frettolosamente in direzione della stalla.
Eskola l’osservò sparire nella nebbia.  
«È sicuro della sua scelta?» domandò il sottotenente al suo fianco.  
«È giovane, ma sembra un ragazzo sveglio. Inoltre se il tenente Hedmann ha deciso di inviarlo qui significa che Tampere non è più una città sicura»
«I Bianchi potrebbero star preparando un altro attacco?»
Il tenente non rispose, non poteva sapere che cosa sarebbe accaduto, il suo dovere era continuare a respingere l’avanzata nemica ai confini del lago di Näsijärvi.
L’ufficiale si rivolse nuovamente ai soldati: «coraggio, in marcia!»
 
 
Quella sera all’accampamento il tenente Eskola si complimentò con il suo nuovo assistente. Il ragazzo era stato svelto ed efficiente a portare a termine il suo compito, inoltre sembrava piuttosto a suo agio nel prendersi cura del suo destriero. 
«Devo ammettere di essere sorpreso, oggi hai svolto un ottimo lavoro» constatò l’ufficiale di ritorno nel suo rifugio.
«Alla fattoria mi occupavo sempre dei cavalli» spiegò Hjalmar con orgoglio.
«Bene, i ragazzi di campagna conoscono bene il duro lavoro e non hanno paura di sporcarsi le mani» commentò.
«Non ho molta esperienza, ma posso imparare in fretta»
Il tenente lo guardò con compassione, invidiò l’ingenuità di quel ragazzo.
«Come ti chiami?» chiese con inaspettata confidenza.
«Qui tutti mi conoscono come Jänis»
L’ufficiale si chinò per osservarlo dritto in volto: «d’accordo lepre, da cosa stai scappando?»
Il giovane gli rivolse uno sguardo interrogativo.
«Ti sei presentato al fronte mentendo sulla tua età e adesso non vuoi rivelarmi il tuo vero nome…»
«Voglio solo rendermi utile. In città ero solo ragazzino, ma come staffetta ho dimostrato di poter aiutare i miei compagni»
Antti cercò di comprendere la situazione.
«Sai sparare?» chiese indicando il fucile con lo sguardo.
Egli confermò: «sì signore. Ho imparato andando a caccia con mio fratello»
«Hai mai sparato ad un uomo?»
«No signore»
«È bene che ti insegni come ci si comporta al fronte. Questa guerra non è una gita nei boschi»
«Ne sono consapevole»
Eskola chiarì i suoi propositi.  
«Non ho intenzione di farti combattere, ma voglio essere certo che in caso di necessità tu sappia difenderti. Capisci cosa intendo?»
Il ragazzo annuì.  
 Il tenente prese un profondo respiro.
«Tuo fratello sa che sei qui?»
Hjalmar negò scuotendo la testa: «anch’egli è al fronte, suppongo che adesso sia a difendere Tampere»
«Perché non sei rimasto con lui?»
Il giovane sollevò leggermente lo sguardo: «ho eseguito gli ordini del tenente Hedmann»
Eskola si commosse per la cieca dedizione di quel giovane, il quale era davvero determinato a svolgere il suo dovere.
L’ufficiale poggiò una mano sulla sua spalla.
«Non posso farti alcuna promessa, ma cercherò di fare del mio meglio per renderti un buon soldato»
Hjalmar sorrise: «grazie signore»

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Capitolo 26
*** L'altro uomo ***


 
XXVI. L’altro uomo
 


Autunno 1895.
 
Il dottor Koskinen non era stato ben accolto nel piccolo villaggio, da parte sua non poteva fare molto per cambiare le cose. Per tutti era uno straniero di città, un estraneo di cui era difficile fidarsi. Oltre alla sua professionalità, di cui nessuno aveva mai dubitato, non aveva molto da offrire ai suoi compaesani.
Per settimane era rimasto chiuso nel suo studio, senza vedere nessun altro se non i suoi pazienti. Leggeva libri e scriveva lettere nella speranza di poter tornare ad Helsinki al più presto possibile. Voleva tornare a vedere volti conosciuti, a frequentare ambienti facoltosi e a stringere le mani di uomini illustri come faceva ai tempi dell’università. Credeva di essere destinato a farsi conoscere nell’alta borghesia come giovane medico in carriera, invece il destino aveva voluto allontanarlo da un brillante futuro di successo, relegandolo ai margini della civiltà. Fredrik però non si era perso d’animo, aveva mantenuto fede alla sua promessa, sapendo che quel trasferimento sarebbe stato solo temporaneo. Entro Natale avrebbe ricevuto altre proposte e avrebbe lasciato quel villaggio sperduto per sempre, ma fino ad allora doveva solo pensare al lavoro.
Sopportare quella situazione, tra la noia e la solitudine, non era affatto semplice.
Era un freddo e buio pomeriggio autunnale quando ad un tratto qualcuno bussò alla porta del suo studio. Egli diede il permesso di entrare senza prestare troppa attenzione. Quando sollevò lo sguardo si stupì nel riconoscere una ragazza dai lunghi capelli castani.
«Mi scusi dottore, non intendevo disturbarla»
Il giovane ricambiò il suo sorriso: «no, nessun disturbo. E puoi chiamarmi Fredrik, se vuoi»
Lei acconsentì, presentandosi a sua volta.
«Io sono Helena, la mia famiglia vive in fondo alla strada»
«Mi ricordo di te. Ci siamo già incontrati in chiesa, speravo di rivederti»
La ragazza arrossì leggermente, mostrando un timido sorriso. Con lieve imbarazzo si avvicinò al tavolo e poggiò sulla superficie di legno un cesto dal quale proveniva un invitante profumo di pane.
«Ho pensato di portarti un piccolo dono, per ringraziarti per tutto quello che stai facendo per la nostra comunità»
«Non era necessario, davvero. Sto solo svolgendo il mio lavoro»
«Il mio è un gesto di cortesia»
«Be’, allora…non posso che apprezzare tanta generosità»
Helena fu piacevolmente colpita dai suoi modi gentili ed educati. Non ebbe la percezione di trovarsi davanti a uno sconosciuto e desiderò approfondire la loro conoscenza.
«Mi hanno detto che vieni da Helsinki. Non deve essere stato facile lasciare la città per giungere in questo posto desolato»
«Già, in effetti qui è molto diverso»
Helena si dimostrò subito interessata alla vita del giovane medico, e Fredrik fu ben lieto di soddisfare le curiosità della ragazza. Finalmente aveva trovato qualcuno con cui parlare e potersi confidare.
Ben presto tra i due si instaurò un legame profondo e sincero. Helena cominciò a far visita quotidianamente al dottore, dimenticando spesso di trovare una scusa credibile per presentarsi nel suo studio.
 
Fredrik non aveva mai avuto problemi nel corteggiare una bella donna. Era un giovane sicuro di sé, consapevole del proprio fascino. Ben presto però il medico si era reso conto di non essere lui a condurre quel gioco di seduzione. Avrebbe fatto di tutto pur di avere una possibilità con Helena, aveva completamente perso la testa per lei. Quando aveva scoperto che lei era promessa a un altro uomo aveva desiderato ancor più averla per sé.
I loro incontri erano diventati sempre più intimi. Anche quella volta, mentre chiacchieravano amabilmente, non riuscivano a staccare gli occhi l’uno dall’altra. Quando terminò di parlare Fredrik notò che le loro labbra erano così vicine da potersi sfiorare.
Fu questione di un istante, senza più esitare decise di baciarla. Un bacio avido e intenso, carico di passione e desiderio.
Per Helena cedere alla tentazione fu una liberazione, ma ben presto il brivido della trasgressione fu sostituito dal peso della colpa. Sconvolta per quel che era accaduto fuggì via senza dire nulla.
 
A seguito dell’accaduto Fredrik si tormentò per giorni chiedendosi se avesse rovinato per sempre il suo rapporto con Helena con quel bacio. Nonostante tutto non si pentì per quel che aveva fatto. Si era innamorato di lei dal primo momento in cui l’aveva vista e sapeva che ella ricambiava i suoi sentimenti. Il suo era stato un azzardo, ma l’amore richiedeva coraggio. Per conquistare il cuore di Helena era disposto a rischiare.
 
***

La vita di Helena non aveva nulla di speciale. Era la figlia di un umile ma onesto boscaiolo, fin da bambina non aveva fatto altro che aiutare la sua famiglia. Era cresciuta in un ambiente semplice e povero, dove aveva imparato a conoscere il valore del sacrificio. La piccola realtà del villaggio non le aveva mai concesso di poter sognare un futuro diverso da quello già scritto. Per questo quando il caro amico d’infanzia Emil Hiltunen le aveva chiesto di sposarlo lei aveva accettato.
In fondo era sempre stata consapevole che quel giorno sarebbe arrivato, che Emil fosse innamorato di lei non era mai stato un segreto, ed Helena non aveva mai messo in dubbio il fatto di dover ricambiare i suoi sentimenti. Da quando si erano scambiati un primo bacio come timidi e impacciati adolescenti, il loro destino era stato segnato.
Helena riteneva di essere fortunata, aveva trovato un buon marito, la sua famiglia sarebbe stata orgogliosa di lei. Ovviamente desiderava diventare moglie e madre, non solo per non deludere le aspettative dei suoi cari.
Helena credeva di non desiderare altro che quel matrimonio, ma il giorno in cui aveva incontrato Fredrik ogni sua certezza aveva iniziato a vacillare. Egli era diverso da tutti gli altri uomini che aveva conosciuto. Inoltre, non si era mai sentita così viva se non quando era in sua presenza. Lui riusciva a risvegliare nel suo animo emozioni e sensazioni mai provate prima. Era così che aveva scoperto di essere innamorata.
La prima volta le loro mani si erano sfiorate per caso e a lei era piaciuto il brivido di quel tocco. Doveva ammetterlo, le altre volte aveva cercato dei pretesti per sentire ancora quel contatto. Così come aveva iniziato a cercare il suo sguardo, compiacendosi nel constatare che era sempre fisso su di lei.  Non era inconsapevole di quel che stava facendo, quando tornava tra le braccia di Emil si sentiva in colpa per aver cercato le attenzioni di un altro uomo. Eppure non riusciva a rinunciare a quella fatale attrazione.
Poi il bacio aveva cambiato ogni cosa, tutto era diventato reale e concreto. Non erano solo pensieri, illusioni o fantasie. Le intenzioni si erano tramutate in un atto d’amore.
Helena sapeva che quel che stava facendo era ingiusto, eppure tornò ancora da Fredrik, in cerca dei suoi baci e delle sue carezze. Nessuno l’aveva mai baciata in quel modo e nessun altro avrebbe mai potuto.
Il sentimento puro e sincero che univa i due giovani era in contrasto con i loro incontri clandestini, dove erano costretti ad amarsi in segreto.
Helena non era più in grado di tollerare tutto ciò, sentiva di aver superato il limite rinunciando alla sua moralità.
Stringendola tra le sue braccia Fredrik avvertì il suo turbamento.
«Qualcosa non va?» domandò con tono preoccupato.
Lei si divincolò da quell’abbraccio.
«Mi dispiace, ma noi…non possiamo continuare così»
«L’hai già detto altre volte, ma poi sei sempre tornata da me»
«Stavolta dico sul serio. Sto solo facendo del male a tutti quanti comportandomi in modo orribile!»
«Allora metti fine al tuo fidanzamento» suggerì il medico senza alcuna esitazione.
Helena sospirò: «non è così semplice»
L’espressione sul volto di Fredrik si indurì.
«Tu lo ami?» chiese freddamente.
La ragazza scosse la testa: «non come amo te»
«Allora perché dovresti sposare un uomo di cui non sei innamorata?»
«Perché è quello che è giusto. La mia famiglia pretende questo da me»
Fredrik era tornato alla sua scrivania per accendersi una sigaretta.
«Dunque che cosa vorresti fare? Sposarti per vivere nell’infelicità? Oppure tradire tuo marito?»
Helena provò disgusto e vergogna al solo pensiero: «non potrei mai vivere in questo modo»
Il dottore esternò finalmente ciò che pensava ormai da tempo.
«Devi prendere una decisione. O lui o me. Questa storia è andata avanti anche troppo a lungo»
«Credi che mi stia divertendo a tradire un uomo leale e onesto?»
«E tu credi che per me sia semplice ricoprire il ruolo dell’amante? Dannazione, queste persone devono fidarsi di me, invece io sono costretto a mentire ogni giorno!»
Helena percepì gli occhi umidi di lacrime.
«Ritieni che sia tutta colpa mia?»
«Non sto dicendo questo. Ma se vuoi davvero mettere fine a tutto questo sai cosa devi fare»
«Le nostre vite non sono un gioco»
«Helena, io ti amo e sarei disposto a tutto per stare con te»
«Lo so»
Fredrik non trovò la forza di continuare quella conversazione, non c’era più nulla da dire. Si limitò a fumare in silenzio, senza però riuscire a mascherare il suo nervosismo.
«Scusami. È solo che…non voglio che tu sia infelice con un altro uomo» ammise alla fine.  
Helena rimase colpita da quelle parole, era ancora confusa e sconvolta da quella situazione, ma dentro di sé aveva sempre saputo quale fosse la giusta decisione.
 
Quella stessa sera Helena decise di mettere fine a quegli incontri clandestini e di rivelare la verità ad Emil. Non era mai stata una bugiarda, non aveva mai ingannato nessuno. Era stanca di mentire, non poteva più reggere il peso di quel tradimento. Nonostante tutto voleva bene ad Emil, la consapevolezza di essere causa del suo dolore era straziante. L’avrebbe perso per sempre, di questo ne era certa. Non pretendeva di essere compresa e tantomeno perdonata. Aveva sbagliato a comportarsi in quel modo, ma dentro di sé sapeva che non avrebbe potuto fare altro che commettere quell’errore. Il suo sbaglio era stato quello di illudersi, aveva creduto di essere innamorata di un uomo, finché un altro non le aveva mostrato cosa era realmente l’amore.
 
***

Emil Hiltunen non credeva che sarebbe stato un marito esemplare. Amava la pesca e la caccia, preferiva restare solo nella foresta per la maggior parte del tempo e dentro di sé non si sentiva pronto a mettere radici per diventare un padre di famiglia. Nonostante ciò quando pensava ad Helena ogni dubbio svaniva immediatamente. Era disposto a rinunciare all’aspetto più selvaggio della sua vita per provare ad essere un uomo migliore al suo fianco. Si era innamorato di lei quando erano ancora ragazzini, quando lei l’aveva salutato con un bacio sulla guancia aveva promesso a se stesso che un giorno l’avrebbe sposata. Era la donna giusta, non sapeva spiegare il motivo, era solo conscio che nessun’altra lo faceva sentire in quel modo. Il suo cuore batteva solo per lei.
Così appena ne aveva avuto l’occasione Emil le aveva chiesto di sposarlo.
Le cose però erano cambiate dopo l’arrivo del giovane medico al villaggio. Helena aveva iniziato a comportarsi in modo strano da quando il dottor Koskinen era entrato a far parte delle loro vite.
Ancor prima che i due iniziassero la loro relazione, Emil si era accorto del cambiamento di Helena. Non sapeva ancora che stesse accadendo, ma pian piano aveva visto la donna che amava allontanarsi da lui, anche quando erano insieme poteva avvertire che qualcosa tra loro era mutato irrimediabilmente.
Inizialmente Emil aveva preferito far finta di non capire, era ostinato a credere che il matrimonio avrebbe potuto risolvere ogni problema. Voleva illudersi che una volta diventata sua moglie, Helena avrebbe potuto amarlo.
Tutto fu chiaro dopo la sua confessione, quando lei gli rivelò di essere innamorata di un altro uomo non poté più ignorare l’amara verità.
Nonostante tutto Emil continuò a provare per Helena i medesimi sentimenti. Pur non comprendendo il motivo per cui lei avesse scelto di amare qualcun altro, non fu in grado di incolparla per questo. L’amore era complicato, e purtroppo anche crudele.
 
***

Fredrik non seppe mai come terminò la relazione tra Helena ed Emil. Quando scoprì che lui aveva deciso di lasciare il villaggio provò un certo sollievo, ma allo stesso tempo realizzò quanto fosse importante Helena per quell’uomo. In quel momento promise a se stesso che avrebbe fatto di tutto per non perdere l’amore della sua vita.
 
Una sera, poche settimane dopo aver reso ufficiale il fidanzamento, il dottor Koskinen rientrò dal lavoro più sconvolto del solito.
Helena notò immediatamente la sua aria angosciata.
«Che cos’hai?» domandò immediatamente.
«Niente» mentì lui.
«Ti conosco, so quando qualcosa ti preoccupa»
Fredrik insistette: «non è nulla di importante»
Helena si distaccò dal suo abbraccio.
«Avanti, non farti pregare. Lo sai che puoi dirmi ogni cosa»
Il medico prese un profondo respiro.
«D’accordo. Oggi ho ricevuto una lettera da parte di un mio collega, si trattava di una proposta di lavoro»
La ragazza impallidì: «significa che dovrai tornare ad Helsinki?» 
Il giovane scosse la testa: «no, io…a dire il vero non ho intenzione di accettare l’incarico»
Helena non capì.
«Perché? Era quello che volevi»
«Per te»
Ella trasalì: «dici davvero?»
Fredrik prese la sua mano stringendola con delicatezza.
«Non potrei mai rinunciare a noi» affermò con estrema certezza.
«Ma…non pensi al tuo futuro? Questa è l’occasione che stavi aspettando da tanto tempo»
«Non vedo alcun futuro senza di te al mio fianco. E poi c’è un’altra occasione che non voglio sprecare»
Lei avvertì gli occhi umidi per la commozione.
«Dopo tutto quello che abbiamo passato non voglio darti altre preoccupazioni. Tutto ciò che desidero è diventare tuo marito e restare qui con te»
Helena non dubitò della sua sincerità. Non avrebbe mai impedito a Fredrik di inseguire il suo sogno, ma la sua decisione era la prova che egli era disposto a tutto per il bene della sua famiglia. Helena fu rassicurata dalla decisione del suo amato. Sentiva bisogno di supporto e sostegno da parte di Fredrik, soprattutto ora che sospettava di essere incinta.
 
***

Inverno 1918.
 
Jari era pronto all’imminente partenza per la prima linea. L’ultimo incontro con Bernhard era stato determinante per ricordagli ciò che era davvero importante. Il suo dovere era rimanere a fianco dei suoi uomini, non poteva deludere coloro che avevano riposto fiducia in lui.
Aveva dimostrato di avere le capacità per essere un buon ufficiale, era giunto il momento di mettere in pratica ciò che aveva imparato al fronte.
Per quanto avesse sofferto a causa dell’ennesimo addio, non poteva permettere a certe questioni personali di distrarlo dalla sua missione.
Winkler aveva ragione, la guerra era l’unica priorità. Tutto il resto avrebbe potuto attendere.
Jari si riprese dai suoi pensieri quando raggiunse i camminamenti ai margini del villaggio.
La situazione si era aggravata negli ultimi giorni, le poche notizie giunte dal confine non erano affatto rassicuranti. Le rivolte dei Rossi avevano causato sanguinose battaglie per il controllo delle città.
Le truppe nemiche stavano avanzando rapidamente, per questo i Bianchi avevano bisogno di rafforzare ogni difesa.
L’intervento dei tedeschi avrebbe potuto essere di supporto per l’assalto ad Helsinki, ma la riconquista di Tampere sarebbe stata un’ardua impresa per l’esercito finlandese.  
Jari porse il saluto alle sentinelle disposte lungo il sentiero, dopo il rapido rapporto il tenente tornò sui suoi passi.
Un sottufficiale era immobile alla sua postazione di guardia, il suo sguardo rivolto alla vallata era vigile e attento. Udendo il suono di alcuni passi lo sconosciuto si sollevò di scatto, appena riconobbe il grado sulla divisa raddrizzò le spalle per presentarsi al comandante.
Jari si fermò davanti a lui, nella penombra tentò di distinguere al meglio la sua figura. Il soldato doveva avere circa quarant’anni, era un uomo alto e dal fisico atletico, con un volto dai lineamenti rigidi e severi.  
A causa delle rapide mobilitazioni non aveva ancora avuto modo di rapportarsi con le truppe già stazionate al villaggio, così approfittò di quell’occasione per ottenere maggiori informazioni.
«Con il supporto dell’artiglieria siamo riusciti a contenere l’avanzata nemica, ma la situazione è instabile lungo tutto il fronte. Abbiamo ricevuto da poco i nuovi ordini, i miei uomini sono pronti a partire questa notte»
Jari si mostrò soddisfatto: «il convoglio partirà prima dell’alba»
Il sottufficiale lo squadrò con particolare attenzione.
«Dunque lei è il nostro nuovo comandante?»
Il giovane ufficiale gli porse la mano.
«Tenente Jari Koskinen»
L’uomo ricambiò con vigore la stretta del suo superiore.
«Sergente Emil Hiltunen»

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Capitolo 27
*** Sulle montagne ***



XXVII. Sulle montagne
 

Aleks riemerse in superficie ansimando per lo sforzo e tremando dal freddo. Il suo corpo era congelato, completamente ricoperto di neve. A fatica riuscì ad aprire gli occhi, il vento era insopportabile, così forte da ferirgli il viso.
Dopo qualche tentativo riuscì a rialzarsi in piedi. Mosse pochi passi sulle gambe tremanti prima di cadere nuovamente a terra. Sentiva che le forze lo stavano abbandonando, ma non poteva arrendersi, doveva continuare a muoversi. Il cielo era tornato grigio, presto si sarebbe alzata la bufera.
Aleks si poggiò al tronco di un albero per riprendere fiato, ancora stentava a credere di essere sopravvissuto alla caduta. Nonostante il dolore, era ancora tutto intero.
Il suo unico pensiero era proseguire il suo cammino verso il confine, ma doveva ammettere la triste verità, non aveva la minima idea di dove si trovasse. Forse stava proseguendo nella direzione sbagliata, non aveva alcun punto di riferimento, era perso nella nebbia.
Avrebbe dovuto trovare un riparo al più presto, oppure sarebbe morto assiderato.
Il giovane si guardò intorno, il silenzio era surreale. Poteva affidarsi solo al suo istinto.
Stava per riprendere il cammino quando ad un tratto notò qualcosa nella neve. Aleks sussultò, riconobbe i bottoni d’ottone brillare nel candore.
Il giovane esitò, il suo primo pensiero fu quello di allontanarsi al più presto, ma la sua coscienza gli impedì di abbandonare volontariamente un altro essere umano, condannandolo a morte certa.  
Aleks si avvicinò, incurante del freddo ricominciò a scavare nella neve, non si fermò nemmeno quando le sue mani iniziarono a sanguinare. Finalmente riuscì a riportare alla luce il corpo del tenente Smirnov.
Nel vederlo in quello stato, irrigidito dal gelo e pallido come un cadavere, Aleks temette che ormai fosse troppo tardi. Provò sincero sollievo nel percepire un flebile battito e un respiro quasi impercettibile. Era ancora vivo, seppur privo di sensi.
Doveva però essere obiettivo, nessuno dei due aveva molte speranze di sopravvivere alla notte. Rimanevano ancora poche ore di luce, i primi fiocchi di neve avevano iniziato a cadere al suolo, volteggiando nel vento tra gli aghi delle conifere.
 
Aleks trascinò il tenente inerme finché non si ritrovò privo di forze. La foresta stava per essere inghiottita dall’oscurità, la nevicata diveniva sempre più intensa.
Il giovane osservò il suo connazionale, la valanga non era stata affatto clemente con lui. Il suo corpo era cosparso di lividi e feriti sanguinanti. Aveva fatto del suo meglio per medicare le ferite, aveva persino strappato la sua camicia per evitare che quell’uomo morisse dissanguato. Non sapeva perché stesse rischiando tanto per salvare la vita di un ufficiale zarista. Avrebbe dovuto pensare alla sua famiglia, ma forse era proprio per questo che non aveva il coraggio di comportarsi come un vigliacco egoista.
Il pensiero di suo figlio riuscì a donargli un po’ di calore, trovò così abbastanza energie per riprendere il tenente sulle spalle e proseguire il suo percorso sulla riva del fiume ghiacciato.
 
Dopo aver vissuto per anni come un fuggitivo, Aleks poteva fare affidamento sul suo istinto di sopravvivenza. Non poteva sapere se fosse stata la sua esperienza, oppure un vero e proprio miracolo a condurlo verso un riparo, ma ciò non aveva molta importanza. Riusciva a scorgere il sentiero battuto e nella foschia poteva intravedere il tetto in legno di un capanno disabitato.
Restava però un ultimo ostacolo, doveva attraversare il fiume ghiacciato. Poiché il vecchio ponte era crollato, l’unico modo per raggiungere la sponda opposta era camminare sul ghiaccio. 
Aleks non si lasciò intimorire dall’ennesima sfida. Era certo che la lastra sottile non avrebbe retto il suo peso e quello del tenente, ma non aveva altre possibilità.
Lo strato di neve fresca nascondeva la superficie, offrendo attrito per evitare di scivolare sul ghiaccio.
Aleks si muoveva lentamente, posizionando cautamente un piede davanti all’altro. Le gambe tremavano dalla stanchezza, il corpo del tenente sulle sue spalle diventava sempre più pesante.
Stringendo i denti riuscì a resistere fino a metà strada, proprio quando cominciò a pensare di poter raggiungere incolume l’altra sponda, avvertì il ghiaccio rompersi sotto ai suoi piedi.
Aleks sprofondò nell’acqua gelida, ma anche mentre il suo corpo tremava dal freddo e lottava contro la corrente, la sua unica preoccupazione fu tenere stretto a sé Smirnov.
Ormai stremato, Aleks si accasciò sul terreno ghiacciato. Gli abiti bagnati contribuirono a congelare ancor più le sue membra. Non poteva restare fermo, doveva trovare la forza di alzarsi e trasportare il suo compagno al riparo. Aleks tentò di mantenere la concentrazione, ma pian piano i pensieri divennero confusi. L’unica immagine ancora fissa nella sua mente era il tenente Smirnov, che lentamente abbassava l’arma puntata alla sua testa.
 
***

Smirnov riprese conoscenza avvertendo il tepore del fuoco. Nella penombra non riuscì a vedere nulla. Avvertì la testa pesante, ogni parte del suo corpo doleva, come se fosse stato trafitto da decine di coltellate.
A fatica tentò di sollevarsi, ancora confuso avvertì una presenza nella stanza.
«Che…che cosa è successo?»
«Se non ricordi nulla devi aver sbattuto la testa davvero molto forte»
Nonostante la vista offuscata, il tenente riconobbe il profilo di Aleks. La sua reazione fu fredda e distaccata.
«Sei l’ultima persona che mi sarei aspettato di vedere»
«Anche io preferirei ben altra compagnia, ma dobbiamo accontentarci. Con questo devo dedurre che ti è tornata la memoria»
«Ricordo la valanga…e poi più nulla»
«È già qualcosa. Sei rimasto incosciente per molte ore»
L’ufficiale si guardò intorno con aria spaesata.
«Dove siamo?»
«Nel rifugio di un cacciatore di renne, purtroppo per me, ma per fortuna per te, ancora in territorio finlandese»
«Sei stato tu a portarmi qui?»
Egli annuì.
Smirnov rivolse al suo salvatore uno sguardo perplesso, avrebbe voluto dire qualcosa, ma una fitta di dolore lo distolse dal suo intento.
Aleks sostenne il ferito, aiutandolo a distendersi sul suo giaciglio.
«Cerca di riposare adesso. Hai bisogno di riprendere le forze. Avremo modo di chiarire la questione tra noi in un altro momento»
Smirnov era troppo debole per ribattere, ma con ostinazione trattenne un lamento di dolore per biascicare una risposta.
«Noi non abbiamo nulla da chiarire»
 
Aleks rifletté a lungo sulle parole del tenente. Non si aspettava grandi cambiamenti nel loro rapporto, ma avrebbe gradito almeno un minimo di riconoscenza per aver salvato la vita a quell’uomo. Inoltre non comprendeva l’ostilità di Smirnov, anche in quelle condizioni ai suoi occhi restava soltanto un criminale.
Aleks tentò di non dare troppa importanza alla questione, in quel momento aveva ben altro di cui preoccuparsi.
Fu grato al previdente cacciatore che aveva lasciato una cospicua scorta di cibo e legna nel suo rifugio. Almeno per qualche giorno i due dispersi non sarebbero morti di fame o di freddo.
Quella però era solo una sistemazione provvisoria. La bufera non era intenzionata a placarsi, in quelle condizioni non avrebbero potuto resistere a lungo in quel rifugio.
Aleks aveva tentato di ricostruire i loro spostamenti. La valanga doveva averli trascinati lungo versante est della montagna, ciò significava che il confine non doveva essere lontano. Sarebbe stato sufficiente seguire il sentiero nella foresta per ritrovarsi in madrepatria.
Il giovane si commosse al solo pensiero. La realtà però tornò a schiacciarlo come un macigno.
Era così vicino a casa, la sofferenza per un possibile fallimento era ancora più difficile da sopportare.
 
Dopo cena Smirnov si sentì abbastanza in forze per sedersi accanto al camino. I due restarono a lungo in silenzio, fu l’ufficiale il primo a parlare.
«Perché l’hai fatto?»
«Cosa?» chiese Aleks ingenuamente.
«Per quale motivo mi hai salvato?»
L’altro rispose in piena sincerità.
«Tu non mi hai sparato quando avresti potuto»
«Avevo l’ordine di arrestarti, non di ucciderti»
Aleks reagì con una smorfia: «per molti non avrebbe fatto differenza»
«Se la tempesta non si placherà moriremo comunque…»
«Non pensavo che i soldati imperiali si arrendessero tanto facilmente»
Smirnov non rispose, restando con il suo sguardo vacuo e il volto apatico.
«Che ti prende? Quando mi stavi puntando la pistola alla tempia sembravi molto più deciso»
«Quello che hai detto è vero. L’Impero non esiste più, dunque…io non ho più nulla per cui combattere»
«In questo momento dobbiamo lottare per sopravvivere»
Smirnov lo guardò negli occhi mostrando inaspettato rancore.
«Avresti dovuto lasciarmi nella foresta, almeno sarei morto compiendo il mio dovere»
 
***

Il tenente Antti Eskola si poggiò al recinto di legno per osservare meglio Jänis che si stava prendendo cura del suo cavallo. Il giovane era un bravo scudiero, da buon ragazzo di campagna aveva un rapporto particolare con quegli animali.
«Signore. È arrivato un messaggio da parte del capitano Kalm»
Eskola si voltò per ascoltare le notizie del sottotenente Grön.
«Il nemico ha occupato Ruovesi, ciò significa che…»
«Dovremo essere pronti a respingere un attacco»  
Il suo sottoposto si limitò ad annuire.
«Può dire agli uomini di iniziare a rafforzare le barricate»
Egli annuì, lasciando però trasparire il suo rammarico.
«Cosa pensa di fare con il ragazzino?» domandò poi rivolgendo lo sguardo a Hjalmar.
L’ufficiale prese un profondo respiro.
«Presto mi occuperò anche di lui»
Grön acconsentì, rassicurato dal tono calmo del suo superiore. Si fidava di lui, sapeva che avrebbe preso la giusta decisione a riguardo di quella faccenda.
 
Quella sera il tenente Eskola salì in sella al suo cavallo per perlustrare le trincee ai confini del villaggio. Tutto era pronto per contrastare l’imminente attacco delle Guardie Bianche.
Era solo una questione di tempo, presto l’intera area sarebbe diventata zona di guerra.
L’ufficiale tornò al suo rifugio oppresso da questi pensieri. Appena varcò la soglia trovò il suo giovane assistente, impaziente di avere notizie.
«Ho già provveduto a oliare il suo fucile e preparare le munizioni» lo informò Hjalmar.
«Ottimo lavoro Jänis»
Il ragazzo sorrise con aria compiaciuta.
«Dunque è vero? Ci stiamo preparando alla battaglia?» domandò con fin troppo entusiasmo.
Eskola esitò qualche istante prima di rispondere.
«Sì, per questo tu non puoi più restare»
Hjalmar non capì: «ma…»
Il tenente lo zittì prontamente.
«Questi sono per te» disse porgendo al giovane dei pezzi di carta.
Jänis osservò i fogli con aria confusa.
«Che cosa sono?»
«Documenti. Non hai voluto rivelarmi la tua identità, ma tutti hanno bisogno di un nome. Con questi potrai superare il confine senza problemi» spiegò Eskola senza troppi giri di parole.
«Non capisco, che cosa significa?»
«Le avventure dell’alfiere Jänis finiscono qui. È ora di tornare a casa» affermò Eskola con tono autoritario.
Il ragazzo tentò di protestare.
«Non è giusto! Credevo che lei mi volesse come suo assistente. Ho fatto tutto quel che mi ha chiesto, ho affrontato l’addestramento come tutti gli altri!»
«Mi sembrava di essere stato chiaro quando ho detto che non ti avrei fatto combattere»
Hjalmar insistette ancora una volta.
«Mi dia almeno la possibilità di dimostrare che sono un buon soldato»
Eskola scosse la testa.
«Tu non sei un soldato, sei soltanto un ragazzino!»
Hjalmar reagì in modo impulsivo.
«Dunque dovrei nascondermi mentre i miei compagni rischiano la vita in battaglia?»
Il tenente decise di mettere fine a quella discussione.
«Gli ordini non devono essere discussi. Se davvero sei un buon soldato, dovresti sapere che quel che stai facendo è un atto di insubordinazione»
Hjalmar abbassò la testa, strinse i pugni per la rabbia, avvertendo gli occhi umidi. Si sentì tradito dal suo comandante, ogni suo sforzo si era rivelato inutile.
Il ragazzo si fece coraggio, senza più dire nulla si congedò dal suo superiore.
Prima di lasciarlo andare, Eskola volle essere sincero nei suoi confronti.
«Mi dispiace, sei un ragazzo sveglio, sono certo che avrai altre occasioni per dimostrare il tuo valore»
Hjalmar trattenne a stento le lacrime: «grazie, signore»
 
***

Winkler osservò la sagoma del monoplano di von Rosen stagliarsi controluce fino a scomparire nel cielo. Il pilota Hansen aveva rispettato gli accordi, tutto era andato secondo i piani.
Bernhard si allontanò dalla costa, da quel che gli era stato riferito, le truppe tedesche erano già in marcia verso Helsinki. Non aveva molto tempo, doveva raggiungere le foreste prima del tramonto.
 
La penisola di Hanko era una landa desolata, Bernhard seguì le indicazioni ricevute via radio nei giorni precedenti, e proseguì seguendo le tracce ancora fresche nella neve.
Finalmente scorse una colonna di fumo. Mantenendo il punto di riferimento, Winkler raggiunse la radura dove trovò l’accampamento tedesco.
L’ufficiale delle Guardie Bianche poté constatare che gli alleati erano stati di parola, inviando in Finlandia uomini e armamenti.
Si era soffermato davanti ai carri carichi di artiglieria quando fu avvicinato da uno dei comandanti.
«Sono contento che sia riuscito a raggiungerci, la stavamo aspettando»
«Benvenuti in Finlandia, da quel che vedo siete riusciti a sbarcare senza problemi»
L’uomo gli porse la mano: «maggiore Reinhard Stein»
«Capitano Bernhard Winkler»
«È un onore conoscerla di persona»
Bernhard rimase perplesso.
«Lei ha già sentito parlare di me?»
«Certamente. So che è un giovane ufficiale che ha contribuito a fondare il corpo degli Jäger, ha combattuto sul fronte orientale ed è tornato in Finlandia per unirsi alle Guardie Bianche. Ma…quel che più mi interessa di lei è il suo ruolo nei servizi segreti»
Winkler ripensò al suo soggiorno a Berlino.
«Non pensavo che il maggiore Bayer fosse così influente»
«Oh, non è solo lui a considerarla meritevole di attenzione. A dire il vero, molti vorrebbero che lei tornasse a far parte dell’esercito tedesco»
«Sta dicendo sul serio?»
Stein annuì.
«Suppongo che anche lei la pensi allo stesso modo, se no non avrebbe accettato questo incarico»
Bernhard non era certo di quel che desiderava davvero.
«Per il momento voglio solo svolgere il mio dovere»
«Ammirevole da parte sua. Quando questa guerra sarà finita potrà tornare in Germania come un eroe» continuò Stein.
Bernhard sussultò: «tornare in Germania?»
«Noi due siamo molto simili. Entrambi siamo uomini d’azione. Capisco perché ha voluto essere coinvolto anche in questa guerra, in fondo io mi trovo in Finlandia per lo stesso motivo. Supportare le Guardie Bianche è un modo per indebolire la Russia, ma la nostra Patria sta vivendo tempi difficili…c’è bisogno di uomini come lei che possano difendere e proteggere la Germania»
Bernhard rifletté su quelle parole. Non aveva mai pensato al suo futuro, credeva che il suo unico obiettivo fosse l’Indipendenza della Finlandia, ma non poteva negare che fin dall’inizio il suo scopo fosse stato quello di ricongiungersi con la Germania.
 
Winkler si ritrovò a vagare per l’accampamento, solo con i suoi pensieri. Provò una strana sensazione nell’udire i soldati che parlavano tra loro in tedesco. Ripensò al periodo trascorso in Germania, doveva ammettere che fin dal primo momento aveva sentito di appartenere a quella terra. In Finlandia era sempre stato considerato come uno straniero, anche quando era diventato un rappresentante degli ideali nazionalisti, per tutti all’università restava “il tedesco”.
Per quanto si fosse sforzato per tutta la vita, non era mai stato realmente finlandese. Ovviamente sentiva affinità con le radici di sua madre, ma non poteva negarlo, era il suo cognome a definire la sua identità. E non solo. Il suo aspetto non era quello di un finlandese. Era stato costretto ad indossare una divisa per dimostrare al resto del mondo la sua nazionalità.
Bernhard sospirò con rassegnazione. In Germania era tutto diverso, nessuno lo vedeva come uno straniero, anzi, agli occhi di tutti era un compatriota che finalmente era tornato a casa.
«Capitano! Vuole unirsi a noi?»
Winkler si riprese dai suoi pensieri, fermandosi davanti a un gruppo di soldati accovacciati vicino al falò. Uno di loro offrì all’ufficiale la bottiglia di brandy che si stavano spartendo.
Bernhard esitò.
«Un po’ di liquore l’aiuterà a scaldarsi» disse lo sconosciuto per convincerlo.
Winkler accettò, bevve un lungo sorso, poi riconsegnò la preziosa bottiglia nelle mani dei soldati.
«Si sieda qui con noi. Sembra che questa notte anche lei abbia bisogno di un po’ di compagnia»
Bernhard non poté contraddire il suo sottoposto, in effetti non aveva voglia di trascorrere da solo l’intera notte insonne.
I soldati accolsero il loro superiore con entusiasmo.
«Perché non ci racconta qualcosa della sua esperienza al fronte?» domandò qualcuno.
«Già. Alcuni di noi hanno combattuto contro i russi, ma i novellini non hanno mai visto la guerra» aggiunse un altro.
«Dunque lei ha combattuto con un esercito clandestino prima della guerra?»
«È vero che è stato il primo comandante dell’unità finlandese degli Jäger?»
«È stato promosso ufficiale al campo di Lockstedt?»
«Ho saputo che è stato ferito in prima linea, ha davvero rischiato la vita per salvare i suoi uomini?»
Bernhard rispose pazientemente a tutte quelle domande, doveva ammettere che non gli dispiaceva tanta attenzione. Quei soldati si erano dimostrati veramente interessati alla sua storia.
«Siamo felici di averla con noi. Sarà un onore andare in battaglia con un comandante come lei»
L’ufficiale sorrise con orgoglio, i suoi connazionali lo rispettavano e lo stimavano.   
Winkler osservò le fiamme che ardevano nell’oscurità, improvvisamente si sentì in colpa. Pensò a Jari, a quanto il suo compagno avesse sofferto per la sua partenza. Anche per lui quella separazione non era stata semplice da affrontare, ma era stata sua la scelta. Jari invece era rimasto solo ad affrontare il suo destino.
Bernhard tentò di non lasciarsi sopraffare dalle emozioni, non era pentito per quel che aveva fatto. Sentiva di aver fatto la scelta giusta, aveva fiducia in Jari, sapeva che era all’altezza delle sue nuove responsabilità.
Alla fine abbandonò i suoi nuovi camerati, allontanandosi sulle strofe di O Deutschland hoch in Ehren.

 

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Capitolo 28
*** Presagi ***



XXVIII. Presagi
 

Fin da quando era un ragazzino, Verner era solito fuggire nella foresta per dedicarsi a lunghe passeggiate in sella al suo cavallo. Spesso era in compagnia di Jari, ma negli ultimi anni quella era divenuta un’abitudine solitaria. Era sempre stato a suo agio nella natura, solo con i suoi pensieri.
Anche in quell’occasione si ritrovò a riflettere sulla sua condizione, sull’importanza di quel conflitto, e sulle conseguenze delle sue scelte.
In sella al suo fedele Suokki, strinse le redini e si addentrò nel bosco innevato.
Per quanto avesse apprezzato il supporto di Leena, era lieto che lei avesse deciso di tornare nelle retrovie. La storia di quella ragazza l’aveva colpito nel profondo, ammirava la sua determinazione e il suo coraggio, ma il suo posto non era al fronte. Aveva già sofferto troppo a causa di quella guerra, entrambi sapevano che quella sarebbe stata la giusta decisione.
Non aveva dubbi su di lei, sapeva che avrebbe mantenuto fede alla sua parola.
Ripensando al loro ultimo dialogo, Verner non poté evitare di pensare a Hjalmar. Aveva chiesto a Leena di ritrovarlo e portarlo al sicuro. Suo fratello era soltanto un ragazzino, non avrebbe dovuto coinvolgerlo in quella guerra. Si sentiva in colpa per avergli permesso di seguirlo al fronte. In quanto fratello maggiore avrebbe dovuto pensare a proteggerlo, ma d’altra parte, non avrebbe potuto impedirgli di fare ciò che credeva giusto.
Hjalmar desiderava prender parte a quella guerra per dimostrare di essere degno della sua fiducia, di questo ne era certo. Egli aveva sempre mostrato rispetto nei suoi confronti. In fondo per lui era stato sia un fratello sia una figura paterna. Hjalmar aveva solo nove anni quando era rimasto orfano di padre, da quel giorno Verner era diventato il suo unico punto di riferimento. Non poteva certo incolparlo per questo, il suo desiderio di emulazione era più che comprensibile.
Verner ricordò anche le parole di sua madre. Aveva promesso a Irina che avrebbe fatto il possibile per riportare a casa Hjalmar sano e salvo.
Aveva scelto di combattere quella guerra per proteggere la sua famiglia, ed ora rischiava di mettere tutti quanti in pericolo a causa delle sue incaute decisioni.
Il giovane spronò il cavallo al galoppo. Non aveva rimpianti, sapeva che non avrebbe potuto agire in nessun altro modo. Non aveva avuto alternative, Aleks e Jussi gli avevano offerto una possibilità per cambiare le cose. Era sempre convinto che unirsi alle Guardie Rosse restasse l’unica speranza per il suo popolo.
Verner tentò di allontanare certi pensieri dalla sua mente. Per quanto il destino dei suoi cari gli fosse a cuore, doveva lasciare le questioni personali al di fuori del conflitto.
Presto avrebbe raggiunto nuovamente la città-fortezza di Tampere, dove i Rossi si stavano preparando a resistere all’imminente attacco nemico. I suoi compagni avevano bisogno di lui, era pronto a fare il suo dovere.
Fino a quel momento Verner non si era posto troppi dilemmi etici a riguardo del nemico. Aveva combattuto contro i russi, così come suo padre prima di lui. Ma ora la situazione era cambiata.
Lo scoppio della guerra civile l’aveva costretto a prendere decisioni difficili. Erano i suoi connazionali ad essere coinvolti, e non si trattava più soltanto di vendetta nei confronti dei traditori.
Verner ricordò il dialogo avuto con Karl pochi giorni prima della sua partenza.
 
«Ti sto solo dicendo che se decidessi di restare non saresti un codardo» aveva affermato l’amico di famiglia, al termine di una lunga discussione.
Verner aveva scosso la testa con disapprovazione: «non mi sono spinto così oltre per rinunciare nel momento del bisogno»
Karl aveva sospirato con rassegnazione: «questa Nazione non ha bisogno di un’altra guerra»
Il giovane era rimasto impassibile.
«Dunque che cosa dovrebbe fare il popolo finlandese? Restare indifferente? Permettere ai Bianchi di fare il loro gioco e sopportare in silenzio ogni genere di ingiustizia?»
«Il comunismo non salverà la Finlandia»
«Come puoi esserne così certo?»
Karl aveva sollevato lo testa per guardare il suo interlocutore negli occhi.
«Perché anche io e tuo padre credevamo di poter cambiare le cose…ma così non è stato»
Verner non si era mostrato sorpreso da quella rivelazione.
«Sono trascorsi vent’anni, adesso è diverso»
«No. Le ingiustizie, i falsi ideali, la violenza, i morti…tutte le guerre sono uguali»
«Tu non puoi capire» aveva risposto Verner voltandogli le spalle.
Karl l’aveva fermato bloccandolo per un braccio.
«Io ho già vissuto tutto questo. Se ora sono un vecchio disilluso è solo perché un tempo sono stato un giovane sognatore…come te»
Verner si era liberato bruscamente dalla sua stretta.
«Mio padre non è morto per un falso ideale, lui credeva davvero nella Causa. Era un uomo giusto e leale, e la sua memoria merita giustizia. Tu invece sei soltanto un vigliacco!» 
«È vero. Ai tempi ho rinunciato alla mia battaglia, ho tradito Aaro e per questo mi sento responsabile. Ma credimi, l’unica ragione per cui ti sto dicendo tutto questo è perché non voglio che un giorno tu debba pentirti delle tue scelte»
«Ormai ho scelto di combattere per la Finlandia e non potrei mai rimpiangere questa decisione»
Karl non si era arreso: «se davvero non hai alcun ripensamento, allora resta fino a domani»
Verner era rimasto perplesso: «per quale motivo?»
«Per guardare in faccia il tuo nemico»
Il giovane aveva esitato: «dunque è vero, gli Jäger sono tornati?»
«Già, loro non sono russi. Puoi nasconderti dietro ai tuoi ideali se vuoi, ma non puoi ignorare la realtà, i tuoi nuovi avversari sono i nostri compatrioti!»
Verner si era allontanato senza più rispondere, mascherando il suo turbamento dietro a una maschera di indignazione.
 
Alla fine era stato lui a comportarsi come un vigliacco, di questo ne era consapevole. Verner non aveva avuto il coraggio di rimanere al villaggio per presenziare al ritorno degli Jäger.
Erano trascorsi tre lunghi anni dal suo addio a Jari, e per tutto quel tempo non aveva mai smesso di pensare a lui. Alcune volte, osservando da lontano la sua casa, aveva provato il desiderio di bussare alla porta per chiedere sue notizie, ma aveva sempre rinunciato. Le loro strade si erano divise il giorno in cui Jari aveva deciso di arruolarsi, era troppo tardi per tornare indietro. Nulla sarebbe stato come prima.
Eppure, nonostante tutto, Verner aveva provato il desiderio di rivederlo. Alla fine però era stata la razionalità a prendere il sopravvento, ciò non avrebbe portato a niente di buono. Doveva rassegnarsi e lasciarsi il passato alle spalle. Aveva solo il diritto di sapere che Jari era ancora vivo.  
Non voleva illudersi, gli Jäger si erano uniti alle Guardie Bianche, conosceva Jari abbastanza bene da sapere che non avrebbe rinunciato a combattere.
In quel momento aveva provato sentimenti contrastanti, una parte di sé era lieta di sapere che l’amico fosse tornato dalla guerra, ma l’altra non l’aveva perdonato per quello che aveva fatto. Il tradimento, l’abbandono…e poi la scelta di schierarsi con il nemico.
Riprendendosi dai ricordi, Verner riconobbe la sua debolezza. Per lui sarebbe stato doloroso prendere parte ad ogni scontro con la consapevolezza di conoscere l’avversario.
In quel momento comprese le parole di Karl, era ciò che voleva comunicargli, era questo che significava la guerra civile.
D’altra parte, non poteva ignorare il fatto che Jari fosse definitivamente passato dalla parte del nemico. Lo immaginava marciare con la sua divisa e i suoi compagni sotto alla bandiera Bianca e Blu.
Verner raggiunse Tampere con una nuova convinzione. Non aveva più alcun ripensamento, per lui Jari era morto tre anni prima, nel momento in cui aveva deciso di tradire la sua fiducia.
Chiunque fosse lo Jäger tornato dalla Germania, non era più il giovane di cui si era innamorato in passato.
 
***

Il sole era appena sorto all’orizzonte, riflessi dorati risplendevano sul lago ghiacciato.
Kris e Gunnar ammirarono l’alba dalla loro postazione sul versante della collina.
«Questo silenzio mi sembra irreale» commentò il finlandese.
«Non durerà ancora per molto. Presto inizieranno i bombardamenti» rispose il suo compagno.
«Un buon risveglio per il nemico» 
«Già, purtroppo non abbiamo abbastanza munizioni per radere al suolo quell’avamposto»
Kris indirizzò lo sguardo in direzione della gittata dei cannoni, portandosi una mano davanti agli occhi per proteggersi dai raggi del sole. 
«Che cosa c’è esattamente laggiù?»
«Caserme russe di guardia alla città» rispose Gunnar.
«Sono ancora occupate?»
Lo svedese annuì: «suppongo che si tratti di volontari»
«E i Rossi?»
«Ci stanno aspettando tutti a Helsinki» rispose Gunnar con un inquietante sorriso.
Kris tornò ad ammirare il paesaggio innevato, quel luogo gli ricordava il suo villaggio. Sopportare la lontananza da casa era sempre più difficile, spesso il giovane si abbandonava a pensieri più malinconici. Stava combattendo per proteggere ciò che amava, questo era il suo unico conforto.
Dentro di sé sperava ancora di poter tornare da Kaija, sarebbe stato disposto a tutto pur di avere un’altra occasione con lei. Era convinto che, una volta tornato dalla guerra, lei l’avrebbe visto con occhi diversi. Forse in quel modo avrebbe potuto conquistarla, dimostrando di non essere più un semplice ragazzo di campagna, ma di essere diventato un uomo e un vero soldato.
Kris si riprese dai suoi pensieri notando dei movimenti sospetti sulla riva del fiume.  
«Che sta succedendo laggiù?»
Gunnar lo rassicurò: «è una pattuglia di sciatori, ieri hanno perlustrato il sentiero nella foresta»
«Hanno trovato qualcosa?»
Lo svedese negò: «l’intera area è sicura, i Rossi si sono ritirati»
Kris rifletté sulla situazione, provando a immaginare quali sarebbero state le prossime mosse di entrambi gli schieramenti.
«Dunque stiamo attendendo rinforzi per neutralizzare l’ultima resistenza russa e avanzare verso la capitale»
Gunnar confermò: «suppongo che questi siano i piani»  
Kris avvertì un brivido di eccitazione, era impaziente di prendere parte a quella guerra. Inoltre l’azione militare a cui avrebbe preso parte era fondamentale. La conquista di Helsinki da parte delle Guardie Bianche avrebbe potuto decretare la fine del conflitto.
L’eco delle esplosioni riportarono i due giovani alla realtà, l’artiglieria finlandese aveva dato inizio alla giornata di combattimenti.
 
***

Yrjö era solo nella stanza che per emergenza era stata adibita a studio e ambulatorio medico. Era stata una giornata impegnativa, quella sera però era riuscito a ritagliarsi qualche momento di pace e tranquillità. Come al suo solito utilizzò quel tempo per dedicarsi alla scrittura delle sue preziose lettere. Ovviamente la destinataria era la sua amata Kaija.
 
 
Mia cara,
mi dispiace per la lunga attesa, purtroppo non so quando potrò spedire questa lettera. La partenza per il fronte è ormai imminente, anche se la situazione rimane incerta.
Ogni giorno penso a quando questa guerra sarà finita e finalmente potrò tornare da te. Il tuo amore mi dona forza e speranza anche nei momenti più bui. Il ricordo del nostro primo incontro, seppur breve e fugace, mi scalda il cuore in queste fredde notti di solitudine.    
Desidero rivederti al più presto, ma in questo momento sento di dover compiere il mio dovere. Questi uomini hanno bisogno di me, non posso tradire la loro fiducia. Non avrei voluto schierarmi in questa guerra, ma l’indifferenza sarebbe stato un grave atto di viltà. Il dottor Lange aveva ragione a riguardo, senza combattere, tutto ciò che possiamo fare per i nostri commilitoni è alleviare le loro sofferenze. Ed è questa la mia missione, la ragione per cui sono qui è solo aiutare chi mi è vicino.
Non preoccuparti, cercherò di fare il possibile per stare accanto a tuo fratello, so che sta vivendo un momento difficile, soprattutto ora che è carico di nuove responsabilità. Anche per questo ritengo che non sia ancora il caso di metterlo al corrente della nostra relazione. So che tra voi non ci sono mai stati segreti, ti chiedo solo ancora un po’ di pazienza. Ti prometto che mi occuperò personalmente della questione quando sarà il momento opportuno.
 

 
Yrjö interruppe la scrittura avvertendo dei battiti alla porta. Rialzandosi dalla sedia diede il permesso di entrare. Sulla soglia comparve il sergente Hiltunen.
«Scusi dottore, posso disturbarla?»
Come sempre il giovane medico si mostrò gentile e disponibile.
«Certamente. Qual è il suo problema?»
Il sergente chiarì il malinteso.
«Oh, no…io sto bene. Non è per questo che sono qui»
Yrjö assunse un’espressione stranita, solitamente i soldati che si presentavano da lui richiedevano il suo aiuto professionale.
«Allora, di cosa vuole parlarmi?» 
Emil non perse tempo e giunse subito al punto.
«Ho saputo che lei e il tenente Koskinen siete buoni amici» accennò.
Yrjö annuì: «eravamo compagni all’università e ci siamo arruolati insieme»
«Dunque lo conosce bene»
Il medico si insospettì: «be’, sì…ma perché me lo sta chiedendo?» 
Hiltunen rimase vago.
«Solo curiosità. Il tenente è un uomo riservato, non sappiamo molto su di lui»
Yrjö continuò a indagare.
«Che cosa vorrebbe sapere?»
«Soltanto il necessario per potermi rapportare con lui. Non mi piace prendere ordini dagli sconosciuti»
Il medico rifletté qualche istante prima di rispondere.
«Be’, posso dirle che Jari è un uomo onesto e leale, oltre ad essere un ufficiale competente. Può fidarsi di lui»
Emil fu lieto di sentire quelle parole, ma non parve soddisfatto.
«Sono contento che il mio comandante sia affidabile, ma vorrei sapere qualcosa di più personale»
«Perché non vuole rivolgersi a lui direttamente?»
«Non vorrei che il tenente si facesse un’idea sbagliata su di me, insomma…potrebbe sospettare che non mi fidi abbastanza di lui»
«Non è per questo che vuole informazioni?»
Emil iniziò a spazientirsi: «vuole darmi una mano o no?»
Yrjö sospirò, alla fine cedette, in fondo non poteva dire nulla di male sul suo amico.
«So che Jari è originario della Carelia, proviene da un villaggio vicino a Ruskeala. La sua è una famiglia borghese, immagino che anche per questo abbia sempre avvertito il peso delle sue responsabilità»
Hiltunen ascoltò con attenzione.
«Da questo devo supporre che sia figlio unico»
«L’unico maschio. Ha una sorella minore, i due sono molti uniti, soprattutto da quando hanno dovuto affrontare la morte della madre»
Hiltunen ebbe un lieve sussulto.
«E il padre?»
«È un medico originario di Helsinki. Per questo Jari ha iniziato gli studi di medicina, ma suppongo che ora abbia trovato la sua strada nell’esercito»
Il sottufficiale sembrò turbato da quella notizia, non disse più nulla e si dileguò con inaspettata fretta.
Yrjö rimase perplesso dopo quella conversazione, ipotizzò che il sergente volesse semplicemente sapere qualcosa in più sul suo comandante. Non era insolito che volesse conoscere meglio l’uomo a cui stava affidando la sua vita. Sembrava però che egli sapesse già le risposte alle sue domande e che attendesse soltanto delle conferme. Inoltre trovò strano che il sergente non avesse chiesto nulla a riguardo della sua esperienza in Germania.
In ogni caso Yrjö non rimuginò a lungo sulla questione, quella notte dovette rivolgere tutte le sue attenzioni ad una sentinella sofferente che manifestava i primi stadi di ipotermia. 
 
Emil Hiltunen rimase a lungo a vagare senza meta per le strade ghiacciate e ormai desolate. Continuava a pensare a quel che aveva appena scoperto. Non poteva credere che fosse vero, dopo tutto quel tempo, proprio in quel momento e in quelle circostanze…
Per tanto tempo aveva evitato di tornare al suo villaggio, ed ora il passato si era ripresentato all’improvviso.
L’uomo si accese una sigaretta per scaldarsi, dirigendosi lentamente verso gli alloggi dei soldati.
La sua mente lo riportò a dolorosi ricordi che per anni aveva tentato di dimenticare, ovviamente senza mai riuscirci definitivamente. Davanti ai suoi occhi ricomparve il volto di Helena, la donna che aveva amato e perduto. Lei aveva scelto un altro, e lui aveva potuto solo farsi da parte per permetterle di essere felice. L’amava davvero, tanto da aver rinunciato a lei, affidandola alle braccia di un altro uomo. Non aveva mai incolpato Helena per quel tradimento, né tantomeno il dottor Koskinen. Sapeva che a unirli era un amore era puro e sincero, non aveva il diritto di negare loro un lieto futuro insieme. Così aveva accettato il volere del destino, non senza soffrire. Non aveva più amato nessun’altra in quel modo, di questo ne era certo.
Quando aveva saputo della morte di Helena non aveva avuto il coraggio di tornare, non avrebbe potuto dirle addio una seconda volta.
Riteneva che per lui Helena sarebbe per sempre rimasta come il ricordo del suo più grande amore. Le lore strade però si erano riunite anche dopo la sua scomparsa. 
La prima volta in cui aveva visto Jari aveva riconosciuto qualcosa nel suo sguardo, ora sapeva di cosa si trattava, quel ragazzo aveva gli stessi occhi di sua madre.
 
***

Jari camminava avanti e indietro nel suo studio, le carte aperte sul tavolo mostravano il piano d’attacco. Ormai mancavano solo poche ore, entro l’alba le truppe si sarebbero mobilitate per raggiungere il fronte. Il loro obiettivo era ricongiungersi con l’artiglieria per cercare di sfondare le difese avversarie a ovest di Tampere. Da giorni la città resisteva agli assalti, i Rossi avevano dimostrato di non essere soltanto pericolosi ribelli, erano un vero esercito, e soprattutto erano disposti a tutto, anche sacrificare civili e innocenti.
Jari non poteva credere che i suoi connazionali avessero deciso di schierarsi dalla parte dei comunisti, mettendo a rischio la stessa indipendenza della Finlandia.
Il giovane si fermò davanti alla finestra, osservando il paesaggio notturno illuminato soltanto dal chiarore della luna. Prese un profondo respiro, cercando di non cedere allo sconforto.
Per un momento si liberò delle sue vesti di ufficiale, preoccupandosi di questioni più personali. Ricordò ciò che era accaduto al suo villaggio durante la sua breve licenza, un particolare evento l’aveva particolarmente turbato.
 
Quella mattina aveva deciso di percorrere il sentiero che portava al rifugio. Non sapeva per quale ragione, non poteva però negare che con una parte di sé aveva sperato di trovare Verner, come il giorno del loro addio. Quella volta però all’interno della vecchia baita non aveva trovato nessuno. Quel luogo gli era parso ancora più freddo e vuoto.
Dubbi e timori avevano iniziato ad affiorare dal profondo del suo animo. Suo padre l’aveva informato della morte del vecchio Elmer, Jari si era sentito in colpa per non essere stato presente in un momento così difficile. Sapeva quanto Verner avesse sofferto in passato, nonostante tutto, non meritava altro dolore.
La scomparsa dello zio però poteva giustificare la sua scelta di lasciare il villaggio, anche se ciò era sempre stato contro ogni suo principio.
Jari si era ormai abbandonato a malinconici ricordi e tristi considerazioni, quando all’improvviso sulla strada del ritorno aveva incontrato un volto familiare.
«Karl! Karl! Sono io, Jari!»
L’uomo era rimasto a fissarlo per qualche istante prima di riconoscerlo.
«Jari Koskinen! Sei davvero tu? Sei tornato!»
«Solo per pochi giorni, presto dovrò ripartire»
Karl si era intristito a quella notizia.
«Già, ho saputo che il generale Mannerheim ha deciso di unire il reparto degli Jäger al nuovo esercito»
«Esatto. Saremo schierati con le Guardie Bianche» affermò il giovane con orgoglio.
Karl si era astenuto da ogni parere politico.
«Sono felice di rivederti, ragazzo mio»
Jari aveva provato intensa commozione nel ritrovare un affetto del passato. Così si era lasciato trasportare dalla malinconia.
«Credevo che una volta tornato a casa avrei trovato tutto come lo avevo lasciato, invece sono cambiate molte cose…»
«Mi dispiace, questi sono tempi difficili per tutti»
Jari non aveva osato aggiungere altro, si era congedato senza porre domande, forse perché in fondo non voleva conoscere le risposte.
Quando stava per andarsene però Karl l’aveva richiamato.
«Posso chiederti un’ultima cosa?»
Egli aveva annuito.
«Davvero saresti disposto a sacrificare ogni cosa per la tua causa?»
Jari era rimasto sorpreso da quella domanda, ma aveva risposto senza esitazione.
«Sì, certamente»
Karl aveva abbassato tristemente lo sguardo, poi si era allontanato senza più rivolgergli la parola. Prima di vederlo scomparire nella foresta, Jari l’aveva sentito mormorare tra sé.
«Questa neve si macchierà presto di sangue»
 
Quelle parole continuavano a vagare nella sua mente. Ovviamente erano le frasi di un finlandese sconvolto e preoccupato per il suo popolo, coinvolto in una terribile guerra civile. Eppure sembrava che la questione lo riguardasse più personalmente.
Jari era ancora immerso in questi pensieri quando all’improvviso avvertì insistenti battiti alla porta.
Poco dopo Lauri varcò la soglia.
«Sapevo che ti avrei trovato ancora sveglio» esordì.
Jari sospirò: «questa sarà una lunga notte»
«Come ogni notte prima di una battaglia…ricordi com’era sul fronte orientale?»
Egli annuì.
«Sono felice che tu sia qui, mi hai sempre aiutato in questi momenti»
«Ho detto solo la verità. Sei sempre stato un buon soldato, sono sicuro che sarai anche un buon comandante. Gli uomini si fidano di te»
Jari sorrise: «farò del mio meglio per non deluderli»
«Allora dovresti provare a riposare se vuoi renderti utile domani sul campo di battaglia»
Il tenente accettò il consiglio dell’amico.
«Hai ragione, non c’è altro che possa fare in queste ore»
Lauri osservò di sfuggita la mappa aperta sulla superficie del tavolo.
«A dire il vero non sono venuto qui solo come tuo amico»
Jari si incuriosì: «che posso fare per te?»
Lauri raddrizzò le spalle per rivolgersi al suo superiore.
«Tenente, voglio offrirmi volontario per far parte della prima pattuglia di esplorazione»
L’ufficiale non fu sorpreso da quella richiesta.
«Si tratta di un compito rischioso»
«Ne sono consapevole, ma ritengo di avere l’esperienza per supportare i miei compagni in questa impresa»
Jari fu costretto ad essere obiettivo: «non posso negarti di esporti al pericolo solo perché sei mio amico»
«Sai che sono l’uomo giusto per questa missione»
Il giovane tenente non aveva dubbi a riguardo, dopo un breve istante di riflessione prese la sua decisione.
«D’accordo. Puoi unirti al caporale Nieminen e ai suoi uomini»
Lauri strinse la mano del suo comandante esternando il proprio entusiasmo.
«Buona fortuna»
Dopo aver congedato il suo sottoposto Jari si ritirò nel suo alloggio. Nonostante la stanchezza, non riuscì a trovare quiete quella notte. Pensieri e preoccupazioni si susseguivano nella sua mente. L’imminente battaglia, le sue nuove responsabilità, i suoi affetti…e soprattutto quel terribile presagio che non l’aveva più abbandonato dopo la sua partenza dal villaggio natio.
Le inquietanti parole di Karl echeggiavano nella sua testa.
Questa neve si macchierà presto di sangue.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Come sempre ringrazio gli appassionati lettori e i gentilissimi recensori.
 
La carissima Abby_da_Edoras mi ha convinta a creare un’aesthetic per questo racconto, quindi la propongo anche a voi^^    



 

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Capitolo 29
*** Cinque donne ***


 
XXIX. Cinque donne
 

Pietrogrado era congelata nel terrore. La rivolta che avrebbe dovuto liberare il popolo non aveva fatto altro che spargere altro sangue nelle strade. Grandi ideali erano stati spazzati via dal vento della guerra, il desiderio di vendetta aveva prevalso sul senso di giustizia.
Un giovane in uniforme bolscevica camminava per i vicoli deserti. Portava in spalla il suo fucile e fumava una sigaretta per scaldarsi in quella mesta serata.
Il soldato raggiunse la sua meta, un anonimo palazzo dall’aria decadente, un rifugio dove vivevano le famiglie operaie.
Gettò il mozzicone nella neve, salì le scale battendo gli stivali e bussò alla porta di uno degli appartamenti.
Dall’interno udì la voce acuta di un bambino, il rumore di alcuni passi, infine lo scattare della serratura.
Davanti a lui si presentò una donna dai lunghi capelli castani, dietro di lei, con le mani strette alle falde della sua gonna, si nascondeva un bambino di circa quattro anni.    
«Non dovresti aprire la porta di casa con così tanta facilità» la rimproverò.
«Sapevo che eri tu» rispose lei in sua difesa.
Il soldato si avvicinò al bambino, il quale continuava a guardarlo con viva curiosità. Con un sorriso si chinò su di lui per scompigliargli i capelli corvini.
«Stai diventando davvero un bravo ometto, ricorda di obbedire sempre alla mamma»
Il piccolo rispose con timido cenno. 
Sofiya prese il figlio in braccio e lo portò a riposare nell’altra stanza.
«Assomiglia sempre di più a suo padre, non è vero?» disse il bolscevico al suo ritorno.  
Lei annuì tristemente.
I due presero posto ai lati opposti del tavolo.
«Sono venuto da te perché ho delle informazioni» ricominciò lui.
«L’ultima volta hai detto che non avrei dovuto continuare a illudermi»
«Lo so, e continuo ad essere della stessa opinione»
«Che cosa hai saputo?» chiese Sofiya, ignorando il suo cinismo.
«Ho incontrato dei vecchi compagni, alcuni di loro sono tornati da poco dal confine. Quando ho chiesto di Aleks mi hanno detto che si era unito a un gruppo di ribelli finlandesi. Purtroppo non hanno più avuto sue notizie dallo scorso inverno»
«Aleks è ancora vivo, posso sentirlo»
Il soldato scosse la testa: «quando dici così sembri pazza. Non possiamo sapere nulla per certo, è quasi un anno che è scomparso»
«Tu non puoi capire» replicò lei.
L’espressione sul viso dell’uomo si indurì, istintivamente batté un pugno sul tavolo.
«È vero, io non capisco. Non capisco perché tu abbia deciso di sposarlo pur sapendo che non avresti mai potuto averlo. Non capisco perché continui a sperare che lui torni da te dopo tutto il male che ti ha fatto. Non capisco perché hai preferito che tuo figlio crescesse senza un padre piuttosto che risposarti»
Sofiya tentò di mostrarsi forte, nonostante gli occhi lucidi e le labbra tremanti.
Il giovane si pentì presto per la sua irruenza.
«Scusa, mi dispiace. Non volevo essere così severo nei tuoi confronti»
«Quando Aleks è tornato dalla sua prigionia in Siberia mi ha rivelato che l’unica ragione che gli ha permesso di rimanere in vita era il mio amore. Ha detto che non avrebbe mai trovato la forza di sopravvivere senza la speranza di potermi rivedere anche solo un’ultima volta. È vero, Aleks ha deciso di dedicare la sua vita alla Causa, ma lui ha bisogno di me, il nostro amore è la sua sola salvezza»
Egli fu colpito da quelle parole.
«Ho sempre pensato che fosse Aleks il martire, ma devo ricredermi a riguardo»
Sofiya non lo stava più ascoltando, il suo sguardo era rivolto alla finestra, dalla strada giungevano echi e grida tutt’altro che rassicuranti.
 «Per questa notte è meglio che rimanga qui con voi» disse il soldato.
«Non sei tenuto a restare»
«La città è diventata pericolosa, voglio solo assicurarmi che tu e Yasha siate al sicuro»
Sofiya acconsentì, prima di ritirarsi nell’altra stanza si rivolse a lui un’ultima volta.
«Aleks tornerà presto» affermò con estrema certezza.
Egli non osò contraddirla: «lo spero davvero»
 
Rimasto solo, il soldato ripensò all’accaduto. Non sapeva se considerare Sofiya estremamente coraggiosa o pateticamente ingenua. Era stato testimone della sua sofferenza in tutti quegli anni, eppure lei non aveva perso la speranza.  
Il giovane continuava a non capire, forse era stata la guerra a inaridire il suo cuore, ma temeva che quella donna stesse torturando se stessa, illudendosi di poter salvare l’uomo che amava.
In ogni caso, provò compassione per lei.
 
***

Irina levò la teiera dal fuoco, l’aroma intenso e fruttato avvolse la stanza. La donna sistemò il servizio in ceramica per presentarlo alla sua ospite. La ragazza seduta al tavolo aveva l’aspetto di un uccellino fragile e spaventato. Se ne stava avvolta nel suo mantello, ancora tremante per il freddo. Si guardava intorno con uno sguardo incerto e timoroso, non aveva ancora osato dire nulla.
«Prendi cara, ti servirà a scaldarti»
Kaija strinse tra le mani la tazza fumante.
«Grazie. Mi dispiace per essermi presentata senza preavviso, non volevo disturbarti»
Irina mostrò un rassicurante sorriso.
«Non preoccuparti, sono felice che tu sia qui. Non ricevo più molte visite»
La giovane si rattristò nel sentire quelle parole, dopo la morte di Elmer e la partenza dei suoi figli, Irina era rimasta completamente sola.
«Se sei venuta per avere notizie di Verner e Hjalmar purtroppo non posso aiutarti. Non hanno voluto dirmi nulla e non ho ricevuto nemmeno una lettera dopo la loro partenza»
Kaija esitò: «si tratta della guerra, non è così?»
Irina confermò, ma non disse niente di più.
La ragazza tentò di rassicurarla: «sono sicura che entrambi stiano bene. Verner è un uomo responsabile e Hjalmar è un ragazzo sveglio, sapranno cavarsela in ogni situazione»
La donna trattenne a stento i singhiozzi.
«Ho sempre cercato di fare del mio meglio come madre, quando sono rimasta sola ho pensato solo a proteggere i miei figli. Non ho mai istigato in loro il desiderio di rivendicare la morte del padre, seppur la sua condanna fosse ingiusta. Non so cosa abbia sbagliato con loro ora che rischio di perderli»
La giovane conosceva quella frustrazione, anche lei non aveva potuto fare altro che rassegnarsi con Jari.
«Tu non hai alcuna colpa, non avresti potuto impedirgli di fare ciò che ritenevano giusto»
Irina si asciugò una lacrima: «scusami, non avevo mai parlato a nessuno di tutto questo prima d’ora»
Kaija prese la sua mano.
«Anche io ho paura per le persone che amo. Ho paura di perdere mio fratello»
Irina comprese che la giovane condivideva il suo stesso dolore e che entrambe avevano bisogno di conforto.
«Coraggio, ragazza mia. Non possiamo abbandonarci alla disperazione. Dobbiamo avere fiducia e speranza, è l’unico modo con cui possiamo affrontare questa guerra»
Kaija si lasciò rassicurare da quelle parole, si fidava di Irina. In passato lei era stata amica di sua madre, era l’unica figura femminile che era rimasta al suo fianco, la sola a cui poteva rivolgersi.
Come se le avesse letto nel pensiero, Irina fece riferimento ad Helena, rivolgendole un complimento.
«Sei diventata davvero una bella ragazza, assomigli così tanto a tua madre»
Lei mostrò un timido sorriso.
«Sai, qualche tempo fa credevo che Verner si fosse invaghito di te, dato che trascorreva sempre così tanto tempo con tuo fratello»
Kaija arrossì leggermente: «oh, no. Per Verner sono sempre stata come una sorella»
«Mio figlio è sempre stato un animo solitario, come suo padre. L’unica eccezione era tuo fratello. Lui e Jari sono sempre stati inseparabili, fin da bambini vivevano in un mondo tutto loro»
Kaija si abbandonò per qualche istante a malinconici ricordi.
Irina approfittò di quel silenzio per studiare con più attenzione la sua ospite.
«C’è dell’altro che ti preoccupa, vero? Da quel che sembra, direi che si tratta di un uomo»
La giovane ebbe un lieve sussulto, non poté negare la verità.
«So ancora riconoscere l’aspetto di una ragazza innamorata» constatò la donna con soddisfazione.
Kaija provò ad immaginare l’aspetto di Irina alla sua età, con i suoi occhi azzurri e i capelli biondi.
Ella era ancora una bellissima donna, non aveva certo perso il suo fascino con il passare del tempo.
«Non voglio intromettermi nella tua vita sentimentale, ma forse il consiglio di una donna adulta potrebbe esserti d’aiuto»
«In effetti, volevo porti una domanda…»
«Avanti, sai che puoi chiedermi qualunque cosa»
Lei prese coraggio.
«Quando hai conosciuto tuo marito, eri certa che lui fosse l’uomo giusto?
Irina annuì: «fin dal primo momento ho capito che non avrei potuto amare nessun altro. E anche ora che Aaro non c’è più, il mio cuore appartiene solo a lui»
Kaija fu commossa dalla quella testimonianza di un amore incondizionato.
«Forse riterrai che sia solo una ragazzina ingenua, ma io sono certa di amare un uomo che ho incontrato solo una volta in vita mia»
«Non dubito che i tuoi sentimenti siano sinceri» la rassicurò Irina.
«Mio padre vorrebbe che sposassi Kris Hallenberg, egli è un bravo ragazzo, lo conosco fin da quando eravamo bambini. Eppure…per lui sento una profonda amicizia, nulla di più. Gli voglio bene, ma non desidero diventare sua moglie. Invece, se solo penso a Yrjö, il mio cuore inizia a battere così forte che potrebbe esplodere, mi manca il respiro e tremo per l’emozione. Rileggo le sue lettere ogni notte, sogno il nostro futuro insieme, ma so che le sue sono soltanto promesse…forse sto perdendo la testa. Mi sembra di essere pazza, eppure non voglio rinunciare a quel poco che abbiamo»
Irina comprese le motivazioni del suo turbamento: «piccola mia, è normale che ti senta sola e spaventata davanti a tutto questo. Hai timore di deludere le aspettative di tuo padre e di ferire i sentimenti di una persona che ti è molto cara. Per questo non riesci ad amare quel giovane come vorresti»
«Io mi fido di Yrjö, ma non voglio illudermi sul nostro destino»
«Devi ascoltare il tuo cuore. Sono certa che tua madre ti direbbe questo»
Kaija trovò conforto in quelle parole, fu lieta di aver finalmente rivelato i suoi tormenti a qualcuno, aveva bisogno di confidarsi e di condividere quel dolore.
Irina l’accolse in un abbraccio, stringendola dolcemente a sé. Sentiva un innato senso di protezione nei suoi confronti, in lei vedeva la figlia che non aveva mai avuto.
 
***

Marja osservò il ritratto posto sul comodino, in quell’istante rimasto bloccato nel passato un giovane spensierato sorrideva alla sua amata. Era stata lei a scattare quella foto a Lauri pochi giorni dopo il loro fidanzamento.
Lasciandosi trasportare dalle sue memorie ricordò il loro primo incontro, avvenuto al parco di Kaisaniemi in una fredda mattina autunnale. Lauri indossava l’uniforme sportiva dell’università, per approcciarla aveva interrotto una competizione studentesca. Si era separato dal gruppo di corridori e senza alcuna esitazione era tornato sui suoi passi per presentarsi alla ragazza. Non aveva perso tempo, invitandola ad uscire la sera stessa.
Marja, sorpresa dalla sua sfacciataggine, gli aveva detto che avrebbe accettato soltanto se avesse vinto la gara. Lauri aveva sorriso, poi si era affrettato a raggiungere i suoi compagni.
Dopo aver superato il traguardo, Lauri era tornato dalla giovane ansante e sudato.
«Non ho vinto, ma sarei disposto a correre fino all’altra parte del mondo per rivedere il tuo sorriso»
Marja si era lasciata conquistare sia dal gesto sia dalle sue parole. Così aveva comunque accettato il suo invito.
Quando avevano iniziato a frequentarsi Lauri aveva la fama del rubacuori, ma lei era certa di essere diversa da tutte le altre, il loro era vero amore.
Forse al tempo era stata soltanto ingenua, ma lui era davvero cambiato dopo averla incontrata.
Il loro era nato come un amore adolescenziale, incontrollabile e travolgente.  
Marja ripensò ai loro incontri notturni, quando Lauri fuggiva di nascosto dal dormitorio dell’università per arrampicarsi sul muretto del suo cortile ed intrufolarsi nella sua stanza. Si presentava sempre con un fiore in mano e una frase romantica. A lei piaceva farsi corteggiare prima di cedere ai suoi baci e alle sue carezze. Lauri sapeva come sedurre una donna, la sua lingua si insinuava con decisione nella sua bocca, le sue mani non indugiavano sotto alle vesti.
Marja si affidava a lui, permettendogli di spogliarla e toccarla come più desiderava. Non sapeva resistergli, e non voleva.
Era curiosa di scoprire il suo corpo, così forte e virile. L’avvinghiava a sé, mentre rotolavano tra le lenzuola. Si aggrappava alle sue possenti spalle e stringeva le gambe intorno alla sua vita. Assecondava il ritmo delle sue spinte, prima lento e regolare, poi sempre più rapido e insistente.
Infine lo guardava negli occhi, abbandonandosi all’estasi dell’orgasmo.
Marja emise un malinconico sospiro, quando era tornato dalla Germania, Lauri era profondamente cambiato. Non era più il giovane romantico disposto a fare follie per amore. Il suo sguardo non brillava più come un tempo, il ragazzo scanzonato di cui si era innamorata era scomparso, lasciando posto a un uomo freddo e apatico.
L’ultima volta che avevano fatto l’amore era stato un atto di pura disperazione. Lui non aveva risposto alle sue richieste di attenzioni, non aveva ricambiato i suoi baci con altrettanta passione, non aveva reagito al calore delle sue carezze. L’aveva presa con ardore e desiderio, ma senza sentimento.
Lei aveva pensato solo a colmare il vuoto lasciato dalla sua lunga assenza, l’aveva accolto dentro di sé come la prima volta, ma l’uomo nel suo letto non era più lo stesso di un tempo.
Marja aveva provato in ogni modo a recuperare quel rapporto. A volte rimpiangeva il fatto di non essere mai rimasta incinta. Aveva sempre desiderato un figlio, ma ora che era di nuovo sola comprendeva che una gravidanza non avrebbe salvato il suo matrimonio.
Era consapevole che ormai fosse troppo tardi, lui non avrebbe mantenuto la promessa, il suo Lauri non sarebbe più tornato da lei.
 
***

Leena provò una strana sensazione tornando ad indossare abiti civili. Si sentiva più a suo agio con comodi indumenti maschili piuttosto che con lunghe vesti adornate di inutili fronzoli.
Per quella missione, però, la sua copertura era fondamentale. Almeno non aveva rinunciato alla pistola, ben nascosta nelle ampie tasche della giacca.
Leena osservò il panorama innevato che scorreva fuori dal finestrino, la carrozza era semivuota e silenziosa. Sembrava che chiunque avesse paura di dire qualunque cosa, in tempi di guerra una parola di troppo poteva essere pericolosa.
La ragazza ripensò all’ultima conversazione avuta con Verner. Egli le aveva confessato di temere per la sorte del fratello e di sentirsi responsabile per le sue scelte. Aveva paura che Hjalmar potesse prendere decisioni avventate soltanto per dimostrarsi all’altezza della situazione e per non deluderlo. Per questo le aveva chiesto di ritrovare il fratello e riportarlo al sicuro. Leena aveva accettato di aiutarlo perché credeva nel buon cuore del ragazzo. Lui le aveva dimostrato fiducia, trattandola con rispetto. Era l’unico che poteva considerare come un amico.  
Sapeva riconoscere il dolore negli occhi degli altri, e Verner doveva aver sofferto molto in passato, il suo era un animo ancora tormentato. Egli aveva rinunciato a tutto per combattere quella guerra. Il suo unico desiderio era proteggere il fratello, e lei era la sola di cui poteva fidarsi. Sentiva di dover fare tutto il possibile per rispettare la sua promessa.
 
Leena tornò alla realtà alla stazione di Hirsilä, quando sul treno salì un soldato che portava la fascia bianca al braccio. Ella tentò di fare del suo meglio per ignorare il nuovo passeggero, ma la Guardia Bianca prese posto proprio di fronte a lei. Il giovane le rivolse un educato sorriso, il suo volto dai lineamenti armoniosi non aveva nulla di minaccioso. Nonostante ciò, nella sua mente Leena rivide i soldati che avevano ucciso Erik, e poi l’uomo che l’aveva aggredita. Ricordò quando aveva puntato la pistola alla tempia di quel bastardo, non aveva provato niente premendo il grilletto. La vendetta però non aveva eliminato il dolore. Aveva sempre paura dei suoi ricordi, degli incubi che tornavano ogni notte…
Una sensazione di nausea iniziò a diffondersi nel suo corpo, il suo malessere divenne evidente.
«Signorina, si sente bene?»
Leena scostò con forza la mano che le aveva sfiorato il braccio.
«Mi lasci! Non provi più a toccarmi!» urlò con indignazione.
Lo sconosciuto si mostrò realmente dispiaciuto.
«Mi scusi, non intendevo offenderla in alcun modo»
La ragazza si rialzò di scatto, il suo unico pensiero fu allontanarsi il prima possibile, ma proprio in quel momento il treno si fermò bruscamente con un acuto stridio. Se il soldato non avesse avuto la prontezza di trattenerla, Leena sarebbe caduta in avanti, rischiando di battere la testa contro a una sbarra metallica.
«Temo di dovermi scusare di nuovo, ma non potevo permettere che si facesse del male»
Leena era ancora stordita dall’accaduto, per questo permise al giovane di sorreggerla mentre recuperava l’equilibrio.
Dopo qualche istante di attesa il capotreno entrò nella carrozza.
«Purtroppo dovete scendere qui, il treno non può proseguire oltre. Le rotaie sono bloccate dalla neve»
 
Leena scese dal vagone ritrovandosi a lato dei binari, senza sapere cosa fare si guardò intorno con aria sperduta e preoccupata. Non aveva tempo da perdere, doveva trovare al più presto il modo di proseguire il suo viaggio. Verner contava su di lei, non poteva deluderlo.
Ad un tratto una voce richiamò la sua attenzione, si trattava ancora del soldato.
«Posso chiederle qual è la sua destinazione?»
«Devo raggiungere Ruovesi» rispose lei manifestando la sua apprensione.
«Anche io sono diretto in città, se me lo permette, potrei trovare il modo di aiutarla»
Leena gli rivolse uno sguardo perplesso.
«Ho notato una slitta in quella fattoria, mi sembra un buon mezzo per percorrere la strada rimanente»
La donna valutò la possibilità: «lei è un buon cocchiere?»
Egli sorrise: «il migliore che si possa trovare in circolazione!»
Lei rimase diffidente: «per quale motivo vorrebbe aiutarmi?»
«Be’, per prima cosa perché mi spiacerebbe lasciare una fanciulla in difficoltà. E poi, se proprio devo essere sincero, penso che il proprietario della slitta sarebbe più disposto a collaborare in presenza di una bella ragazza come lei»
Leena apprezzò la sincerità, non avendo altre possibilità decise di accettare la sua offerta.
«D’accordo, ma l’avverto, io non sono una fanciulla in difficoltà. Sono certa di saper condurre quella slitta meglio di lei»
Il soldato accolse la sfida: «bene. Significa che dandoci il cambio arriveremo prima a destinazione»
I due si allontanarono insieme dalle rotaie.
«Non ho ancora avuto l’occasione di presentarmi. Io sono Frans Seber»
Lei si presentò a sua volta, come aveva sempre fatto dopo la morte di Erik, utilizzò il suo cognome. 
Il soldato si incamminò a passo deciso in direzione della fattoria.
Leena lo seguì a debita distanza, con discrezione infilò una mano in tasca, rassicurandosi nel percepire la presenza della pistola.

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Capitolo 30
*** La lepre ***


 
XXX. La lepre
 

I due laghi ghiacciati segnavano il confine a sud di Ruovesi, la città era stata conquistata dalle Guardie Bianche dopo l’ultima battaglia. I Rossi si erano ritirati a nord, dove erano stati raggiunti dai marinai russi, anarchici che avevano deciso di dare il loro supporto alla causa.
Hjalmar apprese tutto ciò ascoltando le conversazioni dei suoi compagni.
«Dunque il villaggio resta l’ultimo avamposto» intuì il ragazzo.
Gli altri confermarono.
«È solo una questione di tempo prima che i Bianchi decidano di attaccare»
«In ogni caso non ci troveranno impreparati»
La conversazione venne interrotta dall’arrivo del sottotenente Grön.
«Forza, non è il momento di oziare! Voi due ai posti di guardia, svelti! Questa sarà una lunga notte»
La coppia di soldati si affrettò ad eseguire gli ordini.
«E tu cosa fai ancora qui? Credevo che il tenente Eskola si fosse già occupato di te»
Hjalmar guardò il suo superiore negli occhi.
«Ho deciso di restare» disse semplicemente.
Grön lo squadrò dall’alto in basso con aria severa. Per qualche istante fu indeciso su cosa fare, al contrario del tenente, egli non aveva preso la questione sul personale. Ai suoi occhi Hjalmar era solo uno dei tanti volontari che, seppur con ingenuità, erano pronti a fare il loro dovere. In fondo, la giovane età non era un ostacolo per un cuore ardimentoso.  
«D’accordo, soldato. Allora vieni con me in trincea, alla mia squadra serve una sentinella»
Hjalmar non esitò a seguire il sottotenente, finalmente si sentì preso in considerazione.
 
I due raggiunsero i margini del villaggio, nella boscaglia erano nascoste le prime linee di difesa.
Hjalmar raggiunse il sottotenente nei camminamenti, i reticolati erano quasi sepolti dalla neve.
Grön si fermò davanti alla passerella di legno che permetteva di sporgersi oltre al muro di terra.
«Ecco, questa sarà la tua postazione. Rapporto ogni mezz’ora, conosci il segnale d’allarme. Soprattutto in queste ore, ogni minimo movimento deve essere segnalato»
«Sissignore!»
Il sottufficiale si congedò, lasciandolo in compagnia altri tre soldati, un giovane di nome Hugo era l’altra sentinella, mentre due russi erano appostati alla mitragliatrice.
Dalle espressioni sui loro volti, Hjalmar riconobbe frustrazione e stanchezza.
«Da settimane siamo appostati in questa foresta…i Bianchi sono ai piedi della collina, attendono solo il momento giusto per attaccare» spiegò Hugo indicando un punto oltre ai reticolati.
Hjalmar si preoccupò: «avete notato qualcosa?»
«No. In realtà questo è un compito piuttosto noioso, il tempo non scorre mai quando si è di guardia»
Hugo si poggiò al muro di terra, si piegò leggermente in avanti per accendersi una sigaretta, poi ne offrì una al suo compagno.
Jänis tentò di rifiutare, ma l’altro insistette.
«Con questo freddo dovrai pur scaldarti in qualche modo»
Con esitazione, il ragazzo prese lo stelo tra le dita, Hugo accese l’estremità con un fiammifero. 
Hjalmar rimase qualche istante immobile, non aveva mai fumato prima, ma non doveva essere qualcosa di complicato.
In modo impacciato tentò di imitare i movimenti di Hugo, portandosi la sigarette alle labbra e aspirando il fumo. La prima reazione fu di disgusto, subito iniziò a tossire.
I due russi sghignazzarono nell’osservare la scena.
Hugo invece fu più comprensivo: «è solo una questione di abitudine, presto ti sentirai meglio»
Jänis diede ascolto al suo compagno, quando gettò il mozzicone nella neve non si sentì meglio, ma almeno aveva imparato a inspirare senza soffocare. L’aria gelida l’aiutò a riprendersi dal leggero mal di testa.
 
Ben presto Hjalmar ebbe prova che il suo compito fosse davvero noioso e stancante. Il buio, il freddo e il silenzio erano sempre più difficili da sopportare. Inoltre anche la stanchezza iniziava a farsi sentire.
Hugo era impassibile nella sua postazione, mentre alle sue spalle i russi continuavano a discutere nella loro lingua.
Scrutando nell’oscurità, Hjalmar si perse nei suoi pensieri, rievocando l’ultima conversazione avuta con il fratello.
 
Verner aveva rinunciato alla sua ultima missione per restare a Tampere quella sera. Voleva salutare suo fratello, consapevole che quello sarebbe potuto essere il loro ultimo incontro.
Nella penombra del lungo corridoio aveva scavalcato i giacigli di decine di soldati prima di raggiungere l’angolo dove riposava Hjalmar. L’aveva svegliato con dolcezza, come aveva sempre fatto, sussurrando il suo nome e scuotendo leggermente la sua spalla. Aveva tentato di fare del suo meglio per nascondere la propria apprensione, così quando egli aveva riaperto gli occhi aveva sorriso.
«Mi spiace disturbarti, ma non avrò altro modo di rivederti prima della tua partenza»
Hjalmar era stato rassicurato dalla presenza del fratello, dentro di sé aveva sperato in una suo visita.
«Il tenente Hedmann vuole che lasci Tampere, mi ha ordinato di unirmi alle truppe destinate a Ruovesi»
Verner aveva annuito: «lo so, sono venuto per augurarti buon viaggio»
«Io non voglio andare via…voglio restare qui con te»
Il fratello maggiore aveva tentato di rassicurarlo.
«Lo so che è difficile, nemmeno io avrei voluto separarmi da te, ma credimi, è meglio così»
«Perché?»
Verner non aveva intenzione di mentire a suo fratello, non quella volta.
«Perché almeno tu devi restare al sicuro»
Hjalmar si era sentito tradito da quelle parole.
«Avevamo deciso di combattere insieme questa guerra, per il bene della nostra famiglia…per rendere giustizia a nostro padre!»
Verner aveva scosso la testa con rassegnazione.
«Ho sbagliato a coinvolgerti in questa storia. Nostro padre non avrebbe voluto questo per noi»
«Non sei stato tu a trascinarmi qui. È stata mia la scelta di seguirti, ho deciso di prendere parte a tutto questo perché credevo che fosse la cosa giusta, lo credo ancora. E sono certo che anche tu non abbia perso fiducia nella nostra causa»
«Sono disposto a continuare a combattere per i nostri ideali, ma prima di essere una Guardia Rossa, io sono tuo fratello»
Hjalmar, pur comprendendo le sue buone intenzioni, aveva protestato.  
«Non sono più un ragazzino, non ho bisogno della tua protezione»
«Non si tratta di questo, lo sai che mi fido di te»
«Allora perché non vuoi darmi la possibilità di dimostrarti che sono pronto ad affrontare questa guerra?»
«Tu non devi dimostrarmi niente. Ti conosco meglio di chiunque altro. So che sei un ragazzo coraggioso, non hai nulla da invidiare agli altri soldati…ma…non posso permetterti di mettere a rischio la tua vita in questo modo»
«Dunque dovrei solo restare in disparte fino alla fine della guerra?»
«Potrai continuare a svolgere il tuo dovere nelle retrovie»
«Perché non lo ammetti? Stai solo cercando di liberarti di me!»
«Hjalmar, ti prego. Sto solo tentando di fare la cosa giusta»
Il ragazzo aveva avvertito gli occhi umidi per la rabbia e la frustrazione.
Verner aveva deciso di essere onesto nei suoi confronti, rivelando ciò che più lo tormentava nel profondo del suo cuore.
«Ho dovuto dire addio alle persone più importanti delle mia vita, non voglio perdere anche te. Se dovesse accaderti qualcosa non potrei mai perdonarmi»
Hjalmar aveva scorto sincero dolore nello sguardo del fratello. Aveva provato sensazioni contrastanti, ma nonostante tutto, in quel momento non aveva potuto far altro che abbracciarlo. 
«Promettimi che resterai lontano dal fronte»
Il minore aveva annuito per non turbare ancor più l’animo del fratello.
Verner l’aveva stretto a sé un’ultima volta.
«Ricordati che ti voglio bene»
Hjalmar non era riuscito a trattenere le lacrime: «anche io ti voglio bene»
 
 
Jänis era consapevole di non aver rispettato quella promessa, ma dentro di sé sapeva che non avrebbe potuto agire diversamente. Non avrebbe potuto sottrarsi al suo dovere, non con l’esempio di suo padre e suo fratello.
Era certo che Verner avrebbe potuto comprendere le sue ragioni. Prima o poi suo fratello avrebbe dovuto arrendersi, non avrebbe potuto proteggerlo per sempre.
Nonostante tutto, Hjalmar si rattristò per non essere riuscito ad avere un equo confronto con Verner.
Avrebbe desiderato una seconda occasione, in quel momento non volle pensare al peggio.
 
Hjalmar tornò alla realtà udendo la voce del suo compagno.
«Sembri nervoso, ragazzo»
«Questo silenzio non mi piace» rivelò.
«Allora parliamo un po’. Da dove vieni?» chiese il soldato con curiosità.
«Dalla Carelia»
«Io sono originario di Turku, laggiù siamo pescatori da generazioni. Cosa facevi prima di arruolarti?»
«Ero un garzone, odiavo quel lavoro e detestavo il mio capo, ma almeno aiutavo la mia famiglia»
«Capisco. Anche io ho fatto molti sacrifici per permettere ai miei cari una vita dignitosa»
Hugo estrasse una fotografia dal taschino e la mostrò al ragazzo. Al tenue chiaro di luna riconobbe il ritratto di una bella ragazza dai capelli biondi e gli occhi chiari.
Hugo sorrise con orgoglio: «lei è la mia fidanzata. Non è stupenda? Diamine…appena torno al mio villaggio me la sposo!»
Hjalmar osservò la fotografia con interesse.
«Tu non hai una ragazza?»
Jänis scosse la testa. Effettivamente aveva avuto le sue occasioni, ma timido come era non aveva mai trovato il coraggio di farsi avanti con nessuna.
«Ovvio, sei giovane e vuoi divertirti un po’ prima di fare sul serio!» commentò Hugo con tono allusivo.
Hjalmar si mostrò sempre più a disagio.
«Dimmi, preferisci le bionde o le more?»
Il ragazzo rimase in silenzio.
«Ho capito! Tu sei uno di quelli che predilige le rosse! Permettimi un consiglio, lasciale perdere! Certo, sono bellissime e sanno come farti perdere la testa, ma sono pazze! Credimi, ti rovinerai la vita se sposerai una donna con i capelli rossi!»
Hjalmar cercò di assecondare il suo compagno, non sapendo in che altro modo affrontare la situazione.
«Fai come me, sceglitene una dolce e carina, possibilmente con un bel seno, e sarai felice per sempre!»
Jänis arrossì per l’imbarazzo. Certo, qualche volta gli era capitato di pensare al corpo delle ragazze, ma sempre con estremo pudore. Una domenica aveva sbirciato la scollatura della figlia del pastore, il suo abito era decisamente troppo provocante per la messa, ma subito aveva distolto lo sguardo per la vergogna.
Probabilmente Hugo avrebbe riso del fatto che non aveva mai visto una donna nuda.
 
Fortunatamente la conversazione cambiò presto argomento, per poi terminare nel nulla. Dopo un’altra mezz’ora il rapporto fu sempre lo stesso.
Hjalmar era ormai rassegnato quando all’improvviso scorse dei movimenti sospetti nella boscaglia.
Uno dei russi diede l’allarme, subito dopo partì una raffica di mitragliatrice. Hugo si affrettò a raggiungere la postazione d’osservazione.
«Dannazione! I Bianchi! Stanno arrivando!»
Hjalmar afferrò il fucile, ma Hugo lo fermò.
«Corri dal sottotenente Grön! Svelto! Abbiamo bisogno di rinforzi!»
Il ragazzo scattò come una scheggia, lasciandosi alle spalle i mitraglieri che imprecavano in russo.
 
Grön aveva già avvertito l’allarme, dando l’ordine ai suoi uomini di prepararsi all’imminente scontro.
Hjalmar riportò con estrema fedeltà ciò che era accaduto. 
Il volto del sottotenente si incupì, probabilmente la situazione era ben più grave del previsto.
Nonostante ciò, cercò di fare del suo meglio per mascherare la preoccupazione.
«Ragazzo, devi trovare al più presto il tenente Eskola. Consegna a lui questo messaggio, come puoi immaginare, è davvero importante!»
Jänis infilò il foglio all’interno della giacca, si congedò rapidamente e uscì nuovamente di corsa.
Il terreno tremò sotto ai suoi piedi, un razzo illuminò il cielo notturno, poi un assordante boato seguì a una grande esplosione. Il villaggio era in fiamme.
Hjalmar aveva appena raggiunto metà della trincea quando fu costretto a rannicchiarsi contro alla parete per lasciar spazio ai soldati che sopraggiungevano dalle retrovie. Mentre i suoi compagni correvano all’assalto, lui doveva muoversi nella direzione opposta. Superare la fiumana di uomini che lo respingeva non fu affatto semplice, ma alla fine, sconvolto ed esausto, riuscì a tornare sul sentiero.
A guidarlo nella notte furono le vive fiamme che stavano inghiottendo l’ultimo avamposto dei ribelli. Non era difficile intuire quel che era successo, i Bianchi avevano circondato la collina, alcune truppe avevano raggiunto il villaggio, si combatteva in strada, il nemico poteva essere ovunque.
Jänis strinse il fucile, si accorse che l’arma tremava nelle sue mani, ma nemmeno per un istante pensò di fuggire. Era lì per combattere ed era quello che avrebbe fatto.
Il primo cadavere che vide fu un nemico, una Guardia Bianca giaceva esanime in una pozza di sangue. Il suo viso era immerso nel fango.
Hjalmar superò il morto con un balzo, credeva che un cadavere gli avrebbe fatto un certo effetto, invece in quel momento non provò nulla. Il suo unico obiettivo era trovare il tenente, tutto il resto non aveva importanza.
 
Ovunque poteva udire gli echi degli spari e le grida dei feriti.
Un sergente con un moncherino insanguinato al posto della mano destra gli disse che il tenente Eskola e i suoi uomini stavano combattendo alle barricate in fondo alla strada.
Hjalmar seguì le sue indicazioni, ritrovandosi nel mezzo dello scontro. Fu costretto a strisciare nell’ultimo tratto, per non farsi notare dal nemico. Lungo tutto il tragitto avvertì i proiettili esplodere sopra alla sua testa.
«Tenente!»
Eskola afferrò il ragazzo per un braccio, trascinandolo immediatamente al riparo. Appena lo riconobbe, il suo sguardo si riempì di angoscia.
«Che diamine ci fai qui? Ti avevo detto di andartene!» gridò.
«Signore, il sottotenente Grön mi ha ordinato di consegnarle questo messaggio!»
L’ufficiale gli strappò il foglio dalle mani e lo gettò via senza nemmeno leggerlo. Ormai era troppo tardi, le sorti della battaglia era già decise. La resa non era contemplata, un buon ufficiale non poteva far altro che affrontare il proprio destino insieme ai suoi uomini.
Eskola era certo di aver adempito al suo dovere, aveva solo un rimorso.
«Oh, Jänis. Perché non mi hai dato ascolto?»
«Signor tenente, io…dovevo rendermi utile»
Una granata scoppiò abbastanza vicino da far sobbalzare entrambi. Eskola sembrò tornare in sé, lentamente raccolse da terra il Mosin-Nagant che era scivolato dalle mani di Hjalmar e lo riconsegnò al suo proprietario.
«D’accordo, ragazzo mio. Questa è la guerra, prendi il tuo fucile e spara prima che qualcun altro spari a te»
Dopo aver detto ciò Eskola tornò a sporgersi dal suo nascondiglio, puntando l’arma verso il nemico.
 
Hjalmar si acquattò dietro a un riparo per proteggersi dalle schegge delle granate. Si mise in posizione e senza esitazione premette il grilletto.
A causa del fumo e dell’oscurità non riuscì a vedere nulla oltre alla barricata. Sentiva le raffiche delle mitragliatrici, intravedeva i bagliori degli spari.
Il tenente Eskola era consapevole della fine imminente, eppure stringeva ancora saldamente il suo fucile. Eroicamente si alzò in piedi ed esponendosi al pericolo sparò fino all’ultimo colpo.
Ferito ed esausto, l’ufficiale si accasciò contro al muro diroccato.  
Jänis si chinò al suo fianco, tentò di soccorrerlo, ma lui rifiutò le sue cure.
«Arriveranno presto, devi andartene da qui» disse l’uomo con le sue ultime forze.
Egli esitò: «non posso abbandonarla in queste condizioni»
Eskola mantenne il suo tono autoritario.
«Il mio è un ordine, soldato»
Il ragazzo capì di non avere scelta, dolorosamente si allontanò e lasciò il suo comandante.  
Appena svoltò l’angolo udì l’eco degli spari.
Jänis si bloccò per un istante, realizzando ciò che era appena accaduto. Tristemente riprese la sua disperata corsa, senza trovare il coraggio di voltarsi.
 
 
Gli echi della battaglia svanirono in lontananza, i bagliori delle fiamme furono inghiottiti dall’oscurità.
Hjalmar continuò a correre ignorando la fitta al fianco e il dolore lancinante alle gambe. Sapeva che la sua sopravvivenza dipendeva da quella corsa, per questo non voleva fermarsi.
Con il fiato corto e il cuore che martellava nel petto, Jänis si gettò nel labirinto di conifere. La neve ormai gli arrivava ai polpacci, ma il giovane non si preoccupò del freddo. Gli abiti erano irrigiditi dal gelo, i piedi bagnati all’interno degli stivali.
Hjalmar inciampò più volte nelle radici che emergevano dal terreno ghiacciato, rotolò nella neve, per poi rialzarsi e riprendere ad avanzare.
Le gambe cedevano dalla stanchezza, ma nella sua mente continuava a ripetere le parole del tenente Eskola.  
Le truppe bianche avevano ormai conquistato il villaggio, probabilmente stavano già perlustrando la foresta. Non avrebbero impiegato molto tempo a notare le sue tracce nella neve, e se l’avessero trovato, sicuramente l’avrebbero giustiziato all’istante.
Jänis sapeva solo di dover fuggire, non aveva un posto dove andare, la sua unica certezza era che se avesse smesso di correre sarebbe morto.
 Il suo unico punto di riferimento era il cielo stellato, la Stella Polare brillava nella notte, come una flebile speranza.
 
Ormai stremato, Hjalmar si trascinò a fatica fino a una piccola radura. Cadde nuovamente nella neve, senza trovare la forza di rialzarsi. Era troppo stanco per muoversi, il suo corpo aveva bisogno di riposo. Hjalmar lottò contro il desiderio di chiudere gli occhi anche solo per pochi istanti, sapeva che se si fosse addormentato non si sarebbe più svegliato. Sarebbe morto assiderato.
Jänis rimase immobile, ad osservare le ombre scure degli alberi sopra di lui. Era solo, aveva paura.
La sua mente lo riportò al ricordo delle persone care. Pensò a sua madre, che attendeva con apprensione il suo ritorno. Desiderò essere in compagnia di Saija, la sua fedele lupacchiotta.
Si rivide stretto nell’ultimo abbraccio di Verner, si pentì per aver litigato con lui prima del loro addio. Non voleva pensare che quello sarebbe rimasto il loro ultimo incontro.
Le lacrime iniziarono a scendere sul suo viso, ancora non riusciva a credere che il tenente Eskola fosse morto.
Quando si fu ripreso da quel momento di sconforto, Hjalmar tentò di pensare più razionalmente. Non aveva più il suo fucile, in ogni caso era rimasto privo di munizioni. Gli restava però il suo puukko, il coltello che teneva appeso alla cintura. Poteva utilizzarlo per tagliare della legna con cui accendere un fuoco. Aveva davvero bisogno di scaldarsi. Doveva correre il rischio, non aveva alternative.
Hjalmar si guardò intorno, poco distante notò una cavità nel terreno, non era un luogo molto accogliente, ma poteva offrigli un riparo.
Il calore delle fiamme servì a ridonargli un po’ di vigore, il ragazzo impiegò le poche energie rimaste per sistemare il suo giaciglio, in modo da non doversi distendere sul suolo ghiacciato.
Hjalmar si rannicchiò accanto al piccolo falò, almeno fino all’alba sarebbe rimasto al caldo.  
Che ne sarebbe stato di lui da quel momento in poi? Era solo, disperso nella foresta. I Bianchi gli stavano dando la caccia. Per sopravvivere doveva continuare a scappare e nascondersi.
Quello era il suo destino, lui era la Lepre. 

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Capitolo 31
*** Sangue ***


 
XXXI. Sangue
 

Le truppe bianche avevano raggiunto la cima della collina, la strada per Tampere era deserta. L’improvvisa ritirata dei Rossi non era affatto rassicurante, poteva esserci il rischio di cadere in un’imboscata.  
Jari esternò le sue preoccupazioni al sergente Hiltunen.
«Gli esploratori non hanno rilevato la presenza del nemico lungo il sentiero» disse Emil.
«Che cosa hanno scoperto sulla loro posizione?»
«I Rossi sono schierati nei pressi del cimitero, appena fuori dalla città. Probabilmente quello sarà il campo di battaglia»
Il giovane tenente analizzò la situazione.
«Questa mattina ho sentito i nostri cannoni»
«L’artiglieria si sta preparando all’attacco»
Jari annuì.
«Per il momento non possiamo fare altro che attendere, non abbiamo ancora ricevuto l’ordine di avanzare»
«Suppongo che il capitano stia attendendo i rinforzi»
Il tenente scrutò il lato opposto della vallata.
«I volontari svedesi attaccheranno Tampere da est, mentre noi tenteremo di creare un varco a nord-ovest»
«Tampere non cadrà oggi, ma non potrà resistere ancora a lungo» sentenziò il sergente.
 
Emil osservò il tenente Koskinen mentre era concentrato a studiare le mappe. Nonostante la giovane età stava dimostrando di essere un buon comandante, diligente e determinato.
L’espressione seria e l’atteggiamento deciso potevano donargli una certa autorità, ma il suo aspetto era ancora quello di un ragazzo. Poteva riconoscere i dolci lineamenti di Helena sul suo viso.
Hiltunen aveva tentato di considerare Jari semplicemente come un suo superiore, ma ogni volta che incrociava il suo sguardo, rivedeva in lui la donna amata.
Negli ultimi vent’anni aveva cercato di fare del suo meglio per lasciarsi il passato alle spalle, ma non aveva mai smesso di domandarsi come sarebbero andate le cose se avesse agito diversamente.
Forse, se in passato avesse avuto il coraggio di lottare per Helena, lei non si sarebbe innamorata di un altro uomo. Quello restava il suo più grande rimpianto.
«Sergente…»
L’uomo si riprese da quei pensieri tornando a prestare attenzione all’ufficiale.
«Volevo solo dirle che per me sarà un onore combattere al suo fianco. Mi hanno riferito delle sue imprese durante la battaglia di Oulu, anche se non ho avuto modo di conoscerla personalmente, posso affermare di stimare un uomo come lei»
Emil fu colpito da quelle parole.
«Quando ho saputo che il nostro nuovo comandante era poco più di un ragazzino non avevo molte speranze…temevo che l’inesperienza e l’ambizione di un giovane ufficiale potessero compromettere l’integrità del plotone. Adesso, però, ho la certezza che lei sia l’uomo giusto per comandare questi soldati. Ha dimostrato di aver meritato la sua promozione, è pronto ad affrontare questa guerra, ed io sarò lieto di eseguire i suoi ordini sul campo di battaglia»
Jari rispose con un sincero sorriso, si congedò con un rapido saluto, poi si allontanò per tornare a perlustrare le trincee.
Emil rimase ad osservarlo con aria malinconica, pensando a ciò che non era riuscito a dire ad alta voce.
Se fossi mio figlio, sarei davvero orgoglioso di te.
 
 
Le truppe ricevettero l’ordine di avanzare al termine dell’azione d’artiglieria. La carica di fanteria non colse il nemico di sorpresa, i Rossi erano pronti a difendersi, scaricando raffiche di proiettili.
Jari guidò i suoi uomini fino al limite della foresta, avrebbero attaccato le trincee come i tedeschi. Squadre rapide ed efficienti, con fucili e bombe a mano. Il resto degli uomini si sarebbe occupato della copertura, aveva già individuato le postazioni migliori per le mitragliatrici.
Jari era intenzionato a prendere parte all’azione, ma il sergente Hiltunen glielo impedì.
«È meglio che rimanga qui a coordinare il fuoco di copertura»
«Non posso, un ufficiale deve dare l’esempio ai suoi uomini»
Emil lo bloccò, afferrandolo con decisione per la manica della giacca.
«Lei è il comandante, deve pensare al bene del plotone. Esporsi a un rischio simile sarebbe una decisione irresponsabile!»
Jari stava per protestare, ma l’aumento d’intensità del fuoco nemico lo costrinse ad abbandonare la discussione. Il tenente indirizzò lo sguardo alle postazioni delle mitragliatrici, voltando le spalle al fronte nemico.
Il sergente udì il fischio di una granata, istintivamente corse verso il suo superiore, il quale era ancora ignaro del pericolo. Senza esitazione Hiltunen spinse il giovane ufficiale a terra, appena in tempo per allontanarlo dalla pioggia di schegge.
Jari fu scaraventato dall’urto dell’esplosione contro alla parete ghiacciata. Si riprese tossendo in una nuvola di polvere, ancora scosso e frastornato.
Quando la vista tornò nitida, vide il sergente steso a terra, inerme, con decine di frammenti metallici conficcati nel corpo. Il sangue sgorgava copiosamente da una profonda ferita al fianco.
Jari si affrettò a correre in suo soccorso.
«Sergente!»
Il giovane si chinò su di lui, tentando di fare il possibile per frenare l’emorragia.
«Chiamate un medico! Presto!» ordinò agli altri soldati, i quali obbedirono prontamente.
L’uomo con la croce rossa al braccio che giunse di corsa non era Yrjö, ma un caporale medico.
Jari non poté far altro che lasciare Hiltunen nelle sue mani, doveva tornare al comando dell’operazione, non poteva preoccuparsi per lui in quel momento. Dentro di sé, però, sapeva che l’intervento del sergente gli aveva salvato la vita.  
 
***

I bombardamenti sulla città di Tampere erano ricominciati senza sosta. Verner attraversò la strada tra i detriti. L’ultima bomba aveva colpito un palazzo poco distante dal quartier generale, un’intensa nube nera e rossa si sollevò fino al cielo.
Verner proseguì imperterrito verso la sua meta, limitandosi a distogliere lo sguardo dai cadaveri in parte sepolti sotto alle macerie.
Era ormai giunto a destinazione quando ad un tratto si fermò al margine della strada, quella volta non riuscì a restare indifferente. Il corpo senza vita, coperto di polvere e sangue, era quello di un ragazzino.
Il giovane strinse i pugni per la rabbia, avvertì gli occhi umidi e le labbra tremanti. Per un momento pensò che sarebbe caduto in ginocchio a piangere, ma ciò non accadde. Mantenne il controllo, sistemò il fucile in spalla, e si allontanò con una terribile sensazione di nausea e un altro peso sul cuore.
 
Entrò nell’edificio e rapidamente salì le scale. In una delle stanze al secondo piano Jussi lo stava attendendo con impazienza.
«Finalmente! Perché ci hai messo tanto? Temevo che ti fosse accaduto qualcosa»
Verner consegnò il messaggio con gli ordini del capitano Hentilä.
«Hanno bombardato il distretto di Kyttälä, la zona era ancora abitata dai civili»
Jussi non fu sorpreso dalla notizia: «non l’hai ancora capito? I Bianchi non vogliono solo vincere la guerra, il loro obiettivo è annientarci»
Verner era ancora sconvolto.
«Tra i morti per strada c’era anche un ragazzino, dannazione, avrebbe potuto essere Hjalmar!»
L’amico poggiò una mano sulla sua spalla.
«Non devi pensare a questo, non adesso»
Il giovane scosse la testa: «mi dispiace…è solo che...non ho più avuto notizie di mio fratello dopo la sua partenza. Non so cosa possa essergli successo»
«Al momento non c’è nulla che tu possa fare. Devi solo avere fiducia in lui e sperare per il meglio»
Egli sospirò: «suppongo che tu abbia ragione»
«Non puoi lasciarti sopraffare dalle tue debolezze. Devi essere lucido per combattere»
Verner tentò di fare del suo meglio per riprendere il controllo di sé.
«Posso contare su di te?» domandò Jussi.
Il ragazzo confermò con decisione.
«Sì, certo. Allora, quali sono gli ordini del capitano?»
«Dobbiamo difendere la postazione, è nostro compito impedire alle truppe di entrare in città»
Verner rifletté attentamente.
«Dovremo rinforzare le barricate e posizionare i cecchini sul tetto»
«Adesso sì che ti riconosco! Coraggio, non abbiamo tempo da perdere!»
 
 
Tutto era pronto per l’imminente battaglia.
Verner era appostato vicino a una finestra, dalla sua postazione aveva una buona visuale sull’incrocio.
Jussi si trovava al lato opposto della stanza, anch’egli in posizione di tiro.
I primi colpi si abbatterono sull’edificio, le pareti tremarono, ma soltanto una piccola parte del soffitto cedette.
Verner osservò la voragine al piano superiore, poi tornò a sbirciare dalla finestra. C’era agitazione alle barricate, in strada si stava combattendo.
Il giovane non esitò a puntare il fucile, prese la mira e con fermezza premette il grilletto. La sua esperienza come tiratore si dimostrò impeccabile anche sul campo di battaglia.
Sparava senza esitazione, dentro di sé sapeva perché riusciva ad eseguire gli ordini con così tanta facilità. Quei soldati non erano Jäger, erano svedesi, indossavano divise bianche per mimetizzarsi nella neve.
Un soldato non avrebbe dovuto fare differenze, un nemico era un nemico, e basta. Pur essendo consapevole di ciò, Verner fu lieto di non dover sparare alle uniformi verdi.
 
I Bianchi avevano individuato la loro posizione, una pioggia di proiettili si abbatté al secondo piano dell’edificio, Verner si gettò al riparo. Le pallottole volarono sopra alla sua testa, conficcandosi nel pavimento e nel muro alle sue spalle. Altri proiettili colpirono i mobili e frantumarono gli specchi. 
Una granata ruppe la vetrata sul lato est, l’esplosione causò il crollo di un’altra parte del tetto. Verner si sollevò da terra tossendo a causa del fumo.
«Jussi! Jussi, rispondi!»
Il giovane arrancò nella polvere, istintivamente allungò il braccio per raggiungere l’arma.  
Quando il fumo iniziò a diradarsi, Verner riconobbe una sagoma stesa a terra. Immediatamente si avvicinò, strisciando verso il suo compagno.
Jussi giaceva inerme sul pavimento, disteso su un fianco in una pozza vermiglia. Tra le mani stringeva ancora il suo fucile, era stato colpito sopra alla tempia, un solo proiettile in testa, e tutto era finito.
Verner ripensò al loro incontro alla ferrovia, ai suoi discorsi sulla giustizia e l’uguaglianza, e a tutti i pericoli che avevano affrontato insieme dall’inizio della guerra. Jussi era stato il suo fedele compagno per tanto tempo, era stato proprio lui a convincerlo a prendere parte alla rivolta, ed ora egli non c’era più. Niente più sogni, né speranze, soltanto un cadavere in un edificio in fiamme.
Verner si rannicchiò al suo fianco, con le mani sporche di sangue e gli occhi umidi di lacrime.
 
***

Yrjö correva da una parte all’altra della foresta, era costretto a gettarsi nelle trincee e a zigzagare tra gli alberi per raggiungere i compagni che richiedevano il suo aiuto.
Il giovane medico si ritrovò in una piccola radura, tre soldati erano rannicchiati all’ombra delle betulle.
«Dottore! Venga qui, presto!»
Yrjö si avvicinò, un quarto uomo era sdraiato nella neve, aveva un proiettile conficcato nella gamba.
Il dottore valutò rapidamente la condizione del ferito, preoccupandosi immediatamente di fermare l’emorragia. Mentre sistemava le bende, gli altri soldati tornarono a sparare oltre la linea. Gli spari sempre più vicini avvisarono Yrjö che non aveva ancora molto tempo. Doveva agire il fretta.
«Presto! Aiutatemi, dobbiamo portarlo via da qui!»
Un altro Jäger si affrettò sorreggere il compagno colpito. Quest’ultimo strinse i denti con un’espressione sofferente.
I due uomini trasportarono il ferito lontano dalla linea di fuoco. Ostacolati dalla neve, dovettero faticare per non perdere la presa e non scivolare, rischiando di far cadere il delicato fardello.
Aveva ripreso a nevicare, la nebbia impediva di riconoscere i luoghi, senza punti di riferimento c’era il rischio di perdersi nella foresta.
Il ferito ricominciò a lamentarsi.
«Ho perso molto sangue, vero dottore?»
«No, non è così grave» rispose Yrjö.
«Fa male! Il dolore è terribile…sento che sanguina ancora…sta ancora sanguinando?»
L’altro soldato sbuffò: «risparmia le energie Anders, sei solo un bastardo fortunato, ti stiamo portando via da questo inferno!»
Egli rimase in silenzio per un po’, quando ricominciò a parlare la sua voce era debole come un sussurro.
«Ho freddo, dannazione, sto congelando»
Yrjö tentò di rassicurarlo: «resisti ancora un po’, presto sarai al caldo»
«Sto tremando. Ho paura, dottore…sto davvero per morire?»
«Non stai per morire. Cerca di riposare adesso»
Il volto del giovane si rigò di lacrime.
«Mi dispiace»
«Per che cosa?» domandò il suo compagno. 
«Per tutto, non avrei dovuto farmi colpire»
«Non preoccuparti ragazzo, non hai fatto nulla di male. Non è colpa tua»
«Sto davvero male, per favore, mi dia qualcosa per il dolore» implorò rivolgendosi nuovamente al medico.
Yrjö interruppe la marcia per somministrare la morfina, almeno si sarebbe calmato.
Quando ripresero il cammino, egli si era già addormentato.  
«Dottore, lei crede che ce la farà?» chiese l’altro soldato.
Yrjö esitò, la ferita era profonda, forse era già infetta. Inoltre il giovane era molto debole, aveva la febbre alta e le sue condizioni stavano peggiorando.
Prese un profondo sospiro, non era mai stato bravo a mentire, ma quella volta non aveva scelta.
«Sì, certo. Dobbiamo solo portarlo al sicuro al più presto»
L’altro scelse di credere alle sue parole, quella flebile speranza gli donò la forza necessaria per sostenere la fatica.
 
Dopo aver lasciato Anders alla postazione di soccorso, Yrjö tornò a vagare solo nella foresta. Era riuscito a trovare qualche benda e ad elemosinare altra morfina. I medicinali scarseggiavano in prima linea, bisognava fare il possibile con i mezzi a disposizione.
Yrjö tentò di non pensare alla sorte del giovane che aveva appena assistito, aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per salvarlo, non aveva nulla da rimproverarsi. Nonostante ciò, avrebbe desiderato fare di più.
Sapeva anche di aver mentito a fin di bene, di non aver avuto altra scelta se non illudere il suo compagno con false speranze. Purtroppo la buona volontà non era sufficiente a salvare vite.
Yrjö si poggiò al tronco di un albero, aveva bisogno di un momento per riposare. Non si era ancora fermato dall’alba, quando era iniziata la battaglia.
Il giovane infilò una mano nel taschino della giacca ed estrasse il ritratto di Kaija che conservava sempre sul cuore.
Era stanco della guerra, non riusciva più a sopportare tutta quella violenza. Nemmeno le parole del dottor Lange riuscirono a confortarlo in quel momento di disperazione. Aveva mantenuto fede alla sua promessa, era rimasto a fianco dei suoi compagni ed era tornato in quell’inferno. Le sue intenzioni erano sempre rimaste le stesse, il suo unico obiettivo era fare del bene. Ma ora, mentre la foresta bruciava e scorrevano fiumi di sangue, voleva solo credere che un giorno tutto ciò sarebbe finito. Niente più guerre, niente più orrore.
Ripensò all’unica notte trascorsa con Kaija, a come era stato semplice dimenticare ogni tormento cedendo ai suoi baci e alle sue carezze. Con quella ragazza era tornato a vivere. In quell’istante promise a se stesso che se fosse sopravvissuto non avrebbe mai più nascosto i suoi sentimenti per lei. Non avrebbe più avuto paura di amare.
All’improvviso un botto irruppe nel silenzio, Yrjö si rannicchiò su se stesso sentendo il terreno tremare sotto ai suoi piedi. Subito dopo l’esplosione un urlo straziante echeggiò tra gli alberi.
«Dottore! Dottore!»
Yrjö scattò fuori dal suo riparo, gettandosi un’altra volta nel labirinto di conifere.
 
***

La battaglia progrediva incessantemente. Lauri approfittò di una breve tregua per riprendere fiato e ricaricare il fucile. I cannoni avevano smesso di sparare, la gittata troppo corta aveva mancato l’obiettivo principale. Le caserme russe erano rimaste illese dopo i bombardamenti.
Sul versante opposto, le truppe svedesi avevano subito gravi perdite. Da entrambi i fronti si potevano udire le grida dei feriti.
I Bianchi appostati nella boscaglia ricevettero l’ordine di avanzare, era giunto il momento di uscire all’attacco. Lauri seguì i suoi compagni, uscì allo scoperto e attraversò il campo aperto sotto al fuoco nemico.
Continuò a correre mentre i suoi commilitoni cadevano a terra, calpestò la neve macchiata di sangue e scavalcò i cadaveri che ostacolavano il suo percorso.
Ansimando per lo sforzo Lauri raggiunse il muro in mattoni rossi che circondava il cimitero di Kalevankangas.
I Rossi erano appostati tra le lapidi, pronti a sparare contro agli invasori.
Lauri vide alcune reclute bloccate nelle neve, probabilmente erano troppo spaventate per proseguire.
«Al riparo! Svelti!»
Purtroppo il suo avvertimento non fu abbastanza rapido. Proprio in quel momento una raffica di pallottole si abbatté su di loro.
Lauri assistette inerme a quel massacro, i volontari stavano pagando a caro prezzo l’inesperienza sul campo di battaglia.
Il giovane non ebbe il tempo per piangere i morti, doveva prendere parte all’azione.
Approfittando del fumo e della nebbia, Lauri si arrampicò sui mattoni sporgenti. L’addestramento avuto al campo di Lockstedt fu utile per permettergli di superare l’ostacolo agilmente e rapidamente. Atterrò su un cumulo di neve, subito imbracciò il fucile e riprese ad avanzare in cerca di un riparo.
Alle sue spalle poteva udire le grida degli ufficiali che spronavano i loro uomini all’attacco.
«Combattere o morire! Non c’è alternativa!»
Lauri fu scaraventato a terra dall’esplosione di una granata, rotolò sul suolo ghiacciato, si fermò battendo la schiena contro alla dura pietra. Si trattava della base di una statua, i colpi avevano sfigurato l’opera originale, lasciando una figura deforme e mutilata, macabra e inquietante.
Lauri si guardò intorno, gli alberi venivano abbattuti avvolti dalle fiamme, ovunque volavano pietre e pallottole.
Ad un tratto si estraniò dalla battaglia, tutto gli parve indefinito e distante. La sua mente lo riportò ad Helsinki, prima di partire per la Germania. Quella sera aveva lasciato i suoi compagni a discutere della guerra, per la prima volta aveva detto di voler tornare a casa da sua moglie. E così aveva fatto, al suo rientro aveva trovato Marja ad attenderlo. Avevano cenato a lume di candela, avevano danzato alla musica di un grammofono, infine erano rimasti accoccolati davanti al camino. Marja si era addormentata tra le sue braccia, poggiando dolcemente la testa sulla sua spalla. Lauri aveva sfiorato il suo viso con un dolce carezza, in quel momento aveva promesso a se stesso che avrebbe fatto di tutto per proteggere chi amava. Voleva lottare perché la vita che sognava potesse diventare realtà. Tutto ciò che desiderava era un futuro con la sua famiglia.
Alla fine della guerra avrebbe lasciato l’esercito, sarebbe diventato un poliziotto, riteneva che fosse il mestiere giusto per lui. Avrebbe guadagnato abbastanza per permettersi un bell’appartamento in città per Marja e i bambini. Voleva una famiglia numerosa, i suoi figli avrebbero potuto crescere in una Finlandia libera e indipendente. Sarebbero stati felici, avrebbero vissuto in pace.
Lauri tornò alla realtà, il terreno tremava sotto ai suoi piedi. Altre esplosioni echeggiarono in lontananza.
Il giovane vide gli Jäger avanzare tra le tombe, era giunto il momento, non poteva più esitare.
Combattere o morire.
Lauri si sporse dal suo nascondiglio, puntò il fucile e premette più volte il grilletto. All’improvviso un colpo lo raggiunse al petto. Rotolò a terra, riverso su un fianco.
Non avvertì più i rumori della battaglia, tutto fu avvolto dal silenzio. La vista si annebbiò, poi sopraggiunse l’oscurità.

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Capitolo 32
*** Incubi ***



XXXII. Incubi
 

Aleks ebbe nuovamente lo stesso incubo. Sognò Pietrogrado in fiamme, le strade della città ostruite dalle barricate, gli eserciti che combattevano ad ogni angolo per conquistare la città.
Riconobbe casa sua, sventrata da una palla di cannone, ormai ridotta a un cumulo di macerie.
Aleks si ritrovò a scavare nella polvere e nella neve, gridando disperatamente i nomi di sua moglie e suo figlio.
«Sofiya! Yasha! Sono tornato! Dove siete?»
Continuava a scavare e a urlare, le mani sanguinavano, ma lui non voleva arrendersi.
Poi, come tutte le altre volte, una figura comparve davanti a lui. Si trattava di un volto anonimo, un soldato con l’uniforme bolscevica.
«Aiutami! Devo trovare la mia famiglia! Loro mi stanno aspettando, hanno bisogno di me!» lo implorò singhiozzando.
Lo sconosciuto rimase impassibile.
I rumori della battaglia si avvicinavano sempre di più. Spari ed esplosioni echeggiavano con tuoni minacciosi.
«Devo trovarli, non mi resta molto tempo!»
Aleks si chinò nuovamente a terra, ma in quel momento una mano si poggiò sulla sua spalla.
Il soldato lo esortò ad alzarsi e gli indicò un punto poco distante. In quel momento sapeva che stava per accadere qualcosa di terribile, così si rifiutava di eseguire quel comando. Allora il soldato l’obbligava a muoversi puntando contro di lui la sua baionetta.
Aleks si avvicinò sul bordo di una fossa, con orrore riconobbe i corpi senza vita di sua moglie e suo figlio. Erano stati gettati nel fango, come i cadaveri degli innocenti che aveva rinvenuto nel villaggio finlandese.
«Sei arrivato troppo tardi» sentenziò il bolscevico.
«No! Non può essere!»
«Dove eri quando la tua famiglia aveva bisogno di te? Perché non sei rimasto con loro per proteggerli?»
Aleks si gettò sul fondo della buca, prese tra le braccia il corpo freddo della moglie e la strinse a sé.
Piangeva, il soldato continuava ad accusarlo, quello che era accaduto era solo colpa sua.
Poi, quando cercava di raggiungere il cadavere del figlio, si risvegliava all’improvviso.
 
Anche quella notte Aleks si destò nell’oscurità. Ebbe bisogno di qualche istante prima di accorgersi di trovarsi all’interno del rifugio, e non per le strade di Pietrogrado devastate dalla guerra civile.
Smirnov dormiva al lato opposto della stanza, fuori fischiava il vento.
Aleks si rannicchiò nel suo giaciglio, abbandonandosi a un silenzioso pianto. Le parole del soldato erano quelle della sua coscienza, si incolpava per aver abbandonato la sua famiglia, per non aver fatto niente per proteggere le persone che amava dagli orrori della guerra.
Nel sogno non riusciva mai a vedere suo figlio, si risvegliava prima di raggiungerlo. I suoi ricordi si fermavano a quando Yasha era soltanto un neonato in fasce, per questo la sua mente non riusciva a immaginare il reale aspetto di quel bambino. Erano trascorsi quattro anni, Yasha era cresciuto senza di lui. Era un padre che non riconosceva il volto del figlio, un marito che non era mai stato presente per sua moglie.  
Non sperava di rimediare agli errori del suo passato, ciò che desiderava era dimostrare che in tutto quel tempo non aveva mai smesso di amare la sua famiglia.
Aleks maledisse la bufera che lo stava trattenendo prigioniero in quella baita. Stava perdendo tempo prezioso, non poteva essere troppo tardi, non voleva che fosse troppo tardi.
 
***

Smirnov era ancora debole, ma le sue condizioni erano notevolmente migliorate.
La bufera all’esterno non sembrava intenzionata a placarsi. Aleks aveva razionato le provviste, non era ancora giunto il momento di preoccuparsi, non sarebbero morti di fame e di stenti. Almeno non a breve.
L’ufficiale consumò il suo pasto in rigoroso silenzio.
«Mi piacerebbe conoscere il tuo nome. Non ho intenzione di chiamarti “tenente” come i tuoi sottoposti»
L’altro sbuffò: «soltanto i conoscenti più intimi mi chiamano per nome»
«Be’, dopo averti salvato la vita, direi di essermi guadagnato questo privilegio»
Il tenente rifletté qualche istante prima di prendere la sua decisione.
«Il mio nome è Mikhail»
Aleks sorrise: «bene. È già un inizio»
Smirnov scosse le spalle.  
«Non credere che mi senta in debito con te per quello che hai fatto. Io non ti devo niente»
«Capisco che tu non riesca ad accettare l’umiliazione di essere stato salvato da un fuggitivo, ma non devi preoccuparti di questo. Siamo pari»
«Il mio non è stato un atto di pietà. Non ti ho giustiziato in quel bosco perché sono un uomo d’onore. Ti avrei arrestato e condotto davanti a un giudice, dopo la tua condanna non avrei esitato a comandare il plotone d’esecuzione»
Aleks ascoltò impassibile quell’amara confessione.
«Io invece non avrei esitato a ucciderti a sangue freddo, se ne avessi avuto la possibilità»
«Non capisco. Se odi così tanto quel che rappresento, perché hai voluto salvarmi?»
Il giovane scosse il capo: «ho dedicato tutta la mia vita alla causa, adesso sono stanco di lottare. Non ti avrei ucciso per la tua divisa, ti avrei ucciso perché non mi avresti permesso di fuggire»
Mikhail era perplesso.
«Ti ho dato la caccia per più di un anno. Credo di conoscere bene la tua storia. Non sei il tipo che si arrende tanto facilmente. Perché hai abbandonato i tuoi compagni?»
Aleks rispose con la voce tremante.
«Per la mia famiglia. Voglio tornare da mia moglie e da mio figlio. È per loro che sto combattendo la mia ultima battaglia. Devo raggiungere il confine prima che sia troppo tardi»
Il tenente Smirnov riconobbe sincera apprensione nello sguardo del suo interlocutore. Eppure c’era qualcosa che ancora non riusciva a cogliere.
«Perché hai rinunciato ai tuoi ideali proprio adesso? La guerra non è finita»
Aleks non seppe per quale motivo si sentì in dovere di rispondere.
«Perché non voglio morire adesso che ho trovato una ragione per cui vivere. Prima ero troppo giovane e testardo per capire, troppo egoista per prendermi le mie responsabilità. Non potrò rimediare ai miei errori, ma voglio dimostrare alle persone che amo che mi dispiace per tutto il dolore che ho causato»
Smirnov abbassò lo sguardo, si sentì a disagio di fronte a quelle rivelazioni così intime e personali.
«E tu? Davvero non hai nessuno per cui desideri continuare a vivere?» domandò Aleks.
L’ufficiale mantenne il suo solito distacco.
«No, ho sempre saputo che la vita militare mi avrebbe tenuto lontano dalla mia famiglia. Per questo non ho mai voluto crearne una»
«Anche io credevo di non aver bisogno di nessuno, ma quando ho incontrato Sofiya non potuto fare altro che innamorarmi di lei»
«Un matrimonio di convenienza avrebbe potuto aiutarmi a fare carriera, ma quando si è presentata l’occasione ho rifiutato. Desideravo guadagnarmi le promozioni solo per i miei meriti sul campo»
«Questo ti rende onore, ma…davvero non hai alcun rimpianto?»
«Perché dovrei? Ho servito fedelmente nell’Esercito imperiale, ho sempre rispettato il mio giuramento. Non ho nulla da rimproverarmi»
«E adesso che l’Impero è ridotto in cenere, a te cosa resta? Un pezzo di metallo al petto? Una carica inesistente?»
«La consapevolezza di aver sempre adempito al mio dovere»
«Ed è sufficiente?»
Il tenente cominciò a trovare assurda quella situazione.
«Dannazione! Perché sto ancora ad ascoltarti?»
Aleks rimase calmo e paziente.
«Perché la bufera non si è ancora placata e qui non abbiamo molto da fare, se non parlare»
 
Dopo un lungo silenzio Smirnov tornò a rivolgere la parola al suo compagno.  
«Tu sei l’unico incarico che non sono riuscito a portare a termine. Per questo non ho mai rinunciato a darti la caccia, la tua libertà è la prova del mio fallimento»
Aleks guardò dritto negli occhi di ghiaccio dell’ufficiale.
«Suppongo che dovrei sentirmi onorato per questo…»
«Non è mai stata una questione personale, solo dovere»
«E adesso qual è il tuo dovere?»
Smirnov osservò con rassegnazione quel che rimaneva della sua divisa.
«Mio fratello è morto in Manciuria durante la guerra. Ho sofferto molto dopo la sua scomparsa, ma anche al tempo ero consapevole che egli aveva affrontato con onore il suo destino. Era stato ucciso in combattimento, come un vero soldato. Ero certo che avrei condiviso la sua stessa sorte quando sarebbe giunto il mio momento»
«Dunque non hai mai considerato un’alternativa»
«Perché avrei dovuto? Ho sempre creduto negli ideali per cui ho combattuto»
«La tua è una figura affascinante, davvero molto tragica…»
Smirnov ignorò il suo commento.
«La tempesta non durerà per sempre. Tu potrai uscire da qui e continuare la tua disperata corsa per la vita. Nonostante tutto, spero che tu riesca a superare il confine. Se io non sono riuscito a fermarti, è giusto che ti goda la tua vittoria»
Aleks rispose con onestà: «nessuno di noi ha vinto questa guerra»
«Te lo concedo»
Il tenente riempì il suo bicchiere di vodka, ispezionando il rifugio avevano trovato una preziosa scorta.
«Mi dispiace» ammise Aleks.
Mikhail sollevò lo sguardo: «per che cosa?»
«Per quello che ho detto durante il nostro confronto nella foresta. Non credo davvero che dovresti preservare un proiettile per mettere fine alla tua vita»
L’ufficiale mostrò un triste sorriso: «se fossi riuscito a catturarti, avrei già premuto il grilletto da molto tempo»
Aleks rimase particolarmente turbato da quelle parole. Aveva avuto prova che il tenente era un uomo d’onore, un ufficiale meritevole di rispetto. Il fatto che avesse deciso di combattere per il nemico era ormai irrilevante.
Aveva riconosciuto in Smirnov molti aspetti di se stesso, primo tra tutti l’attaccamento ai propri ideali.
Affrontare una dolorosa sconfitta su ogni fronte, politico, professionale e personale doveva essere devastante per chiunque. Smirnov aveva perso tutto in quella guerra, la sua disperazione era comprensibile, ma non poteva finire così.
«Sai perché ho voluto salvarti la vita?» domandò.
«A dire il vero me lo sto chiedendo ancora adesso»
«Perché ho riconosciuto la tua onestà e ti ho considerato meritevole di una seconda possibilità»
Smirnov valutò la sua condizione, poteva restare fedele all’Impero e accettare la sua condanna, oppure voltare le spalle a tutto quel che era stato e affrontare l’ignoto.
In quel momento aveva soltanto una certezza: il tenente Smirnov era un uomo morto.
 
***

Frans stringeva saldamente le redini nelle sue mani esperte, i cavalli erano forti e robusti, avrebbero resistito senza difficoltà fino alla loro meta.
Il soldato rivolse lo sguardo alla sua compagna di viaggio, la giovane era rimasta in silenzio da quando avevano lasciato il villaggio. Notò che era stretta nel suo cappotto, aveva le orecchie arrossate e le labbra leggermente violacee.
«Si è alzato il vento, hai freddo?»
Lei scosse la testa.
«Se vuoi puoi prendere il mio mantello»
Leena ignorò le sue parole.
Frans fermò i cavalli, si levò il pesante mantello e lo pose sulle spalle della ragazza.
«Stai tremando, così rischi di ammalarti»
Lei lo rimproverò.
«Non devi preoccuparti per me. So badare da sola a me stessa»
Frans non aveva dubbi a riguardo.
«Cercavo solo di essere gentile»
Leena tornò a guardare dritto davanti a sé.
«Avanti, riparti! Non abbiamo tempo da perdere!»
Il giovane sospirò.
«Ruovesi è ancora lontana, sarà un lungo viaggio»
«Voglio raggiungere le rive del lago prima che tramonti il sole» affermò lei con decisione.
Il soldato si rassegnò.
«Per quale ragione hai tanta fretta di arrivare in città?» domandò poco dopo.
Leena fu vaga nel rispondere.
«Sto cercando una persona…»
Frans intuì che non avrebbe potuto scoprire molto di più a riguardo. Stanco di quell’ottuso silenzio, decise di essere lui a parlare.
«Prima della guerra vivevo in una fattoria, è lì che ho imparato a prendermi cura dei cavalli. Ho imparato a cavalcare quando ero un ragazzino, ma crescendo ho preferito i motori. A diciotto anni ho speso tutti i miei risparmi per una motocicletta. Ero l’unico al mio villaggio ad averla, mi piaceva la velocità. Una volta però sono scivolato sul ghiaccio e mi sono quasi rotto una gamba. Non sono più salito in sella da allora»
Leena non fu particolarmente colpita dal racconto, ma si sforzò di mostrare un minimo di interesse.
«E che fine ha fatto la motocicletta?»
Egli sospirò: «l’ho venduta prima di arruolarmi, in ogni caso non mi sarebbe più servita»
Lei notò un velo di tristezza nel suo sguardo.
«Sei stato in Germania?» chiese con discrezione.
Il giovane annuì.
«È stata l’esperienza più terribile della mia vita. Al campo di addestramento dovevamo sopportare angherie e soprusi da parte dei tedeschi, eravamo lontani da casa, non sapevamo cosa ci attendeva in prima linea. In battaglia sono stato ferito due volte, la prima al braccio destro e la seconda alla gamba sinistra. Poi mi sono ammalato di polmonite, in un certo senso è stata la mia salvezza. Almeno sono tornato vivo»
«Per quale motivo hai deciso di arruolarti?»
«Perché la mia famiglia moriva di fame e la paga del soldato era buona»
Leena fu colpita da quella risposta.
«Sei sposato?»
Frans scosse la testa: «no. Dopo la morte di mio padre sono rimasto solo io ad occuparmi di mia madre e delle mie sorelle»
Leena pensò che, in fondo, quello sconosciuto sembrava un ragazzo di buon cuore.
«E tu, invece? La persona che stai cercando è il tuo fidanzato?»
Lei negò.
«Si tratta di un ragazzino, ho promesso a suo fratello di riportarlo al sicuro oltre al confine»
Frans rimase perplesso.
«Non sarà facile trovarlo, molti civili sono stati costretti ad abbandonare la città dopo la battaglia»
Leena non poté rivelare nulla di più.
«Devo almeno tentare»
 
***

Come previsto da Leena, i due raggiunsero le rive del lago prima del tramonto. Un capanno di pescatori, abbandonato in quella stagione, si rivelò un buon rifugio per la notte.
Frans fu sorpreso ancora una volta dall’intraprendenza di Leena. Fu lei ad occuparsi dei cavalli e a pulire il camino. Probabilmente senza di lui avrebbe anche pensato alla legna da ardere.
Fortunatamente i pescatori erano stati previdenti a lasciare delle scorte di viveri per le emergenze, così non dovettero preoccuparsi della cena.
Mentre alimentava il fuoco, Frans si lasciò distrarre dalla presenza di Leena, seduta al suo fianco per scaldarsi. Osservò con attenzione il suo viso illuminato dalle fiamme, apprezzandone ogni particolare.
Era molto bella, era rimasto colpito da lei fin dal primo momento su quel treno. Il suo sguardo però, così triste e malinconico, celava qualcosa riguardante un doloroso passato.
Frans le offrì la ciotola colma di minestra fumante.
«Prendi, hai bisogno di scaldarti e recuperare un po’ di forze»
Lei accettò con titubanza.
«Non c’è bisogno di essere così diffidente nei miei confronti, puoi fidarti di me»
Leena rispose freddamente: «non mi fido degli sconosciuti»
Il soldato mostrò un cordiale sorriso: «da quando ci siamo incontrati ho dimostrato di essere disposto ad aiutarti»
«Già, perché mi consideri una fanciulla in difficoltà»
Il giovane ridacchiò.
«D’accordo. Mi sono sbagliato sul tuo conto, però…ammetti che sarebbe stato impegnativo e pericoloso affrontare da sola questo viaggio»
La ragazza gli rivolse uno sguardo di sfida.
«Ho affrontato situazioni peggiori. Ho accettato il tuo aiuto solo perché devo salvare una persona»
Frans iniziò a insospettirsi.
«A proposito, questo ragazzo ha un nome?»
«Perché vuoi saperlo?»
«Forse potrei esserti utile per ritrovarlo»
«La questione non ti riguarda»
Frans si aspettava una simile risposta.
«È vero. Ma ormai siamo qui, soli. Perché non raccontarci la verità?»
«Se tu sapessi la verità non vorresti più aiutarmi» concluse Leena.
 
 
Frans rimase di guardia fuori dal rifugio finché non ebbe la certezza che la foresta fosse realmente deserta. Probabilmente non c’era anima viva oltre a loro nell’intera vallata.
Il giovane rientrò e poggiò il fucile davanti alla porta.
Leena stava sistemando il suo giaciglio vicino al fuoco.
Frans rimase ad osservarla, lei si accorse di ciò, ma continuò a fingere indifferenza. Poi, ad un tratto si voltò verso di lui, lo guardò dritto negli occhi ed iniziò a spogliarsi.
Lasciò cadere a terra i pesanti abiti di stoffa, restando solo con la sottoveste che lasciava scoperte le gambe e metteva in risalto le forme dei fianchi e dei seni.
Il soldato si avvicinò a lei, raccolse la coperta da terra e gliela porse.
«Riposa tranquilla, mi occuperò io del fuoco»
Leena si coprì e si sdraiò in silenzio.   
Frans trascorse la notte ad osservare le fiamme scoppiettanti, sapeva perché lei si comportava in quel modo, cominciava ad essere stanco dei suoi giochetti e dei suoi segreti. Nonostante ciò, non riuscì a smettere di pensare al corpo che aveva nascosto sotto a quella coperta.
 
Frans si concesse di riposare a brevi intervalli, svegliandosi regolarmente per ravvivare il fuoco.
Stava per tornare a distendersi sulle scomode assi del pavimento, quando notò dei movimenti nell’oscurità.
Leena si rigirava tra le coperte, agitandosi nel sonno.
Il giovane si chinò al suo fianco.
Lei si svegliò di soprassalto, aveva gli occhi sbarrati dal terrore e il volto madido di sudore.
«Tranquilla, hai solo avuto un incubo»
Leena sentì le lacrime scendere copiose sul suo viso, a stento trattenne i singhiozzi.
Frans la strinse a sé nel tentativo di calmarla.
«Adesso è tutto finito. Ci sono qui io con te, sei al sicuro»
La ragazza non avvertì alcun istinto di repulsione a quel contatto. Il suo abbraccio non era soffocante e opprimente, ma dolce e protettivo. L’unico uomo con cui aveva provato quelle sensazioni era stato Erik.
Lei poggiò spontaneamente la testa sulla sua spalla.
«Promettilo, per favore. Ho bisogno di sapere che posso fidarmi di te»
Frans la guardò intensamente negli occhi, sfiorò il suo viso con una carezza per asciugarlo dalle lacrime.
«Ti prometto che con me sarai sempre al sicuro. Ti prometto che non ti farò mai del male. Ti prometto che penserò solo a proteggerti»
Leena attese la sua ultima parola, poi si sporse in avanti e sigillò quella promessa con un bacio.
Il soldato fu sorpreso da quel gesto inaspettato, non reagì, come stregato dal dolce sapore delle sue labbra.
Quando si distaccarono, lei gli rivelò quel che voleva sapere.
«Hjalmar Meinander. È questo il nome del ragazzo che sto cercando, ha solo quindici anni e si fa chiamare da tutti Jänis»
Frans le scostò delicatamente una ciocca bionda dal viso.
«Lo troveremo, ora però devi riposare. Domani mattina ripartiremo prima dell’alba»
La ragazza tornò a distendersi nella penombra della stanza. Poggiò la testa sul cuscino, avvertendo i passi pesanti del soldato allontanarsi. 
Rimase a lungo immobile nell’oscurità, una parte di sé avrebbe desiderato che Frans si fosse rivelato un mostro come tutti gli altri Bianchi. Allora sarebbe stato più semplice sparargli.

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Capitolo 33
*** Helsinki ***


 
XXXIII. Helsinki
 

La casa della famiglia che aveva ospitato lui e i suoi compagni gli ricordava quella del dottor Koskinen. Una bella villa borghese, con un ampio giardino e la stalla per i cavalli.  
Kris percorse il sentiero a passo lento, ascoltando la neve che scricchiolava sotto agli scarponi. L’odore della legna bagnata gli ricordò i giorni perduti della sua adolescenza.
Il suo sguardo si soffermò sulla staccionata.
«Kris! Sbrigati! Che cosa stai aspettando?»
Le sue labbra si incurvarono in un mesto sorriso, tante volte aveva scavalcato una recinzione come quella per far visita a Kaija.
Saltava nelle neve fresca, e lei era lì, ad aspettarlo davanti alla finestra.
Una volta, nell’inverno del 1915, era scivolato sul ghiaccio, e lei aveva riso. Non si era nemmeno accorto di essere ricoperto di neve fin sopra ai capelli, era rimasto a terra, lasciandosi contagiare dalla sua allegra risata.
Dopo averlo aiutato a rialzarsi, Kaija l’aveva accompagnato in casa perché potesse asciugarsi davanti al camino.
Erano soli, il dottor Koskinen lavorava nel suo studio, mentre Jari era già partito per l’università.
A quel tempo Kaija aveva sedici anni, era una ragazzina sveglia e intelligente, ma a volte si lasciava sopraffare dalle emozioni, con il carattere volubile e l’immaturità di un’adolescente.
Kris aveva scoperto di essere innamorato di lei quell’estate, quando nei lunghi pomeriggi al lago, si era accorto che la sua amica d’infanzia era diventata una splendida giovane donna.
«Che cos’hai? Sei arrabbiata con me?» aveva chiesto, notando un certo distacco nel suo atteggiamento.
Lei aveva sospirato con rassegnazione.
«Avevi promesso che saresti rimasto con me, mi hai mentito»
«Perché dici così? Sono sempre stato sincero nei tuoi confronti»
Lei non aveva voluto ascoltarlo.
«Prima o poi te ne andrai anche tu, come tutti quanti»
Egli l’aveva rassicurata: «non ho intenzione di andare da nessuna parte»
«Lo dici solo per farmi piacere, ma cambierai idea presto»
Kris aveva pensato che fosse davvero carina con quell’aria imbronciata.
«E dove dovrei andare?»
«Tutti lasciano il villaggio per andare in città»
Kris aveva sorriso: «se andrò via da qui, allora ti porterò con me»
Kaija l’aveva guardato con i suoi grandi occhi castani.
«Mi porterai a Helsinki?»
«Certo. Andremo nei locali e nei teatri. Tu in abito da sera e io in giacca e cravatta!»
Lei aveva scosso la testa: «non ti ci vedo proprio vestito in quel modo!»
«Perché no?»
«Be’, quelli sono abiti per uomini di classe, mentre tu…»
«Io…? Non sono abbastanza bello?»
Kaija si era avvicinata, studiando con attenzione il suo viso.
«Mi piacciono i tuoi occhi, hai uno sguardo gentile»
Kris aveva sussultato quando lei gli aveva sfiorato la guancia con una carezza.
«Il problema è che sei davvero goffo! Saresti ridicolo in abiti eleganti!» aveva aggiunto ritirando la mano.
Egli non poté contraddirla, sarebbe stato uno spettacolo grottesco.
«Tu invece saresti splendida come sempre»
Kaija aveva assunto un’espressione pensierosa.
«Non muoverti da qui!» aveva esclamato poco dopo, rialzandosi con tutta fretta.
«Ei…dove stai andando?»
Lei era corsa su per le scale.
«Aspetta, è una sorpresa!»
Kris si era rassegnato, quella ragazza riusciva sempre ad averla vinta con lui.
Il giovane aveva atteso come gli era stato ordinato, ma dopo aver ravvivato per due volte il fuoco aveva iniziato a spazientirsi.
«Ci vorrà ancora molto? Guarda che tra poco me ne vado!»
«Ho quasi finito! Ecco, adesso scendo!»
Quando lei era ricomparsi in cima alle scale, Kris aveva avvertito un colpo al cuore. Kaija indossava un lungo abito color crema, ricamato e decorato in oro. Sembrava davvero una principessa.
Lei si era voltata mostrando la schiena nuda, sulla quale ricadevano i lacci del vestito.
«Non riesco a chiuderlo da sola, mi aiuti?»
Kris aveva stretto i nodi con le mani tremanti.
«È troppo stretto?»
«No, va bene. Grazie»
Kaija si era voltata verso di lui sistemandosi i lunghi capelli castani.
Egli era rimasto incantato da quella visione. Per un momento il suo sguardo si era soffermato sulla scollatura, per poi allontanarsi pudicamente.
«Allora? Cosa ne pensi? Ti piaccio così?» aveva domandato esibendosi in una mezza giravolta.
«Sì, certo. Sei bellissima»
Kaija non gli aveva creduto.
«Lo dici soltanto perché sei mio amico!»
«No, lo dico perché è quel che penso davvero»
La ragazza si era intristita all’improvviso.
«Il vestito era di mia madre. Era davvero molto bella, io non sono come lei»
Kris aveva continuato a contemplarla con sguardo adorante: «soltanto un folle potrebbe dire che non sei meravigliosa»
«Dici davvero?»
Egli aveva annuito.
 Kaija era tornata a sorridere.
«In città mi porteresti anche a ballare?»
«Certo, ma…prima dovrei imparare!»
Lei si era avvicinata al grammofono e aveva azionato l’apparecchio. Nella sala si era diffusa la musica di un valzer.
Kaija l’aveva preso per mano accompagnandolo al centro della stanza.
«Ti insegno io, coraggio! Devi solo seguire i miei passi»
Kris era stato al gioco, più per farle piacere che per interesse nel ballo. L’aveva stretta a sé, lasciandosi trascinare da un lato al latro della stanza, cercando di fare del suo meglio per non inciampare.
«Oh, sei davvero un disastro!» aveva commentato Kaija con aria divertita.
Il giovane non aveva potuto fare altro che scusarsi con lieve imbarazzo.
La ragazza era tornata a sedersi davanti al camino.
«Vieni qui, per favore»
Kris non aveva esitato a posizionarsi al suo fianco. Lei aveva poggiato la testa sulla sua spalla.
«Non importa se non sei molto bravo, mi piace lo stesso ballare con te»
Quello era il ricordo più dolce che aveva di lui e Kaija insieme, accoccolati davanti alle fiamme, a condividere sogni e speranze per il futuro.
Kris tornò tristamente alla realtà. Una folata di vento gelido gli scompigliò i capelli.  
Il giovane alzò lo sguardo al cielo stellato.
 
Ecco, Kaija. Avevi ragione, alla fine anche io me ne sono andato senza di te.
Entro poche ore raggiungerò Helsinki, ma le cose sono diverse da come avevamo immaginato.
Io devo combattere una guerra, e tu ti sei innamorata di un altro uomo.  
Non siamo più noi due soli al mondo.
Non ti porterò a ballare nei locali più mondani della capitale, non danzeremo tutta la notte sotto alle luci della città.
Ma domani, mentre combatterò per le strade di Helsinki, penserò a te.
 
***

Le truppe tedesche, con il supporto della Kaiserliche Marine, avevano risalito la penisola di Hanko, conquistando un villaggio dopo l’altro fino alle porte di Helsinki.
Le ben addestrate divisioni dell’Esercito Imperiale non avevano trovato alcuna resistenza. Le tattiche di combattimento utilizzate nella Grande Guerra si rivelarono efficaci anche sul suolo finlandese.
Gli avversari non avevano alcuna esperienza in campo militare, ma erano particolarmente agguerriti, soprattutto perché non avevano nulla da perdere.
Si combatteva per le strade, affrontando il nemico nascosto tra le macerie, tra pallottole invisibili e pericolose imboscate.
Bernhard poteva considerarsi soddisfatto dei suoi successi sul campo di battaglia. Non era pentito di aver abbandonato la divisione finlandese per unirsi all’avanzata tedesca. Sentiva di star compiendo il proprio dovere, per la Finlandia come per la Germania.
Nella sua mente, però, continuava a ricordare le parole del maggiore Stein.
«Molti vorrebbero che tornasse a far parte dell’esercito tedesco. Suppongo che anche lei la pensi allo stesso modo, se no non avrebbe accettato questo incarico»
Aveva scelto di unirsi all’avanzata tedesca perché riteneva che quello fosse il suo dovere. Ma non poteva negare di aver desiderato indossare nuovamente quella divisa. Forse, inconsciamente, aveva preso la sua decisione molto tempo prima.
«Quando questa guerra sarà finita potrà tornare in Germania»
Tornare in Germania? Ovviamente aveva pensato molte volte a questa opportunità. La Finlandia era la sua terra natia, ma quelle lande ghiacciate non avevano più molto da offrigli. La guerra sarebbe finita prima dell’estate, di questo ne era certo. E se allora fosse stato ancora vivo, la Finlandia in tempo di pace non era una prospettiva allettante per un uomo come lui.
«La nostra Patria sta vivendo tempi difficili…c’è bisogno di uomini come lei che possano difendere e proteggere la Germania»
Winkler sollevò lo sguardo per osservare la sua immagine allo specchio. Era dunque quello il suo destino?
Il giovane ufficiale distolse l’attenzione da quelle riflessioni. Non era il momento di pensare al futuro, non quando Helsinki era ancora una città occupata.
Sistemando le carte sulla sua scrivania trovò l’ultima lettera scritta da Jari. Prese il foglio tra le mani e lesse ancora una volta le ultime frasi.

 
Ho avuto bisogno di tempo per capire le tue motivazioni, e ancora adesso fatico ad accettare le conseguenze delle tue scelte. Ma non importa, non voglio intromettermi in questioni che non mi riguardano.
Hai sempre anteposto la Causa ad ogni cosa, anche quando hai mentito, so che lo hai fatto in nome di qualcosa di più grande.
Non condivido il tuo modo di agire, ma ammiro la tua devozione. So quanto hai dovuto sacrificare per ottenere le tue vittorie.
Ti devo molto, non sarei qui a ricoprire questa carica senza il sostegno che mi hai offerto in questi anni. Sei stato un buon mentore, hai fatto di me un soldato. Sono onorato di aver combattuto al tuo fianco.
Ciò che non ho mai avuto da te, però, è qualcosa di sincero e disinteressato. 
Adesso che siamo distanti, comincio a capire quanto la tua influenza su di me mi abbia impedito di vedere chiaramente il nostro rapporto.
Non ti chiedo molto, dimostrami che mi sto sbagliando, e non dubiterò mai più di te.

 

Winkler ripiegò la lettera. Quelle parole lo ferivano ancora nel profondo, anche se a far male era la verità.
Non aveva mai negato il suo interesse personale nei confronti di Jari. Non era sua intenzione approfittare di quel ragazzo, ma quando si era presentata l’occasione aveva ceduto alla tentazione. Avrebbe dovuto mettere in chiaro le cose fin da subito, ma laggiù, in guerra, non ne aveva avuto il coraggio.
Non voleva causargli altro dolore, gli voleva bene, a modo suo si era affezionato a lui.
Dopo tutto quello che era successo non poteva dimostrare a quel giovane di amarlo, sarebbe stato crudele continuare ad illuderlo.
 
 
Winkler ricevette l’ordine di mobilitare le truppe prima dell’alba. I suoi uomini avrebbero preso parte all’assalto di Helsinki appostandosi lungo la ferrovia. Avrebbero dovuto creare un varco nella zona industriale per poi ricongiungersi agli jäger nel centro della città.
Il piano era semplice e Bernhard era sicuro di poter portare a termine l’operazione con successo.
Il distretto di Pansila cedette rapidamente sotto ai colpi d’artiglieria.
I tedeschi attraversarono le rotaie e avanzarono tra le macerie con l’obiettivo di annientare le ultime resistenze nemiche.
Winkler stava discutendo con il tenente Kühn per valutare il percorso più sicuro per attraversare la città quando degli spari costrinsero tutti a mettersi al riparo.
«Dannazione! Avete visto da dove provenivano i colpi?»  
Un soldato indicò il secondo piano di un edificio diroccato: «lassù, signore. Un cecchino!»
Bernhard strinse il fucile e si preparò all’azione.
«Signore, aspetti! Non può andare da solo!»
Winkler fulminò il suo sottoposto con lo sguardo.
«Copritemi!»
Con uno scatto l’ufficiale uscì allo scoperto, correndo rapidamente verso un altro riparo, avvicinandosi al suo obiettivo.
I suoi compagni non poterono far altro che obbedire ai suoi ordini. In altre circostanze sarebbe stato impensabile per un comandante esporsi personalmente, ma Winkler non era quel genere di ufficiale che si tirava indietro davanti al pericolo. Ormai i suoi uomini avevano imparato a conoscerlo.
Bernhard raggiunse il palazzo all’angolo della strada, fu sufficiente un colpo secco per sfondare la porta. In lontananza udì l’eco di altri spari, gli jäger stavano combattendo dal lato opposto della città.
Winkler impugnò saldamente il fucile e salì lentamente le scale.
Il Rosso doveva essersi accorto della sua presenza, infatti aveva smesso di sparare alla finestra.
Bernhard era certo che lo stesse aspettando, forse aveva teso un trappola, oppure attendeva soltanto di vederlo sulle scale per ucciderlo.
Winkler alzò lo sguardo, un’ombra si mosse sopra di lui. Prontamente puntò l’arma e sparò, ma il nemico era già scomparso al piano superiore.  
L’ufficiale proseguì il suo inseguimento, con un balzo raggiunse l’altra rampa di scale. Abbassò la testa appena in tempo per evitare due pallottole che si conficcarono nel muro alle sue spalle.
Il cecchino riprese a salire, ma poco dopo fu costretto a interrompere la sua corsa. Le scale erano crollate, lasciando un voragine come ostacolo invalicabile.
«Arrenditi! Noi non giustiziamo i prigionieri» gridò Bernhard a pochi passi di distanza.
L’uomo sembrò sorpreso di sentirlo parlare in finlandese, nonostante ciò, non sembrò intenzionato a dargli ascolto. Si voltò di scatto, con il fucile puntato.  
Winkler però fu più rapido a premere il grilletto.
Il corpo senza vita del ribelle cadde con un tonfo nella polvere.
Bernhard sentì il sangue scorrere nelle vene, era da tanto che non provava quella sensazione.
Quando si sporse dalla finestra, notò che le barricate erano state sgomberate. La strada per Erottaja era ormai libera.
Soddisfatto, il capitano tornò dai suoi uomini.
«Capisco che lei sia abituato a combattere, ma non può mettere a rischio la sua vita in questo modo. Ha delle responsabilità adesso» lo rimproverò il tenente Kühn.
«È proprio perché ho delle responsabilità nei confronti dei miei uomini che desidero proteggerli»
Il suo sottoposto emise un sospiro esasperato.
Winkler aveva appena terminato quella discussione quando fu raggiunto da un civile che portava la fascia bianca stretta al braccio.
«I Rossi hanno occupato la vecchia fabbrica di Hakaniemi, la utilizzano come magazzino per munizioni ed esplosivi»
Bernhard tornò ad osservare la piantina della città, non ebbe bisogno di molto tempo per formulare un nuovo piano d’attacco.
«Chiamatemi una staffetta, avremo bisogno del supporto dell’artiglieria!»
 
***

Dalla sua postazione Evert osservava la città in fiamme. Non era questo il destino che avrebbe voluto per il suo popolo. Quella guerra si era rivelata l’ennesima tragedia per la giovane Finlandia, nata e battezzata nel sangue.
Evert rimase impassibile quando il primo proiettile colpì la torre nord dell’edificio, quando giunse il secondo, così vicino da far crollare la parete alle sue spalle, allora lasciò cadere dalle mani il fucile.
A cosa era servito tutto ciò?
Poika, un ragazzino di soli sedici anni, aveva sacrificato la sua vita perché sperava in un futuro migliore. Era morto tra le sue braccia, ancora puro e innocente. 
Ma ora era tutto finito.
Aveva rinunciato a tutto per quella guerra, il dolore più grande era stato lasciare la sua famiglia.
Non aveva più notizie di Marja da settimane, spesso si domandava se lei avrebbe mai potuto perdonarlo per quel che aveva fatto. Sua sorella non avrebbe potuto comprendere le ragioni che l’avevano spinto a combattere, ma non pretendeva tanto.
Il suo unico scopo era sempre stato proteggere la sua famiglia, nonostante tutto, non aveva alcun rimpianto.
Il terzo proiettile colpì in pieno le scorte di munizioni, causando una fragorosa esplosione. Un’intensa nube nera si innalzò fino al cielo.
L’incendio divampò rapidamente, inghiottendo l’edificio tra le fiamme.
Evert uscì in strada tossendo spasmodicamente per il fumo. Tutto ciò che vide tra la polvere e la nebbia furono i cadaveri abbandonati lungo la strada.
La cenere volteggiava nell’aria, per poi ricadere a terra come neve grigia.
Evert avvertì gli occhi umidi, soltanto un ostinato orgoglio gli impedì di lasciar scorrere le lacrime sul suo viso.
Il giovane voltò lo sguardo verso la piazza occupata delle truppe tedesche. Un gruppo di combattenti uscì da un palazzo, tutti con le mani alzate, uno di loro mostrò al nemico la bandiera bianca.
Evert non trovò il coraggio di muoversi, era un facile bersaglio, eppure non fece nulla per nascondersi. Perché avrebbe dovuto?
Attendeva soltanto la pallottola che avrebbe messo fine alla sua agonia. Invece udì una voce alle sue spalle.
«La battaglia è finita, soldato»
Il giovane si voltò lentamente, si stupì nel riconoscere un ufficiale tedesco che parlava perfettamente in finlandese.
«Coraggio, premi il grilletto. Sparami adesso!» lo incitò guardandolo negli occhi.
Winkler abbassò l’arma.
«Non ho intenzione di giustiziare un nemico disarmato»
Evert esitò qualche istante, per un attimo sembrò arrendersi, poi all’improvviso gli voltò le spalle ed iniziò a correre lungo la strada.
Bernhard gli concesse qualche secondo di vantaggio, non era ancora sicuro di voler sparare alle spalle di un uomo, anche se si trattava di un fuggitivo.
Perché diamine siete tutti così ostinati a morire?
L’ufficiale tedesco prese la mira, da esperto tiratore era sicuro di non poter sbagliare a quella distanza.
Su tre colpi, due raggiunsero l’obiettivo.
 
***

Kris camminava tra le macerie della capitale, la battaglia si era ormai conclusa, ovunque sventolavano bandiere bianche e blu.
Lo scontro era durato soltanto poche ore, il nemico si era arreso senza troppe difficoltà. L’esperienza della guerra era stata diversa da come l’aveva immaginata. Niente eroismi, niente momenti di gloria.
Bisognava solo di compiere il proprio dovere e obbedire agli ordini. Anche quando si trattava di sparare e uccidere.
Kris si bloccò a un incrocio.
«Che succede? Hai visto qualcosa?» domandò Gunnar.
Egli scosse la testa: «no, però…conosco questo posto!»
Il finlandese si incamminò lungo la strada, lasciandosi guidare dal suo istinto. Il suo compagno non poté fare altro che seguirlo.
Kris si fermò davanti all’appariscente facciata di un edificio in stile Art Nouveau.
«Sembra un luogo per persone ricche» commentò lo svedese.
L’altro sorrise: «è un albergo. L’avevo visto soltanto in fotografia, è famoso per la sua enorme sala da ballo»
«Ti sembra il momento di pensare a ballare?»
Kris ignorò il suo commento: «resta di guardia qui fuori, io vado a dare un’occhiata»
Gunnar non ebbe nemmeno il tempo di protestare, il suo commilitone era già sparito all’interno del palazzo.
Kris approfittò di un vetro rotto per intrufolarsi nella hall. Era evidente che l’intero hotel fosse stato abbandonato prima della guerra, quel luogo era deserto.
Il giovane seguì il tappeto rosso e percorse il lungo corridoio che conduceva al salone principale. La luce del giorno filtrava attraverso le ampie vetrate. Lunghe tende di velluto coprivano gli enormi specchi.
Tutto era rimasto come durante l’ultimo evento mondano che si era celebrato tra quelle mura. La sala era decorata a festa, sul palco erano rimasti ancora alcuni strumenti dell’orchestra.
Il giovane provò a immaginare come doveva essere quel luogo in tempo di pace. Rivide il salone pieno di gente in abiti eleganti, tra brindisi, voci e risate.
Poi il suo sguardo si concentrò sull’ampia pista da ballo. Inevitabilmente ripensò a Kaija, a quanto fosse bella in quel vestito di seta e a come avevano ballato quella sera.
Davanti ai suoi occhi si manifestò il futuro che avevano sognato insieme.
Lui non aveva ancora imparato a danzare, ma non importava, lei si divertiva a volteggiare tra le sue braccia, leggiadra come una farfalla.
E poi, quando l’ultima nota dell’orchestra echeggiava ancora nell’aria, la stringeva tra le sua braccia e la baciava con passione.
Perso in quella fantasia, non avvertì i passi sulle scale. Non si accorse dell’ombra appostata dietro alle possenti colonne dorate.
Un solo sparo echeggiò nella sala.

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Capitolo 34
*** Il momento della verità ***


Ringrazio gli affezionati lettori per continuare a seguire questo racconto.
Un ringraziamento speciale ai gentilissimi recensori.

 


 
XXXIV. Il momento della verità  
 

La fiamma della candela tremò leggermente a causa dei gelidi spifferi che penetravano attraverso le fessure nel legno. Jari rimase chino sul tavolo cercando inutilmente di terminare il suo rapporto. Una parte di sé, quella più razionale, sapeva che avrebbe dovuto soltanto raccontare la verità ed eseguire gli ordini, ma quella volta non era così semplice. Per quanto desiderasse venire a capo di quella faccenda, ancora non era riuscito a trovare il coraggio di affrontare la situazione. Il tenente si prese la testa tra le mani, avrebbe potuto imputare la colpa alla stanchezza e alle sofferenze di quegli ultimi giorni, ma dentro di sé sapeva che non erano quelle le ragioni del suo anomalo comportamento. Tormentato da quei pensieri allungò il braccio per raggiungere la bottiglia di vodka, riempì il bicchiere fino all’orlo e bevve un lungo sorso. Seppur per poco poté godere di quella piacevole sensazione di calore indotta dall’alcol.
All’improvviso avvertì dei battiti alla porta. Inizialmente furono colpi lievi ed esitanti per poi diventare sempre più decisi ed insistenti. Jari si raddrizzò sulla sedia e diede il permesso di entrare.
Un soldato comparve sulla soglia, non poteva avere più di diciotto anni, forse era anche più giovane, appariva ridicolo con una divisa troppo larga e un fucile troppo pesante. Sotto al cappotto coperto da un candido strato di neve il suo esile corpo fremeva scosso dai brividi.
Il nuovo arrivato si richiuse la porta alle spalle e si presentò formalmente. Si rivolse al suo comandante con voce tremante, in parte per il freddo e in parte per il nervosismo.
«Signor tenente, le comunicazioni sono ancora interrotte. Là fuori la bufera sta peggiorando»
L’ufficiale non parve affatto turbato da quella notizia, anzi, sembrò quasi rassicurato nell’udire le continue raffiche di vento che ululavano nella foresta e si abbattevano con estrema violenza contro alle pareti in legno di quel precario rifugio.
«Significa che attenderemo domani mattina per riprendere la marcia» fu la pragmatica risposta.
«Gli uomini sono stanchi di attendere»
«Ma hanno ancora le forze per lamentarsi» commentò il suo superiore.
«Mi spiace riferirle che il morale non è alto»
Il tenente si accese una sigaretta, le sue mani tremarono leggermente. Espirò una nube di fumo e ripose l’accendino decorato con il simbolo della Croce nera sul tavolo. Un vecchio ricordo del suo trascorso in Germania. Sul piano militare aveva affrontato situazioni peggiori, ma quella volta era diverso. Sapeva bene di non poter affrontare razionalmente un simile dilemma. Come poteva mostrarsi forte e determinato davanti ai suoi uomini quando il suo animo era tormentato da tanti dubbi e incertezze? 
Non era mai stato un ipocrita, si vergognava di se stesso per quella sua titubanza. Era consapevole di essere nell’errore, ma ancora non si riteneva un traditore.
Era probabile che i suoi sottoposti avessero notato qualcosa di strano in lui, forse pensavano che stesse impazzendo. A quel punto non poteva del tutto escludere questa possibilità.
Jari tornò in sé tentando di ricomporsi. In quel momento ricopriva ancora il suo ruolo, qualunque sarebbe stata la sua decisione definitiva, sarebbe stato disposto ad affrontare le conseguenze.
Un impacciato colpo di tosse gli ricordò la presenza del giovane.
«I soldati avrebbero una richiesta» azzardò.
«Che genere di richiesta?» domandò l’ufficiale.
«Be’, ecco…questa situazione non piace a nessuno. Insomma, suppongo che lei possa capire. Vorrebbero concludere la missione al più presto»
Il tenente sbuffò: «tutti noi vorremmo tornare a casa»
«Molti sostengono che se non agiremo in tempo non ci sarà più nessuna casa dove tornare»
Il tenente non osò dire nulla a riguardo, non poteva controbattere senza mentire ai suoi uomini.
«Non posso fare niente di più, riprendere la marcia in queste condizioni significherebbe soltanto andare incontro a morte certa!»
«Signore, è la presenza del prigioniero a rendere tutti quanti così irrequieti» rivelò il soldato.
Jari si irrigidì nel sentire quelle parole.
«È ferito e disarmato, non può fare del male a nessuno» rispose dopo un attimo di esitazione.
«Rappresenta comunque una minaccia!»
Il tenente si rattristò nel riconoscere tanto disprezzo nel tono di quel ragazzino, nella sua breve vita doveva aver conosciuto soltanto fame, odio e violenza. Si domandò che tipo di uomo sarebbe diventato, se mai fosse sopravvissuto.
«Al momento il prigioniero è sotto la mia responsabilità» puntualizzò.
«Ma…»
L’ufficiale gli rivolse un’occhiata di rimprovero.
Il ragazzo abbassò rapidamente la testa, intimorito dallo sguardo severo del suo superiore.
«Sarà la corte marziale ad occuparsi di questa faccenda» affermò quest’ultimo con estrema fermezza.
Pronunciò quelle parole con la consapevolezza che le sue azioni avrebbero richiesto molte più spiegazioni a un tribunale militare. Difficilmente si sarebbero accontentati di un rapporto o di un semplice interrogatorio. Era probabile che quella scelta avrebbe portato anch’egli ad una condanna, forse per insubordinazione, nel peggiore dei casi per tradimento e collaborazione con il nemico.
E allora perché non fermare fin da subito quella follia? Credeva forse di poter cambiare le cose?
Jari sfiorò il freddo metallo della sua Nagant, restavano ancora sei proiettili. Un macabro pensiero lo fece rabbrividire, rapidamente allontanò la mano dalla cintura.
L’ufficiale congedò la staffetta, ma il ragazzo non si mosse.
«A dire il vero ci sarebbe dell’altro…»
Il tenente si voltò mostrando alla luce tremolante delle candele il viso pallido e scarno, stremato dalle fatiche di quegli ultimi giorni.
«Di che si tratta?»
«Le guardie mi hanno incaricato di riportarle un messaggio del prigioniero»
«Dunque, quale sarebbe il messaggio?» lo spronò il suo superiore.
«Da quel che ho capito ha chiesto di lei, vuole vederla»
Jari dovette ricorrere a tutta la sua forza interiore per mantenere un degno autocontrollo.
«Per quale ragione vorrebbe parlare con me?»
«Non saprei, non è molto collaborativo»
Il tenente scosse il capo: «che gli sia riferito che questo incontro non avverrà, non posso vederlo»
Le parole gli morirono in gola, non voglio vederlo, questa era la verità.
«Certo signore» fu l’accondiscendente risposta del ragazzo.
Con un gesto l’ufficiale l’autorizzò a lasciare la stanza, il giovane obbedì, preparandosi ad affrontare nuovamente il gelo per tornare dai suoi compagni.
Rimasto solo, Jari tornò a sedersi al tavolo, spense il mozzicone e buttò giù la vodka rimasta nel bicchiere mezzo vuoto. Il tempo a sua disposizione stava esaurendo.
Il tenente socchiuse gli occhi, nella sua mente ricordò ciò che era accaduto dopo la battaglia di Tampere. 
 
***

La città era finalmente libera dall’occupazione rossa. Jari e i suoi compagni però non ebbero occasione di festeggiare quella vittoria. Subito giunse l’ordine di avanzare lungo il confine per abbattere anche le ultime resistenze nemiche.
Prima di abbandonare definitivamente Tampere, Jari volle far visita al sergente Hiltunen. Quell’uomo aveva rischiato la vita per salvarlo, il minimo che poteva fare era dimostrare la sua gratitudine.
L’ospedale militare era gremito di feriti, la battaglia aveva causato vittime fino all’ultimo giorno di combattimenti. Mentre vagava per i lunghi corridoi, Jari assistette alla conversazione tra due ufficiali.
«Ho saputo che presto i Rossi saranno condannati» disse un tenente.
Il capitano confermò: «è stato dato l’ordine di giustiziare tutti i prigionieri»
Jari rabbrividì nel sentire quelle parole, per quanto abituato alla guerra, non riteneva leale fucilare il nemico dopo la resa, soprattutto senza un equo processo. Eppure aveva avuto conferma della decisione del generale Mannerheim, nessuna pietà per i ribelli.
Il giovane superò i due ufficiali e finalmente raggiunse il giaciglio del sergente.
Emil era sveglio e cosciente, seppur febbricitante sotto alle coperte. Il medico aveva detto che era stato fortunato, aveva perso molto sangue dalle numerose ferite, era debole, ma non era più in pericolo di vita.
Jari si avvicinò al letto, sistemandosi al suo fianco.
L’uomo lo riconobbe immediatamente: «tenente…»
«Niente formalità, per favore. Almeno in questa circostanza può trascurare il fatto che sia un suo superiore»
Egli sorrise: «d’accordo. Sarò lieto di rivolgermi a te come a un ragazzo della tua età. Anche tu puoi chiamarmi semplicemente Emil»
Jari si sentì più a suo agio.
«Sono venuto qui solo per accertarmi che stessi bene. Presto dovrò ripartire e non volevo andarmene senza averti ringraziato per quello che hai fatto»
«Ho solo svolto il mio dovere» fu la modesta risposta.
«Salvandomi la vita hai fatto molto più che il tuo dovere»
Emil guardò il giovane negli occhi: «non mi riferivo al mio dovere militare»
Jari non capì: «di che stai parlando?»
«Ho rispettato una vecchia promessa»
Il ragazzo si mostrò ancor più confuso, ma qualcosa dentro di lui gli suggerì che il sergente non stesse delirando a causa della febbre.
«Una promessa?»
Emil non trovò ragioni per nascondere la verità, desiderava che quel giovane sapesse.
«Una parte di me ha capito fin dal primo momento che eri il figlio di Helena» confessò.
Jari si stupì: «tu hai conosciuto mia madre?»
L’uomo confermò, sul suo volto comparve un malinconico sorriso.
«È stato tanto tempo fa. Quando ho saputo della sua morte ho pensato di tornare, ma…ad essere sincero non ne ho avuto il coraggio. Non sarei riuscito a dirle addio una seconda volta»
Jari rimase in silenzio, sperando che il suo interlocutore fosse intenzionato ad aprirsi con lui e a rivelare qualcosa in più sul suo passato.
«Amavo Helena con tutto me stesso, quando lei scelse di rompere il nostro fidanzamento per sposare un altro uomo non riuscii a sopportarlo, così lasciai il villaggio per trasferirmi in Svezia. Non sono più tornato in Finlandia fino allo scoppio della guerra, non avrei potuto voltare le spalle al mio popolo»
Jari ascoltò con interesse la sua storia.
«Mi dispiace che abbia sofferto per amore» fu tutto ciò che riuscì a dire alla fine.
«Con il tempo ho compreso di essere stato egoista. In fondo sono lieto che Helena abbia sposato tuo padre»
«Davvero?»
Emil annuì.
«Con lui è sempre stata felice, di questo ne sono certo»
Jari non poté contraddirlo, ma ad essere sincero, era stanco delle apparenze.  
«Mio padre non è un uomo perfetto. È vero, ha sempre amato mia madre, ma questo non lo ha reso un buon genitore»
Emil si sorprese per la durezza di quelle parole: «qualunque problema abbia con tuo padre, dovresti essere comprensivo nei suoi confronti»
«So che ha fatto del suo meglio e che ha sempre avuto a cuore il bene della nostra famiglia. Nonostante ciò, ha commesso i suoi errori. Lui non ha mai approvato le mie decisioni, ha solo imposto la sua volontà su di me finché non ho avuto il coraggio di ribellarmi. Ha mostrato la sua solidarietà soltanto quando sono tornato dalla guerra come sottufficiale»
«Sono certo che il suo unico intento sia stato quello di proteggerti»
Jari sospirò: «il fatto è che io non sono come lui. Non sono un codardo!»
«Ritieni che tuo padre sia un codardo?»
Il giovane non rispose direttamente alla domanda.
«Lui non ha mai avuto il coraggio di combattere per quel che riteneva giusto. Ha solo abbassato la testa per obbedire agli ordini dei russi. Non ha il diritto di giudicare le mie scelte, non dopo aver voltato le spalle al destino della nostra Nazione per tutta la vita!»
«Fredrik ha lottato per quel che riteneva che fosse più importante, ovvero la sua famiglia»
Jari osservò le bende intrise di sangue strette all’addome del sergente.
«Ad essere sincero, credo di aver più cose in comune con te che con mio padre»
Quelle furono le ultime parole che rivolse a Hiltunen prima di congedarsi.
Emil era certo che il giovane stesse giudicando con fin troppa severità il genitore, ma era altrettanto convinto che con il tempo avrebbe compreso le ragioni del padre.
In quel momento, una parte ti sé trovò conforto in quelle parole. L’idea di poter riconoscere qualcosa di lui in quel giovane lo riempì di orgoglio, ma anche tristezza.
«Addio e buona fortuna, tenente Koskinen»
 
 
Dopo aver abbandonato Tampere, Jari guidò il suo plotone fino alla nuova frontiera, dove le truppe bianche furono ben accolte anche dalla popolazione. Almeno per una sera i soldati poterono riposare lontano dai bombardamenti, poiché il nemico sembrava essersi ritirato.
Jari cenò insieme ai suoi uomini, lasciandosi distrarre dai loro racconti, perlopiù riguardanti la caccia.
Ad un tratto, mentre stava ascoltando l’appassionante storia di quando il soldato Jokinen aveva inseguito un lupo nella foresta, Yrjö richiamò la sua attenzione.
«Vieni in infermeria con me, voglio dare un’occhiata al tuo piede»
Il giovane ufficiale lo rassicurò: «non preoccuparti, non è niente di grave»
Il medico era realmente preoccupato.
«Jari, dico sul serio. Devo essere certo che non ci sia rischio di cancrena, non voglio essere costretto ad amputartelo in futuro!»
Il tenente si lasciò convincere dall’insistenza dell’amico, si rialzò a fatica e zoppicando lo seguì all’interno della baracca adibita a postazione di soccorso.
Jari trattenne un grido di dolore quando il medico gli liberò il piede destro dallo stivale.
«Ammetto che non sia al meglio, ma il dolore è sopportabile» riferì.
Yrjö si occupò di disinfettare le ferite causate dalla faticosa marcia nella neve e nel fango.
«Non è il sangue a preoccuparmi, ma il congelamento. Per fortuna sembra che l’arto sia ancora sano»
L’amico si era sforzato di sorridere: «te l’avevo detto che non era nulla di grave»
Il dottore riconobbe la sua eccessiva apprensione.
«Sì, certo. Volevo solo esserne sicuro»
Jari approfittò di quel momento di intimità tra loro, non era capitato spesso di essere soli, soprattutto dopo l’ultima battaglia.
«Mi dispiace, avrei voluto essere io a dirti di Lauri»
Yrjö continuò il suo lavoro, mantenendo il capo chino per nascondere gli occhi lucidi.
«Non importa, eravamo impegnati su fronti diversi, tu in prima linea ed io in ospedale. In ogni caso, non sarebbe cambiato niente»
«È stato il capitano Keränen a darmi la notizia. Hanno trovato il suo corpo mezzo sepolto nella neve, due colpi in pieno petto, almeno non ha sofferto. Ha combattuto con onore fino alla fine, questo è quello che ha detto il capitano, ed io ci credo»
«Lauri era un uomo coraggioso…ancora non riesco a credere che sia morto»
«Era un vero soldato, è morto in battaglia come un eroe»
Yrjö ripensò al sacrificio di Wilhelm von Schwerin e ai racconti di Runeberg. Quelle storie l’avevano accompagnato fin da quando era bambino, ma ormai aveva smesso di credere negli eroi.   
«È stato compito tuo scrivere alla famiglia?» domandò.
Jari annuì: «non ho scritto nulla di personale, soltanto una lettera di condoglianze con il timbro ufficiale della Guardia Civile»
«Suppongo che sia meglio così»
«Era mio dovere come suo comandante, ma…in quanto suo amico, il dolore mi impedisce ancora di affrontare la sua scomparsa»
Yrjö poté comprendere la condizione dell’amico, egli provava lo stesso.
«Quando questa guerra sarà finita ci occuperemo di rispettare le ultime volontà di Lauri come gli avevamo promesso»
Jari era tormentato dal rimorso: «è stata colpa mia, non avrei dovuto permettergli di unirsi a una missione così pericolosa»
«No, non dirlo nemmeno! Non hai alcuna colpa per quel che è accaduto a Lauri»
«Se non gli avessi permesso di partire…»
«Jari, tu sei un buon comandante, hai sempre avuto a cuore il destino dei tuoi uomini. Lauri era un buon soldato, con la giusta esperienza per essere idoneo alla missione. Hai fatto la scelta giusta e non ti sei lasciato influenzare da questioni personali. Il tuo nuovo incarico comporta grandi responsabilità, e tu hai dimostrato di essere all’altezza della situazione»
Jari apprezzò il supporto del compagno, ma ciò non bastò a donare pace alla sua coscienza.
 
I due amici restarono per un po’ in silenzio, abbandonandosi ai ricordi.
Yrjö ripensò ai momenti trascorsi con Lauri in quegli ultimi anni. Era stato lui con i suoi consigli a spronarlo a dichiararsi a Kaija. In effetti, il suo compagno era responsabile della nascita della sua storia d’amore.
Dopo tutto quel che era accaduto, Yrjö ritenne che fosse giunto il momento di dire la verità a Jari.
«C’è una cosa che devo dirti da molto tempo, ho atteso anche troppo a lungo. Avrei voluto rivelarti tutta la verità quando eravamo ancora in Germania, ma tu eri ferito e poi c’era la guerra…le mie questioni personali non erano la priorità. Poi dopo il nostro ritorno sono cambiate tante cose, un’altra guerra, la tua promozione…e infine questa terribile battaglia! Adesso che abbiamo un attimo di tregua ed io ho capito quanto sia importante per me tutto questo, non posso più aspettare»
Jari alzò lo sguardo per guardare l’amico in volto.
«Ti sto ascoltando» disse semplicemente.
Yrjö prese un profondo respiro.
«Si tratta di Kaija. Mi sono innamorato di lei dalla prima volta in cui l’ho vista ritratta nella fotografia che ti aveva spedito al fronte. In una lettera le ho confessato il mio amore e lei mi ha rivelato di ricambiare i miei sentimenti. In tutto questo tempo ho mantenuto nascosta la nostra relazione perché avevo paura che per noi non potesse esistere alcun futuro. Volevo essere certo di poter garantire a Kaija la felicità che merita prima di farle qualsiasi promessa. Avevo paura di illuderla, non volevo causarle altro dolore. Questa guerra però ha cambiato tutto, ho capito di aver sbagliato ad aspettare. Non ho alcuna certezza, se non quella di amare quella ragazza e di voler trascorrere con lei il resto della mia vita»
Jari non fu sorpreso da quella rivelazione, già aveva intuito che ci fosse un uomo nella vita di sua sorella, fu lieto di sapere che quell’uomo fosse proprio Yrjö.
«So che sapresti rendere Kaija felice, è tutto quel che conta per me» disse con sincerità.  
«Se tornerò vivo da questa guerra, il mio unico pensiero sarà prendermi cura di lei»
«Dunque hai intenzione di fare sul serio…»
«Io voglio sposarla»
Jari sorrise: «allora dovrò abituarmi all’idea di diventare tuo cognato»
«Non ho ancora chiesto la sua mano»
«Mio padre approverà le nozze. Sono certo che gli piacerai molto, d’altronde, vorrebbe che io fossi esattamente come te»   
Yrjö non comprese a pieno quell’ultima affermazione, ma fu lieto di essersi tolto quel peso dal cuore. Quel segreto rischiava di rovinare il suo rapporto con Jari, finalmente poteva essere del tutto sincero con l’amico.
 
 
La marcia verso est si rivelò ben più ardua del previsto. Il freddo e la neve avevano rallentato e ostacolato l’avanzata delle truppe. Anche il plotone del tenente Koskinen rimase bloccato tra colline innevate e laghi ghiacciati.
Jari sapeva che quelle zone erano ancora occupate dai Rossi, era necessario essere sempre vigili e in allerta. Quella foresta non gli piaceva, fin da quando aveva messo piede oltre il confine di betulle, aveva avvertito una pessima sensazione.
I soldati avevano raggiunto da poco una piccola radura quando all’improvviso i primi spari si abbatterono su di loro. Jari ordinò prontamente ai suoi uomini di mettersi al riparo. I Bianchi tornarono a nascondersi nella foresta.
Jari si rannicchiò dietro a un grosso masso.
«Gli spari provenivano da lassù, probabilmente i Rossi hanno eretto una barricata su quella sporgenza!» lo informò il soldato Jokinen.
L’ufficiale non perse tempo, immediatamente formò una squadra e predispose il fuoco di copertura.
Jari uscì allo scoperto, altri cinque uomini lo seguirono disperdendosi tra gli alberi per poi risalire il sentiero.
Lo scontro a fuoco proseguì imperterrito.
«Sono in pochi e presto finiranno le munizioni» constatò Jokinen.
Jari valutò la distanza che separava il loro rifugio dalla trincea nemica.
«Al mio segnale lanciate le bombe a mano…dopo l’esplosione salteremo in trincea»
Jokinen fu piacevolmente sorpreso: «ha imparato queste tecniche in guerra?»
Il tenente si limitò ad annuire. Poco dopo, quando fu il momento adatto, mise in atto il suo piano.
Le esplosioni sollevarono dense nubi di fumo, facendo tremare il terreno sotto ai loro piedi.
Jari saltò nella fossa, quando la nebbia iniziò a diradarsi riconobbe due cadaveri riversi nel fango. Proseguì la sua esplorazione senza trovare alcun nemico, stava per risalire in superficie quando udì il botto di uno sparo. Immediatamente corse sul fondo della trincea.
Jokinen stava puntando il fucile alla testa di un Rosso, l’unico sopravvissuto, il quale si era arreso abbandonando l’arma e inginocchiandosi a terra.
«Fermo! Non sparare!»
Il soldato obbedì al suo comandante, ma mantenne la canna puntata e il dito a sfiorare il grilletto.
L’ufficiale si avvicinò alle spalle dell’avversario.
«Da questo momento lei è prigioniero delle Guardie Bianche! Io sono il tenente Jari Koskinen…»
Non riuscì a terminare la frase poiché venne interrotto da una voce terribilmente familiare.
«Lo so, ti conosco molto bene, Jari»
Il giovane si bloccò a pochi passi di distanza.
Quando il prigioniero si voltò, riconobbe i suoi occhi limpidi e trasparenti come il ghiaccio.
 
***

Jari tornò alla realtà, le fiamme ardevano scoppiettando nel camino.
All’esterno la bufera non si era placata, questo gli concedeva un po’ di tempo, ma non abbastanza. Una notte era troppo breve per prendere una simile decisione.
Era assillato da questi tormenti quando la porta si spalancò di nuovo.
«Signore, le ho portato la cena»
Il giovane soldato si ripresentò davanti a lui con un piatto di minestra fumante.  
Jari lo ringraziò, ma non si avvicinò nemmeno al cibo. Non era intenzionato a mangiare in quel momento.
«Mi dispiace per prima, non volevo essere troppo scortese nei tuoi confronti»
Il ragazzo mostrò un timido sorriso: «non si preoccupi signore»
«Ho riflettuto meglio sulla situazione e ho rivalutato la mia decisione» annunciò l’ufficiale.
La staffetta gli rivolse uno sguardo perplesso.
«Devo riferire qualcosa?»
Il tenente si rialzò in piedi con ritrovata convinzione.
«No, portami dal prigioniero. Accetto la sua richiesta, voglio incontrarlo»

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Capitolo 35
*** Un buon amico/Divergenze/Nella foresta ***


XXXV. Un buon amico. Divergenze. Nella foresta

 
Kris si voltò appena udì il botto dello sparo alle sue spalle. Il cadavere di un uomo con la fascia rossa al braccio rotolò giù per le scale.
Dalla parte opposta del salone comparve la sagoma di un soldato.
«Gunnar!»
Il suo compagno lo raggiunse al centro della stanza.
«Sapevo che avevi in mente di fare qualcosa di stupido! Credevi che ti avrei lasciato entrare da solo in una trappola come questa?»
Kris si reggeva appena sulle gambe tremanti, il cuore batteva all’impazzata nel petto.
«Tu…mi hai appena salvato la vita» balbettò.
Gunnar rivolse uno sguardo al morto disteso sui gradini.
«Per fortuna sono un buon tiratore» commentò.
Kris restò attonito, incredulo di essere ancora vivo.
Il suo compagno imbracciò nuovamente il fucile.
«Coraggio, andiamocene da questo dannato posto!»
Egli non esitò a seguirlo, muovendosi con cautela per non fare rumore.
«Credi che ci sia qualcun altro qui dentro?» domandò guardandosi intorno con circospezione.
Lo svedese scosse la testa.
«No, ma lo sparo potrebbe aver attirato l’attenzione»
Kris non poté far altro che concordare con il suo commilitone.
Uscito in strada, la luce del sole lo riportò alla realtà.
 
 
Quella sera le truppe si appostarono presso il distretto di Länsisatama, nella zona del porto.
La capitale non era più occupata dal nemico, i Rossi si erano ritirati dal centro della città. Era solo una questione di tempo, già i soldati potevano assaporare l’imminente vittoria.
Kris si soffermò sul molo, osservando la superficie del mare che in lontananza si confondeva con l’oscurità. Le stelle brillavano nel cielo notturno.
Ad un tratto avvertì dei passi alle sue spalle. Non ebbe bisogno di voltarsi per riconoscere l’inconfondibile accento svedese.
«Come ti senti?» domandò Gunnar con sincera apprensione.
Kris lo rassicurò: «sto bene, non preoccuparti»
L’amico gli offrì una sigaretta.
«Allora, vuoi dirmi che ti è successo oggi?» chiese dopo aver gettato via il fiammifero.
Kris sospirò con rassegnazione: «non è stato niente, davvero…»
Gunnar l’afferrò per la giacca, trattenendolo con forza.  
«Non dire stronzate! Per poco non ti sei fatto ammazzare! Dannazione, lo sai che dobbiamo sempre avere fiducia l’uno nell’altro. So di potermi fidare di te, ma non ti ho mai visto così. Ne vale della sicurezza di entrambi. Sto solo cercando di aiutarti, quindi te lo ripeto, che diamine ti è preso?»
Kris sapeva di non poter mentire a Gunnar, la vita al fronte li aveva uniti quasi come fratelli.
«Mi dispiace, io…volevo solo vedere quella sala da ballo. So che è stato stupido e non avrei dovuto abbassare la guardia, ma ho avuto un momento di debolezza, d’accordo?»
«Hai detto bene, è stato davvero stupido» puntualizzò Gunnar.
Kris espirò una nuvola di fumo.
«Mi dispiace, non so che altro dire a riguardo»
Gunnar non aveva ancora terminato il suo interrogatorio.
«Perché quell’albergo era così importante per te?»
Il giovane tornò a rivolgere lo sguardo alle onde che si infrangevano sugli scogli.
«Io e Kaija sognavamo di danzare in un posto come quello quando ancora credevamo di poter avere un futuro insieme…»
«I ricordi sono pericolosi in guerra» replicò Gunnar con estrema freddezza.
«Credo di aver imparato la mia lezione»
L’amico era stanco di vederlo in quello stato.
«Dico sul serio, Kris. Devi lasciarla andare, dimenticati di lei, tutto questo ti sta solo facendo del male. Possibile che ancora non riesci a capirlo?»
Il giovane scosse la testa.
«Sei tu che non puoi capire, non è così semplice!»
Gunnar gettò il mozzicone a terra.
«Avresti preferito prenderti quella pallottola? Perché è così che andrà a finire se non ti deciderai a tornare alla realtà!»
Kris non rispose, dimostrando di non essere disposto ad ascoltarlo.
A quel punto Gunnar non riuscì più a trattenersi, chiuse la mano in un pugno e prontamente colpì il suo compagno in pieno volto.
Kris si ritrovò dolorante, con il sangue che usciva dal naso.
«Che diamine…sei impazzito?» si lamentò.
Il suo compagno rimase immobile.
«Avanti, reagisci! Che stai aspettando?»  
Kris non era in sé, forse era colpa dell’adrenalina, in ogni caso non rimase indifferente a quelle provocazioni. D’istinto si avventò sul suo commilitone, spingendolo a terra.
Entrambi rotolarono sulle assi bagnate, continuando a lottare come due ragazzini.  
Alla fine furono separati da un sottufficiale, il quale suppose di avere a che fare con una coppia di soldati ubriachi.
«Smettetela voi due! Andatevene immediatamente se non volete passare guai!»
Kris si rialzò da terra, in bocca percepiva l’amaro sapore del sangue. Era una strana sensazione, provava dolore, ma si sentiva bene.
Gunnar aveva un livido gonfio e violaceo sotto l’occhio destro.
«Avrei dovuto aspettarmelo, voi finlandesi non sapete nemmeno fare a botte come si deve!» commentò sghignazzando.
Inaspettatamente, Kris scoppiò a ridere.
 
***

Il capitano Winkler raggiunse le prigioni nel mezzo della notte. Le guardie, per quanto perplesse, non esitarono ad acconsentire alla sua richiesta, permettendo all’ufficiale di far visita ai prigionieri.
Bernhard si diresse a passo deciso in infermeria, in una delle brande trovò disteso il giovane a cui aveva sparato. La ferita al polpaccio era superficiale, quella alla coscia invece sembrava più profonda, fortunatamente non aveva colpito l’arteria.
«Non ho mai sparato alle spalle di un uomo, ma non potevo certo lasciarti fuggire» spiegò il capitano con estrema calma.
Evert trattenne un gemito dolore.
«Perché non uccidermi, allora?»
«Sarebbe stato disonorevole per entrambi»
Il ragazzo evitò di guardare il suo interlocutore negli occhi.
«In ogni caso voi Bianchi ci condannerete tutti. Non ho bisogno di prolungare la mia agonia, finirò comunque con un proiettile in fronte, non è così?»
Winkler rifletté attentamente sulla situazione.
«A dire il vero siete prigionieri dell’Esercito imperiale tedesco. Il vostro destino non è ancora stato deciso»
Evert non credette alle sue parole.
«Questa faccenda non vi riguarda, non è la vostra guerra»
Bernhard non prese la questione sul personale.
«L’unica ragione che ha portato la Germania ad accettare questa alleanza è la presenza di un nemico in comune»
«C’è stato l’armistizio, la Russia non è più un pericolo per la Germania. Le forze alleate stanno invadendo la vostra Patria, e voi siete qui sepolti dalla neve, a sacrificare la vostra vita soltanto per rispettare degli accordi. Non dovreste essere a proteggere le vostre case?»
«Una vittoria per i comunisti è una sconfitta per la Germania» semplificò Winkler.
Evert non comprese le sue motivazioni, ma apprezzò lo sforzo dell’ufficiale in quel confronto. Il suo pensiero tornò alla sua povera terra.
«La causa è persa, Helsinki è distrutta…che cosa ne sarà della Finlandia?»
«La conquista dell’Indipendenza non è una sconfitta»
«Forse sarà così per voi borghesi che indossate le divise da ufficiali. Ma per i lavoratori lo Stato sarà soltanto un altro padrone»
Il tedesco non aveva intenzione di portare avanti un discorso politico, a quel punto, nemmeno lui aveva più alcuna certezza. Tutto quel che aveva sempre desiderato era la Libertà.
«Non sarà semplice, la lotta per le ingiustizie non terminerà da un giorno all’altro. Però voglio credere che le cose cambieranno per le nuove generazioni»
«Un popolo frammentato e sofferente non avrà un futuro semplice»
Winkler replicò: «un popolo che ha versato sangue per ottenere i propri diritti sarà più determinato a difenderli»
Evert non si mostrò contrariato, nonostante tutto, non aveva rinunciato alla speranza.
Bernhard si allontanò lentamente.
«Nel mio rapporto per le autorità finlandesi ho lasciato scritto che ti sei consegnato di tua volontà, ti sei arreso, ferito e disarmato. Non hai opposto resistenza. La parola di uno jäger ha ancora la sua influenza. Spero che la mia testimonianza sia sufficiente a risparmiarti dal plotone d’esecuzione»
Con queste parole Winkler abbandonò l’infermeria della prigione, per una volta, sentì di aver agito nel modo giusto.
 
Mentre camminava per i vicoli deserti di Helsinki, Bernhard ripensò al periodo in cui frequentava l’università. A quel tempo era un fervente nazionalista, partecipava a incontri segreti, partecipava a pericolose missioni per l’Organizzazione e intratteneva folle di studenti con i suoi discorsi. Era ancora orgoglioso del suo passato, ma sentiva di essere cambiato, inevitabilmente, dopo tutto quello che era successo non era più la stessa persona.
Bernhard ricordò il suo primo incontro con Jari, l’entusiasmo di quel ragazzo l’aveva colpito fin dall’inizio. In lui rivedeva la perfetta incarnazione dei suoi ideali patriottici, quel giovane disposto a lottare per l’Indipendenza del suo popolo sembrava uscito da un poema di Runeberg.
Winkler non riteneva di aver manipolato Jari con i suoi discorsi, era stato lui a decidere. Tra loro era nata una sincera amicizia, era stato durante la guerra che il loro rapporto si era trasformato in qualcosa di più. Bernhard era consapevole di aver trascurato con fin troppa facilità i sentimenti di Jari, era stato egoista, credeva che egli fosse abbastanza maturo per capire. Entrambi avevano bisogno di conforto al fronte, così erano finiti l’uno nelle braccia dell’altro. Winkler non aveva mai preteso nulla di più, ma avrebbe dovuto immaginare che Jari fosse troppo coinvolto per voltare pagina alla fine della guerra.
Non era sua intenzione farlo soffrire, poteva capire che lui si sentisse tradito e non si aspettava il suo perdono.
Bernhard dovette ammetterlo, in tutto quel tempo, Jari era stato la sua unica debolezza.  
 
***

Hjalmar aveva perso il senso dell’orientamento, ma sapeva che i Bianchi avevano conquistato l’intera area intorno a Ruovesi. In qualunque direzione avesse deciso di procedere, avrebbe trovato il nemico.
Alla fine aveva dovuto arrendersi, la sua unica possibilità di salvezza era seguire il consiglio del tenente Eskola e mentire sulla sua identità. Si era sbarazzato della fascia rossa, nascondendola in una buca sotto alla neve. Se avesse avuto ancora con sé i documenti falsi che Eskola gli aveva consegnato avrebbe potuto tentare di superare il confine, ma quei fogli erano andati perduti tra le fiamme.
Hjalmar non era pentito per quel che aveva fatto, in quel momento però desiderava soltanto tornare a casa. Inevitabilmente pensò a suo fratello, si domandò se egli fosse ancora vivo. Sicuramente, se Verner fosse stato lì con lui, gli avrebbe detto di non arrendersi.
Il giovane tentò di farsi coraggio, ormai era troppo tardi per avere rimpianti. 
All’improvviso, mentre seguiva le tracce sul sentiero, udì delle voci nella foresta.
Hjalmar si avvicinò restando nascosto tra gli alberi.
Due uomini stavano trasportando un carico di legna, potevano essere padre e figlio, entrambi erano armati con fucili da caccia.
Il ragazzo esitò ancora per qualche istante, soltanto quando fu certo che non fossero soldati decise di uscire allo scoperto.
I due sconosciuti furono sorpresi nel trovare qualcun altro nella foresta, ma il loro comportamento non mostrò alcun segno di ostilità. Immediatamente si preoccuparono delle sue condizioni, gli offrirono qualcosa da mangiare e panni asciutti con cui scaldarsi.
«Come ti chiami?» domandò il più vecchio mentre sistemava la coperta sulle sue spalle.
Hjalmar preferì essere prudente: «Jänis»
L’uomo strinse la sua mano: «io sono Gustaf e lui è mio figlio Kusti. Come mai stai vagando nella foresta tutto solo?»
Hjalmar addentò un pezzo di pane.
«C’è stata una battaglia sulla collina, l’intero paese è stato distrutto»
«Abbiamo visto l’incendio e sentito gli spari» disse Kusti, restando però più diffidente.
«Già, le truppe bianche hanno perquisito l’intera area dopo la battaglia» continuò il padre.
Il ragazzo si allarmò. 
«Che cosa sapete della guerra?»
«I Bianchi hanno conquistato Tampere, si dice che anche la capitale sia caduta»
Hjalmar tentò di non manifestare la sua preoccupazione.
«Questa dannata guerra finirà presto, ma fino a quel momento nessuno può considerarsi al sicuro»
Jänis tornò a concentrarsi sul suo obiettivo.
«Ruovesi è molto lontana?»
Il boscaiolo scosse la testa: «questo sentiero conduce alla vecchia ferrovia, da lì sarà sufficiente seguire le rotaie per tornare in città. Dista soltanto mezza giornata di cammino»
Hjalmar era disposto a rischiare, una volta a Ruovesi avrebbe trovato un modo per raggiungere il confine.
 
***

Frans ripensò a quel che un suo commilitone gli aveva detto sulle donne, più erano belle e più erano pazze. In quel momento avrebbe dovuto dargli ragione, nonostante i suoi sforzi continuava a non comprendere il comportamento di quella ragazza. 
Leena era tornata fredda e distaccata nei suoi confronti, quella mattina aveva dedicato più attenzione alla cura dei cavalli che alla sua presenza.
Il giovane rinunciò a cercare risposte, quella donna era un vero mistero. Forse era anche questo ad affascinarlo. Era legato a lei da una promessa, e da buon soldato era intenzionato a portare a termine la sua missione.
Finalmente la sua compagna si decise a rivolgergli la parola.  
«Che cosa sai della battaglia di Ruovesi?»
Frans rispose onestamente.
«Il piano era di conquistare l’accesso a Lahti per ricongiungerci con le truppe tedesche in marcia da Helsinki»  
«È vero che avete giustiziato tutti i prigionieri?»
Il soldato mantenne lo sguardo fisso davanti a sé.
«Abbiamo l’ordine di condannare i ribelli, dunque sì, è nostro dovere giustiziare i prigionieri»
Leena s’irrigidì: «anche tu hai ucciso per obbedire agli ordini?»
«Ho commesso molte azioni deplorevoli in questi anni, ma posso assicurarti che non ho mai fatto del male a un innocente»
La ragazza non dubitò delle sue parole, egli era sempre stato sincero nei suoi confronti.
«Che cosa è accaduto dopo la battaglia?»
«I Rossi si sono ritirati, so che le nostre truppe hanno conquistato l’ultimo avamposto nemico su queste colline. Ora la zona è sicura»
Leena ripensò a quel che gli aveva detto Verner. Suo fratello era destinato alle retrovie, ma era probabile che il ragazzo avesse deciso di combattere. Sapeva che a Ruovesi le truppe destinate a difendere il confine erano sotto il comando del tenente Eskola. Sicuramente quell’uomo aveva combattuto fino alla fine. Nel caso in cui Hjalmar fosse sopravvissuto, doveva trovarsi ancora in quelle foreste. Probabilmente era fuggito verso est per evitare di correre incontro al nemico.
«Fermati!»
Frans tirò le redini, la slitta si impiantò bruscamente nella neve.
«Che succede?» si allarmò.
«Da questa parte!» suggerì indicando una biforcazione dal sentiero.
Il giovane rimase perplesso.
«Quella non è la via più breve per raggiungere Ruovesi»
«Dobbiamo trovare Hjalmar!»
«Credi davvero che quel ragazzo sia perso nei boschi?»
Lei non diede alcuna spiegazione.
«Per favore, non abbiamo molto tempo!»
Frans emise un sospiro di frustrazione, la ragione gli suggeriva di lasciar perdere quella storia, sapeva che quella donna gli avrebbe procurato soltanto guai. Allo stesso tempo, però, sentì il dovere di restare con lei, un uomo d’onore rispettava sempre le sue promesse.
Senza discutere, il soldato obbedì, guidando nuovamente i cavalli in direzione della foresta.
 
Leena iniziava a temere di aver commesso un errore nel decidere di allungare il viaggio con quella deviazione. Proprio quando stava per suggerire a Frans di tornare indietro, i due raggiunsero una piccola radura dove trovarono una capanna di legno. Frans ipotizzò che si trattasse del rifugio di un cacciatore o di un taglialegna.
Così decisero di fermarsi per lasciar riposare i cavalli e chiedere informazioni.
Per precauzione, Frans prese il fucile e ordinò alla giovane di restare al sicuro.
Bussò alla porta con fermezza e decisione. Poco dopo ad aprire si presentò un giovane, il quale guardò fin da subito con disprezzo la sua divisa.  
«Mi spiace disturbare, sono qui solo per porre qualche domanda» iniziò Frans con tono neutrale.
«Non ho niente da dire né ai porci comunisti né ai macellai bianchi!»
In quel momento Leena varcò la soglia.
«La prego, si tratta di una questione importante»
La presenza della ragazza convinse il giovane a moderare i toni.
Il soldato rivolse una sguardo di rimprovero alla sua compagna, poi continuò il suo discorso.
«Io sono lo jäger Frans Seber, attualmente la mia missione è ritrovare una persona scomparsa»
«Kusti Enckell, il padrone di casa è mio padre, ma in questo momento non è qui» rivelò il ragazzo.
«D’accordo, allora interrogherò soltanto te»
Kusti tornò a rivolgersi anche a Leena.
«Chi state cercando?»
A rispondere fu sempre Frans.
«Un ragazzo di quindici anni, il suo nome è Hjalmar, ma spesso si fa chiamare Jänis. Crediamo che si sia perso in questi boschi e vogliamo trovarlo per riportarlo al sicuro in città»
Kusti non voleva essere coinvolto.
«Mi dispiace, non ho visto nessuno nella foresta» mentì.
Nessuno dei due credette alle sue parole, la sua reazione dopo aver udito il nome di Jänis non era passata inosservata.
«Per favore, dobbiamo assolutamente trovarlo!» insistette Leena, provando a smuovere la sua pietà.
Egli non cambiò idea, mantenendo il suo silenzio.
Frans mosse un passo in avanti, guardò il ragazzo negli occhi e si rivolse a lui con tono autoritario.
«Se ti rifiuti di collaborare finirai nei guai, questo posso assicurartelo!»
Kusti non era ancora convinto.
Lo jäger puntò il fucile contro al suo petto: «potrei arrestarti all’istante, con l’accusa di essere un collaborazionista sarai giustiziato prima dell’alba!» 
Il boscaiolo tremava come una foglia.
«D’accordo. Le dirò tutto, ma scosti da me quell’arma! Io non ho fatto niente di male!»
Frans abbassò il fucile: «avanti, dov’è il ragazzo?»
«Io e mio padre lo abbiamo incontrato questa mattina, non era in buone condizioni, gli abbiamo offerto del cibo e una coperta. Anche se era molto debole, lui ha insistito per voler raggiungere Ruovesi, così gli abbiamo suggerito di proseguire per la vecchia ferrovia»
 
 
Quando furono di nuovi soli, Frans rimproverò la sua compagna.
«Ti avevo detto di restare al sicuro! Se non fosse stato solo? E se si fosse rivelato pericoloso?»
Leena si scusò.
«Volevo soltanto rendermi utile»
Il soldato continuò con la sua predica: «so che non ti piace fare la parte della fanciulla in difficoltà, ma questa volta hai bisogno del mio aiuto, quindi cerca di collaborare. Sarà più semplice per entrambi»
Leena non poté far altro che concordare con lui, ma per lei era ancora difficile affidarsi completamente ad uno sconosciuto, per di più a una guardia bianca. Doveva però ammettere che fino a quel momento Frans era sempre stato d’aiuto.
«Mi dispiace, io…non ti ho ancora detto quanto stia apprezzando quello che stai facendo»
Il giovane rispose con modestia.
«Ho promesso di fare del mio meglio per trovare quel ragazzino»
«Non eri obbligato a lasciarti coinvolgere in tutto questo. Perché l’hai fatto?»
Frans la guardò negli occhi: «perché so che per te è importante»
Leena si sentì in colpa per aver approfittato della buona fede e dell’onestà di quel giovane.
Il soldato salì sulla slitta, ma questa volta lasciò a lei i comandi. Aveva notato la preoccupazione di Leena, pensò che sarebbe stato meglio distrarla dai pensieri più cupi e opprimenti durante quel viaggio.
«Ho bisogno di riposare un po’, e poi voglio vedere se davvero sei più brava di me!» 

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Capitolo 36
*** Il confronto ***


 
XXXVI. Il confronto
 

Dopo il rapido congedo, il ragazzino corse via, scomparendo come un fantasma nella nebbia. Le sue impronte nella neve fresca furono presto spazzate via dal vento.
Jari non biasimò quel giovane per essersi volatilizzato con tanta fretta, di sicuro non vedeva l’ora di tornare a scaldarsi davanti al fuoco insieme ai suoi compagni. Almeno lui avrebbe potuto dormire tranquillamente quella notte.
Il tenente pensò a questo mentre percorreva il sentiero che conduceva al capanno vicino al lago ghiacciato. Fu costretto a stringersi nel suo cappotto, avanzando lentamente controvento. La bufera era talmente intensa da impedirgli una chiara visuale. Ogni elemento del paesaggio era coperto da uno spesso manto candido, ad ogni passo il giovane affondava nella neve fino ai polpacci.
Un ramo cedette al peso della neve, si spezzò cadendo a terra con un tonfo improvviso. Jari sussultò, istintivamente pose la mano sull’arma. Dopo essersi ripreso dallo spavento, riprese il cammino, imperterrito verso la sua meta.
Il gelo non fu sufficiente a distoglierlo dalle sue preoccupazioni. Da quando aveva catturato quel soldato nemico non era più riuscito a liberarsi da dubbi e incertezze. Era tormentato da quei pensieri sempre più opprimenti. Pur essendo consapevole delle sue responsabilità, non riusciva a darsi pace.
Non sapeva che cosa aspettarsi da quell’incontro. Non voleva illudersi, non sperava di poter mettere a tacere la propria coscienza e nemmeno di riuscire a restare indifferente alla sorte del prigioniero.
Dentro di sé però sentiva di dover esaudire la sua unica richiesta. Ciò che lo spaventava maggiormente, era il fatto che non fosse smosso soltanto dal senso del dovere.
Ovviamente avrebbe incontrato il prigioniero come ufficiale delle Guardie Bianche, ma non era certo di poter rimanere obiettivo in quella faccenda.
Era ancora immerso in queste considerazioni quando raggiunse il rifugio alla fine del sentiero.
Jari cercò di fare del suo meglio per nascondere il nervosismo davanti alle guardie.  
«Non credo che riuscirà a scoprire molto» disse il soldato che aprì la porta.
Il tenente emise un profondo sospiro.
«È mio dovere provare a interrogarlo»
«È sicuro di voler procedere da solo?»
L’ufficiale confermò, quella era una questione personale.
I suoi sottoposti rispettarono la sua volontà, tornando alle loro postazioni.
Jari entrò all’interno e prontamente richiuse la porta di legno alle sue spalle. Riconobbe subito la figura nella penombra. Per precauzione il prigioniero era stato legato a una sedia, anche se in quelle condizioni non rappresentava un pericolo.
Jari si avvicinò lentamente con passo incerto, con le mani tremanti accese la lampada a gas sul tavolo.
Finalmente poté osservare da vicino il suo volto. Conosceva bene quei lineamenti, seppur induriti dalla guerra.
«Verner…»
Lui sollevò leggermente lo sguardo.
«Sapevo che saresti venuto» disse semplicemente.
Il tenente cercò di mettere ben in chiaro la sua posizione.
«È mio dovere interrogarti»
Verner si trattenne dal ridere in faccia all’ufficiale.
«Sai bene che non parlerò»
Jari ignorò quell’affermazione ed iniziò a porre formalmente le sue domande.  
«Sappiamo che i Rossi stanno cercando una via di fuga verso la Russia. Qual era la destinazione della tua squadra?»
Verner rimase in silenzio.
«Considerando gli ultimi avvenimenti, direi che la strada più sicura per raggiungere il confine sia verso sud. Helsinki però non è più sicura. Che cosa vi hanno promesso i vostri leader?»
Ancora silenzio.
Jari cominciò a spazientirsi.
«Le cose potrebbero essere più semplici per un prigioniero disposto a collaborare»
Verner non era rimasto indifferente al comportamento del suo avversario, il quale stava evitando il confronto, mascherando le emozioni dietro alla sua divisa.  
«Tra noi due, non sono io quello in difficoltà»  
Jari provò profonda indignazione.
«Non avrei dovuto accettare di incontrarti!»
Verner mantenne lo sguardo fisso su di lui.
«Eppure sei ancora qui»
Il giovane non poté mettere in discussione la realtà dei fatti. Finalmente trovò il coraggio di affrontare direttamente il suo interlocutore.
«Ho saputo che hai chiesto di me. Per quale motivo?»
«Volevo conoscere meglio il tenente Koskinen» rispose Verner con evidente sarcasmo.
Egli ignorò la sua provocazione.
«Questa divisa non mi ha cambiato» affermò con decisione.
Verner sbuffò: «il ragazzo che conoscevo è morto il giorno in cui ha deciso di andarsene»
Jari lo guardò con rammarico. Quel soldato stremato dalla fame e dalla fatica appariva come un estraneo ai suoi occhi.
«Nemmeno io ti riconosco più» fu la dolorosa sentenza.
I due restarono qualche istante in silenzio, continuando a scrutarsi con diffidenza.
Jari ripensò al loro ultimo incontro, avvenuto ormai tre anni prima. Non poteva credere che il suo caro amico d’infanzia, il giovane di cui si era innamorato, fosse diventato un criminale.
Sapeva bene che Verner era sempre stato un ragazzo impulsivo, ma di certo non era uno sprovveduto. Era sicuro che, qualunque fosse il motivo che l’aveva convinto a supportare la causa comunista, egli fosse stato animato da buone intenzioni, almeno all’inizio. Ma ormai non poteva avere più alcuna certezza. L’uomo legato a quella sedia non era più lo stesso dei suoi ricordi.
«Devo ammettere una cosa, sono contento che debba essere tu a farlo» rivelò Verner.
Il tenente fu scosso da un brivido.
«Dunque è il tuo modo di punirmi? È per questo che mi hai voluto incontrare?»
L’altro scosse la testa.
«No, sto dicendo sul serio»
L’ufficiale distolse lo sguardo: «stiamo entrambi pagando le conseguenze delle nostre scelte»
«In ogni caso questa condanna sarà meno dolorosa del tuo tradimento»
Jari avvertì un stretta al petto.
«Non credere che per me sia stato semplice affrontare tutto questo» disse in sua difesa.
Verner fu onesto nei suoi confronti.
«Ho sentito tante storie sulla guerra mentre eri al fronte. Anche se non avevo alcuna intenzione di perdonarti, ho davvero temuto per la tua vita. Quando ho saputo che eri vivo e che saresti tornato in Finlandia una parte di me ha sperato per il meglio. Ma ti conoscevo troppo bene per illudermi che avresti abbandonato la tua causa. D’altra parte, nemmeno io ero disposto a cedere»
Jari cercò di comprendere le sue motivazioni.
«Che cosa speravi di ottenere unendoti ai ribelli?»
«Giustizia per il popolo finlandese, per la mia famiglia, per Hjalmar…e anche per mio padre»
Jari si commosse nel sentire quella confessione. Conosceva bene la storia di Aaro, ma soprattutto sapeva quanto Verner avesse sofferto per la perdita del genitore. Inoltre era ben conscio del profondo legame che univa i due fratelli, era certo che Verner avrebbe fatto di tutto per proteggere quel ragazzino. Poteva capire perché fosse così importante per lui portare avanti quella battaglia, anche se questo non giustificava le sue azioni.
«Sei sempre stato disposto a lottare per ciò che amavi, questo non mi sorprende»
Verner si rattristò nel realizzare che la sua unica rinuncia era stato proprio Jari.
«Anche Hjalmar è coinvolto in questa guerra?» domandò l’ufficiale con sincera apprensione.
Quella volta fu Verner a mostrarsi vulnerabile al pensiero del fratello scomparso.
«Non sono riuscito a dissuaderlo dal prendere parte ai combattimenti. Non ho più avuto sue notizie dalla sua partenza da Tampere, prima della battaglia»
«L’importante è che abbia lasciato la città prima dei bombardamenti»
«In ogni caso non ha molte speranze di salvezza se dovesse essere arrestato»
Jari tentò di rassicurarlo: «noi non giustiziamo i ragazzini»
Verner ripensò a quel che era accaduto a Leena.
«Davvero? Però a Varkaus non avete esitato a uccidere e torturare degli innocenti!»
Il tenente mantenne la distanza da quell’episodio: «non posso che condannare simili orrori, adesso però la situazione è cambiata»
Verner non credette a quelle parole, ma si fidò dell’innocenza di Jari. Per quanto le cose fossero cambiate, non avrebbe mai dubitato della sua integrità. Poteva notarlo anche in quella situazione. Nonostante tutto, Jari era un buon ufficiale.
«E tu invece? Hai trovato quel che stavi cercando in Germania?» chiese al termine di quelle riflessioni.
Il giovane rispose con sincerità.
«Non sono pentito delle mie scelte. È stata una decisione difficile e dolorosa, ma sono ancora convinto di aver fatto quel che era giusto. I tedeschi hanno rispettato gli accordi, dunque i nostri sforzi non sono stati vani»
«Suppongo che tu abbia trovato la tua strada nell’esercito» ipotizzò Verner riferendosi ai gradi sulla sua uniforme.
«Ho sempre svolto il mio dovere»
«Su questo non ho dubbi. Ma la vera domanda è un’altra, è quello che volevi davvero?»
Jari ripensò al periodo trascorso al campo di Lockstedt, alla sua esperienza in prima linea. La lontananza da casa, gli orrori della guerra, la sofferenza fisica e il dolore per i compagni perduti.
Aveva sopportato tutto questo per la causa.
«Desideravo soltanto una Finlandia libera e indipendente»
«La realtà però è ben diversa dai bei discorsi» ammise Verner.
«Già…l’ho capito nel fango delle trincee. D’altra parte, non si può ottenere nulla senza sacrificio»
«Su questo siamo d’accordo»
Per un momento, Jari riconobbe qualcosa di familiare nell’espressione di Verner. La luce nei suoi occhi, l’accenno di un sorriso…quei piccoli particolari furono sufficienti per riportare alla sua mente lieti ricordi. Ripensò alle sensazioni provate in passato, a come si era sentito al sicuro nel suo caldo abbraccio, a quanto amasse la sua risata, a come fossero dolci e passionali i suoi baci.
Non si era mai più sentito in quel modo, nemmeno con Winkler. Aveva cercato in lui quel che aveva perso lasciando Verner, soltanto recentemente si era accorto che non avrebbe mai potuto sostituirlo.
Forse aveva preteso troppo da Bernhard, si era illuso sul loro rapporto. Si era lasciato coinvolgere fin troppo dai sentimenti, finendo per confondere la profonda ammirazione per il tedesco con l’amore.
Era rimasto affascinato da Winkler a causa della sua innegabile influenza, ma in lui non aveva trovato niente di più che un buon mentore e un fedele amico. L’attrazione tra loro era sfociata in una relazione intensa e passionale, ma che come una fiammata, era bruciata rapidamente per estinguersi completamente nelle gelide terre finlandesi.
Per qualche strana ragione, Jari si sentì in colpa per aver cercato l’affetto di un altro uomo. Non aveva motivo per sentirsi ancora legato a Verner, soprattutto dopo quello che era accaduto. Eppure, a distanza di anni, provava ancora qualcosa per lui.
Jari avvertì gli occhi umidi, quello era il momento peggiore per ammettere certe verità.
«Mi ero sbagliato» disse con voce tremante.
Verner si incuriosì: «riguardo a che cosa?»
«Alla nostra separazione. Credevo che sarei riuscito ad affrontare da solo il mio destino, ma…così non è stato»
«Hai ottenuto quel che volevi»
Jari si prese la testa tra le mani: «quando sono partito per la guerra non ambivo a diventare ufficiale, di certo non immaginavo che avrei dovuto combattere contro altri finlandesi...»
Verner rimase impassibile.
«Io invece sapevo già tutto quando mi sono unito alle Guardie Rosse. Ho partecipato a missioni il cui scopo era uccidere altri miei connazionali. Ero consapevole che prima o poi avrei puntato il mio fucile contro di te» ammise freddamente.
Il tenente rimase sconvolto: «e hai comunque scelto di combattere?»
Egli annuì: «mi dispiace»
Jari si ritrasse sulla sedia. Se fino a poco prima si era lasciato sopraffare da malinconici ricordi, dopo quell’amara confessione fu costretto a tornare alla dura realtà.
«Credevo che fossi un uomo diverso»
«Che cosa pensavi? Che sarei rimasto qui ad aspettarti dopo tutto quello che avevi fatto? Certo, anche io avrei voluto che le cose andassero diversamente, ma così non è stato…»
Quelle parole colpirono Jari come lame affilate.
«Avresti dovuto fidarti di me»
«Come avrei potuto farlo? Sei stato tu il primo a infrangere la nostra promessa!»
Jari notò la delusione nello sguardo del suo vecchio compagno. Ricordava perfettamente il giorno in cui aveva promesso a Verner di restare per sempre al suo fianco. Al tempo erano soltanto due ragazzini, il suo intento era quello di rassicurare il compagno malato, non aveva esitato nemmeno un istante a offrire il suo sincero supporto. Qualche anno dopo, quando era stato costretto a partire per Helsinki, non aveva esitato a ribadire il suo impegno.   
Le accuse di Verner, per quanto terribili, erano vere. Era stato lui a rovinare il loro rapporto, decidendo di venir meno a quella promessa. Nel suo cuore però non aveva dimenticato l’importanza di quel legame.
«Vorrei restare al tuo fianco anche adesso, ma sai che non posso»
«Certo, tenente. Adesso hai altre promesse da mantenere»
Jari tentò di restare obiettivo: «sono un ufficiale della Guardie Bianche e tu hai scelto di schierarti con i Rossi. Non posso fare altro che il mio dovere»
«Sai, è strano…prima del mio arresto ero un soldato Rosso e nel mio mirino avevo un ufficiale Bianco. Se avessi premuto il grilletto, adesso sarei libero»
Jari sgranò gli occhi di fronte a quella rivelazione.
«Hai scelto volutamente di risparmiarmi?»
«Forse è la verità, oppure sto solo cercando un modo per avere la tua compassione»
L’ufficiale non aveva dubbi.
«Non sei mai stato un codardo e so che non mi hai mentito»
Verner non fu sorpreso, si conoscevano troppo bene per poter avere segreti.
«Ricordi il nostro ultimo incontro?»
Jari confermò.
«Come avrei potuto dimenticare il nostro addio?»
Verner dovette ricorrere a tutta la sua forza di volontà per mantenere un certo distacco.
«Quella notte non ero certo di quel che provavo nei tuoi confronti. Ero arrabbiato con te, ti consideravo un traditore e non riuscivo ad accettare il tuo abbandono. Eppure, sapevo che non avrei mai potuto odiarti. Il fatto che non sia riuscito a premere il grilletto prova che avevo ragione»
Jari era ormai al limite della disperazione.
«Come puoi pensare che io sia disposto a condannarti?»
«L’hai detto tu stesso: è il tuo dovere»
«Verner…io…»
Jari non poté terminare la frase, poiché fu interrotto da insistenti battiti alla porta.
«Signor tenente, mi spiace interromperla, ma è importante!»
L’ufficiale tentò di fare del suo meglio per tornare in sé. Quando la staffetta entrò nel rifugio ebbe l’impressione che egli fosse soltanto stanco e intirizzito dal gelo.
«Che cosa succede?» domandò Jari.
Il soldato diede un’occhiata al prigioniero, ma il tenente gli ordinò di parlare anche in sua presenza.
«Un messaggio da parte del capitano Keränen, è davvero urgente»
Jari intuì che il suo superiore avesse davvero interesse a recapitare quel messaggio se aveva spedito uno dei suoi uomini a sfidare la tempesta.
Il tenente indicò al giovane la strada per raggiungere la baracca dove riposavano gli altri soldati, almeno avrebbe potuto scaldarsi e riposare.
Jari fu costretto a lasciare Verner senza poter concludere la loro conversazione, a quel punto la sua particolare attenzione per il prigioniero avrebbe potuto destare sospetti.
Si scambiarono solo un ultimo sguardo, Jari era preoccupato e spaventato, mentre Verner sembrava ormai rassegnato al proprio destino.
 
***

Jari lesse il messaggio del capitano Keränen soltanto dopo essere tornato nel suo alloggio.
Era sconvolto dal suo incontro con Verner. Gli sembrava di star vivendo un terribile incubo, ma quella era la realtà, non poteva semplicemente svegliarsi e far scomparire i suoi tormenti.
Con le mani tremanti aprì il foglio sul quale erano state scritte solo poche righe.
 
Per ordine diretto del Generale Mannerheim, a tutti i comandanti in carica.
Al fine di facilitare le operazioni e non rallentare l’avanzata in territorio nemico, le Guardie Bianche dovranno attenersi alla seguente procedura:
NIENTE PRIGIONIERI

 
Jari ebbe la sensazione di aver appena letto la sua condanna a morte. Non aveva alternative, o condannare Verner per obbedire agli ordini o essere giustiziato per insubordinazione.
Il giovane ufficiale aveva ben chiara la situazione, ma non era nelle condizioni per poter agire razionalmente.
Aveva perso la ragione, improvvisamente, non gli importava più della guerra. Avrebbero potuto arrestarlo, processarlo e condannarlo, avrebbe affrontato il plotone d’esecuzione senza rimpianti. Ma non potevano pretendere questo. Non potevano ordinargli di uccidere il giovane che non solo era stato il suo migliore amico, ma anche il suo unico vero amore.
Jari riprese a camminare avanti e indietro sulle assi scricchiolanti. No, non avrebbe mai ordinato l’omicidio di Verner. Era un Rosso, un criminale…ma non sarebbe morto per mano sua.
La bufera infervorava fuori dal rifugio, il vento ululava come un lupo nella notte.
Jari era disperato, nella sua mente continuava a ricordare ciò che Verner gli aveva confessato prima della sua partenza per la Germania.
Non sono disposto a perdonarti, ma non potrò mai smettere di amarti.
Il giovane rimase a lungo immobile al centro della stanza, poi, come se si fosse risvegliato da una sorta di allucinazione, estrasse la sua pistola, forse c’era un modo per mettere fine a quel dilemma straziante.

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Capitolo 37
*** Un futuro incerto ***


 
XXXVII. Un futuro incerto
 

Winkler osservò la lunga colonna di mezzi e soldati in lontananza, lentamente le forze tedesche stavano abbandonando la capitale. L’ufficiale provò intensa malinconia nel vedere le bandiere imperiali sventolare all’orizzonte.
«Sembra che la guerra sia destinata a concludersi» commentò il maggiore Stein.
Bernhard confermò: «presto potremo dichiarare la vittoria»
L’altro non espresse particolare entusiasmo.
«Temo che per noi non ci sarà tempo per festeggiare»
Winkler notò un velo di tristezza nello sguardo del suo commilitone.
«Si tratta della guerra in Europa?»
Il maggiore confermò.
«Stiamo ancora combattendo sul fronte occidentale»
Bernhard ripensò alla sua esperienza in prima linea.
«Com’è la situazione laggiù?»  
Reinhard tentò di fare del suo meglio per nascondere ogni turbamento.
«Nonostante tutto, non siamo disposti ad arrenderci»
Winkler si interrogò sul destino della Germania, dopo quattro lunghi anni di guerra, tutto ciò che restava era la speranza.
Il maggiore Stein si accese una sigaretta per distrarsi da più cupi pensieri.
«E lei? Che cosa ha intenzione di fare adesso?»
Bernhard si ritrovò impreparato a rispondere a una simile domanda.
«A dire il vero non ho ancora preso alcuna decisione» ammise.
Reinhard mostrò un mezzo sorriso.
«Non deve essere male la Finlandia in tempo di pace»
Winkler rifiutò l’idea di tornare a indossare i suoi abiti civili.
«In ogni caso non ho intenzione di abbandonare l’esercito» affermò. 
Il maggiore poté comprendere le sue motivazioni.
«Certamente, ha dimostrato di essere un’ottima risorsa sul campo…eppure c’è ancora una cosa che non riesco a capire della sua persona»
Bernhard parve perplesso.
«Di che si tratta?»
«Lei considera la guerra come un mercenario?»
«No, affatto. Combatto in nome di valori e ideali, non per denaro»
«Allora perché indossare una divisa tedesca al fine di sostenere la causa finlandese?»
Winkler sospirò.
«È una questione complicata»
«So che ha cambiato bandiera per portare avanti la causa dell’indipendenza. Una scelta azzardata, ma devo ammettere di ammirare la sua devozione»
«Ho sempre sostenuto questa alleanza»
«Ha ottenuto quel che voleva, il sostegno militare della Germania per conquistare l’indipendenza della Finlandia»
Winkler sapeva di aver raggiunto il suo obiettivo, eppure non riusciva a provare piena soddisfazione. Avvertiva ancora qualcosa di irrisolto, dentro di sé avvertiva che con l’indipendenza della Finlandia non avrebbe trovato pace.
Reinhard percepì la sua inquietudine.  
«Che cosa la turba così profondamente?»
Bernhard fu sorpreso da quella domanda.
«La mia identità. Sono sempre stato uno straniero qui, in passato mi sono solo illuso di poter diventare un vero finlandese»
«Dopo tutto quello che ha fatto per questa nazione non dovrebbe più avere dubbi a riguardo»
Winkler scosse il capo.
«Non è così semplice»
Reinhard lo rassicurò: «ha combattuto due guerre per liberare il popolo finlandese dall’egemonia russa, lei è un eroe per questa gente»
«Ho soltanto adempito al mio dovere»
«L’importante è che sia riuscito a conquistare la fiducia dei suoi connazionali»
Winkler si insospettì.
«Di che sta parlando?»
«La Germania potrebbe aver ancora bisogno di lei come rappresentante e sostenitore dell’Impero»
«La mia carriera politica è terminata ormai da tempo»
Il maggiore Stein rimase impassibile: «le ricordo che ha degli accordi da rispettare»
Il giovane rimase in silenzio, trattenendosi dall’obiettare.
«Non tutte le guerre sono combattute sul campo di battaglia, ma questo lei lo sa già molto bene, non è così?»
Bernhard si limitò ad annuire.
«Si goda la vittoria, capitano. Quando la guerra sarà finita la sua missione avrà inizio»  
 
Dopo il tramonto la città fu avvolta dall’oscurità e dal silenzio. Le macerie di Helsinki al chiaro di luna avevano un aspetto ancor più triste e inquietante.
Winkler si ritrovò a vagare senza meta per i vicoli deserti. Nella sua mente continuava a ripensare alla conversazione avuta con il maggiore Stein. Era consapevole che l’alleanza con la Germania non si sarebbe conclusa con quella guerra, egli era sempre disposto a rispettare gli accordi e compiere il proprio dovere, ma quella volta era diverso.
Fino a quel momento era sempre stato solo un intermediario. L’Organizzazione gli aveva assegnato quel compito, il suo scopo era trovare un accordo equo per entrambe le parti.
Servire la Germania e combattere per la Finlandia era soltanto un’illusione. Non poteva restare fedele a due Patrie, non senza accettare l’idea di non essere imparziale. 
In quel momento Bernhard ripensò al dialogo avuto con il maggiore Bayer durante il viaggio per Berlino. L’ufficiale tedesco non l’aveva mai considerato come un finlandese, non si era mai posto il dubbio che egli avrebbe potuto rifiutarsi di servire ciecamente la Germania.
Lo stesso era accaduto poche ore prima in presenza di Stein.
Winkler era convinto di aver trovato la sua identità nell’esercito imperiale ed era disposto a tornare a combattere per la Germania, ma non aveva intenzione di limitare la sua carriera alla politica.
Era evidente che l’Impero volesse mantenere il controllo sulla Finlandia anche dopo la sua indipendenza. Bernhard non voleva tradire i suoi vecchi compagni.
Quegli uomini avevano combattuto per ottenere la libertà, non poteva illuderli con false promesse.
In passato Winkler non era stato un esempio di lealtà, per raggiungere i suoi obiettivi era stato costretto a scendere a compressi con la sua moralità. Aveva sempre sostenuto che tutto fosse necessario per la causa, dal suo punto di vista non aveva mai tradito i suoi ideali.
Le cose erano cambiate, a quel punto non poteva più sapere cosa fosse meglio per la Finlandia.
Sapeva però per cosa stesse ancora combattendo la Germania.
Winkler era perso in questi ragionamenti quando la sua mano scivolò nella tasca della giubba. Il giovane si stupì nel trovare la lettera di Jari. Aveva deciso di non scrivergli più, era giusto così.
Era consapevole che, se avesse tentato di riavvicinarsi a lui, sarebbe stato solo l’ennesimo errore. Ogni volta che aveva tentato di non lasciarsi coinvolgere con Jari, non era mai riuscito a resistere alla tentazione.
Per questo non vedeva altra soluzione. Non voleva illuderlo. Per lui quella relazione era nata come una distrazione, i sentimenti avevano complicato tutto, soprattutto perché sapeva che ciò non sarebbe durato.
Ovviamente faticava a distaccarsi da quel giovane, a modo suo si era affezionato a lui, dentro di sé però sentiva che rompere quel legame fosse meglio per entrambi.
Tentare di dare spiegazioni o giustificare le sue scelte non sarebbe servito, avrebbe solo reso il loro addio ancor più difficile.
Bernhard rimase ad osservare i bagliori argentei della luna riflessa nell’acqua con sguardo malinconico. Probabilmente era vero: era troppo egoista per saper amare.
 
***

La cantina era fredda e buia. Evert poteva udire i passi e le voci dei soldati sopra di lui. A volte sentiva la musica di un pianoforte, i bianchi stavano ancora festeggiando, dopo la conquista di Helsinki erano certi della vittoria.  
«Fa freddo qui sotto…oggi non ci hanno ancora portato niente da mangiare…» si lamentò Aimo, il compagno con cui condivideva la cella improvvisata.  
«Abbiamo sopportato anche condizioni peggiori» replicò. 
L’altro prigioniero assunse un’espressione preoccupata.
«Che cosa succederà?»
Evert scosse le spalle: «non lo so»
«Credi che ci uccideranno?»
Il giovane evitò di incrociare il suo sguardo.
«Se avessero voluto ucciderci, probabilmente l’avrebbero già fatto» sentenziò.
Aimo si nascose il viso tra le mani, abbandonandosi allo sconforto.
Evert rimase immobile nell’oscurità, il silenzio era interrotto da lamenti e singhiozzi.
«Adesso basta! Disperarsi non servirà a niente» l’ammonì con tono severo.
Aimo si asciugò le lacrime.
«Mi dispiace, ma non si tratta solo di me. Non posso evitare di pensare alla mia famiglia»
«I tuoi cari sono al sicuro?»
Egli annuì.
«Allora non devi preoccuparti»
«Se dovesse accadermi qualcosa, chi si occuperà di loro?»
«Non devi pensare al peggio»
«La mia bambina ha solo cinque anni, è la ragione per cui ho scelto di unirmi ai rossi. Non volevo che anche lei dovesse soffrire la fame»
Evert non si lasciò commuovere dalla sua storia.
«Tornerai presto dalla tua famiglia»
Aimo non credette a quelle parole, ma apprezzò la comprensione del suo compagno.
«Tu non hai nessuno?» chiese con discrezione.
Il ragazzo fu tentato di mentire, ma dopo le confidenze di quell’uomo ritenne di dovergli la verità.
«Mia sorella ha sposato uno jäger, non ho sue notizie da molto tempo»
«Mi dispiace»
Evert ignorò quel commento, non aveva bisogno di commiserazione.
Aimo fu colpito dalla sua freddezza. 
«Sei ancora convinto di aver fatto la scelta giusta? Insomma, dopo tutto quello che è successo…»
«Non ho alcun rimpianto»
«Dunque saresti pronto a morire con la convinzione di aver combattuto per la giusta causa?»
Evert poggiò la schiena alla parete umida.
«Non ho alcuna certezza, so soltanto di aver fatto quel che ritenevo giusto. Sono disposto a pagare le conseguenze delle mie azioni»
Aimo era sempre più spaventato.
«Davvero non provi nulla in questo momento? Come puoi essere così indifferente al tuo destino?»
Il giovane continuò a fissare l’oscurità, il suo sguardo rimase vacuo e spento.
«C’era un ragazzo nella mia squadra, non conoscevo il suo nome, gli altri lo chiamavano semplicemente Poika. Aveva soltanto sedici anni, ai nostri occhi era ancora un bambino. A stento riusciva a sostenere il peso del fucile, eppure era il più coraggioso di tutti. È morto tra le mie braccia, probabilmente senza nemmeno sapere perché stava combattendo questa guerra…»
Aimo ascoltò quelle parole con sincera commozione.
Evert non lasciò trasparire alcuna emozione.
«In tutto questo tempo ho sofferto per i miei commilitoni e per i miei cari, ma ora che tutto è finito non sento più nulla»
«Suppongo che anche questo sia un metodo di difesa per evitare di essere sopraffatto dal dolore» azzardò.
Il ragazzo scosse la testa: «in questo momento vorrei davvero sentire qualcosa, qualsiasi cosa. Ma non posso fare niente per aiutare Marja, non posso più sostenere i miei ideali senza speranza…non ho nemmeno provato odio nei confronti del Bianco che mi ha arrestato»
Aimo fu sorpreso da quella confessione: «forse sei solo stanco della guerra»
Evert rimase in silenzio, il dolore alla gamba era sempre più intenso, in quel momento avrebbe solo voluto restare solo con i suoi pensieri.
«Davvero hai perso ogni speranza?»
«Non c’è nulla in cui credere adesso»
Aimo continuava a non capire.
«Io voglio credere di poter tornare a casa, sarei già impazzito senza questa speranza»
Evert sospirò, pensò che quell’uomo fosse soltanto un povero illuso. Stava per voltargli le spalle per provare a riposare un po’, ma lui si avvicinò ulteriormente.
«Devo sembrarti davvero patetico, non è così?»
Il ragazzo scosse la testa.
«No. È solo che non ti capisco, ma non importa»
Aimo avvertì le mani tremanti.
«Ho paura, non voglio morire. Non adesso»
«Non devi pensare a questo»
«Perché no? L’hai detto tu, il resto sono solo illusioni…»
Evert fu colto da una risata nervosa.
«Non sei tenuto ad ascoltare tutto quel che dico. Perché dovrei saperne più di te?»
«Sei così convinto di quel che dici…»
«Potrei essermi sbagliato. Forse sto solo delirando per la febbre»
Aimo non era convinto, ma in ogni caso tentò di fare come gli era stato detto.
«La mia famiglia vive a Tammisto, non è molto lontano da qui»
Evert socchiuse gli occhi, nella speranza di riuscire a riposare un po’.
«Mia moglie si chiama Ada Malin, mia figlia Nina. Si assomigliano molto, sono entrambe molto belle, con i capelli biondi e gli occhi azzurri»
L’altro sollevò leggermente le palpebre.
«Perché mi stai raccontando tutto questo?»
«Perché voglio che qualcun altro, oltre a me, si ricordi di loro»
Evert stava iniziando a spazientirsi, non ne poteva più di sentire i piagnistei del suo compagno. Allo stesso tempo però provò una certa invidia nei suoi confronti. Si domandò cosa si provasse ad amare qualcuno così intensamente. Il suo cuore non sarebbe stato così freddo e vuoto, se avesse avuto qualcuno a scaldarlo.
Evert era sul punto di addormentarsi quando udì dei passi sulle scale. La musica si era quietata, la festa era finita.
Un sottufficiale e tre soldati scesero in cantina, la luce delle torce abbagliò entrambi i prigionieri.
«Dannazione, non ci hanno lasciato nemmeno una notte di riposo!» si lamentò uno jäger alto e smilzo.
«Già, ma quando la guerra sarà finita festeggeremo alla grande!» rispose il suo compagno.
Entrambi erano abbastanza ubriachi da barcollare nella penombra.
«Zitti! Abbiamo degli ordini da eseguire!» li ammonì il sottotenente.
I soldati si ricomposero per quanto fosse nelle loro capacità.
Senza esitare il sottufficiale aprì la cella e ordinò ai suoi uomini di occuparsi dei prigionieri.
Evert non oppose resistenza, era troppo debole anche solo per reggersi in piedi, dovette sostenersi ai due uomini che lo sorreggevano per le spalle.
Era ormai certo che fosse giunto il suo momento, sapeva bene quale fosse l’ordine che dovevano eseguire: giustiziare i prigionieri.
Pur con questa consapevolezza, riuscì comunque a rassicurare Aimo con poche frasi sussurrate. Non aveva il diritto di privare quell’uomo della sua ultima speranza.
Uscirono in strada sotto alla pioggia, altri prigionieri attendevano inermi il loro destino. Meccanicamente i soldati iniziarono a dividere i Rossi per caricarli sulle due camionette.
Ci stanno portando fuori dalla città, forse abbandoneranno i nostri cadaveri nel bosco, oppure saremo scaricati in un fosso in campagna. Se potessi scegliere, vorrei essere gettato in mare.
Evert fu distolto da quei pensieri quando non percepì più la presenza alle sue spalle. Istintivamente si voltò, Aimo gli rivolse un ultimo sguardo prima di scomparire sull’altra vettura.
Evert obbedì agli ordini dei bianchi, sperò che il viaggio fosse breve per non prolungare quell’agonia.
Quando avvertì il rombo dei motori era ormai pronto ad accettare la sua sorte, ma al primo incrocio percepì qualcosa di inaspettato, le due camionette avevano preso strade diverse.
 
 
***

Il sentiero proseguiva nella foresta, l’intricato labirinto di betulle sembrava estendersi all’infinito. Il percorso era diventato troppo stretto e pericoloso per proseguire con la slitta, così avevano dovuto continuare a piedi lungo l’ultimo tratto.
Frans alzò lo sguardo, oltre le ombre allungate dei rami intravide gli ultimi bagliori del giorno. Ad un tratto interruppe la marcia, restò immobile con gli stivali impiantati nel fango, alle sue spalle avvertì i passi cauti e leggeri di Leena, la quale continuava a mantenere una debita distanza da lui.
Si voltò lentamente, rivolgendole la parola quando fu abbastanza vicina.
«Potresti spararmi adesso» disse con estrema freddezza.
Leena ebbe un lieve sussulto.
«Mi chiedevo quando avresti deciso di utilizzare la tua pistola, questo mi sembra un momento adatto»
Lei non fu sorpresa, sapeva di non poter nascondere a lungo la presenza dell’arma. Dato che non era più necessario nasconderla, estrasse la pistola, lasciandola puntata a terra.
«Un buon soldato avrebbe perquisito un civile»
Frans ammise il suo errore: «se avessi voluto, avresti avuto l’occasione di uccidermi. Ma credo che ora non sia più tua intenzione liberarti di me»
«L’unica ragione per cui ho scelto di venire con te è per trovare Hjalmar»
Frans mosse un altro passo nella sua direzione.
«Chi sei in realtà?»
La ragazza sostenne il suo sguardo.
«Ormai non ha più importanza»
Frans era ormai al limite dell’esasperazione.
«Oh, maledizione! Che cosa vorresti che facessi? Dovrei lottare per disarmarti e puntarti contro il mio fucile per costringerti a dirmi la verità?» urlò.
Leena non esitò a sfidarlo.  
«Non avresti il coraggio di farlo»
Frans prese un profondo respiro: «non è una questione di coraggio. Non potrei mai farti del male, non sono quel tipo di uomo. Sono un soldato che rispetta le sue promesse»
«Mi dispiace, ma non sono quel tipo di donna che crede alle promesse degli sconosciuti»
Lo jäger allontanò da sé il fucile. 
«Non so più che fare per convincerti a fidarti di me»
«Ti ho già rivelato più di quanto dovresti sapere»
«Non vuoi mettere in pericolo il ragazzo, questo lo comprendo. Ma il tuo silenzio non farà altro che complicare le nostre ricerche»
«Non sei stupido, hai già capito di che si tratta»
Frans mostrò un mezzo sorriso: «suppongo che da te non riceverò un complimento migliore di questo. In ogni caso, voglio che sia tu a dirmi la verità»
Leena avvertì le mani tremanti, il dito si era spostato dal grilletto.
«Non ho niente da confessare»
Frans si arrese ancora una volta.
«D’accordo, abbiamo perso anche troppo tempo con questo giochetto. Posso ancora aiutarti, ma devi darmi quella pistola»
Leena esitò, per un istante fu tentata di rifiutare, ma fu costretta ad ammettere che il soldato aveva ragione. L’intera area era occupata dai Bianchi, se avessero incontrato un posto di blocco, sarebbe stato difficile giustificare la presenza di quell’arma.
Così si convinse a consegnare la pistola nelle mani esperte del soldato.
«Se fosse stato necessario non avrei esitato a premere il grilletto» puntualizzò.
«Non ho dubbi a riguardo. Ma per farmi del male non hai avuto bisogno del piombo dei proiettili»
Leena fu colpita da quelle parole.
Frans nascose l’arma all’interno della giubba, poi si allontanò senza dire altro.
La ragazza provò l’istinto di fermarlo, ma alla fine si limitò a seguirlo in silenzio. 

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Capitolo 38
*** La scelta ***


 
XXXVIII. La scelta  
 

Le assi del tetto scricchiolavano sotto al peso della neve, il ghiaccio iniziava a sciogliersi lentamente.
Il fuoco continuava a scoppiettare nel camino, il vento aveva smesso di ululare nella foresta.
Smirnov rimase inerme ad osservare il suo compagno mentre si preparava all’imminente partenza. La tempesta si era placata, ma sarebbe stato impossibile prevedere quanto tempo restasse a disposizione. In ogni caso, era necessario correre il rischio.
«Sono cambiate molte cose, adesso in Russia c’è la guerra»
Aleks sbuffò: «lo so, per questo voglio raggiungere la mia famiglia prima che sia troppo tardi»
L’ufficiale lo squadrò con aria severa.  
«E poi che cosa farai? Quelli come te non restano fermi a lungo. Presto tornerai a frequentare i tuoi amici anarchici, che ora stanno combattendo a fianco dei Rossi. Dannazione, ti vedo già con l’uniforme bolscevica cucita addosso!»
Aleks non riuscì a trattenere la sua frustrazione.
«Che diamine stai dicendo? Tu non mi conosci! E non mi importa che cosa pensi di me!»
Il tenente sospirò con rassegnazione.
«Ho imparato a conoscerti molto bene in questi mesi. Ho letto decine di rapporti sulle tue imprese passate, un sovversivo recidivo non si arrende così facilmente»
«Se davvero la pensi così avresti dovuto premere il grilletto»
L’ufficiale scosse il capo: «non ho mai avuto intenzione di ucciderti»
«Bene, e adesso quale sarebbe il tuo intento?»
«Sto cercando di aiutarti, ma se non vuoi ascoltarmi non importa. Quando uscirai da qui sarà come se non ci fossimo mai incontrati»
Egli rimase sospettoso.
«In che modo potresti aiutarmi?»  
«Ricordandoti quanto mi sia costato offrirti una seconda possibilità»
Aleks percepì una stretta al petto nell’udire quelle parole.
«Se la tua famiglia è davvero così importante per te, allora dovrai rinunciare per sempre ai tuoi ideali»
«Stai insinuando che non sia in grado di occuparmi di mia moglie e mio figlio?»
Smirnov scosse le spalle.
«Non lo so. Ma i miei ideali sono il motivo per cui non mi sono mai sposato. Credimi, noi due non siamo poi così diversi. Se mi sto permettendo di criticarti, è perché so di cosa sto parlando»
«Se fossi un cieco idealista non avrei mai abbandonato questa battaglia, non avrei rischiato la vita per tornare a casa»
«Questo è vero. Adesso ti senti in colpa per il tempo perduto, tuo figlio sta crescendo senza di te. Forse potrai abituarti al ruolo di padre di famiglia, ma quando ti sarà offerta una nuova possibilità di tornare a combattere avvertirai ancora la chiamata alle armi»
«Non sono un militare, a differenza tua non sono assuefatto alla battaglia»
«Però non hai mai rinunciato a combattere»
Aleks non poté contraddirlo, ma quella volta sentiva qualcosa di diverso.
«Sono stato costretto ad abbandonare la donna che amavo, so che lei ha sofferto molto a causa mia. Non potrei mai causarle altro dolore»
«Quando sei partito le altre volte non potevi avere la certezza che saresti tornato»
«Ero giovane e incosciente. Credevo di poter cambiare il mondo con le mie battaglie, non fraintendermi, non ho smesso di credere alla causa, ma non sono più un fervente rivoluzionario»
Smirnov sembrò soddisfatto da quella risposta.
«Hai altro di cui rimproverarmi?»
Il tenente scosse il capo restando in silenzio.
 
Aleks terminò di ispezionare il suo misero bagaglio. Con un po’ di fortuna ciò sarebbe stato sufficiente a garantirgli la sopravvivenza fino al confine.  
«E tu? Che cosa farai adesso? Tornerai a difendere il tuo ultimo avamposto per morire con onore?»
Il suo compagno negò.
«Il tenente Smirnov ha combattuto la sua ultima battaglia per difendere l’Impero ed è stato sconfitto»
«Molti militari come te hanno scelto di combattere per la repubblica»
Smirnov mosse qualche passo intorno alla stanza.
«Non tornerò in Russia, se è quel che vuoi sapere»
Aleks fu sorpreso da quella notizia.
«Per quale motivo? Hai dedicato la tua vita a difendere la Patria, ed ora vuoi abbandonarla in mano al nemico?»
«Ciò in cui credevo è ormai distrutto, non si tratta soltanto dell’Impero. Certo, il giuramento e la fedeltà mantengono il loro valore, ma in fondo sento di aver adempito al mio dovere»
«Per quanto la mia opinione possa valere, ritengo che tu non abbia nulla di cui rimproverarti come ufficiale dell’Esercito imperiale»
«Avevamo l’ordine di resistere fino alla fine, ed è quello che abbiamo fatto»
«Non sei un uomo avido di gloria o potere, e sei troppo onesto per venderti a una causa che non senti altrettanto onorevole»
Smirnov annuì.
«Te l’avevo detto, in fondo non siamo così differenti»
«Riesco a comprendere il tuo dolore per ciò che hai perduto. Ma non capisco perché non voglia reagire a tutto questo. Hai avuto una seconda possibilità, non dovresti sprecare questa occasione»
«Sono un uomo morto, quale potrebbe mai essere il mio destino?»
Il giovane iniziò a stancarsi della medesima retorica.
«I morti devono restare sepolti, tu non sei un fantasma»
«Sono lo spettro di me stesso. Che cosa resta per un soldato quando non rimane più nulla per cui combattere o morire?»
Aleks rispose con voce tremante: «la pace»
Il tenente mostrò un mesto sorriso.
«Non ho mai sognato la pace, nemmeno quando ero al fronte. A dire il vero, credo di non aver mai immaginato la mia vita lontano dalla guerra»
«Eppure adesso non senti più il richiamo del campo di battaglia»
Smirnov ripensò con malinconia alle sue imprese passate, a quando era un giovane ufficiale in carriera, determinato e ambizioso a conquistarsi il suo futuro. Sogni e speranze erano stati spazzati via dal vento della rivoluzione.
«Mio fratello è morto per un Impero che non esiste più, a cosa servirebbe versare altro sangue? Onore? Rancore? Vendetta? Rivalsa? Per quanto possa apparire miserabile, non sento nulla di tutto questo»  
«La disperazione porta alla follia, non è la strada da seguire»
«Suppongo che almeno su questo tu abbia ragione»
Aleks si accontentò di quell’impacciato segno di approvazione.
«Immagino che non fosse così che avresti immaginato il tuo addio alle armi»
Smirnov non poté far altro che rassegnarsi alla triste realtà. 
«Ho visto con i miei occhi gli orrori della guerra civile, non voglio combattere un conflitto di potere. Senza i miei ideali non ho più ragioni per indossare questa divisa»
Il giovane comprese le sue motivazioni.
«Non c’è più niente per me in Russia» affermò tristemente.
Aleks si limitò ad annuire, in fondo ritenne che fosse una decisione ragionevole.
«Sono lieto di aver conosciuto il tenente Smirnov, ma devo ammettere di essere ancora più onorato nel potergli dire addio»
Lui comprese il significato di quelle parole.
Aleks recuperò la sua attrezzattura, si diresse verso la porta, ma prima di varcare la soglia si voltò un’ultima volta verso Smirnov.
«Addio, buona fortuna. Mi auguro che tu riesca a trovare un po’ di pace, ovunque decida di andare»
L’uomo ricambiò con altrettanta sincerità.
«Buon viaggio. Spero davvero che tu possa ritornare dalla tua famiglia»
 
***

Hjalmar aveva seguito le tracce delle rotaie fino a raggiungere la vecchia stazione ormai abbandonata. L’intera area era deserta, i Bianchi non si erano ancora spinti oltre la foresta. Il ragazzo si intrufolò all’interno di un capanno, l’interno era freddo e spoglio.  
Hjalmar arrancò nella penombra, si trascinò a fatica sul fondo della stanza, rannicchiandosi in un angolo nel tentativo di scaldarsi.
Il giovane si interrogò sul suo futuro. Non avrebbe potuto raggiungere da solo la Carelia, i Bianchi lo avrebbero catturato sulla strada del ritorno. Inoltre in quelle condizioni non sarebbe riuscito ad andare molto lontano.
Hjalmar ripensò a quel che era accaduto, nella sua mente rivide gli ultimi istanti del tenente Eskola.
Il suo superiore aveva scelto di proteggerlo, gli aveva permesso di fuggire decidendo di andare contro al proprio dovere di comandante. Ancora non riusciva a credere che egli fosse morto. Si sentiva in colpa per la sua sorte, forse se avesse saputo comportarsi come un vero soldato avrebbe potuto salvare la vita dei suoi compagni.
Hjalmar si strinse le gambe al petto. In quel momento non era più un soldato, desiderava dimostrare il proprio valore, invece si era comportato come un ragazzino spaventato. La guerra gli aveva mostrato la dura realtà, lui non era pronto per combattere, forse non lo sarebbe mai stato.
Voleva solo aiutare Verner e i suoi compagni, riteneva di essere abbastanza coraggioso per affrontare il suo destino, ma alla fine si era ritrovato solo vittima degli eventi.
La guerra non era un gioco, l’aveva imparato sulla propria pelle. Gli orrori e le violenze a cui aveva assistito erano impressi nei suoi occhi, non poteva più tornare indietro. La sua innocenza era persa per sempre.
Hjalmar poggiò la testa alla parete, il freddo era insopportabile. La stanchezza però iniziava a farsi sentire, lentamente le forze lo stavano abbandonando.
 
Aveva appena chiuso gli occhi quando ad un tratto avvertì dei rumori sospetti. Un ramo spezzato, la neve che scricchiolava sotto agli stivali. Dei passi si stavano avvicinando, c’era qualcuno là fuori.
Hjalmar fu paralizzato dalla paura, non aveva modo di difendersi ed era troppo debole per tentare la fuga. Intravide un’ombra dalla finestra, riconobbe subito la sagoma di un soldato. In quel momento ebbe la certezza che fosse giunta la fine, la sua fuga era terminata. La lepre era stata catturata.
 
La porta fu aperta con un colpo secco, la Guardia Bianca irruppe con il fucile puntato.
Hjalmar alzò prontamente le braccia in segno di resa.
Inaspettatamente il soldato abbassò l’arma. Dopo essersi accertato che non ci fosse nessun altro, si avvicinò lentamente, muovendosi con cautela in direzione del ragazzo. 
«Tranquillo, non ho intenzione di farti del male»
Il giovane non si fidò di quelle parole, il suo sguardo era colmo di terrore.
L’uomo sembrò riconoscere qualcosa in lui.
«Tu devi essere Hjalmar, vero? Sono qui per aiutarti»
Egli sussultò, come faceva quel Bianco a conoscere il suo nome?
Lo sconosciuto si presentò con tono calmo e pacato.
«Sono lo jäger Frans Seber e ho promesso di riportarti al sicuro, puoi fidarti di me?»
Hjalmar guardò quel giovane negli occhi, apparentemente non aveva nulla di minaccioso. Non aveva motivo di credere che egli avesse interesse nell’ingannarlo.
Quel soldato sapeva troppo su di lui. Se avesse voluto semplicemente arrestarlo, di certo non avrebbe agito in quel modo.
«So che è difficile, ma devi credermi. Sono la tua unica possibilità di salvezza»
Hjalmar esitò ancora qualche istante prima di lasciar cadere le sue ultime difese.
Frans ripose il fucile, raggiunse il giovane e si chinò al suo fianco. Il ragazzo era stremato dalla fatica e dalla fame. Tremava a causa del freddo e della febbre.
«Sei ferito?» chiese Seber con sincera apprensione. 
Lui scosse la testa.
«Coraggio, vieni con me. C’è qualcuno che sarà davvero felice di vederti»
Hjalmar si lasciò sollevare dalle forti braccia del soldato, affidandosi alla sua custodia senza più remore.
 
Leena attendeva con ansia il ritorno di Frans, almeno quella volta non si era opposta alla sua volontà. Non sarebbe stata d’aiuto in quelle condizioni, ne era consapevole. Aveva fatto tutto il possibile per rispettare la sua promessa, ma temeva che non fosse stato sufficiente. 
Fidarsi di una Guardia Bianca per salvare la vita di un compagno era stato un passo difficile, ma non aveva avuto scelta. Inizialmente era stata la paura a prevalere, si era ostinata a vedere un nemico anche quando si era ritrovata di fronte a un alleato. Aveva tentato in ogni modo di esercitare potere su di lui, era pronta a tutto, dalla seduzione al sangue. Ma lui era diverso, questo finalmente l’aveva capito.
Aveva accettato di restare sola e indifesa in sua presenza, eppure nemmeno per un istante si era sentita in pericolo.
Ed ora che aveva affidato la missione più importante nelle sue mani, sentiva di aver fatto la cosa giusta.
 
Quando la porta del capanno si aprì, il primo a comparire sulla soglia fu Hjalmar.
La ragazza gli corse incontro, le somiglianze con Verner erano ben evidenti, non aveva alcun dubbio sulla sua identità.
«Oh, Hjalmar! Sei davvero tu! Sei vivo!»
Il giovane era confuso dalla situazione, ma trovò conforto nel caloroso abbraccio della donna e nelle sue premurose attenzioni.
Osservandola più da vicino, Hjalmar riuscì a rievocare quel volto nella sua memoria.
«Aspetta…io ti conosco! Ti ho visto con mio fratello a Tampere»
Ella confermò.
«Mi chiamo Leena. È stato Verner a mandarmi qui»
Il ragazzo faticò a credere a quelle parole.
«Davvero è stato mio fratello a chiederti di trovarmi?» domandò.
Lei annuì: «ti spiegherò tutto, adesso però devi fidarti di me»
Jänis rivolse lo sguardo al soldato, il quale era rimasto fermo sulla porta.
«Non preoccuparti, anche lui è dalla nostra parte»
Hjalmar restò diffidente, ma non trovò la forza di porre ulteriori domande. Aveva trovato qualcuno in grado di aiutarlo, al momento, non aveva bisogno di sapere altro.
 
Hjalmar riposava vicino al fuoco, nel sonno il suo corpo era scosso dai brividi della febbre.
Accanto al suo giaciglio, Leena vegliava su di lui con fare dolce e protettivo.
Frans si posizionò al suo fianco, l’espressione sul suo viso era seria e pensierosa.
«Quando saremo a Ruovesi parlerò con il mio comandante e cercherò di procurarvi un posto sul prossimo treno per Helsinki. Dirò che siete civili in fuga da Tampere, così non dovreste avere problemi» affermò.
Leena fu sorpresa dalla sua iniziativa, ma non riuscì a nascondere il suo turbamento.
«Sarebbe una scelta pericolosa, saresti costretto ad esporti personalmente e a prenderti delle responsabilità»
«Non preoccuparti, i miei superiori si fideranno della parola di uno jäger»
«Saresti disposto a fare tutto questo per noi?»
Frans sospirò: «ho commesso azioni orribili in questi anni, ritengo di dover fare qualcosa di buono almeno per una volta»
Leena sembrò compatirlo.
«Hjalmar è solo un ragazzino, deve essere salvato da questa guerra»
Il giovane riportò l’attenzione su di lei. 
«E tu invece? Non desideri poter ricominciare lontano da tutto questo?»
Leena abbassò tristemente lo sguardo.
«Non ho mai creduto di avere un futuro dopo la guerra»
«Anche io pensavo lo stesso quando sono tornato dalla Germania, poi ho capito di non poter vivere per sempre nel passato»
Lei non rispose, chiudendosi nuovamente nel suo dolore.
Frans non si arrese, decise di affrontare un’ultima volta il confronto.
«Dovresti essere soddisfatta. Hai ottenuto quel che volevi da me, il mio supporto e la mia protezione»
«Non ho mai preteso nulla da te»
«Hai ragione, è stato un mio errore. Non avrei dovuto illudermi»
Leena notò sincero rammarico nelle sue parole. Improvvisamente si sentì in colpa, ora che non vedeva più alcun pericolo in quel giovane non aveva più ragioni per mantenere alta la guardia nei suoi confronti.
«Mi dispiace…mi ero sbagliata su di te. Sei davvero un uomo onesto e leale, non avrei dovuto giudicarti così severamente»
Frans rimase fedele a se stesso: «sono solo un soldato che rispetta le sue promesse»
Leena poggiò la testa sulla sua spalla, nascose il volto sul suo petto, lasciandosi andare a un pianto silenzioso e liberatorio.
Frans la strinse dolcemente a sé.
«Andrà tutto bene, te lo prometto»  
 
***

La luna era coperta dalle nubi, il vento gelido infuriava nella foresta.
Jari proseguì imperterrito lungo il sentiero, affondava gli stivali nella neve, avanzando a passo deciso. Nella mano destra stringeva la pistola carica.
L’ufficiale raggiunse il rifugio sbucando nella piccola radura.
Le due guardie erano reclute inesperte, avevano ricevuto il battesimo del fuoco a Tampere e portavano ancora i segni del trauma sui loro volti pallidi e smunti.
Entrambi scattarono sull’attenti appena riconobbero il loro superiore.
Jari si rivolse ai suoi sottoposti con tono autoritario.
«Tornate all’accampamento. La tempesta peggiorerà questa notte»
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo perplesso.
«Che succede? Volete restare qui fuori a morire congelati?» insistette il comandante.
Finalmente una sentinella prese coraggio.
«Signore, non possiamo abbandonare la nostra postazione»
«Il prigioniero non è più sotto la vostra custodia!»
«Ma…signor tenente…» tentò di protestare.
«Ti stai rifiutando di eseguire i comandi?»
«No, signore!»
Jari guardò i giovani negli occhi.  
«D’accordo. Volete la verità?»  
La risposta fu un timido cenno.
Il tenente emise un profondo respiro prima di iniziare il suo discorso.
«Il generale Mannerheim ha ordinato di uccidere tutti i prigionieri. È un crimine di guerra, un’azione non necessaria e ingiustificata. Eppure è un ordine ed è mio dovere eseguirlo. Non voglio però che il mio plotone sia coinvolto in una questione così disonorevole. Sono il vostro comandante e ho intenzione di prendermi le mie responsabilità»
Le reclute restarono impietrite davanti a quella confessione.
«Adesso che sapete il motivo per cui non voglio fare di voi degli assassini, potete semplicemente obbedire ai miei ordini?»
I soldati ebbero un istante di esitazione, poi lentamente mossero qualche passo in avanti. Mesti e a capo chino, i due iniziarono ad allontanarsi, scendendo lungo il pendio.
Jari avvertì il volto arrossato, il respiro affannato per lo sforzo. Non aveva mai dovuto imporsi così, non era solito a trattare i suoi uomini in quel modo.
Senza perdere tempo l’ufficiale entrò all’interno del rifugio, dove trovò Verner esattamente come lo aveva lasciato.
«Bentornato, tenente Koskinen»
Egli non riuscì a trovare il coraggio di guardare il suo vecchio compagno in volto, meccanicamente lo slegò dalla sedia, lasciando le corde strette alle mani.
«Dunque alla fine ti sei deciso a fare il tuo dovere»
Jari premette la canna della pistola contro la sua schiena e con forza lo spinse fuori dal capanno.
Verner non oppose resistenza, era pronto ad accettare il suo destino.
I due si inoltrarono nella foresta nell’inquietante atmosfera della notte. Nessuno osò dire nulla, il silenzio rese ancora più surreale quel momento.
Jari ordinò al prigioniero di fermarsi quando giunsero di fronte a un bivio.
«In ginocchio, a terra»
Verner obbedì.
 
 
Le due sentinelle non erano molto distanti dal rifugio. Sconvolte dalla rivelazione del loro superiore, non erano riuscite a far finta di nulla.
Il tenente Koskinen era un ufficiale onesto a leale, di questo non avevano dubbi. Il fatto che non avesse voluto coinvolgere il suo plotone in un’esecuzione illegale ne era la prova.
Entrambe le parti avevano commesso azioni riprovevoli in quella guerra, la condanna di un prigioniero non era un evento così rilevante. Il tenente Koskinen però sembrava davvero scosso dalla situazione.
«Io credo che si tratti di una questione personale» ipotizzò uno dei due.
«Che cosa intendi?» domandò l’altro.
«Be’, molti di noi hanno conti in sospeso in questa guerra. Se il tenente ha voluto occuparsi personalmente di quel criminale rosso a me non interessa»
«Si tratta di ordini del Quartier Generale»
«Certo, questa è la versione ufficiale…»
I due ragazzi stavano ancora discutendo quando alle loro spalle udirono l’eco di due spari.  
«Provenivano dal bosco»
Il suo compagno estrasse una sigaretta dal taschino e l’accese con calma.
«Possiamo considerare chiusa la questione del prigioniero» concluse voltando le spalle alla collina.

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Capitolo 39
*** Una via di salvezza ***


 
XXXIX. Una via di salvezza  
 

Il primo proiettile si conficcò nel tronco di un albero, ad altezza del suo cranio. Il secondo invece cadde nella neve, ben più distante dall’obiettivo.
Verner rimase immobile per qualche secondo, quando intuì che il terzo colpo non sarebbe arrivato, si voltò lentamente.
Jari aveva abbassato la pistola, l’espressione sul suo volto era rigida e severa.
Il prigioniero si rialzò in piedi e guardò il suo presunto avversario negli occhi. Nel suo sguardo non riconobbe né odio né rancore, soltanto profonda delusione. 
«Vattene! La tempesta sta rallentando l’avanzata delle truppe, con un po’ di fortuna puoi ancora raggiungere il confine»
Egli non si mosse.
Il tenente gli indicò la strada.
«Se proseguirai in quella direzione arriverai in Carelia, laggiù sarai al sicuro»
Il giovane esitò ancora.
«Avanti, corri! Non hai molto tempo!» lo spronò Jari.
Finalmente Verner obbedì, mosse i primi passi arrancando nella neve, per poi allontanarsi sempre più velocemente. Ai margini della radura si fermò per guardare indietro un’ultima volta, poi riprese a correre fino a svanire nella nebbia.
Jari restò a fissare il punto in cui Verner era scomparso, senza riuscire a trovare la forza di muoversi. Sapeva che non avrebbe potuto agire diversamente, per quanto fosse fedele alla sua causa, non avrebbe mai potuto eseguire quell’ordine.
Solo nella tormenta, il giovane ufficiale si abbandonò alle sue incertezze. Pur non avendo rimpianti, non poté evitare di interrogarsi sulla legittimità del suo gesto. Per la prima volta aveva scelto di disobbedire al volere dei suoi superiori. Era terribile, eppure era consapevole che Verner fosse l’unica eccezione.  
Il freddo lo riportò alla realtà, costringendolo a lasciare la foresta prima di avvertire i primi sintomi di ipotermia.
 
Il tenente Koskinen tornò all’accampamento pallido e silenzioso come un fantasma. Non interrogò le sentinelle e non si fermò a chiacchierare con i suoi compagni davanti al fuoco. Attraversò il campo a testa bassa e si diresse a immediatamente verso il suo alloggio.
Aveva solo voglia di restare da solo, a meditare su ciò che era appena accaduto. Aveva infranto il suo giuramento, aveva mentito ai suoi uomini e tradito la fiducia dei suoi commilitoni.
Un buon ufficiale avrebbe semplicemente eseguito gli ordini.
Era tormentato da questi dubbi quando all’improvviso avvertì dei battiti alla porta.
«Jari! Per favore, apri! Ho bisogno di parlarti!»  
Il tenente riconobbe la voce di Yrjö, soltanto per lui si sforzò di andare ad aprire.
«Che succede? Non puoi aspettare domani mattina?»
«No, si tratta di una questione importante!»
Jari lasciò entrare il medico e lo invitò a prendere posto al tavolo. Senza fretta recuperò due bicchieri e una bottiglia di acquavite.
Yrjö rifiutò, l’ufficiale scosse le spalle, versando nel suo bicchiere una doppia dose di liquore.
«Ho saputo dell’ordine del generale Mannerheim…» iniziò il dottore.
Jari buttò giù un lungo sorso.
«La guerra è guerra, non è così?» rispose con finta indifferenza.
«È vero che hai sollevato due reclute dal loro incarico?»
«Era mia responsabilità occuparmi del prigioniero»
Yrjö rifletté sulla questione.
«Se avessi ritenuto giusto quell’ordine avresti organizzato una regolare esecuzione»
«Che differenza fa? Una pallottola è sempre una pallottola»
Il giovane medico guardò l’amico negli occhi. Il suo sguardo era vitreo e assente, a stento riusciva a riconoscerlo.
Jari riempì nuovamente il bicchiere.
«Dimmi la verità, perché sei venuto qui? Credi che stia perdendo il senno? No, purtroppo sono pienamente conscio di quel che sto facendo»
«Non penso affatto che stia impazzendo, ritengo solo che tu abbia bisogno di parlare di quel che è successo»
Il tenente valutò la quantità di liquido rimasto nella bottiglia.
«Credimi, è meglio che nessuno sappia la verità»
Yrjö scelse di essere sincero nei suoi confronti.
«Sono preoccupato per te. Non vorrei che questa tua decisione abbia a che fare con la morte di Lauri»
Jari scosse la testa: «puoi stare tranquillo. La vendetta non ha niente a che fare con questa storia»
«Tutti noi abbiamo sofferto in questa guerra, non potrei biasimare il tuo rancore»
«Se potessi odiare il nostro nemico sarebbe tutto più semplice»
Yrjö ribatté: «l’odio non è mai utile in guerra»
«Hai ragione, ma almeno non avrei dubbi sul mio dovere»
«Il tuo lato umano non è una debolezza»
Jari dimostrò di non poter più reggere quella conversazione.
«Per favore, se davvero sei mio amico, non parlare mai più di quello che è accaduto questa notte»
Yrjö non capì, ma nel vedere l’amico ridotto in quello stato, non poté far altro che rispettare la sua volontà.
«D’accordo. In ogni caso, voglio che tu sappia che non hai alcuna colpa. Sei un buon comandante, hai sempre agito per il bene dei tuoi uomini»
L’ufficiale si prese la testa tra le mani, nella sua mente quelle erano soltanto menzogne.
Il medico si rialzò dal tavolo.
«È ora che ti lasci riposare, sono certo che domani ti sentirai meglio»
Prima di andarsene Yrjö afferrò la bottiglia di liquore.
«Questa la porto via con me, per questa notte hai già bevuto abbastanza» concluse con tono severo.
 
 
Yrjö tornò nella sua stanza con aria afflitta. La guerra era un’edera velenosa, impossibile da estirpare dall’animo di chi l’aveva combattuta.
Il medico si posizionò alla scrivania, rilesse la lettera che aveva terminato la sera prima e la strappò a metà. Prese un foglio bianco e ricominciò a scrivere.
 

Mia cara,
la fine della guerra è ormai vicina, questa è la mia unica consolazione.
È un periodo difficile per tutti noi, nell’animo portiamo ferite che non si rimargineranno solo con il tempo.
Voglio sperare che la pace possa alleviare ogni tormento, e che questi uomini ritrovino se stessi lontano dal campo di battaglia.
Mi dispiace, ma devo avvertirti che anche tuo fratello non è più lo stesso. Jari è un uomo leale e onesto, la dura realtà della guerra però ha messo a dura prova la sua integrità. Ha dovuto affrontare tante difficoltà, tra cui le responsabilità come ufficiale e la recente dipartita del nostro amico Lauri.
Per lui non sarà facile fare i conti con il passato, dovremo avere pazienza e rispettare il suo silenzio.
In quanto suo amico, tutto quel che posso fare è restare al suo fianco offrendogli supporto. Sarà lui a decidere se accettare o meno il mio aiuto.
Spero di rivederti presto, l’attesa è ormai insopportabile. Ogni notte sogno di tornare da te, ma ogni mattina mi risveglio in questo incubo.
Ti prometto che quando potrò stringerti nuovamente tra le mie braccia non ti lascerò andare mai più.

 
 
***

Verner continuò a correre con i polmoni in fiamme e il cuore che batteva all’impazzata nel petto. Le gambe cedevano per lo sforzo, gli mancava il respiro e il freddo era ormai insopportabile.
Il vento gelido gli feriva le guance, era costretto a continuare a muoversi per dare sollievo agli arti assiderati.
Al chiaro di luna era difficile orientarsi, aveva cercato di seguire le indicazioni di Jari, ma non era più certo di star proseguendo nella giusta direzione.
Finalmente giunse ai margini di un villaggio. Dopo aver ispezionato con attenzione l’intera zona trovò riparo all’interno di un vecchio fienile.
Verner tentò di fare del suo meglio per scaldarsi in quel giaciglio improvvisato. Nonostante la stanchezza, non riuscì a chiudere occhio. Ripensò a quel che era accaduto. Era pronto a morire, invece Jari gli aveva salvato la vita. Aveva scelto di concedergli la possibilità di fuggire, trascurando i suoi doveri come ufficiale delle Guardie Bianche.
Verner sapeva che per Jari non doveva essere stato semplice prendere quella decisione. Aveva dovuto andare contro ai suoi stessi ideali e disobbedire agli ordini dei suoi superiori.
Per tanto tempo aveva considerato Jari come un traditore, l’aveva incolpato per il suo abbandono. Alla fine però aveva mantenuto fede alla sua promessa, era rimasto al suo fianco, nonostante tutto.
Verner si commosse a quel pensiero, ma provò anche profondo dolore nel realizzare che Jari non avrebbe mai potuto perdonarlo per quel che aveva fatto.
 
***

Evert non poté evitare di rammentare l’ultimo desiderio che aveva espresso prima di salire sul furgone.
Se potessi scegliere vorrei essere gettato in mare.
Ora che avvertiva l’odore del sale e il moto delle onde, quella prospettiva non sembrava così lontana.
Il traghetto aveva lasciato il porto di Helsinki con a bordo una quindicina di prigionieri, le Guardie Bianche non avevano fornito alcuna spiegazione.
Evert non aveva alcun punto di riferimento, ma non ebbe bisogno di sofisticati strumenti di navigazione per individuare la meta di quel viaggio. Infatti, l’unica destinazione possibile era la fortezza di Viapori, l’isola-prigione a sud-est della capitale.  
Evert si domandò se sarebbe riuscito a raggiungere la costa. L’infezione alla gamba era peggiorata, in preda alla febbre, il giovane era quasi certo che sarebbe morto su quella barca. Allora sì che il suo cadavere sarebbe stato gettato in mare.
Un prigioniero per non cedere alla disperazione aveva iniziato a cantare a bassa voce.
Le strofe di una triste nenia furono tutto ciò che sentì prima di perdere i sensi.
 
Evert riaprì gli occhi sulla terraferma. Fu sorpreso di non trovarsi all’interno di una cella. Inizialmente pensò di essere vittima delle allucinazioni. La stanza in cui si trovava era ampia, pulita e ben illuminata. I mobili sembravano antichi e raffinati. C’era persino un quadro alla parete, un paesaggio di mare con un veliero all’orizzonte.
Evert si sollevò leggermente poggiandosi allo schienale di legno.
Ad un tratto sentì dei rumori, dei passi si stavano avvicinando, qualcuno aprì la porta.
L’uomo che varcò la soglia indossava abiti civili ed eleganti, doveva avere circa trentacinque anni, l’espressione sul suo viso era seria, ma allo stesso tempo aveva qualcosa di rassicurante.
«Lieto che si sia svegliato. Ero certo che un po’ di riposo le avrebbe fatto bene»
Evert era sempre più confuso.
«Dove sono? Chi è lei?»
«Purtroppo non sono un esperto di Storia militare, ma suppongo che questa fosse l’abitazione di un ufficiale della marina svedese prima che fosse ceduta ai russi. In ogni caso, siamo all’interno della fortezza di Viapori. Io sono il giudice Sebastian Manner, ho l’ingrato compito di decidere la sorte di tutti voi»
«È stato lei a portarmi qui?»  
«Il tenente Lehtinen voleva alloggiarla nell’infermeria delle prigioni, ma io ho preferito sistemarla in un posto più accogliente, almeno finché non si sentirà meglio. In ogni caso, non può andare da nessuna parte» 
Evert giunse subito al punto.
«Ha intenzione di condannarmi a morte?»
L’uomo rispose con onestà: «ho optato per la pena di morte soltanto in casi riguardanti crimini di guerra»
«Io non sono un criminale» affermò Evert con decisione.
Il giudice abbassò lo sguardo: «spero davvero che abbia detto la verità. Mi creda, il mio mestiere non è affatto piacevole in questi tempi»
Evert manifestò il suo ribrezzo: «dunque è questo il suo compito? Decidere se una persona deve vivere o morire restando seduto dietro a una scrivania?»
«Per quanto possa sembrare assurdo, è così che funziona la legge»
Evert continuò a guardare il giudice con diffidenza.
 «Hanno già provato a uccidermi due volte, forse la terza sarà quella buona»
«Se lei si rivelerà un uomo onesto non dovrà temere per la sua vita»
«I Bianchi ci odiano, perché dovrebbero sottoporci a un equo processo?»
Sebastian scosse il capo.
«Bianchi, Rossi…la legge è uguale per tutti»
«Lei è un uomo di belle parole, ma i fatti dicono ben altro. Lei sa quanti Rossi sono stati giustiziati senza alcun processo?»
Manner emise un profondo respiro.
«Adesso il suo caso è nelle mie mani e le garantisco che non riceverà una pena ingiusta. Sarà giudicato per il peso delle sue azioni»
Evert tornò a poggiare la testa sul cuscino, quella situazione non gli piaceva affatto, ma non poteva fare nulla per cambiare le cose. Non voleva illudersi che quell’uomo potesse realmente salvarlo.
Il giudice stava per allontanarsi, ma il prigioniero richiamò la sua attenzione.
«Posso chiederle un favore?»
«Di che si tratta?»
«Dica al tenente Lehtinen che voglio essere trasferito in cella insieme agli altri prigionieri»
Manner richiuse la porta con rassegnazione, quel caso sarebbe stato decisamente complicato.
 
***

Leena strinse la mano di Hjalmar, trattenendolo a sé. Il ragazzo ricambiò la sua stretta, avrebbe voluto fare di più per rassicurarla, ma anch’egli annaspava nell’incertezza.
La stazione di Ruovesi era particolarmente affollata, tra civili in fuga e truppe in mobilitazione. Hjalmar si sentì a disagio circondato da tanti soldati bianchi, se solo avessero saputo la verità non avrebbero esitato ad arrestarlo. In quel momento, però, ai loro occhi era soltanto un ragazzino ingenuo e innocente. Nessuno sospettava che quel giovane avesse preso parte alla rivolta con un fucile e una fascia rossa al braccio.
In quel momento Hjalmar provò intensa vergogna, non avrebbe voluto nascondersi come un vigliacco, sentiva di star tradendo i suoi compagni. Una parte di sé però desiderava soltanto tornare a casa.
Al pensiero di Verner a stento non scoppiò in lacrime, non aveva più avuto sue notizie, temeva che il loro ultimo saluto fosse stato un addio.
«Stai bene?» si preoccupò Leena.
Hjalmar annuì, seppur con poca convinzione, poi tornò a scrutare la folla.
«Dov’è quell’uomo? Aveva promesso di aiutarci!»
Leena tentò di rassicurarlo.
«Frans tornerà presto, dobbiamo fidarci di lui»
«E se ci avesse mentito? Se avesse deciso di denunciarci?»
Lei rispose senza esitazione: «lui non ci tradirà»
«Come puoi esserne certa?»
Leena ammise la verità: «senza il suo aiuto non sarei mai riuscita a trovarti in tempo»
Hjalmar era ancora sospettoso, ma proprio in quel momento vide il soldato attraversare i binari.
Frans raggiunse Leena e le consegnò un foglio che riportava il timbro della Guardia Civile.
«Che cos’è?» domandò lei.
«Un permesso speciale, è il vostro lasciapassare per Helsinki»
Leena non credette a quelle parole, le sembrava impossibile che fosse vero.
«Come hai fatto ad ottenerlo?»
Il soldato rimase vago: «ho soltanto chiesto un favore»
La ragazza intuì che quel genere di favori avessero in realtà un caro prezzo.
«Io…non so cosa dire…»
«Un grazie sarebbe sufficiente»
Leena esternò la sua preoccupazione.
«Dico sul serio, sai che cosa stai rischiando?»
Frans rimase impassibile: «ad essere sincero non mi importa, voglio solo che tu e il ragazzo siate al sicuro»
Leena era ancora titubante, ma la presenza di Hjalmar la convinse ad accettare l’ennesimo aiuto da parte dello jäger.
I tre si incamminarono tra la folla, l’unico treno diretto a Helsinki era quasi pronto alla partenza.
Hjalmar non esitò a saltare sul vagone, Leena invece attese ancora un istante sulla banchina.
Frans si avvicinò a lei, sorrise nel pensare al loro primo incontro, avvenuto sempre su un treno.
«Eri così la prima volta in cui ti ho vista, mi sembravi una ragazza dolce e innocente»
«Suppongo che ora ti sia fatto un’idea diversa di me»
«Quel che provo per te non è cambiato»
«Dopo tutto quello che ho fatto, avresti il diritto di odiarmi»
«Probabilmente sarebbe stato più semplice…»
Lei si guardò intorno con discrezione, poi si protese in avanti e sussurrò al suo orecchio.
«Sei un uomo buono, non dovresti indossare questa divisa»
«Smetterò di fare il soldato quando la guerra sarà finita»
Leena approvò la sua decisione: «mi sembra giusto»
Frans disfò il nastro bianco che portava al braccio e glielo porse.
«Ecco, prendilo tu»
«Non indosserò un simbolo dei Bianchi!» protestò lei.
Il soldato insistette: «portalo con te, potrebbe sempre esserti utile»
Leena nascose il nastro nella tasca della giacca.
«Almeno ti ricorderai di me» aggiunse Frans.
«Non dimenticherò mai quello che hai fatto per me»
Egli la guardò negli occhi, erano così vicini da poter avvertire i loro respiri. Delicatamente le cinse i fianchi, riducendo ancora le distanze. Lei non si ritrasse dal suo abbraccio.  
Frans l’attirò a sé e la baciò con passione.
Lei ricambiò, sorprendendosi nell’avvertire la reazione del suo corpo, fremente per l’emozione.
Quando si distaccarono lui le rivelò la verità.
«Ti amo»
Leena rimase a fissarlo con gli occhi lucidi. Era consapevole di aver già causato abbastanza dolore a quell’uomo, si detestava per questo, ma sapeva anche che il miglior modo per dimostrare di tenere davvero a lui, era mettere fine a quell’illusione. Anche se questo avrebbe significato spezzargli il cuore.
«Addio, Frans»
Quelle furono le sue ultime parole, se ne andò senza più voltarsi, scomparendo all’interno della carrozza.
Il giovane restò immobile sul bordo dei binari finché del treno appena partito non restò che una nube di vapore.
Era ancora nella medesima posizione quando udì la voce di un suo commilitone.
«Frans! Finalmente ti ho trovato! Il tenente Henriksen ci vuole tutti al rapporto!»
Il soldato si rimise il fucile in spalla.
«Che cosa succede?»
Il suo compagno non riuscì a mascherare un certo turbamento.
«Siamo in partenza per Lahti, torniamo al fronte» 

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Capitolo 40
*** La stagione del disgelo ***


Carissimi, siamo ormai giunti all’ultima parte del racconto, mancano ancora pochi capitoli.
Ringrazio i fedeli lettori che son giunti fin qui.
Un ringraziamento speciale ai gentilissimi recensori.


 
 
XL. La stagione del disgelo
 

Il giudice Manner abbandonò la spiaggia deserta e proseguì la sua passeggiata lungo il sentiero che conduceva alla fortezza. I tiepidi raggi del sole scaldavano la pelle, mentre la brezza di mare gli scompigliava i capelli. Era ormai giunta la primavera, sembrava che la guerra dovesse terminare con lo sciogliersi della neve.
Sebastian pensava a questo quando nel cortile interno alle mura incontrò il tenente Lehtinen. Il militare aveva un’espressione severa sul volto, l’aria stanca suggeriva che avesse trascorso l’ennesima notte insonne. Manner non porgeva mai domande indiscrete, ma sapeva che a tenere svegli quei soldati erano i fantasmi della guerra.
L’ufficiale accompagnò il giudice all’interno della fortezza.
«Mi chiedo perché stia continuando a perdere tempo con questi criminali»
«Ritengo di dover svolgere al meglio il mio mestiere» fu la pacata risposta.
«Lei deve essere un incorreggibile idealista per credere che possa esistere la giustizia in tempi di guerra»
«Forse ha ragione tenente, ma lei in questi uomini vede dei nemici, io invece devo essere imparziale»
«C’è chi non esiterebbe a giustiziare tutti i prigionieri senza alcuna remora»
«Sono un giudice, non un boia»
Lehtinen sorrise.
«Deve scusarmi, non sono più abituato a rapportarmi con i civili»
«Comprendo il suo punto di vista» rispose Manner con tono diplomatico.
I due uomini scesero le scale dei sotterranei.
«Vuole visitare sempre lo stesso prigioniero?»
Sebastian annuì.
«Temo che non riuscirà ad ottenere molto dal suo interrogatorio» continuò il tenente.
«La costanza e la pazienza sono fondamentali per arrivare alla verità»
Lehtinen avanzò nel lungo corridoio per raggiungere la porta della cella. Le guardie combattevano contro la noia, sicuramente per loro la condanna dei prigionieri sarebbe stata soltanto una liberazione. Era evidente che quegli uomini volessero soltanto tornare a casa dalle loro famiglie. Manner non poteva biasimarli, essere bloccati su quell’isola per colpa di una manciata di prigionieri non era affatto piacevole.
Il giudice però aveva un lavoro da svolgere e non considerava la sua permanenza a Viapori come uno scomodo inconveniente o una perdita di tempo.
Lehtinen aprì la porta.  
«Per qualsiasi problema, i miei uomini sono pronti a intervenire»
«Non si preoccupi tenente, il prigioniero non è pericoloso»
L’ufficiale si allontanò in silenzio, ancora una volta Manner ebbe l’impressione che quell’uomo provasse compassione per la sua ingenuità.
 
Evert era voltato di spalle, probabilmente aveva appena terminato di lavarsi poiché non si era ancora rivestito del tutto. La schiena nuda metteva in risalto un fisico stremato dalla fame e dalla malattia.
Egli si voltò lentamente, aveva un aspetto più maturo, forse era la barba rossiccia che camuffava i lineamenti più infantili del suo volto.
«Signor giudice, se avessi saputo della sua visita mi sarei reso più presentabile»
Manner ignorò il tono sarcastico.
«Sono qui perché la data del processo si sta avvicinando»
Evert indossò la camicia.
«Il tenente Lehtinen sarà lieto di comandare il plotone d’esecuzione»
Il giudice rimase indifferente a quell’affermazione.
«Devo continuare il mio interrogatorio»
«Ha tutto quel che le serve per accusarmi, che altro vuole da me?»
«Soltanto la verità»
«Riguardo a che cosa?»
«Alla persona che stai continuando a proteggere»
Evert ebbe un lieve sussulto.
«Non sto proteggendo nessuno. I miei compagni o sono morti o sono in attesa della loro condanna»
Manner non credette a quelle parole.
«Allora perché continui a nascondere la tua vera identità?»
Il giovane rimase in silenzio.
«Suppongo che tu voglia evitare che tua famiglia sia coinvolta»
L’espressione afflitta sul volto del prigioniero suggerì a Manner che la sua ipotesi fosse corretta.
«Voglio essere sincero nei tuoi confronti. Non potrò salvare né te né i tuoi cari se continuerai a restare in silenzio»
Evert guardò il suo interlocutore negli occhi, in quel momento realizzò che non aveva altra scelta se non fidarsi di lui. Era consapevole che egli fosse il suo unico alleato.
Dopo qualche istante di esitazione, il giovane riprese a parlare.
«Mia sorella non sa che ho scelto di combattere con i Rossi. Lei ha sposato uno jäger, non ha niente a che fare con le mie decisioni»
Il giudice ascoltò con attenzione quella rivelazione.
«Capisco, la tua è una famiglia separata dalla guerra»
«Non voglio che mia sorella debba pagare le conseguenze delle mie scelte»
Manner si avvicinò.
«Voglio aiutarti, davvero, ma non posso farlo se non sei del tutto onesto nei miei confronti»
Evert aveva le lacrime agli occhi.
«Mia sorella è innocente»
«Ti credo»
Il prigioniero riconobbe la buona volontà del giudice, finalmente si decise a rivelare la verità.
 
***

Verner fu grato a suo padre per avergli insegnato tutto il necessario per sopravvivere nei boschi. Durante la sua esplorazione nel villaggio abbandonato era riuscito a trovare un fucile e una discreta quantità di munizioni. L’arma sarebbe stata utile per difendersi, ma soprattutto per cacciare.
La natura cominciava a risvegliarsi dal gelo. Verner poté considerarsi fortunato a proseguire il viaggio in quelle condizioni, con un clima mite non avrebbe trovato molte difficoltà.
Purtroppo il ritorno a casa non sarebbe stato così semplice. Per evitare di attraversare aree conquistate dai Bianchi doveva allungare il suo percorso, raggiungere il confine con la Carelia avrebbe richiesto più tempo del previsto.
Inevitabilmente Verner tornò a pensare a suo fratello. Si domandò se Leena fosse riuscita a trovarlo e a riportarlo al sicuro. Era convinto che quella ragazza avrebbe mantenuto fede alla sua parola, ma non poteva prevedere l’esito di quella rischiosa missione.
Si sentiva in colpa per aver coinvolto Hjalmar in quella guerra e si riteneva responsabile per la sua sorte. In quanto fratello maggiore, non poteva evitare di preoccuparsi per lui.
Hjalmar era un ragazzo sveglio e intraprendente, aveva fiducia in lui e nelle sue capacità. Quella guerra però era qualcosa di più grande di lui, la sua determinazione non sarebbe stata sufficiente a preservarlo dal pericolo.
Verner ripensò al loro ultimo incontro. Il suo unico intento era quello di proteggerlo, alla fine però non aveva potuto impedirgli di seguire il suo cuore e i suoi ideali.
Nel ricordare il passato, altri volti apparvero nella sua memoria. Rivide Jussi ai tempi in cui entrambi lavoravano alla ferrovia. Poteva sentire ancora i suoi discorsi, non avrebbe mai dimenticato l’importanza di quelle parole. Era stato lui a coinvolgerlo in quella guerra, risvegliandolo dalla sua indifferenza. Per quanto non condividesse del tutto i suoi ideali, aveva ritenuto giusto combattere per la stessa causa. Ad unirli era il desiderio di giustizia e libertà per il popolo finlandese.
Verner tentò di non rammentare l’immagine del cadavere di Jussi nell’edificio in fiamme. Il suo volto coperto di sangue sarebbe tornato a tormentarlo nei suoi incubi.
Verner rivolse lo sguardo alla vallata deserta.
Suo fratello era disperso, Aleks se n’era andato e Jussi era morto. Non aveva più nessuno al suo fianco.
Non voleva pensare a Jari, se soffriva per il suo addio, era perché lo amava ancora.
Il giovane sistemò il fucile e riprese lentamente il cammino, nel mezzo della foresta regnava il silenzio.
Verner non si era mai sentito così solo.
 
***

Il ritorno ad Helsinki delle truppe che avevano combattuto sul fronte di Tampere fu ben accolto da parte della popolazione. Mentre i suoi compagni non esitarono a unirsi ai festeggiamenti, Jari si rintanò all’interno delle caserme.
Il tenente Halvari fu sorpreso di rivederlo, probabilmente era convinto che il suo plotone fosse ancora disperso sulle montagne.
Jari provò una strana sensazione nel ritrovarsi nella capitale, la fine della guerra non era più un’illusione, anche se il nemico non si era ancora arreso l’esito del conflitto era già deciso.
«Tenente Koskinen, vuole unirsi a noi?» domandò Halvari, offrendogli un posto al tavolo degli ufficiali.
Il giovane, seppur con titubanza, accettò il generoso invito.
«Il capitano Keränen ci stava aggiornando sull’andamento della guerra» disse Halvari prima di cedere la parola al suo superiore.
Il capitano riprese il suo resoconto con tono greve.
«Gli ultimi successi sono sicuramente un vanto per il nostro esercito. I Rossi resistono al confine, ma è solo una questione di tempo. Sono state mobilitate altre truppe per l’attacco decisivo. È probabile che il nemico continui la ritirata nei territori russi della Carelia. In ogni caso, la resa dei ribelli è imminente»
«In poche parole: la guerra finirà presto» sintetizzò il capitano Lander.
«È quello che ci auguriamo tutti quanti» concluse Keränen con un sorriso speranzoso.
Gli altri ufficiali iniziarono a discutere sul proseguimento del conflitto, Jari ascoltò in silenzio, per lui era difficile immaginare il futuro. Dopo tanti anni di guerra, la pace appariva solo come una lontana utopia.
«Tenente Koskinen. Abbiamo saputo che anche la sua ultima missione si è conclusa con successo» esordì il capitano Keränen con soddisfazione.
Jari si rivolse al suo superiore con modestia.
«Questo è stato possibile solo grazie all’intervento di uomini coraggiosi»
«Questa guerra ha messo in luce le sue competenze militari. È un buon comandante, oltre che un combattente valoroso. Al termine del conflitto avrà sicuramente occasione di fare carriera nell’esercito»
Jari ascoltò quegli elogi tentando di mascherare il suo turbamento. Dopo quel che era accaduto, non si riteneva più un ufficiale fedele e leale. Sentiva di aver tradito e deluso i suoi commilitoni. Se fino a quel momento credeva di aver trovato il suo posto nell’esercito, ora non sapeva più chi fosse in realtà. Esibire i gradi sulla sua divisa come se nulla fosse accaduto era un atto estremamente ipocrita ed egoista.
Il giovane si riprese da quelle considerazioni, in tutto quel tempo non era rimasto indifferente ad una particolare assenza.
«Ci sono notizie del capitano Winkler?» domandò.
«Le truppe tedesche stanno proseguendo verso nord, è da poco giunto un telegramma che annunciava la conquista di Riihimäki» spiegò il suo superiore.
Il tenente fu turbato da quella notizia.
«Dunque egli ha deciso di continuare a combattere con i tedeschi»
Keränen confermò.
Jari tentò di fare del suo meglio per mascherare la sua delusione. Sperava di rivedere Bernhard, aveva bisogno del suo sostegno. Poteva comprendere la sua dedizione al dovere, ma temeva che il suo allontanamento non dipendesse soltanto dalla guerra.
Mentre gli altri ufficiali brindavano all’imminente vittoria, Jari restò in disparte, solo con i suoi pensieri.
 
 
Yrjö raggiunse l’indirizzo riportato sulla busta ritrovandosi in un piccolo paese di campagna non molto distante dalla capitale.
«Aspettami qui, devo occuparmi di una questione importante»
L’autista annuì: «d’accordo, dottore. Ma le ricordo che dovremo rientrare in città prima del tramonto»
Yrjö controllò l’orologio ritenendo di avere tempo sufficiente.
Dopo aver richiuso la portiera si allontanò dalla vettura militare e attraversò la strada quasi di corsa.
Bussò alla porta di una casetta in mattoni rossi. Non ottenendo alcuna risposta decise di riprovare con più insistenza.
Stava quasi per rinunciare quando la serratura scattò e la porta di legno si aprì. Poco dopo davanti a lui comparve l’esile figura di una donna. Indossava abiti scuri, i lunghi capelli biondi le ricadevano sulle spalle. La sua bellezza appariva ormai sbiadita su quel volto pallido e scarno.
Yrjö esitò, la giovane davanti a lui assomigliava solo vagamente alla ragazza ritratta nella fotografia che Lauri portava sempre con sé.
Ella lo scrutò con diffidenza.
«Chi è lei?»
«Mi chiamo Yrjö Schjerfbeck, ero un amico di Lauri»
L’espressione sul volto della donna si rabbuiò.
«Che cosa vuole?» domandò seccamente.
«Lauri mi aveva chiesto di conservare questa lettera. Voleva che la consegnassi a lei soltanto nel caso della sua morte»
Marja prese la busta tra le dita tremanti. Concesse al medico di entrare, ma mantenne sempre un certo distacco nei suoi confronti.
Yrjö raggiunse il salotto e si sedette su una poltrona. Accanto al camino notò una fotografia incorniciata, raffigurava la giovane coppia. Lei in abito da sera, lui in uniforme.
Il dottore sentì una stretta al petto.
Marja si posizionò di fronte a lui, restò qualche istante in silenzio, continuando a fissarlo con freddezza.
«Era con lui quando è successo?» chiese all’improvviso.
Yrjö fu sorpreso da quella domanda così diretta, ma ritenne che fosse normale cercare risposte.
«No, Lauri si era offerto per una missione speciale. Purtroppo nessuno di noi era con lui»
«Dunque era solo quando è morto?»
«È accaduto rapidamente, non ha sofferto»
Marja sembrò credergli, o almeno preferì non dubitare delle sue parole.
«Lauri era un soldato coraggioso, è morto sul campo di battaglia, così come avrebbe voluto» affermò la donna con un sussurro.
Yrjö si commosse nel ricordare l’amico.
Marja esternò il suo dolore: «gli ho offerto tutto il mio amore, ma non è stato sufficiente a salvarlo»
«Posso assicurarle che suo marito non ha mai smesso di amarla. Pensava sempre a lei e al vostro futuro insieme. Se ha deciso di combattere questa guerra è stato solo perché desiderava il meglio per la sua famiglia»
Lo sguardo di Marja si incupì: «se avesse scelto me al posto della guerra…adesso avremmo potuto essere felici»
Yrjö tentò di confortarla, ma lei lo zittì bruscamente.
«Per favore, se ne vada adesso»
Il medico si scusò: «non intendevo affliggerla, volevo solo rispettare la mia promessa»
«Ha consegnato la lettera, ha fatto ciò che Lauri si sarebbe aspettato da lei»
«Vorrei poter fare qualcosa in più per aiutarla»
«Non c’è niente che possa fare, a meno che non riesca a dirmi perché lei è ancora vivo mentre mio marito è stato ucciso!»
Quelle parole lo ferirono come una pugnalata.
«Mi dispiace, davvero»
Marja lasciò scorrere le calde lacrime sul suo viso.
«La prego, non ritorni mai più!»
Yrjö non poté far altro che rispettare la sua volontà, seppur con profondo rammarico. Si allontanò a capo chino, richiuse il portone udendo il disperato pianto della vedova.
Sconvolto da quella visita, il dottore tornò sui suoi passi. Avrebbe voluto aiutare quella donna, invece era solo stato testimone del suo straziante dolore. Ancora una volta Yrjö si sentì sconfitto dalla sua impotenza.
Come avrebbe potuto vivere serenamente con quel peso sul cuore? Era forse sbagliato desiderare la felicità quando ovunque regnava la sofferenza?
Yrjö estrasse dalla tasca un anello d'oro con una piccola gemma incastonata. L’aveva acquistato subito dopo il suo rientro nella capitale, era stato il suo primo pensiero quando aveva saputo dell’imminente ritorno.
Voleva chiedere a Kaija di sposarlo, fino a poco tempo prima era emozionato al solo pensiero, ma ora il suo animo era pervaso soltanto da amara tristezza.
Il giovane ripose il gioiello all’interno della giacca, il suo sogno d’amore avrebbe dovuto ancora attendere.
Rapidamente si infilò di nuovo all’interno dell’automobile.
«Forza, metti in moto. Dobbiamo tornare ad Helsinki, questa sera è in arrivo un altro treno-ospedale»
 
***

Il convoglio avanzava a rilento, impantanato nel fango delle paludi. Frans e i suoi compagni pazientavano sul retro del furgone. Nessuno di loro era entusiasta all’idea di tornare al fronte, ma tutti erano pronti a fare il loro dovere.
Seber era seduto in disparte e ascoltava distrattamente i discorsi dei suoi commilitoni. I soldati ridevano e scherzavano per alleviare la tensione.
Frans ripensò a tutto quel che era accaduto dal suo primo incontro con Leena al loro addio alla stazione di Ruovesi. Dentro di sé sapeva che avrebbe dovuto dimenticarla, ma non riusciva a smettere di pensare a lei. Quella ragazza era un vero enigma, eppure la sua freddezza non l’aveva mai respinto.
Forse, in altre circostanze, senza l’impellenza della guerra, avrebbero avuto una possibilità.
Frans tentò di scacciare quelle fantasie dalla sua mente, per come stavano le cose, poteva solo sperare che Leena e Hjalmar fossero al sicuro.
 
Il furgone aveva appena attraversato il ponte quando all’improvviso si udì un boato assordante. Il veicolo sbandò, finì fuori strada, schiantandosi contro a un albero.
I soldati si ritrovarono frastornati e sconvolti dall’esplosione. Mentre i feriti tentavano di riemergere dalle lamiere, dal fondo della carovana si iniziarono ad avvertire gli spari. Il convoglio era caduto in un’imboscata.
Frans riprese conoscenza sul fondo di un fosso, metà del suo volto era ricoperto di sangue. Il giovane strisciò in superficie scorgendo il bagliore incandescente del veicolo in fiamme.
Istintivamente strinse il fucile tra le mani, arrancò nel pantano, tentando di individuare da dove provenissero gli spari.
Ad ogni passo avvertiva la testa pulsare dal dolore, la vista iniziava ad annebbiarsi.
Il soldato tentò di ricongiungersi ai suoi commilitoni, tra il fumo e la nebbia riuscì a distinguere soltanto immagini confuse.
Frans si gettò nel caos della battaglia, si appostò tra i detriti e sparò in direzione della foresta.
All’improvviso una granata scoppiò a lato del sentiero, Frans gridò dal dolore quando una scheggia si conficcò nella sua gamba. La detonazione lo scaraventò a terra travolgendolo in un’ondata di fango.

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