Harry Potter e l'unicorno d'oro

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - un fortunato bambino sopravvissuto ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Dentro la foresta ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - La stanza nei sotterranei ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Hanno ucciso un unicorno ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Quercia ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Gli intrusi ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Regali per Harry ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - La verità ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Qualcosa di più su zia Petunia ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Tra scivoli e cuscini ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Lettere e palloni ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Acquisti a Diagon Alley ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Ritorno alla capanna ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - Crescere un unicorno ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Legilimanzia ***



Capitolo 1
*** Prologo - un fortunato bambino sopravvissuto ***


Quando Harry aprì gli occhi, vide che la poca luce che proveniva dalla finestrella incantata che dava sul giardino di Hogwarts, era ancora flebile.
Capì che doveva essere l’alba, le sei del mattino, forse.
Si mise a sedere e fu colto immediatamente dal freddo. Allora si avvolse nella coperta di lana. La annusò. Minerva McGrannitt non aveva mentito quando aveva parlato di un odore piacevole di focaccia cotta nella brace che mai avrebbe lasciato quelle fibre, anche se Harry aveva sempre avuto il dubbio che in realtà non fosse frutto di un incantesimo ma di un errore fatto mentre la asciugavano su un camino.
Però, a lui quel misto di lana e bruciato piaceva molto.
Aveva sognato di nuovo Privet Drive, lo sgabuzzino dove fino a due anni prima era stato rinchiuso dai suoi zii. Nel sogno, suo cugino Dudley lo accusava di aver rubato qualcosa di suo, un giocattolo, e gli zii avevano deciso di punirlo murando la porta con mattoni e cemento.
Per quanto ancora li avrebbe sognati?
Non lo sapeva. Di certo i sotterranei di Hogwarts non aiutavano.
Sentì dei passi. Il buio aveva allenato notevolmente il suo orecchio. Poteva distinguere tre paia di passi diversi e tutti appartenenti alle tre persone che in quel momento amava di più: la professoressa Minerva McGrannitt, il professor Severus Piton e il guardiacaccia Rubeus Hagrid.
“Allora siamo d’accordo!” diceva il vocione allegro del mezzogigante “Porto io il ragazzo a Diagon Alley per gli acquisti! Vedrete che faccia che farà quando entrerà nella banca!”
“Sì sì Hagrid, ma non finchè non te lo ordina Silente. E mi raccomando, comportati come se non sapessi nulla!” esclamò la McGrannitt.
“Una pozione per l’amnesia farebbe comodo e ci toglierebbe da ogni guaio.” Mormorò con tono severo Piton.
“Ora abbassate la voce, che il ragazzo dorme ancora.” Disse allora la McGrannitt.
Harry tornò immediatamente supino, nascondendosi sotto la coperta.
La porta della sua stanza fu aperta e il suo naso invaso dall’odore della cioccolata calda e dei muffin di zucca appena sfornati.
Finse di svegliarsi, si stropicciò gli occhi e sbadigliò rumorosamente.
“Lumos!” esclamò Piton, illuminando a giorno le mura grigie della stanza.
“Buongiorno Harry!” lo salutò allegramente Hagrid.
“Buongiorno a tutti…” mormorò Harry.
Osservò i tre adulti davanti a lui e, pensò tra sé, non avrebbero potuti essere più diversi tra loro.
Minerva McGrannitt avrebbe emanato autorità ed eleganza anche se ricoperta di stracci e fango, eppure non riusciva a intimidirlo, anzi, gli trasmetteva un senso di forza meraviglioso.
Non poteva dire lo stesso per Severus Piton, i cui capelli apparivano unti e appiccicati e i suoi grandi occhi neri e cupi erano così severi da costringerlo a distogliere presto lo sguardo.
In mezzo a loro c’era Hagrid, raggiante, che spiccava sia per l’altezza che per la voce.
“Allora giovanotto! Oggi è l’ultimo giorno che hai dieci anni! Sei felice!?”
Harry annuì.
“Per la miseria! Sei un ometto ormai! Se penso a quando due anni fa ti abbiamo strappato da quei pazzi…” gli occhi di Hagrid si inumidirono. Piton gli mollò una gomitata.
“Il signor Potter ha bisogno di fare la sua colazione, altrimenti non potrà venire con me nella foresta proibita.” Disse con voce cupa quasi strappando di mano il vassoio ad Hagrid.
“Oggi posso uscire!? Davvero!?”
“Sì. Silente sarà via fino a sera…” spiegò la McGrannitt “E io e Piton riteniamo giusto che tu veda la foresta prima dell’inizio delle lezioni. Dovrebbe convincerti che non c’è niente di speciale al suo interno… Sai presto sarai uno studente e come tale dovrai rispettare le regole. L’ingresso nella foresta è severamente proibito, salvo eccezioni e in quei casi sempre accompagnati.”
Harry annuì mentre addentava il suo muffin.
“Ma ovviamente finite le lezioni… tu resterai qui. Con Hagrid e qualche volta anche con me o Severus….” Proseguì la McGrannitt esitante “E quindi, più conosci di Hogwarts, meglio è!”
L’esitazione nella sua voce agitò Harry, che subito disse: “Se devo tornare dai miei zii, allora preferisco scappare nella foresta!”
“No Potter, non corri alcun pericolo. Quei babbani sono feccia e tu non li rivedrai mai più.” La voce di Severus sembrava più sarcastica che rassicurante, ma un bagliore negli occhi neri dell’uomo, fece capire a Harry che non mentiva.
“Abbiamo pensato a tutto Harry, non devi preoccuparti.” Fece allegramente Hagrid.
“Sì. Hogwarts è la tua cosa ora. E se sarà necessario, lo sarà per sempre!” assentì allora la McGrannitt.
Harry Potter allora sentì i suoi stessi occhi lacrimare per l’emozione e si affrettò a nasconderli bevendo un bel sorso di cioccolata calda.
Sì. Era stato solo un sogno. Un brutto sogno…
 
Il primo ricordo che Harry aveva, era la faccia urlante di suo cugino mentre gli tirava contro la ciotola dei cereali.
A quelle erano seguite altre urla, ora di rabbia ora di paura, unite agli sguardi severi e disgustati degli zii.
I suoi primi otto anni di vita a Privet Drive erano stati quello: sguardi di disgusto, botte, freddo, umidità… e solitudine.
Una solitudine che neanche le gentilezze della strana vicina Arabella Figg sembrava in grado di scalfire.
Harry ci aveva provato a volte a essere un bambino normale, ad avere degli amici. Ma i Dursley lo isolavano dal mondo e suo cugino picchiava a scuola chiunque lo avvicinasse in modo amichevole.
Anche in quel momento, a Hogwarts, mentre si preparava per seguire Severus Piton nella foresta, Harry cercava di ricordare un momento in cui poteva dire a sé stesso di essere stato un bambino.
Ma non gli veniva in mente.
Gli sembrava piuttosto di aver vissuto come un topo: un animale intruso in una casa umana, che cercava di passare inosservato solo per non peggiorare ulteriormente una condizione già dura.
Una mattina, dato che i suoi zii avevano lasciato aperta per errore la porta dello sgabuzzino, era uscito e siccome era l'alba ’intera famiglia era ancora addormentata.
Aveva spalancato la porta di casa e si era reso conto che anche se lo desiderava tanto, non aveva il coraggio di fuggire.
Chi avrebbe mai voluto un orfano a cui neanche i suoi zii volevano bene?
Allora era scoppiato a piangere, un pianto lungo, disperato, diverso da quelli silenziosi che faceva occasionalmente nel ripostiglio la notte, quando con la mente cercava disperatamente un ricordo sui suoi genitori, qualcosa di bello a cui aggrapparsi… e all’improvviso, con il volto inondato di lacrime, aveva sentito qualcosa di morbido scivolargli fra le dita e poi… delle fusa.
Un gatto soriano che aveva già visto qualche volta in estate, ma che non era mai stato in grado di avvicinare, ora lo stava coccolando.
Lo riconosceva perché aveva uno strano contorno attorno agli occhi, come di occhiali squadrati.
Forse perché da giorni non parlava con nessuno, Harry si era sfogato proprio con quello strano gatto raccontandogli della sua vita nello sgabuzzino.
E avrebbe continuato a parlarci se non fosse arrivata zia Petunia a urlargli addosso per trascinarlo di nuovo dentro a suon di scapaccioni.
“Sei matto! A parlare con uno stupido gattaccio! Hai idea di cosa possono dire i vicini!? Tu vuoi rovinarci! Oggi tu non mangi! Capito!? Né pranzo né cena!”
E Harry si era trovato di nuovo chiuso nello sgabuzzino. Pronto all’ennesima giornata di buio e digiuno.
Poi però, il miracolo.
Alle due avevano suonato alla porta e Petunia era corsa ad aprire.
“Oh! Diddy mio! Sei in anticipo oggi!”
Ma alla porta non c’era Dudley che tornava da scuola.
“Si ricorda di me…. Vero?”
Harry aveva sentito i peli della nuca rizzarsi quando quella voce profonda e tagliente aveva rotto il silenzio nel quale era piombata Petunia. Poi la zia aveva indietreggiato e qualcuno era entrato in casa.
“Dov’è il ragazzo.”
Non era una domanda, ma un ordine.
Petunia aveva balbettato qualcosa e battuto il pugno timidamente contro la porta dello sgabuzzino.
“Aprilo.” Aveva scandito la voce, ancora più cupa e tagliente.
La porta si era spalancata e Harry, terrorizzato, aveva visto per la prima volta Severus Piton.
Avvolto in un mantello nero, con la testa coperta da un cappuccio, il suo volto scarno con il naso adunco e gli occhi neri, l’uomo era entrato nella piccola stanzetta e per un lungo momento aveva fissato Harry dritto negli occhi.
Questi aveva, con molta fatica, ricambiato lo sguardo, in un misto di terrore e curiosità.
Gli era sembrato di vedere gli occhi gelidi dello sconosciuto inumidirsi, come colti da un’emozione improvvisa.
“Prepara subito le tue cose.” Aveva detto l’uomo ad Harry con un tono che non ammetteva repliche.
Ma il bambino non era sicuro di aver capito: “Le mie cosa?”
“La tua roba. Quello che vuoi portarti via. Radunalo e aspettami.” Aveva ripetuto l’uomo prima di sbattere la porta dello sgabuzzino.
Mentre Harry cercava di riprendersi da quello che gli era sembrato un sogno, aveva udito la voce tagliente dell’uomo alzarsi di tono e inveire contro zia Petunia.
Harry aveva udito, immobile nella semioscurità della stanza, termini che non era sicuro di conoscere né che fosse il caso di ripetere, uniti a uno strano singhiozzo che aveva presto compreso provenire proprio da zia Petunia.
Lo sconosciuto aveva fatto piangere sua zia!
Nell’oscurità, senza rendersene subito conto, Harry aveva sorriso…
“Potter!”
Harry, che stava sorridendo alla sua immagine allo specchio, si riscosse.
“Che fai Potter? Stai sognando ad occhi aperti?”
Harry abbassò lo sguardo avvicinandosi a Severus Piton.
“Mi scusi professor Piton. Stavo… Stavo ricordando il nostro primo incontro.”
Piton lo fissò gelido, ma quando parlò, Harry percepì che la sua voce si era ammorbidita: “Bisogna stare focalizzati nel presente, Potter, quando ci si addentra nella Foresta Proibita. È Proibita per buoni motivi e quindi non si può, anzi, non si deve abbassare la guardia.”
Harry camminò lento vicino al professore, risalendo pian piano i gradini che separavano la sua stanza dal resto dei sotterranei.
“Professor Piton?”
“Cosa Potter.”
“Che avete pensato quando mi avete guardato negli occhi la prima volta?”
Piton si irrigidì.
“Sì perché… me lo avevate promesso… un giorno me lo avreste detto…”
Piton emise quello che parve essere un lungo sospiro. Ma invece di guardare Harry, voltò la testa dall’altro lato.
“Ho pensato solo al fatto che hai ereditato gli occhi da tua madre. Tutto qui.”
E senza aggiungere altro, accelerò il passo.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Dentro la foresta ***


Harry trottava dietro Piton tentato dal prendergli la mano, ma qualcosa gli diceva che sarebbe stato inopportuno.
Si ricordava però di quando Piton lo aveva preso per un braccio e trascinato fuori dallo sgabuzzino.
Era accaduto mentre stava nel buio dello sgabuzzino ancora a sorridere per la sgridata che zia Petunia si stava prendendo.
“Allora Potter, sei pronto?”
Harry, ancora in pigiama, aveva visto con la coda dell’occhio la zia rannicchiata per terra sulla soglia del salotto.
“P-Pronto per cosa?” aveva domandato a Piton, che nel frattempo era rientrato nello sgabuzzino e stava buttando all’aria le poche cose che aveva al suo interno.
“Per andartene.” Piton gli aveva lanciato le scarpe lise da ginnastica e uno dei maglioni orribili di Dudley che era passato a Harry con la prima macchia impossibile da smacchiare.
“Andarmene? Da qui?”
“Potter… non c’è niente che vuoi portare con te vero?”
Il tono di Piton era cambiato, si era fatto all’improvviso quasi dolce e pieno di pena. Harry aveva osservato l’interno del suo sgabuzzino, con i pochi vestiti lisi, le lenzuola bucate, la coperta che non lavava da anni, i pochi giocattoli recuperati dalla spazzatura… no, non aveva nulla di veramente caro e suo da portare. Salvo forse gli occhiali, una necessità a cui i Dursley avevano acconsentito solo perché Harry aveva attirato troppo le attenzioni di un insegnante con la sua difficoltà a leggere (e che aveva ripreso a ignorarlo appena Harry aveva ottenuto le sue lenti).
“No, infatti…” aveva mormorato Harry infilandosi il maglione.
Era in uno stato di stupore tale da vivere l’intera vicenda come un sogno. Sì, probabilmente stava sognando, lo aveva fatto tante volte di sognare di andarsene da Privet Drive. Sicuramente stava sognando di nuovo, anche se forse in modo diverso, più realistico.
“Allora infilati le scarpe, e non perdere tempo. E tu…” a quel punto Piton, che però agli occhi di Harry ancora non aveva un nome, aveva infilato la mano in tasca e tirato fuori un piccolo bastone di colore nero e l’aveva puntato contro Petunia “… Una parola, una sola parola su oggi con chiunque e io torno personalmente a finire il lavoro. Chiaro!?”
Lentamente, ancora con gli occhi lacrimanti, il magrissimo volto di Petunia aveva annuito.
Harry aveva sentito un brivido lungo la schiena e per la prima volta aveva provato una sincera pena per la zia, senza spiegarsi il perché. Cos’era quell’oggetto e perché la spaventava tanto? Si sarebbe aspettato una pistola, di sicuro non un bastoncino…
“Andiamo! Forza!” ed era stato allora che l’uomo l’aveva preso per mano e portato fuori dalla casa dei Dursley, dove con grande sorpresa di Harry, c’era qualcosa in giardino che li aspettava.
Un uomo enorme, dalla folta barba marrone, su di una motocicletta dotata di sidecar.
“Forza Hagrid” Piton lo aveva caricato sul sidecar ed era balzato vicino a lui “Andiamo!”
L’uomo sulla moto, che evidentemente si chiamava Hagrid, si era tolto gli occhiali protettivi e aveva fissato Harry con uno sguardo che il bambino aveva fatto fatica a capire: era la prima volta che qualcuno sembrava felice di vederlo.
“Harry…. Oddio Harry…. Sei tu… e sei cresciuto così tanto….”
“HAGRID NON E’ IL MOMENTO!”
“Dove lo portate?”
Harry e Piton si erano voltati e Petunia era sulla soglia della casa.
“In un luogo dove sarà trattato come merita!” aveva sibillato Piton. Poi si era rivolto a Hagrid “Andiamo. ORA!”
Harry, ancora stordito dagli eventi, non aveva subito capito che la motocicletta stava volando.
 
Finite le scale e attraversato il grande portone dell’atrio, Harry si concesse una corsa nei giardini d’ingresso respirando a pieni polmoni l’aria estiva. Faceva caldo e il prato sembrava un po' sofferente, per quanto ancora verde e rigoglioso.
Piton lo lasciò fare, ma lo raggiunse presto.
“L’unguento Potter.” Ordinò tirando fuori dalla tasca un barattolino.
Harry si coprì il viso, le mani e il collo dell’unguento di protezione solare e restituì l’oggetto a Piton.
“Se hai finito di seguire le farfalle, signor Potter, possiamo metterci al lavoro.”
Harry annuì e riprese a seguire Piton. Era la terza volta che entrava nella foresta, la seconda insieme a lui. La prima volta c’era stato Hagrid, la seconda Piton e Hagrid erano entrati insieme e poi si erano divisi, ed Harry era rimasto con Piton.
“Cosa cerchiamo oggi?”
“Dittamo. Ti ricordi a cosa serve Potter?”
“Alla cura delle ferite… Ma è giusto che io impari queste cose prima degli altri ragazzi?”
“Oh Potter, raccogliere il dittamo non ti renderà migliore di nessuno. C’è una tale quantità di nozioni da imparare che ci vorrà molto molto tempo prima che tu possa considerarti un’eccellenza. E non basterà neanche questa scuola a renderti tale. No, dopo dovrai continuare a studiare…” Piton si interruppe e parve per un attimo perso nei suoi pensieri. Harry intanto, aveva visto il dittamo seminascosto in uno degli alberi al confine con la foresta, ed era corso a prenderlo.
“Professor Piton! Eccone uno!”
Piton osservò la pianta e per la prima volta in tutta la giornata abbozzò quello che poteva sembrare un sorriso.
“Molto bene Potter. Procediamo.”
 
“Procediamo con cautela, detesto i cieli babbani.”
Nella Foresta Proibita a Harry tornavano gli stessi brividi che aveva sentito in cielo, mentre la motocicletta volava.
Piton aveva usato una parte del mantello per coprirlo, ma non bastava a proteggerlo dall’umido e dal freddo.
“Com’era la situazione Severus?” aveva domandato l’uomo alla guida della moto.
“Peggiore di quello che avevamo pensato. D'altronde Arabella Figg non poteva guardare dentro casa. Non aveva niente il ragazzo. Neanche dei vestiti decenti!”
“Allora si troverà sicuramente bene con noi! Posso farlo dormire nella mia capanna? Per stasera almeno!”
“Hagrid non è un gatto!”
Harry si era rannicchiato ancora di più e la mano di Piton lo aveva stretto forte sulla spalla.
“Tutto bene Potter?”
Harry aveva gli occhiali appannati dall’umidità, ma era riuscito a guardare verso Piton.
“Perché voi sapete il mio nome?”
Fu l’unica domanda che gli venne in mente di chiedere. Era convinto che la motocicletta volasse perché si trattava di un sogno. Era inutile chiedere spiegazioni su quello. Ma quei due estranei si comportavano in modo così familiare… eppure era sicuro di non averli mai visti prima.
“Io so molto più del tuo nome Potter. Conoscevo i tuoi genitori. Lily e James.” Disse allora Piton “Erano miei compagni di scuola. La stessa dove ora stiamo andando e che frequenterai tra un paio d’anni.”
Harry si stranì: perché mai di tutti i luoghi del mondo doveva sognare di fuggire in una scuola?
Allora forse non stava sognando… Ma non era possibile che una motocicletta volasse. No, doveva per forza essere un sogno.
“Anch’io ho conosciuto i tuoi Harry. Brave persone!” esclamò allora Hagrid “Severus qui, non andava molto d’accordo con tuo padre ai tempi della scuola ma…”
“Silenzio! Questa informazione è superflua per il ragazzo! E non passare troppo vicino ai palazzi!”
“Severus?” aveva chiesto Harry “Ti chiami Severus?”
L’uomo aveva guardato Harry negli occhi, ma stavolta questi erano rimasti freddi.
“Severus Piton. Professor Severus Piton. Insegnante di Pozioni.”
“Via Severus, in fondo Harry può anche chiamarci per nome, visto che saremo noi a tenerlo d’ora in poi…”
“Non è un gatto Hagrid, chiaro!?”
Harry si era fatto ancora più piccolo nel lembo di mantello nero che lo copriva e che emanava un odore molto chimico.
All’improvviso l’altezza a cui si trovava gli aveva fatto una gran paura.
 
“Potter, scendi dall’albero!”
Harry, con un agile balzo, aveva raggiunto Piton che lo aspettava a terra.
“Guardate cosa ho trovato professore!” il bambino aprì la mano e mostrò la piuma che aveva preso, di colore blu chiaro con venature nere “Potrebbe essere una piuma di Jobberknoll!”
Piton prese la piuma in mano. La osservò controluce e annuì.
“Bene, signor Potter, molto bene!” abbozzò un’altra smorfia simile a un sorriso e si infilò la piuma in tasca.
“È vero che urlano ogni suono che hanno sentito in vita loro prima di morire?” domandò Harry.
“Te ne ha parlato Hagrid di questo, signor Potter?”
“Hagrid adora le creature magiche e mi insegna tante cose su di loro, sì.”
“Beh, non ho avuto il piacere di vederne morire uno.” Quella frase, pronunciata gelidamente da Piton, fece trasalire Harry “Ma se dicono così, deve essere vero.”
Per un po' i due camminarono in silenzio. Di giorno la foresta era quasi gradevole da vedere e i suoi rami filtravano i caldi raggi del sole estivo creando allegri giochi di luce e colori.
Dei funghetti salterini si nascosero sotto una radice appena li videro passare.
“Professor Piton?”
“Cosa Potter.”
“Mia madre le era antipatica?”
Piton sobbalzò e strabuzzò gli occhi. Un’espressione così inaspettata che Harry anche Harry si spaventò.
“Chi mai ti ha detto una sciocchezza del genere!?”
“N-Nessuno… L’ho pensato io…”
“Beh hai di meglio da fare che pensare a queste sciocchezze.” La voce di Piton si era fatta all’improvviso tagliente e arrabbiata “Nessuno deve parlare o pensare male di tua madre. È chiaro!?”
“Io non ho pensato male… di mia madre…” mormorò Harry indietreggiando.
Allora Piton parve calmarsi. I suoi occhi neri si semichiusero mentre si inginocchiava, chiamando a sé Harry. Dopo una breve esitazione, Harry lo raggiunse.
“Ti dirò una cosa che nessuno deve sapere: sai perché tua zia mi ha riconosciuto, quando sono venuto a prenderti da casa sua?”
Harry scosse la testa e tese le orecchie.
“Beh, mi conosceva perché sono stato io, tanti anni fa, ad andare a casa di tua madre per dirle che era una strega.”
Harry sentì il cuore battere forte, gli piaceva quando gli raccontavano dei suoi genitori.
“Tua zia Petunia era così invidiosa di lei. E tua madre… beh lei non ci ha creduto subito. Abbiamo parlato a lungo dopo l’annuncio ai suoi genitori. Loro volevano che lei scegliesse con calma se venire qui a Hogwarts o no.”
“E tu l’hai convinta?”
Gli occhi di Piton si inumidirono. A distanza nessuno se ne sarebbe accorto, ma Harry era a un passo da lui e lo vedeva benissimo.
“Tua madre, Harry, era una donna meravigliosa. Era gentile con tutti… anche con me. Anzi, posso dire che è stata l’unica persona a essermi sinceramente amica mentre ero studente ad Hogwarts.”
Harry fu sul punto di chiedere di suo padre, ma la domanda gli morì in gola. Aveva ormai capito che suo padre e Piton non erano mai andati d’accordo e aveva paura di rompere quel momento tirandolo in mezzo.
“Quindi ti sia chiaro, signor Potter, che io mai e poi mai ho antipatia e rancore verso tua madre.”
Purtroppo il racconto di Piton finì lì. L’uomo si alzò in piedi e indicò un sentiero.
“Il dittamo non basta. Proseguiamo da quella parte, lì ne troveremo di più.”

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - La stanza nei sotterranei ***


Forse era stata l’emozione, le vertigini, il freddo che nemmeno il mantello di Piton riusciva a scacciare… fatto sta che quando Harry aveva riaperto gli occhi non stava più sul sidecar della motocicletta, ma steso in un letto.
Stava per rivalutare la possibilità che fosse stato tutto un sogno, quando toccando le coperte e le lenzuola si era reso conto del buon profumo di pulito che emanavano e della loro consistenza morbida. Un vago odore di briciato accompagnava il pesante copriletto in lana.
No. Quelle non erano cose che gli avrebbero mai dato i Dursley.
“Oh ti sei svegliato!”
La voce allegra dell’uomo barbuto, che a quanto pare rispondeva al nome di Hagrid, lo aveva fatto sobbalzare.
Non era solo nella stanza. Oltre a Hagrid c’era anche il professor Piton e un’altra persona. Una donna molto anziana e alta, con dei grandi occhiali squadrati sul naso, dall’aspetto autoritario, che però sorrideva.
Harry non capì perché, ma le sembrava quasi familiare.
“Avrai fame Harry, guarda cosa ho per te!” Hagrid gli mise davanti un vassoio.
C’era del latte al cioccolato nel bicchiere, una pagnotta, una coscia di pollo accompagnata da patate al forno.
Harry osservo strabiliato il cibo. Lo annusò. Provò ad assaggiare una delle patate il cui gusto invase la sua bocca.
“Non è molto ma…” Stava dicendo Hagrid, ma Harry lo interruppe “È buonissimo! Grazie! Grazie davvero! Non so perché state facendo questo per me, ma grazie davvero!”
Harry si buttò sul cibo e iniziò a mangiare con foga.
“Vedo che le buone maniere gli mancano.” Commentò all’improvviso il professor Piton con voce gelida.
“Via Severus, era a digiuno da almeno tre giorni, non possiamo biasimarlo!”
A parlare era stata la donna, e solo allora Harry si riscosse e si rivolse a lei.
“Mi scusi… Il signor Piton…”
“Professore, se non ti dispiace.”
“Voglio dire, il professor Piton ha ragione, sono stato maleducato.” Harry si pulì la mano con il fazzoletto poggiato sul vassoio e poi la porse alla donna “Mi chiamo Harry Potter signora.”
La donna gliela strinse senza esitazione.
“Io sono Minerva McGrannitt, professoressa di trasfigurazioni, signor Potter. Molto piacere.”
Anche quel tocco ricordò qualcosa a Harry.
“Ma… Un attimo… Ma come fa a sapere che sono a digiuno da tre giorni?”
Seguì una strana pausa dove la donna assunse un’espressione imbarazzata. Poi però scrollò le spalle.
“Lo verrai a sapere in ogni caso.” Disse e con grande meraviglia di Harry, si tramutò in un gatto. Non uno qualsiasi: era il soriano con cui aveva parlato quella mattina, quello con lo strano segno degli occhiali sugli occhi, che prima di allora non era mai riuscito ad avvicinare.
Quello era il secondo miracolo a cui assisteva. Prima la motocicletta e ora quella signora che diventava un gatto.
“Ma… Perché… Cos’è tutto questo?”
La professoressa McGrannitt riprese il suo aspetto umano: “È magia signor Potter.”
“Magia…” Harry mormorò la parola e sembrò quasi avere un sapore in bocca. Un sapore dolce.
“Sì. Noi siamo maghi Harry. E lo sei anche tu.” Proseguì Hagrid.
Harry si irrigidì.
“Io… sono cosa?”
“Un mago! E anche coi fiocchi direi! Solo che ci vorrà un po' prima che tu possa imparare a gestire al meglio la magia.”
Harry rimase in silenzio a fissare il vuoto per un lungo minuto, prima di riprendersi.
Il concetto di magia era bandito in casa Dursley, al punto che nemmeno Dudley poteva leggere libri o vedere cartoni con quella tematica.
Possibile allora che tutto quell’odio che quella famiglia aveva avuto verso di lui fosse dovuto proprio al fatto che lui era un mago? Lo sapevano? E perché non ne avevano mai parlato?
“Ma se io sono un mago…” disse Harry quando ritrovò la forza di parlare “Allora anche i miei genitori…?”
“Sì, Potter.” Disse la McGrannitt.
“Allora… Perché se erano dei maghi non si sono salvati dall’incidente?”
I tre adulti si gelarono.
“Quale incidente?” domandò la McGrannitt
“L’incidente d’auto… quello dove sono morti.”
“Un incidente d’auto!? È questo che ti hanno detto i tuoi zii!? UN INCIDENTE D’AUTO!” Esclamò Hagrid furioso.
“Direi che portare via il ragazzo da quella famiglia è stata la scelta più giusta che potevamo fare.” Disse allora Piton, e Harry sentì una punta di rabbia nel suo tono gelido.
“I tuoi genitori non sono morti in un incidente d’auto… è stato un evento più complesso e un giorno ne parleremo.” La professoressa McGrannitt appoggiò gentilmente una mano sulla spalla di Harry “Ma ora, signor Potter, purtroppo ci sono delle cose che richiedono la nostra attenzione… E la tua collaborazione.”
Ancora stupito, Harry aveva comunque deciso di annuire.
“Immagino che ti starai chiedendo dove ti trovi.”
Harry si era guardato intorno: la stanza in cui si trovava non era molto grande ed era circondata da mura grigie.
“Sei nei sotterranei della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Questa stanza è stata per tanto tempo usata per custodire diversi oggetti e da poco liberata. Abbiamo preso un letto da un dormitorio e l’abbiamo sistemato qui apposta per te.” Spiegò calma la McGrannitt.
“Scuola di magia?” aveva domandato Harry.
“Sei stato iscritto qui il giorno della tua nascita Potter.” Intervenne allora Piton. “In teoria non avresti dovuto mettere piede qui prima dei tuoi undici anni… ma teniamo d’occhio la tua situazione da molto e dopo oggi… Abbiamo deciso di agire.”
“Mi tenevate d’occhio?”
“Dopo la morte dei tuoi genitori, per proteggerti, il preside di questa scuola, il professor Albus Silente, ha preso la decisione di affidarti ai tuoi zii. Io stesso ti ho portato lì quella sera, a cavallo della moto che hai visto.” Disse Hagrid “Mi fido ciecamente di Silente. Tutti e tre noi, in verità… Ma… Ma…” sembrò non trovare le parole.
“Ma la situazione ha superato il limite.” Disse allora la McGrannitt “Ho già in passato provato a dire a Silente che potevamo escogitare qualcos’altro per sistemarti e tenerti al sicuro ma non sono stata ascoltata.”
“Silente è un uomo saggio e affidabile, signor Potter.” Intervenne Piton “Io ho messo a rischio la mia intera esistenza per lui molte volte. Ma anche i più saggi possono commettere errori. È raro, ma capita.”
“Non era giusto Harry. Anche perché crescendo con loro e in quel modo rischi di odiare i babbani.” Proseguì Hagrid.
“Babbani?”
“Sì, è il modo con cui noi maghi chiamiamo chi non ha poteri magici. E quindi, dopo esserci consultati tra di noi, abbiamo deciso che era meglio che tu crescessi, almeno per questi ultimi due anni della tua infanzia, in un luogo diverso.”
“Volendo, Hogwarts è ancora più sicura di una strada babbana.” Assentì la McGrannitt “Ma quello che devi capire, signor Potter, è che la cosa deve assolutamente restare tra noi.”
“Un segreto Harry, un segreto di cui pochi saranno a conoscenza.”
“Io dico invece che Silente sa già tutto.” La voce di Piton si levò all’improvviso alta “O comunque lo scoprirà presto. In quel caso sappiamo già cosa dobbiamo dirgli, ma il punto importante, signor Potter, è che noi non vogliamo rinchiuderti qui, come avrebbero fatto i tuoi zii, ma lasciare la porta aperta, a patto, ovviamente, che tu rimanga al tuo posto finchè non verrà qualcuno di noi ad accompagnarti fuori. È poiché io sono a capo della casa Serpeverde, e gestisco quindi il dormitorio e la sala pozioni, entrambi situati in questa zona del castello, non voglio vederti bazzicare nei sotterranei. Chiaro!?”
Harry non rispose subito.
“Se obbedisco a queste regole… e resto qui nascosto… e esco solo quando qualcuno di voi è con me… non dovrò più tornare dai miei zii, vero?”
“Assolutamente no.” Esclamarono in coro i tre adulti.
“Allora… Allora lo farò. Va bene.” Disse allora il bambino sorridendo.
“Bene. Allora, noi purtroppo dobbiamo andare ma torneremo presto.”
“Non dimentichi qualcosa Minerva?” la fermò Piton.
“Oh giusto!! Grazie Severus.” La donna tirò fuori un lungo bastoncino, simile a quello che Harry aveva visto in mano a Piton a casa dei Dursley (“Ora ho capito! Sono bacchette magiche!” pensò) e l’agitò verso una delle mura. Allora apparve una finestra che si affacciava su un magnifico giardino. Harry scorse dei ragazzi in uniforme che passeggiavano.
“Quelli che vedi sono studenti di Hogwarts, Potter.” Spiegò la McGrannitt “Ma loro non vedono te e non potete comunicare. Tuttavia, la luce e l’aria entreranno nella tua stanza, così purtroppo anche il freddo e il caldo, mentre la pioggia e la neve staranno fuori.”
“E un giorno potrò farlo anch’io?” domandò Harry.
La McGrannitt allora sorrise di nuovo: “Se sarai attento alle mie lezioni, sì Potter.”

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Hanno ucciso un unicorno ***


“Nessuno studente può entrare nella foresta quindi?”
“Senza permessi o accompagnatori, no.”
“Però è previsto come castigo.”
“Esatto Potter.”
“Non ha molto senso per me.”
“Se una cosa è prevista come castigo, in teoria si avrebbe meno voglia di andarci. Non credi, Potter?”
Sebbene ancora poco convinto, Harry annuì a Piton.
Il sacchetto che l’uomo teneva con sé era ormai pieno di rametti di dittamo e una fredda brezza si era diffusa tra gli alberi. L’uomo e il bambino stavano rientrando a passo lento verso il castello.
Harry avrebbe voluto stare ancora un po' fuori, ma sapeva che Piton non glielo avrebbe permesso.
Il professore sembrava anzi molto nervoso: lungo la strada avevano trovato terra smossa e rametti spezzati. Anche se aveva detto a Harry che probabilmente era stato qualche animale della foresta, era evidente che sospettava il peggio.
Sulle creature, Harry non sapeva ancora moltissimo: sapeva che esistevano dei draghi (uno a quanto pare era rinchiuso nelle profondità della banca dei maghi Gringott), degli unicorni e dei centauri.
Hagrid lo aveva anche istruito su due delle creature più pericolose, come le manticore, che però non venivano avvistate dentro la foresta da molti anni.
Aveva anche visto, con Hagrid, un folletto della cornovaglia. Ma ogni sapere si fermava lì.
“Professor Piton?”
“Sì, Potter?”
“Quando sarò studente, potrò avere un animale?”
“Sì.”
“E potrò dargli il nome che voglio?”
“Certamente.”
“Tu che animale avevi quando andavi a scuola?”
Piton guardò Harry come di traverso.
“Non sono informazioni necessarie per te, Potter.”
Harry annuì e si scusò.
“Non devi essere concentrato su nessuno, Potter, se non su te stesso.” Proseguì Piton “Il segreto della magia non è quanto si domina sugli altri, ma la capacità di concentrarsi su se stessi, di dominare le proprie emozioni, di mantenersi immobili nel caos del mondo…”
Mentre Piton parlava, un forte odore prese le narici di Harry. Era molto strano ed era sicuro di non averlo mai sentito.
Fu colto da una strana emozione, una curiosità morbosa: e se avesse finalmente potuto vedere una creatura magica?
“Pozioni è una materia straordinaria, proprio perché insegna la misura di tutte le cose. Basta un piccolo errore e un antidoto può trasformarsi in veleno. Non ci si può deconcentrare…”
Harry rallentò il passo. La voce di Piton si udiva chiaramente nella foresta, l’avrebbe sicuramente sentito, ritrovato. Non c’era nulla di male se si allontanava un attimo e seguiva l’odore.
“E dunque nell’attenzione costante e nella giusta misura, l’intruglio perfetto prende forma…”
Assicurandosi di continuare a sentire la sua voce, Harry si avventurò verso gli alberi sulla destra. Allora accadde qualcosa che non si aspettava. Mentre l’odore si faceva più forte, Harry sentì un dolore fortissimo alla testa. Era la sua cicatrice.
 
“Dicevano che questa me l’aveva fatta l’incidente d’auto.”
Era trascorso il suo primo anno nascosto ad Hogwarts e per l’occasione, Hagrid aveva preparato una torta al cioccolato.
Erano presenti anche la McGrannitt e Piton. E tutti e tre sollevarono la testa verso Harry.
“Questa dico” proseguì il bambino toccandosi la cicatrice a forma di saetta sulla fronte “ma non è stato un incidente d’auto… quindi questa come me la sono fatta?”
I tre parvero profondamente imbarazzati. Perfino i freddi occhi di Piton vagarono per un attimo in direzione della torta come per cercare lì una risposta.
“Scusate scusate io non volevo!” si affrettò a scusarsi Harry.
“Oh Potter no, non devi spaventarti.” La McGrannitt gli carezzò la testa, un gesto che aveva incominciato a fare diversi mesi prima, quando ormai avevano una confidenza maggiore. “La tua è una domanda assolutamente legittima. È che… è così difficile spiegare certe cose con le parole giuste…”
Harry annuì.
“Allora facciamo un accordo.” Propose “Io non vi chiedo più queste cose, ma quando avrò undici anni, mi racconterete meglio tutto. Sarò abbastanza grande allora, no? E poi se mi faranno domande, dovrò saper rispondere. Voglio dire, gli altri ragazzi, gli altri bambini, non mi conosceranno mica.”
Di nuovo, quelle parole sembrarono mettere tutti in imbarazzo. Ma allora Hagrid si fece avanti e gli mise una mano sulla spalla.
“Mi sembra l’età giusta quella Harry. Hai ragione. Per il tuo compleanno, saprai tutto… O almeno, tutto quello che potremmo spiegarti.”
Harry si accontentò di quella risposta.
Riprese a mangiare la sua torta.
“A proposito” disse allora Hagrid “sapete cosa è successo ieri con Thor?”
E avevano finito per parlare di tutt’altro.
 
Premendosi le dita sulla cicatrice, Harry proseguì dove l’odore ormai si trasformava in puzza per quanto era forte. Alle sue spalle, il discorso di Piton era ormai ridotto a un mormorio.
Ma quando sbucò nella radura, quello che vide gli fece perdere qualsiasi capacità sensoriale: per terra, tra i rami, le foglie secche e il fango, giaceva un magnifico unicorno.
Dal manto bianco e il lungo corno argenteo, la creatura aveva gli occhi rigirati e si poteva vedere la sua sclera bianca. Il suo crine era impastato in una massa argentea che sgorgava da un lungo taglio fatto sul suo collo.
Ma non fu solo quello a spaventare Harry.
Vicino agli zoccoli posteriori della creatura, giaceva un cucciolo, un puledro dal manto dorato con un piccolo spuntone al centro della fronte. Il cucciolo respirava ancora ma appariva debole mentre tentava di succhiare il latte dalle tettearelle presenti sul petto della creatura.
Harry attirò però la sua attenzione e il puledro alzò il muso e lo fissò con occhi sgranati e spaventati.
Harry ricambiò lo sguardo e provò per lui una pena infinita, tanto che quasi scoppiò a piangere.
“POTTER!”
Piton comparve alle sue spalle, lo girò con violenza e iniziò a tastarlo su tutto il corpo.
“Come ti è venuto in mente di….!?” Stava urlando ma si interruppe. Spalancò la bocca e osservò la scena alle spalle del bambino. I suoi occhi neri si riempirono di paura.
Prima che potesse dire qualcosa, Harry venne preso in braccio dal professore e stretto forte al petto di lui. Sentì il cuore dell’uomo battere forte e capì che era veramente molto spaventato.
Poteva ancora vedere oltre la spalla il puledrino che lo fissava altrettanto spaventato, mentre Piton si allontanava correndo, stringendolo sempre più forte.
Uscirono dalla foresta in un battibaleno.
Harry sentì Thor abbaiare e capì che Piton lo stava portando alla capanna di Hagrid.
“Professore! Che succede? Harry si è fatto male?”
“Un unicorno!” la voce di Piton era senz’aria “Hanno ucciso un unicorno!”
Harry fu lasciato scendere e voltandosi vide Hagrid altrettanto spaventato.
“N-No!” esclamò il mezzo gigante.
“Purtroppo sì. Ora… Metti il ragazzo al sicuro, io vado a chiamare la McGrannitt.”
Hagrid prese per mano Harry ma prima di portarlo dentro la sua capanna, Piton si chinò e lo guardò dritto negli occhi. L’orrore che Harry ci vide riflesso all’interno, gli provocò un tuffo al cuore: quell’uomo teneva veramente tanto a lui, e lui gli aveva dato davvero un gran dispiacere allontanandosi.
“Potter, ovunque ti nasconda Hagrid, non devi muoverti. Per nessun motivo! Hai capito?”
Harry annuì, poi sparì all’interno della calda capanna.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Quercia ***


“Quella laggiù?” Aveva chiesto Harry, quando aveva ancora otto anni, indicando la foresta proibita; durante la sua prima uscita dal suo sotterraneo, Harry era stato sempre vicino a Hagrid.
Era stato svegliato a notte fonda dalla McGrannitt che lo aveva avvisato della lontananza di Silente per un paio di giorni.
“Potrai uscire ma solo di notte.” Gli aveva spiegato.
Harry, che viveva quasi completamente isolato nel sotterraneo da più di una settimana, sebbene con la compagnia di alcuni libri che gli avevano portato Piton e la McGrannitt a sera, insieme a bei vassoi colmi di cibo, sarebbe uscito anche sotto un nubifragio pur di respirare dell’aria fresca.
La finestra magica creata dalla McGrannitt, per quanto bella, non aveva lo stesso effetto che poteva avere una passeggiata.
Quando la donna spalancò il portone che dava sui giardini, Harry si lanciò di corsa sul prato, allargando le braccia e osservando le stelle sopra di lui.
Hagrid comparve poco dopo e lo prese al volo.
“Avevi voglia di uscire eh?” gli aveva detto allegramente l’omone.
“Hagrid, deve tornare…”
“Prima del sorgere del sole di domani. Certamente.”
Il periodo di assenza di Silente, Harry avrebbe potuto passarlo nella capanna dell’uomo.
Ma prima, Hagrid lo portò a fare un giro dei giardini.
Gli mostrò le serre di Erbologia, il platano picchiatore, il suo campo di zucche, Thor e infine…
“Quella è la foresta proibita Harry. Lì non ci si può entrare. O meglio, io lo posso fare e volendo anche tu, ma solo con un adulto vicino. È un luogo pericoloso.”
“Chi ci vive?” aveva chiesto Harry.
“Oh, tante creature! E tutte molto belle! Ci sono Centauri, Ippogrifi, Unicorni…”
“Unicorni!?”
“Sì Harry, sei sorpreso?”
“Mi hanno sempre detto, anche a scuola, che gli unicorni non esistono!”
“Oh, invece esistono eccome! E sono anche belli sai? Pensa che con le loro criniere si realizzano delle bacchette magiche!”
“Come… quelle di Piton e McGrannitt?”
“Esatto.”
“Non ho mai visto la tua di bacchetta.”
Hagrid all’improvviso si fece cupo.
“La mia… La mia è andata distrutta molto tempo fa…” mormorò quasi balbettando.
“Oh Hagrid, mi dispiace, non volevo… davvero.” Fece Harry dispiaciuto.
Ma Hagrid era già tornato a sorridere sotto il folto barbone scuro.
“Ma lo so Harry, non preoccuparti! Piuttosto, se domani andassimo assieme a vedere un unicorno?”
“Possiamo davvero!?”
“Certo! Beh, in realtà non lo so… in questa stagione sono piuttosto restii a farsi vedere in giro. Sai, gli unicorni sono tra le creature magiche più pure che esistano.”
“E sono… sono come li raccontano i babbani? Sono con il corno in testa?”
“Sì! Quello e il manto bianco. Anche se quando sono più giovani è argenteo mentre da appena nati è d’oro.”
 
Harry aprì gli occhi.
Chissà perché aveva rivissuto quella conversazione nel dormiveglia.
Hagrid l’aveva lasciato nella capanna accanto al camino, con Thor steso al suo fianco.
Aveva chiuso gli occhi e aveva rivissuto quel giorno, quel primo giorno (anzi notte) di libertà.
Provò a ricordare ancora e sì, erano andati a cercare gli unicorni il giorno dopo, ma Harry poi si era incantato con un folletto della cornovaglia prima e con una vipera comune poi, con la quale aveva scoperto di poter comunicare.
Hagrid, la McGrannitt e Piton gli avevano spiegato che quella era una capacità magica poco comune ma non impossibile da avere.
“Però, tienila per te… è meglio. Spesso essere un rettilofono significa discendere da un mago oscuro…” gli aveva detto Hagrid, prima di lasciare la stanza.
Il giorno successivo, la McGrannitt aveva portato per lui alcuni libri dedicati a quella capacità e anche lei lo aveva invitato a mantenere il segreto.
Quindi, niente unicorni.
“Avrei voluto non perdermi in quelle sciocchezze.” Pensò Harry “Avrei dovuto cercare ancora insieme a Hagrid. E invece… invece il primo unicorno che ho visto era morto.”
Harry, realizzando finalmente la gravità di quanto aveva visto, stava per mettersi a piangere, quando un altro pensiero lo colpì come un fulmine.
“Il puledro! Forse Piton non l’ha visto! Devo dirlo a Hagrid!”
Harry si alzò ma si bloccò. Come poteva dire a Hagrid che c’era un puledro in difficoltà se doveva restare nella capanna?
Uscire era troppo rischioso e non voleva far arrabbiare di nuovo Piton.
“Potrei scrivergli un messaggio e attaccarlo al collare di Thor…”
Si preparò ad attuare il piano quando si rese conto di non essere solo con il cane.
In un angolo della capanna, rannicchiato e parzialmente coperto da una pesante trapunta di lana, c’era il piccolo unicorno dorato. Il suo muso sporgeva dalla scura coperta e rifletteva la luce del camino illuminando non poco la stanza.
Quando Harry si avvicinò aprì gli occhi e sollevò il collo.
Harry e la creatura si fissarono per un lungo minuto in silenzio, poi il puledro emise un suono acuto, come un nitrito, ma più simile al pianto di un neonato.
Harry fece un passo indietro.
“Così Hagrid lo ha portato qui subito… magari mentre io ero addormentato…”
Il bambino si guardò intorno e vide che sul tavolo era appoggiato un biberon piuttosto grosso.
Lo dovette afferrare con due mani per poterlo tenere e dal suono che emise capì che era pieno.
Il puledro dorato emise un altro pianto.
“Vuoi questo? Hai fame?”
Harry si stava per dare dello stupido per aver deciso di parlare a un animale, ma il puledro annuì con il muso.
Si capivano.
Almeno un po'.
Forse non bene come con i serpenti, ma era comunque abbastanza.
Harry si avvicinò e anche se con difficoltà tenne il biberon sollevato, mentre il cucciolo succhiava dalla tettarella di gomma.
Quando si saziò lasciò la presa ed emise uno sbuffo.
“Certo ne avevi di fame.” Harry rimise il biberon sul tavolo di Hagrid.
Quando osservò il cucciolo si rese conto che sembrava sorridergli.
Si avvicinò allungando una mano e l’animale, senza esitazione, vi appoggiò sotto la testa. La leccò e ci si strofinò il muso con gli occhi chiusi.
“Come sei bello…” Harry sentiva il pelo morbido e caldo tra le dita “Io mi chiamo Harry Potter comunque.”
Toccò sulla fronte il piccolo spunzone e l’animale tirò indietro la testa.
“Oh scusa… non volevo.”
Il puledro sbuffò.
“Non lo faccio più! Te lo giuro!”
Il puledro lo fissò qualche secondo poi chiuse di nuovo gli occhi e si lasciò accarezzare.
“Quella che ho visto… era la tua mamma?”
Il puledro aprì gli occhi, fissò Harry e annuì.
“Mi dispiace… Ma il tuo papà magari c’è ancora.”
Il puledro abbassò il muso fino a terra e sbuffò.
Harry smise di accarezzarlo ma non di fissarlo.
“Anch’io sono un orfano, sai? Non so neanche come sono morti davvero i miei genitori. Non me lo hanno ancora raccontato. Credo sia stata una cosa molto brutta.”
Il puledro si alzò sulle zampe e si scrollò di dosso la coperta. Harry notò che era già molto alto.
Lo seguì con lo sguardo e vide che andava a sedersi davanti al camino, a fissare il fuoco.
Lo imitò.
Thor sbadigliò e si limitò a rigirarsi dall’altro lato.
“Sono sicuro che Hagrid saprà cosa fare… lui sa tutto sulle creature magiche sai? Anche lui è orfano, me lo ha raccontato tempo fa… Mi ha spiegato che suo padre è morto da tanti anni mentre sua madre non l’ha mai conosciuta. Era una donna gigante. Ma non per modo di dire, nel senso, apparteneva ai Giganti. Sai che esistono anche quelli?”
Il puledro lo guardò e Harry parve che in quei grossi occhi ci fosse una vaga seccatura.
Poi però, l’animale gli diede un buffetto sulla guancia con le labbra e strofinò il muso sulla sua spalla.
“Posso capire e farmi capire dai serpenti… mi piacerebbe saper parlare anche con te… Ma chissà, magari è una cosa che posso imparare!”
Il puledro emise un nitrito allegro.
“Mi piacerebbe darti un nome….”
Il puledro scattò sulle quattro zampe e si allontanò di diversi passi. Arrivato in un punto della capanna dove poteva battere gli zoccoli sul pavimento di legno, colpì la terra per tre volte.
“E questo cos’è? Un gioco?”
Il puledro scosse la testa e colpì ancora tre volte.
“Tre…” mormorò Harry.
Il puledro annuì.
“Tre… è qualcosa che ha a che fare con il tuo nome?”
Il puledro annuì di nuovo e nitrì.
“Tre… Ti chiami tre?”
Il puledro fece uno strano gesto con la testa, a metà tra lo scuoterla e l’annuirla.
“Tres… È forse Tres il tuo nome?”
L’unicorno rifece quel gesto con la testa e abbassò il musco verso il pavimento, sfiorando la tavola di legno con le narici.
“Ah! Allora è il nome di un albero1! Faggio? Quercia?”
A sentire quella parola, l’animale nitrì forte.
“Quercia! Sì! È un bel nome!”
Il puledro tornò a sedersi vicino a lui.
Si guardarono negli occhi e Harry gli carezzò la criniera.
“Piacere mio, Quercia.”

1 Per capire questo gioco di parole: in inglese la parola "three" che indica il numero 3, suona come "tree" che significa "albero". Sì ho pensato a un gioco di parole in inglese, perchè sono maniaca della perfezione e visto che di imperfezioni in questa storia ce ne saranno sicuramente tante, volevo essere a posto almeno con questo. Abbiate pietà

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Gli intrusi ***


Quercia era la prima creatura vivente che conosceva dopo due anni.
A parte la McGrannitt, Piton, Hagrid e Thor, a Harry non era stata mai data la possibilità di incontrare altri esseri viventi.
La McGrannitt e Piton avevano parlato di fantasmi, ma a quanto pareva evitavano i sotterranei, preferendo le parti superiori del castello.
Solo uno di loro, Il Barone Sanguinario, preferiva i sotterranei e per questo era diventato il fantasma ufficiale della casa Serpeverde.
Ma Piton, che di quella casa era capo, aveva assicurato a Harry che il fantasma non si sarebbe fatto vedere.
“Non abbiamo scelto questa stanza a caso, Potter.” Aveva detto Piton seccato di fronte alle continue domande di Harry, terrorizzato dall’idea di potersi svegliare una notte e vedere un fantasma girargli attorno al letto. E con quel nome poi, chissà che aspetto terrificante doveva avere…
Ma Piton si era rifiutato di rispondere oltre, gli aveva però offerto un libro che raccontava la storia di Hogwarts. Oltre a quella dei quattro fondatori, veniva spiegata anche quella dei fantasmi delle case. E Harry si rattristò molto quando lesse dell’orribile fine del Barone Sanguinario e di Helena Corvonero. Lei uccisa da lui, che subito dopo si era suicidato.
“Forse per questo sta sempre nei sotterranei. Se salisse, la vedrebbe…” aveva pensato il bambino.
Tuttavia, anche se la stanza era a quanto pare una delle più segrete del castello, c’erano state due occasioni in cui Harry aveva avuto occasione di incontrare qualcuno dentro Hogwarts.
La prima quando una notte aveva sentito raschiare al legno della sua porta.
Non era riuscito a prendere sonno, forse perché dalla finestra incantata aveva intravisto un fantasma passare nel giardino con la luna piena.
Immobile aveva ascoltato il raspare delle unghie, domandandosi cosa ci fosse fuori ad aspettarlo, finchè non aveva udito un miagolio, seguito da una voce gracchiante: “Principessina, te l’ho già detto, questa stanza è sotto la custodia di Piton che ci ha detto che non possiamo entrare…”
Un altro miagolio, poi delle forti fusa.
“Su, dolcezza mia, andiamocene.”
Harry era rimasto sveglio fino all’alba poi aveva parlato alla McGrannitt dell’accaduto.
“Erano Gazza e la sua gatta, Mrs Purr. Niente di cui preoccuparsi, ma sono contenta che non hai provato ad aprirgli la porta.”
La maga, seduta vicino a Harry, aveva spiegato al bambino che Gazza era un uomo molto duro, che odiava i ragazzi allievi della scuola perché era un Magono (nato da maghi, ma senza poteri magici).
Era stato nominato custode del castello e aveva come unica amica la sua gatta.
Dalla voce, Harry aveva provato un istintivo timore per quell’individuo. Ma sentendo la sua storia si domandò se anche lui avesse vissuto un’infanzia come la sua: in una casa dove veniva maltrattato in quanto diverso.
“Gazza non sa nulla di te, Potter. E non deve. Non lo considero personalmente malvagio, ma non possiamo fidarci di lui. Troppa gelosia annebbia la sua mente, mi capisci?”
Harry aveva annuito silenzioso.
La seconda occasione si era presentata quando, in una notte particolarmente fredda, aveva sentito uno scalpiccio sconosciuto percorrere il corridoio e delle voci basse, ma chiare, di ragazzi forse poco più grandi di lui.
“Ti dico che qui c’è qualcosa! Questa mappa non ha mai mentito!”
“Sì George, ma pensa a Peter Minus. È morto, no? Eppure la mappa lo mostra lo stesso. Silente ha parlato chiaro: Harry Potter diventerà uno studente, ma ci vuole ancora del tempo.”
Harry si era teso.
La sua presenza lì doveva essere un segreto e ora due persone che conoscevano il suo nome erano a un passo da lui.
“Comunque, la porta è questa.”
Harry aveva visto la porta di legno aprirsi.
“Lumos”
Harry si era seduto sul letto e aveva osservato immobile i due intrusi.
Non si era sbagliato: erano poco più grandi di lui.
Alla luce della luna aveva visto che avevano i capelli rossi e le lentiggini.
Si era domandato come mai loro non guardassero verso di lui né verso la finestra che illuminava la stanza. Quell’invasione, che l’aveva inizialmente spaventato, lo riempiva in realtà di una gioia non indifferente: finalmente conosceva qualcuno della sua età!
Magari avrebbe potuto convincere quei ragazzi a mantenere il segreto del suo rifugio e la McGrannitt lo avrebbe lasciato conversare e giocare con loro!
Avevano l’aria simpatica, anche se si atteggiavano in modo strano: osservavano le pareti e le toccavano, ma non lo degnavano di uno sguardo.
Ad un certo punto, uno dei ragazzi pose la mano di fronte a lui e iniziò a tastare il vuoto.
“Sono qui…” mormorò piano Harry alzandosi dal letto e avvicinandosi.
Ma il ragazzo parve non accorgersene.
Poi l’altro gli mise una mano sulla spalla.
“George, come vedi è vuota. E pure più piccola di come la fanno vedere sulla mappa.”
Solo allora Harry si era accorto di due cose: la prima era che i due ragazzi si somigliavano in modo impressionante, anzi erano identici. Perfino le lentiggini sul viso sembravano disposte nella stessa posizione!
La seconda era che quello che non si chiamava George teneva in mano una pergamena su cui sopra era scritto qualcosa. Harry non fu sicuro ma gli parve che alcune scritte si muovessero.
“Questa mappa è molto vecchia. Magari questa parte del castello era più grande quando l’hanno fatta. E poi Peter Minus, ricordi? Lui è morto ma la mappa lo fa vedere.”
Il ragazzo di nome George annuì. Posò gli occhi sulla pergamena che gli porgeva l’altro e sobbalzò.
“Gazza e Mrs. Purr!”
I due corsero via chiudendosi la porta alle spalle.
Harry rimase immobile in mezzo alla stanza con lo sguardo fisso e il cuore in gola.
Il giorno successivo, Hagrid gli portò la colazione, ma Harry gli chiese di chiamare al più presto la McGrannitt.
La professoressa lo raggiunse in serata con la cena.
“Mi dispiace, Potter, oggi è stata una giornata piuttosto affaccendata. Cosa volevi dirmi?”
Harry le raccontò di quanto accaduto la notte precedente, senza tuttavia dare troppi dettagli sui due ragazzi che erano entrati in camera sua, e la donna si innervosì molto.
“Puoi dirmi qualcosa di più su questi due ragazzi, Potter?”
Harry stava per rispondere, ma qualcosa lo bloccò: “Perché?”
“Hanno infranto il regolamento della scuola, mettendo così in pericolo loro stessi e anche te!”
“Non mi sembra che tenendo me qui noi stiamo seguendo il regolamento.”
La McGrannitt era rimasta impassibile nella sua posa severa per un po', prima di sciogliersi in un sorriso.
“Hai ragione Potter. Hai decisamente ragione. E no, non è mai bello fare la spia verso i propri compagni… Per questo esistono i prefetti. Loro devono gestire la cosa senza che intervengano i professori, salvo casi molto eccezionali ovviamente.”
La donna si era seduta vicina a lui.
“Ti senti molto solo qui, vero Potter?”
Lui aveva abbassato lo sguardo. Si era vergognato e anche un po' spaventato: quella stanza era per lui come un tesoro e gli dispiaceva deludere la McGrannitt.
La donna gli mise una mano sulla spalla.
“Non devi preoccuparti. Manca poco, sai? Poi potrai entrare come studente.”
“Professoressa?”
“Sì?”
“Perché non mi hanno visto? Io ho visto loro e la luna li illuminava… ma non hanno visto né me né la finestra.”
“Oh questa stanza è molto speciale, Potter! Io e Piton ci siamo impegnati molto per rendere la tua presenza la più discreta possibile. Ora tu non lo puoi vedere, ma da un certo punto in poi, chiunque entra, vede solo un grosso muro, perfettamente uguale alle altre mura. E no, loro non possono vedere la luce della finestra. Anche se questa li illumina.”
Harry aveva annuito, incantato. La McGrannitt e Piton dovevano essere molto potenti.
“Chi è Peter Minus?”
La donna aveva sgranato gli occhi.
“Dove hai sentito questo nome?”
“Lo ha detto uno dei ragazzi… Non so perché… Ha solo detto che era morto.”
“È così, Potter. Peter Minus è morto molto tempo fa. Ma non è ancora ora che tu sappia la sua storia. C’è un tempo giusto per ogni cosa. Pensi che quando avevo la tua età ero già in grado di creare una stanza perfettamente invisibile come questa?”
“E perché no? Quando si è bravi…”
Di nuovo la McGrannitt aveva sorriso.
“Ascolta Potter, prenderemo delle precauzioni ulteriori. Però ora pensa a mangiare la cena e stasera recupera un po' di sonno. Se tutto andrà bene, tra un paio di notti, potrai uscire di nuovo…”
 
“Non ho mai più visto quegli strani ragazzi coi capelli rossi, ma spero di incontrarli… Mi sembravano simpatici… Comunque sai cosa? Anche se non mi dispiacerebbe stare nella casa di Piton, i Serpeverde, sono stato troppo tempo nei sotterranei. Già solo questo mi porta a pensare che un’altra casa sia meglio per me.”
Il puledro di unicorno lentamente strofinò il naso contro il braccio di Harry.
“Ho esplorato poco del castello. La McGrannitt ha paura che venga visto da qualche fantasma o che Silente, che a quanto ho capito è quasi sempre a Hogwarts, possa notare la mia presenza. Tutti parlano bene di Silente e sembra che tutti lo ammirino. A quanto pare l’unica cosa che non gli hanno saputo perdonare è il fatto che ha voluto lasciarmi dai miei zii. Mi piacerebbe incontrarlo, sai? Lui è Grifondoro. La casa del coraggio. Come la McGrannitt. Ma io non mi sento molto coraggioso. O se anche lo fossi… Non è a quello che voglio pensare, ora.”
Harry sospirò. Il puledro sbuffò insieme a lui.
“E se non vengo smistato? A quanto pare la cerimonia di smistamento è una cosa molto seria… e… non è mai capitato che qualcuno non venisse smistato… Ma se capitasse a me?”
Il puledro l’aveva guardato negli occhi.
“Io sono diverso anche dai maghi… O almeno, ho questa sensazione… e ho paura che sia colpa di questo.” Harry si era scoperto la cicatrice sulla fronte e il puledro aveva reagito con un sobbalzo e un nitrito forte.
Harry si era affrettato a carezzarlo per calmarlo.
“Lo vedi? Nemmeno a te piace… Ma domani è il mio compleanno e mi diranno la verità!”

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Regali per Harry ***


Rimasero in silenzio davanti al fuoco per circa un quarto d’ora, prima che le voci si iniziassero ad udire da lontano.
“…E comunque è più sicuro anche per il ragazzo, data la situazione attuale.” La voce gelida di Piton fu la prima di cui distinse le parole.
“Avremmo dovuto spiegarglielo prima allora!” tuonò Hagrid.
“Non ha importanza se prima o dopo. Qui non è al sicuro, almeno finchè non capiamo chi è il responsabile. Credete che stia dormendo?” La McGrannitt come sempre era la più calma, ma Harry distinse una certa paura nella sua voce.
“Non lo so. Quando ho portato il cucciolo dentro, stava dormendo, quindi chissà.” Hagrid si era raddolcito mentre spalancava la porta.
Harry li vide oltrepassare la soglia e notò che tutti avevano un pacchetto in mano (Hagrid due).
Quando si resero conto che era sveglio si bloccarono.
Quercia nitrì debolmente e con le labbra diede un buffetto a Harry.
“Salve…” mormorò il bambino.
In quel momento Hagrid poggiò uno dei pacchi e alzò un dito intimando silenzio. Harry non capì perché poi gli parve di sentire un rumore lontano. Capì che era la torre dell’orologio di Hogwarts che batteva la mezzanotte.
“Adesso sì.” Disse Hagrid sorridendo e porgendo a Harry il primo pacchetto, grosso e rettangolare “Buon compleanno Harry.”
Harry sentì il cuore fermarsi per un attimo: era tutto vero!
Era il suo compleanno, i suoi undici anni, l’età in cui Hogwarts sarebbe diventata la sua casa, in cui avrebbe saputo la verità sui suoi genitori: prese il pacco e lo aprì trovandovi dentro una torta.
Era stata evidentemente cucinata da Hagrid, appariva imperfetta e la scritta di auguri aveva un errore evidente di ortografia.
Ma Harry si commosse comunque.
“Grazie Hagrid.”
Anche la McGrannitt sorrideva e perfino Piton aveva di nuovo quella specie di smorfia sorridente che Harry gli aveva visto comparire varie volte in viso.
“E non è finita!” esclamò Hagrid “Questo è il mio regalo per te!”
Il secondo pacco aveva una forma strana, come di un cilindro dalla punta ricurva ed era coperto da un panno nero.
Harry scostò la scura stoffa e vide una candida civetta dagli occhi gialli chiusa in gabbia.
“Hagrid…. Hagrid… è… non dovevi…”
“Ti piace vero? Si chiama Edvige! Ti ricordi che ti avevo detto che potevi tenere un animale a tua scelta? Beh, io mi ricordo che mi avevi detto che una volta avevi visto alla televisione un documentario sulle civette delle nevi. E così…”
Era vero.
Era uno dei pochi ricordi belli che aveva di Privet Drive.
 
Vedere la televisione non gli era mai stato permesso. Ma capitava che i Dursley uscissero senza di lui.
E allora lo lasciavano alla vecchia Arabella Figg, una delle poche persone veramente gentili con lui, peccato per i tanti gatti che teneva in casa e per alcuni modi un po' strani che a Harry non avevano mai veramente convinto.
Era in quei pochi casi che Harry riusciva a vedere un po' di televisione e in un giorno d’estate particolarmente caldo, poiché sia Arabella che i suoi gatti erano caduti addormentati in un pisolino che sembrava infinito, Harry aveva potuto vedere con tutta calma un bellissimo documentario sulle civette delle nevi.
Creature intelligenti e resilienti, Harry era rimasto incantato dal loro aspetto e dalla loro capacità di resistere e adattarsi a un ambiente ostile.
Si era portato dietro il ricordo della civetta anche fuori dalle mura di Privet Drive.
Un giorno d’inverno particolarmente freddo, Hagrid lo era andato a trovare fuori dall’orario stabilito per portargli una grossa pelliccia.
“Deve restare un segreto Harry.” Gli aveva detto.
“Ma Hagrid, come lo spiego a Piton e alla McGrannitt la presenza della pelliccia nella mia stanza?”
Hagrid aveva taciuto e poi scosso la testa.
“Lasciamo stare, ci penserò io. Ti dispiace se rimango qui? Gazza sta dando la caccia a due discoli di Grifondoro che esplorano i sotterranei da giorni.”
“No, mi fa piacere parlare con te.”
E avevano parlato infatti, di creature magiche, delle case di Hogwarts, delle lezioni…
“…Sai che è permesso avere un animale?”
“Ne ho parlato con Piton, sì. Tu che animale avevi?”
Hagrid diventò all’improvviso rosso come un peperone.
“Ah… Ecco…. Io…. Sai io adoro gli animali e non potevo certo tenerne solo uno!”
Harry capì che non voleva parlarne e si affrettò a riportare la discussione su una via più calma: “Sai io non so ancora cosa voglio, ma sono sicuro che non voglio un gatto.”
“Ah…. E perché?”
E Harry gli aveva detto di quanto gli avevano dato fastidio i gatti di Arabella Figg, di quanto, sapendo che la McGrannitt poteva trasformarsi in un gatto, gli avrebbe fatto impressione averne uno come animale... e nel discorso venne fuori la storia delle civette bianche.
“Catturano gli animali e li conservano vicino al nido. Solo quando sono sicuri di averne tanti fanno le uova. Li conservano per i piccoli.”
E Hagrid, che non era più rosso in viso, lo ascoltava sorridendo.
 
“È una femmina.” Aggiunse Hagrid “D’ora in poi sarà lei a portare la posta che riceverai.”
Harry la stava carezzando, e la civetta gonfiava le piume orgogliosa.
“È bellissima Hagrid. Io… Ti ringrazio tanto…”
“Oh non devi Harry! Undici anni sono importanti!”
“Anch’io ho qualcosa per te…” Fece la McGrannitt.
Il suo pacco era molto strano, lungo con una punta sottile e un’altra larga.
Harry lo scartò e vide che al suo interno c’era una scopa.
Le lettere d’oro sulla punta recitavano “NIMBUS 2000”.
“Ne abbiamo molte a scuola per gli studenti ma… Ma io ci tenevo a regalarti qualcosa che fosse utile…”
“È stupenda! Io… Io non so… Non riesco…”
Nei due anni che l’avevano tenuto nascosto, gli avevano dato tante cose. Ma Harry sentiva che quei regali erano ancora più speciali: erano doni che lo legavano a Hogwarts, erano segno che lui lì “poteva” restare.
“Anche questo ti sarà utile Potter.”
Piton fu come sempre il più brusco dei tre: quasi gli buttò tra le braccia il grosso pacco che sembrava una sfera e che si rivelò essere un calderone con incisi sopra dei draghi.
“Il migliore sul mercato. Spero che sarai in grado di usarlo al meglio, durante le mie lezioni.”
Harry non resistette e i suoi occhi si riempirono di lacrime.
“Mi avete fatto tanti regali bellissimi, ma questi sono i più belli di tutti…. Vi ringrazio tanto….”
Quercia gli andò vicino e affettuosamente strofinò il muso contro la sua guancia.
Fu allora che Hagrid si avvicinò al biberon che aveva lasciato sul tavolo e lo soppesò in mano.
“Perdonami Harry… Hai per caso allattato il cucciolo?”
Harry non si accorse che nel tono del Mezzo Gigante c’era dell’ansia.
“Oh sì.” Mormorò asciugandosi le lacrime “Poverino, aveva così tanta fame…”
Harry si era tolto gli occhiali per pulirli e quando li indossò nuovamente, vide che i volti dei tre erano pallidissimi.
“C-Che c’è?” chiese.
“Beh… Questo complica un po' le cose…” iniziò Hagrid.
“Non complica proprio un bel niente!” esordì Piton irritato “Il ragazzo ha la precedenza quindi procediamo senza indugio.”
“Ho fatto qualcosa di sbagliato?” domandò Harry.
“Non hai sbagliato tu, ma a volte la massa celebrale è inferiore a quella fisica…” fece Piton stizzito.
Hagrid arrossì: “E con questo cosa volete insinuare!?”
“Non potevi preparare il biberon di latte dopo. Dovevi per forza lasciarlo qui…”
“ORA BASTA!” la McGrannitt urlò con tanta forza che i tre si spaventarono e pure Edvige sobbalzò nella sua gabbia. Quercia dal canto suo indietreggiò contro il muro della capanna.
La donna emise diversi lunghi respiri. Poi si voltò verso Piton.
“Severus, voglio che tu vada a preparare tutto e a parlare con Silente. E tu Hagrid, vai alla tua motocicletta e assicurala pronta a partire. Abbiamo deciso e dobbiamo fare in fretta, ora che Harry e l’unicorno sono legati. Voglio restare con Potter da sola. È giusto che sappia alcune cose.”
Severus e Hagrid, dopo una breve esitazione annuirono rispettosamente.
“Se vuole fare del tè…” stava per dire il mezzogigante.
“Non preoccuparti Hagrid.” Lo interruppe la professoressa con un gesto della mano.
I due uscirono, lasciando lei, Harry, Edvige e l’Unicorno soli nella capanna.
La donna si voltò e gli sorrise.
“Credo sia il caso di mangiare la torta prima che si smonti.” Mormorò. Tirò fuori la bacchetta e fece apparire una tavola imbandita con un servizio da tè.
Harry l’aiutò a tagliare la torta: era dolcissima e un po' stopposa, come tutte le torte di Hagrid, ma lui se ne servì in abbondanza.
“Io conoscevo i tuoi genitori.”
Harry si bloccò con il boccone ancora in mano.
“So che Piton e Hagrid ti hanno già parlato di loro. E posso assicurarti che qualsiasi cosa di buono ti hanno detto è vera. Tuo padre non era un’eccellenza e non stava dietro alle regole, ma era leale e corretto quando si trattava della sua casa e degli amici. E tua madre, Lily, era una delle persone più gentili che io abbia mai conosciuto. Lei le regole le rispettava e le faceva anche rispettare agli altri. A tuo padre teneva testa…” La McGrannitt si interruppe. Si tolse gli occhiali e si stropicciò gli occhi.
Harry si chiese se stesse piangendo.
“Venne un momento Harry… In cui insegnante o studente, mago o babbano, non aveva importanza. Siamo stati tutti insieme una grande squadra. Io ero ai margini di questa squadra, di cui tua madre e tuo padre facevano parte. Ma ho collaborato, anche grazie alla mia capacità di trasformarmi in un gatto. Purtroppo questo non bastò a salvare i tuoi genitori.”
Harry sentì il bisogno di dare alla donna una pacca sulla spalla. Se ne pentì quasi subito, ma lei gli sorrise.
“Di questo periodo, imparerai con il tempo. Spiegarti tutto insieme ora è difficile, ma come promesso ti dirò cosa è successo ai tuoi genitori.”
Harry si tese.
Sentì Quercia poggiargli il muso in grembo e lo carezzò per farsi forza. Il momento della verità era arrivato.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - La verità ***


“La magia è uno strumento. Ed è nel mago che la usa e nella sua coscienza l’essenza della sua azione. Potente o meno che sia, il mago che usa la magia per fare del bene riuscirà nel suo intento. E se invece vuole fare del male…”
La donna si interruppe e i suoi occhi parvero velarsi per un momento di lacrime. Sospirò e continuò.
“Molti anni fa, un mago, che era stato anche studente di questa scuola, scelse la via delle arti oscure. Era un mago abile e potente, ma aveva anche doti che nulla avevano a che fare con la magia. Egli era intelligente, abile a parlare, carismatico… e anche bello. So che può sembrare strano, ma anche nel mondo dei maghi l’apparenza ha la sua importanza. Oltre a ciò aveva una grande fame di potere e un profondo desiderio: quello di eliminare i babbani e tutti i maghi nati all’interno delle famiglie babbane. Ora il nostro mondo ha molto rancore verso di loro, ma abbiamo fatto un patto con noi stessi, ovvero quello di non usare mai la magia con loro, in alcun modo. Vogliamo la pace, non la guerra. E invece lui non era d’accordo. Reclamava a gran voce la superiorità del mondo magico su ogni cosa. E chi si metteva sulla sua strada, chi non era d’accordo, trovava la morte.”
“Come si chiamava?” la interruppe Harry. “Questo mago dico.”
La McGrannitt lo guardò negli occhi: “Mi dispiace Harry… Ma questo mago ha fatto delle cose talmente terribili… che preferiamo non pronunciare il suo nome. In nessuna circostanza.”
Harry annuì lentamente.
“Comunque, la crociata di questo mago non era solo contro i babbani, ma anche contro moltissimi maghi. Grazie alla pace e alle regole che il mondo magico si è imposto da secoli, c’è ormai una grande mescolanza tra maghi e babbani. Inoltre, un nascituro può essere dotato di abilità magiche pur non ereditandole da nessuno. Tua madre, Lily, era nata in una famiglia babbana per esempio. E prima di lei, o almeno così ci risultò dalle nostre ricerche, non c’erano altri elementi magici nella sua famiglia. Ma già tanto sarebbe bastato a lui per…”
La donna tacque.
Anche Harry sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
“Ha ucciso i miei genitori perché mia madre era figlia di babbani?”
“In verità” la McGrannitt ci rimise un bel po' a riprendersi per parlare “non c’era solo quello. Sappiamo per certo che V… Che colui che non può essere nominato aveva un odio profondo per i tuoi genitori, entrambi, poiché loro avevano vinto molti scontri contro i suoi accoliti. Ma una cosa che è certa… è che voleva uccidere te.”
“Me?”
“Sì. Tanto che per molto tempo, tua madre e tuo padre sono rimasti nascosti, senza combattere a fianco degli altri della resistenza. Lui però è riuscito a trovarvi e…” La donna deglutì “…e qualcosa che ancora oggi non sappiamo spiegarci è accaduto: quella notte, quando ha tentato di ucciderti, la maledizione scagliata contro di te è ritornata su di lui. E da allora, nessuno lo ha più visto.”
Ci fu un lungo momento di silenzio. Harry sentì il puledro posare il muso sulla sua gamba e strofinarlo piano.
Lo accarezzò e la morbidezza del pelo della creatura lo aiutò a calmarsi.
“Cioè… Io… Io ho ucciso questo mago?” domandò incerto.
“Non lo sappiamo. Non sappiamo nulla. Sappiamo solo che quando Hagrid e Piton sono arrivati a casa dei tuoi genitori, l’intero edificio era distrutto, e il mago oscuro era scomparso… e tu eri lì… vivo e vegeto. L’unica cosa che quell’anatema terribile ti aveva provocato era quella piccola cicatrice sulla fronte. Da allora sei diventato ‘il bambino che è sopravvissuto’, e con questo nome sei conosciuto nel mondo magico.”
Harry sentì una lacrima scendergli lungo la guancia.
“Ho potuto sconfiggere quel mago… ma non salvare i miei genitori…”
La McGrannitt all’improvviso lo prese e lo strinse in un abbraccio. Harry non se lo aspettava affatto e sobbalzò mentre le magre braccia della donna lo stringevano.
“Non devi sentirti in colpa. Qualunque cosa sia successo quella notte, qualunque sia stato il miracolo che ti ha salvato, la colpa non è tua Potter.”
Faceva strano sentirla tornare formale mentre lo stringeva. Harry si fece coraggio e ricambiò l’abbraccio.
“Grazie per avermi detto la verità.”
La donna si distaccò lentamente: “Te l’avevo promesso, Potter. È giusto che tu lo sappia anche perché… presto dovrai entrare nel mondo magico e non da clandestino. E scoprirai che la tua storia è conosciuta e raccontata da tutti. In poche parole, nel nostro mondo, sei famoso.”
Harry sgranò gli occhi: quell’informazione proprio non de l’aspettava.
“Famoso? Io?”
“Quanto capitato ha rapidamente rovesciato le sorti della guerra. Gli accoliti di questo mago oscuro sono stati tutti sconfitti, alcuni morti, altri incarcerati, altri ancora… beh dicono di essere stati sotto incantesimo o hanno accettato di collaborare e in nome della pace li abbiamo lasciati tornare a vivere con noi. Tutti danno il merito a te e ai tuoi genitori per quanto accaduto. Sei conosciuto come un simbolo di rinascita, di nuova speranza… E nel mondo magico le notizie e le leggende si diffondono molto in fretta.”
Harry non era sicuro di sapere cosa poteva significare tutto quello. Aveva un vago ricordo del concetto di “famoso” nel mondo babbano. Ma come funzionava nel mondo magico?
“C’è però una cosa che dovrai fare prima di poter entrare qui da studente.” Proseguì la Mcgrannitt “per entrare a Hogwarts c’è bisogno di ricevere una lettera d’ammissione… e la tua sarà inviata al tuo vecchio indirizzo.”
Harry sobbalzò così forte che il puledro vicino a lui fece un passo indietro.
“Devo tornare lì!? Dai Dursley?!”
“Non tornerai solo” si affrettò a dire la donna “Severus Piton ha già stabilito che rimarrà con te anche a costo di dover condividere lo stesso tetto con i tuoi zii. Mi dispiace ma è necessario farlo e il tempo sta per scadere. Se entro il primo settembre non riceverai la lettera… bhe, dovremmo inventare qualcosa per l’anno che verrà…”
“Posso non ricevere la lettera?”
“Diciamo che c’è bisogno di una circostanza speciale per averla, ma non ho dubbi che avverrà. Comunque, Severus ti spiegherà tutto. Dopodiché, potrai tornare direttamente qui… anzi, forse è giusto utilizzare il termine, dovrai.”
Harry non capì né la frase, né lo strano tono con cui la donna l’aveva pronunciata. Il puledro però emise un lieve nitrito.
“Vedi Potter, i cuccioli di unicorno hanno una caratteristica fondamentale: si faranno nutrire sempre e solo dal primo che ha dato loro da mangiare dopo la morte dei genitori. Quindi, se vogliamo salvare questo cucciolo, è necessario che tu sia presente almeno per le prossime tre settimane.”

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Qualcosa di più su zia Petunia ***


Seduto sul letto dentro la stanza sotterranea, Harry stava sorseggiando una cioccolata calda assieme a Hagrid.
Era dicembre e il giardino era già svuotato di molti degli studenti. Ma non tutti rincasavano per le vacanze di natale. Il capodanno a Hogwarts prevedeva festeggiamenti sobri ma allegri, che Harry osservava malinconicamente dalle finestre incantate.
“Quest’anno nuovo, a luglio, saprò la verità.” Mormorò Harry.
“Certo Harry! Infatti! Beh… non so quanto saremo in grado di dirti in realtà. Ma sì ti parleremo di cosa è successo ai tuoi genitori con chiarezza, questo è certo.”
Harry si era tolto i baffi con il dorso della mano: “Perché accennate sempre al fatto che non potrete raccontarmi tutto? Perché non potete farlo?”
“Beh Harry, non possiamo perché è molto difficile raccontare qualcosa di cui noi stessi non siamo sicuri. E, anche se hai scoperto di essere un mago con un certo anticipo, non significa che tu stesso hai tutti gli elementi per capire quanto ti viene raccontato. Anch’io ancora oggi ho difficoltà a capire tante cose.”
Harry annuì bevendo dalla tazza lentamente.
Le vacanze gli piacevano perché Hagrid, Minerva e Severus avevano più tempo per andarlo a trovare, ma rimaneva importante godersi ogni momento della loro presenza.
“Hagrid, me lo direte tutti e tre o parlerà solo uno di voi?”
Hagrid arricciò le labbra pensieroso.
“Non so Harry… Non ci abbiamo pensato ancora…”
Harry aveva poggiato la tazza sul vassoio fluttuante. Aveva scoperto solo quel giorno che Hagrid ancora poteva fare qualche magia grazie al suo ombrello, dove aveva inserito la punta della sua bacchetta.
Si fece coraggiò e domandò: “Hagrid, mi dispiace di chiedertelo, ma ho bisogno di saperlo: perché ti hanno permesso di restare quando ti hanno espulso?”
“Oh è stato tutto merito del professor Silente! Allora non era ancora preside, ma è riuscito con la sua intercessione a evitare il peggio per me! Aveva capito subito che…” si interruppe e si schiarì la voce “… Che le accuse che alcuni studenti avevano fatto contro di me erano infondate. Sai, è stato proprio lui, insieme a Minerva McGrannitt, ad aiutarmi a mettere la punta della bacchetta nel mio ombrello!”
“E non c’è stato nessuno studente che ti ha difeso?”
Hagrid non rispose subito. I suoi occhi rimasero per un intero minuto a fissare la tazza ancora piena per metà.
“Non porto rancore verso nessuno dei miei compagni Harry, devi credermi…” disse Hagrid con un tono che Harry non aveva mai sentito prima “…Il rancore è una cosa brutta e una perdita di tempo. E in qualche modo, ho sempre saputo che per il mio essere mezzogigante ispiro una naturale paura sugli altri. Per quanto qualcosa potesse darmi fastidio, o farmi male, il mio scopo è cercare di vivere sereno, come credo lo sia per tutte le creature magiche. Forse anche per questo sono affascinato da loro. A quei tempi, quando tutto è successo intendo, ero arrabbiato. Ma ora che sono cresciuto… ora riesco a capire.”
Harry si pentì della domanda che gli aveva fatto. Anche perché notò che uno degli occhi di Hagrid aveva lasciato cadere una lacrima sulla folta barba scura.
“E comunque, credo di essere stato molto più felice da assistente che da studente!” esclamò tornando allegro “Meno compiti, più responsabilità pratiche! Non sono mai stato un asso nella lettura, ma se c’è da spostare un tronco o da stanare uno gnomo o cacciare via una manticora, io sono il migliore a Hogwarts! Anche se le manticore preferirei non incontrarle.”
Hagrid fece un occhiolino a Harry che sorrise a sua volta. In effetti, da come gli erano state descritte, le manticore sembravano anche a lui molto spaventose.
“E poi, gli studenti hanno iniziato a trattarmi bene! Non tutti si intende, ma molti sì! Ti ho mai raccontato di quella volta che ho offerto un tè a tua madre?”
Harry si era drizzato sul letto: “No.”
“Beh, tua madre era fuori ed è scoppiato un acquazzone pazzesco. Io le ho urlato se voleva entrare nella mia capanna e lei lo ha fatto senza esitare. Abbiamo preso un tè e mi ha raccontato un sacco di cose sulla sua vita babbana! Sai io con i babbani non vado molto d’accordo, ma ammetto di essere curioso di tante cose del loro mondo… Beh lei me le ha spiegate! Mi ha detto come funziona la scuola lì, mi ha detto che i suoi genitori erano così fieri di lei quando avevano saputo che era una strega, tanto che lei aveva dovuto fargli leggere una copia del regolamento che imponeva agli studenti di non fare magie fuori dalla scuola. Mi raccontò anche di come sua sorella l’avesse costretta i primi anni a consegnare delle lettere a Albus Silente per farsi ammettere pur non avendo poteri magici.”
La notizia colpì Harry in pieno petto come una pallonata tirata da Dudley.
Allora sua zia Petunia dopotutto non aveva sempre odiato la magia!
“Era molto dispiaciuta per lei, penso volesse sfogarsi un po'” proseguì Hagrid senza notare il suo cambio d’umore “perché Petunia nella scuola babbana non si trovava affatto bene, la prendevano in giro tutti. A Lily non piacevano queste cose, neanche quando succedevano qui. Per questo quando Piton…” Hagrid si interruppe all’improvviso poi fissò Harry “…ok, rimanga tra noi Harry: Piton veniva spesso preso in giro e tua madre non approvava questa cosa. Ma mi raccomando, io non ti ho detto nulla. Comunque, Petunia anche veniva spesso presa in giro e accusava i genitori di preferire Lily a lei e per questo, quando tornava a casa dalle vacanze la evitava sempre. Lily aveva iniziato a non tornare a casa alle vacanze di Natale proprio per non disturbare, ma i genitori le mandavano sempre tanti regali. Beh non ci crederai mai, ma dopo quella conversazione davanti a tè e biscotti, tua madre mi ha spesso portato dei pensierini nelle date importanti, come Natale appunto. Biscotti, dolcetti e anche leccornie babbane, cose che nel nostro mondo non ci sono. Sia chiaro, qui a Hogwarts abbiamo il ricettario di Tosca Tassorosso, che era una gran signora e abilissima a cucinare. Vedeva nel cibo una parte importantissima della vita di un mago e desiderava che ogni studente avesse sempre la pancia piena. Ma anche i babbani non se la cavano male! Soprattutto con quelle cose… quelle che stanno avvolte in quei sacchetti….”
“Le merendine?” tentò Harry.
“Ecco esatto quelle! Alcune di quelle tua madre me le fece assaggiare ed erano molto buone!”
Hagrid era andato via con il vassoio poco dopo, lasciando Harry ai suoi pensieri. Non era cambiata molto la sua opinione su Privet Drive: piuttosto che tornare lì, avrebbe preferito affrontare una manticora.
Ma quella notizia su zia Petunia gli aveva fatto provare nei confronti di quella donna un senso di pena profondo. Sapeva che sua madre era anche bella d’aspetto, la notizia era stata confermata da tutti (Piton, Hagrid e McGrannitt) in separate sedi. Quindi oltre a non poter competere in fatto di magia, chissà quante volte zia Petunia si era sentita frustrata anche per l’aspetto. Harry aveva già visto quel meccanismo in passato, tra compagne di scuola, che già da bambine mostravano una propensione alla vanità e al disprezzo per chi era diversa. Mentre tra bambini era importante la stazza e la forza fisica, ma alla fine si tratta della stessa identica cosa espressa in modo diverso.
Provò all’improvviso una tristezza pazzesca a immaginare Petunia che scriveva una lettera chiedendo di poter studiare insieme a sua sorella.
Poi però un pensiero spazzò via ogni pietà: Petunia non l’aveva fatto perché voleva bene alla sua mamma, ma solo perché era stata gelosa di lei. E la magia, probabilmente la voleva soltanto in quanto gran prepotente! Se avesse voluto davvero bene a sua madre, non lo avrebbe mai trattato così male!
Un motivo più per sperare di non rivedere i Dursley.
 
Rimasto di nuovo momentaneamente solo nella capanna, Harry aveva preso a spazzolare Quercia come gli era stato insegnato da Hagrid.
Questi, insieme a Piton, era rientrato nella capanna su ordine di Minerva dopo che questa aveva finito di raccontare la verità a Harry. Poi i tre adulti erano usciti per ultimare i preparativi della partenza verso il mondo babbano, ma non prima che Hagrid avesse insegnato a Harry come spazzolare il puledro. Poi, il mezzogigante aveva messo un secondo biberon ricolmo sul fuoco.
“Appena hai finito, usa i guantoni per prenderlo e daglielo tutto. Visto che almeno un paio di giorni dovrà stare digiuno, più ha la pancia piena, meglio è.”
Mentre dal manto della creatura Harry passava con un pettine diverso alla corta criniera, il bambino non riusciva a fare a meno di sentirsi deluso. A provocargli quella fastidiosa sensazione erano due cose: l’annullamento della promessa di non rivedere mai più i Dursley e il fatto di non sapere ancora tutta la verità sulla morte dei suoi genitori. Il nome del mago in particolare, un mago talmente temuto da essere innominabile, così potente e grande da distruggere un’intera casa ma non abbastanza da uccidere lui da neonato... Qualcosa nel profondo diceva a Harry che quanto successo non era stato per merito suo. Ci doveva essere per forza un’altra spiegazione.
“Dudley mi ha sempre fatto tutto quello che a lui piaceva, quando riusciva a prendermi.” Bisbigliò rivolto a Quercia “E io invece sarei stato in grado di sconfiggere un mago potentissimo? Non ha senso.”
Il puledro emise un verso e mordicchiò la manica di Harry.
Questi sorrise e mise via la spazzola.
“Beh, sai che ti dico, spero che almeno riusciremo a scoprire chi è che ha ucciso la tua mamma e a metterlo in prigione. A quanto mi hanno detto, esiste una prigione speciale per i maghi, nel mondo dei maghi. Chissà, magari il mago che voleva uccidere i miei genitori sarebbe potuto essere rinchiuso lì… Perché ad esempio, invece di nascondersi non gli hanno teso una trappola? E come ha fatto lui a scoprirli?”
Harry si sentì profondamente frustrato, mentre infilava le grosse presine di Hagrid e prendeva con difficoltà il caldo biberon.
Sapere la verità, invece di schiarirgli le idee, aveva solo riempito la sua testa di altre domande.
Domande alle quali, si rese conto, avrebbe dovuto trovare da solo una risposta. Sentiva che tanto la McGrannitt, quanto Hagrid, quanto Piton, non avrebbero risposto più a nessuna sua domanda, almeno per un po'.
Quercia trangugiò il latte con velocità spaventosa, cosa che un po' deluse Harry. Non aveva alcuna voglia di andare dai Dursley, voleva restare ancora nella capanna insieme al suo nuovo amico.
Un terribile pensiero si formò nella sua testa: la possibilità che se non ci fosse stato Quercia e lui non gli avesse d’istinto dato da mangiare, lo avrebbero lasciato lì, a Privet Drive.
“No, non arriverebbero mai a quello.” Mormorò una voce dal profondo del cuore di Harry, interrompendo quel brutto pensiero.
Il bambino abbracciò la creatura.
“Adesso devo andare via Quercia. Ancora non ho capito cosa devo fare, ma cercherò di farlo il prima possibile, va bene? Così posso tornare e aiutarti a crescere.”
Il puledro sembrò capire quanto Harry gli stava dicendo perché emise un nitrito calmo e strofinò forte la punta del muso sulla sua schiena. Lo accompagnò alla porta ma non provò a uscire insieme a lui. Harry non potè fare a meno, mentre chiudeva, di ammirare gli occhi della creatura che lo fissavano malinconici.
 
Era ancora buio pesto. Harry trovò ad aspettarlo fuori i tre adulti riuniti attorno alla motocicletta di Hagrid.
“Ascolta Potter, odio doverlo fare quanto te, se non di più.” Esordì Piton appena lo vide arrivare “Perciò ci sbrighiamo.”
“Ma non so cosa devo fare, ancora.”
“Ti spiegherò tutto.” Piton gli mise in mano un casco con degli occhialetti “Ora Sali”.
Lui stesso ne indossò uno e Harry dovette trattenersi dal ridere perché vedeva che il naso sporgeva oltre gli stessi e sembrava ancora più lungo.
“Non devi aver paura Potter, ho fiducia che tutto andrà per il meglio!” esordì la McGrannitt, poi si girò verso Hagrid “Quando li ha portati dove devi, torna qui immediatamente.”
“Sissignora!” esclamò il mezzogigante, calcandosi gli occhialetti.
Harry montò sul sidecar insieme a Piton e sentì il mezzo mettersi in moto e avanzare lungo il pratone. In quel momento, la porta della capanna si spalancò e il puledro uscì galoppando verso di loro.
“Quercia! Torna dentro!” urlò Harry. Ma l’animale li aveva raggiunti e lo fissava in silenzio. Harry fu sicuro di vedere nel suo sguardo una luce diversa: capì che l’animale era lì solo per salutarlo e fargli coraggio, non per paura.
“Tornerò presto! Te lo prometto!” urlò il bambino quando la moto prese finalmente il volo. Quercia galoppò un altro po', poi si impennò per nitrire forte. Rimase seduto tra l’erba a osservare le luci dei fanali che sparivano nell’oscurità della notte.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Tra scivoli e cuscini ***


Sulla motocicletta accadde qualcosa che Harry proprio non si aspettava: una ventata di nostalgia.
Osservando dall’alto Londra illuminata dalle luci artificiali, Harry si rese conto che il motivo per cui il mondo babbano non gli mancava era il fatto che lo associava esclusivamente a Privet Drive. Ma se le cose fossero andate diversamente, se fosse stato cresciuto in una famiglia di tutori amorevoli, forse la realtà babbana non gli sarebbe dispiaciuta.
Le poche volte che era uscito insieme ai Dursley, il mondo esterno si era manifestato come più accogliente di loro, a patto che loro non si frapponessero come filtro, facendolo passare per ragazzo cattivo o disturbato (cosa a cui le persone a volte credevano, alle volte no ma accettavano per quieto vivere).
Londra in particolare gli era sempre apparsa come una possibilità lontana di fuga e riscatto, seppur consapevole che non avrebbe potuto infiltrarcisi fino alla maggiore età.
Superando la luminosità dei quartieri centrali, la moto di Hagrid cominciò a scendere di quota, atterrando infine nella strada del sobborgo, illuminata dai lampioni ma avvolta nel profondo silenzio della notte. La moto di Hagrid percorse mezzo viale prima di fermarsi e lasciar scendere Harry e Piton.
“Allora Hagrid: ripassiamo insieme cosa devi fare.” Disse Piton.
“Prima di tutto, torno a Hogwarts e mi faccio una bella dormita. Poi continuo il mio lavoro come se nulla fosse. Se tutto andrà bene, la lettera arriverà in pochissimo tempo. A quel punto, la McGrannitt si prenderà l’incarico di dire a me di andare a prendere Harry e io dovrò agire comunque come se fossi stupito e felice.”
Piton annuì e poi domandò: “Cosa devi fare se è Silente a volerti annunciare la cosa?”
“Devo prendere il talismano, recitare per tre volte ‘Harry è a Privet Drive’ e poi indossarlo.”
“Esatto. Nascondendolo.”
“Certo, nascondendolo.”
“Ti dirò Hagrid, il fatto che tu per due anni sia riuscito a seguire le mie istruzioni alla lettera è qualcosa che non mi aspettavo proprio. Sei stato l’aiutante migliore in cui potessi sperare.”
Hagrid arrossì e i suoi occhi si illuminarono.
“Oh Grazie! Grazie io..”
“Tuttavia” lo interruppe Piton “continuo a pensare che tu sia l’anello più debole della nostra catena di montaggio, anche più del ragazzo. Quindi ti chiedo per favore di tenere la guardia più alta che mai.”
L’espressione di Hagrid mutò in un attimo, passando dall’essere gioiosa all’essere offesa; il mezzogigante fece un profondo respiro e sembrava sul punto di sbottare in qualche commento feroce. Ma poi chiuse gli occhi e ripetè l’atto calmandosi.
“Prometto che lo farò.” Disse sibilante.
“Bene. Ora saluto il ragazzo.”
Hagrid riaprì gli occhi e si chinò verso Harry.
“Harry, non avere paura. Non stai tornando a casa, stai andando dai tuoi zii per una formalità e poi tornerai alla tua vera casa, che è Hogwarts.” Gli disse il gigante sorridendo.
Harry ricambiò il sorriso e lo abbracciò.
Poi lo osservò rimontare sulla moto e decollare verso il cielo.
Quando Privet Drive si immerse di nuovo nel silenzio, Piton si avviò a passo veloce verso la casa dei Dursley. Harry lo seguì, di nuovo tentato di prendergli la mano, ma reprimendo quel desiderio.
“Professor Piton, non riesco a capire ancora cosa devo fare… voglio dire, mi sembra di capire che non basta aspettare che arrivi la lettera.”
“Purtroppo no.” Mormorò Piton.
“Ma allora cosa devo fare?”
“Ogni cosa a suo tempo.”
Harry si domandò in silenzio se il tempo sarebbe mai arrivato. Quando con Piton salì i gradini della veranda della casa dei Dursley si scoprì meno spaventato di quanto immaginava.
“Non sto tornando… Sto andando… Non sto tornando…” Si ripetè nella tesa.
Anzi, si chiese quasi se l’esperienza non potesse essere divertente. Magari avrebbe potuto rinfacciare a zia Petunia, davanti a Vernon e Dudley, di aver cercato una volta di entrare in una scuola di magia.
“Pronto ragazzo?” La voce di Piton, che aveva chinato lo sguardo verso di lui, era profonda e stranamente preoccupata. I suoi occhi gelidi erano socchiusi e ansiosi.
Un ulteriore conferma che non avevano alcuna intenzione di lasciarlo lì.
Harry sorrise: “Pronto.”
Le dita ossute di Piton spinsero fino in fondo il campanello e un trillo si diffuse in tutta la casa. Dall’interno Harry udì dei rumori soffocati: parole e movimenti, capì che zio Vernon si era alzato dal letto e stava scendendo le scale.
Ed in effetti fu lui ad aprire la porta. Non era cambiato: i folti baffi c’erano ancora e il suo corpo continuava ad avere le dimensioni mastodontiche trasmesse anche al figlio; indossava un orribile pigiama a righe grigie che però sembrava sul punto di strapparsi.
Il volto era contorto in una espressione di rabbia bestiale che sparì, insieme al rossore, quando il suo sguardo incrociò quello di Harry, per lasciare posto al terrore puro.
Piton aveva tirato fuori la bacchetta.
“Buonasera signor Dursley. Scusi l’ora, ma vorrei conferire con lei e sua moglie in privato.”
Vernon Dursley emise un verso a metà tra un grugnito e un gemito continuando a fissare Harry. Questi sentì la mano libera di Piton poggiarsi sulla sua spalla.
“Non deve preoccuparsi: non ho intenzione di ridarvi in custodia il ragazzo. Perché una cosa del genere accada dovrebbe esserci di mezzo un qualche disastro che si elevi al di là della mia volontà. Dunque può stare tranquillo, la prego quindi di comportarsi da uomo e farci entrare, così che io e voi possiamo discutere con calma.”
L’accenno al “comportarsi da uomo” fece risalire la rabbia di Vernon che alzò l’indice pronto a sbraitare, salvo interrompersi quando la bacchetta di Piton si trovò a un palmo dal suo naso.
“Non-una-parola”
Certamente i Dursley non sapevano della regola di non fare magie fuori dalla scuola, pensò Harry. Regola che comunque era più ammorbidita nei confronti degli adulti, a cui piccoli interventi era concessi in casi di estrema necessità.
Vernon indietreggiò con passo incerto, lasciando entrare Harry e Piton. Harry vide la porta dello sgabuzzino e provò un brivido lungo la schiena.
“Cucina o salotto. Siete voi l’ospite, vi lascio decidere dove possiamo andare a parlare.” Disse Piton.
In quel momento la magrissima figura di Petunia Dursley, scesa dalle scale avvolta in una mostruosa vestaglia color rosa shocking, attirò l’attenzione di Harry.
La donna lo osservava in silenzio, occhi sgranati, sembrava essere più sorpresa che spaventata dalla sua presenza.
“Harry…?” quando lo chiamò, il tono sorprese il bambino, perché sembrava essere privo di odio.
“Ah ci sei anche tu” Piton invece non nascose il suo disprezzo quando si rivolse a lei “visto che tuo marito qui ha l’energia di un’ameba morta, gradirei che fossi tu a decidere dove possiamo andare a parlare.”
“Senta lei…!” Vernon era di nuovo paonazzo e aveva alzato la voce, ma Petunia lo interruppe con un secco “Vernon no!” Si avvicinò al marito e lo abbracciò “I ragazzi sono di sopra, meglio non fare rumore. Andiamo in cucina” si rivolse a Piton “Ci facciamo un tè e discutiamo da adulti NORMALI.” Scandì bene l’ultima parola fissando la bacchetta di Piton con sguardo rabbioso.
Piton annuì e fece un gesto per lasciarli passare avanti.
“Tu resta qui” disse a Harry. Poi aggiunse: “Fatti un giro e… prova a vedere se puoi combinare qualcosa.”
Mentre la porta della cucina si chiudeva, Harry si domandò cosa intendesse Piton con “combinare qualcosa”. La prima cosa che gli venne in mente fu di aprire la porta di quella che un tempo era stata la sua stanza. Non vi trovò nulla di sorprendente: lo sgabuzzino era ritornato a essere uno sgabuzzino, contendo scatole, scope, cianfrusaglie sparse e sei paia di scarpe da pioggia.
Chiuse la porta e andò in salone. Avevano un nuovo televisore, sicuramente voluto da Petunia dopo aver spiato nella casa di qualche vicino più ricco. Un orribile soprammobile a forma di bulldog stazionava sul tavolino da caffè, un dono probabilmente di zia Marge, la sorella di zio Vernon, un elemento orribile della sua vita passata che Harry aveva quasi rimosso dalla memoria.
Tornò nell’ingresso e alzando lo sguardo si rese conto di non essere più solo: dall’alto delle scale due paia di occhi lo fissavano sorpresi.
Li riconobbe subito, anche se erano passati due anni: erano Dudley, suo cugino e l’amico del cuore di quest’ultimo, Piers Polkiss. Il primo era molto più grosso di come Harry lo ricordava, mentre il secondo era rimasto pelle e ossa come quando era piccolo e teneva Harry per le braccia mentre Dudley lo colpiva allo stomaco. Ecco spiegata la frase di zia Petunia che aveva parlato di “ragazzi” al plurale.
Harry si stupì di non essere per nulla spaventato dalla loro presenza, ma al tempo stesso si sentì in imbarazzo perché si rese conto che non trovava le parole giuste per salutarli, magari in modo sarcastico.
Il primo a rompere il silenzio fu Piers che si rivolse a Dudley e disse: “Ma non l’aveva portato via gli assistenti sociali?”
Ecco cosa si erano inventati Petunia e Vernon per spiegare a conoscenti e vicini la non presenza di Harry.
“Avevi detto che era diventato pericoloso, e che era meglio tenerlo distante.” Proseguì Piers.
Dudley invece non schiodava gli occhi di dosso a Harry.
“Non sono tornato per restare, comunque.” Disse allora Harry.
“E allora che ci fai qui!?” Il tono di Dudley era secco e duro. Un brivido percorse la schiena di Harry. Gli sarebbe piaciuto avere una bacchetta per trasformarlo in qualche animale orribile.
“Sono venuto perché….” In realtà, e lo sapeva, non gli era davvero chiaro perché doveva essere lì “…perché ho bisogno di ritirare la posta.”
Dudley incrociò le braccia.
“Di lettere per te non ne arrivano. Chi ti scriverebbe mai?”
“Perché, a te arrivano?” Harry si pentì subito di averlo detto. Le narici di Dudley si dilatarono pericolosamente mentre inspirava come un torno pronto a caricare.
“Io gli mando sempre una cartolina quando vado in vacanza!” intervenne Piers “Le hai ricevute sempre, no?”
Dudley annuì. Sentendosi forte della sua posizione, Harry disse: “Le legge e poi le butta via. Non conserva mai di scritto degli amici, lo trova stupido.”
Dudley si irrigidì e sbiancò. Ma Piers non fece caso a quel cambiamento: “Bugiardo! Lo dici perché sei geloso di non riceverne neanche una!”
“Allora chiedigli di fartele vedere.” Disse Harry senza scomporsi.
Per Dudley quello fu il colmo e si lanciò verso di lui. Ma, forse per la sua mole, forse perché arrugginito dopo due anni di separazione dalla sua vittima prediletta, Dudley inciampò sui suoi stessi piedi proprio sulla soglia del primo gradino.
La scena, agli occhi di Harry, si svolse come a rallentatore: vide la gigantesca massa di Dudley sospesa mentre gli occhi strabuzzavano fuori e la bocca si spalancava in un urlo di sorpresa. Non ebbe dubbi che sarebbe caduto di testa per poi rotolare verso il basso di gradino in gradino. La paura che suo cugino morisse davanti ai suoi occhi, e che quella cosa potesse diventare una scusa per i Dursley per ucciderlo (era sicuro che neanche Piton avrebbe potuto fermare la furia di zia Petunia nella modalità “non toccate il mio Diddy!”) lo spinse a portare le mani in avanti, per afferrarlo alla prima occasione. Ma successe un’altra cosa: le scale, all’improvviso si trasformarono in un lungo scivolo rivestito di un pesante tessuto di tappeto morbido e in fondo, dove stava Harry, comparvero anche degli enormi cuscini.
Fu così che invece di cadere su un gradino, Dudley atterrò di petto sul morbido e scivolò dolcemente fino ai piedi di Harry.
Quando, di corsa, i tre adulti presenti in casa uscirono dalla cucina, si ritrovarono davanti la seguente scena: Dudley Dursley semidisteso che fissava Harry incantato in mezzo ai cuscini, Harry davanti a lui con le mani ancora tese e la bocca spalancata dallo stupore e Piers in cima allo scivolo aggrappato alla ringhiera, che ansimava.
“Diddy!” gridò zia Petunia gettandosi tra i cuscini e abbracciando forte il figlio “Diddy mio! Cosa è successo?”
Dudley non guardò la donna. Non tolse gli occhi da Harry neanche per un secondo.
Harry lesse nello sguardo del cugino tanti sentimenti diversi tra loro: incanto, paura, incredulità e perfino gratitudine.
“Che diavolo è successo qui!” esclamò zio Vernon avanzando.
“Sei stato tu?” domandò allora Dudley, sempre fissando Harry.
Harry allora realizzò che probabilmente era vero: non l’aveva fatto di proposito, ma gli era venuto spontaneo immaginare qualcosa che potesse non fare male a Dudley, in modo da essere lui stesso salvo. Era l’unica spiegazione possibile. A meno che non ci fosse sotto lo zampino di Piton. Si voltò a guardare il mago, che stava un passo indietro rispetto a zio Vernon ma lo scoprì stupito quasi quanto i suoi zii; no, non era stato lui.
“Signor Dursley! Ha visto!? Harry ha salvato Dudley con una magia!” esclamò allora Piers eccitato.
“Salvato?! CHE SIGNIFICA SALVATO!!” L’urlo di zio Vernon fu così forte e rabbioso che tutti per un attimo furono tentati di portare le mani alle orecchie. Tutti tranne Piers, che sembrava come in preda a una gioia selvaggia.
“Dudley è inciampato e stava cadendo e si vedeva che stava per rotolare giù per le scale e allora Harry ha allungato le mani e puf! Le scale sono sparite e è comparso questo!” il ragazzino indicò lo scivolo “Non l’ho immaginato! Ho visto la trasformazione! È stata velocissima! Un attimo erano lì e un attimo dopo erano questo!” Piers allora si sedette per terra e si lasciò scivolare fino giù tenendo le braccia alzate come se fosse sulle montagne russe “Ma è morbidissimo! Sentite anche voi signor Vernon! Non posso crederci! Ma che magia- “
“SILENZIO!” Questa volta l’urlo di zio Vernon riuscì a intimidire anche Piers “QUELLA ROBACCIA, LA MAGIA NON ESISTE! E NON CI RIGUARDA!”
“Signor Dursley” Piton si era avvicinato all’uomo e Harry notò che incredibilmente sorrideva “Quanto appena accaduto in verità volge a vostro favore. Se avrete la cortesia di lasciare la casa e tornare domani a sera inoltrata, le posso assicurare che io e Harry avremmo tolto il disturbo e lei avrà riavuto le sue scale.”
Piers si allungò per vedere meglio Piton.
“E tu chi sei?” chiese.
“L’assistente sociale che mi ha portato via.” Si affrettò a dire Harry.
Ma Piers, ormai non lo ascoltava più: “Sei un mago anche tu…?”
“BASTA! IN PIEDI TUTTI E DUE! TUTTI FUORI IN MACCHINA! ADESSO!”
Di solito, per quanto dure potessero essere dure le sue parole, Dudley aveva la tendenza a non obbedire al padre, se non iniziando a fare i capricci. Invece, quella volta si alzò senza fiatare ma continuando a fissare Harry, mentre zia Petunia lo spingeva verso la porta.
“Conosci altri incantesimi?” domandò Piers “Puoi trasformare altri oggetti? Puoi far apparire dei soldi?”
“PIERS POLLKISS! BASTA!” Vernon afferrò il ragazzo per un braccio e lo trascinò alla porta quasi sbattendolo fuori. Poi si rivolse a Piton “DOMANI NON VI VOGLIO PIU’ VEDERE! E RIVOGLIO LE MIE SCALE!”
“Le do la mia parola.” Rispose con tono annoiato Piton.
Vernon Dursley se ne andò senza salutare e sbattendo la porta. Il rumore della sua macchina che usciva dal vialetto e sfrecciava lungo la strada si udì poco dopo.
Harry, ancora impettito, rimase silenzioso mentre Piton sistemava quanto accaduto con un rapido giro di bacchetta. Non sapeva come sentirsi e fissò l’uomo in cerca di una risposta. Stava ancora, sorprendentemente, sorridendo.
“Che dire, Potter, sono piacevolmente sorpreso. Sei riuscito nell’impresa molto più rapidamente di quanto immaginassi.”
“Ma… Quale impresa?”
“Credi che per entrare a Hogwarts basti essere iscritti? No signor Potter, non funziona così. C’è bisogno delle capacità magiche perché una persona possa entrare a Hogwarts. E che essa esprima tali capacità al massimo della loro potenza, in modo spontaneo, almeno una volta durante l’infanzia.”
Harry ancora non capiva.
“In parole povere, c’era bisogno che tu facessi una magia, Harry. E che tu la facessi qui, in modo che la lettera risultasse a questo indirizzo.”

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - Lettere e palloni ***


Seduti sulla veranda, Harry e Piton osservavano il cielo terso del primo giorno d’agosto.
Harry aveva dormito un po' sul divano, mentre Piton aveva preferito restare sveglio e vigile in cucina, insieme al tè rimasto dalla riunione con i Dursley
Quando Harry si era svegliato, l’aveva trovato seduto su una poltrona davanti a lui, per nulla stanco.
“La colazione è in cucina Potter.” Gli aveva detto calmo.
Harry aveva mangiato solo nella cucina dei Dursley, prendendosi il posto di Dudley a capotavola. Per preparargli la colazione, Piton aveva quasi svuotato il frigorifero lasciandogli ampia scelta: tante varietà di biscotti, frittelle, uova sode, bacon, pudding, yougurt, cheesecake… Harry aveva mangiato domandandosi se fosse stato il caso di chiedergli se era stato in grado di preparare tutto da solo, o se aveva avuto bisogno della magia (Ovviamente escludendo tutti i prodotti confezionati come i biscotti e la cheesecake). Quando finì mise in ordine gli avanzi e raggiunse Piton che lo invitò ad uscire fuori.
“So che non hai dormito molto, Potter, ma spero che tu avrai energie per oggi.” Disse Piton “La lettera dovrebbe essere in arrivo, forse a portarla a te sarà direttamente Hagrid, chissà. Subito dopo, ci recheremo insieme in un posto dove mi trovo costretto ad andare, anche se preferirei di no, e infine ci divideremo: io proseguirò verso la passaporta più vicina, mentre tu e Hagrid andrete in un luogo chiamato ‘Il paiolo magico’.”
Del “Paiolo magico” punto di contatto e confine tra il mondo dei maghi e il mondo babbano, Harry aveva sentito parlare tante volte da Hagrid. Mentre non aveva idea di cosa fosse una passaporta. Non ebbe però il coraggio di chiedere spiegazioni a Piton, da sempre il più reticente a esprimersi su qualunque argomento (escludendo pozioni e arti oscure, di cui però era Harry a non avere alcun piacere a parlare), anche perché lo vedeva teso e nervoso, mentre seduto sugli scalini fissava il cielo, rovinato giusto da qualche nuvola vagante.
“Professor Piton?”
“Che c’è Potter?”
“Se non fossi riuscito a fare una magia…”
“Impossibile Potter. Hai fatto diverse cose già mentre eri a Hogwarts. Avevi solo bisogno degli stimoli giusti per fare qualcosa di più grande e percettibile. Ogni magia libera energia, Potter, e questa energia viene avvertita nel mondo magico. Ci sono ovviamente maghi specializzati nell’individuare chi lancia magie ma in generale: la magia unisce tutti noi maghi, rendendoci, volenti o nolenti, partecipi anche delle altrui faccende.”
Anche se non era molto sicuro di aver capito, Harry annuì.
“Ma allora sapranno che sei stato tu a rimettere a posto le scale?”
“Solo se vorranno indagare.”
Un rumore li colse di sorpresa rompendo il silenzio del viale: una motocicletta.
Hagrid, invece che dal cielo, arrivava dalla strada. Mossa obbligata dalla luce del giorno.
Piton si alzò e Harry lo seguì in silenzio.
Hagrid sembrava fuori di sé dalla gioia.
“Filato tutto liscio come l’olio! Non ho neanche visto Silente! Sembra sia ancora in Germania! Anche se non ho capito cosa è andato a fare.”
“La lettera.” Disse laconico Piton.
“Ah certamente! Ecco Harry!” Hagrid sembrava ancora più emozionato di Harry quando consegnò la piccola busta di carta color seppia che recitava l’indirizzo di casa (specificando pure lo sgabuzzino) e portava come sigillo rosso lo stemma di Hogwarts.
 
“Il grifone è per i Grifondoro. Casa sotto la mia direzione. La casa del coraggio, dell’esplorazione dell’ignoto. Incoscienza a volte, ma anche sagacia. E capacità di adattamento. Non c’è miglior compagno d’avventura di un Grifondoro, dicevamo sempre noi studenti.”
Harry aveva sorriso provando a immaginarsi la McGrannitt più giovane nei panni di un’avventuriera temeraria, come quelle che aveva avuto modo di sbirciare nelle televisioni babbane.
“Il Tasso è di Tassorosso. La casa del lavoro duro, ma anche dell’accoglienza, della calma, della lealtà. Ammiro molto la figura di Tosca Tassorosso, maga di umili origini ma sempre con un sorriso sulle labbra, sempre pronta a intervenire per difendere i suoi studenti. Era anche molto amica di Godrig Grifondoro e ha fatto la base della sua casa vicino alle cucine, per essere sicura che ai suoi studenti non mancasse nulla. Non c’è persona più leale di un Tassorosso.”
Harry si era intenerito al pensiero. Gli sembravano dei bellissimi principi.
“Poi c’è il corvo di Corvonero. La casa della mente aperta, dello studio, della ricerca continua, degli enigmi. Detto tra noi Potter, io avrei potuto finire in quella casa, ma il Cappello Parlante fece un’altra scelta per me. Quando capita così il fenomeno è detto ‘testurbante’. Comunque, per qualsiasi domanda o enigma, magico o meno che la vita presenta, non c’è migliore aiutante di un Corvonero.”
Harry ce la vedeva tantissimo la McGrannitt in una casa dedicata allo studio. Mentre sentiva che non era assolutamente fatta per lui.
“Infine il serpente per Serpeverde. La casa del professor Piton e di mago Merlino. Ambizione e disciplina dominano i suoi studenti. Abnegazione e distacco. Purtroppo è la casa con più maghi oscuri al suo interno e sembra che anche per ciò che concerne i sentimenti i Serpeverde hanno scarsa fortuna. Tuttavia, se devi arrivare fino in fondo a una questione, qualunque essa sia, non troverai indagatore più ossessivo di un Serpeverde. Anche se probabilmente lo farà per un ritorno personale.”
“Perché hanno così tanti maghi oscuri in Serpeverde?”
“Probabilmente Potter, dipende dall’ambizione, sentimento e desiderio che corrode profondamente le anime fin quasi a trasformarle in qualcosa di così distaccato dal loro io originale da spingerle a fare cose malvagie. L’ambizione può diventare sete di potere. Un’analoga problematica la incontrano i Corvonero, quando nelle loro ricerche scelgono di oltrepassare dei limiti in nome del sapere, o si elevano al di sopra degli altri peccando di arroganza e vanità. I Grifondoro, dal canto loro, posso sfociare nella totale noncuranza della propria vita e di quella degli altri, arrivando a mettersi in pericolo, abbandonando il buonsenso che a volte la paura infonde. I Tassorosso hanno il minor numero di maghi oscuri, ma quelli che venivano da tale casa hanno spesso dimostrato una pericolosità anche superiore, almeno secondo il mio modesto parere, degli altri. Questo perché la dedizione e la lealtà possono trasformarsi in ossessioni tremende, spingendo il mago ad autodistruggersi nei modi peggiori possibili. Ma non aggiungo altro.”
A quel puntò la McGrannitt gli aveva messo in mano il volume dedicato alla “Storia di Hogwarts”.
“Questa lettura potrà aiutarti Potter.”
“Grazie mille.” Aveva detto Harry carezzando la copertina, mentre la McGrannitt si era allontanata.
“Ah! Una cosa, Potter!” aveva poi detto la maga voltandosi “Su quella questione delle storie sentimentali sfortunate dei Serpeverde… vorrei che non ne facessi parola con Piton.”
Harry aveva notato che la donna parlava seriamente e si era trattenuto dal ridere immaginando un possibile battibecco tra lei e Piton su un argomento che gli appariva tanto buffo.
“Avete la mia parola professoressa.”
 
La lettera era dello stesso materiale della busta ed era scritta con inchiostro verde smeraldo, firmata dalla McGrannitt.
 
Caro signor Potter,
 
Siamo lieti di informarLa che Lei ha diritto a frequentare la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts….

 
Bastò quella riga ad Harry per sentire il grosso nodo allo stomaco sciogliersi: ora che era uno studente, nessuno lo avrebbe mai più separato dalle mura di Hogwarts. Ora quella scuola era la sua casa e non come clandestino.
“C’è scritto che devo mandare la conferma entro il 31!”
“Certo! Hai fatto appena in tempo! Sei stato bravissimo!” Hagrid aveva tirato fuori da sotto il cappotto un piccolo gufo e vi aveva allegato un messaggio.
“Non vuoi farlo leggere a me?” chiese Piton “Non si sa mai abbia fatto qualche errore.”
Hagrid sbuffò e porse il biglietto a Piton.
Caro professor Silente,
Ho consegnato la lettera a Harry senza intoppi. Il ragazzo ha subito accettato e lo accompagnerò seduta stante a comprare quello che serve. A Privet Drive tutto bene, nonostante i Dursley .
 
“Può andare.” Piton riconsegnò il biglietto ad Hagrid che lo riaffidò al piccolo gufo, il quale spiccò subito il volo e sparì nel cielo.
“Prossima fermata?” aveva domandato Hagrid rinforcando gli occhiali.
“C’è una farmacia babbana a tre chilometri da qui. Ti dirò la direzione strada facendo.” Aveva detto Piton montando sul sidecar insieme a Harry.
“Perché una farmacia babbana?” aveva chiesto Harry.
“Perché gli orologi rotti segnano l’ora giusta due volte al giorno.” Aveva risposto criptico il professor Piton.
La farmacia si trovava a pochi passi da un parco con dei giochi per bambini, semivuoto nonostante fosse una mattina serena di piena estate.
Piton volle entrare da solo, lasciando Harry e Hagrid seduti all’esterno su una panchina.
Harry, ancora emozionato per la lettera e stanco per la notte quasi in bianco che aveva passato, si era quasi addormentato quando una strana sensazione lo fece svegliare di soprassalto.
Harry si accorse solo allora del bambino che era a pochi passi da lui e fissava Hagrid come incantato, con la bocca spalancata e gli occhi quasi di fuori dalle orbite.
Era un bambino molto piccolo, dalla pelle scura e i capelli neri e ricci. Gli occhi marroni fissavano il mezzogigante pieni di stupore. Indossava degli abiti semplici: una maglietta di cotone rossa e un paio di jeans. Sottobraccio teneva un pallone da calcio che di calci ne aveva visti anche troppi.
Harry tirò la manica di Hagrid (intento a osservare un piccione che tubava sul marciapiede), che appena si voltò sobbalzò sorpreso.
“B-Buongiorno…” balbettò.
“Hai una barba bellissima!” disse il bambino senza smettere di fissarlo.
Harry, ha sentire quelle parole, si sentì stranamente più leggero. Hagrid invece arrossì e sembrò gonfiare il petto inorgoglito.
“Oh, grazie mille giovanotto!” disse l’uomo con voce allegra.
“Volevo chiedere a tuo figlio se poteva giocare a palla con me!”
Hagrid arrossì ancora di più.
“Oh, Harry dici… beh, in realtà…”
“Sono suo nipote.” Si affrettò a dire Harry “E sì, vorrei giocare a palla con te, ma non so se stiamo per andare…”
Harry guardò Hagrid e vide che gli occhi dell’altro si erano velate di lacrime dall’emozione.
“Oh ma certo che puoi andare! Io sto qui, aspetto lo zio Piton e mi soffio il naso che questa allergia mi sta uccidendo.” Tirò fuori un fazzoletto e si asciugò una lacrima che era colata lungo la guancia.
Harry si allontanò con il bambino.
“Ho visto che mi guardavi prima, perché non mi hai chiesto subito di giocare?” chiese diretto il bambino a Harry.
“Scusa è che a palla non sono molto bravo.”
“A me piace e basta! Non mi importa se sono bravo! Io mi chiamo Robin! Tu Harry, giusto?”
“Sì. Harry Potter.”
“Anch’io voglio la barba come quella di tuo zio!” Il bimbo calciò il pallone, con molta forza, ma Harry riuscì a parare e a rilanciarlo.
Per un po' rimasero a lanciarsi il pallone in silenzio e Harry scoprì, con grande gioia, che sapere che non gli veniva scagliato con violenza contro la faccia per fargli male, rendeva il gioco più divertente, e lui stesso più abile. Arrivò a chiedersi se non avrebbe potuto giocare a calcio anche a Hogwarts…
“Hai due zii?” gli domandò ad un certo punto il bambino.
“Ne ho tre, in realtà… anzi… cinque, ma con i Dursley… non ci vediamo spesso…” rispose Harry, ripensando alla McGrannitt che lo aspettava insieme all’unicorno.
“Che bella famiglia che hai! É bello essere tanti!”
“Sì…”
Harry di tanto in tanto buttava un occhio verso il negozio, ma vedeva solo Hagrid sulla panchina che lo guardava. L’aria era fresca, nonostante il sole e il parco risplendeva di un verde chiaro acceso e bello. Sì, non era affatto male stare lì.
“Noi siamo solo in tre! Io, mamma e papà! Una noia a volte. Ma presto andrò in una scuola nuova e voglio farmi tanti amici!” disse Robin passandogli la palla.
“Anch’io spero di farmi degli amici nella mia nuova scuola.” Disse Harry tentando di calciare il pallone sul ginocchio.
“Ah! E dove vai a scuola? Magari finiamo in classe insieme!”
Harry si bloccò. Si sentì sinceramente triste di non poter parlare di Hogwarts e di poter condividere con quel bambino tanto amichevole la gioia dell’ammissione.
“In realtà, ancora non abbiamo deciso… cioè, ho delle idee, ma… Devo ancora iscrivermi.”
“Beh, spero davvero di averti in classe con me! Sembri simpatico!”
Harry si sentì felice all’improvviso. Non sapeva chi fosse Robin e immaginava che dopo quell’incontro non si sarebbero visti mai più. Ma era così bello pensare che potesse stare simpatico a qualcuno anche nel mondo babbano. Chissà quante cose belle si era perso a causa dei Dursley…
Quando lanciò il pallone, notò che il bambino lo fissava.
“Ti sei fatto male?”
Harry non capì subito, poi però realizzò: “Ti riferisci a questa?” disse toccando la cicatrice “No, questa… è di molto tempo fa. È capitato in un incidente che…” sentì all’improvviso il fiato mancargli in gola.
Robin continuò a fissarlo in attesa. Ma Harry si limitò a scrollare le spalle: “In realtà non lo ricordo neanche, comunque è capitato quando ero molto molto piccolo.”
“Mi dispiace. Ti fa male?”
“No… Cioè a volte sì, ma…”
“Robin!”
Una donna dai capelli biondi e la carnagione pallidissima si avvicinò al bambino.
“Robin mi dispiace, ma papà ha finito, dobbiamo tornare a casa adesso.”
“Non posso stare cinque minuti con Harry? Almeno finchè i suoi zii non hanno finito le commissioni.”
La donna sospirò e sorrise: “E va bene, ma non essere troppo assillante. E tu ragazzo” fece rivolgendo il suo sorriso a Harry, che ricambiò “appena devi andare, vai tranquillo, non sentirti sotto pressione.”
Harry vide la donna allontanarsi e sedersi su una panchina insieme a un signore dalla pelle scura e dai capelli neri.
“Lei è la mia mamma, ma quando lo dico in giro non ci crede mai nessuno.” Bisbigliò il bambino a Harry con un sorriso sornione “Perché io ho preso tutto da papà.”
Harry annuì e continuò a giocare con il bambino. Fu colto all’improvviso da uno strano senso di angoscia per lui.
E se fosse andato nella stessa scuola di Dudley? Basso com’era sarebbe stato sicuramente preso di mira, forse anche per il colore della sua pelle.
Aveva sentito a volte dei commenti di zia Petunia e zio Vernon su una coppia di loro vicini e sulla scelta della loro figlia di sposare uno “di colore”.
E se ricordava bene, a Dudley era sfuggito un commento stupidissimo del genere “Allora uscirà un dalmata” alla quale i genitori avevano riso allegramente.
“Sei bravo!”
“Grazie Robin.”
“Quello che sta uscendo è il tuo altro zio?”
La scura sagoma di Piton emergeva a metà dalla porta del negozio, mentre parlava con Hagrid.
“Sì.”
“E il terzo non è con voi?”
“Mia zia Minerva” Harry si rese conto che gli faceva veramente strano chiamarla così in realtà “è rimasta a badare a Quercia.”
“Quercia?”
“Sì è un… un cucciolo di cane che ho trovato.”
“Ti hanno permesso di tenerlo?”
“Diciamo… che dovrò occuparmene almeno finchè non cresce un po'.”
“Anche a me piacerebbe un cane! Però casa nostra è troppo piccola…”
Harry non voleva che quel bambino fosse invidioso di lui: “Anche la nostra in realtà. Non possiamo tenerlo. Dobbiamo svezzarlo e poi… Poi sappiamo già a chi portarlo.”
“Aaah…”
Continuarono a calciare il pallone finchè Piton non comparve alle spalle di Harry.
“Dobbiamo andare…”
Harry, che in quel momento aveva appena parato un tiro, prese in mano il pallone e lo restituì al bambino.
“Grazie per avermi fatto giocare.”
“Grazie a te! Ci rivediamo qui anche con Quercia, sì? Lo dovrai portare a spasso, no?”
“Beh… Non so.”
“Comunque è stato un piacere conoscerti Harry!”
“Anche per me Robin…”
Il bambino corse dai genitori che si alzarono dalla panchina e rivolsero un gesto di saluto verso Harry e Piton.
Harry alzò la mano e salutò a sua volta, mentre Piton esitò prima di fare un timido cenno con la mano destra.
Ad un certo punto, mentre si allontanavano, Harry vide il papà di Robin prenderlo in braccio di sorpresa, tanto da fargli cadere il pallone, mentre la sua mamma bionda rideva a crepapelle. Lo stesso Robin rideva tantissimo e stringeva forte il padre.
La donna, dopo aver recuperato il pallone, si unì all’abbraccio.
Harry osservò tutto da lontano e sentì un tuffo al cuore.
Se i suoi genitori fossero stati ancora vivi, probabilmente anche loro sarebbero stati così. Tutti e tre insieme abbracciati. Magari al posto del pallone ci sarebbe stato un altro oggetto, tipo una scopa volante….
“Che me ne faccio io della magia… se non ho più i miei genitori? Che se ne fa uno senza famiglia né amici di un dono così grande?”
Harry deglutì. Perché gli era venuto in mente quel pensiero così triste?
La magia era ciò che aveva in comune con i suoi genitori, la loro eredità. Non doveva disprezzarla! E poi lui una famiglia ce l’aveva! E anche grande, proprio come aveva detto Robin!
“Potter! Mi stai ascoltando?!”
Harry ritornò alla realtà con la voce dura di Piton.
“Hai detto a quei babbani di Quercia!?”
Si accorse che l’uomo lo fissava arrabbiato, mentre Hagrid appariva preoccupato.
“No, ho detto che Quercia era un cucciolo di cane abbandonato che sto svezzando.” Si affettò a dire Harry. Entrambi gli adulti tirarono un sospiro di sollievo.
“Meglio comunque non socializzare Potter.” Piton gli tese la mano che il bambino fu ben felice di stringere. Ogni tanto si girava per osservare Robin mentre si allontanava con i suoi genitori.
“Perché il mago che ha ucciso i miei genitori odiava i babbani?”
Piton si immobilizzò e così Hagrid. Entrambi si guardarono negli occhi come per cercare la risposta nell’altro. Alla fine, entrambi sospirarono e Piton disse: “Ci sono cose, signor Potter, che purtroppo nemmeno la magia può spiegare.”

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Acquisti a Diagon Alley ***


Harry rimase male quando sulla lista lesse che i ragazzi del primo anno non potevano avere scope di proprietà. Cosa ne sarebbe stato del regalo che gli aveva fatto la professoressa McGrannitt?
Il regalo di Piton era invece molto utile, come la civetta regalata da Hagrid. Si domandò quali potevano essere i prezzi delle altre cose. Sapeva che nella banca dei maghi, di cui Hagrid e la McGrannitt avevano parlato spesso e che era citata anche nel libro “Storia di Hogwarts”, c’era una stanza di sicurezza in cui erano presenti dei soldi lasciati in eredità dai suoi genitori. Ma sarebbero bastati?
“Bene ci lasciamo qui.” Disse Piton “Buoni acquisti Potter. Hagid… Prudenza.”
Niente abbracci o strette di mano, ma solo un lungo sguardo dritto negli occhi prima di sparire tra la folla. Harry trovò il coraggio di fargli un cenno con la mano solo quando ormai era già lontano e gli dava le spalle.
“Non preoccuparti Harry, vi rivedrete presto!” fece allegramente Hagrid.
“Hagrid, le cose da comprare sono tante… ho paura che…”
“Oh Harry, aspettavo da tanto questo momento! Vedrai che bella sorpresa!” il gigante sembrava veramente allegro e non gli permise di finire la frase. Camminava spedito in una direzione che sembrava portare a un comune edificio londinese. Ma avvicinandosi Harry distinse una porta. Sembrava portare ad un pub infimo e la scritta “Il paiolo magico” era a malapena visibile.
“La vedi Harry?”
“Che cosa?”
“La porta.”
“Certo che la vedo!”
“Perché tu puoi, Harry. Se serviva qualcos’altro per provare che sei un mago, questa è la prova ulteriore.”
Harry si guardò intorno e notò che effettivamente solo loro due sostavano davanti alla porta, mentre la gente camminava spedita senza neanche guardarli.
Però poteva essere un problema di orari. Da quel poco che Harry ricordava della vita da babbano, quando si parlava di Pub, era sempre riferito alla sera.
Hagrid spalancò la porta e quasi lo spinse all’interno.
“Forza! Non essere timido!”
Se l’esterno del pub non era sembrato molto ben messo, l’interno non era da meno: buio e dismesso.
C’erano diverse persone sedute, intente a bere, tutte adulte, vestite con abiti evidentemente da maghi. Un brusio di voci rendeva l’oscurità del locale meno inquietante. Il barista che si trovava oltre il bancone, calvo e sorridente, rivolse un cenno di saluto ad Hagrid.
“Il solito Hagrid?” domandò.
“Non posso Tom, sono in servizio per Hogwarts.” Rispose il gigante dando una grossa pacca sulla spalla ad Harry.
Fu allora che nel locale scese il silenzio. Tutti si voltarono a fissare Harry.
“Mi venisse un colpo….” Mormorò il barista spezzando il silenzio “Ma è Harry Potter! Quale onore!”
Lo avevano avvertito, quando stava nascosto a Hogwarts, che era famoso. Ma mai si sarebbe aspettato di esserlo così tanto.
Harry si ritrovò all’improvviso a stringere le mani di perfetti sconosciuti che gli facevano saluti e complimenti come se lo conoscessero da sempre.
Il suo cuore cominciò a battere forte in petto, si sentiva come quando, dopo il volo, si era risvegliato nella stanza con quelli che da lì in poi sarebbero stati i suoi tutori: a casa.
Quelle persone lo stavano accogliendo come uno di loro.
“P-p-potter! N-n-non so d-dirle qu-quanto s-sono felice di c-c-conoscerla!”
Pur non stringendogli la mano anche l’uomo che Hagrid gli presentò come professor Raptor sembrava veramente felice di vederlo.
Ma quando Harry seppe che sarebbe stato il suo insegnante di Arti Oscure, ci rimase male.
Sapeva che quel posto avrebbe voluto averlo Piton, ma a quanto pare non era stato selezionato.
“Però non è certo colpa del professor Raptor. Non posso prendermela con lui.” Aveva subito pensato e poi aveva detto: “Sarà un onore per me frequentare le vostre lezioni.”
“S-S-Sarà un on-onore per m-m-me insegnarvi a difendervi P-P-Potter.”
“Beh professore, ora dobbiamo andare… Tante spese…” aveva detto allora Hagrid.
“C-C-Capisco.”
Si salutarono cordialmente e Hagrid guidò Harry verso l’uscita posteriore del pub.
“Sai che un tempo insegnava babbanologia?” gli disse Hagrid.
“Davvero? E perché ora sta ad Arti Oscure?”
“Pare che nei suoi viaggi abbia imparato molto. Purtroppo la sua balbuzie è peggiorata. Non si direbbe ma pare sia diventato molto bravo ad avere a che fare con creature pericolose, come i vampiri.”
Davanti a un muro di mattoni, Hagrid compose una specie di codice segreto con il suo ombrello.
Le mattonelle si spostarono aprendosi su quella che sembrava la strada di un’altra città, grande come Londra ma con edifici molto diversi.
“Benvenuto a Diagon Alley!”
Harry avanzò incantato, non solo dalla magia alla quale aveva appena assistito, ma anche per la bellezza che il panorama davanti a lui disegnava.
Era la prima volta che vedeva una città di soli maghi.
 
La giornata non smise di stupire Harry: prima l’incredibile viaggio dentro la banca dei maghi, gestita dai folletti e, gli dissero, con un drago nelle sue profondità, unito alla grande sorpresa di scoprire che i suoi genitori gli avevano lasciato una gran quantità di soldi; poi il negozio di libri, dove scorrendo tra i titoli ne trovò di incredibili; poi Hagrid lo portò ad un negozio di dolciumi dove vide caramelle che, per quanto apparentemente vive, sembravano molto più invitanti di quelle babbane. Poi arrivò il momento di andare al negozio per preparare la divisa scolastica.
Harry entrò da solo e la donna, Madama McLan,  lo accolse con meno calore di quanto avessero fatto gli altri negozianti. Si vedeva che era stanca e Harry non se la prese.
C’era anche un altro ragazzo a provare l’uniforme. Seguendo le istruzioni della donna, Harry andò vicino a lui e salì su uno sgabello.
Aveva i capelli biondissimi.
“Ciao.” Gli disse il ragazzo, mentre la donna iniziava a prendere le misure per l’uniforme “Anche tu a Hogwarts?”
“Sì.”
“Mio padre è nel negozio qui accanto a prendere i libri. Mentre mia madre sta guardando le bacchette magiche più avanti. Dopo voglio trascinarli al negozio di scope da corsa. Non capisco perché noi del primo anno non possiamo tenere una scopa.” La voce del ragazzo era trascinata, annoiata, scocciata. Un tono che a Harry non piacque per niente. Gli ricordò quello di Dudley.
“E tu ce l’hai un manico di scopa tuo?” chiese il ragazzo.
Harry ponderò se parlare della sua Nimbus 2000, o se lasciar perdere.
Visto che non gli piaceva per niente, optò per la seconda ipotesi.
“No.”
“Io sì.”
“Buon per te.” Harry si morse la lingua. Anche se non gli piaceva, sarebbe stato un suo compagno di scuola e non voleva certo litigarci “Potresti portare quello a Hogwarts! Magari te la fanno passare.” disse subito cercando di sembrare eccitato.
Il ragazzo biondo sbuffò: “È un manico vecchio e non va bene per giocare a Quidditch. Tu sai giocare?”
“No.”
“Io sì. Papà dice che sarebbe una vergogna se non mi prendessero nella squadra della mia Casa. Tu in quale casa vorresti stare?”
Finalmente un argomento su cui poteva dimostrare qualche conoscenza: “In verità non saprei, perché mi piacciono tutte: il coraggio di Grifondoro, la saggezza di Corvonero, l’ambizione di Serpeverde, la lealtà di Tassorosso. Sono tutte belle a pensarci.”
Harry non poteva muoversi, perché la donna stava appuntando le misure proprio sul collo. Ma con la coda dell’occhio percepì il suo interlocutore voltarsi e lanciargli una lunga occhiata indagatrice.
“Beh… Io voglio essere Serpeverde! Come mia madre e mio padre!” esclamò allora il ragazzino biondo con un tono che Harry percepì come prepotente.
Sì, sembrava proprio Duddley sebbene con almeno sessanta chili di peso in meno.
Harry fece le spallucce (venendo rimproverato dalla negoziante con un borbottio): “Allora se finirò Serpeverde saremo compagni di dormitorio.”
“Comunque nessuno lo sa finchè non si arriva a scuola. Spero solo di non finire Tassorosso. Ti immagini la vergogna?” continuò il ragazzo.
Harry iniziava ad essere veramente scocciato dal suo tono.
“Chi è quell’uomo che guarda dalla finestra del negozio?”
Harry, poiché la negoziante si era concentrata sui suoi polsini, potè girare la testa.
“Hagrid.” Rispose “mi ha accompagnato lui.”
“Ah. Né ho sentito parlare. È una specie di inserviente, giusto?” Quando pronunciò la parola inserviente, Harry udì del disgusto nella sua voce.
“È un guardiacaccia.” Affermò, sentendosi avvampare. Non doveva permettersi di insultare Hagrid.
“Come mai sei con lui? Dove sono i tuoi genitori?”
“Sono morti.”
“oh… Scusa.” Non c’era vero dispiacere in quelle scuse. Più un senso di imbarazzata sorpresa: “Ma loro… I tuoi genitori dico… erano come… come noi?”
“Se mi stai chiedendo se erano dei maghi, sì. Erano dei maghi.”
Il ragazzo biondo sembrò fare un sospiro di sollievo.
“Meno male. Stanno venendo un po' troppi figli di babbani a Hogwarts.”
Harry stava per replicare quando Madama Mclan gli disse: “Abbiamo finito caro. Saranno pronte tra una settimana.”
Felice di allontanarsi da quel ragazzino, Harry uscì dal negozio.
Hagrid vide subito che era nervoso.
“Va tutto bene Harry?”
Harry osservò il viso del gigante e sentì un tuffo al cuore. Decise di non dirgli nulla di quello che aveva detto il ragazzo biondo.
“Tutto bene. Solo… Non mi è piaciuto molto quello che mi ha detto quel ragazzino, tutto qui.”
Hagrid sospirò: “Non è sempre facile andare d’accordo, anche a Hogwarts. Ma chi dice che non troverai persone più simpatiche?”
“Spero solo di non finire nella sua stessa casa.”
“Anche se succederà Harry, non dovrai starci assieme per forza… Ora fammi vedere la lista, cosa manca?”
“La bacchetta.”
“Ah sì! E per quella c’è un solo negozio, attivo da anni e anni: Ollivander! Io ho preso la mia bacchetta lì tanto tempo fa, sai?”
 
Hagrid attese fuori dal negozio. Mentre aspettava un gufo arrivò a portargli un messaggio:
 
Quercia in buona salute ma inizia a nitrire, chiede cibo. McGrannitt.
 
Sospirò. Per fortuna con Harry era andato tutto liscio dalla notte del suo compleanno a quel giorno, quindi non c’era rischio di tardare ancora il suo ritorno.
Quando lo vide uscire, gli andò subito incontro: “Allora ragazzo, spero che…” ma si interruppe.
Si accorse che Harry aveva un’espressione particolarmente cupa.
“Ragazzo, che succede?”
Harry mostrò a Hagrid la sua bacchetta.
“Vedi questa?”
“È bellissima, Harry.”
“Non è questo. Ollivander ha detto che ha dentro una piuma di fenice. Una fenice che ha dato due piume. Una sta qui e l’altra sta nella bacchetta del mago che ha ucciso i miei genitori.”
“Oh…” Hagrid rimase senza parole. “Harry… Harry non credo che questo… non credo significhi qualcosa…”
“Ma anche Ollivander non vuole dirmi come si chiama.”
Per un lungo momento i due rimasero davanti al negozio di bacchette in silenzio. Harry osservava lo strumento che teneva tra le mani cercando di capire cosa esattamente sentiva e perché mai tra tutte le bacchette proprio quella l’aveva scelto. Hagrid invece teneva la testa bassa a fissare la strada.
Ad un certo punto, il gigante balbettò qualcosa.
“Come Hagrid?”
Harry vide il guardiacaccia prendere un profondo respiro e poi sussurrargli: “E va bene: Voldemort.”
“Voldemort?”
Hagrid lo zittì con un gesto, poi si chinò verso di lui e sussurrò: “Questo era il nome. Ma tu non dirlo mai, capito? Nessuno, e ripeto, nessuno deve pronunciare questo nome.”
“Perché?”
Hagrid sospirò: “Perché anche i nomi hanno una loro magia. Un giorno capirai. Ora però, credo sia arrivato il momento di andare da Quercia.”



(Salve a tutti! Torno dopo una lunga assenza portando la buona notizia di aver raggiunto finalmente e definitivamente la laurea. Il che non indica automaticamente più tempo libero, ma sicuramente meno stress e meno angosce. Ora durante l'estate ho recuperato e accuratamente letto una prima traduzione di Harry Potter, da cui ho ripreso molte delle battute inserite dentro questo capitolo. Mi sono presa delle libertà sia perchè citare interamente un capitolo potrebbe portare a un'accusa di plagio, sia perchè comunque l'Harry della mia storia è diverso da quello originale, in quanto cresciuto a Hogwarts. Spero che comunque il capitolo risulti di vostro gradimento. Aggiungo che ho corretto un grave errore di continuità che avevo commesso nel capitolo intitolato "La verità". Mi scuso con voi per tale errore. Alla Prossima!)

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Ritorno alla capanna ***


Quando arrivarono con la motocicletta che era ormai il crepuscolo, sia Harry che Hagrid notarono subito il puledro dorato corrergli incontro.
Quando Harry scese, l’animale saltellava e nitriva felice e per poco non saltò addosso a Harry. Il ragazzo, per calmarlo, dovette prendergli il muso e stringerlo forte.
“Si vede proprio che è felice di vederti!” Commentò Hagrid sorridendo allegro.
Alla capanna del mezzogigante, li aspettava la McGrannitt che porse subito un biberon a Harry. Il giovane aveva appena preso l’oggetto che l’animale si attaccò avidamente alla mammella.
Harry girò il biberon in modo che il latte andasse verso il basso e così iniziò a nutrirlo.
“Ho provato tutto” disse la McGrannitt “anche a mettere del miele sul ciuccio. Ma niente. Non ne voleva sapere.”
“Eh. Le creature magiche sono più testarde di noi.” Fece Hagrid facendo a Harry l’occhiolino.
“Com’è andata la vostra giornata?” chiese la maga.
“Molto bene! Ho preso tutto! Sono pronto per la scuola!” esclamò Harry.
“Confermo! Il ragazzo ha tutto!” ribadì Hagrid.
Ci fu una breve e strana pausa durante la quale la professoressa fissò il guardiacaccia con un’espressione molto strana.
“E… Quella?” domandò infine la donna.
“Quella? AH! QUELLA! Sì sì! L’ho presa!” fece Hagrid battendosi il petto “Tutto bene!”
“Allora è meglio che tu vada subito da Silente. Se ti chiede qualcosa digli che prima hai voluto dare un’occhiata all’unicorno. Hai l’oggetto che ti ha dato Piton?”
“Certo!”
“Allora ci vediamo dopo.”
“Allora a dopo professoressa, a dopo Harry!”
E Hagrid li lasciò soli alla capanna.
Intanto Quercia aveva finito di succhiare il latte e si era andato ad accucciare vicino a Thor davanti al camino.
“Allora Potter, ti senti davvero pronto?”
“Certo professoressa!”
“Molto bene. C’è una cosa che dovrai fare però il primo giorno: dovrai andare alla stazione di Londra a prendere il treno insieme a tutti i tuoi compagni. È l’unico modo per non attirare sospetti, capisci?”
Harry annuì.
“Ma fino ad allora, puoi stare qui ad occuparti del tuo amico.” Mentre parlava, Harry notò uno strano lampo negli occhi della professoressa, come di tenerezza “Sai Potter, forse questo piccolo gioco del destino non è poi del tutto un male: è estate, c’è un tempo magnifico ed è giusto che tu ti goda un po' di esterno.”
“Pensa che il puledro sarà abbastanza grande quando dovrò venire a scuola?”
“Le creature magiche crescono molto in fretta Potter.”
“Professoressa?”
“Sì?”
“Quando… beh, vivevo con i Dursley, durante l’estate le scuole erano chiuse e i professori non restavano a scuola d’estate. Anche voi, mi ricordo, gli anni scorsi siete stati meno con me durante l’estate. Se c’era qualcuno, era soprattutto Hagrid.”
“Oh Potter questa è un’estate speciale. Stiamo preparando tutto per il tuo arrivo.”
Harry fissò la donna.
“Avrai notato” proseguì lei “che a Diagon Alley sei molto conosciuti.”
“Beh sì, tutti sono stati gentili con me.”
“E continuerà ad essere così. I tuoi compagni conosceranno la tua storia perché è stata raccontata dai loro genitori, se maghi. E chi non la conosce, la scoprirà presto. Ovviamente ti faranno molte domande e tu…”
“…Dovrò essere pronto a dire che vivo con i Dursley e so molto poco della magia.”
I due si scambiarono un sorriso di complicità.
“Però non capisco ancora perché vengo considerato speciale. Non può essere solo questa cosa di Voldemort- ” appena pronunciò quel nome, la McGrannitt sobbalzò così forte da rovesciare una tazza di tè poggiata sul tavolo. Il puledro lanciò un lungo nitrito e perfino il fuoco nel camino sembrò scoppiettare violentemente.
“POTTER!” esclamò la donna “Quel nome! Chi ti ha detto quel nome!?”
Harry, che era sbiancato di fronte a quella catena di reazioni, non rispose. Non avrebbe di certo messo nei guai Hagrid che aveva solo soddisfatto un suo capriccio. Però solo in quel momento capiva quanto quel nome era realmente temuto dal mondo dei maghi.
“Le… Le voci girano…” provò a dire.
“Nessuno nel mondo magico pronuncerebbe mai quel nome! Voglio sapere dove l’hai sentito! Esigo-”
“L’ho letto!” disse allora Harry “Era nel libro di storia!”
In realtà, non era sicuro che quel nome fosse presente. E forse non ne era sicura neanche la McGrannitt perché lo fissò con uno sguardo severo e indagatore prima di aggiungere: “Forse c’era anche scritto che quel nome non va mai pronunciato!”
Harry tacque e chinò lo sguardo.
La donna si avvicinò a lui e gli mise una mano sulla spalla.
“Perdonami Potter… Capisco la tua necessità di capire quanto è accaduto. Ma come ti ho detto, purtroppo, non è molto chiaro. Con gli studi, e con il tempo, comprendendo la magia, forse capirai anche tante cose di quanto è accaduto.”
“C’è una cosa che non mi torna.” Disse con un filo di voce Harry “Lei ha detto che Vo… Che noi-sappiamo-chi è scomparso. Ma non se è morto. Ho capito bene?”
La McGrannitt non rispose. I suoi occhi erano pieni di malinconia. Poi però disse decisa: “Non ha mai più fatto sentire la sua presenza nel mondo magico. E io ritengo che dobbiamo cercare di essere più ottimisti possibili circa la sua dipartita. E comunque, non è il momento di pensarci, Potter. Perché ora devi concentrarti sul tuo amico Quercia. Questa prova di crescita e supporto, credo, non possa che farti bene.”
Harry annuì. Si diresse verso Quercia per osservare un po' il fuoco insieme a lui.
Mentre si accomodava, un dolore forse lo colse all’improvviso: la cicatrice pulsò e il cavallo nitrì di nuovo.
Il dolore durò pochissimo ma bastò ad Harry per cadere di sedere sul tappeto.
“Potter! Che succede?”
Non aveva parlato del dolore alla cicatrice quando era arrivato la prima volta, nella foresta. Perché avrebbe mai dovuto farlo? Per quanto strano, non gli era sembrato importante, e aveva senso che nel punto di una vecchia ferita potesse sentire dolore.
Ora però, così all’improvviso e così breve…
“Niente, tutto bene…” disse rimettendosi seduto “Sono solo un po' stanco.”
Qualcosa nella testa gli suggeriva di non dire nulla, anche se non ne capiva il motivo. La McGrannitt gli credette subito e annuì, mentre Quercia gli appoggiò il muso sulle gambe. I suoi occhi lo fissarono lasciando capire che lui non si era bevuto la bugia.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - Crescere un unicorno ***


Le regole erano semplici: Harry non avrebbe potuto utilizzare la sua bacchetta magica, né la scopa, né altri strumenti magici, ma avrebbe potuto leggere i libri.
Edvige, la civetta, poteva uscire di notte, ma doveva restare nascosta nella capanna di Hagrid di giorno.
Anche per Harry c’erano dei nascondigli: sebbene era altamente improbabile che Silente si recasse alla capanna di Hagrid, Harry doveva comunque fare sempre attenzione a non essere individuato.
Il ragazzo imparò presto che crescere un unicorno era comunque molto più semplice che crescere un cavallo normale: oltre alla purezza, l’animale presentava una certa intelligenza e imparava presto a comportarsi correttamente.
Era vivace, ma se Harry gli chiedeva di fare silenzio quando vedeva con la coda dell’occhio qualcuno passeggiare dalle parti di Hogwarts, lui smetteva di nitrire. Quando, con l’aiuto di Hagrid, tracciarono dei confini immaginari tra la capanna e il castello, come tra la capanna e la foresta, Quercia si dimostrò subito in grado di riconoscerli e rispettarli.
Nella settimana che seguì, calda e soleggiata, Harry si prese cura dell’animale guidato dal mezzo-gigante: lo nutriva tre volte al giorno, faceva spesso corse insieme a lui, gli spazzolava il pelo dorato e la criniera ancora corta con molta attenzione. Correva insieme a lui, un allenamento importante per il cucciolo, che per quanto fosse stato già in grado di camminare a poche ore dal parto, doveva comunque migliorare i suoi movimenti.
Furono giornate incredibilmente belle per Harry, che quasi si era dimenticato cosa significasse stare all’aria aperta. Tra i prati di Hogwarts insetti comuni e magici incantavano la sua curiosità.
“Quercia! Guarda! Una mantide religiosa! Non ne avevo mai vista una da vicino!”
Quercia rispondeva sempre, ovviamente a modo suo: ora nitriva, ora sbuffava dilatando rumorosamente le narici, ora gli strofinava il muso sul braccio.
Una volta arrivò a poggiargli, con delicatezza, uno zoccolo sul dorso della mano. Successe una sera mentre Harry era seduto ad osservare il disco rosso del sole che al tramonto spariva all’orizzonte.
“Quercia… qualcosa non va?”
Il puledro aveva scosso la testa. Aveva imparato a fare anche quello.
“Quindi è un modo per dirmi che sei felice?”
Il puledro aveva annuito. Rimosso lo zoccolo aveva lanciato un forte nitrito e si era messo a saltellare. Harry lo aveva osservato sorridendo.
“Mi domando… se Quercia mi veda come un fratello… o come un padre… io non ho avuto né l’uno né l’altro quindi non posso capirlo.” Aveva poi pensato il bambino. E quel pensiero l’aveva all’improvviso incupito profondamente.
 
La sera, Piton e la McGrannitt facevano sempre una visita a lui e ad Hagrid. A volte insieme, a volte solo uno dei due. Harry raccontava dei progressi di Quercia e di quello che stava imparando stando con l’animale. Se qualche volta trovava il tempo di leggere i libri di testo, faceva domande e chiedeva spiegazioni. Piton però sembrava non rispondere con piacere alle sue interrogazioni.
“Forse dovresti lasciare alla scuola il compito di insegnare, Potter.”
“Ma io non voglio andare a scuola così impreparato! Gli altri sapranno molto più di me.”
“Ricordi cosa ti ho detto nella foresta il giorno in cui abbiamo trovato questo cucciolo? La magia non si impara in un giorno.”
“Inoltre,” aggiunse la McGrannitt con più dolcezza “molti tuoi compagni verranno da famiglie babbane, saranno anche loro ‘impreparati’, non devi sentirti imbarazzato.”
Harry aveva annuito e poi carezzato la testa di Quercia, vicino a lui, con il muso poggiato sulle gambe.
“Voi… eravate di famiglie magiche o babbane?”
Seguì un lungo silenzio. Piton e la McGrannitt si scambiarono un’occhiata tesa. L’uomo poggiò il suo piatto di minestra e si alzò: “Se posso permettermi, Potter: questo non riguarda te. E ora devo andare.”
“Professore, l’arrosto!” protestò Hagrid.
“La tua cucina Hagrid è sicuramente adatta per un giovane come Potter. Ma a me rischia di trasformarmi in qualcosa di più grande di un troll. Grazie mille per la zuppa. Ma per oggi basta. Arrivederci Potter. Professoressa.” E uscì dalla capanna.
Harry ci rimase molto male, ma la McGrannitt gli mise una mano sulla spalla e disse: “Piton è un uomo molto riservato. Non porta rancore per le domande fatte, ma non risponderà mai, se non lo ritiene opportuno. Io posso dirti che la mia famiglia era babbana per metà. Mio padre era babbano.” Un velo di tristezza calò sugli occhi della donna. E Harry decise di cambiare argomento: “Però anche i figli di soli maghi non possono usare la magia fuori dalla scuola.”
“Assolutamente! È una regola fondamentale! Questo succede anche perché fino a una certa età, la magia è molto difficile da controllare! Anche il migliore tra gli studenti rischia di fare un disastro! Non possiamo permetterci incidenti! Né tra i babbani, né fuori! Troppo pericoloso!”
Parlò con solennità e severità. Harry annuì.
“Quando avrò finito quest’anno, tornerò nel sotterraneo?”
“Ci stiamo lavorando. Stiamo vedendo che qui nella capanna di Hagrid non stai male e che rispetti le regole. Perciò…”
“Oh professoressa! Sarebbe bellissimo! In estate poi la foresta è meravigliosa! Le creature entrano nella stagione degli amori e i fiori…”
“Hagrid, non è ancora detto.”
Harry ridacchiò osservando quella buffa interazione: la gioia di Hagrid spenta dalla solenne risposta della professoressa gli ricordava una scena dei vecchi film comici che aveva avuto l’occasione di vedere ogni tanto alla TV.
 
Una sera si presentò solo Piton. Nervoso.
“Il ragazzo.” Chiese a Hagrid.
Harry, che era nascosto alla vista dallo schienale della grossa poltrona, fece capolino.
Piton gli venne incontro, si tolse una collana dalla tasca e gliela mise al collo.
“Ascoltami bene, Potter. Non-devi-toglierti-questa-collana. Qualunque cosa accada, scoppiasse l’intero castello o il mondo, tu tieni questa collana al collo. È chiaro!?”
Harry l’aveva visto in quello stato solo in un’altra occasione. Quando lo aveva recuperato dal cadavere della madre di Quercia e portato in braccio, correndo, alla capanna di Hagrid.
Anche il mezzogigante, in quel momento intendo a trafficare con uova e farina per preparare una torta, si innervosì.
“Quindi… passerà stasera?”
“Tra poco. Nascondi il ragazzo e cerca di non farti sfuggire nulla quando parli.” E di corsa, come era arrivato, Piton se ne andò.
Hagrid prese Harry quasi di forza e lo portò davanti al suo armadio: “Nasconditi Harry, resta dentro finchè non ti dico di uscire.”
Harry annuì. Quercia si avvicinò.
“No Quercia! Devo stare nascosto! Nessuno deve sapere che sono qui! Resta fuori!”
Quercia annuì e quando la porta dell’armadio fu socchiusa, il puledro si accomodò ai piedi dello stesso.
L’armadio aveva un punto di areazione in alto, preparato da Hagrid stesso per essere sicuro che Harry non restasse soffocato nel caso si fosse dovuto nascondere.
Ma anche tra alcune travi c’era spazio sufficiente per l’aria e Harry aveva addirittura la possibilità di vedere l’esterno, anche se solo parzialmente.
Erano passati dieci minuti e Hagrid di tanto in tanto si spostava vicino all’armadio, come incerto sulla possibilità di farlo uscire. Poi però c’erano stati dei colpi alla porta. Pochi, leggeri.
Hagrid aveva messo via cucchiai e ciotole ed era andato ad aprire.
“Professor Silente! Buonasera!”

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 - Legilimanzia ***


“Perdonami l’intrusione a quest’ora della sera Hagrid…”
Harry ascoltò la voce profonda, lenta e calma di Silente per la prima volta e si sorprese: si era aspettato una voce più autoritaria e spaventosa da parte di una figura come il preside di una scuola. Sì, una scuola di magia, ma sempre una scuola.
“Lei è sempre il benvenuto lo sa!”
“Oh… ecco il puledro fortunato. Cresce bene vedo!”
Harry udì il nitrito di Quercia e i suoi piccoli zoccoli che si spostavano per avvicinarsi. Dalle fessure, non riusciva a scorgere la figura del preside, ma vide chiaramente sprazzi del manto dorato di quercia.
“Eh sì professore, sta diventando un bel giovanotto…”
“Ti da anche molto da fare, vero Hagrid? Ti vedo poco in giro in questi giorni.”
“Oh professore, se è per le lumache del giardino, il mio rimedio è quasi pronto ormai…”
“Hagrid, sono solo preoccupato per te: da quando sei stato con Diagon Alley con il ragazzo, mi sembri più nervoso del solito…”
Ci fu una lunga pausa, rotta da qualche impacciato grugnito del mazzogigante. Harry si tese e istintivamente strinse la strana collana che Piton gli aveva messo al collo. Solo allora si rese conto che la superficie della stessa sembrava calda.
“Professore… io ho riportato il ragazzo da quei babbani e… e non è molto giusto secondo me che lui stia con loro… e poi quando a settembre verrà qui…”
“Sei molto emozionato, insomma.”
“Beh sì, molto.”
“Mi hai detto che ti ha fatto molte domande mentre eri con lui…”
“Beh sì lui fa sempre domande… cioè, immagino che farebbe sempre domande! Non sapeva nulla della magia, il ragazzo, proprio nulla! L’ho convinto accendendo il fuoco nel camino col mio ombrello!”
“Ah, questo ad esempio non me lo avevi raccontato. Ma non era stato murato il camino a casa dei Dursley?”
“Beh… diciamo che ora dovranno murarlo di nuovo professore.” E Hagrid esplose in una risata nervosa.
Harry sentì il cuore accelerare. Aveva una gran paura che Hagrid venisse scoperto. L’idea che potessero punirlo per colpa sua, lo terrorizzava.
“Oh Hagrid, l’importante è che alla fine sia andato tutto bene con il ragazzo. Ma se mai dovessi chiederti di rifarlo…”
“…non ripeterò l’errore professore.”
“Comunque, sono state alcune di quelle domande a renderti nervoso?”
Altro silenzio. Quercia si spostò verso il camino e passando davanti all’armadio si fermò e girò il muso. Uno dei suoi occhi incrociò quello di Harry.
“Ho dovuto dire al ragazzo il nome… in effetti.”
“Il nome?”
“Il nome di colui-che-non-può-essere-nominato.”
“E glielo hai detto?”
“Sì. Non me la sono sentita di mentire professore. Ma ho detto al ragazzo che non deve pronunciare quel nome. Per nessun motivo.”
“Hai preso la decisione giusta Hagrid… Beh, vedo che stai preparando un dolce. Cerca di finire presto il tuo antidoto per le lumache. Appena hai finito passa al castello, d’accordo?”
“Certamente professore, magari passerò anche a trovare Fuffi!” Subito dopo aver pronunciato quella frase, Hagrid si lasciò sfuggire un gemito.
“Tutto bene Hagrid.”
Il mezzogigante tossì: “Sì, professore, scusate… mi è finita della farina in gola.”
“Capisco… allora vado.”
“Buonanotte professore.”
Ci fu una pausa e Harry, anche se non poteva vederli, si sentì gli occhi del preside addosso.
“Buonanotte… Hagrid.”
E la porta fu chiusa.
Ma Hagrid aspettò dieci minuti prima di farlo uscire.
“C’è mancato poco… per fortuna nonostante gli errori non mi sono lasciato andare troppo.”
“Hagrid… se mi scoprono, cosa succederà a te, alla McGrannitt e a Piton?”
Hagrid si incupì e non rispose. Mise una mano sulle spalle di Harry e disse: “Preferisco pensare a non farmi scoprire, Harry. Le conseguenze alla fine non sono così importanti se un piano funziona.”
Harry annuì. Stringeva ancora la collana tra le dita. Anche se il metallo che componeva il filo e le piccole perle equamente distribuite erano praticamente roventi, le sue dita non provavano una sensazione di bruciore.
“Quella non la togliere. Deve farlo il professor Piton.”
“Ma che cos’è?”
“Una forma di protezione. Per sicurezza. Ne porto una anch’io.”
Un oggetto magico? Un amuleto? E protezione da cosa?
Hagrid, che tuttavia era ancora nervoso e teso, si era rimesso a fare la torta, e stava raccontando ad Harry, per l’ennesima volta, la ricetta di quel dolce, proprio per evitare le domande.
E Harry, per quanto volesse saperne di più su quella collana, non chiese nulla.
Mentre il dolce era in forno, Piton arrivò.
“Ho parlato con Silente… Ha capito che stai nascondendo qualcosa… Ma per nostra fortuna, sospetta dell’unicorno, e non del ragazzo.” Disse con aria severa e i denti stretti “Ed è merito del fatto che i Dursley sono ancora lontani da casa. Ho detto che sarei andato a mettere a posto il disastro da te causato con il camino…”
“Oh professore, grazie… Ammetto che ho improvvisato.”
“NON SI PUO’ IMPROVVISARE QUI, HAGRID!” Il tono di Piton si era fatto al tempo stesso più alto e profondo, come l’urlo vibrante di una caverna. Fece paura anche al puledro che si agitò e iniziò a scalpitare. Harry però riuscì subito al calmarlo.
“E quello dovrebbe stare fuori dalla capanna! Sta diventando troppo grosso!”
“Lo… Lo faccio sempre dormire fuori professore…” balbettò Hagrid ancora impressionato.
Piton poi andò verso Harry e tese la mano: “Puoi ridarmi la collana, Potter.” La voce era tornata normale.
Harry si tolse la collana e gliela restituì: “Professore, può dirmi che cos’è questa?”
“Protezione Potter… L’ho incantata in modo che se qualcuno cerchi di leggere i tuoi pensieri, non riesca a farlo. Purtroppo il suo effetto non dura molto. È molto calda, quindi il suo effetto sta già svanendo.”
“Il professor Silente… può leggere nel pensiero?”
“Legilimanzia. Non è esattamente una lettura del pensiero, ma una magia molto complessa che pochi possono padroneggiare.”
“Ma quando sarò uno studente…!”
“Non leggerà la tua mente, Potter. Né lo farà con altri studenti. Al momento il professor Silente è molto nervoso per il tuo arrivo, ma non sei tu a preoccuparlo.”
“E perché mai dovrebbe voler leggere la mai? Lui di me si fida ciecamente.” Disse Hagrid togliendosi anche lui una collana molto simile a quella di Harry.
“Perché conoscendoti e sapendo quanto ti lasci sfuggire, vorrei almeno essere sicuro per quel che riguarda i pensieri.”
Hagrid abbassò lo sguardo con vergogna.
“Ora mi tocca tornare dai babbani… Cerca di non combinare altri guai. E tu Potter… Mi raccomando, prudenza.” Fece Piton uscendo dalla capanna.
Quella notte, Harry non dormì bene. Il russare di Hagrid, che di solito non sentiva mai perché si addormentava ben prima del mezzogigante, non lo aiutò ad addormentarsi. Quercia, che era accovacciato vicino alla sua branda, teneva il muso poggiato vicino a lui e si lasciava accarzzare. Hagrid aveva raccontato una bugia sul farlo dormire fuori a Piton.
“Leggere nel pensiero… è davvero possibile? La magia è anche questo?” domandò Harry all’animale “E posso farlo con gli animali?”
Il puledro sbuffò.
“No infatti. Tra noi non ce n’è bisogno… Ma è davvero giusto imparare questa legi… leggio… come era? Non me lo ricordo… E non sono neanche sicuro che sia giusto chiedere. Se scopro troppe cose, potrei insospettire tutti, anche il preside… e metterei nei guai Hagrid e Piton e la Mcgrannitt… Però… ora che so questo… ci sarà un modo per difendersi da una magia così?”
Hagrid si girò nel suo letto e finalmente smise di russare.
Harry sentì che gli occhi iniziavano a cedere. Mentre la sua testa cadeva nel sonno gli tornò in mente la parola giusta.
“Legilimanzia…” mormorò Harry e subito prima di addormentarsi, pronunciò anche un’altra parola che aveva sentito, ma ignorato “Fuffi…”
E sprofondò nel mondo dei sogni.

 

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