The Harmony of the Darkness - l’erede e la maledizione

di jung_lia0812
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** 1 – INCANTESIMO ANDATO MALE ***
Capitolo 3: *** 2 – SCELTO PER QUESTO ***
Capitolo 4: *** 3 – AL SICURO ***
Capitolo 5: *** 4 – OCCHI APERTI ***
Capitolo 6: *** 5 – CONVINCERE SÉ STESSO ***
Capitolo 7: *** 6 – QUANDO SARAI PRONTO ***
Capitolo 8: *** 7 – PADRI ***
Capitolo 9: *** 8 – COME VOI ***
Capitolo 10: *** 9 – DOVRESTE CRESCERE ***
Capitolo 11: *** 10 – AMICHEVOLE ***
Capitolo 12: *** 11 – PER DAVVERO ***
Capitolo 13: *** 12 – EVIDENZA ***
Capitolo 14: *** 13 – VI PROTEGGERÒ E VI SOSTERRÒ ***
Capitolo 15: *** 14 - FIDUCIA ***
Capitolo 16: *** 15 – FERITE ***
Capitolo 17: *** 16 – AD ALTA VOCE ***
Capitolo 18: *** 17 – FUOCO E GHIACCIO ***
Capitolo 19: *** 18 – DEVE VIVERE ***
Capitolo 20: *** 19 – SOLUZIONI ***
Capitolo 21: *** 20 – VERA NATURA ***
Capitolo 22: *** 21 – AVVOLTI ***
Capitolo 23: *** 22 – NON TI SCORDAR DI ME ***
Capitolo 24: *** 23 – FINALMENTE A CASA ***
Capitolo 25: *** EPILOGO ***
Capitolo 26: *** [ANTEPRIMA] The Harmony of the Darkness 2 - Rimpianti ed ambizioni ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


Un immenso stormo di pipistrelli era inconcepibile persino per una cittadina dimenticata dal mondo come Faithbridge, dove era palpabile l’aura oscura che aleggiava sull’intera comunità che vi abitava. Non era mai capitato nulla del genere in città, non da secoli almeno. Da molto tempo ormai non si verificavano fatti insoliti. Ma quella sera, tutti quei pipistrelli avevano sentito l’impulso di gettarsi in picchiata su una giovane ragazza. Per quanto lei cercasse di scacciarli, non c’era verso di mandarli via. Quei piccoli ratti volanti le tiravano i capelli e la graffiavano. E quando, uno di loro raggiunse la sua schiena, affondò i due piccoli denti provocandole un dolore lancinante, mai provato prima in vita sua. La giovane urlò ma subito dopo la vista le si offuscò e si lasciò cadere sul prato di quell’anonimo parco cittadino.
Quando lei riaprì gli occhi, le sembrò essere stato nient'altro che un sogno, o sarebbe meglio dire un incubo. Batté più volte le palpebre nel tentativo di rimettere a fuoco ciò che le era davanti. Il bianco soffitto di quell’ospedale – l’unico che c’era in città – fu come un lampo di luce accecante, per i suoi occhi ancora assopiti. Si rese conto che non era stato affatto un incubo, era davvero successo qualcosa, qualcosa che aveva rovinato i suoi piani.
Era stato il peggiore compleanno della sua vita.
Avrebbe dovuto trascorrerlo con il ragazzo per cui aveva una cotta da sempre, ed invece eccola risvegliarsi in un letto di ospedale.
  «Ehi!», era proprio lui, Liam, il ragazzo con cui avrebbe dovuto festeggiare i suoi diciotto anni. Le si avvicinò rapido e le prese la mano. «Come ti senti? Va tutto bene?»
  «Non lo so… credo di sì.» mormorò lei ancora un po’ stordita.
  «Che cos’è successo? Quando sono arrivato, eri a terra priva di sensi… »
La ragazza non sapeva come raccontare ciò che le era accaduto. «È stata una cosa stranissima.» disse. «C’erano dei– »
Proprio in quel momento, i genitori di Sharon spalancarono la tenda, che circondava la piccola area intorno al letto, e corsero dalla loro bambina. Ronny – come ormai tutti la chiamavano – non capì assolutamente nulla di quello che le stavano dicendo. Suo padre e sua madre continuavano a parlare contemporaneamente e le loro frasi si mescolavano confondendola ancora di più.
Quando finalmente si resero conto di averla letteralmente assalita si ricomposero e la lasciarono respirare.
Fu la madre a parlare. «Tesoro, come ti senti? Che cos’è successo?»
  «Non lo so… il vento ha iniziato a soffiare e poi… c’erano… c’erano così tanti pipistrelli.» disse ripensando alla scena.
  «Pipistrelli?» le fece eco il padre.
  «Sì, mi hanno… attaccata.» disse, ma dal tono della sua voce era evidente che neanche lei ci credesse poi così tanto. Dicendolo ad alta voce, si rese conto di quanto poco verosimile fosse il suo racconto. Cominciò a pensare fosse stato probabilmente tutto frutto della sua immaginazione.
  «Tesoro ma che dici! I pipistrelli non att– »
  «Uno di loro mi ha morsa.» gridò ricordando quel terribile dolore, che le era sembrato piuttosto reale. «Qui sulla schiena.», Ronny provò ad indicare il punto in cui aveva sentito quell’atroce male, ancora vivido nella sua memoria. Si abbassò parte della maglietta e fece una leggera torsione col busto, perché, anche gli altri presenti, potessero verificare con i loro occhi.
Liam osservò attentamente la spalla di Ronny, che emergeva parzialmente, ma non vide assolutamente niente.
  «Non c’è nulla.» le disse sua madre.
Forse avevano ragione, forse aveva visto troppi film e si era lasciata impressionare. Ma perché era svenuta allora? Ronny non riusciva a spiegarselo. Alla fine stava quasi per arrendersi al fatto che fosse stata solo la sua immaginazione, ma poi ricordò di quella storia. Della leggenda di quella oscura città.

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Capitolo 2
*** 1 – INCANTESIMO ANDATO MALE ***


Il sole era da poco tramontato. Non era esattamente il momento migliore per avventurarsi in città, specialmente per addentrarsi fra gli alberi del parco. Con il buio Faithbridge diventava ancora più spaventosa e pericolosa.
Ma Liam doveva farlo. Aveva bisogno della luce della luna. Era l’unico modo, l’ultima speranza che aveva per salvare lei e la città in cui era cresciuto.
Lentamente – continuando perennemente e nervosamente a guardarsi intorno – Liam raggiunse il centro del parco, dove c’era uno splendido gazebo circolare in marmo. Per quanto ne sapeva, era un luogo sacro, forse l’unico, dove sarebbe stato finalmente al sicuro in tutto quel verde.
Appena intravide il gazebo, si affrettò a raggiungerlo. Salì velocemente quei tre gradini che lo separavano dal prato, e, quando fu al centro della piccola costruzione, poté finalmente tirare un respiro di sollievo. Ma non c’era tempo per rilassarsi. Si tolse lo zaino dalle spalle e lo aprì. Tirò fuori un libro. Era consumato e molto antico. La sua copertina in cuoio era completamente rovinata ed a stento riusciva a vederne le delicate e sottili incisioni in oro che lo decoravano.
Sfogliò rapidamente quelle sue pagine ingiallite e ricoperte di macchie, fino a trovare quella che stava cercando.
  «Spero solo che funzioni.», espirò prima di iniziare a leggere quella formula che assomigliava ad uno strambo indovinello.
Pronunciò quelle parole scritte sulla carta, per lui totalmente incomprensibili.
Non accadde assolutamente nulla.
Liam si guardò intorno, ma neanche una foglia si mosse. «Forse non l’ho pronunciato correttamente… » si disse.
Lo lesse ancora una volta. Poi una terza, ma niente, di nuovo.
Stava per arrendersi quando il vento iniziò a soffiare, prima fra gli alberi che circondavano il gazebo e poi sul suo viso.
La frase che aveva pronunciato iniziò ad echeggiare e a ripetersi più e più volte sovrapponendosi, una parola dopo l’altra. Non sembrava neanche più la sua voce, non sembrava neanche più una frase di senso compiuto.
La leggera brezza si fece più forte, soffiando sempre più prepotentemente. Le foglie iniziarono a staccarsi dagli alberi e con loro anche qualche ramo più sottile. Ma nessuno di essi sembrava andare verso Liam, forse anche quello era il potere di quel luogo sacro.
Il libro iniziò a tremare fra le mani di Liam. Lui cercò con tutte le sue forze di non lasciarlo andare, o il vento lo avrebbe portato via. Ma alla fine mollò la presa. Il libro però si limitò a cadere ai suoi piedi. Non si chiuse, rimase aperto alla stessa esatta pagina che lui aveva scelto pochi minuti prima.
Con la mano Liam si spostò i sui bruni capelli dal viso. Ma fu inutile, il vento continuava a scompigliarli e a coprirgli la visuale.
Riuscì a malapena ad intravedere che le parole del misterioso enigma si stavano staccando dalle pagine del libro.
Quei vecchi fogli ingialliti, e dai bordi rovinati, si fecero sempre più bianchi. Sembrava quasi che il libro stesse ritornando al suo stato originale, ma in realtà era a causa di quel bagliore. L’immensa e calda luce che il libro stesso stava sprigionando.
Il raggio luminoso squarciò il cielo notturno. Aveva raggiunto persino le nuvole. La luce era visibile alle spalle della grigia coltre di nubi, come quella dei lampi in un giorno tempestoso.
Ci siamo, pensò quando la luce si fece più forte, tanto forte da costringerlo a voltarsi.
Quando di colpo tutto finì, lui però era ancora lì nel parco, nel gazebo. «Ma che… ? Perché sono ancora qui?»
Si girò in direzione del libro, ma si trovò faccia a faccia con la suola di uno stivale, completamente ricoperta di fanghiglia. Istintivamente, Liam fece un passo indietro ed inciampò nei gradini. Si ritrovò col sedere dolorante sul prato. Il ragazzo si rialzò strofinandosi, nella speranza di attenuare il dolore. «Che male… » sussurrò. Quando sollevò lo sguardo, si trovò davanti una giovane dalla folta ed ondulata chioma rossa. Aveva visto tante persone dai capelli rossi, ma mai di un colore così fiammante e luminoso. I vestiti che lei indossava li aveva ammirati solo nei libri, o nei film. Erano abiti di un tempo lontano, molto lontano dal suo.
La ragazza, infatti, indossava una tunica di un colore marrone chiaro, che le arrivava fino a metà della coscia e fuoriusciva dal corpetto in cuoio, allacciato al centro da un sottile cordino incrociato, dello stesso materiale. In vita portava una cintura, sempre in cuoio, alla quale era agganciata quello che sembrava essere il fodero di una spada, che però era vuoto. Fasce di cuoio erano allacciate sui suoi avambracci. I pantaloni erano abbastanza aderenti ed anch’essi allacciati lateralmente da un cordoncino sottile.
L’espressione della giovane era confusa, quasi quanto quella di Liam. Non era così che credeva sarebbe andata.
La ragazza finalmente parlò. «Voi chi sareste? Perché mi avete richiamata qui?» domandò, ma Liam era ancora troppo sorpreso per risponderle. «Potete almeno indicarmi la strada per il castello?»
  «Ehm… io non… », Liam era concentrato a pensare che scusa avrebbe usato per spiegare al suo maestro il suo fallimento.
  «Se non avete nulla da dire, per quale ragione mi avete chiamata?»
  «Veramente… non sarebbe dovuta andare così. Deve esserci un errore. Avrei dovuto raggiungere io la Faithbridge del passato.»
  «Del passato?», la ragazza dai capelli color fuoco lo scrutò. Posò lo sguardo prima sulla t-shirt di Liam e poi sui suoi jeans, un materiale a lei ovviamente sconosciuto. «Oh, questo deve essere il futuro… capisco. Quindi non posso tornare semplicemente al castello, immagino. Ditemi allora in cosa posso aiutarvi, così potrete rimandarmi in fretta da dove sono venuta.»
I piani erano ormai andati in fumo. Liam non sapeva che fare. Non aveva messo in conto un tale imprevisto.
  «Mi dispiace… ero io che dovevo raggiungere il vostro tempo.» ripeté.
  «Sì, questo lo avete già detto. Ma qual è la ragione?»
Liam cercò di ricomporsi e tornare a pensare lucidamente. «Dovevo raggiungervi per aiutare il vostro re.»
  «Aiutare il re? È di questo che si tratta?»
Liam stava per vuotare il sacco e raccontarle tutto, ma ricordò dove si trovassero, e che non era il caso di restarci ancora. A quell’ora la città non era sicura. Doveva raggiungere il suo maestro se voleva che tutto tornasse come prima.
Prima dei pipistrelli.
  «Adesso non c’è tempo per spiegare. Qui non siamo al sicuro.», Liam prese il libro e lo ripose frettolosamente nel suo zaino. «Venite con me.», afferrò la ragazza per il polso e la trascinò via di lì.
Dovevano raggiungere rapidamente la biblioteca, lì sarebbero stati al sicuro. Il Gran Maestro li avrebbe aiutati ed avrebbe posto rimedio a quell’incantesimo andato male.

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Capitolo 3
*** 2 – SCELTO PER QUESTO ***


**Tre anni prima**
Come al solito, anche quella sera Liam si trovava chiuso in soffitta. Tutte le volte che faceva qualcosa di sconsiderato, sua madre, per punirlo, era lì che lo rinchiudeva. Non era facile per lei gestire un ragazzino, tutto da sola. Da quando il padre di Liam era morto, lui non aveva fatto altro che mettersi nei guai. Risse a scuola, e ovunque ne avesse l’opportunità. I suoi voti peggioravano giorno dopo giorno e rispondeva in malo modo a sua madre di continuo.
Era comprensibile che non fosse facile per lui affrontare la perdita del padre, ma neanche per sua madre lo era stato. Non aveva neanche potuto piangere la morte dell’uomo che amava perché doveva essere forte anche per suo figlio. Purtroppo Liam non sembrava capirlo. Perciò, erano più le volte che dormiva in soffitta che nel suo letto.
Quella sera, però, fu diversa. Era così arrabbiato che scaraventò sul pavimento alcuni degli scatoloni. Perché, evidentemente la rissa di quel pomeriggio, all’uscita da scuola, non aveva esaurito le sue energie e si sentiva ancora in vena di violenza.
Mentre sbuffava ancora furioso, il suo sguardo cadde sulla montagna di oggetti che si era rovesciata fuori da uno degli scatoloni. In particolare, la sua attenzione fu attratta da un libro, fin troppo vecchio per essere così poco impolverato. La sua copertina di cuoio era consumata, ma era pulita, lucidata come se fosse stato appena comprato. Quando lo aprì, le sue pagine erano completamente ingiallite e ricoperte di piccole macchioline. Ne aveva visti di vecchi libri, nella biblioteca della sua scuola, ma questo era sicuramente molto più antico. Anche il carattere con cui era scritto, ricordava quello che spesso aveva visto nelle foto sui suoi libri di storia. Sembrano pagine di epoca medievale.
Iniziò a scorrere rapidamente con gli occhi alcune righe, ma ben presto Liam finì col trovarsi immerso completamente nella lettura.
Vi era riportata la leggenda riguardante la sua città. Una storia che lui aveva già sentito e risentito. Suo padre gliene aveva parlato così tante volte. Senza contare le volte che, anche a scuola, la sua insegnante di storia l’aveva narrata.
Eppure chissà per quale ragione, non riuscì a smettere di leggere.
 
“Faithbridge era una volta una delle città più verdi e luminose del mondo intero. In quella terra tanto felice e tranquilla, la vita vi scorreva serena, sotto la guida di un saggio e giusto sovrano.
Ma era una pace purtroppo destinata a finire.
Tutto accadde una primavera, pochi mesi dopo la morte del re.
Il fratellastro del principe ereditario, così ambizioso e desideroso di indossare la corona, sicuro di meritare il trono più del legittimo erede, decise di macchiarsi del sangue di suo fratello. Pugnalò a morte il sangue del suo sangue, solo per la sua sete di potere. E quello, non fu che l’inizio della sua maledizione. La prima macchia nera nel suo avido cuore. Perché il sangue richiede altro sangue, ed il nuovo re non fece che spargerne sempre più.
Quella che prima era una sola e minuscola macchia di male nel suo cuore, si espanse fino ad avvolgerlo completamente, a consumarlo. Di lui non rimase atro che quello, male puro. Si deformò fino a diventare una viscida macchia nera, bisognosa di un corpo per continuare a compiere quello che chiamava il suo destino, ma non era altro che avidità e sete di potere.
La famiglia reale, portatrice di quel sangue maledetto ed impuro, era destinata a sottomettersi al male di quel viscido essere. Compiuta la maggiore età, infatti, nessuno di loro riusciva a resistere al suo richiamo. All’armonioso richiamo dell’oscurità.
Di sovrano in sovrano, secolo dopo secolo, egli continuò a generare corpi adatti per impossessarsene, per sopravvivere e continuare a regnare, affiancato dai suoi più fedeli servitori trasformatisi in mostruose creature deformi e malvagie quanto lui.
Soltanto un sovrano fu previdente.
Prima che fosse troppo tardi, incaricò il suo fedele generale di trovare l’unica arma che avrebbe potuto porre fine a quella terribile maledizione.
Il re sapeva di non avere scampo, ma ripose ogni sua speranza nella sua discendenza.
L’erede al trono fu marchiato con una croce d'immenso valore, forgiata dal ferro dei chiodi macchiati del sangue del Salvatore, colui che aveva sacrificato la sua vita provando quanto puro e buono un cuore umano potesse essere.
Purtroppo, quel marchio fu in grado di proteggere l’erede al trono dalla possessione, ma non dalla stessa furia fratricida che aveva dato inizio a quella terribile maledizione.
Il male non poté essere sconfitto, ma soltanto rinchiuso e messo a tacere, grazie al sacrificio dell’ultimo protettore dell’Ordine dei Cavalieri. Egli cancellò col fuoco il marchio che lo proteggeva e lasciò che il Maligno lo possedesse, per poi darsi fuoco ed intrappolarlo.
Ma sarebbe stato solo temporaneo, prima o poi, il Maligno si sarebbe liberato ed il male si sarebbe ridestato.”
 
Non somigliava, neanche lontanamente, alla storia che suo padre gli aveva narrato. Liam ricordava perfettamente che suo padre gli aveva parlato di un vittorioso condottiero, che aveva sconfitto il male, e non di un re perito per mano di suo fratello.
  «Deve esserci un errore… » disse. Sfogliò le altre pagine ma si rese ben presto conto che erano tutte vuote. «Che senso ha un libro così grande per una storia così breve? Dov’è il resto?»
Arrivato all’ultima pagina, trovò un foglio dal colorito più chiaro, più nuovo del resto del libro. Era scritto a mano. Liam riconobbe immediatamente la pessima grafia di suo padre, la stessa che aveva sempre faticato a decifrare. Avvicinò il foglio nel tentativo di leggerlo. Era una lettera rivolta a sua madre. Le diceva di prendersi cura di loro figlio e che non doveva nascondergli il suo destino. Una parte in particolare attirò il ragazzo.
 
“So bene quanto vorresti evitargli questo fardello, ma Liam ha un compito e tu non puoi intrometterti.
È pericoloso, eppure qualcuno dovrà pur farlo. Il suo coinvolgimento è necessario ed è un punto fermo del tessuto spazio-temporale, proprio come la nascita del Maligno. È qualcosa che, non importa quanto cercherai di prevenire, o cambiare, accadrà inevitabilmente. Nostro figlio fa parte dell’Ordine dei Cavalieri, è stato scelto per questo. Lo sappiamo entrambi. Ha il dovere di fermare il male prima che si ridesti. Lascia che il Gran Maestro Hyun-Shik lo aiuti a compiere il fato che lo aspetta, non opporti.”
 
Liam cominciò a domandarsi se quella storia fosse davvero solo una leggenda o fosse realtà. Ma soprattutto, quella lettera, gli fece comprendere quanto era stato stupido negli ultimi mesi, quanto aveva ferito sua madre con quel comportamento.
Che quella storia fosse stata vera, o no, non aveva importanza, sapeva solo che era il momento di riprendere il controllo della sua vita, di iniziare a comportarsi come un ragazzo modello. Sua madre aveva già perso l'uomo che amava, non poteva darle altri dispiaceri.
L’aveva sentita più volte piangere di nascosto, chiusa in camera, ma era troppo concentrato su sé stesso per rendersi conto che, col suo comportamento, la stava facendo solo sentire peggio.
Era il momento di stare vicini, di consolarsi a vicenda, non di litigare e discutere con toni per nulla pacati. E lui aveva diciotto anni, non poteva permettersi di fare i capricci come un bambino.
Dal giorno seguente iniziò a comportarsi in maniera impeccabile. Eleanore iniziò seriamente a temere che un alieno ne avesse preso il controllo, visto il suo repentino cambiamento. L’unica cosa che il figlio le aveva detto, quella sera, quando lo aveva liberato, fu “scusa”. Non una parola di più.

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Capitolo 4
*** 3 – AL SICURO ***


Per quanto volesse farsi degli amici, Liam non aveva una bella fama a scuola. Era ovvio che dopo tutte quelle risse, di cui era la causa, nessuno era intenzionato ad avvicinarlo. E se era lui a farlo, loro si allontanavano impauriti. Tutti tranne lei, Sharon Tyler. Ma lui l’aveva sempre chiamata Ronny, da quando ne aveva memoria.
Prima che Liam perdesse suo padre, loro due passavano sempre molto tempo insieme. Abitava nella casa accanto ma erano mesi ormai che Liam si era allontanato da tutto e tutti, anche da lei.
Non era solo una vicina per lui, non la considerava neanche una sua amica. Quella ragazza a lui piaceva. Aveva una cotta per Ronny da un’eternità, ma, improvvisamente alla morte di suo padre, aveva iniziato ad essere davvero scontro e scortese con lei. Continuava a respingerla con frasi secche, e a volte anche crudeli, perciò, alla fine lei aveva smesso di provare a parlare con lui. Erano diventati due sconosciuti, ma ora Liam voleva assolutamente rimediare.
A mensa la vide. Era seduta da sola al tavolo e, dai suoi lisci capelli castani poteva intravedere le cuffiette. Liam prese un bel respiro e lentamente, destreggiandosi fra gli altri tavoli super affollati, la raggiunse. Ronny alzò lo sguardo, stupita di trovarselo lì davanti. Tolse una delle cuffie. «Che vuoi?» domandò sgarbata.
  «Posso sedermi qui?»
  «Vuoi mangiare al mio tavolo?» chiese, piuttosto sorpresa.
  «Sì.»
  «E come mai?»
Liam strinse il vassoio e si fece coraggio. «Sono qui per chiederti scusa. So di essermi comportato come un vero idiota, ma voglio ancora essere tuo amico, ti prego.», quasi si inginocchiò per supplicarla.
Ronny lo scrutò. Sembrava veramente pentito. Annuì. «D’accordo. Il mio tavolo è libero in ogni caso, perciò accomodati pure.»
Lei sapeva che, per Liam, non doveva essere stato affatto facile raccogliere il suo coraggio. Poteva perdonarlo, in fondo le aveva anche chiesto scusa.
  «Grazie.»
Non conversarono, ma, tra un boccone e l’altro, si scambiarono molti sguardi, ed anche qualche sorriso appena accennato e alquanto imbarazzato. Anche se non volevano ammetterlo, entrambi avevano atteso quel momento, il giorno in cui si sarebbero di nuovo parlati come un tempo.
  «Ho trovato un libro in soffitta, ti va di vederlo?» le propose Liam, prima che lei lasciasse la mensa. «Anche a te interessano le leggende, no? Ti piacerà, credo sia parecchio antico.»
Ronny ci pensò alcuni secondi, prima di annuire ed alzarsi portando via il suo vassoio.
Se c’era una cosa che i due avevano in comune, era proprio la passione per i racconti e le leggende. E quale miglior modo per ricucire il loro rapporto, se non sfogliando un vecchio libro trovato in soffitta?
Con impazienza Liam attese il termine della sua giornata scolastica. Nessuna lezione era importante, di fronte al pomeriggio che avrebbe trascorso, di lì a poco, con la ragazza di cui era innamorato.
Pensò a mille modi per riconquistarla, o almeno a come farsela nuovamente amica. Sapeva di non poter chiedere troppo, non dopo come si era comportato. Ci sarebbe voluto del tempo prima che le cose fossero tornate alla normalità.
Quando sentì il campanello, il suo cuore iniziò ad agitarsi ed il panico si impadronì di lui. Cercò di sistemare la sua stanza alla meglio, di renderla presentabile ed accogliente. Nella speranza che Ronny si fosse sentita a proprio agio.
A dire il vero, neanche Ronny era poi così tranquilla. Era da tanto tempo che non trascorreva un pomeriggio in camera di Liam. Quasi aveva dimenticato i bei vecchi tempi, quasi non ci sperava più. Ma forse Liam era davvero tornato quello di prima, forse si era finalmente risvegliato ed era pronto ad essere di nuovo il suo amico di sempre.
Liam sentì la voce della madre dare il benvenuto a Ronny. Era chiaro quanto fosse sorpresa di vedere lei lì, ma lasciò che entrasse e si dirigesse al piano di sopra da suo figlio.
Lentamente la ragazza percorse le scale e si avvicinò alla porta della sua stanza. Dall’altro lato Liam fece lo stesso, pronto ad aprirle, nell’istante in cui lei avesse bussato.
È così fu.
Ronny picchiò sulla porta con il dorso della mano e, in un attimo, quella di Liam fu sulla maniglia per farla entrare. «Ehi… » disse timidamente, imponendosi di sorriderle.
Lei inarcò gli angoli delle labbra per ricambiare, ma il sorriso sembrò quasi forzato, tanto si sentiva in imbarazzo.
  «Ciao… ehm credo che a tua madre sia venuto un colpo prima.» scherzò varcando la soglia. Mentre raggiungeva la stanza di Liam, aveva pensato che quello sarebbe stato un ottimo modo per iniziare una conversazione, ed evitare che calasse un silenzio imbarazzante come a mensa.
  «Immagino che quando ti ha vista, sia quasi svenuta.», anche Liam tentò di fare del suo meglio perché non smettessero di parlare.
  «Già… Forse avresti dovuto dirle che sarei passata.»
  «Volevo dirglielo ma l’ho dimenticato.» rise nervosamente. “Mi avrebbe riempito di domande scomode e preso in giro”, aggiunse nella sua testa. Lo sanno tutti che le mamme capiscono ogni cosa e, ad una come Eleanore, non poteva certo essere sfuggito il modo in cui, il suo bambino, guardava la figlia dei vicini ormai da tempo.
  «Allora… questo libro?» incalzò Ronny.
Liam aprì il cassetto della sua scrivania e tirò fuori il cimelio trovato in soffitta. Si sedette sul tappeto al centro della stanza, poco più avanti del suo letto, ed aprì il libro delicatamente. Ronny si avvicinò, impaziente di scoprire cosa vi fosse scritto fra quelle pagine. Rimase colpita dalla copertina di cuoio, ricoperta da finissime decorazioni in oro ma, ancora più impressionanti, erano quelle pagine ingiallite e rovinate, che emanavano un meraviglioso profumo. Un odore che solo chi ha tenuto un vero libro fra le mani può immaginare. Liam e Ronny amavano quella fragranza. Ne avevano letti così tanti in quella stanza.
Il padre di Liam gliene regalava uno ad ogni ricorrenza, perché sapeva quanto suo figlio amasse racconti di avventure e leggende.
Anche per questo motivo Liam aveva rifiutato di vedere Ronny, per così tanto tempo. Lei gli proponeva in continuazione di leggere insieme, di permetterle di stargli accanto, per farlo stare meglio. Ma, dopo la perdita del padre, per Liam i libri non erano che un continuo ricordargli di lui, del fatto che non avrebbe più potuto regalargliene altri.
Quel libro, però, era diverso, aveva catturato la sua attenzione a tal punto da costringerlo ad aprirlo e sfogliarlo. Ed ora, lo aveva anche riavvicinato alla sua migliore – in realtà unica – amica. A Ronny quasi non sembrava vero, di stargli accanto nuovamente, a leggere insieme le origini di quella città in cui erano nati e cresciuti.
Per questo non volle rovinare quel momento.
In realtà, lei in quelle pagine non vi vedeva alcuna scritta. Erano completamente vuote, ma non lo disse a Liam. Lasciò che fosse lui a leggerle per lei. Il modo in cui raccontava, le ricordò il Liam di mesi prima. Finalmente era di nuovo entusiasta e non aveva più quello sguardo scontroso.
Forse il suo amico si stava inventando quella storia, per qualche strana ragione, forse l’aveva usata come scusa per poterla invitare a casa sua. Ma non le importava, era lì con lui, che si stava sforzando di riavvicinarsi a lei, ed era più che abbastanza.
  «Perciò… abitiamo in una città che sprizza male da ogni angolo… grandioso.» disse Ronny sarcastica, non appena Liam terminò il suo racconto.
  «Pare di sì.»
  «Credi davvero ci siano creature in città? Tipo i mostri che si vedono in tv o al cinema… Cioè secondo te siamo in pericolo per davvero? Perché vorrei saperlo se rischio di essere attaccata da un vampiro sulla via di casa.»
  «È vero che nelle leggende c’è sempre un fondo di verità, ma per ora non è successo nulla di sospetto, quindi– »
  «Liam.», Eleanore era alla porta. Li aveva sorpresi seduti sul pavimento, l’uno di fronte all’altra, con quel libro, che per tanto aveva cercato di nascondere a suo figlio.
  «Mamma!»
  «Lo sapevo che, prima o poi, avresti trovato quel libro… », sospirò.
  «Quindi, è tutto vero?» chiese Liam, ricordandosi anche della lettera che aveva trovato tra le pagine.
  «Ovviamente è solo una storia. Non crederai davvero a certe sciocchezze?! Non c’è nulla da temere, state tranquilli.» disse e poi si rivolse alla loro ospite. «Ronny si è fatto tardi, sarà meglio che tu vada a casa. Non fare preoccupare i tuoi genitori.»
  «Stavo appunto per andarmene. Ci vediamo domani a scuola.» disse e poi si affrettò a raggiungere la porta. Un po’ perché Eleanore sembrava stesse per arrabbiarsi, e poi perché voleva correre a casa. Un po’ lei, a quelle parole, ci aveva creduto, anche se non le aveva lette. Faithbridge aveva sempre avuto qualcosa di molto strano. E forse, quella notte, non sarebbe riuscita facilmente ad addormentarsi.
  «Ho trovato anche la lettera.» disse Liam non appena fu solo con sua madre.
  «Lo so.», fu così diretta che Liam rimase spiazzato. Credeva lei avrebbe trovato qualche scusa, che avrebbe negato.
  «Allora perché hai mentito così spudoratamente?» le chiese.
  «Non c’è ragione per allarmare gli abitanti di questa città.»
Liam spalancò gli occhi. Se quella città si fosse riempita di mostri, lui avrebbe voluto saperlo. «Ma che dici mamma?! Noi dobbiamo metterli in guardia. Se le creature sono reali, siamo tutti in pericolo.»
  «Rilassati Liam. Non c’è nessuna creatura, e se arriveranno, l’Ordine ci proteggerà tutti. Tu devi startene qui, buono ed al sicuro.»
Liam si alzò in piedi per affrontare meglio sua madre. «No! Papà voleva che io facessi qualcosa, non starmene a guardare!»
  «Liam, sei solo un ragazzino, non sei pronto. Ci sono già Cavalieri a sufficienza in città. E, ti prego, ho già perso tuo padre… puoi fare come ti dico almeno per questa volta?»
Davanti al triste viso di sua madre, Liam cedette. Non era stato facile per lei e lui ormai si era ripromesso di non darle ulteriori preoccupazioni. «D’accordo.» disse stringendo i pugni.
Lei lo abbracciò. «Voglio solo saperti al sicuro, cerca di capire.»
  «Lo so.»
  «Ora, rimetti quel libro al suo posto.» gli ordinò Eleanore non appena lo liberò dalla sua morsa affettuosa.
Liam annuì e fece come gli era stato detto. Faticò un po’ a lasciare andare quel libro. Non gli piaceva per nulla, l’idea di fingere di non sapere del pericolo, che poteva manifestarsi da un momento all’altro. Era certo che un giorno il male si sarebbe risvegliato, anche se non sapeva quando. Odiava non poter far nulla, ma era consapevole che sua madre aveva già perso abbastanza. «Un giorno quando sarò pronto anche io… tornerò a prenderti.» sussurrò.
Quel giorno non avrebbe tardato ad arrivare. Presto l’Ordine dei Cavalieri avrebbe avuto bisogno di lui e neanche Eleanore avrebbe potuto impedirlo.

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Capitolo 5
*** 4 – OCCHI APERTI ***


La signora Tyler ricoprì la spalla della figlia. «Tesoro, pensa a riposarti. Io e tuo padre andiamo a pagare il conto del pronto soccorso.»
I genitori di Ronny lasciarono la stanza. La ragazza cambiò immediatamente espressione. Non sembrava più tanto confusa.
Afferrò il braccio di Liam. «Deve essere reale, quella storia che mi hai raccontato.» disse.
  «Era soltanto un libro, Ronny. Devi esserti sbagliata.», Liam dovette far del suo meglio perché la sua voce non tremasse. Era difficile mentire sapendo che probabilmente aveva ragione. Non poteva spaventarla, né mettere in allarme il resto degli abitanti. Lo aveva promesso a sua madre. Si sarebbe scatenato il panico, se si fosse saputa la verità.
  «Come fai ad esserne sicuro? Io so cosa ho visto e cosa ho sentito.» insistette la ragazza. «Mi hanno morsa davvero, ho sentito il dolore, era reale Liam.»
  «Ma non ci sono segni di morsi.»
 Ronny lo guardò furiosa. «Speravo che, almeno tu, non mi avresti dato della pazza.»
Liam abbassò lo sguardo. Si sentì terribilmente in colpa, ma non poteva dirle la verità. Inoltre, non c’erano davvero segni sulla sua spalla, perciò pensò non fosse così grave. Piombò il silenzio. Ronny puntò lo sguardo verso la tendina, che la separava dagli altri pazienti. Non voleva vedere Liam. Si sentiva tradita.
Lui restò con lei, in silenzio, fino a che i signori Tyler tornarono.
Li salutò educatamente e lasciò l’ospedale. Si apprestò a tornare a casa. Doveva parlarne con sua madre.
Era molto probabile che il male si stesse ridestando. Il tempo stava per scadere e Ronny forse era la prima vittima, di quelle creature che sarebbero ritornate, insieme al loro oscuro creatore.
  «Attaccata da pipistrelli?» domandò Eleanore incredula.
  «Sì.»
  «Che cosa strana. I pipistrelli non sono creature, sono animali… fuori dal suo controllo. Forse hanno avvertito qualche pericolo, e erroneamente si sono scatenati contro di lei.»
  «Ma dice di essere stata morsa. Anche se… beh non c’era alcun segno.»
  «Deve essersi sbagliata.»
  «Non mi stai nascondendo nulla vero?» domandò insistente Liam.
  «Hai mai letto, nei libri di tuo padre, di malvagi pipistrelli? I vampiri che si trasformano in pipistrelli sono solo storie. Non devi temere, Sharon sta bene, probabilmente era solo confusa e spaventata. È normale che, se le narri certe storie, anche le semplici ombre di rami in movimento possano essere motivo di terrore per lei.»
Ma Liam sapeva che non erano solo racconti. C'era la possibilità che davvero le fosse accaduto qualcosa.
Non si fidava molto delle parole di sua madre, non perché la credesse una bugiarda, ma perché c’erano cose che anche lei ignorava. E quello che era accaduto a Ronny, era proprio una di quelle.
Qualcosa era successo quel giorno, nel parco.
Di lì a poco, Liam notò un evidente cambiamento, negli atteggiamenti della sua migliore amica. Ma non era poi così grave e preoccupante, era diventata più diretta del solito. Non era più tanto timida, ma Liam non lo considerò un motivo per allarmarsi più di tanto. Almeno, non aveva smesso di parlargli, dopo che lui aveva mentito palesemente riguardo la leggenda.
E, comunque, lui non sembrò tanto dispiaciuto quando lei – mentre aspettavano l’autobus – si era avvicinata e gli aveva afferrato il colletto per baciarlo.
Era successo all’improvviso, senza motivo. Non stavano neanche parlando in quel momento.
Entrambi avevano atteso quel momento, praticamente da sempre, perciò Liam non si era fatto domande, né era riuscito a respingerla. Anzi, lui l’aveva stretta a sé e aveva ricambiato il suo bacio. Era stanco di essere solo un amico per lei e si sentì uno stupido, per non essere stato in grado di fare lui la prima mossa. Mentre la baciava, però, fu davvero grato a Ronny per quel gesto improvviso. Ora, sapeva che non era il solo a provare qualcosa, e non l’avrebbe facilmente lasciata andare.
Ronny riaprì gli occhi e, con forza, cercò di liberarsi dalla presa di Liam. Lui non avrebbe voluto separarsene ma non poteva costringerla a baciarlo ancora, perciò, a malincuore, allentò la presa e le permise di fare un passo indietro.
  «Mi-mi-mi dispiace.» balbettò Ronny. «Non lo so perché l’ho fatto. Noi due siamo amici, non avrei dovuto… io… », continuava a sbattere le palpebre ad intermittenza, a guardarsi intorno confusa e nervosa. «Siamo tornati a parlare da poco… io… non voglio rovinare tutto… »
Liam la guardò un po’ deluso. Come poteva essersi pentita di averlo baciato? Non voleva anche lei essere più che un’amica? Decise allora di raccogliere il suo coraggio per affrontarla. «Per cosa ti stai scusando? Per avermi baciato così all’improvviso o perché lo hai fatto e non provi quello che provo io?»
Ronny alzò di colpo lo sguardo. Lo fissò dritto negli occhi. «Vuoi dire che… anche tu… ?»
  «Non mi sembra di averti respinta.» disse Liam, guardandola con lo sguardo più dolce che riuscì a mostrarle, imbarazzato com’era. Cercò di mettere in ordine le parole che gli frullavano per la testa e preparare un discorso che avesse senso. «Avrei dovuto dirtelo molto tempo fa. Non mi basta essere solo tuo amico. Perché tu mi piaci, fin da quando eravamo bambini.»
  «Ma allora perché mi hai trattata in quel modo, per tutti quei mesi? Se ci tenevi non– »
  «Lo so, sono stato un idiota.» la interruppe. «Ma adesso l’ho capito, ti ho già chiesto scusa per quello. È solo che, tu continuavi a propormi di leggere quei libri per farmi distrarre, ma mi ricordavano papà e… non riuscivo a tenere a freno la lingua. Ero così arrabbiato, con lui, e mi sono sfogato su di te e soprattutto su mia madre.»
Arrivò l’autobus e Ronny si affrettò a salirci. Lo stava sentendo ancora, quell’irrefrenabile impulso che l’aveva portata a cercare le labbra di Liam poco prima. Non voleva che si verificasse un’altra imbarazzante situazione. Cosa avrebbe pensato Liam di lei? Anche se le piaceva, non poteva essere tanto audace di nuovo. Ronny non era dispiaciuta per averlo baciato, ma non voleva che lui si facesse un’idea sbagliata di lei.
Ronny si sedette nel primo posto libero che trovò. Rimase ad osservare fuori dal finestrino. Non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi con Liam d’ora in avanti. Per poco non perse la fermata, completamente assorta nei suoi pensieri.
Quando si accorse di essere quasi arrivata a destinazione, si alzò in piedi di scatto e si trovo faccia a faccia con Liam, che le era rimasto accanto, in piedi, per tutto il tempo.
Lui l’aveva attentamente scrutata, mentre faceva smorfie nervose e preoccupate durante il tragitto. Ovviamente l’aveva trovata piuttosto buffa e non aveva detto nulla per disturbare le sue misteriose riflessioni.
Ronny deglutì e cercò di non incontrare il vicinissimo sguardo di Liam. Poi sentì le dita di lui cercare la sua mano per afferrarla saldamente. «Andiamo.» le disse Liam e la trascinò giù dall’autobus, senza mai lasciarle andare la mano.
Quando furono giù dal veicolo, continuarono a guardarsi per qualche minuto, anche dopo che il pullman era andato oltre.
  «Ti accompagno a casa.» le disse Liam sorridendole.
Camminarono, mano nella mano, senza dire una parola, fino al vialetto d’ingresso. Lei lo guardò, ancora rossa in viso, in attesa che lui la liberasse.
  «Ci vediamo domani allora… » disse Ronny timidamente.
  «S-sì.» balbettò Liam nervoso. Ritrasse la mano e la portò alla nuca preso dall’imbarazzo.
Lentamente Ronny raggiunse la porta di casa. Si voltò, un’ultima volta, prima di aprire la porta. Lo salutò con la mano, poi entrò e la richiuse rapidamente.
Liam aspettò qualche minuto prima di tornarsene nella casa accanto. Era ancora scombussolato da quello che era successo. Riflettendoci non avevano neanche chiarito come le cose sarebbero andate in futuro. Che cosa sarebbero diventati? Sarebbe cambiato qualcosa tra di loro? Era ufficiale, erano una coppia? Erano queste le domande che gli frullavano per la testa.
Non riuscì ad addormentarsi al pensiero di rivederla il giorno dopo.
Infatti, il mattino seguente, uscì più presto del solito per recarsi a scuola.
Fu sorpreso di vedere che anche Ronny si stava già rapidamente incamminando verso la fermata del bus. Sembrava quasi avesse paura di imbattersi in lui.
Liam deciso affrettò il passo per poterla raggiungere. «Ehi.» esordì non appena le fu accanto alla fermata.
Lei gli sorrise nervosamente. «Oh… Liam! Ciao.»
  «Sei uscita presto stamattina… »
Non abbastanza evidentemente, pensò Ronny. «Già. Stranamente mi sono alzata in anticipo. Anche tu mattiniero, vedo.» gli disse.
  «Non sono riuscito a chiudere occhio in realtà.», prese un bel respiro. «Possiamo parlare?»
Ronny si irrigidì, non appena sentì quelle parole. «È per ieri, vero?» domandò senza voltarsi a guardarlo.
  «Ti sembrerà una domanda stupida ma… stiamo insieme?»
Il viso di Ronny s'infuocò in un istante. Era quello che aveva sempre voluto, ma era rimasta così a lungo soltanto immaginazione, che le sembrava tutto così assurdo e per qualche ragione la metteva a disagio. Di colpo non sapeva più come comportarsi con Liam. Se avessero iniziato una relazione, sarebbe stato completamente diverso dall’essere semplici amici. Ma non era certo un buon motivo per dire di no. Voleva essere la sua ragazza a tutti i costi.
Gli occhi di Liam s'illuminarono, non appena lei timidamente annuì. La abbracciò senza esitare un secondo di più. Ronny lentamente sollevò le braccia e lo avvolse a sua volta.
Si sbagliavano entrambi, non era cambiato niente. Quando erano insieme, ogni cosa era così naturale. Sembravano ancora più uniti di prima. Andavano a scuola mano nella mano, mangiavano insieme, si vedevano nei corridoi, tra un’ora e l’altra, e anche per studiare dopo le lezioni. In realtà non riuscivano a fare molti compiti, dato che si distraevano in continuazione. A volte era Liam a cercare lei, altre volte era Ronny ad avvicinarsi. Si accarezzavano, si baciavano dolcemente, e, di tanto in tanto, completavano qualche operazione matematica.
Certe volte, Eleanore sbirciava nella stanza di suo figlio e non poteva fare a meno di pensare a quanto adorabili fossero. Naturalmente, guardandoli provava una certa nostalgia per l’assenza di suo marito, ma la felicità di suo figlio la faceva sentire in pace e rendeva contenta anche lei.
Quando però si faceva buio, e Ronny se ne doveva andare, Liam non sembrava così allegro. Osservava il calare delle tenebre e non poteva fare a meno di domandarsi se fossero davvero al sicuro. Se quella felicità sarebbe durata. Sapeva che il male era ancora in agguato e per quanto, davanti a sua madre, fingesse di non preoccuparsene, non aveva smesso di tenere gli occhi aperti.

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Capitolo 6
*** 5 – CONVINCERE SÉ STESSO ***


Nelle ultime settimane, c’era qualcosa di molto strano nell'aria, quando Liam percorreva i corridoi della sua scuola. Teneva la mano della sua ragazza, come al solito, chiacchieravano e si sorridevano felici. Ma c’era qualcosa d’insolito e stranamente familiare negli sguardi degli altri studenti. Erano gli stessi sguardi che rivolgevano a lui prima del suo ritorno sulla retta via.
Proprio com'era capitato a lui in passato. Al loro passaggio, i ragazzi e le ragazze della scuola tendevano ad indietreggiare, o a spostarsi rapidamente dalla loro traiettoria, per evitare di passargli troppo vicini. Ronny non sembrava preoccuparsene, continuava a parlare con Liam senza dargli peso, ma lui non riusciva a seguire i suoi discorsi perché continuamente distratto da quelle occhiatacce. Alcuni li fissavano con disapprovazione, altri quasi disgustati, ma la maggior parte sembrava intimorita. Anche se si voltava per guardare verso di lei, riusciva a percepirli, e la cosa lo metteva piuttosto a disagio.
Arrivarono all’armadietto di Ronny. Quando lei lo aprì, caddero numerose buste da lettera e pagine di quaderno strappate. Si affrettò a chinarsi per recuperarle. Da come aveva reagito, era chiaro che non fosse la prima volta. Liam gliene sfilò una dalle mani. Con l’inchiostro rosso c’era scritto ogni genere d'insulto. Ronny riprese la lettera e, insieme alle altre, la gettò nella pattumiera più vicina.
Mentre Liam ribolliva di rabbia, di fronte a quel vile atto di bullismo, lei sembrava calma. Accarezzò la mano del suo ragazzo. «Ehi. Va tutto bene. Devo solo ignorarli.»
Ronny era la ragazza più gentile che ci fosse. Liam ancora ricordava quando una bambina si perse nel parco, e lei rimase per ore a tenerle la mano, alla ricerca della sua mamma. Non poteva dimenticare tutte le volte che lei aveva provato ad aiutarlo quando aveva perso suo padre… Quella ragazza era un angelo e trovava così assurdo che qualcuno potesse prenderla di mira. «Dobbiamo andare in presidenza.» Liam le disse afferrandole il polso.
  «Bravo, portala dal preside, così qualcuno prenderà finalmente dei seri provvedimenti.» disse una ragazza, che passava di lì, con altre due compagne.
Liam stava per risponderle a tono, e difendere la sua Ronny, quando notò gli occhi spauriti di una delle due amiche della ragazza. Era nascosta alle spalle di quella che aveva parlato. Non ne conosceva il motivo, ma Liam riusciva stranamente ad avvertire cosa lei stesse provando. C’erano stati dei momenti in cui, anche lui, stando accanto a Ronny aveva provato un brivido lungo la schiena. Non riusciva a spiegarselo e, ogni volta, aveva cercato di negarlo con tutte le sue forze, aveva cercato di convincersi che non fosse cambiato nulla. Ma quando si voltò, quel giorno in corridoio, vide sul volto della sua ragazza un ghigno che non c’era mai stato prima. Liam fece un passo indietro istintivamente. Delle strane vene scure iniziarono a disegnarsi, a partire dalla pupilla, fino a ricoprire completamente l’iride di ghiaccio dei suoi occhi.
  «Ronny… » la chiamò Liam. «Che ti prende? Che sta succedendo?»
La ragazza sbuffò. «Credo che tu lo sappia.» rispose. «Sono proprio stanca di fingere e dovresti smetterla anche tu. Continui a fingere di non capire, a negare ciò che si cela tra le tenebre di questa città.», con velocità disumana, Ronny afferrò Liam per il collo e lo spinse contro gli armadietti.
  «Ma che fai… non respiro. Lasciami andare… », Liam cercò di liberarsi dalla sua presa, ma quella ragazza, quella creatura, era troppo forte. Lo guardava con rabbia, con quegli occhi neri colmi di male puro.
Si scatenò il panico fra gli studenti, che iniziarono a correre in qualsiasi direzione, pur di fuggire via di lì. Dalla schiena di Ronny fuoriuscirono lunghi tentacoli neri, pronti ad attaccare il giovane Liam, ancora fra le sue grinfie. Guardava quei cosi sconvolto. Non aveva mai visto nulla del genere, e non poteva credere che quella davanti a lui fosse la sua migliore amica, la ragazza di cui era innamorato.
Il respiro di Liam si fece sempre più debole ed il battito rallentava ogni secondo che passava. «Ronny… » sussurrò a fatica.
Per un secondo, gli occhi della ragazza tornarono azzurri, come erano sempre stati. Lo lasciò andare e poi semplicemente sparì, dopo avergli mimato un semplice “mi dispiace”, con la tristezza negli occhi.
Liam rimase sul pavimento, con la schiena appoggiata agli armadietti, mentre gli ultimi studenti lasciavano in fretta e furia i corridoi. Lui non riusciva a muoversi. Era attonito, non era in grado di spiegarsi cosa fosse successo. Ma conosceva qualcuno, che avrebbe potuto dargli tutte le risposte che cercava.
Gli ci vollero un paio di minuti per riprendersi e rimettersi in piedi. E anche quando riuscì a rialzarsi continuava a barcollare.
Si costrinse a lasciare quell’edificio. Doveva andare assolutamente alla biblioteca della città. Lì avrebbe trovato la persona che stava cercando. La persona che sua madre non voleva incontrasse: il Gran Maestro.
Eleanore non poteva sapere, che suo marito aveva lasciato una lettera anche a Liam, nascosta in uno dei libri che aveva regalato al figlio. Perché Mitchell conosceva bene la sua Eleanore, sapeva che avrebbe fatto di tutto, per impedire a loro figlio di fare la sua stessa fine. Perciò aveva scritto a Liam dove poter trovare il Gran Maestro, che lo avrebbe preparato a compiere il suo dovere di Cavaliere.
Quando entrò, chiaramente si trovò davanti la biblioteca che conosceva, che aveva già visitato altre volte. La donna alla reception notò il suo sguardo spaesato, e ancora scioccato per quello che era accaduto. «Hai bisogno di aiuto?»
  «Sto cercando una persona.» bisbigliò con la poca voce che riuscì a far emettere alla sua gola. La donna ovviamente non lo sentì. «Credo, che andrò a dare un’occhiata alla sezione avventura.» le disse semplicemente. Cercò di ricomporsi. Era scioccato ma doveva riprendere il controllo. Era lì per delle risposte.
  «Molto bene. Rispetta il silenzio.» la donna disse.
Liam s'incamminò verso gli scaffali, non avendo la più pallida idea di come trovare il Gran Maestro dei Cavalieri. Non poteva di certo chiedere di lui in giro…
Si tolse lo zaino dalle spalle, senza smettere di camminare, e cercò la lettera infilando una mano all'interno della tasca principale. Prese il foglio, che suo padre gli aveva lasciato, e si nascose dietro uno degli scaffali, per rileggere il messaggio in pace, alla ricerca di qualche indizio fra le righe che gli fosse sfuggito. Ci deve pur essere una sezione proibita, da qualche parte, pensò. O magari qualche passaggio segreto.
  «Come mai un giovanotto della tua età non si trova a scuola?», un uomo con gli occhi a mandorla, sbucato dal nulla lo sorprese, nascosto fra gli scaffali. Era non molto più vecchio di suo padre, almeno così sembrava. Era ben vestito. Indossava un maglione nero con collo alto e sopra un cappotto grigio, lungo fino quasi alle ginocchia, che copriva in parte i pantaloni, dello stesso colore del maglione. «Tua madre lo sai che sei qui e non a lezione?»
  «Non vorrei sembrarle scortese ma non ho tempo per questo. Ho un problema urgente da risolvere.» disse e fece per allontanarsi.
  «Lo so bene, Liam.» disse l’uomo e Liam si voltò immediatamente a guardarlo. «Sei qui per essere preparato, all’insaputa di tua madre. Mitchell mi aveva avvertito che sarebbe successo. Seguimi, non possiamo parlarne qui.»
  «È lei il Gran Maestro?»
L’uomo non rispose, iniziò a camminare e Liam si affrettò ad andargli dietro. Passarono davanti a numerose file di scaffali, fino a che giunsero ad uno completamente vuoto. L’uomo vi armeggiò con le mani e poi, con uno scatto automatico, lo scaffale si aprì come una porta, permettendogli di accedere alle scale celate alle sue spalle.
Man mano che percorrevano i gradini, le torce si accendevano illuminando il loro percorso. Sembrava proprio uno di quei passaggi segreti di cui Liam aveva letto, più e più volte, nei suoi amati libri. Si sentiva come un eroe che stava per intraprendere la sua avventura. Era entusiasta all’idea, ma allo stesso tempo, non poteva non provare preoccupazione e paura. Non era solo un racconto, stava succedendo davvero. Delle vite erano in pericolo, la vita di Ronny era in pericolo.
Dopo qualche minuto giunsero in una sala poco illuminata, con altri scaffali pieni di libri antichissimi. Emanavano un fortissimo profumo di carta. Poteva intravedere il colorito giallastro delle loro pagine e le loro copertine rovinate. Alcuni libri erano senza copertina e, addirittura, qualcuno aveva pagine sul punto di staccarsi da un momento all’altro.
Il Gran Maestro si fermò arrivati a quello che sembrava essere il centro, di quell’immensa libreria sotterranea. Guardandosi intorno, Liam si accorse che gli scaffali lì erano tutti disposti a raggiera, come a puntare proprio verso quel centro. Eppure non sembrava esserci nulla di particolarmente importante in quel punto. Vi era solo un tavolo di legno decorato con intagli privi di senso. Sopra di esso era posizionato uno schermo da dove era possibile vedere l’interno della biblioteca superiore, attraverso telecamere di sorveglianza. Era così che aveva visto arrivare Liam.
  «Ho lasciato che tuo padre prendesse il libro per dartelo a tempo debito, ma immagino che tua madre lo abbia tenuto nascosto fino ad ora.»
   «Sì, ci ha provato... ma alla fine l'ho trovato. Mi ha detto di farmi da parte, che ci avrebbero pensato i Cavalieri, ma non potevo più far finta di niente e restare a guardare.» disse Liam.
  «Quindi qualcosa ti ha finalmente spinto a venire qui. Cos’è accaduto?» domandò il Gran Maestro avvicinandosi ad uno scaffale.
  «La mia… », si fermò, ripensando allo sguardo di Ronny mentre tentava di ucciderlo. «La mia ragazza ha tentato di uccidermi, con degli strani tentacoli di melma nera viscidi. Credo provenissero da– », di colpo gli tornò alla mente il racconto di Ronny, della sera del suo compleanno. «Provenivano dal punto in cui diceva di essere stata morsa.» affermò.
  «Morsa da cosa?» domandò l’uomo prendendo alcuni libri e portandoli verso il tavolo.
  «Da pipistrelli… Lo so che sembra assurdo, mia madre mi ha detto che non è possibile ma dopo oggi– »
  «Tua madre non dice il vero.» lo interruppe il Gran Maestro. «I pipistrelli non sono creature così innocue come crede, e se fosse rimasta nell’Ordine lo saprebbe. Da quando se n’è andata, dopo… tuo padre, abbiamo scoperto molte altre informazioni.»
  «Quindi avevo ragione. È il momento, il Maligno è tornato?»
  «Sembrerebbe proprio di sì.»
  «Quindi lei è diventata una delle sue creature? C’è un modo per aiutarla?»
  «Oh cielo no! Temo che la sua trasformazione sia irreversibile. La tua amica non è soltanto un'ospite. È la sua discendente, quindi, il corpo perfetto da abitare.»
Liam rimase a fissarlo per qualche secondo, senza dire nulla, come bloccato. Poi passò alla fase della negazione. «No. Si sbaglia, non può essere. Ronny non è la sua discendente. Perché lei allora? Perché non ha preso suo padre, o sua madre?»
  «Quelli non sono i suoi veri genitori, molto probabilmente.»
  «No, non è vero. Deve essersi sbagliato.», continuava a ripetere nella speranza di convincere soprattutto sé stesso, ma sapeva che non c’erano dubbi.
  «Nessun errore. Ha attirato l’oscurità su di sé. Il Maligno ha finalmente ripreso le forze per ridestarsi. E, con quel morso, si è impossessato del suo corpo. Ora scatenerà il resto delle sue creature, e non saremo più al sicuro. Perciò, hai intenzione di continuare con questi capricci o vuoi aiutare l’Ordine? È questa la vera domanda.»
Liam strinse i pugni. «Se vi aiuto, lei potrà essere salvata?»
  «Forse un modo c’è, ma non sei ancora pronto per la missione che ti aspetta. Sei stato scelto per questo fin dall’inizio.»
  «Perché proprio io?»
  «Questa è una verità che ti sarà rivelata a suo tempo. Non è importante che tu lo sappia. Sei pronto per iniziare il percorso che ti aspetta?»
Liam decise di fidarsi delle sue parole. Era stato sincero, e gli aveva dato le risposte che sua madre aveva volontariamente tenuto nascosto.
Liam annuì. «Lo sono.»
  «Ti servirà un allenamento. Dovrai imparare l’arte del combattimento e degli incantesimi per sconfiggere coloro che il male ha generato. Potresti doverla affrontare, credi di poterlo fare senza batter ciglio?»
Liam ci pensò a lungo prima di rispondere. Sapeva che la priorità non era la sua ragazza, la sua vita amorosa, ma la sopravvivenza di molte persone.
Teneva a Ronny, forse addirittura la amava, ma non poteva permettersi di vacillare, sapendo a cosa i suoi dubbi avrebbero portato, a quante vite sarebbero state spezzate, per risparmiarne soltanto una. Voleva aiutarla, ma avrebbe salvato anche gli altri.
Il ragazzo guardò il Gran Maestro con decisione. «Posso farlo.» dichiarò.

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Capitolo 7
*** 6 – QUANDO SARAI PRONTO ***


**Presente**
I capelli rossi, di quella ragazza, danzavano nell’oscurità della notte. Liam le teneva stretta la mano e la costringeva a correre senza sosta, senza che lei potesse opporsi. Faithbridge non era più una città tanto sicura dopo il tramonto. «Dobbiamo sbrigarci.» le disse, più di una volta.
Le strade emanavano un’aura malvagia ed inquietante. Mentre correvano, lei si guardava intorno nel tentativo di capire dove si trovasse, di esplorare il cosiddetto futuro, ma non riusciva a vedere nulla. Non aveva idea di dove lui la stesse portando. «Dove siamo diretti?» chiese col fiatone.
Liam le rispose di continuare a correre. «Non c’è tempo per le spiegazioni, qui non siamo al sicuro.»
La giovane tacque e, in silenzio, si lasciò guidare da quello sconosciuto. Non era certa di potersi fidare ma sapeva che era perfettamente in grado di difendersi, in caso quel ragazzo si fosse rivelato una minaccia. Non aveva nulla da temere, aveva affrontato nemici ben peggiori di quel giovane poco più grande di lei.
  «Presto.» le disse Liam non appena si trovarono davanti la scalinata della biblioteca.
Salirono i gradini rapidamente. Liam le liberò la mano solo per poter aprire il portone, poi lasciò che lei lo precedesse ed entrasse per prima. «Sbrigatevi.» le intimò.
Lei sembrò esitare davanti a quel tono tanto autoritario, ma alla fine varcò la soglia e lui, velocemente, fece lo stesso. Quando furono dentro, Liam chiuse il portone tirando finalmente un respiro di sollievo. «Ce l’abbiamo fatta.», sospirò.
Permise alla ragazza di riprendere fiato, per qualche minuto, prima di portarla al passaggio segreto. «Ora seguitemi, il Gran Maestro è l’unico che può rimediare a questo disastro.»
  «Gran Maestro? È una roccaforte dell’Ordine dei Cavalieri?», ora lei aveva la certezza di non doversi più preoccupare, di essere accanto ad un suo alleato.
  «Sì è così. Qui siete protetta, non avete più nulla da temere. Numerosi incantesimi circondano l’edificio.»
Liam guidò la giovane attraverso gli scaffali, in direzione del passaggio. Più volte le ripeté di fare attenzione, dato che era tutto molto buio. Non potevano accendere l’illuminazione. Solo la luce della luna illuminava flebilmente l’interno dell’edificio. Le finestre percorrevano interamente le pareti, ma erano situate molto in altro, ed in basso, le ombre degli scaffali si proiettavano impedendogli di vedere con chiarezza. Liam però conosceva oramai a memoria ogni angolo di quell'imponente biblioteca e non ebbe alcun problema a muoversi tra le varie sezioni.
Aperto il passaggio, Liam le fece strada giù per la scalinata, che li avrebbe condotti dal Gran Maestro Hyun-Shik. Non appena l’uomo la vide, tirò sù parte della manica, per mostrarle il marchio della croce sul suo avambraccio. «È un onore avervi qui vostra Altezza.»
Liam sgranò gli occhi. «Aspetta un attimo… È lei l‘erede di cui il libro parla? Il valoroso condottiero?»
Il Gran Maestro annuì. «Sì, chi credevi che fosse? È l’erede le cui gesta sono narrate, e tramandate, di generazione in generazione in questa città.»
Liam la guardò perplesso. Pensava fosse solo un'abitante della Faithbridge del passato. Non si aspettava che il famoso condottiero fosse… «Una donna… ?» si lasciò sfuggire ad alta voce.
  «La cosa vi ha deluso a quanto sembra. Credete forse che io non sia al pari dei miei soldati? Che io non sappia combattere?», la principessa fece qualche passo verso Liam e lui istintivamente indietreggiò. «Non rispondete?»
  «Perdonatemi, non intendevo offendervi. È solo che, dai racconti che ho letto, mi aspettavo qualcosa di più… minaccioso.»
La principessa inarcò le labbra in un sorriso sarcastico. Quel ragazzo non era tanto diverso dai suoi soldati, che la credevano una creatura fragile e delicata. «Combattere richiede non solo forza fisica, ma anche abilità tattiche.» gli fece notare.
Liam lo sapeva, non intendeva certo mancarle di rispetto. Fin da bambino – quando aveva udito per la prima volta quella leggenda – Liam aveva sempre immaginato che quel guerriero avesse il volto di suo padre. E alla fine, si era semplicemente abituato all’idea che quello fosse l’aspetto del condottiero.
  «Vi domando perdono.» disse Liam provando, con scarsi risultati, a fare un inchino.
La principessa si lasciò scappare una risata, davanti a quel ragazzo irrigidito che faticava a reggersi in piedi, tanto che gli tremavano le gambe.
  «Posso sapere perché sono qui?» domandò la ragazza quando tornò seria.
Liam si ricompose. «C’è stato un erro– »
  «Nessun errore.» lo interruppe Hyun-Shik. «Siete qui perché siete l’unica che può fermare il ritorno del male.»
  «Ho fallito, non è così? Non sono riuscita ad adempiere al mio compito.» disse. Il fatto che le strade non fossero sicure, dopo il tramonto, ne era la prova schiacciante.
  «Non è stata colpa vostra. Allora non potevate saperlo, ma ora noi conosciamo la storia e possiamo mettervi in guardia, e riscriverla.»
Liam si intromise. «Perché mi hai dato l’incantesimo sbagliato?» domandò all’uomo, che lo aveva addestrato in quegli anni. «Avevi detto che sarei andato io nel passato.»
  «Non potevo permettere che l’allenassi da solo. Non sei ancora pronto Liam, ma se te lo avessi detto, avresti protestato e perso altro tempo. Sono già passati tre anni. Non possiamo più aspettare.»
Liam strinse i pugni. Hyun-Shik non faceva che ripetergli che non era pronto, e lui ne era veramente stufo. Anche ora che aveva ventuno anni ed era ormai un adulto.
  «Chiedo scusa, allenarmi per cosa? Mi alleno già con il generale ed i miei soldati.»
  «C’è qualcosa che non sapete. Qualcosa che riguarda la vostra nascita.» disse il Gran Maestro.
  «E che potrebbe aiutarvi nello scontro.» continuò Liam.
  «Avanti, parlate.», alla principessa non piaceva perdere tempo e usare mezzi termini.
  «Conoscete le origini di vostro padre e da chi discendete, ma cosa sapete di vostra madre?»
  «Nulla. Conosco a malapena il suo volto, ritratto nei dipinti a palazzo.»
  «Lo immaginavo.» disse il Gran Maestro. Iniziò allora a raccontarle la verità sulle sue origini. «Vostra madre era una creatura speciale, una creatura del cielo, della luce. Il suo compito era quello di vegliare sulla Terra, per illuminarla e scacciare l’oscurità. Quando vide la sofferenza, e tutte quelle vite spezzate dal Maligno, il suo continuo dominare, di corpo in corpo, non poté più rimanere a guardare e scese sulla Terra. Quando un raggio di sole giunge sulla Terra, perde i suoi poteri, poco a poco, ma voi principessa, siete nata qui e per questo li avete ereditati e potete usarli. Siete per metà una creatura di luce e, se imparerete ad usare il dono che vostra madre vi ha lasciato, forse avrete qualche possibilità in più di vincere.»
La principessa non sembrava affatto scossa dalla notizia appena appresa, o forse era solo brava a mascherare lo stupore. «Cosa sono in grado di fare? Ditemi come posso sconfiggere il Maligno e le sue creature una volta per tutte.» disse. Era quella la sua priorità, non aspettava che la fine di quella lunga battaglia, durata secoli e mai vinta.
  «La vostra luce può liberarli.»
  «Liberare le creature.» precisò Liam. «Dentro di loro ci sono esseri umani come noi, vittime di una maledizione.»
  «Quindi non dovrei più ucciderli... » sussurrò lei.
  «Esatto. Purtroppo però il vostro potere non ha efficacia sul Maligno e le sue creature originali, per loro è troppo tardi. Hanno scelto di essere malvagi, non come chi è stato morso e trasformato contro la sua volontà.»
Lo sguardo della principessa si fece deluso. «Se non posso fermare chi è a causa di tutto questo, allora i poteri di cui parlate, che senso hanno?»
  «Possono esservi d’aiuto, ma non saranno loro a permettervi di sconfiggere il male.»
  «Voi non siete solo i vostri poteri.» disse Liam, quando vide la sua espressione sconfortata. «Questa volta andrà bene. Vi aiuterò anch'io.»
  «Adesso basta parlare. Sarete stanca. Liam, portala nei sotterranei e preparale un adeguato giaciglio per la notte.»
  «No, riportatemi indietro, mi allenerò con i miei uomini. Non ho tempo da perdere.» disse la principessa con voce ferma. Poteva farcela anche senza i suoi poteri, come aveva fatto fino ad allora.
  «Temo non sia possibile.» le comunicò Hyun-Shik. «Dobbiamo attendere la prossima luna nuova per aprire il portale. Il plenilunio è la porta verso il futuro, per condurvi avanti nel tempo, ma per tornare al passato è necessario il novilunio.»
Hyun-Shik guardò Liam. Il ragazzo annuì. «Seguitemi principessa.»
Lei sapeva che non poteva discutere con un Gran Maestro dell’Ordine, molto più preparato di lei su incantesimi e passaggi spazio temporali. I Cavalieri erano da sempre Viaggiatori del tempo. Perciò seguì Liam, anche se malvolentieri.
Dietro alcuni scaffali vi era una seconda rampa di scale che portava ad un piano ancora più inferiore. La principessa si chiese quanto in basso avessero scavato per realizzare quella biblioteca.
Liam prese una torcia per fare luce. Scese i primi gradini e con la coda dell’occhio si assicurò che lei lo stesse seguendo. Non poté fare a meno di notare l’espressione che segnava il suo viso. «Sembrate pensierosa… » disse.
  «Mi domando solo quale sia l’utilità di questi miei poteri. E soprattutto, mi chiedo perché non si siano mai manifestati in battaglia fino ad ora.»
  «Quando affrontate quelle creature della notte, avete mai pensato a loro come vittime di una maledizione?» le domandò Liam.
La principessa ci pensò. «All’inizio, nelle mie prime battaglie forse sì… »
  «Ma avete sempre pensato alle loro trasformazioni come irreversibili e che, solo dandogli la morte, gli avreste restituito la libertà.»
La principessa abbassò lo sguardo. Liam aveva colto nel segno. Era la verità, lei pensava di alleviare le loro sofferenze uccidendoli. Non l’aveva mai entusiasmata combatterle, e sapeva che molti si erano trasformati non per loro volere, ma lo credeva l’unico modo perché non fossero più costretti ad uccidere quelli che, un tempo, erano i loro simili. Pensarlo, la faceva sentire meno in colpa, quando impugnava una spada contro di loro.
  «Dovete desiderare davvero la loro guarigione, solo così potrete salvarli. Adesso che conoscete l’alternativa alla lama della vostra spada, dovete solo imparare a controllare la luce e molte vite saranno risparmiate. Non sconfiggerete il Maligno, ma salverete molti che prima avreste semplicemente condannato a morte.»
  «Ma come lo annientiamo?» domandò. Era l’unica cosa che davvero le importava. «È lui la vera minaccia, loro non sono che i suoi burattini.»
  «Solo il libro dell’Ordine può rivelarvi come. Ma non è così semplice. È il libro a scegliere cosa rivelare e a chi. Solo quando sarete pronta, vi mostrerà la via.»
La principessa sbuffò e fece una smorfia. «Sono stufa di sentirmi dire “quando sarete pronta”… »
  «A chi lo dite… » sussurrò Liam, ma a causa dell’eco la principessa poté sentirlo forte e chiaro.
  «Ve lo hanno detto spesso?»
  «Mio padre, mia madre, il Gran Maestro… è così che mi rispondono per nascondermi la verità.»
  «Non siete un Cavaliere?» domandò lei, facendo attenzione a scendere un gradino piuttosto scivoloso a causa dell’umidità.
  «Quando sarò pronto.» rispose Liam alzando gli occhi al cielo.
  «Ma sarete voi a venire con me, dico bene?»
  «Sembrerebbe di sì. Se Hyun-Shik non cambierà idea… »
La principessa era chiaramente d’accordo col Gran Maestro. Quel ragazzo non aveva esattamente il fisico di un guerriero e non sembrava sapesse difendersi. «Sapete almeno combattere?» gli chiese, non riuscendo a nascondere un velo di apprensione.
Liam si chiuse nelle spalle. «Ci sto ancora lavorando… Ma me la cavo abbastanza con l’arco.», si voltò per guardarla dritto negli occhi. Lei si fermò di colpo, appena un gradino sopra quello di Liam. «Non importa quello che dicono, sono io a decidere se sono pronto o meno. Questa è la mia occasione per dimostrare che si sbagliano.»
La principessa rimase sorpresa dall’improvvisa fermezza di Liam. Si sentì in imbarazzo per aver dubitato delle sue capacità. Eppure non le era sembrato così deciso quando lo aveva incontrato, anzi, da come correva spaventato verso la biblioteca, aveva creduto fosse un fifone, un codardo. Ma forse, lo aveva giudicato troppo in fretta.
Liam si schiarì la gola e poi riprese a camminare e la principessa con lui.
Giunsero finalmente nei sotterranei. Era una sala completamente buia e senza finestre. La torcia, che aveva Liam fra le mani, illuminava solo a pochi passi da loro. Si intravedevano cumuli di roba impolverata. Era una sorta di magazzino. Vi erano anche alcune vecchie armi a pezzi ma, per lo più, erano solo cianfrusaglie che i Cavalieri avevano accumulato, viaggio dopo viaggio.
  «Cerco qualcosa che possiate usare per coprirvi.» disse Liam raccogliendo un vecchio candelabro impolverato e ricoperto di ragnatele. Non poteva certo allontanarsi e lasciarla al buio. Così, lo ripulì e, dopo svariati tentativi, riuscì ad accendere una sola delle tre candele. Lo porse alla principessa mentre lui tenne la torcia.
Liam si allontanò alla ricerca di qualcosa di utile per riscaldarla durante la notte, in quella immensa e gelida stanza. Lei seguì con lo sguardo la luce che si aggirava fra le montagne di robaccia.
Dopo pochi minuti, lo vide riapparire e dirigersi verso di lei con, quella che sembrava essere, una vecchia tenda impolverata. «È tutto ciò che sono riuscito a trovare, mi dispiace.» disse. Scosse la tenda più volte per ripulirla, poi la porse alla principessa. «Ecco a voi vostra Altezza.»
  «Euphemia. Il mio nome è Euphemia.»
Liam rimase meravigliato. Perché avrebbe dovuto dirgli il suo nome? A lui non era concesso che chiamarla “principessa” o “vostra Altezza”. «Non era necessario me lo diceste, non posso chiamarvi per nome in ogni caso.» rifletté ad alta voce, senza accorgersene.
Liam diceva il vero e lei non sapeva perché lo aveva detto, lo aveva fatto d’istinto senza pensare.
L’imbarazzo fra i due era palpabile. La principessa raramente rimaneva senza parole. Era abituata a pensare alla svelta, a non farsi mai trovare impreparata e senza una strategia. Ma quella non era una battaglia, e lei non conosceva ancora bene il suo avversario. Era solita affrontare vampiri, draghi, licantropi ed ogni genere di creatura senza batter ciglio, eppure, quella conversazione, l’aveva stranamente messa a disagio.
I rintocchi dell’orologio risuonarono facendo sobbalzare entrambi.
  «Devo andare.» disse Liam. «Mia madre mi starà aspettando. Voi restate qui e riposate. Dovete essere nel pieno delle vostre forze domani.»
Liam fece per andarsene quando lei lo trattenne per la t-shirt. Lui si voltò perplesso verso la principessa Euphemia.
  «Non andate.» gli disse lei.

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Capitolo 8
*** 7 – PADRI ***


Lo sguardo di Liam seguì le pieghe, della sua maglia tesa, fino ad incontrare la mano della principessa che saldamente stringeva il lembo di tessuto. Delicatamente Liam la strinse costringendo Euphemia a lasciare la presa. «Non abbiate paura, qui sarete al sicuro.»
  «Non è per me che ho paura.» disse. «Non potete uscire da solo, avete detto, proprio poco, fa di non sapervi difendere.»
Liam si morse le labbra trattenendo l’irritazione. Così ferite il mio orgoglio, pensò. «Ci sono altri Cavalieri pronti a correre in mio soccorso, non dovete temere.» disse fra i denti ancora trattenendo la rabbia.
  «Hanno già abbastanza da fare con quelle creature e voi volete distrarli dal loro compito?! Non se ne parla. Resterete qui fino al sorgere del sole.»
Di colpo l’ira di Liam si tramutò in sorpresa, ed anche un po’ paura. Euphemia lo aveva detto con una tale determinazione che un brivido gli aveva percorso la schiena. Fu proprio quel fremito a riportargli alla mente i fatti di tre anni prima, e la ragazza che da allora non aveva più visto.
La principessa immediatamente notò la cupa espressione sul viso di Liam. «Che vi prende?»
  «È che mi avete appena ricordato una persona che conoscevo.» si limitò a rispondere.
  «La sua nuova ospite, dico bene?»
Liam sollevò lo sguardo ed annuì. «Sì.»
  «Dovete esserne davvero innamorato se state facendo tutto questo per lei.»
Gli occhi sorpresi di Liam puntarono dritto verso quelli della principessa. «Come?»
  «Sono piuttosto sveglia sapete.»
Ed infatti Liam l’aveva notato, sin da quando l’aveva evocata. Nessuna notizia sembrava turbarla. Sembrava capire al volo ed assimilare ogni cosa.
La principessa si sedette in un angolo, con le spalle al muro, così avrebbe visto un eventuale pericolo arrivare. «Il sangue freddo è ciò che distingue un guerriero.» esordì Euphemia. «Mi hanno insegnato a pensare in fretta, ad interpretare con cura ogni parola e situazione, per poter agire repentinamente, senza esitazione. Dovreste farlo anche voi. Non dovete lasciare che vi trovino impreparato, mai. Mi è bastato il tono della vostra voce, le vostre parole ed il vostro sguardo, per decifrarvi e capire chi era per voi quella ragazza. Imparate a fare lo stesso e sarete pronto per affrontare qualsiasi genere di nemico, magico e non.»
  «Suppongo che altrimenti sarei spacciato nel vostro tempo.» disse Liam sedendosi, non troppo vicino alla futura regina, della Faithbridge del passato.
  «Purtroppo per voi il Maligno, della mia Faithbridge, è nel pieno delle sue forze. Lì, le creature sono numerose e potenti. Nel mio tempo, nella breve distanza, dal giardino a questa biblioteca, saremmo stati attaccati molteplici volte. Credo che il numero di creature qui sia ancora contenuto.»
  «Sembra che dovremo allenarci entrambi allora.»
  «Vi aiuterò a salvarla. Sconfiggerò quell’essere, una volta per tutte.»
  «Ed io aiuterò voi, a salvare vostro padre.»
La principessa abbassò lo sguardo. «Sconfiggendo il Maligno, io posso impedire che la vostra amica sia sua vittima, ma per mio padre… potrebbe già essere troppo tardi.»
  «Non perdete la speranza.» fu tutto ciò che Liam riuscì a dirle, quando avvertì il leggero velo di tristezza negli occhi della principessa.
  «Non dovete provare pena per me. Io non ho potuto conoscere l’uomo che chiamo padre. Come i sovrani prima di lui, ha cercato di resistere, ha tentato di porre fine alla sua vita più volte, o a non prendere moglie. Ma è stato tutto inutile. Anche quando il Maligno non ha il pieno controllo, egli riesce a spingere i suoi ospiti a fare ciò che desidera. Non importa quanto la mia stirpe ci abbia provato, il richiamo del male è troppo forte.»
  «Vi sbagliate, su vostro padre. Lui sapeva chi era vostra madre. Ha scelto la sua regina con cura, ed ha scelto di avere voi. Il marchio della croce doveva essere solo una precauzione in più. Ha fatto di tutto perché voi foste diversa, ed immune alla possessione del Maligno.»
Lei lo guardò e questa volta non riuscì a nascondere un velo di stupore. «Perché non ero a conoscenza di tutto questo?»
  «Durante uno dei suoi ultimi viaggi, mio padre ha trovato il taccuino del generale di vostro padre. Racconta l’arrivo di vostra madre al suo cospetto e del piano che ha portato alla vostra nascita ed in seguito alla ricerca della croce.»
  «Quindi, sapevano che ero una creatura di luce… perché nessuno mi ha detto di questo potere curativo?» domandò, ma questa volta era piuttosto calma.
  «Allora sapevano solo che la luce vi avrebbe protetta dal male, non che aveste ereditato anche i poteri di un raggio di sole.»
  «E voi quindi come lo avete scoperto?»
  «È frutto di anni di ricerche. Molti Cavalieri hanno perso la vita viaggiando nel tempo alla ricerca di risposte… », un nodo alla gola interruppe Liam, che non poté fare a meno di ripensare a suo defunto padre. «Hyun-Shik dice che in parte, i vostri poteri, si sono già manifestati, specialmente quando siete incosciente.»
  «Ah intendete la– »
  «Adesso basta con i racconti!», la figura del Gran Maestro apparve dall’ombra. «Sua Altezza deve riposare, se vuole essere pronta per domani. Liam tu vieni di sopra con me.», non poteva permettere che continuassero a fare amichevolmente conversazione. Liam non doveva lasciarsi coinvolgere emotivamente, aveva una missione da portare a termine, come tutti gli altri Cavalieri.
Il giovane non se lo fece ripetere due volte e scattò in piedi. Guardò un’ultima volta la principessa, prima di dirigersi verso il Gran Maestro e seguirlo lungo la scalinata. «C’è qualcosa che ancora non mi hai detto, Maestro?»
  «Non avvicinarti a lei, o la metterai in pericolo. Sono stato chiaro?»
Liam rinunciò a ribattere. «Sì, Maestro.»
Era chiaro ci fosse dell’altro. Neanche l’uomo, che avrebbe dovuto rispondere a tutte le sue domande, era sincero con Liam. Tutto ciò gli dava davvero sui nervi. Era stufo di tutte quelle frasi poco chiare, di tutte quelle cose che era meglio non sapesse ancora. Ma non poteva fare altro che ubbidire, se voleva essere lui a partecipare alla missione. A tempo debito avrebbe saputo ogni cosa.
  «Senza marchio, sei vulnerabile e puoi essere posseduto. Se iniziasse a fidarsi troppo di te, la metteresti in pericolo.»
Non era necessario glielo ricordasse.
La croce, infatti, era andata perduta da tempo. Come altri Cavalieri, Liam non aveva il marchio, ma era stato addestrato a dovere in caso di contagi o possessioni. Il fuoco era tutto ciò di cui aveva bisogno.
Questo era uno dei motivi per cui sua madre non voleva ne facesse parte. Unirsi all’Ordine era una missione suicida. O si moriva per mano di una creatura, o per mano propria. Eleanore aveva abbandonato i Cavalieri proprio perché non poteva lasciare orfano suo figlio.
  «Mi lascerai ancora partire?»
  «Questo non dipende da me. Anche se non ti ritengo abbastanza pronto, dovrai essere tu, e soltanto tu, ad assisterla. Nonostante tu non abbia mai preso parte ad un vero scontro prima… inaspettatamente il libro ha scelto proprio te.»
Liam non voleva restare in eterno l’assistente del Gran Maestro, e quella sarebbe stata la sua prima vera occasione. Non sapeva perché era lui l’eletto, ma voleva impegnarsi a tutti i costi per adempiere al suo compito ad ogni costo.
Aveva una grande responsabilità e non poteva assolutamente permettersi di fallire.
Sarebbe tornato vittorioso. Il Gran Maestro e sua madre sarebbero stati orgogliosi di lui.

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Capitolo 9
*** 8 – COME VOI ***


Euphemia si svegliò e, per un attimo, si guardò intorno spaesata, prima di ricordare cosa ci facesse lì. Si alzò, e notò immediatamente che la candela non era per nulla consumata. Qualcuno doveva averla cambiata perché non si svegliasse completamente avvolta dall’oscurità, in quel magazzino senza finestre.
Prese il candelabro e si apprestò a salire le scale che l’avrebbero condotta nella sala superiore, dal Gran Maestro.
Insieme ad Hyun-Shik trovò anche Liam. Entrambi erano intenti a leggere. Non appena la videro, chiusero i loro libri e li riposero sugli scaffali.
  «Cominciamo subito. Abbiamo solo due settimane per risvegliare i vostri poteri ed insegnarvi a controllarli, almeno in parte.» esordì Hyun-Shik.
  «D’accordo. Sono pronta» affermò la principessa senza batter ciglio.
  «Sul tetto c’è tutto lo spazio di cui abbiamo bisogno. Venite con me.»
Senza fiatare, Euphemia seguì il Gran Maestro. Liam si avvicinò prima ad uno scaffale, dove c’era appoggiato il suo arco e qualche freccia. Pensò che avrebbe potuto tornargli utile.
Non potevano passare per la biblioteca, perciò, attraverso l’ennesimo passaggio segreto, si trovarono davanti ad una lunga scalinata, che dovevano sfortunatamente salire a piedi. Nessuno dei tre disse una sola parola. Era impossibile trovare la forza per parlare, con tutti quei gradini che dovevano percorrere.
Le pareti della biblioteca erano già molto alte e, per loro che si trovavano nel sottosuolo, la strada era ancora parecchio lunga. Sarebbero arrivati stremati in cima, se si fossero anche messi a parlare.
  «Come avete intenzione di fare?» domandò la principessa quando finalmente furono fuori, alle prime luci dell’alba, sul tetto.
  «Evocherò una creatura e voi dovrete affrontarla, ma senza combattere.»
Liam lo guardò con occhi sgranati. Era una follia e avrebbe messo in pericolo tutti i presenti, ed anche quelli che, di lì a poco, si sarebbero recati in biblioteca.
Ma la principessa non sembrava spaventata, né preoccupata. Aveva già affrontato ogni genere di creatura, fin da bambina, di certo non si sarebbe arresa ora. «Credete funzionerà?»
Il Gran Maestro annuì. Con un incantesimo, creo come una bolla protettiva che circondasse l’area del tetto. Poi, con un altro, evocò – da chissà quale luogo lì vicino – una creatura che poteva aggirarsi anche alla luce del sole, senza finire in polvere come i vampiri, un wendigo. Quasi sembrava debole e fragile col suo aspetto scheletrico, ma era tutt’altro che innocuo. I wendigo sono predatori veloci e mostruosamente pericolosi.
Liam rimase piuttosto sorpreso nel vedere la principessa mantenere la sua freddezza ed il suo contegno, dinanzi a quella creatura. Euphemia si muoveva rapida, quasi sembrava scattare con la stessa rapidità. Ovviamente, era praticamente impossibile.
Quel wendigo non era nel pieno delle sue facoltà, doveva essersi da poco trasformato, o forse il Gran Maestro aveva provveduto ad indebolirlo per l’occasione.
  «State combattendo, dovete usare la mente non i pugni. Concentratevi!»
La principessa non avendo a disposizione una spada, continuava ad affidarsi a calci e pugni, non riusciva proprio a concentrarsi. Era troppo occupata a schivare i colpi e a non farsi uccidere. Anche in quella situazione estrema, non riusciva a far funzionare quei poteri di cui le avevano parlato. Dovevano essersi sbagliati, dovevano aver male interpretato le loro fonti.
Per quanto fosse stremata, la principessa combatteva ed evitava i colpi della creatura. Avrebbe potuto uccidere quel mostro senza problemi, ma non era quello che le era stato chiesto di fare, soltanto per questo motivo esitava.
Hyun-Shik fermò Liam prima che intervenisse con l’arco. «Deve spingersi al limite perché la sua luce risplenda.»
  «Ma è esausta… »
  «Deve esserlo. Solo quando non avrà altra scelta, quando starà per essere sconfitta, i suoi poteri la soccorreranno.»
Euphemia aveva bisogno di essere messa sotto pressione, per poter dare il meglio di sé. Ma di questo passo, pur di non essere sconfitta, avrebbe ucciso quella creatura. La stava lasciando vivere solo perché era lei a volerlo. Se si fosse trovata davvero in pericolo, non avrebbe esitato ad ucciderla.
Liam abbassò l’arco amareggiato. Quasi spezzò la freccia tanto stava stringendo la presa.
Era troppo per il primo giorno di allenamento della principessa. Liam sapeva che non avrebbero avuto molto tempo per allenarla, ma Hyun-Shik aveva esagerato. Euphemia era senza forze e respirava a fatica. Non era facile stare al passo di una creatura dotata di tale velocità. Aveva bisogno di fermarsi a riposare, cominciava a non reggersi più in piedi. «Maestro, lascia che faccia una pausa. Non può concentrarsi in quelle condizioni.»
Hyun-Shik sospirò. In un attimo il wendigo si ritrovò intrappolato in una bolla. «D’accordo. Per ora fermiamoci qui.»
La principessa si lasciò cadere sul pavimento. Non aveva mai dovuto combattere così a lungo, contro uno di quei mostri, di solito li uccideva in pochi minuti. Ma lo scopo di quell’allenamento era risparmiargli la vita.
Hyun-Shik fece per andarsene ma Liam lo fermò. «Dove vai?»
  «Sta tranquillo quel wendigo non uscirà di lì, ragazzo.» gli rispose e proseguì in direzione della porta che affacciava sulle scale.
Il mostro continuava a dimenarsi e far agitare anche la bolla. «Io non ne sarei tanto sicuro… » bisbigliò Liam.
  «Non preoccupatevi, se uscisse di lì non vivrebbe più di qualche minuto.» lo rassicurò la principessa, prima di sbattere a terra i pugni. Era davvero furiosa con sé stessa. «Maledizione!» disse fra i denti.
Liam posò l’arco, e la freccia deformata, in un angolo e si avvicinò ad Euphemia. Si chinò davanti a lei. «Ci provate solo da poche ore, non crederete di riuscirci al primo tentativo? Ogni allenamento richiede il suo tempo.»
  «Noi non ne abbiamo.», la principessa strinse i pugni ancora di più.
  «Lo so. Ma arrabbiarsi non serve a nulla. Ce la farete, abbiate pazienza, dovete solo concentrarvi. Provate a pensare alla persona che era un tempo, prima che un altro wendigo lo trasformasse. Non lo so… pensate alla famiglia che lo sta aspettando. Mostrategli la vostra pietà guarendoli e non uccidendoli. Sono sicuro che neanche quella creatura voglia farvi del male, è solo costretta perché è la sua natura, perché è lui ad ordinarglielo.»
  «Ed io non voglio ucciderla. Sono così stufa di combatterli. Quando penso che anche loro erano umani un tempo io– »
  «È questo il vostro errore. Cercate di negare la loro umanità perché così vi sentite meno in colpa quando li trafiggete. Invece dovete pensare a loro ancora come umani, come me e voi.»
Euphemia iniziò a sollevarsi da terra e Liam la aiutò a rimettersi in piedi.
Cautamente la principessa si avvicinò alla bolla contenente il mostro. Lo scrutò. Cercò di guardare quelli che sembravano essere i suoi occhi. Chi eri prima di diventare un prigioniero del male?, si chiese senza distogliere lo sguardo. Mentre allungava la mano verso quel wendigo, per un attimo le sembrò di vedere delle lacrime nei suoi occhi. La mano della principessa divenne iridescente e, improvvisamente, iniziò a sprigionare una calda luce.
Liam spalancò gli occhi. «Ci state riuscendo!»
Sfortunatamente il palmo della principessa tornò normale, dopo pochi secondi, ed il wendigo restò tale. Euphemia strinse i pugni ancora una volta delusa.
  «Dovete riprovarci!» gridò Liam alle sue spalle. «Concentratevi ancora un po’.»
Euphemia sospirò. «D’accordo.» disse e si preparò a fare un secondo tentativo. Scrutò ancora il wendigo. Tese la mano di nuovo. Cercò di immedesimarsi in quella povera creatura una volta umana. «Il male ti ha preso contro il tuo volere… non è giusto, è così? Non vuoi questa vita, vero? Nessuno dovrebbe essere costretto a fare ciò che non vuole, lo so bene anch’io. Lascia che io veda chi eri davvero, lascia che io ti aiuti a tornare come prima… »
La creatura smise di colpo di agitarsi e la principessa riuscì ad intravedere i suoi occhi umani attraverso quelli della bestia. Era così triste che quasi le venne da piangere. Riusciva a sentire ciò che provava quel wendigo. La luce si sprigionò ancora una volta dal palmo della sua mano e, finalmente, vide chi si celava dietro quel corpo rinsecchito e mostruoso. Una donna dal viso disperato, che aspettava solo di essere salvata. Euphemia allungò la mano verso di lei fino ad attraversare la sua prigione. La luce si fece sempre più forte e la creatura, a poco a poco, riprese le sue sembianze umane. Ora, anche Liam poteva vedere ciò che si era presentato agli occhi della principessa. Purtroppo la loro felicità non durò a lungo. Ben presto, la luce della principessa si affievolì ed il volto della ragazza ritornò quello rugoso del wendigo.
Euphemia non aspettò che Liam la incoraggiasse a riprovare, continuò a fare un tentativo dopo l’altro. Ora sapeva davvero di poterci riuscire, aveva la certezza di possedere quei poteri.
Più ci provava, più umana tornava la donna. Non era ancora riuscita a ritrasformarle tutto il corpo ma era sicura che, se avesse provato ancora un po’, ne sarebbe stata in grado, senza dubbio.
  «Può bastare!», intervenne il Gran Maestro appena ritornato sul tetto. «Riproverete domani.»
Liam non poteva credere alle sue orecchie. Pensava l’avrebbe costretta a provarci fino a notte inoltrata.
Fu, però, Euphemia ad insistere. «No, lasciatemi continuare. Ci sono quasi.»
Hyun-Shik fece sparire il wendigo e la bolla che lo teneva prigioniero.
  «Riportatelo qui immediatamente.» ordinò la principessa. «Ho promesso che l’avrei aiutata.», strinse i pugni.
  «Anche se siete voi, vostra Altezza, non posso fare come mi ordinate.», detto questo, girò i tacchi e se ne andò nuovamente.
Euphemia stava per inseguirlo, quando Liam le afferrò il braccio con una mano e le impedì di lasciare il tetto. «Hyun-Shik ha ragione. Avete un dono molto potente, che non avete mai usato prima, non potete sottoporvi ad un tale sforzo, per così a lungo.», con la manica della sua felpa, Liam, le pulì delicatamente il sangue che le stava scorrendo dal naso. «Vedete… »
Euphemia si portò le dita alle narici. Era così concentrata che neanche se ne era accorta. Aveva i poteri di un raggio di sole, ma pur sempre il corpo di una ragazza umana.
  «Avete promesso a quella ragazza di aiutarla, e lo farete. Ma non oggi. Non sentitevi in colpa, non l’avete abbandonata.»
  «Potete lasciarmi adesso.»
Liam ritrasse all’istante la mano con cui l’aveva afferrata. Ancora non aveva imparato a comportarsi adeguatamente in sua presenza.
Non va affatto bene, pensò. Prima di partire doveva ripassare assolutamente usi e costumi del passato, o si sarebbe fatto ammazzare.
  «Perdonatemi.»
  «Non temete, se dovesse capitare al castello, non lascerò che i miei uomini vi taglino la gola.» gli disse lei, come se gli avesse letto nella mente. Non le erano certo serviti i suoi poteri per capirlo, lo aveva intuito dallo sguardo di lui.
Liam provò un brivido al solo pensiero. Si portò una mono al collo, come per proteggerlo. «Non vi sembra un tantino eccessivo?», rise agitato.
  «Voi dite? Sono l’unica erede di mio padre e l’unica a poter sconfiggere il Maligno, chiunque mi si avvicini è una potenziale minaccia. Non esiterebbero ad uccidervi.»
Effettivamente non aveva proprio tutti i torti.
Ah giusto!, Liam si ricordò un dettaglio che le aveva omesso. «C’è un’altra cosa che dovete sapere.»
  «Un’altra?! Questa storia comincia a stancarmi.»
  «Non siete l’unica erede. Avete un fratellastro. Io avrei dovuto raggiungervi per mettervi in guardia.»
  «Mettermi in guardia… è lui che mi ha uccisa quindi. Quando?»
Liam rimase, per qualche secondo, senza parole. Non si era ancora abituato a quanto lei fosse perspicace. Si schiarì la gola. «Poco prima del vostro ventisettesimo compleanno.»
  «Tra otto anni… bene abbiamo ancora tempo. Prima di allora lo avremo già sconfitto. Con tutte queste informazioni ho sicuramente molte più possibilità di vittoria. Devo solo attendere che il libro mi sveli come, dico bene?»
Liam annuì. «Sono sicuro che accadrà presto.»
  «Dovreste essere voi il Gran Maestro.» disse Euphemia, poi raggiunse le scale. «Sembrate molto più saggio di quell’uomo.»
Liam la guardò allontanarsi, sorpreso da quello che gli era parso essere un complimento.
Prima che la principessa percorresse troppi gradini, lui si affrettò a seguirla. «Non dovete pensare che Hyun-Shik non sia un uomo saggio.» le disse, mentre scendevano la rampa di scale. «È solo che sono un ragazzo come voi. Lui non riesce a capire come ci si sente, lo ha dimenticato. Come voi, anche io sono cresciuto in fretta, ho dovuto farlo. Ho perso mio padre, poi la ragazza che amo… è normale che io sappia cosa dirvi e che vi comprenda più di lui. Per questo ci ha lasciati soli, non è stata una coincidenza.»
La principessa si fermò di colpo e Liam fece appena in tempo a frenare per non colpirla. «Non l’avete persa. Quella ragazza… io vi aiuterò a salvarla.»
  «Non è lei la cosa più importante, ci sono migliaia di vite in pericolo.»
  «È importante per voi e per me ogni vita conta, anche la sua. Non intendo perderne nessun’altra.» disse e poi riprese a scendere i gradini più decisa che mai a sconfiggere il Maligno.

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Capitolo 10
*** 9 – DOVRESTE CRESCERE ***


La principessa desiderava darsi una pulita, perciò Liam – col permesso del Gran Maestro, naturalmente – la portò casa sua. Non era l’unica a doversi cambiare. Anche lui aveva trascorso la notte in biblioteca, anche se non nel magazzino con lei.
Quando Eleanore sentì la porta aprirsi quel pomeriggio, si precipitò all’ingresso. Senza dare al figlio il tempo di richiuderla, lei lo tirò a sé e lo stritolò.
  «Mamma… »
  «Maledizione Liam, bastava una chiamata. Sono stata in pensiero tutto il giorno. Perché non sei tornato a casa?»
  «Ti ho detto che restavo in biblioteca.» disse Liam completamente avvolto dalla madre. Infatti, dopo il fallimento della missione – e aver lasciato la principessa a dormire – lui l’aveva chiamata e l’aveva avvertita che non sarebbe tornato.
Eleanore lo liberò per poterlo guardare. «Sai quanto ti ho aspettato stamattina. Credevo che saresti tornato all’alba. Ho creduto che lungo la via del ritorno… Non voglio neanche pensarci!», lo strinse ancora.
  «Mamma stai esagerando.» disse Liam ma la madre continuava a tenere salda la presa. Figuriamoci se quella notte fosse riuscito a partire come si sarebbe sentita. «D’accordo scusami. Ora però lasciami.», cercò di spingere via la madre. Non voleva che la principessa assistesse a quella scena. Lo credeva già abbastanza un ragazzino indifeso.
La ragazza varcò la soglia ed Eleanore finalmente si accorse della sua presenza. Liberò Liam dalla sua tenera morsa. «Chi è questa ragazza?»
  «Hai presente, quando ti ho detto che la missione non era andata a buon fine? Ecco… lei è l’imprevisto.» le disse Liam. «Mamma, ti presento la principessa di Faithbridge.»
  «Una principessa… che onore» disse Eleanore presa alla sprovvista. Era da parecchio che non viaggiava nel tempo, neanche si ricordava come comportarsi davanti a personaggi di tale importanza e rango sociale.
  «Sareste così gentile da mostrarmi dove posso cambiarmi e ripulirmi?» chiese Euphemia educatamente. «E non sforzatevi, comportatevi come fareste con un qualsiasi ospite. Sono nel vostro tempo, in casa vostra, sono io a dovermi adattare.»
Eleanore sorrise. «Già la adoro.» sussurrò al figlio, proprio accanto a lei, e poi tornò a rivolgersi alla ragazza. «Seguimi, il bagno è da questa parte.», Eleanore le fece strada accompagnandola con una mano sulla spalla.
Liam rimase spiazzato. Pensò che Hyun-Shik lo avrebbe ucciso, se avesse visto quella scena. La principessa non doveva abituarsi ed adattarsi alla loro vita lì, doveva solo allenarsi. Dopotutto, sarebbe ripartita presto. Le usanze e i costumi del futuro non le sarebbero serviti a nulla.
  «Liam prendi i tuoi vestiti per Euphemia!» gli gridò la madre in lontananza.
Liam spalancò la bocca. Sapeva già che sua madre avrebbe trattato quella ragazza come una figlia, e che si sarebbe ben presto dimenticata di lui.
  «Va bene.» disse prima di salire in camera sua.
Le sue magliette ed i suoi pantaloni non erano certo adatti a lei. Era di statura più piccola di Liam, qualsiasi cosa le sarebbe stata grande. Inoltre, per Liam, rinunciare ad una delle sue preziose magliette, con i supereroi, non era una scelta affatto facile. Mentre rovistava tra i cassetti accanto al suo letto, non riusciva proprio a decidere chi sacrificare. Ripensava alla foga con cui Euphemia aveva combattuto quella mattina ed immaginò la brutta fine che le sue magliette avrebbero fatto se lei le avesse indossate.
  «Ti dai una mossa?!», Eleanore entrò e ne prese una a caso. Liam fece per allungare la mano ma non riuscì ad afferrarla in tempo e la disperazione si impadronì di lui. La mia povera maglietta, pensò mentre sua madre gliela portava via.
Prima di uscire, Eleanore si fermò e prese anche uno dei tanti pantaloncini di suo figlio. Era uno di quelli della tuta. Era corto e con l’elastico, ideale per quella ragazza molto più bassa di lui.
  «Mamma aspetta!»
Eleanore sospirò. «Oh santo cielo Liam! Hai ventuno anni, non puoi metterti a fare i capricci per dei vestiti.»
  «Non è per quello… » disse, anche se sì era effettivamente anche per quello. «Non credo che possa stare con le gambe scoperte. Nella sua epoca non è consentito mostrare trop–  »
  «Ora vive in questo tempo, sopravvivrà. Metti delle lenzuola pulite.» disse mentre usciva dalla stanza.
Liam strabuzzò gli occhi. «Che? Ma dai, fai sul serio?!»
Eleanore tornò indietro e si affacciò all’interno della camera. «Non vorrai farla dormire sul divano? Preparale il letto, presto.»
  «La riporterò in biblioteca, prima che faccia buio. Dormirà lì.»
  «Sul pavimento? Non ci sono materassi in una biblioteca, non puoi essere tanto inospitale. Fa’ come ti ho detto.», Eleanore si allontanò e, questa volta, definitivamente.
Liam si gettò sul letto e si agitò come un bambino capriccioso in preda agli spasmi. «Non poteva andare peggio di così… », sbuffò ma alla fine si rialzò ed iniziò a rifare il letto, prima che la madre lo rimproverasse ancora.
Quando ebbe finito, raccolse le lenzuola, che aveva tolto dal suo letto e gettato sul pavimento. La porta si aprì prima che lui potesse arrivare alla maniglia. Euphemia apparve ancora con i capelli bagnati. Li strofinava con l’asciugamano mentre dava un’occhiata alla stanza di Liam, senza preoccuparsi del fatto che lui fosse ancora lì. Era una persona molto curiosa e non poté non notare che i mobili e gli oggetti lì fossero diversi da quelli della sua camera.
  «Che vi prende?» domandò, quando Liam lasciò cadere le lenzuola.
Lui arrossì e non riuscì a risponderle. Quei rossi capelli umidi, arricciati, le si attaccavano sul viso e le sfioravano delicatamente il collo. Era difficile non rimanere affascinati da quella visione. Ma l’incanto si spezzò quando lo sguardo di Liam cadde sulla sua preziosa t-shirt, lunga quasi come un vestitino su di lei. Copriva persino i pantaloncini. Liam si portò una mano alla bocca nel tentativo di trattenere una risata.
  «Suppongo lo troviate divertente. Se volete, posso restituirvela.», la principessa portò le mai ai lembi inferiori della t-shirt.
Liam smise immediatamente di ridere rendendosi conto di quello che lei stesse per fare.
  «No!» gridò tappandosi gli occhi. «Potete tenerla!»
Non si sarebbe mai aspettato che lei avesse il coraggio di togliersi la maglietta davanti a lui.
Euphemia sbuffò, mentre lasciava andare la maglia. «Sembravate così coraggioso ed audace questa mattina sul tetto della biblioteca con quell’arco ed ora… siete intimorito da una donna?», lei lo stava chiaramente prendendo in giro e provocando intenzionalmente.
  «Non ho paura di voi.» disse Liam, ma continuava a guardare ovunque tranne che verso la principessa.
Euphemia rise. «Non sopravvivreste, un solo giorno, nell’accampamento. Ma non temete, ci sarò io a proteggervi.» scherzò. Per qualche strana ragione trovava divertente prenderlo in giro.
Liam finalmente la guardò. «Cosa vi fa pensare che io non sia in grado di difendermi?»
  «Avete detto di non essere ancora un bravo combattente e poi non riuscite neanche a guardarmi negli occhi.» gli fece notare la principessa. «Ci sono anche donne nel mio esercito, che farete, vi lascerete intimidire anche da loro? Dovreste crescere, o non sarete mai pronto.» disse lei più seria che mai.
Liam strinse i pugni. Non era più divertente.
Prese le lenzuola dal pavimento ed uscì dalla stanza.
Non era ferito nell’orgoglio perché era stata una ragazza a dire quelle cose, o perché una ragazza si ritenesse più forte di lui, ma perché lei lo considerava un vero inetto. Come tutti gli altri, d’altronde. E faceva male proprio perché aveva ragione. Probabilmente se si fosse trovato Ronny davanti, avrebbe esitato ad affrontarla e a guardarla negli occhi, proprio come un attimo prima, con la principessa.

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Capitolo 11
*** 10 – AMICHEVOLE ***


Euphemia non poté non notare l’atteggiamento distaccato di Liam.
Negli ultimi giorni, lui aveva cercato di starle alla larga il più possibile e, quando la accompagnava da casa alla biblioteca, e viceversa, non le rivolgeva né una parola, né uno sguardo.
Per la principessa era particolarmente snervante, ma sapeva anche lei che le sue parole avevano ferito Liam. Lo aveva fatto per lui, voleva spronarlo, come i generali – che l’avevano allenata fin da bambina – avevano fatto con lei. Liam aveva sentito tante volte la frase “non sei pronto”, ma aveva bisogno di continuare a sentirla se voleva finalmente esserlo.
Purtroppo, la concentrazione della principessa ne risentiva e non sembrava fare alcun miglioramento.
Liam aveva smesso anche di darle dei consigli, si limitava ad osservarla annoiato. Il Gran Maestro, ovviamente, si accorse che c’era della tensione fra i due. Si avvicinò a Liam, mentre la principessa continuava a fallire un tentativo dopo l’altro. «Non farmi pentire di averti concesso di portarla a casa tua. Cos’è successo?» domandò spazientito.
  «Non ho fatto proprio niente.»
  «Stai rallentando il suo addestramento, ti rendi conto delle terribili conseguenze che potrebbe comportare?»
  «D’accordo. Allora me ne vado.» disse Liam e si diresse alle scale per lasciare il tetto.
Euphemia sospirò. Era il momento di parlargli. Si affrettò a seguirlo, senza che Hyun-Shik potesse fermarla.
  «Liam aspetta!» gridò la principessa scendendo rapidamente i gradini per raggiungerlo. Ma lui non si fermò. Continuò a percorrere con calma la scalinata. Euphemia, con passo svelto, riuscì a raggiungerlo e lo bloccò appoggiandogli una mano sulla spalla. Liam non si voltò.
  «Mi dispiace, okay? Ho esagerato.» disse Euphemia. «Credevo di aiutarti, ma ripensandoci forse avrei potuto dirlo diversamente.»
Liam pensò di aver capito male. «“Okay”?» ripeté perplesso, voltandosi verso di lei, alle sue spalle.
  «L’unica cosa che ti è arrivata alle orecchie è il mio parlare in maniera informale? Hai almeno sentito che ti ho chiesto scusa?»
Davanti al suo modo di parlare così amichevole, Liam perse l’equilibrio ma, prima che rotolasse giù, la principessa lo afferrò per la maglietta. Il ragazzo la guardò con occhi sgranati, imbarazzato, per qualche secondo, prima di ricomporsi. Euphemia lasciò la presa solo quando lui fu, di nuovo al sicuro, su uno dei gradini.
Liam si schiarì la gola. «Perciò anche io posso… ?»
La principessa annuì. «Tua madre mi tratta come una di qui, già da giorni, non vedo perché tu non possa lo stesso. Io non ti ho mai detto il contrario.»
Liam ricordò che in effetti, lei gli aveva anche detto il suo nome.
  «Bene… ora però devi tornare ad allenarti.» le fece notare.
Lei annuì ed insieme risalirono le scale. Quando furono sul tetto, Euphemia proseguì verso il wendigo, mentre Liam fu bloccato dal Gran Maestro. «Che sta succedendo?» domandò al ragazzo.
  «Niente.» rispose Liam roteando gli occhi. Non sapeva però che il Gran Maestro aveva sentito ogni cosa, a causa dell’eco nella rampa di scale. «Non hai dimenticato quello che ti ho detto vero?»
Liam sbuffò. «No, Maestro, non lo dimentico.»
  «E allora smettila di comportarti come se fossi un suo amico. Non sono ammesse distrazioni, soprattutto se ci tieni a riavere indietro la tua amica. Perché la rivuoi indietro, dico bene? Te la ricordi ancora Ronny, sì?»
Liam rivolse un’occhiata torva al Gran Maestro. Come poteva anche solo pensarlo? Per tre anni, Liam non aveva fatto altro che rammentare quel giorno in cui era sparita, e quel suo “mi dispiace” nei pochi istanti in cui era tornata in sé. Ogni giorno, continuava a colpevolizzarsi perché non aveva agito in tempo, perché non aveva chiesto aiuto subito. Non aveva mai avuto neanche la possibilità di rivederla, di dirle che avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarla.
Per quanto cercasse di non lasciarsi distrarre, non smetteva mai veramente di pensare a lei. Quel pomeriggio, infatti – dopo la doccia – Euphemia lo trovò seduto sul letto a contemplare una vecchia foto incorniciata. Era proprio una sua foto con Ronny.
La principessa si sedette accanto a lui. «La riavrai indietro.» gli disse.
Liam guardò fuori dalla finestra, che affacciava proprio verso quella della camera di Ronny, ormai vuota da tempo. «Lo spero tanto.», sospirò. «Avrei voluto dirle che l’avrei aiutata, che avrei fatto il possibile per liberarla. Vorrei che sapesse che non la odio per quello che è successo quel giorno.»
  «Credo che alcune cose siano sottintese, che non ci sia sempre bisogno di dirle ad alta voce. Lei lo sa e probabilmente starà lottando con tutte le sue forze, in attesa che tu la liberi. Magari mio padre si aspetta lo stesso da me, chi può dirlo. Per questo, ogni giorno, mi alzo e faccio il possibile.»
Liam guardò di nuovo la foto. «Aveva solo diciotto anni. Doveva essere così spaventata.»
  «Pensa che se riusciremo nella nostra missione, niente di quello che le è successo avverrà. Vivrete felicemente la vostra storia d’amore, vi conoscerete meglio e farete tutte quelle cose che tua madre guarda sempre in quell’aggeggio rettangolare.»
  «Il televisore… »
  «Sì quel coso lì.»
Liam rise poi si rialzò in piedi. Sistemò la cornice di nuovo al suo posto, sulla cassettiera accanto al letto, prima di accingersi a lasciare la stanza. «Asciugati i capelli o ti verrà un malanno. Non puoi permetterti di ammalarti.» disse alla principessa fermandosi sull’uscio.
  «Sì mammina.» rispose lei cercando di curvare pollice ed indice della mano destra per fare il segno “okay”.
Si sorrisero e poi Liam la lasciò da sola in camera, chiudendo la porta. Ma non si allontanò, ci si appoggiò con la schiena. «Che stai combinando Liam? Non potete fraternizzare, la farai ammazzare.» si disse. Scosse la testa e se ne andò dritto al suo comodissimo divano.
Liam non fece in tempo ad appisolarsi che arrivò la principessa.
Sfortunatamente per lui, Euphemia aveva imparato ad usare il telecomando e – non appena i suoi capelli furono asciutti – scese di sotto, saltò sul divano ed accese la tv.
Dato che era stata così gentile con lui poco prima, Liam decise di non arrabbiarsi e di farle ancora più spazio sul divano ritirando le gambe e sedendosi sul primo dei tre cuscini.
Fare zapping era una cosa che la divertiva parecchio, chissà per quale oscura ragione. Quella scatola per lei era come un giocattolo nuovo, ne era molto incuriosita. Apprendeva anche molto in fretta. Aveva imparato a memoria anche i nomi dei personaggi sulle t-shirt che rubava a Liam. Quando andava a casa di Liam, dopo l’allenamento, la principessa avrebbe dovuto riposarsi ma invece voleva sempre guardare i film degli eroi sulle, ormai sue, magliette. Aveva persino imparato anche alcune delle loro mosse.
Smise di fare zapping quando s’imbatté in un programma comico. Era un sollievo vederla ridere spensierata. Chissà quante ne aveva passate e quando aveva trascorso l’ultimo momento di vera felicità. L’arte del combattimento era probabilmente tutto ciò che conosceva. Di sicuro balli e feste, in un tempo tanto infelice come il suo, non ce n’erano. A differenza di Liam, che aveva comunque avuto un’infanzia abbastanza felice, quantomeno normale, per la principessa non doveva essere stato facile. Ci mancò poco che Liam la abbracciasse assorto in quei pensieri. Ma, prima di fare sciocchezze, si sedette un po’ più distante, quasi sul bracciolo del divano, senza però smettere di guardarla con la coda dell’occhio.
  «Qualcosa non va?» domandò Euphemia, sempre con lo sguardo rivolto al televisore. Non aveva perso la sua concentrazione, neanche in un momento del genere. Sentiva che lui la stava fissando.
  «Niente, è tutto okay.»
  «Farò finta di crederci.» disse con una smorfia, guardando ancora la scatola magica.
Liam non disse altro. Con lei era inutile, capiva sempre se stava mentendo.

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Capitolo 12
*** 11 – PER DAVVERO ***


Mancava poco meno di una settimana e la principessa non era ancora riuscita a riportare alla normalità quel wendigo, per quanto ci provasse con tutte le sue forze. Ormai cominciava ad essere demoralizzata e a perdere la fiducia. «Non ci riuscirò mai.» ripeté più di una volta. «Ci ho già provato per una settimana e non l’ho riportato alla normalità per più di qualche secondo.»
  «Non dire così, ce la puoi fare. Prova ancora.» le disse Liam.
  «Ci ho già provato ancora! Non sono in grado! Perché non vi limitate ad insegnarmi l'incantesimo che protegge questa biblioteca, per difendere la mia città?»
  «Non è possibile, non può proteggere un'area vasta come un'intera città.» le spiegò il Gran Maestro, poi cercò di incoraggiarla. «Vostra Altezza, non potete rinunciare proprio ora. Sta funzionando, dovete solo sprigionare più luce.»
  «Non so come… lo desidero con tutte le mie forze, eppure continuo a fallire.»
  «Quello che vuoi davvero è proprio questo, non fallire.» disse Liam. Euphemia lo guardò offesa ma lui rispose con un’espressione seria e decisa. «Vuoi mantenere la promessa fatta a quella ragazza ma per te stessa. Non vuoi davvero la sua felicità.»
Euphemia avrebbe voluto negare, ma sapeva che Liam in fondo diceva la verità. Voleva porre fine alla maledizione di quella donna, solo per non sentirsi in colpa, per averla delusa. Però, non si trattava di lei. Doveva pensare a quella giovane.
La principessa chiuse gli occhi ed allungò la mano per l’ennesima volta. Respirò e cercò di concentrarsi. Quando si sentì finalmente pronta, li riaprì e guardò la creatura. Cercò di percepire ancora una volta la sua sofferenza. Cercò di immaginarsi come, quella giovane donna, doveva essere felice prima di diventare una mostruosa creatura. Si domandò se sentisse la mancanza della sua famiglia. Pensò a quanto fosse ingiusto che fosse intrappolata in quel corpo, invece di poter vivere i suoi giorni accanto alle persone che amava. La principessa desiderava che quella donna potesse ritornare a casa, che anche lei potesse avere una scelta.
La luce si diffuse ben oltre il palmo della mano di Euphemia. Il sole stesso sembrava brillare attraverso di lei.
  «Ci siamo.» disse il Gran Maestro.
  «Credo proprio di sì.» concordò Liam, con gli occhi colmi di speranza.
Poi la luce divenne accecante ed entrambi non riuscirono più a guardare. Si coprirono il viso, incrociando le braccia istintivamente. Quando la luce si affievolì, abbassarono le braccia, e la principessa era sempre lì, in piedi dov’era prima. A terra invece c’era una giovane, il cui viso gli era ormai perfettamente noto. Questa volta, non sarebbe stato visibile solo per pochi secondi. Euphemia era riuscita a restituirle definitivamente le sembianze umane.
  «Oh mio Dio! Ci sei riuscita! Ce l’hai fatta!» gridò Liam entusiasta.
Lei si voltò e finalmente lui poté vederla sorridere.
Presi dall’entusiasmo corsero l’una verso l’altro per abbracciarsi.
Liam aveva completamente dimenticato tutte le ramanzine ed i rimproveri di Hyun-Shik. «Sapevo che ci saresti riuscita!» disse stringendola e facendola roteare, come nel più smielato dei film romantici.
Il Gran Maestro ben presto smise di sorridere di quel successo. Non poteva permettere che Liam si avvicinasse troppo alla principessa. Se si fosse fidata troppo di lui, sarebbe stata in pericolo. Per questo, da quel giorno, alla principessa fu proibito lasciare la biblioteca. Con la scusa che, dopo aver usato la luce, era ancora più in pericolo, la indusse ad accettare il suo ordine. Continuava a farla allenare anche la notte. Con vampiri, licantropi ed ogni altro genere di creatura.
Liam di tanto in tanto la raggiungeva, ma il Gran Maestro era sempre con loro, o, se non poteva essere presente, li lasciava in compagnia di altri Cavalieri. Ovviamente Liam si rese conto di essere sotto sorveglianza e non poteva dare torto al Gran Maestro. Per quanto desiderasse dargli ascolto, gli risultava impossibile. Era difficile non essere amici, avevano solo due anni di differenza, gli veniva così naturale comportarsi in quel modo.
Era impossibile negare quanto si fossero avvicinati, giorno dopo giorno, fino a quando arrivò il momento di partire. E lì, Hyun-Shik sapeva che non avrebbe potuto tenerli d’occhio. Poteva solo sperare che Liam non commettesse nessun errore.
La notte in cui la luna nuova fu alta in cielo, Liam giunse nella sala grande mentre Hyun-Shik stava riponendo le ultime cose nello zaino che il giovane avrebbe portato con sé.
  «Non ho abiti della tua misura, e tua madre ha detto che non puoi avere quelli di tuo padre. Perciò, metti questa mantella, poi la principessa ti procurerà qualcosa da mettere una volta a palazzo.» disse e gli porse la mantella.
  «D’accordo.» disse Liam indossandola, ma senza mettere il cappuccio.
  «Va a chiamare la principessa, dovrebbe essere già pronta.»
Liam annuì e si diresse nei sotterranei.
Mentre percorreva i gradini si sentiva felice per la partenza, ma allo stesso tempo sotto pressione. Tutto dipendeva da lui e dalla principessa. Un po’ era felice, di non essere solo e di condividere proprio con lei quel peso. Era esperta e, da lei, avrebbe di sicuro potuto imparare molto, anche per i suoi futuri viaggi.
Prima di scendere l’ultimo gradinò Liam si fermò. «Euphemia sei pronta? È il momento di andare.»
Non ricevette risposta così si sporse leggermente dalla parete, facendo attenzione a non avvicinarsi troppo alla fiamma della sua torcia. La vide illuminata dalla pochissima luce di una candela. Stava dormendo beata, come se la partenza non la preoccupasse affatto.
Liam le si avvicinò e si chinò per chiamarla senza dover gridare. Se l’avesse svegliata bruscamente, si sarebbe sicuramente beccato un pugno in faccia, o ritrovato stecchito al suolo. «È il momento di andare, devi svegliarti.» le sussurrò.
Senza neanche rendersene conto, le sue dita raggiunsero il viso della principessa fino a sfiorarle la guancia.
  «Liam!», il Gran Maestro fece come al solito la sua entrata ad effetto.
Il giovane balzò in piedi e si allontanò, appena in tempo, prima che la principessa si svegliasse di soprassalto e lo colpisse.
  «Principessa, andate di sopra. Siamo pronti per l’incantesimo.»
Euphemia non esitò a fare come le era stato detto, dato lo sguardo furibondo di Hyun-Shik. Sentiva che era meglio darsela a gambe. Si dileguò in pochi secondi.
  «La stavo solo svegliando con delicatezza.» gli disse Liam, prima che l’uomo iniziasse la sua paternale. «Se l’avessi svegliata di colpo ci avrei rimesso le penne, lo sai bene.»
Hyun-Shik continuava a fissarlo in silenzio.
  «Si può sapere qual è il problema?!», Liam quasi gridò.
  «Lo sai che dovrai tornare qui vero?»
Il ragazzo alzò per un attimo gli occhi al cielo. «Che domanda è? Ovvio che devo tornare.»
  «Allora cerca di non creare legami che ti faranno cambiare idea.» gli disse Hyun-Shik.
Liam comprese dove il suo maestro volesse andare a parare. Non riuscì a ribattere. Aveva ragione, si stava avvicinando un po’ troppo alla principessa. Ed era sbagliato, lo sapeva. Doveva smetterla e concentrarsi sulla missione che gli era stata affidata. Doveva farlo se voleva rivedere Ronny. Era soprattutto per lei se era in quella situazione.
  «Sbrigati, o perderemo anche questa occasione.»
Mentre seguiva il Gran Maestro, più saliva quei gradini, più iniziava a credere che quell’uomo avesse ragione, che lui non fosse all’altezza di quel compito, che potesse compromettere la missione. Si fermò a pochi gradini dall’arrivo. «Forse… forse hai ragione.» ammise. «Deve andare qualcun altro.»
  «Devi essere tu.»
  «Il libro si sbaglia. Potrei mandare tutto in fumo.»
  «Dov’è finita tutta la tua determinazione?», la principessa era alla fine della rampa di scale appoggiata al muro. «Se non ci credi neanche tu, come possono gli altri ritenerti pronto?»
Il Gran Maestro proseguì, mentre Liam non si mosse.
  «Non importa cosa dirai, tu ci andrai.» disse l’uomo. «Perciò datti una mossa.»
Liam alzò lo sguardo ed incontrò gli occhi della principessa.
  «Vuoi che cambino idea su di te, sì o no?» lei gli chiese, allontanandosi dal muro e scendendo qualche gradino per avvicinarsi a lui. «Ho bisogno del tuo aiuto, per favore.», Euphemia gli offrì la sua mano.
  «E se ti facessi fallire?»
  «Non lo farai.», lei gli afferrò il braccio per costringerlo a salire i restanti gradini e a raggiungere gli altri.
Liam ritrasse il braccio, prima che Hyun-Shik li vedesse. Avrebbe preferito che il Gran Maestro avesse mandato anche qualcun altro, per tenerli d’occhio, ma era una missione che erano destinati a compiere da soli.
Hyun-Shik pronunciò l’incantesimo prima che qualcuno potesse cambiare idea o pentirsi. Anche lui non era convinto di voler mandare Liam lì, ma quel ragazzo aveva qualcosa di speciale, ed al momento giusto anche lui lo avrebbe scoperto. Forse non durante quel viaggio, ma un giorno.
Una luce si fece spazio nel vuoto di quella sala, non come quando aveva evocato la principessa. L’incantesimo era diverso. Non c’era un fascio luminoso ma una sorta di porta, di strappo attraverso il quale poteva vedere pareti di pietra e mobili che aveva visto solo nei negozi di antiquariato.
  «Sarà come se non foste mai andata via.» disse il Gran Maestro prima di spostarsi e lasciare che la principessa potesse avvicinarsi al portale.
Euphemia fu la prima ad andare oltre. Liam prese prima un bel respiro e poi la seguì.
L’ultima cosa che Liam vide, prima che l’apertura si richiudesse, fu lo sguardo serio del Gran Maestro, come per fargli l’ultima paternale prima di dirgli addio.
Liam finalmente realizzò quanto tutto ciò fosse reale. Ci mise un po’ prima di iniziare a darsi un’occhiata in giro.
La stanza in cui si trovavano era piccola, circolare. C’erano solo un letto ed una cassettiera, nella quale la principessa stava rovistando freneticamente. «Dovrei avere degli abiti per te. Una volta mi sono intrufolata tra i miei soldati, vestita da uomo. Accidenti, dove li ho messi… ?»
Liam diede un’occhiata più approfondita tutt’intorno. Ma anche ad un secondo sguardo, quella non sembrava affatto la camera di una principessa. «È davvero la tua stanza questa?»
  «Sì, ma questo non è esattamente il castello. Io vivo in una torre.»
  «Torre?»
  «È meglio che io stia a debita distanza dal castello. Ma tranquillo non è poi così alta, è solo isolata. Eccoli!», finalmente riuscì a trovare ciò che stava cercando.
Erano un po’ stropicciati perché li aveva nascosti. Ma non aveva molto importanza in che condizioni fossero.
Euphemia lanciò a Liam dei pantaloni e poi anche una tunica. Lui li afferrò al volo. Erano anche un po’ consumati, segno che non si era intrufolata una volta sola fra i suoi uomini.
  «Perché ti sei vestita da uomo?» le chiese.
  «Lì c’è il paravento, datti una mossa e cambiati.» disse lei ignorando la domanda.
Liam fece come la principessa gli aveva detto, ma non rinunciò ad avere una risposta. «Allora me lo dici?»
La principessa sospirò. «Credevano che non fossi all’altezza di combattere con loro. Ogni volta che ci sono nuovi soldati, gli do una dimostrazione.»
Qualcuno bussò alla porta. «Altezza, c’è qualcuno con voi?»
  «Oh merda!» si lasciò sfuggire la principessa.
  «Euphemia!» la richiamò Liam facendo attenzione a non alzare troppo la voce.
  «Scusa, troppa… quella scatola nera.»
  «Televisione.»
  «Sì, quella.»
  «Che facciamo?», Liam si affacciò dal paravento.
  «Resta lì. Se ti vede sei morto, il mio generale è iperprotettivo, peggio di tua madre.»
  «Rispondigli, o sfonderà la porta.», Liam ebbe appena il tempo di terminare la frase poi la porta si schiantò al suolo per davvero.
  «Troppo tardi… » sussurrò la principessa quando la figura del suo generale apparve sulla soglia.

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Capitolo 13
*** 12 – EVIDENZA ***


Il paravento fu scaraventato al suolo e Liam si ritrovò con la lama di una spada puntata alla gola. Lo aveva tagliato appena, ma abbastanza da farlo sanguinare un po’.
Davanti a lui c’era un giovane dai biondi capelli allacciati in un codino. Come la principessa, anche lui portava una tunica lunga quasi fino al ginocchio, sopra la quale ce n’era una seconda con le maniche più corte, che lasciavano intravedere quelle della sottostante. Più sopra ancora indossava una copertura in cuoio stretta in vita da una cintura. Un mantello lungo fino alla vita era fissato con una fibbia alla spalla sinistra, per dare libertà al braccio destro col quale impugnava la spada che minacciava la vita di Liam.
  «Generale abbassate la spada, non è un nemico.»
  «Che ci fa nella vostra stanza? Com’è entrato?»
  «C’è una spiegazione e, se lo liberate, con calma ve lo dirò.»
  «Avete una spiegazione anche per il fatto che sia mezzo nudo? Cosa stavate facendo?»
La principessa iniziò gesticolare con le mani affrettandosi a rispondere. «È un malinteso. Non è assolutamente come credete.»
  «Lo lascerò andare solo quando saprò che non è una minaccia. Sapete di non potervi fidare di nessuno.»
  «È un Cavaliere dell’Ordine.» affermò seria Euphemia.
Il generale allora abbassò la spada per poi puntarla verso il braccio di Liam. «Nessun marchio. Non potete mentire.»
Euphemia guardò Liam. «Che vuol dire nessun marchio?», si avvicinò a lui e gli afferrò il braccio per esaminarlo. «Dov’è la tua cicatrice?» sussurrò.
  «Te l’ho detto che non ero ancora un vero– »
  «Perché hanno mandato te, se non sei stato marchiato?» lo interruppe Euphemia. Senza quel marchio sarebbe stato esposto.
  «È una bella domanda.» disse Liam fra i denti.
Stufo di quei sussurri il generale li separò con la sua spada. La principessa indietreggiò in tempo, mentre Liam cadde, perdendo l’equilibrio.
  «Che cosa blateravate?», il generale puntò la lama nuovamente alla gola del ragazzo sul pavimento.
  «Basta!» gridò la principessa. «Adesso basta, Alexander. Se io dico che è un Cavaliere, lo è. Non voglio sentire una sola parola. Uscite di qui immediatamente.»
Finalmente il generale ripose la sa arma. Si avvicinò alla principessa mentre si dirigeva alla porta. «Sto solo cercando di proteggervi. Ho giurato a mio padre, e al vostro, che lo avrei fatto. Non rendetemi le cose difficili.»
  «Occupatevi della porta, io penserò al mio ospite.»
  «Come sua altezza desidera.» disse, controvoglia, il generale. Si inchinò e poi se ne andò dando l’ordine, ai suoi uomini, di sollevare la porta. I tre soldati fecero del loro meglio per appoggiarla nel modo più stabile possibile. L’indomani avrebbero chiamato un fabbro per aggiustarla.
Euphemia aspettò qualche secondo prima di avvicinarsi a Liam.
  «Fammi capire, quando avevi intenzione di dirmi che non ti avevano marchiato?»
  «Credevo di avertelo detto. Non abbiamo più la croce. Nessun Cavaliere nel mio tempo ha il marchio, ma siamo pronti a sacrificarci se necessario.»
La principessa si portò le mani alla tempia. «Se lo avessi saputo prima, avrei potuto elaborare un piano. Adesso Alexander non si fida di te. Addirittura pensa che noi due… », sospirò. «Non ti darà pace e non darà pace neanche a me.»
  «Questo l’avevo intuito.» disse Liam indossando la casacca.
  «Ora che sei presentabile, vieni con me.»
  «Dove?»
  «Ti serve una stanza, mi pare ovvio che tu qui non possa restare.»
  «Giusto.»
Liam prese il suo zaino e si avvicinò alla porta.  Stando attenti a non farla cadere, la spostarono, insieme, per creare uno spazio e passare.
Non appena la principessa fu fuori, i soldati, muniti di lanterne, la accerchiarono. Erano cinque – sia uomini che donne – vestiti più o meno come la principessa ed il loro generale. Indossavano tuniche sotto coperture di cuoio che servivano a proteggerli ed attutire eventuali colpi in combattimento.
Liam non riuscì neanche ad avvicinarsi. Lei si strinse nelle spalle e gli accennò un sorriso. «Finalmente a casa.» disse con voce teatrale, prima di attraversare la muraglia di cinque soldati – che entravano appena in quel piccolo spazio che precedeva la scalinata. Afferrò Liam per il braccio. «Lui viene con noi, dobbiamo trovargli un alloggio.» dichiarò.
I soldati si scambiarono alcuni sguardi perplessi, ma alla fine ubbidirono. Lasciarono che Liam le si affiancasse e circondarono anche lui.
La principessa aveva ragione, non doveva essere una torre molto alta. Percorsero solo una ventina di scalini a chiocciola prima di arrivare al borgo, all’interno delle mura. Liam si voltò e poté notare con i suoi occhi quanto effettivamente quella torre fosse bassa, rispetto a come immaginava. Aveva sempre visto torrioni giganteschi, ma quella non era per nulla imponente. Probabilmente il soffitto della biblioteca era anche più alto.
Quella torre però era isolata rispetto al castello. Dovettero percorrere alcuni metri, e superare la piazza centrale, prima di arrivare al portone principale, del grande edificio in pietra, anch’esso protetto da guardie. Gli uomini, che scortavano Euphemia, diedero l’ordine di aprire le porte, ma lei non avanzò. «Aspettate… » bisbigliò.
Liam si accorse dell’espressione insicura della principessa. Avrebbe voluto immortalare quel momento, perché, probabilmente, mai più l’avrebbe vista in preda alla paura. Ma non era il momento di scherzare, soprattutto con tutti quei soldati lì intorno. «Qualcosa non va?» le chiese con delicatezza.
La principessa ispirò ed espirò. «Questa è la prima volta che ci metto piede.» confessò.
  «Come?»
  «Sono nata e cresciuta nella torre, ho sempre avuto troppa paura di entrarci.», la principessa mantenne basso lo sguardo. Stringeva i pugni. Fece un bel respiro, di nuovo. «D’accordo possiamo andare.» disse Euphemia facendo segno di proseguire.
Varcarono l'ingresso. Proprio come Liam, anche Eufemia si guardava intorno, scoprendo per la prima volta quel castello.
Le lanterne erano appese lungo le pareti per illuminare i corridoi di pietra.
La principessa lasciò che fosse una delle guardie a condurli negli appartamenti vuoti. Fino a quel giorno, lei aveva ammirato il castello, solo dalla finestra della sua piccola torre.
Il castello era abitato solo da cavalieri e da quelle che, un tempo, erano dame, ma che ormai combattevano e si addestravano come soldati. Non c'erano stati regnanti per molto molto tempo. Nessun re o regina aveva governato quella città per secoli. Soldati e dame erano praticamente la classe in cima alla piramide, che si occupavano di mantenere l’ordine tra le mura e di proteggere gli abitanti.
In realtà non si trovavano nel vero castello. Quello dove si era originata la maledizione, era diventato un covo di creature deformi, e le persone furono costrette a fuggire. Ma presto si resero conto che, costruire un nuovo castello, fu inutile. Non erano le mura ad essere maledette, ma i sovrani. Così, l'intera famiglia reale fu cacciata, esiliata e tenuta fuori dalla città, proprio come le creature mostruose che la attaccavano continuamente.
Solo quando il libro aveva predetto la caduta del raggio di luce, il generale, e Cavaliere dell'Ordine, si era avvicinato al giovane, futuro ospite del Maligno. Insieme avevano programmato la ricerca della croce e la nascita della principessa. Ma ovviamente, quando la bambina fu portata a Faithbridge, i cittadini si ribellarono. Condivideva il sangue maledetto di quella famiglia e, come previsto, la gente non la voleva lì. Questo, era uno dei motivi per cui lei viveva in una torre. Per i primi anni della sua vita aveva dovuto lottare perché loro la accettassero.
Percorrendo i corridoi, Liam notò immediatamente che non vi erano esposti dipinti dei sovrani lungo le pareti. C’erano solo lanterne.
  «Dov’è il quadro di tuo padre?» domandò. Sapeva che nessun re era stato ritratto, perché ormai non vi era alcun sovrano, ma lei aveva detto di conoscere il volto dei suoi genitori.
  «Nella mia stanza, erano accanto all’armadio.» lei disse e Liam annuì non appena ricordò di averli, infatti, visti quando aveva dato una rapida occhiata alla stanza in cima alla torre. «Il Gran Maestro li ha creati con un incantesimo, nessuno li ha mai davvero visti. Ma io volevo conoscere le fattezze di mio padre, in caso mi fossi imbattuta in lui, e quelle di mia madre che è morta pochi mesi dopo la mia nascita.» spiegò la principessa.
  «Perciò, hai mentito al Gran Maestro Hyun-Shik, quando hai detto di aver visto tua madre nei quadri che adornavano le pareti del palazzo… Dovresti vergognarti.» la prese in giro nel tentativo di allentare la tensione. Euphemia si sentiva chiaramente a disagio, e, se non riusciva a nasconderlo, doveva provarne davvero tanto.
  «Ho solo mentito sul dove si trova il dipinto. Che vuoi che sia.», si fermò non appena vide la porta in fondo al corridoio. Era diversa da tutte le altre. Era decorata con dettagli in oro, quasi come quelli del libro che Liam aveva trovato in soffitta.
  «La sala del trono… » sussurrò la principessa.
Liam intuì la sua curiosità. Ma sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di avvicinarsi, perciò fu lui a proporre alla principessa di entrarci. «Possiamo dare un’occhiata?»
La principessa esitò a rispondere. Guardò Liam che la supplicava con gli occhi. «D’accordo… », annuì e fece cenno ai suoi uomini di avanzare.
Quando aprirono il portone, la stanza si rivelò buia. Entrarono e la flebile luce delle lanterne si fece spazio nelle tenebre. Una delle guardie raggiunse le finestre e spostò le tende, così da permettere alla luce lunare di mescolarsi a quella delle lanterne. Al suo interno la sala era meravigliosa. Anche con così poca luce, si potevano ammirare le pareti ricamate d’oro ed un soffitto con uno splendido affresco di come era solare Faithbridge prima che il Maligno la devastasse con la sua avidità e la sua sete di potere.
Mentre Liam si guardava intorno, Euphemia fissava il trono, su cui avrebbe dovuto sedere suo padre e che, un giorno, forse sarebbe stato suo.  Il solo pensiero di tutte quelle responsabilità la spaventava, ma la terrorizzava ancora di più perché era quello la causa di ogni cosa.
Se il fratellastro del re non avesse tanto desiderato sedere su quel trono, la sua vita sarebbe stata quella di una normale principessa.
Avrebbe dovuto sicuramente sottostare a centinaia di regole ed etichette di corte, ma nulla in confronto a tutti gli anni passati a combattere.
  «Quello cos’è?» domandò Liam.
  «È una teca.» rispose d’istinto uno degli uomini che lo stava tenendo d’occhio.
  «È vuota… » sussurrò Liam.
Euphemia si avvicinò alla teca. «Come hai detto, la croce è andata perduta. È qui che la conservavamo. I Viaggiatori del tempo potevano trovarla qui e farsi marchiare. Ma qualche anno fa è sparita. Quelli che vedi sono gli ultimi uomini che hanno ricevuto il marchio. Quando ho visto Hyun-Shik… non lo so, ho pensato che l’aveste ritrovata in qualche modo in anni di viaggi nel tempo. Ed invece no… »
  «In realtà, ho sbagliato a dire “andata perduta”, non è sparita perché rubata… si è consumata. L’avete usata per troppe persone.»
  «E se tornassimo indietro nel tempo, potresti farti marchiare?»
  «Se tutti i Cavalieri negli anni avessero fatto una cosa del genere, la croce si sarebbe consumata molto prima del tempo, e molti dei vostri uomini non avrebbero potuto essere marchiati.»
  «E Hyun-Shik allora?»
  «È un Gran Maestro, non può essere compromesso. Se mi avessi lasciato spiegare te lo avrei detto, ma eravamo in una situazione un po’ complicata come ben sai.»
  «Capisco… », la principessa si rivolse poi ai soldati. Gli uomini la guardavano confusi, da tutti quei discorsi su viaggi nel tempo e un Gran Maestro, con un nome che chiaramente non era quello che conoscevano loro. Euphemia si schiarì la gola. «Dove si trovano le stanze da letto?» domandò.
  «Lasciate che sia io a guidarvi.», lo stesso giovane dalla bionda chioma – che per poco non tagliava la testa a Liam nella torre – si palesò e si avvicinò alla principessa con una lanterna. «Seguitemi.»
  «Non mi ucciderà, vero?» sussurrò Liam all’orecchio della principessa.
  «Tranquillo, non morde.» rispose Euphemia e si apprestarono a seguire il generale.
Quei corridoi, dalle mura di pietra, sembravano tutti uguali. Euphemia cercava di memorizzarli ma onestamente non sembrava facile orientarsi, e si chiedeva come riusciva a farlo il generale.
Di tanto in tanto, Alexander sbirciava alle sue spalle, incuriosito, ed allo stesso tempo irritato, dal vociare della principessa e quel ragazzo. Non aveva smesso di essere sospettoso. Soprattutto dopo che lo aveva sorpreso mezzo svestito nella stanza della sua principessa. Quell’atteggiamento così amichevole tra i due lo infastidiva non poco. Dopo tutti quegli anni accanto a lei, mai la principessa gli aveva riservato un trattamento di favore, mai gli aveva concesso tutta quella confidenza.
Il generale si fermò di colpo e spalancò una delle prime porte, del corridoio in cui si erano inoltrati. «Questa dovrebbe andare.»
Liam entrò.
Era immensa. Sulla parete dinanzi a lui si estendeva un alto finestrone con una vetrata, senza molte decorazioni. Attaccato alla parete alla sua destra, stava un grande letto a baldacchino, con dei drappi di colore rosso. Accanto ad esso, c’era una piccola cassettiera che somigliava al comodino che aveva a casa sua, ed un’altra più grande stava alla sua sinistra, non molto lontano dalla porta. Dai cassetti poteva intravedere la manica di una tunica fuoriuscire. Erano di certo i vestiti che il generale gli aveva fatto portare.
Nella sua Faithbridge non c’era nulla del genere. Quasi gli venne voglia di chiederne una stanza più piccola, ma probabilmente quella era la più piccola. Il generale nutriva chiaro astio nei suoi confronti, non gli avrebbe mai dato la stanza migliore. «Spero sia di vostro gradimento.» disse, con una punta di sarcasmo.
  «A me bastava un letto su cui riposare.» sussurrò Liam, ancora guardandosi intorno.
  «Potete andare Alexander.» disse la principessa entrando.
Il generale strinse la mano sull’elsa della sua spada. «Mi state chiedendo di lasciarvi sola questo individuo, per la seconda volta?»
  «Capisco perché non vi fidiate, ma credetemi è dalla nostra parte. Il Maligno è la causa della morte di suo padre.»
  «È questo che vi ha raccontato? E gli avete creduto?»
Liam stava per intervenire in sua difesa ma la principessa parlò prima che lui potesse farlo. «Alexander– »
Il generale la interruppe subito. «Principessa, vi conosco, non potete essere stata tanto ingenua.»
  «Per l’appunto, mi conoscete bene e sapete che per guadagnare la mia fiducia occorre esserne davvero degni. Dovreste sapere che, se mi fido di lui, è perché è davvero una brava persona.», Euphemia provò a farglielo capire con un dolce tono di voce, gli accarezzò persino il braccio. «Fidatevi di lui. Vuole sconfiggere quell’essere tanto quanto noi.»
Il generale non sembrava ancora esserne convinto. «Non mi fido di questo individuo.» disse. «Ma mi fiderò di voi. Vi lascio soli, perché so che siete in grado di cavarvela anche senza di me.»
  «Esatto, quindi non avete nulla da temere.»
Prima di raggiungere la porta, Alexander si avvicinò a Liam. «Vi tengo d’occhio.» gli sussurrò all’orecchio e poi si apprestò ad andarsene. Lasciò la sua lanterna alla principessa – perché non rimanessero completamente al buio – prima di prenderne poi in prestito un’altra dagli uomini rimasti fuori l’uscio della porta.
Euphemia notò che Liam era a testa bassa, sembrava infastidito. Pensò che fosse perché non gli aveva dato la possibilità di difendersi da solo, perché era stata lei a parlare per lui. Ma non voleva iniziare una discussione, soprattutto in presenza dei suoi soldati. «Bene… sarà meglio che ti riposi.» disse.
Liam sollevò il capo, ma cercò di non incontrare lo sguardo della principessa, o lei avrebbe capito quale fosse la vera ragione per cui era seccato. «Sì, sono piuttosto stanco. Deve essere stato il viaggio attraverso il portale.»
Dal suo tono di voce, la principessa intuì che non le stava dicendo la verità. Stava cercando di restare solo e mandarla via.
Lei annuì. «D’accordo. Allora, buonanotte. Non serve che ti lasci la lanterna immagino.»
  «Voglio solo dormire. Buonanotte.» disse lui accennando un sorriso che sembrò piuttosto forzato.
Era chiaramente turbato, ma la principessa finse di nuovo di non essersene accorta. Era troppo tardi per parlare.
Euphemia lasciò la stanza e si chiuse la porta alle spalle, prima di farsi scortare dai soldati fino alla sua torre.
Non appena fu solo, Liam sospirò e si gettò sul letto. Affondò il viso nel materasso, poi si voltò a fissare il soffitto. «Non va affatto bene…» sussurrò. Non voleva ammetterlo – soprattutto non ad alta voce – ma gli aveva dato fastidio vedere Euphemia comportarsi in quel modo col suo generale. E non era perché aveva parlato per lui, ma perché aveva parlato così dolcemente ad un altro uomo. Quando poi lei lo aveva accarezzato… Liam si portò un braccio al viso, come per coprirsi, anche se nessuno poteva vedere il suo imbarazzo, in quella stanza vuota al chiaro di luna. «Non è possibile che io sia geloso.» disse praticamente ammettendo il contrario.
Si costrinse a pensare a Ronny con tutte le sue forze. Non poteva abbandonarla. Lei stava sicuramente aspettando di essere salvata da lui.
Cercò di ricordare di nuovo il suo viso. I suoi occhi azzurri, i suoi lisci e lunghi capelli castani, il suo sorriso. Ma il volto di Ronny improvvisamente fece spazio a quello della principessa e non riuscì più a mandarlo via dalla sua mente. Si rigirò nel letto, senza chiaramente riuscire a prender sonno. E con molte probabilità, quella notte, non avrebbe chiuso affatto occhio. «Vedi di non perdere di vista l’obbiettivo. Ricordati perché, e per chi, sei qui.» si disse ad alta voce, in un ultimo tentativo di convincersi che si stava sbagliando, che non provava quello che credeva. Ma stava solo negando l’evidenza.

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Capitolo 14
*** 13 – VI PROTEGGERÒ E VI SOSTERRÒ ***


Proprio quando Liam era riuscito ad addormentarsi, delle urla lo svegliarono di soprassalto.  Si affrettò ad affacciarsi alla finestra. Seguì l’eco delle grida e, non molto distante, vide una donna stritolata nella morsa di un gigantesco e peloso lupo mannaro. Non pensava che sarebbe dovuto intervenire così in fretta, già al suo primo giorno. Questo dimostrava quanto grave la situazione fosse nel passato, rispetto al tempo da cui proveniva. Nonostante ciò, Liam non esitò un attimo ad afferrare il suo arco – dallo zaino, che aveva appoggiato ai piedi del suo nuovo letto. Si diresse nuovamente alla finestra, la spalancò e saltò giù. Era soltanto a meno di un metro da terra.
Sapeva perfettamente di non poter fare molto per aiutare quella donna. Era già stata morsa ormai, e non avrebbe potuto salvarla a quel punto. Ma c’erano altre persone in quel borgo che rischiavano di essere morse, perciò Liam si avvicinò, per quanto possibile, poi impugnò con convinzione il suo arco e cercò di mantenere i nervi saldi. Mirò al lupo, ma il licantropo – senza lasciare andare la sua vittima – fece un balzo e riuscì a raggiungere Liam in un attimo, prima che scoccasse la freccia. Scaraventò il ragazzo nella stessa direzione da cui era corso lì.
Liam non demorse e scattò nuovamente in piedi, senza lasciarsi prendere dalla paura. Si preparò a scagliare una delle sue frecce, purtroppo, prima che potesse farlo – e dimostrare di cosa fosse capace – la lama di Alexander trafisse il lupo e la donna, con un solo colpo.
  «No!», la principessa aveva appena raggiunto l’uscita della sua torre. Si era precipitata lì rapidamente, ma non era bastato per giungere in tempo ed evitare il massacro. Si accasciò al suolo senza fiato e a pugni stretti. Davanti a lei ora c’erano due donne prive di vita. «Io… avrei potuto salvare almeno una di loro… » sussurrò.
Liam non la sentì ma, l’espressione che le segnava il volto, era piuttosto chiara, era evidente cosa stesse provando Euphemia. Lui ebbe appena il tempo di fare un passo che Alexander stava già correndo da lei. Il generale s’inginocchiò accanto alla sua principessa e la aiutò a rimettersi in piedi.
Ancora troppo lontano, Liam non poteva sentire cosa le stesse dicendo. Ma il modo in cui lei lo guardava negli occhi, era una morsa al cuore. Più Liam li fissava e più desidera essere al posto di Alexander, per dirle qualcosa, per farla stare meglio. Scosse la testa, nel tentativo di scacciare quel pensiero. «No, è meglio che io le stia alla larga.» disse tra sé e sé.
Ovviamente così non fece.
Il mattino seguente, aprì il cassetto e prese alcuni abiti puliti, che il generale era stato così, stranamente gentile, da fargli preparare. Dopo essersi cambiato, la prima cosa che fece fu recarsi proprio alla torre. Era solo perché voleva accertarsi che Euphemia stesse bene, nient’altro.
Le guardie all’ingresso della torre lo riconobbero dalla sera prima e, dopo qualche istante di esitazione, gli concessero di passare e salire verso la stanza della principessa. Non erano sicuri che il generale avrebbe approvato, ma gli ordini della principessa avevano la priorità.
Una volta in cima, Liam ovviamente vi trovò altre guardie. Stavano fuori dalla porta della stanza con aria piuttosto agitata.
  «Che succede?» domandò Liam quando vide il generale pronto a sfondare la porta, proprio come la sera prima. Ma non poteva farlo perché la principessa era riuscita a spingere l’armadio – alla sinistra della porta – per bloccarla.
  «Sua Altezza si è chiusa in camera.» rispose Alexander degnandolo appena di uno sguardo di disprezzo. Non ci provava neanche a nascondere la sua avversione nei confronti di Liam.
  «Dubito che buttare giù la porta possa risolvere il problema. Lasciate che le parli.»
Alexander esitò ma, alla fine, riluttante si spostò e lasciò che Liam si avvicinasse alla porta. Non ne era felice, ma da come si erano parlati la sera prima, e da come lei lo aveva difeso, la principessa doveva avere molta considerazione di quel giovane.
Liam bussò. «Ehi… ehm… ascolta, lo capisco. Ti senti in colpa perché non sei riuscita a salvarle. È normale. Però, ci saranno sicuramente altre occasioni. Ci hai provato, hai corso, ma non è bastato. Non è stata colpa tua. Lascia che io apra la porta. Non vuoi allenarti? Se te ne stai chiusa in camera, come speri di cambiare le cose?», fece una pausa chiedendosi se almeno lei, dall’altra parte, stesse ascoltando. «Dai... »
Alexander e Liam udirono i passi della principessa dall’altro capo della porta. Poi sentirono l'armadio strusciare lentamente sul pavimento. Era pesante anche per lei che aveva muscoli ben allenati. Quando Liam aprì la porta, lei era ancora appoggiata con la schiena al fianco dell'armadio, per spingerlo di nuovo al suo posto. Si fissarono per pochi secondi, giusto il tempo che ebbe Alexander per entrare ed interrompere il loro sdolcinato scambio di sguardi.
  «Dobbiamo andare al campo.» disse il generale.
  «Liam si allenerà con me.»
Alexander non osò contraddire il volere della sua principessa.
Proseguì con loro, giù per la scala a chiocciola della torre, fino al campo, che si trovava alle spalle del castello, ma sempre entro le mura. Un tempo lì c’era un giardino, ma, da tempo, nessuno se n’era più preso cura e non era rimasto altro che qualche albero, da usare per gli allenamenti.
  «Mi farai fuori in un attimo.» disse Liam alla principessa quando giunsero lì, nel tentativo di risollevarle un po’ il morale, col suo tono giocoso.
  «Lo so. Ti ho visto ieri sera.»
  «Oh… mi hai visto… speravo di no.»
  «Però ammetto che hai reagito piuttosto bene, quando il licantropo ti ha spinto al suolo, ti sei rialzato subito.»
  «Se non fosse intervenuto il generale… » iniziò Liam, dando un’occhiata alle sue spalle ad Alexander. «Avrei scoccato la mia freccia.»
  «Devi allenarti meglio. Sei stato impulsivo e ti sei avvicinato troppo. Avresti potuto essere morso.»
  «Non accadrà più, d’ora in poi. Lo prometto.»
Liam non era come la principessa. Non era così bravo a riflettere ed ideare strategie. Aveva visto il pericolo e si era apprestato ad intervenire, senza fermarsi troppo a pensare. E purtroppo quello non era il suo unico problema. Liam non era affatto in grado di combattere e lo dimostrò, ancora una volta, davanti a molti dei soldati dell’esercito della principessa.
Era finito al tappeto nel giro di pochi minuti. I soldati ormai erano abituati a vedere uomini cadere per mano della loro principessa. La cosa, infatti, non li sorprese più di tanto. Ma Liam si sentì a disagio in ogni caso. Euphemia gli tese la mano. «Non prendertela, mi alleno da più tempo di te.»
  «Resta imbarazzante, il fatto che io sia stato sconfitto da una donna… »
  «Non è colpa mia se sei solo una povera femminuccia. Sei così debole che potrei farti a pezzi.», c’era qualcosa di davvero molto strano nella voce della principessa. Non sembrava stesse scherzando.
Quando Liam sollevò lo sguardo, la vide ridere. Lo stesso sorriso che aveva visto sul volto di Ronny, quando il Maligno si era palesato nel suo tempo, per la prima volta. Gli vennero i brividi per l’aura malvagia che stava emanando la principessa.
No, non lei… Non poteva essere vero. Lei non poteva essere posseduta. Era una creatura di luce…
  «Liam? Ehi qualcosa non va? Stai bene?», Euphemia era davanti a lui, lo fissava perplessa e un po’ preoccupata. Lui la guardò dritto negli occhi, i suoi soliti attenti e premurosi occhi. «Non ti ho colpito così forte… » insistette lei con un’espressione confusa.
Liam le si scaraventò addosso, senza risponderle. La avvolse fra le sue braccia, felice e sollevato che lei stesse bene, e che lui si fosse sbagliato. Probabilmente era ancora sconvolto da ciò che era accaduto la sera prima. La strinse forte e la principessa non reagì. Di solito, coglierla di sorpresa era praticamente impossibile, eppure lui ci era riuscito. Ma non lo spinse via. Percepiva che qualcosa non andasse. Stava chiaramente tremando.
Il generale però non restò a guardare. Puntò la spada alla schiena di Liam. «Toglietele le mani di dosso.»
Liam dapprima rimase paralizzato, non si era reso conto di esserle saltato addosso. Immediatamente si staccò da lei. «Io… non so che mi sia preso. Scusatemi.» disse e, con passo rapido, si dileguò.
Euphemia trattenne il suo generale, che si apprestava a corrergli dietro. «Lascialo andare.» disse mentre guardava Liam allontanarsi, e chiedendosi che cosa lo avesse sconvolto così tanto.
Se Liam credeva che avrebbe evitato il discorso, si sbagliava di grosso. Euphemia non avrebbe fatto finta di niente, avrebbe cercato a tutti i costi una risposta, e di questo poteva starne certo.
Nella notte, infatti, lei sgattaiolò fuori dalla sua stanza, senza che i suoi soldati se ne accorgessero. Negli anni aveva imparato come scalare la sua torre. Per una che giocava fra gli alberi nel tempo libero, non fu particolarmente impegnativo.
Giunta a terra, sempre senza farsi vedere, si avvicinò alla finestra della stanza di Liam e la spalancò.
Ovviamente, il cigolio, prima, e poi il tonfo, quando lei atterrò all’interno, svegliarono Liam. «Chi c’è?» domandò saltando giù dal letto di scatto. Non ricevette risposta ma non poté fare a meno di notare quel bagliore rossastro, che proveniva dai capelli della principessa. Il ragazzo non fece in tempo a pronunciare il suo nome che – data la scarsa visibilità nella stanza, illuminata solo dalla luce della luna – lei s’imbatté in lui, colpendo la testa contro il petto di Liam.
  «Che ci fai qui?» le chiese.
Euphemia si strofinò con la mano la fronte dolorante. «Ahi…» disse e poi tornò immediatamente seria. «Mi dici che ti è preso oggi. Sembravi così spaventato… perché?»
  «Non era niente, non serviva tu venissi fin qui.»
  «Mi stai nascondendo qualcosa?»
Liam non voleva dirle cosa aveva visto. Non voleva farla preoccupare per una cosa così stupida. Era di sicuro dovuta all’esperienza della sera prima. «Non lo so perché l’ho fatto.» si limitò a dire.
  «Non è una risposta. Avevi lo sguardo perso e spaventato. Che hai visto?»
Perché non le sfuggiva niente? Liam avrebbe voluto che fosse più ottusa in quelle occasioni.
  «Era davvero così brutto? Ha a che fare con me, non è così?»
Mentre lei cercava il suo sguardo, nella fioca luce della luna, Liam continuava a tacere e ad evitare di incontrare i suoi occhi. Non voleva allarmarla.
  «D’accordo. Non insisterò, però sappi che non me ne dimenticherò. Credevo che gli amici si dicessero tutto.» disse prima di saltare giù dalla finestra. Questa volta non le importava se i suoi uomini l’avessero vista. «Vostra Altezza… » esordirono due soldati all’unisono, non appena la videro camminare per il borgo, diretta verso la sua torre.
  «Non una parola!», li mise a tacere e proseguì per la sua strada.
Uno ad uno, gli uomini si chinavano al suo passaggio, ma non osarono aprir bocca.
Euphemia non riuscì a chiudere occhio. Voleva sapere cosa lo avesse agitato fino a quel punto. Soprattutto non sopportava che Liam le nascondesse qualcosa, o le mentisse in quel modo. Credeva che dopo quelle settimane passate insieme, si fossero avvicinati, che potesse fidarsi di lui. Ma non era completamente sincero, e non era certamente un buon segno. Come Alexander amava rammentarle, quel ragazzo non era immune al controllo del Maligno. E lei stava abbassando troppo la guardia con lui. La possessione non sarebbe durata che pochi secondi, nel corpo di Liam, in cui non scorreva il sangue della famiglia reale, ma se in quei pochi attimi lui l’avesse avvicinata, e lei non lo avesse previsto, non avrebbe avuto scampo.
Stufa, di non riuscire ad addormentarsi, Euphemia lasciò la sua stanza.
Era appena sorto il sole quando il generale la vide dirigersi verso ciò che rimaneva del giardino reale. La seguì di soppiatto ma chiaramente la principessa percepì la sua presenza.
  «Qualcosa vi turba?» le domandò quando la raggiunse.
Euphemia non fu ovviamente sorpresa e continuò ad arrampicarsi. Si mise a testa in giù, appesa con le gambe ad un ramo. Aveva le braccia incrociate ed un’espressione pensierosa, mentre i suoi lunghi ricci fiammanti, raccolti in una treccia, dondolavano come la coda di una scimmia. «Ho solo bisogno di un po’ d’aria.» disse.
  «È un po’ presto non credete? Il sole è appena sorto.», le fece notare il generale ma lei non rispose. «È per quel giovane, dico bene?»
Lei sospirò. «Non pensavo fossero tanto evidenti i miei sentimenti.» mormorò.
  «Forse per lui non lo è. Ma io ho un intelletto superiore al suo.», Alexander non perse occasione per deriderlo.
  «Ed è meglio così.» pensò ad alta voce la principessa.
  «Lieto che la pensiate così anche voi. Temevo che avreste voluto annullare le nostre nozze.»
Euphemia saltò giù dall’albero. «Non temete, quando tutto questo sarà finito, Liam se ne andrà. Perciò smettetela di vederlo come una minaccia. Nessuno vi toglierà la vostra corona.»
  «Davvero credete che io voglia sposarvi per il trono? Tengo a voi da sempre. Non m’importa di regnare, non quanto starvi accanto per il resto della mia vita. È per questo che mi sono impegnato così tanto, per diventare degno di voi. Perché voi contate più di chiunque altro per me.», stava quasi per sfiorarle il viso ma esitò, incerto se rispettare o no i protocolli di corte.
La principessa scostò il viso, approfittando della sua indecisione.
Alexander amareggiato strinse il pugno. «Sono consapevole del fatto che voi non proviate lo stesso, ma spero che vorrete comunque permettermi di rendervi felice. Vi proteggerò e vi sosterrò, sempre.»
  «Non ne dubito. Sono certa di potermi fidare di voi e forse un giorno anche il mio cuore se ne convincerà.», la principessa si incamminò. «Adesso sarà meglio andare, gli uomini saranno già pronti per addestrarsi.»

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Capitolo 15
*** 14 - FIDUCIA ***


Nell’oscurità della notte, echeggiava il suono di numerose lame. Non sempre riuscivano a trafiggere i corpi dei loro nemici. Liam udì più volte colpi a vuoto, lame che squarciavano solo aria. I loro nemici erano troppo rapidi, perché le loro armi riuscissero sempre ad andare a segno. Nonostante tutto, la principessa ed il suo esercito, incessantemente affrontavano quei vampiri – che avevano di colpo attaccato le mura, che circondavano il palazzo ed il borgo antistante.
Euphemia era stata tra le prime a correre sulle mura, per fermare quell’attacco, non appena aveva udito il corno dare l’allarme. Sfortunatamente il numero di vampiri, che cercava di superare le mura, era troppo cospicuo perché lei rinunciasse a brandire la sua lama a favore dei suoi poteri.
Non era il primo attacco in quei giorni, eppure non era riuscita ancora a poter usare la sua luce. In biblioteca, mentre si allenava, era facile. C’erano solo lei e le creature. Le affrontava singolarmente. Mentre, in situazioni di emergenza e pericolo come quella, non c’era tempo da perdere, o quegli esseri sarebbero entrati ed avrebbero raggiunto gli abitanti.
Liam non si trovava sulle mura con la principessa. Non era ancora pronto ad agguati del genere. Se un singolo licantropo aveva potuto metterlo al tappeto, figuriamoci tutti quei velocissimi vampiri.
Era con altri soldati, a circondare il perimetro interno ai piedi delle mura. Teneva lo sguardo fisso verso l’altro, in caso qualche vampiro fosse saltato giù, superando le prime fila dell’esercito sulla muraglia.
Liam aveva con sé il suo arco ma le sue mani sudate e tremolanti non lo aiutavano molto. Era agitato. Si domandava se sarebbe stato davvero in grado di scoccare le sue frecce e proteggere gli abitanti della cittadella. Uno dei soldati in attesa, proprio come lui, cercò di tranquillizzarlo. «Non hai nulla da temere. Di solito nessuno riesce a superare le mura.»
Ma, al ricordo, di qualche notte prima – quando il lupo mannaro era riuscito a raggiungere la piazza – non si sentiva affatto calmo. Non solo per lui, anche per la principessa. Saperla lì in mezzo a chissà quanti vampiri, non gli faceva certo piacere.
Strinse ancora più saldamente il suo arco e cercò di concentrarsi e tenersi pronto.
Di tanto in tanto, dall’alto, cadevano pezzi delle mura o di armature. I soldati dovevano fare attenzione anche a non essere colpiti, soprattutto se a cadere erano spade o altre armi appuntite, quando i vampiri disarmavano i membri dell’esercito soprastante.
Purtroppo, a finire al suolo, erano anche cadaveri, o parti di corpi. Il problema era che alcuni erano anche stati morsi, e non tutti avevano il marchio a proteggerli. Perciò, anche quando sembravano morti non bisognava abbassare la guardia. Dopo pochi secondi, dalla caduta al suolo, alcuni si rimettevano in piedi e minacciavano l’interno delle mura.
Tutti quei cuori agitati di certo non erano d’aiuto per la loro sete di sangue.
Fortunatamente per Liam, le donne e gli uomini dell’esercito reale erano preparati ed in grado di agire repentinamente.
Anche Liam riuscì ad assestare qualche colpo. Mirava dritto ai loro petti e scoccava le frecce, non appena si accorgeva che i cadaveri si stavano rialzando, rimettendosi a posto le ossa e gli arti storti. Le mura erano alte almeno tre o quattro metri, nessun soldato poteva sopravvivere a tale caduta, soprattutto se scagliato con forza da un potente vampiro.
Nella città era ovviamente scoppiato il panico ed i soldati dovevano anche contenere la folla.
Euphemia continuava a cercare di fermare l’avanzata dei vampiri, affiancata ovviamente dal suo generale. Cercavano di non lasciarsi distrarre dalle grida che provenivano dal basso. Si fidavano del resto dell’esercito.
La principessa era intenta ad affrontare una vampira. Cercava di respingerla, ma lei stringeva la spada di Euphemia e la spingeva sempre più verso una parte delle mura priva di cornicione. Se avesse continuato a spingerla, la principessa sarebbe volata giù. Poteva già sentire mancare l’appoggio al suo tallone. Alexander si sbrigò ad intervenire. Corse nella loro direzione, evitando di colpire gli altri soldati intenti a combattere. Trafisse la vampira nel fianco e, con un calcio, nello stesso punto, la scaraventò via. Così facendo la principessa però perse definitivamente l’equilibrio. Alexander la afferrò per il braccio sinistro prima che lei volasse giù. I loro sguardi s’incontrarono e non ci fu bisogno di parole.
Liam assistette a tutta la scena dal basso. Era impossibile non notare il rosso fiammante dei suoi capelli intrecciati. Anche lei riuscì a vederlo. La principessa, infatti, istintivamente si era voltata, per qualche secondo, a guardare il vuoto che l’avrebbe aspettata, prima che Alexander l’avesse finalmente tirata sù.
Invece di rimettersi a combattere, Euphemia però si affacciò dalle mura per guardare nuovamente verso il basso. Liam era intento a guardare proprio nella sua direzione e, distratto, non aveva notato che uno dei soldati alle sue spalle si stava ridestando.
Il vampiro spinse Liam scagliandolo verso alcuni resti delle mura, che ovviamente lo ferirono ed il sangue non fece che attirare altri vampiri. Il giovane non riuscì ad afferrare arco e frecce per difendersi. Come zombie i soldati, che avrebbero dovuto essere morti, si diressero verso di lui, ancora non molto rapidi in fase di transizione. Liam provò a rimettersi in piedi, ma aveva battuto forte la schiena ed il dolore era troppo intenso. Non riuscì a fare altro che chiudere gli occhi nella speranza che qualcuno lo avrebbe soccorso.
Mentre aspettava la fine, Liam provò una strana sensazione di calore, ma nessun dolore, anzi si sentì calmo ed in pace.
Quando riaprì gli occhi, davanti a lui c’era una figura avvolta dalla luce. Non riusciva ad aprirli completamente, ma intravide i capelli della principessa e capì che era finalmente riuscita ad usare i suoi poteri.
La luce si fece sempre meno accecante e lui riuscì a vederla. Euphemia si chinò davanti a lui. «Stai bene? Ce la fai ad alzarti?» gli chiese esaminandolo in cerca di ferite.
  «Come hai fatto a– »
  «Non ha importanza, dimmi sono se stai bene.»
Liam annuì e lasciò che lei lo aiutasse a rialzarsi.
La visione che si trovò davanti fu sconcertante. Il suolo era ricoperto di sangue e di ciò che restava di armi, e purtroppo anche persone. I corpi dei vampiri si polverizzarono uno dopo l’altro mentre il sole si alzava alto in cielo, lasciando al suolo solo quelli dei soldati che purtroppo non avevano superato la battaglia.
Liam rimase davvero senza parole. Non aveva mai assistito ad una cosa del genere. Era davvero sconvolto. Purtroppo non riuscì a controllarsi. Si accasciò al suolo e cercò di trattenersi dal vomitare. Non voleva che la principessa lo vedesse in quelle condizioni, ma gli fu impossibile evitarlo.
Euphemia avrebbe voluto accarezzargli la schiena per alleviare il suo dolore, ma era ferito e gli avrebbe dato solo maggiore sofferenza.
  «Liam, devi farti medicare. Sei ferito.» gli disse.
Liam si ripulì la bocca, con la manica della casacca che indossava. Inspirò ed espirò prima di costringersi a rimettersi in piedi.
Quelli che, fino ad allora erano sembrati solo dei cadaveri, improvvisamente si rimisero in piedi. Liam afferrò il braccio della principessa prima che potesse proseguire. Lei gli accarezzò la mano e gli sorrise. «Non sono più vampiri. Vedi? Il sole ormai è sorto.» la principessa gli fece notare.
Liam li guardò sollevarsi uno dopo l’altro, completamente storditi, forse più di lui. «Ha funzionato?» chiese ad Euphemia. «La tua luce ha funzionato?»
La principessa annuì guardando tutte le persone la cui maledizione era stata spezzata. Diede l’ordine alla sua gente di aiutare i sopravvissuti ed i feriti. Poi si rivolse a Liam. «Devi farti medicare anche tu. Sei messo piuttosto male, anche se non puoi vederlo.»
Il pezzo di roccia, contro il quale Liam era andato a sbattere, gli aveva fatto un taglio profondo sulla schiena. «D’accordo.» disse semplicemente e lasciò che Euphemia lo aiutasse a proseguire.
Si stavano dirigendo verso il castello, verso la camera di Liam, quando Alexander gli corse incontro. Il generale aveva dovuto farsi due rampe di scale e qualche metro per poterli raggiungere.
  «Che cos’è successo?» fu la prima cosa che chiese.
La principessa smise di camminare e Liam fece lo stesso. «Non è il momento per le spiegazioni, date una mano ai feriti.»
Il generale lanciò un’occhiata furiosa prima a lei e poi a Liam. «Se non siete in grado, la prossima volta rimanete nascosto.» gli disse.
Liam non riuscì a sopportare il suo sguardo, perciò fissò inevitabilmente a terra. Si era distratto solo per un attimo, solo perché l’aveva quasi vista cadere. Voleva assicurarsi che lei fosse stata tratta in salvo, poi sarebbe tornato a tenere d’occhio i nemici.
  «Alexander.», la principessa gli fece cenno di andare dai feriti.
Il generale si inchinò e poi li lasciò soli.
Euphemia e Liam ripresero a camminare ma la principessa riuscì a fare solo pochi passi. Improvvisamente le forze le vennero meno. C’era da aspettarselo, dopo quanta luce aveva usato e quante persone aveva ritrasformato.
  «Euphemia!» gridò Liam afferrandola prima che si accasciasse al suolo.
Il generale si voltò non appena sentì chiamare il nome della sua principessa. Sbarrò gli occhi quando la vide priva di sensi fra le braccia di quel giovane, che lui considerava una minaccia.
Liam provò a sollevarla ma, se si muoveva troppo, la ferita sulla schiena bruciava tremendamente. Sperava che qualche soldato si apprestasse ad aiutare la principessa, con suo stupore, però, nessuno si stava avvicinando. Neanche il generale che tanto diceva di tenere a lei. «Che vi prende?» domandò Liam guardando tutti quegli uomini e quelle donne, che invece di intervenire se ne stavano fermi a fissarlo.
Finalmente Alexander parlò. «Dovreste essere morto.» disse facendo pochi passi avanti con cautela. Puntò la spada in avanti e continuò ad avanzare.
  «Di che state parlando?», Liam non capiva che cosa avesse intenzione di fare con quella spada. Di colpo la parte anteriore della lama si polverizzò. Liam sbarrò gli occhi. «Ma che… ?»
  «Sapete quanti sono morti avvicinandosi alla principessa, quando è priva di sensi? Cosa diavolo le avete fatto? Perché siete ancora vivo?» domandò il generale sconvolto e, allo stesso tempo, furioso di non poter avanzare di un altro passo.
Liam lo guardò perplesso. Non era la prima volta che le si avvicinava mentre lei era incosciente. Non era mai successo niente. «Non so di cosa state parlando.» disse, ma poi pensò a tutte le volte che il Gran Maestro gli aveva specificatamente detto di starle lontano. Forse aveva paura proprio di quel potere. Forse quello era proprio il potere che aveva fatto capire, ai Cavalieri, che quella giovane aveva ereditato la magia del sole da sua madre, che, anche se nata sulla Terra, una creatura di luce poteva sopravvivere e conservare i suoi poteri.
  «Non solo la sua barriera non vi ha ucciso, vi sta anche proteggendo. Comprendete il rischio di tutto questo? Voi non avete il marchio… » gli fece notare il generale.
Era di questo che Hyun-Shik aveva paura, non per la vita di Liam, ma per quella della principessa. Lei si fidava di Liam e se lui fosse stato compromesso, la principessa non si sarebbe protetta come avrebbe dovuto. E allora tutto sarebbe stato inutile. Liam non poteva assolutamente correre questo rischio. La distese delicatamente a terra e si allontanò da lei. Indietreggiò lentamente senza smettere di guardarla.
  «Ho bisogno di andarmi a medicare.» disse Liam stringendo con forza i pugni. «Prendetevi cura di lei.» sussurrò.
Alexander lasciò cadere al suolo ciò che restava della spada. «Di questo non dovete preoccuparvi. Non appena si sveglierà, la riporteremo alla torre.» disse il generale. Cercò di mantenere un certo contegno ma in realtà era furioso. Furioso che dopo tutti quegli anni, lei non si era mai fidata a tal punto, mentre quel giovane arrivato dal nulla, non aveva problemi ad avvicinarsi a lei.
Liam fece per andarsene ma il generale si rivolse di nuovo a lui, che rimase di spalle.
  «Non crediate che finisca qui.» gli disse Alexander. «Non mi importa se lei si fida di voi, io non accetterò mai la vostra presenza.»
Liam non rispose, amareggiato proseguì verso il palazzo dove c’era la sua stanza.

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Capitolo 16
*** 15 – FERITE ***


Quando Euphemia riaprì gli occhi, si accorse immediatamente di non essere nella sua stanza. Davanti ai suoi occhi non vi era il tetto ma le tinte rossastre del cielo al tramonto. Sollevò la schiena e vide Alexander in piedi ad almeno una decina di passi da lei. Sapeva cosa era successo. Euphemia si alzò in piedi.
Finalmente Alexander poté avvicinarsi alla principessa. «Vostra altezza, state bene?» le domandò, mentre ancora stava avanzando verso di lei.
  «Sì.»
  «Vi accompagno alla torre.» disse Alexander. Le offrì il braccio per sorreggerla. Ma lei proseguì da sola, con le sue forze. Lui la seguì, mantenendo una certa distanza. «Quella luce… siete stata voi è così?» chiese curioso.
Euphemia annuì. «Sì. C’è una cosa che non vi ho detto. La barriera non è l’unico potere che possiedo. Posso purificare quelle creature ed annullare la loro trasformazione.»
Alexander non fu sorpreso dalla notizia, sospettava già che ci fosse molta più magia in lei. «Capisco… È stato lui a farvelo capire? È per questo che è qui?» chiese e lei annuì. «Principessa, a proposito della vostra barriera… »
  «Mi dispiace, ero stanca ed ho perso i sensi. Non ho ferito nessuno vero?»
  «Liam– »
La principessa smise di camminare. L’ultima cosa che ricordava era proprio che lo stava riportando in camera sua. La principessa si parò davanti ad Alexander e lo guardò dritto negli occhi, visibilmente agitata. «Sta bene?» domandò. «Non ditemi che l’ho ferito, vi prego.»
L’espressione preoccupata di lei fu come una coltellata al petto per Alexander. «Era vicino a voi infatti, ma sta benissimo.» le rispose seccato.
  «Sta bene?», la principessa lo guardò confusa. «È vivo?»
Alexander annuì amareggiato. «Ho puntato la mia spada verso di lui e voi l’avete disintegrata. Lo avete protetto.»
Euphemia si sentì sollevata, per fortuna non gli aveva fatto del male. Ma, allo stesso tempo, non riusciva a nascondere la sua preoccupazione.
  «Sapete questo cosa significa? Non ha il marchio come noi, se si avvicinasse troppo, potrebbe farvi del male e voi non lo fermereste.»
Il generale aveva ragione. «Comprendo i vostri timori. Cercherò di fare attenzione.» disse, ma era consapevole di non poter controllare i suoi sentimenti. Ci stava già provando da un po’, evidentemente con scarsi risultati.
  «Dico tutto questo solo per il vostro bene. Ho bisogno di sapervi al sicuro.»
Lei annuì. «Lo so. So che avete ragione. Farò del mio meglio per non abbassare la guardia.» promise la principessa.
Lui le accennò un sorriso e poi finalmente ripresero a camminare.
Alexander la scortò fino alla torre e poi lasciò che fossero altri soldati ad occuparsi di lei.
Prima di andarsene il generale la guardò percorrere qualche gradino. Non poteva fare a meno di rivedere l’immagine di lei fra le braccia di Liam, e desiderare di trovarsi al suo posto. Scacciò via quel pensiero e tornò a fare quello che gli riusciva meglio, gestire e controllare l’esercito.
La principessa proseguì, scalino dopo scalino, fino a giungere nella sua camera. Si chiuse immediatamente la porta alle spalle. Poi si diresse verso la finestra. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, eppure Euphemia non riuscì a trattenersi. Si affacciò e diresse il suo sguardo al castello. Cercò la finestra di Liam, che dava proprio verso la piazza centrale della cittadella. La stessa da dove lo aveva visto saltare, qualche sera prima, per affrontare quella donna lupo.
Il cielo si era ormai imbrunito e lei poteva vedere la luce ancora accesa provenire dalla stanza di Liam. Euphemia non poteva fare a meno di pensare ai suoi vestiti impregnati di sangue e alla ferita che aveva sulla schiena.
  «Chissà se si sarà medicato… » disse sovrappensiero.
  «Euphemia!», era proprio la voce di Liam.
La principessa si accorse che la visione dalla finestra non era più la stessa. C’era la piazza e poteva vedere persino la sua torre. Guardando meglio il vetro, scorse il riflesso di Liam. Si voltò e lo vide. La fissava sorpreso e confuso mentre reggeva fra le mani la maglia che si era appena sfilato. «Da dove sei entrata?» domandò, la finestra era perfettamente chiusa.
La principessa era ancora troppo confusa per rispondere. «Io… », guardò di nuovo la finestra. «Io ero affacciata alla vetrata della mia stanza.»
  «È così che sei arrivata giù dalle mura?» domandò lui.
  «Penso di sì.» rispose Euphemia. «Io credevo di essermi spostata usando la luce, ma a questo punto direi di no.»
Non era il momento di parlare dei suoi poteri. Liam stava ancora perdendo sangue. La principessa svelta gli si avvicinò. «Che succede? Perché stai ancora sanguinando? Ti sei almeno medicato stamattina?» domandò esaminandogli la schiena. Le bende erano completamente rosse, doveva assolutamente cambiarle.
  «Sì che l’ho fatto. Ma non è stato facile da solo.» ammise lui. L’apprensione di Euphemia lo rese felice, più di quanto volesse ammettere.
La principessa iniziò a togliergli quelle bende, senza che lui potesse opporsi. «È chiaro, che tu non ti sia mai dovuto medicare, dopo un combattimento. Lascia fare a me.» gli disse.
In effetti, lui non aveva mai dovuto bendare una ferita così grande. Il taglio partiva da una spalla ed arrivava fino quasi al fianco. Sapeva solo che avrebbe dovuto usare dell’acqua calda per pulire la ferita. E purtroppo non era qualcosa che poteva fare da solo.
Euphemia gli disse di mettersi sul letto. Non sarebbe riuscita a ripulirgli la ferita per bene, dato che Liam era più alto di lei. Lui ubbidì. Si sedette, di spalle, con le gambe incrociate non troppo verso il centro del letto. Attese che lei si occupasse delle sue ferite. Era palesemente agitato, ma cercò di nasconderlo. Il battito del suo cuore, però, non poté fare a meno di accelerare ulteriormente, quando sentì il respiro della principessa sfiorargli la pelle. Liam deglutì e s’impose di mantenere il controllo. Fu davvero grato che lei fosse alle sue spalle e non potesse vederlo in viso, perché lui stava probabilmente arrossendo.
Euphemia gettò a terra le ultime bende insanguinate poi prese quelle pulite che Liam si era fatto dare dalle guardie. La principessa si avvicinò al comodino accanto al letto, dove era posizionata la bacinella piena d'acqua e vi immerse il lembo di tessuto. Dovevano avergliela portata da poco, perché era ancora bollente.
Liam approfittò di quel momento per respirare più profondamente, nella speranza di calmarsi e rilassarsi. Ma, quando lei si riavvicinò, tornò teso. Dovette costringersi a non sbirciare con la coda dell’occhio.
Euphemia ebbe qualche attimo di esitazione. La ferita era estesa e, di sicuro, lui avrebbe sofferto. «Adesso potresti sentire un po’ di dolore. Ma ho bisogno di pulire la ferita.» lo avvertì. «Cercherò di essere il più delicata possibile.»
Liam annuì e lei lentamente strofinò quella garza sul taglio. Lui strinse i pugni e cercò di resistere ma, più volte, ritrasse la schiena non riuscendo a sopportare il bruciore.
Euphemia gli afferrò la spalla sinistra – quella non ferita – per tenerlo fermo. Liam si irrigidì, non appena le dita di lei si posarono sulla sua pelle. Si dimenticò completamente del dolore, perché era troppo intento a pensare a quelle dita che gli sfioravano il collo e la spalla. Mentre lui si sentiva il cuore pronto ad esplodere, Euphemia era tranquilla e, con totale disinvoltura, continuava a pulire il taglio che squarciava la schiena di Liam. La principessa faceva sembrare quel momento così naturale. Forse era solo Liam a trovarlo quasi romantico. Lui scosse la testa. Doveva smetterla, non c’era proprio nessun romanticismo in quel gesto, e lui doveva mantenere le distanze.
  «Ho quasi finito.» annunciò la principessa, quando lui ritrasse la schiena per l’ennesima volta. «Devo solo bendarti.»
Liam, con uno scatto, scese dal letto, dal lato opposto a dove stava la principessa. «Non è necessario. Quello posso farlo da solo.»
Euphemia sbuffò ed alzò gli occhi al cielo. «Non devi sentirti in imbarazzo, ho medicato altri uomini. Persino Alexander una volta.»
  «Davvero non ce n’è bisogno.»
La principessa afferrò l’altra benda e girò intorno al letto per raggiungerlo. Non disse una parola, si limitò a fissarlo. Liam capì che non se ne sarebbe liberato facilmente. Sollevò le braccia e lasciò che lei gli avvolgesse la fasciatura. Liam guardava in alto, con tutte le sue forze, per non incontrare lo sguardo di lei. Trattenne persino il fiato.
  «Respira.» gli disse Euphemia quando lo liberò, da quella sorta di abbraccio. Poi si sollevò sulle punte per fasciargli anche la spalla. Liam portò indietro il viso istintivamente. «Vuoi stare fermo?! Ti sto solo medicando, non farti idee strane.»
  «La fai facile tu.» si lasciò scappare ad alta voce.
La principessa smise di fasciarlo. Doveva mettere le cose in chiaro, o non sarebbero riusciti a portare a termine nessuna missione. «Senti, non so che idee ti sei fatto, ma tra noi non c’è nulla.» disse stringendo i pugni. Cercò di sembrare più seria che poté. «Noi due siamo solo alleati per questa impresa, dopo, andremo ognuno per la sua strada, ognuno nel suo tempo.»
Liam però sapeva che stava mentendo, anche se il suo tono di voce fu piuttosto convincente mentre pronunciava quelle parole. «Non è quello che hai detto al generale, qualche giorno fa, nel giardino.»
Solo per un attimo, gli occhi di lei si spalancarono, poi tornarono subito normali. Non si era accorta che anche lui l’avesse seguita, ma non poteva vacillare. «Allora sai anche che ho un promesso sposo. E tu hai qualcuno da cui ritornare, quando tutto questo sarà finito. E soprattutto per questo che hai chiesto il mio aiuto, dico bene?»
Liam non rispose a quella provocazione. Sapeva perché lei stava provando ad allontanarlo, ma faceva ugualmente male. Si sentiva già abbastanza in colpa, senza che lei glielo facesse notare.
  «Fammi finire di fasciarti, poi ti lascio dormire.»
Liam rimase immobile, in silenzio, e non la fermò quando lei si avvicinò per completare ciò che aveva iniziato.
  «Cos’è questa?» domandò la principessa afferrandogli il braccio sinistro. C’era una scottatura.
  «Non sono abituato alle lanterne, mi sono scottato» si limitò a rispondere lui ritraendo il braccio.
  «Cerca di stare più attento. Devi tornare a casa sano e salvo.» disse Euphemia.
Liam annuì ancora un po’ irritato. « È meglio che tu vada ora.»
  «Già… Userò la porta questa volta.» disse lei, cercando in qualche modo di allentare la tensione.
  «Okay.»
Arrivata alla porta, però esitò a aprirla. «Allora vado.»
  «D’accordo. A domani.»
Euphemia finalmente uscì. Prima di andarsene restò qualche minuto appoggiata alla porta. Doveva trattenere le lacrime, non poteva lasciare che le guardie – che avrebbe incrociato – la vedessero in quelle condizioni. Aveva un’immagine da mantenere, non poteva permettersi di avvilirsi, soprattutto non per questioni sentimentali. C’erano cose molto più importanti e la priorità non era il suo cuore.
Fece un respiro profondo e prese a camminare. Le lanterne nei corridoi erano accese. Probabilmente perché ora quell’ala del castello era abitata. Ma, mentre percorreva quel corridoio, tutto si fece cupo. Di colpo Euphemia si fermò. Percepì come una strana sensazione di gelo alle sue spalle. Si voltò ed una melma nera la avvolse, prima che potesse anche solo pensare di gridare. Davanti ai suoi occhi non ci fu che oscurità.

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Capitolo 17
*** 16 – AD ALTA VOCE ***


Nell’immensa oscurità, si fece spazio una piccola fonte luminosa. La principessa cercò di metterla a fuoco, mentre si trovava su quello che sembrava essere terreno umido. Non era il pavimento di pietra del suo castello. Ma era troppo buio perché capisse dove si trovava.
Più la luce avanzava, più una figura si delineava dietro di essa. Quella luce doveva probabilmente essere una torcia, o una lanterna, e di certo qualcuno la stava reggendo.
Quando quel luogo fu più illuminato, Euphemia riuscì ad intravedere delle sbarre davanti a lei. Comprese che quella doveva essere una cella, anche se non aveva idea di come ci fosse finita.
L’uomo, che si palesò davanti alla principessa, aveva un’aria vagamente familiare. Cercò di metterlo a fuoco. «Chi siete?» domandò alzandosi da terra.
L’uomo si avvicinò alle sbarre ed Euphemia finalmente lo riconobbe. Era il volto che spesso aveva scrutato nell’unico dipinto che adornava la stanza della sua torre. Era più vecchio, ma era proprio lui. Erano passati quasi vent’anni da quando era stato ritratto, da quando il Maligno si era impossessato del suo corpo.
  «Benvenuta.» le disse l’uomo, che avrebbe dovuto essere suo padre.
  «Dove mi trovo?» chiese lei. Per quello che la poca luce le aveva permesso di vedere, quelli sembravano dei vecchi sotterranei.
  «Nel vero castello di questo regno, nella vera Faithbridge.»
  «Come mi avete portata qui? E cosa volete da me?»
  «Una domanda alla volta, mia cara.»
Euphemia si avventò contro le sbarre e quasi ringhiò. «Come mi avete portata qui?!» gridò.
Lui rise. Quello davanti a lei era chiaramente il Maligno, non suo padre. Non era che un contenitore e non aveva più alcun controllo sulle sue azioni.
  «Io sono ovunque, posso rapirti quando voglio.» le disse. «Ho colto l’occasione, non appena ti sei lasciata distrarre da quel giovane. È una rarità, vederti abbassare così tanto la guardia.»
  «Per tutto questo tempo… mi avete sempre tenuta d’occhio?»
Il Maligno accennò un sorriso. «Sono sempre stato con te. Con i miei occhi, e attraverso quelli delle mie creature. È divertente guardare il tuo esercito subire perdite, una dopo l’altra, e vedere te che ti tormenti per tutte quelle vite spezzate e ti illudi di avere ancora una possibilità di sconfiggermi.»
  «Io posso sconfiggerti!» disse lei sfidandolo con lo sguardo.
  «Non credo proprio. Sai c’è un motivo se ti ho portata qui, proprio ora. Ormai non mi servi più. Conservavo il tuo corpo per utilizzarlo una volta consumato questo. Ma, dopo quello che hai fatto ad i miei vampiri, sono piuttosto certo che tu non vada bene.» disse. Naturalmente sapeva già che lei era speciale, ma credeva che l’avrebbe avuta in ogni caso, perché tutti hanno un lato oscuro e lui avrebbe solo dovuto fare leva su di lei. Quella luce, quel raggio di sole dentro di lei, però, era come un lucchetto e con nessuna chiave avrebbe potuto aprirlo.
  «Fortunatamente» riprese a parlare. «Ho preso una precauzione tempo fa. Ho già qualcuno di sangue reale, che presto raggiungerà l’età giusta, per sostituire questo, una volta che si sarà deformato completamente.»
Euphemia sapeva che stava parlando del suo fratellastro. Colui che avrebbe dovuto ucciderla. Ma era troppo presto, sarebbe dovuta morire a ventisette anni. Il viaggio nel futuro aveva cambiato le cose, e ciò dimostrava che non tutto era perduto. Poteva ancora farcela.
  «Non finirà come credete.»
L’uomo ridacchiò. «Io credo che invece questo sarà il nostro primo ed ultimo incontro. Non uscirete viva da qui.», pronunciò quell’ultima frase con un tono inquietante, che persino la principessa, per un attimo, percepì un brivido percorrerle la schiena. «So che sei una valorosa combattente, quindi ho preparato qualcosa di molto particolare, per l’occasione. Sfortunatamente non potrò assistere alla tua fine, ho un’invasione al castello da pianificare. I miei soldati sono affamati.», le sorrise un’ultima volta, prima di iniziare a sciogliersi nella stessa melma nera che aveva catturato Euphemia per portarla lì. La lanterna cadde al suolo e, l’ormai secca e senza vita, erba – cresciuta prepotentemente negli anni – cominciò a prendere fuoco. La principessa cercò con tutte le sue forze di aprire quella cella, prima che fosse troppo tardi. Sbatté con la spalla più volte contro la porta delle sbarre. Le scosse, ma non ci fu modo di aprire la sua prigione.
Le fiamme si fecero sempre più alte e finalmente riuscì a vedere quanto grande la sua gabbia fosse. Sapeva che doveva esserci una ragione se la sua cella era così ampia. E ne ebbe la certezza quando due macchie rosse avanzarono verso di lei e, dal fondo della cella, apparve un gigantesco lupo nero. Si portò una mano alla cintura, alla ricerca della sua spada, ma il fodero era vuoto. La sua spada era rimasta sulle mura, quando si era magicamente teletrasportata per salvare Liam.
Ne aveva affrontati di licantropi, ma questa volta, rinchiusa e disarmata, si vide spacciata.
Il respiro tiepido del lupo si confondeva col calore provocato dalle fiamme. I suoi canini affilati grondanti di bava si fecero sempre più vicini. Euphemia provò ad indietreggiare, ma alle sue spalle non c’era più spazio. Sbatté la schiena contro le sbarre. «Non può finire così.» si disse. «Non posso lasciarlo vincere.»
Il licantropo ringhiò e lei trasalì. Euphemia cercò di ritornare in sé e di comportarsi con coraggio, come aveva sempre fatto. Prese un bel respiro e si concentrò. Poteva ancora usare la sua luce e rendere quella creatura innocua. Provò a fissare il licantropo negli occhi, ma non riuscì a vedere quelli che vi si celavano dietro. Era estremamente agitata, perché non vedeva alcuna possibilità di sopravvivere. Se non a causa del licantropo, sarebbe morta per le fiamme che ormai bruciavano l’intera stanza.
Gli occhi della principessa si fecero umidi e, prima che potesse rendersene conto, le lacrime avevano iniziato a scivolarle sul viso. Decise di chiuderli, forse se non lo avesse visto, non avrebbe sentito tutta quella pressione. Pregò che la sua luce finalmente funzionasse e che, una volta riaperti, si sarebbe ritrovata di nuovo a palazzo. Quando Liam si era trovato in pericolo, lei era in qualche modo riuscita a catapultarsi davanti a lui e a proteggerlo. Poteva farlo di certo anche per sé stessa.
  «Euphemia… », tra tutte le voci che avrebbe potuto udire, in un momento del genere, sentì proprio quella di Liam.
La principessa pensò che forse ci fosse riuscita, che si fosse di nuovo teletrasportata in camera di lui. Ma, quando riaprì gli occhi, le fiamme erano ancora lì. L’unica cosa che era cambiata erano gli occhi del lupo. Davanti a lei, non c’era più il possente e gigante licantropo ma Liam. Lui allungò una mano verso il viso della principessa e le asciugò le lacrime. Quel tocco era reale, lui era veramente lì. Per la principessa non fu difficile intuire cosa fosse accaduto. «Quella notte… sei stato morso per davvero.» sussurrò Euphemia. Con lo sguardo, cercò la cicatrice, che aveva detto di essersi procurato con la lanterna. Ma dovette fermarsi. Si coprì gli occhi non appena realizzò che Liam non indossava alcun indumento. «Liam… » disse cercando di guardare verso l’alto. Non ebbe il tempo di dire altro. L’espressione sul viso di Liam si fece sofferente. Sembrava fosse in preda ad un dolore insopportabile. «Che succede?» chiese lei.
Liam colpì con forza la porta della cella, che volò verso le fiamme.
  «Devi andartene.» le disse, mentre le vene gli pulsavano e si ingrossavano sempre di più sul viso, completamente in fiamme. Si accasciò a terra. «Mettiti in salvo. Non riuscirò a resistere a lungo.» insistette mentre fitte dolorose continuavano a pervadere il suo corpo.
  «Che vuoi dire? Ti ho guarito… »
  «Ti sembro guarito?!», Liam continuava a sforzarsi di non tornare lupo. «Te ne devi andare, le vedi le fiamme. Muoviti!»
La principessa si chinò davanti a lui. «Io non ti lascio qui.» disse afferrandogli il viso sofferente tra le mani.
Liam gliele spinse via. «Non c’è tempo per guarirmi. Corri!» le disse ringhiando.
Il volto di Liam stava iniziando a riprendere le sembianze del lupo. Le sue dita stavano diventando artigli. Alla principessa non sembrava affatto importare che a breve sarebbero finiti entrambi arrostiti. Dovevano uscire di lì entrambi. Non lo avrebbe mai lasciato lì a morire, nonostante lo odiasse per non avergliene parlato.
  «Ce ne andremo insieme.» disse e gli prese nuovamente il viso fra le mani, prima che si trasformasse completamente.
Euphemia appoggiò dolcemente le sue labbra su quelle di Liam per un breve istante poi tornò a guardarlo negli occhi. Lui la fissava di stucco, completamente sbalordito.
Le fiamme intorno a loro sparirono e lasciarono spazio alle mura della stanza assegnata a Liam. Euphemia c’era riuscita di nuovo. Sebbene non riuscisse a controllare quel potere, quando si trattava dell’incolumità di Liam, sembrava funzionare alla perfezione. 
La principessa si alzò in piedi e strappò una delle tende del baldacchino per lanciarla a Liam. Gliela gettò contro con rabbia, con tutte l’intenzione di colpirlo. «Adesso che ti sei calmato, ed il pericolo sembra momentaneamente soppresso, mi dici come diavolo ti è saltato in mente di nascondermi una cosa del genere?» gli domandò voltandosi di spalle.
Liam si alzò da terra e si avvolse la tenda intorno alla vita. «È davvero questa la tua prima preoccupazione?»
  «Io mi preoccupo per tutti qui. Da quella notte, eri una minaccia e non ti sei minimamente preoccupato di dirmelo.», si voltò per guardarlo furiosa. «Sai quante vite avresti potuto mettere in pericolo?»
Liam si scusò mortificato. «Hai ragione. Ho creduto che bruciando il morso non sarebbe successo nulla… stavo bene, almeno fino ad oggi. Non mi sono mai trasformato, non ho fatto del male a nessuno.» le disse avanzando verso di lei.
La principessa sospirò. «Lasciamo perdere, è stata davvero una pessima giornata. Lascia che io ti guarisca, poi penseremo al resto.»
Liam si avvicinò ad Euphemia, ma non ebbe il coraggio di incontrare i suoi occhi. Lei si guardò la mano, per qualche secondo, poi strinse il pugno. Non riusciva ad emanare la luce.
  «Forse ti sei sforzata troppo con i vampiri nell’agguato di ieri notte. Non ti sei ancora ripresa, hai anche usato i tuoi poteri per portarci qui.»
Lei annuì arrendevole. «Puoi resistere? O senti che stai per trasformarti?» gli chiese.
  «Grazie alla tua… trovata, ora sono abbastanza calmo.» rispose Liam.
Ma la principessa non si sentiva affatto sicura. Quella calma era solo temporanea. Se lei non lo avesse riportato alla normalità, non avrebbe potuto permettergli di restare. Il Maligno poteva vedere anche attraverso i suoi occhi. Tutti sarebbero stati in pericolo.
  «Non posso lasciarti da solo, non fino a che non ti avrò guarito.» gli disse.
  «Non avrai intenzione di restare qui tutta la notte?» chiese Liam perplesso.
Lei annuì. «Devo tenerti d’occhio. In ogni caso non riuscirò a dormire, dopo quello che è successo.»
Liam si avvicinò alla cassettiera per prendere qualcosa da indossare. Dava le spalle alla principessa che subito notò l’assenza della ferita sulla schiena di lui. Era completamente sparita, senza neanche lasciare una cicatrice.
Liam si affrettò ad indossare dei pantaloni, senza neanche togliersi la tenda che lo copriva dalla vita in giù. «Come ti sei ritrovata lì?» le domandò poi si infilò anche una tunica.
  «Mi ha presa il Maligno in persona. A quanto pare non ero abbastanza concentrata da accorgermi della sua presenza.»
  «Per colpa mia?» chiese lui senza voltarsi mentre richiudeva il cassetto.
La principessa non lo negò. Si sedette ai piedi del letto. «Vorrei che non fosse così, ma è inutile continuare a mentire a questo punto.»
Liam fece un bel respiro e poi si voltò verso di lei. «È lo stesso per me.» ammise lui, finalmente ad alta voce. «Ho cercato di fingere che non fosse così, ma quello che provo ormai non lo controllo più.», abbozzò un sorriso, mentre guardava in basso. La principessa sapeva cosa volesse dire Liam. «Mi sento terribilmente in colpa per questo, ma non posso farci nulla. Più dico di volermi allontanare, più mi ritrovo a camminare verso di te. Lo so che dovrò andarmene, che se finirà bene lei sarà lì, nel mio tempo, ad aspettarmi, ma… », Liam sollevò lo sguardo verso l’alto, cercando di non lasciar scivolare le lacrime. «… sono stanco di sforzarmi e di convincermi che le cose non siano cambiate. È successo, ed è troppo tardi ormai.»
Euphemia si alzò dal pavimento. Non ebbe neanche bisogno di correre verso di lui, si ritrovò magicamente con le braccia avvolte intorno al collo di Liam. Lui la strinse forte a sua volta. Si sentì così sollevato, per aver finalmente detto, ad alta voce, tutto ciò che si era tenuto dentro e non aveva voluto ammettere. Non si sentiva libero dal senso di colpa, ma riuscì almeno in parte ad alleviare il macigno che schiacciava le sue spalle.
Liam allontanò la principessa solo per poterla finalmente baciare. E, questa volta, non si accontentò di sfiorarle le labbra. La baciò con tutta la passione che aveva dovuto reprimere fino ad allora, e lei non lo respinse. Si abbandonarono a quel sentimento che avevano cercato di negare con tutte le loro forze, ma che ormai era troppo forte per poter essere controllato.

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Capitolo 18
*** 17 – FUOCO E GHIACCIO ***


Euphemia smise di baciarlo e lo allontanò per guardarlo dritto negli occhi. «Comunque, non me ne vado.» gli disse. «E non ti ho perdonato. Mi hai mentito, e su una cosa tanto grave per giunta.»
  «Mi dispiace. È stato da irresponsabili, lo so. Dopo aver bruciato subito la ferita, non mi sono mai trasformato, anche se ce ne sono state di occasioni per farlo, soprattutto a causa del tuo fidato generale.»
La principessa si avvicinò alla finestra. La piazza era vuota, le luci nelle case spente. Sembrava così calmo quel borgo quando non vi erano attacchi. Ma il male era sempre in agguato e anche per Liam era lo stesso. «Domani quando mi sarò rimessa in forze, ti guarirò.» disse decisa.
Liam la raggiunse. «Fino ad allora che intenzioni hai? Davvero vuoi restare qui, tutta la notte?»
La principessa annuì fissando ancora fuori. «Non farti strane idee. Voglio solo tenerti d’occhio e assicurarmi che tu non ti trasformi un’altra volta.»
  «Sai davvero come rovinare l’atmosfera. Come fai ad essere sempre così seria e distaccata?» disse Liam allontanandosi per sedersi a terra, ai piedi del letto. Da lì, la visione dei rossi capelli di Euphemia – contrapposti al cielo blu scuro – sembrava quasi magica.
  «Purtroppo per te, le mie priorità sono altre.» gli disse lei voltandosi verso di lui. Poi gli si sedette accanto. «Non voglio dire che non sei importante, è solo che tutto questo viene dopo. Ci sono cose che contano di più, in questo momento.»
Liam annuì. «Come la nostra missione.»
  «Già. Per ora non abbiamo fatto molti passi in avanti.» disse la principessa tirando verso di sé le ginocchia, per appoggiarci sopra il viso. «Avevi detto che il libro mi avrebbe mostrato come, ma non abbiamo ottenuto nulla.»
Liam le cinse le spalle, con un braccio, per tirarla sé. «Devi avere pazienza. Quando lo hai aperto, ti ha dato un indizio.»
  «Uno stupido e criptico indizio, che non mi serve assolutamente a nulla.» lo corresse la principessa.
 
“Colui che si è macchiato dei più grandi ed oscuri crimini non ha debolezze, se non il suo stesso nero ed impuro sangue.”
 
Era tutto ciò che il libro dell’Ordine le aveva rivelato. Ma non aveva alcun senso e, soprattutto, come avrebbe potuto prendere il sangue di quell’essere, come avrebbe mai potuto avvicinarlo tanto?
Euphemia adagiò dolcemente la testa sulla spalla di Liam. «Forse il libro che abbiamo qui non è aggiornato come quello che avete voi nel futuro… »
  «Il libro dell’Ordine e i Viaggiatori non sono vincolati dal tempo e dallo spazio. Succede una volta attraversato un passaggio spazio-temporale. Quello che trovo nel libro del mio tempo, posso trovarlo anche in quello che proteggono qui i Cavalieri.» le spiegò Liam ma, ben presto, si accorse che lei aveva chiuso gli occhi. Dormiva beata utilizzando la sua spalla come cuscino. Liam si lasciò scappare un sorriso. «E tu saresti quella che doveva tenermi d’occhio?», le sfiorò dolcemente la punta del naso con l’indice, poi restò per qualche secondo a guardarla. Euphemia riusciva a dormire così tranquillamente, anche se lei sapeva quello che Liam era diventato. Era ancora una volta, la dimostrazione che la principessa si fidava ciecamente di Liam, che era certa lui non le avrebbe fatto del male. Ed anche se lei non fosse riuscita ad aiutarlo, era certo che non avrebbe ceduto al licantropo dentro di lui. Non lo aveva fatto neanche nella cella di fronte alle sue lacrime. Non avrebbe mai potuto farle del male.
Liam la prese fra le braccia e la sollevò per adagiarla delicatamente sul letto. Poi si distese accanto a lei. Con sua sorpresa, la principessa lo cercò fino ad avvinghiarsi a lui. Liam non esitò ad avvolgerla tra le braccia. Poi chiuse gli occhi e cercò di addormentarsi. Purtroppo, però, come la prima notte che aveva trascorso in quella stanza, fu svegliato di soprassalto. Stavano suonando l’allarme.
Euphemia riaprì gli occhi e cercò di alzarsi, per intervenire istintivamente. Liam però le cinse i fianchi e la tirò a sé, costringendola a distendersi di nuovo. «Sta calma, non c’è nessun attacco.», appoggiò la fronte sulla sua schiena e rimase con gli occhi chiusi.
La principessa cercò di liberarsi. «Non lo senti l’allarme? Lasciami andare.» gli disse, facendo pressione sulle braccia di lui, per togliersele di dosso ma Liam non sembrava mollare la presa.
  «Non è nulla di grave. Ti stanno solo cercando, rilassati.»
Lei smise di dimenarsi e cercò di rigirarsi per guardarlo, almeno con la coda dell’occhio. «Come lo sai?»
Liam, sempre senza aprire gli occhi, s’indicò l’orecchio con un dito, mentre con l’altro braccio la teneva ancora stretta a sé. «Li sento.»
La principessa ricordò che non aveva ancora annullato la sua maledizione. «Giusto… Ma devi lasciarmi andare comunque. Questo è il secondo posto in cui Alexander verrà a cercare, dopo il campo di addestramento. Ti taglierà la gola se non mi lasci.»
Liam sbuffò e la liberò. «Che noia… » sussurrò destandosi.
  «E questo?» domandò la principessa quando, alzandosi, aveva notato un medaglione pendolarle al collo.
Liam sollevò la schiena e si sedette sul letto a gambe incrociate, accanto a lei. «L’ho preso al villaggio, in una rara giornata di quiete.» disse, mettendo il muso come un bambino. «Pensavo ti sarebbe piaciuto.»
La principessa esaminò quel ciondolo. Era una piccola medaglietta circolare d’ottone agganciata ad un cordoncino di cuoio. C’erano incisi dei fiori, ma lei non sapeva dire quali. Era esperta di combattimenti non certo di piante. Non li aveva mai ricevuti in dono, non che ne crescessero poi tanti nelle terre intorno alle mura.
Di colpo, Liam saltò giù dal letto e si avvicinò alla finestra.
  «Che succede?» gli chiese la principessa.
  «Draghi.» si limitò a rispondere lui.
Euphemia rapidamente lo raggiunse. «Maledizione.» disse. All’orizzonte, candidi puntini bianchi, che riflettevano la luce della luna, si dirigevano verso la loro città. «Sono draghi di ghiaccio. Tu non muoverti, sta qui nascosto, hai capito?» gli disse, prima di infilare il medaglione tra la tunica ed il corpetto. Non voleva rischiare di perderlo durante il combattimento. Poi scavalcò la finestra.
Liam le afferrò il braccio, prima che potesse saltare. «Posso esserti utile.»
  «Lui può vedere attraverso i tuoi occhi o controllarti, non posso occuparmi anche di te oltre che di loro. Ti prego, cerca di capire.»
Liam lasciò andare la presa. Annuì. Sapeva che aveva ragione. «Fa attenzione.» le disse.
Con un balzo, Euphemia, si precipitò fuori. Corse verso il centro della piazza dove si stava radunando il suo esercito. «Alexander, sono qui.» annunciò, quando anche il generale giunse lì di corsa insieme ad altri uomini armati.
Il generale le lanciò uno sguardo torvo. «Dove eravate? Come avete potuto girare disarmata?!» la sgridò, prima di tirarle la spada che avrebbe dovuto sempre avere con sé.
Euphemia la afferrò al volo. «Non è questo il momento per le prediche.» disse. «Abbiamo poco tempo. Quelli di voi più in grado di tirare con l’arco corrano sulle mura. Dobbiamo almeno tentare di fermare la loro avanzata.» ordinò. Le guardie annuirono e si apprestarono a fare come aveva detto loro. «Noi altri restiamo qui, li attaccheremo non appena planeranno verso il basso.»
  «Evitate il loro sputo gelido.» li avvertì il generale.
Se il loro ghiacciato respiro li avesse raggiunti, sarebbero morti. Nessuna fonte di calore avrebbe potuto salvarli. Ogni volta che, la principessa ed i suoi soldati, li avevano affrontati, solo in pochi erano sopravvissuti.
  «State pronti.» disse la principessa impugnò stretta la sua spada. Per i draghi la sua luce non avrebbe avuto alcun effetto. Loro erano così da sempre. Erano creature originali, uomini fedeli al Maligno che come lui si erano deformati e tramutati in mostri. Non c’era speranza di salvarli, perché non erano stati infettati da morsi, la loro progenie nasceva già così.
Come era prevedibile, le frecce non riuscirono a fermarli. La loro pelle di ghiaccio era dura come una corazza. Gli uomini si spostarono appena in tempo prima che uno dei due draghi sputasse e congelasse parte delle mura. Poi, come aveva detto la principessa, il drago planò verso il basso e col suo gelido sputo lasciò una scia liquida dietro di sé. Fumava tanto era fredda. La principessa ed i suoi uomini indietreggiarono appena in tempo. Il drago si rialzò a mezz’aria, solo per voltarsi e planare nuovamente verso di loro. Questa volta la principessa ed il generale però non si limitarono a scansare il nemico. Si scambiarono una complice occhiata e, non appena il drago si abbassò abbastanza, loro gli corsero incontro con le spade sguainate. Il drago gli gettò contro il suo alito di ghiaccio. Alexander e la principessa si separarono ed evitarono il getto congelato. Gli passarono sotto le ali e con la lama riuscirono a tagliargliele. Il drago emise un lamento di dolore e poi finì al suolo. Non poteva volare ma poteva ancora sputare ghiaccio. Euphemia con uno scatto balzò sulla sua coda e la percorse fino a raggiungere il dorso del drago. Ebbe qualche difficoltà a raggiungere la testa, dato che il drago continuava a dimenarsi, e lei aveva più volte rischiato di perdere l’equilibrio. Ma alla fine ci riuscì e lo trafisse. La testa era l’unica parte più vulnerabile, dove la corazza di ghiaccio non lo ricopriva interamente.
Mentre il generale e la principessa si stavano occupando di quel drago, un altro stava sorvolando la città ricoprendo di ghiaccio le case all’interno delle mura.
Euphemia estrasse la spada e saltò giù dal drago. Il generale la raggiunse. «Qualcuno deve occuparsi delle case, bisogna liberare quelli intrappolati.» le fece notare mentre continuavano entrambi a guardare verso l’alto.
  «Dobbiamo pensare prima al drago.» disse, poi ordinò ad un uomo dell’esercito di darle il suo arco. L’uomo ubbidì e glielo consegnò. La principessa impugnò l’arco e l’uomo le porse anche una freccia. Seguì il suo obiettivo con la punta in attesa del momento giusto per scoccarla. La tirò, ma il drago la vide arrivare e la spinse via sputandogli contro. Euphemia si spostò appena in tempo dalla traiettoria del getto, ma perse l’equilibrio e finì al suolo.
  «Principessa!» gridò il generale senza poter fare nulla per aiutarla.
Il drago stava per dirigersi in picchiata verso di loro, quando stramazzò stecchito al suolo, frantumando parte delle mura. Una freccia lo aveva trafitto al centro della testa, proprio tra in due occhi ormai privi di vita. Alexander si voltò nella direzione da cui era arrivata la freccia e vide Liam, alla sua finestra con ancora l’arco tra le mani. Subito dopo diresse il suo sguardo alla principessa. Si precipitò a soccorrerla ma non poté toccarla. Era caduta in una delle pozze di acqua gelida lasciata dagli sputi di quei due draghi. Si stava rialzando in piedi completamente bagnata. La principessa si guardò le mani, erano già completamente blu. Anche il suo viso si stava impallidendo. Alexander fece un passo verso in avanti, ma lei scosse la testa. «Non avvicinatevi.» gli disse tremando. Sentiva le forze mancarle e se avesse perso i sensi, avrebbe fatto del male a chiunque nel raggio di pochi centimetri.
Liam si accorse subito che qualcosa non andasse. Nessuno stava facendo i salti di gioia per la disfatta dei draghi. Gettò a terra il suo arco e saltò giù dalla finestra. Corse in direzione del generale e, soprattutto di Euphemia. Prima che potesse avvicinarsi alla principessa, Alexander gli sbarrò la strada. «Non toccatela.»
Liam lo spinse e fece un passo avanti per poi fermarsi nuovamente quando fu lei a dirglielo. «È troppo tardi.» sussurrò Euphemia mentre continuava a tremare.
I suoi vestiti erano zuppi e anche le punte dei suoi capelli erano umide. Il suo viso era molto pallido.
  «Nessuna coperta potrà riscaldarla.» disse il generale alle spalle di Liam. La sua voce tremava. Era visibilmente scosso. «Non possiamo aiutarla.»
Liam scosse la testa. «No. Non è vero.» disse. «Ci deve essere un modo.»
La principessa incrociò le braccia continuando a tremare dal freddo. Ad ogni respiro, del fumo le usciva dalle narici. Stava congelando.
Alexander tremava con lei, incapace di fare qualsiasi cosa. «Non c’è.» sussurrò.
Ma Liam si rifiutava di crederci. Strappò il mantello dalle spalle del generale e lo appoggiò su quelle della principessa. Riusciva a sentire il freddo persino attraverso il tessuto. «Troveremo un modo per riscaldarti. Mi hai sentito? Tu hai ancora una missione da portare a termine.»
Euphemia avrebbe voluto credergli, ma ne aveva viste di persone morire congelate a causa di quei draghi.
  «Che aspettate? Prendete delle coperte!» gridò Liam, dal momento che nessuno stava dando degli ordini a quelle guardie impietrite. «Fate qualcosa!»
Ma nessuno si mosse. Sapevano che sarebbe stato inutile coprirla.
  «Occupatevi degli abitanti intrappolati nelle case.» ordinò il generale, poi si rivolse a Liam. «Portatela in camera vostra. Mi procurerò delle coperte ed acqua calda.» gli disse. Voleva credere che la principessa si sarebbe salvata. Sapeva che c’era della magia dentro di lei, forse poteva sperare ancora in un miracolo.
Liam la avvolse per bene col mantello. «Ce la fai a camminare?» le chiese. Purtroppo, non poteva prenderla in braccio, o si sarebbe esposto ai vestiti umidi che stavano già impregnando anche il mantello.
  «Sì.» rispose la principessa cercando di trattenersi dal tremare, ma inutilmente. Il freddo che stava provando era inimmaginabile.
Non fu facile per lei percorrere quei metri che la separavano dalla stanza di Liam, ma fece del suo meglio per giungere fino alla meta. Liam ogni tanto la strofinava – dove il mantello era ancora asciutto – nella speranza di riscaldarla.
Arrivati alla finestra, la aiutò a saltare dall’altra parte. Non c’era tempo per percorrere anche i corridoi. La principessa si accasciò al suolo, ma rimase lucida. Liam agilmente saltò dentro. Si chinò davanti a lei. «Non addormentarti.» le disse.
Lei annuì. «Mi servono dei vestiti.» mormorò.
Liam corse verso il cassetto e tirò fuori quelli che ormai erano i suoi. Con la stessa velocità tornò da lei. Glieli appoggiò sul pavimento, poi chiuse i vetri delle finestre per evitare altre fonti di freddo.
Euphemia con le mani tremanti si tolse il mantello di dosso ed iniziò a slacciarsi il corpetto.
Liam rimase girato di spalle, per lasciarle la privacy che lui non aveva avuto nella cella. Chi meglio di lui avrebbe potuto immaginare quanto si sarebbe sentita in imbarazzo. Perciò attese pazientemente che lei indossasse gli abiti asciutti.
Pochi minuti dopo sentì le gelide dita di lei sfiorargli la mano. Si voltò e, questa volta, poté prenderla in braccio. Era fredda e tremava, per quanto cercasse di trattenersi dal farlo. La distese sul letto come, poche ore prima, aveva già fatto. La coprì ma chiaramente lei continuava a rabbrividire.
Si sentì così sollevato di vedere Alexander spalancare la porta insieme ad altri uomini con numerose coperte tra le mani. Il generale le consegnò a Liam. Era l’unico a poter avvicinare la principessa. Anche se era sveglia, poteva sempre perdere i sensi da un momento all’altro.
  «Starà bene.» disse Liam mentre afferrava le coperte dalle mani del generale.
  «Voglio credere che abbiate ragione.» gli disse Alexander, cercando di contenere la sua evidente preoccupazione.
Liam distese una coperta dopo l’altra. La principessa continuava a tremare. «Funzionerà.» sussurrò chinandosi su di lei ed accarezzandole teneramente il viso sofferente e pallido. «Puoi sentirmi?» le chiese dolcemente.
Lei annuì. «Sì.» si sforzò di dire.
  «Sei una creatura di luce te lo ricordi. La tua luce è calda. Lo so che sei debole, ma prova ad evocarla. Fai un tentativo. Può funzionare.»
Il generale non poté fare altro che guardare impotente. Ma, in quel momento, poco importava che a starle vicino, a sussurrarle all’orecchio, era qualcun altro, voleva solo che lei stesse di nuovo bene. Pregò con tutto sé stesso che quel giovane avesse ragione.
Euphemia sollevò la schiena e tremando tirò fuori le sue mani dalle coperte. Si fissò i palmi pregando che la luce uscisse. Ma si illuminavano appena. Non riusciva a fare meglio di così.
Alexander distolse lo sguardo amareggiato. Non riusciva a guardare la loro unica possibilità andare in fumo. Neanche la magia con cui era nata poteva salvarla. Era tutto inutile.
Il palmo della mano sinistra della principessa iniziò ad illuminarsi ad intermittenza. Poi finalmente dopo qualche secondo si stabilizzò. Si fece sempre più forte ed Alexander si voltò speranzoso verso di lei. La pelle della principessa stava riprendendo un colorito più umano.
  «Sta funzionando.» sussurrò lei con gli occhi fissi sulle sue mani.
Liam inginocchiato ai piedi del letto sorrise felice, e sollevato che la sua ipotesi non fosse errata. Trattenne a stento le lacrime.
Quando si rese conto che la sensazione di freddo stava svanendo, la principessa spense la sua luce. «Credo possa bastare.» disse.
Liam le prese la mano, per controllare la temperatura. «Sei ancora un po’ fredda, ma non congelata come prima.» disse alzandosi dal pavimento. «Adesso hai bisogno di riposarti. È stata una notte piuttosto tormentata.»
  «Prima il fuoco, poi il ghiaccio… », la principessa sorrise trovando la cosa ironica.
  «Di che state parlando?» si intromise il generale. «Di che fuoco state parlando?»
Liam aiutò la principessa a distendersi sotto le coperte. «Niente di importante. Un problema con una lanterna.» mentì sperando che il generale non facesse altre domande.
Alexander strinse i pugni. Gli stavano nascondendo qualcosa e quella loro improvvisa complicità tornò ad infiammare il suo cuore, ora che il pericolo era scampato.
Il generale congedò i soldati che avevano portato le coperte e poi fece lo stesso. «Assicuratevi che su altezza si riposi.» disse una volta raggiunta la porta, poi amareggiato uscì richiudendola alle sue spalle.
  «Credo che neanche oggi potrò guarirti… » disse la principessa accucciata sotto le coperte.
Liam scosse la testa come per tranquillizzarla. «Non importa.» le disse chinandosi nuovamente per poterla guardare più da vicino. Le accarezzò la fronte. «Sono solo felice che tu stia bene.» si limitò a dire. Non poteva certo ammettere quanta paura per un attimo avesse provato.
Euphemia tirò fuori una mano da sotto le coperte per asciugargli una lacrima. «Sto bene ora.» lo rassicurò.
Liam le baciò la fronte. Poi le rimboccò le coperte e restò a vegliare su di lei per le restanti ore della notte ormai quasi giunta al termine.

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Capitolo 19
*** 18 – DEVE VIVERE ***


Euphemia era ancora debole e, per questo, non poté allenarsi il mattino seguente. Aveva provato a convincere Liam ed il generale che stesse bene ma la sua carnagione era ancora un po’ troppo pallida.
  «È meglio se restate ancora a letto.» disse il generale recatosi per controllare le sue condizioni. «Prima l’attacco dei vampiri, poi quello dei draghi di ghiaccio… un po’ di riposo non vi farà male. Vi farò portare qualcosa da mangiare.»
La principessa annuì, anche se non le faceva piacere poltrire e non essere di alcun aiuto. Prima che Alexander lasciasse la stanza, lo chiamò. «Posso avere almeno dei vestiti della mia misura, per favore.»
Il generale non si era affatto reso conto che lei indossasse i vestiti di Liam. Era così sconvolto da essersi fatto sfuggire un dettaglio del genere. Istintivamente rivolse uno sguardo a Liam che era seduto a terra. Di forte a quegli occhi accusatori, Liam balzò in piedi. «Si è cambiata da sola.» disse affrettandosi a chiarire quel malinteso.
Alexander sospirò. «Vi farò portare qualche abito dalla vostra stanza.» disse e, non appena terminò la frase, fece un inchino e lasciò la stanza.
  «Credevo ti piacesse indossare abiti maschili.» disse Liam sedendosi sul letto accanto a lei, quando la porta si chiuse e furono soli.
  «Solo quando devo dargli una lezione.» rispose sorridendo. Poi divenne seria e rivolse lo sguardo alla finestra. «Spero che oggi non ci sia alcun attacco, la città ha già sopportato abbastanza in questi ultimi due giorni.»
Liam le accarezzò la spalla. «Tu pensa a riprenderti. Hai usato i tuoi poteri per due notti di fila.»
  «Se conti anche le ore che sono rimasta priva di sensi, dopo l’attacco dei vampiri, direi che non ho mai fatto una pausa.»
  «Giusto, la barriera… », Liam si ricordò tutte le volte che con lui non si era attivata.
  «Con te non funziona, me lo ha già detto il generale.» disse lei voltandosi per guardarlo negli occhi.
Liam distolse lo sguardo. «Avresti dovuto dirmelo che rischiavo la vita. Anche quella notte in biblioteca, avrei potuto– »
  «In biblioteca? Nel tuo tempo?», la principessa lo guardò perplessa. Aveva iniziato a fidarsi di lui già da allora?
Liam annuì. «Ti ho sfiorato solo per svegliarti, non credevo fosse un’azione pericolosa. Hyun-Shik continuava a dirmi di starti lontano, ma non mi ha mai detto effettivamente il motivo.»
  «È più criptico di quel libro.» disse la principessa.
Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta. «Avanti.» disse Liam alzandosi in piedi, in caso fosse Alexander.
Una donna fece il suo ingresso. «Vostra altezza, vi ho portato i vostri abiti.» disse avvicinandosi per porgerglieli.
Euphemia spinse via le coperte e si accostò al bordo del letto. Allungò una mano e li prese. La guardia si congedò con un inchino e andò via chiudendo di nuovo la porta.
  «Esco anche io, così puoi vestirti senza fretta.» le disse Liam dirigendosi all’uscita.
La principessa sorrise di fronte al suo imbarazzo ma ben presto ricordò di quello che era successo nella cella la notte precedente. Anche lei si era sentita così, a disagio, nel vederlo senza vestiti. Per via della situazione d’emergenza, aveva semplicemente fatto finta di nulla. Arrossì al ricordo. Scosse la testa e cercò di darsi un contegno. Tolse i vestiti di Liam ed indossò i suoi, facendo attenzione a non togliere il medaglione che Liam le aveva regalato. Fu allora che si accorse dei piccoli cristalli che vi luccicavano sopra. Doveva essersi bagnato quando era caduta nella pozza d’acqua gelida. Cercò di toglierli con le unghie ma non ci riuscì erano saldi sulla medaglietta d’ottone. Euphemia sospirò. Non era riuscita a proteggerlo neanche per qualche ora. Lo nascose incastrandolo, ancora, tra la tunica ed il corpetto, nella speranza che non gli accadesse nient’altro.
  «Puoi entrare.» disse certa che Liam l’avrebbe sentita. Poi andò alla finestra e la spalancò, per poter guardare meglio quello che stava succedendo fuori. Da quando aveva aperto gli occhi, aveva sentito rumori vari, per lo più martellate. Dopo aver rimosso i corpi dei draghi, avevano ricoperto le pozze dei loro sputi con della terra. Non c’era altro modo per prosciugare quell’acqua che mai sarebbe evaporata via a quella gelida temperatura.
  «Che guardi?» chiese Liam entrando.
  «Abitanti coraggiosi, che dopo l’ennesima notte insonne, di paura, hanno ancora la forza di ricominciare.»
Liam si avvicinò a lei e si affacciò alla finestra. Uomini e donne stavano montando delle impalcature con tavole di legno lì dove il drago era caduto. «Mi dispiace.» disse lui voltandosi a guardarla.
Lei fece lo stesso. «Che vuoi che sia un muro, tu ci hai salvato.», gli sorrise. «Sembra che tu sia piuttosto bravo con l’arco.» ammise lei tornando a guardare fuori.
Liam sorrise compiaciuto. «Non sarò bravo a fare a pugni, ma con l’arco difficilmente manco il bersaglio.»
Bussarono nuovamente alla porta ed una delle guardie avanzò con un vassoio tra le mani. C’era un bicchiere di legno con dell’acqua ed una ciotola con quella che sembrava una zuppa calda. La guardia, stava per appoggiarlo sul mobiletto accanto al letto, poi però decise di portarlo direttamente verso la principessa, ancora alla finestra.
Liam lo guardò avanzare, mentre Euphemia restò di spalle ad osservare fuori.
Non appena il giovane ragazzo lasciò cedere al suolo il vassoio – e ciò che conteneva – la principessa si voltò di scatto e schivò il colpo che stava per sferrarle. Liam provò ad afferrarlo e trattenerlo prima che la colpisse ancora, ma invece fu scaraventato con forza contro la parete.
La principessa cercò la sua spada ma si accorse di non averla. L’aveva persa quando era caduta nella pozza gelida.
Il giovane si scagliò verso di lei, che lo evitò ancora una volta e lo respinse poi con un calcio. Lui finì a terra. Dal suo corpo una strana aura nera iniziò a diffondersi.
  «È posseduto… » sussurrò la principessa.
  «È così che dai il benvenuto a tuo fratello?» disse col capo chino. Non era la voce di un ragazzo così giovane, era la voce che aveva già sentito la notte che era quasi finita arrostita in cella. Era la voce profonda ed inquietante del Maligno.
Liam si rialzò in piedi. «Non è possibile… perché è già qui?» si chiese ad alta voce.
Il fratellastro della principessa lentamente si alzò. Intorno a lui quel fumo nero si faceva sempre più scuro. Rise e nei suoi occhi, totalmente neri, c’era solo il vuoto. Non era la prima volta che Liam vedeva quegli occhi.
  «Come ho detto non ho più bisogno di te. Tra qualche anno questo ragazzo sarà pronto per ospitarmi completamente.»
La principessa si mise in posizione pronta ad affrontarlo, anche se disarmata. Liam avanzò per affiancarla, cercando con lo sguardo il suo arco. Sfortunatamente, era a terra, ai piedi della finestra e non poteva raggiungerlo senza imbattersi nel ragazzo posseduto.
Il corpo di Liam iniziò a tremare, proprio come la sera in cui quella massa nera lo aveva avvolto e portato nella cella. Si stava per trasformare. Ben presto le sue dita iniziarono a ricoprirsi di peli e diventare sempre più simili a delle zampe. Le sue unghie assunsero l’aspetto di artigli affilati.
Ancora in parte umano, Liam balzò verso il fratellastro di Euphemia e lo spinse al suolo con un artiglio. Si preparò a sferrargli un attacco quando la principessa gli gridò di fermarsi immediatamente. «Non puoi ucciderlo!» gli fece notare. «Se vuoi rivederla, deve sopravvivere.»
Liam esitò ad attaccarlo ma non lo lasciò andare. Lentamente la sua mano sinistra – quella con cui era pronto ad aggredirlo – tornò alla sua forma normale, mentre la destra rimase pelosa ed appoggiata con forza sul petto del ragazzo, per tenerlo al suolo.
La porta si spalancò improvvisamente ed altre guardie accorsero. Allarmati dai tonfi provenienti da quella stanza i soldati erano intervenuti.
Liam ritrasse il braccio e lo nascose dietro la schiena, mentre le guardie afferravano quel giovane. L’aura nera era sparita e lui si guardava intorno spaesato, mentre veniva trascinato via.
Anche il generale giunse alla porta, qualcuna delle guardie era corsa a chiamarlo, mentre le altre avevano sfondato la porta.
Alexander sfoderò la sua spada per giustiziarlo. Ma, prima che potesse porre fine alla vita di quello che, per lui, era solo un intruso, la principessa parlò. «Legatelo per bene prima di metterlo in cella.»
Il generale la guardò perplesso. «Ha attentato alla vostra vita, non possiamo lasciarlo in vita.»
  «Non dovete ucciderlo, per nessuna ragione.» insistette Euphemia.
Liam strinse il pugno mentre, dietro la schiena, ancora nascondeva il suo artiglio. Senza quel ragazzo e la sua discendenza, Ronny non sarebbe neanche esistita. Anche se, al suo ritorno, Liam non avrebbe provato più lo stesso per lei, di sicuro voleva che lei vivesse spensieratamente, senza il controllo del Maligno.
Alexander rinunciò a ribattere alla principessa e, con le altre guardie, scortò il giovane nelle prigioni sotterranee.
  «Lo sai che non potrai tenerlo lì a lungo?» disse Liam ad Euphemia quando furono nuovamente soli.
Lei annuì. «Lo richiamerà a sé, come ha fatto con noi.» disse, poi si avvicinò a lui e gli afferrò delicatamente il braccio dietro la schiena per controllarlo. Era ancora più vicino ad essere una zampa, che una mano. Euphemia lo accarezzò. «Penso di potercela fare oggi.»
  «Sei ancora un po’ debole. Posso aspettare. Hai visto l’ho affrontato senza che lui mi controllasse.» le fece notare.
  «Solo perché ti sei trasformato una volta. Aspetta di farlo ancora ed il suo controllo avrà la meglio.» replicò lei e poi la sua mano iniziò ad illuminarsi. La appoggiò sul braccio di Liam. La luce iniziò ad irradiarsi non più solo dalla mano della principessa.
Liam restò in attesa che qualcosa succedesse ma, la trasformazione della sua mano, non sembrò fermarsi. Fece fatica a controllarsi. Il lupo dentro di lui, che per qualche minuto si era quasi calmato, stava tornando prepotentemente all’attacco per riprendere il controllo del suo corpo. «Non sta funzionando.» disse fra i denti. Era rosso in viso e le vene iniziarono a pulsargli così forte che sembrava stesse per esplodere.
La principessa si fermò immediatamente ed il suo corpo smise di emettere luce. Lo trascinò verso il muro, lontano dalla finestra, non poteva permettere che qualcuno lo vedesse. Lasciò andare il braccio di Liam e gli afferrò il viso dolcemente tra le mani. «Devi stare calmo. Non puoi trasformarti qui.», lo guardò dritto negli occhi, ormai rossi ed umidi di lacrime per il dolore.
Lentamente, Liam iniziò a fare dei profondi respiri e a tornare normale. Anche la sua mano era finalmente come avrebbe dovuto essere. Si lasciò cadere al suolo privo di forze. «Perché… ?» sussurrò senza riuscire a dire altro.
  «Non capisco. La luce ha funzionato, l’ho emessa. Perché ti ho provocato l’effetto contrario?», la principessa si chinò davanti a lui.
Liam scosse la testa ancora faticando a respirare. «Mi dispiace… »
Lei gli accarezzò il viso. «A me dispiace di non poterti aiutare.»
  «Non importa.» disse afferrandole la mano. «Anche se non dovessi mai riuscire ad aiutarmi, io mi controllerò come ho fatto poco fa e nella cella.»
  «Non potrai resistergli a lungo, non illuderti.»
Liam appoggiò la sua fronte su quella di Euphemia. «Lui non avrà potere su di me. Non ti farò mai del male, io userò quello che sono per proteggerti.»
La principessa non rispose ma pensò che probabilmente non riuscisse a guarirlo, proprio perché Liam era in qualche modo contento di essere più potente grazie a quel lupo dentro di lui.
  «Credo sia meglio che io torni nella torre.» disse rialzandosi in piedi Euphemia. «Dovrei stare a debita distanza da questo posto.»
  «D’accordo. Ti accompagno.»
La principessa scosse la testa. «Andrò con le guardie. Tu resta qui e cambiati.»
Liam si scrutò la tunica e si accorse che aveva lacerato in parte le maniche. Allora, annuì e lasciò che lei si allontanasse per dirigersi alla sua torre.
Come la principessa gli aveva detto, Liam si sfilò la tunica e ne prese un’altra dal cassetto. La indossò ed usò quella ormai rovinata per ripulire il disastro sul pavimento. La zuppa e l’acqua si erano ovviamente rovesciate a terra e a lui toccò ripulire quel miscuglio di verdure e liquido.
Mentre era intento ad asciugare la brodaglia udì delle voci in lontananza. Dopo essersi concentrato, riuscì a distinguerle e capire cosa stessero dicendo. Il fratellastro della principessa era riuscito a scappare. Proprio come Liam aveva previsto. Il Maligno di certo non avrebbe permesso che rimanesse rinchiuso in una cella.
Quando però Liam sentì le grida degli abitanti del villaggio, nella piazza, rapidamente si precipitò alla finestra. Gli uomini della principessa stavano rincorrendo il ragazzo, che non avevano neanche fatto in tempo a mettere in cella ovviamente.
  «Perché sta scappando?» si chiese Liam. Il Maligno avrebbe di fatti potuto richiamarlo a sé con la melma nera, non aveva bisogno di scappare. Eppure lui stava correndo con i suoi piedi. Era anche piuttosto veloce, quasi al pari di un vampiro. Forse perché il Maligno lo stava di nuovo possedendo. Infatti, l’aura nera lo avvolgeva, proprio come quando li aveva attaccati pochi minuti prima.
Il fratellastro della principessa però non sembrava avere l’intenzione di dirigersi all’uscita delle mura. Stava puntando proprio verso la sorella maggiore, che era quasi giunta all’entrata della sua torre.
Avvertendo il pericolo Euphemia aveva sfoderato la spada di uno dei suoi uomini e si era apprestata ad affrontarlo.
Diede ancora una volta l’ordine di non ucciderlo. Anche se confusi, gli uomini fecero come aveva detto. Accerchiarono il giovane ma l’aura oscura che emanava iniziò a prendere forma e a diventare come quella melma nera che aveva rapito la principessa già una volta. Gli uomini furono costretti ad allontanarsi ma la melma si espandeva e quando riuscì a raggiungere anche solo un loro piede, gli uomini cadevano al suolo con gli occhi spenti e privi di vita.
La principessa gli gridò di indietreggiare. «Fate attenzione!»
  «Vostra altezza, dobbiamo fare qualcosa!» incalzò il generale, mentre la melma continuava ad espandersi e succhiare via la vita dai suoi uomini.
Euphemia sapeva che aveva ragione ma non poteva farlo. Aveva già portato via Liam a quella ragazza, non poteva privarla anche della vita. Un giorno avrebbe voluto incontrarla, per potersi scusare con lei. Doveva trovare un altro modo.
Prima che potesse utilizzare il calore della sua luce per aiutare il fratello, una freccia lo colpì dritto alla nuca ed il ragazzo collassò al suolo. La melma si ritrasse verso il suo corpo fino a che non fu completamente assorbita. Euphemia sapeva già cos’era successo, guardò proprio in direzione della finestra di Liam. Lui era lì con l’arco ancora impugnato.

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Capitolo 20
*** 19 – SOLUZIONI ***


Non c’era tempo da perdere, non c’era altra soluzione. Non poteva permettere ci fossero altre vittime innocenti. Liam raccolse il suo arco da terra e lo impugnò, pronto a scoccare la freccia dalla sua finestra. Esitò, consapevole di quello che avrebbe comportato il suo intervento.
Le mani gli tremavano e non riusciva a vedere con chiarezza il suo obiettivo, nonostante l’animale che era diventato. Non vedeva altro che il viso di Ronny. Se avesse centrato l’obiettivo, non avrebbe più rivisto quel viso, quel sorriso. Il sorriso della ragazza per la quale aveva avuto una cotta, per quasi tutta la sua vita. Ma, non uccidere quel giovane, avrebbe significato perdere Ronny in ogni caso, perché non avrebbe potuto salvarla senza l’aiuto della principessa. Avrebbe perso entrambe e tante altre vite, nel corso dei secoli, se fosse rimasto soltanto a guardare. Doveva farlo, doveva lasciare andare quella freccia, non c’era altro modo per fermarlo. Liam era stato scelto per quella missione, il Gran Maestro si era fidato di lui, non poteva permettersi di fallire. C’era troppo in gioco.
Liam trattenne le lacrime e s’impose di non tremare. Fece un respiro profondo, poi scoccò la freccia e rimase immobile, come pietrificato, senza lasciare andare neanche il suo arco.
La principessa aveva lo sguardo sconvolto. Non poteva credere che Liam l’avesse fatto, che lo avesse ucciso. E si odiò per non avergli lasciato scelta, per aver lasciato che, a dargli il colpo di grazia, fosse proprio lui. Senza che potesse controllarlo, lei si teletrasportò ai piedi della finestra, di fronte a lui. «Non avresti dovuto farlo… » sussurrò.
Liam era troppo impegnato a trattenere le lacrime per poterle rispondere.
  «Se non avessi esitato, tu non saresti stato costretto a– », si interruppe quando, dal nulla, la melma nera ricomparve. Le avvolse le caviglie.
Alexander, e gli uomini sopravvissuti, non riuscirono a raggiungerla in tempo prima che ne fosse completamente ricoperta. Liam tornò in sé quando ormai era troppo tardi. Aveva proteso la sua mano, ma lei era già sparita per ritrovarsi al cospetto del Maligno.
Quando il buio la liberò, Euphemia si ritrovò in ciò che restava della prima sala del trono. Di quel trono che aveva causato tutto.
Il Maligno era furioso, non riusciva neanche a trattenere i suoi disgustosi e viscidi tentacoli malefici. Gli era stata portata via la sua ultima possibilità di sopravvivenza. Non aveva più molto tempo per potersi procurare un altro contenitore, di sangue reale, e continuare a regnare. Rabbioso, il Maligno raggiunse la ragazza sul pavimento e la afferrò per la gola con una mano sola. La principessa, ancora stordita, non riusciva a respirare.
L’essere oscuro notò immediatamente il sottile cordino che le cingeva il collo e finiva nel suo corpetto. Con uno dei suoi tentacoli melmosi tirò fuori il medaglione. «Deve essere prezioso per te, non è così? Te lo ha donato quel forestiero dico bene?»
La principessa non rispose, cercò di spingerlo via con le poche forze che le erano rimaste. Ma fu chiaramente un inutile dispendio di energie. Il corpo di suo padre possedeva una forza disumana.
Il Maligno ridacchiò. «Forse non è tutto perduto.» disse scaraventandola al suolo con forza. «Tu e quel licantropo potreste tornarmi entrambi utili. Forse tu sarai in parte una creatura del sole, ma hai sempre il mio stesso sangue malvagio e, unito a quello di un altro essere maledetto, potrebbe dar vita ad un essere dal sangue completamente impuro.» ipotizzò. Se avesse avuto ragione però, forse avrebbe potuto creare davvero un corpo quasi perfetto, che sarebbe addirittura durato più di tutti gli altri. «Potrebbe essere così malvagio da permettermi di possederlo fin dalla nascita.»
Euphemia, ancora china a terra, stringeva la collana che Liam le aveva regalato. Poi alzò lo sguardo. C’era rabbia mista a sfida nei suoi occhi. Non avrebbe mai permesso che quell’essere riuscisse nel suo intento.
Il Maligno le avvolse la vita e le braccia con i suoi tentacoli, per imprigionarla. Poi si diresse verso il trono, a pochi passi da lui, trascinandola con sé. Si accomodò con fierezza, tenendola al suo fianco immobilizzata dai viscidi tentacoli neri. «Bane!» gridò ed uno dei suoi vampiri apparve nella frazione di un secondo.
  «Ai vostri ordini.» disse inginocchiandosi e portando una mano al petto.
  «Prepariamoci ad accogliere i nostri ospiti. Non ci metteranno molto ad arrivare.»

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Capitolo 21
*** 20 – VERA NATURA ***


Alexander giunse alla finestra di Liam, quando ormai la principessa era scomparsa nel nulla insieme alla viscida poltiglia nera.
Liam era ancora sotto shock, per tutto quello che era appena accaduto. Le aveva perse entrambe in un istante. «No… » sussurrò scuotendo la testa. Non poteva succedere, non poteva perdere anche lei. Tutti i sacrifici che aveva fatto in quegli anni, tutte le volte che si era allenato e preparato per quella missione non potevano essere stati inutili. Quella freccia, che aveva appena scoccato, doveva essere servita a qualcosa.
Il generale richiamò a sé i soldati. «Dobbiamo trovare sua altezza. Dobbiamo far partire le ricerche immediatamente.» disse con la voce che gli tremava. Faticava a concentrarsi, era evidente. Era sparita davanti ai suoi occhi e non riusciva a non temere il peggio.
Liam riprese il controllo. Raccolse l’arco, che aveva lasciato andare quando aveva provato a salvare la principessa. «Io so dov’è.» affermò.
Alexander rivolse subito il suo sguardo a lui. «Come?»
  «Non c’è tempo per questo. Dobbiamo sbrigarci. Non ha più bisogno di lei, ed io ho ucciso la sua ultima possibilità.» disse Liam, poi saltò giù dalla sua finestra. «Sarà furioso, dobbiamo correre al vecchio castello di Faithbridge. È la sua tana.»
Il generale neanche si chiese come facesse a saperlo. Pensò solo al fatto che sarebbe stato un suicidio anche solo provarci. «Ci sono troppe creature in quella parte di territorio, non possiamo addentrarci. Non arriveremo mai vivi dalla principessa.» disse il generale.
  «Volete salvarla oppure no?! Senza di lei ogni cosa sarà perduta. Lei è la sola a poter salvare questa città.», Liam lo guardò dritto negli occhi.
Alexander strinse i pugni, lo sapeva anche lui che avevano bisogno di lei e di certo lui non voleva perderla. Perciò disse ai suoi uomini di prendere le armi.
Liam iniziò già ad incamminarsi verso il portone ai piedi delle mura. Rimase in attesa del generale e del resto dell’esercito.
Non appena, furono tutti pronti, procedettero rapidi. Si incamminarono a piedi, tenendo gli occhi bene aperti. La foresta oscura non era molto distante, ed in ogni caso era impossibile da attraversare a cavallo. Non era facile percorrerla, anche camminando a piedi il percorso era impervio. C’erano rami appuntiti e radici deformi a sbarrare la strada. Per non parlare delle creature maledette che la abitavano.
  «Non abbassate la guardia.» disse il generale ai suoi soldati quando vi si addentrarono.
I tronchi di quegli alberi erano neri, quasi come fossero infetti dal male che aleggiava in quelle terre. Era tutto molto buio, nonostante fosse ancora pieno giorno. Una fitta coltre di nubi scure si aggirava su quel luogo da brivido. Ad ogni minimo rumore o frusciare di foglie, gli uomini si guardavano intorno spauriti. Ma nessuno li attaccò. Ovviamente il generale ritenne la cosa piuttosto sospetta. E – ora che iniziava a ragionare – cominciò anche a domandarsi come facesse Liam a sapere dove cercare la principessa. C’era qualcosa di troppo strano sin dal giorno in cui quel giovane era arrivato.
Come tutti, Liam si guardava intorno sospettoso. «Qualcosa non va.» disse senza però cessare di camminare.
  «Deve essere una trappola.» disse il generale. «Forse non dovremmo proseguire.» pensò ad alta voce. Stavano mettendo a rischio la vita di troppi uomini.
Liam si fermò. «Probabilmente avete ragione. Non possiamo rischiare. Lasciate che io vada da solo, posso farlo.» propose.
  «Non se ne parla, io n–  »
  «Non vi fidate di me, lo so.» lo interruppe Liam. «Ma preferisco rischiare solo la mia vita, che quella di tutte queste persone. Alla fine di questa foresta, ci staranno probabilmente già aspettando, pronti a sferrare un attacco mortale.»
Il generale sospirò. «Molto bene, ma verrò con voi.» disse e poi incaricò una donna di guidare l’esercito al suo posto. «Tornate al castello. Se dovessimo fallire, qualcuno dovrà difendere le mura. Non sono rimasti molti soldati lì.»
La donna fece un leggero inchino e, accettato l’ordine del generale, fece dietrofront insieme agli altri.
Liam ed il generale invece proseguirono, sempre senza abbassare la guardia.
Quando furono abbastanza lontani dal resto dell’esercito, Liam si fermò.
Il generale si voltò alle sue spalle, per poterlo guardare. «Che vi prende? Avete sentito qualcosa?» chiese.
  «Così non va, stiamo procedendo troppo lentamente.» disse Liam impaziente. «Probabilmente, ora vi scioccherò, ma è l’unico modo per arrivare in tempo.»
Il generale non riuscì ad emettere alcun suono, né a fare domande, Liam iniziò a trasformarsi. Non importava quanto facesse male, doveva sopportare ed accettare il licantropo che era diventato se voleva salvarla.
Alexander sbarrò gli occhi e accennò un passo indietro. «Voi siete una delle sue creature… sapevo che mi nascondevate qualcosa.» disse minacciandolo con la spada.
Liam però abbassò il capo. Voleva che il generale gli salisse in groppa. Ma Alexander non sembrava averne alcuna intenzione. Il lupo avvicinò il muso al generale.
  «Se questo è un vostro inganno, sappiate che non mi arrenderò facilmente.», lo avvertì prima di salirgli sul dorso.
Il generale cercò di reggersi al manto del lupo, che – senza perdere altro tempo – iniziò la sua folle corsa attraverso la spettrale ed inquietante foresta oscura.
Alexander continuò a fare attenzione a tutto ciò che li circondava, anche se Liam procedeva troppo velocemente perché il generale potesse ispezionare i dintorni.
Alla fine, giunsero al termine della foresta incolumi, ma solo perché gli era stato permesso.
Davanti a loro della vecchia roccaforte non era rimasto che un rudere completamente ricoperto di vegetazione, appassita ed annerita dal male che abitava ormai da secoli quelle terre. Era proprio per questo che avevano dovuto lasciare quel luogo, divenuto invivibile dal giorno in cui quell’uomo si era completamente deformato. Non importava quanto lontano fosse il nuovo castello, ciò che restava di quell’uomo riusciva sempre a possedere i nuovi nati della stirpe reale.
Liam rimase lupo. Si sentiva più sicuro in quella forma, anche se sapeva che lo rendeva più vicino che mai al Maligno. Credeva però che, con la sua forza di volontà, sarebbe stato abbastanza forte da resistergli.
Liam procedette con in groppa il generale, verso il luogo in cui era stato catapultato la notte prima, di nuovo senza che qualche creatura li aggredisse.
Quando però furono abbastanza vicini, a ciò che rimaneva dell’ingresso, Liam udì dei rumori ed improvvisamente di ritrovò avvolto dalle catene. Il lupo si dimenò, nel tentativo di liberarsi,, e Alexander finì al suolo.
Dei vampiri si precipitarono lì. Afferrarono il generale, che non ebbe alcuna possibilità di opporsi alla loro morsa. Le creature avevano però l’ordine di risparmiarlo. Perciò, anche se avrebbero potuto, non lo uccisero.
Uomini falena e wendigo si occuparono invece del licantropo. Continuarono ad avvolgere il corpo del gigantesco lupo, ad aggiungere altre catene, fino a che lui non riuscì più a divincolarsi.
I due prigionieri furono trascinati, con la forza, nella sala del trono, al cospetto dell’oscuro Signore di tutte quelle creature.
Videro immediatamente l’uomo seduto sul trono.
Quando Liam vide i suoi disgustosi tentacoli, rammentò il giorno in cui Ronny l’aveva quasi ucciso. Anche nelle sue fattezze di lupo, riusciva a percepire la stessa paura di quel giorno. Ma, questa volta, non era lui quello in pericolo. Stretta nella morsa di alcuni, c’era la principessa. Il Maligno la teneva prigioniera, costringendola a stare al suo fianco. La pelle di Euphemia era pallida, segno che la stava stritolando già da parecchio. Almeno era ancora viva.
Il Maligno si alzò dal trono e diede il benvenuto ai suoi ospiti. «È un onore avere qui il valoroso generale ed il giovane che si illude di potermi contrastare.» disse avanzando proprio in direzione di Liam, trascinando con sé anche la sua prigioniera. «Ora ti dimostrerò che non puoi opporti alla tua vera natura.», allungò una mano verso il muso del lupo e lui sembrò addomesticarsi. Lasciò persino che quell’essere lo accarezzasse.
La principessa non poté fare altro che assistere impotente alla scena, consapevole della forza che avesse il richiamo del male. Il Maligno lo aveva creato ed era il suo padrone, Liam avrebbe potuto opporsi quanto voleva, ma alla fine avrebbe ceduto.
  «Uccidi quell’uomo.» il Maligno ordinò al lupo con un ghigno, indicandogli Alexander.
Le creature oscure lasciarono andare le catene ed il licantropo fu libero di dirigersi verso il generale.
Alexander non era spaventato, era furioso e lo sfidava con lo sguardo. Quello che aveva temuto, fin dall’inizio, era ormai una certezza. Aveva sempre sospettato che, quel giovane, si sarebbe rivelato solo un problema e sarebbe stato una sventura per tutti.
Il lupo tirò fuori gli artigli e sollevò la zampa, pronto a sferrare il suo attacco.

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Capitolo 22
*** 21 – AVVOLTI ***


Liam scaraventò, con un solo colpo, il generale verso ciò che restava di una parete. Fu così forte e violento che persino i vampiri che lo trattenevano si ritrovarono al suolo.
La principessa si dimenò, prigioniera di quella morsa malefica. Non poteva assistere, voleva intervenire ed impedire qualcosa, di cui Liam si sarebbe di certo pentito. «Fermati!» lo pregò, ma sapeva che non sarebbe cambiato nulla. Era uno schiavo del Maligno ormai e non poteva fermarlo neanche la sua voce, la voce della donna che amava. Euphemia, alla fine, non poté fare altro che arrendersi all’evidenza e restare a guardare, mentre il lupo ubbidiva agli ordini del Maligno.
Il licantropo ringhiò e mostrò i suoi canini affilati e bavosi, mentre Alexander dolorante cercava di rimettersi in piedi. Il generale decise di sfidarlo, che avrebbe tentato almeno di difendersi. «Che cosa aspetti?!» lo provocò sfoderando la sua spada.
Liam ringhiò di nuovo, mostrando le fauci, ma, invece di attaccare il generale, balzò verso il suo cosiddetto padrone e lo lanciò in direzione del suo tanto amato trono.
I tentacoli si allentarono e rilasciarono Euphemia, prima che venisse trascinata anche lei. La principessa finì a terra. Quando provò a rialzarsi, purtroppo le sue gambe non la sorressero. Era stata troppo tempo stritolata da quei cosi che i muscoli si erano completamente intorpiditi. Alle sue spalle, il Maligno si era già rialzato ed era furioso. Euphemia cercò di trascinarsi via ma la stanza si riempì di malvagie creature, non lasciandole scampo. Si erano radunate lì ed attendevano solo un suo ordine.
Il generale fu circondato senza alcuna possibilità di fuga. Riusciva appena a vedere la principessa a terra, attraverso quegli esseri che come un muro gli si erano parati davanti.
  «Adesso basta!» disse il Maligno, con gli occhi traboccanti di collera. Scagliò uno dei suoi tentacoli verso la principessa e le avvolse la caviglia. Mentre la tirava a sé, uno dopo l’altro quei serpenti di melma la attaccarono. La poltiglia nera avvolse completamente la principessa, fino ad arrivarle alla gola.
Liam, col muso, colpì i suoi simili per liberarsi la via e raggiungerla, prima che fosse troppo tardi.
Euphemia non riusciva più neanche a dimenarsi, tanto la morsa era stretta. Ben presto quella poltiglia avrebbe ricoperto anche le sue vie respiratorie e non avrebbe avuto scampo. Liam non poteva permetterlo. Si scagliò contro il Maligno ma, con un altra di quelle melmose protuberanze, che gli uscivano dalla schiena, lui respinse il lupo lanciandolo lontano, non molto distante dal generale ostaggio di altri suoi mostri.
Il licantropo però non si arrese, ripartì alla carica e questa volta il suo malvagio Signore non riuscì ad impedire la sua avanzata.
La melma nera, che avvolgeva la principessa, iniziò a ritirarsi e a risucchiare con sé anche quei tentacoli.
Euphemia riprese gradualmente a respirare, man mano che la poltiglia si riduceva e la lasciava libera. Tossì più volte, poi, anche la sua vista offuscata, tornò finalmente a funzionare chiaramente. Fu allora che si accorse che era il medaglione, che portava al collo, ad assorbire ciò che l’aveva fino ad allora imprigionata e stritolata. Non capiva che cosa stesse succedendo, ma non aveva tempo per farsi domande. Anche le creature lì presenti si stavano deformando ed il medaglione le stava, in qualche modo, risucchiando a sé. Euphemia guardò il licantropo, l’unico che davvero per lei contava. Intuì il pericolo. Si strappò dal collo la collana e corse verso Liam, con le ultime forze che le erano rimaste. Non avrebbe lasciato che anche lui sparisse. Gettò le braccia all’imponente collo del lupo. Si aggrappò saldamente al suo manto e sperò che quel medaglione – donatogli proprio da Liam – non glielo portasse via. Chiuse gli occhi mentre raffiche di vento soffiavano tutto intorno. Erano fortissime e portavano con loro polvere, foglie, rami e anche rocce. Persino Alexander dovette pararsi gli occhi ed imporre alle sue gambe di non cedere o sarebbe stato spinto chissà dove, da quella forza invisibile.
In pochi minuti il vento iniziò a placarsi. La principessa sentì delle braccia avvolgerla. Pregò che fossero proprio di Liam, quelle mani che le accarezzavano la schiena. Aprì gli occhi e allontanò il viso per poterlo guardare. Quando incontrò i suoi occhi color nocciola, Euphemia sorrise sollevata, trattenendo le lacrime. Poté finalmente tornare a respirare e a rilassarsi. Almeno fino a che non si avvicinò il generale. «Posso spiegarvi… » disse ma lui neanche la ascoltò. Si tolse il mantello e lo consegnò a Liam perché potesse coprirsi.
  «Che è successo?» domandò Liam fasciandosi velocemente la vita col mantello. «Come ci sei riuscita?»
La principessa scosse la testa e poi cercò il medaglione sul pavimento. Ma, quando abbassò lo sguardo, a terra, non molto lontano dal regalo di Liam, vide il corpo del re. Sembrava privo di vita ma, non appena i tre vi si avvicinarono, notarono che a fatica ancora stava respirando.
Euphemia con cautela si chinò, per verificare se stesse bene e se non fosse più posseduto da quell’essere oscuro.
L’uomo sollevò il busto dal pavimento ancora ricoperto di sterpaglie. Incontrò lo sguardo della giovane davanti a lui. Non poteva sapere chi fosse, ma gli bastò intravedere quei capelli e tutto gli fu chiaro. Solo una volta il re era riuscito a reggerla fra le sue braccia, mentre lei era ancora in fasce, prima che gliela portassero via.
Il re ancora debole, lentamente, allungò la mano per poterle accarezzare la guancia. «Mi dispiace.» sussurrò alla figlia.
Euphemia abbozzò un sorriso. Sapeva che non era colpa sua, che non lo aveva scelto.
Liam osservò la scena pensando al suo di padre. Fu felice che almeno lei avesse potuto riabbracciarlo.
L’attenzione del generale invece, piuttosto che da quella tenera visione, fu attirata dal medaglione sul pavimento. Si chinò e lo afferrò per il sottile laccio in cuoio spezzato. Era ricoperto di piccoli cristalli di colore rossastro. Era un rosso così scuro da sembrare nero.
Liam si voltò nella sua direzione, accorgendosi che lo stava scrutando. «Cosa avete visto?» domandò al generale.
  «C’è qualcosa sulla medaglietta in ottone.» si limitò a rispondere e lo porse a Liam.
Il licantropo lo afferrò, stringendolo per il cordino. Qualcosa gli diceva che era meglio non toccarlo. Lo esaminò. «I cristalli si sono anneriti.»
La principessa aiutò suo padre a rialzarsi. «Credo che il ghiaccio dei draghi, attaccato sulla superficie del medaglione, lo abbia ferito.» disse e poi mostrò il palmo della sua mano. «Ha ferito anche me quando l’ho stretto per proteggerlo, prima che lui mi imprigionasse.»
  «Era questo che intendeva il libro.» disse Liam e la principessa annuì ritenendo che avesse ragione.
Il generale si apprestò a soccorrere colui che avrebbe dovuto essere il suo re. «Lasciate fare a me. Voi sarete stanca, potreste perdere i sensi.» le disse. Era evidente che la principessa non avesse abbastanza forze per aiutare quell’uomo, che neanche si reggeva in piedi.
Euphemia annuì e lasciò che il generale sorreggesse suo padre, ridotto piuttosto male. Anche se il Maligno aveva lasciato il suo corpo, era comunque compromesso. I suoi organi, i suoi muscoli, tutto aveva subito dei danni e non sarebbe stato facile per lui riprendersi.
Alexander decise di portarlo in spalla. Il suo camminare, così a fatica, non avrebbe fatto altro che rallentarli ed il re necessitava di cure il più presto possibile.
Nonostante Alexander avesse il re sulle sue spalle – mentre percorrevano ciò che restava dei corridoi, di quel vecchio castello – non faticò affatto a rimproverare la principessa, ora che il pericolo era passato. «Avreste dovuto dirmelo, che cos’era.» disse riferendomi chiaramente a Liam.
  «Mi dispiace. Credevo che sarei riuscita a guarirlo, prima che lo veniste a sapere.» confessò Euphemia, mentre camminava accanto a Liam, abbastanza lontana dal generale e suo padre.
  «Ma non lo avete fatto. Avete lasciato che rimanesse un licantropo.»
  «No, ci ha provato ma non ha funzionato.» la difese Liam e le prese la mano, continuando a camminare. «E, comunque, lo avete visto anche voi, sono riuscito a mantenere il controllo.»
  «Non all’inizio. Vi ricordo che mi avete colpito, e non mi pare abbiate trattenuto la vostra forza.»
  «Era per liberarvi da quei vampiri.» rispose Liam e, a quel punto, il generale non poté replicare.
Procedettero in silenzio fino all’uscita. Quando la varcarono, davanti a loro non c’era più nessuna oscura foresta. Non c’erano più alberi, solo un’immensa distesa di terra incolta e, all’orizzonte, potevano già scorgere le mura della loro città.
La principessa si guardò intorno. «È davvero finita.» disse abbozzando un sorriso. «Finalmente la vita potrà tornare a scorrere felice come un tempo.», poté tirare un respiro di sollievo.
  «Sarò tranquillo solo quando questo giovane se ne tornerà da dove è venuto.» disse il generale, rammentando alla principessa le sue stesse parole. Lo aveva detto di proposito, per ricordarle che Liam avrebbe dovuto andarsene, ora che tutto era finito.
I volti di Liam ed Euphemia si incupirono di colpo, ma ciò nonostante proseguirono in direzione del castello. Erano consapevoli che quel momento sarebbe dovuto arrivare, prima o poi. E non avrebbero potuto impedirlo in alcun modo.
Si tennero per mano, approfittando di quegli ultimi momenti che avrebbero passato insieme prima della successiva luna piena.

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Capitolo 23
*** 22 – NON TI SCORDAR DI ME ***


Quando Liam aprì la porta della nuova camera della principessa, lei era seduta sul bordo del letto. Stava contemplando il medaglione che lui le aveva regalo. Appena lo vide entrare, ripose il ciondolo in una piccola scatolina di legno, che teneva appoggiata sulle gambe.
Liam si chiuse la porta alle spalle e si sedette accanto a lei. «È quasi il momento.» disse, con aria non molto felice e con lo zaino già in spalla.
La principessa annuì. «Già… ormai si sta facendo buio. Sei pronto?»
Liam scosse leggermente la testa. «Sono un po’ preoccupato per quello che mi aspetta dall’altro lato.» confessò. «Ho paura di tornare e di trovare ogni cosa esattamente come prima.»
  «Andrà tutto bene.» disse lei accarezzandogli la spalla. «Finalmente potrai avere una vita normale.»
  «Io sì… ma lei… Ronny non ne avrà mai la possibilità.» disse Liam guardando verso il basso. Non rimpiangeva la scelta che aveva fatto, ma non poteva certo esserne felice.
  «Lo so. Mi sento così in colpa per aver lasciato che fossi tu a– », la principessa non riuscì a terminare la frase. «In ogni caso, tu devi vivere anche per lei. Quando tornerai, non gettare la tua vita, dalle un senso. Non abbiamo sacrificato tanto per nulla.»
Liam annuì poi appoggiò la fronte su quella di lei. «Sai che significato hanno quei fiori, incisi sul medaglione?» le chiese a bassa voce e con gli occhi chiusi.
Lei scosse la testa, senza staccare la fronte. «No… »
  «Arrivederci… » le rispose, afferrandole dolcemente il viso tra le mani e riaprendo gli occhi, per specchiarsi nei suoi. «… con la promessa di un amore eterno.»
  «Liam… », la principessa non avrebbe mai voluto che restasse attaccato al passato, doveva andare avanti.
  «Non voglio credere che questa per noi sia la fine.» disse, prima che lei potesse continuare la frase. «Un giorno forse troveremo un modo. Ma sappi che, qualsiasi cosa accada, io non ti dimenticherò. Non dimenticherò tutto quello che abbiamo passato. Custodirò ogni momento trascorso con te. Come conserverò i ricordi di Ronny per il resto della mia vita.»
La principessa trattenne le lacrime con tutte le sue forze.
Liam cercò di mantenere i nervi saldi e sembrare il più calmo possibile, anche se dentro stava per crollare. Le sorrise e poi la baciò un’ultima volta, prima di usare le sue labbra per pronunciare l’incantesimo che lo avrebbe riportato a casa.
Quando il portale si aprì al centro della stanza Liam vi si avvicinò. Poteva già vedere l’interno della biblioteca, dall’altro lato di quel vortice luminoso, che faceva da porta nello spazio-tempo.
Prima di attraversarlo, Liam si voltò a guardare la principessa che cercò di sorridergli con tutte le sue forze. Lo salutò con la mano e lui finalmente, dopo un respiro profondo, si fece coraggio e tornò da dove era venuto.
Liam pronunciò le parole per chiudere il portale, continuando a sorriderle mentre quella porta magica si restringeva sempre di più, fino a chiudersi definitivamente.
La principessa si accasciò al suolo priva di forze. Aveva fatto del suo meglio per resistere ma quell’addio le spezzò il cuore. Era così ingiusto che, dopo aver adempiuto alla sua missione, dopo tutti quegli anni a combattere, lei non si meritasse la felicità. Ma forse questa era proprio la sua punizione per non essere riuscita a salvare Ronny, e per averle portato via il ragazzo che lei amava.
Il generale bussò alla porta. «Vostra Altezza, il re ha bisogno di voi.» le disse entrando. «Che succede?» domandò vedendola sul pavimento.
  «Se n’è andato.» sussurrò con voce tremante, prima di forzarsi a rimettersi in piedi. «Qualcosa non va?»
Il generale esitò vedendola provata, ma alla fine parlò. «Le sue condizioni non sembrano migliorare… credo che potrebbe non passare la notte.»
La principessa fece del suo meglio per non abbattersi, ma il destino sembrava essersi accanito contro di lei. L’infanzia passata ad allenarsi, gli anni della sua adolescenza a combattere creature mostruose, forse non erano ancora abbastanza.
Aveva sconfitto il Maligno per cosa? Per perdere tutto?
Alexander le offrì un braccio. «Vi accompagno nelle stanze di vostro padre.» le disse.
La principessa accettò il suo aiuto, si sentiva ancora un po’ debole, ma non sul punto di svenire. Iniziarono a camminare verso la porta. Intrapresero poi il corridoio che portava al capezzale del re.
  «Grazie.» sussurrò lei.
  «Ve l’ho detto, io ci sarò sempre per voi.» affermò Alexander.

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Capitolo 24
*** 23 – FINALMENTE A CASA ***


Il Gran Maestro accolse Liam a braccia aperte. «Ci sei riuscito ragazzo!», disse abbracciandolo. Non si era mai permesso una tale dimostrazione d’affetto.
  «In realtà è stata tutta fortuna… » sussurrò mentre l’uomo lo stritolava ancora.
  «Bentornato a casa.» disse una voce familiare alle sue spalle, non appena Hyun-Shik lo liberò. Era una voce che non aveva sentito per così tanto tempo. Liam si voltò e vide suo padre, in piedi davanti a lui con uno splendido sorriso.
  «Sei davvero tu?» domandò il giovane avvicinandosi lentamente, ancora incredulo.
  «In carne ed ossa.» rispose Mitchell.
Liam esitò ma alla fine corse ad abbracciarlo. Non riusciva a credere che fosse reale. Almeno quella missione non era stata vana. «Ci siamo davvero riusciti.» sussurrò inarcando le labbra in un sorriso.
Di colpo la testa iniziò a fare male e Liam vide scorrere davanti anni ed anni passati con suo padre. Reminiscenze di un passato che non aveva mai visto prima.
  «Stai ricordando… » disse Hyun-Shik. «Tuo padre non ha mai perso la vita, perciò, sono tutti gli anni che hai trascorso con lui.»
Era una sensazione strana. Non li aveva veramente vissuti, o almeno così gli sembrava. Ma non aveva alcuna importanza, contava solo il fatto che suo padre stesse bene.
Da quei suoi nuovi ricordi, Liam aveva appreso anche c’erano altri cambiamenti. Quando, accompagnato dal padre, lasciò la biblioteca poté osservarli con i suoi occhi. Non aveva mai visto la sua città tanto affollata durante la notte, ma probabilmente neanche di giorno lo era mai stata.
Famiglie, gruppi di amici, coppiette. La gente passeggiava serena e chiacchierava tranquillamente, ignara di tutto quello che lui avesse passato perché gli fosse concessa tanta pace. Loro non potevano neanche ricordare come fosse prima la vita lì. A differenza dei Viaggiatori, che attraversavano i portali, la gente comune non aveva ricordi della vita precedente.
  «Vieni, andiamo. Tua madre ti starà aspettando.» disse Mitchell, intimando al figlio di affrettare il passo. Non perché avesse paura, non c’era più nulla da temere, voleva solo che Liam si ricongiungesse a sua madre. Mitchell voleva che tornassero ad essere una famiglia, proprio come quella nei suoi ricordi. Anche lui si era risvegliato a Faithbridge solo qualche giorno prima, nel letto accanto alla moglie, nella sua casa. Entrambi si erano guardati sconvolti prima di realizzare cosa fosse accaduto e riacquisire ricordi di un passato che non rammentavano affatto.
Eleanore corse incontro al figlio, prima ancora che lui potesse bussare alla porta. Appena lo aveva visto dalla finestra, non aveva potuto trattenersi. Per lei era passato solo qualche giorno da quando il figlio era uscito di casa, ma sapeva che per lui era passato molto più tempo, e soprattutto sapeva come lo aveva trascorso, perciò non poté non correre ad abbracciarlo. Lo strinse forte, orgogliosa di lui ma, prima di tutto, felice che fosse tornato sano e salvo. «Ero così preoccupata, ma finalmente sei tornato.»
  «Mamma lasciami andare ora.» disse Liam cercando di liberarsi mentre lei continuava a stritolarlo.
Alla fine Eleanore mollò la presa. «Vieni, sarai esausto.» disse.
Mentre si avvicinavano alla porta, Liam non poté fare a meno di notare la luce accesa nella casa dei vicini. Proprio in quel momento una ragazza uscì per buttare la spazzatura, nei bidoni sul vialetto. Ovviamente non era Ronny, non le somigliava neanche lontanamente. Come era successo per suo padre, di colpo rivide la sua infanzia con quella ragazza, che lo stava salutando come se lo conoscesse da sempre.
  «Hanna Edwards.» disse Mitchell, anche se Liam ormai ricordava quel nome. «I Tyler non si sono mai trasferiti qui, purtroppo.»
Liam sapeva che, anche se fossero stati lì, la sua amica d’infanzia non ci sarebbe stata in ogni caso. Salutò con la mano quella ragazza e poi rientrò con i suoi genitori.
Sua madre lo fece accomodare sul divano ma, nonostante la volesse sapere ogni cosa, non lo tempestò di domande. Lasciò che fosse lui a parlare.
  «Lo so che stai morendo dalla curiosità.» disse Liam fissando sua madre, che nel frattempo si era seduta accanto a lui. «Chiedi pure.»
Ma il marito la precedette. «Come ci sei riuscito?» domandò accomodandosi sul bracciolo del divano.
  «A dire il vero… » iniziò Liam. «… è stata solo fortuna. E non sono stato io, beh forse sì ho un po’ di merito, dal momento che il medaglione alla principessa l’avevo regalato io.»
  «Perché hai regalato un medaglione ad Euphemia?» domandò Eleanore.
Liam si schiarì la gola. «Questo non è importante.» disse poi proseguì col racconto. «Quando ci hanno attaccato dei draghi di ghiaccio lei lo portava al collo ed il loro sputo gelido ha formato dei minuscoli cristalli. Il Maligno si è ferito sfiorandolo, e, quando è entrato di nuovo in contatto con il suo stesso sangue, è stato… assorbito, spazzato via? Non ho ancora ben chiaro come sia successo, perché io ero– c’era vento e non ho capito molto bene neanche io.», ridacchiò nervoso. Non era il caso di dirgli cos’era diventato.
  «Capisco. Quindi non è stato necessario rivelare la tua vera natura.»
  «Mitchell!» gridò Eleanore.
  «Non gliene avevate parlato?» domandò l’uomo. «Avreste dovuto dirglielo prima della partenza.»
Liam si trovava in mezzo mentre i suoi genitori si preparavano a discutere. «Fermi, aspettate un attimo.» disse. Eleanore e Mitchell fecero immediatamente silenzio.
  «Non preoccuparti, non c’è bisogno che tu lo sappia ora.» disse sua madre sorridendogli dolcemente.
  «Voi lo sapevate?» domandò Liam sorprendendo entrambi. «Voi sapevate che cosa sarei diventato andando lì, e non me lo avete mai detto? Perché il Gran Maestro non me ne ha parlato?»
  «Il libro non voleva che tu lo sapessi.» gli rispose Mitchell.
  «Ma a voi l’ha detto.»
Eleanore fermò il marito prima che dicesse altro. «Lo sai come funziona, decide da solo. E comunque, non ha più importanza.» disse alzandosi in piedi. «Ora sei guarito, sei qui sano e salvo. Tu e la principessa ce l’avete fatta, e puoi finalmente vivere la tua vita, come un normale ragazzo della tua età.»
Liam sentiva che c’era ancora qualcosa che stavano omettendo intenzionalmente, ma non gli andava di chiedere spiegazioni. Era appena tornato, avrebbe avuto tutto il tempo di fare domande nei giorni a venire.
Mitchell gli appoggiò una mano sulla spalla. «Vuoi continuare l’università? O c’è altro che ti interessa?»
Il giovane ci pensò. Dai ricordi acquisiti, sapeva che si era riuscito a diplomare e che era anche stato accettato all’università. Frequentava corsi di storia, che era stata da sempre la sua passione.
Eleanore guardò l’espressione pensierosa sul volto del figlio. «Va bene se non vuoi andarci.»
Liam scosse la testa. «No, voglio riprendere i corsi. Voglio una vita normale e quella studentesca mi sembra un buon inizio.»
  «D’accordo.», Eleanore sorrise al figlio. «Sarai affamato. Ti preparo qualcosa da mangiare.»
Liam annuì. Finalmente si sentiva a casa.

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Capitolo 25
*** EPILOGO ***


Erano ormai trascorsi mesi da quando Liam aveva fatto ritorno nella sua linea spazio-temporale, e la vita aveva ripreso a scorrere serena come un tempo. Lui era andato avanti, beh almeno così raccontava a sé stesso. In realtà non aveva dimenticato affatto, e non riusciva a costringersi a farlo. In università lo conoscevano tutti. E non per le ragioni che la gente potrebbe pensare. Non era quello popolare, per cui le giovani donne perdevano la testa. Anzi, era lui che aveva perso la testa. Più volte aveva fermato ragazze, appena incrociate nei corridoi, solo perché aveva, per un attimo, visto il volto della principessa al posto del loro. Aveva perso il conto delle volte che si era dovuto scusare e difendere da accuse fasulle di stalking. Non era colpa sua, non riusciva ad evitarlo. La vedeva ovunque ed anche quando incontrava altre ragazze finiva sempre per paragonarle a lei. Eppure non era stato così, quando aveva perso Ronny, che conosceva da molto più tempo. Si odiava per questo, ma non riusciva a smetterla. Perché la verità era che lui continuava a credere che un giorno avrebbero potuto stare insieme, che fosse nel suo tempo o in quello di lei. Non riusciva ad arrendersi.
Anche quella mattina, come era già capitato centinaia di volte, aveva seguito una ragazza tra i corridoi affollati della sua università. L’aveva fermata per poi scoprire che non somigliava neanche lontanamente ad Euphemia.
Hanna intervenne prima che succedesse il disastro. «Devi scusarlo, ti ha confusa con un’altra ragazza.» disse alla studentessa, che sbuffò e proseguì per la sua strada senza replicare.
Liam sorrise nervosamente alla sua amica. «Grazie.»
Lei sospirò seccata. «Tu devi farti curare da uno bravo.» gli disse rimettendosi in cammino.
Liam la seguì. «Mi dispiace… credevo– »
  «Davvero di averla vista stavolta.» lo anticipò lei. «Lo dici tutte le volte ed invece va a finire così. Ti fissano tutti, vedi? Guarda che è grave, non dovresti prendere la cosa sottogamba. Dovresti parlarne con uno specialista.»
  «Lo so, che credi io sia pazzo, ma lei esiste.» insistette Liam.
Hanna sospirò di nuovo. Si fermò solo per voltarsi e guardarlo dritto negli occhi. «Liam, ti conosco da tutta la vita praticamente, non c’è mai stata nessuna ragazza dai capelli rossi. Te la sei sognata, cerca di tornare in te. O non potrò più farmi vedere insieme a te.»
Liam rimase fermo tra gli altri studenti, mentre Hanna proseguì senza guardarsi indietro. Lo sapeva anche lui che doveva fare qualcosa, ma non aveva il coraggio di parlarne col Gran Maestro né con i suoi genitori. Aveva paura che gli dessero una risposta negativa, perciò non ci provava mai veramente ad affrontare il discorso.
Imbarazzato dagli sguardi che ancora erano puntati su di lui, Liam si diresse al dormitorio e se ne tornò rapidamente alla sua stanza, pregando che il suo coinquilino non fosse stato lì.
Aprì la porta ed entrò. La richiuse immediatamente con tutta l’intenzione di buttarsi sui libri per cercare di non pensare, di distrarsi. Ebbe un sussulto quando se la trovò davanti. Euphemia era seduta sul suo letto, quello più in fondo alla stanza. Indossava una delle sue magliette dei supereroi. Proprio come nei suoi ricordi. Liam prese un bel respiro e proseguì verso la sua scrivania, decidendo semplicemente di ignorare la cosa, anche se era palese che non sarebbe mai riuscito a concentrarsi. Odiava la sua mente perché gli giocava quei brutti scherzi.
Come se non bastassero le sue visioni, non appena si sedette, la porta si aprì ed il suo coinquilino Jay entrò parlando a telefono a voce altissima, fregandosene di Liam, che cercava di studiare.
  «Per favore puoi abbassare la voce?» chiese Liam al coinquilino, senza fare troppe polemiche.
Jay, un po’ seccato, salutò la persona all’altro capo della cornetta e chiuse la chiamata. «Scusa amico. Comunque potevi dirmelo che avevi ospiti. Sai che esiste il cartello “non disturbare” vero?» disse riponendo il telefono in tasca.
Liam scattò in piedi e si voltò alle sue spalle, verso il suo letto. Euphemia lo guardava con le braccia incrociate. «Tu la vedi?»
  «Sì, non dovrei? Ah ho capito, va bene farò finta di non averla vista con i vigilanti, tranquillo.» disse Jay poi provò ad avvicinarsi ad Euphemia. «Wow, devi dirmi che prodotto usi per i capelli, sono così lumino– »
Liam lo spinse verso la porta e lo buttò praticamente fuori. «Mi dispiace. Hai ragione avrei dovuto mettere il cartello. Ti chiamo quando puoi rientrare.» gli disse e chiuse a chiave, così che lui non potesse riaprirla.
Tutto ciò che gli sentì dire fuori la porta fu: «Hanno ragione, è proprio pazzo.»
Ma a Liam non importava. Lei era lì, questa volta per davvero. Non se la stava immaginando. Euphemia si alzò dal letto e non riuscì a trattenere una leggera risata. «Perciò hai le visioni… », la sua voce non gli era mai parsa tanto reale.
Liam corse ad abbracciarla. Non gli sembrava vero che la stesse stringendo fra le sue braccia. Si sentì così sollevato, come se finalmente, dopo tanto tempo, lui potesse davvero respirare. «Sei qui.» sussurrò.
Lei annuì strusciando il mento sulla spalla di Liam che quasi la stava soffocando. Liam la lasciò andare solo per poterle afferrare il viso tra le mani. «Non ci posso credere.» disse continuando a scrutarla come per controllare ancora che fosse reale. «Come sei arrivata qui?»
Euphemia si staccò le sue mani dal viso e si sedette sul letto. «Ho memorizzato l’incantesimo che hai pronunciato quando te ne sei andato. Non credevo avrei davvero avuto bisogno di usarlo.», la principessa non sembrava avere un aspetto molto felice.
Liam si sedette accanto a lei. «Qualcosa non va? Non ha funzionato?»
Euphemia scosse la testa. «Ha funzionato, ma le cose non vanno bene comunque.» disse. «Mio padre non si è mai ripreso completamente. I suoi organi sono danneggiati, dopo anni di possessione. Perciò ho chiesto aiuto al Gran Maestro. Voi avete tecniche mediche più avanzate delle nostre. Lui ha accettato di fare uno scambio.»
  «Uno scambio?»
  «Ha detto che sarei potuta restare qui, e lui preso il mio posto nella mia dimensione spazio-temporale.»
  «Ma il Gran Maestro serve qui… »
Lei annuì. «Vero. Per questo tuo padre ne farà le veci.»
Liam sembrava perplesso, ma, in quel momento, niente contava più di lei. «Quindi, per quanto resterai?» le domandò, anche se non era sicuro di voler sentire la risposta.
  «È così importante per quanto tempo?» replicò lei con un’altra domanda.
Liam scosse leggermente la testa e poi le sorrise. «Hai ragione.» disse abbracciandola. «Sono solo felice che tu sia qui. Però c’è una cosa che devo dirti.»
Euphemia lo allontanò per guardarlo negli occhi. «Cosa?»
Liam esitò, ma alla fine trovò il coraggio di parlare. «Sono ancora un licantropo.» confessò timoroso della sua reazione.
Ma la principessa non era arrabbiata, era perplessa. «Ma… il medaglione ha assorbito tutto il male, tutte le creature. Anche tu dovresti essere guarito, come gli altri infetti.»
  «E invece no.» disse. «Ma tranquilla, non mi sono trasformato, non ho fatto del male a nessuno.»
  «Non capisco… Se non ti sei trasformato, come fai a dire che sei ancora un licantropo?»
Liam s’indicò il naso. «Il mio fiuto e gli altri sensi, sono ancora piuttosto sviluppati.»
  «Ma non ti hanno aiutato a capire che questa visione… », indicò sé stessa. «… fosse reale.»
Liam sorrise. «Giusto… beh la mia mente mi ha giocato un paio di brutti scherzi purtroppo.» disse e poi tornò a guardarla serio. «Non puoi neanche immaginare quanto tu mi sia mancata.»
  «Credo di averne un’idea.» disse lei.
Si abbracciarono di nuovo cercando di trattenere le lacrime di gioia, poi si baciarono per tutti quei mesi che erano stati separati.

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Capitolo 26
*** [ANTEPRIMA] The Harmony of the Darkness 2 - Rimpianti ed ambizioni ***


1 – giorni felici


La scritta “Benvenuti a Faithbridge” si faceva sempre più chiara e vicina su quel cartello al lato della carreggiata. Liam guidava tranquillo con Euphemia seduta sul sedile accanto al suo. Lei guardava fuori dal finestrino mentre muoveva la testa ed il piede seguendo il ritmo della musica alla radio. Aveva già fatto un viaggio in auto, quando Eleanore l’aveva accompagnata all’università da suo figlio. Eppure ammirava quelle strade come se le stesse vedendo per la prima volta. Non c’era nulla di particolare, erano solo case, aree coltivate o alberi che rapidamente le scorrevano davanti in successione.
Di tanto in tanto, Liam la guardava con la coda dell’occhio. Era contento di poterla vedere così spensierata e non costantemente concertata a studiare una strategia difensiva.
I primi giorni che Euphemia aveva trascorso nel suo tempo, non erano stati facilissimi. Capitava spesso che lei scattasse se qualcuno le si avvicinava alle spalle. Era più forte di lei, ma non riusciva a non restare in guardia, nonostante non vi fossero più pericoli ormai. O almeno così credevano.
Di colpo, qualcosa si scagliò sul cofano anteriore della loro auto e Liam perse il controllo finendo dritto in un albero al lato della carreggiata. Entrambi vennero spinti prima in avanti e poi all’indietro, finendo col colpire il poggiatesta del sediolino con forza. Per fortuna però nessuno dei due perse i sensi.
  «Stai bene?» domandò Liam ad Euphemia.
Lei annuì anche se ancora tramortita. «Che è successo?»
Liam non aveva una risposta. Non era riuscito a vedere cosa aveva colpito la loro auto, aveva solo visto una macchia e sentito un forte urto, prima di perdere il controllo dell’automobile.
Dal fumo che usciva dal cofano, si fece spazio una figura. La sua pelle era pallida ed i suoi canini piuttosto affilati. Non fu difficile per entrambi capire cosa fosse. Gli occhi del vampiro puntavano dritti ad Euphemia che aveva il collo leggermente ferito. La cintura di sicurezza l’aveva graffiata appena, eppure fu abbastanza per provocare la gola di quel vampiro. Si scagliò contro il parabrezza. Euphemia provò ad usare la sua luce ma, per quanto ci provasse, i suoi tentativi sembravano tutti fallire miseramente. Anche Liam stava cercando di trasformarsi ma nulla, non riuscì neanche a rendere le sue dita artigli.
Il vampiro si scagliò ancora, più e più volte, contro il parabrezza fino a mandarlo in frantumi. Afferrò la principessa. Liam non riuscì a liberarsi dalla cintura di sicurezza incastrata. Poté solo guardare mentre il vampiro dirigeva le sue fauci verso il collo di Euphemia.
Liam riaprì gli occhi. Non era più in auto. Era a letto, nel suo letto, nella casa che aveva affittato a pochi metri dall’università. Ed Euphemia era proprio accanto a lui, distesa su un fianco sotto le coperte. Era di spalle, ma quei suoi capelli erano inconfondibili.
Liam poté finalmente respirare. Era stato solo un sogno, un terribile incubo.
Cinse i fianchi di Euphemia e appoggiò la fronte sulla sua schiena.
  «Qualcosa non va?» domandò lei, chiaramente svegliata da quell’improvviso abbraccio.
Lui scosse la testa e la punta del suo naso solleticò la schiena di Euphemia. «Sto bene.» le disse.
Lei però non si tranquillizzò. Si rigirò per poterlo guardare negli occhi. «Dimmi la verità, hai avuto un incubo?»
Liam non era felice, di non riuscirle mai a nascondere nulla, ma allo stesso tempo era grato che lei non avesse perso la sua perspicacia.
  «Ho sognato un vampiro, che ci attaccava mentre tornavamo a Faithbridge. Ed io non sono riuscito a trasformarmi per salvarti.»
Euphemia lo accarezzò. «Sta tranquillo. Era soltanto un incubo. Probabilmente sei solo agitato perché sono mesi che non ci torni.»
  «Probabilmente hai ragione.»
  «Pensa solo che rivedrai i tuoi genitori e potrai passare con loro il tuo compleanno. Io il mio l’ho passato a girare case.» si lamentò lei. Durante la pausa autunnale, avevano dovuto cercare una appartamento per loro, dal momento che ovviamente non potevano restare nel dormitorio dell’università.
  «Hai avuto comunque una torta.»
Euphemia fece una smorfia. «Sì, beh devi ancora migliorare in cucina.» lo prese in giro, nel tentativo di distrarlo e farlo sentire meglio.
  «Come osi?» disse Liam, ovviamente scherzando. Per vendicarsi, le fece il solletico. Poi la abbracciò di nuovo. «Tu hai già parlato con tuo padre?» le chiese.
Euphemia annuì. Ogni luna nuova, e ogni luna piena, comunicava col Gran Maestro attraverso il portale. «Grazie alle medicine che Hyun-Shik gli sta dando, sembra che stia migliorando. Ma non è ancora in grado di occuparsi delle questioni di corte, perciò hanno istituito un consiglio di dieci uomini.» spiegò. «Sono tra i più colti uomini di tutta Faithbridge, quindi credo di poter stare tranquilla.»
  «Beh non dimenticare che c’è Alexander, non permetterà che il regno vada in rovina.»
Euphemia si lasciò scappare un sorriso. «Dal modo in cui lo hai detto, deduco che continua a non andarti molto a genio.» disse.
  «Non è che lui mi trovi poi così simpatico.» disse Liam alzando gli occhi al cielo.
  «È solo preoccupato per me, non ti detesta.»
Liam la strinse più forte. «Non ne sarei così sicuro.» sussurrò.
  «Pensa a riposare, che tra qualche ora dobbiamo metterci in viaggio.» gli fece notare Euphemia accoccolandosi fra le sue braccia.
Il sole infatti era già sorto da un po’ e loro avrebbero dovuto alzarsi presto. Ci sarebbero volute alcune ore per raggiungere Faithbridge dalla loro abitazione. Ore che Liam trascorse agitato. Guidava con gli occhi aperti, e non solo per fare attenzione alle altre auto. Continuava a pensare al suo incubo e a temere che potesse avverarsi.
Euphemia invece era tranquilla. Almeno così lei dava a vedere. In realtà era un po’ agitata al pensiero di passare del tempo a casa con i genitori di Liam. Non sapeva neanche come si trascorressero le feste natalizie, e in realtà neanche un compleanno. Nel suo tempo cose del genere non c’erano. O meglio avrebbero potuto esserci, se non avessero dovuto passare anni a combattere. Non si erano mai potuti concedere una vera pausa, per nessun tipo di festeggiamenti.
  «Non manca molto.» annunciò Liam, con gli occhi fissi sempre sulla strada.
  «Bene. E tu cerca di stare calmo, non c’è nulla che non vada.» ribadì lei.
Liam fece un bel respiro. «Lo so.» disse lui, nel tentativo di convincersene. Cercò di pensare ai giorni felici che lo aspettavano accanto alle persone che amava, sperando che nulla li avrebbe rovinati.

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