Verde di morte, Nero di speranza

di pampa98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo



 

Le nubi si addensavano intorno a lui e il rombo del vento minacciava una tempesta imminente. Jace non ne fu sorpreso: era anche a causa del tempo implacabile che colpiva le Terre della Tempesta che sua madre aveva scelto lui per conferire con Lord Borros, inviando invece suo fratello al più mite Nido dell’Aquila. 

Vermax si fece strada tra le nuvole senza difficoltà e la maestosità della torre centrale di Capo Tempesta, che si ergeva in alto come un grande pugno pronto a combattere le intemperie, gli permise di individuare facilmente la sua destinazione. Atterrò al centro del cortile antistante il cuore del castello, dove una mezza dozzina di guardie presidiava l’ingresso. Jace smontò dalla sella e accarezzò il dorso di Vermax, complimentandosi con lui per il volo compiuto prima di dirigersi verso gli uomini che erano rimasti immobili, in attesa.

Jace stava per presentarsi, quando udì un ruggito alle sue spalle. Era troppo profondo e distante perché provenisse da Vermax, ma non gli venne in mente nessun altro tipo di creatura in grado di emettere quel suono. 

Ma se apparteneva a un drago che non era partito insieme a lui da Roccia del Drago…

Il suo cuore perse un battito quando scorse il gigantesco profilo di Vhagar oltre le alte mura che circondavano il castello. Deglutì a vuoto, intimando al suo corpo di non tremare. Se la bestia centenaria era lì, il suo cavaliere non poteva essere lontano – anzi, probabilmente in quel momento si trovava alla presenza di Borros Baratheon e stava cercando di dirigere la sua lealtà verso i Verdi. 

Jace strinse le dita attorno alla pergamena che sua madre gli aveva consegnato e tornò a puntare gli occhi verso le guardie. 

«Sono il principe Jacaerys Velaryon» disse, fissandoli con il mento alzato – non avrebbe permesso che la minaccia di suo zio lo intimidisse. «Ho un messaggio per Lord Borros da parte della regina.»

Gli uomini annuirono e gli fecero cenno di seguirlo all’interno. 

Percorse un lungo corridoio affiancato dalle guardie fino a giungere davanti a una grande porta che conduceva nella Sala Circolare, un’ampia area spoglia se non per il trono di pietra che campeggiava sul lato opposto della stanza. Lord Borros lo fissava da là con un’espressione che Jace non riuscì a decifrare – ma che tuttavia non percepì come amichevole. Accanto a lui c’erano tre delle sue figlie e un ristretto numero di lord, probabilmente i suoi consiglieri. Ciò che più catturò la sua attenzione, però, fu la chioma bionda che ondeggiò alla sua sinistra mentre Aemond Targaryen distoglieva lo sguardo dalla sua interlocutrice per puntarlo dritto su di lui. 

Jace lo guardò solo per un secondo, poi tornò a concentrarsi sul motivo della sua visita. 

«Lord Borros» salutò l’uomo, che non aveva nemmeno accennato ad alzarsi in piedi per accoglierlo nella sua casa. «Sono latore di un messaggio da parte della regina Rhaenyra.»

Lord Borros inarcò un sopracciglio. 

«Oggi ho già ricevuto un emissario inviato dal re» rispose. Jace strinse le labbra, mentre i suoi occhi si spostarono d’istinto su Aemond. «E dunque? Re o regina?» incalzò, e il divertimento che avvertì nella sua voce gli fece serrare i pugni. «La dinastia del drago sembra non sapere chi la governa.» 

Borros rise come se quella situazione fosse un gioco, uno scherzo tra fratelli, e non un oltraggio – a sua madre, al defunto re Viserys – punibile con la morte. 

«Qual è il messaggio di tua madre?» chiese poi. Sembrava infastidito, ma il fatto che non lo stesse cacciando e gli concedesse il permesso di esporre la sua richiesta, rappresentava comunque una possibilità che Jace non intendeva lasciarsi sfuggire.

Porse la pergamena alla guardia alla sua sinistra, che prontamente la prese e la consegnò al suo signore. Il suo sguardo vagò di nuovo verso Aemond senza che potesse controllarlo – e avvertì un moto di rabbia crescere dentro di sé di fronte alla sua espressione compiaciuta. Credeva davvero di essere riuscito a comprare la lealtà dei Baratheon? Che non avessero onore e avrebbero liquidato il giuramento fatto a sua madre come si fa con un moscerino?

Borros chiamò il maestro perché gli riferisse il contenuto del messaggio. Jace osservò la sua reazione mentre l’uomo parlava, e ciò che vide non fu di buon auspicio: il volto del Lord di Capo Tempesta si faceva più livido e incredulo a ogni parola.

«Rammentare a me il giuramento di mio padre?» sibilò, stringendo le mani sui braccioli del trono. «Re Aegon mi ha fatto un’offerta: le mie spade e i miei vessilli per un patto di matrimonio. Se io facessi quello che tua madre mi chiede» aggiunse con il divertimento di poc’anzi, spostando lo sguardo sulle tre donne in piedi accanto a lui, «tu quale delle mie figlie sposeresti, ragazzo?»

Jace non sapeva per cosa sentirsi più offeso: se l’indignazione di Borros di fronte alla semplice richiesta di sua madre, la consapevolezza che i Verdi erano davvero riusciti a comprarlo o l’essere stato chiamato “ragazzo”, con un tono che lo faceva suonare come “bambino”. 

«Se sposerai una delle mie ragazze, potrei rivedere gli accordi presi in precedenza» disse, lanciando un’occhiata ad Aemond che il ragazzo non apprezzò, esattamente come Jace. 

Quell’uomo non ha un briciolo di onore, realizzò con amarezza. Era pronto a cambiare alleanze come cambia il vento. La variabilità del tempo in quelle zone probabilmente influiva anche sulla fermezza di spirito dei suoi abitanti. 

Tuttavia, esprimere quei pensieri ad alta voce sarebbe stato controproducente, così decise di limitarsi a rispondere alla sua domanda, per il momento.

«Mio signore, non sono libero di sposarmi» disse. «Sono già stato promesso a mia cugina Baela Targaryen.»

Il volto di Borros divenne di pietra. «E dunque sei venuto a mani vuote» concluse. 

«Avevate già giurato, non era necessario…» 

Ma Borros non lo ascoltò.

«Tornatene a casa, ragazzetto. E di’ a tua madre che il lord di Capo Tempesta non è un cane da chiamare quando ha bisogno che si lanci contro i suoi nemici.»

Jace strinse i pugni. Con la coda dell’occhio notò il sorrisetto divertito di Aemond e desiderò poterglielo strappare dalla faccia all’istante. 

“Andrete come messaggeri, non come guerrieri.”

«Le riferirò la vostra risposta, mio signore» disse. 

Si voltò per tornare da Vermax, ma l’oltraggio appena subito lo costrinse a dire un’ultima cosa. 

«E la informerò anche che il lord di Capo Tempesta svende il suo onore come se fosse un abito logoro. Non averlo come alleato sarà una benedizione per lei.»

«Come osi!» urlò l’uomo, scattando in piedi.

Era pronto alla rabbia di Borros, ma non alle sei lame puntate contro il suo volto. Portò d’istinto la mano all’elsa della spada, gesto che fece solo stringere la morsa attorno a lui.

«Sono venuto come messaggero» ricordò loro, pregando dentro di sé che abbassassero le spade e lo lasciassero andare. Non aveva detto niente che non fosse la verità – ma lui non era Daemon e avrebbe dovuto mordersi la lingua prima di insultare un lord nella sua stessa casa. 

«E questo sarebbe un buon motivo per rivolgerti a me in quel modo?» sbraitò Borros. «Cosa ne sai tu di onore, di giuramenti? Governo queste terre da prima che tu iniziassi a gattonare! So come tenere alto il nome della mia casata e far prosperare le mie terre. Forse tua madre avrebbe dovuto istruirti meglio prima di mandarti a conferire con gli adulti!»

Jace deglutì a vuoto. Spostò lo sguardo verso Aemond, che lo stava osservando in silenzio con un’espressione che non riuscì a decifrare. 

«Dovrei farti mozzare la lingua per il tuo affronto» decretò Borros, guardandolo con disprezzo dall’alto in basso.

Jace tremò. «Mio signore…» 

«È il nipote del re, mio lord» disse Aemond, avanzando verso di lui. «Fareste un affronto ancora più grave alla famiglia reale, versando il suo sangue.»

Borros strinse i pugni. Jace spostò lo sguardo tra i due, dubbioso. Aemond lo stava aiutando? Era ciò che sembrava, ma aveva imparato a non fidarsi di lui e di certo non aveva intenzione di essergli debitore della sua vita. 

Si sarebbe tolto da quella situazione ricorrendo alle sue sole forze.

«Mio signore» disse, raddrizzando le spalle. «Ho parlato a sproposito e non ne avevo il diritto. Vi chiedo perdono.»

Le guardie spostarono lo sguardo verso il loro signore, in attesa della sua sentenza. Borros lo fissò, riuscendo a stento a tenere a freno la rabbia.

Se avesse mantenuto la parola data, non saremmo in questa situazione, pensò Jace, ma stavolta ebbe il buonsenso di tacere. 

«Se non sapete cosa farvene di lui» intervenne ancora Aemond, «lasciate che me ne occupi io.»

Jace lo fissò con gli occhi sgranati. Aveva appena detto che sarebbe stato un affronto versare il suo sangue, ucciderlo sarebbe stata una vera follia. Doveva sapere che la sua morte avrebbe scatenato l’ira di Rhaenyra e Daemon contro di lui e tutta la sua famiglia.

Fortunamente, questa volta Borros si schierò dalla sua parte.

«Mio principe, la morte mi sembra una punizione eccessiva» disse, guardandolo con un rispetto che a Jace non aveva mai riservato – e Aemond aveva solo un anno in più del “ragazzetto”. 

«Non intendo ucciderlo» rispose suo zio. Sembrava sorpreso che una simile idea gli avesse anche solo sfiorato la mente. «Tuttavia, Jacaerys Strong rappresenta un’evidente minaccia per il benessere del regno.»

Jace si morse la lingua per impedirsi di aggredirlo per il modo in cui lo aveva chiamato – e avvertì una morsa stringergli il cuore, come ogni volta in cui doveva rinnegare il nome di un uomo che aveva amato e che, nonostante tutto, era orgoglioso di avere avuto come padre. 

«Lo condurrò con me al cospetto di re Aegon. Sarà lui a decidere la punizione più adatta da infliggere all’usurpatore» concluse Aemond.

«Tuo fratello è l’usurpatore» sibilò Jace tra i denti, ma non abbastanza piano perché Aemond non lo sentisse.

Il suo occhio brillò nella penombra della stanza. «Ah, sì? Eppure siede sul Trono di Spade e indossa la corona del Conquistatore. È più re lui di tua madre. O di te.» 

Jace strinse i pugni. 

Aegon non era un re. Aegon non voleva nemmeno essere un re – almeno, quello era ciò che gli aveva detto, l’ultima volta che si erano parlati con affetto. Ma il loro recente incontro gli aveva dimostrato che il ricordo del suo amico d’infanzia non combaciava con l’immagine dell’uomo che era diventato e, fin dal suo ritorno a casa, Jace si era chiesto se la sua memoria di bambino non gli avesse creato nella mente un ritratto più lusinghiero di Aegon, edulcorando i suoi difetti e amplificando i suoi pregi.

«Posso chiedere alle vostre guardie di scortare mio nipote fuori dalle mura?» disse Aemond, riscuotendolo dai suoi pensieri. I soldati intorno a lui avevano abbassato le loro lame, ma non aveva abbastanza spazio per fuggire prima che le puntassero di nuovo contro il suo corpo. «A meno che lui non decida di collaborare e seguirmi spontaneamente da Vhagar.»

Jace strinse le labbra. Avrebbe voluto urlargli che non sarebbe mai andato insieme a lui in quel covo di vipere che era diventato Approdo del Re, ma bastò quell’ultima parola per mettere a tacere la sua combattività.

Vhagar

Se anche fosse riuscito a lasciare quella sala indenne e raggiungere Vermax, come avrebbe fatto a sfuggire a quella bestia? Il drago di Aemond era tre volte più grande del suo, più esperto nel combattimento e più abile nel volare in climi avversi. Vermax non avrebbe avuto speranze contro di lui. Esattamente come Jace non avrebbe potuto battere Aemond se si fossero trovati spada contro spada. Ricordava bene l’abilità dimostrata contro Ser Criston, l’ammirazione che lui aveva provato nel credere che quello fosse Aegon e l’angoscia nel rendersi conto che si trattava del ragazzo che aveva deriso fino al giorno in cui suo fratello gli aveva cavato un occhio.

Da qualunque punto di vista la guardasse, quella situazione poteva risolversi solamente in due modi – e solo uno di questi lo avrebbe tenuto in vita, offrendogli forse l’occasione di evitare l’inizio di una guerra fatta di fuoco e sangue.

Portò le mani attorno alla vita e slacciò la spada dalla cintura. Il tintinnio dell’acciaio sul pavimento annunciò la sua resa.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1



 

Si buttò sul letto supino, lasciando andare un lungo sospiro che si trasformò in lamento quando sentì qualcosa di duro premere contro la sua testa. Aveva dimenticato di stare ancora indossando la corona. Sollevò un braccio e la prese in mano, osservandola per la prima volta da quando Criston Cole l’aveva posta sul suo capo. 

La corona del Conquistatore. Un cerchio modellato con punte in acciaio, avente un grande rubino rosso incastonato al centro. 

Aegon se la rigirò tra le mani per qualche secondo, poi sbuffò e la appoggiò accanto a sé, tornando a puntare i suoi occhi sul soffitto.

Da tre giorni suo padre era morto e lui era diventato Re Aegon, secondo del suo nome e via dicendo. 

Non aveva versato una singola lacrima per Viserys. Gli era mancato il tempo e, prima di tutto, l’affetto che l’uomo non gli aveva mai concesso e che di conseguenza non si era guadagnato da lui, né dai suoi fratelli. Forse solo Rhaenyra aveva sofferto la sua condizione di orfana. 

I suoi occhi si spostarono verso destra. Aveva ripudiato la corona fin quando aveva potuto, consapevole di non meritarla; ma ora che aveva messo in atto la minaccia costituita dalla sua sola esistenza, come gli aveva sempre ricordato sua madre, non poteva più tornare indietro. 

Si girò su un fianco, dando le spalle alla corona. L’elsa della spada gli premette contro il costato e Aegon slacciò la cintura che la teneva ancora legata a lui. Anche quell’arma era appartenuta al Conquistatore. 

I Verdi avevano riesumato antichi tesori della famiglia Targaryen per addobbarlo affinché somigliasse a un re. 

Ci sono riusciti, pensò, ricordando le grida di giubilo con cui era stato accolto dalla folla. Quella corona e quella spada lo avevano mostrato agli occhi del mondo come la reincarnazione del Conquistatore ed era stato amato

Un piccolo sorriso comparve sul suo volto. 

Era stato scelto come re, con applausi ed esultanze; non sapeva come si fosse svolta l’incoronazione di Rhaenyra, ma era certo che non fosse stata acclamata quanto lui. Anche quando il re l’aveva nominata erede, sua madre gli aveva raccontato che i lord dei Sette Regni si erano inginocchiati perché non c’erano alternative a lei, ma tutti pregavano in cuor loro che Viserys si risposasse e desse finalmente alla luce un figlio maschio. Per questo lui portava il nome del conquistatore: nascendo, aveva stabilito la nuova linea di successione. Suo padre si era sempre dimenticato di togliere a Rhaenyra il titolo di erede, ma ciò non aveva importanza. 

Il popolo aveva espresso la sua preferenza e lei avrebbe dovuto accettarlo.

L’unico vero inconveniente, per lui, restava il Trono di Spade. 

Aegon si guardò le braccia, sorprendendosi di non trovare nemmeno un graffio. Appena ci si era seduto sopra, aveva avuto il terrore che avrebbe fatto la fine di Maegor il Crudele. Non perché non fosse degno – quella leggenda era un’idiozia –, ma perché quelle dannate lame erano ancora affilate come cento anni prima: un movimento sbagliato e sarebbe stato ricoperto di sangue.

La porta si aprì, lasciando entrare Helaena. Dopo la cerimonia, aveva rimesso uno dei suoi soliti abiti e non indossava un singolo ornamento che risaltasse il suo status di regina. Non era sembrata né entusiasta, né dispiaciuta del suo nuovo rango – anche se ad Aegon non era sfuggito quel momento di esitazione prima di inchinarsi davanti a lui, ma non se la sentiva di biasimarla.

«Che vuoi?» le chiese.

La ragazza osservò il camino spento, dandogli quasi le spalle.

«Aemond è tornato» disse.

Aegon si tirò su a sedere. «Bene. Abbiamo Capo Tempesta, quindi?»

Helaena annuì. «Ha portato qualcuno con sé.»

«La sua futura moglie?» Un sorriso di scherno si formò sul suo volto. «Aveva paura che sarebbe scappata, se non l’avesse tenuta legata a sé?»

«No.»

Aegon attese una spiegazione che però non arrivò. Stirò le braccia, lasciandosi nuovamente cadere sul letto. Aemond era tornato e aveva portato a termine con successo la sua missione: qualunque altra cosa quell’idiota avesse fatto, non era un suo problema. 

«I draghi non hanno danzato dentro la pioggia. La fiamma della speranza vive ancora.» Helaena si avvicinò al letto, chinandosi in avanti per parlargli dritto in faccia. «Dipende solo da te, ora.»

Aegon aggrottò le sopracciglia.

«Sorella, ti ho mai detto che trovo i tuoi discorsi assurdi e incomprensibili?»

L’ombra di un sorriso apparve sul volto di Helaena. Si allontanò, dirigendosi verso la porta.

«Vieni» disse, aprendola. «Ti interessa conoscere l’identità del nostro ospite.»

«Ne dubito.»

«Il nonno lo ha chiamato “prigioniero”, ma a me sinceramente non piace molto» continuò, indifferente al suo disinteresse. 

Quelle parole, tuttavia, attirarono l’attenzione di Aegon.

«Prigioniero?» chiese, rimettendosi seduto.

Helaena annuì.

«Allora la missione non è andata bene.»

«Sì, invece.»

Aegon sbuffò. «E allora perché cazzo ha preso un prigioniero?»

Helaena sbatté le palpebre. «Capo Tempesta è raggiungibile da chiunque, non soltanto da coloro che vi abitano.»

Aegon aggrottò le sopracciglia. Ottenere una risposta diretta da sua sorella era praticamente impossibile ed era una delle cose che più odiava di lei. 

Provò a immaginare chi potesse essere questo prigioniero, ma proprio perché la dimora dei Baratheon non era un cosmo a sé stante, chiunque nei Sette Regni si sarebbe potuto trovare lì all’arrivo di Aemond. Certo, doveva trattarsi di qualcuno che valesse la pena portare nella capitale, ma con ogni altro suddito del regno, fedele o meno a Rhaenyra, avrebbero dovuto usare la diplomazia e non ricorrere a rapimenti e minacce.

Sgranò gli occhi. Sollevò lo sguardo verso Helaena, che era rimasta immobile accanto alla porta aperta. 

«Sì» disse, come se avesse letto il pensiero che gli aveva solcato la mente. 

Aegon scattò in piedi. 

Potevano conquistare la lealtà di chiunque – a meno che il sangue di Rhaenyra non gli scorresse nelle vene.

 

~

 

Helaena lo condusse nella Sala del Concilio, dove ad attenderlo c’erano Aemond, Alicent, Otto e Larys Strong. Aegon si guardò intorno, in cerca di un intruso, ma nella stanza non c’era nessun altro.

«Non doveva esserci un prigioniero?» chiese. Voleva solo capire che cazzo avesse combinato Aemond e, soprattutto, se la persona che aveva portato con sé fosse qualcuno che valesse la pena incontrare – se la persona che aveva portato con sé fosse Jace. In caso contrario, il suo interesse per la questione era già pronto a svanire.

La domanda attirò l’attenzione dei presenti su di lui. Alicent sospirò quando lo vide, e si allontanò da Aemond per raggiungerlo.

«Dov’eri?»

«Nella mia stanza, a riposare. Come mi avevi suggerito tu» aggiunse. Sua madre non sopportava di vederlo oziare tutto il giorno, ma in questo caso sapeva di essersi meritato un po’ di tregua dai complotti e dai doveri che era stato costretto a sopportare. 

«Sì, hai ragione.» Abbozzò un sorriso e gli fece cenno di seguirla verso il tavolo.

Aegon non si mosse. «Allora, il prigioniero?» 

«Si trova insieme a Ser Arryk e Ser Criston» rispose Otto, «nelle stanze che ha occupato durante la sua ultima visita.»

Un lampo di speranza esplose nel cuore di Aegon.

«Chi…» 

«Si tratta del principe Jacaerys, vostra maestà.» Larys Strong anticipò la sua domanda, fornendogli l’informazione che tanto agognava. 

«Vieni a sederti» disse Alicent, prendendolo per un braccio. «Abbiamo alcune questioni di cui discutere.»

«Voglio vedere Jace» ribatté, liberandosi dalla sua presa. Attese un momento il permesso di sua madre per andarsene; poi ricordò di essere il re e che poteva fare tutto ciò che voleva. 

Si voltò e si diresse verso la porta, ignorando i tentativi di Alicent e Otto di fermarlo.

«Jace sarà stanco per il viaggio. Lascialo riposare.»

La voce di Helaena lo raggiunse con la mano posata sulla maniglia. Ignorala, si disse; ma non riuscì a proseguire nel suo intento. 

Non fu il pensiero che Jace avesse bisogno di riposo a fermarlo, quanto la premura che Helaena mostrò in quella considerazione. Gli ricordò la disastrosa cena di pochi giorni prima, quando Jace l’aveva invitata a danzare. Aveva tenuto gli occhi fissi su di lui mentre lasciavano la tavola, in un tacito rimprovero verso il disinteresse e la crudeltà che riservava a sua moglie. E, prima di quello, Aegon aveva cercato di attirare la sua attenzione nell’unico modo che gli era venuto in mente. E dopo… 

Dopo aveva supportato il brindisi di Aemond, aveva attaccato Luke e aveva sottratto il trono a Rhaenyra. 

Se fosse corso da Jace, adesso, lui come avrebbe reagito? Sarebbe stato felice di vederlo, come quando erano bambini? Anche se bambini – amici – non lo erano più.

Sarebbe stato disposto ad ascoltarlo? Anche se Aegon non aveva idea di cosa avrebbe dovuto dirgli.

«Ascolta la tua regina.» La sua esitazione aveva dato il tempo ad Alicent di raggiungerlo. «Avrai modo di incontrare Jacaerys quando avremo stabilito come comportarci con lui.» Poi aggiunse, abbassando la voce: «Ricorda che quel ragazzo non è più il tuo giocattolino. È l’erede di Rhaenyra, che in questo momento è una pericolosa nemica della nostra famiglia.»

Le labbra di Aegon si sollevarono in un sorriso di scherno a quelle parole.

«Potrebbe essere la nostra carta vincente, ciò che metterà fine a questo conflitto senza la necessità di iniziare una guerra» concluse Alicent.

Aegon sospirò. Lasciò andare la maniglia e tornò sui suoi passi, andando a sedersi a capotavola. Gli altri lo imitarono, a eccezione di Aemond che rimase in piedi accanto a lui. Aegon notò che aveva i capelli arruffati e dai suoi vestiti gocciolava dell’acqua. Si lasciò sfuggire una risatina, ma decise di non fare commenti per il momento.

«Gli altri dove sono?» chiese, rendendosi conto che metà del suo concilio ristretto era assente.

«Non sono ancora stati informati di quanto accaduto» rispose Otto, seduto alla sua destra. «Abbiamo ritenuto più saggio mantenere l’informazione solo all’interno della nostra famiglia, per il momento.»

Aegon inarcò un sopracciglio in direzione di Larys Strong. 

«Ah, giusto» disse. «Lo zio di Jace credo si possa considerare parte della famiglia.»

Larys chinò il capo. «Non ho mai considerato quel ragazzo mio nipote, altezza. Il caso ha voluto che fossi informato dell’arrivo di vostro fratello appena atterrato alla Fossa del Drago e ho ritenuto saggio avvisare la regina. Alicent.»

Anche senza quella specifica, Aegon avrebbe capito che parlava di sua madre. Così come era chiaro che “il caso” se lo fosse prodotto con le sue mani, riempiendo di spie ogni angolo della capitale – e forse non solo. Ma non gli andava di discutere dei metodi di quell’uomo: fintanto che non li usava contro di lui, era libero di agire come preferisse. 

«Bene.» Si passò le mani tra i capelli, appoggiandosi poi al tavolo con i gomiti. «Quindi, Jace è qui e non vogliamo farlo sapere. Perché? Non starete pensando di ucciderlo, vero?» chiese, temendo che potesse essere proprio quello l’obiettivo.

«Naturalmente no» rispose subito Alicent, come se quello che aveva temuto fosse una pura follia.

«Per il momento» aggiunse Otto. 

«Stiamo lavorando per impedire una guerra, padre. La morte del figlio di Rhaenyra la scatenerebbe.»

Aegon guardò sua madre, sorpreso. Non l’aveva mai sentita rispondere a suo nonno in quel modo: a testa alta, ferma, quasi sprezzante verso di lui. Gli fece piacere.

«Questo è certo» ribatté Otto con la sua consueta calma. «E mi auguro di cuore che il principe comprenda la situazione in cui si trova e faccia la scelta giusta. Ma se non dovesse capirlo da solo, saremo costretti a convincerlo.»

«Quale scelta?» chiese Aegon. «Cosa dovrebbe fare?»

«Quello che sua madre non ha ancora accettato di fare. Riconoscere te come re, inginocchiarsi al tuo cospetto così da poter ricevere il tuo perdono e mantenere la sua posizione di principe di Roccia del Drago, che erediterà alla morte della principessa Rhaenyra.»

Aegon ricordava di aver fatto un’offerta di pace a sua sorella, anche se non aveva prestato attenzione ai termini dell’accordo. Era stato sommerso dalle voci di sua madre e di suo nonno e, ancora sconvolto per l’irruzione del drago di Rhaenys alla sua incoronazione, aveva capito solo che Otto, oltre a Rhaenyra, voleva uccidere anche i suoi eredi. Era bastato quello per convincerlo ad accettare la proposta di Alicent. 

«Jacaerys è leale a sua madre» disse Aemond. «Non si inginocchierà, a meno che non sarà lei a farlo per prima.»

«Potrebbe farlo, se capisse che questa è l’unica strada possibile» replicò Larys. Poi si sporse sopra il tavolo, rivolgendosi direttamente ad Aegon. «Mio re, se il ragazzo vi vedesse come ha fatto il popolo l’altro giorno, con la corona del Conquistatore sul capo e la sua spada tra le mani, seduto sul Trono di Spade con la vostra corte accanto, non potrebbe fare a meno di riconoscere il vostro potere e l’amore che i Sette Regni nutrono per voi.»

Aegon sorrise, ripensando al calore con cui era stata accolta la sua incoronazione. 

«Mostrare a tutti che Jacaerys Velaryon riconosce Aegon come re è una mossa saggia» concordò Alicent, «ma prima dobbiamo assicurarci in privato che lo faccia.»

«Al contrario, una manifestazione pubblica da subito potrebbe essere ciò che lo convincerà ad accettare» ribatté Larys. «Se vedesse solo la sua famiglia parteggiare per vostro figlio, potrebbe pensare che lo fate solo per affetto nei suoi confronti.»

Aegon sbuffò una risata, guadagnandosi un’occhiata di rimprovero da parte di suo nonno. 

«Concordo con Lord Larys» disse Otto. «Domani raduneremo la corte nella Sala del Trono, dove tu ti presenterai con la corona di Aegon, siederai sul trono e ordinerai al bastardo di inginocchiarsi al tuo cospetto.»

Aegon non aveva voglia di discutere oltre, perciò si limitò ad annuire. 

«E se rifiutasse di farlo?» chiese Alicent.

Otto sembrò ponderare la questione. Alla fine, rispose semplicemente: «Preghiamo che non accada.» 

 

~

 

Jace osservava le fiamme che danzavano nel camino. Il loro calore aveva asciugato i suoi indumenti bagnati da un pezzo, ma aveva comunque deciso di rimanere seduto lì. Dopotutto, dalla finestra riusciva a malapena a scorgere la Fossa del Drago, dove era stato costretto a lasciare Vermax con solo la promessa che non gli sarebbe stato fatto del male – non si fidava di Aemond, ma in quel momento non aveva comunque nessun mezzo per sapere se avesse mantenuto la sua parola. 

Inoltre, dalla sua posizione attuale poteva osservare meglio le due guardie che avevano il compito di sorvegliarlo. Non sapeva da quale di loro fosse più disgustato: se Ser Arryk, che aveva il volto familiare di Ser Erryk, ma non condivideva lo stesso senso dell’onore e della lealtà; o Ser Criston, l’uomo che lo aveva odiato dal giorno in cui era nato e che si era guadagnato lo stesso sentimento dopo aver causato l’allontamento di Harwin dalla capitale. 

Jace sapeva che era stato un incidente a ucciderlo, ma non riusciva a togliersi dalla testa che se Cole non lo avesse accusato in quel modo, Harwin sarebbe stato ad Approdo del Re il giorno della loro partenza – e magari sarebbe andato a Roccia del Drago insieme a loro. 

La porta si aprì e la guardia all’esterno della stanza annunciò l’arrivo della regina. 

Sentì Cole e Arryk inchinarsi mentre la donna avanzava nella stanza. Jace strinse le labbra: anche Alicent Hightower non gli aveva mai mostrato affetto, ma forse sarebbe stato saggio almeno salutarla. 

«Grazie di aver tenuto compagnia a Jace.»

Sollevò la testa di scatto. Aveva dimenticato che, essendo Aegon re, la regina adesso era Helaena. 

Si alzò nel momento in cui lei si avvicinava al tavolo, posandovi sopra un cestino da cui proveniva un odore che Jace conosceva bene: dolcetti al limone. Quel profumo lo fece pensare a sua madre e a Luke, facendolo sentire a casa.

«Potete lasciarci» disse Helaena ai due cavalieri. «Desidero parlare con mio nipote in privato.»

«Mia regina, il principe Aemond ci ha ordinato di sorvegliare il prigioniero» disse Cole. «Potrebbe essere pericoloso lasciarvi sola con lui.»

«No, non lo è. Andate pure.»

I due uomini si scambiarono un’occhiata incerta.

«Ordini della regina.»

Si inchinarono e uscirono dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. 

«Questo titolo ha i suoi vantaggi» commentò Helaena, mentre prendeva due dolcetti e li posava su un tovagliolo. Si sedette sulla sedia libera e ne allungò uno verso Jace, sorridendogli. «Ho pensato che ti andasse di fare merenda. Ti piacciono ancora questi, vero?»

Jace annuì. Non ne era ghiotto quanto i suoi fratelli, ma non gli dispiacevano. Si sedette a sua volta e diede un morso al dolce: non aveva fame, ma non voleva mancare di rispetto alla ragazza rifiutando il suo dono. Era probabilmente l’unica persona in quel luogo che gli avrebbe riservato un minimo di gentilezza e che Jace continuava a considerare parte della sua famiglia. 

«Non hai ancora avuto modo di conoscere i bambini, suppongo» disse Helaena, dopo qualche minuto di silenzio. 

«I bamb…? Oh, i tuoi figli. Ehm, no. L’ultima volta non ne ho avuto l’occasione.»

«Allora uno di questi giorni li porto qui» rispose lei. «Jahaerys dovrebbe avere l’età di tuo fratello Aegon.»

Jace annuì, ma non riuscì a ricambiare il sorriso che Helaena gli rivolse. Parlavano come se il loro fosse un semplice incontro tra parenti lontani – come se Jace si trovasse lì per sua scelta.

Posò il dolcetto sul tavolo. Gli aveva dato solo due morsi.

«Per quanto tempo dovrò restare?» chiese. 

«Dipende.»

«Da cosa?»

«Da te.»

Jace inarcò un sopracciglio. «Da me? Quindi se dicessi che voglio tornare a casa oggi stesso, sarei libero di farlo?»

«Dipende anche da Aegon» rettificò Helaena.

Jace annuì. «Immaginavo. E lui dov’è adesso?» 

«Non lo so. Voleva venire a parlare con te, ma il Concilio ha ritenuto più saggio aspettare.»

Jace si aspettava che sarebbe andato da lui per dovere, non per volere. L’ultima volta che lo aveva visto, non aveva avuto l’impressione di piacergli ancora – ammesso che il suo affetto fosse mai stato autentico. 

«Aegon sarebbe stato un buon re» disse Helaena, prendendo un altro dolcetto. «In un’altra vita.»

Jace sbuffò. «E in questa?»

La ragazza ci pensò un po’. «Può ancora diventarlo, facendo le scelte giuste.»

«La scelta più giusta sarebbe mettere fine a quest’assurdità e rispettare la volontà di suo padre.»

Si morse il labbro, temendo di essere andato troppo oltre. Dopotutto, non stava parlando con un’amica, ma con la regina che avrebbe perso il suo titolo se Aegon avesse abdicato. Non credeva che Helaena fosse attaccata al potere, tuttavia era meglio non rischiare – il ricordo delle lame dei Baratheon intorno a lui era ancora vivido nella sua mente.

«Scusami, ho parlato a sproposito» disse.

Lei fissò il suo sguardo su di lui. «Non aver paura di esprimere i tuoi pensieri, sono giusti. E non hai motivo di preoccuparti: sei l’unica cosa di cui gli importi.»

Jace aggrottò le sopracciglia. Non era certo di aver compreso la seconda parte della frase.

«Che intendi…»

Helaena si alzò. Si spazzolò il vestito dalle briciole e gli sorrise. 

«Buon riposo, nipote. Ci vediamo domattina.» 

Jace fece appena in tempo ad alzarsi e rivolgerle un saluto impacciato prima che lei uscisse dalla stanza, lasciandolo completamente solo.






 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2



 

Aegon continuava ad attaccare, con il solito sorrisetto divertito dipinto in volto. Lo aveva ricambiato, all’inizio, quando si era vantato che quel giorno lo avrebbe battuto, ma era svanito nel momento in cui aveva realizzato che, ancora una volta, suo zio avrebbe avuto la meglio. 

Jace si impegnò al massimo per resistere, respingere i suoi attacchi e colpirlo a sua volta; bastò un altro affondo perché cadesse a terra, sentendo il terreno duro colpirgli il sedere. Strinse i denti quando, provando ad attutire la caduta, il palmo della sua mano sinistra strusciò contro la ghiaia.

«Va bene. Basta così.»

Jace si alzò, evitando lo sguardo di Ser Harwin. Venire sconfitto in quel modo davanti a lui era ancora più umiliante. Anche se l’uomo era sempre pronto a confortarlo e complimentarsi per i suoi progressi, per quanto piccoli fossero, Jace aveva la costante sensazione di essere una delusione.

Sentì una mano affondargli tra i capelli e scompigliarli. 

«Bravo, oggi hai resistito più del solito» disse Aegon, ridendo.

Jace strinse le labbra. «Un giorno ti batterò, stanne certo!»

«Sì, sì. Magari quando diventerai alto» lo schernì.

«Ho l’altezza perfetta per la mia età!» rispose, allontanando la mano che continuava ad arruffargli i capelli. Si lasciò sfuggire un piccolo gemito e, guardandosi il palmo sinistro, notò tre graffi rossi che svettavano sulla pelle.

«Ti sei fatto male?» Harwin fu subito da lui, ma prima che potesse esaminare la sua ferita, Jace nascose la mano dietro la schiena.

«È solo un graffio, sto bene.»

Harwin gli rivolse uno sguardo incerto, poi sospirò e lasciò ricadere la mano che aveva teso verso di lui. 

«Va bene» disse. «Credo che il vostro allenamento possa concludersi per oggi. State facendo ottimi progressi, entrambi.»

«Merito del nostro sangue Targaryen» disse Aegon, avvolgendo un braccio intorno alle spalle di Jace. «E di un buon insegnante.»

«Mi lusinghi, mio principe.»

«Ha ragione» mormorò Jace, alzando la testa per rivolgere un piccolo sorriso a Ser Harwin. A differenza di Ser Criston, lui non era crudele e non prestava attenzione solo all’allenamento di Aegon. Era severo, ma anche gentile e comprensivo. Con entrambi.

«Bene. Quindi, se abbiamo finito, possiamo andare a divertirci?» chiese Aegon.

«Purché siano divertimenti salutari» rispose Harwin, scoccando un’occhiata d’avvertimento verso Aegon. 

«Agli ordini! Andiamo dai nostri draghi, Jace?»

L’imbarazzo e la vergogna per la sconfitta di poc’anzi svanirono appena l’immagine di Vermax si fece strada nella sua mente. Ormai era cresciuto abbastanza da essere alto quanto lui e Jace era certo che presto avrebbe potuto reclamarlo ufficialmente e volare insieme ad Aegon e Sunfyre. 

«Sì!»

«A chi arriva primo?» propose Aegon – e iniziò a correre prima che Jace potesse rispondere. 

«Non vale così!» urlò, buttando a terra la spada e correndogli dietro, ricordandosi solo a metà strada di salutare Ser Harwin. Si voltò e vide l’uomo scuotere la testa, un sorriso divertito sulle labbra mentre gli rammentava ancora una volta di comportarsi bene.

 

Jace aprì gli occhi mentre il sole iniziava a illuminare il mondo con i suoi raggi caldi, spazzando via la notte. Si strofinò il viso e si mise seduto, stirando le braccia intorpidite dal sonno. Guardò alla sua destra per controllare se Luke stesse ancora dormendo, ma non vide nessun letto accanto a sé. Sbatté le palpebre, confuso. 

Poi i ricordi degli ultimi giorni si fecero strada tra la nebbia dei sogni. 

Per un attimo aveva creduto di essere tornato indietro di sei anni – ma la corsa alla Fossa del Drago e il sorriso di Harwin erano un ricordo custodito nel suo cuore, che non poteva più esistere nel presente.

Sospirò e si voltò su un fianco, dando le spalle alla luce. Avrebbe voluto chiudere gli occhi e tornare di nuovo nel sogno – nel passato – per fingere, anche se solo per pochi minuti, che la sua famiglia era ancora unita e che tutti stavano bene. 

Ma non poteva farlo.

Non aveva più visto nessuno dopo la visita di Helaena. Non che ne fosse dispiaciuto, ma era snervante non conoscere il suo destino. Era chiaro che fosse un prigioniero ed era chiaro che, se i Verdi non volevano scatenare l’ira di sua madre, non avrebbero potuto ucciderlo. Dunque quali erano le loro intenzioni? Torturarlo fin quando Rhaenyra non avrebbe accettato le loro condizioni? Isolarlo in quella stanza fino a farlo impazzire? Recitare la farsa di una famiglia felice? 

La porta si aprì e Jace scattò in piedi, non volendo farsi trovare in una posizione vulnerabile. Ser Arryk entrò accompagnato da una serva, che teneva tra le mani un vassoio con una tazza di té e un dolcetto al limone. 

«La regina vi manda la colazione» spiegò il cavaliere, mentre la ragazza posava il vassoio sul tavolo e, dopo un veloce inchino, lasciava la stanza. 

Jace guardò il dolce e annuì, ma non si mosse.

«Puoi ringraziare mia zia, ser» disse, storcendo le labbra su quell’ultima parola.

«Lo farò, mio principe» rispose lui con un piccolo inchino.

Jace inarcò un sopracciglio. «Noto che riconosci che sono un principe.»

«Naturalmente. Siete il figlio della principessa Rhaenyra, pertanto-»

«La regina Rhaenyra.»

Arryk si irrigidì, poi lasciò andare un sospiro. 

«Fate colazione, principe» disse. «Il re desidera incontrarvi al più presto.»

Jace annuì, cercando di mantenere un’espressione neutrale. Era felice di poter parlare con Aegon: avrebbe potuto chiedergli quale sarebbe stato il suo destino e, soprattutto, perché?
Perché aveva usurpato il trono di sua sorella? Perché lo aveva chiamato bastardo quando erano ancora amici? Perché si era trasformato in un uomo sprezzante e crudele?

«Ne sono lieto» disse. «Digli che anch’io voglio parlargli.»

«Potrete farlo voi stesso. Mangiate, per favore. Poi vi condurrò nella Sala del Trono.»

Jace aggrottò le sopracciglia. «La Sala del Trono?»

«Sì, mio principe.»

Jace credeva che avrebbero parlato da soli, lontani dalle vipere che lo avevano addobbato come un re e che, da sempre, si impegnavano per contrastare la loro amicizia.

«Preferirei incontrarlo qui» tentò, sperando che il suo titolo gli concedesse il privilegio di avanzare qualche piccola richiesta.

«Il re ha molte questioni che richiedono la sua attenzione, non può perdere tempo concedendovi una visita privata. Sarete ricevuto come tutti gli altri.»

Jace strinse i pugni. Lui non era come tutti gli altri: era suo nipote, era sangue di drago. Non meritava di essere umiliato e oltraggiato davanti alla corte fasulla che i Verdi avevano formato.
Ma forse era proprio quello il loro scopo: mostrarlo fragile, spezzato –
bastardo – e, tramite lui, indebolire l’immagine di sua madre.

Se credevano che avrebbe contribuito ad allontanarla ancora di più dal suo trono, avrebbero avuto una brutta sorpresa. 

«Capisco» disse dunque. Si aggiustò la giacca e si sistemò i capelli, avvicinandosi poi a Ser Arryk. «Fai strada. Andiamo subito.»

Il cavaliere scoccò un’occhiata incerta verso la colazione intonsa.

«Non ho fame» spiegò. Apprezzava il gesto di Helaena e non era sua intenzione mancarle di rispetto, ma sapeva che non sarebbe riuscito a ingerire nemmeno una briciola in quel momento.

Ser Arryk annuì. Senza aggiungere altro, si incamminò verso la porta e uscì, seguito a ruota da Jace. 

 

~

 

L’ultima volta che era entrato in quella stanza, sua madre, Daemon e Luke erano accanto a lui. Ricordava che suo fratello era stato nervoso per tutto il tempo e lui aveva cercato di tranquillizzarlo. “Sei un principe Targaryen e il legittimo erede di Driftmark, non hai motivo di essere agitato” gli aveva ripetuto, infastidito da quell’apprensione che lui trovava eccessiva e fuori luogo. 

Mentre percorreva il tragitto che lo separava dal trono, Jace si ripromise di scusarsi con suo fratello: non era semplice sentirsi coraggiosi quando si veniva presi di mira dalle vipere. 

Gli sguardi della folla riunita nella sala lo penetravano fin dentro le ossa, ma lui non intendeva lasciarsi intimidire.
Un drago non deve interessarsi dell’opinione di una pecora. 

La giustizia sarebbe arrivata per tutti loro, era solo questione di tempo. Per loro e per i Verdi che li avevano chiamati a raccolta, forse nel tentativo di mostrargli quanto Aegon fosse amato e rispettato – obiettivo non semplice da raggiungere, se il loro re non si faceva vedere.

Arryk gli fece cenno di fermarsi a pochi passi dal Trono di Spade e Jace eseguì. Guardò verso la sua sinistra, dove erano radunati la famiglia e il concilio ristretto di Aegon. Helaena lo salutò con un piccolo sorriso, ma fu Alicent a rivolgergli la parola.

«Bentornato nella capitale, principe Jacaerys» lo salutò cordialmente. «Il re sarà molto felice di vederti. Desidera incontrarti da quando ha saputo del tuo arrivo.»

Jace alzò lo sguardo verso il trono, quasi aspettandosi che Aegon comparisse all’improvviso lì sopra. 

«Anch’io desidero parlargli» rispose, tornando a guardare la donna. «Di persona, se possibile.»

Il piccolo sorriso di Alicent tremò e lo sguardo che corse alla porta tradì il suo nervosismo. Forse anche lei credeva che Aegon dovesse già essere lì e che il suo ritardo avrebbe mostrato ai lord e le lady radunati nella stanza che suo figlio non era così degno di indossare la corona. 

Sembrava in cerca di qualche scusa per giustificare l’assenza del re, quando le porte si spalancarono, facendo affiorare un sospiro di sollievo alle sue labbra. Jace seguì il suo sguardo, conoscendo l’identità del nuovo arrivato prima ancora che le guardie la annunciassero.

«Aegon della Casa Targaryen, Secondo del suo Nome, Re dei Rhoynar, degli Andali e dei Primi Uomini, Signore dei Sette Regni e Protettore del Reame.»

Aegon entrò nella sala a testa alta e Jace dovette riconoscere che, almeno in apparenza, sembrava davvero un re. La chioma bionda era ornata dalla corona del suo omonimo e i colori Hightower erano stati sostituiti dal nero Targaryen della tunica, sulla quale svettava lo stemma della loro casata. 

Sembrava davvero la reincarnazione del Conquistatore. 

La sua apparizione aveva attirato l’attenzione dei presenti, tutti pronti a chinare il capo e porgere i loro rispetti al sovrano. Aegon passò in mezzo ai suoi sudditi senza degnarli di uno sguardo: i suoi occhi erano puntati dritti su di lui. 

Jace strinse le labbra e raddrizzò le spalle. Quali che fossero le intenzioni dei Verdi per quell’incontro, non si sarebbe mostrato debole.

«Jace!» Aegon lo salutò con più allegria di quanta si sarebbe aspettato. Si avvicinò a lui e gli posò le mani sulle spalle, stringendole amichevolmente. «È un vero piacere vederti. Spero che il viaggio con Aemond non sia stato troppo tedioso.»

Sorrise, di quel sorriso divertito e beffardo che un tempo Jace ammirava – forse perché di rado era rivolto a lui.

«Non ho avuto tempo di annoiarmi» rispose. «Ero impegnato a pensare al momento in cui mi sarei trovato faccia a faccia con l’usurpatore.»

Il sorriso sul volto di Aegon si fece più freddo, mentre un mormorio concitato si sollevò dalla folla circostante.

«Modera i toni quando parli al re» sibilò Criston Cole, dietro di lui. 

Aegon sollevò una mano per fargli cenno di tacere.

«Mio nipote è solo un po’ confuso, ser. Comprensibile, del resto.»

Gli diede una pacca sulla spalla, poi lo superò. Jace lo seguì con lo sguardo mentre saliva i gradini del Trono di Spade. Rimase per un momento a fissare lo scranno di ferro, poi vi si sedette, facendo attenzione a posizionarsi il più lontano possibile dalle lame, e tornò a puntare il suo sguardo su di lui.

«Hai visto tua madre indossare una corona ed essere chiamata regina» disse. «Capisco che sia strano vedere me nelle stesse condizioni, ma come puoi notare, solo uno tra noi due siede sul Trono di Spade. Temo che l’usurpatrice sia Rhaenyra.»

Jace strinse i pugni. Chiunque avrebbe potuto sedersi su quel trono, ma ciò non sarebbe bastato a renderlo un re. 

Intorno a lui, intanto, la folla aveva iniziato ad annuire, mostrando il suo supporto ad Aegon. 

«Proprio in questa sala» disse, cercando di mantenere un tono neutrale, «venti anni fa mia madre è stata nominata come erede di Viserys, decisione che il re ha ribadito ancora una volta solo pochi giorni addietro. Quel trono è l’eredità di Rhaenyra Targaryen, non la tua. E questo, zio, fa di te l’usurpatore.»

Aegon fece spallucce. «Sì, mio padre ha mantenuto la sua parola fino a poco prima che spirasse, quando ha confidato alla regina» – e indicò Alicent – «che il suo vero desiderio era di vedere me sul trono.»

«È così» confermò la donna, facendo un passo verso di lui. «Mi ha detto che è sempre stato Aegon a dover regnare. Sono state le sue ultime parole. Se amavi tuo nonno – se Rhaenyra lo amava –, non puoi ignorare le sue ultime volontà.»

Jace inarcò un sopracciglio. «Viserys avrebbe cambiato idea sulla successione… appena prima di morire?»

Quando Alicent annuì, Jace non riuscì a nascondere il suo divertimento. 

«In vent’anni non ha mai cambiato idea, eppure all’ultimo secondo ha detto proprio a voi, la madre di Aegon, che sarebbe dovuto salire lui sul trono?»

«Metti in dubbio la parola della regina?» intervenne Otto.

«Ho qualche difficoltà a crederci, sì.»

Non poteva affermare che Alicent si fosse inventata tutto – magari Viserys aveva solo pronunciato delle parole a cui lei aveva attribuito il significato che voleva –, ma di certo il re aveva sempre desiderato che fosse Rhaenyra a prendere il suo posto. Se davvero era stato Viserys a volere Aegon sul trono, sarebbe stato sufficiente comunicarlo a Rhaenyra, dopo averle dato il tempo di piangere suo padre. La celerità con cui i Verdi avevano rimpiazzato Viserys era, ai suoi occhi, la prova schiacciante del fatto che il vecchio re non aveva davvero cambiato idea.

«Che tu ci creda o no, non ha importanza» disse Aegon, picchiettando con le dita su uno dei pomelli che sporgevano dal trono. «L’unica cosa che conta è che il legittimo re, adesso, sono io. Ma non temere, non ho dimenticato che siamo una famiglia. Non voglio fare del male né a te, né a mia sorella. Ti ha parlato dell’offerta che le ho fatto? Non ho ancora ricevuto una risposta.»

«Sì, conosco le condizioni che hai offerto.» Rhaenyra aveva chiesto consiglio a lui, dal momento che “conosceva Aegon meglio di chiunque altro”. Avrebbe voluto davvero che fosse così. «E mia madre è del tuo stesso parere: non vuole fare del male ai suoi fratelli. Togliti la corona, riconoscila come tua regina e lei sarà felice di riaccogliere tutti voi a braccia aperte» disse, rivolgendosi anche ad Aemond, Helaena e Alicent. La sua attenzione si focalizzò in particolare su quest’ultima. «So che eravate amica di mia madre. Lei vi ama ancora, non vuole-»

«Aegon Targaryen è l’unico re che i Sette Regni hanno» lo interruppe Otto. Alicent abbassò lo sguardo e Jace sospirò: per un momento, aveva creduto che lo stesse ascoltando davvero. «È un fatto, ragazzo. Puoi vederlo con i tuoi occhi. Il popolo, qui riunito, ha acclamato lui come suo sovrano. In quanti si sono inginocchiati al cospetto di tua madre?»

Jace si guardò intorno. Era certo che l’incoronazione di Aegon fosse stata più maestosa di quella di sua madre, nominata regina davanti ai resti della sua unica figlia. Tuttavia…

«Quando ha ricevuto la corona di Viserys? Solo i pochi soldati e parenti che stavano presenziando al funerale di mia sorella» rispose. «Nel corso degli anni? Tutti loro.» Indicò le persone riunite lì intorno. Non conosceva tutti quanti, ma aveva scorto qualche volto familiare nella folla – ed era deciso a ricordare loro a chi avessero giurato lealtà. «Lord Bracken, ricordate quando siete venuto a porgere omaggio alla nascita di mio fratello Joffrey? Avete detto che era una benedizione che la futura regina avesse tanti eredi forti e in salute. Lord Reyne, siete stato gentile a ospitarci per una battuta di caccia, e lo siete stato ancora di più a invitarci a ripetere la bella esperienza anche dopo l’ascesa al trono di mia madre – parole vostre, se ben ricordo. Lady Swyft, come sta vostra figlia? La ricordo come una ragazza molto dolce. Mi spiace che non sia stato possibile un nostro fidanzamento, ma spero che siate riuscita a trovare un partito, come avevate detto?, altrettanto regale…»

«Adesso basta!» tuonò il Primo Cavaliere. Jace non si curò della sua furia, troppo impegnato a godersi gli sguardi mortificati dei traditori attorno a sé. «Ser Criston, scortalo di nuovo nelle sue stanze. È evidente che il ragazzo non ha ancora capito la sua posizione.»

«L’ho compresa molto bene, invece» rispose Jace, mentre il cavaliere lo afferrava per un braccio, pronto a portarlo via. «Siete riusciti a corrompere queste persone, ma io non sono abituato a rimangiarmi la parola data. Mia madre è la vera regina e combatterò…» Strinse i denti: la presa sul suo braccio si era fatta dolorosa, ma non si lasciò fermare, «… finché avrò fiato per difenderla.»

«Allora basterà toglierti quello, bastardo» sibilò Criston. Jace lo fissò con tutto l’odio che aveva in corpo. Provò a liberarsi dalla sua morsa, ma riuscì solo a farla stringere di più.

«Cole, lascialo andare. Subito!» 

Il cavaliere obbedì un attimo prima che fosse Aegon stesso ad allontanarlo da lui. Jace sentiva il braccio pulsare, ma non tentò di alleviare il dolore con un massaggio: si era già mostrato debole gemendo.

«Jace, è davvero una cosa molto semplice» gli disse Aegon, avvicinandosi a lui. «Ti metti in ginocchio, io ti perdono ed è tutto finito.»

«Rhaenyra Targaryen è l’unica vera regina dei Sette Regni.»

Aegon strinse le labbra. Quell’incontro non era andato come sperava – e Jace ne era felice.

«Un’altra notte per pensare ti farà bene» disse. «Ser Arryk, riporta il principe nella sua stanza.»

Il cavaliere annuì. Si avvicinò a Jace, ma non lo toccò, limitandosi a fargli cenno di precederlo. Il ragazzo guardò un’ultima volta il suo amico d’infanzia, poi uscì dalla stanza, tra gli sguardi contriti e colpevoli dei presenti.

 

~

 

Rhaenyra congedò i suoi consiglieri, che si ritirarono lasciandola da sola nella Sala del Tavolo Dipinto. Sospirò, rilasciando la tensione che la avvolgeva sempre durante quegli incontri. Si allontanò dalla tavola, su cui era ancora adagiata la lettera giunta quello stesso pomeriggio con cui Dalton Greyjoy confermava la sua lealtà a lei, e guardò il cielo fuori dalla finestra. Lo faceva ogni volta che ne aveva l’occasione ed era certa che non si sarebbe tolta quell’abitudine finché Jace e Luke non fossero tornati a casa. 

Non era la prima volta che stava lontano da loro – e quando erano volati a Nord per rinforzare i rapporti tra Targaryen e Stark erano anche più piccoli di adesso –, ma saperli da soli, in un momento di grande incertezza come quello che stavano vivendo, al cospetto di potenziali nemici, le toglieva il sonno e il respiro.

“Nessun uomo nei Sette Regni oserebbe versare sangue di drago” l’aveva rassicurata Daemon, la sera della loro partenza.

Rhaenyra voleva credergli, perché sentiva che era la verità, ma allo stesso tempo sapeva che non si sarebbe tranquillizzata davvero fino a quando non li avrebbe riavuti entrambi tra le sue braccia. 

Era soprattutto Luke quello che la faceva stare in pensiero. Jace, sebbene ancora molto giovane, era già un uomo: avrebbe saputo affrontare qualunque difficoltà gli si fosse parata davanti. Suo fratello, invece, aveva una natura molto più mite e insicura, e Rhaenyra non ricordava una sola volta in cui avesse affrontato la vita da solo, senza lei o Jace al suo fianco. Era anche certa che Luke avesse accettato di andare a conferire con Lady Jeyne solo per non deludere suo fratello. 

“Sei troppo duro con lui, Jace” lo aveva rimproverato una volta, dopo che Luke si era slogato un polso a seguito di un loro allenamento.

Jace aveva abbassato lo sguardo, mortificato, e aveva stretto i pugni. “Non volevo fargli male” aveva detto, con voce flebile. “Ma un giorno prenderà il posto di Corlys Velaryon sul trono di Driftmark, deve essere in grado di combattere e proteggere la sua gente. Se continua di questo passo, resterà un debole e io non potrò stare sempre accanto a lui, i miei doveri mi porteranno altrove. Non voglio che si trovi impreparato o…”

Rhaenyra aveva sospirato. Gli aveva posato le mani sulle spalle, spingendolo ad alzare lo sguardo.

“Hai ragione, Luke ha ancora molto da imparare per poter diventare Lord delle Maree. Esattamente come te, che avrai delle responsabilità ancora più gravose delle sue.” Gli aveva sorriso, passandogli una mano tra i capelli. “Ma il lato positivo è che siete ancora due ragazzi, e io e Corlys siamo in perfetta salute. I vostri doveri non vi attenderanno prima di un paio di decenni – anzi, spero che i tuoi tarderanno ancora di più: non ci tengo a morire giovane.”

Jace aveva sgranato gli occhi, impallidendo. “C-Certo che non devi morire! Lo so, lo so, passerà ancora molto tempo… Ma allenarsi è importante!”

“Certo che lo è, ma come ogni cosa serve moderazione. Lascia a tuo fratello il tempo di imparare. Aiutalo, ma senza esagerare.”

Jace aveva annuito, prima di salutarla per andare a vedere come stava Luke.

Rhaenyra sorrise, ripensando al suo bambino – Jace non voleva che lo chiamasse così, ma non poteva esercitare alcun controllo sui suoi pensieri. 

«Mia regina.» Ser Erryk entrò nella stanza, rivolgendole un profondo inchino.

Rhaenyra chinò il capo in segno di saluto e gli rivolse un piccolo sorriso. Stava per chiedere cosa volesse da lei, quando vide un ciuffo di capelli scuri spuntare dietro di lui. Il suo cuore saltò un battito, mentre un grande sorriso si aprì sul suo volto. 

«Mam- Mia regina.» Luke, i capelli arruffati e le guance arrossate per il volo, le rivolse un inchino impacciato. 

Rhaenyra corse verso di lui e lo strinse tra le braccia, respirando il suo familiare profumo.

«Bentornato a casa» gli disse.

Luke si irrigidì un momento, poi ricambiò l’abbraccio, affondando il volto nell’incavo del suo collo. 

«Com’è andato il viaggio?» gli chiese poi, separandosi da lui. «Immagino sarai stanco.»

Luke scosse la testa. «No, no. È andato tutto bene» disse. «Lady Jeyne è stata molto gentile, mi ha offerto ospitalità e mi ha raccontato tutta la storia della sua famiglia.»

Rhaenyra rise: dalla sua espressione, sembrava che non fosse stato un racconto entusiasmante.

«Naturalmente ha subito riconosciuto te come sua regina» disse Luke. Rhaenyra annuì, lieta della lealtà della Valle, ma rimase in silenzio perché ebbe l’impressione che suo figlio avesse altro da aggiungere; lui però abbassò lo sguardo, incerto se proseguire o meno.

«Questa è una bella notizia» disse Rhaenyra, posandogli una mano sulla spalla. «Cos’altro ti ha detto?»

«Ecco… Ha detto che tra donne avete bisogno di sostenervi, e che l’affetto che provava per nonna Aemma le impediva di voltare le spalle alla sua unica figlia, ma… aveva qualche riserva su… Daemon. Però non si è tirata indietro, ecco, è-è leale a te!» aggiunse subito, forse temendo che avrebbe reagito male sapendo che Lady Jeyne non aveva stima di suo marito. 

Come avrebbe potuto? Daemon non lo aveva mai confessato, ma lei non aveva bisogno di chiedere per sapere cosa – chi – aveva ucciso Rhea Royce. Si era aspettata la diffidenza della Valle nei suoi confronti, ma aveva sperato che la memoria della regina Aemma, a cui Luke somigliava tanto, l’avrebbe portata a dimenticare ciò che era accaduto tra Daemon e la sua prima moglie; e così era stato.

«Tuo padre ha avuto qualche… incomprensione, con la famiglia di Lady Jeyne» disse, non volendo entrare nei dettagli di ciò che aveva fatto. «Ma sono lieta che lei abbia scelto di metterli da parte per sostenermi.»

Luke annuì. «C’è un’ultima cosa. Ha chiesto di inviare dei draghi a proteggere la Valle e ho acconsentito. Ho fatto bene?» 

Le aveva parlato come un emissario adulto, riportando con precisione gli accordi presi, ma quell’ultima domanda tradì la sua insicurezza e inesperienza. Rhaenyra gli diede un bacio sui capelli.

«Certo che hai fatto bene, mio dolce ragazzo» disse, e la sua approvazione fece comparire un sorriso sul volto di Luke. «Adesso vai a riposare, te lo meriti. Appena tuo fratello sarà tornato, riunirò il concilio per stabilire come dividerci la protezione del regno. Immagino che anche Lord Borros la chiederà.»

Luke annuì. «Ehm, avevo visto che Vermax non c’era, ma pensavo… Quindi Jace non è ancora tornato?» chiese, chiaramente dispiaciuto. Era probabile che si aspettasse di poter riabbracciare suo fratello appena tornato a casa.

«No, ma immaginavo che la visita dai Baratheon sarebbe stata più lunga. Di certo Lord Borros non si sarà lasciato sfuggire l’occasione di ospitare un principe nella sua casa il più a lungo possibile» rispose, cercando di mettere a tacere la sua stessa angoscia. «Vedrai, tornerà molto presto.»

Luke annuì, prima di rivolgerle un piccolo inchino e lasciare la stanza. Rhaenyra lo guardò uscire, poi tornò a osservare il cielo fuori dalla finestra.



 

Note: Vorrei intanto cogliere l’occasione per ringraziare chi ha letto fin qui e sta seguendo questa storia ❤
Ci tengo poi a fare un paio di precisazioni su quello che avete letto nel capitolo. Ho aggiunto un altro piccolo what-if, ovvero il fatto che Jace e Luke conoscono già Cregan e sono suoi amici. Per quanto riguarda i lord nominati da Jace, i fatti che racconta sono inventati da me, mentre i nomi li ho presi dall’elenco delle famiglie che si sono schierate dalla parte dei Verdi. 
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, è una storia più difficile da scrivere di quanto pensassi e ci terrei molto a conoscere la vostra opinione ❤ 
Ci risentiamo il prossimo mese, statemi bene!

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Note: In questo capitolo c’è uno scambio di dialoghi in Valyriano. Ne approfitto quindi per dirvi che, d’ora in poi, quando due personaggi parleranno in questa lingua le frasi saranno scritte in corsivo.
Detto questo, buona lettura!


 

Capitolo 3



 

Il vento gli sferzava il volto, scompigliandogli i capelli. Aegon chiuse gli occhi, lasciandosi avvolgere dalla sensazione di leggerezza che provava sospeso tra le nuvole. 

Era quello il suo regno. Il cielo, nella sua infinita grandezza, gli offriva quella libertà che non avrebbe mai potuto trovare, bloccato tra le case e le rocce in terra. Volare, accompagnato dal suo amato Sunfyre, era tutto ciò che desiderava. Lo faceva sentire completo, felice – vivo

Guardò alle sue spalle, incontrando un manto di nuvole che si muovevano silenziose intorno a lui. Jace non c’era: Vermax era troppo piccolo per volare così in alto, avrebbero dovuto attendere ancora qualche anno per poter esplorare il cielo insieme – ma andava bene così. 

Avevano tutto il tempo che desideravano.

Un tuono squarciò la quiete del luogo. Aegon sollevò lo sguardo, scoprendo di essere sceso al di sotto delle nuvole. Sunfyre continuava a volare tranquillo, perciò Aegon si limitò a una scrollata di spalle e tornò a godersi il panorama. A quella quota, avrebbe dovuto ritrovare anche Jace.

Un secondo tuono, più forte del precedente, lo fece sobbalzare. Poi tutto si fece freddo e sentì una voce lontana che lo chiamava. Aegon non capiva da dove provenisse.

Guardò in basso e vide dei draghi volare intorno a navi in fiamme.

 

«Aegon!»

Aprì le palpebre, ma fu costretto a serrarle di nuovo a causa della luce improvvisa che lo colpì. Si sentiva stordito e impiegò qualche secondo a capire di trovarsi nel suo letto, senza più le lenzuola a coprire il suo corpo e con una macchia verde che torreggiava sopra di lui.

Sbuffò, stropicciandosi gli occhi.

«Madre» disse. «Buongiorno anche a te.»

«Fai lo spiritoso?» soffiò lei. «È quasi mezzogiorno, perché sei ancora a letto?»

«Avevo degli impegni stamani?» chiese, continuando a tenere gli occhi chiusi. Il suo corpo non voleva svegliarsi e la sua mente desiderava solo tornare alla calma del sogno. Quelle ultime immagini erano state molto strane, ma forse era solo il suo subconscio che aveva reagito alla voce di sua madre.

A un tratto si sentì afferrare il viso in una morsa che lo costrinse ad aprire gli occhi e fronteggiare il volto furente di Alicent. 

«Sei. Il. Re» scandì, per assicurarsi che quelle parole penetrassero nella sua mente. «È finito il tempo in cui potevi comportarti come un bambino viziato. Adesso hai delle responsabilità, dei doveri, persone che contano su di te!»

«C’è un motivo se non volevo regnare, madre» sibilò in risposta. 

«Non mi interessa cosa volevi tu. Sei il primo figlio maschio di Viserys e tuo padre desiderava vederti sul trono. Puoi provare a impegnarti? Se non per te stesso o per il tuo popolo, fallo almeno per la sua memoria.»

Aegon rise, e quel suono si fece ancora più amaro quando ricordò le parole che Jace – insieme al quale, realizzò, non avrebbe esplorato un bel niente – aveva pronunciato nella Sala del Trono.

Le prese il polso, stringendo appena per farle capire che voleva essere liberato. Alicent lo assecondò.

«Davvero mi voleva sul trono?» domandò con voce flebile. 

Alicent sospirò e si sedette sul materasso accanto a lui. 

«Sì, te l’ho già spiegato. Ha fatto il tuo nome, affermando che tu eri sempre stato destinato a prendere il suo posto.»

«Allora perché non l’ha detto prima? Eravamo tutti insieme, anche Daemon e Rhaenyra erano presenti. Perché non dirlo allora, così da evitare questa situazione?»

«Aegon.» Alicent gli prese una mano, stringendola dolcemente tra le sue. «Tuo padre era molto malato, a malapena aveva la forza di stare sveglio. Credo che… Credo che in quel momento abbia solo desiderato godersi il calore della sua famiglia e non pensare a nient’altro.»

«Avrebbe fatto meglio a farlo, invece.»

Alicent sospirò. Gli portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e si alzò, lisciandosi le pieghe del vestito. 

«Vestiti, coraggio» gli disse. Era un ordine, ma il suo tono si era addolcito rispetto a prima. «Credo sia ora che tu vada a incontrare Jacaerys. Tre giorni chiuso in quella stanza forse l’hanno ammorbidito.»

Aegon ne dubitava, ma non gli andava di farla infuriare adesso che si era calmata. Anche se le sue parole su Viserys non lo avevano rassicurato nemmeno un po’, decise comunque di continuare a recitare la parte del figlio che assecondava la volontà paterna e si alzò per vestirsi. 

«Spero davvero che abbia cambiato idea» mormorò Alicent, prendendo a tormentarsi le unghie. Aveva ripreso a farlo più assiduamente di recente, ma Aegon non riusciva a esserne dispiaciuto: l’aveva voluta lei, tutta quella situazione. Inoltre, l’assenza di unghie affilate era un bene per il suo volto. 

«Rhaenyra non sospetta ancora niente?» le chiese, mentre finiva di indossare la tunica nera. 

Alicent abbassò lo sguardo, come se si sentisse colpevole. 

«Le ho inviato una lettera questa mattina» rispose. «Volevo che sapesse che suo figlio è qui e sta bene.»

Aegon rifletté sulle sue parole. Era incerto se chiederlo o no, perché in caso di risposta affermativa probabilmente avrebbe subìto un rimprovero, ma decise di farlo comunque.

«Ne hai parlato con il concilio?» Ne hai parlato con me?

«No» rispose decisa, guardandolo dritto negli occhi. «È stata una mia decisione, di cui ovviamente ti avrei informato quanto prima. Dal momento che non abbiamo niente da nascondere, ho giocato a carte scoperte, informandola della situazione di Jacaerys prima che lei iniziasse a setacciare ogni angolo dei Sette Regni per cercarlo.»

Aegon annuì. 

«Buona idea» disse. «Anche se forse sarebbe stato più convincente farla scrivere direttamente a Jace.»

«Ci avevo pensato, ma temevo che si sarebbe rifiutato. E non volevo dare modo a tuo… al concilio, di proporre ancora una volta di fargli del male.»

Aegon ghignò.

«È il tuo Primo Cavaliere che spinge in quella direzione.» Alicent gli scoccò un’occhiata scocciata, che lui ignorò. «Non mi piacciono molto i suoi metodi, inoltre l’ho sempre trovato un uomo deprimente. Preferirei avere persone più simpatiche intorno a me.»

«Tuo nonno non è privo di difetti, ma è il miglior consigliere che potresti avere. È intelligente, cauto e ragionevole, senza contare che ha servito fedelmente tre re prima di te. La sua esperienza lo rende il candidato più adatto per un ruolo di tale spessore.»

Aegon si strinse nelle spalle. 

«Se lo dici tu.»  

 

~

 

Jace sedeva davanti alla finestra, il mento appoggiato distrattamente al palmo della mano. L’azzurro del cielo privo di nuvole risplendeva sopra la città, ravvivandone i colori. Gli sarebbe piaciuto volare lassù – o anche solo mettere il naso fuori da quella stanza. 

Stava iniziando a innervosirsi, chiuso tutto il giorno tra quattro mura, senza ricevere notizie di Vermax, di sua madre o di Aegon. Si era chiesto se quel silenzio fosse dovuto al suo comportamento nella Sala del Trono, forse troppo eccessivo; ma la risposta che gli sorgeva alla mente quando la interrogava al riguardo, tramite la voce di Daemon, era una sola: aveva fatto bene. Tutti coloro che si erano radunati in quella sala erano venuti meno al giuramento fatto a sua madre. Lui si era limitato a ricordarglielo. 

Ciò che trovava strano, però, al di là di non essere ancora stato sbattuto in una cella buia e umida, era l’assenza di insistenze da parte dei Verdi. Immaginava che avrebbero continuato a chiedergli di inginocchiarsi al cospetto di Aegon, con moine o minacce, nell’intento di farlo cedere. 

Anche se, forse, era proprio ciò che stavano facendo.

La solitudine, l’assenza di distrazioni dai propri pensieri, a lungo andare diventavano una tortura in grado di far impazzire anche la mente più forte. Jace tentava di tenersi occupato come meglio poteva, anche se, oltre a camminare avanti e indietro per la stanza e consumare i pasti in compagnia di Helaena, non c’era molto che potesse fare. Anche dormire non gli dava giovamento: quando non veniva avvolto da ricordi che gli portavano solo tristezza e nostalgia, si svegliava di soprassalto, temendo un’incursione improvvisa dei Verdi. L’assenza di riposo si era fatta sentire con prepotenza il giorno prima, quando la cameriera che gli aveva portato il pranzo aveva osato chiedergli come stesse e lui le aveva urlato contro. La poveretta era fuggita dalla sua stanza e Jace continuava a sperare di rivederla per potersi scusare con lei. 

Sospirò, massaggiandosi la fronte. Doveva trovare il modo di mantenere la calma e resistere. Ormai mancava da casa da giorni e sarebbe stata solo questione di tempo prima che la sua famiglia scoprisse cosa gli era accaduto. Doveva solo attendere.

Sentì lo scatto della porta e si alzò in piedi, aspettandosi di vedere Helaena entrare per il loro consueto appuntamento per il pranzo. 

Ma non fu il suo sorriso quello che vide.

«Buongiorno, nipote.»

«Buongiorno, zio.»

Jace strinse i pugni, restando immobile mentre Aegon si guardava attorno e prendeva posto sgraziatamente su una delle sedie davanti al camino. 

«Bella camera» commentò. 

Jace non rispose. La porta era di nuovo chiusa. 

Per la prima volta, dopo sei anni, erano soli. 

Poteva essere la sua occasione per fargli quelle domande a cui Aegon non avrebbe potuto rispondere in presenza della sua famiglia, per provare a scoprire se l’amico che ricordava esisteva ancora. Vederlo con la corona in testa, però, gli ricordò il crimine di cui si era macchiato e annullò tutto il suo interesse a ricreare un ponte tra di loro. 

«È un po’ che non ci vediamo» continuò Aegon. «Come te la passi?»

Jace strinse i pugni, cercando di mantenere la calma. 

«Potrei stare meglio.»

Aegon annuì. Spinse indietro la sedia davanti a lui con il piede, facendogli cenno di sedersi. 

«Non stare lì impalato» disse, capendo che Jace non era intenzionato ad accettare il suo invito. «Vieni qui, forza. Parliamo un po’.»

Jace tentennò un momento, poi si avvicinò a lui e fece come gli veniva chiesto. Sedette con la schiena dritta, i pugni stretti sulle ginocchia, e fissò i suoi occhi su Aegon. 

«Hai cambiato idea?» gli chiese lui, senza tanti preamboli. La sua voce, però, non aveva niente di autoritario: sembrava annoiato, come se fosse stato costretto ad andare a parlargli contro la sua volontà.

«Secondo te?» ribatté Jace.

Aegon ghignò. Tamburellò con le dita sulla superficie del tavolo, rimuginando tra sé e sé. Probabilmente stava cercando un modo per convincerlo a rivedere la sua posizione.

«Mia madre ha scritto alla tua» disse, cogliendolo di sorpresa.

«Cos-? Cosa le ha detto?»

Aegon inarcò un sopracciglio, divertito. 

«Secondo te?» rispose, facendogli il verso.

Jace strinse i pugni. 

«Aegon.»

«Che ti trovi qui, stai bene e non intendi tradirla. Niente di tanto eccezionale.»

Jace annuì. La situazione di stallo in cui era rimasto per giorni si era finalmente rotta – a suo vantaggio.

«Immagino che, nonostante le buone intenzioni di mia madre, Rhaenyra non vorrà che tu rimanga qui ancora a lungo» disse Aegon.

«Non lo voglio nemmeno io, se ti interessa.»

«Ma come? Non ti piace essere tornato a casa, dal tuo vecchio amico?» 

Rise della sua battuta, che Jace non trovò affatto divertente. Era stato felice di tornare, tempo prima – e lui aveva distrutto quella felicità. Il divertimento di Aegon, però, durò poco: si spense in un sorriso triste che gli fece abbassare lo sguardo. 

«No. Ormai mi odi.» Sollevò di nuovo i suoi occhi su di lui, facendosi serio, e Jace non ebbe il tempo di capire se quelle parole le avesse dette davvero. «Puoi andartene oggi stesso, Jace. Basta che ti inginocchi al mio cospetto. Guarda, puoi farlo anche qui, non c’è bisogno di tutto il teatrino con il trono e la corte. Faccio entrare Ser Arryk (o Erryk, non mi ricordo quale è rimasto) come testimone e già stasera sarai di nuovo a casa. Forse arriverai prima tu della lettera di mia madre.»

Il suo primo impulso fu quello di rispondere come aveva fatto fino a quel momento, ma si rese conto che, di quel passo, non sarebbe arrivato da nessuna parte. 

Tenendo a freno la sua frustrazione, decise di optare per un altro approccio. Lasciò andare un sospiro, rilassando i pugni che aveva stretto fino a far sbiancare le nocche.

«Vuoi che ti riconosca come re» ripeté. «E poi?»

«Poi voli a casa e ne parli con tua madre. Naturalmente, lei dovrà fare altrettanto, ma come scoprirai presto tu stesso si tratta di una cosa veloce e indolore.»

«E poi?»

Aegon sbatté le palpebre, confuso. «Cosa?»

«Ti riconosciamo come re. D’accordo. E dopo? Siederai sul Trono di Spade? Non mi sembra che ti faccia tanto piacere.»

Aegon si strinse nelle spalle. 

«Non è poi così male. Basta sedersi con attenzione per evitare di tagliarsi.»

Jace represse un sorrisetto. Il Trono ferisce gli indegni.

«E le riunioni del concilio? Immagino che tu abbia già presenziato ad alcune. Anche quelle non sono così male?»

«Quelle riunioni sono una tortura» rispose, gonfiando le guance in uno sbuffo. Era la stessa espressione che faceva quando non aveva voglia di ascoltare una lezione: Jace provava a convincerlo a concentrarsi, ma di solito finiva per distrarsi a sua volta e Aemond doveva riportare all’attenzione entrambi. «Ma penso che le apprezzerei di più, se non fossero monotematiche» aggiunse, sporgendosi sul tavolo verso di lui. «A tal proposito, il tuo aiuto sarebbe davvero prezioso.»

Jace storse la bocca. 

«Perché se mia madre accettasse la tua pretesa al trono, non dovreste preoccuparvi di una guerra civile e potreste affrontare altre questioni?»

«Esatto! Sei sempre stato un ragazzo sveglio, Jace» rise Aegon, allungando una mano a scompigliargli i capelli. Jace scattò in piedi. 

Non voleva che lo toccasse. 

Non voleva rivivere gesti che un tempo erano quotidiani, e che lui osava anche considerare affettuosi, per vederli trasformati in scherno e manipolazione. 

«Ad ogni modo, la mia non è una pretesa» disse Aegon, ritraendo la mano. «Io sono il re, proprio come voleva mio padre.»

«Viserys non voleva te, Aegon» disse, cercando di mantenere un tono pacato per farsi ascoltare – e capire. «Non sei mai stato il suo erede, non ti ha mai…»

«Sai una cosa?» lo interruppe lui, alzandosi a sua volta. «In realtà non è importante. Forse mio padre ha cambiato idea sul letto di morte, forse ha sempre voluto Rhaenyra sul trono: ormai non ha più rilevanza. Il popolo ha assistito alla mia incoronazione, ha acclamato me come suo re. Ha fatto la sua scelta, scelta che tu e tua madre dovrete rispettare.» 

Si avvicinò a lui, fermandosi a meno di un passo di distanza. Jace si impose di non indietreggiare. 

«Ti lascio un altro giorno per riflettere, se vuoi, ma ti avverto, Jace: la mia pazienza si sta esaurendo. Se non avrai una risposta prima che ciò accada, non garantisco che non prenderò in considerazione metodi più… estremi per tirartela fuori.»

Jace strinse i pugni. Davvero Aegon gli avrebbe fatto del male? 

Non capì se a ferirlo di più fu il pensiero in sé o la risposta che si diede: .

«Puoi iniziare ad applicarli fin da ora» disse, guardandolo a testa alta. «Non c’è niente che tu o i tuoi uomini possiate farmi per convincermi a tradire mia madre.»

Aegon assottigliò le palpebre, chiaramente infastidito dalla sua risposta. Jace sostenne il suo sguardo, in attesa. Voleva davvero capire fin dove si sarebbe spinto per tenersi addosso la corona.

Poi lo sguardo del ragazzo si illuminò, come se avesse appena avuto una brillante idea. Jace stava per chiedere spiegazioni, ma lui lo anticipò.

«Hai ragione. A te non posso fare niente. Ser Erryk!» 

Arryk Cargyll fu nella stanza in un attimo. 

«Mio re. Io sono Arryk» mormorò.

«Ah, sì. Non importa. Credo che il principe si senta solo qui, tienigli compagnia, d’accordo?»

Il cavaliere annuì, anche se non sembrò molto convinto. Anche Jace non riuscì a capire il motivo di quella richiesta. Per un momento, quando Aegon lo aveva chiamato, aveva creduto che volesse ordinare a Ser Arryk di estorcergli il giuramento che bramava a suon di pugni; invece doveva stare lì e… chiacchierare con lui? 

«Che significa tutto ciò?» chiese, mentre Aegon si era già diretto verso la porta.

Lui si voltò, sorpreso da quella domanda. 

«Credo che ti faccia bene un po’ di compagnia. Resterei io, ma devo andare a vedere come procedono i preparativi alla Fossa del Drago.»

Jace impiegò qualche istante a realizzare cos’avesse detto.

«I preparativi?» chiese, pregando che la sua voce non tremasse. «Per cosa?»

«Oh, niente di eccezionale. Ma c’è un drago di troppo adesso là dentro e, dal momento che Rhaenys Targaryen ha distrutto parte dell’edificio l’ultima volta che è stata qui, dobbiamo prendere provvedimenti. Tranquillo, Vermax non soffrirà.»

Il sangue gli si gelò nelle vene. 

No, non poteva dire sul serio.

«Aegon.» Si avvicinò a lui, ma Arryk gli sbarrò la strada. «Aegon, lascialo andare. Fallo volare a casa, sa come tornare da solo. Mia madre sa già che sono qui, perciò non sarà un problema se lo vede…»

Aegon lo interruppe, agitando l’indice destro nell’aria. «Scusami, Jace, ma non mi sembra saggio fornire un drago in più alla tua famiglia.»

«Vermax è la mia famiglia» esclamò. «Ed è ancora giovane e piccolo, non rappresenta una minaccia per nessuno.»

«Non ne sono tanto sicuro. Aemond ha detto che è cresciuto molto dall’ultima volta che lo ha visto. E credo che Vhagar l’abbia puntato. Hai visto quanto è grossa? Non è semplice trovare abbastanza cibo per sfamarla.»

Jace scosse la testa. Cercò di avvicinarsi a lui, ma Arryk lo afferrò per un braccio, impedendogli di raggiungere Aegon, che continuava a fissarlo con un sorrisetto divertito in volto. Come se non avesse appena detto di voler uccidere il suo drago.

«Aegon, non farlo. Ti prego. Prenditela con me, non m’importa, ma lascia stare Vermax!»

Il sorriso di Aegon si rabbuiò. 

«Allora ti inginocchierai?»

Jace avrebbe voluto urlare. Come poteva chiedergli di scegliere tra l’eredità di sua madre e la vita di Vermax? 

O di tutta la sua famiglia. 

Perché, dopotutto, cosa gli garantiva che i Verdi non li avrebbero massacrati tutti una volta che Rhaenyra si fosse sottomessa a loro? 

Aegon non attese oltre la sua risposta. Si voltò e uscì dalla stanza, lasciandolo solo con le sue paure e i suoi dubbi.

 

~

 

Gli operai intenti a ricostruire il pavimento della Fossa del Drago si inchinarono al suo passaggio. Aegon notò che le macchie di sangue non erano ancora state rimosse del tutto. Forse sarebbero rimaste in eterno, a memoria dello sterminio avvenuto in quel luogo durante la sua incoronazione. 

Almeno in quello, io e la mia famiglia siamo innocenti.

«Mio re.» L’anziano custode dei draghi si avvicinò a lui appena prima che potesse scendere nella grotta. «Non aspettavamo una vostra visita. Vi avremmo fatto trovare il vostro drago pronto, se desideravate…»

Aegon alzò una mano per zittirlo. 

«Va tutto bene. Non sono venuto per volare, volevo solo… vedere qualcuno.»

L’uomo gli rivolse uno sguardo incerto, ma lui lo ignorò, afferrando una torcia e proseguendo nel suo cammino. Ogni passo che lo avvicinava alla meta faceva scaturire in lui nuovi dubbi, ma ormai non poteva fermarsi: quella situazione non si sarebbe evoluta in alcun modo se Jace non avesse capito di non essere un semplice ospite.

L’aria si faceva più acre man mano che scendeva e sapeva che l’odore di fumo e carne bruciata gli sarebbe rimasto addosso anche dopo un lungo bagno. Di solito non scendeva all’interno della grotta, lasciando che fossero i custodi a portare Sunfyre in superficie per lui. Non c’era niente di interessante là sotto: solo buio, illuminato sporadicamente dalle fiamme dei draghi, che avrebbero potuto arrostire facilmente chiunque si fosse addentrato nel loro territorio.
Ma Aegon sapeva di essere al sicuro: Sunfyre, essendo il drago che più spesso usciva per volare, aveva il suo nido all’ingresso della grotta. Lui non gli avrebbe mai fatto del male e avrebbe impedito anche agli altri di provarci. 

Con la luce prodotta dalla torcia, Aegon individuò subito il muso del suo amico. Era appoggiato sulle zampe anteriori e stava dormendo. Aegon posò la torcia a terra e si avvicinò a lui, allungando una mano per toccargli le scaglie, che risplendevano nonostante la scarsa illuminazione. Sorrise: Sunfyre era il suo orgoglio, e a volte si domandava ancora cosa avesse fatto per meritare un drago meraviglioso come lui. Non voleva nemmeno immaginare un mondo in cui lui non esisteva.

Strinse le palpebre, sentendo un nodo formarglisi in gola. Anche Jace voleva molto bene a Vermax. Da bambino, ogni occasione per lui era buona per andare a trovare il suo drago. Ed era chiaro che quell’affetto non fosse svanito negli anni, considerata la disperazione con cui gli aveva chiesto di risparmiarlo. Se gli fosse accaduto qualcosa, Jace ne avrebbe sofferto. 

Ma Vermax non era il suo unico amico, l’unico su cui potesse contare per trovare un briciolo di felicità. Jace aveva i suoi fratelli, la sua famiglia, ed Aegon era certo che avesse anche molti amici, considerato il carattere gioviale e gentile del ragazzo. Perdere Vermax sarebbe stato duro, ma non lo avrebbe distrutto. 

Sunfyre sbuffò, riempiendolo di fiato caldo, e mosse il muso. Aegon fece un passo indietro e riprese la torcia, aspettando che il suo drago si svegliasse del tutto. La fiamma illuminò l’area circostante, catturando un movimento anomalo alla sinistra del drago. Aegon si spostò in quella direzione e notò che, insieme a Sunfyre, si stava svegliando qualcun altro. Qualcuno che aveva dormito accovacciato accanto a lui.

Le scaglie verdi e gli occhi gialli furono sufficienti per riconoscere Vermax. 

Non era grande quanto Sunfyre, ma doveva ammettere che fosse cresciuto parecchio dall’ultima volta in cui lo aveva visto – quando Jace gli aveva sorriso, fiero di poter ordinare il suo primo Dracarys e desideroso di ricevere la sua approvazione per quell’agognato traguardo. 

Sunfyre drizzò il collo nella sua direzione, ormai completamente sveglio. I suoi occhi lo fissavano con insistenza e Aegon non aveva difficoltà a capire cosa gli stesse chiedendo. 

«Oggi no» disse, anche se lui stesso desiderava poter volare e dimenticare per qualche ora tutto ciò che stava accadendo. 

Ma si era diretto lì per un motivo e non poteva tirarsi indietro. 

Sunfyre sbuffò, deluso, e si sedette di nuovo, probabilmente intenzionato a dormire un altro po’. Vermax, invece, rimase a fissarlo guardingo per qualche secondo. Poi ruggì, facendogli sfuggire la torcia di mano e ridestando anche Sunfyre.

«Tranquillo» disse, alzando le mani. Che avesse capito cos’era venuto a fare? I draghi non erano particolarmente intelligenti, ma potevano percepire gli stati d’animo dei propri cavalieri e agire di conseguenza. Lui e Vermax, però, non avevano alcun tipo di legame.

Se si escludeva quello creato per mezzo di Jace. 

Aegon sospirò. Si passò le mani sul viso, imprecando – gesto che fece innervosire anche Sunfyre e Dreamfyre, nonostante fosse piuttosto lontana da loro. 

Perché sto sempre a letto, madre? Indovina un po’!

Inspirò a fondo, cercando di calmarsi. Morire per mano di un drago non doveva essere un’esperienza terribile, soprattutto per un Targaryen; ma forse non era il caso di sperimentarla in quel momento.
In realtà, non gli andava di avere niente a che fare con la morte. Ma come gli era venuto in mente di uccidere Vermax? Cos’avrebbe fatto poi? Portato la sua testa davanti a Jace? Lo avrebbe guardato piangere e disperarsi per la perdita del suo amico? Jace non lo avrebbe mai perdonato – lui stesso non si sarebbe mai perdonato – e, soprattutto, dubitava che un gesto simile lo avrebbe spinto a passare dalla sua parte. 

Un Targaryen che uccide un drago. Sì, era proprio un re degno.

Sospirò, lasciando ricadere le mani lungo i fianchi. Sunfyre lo stava ancora guardando, mentre Vermax si era raggomitolato accanto a lui e aveva chiuso di nuovo gli occhi. Sembrava tranquillo. Come se sapesse di essere al sicuro vicino a lui.

Una volta Jace pensava lo stesso di me. 

Scoppiò a ridere, finché le lacrime non iniziarono a bagnare il suo volto e Aegon si disse che era da troppo tempo che non dimenticava a dovere la realtà.

 

~

 

I tiepidi raggi lunari filtravano attraverso l’ampia vetrata. La loro luce assumeva i contorni del Trono di Spade, posto a ostacolo del suo percorso.
Dal momento in cui la corona del conquistatore era stata posta sul capo di Aegon, Aemond si era ripromesso di non desiderarlo. Non importava cosa bramasse, cosa ritenesse più giusto: quello scranno non sarebbe mai appartenuto a lui.

Nonostante ne fosse più degno.
Strinse i pugni. Si era illuso che non avrebbe più dovuto trascinare Aegon fuori da un bordello, ubriaco ed ebbro di sesso; che suo fratello avesse capito qual era il suo ruolo e si sarebbe impegnato a svolgerlo a dovere.

“Non sono adatto a regnare!”

Credeva fosse stata una presa di coscienza che lo avrebbe spinto a migliorarsi, invece era stata solo una scusa per giustificare la sua totale incompetenza come sovrano. 

Nel silenzio della notte, avvertì dei passi risuonare alle sue spalle, accompagnati dal fruscio di una veste. Aemond si voltò, scrutando nell’oscurità per capire chi fosse.

«Hai visto Aegon?» chiese la voce di Helaena, avvicinandosi a lui. 

«Purtroppo sì. Perché? È successo qualcosa?» 

Quando la ragazza fu abbastanza vicina, notò che indossava ancora gli abiti che aveva a cena. Se non ricordava male, aveva detto che sarebbe andata a salutare Jace. Era rimasta da lui fino ad allora? 

«Ha esagerato con le parole stamani» spiegò lei. «So che non voleva davvero ferire Jace, ma lui ormai non ha più la stessa certezza. Ha mandato Ser Marston ad avvisarlo che Vermax sta bene, ma ci aspettavamo entrambi che sarebbe andato a parlargli di persona.»

«Mm.» Ormai Aemond aveva imparato a ignorare il modo in cui Aegon pronunciasse ossessivamente il nome di loro nipote quando era troppo ubriaco per capire ciò che stava dicendo, ma forse quella sera c’era stato un senso dietro il fiume di “mi dispiace” e “perdonami” che gli aveva riversato addosso, scambiandolo per Jace. «Non credo sia nelle condizioni di parlare con qualcuno, al momento.»

Helaena annuì. 

«Grazie di esserti occupato di lui. Spero che una notte di sonno lo rimetta in sesto.»

«Fino alla prossima volta» commentò Aemond. «Mi dispiace che tu sia rimasta sveglia finora per lui. È molto tardi, dovresti andare a riposare.»

«Hai ragione.» 

Gli sorrise in un tacito saluto, poi si allontanò. Una volta in cima alle scale, però, si voltò nuovamente verso di lui. 

«Attento al sangue che sgorga dal marmo. Se fosse troppo nero, potrebbe diventare verde.»

Aemond rimase a fissare la porta, cercando di capire il significato di quelle parole.
Il sangue è rosso. Può diventare nero alla luce della luna, ma mai verde.

Scosse la testa: probabilmente sua sorella era stanca a quell’ora della notte e, per una volta, aveva davvero pronunciato solo un insieme di parole sconnesse tra loro.


 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Note: Spero che risulti chiaro anche dal testo, ma per praticità vi informo che la scena a Roccia del Drago si svolge nello stesso giorno di quelle ad Approdo del Re.
Spero che il capitolo vi piaccia ^^ Buona lettura!



Capitolo 4




Sentì qualcosa sfiorargli la spalla e un suono distante che si faceva sempre più forte mano a mano che il tocco sulla sua pelle assumeva la forma di dita delicate che picchiettavano su di lui.

Aegon sbatté le palpebre e, appena riconobbe volto e voce della persona che lo stava svegliando, sbuffò e si rigirò nel letto, affondando il volto dentro il cuscino.

«È maleducato dormire in presenza di ospiti» lo rimproverò Helaena, con il suo solito tono neutrale.

«No sei opite gaita» biascicò Aegon, il cuscino che si mangiava le sue parole.

«Nemmeno Jace lo è?»

Aegon sollevò la testa e si voltò quanto bastava per controllare l’ambiente circostante, preparandosi a dire a sua sorella cosa pensasse del suo patetico tentativo di farlo alzare dal letto.

Dovette trattenere gli insulti, però, perché Jace era davvero nella stanza. Se ne stava in piedi accanto al camino, le braccia tese lungo i fianchi con le mani serrate a pugno e uno sguardo che Aegon non volle decifrare.

Si mise seduto ed emise un lungo sbadiglio, stropicciandosi gli occhi. Non sapeva che ore fossero, ma di certo era troppo presto per svegliarsi – soprattutto dopo una nottata di sesso brutalmente interrotta dall’arrivo di Aemond.

«Nipotino» lo salutò, abbozzando un sorriso verso di lui, «buongiorno.»

Jace spostò lo sguardo verso Helaena, che annuì decisa. Quel piccolo scambio, indice di una strana complicità tra i due, lo svegliò del tutto. Sentì il suo stomaco attorcigliarsi, esattamente come era accaduto quando Jace aveva chiesto a Helaena di ballare.

Era una sensazione che odiava, la gelosia.

E, il lato peggiore, era che sapeva perfettamente chi dei due l’avesse scatenata.

«Vado dai bambini» disse Helaena, distogliendolo dai suoi pensieri. Agitò la mano destra in un saluto verso Jace, prima di uscire dalla stanza e richiudersi la porta alle spalle.

Erano di nuovi soli – e, dopo l’ultima volta, Aegon non era certo di esserne felice.

«È la verità?» Jace si precipitò subito da lui, fermandosi al limitare del letto, negli occhi un misto di paura e speranza. «Vermax sta bene? Allora?»

Aegon sospirò. Si massaggiò le tempie, domandandosi se avrebbe mai avuto un risveglio pacifico, senza mal di testa o parenti che gli urlavano addosso.

«Manston non ti ha recapitato il mio messaggio?» chiese.

«S-Sì, lo ha fatto. E anche Helaena ha detto che non è successo niente, ma non… Aegon, devo sentirlo da te.»

«Vermax sta bene. Te lo giuro su Sunfyre» aggiunse per rafforzare le sue parole.

Vide l’angoscia abbandonare il volto di Jace, rimpiazzata da uno sguardo prima incredulo e poi sempre più fiducioso.

Gli aveva creduto.

Il suo cuore prese a battere un po’ più forte, ma Aegon non gli diede peso – soprattutto perché non ne ebbe il tempo: Jace si accasciò con le mani premute sulle ginocchia e lui si alzò di scatto per assicurarsi che stesse bene.

«Ehi, tranquillo» gli disse, posandogli le mani sulle spalle. «Non è successo niente. È stata…» Abbassò lo sguardo, vergognandosi del fatto che avesse anche solo pensato di fare del male a un drago. «Ho agito senza riflettere. Ero nervoso e stanco e volevo trovare un modo per uscire velocemente da questa situazione. Ho scelto quello sbagliato.»

Jace sollevò lo sguardo e annuì, piano. Poi sospirò, passandosi una mano tra i capelli.

«Per il futuro» disse, «sappi che fare del male a qualcuno che amo è il modo migliore per non ottenere la mia lealtà. Non che, in questo frangente, una cosa simile sia possibile. Ascolta, Aegon, mia madre…»

Aegon gli posò un indice sulle labbra, scuotendo la testa.

«No. Ti prego. Non ce la faccio a sentirlo già di prima mattina.»

«Non è così presto.»

«Ah, no?» Aegon guardò fuori dalla finestra, dove il Sole splendeva alto nel cielo. «Aspetta, ma io avevo un incontro col concilio stamani?»

Jace aggrottò le sopracciglia.

«Lo chiedi a me?»

Aegon si grattò il mento, cercando di ricordare. Non c’era stato un singolo giorno in cui non si fossero riuniti, perciò probabilmente lo avrebbero fatto anche oggi.

Il pensiero di dover stare seduto ad ascoltare i piani dei suoi consiglieri per garantirsi l’appoggio delle famiglie più influenti del regno – piani che, in pratica, consistevano nell’usare Aemond come piccione viaggiatore – e poi sopportare le loro insistenze affinché costringesse Jace a sottostare al loro volere gli fece desiderare di tornare nel letto e addormentarsi di nuovo. Magari per sempre.

Sbuffò: era re da appena una settimana e già non ne poteva più.

«Facciamo un patto» propose a Jace, tornando a stringerlo per le spalle. «Tu sai cosa voglio da te e io so cosa tu sei disposto a darmi. Quindi, finché uno di noi due non avrà cambiato opinione, che ne dici se lasciamo la politica fuori dai nostri incontri?»

Jace sbatté le palpebre, confuso.

«Che… Che intendi dire?»

«Parliamo di qualcos’altro. Draghi, donne, la passione di Aemond per i maiali… Qualunque cosa, davvero, purché non abbia a che fare con il trono.»

Jace aggrottò le sopracciglia di fronte a quella proposta – e Aegon si rese conto di aver appena chiesto l’impossibile. Voleva che si comportassero da amici, quando amici non lo erano più. Voleva che Jace dimenticasse tutto ciò che era accaduto, che smettesse di odiarlo e tornasse a vederlo come una persona importante nella sua vita.

Era assurdo. E lui era stato folle anche solo a pensare a una simile…

«Va bene.»

La voce di Jace lo raggiunse prima che potesse rimangiarsi le sue stesse parole. Il ragazzo lo stava guardando dritto in volto, non un’ombra di dubbio nei suoi occhi nocciola. Gli tese la mano destra e, per la prima volta in sei anni, gli regalò il suo sorriso. Un sorriso sincero, rivolto solo a lui.

«Va bene» ripeté. «Accetto la tua proposta.»

Aegon sollevò la mano a stringere la sua, incredulo della piega che aveva preso la situazione. E felice, tanto da temere che fosse ancora tutto un sogno.

«C-Comunque» disse Jace, distogliendo all’improvviso lo sguardo mentre il suo volto si tingeva di rosso, «hai… hai notato di essere nudo?»

Aegon abbassò lo sguardo sul suo corpo: nella foga di alzarsi, aveva dimenticato di coprirsi con il lenzuolo. Stava per scusarsi e rimediare, quando capì che non poteva lasciarsi sfuggire un’occasione così prelibata per gustare l’imbarazzo di Jace.

«Hai ragione» disse, rivolgendogli un sorrisetto divertito. «Ma non pensavo ti desse fastidio. Dovresti averlo anche tu, no? Probabilmente più piccolo, sì… Ma tranquillo, Jace, non c’è niente di cui vergognarsi.»

Jace lo fulminò con lo sguardo, reazione che fece aumentare il suo divertimento.

Fu tentato di proporgli una dimostrazione sul corretto utilizzo del pene, ma si fermò. Da quella disastrosa cena, si era ritrovato spesso a pensare a Jace. Non come al suo amico d’infanzia, quel bambino dai folti capelli scuri che giocava sempre con lui, ma come al ragazzo che era diventato: alto, snello e gentile. Aegon aveva desiderato farlo suo dal primo momento in cui lo aveva rivisto – e ora era lì, a un palmo da lui, completamente alla sua mercé. Se solo avesse…

La porta si aprì, mentre Ser Arryk annunciava il nuovo arrivato.

«Lord Larys, mio re.»

Jace fece un balzo indietro e Aegon riuscì a coprirsi le parti intime appena prima che l’uomo entrasse nella stanza. Si fermò sulla soglia, rivolgendo un inchino a lui e un secondo, più contenuto, a Jace. Non sembrava sorpreso di trovarli lì insieme, uno nudo e l’altro paonazzo.

«Chiedo scusa per l’interruzione, non sapevo aveste visite» disse Larys, incrociando le mani sul pomello del suo bastone. La calma con cui pronunciò quelle parole gli fece dubitare della loro veridicità – e, ancora una volta, Aegon si chiese perché sua madre insistesse a tenerselo così vicino. «Sono solo venuto ad avvisarvi che siamo tutti riuniti nella Sala del Concilio. Potete raggiungerci quando preferite.»

Aegon sbuffò. Mai non era un’opzione, purtroppo.

«Sì, va bene, va bene» rispose, passandosi una mano tra i capelli. «Sarò da voi in cinque minuti.»

Larys annuì. Rivolse poi i suoi occhi verso Jacaerys, che durante quel breve scambio di battute si era ricomposto e adesso stava guardando l’uomo con malcelata diffidenza. Larys, però, non si lasciò intimidire: gli rivolse un sorriso e un piccolo inchino.

«È stato un piacere vedervi, principe Jacaerys. Buona giornata.»

Si voltò e uscì dalla stanza, sostituito all’istante da Arryk.

«Che vuoi?» sbottò Aegon.

«Credo… Credo che sia tempo che il principe torni nella sua stanza, mio re» rispose, stringendo la mano sull’elsa della spada. «Non è giusto che vi disturbi ancora.»

Aegon sollevò un angolo della bocca, scuotendo la testa.

«Mio nipote è libero di venire a trovarmi ogni volta che lo desidera. È sicuramente la faccia che preferisco vedere in questo castello» aggiunse, rivolgendosi direttamente a Jace.

Il ragazzo abbassò lo sguardo e Aegon interpretò il lieve rossore che ricomparve sul suo volto come un segno positivo.

Mormorò qualcosa, a voce troppo bassa perché Aegon lo sentisse, ma il piccolo sorriso che gli rivolse lo rincuorò.

«Adesso però è meglio che segua Ser Arryk, tu devi vestirti e… adempiere ai tuoi impegni» disse Jace.

Aegon inclinò la testa di lato, rivolgendogli un sorrisetto malizioso.

«Puoi tenermi compagnia per la prima parte, non mi offendo.»

Jace serrò le palpebre, probabilmente per non essere costretto a roteare gli occhi al cielo.

«Buona giornata, Aegon» sibilò, raggiungendo Arryk che, dopo aver spostato lo sguardo confuso tra di loro, seguì Jace senza dire una parola.

~

Luke alzò di nuovo la spada verso destra, ma il colpo arrivò alla spalla sinistra, talmente forte da farlo cadere a terra.

«Era chiaramente una finta, Lucerys! Concentrati di più!» lo rimproverò Baela, alzando gli occhi al cielo.

«Vuoi smetterla di tormentarlo?» esclamò Rhaena, chiudendo di scatto il libro che stava leggendo e avvicinandosi alla sorella. Luke le aveva chiesto di non assistere al loro allenamento, ma le sue preghiere erano rimaste inascoltate.

«Non lo sto tormentando!» si difese lei. «Voglio solo che migliori nel combattimento. Cosa c’è di sbagliato?»

Luke sospirò. Gli sembrava di sentire Jace – ma lui non era lì a rimproverarlo e umiliarlo con le sue doti da combattente. E, per quanto spesso lo avesse odiato durante i loro allenamenti, adesso avrebbe solo voluto che ci fosse lui al posto di Baela. Almeno avrebbe saputo che stava bene.

Si alzò in piedi, scuotendosi di dosso la sabbia, e si voltò a guardare il cielo. Sua madre credeva di averglielo nascosto, ma lui l’aveva scoperta spesso a osservare l’orizzonte, in attesa.

Ormai era passata una settimana dall’ultima volta in cui avevano avuto notizie di Jace – l’ultima volta che aveva visto il suo sorriso, mentre lo rassicurava che sarebbe andato tutto bene.

Rhaena aveva provato a tranquillizzarlo, ipotizzando che si fosse diretto subito a Nord o nelle Terre dei Fiumi, ma Luke sapeva che non era così: Jace non avrebbe mai disobbedito a un ordine diretto di loro madre e, se proprio si fosse trovato nella necessità di farlo, avrebbe almeno inviato loro un messaggio per informarli.

Quel silenzio non era da lui.

Sentì una mano posarsi sulla sua spalla e incontrò il volto preoccupato di Baela.

«Scusa» gli disse. «Forse ho esagerato. Stai bene?»

Luke annuì, distogliendo di nuovo lo sguardo da lei.

«Avevi ragione: non ero concentrato.»

Baela sospirò. Si mise accanto a lui, sollevando la spada d’allenamento sulle sue spalle.

«Siamo tutti preoccupati, Luke» disse. «Non è da Jace sparire in questo modo.»

Luke deglutì a vuoto.

«Infatti.»

«Sono sicura che sta bene» intervenne Rhaena, prendendogli una mano tra le sue. Luke si sforzò di sorridere, in un tacito ringraziamento per la sua premura. «Nostro padre ha detto che… ehm…» Abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore.

Luke aggrottò le sopracciglia: Daemon aveva portato avanti sempre la stessa linea di pensiero davanti a lui – “Jace è un Targaryen e ha Vermax con sé, non può accadergli niente”. C’era forse qualcosa che gli aveva nascosto?

«Cos’ha detto Daemon?» la incalzò.

«Ha detto che anche i Verdi tacciono» rispose Baela. «Se lo avessero ucciso, a quest’ora lo avremmo già saputo.»

Ucciso.

Ucciso.

Quella parola risuonò nella sua mente come il ruggito di un drago. Si era rifiutato di riconoscerla, ma sapeva che era sempre stata lì: un dubbio che riempiva le sue notti di incubi e i suoi giorni di angoscia, nel continuo terrore che il nuovo messaggio giunto a sua madre contenesse la notizia della morte di Jace. Era un pensiero così assurdo che non aveva voluto dargli peso – ma la possibilità che divenisse reale era troppo concreta per continuare a ignorarla.

«Scusa, non avremmo dovuto dirtelo» disse Rhaena, accarezzandogli il braccio. A Luke sembrava che fosse divenuto di ghiaccio e il calore delle dita della ragazza fu un piacevole risveglio. «Papà esagera sempre quando è nervoso. E ultimamente lo è spesso, con tutto quello che è successo.»

«È nervoso perché stiamo qui fermi a non fare niente» disse Baela. Calciò il piede nella sabbia, smuovendone i granelli intorno a loro. «So che Rhaenyra vuole evitare spargimenti di sangue, intenzione nobile, certo, ma questo, a lungo andare, la farà solo apparire debole

«Mia madre non è debole» sentenziò Luke, attirando lo sguardo di Baela.

La ragazza sospirò, abbassando gli occhi. «Lo so, Luke. È per questo che ritengo debba agire…»

«Principe Lucerys. Principesse.» Le parole di Baela furono interrotte dalla voce di Ser Steffon, che li stava chiamando dal limitare della spiaggia. «La regina desidera conferire con tutti voi. Dice che è urgente.»

Luke avvertì la terra sprofondare sotto i suoi piedi. Avevano appena parlato della possibilità che Jace fosse… Si trattava di quello?

Senza indugiare oltre, corse verso il castello, salendo le scale due gradini alla volta. Quando giunse nella Sala del Tavolo Dipinto trovò l’intero concilio di Rhaenyra riunito, visione che lo fece in parte rincuorare: se fosse successo qualcosa di brutto a Jace, sua madre lo avrebbe comunicato prima alla famiglia.

O almeno così credeva.

Si guardò intorno, cercando di scorgerla nella folla – e la vide davanti al camino acceso, con le spalle rivolte alla stanza e le braccia sollevate come se stesse tenendo in mano qualcosa. Luke fece per raggiungerla, ma venne fermato dal rumore di passi alla sua destra, accompagnati dal battito di un bastone sul pavimento.

«Bentornato a casa, Lucerys» gli disse Corlys, avvicinandosi a lui con un grande sorriso in volto. «So che hai svolto un ottimo lavoro con Lady Jeyne, ti faccio i miei complimenti.»

«Grazie» rispose automaticamente, cercando di ricambiare il sorriso, ma il suo volto si oppose. Era davvero felice di poter parlare con Corlys e di sapere che l’uomo non lo trovava una delusione, ma in quel momento la sua mente era occupata da un unico pensiero che non lasciava spazio a nient’altro.

«Potevi anche aspettarci!» Baela si fermò accanto a lui, seguita da Rhaena che, essendo meno allenata della sorella, era arrivata con il fiatone.

«Steffon ha detto che era urgente» si difese lui.

«Indubbiamente lo è» intervenne Corlys.

Luke sollevò i suoi occhi verso l’uomo.

«Vuoi… dire…» Deglutì, sforzandosi di fermare il tremore nella sua voce. Qualunque cosa fosse successa, avrebbe dovuto affrontarla a testa alta. Jace avrebbe voluto così. «Nonno Corlys, sai di cosa si tratta?»

«Non di preciso, no. So solo che stamani è giunto un corvo dalla capitale per tua madre.»

Luke si voltò verso Baela, che stava fissando suo nonno a occhi sgranati. Abbassò poi lo sguardo su di lui, scuotendo la testa.

«Non possiamo essere certi… Insomma, sai com’è fatto mio padre, non… non riflette prima di parlare.»

Rhaena le passò un braccio intorno alle spalle, cercando di tranquillizzarla. Jace era il suo fidanzato e lei gli era affezionata: se fosse morto, Baela ne avrebbe sofferto.

Luke questo lo sapeva, eppure non riuscì a impedirsi di odiarla in quel momento. Nella sua testa, lei era la persona che aveva concretizzato la possibilità che suo fratello non ci fosse più. Se avesse avuto ragione, dubitava che sarebbe riuscito a perdonarla.

Si allontanò da loro, spintonando i lord che gli intralciavano il cammino fino a raggiungere sua madre, affiancata da Daemon.

«Lucerys…»

Ignorò la voce dell’uomo. Strappò la lettera dalle mani di sua madre e scorse velocemente il testo in cerca di quella parola.

Appena lesse il nome di Jace, il suo cuore perse un battito. Strinse le dita attorno alla carta, lasciando andare un lungo sospiro.

«È vivo…»

Rhaenyra si impossessò nuovamente della lettera, scoccandogli uno sguardo di rimprovero. Luke si sarebbe dovuto sentire mortificato, ma riusciva solo a pensare che Jace era vivo!

«Sta bene» ripeté, guardando verso sua madre. La sua figura si fece sempre più sfocata. «Jace sta bene.»

Rhaenyra gli passò una mano tra i capelli.

«Sì. Jace sta bene.»

Lo abbracciò e Luke lasciò che tutta la paura e la preoccupazione che lo avevano avvolto in quei giorni scivolassero via dal suo corpo, tra le braccia sicure di sua madre. Una parte di lui aveva saputo che Jace non poteva essere morto, ma averne adesso la certezza avrebbe messo a tacere ogni voce che tentava di suggerirgli il contrario. Anche se…

«Non… Non ho letto tutto» disse, scostandosi da Rhaenyra per asciugarsi gli occhi. «Come fanno a sapere che sta bene? È con loro?»

«Sì.»

«Quindi, insomma, siamo sicuri che non gli succederà niente di male?»

«Penso…»

«Ovviamente no» intervenne Daemon. «Possiamo sperarlo, ma non più di questo. E considerato che si trova da loro da un pezzo, ormai…»

«Possiamo essere certi che continuerà a stare bene» concluse Rhaenyra. Si avvicinò a lui e per qualche momento discussero tra di loro. Poi Daemon sospirò, mentre Rhaenyra si voltò di nuovo verso di lui, rivolgendogli un sorriso.

«Dammi ancora un minuto per finire di leggere la lettera, poi ne comunicherò il contenuto a tutti» disse, posandogli una mano sulla spalla. «Intanto vai ad avvisare le tue cugine. Immagino saranno molto preoccupate anche loro.»

Luke spostò lo sguardo verso Baela e Rhaena, che li stavano fissando nella speranza di riuscire a intuire qualcosa dalle loro interazioni.

«Va bene» annuì.

E sorrise, scoprendo di essere nuovamente capace di farlo.

~

«Fatto! Guarda, è lei Shikros.»

Jace prese la pergamena che Jaehaerys, pieno d’orgoglio, gli porse e la osservò incuriosito, rivolgendogli poi un grande sorriso.

«Ma è bellissima» disse, sperando che quel povero drago avesse le parti del corpo e le relative proporzioni migliori di quelle disegnate dal bambino. «Sei stato davvero fortunato.»

Jaehaerys sorrise compiaciuto, prima di alzarsi in piedi e iniziare a elencare tutte le qualità del suo drago. Jace si sforzò di prestargli l’attenzione che meritava, ma non riuscì a evitare che la sua mente volasse indietro nel tempo, a quando quelle stesse lodi venivano tessute per un drago dorato da parte di un ragazzo più alto e con lunghi boccoli biondi a incorniciargli il viso.

«… poter finalmente volare con lui. Anche insieme a Morghul, vero, sorella?»

Jaehaerys interruppe il suo elogio per interpellare Jaehaera, che era rimasta seduta a scarabocchiare in completo silenzio. La bambina annuì, ma non disse una parola, tornando a chinare il capo sulla pergamena davanti a sé.

«Lei ha un maschio» gli spiegò Jaehaerys. «Tu, invece, ce l’hai un drago? Ma sei come noi, giusto?» aggiunse, inclinando la testa di lato come se stesse cercando di scorgere il suo lignaggio attraverso i suoi tratti fisici.

Jace si irrigidì, ma fu solo per un momento. Quella del bambino era un’innocente curiosità, del tutto comprensibile: dopotutto, lui non aveva i capelli biondi e gli occhi viola tipici dei Targaryen.

«Certo che ho un drago» rispose Jace, rivolgendogli un piccolo sorriso. «Si chiama Vermax. Anche lui è verde, lo sai?»

Gli occhi del bambino si spalancarono, pieni di gioia.

«Davvero? E vola?»

«Sì ed è anche molto abile. Ma ho potuto cavalcarlo solo dopo il mio decimo compleanno» specificò, sentendo che il bambino – come lui, del resto – avrebbe voluto spiccare il volo fin da subito. Il suo volto, infatti, si rabbuiò e Jaehaerys si sedette a terra con un sospiro plateale che, di nuovo, lo fece pensare ad Aegon.

«Io voglio volare» si lamentò. «Madre, io ho quasi dieci anni. Posso già volare, vero?»

Helaena sollevò lo sguardo dal suo ricamo, portandolo su di loro.

«Hai compiuto sei anni due lune fa» rispose. «Devi aspettare ancora un po’.»

Jaehaerys gonfiò le guance, incrociando le braccia sul petto, risentito. Sua sorella allungò un carboncino verso di lui, forse per distrarlo da quella triste notizia.

«Ti unisci a me?» chiese, con la stessa espressione neutrale che aveva da quando era entrata.

Il bambino, borbottando tra sé e sé, si avvicinò a lei e riprese a disegnare.

Jace non riuscì a evitare che un sorriso si formasse sul suo volto. Gli ricordavano Aegon e Viserys, ed era certo che Jaehaerys sarebbe andato d’accordo con loro, se solo si fossero potuti conoscere.

Sospirò. Non era mai stato lontano dai suoi fratelli così a lungo e avvertiva la loro mancanza ogni giorno di più.

Gli mancava soprattutto Luke.

Negli ultimi tempi aveva cercato di farlo staccare da sé il più possibile, per insegnargli a essere indipendente e ad accettare che non avrebbe avuto sempre una madre o un fratello a proteggerlo. In quel momento, però, avrebbe solo desiderato poter parlare con lui e sapere che, qualunque cosa sarebbe accaduta, l’avrebbero affrontata insieme. Non sapeva nemmeno come se la fosse cavata con Lady Arryn, anche se Helaena lo aveva rassicurato che Arrax era stato visto volare verso Roccia del Drago poco dopo il suo arrivo nella capitale, quindi se non altro poteva essere certo che Luke fosse al sicuro.

«Jace.» Helaena lo chiamò, indicando la sedia davanti a sé in un tacito invito che Jace accolse con piacere. «Sei riuscito a chiarirti con Aegon?»

«Sì. Diciamo di sì» rispose, passandosi una mano dietro la nuca. «È stato… diverso, dalle altre volte.»

“È sicuramente la faccia che preferisco vedere in questo castello.”

Sospirò, abbassando lo sguardo. Quelle parole erano impresse a fuoco nella sua mente e tornavano a confonderla ogni volta che provava a riflettere su ciò che era accaduto quella mattina. Sentiva di aver fatto la scelta giusta, accettando la proposta di Aegon. Averlo come alleato era sicuramente migliore che averlo come nemico, e forse avrebbe trovato il modo di sfruttare quella situazione a vantaggio suo e di sua madre.

Queste erano le motivazioni che si era dato, una volta tornato in camera – era ciò che avrebbe risposto, se qualcuno gli avesse chiesto spiegazioni circa il suo gesto.

Perché, in un primo momento, Jace aveva acconsentito per motivi puramente egoistici. Aveva scorto una possibilità per recuperare il suo rapporto con Aegon e l’aveva colta all’istante.

Si sentiva uno stupido e un traditore, perché Aegon non era più quello che conosceva – non del tutto, almeno – e non importava che fosse stato manipolato per commettere crimini ai quali non avrebbe voluto prendere parte.

Lo aveva fatto.

Aveva indossato la corona, rubato il trono a sua madre e tutt’ora stava cercando di sottrarle la lealtà dei lord – stando a quello che aveva detto Helaena, sembrava che il piano dei Verdi fosse inviare Aemond per i Sette Regni a conquistare alleati.

E, nonostante tutto questo, lui si ostinava non voleva lasciare andare un rapporto che non esisteva più da anni.

«È bello che tu gli voglia ancora bene» disse Helaena, riscuotendolo dai suoi pensieri.

«Che… Che intendi dire?»

Lei gli sorrise e Jace si ritrovò ad arrossire. Era così evidente? Oppure lei era talmente empatica da riuscire a scorgere dentro al suo cuore con un unico sguardo?

Non ebbe modo di capirlo, perché la ragazza si alzò, dicendo ai bambini che era ora di andare.

«Un momento, madre» esclamò Jaehaerys, mentre sua sorella aveva già iniziato a riporre i suoi carboncini. Tracciò le ultime linee sulla pergamena, prima di alzarsi e correre verso di loro. «Guarda, questo è per te» disse, porgendola a Jace. «Un giorno voliamo tutti insieme!»

Jace ebbe un tuffo al cuore quando vide cosa ritraeva quell’immagine. Nonostante il pessimo stile del bambino, i volti raffigurati erano perfettamente riconoscibili. Aemond, Helaena, Aegon, lui e, accanto a loro, Jaehaerys e i suoi fratelli, tutti della stessa altezza e accompagnati ai loro draghi. Jace era certo che, se il bambino avesse conosciuto anche Luke e gli altri, li avrebbe aggiunti al disegno all’istante.

«Non ti piace per nulla? È tanto brutto?»

Jace sbatté le palpebre, sorpreso per il tono mesto del bambino – e solo in quel momento si rese conto di avere gli occhi umidi.

«No, ma cosa dici!» esclamò, asciugandosi velocemente il volto con la manica della giacca. «È bellissimo, anche meglio di quello che mi avevi mostrato prima.»

Jaehaerys gli rivolse un grande sorriso. «Vero? Sono migliorato tanto in pochi minuti!»

Jace rise. Ammirava l’autostima propria dei bambini, soprattutto quelli Targaryen, e non intendeva minarla in alcun modo.

«Posso tenerlo io, allora?» domandò, e sorrise di nuovo di fronte al suo energico assenso.

«Coraggio, adesso dobbiamo davvero andare» disse Helaena, prendendo entrambi i suoi figli per mano. «Augurate la buona notte a Jace.»

«Buonanotte, Jace» ripeterono in coro.

«Buonanotte. Buonanotte anche a te, zia Helaena» aggiunse, sollevando lo sguardo verso di lei, la quale gli sorrise di rimando.

Una volta rimasto solo, Jace si lasciò cadere sul letto supino, emettendo un lungo sospiro. Era stata la giornata migliore dall’inizio della sua prigionia, eppure si sentiva più esausto che mai. Sollevò la pergamena davanti agli occhi, osservando ancora una volta quelle figure – che altro non erano che la sua famiglia.

Immaginò Luke accanto a sé, intento a trattenere Joffrey dal saltare in sella al suo drago, mentre Jaehaerys giocava con Aegon e Viserys. In disparte, Rhaenyra, in dolce attesa di un’altra figlia, che conversava con Alicent e Daemon. Sentì le lacrime premere di nuovo ai lati degli occhi: in un mondo migliore, sarebbero stati presenti anche Laenor e Ser Harwin. Ma loro potevano vivere solo in un sogno.

Gli altri, invece, potevano diventare realtà.

Si mise a sedere e tirò su col naso. Non avrebbe permesso alla tristezza di sopraffarlo, non in quel momento. Forse un giorno si sarebbe permesso di piangere, di affrontare un lutto che aveva sempre dovuto reprimere – ma, fino a quando la guerra che aveva diviso la sua famiglia non fosse cessata, non avrebbe potuto permettersi debolezze.

Arrotolò la pergamena con cura e la ripose nell’armadio, accanto ai pochi vestiti che gli avevano fornito per il suo soggiorno. Si spogliò, indossò la camicia da notte e si coricò, sperando che le novità positive di quella giornata non si rivelassero una mera illusione.





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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5




Cara Rhaenyra,

Per prima cosa, permettimi di porgerti le mie più sentite condoglianze. So quanto desideravi avere una figlia, ma sono certa che gli Dei ti concederanno una seconda opportunità.

«Quanta premura. Soprattutto considerato che nostra figlia è morta per colpa sua.»

Rhaenyra sollevò gli occhi dalla lettera, scoccando un’occhiata d’avvertimento a suo marito. Se c’era una cosa su cui non dubitava, era che Alicent mai avrebbe voluto quel tragico epilogo per la sua gravidanza.

Sospirò e riprese a leggere.

Immagino che questo sia un momento molto difficile per te, pertanto comprendo il tuo ritardo nella risposta all’offerta di Re Aegon – tuttavia, la pazienza sua e dei suoi consiglieri non è infinita. Ti esorto a venire nella capitale il prima possibile, così che la nostra famiglia possa ricongiungersi...

«Così che possano completare il loro tradimento ed esporre la tua testa come un trofeo.»

«Daemon. Smettila di interrompermi.»

«Però ha ragione» intervenne Baela, battendo le mani sul Tavolo Dipinto. «Perdonami, ma mi sembra che finora la vecchia regina abbia scritto solo stronzate!»

Rhaenyra sospirò, massaggiandosi le tempie con una mano. Forse non era stata una buona idea leggere quella lettera a tutta la sua corte. Dopotutto, non conteneva nemmeno informazioni tanto rilevanti, a eccezione della conferma che Jace era vivo – e con loro.

Riprese a leggere.

Così che la nostra famiglia possa ricongiungersi, com’era desiderio di tuo padre. E suo volere era anche che Aegon fosse il suo successore – sì, Rhaenyra: con le sue ultime forze, Viserys mi ha confidato che il suo primogenito era sempre stato destinato a regnare dopo di lui.

Rhaenyra scoccò un’occhiata verso Daemon, che aveva sbuffato divertito, per intimargli il silenzio. Fortunamente, suo marito le obbedì senza protestare.

Alla sua nascita aveva scelto il nome del Conquistatore proprio per questo, te lo ricordi?

So quanto amavi tuo padre e sono profondamente rammaricata del fatto che non ti è stato permesso presenziare al suo funerale. Ti prego, però, di rispettare le sue ultime volontà. Tuo figlio, purtroppo, non sembra troppo propenso a farlo.

A tal proposito, Jacaerys sta bene. Aemond lo ha accompagnato qui dopo averlo incontrato a Capo Tempesta e adesso alloggia nelle stanze che aveva occupato durante il suo ultimo soggiorno. È convinto di dover rifiutare l’ascesa al potere di Aegon, e non lo biasimo per questo: teme che farebbe un torto a te, accettandola. Per questo dovresti inviare il prima possibile la tua risposta, di modo che anche lui capisca ciò che è giusto fare. Non temere, non te lo sto chiedendo sotto forma di minaccia: hai la mia parola di madre che a Jacaerys non verrà torto un capello.

Però dovrà restare qui fino a quando non ti farai avanti, Rhaenyra, e credo che lui preferirebbe tornare a casa da te e dai suoi fratelli quanto prima.

Confidando di ricevere presto tue notizie

Con affetto,

Alicent

 

Ebbe appena il tempo di ripiegare la lettera prima che le voci dei presenti si alzassero in commenti di stupore, sollievo o rabbia. Baela era tra le più agguerrite: voleva andare a liberare Jace all’istante e giustiziare i Verdi per il loro tradimento. 

Rhaenyra abbassò lo sguardo, accarezzando il suo nome che la Regina Madre aveva riportato privo di titoli, come aveva fatto anche con la sua firma. Quello sarebbe potuto essere un biglietto consegnatole dalla sua septa con cui Alicent la invitava a una passeggiata in sua compagnia – se fossero state ancora due ragazze legate dalla più profonda delle amicizie.

«Dimmi che non ti sei lasciata abbindolare da quella puttana.» 

La voce di Daemon, avvicinatosi a lei senza che se ne accorgesse, la distolse dai suoi pensieri. I suoi consiglieri stavano ancora discutendo e Rhaenyra decise di approfittarne per parlare con suo marito in privato. Se fosse riuscita a placare lui, smorzare gli animi degli altri sarebbe stato molto più semplice.

Lo prese per mano, conducendolo verso il camino.

«Credo che le condoglianze di Alicent siano sincere. È la verità» aggiunse, perentoria, fermando sul nascere la protesta di Daemon. «Sapeva quanto desiderassi una figlia. È stato… sì, in parte la responsabilità è sua, ma non ha incoronato suo figlio per privarmi della mia. Della nostra.»

Daemon sospirò. Strinse la mano sull’elsa di Sorella Oscura. 

«Credi che ci siano altre verità in quella lettera?» le chiese e, nonostante la punta di ironia nella sua voce, Rhaenyra apprezzò che stesse provando a mostrarsi ragionevole.

«Sì. Jace è al sicuro. O, meglio, non è attualmente in pericolo di vita.» Sospirò, portandosi una mano sul ventre. «Dopo giorni di incertezza, questa per me è una notizia meravigliosa.»

«Lo so.» Daemon le prese le mani tra le sue, guardandola dolcemente. «Ma non possiamo abbandonarlo tra le loro grinfie, dico bene?»

«Naturalmente no» rispose, sconcertata che avesse potuto pensare a una simile ipotesi. Jacaerys doveva tornare a casa quanto prima. 

Alle loro spalle, i suoi consiglieri stavano ancora discutendo – e in quella cacofonia di voci, a Rhaenyra non sfuggì il termine “attaccare”.

«Dobbiamo agire con cautela, però» proseguì, stringendo a sua volta le mani di Daemon. «Basterà un solo passo falso per spingere i Verdi a ucciderlo. Ora più che mai, Daemon, è necessario preferire la diplomazia alla violenza.»

Daemon sospirò. Sembrava pensieroso e Rhaenyra ne fu rincuorata: forse, finalmente, la stava davvero ascoltando.

«Madre.»

Rhaenyra si voltò. Luke l’aveva raggiunta nuovamente, affiancato da Rhaena e Ser Erryk. Spostò lo sguardo tra di loro, poi si focalizzò su suo figlio.

«Dimmi, Luke.»

«Ser Erryk ha una proposta per salvare Jace.»

«Il gemello della capitale» commentò Daemon, inclinando la testa di lato. «Possiamo certamente fidarci di lui.»

Rhaenyra trattenne a stento uno sbuffo.

«Mio re, sono rimasto al servizio di Re Viserys fino al suo ultimo respiro» rispose Erryk, fissando Daemon a testa alta. «E, alla sua morte, la mia lealtà è andata alla sua legittima erede.»

«Com’è giusto che sia» disse Rhaenyra, annuendo con un piccolo sorriso verso il cavaliere. 

Daemon sbuffò una risata mentre le voci nella stanza continuavano a diventare sempre più assordanti, facendole dolere la testa. Forse era solo una percezione della sua mente esausta, ma aveva bisogno di silenzio in quel momento. 

«Uscite» urlò, per farsi udire da tutti i presenti. All’istante, le voci tacquero e tutti gli sguardi si puntarono su di lei. «Vi aggiornerò sul da farsi quando avrò preso una decisione. Fino ad allora, ricordate che i miei ordini sono immutati.»

«Rhaena, che state facendo?» chiese Baela. 

«Aiutiamo Jace.»

«Ma finora avete detto che…»

«Baela.» Rhaenyra sollevò una mano, intimandole il silenzio. «Raggiungici qui, per favore. Lord Corlys, sei invitato a rimanere anche tu, se lo desideri. Tutti gli altri, fuori.»

Quell’ordine non ammetteva repliche. I presenti chinarono il capo in segno di commiato e si allontanarono, mentre Baela raggiungeva sua sorella e Luke, iniziando a parlottare con loro. 

Appena l’ultimo cavaliere fu uscito dalla stanza, Rhaenyra si avvicinò alla sedia più vicina e ci si lasciò cadere sopra. Daemon la raggiunse e le posò una mano sulla spalla, in una tacito gesto di conforto. Nonostante parte della sua stanchezza fosse causata proprio dalla natura irruenta del marito, Rhaenyra fu comunque felice di sapere che si preoccupava del suo benessere.

«Stai bene, madre?» le chiese Luke, avvicinandosi a sua volta.

Lei gli sorrise e annuì.

«Va tutto bene» rispose, prima di spostare lo sguardo su Erryk. «Hai detto di avere un’idea su come salvare mio figlio. Ti ascolto.»

Il cavaliere si fece avanti, stringendo la mano sinistra sul pomello della spada. 

«Si dice che la Fortezza Rossa sia un luogo inespugnabile» disse, «ma non è la verità. Maegor fece costruire centinaia di passaggi segreti, attraverso cui un ristretto gruppo di persone può passare indisturbato. Io ho avuto modo di conoscerne parecchi, soprattutto quelli in prossimità delle stanze reali.» Abbassò un momento lo sguardo, come se stesse ponderando sulle parole successive; poi lo sollevò nuovamente, risoluto. «Le attività notturne di Aegon, essendo quanto di più torbido e immorale possa esistere, richiedevano di essere trattate con discrezione.»

«Ennesima conferma che hanno messo un verme sul Trono di Spade» commentò Daemon. Rhaenyra sospirò, ma non se la sentì di rimproverarlo. 

Erryk annuì. «Non è mia abitudine parlar male della famiglia reale, ma…»

«Lui è un traditore» sentenziò Baela, «e non fa più parte di questa famiglia.»

«Il tuo piano dunque sarebbe introdurti di nascosto nel castello e portare via Jace tramite quei passaggi?» chiese Rhaenyra. Commentare il discutibile carattere di Aegon era l’ultimo dei suoi interessi in quel momento.

«Sì, mia regina» rispose Erryk. «So che è rischioso, ma ritengo di avere ottime probabilità di portare a termine la missione con successo.»

«E Vermax?» chiese Luke. «Sarà imprigionato anche lui.»

«Dubito che i Verdi siano stati così stupidi da lasciarci un drago in vita» commentò Daemon.

Luke sbiancò.

«Credi… Credi che lo abbiano ucciso?»

«Vigliacchi» sibilò Baela, stringendo i pugni. «La pagheranno cara.»

«Puoi contarci» disse Daemon. Si accovacciò poi accanto a Rhaenyra e la prese per mano. «Se hanno osato versare il sangue della nostra famiglia, ci vendicheremo.»

Era una promessa e una minaccia insieme: Avrò la mia guerra

«Non è detto che Vermax sia morto» disse Rhaenyra. «Potrebbero averlo risparmiato per usarlo contro Jace. Vogliono che lui si inginocchi e, non essendo intenzionato a farlo, devono tenere qualcosa con cui minacciarlo. Ma se così non fosse, i Verdi risponderanno col fuoco al loro crimine» aggiunse, fissando dritto negli occhi Daemon: Avrai la tua guerra, se io deciderò di concedertela.

«Potrei indagare sul drago, prima di andare a palazzo» propose Erryk. «Se fosse custodito alla Fossa del Drago, potrei portare lì il principe e farlo volare a casa.»

«Non sarebbe rischioso? Dovresti scendere in città per questo.»

«So mascherarmi tra la folla, mia regina. Inoltre, mio fratello è rimasto nella capitale. Se dovessi incontrare qualcuno che conosco, dovrei riuscire a cavarmela spacciandomi per lui. Non sarebbe difficile: a palazzo, solo Ser Westerling aveva imparato a distinguerci, e dubito che durante la mia assenza sia tornato sui suoi passi.»

Rhaenyra annuì. Quando gli aveva detto della lealtà che l’uomo aveva mostrato nei suoi confronti, ne era stata grata, ma adesso si chiedeva perché non l’avesse ancora raggiunta.

«E se non funzionasse?» chiese Baela. «Se qualcuno ti riconoscesse, nonostante tutto?»

Il cavaliere chinò il capo. «Come ho detto, ci sono dei rischi, ma credo di avere buone probabilità di gestirli. Di certo sono l’unico che ha la speranza di passare inosservato e ritengo che questo di per sé rappresenti un vantaggio non indifferente.»

«Potrebbero esserci delle guardie a sorvegliare i passaggi» fece notare Lord Corlys. «Inoltre, non sappiamo con certezza dove si trovi Jacaerys. Se fosse rinchiuso nelle segrete? O nelle stanze di uno dei Verdi, sorvegliato giorno e notte da uno di loro?»

«Questo lo escludo, mio lord: nemmeno il principe Aemond sarebbe adatto a un simile compito. Quanto all’ipotesi delle segrete, se vogliamo credere a ciò che è scritto nella lettera, dovrebbe trovarsi in una stanza all’interno del palazzo.»

«È proprio questo il problema» commentò Daemon, alzandosi in piedi. «Non possiamo affidarci alle parole di quella serpe, potrebbero essere tutte menzogne.»

«Che Jace sta bene è vero» disse Luke.

Daemon si passò una mano sulla fronte, ma prima che potesse far sorgere dei dubbi a lui – o a lei stessa – Rhaenyra si alzò in piedi.

«Ti ringrazio per averci messo a parte di quest’idea, Ser Erryk. Pur con gli ovvi rischi, ritengo che possa essere un buon piano – forse il migliore per salvare Jacaerys. Va’ pure a riposare, adesso: ti farò sapere quanto prima se dovrai metterlo in pratica.»

Erryk annuì e le rivolse un profondo inchino, prima di voltarsi e uscire dalla stanza. 

«Se le informazioni in nostro possesso sono veritiere, in effetti potrebbe essere il piano migliore» disse Lord Corlys. «Inoltre, lui ha già fatto fuggire mia moglie dalla capitale.»

«Quindi credi che funzionerà anche stavolta?» chiese Daemon.

«Non posso garantirlo, ma non lo escluderei a priori.»

«Non sarebbe più sicuro se andasse insieme a qualcun altro?» domandò Rhaena. «Anche per dividersi le ricerche di Vermax e Jace.»

Rhaenyra annuì. Si sarebbe dovuto trattare di una persona anonima, però, che i Verdi non avrebbero potuto ricondurre a lei o ai Neri in generale, altrimenti...

«Andrò io.»

Rhaenyra sollevò lo sguardo verso Luke. 

«No.»

«Conosco la città, l’ho visitata spesso da piccolo e posso…»

«No, Lucerys» sentenziò. «Non metterai piede in quel luogo. I Verdi hanno già il mio primo figlio tra le mani, non voglio che prendano anche il secondo.»

«Tua madre ha ragione» la spalleggiò Corlys. «Inoltre, il piano di Ser Erryk si basa sulla possibilità di passare inosservati, e tu, come Velaryon erede di Driftmark, sei tutto fuorché anonimo.»

Luke abbassò lo sguardo, mormorando parole che giunsero con chiarezza alle orecchie di Rhaenyra.

«Non sembro un Velaryon.»

Gli si avvicinò, posandogli le mani sulle braccia. 

«Tu sei un volto conosciuto» disse. «Tutti sanno che sei mio figlio e vedendoti in città capirebbero subito che sto tramando qualcosa.» 

Luke sollevò lo sguardo a quelle parole e Rhaenyra gli rivolse un sorriso di incoraggiamento. A lui non aveva mai parlato apertamente di Harwin, ma sapeva che non era stupido e che aveva capito l’identità di suo padre. Ma quello non aveva importanza: ciò che contava era che lei era sua madre – e quello, per molti, era un motivo sufficiente per fargli del male.

«So che sei preoccupato per tuo fratello» gli disse poi, scostandogli alcune ciocche ribelli dalla fronte, «e che vorresti aiutarlo.»

«Se fossimo stati a parti invertite, Jace non sarebbe rimasto con le mani in mano.»

Rhaenyra sospirò: purtroppo, era la verità.

«Hai ragione, ma non temere che lo avrei incatenato nelle sue stanze se avesse osato correre ad Approdo del Re, dove sicuramente si sarebbe fatto imprigionare a sua volta. Però comprendo il tuo stato d’animo, perciò ti darò qualcosa da fare.»

«Madre, non mi interessa un’occupazione qualsiasi…»

«Infatti è comunque qualcosa che riguarda Jace» disse e quelle parole le fecero guadagnare tutta la sua attenzione. «Ricordare ai lord dei Sette Regni l’impegno preso nei miei confronti resta ancora la priorità per me e avevo pensato che, una volta che tuo fratello fosse tornato, sarebbe potuto andare a parlamentare con gli Stark. Perciò, adesso, vorrei che fossi tu a farlo.»

Luke sbatté le palpebre, sorpreso. 

«Vuoi che vada… a Grande Inverno?»

«Esatto. So che è un viaggio lungo, ma lo hai già intrapreso una volta e sono certa che non avrai problemi a compierlo di nuovo.»

«Vuoi mandarlo in giro per il regno, da solo?» esclamò Corlys. «È stato a Capo Tempesta che i Verdi hanno preso Jace, vuoi che accada di nuovo la stessa cosa? È una follia!»

«Lo è» concordò Luke. «Ma non per i motivi che credi tu, nonno Corlys. Cregan Stark è fedele al giuramento fatto da suo padre, puoi fidarti di lui» continuò, tornando a guardare sua madre. «Questo viaggio sarebbe solo una perdita di tempo. Se vuoi che continui a essere il tuo emissario, lo sarò, ma mandami da qualcuno che ancora non si è schierato o la cui lealtà è incerta.»

«Luke, per me anche la lealtà dei Baratheon era certa e guarda cos’è successo. No, non possiamo lasciare niente al caso, men che meno con una regione vasta e potente come il Nord.»

«Ma…»

«La tua regina ti sta dando un ordine, Lucerys» intervenne Daemon. Rhaenyra fu sorpresa dal suo sostegno, ma gliene fu immensamente grata.

Luke spostò lo sguardo incerto tra loro due, fissandolo poi su di lei.

«È un ordine, mad- mia regina?» le chiese.

«Sì, Luke, lo è» rispose. Poi gli accarezzò i capelli, sorridendogli dolcemente. «Mi avevi detto di esserti trovato bene con Cregan. Non sei felice di poter rivedere un tuo amico, nonostante la situazione non sia delle migliori?»

Luke abbassò lo sguardo. 

«S-Sì, Cregan mi piace. Anche se lui preferisce Jace.» Sospirò. «Sei… Sei proprio sicura che non posso aiutare in altri modi?»

«Per adesso, questo è il migliore. Tanto per me, quanto per tuo fratello.»

Luke annuì. Non le sembrò molto convinto, ma quando accettò di obbedire alla sua richiesta, Rhaenyra tirò un sospiro di sollievo. Cregan Stark sarebbe stato un rifugio sicuro per suo figlio, fin quando non fossero riusciti a riportare a casa Jace. 

O, almeno, era ciò che sperava. 

 

~

 

«Quindi… Cosa stiamo cercando esattamente?» chiese Aegon.

«Romanzi d’avventura» disse Jace, scorrendo con l’indice i cordoli dei libri sugli scaffali, «trattati di storia o filosofia... Insomma, libri che mi tengano occupato.»

«Quella roba la legge Aemond» rispose lui, palesemente schifato. 

«Sai dove posso trovarli? Qui non c’è nulla di interessante.»

«Nemmeno quelli lo sono.» Si affiancò a lui, chinandosi per controllare lo scaffale più in basso. «Te la trovo io qualche lettura degna.»

Jace abbassò lo sguardo verso di lui, fissandolo guardingo. Si era sorpreso che Aegon ricordasse ancora l’ubicazione della biblioteca, dal momento che era certo che non la frequentasse spesso, ma su una cosa non aveva dubbi: i gusti dello zio in fatto di lettura erano molto distanti dai suoi.

«Non prendere niente di strano» disse, preoccupato.

Aegon sbuffò, sollevando lo sguardo verso di lui. 

«Tu volevi darti alla filosofia, Jace, e sono certo che non esista niente di peggio di ciò che legge Aemond.»

«Sarebbe un argomento utile, però. Comunque la mia prima scelta erano i romanzi, ma non riesco a capire dove sono. Arryk, per caso tu lo sai?»

Il cavaliere, appostato pochi scaffali più indietro, scosse la testa. 

«I miei doveri non mi portano spesso nella biblioteca – e, anche se lo facessero, i libri non sono mai stati una grande attrattiva per me.»

«Quanto ti capisco» mormorò Aegon, sbuffando sonoramente.

Jace serrò i pugni, continuando a cercare tra gli scaffali il più lontano possibile da lui.

«Non sei costretto a restare, se non ti va» disse, sperando di non suonare scontroso. Quando aveva incontrato Aegon, non ci aveva pensato due volte a chiedergli di accompagnarlo, anche se sapeva benissimo che i libri non erano esattamente la sua passione.

Non sono nemmeno la mia, in realtà.

«Oh, no» rispose Aegon. «Ormai devo restare, visto che mi sembri tendente agli stessi discutibili gusti di quell’idiota.»

Jace si voltò verso di lui. 

«Lungi da me voler difendere Aemond…»

«Allora non farlo.» 

«… ma da bambino leggeva libri che piacevano molto anche a Luke e lui ha buongusto. Credo» aggiunse, sottovoce. Luke amava leggere, spesso si tratteneva in compagnia di un libro anche fino a notte fonda. Forse era per quello che era così bravo con il valyriano: magari anche lui avrebbe dovuto iniziare a leggere per diletto, così lo avrebbe assimilato meglio. Quella prigionia avrebbe potuto giovargli in tal senso, ma se qualcuno dei Verdi avesse scoperto quanto il vocabolario della sua lingua madre fosse scadente, di certo lo avrebbero usato come arma per indebolire la pretesa al trono di sua madre. Non poteva permettere che accadesse.

«E questo?» esclamò Aegon, tirando fuori un piccolo volume.

Jace si accovacciò accanto a lui, grato che non avesse voluto indagare sui gusti letterari di suo fratello. 

«Cos’è?» chiese.

«Non lo so. Era nascosto dietro alcuni libri, chissà per- Ah, ecco perché!»

Aegon rise, divertito dalle immagini che si trovò di fronte. Jace sospirò, scuotendo la testa: quale altro libro sarebbe mai potuto capitare nelle sue mani?

«Vedi, questo è il tipo di libro che ritengo degno di una lettura» disse Aegon, continuando a sfogliare le pagine.

«Già. Peccato che la maggior parte del mondo non lo considererebbe un libro, ma solo una raccolta di immagini oscene.»

Aegon sbuffò. «Non fare il verginello, Jace. Un maschio deve conoscere certe cose. Anche per il bene della sua futura sposa, che muore dalla voglia di fare sesso come si deve.»

Jace gli scoccò un’occhiataccia. 

«Ti sarei grato se evitassi di parlare di Baela.»

Aegon annuì, storcendo la bocca. 

«Come vuoi, lo dicevo solo per te. Ci sono informazioni che potrebbero tornarti utili un giorno.»

«Davvero?» Jace si avvicinò a lui, indicando l’immagine raffigurata sulla pagina. «Un giorno mi servirà sapere come fare sesso contemporaneamente con altre quattro persone? Ma come cavolo sono messi?» chiese poi.

«Me lo stavo chiedendo anch’io» disse Aegon, inclinando la testa di lato. «Di sicuro non sembra una posizione comoda.»

«Decisamente» commentò Jace, tornando a cercare un libro vero. 

«In effetti ci sono poche immagini di coppie singole. Chiunque lo abbia disegnato era davvero perverso. Mi sorprende che mia madre non lo abbia bruciato.»

«Forse non sa che esiste.»

«Probabile. Bene, facciamo in modo che continui a ignorarlo. Allora sicuro che non lo vuoi?»

«No, grazie» rispose Jace tra i denti. Si sollevò sulle punte dei piedi per controllare lo scaffale più in alto, sperando di trovare qualcosa che lo soddisfacesse così da potersene andare prima che Aegon scoprisse qualche altro “libro”. 

A un certo punto, si sentì picchiettare sulla spalla sinistra con qualcosa di duro. Si voltò e vide Aegon che gli porgeva un vecchio tomo.

«Questo ti può piacere? Credo parli della regina Nymeria.»

Jace lo prese in mano, incuriosito. Conosceva a grandi linee la storia di Nymeria e le sue diecimila navi, ma non aveva mai avuto occasione di approfondirla. 

«Sì, sembra molto interessante.» Sollevò lo sguardo verso di lui, rivolgendogli un sorrisetto divertito. «Quindi anche tu hai qualche conoscenza di storia, eh?»

«Ovvio. Non sono un completo imbecille.»

Jace gli sorrise. «Lo so, Aegon, per questo… Oh, ma qui è strappato.»

Proprio tra le pagine relative all’arrivo di Nymeria a Dorne, ne mancava una, rimossa con noncuranza a giudicare dal taglio grezzo della carta. 

«Perfetto» sbuffò Aegon. Glielo tolse dalle mani, tornando verso lo scaffale da dove lo aveva preso. «Te ne cerco un altro.»

«No, aspetta. Se manca una pagina non è tanto grave.» Si impossessò nuovamente di Diecimila navi e ne scorse in fretta il contenuto, scoprendo che quella era, in effetti, l’unica pagina mancante. «Infatti. Va benissimo così.»

«Ne sei sicuro?» gli chiese Aegon. Sembrava dispiaciuto, ma non riusciva a capirne il motivo.

«Certo.» Jace gli sorrise. «Non sarà qualche frase in meno a impedirmi di apprezzare la lettura. Piuttosto, sarei curioso di sapere perché quella pagina è stata strappata.»

«In effetti, è strano» concordò Aegon. Sfogliò il libro fino al punto incriminato, osservando le pagine circostanti. «Qui mi sembra tutto normale – e con “normale” intendo “noioso”.» 

Jace rise. «Allora forse quella pagina non era molto noiosa» commentò, anche se dubitava che qualcuno avesse aggiunto informazioni oscene alla storia di una grande guerriera quale era stata Nymeria. 

Quel commento, però, fece comparire un ghigno divertito sul volto di Aegon.

«Questo spiegherebbe molte cose» disse. Poi si fece pensieroso, avvicinandosi di nuovo allo scaffale da cui aveva preso il libro. «E se anche nei libri che legge Aemond ci fossero argomenti più interessanti di quanto sembri?»

Capendo le sue intenzioni, Jace lo afferrò per un braccio, iniziando a trascinarlo fuori dalla biblioteca. Passarono accanto ad Arryk, che si limitò a scuotere la testa e seguirli.

«Poteva essere l’occasione giusta per rivalutare Aemond» si lamentò Aegon mentre si dirigevano verso la stanza di Jace, incrociando le braccia sul petto. 

«Ne dubito» rispose. «E dubito anche che la pagina strappata contenesse qualcosa di tuo interesse. Probabilmente era solo rovinata, oppure il libro è finito in mano a un bambino che l’ha maneggiato con poca cura.»

«Se lo dici tu» sbuffò, mantenendo la sua espressione imbronciata. Poi a un tratto si rilassò fino a far comparire un sorriso sul suo volto.

«Aegon?» chiese Jace, fermandosi. Era incuriosito e terrorizzato allo stesso tempo da quell’espressione.

«Ti ricordi quando siamo stati noi a rovinare un libro?» disse, lasciandosi andare a una risatina.

Jace ebbe bisogno di qualche momento per riordinare i pensieri; poi ricordò e si ritrovò a ridacchiare a sua volta.

«Be’, noi però siamo stati più bravi: lo abbiamo riparato.»

«Ser Harwin l’ha riparato. Fosse stato per noi, avremmo solo peggiorato la situazione.»

La risata di Jace si affievolì udendo quel nome. Era vero, era stato Harwin a trovarli e aiutarli a ricucire la pagina al resto del libro. Era sempre stato disponibile a offrire loro il suo sostegno, ogni volta che si mettevano nei guai. 

Forse, se fosse stato ancora vivo…

«Scusa» disse Aegon, passandosi una mano dietro la nuca. «Forse non dovevo menzionarlo.»

Jace scosse la testa, rivolgendogli un piccolo sorriso. 

«No, va tutto bene. In fondo, era sempre lui a trovarci, quando fuggivamo dalle lezioni e ci mettevamo nei guai. E questo cosa ci insegna?» aggiunse, cercando di riportare la conversazione a un tono più allegro.

Aegon ci pensò su. 

«Che saltare le lezioni è giusto perché permette di creare bei ricordi?»

Jace avrebbe voluto ribattere, ma dovette ammettere che non aveva tutti i torti. I momenti migliori che avevano passato insieme erano sempre stati quelli in cui erano loro due da soli, lontani dalle pressioni e dalle aspettative delle loro famiglie, e dall’odio che le circondava. 

«Prenderò il tuo silenzio per un sì» disse Aegon, cingendogli le spalle con un braccio e ricominciando a camminare.

Quando giunsero davanti alla stanza di Jace, Arryk aprì loro la porta, lasciandoli passare.

«Ciao» li salutò Helaena, seduta al tavolo apparecchiato con la cena. 

Jace non si era accorto che fosse così tardi.

«Ciao» la salutò di rimando, spostando poi lo sguardo verso Aegon. Lui era a conoscenza del fatto che Helaena gli teneva compagnia durante i pasti, ma non avendone mai parlato tra di loro non sapeva se la cosa gli desse fastidio. Dopotutto, era pur sempre sua moglie.

«Bene» mormorò infatti, scostandosi da Jace. Il suo buonumore sembrava svanito. «Vi lascio alla vostra cena allora.»

Si voltò, dirigendosi verso la porta.

«Aspetta, Aegon…»

«Oh, in realtà la cena non è per noi» spiegò Helaena, alzandosi in piedi. Entrambi i ragazzi si voltarono sorpresi verso di lei, che al contrario sorrideva tranquilla. «Spero non ti dispiaccia, Jace, ma stasera volevo stare un po’ con i miei figli.»

«Allora perché cazzo hai fatto apparecchiare per due?» chiese Aegon. Jace gli scoccò un’occhiataccia per il tono che aveva usato, ma concordava che tutto quel cibo solo per lui fosse uno spreco.

«Voi siete in due» rispose semplicemente. «Buonanotte.»

Uscì dalla stanza e Jace la sentì salutare Ser Arryk prima che la porta si chiudesse. 

Per un momento, entrambi rimasero interdetti per ciò che era appena successo. Poi Jace si schiarì la voce, abbozzando un sorriso verso Aegon.

«N-Non so bene come le sia venuto in mente, ma… Ecco, stavo per chiederti se volevi restare.»

Aegon sembrò sorpreso da quelle parole. 

«Davvero?»

Annuì. Bastò quel gesto per far illuminare il suo volto, e Jace sentì il cuore prendere a galoppargli nel petto: a volte, dimenticava quanto fosse bello.

«Ah, cazzo!» esclamò Aegon, passandosi le mani sul viso. «Mi ero dimenticato che… No, non importa. Rimango con te.»

Jace aggrottò le sopracciglia. 

«Se hai altri impegni…»

«No, non ne ho.» Afferrò la maniglia, abbassandola, ma prima di aprire si voltò verso di lui. «Come si chiama?» chiese piano, indicando la porta.

«Arryk» rispose Jace, trattenendo a stento uno sbuffo. 

«Arryk» disse Aegon, sporgendosi fuori dalla stanza, «va’ a dire a mia madre che stasera non cenerò con lei.» 

Jace, che si era diretto verso il comodino per posare il libro, si irrigidì a quelle parole, ma quando si voltò Aegon era già tornato dentro e si stava accomodando a tavola.

«Sei sicuro che non sia un problema mancare all’appuntamento con la regina?» chiese.

«Certo. La vedo anche troppo spesso. Ugh, ma quella è oca?» esclamò, guardando con orrore il taglio di carne che svettava in mezzo alla tavola. 

Jace spostò lo sguardo dalla pietanza a lui, che nel frattempo aveva iniziato a servirsi formaggio e verdure. Ricordò che, le poche volte che avevano cenato con l’oca, anche sua madre non ne era stata entusiasta – anche se aveva espresso il suo disgusto in modo più sottile. 

Si chiese se Aegon e Rhaenyra fossero a conoscenza di questa loro similitudine. 

E se ne avessero altre. 

«Vuoi restare lì impalato per tutta la sera?» Aegon lo riscosse dai suoi pensieri.

Jace prese posto davanti a lui, tagliandosi un paio di fette di carne. 

«Ti piace quella roba?» domandò, sconvolto.

Jace rise per il suo sconcerto. 

«Non la mangio spesso, ma non mi dispiace.» 

«Buon per te. Io me la trovo davanti più volte di quante vorrei.»

Jace sollevò lo sguardo verso di lui, chiedendosi cosa sarebbe successo se gli avesse parlato di sua madre in quel momento. Non ricordava di averli visti interagire spesso, quindi forse, nonostante fossero fratelli, erano come estranei l’uno per l’altra. Se si fossero conosciuti, se avessero scoperto di somigliarsi addirittura, forse sarebbero riusciti a riunire le loro fazioni, divenendo quell’unica famiglia che sarebbero sempre dovuti essere.

«Come mai sei così silenzioso?» chiese Aegon.

«Stavo solo… pensando» rispose, scuotendo le spalle. 

«A cosa?» 

Jace inforcò un pezzo di carne, cercando di apparire il più naturale possibile. 

«L’oca non piace nemmeno a mia madre, ma secondo me non è tanto male.»

Aegon rimase in silenzio per qualche secondo. Poi annuì, bevendo un lungo sorso di vino.

«In compenso adora i dolci, che io invece trovo buoni, ma non indispensabili. A te piacciono, se non ricordo male, giusto?»

Aegon sospirò, versandosi un altro bicchiere di vino. 

«Dove vuoi arrivare, Jace?» chiese, scoccandogli un’occhiata d’avvertimento.

Jace si irrigidì per un momento; poi forzò un sorriso e si versò da bere a sua volta.

«Sto solo conversando» disse.

«No, tu stai cercando di parlare di Rhaenyra. Credevo che avessimo un accordo.»

Jace abbassò lo sguardo. Doveva scegliere con attenzione le sue prossime parole, per non rischiare di perdere quella rinnovata vicinanza a cui non poteva rinunciare – a cui non voleva rinunciare. Ogni giorno attendeva il momento in cui avrebbe potuto trascorrere un po’ di tempo con Aegon – e, da un punto di vista più pratico, il ragazzo era anche la sola garanzia che sarebbe stato al sicuro in mezzo ai Verdi. Senza informazioni circa la situazione al di fuori della Fortezza Rossa, non poteva rischiare di inimicarselo.

«Mi dispiace. Ero solo sorpreso del fatto che voi due abbiate gusti culinari simili. E… E mi chiedevo se aveste altre similitudini. Dopotutto, siete fratelli» rispose, sorseggiando il suo vino.

«Certo. Be’, sì, qualcosa in comune ce lo abbiamo» disse Aegon. «Siamo biondi, abbiamo lo stesso padre, siamo belli – sì, se te lo stai chiedendo, ho sempre trovato tua madre una donna molto attraente –, abbiamo entrambi una corona e… ah, sì: ci piacciono gli uomini possenti

Jace sbatté il calice sul tavolo. A giudicare dal modo in cui lo stava guardando, Aegon sapeva benissimo di averlo ferito – voleva ferirlo, là dove era certo che avrebbe fatto più male. 

“Basta guardarli.”

Perché ne era sorpreso? Era stato lui il primo a chiamarlo bastardo, alle sue spalle, mentre si fingeva suo amico. Adesso che erano apertamente in guerra, perché avrebbe dovuto tacere? 

E perché lui doveva sentirsi tradito da qualcosa che già sapeva?

Aegon riprese a mangiare, mentre Jace posò le posate sul tavolo. Sentiva un nodo intorno allo stomaco e temeva che il cibo non gli sarebbe passato nemmeno attraverso la gola, tanto bruciava. Avrebbe voluto urlargli di andarsene, ma il problema di fondo restava: cosa gli sarebbe successo, se Aegon fosse diventato suo nemico? Erano trascorsi tre giorni da quando Alicent Hightower aveva scritto a sua madre e, ammesso che fosse la verità, ormai Rhaenyra doveva essere a conoscenza della sua situazione; ma non poteva fare affidamento solo su di lei. Inoltre, nonostante tutto, il suo intento di convincere Aegon a rinunciare a una corona che ormai sapeva odiare era ancora saldo in lui. 

Doveva solo dare il tempo alla rabbia di sbollire – poi si sarebbe scusato e sarebbe tornato tutto come prima.

«Non vedo Daeron da quando è andato a vivere a Vecchia Città» disse a un tratto Aegon, attirando la sua attenzione. «Voi due siete stati allevati dalla stessa balia, giusto?»

Jace annuì. Ricordava un bambino paffutello, con folti capelli biondi, che lo salutava sempre con un sorriso gentile. Non aveva più avuto sue notizie dopo che aveva lasciato la capitale.

«Le ultime cose che so di lui, grazie alle lettere che invia ad Aemond e Helaena, è che è uno studioso e un abile spadaccino, tutto ciò che io non sono. Siamo fratelli, ma se dovessimo incontrarci, dubito che avremmo qualcosa di cui parlare.»

Jace sospirò, capendo dove voleva andare a parare. Tutto sommato, non poteva dargli torto.

«Aveva un bel drago femmina, se ricordo bene.»

Aegon annuì. «Tessarion. Non male, ma è niente paragonato a Sunfyre.»

Jace si ritrovò a sorridere: per lui, ogni scusa era buona per elogiare il suo drago. 

«Be’, potreste parlare di questo per cominciare» propose. «E da lì potreste scoprire di andare d’accordo, nonostante le vostre differenze.»

Aegon sollevò lo sguardo verso di lui. L’ostilità di poc’anzi era svanita, sostituita da incertezza e, forse, curiosità.

«Pensi davvero che potrebbe funzionare, nonostante… tutto?» chiese con un filo di voce. Non stava più parlando di Daeron.

«Sì. Penso proprio di sì.»

Aegon sospirò, passandosi una mano tra i capelli.

«N-Non saprei, insomma è…»

«Non ti chiedo di decidere ora.» Jace allungò una mano sul tavolo, posandola sopra quella del ragazzo. Gli sfiorò il dorso con il pollice, sperando di riuscire a rassicurarlo con quel piccolo gesto. «Prova solo a rifletterci su, d’accordo?»

Lo sguardo di Aegon si posò sulle loro mani unite. Ruotò il polso, intrappolando le dita di Jace nel calore del suo palmo. 

Ma fu solo un attimo.

Ritrasse la mano, versandosi un altro bicchiere di vino che si scolò in un attimo, e solo allora tornò a concentrarsi su di lui. Jace attesa la sua risposta, ma dai suoi occhi lucidi capì che non era più adirato.

«Va bene» disse infine. «Ci penserò.»

Jace annuì, soddisfatto.

Era un piccolo passo, ma finalmente avevano iniziato a muoversi – forse, nella giusta direzione. 



 



Note: ammetto di avere sentimenti molto contrastanti verso questo capitolo 🙈 Un po' mi piace, un po' non mi convince, soprattutto nella parte con Aegon e Jace. Ci tenevo a farli vedere in scenari più rilassati, in cui si comportano come due normali amici, e poi mi è uscita la scena della cena, che non era esattamente prevista 🙃 Però trovo che ci stia che Jace cerchi di invogliare Aegon a comunicare con Rhaenyra, in modo da mettere fine alla guerra (che, di fatto, è scoppiata perché in questa famiglia non si parlano o, quando lo fanno, non si capiscono 🙃)
Spero comunque che vi sia piaciuto e vi ringrazio se siete arrivati a leggere fin qui ❤ Il prossimo capitolo dovrebbe essere più corto, e anche di passaggio, per così dire; poi dal capitolo 7 iniziano i casini 😂
Grazie a tutti quelli che seguono la storia e, soprattutto, a chi si è fermato a lasciare una recensione.
Alla prossima!


P.s.: nella serie hanno cambiato le età dei personaggi, quindi immagino che Daeron non sia stato fratello di latte di Jace, ma qui mi piaceva l'idea di lasciare questo loro legame. Alicent s'è fatta due gravidanze ravvicinatissime così, spero mi perdonerà 🙈💚



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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6



 

Rientrò alla Fortezza Rossa appena prima che un temporale si abbattesse sulla capitale. Le nuvole avevano oscurato il cielo fin dal primo mattino, minacciando la pioggia che era infine giunta. 

Aegon si passò una mano tra i capelli, smuovendo le ciocche su cui si erano depositate alcune gocce. La sua acconciatura non doveva essere delle migliori, considerato anche il vento sferzante che lo aveva avvolto mentre volava.

Sorrise, pensando a Sunfyre. Vederlo era sempre motivo di gioia, e il timore che aveva provato avvicinandosi a lui – e a Vermax – si era dissipato nell’istante in cui il suo drago lo aveva accolto con calore. Anche il suo amico era sembrato tranquillo, forse un po’ infastidito per l’impossibilità di volare, ma comunque non era sembrato arrabbiato con lui per ciò che aveva pensato di fare l’ultima volta che lo aveva incontrato. 

Si sedette sul parapetto, dando le spalle al Parco degli Dei. Mentre era alla Fossa del Drago, aveva pensato che magari avrebbe potuto portare Jace da Vermax. Non poteva lasciarlo volare, ma di certo il ragazzo avrebbe apprezzato anche solo un semplice saluto. E, forse, in quel modo avrebbe potuto permettere a Vermax di sgranchirsi le ali con la ragionevole certezza che non sarebbe fuggito a casa. Magari avrebbe anche potuto portare suo nipote tra le nuvole, facendogli cavalcare Sunfyre insieme a lui. 

Dopotutto, era una promessa che doveva mantenere da tempo.

“Sei innamorato di lui.”

Aegon sbuffò. Le parole di Flores continuavano a ronzargli nella mente, prova che sarebbe stato meglio evitare quel bordello per il prossimo futuro – soprattutto considerato quanto inconcludente fosse stata la sua ultima visita. 

Il suo tentativo di distrarsi dalla discussione avuta con Jace lo aveva solo portato a pensare ancora di più al ragazzo. E farlo mentre affondava nel corpo di una sconosciuta gli era sembrato sbagliato – in particolare, dopo essersi reso conto di aver scelto una giovane dai corti capelli scuri. 

“Ultimamente chiedi sempre amanti castani. Davvero non te ne eri accorto?” gli aveva domandato Flores, quando lui le aveva confidato i suoi pensieri.

Aveva prontamente negato ma, facendo mente locale – almeno per quelle poche volte in cui era stato abbastanza sobrio da sapere cosa stava facendo – dovette riconoscere che spesso aveva avuto partner che, visti di spalle, potevano ricordare Jace. 

“Suppongo, comunque, che sia vero ciò che si dice in giro” aveva proseguito lei. “Il che spiegherebbe la tua recente latitanza.”

“Parli del fatto che mi hanno dato una corona e una sedia che sembra creata per uccidermi? Sì, in effetti sono stato piuttosto impegnato.”

Lei aveva riso, sdraiandosi sul letto accanto a lui. Aveva posato il volto sulla guancia destra, fissandolo con un sorrisetto divertito.

“No, maestà. Parlo del tuo caro Jace. Si trova nella Fortezza Rossa, giusto?”

Aegon l’aveva guardata con un sopracciglio inarcato. Si fidava di lei per sfogare i suoi tormenti, ma non era certo che fosse saggio coinvolgerla nella guerra tra le loro famiglie. Soprattutto perché Flores non aveva mai dato prova di fedeltà verso i Verdi: l’indifferenza circa il suo nuovo status poteva, piuttosto, dimostrarne la totale assenza.

“Perché ti interessa?” le aveva chiesto, sperando di non risultare troppo scontroso.

“Perché voglio conoscerlo. Portalo qui un giorno, oppure dammi il permesso di venire a palazzo. Sono molto curiosa di vedere con i miei occhi che tipo di ragazzo è.”

Aegon aveva sbuffato una mezza risata. 

“Il tipo a cui non piacciono i bordelli e che non ha interesse a conoscere una puttana.”

Non si era preoccupato di nascondere la sua ostilità in quel momento. Flores era brava con i vergini – anche se, ammesso che davvero Aemond fosse riuscito a scoparsela, non era comunque riuscito a capire quanto eccitanti fossero i piaceri della carne –, ma l’idea che Jace giacesse con lei gli risultava insopportabile. 

“Non voglio portarmelo a letto” aveva ribattuto lei, per niente offesa dal suo tono. “Ma credo di avere diritto a dirgli almeno ‘Salve, principe. Sai che tuo zio blatera sempre di te? È carino, ma a lungo andare diventa…”

“Ma che cazzo dici?” aveva esclamato, scattando a sedere. “Io non blatero sempre di Jace!”

“È letteralmente quello che sei venuto a fare stanotte nel mio letto, Aegon.”

“Stanotte, sì. Perché abbiamo avuto una conversazione… non esattamente allegra.”

Flores aveva scosso la testa. Si era tirata su a sua volta, prendendogli il volto con tre dita – un tocco fermo, ma gentile.

“Sei innamorato di lui” aveva detto, fissandolo negli occhi con una serietà che Aegon raramente aveva visto nel suo sguardo. “Forse non riesci ad accettarlo, e lo capisco, considerato la situazione in cui vi trovate. Ma, forse, questo sentimento è proprio ciò di cui hai bisogno per riuscire a sentirti davvero vivo.”

Aegon sospirò, posando la testa contro la colonna alla sua sinistra. 

Aveva lasciato cadere il discorso, fingendo di voler dormire, e fortunatamente Flores non aveva insistito oltre, limitandosi ad augurargli una buona giornata quando lo aveva salutato quella mattina. Ma la conosceva abbastanza da sapere che, presto o tardi, sarebbe tornata alla carica.

Non sarebbe stato un problema – se lui avesse saputo come rispondere.

Amava Jace? Non aveva mai pensato a lui in quei termini. Suo nipote lo aveva sempre chiamato “amico” e si era convinto che non ci fosse altro tra di loro. Anche se, in verità, lui nemmeno sapeva cosa fosse l’amore. Quello che c’era stato tra i suoi genitori non poteva certo chiamarlo con quel nome: tolleranza e dovere, era tutto ciò a cui loro lo facevano pensare. Ciò che, a malapena, lui dava a sua moglie. 

«Vostra maestà.» 

La giornata, tutto sommato, era trascorsa in serenità. Poteva davvero pretendere di arrivare alla sera senza imbattersi in alcun volto sgradito?

Si alzò, mentre Otto Hightower si dirigeva lentamente verso di lui. Aegon realizzò solo in quel momento che, probabilmente, aveva saltato una riunione del concilio ristretto.

«Buongiorno, nonno. Anche se non sembra così buono, eh?»

«Ormai non è quasi più nemmeno giorno. Il sole sta tramontando.»

Aegon sapeva cosa volesse dire, ma decise di attenersi al mero significato letterale della frase. 

Prima lo lascio sfogare, prima potrò liberarmi di lui.

«Riesci a vedere il sole con questa pioggia? Hai davvero un’ottima vist-»

Non si sorprese delle mani che lo artigliarono al bavero della giacca, ma non riuscì comunque a trattenere un gemito strozzato quando la sua schiena impattò con la colonna a cui era appoggiato fino a pochi secondi prima.

«Ti credi tanto spiritoso, ragazzino? Credevo che avessi già avuto la tua dose di svago per oggi.» 

Aegon gli afferrò le braccia, cercando di allontanarlo da lui. L’uomo non oppose resistenza, permettendogli di rimettere i talloni a terra e tornare a respirare a pieni polmoni.

«Sei fortunato che non ci siano guardie nei paraggi» disse, dopo aver constatato che, purtroppo, erano davvero soli. 

Otto gli rivolse un ghigno. «Nessuno avrebbe da ridire a un nonno che cerca di impartire un po’ di disciplina al nipote. Avrebbe dovuto farlo tua madre, ma capisco che gestire tre figli da sola non dev’essere stato semplice.»

«Io sono sicuramente quello venuto meglio» commentò, ma dallo sguardo di Otto capì che non intendeva demordere. Ma avrebbe dovuto farlo. «Ad ogni modo, caro nonno, vorrei ricordarti che quella bella spilla che sfoggi con tanto orgoglio, posso togliertela in qualunque momento. Visto che mi hai fatto diventare re.»

Otto inarcò un sopracciglio. Sembrò interessato alle sue parole: forse la paura di perdere di nuovo il suo potere lo rendeva più mansueto.

«Oh, dunque hai notato di essere il re. Bene, suppongo di poterlo considerare un inizio.» Aegon sbatté le palpebre, ma prima che potesse aprire bocca, l’uomo riprese. «E dimmi, tanto per curiosità, chi ritieni che sarebbe più idoneo di me per rivestire i panni del tuo Primo Cavaliere?»

Non si era aspettato quella domanda. 

Si prese un momento per rifletterci, poi fece spallucce. 

«Chiunque, credo. Non sei così indispensabile» disse – e lo pensava davvero. «Marston, Cole, anche Aemond mi andrebbe bene. Oppure Jace» aggiunse di getto. «Perché no? È in gamba, intelligente e gentile.» 

Poteva essere quella la chiave? Lui sul trono di spade e Jace – o Rhaenyra – al suo fianco? 

O, meglio ancora, a ruoli invertiti. 

«Vedo che hai un’alta stima di lui» disse Otto. Aegon ebbe un brivido: non aveva realizzato di aver appena proposto il primogenito di Rhaenyra come suo sostituto, ad alta voce. «Dimmi, tessi le sue lodi anche in sua presenza, quando dovresti cercare di convincerlo delle tue qualità come re?»

Aegon deglutì a vuoto.

«Lascia che ti faccia notare una cosa, ragazzo. Tu non sei indispensabile. Io ho guadagnato la mia posizione con anni di onorevole servizio alle spalle, mentre tu, la tua, la devi a me

Strinse i pugni. Le parole di suo nonno erano veleno che si stava lentamente instillando nelle sue vene – e il luccichio nei suoi occhi era la prova che lui traesse piacere nell’affondare i canini nella sua carne. Ma non doveva lasciarsi abbattere.

«Quando sei nato, eravamo tutti al colmo della nostra gioia» continuò, stavolta con un sospiro sommesso. «Aegon, il futuro re. Sei stato una tale delusione che, anche se lo voleva, Viserys non ha avuto il coraggio di nominarti come suo erede.»

Quella stillettata gli arrivò dritta in mezzo al cuore. Aegon strinse le labbra, sforzandosi di trattenere un gemito e, soprattutto, le lacrime che minacciavano di sgorgare dai suoi occhi. Scoppiare a piangere lo avrebbe solo reso più patetico – più deludente.

«Non ti parlo così per ferirti, ragazzo mio» disse Otto. Gli posò una mano sulla spalla e Aegon non ebbe la forza di allontanarla. «Voglio solo farti capire come stanno le cose. Questa è la tua occasione: dimostra a tutti quanto vali, dimostra che abbiamo sbagliato il nostro giudizio passato. Dimostra che sei diventato un uomo, capace di guidarci verso tempi più prosperi. Solo così riuscirai a riportare la pace nel regno.»

Gli strinse la spalla, in quello che doveva essere un gesto d’affetto, e si voltò.

«Stasera abbiamo una cena di famiglia. Vedi di non mancare.»

Se ne andò, lasciandolo da solo. 

Aegon si accasciò contro il parapetto e si portò le mani alla bocca, nel tentativo di camuffare il suo pianto. 

 

~

 

Jace aveva trascorso una mattina irrequieta, scattando a ogni minimo rumore nella speranza che fosse un annuncio dell’arrivo di Aegon. 

Ma il ragazzo non si era mai presentato da lui. 

Da quando avevano ricominciato a comportarsi come due amici, suo zio aveva sempre trovato qualche minuto per incontrarlo. Il fatto che fosse scomparso proprio dopo la loro discussione non lo faceva stare tranquillo. Non era stato un vero litigio, e tutto sommato la serata era proseguita bene; ma forse si era solo voluto convincere che fosse tutto a posto, mentre, in realtà, poche parole su sua madre erano riuscite a distruggere l’equilibrio su cui si fondava il loro rapporto.

Chiuse di scatto Diecimila navi, di cui comunque aveva letto sì e no qualche riga, e si alzò, uscendo dalla stanza.

Ser Arryk era, come sempre, di guardia, e si voltò verso di lui accogliendolo con un piccolo inchino. 

«Principe» disse. «Se volete uscire per una passeggiata, temo che non sia il momento migliore.»

«Non voglio uscire. Voglio andare da Aegon.»

Arryk aggrottò le sopracciglia.

«Dal re… Nelle sue stanze?»

«Si trova lì?»

«Forse. Non saprei.»

«Be’, allora direi che è comunque il posto migliore da cui iniziare a cercarlo.»

Chiuse la porta e fece per incamminarsi lungo il corridoio, ma Arryk gli sbarrò la strada.

«Perdonatemi, ma non sono sicuro che abbiate il permesso di avvicinarvi agli alloggi reali.»

Jace inarcò un sopracciglio.

«Ho il permesso di muovermi liberamente, a patto di essere accompagnato» gli ricordò. «E poi sono già stato in camera di Aegon.»

«Sì, ma sempre su esplicito invito delle loro maestà.»

«Ti assicuro che non gli dispiacerà se mi presento da lui all’improvviso» insistette. Poi, vedendo che Arryk era ancora titubante, prese un profondo respiro e tentò di nuovo. «Senti, mi limiterò a bussare alla sua porta e fargli un saluto, niente di pericoloso o che lo distrarrà dai suoi impegni. Ho solo…» bisogno di vederlo. «Vorrei solo sapere se va tutto bene.» 

Il cavaliere ci pensò un momento, poi sospirò.

«D’accordo. In effetti, sono sorpreso di non averlo ancora visto oggi.»

Jace deglutì a vuoto. Quindi non era una sua paranoia: era strano che Aegon non fosse andato a trovarlo. 

Si incamminò insieme ad Arryk verso le sue stanze, situate dall’altro lato della fortezza, pregando che fosse solo una coincidenza. Magari i suoi impegni lo avevano tenuto occupato per tutto il giorno, non lasciandogli un attimo di libertà. Oppure aveva deciso di passare un po’ di tempo con i suoi figli: non ci sarebbe stato niente di male in quello.

Una volta svoltato nel corridoio che conduceva agli alloggi dei Verdi, Jace ebbe un momento di esitazione vedendo chi era di guardia davanti alla stanza di Aegon. 

La fortuna aveva decisamente smesso di girare a suo favore.

«Cosa ci fa lui qui?» esclamò Criston Cole, facendo un passo verso di loro. 

Jace strinse i pugni, sforzandosi di mantenere la calma.

«Desidera incontrare il re» rispose Arryk. «È nelle sue stanze?»

Cole spostò lo sguardo tra i due, soffermandosi su Jace con un sorrisetto compiaciuto che gli rese difficile mantenere l’obiettivo che si era prefissato.

«Dunque hai finalmente capito qual è il tuo posto?»

Impiegò qualche secondo a cogliere il senso di quelle parole.

«Ho sempre saputo qual è il mio posto» rispose, avvicinandosi a lui con il mento alzato. «Forse tu dovresti ricordare il tuo, cavaliere.» Sputò l’ultima parola come fosse un boccone amaro e si compiacque nel vedere l’espressione sorniona di Cole vacillare. 

«Arryk ti aveva fatto una domanda» proseguì. «Aegon è nelle sue stanze?»

Lo avrebbe scavalcato volentieri, andando a verificare di persona, ma ricordava l’assenza di inibizioni dell’uomo nell’usare la violenza, soprattutto sulla sua famiglia, e non voleva certo terminare la giornata con qualche arto dolorante – o peggio.

«Il re» rispose Cole, «non è qui. E, se anche fosse, non ti permetterei di entrare. Perché lo hai lasciato venire così vicino agli appartamenti reali?» domandò poi ad Arryk.

«Non è la sua prima visita» rispose, tranquillo. I suoi dubbi sull’accompagnare lì Jace sembravano essere svaniti all’istante. «Ad ogni modo, sai dove si trova allora?»

«Se anche lo sapessi, perché dovrei dirvelo?»

«Il principe ha chiesto di poterlo incontrare, perciò…»

Le sue parole furono interrotte dalla risata di Cole, che lasciò entrambi interdetti. L’uomo scosse la testa, scoccando poi uno sguardo pieno di disprezzo verso Arryk.

«Principe? Arryk, vuoi forse seguire le orme di quel traditore di tuo fratello?» 

Jace lo vide irrigidirsi a quelle parole e sentì la rabbia crescere sempre di più in lui. Per quanto ritenesse che Ser Erryk avesse fatto la scelta giusta, il gemello si era dimostrato un uomo buono e fedele da quando era giunto nella capitale. Un vero cavaliere. Come lo era stato Harwin.

«È il titolo che spetta al nipote del re» rispose Arryk dopo qualche istante di silenzio, con voce calma; ma Jace notò che aveva stretto la mano sull’elsa della spada. Spostò lo sguardo verso Cole e vide che anche lui era all’erta. Non voleva essere la causa di uno scontro – e, memore di quanto accaduto all’ultimo che aveva sfidato quell’uomo, decise che sarebbe stato meglio tornare sui propri passi.

«Va bene così, Ser Arryk» gli disse. «Mi sembra evidente che Aegon non sia qui. Abbiamo fatto un viaggio a vuoto.»

«Sarebbe importante sapere dov’è, però» rispose lui, a bassa voce, in modo che l’altro non potesse udirlo. «Come membro della Guardia Reale, posso richiedere…»

Jace lo fermò, scuotendo la testa.

«Lascia perdere. Con Cole non si può ragionare.»

L’uomo sospirò, accettando a sua volta la resa. 

«D’accordo» disse dunque, tornando a rivolgersi a Cole. «Posso almeno chiederti la cortesia di informare Sua Altezza che il principe Jacaerys voleva vederlo?»

Lui, soprendentemente, annuì.

«Dirò a Re Aegon che il bastardo di Harwin Strong è passato di qui.»

Jace avvertì una flebile voce nella sua mente, simile a quella di Luke, che gli intimava di ricordare lo scontro avuto con Aemond; ma un’altra, più irruenta, gli fece notare che Harwin era andato incontro alla sua morte proprio a causa di quell’uomo. 

«Non osare pronunciare il suo nome!» esclamò, tornando a fronteggiare Cole. Il suo sorrisetto gli diede la conferma di essere caduto nella sua trappola, ma non gli importava. Non doveva permettersi di parlare di suo padre. «Era un cavaliere e un uomo mille volte migliore di te, e adesso ci sarebbe lui al tuo posto se avessi avuto la decenza di tenere a freno la tua invidia!»

Cole riflettè per un momento sulle sue parole.

«È possibile» disse. «O magari sarebbe solo bastato che tua madre imparasse a tenere le gambe chiuse.»

Reagì prima di poter riflettere su ciò che stava facendo. Le sue nocche impattarono contro la sua espressione divertita e non gli importava che la mano gli dolesse, né che avrebbe potuto compromettere inevitabilmente la sua precaria posizione: voleva colpirlo, ancora e ancora e ancora. Voleva che soffrisse come aveva fatto Harwin, mentre le fiamme lo avvolgevano e Harrenhal gli cadeva addosso.

Ma Arryk gli impedì di scagliare il secondo pugno.

Lo tirò indietro, frapponendosi tra lui e Cole, il cui sorriso era solo aumentato dopo il suo pugno.

«Vi prego di calmarvi!» urlò Arryk, trattenendolo per le braccia mentre cercava di allontanarlo il più possibile dall’uomo. «Siete più intelligente di così, non lasciatevi provocare» aggiunse, pronunciando quelle parole direttamente sul suo orecchio.

E funzionarono. Il desiderio di distruggere Cole era ancora presente, ma mitigato dalla consapevolezza che non era quello né il modo né il momento giusto per farlo. 

Strinse le palpebre, lasciando che il battito del suo cuore si calmasse fino a raggiungere un ritmo più moderato. Emise un lungo sospiro e fece cenno ad Arryk di lasciarlo andare.

«Mi sono calmato, lo giuro» disse, notando la sua titubanza. 

Appena il cavaliere gli liberò le braccia, Jace non azzardò nemmeno un’occhiata a Cole, temendo che la sua furia riemergesse. Si voltò e iniziò a incamminarsi verso la sua stanza – solo per vedere Aegon emergere dal corridoio di fronte.

Il ragazzo non lo notò fin quando non richiamò la sua attenzione, ormai a pochi centimetri da lui. E, quando sollevò il suo sguardo, Jace ebbe un tuffo al cuore. Era pallido, con i capelli scarmigliati e gli occhi rossi e gonfi.

«Per tutti gli Dei, stai bene?» esclamò, avvicinandosi a lui. «Cos’è successo?»

Allungò una mano per toccargli la spalla, ma lui si ritrasse con uno scatto quasi spaventato. Jace rimase con le dita a mezz’aria, poi lentamente le ritrasse, avvertendo un nodo formarsi al suo stomaco. Aegon era in quelle condizioni… per colpa sua?

«Che ci fai qui?» chiese Aegon. Non sembrava arrabbiato né dispiaciuto: Jace non riuscì a cogliere alcuna emozione nella sua voce.

«Ero solo venuto per…»

«Maestà, mi duole disturbarvi, ma si è appena verificato un fatto di estrema gravità.» Cole sovrastò la sua spiegazione, avvicinandosi a loro quanto Arryk gli permise.

Jace strinse le palpebre. Le cose con Aegon andavano già abbastanza male senza che si aggiungesse la sua aggressione a quel verme. 

Era stato uno stupido. Era ovvio che Cole volesse provocarlo, forse proprio per scatenare una rissa con cui avrebbe potuto mettere in cattiva luce lui e, di conseguenza, sua madre. Forse si era adagiato troppo sulla sicurezza che Aegon lo avrebbe protetto sempre, finendo col convicersi di essere davvero un ospite in quella fortezza.

«È vero quello che ha detto?»

Jace aprì le palpebre, trovandosi di fronte allo sguardo indagatore di Aegon. Non aveva sentito cosa fosse appena stato detto, ma gli bastò uno sguardo a Ser Arryk per capire che Cole gli aveva raccontato tutto.

Non poteva nascondersi, né mentire. Prese un profondo respiro – e sperò che Aegon non lo avrebbe odiato troppo.

«Sì, l’ho colpito» ammise, sforzandosi di sostenere il suo sguardo. «Sono consapevole di aver sbagliato e mi… mi dispiace.» Dovette fare appello a tutta la sua forza per pronunciare quelle parole, ma era sicuramente meglio di esprimere ciò che avrebbe davvero voluto fare.

Aegon continuò a non manifestare emozioni, e Jace non era certo che fosse un fatto positivo.

«La tua motivazione?» chiese poi, cogliendolo di sorpresa. Non credeva che avrebbe voluto ascoltare anche la sua campana. In cuor suo, però, ne fu felice.

«Ha insultato la memoria di Ser Harwin» disse. «E anche mia madre.»

A quelle parole, Aegon sospirò. Si voltò poi verso Cole, che ricambiò lo sguardo a testa alta, forse convinto di essere nel giusto.

«Mi sembra che non ti abbia fatto troppo male» disse. «Per il futuro, comunque, è meglio se impari a tenere la bocca chiusa.»

Cole tentennò un momento, poi rispose: «Mio re, ho solo detto la verità».

Jace si morse la lingua per restare in silenzio.

«Be’, se non è richiesta, non c’è motivo di dirla. Adesso torna al tuo posto e resta in silenzio, se vuoi continuare a indossare quel mantello.»

Pronunciò quelle parole con fermezza, ma dopo un attimo Jace vide qualcosa smuoversi nei suoi occhi. Aegon chinò il capo, emettendo una risatina amara.

«Come se avessi qualche potere» mormorò, così piano che quasi non lo udì. 

Quello strano comportamento non fece che aumentare la sua apprensione. 

«Aegon, davvero: che cos’hai?»

Gli mise una mano sulla spalla e stavolta il ragazzo non fuggì al suo tocco, ma nemmeno rispose alla sua domanda.

«Eri venuto qui per picchiare Cole?» gli chiese invece.

«Cos- No! È stato un caso. Io… Io ero venuto per vedere te.»

Aegon sollevo lo sguardo su di lui, sbattendo le palpebre.

«Perché?»

A Jace venne da ridere, ma si trattenne, temendo che una sua reazione poco limpida avrebbe potuto peggiorare l’attuale stato del ragazzo.

«Per salutarti» disse, abbozzando un sorriso. «Per vedere se stavi bene e… In tutta onestà, non mi sembra che tu abbia una bella cera. Se… Se sei arrabbiato con me» proseguì, abbassando lo sguardo, «ti chiedo scusa. Ieri non volevo…»

«Non sono arrabbiato con te.»

Quelle parole gli fecero tirare un sospiro di sollievo e il suo sorriso si rilassò in uno veramente felice. 

«Davvero? Ne sono lieto. Ma, allora, che cos’hai?»

Le labbra di Aegon tremarono per un momento, ma poi scosse la testa e si allontanò da lui. 

«Niente. Sono solo un po’ stanco» disse. Si passò una mano tra i capelli, sospirando. «Senti, tra poco ho una cena con la mia famiglia e… e dovrei andare a prepararmi.»

«Oh. Sì, capisco.» Era per quello che stava così? Sapeva che Aegon non amava trascorrere del tempo con loro, ma gli sembrava comunque una tristezza esagerata. Doveva essere successo qualcos’altro. Qualcosa che non voleva dirgli.

Si chiese se fosse successo qualcosa alla sua famiglia. Non aveva loro notizie da una settimana ormai, nemmeno sapeva se la lettera che Alicent aveva spedito a sua madre fosse giunta a destinazione o avesse ricevuto risposta. E non sapeva nemmeno se Luke fosse tornato incolume dalla Valle di Arryn. Si trattava di un viaggio semplice, è vero, ma anche il suo a Capo Tempesta lo sarebbe dovuto essere. 

Però, nonostante il loro accordo, se ci fossero state notizie allarmanti, Aegon glielo avrebbe detto. Vero?

«Scusa, ma è meglio se ora torni nelle tue stanze» disse Aegon, riscuotendolo dai suoi pensieri. «Ci… Ci vediamo domani?»

Jace sospirò. Qualunque cosa fosse accaduta, insistere adesso non avrebbe portato a niente. E la sua richiesta, in fondo, gli fece piacere.

«Certo» rispose. «Buona fortuna per la cena.»

Aegon sollevò un angolo della bocca.

«Me ne servirà molta.»

 

~

 

Luke si sorprese di essere in grado di smontare dalla sella: era convinto che i suoi arti si fossero intirizziti per il gelo del Nord. Soffiava un forte vento e le nuvole bianche minacciavano di attaccare la zona con una pioggia di neve. Probabilmente, era arrivato giusto in tempo per evitarla.

Arrax si lamentò, avvertendo il freddo a sua volta. Luke lo accarezzò e si complimentò con lui per il volo difficile che aveva dovuto affrontare. Si erano riposati solo un giorno a Porto Bianco, a differenza dell’ultima volta in cui erano andati al Nord, e già quella mattina il suo drago aveva protestato per la repentina ripartenza. Luke non poteva biasimarlo, ma trovava assurdo essere così lontano da casa in un momento del genere. 

Voleva avere conferma della lealtà di Cregan Stark e tornare indietro quanto prima. Sua madre gli aveva consigliato di riposarsi insieme al suo amico, ma non aveva specificato per quanto tempo: perciò, fino a prova contraria, non avrebbe disubbidito rincasando nel giro di un paio di giorni – bufera di neve permettendo. Il vento gli rovesciò il mantello, facendoglielo finire in faccia. Quando Luke riuscì a liberarsi, sentì delle gocce fredde cadergli sui capelli. Sporgendo in fuori il palmo della mano, vide dei pallini bianchi depositarsi sui suoi guanti. 

«Lucerys?» urlò una voce alle sue spalle. 

Luke si voltò, strizzando gli occhi per mettere a fuoco la figura che lo aveva chiamato e che in quel momento stava sventolando un braccio verso di lui. 

Le si avvicinò e sorrise quando riconobbe Sara, la sorellastra di Cregan. La ragazza era avvolta in una pesante pelliccia e aveva il cappuccio calato sopra la testa a nascondere i suoi lunghi capelli scuri.

«Mia lady» la salutò, urlando perché la sua voce si udisse sopra il rombo del vento. Provò anche a inchinarsi, ma di nuovo il mantello gli bloccò i movimenti. 

La ragazza ridacchiò e lo invitò a entrare dentro il castello.

«Arrax…»

«Lo scorteranno le guardie nel posto più riparato che abbiamo» rispose, chiudendo le porte dietro di loro. «Tranquillo, se c’è entrato l’altro, entrerà anche lui.»

Finalmente al chiuso, Luke lasciò andare un lungo sospiro. Il calore emanato dalla stanza gli fece sentire il sangue tornare a fluire lungo il corpo.

«Cregan non mi aveva avvisata del tuo arrivo, anzi forse non lo sapeva nemmeno lui? Non eravamo pronti a ricevere un principe.»

Luke arrossì, scuotendo la testa – e spargendo intorno a loro piccole gocce di neve.

«No, non… non era previsto il mio arrivo. Spero che non sia un brutto momento.»

Sara emise un mezzo sbuffo.

«L’incertezza che aleggia sul regno rende ogni momento brutto. Ma di certo non devo dirlo a te.» Gli rivolse un piccolo sorriso. «Spero che non dubitiate della lealtà degli Stark, o della mia.»

«Tu sei una Stark.» 

Lei scosse la testa, continuando a sorridere.

«Vieni. Cregan dovrebbe essere ancora a colloquio con il nostro ospite, ma penso che sarà felice di vederti.»

Luke stava per dirle che poteva aspettare, non voleva disturbarlo, ma si bloccò. 

“Se c’è entrato l’altro, entrerà anche lui.”

«Sara» la chiamò, fermandola sulla soglia della porta che conduceva alla Sala Grande. «Chi è arrivato prima di me?»

Lei abbassò lo sguardo, poi gli rivolse un piccolo sorriso di incoraggiamento. Aprì le porte, richiamando l’attenzione di Cregan.

Luke la seguì titubante, guardandosi intorno per cercare un volto anomalo – o famigliare.

«Principe Lucerys» lo accolse Cregan, alzandosi dal suo scranno davanti al camino. «Sono lieto di averti nella mia dimora.»

Luke non riuscì a ricambiare il saluto. La sua attenzione fu attirata dalla figura accanto a lui, alzatasi a sua volta per accoglierlo. 

Deglutì a vuoto mentre veniva scrutato dall’unico occhio di Aemond Targaryen.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

 

 

«Sono lieto di vederti, Lucerys. Immagino tu sia arrivato insieme al tuo drago.»

Luke annuì distrattamente. La sua attenzione era focalizzata su Aemond, che se ne stava davanti al camino a fissarlo con le braccia incrociate dietro la schiena.

Una parte di lui gli suggerì che avrebbe dovuto aspettarsi un’imboscata dei Verdi anche al Nord: dopotutto, in teoria, la lealtà di tutto il regno era rivolta a sua madre. Ma nemmeno lei doveva aver preso in considerazione questa ipotesi, o non lo avrebbe mai costretto ad andare. Decise di farglielo presente, una volta tornato a casa, così non avrebbe più rischiato di essere allontanato da dove poteva fare qualcosa di utile per Jace. 

«È arrivato appena in tempo». Sentì la voce di Sara accanto a lui. «Sta iniziando a nevicare.»

Entrambi gli Stark si voltarono verso le grandi finestre sul lato sinistro della stanza e Luke si costrinse a distogliere lo sguardo da Aemond per fare altrettanto. Fuori, grossi fiocchi di neve cadevano dal cielo, trasportati dal vento. Non la si poteva ancora definire una tormenta, ma temeva che presto si sarebbe trasformata proprio in quella. Sperò che Arrax fosse al riparo – e lontano da Vhagar. 

Ad ogni modo, Luke si rese conto che il suo soggiorno sarebbe stato molto diverso da come lo aveva immaginato.

«Quando credete che si placherà?» chiese, sperando che non sarebbe durato più di un paio di giorni.

«È difficile prevederlo, ma non temere: potrai restare qui tutto il tempo necessario.» Cregan gli rivolse un piccolo sorriso, che Luke cercò di ricambiare. Non era la risposta che avrebbe voluto ricevere. «E lo stesso vale anche per voi, principe Aemond.» Di male in peggio.

Il ragazzo chinò leggermente il capo, in un tacito segno di ringraziamento, ma il suo occhio tornò subito a posarsi su di lui. Luke avrebbe giurato di scorgervi un baluginio di divertimento, ma poteva anche essere solo uno scherzo della sua mente che gli imponeva di scovare una qualche emozione in quello sguardo. Aveva osservato così anche Jace, prima di consegnarlo a suo fratello? Quel pensiero gli fece stringere i pugni.

«Fino a quando la tempesta non si sarà placata, sarete entrambi miei ospiti» annunciò Cregan. Si avvicinò a lui, coprendogli in parte la figura di Aemond. «Vi invito ad andare a riposare dopo il lungo viaggio e spezzare il pane con me questa sera a cena.»

Luke cercò lo sguardo dello zio. Se avesse accettato l’ospitalità degli Stark, non avrebbe potuto fargli niente mentre erano sotto il loro tetto. A un tratto, si rese conto di non avere idea di cosa, esattamente, avesse fatto a Jace. Suo fratello non lo avrebbe mai seguito spontaneamente, ma dubitava anche ci fosse stato un vero e proprio scontro tra i due: sia con la spada che con il drago, Aemond avrebbe potuto ucciderlo. 

Il suo stomaco si contrasse a quel pensiero. Sua madre era convinta che Alicent Hightower non avesse mentito – sulla base di cosa, Luke non lo sapeva, ma era sua intezione seguire tale linea di pensiero. 

«Siete molto gentile, Lord Stark». Era la prima volta che udiva la voce di Aemond in quella sala. «Io e mio nipote vi siamo grati per tale ospitalità.»

Luke si trattenne dal rimproverarlo per aver parlato a suo nome, limitandosi a confermare quanto detto. 

Poi, finalmente, Aemond si voltò, seguendo uno dei soldati Stark fuori dalla stanza, probabilmente diretto al suo alloggio. Ricordò che lui e Jace avevano avuto due camere adiacenti, ma sperò che stavolta sarebbe stato ben lontano dall’altro ospite. 

«Lucerys.»

Luke scosse la testa e arrossì, rendendosi conto di essere rimasto lì impalato come un idiota. Farfugliò un saluto a Cregan, ma prima che potesse andarsene, lui lo trattenne, posandogli una mano sulla spalla.

«Glielo stavo accennando prima che arrivassi» disse, «ma lo renderò noto a lui e a tutti i miei vassalli domani mattina: mio padre si inginocchiò al cospetto di Rhaenyra Targaryen e io ho intenzione di fare altrettanto.»

Quelle parole lo rincuorarono. Era certo che Cregan non li avrebbe traditi, ma sentirglielo dire fu comunque un sollievo. 

Spostò nuovamente lo sguardo verso la finestra, che aveva iniziato a imbiancarsi. La neve continuava a cadere: almeno una notte sarebbe dovuto restare. 

«Immagino non ti faccia piacere che tuo zio rimanga con noi, ma nemmeno un drago può affrontare incolume una tempesta. Non mi sentirei tranquillo a cacciarlo via.»

«No, lo capisco.» Non voleva stare vicino ad Aemond, non più ormai, ma nemmeno voleva la sua morte. 

Sarebbero rimasti lì: avrebbero spezzato il pane insieme, ascoltato ciò che Cregan aveva da dire loro e poi si sarebbero ignorati fino al momento della partenza.

Sarebbe andato tutto bene.

 

~

 

Venne a chiamarlo una ragazza, un paio d’ore dopo che si era sistemato nella sua stanza – la stessa della volta precedente. Non aveva riposato né mente né corpo, ma avrebbe comunque dovuto mostrarsi al meglio davanti agli uomini del Nord. Era lì per rappresentare sua madre: doveva essere perfetto, come lei.

Si lisciò la giacca e cercò di sistemare i suoi capelli in modo che non sembrassero un nido d’uccelli, ma dopo un paio di tentativi si arrese con uno sbuffo. Lui non aveva la chioma liscia e bionda dei Targaryen, era inutile che si sforzasse di nasconderlo. Decise di trovare un briciolo di conforto nel ricordo che anche Aegon aveva capelli corti e mossi – anche se del colore giusto.

Uscì dalla stanza e svoltò subito a sinistra, per raggiungere la Sala Grande. 

«Che cavolo ci fai qui?» Non riuscì a trattenersi quando vide Aemond, in piedi davanti alla porta accanto alla sua. 

Il ragazzo, che aveva tolto il mantello e adesso indossava abiti scuri simili a quelli che aveva durante la loro ultima cena, inarcò un sopracciglio.

«Ci siamo visti solo questo pomeriggio» disse, mentre le sue labbra si incurvarono in un sorrisetto di scherno. «Ti basta così poco per dimenticarmi?»

Luke strinse i pugni. 

Sempre meno di quanto è servito a te. Ma rivangare il passato non avrebbe giovato a nessuno e lui non era intenzionato a stare in presenza di Aemond più del necessario.

«Scusa, mi sono espresso male» rispose stizzito, riprendendo a muoversi verso la sua meta. «Volevo dire: che ci fai qui impalato come uno spaventapasseri

Il sorrisetto di Aemond rimase al suo posto, anche mentre Luke gli passò davanti, senza fermarsi.

«Ti stavo aspettando» disse, affiancandolo. E, forse per evitare di andare a sbattere contro un muro, puntò il suo sguardo sul corridoio davati a sé, liberandolo dal peso del suo occhio. 

Fu lui, a questo punto, a osservarlo. Si aspettava che Aemond gli avrebbe detto qualcos’altro, invece si limitò a camminare in silenzio accanto a lui. Talvolta aveva avuto difficoltà a capirlo quando erano bambini; adesso, non riusciva nemmeno a riconoscere la persona che aveva di fronte. 

«Stark è fedele a tua madre» disse a un tratto Aemond. «Suppongo tu lo sappia.»

«Sì, me lo ha detto.» Lo guardò di sottecchi, cercando di scorgere la sua reazione. «Ha già rifiutato qualunque offerta gli avessi posto per convincerlo a tradire la regina?»

«Mmm. Non ho nemmeno provato a proporgli qualcosa e dubito che lo farò.» Svoltarono lungo il corridoio che conduceva alla Sala Grande, da cui proveniva un forte brusio, segno che dovevano essere già arrivati gli altri commensali. «Immaginavo che avrei ricevuto un rifiuto. Mio nonno ha suggerito di proporre Daeron come sposo per la sorellastra di Lord Stark, ma penso che anche lui fosse consapevole che nessuna offerta gli sarebbe apparsa abbastanza succulenta da convincerlo a venir meno alla parola data.»

Luke non riuscì a trattenere uno sbuffo. Ovviamente sapeva che tale fidanzamento non sarebbe andato in porto: perché dare uno dei suoi nipoti in sposa a una bastarda?

I soldati Stark che presidiavano l’ingresso aprirono le porte al loro passaggio, e Luke e Aemond si ritrovarono immersi nel calore e nel chiasso della Sala Grande.

Erano stati disposti tre lunghi tavoli che occupavano l’intero perimetro, a cui erano seduti i vassalli degli Stark con le loro famiglie. Luke riconobbe lo stemma dei Mormont, degli Umber e dei Flynn, ricamati sulle casacche di alcuni uomini. Non riuscì a scorgere con chiarezza le altre casate, ma era certo che l’intero Nord si fosse riunito a Grande Inverno quella sera. 

All’improvviso, sentì i palmi iniziare a sudare e il suo cuore battere più forte. Non avrebbe dovuto sostenere la causa di sua madre davanti a tutti loro, vero? Cregan gli aveva parlato di “mattina”, ma…

«Principe Lucerys. Principe Aemond.»

Spostò lo sguardo verso Cregan, che li aveva chiamati dalla piattaforma al centro della stranza, dove era stato apparecchiato un tavolo per quattro. Vide Sara in piedi dietro la sedia a sinistra dello scranno del Lord e avvertì un moto di nostalgia ricordando la prima volta che aveva cenato insieme a loro. 

«Prego, accomodatevi» continuò Cregan, facendo loro cenno di salire. Aemond eseguì all’istante, prendendo posto su uno dei lati corti del tavolo, alla destra del suo ospite. Non volendo fare la figura dell’idiota, restando impalato al suo posto, Luke lo seguì. 

Quando passò accanto a Cregan, il ragazzo gli offrì una leggera stretta di spalla, alla quale rispose con un sorriso. Poi si allontanò, prendendo posto alla sinistra di Sara. 

Cercò di ignorare il fatto di essere, di nuovo, faccia a faccia con Aemond. Ormai era chiaro che non potesse evitarlo, quindi la cosa migliore da fare era stringere i denti e pregare che quella tormenta – che, dal suo arrivo, non aveva fatto che peggiorare – cessasse quanto prima.

«Casa Stark vi rinnova la sua ospitalità» annunciò Cregan e solo in quel momento Luke si rese conto che il brusio nella sala era cessato. Tutta l’attenzione era focalizzata su di loro. «Vi invito a dividere il pane con me e vi do la mia parola d’onore che queste mura saranno per voi un rifugio sicuro per tutta la durata della vostra permanenza.»

Mentre parlava, un servitore si era avvicinato ad Aemond con due ciotole, una di pane e l’altra di sale, avvicinandole a lui affinché si servisse. La sua prima reazione fu ciò che ormai Luke avrebbe dovuto imparare ad aspettarsi: incrociò il suo sguardo, e lui mantenne il contatto visivo con i pugni stretti e il mento sollevato. Se non avesse accettato l’offerta degli Stark, sarebbe stato l’unico a rimetterci.

Dopo quella che gli parve un’eternità, Aemond si mosse. Continuando a puntare il suo unico occhio su di lui, prese un pezzo di pane e lo addentò. Quando il servitore si avvicinò a lui, Luke si affrettò ad accettare l’offerta, e mentre il sapore del pane e del sale si mescolava nella sua bocca, si scoprì a rilasciare un lungo sospiro di tensione.

Adesso godevano entrambi della protezione di casa Stark.

Terminato quel sacro rituale, Cregan annunciò l’inizio della cena e i vari commensali tornarono alle loro attività, ignorando i principi Targaryen. Luke ne fu sollevato. 

Grazie alla vicinanza di Sara, riuscì anche a trascorrere una serata tranquilla. Il peso dello sguardo di Aemond gravava sempre su di lui e la consapevolezza che suo fratello fosse da solo nella capitale gli impediva di godere appieno della vicinanza dei suoi amici – ma fintanto che la cena non si fosse conclusa con una rissa, avrebbe potuto ritenersi fortunato. 

«Ve ne andrete appena la tempesta sarà passata?» chiese Sara, spostando lo sguardo su entrambi. Era quella che si era prodigata maggiormente per instaurare una conversazione tra tutto il tavolo, ma finora non aveva ottenuto molti risultati.

«Io sì» disse Luke. «Hanno bisogno di me a casa.» Jace ha bisogno di me. Perché non è a casa.

Se Aemond intuì i suoi pensieri, non lo diede a vedere. 

«È comprensibile» rispose Cregan. «Spero comunque che tornerai a farci visita presto, anche insieme a tuo fratello. A proposito, se non sono indiscreto, posso chiedere perché sei venuto da solo?»

«Già. Jace non sarà preoccupato ad averti così lontano?» scherzò Sara e, per quanto lo avesse fatto senza malizia, le sue parole lo rabbuiarono. 

Spostò lo sguardo verso Aemond, sentendo la rabbia emergere di nuovo in lui. All’improvviso, il pensiero che Cregan lo costringesse ad andarsene nel pieno di una tormenta non gli risultava più così sbagliato. 

«Immagino, al contrario, che sarà fiero di lui» disse Aemond, cogliendo tutti di sorpresa. Luke lo fissò, guardingo. «Glielo chiederò quando tornerò ad Approdo del Re.»

A quel punto, solo Cregan e Sara gli rivolsero uno sguardo stupito. 

«Cosa intendete dire?» chiese Lord Stark. Si voltò verso di lui, preoccupato, in cerca di una rassicuazione che Luke non era però in grado di offrirgli.

«Jacaerys è ospite alla corte di Re Aegon» spiegò Aemond, con noncuranza, come se stesse commentando del buon cibo. 

Luke strinse i pugni. 

«Prigioniero, vorrai dire» sibilò. 

Il ragazzo sollevò lo sguardo verso di lui, di nuovo nessuna emozione a illuminare il suo occhio.

«I miei fratelli preferiscono chiamarlo così e il suo alloggio è lo stesso che aveva occupato durante la vostra ultima visita. A patto che sia sempre sorvegliato da qualcuno, è anche libero di muoversi per il castello come e quando lo desidera. Molto diverso dal trattamento che verrebbe riservato a un vero prigioniero.»

Luke sbatté le palpebre. Era la verità? Gli sembrava di ricordare che anche Alicent avesse parlato delle stanze di Jace e quell’informazione combaciava con ciò che aveva appena detto Aemond. Anche se poteva trattarsi di un copione studiato ad arte per tranquillizzarli. Non c’erano prove che Jace stesse bene – e, comunque, le cose non sarebbero mai migliorate fintanto che la sua permanenza forzata in mezzo ai Verdi non fosse giunta al termine.

«Credevo che vostro fratello si fosse limitato a rubare il trono della regina» disse Cregan. Dal modo in cui serrò la mandibola, Luke capì che era furioso. Forse si stava pentendo di non aver accolto Aemond con una spada sguainata in grembo.

«In sua difesa, Aegon non è responsabile di quanto avvenuto con Jace. Sono stato io a decidere di scortarlo nella capitale. Non che lui si sia opposto al mio invito.»

«Vuoi farci credere che sia stato Jace a decidere di seguirti?» esclamò Luke, sconvolto. Se non pura onestà, si sarebbe aspettato almeno una storia più credibile per giustificare il rapimento di suo fratello. 

«È andata così» rispose semplicemente l’altro. «Tuo fratello ha molti difetti, ma non è stupido. Sapeva che un combattimento tra di noi sarebbe stato controproducente. Avremmo solo rischiato di far scoppiare un’inutile guerra.»

«Voi l’avete fatta scoppiare, mettendo quell’ubriacone di Aegon sul trono!»

Aemond assottigliò la palpebra e Luke avvertì un brivido corrergli lungo la spina dorsale.

«Ti pregherei di non insultarlo davanti a me» disse, gelido. «È pur sempre mio fratello.»

«E per te è molto importante difendere la famiglia, vero?»

«Più di quanto lo sia per te.»

Luke strinse le labbra, fissando Aemond con tutto il rancore che aveva nel corpo. Quello che, nonostante la distanza e il tempo, non era ancora riuscito a lasciarsi alle spalle. 

“Vattene. Mi disgusta respirare la tua stessa aria.”

Sentì gli occhi iniziare a pizzicargli, lacrime di dolore e rabbia che premevano per bagnargli il volto; ma non intendeva mostrarsi debole davanti ad Aemond.

Fortunamente, fu lui stesso a mettere fine a quella discussione.

«Lord Stark» disse, alzandosi in piedi. «Se la vostra ospitalità è ancora valida, gradirei ritirarmi nelle mie stanze.»

Cregan si alzò a sua volta. Spostò lo sguardo verso le finestre, per poi dirigerlo, incerto, su Luke, che non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che la tempesta stava ancora imperversando all’esterno. Prese un profondo respiro e, lentamente, annuì.

«Siete ancora mio ospite, principe Aemond» rispose dunque Cregan. «Tuttavia, vi pregherei di lasciare il mio castello non appena la tormenta si sarà placata. E mi auguro che non abbiate mentito circa la situazione di Jacaerys.»

«Mmm. Al momento, potete solo fidarvi della mia parola» disse. «Ma gli chiederò di inviare una lettera scritta di suo pugno al mio ritorno, così da fugare ogni dubbio. Dopotutto, lo conoscete» aggiunse, con un mezzo sorrisetto sulle labbra.

«Ho avuto l’onore di stringere amicizia con lui in passato, sì» confermò Cregan. Se Aemond avesse avuto ancora qualche dubbio su dove risiedesse la sua lealtà, quelle parole ne avevano dato una conferma definitiva.

Il ragazzo chinò il capo in un saluto rispettoso, poi si voltò per lasciare la stanza. Appena sparì oltre le porte laterali della Sala Grande, Luke si lasciò cadere contro lo schienale della sedia e chiuse gli occhi, cercando di ritrovare la calma – impresa ardua, considerato che l’aveva persa da giorni.

Sentì una mano sulla sua spalla e la voce preoccupata di Sara lo convinse a guardarla.

«Stai bene?» gli chiese.

Luke mosse la testa, non sapeva nemmeno lui per indicare cosa. Non voleva farla preoccupare, ma non stava bene.

«Cosa significa tutto questo? Cos’è successo a Jacaerys?» esclamò Cregan. Tutta la rabbia che aveva represso davanti ad Aemond stava emergendo in superficie, e Luke non sapeva come arginarla. Le informazioni che possedeva erano le stesse che aveva appena ascoltato anche lui: rassicurazioni vane, prive di un provato fondamento di verità.

«Fratello, credo che il nostro ospite sia molto stanco» intervenne Sara. «Forse dovremmo lasciarlo riposare.»

Cregan spostò lo sguardo su di lei e, per un momento, parve oltraggiato dalle sue parole. Ma poi tirò un sospiro e i suoi lineamenti tornarono alla loro consueta durezza pacifica.

«Sì» disse, massaggiandosi le tempie con la mano destra. «Hai ragione. Ti chiedo scusa, Lucerys.»

Luke scosse la testa. «Non devi. Io… Sì, gradirei ritirarmi, per favore.»

«Naturalmente. Uno di noi può accompagnarti» rispose, indicando tra sé e Sara, che prontamente si alzò in piedi, ma Luke le fece cenno di fermarsi.

«Non serve, conosco la strada. Grazie.»

Si alzò e si diresse verso l’uscita, da dove pochi minuti prima era scomparso Aemond. Si voltò indietro un’ultima volta. 

«Alicent Hightower aveva scritto a mia madre, prima che partissi» disse. «Ha detto che a Jace non sarebbe stato fatto alcun male. Mia madre le crede.»

Cregan lo fissò per qualche istante, forse riflettendo sulle sue parole. Poi annuì e un piccolo sorriso fece capolino sul suo volto.

«Le donne, soprattutto le madri, sono dotate di un sesto senso che noi possiamo solo invidiare. Se Rhaenyra Targaryen crede che Jacaerys stia bene, significa che è così.»

Luke sgranò gli occhi. Aveva deciso di raccontargli quel fatto perché sapeva quanto Cregan tenesse a suo fratello e voleva dargli qualcosa a cui aggrapparsi per credere che stesse bene. Non si aspettava che sarebbe stato lui quello a venire rincuorato. 

Sorrise e sperò che la sua voce non tremasse mentre gli augurava la buonanotte.

 

~

 

Lo vide in piedi davanti all’Albero Diga, intento a contemplare il volto dipinto sul tronco. Luke ebbe un attimo di tentennamento: non gli piaceva quella faccia. Non erano naturali quei segni rossi incisi su un tronco bianco. Però, l’eccitazione per la sua ultima scoperta era troppo grande per permettere alla paura di fermarlo.

Corse verso Aemond e quasi gli finì addosso, evitando il capitombolo solo grazie alla prontezza dell’altro che sollevò le braccia a fermare la sua avanzata.

«Ma che stai facendo?» esclamò, infastidito. Aemond sembrava sempre infastidito, all’inizio.

Luke non rispose a parole. Gli mise il libro che aveva scovato davanti alla faccia, facendo forza sulle sue esili braccia per tenerlo sollevato in alto. Aemond lo prese in mano, sfogliandolo incuriosito. 

«È scritto in Valyriano» constatò. Assottigliò le palpebre, fissando il titolo mentre con le labbra mimava le parole. «Aegon… Storia… È la storia della Conquista?» chiese, gli occhi illuminati di eccitazione per essere riuscito a tradurre quella lingua.

Luke fece spallucce. «Penso. C’è scritto “Aegon”» disse. Era l’unica parola che era riuscito a leggere. Conosceva un unico termine Valyriano: “Dohaeris”, ovvero “obbedisci” – almeno, quello era il significato che gli aveva attribuito quando aveva sentito Aegon usarlo con Sunfyre.

«Sì, questo l’ho visto anch’io.»

«E dentro c’è un disegno di Baelor, il suo drago» aggiunse. Cercò di sfogliare il libro tra le mani di Aemond per mostrarglielo, ma stavano facendo fatica a tenerlo. Era un tomo enorme, anche per i loro standard.

«Aspetta, aspetta» gli disse Aemond, allontanando le sue mani. Si avvicinò all’Albero Diga e si sedette con la schiena contro il tronco, posando il libro aperto sulle sue gambe. 

«Siediti, dai» lo incalzò, notando che era rimasto fermo al suo posto.

Luke sollevò lo sguardo verso il volto rosso, che svettava proprio sopra la testa di Aemond. Strinse l’orlo della sua casacca, fissandolo incerto.

«Non… Non potremmo andare da un’altra parte?» tentò.

Aemond sbuffò. «Hai ancora paura di quest’albero, Luke?»

«N-Non è un albero normale!» si difese. «Aegon dice che è maledetto e non dovremmo starci troppo vicino, altrimenti le nostre cose importanti si afflosceranno per sempre.»

Aemond inarcò un sopracciglio. 

«Le nostre cose importanti?» ripeté.

Luke si strinse nelle spalle. Non sapeva cosa significasse, ma gli era sembrato molto serio mentre lo diceva, quindi doveva essere davvero pericoloso. 

«Quante volte devo ricordarti di non ascoltare ciò che dice quell’idiota? Forza, siediti.» 

Luke mosse qualche passo verso di lui, titubante. 

«Tranquillo, ci sono io con te. Non ti succederà niente» aggiunse Aemond, e le sue guance si tinsero lievemente di rosso. 

Quella rassicurazione scaldò il cuore di Luke. Era vero, c’era il suo amico con lui: sarebbe andato tutto bene.

Sereno, si sedette finalmente accanto a lui con un grande sorriso sul volto. Aemond abbassò lo sguardo sul libro. Il suo colorito non era ancora tornato al suo pallore naturale.

«Allora» cominciò, schiarendosi la gola. «Sembra un libro molto interessante… ma perché non ne hai preso una versione scritta nella lingua comune? Non mi risulta che tu conosca il valyriano.»

«No, però pensavo che potremmo impararlo. Un giorno ci servirà, quindi perché non iniziare subito a studiare?»

Aemond aggrottò le sopracciglia. Sembrò riflettere sulle sue parole; poi si rabbuiò e abbassò il capo, una tenda bionda a oscurargli la sua espressione.

«Serve per comunicare con i draghi» mormorò.

Luke annuì, felice. «Sì, infatti.» Poi, realizzando cosa intendesse, aggiunse: «Così sarai pronto, quando avrai il tuo drago.»

Aemond sollevò lo sguardo, fissandolo con occhi carichi di aspettative.

«Credi davvero che succederà?»

«Certo. Per questo devi essere preparato. O vuoi comunicare con lui solo attraverso tre parole, come fa Aegon?»

Un grande sorriso illuminò il volto di Aemond a quelle parole. Luke non sapeva se fosse dovuto alla prospettiva di battere Aegon o semplicemente all’idea di avere un drago, ma non gli importava. Era sufficiente vederlo felice. 

Avrebbe voluto vedere quell’espressione ogni giorno della sua vita.

 

Si svegliò con il ricordo di quel sorriso stampato nella mente. Era stata l’ultima volta che lo aveva visto: due giorni dopo, Aemond gli aveva detto di odiarlo – e il loro rapporto era degenerato.

Si stropicciò gli occhi e spostò lo sguardo verso la finestra, scoprendo un cielo nero. Aveva dormito almeno un paio d’ore? Non ne era sicuro.

Provò a tornare nel mondo dei sogni, ma continuava a rivedere quel momento di sette anni prima, ricordo che sperava di aver seppellito per sempre nei meandri della sua memoria. Non aveva mai scoperto cos’avesse incrinato il loro rapporto all’epoca. Una parte di lui avrebbe voluto capire perché Aemond si fosse trasformato in un’altra persona nel giro di poche ore, ma sarebbe stato inutile tirare fuori l’argomento adesso che il ragazzo aveva dei motivi reali per odiarlo. 

Li ho anche io, si disse, ricordando le dita di Aemond strette al suo collo e gli eventi degli ultimi giorni.

Sospirò e si mise a sedere. Dubitava che sarebbe riuscito a prendere sonno facilmente. Decise di uscire a fare due passi, sperando che il movimento lo stancasse e lo spingesse a riaddormentarsi una volta tornato nel letto.

Indossò gli abiti con cui era arrivato, gli unici che possedesse in quel luogo, ma al posto del mantello usò la pelliccia che Cregan gli aveva consegnato al suo arrivo. Le camere e gli ambienti comuni del castello erano riscaldati, ma i corridoi mantenevano una temperatura più mite – e, considerato il gelo che impervesava all’esterno, ciò significava che sarebbero stati freddi.

Ne ebbe la conferma appena mise un piede fuori dalla camera. Luke si strinse nella pelliccia e si incamminò verso la Sala Grande. Si fermò un momento davanti a quella che credeva fosse la stanza di Aemond, ma poi, temendo che il ragazzo fosse sveglio e riuscisse a captare la sua presenza, si allontanò a passo svelto. Non gli andava di incontrarlo, soprattutto se da solo e al buio. 

Il camino nella Sala Grande era spento e il silenzio gli fece correre un brivido lungo la schiena. Non era abituato a vedere quel luogo così spoglio: aveva un’aura spettrale, simile a… 

Alle cripte.

Luke si avvicinò alla finestra. La neve stava ancora cadendo, anche se più dolcemente. Uscire all’aperto poteva essere rischioso, ma voleva tentare comunque. Se il freddo si fosse rivelato insostenibile, sarebbe semplicemente rientrato nel fortezza.

Per sua fortuna, riuscì a raggiungere la sua destinazione senza troppi intoppi, anche se dovette fermari per qualche minuto davanti alle torce situate all’ingresso, per scaldarsi un po’. Quando sentì che il sangue aveva ripreso a fluire normalmente, Luke ne prese una e si addentrò all’interno delle cripte.

Era stato uno dei primi luoghi che Cregan gli aveva fatto visitare quando lui e Jace erano andati a Grande Inverno. Quando ne aveva parlato, Luke era certo che avrebbe odiato quel luogo: freddo e grigio, una rappresentazione tremendamente realistica della morte, a suo avviso. Invece, la calma e la solennità del luogo gli avevano conferito una luce diversa ai suoi occhi, e le parole di Cregan lo avevano trasformato nel suo posto preferito del castello.

“Qui riesco a sentire che mio fratello è ancora vivo. Gli parlo e ho l’impressione che lui risponda. Mi è di grande conforto.”

Luke – e anche Jace, come gli aveva confessato lui stesso – alla menzione di Jonnel non aveva potuto fare a meno di pensare a Laenor e a Ser Harwin. Quest’ultimo aveva legato maggiormente con Jace, e suo padre, come si ostinava a chiamarlo, era stato quasi sempre assente nella loro infanzia – ma Luke ricordava anche che, nei pochi momenti che avevano passato insieme, Laenor era stato un uomo amorevole e gentile, sempre pronto a giocare con loro. Una volta lo aveva aiutato a costruire un piccolo vascello di legno, ammaccato e con l’albero maestro completamente storto. Non avrebbe mai potuto prendere il largo, ma nonostante ciò suo padre si era complimentato con lui e gli aveva assicurato che il secondo tentativo sarebbe andato meglio. In un’altra occasione, Luke non era riuscito a prendere sonno a causa di un temporale e si era rifugiato dai suoi genitori in cerca di conforto. Non aveva dato peso al fatto che Laenor e sua madre non fossero nello stesso letto quando era entrato, ma nessuno dei due si era scomposto: si erano seduti tutti e tre sul letto di Rhaenyra, lui in mezzo ai suoi genitori, e Laenor gli aveva raccontato storie sul mare e sulle creature che lo abitavano. Alcune erano sicuramente inventate, ma la sua voce calma lo aveva aiutato a tranquillizzarsi e a ritrovare il sonno.

Tirò su col naso e si passò il dorso della mano sugli occhi. 

Gli mancava. 

Gli mancavano Laenor e Harwin e la vita che aveva condiviso con loro. Quando ancora credeva di essere un Velaryon e i suoi amici non avevano mai minacciato di fare del male a lui o alla sua famiglia.

«Ti sei perso tra i fantasmi, nipote?»

Luke sussultò udendo quella voce, che rimbombò tra le pareti delle cripte. Sperò che fosse solo un’allucinazione, una suggestione che la sua mente aveva creato di riflesso a quel breve pensiero che gli aveva rivolto. Perché non era possibile che Aemond lo avesse seguito anche lì. 

I passi alla sua sinistra si fecero più nitidi mentre si avvicinavano e, quando si voltò, non poté negare la realtà della figura davanti a lui. Indossava il suo mantello da viaggio, ma Luke non volle crogiolarsi nella speranza che fosse in procinto di partire: probabilmente, non aveva trovato un indumento più pesante con cui coprirsi.

Si fermò accanto a lui, spostando lo sguardo sulla statua del cucciolo di metalupo davanti a loro. Luke sgranò gli occhi: non si era reso conto di essere arrivato fin lì.

«Seppelliscono anche gli animali?» chiese. Sembrava incuriosito.

«Non che io sappia.» Ci pensò un momento, poi aggiunse: «L’ha fatta erigere Cregan. Qui sotto ci sono le spoglie di suo fratello.»

«Non sapevo ne avesse altri, oltre alla Snow» commentò Aemond. Luke apprezzò che non avesse usato il termine “bastarda”. «Era più piccolo, presumo.»

«Sì.»

«Malattia?»

«Purtroppo sì.»

«Mmm.»

Rimasero in silenzio, continuando a guardare la lapide sulle cui fattezze le fiamme creavano piccoli giochi di luce e ombra. Luke azzardò un’occhiata verso Aemond, constatando che non aveva una torcia con sé. Se si fosse allontanato, lo avrebbe lasciato al buio. Ma, dopotutto, il ragazzo era anche sceso al buio, perciò…

«Come mai eri venuto qui?» La sua voce lo fece sussultare di nuovo. Doveva smetterla di avere quella reazione a causa sua.

«Non… Non riuscivo a addormentarmi» rispose.

«E i morti ti conciliano il sonno?» ribatté, con scherno.

Luke gli scoccò un’occhiataccia. 

«Tu, invece?» Tentò di sviare la domanda. Non aveva intenzione di rivelargli quali fantasmi sperava di trovare tra quelle tombe. «Cosa ci facevi qui?»

«Ero curioso di esplorare il castello» rispose, e Luke pensò che fosse sincero. «Appena la tormenta sarà passata, Lord Stark mi caccerà. Volevo approfittare del poco tempo a mia disposizione. Sarei curioso di vedere anche il Parco degli Dei, ma non credo di riuscirci.»

Luke abbassò lo sguardo. Il Parco degli Dei di Approdo del Re era solo l’ombra di ciò che era lì al Nord. Lui lo aveva visto con i residui della neve che ancora resistevano nel verde del prato e l’acqua limpida del laghetto gli aveva fatto desiderare di tuffarcisi dentro, se la temperatura fosse stata più mite. Jace lo aveva adorato; ma per lui quella faccia rossa era legata a dei ricordi da cui preferiva fuggire e aveva cercato di starci il più lontano possibile.

Si chiese se Aemond ricordasse i momenti trascorsi sotto lo sguardo dell’Albero Diga. La scoperta, l’allegria – e poi l’odio e la disperazione. 

Perché, Aemond? Cosa ti avevo fatto?

«Credi che abbiano messo i nostri draghi insieme?» La voce di Aemond lo riscosse dai suoi pensieri.

«Che intendi?»

Il ragazzo spostò lo sguardo su di lui.

«Per ripararli dalla tormenta» spiegò. «In realtà, per Vhagar non costituisce un grave problema, ma il tuo piccolo Arrax potrebbe venire trasportato via dal vento come un fuscello.»

Luke storse le labbra davanti a una simile idea.

«Arrax non è così piccolo» protestò, facendo scaturire un sorrisetto divertito sul volto dell’altro.

«È poco più che un cucciolo, soprattutto se paragonato al mio drago.»

«Grazie tante! Vhagar è su questa terra da decenni, Arrax è nato con me.»

Il volto di Aemond si irrigidì, mentre il sorriso lasciava il posto a un’espressione all’apparenza neutrale. Luke fu tentato di indietreggiare, ma non voleva dargli l’impressione di essere spaventato. Forse sarebbe stato meglio se fosse tornato nella sua stanza, chiudendo così la sua indesiderata conversazione con Aemond. 

Eppure, una parte di lui non voleva arrendersi.

«Comunque» disse, schiarendosi la gola improvvisamente secca, «alla fine avevo avuto ragione.» Vedendo la confusione nel suo sguardo, aggiunse: «Ti avevo detto che avresti avuto un drago.»

Aemond sgranò la palpebra, sorpreso, e Luke si chiese se avesse dimenticato quella loro conversazione. Poi il ragazzo riassunse la sua compostezza, distogliendo lo sguardo da lui.

«Sì, è vero» mormorò. «Tuttavia, le tue congratulazioni sono giunte in una forma poco convenzionale.» 

Luke si irrigidì. Strinse la presa sulla torcia: aveva la sensazione di essersi appena addentrato in un territorio impervio. 

Non avrebbe potuto congratularsi con lui: aveva rubato il drago di Rhaena, la notte stessa del funerale di sua madre; ma lo aveva ammirato per essere riuscito nell’impresa di domare Vhagar – e forse glielo avrebbe detto, se lui gliene avesse lasciato il tempo.

«Stavi cercando di uccidere Jace» gli ricordò. E me. Hai cercato di uccidere anche me.

«No. Non lo avrei fatto davvero.»

Luke sbatté le palpebre. Aemond continuava a tenere l’occhio rivolto a un punto imprecisato intorno a loro, ma non c’era ombra di scherno sul suo volto. Era serio.

«Oh, allora scusami se ho frainteso!» sbottò, incredulo per l’indifferenza con cui l’altro aveva reagito. «Per il futuro, però, ti consiglio di non minacciare di spaccare la testa a qualcuno, urlandogli che sarebbe morto come suo…» 

Strinse le labbra, sentendo un fiotto di rabbia risalire lungo le sue vene. 

«Credo che la parola che stai cercando sia padre.» Aemond non perse l’occasione di schernirlo ancora.

Luke fu tentato di colpirlo con la torcia. Che gridasse lui tra le fiamme – come Harwin, come Laenor. 

Ma, dopo essersi sfogato contro quello che un tempo era il suo migliore amico, cosa avrebbe ottenuto? La sua furia non sarebbe svanita, troppo ancorata alle sue stesse insicurezze per poterla eliminare sfogandola su un altro. Il risultato più concreto che avrebbe generato sarebbe stato solo peggiorare la situazione di Jace. 

Prese un profondo respiro. Poi passò accanto ad Aemond e si diresse verso l’uscita.

«Aspetta, mio lord Strong.» Si arrestò, sordo al buonsenso che gli diceva di ignorare quella provocazione. «La nostra conversazione non è finita.»

Luke si voltò, lentamente. Adesso Aemond lo stava di nuovo fissando. Aveva in mente qualcosa – e lui non aveva intenzione di assecondarlo.

«Sì, invece» rispose, e la sua voce espresse la stanchezza della sua mente. «Pensa ciò che vuoi di me. Io non intendo restare qui a combattere per farti cambiare opinione.»

«Combattere non è nemmeno ciò che intendo fare io.» Si avvicinò a lui. Quando fu a pochi passi di distanza, si portò una mano al viso e tolse la benda che gli copriva l’occhio sinistro. «Voglio che ti cavi un occhio. Come pagamento per il mio.»

Luke non capì se a sconvolgerlo di più fossero state le sue parole o lo zaffiro che lo fissava, quasi con la stessa intensità dell’occhio vero.

«Cosa…?»

«Non temere, non voglio renderti cieco. Uno sarà sufficiente.» Aemond estrasse un pugnale dalla sua cintura e glielo porse, tenendolo sospeso tra di loro in attesa che lo prendesse. 

Luke spostò lo sguardo dall’arma ai suoi occhi – zaffiro morto e ametista vivo –, aspettandosi il segnale di uno scherzo. Ma il ragazzo era serio. 

Fece un passo indietro.

«Sei impazzito.»

Il volto di Aemond si irrigidì impercettibilmente.

«Non direi. Ti sto solo chiedendo di fare qualcosa che hai già fatto in passato. Un occhio per un occhio: mi sembra uno scambio equo.»

Luke deglutì a vuoto. Indietreggiò ancora, ma Aemond fece un passo avanti. 

«Vuoi che lo faccia io?» chiese, la voce che tradiva la sua impazienza. «Per me è indifferente.»

«Siamo ospiti!» esclamò d’un tratto Luke. «Violeresti il diritto dell’ospitalità attaccandomi.»

«Allora fa’ come ti ho detto» ribatté semplicemente, tendendo ancora una volta il pugnale verso di lui. 

Sul serio credeva che avrebbe accettato? Che si sarebbe mutilato solo per dargli la soddisfazione di pareggiare i conti?

«Non ti ho attaccato per il gusto di farlo, Aemond» disse, sperando che la sua voce apparisse meno spaventata di quanto suonasse alle sue orecchie. «Stavi per uccidere Jace! Non volevi farlo? D’accordo, in quel momento però non era chiaro. Dovevo proteggere mio fratello, non… non ho nemmeno riflettuto su cosa stava accadendo!»

Aemond sbatté la palpebra. Riavvicinò il pugnale a sé.

«Dovrei compatirti?» disse. «Il povero bambino che voleva solo proteggere la sua famiglia? Mi avete attaccato quattro contro uno.»

«Tu sei stato il primo a insultarci!»

«Ho solo detto la verità, Strong» rispose, in valyriano. Mosse un altro passo verso di lui e Luke, d’istinto, imbracciò la torcia con entrambe le mani, sollevandola davanti a sé. Quella reazione fece spuntare un sorrisetto divertito sul volto di Aemond. «Oh, dunque vuoi combattere.»

«No. Mi difendo, è diverso.» Il ragazzo inarcò un sopracciglio, sorpreso, e stavolta fu Luke a sorridere. «Oh, ti sorprende che conosca il valyriano? Non dovrebbe. Dopotutto, sono sempre stato più Targaryen di te, Terrore rosa.»

La torcia non rappresentò alcun ostacolo per Aemond, che con uno scatto gliela strappò di mano, gettandola lontano. Luke ebbe appena il tempo di provare a indietreggiare, prima di venire sbattuto contro la parete accanto a sé, tenuto fermo tramite una presa ferrea sul suo collo. Scalciò, ma Aemond era abbastanza lontano perché i suoi colpi andassero a vuoto.

«Ti appaga sentirti superiore agli altri, vero?» sibilò, a un palmo dal suo volto. «Sei convinto che tutto ti sia dovuto e che non esistano conseguenze da pagare.» Luke strinse le mani sul suo braccio. Faticava a respirare e la lama del pugnale di Aemond sopra la sua guancia non era d’aiuto. «Mi spiace deluderti, ma lontano dalle sottane di tua madre il mondo reale non è così roseo come te lo hanno sempre dipinto

Quella situazione gli ricordò la notte di sei anni prima, quando il legame tra le loro famiglie si era definitivamente spezzato. Già allora sapeva che non esistevano le favole del “tutti felici e contenti”. Lo sapeva da tempo.

«Lo… so» mormorò, sforzandosi per far uscire la voce. «So che il mondo… è crudele… da quando mi hai… detto che… che ti disgustavo!»

La presa sul suo collo si allentò e Luke riuscì a inspirare più ossigeno. Cercò di incamerarne quanto più poteva; poi, facendo appello a tutte le sue forze, tirò indietro la gamba destra e la scagliò contro la pancia di Aemond. Il colpo andò a segno e il ragazzo lo liberò dalla sua stretta, chinandosi in avanti a reggersi lo stomaco dolorante.

Appena i suoi piedi toccarono terra, Luke corse via. La torcia era dalla parte opposta del corridoio, quindi fu costretto ad abbandonarla e muoversi alla cieca, cercando di mettere quanta più distanza possibile tra lui e Aemond.

«Furbo, Lucerys. Molto furbo. Ma scappare non ti servirà a niente!»

Luke si disse che erano le pareti di pietra a far rimbombare la sua voce, facendogliela percepire vicina; ma lui era veloce e, anche al buio, doveva essere riuscito a mettere abbastanza distanza.

Poco più avanti, scorse la luce delle torce disposte all’ingresso delle cripte. Bene. Doveva solo superare le ultime tombe di marmo, risalire le scale e poi sarebbe sbucato nel cortile interno. Quando era sceso, aveva visto una guardia a presidiare la zona, perciò… 

La pelliccia gli si strinse al collo, mentre veniva tirato indietro. Luke armeggiò con la chiusura per togliersela di dosso – e ci riuscì, un attimo prima che Aemond affondasse la lama su di lui.

«Dammi il tuo occhio, bastardo!» Era furioso e, mentre indietreggiava, si rese conto che, in quelle condizioni, sarebbe anche potuto arrivare a ucciderlo.

E non ci sarebbe stato nessuno a fermarlo.

Aemond avanzò verso di lui e Luke incrementò la sua velocità. Non si fidava a dargli le spalle, anche se di quel passo non sarebbe mai riuscito a sfuggirgli. 

Il suo piede si scontrò con una pietra sconnessa, facendogli perdere l’equlibrio. Cadde all’indietro. Non sarebbe riuscito a fuggire.

Prima che toccasse terra, avvertì un dolore lancinante dietro la testa che si dipanò lungo tutto il suo corpo, lasciandolo inerme.

Vide Aemond avvicinarsi, una figura sfocata che lentamente si chinava su di lui. Ebbe la sensazione che lo stesse chiamando, ma la sua voce era distante e ovattata. 

Poi udì solo un silenzio tombale e il suo mondo si fece buio. 



 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8



 

«Alcune creature riescono a vedere bene il mondo che le circonda, pur essendo cieche. Questa, per esempio, è uno dei rari esemplari che non ha occhi. Vedi? Di solito sono sotto le antenne, ma in questo caso non vi sono sporgenze ai lati del suo volto.»

Jace cercò di non mostrarsi disgustato quando Helaena gli avvicinò lo scarafaggio al viso per fargli vedere ciò di cui stava parlando. Gli aveva fatto piacere il suo invito a uscire per una passeggiata, ma se si fosse accorto di quella bestia che si portava dietro, forse avrebbe riflettuto un momento di più prima di accettare.

«Già» rispose, forzando un sorriso. «Alcuni animali sono proprio incredibili.»

Lei sembrò apprezzare quel commento. Allontanò lo scarafaggio da lui, con sua enorme gioia, e riprese il racconto sulle sue caratteristiche. Jace cercò di prestarle attenzione, ma nonostante i suoi sforzi, i suoi occhi continuavano a vagare intorno a sé. 

“Ci… Ci vediamo domani?”

Si era aggrappato a quelle parole come un naufrago a una tavola di legno in mezzo all’oceano, convincendosi che si sarebbero davvero incontrati, e Aegon sarebbe stato bene e avrebbero potuto chiarire quello che era successo. Ma la parte più razionale del suo cervello, che fortunatamente restava ancora a galla, gli ricordava che crogiolarsi nella speranza di un futuro roseo era pericoloso e che già in passato la realtà si era palesata con brutalità ai suoi occhi.

«Ser Arryk, non sei costretto a stare così distante.» La voce di Helaena lo riscosse dai suoi pensieri – e la vicinanza allo scarafaggio, che adesso teneva sollevato quasi all’altezza della sua spalla, lo spinse a fare un passo indietro. «Unisciti a noi.»

L’uomo strinse la presa sull’elsa della sua spada, poi, lentamente, obbedì. Ormai era abituato a vederlo intorno alla famiglia reale e sapeva di poter lasciare loro i giusti spazi senza il rischio di un attacco a sorpresa, ma l’espressione che aveva in volto fece supporre a Jace che, stavolta, fosse un altro il motivo che lo teneva a distanza. E il modo in cui sbiancò quando Helaena sollevò le mani davanti al suo volto, lo costrinse a mordersi la guancia per non scoppiare a ridere.

«La corazza esterna lo rende minaccioso, come se fosse l’involucro della sua malvagità» disse Helaena, apparentemente ignara del fatto che fosse l’unica presente a non trovare quello scarafaggio disgustoso. «Ma, se gli viene data la possibilità di aprirsi, si possono scoprire la vulnerabilità e la dolcezza che la vita ha deciso di proteggere dal mondo esterno. Anche se può essere necessaria molta pazienza per riuscire a scovarle» aggiunse, voltandosi verso Jace. Gli occhi viola della ragazza si fissarono nei suoi ed ebbe la sensazione che volesse comunicargli qualcosa – qualcosa che, però, non riuscì a cogliere.

«La sua pancia è morbida e viscida» proseguì poi, mentre lo scarafaggio si voltava sulla schiena. «Volete accarezzarla? Penso che le piacerà.»

«Oh, è… è una lei?» chiese Arryk, lanciando intanto un’occhiata allarmata a Jace, ma nemmeno lui aveva idee per uscire da quella situazione, soprattutto perché temeva che avrebbero potuto ferire i sentimenti di Helaena.

«Sì. Vedi, lo si capisce da-»

«Jace!»

Jace si voltò. Il suo cuore prese a battere all’impazzata solo per aver udito quella voce. 

Aegon era a pochi passi da lui, il volto illuminato da un piccolo sorriso. Non indossava il suo solito completo scuro, ma dei semplici pantaloni chiari e una camicia azzurra aperta sul petto, che lasciava intravedere la sua pelle diafana.

«Aeg-»

«Madre!» Jace dovette spostarsi di lato per evitare di venire colpito da quel piccolo tornado biondo. 

Helaena si abbassò per ricambiare l’abbraccio del figlio, accarezzandogli i capelli con la mano libera. Jace sorrise di fronte a quella dolce immagine famigliare. Gli sembrò quasi di vedere sua madre e Aegon.

Si irrigidì quando udì dei passi dietro di lui e rilasciò il respiro solo quando Aegon si fermò al suo fianco.

Si voltò e i loro sguardi si incrociarono. Avvertì un piacevole tepore alla guance e suppose che si fossero tinte di rosso, esattamente come quelle dell’altro. Il loro silenzio fu rotto da Aegon, che si schiarì la gola, passandosi una mano dietro la nuca.

«Stavamo per venire da te» disse, e d’istinto comparve un sorriso sul volto di Jace. «Cioè, io volevo venire, ma dal momento che quel marmocchio mi ha… Che cazzo è quell’affare sopra i capelli di mio figlio?!»

Helaena si era rimessa in piedi, con le mani incrociate davanti a sé – giusto sopra la testa di Jaehaerys. Entrambi puntarono lo sguardo verso di lui, poi il bambino prese a tastarsi la testa per capire di cosa stesse parlando.

«Cosa c’è?» chiese, preoccupato.

«Niente, tranquillo» rispose Jace. «Credo si riferisse a lei.»

Helaena sbatté le palpebre, ancora confusa, ma il dito puntato verso le sue mani la aiutò a comprendere.

«Oh. Parlate della blattodea. Avvicinati pure, Jaehaerys, non ti fa niente.»

Il bambino sollevò la testa per capire di cosa si trattasse.

«Tieni quella bestia lontano da lui!» esclamò Aegon, afferrandolo sotto le ascelle per tirarlo verso di sé. A giudicare dall’espressione schifata di Jaehaerys, probabilmente si sarebbe allontanato anche senza il suo intervento.

«Ma è solo uno scarafaggio, non fa paura. Jace e Arryk l’hanno avuta vicino finora e non hanno avuto problemi.»

I diretti interessati si scambiarono uno sguardo scettico. Poi Jace fece spallucce: non voleva far soffrire Helaena, nonostante il suo primo pensiero davanti allo scarafaggio fosse stato lo stesso di Aegon.

«Non è una creatura pericolosa» disse. «E, comunque, non si muove mai dalle sue mani.»

«Oh, ma questo è solo perché la sto trattenendo io» rispose la ragazza, con una piccola risata. «Scusa, non me ne ero resa conto. Prego, prendila pure.»

«Oh! Ah… Ehm…»

La sua imbarazzante ricerca di un modo educato per declinare l’offerta venne messa a tacere dal braccio di Aegon, che lo tirò dietro di lui.

«Sorella carissima» cantilenò, avvicinandosi a lei. «Mi permetto di esporre il pensiero generale, visto che a quanto pare sono l’unico che ha le palle per dirtelo.»

Jace fece uno scatto in avanti per raggiungerlo.

«Gentilmente, però» bisbigliò al suo orecchio.

Aegon roteò gli occhi al cielo e, dopo un sonoro sbuffo, riprese: 

«Questo… tipo di insetti, fa… uno strano effetto alla… alla maggior parte delle persone. Va bene così?» mormorò poi a denti stretti, voltandosi verso di lui.

Jace annuì, soddisfatto. 

«Come mai?» chiese Helaena. Sembrava davvero sorpresa.

Aegon sgranò gli occhi, ma stavolta Jace non tentò nemmeno di convincerlo a mostrarsi comprensivo, rispondendo direttamente al suo posto. 

«È come hai detto tu: ha un aspetto spiacevole e ci vuole tempo per riconoscere la bellezza che cela al suo interno.»

La ragazza sbattè le palpebre, poi annuì e gli sorrise.

«Capisco. Sì, hai ragione. Il tempo farà il suo corso.»

Jace le sorrise di rimando. Forse, adesso, erano al sicuro.

Si sentì prendere per le spalle e venire voltato, trovandosi faccia a faccia con Aegon. Il ragazzo lo fissò preoccupato e gli posò il palmo di una mano sulla fronte.

«Che fai?» chiese Jaehaerys, facendo eco ai suoi stessi pensieri.

«Controllo quanto è alta la febbre.»

Davanti a quella risposta, data con una serietà che raramente gli aveva sentito usare, Jace non poté evitare di ridere. Prese il polso di Aegon e lo allontanò gentilmente dalla sua fronte.

«Che c’è?» esclamò lui. «La tua risposta non è stata normale.»

«Ho solo riportato delle informazioni che mi ha dato Helaena poco fa.»

Aegon inarcò un sopracciglio, incerto. Poi lasciò andare un lungo sospiro e scosse la testa.

«Lasciamo perdere» disse. Sollevò gli occhi nei suoi e, dopo un momento di incertezza, gli rivolse un sorriso. Jace sentì il suo volto farsi di nuovo caldo. «Comunque… sono contento di vederti. Mi sei mancato.»

Non aveva nemmeno osato sognare quelle parole e sentirle fece fare un tuffo al suo cuore. Tutti i suoi timori sul naufragio del loro rapporto, sull’impossibilità di ricucire un tessuto all’apparenza lacero, furono spazzati via in un attimo. Strinse le dita attorno alla mano di Aegon, cercando di trasmettere in quel semplice gesto la gioia che stava provando.

«Padre, ora possiamo andare?» 

Jaehaerys si era avvicinato a loro, prendendo a strattonare la manica di Aegon per attirare la sua attenzione. Il ragazzo sbuffò e si liberò dalla sua presa, spostando poi la mano libera ad arruffargli i capelli.

«Sì, sì, marmocchio.»

Il bambino gonfiò le guance. 

«Non chiamarmi così!» 

Quella lamentela servì solo a far sogghignare Aegon. Ricordò a Jace l’atteggiamento che aveva quando erano più piccoli e, in parte, fu felice di vedere che certe cose non erano cambiate. 

«Vuoi unirti a noi?» gli chiese poi Aegon, il sorriso divenuto più incerto sul suo volto.

Jace annuì all’istante, salvo poi ricordarsi che forse non era il caso di intromettersi in qualunque attività padre-figlio avessero in programma.

«Se… Se non vi crea problemi» disse.

«Niente affatto» rispose, cingendogli le spalle con un braccio. «Anzi, sarà utile avere uno spettatore imparziale, così potrai confermare anche tu l’incapacità di Jaehaerys con la spada.»

«Non sono incapace!» esclamò subito il bambino, offeso. Poi si voltò verso Jace, risoluto. «Ti farò vedere che sono molto bravo. E non preoccuparti di andare contro il re: come suo erede, ti difenderò io, così potrai dire la verità senza problemi.»

Si irrigidì e, forse a causa della sua reazione, anche Aegon divenne subito teso. Tolse il braccio dalle sue spalle. Jace prese un profondo respiro, cercando di sorvolare su quel commento. Jaehaerys, non potendo sapere cosa davvero stava succedendo, aveva solo parlato della realtà per come la percepiva: suo padre indossava la corona, quindi era il re e lui il suo erede. Semplice.

«Posso assistere anch’io all’allenamento?» Helaena ruppe il silenzio che si era creato, appena in tempo per evitare che suo figlio lo notasse e ne chiedesse la ragione. 

«Sì, certo!» Si avvicinò a lei, tendendole la mano che però ritrasse all’ultimo, preoccupato. «Ehm… Dov’è la…?»

Helaena rise. «L’ho lasciata andare, tranquillo.» Gli porse la mano e stavolta Jaehaerys la afferrò senza indugio.

«Bene. In marcia!» 

Jace li guardò camminare fianco a fianco, in direzione del cortile interno. Non li aspettarono, ma era certo che, se non li avessero seguiti subito, avrebbero notato la loro assenza. 

Si voltò verso Aegon, che teneva lo sguardo basso, la fronte corrucciata come se stesse riflettendo su qualcosa di spiacevole. 

Sarà sempre così, pensò con amarezza. Non importava quanto tempo trascorressero insieme, a ridere e parlare come due amici: una sola parola fuori posto e tutto finiva. L’unica speranza a cui poteva aggrapparsi era che, terminata la guerra, il loro rapporto si sarebbe stabilizzato definitivamente. Doveva pensare solo a quello e non lasciarsi abbattere dai momenti bui.

Gli mise una mano sul braccio, attirando la sua attenzione.

«Andiamo?» disse, con un piccolo sorriso. «Voglio vedere tuo figlio che ti fa mangiare la polvere.»

Aegon sbatté le palpebre, restando in silenzio. 

Jace cercò di nascondere la paura che lo stava invadendo. Forse aveva sbagliato a tentare di scherzare. Forse il suo invito non era più valido.

Poi il ragazzo annuì e si incamminò dietro la sua famiglia, ormai scomparsa alla vista. Jace tentennò un momento, incerto se dovesse seguirlo o meno. Arryk era andato insieme a Helaena, probabilmente dando per scontato che sarebbe andato con loro.

«Non potrai vederlo» disse a un tratto Aegon. Si voltò verso di lui e il suo volto era nuovamente illuminato da un sorriso sornione. «Il marmocchio non vuole accettare di non potermi battere. Magari, però, tu potresti aiutarlo a venire a patti con questa realtà, dal momento che l’hai sperimentata per primo sulla tua pelle.»

Jace sorrise – avevano scampato un’altra tempesta – e lo raggiunse.

«Con molto piacere» disse. «Gli spiegherò le tecniche che usavo io per batterti – ricordi che succedeva, vero?»

Aegon rise. «Oh, sì! Ricordo che mi facevi talmente pena che, da zio magnanimo quale sono, ti lasciavo vincere, di tanto in tanto. Non volevo che ti demoralizzassi.»

«Ma certo, che stupido che sono! Come ho fatto a non capire che lasciarti mandare al tappeto era solo un segno della tua bontà d’animo?»

Aegon sospirò, scuotendo la testa.

«È un errore che capita a molti.»

Sollevarono lo sguardo nello stesso istante, viola e marrone che si legarono tra di loro, e scoppiarono a ridere.

 

~

 

Jace avrebbe davvero voluto smentire Aegon, ma per il momento Jaehaerys aveva dimostrato di conoscere le basi del combattimento, senza tuttavia esserne abbastanza padrone da poter mettere suo padre in difficoltà. In sua difesa, aveva solo sei anni: era certo che, con il giusto allenamento, sarebbe migliorato sempre di più – come era successo a lui – e un giorno avrebbe eliminato il ghigno sornione dalla faccia di Aegon. Quel giorno, però, non era oggi.

Jaehaerys cadde di nuovo a terra, ma si rialzò all’istante tra gli incitamenti di sua madre, che sembrava ignorare il fatto che suo figlio non si era nemmeno avvicinato a vincere uno scontro.

«Allora, ti sei stancato?» disse Aegon. Roteava la spada nella sua mano, fischiettando. 

«No! Ancora!» 

Jaehaerys non gli lasciò nemmeno il tempo di rimettersi in posizione. Corse verso di lui e Jace sorrise vedendo che Aegon ebbe difficoltà a parare il primo colpo. Se fosse rimasto vigile, questo non sarebbe successo. Sfortunatamente, riprese subito il controllo e gli bastò scartare di lato al successivo, sbilanciato, affondo del bambino per schivarlo. Jaehaerys rischiò di cadere di nuovo a terra, ma all’ultimo suo padre riuscì ad afferrarlo per la maglia e rimetterlo in equilibrio. 

«Marmocchio, non serve che ti lanci a terra da solo, ti ci mando volentieri io» rise Aegon, facendo infuriare l’altro. 

Jace vide la scena ripetersi ancora nella sua mente: Jaehaerys che scattava e Aegon che sfruttava la rabbia (da lui creata) per batterlo in un paio di mosse. Non potevano andare avanti così.

«Jaehaerys.» Gli fece cenno con la mano di raggiungerlo. Il bambino scoccò un’occhiata infastidita al padre, poi eseguì, nonostante lo sguardo scettico di Aegon.

«Che vuoi fare?» chiese.

Jace si mise una mano sul petto e gli sorrise. 

«Il mio animo magnanimo vorrebbe dare un paio di consigli a suo cugino. Gli è permesso?»

Aegon scoppiò a ridere e lui dovette sforzarsi per non imitarlo. 

«Mi stai prendendo in giro anche tu?» domandò Jaehaerys, guardandolo con le sopracciglia aggrottate e le labbra sporte in fuori. 

Jace si accovacciò e gli mise una mano sulla spalla.

«No, tranquillo. Stavo prendendo in giro lui» disse, sottovoce. A quelle parole, il suo volto si illuminò e annuì, dandogli la sua approvazione. Poi si rabbuiò nuovamente.

«È troppo forte per me» mormorò.

«Be’, ha più anni di allenamento alle spalle e questo lo aiuta molto. Ma tu hai una buona tecnica, te lo assicuro.»

«Davvero?» disse, raggiante. «Hai sentito?» esclamò poi, rivolto a suo padre. «Ha detto che sono bravo!» E concluse con una linguaccia. 

«Non… Non ho detto proprio…»

«È questa la tua tattica, Jace?» domandò Aegon, inarcando un sopracciglio. «Mentirgli?»

Jace sbuffò. Prese Jaehaerys per le spalle, facendolo voltare nuovamente verso di sè.

«Hai ancora molto da imparare» disse, «ma sei sulla buona strada. La cosa più importante che devi tenere a mente è non perdere mai il controllo. Se lasci che le emozioni prendano il sopravvento, commetterai solo errori che gioveranno al tuo avversario. Capisci cosa intendo?»

Il bambino ci pensò un momento, poi sbuffò.

«S-Sì. Cioè, so che non devo arrabbiarmi, me lo dice sempre anche zio Aemond… Ma lui è cattivo di proposito!» esclamò, puntando la spada contro suo padre.

Jace sospirò. Non poteva dargli torto.

«Io non sono cattivo» si difese Aegon.

«No, certo» commentò, scuotendo la testa. Tornò poi a rivolgersi al bambino. «Allenarti con lui può essere un ottimo modo per imparare a controllare le tue emozioni.» 

«Jace ha ragione» intervenne Helaena. «Sei molto fortunato ad avere degli insegnanti che si compensano a vicenda. Aegon e Aemond faranno di te un grande cavaliere.»

«Che?! Perché tiri in mezzo quell’idiota?»

Jaehaerys osservò sua madre, ignorando l’esclamazione del padre. Sembrava molto concentrato su ciò che gli era appena stato detto. Infine, probabilmente giunto alla sua conclusione, si voltò verso Aegon.

«Possiamo chiamare zio Aemond? Così ci alleniamo tutti insieme.»

L’altro sbatté le palpebre, scioccato.

«Non… Aemond non c’è, ma… Non volevi allenarti con me?» chiese, e a Jace sembrò di percepire una punta di dispiacere nella sua voce. «Che c’entra lui?»

«È come ha detto la mamma» rispose Jaehaerys, facendo spallucce. «Lui mi insegna le basi, tu a non lasciarmi guidare dalle emozioni. E poi» aggiunse, un sorrisetto sogghignante sulle labbra, «posso sempre chiedervi di darmi una dimostrazione pratica. Così ti vedo col sedere a terra.»

Jace si coprì la bocca con una mano, cercando di dissimulare la risata con un colpo di tosse. Helaena applaudì, soddisfatta del discorso di suo figlio. Aegon rimase in silenzio per qualche istante, intento solo a fissare il bambino. 

Poi ghignò a sua volta, avvicinandosi a lui.

«Oh, capisco. Non riesci a mandare tuo padre al tappeto da solo e quindi devi chiamare qualcuno che lo faccia al posto tuo.» Gli diede dei colpetti sulla testa con le dita. «Molto maturo, marmocchio.»

Jaehaerys gli allontanò la mano con un gesto secco.

«Non chiamarmi marmocchio! E poi io sono comunque più maturo di te e non ho nessun problema a batterti!»

«Allora fallo» lo sfidò Aegon, senza smettere di sogghignare. 

Jaehaerys strinse i pugni, fissandolo in cagnesco. Jace gli mise una mano sulla spalla.

«Ricordati: calma.»

Il bambino annuì; ma un attimo dopo incurvò la schiena, sospirando.

«No. Non funzionerà. Sono troppo arrabbiato ora» disse, guardando suo padre con labbra tremanti. Jace si chiese se stesse per mettersi a piangere e Aegon dovette avere lo stesso timore, perché si avvicinò subito a lui.

«Dai, figliolo, non fare così. Giuro che non volevo farti arrabbiare.»

Anche se non aveva fatto niente per evitare che accadesse, Jace gli credette. Jaehaerys, tuttavia, sembrò più titubante: si limitò ad annuire, poi spostò il suo sguardo su di lui. 

«Tu sai combattere?» gli chiese, cogliendolo di sorpresa.

«Io? Sì, certo.»

Gli porse la sua spada da allenamento, sorridendo fiducioso. Jace spostò lo sguardo dal lui all’arma, temendo quello che il bambino gli stava suggerendo.

«Vuoi che ci affrontiamo noi due?» chiese Aegon. Sembrava scettico quanto lui.

«Sì. Così intanto mi calmo e tu ti stanchi.»

Aegon scosse la testa, sorridendo. «Ripeto: molto maturo. Comunque, credevo che Jace ti piacesse.»

Jaehaerys sbatté le palpebre.

«Sì. Molto.»

Jace sorrise davanti a quell’ammissione così spontanea, felice di aver fatto un’impressione positiva sul bambino. Sperò che anche il resto della sua famiglia venisse apprezzato allo stesso modo – qualora ci fosse stata l’occasione di presentargliela.

«E allora perché vuoi assistere alla sua sonora sconfitta?»

Le parole di Aegon lo strapparono con violenza ai suoi pensieri. 

«Alla mia cosa?» chiese, inarcando un sopracciglio.

«Oh, Jace» cantilenò l’altro. «Non sei più un bambino. Non ti riserverò lo stesso trattamento di allora, mi dispiace.»

Jace afferrò la spada di Jaehaerys e gli si avvicinò.

«Sono lieto di sentirlo. Almeno, adesso, quando ti batterò non potrai usare scuse.»

«Vostre Altezze.» Arryk fece un passo avanti, richiamando la loro attenzione. «Siete proprio sicuri che sia una buona idea?»

Per un momento, Jace ebbe la sensazione di avere decine di occhi puntati addosso; ma Aegon aveva fatto sgomberare il cortile dai pochi nobili che vi erano scesi a passeggiare, riservandolo esclusivamente per loro. Qualunque cosa sarebbe accaduta, non avrebbe avuto ripercussioni sulla situazione politica fuori da quelle quattro mura. 

«Io non ho problemi» rispose Aegon. «Se a Jace va di fare una figuraccia…»

Jace piantò la spada nel terreno. Si tolse la giacca, restando solo con una semplice casacca dorata, e la porse ad Arryk.

«Potresti tenermela, Ser Arryk?» chiese, senza distogliere lo sguardo da Aegon, che aveva le labbra incurvate in un sorriso divertito. 

Il cavaliere impiegò qualche istante a soddisfare la sua richiesta, forse ancora incerto se tentare di fermarli o meno. Ma ormai era inutile. 

Jace riprese la spada e si posizionò davanti ad Aegon. 

«Forza, Jace!» esclamò Jaehaerys. Lui gli fece l’occhiolino, in un tacito ringraziamento – poi ricordò a se stesso che doveva insegnargli la pazienza e, considerato quanto facilmente Aegon lo avesse spinto ad accettare il duello, non stava facendo un buon lavoro.

Divaricò le gambe, tenendo i piedi saldamente a terra, e incurvò leggermente le spalle in avanti, la lama della spada dritta verso il suo avversario.

«Quando vuoi.»

Aegon si grattò la nuca con il pomello della spada, sospirando.

«Bene. Arryk, tu fai il tifo per me» disse, puntando la lama verso l’uomo, che annuì poco convinto. «E tu, marmocchio. Ogni esultazione per il mio avversario ti costerà una settimana lontano dalla Fossa del Drago.»

«Cosa?! Non è giusto!» 

Lui si strinse nelle spalle. 

«Così impari a preferire altri a tuo padre.»

Jace non riuscì a trattenere una risatina di scherno. 

«Molto maturo.» 

Aegon ricambiò il sorriso. Poi gli fu addosso.

La differenza d’altezza che lo aveva penalizzato in passato era svanita e le ore trascorse ad allenarsi gli resero semplice parare gli attacchi subiti. Tuttavia, Jace si rese presto conto di non essere altrettanto abile nel contrattacco. Aegon riusciva a prevedere ogni sua mossa, parando e restituendo con la stessa tenacia. Lo schema era sempre lo stesso: uno attaccava, respingendo l’altro finché non commetteva un piccolo errore che lo costringeva a passare alla difesa. L’unica soddisfazione che Jace riuscì a trovare fu il lento mutamento nell’espressione di Aegon. Non lo stava battendo facilmente come sperava – ma la cosa, purtroppo, era reciproca. Le braccia iniziavano a dolergli e temeva che fosse solo questione di tempo prima che si lasciasse sopraffare. Diede un’occhiata all’ambiente circostante, cercando un’idea che gli permettesse di giungere alla vittoria. 

La trovò.

«Sei già stanco, zietto?» disse, rivolgendogli un sorrisetto divertito.

Aegon grugnì. Calò la sua spada con molta più forza di quanto Jace avesse previsto. Riuscì a parare il colpo, ma l’impatto vibrò lungo il suo braccio, facendogli digrignare i denti per il dolore. 

«Io no, ma comincio a preoccuparmi per te.» 

Il ghigno era ricomparso sul suo volto e Jace affondò d’istinto contro il suo petto, dando modo ad Aegon di schivarlo con facilità. Aveva commesso lo stesso errore di Jaehaerys, ma stavolta il suo avversario non si prese la briga di aiutarlo a non perdere l’equilibrio, trovando più soddisfacente battergli sul fondoschiena con il piatto della spada. 

All’ultimo, Jace riuscì a rimettersi in posizione e si voltò per fronteggiare Aegon – che era arrossito e non sembrava particolarmente soddisfatto di averlo messo in difficoltà.

Jace inarcò un sopracciglio, chiedendosi se il ragazzo stesse mettendo in piedi una sceneggiata per farlo deconcentrare; poi si rese conto di essere esattamente nella posizione che aveva cercato.

Scattò verso Aegon, attaccando con tutta la forza che aveva nelle braccia, facendo però attenzione a non sbilanciarsi troppo. Il ragazzo riuscì a parare i colpi, ma l’effetto sorpresa non gli permise di passare al contrattacco con l’agilità di prima.

«Brutto stronzo!» esclamò. Continuò a indietreggiare, finché non si trovò accanto a uno dei manichini per l’allenamento.

Jace scartò di lato nell’istante in cui Aegon allungò un braccio verso uno di essi. 

Quando toccò terra, la spada di Jace puntava al fianco di Aegon.

Per un momento, il mondo sembrò fermarsi e l’unico suono presente nell’ambiente erano i loro respiri affannati. Sollevò lo sguardo in cerca del suo e, quando lo incontrò, si sforzò di non sorridere, in attesa della sua reazione. 

Alla fine, Aegon sbuffò mentre l’ombra di un sorriso compariva sul suo volto. 

«Confermo: sei uno stronzo.»

«Confermo: sei molto maturo.» Ritrasse la spada nella mano sinistra e gli tese la destra. «Mi hai messo in seria difficoltà, complimenti.»

Aegon sembrò sorpreso dalle sue parole. Poi gli si avvicinò, stringendogli la mano.

«Anche tu sei stato problematico. Un pochino.»

Jace inarcò un sopracciglio. «Un poc-»

Si sentì afferrare per una caviglia e in un attimo fu a terra, Aegon sopra di lui con la spada puntata alla sua gola. 

«Sì, be’... Solo uno di noi è finito a terra» gongolò, a un palmo dal suo volto.

«Ma che cazzo fai?!» 

Cercò di divincolarsi dalla sua presa, ma Aegon era riuscito a immobilizzarlo, senza nemmeno troppa difficoltà. 

Rise. «Ti concedo la parità, se vuoi.»

«Stai scherzando, vero? Mi dispiace che tu non sappia perdere, ma ogni tanto capita!»

Aegon sbuffò, roteando gli occhi al cielo, e Jace temette che fosse davvero convinto di non aver perso contro di lui.

«Sì, sì, dicono tutti così» borbottò in risposta. Poi si alzò, lasciando cadere la spada, e gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi. 

Jace fu tentato di piantargli la spada in pancia – la punta smussata gli avrebbe solo lasciato un livido – o di mandarlo direttamente agli Inferi; ma, memore degli insegnamenti che voleva trasmettere a Jaehaerys, ingoiò la bile e strinse la mano di Aegon, che lo tirò subito in piedi, facendolo andare a sbattere contro il suo petto. 

Se era un altro modo per umiliarlo, stavolta lo avrebbe davvero preso a pugni. 

Sollevò il viso, incontrando lo sguardo di Aegon, e si ritrovò ad arrossire. Sentiva il respiro del ragazzo sulla sua pelle e l’intensità con cui lo guardava non lo aiutò nell’impresa di formulare un pensiero coerente – che avrebbe dovuto consistere almeno nel fare un passo indietro.

«Posso dire la mia?»

La voce di Jaehaerys lo fece sussultare. Non si era accorto che si fosse avvicinato a loro, fissandoli con una serietà atipica per la sua età. La sua presenza, però, diede a Jace la forza di staccarsi da Aegon.

«C-Certo» disse, scuotendosi la casacca per tenersi occupato e cercare di riportare il suo volto a un colorito normale. 

Anche Aegon mugugnò un assenso.

«Siete bravi a combattere» ammise, guadagnandosi un sorriso da Jace e uno ancora più ampio da suo padre. «Però siete stati sleali.»

Entrambi sbatterono le palpebre e risposero all’unisono: «Io no.»

«Sul serio?» esclamò Jace. «Hai cercato di colpirmi con un manichino e mi hai attaccato dopo che il duello era già concluso.»

Aegon sbuffò, infastidito. Poi assottigliò le palpebre, fissandolo con uno sguardo indagatore.

«Come hai fatto a schivarlo?» chiese. «Ti sei mosso prima ancora che lo toccassi.»

Jace gli rivolse un sorriso compiaciuto.

«Be’, ho solo fatto appello ai miei ricordi.» Davanti allo sguardo perso di Aegon, spiegò: «Ogni volta che ti mettevo in difficoltà, tu cercavi di ostacolarmi slealmente, come ti ha fatto notare anche Jaehaerys, di solito lanciandomi addosso qualunque cosa avessi a portata di mano.»

L’altro si picchiettò sul mento con l’indice, cercando di ricordare. Quando lo fece, si limitò a una scrollata di spalle. 

«Anche tu sei stato sleale. Vero, figliolo?»

Il bambino annuì convinto. Jace si prese un momento per cercare di ricordare cos’avesse fatto, ma non gli venne in mente niente.

«Lo dici solo perché qualcuno ti ha impedito di parlar bene di me, giusto?» chiese, a metà tra una domanda e un’affermazione.

«No, anche tu non ti sei comportato benissimo» rispose lui, serio.

«Scusa, ma cos’avrei fatto?»

«Lo hai preso in giro per farlo arrabbiare, di proposito.»

Jace ricordava di averlo canzonato per spingerlo ad agire come voleva lui, ma non era stata un’azione sleale. Soprattutto se paragonato a tutto quello che aveva fatto Aegon.

«F-Forse non sono stato molto educato» ammise, «però non era davvero…»

«No, no, no, Jace.» Aegon gli mise un braccio intorno alle spalle, attirandolo verso di sé. Il ghigno divertito era tornato a campeggiare sul suo volto. «È inutile che cerchi di giustificarti. Hai cercato di vincere con dei mezzucci veramente ignobili, sono molto deluso da te.»

«Tu sei stato molto più sleale» gli fece notare Jaehaerys. «E questo ha causato la tua sconfitta.»

Jace sorrise, soddisfatto. «La bocca della verità.»

Aegon gli scoccò un’occhiataccia, poi sospirò.

«Va bene. Due settimane lontano da Shrykos.»

Jaehaerys sgranò gli occhi.

«No! Non ho esultato, ho solo riportato i fatti!»

«Ha ragione» disse Jace, mentre il bambino annuiva con tale foga che fu tentato di mettergli una mano sulla testa per paura che gli si staccasse dal collo.

«Jaehaerys.» Helaena gli mise le mani sulle spalle, chinandosi verso di lui. «Mi accompagni alla Fossa del Drago?»

«Adesso? Sì, sì!»

Jace nascose il suo sorriso dietro una mano, anche se la gomitata che ricevette indicò che non era stato abbastanza veloce.

«Avanti» gli disse Jace, massaggiandosi il fianco. «Non sei contento che tuo figlio abbia un drago e voglia legare con lui? Più tempo passano insieme, prima potrà reclamarlo.»

Aegon sbuffò. Annuì, anche se non sembrava troppo convinto.

«Va bene.» Si avvicinò a loro e passò una mano tra i capelli di Jaehaerys. «Divertiti. E salutami Sunfyre.»

Il bambino lo fissò guardingo per un momento; poi sorrise e lo abbracciò.

«Jace.» Helaena gli sorrise. «Vuoi che salutiamo anche Vermax?»

Jace sentì un tuffo al cuore alla menzione di quel nome. Vermax… Aveva quasi dimenticato che fosse ancora lì. Da quanto tempo non pensava a lui? Preferì non indagare. Stava sicuramente bene – credeva. Dopo che Aegon aveva minacciato di ucciderlo, non ne avevano più parlato, il che, nella sua mente speranzosa, indicava che era tutto a posto. Se fosse successo qualcosa al suo drago, lo avrebbero informato.

«Se… Se non è di troppo disturbo» disse. «Sì. Ditegli che mi manca e spero… spero di poterlo rivedere presto.»

«Allora perché non vieni con noi?» propose Jaehaerys. 

«Ecco, io…» Spostò lo sguardo verso Aegon. Sapeva che non avrebbe potuto tentare una fuga e una parte di lui sperò che, consapevole di ciò, il ragazzo gli avrebbe concesso di incontrarlo.

Un fulmine illuminò il cielo, seguito da un tuono che rimbombò nel suo petto. In un attimo, si ritrovarono tutti e cinque sommersi dall’acqua.

«Maestà, venite a ripararvi.» Arryk coprì Helaena con il suo mantello e la aiutò a salire le scale, seguito a ruota da Jace e Aegon, che aveva preso suo figlio in braccio.

Giunti al riparo del corridoio, Jace scoprì che non era deserto come si aspettava. Una decina di persone li osservava, qualcuno fece anche un inchino al suo sovrano, anche se Aegon non sembrò notarlo. Erano tutti disposti accanto al balcone e non era difficile capire che erano stati spettatori del loro duello. Per quanto tempo, però, non lo sapeva. Jace sperò che non lo avessero visto solo venire sbattuto a terra da Aegon: sarebbe stato un segno di debolezza da parte sua, che si sarebbe potuto estendere fino a sua madre. 

«State bene, principe?» Arryk gli si avvicinò, l’armatura bianca solcata da rivoli d’acqua provenienti dalla barba e dai capelli dell’uomo. Gli tese la sua giacca con aria mortificata. «Temo che si sia bagnata anche questa.»

Jace la prese e gli sorrise. «Non preoccuparti.» Se la mise sulle spalle: era umida, ma non mezza come il resto dei suoi abiti. «Credo che dovremo andarci a dare tutti una sistemata, se non vogliamo rischiare di ammalarci.»

«Concordo» commentò Aegon, che stava strizzando la sua camicia, divenuta blu, creando una pozza d’acqua intorno a sé. «Questa pioggia comunque mi sta rompendo il cazzo.»

Jace annuì distrattamente. Il temporale era giunto appena in tempo per interrompere sul nascere una potenziale altra discussione tra di loro. Non sapeva cos’avrebbe risposto Aegon e, forse, in quel momento era meglio così.

«Stai attento a non scivolare, Jaehaerys.» Helaena richiamò suo figlio, prima di riconsegnare ad Arryk il suo mantello. Aveva i capelli più asciutti rispetto a loro, ma nemmeno l’intervento tempestivo del cavaliere era riuscito a proteggerla del tutto. Jace si guardò intorno, ma non c’era niente di asciutto con cui coprirla – a meno che uno dei nobili presenti non si ricordasse di essere un galantuomo; ma, ovviamente, non accadde.

«Io volevo andare da Shrykos» mormorò il bambino, la voce che minacciava il pianto.

Aegon gli si avvicinò, posandogli una mano sulla testa. 

«Lo so. Potrai andare domani.»

Il bambino tirò su col naso. «Ma sono giorni che devo andare domani! E poi… Domattina ho lezione con il maestro…»

Aegon si inginocchiò accanto a lui. Gli prese il mento tra le dita, costringendolo a guardarlo.

«Facciamo così: appena la pioggia si placa, qualsiasi cosa tu stia facendo, andremo alla Fossa del Drago. Io o Helaena o Jace, o Aemond se è tornato; insomma, al primo raggio di sole, qualcuno ti accompagna là. Che ne dici?»

Jaehaerys si lasciò sfuggire un grido di gioia e si gettò addosso a suo padre – che, a causa del pavimento scivoloso, cadde a terra. Jace cercò di non ridere davanti a quella scenetta. Si concentrò piuttosto su ciò che Aegon aveva detto: lui sarebbe potuto andare alla Fossa del Drago? Era serio o aveva solo elencato il nome di tutti gli adulti con cui suo figlio aveva legato? Forse, almeno quello avrebbe potuto chiederglielo.

«Ben detto» commentò Helaena, avvicinandosi ai due ancora a terra. «E complimenti, Jaehaerys: sei riuscito a battere tuo padre.»

Il bambino sciolse l’abbraccio per sollevarsi a sedere sulla pancia di Aegon. Non sembrava aver realizzato il fatto finché non glielo aveva fatto notare lei.

«È vero! Visto, padre?» gongolò, soddisfatto della sua vittoria.

Aegon sbuffò e se lo tolse di dosso.

«Visto cosa? Tu che ti reputi il vincitore per avermi fatto cadere all’improvviso?»

Jaehaerys spostò lo sguardo verso Jace, attirando anche l’attenzione di Aegon su di lui. Il ragazzo incrociò le braccia sul petto e sorrise compiaciuto mentre suo zio, lentamente, prendeva coscienza di ciò che aveva appena detto.

«Odio tutti e due» borbottò. 

Jace scosse la testa e gli tese una mano per aiutarlo ad alzarsi. 

«Non provare a tirarmi giù» lo ammonì.

Aegon ridacchiò, ma accettò il suo aiuto senza fare scherzi. Una volta in piedi, iniziò a scuotersi come un barboncino, riempiendo Jace di schizzi d’acqua. Il ragazzo prese un profondo respiro e si asciugò il volto con le mani.

«Come se non fossi già bagnato» commentò, scoccando un’occhiataccia ad Aegon.

«Appunto. Non puoi lamentarti.»

«Etciù!» Lo starnuto di Jaehaerys attirò l’attenzione del gruppo. Helaena prese il suo fazzoletto e gli asciugò il naso, prendendolo poi per mano. 

«Adesso sarà meglio togliersi questi vestiti bagnati di dosso.»

Lui annuì. Salutarono entrambi con un cenno della mano, ma, prima di allontanarsi, Helaena si voltò verso Aegon.

«Non lasciare che le torri oscurino il tuo Sole.»

Poi se ne andò.

Jace rimase a fissarla con un sopracciglio inarcato.

«Cosa intendeva?» gli chiese.

«Le piace mettere in fila parole senza senso» rispose, facendo spallucce. «Piuttosto, dovremmo andare ad asciugarci anche noi.»

«Già.» Jace strizzò un lembo della sua casacca e la mano gli si riempì d’acqua. «Io penso di dovermi proprio fare un bagno.»

«Anch’io.» Poi Aegon gli mise un braccio intorno alle spalle, rivolgendogli un sorrisetto che non prometteva nulla di buono. «Senti, che ne diresti se…»

«Mio re.»

Si voltarono entrambi e, anche se gli era sembrata la sua voce, Jace sperò fino all’ultimo che non si trattasse di Criston Cole. Aegon sbuffò, ma non si allontanò da lui.

«Scusa, Cole, ma siamo un po’ impegnati.»

«Mi dispiace disturbarvi» disse l’uomo, rivolgendogli un piccolo inchino, «ma la regina ha richiesto che la raggiungiate al più presto nella sua stanza.»

«Sta male?»

«No, non preoccupatevi.»

Aegon annuì. «Allora dille che può aspettare. Non so se noti, ma non sono esattamente presentabile» disse, indicando i suoi abiti gocciolanti.

Cole rimase in silenzio per un momento, titubante.

«Le dirò allora di raggiungervi nei vostri alloggi» disse infine.

«Cosa? No! Dille semplicemente che aspetti.»

«Perdonatemi, ma ha detto che era urgente.»

Aegon grugnì, passandosi una mano sul viso. Il suo buonumore stava nuovamente svanendo e Jace avrebbe voluto confortarlo, ma non sapeva come. Nessuno può darti ordini, nemmeno tua madre –  sarebbe stato come ammettere che lui era il re. Forse, se fossero stati da soli, avrebbe potuto dirglielo con la speranza che le sue parole non sarebbero state fraintese. Ma in quel momento…

«Per favore, lasciate che vi scorti da lei» insistette Cole. «Sono sicuro che non ci vorrà molto.»

Aegon si lasciò sfuggire una risata, ma non ribatté. Si scostò da Jace e lui avvertì subito la mancanza del suo calore. Desideroso di un altro contatto, gli mise una mano sulla spalla, attirando la sua attenzione.

«Vai con lui» disse e dall’espressione di Aegon capì che non era ciò che sperava di sentire. «Magari tua madre deciderà di rimandare l’incontro appena vedrà in che stato sei» suggerì. «Anzi, dovrà farlo, a meno che non voglia avere la camera allagata.»

Aegon sgranò gli occhi; poi un sorriso si fece largo sul suo volto.

«Potrei sedermi su tutti i suoi mobili» disse. «Sarebbe divertente.»

Jace rise, anche se temeva che Alicent si sarebbe infuriata se lo avesse fatto davvero. Ma la luce era tornata a brillare negli occhi di Aegon e tanto gli bastava.

 

~

 

Sentiva la testa pulsare e il boom boom assordante nella sua mente si confondeva al brusio intorno a lui. Sembravano voci, ma non riusciva a distinguerle. Una aveva una tonalità femminile. Sua madre? 

Schiuse le palpebre. La luce del sole gli provocò un’altra fitta di dolore, ma si fece forza e si costrinse a osservare l’ambiente circostante. Vicino al letto, girato di spalle, c’era un ragazzo dai capelli castani.

«Jace…» Cercò di sollevarsi sulle braccia, invano. Tuttavia, la sua voce era uscita abbastanza alta da attirare l’attenzione dei presenti su di sé. Un sospiro di delusione lasciò le sue labbra davanti ai lineamenti duri e la barba della figura che aveva scambiato per suo fratello.

«Lucerys!» 

Cregan si avvicinò a lui, seguito da Sara. La ragazza gli accarezzò il braccio, sorridendogli.

«Come ti senti?» gli chiese.

«Io… B-Bene» rispose. Aveva la gola secca, ma prima che potesse chiedere dell’acqua, qualcuno gli sollevò la testa e lo aiutò a bere. Sollevando lo sguardo, incontrò un viso anziano che aveva visto di sfuggita durante i suoi soggiorni a Grande Inverno. Doveva essere il Maestro e forse gli era anche stato presentato, ma in quel momento non aveva idea di quale fosse il suo nome.

«Mi permettete di visitare un momento il ragazzo, mio signore?» chiese l’uomo a Cregan, che annuì prontamente.

La visita consistette in qualche domanda generica, volta soprattutto a valutare il suo stato mentale. Sano: Luke ricordava il suo nome, il luogo in cui si trovava e la data presente – o, meglio, la data del suo ultimo ricordo, che gli fece scoprire di essere rimasto privo di sensi per un giorno intero. 

Il Maestro si occupò poi della fasciatura alla sua testa, di cui non si era accorto fino a quando lui non la cambiò.

«Siete stato molto fortunato, mio principe» disse. Aveva un’aria gentile che gli ricordava suo nonno Viserys. «Pochi centimetri più in alto, o un intervento più tardivo, e sareste morto.»

Luke avvertì un brivido a quelle parole e si sentì uno stupido per essere sceso nelle cripte da solo, nel cuore della notte.

«Come… Come mi avete trovato?» chiese. Il momento della caduta era piuttosto confuso nella sua mente. Forse il rumore aveva attirato una guardia nei paraggi? 

Lo sguardo di Cregan si rabbuiò. Strinse i pugni e sibilò un’unica parola.

«Aemond.»

“Voglio che ti cavi un occhio. Come pagamento per il mio.”

“Ti appaga sentirti superiore agli altri, vero? Sei convinto che tutto ti sia dovuto e che non esistano conseguenze da pagare.”

“Mio lord Strong.”

I ricordi esplosero nella sua mente, vividi come se la scena si stesse svolgendo in quel preciso momento. Si toccò il volto con mani tremanti, frenetico, nel terrore di trovarvi una cicatrice gemella di quella che lui aveva lasciato ad Aemond. 

«Va tutto bene, Luke. Se n’è andato, sei al sicuro.»

Sara gli prese dolcemente le mani, allontanandogliele dal volto. Lui la fissò, concentrandosi nel mettere a fuoco la sua immagine. Non gli sembrava di vederla diversamente da prima e non aveva trovato alcuna cicatrice intorno ai suoi occhi. 

Cercò di controllare il suo respiro e riacquistare un po’ di lucidità. Aemond non aveva approfittato della sua debolezza per vendicarsi. Aveva ancora entrambi gli occhi. 

Sara gli accarezzò la schiena, continuando a sorridergli, e Luke si lasciò sfuggire un singhiozzo. 

«Cosa…» mormorò, sforzandosi di non piangere. «Cosa è successo?»

Sara si voltò verso Cregan, facendogli cenno di parlare.

«Sono stato svegliato nel cuore della notte con la notizia che tu eri ferito. Quando sono arrivato qui, Walys ti stava già curando, anche se allora non aveva certezze circa il tuo stato. Accanto al letto, c’era Aemond Targaryen.» Strinse i pugni. «Appena l’ho visto, ho capito che era coinvolto in ciò che ti era accaduto. Ha detto che eravate nelle cripte e tu eri inciampato, sbattendo la testa contro una delle tombe. È stato lui a portarti qui e a chiamare i soccorsi.»

Luke sbatté le palpebre, incredulo.

«Gli ho ordinato di andarsene» continuò Cregan, «ma lui ha rifiutato di lasciare il tuo fianco. Combattere sarebbe stato controproducente, per tutti quanti, così ho accettato che restasse fino a quando non è stato chiaro che saresti sopravvissuto.»

«Se n’è andato poche ore fa» disse Sara. Teneva ancora una mano sulla sua schiena. «Sembrava molto preoccupato per te.»

«Aemond era preoccupato… per me?»

Forse stava sognando. Forse il colpo alla testa era stato così forte da provocargli delle allucinazioni vivide come se fossero la realtà. Non riusciva a credere che ad Aemond – quell’Aemond – potesse davvero importare di lui.

«Naturale» confermò Cregan. Teneva ancora i pugni serrati, le nocche ormai sbiancate. «Se ti fosse accaduto qualcosa a causa sua, la regina sarebbe scesa in guerra all’istante per distruggere lui e la sua fazione.»

Luke avrebbe preferito continuare a illudersi. Ma la versione dell’uomo aveva molto più senso: Aemond non pensava a lui, ma alle conseguenze che la sua morte avrebbe avuto sulla sua famiglia – l’unica che considerava tale.

Sospirò. In fondo, era meglio che fosse quella la spiegazione del suo gesto. 

«Lucerys, dimmi la verità.» Cregan si sporse verso di lui, fissandolo dritto negli occhi. «Non è stato un incidente.»

Ripercorse quella notte nella sua mente. 

Era stato Aemond a iniziare. Era stato lui a chiedergli di ripagare il debito che credeva avesse nei suoi confronti; era stato lui a schiacciarlo contro una parete, togliendogli il respiro. Era stato lui a cercare di ucciderlo.

Ricordò la sua reazione quando gli aveva rivelato di sapere perfettamente che il mondo era un luogo crudele: la pupilla dilatata dallo stupore, la presa sul suo collo che si era allentata. 

Cosa sarebbe successo se avesse approfittato di quel momento per parlare?

«In realtà, lo è stato» rispose. Cregan lo fissò incerto, così proseguì: «Sono stato stupido io, non dovevo muovermi per le cripte al buio. Sono inciampato e sono caduto.»

«Vuoi dire che Aemond non c’entrava niente? Che ci facevi insieme a lui, in primo luogo?»

«Ci siamo incontrati lì per caso. E, davvero, sono caduto da solo.»

«Sai che qui puoi parlare liberamente, non devi…»

«Cregan.» Sara si alzò, prendendo suo fratello sotto braccio. «Luke è stanco. Lascia che si riposi.»

Luke le rivolse un piccolo sorriso di gratitudine. Tuttavia, non aveva intenzione di riposarsi.

«Lord Stark» disse. «Ti ringrazio per l’ospitalità, ma adesso è tempo che torni a casa. Sono stato lontano più di quanto avrei voluto.»

«Non puoi volare in queste condizioni» sentenziò lui, scuotendo la testa.

«Sto bene. Davvero, non ho problemi.»

«Mio principe.» Walys si avvicinò a lui. «Se permettete, credo che dovreste restare almeno un altro paio di giorni. Il tempo che la ferita guarisca e voi possiate muovervi senza dover indossare quella benda. Cosa penserà vostra madre, se vi vede tornare in questo stato?»

Luke era pronto a ringraziare il Maestro per la sua premura e rifiutare il suo suggerimento, ma le parole su sua madre lo bloccarono. Rhaenyra lo aveva mandato al Nord perché credeva che fosse sicuro. Rincasare con una ferita quasi mortale le avrebbe solo causato altre preoccupazioni.

Strinse le labbra e abbassò lo sguardo. 

«Io… Sì, credo che abbiate ragione.»

L’uomo annuì e lasciò la stanza, promettendo che sarebbe tornato a cambiare la medicazione in giornata.

«Comprendo il tuo desiderio di tornare in fretta dalla tua famiglia, soprattutto in un momento come questo» disse Cregan, posandogli una mano sulla spalla. Il suo tono si era addolcito. «Ma, adesso, la cosa più importante è che tu recuperi le forze. D’accordo?»

Luke annuì. 

Sprimacciò i cuscini, mettendosi comodo sotto le coperte, mentre i fratelli Stark uscivano, lasciandolo da solo. Sospirò. Poi chiuse gli occhi e lasciò che il sonno lo avvolgesse.





Note: non sono riuscita a trovare il nome del maestro di Grande Inverno di quest’epoca, quindi ho deciso di renderlo omonimo del maestro al servizio di Rickard Stark, il padre di Ned.
Grazie a chiunque sia arrivato a leggere fin qui ❤ Ultimamente non mi convince troppo quello che scrivo, ma spero comunque che la lettura risulti piacevole 🙈
Ci vediamo il prossimo mese!

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9



 

La pioggia aveva ripreso a bagnare il suolo della capitale. Rivoli d’acqua scorrevano lungo le finestre, annebbiando la vista sul mondo esterno. 

“I tuoi sentimenti per la principessa ti hanno resa cieca. Credevo che ormai avessi imparato a vederla per ciò che è, ma forse mi sono illuso.”

Alicent serrò le palpebre, cercando di scacciare dalla mente le parole di suo padre. Perché doveva ascoltare un uomo che, per anni – per tutta la sua vita –, aveva fatto leva sul suo affetto, manipolandola affinché diventasse una brava pedina alla sua mercé? 

Eppure, sapeva che non era in errore. Almeno per quanto riguardava Rhaenyra.

Quante volte le aveva mentito? Quante volte le aveva voltato le spalle? Quante volte aveva posto se stessa sopra tutto e tutti? Rhaenyra aveva sempre fatto ciò che desiderava, senza pensare alle conseguenze che le sue azioni avrebbero avuto su chi le stava intorno.

Sospirò. Posò una mano contro il vetro, cercando il contatto di qualcosa di reale. Le sue unghie erano di nuovo contornate di rosso e aveva la sensazione di essere tornata indietro nel tempo, a quando era una ragazzina incapace di prendere decisioni per conto proprio e sempre desiderosa di credere nella buona fede di tutti – anche di chi l’aveva già, e più volte, delusa.

“Jacaerys è figlio di sua madre e Aegon ha un debole per lui” le aveva detto Otto. “Non credo che Rhaenyra abbia pianificato la cattura di suo figlio, ma di certo, adesso che è avvenuta, converrai con me che lei ha solo da guadagnarci.” 

Sentì il cigolio della porta alle sue spalle. Si lisciò le pieghe della gonna e inspirò, prima di voltarsi per accogliere suo figlio.

«Aegon» disse, vedendo il ragazzo entrare nella stanza zuppo da capo a piedi. «Ti ha sorpreso la pioggia mentre venivi qui?»

«Non esattamente» rispose, scuotendosi i capelli con una mano. Gocce perlacee si sparpagliarono intorno a lui e iniziarono a creare una piccola pozza nel punto in cui si trovava.

Alicent sospirò. 

«Accomodati» gli disse, mentre si dirigeva nella sua ala privata. «Prendo qualcosa con cui puoi asciugarti.»

«Grazie, ma non disturbarti. Non volevi parlarmi?»

Lei lo ignorò. Prese un telo pulito dall’armadio e tornò al centro della stanza, da dove Aegon non si era mosso, continuando anzi a spargere acqua intorno a sé. Era quasi sicura che lo stesse facendo di proposito.

«Rischierai di ammalarti» lo ammonì, asciugandogli i capelli con movimenti decisi, ma prestando attenzione a non fargli male. 

Aegon rimase immobile per qualche secondo; poi le allontanò gentilmente le mani, continuando il lavoro da solo. 

«Non sono così fragile» borbottò. «Allora, non volevi vedermi con urgenza?»

Alicent sospirò. Si sedette sulla panca vicino alla finestra e batté sul cuscino accanto al suo per invitarlo a raggiungerla. Lui obbedì, accasciandosi contro il bracciolo, con un braccio penzoloni oltre lo schienale. 

«Oggi è una settimana esatta che ho scritto a Rhaenyra» disse, decidendo ancora una volta di ignorare gli atteggiamenti incivili di suo figlio. 

Lui inarcò un sopracciglio e annuì, lentamente.

«Sì, credo di sì» rispose.

«Non te lo stavo chiedendo.»

Sbuffò. «D’accordo. Allora, ha risposto?»

«No.»

«Va bene.» E rimase a fissarla. 

Alicent serrò le palpebre, inspirando a fondo. A volte non capiva se si divertisse a snervarla o se fosse davvero così stupido.

«Va bene» ripeté lei, riportando lo sguardo sul suo volto. «Rhaenyra continua a non accettare la nostra offerta, né a effettuare controproposte, e va bene così?»

Il suo tono adirato sembrò produrre qualche effetto, perché Aegon si sedette più composto. 

«Be’, no» disse. Si passò il telo, che aveva avvolto intorno al collo, sulla fronte per asciugare qualche goccia d’acqua persistente. «Magari ci sta ancora riflettendo.»

Alicent scosse la testa. 

«Ha avuto abbastanza tempo per farlo. Inoltre, il fatto che suo figlio sia nostro prigioniero dovrebbe essere un incentivo a farle prendere una decisione in fretta.»

Aegon abbassò lo sguardo, senza dire niente. Si appoggiò allo schienale e prese a giocherellare con i lacci della sua camicia. Sembrava pensieroso – fatto rassicurante e preoccupante allo stesso tempo. 

«Senti» mormorò, alla fine. «A proposito di Jace…» Fece un’altra pausa, tenendo sempre lo sguardo basso.

Alicent gli mise una mano sul braccio. Lui sbuffò, alzando gli occhi al cielo, e a lei si strinse il cuore, temendo che fosse stato il suo tocco a scatenare quella reazione.

«Non lo so» riprese Aegon, scuotendo la testa. «Trattarlo come un prigioniero non mi sembra serva a qualcosa. Forse dovrebbe…» Si interruppe, stringendo le palpebre, come se il pensiero sovvenuto gli risultasse doloroso. 

Ma lei non poteva restare in silenzio a quelle parole.

«A quanto mi risulta» disse, cercando di mantenere un tono pacato, «Jace è stato trattato come un ospite a tutti gli effetti.»

«Perché non l’ho fatto incatenare nelle segrete?» sbottò lui.

«Perché lasci che si muova per la fortezza come più gli aggrada e né tu, né Helaena vi siete risparmiati in visite di cortesia. Gli hai addirittura permesso di avvicinarsi al tuo erede.»

«È suo cugino» rispose, facendo spallucce, quel poco di serietà che le era sembrato di scorgere in lui già svanita.

Alicent sospirò. Ritrasse la mano sul suo grembo, stringendo la stoffa del vestito per impedirsi di tormentarsi le unghie. 

«Fino a quando hai intenzione di attaccarti a questa parentela per evitare di agire?» 

«Siamo parenti, quindi-»

«Jacaerys è l’erede di Rhaenyra!» esclamò, scattando in piedi. «Questa è l’unica cosa che conta. È una minaccia! Per te, per la tua famiglia – per il regno intero!»

Aegon sbuffò una risata. «Non essere così melodrammatica, madre.»

«Sono realista, è diverso.» 

Si passò le mani sul volto. Aegon, adesso, era il re dei Sette Regni, eppure continuava a comportarsi come un bambino che pensa solo ai suoi desideri. 

«Io non credo che Rhaenyra mi ucciderebbe» disse a un tratto lui. «Men che meno che farebbe del male ai miei figli.»

Alicent sospirò. «Te lo ha detto Jace?»

«No. Non proprio. Solo… Secondo lui, noi ci somigliamo.» Si grattò il mento, storgendo le labbra. «Forse, se ci parlassimo… In effetti, non ricordo di aver mai scambiato più di qualche convenevole con lei.»

“Lei ha solo da guadagnarci.”

Strinse le palpebre. Odiava dover dare ragione a suo padre, ma sembrava che stesse accadendo proprio ciò che aveva paventato. Forse Rhaenyra non stava approfittando consapevolmente della situazione; nondimeno, di questo passo si sarebbe risolta a suo vantaggio.

E con la testa di Aegon su una picca.

«Onestamente?» aggiunse, riscuotendola dai suoi pensieri. «Io non voglio uccidere mia sorella. E, se Jace ha ragione, credo che nemmeno lei voglia uccidere me.»

Alicent sospirò. Si sedette nuovamente accanto a lui, incrociando le mani sul grembo.

«Questo non lo metto in dubbio, Aegon» disse. Lui la fissò, inarcando un sopracciglio. «Non ho mai creduto che Rhaenyra volesse ucciderti. Tuttavia, è certo che dovrà farlo per poter regnare.»

«Be’, se le cose restano così, certo» ribatté lui, con una mezza risata. «E di chi è la colpa?»

Alicent strinse i pugni, ma decise di ignorare quella frecciata. Adesso era più importante che Aegon comprendesse, una volta per tutte, che la sua vita era in grave pericolo – da sempre.

«Secondo te, com’è morto Laenor Velaryon?»

Aegon sbatté le palpebre.

«Che c’entra?»

«C’entra. Perché era un brav’uomo, a cui Rhaenyra era affezionata  e che non aveva fatto niente per meritarsi di morire.»

«È vero» concordò lui. «Ma non è stato, tipo, bruciato dal suo amante?»

«Questo è ciò che si dice. Ma prova a rifletterci un momento: aveva una relazione con quell’uomo da anni, eppure questi ha deciso di togliergli la vita proprio dopo il ritorno nel continente di Daemon Targaryen. E Rhaenyra non ha atteso nemmeno il termine del periodo di lutto per sposarsi con lui.»

Aegon rimase in silenzio. Alicent vide quelle informazioni venire elaborate attraverso i suoi occhi viola e pregò che, finalmente, giungesse alla conclusione corretta.

«Potrebbe essere stato un caso» disse infine, ma la sua voce era incerta. «Insomma, Laenor era il padre dei suoi figli – che, oltretutto, avevano appena perso il vero padre, quindi…»

«Quindi è terribile pensare che sia stata capace di un simile atto, consapevole del dolore che avrebbe provocato a tante persone che amava, vero?»

Lui non rispose. 

«Pensa a cosa potrebbe fare a te, primo figlio maschio di suo padre, la cui sola esistenza la rende indegna di sedere sul Trono di Spade.»

Aegon rimase in silenzio per qualche istante, riflettendo sulle sue parole. Poi si lasciò sfuggire una risata amara.

«Perciò, alla fine» mormorò, «uno di noi due deve morire.»

Alicent sbarrò gli occhi.

«No!» esclamò. «No, lei… Lei non deve morire. Rhaenyra non rappresenta una minaccia per te, tu hai diritto a indossare la corona. Tuo padre voleva-»

«Oh, che si fotta!» sbottò lui, alzandosi in piedi.

«Aegon!»

«Non continuare con questa storia, madre» le intimò. «Se mio padre mi avesse voluto sul trono, lo avrebbe detto quando aveva importanza, così da risparmiare a tutti noi questo calvario!»

Alicent sospirò. Non poteva dargli torto: Viserys aveva cercato un erede maschio con ogni mezzo, rinunciando anche alla donna che amava. Eppure, per Aegon non aveva mai mosso un dito.

“Per unire il reame… Sei tu.”

Si era chiesta spesso se lei e Viserys avessero avuto la stessa conversazione quella notte. Se, forse, non avesse frainteso le sue ultime parole. Ma aveva chiesto più volte se si stesse riferendo a loro figlio e lui non l’aveva mai negato. Se stava parlando di Rhaenyra, perché non dire semplicemente il suo nome?

«Te l’ho già detto, Aegon» insistette. «Viserys era molto malato.»

«Però la forza di percorrere l’intera Sala del Trono per Rhaenyra l’ha trovata» rispose con voce rotta.

Alicent scosse la testa. Si alzò, avvicinandosi a lui. 

«Rhaenyra non può regnare in pace se tu sei vivo. Tu, al contrario, puoi farlo. Puoi unificare il regno, renderlo più forte. E senza dover versare una goccia di sangue.» Gli prese il volto tra le mani, guardandolo dritto negli occhi. «Devi far capire a Jace che accettarti come sovrano è l’unica soluzione possibile. Anche se tu rinunciassi alla corona, Rhaenyra sarebbe comunque costretta a ucciderti, non avrebbe scelta. I Sette Regni non la vedrebbero mai come la vera regina, se tu sei vivo. E se lo sono i tuoi fratelli e i tuoi figli.» 

Una lacrima si srotolò dagli occhi di Aegon, scorrendo sulla guancia fino a raggiungere le sue dita. Alicent la asciugò con un carezza.

«L’unico modo che hai per proteggere tutti quanti» concluse, «è essere Re Aegon II.»

 

~

 

Rhaenyra sfiorò con le dita le linee formatesi sulla carta dopo anni trascorsi piegata lontano dalle sue simili. Immaginava che Alicent la tenesse nascosta sotto il suo cuscino e che, talvolta, la nostalgia per la loro amicizia l’avesse spinta a riprendere in mano quella pagina –  come faceva lei con l’ultima lettera ricevuta da Harwin, giunta sfortunatamente insieme alla notizia della sua morte. 

Strinse le palpebre, ricacciando indietro le lacrime che minacciavano di sgorgare. Si era ritrovata spesso a pensare a lui negli ultimi giorni, a cosa avrebbe fatto se si fosse trovato al suo posto, ai consigli che avrebbe potuto darle; ma non riusciva a trovare delle risposte che la soddisfacessero. Harwin, come Daemon, era sempre stato un uomo d’azione, che non rifletteva troppo sulle conseguenze delle sue decisioni – e, in questo, somigliava molto a lei.

“Tu hai il tuo onore. Io ho il mio.”

Proprio quell’onore, lo stesso in cui credeva anche lei, aveva segnato la sua condanna a morte. Forse, se avesse ascoltato prima il consiglio di Laenor, avrebbe potuto invitare Harwin a seguirli a Roccia del Drago. Le calunnie sul suo conto non si sarebbero acquietate, ma almeno la sua famiglia sarebbe rimasta unita e i suoi figli sarebbero cresciuti con loro padre – con entrambi.

Sospirò. Aveva allontanato Laenor convinta di aver bisogno di Daemon per regnare; ma, in quel momento, avrebbe giovato molto di più della calma e della ragione del suo primo marito. Forse avrebbe potuto tentare di contattarlo? In quegli anni, Laenor si era fatto sentire un’unica volta, per informarla che il viaggio era andato bene e ricordarle che poteva sempre contare su di lui; ma il rischio che una comunicazione tra lei e Pentos venisse scoperta era alto, e non poteva rischiare che qualcuno scoprisse il loro segreto. Rhaenys l’avrebbe odiata ed era certa che anche Jace e Luke non l’avrebbero perdonata facilmente, considerato quanto avessero sofferto per le morti ravvicinate dei loro padri.

No. Avrebbe dovuto affrontare quella situazione da sola. 

Sentì dei passi salire lungo le scale alle sue spalle. Temendo che fosse Daemon, ripiegò subito la pagina di Alicent e la nascose nel suo vestito, prima di voltarsi e raggiungere il Tavolo Dipinto.

«Maestà.»

Rhaenys la salutò con un piccolo cenno del capo e Rhaenyra non poté evitare che un sorriso le comparisse sulle labbra.

«Principessa Rhaenys» disse, andandole incontro. «Sono lieta di vederti. Com’è la situazione al Condotto?»

«La flotta Velaryon blocca l’intero sbocco ed è già riuscita ad allontanare alcune navi mercantili che cercavano di raggiungere la capitale. Per il momento credo che i Verdi abbiano provviste a sufficienza e non tenteranno di forzare il blocco, ma trovo comunque più sicuro tornare a presidiare la zona con Meleys quanto prima. Tuttavia» aggiunse, posandole una mano sulla spalla, «so che la situazione è mutata dalla mia partenza. Hai avuto notizie di Jace?»

Rhaenyra sospirò.

«Alicent mi ha inviato una lettera, informandomi che sta bene e che sperano che accetti di riconoscere Aegon come re.»

Rhaenys sbuffò. «Non hanno avuto successo con me e credono che lo avranno con il tuo erede? E quando Jace avrà rifiutato? Cosa faranno?»

Rhaenyra si tormentò le mani. Iniziò a camminare lungo la stanza, continuando a ripetere la stessa storia che usava per confortarsi.

«Alicent non priverebbe una madre del proprio figlio» disse. Non farebbe una cosa del genere a me. Non mi odia fino a questo punto. «Inoltre, Aegon era amico di Jace, un tempo…»

«Dubito che i buoni sentimenti contino qualcosa in questa situazione.» 

Quelle parole, pronunciate da Rhaenys, aprirono la crepa che aveva cercato di colmare con la storia della famiglia e dell’amicizia. 

Si appoggiò al tavolo, lasciando andare un lungo sospiro. 

Non voleva iniziare una guerra contro il suo stesso sangue – non poteva nemmeno farlo: una mossa sbagliata da parte sua e non avrebbe più rivisto Jace. Anche rinunciare alla corona, però, le era impossibile, soprattutto dopo aver avuto la conferma che Viserys aveva parlato della profezia di Aegon solo a lei. A meno che non l’avesse rivelata anche ad Aegon; ma, in quel caso, perché non dirlo? Perché continuare a parlare di lei come sua erede, se aveva infine scelto di seguire la tradizione – e quelli che, per anni, erano stati i suoi desideri –, lasciando il trono nelle mani del figlio?

«Ti chiedo scusa, Rhaenyra» disse Rhaenys, riscuotendola dai suoi pensieri. «Non volevo angustiarti. Capisco che questa situazione sia terribile per te.»

Lei scosse la testa. Raddrizzò la schiena e si sistemò la giacca nera, inspirando a fondo.

«So che hai ragione» disse, sollevando lo sguardo verso di lei. «Anche Daemon pensa che non dovrei sperare nella bontà d’animo dei Verdi. Ma sentirlo da te, lo rende sensato.» 

«La bontà d’animo non ha importanza in certe questioni. Tuttavia, sanno bene che, uccidendo Jace, scatenerebbero la nostra furia. Il ragazzo deve tornare a casa il prima possibile, ma non credo che corra un vero pericolo, almeno per il momento.»

Le sue parole la rincuorarono, soprattutto il pensiero che anche lei avrebbe combattuto per Jace, nonostante sapesse che non aveva il suo sangue. 

«Hai ragione, principessa Rhaenys» disse, ritrovando un po’ di serenità. «A proposito di riportare Jace a casa… Ricordi ser Erryk Cargyll?»

La donna aggrottò le sopracciglia, riflettendo.

«Il cavaliere che mi ha aiutata a fuggire dalla Fortezza Rossa?»

«Esatto.»

Il suo sguardo si illuminò.

«Ha intenzione di fare lo stesso con Jace? Ma lui adesso si trova qui, o sbaglio?» aggiunse.

Rhaenyra annuì.

«Dovrà riuscire a infiltrarsi a palazzo, ma, dal momento che il suo gemello è ancora là, potrebbe sfruttarlo per passare inosservato tra le guardie. Stando alle informazioni di Alicent, Jace dovrebbe trovarsi dove abbiamo alloggiato l’ultima volta. Una volta trovato, gli basterà seguire il percorso con cui ti ha permesso di raggiungere Meleys e volare via. Ammesso che Vermax sia ancora vivo» aggiunse, titubante. Uccidere un drago sarebbe stato orribile da parte loro – ma sempre meglio che suo figlio.

«Potrebbe funzionare» disse Rhaenys. «Quando sono fuggita, erano in corso i preparativi per l’incoronazione, quindi la sorveglianza generale era bassa. Adesso immagino che Jace sia controllato a vista, e questo complica le cose; ma se il cavaliere riesce a infiltrarsi nella Guardia Reale, probabilmente avrà un buon margine di manovra. Deve però organizzare un’alternativa a Vermax.» Sospirò. «Mi dispiace dirlo, ma dubito che sia ancora vivo. Dovranno fuggire per mare, è la via più sicura per raggiungere Roccia del Drago.»

Rhaenyra annuì. L’arrivo di Rhaenys le aveva dato nuova linfa e la determinazione necessaria per iniziare ad agire, consapevole di avere un’alleata, al suo fianco, che l’avrebbe ascoltata e non avrebbe messo a ferro e fuoco il regno per un suo capriccio. 

«Vieni con me.» La superò, scendendo le scale. I passi alle sue spalle le confermarono che la stava seguendo. «Troviamo Erryk e studiamo un piano efficace.» E, presto, Jace sarà di nuovo a casa.   

 

~

 

Jace sedeva sul bordo del letto, Duemila navi abbandonato al suo fianco. Ormai era a buon punto con la lettura: se il suo soggiorno si fosse prolungato ulteriormente, avrebbe dovuto fare un’altra visita alla biblioteca. Una parte di lui non ne era dispiaciuta; ma sarebbe stato molto più appagante vivere nella Fortezza Rossa insieme a tutta la sua famiglia, libero e senza il continuo timore che quella calma apparente venisse spazzata via dalle fiamme.

Sospirò, lasciandosi ricadere sul materasso. Aveva bisogno di parlare con Aegon, ma temeva di imbattersi di nuovo in Cole se lo avesse cercato nelle sue stanze. Doveva restare lucido e calmo per la conversazione che avrebbero affrontato, e incontrare ancora quell’uomo era il modo migliore per mandare tutto all’aria. 

Spostò lo sguardo verso la finestra. Stava ancora piovendo e il cielo plumbeo gli impediva di determinare l’ora esatta, anche se supponeva fosse pomeriggio inoltrato. L’incontro tra Aegon e Alicent doveva essere finito e, forse, il ragazzo aveva anche avuto il tempo di farsi un bagno come si deve. 

Non si erano esattamente accordati per rivedersi quella sera, ma, nel dubbio, Jace decise di ripercorrere nella mente il discorso che aveva intenzione di fargli. 

Per prima cosa, gli avrebbe chiesto se potevano parlare, così da non commettere lo stesso errore dell’ultima volta. Se Aegon avesse rifiutato, Jace avrebbe lasciato perdere (per il momento); altrimenti, gli avrebbe raccontato tutto ciò che sua madre gli aveva detto prima che partisse per Capo Tempesta. Avrebbe cercato di fargli capire che lei voleva solo che la volontà di Viserys venisse rispettata e non aveva intenzione di iniziare una guerra con il suo stesso fratello. 

Non aveva ancora deciso se rivelargli che Rhaenyra aveva chiesto il suo parere riguardo a lui. In quel momento, era ancora troppo deluso e arrabbiato per ciò che era accaduto durante la cena per riuscire a giudicarlo lucidamente. E perché, in tutta onestà, dopo sei anni di lontananza aveva davvero temuto che Aegon si fosse trasformato in completo sconosciuto. 

Adesso, però, sapeva che non era così. 

Qualcuno bussò alla porta e la voce di Arryk annunciò l’arrivo del re. Jace scattò in piedi, andando incontro alla porta mentre questa si apriva, rivelando la figura del ragazzo. 

Si bloccò in mezzo alla stanza. Il suo cuore saltò un battito.

Aegon indossava gli stessi abiti di quando lo aveva incontrato nella Sala del Trono, anche se, adesso, lo stemma Targaryen era dorato anziché rosso. E, sulla sua testa, svettava la corona del Conquistatore.

«Ciao» lo salutò lui. Aveva una mano stretta sull’elsa della spada, come se cercasse un appiglio in essa. Non sembrava molto sicuro di sé in quel momento. 

«Ciao» Decise di fingere che quegli indumenti non significassero niente e cercò di accoglierlo come aveva immaginato. «Vuoi accomodarti?» 

Aegon si guardò intorno per un momento, poi sollevò di nuovo lo sguardo su di lui.

«Dobbiamo parlare» disse, senza muoversi. 

Il fatto che avesse declinato il suo invito non gli parve un buon segno.

«Sì» rispose. «In realtà, anch’io volevo dirti alcune cose. Ma inizia pure tu.»

Lui annuì. Si dondolò sulle gambe, forse incerto su come iniziare il discorso.

«Bene» disse infine. «Ormai sono due settimane che ti trovi qui. Hai avuto tempo per riflettere.»

Jace si irrigidì, temendo ciò che potesse chiedergli. 

«Riguardo a cosa?» indagò.

Aegon sbuffò. 

«Lo sai, Jace.»

Strinse le palpebre. Cos’era successo? Perché erano tornati di nuovo a quel punto?

«D’accordo» mormorò. Doveva attenersi al piano, senza lasciare che le sue emozioni prendessero il sopravvento o avrebbe rischiato di dire qualcosa che avrebbe peggiorato ulteriormente la situazione. Prese un profondo respiro e iniziò a parlare.

«Aegon, mia madre non vuole combattere contro di te.»

«Il sentimento è reciproco, fidati.»

Quelle parole lo rincuorarono un po’.

«Bene. Come ti ho già detto in passato, lei sarà felice di riaccogliere tutti voi-»

«No» lo interruppe, alzando la mano destra. «Stai andando fuori strada. Questa situazione può risolversi in un unico modo, ovvero con Rhaenyra che depone la corona e mi riconosce come re. Dunque, vorresti gentilmente aprirle la strada e accettare la mia ascesa al trono?»

Jace sbatté le palpebre.

«L’unico modo?» ripeté.

Lui annuì. «Te l’ho detto, io non ho intenzione di fare del male a Rhaenyra.»

«Né lei intende farne a te.»

«Sì, ma io non devo nemmeno farlo.»

Jace aggrottò le sopracciglia, inclinando la testa di lato. 

«Non ti seguo.»

Lui sospirò, passandosi una mano tra i capelli.

«Senti, il fatto è questo: il trono passa di maschio in maschio. Le donne non sono contemplate nella linea di successione. Lei non può regnare finché ci siamo io, Aemond e Daeron. E nemmeno finché ci sono i miei figli.»

«So che, di solito, la linea di successione è quella maschile» rispose, «ma, in questo caso, Viserys ha esplicitamente nominato Rhaenyra come sua erede. Perciò lei può – e deve – regnare. La vostra presenza non cambia niente.»

«Cambia, invece!» sbottò lui. «Il regno si aspetta me sul trono, non lei!»

«Il regno ha giurato fedeltà a mia madre. Il fatto che qualcuno se lo sia dimenticato, non valida la tua pretesa.»

Aegon sbuffò, alzando gli occhi al cielo. 

«Jace.» Si avvicinò a lui. «Perché devi renderlo così complicato?»

«Sei tu che lo complichi, Aegon.» Sollevò una mano per toccargli la spalla, ma lui si ritrasse. Doveva aspettarselo, eppure fece male lo stesso. «Non ti piace nemmeno regnare.»

«No, non mi piace» confermò lui, secco. «Ma mi piace che le teste delle persone a cui tengo rimangano saldamente ancorate ai loro corpi.»

Jace scosse la testa.

«Perché sei così convinto che mia madre vi farebbe del male? Siamo una famiglia, tu sei suo fratello.»

Aegon rise. 

«Come se le fosse mai importato. Quando ad Aemond è stato cavato un occhio, non ha alzato un dito per difenderlo.» Jace si irrigidì a quelle parole. «E aveva solo detto la verità» aggiunse, abbassando la voce – ma non abbastanza da impedirgli di sentirlo.

«Non farlo» sibilò, stringendo i pugni. 

Lui scosse la testa.

«Siamo solo noi due, Jace» disse; poi grugnì, passandosi una mano sul viso. «Lascia stare. Il punto è che a Rhaenyra non importa di nessuno di noi. Almeno, non tanto da mettere a rischio la pace nel regno per lasciarci vivere.»

«Ma tutto questo non ha senso, Aegon!» esclamò. «La pace l’avete messa in pericolo voi! Salendo al trono, hai creato una spaccatura nella nostra famiglia che rischia di avere terribili conseguenze su tutto quanto il regno. Mia madre non ha mai pensato, per un singolo secondo della sua vita, di uccidere il suo stesso sangue.»

«Suo marito, però, lo ha eliminato senza problemi.»

Jace sbatté le palpebre.

«Cos… Di che stai parlando?»

«Del fatto che Rhaenyra è coinvolta nella morte di tuo padre – Laenor Velaryon.»

Jace sgranò gli occhi. Cos’era quella storia? Chi gli aveva messo in testa una simile follia? 

Poi realizzò cosa fosse passato tra l’Aegon amichevole e allegro di quella mattina e l’uomo che aveva davanti in quel momento.

«È stata tua madre a dirtelo?» chiese con un sospiro – di delusione, perché Aegon si era lasciato raggirare con tanta facilità; di speranza, perché forse non aveva avuto scelta se non ripetere le idiozie ascoltate.

«Non ha importanza» rispose, dopo un lungo momento in cui aveva evitato il suo sguardo, fornendogli la risposta che cercava. «Ma tu non hai mai trovato strano che lei si sia risposata così presto?»

Sospirò. Non era stato felice del matrimonio con Daemon, ma i suoi sentimenti, all’epoca, erano stati condizionati dalla perdita di Harwin e di Laenor. 

E dalla scoperta che Aegon lo chiamava “bastardo” alle sue spalle.

«No» rispose, deciso.

«Senti, capisco che non ti faccia piacere pensare che tua madre ti abbia mentito, ma ti rendi conto che non puoi fidarti delle sue parole, vero?»

«Mentre delle tue sì?» chiese, le labbra che si incurvavano in un sorriso amaro. «Perché tu non mi hai mai mentito, vero?»

Aegon aprì la bocca, ma non disse niente. Abbassò lo sguardo, i ciuffi biondi che gli ricadevano sopra gli occhi. Se non altro, sembrava dispiaciuto.

Jace sospirò. Credeva di averlo superato, di poter fingere che non fosse mai accaduto; ma, finché non avesse affrontato l’argomento a viso aperto, quell’ombra sarebbe sempre rimasta a oscurare il loro rapporto.

«Perché hai detto ad Aemond che io e Luke siamo dei bastardi?» disse, liberando la domanda che per sei anni lo aveva tormentato.

«Non sono…» Scosse la testa, prima di sollevare di nuovo lo sguardo su di lui. «Non siete figli di Laenor, Jace. È solo un dato di fatto» aggiunse, facendo un passo verso di lui. «Rimanete comunque due Targaryen.»

«Grazie» rispose, conficcandosi le unghie nei palmi. «Forse avresti dovuto ricordarlo anche a tuo fratello, così magari non avrebbe cercato di ucciderci.»

Aegon sospirò. «Lasciamo da parte quell’idiota, d’accordo? E poi non stavamo parlando di questo.»

«No. Ma dal momento che, secondo la tua folle versione dei fatti, io non potrei fidarmi di mia madre perché mi ha mentito, be’, temo di non potermi fidare nemmeno di te per lo stesso motivo. Con l’unica differenza che, mentre è un “dato di fatto” che tu ti fingessi mio amico e poi sparlassi alle mie spalle, è un altro “dato di fatto” che mio padre sia stato ucciso dal suo amante e non da mia madre.»

«Io ti consideravo davvero mio amico» disse Aegon. 

Jace si lasciò sfuggire un risolino amaro.

«Hai avuto uno strano modo di dimostrarlo.»

«E tu hai uno strano modo di dimostrarlo adesso» sputò lui. Poi scosse la testa, passandosi una mano tra i capelli. «Anzi, non lo dimostri affatto» mormorò. «Fingi di apprezzarmi perché è il modo più sicuro che hai per sopravvivere qui, ma in realtà non te ne frega un cazzo di me.»

Jace sgranò gli occhi.

«Come ti viene in mente una cosa del genere?» esclamò. «Credi che cercherei di ricucire il nostro rapporto e porre fine a quest’assurda guerra, se non mi importasse di te?»

«Allora perché non ci hai provato prima? Non mi sembra che tu ti fossi impegnato molto per parlare con me durante la tua ultima visita.»

«Stai scherzando, vero?» Si passò le mani sul viso, trattenendo a stento un urlo. Inspirò, sforzandosi di parlare senza che la rabbia prendesse il sopravvento. «Ogni volta che cercavo il tuo sguardo, tu mi ignoravi. A cena, ti sei comportato come uno stronzo incivile con me e con Baela. E hai persino attaccato Luke! Dimmi» disse, tornando a guardarlo in faccia, «dopo tutti quegli anni, cos’avrei dovuto pensare di te?»   

Aegon strinse le labbra, rimanendo in silenzio. 

Jace lasciò andare un sospiro tremante. Indietreggiò fino a raggiungere la sponda del letto e vi si lasciò cadere sopra, prendendosi poi la testa tra le mani. Aveva voglia di urlare e piangere e prendere a pugni qualcosa – possibilmente avente l’aspetto di Aegon. 

Il silenzio calò tra di loro. Jace rimase in attesa – ma non giunse alcun tentativo di scuse da parte dell’altro. Quando sollevò di nuovo lo sguardo su di lui, lo vide fermo in mezzo alla stanza, con la fronte corrugata e gli occhi bassi. Le sue dita erano strette intorno all’elsa del pugnale di Viserys. 

Quello che sarebbe dovuto appartenere a sua madre e di cui ne portava solo una cicatrice sul braccio.

«Vattene» disse, appena sentì che la sua voce non avrebbe tremato. 

Aegon spostò lo sguardo su di lui, sgranando gli occhi.

«Jace…»

«Non sei il mio re, Aegon. Non lo sarai mai.» 

Si alzò in piedi. Le lacrime iniziavano ad appannargli la vista e lui cercò di asciugarle con la manica della giacca prima che iniziassero a sgorgare. Non voleva piangere davanti a lui, ma era difficile tenere sotto controllo quella speranza che, così repentinamente, si era trasformata in disperazione. Ormai era chiaro che l’unico obiettivo di Aegon era spingerlo a tradire sua madre e, adesso che gli aveva dato la conferma definitiva che non sarebbe mai accaduto, il loro legame si era dissolto. 

Per sempre.

La porta si aprì, attirando la sua attenzione. Il viso di Helaena gli concesse un momento di sollievo e sperò che, con la sua presenza, Aegon avrebbe capito di doversene andare.

«Chiedo scusa per il disturbo» disse lei, spostando lo sguardo interrogativo tra i loro volti. «Ti stavo cercando, Aegon.»

Il ragazzo spostò lo sguardo su Jace, poi sospirò e si avvicinò a lei.

«Cosa vuoi?» chiese. La sua voce non esprimeva alcun tipo di emozione.

«Il nonno ha convocato un Concilio d’urgenza. Aemond è appena tornato da Grande Inverno.»


 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Nota: qualche giorno fa ho modificato il finale del precedente capitolo, togliendo la battuta di Aegon, che non mi convinceva. Se volete conoscere la versione aggiornata (ho cambiato giusto qualche frase), vi consiglio di passare un attimo da lì prima di leggere il nuovo capitolo.

TW: Pensieri suicidi.


 

Capitolo 10



 

Sua madre lo salutò con un grande sorriso e non lo abbracciò solo perché era ancora bagnato a causa della pioggia incontrata in volo. In generale, l’atmosfera all’interno della Sala del Concilio sembrava simile a quella che vi aveva trovato l’ultima volta. Dunque, non erano giunte notizie nefaste in sua assenza.

«Helaena è andata a informare il re del tuo ritorno» disse Otto, in piedi davanti al suo posto, alla destra del sovrano. «Immagino che sarai stanco, ma ti chiedo di pazientare un poco. Sono certo che saranno qui a momenti.»

Aemond annuì, mentre seguiva Alicent per prendere posto accanto a lei. 

Sul tavolo era stata disposta una mappa del regno, con alcune pedine a indicare la suddivisione tra Verdi e Neri. Il drago di Aegon era posizionato sull’Altopiano e sulle Terre dell’Ovest, con qualche alleato tra le Terre dei Fiumi. La lancia di Rhaenyra aveva preso possesso della Valle di Arryn, delle Isole e di gran parte delle Terre dei Fiumi e delle Terre della Corona. Capo Tempesta era con loro, ma Borros Baratheon non era ancora riuscito a far schierare l’intera regione dalla parte di Aegon. E, infine, c’era il Nord – per il momento, vuoto. 

Aemond puntò il suo occhio su Grande Inverno, cercando di immaginare cosa stesse accadendo dietro le mura della fortezza. 

Luke era ancora lì? Si era risvegliato? Si era sfogato con Stark per quanto accaduto tra di loro nelle cripte?

“So che il mondo è crudele da quando mi hai detto che ti disgustavo.”

Aemond strinse i pugni sopra le ginocchia. Quella frase era riecheggiata spesso nella sua mente durante gli ultimi due giorni. Sul momento, si era convinto che Luke l’avesse pronunciata solo per destabilizzarlo e aprirsi così una via di fuga; adesso, non ne era più tanto sicuro. 

Ricordava bene quel giorno, anche se si era imposto di dimenticare tutto ciò che aveva vissuto con i suoi nipoti prima di Driftmark. Non si pentiva di aver espresso i suoi sentimenti – dopo aver scoperto che le uova di drago si erano schiuse per dei bastardi, ne era stato davvero disgustato –, ma forse aveva sbagliato a scatenarli contro il suo migliore amico, per il quale, in fondo, nutriva solo una profonda invidia. 

Se invece di restare fermo a guardare Luke correre via tra le lacrime si fosse fatto avanti, consolandolo e assicurandogli che erano ancora amici, come sarebbe stata la loro vita? 

«Aemond?» Alicent aveva posato una mano sulla sua spalla e lo stava fissando con un’espressione preoccupata in volto. «Va tutto bene? Non mi stavi ascoltando.»

«Scusami. Cosa avevi detto?»

Lei aggrottò le sopracciglia, poi fece spallucce e forzò un sorriso.

«Mi chiedevo solo come fosse il Nord. Non ho mai avuto occasione di visitarlo.»

«È bianco. E freddo. Niente di particolarmente interessante.»

Alicent annuì, anche se non sembrò troppo soddisfatta della risposta. Aemond abbassò lo sguardo: non voleva essere scontroso con lei, ma non era in vena di conversare in quel momento. Desiderava solo informare Aegon della lealtà del Nord verso Rhaenyra, così da potersi rifugiare nella sua stanza fino a quando non avesse fatto più chiarezza tra i suoi pensieri. E, magari, avrebbe anche scritto un messaggio a Cregan Stark per conoscere le condizioni di Luke. Il maestro aveva assicurato che non era in pericolo di vita, ma avendolo costretto a lasciare Grande Inverno prima di poterne avere conferma con i suoi stessi occhi, non poteva essere certo che avesse detto la verità. Peggio per lui, se così non fosse stato: Vhagar non avrebbe impiegato molto a radere al suolo i territori degli Stark. 

La porta si aprì con uno scatto e tutti si alzarono in piedi per accogliere il re. Aemond inarcò un sopracciglio quando lo vide, con la corona del Conquistatore e la casacca con lo stemma dorato, che era certo Aegon non avrebbe mai indossato.

«Maestà» lo salutò Otto, chinando il capo con un piccolo sorriso. «Vi trovo molto bene.»

Il ragazzo aveva gli ornamenti giusti sul corpo, ma il suo volto raccontava una storia meno felice di quella che aveva immaginato loro nonno. Ma, d’altronde, dubitava che Otto Hightower si fosse mai preso la briga di capire la sua famiglia – forse solo Helaena faceva eccezione.

Aegon si fermò di fronte al tavolo, senza aggirarlo per raggiungere il suo posto. Aveva il volto rivolto verso la mappa, ma il suo sguardo sembrava distante.

«Aegon» lo chiamò Alicent. «Tuo fratello è di nuovo a casa.»

Il ragazzo sollevò gli occhi prima su di lei, per poi focalizzarli su di lui. I suoi lineamenti si indurirono e un lampo attraversò le sue iridi. Aemond intrecciò le braccia dietro la schiena, aspettando che suo fratello facesse la prima mossa. Sembrava meno felice del solito di vederlo, ma non riusciva a immaginare il motivo di tale astio. Era riuscito a infastidirlo anche durante la sua assenza?

«Allora?» disse infine. «Che notizie ci porti dal freddo Nord?»

Aemond avvertì lo sguardo di tutti i presenti fisso su di lui. 

«Cregan Stark intende restare fedele al giuramento che suo padre ha compiuto al cospetto di Rhaenyra, venti anni fa.»

Mormorii di dissenso si sollevarono intorno a lui. Aegon aggrottò le sopracciglia, come se quella notizia lo avesse colto di sorpresa, eppure era stato quasi certo che non sarebbero riusciti a ottenere l’alleanza del Nord.

«Ha rifiutato anche la possibilità di stringere un legame di sangue con la famiglia Targaryen?» chiese Otto, anche se conosceva già la risposta. 

«Aveva già stretto amicizia con i figli di Rhaenyra» disse, evitando il suo sguardo. «Nessun altro tipo di legame con la nostra famiglia gli è risultato appetibile.»

«I figli di Rhaenyra? E quando li avrebbe conosciuti?»

«In questi anni» rispose. «Ad ogni modo, Cregan Stark è stato irremovibile: il Nord riconosce solo Rhaenyra come sovrano dei Sette Regni.»

Otto sospirò. 

«Ha inviato emissari prima ancora che Viserys morisse. Mossa astuta, glielo riconosco.»

«Mossa infame, se mi è concesso» intervenne Ser Criston. «Ma, d’altronde, da una puttana simile non ci si poteva aspettare nient’altro.»

«Ti prego di moderare i termini, ser» lo riprese Alicent. «Stai parlando della sorella del tuo re.»

I lineamenti dell’uomo si indurirono, ma chinò il capo in segno di scuse e rimase in silenzio. 

«Hai parlato con Jacaerys?» chiese poi sua madre, rivolgendosi ad Aegon, che nel frattempo aveva riportato lo sguardo sulla mappa. Aemond osservò le sue reazioni, nel tentativo di comprendere cosa pensasse e, soprattutto, cosa fosse accaduto in sua assenza. Anche se la domanda di Alicent gli aveva già fornito un buon indizio: se Aegon si era presentato al cospetto di Jace in veste di re, dubitava che il ragazzo lo avesse accolto a braccia aperte.

«Maestà.» Otto si spostò dal suo posto, mettendosi di fronte ad Aegon. La sua voce attirò l’attenzione del ragazzo, che sollevò lo sguardo su di lui. «Tua madre ti ha fatto una domanda.»

I suoi occhi tornarono a osservare la mappa per un momento, poi li puntò contro Alicent. La sua iniziale apatia si stava lentamente trasformando in furia e Aemond scostò la sedia per avvicinarsi a lui. Spostandosi, notò che anche Helaena era nella stanza, ferma in piedi poco dietro Aegon. Quando i loro sguardi si incrociarono, lei lo salutò con la mano, rivolgendogli un grande sorriso che lui, in modo più contenuto, ricambiò. 

«Questi sono i miei alleati?» chiese Aegon, indicando le poche pedine a forma di drago. «Il regno che tanto mi desidera come sovrano è schierato tutto dalla parte di Rhaenyra?»

«L’Altopiano è vostro, maestà» rispose Larys Strong, indicando con l’indice la regione nominata. «E anche Harrenhal e Lannisp-»

«Solo i leccapiedi degli Hightower mi sono fedeli?!» sbottò Aegon, colpendo con la mano destra le pedine, che si sparpagliarono tutto intorno. Una di queste colpì la mano di Larys, che tuttavia si limitò a ritrarla senza dire niente.

«Aegon!» Alicent si voltò verso il suo maestro dei sussurri, che le sorrise e annuì, a indicare che andava tutto bene. 

«Se questa» sibilò Aegon, indicando ciò che restava degli schieramenti davanti a sé, «è veritiera, temo che tu sia in grave errore, madre.» Aemond strinse i pugni sentendo quanto veleno suo fratello avesse messo in quell’ultima parola. Anche Alicent doveva averlo percepito: il suo sguardo si rattristò e lei prese a tormentarsi le unghie. «Dici che Rhaenyra non può regnare in pace se esisto io, ma a me sembra che sia stata solo la mia incoronazione ad aver spaccato il regno. Se avessimo rispettato la volontà di mio padre, adesso non ci troveremmo in questa situazione!»

«Lo abbiamo fatto» intervenne Otto. «Viserys ha scelto te come erede.»

Aegon rise, un suono pieno di scherno e di disprezzo, e scosse la testa. Quel gesto fece sì che la corona gli cadesse in avanti, scomposta e chiaramente inadatta al suo capo. 

Se fosse sul mio, pensò Aemond – e, insieme a quella fantasia, rivide il volto esangue di Luke, quasi morto a causa sua.

«L’unica cosa che sta frenando il regno dall’accettarti come suo re» continuò il Primo Cavaliere, «è la tua perseveranza nel volerti dimostrare un fallimento, un ragazzino viziato e incapace anche solo di sostenere una conversazione adulta.» Aggirò il tavolo, avvicinandosi a lui, che nel frattempo aveva stretto le labbra nel residuo di un sorriso che non riusciva a raggiungere lo sguardo. «Ma, per tua fortuna, tuo fratello ti ha consegnato la chiave che ti permetterà di governare sui Sette Regni senza che nessuno possa opporsi. Allora, hai parlato con Jacaerys?»

Quel nome sembrò ridestarlo. Strinse i pugni, mentre i suoi occhi si facevano lucidi.

«Jace non tradirà mai sua madre» mormorò.

«Sei certo di avergli parlato a dovere?» intervenne Alicent. «Per lui non sarà semplice accettare la cosa, ma comunque…»

«Sì, gli ho parlato!» sbottò, fissando lo sguardo su sua madre. «Gli ho ripetuto tutte le stronzate che mi hai detto e non ha creduto a nessuna di esse! È convinto che il regno sia fedele a sua madre e, indovina un po’?, ha ragione!»

La donna sospirò. Gli si avvicinò, allungando una mano verso la sua spalla. 

«Capisco che la situazione sia diffic-»

«Non toccarmi!»

Aegon la allontanò bruscamente, facendola sbilanciare all’indietro. La donna lo fissò con gli occhi sgranati, in un’espressione di puro dolore, mentre stringeva la mano che suo figlio aveva così crudelmente rifiutato.

«Aegon» sibilò Aemond, e accennò con lo sguardo ad Alicent per intimargli di chiederle scusa. 

Lui lo fissò con uno sguardo carico d’odio.

«Siamo in questa situazione anche per colpa tua e di quella tua stupida bocca larga» disse. 

Aemond inarcò un sopracciglio. Non capiva di cosa stesse parlando, ma non era quello il momento migliore per indagare. 

«Credo che la riunione possa concludersi.» Helaena si fece avanti, prendendo sottobraccio il marito, che rimase immobile al suo tocco.

«Vostra Altezza…» Otto iniziò a parlare, poi scosse la testa. «Sì, credo tu abbia ragione. Il re non è in condizioni di proseguire.»

«Esatto» concordò lei. Aegon subì quello scambio in silenzio e, sempre senza reagire, si lasciò accompagnare fuori da Helaena.

Aemond si voltò verso sua madre, che teneva lo sguardo basso, ancora ferita per il comportamento di suo figlio. Le accarezzò un braccio, cercando di darle un minimo di conforto, poi si ritirò a sua volta e seguì i suoi fratelli. 

Giunti davanti alle stanze di Aegon, però, Helaena lo invitò ad andare a riposarsi.

«Non parlerà con il cuore se ci sei anche tu» spiegò, quando lui non si mosse. L’idea di lasciarla da sola, con Aegon in quelle condizioni, non gli piaceva per niente, ma lei non gli diede il tempo di ribattere. Gli strinse le mani con un sorriso. «Sono contenta che tu sia tornato a casa, fratello.»

E, con quelle parole, entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle.

 

~

 

Impiegò qualche istante a rendersi conto di essere arrivato nella sua stanza, anche se non c’era altro luogo in cui Helaena avrebbe potuto accompagnarlo in quel momento. 

Sollevò lo sguardo sull’ambiente circostante: si sentiva spaesato, privo di controllo, nonostante quel luogo dovesse rappresentare un rifugio per lui. E, in effetti, lo era. La caraffa sul tavolino davanti al camino lo attrasse a sé ed Aegon accorse al suo richiamo senza pensarci due volte.  

Iniziò a riemprisi il calice, ma il movimento affrettato di poc’anzi gli aveva fatto calare la corona sulla fronte e adesso arrivava quasi a coprirgli gli occhi. Infastidito, la prese e la scagliò verso il letto, anche se a giudicare dal tintinnio che udì doveva aver mancato il bersaglio. Poco male. 

Svuotò l’intero bicchiere in un sol sorso, stringendo le palpebre mentre il familiare calore del vino si riversava in lui, alleggerendogli la mente. Durò solo un istante; poi i ricordi degli ultimi giorni, culminati con la sua discussione con Jace – piena di menzogne e rancore, e inutile, completamente inutile! –, lo spinsero a riempirsi un altro calice. 

Quando si versò il vino per la terza volta, la mano sul suo polso a tenerlo fermo gli fece scoprire che Helaena non se n’era andata. 

«Hai bevuto abbastanza» gli disse.

Lui si liberò con uno strattone, che fece rovesciare parte del liquido sanguigno a terra e sulla sua casacca.

«Merda!» sbottò, sbattendo il calice sul tavolo. 

«Siediti» disse Helaena, calma, come se non fosse accaduto niente. Il suo atteggiamento lo fece infuriare ancora di più.

«Vattene!» le intimò, tornando a dedicarsi all’unica attività in cui riusciva a eccellere.

«Per favore, smettila di bere» insistette lei, «e vieni qui con me.»

Aegon si voltò verso di lei, portandosi il calice alle labbra. Si era seduta sul letto e stava battendo la mano sinistra sul materasso per invitarlo a raggiungerla. 

Era uno scenario talmente assurdo che si ritrovò a ridere.

«Grazie dell’invito, mogliettina, ma non sono in vena di scoparmi un pezzo di legno.» Mandò giù un altro sorso di vino, ma, per quanto fosse piacevole, non era ancora abbastanza per mettere a tacere i suoi pensieri. 

Forse avrebbe dovuto accettare la proposta di Helaena. Il sesso con lei non era mai divertente, ma riusciva comunque a soddisfarlo. E, con un altro paio di bicchieri, avrebbe anche potuto trovarlo davvero piacevole.

«Non ti stavo proponendo di giacere con me.» La ragazza si alzò in piedi e, nonostante la sua espressione non fosse mutata, Aegon pensò di averla offesa. Idea che lo fece sogghignare, mentre finiva di svuotare anche il terzo calice. 

Quando prese di nuovo in mano la caraffa, ormai vuota per metà, si chiese quanto ancora avrebbe potuto bere prima che il suo corpo cedesse. 

Quanti altri bicchieri sarebbero serviti per fargli chiudere gli occhi e incontrare lo Sconosciuto? 

«Vorrei che mi parlassi» continuò Helaena. «Anche se avrei preferito lo facessi da sobrio.»

Aegon sbuffò l’eco di una risata. «Mi dispiace, ma non so dirti quando tornerò a esserlo. Nell’attesa, comunque, puoi levarti dalle palle.»

«No.»

Aegon inarcò un sopracciglio. 

«No?» ripetè. «Vuoi veramente restare qui mentre mi ubriaco? Non so se ti conviene.»

«Se ti lascio solo, farai qualcosa di stupido.»

Quelle parole gli fecero scaturire una risata amara, ma si ritrovò comunque a posare nuovamente la caraffa sul tavolo.

«O magari farò la prima cosa utile della mia vita» mormorò. Appoggiò le mani sul tavolo, lasciando andare un lungo sospiro che si trasformò in un singhiozzo. «È la mia sola esistenza ad aver causato questa situazione. Se io morissi, non farei un favore a tutti?»

Una lacrima scese sulla sua guancia. La morte non lo spaventava, l’aveva immaginata spesso negli ultimi anni. A lacerargli il cuore era la consapevolezza che davvero tutti quelli a cui teneva sarebbero stati meglio senza di lui. Forse qualcuno ne sarebbe stato rattristato, ma sarebbe stato un dolore passeggero, destinato, col tempo, a trasformarsi in sollievo. 

«A qualcuno, forse» rispose Helaena. «Ma molte persone ne soffrirebbero. La nostra vita non sarebbe più la stessa, senza di te.»   

Il pianto di Aegon si trasformò in una risata.

«Già, sarei davvero una perdita insostituibile» rispose, voltandosi verso di lei. «Dove lo troveresti un marito migliore di me?»

«Ne esistono di peggiori» rispose, con un’alzata di spalle. «E, comunque, resti sempre mio fratello.»

Aegon annuì, anche se con poca convinzione. Si passò una mano tra i capelli, poi sospirò e andò a sedersi sul bordo del letto.

«Io non sarei l’unica a notare la tua assenza» continuò lei, avvicinandosi. «Aemond, Alicent, i nostri figli. Jace.»

«Jace mi odia.» Pronunciare quel pensiero ad alta voce fece scaturire un nuovo singhiozzo. «S-Stavolta… Non mi perdonerà mai. Ho detto… delle cose orribili. E solo per le stronzate che mi ha raccontato lei!» 

Battè un pugno sul materasso. Si sentiva un tale idiota. Le cose con Jace stavano andando benissimo e lui era riuscito, ancora una volta, a rovinare tutto. Aveva lasciato che le parole di sua madre gli entrassero in testa, portandolo a muoversi come desiderava lei. E per cosa poi? Nessuno voleva davvero lui sul trono. Erano state le sue azioni a spingere il regno sull’orlo della guerra, non la sua esistenza

Non aveva alcun senso. Niente di ciò che era accaduto dalla morte di Viserys lo aveva.

«Aegon, tu accetteresti Rhaenyra come regina?» 

Sollevò lo sguardo sul viso sereno di Helaena, che si era nuovamente avvicinata a lui. 

Diede la sua risposta senza pensarci.

«Sì.» Sospirò, passandosi le mani sul viso. «Jace dice che sua madre non ha mai voluto uccidere nessuno di noi. Nostra madre, invece, è convinta che sarà costretta a farlo, indipendentemente dalla sua volontà. È chiaro che lei non ha una visione lucida della realtà» aggiunse, con un mezzo sorriso, al ricordo dei pochi territori che si erano schierati dalla sua parte, «ma se anche Jace fosse accecato dall’ammirazione per sua madre? Se questo fosse l’unico punto su cui lei ha ragione… Abdicando, condannerei la nostra famiglia.»

Si massaggiò le tempie, cercando di alleggerire il peso sulla sua mente. Ma, a parte il vino, nient’altro riusciva a tenerlo a bada – e se una parte di lui sapeva che doveva restare lucido, l’altra gli suggeriva di seguire il solito copione. Dopotutto, cosa pensasse lui non era rilevante.

Prima che potesse alzarsi, Helaena si sedette al suo fianco e gli prese una mano tra le sue. Era stranamente fisica quel giorno.

«C’è solo una persona che può toglierti ogni dubbio» gli disse. «Quante volte hai parlato con Rhaenyra?»

Aegon cercò di ricordare una conversazione importante avuta con lei, ma oltre ai classici convenevoli che si scambiavano quando andava a giocare nelle stanze di Jace, non gli venne in mente altro. In effetti, lui non conosceva sua sorella. Ciò che sapeva di lei derivava solo dai racconti delle persone intorno a loro – Alicent, principalmente.

“Potreste scoprire di andare d’accordo, nonostante le vostre differenze.”

Sgranò gli occhi. Gli eventi degli ultimi giorni gli avevano fatto dimenticare quella conversazione. 

Sollevò lo sguardo verso Helaena, che gli sorrise, incoraggiante.

«Tu non conosci lei» disse, «e lei non conosce te. È importante ascoltare i consigli degli altri, ma ancora di più è farsi una propria opinione.»

Aegon annuì distrattamente. 

«Come dovrei fare?» chiese. «A conoscerla, intendo.»

Helaena sbatté le palpebre.

«Incontrandola. Parlandole di persona.» Lo disse come se fosse una cosa ovvia – e, in effetti, lo era. 

Sospirò, alzandosi in piedi. Si sistemò la casacca, anche se forse sarebbe stato meglio indossare un abito neutrale oppure che avesse ricamato il classico drago rosso, così da rendere subito chiare le sue intenzioni non belligeranti.

«Non hai intenzione di andare adesso, vero?» gli domandò Helaena.

Aegon aggrottò le sopracciglia. L’idea era quella, ma dal suo tono immaginò che non avrebbe apprezzato una risposta positiva.

«Non sei nelle condizioni migliori, né per volare, né per sostenere una conversazione così importante.»

Aegon sbuffò. «Anche al mio meglio, non sarei tanto diverso da adesso.»

Helaena si alzò in piedi, senza rispondergli. Si avvicinò al tavolo e prese la caraffa di vino, dirigendosi poi verso la porta.

«La tua mente ha subito troppe scosse in questi giorni» disse. «Qualsiasi idea formatasi al suo interno può essere sradicata da un flebile soffio di vento. Il confronto con Rhaenyra segnerà le sorti della nostra famiglia e non puoi affrontarlo senza essere convinto della tua posizione. Prenditi il tempo che ti serve per riflettere.» 

Con quelle parole, uscì dalla stanza, lasciandolo solo e privo di fughe. Aegon rimase a guardare la porta per qualche istante, poi si accasciò sul letto e prese a fissare il soffitto.  

 

~

 

Percorse la lunga scalinata di pietra accompagnato solo dall’eco dei suoi passi. Nonostante l’assenza di Vermax, una parte di lui sperava di venire accolto da Jace, tornato finalmente sano e salvo; ma, in cuor suo, sapeva che niente era cambiato dalla sua partenza, a eccezione della rinnovata lealtà degli Stark verso Rhaenyra.

E della sua ferita alla testa.

Si toccò poco sopra la nuca, tastando la cicatrice che sperava fosse ben nascosta dai capelli. Non voleva che sua madre si preoccupasse, né che scoprisse dell’incidente nelle cripte. Gli avrebbe chiesto spiegazioni e Luke non se la sentiva di parlare di ciò che era successo. 

Ogni incontro con Aemond lo lasciava spaesato, incapace di comprendere appieno l’altro, e con nuove ferite nel corpo e nell’anima. Stare vicino a lui lo metteva a disagio, stretto tra un affetto che non si era ancora estinto e il senso di colpa per ciò che era accaduto a Driftmark, che veniva prontamente sostituito dalla consapevolezza di essere stato nel giusto ogni volta che Aemond si faceva beffe di lui e della sua famiglia. 

«Luke!»

Sussultò per quel suono improvviso e, quando sollevò lo sguardo, vide Rhaenyra sorridergli di fronte all’ingresso del castello. Luke si fermò un istante; poi corse tra le sue braccia. 

Rhaenyra gli accarezzò i capelli, stringendolo a sé con quell’amore che solo lei sapeva dargli. Forse era comune a tutte le madri, ma per lui, lei era migliore delle altre anche in quel ruolo. 

«Bentornato a casa» gli disse, senza sciogliere l’abbraccio. «Com’è andato il viaggio?»

«Bene» rispose. Poi, ricordandosi dei suoi doveri, si scostò da lei. Era un messaggero di ritorno dalla sua regina, non un bambino. «Lord Stark è fedele al giuramento fatto da suo padre. E, insieme a lui, l’intero Nord ti riconosce come legittima regina dei Sette Regni.»

Così dicendo, le porse la lettera che Cregan gli aveva consegnato prima della sua partenza, il cui contenuto confermava quelle parole.

Lei annuì, prendendo il messaggio, e gli accarezzò ancora una volta i capelli. Il suo sguardo si accigliò.

«Che cos’hai?» chiese, toccando proprio la sua ferita. Luke si allontanò con uno scatto.

«N-Niente. Notizie di Jace?» Sperò che cambiare argomento fosse una tattica vincente, ma sua madre inarcò un sopracciglio, facendogli capire che non se la sarebbe cavata così.

«Prima rispondi alla mia domanda» disse. La sua voce era più dura: non avrebbe accettato un rifiuto.

Luke sospirò.

«S-Sono caduto. Aveva nevicato quando sono arrivato, ma non vi ho prestato troppa attenzione e così sono scivolato e ho sbattuto la testa.» Pregò che sua madre gli credesse. «È solo un bernoccolo, niente di grave. In realtà, ci siamo fatti tutti una bella risata» aggiunse, forzando un sorriso sul suo volto. 

Rhaenyra lo scrutò in silenzio per qualche istante, poi annuì. Non era certo di averla convinta, ma era sufficiente che accettasse di non indagare oltre.

«Tuo fratello si trova ancora nella capitale» disse infatti. Luke sospirò: se lo era immaginato. «Ma non resterà ancora a lungo.» 

Rhaenyra gli fece segno di seguirla. Si spostarono su una delle terrazze che circondavano la roccia e, ferma di fronte al parapetto, lei gli indicò un punto in mezzo al mare. Luke strinse le palpebre, schermandosi gli occhi dal Sole nel tentativo di scorgere ciò che sua madre stava cercando di mostrargli.

Poi la vide. Una piccola canoa, capace di trasportare forse tre persone, stava prendendo il largo verso ovest. Riconobbe una figura sopra di essa, ma era troppo lontano per riuscire a identificarla.

«Ne ho parlato con la principessa Rhaenys» spiegò Rhaenyra. «Lei pensa che il piano di Ser Erryk possa funzionare.»

Luke sgranò gli occhi.

«È lui? Sta andando a salvare Jace? Da solo?» aggiunse poi. Sapeva che sua madre non avrebbe mai accettato di lasciarlo partire – lo aveva mandato dall’altra parte del Continente proprio per quello –, ma temeva che, in caso si fosse verificato uno scontro, un uomo da solo non sarebbe riuscito ad avere la meglio. Nella Capitale c’erano decine di guardie, a cui di sicuro era stato dato ordine di sorvegliare Jace giorno e notte. Se li avessero scoperti e attaccati…

«Sì» confermò Rhaenyra, distogliendolo dai suoi timori. Si avvicinò a lui e gli prese le mani tra le sue. «Conosce bene il castello e tutti i suoi passaggi segreti, e una missione di questo tipo richiede segretezza e velocità, difficili da ottenere se vengono coinvolte troppe persone.» Sorrise. «Vedrai che andrà tutto bene. Jace tornerà presto.»

Luke annuì. Le strinse la mano, lasciando andare un lungo sospiro.

«Daemon che ne pensa?» chiese, sollevando lo sguardo verso i suoi occhi.

La serenità di Rhaenyra vacillò. L’ultima volta che l’aveva visto, il patrigno era deciso a scendere in guerra e distruggere i Verdi, e dalla reazione di sua madre non doveva aver cambiato di molto il suo pensiero. 

«Non gliel’ho ancora detto. Mi fido di lui, naturalmente.» Lo disse come se dovesse convincersene lei stessa. «Ma Jace è mio figlio e spetta a me decidere come agire a tal proposito.»

«E quando Jace sarà di nuovo qui? Cosa accadrà?»

Rhaenyra sospirò. Si allontanò da lui, andando ad appoggiarsi al parapetto. Luke le si affiancò, ma non disse niente. Sua madre era una donna forte, ma quella situazione stava mettendo a dura prova anche lei. Avrebbe voluto conoscere le parole giuste per confortarla.

«Io spero ancora» disse Rhaenyra, «in una risoluzione pacifica di questo… assurdo conflitto.» Scosse la testa. Poi sospirò, raddrizzò le spalle e si voltò verso di lui. «Una guerra è assolutamente da evitare. La nostra famiglia e l’intero regno perirebbero tra le fiamme. Sarebbe un massacro, e sono certa che nemmeno i Verdi lo desiderino, perciò… Non combatterò, almeno non nel modo in cui vorrebbe Daemon.»

Luke annuì. Si ritrovò a pensare ad Aemond, a ciò che aveva preteso da lui nelle cripte e al fatto che fosse quasi morto a causa sua. Eppure, anziché approfittare del vantaggio ottenuto, suo zio lo aveva portato subito dal maestro affinché si salvasse. Inoltre, Sara gli aveva raccontato che non aveva voluto lasciarlo un solo istante e che sembrava davvero preoccupato per la sua sorte.

“Credevo che non foste in buoni rapporti” gli aveva confessato, “ma forse, in realtà, tiene ancora a te.”

Luke strinse le labbra. Non aveva saputo cosa pensare allora e continuava a non farlo, ma forse sua madre gli aveva appena fornito la soluzione al quesito che lo tormentava: Aemond non voleva che morisse per evitare che il fragile equilibrio tra le loro famiglie crollasse, dando il via alla guerra. 

Era preoccupato per i Verdi, non per lui. 

«Perdonami, Luke.» La voce di Rhaenyra lo riscosse dai suoi pensieri. «Non spetta a te preoccuparti di queste cose. E poi immagino sarai stanco. Andiamo, vai a riposare un po’.»

Gli sorrise, prendendolo per mano mentre rientravano nella fortezza. Giunti ai piedi della Sala del Tavolo Dipinto, Luke si fermò e sciolse la presa da sua madre. Rhaenyra si voltò a fissarlo.

«Non devi sopportare tutto da sola, madre» disse, sforzandosi di sostenere il suo sguardo. «So che non sono Jace, ma puoi contare su di me. Per qualunque cosa.»

La donna sgranò gli occhi in un’espressione sorpresa e Luke sentì il volto arrossarsi, temendo di aver detto qualcosa di stupido. Poi lei sorrise e gli si avvicinò, sollevando una mano verso il suo viso, ma all’ultimo sembrò ripensarci e la posò sulla sua spalla.

«Jace è cresciuto così in fretta che ormai mi sono abituata, ma dimentico sempre che nemmeno tu sei più un bambino.»

Luke annuì. Cercò di mostrarsi sicuro di sé, perché voleva che sua madre lo prendesse sul serio e capisse di potersi affidare a lui – anche se ciò, probabilmente, lo avrebbe allontanato dalle premure che gli aveva sempre riservato. Ma era giusto così. Non poteva passare il resto della vita a confidare nella sua presenza, o in quella di Jace o di Corlys: doveva essere in grado di stare al loro fianco, e non un passo indietro.  

«Grazie» disse poi Rhaenyra. «Quello che hai detto, conta molto per me. Ma riuscirai ad aiutarmi meglio dopo una bella dormita» aggiunse, allegra, e Luke si ritrovò a ridere, concordando con lei.




 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11



 

«E poi sono riuscito a schivare anche la sua palla con i chiodi – anche se con me non ne usa una vera, perché potrei farmi male. Non perché sono delicato, eh! Non ho per niente paura. Però, ecco, quella deve fare davvero taaanto male.»

Jace annuì, picchiettando con le dita sul tavolo. Da quando Jaehaerys aveva iniziato a elencare i suoi progressi nell’arte della spada, la sua mente aveva preso a vagare, mescolando i ricordi di quella mattina lontana con l’immagine di Re Aegon II che sputava sentenze su sua madre. Riuscire a mantenere la calma e fingere interesse per la conversazione in corso diventava ogni secondo più difficile, cosa che non faceva che incrementare il suo malumore: né Helaena, né tantomento il piccolo Jaehaerys erano responsabili per le azioni di Aegon e non meritavano di subire il malcontento causato da lui – ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a godersi la loro compagnia come prima.

«Cugino Jace?» Jaehaerys si era avvicinato a lui, posando una mano sopra la sua, che scoprì essere stretta a pugno. Rilassò le dita e forzò poi un sorriso verso il bambino.

«Dimmi.»

«Sei arrabbiato con me?»

Jace aggrottò le sopracciglia, sorpreso da quella domanda posta con voce tremante e occhi lucidi – anche se non avrebbe dovuto esserlo: la sua freddezza era innegabile. E ancora una volta sentì la rabbia riaffiorare in lui, ma ora più che mai doveva tenerla a freno.

«No. No, non sono arrabbiato con te.» Gli passò una mano tra i capelli biondi, sperando di riuscire a confortarlo. «Scusami, Jaehaerys. È solo che…» che tuo padre è uno stronzo. «Oggi ho un forte mal di testa che sembra non volermi proprio passare.»

Il bambino sgranò gli occhi, poi il suo sguardo si fece indagatore.

«Sei sicuro?» insistette. «Perché anche mio padre è arrabbiato con me da quando vi ho fatti combattere.»

Jace non riuscì a trattenere uno sbuffo divertito, che in un attimo paventò di trasformarsi in pianto – l’ennesimo, in quei giorni.

«Jaehaerys, tuo padre non è arrabbiato» disse Helaena. 

«Ma ieri non ha voluto vedermi! E nemmeno il giorno prima! E aveva promesso di portarmi alla Fossa del Drago!»

«Sarà stato impegnato» commentò Jace d’istinto. 

«No, invece! Se ne sta chiuso in camera, da solo. Non potrebbe trovare del tempo per me?»

L’ultima frase gli uscì con un lamento, ma non fu quello ad attirare l’attenzione di Jace. 

Aveva immaginato Aegon impegnato a organizzare la guerra contro sua madre, spargendo odio verso di lei e attirando quanti più nobili attorno a sé. Anche se non era dall’Aegon che conosceva lui; ma ormai aveva iniziato ad accettare che quella persona non esistesse. Tuttavia, anche per uno come lui restare a letto per due giorni interi sembrava eccessivo. E Aegon adorava suo figlio, di questo ne era certo, quindi perché tenerlo lontano?

«Sta male?» chiese a Helaena. Poi abbassò lo sguardo, serrando le labbra: odiava il senso di apprensione che gli stava attanagliando lo stomaco al pensiero che fosse successo qualcosa di grave ad Aegon. 

Ha usurpato il trono di mia madre, si ripeté. È mio nemico.

Forse era tempo di trovarsi un altro mantra, perché quello era totalmente inutile.

«Aegon ha bisogno di solitudine, in questo momento» rispose Helaena. «Si farà vivo quando sarà pronto.»

Jace aggrottò le sopracciglia, ma non ebbe tempo di indagare oltre. La ragazza si alzò in piedi, sistemando il suo lavoro di cucito sotto il braccio, e tese la mano libera a Jaehaerys.

«Andate già via?» chiese Jace, alzandosi a sua volta. Era stata una visita molto breve e si sentiva in colpa all’idea che pensassero di non essere una compagnia gradita. In parte era la verità, anche se non era colpa loro.

«Sì. Il maestro ha dato dei compiti a Jaehaerys e lui ha già rimandato i suoi doveri a sufficienza.»

Alla menzione dello studio, il bambino emise un sonoro sbuffo e si voltò verso Jace, fissandolo con i suoi occhioni viola.

«Posso restare ancora un pochino?» chiese, con voce supplicante. Gli ricordò Joffrey ogni volta che doveva riportarlo a casa dopo essere stato a trovare Tyraxes. L’immagine del fratellino, sovrapposta a quella di Jaehaerys, gli fece scaturire un sorriso spontaneo sul volto.

«No, Jaehaerys.» Helaena intervenne prima che lui potesse assecondare la richiesta del bambino. «Il mal di testa di Jace non passerà finché non si metterà a riposo come si deve.»

Jace sollevò lo sguardo verso di lei. Era seria, ma non sembrava arrabbiata, anche se non poteva esserne sicuro: non era semplice decifrare le sue emozioni.

Quelle parole, però, convinsero Jaehaerys ad arrendersi. Salutò Jace sventolando una mano, mentre si avviava verso la porta con le spalle ricurve, chiaramente scontento della piega che aveva preso quella giornata. 

Jace si sentiva mortificato: il suo comportamento era stato ingiustamente scostante nei suoi confronti. 

«Mi dispiace, zia Helaena» le disse, prima che lei uscisse dalla stanza. «Le vostre visite sono sempre ben accette, te lo garantisco.»

Lei sbatté le palpebre, come se fosse sorpresa di quelle scuse. 

«Lo so» disse, infatti. Poi, rilassando il volto in un piccolo sorriso, aggiunse: «Non ho dimenticato la situazione in cui ti trovi. È lecito che tu non gradisca la nostra compagnia, di tanto in tanto.»

Jace abbassò lo sguardo, stringendo i pugni. Avrebbe voluto ribattere, rassicurandola che lui gradiva sempre le loro visite; ma sarebbe stata una menzogna.

«Aegon ti darà presto la sua risposta.»

«Risposta?» domandò, colto alla sprovvista. Credeva che Aegon aspettasse una risposta da lui.

Helaena sorrise. Sembrava divertita.

«Tranquillo, lo aveva dimenticato anche lui» spiegò, sebbene per Jace la questione fosse nebulosa quanto prima. Tuttavia, scelse di non indagare oltre e si limitò a salutarla mentre lasciava la stanza.

Rimasto solo, si avvicinò alla finestra. Il Sole era ancora alto nel cielo, il cui azzurro era macchiato solo da poche nuvole bianche. 

Una giornata perfetta per il volo. 

Se le cose fossero andate diversamente, sarebbe potuto andare alla Fossa del Drago insieme ad Aegon e a Jaehaerys.

E, se le cose fossero andate nel modo giusto, ci sarebbe stato anche Luke con loro, e la capitale sarebbe stata sorvolata anche da Syrax e Moondancer. 

A Rhaenyra non importa di nessuno di noi. Almeno, non tanto da mettere a rischio la pace nel regno per lasciarci vivere.”

Sapeva che era un’idiozia, come anche l’accusa che fosse stata sua madre a uccidere Laenor. Lo feriva sapere che Aegon aveva creduto a una calunnia simile, arrivando persino a cercare di convincere lui della sua veridicità; e, sebbene il ragionamento circa la successione al trono avesse un senso, Jace era certo che sua madre non avrebbe mai ucciso i propri fratelli, men che meno dei bambini. Un esilio era un esito molto più probabile – scenario, tuttavia, che i Verdi non avrebbero mai dovuto affrontare se non si fossero opposti alla volontà di Viserys.

Sospirò, massaggiandosi le tempie con la punta delle dita. Il mal di testa non era poi così fittizio. 

 

~

 

Il vento gli scompigliava i capelli, colpendolo sul volto con le sue ciocche bionde, mentre saliva sempre più in alto, oltre le nuvole, oltre la Fortezza Rossa e tutto ciò che rappresentava. Lassù, nell’immensità del cielo, la sua mente riusciva a liberarsi, permettendogli di godersi appieno il volo.

Sunfyre ruggì sotto di lui, incominciando una lenta discesa. Aegon schiuse le palpebre e si rese conto di non aver mai volato così in alto. Si chiese se avrebbe potuto raggiungere il Sole – il suo drago sembrava nato da lui e, qualunque fosse l’intensità del suo calore, un Targaryen sarebbe dovuto essere in grado di sopportarla. Ma Sunfyre continuò a librarsi appena sopra lo strato di nuvole che ricopriva la capitale e lui non aveva voglia di discutere. 

Lasciò che fosse lui a guidarlo, limitandosi a godere della brezza intorno a lui. Quattro giorni chiuso nella sua stanza, con un’unica, breve sortita al bordello di Flores, gli avevano fatto dimenticare cosa significasse respirare aria pulita. 

Il ricordo di quei giorni lo fece sospirare, senza tuttavia riempirgli gli occhi di lacrime. Suppose di poterlo considerare un traguardo.

Insieme ai suoi quasi tre giorni di sobrietà, forse anche sua madre sarebbe stata orgogliosa di lui – anche se tale sentimento sarebbe svanito nell’istante in cui avesse conosciuto la sua decisione.

Si allungò oltre la sella per accarezzare le scaglie sul collo di Sunfyre.

«Scendiamo un altro po’» gli disse. Il drago emise un ringhio sottile, di apprezzamento, ed eseguì l’ordine.

Solo allora Aegon si rese conto di stare volando sopra una distesa d’acqua. Voltandosi, riuscì a scorgere il profilo delle torri della Fortezza Rossa in lontananza. Davanti a sé, invece, si apriva solo il mare che riempiva la Baia delle Acque Nere. Aegon volse lo sguardo a Nord, dove si trovava Roccia del Drago. Quanto tempo avrebbe impiegato a raggiungerla?

Scosse la testa: parlare con Rhaenyra in quel momento non sarebbe servito a niente. Soprattutto perché era quasi certo che lei non lo avrebbe nemmeno ascoltato senza aver prima riavuto Jace.

Strinse le dita attorno alle redini. Era deciso ad avere un confronto con lei, nella speranza di potersi finalmente togliere quel maledetto trono dalle spalle, ma sapeva anche che, prima di poterlo fare, avrebbe dovuto rinunciare all’unica persona che amava – che, probabilmente, adesso lo odiava.

“La libertà favorisce il perdono” gli aveva detto Helaena, in una delle occasioni in cui era entrata nella sua stanza per portargli i pasti. Era l’unica persona che lasciasse entrare, ma evitava comunque di parlare con lei; d’altro canto, la ragazza sembrava poco incline a conversare a sua volta, limitandosi a frase ambigue che raramente riusciva a comprendere – una volta gli aveva detto qualcosa su del formaggio. Davvero non riusciva a immaginare da dove tirasse fuori certe frasi.

Tuttavia, quella sulla libertà era risultata comprensibile anche a lui. In fondo, non era mai stata sua intenzione avere Jace come prigioniero, sebbene non avesse mai disdegnato la forzata vicinanza del ragazzo. Ma lui – anche se davvero gli voleva bene, anche se davvero lo considerava suo amico – di certo non era dello stesso parere.

Si passò una mano sul viso, sospirando. Doveva cercare di pensare a lungo termine, come gli aveva suggerito Flores: se lui e Rhaenyra si fossero riappacificati, avrebbe avuto occasione di restare insieme a Jace. Stavolta, nel modo giusto.

Sunfyre ringhiò, volando un po’ più in alto. Aegon gli accarezzò il collo, temendo che si sentisse trascurato da lui, e abbassò lo sguardo per vedere dove si trovassero. 

Rimase sorpreso da ciò che vide. Una schiera di navi, provenienti da Est, si stava dirigendo verso il Continente. Era troppo in alto per riuscire a scorgere gli stemmi sulle loro vele, né riusciva a capire se si trattassero di navi mercantili o militari. Sunfyre volò sopra di loro, abbastanza lontano perché non lo scorgessero, e Aegon tirò le redini per farlo tornare indietro. La luce del Sole batté sulle scaglie dorate sotto di lui, andando a coprire le navi con il suo bagliore, e lui sbatté le palpebre, confuso. Per un momento, gli era sembrato che la flotta sottostante andasse a fuoco. Era un’immagine che gli risultava familiare, ma non riusciva a ricordare dove l’avesse vista. 

Cercò di fare mente locale, arrendendosi però poco dopo. Aveva altre questioni di cui preoccuparsi e, probabilmente, quelle navi non avevano nemmeno niente a che vedere con lui.

«Torniamo a casa» disse, fissando il suo sguardo verso la Fortezza Rossa, mentre iniziava a riflettere su quale fosse il modo migliore per contattare sua sorella maggiore.

 

~

 

«Ha finalmente deciso di tornare tra noi?»

«Quasi» rispose Helaena. «Oggi l’ho visto diverso, in positivo. Ha mangiato e il suo colorito era roseo.» Sorrise. «Credo sia quasi giunto alla soluzione.»

«Mmm.»

Aemond tornò a osservare il cielo, aspettando di vedere altri segni di Sunfyre. Era lieto che suo fratello si fosse deciso a uscire dalla bolla dove si era rinchiuso negli ultimi giorni, in cui aveva lasciato uno spiraglio solo per Helaena. Non sapeva ancora come interpretare quel mutamento nel loro rapporto, anche se avrebbe dovuto apprezzarlo: forse Aegon stava iniziando a diventare un marito decente? 

«Ti andrebbe di accompagnare Jaehaerys alla Fossa del Drago, domani?» chiese Helaena, riscuotendolo dai suoi pensieri. «A causa del maltempo, non è riuscito ad andare in questi giorni e Shrykos inizia a mancargli molto.»

«Va bene» rispose. Poi si voltò verso di lei. «Sapevi che Aegon sarebbe andato?»

Lei scosse la testa. «Ma non avrebbe comunque potuto portarlo con sé. Non è ancora pronto.»

Aemond sbuffò, infastidito. Aveva sempre accettato la cripticità di sua sorella come una sorta di dono concessole dagli Dei, ma questa volta era diverso. Lei sapeva qualcosa che gli stava volutamente tacendo, un segreto che condividevano solo lei e Aegon – qualcosa che, ancora una volta, a lui era precluso.

«Aemond.» Helaena si guardò intorno, circospetta, poi tornò a puntare i suoi occhi viola su di lui. «Se dovessi schierarti» disse, «sceglieresti Aegon o i Verdi?»

Aemond aggrottò le sopracciglia. Gli stava chiedendo di scegliere tra Aegon e Alicent? Oppure tra un mezzo e il fine per cui era stato creato? Non che avesse molta importanza, però: stavano pur sempre parlando della loro famiglia.

“E per te è molto importante difendere la famiglia, vero?”

Strinse le labbra, ingoiando la sua risposta. 

«Non credo che possa esistere l’uno senza l’altro» disse infine, per non restare in silenzio, anche se sapeva che non era vero: Aegon sarebbe stato molto meglio senza i Verdi.

«Almeno uno dei due può» rispose infatti Helaena. 

«Mmm.» 

Attese, ma la ragazza non aggiunse altro e sembrava, a sua volta, in attesa. Dopotutto, era stata lei a porgli una domanda. Per quanto ci pensasse, però, Aemond non riusciva a trovare una risposta soddisfacente – l’unica che sentiva di poter dare continuava a essere contestata dal ricordo di Luke.

«Non volevo metterti in difficoltà» si scusò Helaena, di fronte al suo rinnovato silenzio. Gli accarezzò un braccio in gesto di conforto. «Pensaci pure con calma.»

Il fatto che volesse una sua risposta, prima o poi, lo spinse a chiedersi cosa nascodessero in realtà quelle parole. Non poteva essere una domanda casuale. Così come non era casuale l’improvviso isolamento di Aegon.

«Forse avrei bisogno di un contesto più nitido» disse, incrociando le braccia dietro la schiena. «Tu sai cosa sta architettando Aegon, vero?»

«Sì.»

«Sei l’unica a saperlo?»

Annuì di nuovo. Non aveva dubbi che nessun altro della loro famiglia ne fosse a conoscenza, ma aveva temuto il coinvolgimento attivo di Jace. Anche se era certo che fosse proprio lui la causa di qualunque cosa stesse accadendo ad Aegon.

«La nostra conversazione uscirà da questa stanza?» gli chiese poi, a bruciapelo, e Aemond iniziò a sospettare la natura delle trame dei suoi fratelli.

«Chi è che non deve conoscerla? Otto? Oppure nostra madre?»

«Per il momento, nessuno dei due. Ci sono già abbastanza lame in agguato nel buio.»

Il suo sguardo si perse, vagando in luoghi accessibili solo a lei. Aemond avrebbe voluto seguirla, affrontare insieme a lei qualunque visione la sua mente le stesse mostrando; ma il tutto durò solo un momento. Helaena tornò a guardarlo e gli sorrise.

«Ti ho rubato anche troppo tempo, è meglio che vada» annunciò. 

Aemond sbatté la palpebra.

«Non dovevamo concludere il discorso?» chiese.

Lei ci rifletté un momento.

«Mi prometti che non dirai niente a nessuno? Nemmeno a nostra madre.»

«Lo prometto» disse di getto. Non gli piaceva mentire a sua madre, ma si fidava di Helaena. Se gli stava chiedendo di tacere, doveva esserci un valido motivo. Inoltre, lui un segreto con Alicent lo aveva già.

Sua sorella gli rivolse un sorriso felice.

«Grazie, fratello.»

Poi si voltò e si diresse verso la porta. Aemond credeva che gli avrebbe finalmente rivelato il piano di Aegon o, almeno, fornito una spiegazione sul suo recente comportamento; ma sembrava che non avrebbe ottenuto niente di tutto ciò.

Aegon o i Verdi? 

Anche se, forse, sarebbe stato più corretto: Rhaenyra o Aegon

Giunta sulla soglia, Helaena lo salutò e Aemond ricambiò, senza tentare di proseguire con la conversazione. La guardò uscire, poi tornò a voltarsi verso la finestra, la mente un subbuglio di teorie e desideri che faticava a ordinare in un pensiero razionale. 

Quando scorse Sunfyre in volo verso la città, decise di non restare lì a ipotizzare il peggio. Avrebbe ottenuto le sue risposte – che Aegon fosse pronto oppure no. 

 

~

 

“Sono trascorse due settimane e l’unico risultato che abbiamo ottenuto è un re ancora meno convinto di prima di esserlo. Credo sia giunto il momento di prendere in considerazione metodi più… incisivi per trattare con il ragazzo.”

Alicent strinse le palpebre, avvertendo un brivido espanderglisi dalle spalle fino a raggiungere ogni centimetro del suo corpo. Odiava la paura che ancora si impossessava di lei, ogni volta che aveva a che fare con Larys Strong. E, ancora di più, odiava la consapevolezza che lui fosse l’unica persona su cui potesse davvero contare. Nonostante questo, però, aveva imparato a conoscere il suo carattere e sapeva che, se lo avesse ritenuto necessario, non avrebbe atteso il suo consenso per agire. 

Aveva ucciso suo padre e suo fratello a sangue freddo, cosa gli impediva di fare lo stesso a un nipote praticamente sconosciuto?

Accelerò il passo, decisa a mettere un punto a quella situazione una volta per tutte. Jacaerys aveva dato prova più volte di essere un ragazzo intelligente. Era certa che avrebbe capito, se qualcuno gli avesse spiegato con fermezza come stavano le cose.

Giunta dinnanzi alla stanza del ragazzo, Arryk Cargyll la accolse con un inchino, a cui lei rispose con un piccolo cenno del capo.

«Desidero parlare con il figlio di Rhaenyra» annunciò.

«Sì, Vostra Altezza.» 

L’uomo bussò due volte, poi aprì la porta – ma, anziché farsi da parte per permetterle di passare, rimase fermo sulla soglia, dandole le spalle. Chiese a Jace se poteva lasciarla entrare.

Chiese il permesso a un prigioniero per esaudire la richiesta della regina.

Ricordò che Criston aveva espresso dei dubbi circa la lealtà di Arryk, temendo che la vicinanza forzata con il principe avrebbe potuto portarlo a tradirli, e lei lo aveva ignorato, ritenendo che il suo giudizio, quando si trattava di Rhaenyra e dei suoi figli, fosse troppo parziale per poter essere davvero creduto. Evidentemente, in questo caso aveva avuto ragione.

Alicent fece un passo verso la schiena del cavaliere, decisa a ricordargli chi comandasse tra quelle mura, ma l’uomo si scostò prima che lei potesse aprire bocca, facendosi da parte con un inchino. Lei inarcò un sopracciglio e spostò lo sguardo all’interno della stanza. 

Jacaerys era in piedi davanti al letto, le braccia tese lungo i fianchi e il mento sollevato per esternare sicurezza. La stava aspettando. 

Alicent decise di rimandare il rimprovero ad Arryk ed entrò, chiudendo subito la porta dietro di sè. 

«Principe Jacaerys» lo salutò. 

La sua risposta giunse con qualche secondo di ritardo.

«Vostra Altezza.»

Due parole pronunciate con freddezza, probabilmente vuote di significato per lui. Aveva accettato di vederla, ma non ne era felice. 

Alicent sospirò. Cercò di liberare la mente, consapevole di quanto fosse importante mostrarsi serena e ben disposta per quella conversazione – forse, così, anche Jace si sarebbe rilassato.

Incrociò le mani davanti al grembo, sorridendogli.

«Non è necessaria tutta questa formalità» disse. «Dopotutto, siamo parenti.»

Jace inarcò un sopracciglio. Schiuse le labbra, ma le serrò subito dopo, distogliendo lo sguardo. Alicent cercò di non mostrarsi turbata: almeno aveva avuto il buon senso di trattenere qualsiasi insulto fosse pervenuto alla sua mente. 

«A cosa devo la vostra visita?» chiese infine lui, tornando a guardarla.

«Volevo sincerarmi che stessi bene» rispose Alicent. Il ragazzo sembrava intenzionato ad andare dritto al punto, perciò era inutile provare a tergiversare. «E poi speravo di poter scambiare due parole con te.»

«A che riguardo?»

Alicent trattenne un sospiro. 

«Ormai sei qui da molto tempo. Sono certa che la tua famiglia senta molto la tua mancanza.»

Vide le sue spalle rilassarsi e un lampo di nostalgia passare tra i suoi occhi.

«Il sentimento è reciproco» le confessò lui.

Sul volto di Alicent si aprì un sorriso sincero.

«Allora forse è tempo che tu torni a casa. Ti assicuro che nessuno qui ha interesse a trattenerti, Jacaerys. Speriamo, piuttosto, di poterti ancora ricevere in visita, magari anche assieme alla principessa Rhaenyra e a tutta la vostra famiglia.»

Il ragazzo strinse i pugni, poi lasciò andare un sorriso amaro.

«Non volete trattenermi qui» disse, «ma nemmeno mi lascerete andare, finché non avrò riconosciuto Aegon come re.»

Alicent annuì. «Ormai lo hai visto spesso in quelle vesti – ciò per cui è nato. Non dovrebbe esserti difficile far capire a tua madre come stanno le cose.»

«Se Aegon fosse nato per diventare re, Viserys lo avrebbe nominato suo erede anni fa.» Sospirò. «Perché continuate a raccontarvi questa menzogna? Aegon è il primo a non desiderare il trono, eppure vi ostinate a spingerlo in quella direzione, ignorando il male che gli fate.»

Alicent strinse le mani, fino a far sbiancare le nocche, e serrò la mascella prima di dire qualcosa di cui si sarebbe potuta pentire. 

“Aspetterò il tuo ordine, mia regina. Ti invito solo a ricordare che, nonostante tutto, sia Rhaenyra sia lo stesso Jace sono convinti che non gli torceremmo un capello. Di conseguenza, nessuno dei due cederà.”

Non sarebbe arrivata a tanto. Aveva già il sangue di due Strong sulle sue mani e non ve ne avrebbe aggiunto altro – soprattutto, se quel sangue era anche di Rhaenyra.

«Aegon si è convinto che suo padre non lo amasse e, per questo, si ritiene indegno di occupare il suo posto» disse, parlando lentamente per impedire alla rabbia di manifestarsi. «Forse ha ancora bisogno di un po’ di tempo, ma imparerà ad accettare che quello è sempre stato il suo destino, ciò che il nostro amato Viserys aveva sempre desiderato.»

Jace sbuffò, un piccolo sorriso di scherno a incurvargli le labbra. Proprio come durante il loro incontro nella Sala del Trono, si ostinava a non volerle credere. E, in fondo, non riusciva a biasimarlo.

Ma la volontà di Viserys, ormai, non aveva più importanza. L’unica cosa che contava erano le vite dei suoi figli, sospese in bilico su un precipizio, da cui solo la resa di Rhaenyra avrebbe potuto salvarle. 

«So che tieni a lui» disse, tentando un approccio che colpisse il suo cuore, anziché la ragione, «e anche a Helaena. Sei stato molto gentile a invitarla a ballare quella sera. Aegon non la tratta altrettanto bene.» Lasciò andare un sospiro. Se le loro vite fossero andate diversamente, sarebbe stata felice di vedere la sua bambina sposata con un ragazzo che le desse le attenzioni e il rispetto che meritava. Scosse la testa: non era il momento per i rimpianti. «Ma, se non altro, il suo status le garantisce sicurezza e protezione. Non pensi a cosa le accadrebbe – a cosa accadrebbe ad Aegon – se tua madre ne occupasse il posto?»

Jace si passò una mano sulla fronte, lasciando andare un sospiro. 

«La storia che mia madre vi vuole tutti morti» mormorò. «Me l’ha già raccontata Aegon, state tranquilla.» Poi sollevò lo sguardo, puntandolo direttamente nei suoi occhi. «Dal momento che siete stata voi a riempirgli la testa di queste calunnie, sarei davvero curioso di sapere una cosa: perché siete così convinta che mia madre sia un mostro?»

Alicent scosse la testa. «Io non penso affatto che Rhaenyra sia un mostro.»

«E allora cosa…?»

«Una figlia non viene prima di un figlio! Non importa cosa lei desideri o cosa suo padre le abbia promesso: finché Aegon vivrà, lei sarà sempre seconda. E sarà seconda ad Aemond e a Daeron, persino ai bambini!» Strinse le palpebre, cercando di riprendere il controllo della sua voce. «Forse Helaena si salverebbe, ma tutti gli altri rappresentano una minaccia che né lei né Daemon potrebbero ignorare.»

Era riuscita a usare le argomentazioni giuste, perché Jace ebbe un sussulto, che tentò prontamente di dissimulare – ma ormai era tardi. E, in quel momento, Alicent si rese conto di quanto fossero stati sciocchi tutti loro: perché ostinarsi a dipingere come un assassino chi non aveva mai dato prova di esserlo?

«Tu puoi giurarmi, su ciò che hai di più caro al mondo, che nessuno dei due alzerebbe un dito sui miei figli?»

Jace deglutì a vuoto e Alicent pensò di aver finalmente raggiunto l’obiettivo sperato. Avrebbe potuto difendere – anche con prove a sostegno – le buone intenzioni della madre; ma non poteva fare altrettanto per il patrigno.

«Daemon deve sottostare agli ordini di mia madre» rispose infine. «Senza il suo consenso, lui non farà niente.»

Questa volta fu Alicent a emettere uno sbuffo di scherno. Era forse stata troppo ottimista nel giudicarlo intelligente?

 «Comprendo il tuo desiderio di difendere Rhaenyra» disse, «ma non crederai davvero che possa contenere il Principe Ribelle, mi auguro.»

Jace aggrottò le sopracciglia, e l’incertezza sembrò svanire dal suo sguardo.

«Appena scoperte le vostre macchinazioni, Daemon voleva colpirvi con tutta la nostra potenza di fuoco. Tuttavia, non mi risulta che lo abbia fatto.»

Alicent trattenne a stento uno sbuffo. «Non è così stupido da rischiare di uccidere te.»

«Ha iniziato a pianificare la guerra appena scoperto della morte di Viserys, mentre mia madre stava perdendo la sua prima figlia. Lo ha fermato nonostante il dolore e la rabbia che lei stessa provava per il vostro tradimento. Quindi sì» concluse, raddrizzando le spalle, «sono certo che non verrà fatto niente senza il consenso della regina.»

Alicent abbassò lo sguardo. I dubbi su cui aveva sperato di poter fare leva le si erano ritorti contro. Cos’avrebbe potuto dire per convincerlo a cedere? Cos’altro poteva tentare?

“Credo sia giunto il momento di prendere in considerazione metodi più incisivi.”

Larys aveva detto che non lo avrebbe ucciso. Forse poteva concedergli un tentativo? 

Ma, a quel punto, sarebbero passati davvero dalla parte del torto. Inoltre, come avrebbe reagito Rhaenyra? Per un insulto, aveva ignorato il volto mutilato di Aemond e richiesto un suo immediato interrogatorio. Lei aveva cercato di cavare un occhio a un bambino per difendere suo figlio; dubitava che Rhaenyra avrebbe avuto una reazione più pacata al suo posto.

Tuttavia, farlo notare a Jacaerys avrebbe anche significato dover lasciare intendere un pericolo imminente per lui, e di certo una minaccia simile non avrebbe tardato a giungere alle orecchie di Aegon. Forse, a quel punto, si sarebbe deciso a uscire dalla sua stanza e tornare a ricoprire i suoi doveri – ma il pensiero che potesse trattarla nuovamente come durante l’ultimo Concilio le strinse il cuore in una morsa glaciale. 

Il pensiero di Aegon, però, la riportò al giorno della sua incoronazione, quando aveva indossato la corona senza potersi opporre. Aveva ripetuto più volte di non voler regnare, eppure, quando il popolo lo aveva acclamato, lui aveva esultato con loro, orgoglioso e felice del ruolo che ricopriva. L’arrivo di Rhaenys aveva distrutto il suo momento di gloria, ma rimaneva il fatto che Aegon, alla fine, aveva accettato di essere il re. Se negli ultimi giorni lo aveva dimenticato, era solo a causa dell’ombra della guerra che aleggiava sulle loro teste.

«Se non avete altro da dirmi» disse Jace, probabilmente considerandosi vincitore a causa del suo prolungato silenzio, «vi pregherei di andarvene.»

Alicent sollevò il mento, incrociando nuovamente le mani davanti al grembo, rilassata. Stavolta sapeva cosa doveva dire.

«Tra un momento» acconsentì. «Se Rhaenyra è davvero in grado di tenere a freno la violenza del marito, ne sono felice, ma questo non cambia il fatto che Aegon rappresenti una minaccia per lei. Soprattutto perché, diversamente da quanto vuoi credere tu, lui desidera sedere sul Trono di Spade.»

Jace inarcò un sopracciglio.

«Sono quasi certo che mi abbia detto il contrario.»

«Allora hai capito male. Lui è nato per essere re. Il suo nome e il suo aspetto sono un simbolo di regalità che non tutti possono vantare.» Il modo in cui assottigliò le palpebre, stringendo i pugni, le fece capire che la sua allusione era stata colta. «Non rinuncerà al suo diritto di nascita e, se davvero sei suo amico, non lo costringerai a farlo.»

Jace scosse la testa, poi la guardò con un’espressione che Alicent non riuscì a comprendere appieno. Sembrava un misto tra compassione e amarezza.

«Voi conoscete Aegon? Almeno un po’?»

Quelle parole – il tono accusatorio, che osava giudicarla dall’alto della sua supposta superiorità – misero a tacere ogni suo tentativo di diplomazia.

«Ragazzino viziato e impertinente! Credi di sapere meglio di me ciò che è più giusto per mio figlio? Credi di avere il diritto di giudicarmi? Aegon era già re quando tua madre si è messa una corona sul capo, sfidando ogni legge esistente perché convinta di poterlo fare. Lei ha sempre pensato di poter agire come voleva, senza alcun rispetto per il decoro o il dovere! Mi dispiace constatare che ha trasmesso questo vizio anche ai suoi figli, ma in fondo avrei dovuto aspettarmelo da dei bastardi.»

«Uscite immediatamente dalla mia stanza!» 

Le indicò la porta con furia e Alicent pensò che non l’avesse colpita solo perché era una donna. Avrebbe quasi voluto che lo facesse – che le desse un motivo per rispondere, giustificandola almeno agli occhi di Aegon.

Sentì il cigolio della porta che si apriva alle sue spalle. Ser Arryk entrò nella stanza e spostò lo sguardo incerto tra di loro.

«Chiedo scusa per l’intrusione» disse, «ma ho sentito delle urla e volevo sincerarmi che steste bene.»

Alicent inspirò a fondo. Si lisciò le pieghe della gonna, cercando di ritrovare il suo contegno.

«Va tutto bene, ser» rispose Jace. La rabbia trattenuta era lampante nel suo tono. «La regina Alicent se ne stava andando.» 

Lei gli scoccò un’occhiata in tralice. Aveva ceduto al suo lato peggiore, perdendo l’occasione di parlargli come avrebbe voluto. Era stata una stupida.

«Sì» disse. Non aveva senso trattenersi oltre. Si voltò per andarsene, ma decise che aveva ancora una cosa da dire al figlio di Rhaenyra. «Ho usato parole dure, e alcune anche crudeli, per le quali mi scuso. Spero però che tu rifletta su ciò che ti ho detto, Jacaerys. Questa situazione non potrà andare avanti in eterno, lo sai. E l’unico che ha il potere di porvi fine… sei proprio tu.»




 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12



 

Aegon si fermò un momento di fronte al corridoio che conduceva alla stanza di Jace. Gli sarebbe piaciuto vederlo, ma temeva che il ragazzo non sarebbe stato dello stesso parere, soprattutto se si fosse presentato da lui senza una prova concreta della sua decisione di incontrare Rhaenyra – e di lasciarlo andare.

Sospirò, e proseguì per la sua strada, guidato dall’impulso di sciogliere quel nodo allo stomaco attraverso un lungo sorso di vino, solo per ricordarsi che non ve n’era più nemmeno una goccia nella sua stanza. 

Si fermò davanti alla porta, passandosi le mani sul volto. Avrebbe potuto chiedere a una delle cameriere di portargli un calice pieno: in fondo, che male poteva fargli? Si era disintossicato ormai. La ricerca di conforto per l’imminente partenza di Jace nell’alcol era solo un gesto abitudinario.

Sbuffò, lasciandosi sfuggire un’imprecazione. Doveva resistere. Doveva riuscirci.

Entrò nella stanza e l’odore che lo avvolse gli fece capire che qualcuno si era occupato di rinfrescarla durante la sua assenza. Fu una bella scoperta – a differenza di quella che i suoi occhi incontrarono di fronte al camino.

«Che cazzo ci fai tu qui?»

Aemond si voltò lentamente, fissandolo con il suo unico occhio.

«Ciao anche a te, fratello» rispose, un piccolo sorriso di scherno a incurvargli le labbra.

Aegon si morse le guance per non urlare. Pregò che fosse solo un crudele scherzo della sua mente e decise di ignorarlo, aggirandosi per la stanza in cerca di carta e penna. Credeva di averne, anche se non aveva idea di dove potessero essere. In tutta onestà, non ricordava nemmeno l’ultima volta in cui aveva scritto qualcosa di suo pugno. 

«Sono lieto di vederti di nuovo tra noi.»

Aegon sbuffò, inginocchiato di fronte alla cassapanca ai piedi del letto, e proseguì la sua ricerca – il cui unico risultato fu portare a galla vecchi giocattoli e alcuni oggetti che avrebbero fatto venire un infarto a sua madre se avesse scoperto il loro utilizzo.

«Non avevo mai visto la stanza così ordinata» continuò suo fratello, imperterrito. Aegon prese in considerazione l’idea di mostrare uno di quei giocattoli erotici ad Aemond. Forse la minaccia di usarlo su di lui lo avrebbe convinto ad andarserne. «Non c’è nemmeno il tuo tipico tanfo, il che è sorprendente. Quasi quanto la totale assenza di vino.»

Aegon strinse le palpebre, elencando nella sua mente tutti gli insulti che avrebbe voluto riversargli addosso. Non gli sembrava una buona idea iniziare una rissa in quel momento, ma il desiderio di prenderlo a pugni stava salendo ogni secondo di più. 

E voleva anche bere. 

Richiuse la cassapanca, sfogando in quel gesto una parte della sua frustrazione, e si alzò con uno sbuffo simile al ringhio di un animale ferito. Decise di provare a cercare il materiale per scrivere in uno degli armadi, ma appena si voltò, si ritrovò a scontrarsi con il corpo di Aemond.

Sollevò lo sguardo verso di lui, che ancora si ostinava a indossare la sua maschera di perfetta compostezza.

«Il tuo silenzio sta diventando fastidioso» disse Aemond.

Aegon non ci vide più. Lo spinse indietro, incurante del rischio di fargli male – sperandolo, anzi –, ma suo fratello non si fece trovare impreparato. Nonostante un primo barcollamento, si afferrò alle sue braccia e fu Aegon a rischiare di perdere l’equilibrio. Mosse un passo indietro per cercare di stabilizzarsi, ma il suo polpaccio colpì la cassapanca e lui si ritrovò a cadere verso il letto. Strinse i denti quando la sua schiena impattò contro la pediera, togliendogli il fiato. Il legno si era conficcato a metà della sua colonna vertebrale e gli sembrava che il suo corpo si fosse fatto flaccido, nemmeno le braccia avevano abbastanza forza per tirarlo su. Si sorprese quando si ritrovò con il sedere sulla cassapanca e il resto del busto appoggiato scompostamente contro la pediera.

«Sei patetico.» 

L’insulto gli scivolò addosso, ma la voce di suo fratello gli fece aprire gli occhi. Aveva una mano stretta sulla sua giacca. Aegon sollevò un braccio per cercare di allontanarlo, ma fu inutile. Aemond non sembrava intenzionato a lasciarlo e, anzi, gli diede uno scossone che gli fece sfuggire un lamento di dolore.

«Hai finito di fare il bambino?» sbottò suo fratello, la voce carica di disgusto. Niente di diverso dal solito. «Se ti rimetto in piedi, pensi di essere in grado di sostenere una conversazione adulta?»

Aegon fu tentato di negare. Non aveva voglia di parlare con lui, né con qualunque altro membro della loro famiglia. Non prima di aver scritto a Rhaenyra. Non prima di aver rivisto Jace.

Il suo silenzio fece allontanare Aemond, che lo mollò con un gesto secco. Aegon ebbe la prontezza di fare leva sulle sue braccia, così da non sbattere la schiena ancora una volta. Lentamente, si mise seduto e allungò il braccio destro dietro di sé per tastare il punto in cui immaginava si stesse formando un ematoma. 

«Hai fatto una scenata davanti ai tuoi consiglieri,» Aemond si era spostato verso la finestra, ma non sembrava ancora intenzionato ad andarsene, «e poi sei sparito per giorni. Helaena dice che c’è una buona ragione per il tuo comportamento.»

Aegon sbuffò. «Se lo dice lei, sarà vero, no?»

Aemond si voltò verso di lui. La luce del Sole splendeva alle sue spalle, adombrandogli il viso. 

«Posso conoscerla anch’io?» chiese. Ad Aegon sembrò di avvertire una nota di tristezza in quella domanda, ma probabilmente l’aveva solo immaginata. «Ho già qualche sospetto, ma vorrei la tua conferma» aggiunse subito dopo, con più durezza.

Aegon si massaggiò le tempie. Non aveva alcuna intenzione di affrontare l’argomento con lui. Prima o poi avrebbe dovuto, questo lo sapeva; ma preferiva farlo dopo aver già parlato con Rhaenyra.

«Mi dispiace, per il momento devi accontentarti dei sospetti.» Si alzò in piedi e impiegò qualche secondo a raddrizzare la schiena. «Se proprio muori dalla curiosità, puoi sempre chiedere a Helaena.»

Si avviò verso il suo armadio, maledicendo il dolore alla schiena a ogni passo. 

«Hai intezione di sottometterti a Rhaenyra?»

Si arrestò, serrando le palpebre. Sperava che i suoi attuali sospetti lo vedessero coinvolto in qualcosa di losco e depravato – non era quella l’immagine che soleva restituire al suo occhio?

«Jace doveva inginocchiarsi a te, ma sembra che sia riuscito a ottenere il contrario.»

Aegon si voltò verso di lui, fulminandolo con lo sguardo.

«Non ti azzardare a parlare di lui» tuonò. 

Aemond lo ignorò. «Cosa ti ha offerto? Quali promesse ha fatto per convincerti a barattare il trono con la vita della tua famiglia?»

«Jace non c’entra niente. Non mi ha convinto a fare niente, men che meno a “sottomettermi”» – mimò le virgolette con le dita – «a sua madre.» Poi sospirò, passandosi una mano tra i capelli. «Non mi lascerai in pace finché non ti avrò detto tutto, vero?»

Aemond annuì.

«Bene. Appena ti sarai deciso a levarti dal cazzo, ho intenzione di scrivere a Rhaenyra per chiederle un incontro.»

Aemond aggrottò le sopracciglia, ma rimase in silenzio.

«Se accetterà, e se avrò la certezza che la nostra famiglia sarà al sicuro, le restituirò il trono.»

Finora aveva espresso chiaramente le sue intenzioni solo a Helaena. Questa era la prima volta che dichiarava di voler abdicare di fronte a qualcuno che avrebbe potuto opporsi con fermezza. Si chiese se non fosse stato avventato – considerando soprattutto che, per la riuscita del suo piano, Jace avrebbe dovuto lasciare la Fortezza Rossa. Adesso cos’avrebbe fatto Aemond? Sarebbe corso ad avvisare Alicent? Gli avrebbe impedito di contattare Rhaenyra? 

Avrebbe attaccato Jace, come aveva già fatto in passato?

Si avvicinò a lui. Aemond teneva lo sguardo basso, assorto nei suoi pensieri. Aegon era deciso a far prendere loro un’unica direzione.

Lo afferrò per il bavero della giacca, strattonandolo affinché lo guardasse. Lui lo fece.

«Quello che ti ho detto non uscirà da questa stanza, se non quando io lo deciderò. Noi due non abbiamo mai avuto questa conversazione. Sono stato chiaro?»

Aemond assottigliò la palpebra. Poteva sentire la sua mente vorticare mentre si interrogava sulla possibilità di obbedirgli o meno. 

Aegon strinse la presa. «Non ho intenzione di mettere nessuno di voi in pericolo» continuò, «né di perdere Jace. So che a te non importa più niente di loro, ma iniziare una guerra sarebbe un pericolo per tutti! E nostro padre non ha mai voluto me…»

Sospirò, e quel momento di debolezza permise ad Aemond di allontanarsi da lui, fermandosi però solo un passo indietro, in modo da evitare di essere afferrato ancora. 

«E se Rhaenyra rifiutasse?» Non era la domanda che si era aspettato, ma vi trovò un senso di conforto – nonostante le tetre implicazioni della sua risposta. Aveva messo in conto quella possibilità, insieme al rischio che Rhaenyra mentisse per convincerlo ad abdicare; ma sperava che non si verificasse.

«Non lo so» rispose, facendo spallucce per forzare una tranquillità che non possedeva. «Suppongo che il conflitto sarà inevitabile, in quel caso.»

Strinse i pugni. Una guerra non lo spaventava più di tanto: i suoi figli erano troppo piccoli per prendervi parte e Aemond, con la sua abilità di spadaccino e il drago di Visenya Targaryen, poteva ritenersi al sicuro. 

Ma Jace sarebbe stato in pericolo. 

E lo avrebbe odiato, per sempre.

«Potrebbe proseguire questa situazione di stallo.» Aegon sollevò lo sguardo, inarcando un sopracciglio. Aemond era stranamente collaborativo verso il suo piano. «I Neri non ci attaccheranno, finché avremo Jacaerys. Ammesso che continueremo ad averlo» aggiunse, inclinando la testa di lato.

Aegon sospirò. Andò a sedersi sul letto, prendendosi la testa tra le mani. 

«Rhaenyra accetterà di incontrarmi se Jace resta qui?» 

«No.» Una risposta secca, che annullò le speranze che ancora si ostinavano ad albergare nella sua mente. 

Si lasciò sfuggire una mezza risata: non avrebbe potuto avere la certezza che la vita delle persone che amava sarebbe stata salva finché non fosse rimasto solo un Targaryen con una corona in capo. E, anche in quel caso, sarebbe servito del tempo per provare che tutti loro sarebbero stati al sicuro. 

«Quando partirà?» chiese Aemond.

Lui sospirò. «Non ho ancora deciso» disse, anche se non era del tutto vero. Ma, in quel momento, non era quella la sua principale preoccupazione.

Si alzò in piedi, scrutando attentamente suo fratello. 

«Quindi tu sei d’accordo?» domandò. «Ti sta bene che io voglia restituire il trono a Rhaenyra?»

Aemond rimase in silenzio per qualche istante.

«Non ti ho mai considerato degno di indossare la corona» disse, infine. «E non sono certo che nemmeno nostra sorella lo sia.»

Aegon sbuffò. Però credi di esserlo tu, pensò. 

«So, per esperienza, che non le importa niente di noi» continuò, «ma non posso nemmeno giurare che ci ucciderebbe. Di certo l’opinione che i suoi figli hanno di lei cambierebbe, se si rivelasse una fratricida.»

«Arriva al punto» lo incalzò Aegon. 

Aemond sollevò lo sguardo verso di lui. 

«Fa’ ciò che devi. Io non ti tradirò. Voglio solo una promessa da parte tua.»

Il sospiro di sollievo che stava lasciando le sue labbra si interruppe a metà. Inarcò un sopracciglio, guardingo.

«Quale?»

«Se arriveremo comunque alla guerra, tu combatterai per questa famiglia.»

Aegon strinse i pugni. Era una realtà che aleggiava minacciosa sulle loro teste e non poteva continuare a ignorarne l’esistenza. Avrebbe fatto ciò che poteva per evitarla, ma se non fosse stato possibile…

«Lo prometto.»

 

~

 

Schiuse le palpebre, prese un profondo respiro e si alzò dal letto. Finalmente, riusciva a vedere con chiarezza ciò che avrebbe dovuto fare – la vergogna per aver atteso tanto a lungo, riempiendosi il cuore di speranze e sentimenti che avrebbe dovuto seppellire da tempo, doveva essere rimandata. Adesso era tempo di agire.

Tutto sommato, era grato ad Alicent Hightower per avergli fatto visita: lo aveva aiutato a recuperare il senno, che sembrava aver smarrito, e, sebbene avesse ancora qualche riserva su Aegon, continuare a temporeggiare era inutile. Con la sua famiglia che premeva affinché fosse re, lui non avrebbe mai rinunciato alla corona. Era troppo debole per farlo.

Strinse i pugni, affranto; poi scosse la testa, mettendo da parte quel persistente affetto che avvertiva nei confronti di Aegon. Aveva bisogno di restare lucido e di ragionare in fretta.

Sapeva cosa dovesse fare – ma il come rappresentava un ostacolo non indifferente.

Ricordava che molte delle stanze nella Fortezza Rossa erano dotate di passaggi segreti, ma lui ne aveva percorso solo uno da bambino e non gli sembrava saggio rischiare di perdersi all’interno delle pareti del castello. Senza contare che, non conoscendo la strada, avrebbe corso il rischio di giungere nelle stanze dei Verdi – e, con la sua fortuna, di certo non sarebbero state quelle di Helaena.

Evitare le guardie di Aegon non era, però, l’unico problema. Una volta fuori, avrebbe dovuto raggiungere la Fossa del Drago – il suo aspetto non Targaryen, unito a un cappuccio ben calato in capo, supponeva che gli avrebbe facilitato il compito di passare inosservato tra la folla – e lì avrebbe dovuto liberare Vermax, prima di poter finalmente volare a casa. 

Ammesso che il suo drago fosse ancora vivo, ovviamente. 

Voleva credere che lo fosse, che Aegon non gli avesse mentito, ma la sua parte più cinica gli diceva di prendere in considerazione anche l’ipotesi peggiore. Che, in quel particolare frangente, non si limitava a un lutto, ma anche alla sua impossibilità di lasciare la capitale. Dubitava che avrebbe trovato una nave pronta a salpare per Roccia del Drago e, non conoscendo le attuali alleanze dei Verdi, non poteva sapere con esattezza quale luogo, oltre a casa, sarebbe stato sicuro. L’unico sulla cui lealtà non dubitava era Cregan, ma lui si trovava dall’altra parte del regno. Anche fuggire a cavallo sarebbe stato inutile, soprattutto perché era un pessimo cavalcatore e non era così ingenuo da credere che la sua assenza sarebbe rimasta ignota tanto a lungo.

Si passò una mano dietro il collo, sospirando. Da qualunque punto di vista la guardasse, una sua eventuale fuga gli sembrava destinata a fallire. La principessa Rhaenys si era trovata in una situazione simile, ma probabilmente il caos generato dall’imminente incoronazione aveva fatto abbassare la guardia a tutti quanti, permettendole così una fuga più tranquilla. 

Sgranò gli occhi, mentre il suo sguardo saettava verso la porta. 

Rhaenys era stata aiutata. 

Dal gemello del cavaliere a cui era stata affidata la sua sorveglianza.

Jace aggrottò le sopracciglia. Aveva instaurato un buon rapporto con Arryk, il quale lo aveva anche difeso da Criston Cole, a rischio della sua posizione. Ma, fino a quel momento, non aveva mai dovuto disobbedire al suo re. Se Jace gli avesse chiesto aiuto per fuggire, Arryk lo avrebbe assecondato? O, almeno, coperto abbastanza a lungo da offrirgli un vantaggio sui Verdi? 

Prima che potesse concludere le sue supposizioni, la porta cigolò, aprendosi. Jace raddrizzò le spalle, mentre la sua mente vorticava in cerca delle parole da usare con Arryk per convincerlo a seguire le orme del fratello. Ma non fu il cavaliere a entrare nella stanza.

Jace strinse i pugni, trattenendosi dal cacciarlo all’istante mentre Aegon si chiudeva la porta alle spalle. Non portava più la corona e indossava una semplice giacca nera, senza alcun rimando alla sua famiglia. Era molto diverso dall’ultima volta in cui lo aveva visto. 

«Scusa il disturbo» disse, sollevando appena lo sguardo verso di lui. Sembrava nervoso e poco incline ad affrontarlo a viso aperto.

«Che succede?» chiese Jace, temendo che avesse con sé brutte notizie, forse portate dalla lettera che stringeva in mano.

Aegon strinse le palpebre, lasciando andare un lungo sospiro. Le sue labbra si mossero, ma Jace non riuscì a udire le parole che vi uscirono. Non ebbe però il tempo di chiedere: il ragazzo raddrizzò le spalle e si avvicinò a lui, tendendogli la lettera. Sul sigillo, intatto, svettava il drago a tre teste.

«È per Rhaenyra» spiegò Aegon, e allungò ulteriormente il braccio per invitarlo a prenderla. Guardingo, Jace lo fece. 

Se la rigirò tra le mani, ma, essendo chiusa, non poteva sapere cosa vi fosse all’interno. Tuttavia, lo incuriosì il fatto che sua madre ne fosse la destinataria.

«L’hai scritta tu?» domandò. 

«Sì. Ho… Ho pensato molto, in questi giorni. E avevi ragione.» Jace inarcò un sopracciglio, ma non lo interruppe. «Devo conoscere Rhaenyra per capire se i timori di mia madre siano o meno fondati. Con questa le chiedo semplicemente un incontro, che spero accetterà.»

Jace spostò lo sguardo da lui – decise di focalizzarsi sulle parole, più che sul tono, deciso ma pregno di tristezza – alla lettera. Era una mossa che non si era aspettato, anche se aveva osato sperarci, un tempo. 

“Aegon ti darà presto la sua risposta.”

Jace sgranò gli occhi. Aveva completamente dimenticato la loro cena – il primo momento in cui la fortezza di serenità in cui si erano rinchiusi aveva iniziato a sgretolarsi, lasciando però intravedere tra le crepe la luce di una promessa. Non avrebbe osato sperare che Aegon la mantenesse.

«Ci hai pensato davvero» disse, dando voce ai suoi pensieri prima di poterli arginare. 

Aegon gli rivolse un mezzo sorriso. «Lentamente, ma sì.»

Il volto di Jace si rilassò. Sentì che avrebbe anche potuto accennare un sorriso. Ma non doveva perdere la sua risoluzione ancora una volta. Non doveva cedere ai suoi sentimenti, non fino a quando non avesse avuto la certezza che l’eredità di sua madre e la vita della sua famiglia sarebbero state al sicuro. E, ripensando alle parole di Aegon, tale certezza non poteva ancora averla.

«Quindi vuoi… parlare con lei?» chiese, sperando che fosse disposto a dargli maggiori dettagli. «Restando ancora intenzionato a non rinunciare al trono, però.»

Aegon abbassò lo sguardo. Sembrava dispiaciuto.

«Se i miei figli e i miei fratelli morissero per causa mia, non me lo perdonerei mai» disse, tornando a guardarlo negli occhi. «Devo assicurarmi che siano al sicuro. Lo capisci, vero?»

Suo malgrado, Jace lo capiva. E non poteva nemmeno biasimarlo: lui aveva spronato sua madre a reagire in nome dello stesso desiderio. Odiava che gli fossero stati instillati nella mente tali dubbi riguardo a Rhaenyra, ma ormai era tardi per estirparli. Solo sua madre, e la fiducia che Aegon avrebbe dovuto riporre in lei, potevano metterli a tacere. 

«Vorrei poter proteggere anche te.»

Jace sbatté le palpebre. La voce di Aegon era giunta così timida, che si chiese se non l’avesse solo immaginata – ma il modo in cui lo stava guardando era così intenso e sincero che fece perdere un battito al suo cuore. 

C’era qualcosa di diverso in lui. Non solo nel vestiario o nell’assenza dell’odore di vino, ma nella sua stessa essenza. Sembrava più sicuro di sé, più deciso. E, anche se i suoi occhi continuavano a essere lucidi, emanavano una forza che Jace non ricordava di aver mai visto prima, nemmeno durante la loro infanzia. 

Avrebbe voluto sfiorarlo, anche solo per avere la conferma che fosse reale, ma non si fidava totalmente di se stesso in quel momento – e, inoltre, un cambiamento tanto repentino andava preso con le pinze. Non era trascorsa nemmeno un’ora da quando si era rimproverato per l’eccessiva fiducia che aveva dato ad Aegon; non poteva ripetere di nuovo lo stesso errore.

Abbassò lo sguardo sulla lettera, distogliendolo dal suo nella speranza che l’altro non avesse notato il tumulto di emozioni che gli aveva causato, e la strinse con entrambe le mani, annuendo.

«Voglio credere che non arriveremo a una guerra» disse, ma si fermò lì. Non aggiunse che era spaventato per i suoi fratelli, per Baela e per Rhaena, tutti troppo giovani e inesperti per affrontarne una. Non confessò che avrebbe voluto evitarla per risparmiare un inutile dolore a Helaena. 

Non ammise che avrebbe voluto proteggere anche chi aveva usurpato il trono di sua madre.

Sospirò, sollevando lo sguardo. 

«Ti ringrazio per aver fatto il primo passo. Vuoi che aggiunga un mio messaggio a questa?» domandò poi, indicando la lettera. In fondo, non sapeva ancora se Aegon gliel’avesse mostrata solo per informarlo o perché avesse bisogno di lui per inviarla.

Quella domanda sembrò sorprendere Aegon. Il ragazzo abbassò lo sguardo, grattandosi il mento.

«Pensi che basterebbe?» chiese, incerto. «Solo un tuo… un tuo messaggio?»

Jace aggrottò le sopracciglia.

«Non saprei» rispose. «Tu cos’avevi in mente?»

Lui sospirò.

«Pensavo che potresti consegnarlo di persona.»

Jace impiegò qualche secondo a capire il senso di quelle parole. Stava cercando un modo per liberarsi dalla sua condizione di prigioniero e adesso era il suo stesso carceriere ad aprirgli la gabbia. Gli sembrava una coincidenza troppo bella per essere vera.

«No, sicuramente devi.» Aegon sbuffò, passandosi le mani sul viso. «Rhaenyra non mi ascolterà finché tu sei qui, vero?» chiese. Poi si lasciò andare a una risata amara. Jace inarcò un sopracciglio: quell’atteggiamento lo stava confondendo. «Scusa» disse infine, con un sorriso triste sul volto. «Sei la terza persona a cui lo chiedo, nella speranza di ricevere una risposta diversa. Ma non ci sarà.»

«Aegon, non ti sto seguendo» confessò. «Vuoi che consegni questa lettera di persona oppure no?»

Lui sembrò rifletterci un momento, poi rispose:

«Puoi tornare a casa, Jace.»

Le sue spalle si rilassarono, mentre lasciava andare il respiro che gli era rimasto bloccato in gola sin da quando era arrivato nella capitale. Abbassò lo sguardo, cercando di trattenere le lacrime. Incredulità e gioia si mescolarono insieme, ed ebbe bisogno di conficcarsi le unghie nel palmo della mano libera per accertarsi di non stare sognando.

«Cerca di farmi avere una risposta quanto prima.» La voce di Aegon gli fece sollevare lo sguardo verso di lui. Non si era accorto che si fosse allontanato, dirigendosi verso la porta. 

Il suo corpo si mosse prima che potesse fermarlo. Jace gli strinse un polso, tirandolo piano verso di sé. Aegon guardò il punto in cui la loro pelle si toccava, poi sollevò gli occhi su di lui. 

Jace gli sorrise.

«Lo farò» promise. «Grazie, Aegon.»

Lui sgranò gli occhi, che in un attimo si riempirono di lacrime. Abbassò il volto e se li asciugò velocemente con la manica della giacca, mentre tentava di annuire. 

Jace aspettò che si calmasse – tempo che permise anche a lui di riordinare le sue emozioni. Non interruppe il loro contatto e, presto, avvertì la sua presa scivolare fino a raggiungere la mano di Aegon, che subito serrò le dita intorno a lui, quasi temesse che sarebbe svanito se lo avesse lasciato. E Jace realizzò solo in quel momento che Aegon non voleva lasciarlo andare – ma era necessario che lo facesse. 

«Io non ti ho mai chiamato bastardo.» 

Quelle parole lo sorpresero. Il suo primo istinto fu quello di allontanarsi, ma lo sguardo di Aegon, più della sua stretta, lo convinse a concendergli una possibilità.

«A volte magari faccio delle battute… che non tutti apprezzano.» Jace trattenne a stento uno sbuffo: un giorno avrebbe dovuto spiegargli la differenza tra una battuta scherzosa e un’offesa. «Ma non ho mai detto una parola contro di te o contro…» Non pronunciò il suo nome, ma capì di chi stesse parlando. «Un po’ ti invidiavo, questo lo confesso. Avevi due ottimi padri e io nemmeno uno.» Sospirò, passandosi una mano dietro la nuca. «Non che questo abbia importanza, ormai. Volevo solo, ecco, che sapessi…»

La porta si aprì, interrompendo la loro conversazione. Jace evitò di imprecare, a differenza di Aegon, ma non apprezzò comunque l’arrivo improvviso di Arryk nella stanza.

«Nessuno ti ha detto di entrare!» sbottò Aegon. «Sparisci subito da qui!»

Il cavaliere abbassò lo sguardo, mortificato. 

«Chiedo perdono, Maestà, ma…»

«Ma un cazzo!»

«Aegon.» Jace gli strinse la mano, cercando di calmarlo. 

«Era importante» ribatté lui, più piano, forse per evitare che Arryk lo sentisse. «Davvero. A me importa solo di te. Di come sei tu, non…»

Jace sventolò la mano per farlo tacere, mentre il suo volto iniziava a farsi caldo.

«Sì, sì, l’ho capito» disse. «Ma se Ser Arryk è entrato in questo modo, deve avere anche lui qualcosa di importante da dire. Riprendiamo dopo» aggiunse, rivolgendogli un sorriso incoraggiante.

Aegon sbuffò. Si passò la mano libera sul viso, poi tornò a voltarsi verso Arryk.

«Cosa succede?» chiese, e Jace suppose che quello fosse il tono meno infastidito che potesse usare in quel momento.

«Non volevo interrompevi così bruscamente» si giustificò subito lui, «ma Ser Cole è qui e dice che ha urgente bisogno di parlarvi, Maestà.»

«Perché? È morto qualcuno?»

Arryk aggrottò le sopracciglia. «Non… Spero proprio di no.»

«Io invece mi auguro di sì, a questo punto!»

Jace strinse le labbra. Quella giornata aveva preso una piega così inaspettamente positiva, che iniziò a temere che fosse accaduto qualcosa di grave. Molto grave. 

«Vai a sentire cos’ha da dire» disse Jace, spingendolo verso l’uscita. «Io ti aspetto qui.»

Lui sospirò, ma non oppose resistenza. Quando passò accanto ad Arryk, si fermò un momento per fissarlo dall’alto in basso, gesto che sembrò mettere il cavaliere a disagio. Jace stava per chiedergli di smetterla, quando Aegon si voltò indietro e, facendo un cenno verso l’uomo, mimò con le labbra: “Diglielo pure”.

Uscì dalla stanza e Arryk si accinse a seguirlo.

«Ser Arryk.» Jace lo fermò.

«Principe, mi scuso ancora per l’interruzione.»

Jace scosse la testa. «Non preoccuparti. Resta un momento, per favore. Vorrei parlarti.»

 

~

 

Criston Cole era in fondo al corridoio, così lo costrinse a stare lontano da Jace per più tempo di quanto avesse preventivato. E gli stava anche dando le spalle. Per essere una “questione urgente”, non sembrava troppo interessato alla celerità. Avvicinandosi, però, realizzò che non era da solo – e si irrigidì, scorgendo Aemond insieme a lui. 

Per un momento, temette che suo fratello lo avesse tradito, andando a informare tutti gli alleati della regina circa il suo piano. E perché non avrebbe dovuto farlo? In questo modo, lui sarebbe stato fuori dai giochi e la corona sarabbe passata al suo parente più prossimo grande abbastanza per indossarla.

«Maestà.» Cole gli rivolse un inchino. Aegon lo ignorò, fissando lo sguardo su suo fratello.

«Che succede?» chiese, direttamente a lui.

«Il primo cavaliere ha indetto una riunione del Concilio Ristretto.»

Aegon aggrottò le sopracciglia.

«Potrei conoscerne la ragione?» disse, a metà tra l’infastidito e il preoccupato.

«Non l’ha detta» rispose Criston. «Ma sono certo che si tratti di qualcosa di importante.»

Aegon non riuscì a trattenere uno sbuffo divertito. «Naturale.»

Sospirò. Non aveva alcuna intenzione di affrontare il suo concilio adesso. Era la sua ultima occasione per stare con Jace, l’ultimo momento per chiarire con lui – anche se più o meno lo aveva già fatto; ma non era sufficiente. Voleva di più.

«Vai.» La voce di Aemond lo riscosse dai suoi pensieri. «Avranno molto di cui lamentarsi nei prossimi giorni. E tu, per ora, sei ancora il re

Aegon spostò lo sguardo verso Criston, che teneva la testa bassa, la mano stretta attorno all’elsa della spada, poi di nuovo su Aemond. Raramente parlavano in Valyriano in pubblico, soprattutto perché Alicent lo proibiva, dicendo che era una maleducazione nei confronti di chi stava loro intorno; ma, in quel momento, il gesto di Aemond lo aiutò a guadagnare fiducia in lui. 

«Va bene» disse. «Torno un momento da Jace, intanto voi andate.»

Aemond inarcò un sopracciglio, facendolo sbuffare.

«Vuoi venire a farmi da balia?» sbottò. Poi aggiunse: «Voglio solo assicurarmi che non parta prima che lo abbia salutato

«Perdonate l’intromissione» disse Criston, facendosi avanti. «Se avete bisogno di qualcuno che controlli il prigioniero, posso occuparmene io.»

«Non è un- Ci pensa già Arryk a controllarlo. E poi tu non fai parte del Concilio?»

«La mia presenza non è indispensabile come la vostra.»

Aegon sbuffò. «Devo solo dirgli una cosa, faccio presto.»

«Maestà…»

«Ser Criston» lo chiamò Aemond, «va’ a informare la regina e il Primo Cavaliere che arriveremo a momenti.»

Aegon lo ringraziò con un cenno del capo, e decise di lasciare il suo stupore per quel comportamento a un altro momento. Corse indietro ed entrò nella stanza di Jace, che stava mostrando ad Arryk la lettera per Rhaenyra. Il suo arrivo li fece voltare entrambi verso di lui.

«Allora? Cosa succede?» chiese Jace, avvicinandosi a lui.

Aegon sbuffò, passandosi una mano tra i capelli.

«Quello stronzo di mio nonno ha indetto una riunione. Non so cosa voglia, ma devo partecipare.»

«Certo che devi.» Abbassò lo sguardo, rigirandosi la lettera tra le mani. Aegon sperò che fosse infastidito quanto lui all’idea di venire, nuovamente, allontanati. Ma forse era sperare troppo.

«Intanto, Arryk si è offerto di accompagnarmi alla Fossa del Drago» disse Jace. «Ma pensa che sia meglio rimandare la partenza a domani.»

«Io non ne so molto di draghi» intervenne subito Arryk, «ma, qualunque sia il mezzo, reputo poco saggio viaggiare di notte. Però rimetto a voi questa decisione.»

Aegon lasciò andare un sospiro di sollievo. Non aveva mai apprezzato Arryk Cargyll come in quel momento. 

Si avvicinò alla finestra e notò che il Sole stava iniziando a tramontare. C’era ancora abbastanza luce, ma, nel tempo che fossero giunti da Vermax, si sarebbe fatta notte. E lui avrebbe dovuto dirgli addio in quel preciso istante.

«Concordo con lui» disse Aegon, voltandosi verso Jace. 

Il ragazzo sospirò, passandosi una mano dietro il collo.

«Sì, in effetti, avete ragione.» Sembrava dispiaciuto, ma Aegon cercò di non dargli troppo peso. Dopotutto, era anche normale che non vedesse l’ora di tornare dalla sua famiglia.

«Va bene, allora: partirò domani mattina.»

«Possiamo muoverci anche prima dell’alba, così daremo ancora meno nell’occhio» suggerì Arryk. 

Aegon mosse la testa in segno d’assenso. Picchiettò con l’indice sul davanzale della finestra.

«Posso accompagnarti anch’io?» chiese, osando lanciare solo una piccola occhiata verso Jace. Non voleva che vedesse la sua espressione, se avesse ricevuto un rifiuto.

Sentì dei passi avvicinarsi a lui, ma rimase immobile.

«Mi farebbe piacere.» 

Quella risposta gli scaldò il cuore e gli diede la forza per guardarlo negli occhi. Jace stava sorridendo.

«Avrei…» aggiunse, abbassando lo sguardo. «Avrei anche piacere a… Insomma, prima non abbiamo avuto modo di chiarirci a dovere.» Sollevò i suoi occhi nocciola su di lui. «Vorresti tornare dopo la riunione?»

«Sì. Sì, certo!» rispose prima ancora che Jace terminasse la domanda, entusiasmo che gli fece guadagnare una piccola risata da parte sua. 

Era da tempo che non udiva quel suono. Sarebbe voluto restare lì ad ascoltarlo. Per sempre.

 

~

 

«Sono lieto di vederti, Maestà. So che sei stato poco in salute ultimamente, ma adesso mi sembri-»

«Sì, sì.» Aegon agitò la mano verso suo nonno, mentre andava a sedersi al suo posto. «Evita le chiacchiere inutili, vecchio. Allora, cosa vuoi?»

I lineamenti del volto di Otto si indurirono, ma si limitò a scambiare un’occhiata con Alicent prima di tornare a sedersi. Aemond si accomodò a capo tavola, dal lato opposto rispetto ad Aegon. Il ragazzo aveva accettato di partecipare alla riunione, ma era chiaro che non vedesse l’ora di tornare da Jace.

«Bene, andrò dritto al punto» disse il Primo Cavaliere. 

«Non aspettiamo Ser Criston?» chiese Alicent. 

«È di guardia dai bambini» spiegò Aemond. «Lo sostituisco io.» Aveva trovato la sua richiesta un po’ strana, ma Aegon era tornato proprio in quell’istante e aveva preferito seguire lui. C’era Arryk insieme a Jace e Criston non era a conoscenza del piano di Aegon. 

Non aveva ancora deciso se lo approvasse oppure no; né se volesse confidargli del suo incontro con Luke. Non era accaduto niente di irreparabile, ma se Rhaenyra lo avesse considerato una minaccia, avrebbe potuto compromettere quella flebile speranza di pace. 

«Il figlio di Rhaenyra non si inginocchierà mai a te, ormai questo è chiaro.» La voce di Otto lo riscosse dai suoi pensieri. «Dobbiamo pensare a un piano alternativo.» 

Aegon spostò lo sguardo su di lui. Era una richiesta di aiuto, ma anche un tacito monito.

Non si fida di me. Lo supponeva, ma averne la conferma gli provocò un fastidiosa fitta al cuore. 

«Forse non siamo stati abbastanza persuasivi con lui» disse Alicent. Si stava tormentando le mani e aveva un’espressione preoccupata in volto. «Potremmo provare a rinchiuderlo nelle segrete. Lì è possibile che-»

«Jace sta bene dove sta» la interruppe Aegon. «E trattarlo come prigioniero non ci aiuterà a ottenerne la simpatia.»

«Finora è stato trattato con più onori di quanti ne riservi alla tua stessa famiglia» gli fece notare Otto, la voce che tradiva la sua impazienza, «eppure non mi sembra che abbia portato a qualche risultato. A meno che non ci sia qualcosa di cui non siamo stati informati.»

Aemond spostò lo sguardo su Aegon, nello stesso istante in cui lui fece lo stesso. Otto non poteva saperlo – ma, per sicurezza, sarebbe stato meglio non fargli sorgere alcun sospetto. Aemond non sapeva quando Jace sarebbe partito, anche se probabilmente sarebbe avvenuto l’indomani: nemmeno Aegon era così stupido da volerlo trattenere lì in un momento tanto delicato solo per il suo egoismo. 

«Temo che sia colpa mia» disse dunque, mentre una piccola idea si andava formando nella sua mente. Tutti, Aegon incluso, lo fissarono sorpresi. «Dopo il mio ritorno da Grande Inverno, sono andato a fargli visita. E potrei non essere stato troppo gentile con lui.»

«Che intendi dire?» chiese Alicent.

Aegon inarcò un sopracciglio.

«Sei serio?» domandò, in Valyriano. Fu talmente veloce che gli altri presenti nemmeno lo notarono. Aemond rispose scuotendo la testa una volta, sperando che Aegon capisse, poi si voltò verso sua madre.

«Credevo che non fossero stati fatti molti progressi, quindi volevo provare a convincerlo io. Ma, mi rendo conto adesso, che forse ero in errore. E toccare l’argomento “bastardi” con lui non è mai una buona idea. Temo di averlo fatto adirare con tutti noi.»

Aegon sbuffò, mentre Alicent sospirò, massaggiandosi la fronte.

«Sì. È un errore che ho commesso anch’io.»

«Cos’hai detto?» esclamò Aegon, fissandola.

Lei sembrò titubante, poi sollevò il mento verso di lui.

«Sia io che tuo fratello abbiamo dovuto agire come tu non sembravi in grado di poter fare. Ma non è stato un errore» aggiunse, accarezzando il braccio di Aemond. «Credo che stia cominciando a capire. Lasciamogli un altro po’ di tempo in solitudine per riflettere.»

Aegon si lasciò cadere contro lo schienale dello scranno. Prese a far ruotare la sua sfera, il volto contratto in un’espressione pensierosa. Aemond aspettò che fosse lui a prendere la parola. Non avrebbe nemmeno saputo in che direzione provare a spingerlo: non si fidava di Rhaenyra, ma non voleva la morte dei suoi figli e, se fossero scesi in guerra, anche la loro famiglia sarebbe stata in pericolo. 

«Potremmo fare un tentativo.» Otto fu il primo a rompere il silenzio. «Anche se abbiamo già mostrato troppa pazienza nei suoi confronti. Ma, forse, come diceva giustamente la regina, qualche giorno nelle segrete gli farà capire che il suo tempo è ormai agli sgoccioli.»

Alicent annuì, poi scoccò un’occhiata verso Larys Strong, seduto di fronte a lei. Aemond non riusciva mai a capire cosa accadesse tra quei due – ma era sempre sua madre a cercarlo per prima, quindi probabilmente non aveva niente di cui preoccuparsi. Le parole di Otto, invece, sembravano celare una minaccia – nemmeno troppo velata.

«Sai chi altro ha terminato il suo tempo?» La voce di Aegon risuonò calma e gelida tra quelle quattro mura. L’attenzione di tutti si focalizzò su di lui. «Tu.»

Otto inarcò un sopracciglio.

«Maestà?»

Aegon si alzò, tendendo la mano destra verso di lui con il palmo aperto.

«Dammi quella spilla. È arrivato il momento di ritirarti, caro nonno. Lascia il posto a qualcuno più giovane di te.»

«Ma che stai dicendo?» esclamò Alicent. «Vuoi restare senza un Primo Cavaliere? In un momento così delicato?»

«Tranquilla, ho già un’alternativa» rispose lui, facendo spallucce.

Un piccolo sorriso di scherno si formò sul volto di Otto. L’uomo si alzò a sua volta, scoccando un’occhiata in tralice ad Aegon. Per essere appena stato licenziato dal suo re, non sembrava troppo preoccupato.

«E potrei sapere chi sarebbe, questa alternativa?» chiese.

Aegon spostò il suo sguardo su di lui. Aemond sgranò la palpebra. 

Possibile che…?

«Mio fratello» rispose, deciso. 

Aemond raddrizzò le spalle, avvertendo uno strano calore alla bocca dello stomaco. Sentiva gli sguardi dei presenti puntati su di lui, ma non distolse la sua attenzione da Aegon finché non sentì la mano di sua madre che stringeva la sua. Alicent stava sorridendo.

«Sono lieto che tu voglia offrire una posizione ad Aemond nel Concilio Ristretto, anzi avresti dovuto farlo da tempo. Non abbiamo ancora trovato un nuovo Maestro del Conio, perciò-»

Le sue parole furono bruscamente interrotte dalla mano di Aegon, che gli strappò la spilla di Primo Cavaliere dalla tunica.

«A quello penserò poi» sentenziò. «Adesso mi preme che tu sparisca dalla mia vista e che mio fratello prenda il tuo posto.» 

Fece scivolare la spilla lungo tutta la superficie del tavolo, fino a raggiungere la mano di Aemond. Lui la rimirò un momento, ancora incredulo per quanto accaduto. Poi se la appuntò sul lato sinistro della giacca.

«Pensi di essere in grado di ricoprire questo ruolo, ragazzo?» lo interrogò Otto.

«Farò del mio meglio per esserne degno.»

L’uomo annuì appena. Spostò lo sguardo intorno a sé, ma nessuno, nemmeno Alicent, si schierò in sua difesa. La rabbia per l’offesa subita era lampante sul suo volto.

«Adesso puoi andartene» gli disse Aegon con un sorriso divertito. Gli diede una pacca sulla spalla, che Otto rifiutò bruscamente.

«Spero che tu sappia cosa stai facendo» sibilò. Poi si voltò e uscì dalla stanza.

Aegon si stirò le braccia. «Finalmente!» esclamò. «Dai, ti sta anche bene» disse, guardando la spilla appuntata sulla sua giacca. «Bene. Direi che adesso possiamo andare.»

Si incamminò verso la porta e Aemond si alzò, pronto a seguirlo. Ma Alicent li fermò entrambi.

«Aegon, sono felice che tu stia finalmente riconoscendo il valore di tuo fratello» gli disse, «ma sei certo di ciò che hai fatto?» 

«Sì, madre, ne sono certo. E non fare quella faccia» aggiunse. «Anche tu sei contenta che lo abbia cacciato.»

Alicent si irrigidì. Era chiaro che stesse avendo luogo una battaglia nella sua mente, tra ciò che desiderava e ciò che avrebbe dovuto desiderare. Aemond la capiva – e decise di fermarla prima che andasse alla deriva.

«Andrà tutto bene, madre» le disse, posandole le mani sulle spalle. «Avere nostro nonno a Vecchia Città, in realtà, potrebbe rivelarsi utile per noi.»

«Perché?» chiese Aegon. Aemond gli scoccò un’occhiata in tralice; poi gli sovvenne un pensiero.

«Potremmo chiedergli di rimandare Daeron qui» disse. «Sono anni che non lo vediamo. Sarebbe una buona occasione per riunire la famiglia.»

Aegon ponderò la questione. «In effetti…»

«No.» Alicent scosse la testa. «Teniamo Daeron lontano da questa storia. Sarà più al sicuro se resta a Vecchia Città. Credo anche che debba ancora terminare i suoi studi.»

«Potrebbe fare una vacanza» propose Aegon.

«Una vacanza, sul serio?» sbottò Alicent. Si allontanò da Aemond, piazzandosi dritta davanti a lui, che la guardò con un sopracciglio inarcato. «Tu hai capito in che razza di situazione ci troviamo? Per colpa tua!»

Quell’accusa fece inclinare la testa di Aegon. Nel suo sguardo saettò una luce sinistra, che ad Aemond non piacque affatto.

«Per colpa mia?» ripeté.

«Hai fatto credere a Jacaerys che non vuoi la corona e che può vivere qui nella bambagia in eterno. Perché credi che un ragazzo intelligente come lui si ostini a rifiutare la realtà dei fatti?»

«Perché la realtà dei fatti è solo che tu sei una stronza manipolatrice del cazzo!» 

«Aegon.» Aemond lo afferrò per un braccio, ma lui si liberò, spingendolo via.

«Jace ha ragione a fidarsi ciecamente di Rhaenyra. Anch’io mi fiderei di mia madre, se ne avessi una vera!»

L’impatto di pelle su pelle risuonò nella stanza, riecheggiando tra le pareti fino a mescolarsi ai singhiozzi di Alicent. La donna si coprì la bocca con la mano che aveva appena schiaffeggiato suo figlio, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.

«Aegon…»

Lui si mise a ridere.

«Risparmia il fiato. Hai già detto abbastanza.»

Lei scosse la testa. Cercò di accarezzarlo, ma lui le diede le spalle e uscì dalla stanza.

Aemond serrò i pugni. Guardò verso Alicent, che stava cercando di arginare le lacrime, ormai già scese a rigarle il volto, e si precipitò al seguito di suo fratello.

Il ragazzo non era andato molto lontano. Lo trovò poco fuori dalla Sala del Concilio, appoggiato a una colonna con la mano sulla guancia colpita.

«Non ti ha fatto così male, idiota» lo rimproverò Aemond.

Lui gli scoccò un’occhiata in tralice. Notò che aveva gli occhi lucidi.

«Lo so. Ormai la mia faccia è diventata insensibile.»

Aemond strinse le labbra. Sapeva che loro madre era sempre stata più dura con lui – ma semplicemente perché Aegon si rifiutava di adempiere ai suoi doveri, preferendo ubriacarsi e portarsi a letto qualsiasi cosa respirasse. 

«Sei stato ingiusto. E crudele. Ti è mancato un padre, non una madre.»

«A te e Helaena è mancato solo un padre» sputò. Si passò le mani sugli occhi, lasciando andare un sospiro tremulo. «Fanculo» mormorò. «Non ho intenzione di stare qui a piangere per lei. Torno da Jace.»

Fece per muoversi, ma Aemond lo afferrò per un braccio, fermandolo.

«Lei sta piangendo per te» gli fece notare. Poi aggiunse: «Jace non sarebbe felice di sapere che hai fatto soffrire tua madre.»

Aegon gli rivolse un sorrisetto sornione.

«Considerato che tutta questa situazione del cazzo è colpa sua, dubito che Jace si lamenterebbe.» 

Cercò di liberarsi dalla sua presa, ma Aemond lo respinse contro la colonna. Aegon imprecò.

«Ma che cazzo hai contro la mia schiena, oggi?!»

Aemond lo ignorò.

«Vai a scusarti con nostra madre. Jace può aspettare.»

«No, non può!» sbottò. «Domani se ne andrà e, anche se tutto si risolvesse per il meglio, non so quando potrò rivederlo! Ho bisogno di andare da lui.»

Aemond sbatté la palpebra. Aveva sempre creduto che Aegon vedesse Jace come un giocattolo, qualcosa da usare quando voleva divertirsi per poi metterlo da parte. Non credeva che tenesse davvero a lui. 

Ma, in fondo, non era proprio per lui che aveva smesso di trascinarsi attraverso la vita, iniziando ad affrontarla in prima persona?

Allentò la presa, dandogli così modo di liberarsi. 

«Parlale, però» disse solo.

Aegon sbuffò. 

«Sì, come vuoi» rispose, aggiustandosi la giacca. Aemond strinse le labbra, ma decise che ci sarebbe stato tempo per convincerlo ad andare a scusarsi.

Sentì dei passi alle sue spalle, accompagnati da un tintinnio metallico. Immaginò che fosse Criston, ma quando si voltò, vide che si trattava di Arryk Cargyll.

«Cargyll?» esclamò Aegon.

L’uomo stava camminando a testa bassa e non sembrava essersi accorto di loro fino al richiamo esplicito del suo re.

«M-Maestà» lo salutò, con un inchino. «Principe Aemond.»

«Che ci fai qui?» chiese, avvicinandosi al cavaliere. «Dov’è Jace? Doveva partire domani! Che cazzo avete fatto?» La sua voce si era fatta più allarmata a ogni parola. 

«Sì, lui è… è nella sua stanza» rispose Arryk. Aemond lo osservò con un sopracciglio inarcato: sembrava nervoso.

«Va tutto bene, ser?» indagò.

«Sì. Credo di sì, princ- Primo Cavaliere?» chiese, osservando la spilla che campeggiava sul petto di Aemond.

Lui sventolò una mano: non era il momento di discutere del suo nuovo status.

«Che intendi con “credo”? Dove sei stato?»

«Già.» Aegon, dopo un primo momento di panico, sembrava essersi tranquillizzato e adesso fissava il cavaliere con la sua stessa curiosità. «Perché non sei insieme a Jace?»

L’uomo abbassò lo sguardo, mortificato.

«Chiedo perdono, Maestà. Ser Criston mi ha informato di una voce circa un potenziale attentato alla vita della regina.»

Aemond sgranò la palpebra.

«Helaena?» esclamò Aegon.

«Sì. Dal momento che io conosco bene i passaggi segreti, mi ha chiesto di andare a controllare che fossero sicuri. Nella sua stanza non ho trovato niente, ma per sicurezza, se voi siete d’accordo, domani proseguirei a controllare tutte quante le stanze reali.»

Aegon si passò una mano tra i capelli. Aemond lo osservò in silenzio, cercando di capire se condividesse i suoi stessi timori. Timori che lui stesso non era certo fossero fondati. Dopotutto, uccidere Helaena avrebbe condannto Jace allo stesso destino, e Rhaenyra non avrebbe mai fatto del male a suo figlio. O, almeno, era ciò che sperava. Ciò su cui si basava l’intero piano di Aegon.

«È rimasto Cole insieme a Jace?» chiese Aegon. Quella domanda gli fece storcere la bocca, perché non sarebbe dovuto essere il suo primo pensiero dopo aver saputo che qualcuno voleva uccidere sua moglie.  

«Purtroppo sì» rispose Arryk. «Ma ha giurato che sarebbe rimasto solo di guardia e io non sono stato via molto. Stavo appunto tornando là.»

Aegon sembrò soddisfatto della risposta. 

«Bene. Allora muoviamoci.» Si incamminò verso la stanza di Jace, senza nemmeno controllare che loro lo seguissero.

Aemond si voltò un momento verso la Sala del Concilio, da cui sua madre e Larys Strong non erano ancora usciti. Il desiderio di rimproverare Aegon lo aveva spinto a seguirlo, lasciandoli soli, ma forse sarebbe stato meglio che fosse andato lui a confortarla.

«Principe?» Aemond si voltò. Arryk era ancora lì. «Posso parlarvi un momento?»

«Mmm.» 

«Confesso che questa storia non mi convince più di tanto» disse, stringendo la mano attorno all’elsa della sua spada. «Ma mi ha fatto preoccupare molto una frase pronunciata dalla regina Helaena.»

Aemond sbatté la palpebra.

«Cosa ti ha detto?»

Arryk si sforzò di ricordare la parole precise.

«Il sangue compare da dietro la tenda nera.» Annuì. «Sì, mi sembra proprio che fosse questo. Però non ci sono tende nere nella sua stanza.»

Aemond aggrottò le sopracciglia. Gli ricordò vagamente il monito che aveva detto a lui, prima che partisse per Grande Inverno. Anche se ancora oggi non era certo del suo significato, riconobbe che del sangue era stato effettivamente versato. 

Il sangue di Luke.

Trattenne il fiato, e iniziò a correre verso la stanza di Jace, pregando di essere in errore. Il fatto che ci fosse Cole vicino a lui non lo tranquillizzava, ma lui non avrebbe mai agito contro gli interessi della loro famiglia, e di certo nessuno – nemmeno sua madre – poteva avergli dato l’ordine di fare del male a Jace.

«Ma che cazzo…?»

L’esclamazione di Aegon lo colse mentre svoltava l’angolo. Il ragazzo era fermo in mezzo al corridoio. Deserto.

Si voltò un momento verso di lui, poi riprese a camminare. Aemond lo seguì.

«Spero per Cole che non sia dentro, altrimenti dovremo sostituire anche il Com-»

Le parole di Aegon vennero inghiottite da un tonfo, seguito da un urlo.

Entrambi provenienti dalla stanza di Jace.

  



 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13



 

Estrasse il disegno di Jaehaerys da Duemila navi, dove lo aveva conservato fino a quel momento, e si fermò un attimo a rimirarlo. Non era più riuscito a guardarlo dopo la discussione avuta con Aegon: pensare a quanto quelle linee ingenue raccontassero una storia che non si sarebbe mai potuta avverare era troppo doloroso. Tuttavia, adesso che la speranza aveva ripreso a sbocciare nel suo cuore, Jace non riuscì a trattenere un sorriso mentre lo arrotolava e lo riponeva in una tasca interna del suo mantello, appeso allo schienale del letto insieme agli abiti con cui era giunto nella capitale. Il pensiero che l’indomani li avrebbe indossati nuovamente per tornare a casa lo rese ancora più felice. 

Si guardò poi intorno nella stanza, cercando di capire se c’era qualcos’altro che stava dimenticando. Aveva quasi pensato di portare il libro con sé, ma sarebbe stato un inutile ingombro. Convinto dunque di aver preparato tutto per la partenza, andò a sedersi al tavolo e attese. Non sapeva quando la riunione del Concilio si sarebbe conclusa, ma era certo che Aegon sarebbe tornato da lui. L’entusiasmo che aveva mostrato nell’accettare il suo invito era stato molto eloquente. Forse avrebbe anche potuto proporgli di cenare insieme? 

Si passò una mano dietro la nuca, sospirando. Stava rischiando di cadere di nuovo negli stessi errori. Non poteva bastare qualche scusa giunta dopo giorni di silenzio e la promessa di restituire il trono a sua madre – a determinate condizioni – per fargli riguadagnare la sua fiducia. Inoltre, Jace era quasi certo che, non fosse giunta prima da Arryk – con motivazioni valide, suo malgrado –, la richiesta di posticipare la partenza sarebbe stata fatta dallo stesso Aegon. Non era felice di lasciarlo partire e una parte di lui voleva credere che fosse dovuto al fatto che avrebbe sentito molto la sua mancanza; ma un’altra gli suggeriva di fare attenzione e di non dare per scontato che non potesse nascondere qualche motivo più oscuro. 

Finché non fosse tornato a casa, non avrebbe potuto sapere con certezza se sarebbe stato saggio fidarsi ancora di Aegon.

Sospirò. Tendenzialmente, la situazione aveva preso una piega positiva; ma non sarebbe stata la prima volta che le cose procedevano bene, prima di degenerare. A tal proposito, sapeva che Aemond era tornato da Grande Inverno, dove di certo il colloquio con Cregan si era risolto molto diversamente da quello con Lord Borros, ma non lo aveva ancora visto e non sapeva se Aegon gli avesse confidato del suo intento di incontrare Rhaenyra. Anzi, era pronto a scommettere che non lo avesse fatto: Aegon sapeva essere un vero stronzo, ma fino a quel momento era stato Aemond l’unico a scagliarsi attivamente contro la sua famiglia. Dubitava che avesse sviluppato un improvviso moto di affetto nei loro confronti.

Si passò una mano sugli occhi. Stava iniziando a rendersi conto che, anche se l’idea di Aegon sembrava valida, avrebbero dovuto affrontare non poche difficoltà per attuarla. Jace era certo che non solo la maggior parte dei Verdi si sarebbe opposta, ma anche qualcuno dei Neri avrebbe rifiutato tale proposta – Daemon, per esempio.

Jace si era trovato in mezzo tra il desiderio del patrigno di scendere subito in guerra e la riluttanza di sua madre ad agire contro una parte della sua famiglia. E, anche se inizialmente la bussola aveva penduto verso Daemon, adesso era più indirizzata verso Rhaenyra. Forse insieme sarebbero riusciti a contenere la rabbia del re consorte – ma se avessero fallito? O, peggio, se Daemon si fosse finto accondiscendente, lasciando credere ad Aegon che avrebbe risparmiato la sua famiglia, per poi attaccare quando meno se lo aspettavano?

Jace scattò in piedi, iniziando a percorrere la stanza avanti e indietro. Alicent lo aveva messo in guardia da ciò e, di tutte le cattiverie che aveva detto, quella era l’unica che non poteva smentire con assoluta certezza. La vita di Helaena non era a rischio, di questo ne era certo. E così quella di Jaehaerys e dei suoi fratelli.

Ma Aemond e, soprattutto, Aegon… 

Si fermò, scuotendo la testa. Non voleva nemmeno provare a concepire un mondo senza di lui. Aegon era stato il suo punto di riferimento per tanti anni, il suo migliore amico. Il suo primo amore.

Primo – e unico.

Strinse i pugni. Ormai non aveva più senso cercare di mentire, almeno a se stesso. Probabilmente non avrebbe mai potuto dirglielo – di certo non avrebbe dovuto –, ma nel suo cuore poteva permettersi di iniziare a lasciare libero quel sentimento che si era sempre sentito in dovere di nascondere.

Gli venne quasi da ridere: tutto sommato, qualcosa da Laenor lo aveva preso.

I suoi pensieri vennero fermati da un dolore lancinante dietro la testa. Lo colse così all’improvviso da fargli perdere l’equilibrio, lasciandolo steso a terra. Impiegò qualche secondo a sollevare la mano sinistra verso il punto dolente, scoprendo con orrore che era sporca di sangue.  

«Guarda, il principino si muove ancora» ghignò una voce acuta alle sue spalle. 

Jace avvertì il sangue gelargli nelle vene. E la sensazione peggiorò quando, voltandosi, vide un uomo gigantesco che brandiva una mazza proprio sopra di lui. 

«Bene» disse lui, con voce gutturale. «Così sarà più divertente.»

Jace ebbe la prontezza di rotolare di lato, riuscendo a schivare la sua arma per un soffio. Afferrò la sedia vicino a sé e la utilizzò per aiutarsi a rimettersi in piedi. Aveva il respiro affannato e la testa che pulsava, ma doveva restare lucido.

«Chi siete?» esclamò. «Cosa volete da me?»

«Oh, siamo solo due umili servitori che cercano di svolgere il loro dovere» rispose l’uomo magro. «Che, però, non era ucciderlo. Mi sembra.»

«Bah, non era l’ordine preciso, ma secondo me è uguale.»

Jace inarcò un sopracciglio, ma approfittò dell’incertezza di quei due per individuare un’arma nella stanza; ricerca vana. Tuttavia, era abbastanza vicino alla porta: gli bastò uno scatto per raggiungerla e afferrare la maniglia. 

Tirò. 

La porta non si aprì.

Aggrottò le sopracciglia e tentò di nuovo, ma senza risultato. 

«Ehi, ehi! Non puoi scappare!»

Il più mingherlino dei due gli mise una mano sul braccio, cercando di tirarlo indietro. Jace lo lasciò fare; poi, con tutta la forza che aveva in corpo, gli scagliò un pugno in piena faccia. Il rumore delle ossa che si rompevano echeggiò per la stanza. 

«Formaggio!» esclamò il gigante, guardando il compagno che si lamentava a terra, tenendosi le mani sul volto insanguinato. «Idiota incapace!» sbraitò, sbattendo un piede, gesto che fece tremare il pavimento sotto di Jace. «È un moscerino, come ha fatto a farti male?»

Chiunque avesse assoldato quei due individui non aveva valutato la loro intelligenza. Jace si avvicinò nuovamente alla porta, ma scoprì che non era cambiato niente da prima. 

Sembrava bloccata. Dall’esterno.

Quando Arryk era uscito, non aveva sentito il rumore di alcuna chiave. E poi perché avrebbe dovuto rinchiuderlo nella sua stanza? Cos’era accaduto?

«Ser Arryk!»

Fece appena in tempo a pronunciare il suo nome, prima di sentirsi afferrare per la collottola e venire scaraventato contro la pediera del letto. Avvertì la sua schiena scricchiolare e pregò di non essersi rotto niente. Stavolta, però, quando il gigante si avventò su di lui, non fu abbastanza veloce da schivarlo del tutto. La sua mazza gli colpì il braccio sinistro, facendogli digrignare i denti per il dolore.

«Non crederai mica di scappare, eh?» 

Jace si trascinò dall’altro lato del letto, dove riuscì a rimettersi in piedi. Era solo e senza armi, perciò le sue possibilità di difesa erano molto basse. Aegon quando sarebbe tornato? Sarebbe stato utile guadagnare tempo in attesa del suo arrivo? 

Ammesso che non fosse stato qualcuno dei Verdi a tendergli quella trappola. 

L’improvvisa assenza di Arryk e la porta sbarrata sembravano un buon indizio in tal senso.

«In trappola come un topo» commentò il gigante, avvicinandosi a lui. Jace si rese conto di essersi davvero messo in trappola, bloccato tra il letto e il muro. L’unico oggetto a sua portata era il comodino, ma non era certo che sarebbe stato utile, specie contro quell’uomo che sembrava duro come un pezzo di ferro.

«È la fine giusta per un bastardo

Il gigante sollevò la mazza e, in quell’istante, Jace gli lanciò il comodino addosso, che andò in pezzi impattando contro la sua arma. Tuttavia, quel piccolo diversivo gli permise di saltare sul letto e atterrare dall’altra parte, riacquisendo così libertà di movimento. 

Fu allora che notò la tenda sul retro della stanza. Di solito era completamente tirata, ma in quel momento era scostata, lasciando intravedere il muro sottostante. Doveva essere l’ingresso del passaggio che lui e Arryk avrebbero dovuto percorrere l’indomani. 

Jace spostò lo sguardo sul mantello, in cui aveva già riposto il messaggio di Aegon. 

Stava per correre a prenderlo, quando avvertì qualcosa penetrargli nel fianco destro. Stavolta non riuscì a sopprimere un urlo, mentre cadeva a terra. Cercò di tamponare la ferita con le mani, facendo forza sulle gambe per rimettersi in piedi, ma l’unico risultato che ottenne fu riuscire a strisciare verso il tavolo. 

«Brutto stronzo! Guarda cosa mi hai fatto!» 

Jace riuscì a sollevare lo sguardo, riconoscendo Formaggio in piedi davanti a sé. Il suo volto era ricoperto di sangue e così anche il pugnale che teneva in mano. Avrebbe voluto dirgli di non lamentarsi, dal momento che lui si era limitato a difendersi dal loro attacco, ma anche solo respirare gli risultava faticoso, in quel momento. 

«Fanculo» sputò Formaggio. «Sangue, ammazziamolo e basta.»

Jace cercò di allontanarsi, ma non aveva molto spazio per muoversi e sentiva le sue forze iniziare ad abbandonarlo. Era dunque finita? In un modo così improvviso e ingiusto? Com’era accaduto a Harwin e Laenor…

La porta si aprì con un colpo secco, attirando l’attenzione dei suoi assalitori.

«Jac-»

Non lo vide, ma sentì la voce di Aegon bloccarsi, probabilmente colto alla sprovvista come lui. Jace ebbe un sussulto: se fosse morto mentre era sotto la custodia dei Verdi, niente avrebbe potuto impedire lo scoppio di una guerra. 

«E voi chi siete?» chiese il gigante. «Sciò, qui abbiamo da fare.»

Jace avvertì lo stridio di una spada che veniva estratta dal fodero.

«Chi siete voi?» esclamò Arryk. Jace fu rincuorato dalla sua presenza. «Dov’è il principe Jacaerys?»

«Ah. Il bastardo è qui» annunciò Formaggio. Lo afferrò per un braccio, tirandolo in piedi. Jace strinse i denti. Avrebbe voluto liberarsi dalla sua stretta, ma non si fidava della stabilità delle sue gambe. «Ma, non ho capito, volete ucciderlo anche voi?»

«Non credo, quello lì ha il mantello bianco» disse Sangue, indicando Arryk. 

«Eh. Quindi?»

«Quindi difende la famiglia reale, imbecille!»

«Sì, ma questo è bastardo, no? Sta’ fermo, tu!» esclamò, strattonandolo. Jace gemette: era riuscito ad afferrare il tavolo con una mano, ma non a scrollarsi di dosso quell’uomo. Le sue dita erano abbastanza vicine alla brocca d’acqua e si chiese se avrebbe avuto la forza di usarla. A meno che i nuovi arrivati – tra cui aveva scorto anche Aemond – non avessero agito prima. 

«Lascialo andare.» La voce di Aegon riecheggiò nella stanza. Jace avvertì un brivido lungo la schiena. Era fredda e atona – come il suo sguardo. «Me ne occupo io» aggiunse, avvicinandosi a loro.

Jace inarcò un sopracciglio. Sembrava sicuro di ciò che stava facendo, anche se lui non riusciva a comprenderlo. Decise però di volergli credere, almeno un’ultima volta.

Formaggio ghignò. Lo spinse contro il tavolo, su cui Jace si accasciò, facendo cadere la brocca a terra. La ceramica andò in frantumi, riempiendo il pavimento di cocci e acqua. 

«Tu buono lì» sentenziò Sangue. Jace sollevò lo sguardo e notò che Aemond si era mosso nella sua direzione, prima di venire fermato dal gigante. «E tu non fare stronzate. Non sappiamo nemmeno chi sono questi.»

Formaggio inclinò la testa di lato, poi spostò lo sguardo scettico verso Aegon.

«In effetti…»

«Io sono il re» rispose Aegon, sempre con la stessa voce. «Il bastardo è mio.» Tese la mano destra verso l’uomo, in un tacito invito a fornirgli un’arma.

Jace sgranò gli occhi. Non poteva dire sul serio. Non era… Non era stato Aegon a ordire quell’attacco. Vero?

«M-Maestà?» Anche Arryk sembrò preso in contropiede, mentre Aemond si limitò a fissare il fratello. 

Formaggio tentennò un momento, poi gli offrì il suo pugnale.

Jace sospirò, chinando il capo. Se Aegon aveva deciso di tradirlo in quel modo, non c’era più niente che potesse fare per salvarsi. Poteva solo pregare che la sua famiglia non patisse troppo dolore a causa della sua debolezza.

Un grido straziante lo spinse a sollevare lo sguardo. Aegon aveva afferrato Formaggio alla gola e gli aveva piantato il pugnale nel basso ventre. L’uomo cercò di liberarsi, ma la presa del suo avversario era salda e la pozza di sangue sotto di loro andava ad allargarsi a ogni secondo. Jace si rese conto che la mano di Aegon stava risalendo lungo il corpo dell’altro.

Sangue urlò e cercò di aiutare il compagno, ma Arryk fermò il suo attacco, riuscendo a respingerlo indietro. Il tavolo accanto a sé svanì, facendo barcollare Jace tra le braccia di Aemond. Notò che portava la spilla del Primo Cavaliere.

«Allontaniamoci» gli disse, iniziando ad accompagnarlo verso la porta. Jace lo seguì, cercando di muoversi il più possibile in autonomia. Tuttavia, quando giunsero di fronte alla porta, si voltò.

Formaggio giaceva ai piedi di Aegon, il corpo sventrato fino alla gola. Il braccio destro del ragazzo era ricoperto di sangue e a Jace sembrò che tremasse – anche se la sua vista era talmente sfocata che non poteva esserne sicuro.

«Aegon.» Aemond lo chiamò, facendogli cenno di andare con loro. 

Lui li guardò e per un momento sembrò intenzionato a seguirli. Poi i suoi occhi si posarono su Jace, sulle ferite che gli costellavano il corpo, e si rabbuiò nuovamente.

«Portalo al sicuro» sentenziò. 

Si avvicinò ad Arryk e Sangue, ancora intenti a combattere. Il cavaliere sembrava in difficoltà e, anche se Aegon aveva avuto la meglio contro Formaggio, Jace dubitava che un pugnale sarebbe stato di grande aiuto contro quel gigante.

«Aegon!» Il suo richiamo venne oscurato dal rumore della mazza che si infrangeva contro la spalla di Arryk. L’uomo cadde a terra, tenendosi il braccio ferito, la spada abbandonata accanto a lui. 

Sangue si preparò a colpire ancora, ma Aegon riuscì ad affondargli il pugnale nel fianco scoperto, facendolo gemere e allontanandolo da Ser Arryk. Il gigante si voltò verso di lui, livido in volto. Non sembrava soffrire troppo per la ferita subita, né la sua forza parve indebolirsi: afferrò Aegon alla gola e lo scagliò dall’altro lato della stanza. Il ragazzo andò a sbattere contro la mensola del camino, atterrando prono sul pavimento. 

Sangue proruppe in una risata.

«Volevi usare lo stesso trucchetto anche con me?» sbraitò. «Io non sono gracilino come quel buono a nulla. O come il tuo amichetto» aggiunse, indicando Jace con il capo. Gli rivolse un sorrisetto compiaciuto, come se avesse già la vittoria in pugno, e Jace avanzò d’istinto verso di lui. 

«Oh, allora ti sei deciso a morire?» ghignò Sangue.

«Sempre che tu riesca a uccidermi» rispose. Fu felice di scoprire che la sua voce uscì più ferma di quanto si aspettasse. 

Le sue parole cancellarono il sorriso dal volto di Sangue. In parte, gli fece piacere; ma quando la sua mazza si eresse sopra di lui, Jace si rese conto che non sarebbe stato abbastanza veloce da schivarla.

Tuttavia, non ebbe nemmeno bisogno di provarci: Aemond bloccò la sua avanzata con la spada, mentre Aegon colpì il polso di Sangue con due cocci affilati. Lui urlò e cadde in ginocchio, reggendosi il braccio ferito, mentre la sua mazza rotolava a terra. 

Aegon la raccolse. La soppesò un momento tra le mani, poi la sollevò sopra il cranio del gigante. 

«Fermo.» Aemond lo afferrò per un braccio, cercando di allontanarlo da Sangue.

«Che stai facendo?» esclamò Aegon.

«Non puoi ucciderlo.»

«Certo che posso. Ha fatto del male a Jace!»

Jace si sentì avvolgere da un piacevole tepore e si sentì in colpa per aver dubitato di Aegon. Dopotutto, gli aveva confessato di volerlo proteggere solo poche ore prima.

«Non sappiamo chi lo ha mandato o perché» insistette Aemond. Aveva lasciato cadere la spada per tenere suo fratello con più forza. «Potrai ucciderlo dopo che avrà parlato.»

I tentativi di Aegon di liberarsi si arrestarono. Sembrò riflettere sulle sue parole, forse riconoscendone la sensatezza. Jace si avvicinò a loro, intenzionato a unirsi ad Aemond: aveva capito che ucciderlo non era stato il piano iniziale, ma questo non rendeva meno grave l’aggressione subita.

«Mi hai rotto la mano?» esclamò intanto Sangue. All’improvviso, era diventato un bambino piagnucolante. «Mi hai veramente rotto la mano, stronzo?»

Sia Aegon che Aemond strinsero le palpebre, e il primo rinsaldò la presa sulla mazza.

«Un colpo con questa dovrebbe metterlo a tacere» suggerì Jace, indicando con il piede il pomello della spada. L’avrebbe raccolta lui stesso, ma temeva che, se si fosse chinato, non sarebbe riuscito a rialzarsi.

All’improvviso si sentì afferrare il volto e si ritrovò faccia a faccia con Aegon, che lo osservava e tastava freneticamente.

«Sei ferito» disse, e tutta la freddezza di poc’anzi svanì in un sospiro tremulo. «Dobbiamo chiamare il Maestro.»

Jace posò una mano sulla sua spalla, un po’ per conforto, un po’ per sostegno. Avrebbe voluto dirgli che non era necessario, ma sarebbe stata una bugia.

«Sei ferito anche tu» rispose.

Lui scosse la testa. Lo strinse a sé e iniziarono a incamminarsi verso la porta. 

«Ma cosa…?»

Arryk fissava sorpreso un punto alle loro spalle. Jace udì il rumore di una spada che veniva sguainata, prima di voltarsi insieme ad Aegon e scoprire una figura identica al cavaliere intenta a fronteggiare Aemond.

Jace aggrottò le sopracciglia. Ser Erryk?

«Non sono venuto qui con l’intento di combattere» annunciò il cavaliere. «Consegnatemi il principe Jacaerys e non torcerò un capello a nessuno di voi.»

Aegon si posizionò di fronte a lui, cingendolo con un braccio. Jace spostò lo sguardo tra tutti i presenti, aggressori inclusi – e capì che non sarebbe stato saggio ritardare ancora la sua partenza. 

«Sei venuto qui per riportarlo da sua madre?» chiese Aemond. Lentamente, incominciò ad abbassare la spada. Erryk lo fissò guardingo, ma non sembrò intenzionato a fare altrettanto. Spostò invece lo sguardo tra i presenti, e un lampo di preoccupazione saettò nei suoi occhi alla vista del fratello che si reggeva la spalla rotta. In quel momento, Jace si rese conto di quante amicizie, famiglie, vite fossero state stravolte a seguito della morte di Viserys. Il futuro del regno era in bilico, ora più che mai, ma non era ancora troppo tardi. Doveva raggiungere sua madre e consegnarle il messaggio di Aegon; in modo che, qualunque cosa fosse accaduta a lui, lei avrebbe saputo di poter riportare la pace nel regno. 

Jace posò una mano sul braccio di Aegon, aggirandolo per mettersi davanti a lui. 

«Devo andare» annunciò.

Aegon sgranò gli occhi.

«Cosa? No, non puoi!»

«Certo che può» sentenziò Erryk, giunto accanto a lui. Teneva ancora la spada alzata, puntata verso Aegon. «Andiamo, Vostra Altezza.»

Jace annuì.

«È ferito!» esclamò Aegon. «Stai perdendo sangue, hai bisogno di-»

Jace gli circondò il volto con le mani, avvicinandosi a lui fino a far aderire le loro fronti. Aegon si aggrappò alle sue braccia, tremando.

«Lo so» mormorò Jace. «Andrò subito da maestro Gerardys… te lo prometto. Ma devo tornare a casa. Ser Erryk sarà con me. E avrò anche Vermax. Viaggerò sicuro.»

Aegon sospirò.

«Non… Non era così che lo avevo immaginato.»

Jace si ritrovò a sorridere.

«Nemmeno io» confessò. Si scostò da lui, abbastanza da poterlo guardare in volto. Gli passò i pollici sulle guance, asciugando le sue lacrime. Si rese conto di averlo macchiato di sangue e provò a toglierlo con la manica della giacca, ma Aegon lo fermò. Strinse le dita attorno alla sua mano destra, fissandolo con occhi tremanti.

«Ti rivedrò. Vero?» chiese.

Jace deglutì a vuoto. Quella timida richiesta gli riportò alla mente la prima volta che lo aveva lasciato – l’unica in cui avesse avuto la possibilità di salutarlo. Allora era stato certo della sua risposta, forte della sincerità della loro amicizia e dell’unità della loro casa. Adesso le loro mani erano sporche di sangue, il loro rapporto una costellazione di crepe riempite d’oro e la loro famiglia sull’orlo di una guerra. 

Eppure una speranza c’era ancora; un filo sottile che avrebbe potuto ricucire finalmente i legami che da tempo si erano spezzati. Jace aveva bisogno di aggrapparsi a quello, almeno per un altro po’.

«Certo» rispose, trovando la forza di sorridere. «Dobbiamo ancora volare insieme, no?»

Aegon sgranò gli occhi e un’ultima lacrima gli rigò il volto. Gli accarezzò il dorso delle mani, annuendo, e quando sollevò di nuovo lo sguardo su di lui, una nuova sicurezza illuminava le sue iridi viola – la tacita promessa che, questa volta, sarebbero riusciti a realizzare il loro sogno. 

 

~

 

Aegon li guardò sparire attraverso il passaggio segreto. Si sentiva stordito, ancora incredulo che ciò che aveva appena vissuto fosse reale. Ma forse non lo era. Forse si era addormentato nella Sala del Concilio e aveva avuto un incubo, da cui presto sarebbe uscito per scoprire Jace al suo fianco, pronto a rassicurarlo che andava tutto bene.

«Va’ a chiamare Manston e Cole, si occuperanno loro del prigioniero e del cadavere.»

La voce di Aemond gli giunse forte e chiara, infrangendo la sua illusione, ma non fu il significato delle sue parole a ridestarlo. Strinse i pugni, fino a conficcarsi le unghie nella pelle. Si guardò intorno freneticamente in cerca della mazza di Sangue e la trovò tra le mani di Aemond.

Si avvicinò a lui, intenzionato a riprendersela, ma il ragazzo la nascose dietro la schiena.

«No» sentenziò.

Aegon inarcò un sopracciglio. 

«Dammela» disse. 

«Non sei abbastanza luc-»

Aegon gli assestò un pugno in piena faccia, che suo fratello non riuscì a schivare. Barcollò, ma non perse la presa sull’arma. Quando sollevò il volto per fronteggiarlo di nuovo, Aegon si rese conto di avergli spaccato un labbro. Frenò il colpo che aveva già ricaricato.

«Come dicevo» continuò Aemond, passandosi la lingua sul taglio. «Non sei abbastanza lucido.»

Aegon serrò la mascella. Tremava, bruciando dal desiderio di vendicarsi su chiunque gli capitasse a tiro; ma una parte di lui gli suggeriva che non sarebbe stato giusto prendersela con Aemond o con Arryk. Lo avevano aiutato a salvare Jace – ed erano probabilmente gli unici di cui potesse fidarsi all’interno della fortezza.

«Qualunque cosa tu voglia fare, la farai senza armi» sentenziò infine Aemond. 

Quelle parole lo fecero rilassare. E, senza ulteriori indugi, si precipitò fuori dalla stanza. 

«Sì, sì, è qui! Pad- Padre?»

Aegon si arrestò all’istante. Avvertì un vuoto allo stomaco trovandosi faccia a faccia con Helaena e i gemelli. Jaehaerys spostò i suoi occhi spalancati lungo tutto il suo corpo, fermandosi infine sul braccio destro. Aegon lo nascose dietro la schiena, ma l’orrore sul volto del bambino non lasciò spazio alla speranza che non avesse visto il sangue che lo ricopriva.

«Aegon?» Helaena teneva la piccola Jaehaera stretta contro di lei. Aveva le sopracciglia aggrottate, ma non sembrava spaventata. «Che sta succedendo?»

Lui deglutì a vuoto. Spostò lo sguardo verso la porta della stanza di Jace, trovando Aemond sulla soglia. Il ragazzo non aveva ucciso nessuno e l’unica traccia di sangue sul suo corpo era una striscia rossa sul labbro inferiore. Aegon gli indicò la sua famiglia con un rapido cenno del capo. Lui annuì e si avvicinò a loro.

«A quest’ora dovreste essere a letto» disse, posando una mano sul braccio di Helaena e l’altra sulla spalla di Jaehaerys. Si posizionò in modo da nascondere loro la vista di Aegon. Lui intanto cercò di ripulirsi la mano come meglio poteva, strusciandola sulla sua giacca. Dicevano che il sangue divenisse nero nella notte, perciò sperò che sarebbe riuscito a mimetizzarlo con la stoffa scura.

«Scusa, zio. È colpa mia» mormorò Jaehaerys. Il suo tono mesto fu una pugnalata al cuore di Aegon. «Volevo augurare la buona notte a mio padre, ma siccome non era in camera sua, ho pensato che fosse qui. Ma non volevo disturbarlo.»

Aegon posò una mano sulla spalla di Aemond, scostandolo in modo da potersi inginocchiare davanti a Jaehaerys. Il bambino sollevò gli occhi verso di lui e, quando scorse le lacrime che li riempivano, Aegon lo strinse a sé con il braccio pulito. Serrò le palpebre, ingoiando il suo stesso dolore. Aveva giurato a se stesso che non avrebbe mai fatto sentire suo figlio come una nullità o un peso per lui – e stava fallendo anche in quello. 

Jaehaerys ricambiò l’abbraccio, circondandolo con le sue piccole braccia, e Aegon lasciò andare un sospiro tra i suoi capelli. 

«So di essere stato molto assente ultimamente» mormorò, scostandosi da lui, «ma sappi che vederti è sempre motivo di gioia per me. Perciò non scusarti mai, chiaro?»

Lui annuì. Si passò il dorso della mano sugli occhi, asciugandosi le lacrime, poi sollevò le sue sei dita a sfiorargli una guancia.

«Perché hai questi segni rossi?» chiese. «Stai bene?»

Aegon ebbe un momento di esitazione, in quanto non credeva che il sangue di Formaggio fosse schizzato fin lì; poi ricordò a chi appartenesse e sentì la furia che lo aveva guidato negli ultimi minuti riemergere dentro di lui. 

«Sta bene, non preoccuparti» rispose Aemond. «Ma non posso garantire lo stesso per te, se non andrai subito a dormire. Domattina non hai lezione?»

Jaehaerys emise uno sbuffo plateale. «Non ho mica intenzione di stare sveglio tutta la notte!» borbottò. Spostò poi lo sguardo alle sue spalle, alzandosi sulle punte per vedere meglio. «Jace dorme già?»

Aegon si morse le labbra e si alzò in piedi. Si voltò verso la stanza e fu lieto di vedere che la porta era chiusa: suo figlio aveva già visto abbastanza sangue per quella notte.

«Certo» rispose Aemond. «Lui è un ragazzo diligente.»

Aegon abbassò lo sguardo. Aveva già raggiunto Vermax? Era riuscito ad attraversare la città incolume? Le sue ferite sembravano gravi, ma probabilmente non lo erano davvero, altrimenti Jace sarebbe…

Sentì una mano posarsi sulla sua spalla e, quando si voltò, vide il viso di Helaena accanto a sé. Trattenne a stento un singhiozzo. 

«Andrà tutto bene» disse lei, accarezzandogli la schiena. «Dormiamoci su.»

Lui strinse i pugni. Sentiva che i suoi fratelli avevano ragione – non era nelle condizioni di fare niente –, ma sapeva anche che non sarebbe riuscito a riposare, né il terrore che albergava nel suo cuore si sarebbe placato fino a quando non avesse rivisto Jace. Vivo.

Sentì una piccola mano afferrare la sua e il sorriso di Jaehaerys lo aiutò a rasserenarsi. 

«Allora andiamo tutti insieme?» chiese. 

Aegon sospirò. Gli strinse la mano e cercò di ricambiare il sorriso.

 

~

 

Carissima Rhaenyra,

Spero non ti arrabbierai per questa mia lettera, ma era necessario che ti contattassi. Quando ho ricevuto il messaggio di Daemon, ho temuto il peggio: credevo che fosse successo qualcosa di grave a te o ai ragazzi. Invece, sono lieto di sapere che state tutti bene – e siete quasi tutti al sicuro.

Purtroppo, le notizie qui giungono lentamente e non sono stato informato prima di quanto accaduto. Altrimenti, vi avrei contattati di mia iniziativa. Insultare la memoria del buon re Viserys, insediando un usurpatore sul Trono di Spade… Gli Hightower sono senza vergogna e pagheranno per il loro affronto.

Ma è meglio che non mi dilunghi. Non ti sto scrivendo per confermarti la mia lealtà, di cui sono certo che non dubiti. No, la mia preoccupazione, in questo momento, è per Jace. So che è prigioniero dei Verdi da molto tempo ormai e ho bisogno di sapere se hai avuto sue notizie o se hai già in mente un piano per riportarlo a casa. In caso contratio, noi abbiamo molti amici qui e non avremmo difficoltà a trovare qualcuno in grado di introdursi nella capitale per liberare Jace. Andrei io stesso, ma dubito che nostro figlio sarebbe felice di vedermi, considerato che… be’, sono morto. 

Una soluzione però la troveremo. Se avessi bisogno di me, di persona, e se ritenessi utile aggiungere un altro drago al tuo esercito, ti basta una parola e sarò al tuo fianco. Ho anche già pensato a cosa dire ai miei genitori e ai ragazzi per giustificare la mia scomparsa – tenendo te e Daemon fuori da questa storia, naturalmente.

Ti prego, fammi avere notizie al più presto. Daemon sa bene come potermi contattare, può farci da tramite per ogni comunicazione. 

Sempre tuo.

 

Nessuna firma – ma il contenuto era abbastanza eloquente da rendere chiaro a chiunque chi fosse il mittente. 

Rhaenyra ripiegò la lettera e la tenne stretta tra le mani, ricacciando indietro le lacrime che si erano formate attorno ai suoi occhi nel sentire l’affetto che ancora Laenor provava per la loro famiglia. Sospirò e si appoggiò allo schienale della sedia.

Quando Daemon le aveva detto di averlo contattato e di aver appena ricevuto la sua risposta, lei si era infuriata. Se qualcuno avesse intercettato la loro comunicazione, scoprendo che il suo primo marito era ancora vivo, la loro vita sarebbe stata distrutta. Rhaenyra non voleva nemmeno immaginare come avrebbe potuto reagire Rhaenys a una simile scoperta. Per non parlare dei suoi figli, che erano stati costretti ad affrontare un falso lutto, mentre quello reale veniva loro negato. 

Per questo motivo, nonostante la gratitudine che provava nei confronti di Laenor, non avrebbe mai accettato che tornasse. Il modo migliore in cui poteva aiutarli era continuare a restare morto. 

Sospirò e lesse nuovamente il contenuto della lettera. Avrebbe voluto evitarlo, ma era necessario che gli inviasse una risposta: il silenzio lo avrebbe solo spinto a tornare. 

I suoi occhi si fissarono sull’ultima parte della lettera. Si permise di immaginare la storia che avrebbe potuto raccontare per essere nuovamente accolto a casa, a quanto sarebbe stato bello riunire la loro famiglia. Ma fu solo per un attimo. 

Era uno scenario impossibile e sognarlo sarebbe stato inutilmente doloroso. 

«Vostra Maestà!»

Rhaenyra gettò la pergamena nelle fiamme e si alzò di scatto, posizionandosi di fronte al camino. Il cuore le galoppava nel petto e aveva i palmi delle mani sudate, strette dietro la sua schiena. La sua unica consolazione fu constatare che la persona che l’aveva interrotta era forse l’unica che, anche se avesse sospettato qualcosa, non l’avrebbe mai tradita.

«Elinda» disse, cercando di tenere sotto controllo la sua voce. «Non ti ho mandata a chiamare.»

La ragazza scosse la testa e si avvicinò a lei. Rhaenyra notò che stava sorridendo e inarcò un sopracciglio, non capendone il motivo.

«Vi chiedo scusa, Altezza» disse lei. «Io… Io spero di non essermi sbagliata. Né che lo abbia fatto il principe Joffrey.»

La sua confusione aumentò.

«Va tutto bene?» chiese.

«Penso di sì. Il principe… ha visto un drago, volare in questa direzione.»

Rhaenyra sgranò gli occhi. Il suo corpo si rilassò all’istante, anche se una parte di lei le suggeriva di restare all’erta. Poteva essere Caraxes o Moondancer, uscito per un volo notturno; poteva essere un’imboscata dei Verdi, che avevano scelto di sfoderare un attacco da vigliacchi; poteva…

«Era lontano e ovviamente di notte non si può distinguere bene il colore delle scaglie, ma… lui è convinto fosse Vermax. Confesso che l’ho pensato anch’io, anche se potrebbe essere solo-»

Rhaenyra non si preoccupò di ascoltare oltre. Corse fuori dalla stanza, scendendo le scale a due a due, diretta verso l’altura in cui abitavano i draghi. Se anche Jace non fosse stato lì, sarebbe comunque riuscita a individuarlo da lassù. 

Le sembrò di udire dei passi alle sue spalle. Si voltò un momento, scorgendo Elinda, Daemon e Ser Steffon che la seguivano, questi ultimi due con una torcia in mano. Suo marito allungò il passo e le si affiancò, tenendo la fiamma alta sopra di loro per illuminare il percorso. Rhaenyra gli sorrise, un tacito ringraziamento per la sua presenza; poi tornò a rivolgere la sua attenzione verso il cielo.

Madre. Ti prego.

 

~

 

Sentiva dei suoni attorno a sé, ma non avrebbe saputo dire con esattezza se fossero voci, musiche o rumori. Vedeva dei piccoli punti bianchi in mezzo all’oscurità, che danzavano assumendo varie forme di fronte ai suoi occhi. A un tratto sentì un grido animalesco e un peso che gli si posava sulla schiena. 

«…ipe, riuscite…»

Il suo corpo sobbalzò, ma lui non cadde a terra. Si rese conto di essere seduto su qualcosa che lo teneva saldo, nonostante l’ondeggiamento sotto di lui. Sbatté le palpebre, cercando di mettere a fuoco l’ambiente circostante. 

«Siamo arrivati, principe.» La voce alle sue spalle si fece nitida e ben presto Jace riuscì anche a riconoscere le scaglie di Vermax. Il suo ringhio si propagò, andando a unirsi ad altre voci simili, anche se più distanti. C’erano altri draghi vicino a loro. E là, illuminato dalle torce, Jace scorse il profilo delle torri di Roccia del Drago.

Casa.

Sbatté le palpebre, aspettandosi di risvegliarsi nel suo letto ad Approdo del Re – ma non accadde. 

Era a casa. Era finalmente tornato a casa.

Un sorriso si aprì sul suo volto e il desiderio di correre ad abbracciare la sua famiglia si fece largo nel suo cuore. Ma, nel momento in cui si mosse per scendere dalla sella, il tepore che lo aveva avvolto durante il volo si dissipò, riportando a galla il dolore di tutte le sue ferite in un unico, cocente attacco. Gli girava la testa e dovette trattenere un conato di vomito. 

«Permettete che vi prenda in braccio.»

Jace abbassò lo sguardo su Erryk Cargyll, che lo aveva preceduto a terra e adesso lo aspettava a braccia aperte. L’uomo si era offerto di portarlo in braccio anche fino alla Fossa del Drago, ma Jace si era rifiutato. Forse non era stata un’ottima idea.

«Ce la… faccio» disse. Lentamente, sollevò la gamba sinistra e scivolò lungo il fianco di Vermax.

Il drago voltò il muso nella sua direzione e ringhiò. Era arrabbiato e Jace non poteva biasimarlo: lo aveva abbandonato per giorni e, anche se lo aveva trovato felicemente accoccolato insieme a Sunfyre, sapeva che doveva aver apprezzato la prigionia ancor meno di lui. 

«Sei stato… bravo» mormorò, passandogli una mano sul fianco. Vermax sbuffò e non protestò. Forse aveva compreso anche lui lo stato delicato in cui verteva il suo cavaliere. «Poi ti porto… una bella… capretta…» promise. Avrebbe voluto specificare “domani”, ma non era certo che sarebbe stato nelle condizioni di alzarsi dal letto. 

Si tastò il fianco ferito e, come temeva, la fasciatura usata da Ser Erryk non era bastata a fermare il sanguinamento. Se voleva parlare con sua madre, e non morire nel mentre, doveva sbrigarsi a raggiungerla. Si allontanò da Vermax e, senza più un sostegno, le sue gambe cedettero, incapaci di reggere il suo peso. Erryk lo afferrò all’istante e si portò il suo braccio destro sopra le spalle. 

«Non è necessario che facciate l’eroe, principe» lo rimproverò. Jace annuì, ma l’idea di presentarsi al cospetto della regina come una damigella indifesa era troppo umiliante per essere presa in considerazione.

«Non voglio farlo» lo rassicurò. «Però intendo… andare con le mie gambe. Dammi… solo il tuo sostegno. Va bene?»

Erryk storse la bocca, chiaramente contrario al suo piano. Quel gesto gli ricordò Ser Arryk.

«Bene. Perdere tempo a discutere sarebbe controproducente» concesse infine.

Ebbero appena il tempo di muovere qualche passo, prima di udire il rumore di persone in avvicinamento, accompagnate da alcune fiamme. Jace ed Erryk si fermarono, attendendo i nuovi arrivati. Una figura comparve di fronte a loro prima di tutte le altre e, nonostante la luce fosse ancora distante, Jace non ebbe alcun dubbio sulla sua identità.

Si scostò da Erryk e mosse un passo verso di lei.

«Madre…»

Gli sembrò di scorgere il suo sorriso e la sua voce familiare che chiamava il suo nome, prima che l’oscurità calasse su di lui.




 

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