Toujour Pur

di dirkfelpy89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Undici Anni e Mille Dubbi ***
Capitolo 2: *** Tic Tac, Tic Tac ***
Capitolo 3: *** Spranga e Bulldog ***
Capitolo 4: *** Lo Scandalo Fiammifero ***
Capitolo 5: *** Addio... o Arrivederci? ***
Capitolo 6: *** Billy e Salice ***
Capitolo 7: *** La Dura Verità ***
Capitolo 8: *** Clayton Street, Terza Baracca a Destra. ***
Capitolo 9: *** Una Nuova Destinazione ***
Capitolo 10: *** Nina e Cassiopeia ***
Capitolo 11: *** Ritorno a Black Manor ***
Capitolo 12: *** Chiusure... e Aperture ***



Capitolo 1
*** Undici Anni e Mille Dubbi ***


Capitolo 1, Undici Anni e Mille Dubbi

 



I Black, il fatto era noto a tutti i Purosangue più importanti, erano da sempre considerati come una famiglia composta da membri estremamente permalosi e orgogliosi.
La diceria, tramandata da secoli, di come i membri di quella famiglia fossero pronti a scattare, a litigare, per qualsiasi offesa, a trattare i membri delle altre famiglie come fossero inferiori, aveva attratto su di loro tutta una serie di maldicenze che finalmente poterono trovare sfogo in occasione della festa per l'undicesimo compleanno di Marius Sirius Black.
Un compleanno veniva automaticamente considerato, da tutti i membri delle Sacre 28, come l'occasione di mettersi in mostra, di organizzare feste sontuose per ricordare a tutti gli invitati la grandezza, la prosperità e la generosità della famiglia del festeggiato. Una perpetua lotta di apparenze.
In questo i Black erano maestri tremendamente orgogliosi.

Quel trenta luglio, Black Manor venne tirata a lucido, pronta a ospitare più di cinquanta invitati dell'élite magica, e nonostante la festa fin da subito si fosse mostrata ben organizzata e sontuosa al punto giusto, sulla casa era calata ben presto un'atmosfera cupa e ansiosa.
Gli ospiti rapidamente smisero di commentare il buon gusto dei padroni di casa per il mobilio scelto, o per le pietanze preparate, ma si concentrarono piuttosto su un succoso gossip che entro pochi minuti fece il giro della casa.
Pareva infatti che il giovane Marius, che quel giorno avrebbe compiuto la fatidica età di undici anni, non avesse ancora ricevuto la lettera da Hogwarts.

"Un ritardo è possibile," commentò zio Sirius, accendendosi distrattamente una pipa, "ma quegli zucconi sembra che non vogliano capire!"
"Io stessa ricevetti la mia lettera agli inizi di agosto," si inserì nella conversazione zia Elladora.
Erano le due del pomeriggio e i membri più stretti della famiglia si erano riuniti lontano da orecchie indiscrete, per commentare l'andamento della festa.
"Sì, però ognuno di noi aveva già dato segni inequivocabili di magia nel sangue," zia Belvina esalò, mangiando una tartina. "Che sia un…"
"Non lo dire neanche per scherzo," la rimbeccò Elladora, scuotendo la testa, indignata. "Semplicemente, a volte capita che la magia sia latente e che poi esploda tutta insieme."
"Non potremmo chiedere al ritratto di Phineas?" Chiese Violetta, la madre del festeggiato, con la sua solita voce fioca e appena udibile.
Per tutta risposta si guadagnò un'occhiataccia da parte degli altri Black.
"Ci abbiamo già provato, ma solo il preside in carica può gestire l'invio delle lettere, accedendo ai registri che si trovano all'Ufficio Misteri," spiegò Sirius, alzando le spalle. "L'influenza di nostro padre, o perlomeno del suo ritratto, non arriva a tanto."

"Non ci resta che aspettare e vedere come si evolverà la situazione."
La voce di Cygnus interruppe la conversazione.
L'uomo, il padre del ragazzo, fino a quel momento era rimasto in disparte, perso nei suoi pensieri, dando ben poca importanza a quelle chiacchiere da salotto.
Dalla sua posizione defilata riusciva a intravedere parte del salone principale, dove gli invitati erano intenti quasi sicuramente a sparlare nel futuro di suo figlio.
Miserabili.
Avvoltoi pronti a commentare e criticare ogni piccolo passo falso, la loro unica magra consolazione perché non gli restava altro da fare, di fronte alla potenza dei Black.

"Marius è un Black, la questione è risolta. Smettiamo di discutere di queste stupidaggini e torniamo ad occuparci della festa."
Sibilò l’uomo, accendendosi la pipa.
Gli altri, a disagio come se fossero stati beccati con le mani nella marmellata, annuirono a quelle parole ma era evidente, dalle loro facce, che non fossero per niente convinti dell'affermazione dell'uomo.

/ / / / / / /

Marius puntò la bacchetta magica verso il sasso distante qualche metro, dritto davanti a lui.
Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi.
Assaporò il silenzio carico di tensione, il corpo e l'anima tesi alla ricerca delle vibrazioni che la magia esercitava tutto intorno.
Rimase in quella posizione per quasi un minuto, i sensi all’erta, quando finalmente riaprì gli occhi.
Sì, adesso poteva sentire qualcosa, distintamente aveva captato nell'aria le vibrazioni giuste… i radi peli sulla nuca e sulle braccia si erano alzati.
Brandì la bacchetta magica e disse, sicuro, "Wingardium Leviosa!"

Niente.
Il sasso non si alzò, né tantomeno si mosse anche solo di un centimetro.
"Maledizione…" sussurrò Marius, abbassando gli occhi e la bacchetta.
"Stai andando troppo importanza al momento e al gesto tecnico. Deve essere un qualcosa di naturale, che deve venire da dentro di te!"
Cassiopeia, la sorella maggiore, riprese la sua bacchetta, la puntò verso lo stesso sasso e in qualche istante quello volò a diversi metri di altezza.
"Semplice, naturale…" spiegò Cassiopeia, lo sguardo puntato sul fratello.
"Forse per te," borbottò Marius, imbronciato.

Nonostante i suoi genitori avessero cercato in ogni modo di nascondere le loro perplessità, Marius era un ragazzo intelligente ed al corrente del tarlo che divorava i Black. Lo conosceva bene perché era il medesimo che lo stava azzannando, in quel momento.
Perché, a quasi un mese dall'inizio della scuola, non aveva ancora ricevuto la lettera?
Anzi no, a pensarci bene il dubbio era un altro: perché a distanza di un mese non aveva ancora dimostrato di avere sangue magico nelle vene?
In undici anni non era riuscito nemmeno a far cambiare colore al suo gatto!
Aveva provato e riprovato, di nascosto dai familiari, a eseguire qualche semplice, stupido, incantesimo letto nei libri del fratello o della sorella, eppure aveva fallito ogni volta.

"Le cose a questi punti sono due," Pollux, fratello maggiore di Marius, disse, il tono gelido. "O, improvvisamente, in questo mese mostrerai doti che hai nascosto per undici anni… oppure sei un Magonò."
Ecco fatto, in maniera tutt'altro che delicata suo fratello era arrivato al nocciolo della questione, alla domanda che ormai divorava Marius dall'inizio dell'estate.
"Forse avrà bisogno della sua bacchetta, questa è la mia," interloquì Cassiopeia, indicando la bacchetta che teneva tra le mani, "ma nostro padre si rifiuta di comprargliene una, fino a quando non riceverà la lettera da Hogwarts, quindi…"
"Quindi sei fregato," sussurrò Pollux, rivolto verso Marius.
Il ragazzo strinse i pugni, sentendo la rabbia montargli dentro.
“Non è vero, io…” borbottò.
“Io cosa? Avanti, affatturami, fammi qualcosa. Ah no, non puoi!” Pollux ridacchiò, accendendosi una sigaretta. Cassiopeia alzò gli occhi mentre Marius ribolliva dentro.
Possibile che suo fratello negli ultimi mesi non facesse altro che prenderlo in giro? Possibile che non capisse la paura che lo attanagliava?
Sua sorella perlomeno ci provava ma quel… bastardo…

Fece per parlare ma improvvisamente un piccolo "Pop" annunciò l'arrivo della loro Elfa Domestica, Daisy.
"Padroncini," l'Elfa squittì, "padron Cygnus mi ha detto di riferirvi che la festa sta per finire e che è necessario che rientriate per salutare gli ospiti!"
"Che palle," borbottò Pollux, gettando la sigaretta per terra.
"Arriviamo," si intromise Cassiopeia. "E noi continueremo questo discorso un'altra volta, d'accordo?"

Marius annuì, chinò il capo e si avviò verso casa.
In realtà l'unica cosa che avrebbe voluto davvero fare era rinchiudersi in camera e nascondersi da tutto e tutti.
Difficile farlo quando era l'attrazione principale della festa.

/ / / / / / /

Il resto del pomeriggio si rivelò abbastanza orribile, in linea con le aspettative di Marius.
Dovette sorbirsi un paio d'ore di sorrisi falsi, discorsi noiosi e allusioni, a volte neanche tanto velate, al fatto che non avesse ancora ricevuto la sua lettera da Hogwarts.

Finalmente, alle sette di sera, Marius poté rifugiarsi nel suo luogo sicuro, la camera da letto. Chiuse la porta, si infilò il pigiama, e rimase finalmente da solo, in pace, sotto le coperte.

Davvero era un Magonò?
Al solo pensiero il bambino senti l'ansia divampare nel petto.
Davvero lui sarebbe stato la pecora nera della famiglia, la delusione più grande nella storia dei Black?
Si sforzava di non pensarci, di non dare retta alle malelingue, a quel pomeriggio dove inevitabilmente era finito sotto la lente d'ingrandimento degli invitati, e non per una buona ragione, ma alla fine quella giornata aveva lasciato delle crepe nelle certezze di Marius.

Lentamente arrivarono le nove di sera e il festeggiato non era ancora riuscito a placare i suoi dubbi quand'ecco che la porta improvvisamente si aprì ed entrò suo padre, Cygnus.
Anche lui pareva piuttosto provato da quella giornata, si sedette in fondo al letto del figlio e i due rimasero in silenzio, osservandosi intensamente.

L'uomo scrutò il viso del figlio, come se potesse riuscire a capire se fosse o meno un Magonò semplicemente dalla forma del volto.
"C'è qualcosa che non va, padre?"
La voce di Marius interruppe il filo dei pensieri di Cygnus.
"Oggi ti sei comportato in maniera piuttosto strana, Marius. C'è qualcosa che non va?" Chiese.
Aveva trascorso tutto il pomeriggio cercando di evitare il figlio, provando a eludere quel discorso così doloroso.
Ma alla fine aveva capito che trincerarsi dietro un muro di silenzi non sarebbe servito a nulla. Era giunta l’ora di affrontare le paure di Marius.

"S… sono un Magonò, padre?"
La voce del figlio arrivò bassa e tremolante.
"Sei un Black," rispose Cygnus, come se quel fatto di per sé implicasse la risposta alla domanda.
Lo sguardo vuoto di Marius lo indusse a continuare.
"...sei un Black, quindi già solo il fatto che tu nomini quella parola è disdicevole."
"Ma io…"
" Devi smetterla di dare retta a tuo fratello maggiore," Cygnus lo interruppe. "Tira fuori il carattere, impara a difenderti e soprattutto smettila di piagniucolarti addosso, non è così che un Black si comporta!"
Marius abbassò la testa, stringendo le lenzuola con le mani.
"Sei un Black, mio figlio. La questione è chiusa, adesso smettila di tormentarti e dormi," concluse l'uomo, bruscamente, alzandosi dal letto.
Il figlio, visibilmente più rilassato, annuì.
"Grazie padre, buonanotte," sussurrò.
"'Notte."

L'uomo uscì, chiuse la porta e rimase per qualche secondo in silenzio, gli occhi chiusi.
Poi, non sentendo più altri rumori provenire dalla camera, si avviò per i corridoi bui di Black Manor, diretto verso il salotto degli arazzi.
In ogni dimora appartenente ai Black era presente un arazzo pressoché completo della famiglia Black ma solo quella dimora, la principale, possedeva l'originale, un'arazzo enorme, splendido e che risaliva fino al medioevo.
Là Cygnus rimase per diverse ore: osservare l'albero genealogico della sua famiglia lo rilassava da sempre, fin da quando era bambino e si avventurava per quei corridoi così tetri e affascinanti. Il suo sguardo si posò più e più volte sul nome del figlio minore.

Con lui si era dimostrato sicuro, perché è così che un capofamiglia Black deve comportarsi, eppure quella giornata non aveva fatto altro che aumentare i suoi dubbi.
E se davvero Marius fosse stato un…
Non avrebbe certo potuto tenerlo in famiglia, se per il primo Settembre non avesse ricevuto la sua lettera per Hogwarts la sentenza sarebbe stata chiara e allora lui avrebbe dovuto bruciare il nome sull'arazzo.
Uno scandalo senza precedenti avrebbe colpito i Black. Certo, poteva sempre dare colpa alla moglie e ai suoi geni difettosi, ma dubitava di poter uscire bene da quella situazione.
Ancora prima di essere un marito, o un padre, era un Black e il bene della famiglia doveva andare oltre quello dei singoli membri.

Se Marius fosse stato un… lui, Cygnus, sarebbe stato pronto, anche se con la morte nel cuore, a fare il suo dovere.

/ / / / / / /

Ho sempre desiderato scrivere una long su marius Black, l’unico membro della famiglia Black Magonò.
Che cosa gli è accaduto? Ha cercato vendetta verso la famiglia o si è semplicemente arreso? Marius è già apparso in alcune delle mie opere, perciò, approfittando della challenge "Gruppo di scrittura!" indetta da Severa Crouch sul forum "Ferisce più la penna" ho deciso di scrivere interamente una long su di lui!

Spero vi piaccia, in caso fatemelo sapere! Appuntamento al 15 Febbraio!

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Capitolo 2
*** Tic Tac, Tic Tac ***


Capitolo 2, Tic Tac, Tic Tac

 



31 Agosto, ore 7.

Nonostante quel caldo e sonnolente agosto stesse ormai per volgere al termine, pronto ad accogliere il freddo e grigio autunno, il pur ancora forte calore solare non riusciva a penetrare le fredde mura antiche di Black Manor.
Violetta e Cygnus Black osservarono con poco interesse il sole che lentamente stava alzandosi, nel cielo luminoso, oltre le ampie vetrate che illuminavano la sala da pranzo.
Cygnus abbassò il capo, una mano leggermente tremante a reggere una tazza di te' scuro, l'altra a sfogliare la Gazzetta del Profeta appoggiata sulla tavola, di fronte a lui, aperta sulla pagina dello sport.
Violetta, che nel frattempo aveva appena terminato una colazione decisamente leggera, sembrava quasi catatonica ma in realtà la sua mente stava lavorando a pieno regime, dietro quegli occhi apparentemente vuoti, concentrata unicamente sulla maniera più adatta per rompere quel silenzio che rischiava pericolosamente di schiacciarla.
Ma come fare?

"Era proprio necessario far allontanare i ragazzi?" Chiese infine, mordendosi le labbra, la voce poco più di un leggero sussurro tremolante.
La mattina precedente, infatti, i figli della coppia, eccezion fatta per Marius, erano stati affidati a zio Sirius, il quale li avrebbe accompagnati a King's Cross per l'inizio dell'anno scolastico.
Cygnus posò la tazza e afferrò una fetta di pane tostato con sopra burro e marmellata di arance. Cercava di sembrare tranquillo, posato, ma il tremolio della mano lasciava intravedere come la situazione fosse tutt'altro che sotto controllo.
“Dobbiamo proprio affrontare questo argomento, stamattina?” chiese, la mascella contratta mentre osservava la colazione con sguardo assente.
“Sì… dire di sì…” sussurrò la moglie, la voce appena udibile.
"Bene, cerca di capire, non voglio che loro vedano… oh, cazzo!"
L'uomo aveva dato un morso al pane che immediatamente si era sbriciolato, macchiando la veste del mago con abbondante confettura.
"Daisy!" Strepitò.
La piccola Elfa Domestica comparve dal nulla accanto a Cygnus.
"Sì, padrone?"
"La prossima volta imburra meglio queste dannate fette di pane!" Urlò l'uomo, lanciando il vassoio di portata proprio sulla testa della piccola Elfa.

Violetta chinò la testa, era evidente che il marito non volesse discutere con lei, mentre Daisy si alzò a fatica da terra, la fronte sanguinante e la bocca contratta.
No, decisamente quella giornata terribile non era iniziata nei migliori dei modi.



/ / / / / / /

Ore 13.

Marius osservò il piatto che l'elfa, stranamente tumefatta sul volto, aveva appena portato.
Era così invitante, normalmente si sarebbe gettato addosso a quella porzione di costine e sugo con voracità, ma non lo fece.
Rimase in silenzio, seduto sulla poltrona accanto al letto, intento a osservare il vuoto e l'orologio che lentamente, beffardo, scandiva le sue ultime ore dal mago. Da Black.
Il giorno successivo sarebbe iniziato l'anno scolastico di Hogwarts e lui non aveva ricevuto nessuna dannata lettera, ergo, a mezzanotte avrebbe avuto conferma ufficiale di quello che temeva, ma che a lungo aveva ricacciato negli anfratti più cupi della sua mente: era un Magonò.

Quanto si era disperato nelle ultime settimane, quante ore aveva trascorso a piangere, a pregare una qualche entità nella quale lui nemmeno credeva!
Aveva passato notti insonni, da una settimana non usciva nemmeno più da camera sua, una sola domanda albergava e occupava i suoi giorni: perché?
Perché generazioni e generazioni di Black avevano tranquillamente frequentato Hogwarts e il mondo magico mentre a lui, che era innocente e che non aveva fatto mai del male a nessuno, che non sentiva proprio di meritarsi quella punizione, ecco, proprio a lui era toccata quella sorte così nefasta?
Perché era un Magonò?

Aveva ascoltato, ovviamente di nascosto, numerose conversazioni tra i suoi genitori ed era chiaro che la sua vita sarebbe cambiata per sempre, che non avrebbe potuto far parte del mondo nel quale lui era nato e che sentiva appartenergli per diritto di sangue.
I Black non accettavano nulla che andasse fuori dall’ordinario. Figuriamoci un figlio Magonò.
Dove sarebbe andato? Avrebbe mai potuto rincontrare i suoi parenti?
Anche quelle domande assillavano le notti del piccolo Marius.

La sera precedente, approfittando di una distrazione dei genitori, sua sorella era riuscita a entrare in camera e con lei Marius aveva pianto e solo a lei aveva affidato le sue paure. Cassiopeia era stata l'unica a dimostrarsi gentile, ad asciugare le copiose lacrime del fratello.
Aveva giurato che non si sarebbe dimenticata di lui, che ci sarebbe stata… facile da dire quando avrebbe dovuto trascorrere un anno a Hogwarts, lontano da casa. E lui che cosa avrebbe fatto nel frattempo?
Certo non poteva chiedere aiuto al fratello: Pollux non aveva neanche sprecato un minuto per salutarlo e lo aveva sentito benissimo dire a sua sorella, la sera precedente: "perché mai dovrei andare da lui? È un Magonò, non un Black."

Forse avrebbe potuto chiedere asilo a qualche parente, magari uno di quelli diseredati, o qualche altra famiglia magica. Ma al solo pensare a quelle parole il ragazzo sorrise.
Se i Black avessero reso noto il fatto che lui era un Magonò non ci sarebbe stata nessuna famiglia disposta ad accoglierlo, quelli come lui venivano additati per strada persino dai Mezzosangue o dai Sanguesporco!
Sarebbe stato considerato una nullità dall’intera comunità magica.

Al solo pensiero, Marius scattò un su come una molla e ricominciò a girovagare per la stanza, come un'anima in pena, occhieggiando sospetto quell'orologio infingardo che non faceva altro che andare avanti, avanti, sempre più veloce…
Se soltanto avesse avuto il potere di rallentare il tempo, di godersi quelle ultime ore come fossero giorni interi!
Ma quella magia non esisteva e certo non sarebbe stato lui a poterla inventare.



/ / / / / / /

Ore 17.

Zia Elladora sorseggiò rumorosamente il tè mentre Cygnus assaporava la famosa crostata alle more della donna, una delle poche cose che rendesse sopportabile le rare visite di quella megera.
Non era stata mai molto amata dai suoi numerosi nipoti e con l’andare avanti dell’età il carattere della donna non era certamente andato a migliorare. Lo stesso, fortunatamente, non si poteva dire per i suoi dolci.

Elladora schioccò le labbra soddosfatta, appoggiò la tazza vuota sulla tovaglia ricamata e poi chiese in un sussurro: "Violetta non ce la fa proprio a scendere per un tè?"
"È a letto, si sta riposando," rispose il nipote, terminando la sua seconda porzione di crostata.
"Nervi deboli, non è vero? Bah, non la compatisco affatto, non deve essere facile avere a che fare con un figlio Magonò," disse la donna, scuotendo la testa.
"In effetti è da qualche settimana che non sta bene, ho suggerito una visita al San Mungo ma per il momento ha rifiutato," rispose Cygnus. “Questa… situazione sta stressando tutti ma lei in particolar modo. Eppure non vuole proprio darmi retta…”
"E anche tu, nipotino caro, ti vedo piuttosto sciupato," continuò la donna, osservando l'altro con occhio clinico, "hai pensato a quello che ti ho detto qualche giorno fa?"

L'uomo si alzò in piedi, avvicinandosi alle vetrate che davano sul cortile interno, l'espressione pensosa e triste allo stesso tempo.
"Sì, ci ho pensato bene. Lo scandalo sarà molto grande…"
"Puoi ben dire enorme!" Esclamò Elladora. "Lo sai bene come funziona il nostro mondo: tutti amici, tutti alleati, e poi appena qualcuno si trova in difficoltà, ti saltano addosso alla gola come dei Kappa affamati!"
Cygnus annuì, la mente lontana.
"É successa la stessa cosa con gli Shafiq e la loro sciagurata guerra tra fratelli, ma noi dobbiamo essere pronti. La prima cosa che dovrai fare sarà allontanare il ragazzino, doloroso, immagino, però è l'unica cosa possibile," continuò Elladora, chiudendo gli occhi per concentrarsi. "E poi c'è da pensare a tua moglie…"

Questa volta l'uomo si voltò verso la zia, decisamente accigliato.
"Ancora con questa storia?"
"Ma, caro, non possiamo rimanere con le mani in mano mentre tutta l'alta società magica inglese sparlerà di noi!" Elladora esclamò, scandendo bene le parole come se si stesse rivolgendo a un bambino piuttosto duro di comprendonio. "Se non reagiamo questo scandalo ci travolgerà. So che è una mossa dolorosa e difficile… però dobbiamo cercare di avere il controllo delle dicerie, non possiamo farci travolgere!"
"Non possiamo nemmeno rischiare di far adirare i Bulstrode, sai che sono potenti alleati," obiettò Cygnus.
"Ma ovviamente, tutto avverrà con il maggior tatto possibile," replicò Elladora, offesa.
"Domani ospiterò Lady Parkinson e Lady Rosier, due delle pettegole più famigerate delle Sacre 28, e lascerò intendere, tra le righe ovviamente, che ci sono molti dubbi sulla fedeltà, o in ogni caso sul patrimonio genetico, di Violetta. Tempo qualche giorno e quando dovremmo annunciare che Marius è stato diseredato sarà ormai tardi per tua moglie, se il nostro piano funzionerà tutti concentreranno le loro chiacchiere su Violetta piuttosto che sui Black.”
La donna si umettò le labbra con del tè e poi continuò, il tono pratico.
"Lo sai che viviamo in una società fortemente maschilista, far ricadere parte della colpa su tua moglie potrebbe servire per sviare l'attenzione dalla nostra famiglia. I Bulstrode storceranno un po' il naso, noi faremo sapere che la nostra fiducia per Violetta è totale… ma ormai sarà tardi e il germe del dubbio si sarà già diffuso per tutti i manieri. E quello vale molto di più che le dichiarazioni ufficiali."

Cygnus sospirò, abbassando le spalle.
"Così tutti saranno felici, soddisfatti dalla spiegazione. Tutti tranne Violetta," esalò.
"Non fare il sentimentale, sei il capofamiglia adesso," Elladora esclamò, osservando il nipote con gli occhi stretti e l'espressione rigida.
"Essere capofamiglia è decisamente un privilegio, vivi a Black Manor, tutti ti rispettano, ma nei tempi di difficoltà spetta a te fare il bene della famiglia… della famiglia, dei Black per sangue, non per matrimonio," concluse la donna, alzandosi.
“Da una parte la felicità di mia moglie, e la sua reputazione, dall’altra quella dei Black,” sussurrò Cygnus.
Nonostante i loro caratteri così diversi, l’uomo amava davvero la moglie, cosa ben più che strana in un’epoca di matrimoni combinati. Se le cose tra di loro fossero state diverse non avrebbe avuto nessuna remora…
"Agisci seguendo questo dettame e forse i Black riusciranno a sopportare questo colpo, fatti prendere dal sentimentalismo e dall'amore e allora tutti quelli delle Sacre 28 approfitteranno della nostra debolezza," esalò Elladora.
"Io…" balbettò l’altro, cercando un modo per controbattere a quelle parole così dure eppure allo stesso tempo così vere.
Ma non c’era niente che potesse dire.
"Fai la tua scelta, e falla presto, oppure per la reputazione dei Black sarà davvero la fine."

/ / / / / / /

Ore 23 e 30

Tic tac.

Il grande orologio a pendolo nel silenzio, che ormai sovrastava nella villa, poteva essere chiaramente udito da Marius, rinchiuso in camera.
Seduto sul letto, la testa tra le ginocchia, il ragazzo attendeva con ansia il momento in cui quella porta, che era rimasta chiusa per giorni interi, alla fine si sarebbe aperta, spalancando una triste realtà. Non c'era ormai alcun ragionevole dubbio, le speranze di una lettera dell'ultimo secondo apparivano stupide e irrealizzabili, decisamente poco concrete.
Era un Magonò, ma questo lo sospettava già da mesi.
Che cosa avrebbe fatto, sarebbe riuscito a convincere i suoi genitori a tenerlo in casa? Non potevano sbatterlo fuori, era ancora un bambino e il mondo troppo vasto e spaventoso.
Non potevano, giusto?

Tic Tac.

"Non possiamo, Cygnus."
La flebile voce della moglie non arrivò nemmeno alle orecchie dell'uomo, in piedi di fronte all'arazzo.
"Magari potremmo chiuderlo in una delle tante stanze di questo maniero che non usiamo. Lo terremo qui, nascosto da tutto e tutti, e appena avrà qualche anno in più lo lasceremo andar via," propose la donna, avvicinandosi al marito.
"Non possiamo, dal momento in cui diserederemo Marius non potrà più mettere il piede in questo Maniero," rispose l'uomo, abbassando la testa. "Sono le leggi della nostra società."
"Ma non possiamo lasciarlo per strada, ha undici anni, Cygnus, non sopravviverebbe un giorno, piccolo e viziato com'è!" Per la prima volta da forse tutta la vita, la donna alzò la voce tanto che persino il marito sembrò meravigliato dal tono della donna.

"So che ti sembro un mostro ma non arriverei a tanto," replicò Cygnus, scuro in volto. "Daisy lo accompagnerà in un orfanotrofio Babbano. Mi sono inventato una storia piuttosto plausibile che ho già spiegato all’elfo."
A quelle parole la moglie indietreggiò, una mano sulla bocca, stupefatta e inorridita.
"Il mio Marius in un… un'orfanotrofio Babbano…"
Violetta non poté non singhiozzare all'idea, cosa che fece particolarmente innervosire l'uomo.
"Finiscila, credimi, il mio gesto è stato fin troppo generoso!" Urlò Cygnus. "In tanti lo avrebbero semplicemente lasciato per la strada e invece io gli fornirò un tetto sopra la testa e forse un futuro. Smettila di trattarmi come se fossi un mostro, credi che per me sia facile?"

La donna rimase per qualche secondo con la bocca semiaperta, come per replicare, ma non trovò la forza o forse le parole giuste. Chiuse gli occhi, la bocca e volse le spalle al marito.
"Se tutto questo è accaduto per metà è anche colpa tua ma, mentre io mi sono sforzato di trovare una soluzione, l'unica cosa che sei riuscita a fare è stata piangerti addosso!" Strepitò l'uomo mentre la moglie, in silenzio, si diresse fuori dalla sala degli arazzi.
Cygnus rimase così da solo, come del resto si era sentito da quando le prime voci su suo figlio erano iniziate a circolare.
Si pentì immediatamente di avere alzato la voce con sua moglie, non se lo meritava, pensò anche di seguirla, di chiederle scusa, ma sapeva anche che non aveva alcun senso.
L'allontanamento di Marius e le voci che sua zia avrebbe immediatamente fatto circolare sarebbero andate a influire sul loro rapporto matrimoniale. Avrebbe ancora una volta fatto la figura del cattivo, dell'insensibile e forse, dopo quell'estate di delirio, lo stava anche diventando.
Troppi colpi, troppe le dicerie dietro le spalle e le maldicenze che circolavano. Come si fa a rimanere normali quando il mondo ti crolla addosso?

Accolse la mezzanotte con la testa bassa, in una mano la bottiglia ormai vuota di whisky incendiario e nell'altra la bacchetta magica. Udì in lontananza le lacrime di sua moglie, le suppliche di Marius, ma non aveva la forza di affrontarli.
"Incendio."
Sussurrò, puntando la bacchetta sul ritratto di Marius, il quale immediatamente iniziò a bruciare. Nello stesso istante, in tutte le residenze Black, i vari arazzi stavano facendo lo stesso, allontanando Marius per sempre da loro.
Dopo qualche secondo, là dove c'era suo figlio adesso era rimasta soltanto una macchia nera, la stessa che si era depositata sul suo cuore.

/ / / / / / /

Questo capitolo non è stato affatto facile da scrivere, ci ho messo mano più volte perché affronta dei temi importanti e delle emozioni importanti e non nascondo che a scriverlo mi sono un po' emozionato.
Personalmente da scrittore amatoriale mi piace ricercare in nel cattivo una motivazione, un background di valori e di situazioni, insomma il cattivo perché si non mi sono mai piaciuti. Cygnus è una persona assolutamente deprecabile, visto quello che ha fatto al figlio e farà alla moglie, ma allo stesso tempo mi sono voluto concentrare anche sulla sua figura in questo capitolo, cercando di creare una figura il più possibile non monodimensionale.
Spero di esserci riuscito, e questo capitolo vi sia piaciuto, chiaramente dal prossimo il focus passerà su povero Marius.

Al prossimo 15 Marzo!

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Capitolo 3
*** Spranga e Bulldog ***


Capitolo, Spranga e Bulldog.

 



Marius e la piccola Elfa Domestica osservavano con deliberata attenzione l’alta cancellata che si parava di fronte ai loro occhi.
Il vento impetuoso di quell'inizio settembre stava spazzando la pianura brulla dove si ergeva, alta e solitaria, la costruzione che riuscivano a scorgere a fatica, dietro l'alto muro dall’intonaco scrostato che la circondava.
Era un edificio grande, dalle pareti bianche e con poche finestre squadrate.
"St. James Orphanage," sussurrò Daisy, leggendo con fatica da un piccolo foglio di pergamena che stringeva tra le mani nodose, lottando contro l'aria fredda.
La loro destinazione, la nuova casa che avrebbe ospitato Marius.

Il bambino gemette.
"Sei sicura che… io non voglio," borbottò, in un estremo tentativo di convincere la fidata Elfa a portarlo indietro.
Daisy scosse la testa.
"Sono ordini del padrone e io non posso non obbedirgli. Adesso lei suonerà quel campanello," rispose la piccola creatura, indicando un grosso campanello presente a un lato del cancello. "Verrà qualcuno e lei dirà che è disperato, che ha perso i suoi genitori in un incendio, e che da qualche giorno sta vagabondando ma che adesso ha fame, sete e non ha un posto dove andare."
"E se mi rifiutassi?"
"Sì, il padrone mi ha detto che avrebbe posto questa obiezione. Se si rifiuta sarà costretto a vivere per strada, senza un tetto sopra la testa. A lei la scelta," rispose l'elfa, prontamente. "O l'orfanotrofio o la strada, così ha detto padron Cygnus. Mi dispiace, padroncino, ma un Elfo non ha scelta se non obbedire al padrone."

Marius avrebbe voluto tornare a casa ma, dato che apparentemente quella scelta non era possibile, non vedeva altre alternative. Non era casa, ma pur sempre un posto dove l'avrebbero sfamato e sarebbe stato al calduccio, almeno fino al raggiungimento della maggiore età.
Contava di potersene andare via molto prima ma quello era un piano sul quale aveva bisogno di lavorare.
In silenzio, allungò la mano e tirò la cordicella appesa al campanello.

/ / / / / / /

Marius si svegliò di scatto e completamente. Rimase disteso nel letto ancora per qualche secondo, gli occhi chiusi, una mano sulla fronte madida di sudore. Ancora quel sogno, nonostante fossero passati tre mesi ancora quel fottutissimo sogno tornava a perseguirlo quasi tutte le notti.

Aprì lentamente gli occhi e poté notare come il sole fosse già sorto, i cinque compagni che condividevano con lui quel dormitorio squallido si stavano già alzando. Questo voleva dire che anche lui sarebbe dovuto uscire da quel bozzolo caldo entro breve tempo.
"Ehi, damerino, alza il culo sennò la colazione con il cazzo che te la prendi!"
La voce roca di "Bulldog", un ragazzo basso e taurino, lo scosse definitivamente.
Borbottando, scostò le lenzuola e si mise a sedere. I suoi compagni erano già usciti.

La prima regola non scritta di quell'orfanotrofio era che tutti avevano un soprannome, praticamente solo i responsabili conoscevano il nome e cognome dei circa quaranta ospiti. E quando lui si era presentato con i capelli perfettamente curati, gli abiti puliti e spazzolati, il soprannome "damerino" era venuto da sé.
Sbuffando, indossò l'uniforme del St. James e scese, in ritardo come sempre, verso il grande refettorio dove servivano i tre miseri pasti delle loro altrettanto misere giornate.
Nel lungo stanzone al primo piano i responsabili avevano posizionato sette tavoli, tanti quanto erano i dormitori. Secondo la loro idea, questo avrebbe rafforzato i rapporti tra le persone che condividevano gli stessi spazi, in realtà per Marius e molti altri rappresentava un vero e proprio incubo.
Fu uno degli ultimi a raggiungere il tavolo del suo dormitorio, il numero 3, e riuscì a prendere posto accanto a "Moccio" un ragazzino alto, dinoccolato, sempre, appunto, con il moccio al naso.
Non ci aveva mai scambiato una parola ma era sempre meglio lui che Bulldog o il suo braccio destro "Tigre".

Osservò con malcelato disgusto la porzione di porridge acquoso e le due fette di pane bruciato con sopra della marmellata rancida e iniziò a mangiare, tenendo sotto controllo, con la coda dell'occhio, Bulldog e Tigre. Aveva ben presto capito che, se non voleva finire sotto la lente di ingrandimento di quei due, doveva finire il suo pasto entro un certo limite di tempo.
Se avesse terminato troppo prima, o troppo dopo, di quei due sarebbero stati guai.
"Spillo", un ragazzino secco secco con la testa piuttosto grande, evidentemente quella mattina si era scordato quella legge non scritta perché, mentre tutti gli altri terminarono di divorare la loro colazione, lui aveva ancora delle fette di pane tostato intatte.
"Passami quelle fette di pane," brontolò Tigre.
"Ehi, sono mie, non…"
"Dai, non rompere il cazzo, fighetta, o ti rompo il culo."
Ecco, quello era esattamente il tipo di attenzione che Marius voleva evitare.
Mentre Spillo, suo malgrado, dovette obbedire, il piccolo Black lasciò vagare lo sguardo sulle altre tavolate, in particolar modo sulle due riservate alle ragazze ospitate dall'orfanotrofio.
Poco dopo il suo arrivo una delle ragazze era rimasta incinta e questo, non capiva bene il perché, aveva causato un certo trambusto e la "colpevole" era stata espulsa. Per un paio di settimane quello aveva distratto l’attenzione di tutti gli altri ragazzi dal suo arrivo, ecco perché se lo ricordava così bene.
Inoltre da quel momento sembrava che i due sessi venissero tenuti ancor di più a distanza, un fatto che aveva inevitabilmente attratto le ire degli occupanti più adulti.
Il suono della campanella ruppe il filo dei pensieri di Marius. I quaranta ospiti dell'orfanotrofio si alzarono tutti insieme, diretti verso i dormitori dove si sarebbero preparati per la mattinata di lavoro.

Il tempo, al St. James, veniva scandito dalla campanella.
Dopo la colazione, i ragazzi passavano la mattina e il pomeriggio, dopo una breve pausa pranzo, intenti in varie attività sia fisiche che intellettuali.
C'era chi, a rotazione, puliva l'edificio, chi badava ai giardini e all'orto, chi si occupava della biblioteca oppure della cucina e la lavanderia; i più grandi andavano in città per fare compere. Nonostante a volte si trovasse a svolgere dei compiti faticosi, a Marius il lavoro non dispiaceva: gli dava meno tempo per pensare alla sua condizione e la sera gli altri erano troppo stanchi per dargli fastidio. Certo, erano sempre lavori Babbani, ma non poteva lamentarsi. Dopotutto poteva considerarsi così diverso da loro?

Si diresse perciò verso il suo dormitorio con il pensiero rivolto a come avrebbe passato quella giornata.
Mentre i sei ragazzi erano intenti a lavarsi i denti e a infilarsi le scarpe, un ragazzo piuttosto brufoloso, sulla ventina, entrò nella stanza: era William McCorban, il loro responsabile.
Ogni dormitorio aveva un responsabile, spesso un ex ospite dell'orfanotrofio, che si occupava di distribuire i compiti e, in teoria, vegliare sulla disciplina e fungere da supporto.
In teoria.

"Ok, coglioni, state a sentire," disse McCorban, con il suo tono stridulo, "Stamattina Bulldog, Tigre e Moccio dovrete pulire la cucina e aiutare il cuoco. Spillo, Carbone e Damerino voi invece vi occuperete della biblioteca. Muovete il culo perché alle tre ci saranno le visite."
"Le visite? È già passato un mese?" Esclamò Carbone, uno dei pochi ragazzi di colore presenti nella struttura.
"Evidentemente," sibilò l'altro. " Ma tu puoi pure restartene a dormire, qui nessuno vuole uno come te.”
Detto questo, girò sui tacchi e uscì.

/ / / / / / /

Occuparsi della biblioteca era uno dei compiti che più gratificava Marius, anche perché era uno dei pochi orfani a saper leggere e quindi a rimanere estasiato dalla collezione di libri Babbani presenti al St. James.
Eppure quella mattina, mentre era intento a spolverare i vari tomi presenti sugli scaffali, non riusciva a godersi fino in fondo quella occupazione. Quel pomeriggio ci sarebbero state le visite e Marius le odiava.
Una volta al mese, numerose coppie in cerca di figli da adottare arrivavano all'orfanotrofio per le visite, un pomeriggio nel quale gli orfani venivano agghindati e messi in mostra con l'obiettivo di trovargli una nuova famiglia (e diminuire così il numero di bocche da sfamare)

Dopo aver assistito alle prime due visite, a Marius era chiaro che i genitori fossero in cerca prevalentemente di bambini con un'età non superiore ai tredici o quattordici anni, lui in teoria poteva risultare come uno dei più papabili, dato che sapeva leggere e scrivere e sembrava un bambino così educato, ma la realtà era che Marius non desiderava una nuova famiglia.
Lui una famiglia ce l'aveva. Una sorella che sperava non lo avrebbe dimenticato, una madre pronta a riabbracciarlo.
E poi, in cuor suo, sentiva che l'orfanotrofio rappresentava per lui una soluzione temporanea perché sapeva che, una volta raggiunta la maggiore età, avrebbe potuto fare quello che più voleva, e cioè, cercare di riprendere i contatti con la parte sana della famiglia, quello che non l’aveva dimenticato.
Finire in affidamento da una nuova famiglia, rischiare di affezionarsi, andare in una scuola Babbana, in un mondo di Babbani, rappresentava per lui una scelta troppo drastica e indesiderata.

Fu per quel motivo che a mezzogiorno si recò, per la prima volta, nel piccolo ufficio di McCorban.
Chiamarlo ufficio forse sarebbe stato troppo eccessivo, c'era a malapena lo spazio per una piccola scrivania, uno schedario e una grossa radio malandata incrastrata, con difficoltà, in uno degli angoli.
William sedeva con le gambe accavallate, apparentemente concentrato nella lettura di un piccolo libro.
"È permesso?" Pigolò Marius, affacciandosi dalla soglia della porta aperta.
McCorban lo metteva sempre un po' in soggezione.
"Che cazzo vuoi?" sbuffò l'altro. Prendendo quella domanda per un invito ad accomodarsi, il giovane Black si mise a sedere su un'unica altra sedia presente in quell'ufficio.

"Non voglio partecipare alla visita di questo pomeriggio," disse.
"E perché no? " chiese William, chiudendo, suo malgrado, il libro.
"Non mi sento ancora…" non riusciva a trovare le parole.
"Pronto?" Chiese l'altro, osservandolo intensamente. Marius annuì.

"Ascoltami bene, so che all'inizio non è facile," disse McCorban, abbassando la voce, "all'inizio non lo è mai. Ma devi renderti conto che gli anni passano in fretta e ben presto sarai troppo vecchio e finirai la tua adolescenza qui. Credimi, lo so per esperienza, non vorrai che accada."
Il giovane Black osservò il suo supervisore, meravigliato: era la prima volta che qualcuno si apriva con lui e si sarebbe aspettato tutti, tranne che quel ragazzo normalmente così burbero.
"Prenditi il tuo tempo ma fallo in fretta e nel frattempo fatti valere, se vuoi sopravvivere all'interno del St. James, tira fuori gli attributi con quei coglioni," concluse McCorban. "E ora, fuori dai piedi."

Marius non se lo fece ripetere due volte. Era rimasto assolutamente sorpreso dal comportamento del suo supervisore e aveva decisamente molte cose sulle quali riflettere.
Quello che non capiva era che lui non voleva un'altra famiglia ma d'altra parte aveva ragione: doveva reagire se voleva sopravvivere.

/ / / / / / /

Se c'era un attività che Marius odiava era quella fisica.
Per undici anni era vissuto come un perfetto rampollo Purosangue, e cioè preoccupandosi solamente di imparare a leggere e scrivere, ignorando completamente come funzionasse il mondo, come le persone normali lavorassero, dato che per ogni sforzo fisico c'era subito un Elfo domestico pronto a sostenerlo.
Ma adesso le cose erano cambiate e, nei primi giorni, dover passare da una condizione di bambino viziato e membro di una delle famiglie magiche più importanti a quella di un orfano che era costretto a fare lavori più umili, era stato un vero shock.
Passava le giornate a letto e all'inizio i superiori lo capivano ma ben presto iniziarono le punizioni e le botte dei compagni.
Allora, lentamente, Marius aveva incominciato a riflettere e aveva capito che, se voleva sopravvivere, doveva adattarsi alla sua nuova condizione; ma non era certo un compito facile. Non si potevano cancellare undici anni di vizi e di privilegi in un colpo solo come un panno bagnato fa sullo sporco.

Ormai riusciva ad accettare i compiti senza colpo ferire ma c'era proprio una zona che detestava: il grande giardino dietro St.James. In quel grande spazio verde si potevano trovare numerosi orti, un piccolo allevamento di polli e galline, diversi alberi da frutto e cespugli ornamentali, tutti curati dagli orfani. E Marius lo odiava.
Era dicembre, il freddo ormai penetrava nelle ossa dei bambini, che le uniformi scucite e poco curate non riuscivano del tutto a proteggere. Normalmente il piccolo Black avrebbe dato di tutto per passare la giornata all'interno ma, dato che i locali di St. James erano off limits visto che quel pomeriggio ci sarebbero state le visite, l'alternativa rappresentata dal giardino sembrava tutto sommato migliore.
Non era il solo: quasi tutti gli orfani dai quattordici anni in su si rifiutavano di partecipare a quella giornata, le speranze di trovare una famiglia ormai erano notevolmente ridotte, perciò maschi e femmine trascorrevano il pomeriggio nel giardino, i più grandi nascosti dietro gli alberi nell'angolo nord ovest. Ancora non era riuscito a capire che cosa facessero.
Marius si avventurò verso un piccolo cespuglio che aveva notato il giorno precedente e con la coda dell'occhio vide chiaramente la presenza di una decina di compagni, per la maggior parte addossati intorno a una delle pareti delle mura di St James, intenti a fumare, ora che la sorveglianza era notevolmente ridotta.

Fino a quel momento non aveva stretto amicizia ancora con nessuno: erano dei Babbani, della peggior specie, sentiva forte ancora dentro di sé i pregiudizi che i suoi genitori gli avevano inculcato.
Certo, anche lui era feccia per il suo mondo, ma forse ancora si cullava in una falsa sensazione di superiorità. Certamente lui era meglio di tutti quei Babbani messi insieme… e allora perché farci amicizia? Vero?
Comunque, era appena arrivato alla sua destinazione e per la mezz'ora successiva non pensò ad altro che curare quel piccolo cespuglio che era nato per caso, visto che i suoi semi erano stati portati dal vento, un po' come lui. Si rispecchiava in quella piantina smorta, senza nome: entrambi non avrebbero voluto finire lì, eppure le casualità della vita avevano stravolto le loro vie.
Unendole.

Si raddrizzò, mettendosi in ginocchio. Sentiva la schiena e le mani a pezzi ma il risultato tutto sommato era stato gradevole.
"Ehi, che cazzo fai?"
Marius si voltò e vide "Orco", un ragazzo sedicenne piuttosto grosso e brutto, torreggiare su di lui.
"Cosa, io…"
"Zitto, frocio," ululò Orco, spintonandolo. Il piccolo Black, che tutto si sarebbe aspettato tranne che quell'aggressione, perse facilmente l'equilibrio e finì lungo disteso sulla schiena già dolorante. Orco, sghignazzando, si avvicinò, e per buona misura appoggiò uno dei suoi grossi piedi piatti sul petto di Marius.
"Che fai, io…" l'altro cercò di protestare ma era difficile reagire efficacemente, bloccato dalla schiena dolorante e dal piede dell'avversario.
"Mi sei sempre stato sul cazzo, Damerino, guardi tutti dall'alto in basso. Ma adesso non c'è nessuno a salvarti il culo che, tra parentesi, ti sfonderò per bene, e forse la smetterai di comportarti in questo modo. Che dici, proviamo?"
Marius non riusciva a credere alle proprie orecchie: non aveva mai avuto modo di parlare con Orco, i due non si erano scambiati nemmeno una parola.. perché lo stava attaccando in quel modo?
E poi era vero, era solo, non c'era nessuno che lo avrebbe salvato! Come avrebbe potuto…

"Sei pronto?" Ridacchiò Ordo, alzando il piede, pronto per prenderlo a calci, ma si bloccò a mezz'aria.
Accanto a lui era comparsa una ragazza magra, dai lunghissimi capelli neri come la pece, che osservava i due con espressione accigliata.
Marius l'aveva già vista, se non errava la chiamavano "Spranga" ma non riusciva a capire il perché.
Che cosa avrebbe fatto, si chiese, si sarebbe unita al pestaggio?

"Cosa stai facendo, coglione?" Chiese, rivolta a Orco.
"Fatti i cazzi tuoi, troia," brontolò l'altro, dimenticandosi completamente di Marius e volgendo l'attenzione sulla nuova arrivata.
Spranga osservò Orco con malcelato disgusto e poi, improvvisamente, si mise a urlare: "Signor Macky, signor Macky, venga!"

Ottenne evidentemente l'effetto sperato: il ragazzo si voltò, spaventato al solo sentir nominare il responsabile in capo del St. James. Approfittando di questo repentino calo di concentrazione, Spranga tirò un poderoso calcio in mezzo alle gambe di Orco, il quale, dopo un grugnito che aveva ben poco di umano, si accasciò per terra, rosso in volto.
"Levati dalle palle e non romperci più il cazzo, hai capito?" Esclamò la ragazza, mentre l'altro si rialzò da terra e, mescolando nelle stessi frasi bestemmie e minacce, si allontanò, ingobbito e dolorante.

"Scusalo, è il più grosso e demente della sua combriccola… perciò ne è il capo," disse Spranga, aiutando Marius a rialzarsi.
"Gra… grazie, io non so perché lui…" borbottò il giovane Black.
"No, non devi averne a male. In realtà, nel corso degli anni si sono formate delle vere e proprie bande all'interno dell'orfanotrofio, i capi ogni tanto hanno bisogno di riaffermare il loro potere su eventuali pretendenti… e come lo fanno? Picchiando i più deboli, ovviamente," spiegò la ragazza.
"Immagino che gli sia andata male… grazie," sussurrò Marius.
"Diciamo che per un po' smetteranno di romperti i coglioni, ci hanno provato anche con me quando sono arrivata al St. James, ma per loro sfortuna io non sono una tanto arrendevole," spiegò la ragazza, sorridendo. "Stavo facendo dei lavori in biblioteca quando mi si sono avvicinati da dietro, io ho preso un bastone e gli ho picchiati tutti e tre! Ecco perché mi chiamano Spranga."
L'altro sorrise. Fu un movimento assolutamente involontario e che lo colpì con tutta la sua forza: erano ormai troppi mesi che la sua bocca non si apriva in un sorriso.
"Grazie, davvero scusami ma non so cosa dire," sussurrò, pulendosi dalla polvere.
"Figurati… se non ci aiutiamo tra di noi Magonò!"

Cosa? Aveva capito bene le parole della sua nuova amica?
"Cos… come…"
Tutto si sarebbe aspettato tranne che trovare una sua… simile in quell'orfanotrofio!
"Mio padre mi parlava sempre dei Black, era un cacciatore di draghi e spesso riforniva la tua famiglia, ovviamente di contrabbando. So che dei Black abitano da queste parti e, quando all'improvviso sei apparso tu, vestito come un damerino, completamente all'opposto della gentaccia che vive da queste parti…" spiegò la ragazza. "Ho cercato di straforo, ovviamente, negli uffici del St. James e ho trovato la tua documentazione presente. Marius Black, un nome così strano che non ha fatto altro che aumentare i miei dubbi. Dubbi che sono diventati certezza dopo il tuo sguardo!"
Sembrava davvero incredibile, uno scherzo del destino. Due Magonò nello stesso orfanotrofio.
"Immagino lo shock che devono aver provato i tuoi. Ti avranno cacciato immediatamente, la stessa cosa è avvenuta anche con i miei."
Mille domande adesso affollavano la mente di Marius, c'erano così tante cose che desiderava chiederle, ma uno fischio in lontananza distrasse entrambi dai loro pensieri.

"Merda, le visite sono finite," sibilò Spranga. "Dobbiamo tornarcene dentro."
"Sì, io però…" balbettò Marius. Aveva trovato una persona uguale a lui e subito quel nuovo, piacevole, incontro era terminato.
"Avremo ancora modo di parlare, anche se immagino dovremmo aspettare le prossime visite," disse la ragazza. " A proposito, mi chiamo Sarah."
"M… Marius."
"Sì, lo so, damerino Black," replicò l'altra, sorridendo prima di tornare all'interno dell'edificio.

/ / / / / / /

Quella notte il piccolo Black fece molta fatica a prendere sonno.
Un po' perché era ancora dolorante, dopo lo scontro con Orco, un po' perché l'incontro con Sarah aveva decisamente svoltato la sua giornata, e forse la sua permanenza all'interno di quell'orfanotrofio.
I Magonò non erano molti, rappresentavano una condizione rara all'interno dei maghi, o così aveva letto nei numerosi libri che aveva consultato di nascosto a Black Manor. Trovarsi in compagnia di un'altra persona dalle sue stesse caratteristiche rappresentava sicuramente un segno del destino, forse una nuova amicizia sarebbe nata da quell'inferno, un po' come quel cespuglio di fiori selvatici era riuscito a sopravvivere nel giardino.
Un'altra somiglianza in più, annotò mentalmente, girandosi di lato e, per la prima volta dopo mesi, non pensando alla sua sfortunata esistenza prima di addormentarsi.

/ / / / / / /

Non è stato facile scrivere questo capitolo anche se mi sono divertito molto a tratteggiare questo orfanotrofio di inizio Novecento in un'area tutto sommato rurale e con poche possibilità.
Spero abbiate apprezzato, la mia mente non è non potuta non andare a Oliver Twist o ad altri film e opere videoludiche ambientati in posti tristi e sfortunati.
Siamo in un ambiente quindi totalmente opposto a Black Manor, con gente completamente diversa, e Marius fa fatica, anche se ho voluto inserire nella sua vita una figura diversa, Spranga (o Sarah, decidete voi xD) e che avrà la sua importanza nella storia e nell'evoluzione di Marius, lo scoprirete nel corso dei mesi e dei capitoli.
Spero vi sia piaciuto, scusate se ho utilizzato del linguaggio scurrile ma, insomma, pensare a dei ragazzini in quella condizione che parlano come dei damerini mi sembrerebbe piuttosto fuorviante :D

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Capitolo 4
*** Lo Scandalo Fiammifero ***


Capitolo 4, Lo Scandalo Fiammifero

 



Un'usanza ormai assai comune, all'interno del St. James Orphanage, era quella di festeggiare, il 25 dicembre, ovviamente la festività di Natale ma anche il compleanno di quegli orfani la cui data di nascita fosse incerta o sconosciuta.
Quel 1928, quattro ospiti della struttura festeggiarono il loro compleanno, ottenendo perciò una doppia porzione di dolce, un regalo consistente in una nuova uniforme invernale, e un sommesso coro di "Tanti auguri a te!"
Il coro, in quella particolare occasione, si rivelò particolarmente vivace: tutti si premonirono di cantare ad alta voce per il solo e semplice fatto che uno dei festeggiati fosse proprio Orco, il ragazzo che aveva attaccato Marius nel giardino dietro l'orfanotrofio, uno dei bulli più pericolosi e rispettati.
Osservò tutti, squadrandoli con attenzione, fino a quando anche i più refrattari cantarono.
Tutti i maschi, tutti tranne Marius.

Quello era il suo terzo Natale all'interno del St. James, anche se avrebbe potuto giurare che quei due anni e mezzo fossero sembrati lunghi un'eternità.
I suoi genitori, la famiglia, sembravano provenire da un'altra vita eppure solo un breve lasso di tempo era trascorso dal suo addio forzato ai Black.
La verità era che le giornate per gli orfani scorrevano tutte uguali, lente e noiose, senza mai un cambiamento oppure qualcosa di nuovo da fare, o vedere, che rompesse la routine.
Sulle prime, quel modo di vivere colpì particolarmente il giovane Black, abituato a giornate sempre diverse, ricche di divertissement e avvenimenti divertenti o istruttivi. Tutto il contrario di quell'orfanotrofio dimenticato.

Eppure, nonostante tutto, non impazzì come a volte capitava ai nuovi arrivati, perché lui, a differenza dei quasi cinquanta ospiti del St. James, aveva un qualcosa che riusciva a rompere la noia e l'apatia generale: le visite. Una volta al mese, infatti, ormai di consuetudine, Marius si rifiutava di partecipare alle visite delle famiglie e trascorreva un pomeriggio dedito solamente alla calma, alla tranquillità e alle chiacchiere con la sua nuova migliore amica, Spranga.
Nonostante quella ragazza fosse molto diversa da lui (era più intraprendente, estroversa, e possedeva una visione tutta sua del mondo che spesso cozzava con quella di Marius) quei due erano riusciti a stringere un rapporto molto profondo, l'unica consolazione in quel mare di nulla.
Il solo motivo per il quale Marius guardava il calendario e si rallegrava che un altro giorno fosse passato, perché la visita del mese successivo era sempre più vicina.
Spranga era sempre più vicina.

Maschi e femmine normalmente erano separati, ma a volte i loro turni di lavoro combaciavano e allora la giornata cambiava completamente: nonostante fosse chiaro che la vita della sua amica non fosse stata semplice, con lei Marius si sentiva davvero sé stesso.
Grazie alla ragazza, il giovane Black aveva imparato alcune utili mosse di difesa, nel caso Orco o qualcuno dei suoi sgherri lo avessero attaccato, allo stesso tempo Marius stava cercando di insegnare alla ragazza a leggere e scrivere, per prepararla minimamente quando avrebbe lasciato quel mondo a sé stante e sarebbe entrata nel mondo degli adulti.

Due giorni, tanto poco mancava alle visite di quel mese, ecco il pensiero che lo distrasse quel giorno di Natale, mentre tutti cantavano.
Ormai nei momenti più noiosi aveva preso l'abitudine di pensare alle visite successive, a quello che avrebbe insegnato a Spranga, un'abitudine ormai consolidate nella sua mente ma quel giorno, evidentemente, si distrasse nel momento sbagliato.
Terminata quella strana festa, suonò la campanella e tutti gli orfani tornarono nelle loro camerate, pronti per trascorrere un pomeriggio di festa.
"Hai fatto una cazzata, lo sai, vero?"
Spillo sussurrò, mentre i due misero per primi piede nel dormitorio che condividevano.
"Perché?"
"Ma dove avevi la testa? Era il compleanno di Orco e non hai cantato 'Tanti Auguri a Te'."
Merda. Poteva sembrare una cosa sciocca, ma in realtà sapeva bene come Orco cercasse in ogni modo di far valere il suo ruolo di leader all'interno dell'orfanotrofio. Facendo cantare a tutti gli ospiti, anche ai suoi rivali, gli auguri di compleanno tentava di far capire che era lui quello che comandava.
E perciò tutti dovevano rispettarlo e chi non cantava gli auguri, implicitamente, era un rivale, una persona che non lo rispettava, un nemico.
"Gli parlerò domattina, chiederò scusa e, insomma, non sarà una cosa così grave…" propose, ma sapeva bene come stavano le cose.

E a confermare i suoi dubbi, dopo qualche minuto, nella stanza entrò Spada, braccio destro di Orco.
"Che cazzo ci fai qui, nel mio territorio?"
Bulldog, che nel frattempo a sua volta era entrato nella camerata, sbraitò.
La tensione salì velocemente.
Bulldog e Orco erano stati nemici per la pelle fin dal loro arrivo al St. James.
Entrambi dotati di forte carisma, e pugni pesanti, era chiaro che non potevano coesistere e da mesi ormai tra le bande capitanate dai due contendenti non correva buon sangue.
Orco era il leader dei bulli ma tutti sapevano ormai che Bulldog stava preparando la sua rivincita; per quel motivo la tensione salì così rapidamente.
Spada rimase sulla soglia, fiutando il pericolo.

"Devo parlare con Damerino," disse, infine.
Bulldog soppesò la richiesta, grattandosi il testone rasato: da una parte Marius non significava assolutamente nulla per lui, dall'altra non poteva permettere che uno della banda di Orco entrasse nel suo territorio e facesse quello che più gli piaceva.
Infine annuì e Marius si alzò, seguendo Spada fuori dalla stanza.
Sapeva quale fosse il problema, ma non aveva nessuna intenzione di farsi pestare senza combattere.
Non questa volta.

I due passarono attraverso un paio di corridoi, fino ad arrivare a una zona fuori servizio.
Un tempo era stata la sede di una zona divertimento per bambini più piccoli, ma adesso di quella stanza non rimaneva che un ambiente polveroso e vuoto.
Al centro c'era Orco, le mani nelle tasche dei pantaloni, l'espressione cattiva.
Spada si allontanò, lasciando i due uno contro l'altro.
"Che cazzo credevi di fare, prima?" Chiese Orco, sputando per terra.
Marius indietreggiò, indeciso su cosa fare. Non poteva scappare, Spada correva molto più veloce di lui, non poteva chiedere pietà perché non ne avrebbe ricevuta.
Tremò leggermente ma rimase in piedi: fino a qualche mese fa sarebbe morto dalla paura ma adesso aveva bene in mente ciò che Spranga le aveva insegnato e sapeva che poteva avere una possibilità di salvarsi, se si fosse comportato nel modo giusto.
E poi rimaneva sempre un Black, anche se diseredato, era giunta l'ora di mostrare perché la sua famiglia fosse la più temuta e rispettata.

"Non ho cantato perché avevo la mente altrove…" borbottò.
Certo, sapeva la teoria, ma il suo avversario era comunque un ragazzo molto più grande, spietato e forte di lui.
Orco tirò fuori le mani dalle tasche e si avvicinò lentamente all'altro.
"Vedi, il tuo amico Bulldog sta cercando di fottermi. Posso credere alla tua versione dei fatti, ma chi mi dice che non sia un suo piano per indebolirmi davanti a tutti?”
"Io e Bulldog non…"
Il pugno arrivò veloce, preciso e letale. Per sua fortuna, quel movimento improvviso inconsciamente allarmò Marius il quale si ritrasse e il pugno lo colpì, certo, ma non sul naso bensì sulla guancia destra.
Il colpo si rivelò in ogni caso tremendo e il ragazzo cadde per terra, dolorante.
"Non mi interessa quel che cazzo hai da dire. Oggi ti faccio il culo, così tutti potranno vedere che cosa succede a sfidare la mia potenza," disse Orco.

"La cosa peggiore che ti può accadere è rimanere steso per terra con un avversario che si sta avvicinando. Rialzati, anche se fa male."

Marius lentamente si rialzò. Sentiva la metà destra del volto dolorante ma sapeva bene che l'elemento sorpresa poteva essere l'unica sua arma a disposizione perché Orco non si sarebbe mai aspettato una sua risposta; infatti rimase fermo, esterrefatto, vedendolo rialzarsi.
Doveva approfittare di quell'istante, altrimenti l'altro si sarebbe ripreso dalla sorpresa e non avrebbe abbassato la guardia.
Caricò in avanti, passando tra le braccia aperte dell'avversario, e tirò una poderosa testata al petto di Orco il quale incassò il colpo, indietreggiando con uno sbuffo.
Il bullo riprese però velocemente il pugno della situazione e sfruttò la posizione di Marius per tirargli una ginocchiata nello stomaco, facendolo cadere nuovamente a terra.

Gli aveva fatto del male, sentiva chiaramente che qualcosa non andava, quel moscerino aveva osato ferirlo.
Fece per colpirlo ancora quando Spada entrò nella stanza, urlando.
"Ci hanno scoperto, via, via!"
Lo prese per un braccio e lo costrinse a seguirlo, lasciando Marius, svenuto, per terra.
Aveva commesso un errore, lo aveva sottovalutato. Non sarebbe più successo.

/ / / / / / /

La tenue luce lunare filtrava dalle finestre dell’infermeria, una stanza lunga e tetra al primo piano.
Marius si era appena svegliato con una sensazione di dolore allo stomaco e praticamente metà volto gonfio e nero, la signorina Palmer aveva fatto il possibile ma ci sarebbero voluti dei giorni per guarire le ferite sul volto.
Si era ficcato in un bel guaio… però ne era uscito vivo e tanto bastava.
Forse avrebbe chiesto all’infermiera se avesse potuto passare la notte là, almeno fino al mattino e alle visite.

La porta si aprì di scatto, Marius si voltò e con sua sorpresa non vide la signorina Palmer, l’infermiera, ma bensì William McCorban, il responsabile del suo dormitorio.
Era davvero cambiato nel corso delle ultime settimane: non capiva bene cosa fosse successo ma aveva perso un bel po’ di capelli, era dimagrito e diventato ancor più pallido del solito.
Lo fissò con espressione torva poi, senza dire altro, si mise a sedere sul letto accanto a quello di Marius.
“William, io…”
“Non importa, so già tutto,” esalò il ragazzo, scuotendo la testa. “Chi ti ha attaccato?”

Ecco, rispondere a quella domanda poteva rappresentare un pericolo per il giovane Black. Se avesse accusato Orco, il bullo sarebbe stato punito, certo, ma poi sarebbe tornato, più arrabbiato e vendicativo che mai.
Sebbene desiderasse con tutto sé stesso mettere nei guai Orco, sapeva bene che non era quella la strada giusta.
“Non lo so,” rispose, infine, “stavo camminando e all’improvviso…”
“Qualcuno ti ha attaccato,” lo interruppe William. “Eppure ti ha tirato un bel pugno in faccia e un calcio nello stomaco, devi averlo visto in volto!”
“No, è successo tutto così velocemente che io…” borbottò Marius, cercando di risultare il più credibile possibile.
William rimase a osservarlo per qualche istante poi alzò le spalle.
“Immagino che il fatto che Orco sia stato in Infermeria, oggi pomeriggio, con due costole incrinate non significhi niente, vero?”
Chiese, non riuscendo a nascondere un sorrisetto.
“No, immagino di no,” rispose Marius.
“Se è così, non ho nient’altro da dire. Vestiti e vattene a dormire,” rispose l’altro.

I due uscirono così dall’Infermeria, qualche minuto più tardi, diretti verso le scale.
“William, scusami la domanda, ma che cosa ti sta…” chiese il giovane Black, cercando di rompere il silenzio che si era creato tra i due.
“Niente. Comunque, ora che hai attaccato…"
William si bloccò, di sasso. Erano arrivati nel corridoio del terzo piano e davanti a loro si pararono tre figure: una era il signor Macky, gli altri non li aveva mai visti, anche se indossavano delle strane divise blu.
Sentì distintamente il respiro del suo responsabile di dormitorio accelerare.
“Figliolo, tornate a letto. Bill, dobbiamo parlarti,” ordinò il direttore del St.James.
Marius rimase bloccato per un istante, la curiosità di capire che cosa stesse accadendo a William era troppo grossa, ma un'occhiata del direttore bastò per fargli girare i tacchi e dirigersi verso il suo dormitorio.
Chi erano quegli uomini? Perché il signor Macky lo aveva cacciato in malo modo? Bah, pensò, glielo avrebbe chiesto il giorno successivo.
Aveva ben altri problemi da affrontare.

Aprì la porta della camera e subito venne accolto da Bulldog.
"Gli hai detto qualcosa? Hai fatto qualche nome?" Chiese, spingendo Marius da parte e chiudendo la porta.
Capì immediatamente a chi si riferiva, non ci voleva certo un genio.
"N… no, non ho fatto nessun nome a William, né Orco né nessuno di voi. Sono stato zitto come un Vermi…. come un pesce," balbettò il giovane Black.
"E bravo il nostro Damerino," ridacchiò Tigre.
"Il piano ha avuto successo. Vedi, avrei potuto rompere il culo a Spada, per essere entrato nel nostro dormitorio ma ho pensato a una soluzione diversa," spiegò Bulldog, sorridendo soddisfatto, "e quindi ti ho usato come vittima sacrificale… invece sei riuscito a fare il culo a Orco! Chi se l’aspettava!”
Parlavano di lui come fosse un eroe, Marius riusciva a sentirsi solo confuso: lo avevano bistrattato per anni e adesso lo stavano riempiendo di elogi solo perché aveva tirato una testata a un loro nemico?

"Adesso possiamo usare questa storia come scusa per attaccare noi la banda di Orco!"
"Sì ma io non ne voglio avere a che fare," pigolò Marius ma sia Bulldog che Tigre non avevano evidentemente più alcun interesse nelle sue parole e così il giovane Black si trascinò verso il suo letto, ancora un po' dolorante alla faccia.
"Ti ha tartassato il vecchio William?" Chiese Carbone.
"No, ma mi è sembrato strano e prima di venire qui è stato fermato dal signor Macky e da due tizi vestiti di blu," sospirò Marius, mettendosi a sedere.
"Gli sbirri? Che cazzo avrà combinato quel coglione?" Chiese Spillo.

Lo scoprirono la mattina successiva.
Alle sei un inedito caos svegliò Marius, il quale ormai aveva sviluppato un sonno leggerissimo.
Urla, tramestio. Persone che correvano.
Incapace di riprendere sonno, il ragazzo si alzò dal letto e, ancora in pigiama, aprì la porta del dormitorio per capire che cosa diavolo stesse succedendo.

La porta della stanza di William era aperta, vide entrarci dentro la signorina Palmer e la signora Bellow, la bidella. Urlarono.
Marius si avvicinò, di soppiatto riuscì a scorgere che oltre alle due donne, nella stanza di William, c'era anche il signor Macky.
Tutti e tre sembravano osservare, sgomenti, qualcosa che le loro sagome bloccavano alla vista di Marius.
Il direttore si voltò, vide il giovane Black e subito urlò: "Che ci fai qui, fuori!"
Ma ormai era troppo tardi perché voltandosi Marius era riuscito a vedere quello che i tre stavano cercando di nascondere.

Era William, vestito di tutto punto, appeso a un gancio al soffitto, una corda annodata intorno al collo.

/ / / / / / /

Il suicidio di uno dei responsabili del St. James provocò una inedita ondata di tristezza e rabbia all'interno della piccola comunità.
I vari responsabili dei dormitori chiesero a gran voce di annullare le visite, gli orfani e gli adulti non erano proprio dell'umore adatto per accogliere nuove famiglie in cerca di figli e figlie, ma il direttore dell'orfanotrofio non volle sentire ragione.
C'era un bilancio da rispettare, fin troppe bocche da sfamare e da scaldare per dare adito a sentimenti nobili ma inutili.

E così anche quel mese Marius chiese di non partecipare e osservò malinconico l'arrivo delle varie carrozze, e sparute macchine, dalla sua posizione preferita, all'interno del giardino posteriore dell'orfanotrofio.
"E così il vecchio Bill ha deciso di farla finita," osservò Spranga, accendendo una sigaretta.
"Già," rispose l'altro.
Aver visto il suo cadavere lo aveva scosso molto e i compagni non si erano rivelati affatto comprensivi del suo malessere, dato che ogni ragazzo che incontrava voleva sapere nei più biechi e piccoli dettagli la scena e il corpo di William.

"Sai," disse infine, dopo qualche minuto di silenzio, "era una persona molto particolare ma penso che mi mancherà. È stato uno dei primi a darmi dei consigli qui dentro… penso che, insomma, in un qualche strano modo ci tenesse a me."
Spranga scosse la testa.
"Pensi che sia uno sciocco sentimentale, non è così?" Chiese Marius, deluso dalla reazione dell'amica.
"No, scusami, In realtà William ci teneva a te, era un tipo molto strano ma si prendeva a cuore i casi più disperati… nessuna offesa ovviamente," rispose Spranga. "È proprio questa abitudine che lo ha portato a impiccarsi.”
"Che cosa intendi?" Chiese Marius, abbassando la voce. Quella era nuova, come poteva un'abitudine così bella, aiutare il prossimo, averlo messo nei guai?

"Le cose che ti sto per dire me le ha rivelate la mia responsabile di dormitorio. Siamo amiche, lei mi passa un po' di sigarette e io in cambio faccio la brava."
"Fallendo miseramente."
"Fottiti. Comunque," riprese la ragazza, “non so se ti ricorderai, ma una settimana dopo il tuo arrivo una ragazza, noi la chiamavamo 'Fiammifero' perché era alta, magra e con pochi capelli rossi, venne cacciata perché trovata incinta."
"Sì, mi ricordo vagamente," rispose Marius, "Ma cosa c'entra lei con William?"
"La storia della ragazza era molto particolare, rimasta orfana giovanissima aveva vissuto per anni in strada, subendo le peggiori torture da parte degli altri barboni," continuò Spranga, scuotendo la testa. "Arrivò qui a nove anni e tutti i responsabili immediatamente le si affezionarono. In particolar modo uno che aveva appena diciotto anni e ben poca esperienza."
"Era William?" Chiese l'altro.
La ragazza annuì.
"William fin dall'inizio si interessò al caso di Fiammifero, la mise sotto la sua ala protettrice. Lei lo adorava, dovevi sentire come lo idolatrava, era il suo eroe in bianca armatura!"
Esclamò, sbuffando. "E poi, compiuti quindici anni, lei si innamorò del suo 'principe azzurro'."

"È stato lui a…"
"Sì, me lo disse lei stessa," ammise Spranga. "Rimase incinta, lo disse al suo amato e lui improvvisamente si rese conto dell'errore. Capisci, per i Babbani andare a letto con una minorenne se hai più di diciotto anni potrebbe essere considerato come un reato. Metterla incinta, poi…"
"E allora lei è stata cacciata e William è rimasto qui," sussurrò Marius.
"Già. A quindici anni Fiammifero protesse il nome del responsabile e si trovò incinta e sola al mondo. Il suo eroe si rivelò un bastardo viscido, senza palle per affrontare la situazione e l'inevitabile scandalo. La mia responsabile le rimase vicino, la aiutò a trovarsi una casetta in un piccolo villaggio qui vicino dove, con difficoltà, lei era riuscita a rifarsi una vita."
"E allora perché…"
Non capiva, sembrava un finale perfetto.
"Non so come, forse qualche vicino ha ascoltato una conversazione tra Fiammifero e la mia responsabile, fatto sta che qualche settimana fa il villaggio ha scoperto la verità," rispose Spranga, lo sguardo cupo, gettando via la sigaretta.
"La piccola comunità di vicini puritani e simpatici improvvisamente si era trasformata in un covo di vipere. La ragazza, rimasta sola ancora una volta, ha perso il lavoro e le poche amicizie in un colpo solo; ha scritto a William ma senza risposta risposta. A questi punti non ha avuto la forza per continuare a vivere..."

Ecco perché il suo responsabile era così cambiato da un giorno all'altro. Ecco la ragione dietro alle borse sotto gli occhi, al dimagrimento eccessivo e allo sguardo vuoto.
Sapeva che aveva condannato una persona innocente perché era stato un vigliacco, troppo pauroso per affrontare lo scandalo e per prendere una giusta posizione.
Se avesse preso la sua giusta fetta di responsabilità tutto quello non sarebbe accaduto e lo sapeva bene.
"Quella visita dei poliziotti Babbani può significare solo una cosa e cioè che stavano indagando sulla situazione. Williams sapeva che entro breve tutti sarebbero venuti a conoscenza dello scandalo di Fiammifero e quello che lui aveva fatto e non," spiegò Spranga. "Chissà, forse pensava a quel gancio appeso al soffitto da tanto tempo e quella è stata la molla che lo ha spinto ad agire..."

"Sì però è stata una scelta strana. I problemi si possono sempre affrontare, no?" Chiese Marius. "Si può trovare sempre una soluzione, Fiammifero si sarebbe potuta trasferire in un'altra città…"
L'altra scosse la testa, osservando malinconica l'orizzonte.
"Li posso capire perché anch'io ci ho pensato, farla finita, quando sono arrivata qui," ammise. "Dalla tua faccia vedo che non ci credi, ma puoi farlo. Ero viziata, coccolata; la stella di papà e l'amore di mamma. Sì, fino a quando non hanno scoperto che sono una Maganò e mi hanno cacciato di casa."

No, Marius non faceva affatto fatica a comprenderla, anche il suo mondo di coccole e giochi era crollato all'improvviso.
"Però, per quanto disperato io possa essere, non penserei mai a…"
"Non è una cosa che puoi dire con sicurezza, non se non ti trovi in quelle situazioni," obiettò Spranga, "Io c'ero e ci sono andata vicina, te lo posso giurare, ma poi mi sono chiesta se valeva la pena togliersi la vita per la mia famiglia… e che cazzo, no, ovviamente. A loro non importa più niente di me, mi hanno scaricata, sicuramente non sarebbero diventati tristi per la mia dipartita!"
"Non lo so. Io mi sono sentito perso ma, d'altra parte, so che mio padre non ha avuto altra scelta e mia madre e mia sorella mi vogliono bene," rispose Marius speranzoso, "magari adesso no, ma quando uscirò da qui e mi presenterò davanti a loro dopo anni di lontananza forse, io credo che ci sia una possibilità che cambino idea!"

"Come sempre invidio il tuo sciocco ottimismo, ma, credimi, non c'è niente ad aspettarci là fuori, figuriamoci una famiglia pronta ad abbracciarci," replicò la ragazza, accendendo un'altra sigaretta.
"Ti prego, non odiarmi se sono così schietta, ma per tua sorella e per tua madre è stato facile fare vaghe promesse… ma quando ti troveranno fuori dalla loro porta cambieranno idea."
La sirena che annunciava il termine delle visite interruppe la loro conversazione.

"Qualche anno fa sono scappata di qui, li ho cercati, i miei genitori, e non mi hanno accolto a braccia aperte," spiegò Spranga.
"Forse per me le cose andranno diversamente," sussurrò Marius, avviandosi insieme all'amica verso l'uscita del giardino.
"Forse. Ma non illuderti, ti prego. Ci sono già passata e… beh, fa male."

/ / / / / / /

Come spesso accadeva al termine di una visita, Marius trovò molto difficile addormentarsi.
Si girò a rigirò nel letto, incapace di prendere sonno, ripensando alle parole dell'amica.

William, che tutti avevano imparato a conoscere, in realtà nascondeva un lato di sé impenetrabile.
Forse non si finisce mai di conoscere a fondo una persona, pensò, forse esiste sempre un lato nascosto che non riusciamo, o possiamo, comprendere.
Lui era sicuro che sua madre e Cassiopeia lo avrebbero infine accolto… e se anche loro avessero nascosto un lato segreto? Se, dopo tutte le belle parole spese per lui, alla fine l'avessero dimenticato?

No, non poteva essere. Le conosceva troppo bene, forse poteva dubitare di suo padre o degli altri famigliari ma di loro due no.

"Non farti illusioni."
E come poteva se quelle erano le sue uniche ancora di salvezza per andare avanti ed aspettare di uscire dal St. James a diciotto anni compiuti?

Se quella illusione era l'unica cosa che lo facesse guardare al futuro.

/ / / / / / /

Ammetto che questi capitoli si stanno rivelando abbastanza problematici perché fuori dal mondo magico, in un ambiente prettamente Babbano, ho tante idee ma non so come metterle insieme .-.
Per questo motivo questo mese me lo sono sfruttato tutto, ed è una cosa che mi è piaciuta davvero tanto perché normalmente non lo faccio. Ho buttato giù delle idee, ho scelto quelle più interessanti e spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Si iniziano ad affrontare temi spigolosi, in particolar modo uno che avrà la sua importanza nel corso della storia.
Grazie ancora!

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Capitolo 5
*** Addio... o Arrivederci? ***


Capitolo 5, Addio… o Arrivederci?

 



"Mi sono rotta di questo posto!"
Ottobre era appena arrivato e con lui le giornate si erano fatte via via sempre più fredde, brevi e deprimenti.
Presto gli orfani che non partecipavano alle visite avrebbero dovuto trascorrere il pomeriggio nell'angolo più riparato del cortile, con sommo dispiacere di Marius.
Il ragazzo osservò il cielo plumbeo e poi rivolse nuovamente l'attenzione a Spranga, la quale era seduta su un alto muricciolo, intenta a fischiettare un motivetto molto popolare all'epoca.
"Ormai ho diciotto anni ma quelli… imbecilli non mi lasciano andar via!"

Era il quinto anno di Marius all'interno dell'orfanotrofio; cinque anni che ormai iniziavano a sembrare cinquanta.
Per certi versi si era abituato alla routine mortalmente noiosa ma la mancanza di novità, di cose diverse da fare, lo stava velocemente consumando. La morte del suo responsabile di dormitorio aveva agitato le acque, e per qualche mese si era respirata un'aria di macabra vitalità, ma poi l'argomento si era ben presto esaurito e la noia era tornata sovrana del St. James Orphanage.
"Lo sai, non conta l'età ma vogliono che completi la tua istruzione,” buttò lì. Non ci credeva nemmeno lui, ormai.
"Chiamala istruzione, con il foglio di carta che ci daranno, una volta che saremo usciti da qua, al massimo ci potremo pulire il… vabbè, hai capito," borbottò la ragazza.

Anche Spranga era cambiata nel corso degli ultimi mesi: la mancanza di una nutrizione sana e abbondante avevano contribuito a renderla estremamente magra ma allo stesso tempo c'era un qualcosa di diverso in lei, dei modi di fare e un aspetto più femminili rispetto al passato.
Si era lasciata crescere i capelli, aveva smesso di fare a botte con gli altri bulli e, sebbene il suo caratterino non fosse molto diverso rispetto al passato, era chiaro che di fronte Marius avesse una donna, piccola certo, ma non più una semplice ragazzina.
Non che Marius non fosse cambiato a sua volta: a quindici anni, ormai, era entrato nella pubertà e ciò aveva comportato diversi cambiamenti. La voce gli si era fatta più roca e una peluria, che con molta fantasia avrebbe potuto chiamare barba, aveva iniziato a crescere sulle guance. Una perfetta barba Black, avrebbe detto suo padre.
Non aveva ancora sperimentato, però, i morsi dell'amore, come era già successo ad alcuni dei suoi compagni di stanza, cosa che comportava soste solitarie abbastanza lunghe nei bagni e sessioni di sbaciucchiamenti dietro le alti siepi, nelle poche occasioni nelle quali maschi e femmine condividevano gli stessi spazi.

"Quasi quasi me ne vado via da questo posto," borbottò Spranga.
"Come?"
"Pensaci, ho compiuto diciotto anni, cioè la maggiore età per i Babbani, nulla mi trattiene più in questo posto. Non ha senso che rimanga fino alla fine dell'anno, se devo dirti la verità non ne ho la minima intenzione," spiegò la ragazza.
Nulla la tratteneva qui, eh?
Evidentemente la sua delusione fu piuttosto tangibile visto che l'altra, sorridendo, esclamò: "sciocchino, credi che non tenga a te? Se potessi resterei… ma tanto, comunque vada, alla fine dell'anno le nostre strade si dividerebbero. E allora, mi chiedo se abbia senso rimanere un altro anno…"
"Certo che sei cambiata," borbottò il ragazzo.
"Perché?"
"Sciocchino… una volta mi avresti chiamato idiota…" rispose Marius, sorridendo suo malgrado.
"E sono sempre in tempo a farlo!" Esclamò l'altra, saltando giù dal muretto.

"Comunque, la mia è solo un'ipotesi," sussurrò.
Marius ne dubitava fortemente: nei cinque anni che avevano passato insieme aveva presto capito come la sua amica fosse decisamente testarda e se era arrivata a confessare la sua intenzione di andarsene… c'era qualcosa di serio sotto.
"E come faresti?"
"Ti sei mai chiesto come mai in questi ultimi mesi, improvvisamente, mi sia calmata e non combini più guai?"
Era vero, Spranga aveva la fama di finire in punizione una settimana sì e l'altra pure, da quella estate le cose erano però inaspettatamente cambiate.
"Gli orfani che frequentano l'ultimo anno hanno meno restrizioni, ogni due settimane si recano al villaggio qui vicino per fare compere," continuò la ragazza, "ma questo privilegio viene concesso solo a chi non combina guai, a chi appare maturato e degno di fiducia."

Ma certo, ora tutto appariva decisamente più chiaro a Marius.
"L'unica occasione che ho per andarmene via di qui è durante uno di questi viaggi al villaggio," spiegò Spranga, abbassando la voce con fare cospiratorio.
"Sì… ma, una volta che sarai riuscita a scappare, dove andrai? Insomma, la vita per noi non è facile là fuori, almeno così sembra," rispose il ragazzo.
Lui poteva contare su sua sorella, forse sulla madre, una volta fuori ma Spranga era da sola.
"Tornerai dai tuoi genitori?"
A quella domanda l'espressione della ragazza si rabbuiò.
"Non ti nego che vorrei provarci… ma ti pare che possa tornare da loro, dopo che mi hanno cacciata di casa quando avevo solo undici anni? Ancora non hai capito, per loro siamo come morti e certo non ci aiuteranno una volta che saremo usciti di qui," esclamò.
"Però sono passati comunque molti anni, potrebbero aver cambiato…"
"Ho conosciuto un tipo al villaggio," Spranga lo interruppe.

Un tipo?
"Cos…"
"È il figlio di uno dei negozianti, gli ho fatto gli occhi dolci, in un paio di visite, e lui sembra desideroso di aiutarmi. Quando tutto sarà pronto, mi nasconderò da lui fino alla sera e poi, approfittando dell’oscurità, me ne andrò per i fatti miei," spiegò la ragazza a un Marius decisamente interdetto. "Lontana da questa... latrina. Libera"
"E non vuole niente in cambio?" Chiese, dubbioso.
Una delle lezioni che aveva imparato nell'orfanotrofio era che normalmente le persone non facevano favori così grossi senza volere qualcosa in cambio.
"Ho un po' di soldi con me ma, tranquillo, se dovesse fare il viscido un calcio in mezzo alle gambe non glielo toglie nessuno, so difendermi, ormai dovresti saperlo," rispose l'altra, sorridendo.
Ma per il ragazzo non c'era niente da ridere, tutto il piano dell'amica sembrava particolarmente fumoso.

Avrebbe dovuto chiederle di rimanere perché, era vero, comunque alla fine dell'anno se ne sarebbe andata ma avevano ancora diversi mesi per stare insieme! Tempo per, lentamente, fare a patti con il fatto che la sua migliore amica, Magonò come lui, se ne sarebbe andata e chissà se l'avrebbe più vista.
Ma, dall'altro canto, si rese conto che sarebbe stata una richiesta forse troppo egoista, da parte sua, perché era chiaro come Spranga non stesse bene e se il suo desiderio era quello di cercare la libertà, chi era lui per impedirglielo?

Poteva comunque cercare di convincerla a rimandare di qualche settimana, dubitava che lei si rendesse conto fino in fondo di quanto fosse stata importante per lui, ma Marius non era stato mai particolarmente bravo con le parole.
Rimase in silenzio, cercando di trovare le parole giuste per introdurre l'argomento all'amica, ma ci mise evidentemente troppo tempo perché il suono della campanella interruppe quel momento tra di loro.

"Io…" borbottò ma già i compagni si avviavano verso l'uscita.
Spranga abbracciò forte Marius e prima che quest'ultimo potesse anche solo reagire se n'era già andata.

/ / / / / / /

I giorni successivi Marius li passò in uno stato di agitazione e ansia perenni.
La conversazione avuta con l'amica lo torturava, durante il giorno, e la notte faceva strani incubi.
Ma la giornata peggiore, per lui, divenne ben presto la domenica: il giorno delle compere, quello dove Spranga avrebbe potuto andarsene via.

La prima domenica, in realtà, il ragazzo la trascorse abbastanza tranquillamente, perché sapeva che Spranga non se ne sarebbe andata così presto, o così per lo meno aveva compreso dalle parole dell'amica.
La seconda fu più difficile perché la ragazza fu l'ultima a rientrare nell'orfanotrofio, diversi minuti dopo i suoi compagni.
Forse si era accordato con il fantomatico "tipo del villaggio"?
Non aveva cuore di chiederle qualcosa, tantomeno le possibilità: non aveva più occasione di svolgere i suoi compiti con la ragazza, durante i pasti appariva sempre la stessa, eppure quel ritardo…

Quel ritardo dette molte risposte a Marius e quando, durante la terza domenica, vide gli orfani tornare al St. James senza Spranga, capì e si allontanò dagli altri, rifugiandosi nel suo dormitorio, da solo.
Quando passarono due ore, e i responsabili dell'orfanotrofio inviarono alcune persone a cercare la ragazza, seppe che non l'avrebbero trovata.
Quando arrivò la polizia e l'intero perimetro del St. James e del villaggio vennero perquisiti, palmo dopo palmo, Marius era già a letto.

Aveva trascorso la serata seduto, da solo nella camerata, sentendo le notizie della fuga di un'orfana. Spranga. Alla fine ce l'aveva fatta, era riuscita a scappare e chissà dove si trovava, che cosa avrebbe fatto e se l'avrebbe mai più rivista.

Ripensò ai momenti felici passati insieme, ai pomeriggi trascorsi durante le visite, e trovò davvero difficile addormentarsi; quando lo fece le sue guance erano bagnate da lacrime salate.
Era un pensiero sciocco, perché comunque le loro strade si sarebbero divise lo stesso, ma non poté, inconsciamente, sentirsi abbandonato per la seconda volta nella sua breve vita.

/ / / / / / /

Uno dei motivi per il quale Marius non era impazzito era stata l'attesa delle visite mensili e dei pomeriggi trascorsi insieme all'amica. Ma adesso che era venuto meno quello stimolo, il ragazzo fu davvero sul punto di crollare: che senso aveva alzarsi la mattina, trascorrere giornate sempre uguali, se non aveva un vero e proprio obiettivo?
Senza una vera, tangibile, motivazione per andare avanti, il giovane Black cadde ben presto in depressione.
Le giornate apparivano vuote, inutili, l'assenza di Spranga quanto mai tangibile e dura da affrontare, considerando anche che ormai non c'era più nessuno disponibile ad ascoltare le pene di Marius.
Spranga era chissà dove e il nuovo responsabile del dormitorio, un ragazzino di diciotto anni appena uscito dal St. James, si rivelò ben presto particolarmente ottuso e stupido.

Ma quel che era peggio, senza più la protezione offerta dall'amica, Marius era ben presto tornato ad essere uno dei bersagli preferiti dai bulli.
La guerra sotterranea portata avanti dalle gang di Orco e Bulldog non si era affatto fermata, sebbene i due protagonisti fossero ormai usciti dall'orfanotrofio.
Toccava ora a Spada e Tigre portare avanti quella guerra, che ormai nessuno si ricordava bene il perché fosse scoppiata.
Marius fino a quel momento ne era rimasto fuori, un po' perché Spranga lo difendeva e un po' perché Bulldog alla fine lo aveva preso in simpatia.
Adesso che i suoi protettori se ne erano andati, però, il giovane Black era tornato ben presto nell'occhio del ciclone: estraniato dal suo dormitorio e preso di mira dalla gang di Spada.

"Cazzo, devi darti una svegliata!" Aveva esclamato Billy, il nuovo responsabile, di fronte a un Marius con, nuovamente, un grosso occhio nero.
Eh, facile a dirsi. Ma cosa ne sapeva quel rozzo dei suoi problemi? Avrebbe potuto raccontargli di Spranga, dei suoi rapporti con le due gang presenti all'interno dell'orfanotrofio, ma a cosa sarebbe servito? Non era certo quell'ottuso ragazzo a poterlo aiutare.

Il suo morale era così a terra che il mese successivo pensò di partecipare alle visite ma non lo fece, aveva ancora abbastanza amor proprio per non gettare al vento il suo piano.
Voleva tornare ad essere un Black, sapeva che aveva ancora qualche possibilità di rincontrare i suoi parenti, una volta uscito dall'orfanotrofio, era l'unica motivazione ormai che lo tenesse in vita.
Perciò, per l'ennesima volta, rifiutò di partecipare alle visite delle varie famiglie in cerca di un figlio da adottare, e anche quel pomeriggio di novembre lo trascorse all'interno del cortile del St. James.

Sedersi sul suo solito muretto e non vedere Spranga che si dirigeva ad ampie falcate verso di lui fu il momento più difficile al suo arrivo all'interno dell'orfanotrofio.
Ogni volta che sentiva rumori di passi, il ragazzo alzava speranzoso la testa, certo di poter vedere l'amica… ma in realtà non c'era nessuno.

Dopo un'ora di solitaria attesa, Marius era giunto al limite della sopportazione: per i mesi successivi avrebbe dovuto trovare qualcosa da fare per trascorrere i pomeriggi delle visite.
Stava per alzarsi e controllare alcune piante in dei vasi vicino a lui, quando vide una ragazza avvicinarsi.
No, non era Spranga, non avrebbe potuto essere più diversa: doveva avere più o meno la sua età, ma più in carne e con lunghi capelli biondi che svolazzavano nel vento.
"Sei Damerino, vero?" chiese, la voce incerta e timida.
"Sì. Che vuoi?"
Non voleva essere così scontroso ma, insomma, non era certo la giornata giusta per fare nuove conoscenze.
La bionda, per tutta risposta, estrasse da una delle tasche della divisa un foglio di carta spiegazzato e lo porse al ragazzo.
"Che cos'è?"
"Una lettera… di Spranga. Avrei dovuto consegnartela da tempo ma non ho mai avuto occasione," rispose, pronta.

Marius prese il foglio e ringraziò la ragazza che subito si allontanò.
Chi era, come faceva a conoscere Spranga? Era una compagna di dormitorio?
Ma ormai l'altra si era allontanata e la curiosità di leggere la lettera lo vinse. Aprì il foglio di carta e lesse velocemente le parole che l'amica aveva scritto con la sua grafia quasi illeggibile.

"Caro Marius,
Spero che ricevere questa mia lettera ti faccia piacere.
Ti conosco bene, so che sarai rimasto deluso o persino arrabbiato dal mio gesto, dalla mia fuga che ti sarà apparsa così improvvisa. Ti prego di non esserlo.

“È da quando sono arrivata al St. James che medito di scappare, ci ho anche provato in svariate occasioni. La verità è che non ne potevo più e dopo lo 'scandalo fiammifero' ho davvero capito quanta miseria umana si nascondesse dentro le mura dell'orfanotrofio.
Tu sei stata l'unica persona che mi ha trattenuto dall'andarmene via, dallo scappare in ogni modo possibile.
Ti prego di credermi.

“Comunque, mi sono resa conto che ho raggiunto il limite di sopportazione e, dato che comunque le nostre strade si sarebbero divise alla fine di quest'anno, ho deciso di prendere la palla al balzo.
Ti sentirai abbandonato un'altra volta, ma non devi perché non ho alcuna intenzione di lasciarti solo. Io ti aspetterò.
Chissà, forse darò retta al tuo consiglio, andrò dai miei genitori, ma non so come reagiranno. In ogni caso, loro vivono nei sobborghi di Liverpool, una volta che sarai uscito dall'orfanotrofio vieni in questa città.

“Se vorrai, potremo ricominciare insieme, io ti aspetterò ma promettimi di combattere, non farti abbattere, ma vai avanti, giorno per giorno.
So che la tentazione di mollare è forte ma io ti aspetterò e se l'attesa delle visite non ti darà più stimoli per andare avanti, spero che l'attesa di un nostro futuro incontro, fuori dal St. James, possa fungere da un sostituto all'altezza e darti un motivo per non crollare.

Ti voglio bene, tua Sarah.
Spranga."


Marius lesse la lettera velocemente, poi sospirò e ricominciò da capo, questa volta in maniera più lenta e accorta, cercando di comprendere le parole scritte nella strana grafia di… Sarah.
Ci teneva a lui, avrebbe provato a dare ascolto ai suoi consigli e cercare di rimettersi in contatto con i suoi parenti… lo avrebbe aspettato.
Prospettava un futuro insieme, un futuro nel quale evidentemente Marius non sarebbe stato più solo e abbandonato.
Strinse il foglio e sentì nuove lacrime agli angoli degli occhi ma questa volta erano lacrime di gioia.

"Come disse, una volta? È facile fare delle promesse, molto più difficile mantenerle," una vocina maligna sussurrò all'orecchio sinistro del ragazzo.
Conosceva bene Spran… Sarah, voleva iniziare a chiamarla in quel modo, non si sarebbe arresa di fronte alle difficoltà che la vita le avrebbe opposto.
"La conosci davvero fino in fondo? Non ci hai parlato poi molte volte, non sai come reagirà una volta all'esterno di questa gabbia."

Il suono della campanella riscosse il ragazzo… sembrava incredibile ma aveva trascorso un'intera ora, chino su quella lettera! Si riscosse, infilando il foglio di carta in una tasca della divisa, e si affrettò a seguire i suoi compagni fuori dal cortile.
Nella inevitabile piccola ressa che si venne a creare per uscire dal cortile, però, l'allegria di Marius ebbe vita breve: mentre si stava affrettando a mettersi in coda sentì una poderosa spinta proprio in mezzo alle scapole e cadde per terra.
Udì alcune risate sguaiate, riconobbe quella di Sgorbio, ma ciò che lo disturbò davvero fu vedere la lettera dell'amica cadere nel fango, schiacciata inavvertitamente dai piedi degli altri orfani.

Fece per alzarsi, rabbioso, e affrontare quell'idiota di Sgorbio, ma si bloccò quasi subito.
Sarebbe stato da sciocco affrontare tutti quei bulli da solo, avrebbe avuto la peggio e si sarebbe preso una punizione.
No, doveva dare retta ai consigli di Sarah: non mollare o fare stupidaggini fino a quando lui avrebbe compiuto diciotto anni e allora sarebbe potuto scappare, proprio come lei.

Due anni.
Quanto possono mai essere lunghi due anni?

/ / / / / / /



Capitolo di passaggio, ma che vedrete avrà la sua importanza nella vita del giovane Marius.
Adesso la sua unica fonte di protezione non c'è più e per due anni Marius dovrà vedersela da solo. Saprà cavarsela e ci sarà un lieto fine per i due Magonò?

Lo scoprirete nel corso dei prossimi capitoli!
Ammetto che questi sono i capitoli che mi piace meno scrivere, vedendo anche che cosa ho in mente di fare in futuro, però avranno la loro importanza negli eventi futuri e nel creare la psiche di Marius.
Quindi tocca scriverli :D

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Capitolo 6
*** Billy e Salice ***


Capitolo 6, Billy e Salice

 



Il negozio era piccolo, piuttosto scadente nella mercanzia che esponeva sugli scaffali malandati e nell'arredamento, vecchio e polveroso.
Ma, in fin dei conti, non si differenziava molto dagli altri sparuti negozi di quel villaggio dimenticato da un Dio capriccioso.
St. James aveva un'atmosfera molto simile a quella dell'orfanotrofio: gli abitanti si sposavano presto, mettevano su famiglia e poi annegavano i loro dispiaceri nell'alcool e nella brutalità spiccia, del resto grandi opportunità lavorative non ve ne erano nei dintorni.
I giovani del villaggio potevano andare a lavorare nell'orfanotrofio, rilevare l'attività del loro padre o andarsene.
Non stupiva il fatto che negli ultimi cinquant'anni la popolazione si fosse più che dimezzata.

Marius osservò i tre vecchi che, come lui, erano intenti a fare spese in quel negozio e contò attentamente le sterline.
Era pericoloso, perché se l'avessero scoperto, adesso che era maggiorenne, lo avrebbero direttamente denunciato alle autorità, ma fare la cresta sulla spesa settimanale era una delle poche possibilità per racimolare qualche soldo. Bastava truccare la ricevuta che il vecchio Richard gli lasciava e il gioco era virtualmente fatto.

Se l'era sudato quel posto, aveva compiuto diciotto anni ormai da un paio di mesi e da cinque settimane si occupava della spesa, da quattro, una volta che aveva capito come, metteva da parte qualche sterlina ogni volta che visitava il villaggio.
In realtà, occuparsi di quelle mansioni era un compito abbastanza noioso, pericoloso perché comunque si recava al villaggio con un bel gruzzoletto di sterline nella tasca, e faticoso, perché raramente qualcuno lo aiutava a trasportare la spesa su per la collina.
A controbilanciare questi contro, però, c'erano un paio di pro decisamente succosi e allettanti: poteva mettersi da parte qualche sterlina e organizzare la sua fuga dall’orfanotrofio con tutta calma.

Gli ultimi anni al St James erano stati un vero e proprio incubo: la mancanza di una figura amica, come Spranga, si era fatta sentire e le due bande, adesso che Marius si era trovato solo e senza protezione, spesso si approfittavano di lui per sfogare la loro rabbia repressa.
Già numerose volte era finito in infermeria con diverse ferite, l'unico barlume di speranza che aveva era la fuga e potersi riunire con Spranga, fuori da quell'inferno. Se non avesse avuto quell'unica prospettiva si sarebbe già tolto la vita.
Ci aveva pensato qualche mese fa, dopo l'ennesimo pestaggio perché si era rifiutato di fare un favore a uno della banda del suo dormitorio.

Aveva ripensato al suo vecchio responsabile, a come l'aveva fatta finita, e si disse: perché no?
Che senso aveva rimanere in quel buco infernale e subire continue angherie?
Stava quasi per alzarsi e cercare una corda, quando l'immagine di Spranga, di Sarah, le venne più chiara nella sua mente, e lo bloccò. Un motivo ce l'aveva e non poteva deludere l’amica, lei lo stava aspettando. Forse insieme alla sua famiglia e, chissà, loro due avrebbero potuto ripartire. Soli contro il mondo.
Perciò si rimise a sedere ma, ne era sicuro, se non avesse avuto quel pensiero in mente l'avrebbe trovata, quella corda, e lui non sarebbe in quel negozio a progettare la sua fuga.

Ma era giunto il suo turno e quindi smise di volgere la mente a quei pensieri così tetri, e si avvicinò all'altrettanto sudicio bancone di Richard.
Il padrone del negozio era un uomo vecchio, con lunghi, unti, capelli biondi striati di bianco.
Aveva due grosse occhiaie e l'espressione vagamente omicida ma parlò con tono gentile a Marius.
"Il solito, giusto?" Marius annuì e, dopo qualche secondo, Richard tornò con due buste piene fino all'orlo.
"Gli altri tuoi amici sono già passati, queste sono le ultime sporte."
Il ragazzo, mentre l'altro era intento a cercare il resto, velocemente modificò alcune cifre del biglietto che l'uomo aveva lasciato sul bancone.

"C'è Billy?" Chiese, prendendo il resto che l'uomo gli porse.
"Sì. Billy, vieni qui, caprone!"

Un ragazzo sulla ventina, parecchio brufoloso e con i capelli altrettanto biondi e unti del padre, uscì dal magazzino.
"Ehi, Damerino," lo salutò.
"Posso parlarti un attimo?"
Billy squadrò il padre, il quale, nel frattempo, si era rimesso a sistemare della merce e, annuendo, lo guidò fuori dal negozio.

"Hai pensato alla mia proposta? " chiese Marius, una volta fuori e da soli. Billy si osservò intorno, apparentemente a disagio.
"L'anno scorso ne ho organizzate tre, inizia a essere pericoloso, gli sbirri fanno domande…"
"Sì, capisco. Per questo sono da te, sei il migliore," rispose Marius, una nota d'urgenza nella voce. "Si può fare?" Lo incalzò.
"Devi darmi un paio di settimane e il prezzo salirà," rispose Billy, infine. "Il fotografo non si può più muovere liberamente, devo organizzare il covo, fare sviluppare le foto per il nuovo documento… ci vorranno un paio di sterline in più!"
Il ragazzo boccheggiò.
"Sei pazzo? Vivo in un orfanotrofio, come faccio a…"
"Billy, dove ti sei cacciato, ingrato figlio di una ingrata madre?"

Il vecchio Richard, a quanto pareva, aveva terminato le sue mansioni. Non c'era tempo da perdere.
“La situazione è questa. Prendere o lasciare,” sibilò Billy.
"D'accordo, ci vediamo la settimana prossima. Ma voglio che tutto sia pronto!" esclamò Marius. L’altro annuì.
"Prima mi dai i soldi e poi ti faremo il documento falso più bello di tutti i tempi!"

/ / / / / / /



Il ritorno al St. James fu faticoso sia da un punto di vista prettamente fisico (quelle dannate sporte pesavano e trasportarle su per la collina non fu affatto facile) ma anche, e soprattutto, da un punto di vista mentale.
I responsabili dell'orfanotrofio osservarono attentamente la ricevuta, lamentandosi, come al solito, di quanto il vecchio Richard avesse aumentato i prezzi.
Fu solo dopo una mezz'ora di attenta lettura e analisi della spesa che a Marius fu permesso di tornarsene al suo dormitorio. Era già mezzogiorno, gli altri orfani intenti nelle loro attività, perciò la stanza era vuota. Perfetto.

Marius si avvicinò al suo letto, lo spostò di qualche centimetro per rivelare una piccola conca nel muro, una cavità che aveva scoperto quasi per caso, poco dopo il suo arrivo.
Tirò fuori i soldi che vi aveva inserito, nel corso dei mesi, e contò il gruzzolo.
Aveva cinque sterline tonde tonde alle quali avrebbe potuto aggiungere, se era bravo, una mezza sterlina rimediata dalla spesa della settimana seguente: non erano abbastanza, ne mancava una.
Una sola, schifida, sterlina gli avrebbe potuto impedire di andarsene via. Risistemò il letto e vi si mise sopra con la testa tra le mani, sconsolato.
No, non poteva finire così, non poteva rinunciare al suo sogno per una sterlina.
Forse Billy si sarebbe rabbonito, vedendo la sua disperazione… no non era il tipo. Forse avrebbe potuto guadagnare qualcosa in quella settimana, ma come?
C'era chi andava nelle case degli anziani abitanti per aiutarli nelle faccende domestiche, ma i compensi erano davvero bassi; qualche orfano un po' più intelligente dava lezioni private… ma, ma certo!

Aveva una possibile soluzione a portata di mano ma per sapere, per avere la certezza che quella via fosse praticabile, avrebbe dovuto aspettare le visite che si sarebbero tenute il giorno dopo.

Furono ore difficili, lunghe e tristi, ma quando, finalmente, mise piede nell'ormai familiare cortile, era pronto.
Osservò le altre orfane e vide distintamente quella che le interessava.
Salice.

Era stata lei a consegnargli le lettere di Spranga, dopo quell'avvenimento i due avevano finito inevitabilmente per legare, anche se non arrivarono mai al livello di confidenza che Marius aveva raggiunto con Sarah.
Salice, quando era arrivata, era piccola e minuta, non faceva che piangere e tutti pensavano che sarebbe crollata ma non lo fece, aveva resistito e a sedici anni ormai era diventata una delle figure di riferimento nei dormitori delle ragazze.
La conoscenza comune di una ragazza come Spranga li aveva fatti avvicinare, Salice possedeva molti aspetti in comune con la vecchia amica anche se, in qualche modo, i suoi tratti fisici e mentali erano meno spigolosi rispetto a quelli di Spranga.
Avevano avuto una mezza storia l'anno scorso, un paio di baci ed effusioni scambiate dietro i cespugli, Marius non provava granché per quella ragazza, un'amicizia, ecco, ma era evidente che l'altra avesse bisogno di conforto e affetto e che forse provasse qualcosa per lui.
Non ebbe il cuore per rifiutarla.
I sentimenti tra i due si erano un po' raffreddati ma comunque si potevano ancora considerare amici e Salice aveva una particolarità che poteva rendersi utile: veniva da una famiglia piuttosto in vista, perciò sapeva leggere e scrivere e, ormai da diverso tempo, dava ripetizioni ai giovani del villaggio, ricevendo in cambio qualche scellino.
Non era certo un segreto il fatto che fosse una delle ragazze più ricche dell'orfanotrofio.
Erano amici e lei possedeva del denaro che lui voleva ad ogni costo.
Se fosse stato in grado di giocarsela bene, forse…

La vide, seduta per terra con una piccola scatola di metallo tra le gambe. Pareva che tenesse in mano del denaro.
Si avvicinò velocemente all'amica.
"Ehi, Damerino, come sta il braccio?" Chiese.
Un paio di settimane prima uno dei bulli aveva deciso di attaccarlo alle spalle ed era caduto male, sul braccio.
"Bene… ma, cosa stai facendo?"
"Conto i soldi delle ripetizioni," rispose, semplicemente, come se si trovasse di fronte ad una persona piuttosto dura di comprendonio.
"Sì, ma perché farlo qui? Se qualcuno dei ragazzi provasse a rubarti i soldi?"
Salice scosse la testa, divertita.
"Perché nel mio dormitorio c'è una spiona, e sai bene che avere del denaro e non consegnarlo ai responsabili può comportare una punizione decisamente pesante," spiegò.
"In quanto a provare a rubarmeli… ci devono provare. Anzi, in realtà qualche mese fa un tizio ci provò… Gringo, mi pare che si chiamasse. Beh, da allora va in giro con una voce tutta stridula e nessuna prova più a rompermi i coglioni."

Marius si mise a sedere accanto a lei, osservando il gruzzoletto.
"Quanto hai guadagnato?" chiese.
A occhio sembrava che avesse molto più di una sterlina.
"Ho calcolato proprio ora, ho undici sterline e diversi centesimi," rispose l'altra, orgogliosa.
Marius fischiò, ammirato.
"Mi faccio il mazzo, credimi, far capire a quegli zucconi al villaggio come fare le sottrazioni, le moltiplicazioni e come leggere un semplice quotidiano è un'impresa snervante ma dà i suoi frutti," disse la ragazza, "uscirò tra due anni e, se continuo di questo passo e non commetterò un omicidio al villaggio, dovrei uscirne con abbastanza soldi per non morire di fame per qualche mese."
"A proposito di uscire da qui…"

Marius si osservò intorno, assicurandosi che i due fossero da soli, e poi continuò, la voce poco più di un sussurro.
"Ho scoperto come ha fatto Spranga ad andarsene, adesso che ho raggiunto i diciotto anni voglio farlo anch'io."
Salice l'osservò con gli occhi spalancati dalla sorpresa.
"C'è un negozio al villaggio, il figlio del vecchio Richard ha degli agganci interessanti e da tempo ormai si occupa di far scappare gli orfani maggiorenni. Mi fornirà un nascondiglio per le prime ore, una bicicletta e un nuovo documento di identità. Tutto questo in cambio di qualche sterlina," spiegò.
"Ma è… fantastico!"
"Sì, non ti dico che cosa ho fatto per guadagnarmi quelle sterline, ma fatto sta che con sudore e con fatica ci sono arrivato. C'è un problema però," aggiunse, la voce ormai appena comprensibile tanto era bassa. "A quanto pare, il prezzo è aumentato ed ho solo un paio di giorni per procurarmi una sterlina. È chiaro che non ce la farò, ma se tra due giorni non mi presenterò con la somma pattuita, allora l'accordo salterà e scommetto che Billy non vorrà più fare 'affari'."
"E allora hai pensato bene di chiedere aiuto alla tua amica Salice che, lo sai bene, possiede più sterline di tutti, qui dentro,” concluse la ragazza.

Erano così ovvie le sue intenzioni? Marius comunque annuì, in parte sollevato dal fatto che l'amica avesse compreso la natura di quella conversazione.
"E mi sento un verme, credimi, perché so quanto ti servano quei soldi, so quanto faccia schifo questo mondo dimenticato da Dio. Ma, dall'altra parte, pur vergognandomi come un ladro, non posso non fare un tentativo. E non preoccuparti, se non vorrai capirò benissimo e…"
E Salice, con un gesto, zittì quel torrente di parole.
Prese due sterline dalla scatola e le porse all'amico.

"Ma sono… sono due, io…"
"La prima sterlina te la do perché tu me la chiedi, la seconda te la do come un regalo mio personale," spiegò la ragazza, le lacrime agli occhi.
"Quando sono arrivata qui tutti mi prendevano in giro, solamente due persone mi hanno aiutato. La prima è stata Spranga, che mi ha insegnato come difendermi, la seconda sei stata tu. So bene che sei una delle persone più prese di mira, avresti potuto rifartela su di me, in qualche modo, ma non l'hai fatto," fece una pausa, asciugandosi una lacrima.
"Anche se so che non provi nulla per me, dal punto di vista sentimentale, mi hai consolato, abbracciato, fatto sentire meno inutile e sola, queste cose non posso dimenticarle."

Sembrava che volesse dire oltre ma non ce ne fu bisogno. Marius l'abbracciò forte e i due rimasero in silenzio, fermi in mezzo a quello spiazzo freddo e ventoso.
E allora non sentì niente, niente tranne un grande, onnipresente, calore. Si sarebbe ricordata di Salice, il suo aspetto fragile ma il carattere indomito.

/ / / / / / /



"Ecco, tre sterline. Mi raccomando, cerca di convincere quel vecchio bastardo a non fare troppo l'avaro e farci uno sconto generoso."
"Ci proverò."

Il responsabile se ne andò, lasciandolo solo nell'atrio dell'orfanotrofio.
Ecco fatto, quello era il giorno che avrebbe dato una nuova svolta alla sua vita.
La settimana precedente aveva dato la cifra pattuita a Billy, era sceso nel sottoscala e un tizio piuttosto strano, dai lunghi capelli neri, gli aveva fatto alcune foto.
L'appuntamento era per quella mattina, a mezzogiorno circa.

Marius osservò ancora una volta le pareti dell'orfanotrofio con uno strano mix di sensazioni addosso. Il St. James per lui aveva rappresentato numerose cose, non tutte piacevoli.
All'inizio un'ancora di salvezza dalla strada e da una vita miserabile, ben presto aveva preso la forma di un inferno ma poi, con l'apparizione di Spranga, la situazione era nuovamente cambiata.
Per qualche anno quelle pareti putride avevano preso la forma di una casa, vecchia e sporca ma casa. La situazione adesso era nuovamente mutata e per lui quella costruzione umida e vecchia non rappresentava altro che una prigione, una prigione che finalmente quella mattina avrebbe lasciato.
Uscendo dal portone rimase qualche secondo con gli occhi chiusi, annusando il familiare odore di erba tagliata.
Perché si sentiva così nostalgico?

Perché questa è stata casa tua. Anche se l'hai odiata, è stata una parte integrante della tua vita.
Perché, pur essendo orrida, era comunque una certezza.


Marius si incamminò, dopo un ultimo sguardo al St.James.
Sì, in effetti non aveva molti punti fermi nel futuro, avrebbe lasciato tutte le sue poche cose all'orfanotrofio, sarebbe ripartito con niente tranne che una manciata di sterline in tasca e un nuovo documento. Ma aveva una cosa, una forte motivazione che lo spingeva ad andare avanti. Sarah.
Lei lo stava aspettando, forse insieme alla famiglia.

Ma le pensi davvero queste cose?
Credi davvero che la famiglia che ha cacciato una figlia perché Magonò, dopo tutti questi anni la rivoglia avere in casa?


"Fa niente, anche se non sarà con la sua famiglia, ma da sola, lei mi sta aspettando!"

Ne sei sicuro?
Lo ha detto lei anni fa ma, per quanto ne sai, può averti tranquillamente dimenticato l'istante dopo che se n'è andata via da quel buco di orfanotrofio.


"NON È VERO!"

Marius si fermò per un istante, il fiato corto. Quegli anni di solitudine dovevano aver pesato sulla sua psiche, non era normale urlare per bloccare una voce interiore che gli scavava dentro da tempo.
Il ragazzo rimase fermo per qualche istante, gli occhi chiusi. Quando non senti più quella vocina, riprese a camminare il più velocemente possibile, cercando di non pensare a niente.
Di solito funzionava.

Funzionò e dopo un quarto d'ora arrivò al villaggio; era quasi mezzogiorno, l'orario pattuito, perciò il ragazzo si diresse direttamente verso l'emporio di Richard.
L'uomo lo stava aspettando vicino alla porta. In piedi, la schiena appoggiata alla parete, non parlò ma fece cenno a Marius di entrare dentro e lui obbedì.
"In perfetto orario, bravo."

Billy era già pronto, in piedi dietro il bancone, tra le mani una specie di zaino che passò a Marius.
"Qui dentro c'è il nuovo documento di identità, da adesso sei John Greenberry, un vestito di ricambio e un po' di provviste," spiegò.
"Bene… come funziona?" Chiese Marius.
Per tutta risposta, Billy lo invitò a seguirlo nell'altra stanza presente nell'emporio.
Era una specie di magazzino con tanti scaffali pieni di scatoloni, cibo in scatola e attrezzi.
Billy entrò nello spazio tra due scaffali particolarmente angusti, si piegò per terra e dopo qualche istante nel pavimento apparve un'apertura.

Il proprietario scese, seguito pochi secondi dopo da un Marius piuttosto titubante. Dovette usare una scala a pioli particolarmente vecchia ma poi, una volta scesi i dieci gradini scivolosi, si trovò in quello che sembrava una grotta: era una stanza piuttosto angusta, spoglia ma tutto sommato abitabile.
"Fu scavata dal mio bisnonno per nasconderci merce di contrabbando e in tutti questi anni non è stata mai scoperta. È piccola, soffocante, ma sicura," spiegò Billy mentre Marius depositava lo zaino per terra.
C'era posto solo per una panca all'apparenza decisamente scomoda.
"Verso le quattro di pomeriggio l'allarme circolerà, così è stato le altre volte. Arriverà la polizia che setaccerà la zona ma ormai le fughe dal St.James sono sempre più frequenti, ventiquattrore e se ne andranno via, alzando le spalle."
"E allora potrò uscire?"
"Mio padre va a mangiare alla locanda qui vicino, ha le sue fonti e se domani saprà che la strada è libera… allora sì. Prendi la via che va a nord di qui, qualche ora e arriverai nella prima piccola città. Da lì in poi saranno cazzi tuoi," rispose Billy. "Torno su, il vecchio ha bisogno."

Fece per uscire ma Marius lo bloccò. C'era una domanda che gli frullava in testa da anni e quella, forse, era l'ultima occasione.
"Perché ci aiuti? Noi orfani."
Billy rimase fermo per qualche secondo, parte dello sguardo in ombra.

"Perché mio padre è stato uno degli 'ospiti' del St. James e, anche se non ne parla mai, so quel che ha subito," rispose, infine, salendo i gradini.
"Non sono uno stinco di santo, aiutarvi a scappare è una buona fonte di guadagno, ma, insomma, quando tirerò le cuoia e andrò dal grande capo in cielo, vorrei che nella mia lista assolutamente lunga lista di peccati ci sia anche una buona azione a controbilanciare la cosa. In bocca al lupo."
"Crepi.”

La botola si chiuse.

/ / / / / / /



Eccoci qua, la fuga di Marius è iniziata.
Ma le cose andranno bene?
Marius riuscirà a scappare o verrà beccato?
E Spranga/Sarah?

Lo scoprirete mese prossimo :>

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Capitolo 7
*** La Dura Verità ***


Capitolo 7, La Dura Verità

 



La parte più difficile di quella fuga non si rivelò essere l'attesa dell'arrivo dei poliziotti: come previsto, misero piede nel negozio intorno alle cinque di pomeriggio, gironzolarono intorno alla botola ma evidentemente non la notarono e, dopo qualche minuto di chiacchiere con il proprietario, se ne andarono via.
No, le ore che più lo impensierirono furono quelle della notte.
Billy era sceso per qualche minuto con un piatto di zuppa, annunciando che le ricerche erano ancora in atto, intorno ai boschi, e quindi non era saggio uscire dal suo nascondiglio. Marius divorò quel pasto serale per poi tornare nella completa oscurità, ora che il sole era calato.
Un tempo aveva avuto paura del buio, ma, dopo tanti anni di orfanotrofio, adesso nulla lo spaventava, anche se, con la mente ancora completamente attiva e gli occhi e orecchie spalancati, sussultava ad ogni minimo rumore. Si addormentò, alla fine, ma fu un sonno leggero, tormentato dagli incubi e da visioni spaventose nelle quali veniva catturato e portato indietro. Per sempre.
Alle sette di mattina si svegliò e poté udire dei passi vicino alla botola, la quale si aprì e il viso di Billy fece capolino con una tazza di caffè in mano.
"Dormito bene?" Sghignazzò, porgendo la tazza al ragazzo, il quale bevve quasi con ferocia.
"Mai stato meglio," borbottò.
"Ascolta, ho fatto un giro stamattina e ho visto che ancora ci sono delle pattuglie. Verso l'ora di pranzo, mio padre andrà alla locanda e recupererà più informazioni possibili, ma ti parlo per esperienza, se sei fortunato potresti già andartene ora," Billy sussurrò. "Ma penso che non sia meglio sfidare la sorte, a quanto pare non è stata molto generosa con te!"
Marius annuì. Non aveva fatto tutta quella fatica per rimediare i soldi per finire subito in mano alla polizia.
Dopo un'ultima occhiata intorno, Billy buttò giù dalla botola un sacco che atterrò proprio davanti ai piedi di Marius.

"Ci sono nuovi indumenti, una parrucca e due panini. Ho messo anche una mappa della regione e dell'Inghilterra in generale. Più la carta d’identità nuova, la bici ti aspetta sul retro," aggiunse. Fece per chiudere la botola ma Marius lo fermò.
"Sai che fine ha fatto Spranga?" Chiese.
L'altro rimase per qualche secondo fermo, quasi impietrito, poi appoggiò nuovamente la porta della botola a terra e osservò Marius a lungo.
"Che cosa c'è, anche lei te l'ha fatta annusare, promettendoti una vita insieme, e poi è sparita?" Chiese.
"No, io non vorrei mai… con Spranga…" balbettò il ragazzo.
"Bene, perché è quello che ha fatto con me. Me ero completamente innamorato di quella… l'ho persino accompagnata io vicino quella cazzo di Liverpool," spiegò Billy, "appena ho cercato di farmi avanti, lei mi ha tirato un calcio nelle palle ed è scappata via. Mi aveva detto anche dove si sarebbe diretta, ho pensato di seguirla ma poi mi sono detto che non ne valeva la pena."
A quella notizia, il cuore di Marius raddoppiò la velocità.

"Sai dov'era diretta?" Chiese.
"E perché ti interessa così tanto?" Domandò l'altro, sospettoso.
"Ti prego, è importante per me, più di ogni altra cosa," lo supplicò Marius, gli occhi lucidi. "È come una sorella per me, l'unica ancora di salvezza che ho avuto in quel posto maledetto!"
Billy rimase ancora una volta impietrito da quella reazione ma poi alzò le spalle e scomparve dalla sua vista. Dopo qualche minuto ricomparve con un foglietto in mano.
"Albany Road 14, Liverpool. Che buon pro ti faccia ma rammenta, ragazzo, se la tua nuova vita fuori di qui si deve basare su quella ragazza… stai attento," borbottò, prima di richiudere la botola.

Adesso un pochino di luce filtrava dalle assi di legno e Marius trascorse l'intera mattinata a cercare la sua destinazione sulla cartina.
Liverpool distava circa 150 km, a occhio e croce avrebbe impiegato un paio di giorni in bici, forse anche di più perché non era per niente allenato.
Segnò con una matita il percorso più veloce, una volta nei pressi della grande città avrebbe cercato una mappa più dettagliata.

Quando la botola si aprì nuovamente, il giovane Black rimase per qualche secondo intontito: era già l'ora di pranzo?
Billy fece capolino, sorridendo.
"Vestiti, indossa la parrucca e metti tutto nello zaino. Mio padre è andato alla locanda e ha visto con i suoi occhi gli sbirri togliersi dai piedi. Dovrai fare attenzione, all'inizio passare dalle strade secondarie, ma ce la puoi fare."
Marius annuì, ripose tutto nella borsa e si vestì, compresa una lunga parrucca nera.
Salire sulle scale non fu facile, dopo tutte quelle ore fermo nella stessa posizione, e la luce degli occhi lo ferì, ma non c'era tempo per aspettare: Billy lo prese per mano e lo guidò fino all'uscita sul retro.
Là lo attendeva una vecchia bici.

"Non è il massimo, lo so," ammise Billy, aiutando a depositare lo zaino di Marius nel cestino davanti, "ma freni e gomme sono a posto, è leggera e maneggevole. Prosegui per quella strada dritto per un paio di chilometri e sei fuori dal paese."
"Grazie, Billy. Di tutto," balbettò il giovane Black.
"Avanti, monta su e vattene," esclamò l'altro, aiutandolo a salire sopra.
Un'ultimo saluto e poi, finalmente, Marius partì, iniziando a pedalare.

/ / / / / / /



Le prime ore furono quelle più difficili: Marius era poco allenato, anche se i numerosi lavori che aveva eseguito all'interno dell'orfanotrofio lo avevano irrobustito.
Nonostante tutto, quindi, pedalò a un'andatura veloce per diversi minuti, prima di sentire fitte di dolore ai polpacci.
Si riposò nel folto della foresta che circondava la cittadina, stando bene attento a evitare le strade principali, fino a quando, verso sera, non arrivò al limitare di quella zona molto boscosa.

Si riparò tra gli alberi e cercò di organizzare un giaciglio per la notte. Faceva freddo ma al ragazzo non importava: estrasse la mappa e, guidato dalla luce lunare, fece alcuni semplici calcoli.
A quell'andatura avrebbe impiegato un paio di giorni a raggiungere Liverpool.
E poi che cosa avrebbe fatto? Aveva terminato di mangiare il panino, cosa mai si sarebbe messo sotto i denti?
Era la sua prima notte da cittadino libero fuori dall'orfanotrofio. Non ci aveva ancora pensato ma solo, nella foresta, il peso di quella realizzazione lo oppresse.

I suoi dubbi ebbero risposta il giorno successivo: appena uscito dalla foresta, trovò infatti una fattoria, fuori un cartello appeso con su scritto "Cercasi Apprendista" attrasse l'attenzione di Marius.
Il suo obiettivo era Sarah, ma se doveva arrivare a Liverpool aveva bisogno di energia e di qualche soldo in più.

Percorse il viottolo fino ad arrivare a una vecchia fattoria. Sulla destra c’era la piccola casa padronale, sulla sinistra si trovavano una ventina di mucche. Avanzò fin quasi a raggiungere la casa quando una voce lo richiamò. “Chi sei?”
Un uomo piuttosto anziano, con corti capelli grigi e una folta barba bianca era appena uscito da una stalla e l’osservava con fare indagatore.
“Ho… ho letto il cartello. Cercate un’apprendista… giusto?” Chiese il ragazzo, timoroso.
L’altro lo squadrò per diversi secondi, in silenzio.
“Non sei di qui… vero?”
Lo aveva riconosciuto? Com’era possibile?
“N… no, signore,” borbottò, a disagio.
“E cosa ci fai da queste parti dimenticate da Dio?” Il proprietario si era fatto avanti e l’osservava intensamente.
Non poteva mentire… né tantomeno dire la verità. Optò per una via di mezzo.

“Mia sorella mi aspetta a Liverpool, ma ho perso la strada e ho bisogno di un po’ di denaro…” Era fiacca come bugia ma era la cosa migliore che potesse dire per cavarsela.
“E i tuoi genitori?”
“Loro sono… morti,” sussurrò Marius, certo che la sua copertura fosse saltata.
L’uomo rimase ancora qualche secondo a osservarlo, poi alzò le spalle.
“La paga è poca, devi aiutarmi a mungere le mucche e portare le bottiglie in giro per questo buco di paese. Ti prenderai il 5% del denaro guadagnato ogni giorno. Ci stai?” Chiese. Era più di quanto sperasse!
“S… sì, certo, signore!”
“E chiamami Luke,” borbottò l’anziano, sorridendo e facendo strada.

La famiglia Milligan si dimostrò molto ospitale.
I coniugi Lucy e Luke accolsero il suo arrivo a braccia aperte: la paga era buona, i coniugi fornivano anche vitto e alloggio e Marius decise che, tutto sommato, Sarah avrebbe potuto aspettare qualche giorno.
In effetti si trovò molto bene, specie se confrontava l'ambiente della fattoria con quello dell'orfanotrofio; il lavoro non era molto complicato e si divertiva ad accompagnare il vecchio Morgan in giro per le case, distribuendo latte e raccogliendo soldi che poi alla fine della giornata dava all'anziano, trattenendo la sua paga.
Tornato a casa, aiutava a sistemare le stalle delle mucche, e se era in forma, anche la casa dei coniugi.

Sentiva che, forse, avrebbe potuto ricominciare da capo, in quella fattoria.
La sera, ascoltando le vecchie storie di Luke e le canzoni che Lucy sussurrava mentre faceva l’uncinetto, Marius sentiva crescere in sé il rispetto per quei due.
Ma ogni sera la faccia di Sarah compariva nei suoi sogni, ricordandogli che non poteva rimanere là, per sempre. Doveva andarsene e l'occasione gli giunse dopo circa dieci giorni di lavoro.
Quella mattina, infatti, venne risvegliato da urla di dolore. Si affrettò a uscire e trovò Luke steso per terra: era caduto dalle scale e si era fratturato una gamba.
Lucy dovette accompagnarlo alla casa del dottore e perciò Marius si propose di fare il lavoro dell'uomo e completare le consegne.

Così fece, munse le vacche e, una volta presa la bicicletta, portò avanti le solite consegne in un tempo incredibilmente veloce dato che, senza Luke, i vari vicini si dimostrarono molto più taciturni.
Dopo solo un'ora aveva completato il giro e, tornato alla fattoria, scoprì che i due coniugi non erano ancora rientrati.
Marius si trovò con in tasca un discreto gruzzolo e nessuno che lo controllasse.
Era l'occasione giusta, con quei soldi sarebbe riuscito ad andarsene a Liverpool e a rimanere là qualche giorno, comprare da mangiare. Era una cosa disonesta, Lucy e Luke gli avevano offerto ospitalità e un lavoro, e lui se ne approfittava così?

Sulle prime pensò di non farlo, di comportarsi come un'onesto cittadino. Ma poi l'immagine di Sarah che lo attendeva spazzò ogni dubbio.
Prese un pezzo di carta e vi scarabocchiò sopra delle scuse, vaghe promesse che sarebbe tornato, un giorno, con il doppio della somma che gli aveva rubato. Salì in soffitta, dove aveva sistemato la sua roba, prese tutto quello che gli serviva e, dopo solo un quarto d'ora, si chiuse alle spalle la porta della fattoria.
Montò sulla bici e pedalò il più velocemente possibile via da lì, prima che i coniugi tornassero e il rimorso gli rendesse impossibile andare avanti.

Sarebbe tornato, insieme a Sarah, avrebbero spiegato tutto e lui avrebbe reso il maltolto.
Sai benissimo che non sarà così. Ti sei approfittato della loro ospitalità, non ti faranno mai rientrare.

Rimase in silenzio, questa volta la voce che sentiva dentro di sé, quando si sentiva particolarmente stressato, aveva ragione, dovette ammetterlo.

/ / / / / / /



Liverpool era estremamente diversa da come se l'era immaginata.
Fino a quel momento non aveva mai vissuto in una metropoli: Black Manor si trovava fondamentalmente nel nulla e il piccolo villaggio dove era locato l'orfanotrofio impallidiva al confronto di Liverpool. C'erano così tanti odori, rumori, strade e palazzi che colpirono il giovane Black.
Da che parte incominciare?
Nella sua mente, Liverpool era una città più grande del villaggio dove aveva passato la sua adolescenza, ma non possedeva certo quelle dimensioni!
Aveva un indirizzo, ma anche solo per scoprire come arrivarci il ragazzo ci impiegò un paio di giorni: con i soldi che aveva preso in pres…
Rubato.
…stito dai coniugi Milligan aveva preso una piccola stanza in una pensione per un paio di notti nelle quali riuscì a reperire una mappa e a trovare la sua destinazione, per fortuna non molto distante.

Uscì presto, tre giorni dopo il suo arrivo a Liverpool, inforcò la bicicletta e si diresse verso la casa dei genitori di Sarah. Aveva memorizzato le istruzioni e in cerca mezz'ora, pedalando di buona lena, si allontanò dal quartiere malfamato che lo aveva ospitato nei due giorni precedenti, ed entrò in uno diverso, con varie villette a schiera e molto più verde nei viali ben curati.
Era entrato in Albany Road.
Un po' ansante, per lo sforzo e per l'ansia, si fermò davanti al numero 14 e scese dalla bici. Di fronte a sé aveva l'ennesima villetta che dava direttamente sulla strada con un piccolo giardino sul lato posteriore. Ripassò mentalmente il discorso che avrebbe dovuto fare ai genitori e poi bussò forte sulla porta.

Sulle prime non ricevette risposta, e Marius fece quasi per voltare le spalle e ritentare, magari il pomeriggio, quando la porta si aprì e una signora con lunghi capelli grigi e occhi penetranti, gli stessi di Spranga, fece capolino dalla soglia dell'ingresso.
"Sì?" Chiese, insicura, trovandosi di fronte quello che sicuramente non appariva come un abitante di quel quartiere così alla moda.
"Salve, sono Marius Black, un'amico di sua figlia," disse il ragazzo, il cuore in gola. A quelle parole, una sottile ruga apparve tra gli occhi della donna. "È in casa?"
L'altra non disse nulla ma, per tutta risposta, chiuse la porta.
Marius rimase fermo, troppo stupito da quella strana reazione.
Perché si era comportata in quel modo? Era timida? Si era ritirata per chiamare Sarah?

Mentre era ancora là, fermo, in piedi, non sapendo bene cosa fare, sentì nuovamente un rumore e questa volta un uomo alto, con pochi capelli neri e un'espressione torva uscì dal numero 14.
"Fuori da casa nostra," borbottò, minaccioso.
"Ma cos…" quella era l'ultima reazione che Marius si era aspettato. L'uomo avanzò ancora.
"Lei c'ha parlato di te, hai pensato bene che fosse una cosa saggia immischiarti nelle faccende degli altri, non è così?"
"Io… lei mi ha detto che…"
"Che noi siamo dei mostri, non è così?" Sbraitò l'uomo. "Invece l'abbiamo mandata via di casa per una buona ragione. Siamo una famiglia stimata sia nel mondo magico che in quello Babbano, lei si è presentata qui con una faccia da agnellino… ma io la conosco bene…”
"Do… dov'è?" Balbettò Marius, indietreggiando.
"Voleva tornare qui da noi, capisci? Abbiamo fatto di tutto per mandarla all'orfanotrofio e lei, dopo tutti questi anni, torna indietro come se niente fosse accaduto, istigata da te," continuò l'altro, imperterrito.
"Ma perché? Perché non l'avete accolta?"

L'uomo sputò per terra.
"Venticinque generazioni di maghi senza mai una delusione, ci ha coperto di ridicolo. Lavoro al Ministero, sono un pezzo grosso, ancora pochi anni e sarò a capo del Dipartimento dell’Applicazione della Legge sulla Magia, ma con una Maganò in casa come posso pensare di fare carriera?"
Di fronte a quella risposta, al vero motivo dietro al quale Sarah era stata cacciata di casa, Marius rimase esterrefatto.
“Tutti ci ridevano dietro e Sarah continuava ad accusarci. Noi, come se non fosse lei il problema!”
Tutto si riduceva al lavoro. Con una Maganò in famiglia il genitore della sua amica poteva dimenticarsela una promozione.
E allora, l'unica soluzione che gli era apparsa possibile, era quella di allontanare la figlia.
Venne colpito da un'ondata di delusione, rabbia e schifo che quasi vomitò.

"Dov'è lei?" Chiese.
L'altro alzò le spalle.
"Per me può essere pure morta, ma so che mia moglie l'ha vista gironzolare intorno a Clayton Street. È una zona malfamata, ma a me non interessa, non la voglio più vedere," rispose. "E se, per caso, dovessi ritornare, ti lancerò una maledizione ancora prima che tu possa dire 'Sarah'."
Di fronte a quelle parole cariche di odio, Marius vacillò ancora una volta. Strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nel palmo delle mani.
"Sarah è una persona fantastica, la porterò via e inizieremo una nuova vita insieme!" Sibilò. "Preferire il lavoro a una figlia… fate schifo."
L'altro sorrise.
"Non sai di che cosa parli, ragazzino. Sei uno straccione, l'ultimo degli ultimi, mentre io sono un pezzo importante del ministero. Ora vattene, prima che ti faccia a pezzettini e, sì, ho abbastanza conoscenze per farlo senza temere delle conseguenze."

Marius avrebbe voluto fare mille cose diverse.
Attaccarlo, prenderlo a pugni, erano tutte buone opzioni ma non avrebbe risolto nulla: doveva prima vedere Sarah.
Dopo un'ultima occhiata glaciale, il ragazzo si voltò, raggiunse la bici e pedalo via, più velocemente possibile.

Non poteva salvare l’anima dei genitori di Sarah… ma forse quella della sua amica sì!

/ / / / / / /



Eccoci qui, dopo un mese di pausa. Capitolo tosto da scrivere ma sappiamo che la condizione dei Magonò era tutt’altro che facile. Se ai tempi di Harry Potter i Magonò erano ancora visti con disprezzo,l figuriamoci all’epoca di questa storia…
Cosa sarà successo a Sarah? Lo scoprirete il prossimo mese!

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Capitolo 8
*** Clayton Street, Terza Baracca a Destra. ***


Capitolo 8, Clayton Street, Terza Baracca a Destra.

 



Il padre di Sarah aveva descritto Clayton Street come una zona malfamata ma, osservandola bene, Marius capì che malfamata non era un aggettivo abbastanza pregnante. Schifosa, misera, putrescente, avrebbero potuto raccontare meglio quel groviglio di baracche e case abbandonate che ospitavano gli ultimi della società di Liverpool.

Odore di feci, urina, sangue, fogna, e chissà quale altre oscenità, attaccarono il naso del ragazzo che quasi vomitò mentre mise per la prima volta piede in quel posto dimenticato da una qualche entità capricciosa e vendicativa.
Doveva trovare la sua amica e tirarla fuori di là il prima possibile.
Ma a chi doveva rivolgere la parola? Le poche persone che gironzolavano per le strade malfamate avevano tutta l'aria di essere tipi da evitare, una lezione che aveva ben imparato nel corso dei suoi anni all'orfanotrofio.
Chi sembra pericoloso spesso lo è.

Vide una donna di una certa età, coperta di cenci, alzarsi da terra, bestemmiando, i lunghi capelli grigi impiastricciati con fango e chissà cos'altro. Poteva essere un inizio, quella vecchia non sarebbe certo riuscita a metterlo al tappeto se l'avesse attaccato.

"Cerco una ragazza di nome Sarah, la conosci?" Chiese, avvicinandosi sospettoso. In una delle tasche della giacca aveva un coltello che aveva rubato dalla fattoria, ma non l'aveva mai usato prima e farlo in quella strada non gli sembrava la migliore delle prospettive.
"Che cazzo vuoi?" Rispose l'altra, la voce ringhiosa, avvicinandosi con passo malfermo.
"Sto cercando Sarah, forse la conosci come Spranga."
"Io non conosco un cazzo di nessuno, ragazzino. Cos'è, ti sei perso mentre tornavi da scuola?" ululò la donna, aggressiva. Adesso che era più vicina, Marius poteva distinguere un forte odore di whisky.

"No, è una mia amica," rispose, mettendo una mano in tasca e afferrando il coltello.
"Sì la conoscono una certa Spranga, ma le mie informazioni hanno un prezzo…"
Marius si osservò intorno, tutti i pochi barboni presenti sembravano pesantemente addormentati.
Era un rischio perché non sapeva come avrebbe reagito la vecchia, se gli altri facevano solo finta di dormire o se al primo allarme sarebbero scattati in piedi, pronti ad aggredirlo, ma non poteva perdere ulteriore tempo.
Doveva trovare Sarah e il prima possibile.

Estrasse velocemente il coltello e lo puntò al petto della vecchia.
Sentiva una profonda rabbia pervaderlo e dovette dominare l'impulso di affondarlo nelle carni marce donna.
"Ora tu mi dici dove si trova Spranga e forse ti lascio andare, ti pare un giusto prezzo?" Sussurrò tra i denti.
L'altra occhieggiò il coltello e poi il viso dell'aggressore un paio di volte, come se cercasse di determinare se Marius fosse dotato di sufficiente coraggio per attaccarla.
Esitò ma infine sussurrò: "terza baracca sulla destra," e poi, velocemente nonostante l'età e la condizione fisica, si dileguò nel dedalo di strade.

Marius impiegò alcuni secondi per calmarsi e rimettere il coltello in tasca. Aveva il fiatone e si sentiva svenire, ma resistette. Non poteva crollare, non ancora e non in quel posto.
Tenne stretta la sua arma nella tasca per tutto il breve tragitto fino alla terza baracca che incontrò sul suo cammino.
C'era un uomo fuori, ben piazzato e dall'aspetto bellicoso, era perfettamente chiaro che per entrare avrebbe dovuto superarlo e non poteva farlo con il fisico.

"Devo entrare, quella vecchia laggiù mi ha detto che qui dentro si trova una mia amica, Sarah, che voi conoscerete come Spranga," balbettò, di fronte allo sguardo sprezzante dell'altro.
"La vecchia Betsy ti ha aiutato?" chiese, la voce roca e cattiva.
"Chi?"
"In questo settore c'è solo una vecchia. Se ha deciso di aiutarti vuol dire che in qualche modo l'hai colpita,” spiegò l'altro.
"Sì, stavo per farlo con un coltello se non mi avesse dato l'informazione giusta!"
Si rese conto troppo tardi di aver detto, e non solo pensato, quelle esatte parole.

La guardia lo scrutò per qualche istante e poi scoppiò a ridere.
"Anche se sei solo un ragazzino, la vecchia Betsy deve avere riconosciuto che hai le palle, ragazzo, entra pure!" Esclamò infine.
Marius sorrise, timido, e fece per entrare quando l'altro lo bloccò.
"Dammi il coltello."
Entrare in una baracca sconosciuta, in un quartiere dimenticato da Dio, con all'interno persone che non conosceva… sarebbe stato un pazzo a farlo.
Esitò e l'altro evidentemente dovette comprendere i suoi dubbi perché si affrettò ad aggiungere: "te lo ridarò non appena sarai uscito, tranquillo, nessuno qua dentro ti aggredisce quando c'è il vecchio Roger di guardia!"

Con la sensazione di stare per compiere un grosso errore, Marius consegnò il coltello a Roger e poi entrò dentro.
La puzza all'interno, se possibile, era ancora peggiore di quella di Clayton Street e il ragazzo impiegò alcuni secondi per soffocare un conato di vomito.
L'odore di urina, feci, sangue e fogna sembrava quasi concentrato in quella struttura da un solo piano, squallida e priva di qualsiasi comfort o igiene. Sul pavimento erano stati sistemati una dozzina di sudici materassi e su ognuno di esso si trovava, riversa sopra, una persona.

No, doveva esserci stato uno sbaglio, Sarah non sarebbe mai potuta finire in una struttura del genere.
“Che sei un piedipiatti?”
Un uomo, disteso su un materasso alla sua destra, biascicò.
“No, sto cercando Sarah.”
“Laggiù…”
L'uomo indicò verso la fine di quella baracca e con il cuore in gola, Marius corse verso quella direzione.

Ma poi si bloccò.
In effetti, sull'ultimo materasso di quella struttura c'era una ragazza, ma non poteva essere Sarah.
Doveva esserci stato un errore, non poteva essere altrimenti.
Quella figura scheletrica dai lunghi capelli e l'aspetto quasi cadaverico… no, non poteva.
Quasi attratta dalla sua presenza, la figura aprì gli occhi e l’osservò per qualche istante. Le labbra sottili e screpolate si alzarono leggermente, aprendosi per rivelare diversi denti mancanti.

“Sto sognando?” sussurrò, la voce roca. “Marius, sei tu?”
Il ragazzo indietreggiò, finendo quasi per ribaltarsi su un materasso e il suo occupante, il cervello incapace di elaborare tutte quelle informazioni così sbagliate.
Si voltò e si mosse il più velocemente possibile per raggiungere Roger al di fuori della baracca.

“Già fatto?” Chiese, ma si bloccò, notando l'espressione di Marius.
“Che cosa le è successo? Cosa le avete fatto, come è possibile che…”
"Ehi, calmati, ragazzo,” la voce profonda dell'uomo bloccò il filo di domande e le sue, neanche poi così tanto, velate accuse.
“La tua amica è arrivata qui, in queste condizioni, più o meno due mesi fa. Anzi, in realtà in condizioni ben peggiori, non so cosa le sia successo ma si rifiuta di raccontarcelo.”
“E perché non avete chiamato un dottore per farla visitare?” Chiese Marius, incredulo.
Anche nel suo orfanotrofio se un bambino stava male c'era un dottore pronto a visitarlo.
Roger rise amaramente, scuotendo il testone.
“Non hai capito che per la società noi siamo solo spazzatura? Ai capi della città non interessa se noi tiriamo le cuoia, anzi siamo un peso in meno per la città, gliel'ho sentito dire con le mie orecchie,” rispose. “Con i pochi fondi a nostra disposizione paghiamo un dottore che viene una volta a settimana e poco può fare per la tua amica. Sarah è giovane ma ha alle spalle una vita di droga, vizi e tanta sfortuna.”

A quelle parole Marius crollò, si mise a sedere per terra, le mani nei capelli, lacrime che scendevano dagli occhi senza che lui potesse bloccarle.
“È così… così ingiusto!”
"Già, quindi ti consiglio di entrare dentro e stare più tempo possibile con la tua Sarah perché non so quanto potrà rimanere tra noi,” rispose Roger, aiutando Marius a rialzarsi.

La seconda volta era preparato, ma comunque rivedere le condizioni della sua amica fu lo stesso terribile. Prese una sedia e si mise accanto alla sua compagna di orfanotrofio.
“Ho sognato questo momento per anni… ma, nei miei sogni, io ero in condizioni migliori…” sussurrò Sarah, le mani tra quelle di Marius.
“Che cosa è successo?”
“Che ti sbagliavi, non tutti vogliono dare una seconda possibilità e forse non tutti se la meritano.”
“Ho parlato con i tuoi genitori, loro non…” sussurrò Marius.
“Mia madre forse sì, ma papà…” Sarah prese fiato e continuò.
“Avevo così tante speranze e quell'uomo, quel bastardo, ha distrutto tutto. Ero così disperata che sono finita nei giri peggiori, tu eri ancora nell'orfanotrofio e io sola con metà cuore distrutto.”
“Sarei dovuto fuggire con te,” sussurrò il ragazzo ma Sarah scosse la testa.
“Tu non hai nessuna colpa, sei la ragione per la quale sono sopravvissuta all'interno del St. James e quella per la quale mi sono attaccata alla vita, nonostante le cose che ho fatto al mio corpo e alla mia anima.”

Non parlò più, era troppo stanca.

/ / / / / / /



Nei giorni seguenti Marius non abbandonò mai il capezzale della sua Sarah, dormiva accanto a lei sul pavimento, le dava da mangiare e ben presto divenne una specie di mascotte per la baracca.
La ragazza non raccontò mai le sue tragiche vicende, si limitava ad ascoltare i racconti di Marius sull'orfanotrofio e sulla sua fuga con espressione serena.
I primi giorni sembrò potersi riprendere: tornò a mangiare da sola, ad alzarsi nuovamente dal materasso per andare in bagno, ma durò poco.
Ben presto le condizioni si aggravarono nuovamente, colpi di tosse la lasciavano senza fiato, respirava spesso a fatica e l'appetito sparì nuovamente. La visita del dottore durò a lungo e quando uscì dalla baracca aveva un'espressione demoralizzata.

“Mi devi promettere una cosa,” sussurrò Sarah al termine del loro quinto giorno insieme. “Che non tenterai di metterti in contatto con tuo padre.”
Marius rimase in silenzio.
“D'accordo, io voglio solo mia sorella, non mi metterò in contatto con nessun altro della famiglia.”
“Se tuo padre è come il mio, e non ne dubito data la stessa fine che ci hanno fatto fare, avrà vietato a tutti i membri della famiglia di mettersi in contatto con te. Ci ho provato e ho fallito con mia zia e con mia nonna,” rispose Sarah, una nota d'urgenza nella voce.
“Ma mia sorella…”
“Anche mia nonna mi adorava e la cara zia Elizabeth era sempre pronta per ospitarmi il fine settimana, eppure guarda la fine ho fatto. Non voglio che tu faccia la mia.”

Sarah non capiva, era stata una figlia viziata fino a quando la tragedia non l'aveva colpita.
Marius, invece, era sempre stato il più debole in famiglia, quello preso di mira dai familiari perché troppo piccolo, troppo malaticcio, troppo debole e sua sorella già in passato lo aveva difeso contro tutti e tutto, perché questa volta le cose sarebbero dovute andare in maniera diversa?
Ma non ebbe il cuore di deludere Sarah e perciò annuì.
E fu come se dopo quella assicurazione, il compito di Sarah nel mondo fosse giunto al termine. Rassicurata, nonostante i tentativi di Marius e degli altri abitanti della baracca, perse ogni voglia di vivere e di lottare.

Un paio di giorni dopo il loro ultimo confronto, la ragazza perse conoscenza e nonostante i tentativi del dottore, chiamato da Rogers in urgenza, non ci fu nulla da fare. Sarah spirò tra le braccia di Marius.

/ / / / / / /



Il ragazzo visse i giorni successivi in uno stato di trance, raggomitolato accanto al materasso che era stato di Sarah, rifiutandosi di uscire o anche solo di fare a patti con il fatto che la sua Spranga non c'era più, che il mondo che lo aveva cullato negli ultimi anni di orfanotrofio, uno nel quale lui e Sarah avrebbero potuto ricominciare da capo, insieme, si era sgretolato tra le mani.
La sua amica giaceva nel piccolo camposanto a cinque isolati dalla baracca e lui rimaneva appigliato alla vita solo nella speranza che la sorella lo avrebbe riabbracciato.

“Andiamo, devi uscire da qui o, se vuoi rimanere, pagare uno scellino a settimana.”
Il sesto giorno, la voce di Roger lo fece uscire dalle tenebre.
C'era sua sorella, non poteva rifugiarsi in quella topaia, doveva contattarla. Marius si alzò, mettendosi lo zaino in spalla, e, accompagnato da Roger, uscì dalla baracca.
Fuori lo attendeva la sua vecchia bici.
“Non me l'hanno rubata?” Fu la spontanea reazione del ragazzo.
Roger rise, dando una pacca sulla spalla di Marius.
“Nessuno tocca la roba dei miei ragazzi. Andiamo, ti accompagno per un pezzo.”
Marius annuì, sollevato. Da solo si sarebbe perso in quel dedalo di viuzzole.

“Se vuoi possiamo passare dal cimitero,” propose dopo qualche minuto ma Marius scosse la testa. Non ce la faceva ad affrontare quel peso, non in quel momento.
“Non ho mica capito come vi siete conosciuti…”
“In orfanotrofio.”
“Genitori morti?”
Il ragazzo rimase in silenzio per qualche secondo, cercando di trovare un modo per raccontare la loro vicenda senza accennare al fatto che fossero dei Magonò.
“Le nostre famiglie ci hanno cacciato di casa,” rispose, infine.
“E perché?” Chiese Roger, grattandosi il mento.
“Perché… non eravamo ben accetti in famiglia, troppo diversi da loro e così ci hanno scaricato appena possibile,” spiegò Marius.
“Bah, gente del cazzo. E così vi siete conosciuti in orfanotrofio, eh?”
“Sì, lei voleva iniziare una nuova vita, lontana da qui, ma io l'ho convinta del fatto che, dopo tutti questi anni di lontananza, i suoi genitori fossero cambiati, forse sarebbero stati disponibili ad accettarla,” spiegò Marius.
“E lei ci ha provato… ma non è successo,” concluse Roger.

Non ci fu bisogno di replicare. Il ragazzo si ritrovò a pensare come quel Roger fosse una persona davvero particolare, sapeva infatti emanare un'aura di rispetto e soggezione negli altri, eppure era il primo a dare una parola di conforto o un aiuto ai poveri derelitti che abitavano nella baracca.
"No, non è successo. Se non mi avesse dato retta forse sarebbe ancora…”
“Non devi assolutamente prendertela con te stesso Marius, nel mondo ideale i genitori non dovrebbero mai allontanare i figli,” lo interruppe Roger. “Pensavi che dopo tutti questi anni magari avessero cambiato idea, ma così non è stato e questa è solo colpa loro, dei genitori di Sarah.”
“Il padre l'ha abbandonata perché aveva paura che la sua unica figlia lo intralciasse nel lavoro e nella sua carriera,” sussurrò Marius.
“Io non so che cosa abbia fatto la tua amica, ma lo stato in cui è arrivata alla baracca… se c'è qualcuno che merita di pagare è quella bestia,“ ruggì l'altro, stringendo i grossi pugni.

Si fermarono. Erano arrivati al confine di Clayton Street e il resto del mondo civilizzato.
Roger batté una pacca sulla schiena del ragazzo.
“Non so dove ti porterà la vita, spero non di nuovo qua, ma l'unico consiglio che mi sento di darti è quello di non cambiare, Marius. Perché il mondo fa schifo e non c'è bisogno di assecondarlo,” disse, stringendo poi la mano dell'altro.
“Grazie di tutto, Roger. Non… non lo dimenticherò!”
Dopo qualche secondo di silenzioso imbarazzo, il giovane Black volse le spalle, montò sulla bici e attraversò la strada. Arrivato sull'altro marciapiede si voltò ma il suo accompagnatore si era già volatilizzato.

Sapeva che cosa doveva fare ma prima c'era un conto in sospeso, Roger aveva ragione, tutto era nato dai genitori di Sarah, avevano commesso un doppio errore, portando la loro figlia alla morte.
Non poteva semplicemente andarsene via da lì senza fargliela pagare, permettere a quell'uomo malvagio e senza cuore di non provare un po' del dolore che Sarah aveva subito.
Sentì nuovamente un'ondata di rabbia assalirlo e strinse il coltello nella tasca.

/ / / / / / /



Scoprì che il padre della sua amica, oltre a essere un individuo diabolico e senza cuore, era anche terribilmente routinario.
Usciva ogni mattina alle sette e rientrava il pomeriggio alle quattro, nei tre giorni che passò a osservarlo non mancò mai una volta l'appuntamento.

Marius più e più volte si chiese se fosse la cosa giusta da fare, aveva cambiato idea una decina di volte eppure c'era sempre quella vocina nella sua testa.
È colpa di quell'uomo se Sarah è morta, fagliela pagare. Non permetterai mica a quel bastardo di continuare a perdurare su questa terra?

L'idea di uccidere un essere vivente era una cosa che lo terrorizzava ma, allo stesso tempo, l'ipotesi di andarsene via da quella città e lasciare che quel mostro continuasse a vivere, senza pagare per la morte di Sarah, si rivelava essere allo stesso tempo orripilante.
Non aveva dormito, si era cibato con qualche avanzo rubato per strada e in quelle condizioni la vocina si faceva sempre più forte.
Lo aveva convinto a nascondersi dietro un cespuglio vicino al punto dove tutte le mattine l'uomo si materializzava.

Mancavano pochi minuti alle sette, Marius tremava di ansia e paura, il coltello in mano, occhi e orecchie puntate verso l’abitazione.

Non appena si ferma e si concentra per materializzarsi, spunti fuori e lo accoltelli e poi, il più velocemente possibile, scappi via.
Punterai verso Clayton Street, nel caso ci sia qualche testimone, ma non rimarrai là, uscirai subito dopo la baracca del vecchio Willis, e poi via.

“Ma io non sono un assassino…”
Lui sì! Ne abbiamo già parlato mille volte, non pensare al gesto che stai per compiere ma a quello che vorrà dire per Sarah e per tutti i Magonò!

Stava per ripensarci ancora una volta, e ribattere alla voce, quando sentì un rumore alle sue spalle. Era lui, uscito in perfetto orario.
Si avvicinava, il passo svelto e sicuro.
Marius estrasse il coltello di tasca e fece per alzarsi quando il piede destro sdrucciolò sul terreno.
L’altro si fermò, incuriosito da quel rumore. Portò la mano alla tasca.
Muoviti, sta per estrarre la bacchetta!

Accadde tutto in un attimo.
Marius uscì dal cespuglio, situato a non più di tre metri dal padre di Sarah, coltello alla mano e si diresse a piena velocità verso l’uomo. Costui apparve così sorpreso che si bloccò, la mano ancora nella giacca interna della tasca.

Uno, due, tre colpi al petto. Accadde tutto così velocemente che l’uomo cadde a terra, morto, senza nemmeno poter urlare, chiedere aiuto.
E Marius corse, il più velocemente possibile, montò sulla bici e si allontanò dalla scena, la vista offuscata dalle lacrime, la bocca storta in un’espressione soddisfatta.

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Scusate per la lunga assenza, non voglio assolutamente mollare questa storia ma la vita e il Writober hanno ritardato il mio ritorno. Spero che possiate apprezzare questo ritorno ^^

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Capitolo 9
*** Una Nuova Destinazione ***


Capitolo 9, Una Nuova Destinazione.

 



L’uccisione di un facoltoso membro della comunità in un altrettanto distinto sobborgo di Liverpool scatenò immediatamente una furiosa serie di dibattiti sulla sicurezza delle strade di quella grande città e il caso finì anche su qualche testata giornalistica regionale.
Fu un caso che si rivelò ben presto molto difficile da risolvere e la polizia brancolò nel buio per anni, prima di disinteressarsi alla vicenda e lasciar cadere quel caso nella marea di omicidi senza un autore.
Marius questo però non lo poteva certo sapere.

Il ragazzo fuggì da Liverpool pedalando a più non posso, fermandosi in una locanda fuori dalla città, solo dopo diverse ore di tragitto inquieto e solitario.
Era stanco, ancora incredulo di come le cose fossero andate e spaventato per il suo futuro.
Sarah. La sua Sarah era morta. Riusciva a stento a crederci, l’amica che tanto aveva fatto per lui al St. James se n’era andata dove lui non avrebbe potuto seguirla.
Fosse rimasto da solo al mondo forse lo avrebbe fatto, l’avrebbe raggiunta, ma Marius possedeva ancora una tenue speranza.
I suoi genitori si sarebbero comportati come quelli di Sarah?
Lo avrebbero cacciato di casa, lasciando che vivesse nella miseria?
No, al solo pensiero, tremava. Sua madre e Cassiopeia non l’avrebbero lasciato nella polvere.

E poi c’era la sensazione di sentirsi sporco dentro, una sporcizia che l’acqua non poteva risolvere. Aveva ucciso una persona.
Un bastardo, certo, un miserabile ma pur sempre una persona.
Si osservò le mani, per tutta la sera, sentendole sporche di sangue caldo. Stentava a credere a quello che la disperazione e la sete di vendetta l’avevano portato a compiere.
Se ne pentiva?

No, sai benissimo che se lo meritava. Non fare il finto tonto, non con me…

A malapena riuscì a dormire e lo fece sognando ripetutamente il triste incontro con Sarah e l’assassinio del padre. Il giorno dopo si alzò con due notevole occhiaie, rimontò in bicicletta e proseguì verso nord senza rivolgere la parola agli altri ospiti della locanda.
Non aveva un’idea precisa in mente, non si ricordava minimamente l’ubicazione di Black Manor e probabilmente sua sorella non ci viveva più. Non sapeva nemmeno se si fosse sposata oppure no.
Pensò, pedalando, che doveva necessariamente, a tutti i costi, trovare un centro magico per reperire informazioni.
Un centro magico… Il dilemma occupò la mente del ragazzo fino a quando, verso le dieci di mattina, giunse a una ovvia conclusione… ma certo, era ovvio, Hogsmeade!
Vi si era recato un paio di volte in compagnia di suo padre, anni prima, e da quello che si ricordava era uno, se non il solo, centro abitato completamente abitato da maghi e streghe nel Regno Unito.
La sua unica possibilità.
Fermò la bici, leggendo un grosso cartello. “Manchester, 15 chilometri.”
Hogsmeade si trovava in Scozia, questo era l’unico punto di riferimento che aveva. Da lì doveva partire.

Pedalò il resto della mattina, e per parte del primo pomeriggio, fino ad arrivare alla periferia di Manchester. Era una città per certi versi simile a Liverpool, per altri decisamente differente.
Rimase ancora una volta sorpreso di fronte a quella calca di gente che sembrava non finire mai né tantomeno possedere il minimo rigore logico.
Era troppo tardi per continuare il suo viaggio ma si rese conto ben presto che con poche sterline a disposizione, gli alberghi costavano decisamente troppo per le sue magre tasche.
Dopo essere uscito, depresso, dall’ennesima pensione, il ragazzo notò, sotto un vicino ponte ferroviario, una piccola folla di uomini e donne, tutti riuniti uno vicino l’altro.
Capì immediatamente che si trattava di un gruppo di senzatetto, l’unica sua possibilità per la notte era unirsi a loro.

Appoggiò la bicicletta ad un palo, ormai non gli serviva più, e si avvicinò, con discrezione, a un gruppo composto da una ventina di persone, rifugiatesi sotto un basso ponte.
Erano tutte radunate intorno a due focolari in cerca di caldo e protezione. Non appena sentirono i passi del ragazzo farsi più vicini, uno di loro, apparentemente il capo, si alzò, brandendo un bastone contro Marius.

“Chi sei e cosa diavolo vuoi da noi?” sbraitò, avanzando.
“Io… niente, non so dove andare e…”
“E vuoi unirti a noi? E chi ci dice che non sei della polizia?” L’uomo sputò, facendosi sempre più vicino. Marius iniziò a indietreggiare e fece per scappare quando una voce gentile richiamò il suo aggressore.
“Erik, ma ti sembra che questo ragazzo possa essere un poliziotto?”
Una donna anziana, dai lunghi capelli bianchi, si alzò a sua volta, osservando attentamente i due.
“Ma che ne so?” Borbottò Erik, abbassando il bastone. “Chi sei?” Chiese, rivolto a un Marius decisamente confuso.
“Marius, il nome è Marius e sono in viaggio da questa mattina…” sussurrò il ragazzo, abbattuto.
“Non sei uno sbirro?”
“Ma ti pare che abbia l’aria di essere uno di loro?” Chiese l’anziana, avvicinandosi. “Povero caro, che cosa ti è successo?” chiese.
“Sono in viaggio, devo andare in Scozia ma ho a malapena i soldi del biglietto e non un posto dove dormire, stanotte,” spiegò il ragazzo, sull’orlo delle lacrime.
“E volevi unirti a noi?” sbottò Erik.
“Sì, ecco, io…”
“Vieni, caro, avvicinati pure,” sussurrò la donna, afferrando una mano di Marius e invitandolo ad avvicinarsi ai fuochi.
Con la coda dell’occhio, il giovane Black vide Erik alzare gli occhi al cielo, scuotendo la testa.

Marius e l'anziana donna, che si presentò come Emma, arrivarono di fronte a un gruppo composto da una decina di senzatetto i quali, nonostante le condizioni evidentemente disagiate, non esitarono a dare una mano al ragazzo. Gli offrirono una coperta, un pasto caldo e il calore del fuoco contro quel freddo che entrava senza pietà alcuna fin dentro le ossa.
I suoi nuovi compagni lo tempestarono di domande fino a quando il giovane Black non fu praticamente costretto a raccontare la sua triste storia: i suoi genitori che lo diseredavano, l'orfanotrofio, la fuga e la morte di Sarah.
Omise soltanto due particolari abbastanza importanti, ma che sicuramente avrebbero compromesso la sua posizione già di per sé a rischio: il fatto che lui fosse un mago e che avesse da poco ucciso una persona.

“Io e mio marito abbiamo tentato per anni di avere un figlio,” mormorò una ragazza, “non ci siamo mai riusciti. Se penso a tutti quei bastardi che cacciano di casa i loro figli quando non sanno l'onore che provano a essere genitori…”
Strinse i pugni distogliendo lo sguardo, asciugandosi con rabbia una lacrima con il dorso delle mani screpolate.
“E ora dove sei diretto?” Chiese Emma, dando una pacca sulla spalla della ragazza.
“In Scozia. Mia sorella abita là, lei forse non si comporterà come mio padre,” rispose Marius.
“La gente non cambia mai, ricordatelo,” sbottò Erik. “Non farti tante illusioni, parti sempre aspettandosi il meno possibile e vedrai che nella vita non avrai mai grosse delusioni.”
“Questo è un modo piuttosto triste di vivere, non mi pare un buon consiglio da dare a un ragazzo,” ribatté Emma. Poi, rivolto a Marius, aggiunse: “la stazione ferroviaria è poco distante da qui, domattina prosegui dritto per circa un chilometro e la troverai, è piuttosto grande, dovresti riuscire a vederla!”
“Grazie, Emma. Non so come avrei fatto senza di te,” sussurrò Marius, sul punto di addormentarsi dopo aver pedalato per tutto il giorno.
“Noi che viviamo per la strada siamo sempre pronti ad aiutarci a vicenda, ma ora dormi, ragazzino,” rispose la donna, sorridendo. “Hai una lunga strada da fare, domani.”

/ / / / / / /

Il giorno dopo, al risveglio, il ragazzo impiegò diversi secondi per connettere con la realtà e comprendere che si trovava ancora sotto il ponte e che aveva dormito all'addiaccio.
Distolse la coperta calda e si alzò, sentendo tutto il corpo rattrappito per aver dormito su una superficie scomoda e dura come la terra. Eppure ce l'aveva fatta, era vivo e aveva recuperato abbastanza energie per continuare il suo viaggio.

Gli altri senzatetto continuavano a dormire, dall'orologio di Erik capì che erano a malapena le sei di mattina. Presto, eppure al pensiero di potersi finalmente muovere e raggiungere Hogsmeade, e forse sua sorella, ogni traccia di stanchezza sparì dal suo corpo.
Uscì dal calore dalla protezione offerta dal suo rifugio per la notte e si avventurò per le strade mattutine di Manchester.
Numerosi individui già affollavano le strade della città, ma la situazione si rivelò decisamente meno caotica rispetto al giorno precedente in pochi minuti Marius arrivò di fronte a una vasta costruzione dal quale partivano diversi binari: la stazione dei treni, la sua destinazione.

Aveva già preso una volta un treno, allora era stato insieme ad alcuni compagni dell'orfanotrofio per partecipare a non si ricordava bene quale premiazione, e quindi sapeva cosa fare, anche se allora tutto era avvenuto in scala molto ridotta.
Una volta entrato dentro la stazione si unì a una piccola fila che portava ad alcune biglietterie.
L'attesa si rivelò breve, appena dieci minuti, infine fu il turno di Marius.

“Dove devi andare?” Chiese una donna dall'aspetto burbero.
“In Scozia.”
“Questo non mi aiuta. In Scozia dove?”
Maledizione, non aveva pensato minimamente In quale parte della della regione più settentrionale della Gran Bretagna Hogsmeade si trovasse.
“Qual'è la città più grande?” chiese, arrossendo per la vergogna.
La donna l’osservò con malcelata avversione, si voltò per osservare una cartina appesa alle sue spalle e poi, voltandosi, rispose: “la West Coast Main Line parte da qui e arriva direttamente a Glasgow.”
“D'accordo, andrà benissimo!” Rispose Marius, sorridendo.
Acquistò un biglietto di sola andata di terza classe, prosciugando le poche riserve di denaro, e si avviò verso il binario 3 dove si sedette, in attesa.
Ben presto le poche panchina a disposizione vennero occupate da una piccola moltitudine di viaggiatori, pronti a recarsi in Scozia per affari o per tornare a visitare qualche lontano parente.
C'erano tante famiglie, un aspetto che contribuì a far sentire il giovane Black solo più che mai, nonostante avrebbe affrontato quel viaggio insieme a così tante persone.

Il fischio di un treno in arrivo distolse il ragazzo dai suoi pensieri cupi.
Alzò il capo e vide un grosso treno a vapore della LMS fermarsi proprio davanti a lui. Si riscosse, saltò in piedi e corse verso il fondo del treno, dove uno dei viaggiatori gli aveva detto si sarebbero trovate le carrozze di terza classe.
Salì i tre gradini e si ritrovò in ambiente certamente spartano e semplice ma che, dopo la nottata trascorsa dormendo sotto un ponte, a Marius parve l'ambiente più comodo e bello di questo mondo.

Si sedette in uno scompartimento abbastanza affollato, porse il biglietto al controllore e poi, non appena il treno iniziò a muoversi, si addormentò profondamente.

/ / / / / / /



Il viaggio durò circa quattro ore e mezzo, un tempo piuttosto lungo ma che Marius non percepi in quanto dormì per la maggior parte del tempo.
Si risvegliò solamente quando il convoglio arrivò in vista di Glasgow, in quanto il capotreno passò per tutti gli scompartimenti urlando: “cinque minuti al nostro arrivo, cinque minuti a Glasgow!”
Il ragazzo si stiracchiò, sentendosi decisamente riposato dopo la lunga dormita.
Non aveva la minima idea di che cosa avrebbe fatto, una volta sceso in città, ma solo il fatto di trovarsi più vicino ad un centro di maghi e streghe che forse avrebbero potuto dargli una risposta, contribuì a sollevare lo spirito del giovane Black. Più vicini a Hogsmeade, più lontano da Liverpool.
Un quarto d'ora più tardi, Marius uscì dalla stazione di Glasgow tremendo leggermente per l'atmosfera decisamente gelida.

Indossava ancora gli indumenti che si era comprato quando ancora lavorava alla fattoria, jeans e camicia a maniche lunghe, e ormai erano piuttosto usurati e non adatti all'inverno scozzese.
Avrebbe sofferto il freddo forse, ma, una volta riunitosi a sua sorella, tutte quelle sofferenze sarebbero sembrate nulle, solo un buffo ricordo di una lunga disavventura.
Rimase fermo nella piazza davanti alla stazione dei treni, non capendo bene che cosa fare, leggermente intontito per le numerose persone che gli passavano accanto.
Possedeva i soldi necessari giusto per un buon pasto, fece così per incamminarsi verso un bar, all'apparenza caldo e economico, quando una frase in particolare giunse alle sue orecchie.

“Questi maledetti Babbani, sempre in mezzo ai Boccini!”
Babbani…
Non era un termine nuovo nella sua vita, anche se riapriva porte che aveva chiuso decisamente da tempo.
Babbani.
Ma certo, era una parola che i maghi usavano per indicare le persone senza sangue magico!
Si voltò e vide due uomini farsi largo tra la folla, sempre borbottando cattiverie nei confronti dei passanti.
Li seguì, fuori da quella calca di Babbani, e non appena i due entrarono in una stradina laterale, decise di rivolgergli la parola.

“Siete dei maghi, vero?" Chiese, alzando la voce per attirare l'attenzione dei due.
“Forse… e tu chi saresti?” rispose quello più alto dei due.
“Marius… Marius Black. Vi posso chiedere un favore, con tutto il cuore?”
“Ma dico io, incontri due sconosciuti e la prima cosa che fai è chiedere un favore?” Borbottò quello più basso.
“È una situazione disperata, devo andare a Hogsmeade in ogni modo possibile!” Esclamò Marius, avvicinandosi.
“Materializzati!”
“Usa una scopa…”
“No, io sono un… Magonò.”

L'espressione curiosa dei due cambiò all'istante. Quello alto si ritrasse di qualche passo mentre il basso mormorò: “ci dispiace ma non possiamo certo accompagnarti fino a Hogsmeade, abbiamo i nostri affari, noi!”
“Ma io…”
“Se vuoi informazioni puoi andare da quel Babbanofilo di Richard Weasley, sempre dritto poi gira a destra alla terza strada che incontri,” sbottò quello alto, scocciato. “L'unico idiota che poteva venire fin qui ad aprire un centro informazioni per Nati-Babbani, parenti di Babbani e Magonò.”

Marius non se lo fece ripetere due volte. Salutò i due maghi e corse verso la direzione indicatagli il più velocemente possibile.
Non fece molta fatica per trovare la sua destinazione: ben presto entrò in una via secondaria, formata quasi esclusivamente da case diroccate e palazzine in precarie condizioni.
Giunto alla metà esatta di Charlie Road, così si chiamava quella viuzzola, vide una specie di ufficio, all’apparenza piccolo, polveroso e insignificante.
Solo un’insegna storta alla parete scrostata che però attrasse l’attenzione del ragazzo: “Richard Weasley. Una Mano ai Nostri Nuovi Amici!”
Emozionato, si avvicinò e aprì la porta.

Entrò in un’ambiente piccolo, scarsamente illuminato e ingombro di mappe, poster e schedari. C’era posto solo per una scrivania spartana, un paio di sedie e un’uomo sulla quarantina, magro e con lunghi capelli rossi, seduto su una poltrona, intento a studiare una mappa all'apparenza molto antica.
Il rumore della porta aperta colse completamente di sorpresa l'uomo il quale sobbalzò, lanciando la cartina per aria.
“Oh, scusa, non mi aspettavo di avere dei clienti stamattina,” balbettò, raccogliendo la mappa per terra e facendola svanire con un colpo della bacchetta magica.
Poi si voltò, spolverandosi i pantaloni con le mani, e tese a Marius una grossa mano “Richard Weasley, per servirti!” Esclamò, gioviale.

“Marius Black,” si presentò il ragazzo, prendendo posto in una delle poltrone. Richard prese posto nell'altra, osservandolo affascinato.
“Ecco, io…” esordì il giovane Black, indeciso su come introdurre l'argomento che più gli stava a cuore. L’altro uscì da qualche sua fantasticheria e lo interruppe, gioviale.
“Se sei un Nato Babbano e hai bisogno di informazioni in questo vasto mondo, hai scelto il posto giusto! Ho aperto questo ufficio quindici anni fa e ho già aiutato diversi Nati Babbani a trovare il loro posto nel mondo, posso certamente riuscirci anche con te!”
“Sì, beh, ottimo… solo che io sarei un Magonò,” sussurrò Marius, cercando in tutti i modi di non arrossire. L'entusiasmo di Weasley calò vistosamente eppure non perse il sorriso.
“Beh, i Babbani sono il campo nel quale sono più specializzato, sono comunque sicuro di poterti dare una mano, Marius… Black?”
L'uomo strabuzzò gli occhi. “Tu sei uno di quei Black?”
“Se intende dire che i miei genitori sono una delle famiglie Purosangue più importanti del paese… sì," rispose Marius, chinando la testa. “Peccato che non sia riuscito a ereditare niente della mia famiglia.”

Richard Weasley si grattò il mento con aria pensosa per qualche istante di cupo silenzio, i vispi occhi puntati sul soffitto.
“Essere un Magonò è, purtroppo, ritenuta una disgrazia per tante famiglie, non oso immaginare per i Black… e non oso pensare a che cosa avrai dovuto passare nella tua vita, ragazzo.”
“Già, diciamo che ho avuto un bel po' di esperienze, non tutte positive,” rispose Marius.
“E quindi, dove sei diretto? Che cosa ci fai in Scozia?” Chiese Richard, tornando a posare i suoi occhi sul ragazzo. “Con un treno Babbano? Bellissimo, io so tutto sui treni e…” Weasley lo interruppe con tale gioia che per un momento parve un bambino di fronte ai regali di Natale. Poi, evidentemente accortosi di aver interrotto un discorso importante, arrossendo lievemente sì zitti e fece cenno a Marius di continuare.
“Devo recarmi a Hogsmeade per raccogliere notizie sui miei genitori e su mia sorella. Non so dove si trovino, non ho mai cercato l'ubicazione del maniero dei miei genitori su una mappa e mia sorella potrebbe essersi sposata. Ho bisogno di informazioni e di un po' di denaro magico e sono sicuro che l'unica possibilità che ho è recarmi nell'unico villaggio completamente magico del Regno Unito.”
In realtà quel piano frullava nella sua testa da quando era scappato dall'orfanotrofio, dargli forma, parlandone con quel Weasley, contribuì in qualche modo a renderlo più vicino, più fattibile.

L'uomo tornò a grattarsi il mento, pensieroso.
“Hai con te del denaro? “ chiese, infine, con tono decisamente più pratico.
Marius mise una mano in tasca e ne tirò fuori il magro contenuto: qualche centesimo e poco più.
“Normalmente il mio onorario è un po' più alto," borbottò Weasley. “Ma ammetto che non ho mai incontrato una persona con una situazione così difficile. Aspettami qui,” esclamò, alzandosi e dirigendosi nel retrobottega.
Ne uscì qualche minuto più tardi con un giacchetto bello imbottito tra le mani e la bacchetta magica nell'altra.
“Alzati.”
Il ragazzo obbedì.
Richard puntò la bacchetta verso di lui e il ragazzo fece per spostarsi quando, improvvisamente, vide i suoi vestiti, jeans e camicia ormai scoloriti e sfilacciati, tornati come nuovi e splendenti, come forse non erano mai stati.
“Io…”
“Provati questa giacca, è calda,” propose Richard. Aveva ragione, foderata all'interno di pelo, Marius si sentì improvvisamente, per la prima volta da quando era scappato dalla fattoria, al caldo.
“Non deve, io…”
“Sì, in effetti non dovrei," rispose Weasley, tirando fuori calamaio e pergamena e iniziando a scrivere quella che aveva tutta l'aria di essere una lettera, “lo lasciò qui un cliente ormai un mese fa. Non credo che lo reclamerà e sembra servire più a te che a lui.”

In pochi minuti terminò la sua lettera che spedì, legando il messaggio a una zampa di un gufetto che dormiva su un trespolo in un angolo della stanza.
Poi l'uomo prese un vecchio quotidiano, si alzò e si avvicinò al ragazzo.
“Arriveremo a Hogsmeade tramite Passaporta. Ho appena inviato una richiesta ufficiale al Ministero, a breve l'oggetto si illuminerà e tu lo devi afferrare e non mollarlo per nessun motivo,” spiegò. Marius annuì, concentrato.
Dopo pochi secondi, in effetti il quotidiano si illuminò di una luce dorata, Richard ordinò: “adesso!” e il ragazzo afferrò un'estremità del giornale, l'altra nella mano di Weasley.

“Uno… due… tre!”

/ / / / / / /

La Passaporta si rivelò un'esperienza stranissima: fu come se un gancio avesse afferrato lo stomaco del ragazzo e trascinato nel nulla.
Marius urlò, spaventato, cercò di mollare la presa ma era come se le sue dita fossero letteralmente appiccicate alla superficie dorata del giornale.
Dopo qualche secondo quel supplizio terminò e il ragazzo crollò a terra su una dura superficie gelata.

“Forse avrei dovuto avvertirti degli effetti della Passaporta,” esclamò Richard, aiutando il ragazzo a rialzarsi da terra.
Mentre Marius cercava di ripulirsi dalla polvere, si voltò e per poco non svenne.
Fino a qualche istante prima si trovava in uno squallido ufficio, ora era all'aria aperta in un piccolo villaggio innevato.
Hogsmeade, aveva visitato quel villaggio anni prima eppure se lo ricordava ancora quasi perfettamente.

I due si avviarono per la strada principale, passando accanto a diversi abitanti del villaggio.
Richard ne salutò un paio, sorridendo placidamente mentre Marius rimaneva estasiato dalle varie vetrine magiche.
In lontananza videro un grande edificio, all'apparenza caldo e accogliente. “I Tre Manici di Scopa” recitava l'insegna.
Marius se la ricordava bene, rappresentava una tappa fissa nelle varie occasioni in cui aveva accompagnato il padre in quel paesino.
Fece per avvicinarsi, ma il suo accompagnatore lo bloccò, con un tocco sulla spalla, e lo guidò verso una stradina laterale.
“Ma perché…”
“Qui la gente è piuttosto diffidente,” spiegò Weasley, guidandolo per il dedalo di stradine. “E un Black Magonò attira decisamente troppo l'attenzione, soprattutto quelle indesiderate. C'è un altro posto dove potrai comunque raccogliere le sue informazioni senza dare nell'occhio.”

Dopo altri minuti di lento incedere, i due arrivarono di fronte a un'altra locanda ma questa decisamente diversa da quella precedente.
“La Testa di Porco” appariva sporca, i vetri erano quasi tutti oscurati, la parete nera non invitava certo i passanti ad entrare e prendere una Burrobirra.
“Sei sicuro…” Marius stava osservando la sua destinazione con un'aria decisamente perplessa.
“Aberforth, il proprietario, è un tipo strano, burbero,” spiegò Weasley. “ Ma è solo una facciata, lascia che io ci parli. Forse riuscirò a convincerlo a darti un lavoro, lo so non è il massimo, ma potrai metterti da parte qualche soldo e raccogliere informazioni allo stesso tempo.”
Il giovane Black continuava a nutrire parecchi dubbi ma per educazione, visto che Richard si era speso così tanto per lui, annuì e insieme entrarono ne “La Testa di Porco”.

Scoprirono ben presto che gli interni della struttura in qualche modo rispecchiavano l'esterno anche se, e Marius se ne rimase positivamente sorpreso, il grande stanzone interno appariva comunque comodo.
Certo, la pulizia lasciava un po' a desiderare, e i tavoli erano messi un po' alla rinfusa, senza apparente rigore logico.
Un uomo dai lunghi capelli neri si trovava, in piedi, dietro il bancone, anch'esso non particolarmente brillante, mentre già una piccola schiera di clienti affollava il locale.
“Ehi, Ab, hai un momento?” Chiese Richard, sorridendo, in direzione del barista.
Costui squadrò i due per qualche secondo, come indeciso se valessero il suo tempo, versò una bevanda dall'aspetto inquietante a una strega non meno rassicurante e poi, sospirando, si avvicinò a loro.

“Richard, sempre dietro alle sottane dai Babbani?” Chiese, scontroso.
“Ah, ad Ab qui piace scherzare,” Weasley sorrise, dando un colpetto con il gomito a Marius.
“Scherzare un corno, che diavolo vuoi, pel di carota?”
A quelle parole il sorriso di Richard svanì.
“Ti ho portato un nuovo aiutante!” Esclamò, indicando Marius.
“E chi è, uno dei tuoi amici Babbani?”
“No, io sono un Magonò, signore,” rispose Marius, d'istinto.
“Ah, che mi venga un colpo, un Magonò come aiutante!” Esclamò Aberforth, scuotendo i lunghi capelli. “Sarei lo zimbello del villaggio!”
“Non che la feccia che chiami clienti sia migliore” si intromise Richard, “o che tu abbia una nomea cristallina, vero? Dove sono le tue caprette?”

“Richard non ti uccido qui, sul posto, perché conosco tuo fratello e si, è strambo anche lui ma sicuramente molto meglio di te,” sibilò l'oste, dopo qualche secondo. “E tu, da che famiglia provieni? "Chiese, rivolto a Marius.
“Dai Black…”
Aberforth l'osservò attentamente e poi scoppiò a ridere.
“Non ci credo, un Black Magonò, pensavo di averli viste tutte, eh, ma questa!”
“La sua famiglia lo ha abbandonato quando aveva solo undici anni, dovresti mostrare un po' di rispetto,” obiettò Richard, contrito.
Ma Aberforth lo ignorò.
“E perché vorresti trovare un lavoro qui? Non puoi fare il barista in qualche pub Babbano?”
“Ho bisogno di un lavoro qui, a Hogsmeade, perché è uno dei pochi centri magici dove, sono sicuro, riuscirò a trovare informazioni sui miei genitori e su mia sorella,” rispose Marius. “All'orfanotrofio ho fatto diversi lavori fisici e manuali, ho lavorato in fattoria, so sostenere il duro lavoro!”

L'oste osservò il ragazzo con attenzione, forse per la prima volta da quando avevano messo piede nel pub.
C'era una espressione strana nei suoi penetranti occhi, incorniciati da una barba malfatta.
“Un genitore che manda via un figlio non merita una seconda chance,” borbottò, “rimettersi sulle loro tracce non potrà che farti del male ragazzo. Si può vivere bene, in questa vita, anche senza famiglia e te lo dico per esperienza personale. Ma se questo è il tuo volere non posso certo impedirlo.”
Sospirò, squadrando Richard.
“D’accordo, ma se fa pena lo caccio fuori, ok?”
“Oh, ma sono convinto che andrà benissimo!” esclamò Weasley, gioviale. “Ti chiederei un po’ di idromele… ma immagino che farò meglio tornare al mio ufficio. Marius, in bocca al lupo, per qualsiasi cosa scrivimi!”
“Signor Weasley, grazie, senza di lei non avrei…”
“Sì, basta convenevoli,” interloquì Aberforth, “Vieni, Marius.”

Salutato Richard, il ragazzo seguì l’oste per le scale fino a raggiungere il primo piano.
“Ci sono sei stanze, una è la mia, questa è la tua,” l’uomo aprì una porta mezza storta e i due entrarono in un’ambiente disordinato ma caldo.
“Riposati e poi scendi, dobbiamo preparare il servizio serale,” brontolò Aberforth. L’uomo fece per aggiungere qualcos’altro ma si zittì, limitandosi a chiudere la porta.

Marius non se lo fece ripetere una seconda volta. Crollò sul materasso e, vinto dalle decisamente troppe emozioni provate in quegli ultimi giorni, crollò addormentato.
“Sarah… ce la farò… per te,” fu il suo ultimo pensiero prima di crollare tra le braccia di Morfeo.

/ / / / / / /

Eccoci qui, Marius finalmente è arrivato a Hogsmeade e nel prossimo capitolo, mese prossimo, vedremo come si ambienterà e come, e se, riuscirà a mettersi in contatto con la famiglia. Sì, Richard Weasley è un prozio inventato da me. L’ho amato fin dall'inizio e, insomma, Arthur da qualcuno avrà preso la passione per i Babbani!
Spero vi sia piaciuta, al prossimo mese!

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Capitolo 10
*** Nina e Cassiopeia ***


Capitolo 9, Nina e Cassiopeia

 



Ci volle un po' di tempo ma presto, dopo solo qualche settimana, la figura di Marius Black rappresentò, per gli avventori del pub, una piacevole novità.
Un ragazzo giovane, timido ed educato ma allo stesso tempo un gran lavoratore, nonostante il servizio non fosse ancora dei migliori. Tutto il contrario di quel burbero di un Aberforth.
Divenne quasi una mascotte di quel pub lurido e pieno di avventori, spesso non proprio raccomandabili.
Marius dimostrò presto una capacità di adattamento che sorprese il suo datore di lavoro e perfino Richard Weasley, quest'ultimo solito controllare la nuova routine del Magonò.
Non era certo il lavoro dei suoi sogni, bisognava ammetterlo, ma rispetto all'orfanotrofio si trattava di un notevole miglioramento.

Si svegliava tutti i giorni intorno alle sette di mattina e, dopo aver sistemato la sua stanza, scendeva al piano inferiore per preparare il pub all'apertura.
Pagava i fornitori, sistemava le bevande dietro il bancone, puliva il pavimento e gettava via i rifiuti. Quando Aberforth scendeva, normalmente mai prima di mezzogiorno, il pub era già pronto per il servizio pomeridiano.
Silente borbottava e brontolava, perché il Magonò aveva stravolto il suo locale, ma sotto i baffi sorrideva, sorpreso che, per una volta, Richard Weasley non gli avesse proposto un completo caso umano.

A pranzo si occupava di raccogliere le ordinazioni e servire i tavoli, sebbene ancora non fosse completamente a suo agio nel compito.
“Sei troppo insicuro, guarda che se rompi i piatti li ripaghi tu!” Era il mantra ripetuto costantemente da Aberforth.
Dopo un breve riposo, la routine riprendeva la sera fino a tarda notte quando finalmente si ritirava nelle sue stanze, stanco, esausto ma soddisfatto e con qualche buona mancia in tasca.
Il lavoro duro non lo stancava né tantomeno lo spaventava: si era fatto le ossa all'orfanotrofio quando era solo un ragazzino, e alla fattoria.
No, ciò che lo disturbava era il fatto che non fosse ancora riuscito ad avere notizie di sua sorella.
Si era confidato con Aberforth qualche giorno dopo il suo arrivo a “La Testa di Porco”.

“E così sei alla ricerca di tua sorella, nella speranza che ti accolga a braccia aperte?” L'oste aveva esclamato. “Ma fregatene, puoi ricostruirti una vita qui. La tua famiglia non ti merita, non dopo il trattamento che ti hanno riservato.”
“Ma mia sorella è diversa…”
Aberforth aveva scosso la testa.
“Forse faresti meglio a dire che era diversa. Anche mio fratello era diverso, eppure si è trasformato in un decelebrato. Il sangue non vale un cazzo, prima te ne renderai conto e prima riuscirai a vivere meglio.”

Marius aveva annuito, anche se chiaramente non condivideva la visione cinica del suo datore di lavoro.
In realtà, aveva compreso fin da subito che quel lavoro poteva rivelarsi una miniera di informazioni utili.
Gli avventori del bar non erano solamente stregoni malvagi, tutta una serie di ubriaconi si riversava nel pub, durante il sabato sera, e per esperienza il giovane Black aveva scoperto che chi è preda dell'alcol parla molto più liberamente e senza freni.
Inoltre, trascorreva quasi tutto il martedì, l'unico suo giorno libero, ai “Tre Manici di Scopa” il locale più affollato della cittadina, ma con pochi risultati.

/ / / / / / /

Erano passati diversi mesi dall'arrivo di Marius a Hogsmeade e i progressi tardavano ad arrivare.
Il pub era particolarmente ricco di avventori quel sabato sera del 5 Dicembre 1937., Marius, lavorava a rotta di collo, trasportando Burrobirra e alcolici dal bancone ai tavoli senza freno.
Ma si bloccò quando vide la stazza poderosa di Arthur de Loney cercare di prendere posto dietro una lunga tavolata.

Con uno scatto, il ragazzo si avvicinò all'uomo con fare deferente.
“Salve, signor de Loney, il solito?”
“Si capisce ragazzo, si capisce,” borbottò l'altro, sfinito per lo sforzo di far entrare il suo pancione nello stretto spazio tra la seduta e il tavolo.
Marius obbedì, zelante, e dopo qualche minuto tre pinte di Whisky Incendiario e due idromele erano state posizionate davanti agli occhi famelici di uno dei clienti più abbienti del pub.
Arthur frequentava i “Tre Manici di Scopa” ma dopo un’ubriacatura molesta di troppo, e la creazione di una rissa memorabile, gli era stato impedito l'accesso al famoso locale.
Per questo motivo aveva dovuto trasferire le sue sbronze nell’altro pub della cittadina e Marius aveva accolto il suo arrivo come una benedizione.
Nella veste di rappresentante, De Loney promuoveva prodotti di un'illustre industria di casalinghi magici, fornendo a metà della popolazione Purosangue oggetti per la casa.. Forse i Black erano tra queste.

Ci volle una mezz'oretta affinché gli alcolici avessero effetto e Arthur iniziasse a mostrare gli effetti di un'ubriacatura poderosa.
“Ah caro, ragazzo, un giorno di questi mando tutti a quel paese,” bofonchiò. “Non ne posso più di tutti quei Purosangue che ti guardano dall'alto in basso. Sono pronto a scommettere che possiedo un conto alla Gringott sicuramente migliore di tanti di loro eppure sono un Mezzosangue, faccio un lavoro umile, quindi mi trattano come una merda! Scusa il termine, ragazzo.”
“Quali famiglie serve? Immagino, quasi tutte quelle Purosangue,” chiese Marius.
“Già, e tutti i più stronzi li ho beccati io!” Arthur rispose, “e domani devo andare dai Black, i peggiori di tutti, te lo assicuro.”

A quelle parole, per poco Marius non fece cadere il vassoio. Solo grazie all'esperienza riuscì a mantenere l’equilibrio e a far passare quel gesto inconsulto come una perdita di equilibrio.
Si scusò, riportò il vassoio da Aberforth, e nel frattempo rifletté sulle parole di Arthur.
Conosceva i Black e comprendeva che doveva approfittare della situazione.
Raccolse il coraggio a due mani e poi tornò dall'uomo con un nuovo boccale di idromele.

“Ah grazie,” borbottò de Loney.
“Si figuri, è un piacere. Perdoni la domanda, ma, per caso, conosce Cassiopeia Black?” Chiese Marius, il cuore in gola.
L'altro aggrottò le sopracciglia.
“Il nome non mi è nuovo,” esclamò, estraendo dalla tasca un libricino consunto. Lo aprì, sfogliò diverse pagine e poi disse: “infatti, è una delle mie clienti, la dovrò incontrare tra qualche giorno, sì. Come fai a conoscere una Black?” Chiese, sospettoso.
“Ah, ecco… eravamo compagni di classe ad Hogwarts… Serpeverde,” aggiunse e a quelle parole lo sguardo dell'altro si fece più vivido.
“Ah, lo sapevo che eri uno a posto.”
“Non è che potrebbe lasciarle un messaggio da parte mia?” Chiese Marius, reggendosi al tavolo perché la paura di crollare era troppo forte.
“Uhm? Sì, immagino di sì. Ma scrivimelo, ragazzo, perché sono convinto che domattina non mi ricorderò niente di questa conversazione,” borbottò de Loney, passando al ragazzo il libricino e una penna.
“I Babbani sono degli idioti ma queste loro penne sono decisamente più comode.”

Marius rifletté prima di scrivere. Doveva inserire un messaggio breve, ma conciso, e che solo sua sorella avrebbe potuto comprendere.
Infine appoggiò la penna Babbana sulla carta e scrisse, nella sua grafia sghemba.

“Ciao Peia, sono Marius. In questo momento mi trovo a Hogsmeade, lavoro per “la Testa di Porco.” Che ne dici, ti va d'incontrarci ai “Tre Manici di Scopa”? Ho tante cose da dirti, martedì è l'unico giorno libero che ho. Se questa settimana non potrai, ti aspetterò ogni martedì fino a quando non tornerai da me.”

Dopo un’ultima occhiata al messaggio, ringraziò Arthur e continuò il suo lavoro, il cuore in una morsa nella gola, come un prigioniero ansimante.

/ / / / / / /

I giorni successivi si rivelarono un’agonia per il giovane Marius. L’idea che sua sorella avrebbe potuto ricevere un suo messaggio, dopo anni di lontananza, poterla incontrare di nuovo… tutto sembrava andare troppo bene, quasi in maniera irreale e innaturale.
Visse i giorni successivi in una specie di trance, portò avanti il suo lavoro al pub come sempre ma era chiaro a tutti che Marius avesse altri pensieri per la testa.
E poi venne martedì.
Marius non dormì, quella notte, troppe le emozioni che stava provando in quel momento e che facevano gara per avere il sopravvento su di lui.
La mattina successiva, Marius trascorse ore chiuse in camera, curandosi, indossando gli abiti migliori. Seduto sul letto, cercava di non impazzire mentre preparava un discorso per Cassiopeia.
Che cosa avrebbe fatto, quali parole le avrebbe rivolto, rivedendola? Sarebbero andati a vivere insieme?

Pensa a Sarah, pensa a quello che ti ha detto e com’è finita.

Quella vocina si ripresentò ma Marius la ignorò bellamente. Non ne aveva più bisogno.

A mezzogiorno scese le scale, salutò Aberforth e poi uscì tra le stradine innevate di Hogsmeade. Faceva freddo ma il ragazzo non se ne curava, avanzando nella neve alta come se camminasse lungo una strada perfettamente liscia.
Quando “I Tre Manici di Scopa” apparve all’orizzonte, Marius ormai aveva il fiatone, sul punto di svenire.

Non verrà, chi te lo dice che quell’ubriacone si sia ricordato? O che lei voglia avere a che fare con te?

Questa volta ignorare la voce fu più difficile.
Fece per voltarsi, una volta di fronte alla porta, e per scappare via, tornare al pub e darsi dello stupido. Ma poi l’immagine di Sarah gli si parò davanti agli occhi. Ma cosa stava facendo?
Mollava proprio in quel momento, quando era così vicino a scoprire la verità? A capire se quel viaggio e la fuga dall’orfanotrofio avessero avuto un senso?
Chiuse gli occhi, respirò a fondo e poi aprì la porta per mettere piede nel locale.

“I Tre Manici di Scopa” si rivelò fin da subito ben diverso da “La Testa di Porco”.
Il pavimento era lucente, la stanza luminosa e accogliente, con una clientela non affatto equivoca e ben più numerosa rispetto alla tana di Aberforth.
Una ragazza gli si avvicinò, zelante. “Posso aiutarti?”
Marius fece fatica a rispondere, la bocca asciutta a causa dell'ansia.
“Sto aspettando una persona. Posso… sedermi, nel frattempo?”
La ragazza annuì e indicò all’altro un tavolo grazioso abbastanza vicino alla porta. Marius si sedette e poco dopo ordinò una Burrobirra.
Com’era diverso il clima, più amichevole, caloroso. Chissà come sarebbe stato lavorare là…
Poco dopo, ordinò una Burrobirra. Non aveva sete, ma voleva almeno avere qualcosa da fare per distrarsi dall'ansia che lo tormentava.
Bevve, la mente lontana da quel pub, da Hogsmeade.
Andò indietro nel tempo, alla sua gioventù, ai pomeriggi passati in compagnia dei fratelli, degli zii. Chissà sua madre o sua padre che cosa avrebbero detto, rivedendolo? Come avrebbero reagito i suoi parenti, la comunità Purosangue…

“Ehm, scusa… sei tu Marius?”
Una voce delicata lo riscosse dai suoi pensieri. Scosse la testa, intontito. Oltre le finestre, il Sole era più basso… ma quanto tempo era trascorso, perso nei suoi ricordi?
Di fronte a lui era apparsa una donna, apparentemente sulla trentina, lunghi capelli rossi, un vestito elegante e l’aria d’imbarazzo a malapena celata nello sguardo.
“Io… sì, sono Marius. Piacere…”
La ragazza non si mise a sedere, rimase in piedi, a disagio. Il pub adesso sembrava decisamente meno affollato, la Burrobirra ormai tiepida.
“Sono Nina.” Fece per aggiungere qualcos’altro ma si morse la lingua e rimase in silenzio, cercando evidentemente di trovare le giuste parole.
“So che oggi ti dovevi incontrare con Cassiopeia,” disse, infine. “Quando de Loney è venuto…”
“Un momento,” Marius interruppe la ragazza, alzando le sopracciglia “tu… tu vivi con Cassiopeia?”
Nina arrossì lievemente.
“Sì, per questo ho ricevuto io il tuo messaggio. Tua sorella si trova fuori città, tornerà questo sabato. Prima di parlarle, però, volevo incontrarti e capire se non si trattasse di uno stupido scherzo.”

Marius annuì, stupito e allo stesso tempo curioso.
“Peia ti ha parlato di me?” Chiese, ansioso.
“Sì, lo ha fatto. E adesso che so per certo della tua esistenza, e della tua permanenza qui a Hogsmeade, non appena tornerà le parlerò,” annunciò Nina, sorridendo.
“Come sta? Io non ho avuto…” chiese Marius. L'altra esitò.
“A questa domanda risponderà senz'altro tua sorella. Scusami, ma devo andare, sono piuttosto di fretta,” dichiarò, abbassando lo sguardo.
“Io… sì, d'accordo!”
“Lavori alla Testa di Porco, giusto? Riferirò il tuo messaggio a Cassiopeia e il prima possibile verremo a incontrarti.”

E prima ancora che Marius potesse rivolgerle qualche altra domanda, la ragazza si era già dileguata fuori dal pub.

Certo che era parecchia strana quella Nina. Aveva evitato ogni riferimento alla sorella, sembrava tesa come una corda di violino, forse quasi quanto lui.
Però si era comunque trattato di un successo, pensò il ragazzo, alzandosi dal tavolo un quarto d'ora più tardi e avviandosi verso “La Testa di Porco” quando ormai già il Sole stava tramontando oltre le montagne.
Nina viveva con Cassiopeia, le avrebbe riferito il suo messaggio e sarebbero venute a incontrarlo.
Non sapeva bene quando, certo, ma avrebbe aspettato, l'aveva fatto per tutti quegli anni, sarebbe riuscito a resistere qualche giorno.

/ / / / / / /

Fortunatamente, nei giorni successivi, Marius si immerse nel lavoro, pensando alla sorella solo qualche volta, di solito la sera prima di addormentarsi.
Iniziò a crearsi tutta una serie di discorsi nella sua testa, parole da rivolgere a Cassiopeia per convincerla a riallacciare i rapporti.
Martedì, privo del lavoro che solitamente lo distraeva, Marius preferì restare nella sua stanza. Il timore di perdere una possibile visita da parte di Nina e di sua sorella lo trattenne, lasciandolo immerso in pensieri cupi e tristi.

Non verrà, perché mai dovrebbe farlo? Quella Nina ti ha giocato un brutto scherzo, sono pronto a scommetterci. Non farti illusioni perché tanto si riveleranno tutte sbagliate.

Alle sette la tensione era troppa, scese al piano di sotto e propose ad Aberforth di aiutarlo con il servizio, nonostante quella fosse la sua giornata libera.
“Daccordo, ma gli straordinari non te li pago,” borbottò l'oste.
“Non importa,” rispose il ragazzo, afferrando un vassoio.
Le cose allora andarono meglio, il lavoro lo aiutava a non pensare, anche se il padrone del pub più volte lo squadrò da capo a piedi, un'espressione strana negli occhi taglienti.
Quel limbo durò ancora un paio di giorni.

Giovedì, una serata piovosa, ben pochi avventori ai tavoli.
Marius servì un idromele a uno stregone dall'aria piuttosto ambigua quando sentì la porta aprirsi alle sue spalle. Si voltò, con fare ossequioso, pronto ad accogliere il nuovo cliente, ed ecco che la sua espressione cambiò non appena riconobbe le due figure che avevano appena messo piede nel pub.
E quando lo fece, dovette reggersi con tutta la sua forza al bordo del tavolo per evitare di svenire.
Riconobbe subito la chioma di Nina e dietro una ragazza più o meno della sua età con lunghi capelli neri, ondulati, e due splendidi occhi grigi.
Cassiopeia.
Era cambiata, diventando una splendida donna, eppure avrebbe potuto riconoscere quegli occhi in mezzo a migliaia.

“Peia…” mormorò prima di staccarsi dal tavolo e raggiungere la sorella.
“Marius…” sussurrò l'altra.
Si osservarono per un altro secondo, in silenzio, poi Marius colmò la distanza tra di loro e fratello e sorella si abbracciarono, per la prima volta, dopo anni di lontananza.
“Marius, se hai intenzione di sedurre una mia nuova cliente, ti chiedo il favore di farmelo sapere prima.”
La burbera voce di Aberforth ruppe quel momento magico.
“No, Ab, questa è mia sorella,” esalò Marius, staccandosi da Cassiopeia.
L'oste osservò la ragazza intensamente poi borbottò: “andate di sopra, non vorrei che i miei clienti scivolassero sulle vostre lacrime.”
Nina si sedette a un tavolo e, con un gesto, invitò Marius e l'amica a fare come Aberforth chiedeva.
Il ragazzo non se lo fece ripetere una seconda volta: prese per mano la sorella e la guidò fino al piano superiore, verso la camera nella quale ormai dimorava da mesi.

Da quando aveva incontrato Nina, Marius era entrato in un vortice di attesa e ansia nel quale solo il lavoro riusciva a distrarlo. Di conseguenza il locale, già poco accogliente di per sé, appariva ancor più lurido.
Il giovane Black arrossì mentre liberava una sedia dalla sua confusione di cartacce e vestiti sporchi per far accomodare la sorella. Poi si sedette sul letto.
Cadde nuovamente il silenzio tra di loro, il volto del ragazzo puntato su quello di Cassiopeia, lo sguardo dell’altra che vagava per la stanza e infine sul fratello a lungo perduto.
“Marius…” sussurrò infine.

“Peia, non sai quanto io sia felice,” esclamò il ragazzo, trattenendo a stento le lacrime.
“Anche io, anche io. A lungo mi sono immaginata questo momento,” rispose la giovane Black. "Ma, dimmi, che cosa ti è capitato in tutti questi lunghi anni di lontananza?”
E Marius parlò e lo fece a lungo, senza quasi interrompersi. Raccontò alla sorella di St. James, delle angherie subite ma anche di Sarah e dei loro pomeriggi trascorsi nel cortile dell'orfanotrofio.
Narrò la sua fuga, la vita nella fattoria, il viaggio al Liverpool e la scoperta della morte della sua migliore amica.
Non disse di aver commesso un omicidio, ma narrò il suo viaggio verso la Scozia e la vita da semplice garzone nel pub di Aberforth, una vita semplice eppure onesta e a suo modo soddisfacente.

“Quando ho scoperto che de Loney sarebbe venuto a casa tua, non ho resistito e ho mandato un messaggio,” terminò infine di raccontare.
Gli occhi di Cassiopeia erano ricolmi di lacrime e la sua mano andò a stringere quella del fratello.
“Oh, Marius. Non hai idea di quanto ho odiato doverti lasciare, di quante volte ti abbia pensato,” sussurrò.
“La stessa cosa vale per me… ma non importa le tribolazioni che ho dovuto affrontare, adesso che siamo di nuovo insieme!” Esclamò il ragazzo e un qualcosa nello sguardo dell'altra si incupì in maniera quasi impercettibile.
“Ma dimmi, come sta nostra madre?”

A quelle parole, Cassiopeia si alzò e si diresse verso l'unica, sudicia, finestra che dava sulla strada.
Non parlò per diversi secondi, limitandosi a osservare la notte oscura con le poche luci delle stelle che si riflettevano sulle sue iridi. Fu sufficiente quella reazione per far capire a Marius che qualcosa non stava andando per il verso giusto.
Quando la sorella infine si voltò per osservare il fratello, calde lacrime solcavano il suo volto.
“Oh, Marius, detesto essere io a comunicartelo ma credo che sia necessario che tu conosca la verità. Nostra madre se n'è andata da questo mondo tre anni dopo il tuo ingresso all’orfanotrofio di St. James.”

All'inizio quelle parole non riuscirono a fare breccia nella corteccia cerebrale del ragazzo.
Non avevano senso, si trattavano di parole che lui non era in grado di comprendere.
Nostra madre se n'è andata da questo mondo…
Cosa voleva dire? Pur sforzandosi, non riusciva a comprendere, e le altre parole che Cassiopea gli rivolgeva apparivano anch'esse strane, distanti, eteree.
“Non è riuscita a sopportare il dolore e la vergogna. Il dolore di aver perso un figlio perché Magonò, la vergogna di essere additata da tutti come la rovina di una famiglia potente e rispettabile come i Black,” continuò la ragazza, il tono aspro.
Solo in quel momento, il giovane riuscì a percepire come reali le parole dell'altra.
Sua madre, si ricordava di lei come una figura fragile ma sempre pronta a tirare fuori forze che non le appartenevano per difendere i suoi figli.
Sua madre non c'era più.

“Ma perché… additarla come rovina, lei non…” riuscì a sussurrare.
Avrebbe dovuto piangere, disperarsi. Tuttavia, il dolore che stava provando era oltre le lacrime, anestetizzando ogni reazione umana comprensibile.
“Quando si è saputo che i Black avevano generato un figlio Magonò, si è scatenata tutta una serie di voci, attacchi e provocazioni. Gli anziani della famiglia hanno pensato bene di difendere il nostro onore scaricando in maniera informale ogni responsabilità su nostra madre. È stato troppo per lei.”
Cassiopeia piangeva senza ritegno; il dolore di Marius, invece, presto si trasformò in rabbia.
"Come hanno osato fare una cosa del genere? Nostro padre come ha potuto…” esclamò, stringendo i pugni e digrignando i denti. Una rabbia sorda aveva sopraffatto ogni altra reazione nel ragazzo.
“Papà è cambiato molto, un'altra persona rispetto a prima, non la potresti riconoscere,” la sorella lo interruppe. “Il dolore e la paura lo hanno trasformato. Si è risposato ma non ha più messo al mondo un altro figlio perché teme di poter generare un altro Magonò. È ossessionato da te, Marius, ossessionato dal fatto che, adesso che il Mondo Magico sembra aver dimenticato il tuo nome, tu possa tornare e mettere in pericolo le basi della famiglia. Per questo motivo, non appena hai compiuto diciotto anni, la maggiore età nel mondo dei Babbani, ha radunato tutti noi, suoi figli, e ci ha fatto stringere un Voto Infrangibile secondo il quale non avremmo mai, e per nessun motivo, dovuto accoglierti in una delle nostre dimore.”

La mole di informazioni schiacciò Marius come se un elefante avesse posto una delle sue zampe su di lui.
Sua madre morta, scaricata dalla famiglia per salvarsi da uno scandalo. Suo padre, ossessionato da un suo possibile ritorno, aveva fatto giurare a tutti i suoi parenti di non ospitarlo.
Quell'incontro, a lungo atteso, si era trasformato in un incubo.

“Se non fosse stato per il Voto Infrangibile, mi sarei già messa in contatto con te…” spiegò la ragazza.
“Perché l’hai stretto? Avresti potuto…”
“Rifiutare. Sì, ma il prezzo sarebbe stato fare la tua fine, essere diseredata dalla famiglia. E se fosse dipeso solo da me, forse lo avrei anche fatto, ma non posso decidere solo per me stessa,” replicò Cassiopeia.
“Nina?” Chiese Marius, un lampo di comprensione lo colpì.
Cassiopeia annuì.
“Ci frequentiamo dai tempi di Hogwarts, a lungo ho dovuto combattere con i nostri genitori che mi volevano accasare con qualche altro Purosangue,” spiegò, nuove lacrime scesero dai suoi occhi. “Ma io amo solo lei e credo che alla fine papà se ne sia reso conto e abbia accettato lo stato delle cose. È un ricatto non verbale, lo conosco bene e so che il prezzo per aver accettato la presenza di Nina in casa è il non dover mettermi in contatto con te.”

Marius rimase in silenzio, cupo.
“Lo avevo capito dal modo in cui parlava di te. Sono contento tu abbia trovato una persona con la quale vivere insieme,” disse. “Solo, non capisco perché mio padre provi così tanto risentimento nei miei confronti.”
“Odia la tua condizione, il pericolo che potresti arrecare ai Black. Inoltre, sono convinta che in qualche modo perverso, lui ti ritenga responsabile della morte di mamma,” replicò la ragazza. A quelle parole, l'altro si infiammò.
“Come osa pensare una cosa del genere, se non mi avesse cacciato via, la mamma sarebbe…”
“Lo so, Marius, io lo so!” Esclamò Cassiopeia, nuovamente sull'orlo delle lacrime. “E, nel caso tu non te ne sia reso conto, sto rischiando molto vendendo qui, forse anche la mia stessa vita. È per questo che ho tardato a incontrarti, ho prima voluto consultare qualche mio amico, capire se vedendoti qui avrei in qualche modo infranto il Voto. E se non sono ancora stramazzata a terra, morta, evidentemente sto agendo nel giusto e nei limiti che mi sono stati imposti.”
“Perdonami, mi ero aspettato ben altro incontro. Mi sono illuso che nostro padre avesse cambiato idea e invece capisco che non è stato così, anzi,” sussurrò il giovane Black, le mani tra i capelli.
“Devi essere forte, hai trovato un buon posto di lavoro, una nuova vita. Non lasciartela sfuggire," Cassiopeia gli toccò nuovamente la mano. “Io verrò ogni volta che potrò, ti darò del denaro se ne avrai bisogno.”
“È dell'affetto della mia famiglia che abbisogno, non di denaro. Ma ti ringrazio comunque, Peia. Ora va’, ti prego, ho molte cose sulle quali riflettere.”

La ragazza rimase ancora qualche secondo a fianco del fratello, osservandolo intensamente, poi, in silenzio, si alzò e uscì dalla stanza. Al piano inferiore trovò Nina intenta a bere in compagnia dell'oste.
“Andiamo,” chiese Cassiopeia. L'amica si alzò in piedi mentre Aberforth pose il suo sguardo indagatore su di lei.
“Sei la sorella di Marius, dunque,” esclamò.
“Sì, lo sono.”
“Marius è un tipo a posto, non adatto a questi tempi oscuri,” l'uomo sussurrò, chinandosi verso la ragazza. “Tu prova a illuderlo, prenderlo in giro o in qualunque modo deluderlo e te la vedrai con me, donna o non donna, Purosangue o non Purosangue.”

/ / / / / / /

Dopo l'incontro con Cassiopeia, il giovane Black si sentì completamente svuotato e sfinito, come se avesse corso una maratona sotto il Sole, indossando un giubbotto di piume d'oca.

Che cosa ti avevo detto? Non hai ancora capito che non devi farti delle illusioni? I Black ti schifano e tua sorella ha accettato di vederti solo per pura umanità?
Non tornerà, non dopo questa sera, e se lo farà sarà solamente un paio di volte, per pena. Perché tu le fai pena, Marius, e davvero sei pronto ad accettare il suo aiuto solo per pena?


Si era illuso, certo, ma in fondo al cuore sapeva che non sarebbe stato così facile tornare dai Black.

E dopo tutto quello che Cassiopea ti ha detto, vuoi ancora tornare da loro? Da un padre che ti odia e una sorella che non ha mantenuto la sua promessa?

“Marius.”
Il ragazzo si voltò di scatto e, con sua somma sorpresa, vide Aberforth sulla soglia della porta.
Lo stava osservando e nel suo viso albergava un'espressione inedita per lui: la pena.
Avanzò nella stanza e, in silenzio, si mise a sedere sul letto, accanto al ragazzo.
“Immagino che le cose non siano andate benissimo," borbottò.
“No, Peia ha…”
“Lascia perdere, posso immaginare,” lo interruppe l'oste. “Non ti dirò ‘te l'avevo detto’ perché è una cosa che trovo insopportabile, ma, insomma…”
“Perlomeno ha promesso che mi verrà a trovare, varrà pur qualcosa,” sussurrò Marius, abbattuto.

Aberforth sbuffò.
“Il mio caro fratellone ti direbbe che la sofferenza che provi è bella perché dimostra che sei umano. Bah, ogni volta che tirava fuori questo argomento io lo mandavo sempre a quel paese: che cazzo me ne frega che sono umano, mi interessa di non soffrire, piuttosto!”
Marius sorrise, debolmente.
“Quindi lascia che ti dica una cosa che proviene dalla mia esperienza, molto meno accademica ma molto più della strada," aggiunse l'uomo. “Non permettere alle persone che ti fanno del male di avere così tanta influenza sulla tua vita. Se qualcuno ti fa soffrire semplicemente non è degno del tuo tempo e del tuo amore, dagli un bel calcio nel culo, se non puoi, ignorali bellamente.”
Il ragazzo annuì ma era evidente che avesse bisogno di rimanere da solo, per riflettere. Aberforth, dopo un ultimo colpetto al braccio, si alzò e lasciò la stanza.

Sagge parole da parte di un oste. Ma davvero vuoi permettere a quella canaglia di tuo padre di vivere serenamente la sua vita? Davvero non vuoi incontrarlo e fargli capire che sei tu ad avere il coltello dalla parte del manico?

Marius strinse i pugni fino a quando le unghie non gli si conficcarono nella carne. No, Aberforth aveva ragione, avrebbe ignorato la sua famiglia, forse, ma prima, prima doveva parlare con suo padre.
Prima voleva la sua vendetta.

/ / / / / / /

Buongiorno a tutti e buon anno a tutti soprattutto! Siamo arrivati a un momento topico, un momento che Marius ha lungo atteso ma che non è andato proprio secondo i suoi piani. Penso che questo sia stato uno dei capitoli più lunghi che abbia mai scritto.

La moglie morta dopo aver cacciato di casa il figlio magonò e aver subito uno scandalo senza precedenti. Il padre di Marius è deciso a tutto pur di evitare di ripetere una simile situazione, anche a costo della felicità del figlio. Come sempre cerco di creare dei villain che abbiano un minimo di senso logico nelle sue loro motivazioni, il prossimo mese le capiremo meglio
Ringrazio tutti quanti, in particolar modo il caro Farkas per le sue graditissime recensioni e alla prossima!

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Capitolo 11
*** Ritorno a Black Manor ***


Capitolo 11, Ritorno a Black manor

 



L'alta cancellata di ferro battuto che circondava Black Manor aveva sempre intimidito il giovane Marius.
Forse erano le migliaia di punte acuminate imbevute di incantesimi anti Babbani, l'aspetto austero che rifletteva perfettamente quello della dimora principale della sua famiglia. Nera, come il suo cognome.
A differenza delle altre famiglie magiche appartenenti al ristretto club delle Sacre 28, la famiglia Black non era interessata a sorprendere gli ospiti con il mero lusso sfrenato, e spesso pacchiano, che caratterizzava molte dimore signorili.

C'erano ben altri valori da difendere e mostrare con orgoglio agli ospiti: la purezza di sangue, la rettitudine, le buone maniere e il seguire pedissequamente regole antiche come il sangue. Il denaro era importante, certo, ma rappresentava un mezzo più che un fine da raggiungere: i giovani della famiglia Black imparavano presto a gestire il denaro e la politica, mentre alle fanciulle era riservata un'educazione completamente diversa.
Un uomo infatti veniva giudicato in base al peso politico che forniva alla famiglia, una Black da come gestiva la casa, in quel delicato compromesso tra lusso e buon gusto, e a come tirava su una nuova generazione di Purosangue, pronta a continuare a riproporre i medesimi valori.

Marius, nascosto dietro un alto cespuglio davanti alla cancellata principale, scosse la testa, ripensando al pomeriggi persi dietro le vuote ciance del padre su cosa fosse onorevole e cosa invece non fosse all'altezza di un Black.
Erano passati sei mesi dall'incontro con Cassiopeia e, nonostante i buoni propositi, le visite della sorella si erano fatte ben presto molto rare.
La capiva, certamente, non si trovava in una posizione onorevole o facile, ma non per questo poteva evitare di sentire una fitta di delusione ogni volta che, durante la sua giornata libera, la sorella non si recava a “La Testa di Porco” in visita.
Servire ai tavoli e a raccogliere qualche vaga allusione sulla sua famiglia, non gli bastava più. Voleva parlare con suo padre, non tanto per fargli cambiare idea, sarebbe stato impossibile, ma piuttosto per cercare di capire. Per mettere un punto fermo al tutto e poter tentare di andare avanti.
Così, dopo aver condotto delle ricerche (approcciando alcuni clienti in preda ai fumi dell'alcol), Marius era riuscito a individuare la posizione esatta di Black Manor su una vecchia mappa.

E adesso che sapeva dove si trovava suo padre, che cosa avrebbe fatto? Quella informazione iniziò a scavare nella sua mente come un tarlo senza freno. Quel puntino di matita in una mappa sbruciacchiata, una voragine nel suo petto.
L'unica cosa che doveva fare era prendere un treno, scendere dopo cinque fermate, camminare per un paio d'ore e poi…
E poi Aberforth annunciò l'intenzione di chiudere il pub per una settimana. Doveva recarsi in Francia per visitare… Marius non se lo ricordava nemmeno, la sua attenzione venne meno nel momento esatto in cui capì che avrebbe avuto sette giorni liberi dal lavoro, a sua completa disposizione.
Lo aveva interpretato come un segno del destino, e adesso si trovava nascosto nella fitta vegetazione proprio fuori Black Manor.
Il viaggio si era rivelato estremamente facile e tutto sommato rapido.
Ogni volta che ci si fermava a pensarci si dava dello stupido, ma poi ecco che la vocina nella sua testa prontamente prendeva il sopravvento.

“Tuo padre si è risposato, si è rifatto una famiglia, ha costretto i familiari a non aver nessun contatto con te e tu pretendi di lasciarlo vivere?”
“Che cosa dovrei fare, ucciderlo come il padre di Sarah?”
“Sì, cazzo, sì. Tuo padre è peggio di quello di Sarah, molto peggio, fidati di me. Un uomo del genere non merita di vivere! La tua vita, quella di Sarah, sono state rovinate da Cygnus Black, ricordatelo bene.”
Marius chiuse gli occhi, scuotendo la testa, rendendosi conto solo in quel momento che stava parlando ad alta voce, da solo.

Aveva altri giorni a disposizione per tentare un approccio con il padre, prima di tutto era necessario capire se Cygnus fosse in casa oppure no.
E proprio in quel momento, in lontananza vide il portone della villa aprirsi e due figure uscirne.
Suo padre era invecchiato, l'età e i dispiaceri avevano segnato il suo volto un tempo bello, eppure lo avrebbe riconosciuto tra mille persone.
Al contrario, il ragazzo non riusciva a capire l'identità della donna, dal viso appena adulto, che era comparsa al suo fianco.
La ragazza baciò timidamente l'uomo e poi scomparve nel nulla.
Cygnus rientrò immediatamente all'interno di Black Manor.
Sua moglie, ecco chi era. La donna che aveva preso il posto di sua madre.
Vederla di persona fece ancora più male al giovane Black.
Non era giusto, né tantomeno etico.
Quel breve momento di intimità tolse ogni freno inibitore a Marius il quale, livido di rabbia, uscì dal suo nascondiglio e avanzò a passo di marcia verso la cancellata.

Toccò il freddo ferro, cercando di avanzare oltre, ma non ci riuscì.
Sentì invece una debole scarica elettrica colpire il palmo della sua mano. Ovvio, non poteva entrare, non faceva più parte della famiglia, adesso.
La porta si aprì nuovamente, e con somma sorpresa del ragazzo, fu ancora una volta Cygnus a uscire.
Avanzò tranquillamente, il lungo mantello foderato di pelliccia che strusciava appena sulla superficie innevata del terreno.
Giunto a una decina di metri dal cancello, si fermò e padre e figlio si osservarono a lungo, in silenzio.
Lunghi capelli neri striati di grigio, due penetranti occhi azzurri, una guancia deturpata da una vecchia cicatrice di gioventù e una lunga barba nera, Cygnus fu il primo a parlare.
“Mi sorprende vederti qui,” ammise. “Anzi, penso che dovrei riformulare la frase, visto che sapevo che prima o poi mi avresti rintracciato. No, mi sorprende vederti qui perché avevo già notato la tua presenza prima, quando sono uscito di casa per salutare Helen. Non pensavo che avresti avuto tanto coraggio da uscire dal tuo nascondiglio per tentare di aprire la cancellata.”
Marius rimase a bocca aperta, in silenzio. Si era aspettato ben altro dal padre.
Cygnus sorrise, avanzò e aprì il cancello, senza esitare.
“Vieni dentro, non si parla bene al freddo.”
L’uomo voltò le spalle e, senza aspettarlo, si avventurò verso il maniero. L’altro rimase fermo, immobile, ancora non riuscendo a comprendere che cosa suo padre volesse e del perché di quel comportamento. Alla fine la curiosità ebbe la meglio e lo seguì

/ / / / / / /

L'atmosfera all'interno era fredda e tetra, permeata dallo stesso senso di rigore e autorità che aveva caratterizzato la sua infanzia. Cygnus era scomparso perciò Marius si diresse verso il grande salone, dove sapeva di trovare suo padre.

L'uomo era seduto dietro la scrivania, circondato da montagne di documenti e pergamene. Il suo sguardo era duro e penetrante, ma Marius poteva scorgere una fitta cortina di dolore, nascosta dietro quella maschera di indifferenza.
Il ragazzo rimase in piedi, ignorando il cenno dell’uomo verso una delle due poltrone che si trovavano di fronte alla sua scrivania.
“Padre,” esordì, la saliva azzerata, un’emozione che non sapeva comprendere nel petto. Cygnus rimase immobile, osservando il ragazzo.

Marius si tenne saldo, ignorando il brivido che gli percorreva la schiena. "Sono tornato perché ho bisogno di risposte," disse con determinazione. "Ho appreso della morte di mia madre, e necessito di sapere cosa è successo.”
Cygnus emise un lungo sospiro, il suo sguardo posato sulle mani giunte.
“É morta di crepacuore un paio di anni dopo il tuo addio, di crepacuore. Colpa tua e della tua…condizione, ovviamente. Non ha retto la vergogna di aver generato un figlio Magonò.”
Marius sentì il dolore pungente trapassarlo come una lama.
“O forse perché hai addossato esclusivamente su di lei la colpa,” sbottò, facendo fatica a mantenere un tono di voce controllato. “Forse perché, invece di affrontare la situazione insieme, hai preferito lavartene le mani.”
L’uomo rimase in silenzio, una strana ombra dietro i suoi occhi gelidi.
"Non puoi capire, Marius", disse Cygnus con voce fredda ma carica di una strana tristezza. "Essere capofamiglia è un peso gravoso. Devo prendere decisioni che tu non puoi neanche immaginare. Prova a metterti nei miei panni…"
"Ma non hai mai pensato al mio dolore? A quello di mia madre?" rispose Marius, la voce tremante di rabbia repressa. "Hai diseredato il tuo stesso figlio senza neanche esitare, scaricando la colpa su tua moglie. Come puoi chiamarti un padre oppure un semplice uomo?"

Cygnus abbassò lo sguardo, una scintilla di rimorso brillò nei suoi occhi grigi.
"Ho fatto quello che ho fatto per la sicurezza della famiglia,” disse con voce bassa ma carica di autorità. "Lo scandalo avrebbe travolto la famiglia e io ero costretto a proteggere l'onore e la reputazione dei Black. Non puoi comprendere il peso delle mie responsabilità. Da una parte la persona che amavo, dall’altra la mia famiglia e il suo onore e futuro."
Marius serrò i pugni, sentendo la fiamma della rabbia bruciare dentro di lui. "Proteggere l'onore della famiglia?" esclamò con sarcasmo. "Hai rovinato la nostra famiglia con il tuo egoismo! Hai strappato via tutto ciò che avevo, persino il diritto di essere un Black! Un Voto Infrangibile…"
“Non posso permettere che tu porti ulteriore vergogna sulla nostra famiglia, Marius. I Black sono riusciti a malapena a riprendersi, immagina che cosa accadrebbe se il Magonò di famiglia sbucasse improvvisamente fuori quando tutti ti credono o morto o scomparso da tempo. Speravo che servisse ma evidentemente Cassiopeia ha trovato il modo per mettersi in contatto con te.”
“Lei non…”
“Non affaticarti a trovare delle scuse poco credibili,” l’uomo lo interruppe con un gesto della mano. “Siete miei figli, vi conosco troppo bene. Ma non preoccuparti, non la punirò. É una sciocca di buon cuore, proprio come tua madre.”
“Mia madre che tu hai così rapidamente rimpiazzato.”

Cygnus chiuse gli occhi, sospirando pesantemente.
“Credi che Helen abbia preso il posto di tua madre? Non passa giorno nel quale non rivolga il mio pensiero a lei. Ho sposato Helen perché è una ragazza onesta, ha perso entrambi i genitori e nonostante sia una Purosangue e lei non avrebbe…”
“Ah, vedo che adesso sei anche un benefattore!”
Cygnus digrignò i denti.
“Adesso basta. Voglio che tu la smetta di frequentare Cassiopeia, altrimenti sarò costretto a prendere dei provvedimenti.”
“Un ricatto, l’ennesimo,” sbottò Marius, stringendo i pugni.
“Una scelta, Marius, io ne ho dovute compiere fin troppe e sono stanco,” ammise Cygnus. “Sapevo che questo momento sarebbe arrivato e ti ho lasciato entrare proprio per questo motivo. Sono disposto a offrirti dei Galeoni, dimmi una cifra, ne possiamo discutere, posso darti una casa, quello che vuoi. Ma ti prego, non metterti più in contatto con i Black, non rivelare la tua presenza alle altre famiglie Purosangue. È tempo che tu vada avanti.”

Marius sentì un nodo stringersi nella gola. Sapeva che suo padre non avrebbe ceduto, che la sua determinazione era più forte di qualsiasi cosa potesse dire o fare. Con un respiro profondo, Marius afferrò il bordo del tavolo, gli occhi pieni di determinazione.
"Non hai capito niente, padre,” disse con voce ferma ma tremante. "Se questo è tutto ciò che hai da offrirmi, allora non voglio niente da te. Non voglio il tuo denaro, non voglio il tuo perdono. Me ne vado."
Senza aspettare una risposta da parte di Cygnus, Marius si alzò in piedi e si voltò verso la porta. Sentì il cuore spezzarsi in mille pezzi mentre lasciava la stanza, ma sapeva che non c'era altra scelta. Doveva trovare la sua strada, lontano da quel luogo di dolore e tradimento.

/ / / / / / /

Fu di ritorno a Hogsmeade soltanto nel tardo pomeriggio.
Marius si sentiva completamente svuotato, stanco tanto nello spirito quanto nel fisico.
Avrebbe voluto soltanto tornare al pub, gettarsi sul letto e dormire per i giorni restanti fino a quando Aberforth non sarebbe tornato e il lavoro lo avrebbe distratto.
Ma non vi riuscì. Un'agitazione estranea lo tenne lontano dal rifugiarsi nel pub, costringendolo a vagare senza meta per il villaggio.
Ormai Marius faceva parte integrante di Hogsmeade, e sebbene molti lo salutassero, lui, solitamente socievole, non rispose a nessuno, completamente assorto nei suoi pensieri.Mai si era sentito così vuoto e senza speranze o prospettive.
Quando era stato diseredato l'obiettivo era sopravvivere all'orfanotrofio, poi cercare di fuggirne e raggiungere Sarah, infine tentare di mettersi in contatto con i suoi familiari.
E adesso non sapeva cosa fare, quale direzione prendere.
Sarah era morta, la sua famiglia lo aveva esiliato, i suoi rapporti con Cassiopeia destinati terminare, a quanto pareva.
Che cosa avrebbe fatto della sua vita, davvero il suo destino era quello di rimanere un semplice cameriere?
Di terminare i suoi tristi giorni in un altrettanto triste pub, sempre ai margini di un mondo che non lo accettava?
No, non poteva accettarlo.

Mise piede nel pub quando ormai la luna era salita alta nel cielo. Alzò il volto al soffitto e li vide: una serie di ganci di metallo.
Aberforth li usava per appenderci le decorazioni di Halloween e di Natale. Forse erano forti abbastanza per poter reggere qualcos'altro. Un cappio.
Il suo corpo.
Non era la prima volta che pensava di farla finita ma fino a quel momento c'era sempre stato un pensiero che lo aveva distolto, un motivo, uno scopo per ritardare il momento della sua inevitabile morte.
E adesso?
Spostò un tavolo proprio sotto il gancio più vicino e vi montò sopra, utilizzando una sedia. Alzando le braccia, riuscì a toccare il metallo freddo e invitante.
Provò a tirarlo verso il basso, facendovi via via sempre più forza, ma il gancio non si spostò né cedette.

“Davvero pensi di finirla così?”
La voce era tornata a sussurrargli all'orecchio.
“Che cos'altro mi resta da fare?”
“Hai dimenticato le mie parole? Tu sei convinto di non avere più scopo alcuno nella vita, ma ti sbagli. Sei accecato dal dolore, usalo. Davvero vuoi darla vinta a chi ti ha rovinato la vita? Davvero vuoi cedere alla tua famiglia e alla loro malvagità?”
Marius chiuse gli occhi.
Capì.
Comprese le parole di quella voce che poteva essere la sua coscienza, o la parte più selvaggia di se stesso, che aveva a lungo celato.

Non poteva mollare e darla vinta alla sua famiglia, la sua battaglia era appena iniziata.
Doveva trovare un modo per far pagare a suo padre il dolore e il tormento che aveva causato.
E non si sarebbe fermato finché non avesse ottenuto giustizia.
Finché non avesse ripagato suo padre con la stessa moneta: dolore e disperazione.

/ / / / / / /

La festa a Black Manor era finita.
Gli ospiti che avevano festeggiato il fidanzamento ufficiale tra Dorea Black e Charlus Potter si erano ormai ritirati, il maniero era tornato a essere vuoto e silenzioso.
Cygnus finalmente poté così ritirarsi nelle sue stanze, cercando di cancellare il rumore e la confusione dalle sue stanche orecchie.

Quella sera si era reso improvvisamente conto di come fosse diventato un terzo incomodo.
Adorava Black Manor ma ormai l'età stava avanzando, inesorabile, non poteva ritardare ulteriormente il momento in cui avrebbe dovuto dire addio alla casa nella quale era nato e vissuto per tutti quegli anni.
Il maniero forse sarebbe stato grande abbastanza per ospitarlo ma, in cuor suo, sentiva che la cosa non era giusta.
Eastsea Manor, più piccola, su un promontorio che dava direttamente sul mare sconfinato e la possibilità di poter allevare numerose creature magiche, rappresentava una prospettiva molto più allettante.

Pollux aveva ormai più di trent'anni, un lavoro al Ministero e tre figli, da accudire e crescere. Forse era venuto il momento di lasciargli spazio, di ritirarsi a vita privata.
Ma quella sera il pensiero che lo angustiava più di tutti non era tanto il figlio, e il futuro della sua famiglia, quanto il presente e Marius.
In cuor suo aveva temuto quel giorno e le cose erano andate molto male.
Avrebbe potuto chiedergli che cosa facesse, come vivesse, forse un approccio meno diretto avrebbe potuto portare un risultato migliore ma non appena aveva visto i suoi occhi, così simili a quelli di Violetta, non c'era riuscito.
Sapeva che non avrebbe osato rivelare la sua presenza tra gli altri famiglia, ma quello sguardo e quelle parole così dure… era stato in grado di riaprire ferite che pensava ormai fossero completamente cicatrizzate.
“A quest'ora tarda dovresti già essere a letto, padre.”
La calda voce di Dorea riempì la stanza degli arazzi nella quale l'uomo si era ritirato.
Se Marius e Cassiopeia avevano preso la Violetta, Pollux ma soprattutto Dorea erano le copie sputate di Cygnus.
L'uomo prese la mano della figlia e le baciò alla fronte, stringendola a sé.
“Sei triste, padre?”
“Sì,” ammise l'uomo.
“Non devi preoccuparti, Charlus è un uomo onorevole, non come suo cugino.”
“Non è questo… non solo,” Cygnus sussurrò, staccandosi dalla figlia.
“Sì tratta di Marius?”
Aveva indovinato. Padre e figlia vivevano quasi in simbiosi, naturalmente non le aveva potuto nascondere la visita del figlio.

“Sapevo che prima o poi mi avrebbe trovato. Rivederlo… i suoi occhi, la sua rabbia. A volte mi chiedo se sono stato un buon capofamiglia,” Cygnus sussurrò.
“Lo sei stato. Per quanto non abbia mai condiviso la tua scelta di far addossare a mamma la colpa e cacciare Marius senza trovare una soluzione alternativa, la famiglia continua a crescere. Nuove generazioni di Black sono, e verranno, al mondo,” rispose Dorea.
L’altro sorrise.
“Saresti una capofamiglia con i fiocchi.”
“Pollux…”
“Lui è la mia copia sputata. Tu hai preso il meglio dai tuoi genitori.”
Il sorriso sul volto dell’uomo ben presto si spense.
“Non passa giorno in cui non pensi a…”
“Padre, non serve a niente rimuginare su cose che sono accadute e che non abbiamo il potere di cambiare,” esclamò la ragazza, stringendo la mano del padre. “Vai a letto, rimanere qui a struggerti sul passato non servirà a niente.”

L’uomo infine annuì e, dopo un’ultima occhiata all’arazzo, seguì la figlia, fuori dalla buia sala.

/ / / / / / /

Eccoci qui, un pochi in ritardo.
Due cose.
La prima. Adoro scrivere di Cygnus, un’uomo complesso, diviso tra il proprio ruolo, le sue convinzioni e pregiudizi e l’amore.
La seconda. La Rowling ha creato un’albero genealogico interessante ma con date non proprio precise, per sua ammissione. Pollux e Cygnus (suo figlio) avrebbero dato al mondo dei figli ancora da ragazzi. Poco plausibile, quindi ho personalmente invecchiato i due di qualche anno.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, posso dire che qui si conclude un’altro atto importante della vita di Marius. La speranza di tornare all’ovile è scomparsa, rimpiazzata dall’odio e della vendetta.

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Capitolo 12
*** Chiusure... e Aperture ***


Capitolo 12, Chiusure… e Aperture

 



Trascorsero settimane dopo l'incontro di Marius con Pollux.
Giorni e giorni di cupa disperazione e rabbia combinate strettamente tra di loro come un cocktail mortale.
Il giovane Black, nonostante tutti gli sforzi, non era ancora riuscito a digerire le parole crude e sferzanti del suo ultimo incontro con il padre.
Ogni frase pronunciata, come un colpo al cuore, aveva scavato un solco profondo nella sua anima.

Mentre le giornate si trascinavano una dietro l'altra, servendo ai tavoli della Testa di Porco, il rumore della sala da pranzo si mescolava costantemente al tumulto dei suoi pensieri.
Ogni movimento, ogni gesto, era permeato dalla sensazione di smarrimento e rabbia che lo avvolgeva come un mantello oscuro.
La tensione era palpabile nell'aria, e Marius poteva sentire gli sguardi curiosi e scrutatori dei clienti che sembravano percepire il cambiamento dentro di lui. Il suo volto, una maschera impenetrabile, nascondeva il tumulto di emozioni che ribolliva.
Con ogni piatto che posava sui tavoli, il dolore e la rabbia bruciavano sempre più intensi, consumandolo dall'interno. Ogni parola pronunciata dal padre, ogni sguardo freddo e distante, era come un colpo diretto al cuore, una conferma amara di quanto la sua famiglia fosse diventata estranea.

Aberforth osservava, aveva capito che qualcosa era cambiato nel suo dipendente, ma si limitava a scuotere il capo.
Sapeva, in cuor suo, che l'agitazione di Marius dipendeva dalla sua famiglia ma aveva già dato fondo alle sue poche frasi sagge e, in realtà, un dolore sordo come quello di avere una famiglia che non ti capisce non poteva essere cicatrizzato dalle vuote parole di qualche conoscente.
Era necessario tempo e forse una vita intera non sarebbe bastata.

/ / / / / / /

Dopo l'ennesima serata vuota, non appena l'ultimo cliente si fu ritirato, il giovane Black si affrettò a salire al piano superiore, diretto verso la sua tana, unico spazio dove si potesse nascondere in pace.
Aprì la porta, fece per entrare e gettarsi sul letto quando, dal piano inferiore, sentì la voce stentorea di Aberforth chiamarlo.
Il ragazzo abbassò le spalle, sbuffò, e fece dietrofront, uscendo dalla camera e affrettandosi a scendere al pianterreno.
Che cosa si era scordato di fare? Forse aveva pulito male il bancone o non aveva preso tutte le sue poche mance?

Ebbe la risposta non appena mise piede nel salone del pub.
Quando raggiunse il fondo, vide sua sorella Cassiopeia davanti a sé, con uno sguardo carico di tensione e domande non dette.
Marius aprì la bocca per chiedere a Cassiopeia il motivo della sua presenza, ma prima che potesse pronunciare una parola, Aberforth intervenne con delicatezza.
"Scusate ragazzi, ho appena ricordato che devo fare un controllo in cucina," disse, con un sorriso forzato. "Vi lascio un po' di spazio per parlare. Se avete bisogno di me, sarò là."
Con un'occhiata significativa a Marius, si allontanò rapidamente, lasciando i due fratelli soli.

Marius fece ancora una volta per parlare, ma Cassiopeia lo interruppe bruscamente con un'espressione carica di emozioni represse.
"È vero che sei stato da nostro padre?" chiese, la voce piena di preoccupazione e rabbia. Marius annuì lentamente, sentendo il peso delle sue azioni sulle sue spalle.
“Sei stato un pazzo, un incosciente, un…” esclamò la ragazza con la voce tremante. “Ti rendi conto a quali rischi sei andato incontro? Ti rendi conto della tua follia? Capisci che avrebbe potuto tranquillamente ucciderti, avrebbe potuto…”
Marius si avvicinò e mise le mani sulle spalle della sorella, nel tentativo di tranquillizzarla.
“So che il mio gesto è stato quello di un folle, ma ne avevo bisogno, Cass,” sussurrò. “Avevo bisogno di risposte, di vedere con i miei occhi, di sentire con le mie orecchie il mostro che mio padre è diventato. Adesso so, solo ora comprendo che non c'è spazio per il perdono, sia da parte sua, che da parte mia.”

La ragazza si portò entrambe le mani al volto, singhiozzando.
Anche Marius avrebbe tanto voluto piangere, crollare per terra e rinchiudersi a riccio ma sapeva che non era la cosa giusta da fare, in cuor suo, comprendeva le parole che doveva pronunciare.
“Per come stanno le cose, adesso, è meglio se per un po’ non ci vediamo. Ti ho messo in una posizione difficile, solo ora me ne rendo conto, dopo questo incontro mio padre vi sorveglierà ancora più strettamente e io non voglio che…”
A quelle parole, Cassiopeia allontanò le mani dal volto e il suo volto, rigato dalle lacrime, si fece improvvisamente più duro mentre indietreggiò di qualche passo.
“È stato lui… non è così?” Chiese.
“Non capisco, cosa…”
“È stato nostro padre a ordinarti di non metterti più in contatto con me, di tagliare i ponti, non è così?”

Sì.
Avrebbe tanto voluto rispondere in questo modo, addossare le colpe esclusivamente su suo padre, ma non poteva farlo.
In primo luogo perché temeva che Cassiopeia compisse qualche gesto inconsulto nei confronti dell'uomo, e poi perché capiva che era meglio così. Non aveva più altro scopo nella vita se non quello di vendicarsi del padre, e la sorella avrebbe potuto distrarlo nella sua missione.

“No, la scelta è mia, è meglio così…”
Ma la ragazza non aspettò la fine della risposta del fratello.
Girò sui tacchi e, senza aggiungere una parola, si diresse a passi spediti verso l'uscita del pub.
Quella mossa fu talmente improvvisa che Marius si riebbe solamente dopo qualche secondo, il tempo di rendersi conto che Cassiopeia se n'era andata.

/ / / / / / /

No, non aveva fatto in tempo a spiegarsi, a dirle quanto le voleva bene, quanto era stata importante per lui. Non poteva essere quella l'ultima conversazione con Cassiopiea.
Perciò, a sua volta, si affrettò a uscire dal pub, il cuore accelerato dalla brama di intercettare sua sorella.
La neve croccante sotto i suoi piedi pareva vibrare di eccitazione insieme a lui.
Con sguardo rapido scrutò l'area circostante La Testa di Porco, sperando di avvistare Cassiopeia, ma non vide che il paesaggio immerso nella quiete e nella candida coltre di neve.

Guardò a destra e a sinistra, cercando tra le case e lungo la strada, ma ogni passo che faceva confermava ciò che temeva: Cassiopeia era scomparsa, come se si fosse dissolta nell'aria gelida.
Un brivido di frustrazione lo attraversò mentre la realizzazione si faceva strada nella sua mente. Cassiopeia si era materializzata altrove, lontano da lui.
Non l'avrebbe più vista.

Marius sbuffò e si voltò, pronto a ritornare alla Testa di Porco, ma nel buio della notte, intravide a ovest una figura che avanzava lentamente, china contro il vento che spazzava la cittadina. Il suo cuore, accelerò i battiti.
Forse la sorella ci aveva ripensato, stava tornando indietro!
Con passo incerto, avvicinandosi con cautela, Marius vide però la figura cadere pesantemente nella neve. Un senso di urgenza lo prese e corse verso di lei, solo per rendersi conto che non era Cassiopeia, ma una giovane donna quasi scheletrica, avvolta in stracci consunti.

Marius si chinò verso la ragazza, il cuore stretto dalla vista di lei che tremava dal freddo.
Senza pensarci due volte, afferrò con delicatezza il corpo esile della ragazza, sollevandola da terra.
"Dobbiamo portarla dentro, subito!" disse ad alta voce.
Corse dentro al pub con la ragazza tra le braccia, sentendo il peso della sua fragilità.
Aberforth, vedendo l'agitazione di Marius, si avvicinò.
"Che cosa è successo?" chiese, mentre osservava la ragazza che tremava di freddo sul divano.
Marius, ansioso e impaziente, rispose: "L'ho trovata fuori, sta morendo di freddo! Dobbiamo far qualcosa, subito!"
La sua voce tradiva la preoccupazione e la paura mentre guardava Aberforth, sperando in una soluzione.

Aberforth annuì, capendo l'urgenza della situazione.
"Sto decisamente diventando una pappamolla. Bah, aiutami a portarla vicino al camino," disse con fermezza, mentre si avvicinava al fuoco.
Con gesti rapidi, accese le fiamme e lanciò un incantesimo che avvolse la sconosciuta con un tepore confortante.
Marius, guardando la ragazza che cominciava a riscaldarsi lentamente, sentì un'ondata di sollievo e gratitudine.

Non capiva perché si sentiva così, forse l'incontro con la sorella lo aveva scosso a tal punto da riuscire a trovare un briciolo di soddisfazione nell'aver salvato la vita a un'altra persona.
Forse, nonostante tutto quello che aveva fatto e avrebbe compiuto per la sua vendetta, non era un mostro insensibile come il padre.

La ragazza gradualmente iniziò a riscaldarsi, i brividi che scuotevano il suo corpo si placarono e lentamente aprì gli occhi.
Lo sguardo era pieno di timore e confusione, ma Marius si affrettò a rassicurarla.
"Sei al sicuro qui," disse con voce gentile, cercando di trasmetterle tranquillità. "Posso chiederti come ti chiami?”
Lei sembrò esitare per un istante, poi rispose con voce flebile: "Mi chiamo Arabella."

Marius e Aberforth si guardarono, senza aggiungere nulla. Non la conoscevano.
"Arabella," riprese Marius, "dove sei stata? Sembri esausta."
Arabella annuì debolmente, gli occhi pesanti di stanchezza.
"Sono venuta dall'Inghilterra," disse con voce fioca, "ho camminato per giorni nella neve per arrivare fino a qui.”
“Non potevi materializzarti?” Chiese Aberforth.
Arabella scosse la testa.
“Sono una… Magonò."

Marius rimase sconvolto dalla rivelazione di Arabella.
Fuori dalle rigide mura dell'orfanotrofio, non aveva mai incontrato un'altra Magonò. Era come se una parte nascosta del suo mondo si fosse improvvisamente manifestata di fronte a lui, in forma umana e vulnerabile.
Il suo cuore si riempì di un misto di emozioni: stupore, curiosità, ma anche una punta di paura e incertezza. Quanto sapeva veramente del suo retaggio magico?
Quante altre persone come lui erano là fuori, nascoste al mondo esterno?

Mentre Arabella chiuse gli occhi, addormentandosi, vinta dalla stanchezza, Marius l'osservò con occhi attenti, cercando di comprendere il significato di questa nuova scoperta.
La sua mente era in tumulto, piena di domande senza risposta.
La ragazza era esausta, il suo corpo indebolito dalle fatiche del viaggio. Il giovane Black sentì un senso di dovere nei confronti di questa compagna di destino, una sorta di legame invisibile che li univa.
Aveva fallito con la sua Sarah ma non l'avrebbe fatto con Arabella.

/ / / / / / /

Ebbene sì, di questa storia mi sono immaginato benissimo l'inizio e la fine e qualche scampolo di capitolo nel mezzo.
E uno di quelli che ho immaginato sin dall'inizio è stato proprio questo qua, l'incontro tra Marius e Arabella.

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