BACKFIRE

di genius_undercover
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGUE ***
Capitolo 2: *** Broken Hearted ***
Capitolo 3: *** The Most Powerful Witch ***
Capitolo 4: *** Backfire ***



Capitolo 1
*** PROLOGUE ***


PROLOGUE

 

Silenzio. 

Ecco tutto ciò che gli serviva: silenzio e rapidità. 

Avrebbe dovuto stare attento persino al suo respiro, da quel momento in avanti. Bastava un solo passo e la sua vita sarebbe potuta finire così come era cominciata, ma non gli importava di rischiare…quella creatura maledetta tramava qualcosa, e anche un bambino di cinque anni come il suo avrebbe capito che, di qualsiasi cosa potesse trattarsi, non sarebbe stato nulla di buono. 

Non accadeva mai nulla di buono, quando c’era di mezzo quell’uomo.  

“Benvenute.” Proruppe subdolamente, la voce dell’essere più pericoloso con il quale ognuno avesse mai avuto a che fare. 

Anche se la visuale glielo impediva, poteva benissimo immaginarselo sprofondare nell’inchino traballante ma teatrale che di solito rivolgeva al malcapitato che aveva la disgrazia di aprire una trattativa importante con lui.

Si ritrovò a contare i battiti del proprio cuore per concentrarsi, tese l’orecchio più che poté, mentre cercava di restare immobile e distinguere le altre voci con un po’ di chiarezza. 

Le voci appartenevano a due donne, senza ombra di dubbio, e anche con loro, purtroppo, era stato sfortunato: non aveva potuto vederle. L’unica cosa che però era riuscito ad intravedere erano le loro sagome scure che complottavano qualcosa di terribile. 

“Oh, per tutti gli Oceani.” Commentò la prima ospite, con un tono profondo e quasi cavernoso. “Non dirmi che adesso abiti qui.”

“Che caduta di stile, carino.” Esclamò quindi la seconda donna. Solo il disprezzo che permeava della sua voce avrebbe fatto venire i brividi alla schiena del più coraggioso degli uomini. 

“Non siate troppo precipitose, signore.” Rispose mellifluamente l’uomo. 

“Spero per te che sia una cosa seria. Ho lasciato il mio posto di lavoro per venire qui.” Tuonò nuovamente la prima donna.

“Per una con un lavoro importante come il tuo, non credo che sia un problema concedere cinque minuti del suo discutibile tempo ad un vecchio amico.” Provocò il padrone di casa. “Dimmi, come se la passano i molluschi dell’acquario di New York?”

“Sicuramente peggio di te, se scopro che questa è tutta una perdita di tempo.” S’intromise la seconda voce, senza dar modo di rispondere alla prima. “Potrei spezzarti l’altra gamba.”

“Oh no, carina. Tu più di tutti dovresti essermi grata: si dà il caso che il nascondiglio che ti ho procurato sta funzionando, visto che la polizia ti cerca da giorni. Se sei intelligente come credo, ti conviene rimanere qui e sentire cos’ho da dire.”

“E sia.” Cedette quell’ultima. 

“Molto bene. Ciò che sto offrendo ad entrambe è letteralmente l’impossibile, qualcosa che non è mai accaduto nella storia: la vittoria dei Cattivi sugli Eroi.” 

Dopo un istante di silenzio, una risata terribile rimbombò sulle pareti spoglie. 

“Ah sì? Gli stessi eroi che sono riusciti a sopraffarti e a mandarti in esilio?” 

“Mi fa specie, detto da te, mia cara. Se non sbaglio una certa piccola sirena aveva la metà dei tuoi anni, quando ti impartì la lezione!”

“Ehi. Non giocare con forze che non puoi controllare: anche se sulla terraferma e senza alcun potere, sono comunque più forte di te.”

“Ma guardati, tesoro.” Rincarò invece l’altra donna, quella che aveva riso. “Guarda come sei ridotto. Come pensi di procurarci il fantomatico lieto fine, se a stento riesci a camminare dritto?!”

“Con lei.” Fu l’emblematica risposta dell’uomo. “C’è magia a questo mondo, care signore, e una città intera nascosta agli occhi di chi non può usarla. Dobbiamo solo trovare il modo di tornare e usare il pugnale per riportare lei indietro!” 

“Auguri. Lei è perduta da secoli, nel caso te ne fossi dimenticato.”

“Io non ho mai sentito un piano più terribile di questo.” Ribatté la prima ospite, quella con la voce più profonda. “E poi non mi fido.” 

“Male.” Esclamó l’uomo, fingendosi offeso. “Devi crederci. Credere in ciò che fai è il primo passo: ti da la giusta spinta per prenderti ciò che vuoi e quel che ti è stato tolto.” 

Dei passi leggeri risuonarono nell’eco della struttura decadente. Una delle due signore si stava muovendo. “Ora capisco tutto! Tu te la sei presa perché la cameriera che amavi tanto ti ha piantato! Oh, come mi dispiace!”

“Ben ti sta, invece! Almeno sai che si prova ad essere traditi! Non ho certo dimenticato il tuo trattamento, l’ultima volta che ti siamo servite per fare qualcosa. Devo rinfrescarti la memoria?” 

“Non occorre, il passato è passato. Ciò che vi ci vuole ora, dolcezze, è un atto di fede.”

“Verso di chi? Verso di te? Io credo che tu sia bravo solo a parlare!”

“Spremi le tue meningi sottomarine, dolcezza, non è difficile: ho trovato il modo di entrare in città.”

“Balle.” 

“Le ho raccontate a tutto il mondo per secoli, non ne sto raccontando adesso. Pensaci, carina. Guarda oltre. Il nostro lieto fine è più vicino di quanto pensi.”

“Mettiamo che tu riesca davvero nell’impresa, e in città ci dovessimo arrivare come tu dici…con chi avremmo a che fare?”

“Questo è l’ultimo dei nostri problemi. Lei sarà perduta sotto terra, ma è ancora infuriata per ciò che gli Eroi le hanno fatto. Non avrà pietà finché non avrà vendicato una volta per tutte il torto subíto, così come non l’avrò io. Ma le lascerò l’onore, perché anche se adesso sono uno storpio, rimango sempre un gentiluomo.”

Le due donne si lasciarono sfuggire una risatina.

“Cos’hai in mente, Bestia?”

“Per davvero.” 

Chiesero a turno le signore. 

“La pura e semplice vittoria. Appena metterò le mani sul pugnale e lei sarà libera, moriranno tutti.”

A quell’affermazione, il fiato gli esplose nei polmoni. Riuscì a non lasciarsi andare, ma non potè più star fermo.

Lentamente, si destreggiò tra la penombra e le macerie del casolare, fino a raggiungere il pertugio da dove era passato. 

Raggiunse l’esterno con le ginocchia tremanti e il cuore in gola, e senza badare alle vetture che sfrecciavano in strada, o alle lente persone che lo urtavano, o alla luce del tramonto che gli aveva tinto il viso di rosso, cominciò a correre e correre, velocemente, senza mai voltarsi indietro. 

“Cos’è stato?!” La voce della prima donna rimbombò sulle pareti distrutte della struttura fatiscente.

“Topi schifosi.” Fu la risposta disinteressata dell’altra.

“Sì.” Confermò la Bestia. “Topi schifosi a forma di ladro inglese con arco e frecce.”



*ANGOLO AUTRICE*

Salve! 

Lo so, sono passati secoli dalla fine della serie, ma io volevo togliermi un sassolino dalla scarpa (se mi riesce).
Questa fic nasce con una domanda: cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente, dopo il midseason finale della 4a? 
Questo è quello che ne è uscito, ho lasciato questa storia nei documenti del pc per anni, letteralmente. Non so nemmeno se qualcuno la leggerà mai, ma è grazie ad una personcina speciale che adesso l'ho pubblicata. 


Spero di averti incuriosit*, ogni commento/critica è benaccetto, sono sempre felice di riusicre a migliorarmi e correggermi ad ogni errore. 
Grazie mille per aver letto e a presto! 


 

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Capitolo 2
*** Broken Hearted ***


Broken Hearted  

Nella tranquilla cittadina di Storybrooke, Maine, si era diffuso uno strano, tuttavia piacevole periodo di calma. 

L’estate si stava timidamente ritirando per lasciare il posto all’autunno e niente sembrava avere il potere di rovinare quella pace perfetta. 

Nell’arco di quei sei mesi, però, c’era stato chi aveva dovuto rimettere insieme i pezzi. 

Il mondo di Belle French aveva perso ogni colore dalla notte terribile al confine della città, ed aveva cominciato a crollarle addosso ad ogni passo che aveva compiuto per allontanarsi da esso. 

La vita che aveva condotto fino a quel tragico momento si era rivelata una crudele bugia, così come lo era stato il suo matrimonio.

L’uomo che lei amava -che aveva sempre creduto di amare- non aveva smentito la sua subdola natura, e non c’era stato niente da fare: la Bestia che lei aveva cercato di salvare con tutta l’anima e alla quale aveva dedicato la propria anima, non aveva fatto altro che ingannarla, facendo tramutare il suo immenso amore nel suo più grande dolore. 

Tremotino le aveva spezzato il cuore per l’ennesima volta. Belle si era stancata di doverlo sempre riparare da sé. 

Era rimasta sola, triste, senza un briciolo di fiducia per il futuro, e convinta che nemmeno i suoi adorati libri avrebbero potuto salvarla dall’esistenza disperata che le si sarebbe prospettata, quella volta. 

Eppure, proprio quando stava per perdere ogni speranza e rassegnarsi al suo destino, un giovane malfattore era apparso quasi dal nulla, evitandole di cadere completamente nello sconforto. 

Will Scarlett era il suo nome, e faceva parte dell’Allegra Brigata di Sherwood, una piccola comunità di uomini che da tempo viveva accampata nella foresta che circondava la città. 

Quello strano ragazzo che Belle aveva continuato ad incrociare casualmente ogni giorno, la stava inesorabilmente salvando, addirittura senza che lei gliel’avesse chiesto.

Non ce n’era stato bisogno, in effetti: era stato chiaro sin dalla volta in cui Will era entrato da Granny, in una mattinata particolarmente piovosa. 

Per il braccio sinistro di Robin Hood, i giorni erano diventati tutti uguali. Invece quella mattina era accaduto qualcosa di diverso: era seduto sciattamente sullo sgabello aspettando di consumare la solita colazione, quando aveva notato una ragazza incredibilmente bella disperarsi sulla bevanda versata sul tavolo. 

Ora, Belle era abituata ad incidenti del genere: le succedeva sempre di versare o rompere qualcosa, quando beveva o si spostava con il naso tra i libri. Era sciocco piangere. Eppure, anche se si sentiva patetica e ridicola non aveva potuto trattenersi.

Will le si era avvicinato con fare pratico, l’aveva osservata solo per un altro attimo ed infine aveva esordito con una frase semplicemente assurda, riguardante il fatto che Belle stesse sbagliando tutto: avrebbe dovuto piangere “sul latte versato, non sulla cioccolata!”

Inavvertitamente, la bibliotecaria aveva alzato la testa per guardarlo in faccia e scoppiare a ridere subito dopo…poi aveva continuato a piangere di nuovo, ma Will non si era perso d’animo. Si era seduto con lei tutti i giorni. Aveva tentato e ritentato di farla ridere e sorridere ogni volta che la incrociava per strada a costo di risultare pazzo o inquietante, ma dopo mesi, il cuore della dolce ragazza aveva finalmente smesso di far così male. 

Adesso pensava di aver trovato un altro amico, un’anima gentile che la stava aiutando a risollevare la sua. 

Pesava che, forse, non era ancora finita per lei. 

Nero, rosso. 

Buio. Luce. 

I raggi del sole erano la prima cosa che vedeva da sei mesi a quella parte, non appena i primi sprazzi di coscienza rientravano nel suo corpo, impietosi ad ogni singola alba. 

Lo sforzo per mettere a fuoco i dettagli della grande stanza in cui si trovava -la sua camera da letto, le procuravano sempre un dolore sordo alla testa, ma lei non ci prestava più attenzione da giorni. 

Regina Mills era abituata al dolore. Conviveva insieme ad esso da tempo ormai immemore e niente e nessuno avrebbe potuto fare qualcosa per cambiare quella condizione. 

Ma lei ci aveva provato. Diamine, se ci aveva provato. 

Per la seconda volta in vita sua, la famigerata Regina Cattiva aveva cercato di essere una persona giusta, aveva tentato di riparare a tutti gli errori e alle atrocità che aveva commesso in passato, anche se non le sarebbero bastate dieci vite per farlo e lo sapeva. 

Eppure, nonostante tutto, aveva nutrito una speranza…cosa di cui si era pentita amaramente: aveva compiuto un errore, sperando, e stava continuando a pagare il prezzo di quell’errore ogni qualvolta che sentiva il battito del proprio cuore spezzato rimbombarle nelle orecchie, ogni volta in cui la mente la riportava al confine della città, proprio lì, dove aveva visto la sua felicità scomparire dietro una barriera invisibile. 

Non aveva potuto fare niente per trattenerla a sé. 

Se doveva essere sincera, Regina aveva realizzato la partenza di Robin lentamente e così piano, che all’inizio non l’aveva neanche concepita. 

Poi, quando finalmente aveva razionalizzato, il dolore era stato così lacerante che non aveva più potuto stare ferma: aveva strappato quella pagina -pagina XXIII- con rabbia, rassegnazione, cattiveria e tutta l’intenzione di non rivederla mai più. 

Non voleva più speranze.

Regina aveva capito che il suo futuro si era dissolto tra le dita invisibili di quel vento che aveva spazzato via il foglio. 

Non aveva mai pianto davanti a nessuno, lei: si era costretta a lasciare il confine con la testa alta e le spalle dritte, nella dignità totale che le conferiva il suo status di sovrana e di Sindaco della città più straordinaria che esistesse.

Tuttavia, una volta arrivata al sicuro della grande villa dove abitava, si era decisamente lasciata andare e la sua disperazione era stata così grande da farla mancare in municipio il giorno dopo.

I giorni si erano poi lentamente trasformati in settimane, e nel tentativo di riprendersi il prima possibile, Regina si era isolata nella preoccupazione di chi aveva conosciuto la sua storia con il ladro gentiluomo più famoso d'Inghilterra.

Nessuno l’aveva cercata, all’inizio. 

Nessuno aveva osato disturbarla dal giorno in cui Robin Hood aveva lasciato Storybrooke per andare a New York. 

Con il passare del tempo, però, l’apprensione era inesorabilmente cresciuta. Emma Swan, Mary Margaret e David avevano strenuamente tentato di contattare la Regina Cattiva, presentandosi addirittura davanti alla sua casa, ma quando avevano visto che era tutto inutile, e che lei non avrebbe concesso loro alcuna udienza, avevano rinunciato uno dopo l’altro…

Henry invece no. 

Gli ci erano voluti molti giorni per convincerla a farsi aprire la porta: un pomeriggio piovoso aveva bussato con tutte le sue forze sul legno bianco, e non aveva mollato fino a quando era giunta la sera. 

MAMMA!” Aveva gridato, dopo l’ennesima risposta silenziosa. “Mamma, lo so che sei lì. So anche che sei orgogliosa e non vorresti che qualcuno ti vedesse soffrire, ma io non ti vedo da settimane! 
Mi manchi! 
Mi manca casa mia, e sono molto arrabbiato, perchè non posso più sopportare di essere trattato così, non da te, quindi apri questa porta o giuro che mi invento un modo per buttarla giù!” 

Regina non se l’era più sentita di lasciare suo figlio arrabbiato e quasi piangente fuori di casa. 

Ostentando una calma che chiaramente non aveva, l’aveva abbracciato forte e gli aveva chiesto perdono almeno cento volte, accettando consapevolmente di farsi aiutare. 

Più tempo trascorreva in presenza di Henry, però, più lei faticava a mantenere la sua facciata: era inquieta, ancora più silenziosa e piuttosto triste.

Una sola volta, il ragazzino era riuscito a strapparle l’accenno di un sorriso -il più mesto che Henry le avesse mai visto in volto- ma era stato comunque felice di vederlo.

Ad ogni modo, la preoccupazione del Credente si accentuava ogni qual volta doveva andarsene: era abbastanza sicuro che in quei momenti, l’assenza di Robin diventasse davvero insostenibile per sua madre e non era affatto lontano dalla verità.  

Regina, nelle passate notti di solitudine, quelle in cui aveva pianto fino ad addormentarsi, aveva stabilito di non essere fatta per i sentimentalismi. Tutto ciò che finiva per amare le veniva sempre strappato per il bene di qualcun altro e il fatto che non ci fosse nessuno da incolpare per la perdita del suo vero amore la mandava inesorabilmente su tutte le furie. 

Peraltro, cercare di scaricare ogni responsabilità sulla Salvatrice si era rivelato completamente inutile: Emma Swan aveva salvato una vita, e non la si poteva certo biasimare per questo…

Quindi, l’unica cosa logica da fare per Regina era stata di auto convincersi con tutta l’anima di non aver bisogno di nessuno, tantomeno di Robin Hood.

Forse Cora aveva avuto ragione sin dall’inizio. Forse l’amore non era altro che una debolezza per davvero…

Ma a lei non importava più. Stava continuando ad obbligarsi a credere che, alla fine, aveva avuto un accenno di quella che sarebbe potuta essere la sua vita, e con tutto quello che aveva fatto avrebbe dovuto ritenersi fortunata ad averla vissuta, anche se per poco. 

Forse la Regina del passato sarebbe rassegnata e sarebbe riuscita ad andare avanti…invece per la Regina del presente era tutto problematico e difficile: da confusa che era inizialmente, tutte le convinzioni e i sentimenti contrastanti che le avevano dilaniato il cuore, avevano finito per farla rinchiudere ulteriormente in se stessa. 

Le sue giornate erano diventate improvvisamente così piene di incarichi da rasentare l’incubo. 

Regina aveva infatti preso ad occuparsi di qualunque cosa le capitasse a tiro, a lavorare ininterrottamente all’interno nel suo ufficio, dimenticandosi spesso e volentieri anche di mangiare ed il tempo che non passava in veste di sindaco, lo trascorreva nella sua cripta sigillata. 

O meglio, c’era potuta rimanere fino a che i ricordi di ciò che di meraviglioso era accaduto dentro quelle fredde mura non avevano preso a distruggerla dentro.

Allora aveva deciso che fosse una buona idea trasferire all’interno della sua villa tutto ciò di cui aveva bisogno per impedire alla testa di pensare al passato e a Robin: i libri. 

Li aveva trasportati all’interno del salone senza usare la magia. Tutti i volumi che aveva potuto tenere tra le braccia, li aveva posti nella grande libreria a muro che prima serviva meramente a scopo ornamentale. 

Quando lo spazio si esaurì ed ogni mensola divenne occupata, si ritrovò costretta ad impilarli ordinatamente a terra. 

Anche nei rarissimi momenti in cui rimaneva senza nulla da fare, Regina leggeva il più possibile. Seduta sul divano, divorava una parola dietro l’altra con così tanta concentrazione che le sue notti si trasformavano sempre in albe, e lei, non appena se ne accorgeva, ricominciava a lavorare ancora e più freneticamente, fino a crollare giusto qualche ora per riposare gli occhi stanchi. 

Ovviamente, con Henry in casa non poteva continuare a condurre quelle abitudini, e la verità era che nonostante tutto, prendersi cura di lui le stava facendo davvero bene. 

Così, le altrettanto sporadiche volte in cui si degnava di farsi vedere dagli abitanti della città e fuori dal municipio, Regina sembrava aver ritrovato un equilibrio. 

Chiunque, avrebbe potuto dire che il Sindaco di Storybrooke fosse tornato in grande stile…peccato che il timore reverenziale che era da sempre esistito verso di lei, adesso avevano cominciato a svilupparlo anche Emma, Mary Margaret, e tutti gli altri Eroi. 

Si erano resi conto che, per tutto il tempo in cui Robin era uscito dalla sua vita, la Regina Cattiva non aveva perso la calma o compiuto una cattiva azione neanche una volta.

La faccenda li aveva destabilizzati a tal punto da farli diventare persino incapaci di avvicinarsi a lei. Lei, che di contro, era sempre arrogante e fuggevole nei loro confronti, perché totalmente e sinceramente disinteressata a qualsiasi idiozia avessero da dirle…ma era tranquilla. Ai limiti dell’inquietante. 

Magari il caffè lungo di Granny e la mancanza di sonno avevano contribuito a renderla meno incline a perdere le staffe. Eppure, persino Capitan Uncino e David si erano resi conto che qualcosa non andava. 

Quell’arrendevolezza, quell’apatia non apparteneva affatto a Regina Mills. 

Le stonava addosso. 

La temibile sovrana era consapevole che qualcuno avrebbe potuto insospettirsi, ma non se ne faceva un cruccio: ciò che pensavano quei piantagrane non era un suo problema, il suo unico scopo era di riuscire a nascondere loro il suo personale logoramento e soprattutto continuare a tentare di essere una madre decente per suo figlio. 

Quel che non sapeva, era che i suoi sforzi erano tutti vani e che l’apprensione nei suoi riguardi non era diminuita. Una sera, lontano da occhi e orecchie indiscrete, proprio il giovane Henry aveva affermato di non aver mai visto sua madre piangere per Robin. 

La Salvatrice aveva allora deciso di andare a trovarla di nascosto insieme anche a Biancaneve. 

Come prima cosa, i tre erano passati in municipio, trovando la scrivania colma di documenti ma maniacalmente ordinata. 

Della signora Sindaco nemmeno l’ombra.

Quando avevano raggiunto Villa Mills, invece, avevano trovato la cripta sigillata e le luci della casa accese, segno che, nonostante l’ora alquanto tarda, la padrona di casa fosse ancora sveglia. 

Proprio quando stavano per bussare, Henry aveva deciso di lasciar perdere. Non voleva rischiare di farla arrabbiare, dopo tutto ciò che stava passando. 

Non è caduta nell’oscurità, ne sono sicuro.” Aveva sussurrato. 

Emma e Mary Margaret avevano lanciato comunque uno sguardo al di là di una delle finestre che davano sul salone. 

Trovarono Regina in piedi, appoggiata con entrambe le mani sul tavolino. 

Stava leggendo un volume alto e spesso nel silenzio più totale, o meglio, lo stava studiando.

Ad un tratto aveva alzato lo sguardo verso un punto indefinito davanti a sé, e aveva continuato a fissarlo intensamente finché un bagliore non aveva cominciato a rischiarare la stanza.

La luce si era concentrata in una sfera galleggiante ferma a mezz’aria, proprio dinanzi a lei: magia bianca. 

Emma l’aveva riconosciuta immediatamente. 

Regina aveva toccato la sfera con una mano e, immediatamente, la luce le aveva inghiottito interamente il palmo, fino al polso.

Dopo diversi attimi le divenne impossibile continuare a guardare. Era esausta. 

Una volta richiuso il libro di schianto, la luce si era dissolta all’istante, facendo piombare la stanza nella penombra. La donna aveva poi portato una mano agli occhi, respirando profondamente un paio di volte. 

Quando li aveva riaperti, era crollata sulla sedia dietro di lei. 

Non v’era stata alcuna traccia di pianto sul suo viso, solo un’enorme stanchezza.

“Abbiamo sbagliato a lasciarla sola.” Aveva sentenziato Mary Margaret con voce rotta, durante la strada del ritorno. “La aiuteremo, anche se non vuole. Anche a rischio di farla infuriare.”

Non ci farà del male.” Aveva esclamato Henry con veemenza. 

Per quanto Regina possa essere forte,” aveva aggiunto pensosamente Emma, “non può continuare così.”

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Capitolo 3
*** The Most Powerful Witch ***


The Most Powerful Witch 

 

           “STREGA!” 

Proruppe improvvisamente una voce sgraziata. 

“Vieni fuori, lo so che sei lì dentro!”

Si palesarono dei passi in avvicinamento. Alcuni pesanti, altri un po’ più leggeri a seguito. Poi, la porta si aprì di schianto: chiunque fosse, non solo aveva osato entrare in municipio alle sei e mezzo di mattina, -malgrado fosse risaputo che l’apertura dell’ufficio del Sindaco era alle otto- ma, non si era nemmeno preso la briga di bussare. 

Non c’erano dubbi, su di chi dovesse trattarsi. 

Regina trasse un respiro profondo per non perdere la calma e spostò lentamente gli occhi dai documenti che stava compilando con enorme interesse, per posarli sulle due figure davanti a lei. “Se hai intenzione di provocarmi, pirata, sappi che non sono dell’umore.”

“Perchè cosa non mi stupisce?” Chiese pleonasticamente Capitan Uncino, arrestando la sua camminata proprio davanti alla scrivania e rivolgendole un cortese cenno di saluto. “Mi rincresce disturbarti tanto presto.” 

“Sì, come no. Cosa vogliono da me un mezzo pirata col mascara e la moglie secchiona dell’Oscuro?”

“Credimi, tesoro, eviterei volentieri di vederti, ma c’è un’emergenza: le fate sono scomparse.” Esclamò Uncino.

“Di che fate parli?” Chiese Regina, assottigliando lo sguardo. 

“Le suore.” Spiegò Belle con dolcezza, prendendo la parola per la prima volta. 

“Io non ne so niente.” Premise la mora. 

“Lo sappiamo.” Rispose nuovamente la bibliotecaria. “Non siamo venuti per accusarti. Abbiamo ragione di credere che le suore siano rinchiuse dentro il cappello dello Stregone.”

Il sindaco spostò lo sguardo da Uncino a Belle. 

Se il primo non sembrava avere problemi a reggere i suoi occhi, la seconda stava facendo di tutto per non sembrare intimorita.

Chi accidenti aveva potuto mettere un manipolo di fate dentro un cappello? E perché? 

Non aveva importanza, Regina non voleva spenderci più tempo del dovuto. “Tiratele fuori, allora.” Dichiarò lapidaria. “Avete entrambi la mia benedizione.”

“Non è per questo che siamo qui!” Replicò Belle con cautela. “E non è così facile liberarle.”

“Perché.” 

“Perché sono trattenute dalla magia nera. Ho decifrato l’incantesimo: c’è un rituale da eseguire, ma io non sono in grado.”

“Quindi, dopo settimane passate a scervellarci, io e mademoiselle Belle qui presente speravamo che una strega buona e gentile come te potesse smettere di essere in lutto per un po’ e aiutarci a maneggiare il pugnale.” Concluse concluse Killian, sfoderando il migliore dei suoi sorrisi. 

Smetti di essere in lutto.

Lutto…

A Regina veniva la nausea al sospetto di aver involontariamente lasciato intravedere anche solo un accenno del suo dolore davanti a loro. 

E quel pirata insopportabile aveva ragione: Robin non era morto. 

Era da qualche parte, lontano da lei. Ma vivo, in compagnia di suo figlio e della rediviva moglie. 

A quel pensiero, la donna non ebbe altra scelta che posare la penna ed alzarsi. 

Quando aggirò la scrivania per infilarsi svogliatamente il cappotto, si rese conto che lo sguardo incredulo del capitano e quello supplicante della bella non l’avevano mai lasciata: non si sarebbero mai aspettati che lei acconsentisse di aiutarli così facilmente.

Regina stessa non sapeva nemmeno il perché avesse deciso di farlo, se doveva essere sincera. Sicuramente, l’aspettativa di ciò che avrebbero potuto combinare quei due incapaci con l’artefatto più pericoloso di tutti le metteva i brividi. 

“Chiamami strega un’altra volta” Disse rivolta a Killian, “e ti ritroverai senza lingua, oltre che senza eye-liner.” Poi spostò lo sguardo sulla bibliotecaria. “Fammi strada, Belle.” 

Giunsero nella radura poco distante dalla tenuta dell’Apprendista Stregone, dopo aver camminato per mezz’ora in perfetto silenzio. 

Emma Swan li stava attendendo nervosamente, con il pugnale avvolto in un pesante cencio nero. 

Non appena Uncino la scorse, si distanziò dalle altre due donne per andare a salutarla. 

“Regina!” Esclamò poi la Salvatrice con gli occhi sgranati. “Finalmente ti vedo! Come stai—”

“Bene.” Tagliò corto quella, la quale, ignorando completamente tutti, raggiunse il monolite già predisposto per l’incantesimo. 

“Non devi far caso Killian quando ti dice certe cose.” Mormorò Belle, avvicinatasi con la sua sempiterna gentilezza. “Io apprezzo davvero tanto che tu sia qui! Grazie per il tuo aiuto.”

“Ringraziami a cose fatte, anzi, meglio se non lo fai proprio.” Dichiarò a mora, stupita da tanta cortesia. 

“Perchè dici questo?”

“Perchè non devi ringraziarmi di niente.” Il rituale era scritto su dei fogli posti sopra una grande pietra monolitica, proprio accanto al cappello di Mago Merlino. “Dimmi piuttosto quanto tempo ci hai messo per tradurre questo affare.”

“Quasi sei mesi. Killian ha cercato e trovato i libri di rune, io mi sono impegnata a scovare i termini. È stata la cosa più difficile da fare da quando...da quando—”

“Capisco.”

“Ho lavorato giorno e notte, quasi ininterrottamente e non sono nemmeno certa della correttezza della traduzione, se proprio devo essere sincera.”

“Se tu sei insicura c’è da preoccuparsi.” 

“Se ci fosse stato lui sarebbe stato tutto più facile. Puoi…puoi sempre consultare l’originale, se preferisci.” 

“Non ne ho bisogno. È la tua preoccupazione, che mi da pensiero…perché sei abile con questo genere di cose.”

E quello era il più blando dei complimenti che Regina Mills fosse riuscita a fare a Belle in anni e anni. 

E la ragazza lo apprezzò enormemente. “Spero tu abbia ragione, a fidarti di me così tanto.”

“Lo vediamo subito.”

Pirata, Salvatrice e Bibliotecaria restarono in silenzio per minuti interi, mentre la Regina Cattiva leggeva concentrata le parole sul foglio immacolato. 

Era sempre bello, vederla in azione. 

Belle non aveva mentito. 

Il linguaggio era difficile, il rituale lo sembrava ancora di più, visto che andava imparato a memoria per poterlo eseguire, ma per Regina non era un problema: aveva imparato ad allenare la sua memoria sin da ragazza, assorbendo alla perfezione qualsiasi incantesimo o pozione riportato nei suoi libri di magia. 

Con un cenno di intesa, Emma le porse l’involto, e la mora afferrò saldamente l’elsa del pugnale con la massima attenzione. 

Non tolse i guanti di pelle: per trasformarsi in Oscuro, sarebbe bastato un solo taglio. 

Rivolse quindi il piatto della lama sul bordo del cilindro, toccandolo prima da un lato e poi dall’altro con movimenti precisi e misurati, nel mentre sussurrava a fior di labbra le parole per farlo schiudere. 

Infine alzò il braccio al cielo.

“Indietro, Swan.” Esclamó giusto in tempo: il cappello esplose di una luce abbagliante appena l’attimo successivo, facendo tremare la terra. 

Regina si affrettò a chiudere la voragine, e quando i tre spettatori riaprirono gli occhi, videro delle figure accovacciate ai piedi della pietra. 

Uncino ed Emma si precipitarono immediatamente in aiuto delle donne riverse sull’erba: erano deboli e tremanti, non si reggevano in piedi per il gran terrore. 

“Aiuto!” Gridò la superiora, scostandosi impaurita dalla mano tesa del pirata. 

“Va tutto bene, Turchina.” Esclamó la Emma, avvicinandosi di corsa. “Sei salva.” 

“Ma lui—”

“Non è colpa sua, c’entra Gold. Ti spiegherò tutto…ora lascia che ti aiuti.”

La fata lesse sincerità nei suoi occhi e fece quanto richiesto, mentre Belle prese cappello e pugnale in custodia.

“Ce l’hai fatta!” Disse poi trionfante, rivolta a Regina. 

Tu, ce l’hai fatta.” Ribatté quell’ultima, cercando di non sorridere a tanto entusiasmo. “Era tutto giusto. Non hai bisogno di nessun Tremotino per fare quello che vuoi e…i miei complimenti. Era perfetto.”

Fu la ragazza a sorriderle e a ringraziarla di nuovo.

“Voi due, state bene?” Chiese Emma, e sia Belle che la regina annuirono convinte. 

“Quelle che non stanno bene sono loro.” Fece presente la bibliotecaria. “Chiamo l’ambulanza.”

“Grazie...” Mormorò Turchina, trascinandosi verso la strada. “Per averci tirate fuori. Voi…non sapete che cosa abbiamo passato lì dentro.”

“Porgi i tuoi ringraziamenti al sindaco.” Esclamó la Salvatrice.

Regina dedicò alla fata un sorriso serafico e per niente rassicurante: nonostante tutto, si divertiva troppo a terrorizzare quelle sciocche creature con le ali, che distoglievano lo sguardo alla sua vista.  

Quando le sirene dell’ambulanza si fecero prossime, e le fate furono al sicuro all’interno del veicolo, le tre donne e il pirata decisero di fare ritorno in città a piedi. 

***

Il bosco circostante era calmo e silenzioso, ma per ognuno rappresentava qualcosa: Belle camminava persa nel ricordo della notte in cui aveva sposato l’uomo che amava. 

Emma non poté fare a meno di ricordare di essere stata ritrovata proprio tra quegli alberi, quando era ancora in fasce. 

Il suono improvviso del cellulare la riscosse: rispose, la conversazione fu breve, e per quanto si aspettasse una miriade di domande su come usare “il dannato parlofono”, Killian era innaturalmente silenzioso. 

“Che ti prende, Jones?”

“È stata colpa mia.” 

“No. Lo sai benissimo, di chi è la colpa.”

“Non avrei mai voluto far loro del male.” 

“Lo so...ma non si può fare altrimenti quando qualcuno ti controlla letteralmente il cuore. Non è vero, Regina?”

La diretta interessata non rispose a quella frecciatina, non l’aveva proprio sentita. 

“Regina?” 

Aveva lo sguardo perso e le mani affondate nelle tasche. Era fin troppo chiaro a chi stesse pensando, a chi le ricordasse l’odore della foresta nella quale stavano camminando. 

“Regina!”

“Sono proprio qui, Swan.” 

“Ha appena chiamato Whale.” 

“Ah, sì?”

“Ha detto che le suore sono solo stanche. Quel cappello stava prosciugando loro ogni energia vitale, ma a quanto pare la recupereranno in fretta. Le abbiamo salvate per miracolo.”

“Buono a sapersi.”

Emma arrestò la sua camminata. “Hai già fatto colazione?” Chiese.

La donna dai capelli corvini si fermò a sua volta e finalmente volse lo sguardo sull’altra. “Non ancora.” Le sfuggì, e la bionda sorrise. 

“Propongo di andare da Granny a festeggiare.” 

“Sarebbe perfetto:” approvò il capitano, “muoio di fame.” 

“È davvero un’ottima idea.” Fece eco Belle con ritrovata allegria. 

“Io non posso.” Dichiarò Regina. "Ho da fare."

“Oh, andiamo.” Sospirò la Salvatrice, sinceramente dispiaciuta. “Per quanto continuerai ad avercela con me?”

Regina alzò gli occhi al cielo. “Per la duecentesima volta, Swan, io non ce l’ho con te!“ 

“Ce l’hai con Killian?” 

“Io ce l’ho sempre, con Killian!” 

“Allora che mi dici di Belle, non vuoi vedere neanche lei?” 

Tutta quella conversazione cominciava a perdere ogni senso. 

“Di che diavolo stai parlando, mi prendi in giro?” 

“No! Voglio solo sapere perché continui ad evitarci…dopo essere stata lontana così tanto—” 

“Non vi sto evitando affatto, sia chiaro! Io non evito nessuno! Ho semplicemente da fare: sono il Sindaco, nel caso l’avessi dimenticato, e come tu ben sai, non posso permettermi di distrarmi neanche un attimo in questa città.” 

“Hai assolutamente ragione, Sindaco dei miei stivali: l’ultima volta non abbiamo neanche potuto bere in pace. Farò in modo di rimediare anche questa." 

“Che cosa vuoi dire?”

“Che oltre che a bere, sei obbligata a fare colazione con noi tutte le mattine! Vedi di trovare il tempo.” 

“Se pensi di potermi obbligare a fare qualsiasi cosa ti sbagli di grosso, Swan. Il tuo fidanzato è quello, dai ordini a lui, che magari ce la fai.” 

Killian abbozzò un sorriso divertito: era sicuro di essere mal sopportato da Regina, quindi darle fastidio era decisamente uno dei suoi passatempi preferiti e vedere Emma prodigarsi nel medesimo scopo era davvero soddisfacente. 

“Vorrà dire che mi presenterò nel tuo ufficio tutti giorni.” La sentí rispondere, e Regina perse definitivamente la pazienza.

“Faresti bene a lasciarmi in pace.” 

“Ma perché—“

Lo sguardo che la mora le rivolse, fu più che sufficiente per troncare la conversazione. 

Regina rivolse un cenno di congedo a Belle, ignorò volutamente Uncino e sparí in una nuvola di fumo viola. 

         Ci mancava solo questa.

Pensò la mora, silenziando il cellulare: Mary Margaret la stava chiamando da almeno dieci minuti buoni…e lei non aveva alcuna voglia di ascoltare tutti i suoi insulsi discorsi sull’affetto, sui buoni sentimenti e soprattutto sulla speranza. 

Andassero al diavolo lei e la speranza! 

“Mamma?” Proruppe una voce dal piano inferiore. “Mamma! Dove sei?”

Regina si precipitò giù per le scale. Per poco non urtò suo figlio.

“Tesoro.” Esclamò sorpresa. “Che ci fai qui così presto?” 

“Finalmente ti ho trovata.” Henry sembrava agitato, troppo agitato per la sua indole calma. Sicuramente stava cercando di riprendere fiato dopo una lunga corsa. “Ho saputo quello che hai fatto questa mattina, Emma mi ha raccontato tutto.”

“È…successo qualcos’altro?” Domandò lei, precipitando immediatamente nell’apprensione più totale.  

“No, ma so che sei stata davvero grande.” 

La donna sorrise intenerita dalle parole del figlio, che la abbracciò forte. 

“Ordinaria amministrazione.” Gli rispose lei, sciogliendo poi l’abbraccio. 

Henry alzò un sopracciglio. “Era modestia, questa?” 

“È la verità, sciocco!” 

“Belle e Uncino non la pensano così!” Continuò il ragazzino, decisamente troppo entusiasta. “Ci stanno aspettando da Granny, sai?” 

“Non sei con Mary Margaret, oggi?”

“Voglio andarci con te.”

Regina indugiò un lungo istante.

Henry le era stato accanto più di tutti, negli ultimi tempi. 

Aveva dormito molte notti a casa in Mifflin Street, nonostante la maggior parte delle volte avesse dovuto dormire da Emma. 

La donna sospettava che da quando Robin se n’era andato, Henry volesse passare del tempo con lei, per non farla sentire più sola di quanto non riuscisse a dimostrare…

Era tutto ironico. 

Dopo aver passato anni e anni a combattere per avere un po’ d’affetto da suo figlio, quella era la prima volta in cui Regina desiderava veramente di stare sola. 

Invece, da quel dannato giorno al confine, ognuno aveva stranamente cominciato ad assillarla d’attenzioni e l’auto isolamento era stato l’unico deludente risultato che gli Azzurri, Emma e quel noioso di un pirata avevano ottenuto da lei. 

Regina era insofferente. 

Le sarebbe bastato così poco per tornare cattiva come prima…l’incanto per attivare il suo specchio lo ricordava ancora: avrebbe potuto ritrovare quel traditore di Sydney e poi regolare i conti con Biancaneve e la sua Azzurra famiglia una volta per tutte sarebbe stata una sciocchezza.

Allora l’avrebbero lasciata finalmente in pace. 

Ma poi dov’erano finiti i tempi in cui le bastava un’occhiataccia per rimettere ognuno al suo posto?

Erano finiti con Henry. 

Il suo Henry…sempre allegro e sorridente. Solo lui riusciva con il più piccolo gesto a renderla così orgogliosa da non farle perdere la speranza, da non farla cedere all’oscurità nonostante la tentazione continua e spossante.

“Per favore, andiamo da Granny, sono secoli che non mangiamo lì insieme. Per favore!”

“E va bene.” Cedette la donna, abbandonando immediatamente ogni ridicolo pensiero di vendetta. Non poteva rifiutare una richiesta del genere del suo piccolo principe, non se lui glielo chiedeva con quel tono. “Ti accompagno.” 

Il ragazzino trasse un sospiro di sollievo, sorrise, e si diresse fuori dal municipio con la mano avvolta attorno al polso di sua madre. 

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Capitolo 4
*** Backfire ***


Backfire

 

           “Henry, sei proprio sicuro che non sia successo niente?” 

“Sicurissimo.”

Regina accennò una risata e Henry appena la sentì mollò la presa per sorriderle di nuovo apertamente. 

Adesso la sua fretta si era trasformata in orgoglio, e poco importava che si trovassero entrambi fermi sul marciapiede, a meno di un isolato dal loro bed&breakfast di fiducia. 

“Tu mi nascondi qualcosa.” Dichiarò nuovamente la donna, stavolta con dolcezza. “Ammettilo.” 

“È che sono tanto contento di sapere che hai salvato la vita di quelle fate.” Spiegò il giovane, riprendendo a camminare con ostentata calma. “Voglio sapere ogni singolo dettaglio.”

Regina lo affiancò e prese a raccontare l’esperienza come se fosse stata una cosa da niente. Henry l’ascoltava rapito. 

Ben presto, il Credente si rese conto che, man mano si avvicinavano alla destinazione, il passo di sua madre si faceva più pesante e il suo sguardo diveniva più cupo, nonostante avesse finto normalità per tutto il tempo.

La confusione all’interno del locale si avvertiva sin da fuori. 

Regina non si era neanche accorta di star dimostrando una certa riluttanza alla prospettiva di entrare, ma a Henry non era sfuggito un bel niente. 

“È solo una colazione.” Le disse, arrestandosi proprio davanti alla soglia della porta a vetri.  

“Di che cosa stai parlando?” Gli chiese lei sinceramente confusa, puntando entrambe le mani sui fianchi. (Un gesto che Henry aveva imparato a riconoscere alla perfezione.)

“Lo so che non vuoi stare in mezzo alla gente.” Le rispose quindi, con un’alzata di spalle. “Che non vuoi vedere nessuno.”

Quelle parole colpirono Regina come una pugnalata.

Rimase immobile per diversi attimi, sorpresa che suo figlio potesse leggerla tanto bene. 

“Hai smesso di combattere. Me ne sono accorto, sai?”

“Henry…”

“Io non mi sono mai arreso.” Continuò il ragazzino, fronteggiandola con autentica testardaggine, una delle poche caratteristiche che aveva ereditato sia da Emma che da lei. “Tu invece sì e ti sbagli!  Devi continuare a lottare, per ottenere il tuo lieto fine. Anche se ti sembra di no, l’Operazione Mangusta non è ancora finita.”

La famigerata Regina Cattiva aveva appena perso una discussione con un adolescente senza nemmeno averla cominciata. Per poco non si commosse. “Non ce n’è più bisogno, tesoro.”

“Tu non ti rendi proprio conto!” Henry abbassò la testa con un certo imbarazzo. “Lui…ti voleva bene…molto bene, e io non ti avevo mai vista tanto felice in vita mia.”

“Non ho bisogno di lui.” Replicò pazientemente Regina, posandogli una mano sulla spalla e tirandolo così fuori da ogni vergogna. “Henry, voglio che mi ascolti bene, devo spiegarti una cosa importante.”

“Che cosa?” Le chiese, sinceramente curioso.

Tu. Sei tu, la persona più importante della mia vita. Fintanto che stai bene e mi sei vicino, sono la donna più felice di tutto il mondo.”

Il ragazzino non sapeva se essere più sconvolto per le parole in sé o per il fatto che dopo mesi di silenzi, monosillabi e spietato sarcasmo, sua madre fosse riuscita a mettere più di due parole in fila sui suoi sentimenti. 

Ed era la cosa più bella che avesse mai sentito. 

O meglio, l’aveva sempre saputa, ma Regina non era mai stata brava con quelle cose. Gliele aveva dimostrate, certo, ma raramente gliele aveva espresse con tanta chiarezza. 

“Sono consapevole che non è mai stato facile vivere con me. Sono stata terribile.”

“Volevi proteggermi.” Le rispose, ritrovando finalmente la voce per parlare. “Ci ho messo un po’, ma l’ho capito.”

“Non so proprio che cosa ho fatto per meritarti.”

“Non c’entra niente il merito, ne sono sicuro! Avevi solo bisogno di me come io avevo bisogno di te e sono tanto contento di esserci stato. Adesso entriamo?”

“D’accordo.”

Si voltarono entrambi verso la porta. 

Il cuore di Regina batteva impazzito: gli schiamazzi si facevano sempre più vicini e la cosa prese a darle istantaneamente sui nervi. 

Rivedere quell’acida della vedova Lucas, le avrebbe dato sui nervi, così come l’aspettativa che, a giudicare dalla confusione, presto avrebbe dovuto confrontarsi con almeno mezza città. 

Ma che cosa sta succedendo là dentro? 

Henry si fece immediatamente da parte, permettendo a sua madre di varcare la soglia per prima. 

Regina non si era sbagliata: mezza città era riunita dentro il locale e sembrava in agitazione. 

Non appena la videro, i cittadini fecero calare un silenzio assordante e un rumore di vetri infranti fu l’unica cosa che catalizzò l’attenzione di tutta la stanza. 

Da quel momento in avanti, ognuno trattenne il fiato. 

Emma e Killian avevano la bocca aperta. 

Ruby, Belle, Will Scarlett, Granny stessa attendevano con trepidazione lo svolgersi degli eventi. 

Anche Mary Margaret e David avevano lo sguardo fisso sulla regina, che credeva di star vivendo un’allucinazione. 

Robin Hood. 

Era seduto su uno dei tanti sgabelli del locale a meno di un metro da lei, carne e ossa. 

Sembrava stanco, affaticato, come se avesse corso ininterrottamente per miglia e miglia e stesse ancora lottando per ritrovare il fiato. 

Il bicchiere che doveva aver stretto fino all’istante prima non era mai arrivato alla sua bocca: appena si era accorto di lei, l’aveva lasciato schiantare a terra…e adesso la stava fissando con un’espressione indecifrabile.

“Ho ho!” Sghignazzò Granny da dietro il bancone del bar. “Prevedo fiamme, qui!”

“Shhh!” Bisbigliò immediatamente Ruby, intenzionata a non perdersi nemmeno uno sguardo.

Henry fino a quel momento era rimasto dietro alla sua mamma adottiva, per assicurarsi che rimanesse in piedi: era impallidita tanto che si era preoccupato che potesse svenire da un momento all’altro. 

Inaspettatamente, fu proprio Regina a rompere il silenzio, nonostante il subitaneo tentativo di non perdere il controllo fosse chiaro come il sole. 

“Non è possibile…” 

Malgrado il suo tono fosse ridotto ad un sussurro, fu chiaramente udibile nel silenzio teso. 

“Che ci fai qui?” Gli domandò poi con voce un po’ più ferma, muovendo i primi passi all’interno al locale. 

Robin riuscí finalmente a calmarsi. 

Prima di meditare di dirle qualsiasi altra cosa riguardante se stesso, doveva parlarle di ciò che aveva visto. 

Non poteva più tacere, aveva fatto tutta quella strada apposta per tornare da lei ed avvertire i suoi amici.

“Gold.” Fu l’unica parola che riuscì a pronunciare. 

Regina riacquisì l’insperato controllo all’istante. “Che cosa ha fatto?” 

Lui scosse la testa con noncuranza. “Niente, ma non starà fermo a lungo.” Sentenziò, senza distogliere gli occhi da quelli di lei. “Sei in pericolo, milady. Siete tutti in pericolo.”

“Perché?” Chiese Emma, interrompendo il loro contatto visivo. 

“Perché lui sta tornando.” Spiegò Robin guardando la Salvatrice con preoccupazione. 

“Questo non è possibile.” Intervenne Belle. Aveva le lacrime agli occhi, ma la sua espressione tradiva rabbia. “È stato esiliato. L’ho esiliato io stessa. Non c’è modo in cui possa tornare.”

“Io l’ho trovato!” Fece presente Robin con gentilezza, palesemente rammaricato per aver  procurato le lacrime di un’amica. “L’ha trovato anche lui, però, e non sarà da solo.”

Qualcuno cominciò a bisbigliare e ben presto l'intero locale andò in fermento.

David dovette salire sul bancone per farsi ascoltare. 

“Raggiungete le vostre abitazioni e non lasciatevi prendere dal panico!” Proclamò il Principe a gran voce. Solo dopo diversi minuti la confusione venne sedata. “Abbiamo fermato l’Oscuro una volta. Ci riusciremo di nuovo.”

Non appena la folla rumoreggiante fu defluita all’esterno del bed&breakfast, David scese a terra e mise una mano sulla spalla di Robin, aiutandolo a rimettersi in piedi. 

“Dobbiamo fare in fretta.” Esclamò poi: anche se le sue parole erano state rassicuranti, ognuno sapeva che c’era poco tempo, prima che il panico dilagasse completamente in tutta la città. 

“Ti va di raccontarci cos'è successo?" Domandò Killian, rivolto all’arciere. “Te la senti, amico?” 

Robin annuì convinto. 

“Andiamo nel mio ufficio.” Propose Emma. Poi all’improvviso guardò Regina per avere un cenno d’assenso anche da parte sua. 

La mora accompagnò immediatamente Henry alla porta. 

Nonostante l’inquietudine dovuta alle parole di Robin, il ragazzino aveva il sorrisetto beffardo di chi la sapeva lunga. 

Regina ebbe così la conferma che Henry sapesse già del suo ritorno, perché quella mattina era già stato da Granny e sicuramente era stato presente al suo arrivo. 

Ecco perché era andato a prenderla in ufficio.

“Corri a scuola.” Gli disse, con un tono che non ammetteva repliche.

“Ma non è giusto! Proprio adesso che volevo sapere—“

“No, che non vuoi sapere!”

“Ma mamma!”

“Non mi sembri proprio nella posizione di poter discutere!”

Henry sospirò dispiaciuto, ma non perse il suo sorriso. “Mi racconterai tutto dopo, non è vero?”

“Sarà difficile!”

“Andiamo, mamma! Ho dovuto mentire per forza, altrimenti non avrei proprio saputo come portarti qui.”

“Niente da fare, giovanotto.” Regina incrociò le braccia. “Va’, ora. Non voglio che arrivi in ritardo.”

Henry decise di giocarsi l’ultima carta: lanciò uno sguardo a Robin, per poi fissare sua madre dritto negli occhi. “Scusa, per averti mentito. Mi perdoni?”

“Solo se la smetti di gongolare così tanto.”

Il ragazzino rise brevemente e prima di arrossire alzò una mano per salutare gli altri.  “Io te l’avevo detto che non avresti dovuto arrenderti!” Aggiunse poi a bassa voce, in modo che solo sua madre potesse sentire. 

“Va’, Henry.” Replicò lei. “Ci vediamo a casa.” 

E qualche istante dopo, Regina si ritrovò insieme a David, Emma, Mary Margaret e Uncino, a scortare Robin fino alla centrale di polizia. 

Nonostante camminasse a passo deciso, la donna sentiva la testa completamente vuota, come se galleggiasse nell’aria. 

Raramente le era capitato di provare una sensazione simile e non le stava piacendo affatto. 

Emma durante la strada non aveva fatto altro che girarsi verso di lei, per sorgere anche il minimo accenno di reazione, ma il suo volto si ostinava a rimanere imperturbabile, l’espressione altera e sicura come non la si vedeva da mesi.

Alla fine, gli Eroi e la Cattiva sedettero attorno alla scrivania. 

Robin, se possibile, sembrava ancora più sconvolto. 

“Prima di tutto raccontaci come hai fatto a tornare.” Chiese Mary Margaret con calma. 

“A cavallo.” Rispose immediatamente l’arciere. “Ho avuto la fortuna di trovarne uno in città prima di partire. 

Quando ho capito cosa voleva fare l’Oscuro, ho preso mio figlio e abbiamo lasciato di corsa New York. 

Non avevo nessuna mappa con me, non ero nemmeno sicuro di stare andando nella direzione giusta. Ho avuto degli indizi, però. Man mano che mi avvicinavo…c’era qualcosa che, non so come, mi diceva che stavo procedendo bene.”

“Che genere di indizi?” Domandò Emma, che aveva seguito tutto il discorso con le braccia conserte. 

Robin arrossì un istante, poi distolse lo sguardo, come se la domanda lo imbarazzasse  profondamente. 

“Io—come dire, credevo che fossero frutto della mia immaginazione…ma anche Roland mi diceva di vedere le stesse cose…”

“D’accordo, sorvoliamo.” Assicurò Emma, e il ladro riprese a parlare.

“La cosa importante è che a un certo punto mi sono ritrovato al confine che mi è apparso all’improvviso, come per magia.” 

“Se così fosse,” interloquì Mary Margaret “non ne capisco il senso. Non dovrebbe esserci la magia, fuori dal confine.” 

“Allora potrebbe esserci una falla.” Azzardò David.

“Non c’è nessuna falla.” Ribatté Emma. “Ma posso andare a controllare.”

“Hai detto che Gold non verrà da solo.” Ricordó Killian, riportando la conversazione sull’argomento principale. La stanza non era mai stata tanto silenziosa.

“È vero.” Confermò Robin. “C’erano due donne. Parlavano di qualcosa riguardante il lieto fine.” 

Regina a quel punto si alzò in piedi. Portò le mani sui fianchi e prese a camminare nervosamente avanti e indietro. 

Emma e Mary Margaret avrebbero potuto vedere gli ingranaggi girarle in testa, chiaramente, come in quel momento le vedevano i capelli corvini.

“Parti dall’inizio.” Propose la Salvatrice con fare incoraggiante.  

“Io e Marian avevamo appena avuto una…una discussione piuttosto accesa. Roland ci ha sentiti. Era già strano da mesi, ma questo l’ha fatto definitivamente spaventare: non mi aveva mai sentito alzare la voce in quel modo…e da sua madre non voleva farsi avvicinare, quindi avevo semplicemente deciso di portarlo fuori per calmarlo. 

Siamo abituati a camminare, noi due. 

Da sempre. 

Senza rendercene conto siamo arrivati in un posto a dir poco assurdo.”

“Che cos’era?” Chiese David. 

“Una struttura in rovina…come un castello dopo che lo abbandoni a sé stesso, ma la gente continuava a uscire ed entrare da lì dentro come se non se ne curasse. Sembravano dei morti ambulanti in realtà*, e Gold era confuso tra loro. 

I suoi vestiti sembravano logori, zoppicava ed era ridotto male come non l’avevo mai visto.” 

“E tu non potevi non seguirlo.” Intervenne Uncino. 

“Esattamente. Ho nascosto Roland e sono entrato in quel tugurio orribile senza farmi vedere.

Ho sentito il patto. L’Oscuro ha preso accordi con queste due persone per portarvi via il lieto fine o quantomeno rovinarvelo. Ha intenzione di cercare l’Autore per ribaltare le leggi magiche e annientarci tutti non appena torna qui.”

“E ha bisogno di alleati per questo?” Mormorò Regina di colpo. “Voglio dire, ciò che vuole fare è piuttosto chiaro, ma fin’ora ha sempre agito da solo."

“Hai detto che c’erano delle persone con lui.” Chiese Biancaneve. 

“Due donne.” Confermò Robin. “Sono arrivate a poco tempo di distanza l’una dall’altra.”

“E com’erano fatte?” Domandò Emma. 

Robin si accigliò, scandagliando più dettagli possibili nella sua memoria. “Le ho solo intraviste, purtroppo. Suppongo fossero terrificanti.”

“Non è molto su cui basarsi.” Commentó la Salvatrice, incrociando le braccia. 

“Praticamente niente.” Ammise il Ladro. “E me ne rammarico. La mia abilità di vedere nel buio si è rovinata…ma la memoria non mi ha mai tradito. Posso provare a descrivere le loro voci.”

“Ottima idea.” Disse Biancaneve. “Magari può aiutare! Abbiamo affrontato ogni sorta di cattivo, sono sicura che lo capiremo.”

“Una delle voci era molto profonda e—”

“Profonda più o meno di quella di Regina?” Chiese Uncino, ed Emma trattenne una risata a stento.

“Chiedo scusa?!” Protestò la mora, smettendo di camminare all’istante. “Che razza di domanda è?”

“Legittima! Sto solo cercando di aiutare il mio amico!” 

“Bada a quello che dici, pirata da strapazzo.”

“Non discutete, per favore.” Esclamò l’arciere, facendoli smettere all’istante. “Killian non dice il falso: ciò che ho sentito lì dentro non è neanche lontanamente paragonabile alla voce di Regina, ne’ a quella di nessun altro su questa terra. Era davvero terribile, come se non appartenesse a questo mondo.”

Uncino incrociò le braccia. “Ti è sembrato che volesse avvolgerti nei suoi tentacoli e strapparti fino all’ultimo soffio di vita dai polmoni?”

“Sì…” Robin sgranó gli occhi. “Sì, chi te l’ha detto?”

Il Capitano scosse la testa, e in un moto di stizza sbatté l’uncino contro la scrivania, dimentico di non avere più la mano. “Dannazione! Non mi sorprende che si sia alleata col Coccodrillo.”

“È chi penso che sia?” Chiese Regina, accantonando il risentimento verso il pirata per un attimo. 

“E come diamine faccio a sapere a chi stai pensando?! Se tu la maledetta strega, qui dentro.” 

“Vorreste spiegare anche a noi?” Domandò Emma, leggermente indispettita dalla loro intesa. “Di chi si tratta?”

“Ursula.” Esclamò semplicemente Uncino. 

“La Strega del Mare.” Dichiarò Regina, nello stesso istante. 

“Ho sentito molto parlare di lei.” Mormorò Biancaneve. “È ancora così pericolosa? Insomma, se è lontana dal mare…”

“Abbiamo il mare, qui.” Osservò Killian. 

“Questo è totalmente irrilevante.” Puntualizzò la mora. “Se quella sottospecie di mollusco ha trovato il modo di uscire dall’acqua e procurarci grane, non fa differenza dove appoggia i tentacoli. La stessa idea che sia in combutta con Gold potrebbe essere un grandissimo problema.” 

“Tu come conosci la Strega del Mare?” Chiese David. 

“Ho dei trascorsi da cattiva, conosco i cattivi.”

“Robin,” Chiamò Emma, ristabilendo il silenzio “sapresti descriverci la voce dell’altra donna?”

“Quella trasudava perfidia, avevo i brividi ogni volta che pronunciava una parola. Ma la cosa più inquietante era ciò di cui parlava.” 

“Che vuoi dire?” Chiese Killian. “Ti riferisci al lieto fine o del fatto che vogliono ucciderci tutti?”

Robin si portò una mano sul ponte del naso, sempre più stanco. “Parlo di un’arma. Useranno quella, per ucciderci. Credo che in questo modo riusciranno ad attirare l’attenzione dell’Autore ed ottenere il loro lieto fine.” 

“Hanno detto dove si trova, quest’arma?” Interruppe Biancaneve. Qualcosa stava cominciando a preoccuparla oltre misura. 

“Sotto la città.” Rispose l’arciere. 

“Che cos’è?” Fece eco David, angosciato almeno quanto la moglie.

“Non…non lo so, non l’hanno detto. A volte mi sembrava che stessero riferendosi ad una persona, piuttosto che a uno strumento vero e proprio.”

Quella risposta li sconvolse tutti. 

Dopo un lungo silenzio, Emma afferrò la maniglia del cassetto in un gesto convulso e sotto gli occhi dei presenti si mise a frugare al suo interno. 

“Cosa stai cercando?” Domandò Mary Margaret, intenta a decifrare la forma di tutti quegli oggetti buttati alla rinfusa. 

La Salvatrice, invece di risponderle, estrasse un acchiappasogni. 

Robin squadrò immediatamente l’artefatto con diffidenza, quasi avesse percepito una qualche energia maligna in esso.

“A che servirebbe quel coso?” Domandò David. 

“Ad ascoltare tutti insieme le voci che ha sentito Robin.” Spiegò Emma, e Regina sentí l’esigenza di distogliere lo sguardo da lui: era consapevole cosa implicasse il funzionamento di quell’oggetto. 

Si voltò quindi del tutto, mentre la bionda poneva l’acchiappasogni sotto il volto del Principe dei Ladri. 

“Come si fa?” Chiese quell’ultimo. “Devo guardarci dentro?”

“Devi piangere.” Rispose la bionda. “Concentrati intensamente sul ricordo più triste che hai, al resto penso io.”

Robin sgranó gli occhi e cercò istintivamente una via di fuga: si sentiva così stupido. 

Così stupido. 

Non era stato in grado di aiutare i suoi amici e adesso avevano dovuto ricorrere a quegli stratagemmi magici che lui non comprendeva nemmeno un po’, senza contare che non sapeva proprio come avrebbe fatto a piangere senza sembrare ancora più idiota. 

“Robin.” Esclamò Mary Margaret, stringendogli improvvisamente una mano tra le sue. “Sei gelido. È tutto a posto.”

“Devi calmarti, amico.” Aggiunse Uncino, notando che l’incanto di Emma non stava funzionando. Si fece quindi da parte: doveva essere imbarazzante per lui, piangere davanti a tutti. 

“Hai tutto il tempo.” Esclamò la Salvatrice, ma dopo minuti di interminabile silenzio, non apparve nulla. 

“Regina.” Chiamò allora David, attirando la sua attenzione. “Vieni, andiamo a bere qualcosa.”

Regina seguì il Principe Azzurro ai distributori automatici del piano sottostante senza fiatare e senza degnare di uno sguardo il resto della stanza. 

           “Pensa alla cosa più sconvolgente che tu abbia mai vissuto.” Ripeté Biancaneve, continuando a tenere la mano di Robin tra le sue. “È l’unico modo che abbiamo perché questa cosa funzioni.”

“D’accordo…” Mormorò Robin. Cercò nei recessi della sua mente il ricordo più triste che avesse. Non appena i suoi pensieri si riempirono di momenti terribili, Emma vide i suoi caldi occhi azzurri farsi lucidi di tristezza. 

Non ci volle molto a che una lacrima atterrasse al centro dei fili intrecciati dell’acchiappasogni. 

Killian allora corse a richiamare David e Regina, e tutti insieme ascoltarono con attenzione la conversazione intera, mentre Robin si faceva da parte per ricomporsi.  

“Non ci voglio credere.” Esordí Uncino.

“Tremotino e Ursula li conosciamo.” Ricapitolò la Salvatrice. “Chi è la terza cattiva?”

“Crudelia De Mon.” Esclamò Regina, con le braccia conserte e un mezzo sorriso. “Dovevo aspettarmelo.” 

“Crudelia De Mon?” Ripeté Emma. “Quella, Crudelia De Mon? Quella fissata con le sigarette lunghe e le pellicce dei cani?”

“E il gin.” 

“Ora conosciamo la minaccia.” Rifletté Uncino, rivolto agli Azzurri. “Dovremmo fare dei turni di guardia per sorvegliare la città, vi pare?”

David non recepì una parola. 

Mary Margaret era profondamente assorta nei suoi pensieri.

C’era qualcosa di strano nell’aria. 

Regina aveva ripreso a camminare stizzita per la stanza, persa in chissà quali ragionamenti. Anche Emma era pensierosa, tuttavia fu la prima a riprendersi. 

“Devi tornare all’accampamento?” Chiese, rivolta a Robin. 

“Non…non dovremmo buttare giù un piano per difenderci da quei tre?” Domandò lui, confuso. “Dobbiamo cercare quell’arma prima di lui, non c’è tempo da perdere!” 

“Prima di fare qualsiasi cosa devi riprenderti.” Esclamò di colpo Biancaneve. 

“Permettimi di accompagnarti.” Fece eco David, ripresosi a sua volta dallo sconvolgimento di poco prima. 

“Credo di farcela da solo, ti ringrazio.” 

“Insistiamo.” Decise Mary Margaret e Robin cedette: non era nelle sue corde contraddire una principessa, ed era davvero stanco…adesso che ci pensava, aveva lasciato Roland a Little John senza nemmeno una spiegazione. 

“Io vado a sorvegliare il porto.” Propose Uncino. “Se quella strega saltasse fuori dall’acqua verrete debitamente avvisati.” Concluse, e si precipitò fuori senza salutare né Regina né Emma. 

La Salvatrice lo seguì con lo sguardo e mentre anche Robin si apprestava ad uscire scortato dagli Azzurri, cercò immediatamente gli occhi di Regina. 

La trovò intenta a fissare un punto indefinito fuori dall’unica finestra che c’era nella stanza, in completo silenzio.

Emma le si avvicinò cautamente, posando una mano sulla sua spalla. 

“Come ti senti?” 

Regina si voltò, ma non le rispose. Forse non sapeva cosa dirle. 

Sembrava si fosse appena ripresa da un incubo terribile, un altro atroce scherzo del destino. 

“Andiamo ad avvertire Leroy e gli altri nani, prima che irrompano nel tuo ufficio urlando di paura.” Propose la bionda. 

“Vai pure, se ci tieni.” Replicò l’altra, sottraendosi alla sua presa. “Io ho di meglio da fare.”

“Che cos’hai in mente?” 

“Quello che dovresti fare anche tu: vado a cercare un incantesimo di protezione per sigillare i confini, prima che Tremotino e le sue balie arrivino.”

“D’accordo. Chiamami non appena lo trovi, voglio aiutarti a lanciarlo.”

Regina annuì e fece per incamminarsi verso l’uscita, quando si sentì chiamare. 

Emma adesso le stava sorridendo come aveva fatto Henry proprio quella mattina da Granny. 

Ed esattamente come le era già capitato, la mora ebbe il sentore che dietro quel sorriso ci fosse il ritorno di Robin. 

“Andrà tutto bene.” Disse infatti la Salvatrice.

Regina scosse la testa e tirò le sue labbra piene nel ghigno più tagliente che avesse. “Stai cominciando a parlare come tua madre, Swan, non sei divertente.”

“Non intendevo esserlo.”

“Allora smettila. Sai bene quanto trovi inquietanti questi discorsi, specie se fatti da te.”

“Ho terrorizzato Regina Mills?”

“Oh, sì. A morte, ma per la noia.”

“E chi l’avrebbe mai detto!”

“Sarà bene che non lo sappia anima viva.” 

“Non temere, sindaco, io so mantenere i segreti.”

Quell’affermazione cancellò totalmente il ghigno di Regina. Il suo volto divenne di marmo, i suoi occhi si velarono di rabbia: un segreto rivelato le aveva rovinato la vita, e nonostante fossero passati dei secoli, quella ferita bruciava ancora.

Emma si maledì per quella battuta. Non poté fare altro che guardare la mora andarsene definitivamente. 

            Regina percorse la strada che portava alla sua casa col cuore in gola e a passo di carica, ignorando malamente i cittadini che provavano a fermarla per strada per avere informazioni. 

Quando raggiunse l’ingresso, allungò la mano per afferrare la maniglia e si barricò dentro casa. 

Finí per adagiarsi contro la porta. La testa era sul punto di scoppiarle, il cuore era colmo di sensi di colpa per aver piantato Emma in asso poco prima. 

Con le gambe tremanti, si lasciò cadere fino a finire a terra.

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