Chiedi chi sono i Nomadi

di Orso Scrive
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Noi non ci saremo ***
Capitolo 2: *** Ma noi no! ***
Capitolo 3: *** La mia canzone per gli amici ***
Capitolo 4: *** Canzone per un’amica ***
Capitolo 5: *** La bomba ***
Capitolo 6: *** Gli aironi neri ***
Capitolo 7: *** Ad est, ad est ***
Capitolo 8: *** 20 de Abril ***
Capitolo 9: *** Mediterraneo ***
Capitolo 10: *** Ala Bianca ***
Capitolo 11: *** Il pilota di Hiroshima ***
Capitolo 12: *** Un figlio dei fiori non pensa al domani ***
Capitolo 13: *** Per fare un uomo ***
Capitolo 14: *** Europa ***
Capitolo 15: *** Dove si va ***
Capitolo 16: *** Contro ***
Capitolo 17: *** Segnali caotici ***
Capitolo 18: *** I tre miti ***
Capitolo 19: *** L’auto corre lontana, ma io corro da te ***
Capitolo 20: *** Canzone della bambina portoghese ***
Capitolo 21: *** Un giorno insieme ***
Capitolo 22: *** Ritornerei ***
Capitolo 23: *** Il paese ***
Capitolo 24: *** La coerenza ***
Capitolo 25: *** Sera bolognese ***
Capitolo 26: *** I gatti randagi ***
Capitolo 27: *** Ricordati di Chico ***
Capitolo 28: *** Le strade ***
Capitolo 29: *** Crescerai ***
Capitolo 30: *** Tornerò ***
Capitolo 31: *** Utopia ***
Capitolo 32: *** Canzone del bambino nel vento ***
Capitolo 33: *** Per quando è tardi ***
Capitolo 34: *** Joe Mitraglia ***
Capitolo 35: *** Un po’ di me ***
Capitolo 36: *** Il confine ***
Capitolo 37: *** Sassofrasso ***
Capitolo 38: *** Ho difeso il mio amore ***
Capitolo 39: *** Tu che farai ***
Capitolo 40: *** Dammi un bacio ***
Capitolo 41: *** Marinaio di vent’anni ***
Capitolo 42: *** L’uomo di Monaco ***
Capitolo 43: *** Sarà come il tempo vuole ***
Capitolo 44: *** La deriva ***
Capitolo 45: *** Senza discutere ***
Capitolo 46: *** I miei anni ***
Capitolo 47: *** Donna ***
Capitolo 48: *** Vento caldo ***
Capitolo 49: *** Rotolando va ***
Capitolo 50: *** Una storia da raccontare ***
Capitolo 51: *** Sangue al cuore ***
Capitolo 52: *** Il paese delle favole ***
Capitolo 53: *** Tutto a posto ***
Capitolo 54: *** Un pugno di sabbia ***
Capitolo 55: *** Cammina, cammina ***
Capitolo 56: *** Il segno del fuoriclasse ***
Capitolo 57: *** Dio è morto ***
Capitolo 58: *** Come potete giudicar ***
Capitolo 59: *** Nomadi ***
Capitolo 60: *** Io vagabondo (che non sono altro) ***



Capitolo 1
*** Noi non ci saremo ***


NOI NON CI SAREMO

(1966)

 

 

Vedremo soltanto una sfera di fuoco

più grande del sole

più vasta del mondo…

 

 

«Non lo faranno», dico io, alzando le spalle. «Non arriveranno a tanto. Minacciano, fanno la voce grossa, mostrano i muscoli. Tutto qui. È solo una gara per dimostrare chi di loro ce l’ha più grosso. È sempre la solita storia. Niente di cui preoccuparsi.»

Lei mi getta uno sguardo nervoso, prima di tornare a volgerlo allo schermo acceso della televisione. Dietro il logo in sovrimpressione del telegiornale, il Capo di Stato sta ancora urlando nel microfono, minacciando una rappresaglia atomica contro il Capo dello Stato dall’altra parte del mondo.

Sono mesi, ormai, che va avanti questa storia.

«Niente di cui preoccuparsi», ripeto.

Ma ho ragione?

Tutto è cominciato per… ma chi se lo ricorda più? Uno dei due deve aver fatto delle allusioni sull’altro, su sua moglie, sul suo modo di gestire la vita coniugale; l’altro non si è fatto attendere e ha subito replicato a tono. “Quel cornuto deve tacere”, ha detto in mondovisione, davanti al Parlamento in seduta plenaria. È pure stato divertente, e chi potrebbe negarlo. Due pezzi grossi che, a suon di comunicati e di dichiarazioni ufficiali, si sono dati l’un l’altro del cornuto, del becco e chi più ne ha più ne metta.

Solo che, molto in fretta, quelle che all’inizio erano sembrate battute salaci e reciproche si sono trasformate in ben altro.

Molto altro.

Troppo.

Qualcosa che, dai trafiletti patinati dei giornaletti di gossip che si trovano nei negozi delle parrucchiere, è passato a occupare con sempre maggiore insistenza le prime pagine delle agenzie di stampa e delle maggiori testate nazionali ed estere.

Le parole si sono fatte sempre più grosse, i toni si sono alzati fino a rasentare l’isterismo. E dalle parole si è passati ai fatti, senza quasi nemmeno rendersene conto. Eserciti in stato d’allerta, esercitazioni aeree vicinissime ai confini, grandi manovre navali e via discorrendo.

E poi sono stati lanciati i primi missili.

“Tutti esplosi in volo senza creare danno”, è stato dichiarato. Ma intanto sono stati lanciati.

Dire che io sia spaventato è dire poco. Comincio sul serio a temere che siamo davvero raggiungendo un punto di non ritorno. Però non voglio spaventare lei. Voglio che lei continui a pensare che vada tutto bene.

Purtroppo, questa sera, passa in televisione il nostro film preferito, e io commesso l’errore gravissimo di accendere quella stupida scatola animata prima del tempo. Così, le immagini del telegiornale ci si sono stampate in fronte.

«Non lo faranno», dico ancora. «Sono tutti e due troppo ricchi. Hanno schiere di belle donne pronte a soddisfarli in ogni momento. Gli piace fare la bella vita, a quelli. Hanno solo da perderci, nel fare una cosa del genere. E poi non è così facile, eh. L’ordine parte da loro, ma deve passare attraverso un mucchio di generali e altri ufficiali: e, se anche loro si dimostrassero due completi imbecilli, ci sarà sempre qualcuno di abbastanza intelligente da bloccare il processo.»

Mi impadronisco del telecomando e cambio canale. Zappico fino a trovare dei cartoni animati. Le passo un braccio sulle spalle e la stringo a me.

«Andrà tutto bene», sussurro.

«Non credere di ingannarmi così facilmente», replica lei. «Lo sappiamo tutti e due molto bene che non andrà affatto bene…»

Non faccio nemmeno in tempo a contraddirla.

 

 

La luce esplode nell’oscurità.

 

 

Ma dalla fine avrà inizio un mondo nuovo…

 

E dai boschi e dal mare ritorna la vita

e ancora la terra sarà popolata.

Per notti e giorni il sole farà le mille stagioni

e ancora il mondo percorrerà

gli spazi di sempre

per mille secoli almeno,

ma noi non ci saremo, noi non ci saremo…

 

 
 

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Capitolo 2
*** Ma noi no! ***


MA NOI NO!

(1991)

 

Ma noi, ma noi, ma noi no!

Occhi chiusi: guai.

Bisogna stare attenti

a quello che si vede,

a quello che si sente…

 

 

Silenzio.

Questo solo bisognerebbe fare: silenzio. Tapparsi la bocca, fingere di non avere visto nulla, di non sapere nulla. Mai nulla.

C’è a chi il silenzio fa comodo. Un silenzio assordante, carico di tensione palpabile e irresistibile.

Ma pur sempre silenzio.

Eppure, qualche volta, tenere la bocca chiusa diventa impossibile.

Nel silenzio una voce sola, una soltanto, si alza verso il cielo, echeggia contro le montagne. E a quella voce se ne unisce una seconda, una terza e così via, fino a diventare un fiume in piena, inarrestabile.

Ed è a quel punto che scoppiano le rivoluzioni, e chi avrebbe voluto imporre il silenzio è costretto ad ascoltare.

 

Ma noi no!

Bocca chiusa, mai.

Ci viene di parlare,

qualche volta anche urlare.

 

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Capitolo 3
*** La mia canzone per gli amici ***


LA MIA CANZONE PER GLI AMICI

(1978)

 

Non rimane che l’eco di una voce

che parla con se stessa.

E ti incolpa di cose senza senso.

I tuoi amici più cari fanno finta di non vederti

e la tua faccia ti spaventa…

 

 

Il mondo intero era cambiato.

O, almeno, il suo mondo, quel quartiere in cui era cresciuto e vissuto e in cui, ormai, non si riconosceva più.

Una lenta agonia si era impossessata delle anime della gente che conosceva. Coloro che erano stati i suoi amici d’infanzia erano cambiati, mutati nel profondo: erano diventati altri, persone differenti da quelle che ricordava.

Gli amici di un tempo non c’erano più. O, meglio, i loro corpi e lo loro facce – belle, brutte, butterate, facce comuni e banali, facce indimenticabili e del tutto anonime – erano ancora lì, al solito posto. Solo che, di dentro, erano cambiate. Cambiate nel profondo.

E lui? Lui era rimasto quello di sempre, quello di allora.

Quello che non era mai cresciuto. Aveva mantenuto intatti i suoi ideali, i suoi sogni. Quelle idee che facevano ridere la gente, quelle che gli avevano attirato i sollazzi ma anche le simpatie dei vecchi amici.

«È un originale», diceva qualcuno.

«Un tipo», rispondeva qualcun altro.

Sempre in modo benevolo, però.

Ora non più.

Ora la gente era mutata.

Coscienze uccise dalla televisione, dal tempo, dal progresso, chi mai avrebbe potuto dirlo. Il problema era che, mentre tutti – e, con loro, il mondo intero – mutavano a poco a poco, lui non si era reso conto di nulla. Era rimasto se stesso.

Un pesce fuor d’acqua.

E ora che cosa avrebbe dovuto fare?

Restare per sempre se stesso – da solo – o diventare ciò che gli altri si sarebbero aspettati, per poter far parte di una società di cui non era mai stato un vero membro ma da cui aveva troppa paura di rimanere escluso?

 

E tu che ancor ti stai sforzando

di far ridere e sognare,

per paura di star solo ti stai infilando quegli stracci…

 

 

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Capitolo 4
*** Canzone per un’amica ***


CANZONE PER UN’AMICA

(1968)

 

Lunga e diritta correva la strada,

l’auto veloce correva,

la dolce estate era già cominciata,

vicino lui sorrideva…

 

Fissava il vuoto. Il suo sguardo era perso a vagare oltre gli orizzonti del tempo e dello spazio. Vedeva forme, colori, volti e sembianze umane, ma non riconosceva nulla e nessuno. Era perso nel silenzio più assoluto.

Poi, all’improvviso, scosse la testa. Lo fece con forza, come se più energia avesse infuso in quel gesto e più la la realtà che gli era piombata addosso avrebbe avuto modo di tramutarsi.

«No», disse. «No, non è vero.»

I due agenti che gli avevano portato la comunicazione si scambiarono una breve occhiata. Tornarono a guardarlo, impassibili. Comunicare ai parenti che un loro congiunto era morto, faceva parte del loro mestiere. Provare empatia, no.

«Purtroppo è vero, invece», disse quello più alto in grado. «Ora, se vuole seguirci, bisogna che la conduciamo all’obitorio per il riconoscimento. È la procedura.»

Chiuse gli occhi. Forse, per un folle istante, sperò che fosse soltanto un brutto sogno, un pensiero molesto. Li riaprì. I due uomini erano ancora lì, impazienti che li seguisse.

Ma lui non poteva seguirli.

Non ne aveva alcun motivo.

«Ma lei non è morta, capite?» disse. «Guardate. Abbiamo mangiato insieme, e dopo abbiamo… be’, ci siamo capiti, no? E poi è partita, perché doveva passare a sistemare un paio di cose a casa. Però ha detto che stasera torna, sapete? Che stasera ci vediamo. Non può essere morta, allora. Come facciamo a vederci se lei…?»

La consapevolezza gli si si rovesciò addosso.

Le gambe gli si fecero molli, mentre le lacrime minacciavano di sgorgargli dagli occhi.

Uno dei due agenti, impietosito, gli posò la mano sulla spalla e lo scosse piano.

«È la vita, ragazzo mio», disse. «È la vita. Ci frega tutti, in un modo o nell’altro…»

 

Voglio però ricordarti com’eri,

pensare che ancora vivi.

Voglio pensare che ancora mi ascolti

che come allora sorridi…

 
 

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Capitolo 5
*** La bomba ***


LA BOMBA

(1985)

 

In cielo suona una tromba,

o forse invece è una bomba,

o forse è solo un temporale

che mi sorprende per le scale…

 

 

La luce si alzò all’orizzonte, così accecante da far impallidire il sole. Penso che riuscii a sostenerne la visione soltanto perché indossavo occhiali da sole parecchio scuri. Nonostante ciò, dopo un paio di secondi dovette portare la mano davanti agli occhi per poterli schermare.

Il flash, comunque, durò soltanto una frazione di secondo.

A quel punto potei guardare ancora.

Dapprima vidi la grande massa di fumo nero che si levava verso il cielo. Poi cominciai a notare uno strano movimento, qualcosa di indistinto che si spingeva in tutte le direzione in modo ondeggiante, come un’onda misteriosa.

Compresi.

Erano le fiamme che si propagavano in tutte le direzioni.

Ancora non sentivo nulla, ma ero certo che – di lì a brevissimo – insieme all’onda d’urto sarei stato raggiunto dal suono assordante della più potente tromba che avesse mai suonato sul pianeta.

L’ultima, comunque.

Almeno, l’ultima dal mio punto di vista.

Per quegli ultimi istanti che ancora mi restavano a disposizione, pensai a tutto quello che stavamo perdendo a causa della Bomba. Sì, così l’avevano chiamato: la Bomba. Semplice e intuitivo. Ma con la maiuscola, perché non c’era nulla che le stesse a paragone. L’ordigno più potente mai creato.

L’ultimo ordigno.

La Bomba.

Ma non dovevo pensare alla Bomba. Dovevo pensare a tutto quello che, a causa sua – o, meglio, a causa di chi l’aveva inventata, costruita e lanciata, perché la Bomba, di per sé, era priva di coscienza e quindi innocente – stavamo perdendo.

Vidi i prati andare in fumo, i fiorellini evaporare e gli uccellini smettere per sempre di cantare.

Vidi i bambini smettere di ridere.

Gli amanti scambiarsi un ultimo bacio, o piangere per quel bacio che non erano mai riusciti a dare.

Tutto questo, a causa della Bomba.

Chiusi gli occhi per non vedere più niente.

 

Ma giù dal cielo una bomba cadrà,

sulla terra evaporerà

il riso dei bimbi, il verde dei prati

i sogni d’amore mai giocati.

 

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Capitolo 6
*** Gli aironi neri ***


GLI AIRONI NERI

(1991)

 

ma io e te, amica mia

con le mani nelle tasche

camminiamo sulla strada

e l’estate ancora dentro…

 

Si è alzata la nebbia. Nebbia grigia che ha riempito le strade.

I lampioni, sulla riva del fiume, sono poco più che bagliori appena intuibili in questo mare lattiginoso e profumato di umidità che ci avvolge da ogni parte.

Eppure noi siamo qui, insieme. Come in quei mesi ormai andati, quei mesi caldi, di luce, di notti chiare e piene di voci…

Non è stato uno di quegli amori estivi, il nostro. Non una semplice cotta, una scintilla fugace destinata a tramontare insieme alla bella stagione.

Il freddo, arrivato ad avvolgerci, non ci ha allontanati. Al contrario, ci ha avvicinati, per permetterci di stare più vicini e di scaldarci a vicenda…

Siamo qui, insieme, ancora e per sempre. Siamo qui con i nostri problemi, con quei problemi di ogni giorno, che però non ci impediscono di sognare insieme, di perderci nell’incanto che è soltanto nostro.

«Guarda», mormori, sollevando gli occhi al cielo nell’unico punto che la nebbia non ha nascosto.

Seguo il tuo sguardo. Due aironi, neri contro il grigio, attraversano il cielo. Volano chissà dove, diretti verso chissà quali lidi fatti di acqua limpida, di notti calde e chiare, di voci sussurrate sulle spiagge.

«Vanno insieme», dico. «Insieme come noi.»

E insieme è come andare per mare, verso l’orizzonte, oltre mondi ancora inesplorati.

 

Tu che conosci il mare

e le stelle come guida

prendi quel timone

e insegnami la via…

 

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Capitolo 7
*** Ad est, ad est ***


AD EST, AD EST

(1993)

 

Sembrano mani i rami del melo,
sembrano dita che graffiano il cielo.
Un conto veloce di quanto possiedo,
i soldi di carta e tanta rabbia
per questa vita che si spegne di corsa,
come un fuoco di foglie
come un lampo nel cielo…

 

 

Guardavo l’alba, che si innalzava con i suoi raggi di fronte a me.

Un’alba viola e rossa, tinta di un colore nuovo. Tutto stava diventando nuovo, davanti e attorno a me.

C’erano voluti giorni… ma che giorni: anni interi. A lungo avevo rimandato, per molto – troppo – tempo avevo rimandato il momento di prendermene e andarmene.

Adesso quel momento era giunto. Avevo raccolto il coraggio necessario, quello che mi era servito ad abbandonare tutto il resto, a lasciarmi dietro le spalle la vecchia vita.

Avevo solo una vaga idea di ciò che mi aspettava. Probabilmente era persino sbagliata.

Ma non avevo paura.

Stavo andando, andando ad est, ad est, verso la nuova vita, verso la rinascita, verso quel Tutto che mi si sarebbe schiuso dinanzi.

Un Ignoto fatto di luce, di colori: i colori e la luce di una nuova aurora.

 

 

Ad est, ad est adesso si va
Ad est, ad est là dove nasce il sole
Ad est, ad est ritroverò la vita
Ad est, ad est perché non è finita.

 

 

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Capitolo 8
*** 20 de Abril ***


20 DE ABRIL

(1997)

 

 

Venti di aprile del ‘90.

Amica mia, come stai?

E ti sorprende che ti scriva,

ma tanto tempo è normale…

 

“Ciao.

Tu nemmeno sai quante lettere ti ho scritto in tutti questi anni. Da quell’ultimo saluto… ricordi? Ma sì, certo che ricordi. Non puoi essere tanto insensibile da aver dimenticato. Io lo so. Magari fingevi, magari ti nascondevi dietro quell’apatica freddezza, non so… ma io lo so chi eri davvero. L’ho visto. Ecco perché sono certo che non puoi aver dimenticato per davvero.

Ne sono passati di anni, sì. Forse persino troppi, almeno se devo dare retta a quei fili grigi che mi vedo tra i capelli ogniqualvolta incrocio lo sguardo di uno specchio. Ma chissenefrega dei capelli. Io credo che conti ciò che ognuno di noi è rimasto dentro.

Io sono sempre lo stesso, sai? Non sono mai cambiato. Forse, tu potresti dire che non sono cresciuto: ho la sindrome di Peter Pan, vivo nella mia Isola Ideale, e non mi curo del resto. E avresti ragione… e allora?

C’è forse qualcosa di male? C’è qualcosa di sbagliato, nel voler prendere la vita così come viene, senza impegnarsi troppo? Tanto lo so, e lo sai anche tu, e lo sappiamo tu, qualsiasi cosa si faccia, il traguardo alla fine è sempre lo stesso, uguale per tutti… magari io, con il mio modo di vivere, mi limito ad anticiparlo, chissà. E, sempre per restare con i chissà, magari non è nemmeno un male: sai quanti acciacchi che mi eviterò?

Vabbe’, scusami se ti sto scrivendo… ero in preda alla malinconia, e ho cominciato a ricordare un po’ tutto di quei tempi in cui eravamo insieme.

Ma adesso dimmi di te…”

 

La penna si ferma.

Scrollo le spalle e straccio il foglio.

Continuerò a scriverti queste lettere che non ti spedirò mai.

Voglio ricordarti per come eri, non per come sei diventata.

 

Adesso ti devo lasciare

e spero che le mie parole

sconvolgano la tua coscienza…

 

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Capitolo 9
*** Mediterraneo ***


MEDITERRANEO

(1998)

 

Se tu sei serena con lui,

non lo tradire mai,

questo enorme spirito d’acqua

che illumina i marinai…

 

Ci fu un tempo in cui il Mediterraneo si chiamava Mare Nostrum. Non c’erano confini, non c’erano barriere, non c’erano inimicizie. Tutt’attorno, lungo le coste, tra i limoni e le palme, tra dirupi e deserti, era un mondo unico. Uomini e donne che si riconoscevano in una lingua e in un culto, che non era quello di un dio, ma di uno Stato.

Abbiamo perso lo Stato e l’Unità, e ne abbiamo guadagnato odio e incomprensioni che da secoli dividono quelle acque un tempo unite.

Ma il Mediterraneo è ancora là, carico di memorie del passato e di speranze del futuro.

E le sue acque, cariche di ricordi, continueranno a raccogliere storie e a raccontarle a coloro che verranno.


 

Popolazioni millenarie

son passate di qua,

sopra un cargo a difendere

la loro dignità…

 

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Capitolo 10
*** Ala Bianca ***


ALA BIANCA

(1971)

 

Sui tuoi capelli biondi giocava il vento e poi

un volto sconosciuto ha giocato i giorni miei…

 

 

Ti ricordi quando ci siamo conosciuti? Era un giorno d’estate, uno di quei giorni che sembrano non avere mai fine. Quei giorni in cui il dì e la notte non sono altro che meri formalismi, in cui le ore non significano più nulla, e si aspetta l’alba per poter vedere ancora una volta il tramonto.

L’aria ti scompigliava i capelli, quel giorno. È questa la prima immagine che ho di te. Tu che mi vieni incontro con la brezza del mare che scompiglia quei capelli biondi, che gioca con l’oro prezioso della tua chioma. Poi vennero i tuoi occhi chiari, la tua pelle soltanto un poco abbronzata, fasciata in quel bikini rosso legato sopra la nuca.

Eri scalza e i tuoi piedi nudi scomparivano tra la sabbia e la spuma del bagnasciuga. Non so nemmeno io che cosa mi prese. Restai imbambolato a guardarti camminare nella mia direzione, perso nella contemplazione della mia dea appena sorta dalle acque marine.

Ti ho mai detto che ti consideravo una dea? Forse avrei fatto meglio a dirtelo. Forse avrei fatto meglio a dirti tante cose, cose che non trovai mai il coraggio di confessarti. Come il fatto che io, quella volta, mi fossi davvero innamorato di te.

Ricordi? E come dimenticare… stavo mangiando il gelato. Ma chi se ne ricordava più? Però me ne ricordai quando la panna e il cioccolato del cornetto mi si sciolsero addosso, sporcandomi tutto il petto e colandomi fin sul costume verde.

Ecco, credo che sia questa la prima immagine che tu hai di me: un idiota che, come un bambino, si è sbrodolato con il gelato.

La tua risata mi entrò nel cuore. Così come la tua voce, quando ti affrettasti a scusarti, a dirmi che non volevi ridere di me…

E poi fummo in acqua, a giocare tra le onde, e quella giornata fu la prima di tante, di quelle settimane spensierate che non ho mai dimenticato. Hai trasformato quei miei giorni noiosi e inutili in un gioco bellissimo, in qualcosa che mi è rimasto nel cuore…

Ma non sono stato capace di dirti la verità, di farti comprendere che cosa provassi nel cuore… e ora, quando vorrei dirtelo, è troppo tardi, e tu sei andata via… non mi restano che i fantasmi di quei giorni indimenticabili.

Sei stata fugace come un’ala bianca volata via nel cielo blu di un giorno d’estate, ma il lampo con cui mi hai sfiorato è rimasto nel mio cuore…

Eppure… eppure io lo, l’estate tornerà. Tornerà ancora, come sempre. E forse tornerai anche tu, e ti ricorderai di me, e di quei giorni e del sole che vegliava il nostro gioco d’amore…

 

E di colpo torna il sole se ritorni tu.
Non ho il tempo di fermarti,

ala bianca vai…

 

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Capitolo 11
*** Il pilota di Hiroshima ***


IL PILOTA DI HIROSHIMA

(1985)

 

 

Fuori nel mondo, chissà dove

o su nel cielo, tra gli eterni eroi,

ma nel fondo di un profondo eterno,

vive un uomo, vive il suo inferno…

 

Fu un istante solo.

L’aereo volò nell’azzurro, lasciando dietro di sé una scia bianca di vapore condensato. La terra, là sotto, giaceva dolce e placida, ignara e pacifica.

Valli verdi racchiuse da alte montagne, fiumi lenti che sgorgavano da laghi immobili e si rovesciavano nel vasto oceano imponente. Laggiù, inconsapevoli e innocenti, si svolgevano vite di ogni giorno, uguali e differenti. Vite di uomini, vite di donne, di bambini e di bambine, di animali.

Ma lassù, inarrestabile, il bombardiere si avvicinava. Implacabile nel suo sfidare la gravità, nel suo vincere le correnti e le folate del vento. Come se gli elementi, consapevoli del destino in arrivo, cercassero di bloccarlo, ma non ne avessero più nemmeno la forza.

Forse il pilota udì le risate. Magari, con i suoi occhi celati dalle lenti scure, riuscì persino a vedere i giochi d’amore, le rincorse, le fatiche, la rabbia e l’allegria. Forse percepì la gioia di chi si abbandonava all’amore, o la frustrazione di chi doveva ancora compiere un pesante lavoro.

Chissà che cosa davvero sentì, vide e percepì il pilota, un istante prima che la pancia di ferro dell’aereo si aprisse e il detonatore cominciasse a ticchettare la sua rincorsa verso l’inferno che avrebbe posto fine a tutte le cose.

 

Il pilota di Hiroshima

un duro alla maniera di John Wayne.

Ray-Ban scuri, il lavoro era guerra

ma negli occhi, quel bimbo sulla terra…

 

 

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Capitolo 12
*** Un figlio dei fiori non pensa al domani ***


UN FIGLIO DEI FIORI NON PENSA AL DOMANI

(1968)

 

 

amico non chiedere qual è il tuo destino,

un fiore avvizzisce se pensa all’autunno.

I fiori che hai dentro non farli morire,

ma lascia che s’aprano ai raggi del sole.

Il sole svanisce se pensi al domani…

 

 

«Dovresti smetterla di vivere nei sogni e cominciare a darti una regolata.»

Sollevo lo sguardo dal taccuino in cui sono impegnato a scribacchiare la trama del mio prossimo romanzo, e fisso lo sguardo severo del mio coinquilino.

«In che senso?» domando.

Faccio un rapido esame di coscienza. Non mi pare di essermi comportato male, né di avere fatto casino, o di aver portato in casa qualcuno di sgradito…

«Nel senso che, alla tua età, non hai ancora un lavoro.»

Abbasso gli occhi e torno a scribacchiare.

«Io un lavoro ce l’ho», sottolineo.

«Sai benissimo che cosa intendo», replica. «Un lavoro vero che ti frutti un guadagno vero. Non quei quattro soldi che ti porti a casa.»

Vorrei replicare con qualcosa di sferzante. Mi limito a dire: «A me bastano.»

«Adesso ti bastano», dice lui. «Ma non sarà sempre così. Cosa pensi che succederà, quando sarai vecchio? Come farai a sopravvivere?»

Quando sarò vecchio… e chi ci vuole mai pensare, a quando sarò vecchio? Non so nemmeno se sarò vivo tra un anno a questa parte, altro che quello che ne sarà di me quando sarò vecchio. E poi, a che cosa mi servirebbe saperlo? Sinceramente, non ho intenzione di impazzire da giovane per potermi pagare le medicine da vecchio, tanto per dirne una. Sarà una filosofia sbagliata, non dico mica di no, ma è la mia filosofia.

Preferisco non pensare al domani, che vi devo dire. Già l’oggi è abbastanza complicato e brutto, figurarsi il domani.

No, il domani è là da venire, e lo lascio volentieri là dove si trova.

 

Il tuo paradiso forse hai nelle mani,

ma tu non lo sai perché pensi al domani…

Un figlio dei fiori non pensa al domani…

 
 

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Capitolo 13
*** Per fare un uomo ***


PER FARE UN UOMO

(1967)

 

 

Per fare un uomo ci voglion vent’anni

per fare un bimbo un’ora d’amore…

 

«C’è il sole», dissi, guardando fuori dalla finestra.

Le nuvole si erano aperte e il cielo si era tinto dell’azzurro dell’estate. Spalancai il vetro. L’umidità della pioggia appena finita aveva portato con sé un odore diverso, l’odore dell’amore che ci aveva avvolti.

Come se avesse annusato quella soave fragranza – che, allora, non era soltanto nella mie mente – lei mi pose una mano sul braccio.

«Tu mi ami?» chiese, in cerca di una conferma.

Mi girai a guardarla.

«Certo che ti amo…» risposi, turbato.

«Ami tutto di noi due?»

Sorrisi.

«Tutto», confermai.

«Perché presto», rispose, «noi due saremo in tre.»

Fu come se mi avesse colto un dolce fuoco. Qualcosa che mi avvampò di dentro e mi rese molli le gambe. Dovette aggrapparmi a lei per non cadere. L’emozione si tramutò in un impeto di gioia che mi spinse a prenderla tra le braccia, a sollevarla, a baciarla, mentre nemmeno più mi ponevo domande, di fronte a una vita nuova che nasceva tra di noi e che avrebbe cambiato per sempre le nostre esistenze.

 

E verrà il tempo di dire parole
quando la vita una vita darà,
e verrà il tempo di fare l’amore
quando l’inverno più a nord se ne andrà…

 
 

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Capitolo 14
*** Europa ***


EUROPA

(2017)

 

 

L’Europa è una bella cosa.

Al primo piano c’è un usciere con una rosa

e un ascensore che conduce in paradiso

solo se lasci la mancia col sorriso…

 

 

Secondo me, per parafrasare Massimo D’Azeglio, fatta l’Europa si sarebbero dovuti fare gli europei.

Non dico unire tutti sotto un’unica bandiera o imporre a ciascuno di parlare una lingua soltanto. Magari persino l’inglese. Che schifo.

Però, almeno, dare un indirizzo comune, cercare di far sentire tutti quanti parte di qualcosa. Qualcosa che non fossero soltanto gli euro.

Non mi pare che ci siano riusciti troppo bene.

 

L’Europa è l’America un po’ speciale,

è Atene in un letto d’ospedale,

è Brexit, è crucca, è italiana,

a Bruxelles un giorno a settimana… e voilà!

 

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Capitolo 15
*** Dove si va ***


DOVE SI VA

(2006)

 

dove si va,

come si fa,

se vivere da queste parti è come tirare a sorte…

 

I Nomadi a Sanremo.

No, dico: I NOMADI A SANREMO.

Quello fu tipo l’annuncio dell’anno. E quando mai era accaduto?

A dire il vero, un fatto del genere, era già avvenuto una volta. Per la precisione nel 1971, quando avevano partecipato con la canzone Non dimenticarti di me ed erano stati eliminati alla prima serata. Quel festival me l’ero perso, complice il fatto che mancassero ancora ventuno anni al giorno della mia nascita. Un dettaglio non trascurabile, quando si tratta di guardare qualcosa alla televisione. Ma quello del 2006, intendevo guardarmelo tutto, dall’inizio alla fine.

Non che me ne fregasse davvero qualcosa, di Sanremo. Non me ne è mai importato troppo. Anzi, diciamo che non me ne è mai importato nulla. L’ho sempre trovato noioso e pacchiano, per non dire di peggio. Ma quell’anno… eh, quell’anno c’erano i Nomadi!

A quel tempo, avevo quattordici anni e andavo ancora a scuola.

E andare a scuola richiedeva un determinato sacrificio: a una certa ora, toccava andarsene a nanna.

Guardo i Nomadi e poi vado a dormire, mi dissi.

Solo che i Nomadi non arrivavano mai.

E mai.

E ancora mai.

Insomma, evidentemente anche i vertici della Rai avevano intuito il loro potenziale. E, così, per tenere incollato il pubblico fino all’ultimo allo schermo, li fecero esibire a fine serata, quando la mezzanotte era ampiamente passata da un pezzo… e io ero già nel mondo dei sogni.

Li vidi il giorno dopo, finalmente. E, come previsto, dopo la loro esibizione – a un orario a portata di studente quattordicenne, questa volta – spensi la televisione e me ne andai a letto. Di primo acchito, la canzone che presentarono non mi disse molto. Poi, riascoltandola meglio, la trovai sempre più bella.

Nella serata dei duetti fecero coppia con Roberto Vecchioni, un’accoppiata vincente, che li condusse alla finale. Vinsero qualcosa – credo il premio della sala stampa – ma non riuscirono a conquistare il primo posto.

Arrivarono proprio a una piuma di piccione dal riuscire a conquistarlo.

E quella fu la prima e ultima volta in vita mia che guardai il Festival della Canzone Italiana.

 

sai, il tempo è scivolato via

ma non è stato tutto inutile,

io saprò vederti crescere

è una promessa che non mancherò…

 

 

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Capitolo 16
*** Contro ***


CONTRO

(1993)

 

Contro i fucili, carri armati e bombe

contro le giunte militari, le tombe

contro il cielo che è ormai è pieno

di tanti ordigni nucleari,

contro tutti i capi al potere

che non sono ignari…

 

 

Forse un giorno sventoleranno bandiere di pace su tutto il pianeta.

Forse un giorno entreremo nei musei e, guardandoci le armi, ci domanderemo a che cosa servissero.

Forse un giorno saremo davvero tutti fratelli, tutti uguali. Non ci saranno più intolleranze, né fondamentalismi e nemmeno imperialismi. Forse un giorno combattere e uccidere non sarà più un dovere.

Forse, un giorno, studieremo la Storia per imparare davvero dagli errori del passato.

 

Forse un giorno.

 

Per tutta la gente che grida

LIBERTÀ

 

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Capitolo 17
*** Segnali caotici ***


SEGNALI CAOTICI

(1986)

 

 

Un altro segno del destino

già sconvolge equilibri fisici,

e forze scatenate sfuggono

a leggi di antichi cicli biologici…

 

 

Tutto cominciò grossomodo con un aquilone e un cavo di rame attaccato. Almeno, dicono che sia andata così. Non ne sono troppo sicuro.

Sia andata come sia andata, l’uomo a un certo punto fece una cosa che nessuno dei suoi antenati era mai riuscito a fare. Imprigionò l’elettricità, la imbrigliò e la piegò ai propri scopi.

Da quel momento, il mondo mutò il suo volto.

Dapprima fu la luce, che rese vivibili le notti. Ma quello fu soltanto l’inizio.

I ritmi di vita cambiarono. Con la luce, con l’elettricità, ci fu più tempo a disposizione, e si poterono fare più cose. Eppure, in maniera quasi incredibile a pensarci bene, tutto cominciò ad andare più veloce. Molto più veloce.

Sempre più veloce.

La fretta si impose sull’esistenza dell’essere umano.

Fu come se, sotto i riflettori e con le scariche elettriche a correre dietro le pareti, si perse la capacità di fermarsi, di riflettere e di contemplare.

Un po’ alla volta, le tecnologia prese il sopravvento. Sempre più si rese necessaria. L’uomo non poté più fare a meno di luci, di televisori, di radio, di telefoni, di computer, di smartphone…

E l’essere umano, senza rendersene mai davvero conto, divenne schiavo delle proprie scoperte.

 

Li vedi nella notte

scienziati elaborare piani diabolici

mentre tu ripeti accordi meccanici

senza fraseggi armonici…

 

 
 

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Capitolo 18
*** I tre miti ***


I TRE MITI

(1981)

 

Quelli che son stati adolescenti come me

e di anni ne hanno almeno trentatré

avevano tre miti nel sessanta o giù di lì:

il sesso, il socialismo ed il GT…

 

Il GT finalmente lo avevo e potevo andarci a spasso la domenica. Non che fosse un granché, a dire il vero: celeste e tutto arrugginito. Ma per me era un sogno dell’adolescenza che si era avverato.

Anche la donna ce l’avevo. C’era quella che mi portavo a spasso la domenica, con il mio GT, e che non faceva che lamentarsi che avevo buttato via i soldi a comprare quel macinino. Quella, per intenderci, era la madre dei miei figli, la stessa a cui avevo messo una fede al dito. Poi c’era l’altra donna, quella che vedevo il martedì e il giovedì, uscendo un’ora prima dall’ufficio. Quella con cui, diciamo così, avevo risolto i problemi del sesso.

Ma in ufficio mi toccava anche vedere altra gente. Imprenditori pieni di soldi che non facevano altro che fare la paternale a impiegati frustrati e squattrinati. Insomma, il socialismo non lo avevamo raggiunto. Quel sogno non si era realizzato.

E io stavo troppo bene con il mio GT e le mie donne – la vecchia brontolona a cui, comunque, volevo un bene dell’anima e la giovane che due volte a settimana mi ricordava cosa volesse dire essere maschio –per avere voglia di mettermi a fare rivoluzioni.

Dai, di tre miti, due erano diventati realtà.

Potevo bene accontentarmi.

 

e c’è chi tra di noi ha abbandonato l’avventura

per noia, opportunismo

o per paura…

 

 

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Capitolo 19
*** L’auto corre lontana, ma io corro da te ***


L’AUTO CORRE LONTANO, MA IO CORRO DA TE

(1969)

 

Io sto guidando verso il sole

dove vado non so.

Scivola la strada e scompare

dietro me…

 

Andare.

Solo questo conta, qualche volta.

Andare avanti, senza una meta. Senza nemmeno domandarsi dove si stia andando di preciso. Si va, da soli. Non è questo, in fondo, il senso della nostra esistenza? Andare sempre avanti, senza fermarsi, senza conoscere la meta. Sarebbe una noia assurda, conoscerla. Invece, così, è tutta una nuova scoperta, una continua novità, qualcosa a cui non si smette mai di correre incontro.

Eppure, anche se ci sforziamo, non siamo fatti per andare avanti sempre da soli. Sentiamo il bisogno, la necessità di avere qualcuno al nostro fianco.

Qualcuno con cui percorrere insieme quella lunga strada incontro al sole.

 

Guardo i fili del telefono:

vorrei telefonare a te.

L’auto corre lontano,

ma io corro da te…

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Capitolo 20
*** Canzone della bambina portoghese ***


CANZONE DELLA BAMBINA PORTOGHESE

(1974)

 

 

…ma il caldo l’avvolse

si sentì svenire, e si mise a dormire.

E fu solo nel sole, come di mani future.

Restarono soltanto il mare e un bikini amaranto…

 

 

Solo lei, la sabbia e il sole.

E quel cielo immenso sopra di lei, infinito, da perdercisi dentro, privo di barriere, di confini, puro come il cristallo, incontaminato.

Il sole a lambire la sua pelle di pesca, a scaldarla di un dolce tepore, che le regala quell’amabile torpore. Lei nell’azzurra vastità, sdraiata a contemplare oltre l’infinito, la brezza a scompigliarle i bei capelli castani. E la sua mano ad accarezzarsi dolcemente il seno, celato da quel leggero costume, malinconico ricordo di un’estate ormai trascorsa, carezze lievi, non per voluttà, ma come a darsi protezione, a sentire il proprio corpo, a sentirsi se stessa in quell’immensità, per non perdersi nel nulla.

Il silenzio rotto dal fragore della risacca ed i richiami dei gabbiani a spezzare la monotonia. Non un rumore estraneo a turbare l’incanto, nulla a rovinare la quiete di quel momento di paradiso, solo i suoni della natura ed il fruscio di seta della sua pelle dolcissima.

E i suoi pensieri a fluire con l’intensità dell’oceano circostante, rapidi pensieri intenti a susseguirsi l’un l’altro, come ad inseguire un’idea, tentando di afferrarla e porla lì, di fronte allo specchio della sua anima, per capire, comprendere ogni cosa, svelare ogni singolo mistero dell’universo, del cosmo. Ma quale mistero potrebbe mai dirsi tale, se fosse svelato? Quali segreti inconfessabili potrebbero nascondersi nella roccia delle montagne, tra le onde marine, negli astri brillanti di eterna potenza? Come spiegare quei riflessi, quelle ombre di epoche che furono?

E da cosa deriva mai quel calore?

La sua mano dalle dita sottili, con la morbidezza della spuma marina, accarezza il seno dolce e delicato, si insinua quasi con timore sotto la lieve tela del costume e come vorrebbe che fosse ancora lui a farlo, come nei tempi felici, ad amarla come lei lo ha amato sin dal primo sguardo, quello sguardo rubato nel chiarore di un mezzogiorno ormai lontano. Dov’è andato? Perché non è tornato indietro? O meglio, perché lei lo ha abbandonato? Perché è stata così fatua da credere di poter resistere senza di lui, di poter amare un altro che non fosse lui, inseguendo avventure strane e inconsistenti? L’amore non è forse la forza più grande, potente ed arcana di tutto l’universo, quella che nessuna scienza potrà mai spiegare? E, allora, perché sa essere tanto doloroso?

Come vorrebbe che lui fosse ancora lì con lei, ad abbracciarla, con i respiri vicini, a lasciarsi accarezzare dal sole, ascoltando il suono del mare ed i battiti dei loro cuori palpitanti all’unisono, sotto quel cielo splendente di purezza, immenso come la vastità che ormai li separerà per sempre. Ma lei lo ha abbandonato, gli ha voltato le spalle, credendo di poter cedere alla forza dell’amore, di poter seguire altri sogni lontani, incapace di comprendere che i miraggi che ci attirano altrove non sono nulla, nulla di nulla, solo miraggi appunto, illusioni senza senso, vuote fantasie subito riempite dalla durezza della vita quotidiana.

Lei è fuggita. È fuggita convinta che lui non fosse altro che un numero, uno dei tanti, qualcuno da sostituire alla prima occasione per correre dietro a numeri diversi; una persona uguale a qualunque altra, con cui divertirsi per un po’ e poi dimenticarsene, gettarla nell’oblio del pensiero, insieme a tutti gli altri. Che errore.

Che imprudenza convincersi di poterlo rimuovere, cancellare. Lui era unico, è unico, lo sarà per sempre. Il suo ricordo scalderà per sempre il suo cuore, s’insinuerà nella sua anima nelle fredde notti d’inverno e nelle soleggiate giornate d’estate, l’accompagnerà tra i fiori profumati della primavera e tra i mille colori dell’autunno, ma sarà solamente un ricordo, perché lui non tornerà mai più indietro, non perdonerà colei che lo ha lasciato solo e afflitto così, senza una parola, senza un saluto, voltandogli le spalle, come se non fosse mai stato importante, come se non fosse mai esistito, come se tutti quegli anni trascorsi insieme non fossero stati altro che una burletta, un gioco infantile presto scartato.

E ora lì, sotto il sole, se ne rende conto, pienamente conto, e non le rimane altro che accarezzarsi il seno con le dita lievi e aggraziate, per proteggersi dal mondo, rivivendo il dolce momento in cui era lui a farlo, mentre la guardava negli occhi azzurri e felici, quando posava le labbra sulle sue, infondendole passione e sentimenti, quando insieme diventavano una cosa sola, un’unica passione. Ormai non le rimane che quello, costringendosi con forza e con molti stenti a trattenere quelle lacrime di angoscia e di dolore che tanto vorrebbero rigarle le belle guance.

Si sente sola, sola e traditrice.

E i giorni si susseguiranno l’un l’altro, lenti, monotoni e vuoti, sarà per lei una sofferenza costante, un ricordo doloroso; potrà rifarsi una vita, ma lui sarà lì per sempre, come un sospiro che non riesca ad emergere nel buio di una notte senza luna.

Mai ferire un amore, mai annientare e reprimere i sentimenti, perché il dolore dell’altro sarà il vostro dolore, per sempre, implacabile.

 

…e poi, e poi, se ti scopri a ricordare

ti accorgerai che non te importa niente.

E capirai che la vera ambiguità è la vita che viviamo

il qualcosa che chiamiamo esser uomini.

E poi, e poi quel vizio che ti ucciderà

non sarà fumare o bere

ma è qualcosa che ti porti dentro,

cioè vivere…

 

- - -

Nota

Ho scritto questo racconto nel 2017, dopo aver ascoltato il brano che dà il titolo a questo capitolo, che mi fu quindi di una certa ispirazione. Ho scelto di inserirlo in questa raccolta, pur essendo in verità slegato dal testo della canzone.

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Capitolo 21
*** Un giorno insieme ***


UN GIORNO INSIEME

(1973)

 

Non dire niente,

tra un minuto il giorno nascerà

e l’uomo che io ero morirà.

Amica mia, questa casa non è casa mia,

col primo vento caldo me ne andrò…

 

 

Ho un ricordo indelebile di uno dei concerti dei Nomadi a cui ho preso parte negli anni.

Sarà stato il 2006, quando avevo quattordici anni. In quel concerto, i Nomadi eseguirono un brano che di rado ebbi occasione di ascoltare in altri concerti: Un giorno insieme.

Un brano dalla dolce melodia, in cui sono lui, lei, il loro amore…

Mi guardai attorno, durante l’esecuzione di quel brano, che all’epoca veniva cantato dal chitarrista, Cico Falzone. Schifato – avevo quattordici anni, non dimentichiamolo – osservai un numero incalcolabile di coppiette abbracciate, che si stringevano e danzavano piano al suono di quella musica e alla dolcezza di quelle canzoni.

Però, io dico: ma lo avete ascoltato bene, questo brano? Siete davvero sicuri che sia un brano d’amore? Siete davvero certi, anzi, che i Nomadi abbiano mai fatto un brano d’amore a lieto fine?

No, perché in questa canzone, lui le sta dicendo chiaramente: «Okay, carina, è stato bello e ci siamo divertiti. Ora però scusami, perché ho da andare e non voglio costruire nulla di serio con te. Quindi, se anche ti sei fatta chissà quali film, hai sbagliato a scegliere gli interpreti.»

Ecco, questo, in sostanza, è quello che dice il testo di Un giorno insieme.

Altro che ballarci sopra tutti abbracciati e innamorati.

 

Al mio fianco c’eri tu

e il giorno che nasce cancella ogni segno di te…

 

 
 

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Capitolo 22
*** Ritornerei ***


RITORNEREI

(1975)

 

Ritornerei,

sulla strada che mi chiama,

dal cane schiacciato sotto un camion

alla signora che ride sempre

sotto un sole da oriente…

 

 

Un sacco in spalla, pochi spicci in tasca e tanti sogni in testa. Così si andava.

Non si andava per chiedersi dove si fosse diretti. Non era la meta ciò che contava. Non è mai la meta. È il viaggio, l’importante. È il potersi incamminare, l’idea di andare avanti, senza sapere né dove, né perché.

Non è forse la vita un lungo viaggio? Non è forse la vita quella strada su cui ci incamminiamo di continuo, pronti a scoprire qualcosa? A ogni incrocio un volto nuovo, a ogni svolta una sorpresa. Bisogna sapersi perdere sulla strada, per potersi ritrovare.

Senza cartine, senza navigatori, senza nulla.

Solo noi e la strada, davanti e dietro.

Un nastro di cemento che ci chiama, per condurci chissà dove, chissà da chi.

E chissà perché.

 

E rivedrei

sulla strada che mi chiama,

dipinte sul viso di chi mi ama,

la fretta e l’ansia di raccontare

cose ancora da scoprire…

 

 
 

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Capitolo 23
*** Il paese ***


IL PAESE

(1977)

 

 

Grandi risaie e filari di pioppi

e all’orizzonte montagne maestose.

Non si può dire che sia il paradiso

ma è il paese dove son nato…

 

 

 

Ognuno di noi porta nel cuore un paese, o magari un luogo – anche soltanto una semplice strada – a cui sono legati ricordi indelebili, amori, e magari anche rancori, rabbia, tutto quanto. Il mio paese, per esempio, si chiama Rivoltella, ed è sulla sponda meridionale del lago di Garda. Non è lì che sono nato, ma è lì che ho sempre vissuto.

Qualche volta, partendo dal mio paese, percorro in auto le strade che scendono dalle colline moreniche e conducono in pianura. L’avete mai vista, la pianura, dall’alto delle colline? È una linea piatta e luminosa, che sembra non avere mai termine. Un mare sconfinato di terra, paludi e strade. Qualche volta, quando l’aria è tersa e asciutta, però un termine ce l’ha anche la pianura, e laggiù in fondo si può vedere l’Appennino.

Varco il Mincio, passo sopra il Po e sono in Emilia. C’è chi la domenica viene sul lago e chi se ne va laggiù. Vado laggiù, perché anche l’Emilia è in fondo un po’ un luogo che mi porto nel cuore. Mi piacciono le città, mi piacciono i paesini, e poi mio nonno veniva da Piacenza, quindi qualche traccia nel sangue mi è rimasta.

Soprattutto, c’è un luogo in particolare in cui mi piace andare.

Inutile girarci attorno, visto che siamo qui a parlare di Nomadi.

Una delle mete che amo raggiungere è Novellara. Il paese di Augusto Daolio, di Beppe Carletti… insomma, il paese dei Nomadi.

Ho pezzettini di cuore sparsi un po’ dappertutto. Uno di questi pezzettini è lì, a Novellara. A qualcuno potrebbe apparire persino come una sorta di pellegrinaggio, il mio. Non so se sia così.

Novellara, con la sua piazza, la rocca gonzaghesca, le sue strade, i filari di pioppi all’orizzonte, le ferite insanabili del terremoto, potrebbe essere un paese qualsiasi sperduto nell’Emilia. Uno dei tanti. E sono tanti, di quei posti, a piacermi. Se mi chiedete di Gualteri, o di Rolo, o di Carpi, o Brescello, Boretto e Guastalla, o altri posti lì nei pressi, vedrete che vi dirò che ci sono stato, o che almeno ci sono passato.

Però Novellara ce l’ho nel cuore. Magari è solo perché è il paese di Augusto, Beppe e dei Nomadi. Perché magari è lì che, in un negozio di musica, ho lasciato giù mezzo portafoglio per comprarmi tutti i cd dei Nomadi che ancora mi mancavano, anni fa. O forse non è solo quello, non so.

Che volete che vi dica. Se adesso alzo gli occhi dal computer su cui sto scrivendo e li sposto sulla parete di fronte a me, vedo appesa al muro una carta che mostra “Novellara nel Ducato Estense”. Così, per dire che non scherzo.

E tant’è. Non mi paga la proloco, giuro. Ma se dovesse capitarvi di salire da Modena verso Verona lungo l’Autostrada del Brennero – o di scendere da Verona verso Modena, beninteso – prendete l’uscita di Reggiolo-Rolo e poi andate avanti per un’altra decina di chilometri.

Vedrete che bei posti, che vi faccio scoprire.

 

 

Ma se l’orizzonte è tutto d’oro

e la mia gente canta durante il lavoro

mi sento nel cuore un grande amore

per il paese dove son nato.

 

 
 

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Capitolo 24
*** La coerenza ***


LA COERENZA

(1996)

 

 

Ho giocato la mia vita,

con i dadi all’osteria,

ho pensato tante volte di barare e andare via.

Ho provato a dare un senso al crocifisso con il santo,

ho rubato e bestemmiato,

qualche volta ho pure pianto, e già…

 

 

Cos’è mai, la vita, se non una continua scommessa con se stessi? Un tentativo di raggiungere un obiettivo, quello che ci si è prefissato. Magari, qualche volta, per arrivare là dove si desidera, si è persino disposti a barare, a imbrogliare le carte e magari anche a rubare…

Ma davvero conta, tutto questo?

Davvero è l’obiettivo finale, qualsiasi esso sia, il motore della nostra esistenza?

Quello che conta, infine, è essere se stessi.

Coerenti.

Continuare a credere in ciò in cui abbiamo sempre creduto, senza tradire i nostri valori per un guadagno privo di reale senso e significato.

Coerenza non significa non cambiare mai idea. Coerenza significa, anche, ammettere di aver sbagliato e essere disposti a mutare il nostro parere, quando serve.

Soltanto così, solo in questo modo, possiamo sfidare il mondo intero. Che poi si vinca o si perda, non ha importanza.

Ciò che conta è non tradirsi.

 

L’ho cercata e l’ho pagata,

se la chiamano coerenza,

questa cosa ha un prezzo fisso,

non potevo farne senza.

E preferisco essere vinto contro un muro a torso nudo

che cantare la vittoria

ben protetto da uno scudo, e già…

 

 
 

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Capitolo 25
*** Sera bolognese ***


SERA BOLOGNESE

(1981)

 

 

Non è ancor tardi e con il freddo che fa,

possiamo bere qualcosa, se ti va.

Un po’ di neve si scioglie sotto i tuoi stivali

la luce sotto il portico più in là,

un po’ di esitazione che forse invento io

e il tuo braccio si infila sotto il mio…

 

 

Nel locale c’è un caldo tepore, che contrasta con il gelo della notte che ci siamo lasciati alle spalle. Per un istante, il cambio repentino di temperatura mi appanna le lenti degli occhiali, e tu diventi come un’ombra sfumata che cammina accanto a me.

Il bar è pieno di avventori. Gente che chiacchiera, vite che si rincorrono. In un angolo, sopra un basso palchetto, un paio di musicisti con le chitarre acustiche stanno improvvisando uno spettacolino di musica folk. Cantano un brano che non riconosco, ma dal sapore passato, retrò. Su tutto aleggia l’odore aspro della birra e degli alcolici.

Quasi stesse aspettando noi, in un angolo c’è un tavolino libero. Ci sediamo, uno di fronte all’altra, e ci sorridiamo. Siamo entrambi un po’ stralunati. Un attimo fa stavamo camminando sotto i portici di Bologna, tenendoci a braccetto, e ora siamo persino seduti qui. Non posso fare a meno di domandarmi che cosa succederà dopo, fin dove sapremo spingerci.

Un uomo con un grembiule macchiato sul ventre prominente si avvicina. Ordino un whisky. Tu preferisci una cioccolata calda con la panna. Quello non fa una piega, anche se in una serata come questa non deve certo essere l’ordinazione che va per la maggiore. Dal tavolino accanto, ci raggiunge una risata avvinazzata, seguita a chissà quale battuta.

Per un po’ restiamo in silenzio. Forse, prima, abbiamo esaurito gli argomenti di conversazione. Credo che sia stata una specie di reazione alla timidezza, per entrambi: parlare, parlare, parlare. Ora, in questo ambiente caotico, ci godiamo per qualche istante il nostro silenzio.

Mi chiedo come dobbiamo sembrare, visti da fuori. Chissà se qualcuno, guardandoci, intuisce che siamo due sconosciuti giunti così, al primo appuntamento, dopo esserci parlati da lontano tanto a lungo. Forse, in un’altra epoca, saremmo potuti finire tra le pieghe di un qualche fotoromanzo, e avremmo fatto anche la nostra bella figura.

Bevo un goccio di whisky. Tu ti porti alle labbra il cucchiaino e assaggi un pochetto di panna. Anche se, forse, non siamo ancora arrivati al punto in cui possa già osare tanto, mi piacerebbe tanto dirti che è delizioso, guardarti. C’è qualcosa di magnetico, in te.

Il silenzio dura un attimo. Un istante lunghissimo. Poi ricominciamo a parlare delle nostre vite.

Fuori da qui ci attende Bologna, con le sue piazze e i suoi portici. Una sigaretta, ancora qualche passo, poi chissà dove abbiamo messo la macchina, e dopo…

Dopo chissà.

E intanto, mentre camminiamo per andarcene dal bar, tu ridi per qualcosa che ho detto. La mia mano, audace, cerca la tua e la stringe. Tu non ti ribelli.

Andiamo, allora, in questa fredda sera bolognese, senza sapere che cosa ci riserverà prima che l’alba illumini ancora una volta le nostre vite di ogni giorno.

 

Sera bolognese ruffiana

un po’ di storia privata da barattare

la sigaretta e le tue mani da toccare…

 
 

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Capitolo 26
*** I gatti randagi ***


I GATTI RANDAGI

(1990)

 

 

I gatti più belli,

sono i gatti randagi.

Girano i quartieri, di povera gente.

Amici sinceri di chi non ha niente

di chi tutto il giorno, non fa che sognare.

Uno sguardo un sorriso,

una carezza un invito

e più felice via, se ne andrà…

 

 

Vagabondando per le vie del mondo, con soltanto qualche sogno in tasca, l’uomo evitava il più possibile il contatto con i suoi simili. Aveva imparato a sue spese – e più volte – di quanto l’essere umano sapesse rendersi cattivo.

Preferiva la solitudine.

Non chiedeva altro che di poter aprire gli occhi in faccia all’alba, per ammirare il sole sorgere a oriente e illuminare tutto il creato con i suoi raggi caldi e benefici. Questo era ciò che desiderava. Non chiedeva altro, né faceva nulla di male a nessuno.

Certe notti, le più poetiche notti mai giunte sul pianeta, faticava a prendere sonno. Anzi, in quei momenti magici, quando la notte è carica di profumi e di speranze, addormentarsi non era possibile.

Allora, in quelle notti, l’uomo camminava. Sul suo cammino non incontrava quasi nessuno. C’erano solo i gatti.

Gatti tigrati, gatti rossi, bianchi e neri, gatti arruffati e a pelo corto, che miagolando gli tenevano compagnia, che gli si strusciavano contro le caviglie in attesa di quella carezza che li avrebbe resi felici. E l’uomo, con i gatti, era felice.

Li chiamava, li guardava avvicinarsi, li accarezzava e li lasciava andare via quando i loro misteri felini li invocavano altrove.

Lui, in fondo, era come i gatti randagi: senza doveri, senza padroni.

E in ciò era racchiusa la felicità.

 

Siamo un po’ tutti dei gatti randagi,

ce ne andiamo coi sogni in spalla.

Siamo un po’ tutti dei buoni da niente,

siamo un po’ tutti dei tira a campare.

Noi siamo quelli che vogliono andare,

un solo credo la voglia di amare.

Un solo sogno,

la libertà…

 
 

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Capitolo 27
*** Ricordati di Chico ***


RICORDATI DI CHICO

(1991)

 

I signori della morte

hanno detto “sì”:

l’albero più bello

è stato abbattuto…

 

 

Le idee sono come gli alberi.

Immortali.

Si può cercare in ogni modo di sradicarli, di abbatterli, di estirparli e avvelenarli. Non si potrà mai vincere. Acciaio e cemento non potranno mai davvero prendere il sopravvento, e le foreste rinasceranno sempre e ovunque. Gli alberi attecchiranno ovunque, nuovi semi si spargeranno e germoglieranno anche nei luoghi più inaspettati, persino in quelli considerati del tutto sterili.

E chi combatte per tutto questo, non potrà mai essere fermato.

Chi si batte per la vita, alla fine vincerà. Perché la vita vince sempre.

I signori della morte saranno sconfitti.

 

Così l’albero abbattuto,

non è caduto invano.

Cresceranno foreste e una nuova idea dell’uomo…

 
 

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Capitolo 28
*** Le strade ***


LE STRADE

(1995)

 

 

dietro al mulino i rifiuti,

portati dal fiume,

che taglia la grande pianura,

ridotta a bitume…

 

 

Mi aggiravo per la campagna. Per quella che era stata la campagna, un tempo non ancora lontano. Un tempo, per intenderci, abbastanza vicino perché io stesso potessi serbarne memoria.

Questa strada asfaltata era stata un viottolo sterrato. Quel resort di lusso era stata una cascina con il suo fienile e la stalla. Al posto delle piscine dove adesso sguazzavano ricconi annoiati, io potevo quasi vedere ancora i campi arati, con quella terra nera e grassa da cui sarebbero spuntate le spighe di grano e gli steli del mais.

Eppure, con un sorriso stanco e triste, mi venne da pensare che, gli uomini che avevano reso possibile questo scempio, erano gli stessi che si erano riempiti la bocca di paroloni, di false promesse, di rassicurazioni.

«Non consumeremo più territorio.»

«Tuteleremo il verde.»

«La campagna è un tesoro prezioso, da preservare.»

Ed eccoli qui, i bei risultati di tutti quei proclami.

Scomparsi sotto il catrame e il cemento. Probabilmente, il verde che quei tizi si ripromisero di tutelare, era quello delle banconote che avrebbero incassato cedendo la terra fertile al miglior offerente.

Dicono sempre di non abbattersi, di non lasciarsi andare.

Di non arrendersi.

Ma di fronte allo scempio della più bella e fertile pianura del mondo, trasformata in questo modo, mentre i politicanti piangono l’assenza di risorse, almeno consentitemi di dire che mi cadono le braccia.

Però, una volta assorbito l’urto, mi viene da dire che no, non bisogna arrendersi. Non bisogna smettere di lottare per ciò che è giusto. Potremo ancora salvare tutto questo, potremo farcela, se almeno noi non ci lasceremo corrompere da insulsi interessi personali.

Il vento che soffia da lontano mi porta un odore alle narici. Un odore di terra, di erba, di essenze vegetali.

È l’odore della campagna, che ancora sopravvive nonostante tutto.

 

Il cuore della campagna

batte ormai stanco,

stanco di troppe parole,

date in pasto al branco.

Ma c’è un odore di terra, odore lontano,

che ci riporta ad un mondo più umano…

 

 
 

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Capitolo 29
*** Crescerai ***


CRESCERAI

(1973)

 

 

Per giocare, un aquilone

un gesso bianco, il vecchio muro.

Bastava un niente, un campo verde

una bugia, per esser grande…

 

 

Correvo sui prati, con il vento tiepido della primavera che mi soffiava in faccia. Nell’aria c’era un profumo… un profumo che, anche se all’epoca non potevo saperlo, non avrei mai più sentito. Ogni anfratto era un nascondiglio, ogni albero era un’avventura, ogni sasso era un tesoro.

Spensieratezza, beata e felice spensieratezza.

Qualcosa che avevo, che tutti avevamo, e di cui eravamo inconsapevoli. Non sapevamo che cosa avevamo, chi eravamo.

Ora lo sappiamo, ora sappiamo anche che cosa abbiamo perduto, quali rimpianti ci abbiano accompagnato, quale libertà abbiamo perduto. Quando la vita era fantasia e la fantasia era vita.

E chissà chi è che non vorrebbe fare a cambio e tornare indietro.

 

Crescerai, arriverai.

Crescerai, imparerai.

Crescerai, tu amerai…

Il rimpianto rimarrà

di quell’età…

 

 

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Capitolo 30
*** Tornerò ***


TORNERÒ

(1973)

 

 

Tornerò quando rifiorisce il glicine,

tornerò quando tornano le rondini,

quando grilli e cicale canteranno in giardino

io sarò finalmente lì vicino a te…

 

 

Partire è sempre difficile. Lasciarsi andare, dirsi un “arrivederci” che potrebbe essere un addio. Lacrime a stento trattenute, un abbraccio che non vuol finire mai, baci rubati prima della separazione.

E poi i giorni, le settimane e i mesi a sfilare in parata. Tutti uguali e tutti diversi. Ciascuno con la sua storia. E ciascuno con il pensiero fisso di quel ritorno promesso, di quelle parole non dette al vento.

E ora che il giardino è tutto in fiore e che l’aria si è riempita di quell’aria fresca e profumata di petali di rose e di glicini, io sono ancora qui con te. Come in quella vecchia canzone napoletana, ricordi? Quando si diceva torna maggio e torna amore…

Sono qui, amore mio.

Sono qui e non me ne vado più, e questa è la più grande promessa.

L’hai sentita, la canzone? La canzone di maggio, la canzone dei grilli e degli uccelli, la canzone delle api e delle fronde ombrose scosse dalla tiepida brezza che spira dentro i nostri cuori.

 

Ti darò ogni mio pensiero

quando ti ritroverò.

E con te scoprirò l’amore,

ogni giorno, ogni ora,

tornerò,

perché avrò saputo scegliere…

 

 

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Capitolo 31
*** Utopia ***


UTOPIA

(1981)

 

Utopia aveva una sorella maggiore,

che si chiamava Verità senza errore.

Lanciava spesso un aquilone nel vento

su cui era scritto Libertà con l’accento.

 

L’essere umano anela alla Libertà. È a questo che tende ciascuno di noi. Libertà dai vincoli, dalla catene e dalle imposizioni. Una Libertà che non va per forza di cose confuse con l’anarchia.

Libertà significa, in poche parole, essere se stessi, liberi di scegliere e di esprimersi. Liberi di non doversi giustificare davanti a nessuno.

Ma c’è sempre qualcosa che ci ostacola. La Verità. La Verità che ci ricorda che non possiamo vivere davvero liberi, almeno non del tutto, perché abbiamo obblighi e doveri, a cui abbiamo scelto di aderire quando abbiamo deciso di essere una società, esseri umani.

Quando abbiamo scelto di rinunciare alla Libertà e abbiamo smesso di vivere nell’Utopia.

 

Mentre Utopia andava via allegramente

perché vedeva il futuro presente,

Verità le sussurrava a capo chino:

«Stai confondendo desiderio e destino.»

 

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Capitolo 32
*** Canzone del bambino nel vento ***


CANZONE DEL BAMBINO NEL VENTO

(1979)

 

Son morto, con altri cento.

Son morto, che ero bambino,

e adesso, sono nel vento…

 

L’essere umano, la più grande e crudele bestia che abbia mai camminato sul pianeta, forse nell’intero universo. La sua lucida bestialità lo ha condotto, e lo conduce ancora, a compiere le più turpi e peggiori azioni.

Azioni che non hanno giustificazione, che non possono nemmeno essere spiegate.

Azioni che non andrebbero mai dimenticate, perché la storia non si ripeta. Ma l’essere umano ha la memoria molto corta, e continua a ripetersi.

L’essere umano non cesserà mai di disperdere morte nel vento.

 

Io chiedo come può l’uomo

uccidere un suo fratello.

Eppure siamo a milioni

in polvere qui nel vento…

 

 

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Capitolo 33
*** Per quando è tardi ***


PER QUANDO È TARDI

(1968)

 

Quando è tardi

e per le strade scivolano sguardi

di gente che ha sol fretta di tornare

e i cinema si chiudono

e i caffè si vuotano…

 

Notte.

C’è forse un momento migliore per vivere?

Di notte, col buio, siamo tutti uguali. Non c’è bisogno di nascondersi, di celarsi. Ci pensa il buio a fare tutto. Col favore delle tenebre, si può essere se stessi, si può dire ciò che si pensa, proclamare ciò in cui si crede.

E, nel buio, si fanno incontri. Ci si imbatte in altri come noi, in altri innamorati della notte che temono l’alba, perché la luce che verrà illuminerà ancora le nostre miserie, ci mostrerà per come siamo in faccia al mondo.

Non ci resterà che ritirarci, nasconderci nei nostri anfratti, ad aspettare una nuova notte che verrà.

 

nella stanca mattina

che si riempie già di vita

piangendo un’altra notte che è finita…

 

 

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Capitolo 34
*** Joe Mitraglia ***


JOE MITRAGLIA

(1978)

 

 

Qui in città non ne senti più parlare,

troppi anni son passati

e troppo tristi son da ricordare,

giorni neri, giorni dannati…

 

«Oggi la gente non fa altro che lamentarsi, dicendo di essere stressata, affannata, di non avere un momento per sé…»

Alzo gli occhi dal lavoro e fisso il vecchio. Come suo solito, siede immobile davanti alla porta del negozio, a osservare il viavai dei passanti frettolosi. Di solito riesce a stare in silenzio per delle ore lunghissime. Giurerei di non averlo sentito parlare persino per giorni interi, soprattutto in certi momenti della primavera, quando i ricordi lontani bussano più forte alle porte della memoria.

Però, evidentemente, oggi non è uno di quei giorni.

Oggi è uno di quei giorni in cui tira fuori il suo lato da vecchio criticone che non sopporta il mondo moderno.

Potrei replicargli, ma non servirebbe a niente.

Non sta parlando con me.

Quando il vecchio parla, parla al mondo intero e soltanto a se stesso. Se hai voglia lo ascolti, altrimenti nulla. Non fa poi così differenza.

«Se avessero vissuto quando ho vissuto io, che cosa avrebbero dovuto dire? Eppure, noi non si aveva il tempo di essere stressati. Noi dovevamo combattere, sparare e nasconderci per non farci beccare dai crucchi e dalle camicie nere, che erano sempre lì in agguato. Volevano farci la pelle, e questi si lamentano se devono correre a prendere l’autobus o se il telefono suona. È proprio vero che chi ha pane non ha denti.»

Distolgo l’attenzione.

Quando comincia a usare proverbi e frasi fatte, vuol dire che è partito per la tangente, ed è meglio lasciarlo andare per la sua strada finché ne ha voglia.

Eppure… eppure non posso fare a meno di pensare a ciò che ha passato, ha ciò che ha vissuto. E non posso che dirmi fortunato di essere così annoiato da questa vita monotona che non sembra offrire sbocchi di alcun tipo.

Meglio questo.

 

Joe Mitraglia era uno dei tanti

che aveva detto no ai repubblichini

era scappato anche lui sui monti

lasciando a casa moglie e bambini…

 

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Capitolo 35
*** Un po’ di me ***


UN PO’ DI ME

(1973)

 

 

il vestito tuo cade giù

contro il cielo

bianca sei tu…

 

«Sono qua.»

La tua voce è poco più che un soffio nella notte. Un soffio che mi vibra dentro, nel profondo dell’anima.

Ti cerco nell’oscurità e mi allungo sull’erba. Sei una sagoma contro il cielo. Quando ti sfili il vestito, la tua pelle bianca è inondata dalla luce della luna. Sento qualcosa afferrarmi alla bocca dello stomaco, quando ti lasci scivolare al mio fianco. Le tue dita, intrecciate sulla mia pelle, sono ribollenti di passione e vellutate di dolcezza. Per un istante, un lungo istante che tu mi stai regalando, smetto di essere quell’eremita che vive nascosto e defilato, un asociale incapace di relazionarsi. Ora, con te, grazie a te, sono ancora nel mondo, ne riscopro i piaceri e le gioie.

Sappiamo entrambi che tutto questo finirà. Quando sarà un nuovo giorno, non potremo più nasconderci, e dovremo tornare alle vite di ogni giorno. Tu alla sua solita frenesia e io alla mia chiusa attesa di qualcosa che non accadrà mai.

Ma saprò – sapremo – che qualcosa di me sarà rimasto in te e qualcosa di te sarà rimasto in me.

Ed è un segreto che serberemo per sempre nelle memorie più belle.

 

luci false non voglio più,

ma il profumo che hai solo tu…

 

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Capitolo 36
*** Il confine ***


IL CONFINE

(1974)

 

C’è un confine ormai

che divide noi,

io ti stringo e poi

pian piano,

la mia mente se ne va

da quel piccolo mondo

che hai creato in noi…

 

Sarebbe bello e dolcissimo se gli amori potessero durare davvero per sempre. Un po’ come succede nei film, o nelle storie, quelle che si concludevano con un “e vissero per sempre felici e contenti”.

Ma la realtà è ben differente. La realtà è un’altra.

La realtà è il confine che è disceso tra di noi, quella barriera che ormai ci divide e ci tiene sempre più lontani uno dall’altro. Vorrei, dico davvero, vorrei provare ancora quel qualcosa di grande per te.

Non posso più.

Mentre tu mi parli di me e di te, io penso al mondo che ci circonda. Mentre tu dici noi, io vedo le strade che si allontanano. Tu hai in mente la nostra casetta, io mille case differenti dove fermarsi soltanto per una notte.

Ho in mente un mondo intero, e vorrei tanto che in questo mondo ci fossi anche tu.

Tu, io e il mondo insieme a noi.

Ma so che non si può, so che tu non vuoi, che tutto questo è troppo distante dalla tua mente.

E allora io vado, addio.

Mi allontano dai te, dai tuoi pensieri, dai tuoi occhi.

 

 

Allora vado via

per ritrovare un orizzonte un po’ più in là…

Più in là,

oltre ai pensieri tuoi,

guardando avanti per non ritornare mai…

 

 

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Capitolo 37
*** Sassofrasso ***


SASSOFRASSO

(1994)

 

Disceso nella gola

tra gli scogli dell’anfratto,

lucida le sue rive il Sassofrasso…

 

 

L’acqua gorgogliante del fiumicello saltellava tra i sassi, insinuandosi in mezzo al bosco mentre scendeva con allegria verso la valle.

Partivamo dalla pieve del paesino e, seguendo il corso del ruscello, ci incamminavamo lungo i prati in fiore che digradavano verso il basso. Era sempre una grande felicità poter seguire quel cammino, mentre il cielo azzurro incombeva come un diamante prezioso sopra di noi.

Ora però l’acqua è inquinata. Pesci e girini, che nuotavano allegri nelle polle, adesso hanno ceduto il posto ai liquami in mezzo a cui galleggiano inerti le bottiglie di plastica accartocciate. Il ruscello, a poco a poco, sta morendo.

Ma se con l’impegno di sempre riusciremo ad andare avanti con la testardaggine tipica di noialtri, il ruscello sarà salvo e le acque limpide torneranno a scorrere pullulanti di vera vita.

 

il fango dell’inverno copre i segni dei gerani,

l’ieri impegna l’oggi nel domani…

 

 

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Capitolo 38
*** Ho difeso il mio amore ***


HO DIFESO IL MIO AMORE

(1968)

 

Queste parole

sono scritte da chi,

non ha visto più il sole

per amore di lei…

 

 

Come accade per Un giorno insieme, c’è un’altra canzone dei Nomadi che le coppiette innamorate ascoltando stando incollate come cozze al palo.

Ho difeso il mio amore.

Eh, già. Canzone romantica, titolo romantico, musica romantica… che può esserci di più vicino al concetto di amore di questa canzone?

Peccato solo che, questa canzone, parli di una lei che lascia un lui per un altro lui, e allora il primo lui ammazza lei perché non accetta che stia con il secondo lui. Semplice semplice. Il tizio che dice “ho difeso il mio amore”, non sta parlando di difendere la donna di cui è innamorato dalle grinfie di un balordo o qualcosa del genere. No, sta parlando di se stesso, del proprio egoismo.

“Se non posso averla io, non può averla nessuno”, questo sta dicendo il narratore della canzone.

Capito?

E le coppiette innamorate intanto che lo ascoltano nel suo delirio omicida se ne stanno strette, senza sapere di avere tra le braccia il loro potenziale assassino!

 

poi venne un altro,

gliela strappa di mano,

quel che poi sia successo,

lo capite anche voi…

ho difeso,

ho difeso,

il mio amore…

 
 

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Capitolo 39
*** Tu che farai ***


TU CHE FARAI

(1988)

 

Cosa dirai, quando lei verrà?

Cosa farai, se si fermerà?

 

La porta scricchiolò piano, quasi temesse di profanare il silenzio sacrale della stanza buia. L’uomo seduto in poltrona, che fino a quel momento aveva tenuto gli occhi bassi, fissi sul cofanetto pieno di gioielli che teneva sulle ginocchia, alzò lo sguardo. Fisso la nuova venuta, imperturbabile.

«Ti aspettavo», mormorò. «Sapevo che saresti arrivata.»

Lei venne avanti, facendo frusciare il suo lungo mantello nero.

«Tutti mi aspettano», rispose. «Tutti tendono a me, in un modo o nell’altro. Ma in genere non mi accolgono in questo modo. Si oppongono, bestemmiano, si affannano in ogni modo per sfuggirmi…»

L’uomo fece un sogghigno ironico.

«Tutto inutile», disse.

«Già», confermò lei, «tutto inutile.»

L’uomo abbassò di nuovo lo sguardo al cofanetto. Passò le dita ossute sugli ori e sulle pietre preziose, prese una collana di perle e se la fece scorrere adagio sui polpastrelli.

«Anche questo», precisò, «è stato tutto inutile. Anni e anni spesi ad ammucchiare questa roba per… per cosa? Non penso proprio di poterla donare a te, vero?»

Lei sorrise.

«Che cosa mai me ne farei?» chiese. «Io sono già ornata e onorata. Possiedo tutte le ricchezze, persino le più rare, anche quelle inimmaginabili…»

L’uomo si morse un labbro.

«Forse avrei fatto meglio a godermele», ragionò. «Investire una parte di queste ricchezze per vedere il mondo, regalarne alcune per fare felice chiunque ne avesse avuto di bisogno, magari per ricevere almeno una volta il sorriso luminoso della donna che avrei voluto amare… e, invece, ho sprecato la mia vita chiuso in questa stanza, a contare i soldi ogni giorno, illudendomi che, prima o dopo, mi sarebbero serviti…»

Sospirò e la guardò di nuovo.

«Pazienza», disse. «Magari andrà meglio la prossima volta… sempre che ci sia, una prossima volta.»

Il sorriso di lei fu bello e luminoso.

«C’è sempre una prossima volta», assicurò.

Poi tese la mano e lui la prese.

 

quando la falce verrà,

la soglia varcherà,

il nome chiamerà,

tu che farai…?

 

 

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Capitolo 40
*** Dammi un bacio ***


DAMMI UN BACIO

(1991)

 

Piata pianura, omida calura,

piopi caredi, moschi sinseli,

al sol, schegia ed veder,

al taia al man, al taia al predi.

Piata pianura, cun la tera dura,

ag viv al bess, la volp al ress,

al scapa vea al mat, occ ed gat,

c'la vest al dievel…

 

Ligabue Antonio.

Antonio Ligabue.

Toni.

Un pittore visionario. Dipingeva animali e luoghi esotici senza averli mai davvero visti con i suoi occhi. Un pittore innamorato.

Ma era anche parecchio brutto. Se non ci credete, guardate uno dei suoi numerosi autoritratti, oppure cercate una sua fotografia in bianco e nero, o magari color seppia. O, in alternativa, andate a Gualtieri, a mezza strada tra Brescello – il paese di Don Camillo – e Novellara – il paese dei Nomadi. A Gualtieri c’è il suo faccione scolpito nel bronzo, imponente e magnetico. Ma non per questo meno brutto.

Che ci si può fare. Bellezza e bruttezza vanno di pari passo. Ma se la prima è spesso latente e basta poco per accentuarla, la seconda è difficile mandarla via. E il Toni, di mandarla via, non ci pensava proprio.

Solo che lui era innamorato.

La “fortunata” era la Cesarina, la locandiere del paese.

Un giorno Antonio osò domandarle un bacio. Uno soltanto.

«Vedrai che poi è bello», disse. «Dopo.»

Cesarina ci pensò su. Sapeva che, nonostante tutto, Toni era un pittore famoso. Allora gli domandò qualche disegno in cambio di quel bacio. Toni, che avrebbe fatto di tutto per la Cesarina, cominciò a disegnare alcuni animaletti sopra un foglio, cani, forse tigri, cose così.

Poi Ligabue Antonio, detto Toni, diede il disegno.

E la Cesarina diede il bacio, sulla guancia.

 

E fu bello.

Dopo.

 

Ligabue.

Antonio.

Toni.


 

Ligabue, nes d’aquila,

al sbraia al ciel, la so peina,

Cesareina, per piaser, a voi un bes,

dammi un bacio.

 
 

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Capitolo 41
*** Marinaio di vent’anni ***


MARINAIO DI VENT’ANNI

(1993)

 

Quando il mare fa paura

e le onde son leoni,

e compaiono dal niente,

marinaio di vent’anni,

non guardare su nel cielo,

il tuo cuore cederà,

è l’Olandese Volante che va…

 

Andare per mare. Sfidare le onde ruggenti, solcare l’acqua impazzita per affacciarsi oltre l’orizzonte. Vincere l’ultimo confine e scoprire, vedere il mondo al di là del conosciuto, quel mondo lontano che accoglie il sole al tramonto.

La nave solca l’oceano. Contro la prua si infrange la spuma. Schioccano le vele, sbattute dal vento. Uomini che si affannano alle cime e alle manovre.

E un uomo solo in cima al castello di prua, gli occhi avanti, le mani strette al timone.

Un uomo che sfida le paure, che vince ogni sfida.

Un uomo che non ha timore di niente e di nessuno, nemmeno di Dio che ruggisce in quei cavalloni, cercando di contrastare la sua avanzata.

Un uomo che andrà per mare in eterno.

 

Fu punito anticamente

per avere bestemmiato

il suo Dio troppo ostile,

superando in gran tempesta

Capo di Buona Speranza,

è l’Olandese Volante che va…

 
 

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Capitolo 42
*** L’uomo di Monaco ***


L’UOMO DI MONACO

(1988)

 

E guardai, scrutai,

quel vecchio a Monaco,

quel sorriso, quella birra,

quante cose poi pensai.

La mia mente a una folla

di sguardi spietati

dietro a quei fili spinati…

 

Portai il boccale di birra verso le labbra, ma mi fermai. Prima di bere, sollevai il bicchiere verso l’uomo seduto al tavolo di fronte, in un segno di brindisi. Lui sorrise. Le sue mani artritiche afferrarono il suo, lo sollevarono con qualche certezza per il tremito che le scuoteva tutte e rispose al brindisi.

Bevve con evidentemente piacere.

Lo scrutai attraverso i fumi di cui era piena la birreria.

Quell’uomo era vecchio. Il suo viso era una ragnatela di rughe, il corpo smagrito e le mani smunte erano deboli e stanche. Solo la luce dei suoi occhi era rimasta brillante.

Mi chiesi cosa avessero fatto quelle mani, cosa avessero visto quegli occhi.

Aveva combattuto? Aveva ucciso? Aveva commesso atrocità nel nome del suo regime?

Era un vecchio. Ma prima di essere stato un vecchio chi mai era stato?

Di colpo compresi di come il tempo muti tutto. Le cose, le persone. Persino il peggiore degli assassini, col tempo, diviene un uomo qualunque, un uomo solo, verso cui si prova un istintivo moto d’affetto.

Forse è questa l’essenza del nostro essere umani. Non punire i colpevoli, ma perdonarli e sentirli comunque e sempre simili a noi.

 

Lo scrutai nel fondo dei suoi occhi,

lo fissai insistendo sempre più,

per vedere se c’era

colpa o paura perché,

per quale ragione…

 
 

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Capitolo 43
*** Sarà come il tempo vuole ***


SARÀ COME IL TEMPO VUOLE

(1990)

 

Passan ombre nella notte,

gioie e paure, noie

sarà come il tempo vuole…

 

Qualcuno potrebbe dire che io sia uno che si è arreso. Uno che ha smesso di crederci, di lottare, di fare alcunché. Uno che non prende più nessuna iniziativa e che si lascia scivolare le cose addosso, come vengono vengono.

Potreste dirmi che, a trent’anni, sono già vecchio.

Semplicemente, ho capito che affannarsi non serve poi a molto. Anzi, non serve a nulla. Perché il risultato del nostro affannarsi, alla fine, è sempre il medesimo. Corriamo verso la morte, pensando di poter cambiare il mondo. Invece arriva la morte, ma il mondo non lo cambia mai nessuno.

E nessuno può salvarlo, perché il mondo può salvarsi soltanto da sé.

 

Sarà come il tempo vuole,

come tra quelle nuvole

c’è anche il sereno…

 

 

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Capitolo 44
*** La deriva ***


LA DERIVA

(1985)

 

…io sogno ad occhi aperti,

tu lì, che dormi già

e accendo un’altra sigaretta

che non ti disturberà…

 

Ti sei mai chiesta come siamo arrivati a questo punto? Oppure è soltanto un mio pensiero, e per te non è cambiato nulla?

Ma a me pare proprio che stiamo diventando due estranei. Abitiamo insieme, mangiamo insieme, dormiamo insieme… in apparenza non è cambiato nulla. Ma c’è quel silenzio, tra noi, quel silenzio palpabile e insidioso.

Non ti sei accorta che stiamo andando alla deriva senza riuscire a fermarci? Siamo qui, trasportati da una corrente a cui non siamo capaci di opporci.

Ti guardo dormire, mentre fumo.

Mi è sempre piaciuto guardarti dormire.

Ma stavolta è diverso… sempre più mi accorgo di star guardando un’estranea, e forse arriverà il momento in cui sceglieremo di smettere di andare alla deriva e prenderemo ciascuno la propria strada.

 

noi oggi come ieri

la stessa ambiguità.

Noi fermi ad aspettare un treno

che non arriverà.

Noi sempre alla deriva…

 

 
 

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Capitolo 45
*** Senza discutere ***


SENZA DISCUTERE

(1975)

 

Lei trucca già, lei veste già

la mia solitudine.

Oggi mi va bene anche lei

senza discutere…

 

Siamo noi, un’altra volta noi, insieme io e te.

Solo noi, qui a fare l’amore, con la foga e la passione giovanile di sempre, quasi a voler così contrastare la gioventù che a poco a poco ci abbandona. Tu mi riempi, la tua mano mi cerca e abbatte la mia solitudine, la mia malinconia.

Ma, lo sai, mi sto semplicemente accontentando.

Oggi mi va bene fare l’amore con te, perché sì. Perché ne ho voglia.

La mia mente, però, è vuota di te. È piena di lei.

E ancora non so come fare per dirtelo.

 

Non parliamo, allora. Non farmi domande.

Non chiedere e non avrai risposte.

Facciamo l’amore, e accontentiamoci insieme.

 

Mi abbandono a te, completamente.

Mi abbandono alle tue carezze, ai tuoi baci.

Al tuo corpo accanto mio, questi corpi tra cui esplode la vita.

Senza discutere.

 

ma far l’amor con lei

non ha più senso ormai,

se penso che

tu vivi nell’anima,

dentro la pelle mia,

mentre la mano sua

mi cerca ancora…

 
 

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Capitolo 46
*** I miei anni ***


I MIEI ANNI

(1977)

 

Ho corso questi anni,

come gli ultimi che avevo.

Con la paura davanti

della gioventù che perdevo…

 

Affannarsi.

Fare.

Rifare.

Cercare di andare oltre.

Non fermarmi mai.

Correre sempre, per vincere la sfida dell’età. Per non lasciare che gli anni che incombono prendano il sopravvento, trascinandoci nel vortice della vecchiaia da cui non si può sfuggire. Ognuno ha paura di invecchiare, di perdere ciò che ha per andare incontro al proprio destino.

Arriva quel momento, però.

Quel momento in cui ci si ferma, volenti o nolenti.

E allora si capisce di essere invecchiati… e ci si accorge che, invecchiare, non è poi così male. Accade in maniera del tutto naturale, fa parte della vita.

E forse quello che si è guadagnato è molto più di quanto si temeva di perdere.

 

e ora che le rapide

sembrano finire,

si addolcisce la rabbia

ma non riesco a dormire.

E mi domando se comincio a invecchiare

o sto cambiando modo di lottare…

 
 

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Capitolo 47
*** Donna ***


DONNA

(1994)

 

Donna, facciamo l’amore

perché tra noi non occorre parlare…

 

Siamo abbracciati davanti al camino. Le braci scoppiettano e spargono un delicato tepore sui nostri corpi nudi e affannati.

Quante parole abbiamo sprecato, quante cose ci siamo detti.

È davvero servito a qualcosa, perdere tutto quel tempo in chiacchiere?

Non è adesso, insomma, che siamo davvero completi?

 

 

…allora vieni qui, ancora… a fare l’amore in silenzio…

 

di te ora voglio esser fiero

con il tuo aiuto sarò un uomo vero…

 
 

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Capitolo 48
*** Vento caldo ***


VENTO CALDO

(2016)

 

Solo tu ti accorgi dei miei sogni

e ti sta svegliando questa estate.

Se nei boschi tornano le fate

capisce il tuo cuore perché…

 

Sulla terrazza inondata di luce soffiava un vento caldo, proveniente dal mare. Avviluppati attorno alla pergola, i rami del glicine lasciavano cadere i loro fiori purpurei, il cui profumo leggiadro si spandeva tutto attorno. Nel cielo terso non si vedeva una sola nuvola. Più in basso, le onde spumose si infrangevano contro la scogliera come promesse non mantenute. Una vela, riempita dal vento di levante, ora appariva e ora scompariva tra i marosi, stagliandosi bianchissima contro il blu d’oltremare che si perdeva nell’infinito, celando i segreti del Mediterraneo.

Gli occhi del poeta si dischiusero, osservando le statue di marmo che ornavano gli angoli della terrazza, accanto a vasi in cui prosperavano grandi piante di limone. Statue di antiche divinità, fiere nella loro nudità.

Poi il suo sguardo tornò a posarsi sulla pagina dove aveva vergato le parole di quella poesia. Una poesia d’amore, intrisa di quella sottile malinconia che soltanto le giornate d’estate spese in solitudine sanno portare.

Perché se in estate si è soli, è come se l’estate non ci fosse. Come se tutte le sue promesse, i suoi amori perduti, i suoi sogni vani se ne volassero via nel vento caldo soffiante dal mare.

Il poeta tirò un tratto di penna, corresse una parola, aggiustò un verso.

«L’estate è qui», mormorò, «ma ancora nessuno se ne è accorto…»

Le sue parole, catturate dal vento, si persero oltre l’orizzonte.

Il dolce profumo dei glicini lo inebriò.

 

È tornato il sole ma è un po’ stanco,

c’è l’estate non lo sa nessuno.

Anche tu che ascolti non esistiti,

non parlo con nessuno, son solo per te.

Vento caldo non ti fermi mai,

come un vagabondo te ne vai,

porti il mio discorso per le vie del mondo…

 

 
 

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Capitolo 49
*** Rotolando va ***


ROTOLANDO VA

(1986)

 

Ogni volta che non vuoi,

tra colpe e falsità,

cambiare la realtà,

cosa devo pensare…

 

Ho smesso di domandarmi di fu la colpa.

Che senso avrebbe, adesso, sapere che fu colpa mia, oppure tua? A che cosa servirebbe? Ammettere gli errori – i miei, i tuoi, i nostri errori – non ti riporterebbe certo indietro da me. Non cambierebbe le cose per come sono andate.

La malinconia che mi si è rovesciata addosso da quel giorno, sai, sono riuscito a vincerla. Ora vado avanti per la mia strada, come tu vai per la tua. È giusto così, in fondo. Non ci siamo capiti – forse non abbiamo voluto farlo, persi com’eravamo nell’illusione che tutto andasse bene – e, prima di poterci provare per davvero, ognuno di noi è andato via.

L’ho accettato, mi sta bene. E se tu sei felice, sono felice anche io. Sono felice per te e sono felice per come sta proseguendo la mia vita. Tutto qui. Ho sempre detto e ripetuto che, per esserci felici, non ci voglia poi troppo. Basta non pensarci poi troppo. A che cosa, potresti chiedere. Be’, ma a tutto.

Sì, non pensare troppo a tutto quanto.

Okay, sto bene. Sono andato avanti, quando l’idea che io e te potessimo stare insieme è rotolata definitivamente via, come un sasso lanciato giù per un dirupo.

Ma… ma mi perdoni, vero, se ho conservato quella vecchia fotografia in bianco e nero che ci siamo scattati? Lo ricordo ancora come se fosse ieri, quel giorno di tanti anni fa. E qualche volta, quella fotografia, me la riguardo. E se qualcuno mi vede, e mi domanda chi sia quella bella donna… be’, perdonami, non posso farne a meno di dire che lei – tu – era mia.

Sì, perché ho superato la malinconia, ma un pizzico di vanità, dentro di me, per ciò che fu, l’ho conservato.

 

tu chiamala vanità

se un giorno si dirà

su una fotografia

sai, quella donna

è stata mia”.

 
 

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Capitolo 50
*** Una storia da raccontare ***


UNA STORIA DA RACCONTARE

(1998)

 

Il vento passava le sbarre

fischiettando canzoni tristi,

e portava i ricordi di vita

come nastri a colori già visti…

 

Quando l’essere umano si erge ad arbitro del destino di un proprio simile, sveste i suoi panni di “uomo” per indossare quelli di “dio”. In quel momento, la razionalità scompare dalla mente e cede il posto a una follia ragionata, quella che spinge a decidere per la vita e per la morte.

C’è qualcosa di malato, nell’uomo che uccide. Sia esso un assassino o un giudice che condanna a morte, un boa con un cappuccio nero sulla testa che esegue la sentenza.

E nella mente di chi sta per andarsene che cosa passa?

Cosa pensa l’uomo che non può più sottrarsi al freddo velo, perché i suoi simili hanno decretato che abbandoni la vita, che muoia?

Forse c’è la speranza della luce, del vento che soffia dolce, del cielo azzurro, di tutte quelle cose belle che il parassita umano non potrà cancellare.

 

e c’è un’altra storia da dire,

una favola da immaginare,

un amore che non può finire…

 

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Capitolo 51
*** Sangue al cuore ***


SANGUE AL CUORE

(2002)

 

Girano e rigirano i pianeti

girano anche sotto i nostri piedi,

scaviamo fino in fondo al nostro cuore

e troviamo solo altro rumore,

restiamo in piedi adesso…

 

 

Nel 1992 sui Nomadi si abbatté una di quelle batoste da cui difficilmente ci si può riprendere. Molti, a quel punto, avrebbero gettato la spugna e si sarebbero rassegnati alla malinconia dei ricordi.

Non loro. Non i Nomadi.

Loro riuscirono a risollevarsi. Ci riuscirono con quella testardaggine e quella testa dura tutta emiliana che li ha sempre contraddistinti. Quella stessa testa dura che li aveva sempre indotti a schifare le mode e a fregarsene quando il circuito musicale li snobbava in modo totale. D’altronde, come loro stessi avevano cantato anni prima, “in America lo sanno che i padani sono duri”.

I Nomadi ricominciarono tutto da capo.

Di colpo, nel 1993, un gruppo storico della musica italiana, che aveva collezionato decine di successi e sfornato brani leggendari, si ritrovò a fare i conti con se stesso e con un passato su cui non era più possibile adagiarsi. Magari altri avrebbero potuto farlo, avrebbero potuto riposare sugli allori. Ma, ancora una volta, non sarebbe stata una faccenda da Nomadi. Ripartirono da zero, nel rispetto e nel ricordo di quello che era stato, ma con lo sguardo ben piantato nell’avvenire.

A trent’anni suonati, fu come se ne avessero uno. E ripresero il discorso da dove si era interrotto, pronti ad andare avanti per altri dieci, venti, trenta, forse anche cento o magari mille anni ancora.

E lo fecero. Nel giro di un decennio si ripresero da quella batosta. Scalarono le classifiche, macinarono chilometri su chilometri per portare i loro concerti nelle piazze, divennero una costante delle estati italiane. E, come in passato, i loro brani tornarono in rotazione sulle radio, nelle televisioni. Brani come Io voglio vivere, Il vento del nord, Dove si va, Stop the World, Lo specchio ti riflette, Trovare Dio, Sangue al cuore e tantissimi altri tornarono a renderli immortali.

I Nomadi dimostrarono di aver detto il vero.

Padani e duri.

Inscalfibili.

 

Io voglio solo che arrivi sangue al cuore,

voglio un sole che arda in mezzo al cielo.

Io mi voglio scaldare,

voglio fare l’amore,

voglio stare con te

e il mondo sa dove va…

 

 

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Capitolo 52
*** Il paese delle favole ***


IL PAESE DELLE FAVOLE

(1982)

 

Paperino sta in catena e lavora di gran lena,

Paperina con passione vende baci a Paperone,

Qui Quo Qua sono andati via, vanno a rischio nell’autonomia

e voi intellettuali ne avete già discusso:

a che serve poi menarla con la storia del riflusso…

 

«I giornali annunciano bombe, morte e distruzioni. Le cronache parlano di furti, di infiltrazioni, di inganni e depistaggi. Frodi e ladrocini si susseguono senza sosta, grassi politicanti senza scrupoli, adagiati sui loro molli sederoni, si spartiscono insieme le fette di torta, dopo aver cianciato l’uno contro l’altro come anatre starnazzanti.

Ci sarebbero tutte le basi per una rivoluzione su scala globale.

Ognuno di noi dovrebbe prendere in mano la sua coscienza e ribellarsi. Se ci unissimo tutti, saremmo come una marea inarrestabile.»

Sollevo lo sguardo dal telefono e lo fisso sul Professore.

Il Professore è un vecchio sessantottino arrabbiato e non ancora disilluso, come invece è accaduto alla maggior parte dei suoi coetanei. Insegna filosofia, nemmeno a chiederlo. Con la sua barba grigia, i capelli lunghi e gli occhiali rotondi, mi ricorda qualcuno. Non saprei dire di preciso chi.

Non dico nulla.

«Come diceva quello, ci siamo ritirati. C’è stato il riflusso nel privato», va avanti a dire. «Ma che cosa succederà, quando ci sveglieremo? Quando ci accorgeremo di aver votato per Alì Babà e i quaranta ladroni? Quando ci stancheremo di pagare bolli e assicurazioni senza nemmeno sapere perché li stiamo pagando? Cosa accadrà quando saremo riusciti ad afferrare la carota con cui ci scorrazzano per il lungo e per il largo?

Quel giorno saranno in molti a tremare.

Quel giorno saremo inarrestabili.

Saremo come l’onda implacabile che segue al riflusso.»

Lo lascio parlare. Intanto torno alla mia occupazione: far scorrere sullo schermo dello smartphone il catalogo di Amazon.

Voglio vedere se è finalmente disponibile l’ultimo modello di smartphone, perché il mio ormai è vecchio.

 

e voi intellettuali

non avete mai discusso

di come torna l’onda

alla fine del riflusso…

 

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Capitolo 53
*** Tutto a posto ***


TUTTO A POSTO

(1974)

 

sono arrivato:

la notte azzurra attorno a me,

luglio fra quei rami e

il profumo dell’estate ancora c’è…

 

Siamo silenziosi, questa sera.

Io seduto al tavolo, lei di fronte a me.

Senza dire una parola.

Sono stato via diversi anni. Ho vagabondato per il mondo, alla ricerca di non so nemmeno io che cosa. Il bello di fare così, è che trovi tutto e niente, e puoi comunque dirti soddisfatto. Hai raggiunto il tuo scopo, perché non avere uno scopo è il modo migliore per non restare scottati e delusi.

Poi è arrivata la nostalgia della vecchia vita, e ho deciso di tornare.

Tutto come allora. Gli alberi, la strada polverosa, la ferrovia che corre oltre la collina. L’estate che tinge di azzurro la notte, la vecchia casa di pietra. E nella casa lei, ad aspettarmi. Come ero certo che sarebbe stato.

Tutto a posto, allora.

Solo che, come si suol dire, ho fatto i conti senza l’oste.

Lei non mi aspettava, lei non attendeva il mio ritorno. Se è tutto a posto per me, non lo è per lei.

E allora, amica mia, domani me ne andrò ancora. Intraprenderò ancora una volta le vie del mondo, alla ricerca di qualcosa. E stavolta, non temere, non tornerò.

E allora sì, vedrai che sarà tutto a posto.

 

tutto è a posto lo so,

tutto è a posto perché,

tutto è come quando me ne andai,

tranne lei…

 
 

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Capitolo 54
*** Un pugno di sabbia ***


UN PUGNO DI SABBIA

(1970)

 

Che sapore c’è,

ritornar con te.

Ho nel cuore l’amore

insieme a te

ma con gli occhi rivedo ancora lui,

con te…

 

Ci stringevamo nella notte, ci baciavamo sulle spiagge, camminavamo tenendoci per mano tra le strade e nelle piazze. Eravamo io e te, insieme. Grazie a te, finalmente, sapevo che cosa significasse amare, avere nel cuore una persona e non pensare ad altro che a lei.

Poi però è venuto lui.

Io non so che cosa avesse in più. Nemmeno lo voglio sapere. So solo che ti ha stregata, che sei diventata sua, che mi hai dimenticato. Capita, succede, lo accetto. Fa male – malissimo, te lo assicuro – ma lo accetto.

Questa è la vita, dopotutto. C’è chi arriva e chi parte. Nessun rancore.

Però, sai, quando penso alle sue labbra sulle tue, alle tue mani che stringono le sue e non più le mie, mi prende un nodo alla gola e mi ritrovo ancora oggi a versare lacrime amare.

Ma che devo farci?

Questa è la vita.

Anche se la vita, ora lo so, fa un mucchio male.

 

ti baciava le labbra

e io di rabbia morivo già.

Ti baciava le labbra

e un pugno di sabbia

negli occhi miei…

 

 
 

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Capitolo 55
*** Cammina, cammina ***


CAMMINA, CAMMINA

(1991)

 

Cammina, cammina

quante strade.

Partire, ritornare…

rimangono nel cuore e nella mente…

 

Il mondo si stende all’orizzonte. Le strade puntano nella luce dorata del sole, si perdono, si inseguono l’una con l’altra. Dietro ogni svolta una scoperta, a ogni bivio un nuovo inizio.

Si vede il mondo, seguendo le strade. Si incontrano donne e uomini, e le loro idee. Ogni luogo sconosciuto diventa familiare. Andando per strada, ci si accorge che barriere e confini non sono altro che un’invenzione, una sciocca convenzione. Il mondo è fatto per gli esseri umani, che si muovono per le strade e non hanno paura del confronto, del diverso.

Poi si torna. Si torna sempre, una volta o l’altra.

Ed è anche bello rivedere i luoghi di sempre, i volti di ogni giorno. Ma già si pensa a ripartire, perché andare e scoprire riempie, è sempre più bello del tornare.

 

Cammina, cammina

quante scarpe consumate,

quante strade colorate,

cammina, cammina…

 

 
 

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Capitolo 56
*** Il segno del fuoriclasse ***


IL SEGNO DEL FUORICLASSE

(2021)

 

Eccomi amico mio,

ci hai messo te con l'ultima finta,

sei sceso dal palco e stavolta sei uscito davvero.

Uso la penna perché trema la voce

e col microfono non sono capace

di dare vita ai racconti, ai nostri momenti,

di far sorridere tutti i presenti.

I giorni caldi d'estate, gli scherzi e le risate,

la vita passava di qua,

i nostri sogni cavalcavano il vento,

invece a te bastava solo il talento…

 

Augusto, noi non ti dimenticheremo mai.

Con la tua barba, i tuoi occhiali da miope, la tua eterna sigaretta e la tua voce magica. Hai dato voce a intere generazioni: lo facevi quando eri sul palco e lo fai ancora oggi che sopravvive il tuo ricordo. Hai insegnato a tutti quanti a non arrendersi.

A volte però, sai, saremmo in tanti a volerti ancora qui. Ci sarebbe davvero tanto bisogno di te. Quando tutto comincia ad andare storto, a diventare nero e tetro, si sente l’assenza di una tua parola, di un tuo gesto.

Allora ti ricordiamo ancora, e basta l’ascolto di una delle tue canzoni. Ecco, sei ancora qui con noi. Sei di nuovo su quel palco, a saltare, ballare e urlare come solo tu sapevi fare. A sfottere con la tua sottile ironia gli altri cantanti, quelli che proprio non ti piacevano.

Ci sarebbero mille frasi che hai detto. Frasi una più bella dell’altra. Io voglio citarne una che hai pronunciato nel corso di un concerto a Torino, nel 1991. Per ricordarmi che anche un grande intellettuale come te aveva il dono di far divertire e ridere. Ti bastava poco per regalare un sorriso.

«Ringrazio anche quelli che non sono venuti. Perché?! Forse perché sono buono! Ringrazio, in fondo, anche quelli che vanno ai concerti di quel cantante là. Sì, quella gente lì è meglio che vada là, non vorrei mica trovarmela qui attorno!»

E poi ti ricordo con quella frase che pronunciavi sempre, che urlavi da sopra il palco, che era il tuo mantra. Qualcosa in cui hai creduto fino in fondo, fino all’ultimo, fino all’ultima goccia di sangue.

«Ancora una volta, con tutto il sentimento di cui il nostro cuoricino sia capace, sempre Nomadi!»

 

ed il ricordo si fa leggero

se ti rivedo in ogni angolo del cielo,

in fondo a un sogno

dentro ad un lampo,

nei ragazzini che si affacciano sul palco…

 
 

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Capitolo 57
*** Dio è morto ***


DIO È MORTO

(1967)

 

Ho visto

la gente della mia età andare via,

lungo le strade che non portano mai a niente,

cercare il sogno che conduce alla follia,

nella ricerca di qualcosa che non trovano

nel mondo che hanno già…

 

«Un giorno ci daremo tutti quanti una svegliata e capiremo che, questo stato delle cose, non può continuare! Allora sì, che a qualcuno tremerà il fondoschiena, perché quando il popolo si arrabbia, cadono troni e crollano nazioni!»

Tanto per cambiare, il Professore sta pontificando. Di fuori è invecchiato, non c’è dubbio. Ma, di dentro, è altrettanto indubbio che sia rimasto lo stesso rivoluzionario sessantottino di sempre. Uno di quelli che avevano un’ideale… e che non lo hanno abbandonato. Sono rimasi fedeli alla linea, come si suol dire.

Al contrario di tanti altri.

«Ci renderemo conto che denaro, potere, falsi miti e inutili illusioni non sono la realtà!» prosegue. «Tutto questo è la nostra morte, la morte di dio! Però, io lo sento, un giorno comprenderemo che cosa conti per davvero, e allora ci ribelleremo!»

Il Professore, quando sente suonare quel vecchio brano, si esalta sempre. Soprattutto alle strofe finali, quando si profetizza il mondo che verrà, in un crescendo in cui – con inquietudini molto sessantottine – si annuncia la fine del mondo vecchio e la nascita di un tempo nuovo.

Onestamente, non condivido la sua visione del mondo. La trovo vecchia e superata. Ormai non ci crede proprio più nessuno, al mondo che verrà. Sono abbastanza disilluso, io.

Quando ascolto questa canzone, la stoppo sempre al termine della seconda strofa, sull’ultimo “dio è morto”. Dubito che, quel vecchio dio, possa davvero risorgere.

Non ce ne sono più le basi.

Ma il Professore non la pensa come me, e io sarei ben felice di essere sconfessato da lui.

Lui, che la canzone riesce ancora ad ascoltarla fino in fondo, e a crederci, soprattutto.

 

Io penso,

che questa mia generazione è preparata,

a un mondo nuovo e a una speranza appena nata,

ad un futuro che ha già in mano,

a una rivolta senza armi,

perché noi tutti ormai sappiamo

che se dio muore è per tre giorni

e poi risorge…

 
 

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Capitolo 58
*** Come potete giudicar ***


COME POTETE GIUDICAR

(1966)

 

Come potete giudicar,

come potete condannar,

chi vi credete che noi siam

per i capelli che portiam…

 

Ho ascoltato per tanti e tanti anni la canzone Come potere giudicar. Anzi, avendo io sempre portato i capelli lunghi fin dalla prima adolescenza – con qua e là qualche intermezzo più o meno lungo in cui li ho tagliati nel tentativo di fare la persona seria: ma non ci sono riuscito – ne ho in pratica fatto la mia bandiera.

Da adolescente mi perseguitavano i compagni di classe.

«Quand’è che ti tagli i capelli?»

«Dai, tagliali!»

«Guarda come stai bene!» (questo una volta che li avevo tagliati per davvero, e ancora che non mi capitò addosso un “stavi meglio prima”).

A casa, poi, era una lotta continua.

«Ma tagliali, dai!»

«Giusto una spuntatina!»

«Stavi meglio prima!» (e questo mi è proprio capitato quella volta in cui li tagliai per davvero).

Insomma, pare proprio che io, essendo maschio, dovessi per forza conformarmi a portare i capelli corti. E oggi, che non sono più adolescente, è ancora una lotta continua, non solo per i capelli, ma anche per come mi vesto. Come se uno sia obbligato a seguire chissà quali misteriosi dettami, giusto per conformarsi.

Però, sono stato fortunato. A me nessuno ha mai tirato le pietre per i capelli lunghi.

Ai Nomadi accadde. Lo ha raccontato più volte Beppe Carletti.

Erano gli anni ‘60 e i Nomadi stavano partecipando al Cantagiro. Un giorno, mentre erano fermi a un passaggio a livello, furono aggrediti da un anziano signore, che cominciò a scagliare loro addosso dei sassi. Insomma, per il vecchietto, l’immoralità di uomo con i capelli lunghi era tale da meritare la lapidazione.

Un po’ come nella Bibbia, stavo per dire. Ma devo correggermi: chissà perché, io Gesù Cristo me lo sono sempre immaginato capellone, trasgressivo e ribelle. Un figlio dei fiori dell’Impero Romano.

Solo che Gesù Cristo ha fondato una religione, e quindi gli si perdona un po’ tutto.

Per questi giovinastri del Ventesimo (e Ventunesimo) secolo con i capelli lunghi, nessuno sconto!

 

ma se vi fermaste un po’ a guardar,

con noi parlar,

vi accorgereste certo che

non abbiamo fatto male mai…

 
 

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Capitolo 59
*** Nomadi ***


NOMADI

(2017)

 

Siamo noi, assetati di vita,

siamo noi, passeggeri del tempo,

siamo noi, viviamo ogni momento,

lungo le strade di sogni, parole emozioni…

 

Quando si pensa ai Nomadi, diventa quasi inevitabile pensare anche a un altro grande protagonista della musica italiana: Francesco Guccini.

So di gente convinta che, le canzoni dei Nomadi, siano state tutte o quasi tutte scritte da Guccini. In verità, la collaborazione tra il gruppo e il cantautore è durata giusto un paio d’anni, tra il 1966 e il 1968, e conta una ventina di canzoni, comprese quelle che i Nomadi hanno aggiunto al loro repertorio in anni successivi.

Venti o poco più canzoni su un totale di oltre trecentocinquanta brani incisi non può certo essere considerata una percentuale enorme!

Eppure, è innegabile che i brani di Guccini abbiano lasciato il segno, nella storia dei Nomadi. Forse, allora, era inevitabile che uno degli ultimi brani scritti da Francesco si intitolasse proprio Nomadi e fosse scritto per il gruppo.

Una canzone malinconica, che non ha bisogno di troppe presentazioni.

 

siamo noi, occhi accesi sul mondo,

siamo noi, spirito vagabondo…

 

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Capitolo 60
*** Io vagabondo (che non sono altro) ***


IO VAGABONDO (CHE NON SONO ALTRO)

(1972)

 

Io un giorno crescerò

e nel cielo della vita volerò…

 

È un giorno d’estate.

Uno di quei giorni in cui il sole ti batte sulla testa, mosche e zanzare non danno tregua e l’afa ti preme persino sulla coscienza. Uno di quei giorni in cui – quasi con attonita disperazione – ti ritrovi a domandarti come sia possibile che, insieme all’acqua nelle fontane, non sia ancora evaporato anche tu.

Ma stasera succede qualcosa che fa dimenticare i patimenti della canicola.

Un panino prosciutto e formaggio al volo, una birra fresca e via, si parte in macchina. Le strade sono polverose, inondate della luce dorata del tardo pomeriggio. Le automobili si affannano lungo i viali su cui i tigli ancora cercano di gettare un vano barlume d’ombra fresca. La schiena si incolla alla camicia e la camicia al sedile.

Si macinano chilometri. Incroci, rotatorie, semafori. Paesetti dimenticati dove ti guardi attorno e ti dici che tu, in un posto come questo, non ci vivresti nemmeno se ti regalassero la casa. Non che il posto dove abiti tu sia tanto meglio, chiaro. Ma quello è il tuo paesetto, è tutt’altra storia.

Andate, tu e la macchina, lungo la strada. Già che ci sei, accendi l’autoradio. Giusto per avere un po’ di compagnia. Le solite scariche disturbate, ricezione sfalsata, la réclame di una salumeria ficcata in un qualche posto del Triveneto che non hai mai nemmeno sentito parlare. Poi arriva la telefonata della solita vecchietta che parla al rallentatore. “Ciao, Radio Birikina, volevo dedicare la Ballata del Camionista all’Aldo e al Giovanni che vanno tutti i giorni sulla strada. Ciao Birikina, grazie…” Prima che parta Casadei, è partito il tuo dito ad avviare il lettore del cd.

Non che si senta benissimo, ma adesso dalle casse gracchianti e polverose esce la musica del tuo disco preferito dei Nomadi. L’album si intitola Gente come noi e i brani che si susseguono sono Gli aironi neri, Il serpente piumato, Dammi un bacio…

Ed è sulle note di Salutami le stelle che arrivi. Gironzoli per un po’ per il paesetto, un anonimo paesetto della Bassa come un altro, circondato da pianure coltivate a vigneto e mais, alla ricerca di un posto dove ficcare la macchina. Bestemmi come un turco – anche se non ne hai mai sentito uno bestemmiare, a dire il vero – quando un tizio con la faccia da sanguisuga si infila prima di te nell’unico posto libero, che avevi adocchiato da là in fondo. Era tuo di diritto, ma lui se l’è preso. Ti ha lanciato uno sguardo di sfida e ha vinto lui. Ingiustizie della vita. Potrebbe venirne fuori una rissa – ne nascono per molto meno – ma lasci correre. E poi fa troppo caldo per mettersi a litigare adesso.

Alla fine la lasci davanti a un cancello, su cui non ti sembra di avere visto affisso nessun cartello di “Passo Carrabile – Divieto di Sosta – Aut. 152”. Almeno, ti sembra.

Ti avvii tra un viottolo pieno di erbe rinsecchite e un muretto di pietra che costeggia un orto polveroso, senza domandarti se, al ritorno, la tua macchina ci sarà ancora o dovrai fartela a piedi fino al parcheggio dell’ACI. Perché mai fasciarsi la testa prima di essersela rotta?

Passi un vicolo, superi un ponticello sopra la roggia – in secca, e che lascia evaporare miasmi mefitici che sanno di fogna – e sei in piazza. Il palco è stato montato sul lato opposto alla chiesetta, il cui campanile sta finendo di rintoccare proprio in quel momento le 21. Le porte del municipio sono già sbarrate da un bel pezzo.

Manca poco.

Il pubblico comincia ad assieparsi, gente che si conosce si saluta, si fanno nuove conoscenze, si scambiano opinioni. Qualcuno esprime una speranza di sentire una canzone, un altro – il solito saputo – scuote la testa: «Quella non la fanno da almeno due anni.»

Tu te ne stai lì, un po’ in disparte, le mani in tasca. Conosci tutto e tutti e non conosci nessuno. Sei lì, insieme agli altri fan, quelli che ogni volta arrivano da tutta Italia nei posti più sperduti e impensabili per sentire un concerto. Anche tu, pur essendo un cosino piccolino, sei parte di quello che si chiama il “popolo nomade”.

E, in un certo senso, la cosa ti appassiona. Sei parte di qualcosa, dopotutto.

Si abbassano le luci in piazza, si accendono i riflettori del palco, la macchina del fumo crea una nebbia compatta e partono le note della tastiera di Beppe. Proprio la canzone che il saputo di prima assicurava non suonassero più. Tiè.

Poi eccoli, uno per uno iniziano a suonare e cantare, e tu – voi, ormai – canti e salti insieme ai Nomadi. Le note e le parole si inseguono per un’ora, due, quasi tre.

Mediterraneo, Ho difeso il mio amore, Ti lascio una parola, La libertà di volare, Noi non ci saremo, Il pilota di Hiroshima, Suoni e tante, tante altre, troppe per tenerle tutte a mente. Sessant’anni di storia italiana riassunti in tre ore di concerto, tre ore di emozioni, tre ore scalmanate e piene di adrenalina, di energia, di forza vitale. Non sarà San Siro, sarete forse in mille e non cento volte tanti, ma a te pare davvero di star assistendo al concerto del secolo.

E tu sei lì che sudi, che urli, che ti dimentichi la stanchezza e che dimentichi chi sei, e pensi che potrebbe non finire mai, che potrebbe durare in eterno…

Ma ecco, è ancora il suono del piano di Beppe Carletti ad annunciare la fine del concerto. Lo fa quando comincia a intonare le note di quella canzone che è diventata il loro simbolo, il simbolo del popolo nomade, il simbolo delle estati e della musica in tutta l’Italia, forse in tutto il mondo, chissà.

Prima della canzone, si leggono i bigliettini e gli striscioni di cui è pieno il palco. Poi arrivano i saluti, la presentazione dei musicisti, senza scordarsi che, su quel palco, ci saranno per sempre anche Augusto Daolio e Dante Pergreffi.

Si intonano le parole.

«Io, un giorno crescerò, e nel cielo della vita volerò…»

Il pubblico esplode, è il solito delirio. Non finisce mai… ma poi finisce. Inevitabilmente, come sempre, arriva davvero la fine. I Nomadi suonano il Te Deum di Charpentier. Come in diecimila altre occasioni, quel motivo che in televisione annuncia l’Eurovisione, qui annuncia che è il momento di andarsene tutti quanti a dormire. Il pubblico non è stanco, tutti saltano e cantano anche adesso, come all’inizio della serata.

È di nuovo il tempo dei saluti, degli abbracci finali, di tornare alla macchina e di rimettersi in viaggio.

Ma non è la fine.

È solo l’annuncio di un nuovo inizio, perché il viaggio continua.

E tu, con i timpani che fischiano e la mente ancora piena di parole e emozioni, ritorni verso la macchina – che, per tua fortuna è ancora lì, “perché tanto non dovevo andare da nessuna parte, e passi stasera, ma la prossima volta non sarò tanto indulgente” ti annuncia il biglietto infilato nel tergicristallo – e ti rimetti in viaggio.

La strada è buia, l’asfalto scivola sotto gli pneumatici, e già pensi a quando tornerai a rivivere queste emozioni.

 

 

io, vagabondo che son io,

vagabondo che non sono altro,

soldi in tasca non ne ho

ma lassù mi è rimasto dio…

 

 
 

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