Sandman

di trollpazzo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno - Fantasmi del Passato ***
Capitolo 3: *** Capitolo due - Sto bene, ovviamente ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre - Bingo! ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro - Nella tana del lupo ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque - l'Incubo ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei - Dubbi e domande ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo



Chiuse la porta e le finestre, afferrò una birra e un pacchetto di patatine al formaggio e si era lasciò cadere sul divano con un sospiro. Lanciò un’occhiata all’orologio appeso sopra il caminetto: l’una meno un quarto. Beh, per i suoi standard, molto presto.

Stappò la birra.

Aveva vagato in città per ore, ma ormai erano finite le scuse per non tornare a casa, perciò si era arresa. E un messaggio di Hermione le aveva ricordato che doveva ancora cenare. Beh, in realtà il messaggio era di quattro ore prima, ma quelli erano dettagli insignificanti.

Buttò giù un sorso di birra, nella vana speranza che se ne avesse bevuta abbastanza sarebbe riuscita a dormire. Non aveva mai funzionato, ma la speranza era l’ultima a morire, no?

Stava aprendo le patatine (erano al formaggio, perciò, teoricamente, contenevano qualcosa di nutriente…) quando il caminetto si illuminò di fiamme verdi e una figura atterrò tra la cenere, tossendo.

Aurora reagì a malapena: cominciò a mangiare le patatine e fissò la figura che emergeva dal caminetto, sgrullandosi la cenere di dosso sulla moquette. Si sarebbe potuta arrabbiare, se le fosse importato qualcosa.

La figura schioccò le dita e le luci della sala si accesero. Era un uomo sulla quarantina, giacca beige, jeans, barbetta nera e qualche capello grigio tra la massa corvina. Subito guardò il pacchetto di patatine che Aurora stava mangiando.

- Sarebbe la tua cena? – chiese, l’espressione che si stava già spostando su quella mezza preoccupata e mezza esasperata che tirava fuori spesso, quando aveva a che fare con Aurora.

- Non dovresti essere contento che stia mangiando qualcosa? – ribatté lei con il suo sorriso innocente.

L’uomo scosse la testa con un sospiro.

- E’ sabato sera, Sam, - continuò Aurora. – Sei venuto solo a controllare le mie pessime scelte di vita? –

- Volevo darti il bentornato a Londra, - rispose lui, sedendosi accanto a lei. – E ho un caso -

- Grazie a Merlino! – esclamò Aurora, mettendo da parte le patatine e la birra (e ignorando lo sguardo di rimprovero di Sam). – Di che caso si tratta? Deve essere grave o molto complesso se sei venuto qui di persona, sabato sera, solo per parlarmene. Avresti potuto aspettare lunedì, ma non hai tempo, vero? Le hai provate tutte e hai fretta di risolverlo, quindi qualcosa di molto pericoloso… o qualcosa per cui i media ti stanno addosso. A giudicare dalla tua espressione preoccupata, non volevi coinvolgermi, ma sai che al momento sono la tua migliore scelta… -

- Va bene! – Sam alzò le mani in segno di resa. – Ti dirò tutto, puoi smettere di farmi il profilo –

Aurora sbuffò. – Sai che non posso spegnerlo –

– Ricordami perché ti sopporto? –

- Perché non hai altra scelta! – esclamò lei con un insopportabile sorriso in volto. – Ora, parla –

- Omicidio. Un Mangiamorte in fuga ha ucciso un Babbano. Pensavamo fosse omicidio colposo, una necessità per scappare, il Babbano ha persino lesioni da difesa, perciò il Mangiamorte non l’ha ucciso subito con l’Avada Kedavra. Pensavamo questo indicasse che non aveva intenzione di ucciderlo, almeno non all’inizio, e che è stata la sua ultima spiaggia. Ma mentre cercavamo di rintracciarlo, abbiamo trovato altri cinque cadaveri… a diversi stadi di decomposizione –

- Perciò uccide da tempo, - annuì Aurora. – E’ un serial killer, ma con le vostre solite indagini non siete riusciti a trovarlo, perciò sei venuto a cercarmi –

- Sei la nostra migliore possibilità al momento, Kingsley vuole che chiudiamo il caso in fretta: un Mangiamorte ancora non rinchiuso ad Azkaban è un conto, ma un Mangiamorte serial killer che sta uccidendo babbani? Questo è un altro paio di maniche –

- E’ al suo primo mandato con Ministro della Magia, ha già ottenuto buoni risultati, ma le persone sono più diffidenti verso il governo dopo la Seconda Guerra Magica, - Aurora sospirò. – Se non riusciamo a prenderlo in tempo, questo insuccesso può oscurare gli ottimi risultati che ha già ottenuto. E quelli che sono rimasti delusi dalla sua vittoria alle elezioni per diventare Ministro, ne approfitteranno per spargere voci e ingigantire il problema -.

- Allora accetti il caso? –

- Scherzi? Mi stavo annoiando a morte, sei la migliore notizia del mese! Un caso da risolvere! Un serial killer da prendere! –

- Sono morte sei persone, - la riprese Sam. – Cerca di non mostrarti troppo entusiasta davanti alla squadra –

- Farò del mio meglio, - fu la risposta. – Quando incontrerò gli altri? –

- Domani mattina nel mio ufficio babbano, - rispose Sam. – E… Aurora. Ci sarà anche Harry, lo sai, vero? –

Aurora sospirò. – Non ho problemi con Harry, e finché parleremo solo del caso… starò bene –

Sam le dedicò uno sguardo affatto convinto, ma lasciò cadere l’argomento. Si rialzò dal divano.

- Cerca di dormire, domani sarà impegnativo -.

- Mi conosci, - Aurora sorrise. – Dormirò come un angioletto –

- Certo… - Sam scosse la testa e rientrò nel camino. – A domani, ragazzina –

- A domani, vecchio –

Con un’altra fiammata verde, Sam scomparve.



ANGOLO DEL TROLL PAZZO
Ed eccola qua! La mia prima fic dopo anni, è ufficiale!
Sotto sono scritte tutte le informazioni per chiarire un po’ l’ambientazione e i personaggi. Se siete interessati, leggete, altrimenti potete aspettare che ne parli nella storia e saltare direttamente a “Fine Informazioni”.



INIZIO INFORMAZIONI

Ambientazione – post Seconda Guerra Magica, Londra

Personaggi

– Aurora è nata da un Babbano e una strega purosangue. I suoi genitori si sono incontrati negli Stati Uniti, innamorati e sposati. Sua madre è inglese, suo padre americano, perciò ha doppia cittadinanza. Suo padre si è trasferito di buon grado in Inghilterra dopo la sua nascita, iniziando ad operare come uno dei migliori e più geniali medici in circolazione. Dopo un fatto -che scoprirete più avanti- sua madre ha divorziato ed è tornata negli Stati Uniti per ricominciare. Aurora ha comunque frequentato Hogwarts, visto che è la scuola dove ha studiato anche sua madre. Smistata in Serpeverde, dopo la guerra è tornata ad Hogwarts per finire l’ultimo anno, e in questo anno si è legata molto ad Hermione, una delle poche ad essere tornata ad Hogwarts. Uscita da Hogwarts è praticamente scomparsa dal Mondo Magico, dedicandosi agli studi di psicologia e criminologia nelle Università Babbane, rimanendo in contatto solo con Sam ed Hermione. Persino i suoi amici Draco, Pansy e Blaise, con cui era molto legata nei suoi primi sei anni ad Hogwarts, non hanno più saputo niente di lei. E’ riuscita ad entrare a Quantico e ha lavorato con l’FBI prima di essere cacciata per “inclinazioni psicotiche” -argomento che approfondirò nella storia. Il capitolo che avete appena letto è ambientato poco dopo.
Oh, Aurora è bisessuale, perciò se avete problemi in merito, questa non è la storia per voi.

- Sam è un Nato Babbano. Ex-Tassorosso, dopo Hogwarts è diventato un Auror, ma se n’è andato dopo la prima guerra magica in protesta a come venivano gestiti i criminali e i loro processi in tempi di guerra. Ha operato nella polizia babbana fino alla seconda guerra magica, quando ha deciso di tornare per combattere in prima fila con gli altri Auror. Quando la guerra è finita, ha creato un nuovo ufficio di Auror specializzati in crimini gravi, sia Babbani che Magici, chiamato Sandman. Per entrarci si deve superare l’addestramento Auror, lavorare almeno tre anni come Auror rimanendo con la fedina penale pulita, poi attraversare un anno di test e valutazioni. I Sandman operano sia nel Mondo Babbano che nel Mondo Magico, indagando crimini gravi che possono avere a che fare con la magia. Collaborano con le forze dell’Ordine Babbano. Hanno un ufficio sia nel Ministero della Magia che nel mondo Babbano, e dai babbani sono conosciuti come una “semplice” squadra anti crimini. Solo il governo è stato informato della verità. I Sandman operano soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, visto che sono riusciti a trovare un accordo con il Ministero della Magia americano, che adesso ha la sua squadra Sandman di maghi americani. Sam sta anche cercando di portare a termine accordi più internazionali per poter operare in tutto il mondo, tentando di fare accordi sia con i Babbani che con gli altri governi magici.

- Harry Potter. Dopo la Seconda Guerra Magica non è tornato ad Hogwarts, ma si è subito dedicato all’addestramento Auror. Visto che era l’anno subito dopo la guerra, molti studenti che non avevano potuto finire i loro studi ad Hogwarts sono stati ammessi lo stesso, in più Harry era il Prescelto, salvatore del Mondo Magico. Comunque ha lavorato sodo e si è fatto valere, e dopo tre anni di lavoro ha fatto domanda per diventare un Sandman e si è sottoposto all’anno di test e valutazioni. È riuscito ad entrare e fa parte della squadra di Sam. È entusiasta del nuovo lavoro, anche perché nessuno lì lo tratta in maniera diversa, soprattutto non Sam. Nonostante il duro lavoro, è riuscito a frequentare Ginny, si è sposato e ha un figlio in arrivo.

Conoscerete il resto della squadra di Sam nel prossimo capitolo!

FINE INFORMAZIONI

Questa fic è il risultato della mia voglia matta di scrivere qualcosa post-Seconda Guerra Magica e l’incontro che ho avuto l’anno scorso con la serie Prodigal Son. Da lì… beh, ho cominciato a pensare e a buttare giù qualche idea.

Spero che il prologo non vi abbia annoiato! I commenti -e anche le critiche costruttive- sono ben accette!

A presto!
Il troll pazzo

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno - Fantasmi del Passato ***


Capitolo Uno





Aurora uscì bevendo il suo terzo caffè della mattina. Il primo serviva a scacciare il pessimo sapore delle pozioni giornaliere che doveva ingurgitare, il secondo a godersi il sapore della caffeina, e il terzo era necessario per finire di svegliarsi.

Si incamminò verso l’ufficio di Sam. Avrebbe potuto smaterializzarsi, ma dopo una notte con i suoi soliti incubi e a mala pena due ore di sonno, aveva bisogno di un po’ d’aria fresca per darsi una svegliata.

E poi, le piaceva camminare. Le schiariva la mente.

Se solo il suo telefono avesse smesso di squillare… Con un sospiro, Aurora lo tirò fuori dalla tasca: come le altre dieci chiamate precedenti, era sua madre, Marisa. Beh, era ovvio che ignorarla fosse inutile…

- Madre –

- Figlia, - Marisa copiò il suo esatto tono. – Ho saputo che sei stata licenziata dall’FBI, finalmente! Ho già preparato tre liste di possibili lavori che possono interessarti, lavori che non implichino morte e pazzoidi, grazie a Merlino… Voglio discuterne con te il prima possibile, il che significa entro oggi -.

Aurora aveva già mal di testa. – Oggi sono occupata, perciò… -

- Occupata con cosa? Non hai più un lavoro, - fu la risposta. – Stasera cenerai con me e ne discuteremo. Casa mia alle otto e mezza. Ti aspetto! – e chiuse la chiamata.

Aurora mise via il telefono con un lungo sospiro.

Tornò al suo caffè, cercando di dimenticare la conversazione appena avvenuta. O meglio, il monologo, come sempre quando si parlava di sua madre.

L’ufficio di Sam era solo ad un paio di svolte da lì, il nuovo caso l’avrebbe distratta. Per quanto riguardava la cena di famiglia… beh, era un problema per l’Aurora del futuro.



Sam era molto fiero del distretto che era riuscito a sistemare nel centro di Londra. L’edificio dall’esterno era abbastanza anonimo, con scale in pietra fino ad una porta a vetri. La sala d’attesa aveva un ottimo odore di caffè, poltroncine rosse e una scrivania dove Melissa, la segretaria, passava il tempo a smontare oggetti Babbani per capire come funzionavano e come poter creare le loro versioni magiche. Aveva sistemato il telefono babbano di Sam, e aveva fornito alla squadra dei computer che non impazzivano in presenza di magia, il che rendeva il loro lavoro molto più semplice e veloce. Gli altri maghi potevano non capire l’utilità dei computer, ma i Sandman lavoravano a stretto contatto con i Babbani, se non in collaborazione, perciò i computer erano inestimabili.

Una porta rivestita di invisibili sigilli di protezione e segretezza divideva la sala d’attesa dal distretto vero e proprio: una stanza ampia, ben illuminata, dalla geografia poco definibile. Alcuni promemoria svolazzanti tra le torce, il pavimento in pietra scolpito con una serie elegante di rune di protezione e collegamento con il loro ufficio nel Ministero della Magia, il soffitto che sembrava non finire mai, e ogni tanto da una fiamma verde cadevano nuovi promemoria, avvisi o lettere.

Cinque scrivanie erano disposte nella parte centrale, tutte in legno scuro e con i loro computer sopra. Ogni agente, poi, li aveva riempiti di oggetti personali. Sam puntava ad una squadra di cinque agenti Sandman, ma per ora erano solo tre. Beh, con Aurora, quattro. Adesso che l’FBI l’aveva cacciata, avrebbe avuto bisogno di tutti i casi possibili: non c’era niente di meglio di un sanguinoso puzzle da risolvere per tenerla sana di mente. Sam lo sapeva bene…

Comunque. Alla destra delle scrivanie c’erano due stanze per interrogatori, alla sua sinistra la sala relax, con un divanetto rosso vino, un tavolo con alcune carte e figurine, e uno scaffale con qualche libro.

L’ufficio di Sam era in fondo alla stanza, perfetto per la privacy. I Sandman sapevano che quando lasciava la porta aperta, potevano entrare. Quando era accostata, stava lavorando ma poteva essere disturbato se importante. Quando la porta era chiusa, potevano disturbarlo solo se avevano un problema assolutamente urgente che non potevano risolvere da soli.

Sam attraversò la stanza facendo un cenno a Diana, che si stava prendendo cura delle sue armi, e a Harry, che stava ricontrollando i file del loro ultimo caso, poi entrò nell’ufficio, lasciando la porta accostata. Piccolo ma spazioso, scrivania nera al centro della stanza, file ordinati al lato sinistro, computer al centro, foto a destra. Cassetti divisi per argomento e importanza. Finestra a lato, in modo da dare un po’ di luce all’ambiente. Scaffali pieni di tutti i libri che Aurora gli aveva consigliato negli anni -anche se ammetteva con vergogna di non averli letti tutti- e, cosa più importante: sedia imbottita, morbida e comoda anche dopo ore di lavoro.

Si sedette con un sospiro. Aurora sarebbe arrivata a momenti, e non poteva negare la vaga tensione al pensiero che incontrasse gli altri tre Sandman…



- Ragazzi! – Jonah entrò nel distretto correndo, un’espressione euforica in volto. – Avremo un nuovo membro in squadra! –

A quelle parole, Harry alzò lo sguardo dai fascicoli che stava finendo di compilare e Diana smise di affilare il suo terzo stiletto. Jonah aveva i capelli rossi scompigliati e la sua solita borsa di cuoio era mezza aperta: doveva aver corso per tutta la strada dal suo appartamento al distretto, ansioso di dare la notizia.

- Come fai a saperlo? – chiese Diana, la sua voce disinteressata come sempre.

- Ieri sono andato nel suo ufficio per chiedergli una cosa sul caso, - rispose Jonah, gettando la borsa sulla sua scrivania. – Non c’era nessuno, ma il caminetto aveva ancora tracce di metro polvere. Pensavo fosse tornato a casa a farsi una doccia, o a scrivere un cruciverba, leggere Storia della Magia o qualunque cosa faccia per rilassarsi, ma proprio quando stavo raccattando le mie cose, ho sentito che era tornato. Sembrava sollevato, e l’ho sentito borbottare “Ha accettato, potremmo fare passi avanti” –

- Magari ha visto un testimone o qualche informatore, - ipotizzò Harry.

- E’ quello che ho pensato anche io! – esclamò Jonah. – Ma stamattina l’ho incontrato al bar dall’altra parte della strada e gli ho chiesto se ieri avesse fatto qualche passo avanti con il caso. Ha sospirato e risposto “Magari…”. Perciò chi ha visto ieri non era un informatore o un testimone, ma qualcuno che ha accettato di aiutarci con il caso! –

Harry e Diana si scambiarono uno sguardo: conoscevano tutti gli aspiranti Sandman che si stavano sottoponendo all’anno di test e valutazioni, e nessuno di loro aveva esperienza con casi come quello che stavano affrontando. Forse un talento che aveva appena scoperto?

- Siamo seri, Potter, - affermò Diana. – Nessuno di loro ha un talento così rivoluzionario per le nostre indagini, credimi… Le loro menti sono nella media, nessuno particolarmente brillante –

- Ehi, De la Rose, smetti di leggere i nostri pensieri! Non riesco a seguire la conversazione se fai così! – si lamentò Jonah.

Diana gli dedicò uno sguardo impassibile e tornò al suo stiletto.

- Andiamo, ragazzi! Non siete neanche un po’ curiosi? Avremo un nuovo compagno di squadra! Un nuovo Sandman! – esclamò Jonah.

- Non lo sai, - replicò Harry, anche se la curiosità lo stava uccidendo. Non poteva negare che un aiuto in più avrebbe fatto comodo, stavano cercando ormai da quattro giorni senza risultati. Neanche Diana era riuscita a trovare qualcosa!

Diana gli lanciò un’occhiataccia. Harry sorrise con innocenza.

- Comunque avresti potuto sentire male, - disse a Jonah. – Ieri notte eravamo tutti sfiniti… -

- Non mettere in discussione il mio udito eccezionale, Potter, - Jonah gli puntò un dito contro per minacciarlo. – E se non ci credete… beh, apriamo scommesse! –

- Assolutamente no, - rispose Harry. Poteva già immaginare l’espressione di Ginny se avesse perso un paio di galeoni solo per scommettere contro il suo collega…

- Ci sto, - affermò invece Diana. – Due galeoni che ti sei sbagliato –

- Andata! E se vinco io… - Jonah assottigliò gli occhi, sicuramente alla ricerca della peggiore punizione possibile da infliggere ai suoi compagni di squadra. – Dovrete comprare caffè a tutta la squadra fino alla fine delle indagini! –

- Dovrete? – ripeté Harry. – Io non partecipo, Ginny mi ucciderebbe –

- Solo se perdi, - Diana lo guardò minacciosamente. – E non mi lascerai da sola a comprare caffè a tutti –

- Lealtà verso la tua squadra, Potter! – affermò Jonah. – Da quando abbandoni i tuoi compagni in battaglia? –

Harry sospirò. Un giorno avrebbe ucciso i suoi irritanti compagni di squadra. Ma non oggi! Si affrettò ad aggiungere, intercettando lo sguardo mortale di Diana.

- Va bene, - alzò le mani in segno di resa. – Scommessa accettata -



La fiammata verde comparve appena sopra la scrivania di Sam e un avviso cadde davanti al computer. Sicuramente, brutte notizie. Con un sospiro, lo raccolse e lo lesse. E… il suo intuito sulle brutte notizie non sbagliava mai.

Si rialzò dalla sua amata sedia e uscì dal suo ufficio. Stranamente, Harry, Jonah e Diana gli dedicarono immediatamente tutta la loro attenzione. Non era un buon segno. Poteva solo significare che stavano escogitando qualche guaio…

- E’ stato trovato un altro cadavere, - annunciò Sam. – Voglio tutti sulla scena, immediatamente –

- Agli ordini, capo! – esclamò Jonah. – Ho solo una domanda, prima che partiamo… Avremo un nuovo compagno di squadra? –

Sam sbatté le palpebre: quando avevano scoperto di Aurora? Doveva ancora dare l’annuncio…

Comunque l’avrebbero vista a momenti, tanto valeva parlarne subito. – Si, una profiler ha accettato di aiutarci –

Jonah saltò in aria con un sorriso di trionfo, Diana ed Harry imprecarono. Questa… non era esattamente la reazione che Sam si era aspettato da loro.

- Vado a prenderla, voi aspettateci sulla scena, - continuò Sam come niente fosse. Diana ed Harry stavano guardando torvo un sorridente Jonah. – Cercate di essere professionali, - Sam si ritrovò ad aggiungere.

A volte gli sembrava di star lavorando con dei bambini, non con degli agenti Sandman che lui stesso aveva valutato per un anno…



Aurora era quasi arrivata alla posizione che Sam le aveva mandato, quando un’auto familiare accostò accanto a lei: una Dodge Challenger che avrebbe riconosciuto ovunque. Aurora aprì lo sportello e si lasciò cadere sul sedile del passeggero.

- So che sono appena tornata dagli Stati Uniti, - esordì. – Ma non credi di esagerare? Non rischio di perdermi da casa mia al distretto –

- Buongiorno anche a te, ragazzina, - fu la risposta di Sam mentre ripartiva.

- Buongiorno, vecchio, - Aurora gli fece il verso. Sam sospirò.

- E’ stata trovata un’altra vittima, La mia squadra sta andando sulla scena –

- In auto? –

- E’ stata la polizia babbana a trovare il corpo, non vogliamo attirare l’attenzione –

Aurora annuì. – Il corpo trovato, è recente o una delle sue vecchie vittime? –

- Recente –

- Interessante… -. Ma non poteva ancora fare ipotesi. I profili si basano sulle informazioni, doveva sapere di più sulle vecchie vittime e poi studiare la scena del crimine. Sentì il familiare formicolio di avere un puzzle per le mani, qualcosa su cui concentrarsi, qualcosa da risolvere, un pezzo alla volta. Non vedeva l’ora.



Quando arrivarono sulla scena del crimine, la polizia Babbana aveva circondato il palazzo con il nastro giallo per impedire ai curiosi di entrare. Aurora praticamente saltò fuori dall’auto di Sam, impaziente di vedere il corpo. Sam sospirò e la seguì, mostrando il suo distintivo per lasciarli passare.

All’ingresso, un ragazzo alto e allampanato con scompigliati capelli rossi li raggiunse. Aveva un file in mano e una borsa di cuoio mezza aperta a tracolla.

- Sam! – li accolse con un sorriso. – La vittima si chiama Vanessa Hedge, moglie del proprietario del palazzo, cinquantadue anni, ritrovata in seguito ad una chiamata anonima alla polizia. Il corpo è nel seminterrato, e questo è il file che la polizia babbana ci ha consegnato… -

- Grazie! – esclamò Aurora, e afferrò il file prima che Sam potesse prenderlo, cominciando immediatamente a sfogliarlo. Jonah non sembrò prendersela:

- La nuova Sandman! – esclamò, sorridendo da un orecchio all’altro.

- Jonah Millis, questa è Aurora Reckless, profiler, - Sam fece le presentazioni. – Ha accettato di aiutarci a risolvere questo caso –

Ormai avevano attraversato l’enorme atrio, un agente aprì la porta a sinistra delle scale principali: degli scalini si tuffavano nel buio. In fondo, una stanzetta illuminata da luci galleggianti e due sole persone ad aspettarli.

- Sam, finalmente sei arrivato! Il medico legale sarà qui a breve, dobbiamo sbrigarci e parlare con la polizia babbana e… -

Harry si bloccò. Aurora sollevò gli occhi dal file: la stava fissando, pallido.

- Potter, De la Rose! Questa è la nuova Sandman! – esclamò Jonah. – Nuova Sandman, questi sono i miei idioti compagni di squadra –

- Chiudi quella bocca o non avrai i tuoi galeoni, - affermò la ragazza accucciata accanto al cadavere: capelli ricci e neri, l’espressione vuota, la voce indifferente ma con una sfumatura di minaccia. Doveva essere una persona chiusa, che metteva distanza tra sé e il mondo per proteggersi, perciò doveva esserci qualcosa, nel mondo esterno, che poteva ferirla. Era tutto il contrario di quel Jonah, in realtà, che nascondeva ogni possibile paura dietro una parlantina svelta e sorrisi spavaldi, cosa che…

No. Ferma. Cinque minuti e stava già cominciando a fare il profilo alla squadra di Sam! Non era qui per questo, e non erano affari suoi. Alla gente non piace quando capiscono che sei in grado di conoscerli con pochi sguardi, si rimproverò. Prova a non farti odiare da subito, va bene?

Harry la stava ancora fissando. Sbatté le palpebre e aprì la bocca, ma prima che potesse dire qualunque cosa…

- Il cadavere! Finalmente! – esclamò Aurora, superandolo. Sam sospirò, Jonah sorrise divertito e Harry rimase lì, a sbattere le palpebre. L’unica a non reagire fu Diana: la sua espressione indifferente rimase perfettamente immobile.

Aurora si inginocchiò accanto al cadavere e cominciò a studiarlo: vestiti costosi, molto eleganti, era pronta ad uscire di casa la sera prima. Ma qualcosa doveva averla attirata nel seminterrato proprio prima che uscisse…

Aurora si voltò verso le scale. – Spostatevi, - disse ad Harry, Jonah e Sam.

- Perché vuoi che… -

Sam interruppe Jonah con un solo sguardo. – Lasciala lavorare –

Il killer doveva trovarsi nel seminterrato, aveva visto Vanessa aprire la porta e scendere le scale.

Aurora si voltò di nuovo verso il cadavere: niente lesioni alle gambe, perciò non era stata spinta per le scale.

Il killer non voleva ucciderla, non subito, altrimenti l’avrebbe spinta giù per le scale non appena l’avesse vista, per poi colpirla a morte quando era stordita. Perciò, probabilmente la conosceva e non voleva che morisse, ma qualcosa era andato storto.

A giudicare dalla posizione del corpo, Vanessa era rivolta verso le scale quando era stata colpita: stava per salire al piano di sopra, forse a denunciare la presenza del killer. Non poteva lasciarglielo fare…

Aurora scostò i capelli biondi dalla nuca dalla donna: ematoma da colpo alla nuca. L’aveva attaccata alle spalle, Vanessa era caduta a terra…

- Causa della morte? – chiese Aurora a Sam.

- Apparentemente niente, perciò pensiamo ad un Avada Kedavra – rispose Sam.

Aurora assottigliò gli occhi: se poteva lanciarle un Avada Kedavra, perché avrebbe dovuto colpirla fisicamente in quel modo?

- Reckless, parlami, cosa vedi? – le chiese Sam.

- Il killer non voleva ucciderla, - affermò lei, rialzandosi. – Vanessa non sarebbe dovuta scendere nel seminterrato, ma qualcosa deve aver attirato la sua attenzione. Il killer non voleva farle del male, ma devono aver avuto una discussione, e non poteva lasciarla scappare e rovinare i suoi piani. Vanessa era rivolta verso le scale quando l’ha attaccata, perciò stava per salire… Quello che non mi torna, è perché l’ha colpita alla nuca: se poteva ucciderla con l’Avada Kedavra, non avrebbe dovuto scomodarsi a colpirla fisicamente, soprattutto non nella sua fretta di fermarla. Ma l’ha fatto… -

Aurora tornò ad inginocchiarsi accanto al corpo. Qualcosa le stava sfuggendo…

- Le altre vittime sono morte senza apparente causa, per questo le avete collegate all’Avada Kedavra, giusto? –

- Esatto, - rispose Jonah, che finora l’aveva fissata con malcelata curiosità e stupore. – Perché, pensi che non sia stato un Avada Kedavra ad ucciderla? –

- Cos’altro non lascerebbe nessuna traccia sulla vittima? – chiese Diana.

Aurora ci pensò. Sentì il suo stomaco affondare. Per un attimo, rimase perfettamente immobile. Poi, lentamente, tirò fuori la bacchetta, si chinò su Vanessa, le aprì la bocca e controllò sotto la lingua.

- Revelio – sussurrò.

Comparvero minuscole macchioline nere.

Il suo cuore cominciò a battere come impazzito. Sentiva di star per vomitare. Fece un respiro profondo. Sapeva esattamente come fosse morta Vanessa, e probabilmente tutte le altre vittime. Sapeva perché nessuno fosse riuscito a determinare le cause della morte, collegandolo subito all’opera di un mago. Lo sapeva perché lo aveva già visto. Era il modo in cui suo padre aveva ucciso trentadue Babbani, vent’anni prima.



ANGOLO DEL TROLL PAZZO

Ed ecco qua il primo, vero capitolo! Incontriamo gli altri Sandman, e avviene il primo incontro con Aurora!

Grazie a tutti i lettori silenziosi che si sono interessati a questo piccolo progetto, grazie a fenris per la sua recensione e grazie a fazio97 per averla messa tra le seguite!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Mi sto divertendo a scrivere questa storia, devo ammetterlo, ed è il migliore meccanismo anti stress in questo periodo! Spero che la troviate interessante da leggere quanto io da scrivere!

A breve, più interazione tra Aurora e gli altri Sandman, tensione con Harry Potter -ma non per il motivo che molti di voi potrebbero pensare – e le indagini continuano!

(In più, sono davvero impaziente di scrivere il padre di Aurora. Ci sarà da divertirsi!)

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Capitolo 3
*** Capitolo due - Sto bene, ovviamente ***


Capitolo Due



Aurora dovette fermarsi un attimo per ricordarsi di respirare. Non era il momento di avere un attacco di panico. Non era il momento.

La mano destra stava tremando. La chiuse a pugno, fece un respiro profondo e si alzò.

- La vittima è morta a causa di una pozione chiamata il Fantasma. Provoca una morte rapida ma dolorosa, e scompare dall’organismo subito dopo, per cui è irrintracciabile. Ma se qualcuno sa dove cercare, basta un revelio, e compaiono delle macchioline nere sotto la lingua –. Sfoggiò la sua migliore voce professionale.

- E come fai a sapere tutto questo? – chiese Harry. Sembrava aver passato almeno la prima fase di shock nel rivederla dopo dieci anni, quel tanto che bastava a farlo concentrare sul caso.

- L’ho già visto, - rispose Aurora con semplicità. – Il nostro killer è un emulatore: sta copiando un altro serial killer -. Un respiro profondo… - Il dottor Micheal Campbell, lo Scienziato –

- E sai tutto di questo Scienziato? – chiese Jonah.

Aurora incrociò lo sguardo di Sam con un sorriso ironico. – Quasi fosse uno di famiglia –

Gli consegnò il file e si diresse verso le scale. Aveva bisogno di aria. Subito.





Restarono un attimo in completo silenzio. Con sorpresa di nessuno, fu Jonah il primo a riprendersi.

- E’ stato interessante… Dove l’hai trovata? – si rivolse a Sam, che stava ancora fissando le scale.

- Ha frequentato Hogwarts con me, - disse Harry. – Serpeverde, scomparsa dalla circolazione dopo la guerra. Molti avevano perso la speranza di rivederla… - la voce gli si spense.

- La cosa si fa ancora più interessante! – esclamò Jonah. – Sono curioso di sapere cosa ha fatto in questi anni, per diventare così brava. Voglio dire, cinque minuti sulla scena del crimine e ha già trovato una pista! Mi sembra di aver letto di questo Scienziato, era tra i casi che abbiamo dovuto studiare durante l’anno di valutazioni, non è vero? Il serial killer che sperimentò l’effetto della magia sui babbani dopo averne scoperta l’esistenza a causa della moglie strega… –

A quel punto Sam si scosse e tornò a rivolgersi alla squadra. – Basta spettegolare, - ordinò. – Vado a parlare con la polizia. Potter e Millis, tornate al distretto e controllate i file delle vittime dello Scienziato, vediamo se riusciamo a trovare qualche sua vecchia conoscenza che può essere il nostro killer. De la Rose, vai a parlare la governante che ha trovato il corpo -. Detto questo, salì le scale e si chiuse la porta alle spalle.

- Solo a me è sembrato più teso del solito? – chiese Jonah. – Diana, hai sentito niente che potrebbe spiegarlo? Sei l’unica che è rimasta in silenzio per tutto il tempo –

- Qualunque cosa io abbia sentito, non sono affari tuoi, - fu la risposta.

- Quindi hai sentito qualcosa! – esclamò Jonah. Diana gli lanciò un’occhiata minacciosa. Harry si affrettò ad afferrare il braccio del suo irritante collega.

- Dobbiamo andare al distretto! – esclamò – Avanti, Jonah! –

Avevano già un omicidio da affrontare, non voleva rimanere testimone di un altro, grazie tante.

Jonah provò a replicare, ma Harry lo trascinò via dal seminterrato prima che potesse aggiungere altro.



Aurora era appoggiata al muro, in cima alle scale anonime d’entrata. Sembrava completamente distante dal mondo. Sam fece del suo meglio per parlare con la polizia babbana il più velocemente possibile -cosa non semplicissima dovendo accordarsi per collaborare nelle indagini. La raggiunse subito dopo.

- Reckless, stai bene? – si appoggiò al muro accanto a lei. Un sospiro fu la risposta.

- Posso solo immagine come ti stai sentendo in questo momento… - Sam provò a dire.

- Il killer sta usando imitando “La dozzina”,- lo interruppe Aurora. – Una serie di omicidi che mio padre ha compiuto nel 1989 dopo aver raffinato la pozione Il Fantasma -

- Abbiamo trovato sette vittime, - disse Sam. – Pensi che il killer abbia intenzione di uccidere altre cinque persone? –

- L’unica cosa su cui sono sicura è che non ha finito, - affermò Aurora. – Ma questa uccisione non era premeditata, perciò non rientra nella sua lista. Adesso si trova in un momento di vulnerabilità, qualcosa non è andato secondo i suoi piani. Possiamo sfruttarlo per prenderlo –

- E’ una buona notizia, - affermò Sam.

- Non del tutto, - ribatté Aurora. - Questa vittima può essere considerata come un punto di rottura per lui, sta superando i confini che si era prestabilito, perciò sta diventato più pericoloso. Se non riusciamo a prenderlo alla svelta… -

- Diventerà un problema ancora più grande, - sospirò Sam. Aurora annuì, ma aveva ancora gli occhi persi nel vuoto. Sam notò che la sua mano destra stava tremando. Sospirò.

- L’hai più visto? – chiese, abbassando la voce.

- No, - rispose lei. – Non da dieci anni… Non posso tornare da lui, Sam, io non… - chiuse la mano tremante a pugno.

- Non ti sto assolutamente chiedendo di vederlo, - affermò Sam. – Concentriamoci solo sul caso –

Aurora abbozzò ad un sorriso. – Vado a lavorare sul profilo, allora –. Si scostò dal muro e nascose le mani nelle tasche della sua giacca nera.

- Chiamami sei hai bisogno di qualunque cosa, - affermò Sam.

- Certo, - rispose Aurora, un sorriso spento sul viso. Poi si incamminò verso casa. Sam la guardò andare via con un sospiro.

Diana lo raggiunse poco dopo.

- Questa è la deposizione della governante, - e gliela consegnò. Sam annuì, cominciando a leggerla.

Diana rimase in silenzio ancora qualche istante, prima di scuotere la testa e spostarsi di fronte a lui, braccia incrociate. Sam capì al volo.

- Hai sentito tutto? –

- I suoi pensieri non sono semplici da seguire, - rispose Diana. – Non quando ragiona, almeno. Troppo rapidi. Ma quando ha capito il modus operandi? Era impossibile da ignorare, – lo guardò in modo significativo.

- Non sapevo che questo caso fosse collegato allo Scienziato, altrimenti… - Sam sospirò. – Potresti…? –

- Non è il mio segreto da rivelare, - affermò Diana. – Ma… ti fidi davvero di lei? –

- Assolutamente, - Sam non dovette neanche pensarci. Diana annuì e non aggiunse altro.



Harry era stranamente silenzioso. Insomma, Jonah era abituato ai silenzi di Potter, li aveva classificati e nominati lui stesso. Ma questo… non era il silenzio di livello 3 di quando stava ragionando, né quello di livello 6 di quando era stanco per un caso difficile, e neanche il livello 1 di quando pensava alla moglie e al figlio in arrivo… Questo era un tipo completamente diverso di silenzio. Teso e preoccupato, ma non per il caso. Assorto.

Jonah fece cadere i file dello Scienziato sulla scrivania di Potter, che sobbalzò e afferrò d’istinto la bacchetta.

- Frena, Potter, - Jonah si sedette accanto a lui. – E’ solo un po’ di lavoro d’ufficio –

Harry sbatté le palpebre un paio di volte, poi allentò la presa sulla bacchetta con un sospiro. – Una di queste volte ti colpirò con una maledizione, Millis, - affermò. – Smettila di sorprendermi alle spalle –

- Oh, ma questa volta sono innocente! – si lamentò Jonah. – Non guardarmi così! Senti, sei nervoso da quando abbiamo lasciato la scena del crimine, e se dovessi affidarmi al mio perfetto intuito da detective, direi che è stata la nuova Sandman a farti innervosire –

Harry gli lanciò un’occhiataccia.

- Sono abituato agli sguardi minacciosi di Diana, - affermò Jonah. – Non puoi davvero sperare di spaventarmi, Potter –

- Abbiamo dei file da controllare, - disse Harry. – Perché non usi il tuo perfetto intuito da detective per prendere un serial killer? –

- Perché i file da studiare sono più noiosi, - fu la risposta. – E perché sono preoccupato per un amico –

Harry sospirò di nuovo e si passò una mano fra i capelli. Come se avessero bisogno di incoraggiamento per essere disordinati…

- Sto bene, - affermò alla fine. – Davvero. Aurora è stata… inaspettata. Non la vedevo da dieci anni, e ormai mi ero arreso all’idea che fosse… Ma non importa. Abbiamo un serial killer da prendere, i miei drammi personali possono aspettare, - e abbassò lo sguardo sui file.

- Beh, se dopo aver chiuso il caso hai bisogno di consigli per i tuoi drammi personali, conta su di me! – affermò Jonah.

- Millis, sei letteralmente l’ultima persona da cui andrei per un consiglio –

Jonah si portò una mano al cuore. – Colpo basso, Potter! Colpo basso! –

Harry scosse la testa, ma le sue spalle erano mene tese, perciò Jonah la considerò una vittoria.



Quando Aurora tornò a casa, ebbe circa due secondi per registrare una giacca bianco panna appesa all’ingresso. Qualcuno stava armeggiando in cucina. Aurora richiuse la porta alle spalle, assottigliando gli occhi: chi poteva…

Dopo esserci avvicinata di un paio di passi all’angolo cucina, sospirò e scosse la testa. Ovviamente, chi altri poteva essere?

- Buonasera, madre -. La donna che stava armeggiando con i fornelli si voltò con un sorriso.

- Aurora! -.

Era ben pettinata come sempre, con i capelli biondi perfettamente ordinati, un fermaglio zaffiro che le teneva elegantemente qualche ciuffo scelto ad arte lontano dagli occhi. Occhi color del ghiaccio, che potevano essere confortanti come la neve che turbinava dolcemente la notte di Natale, o gelidi e taglienti quando il ghiaccio che si incrina sotto i piedi. Unghie ben tagliate, pelle liscia e un vestito scuro, elegante ma comodo.

- A cosa devo il piacere? – Aurora si stampò un sorriso ironico in volto. L’ultima cosa che voleva in questo momento era una delle vecchie discussioni con sua madre.

- Sapevo che non saresti venuta da me a cena, perciò ho portato la cena qui da te! – spiegò Marisa. – Oh, non fare quella faccia, potresti almeno fingere di essere felice di vedermi. Adesso siediti, ho persino preparato una di quelle zuppe che ti sono sempre piaciute molto –

Aurora si sedette sul bancone di legno davanti a lei e lasciò che sua madre le mettesse una ciotola di zuppa davanti. Almeno era qualcosa che il suo stomaco di solito non rigettava subito… Sotto lo sguardo minaccioso di Marisa, cominciò a mangiare.

- Benissimo! – esclamò Marisa, sorridendo di nuovo. – Adesso, qui ho una lista di lavori che possono interessarti: ricordo che amavi studiare lingue, e il Ministero della Magia sta cercando nuovi interpreti per l’Ufficio dei Diritti delle Creature Magiche. Lavoreresti anche in collaborazione con Hermione Granger, probabilmente la tua unica amica rimasta… Se invece ti senti in vena di avventure, qui ho un lavoretto divertente che… -

- Madre, - la interruppe Aurora. – Grazie per la tua ricerca, ma il lavoro che avevo mi piaceva e… -

- Oh, non avrai mica intenzione di continuare a lavorare per catturare serial killer! – esclamò Marisa. – Hai finalmente l’occasione per ritirarti da quella vita da incubo e dedicarti a qualcosa di più divertente, e felice, e che ti aiuti a dormire la notte -

- Sto bene, - affermò Aurora. – Grazie per la visita, ma onestamente… -

- Perciò ti lascerò qui la lista, - continuò Marisa come se non avesse parlato. – Ho fatto cambiare a Luisa le tua lenzuola e fatto pulire le cinghie con cui dormi, il tuo frigo è pien0 di cibo, e ho fatto dare una pulita a tutto l’appartamento -.

- Grazie, - disse Aurora. – Ma davvero, non ce n’era… -

- Inoltre, ho delle pillole! – con un movimento elegante, Marisa si sfilò dalla tasca dei contenitori. – Ho anti-depressivi, sedativi, melatonina, valeriana… -

- Sto bene, - la interruppe Aurora. – E non penso che saranno delle pillole a risolvere i nostri problemi –

- Sì, se ne prendi abbastanza, - fu la risposta. Marisa si alzò e le scompigliò i capelli. – Ho preparato una camomilla per quando andrai a letto -. Si diresse verso l’ingresso. – Prenditi cura di te stessa, ora che finalmente sei libera da quell’incubo di stile di vita che chiamavi lavoro -. Con un ultimo sorriso, si infilò la giacca e uscì di casa.

Aurora sospirò. – Quanto mi erano mancate le nostre chiacchierate -.

Lasciando una ciotola ancora piena per metà, si diresse verso la scrivania addossata alla parete. Aprì uno dei cassetti e tirò fuori una scatola con scritto sopra “lo Scienziato”.

- Mettiamoci a lavoro -. Si sedette e cominciò a sfogliare i file sulla Dozzina.



Dopo ore di lavoro sui vecchi file dello Scienziato, Sam ordinò a tutti di andare a dormire qualche ora e tornare la mattina presto.

Harry fu il primo ad uscire: aveva bisogno di un po’ d’aria, e non poteva aspettare di tornare a casa da Ginny. Aveva davvero bisogno del sorriso luminoso di sua moglie dopo tutte le foto delle vittime che aveva dovuto studiare.

Ma… avrebbe anche dovute dirle di Aurora. Del suo ritorno inaspettato. E non aveva idea di come affrontare l’argomento.

Quasi sentendo i suoi pensieri, il suo cellulare squillò. Sam aveva fatto in modo che ogni Sandman ne avesse uno, e onestamente Harry li trovava molto comodi.

Era Hermione. Harry sorrise e rispose subito.

- Come stai? – fu la prima cosa che Hermione disse. – Ho saputo che stai affrontando un caso molto difficile, un Mangiamorte serial killer, se non sbaglio? Ginny mi ha chiamata stamattina dicendo che fatichi più del solito a dormire, e… -

- Sto bene, non preoccuparti, - la interruppe Harry. – Dormo di meno solo per colpa dei caffè in più, gli incubi stanno andando meglio, lo giuro –

- E me lo diresti se peggiorassero, dico bene? – la voce di Hermione conteneva una buona dose di minaccia.

- Assolutamente! – affermò Harry. – Anche se non so davvero cosa potresti fare contro degli incubi… -

- Non sei il mio primo amico che soffre di terrori notturni, - disse Hermione. – Stai tornando a casa? Sento il traffico

- Il nostro capo ci ha ordinato di dormire qualche ora, - rispose Harry. – Tu? –

- Devo ancora finire di riguardare gli ultimi accordi per i diritti degli elfi domestici, - rispose lei. – Tra circa un’ora dovrei aver finito, voglio solo assicurarmi che non ci siano errori o contraddizioni, e che non ci siamo dimenticati di includere niente –

- Sono felice che finalmente sei riuscita a raggiungere il tuo obiettivo, - affermò Harry.

- Anche io, ma ricordati che gli elfi domestici sono solo la prima delle molte creature fantastiche che hanno bisogno di aiuto e di veri diritti scritti e che la lotta è ancora lunga, dobbiamo prendere in considerazione… -

- Puoi goderti il momento ed essere fiera di te, - la interruppe Harry. – Te lo meriti –

Un momento di silenzio in cui Harry riusciva quasi a sentire il sorriso di Hermione.

- Grazie, - disse lei, infine. – Ma! Basta parlare di me! Il caso a cui stai lavorando è così terribile?

- Per la prima volta dopo giorni abbiamo una pista, - rispose lui. – Quindi direi che sta andando meglio… E’ tutto grazie alla nuova Sandman, sai… -. Prese un respiro profondo. – E’… è Aurora, Herm. Aurora è tornata –

- A Londra?! – esclamò Hermione. – E’ di nuovo nel Regno Unito?!

- Di nuovo? – ripeté Harry. – Aspetta… tu sapevi dove fosse in tutti questi anni? –

Un sospiro dall’altra parte del telefono.

- Lo sapevi! Perché non hai detto niente? Hai idea di quanto Ginny l’abbia cercata? –

- E’ stata Aurora a chiedermi di non dire niente, - affermò Hermione. – E’ mia amica e ho rispettato le sue decisione. Non mi è piaciuto tacere su di lei, credimi. Ma non era qualcosa che potevo decidere io –

Un respiro profondo. – Ginny sarà furiosa, - affermò Harry. – L’ha cercata per anni prima di arrendersi, e adesso scoprirà che tu hai saputo per tutto questo tempo… -

- Le parlerò, - affermò Hermione. – Comunque non sapevo fosse tornata qui… e lavora con voi?

- Il nostro capo l’ha convinta a collaborare per questo caso, - rispose lui. – E’ brava, anche se non ho idea di dove abbia imparato tutto quello che sa. E adesso devo dire a Ginny che è ricomparsa dopo dieci anni, e non so neanche dove iniziare… -

- Va tutto bene, - affermò Hermione. – Fai respiri profondi, parlale con voce tranquilla, spiegale la situazione. Rispetta come reagisce e non dirle di calmarsi, ma stalle vicino

Harry annuì. – Certo. Tutto chiaro –

Hermione sbuffò divertita. – Anni di guerra e di lavoro come Auror e ancora sembri il ragazzino che non ha idea di come parlare con una ragazza… -

- Molto divertente, - Harry alzò gli occhi al cielo. – E guarda che non è ancora finita, dovrai spiegare a me, Ron e Ginny il fatto che ci hai tenuta nascosta la vita di Aurora per dieci anni –

- Lo farò, - affermò Hermione. Non c’era esitazione nella sua voce: doveva aver immaginato che un giorno sarebbe successo, e non era mai stata il tipo da sottrarsi alle proprie responsabilità. – Adesso devo andare. Buona fortuna con Ginny! –. E chiuse la chiamata.

Harry sospirò, mettendo via il cellulare. Buona fortuna… ne avrebbe avuto bisogno.



ANGOLO DEL TROLL PAZZO

Ed ecco il secondo capitolo! E’ un po’ più di riempimento, lo so, ma nel prossimo continueranno le indagini e ci sarà un po’ d’azione! E tra poco potrò scrivere il padre di Aurora! (continuo a ripeterlo, ma davvero non vedo l’ora!)

Per il momento, mi sono divertita a scrivere sua madre!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, nonostante sia più da riempimento. Ci ho messo un po’ ad aggiustarlo tutto, ma sto già lavorando al terzo!

Grazie a tutti i lettori silenziosi e grazie a fenris per la recensione!

A presto con il prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** Capitolo tre - Bingo! ***


Capitolo Tre



(trigger warning: nell’incubo di Aurora compare una delle vittime del padre che cerca aiuto. Se la cosa potrebbe disturbarvi, saltate la parte in corsivo e riprendete da quando Aurora si sveglia!)



Quando, la mattina dopo, Harry arrivò al distretto, sembrava distrutto.

- Woah, Potter! – Jonah alzò la testa dalla scrivania su cui si era accasciato. – Ti ha investito un camion? –

Harry gli lanciò un’occhiataccia, buttò la sua borsa sulla sua scrivania e si passò una mano fra i capelli. Il suo gesto nervoso per eccellenza.

Diana gli si avvicinò silenziosamente. – E’ andata così male? – chiese.

No, non era andata così male. Ginny lo aveva ascoltato spiegare del ritorno di Aurora senza alcuna reazione, poi era uscita in terrazzo ed era rimasta a fissare il traffico di Londra per due ore. Harry le aveva portato una coperta, latte caldo, la sdraio blu che adorava con il loro cuscino più soffice… Ginny non aveva dato segno di averlo visto né sentito. Lui aveva fatto del suo meglio per starle vicino: si era seduto accanto a lei, le aveva tenuto la mano accarezzandola nel tentativo di rassicurarla. Alle due del mattino, Ginny aveva finalmente parlato.

- Sai da quanto tempo è tornata a Londra? –

- Non deve essere più di qualche giorno, - rispose Harry. – Sam le avrebbe chiesto aiuto prima se fosse stata nelle vicinanze –

Ginny annuì, poi si bloccò ancora per qualche minuto. Quando parlò di nuovo, aveva quella voce, quella sottile e leggermente tremante, quella che solo le persone più vicino a lei avevano mai sentito… - Pensi che mi odi? –

A quelle parole, Harry la attirò a sé e la strinse in un abbraccio. – No, certo che no, - sussurrò.

- L’ho lasciata, Harry, - disse Ginny. – Lei aveva bisogno di me, lo sapevo, ma… ma l’ho lasciata e poi è sparita… -

- Avevi solo sedici anni, - affermò Harry. – Ed eravamo in mezzo ad una guerra. Abbiamo compiuto molti errori, ma non devi torturarti così –

E finalmente Ginny si era lasciata andare. Aveva singhiozzato sulla sua spalla per almeno un’ora, ma Harry non si era mosso, continuando a tenerla stretta.

Quando il suo respiro si era stabilizzato, sembrava stanca morta. Harry la aiutò ad alzarsi e la portò fino alla camera da letto. Ginny si accoccolò su di lui, come faceva sempre quando uno dei due aveva incubi e aveva bisogno di sentirsi radicato alla realtà.

Harry le sussurrò le parole che ormai erano diventate il loro rituale. Le parole che si sussurravano nelle notti più buie. Le parole che avevano cominciato a scambiarsi durante l’ultimo anno della guerra, e tutti gli anni a seguire.

- Andrà tutto bene, e se non andrà tutto bene, lo affronteremo insieme –

Tornò alla realtà quando sentì qualcuno che gli stringeva la spalla, rassicurante: Diana.

- Se avete bisogno di qualcosa, non fate gli stupidi e fatemelo sapere, - disse. Harry le sorrise e annuì.

- Ehi! – esclamò Jonah. – Non è giusto! Mi sento escluso, qui! Non sono un legilimens! Devi dirmi tu cosa è successo! –

Diana alzò gli occhi al cielo e tornò alla sua scrivania, Harry sbuffò e si rivolse ai file sullo Scienziato che non aveva fatto in tempo a studiare la notte prima.

- Siete dei pessimi amici, - affermò Jonah. – Mi troverò un nuovo migliore amico, Potter! Uno che non mi tradisca in questi modi vergognosi! –



Sirene fuori dalla finestra, poliziotti che camminano per casa, sua madre che chiede spiegazioni, la voce sempre più fuori controllo. Ma non riesce a prestare attenzione a niente di tutto questo, gli occhi che vagano senza meta per il corridoio.

- Aurora, - la chiama la voce di qualcuno che credeva di conoscere. – Aurora, guardami, va bene? -. Spostò gli occhi su suo padre. Suo padre con il maglione blu scuro che profumava di menta e tè. Il maglione su cui lei amava accoccolarsi, la sera, quando suo padre le insegnava qualche aneddoto di medicina, sorridendo, guardandola come fosse la cosa più importante del mondo.

Come la stava guardando adesso.

- Voglio che ti ricordi qualcosa, Aurora, puoi farlo? – le sorrise, rassicurante come sempre.


Lamenti. Una ragazza che si trascinava sul pavimento sporco del seminterrato.

- Ricordati che ti voglio bene -. Suo padre davanti a lei, calmo, caloroso. – Non sono arrabbiato, e ti vorrò sempre bene… Perché sei mia figlia, e sei esattamente come me -. Il sorriso si trasformò in qualcosa di inquietante, ossessivo, sbagliato.

La ragazza ansimava. Tese una mano verso di lei. Aiutami, cercava di dire. Aiutami. Ma Aurora era congelata. Provò a respirare, ma scoprì di non riuscirci. Tutto quello che riuscì a fare fu gridare: un urlo spezzato, terrorizzato, perso.

- Non ti lascerò mai davvero, - la voce di suo padre rimbombava nel buio. – Siamo uguali! –

Aurora gridò e si sedette così di scatto che la sedia su cui si era addormentata si ribaltò. Cadde a terra sbattendo la testa. Rotolò sul pavimento, guardandosi intorno spasmodicamente.

Cinque cose che puoi vedere.

Il pavimento di legno. Il tappeto marrone scuro. L’angolo cucina dalla parte opposta della casa. Le scale che salivano a sinistra della sala. Il letto alle sue spalle, di fronte alla scrivania piena di file sullo Scienziato.

Quattro cose che puoi sentire.

Il traffico mattutino fuori dalla finestra accanto al letto. Il ronzio del suo telefono sulla scrivania. I passi dei suoi vicini del piano di sopra.

Tre cose che puoi annusare

Il profumo del caffè che impregnava sempre casa sua. Il lieve odore di fumo proveniente dal caminetto dell’area relax. Il vago sentore di whisky lasciato la sera prima da sua madre.

Due cose che puoi toccare

Il tappeto soffice sotto le dita. Il legno della sedia da cui era caduta.

Respira.

Era a casa. Era al sicuro. Stava bene. Era stato solo l’ennesimo incubo. Era al sicuro

Con un sospiro, si rialzò da terra, massaggiandosi la testa dolorante e cercando di ignorare il nuovo torcicollo. Apparentemente, addormentarsi sulla scrivania non era stata una buona idea.

Prese la bacchetta che aveva lasciato vicino ai file e con un paio di movimenti rapidi fece partire la musica e accese la macchinetta del caffè. Sulle note di I Feel Good, andò in bagno a lavarsi il viso (ergo, gettarsi acqua gelida in faccia). Uscì e ingurgitò le disgustose pozioni del mattino, recuperando il foglietto con la sua affermazione positiva del giorno: Elevo me stessa e la mia vita giorno per giorno.

Lo ripeté un paio di volte, cercando suonare convincente, invece di sentirsi ridicola. Poi cominciò i suoi esercizi mattutini. L’attività fisica rilascia endorfine, e unita a un bel po’ di effetto placebo, per quando il secondo caffè sarebbe stato pronto si sarebbe sentita un po’ meno uno schifo. Probabilmente.

(Ci vollero una doccia, cinque caffè e mezz’ora di camminata per riuscire a sentirsi di nuovo vagamente umana.)

La passeggiata mattutina per arrivare al distretto di Sam era stata piacevole, ma era felice di essere finalmente arrivata: troppo tempo da sola con i suoi pensieri non era mai una buona idea. Aveva bisogno di qualcosa per impegnare il cervello e distrarsi.

Salì le scale grigie e spinse le porte a vetri. La sala d’attesa la investì subito con il suo odore preferito: caffè. Sorrise, guardandosi intorno: sala ampia, poltroncine rosse, varie macchinette del caffè sul tavolo addossato alla parete, e una scrivania dietro cui c’era quella che doveva essere la segretaria: ricci biondi, occhi vivaci, pelle così pallida che sembrava non vedere la luce del sole da decenni.

- Buongiorno, - la salutò Aurora.

- Devi essere Reckless! – la donna la accolse con un sorriso. – Io sono Melissa. Benvenuta in squadra! Adesso dammi il telefono, devo modificarlo e ci vorrà qualche ora –

- Modificarlo? –

- Perché sia utilizzabile in ambienti magici, ovviamente, - la donna sembrava impaziente. – Forza, non ho tutto il giorno! –

- Certo, sì, - Aurora si avvicinò alla scrivania e le consegnò il cellulare. – E… ehm… può ignorare qualunque chiamata arrivi –

Melissa prese il telefono e vide la notifica delle 17 chiamate perse di sua madre. – Nessun problema, cara, - affermò con un sorriso rassicurante. – Adesso vai, il capo è arrivato circa un’ora fa –

Con un cenno di ringraziamento, Aurora attraversò la sala d’attesa e aprì la porta che dava sul distretto vero e proprio. Subito il formicolio della magia la investì. Sorrise: le era mancato; erano anni che non si trovava in un luogo magico. Dai tempi di Hogwarts, in effetti. Sua madre aveva smesso di usare la magia ormai da vent’anni, da quando…

Comunque, le piaceva quella sensazione. Era quasi rassicurante.

Non appena si chiuse la porta alle spalle, Harry, Diana e Jonah si voltarono verso di lei.

- Buongiorno, - Aurora abbozzò un sorriso. Odiava stare così al centro dell’attenzione… Giocherellò con il quinto bicchiere di caffè per distrarsi.

- Eccola! – esclamò Jonah. – Ho deciso: è lei la mia nuova migliore amica! Capito, Potter? Sei caduto al secondo posto, e Diana è stata completamente esclusa! -

Aurora sbatté le palpebre un paio di volte. – La tua nuova… -

- Migliore amica, - confermò Jonah. – Potter e De la Rose continuano a tradirmi, adesso è il mio turno! -

- Capisco… - disse Aurora, non essendo lontanamente vicina a capire.

- Ignoralo, - disse Diana, seduta sulla sua scrivania mentre controllava quanto fosse affilata la lama della sua… ascia?! – Dopo un po’ le sue parole diventano solo un brusio indistinto –

- Ehi! –

Ma tutti ignorarono le proteste di Jonah, che scosse la testa borbottando qualcosa che assomigliava molto a “traditori”…

- Quella è un’ascia? – chiese Aurora, avvicinandosi ad una delle due scrivanie vuote.

- Ovviamente, - rispose Diana.

- Porti sempre un’ascia con te? –

- Quale donna gira senza un’ascia? – fu la risposta.

Aurora annuì, chiedendosi quando fosse diventata la persona meno strana nella stanza. Un bel cambiamento, per una volta, ma non si sarebbe avvicinata presto a Diana e alla sua ascia prima di sapere con esattezza quali altre armi nascondeva sotto la sua giacca di pelle.

Si sedette alla scrivania e sfruttò il tempo per ammirare il distretto: spazioso, luminoso ma ancora in grado di trasmettere l’atmosfera di mistero e magia che Aurora aveva sempre provato ad Hogwarts. Doveva fare i complimenti a Sam, aveva davvero fatto un ottimo lavoro.

Quasi l’avesse chiamato, Sam aprì la porta del suo ufficio. – Reckless! Eccoti! –

Aurora agitò il bicchiere ormai mezzo vuoto in segno di saluto. Dopo un’occhiata più attenta, l’espressione di Sam si fece accigliata.

- Hai dormito? –

- Tre ore piene, durante il volo dagli Stati Uniti, - fu la risposta, solo vagamente sarcastica. – Quindi sì, sono a posto –

Sam aveva tutta l’aria di pensare il contrario, ma strinse le labbra e lasciò cadere l’argomento. Per ora.

- Tutti in sala briefing, - ordinò. – Arriverò tra un minuto; Reckless, nel mio ufficio -

Aurora per un attimo si sentì di nuovo come una bambina colta a mangiare cioccolato alle tre del mattino.

(In sua difesa, il cioccolato fa rilasciare al cervello dopamina e serotonina, e la piccola Aurora ne aveva davvero bisogno dopo l’arresto del padre. In realtà, anche l’Aurora adulta ne aveva ancora bisogno. Solo che adesso non c’era più nessuno a fermarla, quando si alzava di notte per frugare nella dispensa)

Scrollando le spalle, entrò nell’ufficio di Sam.

- Sono abbastanza sicura di essere innocente di qualunque cosa mi stai per accusare, - esordì.

Sam sbuffò. – Questa volta non sei stata tu a sbagliare… -

Aurora aggrottò le sopracciglia: Sam evitava il suo sguardo diretto, e le sue sopracciglia erano tese, e muoveva le dita delle mani con un leggero tic nervoso…

- Perché ti senti in colpa? – chiese. – Cos’è successo? –

- Diana è una legilimens naturale, - Sam sputò il rospo. – Ieri ha sentito i tuoi pensieri -. Finalmente la guardò. - Quelli su tuo padre –

- Ha sentito…? –

Sam annuì con un sospiro.

- Perché non me l’hai detto in anticipo?! - Aurora fece del suo meglio per mantenere la voce bassa. – Mi sarei preparata! –

- Lo so, mi dispiace, - disse Sam. – Non sapevo che questo killer stesse imitando tuo padre, e a Diana non piace che si sappia in giro del fatto che è una legilimens naturale, non pensavo che… - la voce gli si spense. Sospirò di nuovo. – Mi dispiace davvero, ragazzina. Quello che posso dirti è che Diana non rivelerà a nessuno il tuo segreto, e che non è il tipo di persona che giudica a causa di chi è la tua famiglia -

Aurora si massaggiò la fronte, cercando di scacciare il mal di testa che sentiva crescere alle tempie. – Capisco, - disse. – Davvero. Non mi piace affatto… ma capisco che non volevi tradire il suo segreto. Sarebbe potuta andare peggio, in fondo, sembra un tipo a posto, - Aurora abbozzò un sorriso. – Adesso andiamo al briefing, abbiamo un serial killer da prendere –



Sam la precedette fuori dall’ufficio e si diresse subito alla porta che dava sulla sala d’attesa.

- Pensavo stessimo andando alla sala briefing? – disse Aurora.

Sam le sorrise come a dire “Sta a vedere”.

Richiuse la porta dietro di loro, si voltò verso la sala d’attesa e schioccò le dita un paio di volte, poi si voltò di nuovo e aprì la porta. Il distretto dall’altra parte era completamente cambiato: un piccolo corridoio centrale, una sala a destra per i file e le prove dei casi e la sala briefing a sinistra.

- Va bene, vecchio, - Aurora non riuscì a trattenere il sorriso. – Questa volta mi hai sorpreso –

- Io? Ho sorpreso la profiler “so-tutto-di-te-in-dieci-secondi?” – Sam non perse occasione per prenderla in giro. Poi si lanciò nelle spiegazioni: – La porta riconosce solo l’aura magica degli agenti Sandman, così se qualcuno volesse rubarci le prove o interferire con il caso, e per qualche incredibile ragione riuscisse a superare le protezioni del distretto, non potrebbe comunque ad accedere a questa parte –

Geniale, pensò Aurora. Ma non lo disse ad alta voce: Sam era già troppo soddisfatto di sé, a giudicare dal suo sorriso.

Senza perdere più tempo, entrarono nella sala briefing.

Tendine nere alle finestre, un tavolo al centro, una lavagna per le prove accanto alla porta. Abbastanza spaziosa, ma non in modo esagerato. Qualche fiamma magica svolazzava, rallegrando l’ambiente.

Harry, Jonah e Diana avevano già sistemato le prove alla lavagna e si erano seduti.

- Cosa sappiamo? – chiese Sam chiudendosi la porta alle spalle. Aurora si sedette davanti alla lavagna.

- Questo killer ha già ucciso sei persone, - Harry cominciò a parlare. – Uccide da tempo, sta imitando lo Scienziato utilizzando la pozione Il Fantasma

- Altro? – chiese Sam.

- Le sue vittime sono tutte Babbani, presentano lesioni da difesa e i corpi sono stati trovati in zone differenti della città –

- Non lascia indizi dietro di sé, - continuò Jonah. – Non sono state rivelate impronte digitali dalla polizia babbana, né tracce di magia sul luogo del ritrovamento –

- Tutto giusto, - Aurora annuì. – Ho un profilo preliminare, - disse poi, alzandosi per posizionarsi davanti la lavagna. – Questo killer uccide da molto, ma il tempo tra i vari omicidi si accorcia sempre di più. Secondo l’esame del medico legale, la prima vittima risale ad un anno fa, la seconda sei mesi fa, la terza due mesi fa, la quarta un mese fa… E così via. Le vittime sono state probabilmente uccise da qualche altra parte e poi scaricate in diverse parti della città: vivevano in zone vicine ma sono state ritrovate ad angoli opposti di Londra. Probabilmente il killer cercava di rendersi irrintracciabile. Ci sono tracce degli stessi pneumatici nelle zone di ritrovamento, perciò il killer ha un’auto ed è così che sposta le vittime. Tutto in lui dimostra che è molto organizzato, gli omicidi erano premeditati e studiati nei minimi dettagli, ma andando avanti nel tempo ha trovato sempre più difficile aspettare tra un omicidio e l’altro: uccidere è diventato inebriante, soddisfava il suo bisogno di controllo, lo faceva sentire potente. Il fatto che uccida usando una pozione fa pensare che non sia in grado fisicamente di sopraffare le sue vittime. La pozione le paralizza e le uccide rapidamente, ma in modo estremamente doloroso. Questo livello di organizzazione ed efficienza, unito al fatto che ha scelto una pozione incredibilmente dolorosa, fa pensare ad una vendetta personale, perciò dobbiamo capire chi possa avercela con le vittime. La buona notizia è che ieri il nostro killer ha commesso un errore: ha ucciso qualcuno che non aveva intenzione di ferire, e questo va contro i suoi piani. Avendo organizzato tutto il resto degli omicidi in modo molto accurato, adesso è in un momento di crisi, sarà meno concentrato e possiamo sfruttarlo a nostro vantaggio, ma dobbiamo anche sbrigarci a prenderlo prima che la crisi passi e lui evolva, diventando un killer ancora più pericoloso. Dal livello di organizzazione, deve essere tra i trenta e i quarant’anni, maschio bianco, ma non in forma fisicamente, o con qualche handicap, altrimenti non dovrebbe usare una pozione per sopraffare le sue vittime. A giudicare dal suo bisogno di controllo, la sua vita deve essere stata frustrante: decisioni prese per lui, ad esempio. Consiglio di cominciare le ricerche dalla casa dell’ultima vittima: il killer aveva un legame con Vanessa Hedge –

Per qualche momento restarono tutti in silenzio, elaborando le informazioni.

- E’ stato fantastico! – esclamò Jonah. – Hai capito tutto questo da un file e una scena del crimine? –

Aurora si grattò nervosamente il collo. – E’ il mio lavoro –

- Stupendo, sei il mio nuovo idolo -. Gli occhi di Jonah brillavano. Non sapendo cosa rispondere, Aurora sorrise e annuì, poi si voltò verso Sam. – C’è un’ultima cosa, - disse. – Non penso che il killer sia un Mangiamorte –

- Perché? – chiese Diana.

- Il modus operandi, - rispose Aurora. – Potrebbe uccidere con un Avada Kedavra se non fosse capace di sopraffare le sue vittime fisicamente, e se volesse farle soffrire basterebbe un Crucio. Questo, unito alla mancanza di tracce magiche e al fatto che ha usato un’auto per spostare le vittime? Penso che sia un Babbano –

- Un Babbano che è venuto a sapere del vero modus operandi dello Scienziato, - disse Harry. – Quindi un Babbano che sa qualcosa riguardo il mondo magico –

- Esatto, - annuì Aurora.

Non prometteva bene.

- Tutto chiaro, - intervenne Sam. – Diana e Aurora andranno a parlare con il marito della vittima, ieri non ha detto molto, sembrava sotto shock, ma con le nuove informazioni potreste essere in grado di farlo collaborare di più. Harry e Jonah, voi controllate le vittime e cercate di capire il collegamento tra di loro, se necessario potete andare a parlare con i loro parenti. Io andrò a vedere se il medico legale ha nuove informazioni e se la polizia babbana ha nuovi indizi dalle prove trovate sulla scena del crimine –.

Con queste parole, si misero tutti a lavoro.



Diana e Aurora si smaterializzarono vicino casa dell’ultima vittima. Controllarono che nessuno le avesse viste, poi camminarono verso l’entrata.

Salirono le scale di marmo bianco e bussarono al portone di legno. Dopo qualche minuto la governante aprì, guardandole con occhi spiritati.

- Polizia, - si presentò Diana. – Il signor Hedge è in casa? –

- Al piano di sopra, - rispose la governante. – Ma abbiamo già parlato con la polizia, perché… ? -

Scioccata. Addolorata. Teneva a Vanessa Hedge e gestire le domande della polizia ieri deve averla sfinita. Ha bisogno di sentirsi come se qualcuno comprendesse il suo dolore e la sua fatica.

- Abbiamo nuove domande, - disse Aurora. Si dipinse in volto un’espressione triste e un po’ mortificata. – Ci dispiace davvero disturbarvi ancora, ma pensiamo che potreste aiutarci a prendere l’assassino della signora Hedge e a consegnarlo alla giustizia per ciò che ha fatto -. La governante annuì, gli occhi acquosi.

Come previsto.

- Prego, entrate, - si fece da parte per farle passare. – Vado a chiamare il signor Hedge -.

Aurora annuì con un sorriso comprensivo e guardò la governante precipitarsi su per le scale.

Il salone d’ingresso era enorme come ricordava: pavimento in marmo lucido, rampa di scale di fronte a loro che si divideva in due scalinate che proseguivano in direzioni opposte, un lampadario composto da quelle che sembravano schegge di cristallo… Ad Aurora davano sempre fastidio gli sfoggi di ricchezza del genere. Del tipo, va bene! Abbiamo capito che sei ricco da far schifo!

Un po’ ipocrita da parte sua, immaginava, visto che la sua tenuta di famiglia era praticamente un castello…

Beh, una delle tenute di famiglia.

Sì, era decisamente ipocrita.

- Vi sta aspettando, - la governante ricomparve in cima alla rampa di scale. Diana e Aurora si affrettarono a salire gli scalini, seguendola su per tre rampe e infine in un corridoio. Appesi alle pareti c’erano i quadri dei più importanti membri della famiglia. Il signor Hedge le aspettava dietro una porta rosso vino, in una stanza grande più o meno quanto l’intero appartamento di Aurora, seduto comodamente su un divano bianco panna.

- Polizia, di nuovo? – chiese. Gli scarsi capelli che ancora portava in testa erano pettinati con cura, ma gli occhi erano rossi e il completo che indossava un po’ sgualcito.

- Ci dispiace disturbarla, - affermò Aurora. Si avvicinò al divano studiando la stanza: tende intonate con i tappeti, un tavolo in legno lucido e alcuni tavolini sparsi vicino alle finestre. Foto sui mobili dipinti di bianco. Classici della letteratura posizionati ad arte sui vari scaffali. Non c’era un solo granello di polvere fuori posto.

Una famiglia per cui le apparenze erano tutto.

- Ho già parlato con la polizia, - affermò il signor Hedge.

- Abbiamo nuove domande da farle, - affermò Diana, dritta al punto.

Aurora camminò fino ai mobili per dare un’occhiata alle foto: Vanessa Hedge e suo marito su una spiaggia, dedicando i loro sorrisi più lucenti alla fotocamera. Ma… Vanessa aveva un braccio fuori dalla foto.

Potrei capire qualcosa, guadagna tempo e mettilo sotto stress.

Un lieve cenno fu tutta la risposta di Diana.

- Inizierò con le domande di base, - la legilimens si sedette sulla poltrona di fronte al divano. – Dov’era ieri sera? –

- Ho già… -

L’espressione dura di Diana convinse subito il signor Hedge a collaborare.

- In auto, ad aspettare che mia moglie… - la voce gli si spezzò. Trattenne un singhiozzo e fece un respiro profondo. Diana non sembrava turbata dalle lacrime, e continuò come niente fosse.

- Qualcuno potrebbe avercela con Vanessa? –

- Impossibile, - fu la risposta. – Mia moglie era la persona più gentile del mondo, determinata ad aiutare tutti e a gestire ogni possibile conflitto con eleganza –

Interessante…

Aurora prese un’altra foto per studiarla: ancora la coppia di sposi felici, ma questa volta Vanessa aveva uno sguardo quasi triste sul viso, e non fissava direttamente la telecamera. Il marito, invece, sembrava… vergognarsi? Sguardo leggermente basso, sorriso al suo posto, ma spento.

Molto interessante.

Aurora aveva un’ipotesi. Un’ipotesi azzardata che li avrebbe messi nei guai se si fosse rivelata sbagliata, ma valeva la pena di provare.

- In queste foto siete soli -. Si voltò verso il signor Hedge, che la guardò sbattendo confusamente le palpebre.

- Ovviamente, - fu la risposta.

- Beh, è un peccato, - Aurora sospirò, mettendo di nuovo la cornice al suo posto. – Mi sarebbe piaciuto vedere una foto di vostro figlio –

Il signor Hedge trattenne il respiro, gli occhi si spalancarono in preda al panico. Durò pochi secondi, ma fu sufficiente ad Aurora perché capisse di averci preso.

Il signor Hedge provò disperatamente a mascherare la sua espressione. - Non so di cosa… -

- Sua moglie era molto brava a gestire i conflitti, ha detto, - continuò Aurora. – Quali conflitti? Vostro figlio non aveva molti amici? Era un ragazzo difficile, che creava problemi? –

Aveva bisogno di pungolare fino a colpire il nervo giusto.

- Non so perché sta insinuando che… -

- Immagino che debba essere stato difficile, - Aurora non diede segno di averlo sentito. – Voi, una coppia così rispettabile, costantemente portata alla vergogna da un figlio indegno… -

- La smetta di parlare di qualcosa che non può capire! -. Finalmente, il signor Hedge esplose. – Non è mai stata colpa di nostro figlio! –

Aurora trattenne a stento un sorriso. Scacco matto.

- Il… il signorino era una brava persona -. Con sua sorpresa, la governante intervenne.

- Se è una tale brava persona, come mai non è mai incluso nelle foto? – insisté Aurora. – Come mai suo padre si sente in colpa? Cos’è successo che ha generato conflitti e vi ha convinti che nasconderlo al mondo fosse l’unico modo per affrontare la situazione? –

Il signor Hedge indurì lo sguardo. Aurora sospirò e si spostò per sedersi accanto a lui.

- Signor Hedge, - disse. – Siamo le uniche persone disposte ad aiutarlo. Se lei ci spiega perché suo figlio ha cominciato ad uccidere, quale ingiustizia ha subito, possiamo diminuire la sua pena, venirgli incontro. Se ci aiuta a trovarlo per primi, possiamo fare qualcosa per lui -. Pausa ad effetto. – La scelta è sua –

Per minuti infiniti, nessuno parlò. Diana restò immobile, ma il suo sguardo si faceva sempre più duro e impaziente. Aurora si chiese quali pensieri stesse ascoltando. Niente di troppo utile, se stava ancora seduta ad aspettare.

- Aveva solo otto anni -. Finalmente, il signor Hedge cedette. – E’ sempre stato un po’ diverso… Incredibilmente sveglio e brillante per la sua età, ma di corporatura debole, si ammalava facilmente, ed era così mingherlino... Quei ragazzi… - scosse la testa. - La scuola non era un posto sicuro per lui. Gli hanno fatto del male, lo picchiavano quasi ogni giorno -. Emise un sospiro tremante. – Finché una volta non l’hanno rinchiuso in uno sgabuzzino. Non siamo riusciti a trovarlo se non due giorni dopo. L’abbiamo salvato appena in tempo -. Chiuse gli occhi, tremando.

- Così lo avete ritirato dalla scuola, - sussurrò Aurora. – Volevate proteggerlo, e sua moglie si è occupata di placare i genitori dei ragazzi coinvolti –

- Non volevano ammettere la colpevolezza, - confermò il signor Hedge. – Ma Vanessa è riuscita a calmare tutti. Abbiamo deciso di educare nostro figlio a casa. E anche dopo che ha finito gli studi… non ci fidavamo a lasciarlo andare in giro da solo –

- Deve essere stato un incubo per lui, - intervenne Diana, accigliata. – Rinchiuso in casa per tutta la vita –

- E’ stata dura, - disse il signor Hedge. – Ma non è stato fino a due anni fa che si è davvero arrabbiato con noi –

- Cos’è successo due anni fa? – chiese Diana.

- Abbiamo avuto una discussione, e la sera è uscito di nascosto. Due giorni dopo aveva la febbre alta, delirava… Il suo corpo è sempre stato debole, stava per cedere. Non sapevamo a chi rivolgerci, il nostro medico di famiglia non riusciva ad abbassare la febbre, poi abbiamo ricevuto un messaggio anonimo con un numero di telefono. Il numero di un ospedale psichiatrico criminale. Pensavamo fosse uno scherzo, poi abbiamo scoperto che in quell’ospedale è detenuto uno dei migliori medici conosciuti –

- Micheal Campbell, - sussurrò Aurora.

- Esatto, - confermò il signor Hedge. – Così ci siamo messi d’accordo con l’ospedale e il dottor Campbell ha assistito nostro figlio. Si è ripreso completamente in due settimane, ma dopo aver incontrato quel dottore… è tornato diverso –

- Più ossessivo? – chiese Aurora. – Chiuso, parlava di meno, passava più tempo solo nella sua stanza e non permetteva a nessuno di avvicinarlo… -

- Come fa a saperlo? –

- E’ il periodo in cui suo figlio ha deciso di uccidere, - rispose Aurora. – Ha pianificato tutto nei minimi dettagli per un anno, prima di colpire –

Il signor Hedge tremava, gli occhi lucidi.

- Dov’è suo figlio adesso? – chiese Diana.

Il signor Hedge scosse la testa, apparendo completamente sopraffatto.

- Lei è spaventato, - disse Aurora. – Aveva il dubbio che fosse suo figlio ad uccidere, ma non voleva ammetterlo. Però adesso ha ucciso sua moglie, che era la più affettuosa e comprensiva tra voi due… E lei non sa se sarà il prossimo. Ancora più importante, non sa dov’è suo figlio al momento –

Si voltò verso Diana per confermare: la legilimens annuì.

- Come si chiama suo figlio? – chiese Aurora. Il signor Hedge dovette prendere molti respiri profondi prima di essere in grado di rispondere.

- Jonathan, - sussurrò infine.

- Ha delle foto? – chiese Diana.

- No, le ha distrutte tutte due anni fa –

Va bene. Andava ancora bene. Avevano un nome su cui lavorare. Era già qualcosa.

- Può portarci alla stanza di suo figlio? – chiese Aurora.

Il signor Hedge annuì, alzandosi a fatica: tremava ancora e sembrava che le sue gambe avrebbero presto ceduto sotto il suo peso. La governante si affrettò ad aiutarlo. Impazienti, Diana e Aurora seguirono i suoi passi lenti per tutto il corridoio, fino alla stanza più isolata della casa. Dietro una porta di legno lucido c’erano delle scale.

- La sua camera è lassù, - sussurrò il signor Hedge. Diana e Aurora non se lo fecero ripetere: salirono in fretta gli scalini e spalancarono la porta in cima alla rampa. La stanza era immersa nel buio.

Diana tirò fuori la bacchetta e lanciò un rapido lumos.

Dopo la prima occhiata alla camera, Aurora fece un respiro profondo per calmarsi: le pareti erano ricoperte dei disegni accurati della Dozzina dello Scienziato. Tutte le fasi in cui la pozione agiva, tutti gli organi del corpo e le loro reazioni… tutto illustrato in modo impeccabile.

Questi li ha disegnati mio padre…

- E cosa significa? – chiese Diana, osservandoli con vago disgusto.

La mano destra di Aurora tremava. La chiuse a pugno. – Significa che andrò a fare una visita a qualcuno che non vedo da dieci anni –



ANGOLO DEL TROLL PAZZO

Ed ecco il terzo capitolo! Finalmente le indagini fanno un passo avanti!

E’ stato faticoso da scrivere in modo che fosse tutto chiaro – e vi prego, ditemelo se non è tutto chiaro! – ma spero di esserci riuscita. E spero davvero di aver reso bene anche il rapporto tra Harry e Ginny!

Grazie a tutti i lettori silenziosi! Grazie a fenris e a Theodred per le recensioni -mi rende sempre incredibilmente felice sapere cosa pensate di questo esperimento un po’ folle!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! E’ un po’ più lungo degli altri, ma non potevo tagliarlo prima!

A presto con il prossimo capitolo! (E si! Ci siamo! Sto per scrivere del padre di Aurora!)



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Capitolo 5
*** Capitolo quattro - Nella tana del lupo ***


Capitolo Quattro



- Mi sono sempre chiesto… - il dottor Campbell si appoggiò alle sbarre, comodamente seduto sulla sua branda. – E se la psicopatia fosse un’altra forma di genialità? –

- Ti stai autodefinendo genio? – Aurora era accovacciata contro le sbarre dalla parte opposta della cella, l’uscita alla sua sinistra, aperta, e un quaderno pieno di appunti fitti sulle sue ginocchia.

- Beh, - suo padre sorrise, scrollando le spalle. – Sono oggettivamente un genio della medicina… Ma non stai davvero cogliendo quello che intendo –

Aurora inclinò la testa, incuriosita. Il sorriso del dottor Campbell si fece più ampio, come sempre quando riusciva a catturare l’attenzione di sua figlia.

- Vedi, se fossi stato frenato dalla compassione, dall’empatia… Non avrei mai potuto portare avanti le mie ricerche –

- Intendi le tue uccisioni, - lo fermò Aurora.

- Esperimenti, bambina mia, - fu la risposta. – Non potevate mettermi davanti un mondo molto più ampio di quello che ho sempre conosciuto e pensare che me ne sarei stato tranquillo. Ci sono così tante domande senza risposta sulla magia! Perché scorre in bambini Babbani? Perché invece alcuni nascono in famiglie magiche ma sono magonò? Come funziona la magia sui Babbani in confronto a come funziona sui maghi? Cosa determina che un mago sia più potente di un altro? Può essere acquisita? Passata a qualcun altro? Quali sono i suoi limiti? –

Il dottor Campbell scosse la testa, come per tirarsi fuori dal suo entusiasmo. – Certo, - ammise. – I miei esperimenti sono stati un po’… brutali, alcuni di loro –

Aurora emise uno sbuffo.

- Sai, - suo padre sorrise, più sincero. – Mi piace, parlarne con te. Potrei passare giornate intere a confrontare opinioni e discutere con il mio piccolo genio –

Aurora sorrise, ma afferrò quaderni e penna d’oca e cominciò a rimettere tutto nella borsa nera. – Dovrei andare, – disse.

- Di già? – esclamò il dottor Campbell. – Sei sempre più impegnata, in questo periodo! Dimmi, sei all’ultimo anno di Hogwarts, non è vero? –

- L’ottavo anno, sì, - rispose Aurora, sistemandosi la borsa a tracolla. – Stanno facendo recuperare l’ultimo anno a chi l’ha perso per via della guerra –

- Sono felice che ti permettano di finire la tua istruzione, - affermò il dottor Campbell. – Non possono tenere mia figlia in panchina! -

Aurora sorrise di nuovo, ma sembrava sempre più forzato. La sua mano destra cominciò a tremare mentre si alzava.

- Tesoro? – la chiamò suo padre. – Cosa non mi stai dicendo? –

- Nulla, ovviamente, - fu la risposta rapida.

- Bambina mia, ti ricordo che sono un dottore, so riconoscere i tuoi segnali di stress -. Suo padre la guardò con occhi comprensivi. – Qualunque cosa sia, puoi parlarmene. Sono tuo padre –

Aurora chiuse la mano a pugno e fece un respiro profondo. Poi…

- Tornerò negli Stati Uniti, - disse. – Voglio studiare psicologia –

- Beh, è una materia incredibilmente affascinante! – esclamò il dottor Campbell. – Sono fiero della tua scelta! Hai già pensato a quale carriera vuoi intraprendere? Capisco che non ti interessa seguire il mestiere di famiglia… E con questo intendo la medicina, ovviamente –

- Profiler, - lo interruppe Aurora. – Voglio fare domanda per Quantico il prima possibile –

Il sorriso del dottor Campbell gli si gelò in volto. – L’FBI? – ripeté. – Pensi che ti accetteranno? Tuo padre è un serial killer… -

- Quello che voglio davvero dire, - sbottò Aurora. – E’ che è finita, questa è la mia ultima visita -. Evitò il suo sguardo. – Non tornerò –

A quelle parole, suo padre balzò in piedi. – Cosa? –

- Questo è un addio, dottor Campbell -. Detto questo, Aurora si voltò.

- No! – esclamò suo padre. – Non puoi andartene… ti prego, sei mia figlia! E la mia unica connessione con il mondo esterno, con la mia famiglia! Non è… non è quello che voglio! –

- Beh, forse è un bene! – esclamò Aurora.

Ma era ancora troppo vicina alla linea rossa. Quella sottile, innocua linea che segnava fin dove l’incatenato dottor Campbell poteva arrivare. Aurora era ancora troppo vicina, e suo padre si mosse rapidamente. Le afferrò il polso.

- Non puoi andartene! – sibilò.

Aurora era congelata. Riuscì solo a guardare suo padre, che la fissava come un predatore, gli occhi freddi e allo stesso tempo furiosi.

- Sei
mia figlia! Non puoi andartene! –

Razionalmente, Aurora sapeva che bastava uno strattone deciso per liberarsi della presa di suo padre. Il dottor Campbell era ancora in manette e non poteva esercitare tutta la sua forza, le sarebbe bastato uno strattone rapido e sarebbe stata libera.

Ma era congelata. Come quando in un sogno cerchi di correre, ma le gambe sono deboli, tremanti, lente…

Sentì una presa ferrea per le spalle e poco dopo fu fuori dalla cella di suo padre, il cuore martellante, i polmoni di marmo.

- …ra? Aurora? Mi senti? –

Sbatté le palpebre un paio di volte prima di mettere a fuoco lo sguardo preoccupato del signor Stevens, la guardia di suo padre. Era stato lui a portarla via dalla cella.

- Stai bene? – le chiese.

Aurora fece un paio di respiri profondi. Era ancora instabile sulle gambe, le braccia tremavano. La mano destra sembrava impazzita. Il cuore le martellava. Le sembrava che non importava quanto respirasse a fondo, non le arrivava aria ai polmoni.

- Sto bene, - affermò. – Devo solo… uscire –

Il signor Stevens annuì e la accompagnò via per il corridoio. Alle loro spalle risuonavano le grida del dottor Campbell.






- Assolutamente no -.

Aurora non si era esattamente aspettata che Sam sarebbe stato entusiasta della sua idea, ma sperava di iniziare la loro conversazione in maniera meno drastica.

Seduta davanti la scrivania, lo osservò alzarsi e cominciare a camminare avanti e indietro.

- Sam, - insisté. – La stanza di Jonathan era piena di disegni realizzati da mio padre! –

Lui si appoggiò alla scrivania e la guardò negli occhi. – Abbiamo un sospettato, possiamo trovarlo con un incantesimo di localizzazione e interrogarlo, non ci serve tuo padre –

- Ma è stato mio padre a convincerlo a compiere omicidi! – esclamò Aurora. – Ho bisogno di parlargli, di capire cosa ha detto a Jonathan e perché ha deciso di dargli dei disegni per realizzare gli omicidi, e dobbiamo anche sapere quanto gli ha detto del mondo della magia –

- No, - replicò Sam. – No, non puoi tornare da lui –

-Dobbiamo andare fino in fondo, - affermò lei. – Mio padre è pericoloso anche dalla sua cella, dobbiamo sapere quanti danni ha fatto e… -

- Ma non devi essere tu ad affrontarlo, - la interruppe lui. – Manderò Diana a parlargli –

- Un legilimens naturale l’ha interrogato dopo il suo arresto, - replicò Aurora. – Sai che non sarebbe in grado di carpire niente –

Sam scosse la testa. – Ci deve essere un altro modo! –

- Non c’è, - affermò lei. – Parlerà solo con me –

Sam si appoggiò alla scrivania e la guardò negli occhi. Aurora vide una rassegnata disperazione.

- Non posso lasciartelo fare –

Aurora sospirò e ricambiò lo sguardo, triste ma determinata. – Non ti sto chiedendo il permesso -





Harry, Jonah e Diana osservarono Sam aprire la porta del suo ufficio con l’espressione più scura che gli avessero mai visto in faccia. E loro c’erano, quando la macchinetta del caffè aveva smesso di funzionare per una settimana.

- Prendete l’occorrente per un incantesimo di localizzazione, - Sam ordinò. – Vi voglio in sala briefing tra dieci minuti –

Senza aggiungere altro, li superò per precederli in sala briefing. O per andare a imprecare da qualche parte dove non potessero sentirlo. Vista la sua espressione, entrambe le ipotesi erano plausibili.

Aurora era ancora nell’ufficio di Sam. Lo osservò andarsene con un sospiro. Quando si accorse che la stavano guardando, voltò loro le spalle e andò direttamente al caminetto, afferrando una manciata di metro polvere, sussurrando qualcosa e lanciandola nelle fiamme. Senza guardarsi indietro, entrò nel camino e scomparve in una fiammata verde.

Harry e Jonah si voltarono verso Diana.

- Cosa sta succedendo? – chiese Harry.

- Non spetta a me parlarne, - fu la risposta.

- Andiamo! – esclamò Jonah. – Il capo è ad un secondo dall’esplodere e la nuova Sandman si è appena volatilizzata non-si-sa dove! Dacci una mano a capire cosa sta succedendo! –

Diana strinse le labbra e non rispose.

- Puoi solo rispondere ad una domanda? – tentò Harry.

- Staranno bene, - affermò Diana. – E’ un momento difficile, ma non è il primo che affrontano -. Lo guardò negli occhi. – Staranno bene –

Harry annuì, provando ad abbozzare un sorriso.

- Va bene, - Jonah alzò le mani in segno di resa. – Siamo condannati all’oblio, non sapremo mai cosa sta succedendo nel nostro stesso distretto, possiamo solo osservare il capo precipitare in un abisso di… -

- Ma smettila, - lo interruppe Harry con uno sbuffo. – Abbiamo un incantesimo di localizzazione da preparare e un capo da non far innervosire ancora di più –

- Sbrighiamoci, - affermò Diana.





Aurora inciampò fuori dal caminetto all’ingresso del Bentley Psychiatric Hospital, l’ospedale psichiatrico per i peggiori criminali babbani e magonò, quelli più folli e incontrollabili, e quelli che erano entrati in contatto con la magia con conseguenze disastrose.

L’ingresso era quasi accogliente, con luci calde e un tappeto davanti alla reception. - Campbell? –

Aurora si voltò verso la receptionist: caschetto nero, corposa, occhi scuri e un caldo sorriso sempre a disposizione…

- Maggie? -. Aurora sorrise, avvicinandosi.

Maggie era la receptionist che le offriva cioccolatini quando andava alle visite di suo padre, che le risentiva i compiti mentre aspettava che Sam venisse a prenderla, che la abbracciava senza fare domande quando la vedeva uscire tutta tremante da una visita non finita bene…

- Sei proprio tu! – esclamò Maggie. – Cavolo, non ti vedo da dieci anni! Quando sei tornata? –

- Qualche giorno fa, - rispose Aurora. – Lavori ancora qui, vedo –

- La paga è buona e posso avere cioccolatini gratis, - rispose Maggie con un sorriso. Diede un’occhiata più accurata ad Aurora e si accigliò. – Sei ancora troppo magra -

- Sto bene, - fu la risposta.

- E vedo che le tue capacità recitative sono ancora meno convincenti di dieci anni fa, - ribatté Maggie senza perdere un colpo. Aurora sbuffò.

- Sono qui per… -

- Il dottor Campbell. Ho chiamato il signor Steven non appena ti ho riconosciuta, sta arrivando –. Maggie la squadrò. – Sicura di volerlo vedere? –

- E’ per un caso, - rispose Aurora. La receptionist si limitò ad annuire, ma la sua espressione restò accigliata.

L’arrivo del signor Stevens salvò Aurora da altre domande.

- Bob! – Aurora si voltò verso di lui.

- Non mi chiamo Bob, - fu la solita risposta della guardia. Le fece cenno di seguirlo e la condusse oltre la prima porta blindata, su per le scale e per i vari corridoi.

- Frank? – Aurora riprovò. – Tom? –

- Non ci sei neanche lontanamente vicina, - il signor Stevens la guardò con un sorriso. – Dovresti arrenderti, sono vent’anni che provi ad indovinare –

- E prima o poi ce la farò, - affermò lei. – Nel frattempo, ti chiamerò Bob –

Il signor Stevens sbuffò ma non rispose mentre la conduceva oltre un altro corridoio e un’altra porta blindata.

Il che non aiutò Aurora a distrarsi da ciò che stava per fare. Da tutti i ricordi che stava cercando di ignorare. La sua misura standard per affrontare i problemi: ignorali finché non spariscono. Funzionava con le ferite sul campo, ma sembrava non funzionare molto bene con quei maledetti ricordi che continuavano a tornare.

Uno penserebbe che i peggiori sono quelli violenti. Quelli di quando ha scoperto che tipo di persona fosse suo padre. Quando l’ultima vittima del dottor Campbell era strisciata sul pavimento del seminterrato verso di lei implorando aiuto, e la prossima cosa che Aurora ricordava era essere raggomitolata nell’armadio mentre chiamava la polizia, ascoltando con il fiato in gola suo padre che la cercava per casa, sempre più allarmato.

Ma no. Quelli non erano i ricordi peggiori.

I ricordi peggiori erano le sere pigre in cui il fuoco scoppiettava nel caminetto e lei si accoccolava sul maglione blu di suo padre, inspirando l’odore di tè, mentre la voce morbida e rassicurante la cullava nel sonno. Quando il dottor Campbell le scompigliava i capelli, chiamandola il mio genietto e aiutandola a correggere i compiti. Quando facevano le gite in auto, tutti e tre insieme, e suo padre alzava il volume della radio non appena c’erano le loro canzoni preferite, e si mettevano a cantare a squarciagola, stonati, fingendo di star suonando gli strumenti. Quando Aurora si sentiva male e il dottor Campbell passava la notte seduto vicino al suo letto, pronto a rassicurarla, a riscaldarla, a darle lo sciroppo e aiutarla a riaddormentarsi.

Quelli erano i ricordi peggiori. I ricordi che continuavano a insinuarsi nei momenti in cui era meno preparata, i ricordi che la portavano a sperare che forse, solo forse, quel padre amorevole che era sempre stato lì per lei esisteva ancora. Che forse, solo forse, quell’amore era reale.

Era una speranza terribilmente pericolosa. Una che, soprattutto adesso, non poteva permettersi.

- Ci siamo -. La voce del signor Stevens la riportò alla realtà. Erano nel corridoio spoglio dalle pareti rosse, davanti all’ultima porta blindata. L’ultima barriera tra lei e suo padre. – Il dottor Campbell è ammanettato, la corda lo tiene legato al muro, non può superare la linea rossa, quindi stai attenta a non oltrepassarla per nessun motivo -.

Aurora fece un respiro profondo.

Poteva farcela. Era qui per un motivo. Avrebbe fatto aprire quella porta, preso le informazioni che le servivano, e sarebbe tornata dalla squadra.

Fece un cenno secco al signor Stevens, che aprì l’ultima porta blindata. Senza esitare ancora, Aurora oltrepassò la soglia.

Quando Harry, Jonah e Diana entrarono in sala briefing, Sam era ancora teso come la corda di un violino. Continuava a controllare il cellulare e a camminare avanti e indietro davanti la lavagna. Harry e Jonah si scambiarono uno sguardo preoccupato: non lo avevano mai visto così.

Quando sistemarono l’occorrente sul tavolo, Sam provò a darsi un contegno. Fece un respiro profondo, pose il cellulare in tasca e si concentrò sul caso.

C’era un motivo se era il capo della squadra Sandman. Era bravo nel suo lavoro, e ad arrivare in fondo ad ogni caso senza lasciarsi distrarre.

Ma a giudicare dalla micro ruga sulla fronte di Diana, la testa del loro capo non era ancora sgombra dalle preoccupazioni.

Jonah sospirò: prima Harry che non voleva parargli del suo rapporto con Aurora, adesso Diana che si rifiutava di rivelare perché Sam era così teso… Jonah cominciava a sentirsi escluso dalla sua stessa squadra.

Adorava Aurora e il modo in cui analizzava gli indizi, componendo un puzzle che gli altri non avevano idea esistesse, ma tutti sembravano sapere qualcosa su di lei che lui ignorava. E non ritenevano che dovesse saperlo.

(Tutti lo lasciavano indietro, alla fine)

Qualcuno gli strinse la mano: Diana. Lo guardò con quell’espressione esasperata da “stai di nuovo pensando troppo, Millis”. Jonah sorrise e si ricompose: avevano un sospettato da trovare.

- Tutto pronto, - affermò Harry, sistemando la ciotola di pozione accanto alla cartina di Londra. – Datemi le informazioni -. Afferrò la pergamena e la penna d’oca che aveva posato sul tavolo.

- Jonathan Hedge, trentaquattro anni, costituzione debole, quasi morto per uno scherzo dei suoi coetanei quando aveva dodici anni, rinchiuso in casa da allora, con contatti solo con i suoi genitori e come unica amica la governante, - Sam elencò.

Harry finì di scrivere le informazioni e gettò la pergamena nella pozione. Subito il foglio prese fuoco e Jonah si sbrigò a gettare la pozione sulla cartina. Gran parte si ridusse in polvere, ma un piccolo grumo di pozione cominciò a percorrere la cartina.

La torre di Londra… Westminster Vistoria… Hyde Park Chelsea… Kensington… Notthing Hill. Lì, il grumo si arrestò.

- Notthing Hill! – esclamò Harry. – Cosa c’è a Notthing Hill? –

- Riprendi i file della famiglia Hedge, - ordinò Sam. Sembrava aver capito qualcosa. Diana li chiamò con un veloce accio e li porse a Sam, che li sfogliò rapidamente.

- L’appartamento della governante è a Notthing Hill! –

- Jonathan potrebbe voler uccidere anche lei, forse la vede come una complice della sua infanzia rovinata! – esclamò Jonah.

Sam consegnò loro la foto del quartiere e tutti e tre si Smaterializzarono.





- Aurora! -. Il dottor Campbell le sorrise, caloroso. – La mia bambina –

La sua cella era molto più accogliente dell’ultima volta che ci era stata: un bel tappeto morbido, scaffali per i suoi libri di medicina, una scrivania, persino una poltrona accanto al letto. Niente gabbia al centro della stanza con un misero letto scomodo.

- Come stai? – continuò il dottor Campbell. – Hai delle occhiaie… Non stai dormendo? –

- Tu sei fresco come una rosa, invece, - rispose Aurora. Ed era vero: nella sua tuta bianca con un cardigan beige sopra, il dottor Campbell era ben pettinato, gli occhi verdi vivaci, un sorriso rilassato in volto… L’unico segno che erano passati dieci anni dalla sua ultima visita erano i capelli ingrigiti. Non che non gli donassero, ovviamente.

Era esasperante.

- Beh, sono diventato vegano, - lui continuò a parlare. – E non vedo tua madre da vent’anni -. Sorrise come se avesse appena fatto una battuta che potevano capire solo loro due. Aurora non reagì.

- Ma dimmi! – esclamò allora il dottor Campbell. – Come stai? Come sta tua madre? C’è una poltrona proprio alle tue spalle, perché non ti fermi e non chiacchieriamo un… -

- Hai un imitatore -. Aurora lo interruppe.

Il dottor Campbell sbatté le palpebre, poi il suo volto si aprì in un sorriso. – Davvero? Beh, sono lusingato! –

Aurora scosse la testa, sospirando. In fondo cosa poteva aspettarsi?

- E anche molto preoccupato, - suo padre si affrettò ad aggiungere.

- Puoi smettere di recitare, - affermò Aurora. – So che lo stai aiutando –

- Cosa? – il dottor Campbell sollevò gli occhi su di lei, e le parve che fosse davvero sorpreso.

Non lasciarti ingannare.

- Non lo sto aiutando! –

- Sì, invece! – Aurora tirò fuori i disegni che aveva preso dalla stanza di Jonathan. – Questi li hai disegnati tu –

- Sì, ma… -

- Adesso dimmi solo cosa gli hai detto e… -

- No, - la interruppe suo padre. – Quelli mi sono stati rubati! Sono parte del mio studio! –

Aurora assottigliò gli occhi. Anche se studiava suo padre da vent’anni, in questi momenti trovava difficile capire quanto stesse dicendo la verità e quanto stesse mentendo.

- Terzo scaffale, volume quindici, - la esortò il dottor Campbell. – Controlla tu stessa –

Lei recuperò in fretta il volume indicato e cominciò a sfogliarlo. Non ci mise molto ad arrivare alle pagine strappate.

- Visto? – suo padre si era spostato davanti la scrivania addossata alla parete. Vicino allo scaffale, ma ancora a circa un metro di distanza.

- Sono stato derubato! – esclamò. – E’ un oltraggio! –

- Sono morte sette persone, - Aurora gli gettò un’occhiata seccata.

- Certo, - il dottor Campbell si sbrigò a dire. – Anche quello è un oltraggio. Ci possono essere… diversi tipi di oltraggio –

Aurora riusciva a sentire il mal di testa in arrivo.

- Jonathan Hedge, - disse. – Lo ricordi? –

- Tesoro, - il dottor Campbell sospirò. – Lo sai, aiutare la polizia… - scosse la testa. – Va contro tutto ciò in cui credo –

- La sua stanza era piena di tuoi disegni, - affermò Aurora. – E ha già ucciso sette persone imitando la tua Dozzina. In più, è stato un tuo paziente circa due anni fa –

- Ho molti pazienti, - fu la risposta rilassata.

- Sei un genio della medicina rinchiuso in gabbia, - disse lei. – Vuoi farmi credere che non ricordi ogni tuo singolo paziente? –

- Questa tua affermazione suona un po’ accusatoria, non credi? – fu al risposta.

Aurora fece un respiro profondo e chiuse gli occhi. Doveva concentrarsi. Sapeva che suo padre aveva quel modo sottile di infilarsi sottopelle e manipolarla, e questa volta non poteva lasciarglielo fare. Non era un più una ragazzina spaventata, era una profiler laureata a Quantico che aveva lavorato con l’FBI. Aveva passato tutta la vita a studiare come entrare nella mente degli assassini, scovarne i punti deboli e colpire dove faceva più male, o manipolarli con un tocco gentile.

Suo padre era solo l’ennesimo assassino che si ritrovava a profilare. Doveva esserlo.

Riaprì gli occhi, invasa da una strana calma. Inclinò la testa, studiando suo padre.

- Mi aiuterai, - affermò.

- Bambina mia, - il dottor Campbell sorrise. – Sai che non aiuto la polizia… -

- Mi aiuterai perché hai paura, - lo interruppe lei.

- Io? Paura? – suo padre ridacchiò.

- E’ evidente, - rispose lei, calma. – Il modo in cui ti muovi, il tuo sguardo che continua a scattare sulla porta e poi a tornare da me -. La realizzazione la colpì immediatamente. – Hai paura che me ne andrò di nuovo. Che uscirò da quella porta e non tornerò mai più –

Adesso era evidente. Il disagio, il leggero nervosismo. Stava toccando i nervi giusti.

- Aiutami con questo caso, e tornerò, - promise Aurora.

Gli occhi di suo padre scattarono su di lei.

Bingo.

Più tardi avrebbe fatto i conti su quello che significava ciò che aveva appena promesso, ma adesso l’unica cosa importante era che funzionasse.

- Jonathan Hedge, - il dottor Campbell parlò con voce calma… soddisfatta, quasi. – Due anni fa, i suoi genitori lo portarono qui, disperati, ma l’unica che rimase con lui tutto il tempo fu la sua governante. Erano incredibilmente vicini, e lei passò tutto il tempo a parlarmi di quanto lui fosse una brava persona che meritava molto più della vita a cui i suoi genitori lo stavano costringendo. Jonathan rimase incosciente per gran parte del tempo –

E Aurora capì.

Era così raro che non ci aveva pensato! Il suo profilo era giusto, solo leggermente fuori strada. Il loro killer non stava cercando vendetta per sé, ma per una persona a cui teneva. Non usava le pozioni perché fisicamente incapace, ma perché fisicamente più debole delle sue vittime, tutte uomini sui trent’anni, forti e vigorosi.

Sam e gli altri stavano inseguendo il sospettato sbagliato! Doveva avvertirli immediatamente!

- Grazie, dottor Campbell! – esclamò mentre bussava perché il signor Stevens le aprisse. Corse verso l’ingresso mentre tirava fuori il cellulare.

Sperava solo di essere ancora in tempo.





ANGOLO DEL TROLL PAZZO

Lo so scusate! Ci ho messo un bel po’ a mettere insieme questo capitolo, era già scritto ma non in ordine cronologico, tutti ritagli di scene, frasi e considerazioni da rimettere insieme… e gli studi mi stanno uccidendo, gli insegnanti si sono svegliati tutti insieme in vista degli esami…

MA!

Ecco il capitolo! Spero davvero che vi piaccia, e che non ci siano errori! (Lo sto finendo di correggere alle due del mattino, pietà! Ma, ovviamente, se ci sono errori fatemelo sapere così correggo subito! O meglio, subito dopo qualche disperata ora di sonno :D)

Grazie a tutti i lettori silenziosi! Grazie a chi ha messo la storia tra le preferite e chi tra le seguite, e grazie davvero a fenris e Theodred per le recensioni! Sono sempre felice di sapere cosa pensate di questa piccola follia e di come posso migliorarla!

A presto con il prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque - l'Incubo ***


Capitolo Cinque



(tw pensieri suicidi, violenza, scene pesanti… non mentirò, è un capitolo abbastanza pesante e molto introspettivo)

- Ho un gran brutto presentimento… - Jonah cominciò a parlare non appena si materializzarono sul vialetto della casa della governante: una bella casetta a schiera con un giardino curato fin nei minimi dettagli e le mura dipinte di un bel colore vivace.

Harry sospirò. – Non avrei mai dovuto farti scoprire Star Wars… -

- Primo: colpo basso. Secondo: ho davvero un brutto presentimento, - rispose Jonah.

- Stiamo per entrare nella casa di quella che sarà la prossima vittima e probabilmente finiremo con incontrare il serial killer a cui stiamo dando la caccia da settimane, - affermò Harry. – Pensi che il tuo brutto presentimento possa essere collegato a queste cose? –

- Grazie, Potter, - replicò Jonah. – Come farei se non ci fossi tu a tirarmi su di morale? –

- Sei tu che hai chiesto… -

- Ragazzi! – Sam si voltò verso di loro, esasperato. – Stiamo lavorando ad un caso, abbiamo un sospettato di omicidio da arrestare, potreste provare a concentrarvi? –

Jonah sorrise, grattandosi il collo con aria imbarazzata. – Certo, capo, - disse, poi il sorriso gli scivolò via dal volto. – Solo che... sento come se ci stessimo perdendo qualcosa -

Harry si voltò verso Diana per scambiare uno dei loro soliti sguardi esasperati, ma con sua sorpresa trovò la legilimens corrucciata.

- Cosa senti? – le chiese subito.

- Niente, - fu la risposta. Ed era davvero strano: Diana riusciva a sentire il brusio indistinto dei pensieri di ogni singola famiglia di quel vialetto, i grovigli di preoccupazione di Sam, il treno di pensieri di Jonah, i rapidi ripassi dei migliori incantesimi da combattimento di Harry… Ma niente dalla casa in cui stavano per entrare. Solo un innaturale silenzio. Come se qualcuno avesse preso precauzioni… come se qualcuno non volesse essere ascoltato.

- Andiamo, - ordinò Sam, bacchetta in mano. Non voleva perdere altro tempo. Quel caso aveva già causato abbastanza guai.

(E Aurora era dovuta tornare da quel mostro. E non aveva ancora dato sue notizie)

Si scrollò la preoccupazione di dosso. Era inutile, soprattutto quando doveva rimanere lucido e guidare la sua squadra.

Salì gli scalini e aprì la porta con un colpo di bacchetta.

Non appena la porta si aprì, Diana sgranò gli occhi. – Aspetta…! – gridò. Ma era già troppo tardi.



Aurora uscì dal camino del distretto dei Sandman con un balzo, il cellulare all’orecchio che squillava a vuoto per la terza volta. Sam non stava rispondendo al telefono.

Sam rispondeva sempre al telefono. Non importava l’ora, o con cosa fosse occupato, o se era davvero stanco… Non la lasciava mai ad aspettare. Non lei.

Eppure adesso…

L’ufficio era vuoto. Aurora sfrecciò fuori e cominciò a controllare l’intero distretto: la sala principale, la sala intrattenimento, la sala d’attesa, la stanza delle prove…

Tutto vuoto.

Entrò nella stanza dove si erano riuniti solo poche ore prima. Sul tavolo, c’era una cartina. Notthing Hill, indicava un grumo scuro.

Il quartiere dell’appartamento della governante era a Notthing Hill. Erano finiti dritti in una trappola!

No. No. No. Non Sam.

La mano destra cominciò a tremare. Se solo fosse stata più veloce a parlare con suo padre! Se solo non avesse perso tempo a farsi manipolare e fosse andata subito al punto!

Arrivi sempre tardi. Non hai potuto salvare la ragazza del seminterrato, e ora non sei riuscita ad avvertire Sam.

No. Non stavolta.

Chiuse la mano in un pugno. Con un respiro profondo, Aurora afferrò la sua ansia e preoccupazione pressante e le gettò in un angolino della sua mente. Non aveva tempo da perdere in attacchi di panico.

Doveva agire. Adesso.

Con un ultimo respiro profondo, si smaterializzò.



Non è reale. Non è reale…

Lo sapeva. Lo sentiva. E c’era quel… brusio indistinto nel retro della sua mente… qualcosa che doveva ricordarsi…

- Tesoro, cosa c’è che non va? –. I suoi genitori le sorridevano dalla tavola apparecchiata con cura. Sorrisi dolci. Rassicuranti.

Nelle loro menti, grida di orrore. Un ragazzo che si dimenava a terra. Risate di scherno. Un incantesimo, ripetuto ancora e ancora e ancora e ancora…

Crucio

E tornavano le grida.

- Tesoro, vieni a mangiare o diventerà freddo, - la invitò sua madre. La sala da pranzo era illuminata dal caminetto scoppiettante, una bella luce calda.

- Cosa vi ho fatto? -. Un sussurro smorzato dal dolore.

Un calcio alle costole che svuota i polmoni. Il ragazzo ansimò, rannicchiandosi, le guance rigate da lacrime, gli occhi serrati.

- Cosa ci hai fatto? -. Risate di scherno. E poi, un grido di rabbia: - Voi sporchi Sanguemarcio rubate la magia alle famiglie in cui scorre naturalmente! –

Diana camminò a passi lenti fino alla sua sedia. Legno scuro. Un cuscinetto rosso per aiutarla ad arrivare alla tavola. Aveva ancora cinque anni, in fondo, non importava quanto dicessero fosse matura per la sua età.

Si sedette, evitando di guardare i suoi genitori, e strinse la forchetta in mano. Sul piatto, la carne era cosparsa di salsa rossa piccante… la sua preferita.

Ma tutto quello che riusciva a vedere era il sangue di quel ragazzo sulle piastrelle del pavimento.

- Mi raccomando, mangia tutto, - la incoraggiò suo padre. – Devi crescere e diventare una strega forte! –

Diana prese il coltello, cominciando a tagliare la carne con movimenti lenti.

- Vi prego… - un singhiozzo. – Sono nato così… non ho rubato niente… -

Sua madre si inginocchiò accanto al ragazzo. Gli accarezzò i capelli con movimenti lenti e rassicuranti. Il ragazzo continuava a singhiozzare.

E sua madre improvvisamente afferrò una manciata di capelli e li usò per sbattergli la testa contro il pavimento di pietra. – Tu pensi… - chiese, la voce ancora dolce. – Che crediamo alle pallide bugie di un Sanguemarcio come te? -. Gli batté di nuovo la testa contro il pavimento. Si rialzò, spolverandosi i vestiti come per scacciare via dei germi.

Diana infilzò il pezzetto di carne che aveva tagliato. Sua madre continuava a sorriderle.

- E’ ora di farla finita -. La voce di suo padre. – Il Signore Oscuro ci sta richiamando -.

Abbassò lo sguardo sul suo braccio destro: stava puntando la bacchetta contro il ragazzo. – Avada Kedavra -. Lo disse quasi annoiato.

Un lampo verde. Il ragazzo smise di muoversi.

Ma il sangue continuava a scorrere sulle piastrelle bianche.

Diana non riuscì ad inghiottire la carne. La nausea le stritolò lo stomaco e le chiuse la gola e si ritrovò a terra, incerta di come ci fosse arrivata, a vomitare.

Le voci dei suoi genitori la chiamavano ancora e ancora e ancora e ancora e ancora…

Non è reale… non sono più in quella casa… non è…

Ma i pensieri vennero scacciati via dalle immagini di un’altra famiglia Mezzosangue in mano ai Mangiamorte.

In mano ai suoi genitori.

(Allora non lo sapeva, ma quelle immagini l’avrebbero accompagnata ogni momento che passava in quella casa)

Un labirinto di tortura e morte che continuava a riportarla indietro, non importa quanto cercasse di scappare… di pensare… di tornare se stessa…

Non è… non…



- Dio mio, vuoi stare zitto? –

Jonah chiuse la bocca, abbassando il disegno che stava mostrando a sua madre affidataria. Gli piaceva spiegarle come l’aveva fatto e i suoi colori preferiti e le nuove tecniche che aveva usato…

- Non interessa a nessuno, va bene? – continuò la donna. – Ho già abbastanza da fare senza doverti ascoltare! –

Jonah inghiottì le parole di scuse e indietreggiò, il disegno ormai abbandonato nella sua mano destra.

- Finalmente un po’ di silenzio… - continuò la donna. – Uno penserebbe che a otto anni i bambini parlino di meno –

Dall’occhiataccia che gli arrivò, Jonah capì che il suo tempo in quella casa sarebbe finito presto. Come in tutte le case in cui era stato prima.

Questa volta si era impegnato. Aveva fatto attenzione a non muoversi troppo, arrivando a conficcarsi le unghie nella pelle per cercare di scacciare l’energia che ribolliva sottopelle. Aveva ridotto al minimo le chiacchiere, mordendosi la lingua per fermare battute e commenti su cose che aveva letto e trovato interessanti. Si era dato da fare per non mostrarsi troppo appiccicoso, passando più tempo possibile per conto suo, sempre alla ricerca di nuovi hobby. Aveva nascosto le sue lacrime quando gli altri bambini gli davano spintoni o gli intimavano di andarsene e lasciarli giocare in pace, che doveva smettere di disturbarli.

Non lo faceva apposta. Ci stava provando. Ci stava provando così tanto…

Ma riusciva ad essere sempre troppo. Troppo rumoroso. Troppo iperattivo. Troppo chiacchierone. Troppo emotivo.

Troppo. Troppo. Troppo. Troppo…

- E’ il momento che se ne vada -. La voce secca e disprezzante non avrebbe dovuto sorprenderlo. – Almeno qui torneremo ad avere una sorta di pace… Provo pietà per qualunque famiglia dovrà stargli dietro –

Quelle parole non avrebbero dovuto ferirlo. Era abituato. Finiva sempre così…

Alla fine lo cacciavano tutti.



La porta era sfondata. Quella porta verde che lui e Ginny avevano dipinto insieme, sei anni prima, schizzandosi vernice addosso e ridendo come matti.

Era spaccata davanti a lui.

Bacchetta in mano, cuore in gola, Harry entrò nell’appartamento.

Il corridoio era completamente distrutto, i quadri ridotti a brandelli e il tappetto un ammasso di stoffa.

La sala era un insieme di schegge e piume dei cuscini fatti a pezzi.

La cucina aveva il pavimento cosparso di cocci di piatti e posate abbandonate a terra.

Restava solo… la camera da letto…

Come è potuto accadere? Chi mi ha trovato? La mia famiglia… Ginny… il bambino… Non può accadere di nuovo. Non posso perdere anche loro.

Si intimò di fare un respiro profondo. Ginny era una strega brillante e feroce. Aveva combattuto nella guerra al suo fianco. Anche se un Mangiamorte ancora in libertà l’avesse trovata, non l’avrebbe sopraffatta così facilmente.

Stritolando la bacchetta nella mano destra, aprì la porta della camera da letto. Cigolò. Si aprì.

Harry sentì il cuore affondargli nel petto e la nausea stritolargli lo stomaco.

Ginny… Ginny era riversa sul letto. I suoi occhi spalancati lo fissavano, privi di vita. Il sangue le scivolava fra i capelli, impregnava la maglietta, gocciolava sul pavimento.

E c’era così tanto sangue…

Sopra il corpo esanime della persona che Harry amava più di se stesso, galleggiava il Marchio Nero.

Harry non riusciva a pensare. Non riusciva a respirare.

La guerra era finita. Non poteva star succedendo… non poteva… Ginny era…

La stanza cominciò a girare attorno a lui. Sentì il pavimento sotto le ginocchia. Avrebbe dovuto fargli male, ma non sentiva niente. Non vedeva più niente. Tutto quello che riusciva a mettere a fuoco erano gli occhi senza vita di Ginny.

E’ colpa mia… è colpa mia… avrei dovuto… non dovevo starle vicino… mi sarei dovuto allontanare anni fa… E’ tutta colpa mia…



- Un agente di polizia? Cosa la porta qui? -. Il sorriso di Micheal Campbell era ampio, disponibile, tranquillo mentre teneva la porta d’ingresso aperta.

Sam sorrise a sua volta. – Una chiamata, uno scherzo, - rispose. – Scusi il disturbo –

- Oh, non si preoccupi, - fu la risposta affabile. – Prego, si accomodi! Vuole una tazza di thè? Lo stavo giusto preparando per mia figlia. Ultimamente si sente poco bene, e non c’è niente che faccia sentire meglio come una bella tazza di thè caldo! –

Sam annuì, entrando in casa. Era una bella casa, colori caldi e rassicuranti, una sala d’ingresso grande più o meno quanto l’intero appartamento di Sam, e un ampio corridoio che terminava in un salottino illuminato dal caminetto scoppiettante.

Campbell si diresse proprio lì, recuperando una tazzina di porcellana dal tavolino e cominciando a versarci dentro il thè caldo promesso. Un pensiero nervoso sembrò cercare di attirare l’attenzione di Sam, ma non riusciva a metterlo a fuoco… Rimase nella sala d’ingresso, reprimendo uno sbadiglio: era quasi finito il suo turno, non vedeva l’ora di tornare a casa e riposare un po’.

Un movimento alla sua sinistra lo prese alla sprovvista: una bambina, i capelli scuri scompigliati, gli occhi rossi, una vestaglia viola disordinata addosso.

- Ehi, - Sam si voltò verso di lei. – Come va, ragazzina? – le sorrise.

- Tiri fuori la sua pistola -. La bambina lo guardò dritto negli occhi. Sam si accorse che stava tremando, i pugni stretti fino a far diventare bianche le nocche.

- Cosa? – fece Sam. Ora che si fermò un attimo a guardarla davvero, la bambina sembrava terrorizzata ed esausta.

- Mio padre, - disse, la voce straordinariamente ferma. – Sta per ucciderla –

Sam riportò subito lo sguardo sull’uomo affabile che si stava occupando del thè. E quel pensiero nervoso tornò nell’angolo della sua mente, ma questa volta riuscì a metterlo a fuoco: thè e chetamina... Era come lo Scienziato stordiva le sue vittime.

In quel momento Micheal Campbell si voltò. Se Sam fosse stato solo un po’ meno attento, non avrebbe notato il rapido allarme che gli attraversò lo sguardo quando mise a fuoco la figlia.

- Oh, tesoro! – esclamò, la voce tornata quella di un padre premuroso. – Non dovresti essere in piedi, non ti sei ancora ripresa –

Sorrise dolcemente e cominciò ad avvicinarsi a loro. La bambina trattenne il fiato, tremando ancora più forte. E Sam prese una rapida decisione: tirò fuori la pistola e la puntò contro l’uomo.

Micheal si fermò per un attimo, fissando la pistola, incredibilmente calmo. Poi sospirò, e in un attimo parve diventare un uomo completamente diverso: come se una maschera gli scivolasse via dal volto, il sorriso svanì per fare spazio ad occhi vuoti e calcolatori che lo scrutavano.

- Avrei dovuto immaginarlo, - disse. – Mia figlia… Sempre stata troppo sveglia per il suo bene, sempre così testarda sul non voler seguire le orme di suo padre! –

La bambina a questo punto era aggrappata alla divisa di Sam come se ne andasse della sua vita. A Sam non serviva altra conferma: Micheal Campbell era lo Scienziato, il serial killer che stavano cercando. E quella bambina che si afferrava a lui come ad un’ancora di salvezza doveva aver scoperto cosa faceva suo padre, e aveva chiamato la polizia… lo aveva avvertito… E gli aveva appena salvato la vita.

Sam si spostò in modo da proteggerla con il suo corpo, se necessario. Non conosceva Campbell abbastanza bene da sapere se fosse stato capace di ferire la sua stessa figlia in preda alla rabbia.

- Oh, sì, è così che è andata, vero? -. Micheal sorrise, e non c’era più traccia dell’uomo affabile e padre di famiglia di pochi minuti prima. – Hai guardato la mia bambina e deciso che ti saresti preso cura di lei… Come fosse tua… Ma, - e i suoi occhi si fecero di ghiaccio. – Non è mai stata tua. MAI! Lei è mia figlia! -.

E improvvisamente la bambina era scomparsa… per ricomparire davanti a suo padre, che le tenne le spalle con presa di ferro.

No… non è… non è così che è andata…

- Non preoccuparti, agente, - Martin era tornato a sorridere, e sembrava di nuovo il padre amorevole di prima. – Mi prenderò cura di lei. Le insegnerò tutto quello che so… -

No. No, quella notte Aurora l’aveva salvato e lui l’aveva protetta da allora. Non era andata così… Campbell era in una cella… non poteva più farle del male…

Una dolore improvviso al fianco: Sam si accorse di star sanguinando. Cadde a terra, la pistola sparita. Davanti ai suoi occhi, Micheal continuava a sorridere e a stringere Aurora tra le sue braccia.

- Andiamo, figlia mia, - disse, dolcemente. – Vorrei insegnarti cosa significa essere testimoni di una vita che lascia un corpo per sempre… Ma oggi dobbiamo sbrigarci, andare a fare un bel viaggio dove nessuno potrà trovarci –

Aurora si divincolò nella presa di Campbell, cercando di raggiungere Sam, implorandogli aiuto con gli occhi…

Ma Sam era completamente impotente, il sangue una pozza sempre più grande sotto di sé. I muscoli non rispondevano ai suoi comandi, non importava quanto cercasse di muoversi.

Micheal si accucciò davanti alla figlia.

- Andiamo, - disse, il tono esasperato di un padre che ha a che fare con i capricci di una bambina. – Smetti di combatterlo, sai la verità! Noi siamo uguali! –

Abbracciò la piccola figura tremante, che improvvisamente smise di tremare e divincolarsi. Quando l’abbraccio si sciolse, Aurora stava guardando suo padre con un sorriso di adorazione.

- Andiamo, papà? – chiese, la voce vivace. – Voglio che m’insegni tutto quello che sai! Voglio diventare proprio come te! –

Micheal guardò Sam con un sorriso di trionfo, prima di prendere Aurora per mano e cominciare a condurla fuori di casa.

Non sono riuscito a proteggerla. E’ troppo tardi ormai… L’ho delusa



Quando Aurora arrivò a Notthing Hill, materializzandosi sul vialetto della casa della governante, capì immediatamente che c’era qualcosa che non andava: l’edificio emetteva un brusio di magia oscura, un sottile velo di oscurità che cercava di insinuarsi dentro di lei. La porta era spalancata, ma non si vedeva niente dell’interno.

Non c’era traccia degli altri.

Aurora tirò fuori la bacchetta e percorse il vialetto, guardandosi intorno. Nessuno la attaccò. Non che se lo aspettasse: qualunque fosse la magia che sentiva provenire dalla casa, era quella la protezione contro gli intrusi.

E doveva aver funzionato, visto che la squadra di Sam è scomparsa.

Aurora si prese un momento per calmare il tremolio della sua mano destra. Chiuse gli occhi e fece un profondo respiro. Quando li riaprì, era pronta.

Salì gli scalini e varcò la soglia della casa.

Subito, si ritrovò immersa nell’oscurità per quelli che parvero secondi interminabili… Finché non inciampò nel seminterrato di suo padre.

L’Incubo, pensò subito: la pozione che rinchiudeva le sue vittime nella loro stessa mente, tirando fuori i loro incubi peggiori, facendoli rivivere finché non impazzivano… Poteva essere applicata in diverse parti di un luogo perché attaccasse chiunque ci mettesse piede. A parte il proprietario, ovviamente, protetto da un sigillo.

Un’altra delle belle invenzioni di suo padre.

(A quanto pare, voleva vedere quanto il corpo ci mettesse a cedere per la paura)

Aurora si guardò intorno, aspettandosi di vedere l’ultima vittima di suo padre strisciare verso di lei, implorare aiuto. Mostrargli quanto il padre amorevole che pensava di conoscere fosse solo un mostro.

Ma il seminterrato era vuoto.

In qualche modo, questo la spaventò ancora di più. Almeno, quando si ritrovava intrappolata, paralizzata dal terrore, rivivendo la sua incapacità di salvare anche solo una persona dalle grinfie di suo padre… Sapeva cosa aspettarsi.

- Di cosa hai paura? –

Si voltò di scatto: appoggiato in posa rilassata contro la soglia del seminterrato, c’era Micheal Campbell.

- Hai paura di me? Del grande e cattivo serial killer che ha ucciso qualche Babbano? –

Micheal si raddrizzò e fece un passo verso di lei.

- Oppure… hai paura di te? – sorrise. – Hai paura che le mie parole siano vere? Sei mia figlia, dopotutto… E in fondo, dentro di te, sai che ho ragione -. Si fermò ad un passo da lei. – Siamo uguali –

- Non sono affatto come te, - affermò Aurora. Si impose di non indietreggiare. Non aveva paura. Non aveva paura. Non aveva paura.

- Stai cercando di convincere me? – chiese suo padre. – O te stessa? –

Si avvicinò ancora un po’. Aurora aveva le mani strette a pugno, ma non si mosse.

Non è reale, si disse. Non è reale. Non è reale…

- Andiamo, figlia mia -. Suo padre la guardava con amore. – Sai che ho più ragione di quanto ti piaccia ammettere –

- Non sei reale, - ribatté Aurora. Doveva concentrarsi, non poteva lasciare che la sua stesse mente la intrappolasse. Doveva. Concentrarsi.

- Non c’è mai stato un momento in cui pensavi di dover sentire qualcosa… ma non potevi? -. La voce di suo padre continuava a insinuarsi tra i suoi pensieri. – Tutte quelle volte in cui hai dovuto sforzarti per ricordare che l’omicidio che stavi indagando riguardava persone reali, persone che soffrivano per quanto avvenuto… Tutte quelle volte in cui hanno dovuto dirti di non mostrarti troppo entusiasta davanti ad un cadavere –

- Sta zitto, - ordinò Aurora. Si maledì subito dopo: non doveva dare corda a quell’allucinazione, dandogli attenzione gli dava potere.

- La mia bambina… - suo padre la guardava amorevolmente. Aurora si vergognò nel rendersi conto di quanto desiderasse quell’amore.

Non mi ama. È uno psicopatico narcisista, non mi ama.

- Non siamo uguali, - affermò.

- Capisci i serial killer più di quanto tu capisca le vittime, - rispose Martin. – Ti sei mai chiesta il motivo? –

Non è reale. Non è reale. Non è reale.

- Sai, è quella paura che sta bloccando il tuo potenziale, - continuò la voce dolce e amorevole. – Ci sono ancora così tante cose che devo insegnarti… -

- Tu non mi hai insegnato niente! – ribatté Aurora.

- E come fai ad esserne così sicura? –

Aurora sentì il suo stomaco affondare.

- In fondo, non ricordi molto dopo aver trovato quella ragazza nel seminterrato, non è così? -. Suo padre continuava a sorriderle. – Ti sei mai fermata davvero a chiederti perché la polizia non è arrivata in tempo per salvarla? Se l’hai chiamata subito dopo averla trovata, non avrei mai fatto in tempo a liberarmi di lei… -

- Sta zitto! –

- A meno che, ovviamente, non hai chiamato subito la polizia -. Adesso la voce di suo padre era un sussurro. – A meno che non è passato del tempo tra la tua scoperta e la telefonata… -

- Sta zitto… -. Ma ormai era solo un sussurro.

- E cosa è successo durante quel tempo, allora? -. Continuava a parlare, imperterrito.

Aurora chiuse gli occhi. Non è reale, non è reale, non è…

- Forse sei stata tu stessa ad aiutarmi a liberarmi di lei, - una risata. – Forse ti è persino piaciuto, tenere una vita tra le tue mani… -

- STAI ZITTO! –

Aurora riaprì gli occhi, pronta a fermare quel fiume di parole che la stavano colpendo più a fondo di quanto le piacesse ammettere… Ma suo padre era scomparso.

Aurora strinse i pugni e li rilasciò per un paio di volte. Doveva calmarsi… doveva… doveva tornare a concentrarsi. Doveva riuscire a battere l’effetto della pozione e salvare la squadra di Sam.

- Perché? –

Il sibilo la sorprese. Si voltò: nell’ombra alle sue spalle, in piedi, c’era la ragazza del seminterrato. Era coperta di sangue che gocciolava per terra, i capelli un tempo biondi un groviglio indistinto, gli occhi vuoti fissi su di lei.

- Perché non mi hai salvata? – chiese. Non aprì la bocca, ma la voce risuonò in tutta la stanza. – Perché non mi hai aiutata? –

Scomparve e ricomparve proprio di fronte a lei. Aurora indietreggiò, le gambe tremanti. – Sei come lui! – un grido che dava l’impressione di volerle far esplodere la testa. – Sei un mostro! –

Aurora indietreggiò e cadde fuori dal seminterrato. Atterrò nella cella di suo padre.

- Non preoccuparti, bambina mia, - il volto di Martin le sorrideva, inginocchiato accanto a lei. – I mostri non esistono… -. E il sorriso si allargò, diventando qualcosa di sbagliato, gli occhi che brillavano di pazzia…

Aurora rotolò via per allontanarsi e si ritrovò nel suo appartamento a Londra. Si rialzò, le gambe che tremavano così tanto che dovette aggrapparsi al muro per non crollare a terra.

Davanti al caminetto c’era Sam. Aurora stava per sospirare di sollievo e raggiungerlo… quando si accorse che la stava guardando con delusione.

- Pensavo che si sbagliasse, - disse Sam. – Perché hai dovuto farlo? Perché hai dovuto deludermi? Credevo in te… -. Sospirò, tirando fuori dalla tasca un paio di manette. – Invece sei proprio come lui –

Aurora indietreggiò, la nausea che rischiava di sopraffarla.

No… non Sam… non poteva… lei non era…

- L’ho sentito nel momento in cui sei entrata -. La ragazza del seminterrato era di nuovo in piedi alle sue spalle, gocciolando sangue sul pavimento di legno. – La tua anima… è sanguinosa e fredda come la morte –

- Mi dispiace, agente Reckless, - questa era la voce fredda e distaccata dei suoi superiori all’FBI. – Crediamo che lei soffra delle stesse tendenze psicopatiche di suo padre -. Risuonava in tutto l’appartamento. – Il tuo complesso disturbo post-traumatico, il comportamento narcisista, la sua sfrontatezza di fronte al pericolo… -

- E’ il momento della verità, figlia mia! – questa era Micheal: era seduto in cucina, sorridendole allegro. – Hai finalmente seguito le orme di tuo padre! –

Sam emise un verso strozzato. Aurora si voltò di scatto: Sam sanguinava dal petto. La guardò, e nei suoi occhi c’era solo paura.

- Finalmente! – esclamò Micheal. – La prima volta che uccidi è molto importante… Quando il sangue della tua prima vittima ti imbratta… Quello, bambina mia, è il momento in cui il mondo improvvisamente assume colore –

Aurora sentì qualcosa di caldo sulla sua mano. Abbassò lo sguardo: la sua mano destra era stretta in un pugnale zuppo di sangue fino all’elsa.

- Tu… - sussurrò Sam. – Sei stata tu… -. Poi crollò a terra e rimase lì, immobile.

No… no… no… no no no no no no no no no no non posso io non posso non sono non…

Non riusciva a respirare.

Una mano sulla spalla. Si voltò di scatto: suo padre la guardava fieramente. – E’ una bella sensazione, vero? -

Aurora si ritrasse di scatto.

NO!

Questo non era reale. Non lo era. Lei non aveva mai ucciso nessuno. Lei non era suo padre.

Non è reale. Non è reale. Non è reale.

Mentre la nausea le stritolava lo stomaco e il sangue continuava a gocciolarle dalla mano, si ritrovò a ridere. Era una risata distorta, piena di qualcosa di disperato, qualcosa che veniva da un luogo molto profondo che teneva nascosto dentro di sé.

- Questo? – esclamò. – Questo è il meglio che quella pozione sa fare? -. Rise ancora più forte. – Affronto questa paura ogni singolo secondo della mia vita e pensi che questo basti a rompermi? -. Smise di ridere. Gettò il pugnale sporco di sangue a terra. – Non puoi rompere ciò che è già rotto! –

E intorno a lei, all’improvviso, l’ambiente parve frantumarsi: schegge di quell’incubo caddero in una cascata di vetro, sparendo nell’oscurità.

Questa volta, quando si guardò intorno, Aurora vide un salotto illuminato fiocamente da candele. Alle sue spalle, una porta aperta su un corridoio immerso nella penombra. Davanti a lei, a pochi metri da un divano rosso vino, c’era Jonah, steso a terra, esanime.

Aurora aveva distrutto l’effetto della pozione, perciò si sarebbe dovuto risvegliare a breve. E con lui tutti gli altri.

E Sam. Sam che sta bene. Sam che non ho mai ferito.

Stava per andare ad aiutare Jonah, quando la governante della famiglia Hedge si alzò da dietro il divano. Era spettinata, i vestiti stropicciati addosso sporchi di sangue. ma quello che attirò immediatamente l’attenzione di Aurora furono le sue mani: aveva la pozione Il Fantasma in una mano e una pistola nell’altra.

- Come? – chiese la governante, gli occhi sgranati fissi su di lei. – Come hai fatto a liberarti? –

Vivo in quel labirinto di incubi da quando ho dieci anni, avrebbe voluto rispondere Aurora. Non puoi sperare che basti a fermarmi.

Invece alzò le mani. – Sono disarmata, - affermò. – Non sono una minaccia –

La governante la fissò per qualche interminabile secondo. – Siete quelli di cui mi ha parlato, vero? – chiese infine. – I maghi –

- So perché l’hai fatto, - la ignorò Aurora. – Quegli uomini… avevano fatto del male alla persona che ami –

- Se lo meritavano! – esclamò la governante. – Meritavano ogni goccia di dolore che hanno provato! Non era niente in confronto alla vita in cui hanno intrappolato Jonathan! –

- Avevano torto, - confermò Aurora. Era ancora scossa, ma finché riusciva a distrarla abbastanza a lungo, poteva trovare un modo per disarmarla. Perciò doveva concentrarsi. – E tu eri impotente nell’aiutare Jonathan. Per questo, quando hai conosciuto Micheal Campbell hai finalmente colto la tua occasione per diventare forte -

- Campbell mi ha insegnato molto, - confermò la governante. – Sono degna di portare avanti la sua eredità, e non sono più impotente. Lui non mi ha resa potente! Posso vendicare Jonathan. Posso proteggerlo. -.

La governante si voltò verso Jonah, che stava cominciando a muoversi. – Per questo devo farlo, -. E puntò la pistola contro il ragazzo ancora mezzo incosciente.

- Ferma! –

Con uno scatto, Aurora strappò la pozione Il Fantasma dalla mano sinistra della governante e indietreggiò, portandosela alla bocca.

- No! – la governante tese le mani, l’espressione sul suo volto più disperata che mai, ma almeno la sua attenzione non era più su Jonah.

Guadagna tempo!

- Vuoi davvero continuare l’eredità dello Scienziato? – chiese Aurora. – Vuoi davvero essere la sua migliore studentessa? –

- Quella non è per te! – esclamò la governante.

- Uccidere quell’agente non fa parte della sua eredità, - affermò Aurora. – Devi finire la Dozzina! –

- Quella pozione è il dolore più terribile creato dallo Scienziato, - disse la governante, le mani ancora tese come per afferrare il Fantasma, ma senza osare fare un passo avanti. – Tu non meriti quel dolore! –

- Ed è qui che ti sbagli -. Aurora sorrise. Si accorse di star tremando – Mi merito il dolore dello Scienziato, perché sono sua figlia -.

La governante si bloccò, i suoi occhi spalancati la fissavano come se la vedessero per la prima volta.

La piccola parte del cervello di Aurora ancora capace di razionalità esultò nel vedere che era riuscita a distrarla del tutto. Il resto era troppo impegnato a cercare di non avere un crollo emotivo davanti al loro assassino.

- Il mio vero nome è Aurora Campbell, - disse, la voce tremante. – L’ho cambiato perché volevo allontanarmi da lui, dalla sua eredità. È per questo che l’ho tradito, sono diventata una profiler e ho cominciato a dare la caccia a quelli come lui -. Fece un respiro profondo, o almeno ci provò. Considerava una vittoria non essere ancora crollata a terra, visto quanto stava tremando.

Non abbassò lo sguardo su Jonah. Si diceva che era perché voleva mantenere l’attenzione della governante su di sé, ma in realtà era terrorizzata dal vedere la sua espressione, ora che sapeva la verità. Sperava che fosse ancora troppo incosciente per capire la sua confessione, ma aveva paura che fosse sperare troppo.

- Per tutti questi anni ero convinta di avere paura di lui, - continuò a parlare. Non era più certa neanche di quello che stava dicendo, sapeva solo che non stava mentendo. Erano parole che arrivavano da un posto davvero oscuro dentro di sé. – Ma in realtà, ho paura di me stessa, e di tutto quello che mi ha insegnato –

La governante aveva ormai abbassato la pistola, la sua attenzione completamente catturata.

- Perciò vedi, - sussurrò Aurora. – Adesso hai la possibilità di uccidere me, la figlia che l’ha tradito, che si è rifiutata di portare avanti la sua eredità –

La governante annuì, sorridendo come ipnotizzata, e cominciando ad avvicinarsi.

- No! - gridò Jonah. – Aurora, ferma! –

Aurora chiuse gli occhi e fece finta di non sentirlo. La governante si avvicinò, le sfilò la pozione dalle dita e la premette contro le sue labbra. E Aurora si rese conto che non aveva nessun piano per sfuggire a questo. Non voleva fuggire. Era così stanca… voleva solo lasciarsi andare. Questa era la sua occasione, finalmente poteva smettere finalmente di lottare.

Socchiuse le labbra…

Un grido strozzato e la governante crollò a terra. Aurora riaprì gli occhi e la vide riversa sul pavimento, congelata. Prima che potesse registrare altro, sentì le sue gambe cedere. Qualcuno la afferrò per accompagnare la sua caduta. Capelli rossi… Jonah?

Le stava parlando?

- ...ne? Stai bene? – provò a sollevarle il viso per guardarla negli occhi. Aurora sbatté le palpebre un paio di volte prima di riuscire a mettere a fuoco i due occhi castani che la fissavano, sgranati. Paura… preoccupazione… un pizzico di rabbia…

- Non glielo avresti lasciato fare, vero? – le chiese. – Vero? –

Aurora si accorse che doveva rispondere. Doveva… doveva essere convincente. Provò a sorridere. – Certo che no -. La sua voce era flebile. – Sarebbe folle –

Jonah cercò qualcosa nei suoi occhi che sembrò non trovare, perché il suo sguardo si fece più grave, poi si alzò e la lasciò lì. Aveva la bacchetta in mano… era stato lui a colpire la governante? Stava parlando con qualcuno… un altro Sandman doveva essersi svegliato…

Ma non riuscì a seguire la loro conversazione. Non riusciva a seguire niente, in realtà.

Non registrò quanto tempo rimase lì, in ginocchio, a fissare il vuoto. C’era movimento, intorno a lei, ma non riuscì a prestargli attenzione. Le tempie le pulsavano e si sentiva solo così… stanca.

Qualcuno le toccò la spalla. Sobbalzò.

- Ehi, ragazzina -.

Si rilassò subito: era Sam. Poteva fidarsi di Sam.

- Sei pronta ad alzarti? -. La sua voce era calma e costante.

Adesso ci sono io, sembrava dire. Sei al sicuro.

Annuì lentamente e Sam le posò mani gentili ma ferme sulle spalle per aiutarla. Le gambe sembravano molto deboli, ma Sam non si lamentò, sorreggendola per aiutarla a camminare fuori dalla stanza, attraverso il corridoio, e finalmente all’esterno. L’aria fresca la aiutò a recuperare un po’ di lucidità.

- Tenente, ho bisogno di parlarle sulla risoluzione del caso -. Un poliziotto babbano corse sul vialetto, avvicinandosi a loro.

Sam strinse inconsciamente la sua presa sulle spalle di Aurora, come a volerla rassicurare che non andava da nessuna parte.

Aurora sorrise. – Va tutto bene, - disse. – So che devi chiudere il caso con gli altri poliziotti –

Lui la guardò con esitazione e… qualcos’altro. Un’emozione più profonda che non riusciva a decifrare.

Che cosa gli ha fatto vedere l’Incubo? Aurora si ritrovò a chiedersi.

- Sto bene, - affermò. – Ti aspetterò al distretto con gli altri, va bene? –

Sam strinse le labbra, ma annuì con un sospiro. La lasciò andare lentamente, assicurandosi che fosse stabile sui suoi piedi. Aurora gli sorrise di nuovo prima di avviarsi al di là delle auto della polizia, abbastanza lontana dalle luci così da potersi smaterializzare senza dare nell’occhio.



ANGOLO DEL TROLL PAZZO

Ehilà… c’è ancora qualcuno qui?

*entra timidamente*

E così, ecco il nuovo capitolo! Non mentirò, come potete constatare dall’attesa, è stato… un parto. Ho tenuto spezzoni di questo capitolo nel computer per mesi.

Scusate per il ritardoooooooooooo

Dopo gli esami di giugno ho studiato tutta l’estate per un esame di ammissione che non ho più potuto fare per problemi economici, non sono passata ad un esame fatto a giugno e ho cercato di prepararlo in tempo per settembre, e… non sono passata. Ho trascorso quest’ultimo mese a cercare di sentire di nuovo la passione di quello che sto studiando, il che… non è stato facile. E ho avuto qualche piacevole flashback non richiesto che ha reso tutto più difficile…

MA

Ora sono di nuovo più o meno stabile, mi sento meglio riguardo a quello che sto studiando, le mie nuove coinquiline sono le persone più meravigliose sulla faccia della terra e sono finalmente riuscita a rimettermi a lavorare su questo capitolo!

Sarò sincera, ho passato gli ultimi tre giorni a scrivere e tagliare e riscrivere e correggere e aggiungere… E spero di essere finalmente riuscita a renderlo come volevo!

Speravo di dare più spazio a tutti i personaggi, farveli conoscere di più, darvi un’idea della loro vita prima di Sandman e delle loro paure e di che tipo di persone sono. Ma è stato davvero difficile cercare di rendere tutti bene… Spero di non aver finito per rendere il capitolo troppo confusionario!

Grazie mille a tutti i lettori silenziosi e grazie di cuore di cuore a Theodred e fenris per le recensioni! Mi dispiace davvero tanto avervi fatto aspettare! Spero che il capitolo ne sia valsa la pena!

E la buona notizia è che sto già lavorando al prossimo! L’attesa sarà breve! Parola di scout!

A presto!

Il troll pazzo

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Capitolo 7
*** Capitolo sei - Dubbi e domande ***


Capitolo Sei

Aurora non si smaterializzò subito al distretto, ma ad Hyde Park. Ormai era notte fonda e i lampioni illuminavano di luce fioca i vialetti.

Si sedette sulla prima panchina che trovò e fece dei respiri profondi. Non poteva fingere che tutto quello che aveva visto, che aveva passato negli ultimi due giorni non l’avesse colpita. Sentiva che era solo questione di tempo prima che la consapevolezza le piombasse addosso lasciandola stordita. Era in arrivo una bella crisi…

Ma non adesso.

Per il momento, voleva solo respirare l’aria fresca notturna di Londra, ascoltare il vento che faceva frusciare le foglie degli alberi e lasciarsi riposare su quell’anonima panchina verde.

Per il momento, era solo… lei. Una ragazza seduta in un parco nel bel mezzo della notte. Non la profiler geniale che era stata licenziata dall’FBI, non Aurora Reckless che era scomparsa dalla circolazione dopo la Seconda Guerra Magica scappando anche (e soprattutto) dai suoi amici più vicini. Non Aurora Campbell, la bambina di dieci anni che ancora viveva dentro di lei, terrorizzata, tremante, affamata dell’amore del padre.

Era solo lei. Era un nessuno.

Voleva solo chiudere gli occhi e respirare.







Trovarono Jonathan nel seminterrato della casa della governante, terrorizzato, ma non incolume. Si sbrigarono a chiamare comunque i paramedici, conoscendo le condizioni di salute precarie della vittima, e questi subito caricarono Jonathan in una barella e lo portarono via.

- Quindi ha ucciso tutte quelle persone per lui, e poi ha deciso che fosse una buona idea rapirlo e rinchiuderlo. Perché? Qual è la logica? – chiese Jonah, accigliato.

- Immagino che abbia trovato Jonathan non così entusiasta degli omicidi come avrebbe dovuto essere, - rispose Harry mentre osservavano l’ambulanza che partiva. – Ma sono sicuro che Aurora ti spiegherà in maniera dettagliata il profilo psicologico della governante non appena ne avrà occasione –

Harry si aspettava che Jonah sorridesse, o facesse una battuta, o esclamasse il suo entusiasmo… Invece lo vide accigliarsi.

- Che succede? –

Quando Jonah si accigliava, si trattava di qualcosa di grave.

- Non ne sono sicuro… - sussurrò Jonah, e cercò con lo sguardo Sam, che stava ancora parlando con la polizia babbana insieme a Diana.

- Jonah? – lo chiamò Harry.

- Sapevi chi è il padre di Aurora? – chiese Jonah voltandosi di scatto verso di lui.

- Il padre…? -. Harry ripeté. – No, è importante? –

- Immagino di no… - borbottò Jonah. – Ma è importante se… -. Sospirò e scosse la testa. – Mi ha salvato la vita, prima. Aurora, intendo. Ma penso… penso che se non fossi intervenuto, avrebbe lasciato che la governante la uccidesse –

Harry si sentì gelare.

Aveva familiarità, molta familiarità con il dolore, la colpa e la stanchezza che non ti lasciano in pace neanche un momento, che ti portano a desiderare solo di poter riposare un momento… o per sempre.

Ma Aurora? Perché Aurora avrebbe dovuto portarsi dietro quello stesso dolore? E come aveva fatto lui a non accorgersene, in tutti quegli anni in cui l’aveva conosciuta?

Come se fosse difficile nasconderlo quando non vuoi che gli altri lo sappiano.

Ricordava l’Aurora di Hogwarts. Era sempre in movimento, a correre da qualche parte a combinare guai (o a crearli, se non riusciva a trovarli), in biblioteca a fare ricerche che non avevano niente a che vedere con quello che studiavano, a riempire di domande i professori finché non le intimavano di stare zitta (Piton) o le dicevano di andare nel loro ufficio a fine lezione per discutere in modo approfondito di quello che le interessava ma che non era concerne alla lezione (McGranitt).

I suoi occhi sembravano sempre carpire cose che agli altri sfuggivano, ed era snervante quando ti osservava, inclinando la testa e facendo commenti su cose che non avrebbe potuto sapere.

Chi non ne era spaventato la trovava insopportabile. Spesso entrambe le cose.

Ma aveva amici. I suoi sorrisi ampi, le sue battute pronte e la sua energia erano riusciti a conquistare Malfoy, Blaise e Pansy, anche se i tre si mostravano spesso esasperati ed imbarazzati. Ma erano sempre insieme, e quando qualcuno si arrabbiava con Aurora, gli altri tre erano lì, a spillare insulti precisi e organizzare vendette leggendarie.

Certo, Harry non l’aveva mai davvero osservata, e non la conosceva bene. Per quanto avesse passato sei anni a condividere lezioni e incontri con il gruppetto dei Serpeverde, non poteva dire di conoscerla davvero.

Ma neanche Ginny gli aveva mai raccontato niente di allarmante su Aurora che potesse giustificare un tale dolore.

La guerra? Era stata la guerra a cambiarla? O qualcos’altro?

Harry non si reputava una persona impicciona, ma quell’improvvisa rivelazione l’aveva colpito come un fulmine a ciel sereno lasciandolo con una valanga di domande.

Come posso aiutarla?

Devo aiutarla. Deve esserci un modo.

Non posso vedere morire qualcun altro.


- Chi è suo padre? – si ritrovò a chiedere. Jonah lo scrutò, come se non sapesse bene se rispondere o meno.

In quel momento, Sam e Diana li raggiunsero.

- Come state? – chiese immediatamente Sam.

- Bene, - fu la risposta automatica di Harry e Jonah. Sam fece per ribattere, ma alla fine scosse la testa, rassegnato.

- Dobbiamo compilare i rapporti del caso entro domani, potete andare al distretto a farlo subito, o occuparvene domani mattina -.

- Dov’è Aurora? – chiese Jonah.

Sam sospirò. – E’ già andata, ci aspetterà al distretto -.

- Sta bene? – Harry si ritrovò a chiedere.

Sam li osservò con una strana espressione. – Perché lo chiedete? –

Jonah aprì la bocca, la richiuse, la aprì di nuovo…

- So chi è, - disse infine. – So che è la figlia dello Scienziato –

- Aspetta, cosa? – esclamò Harry. – La figlia di chi? Del serial killer? –

Sam sembrava essere improvvisamente preso dai sensi di colpa. Si passò una mano tra i capelli, poi cominciò a guardarsi intorno, come stesse cercando una via di fuga.

- Può fidarsi di loro, - fu Diana a parlare. Fissò Sam dritto negli occhi, quasi costringendolo a non distogliere lo sguardo. – Li conosci. Ci conosci –

- Sam, - intervenne Harry. – Chi è Aurora per te?

Sam emise un sospiro esausto, e finalmente sollevò gli occhi rassegnati su di loro.

- Venti anni fa lavoravo con la polizia babbana, - rispose. – Una notte ricevemmo una chiamata, un ragazzino, uno scherzo telefonico. Mi mandarono a sistemare la situazione, a scusarmi con il padrone di casa e chiarire la situazione. Il dottore che viveva lì non riuscì a capire chi avesse fatto la chiamata, ma mi invitò dentro, mi offrì anche una tazza di thè -. Il suo sguardo divenne gelido. - Era come lo Scienziato stordiva le sue vittime: thè e chetamina. Prima che potessi berlo, una bambina si avvicinò, e mi disse di tirare fuori la pistola, o suo padre mi avrebbe ucciso -.

- Quella era… - sussurrò Jonah.

- Aurora -.

- Ha chiamato la polizia per far arrestare suo padre? – chiese Harry.

Sam annuì. – Ha salvato molte vite quella notte. Inclusa la mia –

Per qualche attimo rimasero tutti in silenzio. Sam abbassò la testa, sembrando più esausto che mai.

- Lo sappiamo, - fu Diana a parlare. – Sappiamo che Aurora è una brava persona –

- Ma certo! – esclamò Jonah. – Pensavi che le avremmo voltato le spalle solo per suo padre? –

- Non giudichiamo le persone dai loro genitori, - affermò Harry. Aveva perso il conto di quanti ragazzi figli di Mangiamorte avevano combattuto al suo fianco nella battaglia finale di Hogwarts. E quanti di loro erano morti per questo…

- Sarebbe davvero ipocrita, da parte mia, - confermò Diana. Il suo solito tono indifferente aveva una sfumatura esasperata.

Le loro parole sembrarono rassicurare enormemente Sam, a giudicare dalla tensione che lasciò le sue spalle.



Prima di rendersene conto, Aurora era nel distretto, a camminare verso l’ufficio di Sam. Gli altri Sandman non erano ancora tornati, ma a lei non importava. Riusciva a pensare solo ad una cosa. E i minuti passati sulla panchina non erano riuscita a distoglierla dalla sua decisione.

Aveva bisogno di risposte.

Aprì la porta dell’ufficio di Sam, si diresse subito verso il caminetto e afferrò una manciata di metro-polvere.

Era una pessima idea. Al momento era vulnerabile, sconvolta, arrabbiata, spaventata. Non avrebbe avuto il controllo. Non sapeva cosa sarebbe potuto succedere.

Non dovresti andare, provò a convincerla una vocina nella sua mente. Una vocina che sembrava un po’ Sam, un po’ Hermione.

Fai un respiro profondo. Riprendi il controllo. Pensaci con più lucidità.

Lo sapeva. Sapeva che era la cosa giusta da fare, la cosa migliore, la cosa sensata.

Ma… Aveva bisogno di risposte.

Entrò nel caminetto. - Bentley Psychiatric Hospital – ordinò, gettando la metro-polvere ai suoi piedi. Una fiammata verde la avvolse e presto si ritrovò ad inciampare all’ingresso dell’ospedale psichiatrico.

Non ricordò di aver parlato con Maggie, né di aver rivolto la parola al signor Stevens. Tutto era avvolto da una sorta di nebbia, finché non si trovò davanti alla porta della cella di suo padre.

- Hai dieci minuti, - affermò il signor Stevens. – Non è orario di visite, perciò sii rapida –

Aurora rispose con un gesto secco della testa. La porta si aprì e lei entrò prima che potesse ripensarci.

La cella era avvolta nella penombra, la linea rossa da non superare solo una macchia indistinta sul pavimento. Il dottor Campbell era seduto sulla sua poltrona, posa rilassata, sorriso accogliente in volto.

- Bambina mia! – esclamò, il tono caloroso, gli occhi sorridenti. – Che bella sorpresa! Come è andato il caso? –

Per un attimo, Aurora non riuscì a parlare. Per un attimo, si chiese cosa diavolo ci facesse lì, a fare domande ad un narcisista psicopatico che amava manipolare le persone e danzare attorno alla verità con labirinti di parole.

Il dottor Campbell la guardò con più attenzione. – Oh, tesoro, - si alzò dalla poltrona. – Sembri sconvolta, stai bene? –

Aurora si trattenne a stento dal ridere. – Ho delle domande -

- Ma certo -. Un sorriso disponibile, aperto. – Chiedi pure, bambina mia. Qualunque cosa –

- Cos’è successo alla ragazza del seminterrato? –

Per un momento, il sorriso si congelò sul volto di suo padre, poi lasciò andare un sospiro.

- Tesoro, lo sai, nessuno ha mai trovato una ragazza in quel seminterrato, e più di uno psichiatra ti ha già spiegato come fosse la tua immaginazione, la tua mente che reagiva alle foto delle mie vittime… -

- Ma avresti potuto liberartene, - lo interruppe Aurora. – Se fosse passato più tempo da quando l’ho trovata a quando ho chiamato la polizia -.

Il sorriso del dottor Campbell divenne sottilmente più affilato. – Domanda interessante… - disse. – Ma quale risposta stai cercando? Se ti dicessi che le tue supposizioni sono giuste, ricorderesti che sono un bugiardo cronico… Se ti dicessi che sono sbagliate, penseresti che voglio manipolarti -. Inclinò la testa, guardandola dritto negli occhi. – Dimmi, quale risposta vuoi? –

Aurora si sentì improvvisamente svuotata. Non trovava la forza neanche per arrabbiarsi.

- La verità, - sussurrò. – Voglio solo la verità –

– La verità… - il dottor Campbell annuì. – La verità è complicata, e non credo che vorresti davvero saperla –

Cosa si era aspettata? Di trovare forse suo padre, quello che Aurora bambina pensava l’amasse?

Il padre che una parte di te ancora pensa esista. Che ancora cerchi, sperando un giorno di potergli credere quando dice che ti vuole bene.

- Basta! – esclamò, e non sapeva se stava cercando di zittire suo padre o il suo stesso cervello. – Se non vuoi rispondere a nessuna domanda, me ne andrò. Uscirò da quella porta e non mi vedrai mai più! –

Il dottor Campbell non si scompose. Sembrava fin troppo calmo dopo la dichiarazione della figlia.

Aurora annuì. Il dottor Campbell non era suo padre. Era uno psicopatico che le aveva distrutto la vita.

Si voltò e bussò alla porta per segnalare che voleva uscire.

- Stai attenta, - sussurrò il dottor Campbell alle sue spalle. – I tuoi dubbi solleveranno solo più domande: se è davvero passato del tempo, cos’è successo a quella ragazza? Perché non riesci a ricordare? Cosa hai fatto tu durante quel tempo mancante? –

Il signor Stevens aprì la porta e Aurora sfrecciò fuori da quella stanza soffocante.

- Oh, tornerai! – le gridò dietro il dottor Campbell. – Sono l’unica persona con le risposte che cerchi, bambina mia! –

Il dottor Stevens chiuse la porta mentre Aurora correva via, per il corridoio, per le scale, attraverso l’ingresso e di nuovo al caminetto.

Aveva bisogno di andarsene. Aveva bisogno di allontanarsi il più possibile.



Quando Jonah, Diana, Harry e Sam tornarono al distretto, non c’era traccia di Aurora. Sam si accigliò, ma proseguì verso il suo ufficio senza dire niente e si chiuse la porta alle spalle. Nessuno provò a fermarlo.

Era stata una giornata pesante per tutti. Non vedevano l’ora di finire il lavoro burocratico e andare a casa.

Da Ginny, pensò Harry. Che è a casa, e sta bene, e il bambino sta bene, ed era solo un incubo.

Fece un respiro profondo e si sedette alla sua scrivania, cominciando a compilare il rapporto del caso e a riordinare le prove.

Stavano lavorando da circa un’ora, e avevano quasi finito, quando sentirono il suono inconfondibile di qualcuno che usciva dalla metro-polvere del caminetto dell’ufficio di Sam.

Si scambiarono uno sguardo: doveva essere Aurora.



Sam sobbalzò quando Aurora arrancò fuori dalle fiamme verdi, pallida, tremante e con gli occhi spaventosamente vuoti.

Si alzò immediatamente e le andò incontro.

- Aurora? – sussurrò. Lei sollevò lo sguardo su di lui, ma non sembrava vederlo.

Sam voleva arrabbiarsi. Voleva prenderla per le spalle e scuoterla, sgridandola per essere tornata da quel mostro che osava dichiararsi suo padre. Ma non riuscì a trovare la forza di arrabbiarsi, ed era l’ultima cosa di cui Aurora aveva bisogno al momento.

Senza parlare, si avvicinò e la strinse in un abbraccio. Per un attimo, Aurora rimase rigida e testa tra le sue braccia, poi parve sciogliersi. La tensione le scivolò via mentre lo stringeva a sua volta, cominciando a singhiozzare sulla sua spalla.

Sam le accarezzò la testa, continuando a stringerla. Voleva portare via tutto quel dolore da cui non sembrava riuscire a scappare. Voleva solo farla sentire al sicuro.

Lentamente, i singhiozzi di Aurora si calmarono, finché la ragazza non tirò su col naso, sciogliendo l’abbraccio. Aveva ancora gli occhi rossi, ma si asciugò le lacrime rimaste sulle sue guance e cercò di darsi un contegno.

- Andiamo a casa, - affermò Sam. Aurora si limitò ad annuire.



ANGOLO DEL TROLL PAZZO

Ehm ehm.

Ciao!

Probabilmente non c’è più nessuno qua, ma beh… nuovo capitolo!

Sono viva. Sono tornata. Non me la sento di fare promesse, visti i miei precedenti, ma la mia intenzione è di continuare questa storia.

L’ultimo anno e mezzo è stato… intenso. Ho affrontato il più grande trauma della mia vita, liberandomi finalmente da flashback improvvisi e panico nel bagno, ho cambiato casa trovando delle coinquiline stupende, ho cominciato a lavorare, ho quasi finito la laurea triennale, smesso di flagellarmi per come funziona il mio cervello, avuto un paio di crisi d’identità e capito cosa voglio dalla mia vita (il che comporta che dopo questa laurea ricominci da capo, ma sono felice delle esperienze che mi ha portato studiare cinese, e felice come non mai di aver finalmente capito cosa voglio davvero studiare e fare nella vita. Anche se, col senno di poi, era così ovvio che mi sento stupida. La me di otto anni mi sta giudicando male al momento. Ma meglio tardi che mai!)

Ho anche perso il mio gatto. Una gattina di un anno e mezzo, mia e delle mie coinquiline. Un mese fa circa abbiamo scoperto che era malata, ed è andata sempre peggio da lì in poi. Abbiamo fatto tutto il possibile, ma siamo riuscite a regalarle solo una settimana in più di vita. Per una serie di impegni familiari, ho anche perso il giorno in cui l’hanno dovuta portare dal veterinario per farla andare via senza soffrire, e sono ancora nella fase dell’auto flagellamento per questo. Il che significa che la mia insonnia è peggiorata di nuovo (non che se ne sia mai davvero andata) il che mi ha riportato qui. A trovare il tempo e la voglia di mettere insieme i frammenti che avevo di questo capitolo e pubblicarlo. Perciò… beh, almeno una cosa buona ne è uscita!

Ma davvero, questa storia è ufficialmente il mio coping mechanism ed è molto importante per me, mi ha aiutato e continua ad aiutare nei momenti peggiori. Mi dispiace molto per il ritardo terrificante, però!

E mi dispiace anche per aver reso l’angolo di nota della scrittrice più lungo del capitolo…

Sproloqui sulla mia vita a parte, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e che sia valso almeno un po’ la pena di aver aspettato così tanto!

Ogni recensione, ogni visualizzazione, mi scaldano il cuore, davvero. Perciò grazie a tutti!

Spero a presto!

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