Voci di corridoio

di Fe_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Camino ***
Capitolo 2: *** È vischio quello sui tuoi boxer? ***
Capitolo 3: *** Prima neve ***
Capitolo 4: *** Cioccolata calda ***
Capitolo 5: *** Sotto la stessa coperta ***
Capitolo 6: *** Fairy Lights ***
Capitolo 7: *** Costruire un pupazzo di neve insieme ***
Capitolo 8: *** Fare l'albero ***
Capitolo 9: *** Il Grinch, contro il natale ***
Capitolo 10: *** Shopping per i regali ***
Capitolo 11: *** Tempesta di neve ***
Capitolo 12: *** Battaglia a palle di neve ***
Capitolo 13: *** La notte più lunga dell'anno ***
Capitolo 14: *** Punta del naso/mani congelate ***
Capitolo 15: *** Canzoni di natale ***
Capitolo 16: *** Pattinare sul ghiaccio ***
Capitolo 17: *** Passeggiando tra le luminarie ***
Capitolo 18: *** Cucinando insieme ***
Capitolo 19: *** Sotto il vischio ***
Capitolo 20: *** “Babbo natale non esiste, convivici.” ***
Capitolo 21: *** Luna ***
Capitolo 22: *** Brutti sogni ***
Capitolo 23: *** Confessioni di mezzanotte ***
Capitolo 24: *** Vittoria ***
Capitolo 25: *** Mesmerized ***
Capitolo 26: *** Problemi da adulti ***
Capitolo 27: *** Patronus ***
Capitolo 28: *** Litigio ***
Capitolo 29: *** Posta del cuore ***
Capitolo 30: *** Festa segreta ***



Capitolo 1
*** Camino ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Camino
Personaggi: Morgan Merlin LeFay; Leslie Keith Hamilton; Quentin Blaise.
Rating: Verde
Note: Slice of life | Fluff | Flashfic | 472 parole
Premessa generale: aggiungerò un capitolo al giorno come raccolta di natale, se volete partecipare cliccate sulla lista dei prompt per sceglierli.
Attualmente non sono disponibili i numeri 1, 2, 4, 8, 10, 13, 14, 21, 22, 23 e 24; vale la regola del “chi primo arriva meglio alloggia” e se non dovessi avere richieste per il prompt del giorno sceglierò io. La scheda per partecipare si trova nel primo capitolo ma, siccome la scadenza per è tanto breve, accetto anche altri formati di schede (lo scopo di questa interattiva è dare una possibilità ai personaggi scartati o presi ad interattive mai iniziate)
Mi pare sia tutto, buona lettura!


La sua sala comune è la più calda, la più accogliente di tutte.
         Le altre non le ha mai viste, ovviamente, ma dai racconti dei suoi amici non scambierebbe l’allegro ritratto di Tosca Tassorosso né le calde coperte in patchwork dei letti con nulla al mondo. La poltrona gialla e nera è così confortevole che ha tolto le scarpe e ci si è rannicchiato dentro, i jeans slacciati per non premergli sul ventre e aumentare ancora la sensazione di confort.
         «LeFay, via i piedi dalla sedia…» Lo rimprovera blandamente il caposcuola Hamilton, con anche meno convinzione del solito: il fuoco nel camino sta scaldando loro le guance in modo assolutamente piacevole, e Quentin del quarto anno si è procurato delle castagne che spandono per la stanza tutto il loro delizioso profumo.
         Ogni volta che lo gnometto scuote la padella di bronzo, giochi di luce e lo scoppiettio più invitante del mondo si riversano direttamente nello stomaco di tutti i presenti; nemmeno il caposcuola può resistere a quel canto di sirena, e presto la sua attenzione viene sviata da Morgan in favore dei primi cartocci caldi che vengono distribuiti. Quando Quentin le porge a lui, Morgan scuote piano la testa in segno di rifiuto.
         Per lui è più che sufficiente quell’aria di festa che il primo di dicembre porta con sé, l’idea che le lezioni abbiano i giorni contati e di poter presto rivedere la sua famiglia. Già immagina la mattina di natale con i suoi fratelli: forse anche Arthur riuscirà a liberarsi dal lavoro, il maggiore gli manca molto da quando è andato via di casa.
         «Non ti mancano mai gli abiti normali?» Chiede d’improvviso Morgan, senza nemmeno voltarsi verso il compagno di casa più grande che si era accomodato sul divanetto accanto a lui, solo una manciata di castagne già sbucciate un mano.
         «Mh? Beh, no. La divisa mi piace, e poi so che tornerò a casa tra meno di un mese.» Risponde con un tono fin troppo serio per una domanda tanto formale. Morgan sente le guance tirare piacevolmente mentre sorride, gli occhi grigi fissi nel danzare delle fiamme.
         Può avvertire su di sé lo sguardo del maggiore, sa che si sta chiedendo perché quella domanda e quel sorriso, ma presto la sua attenzione viene reclamata di nuovo da degli studenti più piccoli che, nell’euforia generale, hanno iniziato a rincorrersi e alzare la voce.
         L’ambiente familiare è di nuovo invaso di pace, un mormorio di sottofondo così rilassante che Morgan si ritrova quasi inghiottito dal gioco ipnotico del camino, una sensazione di pace e quiete che rende le palpebre pesanti. Fa appena in tempo ad allungare una mano e liberare i capelli dal codino sulla nuca, per evitarsi un mal di testa epico più tardi, e torna a sprofondare in quella placida apatia da inizio festività: sarà un lungo mese.

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Capitolo 2
*** È vischio quello sui tuoi boxer? ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: “È vischio quello sui tuoi boxer?”
Personaggi: Quentin Blaise; Royal de Vries
Rating: Verde prato quasi giallo
Note: Slice of life | Flashfic | 397 parole
“Quin che non regge la faccia da bimbo puro nemmeno due capitolo”
“Beh ma lui è puro, cosa c’è di più puro di boxer col vischio?”
Ed in pratica questa conversazione riassume l’intero capitolo, quindi non serve leggerlo davvero. Per la cronaca, Quentin adora il natale.
Guardate come alza il rating Fe, che panica malissimo a qualsiasi cosa più spinta di un bacino sulla guancia.


Non sono necessarie parole.
         Quentin sa esattamente come fare per esternare i propri desideri, sempre, dai più semplici a quelli complessi ed articolati. Abbandonarsi sul tavolo accanto al serpeverde, le braccia stese sul legno davanti a sé per tenere aperto il libro, è forse il miglior modo per ottenere delle coccole durante lo studio. Se non altro, è l’unico che gliele farà avere senza troppe proteste.
         «È tardi?» La voce lo sorprende, credeva fosse assorto sul suo volume di pozioni avanzate, invece quando alza lo sguardo Royal si sta sistemando gli occhiali spessi; si guardano confusi per un momento, poi il più grande passa in rassegna con aria pigra la biblioteca e sospira.
         «Per fortuna. Vado a fare la doccia prima che i bagni si riempiano, non voglio aspettare come l’ultima volta che vadano via tutti.» Si limita ad informarlo, quindi si alza e prende i volumi che ancora non ha toccato. Quentin, più confuso che altro, attende qualche istante prima di imitarlo con uno sbuffo.

Non sa perché Quentin lo abbia seguito, ma non nega che la cosa lo metta a disagio.
         Sorride per nasconderlo, e gli avvolge un braccio attorno alle spalle mentre il ragazzino non si ferma come dovrebbe davanti alla porta, ma anzi fa per aprirla e seguirlo all’interno della sala da bagno.
         «Cosa stai facendo, Queen?» Chiede con tono allegro, guardando avanti. Sa che il suo linguaggio del corpo è sbagliato, rilassato ed informale, inadatto a quelle parole; Quentin deve averci fatto il callo, però, perché prosegue come nulla fosse.
         «Che problema c’è? Anche io devo lavarmi.» Si volta e gli rivolge un sorrisetto angelico, lo stesso che si sono scambiati più volte mentre si provocavano e tediavano. Royal lo guarda, poi scrolla le spalle e si toglie la tunica lunga; sotto ha solo una maglia a maniche sbiadita corte ed un paio di jeans troppo lunghi, rimboccati un paio di volte.
         «Oh no, il mio più grande segreto sta per essere svelato.» Commenta con tono assolutamente neutro, e Quentin ride.
         Imita il maggiore, i capelli blu che subito perdono ogni traccia di compostezza mentre si spoglia rapidamente e li scompiglia coi gesti frettolosi. Ci mette un attimo prima di rendersi conto che Royal si è fermato a metà dell’opera e lo sta fissando con aria dubbiosa.
         «Mmmh… la mia meravigliosa presenza ti ha sconvolto?»
«È… è vischio, quello sui tuoi boxer?»

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Capitolo 3
*** Prima neve ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Prima neve
Personaggi: Dylan Maximoff; Isaac Visser
Rating: Verde
Note: Comico | Fluff | Romantico | Slash | Oneshot | 565 parole
Cambio d’emergenza perché questa coppia mi sembrava più divertente. Cioè, in realtà solo un paio di persone lo sapevano ma dubito gli crei alcun problema, e anche fosse leggete ‘sta smielata e cambiate idea.
O forse no, non sono vostra madre.
Ah! Ho scritto anche la parte precedente ma, siccome parla abbastanza esplicitamente di un atto di bullismo, mi aggiungeva troppe parole (e già sono oltre le 500) ed era oggettivamente fuori traccia, l’ho tolta. Fatemi sapere se la volete magari sulle storie di Instagram, che approfitto per spammare qui
Il prompt di oggi, Cioccolata calda, arriverà nel tardo pomeriggio per darvi il tempo di leggere questo prima.


La mano di Isaac è calda nella sua, e gli dà una strana sensazione.
         Il giardino della scuola è quasi vuoto, i pochi avventurosi che hanno sfidato il cielo grigio e il clima rigido lo hanno fatto per passeggiare per le strade di Hogsmeade: per natale, quest’anno, hanno permesso delle uscite extra ed ogni sabato di dicembre sarà possibile visitare il vicino paese.
         Il fiato di Dylan si condensa in una nuvola candida davanti al suo viso, perenne visto il fiatone dovuto alla corsa, e sa già che la sciarpa con cui si sta coprendo la bocca presto sarà decorata di piccoli cristalli di ghiaccio visto il freddo intenso. Rallentano, ed Isaac ha un’espressione insolita dipinta in volto.
         «Sei più calmo, ora.» Dice, e non è una domanda. È vero, assistere a quei bulli che mettevano all’angolo il povero Mason lo aveva lasciato con una sensazione di spiacevole calore alla bocca dello stomaco; Isaac era arrivato con la tranquillità di un’angelo poco prima che le cose peggiorassero.
         «Sì, io…»
«Non hai riflettuto.» Ancora, non c’è traccia di condanna nel tono dell’altro. Dylan, che aveva abbassato lo sguardo, lo rialza di colpo e la gentilezza con cui il grifondoro lo guarda gli fa ringraziare di avere le guance coperte. «Non c’è nulla di male nel voler aiutare gli altri, Maximoff, cerca solo di non farti male a tua volta nel mentre.»
         Dylan non è un ragazzino e solo un anno lo separa dall’altro ragazzo, ma d’improvviso la strana sensazione che provava all’inizio della corsa si fa più forte, bizzarra. Isaac inclina la testa, aggrotta le sopracciglia chiare e troppo tardi il tassorosso si ricorda che è un legilimens. Allarme.
         Il maggiore fa per scusarsi, lo vede da come apre la bocca, ma Dylan lo interrompe subito: alza le mani per bloccarlo, sta per dire che non c’è alcun problema o che non gli deve alcuna scusa, e nel gesto l’altezza simile gioca il peggiore degli sgambetti.
         «Non c’è alcuna scusa!» esclama, colpendolo involontariamente al braccio. Isaac lo guarda sorpreso per qualche istante, il tempo perché la neve che cade leggera gli faccia capire che no, non gli farà la grazia di sotterrarlo e cancellare per sempre l’imbarazzo di quel momento. Si fissano finché non si sente una risata di cuore, e Dylan con gesto imbarazzato inizia a giocare con i capelli biondi, le dita sottili che girano e rigirano la stessa ciocca corta.
         «Hai ragione, anche se so che non era quello che volevi dire. Vuoi tornare dentro senza di me?» Isaac si strofina un occhio con l’indice, e Dylan è sinceramente felice di avere davanti un soggetto tanto bizzarro che non solo non se la prende per la sua goffaggine ma addirittura la trova abbastanza scusabile da riderci sopra.
         «No, cioè, dobbiamo rientrare entrambi… credo?» Aggiunge, perché l’altro sta già scuotendo la testa.
Indica un punto alla loro destra con un sorriso e, oltre le cime che con la neve si confondono nel paesaggio, lo scintillio ghiacciato del lago nero cattura per un solo istante il suo sguardo. Non avrebbe mai pensato che il bianco potesse avere tante sfumature, ed invece ciò che vede è bellissimo.
         «Voglio approfittare della prima neve dell’anno per dipingere, sembra bello. Vuoi venire con me?»
Dylan lo guarda e, di nuovo, si sorprende di quanto siano interessanti le sfumature del più pacifico dei grifondoro, una volta viste da più vicino.

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Capitolo 4
*** Cioccolata calda ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Cioccolata calda
Personaggi: Narciso Makris; Mychajlo Barlow
Rating: Verde
Note: Slice of life | Fluff | Flashfic | 480 parole
Eccoci col quarto prompt, pronto da l’altro ieri perché mi ero confusa.
Ad ogni modo, non ho molte parole da spendere, dovrebbe essere tutto abbastanza chiaro. La Lafi nominata è la promessa sposa di Mychajlo- famiglia importante, tradizioni pesanti.
Misha, povero amore mio, è un po’ stupido. Per fortuna ha gente più sveglia di lui che si preoccupa che non si uccida.


Mychajlo ha la faccia sporca di terra.
         Non sa davvero come sia possibile, giocando a Quiddich nella neve, eppure le sue guance e la punta del naso piatto sono spolverate di marrone, uno zigomo è persino graffiato. Gli occhi, però, quelli brillano di una luce genuinamente felice quando lo vede; allarga le braccia e lo stringe a sé come un ragazzino. Il manico di scopa che tiene nella mano sinistra finisce diretto contro il polpaccio di Narciso, che però è abituato ai modi del compagno.
         «Voi siete pazzi, ad allenarvi con questo freddo.» Lo rimprovera. Si allunga verso il suo zaino, dove sa che Mychajlo ha infagottato il mantello e la sciarpa: il primo è un groviglio che minaccia di trascinarsi dietro l’intero contenuto, ma la seconda è meno ingarbugliata e con una certa fatica riesce a liberarla, per poi annodarla attorno al collo del maggiore.
         «Eddai Ciso, ho caldo!»
«Certo che hai caldo, hai sudato. Ti prenderai un accidenti se stai mezzo nudo.»
         Mychajlo alza gli occhi, un gesto buffo visto che deve comunque alzare il viso per poter parlare con l’amico che pur ha due anni meno di lui, e già lo supera di diversi centimetri, alto e secco com’è. Una volta sistemata la sciarpa, Narciso allunga una mano e gli libera i capelli, che solo sul lato sinistro raggiungono le clavicole in un assurdo taglio asimmetrico castano cenere.
         «Tu e Lafi vi preoccupate troppo. Se mi prendo il raffreddore posso saltare le lezioni, no?» Il maggiore ride, mormorando poi uno “scherzavo” non troppo convinto quando l’altro gli rifila un’occhiataccia. Lo prende sottobraccio e Narciso lo lascia fare non troppo convinto.
         «Facciamo che non salti nessuna lezione? Quest’anno ho gli esami, non ho tempo di assicurarmi non ti boccino.» Ribatte, ma sanno entrambi che è solo una mezza verità. Narciso il tempo per lui lo trova sempre, e viceversa: per quanto siano quasi opposti, sia nel carattere che d’aspetto fisico, i due hanno un’amicizia solida che talvolta fa persino ingelosire la povera Lafor.
         Mychajlo si volta, segue con lo sguardo il profilo affilato del viso in contrasto con le ciocche bianche che nella luce del tramonto assumono sfumature rosate, quindi si spinge verso di lui e gli stampa un bacio sulla guancia.
         «Hai tempo per venirmi a prendere dopo il Quidditch. Ah, vuoi che prendiamo una cioccolata calda ora? Se lo chiedi gli elfi te la fanno con la panna.»
Narciso vorrebbe probabilmente insultarlo per il modo del tutto casuale con cui salta da un argomento all’altro, ma è altrettanto certo che nella sua testa ci fosse un collegamento perfettamente logico. Si pulisce il viso con il dorso della mano, consapevole che con quel gesto il moretto gli ha lasciato addosso una quantità imbarazzante di sporco, quindi raddrizza le spalle colto da un pensiero improvviso.
        «Non puoi bere la cioccolata con la panna. Sei allergico al lattosio, Misha!»

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Capitolo 5
*** Sotto la stessa coperta ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Sotto la stessa coperta
Personaggi: Lowell Mckee; Valerio Vittorio Jiménez-Suarez
Rating: Giallo
Note: Slice of life | Flashfic| 497 parole
Giallo soprattutto per il linguaggio, devo dire. Anche se avere dei diciassettenni che non imprecano mi suona quasi sbagliato—forse sono cresciuta male io.
Lowell è assolutamente qualcosa, e siccome nessuno dei due è un mio personaggio spero che la cosa sia uscita bene—io sono soddisfatta, comunque.
Isaac e Lowell hanno avuto più o meno una relazione ed ora sono tipo un sacco amici, ed il fratello che si nomina è Leo, chi ha letto Il Paese delle Meraviglie della sottoscritta sa di cosa stiamo parlando. (Almeno spero)
Facciamo finta non sia passata la mezzanotte e che il capitolo sia uscito il giorno giusto.


Lowell quella sera sta dando il meglio di sé.
         Dopo che Angelika l’ha cazziata ed Evander le ha rivolto un sorriso sconsolato, evidentemente arreso al fatto che non ci sia modo di calmarla, Valerio ha deciso di tenerla d’occhio. L’ha vista aggirarsi come un’anima in pena- nonostante evidentemente le vittime siano tutti gli altri grifondoro nella stanza- evitando l’angolo in cui si trova lui solo perché era presenta anche Isaac.
         Quando però il ragazzo è andato a dormire, non senza essersi avvicinato e averle detto due parole che evidentemente non sono state registrate, non c’è stata più pace per nessuno. La perde di vista solo un secondo, il tempo di piegare le gambe sotto al corpo e rimboccare la coperta rossa in grembo, e d’improvviso le trecce corte in cui ha legato i capelli vengono tirate.
         Valerio non reagisce consapevolmente, registra il dolore e subito dopo un polso sottile stretto dalle proprie dita. Lowell gli sorride con tutta la calma del mondo, il viso tondo visibile solo fino al naso perché coperto da una folta frangia color miele. Onestamente non è nemmeno sicuro che quella che copre gli occhi della ragazza si possa chiamare frangia, è più che altro una tenda che la divide dal mondo e dal comune buonsenso.
         «Ci diamo una calmata, Levy? Stai rompendo i coglioni.» La informa con tono quasi neutro, e se possibile il sorriso della ragazza si allarga ulteriormente mostrando lo spazio tra gli incisivi. Distrattamente si chiede come abbia fatto Isaac a starci più o meno insieme, ma poi ricorda quella pigna in culo di suo fratello e ne conclude che debba avere dei problemi relazionali seri.
         Non risponde, si limita a cercare di liberare il braccio con una certa aria soddisfatta, al che Valerio stringe la presa e se la tira addosso.
         È incredibile come non dimostri nemmeno per sbaglio i suoi diciassette anni, se non fosse per la gonna che indossa non è nemmeno sicuro la prenderebbe per una ragazza. I fianchi non sono ben arrotondanti ed è piatta quanto lui, forse di più visti gli allenamenti a cui si sottopone, e comunque le gambe secche sono coperte da dei pantaloncini neri che spuntano oltre l’orlo grigio.
         Lowell gli si siede al fianco, quasi fosse tutto perfettamente calcolato, e può fisicamente sentire l’intera sala di grifondoro sospirare all’unisono. Alza la coperta e la ragazza ci si infila sotto con tutta la soddisfazione del mondo. Il fuoco nel camino non è caldo quanto avere qualcuno accanto, e tutto sommato la scena è rilassante e piacevole, può quasi sperare andrà tutto per il meglio.
         «Ora starai calma?» È incredibile sia un ragazzo più piccolo a dirglielo, ma tutto sommato tutti sono ormai consapevoli di quanto sia bizzarra e nessuno si stupisce più.
         Lowell si sistema bene, prende il tempo di stringere le ginocchia al petto e posa la guancia contro la sua spalla e poi l’intero suo peso, come se Valerio fosse un cuscino. Ride, quindi esclama: «Pft… assolutamente no?»

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Capitolo 6
*** Fairy Lights ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Fairy lights
Personaggi: Marcus Cooper; Willow Romero; Emma White
Rating: Verde
Note: Slice of life | Flashfic | 438 parole
Fatalux, o fairy-lights spell, è un incantesimo che crea delle lucine volanti di diversa grandezza, intensità e colore. Onestamente io stavo pensando all’incantesimo di D&D, ma l’effetto è molto simile e tutto sommato mi pare più adatto che non avere delle luci babbane ad Hogwarts- o meglio, così sarebbe se non avessimo un nato babbano.
Mi fa molto ridere, tra l’altro, che ci siano mezzosangue che pare abbiano subito l’inferno per un genitore non magico e nati babbani che se la passano benissimo—questo per dire che se ho smussato o acuito qualcosa è solo per amor di coerenza.
Also, ho deciso che in questa storia essendo ambientata in tempi un pochino più moderni, ha elementi di tecnologia fusa alla magia- probabilmente lo spiegherò meglio in futuro, per ora vi basti sapere che Owlgram è un social nato per la messaggistica ed evoluto come qualcosa di simile ad Instagram.


Le due ragazze sono evidentemente entusiaste.
         Le piccole luci brillano statiche attorno all’allegro ritratto di Tosca Tassorosso, che osserva con evidente interesse la strana magia tutta babbana che decora la sua cornice e getta luci fredde che ne acuiscono le ombre. Piccoli fiocchi di neve luminosi collegati da un filo, ed una scatolina come unica fonte d’energia.
         Marcus sorride soddisfatto mentre le due compagne di casa si avvicinano e studiano l’apparecchio. Willow sembra quasi una di quelle influencer di Instagram, con gli occhi castani che riflettono il bagliore come un milione di stelle; Emma, al contrario, ha già allungato una mano e pare davvero sorpresa quando la punta delle dita sfiora una delle piccolissime lampade e la sente solida sotto le dita.
         «Ma sono vere!» Esclama come fosse la cosa più sorprendente del mondo, poi si avvicina la mano al viso e studia i polpastrelli quasi potesse trovarci qualche traccia.
         «Certo che sono vere! Si chiamano fairy lights, sono abbastanza popolari tra i babbani.» Ribatte con un certo orgoglio mentre le due purosangue lo guardano. Si scambiano un’occhiata, poi scoppiano a ridere, le mani sulle labbra,; è un riso di cuore, senza cattiveria, e Marcus non riesce nemmeno a sentirsi offeso o preso in giro perché hanno un aspetto troppo sereno o innocente per indovinare della malizia nelle loro azioni.
         «Scusa Mark, è che è troppo buffo quando si comportano come se i purosangue vivessero fuori dal mondo. Io abito poco fuori Londra con mio padre, mentre Emma sta a Nothing Hill con la sua famiglia.» Dice Willow, indicando col pollice prima sé stessa e poi la biondina accanto a lei.
         «Ormai la nostra generazione è più aperta, sono pochi quelli come i Thorburn o i Lindgren.» Aggiunge Emma sfiorandosi pensierosa il labbro inferiore. «Credo siano influenzati dalle famiglie, però. L’ultima volta che ho cercato in biblioteca un libro sulla fusione della magia moderna con la tecnologia babbana, lo aveva lui e ho dovuto cercarlo per tutto il castello, è stato un casino…»
         Marcus le sta ancora guardando con gli occhi spalancati, grandi pozze color ambra che paiono non concepire che due ragazze dall’apparenza così mite lo abbiano preso in giro. Sbatte le ciglia lunghe e si concentra sul viso dai tratti asiatici di Willow che, nel sentirsi così osservata, si sfiora una ciocca bionda del caschetto così comicamente in ordine in confronto alla zazzera del ragazzo.
         «Quindi anche quando ti ho chiesto di Instagram…?» Chiede, ed è di nuovo Emma a rispondere. Salta su come le fosse venuto in mente qualcosa di colpo e scuote con forza la testa.
         «Scherzi? Will ha almeno quindicimila follower su Owlgram!»

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Capitolo 7
*** Costruire un pupazzo di neve insieme ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Costruire un pupazzo di neve insieme
Personaggi: Ekanta Williams; Willow Romero.
Rating: Verde
Note: Slice of life | Romantico? | 532 parole
Palesemente sono in ritardo quanto fuori traccia, ma sono carini e tanto questa raccolta la leggo tipo solo io perciò non è un problema.
Non ho granché da dire, il prompt era assolutamente adorabile e io non volevo renderlo così romantico eppure l'ho fatto. Non ho alcun rimpianto.
Godetevi di nuovo Willow che è preziosissima ed Ekanta che è un idiota.


Di solito non gli piace sentir ridere, ma quello della ragazza è un suono cristallino e gentile, chiaro.
         Può sopportarlo, se è lei. Si alza spazzolandosi i residui di neve dalla giacca color pino, le dita intirizzite e pallide perché tanto, ormai, non hanno più l'ardire di diventare rosse e passano subito ad una sfumatura blu cianotica che spesso terrorizza i suoi compagni.
         Non sa davvero come ha fatto ad attirare l'attenzione di una ragazza come Willow: è carina, gentile, disponibile. Praticamente chiunque la vorrebbe vicino perché è più o meno la versione umana di un raggio di sole estivo, in contrasto netto con la propria indole scorbutica e la palese nuvola di sfortuna che lo caratterizza.
         «Stai più attento, o ti farai male di nuovo!» Gli dice, ed Ekanta non sa se essere più stupito per la sciocca frase che gli ha rivolto o per il modo del tutto naturale in cui si toglie i guanti e gli avvolge le mani tra le proprie.
         Sono piccole, carine, ben curate: il gesto lo lascia sorpreso e senza parole perché il loro calore si impossessa subito dell'albino, ed è una sensazione di pace piuttosto insolita per lui. Sposta lo sguardo dalla figura dell'asiatica a quella del loro pupazzo di neve, una volta alto quanto lei ed ora decapitato a causa sua. Quando Willow aveva proposto di giocare con la neve il suo primo istinto era stato chiederle se non fosse matta, ma aveva un'espressione così genuinamente allegra che non se l'era sentita di declinare l'offerta.
         «Se bastasse stare attenti, lo farei. Sono solo sfortunato, miss.»
Willow osserva per un lungo istante le loro dita intrecciate, ed il ragazzo si maledice nello stesso istante in cui le parole finiscono di lasciare le labbra sottili. Non sa perché lo fa, o come accada, ma spesso ha la sensazione di comportarsi particolarmente da idiota quando la bionda è nei paraggi.
         «Secondo me,» riprende la tassorosso dopo un attimo di silenzio, «se ti convincessi di essere meno sfortunato ed iniziassi a prenderti più cura di te, ti faresti male meno spesso.»
         C'è tutta la convinzione del mondo in quelle parole, ed è Ekanta stavolta a ridere, un suono debole e basso che gli procura un'occhiata decisamente confusa da parte della ragazza. Willow scuote la testa.
         «Dai, non possiamo lasciare Jack senza testa.» Dice alla fine e, quando scioglie la presa della ragazza sente qualcosa restare sul suo palmo, leggero e morbido come stoffa. Guarda senza ben capire il paio di guanti viola che Willow gli ha lasciato, e poi di nuovo lei ed il suo sorriso gentile.
         «Inizia a prenderti più cura di te.» Ripete indicando quello che pare a tutti gli effetti un regalo. Non troppo convinto, Ekanta infila i guanti che gli risultano appena troppo piccoli; non è davvero un problema, però, e non senza un certo imbarazzo riprende a lavorare sul loro pupazzo di neve.
         Forse ha ragione lei ed è una sua convinzione, forse ha ragione lui ed è davvero stato baciato dalla sfortuna alla naacita; però Ekanta è sicuro di una cosa: se nel mondo potesse avere una sola possibilità di buona sorte, la userebbe di nuovo per attirare l'attenzione di Willow.

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Capitolo 8
*** Fare l'albero ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Fare l’albero
Personaggi: Alexander Bjørn Lindgren; Evander Huges Thorburn.
Rating: Giallo
Note: Slice of life | Slash | 551 parole
Preparate le cinture che qui si va al rosa porcellino, ci sono dei bimbi che si scambiano bacini, tipo.
Per pura curiosità, qual è il principale sentimento che questa storia vi provoca? È un piccolo esperimento, devo dire, e va bene anche se rispondete in privato senza recensire.
Ora, io dubito davvero che un bacio a stampo tra un quattordicenne e un quindicenne possano infastidire qualcuno, ma nel dubbio siete avvertiti qui: se vi turba, fermatevi.


Il letto a baldacchino ha le tende tirate per maggiore privacy.
         Alexander sa che non dovrebbe portare altre persone nella torre di Corvonero, ma Evander ha tanto insistito per decorare l’albero come facevano a casa, da piccoli, e per il minore è sempre difficile negargli qualcosa. Sa che l’altro ha un forte ascendente su di lui, ma non ha mai pensato potesse essere sbagliato: dopotutto si vogliono bene, è normale vogliano rendersi felici, no?
         Seduto a gambe incrociate sulla coperta blu notte, Alexander ha una serie di piccoli cactus tutti diversi tra loro in fila davanti a lui e sente Evander allungarsi da dietro per raddrizzare con un dito il cappellino rosso che ha messo su quello a destra. Il corvonero trattiene il fiato quando l’altro ritrae la mano e gliela posa sul braccio.
         «Perché i cactus? Rischi di farti male se li tocchi nel modo sbagliato.» La voce è bassa e troppo vicina, sente il fantasma del suo calore sfiorargli la schiena ed il materasso cedere mentre si avvicina. La voce gli muore in gola nello stesso istante in cui inizia a carezzarlo, sente le guance farsi calde e la timidezza impossessarsi di lui.
         «Sarebbe solo colpa mia. Se sto attento non mi pungono.» Risponde solo, gli occhi chiari fissi sulle sue piantine. Scivola più avanti sul letto e cerca di dissimulare il movimento prendendo un piccolo filo di perline colorate da drappeggiare sull’esemplare ancora spoglio. «Questo ti piace? Credo stia bene sul Fairy Castle…»
         «Adorabile.» Evander ride piano e gli avvolge le braccia attorno alla vita, approfittando del fatto di essere più grande per tirarselo in braccio. Gli posa il mento sulla spalla, inclinando il capo in modo che i loro visi quasi si sfiorino, la guancia di lui sfiorata dai riccioli biondi di Alexander. Non è la prima volta che si trovano così, e sente lo stomaco contorcersi ed agitarsi per sentimenti che è troppo piccolo per comprendere davvero.
         «… Ev? Se arriva qualcuno…» È solo un sussurro, così flebile che potrebbe non sentirlo, ma il maggiore lo stringe a sé e si sporge per guardare i cactus davanti a loro. Sono belli, di diverse tonalità di verde, alcuni tondi ed altri molto ramificati, spine poco più rigide di una soffice peluria o lunghe mezzo centimetro ed acuminate. Ognuno ha una decorazione diversa e lo stesso vasetto di terracotta.
         «Se arriva qualcuno gli chiederemo se vuole unirsi. Dopotutto è più divertente, così, no?» Evander ha un tono leggero ma non è del tutto sicuro stia scherzando, o cosa intenda. Si volta e gli solleva il viso con due dita.
         Docile Alexander si fa guidare, si volta, i muscoli del collo leggermente rigidi per la posizione innaturale. Quando il grifondoro preme le labbra sulle sue, però, la sensazione improvvisa è così forte da fargli dimenticare ogni altra cosa: chiude gli occhi e non vede più il suo viso, i tratti duri, i capelli spessi color miele. C’è solo il bacio, le mani sudate, i brividi dentro lo stomaco.
         «Forse,» mormora quando il contatto morbido s’interrompe, «forse è meglio se finiamo dopo di decorare l’ultimo cactus.»
         «Certo! Dopo cena?» Evander sorride, lieto della proposta, ed Alexander sente le estremità formicolare insensibili all’idea di averlo in camera, sul suo letto, tardi la sera.
         «Certo, lo porto giù, ci troviamo in biblioteca?»

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Capitolo 9
*** Il Grinch, contro il natale ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Il Grinch, contro il natale
Personaggi: Perseo Baron Harris; Ellis Jebediah Asimov; Ilia Voznesenskaja
Rating: Verde
Note: Slice of Life | Oneshot | 552 parole
Non so se sia chiaro, nel dubbio Perseo è al sesto anno, Ellis al settimo mentre Ilia è una ex studentessa di Koldovstoretz, essendo russa. Blad è il diminutivo di Bladzherom, la parola russa per bolide (la palla da Quidditch)
Also, hanno una relazione poli- ma Ellis è abbastanza convinto che sia tipo frutto di un tumore al cervello che gli fa avere le visioni, e Perseo incoraggia la cosa. Praticamente, santa Ilia chissà cosa ha fatto di male per meritarseli.


La colazione del nove dicembre scorre come al solito.
         Ellis è accanto a lui, mangia senza particolare voglia un panino con crudo e burro che sta uccidendo nuovamente tutti i suoi semitici antenati mentre aspetta un caffè che come al solito tarda ad arrivare. Il soffitto incantato mostra della deliziosa, finta neve magica cadere e scomparire prima di raggiungere i tavoli imbanditi, ed il cielo grigio ha un che di profondamente rilassante.
         Nemmeno i primi accenni di festa lo disturbano troppo, chiassose macchie di colore senza senso che spuntano dagli angoli sotto forma di disordinate palline o festoni. Gli elfi con le loro piccole scope non stanno dietro ai rimasugli luccicanti che si accumulano sotto le decorazioni.
         La posta in quel periodo si fa più rada, sono pochi i gufi che affrontano il maltempo per cose futili, perciò quando una civetta delle nevi si posa davanti ai due non possono che spaventarsi. L’esemplare, un maschio visto il piumaggio quasi del tutto candido, li guarda con occhietti svegli ed inclina il capo. I due ragazzi si lanciano un’occhiata, indecisi su chi debba prendere la lettera che porta in becco.
         Il colore rosso acceso lascia pochi dubbi su cosa li aspetti, e riconoscono l’animale come appartenente ad Ilia.
         «Ah, cazzo. Ho detto ad Adelaide che non torno a casa, scommetti che è andata a piagnucolare?» Ellis si passa una mano tra i capelli neri, lo sguardo naturalmente torvo rivolto al pensiero della zia. In un contesto diverso troverebbe quasi comico il modo in cui parla della tutrice.
         Perseo si stringe nelle spalle e indica con la forchetta la lettera, l’interesse del tutto sfumato. «Non credo sia così grave da meritarlo, se può incoraggiarti. Magari hai fatto qualcosa di peggio che nemmeno ricordi.»
         Ellis gli tira una leggera spallata ma ad entrambi sfugge un sorrisino ironico. Mentre il più grande prende la busta, Perseo torna ad occuparsi dei sui pancake che, di colpo, hanno perso ogni attrattiva nonostante la quantità non indifferente di dolce, insalubre sciroppo versato sopra.
         «Perseo. Baron. Harris.» Esordisce la strillettera, alzandosi di colpo dalle mani del ragazzo e voltandosi con aria truce- nonostante la completa mancanza di tratti che possano dimostrare tale espressione.
         «Come hai potuto dire al tuo fratellino e alla sorellina di Ellis che Babbo Natale non esiste? Aliza mi ha chiamata in lacrime! Alle quattro del mattino! Prima di un allenamento!»
         Perseo si prende il ponte del naso tra le dita sottili, così stretto che lascia leggermente impresso sulla pelle la mezzaluna delle unghie tonde. Tra i tavoli di corvonero alcuni visi si voltano incuriositi, vede un paio dei ragazzini più piccoli sobbalzare alle urla e nascondersi dietro i compagni più grandi.
         «Adesso mandi loro una lettera e rettifichi! E non mandare Blad.» La strilletta conclude stracciandosi da sola tra le risate generali, a stento contenute dallo sguardo severo del fidanzato. Perseo allontana il piatto con un gesto assolutamente seccato e a poco serve il colpetto affatto incoraggiante di Ellis. Anzi, la cosa gli fa venire in mente una cosa, e si volta verso il moro con aria truce.
         «Perché se l’è presa solo con me? C’eri anche tu!»
«Ah certo, prendiamocela sempre con il Grinch ebreo! Sei un mostro.»
         «Non saresti più convincente nemmeno senza quel panino che viola tutte le regole che conosco della tua cucina.»

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Capitolo 10
*** Shopping per i regali ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Shopping per i regali
Personaggi: Lilith Eve Marie Beaumont; Mychajlo Barlow; Narciso Makris; Lafor Lumacorno
Rating: Verde
Note: Slice of life | Flashfic | 491 parole
In ritardo come al solito, questo è il capitolo di ieri. Questa è una richiesta, non è nemmeno la prima onestamente, mi ero solo dimenticata di scriverlo. Spero per lo meno sia piacevole da leggere!
Scrivere di un personaggio “cattivo”, o comunque non creato per essere buono ed amabile, è sempre divertente anche devo ammettere che vederlo in un contesto del genere è stato buffo. Penso che con chiunque altro questo prompt mi avrebbe dato problemi o, peggio, annoiato.
Tutto sommato, nonostante tutto, penso di aver fatto un lavoro discreto. Sì, me lo dico da sola.


«Perché mi hai invitato?»
         Hogsmeade è coperta da uno strato di neve sottile che imbianca i tetti, e la strada percorsa da tanti studenti prima di loro è diventata un’ingestibile poltiglia umida e a tratti congelata nuovamente. Lilith, i grandi occhi verdi fissi sulla foto che si sono scattati qualche istante prima, si stringe nelle spalle.
         «Mi sembrava divertente.» Dice solo, il bel viso completamente inespressivo. È un contrasto forte con l’espressione allegra e graziosa che si vede sullo schermo del cellulare, dove lei e Mychajlo posano davanti a Mielandia. Proprio come nella realtà, il ragazzo regge diverse borse e borsette di diversi colori e materiali, da diversi negozi della città.
         «Spero tu ti sia divertita davvero, perché Lafi e Ciso non sembrano entusiasti.» Commenta, un sorriso quasi dispiaciuto sul viso mentre inclina il capo in direzione dell’interno del locale. I due sono seduti ad un tavolo, chiacchierano fitto fitto con le teste vicine e di tanto in tanto gettano loro delle occhiate non esattamente calde e gioiose. Lilith è abituata a sentirsi invidiare, dopotutto è una bella ragazza che sa come giocare le proprie carte, ma avverte comunque una nota di fastidio.
         «Avremmo dovuto invitarli?» Continua Mychajlo, e la domanda non fa che aumentare la sua irritazione. Piuttosto che mostrarlo, però, Lilith si limita ad aggiustare il baschetto intonato al cappottino alla francese e si liscia le ciocche biondo scuro, poi sorride e lo prende a braccetto.
         «No! Mi hai promesso che avremmo potuto scegliere i regali insieme, no? Non ho ancora finito i regali per i miei nipotini!» Esclama coprendosi la bocca con una mano guantata, e nel mentre lancia una rapida occhiata in direzione della coppietta dentro. La rapidità con cui Narciso posa il menù sul tavolo, pronto ad alzarsi, la sorprende e delizia al tempo stesso.
         Quello che non ha previsto è il compagno di casa che prende ed inizia a camminare di colpo, svelto, reggendola gentilmente quando il movimento improvviso la sbilancia. La bionda lo guarda con un’evidente domanda che nemmeno necessita di essere posta, le sopracciglia perfettamente curate alte per lo stupore. Mychajlo scuote la testa e le sorride.
         «Corri! Avevano la loro espressione da ramanzina, se ci beccano sarà terribile.» Risponde, la voce che vibra leggermente per una risata trattenuta. Nonostante abbiano la stessa età, è evidente che Lilith sia ben più matura o, per lo meno, più seria dell’altro.
         Quasi fosse un gioco, passano l’ora successiva a girare per i negozi e tener d’occhio i dintorni, una specie di nascondino che solo loro sanno di star giocando. Effettivamente non trova un regalo per il piccolo Zachary, ma ha tempo ed è certa che tornare a casa le darà prospettive ben migliori che un piccolo borgo che vive solo grazie a degli studenti squattrinati.
         Nonostante lo abbia invitato solo per potersi scattare qualche foto e approfittare della popolarità di un giocatore di Quidditch professionista, Lilith può onestamente dire di aver passato un pomeriggio piacevole.

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Capitolo 11
*** Tempesta di neve ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Tempesta di neve
Personaggi: Bel Castor McKinnon; Blodwel Vaughan; Lancelot Earl Cleveland Nithercott
Rating: Verde
Note: Fluff | Slice of life | One shot | 673 parole
Palesemente metà del conteggio parole sono solo i nomi completi di Bel e Lance.
Lo sapevate che Tosca Tassorosso credeva che chiunque dovesse avere una possibilità, perciò la sua casa è la più varia e accetta tutti gli studenti che non rientrano nei criteri delle altre tre?
Questo solo per dire che Bloody è un po’ atipica come tassina.
Also, se i personaggi vi sembrano familiari è perché compaiono nell’interattiva di Signorina Granger, Phoenix Feather Camp. Mi piaceva la dinamica che si era creata, purtroppo non conosco l’autrice del quarto membro del gruppo quindi l'ho solo nominata, spero non sia un problema--


Anche con l’infuriare della tempesta, la sala comune di Tassorosso risulta calda e confortevole.
         Le decorazioni in bronzo alle pareti riflettono la poca luce in modo soffuso, e solo una manciata di studenti ancora resiste al richiamo invitante di letti dalle coperte in patchwork. Attraverso le piccole finestre si vede l’erba spazzata dal vento e la neve cadere senza la sua solita leggerezza, il paesaggio buio in bianco ed nero.
         Un forte contrasto con l’interno, in cui l’unico suono è lo scoppiettare debole di un camino ma c’è comunque il calore di amici che si danno conforto l’un l’altro, il profumo di cioccolata, risa soffocate e imprecazioni sputate tra i denti.
         «Se usate questo linguaggio, niente cioccolata calda!» Il tono di Lancelot non perde la sua solita nota gentile, allungando comunque due tazze fumanti coperte di panna e cannella ai due amici seduti a terra.
         Bel gli sorride mentre Blodwel rotea gli occhi scuri, ed entrambi si allungano in direzione del biondo in piedi; alzarsi dal loro privilegiato posto sul tappeto davanti al fuoco morente pare non essere un’opzione. Si spostano, per permettergli di accomodarsi tra di loro.
         «Quando fai così non so se prenderti a sberle o allungarti i biscotti.»
Lancelot guarda sconcertato l’amica, ma è ben grato quando la mano di lei si avvicina tenendo un vassoio con dei piccoli omini alcuni dei quali troppo cotti. Hanno graziose faccine felici o imbronciate, confuse o solo buffe. Il tassorosso ne prende uno e il sapore di pan di zenzero si sposa perfettamente con la cioccolata calda in cui lo inzuppa.
         «Li abbiamo fatti io e Will.» Aggiunge Bel per rincuorare un minimo l’atmosfera. «Non crederai mai com’è brava quando ha la giusta motivazione!»
         La frase gli fa guadagnare un pugno dall’amica, che si mette a carponi e sorpassa abilmente Lancelot mentre questo cerca di parare. Bel ride mentre commenta come sia fortunato a non averlo più come portiere, se nemmeno riesce a impedire ad una ragazza di passare le sue difese.
         «Oh, no! Se iniziate a parlare di Quidditch, io me ne vado.»
«Starai bene? Non hai paura della tempesta di neve?» Chiede Lancelot, una nota di sincera preoccupazione nella voce che le fa solo venire più voglia di andarsene. Blodwel si alza e si avvia verso le stanze delle ragazze, affermando che “Una Marley addormentata è una compagnia migliore di voi due mentre parlate di quello stupido sport.”
         Bel e Lancelot la guardano andare via senza preoccuparsene troppo, conoscono così bene l’amica che sanno non è offesa davvero e, fosse stata arrabbiata, non l’avrebbero scampata così liscia.
         «Comunque il nostro portiere non è male, sai? Se Isabella non lo avesse distratto tempestandolo coi bolidi non ne avrebbe fatta passare una, secondo me. E la finta di Timòn nell’ultima partita è stata micidiale! I serpeverde sono agguerritissimi quest’anno.» Commenta con una certa foga Lancelot, prendendo un altro biscotto dal vassoio argenteo.
         «È vero! Ma anche la strategia dei corvonero non è male. Secondo me l’unica fortuna è che il ragazzo biondo che fa loro da portiere si faccia male tanto spesso. Non so, hanno una strategia diversa e Sly prende il boccino in un’ora.» Aggiunge Bel, aggrottando le sopracciglia quando vede che il compagno ha smesso di ascoltarlo per osservare con aria incuriosita il dolce che ha in mano. Sente una vaga irritazione che scema subito quando nota il motivo. «Belli eh? Sono stati una mia idea.»
         L’omino ha macchie di glassa azzurra per occhi e castana per capelli, ed indossa una piccola cravatta storta con dei buffi puntini neri. Lance lo alza un poco e non può non ridere nel notare la vaga, abbozzata somiglianza tra quello e Bel.
         «Scommetto che Will ha detto che sono una sciocchezza.»
«A dire il vero ha detto che sono una stronzata. Ma poi si è così impegnata, quello lo ha fatto lei! E li ha portati quasi tutti a Marley, perché erano quelli con più glassa.»
         «Sì, però non me la sento di mangiarti, Bel. Lo lascio a te… o a loro, quando si sveglieranno.»

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Capitolo 12
*** Battaglia a palle di neve ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Battaglia a palle di neve
Personaggi: Murphy Spencer Lightwood; Serafim Branko; Timòn Sandro Ramirez; Lilith Eve Marie Beaumont; Royal de Vries; Lorina Altea Marie Erzsébet Caeli; Cesaria Morin; Angelika Hunt; Maia Abbott; Narciso Makris; Mychajlo Barlow; Valerio Vittorio Jiménez-Suarez; Leonard Visser; Lowell Mckee; Isaac Visser; Willem Visser; Mason Simon Barton; Isabella Marie-Renée Lévy.
Rating: Verde
Note: Slice of life | Fluff | Comico | 2469 parole
Is this the ultimate capitolo?
Forse sì, abbiamo qualcosa come venti oc da sette autrici diverse, un casino. Però devo ammettere che, pur avendoci messo un po’ (è in lavorazione dal sei dicembre, una settimana in pratica) è probabilmente il mio preferito per ora, mi sono sinceramente divertita e spero piaccia anche a voi! Ho inserito tutti i grifondoro ed i serpeverde di cui avevo la scheda, mancano solo un paio di fratelli nominati dai vari autori ed Evander, che non sapevo come inserire ma onestamente a me non manca troppo, immagino non manchi a nessuno tbh.
Also, è un pochino più lungo proprio in virtù di tutti questi personaggi, non credo effettivamente dispiaccia; solo, la divisione dei vari punti di vista è chiara? Essendo tutte scene consequenziali e spesso contemporanee, non volevo dare troppa divisione; allo stesso tempo, però, non vorrei fosse troppo confuso.
Fatemi sapere assieme a com’è stato il capitolo!


È cominciata come una cosa innocente.
         Un po’ primini hanno iniziato a correre in giardino tra risa, dopo la tempesta che si è abbattuta il giorno prima i campi attorno alla scuola sono pieni di neve freschissima e soffice, così farinosa che basta il minimo vento a sollevarla di nuovo in aria e creare deliziose coreografie. Chi sia stato il primo ad iniziare quella guerra senza quartiere non è chiaro.
         Il professor Lightwood tutto si era aspettato dal suo primo anno di insegnamento, meno che dover sedare quella che non sembra una rissa… più o meno. Alcune situazioni sono decisamente borderline e, vista l’età delicata di alcuni presenti, le possibilità che finiscano a mani in faccia sono molto vicine a quelle che si bacino.
         Murphy non è sicuro di quale eventualità lo metterebbe più in difficoltà, onestamente, ma si aggira ugualmente tra i suoi studenti cercando col suo peculiare modo gentile e quieto di calmare gli animi. Alcuno gli danno retta ma la magia si spegne nell’istante in cui una palla di neve volante viene schivata da Branko e gli finisce direttamente in petto, accanto all’ultima macchia di caffè che si era procurato quella mattina.

Lilith trova quella situazione ridicola, al limite dell’infantile.
         Che quei buzzurri dei grifondoro abbiano iniziato a giocare come delle belve non l’ha sorpresa, deve ammettere, così come alcuni mezzosangue e nati babbani incolti, ma vedere la Morin e persino Mychajlo tuffarsi, colpire e schivare come non ci fosse un domani? Inconcepibile.
         Stringe le braccia attorno al corpo, perché il semplice ed elegante cappottino alla francese era apparso una buona idea se confrontato con i pesanti, informi mantelli che coprono i suoi compagni, ma è più fallace nello scaldarla. Serafim e Timòn, gli unici compagni di casa che paiono conservare intatte le loro facoltà mentali, sono accanto a lei e osservano con altrettanto sconcerto la scena che si presenta loro davanti.
         D’improvviso Serafim si china, le mani guantate strette al bastone da passeggio che si porta sempre appresso, e una palla di neve gli sfiora il capo per andare a spiaccicarsi contro il professor Lightwood dietro di loro; Lilith fa appena a tempo a voltarsi e guardare la scena che un’altra la colpisce sulla schiena, inumidendole le punte dei capelli biondi in modo fastidioso.
         «Jaqueline!» Esclama risentita, e la risata allegra che le aveva fatto individuare la compagna di casa si interrompe di colpo. Lilith sa di aver fatto un errore prima ancora di girarsi e vederla, perché Timòn accanto a lei si è irrigidito.
         Fa appena a tempo a vedere il luccichio sinistro dietro gli occhiali spessi, dagli abiti larghi Jaqueline estrae una bacchetta di legno rossiccio che punta direttamente contro i piedi di Lilith. Un forte soffio e la neve morbida viene di nuovo sollevata, e la ragazza vola in alto assieme ad essa.
         Royal, maledizione, Royal. Per quieto vivere deve ricordarsi solo di assecondarla un po’, eppure continua a dimenticare le bizzarrie della serpeverde che preferisce usare quel nome assurdo e usare il maschile, pur dormendo nella sua stessa stanza. Irritata, Lilith prende una manciata di neve dal cumulo su quale è caduta, poi si alza ed inizia ad inseguirla.
         «Sei assolutamente morta!»

Timòn ha fatto appena in tempo ad allontanarsi dal campo di battaglia che la neve ha ricoperto Lilith, diretto bersaglio di Royal, e Serafim che è stato troppo lento per allontanarsi.
         Tuttavia, anche così pare non ci sia alcun luogo sicuro all’esterno del castello, e il percorso verso il portone è costellato di piccoli terreni di scontro. Il serpeverde deve evitare più di una palla di neve ed è sorpreso quando è Cesaria, la sua compagna prefetto, a sfrecciargli davanti. Qualcosa di gelido gli colpisce la faccia ed oscura la vista.
         «Ma che…?» Chiede, e sente due risate gemelle prorompere con la stessa intensità, la stessa selvatica gioia nonostante appartengano evidentemente a due persone diverse.
         Scuote la testa, sente i corti capelli castani umidi, e passa una mano sul visino d’angelo. Quando riapre gli occhi, una macchia vinaccia gli sfreccia davanti ed una volta messo a fuoco vede Lorina, una piantagrane del quinto anno, sfrecciare dietro a Cesaria assieme ad una decina di palle di neve. Di tanto in tanto una di quelle, che levitano attorno alle due ragazze come biglie impazzite, si stacca dalle sorelle e finisce un po’ a casaccio contro vittime ignare, sia amiche che nemiche.
         «Scusa, Timmy, sii più veloce la prossima volta!» È il vento l’unica cosa che porta la voce di Cesaria, perché la ragazza si è già dileguata verso la parte bassa del giardino, in direzione della Foresta Proibita.

Cesaria ha in mente una preda in particolare.
         Una grifondoro con i capelli lunghi fino ai fianchi ed il mantello rosa pastello, ma così bassa che ancora non l’ha trovata nella confusione della battaglia. Si sarà nascosta sotto un fungo, o dietro una pigna, ne è certa.
         La strega è riuscita a liberarsi di tutti i suoi inseguitori, e deve ammettere che è stato anche divertente giocare come non avesse diciassette anni. Ha seguito le orme nella neve fino al margine della foresta, piedi minuti che possono appartenere solo Angelika o uno studente del primo anno. Si interrompono vicino un grande pino.
         «Scendi, Lieke?» Cesaria incrocia le braccia, il mantello troppo largo sul corpo snello. Non alza nemmeno gli occhi chiari, si limita a sbuffare e togliersi dalla fronte una ciocca corta di capelli azzurrini. Scende un po’ di neve mentre i rami si muovono appena, e poco dopo dall’albero scende una ragazzetta con la sciarpa di grifondoro che le copre la copre mezza faccia. La riconosce comunque come l’amica, e le sorride.
         «Buongiorno, Cesarina.» La saluta semplicemente, spazzolandosi gli aghi di pino e i fiocchi restanti dal mantello. «Avevo bisogno di un posto sicuro. Tu non ti approfitterai del mio fragile corpo, vero?» Chiede, sbattendo le lunghe ciglia da cerbiatta.
         «Mi conosci, tesoro.» Tuba Cesaria, poi allunga una mano e se la stringe al fianco. La sente irrigidirsi prima ancora di capire quale sia il suo piano, e troppo tardi capisce. Angelika sente la neve gelida riversarsi dentro la sciarpa e sotto gli abiti, riempiendole di gelidi brividi la schiena sottile. Prima che possa protestare, la maggiore si china e le ruba un bacio.
         «Ti conosco, e sei una stronza!» Esclama la moretta mentre l’altra si allontana e corre via. Maledice le sue gambe, così corte rispetto a quelle della serpeverde, e di nuovo lei quando la sente urlare “dovevi restare nascosta sotto un fungo, piccoletta!” a mo’ di provocazione.

Maia si trova nel suo ambiente naturale.
         Più della scuola, che spesso trova ripetitiva e poco stimolante, poter correre e sfogare l’immensa energia contenuta nel suo piccolo corpo è l’ideale. Peccato solo che Berenice le abbia dato buca, sarebbe stata un ottimo supporto, ma l’idea del bagno caldo che la tassorosso le ha promesso prima di rientrare a scuola vale lo scambio.
         Da sola, tuttavia, poco può contro l’impietoso attacco dei tre serpeverde che ha davanti: Mychajlo face da difensore mentre il ragazzetto sempre con lui ed Isabella la bersagliano, dandole appena il tempo di attaccare mentre schiva.
         «Mi serve copertura aerea!» Appena nota il bagliore rossastro su un albero, Maia urla a pieni polmoni. Dopo pochi istanti la pianta viene scossa e una pioggia di neve finissima inizia a coprire i tre; Mychajlo prende i compagni per mano e si allontana ridendo, seguito da Isabella. Loro le piacciono, non sono rigidi come la maggior parte delle serpi, sanno divertirsi e il piccolo trucco non le farà ricevere chissà quale vendetta arzigogolata. Forse, o forse no, vista l’occhiata torva che le lancia il terzo membro del gruppetto.
         «Tre contro uno, assolutamente sleali.» Commenta una voce, e Maia sorride nel vedere spuntare la testa castana di Lorina dai rami. Per qualche motivo ha deciso di comparire a testa in già, appesa con le gambe, ed il mantello le fa una specie di sfondo che la rende davvero buffa. Abituata ai suoi modi teatrali, la più grande delle due grifondoro si limita a stringersi nelle spalle mentre l’altra scende con un balzo agile.
         «Stavi aspettando il momento migliore per la tua entrata in scena, e parli di slealtà?» La provoca, e Lorina le rivolge un sorriso affilato prima di inchinarsi con gesto ampio e fin troppo solenne. Non risponde alla blanda accusa, né affermazione né smentita, si limita a voltarsi e salutarla con due dita.
         «Il mio lavoro qui è finito!»

Lowell ride mentre Valerio impreca.
         I due corrono insieme, a zig zag, cercando di evitare la raffica di proiettili. Maledetti Visser, la famiglia prima della casa, Leonard e Willelm hanno corrotto Isaac. L’unica nota positiva è che la ragazza sembra divertirsi e, come i bambini, più si stanca più sarà tranquilla in serata.
         Valerio le prende la mano e la tira di colpo dietro un albero, stretta contro il corpo, le preme la mano sulla bocca per non farsi scoprire e sente le sue risa soffocate contro la pelle. Si pente di non avere un paio di guanti nel momento in cui sente qualcosa di caldo e umido toccargli il palmo.
         «Che schifo, Levy!» Esclama allontanando la mano di colpo. Lowell, che l’ha leccato, ha un’espressione assolutamente soddisfatta sul viso, le labbra tirate in un sorriso largo.
         «Stiamo solo giocando, Val. E poi, secondo me Leo è sexy, non mi dispiacerebbe rotolarmi nella neve con lui.» Valerio le dà una piccola spinta, le sopracciglia scure aggrottate, e per tutta risposta il sorriso di Lowell si fa solo più ampio. Non è sicuro lo abbia detto solo per provocarlo o se sia seria, ma davvero non trova concepibile come qualcuno possa trovare attraente quel borioso stronzo.
         Il ragazzo ha appena il tempo di roteare gli occhi che sparisce dalla sua vista, ed una voce conosciuta mormora un “presa” passandogli davanti. Isaac ha tra le braccia Lowell, che non pare affatto preoccupata del rapimento e anzi lo guarda con placido interesse.
         «Bravo, Sjakie, dividi e conquista.» Gli dice semplicemente, infilando le manine arrossate dal freddo sotto la sua sciarpa. Se per scaldarle o per cercare di scuotere la sua solita aria quieta, Valerio non saprebbe dirlo.
         «Sii più seria, è una guerra!» Nonostante tutto non può impedirsi un sorriso mentre la guarda salire sulle spalle di Isaac, ed allontanarsi in direzione del prato. Nessuno dei due si comporta per l’età che ha e, in un certo senso, gli fanno tenerezza anche se non sono i più amati della sua casa.
         «Una guerra che sa che state perdendo, Dropje.»
«Puoi anche andare a farti fottere, sai Visser?»
         «Oh, se conosci qualcuno di degno magari ci farò un pensierino.»
Davvero, davvero la sua sopportazione è al limite. Lo provoca così ogni volta che si vedono, mantenendo poi la facciata da studente modello. Valerio si volta di colpo e butta Leonard a terra, e questo lo guarda di rimando con evidente sorpresa. Ha gli occhi azzurri con note d’ambra, come un piccolo cielo soleggiato, anche se è certo di averli visti anche viola, verdi e rossi ad un certo punto. Detesta l’idea di averlo osservato tanto.
         «… non pensavo fossi così audace da offrirti, ma la cosa non mi dispiace.» Commenta il ragazzo sotto di lui e, con un grugnito esasperato, Val prende una manciata di neve e gliela lancia in faccia, a coprire la bocca.

«Sei un traditore!»
         Willelm gli passa davanti ridendo senza nemmeno vederlo, segue impronte pesanti nella neve e si ferma davanti proprio all’albero dietro cui Mason si è riparato, fuggito a stento dalle grinfie di tre piccole serpeverde che lo avevano quasi seppellito nella neve.
         «Wolfie! Hai visto mio fratello? Sjakie, non Babu. Ha sulle spalle Lowell, quella della tua casa con la frangia sugli occhi.» Dice con tono concitato, la sciarpa larga attorno al collo e il mantello storto.
         Mason abbassa lo sguardo, sotto la propria cappa i jeans neri e gli anfibi impermeabili, e vede che anche l’altro fa lo stesso, stringe le labbra. Pur essendo entrambi purosangue, i Visser sono ben più puristi dei Barton e non ha mai visto l’amico indossare abiti babbani.
         «No. Non… non li ho visti.» Risponde stringendosi nelle spalle, evidentemente a disagio. L’altro ragazzino si avvicina e gli posa una mano sulla spalla; solo in quel momento Mason si rende conto di aver tenuto gli occhi bassi, i capelli biancastri sciolti in ciocche ispide sul volto.
         «Ti stanno tormentando? Non puoi solo nasconderti.» Dice, e l’albino abbozza un sorriso scuotendo la testa. Questo non ferma Willelm, quattordici anni e tutta l’arroganza del mondo, che gli tira una pacca sulla schiena così forte da farlo quasi cadere: nonostante siano dello stesso anno, il serpeverde ha una costituzione ben più robusta e lo supera di almeno cinque centimetri.
         «Dai, Sjakie lo cerchiamo dopo. Una battaglia è il momento ideale per prendere qualche culo a calci!»

«Ci rivediamo, Abbott.»
         Isabella ha i piedi ben piantati a terra, le dita quasi insensibili che pregano perché la padrona torni presto al caldo nel castello, ma non prima di aver ripulito l’onta sul proprio nome.
         «Lévy.»
La ragazza si volta lentamente, le mani lungo i fianchi ma leggermente staccate; alza le sopracciglia e assottiglia gli occhi chiari. Si può quasi sentire il fischio tipico dei vecchi film western che piacciono tanto a suo padre, e la serpeverde si sente esattamente come lo sceriffo di una vecchia città, pronta a riscattare il nome e cacciare i criminali.
         «Facciamola finita subito.» Entrambe devono trattenersi per non spezzare il momento, ma è ovvio dal tremolio delle loro labbra che vorrebbero solo sorridere per quella sceneggiata. Maia indica i loro piedi, dove la neve è ancora fresca e poco calpestata dai compagni.
         «Tu scegli il terreno, io l’arma. Palle di neve, una a testa. Un solo colpo. Un solo vincitore.»
«Mi sembra giusto.»
         Le due ragazze si avvicinano l’una all’altra, con lo stesso gesto solenne si chinano per prendere il proiettile, si danno la schiena.
         «Qualsiasi cosa succeda…»
«È stato un onore duellare con te.» Completa Isabella, poi insieme contano a voce alta i dieci passi che le separano dalla regolazione dei conti. Fanno appena in tempo a voltarsi che entrambe vengono colpite, e la risata di Cesaria si allontana mentre Angelika la sgrida piano.
         Le due ragazze si guardano confuse, i capelli imbiancati e il viso insensibile per il freddo, poi si avvicinano l’una all’altra.
«Tregua?» Propone Maia, e l’amica annuisce con vigore. Flette la mano, gelida e rallentata, e la grifondoro fa lo stesso per mostrarle solidarietà.
         «Andiamo nella mia sala, tanto anche Cesaria sarà lì. Probabilmente ci sarà qualcosa di caldo e potremmo pensare ad un piano per fargliela pagare… a meno che tu non abbia subito appuntamento con Nice?» Chiede la mora, e Maia scuote la testa.
         «No, no, va bene così. Prima mi vendico, poi il bagno sarà più piacevole.»

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Capitolo 13
*** La notte più lunga dell'anno ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: La notte più lunga dell’anno
Personaggi: Anthony Johnson; Minerva McGranitt
Rating: Verde
Note: Slice of life | Flashfic | 453 parole
Vediamo per la prima volta la cara Minerva, protagonista indiscussa del mio cuore, alle prese con i suoi più giovani colleghi… e pupilli
Questo prompt è stato davvero difficile, ho avuto l’illuminazione sentendo una povera madre al supermercato. Ah, com’è ironico il mondo (?)
Ad ogni modo, avverto ufficialmente che la stagione dei professori è iniziata- no, non saranno solo professori di qui in poi, ma a volte saranno loro i protagonisti e va bene così.


«Robin, sì, lo so… lo so, anche tu, ma ho il lavoro…»
         Anthony ha la stanchezza dipinta in volto e un bambino capriccioso all’altro capo del telefono. Scosta l’apparecchio dal telefono mentre il ragazzino alza la voce, urlando quanto desideri vedere il padre, quanto lo voglia a casa.
         La tecnologia babbana, per quanto meravigliosa e migliore di semplici lettere- che, comunque, un bimbo di quattro anni non potrebbe leggere- non appiana del tutto le distanze e non conforta il figlio che ha avuto un incubo, e detesta passare i lunghi mesi lontano dal padre.
         «Robin, sai che è ingiusto. Non ti ho abbandonato, torno per natale, e l’estate. Sì, sì, lo so…» Sospira, esausto. Da una parte lo comprende, non avendo la madre nella sua vita stare coi nonni deve sembrargli terribile, ma Anthony lo fa anche per lui.
         Il bussare delicato della porta, così sorprendente nelle cupe ore della notte, lo fa sobbalzare. Mentalmente si insulta, probabilmente la sua voce ha svegliato qualche collega: nonostante non sia così tardi il coprifuoco è passato già da un po’ e le stanze in cui i professori alloggiano si trovano tutte sullo stesso corridoio, è facile sentirsi nonostante le spesse pareti di pietra.
         «Arrivo subito! Scusa Robbie, papà deve andare, ci sentiamo presto va bene?» Aggiunge in un sussurro, voltandosi e tendendo il cellulare con entrambe le mani. Chiude mentre il piccolo ancora protesta a gran voce, e nasconde l’apparecchio in una tasca della vestaglia color notte.
         «Professor Johnson, la disturbo?» Quando apre la porta, è la figura anziana della preside McGranitt a presentarglisi davanti: nonostante l’età è dritta e fiera, i capelli grigi elegantemente raccolti sulla nuca e ancora vestita nella sua tunica scura. Emana un’aura di saggezza, e l’uomo si passa nervosamente una mano tra le ciocche bionde, con il solo risultato di mettere zizzania nel perfetto ordine che avevano prima.
         «Preside! Certo che no. A cosa devo la visita?»
«Il signor Paciock era preoccupato, ha sentito più di una telefonata a tarda notte. Posso entrare?»
         Anthony si scosta e la strega entra, un solo gesto della mano e la teiera si porta da sola vicino al fuoco mentre una tazzina e lo zucchero si posano vicino ai libri sul tavolino basso al centro della stanza. L’uomo la guarda confusa, poi scuote piano la testa e le rivolge un’occhiata confusa. Non servono parole, la donna gli sorride con aria indulgente e si sistema quietamente gli occhiali sul ponte del naso sottile.
         «Non mi guardi così, signor Johnson. Una bevanda calda per aiutarla nel viaggio, domattina la voglio di nuovo qui. Passi comunque la notte con suo figlio, sarà lunga.» Aggiunge, chinando il capo mentre il suo interlocutore si apre ad un ampio sorriso.

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Capitolo 14
*** Punta del naso/mani congelate ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Punta del naso/mani congelate
Personaggi: Marybeth Newbury; Peregrine Duke Sly.
Rating: Verde
Note: Slice of life | Fluff | 504 parole
Mi chiedo cosa faccia sondaggi a fare, se poi faccio comunque di testa mia.
Il vincitore era effettivamente Alexander con la stragrande maggioranza di voti, Peregrine era all’ultimo posto ma in realtà ho deciso di usare lui perché mi sembrava più adatto. E anche perché se posso usare oc altrui, preferisco così.


L’inverno in Scozia sa essere davvero rigido.
         Marybeth, abituata ad un clima più mite ed umido, si soffia sulle dita intirizzite per il freddo e le strofina l’una nell’altra nella vana speranza di scaldarle un poco mentre si affretta verso le serre, in cui sa che potrà trovare un poco di conforto.
         Erbologia non è una delle sue materie preferite e, in quel momento, si chiede con fervore perché abbiano deciso di non sospendere le lezioni all’esterno del castello. Guardando i ragazzi del sesto anno percorrere la direzione opposta, talmente imbacuccati in sciarpe, cappelli e mantelli da non riuscire a distinguerli l’uno dall’altro, capisce che forse è solo una questione di abitudine: alla fine, è solo al primo anno e il prossimo inverno sarà più preparata.
         «Se fai così sentirai solo più freddo, dopo. Aspetta.» Riconosce la voce prima ancora di alzare gli occhi chiari, un tono delicato che non perde mai la sua caratteristica gentilezza. Non fa resistenza quando mani sottili si insinuando nel suo campo visivo, quasi abbronzate se paragonate alla neve di sfondo. Assieme a loro, un paio di guanti blu e spessi dall’aria estremamente calda.
         Marybeth alza lo sguardo e gli occhi di Peregrine sorridono, l’unica parte visibile del suo viso assieme ad una ciocca di capelli blu slavato, tendente al verde. Ha la borsa a tracolla piena di libri e attrezzatura di cui non riconosce i nomi, la sua figura slanciata pende un poco per il peso, e la foggia babbana della sacca contrasta in modo buffo con gli abiti da mago.
         «Prendili, io tanto sto tornando dentro. Puoi ridarmeli stasera.» Aggiunge, e la ragazzina annuisce con un cenno deciso mentre l’espressione si apre ad una gioia vivace ed infantile, che solo un’undicenne che ha ricevuto un gesto di inaspettata gentilezza può avere.
         «Grazie, Peregrine!» Esclama, indossando i guanti che le stanno evidentemente troppo larghi ma conservano un leggero tepore. Il ragazzo fa per superarla e proseguire insieme agli altri ragazzi, quando la rossa sobbalza e si volta.
         «Aspetta, Penny!» Aggiunge concitata, usando il nomignolo che tante volte ha sentito da Alexander. Quando il maggiore prosegue senza badarla, riprova: «Peregrine? Tu resti qui per natale?»
         A quel punto Peregrine si volta, affonda le mani nelle tasche del mantello e si limita a rivolgerle uno sguardo incuriosito, quindi la ragazza continua: «perché vedi, avrei bisogno di aiuto con le lezioni di volo, e siccome sei nella squadra di Quidditch e sempre così gentile, mi chiedevo se potessi aiutarmi.»
         Il corvonero si ferma a guardarla per qualche istante, quindi scuote la testa con quello che crede essere un sorriso di scuse.
«Mi spiace, ma non credo potrò. Torno a casa, se hai bisogno possiamo organizzarci per dopo le vacanze? O, se non vuoi aspettare, possiamo chiedere chi resta.»
         Marybeth sorride, ed i due si salutano con quella promessa. Mentre si avvia verso le serre, correndo leggermente per non arrivare in ritardo, sente le mani che ormai si sono scaldate in modo piacevole. Forse Hogwarts, anche in inverno, non è così male.

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Capitolo 15
*** Canzoni di natale ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Canzoni di natale
Personaggi: Filius Vitious; Pernille Irene Lindgren; Serafim Branko; Narciso Makris.
Rating: Verde
Note: Slice of life | 558 parole
Che questo capitolo non sia finito in una rissa, visto le personalità gentili e accomodanti che vi sono, è un enorme traguardo. Probabilmente è a causa del professor Vitius, che è un sacco gentile.
Ne approfitto per rendervi partecipi che ci sono tanti club ad Hogwarts! Il coro qui descritto è solo uno di questi, se avete delle richieste speciali basta farmele, ad esempio Isaac è nel club di pittura con Cesaria, mentre Angelika ha creato un amatissimo club di cucina che fa la gioia di molti.
Pernille è al sesto anno in corvonero, Serafim e Narciso sono serpeverde del quinto. Nessuno spettegola come quelle due comari, tranne forse Narciso e Berenice che però non fa parte del coro, rip. Cesare è al settimo anno, tassorosso.


«Bravi, bravi ragazzi. Continuate così e il concerto sarà un successo. Cinque minuti di pausa!»
         Il professor Vitius tocca con delicatezza il leggio di legno con la bacchetta e gli spartiti iniziano a sistemarsi magicamente da soli, scende quindi dal suo piccolo sgabello. Pernille posa il violino e si affretta verso l’ormai anziano insegnate, aiutando a scendere i gradini: l’ometto le sorride, battendo piano sulla mano che la ragazza gli tiene sul braccio con gesto affettuoso.
         «Grazie, miss Lindgren, troppo gentile.» Aggiunge, a voce più bassa, e la bionda gli rivolge un sorriso affettuoso. Alle sue spalle, Narciso si è alzato dal seggiolino della sua arpa e si è avvicinato al pianoforte: sia lui che Serafim alzano gli occhi all’unisono, guardando la corvonero infastiditi.
         «Non so se sia peggio non avere una personalità…» Inizia Serafim, gli occhi chiari tornati sui tasti bianchi e neri, evidentemente infastidito dalla luce forte della stanza delle prove.
         «… o averne più di una.» Conclude Narciso, prendendo posto accanto all’amico e accavallando le gambe snelle. Inclina il capo, un sorriso leggero sulle labbra sottili, e saluta con la mano quando Pernille lancia loro un’occhiata di gelida cortesia che tradisce il suo orecchio lungo. «Ma parlando di cose più interessanti, è vero che esci con Cesare?»
         «È inevitabile, quando provi a piacere a tutti finisci per attirarti gli sguardi ed i pettegolezzi. Mi chiedo a che scopo lo faccia.» Si chiede distrattamente Serafim, poi completamente disinteressato inizia ad osservare una ciocca biondo pallido. La sfiora con le dita, quasi a cercare difetti, ma i lunghi capelli che sono il suo grande vanto sono lisci, privi di doppie punte, morbidi. «Spero che per il concerto non ci faranno vestire di bianco.»
         Narciso alza le sopracciglia e lo guarda allarmato, come se l’idea non lo avesse sfiorato fino a quel momento: eppure è stato così anche lo scorso anno, con estremo malcontento di tutti i musicisti ed il coro che davvero avrebbe preferito ogni cosa piuttosto che quelle candide tuniche che avevano loro procurato prese in giro per settimane.
         «I vestiti da mago bianchi sono un oltraggio al pudore.» Afferma con convinzione, scuotendo il capo, e una risata delicata alla sua destra segue le parole di Narciso. Entrambi i serpeverde si voltano, e Pernille li guarda radiosa.
         «A me non è dispiaciuto essere chiamata angioletto!» Risponde la ragazza, adorabile e con il solito tono flautato. Non c’è davvero nulla che non vada in lei, è sempre cortese e calma, l’appellativo le si addice in effetti- tuttavia, i due ragazzi non riescono a fidarsi di quella deliziosa facciata.
         «Perché già lo usavano, miss, e lei è una graziosa fanciulla. Per noi è stato… inappropriato, invece.» Le risponde Serafim, e Narciso non può che ammirare la diplomazia del ragazzo. Si vede che è stato cresciuto con bizzarri precetti, anche tra i purosangue spicca e non sempre in positivo. La ragazza lo guarda, sbattendo le lunghe ciglia quasi presa in contropiede, ed il biondo le fa un cenno che significa chiaramente che la conversazione è finita, per quanto breve.
         «Ma quindi… è con questo modo di fare che hai conquistato il tuo bel tassorosso?» Si affretta a chiedere Narciso, nella speranza di ricevere più interessanti pettegolezzi quando Pernille li lascia. Serafim sospira, poi riprende a battere i tasti del suo strumento seguendo chissà quale lenta melodia nella sua testa.

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Capitolo 16
*** Pattinare sul ghiaccio ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Pattinare sul ghiaccio
Personaggi: Maia Abbott; Berenice Bailey.
Rating: Verde
Note: Slice of life | Fluff | 544 parole
Ma abbiamo anche la nostra quota rosa a riequilibrare tutto lo spazio al romanticismo dato ai maschietti?
Maia e Nice sono adorabili eppure non scrivo mai di loro, shame on me. Tra l’altro da qui in avanti sarà la fiera dello zucchero, ho almeno altre tre coppie in senso stretto e un paio che potete decidere come considerare.


La neve non è l’unica cosa che porta l’inverno.
         Arrancando nella massa compatta, Berenice e Maia procedono spedite nel percorso segnato da altri studenti prima di loro; in lontananza sentono le prima grida di gioia ed il rumore di fondo di chissà quante persone che parlano. Le loro mani sono comunque intrecciate, nonostante la scomoda posizione ed i guanti che non permettono davvero un contatto, il fiato si condensa e le guance sono arrossate per il freddo, ma le chiacchiere allegre e la presenza l’una dell’altra sono un conforto sufficiente,
         «Spero non abbiano già occupato tutto lo spazio!» Dice Berenice, la pelle olivastra in piacevole contrasto con il paesaggio monocromatico attorno a loro. Indossa abiti crema e verde chiaro, del tutto inadatti all’interno dell’antico castello e che le hanno fatto ricevere più di un richiamo. Maia le sorride indulgente e si sistema meglio la sciarpa rosso e oro sul viso.
         «Non credo ci siano abbastanza studenti per occupare tutto il lago, anche volendo.» Risponde, poi accelera il passo e prende la svolta a destra, la parte opposta rispetto alla strada segnata. Nonostante l’amica sia più alta, con lunghe gambe che fenderebbero facilmente la neve, ma Maia non è mai stata il tipo da seguire docilmente chi le apre la via: Berenice si mette dietro di lei, brava principessa con il suo cavaliere in armatura luccicante.
         Non le passa nemmeno per la testa di mette in discussione la direzione presa dalla grifondoro, semplicemente allunga una mano e le sfiora i capelli corti che spuntano da sotto il cappello in lana, caramello quasi nascosto dalla sciarpa. Maia Rabbrividisce e troppo tardi Berenice ricorda che probabilmente la punta dei guanti è umida e non calda quanto le sue mani.
         «È una scorciatoia, sono sicura arriveremo prima di Cesare.»
«Cesare?»
         «Ha detto di voler andare a pattinare, e c’erano tracce irregolari con il puntino di un bastone da passeggio.»
         La tassorosso annuisce, non senza un certo stupore per le capacità deduttive dell’amica. Cesare deve aver penato un bel po’ per aver convinto Serafim ad andare fino al lago, Berenice lo conosce bene e sa quanto possa essere rigido.
         Tra chiacchiere leggere e l’ennesimo appuntamento per potersi tatuare assieme, alla fine le due ragazze arrivano: il lago nero si apre davanti a loro in un’immensa landa ghiacciata punteggiata di studenti che pattinano: più ci si allontana dalla riva più si fanno radi, ed i meno coraggiosi hanno portato dei rudimentali slittini fatti di legno, stoffa e corda con cui scivolano dai pendii dolci. Quando sbucano dagli alberi, Emma e Clara tagliano loro la strada di colpo tra risa e gridolini di sorpresa, ma troppo rapide nella loro corsa con lo slittino per fermarsi.
         «Nice! Scusa!» Urla la piccola tassorosso continuando a scivolare via, e vedono la piccola Maximoff affondare il viso contro la schiena dell’amichetta. Le spalle fremono comunque, e possono indovinare una risata scuoterle.
         «Beh che dire,» commenta Maia, che aveva istintivamente allungato un braccio per impedire alla mora di proseguire e farsi male, «ora che ti ho salvato la vita, mi concedi il primo ballo?»
         «Mia eroina, non potrebbe essere altrimenti!» Esclama Berenice, ma lascia cadere i pattini e si sporge per abbracciare di colpo la più bassa, affondandole il viso nella sciarpa e contro il collo.

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Capitolo 17
*** Passeggiando tra le luminarie ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Passeggiando tra le luminarie
Personaggi: Isabella Marie-Renée Lévy; Leslie Keith Hamilton.
Rating: Verde
Note: Slice of life | 527 parole
Vabbè, io so che qualcuno stava aspettando questo capitolo dall’inizio della raccolta. Onestamente di solito non amo ricevere coppie “fatte”, quelle in cui mi si impone di creare una chimica tra due personaggi che magari mi sembrerebbero migliori con altri o la cui personalità funziona solo se sono insieme e non hanno nulla da dare alla storia.
Per fortuna non è questo il caso, anche se devo ammettere che avendoli inviati nella zona grigia mi è stato un po’ difficile questo capitolo. Fate un favore a tutte le autrici, mandateli ancora senza cotte chiedendo di sviluppare o già morosati, non a metà ahahahah


L’ultimo weekend ad Hogsmeade prima di natale, per tradizione, lo passano insieme.
         La tradizione, nata al secondo anno, è perdurata nel tempo ed i due amici si salutano sempre in quel modo per la breve pausa che li riporterà dalle loro famiglie, dai loro mondi così diversi l’uno dall’altro.
         Isabella fa una battuta sciocca indicando un pupazzo di neve mezzo distrutto che chissà chi ha abbandonato al lato della strada, e Leslie ride mentre un piacevole crampo gli scombussola lo stomaco. Il povero omino è stato incantato e ondeggia pigramente, ma il cappello oscilla pericolosamente sulla testa tonda e minaccia di cadere ad ogni movimento.
         La serpeverde lo prende per il braccio e lo trascina con poca grazia più vicino, chiedendogli di aiutarlo con occhi ametista da cucciolo a cui è impossibile dire di no: un colpo di bacchetta del ragazzo e il pupazzo torna integro e fermo, il cilindro storto gli copre un sassetto lucido messo a mo’ di occhio. Isabella lo sistema con un sorriso allegro.
         «Le giornate sono così corte…» Mormora Leslie, perdendosi ad osservare il cielo che si sta scurendo per non arrossire alla compagna così vicina. Troppo vicina.
         «Però ora ricominceranno ad allungarsi, no? Anche se ora fa freddo, tra pochissimo arriverò primavera, e poi di nuovo l’estate! Però prima dobbiamo passare gli esami…» La corvina fa una smorfia all’idea, che ad essere sinceri mette un poca di agitazione anche al tassorosso nonostante lo studio fosse sempre stato un suo punto di forza.
         «È vero. Godiamoci le luci, per ora, meglio?» Chiede retorico, ed indica con le mani guantate le piccole luminarie dalla luce tremolante che si accendono una per una davanti a loro, dando alla strada un’aria di magia comune che scalda il cuore nonostante il clima rigido.
         «Già si accendono? Che ore sono? Gli allenamenti!»
Non c’è davvero un momento di pausa tra le parole ed il momento in cui Isabella scatta: in istante prima è stretta al suo braccio e quello dopo sta volando lungo la strada, evitando agilmente i passanti che si fermano a guardarla stupiti. Alcuni studenti di cui riconosce solo le sciarpe bronzo e blu ridacchiano indicandola, un suono delicato e fortunatamente privo di malizia.
         Leslie si affretta dietro di lei, la mente in moto già pronta a presentargli i peggiori scenari possibili- da un molesto ed invisibile Thestral lanciato al galoppo a qualche oscuro ed innominabile spirito della neve particolarmente avverso alle ragazze solari; quando, nei pressi del ponte che annuncia la fine del villaggio e la strada poco frequentata per Hogwarts, sente il terreno scivoloso di ghiaccio sa di non essere stato semplicemente paranoico. Isabella è a terra, seduta con la schiena contro il parapetto, una gamba stretta al petto e l’altra dritta davanti a sé.
         «Nèis!» La chiama, affrettandosi verso la mora con aria assolutamente preoccupata. La ragazza gli sorride nonostante il viso abbronzato sia pallido, gli occhi lucidi, e fa un gesto vago con la mano.
         «Il ponte è ghiacciato,» lo avverte come non fosse palese, «e temo che non potrò arrivare agli allenamenti… o a casa, quest’anno, a meno che Madama Chips non abbia qualcosa per saldare in fretta le ossa.»

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Capitolo 18
*** Cucinando insieme ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Cucinando insieme
Personaggi: Angelika Hunt; Cesaria Morin.
Rating: Verde
Note: Slice of life | Fluff | 535 parole
Poco da fare, a me Cesarina e Lieke piacciono. In generale il fem!slash è un big yes per me, loro due poi sono particolarmente adorabili nella loro dinamica.
Godetevele.



Angelika ha le scarpette di vernice lucida, proprio come quelle di una bambola.
         Nella cucina in miniatura del castello, a misura di elfo domestico, lei pare proprio un burattino nella sua casetta giocattolo, i piccoli piatti di plastica perfetti sui vassoi decorati. Cesaria posa il mento sulla sua spalla, gli occhi azzurri incollati alla sac à poche con cui la ragazza sta decorando una torta, piccoli ciuffi di panna candida pronti per essere fotografati.
         L’ambiente è pervaso dal profumo di pan di zenzero, vaniglia e cannella, ricorda ad entrambe il natale che ormai passano insieme ogni anno, a casa delle madri di Angelika che hanno adottato anche la serpeverde. Cesaria le stringe le braccia attorno alla vita e chiude le palpebre, rilassata dalla scena familiare.
         «E poi sono io quella appiccicosa.» Commenta, e la più grande sbuffa una specie di risata senza muoversi. Sobbalza appena quando sente qualcosa di freddo sulla punta del naso, e spalanca gli occhi per trovarsi davanti una Angelika dal sorriso birbante.
         «Guarda che è domenica, hai dormito.» Rincara, e Cesaria allunga una mano per prendersi un decoro di panna. Se lo porta alle labbra sotto il suo sguardo stupito e di dissenso della grifondoro.
         «Infatti non sono stanca. Volevo solo fare la mia parte per il club che ti ho aiutata a fondare.» Precisa la maggiore, e sorride nel vederla accigliarsi maggiormente. Effettivamente è vero che, non fosse stato per l’influenza della maggiore, il club di cucina di cui Angelika è presidentessa e unico membro attivo non esisterebbe, ma questo vuol dire averla spesso in giro ad assaggiare.
         «E allora fai la tua parte. Togli dal forno gli omini di pan di zenzero, e poi aiutami con i muffin salati.» Angelika appoggia la sac à poche sul ripiano e posa le mani sui fianchi, voltandosi verso di lei. Il grembiule bianco che indossa poco ha potuto contro la farina che le impolvera la divisa scolastica, e Cesaria ride nel guardarla.
         «Sì, chef!» Esclama, scattando sull’attenti.
La moretta scuote la testa, poi prende il dolce e lo porta verso il frigo. Cesaria le apre lo sportello, cosa che l’altra non può certo fare mentre tiene con entrambe le mani il piatto: le fa un cenno col capo, e la maggiore ricambia con un occhiolino.
         Angelika prende uova, farina e latte ed inizia a lavorarli in una ciotola con una frusta. Cesaria si sporge da sopra la sua spalla ed allungando un dito nell’impasto morbido che sta mescolando.
         «Non mi hai sentita? Il forno, i biscotti si bruciano.» Le dice, senza traccia di sorpresa o stizza nella voce. La serpeverde sa che sta sorridendo, così anziché portarsi il dito alle labbra le sporca con il composto la guancia, e questo la fa sobbalzare.
         «Prefetto Morin!» La sgrida, voltandosi di colpo con un cipiglio che sul suo viso di bambola è assolutamente comico.
         «Così sei più appetitosa, Lieke. Potrei mangiare te e lasciare stare torte e biscotti, che ne dici?» Cesaria ride dell’espressione indignata della grifondoro, che la spinge via gonfiando le guance morbide. Brandisce con aria estremamente poco minacciosa la frusta con cui lavorava prima.
         «Tu non potrai avere nulla da questa cucina. Né torte, né biscotti, né me. Non li meriti.»

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Capitolo 19
*** Sotto il vischio ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Sotto il vischio
Personaggi: Daniel Turner; Edward Carter; James Shane; Tobias Jason Brooks; Sarah Amelia Mackenzie.
Rating: Verde
Note: Slice of life | Romantico | 840 parole
Vabbé, è una festa, si nomina molta gente. Ho inserito i nomi principali, quelli che hanno un’effettiva utilità.
È stato, devo ammettere, un capitolo molto difficile da scrivere. Un po’ perché ho stretto più possibile sulle parole (dovrebbero essere drabble, Fe!) ed un po’ perché tre dei cinque personaggi apparsi non hanno davvero una scheda. Sono inseriti come “amici di”, scema io che mi sono impuntata a farli apparire.
Also, cose di cui sono personalmente innamoratissima: i gruppetti di amici che si prendono in giro. Non so se ho davvero azzeccato il rapporto tra i quattro ragazzi, ma nel dubbio non mi pento di nulla.
Quello che ho detto per il capitolo 19 vale anche qui, non ho molto altro da aggiungere.
¹ Non ho resistito, questo riferimento a Luna andava assolutamente fatto.


L’idea di una festa di martedì non è piaciuta a parecchia gente, eppure è stata ugualmente organizzata.
         Questa volta la sala comune designata è quella di grifondoro e le poltrone sono state spostate verso le pareti o nelle stanze per permettere agli ospiti di entrare: nonostante questo e la marea di scale a fare da deterrente, la folla è comunque parecchio fitta. Tobias non può che sentirsi soddisfatto del risultato generale perché, tra gli arazzi oro e rosso, spuntano decorazioni di pino verde che danno un’aria decisamente natalizia.
         «Ehi, vogliamo rendere la serata più interessante?» Chiede d’improvviso Daniel, guardando gli amici che si voltano verso di lui di colpo. L’unico che pare avere qualche esitazione è Edward, che manifesta la sua preoccupazione con un lieve squittio acuto ed un rapido gesto di nervosismo con le dita. «Vi sfido! Il primo che riesce a baciare una ragazza vince.»
         «Vuoi solo una scusa per quando la Lindgren ti darà un altro due di picche, Danny.» Lo apostrofa James, provocando le risa degli altri due. Il ragazzo incrocia le braccia, le guance che si tingono appena d’imbarazzo, poi scuote la testa.
         «Nah! Stasera mi dedico a qualcuna di più abbordabile.»
«Ti prego, non Nice della mia casa, vero? L’ho vista un quarto d’ora fa sdraiata praticamente sopra Maia, credo l’abbiano già portata in dormitorio.»
         Al commento di Edward, Daniel gonfia le guance in modo assolutamente comico per la sua stazza, poi sventola con la mano al nulla. Aggiunge solo che la sfida è stata lanciata prima di avviarsi con passo deciso verso un gruppetto di ragazze del loro anno: tra loro, sembra puntare ad una ragazza atletica coi capelli corti e un delizioso vestitino nero. Prima che possa anche solo chiedersi se sia o meno il caso di intervenire, Tobias nota una peculiare testolina nera decorata da una ciocca rossa, e senza pensarci troppo si avvia verso la sua proprietaria.
         «Perfetto, lo abbiamo perso.» Commenta sarcastico James, ma il grifondoro non lo sente davvero.

«Ehi, Kenzie!» Tobias sventola una mano per farsi notare dalla ragazza, che sobbalza quasi intimidita. «Non mi sembra proprio il tuo ambiente.»
         Anche se normalmente sarebbe vero, coi leggins a coprirle le gambe sottili e il vestitino porpora Sarah non è molto diversa dalle altre studentesse lì in giro; giusto più moderna nell’abbigliamento, cosa che la rende ancora più carina agli occhi del biondo. La corvonero si guarda intorno, quasi smarrita.
         «Sì, beh,» Sarah gli sorride, e gli occhi grigi prendono una sfumatura calda e brillante che ricorda l’oro più che l’argento «mi hanno convinto Lafi e Will, ma sono arrivate prima di me.» Ride piano, un suono vagamente nervoso e imbarazzato. Tobias sa benissimo che tutta quella gente la mette a disagio, lo vede dal modo in cui le dita.
         «Vuoi che andiamo a cercarle?» La domanda gli viene del tutto naturale, così come è naturale allungare una mano per prendere quella della ragazza. Tobias è ben più espansivo di Sarah, ma anche in lei il gesto non pare creare noia: annuisce e mette al suo fianco, poi alza lo sguardo e, se possibile, il suo sorriso si fa ancora più largo. Seguendo il suo sguardo, il grifondoro si rende conto che si trovano esattamente sotto uno dei numerosi rametti di vischio che decorano la stanza.
         «La Dama Grigia dice che sono infestati di nargilli.» Commenta casualmente Sarah. Quando vede l’espressione confusa di Tobias, però, aggiunge: «Non ho idea di cosa siano. Glielo aveva detto una sua amica¹.»
         Si alza in punta di piedi e gli lascia un bacio sulla guancia, poi si allontana come nulla fosse: «È bello che anche i maghi abbiano le nostre stesse tradizioni, no? Non siamo così diversi. Oh! Ho trovato Willow, ti lascio.»
         Tobias si perde nel guardarla allontanarsi verso l’asiatica, che la saluta con un gesto ampio e le indica un ragazzo alto e palesemente di pessimo umore con i capelli bianchi sparati sulla testa. Gli ci vuole qualche secondo per realizzare cos’è successo e, quando lo fa, il biondo si porta una mano alla guancia, dove l’amica gli ha dato un bacio.

«Ti giuro! Sono io che non ho voluto, quando mi sono reso conto che si trattava di Royal. Che tipo, presentarsi con un vestito solo per il gusto di far casino…» Daniel è agitato e paonazzo, continua a passarsi le dita tra i capelli castani come se rimetterli in ordine potesse sistemare il suo imbarazzo.
         «Sì, certo. Non si fa toccare neanche per sbaglio, è etero, ma avrebbe comunque baciato te potendo.» Edward ride, un suono piuttosto dolce, coprendosi la bocca con la mano. «Dai, neanche io ci sono riuscito, eppure sono stato tutto il tempo sotto il vischio! Uhm? Toby, tutto bene?»
         A quel commento Tobias era sobbalzato, ma si affretta a sorridere all’amico e fare un cenno di diniego col capo. Si passa una mano sulla nuca, mordicchiandosi piano le labbra con aria pensosa.
         «Sì, sì. Anche io ho perso la scommessa, in realtà.»
Per fortuna gli amici non indagano oltre, anche se sa che sanno.

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Capitolo 20
*** “Babbo natale non esiste, convivici.” ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: “Babbo natale non esiste, convivici.”
Personaggi: Marybeth Newbury; Dorothea Visser; Willelm Visser; Leslie Keith Hamilton.
Rating: Verde
Note: Slice of life | parole
Non è più natale da un pezzo, ma volevo finire la raccolta dato che mancano davvero pochissimi capitoli.
May e Thea sono del primo anno e, anche se non fanno parte della stessa casa, hanno comunque abbastanza legato. Willelm è uno dei fratelli maggiori di Thea, e il povero Leslie stava solo passando. Voleva essere coinvolto? No.
Non avete idea di quanto io ami scrivere dei bimbi, sono adorabili.


La lezione di pozioni si svolge nei sotterranei, quasi a renderla più sgradevole possibile.
         Per quanto non fatichi come con altre materie, il professor Montague le mette una certa ansia e trova sempre difficile concentrarsi sotto il suo sguardo severo. Alza le braccia per stirare la schiena e si lascia andare ad un lungo sospiro, pronta a rivedere il sole ricaricare l’energia positiva che meglio la distingue: accanto a lei, Dorothea la guarda e ride.
         «Sai May, secondo me la prendi troppo sul personale.» Le dice, dandole un colpetto col gomito. Nonostante siano dello stesso anno, Dorothea svetta tra le altre primine ed il gesto lascia Marybeth a bocca aperta: essendo la rossa tutta esile e delicata perde un attimo l’equilibrio già instabile, e si china in avanti. Non c’è traccia tuttavia di rabbia negli occhi espressivi quando si volta a guardarla.
         «Non diresti lo stesso se trattasse male te.» La guarda roteare in modo teatrale il viso e portare una mano sul fianco, quindi la rossa continua: «Ho chiesto in giro! Sono i nati babbani a non piacergli. Facci caso Dodie, abbiamo seguito lo stesso identico procedimento ma ha avuto parole gentili solo per te.»
         Dorothea si accarezza pensosamente una guancia morbida con la punta delle dita, poi si stringe nelle spalle. «Secondo me ti ha presa di mira perché si vede che la sua materia non ti piace, anche se hai buoni risultati.» Sentenzia alla fine, con tutta la sicurezza che solo un’undicenne può avere. Marybeth le lancia un’occhiata non del tutto convinta, poi si volta e riprende il suo percorso.
         Le due sono in case diverse, perciò una volta usciti dai sotterranei le loro strade si divideranno sino alla prossima lezione; la piccola corvonero sta già macchinando, pronta ad andare a parlare con il gentile ragazzo che le ha prestato i guanti qualche giorno prima: deve renderglieli e, se non ricorda male, anche lui è un nato babbano. Magari può aiutarla a fare qualcosa. Persa in questi pensieri, Marybeth coglie solo vagamente gli studenti più grandi che sfilano nella direzione opposta alla loro, probabilmente diretti verso l’aula che le due hanno appena lasciato.
         «Non accigliarti troppo, May, sul serio. Non si può comportarsi male sotto le feste, Babbo Natale non lascia doni nella calza dei cattivi.» Esclama alla fine Dorothea, e le sue parole sono seguite da una risata che le ragazzine non possono che definire cattiva. Si guardano attorno all’unisono e nella calca si è fermato un ragazzino che somiglia molto alla ragazza: stessi lisci capelli biondi, stesso taglio duro degli occhi e stessa spanna che lo divide dai coetanei, anche se nel suo caso è ancora più evidente grazie al fisico allenato. Dorothea si stringe al braccio dell’amica e Marybeth vede con la coda dell’occhio le sue guance imporporarsi.
         «Eddai Thea! Smettila con queste stronzate e prendi posizione.» Dice il ragazzo, indicandola con un dito; sta sorridendo, ma non in modo gentile, e mentre guarda la ragazza scoppia a ridere di nuovo.
         Marybeth si volta e vede la più alta con il viso all’altezza del proprio, colorato con un’insolita espressione di infantile stizza. Se non ricorda male quello è uno dei suoi fratelli maggiori, anche se non saprebbe dirne il nome: come nelle famiglie più unite, hanno una marea di nomignoli e soprannomi per rivolgersi gli uni agli altri e, per quanto si sforzi, la rossa non ha mai avuto quel tipo di rapporto coi suoi e non riesce a collegare chi sia chi.
         «Stai zitto Pim.»
«Babbo natale non esiste, Goud, convivici.»
         Ecco, appunto. La corvonero non ha idea di che nome possa generare un’abbreviazione come Pim, ma se sono arrivati a chiamare Dorothea “Goud” non si stupirebbe se fosse qualcosa di del tutto diverso. Intanto attorno a loro si è radunata una piccola folla di studenti, sia del loro che dell’anno del ragazzo. Marybeth si alza in tutta la sua in realtà non imponente struttura e si para davanti all’amica.
         «Oh già, quale altra lezione di maturità vuoi darci ora? Vattene anziché litigare con tua sorella, che ci fai più bella figura.» Lo rimprovera, ed il ragazzo rotea gli occhi in modo assolutamente simile a come aveva fatto Dorothea pochi minuti prima.
         «Ha ragione, a meno che tu non voglia perdere punti appena prima di natale. Scommetto che gli altri serpeverde ti sarebbero grati, no?» Una voce si intromette, gentile anche se un po’ affannata. Il terzetto ed i pochi studenti rimasti ad osservare la scena si voltano e il caposcuola Hamilton sorride loro dietro uno scatolone che regge a fatica tra le braccia. «Bullismo, intralcio, ritardo a lezione… una bella lista per essere solo le dieci.»
         A quella neanche troppo velata la folla si disperde in fretta, restano solo le due primine e il tassorosso, che fa cenno loro di proseguire nonostante l’evidente difficoltà.
         «Grazie, signore! Uhm… vuole una mano?» Chiede titubante Marybeth, e Dorothea le si accoda aggiungendo che tanto ormai sono già in ritardo, possono aiutarlo nel suo compito.
         «No, no. Sono passato dalla sala comune di Serpeverde per prendere delle cose di una mia amica che è in infermeria e… beh, non vi serve tutta la storia.» È evidentemente in imbarazzo, aggiusta il peso sulle braccia e si vede che potendo si toccherebbe il viso, poi aggiunge. «È stata una fortuna che passassi. La prossima volta andate dritte e non cedete alle provocazioni dei bulletti, d’accordo?»
         Le due annuiscono, un uguale sorriso che si allarga sulle labbra, poi corrono via. Appena sono abbastanza lontane da non farsi sentire, Marybeth si volta e Dorothea la precede: «Poi dopo pranzo andiamo a vedere in infermeria a vedere chi è la ragazza!»

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Capitolo 21
*** Luna ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Luna
Personaggi: Angelika Hunt; Lorina Altea Marie Erzsébet Caeli
Rating: Verde
Note: Slice of Life | 1276 parole
Non tutti gli OC presenti mi appartengono; ringrazio Bungod (la creatrice di Lori, Reidarr e Crys) per avermi concesso il loro utilizzo, e sorpresa Itzi! Nomino anche Maia.


Ad Angelika piaceva essere una Grifondoro. Non lo aveva previsto, anzi, quando il Cappello Parlante l'aveva smistata in quella casa ne era rimasta quanto mai sorpresa però, nel tempo, aveva capito che era molto più che idioti che si buttavano a capofitto nel pericolo o rumorosi, popolari festaioli.
         Grifondoro era cavalleria nei piccoli gesti, come quando Reidarr si alzava dalla sua sedia in biblioteca per prendere casualmente il libro accanto a quello che le serviva, ma stava troppo in alto per la sua figurina minuta; era determinazione, che faceva tornare Maia nello studio del tatuatore con Nice, anche se ogni volta solo la prima usciva con un nuovo disegno sulla pelle; era sangue freddo nelle situazioni più difficili, perfettamente incarnato dal prefetto Crystal che doveva affrontare ogni giorno situazioni al limite del ridicolo.
         Sospirò piano, posando il mento sulla mano e perdendosi ad osservare il passaggio: un altro vantaggio della sua casa era la vista dalla sala comune. Situata su una delle torri del castello, lasciava che il parco e la foresta proibita si stendessero davanti a lei come un tappeto in perenne movimento: quella sera la luna piena dava una profondità particolare alle chiome che ondeggiavano, rendendo particolarmente vivida la scena monocromatica.
         «Ti verranno le rughe, se stai imbronciata così.»
         La voce non era affatto gentile ma, soprattutto, fu improvvisa nel silenzio ovattato della stanza, il cui precedente unico rumore era il lieve scoppiettare del fuoco nel camino: Angelika sobbalzò e si girò di scatto, trovando Lorina che la guardava con il suo solito sorrisetto irritante sul volto altrimenti grazioso. Nonostante avessero un solo anno di differenza, e per forza di cose passassero molte delle loro serate nello stesso ambiente, non si erano mai scambiate più di qualche occhiata e la maggiore si chiese cosa facesse giù a quell'ora.
         «E a te una brutta pelle se non dormi abbastanza.» Rispose con poco interesse, scandagliandola con gli occhi: i capelli corti erano legati in un codino disordinato, da quel che poteva vedere nascosta com'era da un mantello nero; sotto poteva indovinare dei vestiti comodi, babbani, jeans stretti e una felpa cremisi. Decisamente non una che sta per andare a letto, pensò alzando un sopracciglio.
         «Lo stesso vale per te, bambolina! Le brave bimbe non stanno alzate fino a quest'ora.» Nonostante le apparenze, doveva averla presa in un momento di particolare buonumore: sarebbe stato molto facile, per Lorina, sgattaiolarle alle spalle ed andarsene senza farsi notare, ma aveva probabilmente deciso che quello era più divertente di chissà quale marachella aveva programmato. Dopotutto, lei rappresentava appieno le caratteristiche che Angelika meno apprezzava dei Grifondoro: arguta e determinata ai limiti della testardaggine, aveva un'aria vitale che per i suoi gusti sfociava troppo spesso in rischi inutili.
         «Non ho sonno.»
         Lanciò un'altra occhiata alla finestra, carica del languido desiderio di chi è troppo tempo lontano dal proprio amato; nel caso della brunetta, il cielo notturno sotto al quale spesso si addormentava, a casa.
         Sentì d'improvviso una mano chiudersi attorno al suo polso: una stretta forte che non si sarebbe aspettata dall'altra ragazza.
         «Sospiri come i condannati di Venezia. Non siamo in gabbia.» Lorina aveva una strana scintilla negli occhi grigi, come avesse rubato un luccichio alla luna argentea, che le risultava stranamente attraente.
         Senza nemmeno rendersi conto di averlo fatto, aveva iniziato a seguirla fin quasi alla porta della sala, i piedi nudi sul tappeto rosso e oro. Si riprese solo quando incontrarono la fredda, nuda roccia.
         «Aspetta!» Un momento di pausa. Angelika non infrangeva le regole, era davvero una brava bambina, anche se sapeva come farsi rispettare a discapito del suo visino da bimba. «Prendo le scarpe e la giacca.»

I corridoi bui le mettevano ansia, i sensi erano tesi al massimo e persino il lievissimo rumore dei loro passi risuonava come tuono nelle sue orecchie.
         Lorina pareva molto più calma, camminava vicino al muro come avesse tutto il diritto di farlo, ma ad un'occhiata più attenta si coglieva l'attenzione con cui svoltava ogni angolo o evitava le pozze di luce che entrava dalle finestre. Decisamente non la prima volta che usciva di notte, chissà per quale motivo.
         «Sai, stai praticamente urlando beccatemi.» Le fece notare con un sussurro, alludendo con una mano al suo comportamento ansioso. La sua voce era appena udibile, cosa che Angelika non credeva possibile visto com'era abituata a sentirla rispondere con sarcasmo e toni estremamente alti.
         «Sii più... chill, sai no?» Aggiunse, sottolineando la parola con il sorrisino di chi la sapeva più lunga.
La scuola di notte era un territorio estraneo e anche un po' spaventoso che non la faceva sentire affatto a suo agio; non si era resa conto che l'aveva portata al quinto piano, davanti la statua di un uomo imponente, grassoccio e pelato con un viso poco rassicurante.
         «Non capisco.»
         La ragazza la guardò qualche istante, poi liberò teatralmente il braccio facendo svolazzare mantello.
         «Questo è Greg, e stasera sarà il nostro lasciapassare.» Annunciò, aumentando la confusione della più bassa. Con un tocco della bacchetta sfiorò il naso adunco della statua, che si spostò di lato rivelando una scala a chiocciola che partiva stretta dalla base.
         Percorrendola, per fortuna, il passaggio si allargava fino a consentire alle due una certa comodità, pur rovinata dall'odore di chiuso e muffa e dalle pietre scivolose per l'umidità.
         Quando la statua tornò al suo posto, precludendo ogni minima fonte di luce, Angelika si pentì amaramente di non aver portato la propria bacchetta. Per fortuna fu l'altra a illuminare l'ambiente, uno svolazzo del polso e fu come avere una torcia.
         «Questo passaggio non viene usato spesso, perché sbuca nel giardino, vicino alla capanna abbandonata ai margini della foresta proibita.» Iniziò Lorina, in perfetto stile guida turistica dei luoghi meno attraenti di Hogwarts. «Però è anche uno dei passaggi più comodi, non richiede condizioni speciali o password: basta toccare il naso del vecchio Greg et voilà! Sei in giardino.»
         La strada fu relativamente breve, dopo le scale un corridoio intervallato solo da poche deviazioni morbide, senza inquietanti angoli aguzzi, e poi una porta nascosta tra spesse radici. Fece per uscire, ma Lorina rimase indietro.
         «Non vieni?»
         «Oh, no, no. Ho altro da fare stasera, ma il tour dei misteri di Hogwarts non è gratis! A buon rendere. E, ricorda...» aggiunse, alzando un dito, «... se ti beccano, io non ti conosco.»
         Finì la frase spegnendo la bacchetta e sparendo nel buio. Quando la porta si chiuse, tuttavia, la luce tornò a filtrare dopo pochi istanti attraverso le piccole crepe del legno rovinato dalle intemperie.
         Emergere dal cumulo contorto fu più arduo del previsto, ma appena sentì l'aria fresca sulle guance si disse che ne era valsa la pena: il castello sullo sfondo era buio, ma la luna era più che sufficiente da scacciare ogni paura.
         Inspirò a pieni polmoni e si tolse le scarpe, per godere appieno della rugiada sull'erba. La primavera era appena iniziata ed era ancora molto freddo, quindi non era certa fosse una mossa saggia per la sua salute, ma si lasciò cadere sul prato. Il viso era rivolto al cielo, il vago bagliore degli astri era per lei migliore di quello del sole, e le mancava ogni anno potervisi bagnare, costretta a guardarlo solo attraverso finestre spesse.
         Chiuse gli occhi e, se non fosse stato per la temperatura, probabilmente avrebbe anche rischiato di contare sulla fortuna e dormire all'aperto. Sarebbe stato davvero incosciente da parte sua, specie così vicino alla foresta proibita e le sue indicibili creature. Alla fine il buonsenso ed i tremori ebbero la meglio, però, e con un'ultima carezza al manto erboso si rimise seduta.
         Prima di rientrare, l'ultimo pensiero fu che, forse, era proprio stupida come un Grifondoro.



Angolo autrice
Beh, che dire. Non dovrei assolutamente essere qui a pubblicare una raccolta di one-shot, specie con tutti i progetti che mi stanno fissando dalle rispettive pagine di word.
Premetto che questa storia avrà cadenza irregolare, molto dettata dall’ispirazione che mi verrà offerta dai personaggi mandati; è un progetto senza grandi pretese, mi serviva qualcosa da poter scrivere nel tragitto casa-lavoro.
Comunque, so che siete qui solo per una cosa, ed è la possibilità di mandarmi i vostri bimbi: passiamo dunque al regolamento e alla scheda.

OC: potrete offrire quanti OC preferite, uno o dieci, ed io mi prenderò la libertà di usarne quanti ne ritengo opportuno; sceglierò in base all’ispirazione. Ovviamente, una scheda ben curata e dettagliata mi (e vi) darà più possibilità.
Ambientazione: la storia è ambientata in un non meglio precisato anno ad Hogwarts; indicativamente tra la generazione di Harry e quella dei figli. Si svolgerà nel corso dello stesso anno.
Esempio: in questo capitolo ho citato Crystal che è prefetto, e non accetterò un’altra ragazza prefetto per Grifondoro del settimo anno (lo stesso di Crystal).
Allo stesso modo, mano a mano che scrivo di altri prefetti, caposcuola o membri della squadra di quiddich, i rispettivi ruoli non saranno più disponibili: se pensate di voler dare certe mansioni ai vostri pg, per favore controllate che non siano già prese.
Recensioni: non scrivo interattive per ottenere più recensioni, perciò non siete obbligati a farlo. Tuttavia, gradirei che almeno il capitolo dedicato al vostro OC abbia un vostro commento un minimo articolato, giusto per farmi sapere se ho centrato l’idea o meno. Ad ogni modo, se voleste commentare anche gli altri, sono certa farebbe piacere a me e alle rispettive creatrici.
Prenotazioni: sempre legato al punto prima, ma abbastanza importante da essere separato. Per avvertirmi della vostra intenzione a partecipare basta inserire nella recensione una panoramica generale di ciò che volete inviare- sesso e casa, ma anche anno e/o ruolo se avete le idee così chiare; può essere uno studente o un professore, anche se prediligo i primi. Inoltre non è necessario prenotarsi nel primo capitolo, questo lo dico perché non verranno prese in considerazioni candidature inserite in recensioni fatte solo per partecipare; potete scegliere il capitolo che più vi aggrada oppure mandarmi un messaggio privato.


Scheda
-Nome e cognome: eventuali soprannomi
-Casa, anno e compleanno: Se è un professore, l’età
-Stato di sangue e famiglia:
-Aspetto fisico: anche eventualmente stile personale, magari porta la cravatta allentata? O magari appena può torna ai vestiti babbani, e quindi: cosa indossa di solito? Descrivete, non voglio prestavolto.
-Carattere: siate più dettagliati possibile, inserite tutto ciò che riguarda il suo modo di fare, se ha particolari tic o stranezze, se gesticola o al contrario è molto controllato anche nel mostrare le emozioni
-Modo di porsi con gli altri, preferenze in amicizia o persone che odia: se mandate più oc o volete dar loro delle amicizie tra gli oc già apparsi, fate dei nomi qui. -Orientamento sessuale e disponibilità ad una relazione: come sopra, se volete che abbia una cotta per un oc già apparso, ditemelo qui
-Materie preferite, piò odiate e rendimento: in caso sia un professore, materia insegnata e come si rapporta al suo lavoro
-Bacchetta:
-Molliccio:
-Amortentia:
-Ruoli particolari: controllate che non sia già stato preso, grazie
-Altro: Tutto quello che non trova spazio nei punti sopra: ha degli animali? Hobby particolari? O forse avete delle situazioni particolari in cui lo vorreste vedere? Inserite tutto qui.

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Capitolo 22
*** Brutti sogni ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Brutti sogni
Personaggi: Peregrine Duke Sly; Alexander Björn Lindgren
Rating: Verde
Note: Slice of Life | Fluff | 1349 parole
Di nuovo, solo metà dei personaggi mi appartiene; Alexander ed Ekanta sono miei, Peregrine e Perseo sono questa volta di DarkDemon (ciao Ebs).
La presenza di quella strana letterina, la schwa o scevà, è dovuta al fatto che Peregrine sia non-binario. Era utile saperlo? Forse no, ma mi sono presa la briga di copincollarla ovunque perciò sappiatelo.
Also, 2/2 scene notturne perché ho: molto sonno. E le trovo rilassanti da scrivere.
Alexander viene da una rispettabilissima e chiusissima famiglia purosangue, vive in una piccola comunità di maghi che il vicino villaggio considera tipo amish pazzi, mentre Peregrine è nato babbano. Non dovrebbero nemmeno parlarsi.


Nonostante l’alto soffitto della sala comune di Corvonero sia punteggiato di stelle luminose, dagli infissi ampi si può scorgere un cielo ben più cupo. I vetri sono decorati da centinaia di cristalli, mentre più in basso la neve che scende copiosa si accumula in morbide montagnette sul telaio in ferro.
         Una cortina bianca rende tutto il paesaggio incantevole, l’unica luce quella debole e scarsa che si irradia dal castello di notte. Alexander posa il capo sulla finestra, rabbrividendo per il freddo, quindi sospira e si stringe nella copertina che lo avvolge come un bozzolo. Il fuoco dell’unico camino si è estinto da un pezzo, lasciando solo alle braci rossicce l’arduo compito di stemperare la stanza.
         Alle sue spalle, appena visibile nella scarsa illuminazione, una figura si avvicina silenziosa. Alexander non si scompone, strofina un occhio con dita tremanti e sorride quando vede il profilo pallido di una bacchetta puntare con uno svolazzo verso il mobiletto più vicino.
         La figura prende da lì sopra qualcosa e si avvicina, si china verso di lui e finalmente il riflesso della finestra si fa abbastanza chiaro da distinguere dei dettagli: il naso alto e dritto, con una piccola gobba, le guance magre e le labbra stese in un’espressione serena. Gli occhi non li vede, messi in ombra dalle ciocche che lə sfiorano la fronte, ma li conosce così bene che può immaginarli senza sforzo.
         «Grazie, Penny.» Sussurra nella quiete, ed lə ragazzə gli porge una tazza. L’aroma caldo di latte e cannella è come una magia tutta babbana, gli scioglie le spalle e scaccia i brutti pensieri.
         «Hai fatto un altro brutto sogno?» Chiede ləi, ignorando appositamente lo sciocco soprannome. Alexander sa benissimo di essere l’unico autorizzato ad usarlo, a cui Peregrine risponde, e non nega che lo faccia sentire speciale. Lə ha sempre ammiratə, dal primo anno, e anche adesso si sente davvero fortunato a poterlə considerare lə suə migliore amicə.
         «Io… ti stavo aspettando. Sei tornato tardi, oggi.» Non sa esattamente cosa faccia, a dire il vero. Ufficialmente sono giri di ricognizione, ma raramente gli altri prefetti tornano tardi come ləi. Peregrine si passa una mano tra i capelli, ormai più vicini al verde slavato che non al bel blu che li colorava a settembre.
         Alexander si volta portandosi la bevanda calda alle labbra e, nello stesso momento, Peregrine si siede sul bracciolo della sua sedia. Esita un attimo prima di allungare una mano e lasciargli qualche carezza imbarazzata sulla spalla; è troppo intelligente per non capire che il minore sta cercando di cambiare argomento ma, con suo enorme sollievo, lo asseconda.
         «Sì. Ho trovato due del tuo anno nascosti nel corridoio al secondo piano.» Peregrine esita un attimo, indecisə se continuare o meno, poi aggiunge: «Si stavano baciando, li ho riportati nelle loro sale. Ormai sono al quarto, dovrebbero conoscere i percorsi delle ronde.»
         Alexander gli rivolge un sorriso timido ed esitante, vorrebbe dire che lui non conosce il tracciato dei prefetti che pattugliano i corridoi a cavallo del coprifuoco, ma sarebbe una bugia. Il ricordo del motivo per cui li conosce, delle carezze del suo ragazzo, gli brucia sulla pelle come una ferita.
         «Per fortuna hanno trovato te. Non li punirai, vero?» Chiede, stringendosi nelle spalle e sprofondando un poco di più nella poltrona. Mentre lə maggiore continua a sfiorarlo distrattamente, ora meno imbarazzato dal contatto, lui prende un altro lungo sorso di latte: il sapore speziato della cannella mischiato alla dolcezza del miele rendono le palpebre pesanti.
         «Fa parte dei miei doveri, e la prossima volta non si faranno beccare. Sei pronto per andare a letto?» Peregrine allunga le dita, gli sistema dietro l’orecchio una lunga ciocca di ricci biondi. Come potesse leggergli nel pensiero, si alza e gli porge la mano. «Puoi dormire con me, se ti aiuta.»
         Hanno iniziato quella strana abitudine due anni prima, quando Alexander aveva appena iniziato il secondo e Peregrine era al quarto; all’inizio la cosa era apparsa strana, soprattutto agli altri Corvonero, ma ormai nessuno ci faceva più caso. Semplicemente ogni tanto, quando lə ragazzə usciva dal letto, la figura sgraziata del biondino lə seguiva: siccome entrambi usavano i dormitori maschili, nonostante l’altrə non si identificasse né come maschio né come femmina, presto la cosa era stata accettata come un’ulteriore bizzarria della casa, come Ekanta che borbottava alle sue carte o Perseo che riarredava la sala comune per renderla perfettamente simmetrica.
         «Mi farebbe piacere.» Si alza e lascia la tazza, ormai piena per meno di metà, sul tavolino: è certo che l’indomani gli elfi domestici che gliela hanno portata saranno venuti a riprenderla. Prende la mano di Peregrine ed intreccia le dita alle sue, prima di continuare. «Scusa se ti do fastidio, ma dormire con te mi fa sentire al sicuro. Come dormire con mamma e papà.»
         Sente lə maggiore emettere una risatina nervosa, probabilmente il paragone non gli è troppo piaciuto, anche se Alexander non avrebbe saputo esprimere meglio la sensazione di calma e calore che lə suə migliore amicə gli suscita. Si avviano in silenzio verso l’ampia scala che conduce alle stanze dei ragazzi, abbastanza larga da permetter loro di camminare fianco a fianco. Mentre arrivano al sesto piano, quello dell’anno di Peregrine, sono così vicini che le loro spalle quasi si sfiorano: in confronto alla sgraziata e morbida figura di Alexander, quella dellə maggiore è longilinea, slanciata. Non con una certa sorpresa però il piccolo corvonero si rende conto che non sono più tanti come un tempo i centimetri che li dividono, l’altrə non dovrà più chinarsi per lasciargli uno dei rari baci sulla fronte che ogni tanto gli concede.
         «Sai,» inizia Peregrine, sfiorandosi con un gesto insolitamente impacciato il collo ancora decorato dalla cravatta blu e bronzo, «ho una cosa per te. Volevo dartelo per natale, come regalo, ma penso ti sarà più utile per le notti come questa.»
         Alexander spalanca gli occhi chiari, contenendo a stento il desiderio di porre delle domande, ma lə maggiore apre la porta scuotendo la testa e lui lo segue in silenzio, docile.
         Mentre si siede sul letto, ləi prende il cambio e un pacchetto di carta rettangolare, morbido, dal proprio baule. Glielo porge mentre il biondino si tira indietro, le gambe incrociate tra le lenzuola per permettergli di tirare la tenda e cambiarsi con più privacy nella stanza completamente buia.
         A tentoni, cercando di fare meno rumore possibile, rompe la carta e tocca il regalo cercando di indovinarlo coi sensi che può usare: al tatto è incredibilmente morbido, stoffa decide, portandolo al viso sente un profumo familiare che riconosce dopo un attimo come quello di Peregrine. Un capo d’abbigliamento lavato a casa dellə ragazzə. Arriva a quella conclusione nel momento in cui una testa spunta dal baldacchino, una lama di luce flebilissima ma che nell’oscurità completa in cui si trovava prima risulta comunque visibile.
         «Penny?» Lə chiama pianissimo, e ləi si accomoda sul letto. Entrambi si infilano sotto le coperte, il minore posa il viso contro il suo sterno mentre Peregrine appoggia il mento tra i suoi ricci. Con calma gli carezza la guancia con la punta delle dita, segue il profilo dello zigomo alto, scende attraverso il ponte del naso e si intrattiene un attimo sulla punta a patatina, poi risale e traccia la linea del sopracciglio così chiaro da essere normalmente poco visibile. Lentə, si prende il tempo di seguire i suoi tratti al buio, ed così rilassante che Alexander sente il sonno farsi strada prepotente tra le sue membra.
         «È un pigiama di pile. Avevi detto che non avevi mai visto uno. Siccome vivete fuori dal mondo, ho pensato di portarti qualcosa di moderno. E sai… se non ci sono, puoi metterlo e sarà come dormire con me.» La voce di Peregrine è così bassa che sa per certo che nessun altro lə sta sentendo, ma Alexander stringe comunque il pigiama che gli ha regalato al petto e si accomoda meglio contro di ləi.
         «Grazie, davvero. Ti voglio bene, Penny.» Sbadiglia, poi chiude gli occhi e sorride sentendo il braccio dellə maggiore scivolare contro la sua schiena.
         «Anche io te ne voglio, Bjørn, più di quanto immagini.»

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Capitolo 23
*** Confessioni di mezzanotte ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Confessioni di mezzanotte
Personaggi: Leonard Visser; Cesaria Morin; Serafim Branko.
Rating: Arancione
Note: Slice of Life | Introspettivo | 1715 parole
Siamo tornati alla storia originale!
Come potete notare ho modificato l’introduzione e l’ordine dei capitoli, in modo da darmi l’idea di maggiore ordine. Inoltre su instagram il sondaggio ha visto i serpeverde super vincitori, quindi questo capitolo è dedicato a loro.
Secondo logica, l’ultimo capitolo notturno sarà dedicato ad uno o più signorini tassorosso, procederemo quindi con i capitoli dedicati ai vari oc con altrettanti piccoli sondaggi- probabilmente direttamente a fine di ogni capitolo.
Inoltre vorrei avvertire che, per le prossime iscrizioni, verrete neanche tanto velatamente indirizzati verso le case di corvonero e serpeverde.
Inoltre, siccome volevo finire le scene notturne delle case ma non “sprecare” il capitolo dedicato all’oc con qualcosa che non gli avrebbe reso giustizia, questo e il prossimo avranno per protagonisti i miei bimbi- o quelli di alcune amiche strette che considero come miei.


La sala comune di serpeverde è, senza ombra di dubbio, la più peculiare tra tutte: allungata e dalle grezze pareti di pietra, ad intervalli irregolari si aprono finestre che danno direttamente sotto al lago nero e donano alla stanza una luce verdastra.
         L'ambiente, arredato con eleganti mobili color smeraldo, ha un aspetto grandioso quanto freddo che il camino accesso non riesce a stemperare. Leonard lascia vagare lo sguardo nella stanza che, nonostante l’ora tarda, è ancora fin troppo ingombra: riconosce Alina infossata in una poltrona, morde il fondo di una matita ed ha un giornaletto in mano, e subito accanto a lei Mychajlo gioca con una Selkie del lago nero a tris, disegnando sulla finestra con le dita. E poi ancora Timòn, Isabella e Royal chini su un libro, con il più piccolo che prende appunti e scarabocchia su un foglio; probabilmente stanno sistemando qualche nuova strategia per il Quidditch.
         «Hoi, Cesaria? Perché ci sono tanti cagnolini svegli?» Chiede con aria annoiata, senza nemmeno voltarsi verso la diretta interessata. Alla sua destra sente una risata come unica risposta. Si stringe un poco meglio vicino al fuoco, poi si passa una mano tra le ciocche nere che gli sono finite sulla fronte, sfuggite dal codino. «Non ho così tanta pazienza.»
         «Stanno aspettando il concerto. Non lo hai notato?» Risponde la ragazza, accennando con una spalla al pianoforte che si è insinuato di soppiatto nella sala comune, di uno splendido legno argenteo.
         «Che palle.» Si limita a commentare, quindi infila una mano in una tasca della divisa perfettamente abbottonata e ne tira fuori un pacchetto di sigarette. «Se hai da accendere te ne do una, altrimenti ti fotti.»
         «Uuuh, qualcuno qui è di pessimo umore. Fammi indovinare, il tuo amante segreto ti ha dato buca di nuovo?» Cesaria si accomoda in modo scomposto sulla poltrona, le gambe allungate oltre il bracciolo per sistemarsi sopra le sue. Fa un gesto vago con la mano, poi apre il palmo per mostrare un accendino che il ragazzo prende.
         «Raccontami tutto del tuo cuoricino sanguinante, da bravo.» Continua, punzecchiandogli il basso ventre con la punta di un piede. In quel momento la sala si svuota anche degli ultimi mormorii e cala un silenzio surreale: Leonard rinuncia al suo proposito di scacciarla per voltarsi verso il corridoio che porta alle camere, dov’è comparsa una figura slanciata dai lunghi capelli biondi avvolta in una vestaglia.
         Serafim pare non curarsi di loro e dei loro sguardi, Leonard lo ha sempre trovato fin troppo distaccato ed altero per i propri gusti, ma quando gli si avvicina coglie l’occasione molto in fretta: sposta la maggiore e si alza, intercettandolo prima che possa sedersi comodamente sul suo strumento. Si accende la sigaretta.
         «Mi spieghi ancora come hai ottenuto un pianoforte nella nostra sala comune, Branko?» Chiede Leonard a voce alta, l’accento duro che quasi maschera l’ironia nelle sue parole. Quando Serafim si volta gli è abbastanza vicino da soffiargli in faccia il fumo, e persino Cesaria gli tira una gomitata per calmarlo un po’.
         «Lascia perdere e goditi la musica, Leo. Tanto ormai c’è.» Il suddetto rotea gli occhi alle parole della compagna, ma fa un mezzo passo indietro e incrocia le braccia. Il sorrisetto di sfida gli muore sul viso quando, nel girarsi, Serafim si butta i capelli lunghi oltre la spalla e gli colpisce il viso.
         «Pezzo di merda…» Sibila, quasi soffocato dalla risata appena soffocata della sua compagna. Il biondo li ignora e si siede, gesto che Leonard è costretto ad imitare trascinato dalla ragazza: per una sera pare aver capito che il suo compito è evitare problemi piuttosto che fomentarli, anche se Timòn si era già avvicinato per sedare la probabile rissa.
         «Visser, non puoi fumare qui.» Si limita ad apostrofarlo, e il minore getta di malavoglia la sigaretta nel fuoco. Di solito lo fa solo quando lui e Cesaria sono da soli, in modo da mantenere la facciata, ma quella sera semplicemente non va. Sente la rabbia montargli nello stomaco e vorrebbe solo poterla sfogare in qualche modo, anche stupido come una rissa in sala comune.
         «Mi spieghi che cazzo hai stasera? Ti comporti come un coglione.» Lo rimprovera l'amica, un insolito tono serio nella voce e il cipiglio preoccupato. Nella strana luce che le lancia il fuoco sul viso i suoi occhi paiono ardere come braci di ghiaccio, mettendolo quasi in soggezione. Pare quasi una persona responsabile.
         Leonard sbuffa sonoramente ed ignora la domanda, fissando con attenzione la schiena di Serafim che si è rigidamente seduto al pianoforte. Lo fissa con tanta intensità che è impossibile non pensare non lo stia facendo apposta per ignorare la domanda, e probabilmente è proprio quello il suo scopo: pur non essendo il più abile dei bugiardi, un gesto tanto deliberato e cristallino è insolito per il ragazzo. Quando la prima nota lascia lo strumento sobbalza appena, la schiena fin troppo dritta e la mascella serrata per una tensione che Cesaria non capisce.
         La ragazza si alza e diversi sguardi si fissano sulla sua figura slanciata e secca; non quello del moro, però, che china appena il capo in direzione della musica. Da lenta e dolce si sta facendo mano a mano più scura e tempestosa, virtuosismi inseriti con il palese unico intento di intrattenere. Non gli piace, personalmente, è un po’ come l’arte barocca secondo il suo punto di vista: troppo strabordante, confusionaria, piena di sé. Perfettamente adatta al pianista che la esegue, dopotutto, pensa concedendosi un mezzo sorriso.
         «Ne parliamo comunque dopo, non credere di salvarti così.» Lo minaccia, e Leonard si limita a sbadigliare. Un movimento a sinistra e Alina ha posato il suo giornale, gli occhi chiusi per godersi la melodia.

La stanza è buia quanto può esserlo, tenendo conto dei riflessi della luna sul lago su cui si apre buona parte del loro soffitto. Anche nelle notti di tempesta pare di poter vedere centinaia di stelle nei riflessi di zaffiro.
         Il fuoco nel camino è spento, le braci coperte da uno spesso strato di cenere che l’indomani sarà già ripulito dagli elfi domestici. Recuperata un’altra sigaretta dal pacchetto nella tasca, e l’accendino che ancora non ha restituito a Cesaria. Non fa a tempo ad accenderla che si sente toccare la spalla, e con uno sbuffo allunga la cicca dietro di sé perché mani ruvide la prendano.
         «Ora mi spieghi che ti passa in testa? È tutto il giorno…»
«… che ti comporti da coglione.» Completa la frase con un sorriso amaro, e la maggiore si arrampica sulla sua stessa sedia, sul bracciolo, invadendo ancora una volta il suo spazio personale. «Sì, lo hai già detto. Mi lasci in pace?»
         «Non finché non mi dici tutto. Sei insopportabile, perché?» La ragazza si china, la sigaretta tra le labbra, e Leonard alza la fiammella per permetterle di accenderla. Prende una boccata e fa una smorfia. «Che schifo, queste cose industriali sanno di cartone.»
         «Il castello è in mezzo al nulla e ad Hogsmeade non vendono tabacco, dove me le procuro sigarette migliori?» Sibila, ma fa altrettanto con la stessa smorfia: Cesaria ha ragione, quella roba non è granché, ma sopperisce comunque a quel suo bisogno di nicotina che si acuisce quando è particolarmente stressato. La dà una leggera spallata, per costringerla a spostarsi, e in tutta risposta la ragazza gli soffia addosso il fumo. «E se sono così insopportabile, perché non te ne vai e basta?»
         «Perché sono tua amica, testa di cazzo. Sputa il rospo.»
«Non abbastanza da non sapere che le confessioni non sono il mio genere?»
         Lo scappellotto che gli colpisce la nuca è inaspettato anche se non doloroso, gli strappa ugualmente un gemito. Gli lancia un’occhiata infastidita, massaggiandosi il punto colpito, le labbra così strette da deformare il filtro della sigaretta; un po’ di cenere gli cade sulla gamba, e si affretta a toglierla con una mano.
         «Possiamo continuare a lungo, ma ci sono solo due opzioni: o mi racconti, e domani mattina sarai il solito te riposato, o stiamo svegli tutta la notte e diventerai un coglione che ha bisogno di caffè. Allora?» Cesaria ha un tono quasi divertito, fin troppo allegro per l’ora tarda; troppo tardi il moro ricorda che effettivamente lei ha bisogno di pochissime ore di sonno, spesso dipingendo quasi tutta la notte che passa insonne.
         Leonard si prende il suo tempo, stende la schiena e cerca di rilassarla un poco muovendo le spalle in piccole circonduzioni. Non è evidentemente felice all’idea di essere costretto ad aprirsi, anche se la maggiore è, a tutti gli effetti, una delle poche persone che considera davvero amiche e vicine in quella scuola. Una compagna che non sente il bisogno di fargli discorsi profondi, di solito, ma che conosce abbastanza bene da non disdegnare più che semplici sciocchezze. Persino, a volte, pensa di fidarsi di lei, e il pensiero ha un retrogusto persino peggiore dell’orribile sigaretta che stanno dividendo.
         «Pa ha scoperto delle lezioni d’arte che prendo. Mi ha mandato una lettera, dice che l’unico motivo per cui non mi arruola subito è che devo finire qui.» Sputa alla fine, con tono amaro. Nervosamente, strofina le dita contro il palmo: lo sente prudere, vorrebbe poter prendere a pugni qualcosa. Quanto sente Cesaria mormorare “daddy issues”, poi, non esclude di poterlo fare con lei.
         «E tu reagisci cercando di farti espellere, giusto per accelerare il processo?» Gli si posa contro la spalla di peso, pronta a chissà quale consiglio. «Ascoltami, ascolta la tua adorata senior. Finisci questa merda, poi sarai maggiorenne e lui se ne sarà dimenticato, o sarà morto in missione. Hai ancora questo e un altro anno, no? Prima uscirà tuo fratello, e Isaac non potrebbe fare il soldato nemmeno in una recita. Lo deluderà lui per primo, e la tua strada sarà spianata.»
         C’è del vero in quello che dice, almeno in parte. Il minore riflette sulle sue parole fissando con aria assente il riflesso rossastro delle loro sigarette riflettersi sui decori in argento sparsi per la sala; quando uno si estingue butta anche la propria nel camino, quindi si alza di colpo facendo scivolare per un attimo Cesaria, ancora posata su di lui. SI avvia verso i dormitori, poco rasserenato ma consapevole che attaccar rissa con chiunque non risolverà il suo problema.
         «Grazie, Cesarina. Ci penserò, tu non fare troppo casino stanotte.»
«Mai, Leo. Buonanotte!»

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Capitolo 24
*** Vittoria ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Vittoria
Personaggi: Bel Castor McKinnon; Lancelot Earl Cleveland Nithercott; Blodwel Vaughan
Rating: Verde
Note: Slice of Life | 991 parole
Vabbè, io prendo in prestito gli altri personaggi, non è la prima né l’ultima volta che lo farò e nemmeno me ne pento. La scena era troppo carina nella mia testa, e non potevo perdermela. Spero di non aver mandato nessuno OOC, nel dubbio mi discolpo dicendo che non avevo le schede non che mi salvi, forse è peggio
Non me ne vogliano le creatrici di Lance e Bel, giuro non lo faccio con cattiveria, è solo che scrivere mi rilassa e ci penso dopo che non sono i nostri oc (inserire meme di Bugs Bunny qui)
Ad ogni modo posso dire di aver ottenuto il mio scopo e aver descritto con tutto l’amore del mondo le quattro case. In particolare, Tassorosso è la mia- sorpresi di vedermi tra i tassini? Probabilmente no, in realtà.
Comunque! Ricordo che le iscrizioni sono ancora e sempre aperte, la scheda la trovate nel 21° capitolo (Luna).
Infine, ma non per importanza, d’ora in avanti ogni capitolo conterrà un piccolo sondaggio con quattro studenti di diverse case, estratti casualmente tra quelli che non hanno ancora ottenuto il loro PoV. Il capitolo successivo verterà sul più votato, perciò fatemi sentire la vostra opinione (anche in messaggio privato, o su instagram)
I quattro di oggi sono:
Lafor Lumacorno per Corvonero
Tobias Jason Brooks per Grifondoro
Timòn Sandro Ramirez per Serpeverde
Morgan Merlin LeFay per Tassorosso


La sala di tassorosso, accogliente ed intima com’è di solito, quella sera è animata da un’inusuale allegria.
         I candelabri e il camino acceso lanciano bagliori che si riflettono in mille riflessi su ogni superficie bronzea disponibile, rendendo l’ambiente ancor più caldo di quanto già non sia ogni giorno; i drappi gialli e neri fanno poco per attutire il rumore dei festeggiamenti, e il ritratto di Tosca che troneggia al di sopra del camino principale pare persino più euforico del solito: brinda ai suoi studenti con tanta enfasi che dalla sua famosa coppa traboccano alcune gocce scarlatte. Quando le macchiano la manica dura solo un istante e poi scompaiono, facendola tornare perfetta come il giorno in cui è stata dipinta.
         «Bel! Bel, per fortuna ti ho trovato.» Lancelot, con una certa fatica dato il suo fisico, gli scivola accanto passando tra una coppietta del sesto anno che pare non volersi dividere e dei ragazzini intenti a quello che poteva forse essere considerato un ballo. «Nice… beh, tocca ai battitori fare il discorso, però…»
         C’è una sorta di premura nella sua voce, si stringe nelle spalle e lancia un’occhiata a Berenice, che sta ridendo forte tenendo un braccio sulle spalle di Leslie. La ragazza ha le guance arrossate, ed il povero caposcuola ha la faccia di chi vorrebbe essere ovunque tranne che lì.
         «Non ci credo. Hanno dato l’acquallegra a Nice? Non regge un cioccolatino al rhum! Chi- chi è l’idiota?» Dal tono è ovvio che Bel si stia agitando, si può anche il caratteristico balbettio che lo coglie quando si innervosisce. Lancelot gli posa una mano sulla spalla, cercando do confortarlo, ma l’amico la scolla via con un gesto veloce. «Sto b-bene.»
         «Non devi fare il discorso al posto suo, se non te la senti. Capiranno.»
Bel lascia vagare lo sguardo lungo la stanza, osserva i compagni di casa e di squadra per un lungo momento senza vederli davvero; capiranno, certo, i tassorosso sono noti per la loro gentilezza, ma è anche abbastanza sicuro che la maggior parte di loro proverebbe comunque ad incoraggiarlo. Una squadra di cheerleader che, però, lui non aveva mai richiesto. Si lascia andare ad un sospiro, poi scuote la testa e torna a guardare l’amico che gli sorride incoraggiante.
         «Sì, ma-ma è la prima pa-partita della stagione, e la p-prima vittoria. È un onore che no-non capita spesso.» Forse ha calcato troppo sulla parola onore, perché Lancelot lo guarda e si passa una mano tra i capelli biondi per dissimulare una risata. Quando Bel gli lancia un’occhiata che fa del suo meglio per essere di rimprovero, si apre ad un sorriso così allegro che il moro sente la tensione sulle spalle sciogliersi appena.
         «Sta arrivando Bloody e sembra arrabbiata, così abbiamo entrambi una ragione per essere terrorizzati ora.» Lo avverte, guardando qualcosa oltre la sua spalla. A passo di carica, quel “qualcosa” provoca le sonore proteste di una voce maschile e una ragazza dai capelli neri li raggiunge.
         Per quanto sia minuta rispetto ai due, i quindici centimetri che li separano paiono nulla quando posa le mani sui fianchi ed esordisce con un delicato e femminile “Io la meno”.
         «Abbiamo tutti un problema, stasera?» La incalza Lancelot, e Bel si chiede quale possa essere quello che affligge l’amico, dato che quasi mai perde la sua aria pacata e serena. Si volta verso di lei e la sua espressione si fa un poco più serena.
         «Non so con chi tu ce l’abbia, ma lo sai che la violenza non è…?» Non finisce la frase che Blodwel gli tira un pugno sulla spalla. Sa dal fatto che non gli dà nemmeno fastidio che la ragazza non intendeva davvero fargli male. «Okay, può diventare una soluzione se non la pianti.» La redarguisce, e per tutta risposta lei gli fa il verso con la mano e rotea gli occhi.
         «Berenice ha iniziato a blaterare dello stupido uccello di Cesare, quello che non canta, e poi mi ha abbracciata dicendo che c’è un ragazzino che insegue gli unicorni che mi piacerebbe… ah!» Il verso, che pare quasi più un ruggito d’esasperazione, fa sobbalzare i due ragazzi; Blodwel li ignora, e prosegue: «Chi è il coglione che l’ha fatta ubriacare?»
         «Credo non abbia bevuto più di due dita di acquallegra. È un alcolico americano, ce lo ha regalato Heron, il portiere di grifondoro, è un gesto carino no?» Lancelot è sereno, si porta un dito allo zigomo per picchiettarlo con aria assorta. «Mh, immagino di no.» Aggiunge poi, rendendosi conto dell’espressione estremamente poco felice dei due amici.
         «Bel, aiutami ad uccidere Berenice e poi ci occupiamo anche di lui.»
«Se mi arrestano avrò un’ottima scusa per evitare il discorso alla folla, ci sto.»
         Lancelot ride allo scambio, quindi si sporge e prende un vassoio mezzo vuoto che gli altri studenti si stanno passando e lo mette in mano a Bel. «Visto che siete un tale supporto l’uno per l’altra, lascerò che sbolliate insieme. Andate nelle cucine? Nessuno vi troverà, se nessuno sa dove cercarvi.»
         Bel lo guarda stupito: vuole bene all’amico, ma sa anche che è un ragazzo piuttosto ingenuo e un po’ sciocco, nel senso più puro del termine. Non si era accorto di quell’arrampicatrice sociale di Suzie Moore, come può avere avuto un’idea tanto semplice quanto efficace? È Blodwel a dare voce ai suoi dubbi.
         «Com’è che questo nascondiglio viene proprio da te? È buono!»
         «Era uno dei piani di fuga di Imogene, quando mamma e papà davano cene noiose.» Lancelot non dà segno di essere infastidito dal tono, Bel non è nemmeno certo lo abbia notato. Indica con un cenno del capo il piccolo corridoio che dalla sala comune conduce alla porta. «Se andate mentre c’è musica vi notano anche meno.»
         Bel non se lo fa ripetere due volte, si gira e a passi larghi inizia ad avviarsi verso l’uscita. Passa appena qualche secondo e la voce di Blodwel lo raggiunge, ovattata dalla canzone: «Ehi! Aspettami, non lasciarmi affogare qui!»

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Capitolo 25
*** Mesmerized ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Mesmerized
Personaggi: Morgan Merlin LeFay; Peregrine Duke Sly; Lilith Eve Marie Beaumont; Alexander Bjørn Lindgren;
Rating: Verde
Note: Slice of Life | Fluff | 1758 parole
Abbiamo il primo vincitore, gioiagaudio! Il protagonista di questo capitolo è Morgan, spero di avergli reso giustizia. Vediamo tre diversi personaggi a fargli da supporto, e tre diverse versioni di lui: con un amico stretto, con un conoscente e con qualcuno che non gli piace.
E quindi, che mi dite del “piccolo” Morgan?
Inoltre per oggi ho ben due domande per voi! Oltre all’ovvio sondaggino del prossimo capitolo, ce n’è una facoltativa: nel testo leggerete che è permessa una certa personalizzazione della divisa, come i bottoncini di Lilith, perciò i vostri personaggi come la portano? Classica e ben ordinata, la modificano per mostrare il loro stile, portano i pantaloni anche se sono ragazze?
Ricordo che la divisa classica è composta da camicia, cravatta, pantaloni o gonna, ed un mantello con le maniche larghe ed il cappuccio. Il maglione o giacca con i colori della casa e lo stemma di Hogwarts sono facoltativi, così come la sciarpa.
Ecco, infine, i quattro tra cui scegliere per il prossimo capitolo:
Luna Aline Fenimore per Corvonero
Evander Huges Thorburn per Grifondoro
Isabella Marie-Renée Lévy per Serpeverde
Dylan Maximoff per Tassorosso


La coda, dopo un’intera giornata, inizia a fargli un po’ male alla testa. Slega i capelli e vi passa le dita, smuovendo le ciocche cinerine che gli solleticano il collo: hanno probabilmente un aspetto buffo, con impresso il segno dell’elastico, ma Morgan di solito non bada a quelle piccolezze.
         Rotea un poco le spalle e riprende a camminare lungo il corridoio ingombro di studenti, cercando di evitarli ed elargendo diversi sorrisi di scuse- uno per ogni persona a cui va involontariamente addosso. Scendere dall’aula di incantesimi fino al corridoio della biblioteca- un’operazione che di solito coinvolge due rampe di scale e non più di cinque minuti, col suo passo- si rivela un viaggio dolorosamente lento e faticoso; il tassorosso ha l’impressione di nuotare nella sabbia e, quando finalmente la folla si disperde, è praticamente arrivato a destinazione. Ci ha messo un’eternità ed il suo mantello è ormai sgualcito e storto sulle spalle.
         Si volta con aria soddisfatta verso l’ingresso, un semplice arco di pietra le cui porte sono spalancate a mostrare una stanza dal soffitto alto, in qualche modo comunque quasi raggiunto dal labirinto di scaffali. All’interno, nonostante già così possa vedere più di qualche persona, regna un silenzio quasi invidiabile.
         Quasi.
Un basso mormorio, risatine appena accennate, e poco più udibili dei saluti leziosi: le ragazzine del terzo anno stanno cacciando.
         Le vede comparire poco dopo averle udite, una massa compatta ed omogenea: una biondina con la cravatta di serpeverde accanto ad una ragazza con le lentiggini ed i colori di grifondoro, una slanciata con la cravatta blu e bronzo stretta ad una riccia e paffuta che riconosce come Elaine, della sua casa. L’unico ragazzo, che spicca in altezza tra le signorine che gli arrivano a stento alla spalla, è Peregrine.
         «Grazie ancora, Penny, quando la spieghi tu storia della magia diventa così chiara!» Esclama la biondina di serpeverde, e Morgan sa benissimo che il corvonero non risponderà. Non ne è certo, ma creda che quel soprannome non gli piaccia molto: è impossibile non lo senta mai, piuttosto lo ignora ogni volta.
         «Se avete bisogno di una mano non è un problema, ma assicuratevi di ascoltare anche i professori. Mi renderete il compito più facile.» Dice Peregrine, la voce è calma e tranquilla ma il corridoio semivuoto permette alle parole di raggiungere il biondo senza alcun problema. Non si rivolge a nessuna in particolare ma la ragazzina che ha parlato prima, decisamente la più audace tra tutte, lo prende a braccetto; probabilmente Morgan è più infastidito dello stesso corvonero, che si limita a scostare il braccio in modo che lei non gli sia troppo attaccata.
         Incantato ad osservare la scena, così simile a certe serie sugli studenti che guarda sua sorella maggiore da dargli l’impressione di essere davanti ad una recita perfetta, il ragazzo non si è reso conto di essere rimasto impalato qualche istante di troppo. Ci pensa una furia al profumo di rose a fargli capire che sta intralciando il passaggio: gli finisce addosso e probabilmente, non fosse stata così esile, lo avrebbe travolto e superato senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. Morgan incespica in attimo, alza gli occhi e poi li riabbassa per trovarsi una ragazza bionda che lo guarda con occhi penetranti che lo mettono appena a disagio.
         «Ti pare il caso di star come una statua in mezzo al passaggio? Cos’avete tutti oggi, prima la Wolff, ora tu…» Inizia, e Morgan davvero non si capacita che una ragazza dall’aspetto tanto grazioso possa usare un tono così pesantemente infastidito. Si sistema con cura le ciocche che pure sono ancora perfettamente intrecciate sulla spalla mentre il ragazzo sposta nervosamente il peso da un piede all’altro, incerto su come reagire.
         «Allora? Nemmeno ci si scusa più?»
«A dire il vero sei tu che mi sei venuta addosso.» Le fa notare con un filo di voce, cercando di mantenersi fermo ma gentile per non ingigantire la questione più del necessario. È stranamente consapevole dell’ambiente circostante, del suo aspetto non esattamente curato che contrasta con quello della bionda davanti a lui, e di come gli sguardi delle ragazzine gli stiano bruciando sulla schiena, interessate al piccolo bisticcio che si sta creando. La vede aggrottare le sopracciglia ed è certo stia per rimproverarlo di nuovo, ma una voce pacata alle sue spalle la ferma.
         «C’è qualche problema?»
«No, e poi tu sei il prefetto di corvonero, perciò non ti compete.» La serpeverde indica con aria irritata la propria cravatta, come se l’appartenere ad una casa diversa potesse essere uno scudo. Morgan si volta e sa benissimo che la spilla di prefetto, per quanto appuntata su una divisa bronzo e blu, rende Peregrine più che adatto ad intervenire: il ragazzo infatti le rivolge un sorriso assolutamente sereno.
         «Mi spiace contraddirti, ma il mio compito non si limita ai corvonero. Se la cosa ti rende più serena, però, credo di aver visto il prefetto Ramirez in biblioteca.» Fa una piccola pausa, voltando il viso con aria placida. «È il caso di disturbarlo?»
         Morgan deve trattenere un sorrisino: ha sempre trovato interessante come Peregrine riesce a farsi rispettare, senza alzare la voce o imporsi in modo sovrastante. Affascinate, persino, e sa che non è l’unico a pensarla così nonostante la sua aria di perenne gentilezza faccia anche storcere il naso a qualcuno: è come se tutti avessero almeno consapevolezza della sua esistenza, con i capelli blu ed i ruoli di riguardo che ricopre è difficile da ignorare. Morgan si ritrova più spesso di quanto non vorrebbe ammettere ad osservarlo, ed anche in quel momento è un rumore ritmico e vagamente irritante a distogliere l’attenzione dal viso magro.
         Lancia un’occhiata alla ragazza che gli è finita addosso prima, che sta ticchettando con le unghie lunghe sul proprio polsino. Ci sono dei deliziosi bottoncini di lucido argento, decorano la stoffa e producono quel ticchettio che lo ha distratto, una delle innumerevoli variazioni estetiche alle vecchie divise che hanno iniziato ad andare di moda da un paio d’anni a questa parte.
         «Se si scusa per essere stato in mezzo, non serve.» Dice alla fine, la voce resa appena più bassa dall’evidente sconfitta, ma il viso non tradisce alcuna emozione: tra i due, Morgan si sente persino troppo espressivo e deve impedirsi di portare una mano alle labbra per mordicchiarsi l’unghia del pollice con un certo nervosismo. Si sente quasi come lo spettatore di una partita di scacchi.
         «Potreste scusarvi entrambi.» Propone Peregrine, e il più piccolo sobbalza. Se la ragazza è sorpresa non ne dà segno. «Morgan era fermo in mezzo al corridoio, ma tu non stavi guardando dove andavi, vero Lilith? Lo avresti visto altrimenti, ed evitato. Non gli sei certo finita addosso apposta per litigare, no?»
         Finalmente può dare un nome alla bella ragazza che ha davanti: Lilith posa le mani sui fianchi esili, e Morgan può vedere dal modo in cui le cade l’uniforme che deve essere stata sistemata da un sarto perché le cade addosso in modo assolutamente perfetto: nemmeno quella di Peregrine, perfettamente in ordine e abbottonata, non può competere e pare vagamente trascurata in confronto.
         «E va bene! Quante storie, faresti così anche per qualcuno che non è un tuo amichetto?»
«Certamente.»
         In contrasto con l’aria serena e pacifica del ragazzo, la bionda si allontana a grandi passi verso l’arco della biblioteca. Morgan si volta verso l’altro con un sorriso imbarazzato.
         «Grazie… spero non ti causi problemi in futuro. Non sembrava felice.» Dice, passandosi con una nota impacciata le dita sulla nuca e lisciando piano i capelli che gli sfiorano il collo. Vorrebbe dire altro, ma si interrompe quando lo sente ridere piano e punta gli occhi grigi sul viso dell’altro. Si è formata un’unica, adorabile fossetta sulle sue guance.
         «Non preoccuparti, ho solo fatto il mio dovere. Ho visto che ti era venuta addosso di proposito, e lei lo sapeva, non ti ho favorito.» Lo rassicura, scuotendo le spalle sottili. «Se però dovesse infastidirti ancora avverti subito un prefetto, o gli insegnanti.»
         «Sono sicuro non abbia così tanto interesse nei miei confronti! Sei stato tu a sfidarla, no? E non mi pare il tipo che lascia correre così un torto.» In un attimo la posizione rilassata del ragazzo lo fa calmare a sua volta: Peregrine ha sempre avuto quest’aria rilassante, e Morgan è felice di poterlo considerare un amico, in qualche modo. Il pensiero ha un gusto strano nel momento in cui lo forma, come se non fosse del tutto corretto.
         «Vedremo, ma sono abbastanza tranquillo in realtà.»
Forse vorrebbe aggiungere altro, ma un ragazzino biondo li interrompe. Si avvicina loro a piccolo trotto, quasi scivolando nel fermarsi, poi li guarda con l’espressione di un cucciolo felice. Lo conosce, Morgan, e non è sorpreso quando al suo allegro “Penny, ti stavo cercando!” il ragazzo risponde. È Alexander, un corvonero più piccolo, che con quell’espressione da cucciolo ed i geni di veela riesce ad ottenere più o meno tutto quello che vuole senza sforzo.
         «Mi cercavi tu, o ti hanno mandato a cercarmi?» Gli chiede Peregrine, scostando appena il braccio dal corpo come fosse preparato al gesto che ne segue. Alexander lo prende sottobraccio, chiude gli occhi, il gesto ha un ché di innocente e familiare e Morgan si chiede come possa un purosangue così conservatore aver legato tanto con un nato babbano.
         «Il professor Spencer mi ha detto che giovedì il campo è prenotato dalla squadra di grifondoro, ho chiesto un po’ alla squadra ma sarebbe meglio cambiare giorno. Prima o dopo qualcuno è sempre impegnato. Domenica pomeriggio però sarebbe una buona… oh? Buongiorno Morgan! Interrompo qualcosa?» Chiede, voltandosi di colpo verso di lui. Morgan si sforza di sorridergli, nonostante i sentimenti contrastanti che quel ragazzino gli provoca. È carino, stupida magia d’amore, e così dannatamente ingenuo… così non fosse, potrebbe anche pensare che lo faccia apposta a mostrarsi così platonicamente affettuoso. Non gli piace l’idea, e ancor meno gli piace come lo disturba.
         «No, non ti preoccupare…» Gli risponde, ma Peregrine li sta già salutando per andare a risolvere il problema. Deve esserci una certa delusione dipinta sul viso del biondo, perché prima di lasciarlo a sua volta Alexander gli sorride e prende la mano tra le sue. Sono gelide, ed il gesto lo sorprende.
         «Tu sei proprio un perfetto ciliegio! Ma i nuclei di Ollivander non ti rendono giustizia, con del corno di jackalope saresti assolutamente perfetto.» Esclama, e dal tono Morgan deduce si tratti di uno strano tipo di complimento.
         Mentre lo osserva allontanarsi, Morgan lo vede voltarsi più volte nella sua direzione, ed ogni volta Alexander sorride e lo saluta con la mano.

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Capitolo 26
*** Problemi da adulti ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Problemi da adulti
Personaggi: Evander Huges Thorburn; Chamille Morag Thorburn; Mason Simon Barton; Leslie Keith Hamilton
Rating: Verde
Note: Slice of Life | 1144 parole
Evander è una testa di cazzo, Evander sa essere adorabile.
Chi mi segue su Instagram sa che questa storia doveva essere molto diversa e trattare di una delle feste proibite del castello, ma spoiler ho deciso di affrontare la cosa più avanti e usare una delle idee per cui Voci è nata dato che nessun altro dei ragazzi sarebbe stato adatto.
Non ho davvero molto da dire, mi pare estremamente semplice, mi scuso in anticipo per la visione di Evander che spero sappiate essere quella del personaggio e non mia: è classista ed omofobo, non potevo ignorare la cosa scrivendo dal suo PoV.
Ecco, infine, i quattro tra cui scegliere per il prossimo capitolo:
Murphy Spencer Lightwood per Corvonero
Mason Simon Barton per Grifondoro
Isabella Marie-Renée Lévy per Serpeverde
Leslie Keith Hamilton per Tassorosso
(Ricordo che butto tutti i personaggi non ancora apparsi come protagonisti divisi per casa in un estrattore casuale, perciò può capitare che un oc pur avendo un’apparizione nel capitolo sia estratto per essere protagonista di quello successivo, come in questo caso Leslie e Mason che però ha un ruolo marginale)


Ad Evander raramente manca la sua famiglia, quando si trova ad Hogwarts: certo, i genitori li vede solo d’estate e a natale, ma con lui ci sono sia sua sorella minore che i suoi amici, quasi altri fratelli adottivi; il paesaggio, poi, gli ricorda così tanto quello della sua piccola comunità magica persa tra i campi del nord della Scozia da dargli l’impressione di non essere mai lontano da casa.
         Certo è però che alcune cose sono irrimediabilmente diverse: essendo il ragazzo più grande non può chiedere a nessuno dei consigli da uomo. Dall’alto dei suoi quindici anni è abbastanza sicuro di essersela cavata molto bene per quanto riguarda le ragazze, deridendo in cuor suo gli sciocchi cresciuti tra i babbani che parlano di cose indecenti come “educazione sessuale”: una scuola per bene come la sua non si occupa certo di certe sconcezze, che vengono invece tramandate come segreti di padre in figlio. Tuttavia, nelle ultime settimane si è trovato sempre più in difficoltà: il suo viso sta cambiando, la mascella ed il labbro superiore si sono prima chiazzati di una soffice peluria bionda che ha potuto ignorare per quasi tutta l’estate, per poi diventare decisamente fastidiosa.
         Non ha onestamente idea di come affrontare il problema, ha visto qualche volta suo padre utilizzare una specie di piccolo coltello ma anche affilando con la magia quelli della mensa è riuscito solo a procurarsi un taglio vicino alla guancia prima di rinunciare. Potrebbe scrivergli una lettera, ma l’idea non lo attira particolarmente: visti i risultati del suo ultimo esperimento, meglio avere una persona a fianco.
         Seduto nelle panche della Sala Grande per colazione, Evander guarda con aria annoiata i suoi compagni di casa; segue il profilo di Tobias, così massiccio che stenta a credere sia solo un anno più grande di lui, i capelli biondi legati in una crocchia disordinata alla base del capo. Non è male, potrebbe chiedergli una mano dopo gli allenamenti di quidditch, dove si allenano entrambi come battitori per Grifondoro. Il pensiero viene scacciato subito con un certo fastidio quando ricorda che è un mezzosangue, e il suo orgoglio rifiuta di piegarsi.
         Passa poco oltre, verso Isaac: sta parlando amabilmente con Reidarr, che si limita a qualche cenno col capo. No, ancora; uno è troppo trasognato, l’altro invece lo mette a disagio dato che non era nemmeno un uomo quando ha iniziato a frequentare la scuola. I babbani sono strani, le scope volanti le considerano fantasia mentre riscolpire in modo permanete un corpo è qualcosa che possono fare tutti i giorni.
         Nessun grifondoro sembra adatto, perciò Evander volta il capo verso gli altri tavoli: davanti a lui, oltre la testa di sua sorella minore, vede il tavolo di corvonero. Vi riconosce solo i Malasorte per i suoi capelli bianchi e la tunica strappata di prima mattina, e la nuca ormai verde slavato di Sly; entrambi sono troppo effemminati per potergli dare un aiuto concreto, conclude con un certo disprezzo.
         Ancora oltre, nella fila più esterna a destra, i tassorosso in un mare giallo e nero come piccole api operose. Tra di loro, in effetti, c’è anche il caposcuola…
         «Stai di nuovo fissando i corvonero, pari un maniaco.» Lo informa con aria seccata Chamille, il viso così simile al suo posato sul palmo della mano. Evander sbatte rapidamente le palpebre poi punta gli occhi verdi sulla sorellina, ma non fa a tempo a ribattere che la ragazzina sorride e si volta verso la sua sinistra. «Visto Wolfie? È arrossito! Secondo me ha una cotta per qualcuna e non me lo vuole dire.»
         Dal mondo in cui Mason sobbalza, da come la guarda smarrito, è ovvio che non la stesse ascoltando ed il più grandi si limita a un vago borbottio irritato. Fa un gesto con la mano prima di prendere una cucchiaiata di porridge ed infilarsela in bocca, e quasi si soffoca quando il sapore dolciastro gli colpisce la lingua.
         «Stupidi elfi, non sanno neanche fare un porridge decente.» Sibila contrariato lanciando un’occhiata di fuoco alla povera colazione. Mason alza le sopracciglia, poi prende un assaggio e scrolla le spalle.
         «A me pare molto buono, a dire il vero. Non dovresti insultarli così.» Lo apostrofa, ed Evander non può che chiedersi di nuovo se gli inglesi siano effettivamente dotati di papille gustative: con latte e zucchero pare vomito di neonato, mentre il porridge scozzese salato è nettamente superiore.
        

Forse chiedere al caposcuola Hamilton non è stata una buona idea.
         Evander non riesce a pensare ad altro mentre studia il suo volto attraverso lo specchio: il ragazzo è alle sue spalle e gesticola un poco indicandosi il viso lentigginoso in diversi punti, seguendo il ritmo della rapida spiegazione che gli sta dando.
         Quando si è avvicinato al ragazzo per chiedergli come potesse eliminare il suo primo accenno fastidioso di barba, Leslie era diventato rosso almeno quanto i suoi capelli ed aveva iniziato a balbettare. Pronto ad un rifiuto Evander aveva scosso le spalle, ma poi nel biascichio aveva colto qualcosa che sembrava “dopo pranzo, se vuoi”. Approfittando del fatto che la differenza d’altezza tra i due non fosse così netta il minore gli aveva lasciato una pacca sulla spalla che lo aveva sorpreso, alzando un pollice e congedandosi con un allegro “perfetto, a dopo!”. Avrebbe dovuto capire subito che non sarebbe stato così facile.
         «Senti, Hamilton, non avrei dovuto chiedertelo. Aspetterò natale e farò a casa.» Taglia corto alla fine, posando sul lavandino costellato di goccioline uno strano apparecchio plastico che il tassorosso ha chiamato, semplicemente, rasoio. Leslie spalanca gli occhi chiari, che nella stanza dai colori freddi perdono completamente la sfumatura violacea e paiono solo azzurri, poi scuote il capo.
         «Sei sicuro? Sembrava una cosa urgente.»
«Solo stupidi commenti. Secondo me non punge così tanto.»
         Si volta e Leslie sta sorridendo con un’aria decisamente meno imbarazzata. Si passa distrattamente una mano sul dorso dell’altra, un gesto che Evander riconosce come un segnale di auto rassicurazione. «Commenti di qualcuno di cui ti importa tanto da tagliarti.» Commenta con tono gentile, accennando con un gesto leggero al taglio appena visibile che decora il viso del minore. Il biondo abbassa il capo, imbarazzato, cercando senza successo di nasconderlo.
         «Di uno stupido ragazzino. Non è importante.» Borbotta alla fine, e Leslie ride della sua ritrosia. Pare meno a disagio ora, gli posa una mano sulla spalla come farebbe un fratello maggiore e gli indica lo specchio.
         «Se vuoi possiamo riprovare, lasciarti così, mezzo rasato e mezzo no è un po’ strano, non trovi?» Il rosso ha un sorriso cortese, quasi sicuro specie se confrontato con il disagio mostrato all’inizio per la richiesta.
         Evander torna a guardare lo specchio, il riflesso perfettamente glabro del maggiore e il suo, che per contrasto pare quasi il manto di un cervo a primavera. Annuisce con un sospiro, quindi riprende il rasoio e aggiunge: «Però stavolta spiega più piano. Vai troppo veloce.»

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Capitolo 27
*** Patronus ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Patronus
Personaggi: Isabella Marie-Renée Lévy; Marybeth Newbury; Dorothea Visser
Rating: Verde
Note: Slice of Life | 1207 parole
Ma buongiorno!
Sono un pochino in ritardo con questo capitolo, c’è stata della vita in mezzo- lavoro, università, salute no per fortuna perché a parte un po’ di malesseri di stagione in questo periodo sono quasi sana- divago, sempre.
Ad ogni modo! Questo capitolo è dedicato all’adorabile Isabella, Isa per gli amici. Avevo qualcosa come dieci idee per mini capitoli e alla fine… questo. Mi piacciono i patronus, sapete? Tutti blu e luccicanti.
Ad hogwarts non è insegnato come produrre un incanto patronus, troppo soggettivo, ma mi piace pensare che gli studenti si sfidino a provarlo come status symbol.
Quindi ora vi chiedo, i vostri Oc sanno produrre un patronus? Se sì, è incorporeo o di che animale prende forma?


Quando il sole scompare, nascosto dalle nubi, solo le risate allegre delle ragazzine con lei la scaldano. Isabella si stringe nel mantello e ringrazia mentalmente la divisa di quidditch che le concede dei pantaloni anziché la stupida gonnella destinata alle ragazze.
         «Anche io voglio provare, Isa! Voglio che sia un uccellino come te!» Esclama Marybeth, lanciando in aria le braccia in un moto di gioia. Non la guarda mentre parla, tiene gli occhi azzurri fissi sul cielo dove una gazza dello stesso colore cade in picchiata; l’animale spettrale apre le ali, prima appiccicate al corpo per guadagnare velocità, all’ultimo secondo per curvare parallelo al terreno, e finisce il suo percorso proprio davanti alla ragazza che l’ha evocato.
         Isabella scioglie l’incanto e quello sparisce, con enorme sorpresa del gufo posato sulla sua spalla; bubola irritato, spostando il peso sulle zampe, gli occhi spalancati e neri che saettano in cerca dell’amico.
         «Shh, shh, va tutto bene Manon. Torna dopo a giocare con te.» La rassicura, ed il volatile torna ad appisolarsi, arruffando le piume fino a nascondere completamente il collo. «E mi spiace Mary, non si può scegliere il proprio patronus. Però se volete posso mostrarvi i movimenti.» Aggiunge, e la proposta pare incontrare il favore della primina che la guarda con espressione entusiasta.
         «Hai sentito, Tea? Isa ci insegna a fare i patronus!»
«Patroni.»
         «Ce l’hai ancora con me perché ho riso quando eri convinta che il singolare di zombie fosse zombo?»
Isabella osserva le due ragazzine battibeccare come solo i bambini sanno fare, Dorothea arrossisce al commento dell’amichetta e balbetta alla ricerca di una risposta a tono; secondo Willelm, uno dei fratelli della bionda, la sorellina è strana in sua presenza e la serpeverde può benissimo capirlo: è tutta una scoperta, al primo anno, e le attenzioni di una ragazza più grande che potrebbe essere la sorella maggiore avrebbe emozionato tantissimo anche lei, soprattutto con il grande bonus della magia.
         Isabella ride e attira la loro attenzione, mettendo fine al litigio; Marybeth, i capelli rossi chiusi in una treccia che lascia la frangetta e qualche ciocca ad incorniciare il viso magro, le si avvicina e da una tasca della tunica- quelle cose hanno delle tasche?- tira fuori un lecca lecca dalla carta rossa.
         «Ecco a te.»
«Stai cercando di corrompermi, Mary?» Chiede, e la vede spalancare gli occhi, prende il dolcetto prima di continuare: «No perché sai, funziona. Dai, avete le bacchette?»
         Le due ragazzine estraggono le bacchette, troppo grandi ancora nelle loro mani, legni diversi ma ugualmente lucidi e poco utilizzati. Guardano Isabella con espressione determinata, e la maggiore fa altrettanto. «Va bene!» Esclama, chinandosi alla loro altezza e scostandosi una ciocca di lustri capelli neri che nel gesto le scivola sul viso ambrato. «Forza, la prima cosa da sapere è la più importante. Dovete sentire la felicità, farvi scaldare da un ricordo o un sogno che vi riempia di gioia.» Spiega loro, e Marybeth aggrotta appena le sopracciglia chiare in risposta.
         «Sembra facile, una magia Disney…»
«È super difficile, invece! Disney deve essere un grandissimo mago se riesce a produrlo.» Dorothea interrompe il mormorio sovrappensiero dell’amica con una protesta accorata, e questa la guarda per poi scoppiare a ridere seguita da Isabella. La grifondoro le guarda, piccata, gonfiando le guance tonde in un’espressione che non fa che suscitare altre risa nelle due streghe. Il frastuono deve essere finalmente troppo per Manon, insieme al costante movimento della padroncina che non è mai stata particolarmente avvezza alla ferma compostezza insegnata una volta alle brave bambine; il gufo bubola piano e si alza in volo, diretto alla voliera in cui finalmente potrà riposare in pace.
         «Disney non è un mago, fa film… però avete ragione entrambe. Sembra molto più semplice di quanto non sia.» Isabella si siede a terra, seguita quasi subito dalle ragazzine; alle sue gambe poco signorilmente incrociate fa eco Marybeth, mentre Dorothea si inginocchia come la giovane di buona famiglia che è. «Il patronus è la manifestazione fisica della vostra gioia, felicità e tutti quei sentimenti positivi che possono proteggervi dalle creature oscure. È un incantesimo utile in diverse situazioni, ma se doveste anche riuscire a produrne uno non corporeo prima della fine della scuola sareste comunque molto brave! Neanche a me riesce sempre.»
         «Perché no? Non basta che pensi sempre allo stesso ricordo?» Chiede Marybeth, ed Isabella le sorride. Una domanda posta con una nota sincera, degna di una piccola corvonero che vede il mondo in modo semplice e logico. La mora alza il viso e chiude gli occhi d’ametista per godersi un attimo il calore flebile del sole di fine ottobre, ed intanto pensa a come porre la risposta in modo che abbia più senso possibile.
         «Mmm… no, non sempre.» Inizia esitante, posando i palmi sull’erba fresca che fa loro da cuscino. «A volte penso alla gioia che mi ha dato volare la prima volta. È stata la prima cosa che ho voluto fare quando papà e mamma mi hanno detto che, forse, avrei potuto fare magie.» Alza la mano e osserva come la luce che filtra evidenzi piccole cicatrici, chiare e lucide sulla pelle non coperta dai guanti senza dita. «Però a volte è più felice il ricordo del primo giorno di scuola, quando una ragazza della mia casa ha suonato la sera e tutti ci siamo riuniti in sala comune come una famiglia…»
         «Pensavo che gli altri serpeverde fossero cattivi.» Si lascia sfuggire con lo stesso tono ingenuo Marybeth, e subito le sue guance si colorano. «Cioè! Non tutti. Ma ad esempio quello castano con gli occhiali che sorride sempre mi mette i brividi, e la bionda tanto carina che mi tratta male perché sono nata babbana, e anche i tuoi fratelli, Thea, specie Willelm che mi prende sempre in giro.» Aggiunge voltandosi verso Dorothea che annuisce solennemente con tutta la convinzione dei suoi undici anni.
         «Questo perché Pim è uno stronzo. Leo invece non è male, se gli sei simpatica.»
«È vero, a piccole dosi.» Conferma Isabella, tornando a guardarle con un bel sorriso. «Quello con gli occhiali è Royal? Non è facile andarci d’accordo in effetti, mentre la bionda carina… la nostra cacciatrice, Lilith? Ha i suoi momenti in cui è simpatica, dicono. Neanche io le piaccio troppo, ma basta non badarla.»          Cala per qualche momento un silenzio vagamente imbarazzato ed un poco pesante che la più grande si sforza in tutti i modi di capire come spezzare, il cervello che corre in cerca delle parole più giuste per confortare la piccola strega il cui sguardo si è fatto stranamente nuvoloso. Ci pensa Dorothea, per fortuna, si alza in ginocchio di colpo ed alza la bacchetta al cielo.
         «Il patronus di Siakje è una coccinella! Anche io voglio scoprire il mio, dici che potrebbe essere lo stesso se siamo fratelli? Come può una piccolissima coccinella proteggermi? La tua gazza è già piccina, non sarebbe meglio un orso?» Dice veloce, agitando piano i pugni in modo decisamente comico. Anche Marybeth, nel guardarla, ritrova il sorriso.
         «Io voglio un unicorno, allora! La mamma di Perry aveva un unicorno, me lo ha detto lei, anche quello deve essere troppo carino!»
         «Va bene, possiamo provarci! Forza mie piccole streghette, in piedi, pensiamo solo a cose felici e creiamo un sacco di patroni carini!»

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Capitolo 28
*** Litigio ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Litigio
Personaggi: Murphy Spencer Lightwood; Lilith Eve Marie Beaumont; Royal de Vries.
Rating: Giallo
Note: Slice of Life | 1119 parole
Ma buongiorno!
Finalmente torniamo anche con questo, eh? In realtà questo capitolo era stato scritto per buona parte prima del precedente, ma l’ho finito tipo… dieci minuti prima di pubblicare? Boh dipende quanto tempo mi impiega questo spazio di vaneggiamenti.
Anyway! Abbiamo in questo capitolo un professore, Murphy. Esso è tatino. Mi ha dato gioia scrivere di qualcuno di più grande, di professori ne ho oggettivamente pochi (di cinquanta personaggi precisi, sono solo quattro per ora) perciò i loro capitoli verranno centellinati nel corso della storia. Il rating è giallo perché si parla di un piccolo scontro e onestamente i due studenti nominati sono un po’ stronzi, compensa Murphy ma boh parolacce e tematiche di conflitto- che penso sia il modo elegante per dire che qui qualcuno sta per tirarsi i capelli.
Oggi riprendiamo con le vostre scelte, devo dire che siamo davvero in fire perché 4/4 sono personaggi di cui sono certa mi divertirò a scrivere e che mi hanno dato gioia, perciò fate le vostre scelte! Io sarò felice qualunque sia il risultato.
Peregrine Duke Sly per Corvonero
Lorina Altea Marie Erzsébet Caeli per Grifondoro
Lilith Eve Marie Beaumont per Serpeverde
Dylan Maximoff per Tassorosso


Il suono di urla miste a risa è singolare, riempie i corridoi di quella che dovrebbe essere un’ala vuota così distante dagli abituali percorsi degli studenti. Murphy si sporge oltre il muro in pietra grezza, lo sente gelido e umido pur attraverso la manica troppo lunga che gli copre le dita.
         Deve essere una scena bizzarra da vedere, ed è grato che non ci siano altri spettatori: un uomo adulto che spia come un ragazzino, quasi intimidito da quelli che sono… suoi studenti. È un pensiero strano, nel momento in cui lo formula si rende conto di quanto sia stato sciocco. Si raddrizza, sistemando il colletto della camicia che sporge non del tutto allacciato dal maglione color notte, e poi passa i palmi su quest’ultimo: se per lisciare invisibili pieghe o per darsi un contegno, non saprebbe dirlo. I passi riecheggiano fino ai ragazzi, ed uno dei due alza il viso per guardarlo oltre la spalla della compagna che si trova in mezzo, rivolta verso di lui.
         «Tutto bene?» La risposta è ovvia, ma il professore è ragionevolmente sicuro che i due ragazzi non abbiamo nemmeno capito le sue parole: un ragazzo coi capelli castani il cui tratto più peculiare è, ironicamente, l’aria assolutamente anonima d’insieme e una ragazza che vede solo di spalle per ora, una figurina esile e bionda. Si volta dopo un istante, ha gli occhi lucidi e piccole lacrime aggrappate alle ciglia inferiori che fanno sciogliere il cuore.
         «Ah, professor Lightwood… mi scusi…»
«Che troia.» Il tono sottile ed esitante della ragazza è sovrastato da quello del ragazzo, che nel pronunciare quelle parole pare comunque ancora particolarmente divertito. All’occhiata sconvolta di Murphy, senza perdere il sorriso, si corregge: «Scusi prof, era un complimento. Provo profonda ammirazione per un comportamento tanto falso e manipolatore.»
         «De Vries, mi pare più che sufficiente.» Stava per aggiungere qualcosa, ma Murphy lo interrompe. Il tono non ammette repliche e, probabilmente, vederlo così diverso dal solito, un gradino prima della rabbia, convince il moretto a cedere. Si infila le mani nelle tasche della divisa, disegnando con la punta del piede sul pavimento polveroso, eppure il più grande non vede la minima traccia di rimorso sul viso abbronzato. «Gradirei una lettera di scuse per la tua compagna, visto che so che se le ti costringessi a farle ora non sarebbero sincere almeno avrai tempo di riflettere un po’ mentre scrivi. E questa sera ti aspetto nel mio ufficio per la punizione.»
         «Sono in punizione perché questa sa piangere a comando?» Chiede, e c’è vera sorpresa nella sua voce. La bionda, nel mentre, si è discretamente passata le dita sottili a cancellare le lacrime, di cui resta solo vagamente l’impressione di rossore nella rima inferiore degli occhi.
         «No, sei in punizione per il modo irrispettoso in cui parli. Potete litigare, e piangere se serve, non è sbagliato esprimere i propri sentimenti, ma usare certe parole per riferirsi agli altri non è accettabile, specie a scuola.» Il ragazzo lo guarda attraverso le lenti spesse degli occhiali, una vaga sorpresa negli occhi castani che sorprende a sua volta Murphy: davvero pensava che apostrofare a quel modo una compagna potesse non avere conseguenze? Schiocca la lingua per mascherare il disagio mentre il contatto visivo si protrae, ed è grato quando De Vries si stringe nelle spalle e passa oltre.
         «Vabbè, la prossima volta provo a frignare pure io, vediamo se sono convincente quanto lei.» Borbotta, ed il professore sospira ma non lo incalza ulteriormente: spera di potergli far capire il senso durante la serata, dato che quelle parole rendono evidente che non lo abbia colto. Eppure il serpeverde non è stupido, anzi, durante le ore di trasfigurazione ha dimostrato una certa attitudine allo studio ed i suoi voti in generale lo confermano; dovrà parlarci bene e capire quale sia il problema, perché una tale mancanza di empatia in un ragazzo brillante può essere pericolosa.
         «Potrai esporre tutte le tue teorie alle otto e trenta, terzo piano, ala est.» Murphy esita un momento, guarda il suo studente ed il modo in cui la divisa gli pende sul corpo in modo sgraziato. Come non fosse esattamente della sua misura, si rivede nel colletto della camicia che spunta dal maglione e nelle maniche che gli coprono i palmi, quindi aggiunge: «Nove, vieni alle nove, così avrai il tempo di cenare con calma.»
         «Grande prof!» Esclama De Vries, ma più che l’evidente gioia, la mancanza di senso di colpa sul suo volto, è l’espressione della ragazza ad attirare l’attenzione del maggiore: per un solo, brevissimo istante le narici si allargano e gli occhi verdi si stringono, in involontari segnali di rabbia che risultano davvero strani vista la perfetta tristezza macchiata d’imbarazzo che dimostrava prima. Murphy sospira e fa un cenno con il capo quando il ragazzo gli passa accanto, ma allunga il braccio per impedire alla signorina di seguirlo.
         «Solo un momento, signorina Beaumont. Possiamo parlare un attimo?»
Dall’espressione che gli rivolge, il professore si sente quasi spogliato della carica acquisita da pochi mesi: potrebbe giurare che stia per negargli quella che è a tutti gli effetti una domanda retorica, ma alla fine la bionda si ferma e incrocia le braccia.
         «Professor Lightwood, mi auguro di non essere nei guai…» Inizia, la voce che ricomincia a tremare, e Murphy vede gli occhi di lei tornare lucidi. Si affretta ad alzare le mani, come potesse fisicamente bloccare il mare di lacrime che minacciano di strabordare, impacciato all’idea di far piangere una sua studentessa.
         «No, no certo!» Si affretta a consolarla, quindi continua. «Volevo solo assicurarmi che stesse bene. Sembrava una lite accesa, le ha urlato contro… credo…» In effetti, a ripensarci era una voce femminile quella che urlava, forte e non troppo acuta; viste le condizioni fisiche del signor De Vries, sarebbe stato più logico pensare appartenesse a lui, ma le risa… forse aveva capito male, era stata la signorina ad urlare contro il compagno di casa? Eppure sembrava così innocente, così delicata.
         «Non si preoccupi, professore. Non… non voglio che vengano tolti punti alla nostra casa, anche se De Vries è una persona difficile.» La voce delicata lo riporta alla realtà; la signorina Beaumont porta le braccia dietro la schiena, la divisa perfettamente curata attira nei bottoni dorati e nelle fibbie metalliche la luce e la riflette dando ancor maggiormente l’idea di una ragazza buona, la perfetta studentessa modello. Murphy annuisce, poi fa un passo di lato sino a sfiorare con la spalla la parete di pietra grezza.
         La ragazza passa, neanche un capello fuori posto rispetto al complicato intreccio che li blocca, i tacchetti bassi che riecheggiano mentre lo supera, e Murphy non riesce a togliersi l’idea che non fosse De Vries il peggior bugiardo tra le due serpi.

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Capitolo 29
*** Posta del cuore ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Posta del cuore
Personaggi: Lorina Altea Marie Erzsébet Caeli; sorpresa
Rating: Verde
Note: Slice of Life | Romantico | Comico | 1350 parole
Special di San Valentino?
Special di San Valentino.
Con Lorina, che è palesemente l’unica che mi può far scrivere di amore e zucchero senza farvi venire il diabete. Siete curiosi di sapere quali coppie verranno nominate e, soprattutto, come?
Unica nota necessaria per poter leggere: le agony aunt sono fondamentalmente quelle che in Inghilterra scrivono la posta del cuore, la “zietta” citata nel testo si riferisce a questo. Volantino fatto dalle mie (in)abili manine.
Intanto che leggete, vi lascio i nuovi nomi che potete votare per il prossimo capitolo. N’altra sagra dello zucchero.
Alexander Bjørn Lindgren per Corvonero
Isaac Visser per Grifondoro
Timòn Sandro Ramirez per Serpeverde
Leslie Keith Hamilton per Tassorosso


«Lei non dovrebbe essere qui, signorina.» La voce appartiene ad un delizioso puttino di corvonero che si differenzia dalle decorazioni solo per una parvenza di pensiero intelligente. Si è appena chiuso il portone alle spalle e non sa se proseguire verso la scalinata che lo porterà alla sua sala comune, da cui si sente il vociare dei compagni di casa di cui la ragazza, con la sua cravatta rosso e oro, non fa parte.
         Lorina si volta, lo scruta con un sorriso e poi gli patta i ricci biondi. «Bravissimo, qualcuno sa giocare a trova l’intruso. Ora va’ ad essere carino da qualche altra parte, ok?» Dice, e vede le sue guanciotte paffute prendere una sfumatura rosata non dissimile dalle rose del volantino che ha in mano. La ragazza si porta dietro l’orecchio una ciocca di corti capelli castani, che sfugge subito alla sua posizione per tornare a sfiorarle lo zigomo tondo.
         Lorina I primi annunci, apparsi nella bacheca della sala di serpeverde, si sono ormai sparsi come macchie d’olio su tappeti nuovi- più alto il valore, più rapida e incancellabile la macchia- e nessuno si è salvato dal sospetto di essere la zietta; prima gli studenti in argento e verde, ovviamente, ma una volta scartate proposte banali come il pianista uscito direttamente da un romanzetto trash tipo il vampiro che mi amava e la biondina che pareva conoscere i pettegolezzi prima che uscissero, gli studenti si sono fatti sempre più fantasiosi con le accuse. Lorina guarda e gira il volantino più volte con scarso interesse.
         «Guardi che se non va via subito dovrò chiamare un prefetto….!»
«Ma perché, sei ancora qui?» C’è sincera sorpresa nella sua voce, cosa che porta il ragazzino a sussultare alla periferia del suo campo visivo. Pur dal suo metro e sessanta lo può guardare dall’alto a basso, se non «Mamma non ti ha detto che quelli più grandi li devi rispettare? E poi, ho risolto l’indovinello e la porta si è aperta.» Lorina muove la mano libera come a scacciare una mosca invisibile, senza davvero prestargli attenzione.
         Non deve nemmeno leggerlo, sa cosa troverà: una semplice foto sfocata di rose che annuncia una posta del cuore speciale di San Valentino, e poi voltandolo le indicazioni su come lasciare le lettere e il pagamento; ha beccato persino dei suoi compagni di casa nelle lunghe sere in sala comune chiocciare non attorno ai libri ma a quel foglietto, penne e buste in mano insieme. Sette zellini per le risposte pubbliche, in una specie di giornaletto quotidiano che poteva essere trovato nei luoghi più improbabili della scuola, e quindici per quelle private.
         «Vanno via bene, eh?» Chiede Lorina, quando l’angioletto fa per parlare di nuovo. È palese ormai che non avrà davvero il coraggio di andare a chiamare qualcuno, sposta il peso da una gamba all’altra con aria imbarazzata mentre si stringe contro il muro in legno, quasi sperasse di finirci dentro; lancia un’occhiata verso la scalinata, ma nessun corvonero sta arrivando a salvarlo, quindi si limita ad annuire rapidamente. «La sera in sala comune ci sono gruppetti che chiocciano attorno a questi volantini, e scrivono le loro lettere.»
         «Sembrano piuttosto popolari, però hanno anche dei detrattori. Lo… prende?»
«Detrattori è una parola difficile, bravo bimbo.» Il ragazzino si scosta di scatto quando Lorina si avvicina, e tira un sospiro di sollievo nel vederla allungare una mano solo per passargli il foglietto. «Lo vuoi tu? Hai una cottarella che non sai come confessare?»
         Vede le punte delle orecchie del bimbo avvampare sotto i ricci biondi mentre scuote con veemenza la testa, ma prende ugualmente il volantino. Borbotta una scusa che Lorina non sente nemmeno e poi corre via: al rumore dei suoi passetti rapidi sulle scale, la grifondoro si lascia andare ad un sorriso ampio e divertito.

L’aula di astronomia si trova sulla torre più alta del castello e, con le eccezioni notturne delle lezioni in cui si guardano le stelle, è vuota, perciò sono in pochi a lamentarsi dell’infinita dose di scale che talvolta decidono pure di cambiare posizione, costringendo gli studenti a rifare parte dell’infinitamente lungo percorso. Usarla come base operativa era stato allo stesso tempo geniale e una stronzata.
         Lorina si sistema la sciarpa e sbuffa, il fiato che le si condensa davanti quasi a ricordarle- come fosse possibile dimenticarlo- che il calore dei camini non arriva così lontano. Il tappeto attutisce i passi già leggeri, passa una mano lungo le pareti ma la ritrae subito: aprendo e chiudendo le dita le sente appiccicose di umidità. Non la infastidisce più del peso leggero di una decina di buste, contenenti drammi amorosi e soldi.
         «Cara zia, sono innamorata del mio migliore amico da anni. Lui mi vede solo come un’amica, e so che è gentile con tutti ma quando lo è con me mi sento strana.» Una pausa, il tono passa da impostato ad ironico. «Oh Queen, che palle. Posso dirle di non cagare il cazzo e ripiegare su altro? Best friends to lovers è un trope che ormai ha stufato.»
         Lorina non deve nemmeno aprire la porta per sapere che Royal, sdraiato sui bianchi ammucchiati , sta spulciando lettera dopo lettera prendendo in giro la maggior parte di loro e Quentin gli lancia uno zellino di rame per ogni risposta scortese. La ragazza apre la porta e li saluta con un ululato, godendo nei loro sobbalzi ed espressioni spaventate: Royal fa cadere una pila di monete con una gamba mentre si mette a sedere, premendo malamente gli occhiali che minacciano di cadergli dal viso tondo, mentre Quentin dal pavimento sui cui ha le gambe incrociate si affretta a nascondere una manciata di fogli dietro la schiena, l’espressione più innocente possibile sul viso dalle lentiggini colorate. Entrambi cambiano ad un’aria decisamente scocciata quando scoppia a ridere.
         «Sai, se sapessero che pezzo di merda sei nessuno ti darebbe un centesimo per risolvere i suoi drammi amorosi. Com’è che hai avuto questa idea?» Chiede Lorina, lanciando il pacchetto di lettere; Royal scivola oltre il bordo dei suoi banchi, le prende solo per poterne estrarre i soldi e dividerle in due mucchi. Gli occhi gli luccicano mentre con molta più cura sistema le monete in piccoli grattacieli ordinati, una piccola città che brilla di riflessi rossastri ed evidentemente attirano molto di più l’attenzione del brunetto. Nonostante la scarsa illuminazione della stanza, data principalmente dal magico soffitto stellato e dalle candele sulle pareti lontane, riescono ugualmente a catturare un lieve bagliore.
         «Business, niente paga come il desiderio di essere amati.» Non alza il viso dai conti, il sorriso sghembo che si allarga man mano. «Uno ci ha dato addirittura un galeone!» Esclama poi, alzando la moneta d’oro e sventolando il foglio allegato. Da quella distanza Lorina può solo vedere una grafia fin troppo elegante che somiglia al corsivo di certi biglietti d’auguri.
         «Ma non sono amati, è questo il punto, no? Prendi questa…» Lorina si avvicina a Quentin, sfila la lettera che ha in mano e liquida le sue proteste sventolandola piano; inizia poi a leggerla, ignorando i disegnini che il piccolo tassorosso stava facendo sui bordi, piccoli, precisi e frutti di una noia evidente. Come possano tenere insieme gli affari e rispondere a tutti è un mistero. «Cara zietta, bla bla bla, la mia squadra di quidditch ha battuto quella del ragazzo che mi piace e, per quanto fossi in panchina, ora temo che si sia arrabbiato… beh, questa forse è fortunata. Deve essere una corvonero, hanno vinto la scorsa settimana e i grifondoro se la sono presa tantissimo.»
         «Diglielo, ma non esattamente così. Già devo tenere buono Alory, se poi pure tu ti ci metti non avremo più lettori.» Quentin si alza in ginocchio, allunga la mano e Lorina gli permette di riprendersi la letterina. La guarda, poi prende un altro foglio e appunta un paio di cose prima di tornare a rivolgerle attenzione. «E tu, Lori? Perché ci aiuti? Alory vuole i soldi, io voglio che non faccia morire nessuno…»
         «Io?» La mora lo guarda sorpresa, con una falsa innocenza nella voce. «Io voglio solo mantenere il mio record di partecipazione a tutti i club della scuola.»


Agony-aunt

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Capitolo 30
*** Festa segreta ***


Titolo: Voci di corridoio
Titolo del capitolo: Festa segreta
Personaggi: Timòn Sandro Ramirez; Leslie Keith Hamilton; Enéas Alistair Morgenstein Silva; Mikhail Ivankov.
Rating: Giallo
Note: Slice of Life | Comico | 2061 parole
Eccoci con il capitolo dedicato a Timòn!
Sapete che, almeno in questa fanfiction, i serpeverde hanno il maggior numero di nati babbani?
Mi fa molto ridere perché puntualmente ritrovo nella scheda di presunti atti di bullismo che però, in questo contesto, non hanno senso. Giusto per rendervi partecipi, se questi non vengono mostrati nei capitoli- magari per i più piccoli, o per quelli di altre case, ma non certo per quelli dell’ultimo anno che hanno un intero esercito dalle radici simili.
Detto questo, parte due di novità ad Hogwarts: gli studenti organizzano dei party, spesso nelle varie case ma, come in questo caso, in luoghi più segreti e meno accessibili, dove il casino si nota meno.
TW per l’uso assolutamente sconsiderato di alcool fatto da degli adolescenti.
Ed ora: scegliete pure il prossimo tributo.
Marybeth Newbury per Corvonero
Crystal Wolff per Grifondoro
Lilith Eve Marie Beaumont per Serpeverde
Emma White per Tassorosso


Un momento prima la notte è buia e quieta, fredda come senza vita, ma una volta arrivati oltre i primi alberi un pezzetto di pergamena si illumina di mille colori cangianti: si libra ad appena qualche centimetro dal palmo in cui prima era posato e si avvia indicando ai due ragazzi la strada.
         Timòn si erige in tutta la sua altezza, ormai sicuro di essere troppo lontano per essere visto da chicchessia: il castello è in alto, nascosto in buona parte dal fogliame, mentre loro sono quasi al livello del lago nero, la sua gelida umidità che appesantisce le giacche. Il biglietto volge in quella direzione, li fa scendere ancora lungo un sentierino di ghiaia scoscesa che rende impossibile evitare i rumori, girare accanto ad un vecchio olmo e oltre dei cespugli. Accanto a lui, il respiro di Leslie si condensa e riassesta in nuvolette in maniera troppo rapida persino tenendo conto della corsa fatta qualche minuto prima per passare il prato.
         «Sei si-sicuro sia…?»
«Sì, sono sicuro quanto lo eri tu quando Isa ti ha invitato.» Taglia corto il serpeverde, e senza guardarlo sa che le guance dell’amico sono diventate più rosse dei suoi capelli. Timòn si passa il pollice su un sopracciglio, quasi a cercare di sistemare inesistenti imperfezioni nella sua figura slanciata ed elegante, poi accenna col capo al punto in cui la loro guida ormai inanimata si è lasciata cadere. «Sei ancora in tempo per andartene e fingere di non sapere nulla. Questa festa infrange almeno tre o quattro delle tue amate regole.» Continua con un sorrisetto divertito ma affatto ironico o cattivo.
         Leslie si limita a scuotere la testa, un’espressione a metà tra l’infastidito e l’impacciato mentre si china a raccogliere il pezzo di pergamena. Si ferma solo quando, finalmente, si rende conto che a terra ci sono diversi mucchietti, inviti che si sono lasciati cadere una volta esaurito il loro obbiettivo, quindi il moro gli posa una mano sulla spalla prima che possa fare altro.
         «Verranno fatti sparire assieme a tutte le altre prove, quindi lascialo lì.» Lo informa semplicemente, poi si avvia e dopo un attimo varca la soglia. Alle sue spalle Leslie è ancora visibile, un ginocchio a terra e l’espressione confusa di un cucciolo, segno che gli incantesimi funzionano alla perfezione.
         Non sa esattamente chi sia ad organizzare quelle feste al limite dell’idiozia, con decine di studenti fuori non solo dai letti ma persino dal castello: a volte gli inviti li portano nei sotterranei, a volte sulla riva del lago, altre come quel giorno finiscono alle pendici della foresta proibita, i primi alberi dai tronchi ancora esili illuminati in modo spettacolare dai fuochi come non importasse a nessuno dell’infiammabilità del legno. Il calore lo colpisce in modo piacevole e deve sbattere un paio di volte le palpebre per abituare gli occhi chiari alla luce improvvisa; per quando ci riesce, Leslie è accanto a lui, il vago disagio ben visibile sul volto lentigginoso. Timòn si allenta la giacca, lasciandola scivolare poi lungo le spalle esili fino a toglierla del tutto per evitare fastidiose macchie di sudore o arrossamenti sulla pelle candida; gli rovinerebbero il make-up leggero ma curato, e prodotti come il fondotinta sono preziosi come oro in quell’ambiente.
         La musica è alta, martella dentro le vene e arriva dritta al cuore in bassi che non superano la barriera magica: cancella prepotente ogni altro rumore. Non sa esattamente chi sia l’artista, il dj deve essere un tipo peculiare, ma i suoi gusti discutibili non fermano la folla; il volume impone a Timòn di chinarsi un poco verso l’amico per potergli parlare nonostante non siano molti i centimetri che li separano.
         «Ora devi solo trovare la tua bella.» Alza la mano prima che possa protestare, quindi indica con la mano un ammasso di ragazzi che si scuotono in modo bizzarro. «Lì c’è la pista da ballo, e mi pare di vedere una moretta che la domina. Forse vuoi fare un giro al bar, prima?» L’indice scivola verso destra, dove c’è un gruppo nutrito di studenti con dei bicchieri in mano. Si trovano più lontani di loro rispetto alla musica, e gli avventori chiacchierano in chiaro segno che lì il frastuono è in qualche modo attutito. Leslie scuote la testa con veemenza.
         «Gira anche alcol? Non so se…»
«C’è un motivo se queste feste restano un segreto, Les.» Lo interrompe l’amico con tono rassicurante. « Non sono pericolose, nessuno si fa male e aiutano a alleviare la tensione. Al massimo qualcuno domani fingerà un raffreddore… o lo avrà davvero, guarda.» Aggiunge, accennando con il capo ad una ragazza bionda e slanciata che indossa solo un top in pizzo nero, una minigonna scozzese e calze alte abbinate; la conosce, è del suo anno e della sua casa, ma sono tutt’altro che amici. Pare uscita da un set fotografico, starebbe bene sotto le calde luci dei riflettori ma non certo nel mezzo di una foresta nell’inverno scozzese, nonostante i fuochi che scaldano e illuminano la radura.
         «È… è nor-normale?» Timòn ride dell’aria sconvolta di Leslie. Il rosso abbassa di scatto gli occhi, giocherellando con gli indici e una doppia dose di impaccio che lo rende adorabile ed innocente nonostante i suoi diciassette anni; quando l’altro gli passa il braccio attorno le spalle sobbalza i riccioli gli scivolano sulla fronte, troppo corti per arrivare anche solo alle sopracciglia che pur sono alzate per la sorpresa.
         «Tutte le ragazze vogliono farsi guardare, specie se ci sono ragazzi carini attorno. Poi c’è la competizione della mezza veela.» Mentre parla segue con lo sguardo la serpeverde, che sorride e saluta con una mano dalle unghie lunghe una ragazza deliziosa in bianco e azzurro: sa che le due si odiano ferocemente, ma dal modo in cui si salutano paiono amiche, e Timòn per l’ennesima volta si chiede come possano delle persone essere tanto false. «Sta andando verso la pista, ricordo male o l’ultima volta lei e Isabella si sono quasi picchiate?»
         «Vado a cercare Isa, questa festa è già abbastanza agitata!» Leslie si scosta di scatto, facendo scivolare il castano che si era sbilanciato posandosi col peso su di lui. Mentre il tassorosso fila via di corsa lui si sistema piccato la camicia, per improbabile sia che qualcuno noti le pieghe con la luce mobile delle fiamme; il tessuto, poi, è un peculiare stampato bianco candido che ricorda molto una tela astratta, con linee di colore che si spargono in modo casuale e portano una nota di originalità nel look altrimenti troppo classico che ha scelto per la serata.
         «Guarda te, per amore si dimenticano anche gli amici…» C’è un che di teatrale nel sussurro che gli arriva all’orecchio; conosce fin troppo bene quella voce e può presagire ciò che sta per succedere in modo cristallino, eppure non riesce a reprimere un brivido quando un soffio freddo gli sfiora il lobo e fa muovere gli orecchini a forma di ala che indossa. Il destro gli colpisce il collo, e Timòn non può non pensare che forse dei più semplici punti luce sarebbero stati più adatti quella sera.
         «Enéas! Sei arrivato presto, credevo avessi un impegno.»
«E perdermi la prima festa decente dell’anno? Nah, non posso confinare questa faccia ad una stanza del castello. Forse dopo.» Il ragazzo si sfiora il mento perfettamente rasato, poi si raddrizza e guarda il compagno di casa con tutti i quasi dieci centimetri di altezza che li separano. Enéas ha un ghigno attraente sul viso olivastro, sa di mediterraneo ed è quasi fuori posto tra gli inglesi e il loro pallore. «Intanto ho già visto Mikhail alla zona bar, ti unisci a noi o segui il tuo protetto?»
         Timòn si strinse nelle spalle, voltandosi a cercare con lo sguardo la figura longilinea del corvonero che gli è così familiare. Lo trova accanto ad un profilo tozzo dalle spalle larghe e, anche se da quella distanza non può vedere la sua espressione, sa che è estremamente seccato dal chiacchiericcio allegro ma leggero del suo interlocutore. «Andiamo a salvarlo, forza. Ma stasera non bevo, ho mangiato poco a cena e non vorrei ubriacarmi.»
         «Finirai comunque ubriaco, Tim. È scritto nelle stelle.» Enéas alza il braccio e traccia un ampio arco verso il cielo, anche se gli astri non sono visibili dalla loro posizione; quando fa così ricorda molto un poeta, o un drammaturgo del sedicesimo secolo. «Come il fatto che Mika insulterà il mio collega cercatore a breve.»
         Timòn sorride alle sue parole, poi si avvia a passo svelto per evitare incidenti diplomatici. Il compagno di casa lo segue dopo un attimo, il passo più rilassato di quello scattante e elegante del più basso che si fa agilmente strada tra le persone; evita senza sforzo i ragazzi che camminano e ciondolano nel suo percorso, alcuni già impregnati della puzza di alcol e con un vivace colorito sulle guance. A mano a mano che si allontanano dalla pista la musica si fa meno pressante, sostituita dal chiacchiericcio di fondo, ed il terreno diventa più compatto a causa dell’erba schiacciata. Il suo profumo è, insieme a quello pungente della birra, inebriante e quasi fastidioso al suo naso sensibile ma lui si sforza di ignorarlo e prosegue sicuro.
         Quando arrivano a portata d’orecchio, però, entrambi si rendono conto di aver commesso un errore: Mikhail e Mikajilo, come suggeriscono i nomi, vengono entrambi dalle fredde terre dell’est Europa e stanno parlando fitto fitto in un idioma che per chiunque altro è incomprensibile. Ogni tanto il più basso ride, un suono sincero che gli scuote tutto il corpo e attira l’attenzione degli studenti più vicini, ma Mikhail si passa nervosamente la mano sulle guance, l’indice che insiste su una cicatrice che gli rovina appena lo zigomo sinistro: deve essere in difficoltà. Timòn sa che il suo metodo di discussione somiglia quasi ad una battaglia, una partita di scacchi se è particolarmente di buon umore, almeno quanto sa che tra le diverse qualità di Mikajilo non c’è, purtroppo, l’intelligenza; se non fosse per la lingua e il passato nella stessa scuola i due non si parlerebbero mai, ne è certo. Enéas li interrompe, allungandosi oltre la coppia per prendere due bicchieri di carta, quindi ne porge uno al castano.
         «Mika! Mikajilo. Di cosa stavate parlando?» Chiede, una nota di caratteristica curiosità nella voce. Prende un sorso della sua bevanda, leccandosi poi le labbra con un certo sorriso soddisfatto; Timòn fa lo stesso e la lingua gli viene invasa dal sapore dolce della vaniglia e dei frutti di bosco, tutto il contrario rispetto all’amarognola birra che aveva immaginato guardando il colore e le bollicine nella bevanda.
         «Buonasera, Enéas. Ciao anche a te Tim!» Il secondo saluto è ben più caldo, come a sottolineare che anche una persona sciocca ed allegra come il serpeverde si è reso conto dell’innegabile antipatia che il primo nominato prova nei suoi confronti. Poco male, pensa Timòn svuotando in un sorso il bicchiere che è certo contenga poco o niente di alcol: si tratta semplicemente di due caratteri affatto compatibili, sarebbe inutile cercare di farli andare d’accordo. «Dicevo a Mika che…»
         «Non importa, Misha. Piuttosto, non dovresti tornare dalla tua ragazza?» Mikhail lo blocca con tono gentile ma fermo, posandogli una mano sulla spalla ed indicando nella folla. Michajilo alza il capo come avesse d’improvviso ricordato qualcosa, quindi rivolge al gruppo un sorriso di scuse e si avvia; Timòn lo segue con gli occhi chiari quasi infastiditi dalla luce, che da calde fiamme è stata incantata per somigliare di più a laser colorato ora che la festa è iniziata sul serio. Prova quasi un moto di invidia quando lo vede sfiorare con le labbra la guancia di una graziosa moretta che reagisce in modo timido ma evidentemente felice.
         «Scortese.»
«Parlavamo di Koldovstoretz, non è interessante.» Mikhail vuota di colpo un altro bicchiere, poi schiocca la lingua. Fa una pausa piuttosto lunga contemplando il fondo vuoto come non trovasse le parole- forse è così, dato che ancora fatica un po’ con l’inglese. «Sono troppo dolci, non si sente neanche l’alcol. Eppure sono pesanti. »
         Sentendo quella frase Timòn ferma la mano a mezz’aria, solo pochi centimetri che separano il suo drink dalle labbra piene che si aprono ad un’espressione sorpresa. «Questa roba è alcolica? Tanto?» Chiede, ed Enéas sorride, battendo piano la sua nuova bevanda con quella dell’amico.
         «Ti avrei fermato prima della pole dance, lo spettacolo dello scorso anno mi è bastato.»

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