Le parole sono Giuda

di Nemesis01
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X. ***
Capitolo 11: *** XI. ***
Capitolo 12: *** XII. ***
Capitolo 13: *** XIII. ***
Capitolo 14: *** XIV. ***
Capitolo 15: *** XV. ***
Capitolo 16: *** XVI ***
Capitolo 17: *** XVII ***
Capitolo 18: *** XVIII ***
Capitolo 19: *** XIX ***
Capitolo 20: *** XX ***
Capitolo 21: *** XXI ***
Capitolo 22: *** XXII ***
Capitolo 23: *** XXIII ***
Capitolo 24: *** XXIV ***
Capitolo 25: *** XXV ***
Capitolo 26: *** XXVI ***
Capitolo 27: *** XXVI ***
Capitolo 28: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** I. ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
I.
 

Quando aveva compiuto 16 anni, Giuda aveva ricevuto un bellissimo regalo dai suoi genitori: una Cadillac rosa. Era stata la prima auto che aveva guidato e c'era da dire che lungo le strade costeggiate dal mare della Florida aveva fatto sempre la sua bella figura. 
Giuda aveva guidato per dieci anni la stessa auto, non aveva mai cambiato città né meta delle vacanze estive: si poteva facilmente dedurre che fosse un tipo abitudinario e che quello che si sarebbe apprestato a fare in giornata era qualcosa di straordinario.
Dopo aver caricato l'ultima valigia in auto, aveva inforcato gli occhiali da sole e si era voltato a vedere il panorama con un filo di nostalgia: non era ancora partito e già gli mancavano il profumo del mare di Tampa, il vociare dei turisti che si erano persi in cerca della spiaggia, il profumo di vaniglia diffuso dal chiosco di gelati...

- Hai preso tutto, a mamma? -
- Sì, ma'... -

La signora Elvira guardò il figlio con gli occhi gonfi di lacrime che provava terribilmente a trattenere. - Scrivimi quando arrivi! -
- Mamma, non sto partendo per la guerra. Sto andando in Nebraska. -
- Lassù, fino in Nebraska, in mezzo alle montagne... Tu non sei abituato! -
- E mi abituerò, che devo fare? -
- Tesoro, - interruppe il signor O'Connor, - non è un bambino... Poi starà via solo per qualche mese, un anno al massimo. -
- Sarà sempre il mio bambino, Finn! -
Finn scosse la testa e si rivolse al figlio. - Giuda, io e la mamma ti abbiamo fatto un pensierino, - gli disse, poi gli porse una busta regalo. Giuda l'accettò e l'aprì in fretta proporzionalmente sorpreso e curioso. Vi trovò dentro una sciarpa di lana calda e grossa. Sembrava fatta a mano. - Ma è bellissima, grazie! -
I due genitori sorrisero e poi la signora scoppiò in lacrime.
- Mamma... Avevamo detto niente pianti. -
- Io piango quanto mi pare e piace! -
- Torno per Natale, dai, sono solo pochi mesi. -
- Giuda, tesoro, io distraggo la mamma e tu parti. -
- Grazie dadaidh, - rise il giovane.
Giuda stampò un bacio a entrambi i genitori, li avvolse in un abbraccio e si mise subito alla guida della Cadillac rosa. Per un po', la sua auto non avrebbe sfrecciato con il mare come sfondo.
 

Sebbene avesse potuto prendere un aereo, aveva deciso di fare un viaggio in auto per raggiungere la città in cui avrebbe dovuto fare una sostituzione. Si trattava di un ruolo temporaneo come docente di Letteratura Inglese nella piccola scuola di Newcastle in Nebraska. Prima che gli fosse proposta quella sostituzione, Giuda non aveva mai sentito parlare di quel paese; l'aveva googlato e gli era parso un posto dimenticato da Dio. Era proprio ciò di cui aveva bisogno, dopo tutto quello che gli era successo...

Lo aspettava un viaggio lungo circa ventiquattro ore che lui aveva saggiamente deciso di spezzare. Avrebbe fatto qualche sosta, dormito delle notti in un motel lungo le strade provinciali, assaggiato le specialità locali degli stati che avrebbe toccato... uscire dagli schemi era sempre stato uno dei suoi obiettivi. Non era mai stato abbastanza coraggioso da fare un viaggio on the road, né lo era mai stato Christofer, il suo ex fidanzato. Avevano sempre viaggiato con la comodità dei voli intercontinentali. Non era mai stato brutto viaggiare con Christopher, anzi, avevano trascorso insieme vacanze fantastiche... peccato che, oltre al coraggio, a Christopher mancasse anche la fedeltà. Comunque, con la musica di Kate Bush a fargli compagnia, Giuda cominciò la sua prima avventura. Fu piacevole scoprire cosa aveva da offrire l'America del Nord. Attraversò l'Alabama, il Mississippi, il Missouri, il Kansas e, infine, risalì tutto il Nebraska fino ad arrivare a Newcastle. Il viaggio era durato cinque giorni, soste incluse.

Newcastle, in Nebraska, era un paesino di poco più di trecento anime sperdute che, per una serie di drammatiche coincidenze, avevano finito con il nascere lì. A parte il vulcano-non vulcano Iona, non c'era altro per cui conoscere il paesello. Sarebbe stata una bella avventura, ma soprattutto una grande sfida con se stesso: Giuda aveva una paura enorme di guidare in montagna, eppure le aveva attraversate con la sua fedelissima Cadillac. Quando giunse a Newcastle, Giuda nemmeno si rese conto di essere arrivato. Il navigatore segnava "destinazione raggiunta", ma tutto intorno a lui sembrava essere provvisorio. Come dei capannoni industriali lasciati a caso in campi di terra desolati. Scese dall'auto e fu subito travolto dal freddo pungente. Avvolse la sciarpa intorno al collo e si guardò intorno per studiare l'ambiente vuoto: era tutto cupo, grigio, distaccato, impersonale. Non c'erano grattacieli né strade ben asfaltate, le costruzioni sembravano essere state edificate a caso, quasi per errore, come a dire "scusa se sei capitato qui, almeno possiamo offrirti un tetto sulla testa". Si trovava su una delle strade principali eppure appariva come la periferia della periferia. Non c'erano molte persone in giro (del resto, con circa trecento abitanti...) a parte un gruppo di tre ragazzi che stava facendo skate. Giuda sospirò pensando al calore della Florida, ai colori che Tampa aveva da offrire e poi accese una sigaretta. Posò involontariamente lo sguardo sul trio che era ancora fuori. Erano due ragazzi e una ragazza e si dividevano una tavola. Continuando a osservarli, capì che uno dei ragazzi, quello che indossava una felpa dei My Chemical Romance, provava ad insegnare agli altri come usare la tavola. Giuda era bravo con lo skate, avrebbe volentieri provato ad avvicinarsi e ad aiutarli, poi rifletté sulla concreta probabilità che i ragazzi sarebbero stati una grossa fetta della classe a cui avrebbe insegnato nei prossimi mesi, e desisté. Continuò a fumare la sua Marlboro e rimuginò su quanto fosse piccolo quell'appezzamento di terra denominato Newcastle. 
Spense il mozzicone sotto la suola delle scarpe e rabbrividì per il freddo. Poi, sotto lo sguardo inquisitorio del ragazzo bravo con lo skate, suonò al campanello della casa di fronte, quella dove in cui avrebbe abitato fino alla fine dell'anno scolastico.
 

*
 

Era una mattina tipicamente invernale a Newcastle quella in cui Giuda conobbe Ethan. Nonostante il sole splendente, gli alberi sempreverde del giardino antistante il campus erano scossi da un vento già fresco che profumava di neve. Tra i corridoi dell'ampio edificio si accalcavano numerosi studenti carichi di libri diretti verso le aule per iniziare un laborioso lunedì di lezioni e test scolastici, tra una chiacchiera e un caffè preso al volo.
Nel frattempo, Amy era entrata nell'aula 2-B munita di registro, seguita da un paio di studenti che avevano preso la sua stessa direzione convinti di essere in ritardo. Lei odiava quella classe in quanto era la più rumorosa e ingestibile dell'anno. Accanto alla donna c'era un giovane uomo dai capelli rossicci che poteva tranquillamente essere scambiato per uno degli allievi o per un membro della famiglia Weasley.

- Buongiorno ragazzi, - salutò Amy. - Volevo mettervi al corrente del fatto il vostro docente di Letteratura Inglese, il professor Garcìa, non sarà in grado di continuare a seguire la vostra classe quest'anno. –

Amy fu costretta a interrompersi poiché un boato di gioia risuonò nella stanza. - Siete veramente pessimi, il professor Garcìa è quasi morto, - li rimproverò. - Ma, per vostra gioia, vi informo che sarà sostituito, fino alla fine dell'anno, dal professor O'Connor. Quindi vedete di darvi una calmata e di non farvelo scappare come il supplente di fisica dell'anno scorso! –

- E io che pensavo di aver vinto una gioia e invece... - sbuffò uno dei ragazzi suscitando risa negli altri.
- Buoni, ragazzi, state calmi! Il professor O'Connor sarà un degno sostituto e sono sicura che riuscirà a rimettervi in riga. Infatti, ora vi lascio nelle sue mani, - sancì la donna, in maniera frettolosa, quasi volesse fuggire dall'aula. Salutò poi l'uomo con un cenno mesto, come a volersi quasi scusare, e uscì. Il docente si presentò come un uomo mediamente alto, distinto ed elegante nel suo cappotto di panno nero. Si sistemò gli occhiali timidamente, imbarazzato, e iniziò a leggere sul registro l'elenco dei nomi ad alta voce per fare l'appello prima di presentarsi.
- Anderson... - chiamò e fu letteralmente ignorato; allora si schiarì la voce e ripeté, - Anderson! -
- Presente, mamma mia, non può aspettare un attimo? - sbuffò l'allievo. Era evidentemente troppo impegnato a terminare il livello 1057 di Candy Crush per poter rispondere al docente nei tempi previsti. Tuttavia, O'Connor decise di non dar peso a quella risposta e proseguì, - Breeden? –
- Ci sono! –
- Cotton? –
- Presente! –
- Cromwell? –
- Presente! –

Intanto, all'esterno dell'edificio, un ragazzo dai lunghi capelli neri e lisci entrò nel palazzo con tranquillità, nonostante le lezioni fossero cominciate da circa dieci minuti. Noncurante di un eventuale nota di demerito per il ritardo, attraversò il lungo corridoio dove si trovavano le macchinette automatiche e, distrattamente, inserì in una di quelle delle monete per recuperare qualcosa di dolce con cui fare una seconda colazione. Mentre attendeva che il distributore gli elargisse quanto pagato, avvertì un mormorio provenire da un gruppetto di ragazzi poco distanti che diffondevano la notizia di un incidente capitato al professor Garcìa. Recuperò la barretta di cioccolato al latte e si avviò verso l'aula, convinto che fosse scoperta data l'assenza del docente di ruolo.

- Novotny? – chiamò O'Connor senza ricevere risposta.
- Oh, ma Ethan dov'è? – bisbigliò una ragazzina all'orecchio di Anderson.
- Probabilmente a limonare con qualcuno o a sentire una di quelle nenie terribili che piacciono a lui, - rispose il ragazzo.
- Novotny? – ripeté a voce più alta per accertarsi di non segnare qualcosa di sbagliato sul registro, - Novotny non c'è? –
- Ci sono! – esclamò il ragazzo che aveva appena varcato la soglia.
- Sei in ritardo, - lo rimproverò il docente. - Ti metterò una nota, - sancì, infine, sistemandosi gli occhiali sul naso.
- Va bene, - rispose il ragazzo senza preoccupazione alcuna. Si diresse vicino ad Anderson, lasciando cadere la borsa a tracolla sul banco, e iniziò a chiacchierare con gli amici in tutta tranquillità. - Ragazzi, avete sentito di Garcìa? –
- Sì, e lo vedi quel tipo lì dietro? – chiese retoricamente l'altro allievo, - Quello è il nuovo supplente. –
- Ah, - mugolò Ethan voltandosi verso il docente. Com'era possibile che uno tanto giovane e caruccio fosse già un insegnante? Strinse le spalle e si mise seduto, poi scartò la barretta di cioccolato.
- Ethan Yury Novotny, domani dovrai portare una giustifica per il tuo ritardo, - sentenziò il docente, notando poi che l'allievo stesse tranquillamente mangiando. - E sei in un'aula scolastica, non al campeggio, quindi metti via quella roba e renditi utile dicendomi qual è l'ultimo argomento trattato col professor Garcìa! –
Quando Giuda sollevò lo sguardo, riconobbe subito il ragazzo della sera prima, quello con la felpa dei My Chemical Romance.
- Crede davvero che io lo sappia? – chiese Ethan sollevando un sopracciglio. - E si pronuncia Yuri. -
- Oh santo cielo, in che classe sono finito... - borbottò il docente fra sé e sé. In seguito spostò lo sguardo sull'unica ragazza che sembrava essere diligente e domandò, - tu con i capelli biondi, Cromwell, lo sai? –
- Sì professore! Abbiamo iniziato il romanticismo e ci siamo soffermati su Robert Burns e William Blake, ma di Blake dovevamo leggere e commentare "Temevo che la furia del mio vento", - rispose la ragazza sorridendo.
- Oh, bene, benissimo! Allora aprite la pagina proprio lì e leggiamola insieme, - esordì il docente mettendosi seduto sulla cattedra. Nessuno degli alunni obbedì, a eccezione della ragazza, cosa per cui il docente sbuffò.
Gli alunni sembravano troppo impegnati a parlottare tra loro per poter interagire durante la lezione, per cui il giovane professore batté forte i pugni sul legno massiccio della cattedra, generando un forte rumore. Tutta la classe si ammutolì per qualche attimo, poi riprese a mormorare subito dopo.
Il docente, avvertendo la frustrazione crescere dentro di sé, si rese conto che il gruppetto era troppo attento a quanto Novotny avesse da raccontare invece che alla lezione, per cui aggrottò le sopracciglia e si rivolse al ragazzo. - Novotny, visto che hai tanta voglia di parlare, perché non vieni a leggere ad alta voce? –
Un lieve mormorio imbottì nuovamente l'aula e un velo di preoccupazione opacizzò anche lo sguardo di Cromwell, che chinò il capo leggermente.
Il ragazzo dai capelli corvini si alzò senza batter ciglio e, con passo felino, camminò attraverso i banchi con la stessa eleganza di un modello sulla passerella. C'era da dire che Ethan era avvenente e perfino il professore s'incantò nell'osservarlo.
- Cosa devo leggere? –
- Ehm, sì, allora... - farfugliò il docente, recuperando il libro di testo, - qui, questo qui. -

Prima di leggerla a voce alta, Ethan la lesse in mente.

"Temevo che la furia del mio vento / rovinasse tutti i germogli belli e veri; / e il mio sole è brillato e brillato, / e il mio vento non ha mai soffiato. / Ma un germoglio bello o vero / non fu trovato su alcun albero, / poiché tutti i germogli crebbero / senza frutti, falsi, anche se belli da vedere."

Il ragazzo storse il naso; non gli piacquero le frasi né sembrò averle capite pienamente, cosa che gli causò un grosso disagio. - Non la leggo, - dichiarò.
- Invece la leggi, Novotny. -
- Altrimenti che fa? Mi mette un'altra nota? - gli chiese facendosi una risatina, poi percorse la strada a ritroso e, prima di raggiungere il suo posto, estrasse l'iPod dalla tasca e srotolò le cuffie.
Il docente assottigliò gli occhi seccato dall'irriverenza che il ragazzo continuava a mostrare; così, con passo deciso, lo raggiunse e gli strappò il dispositivo dalle mani. Prima che potesse anche dire una sola parola, il professore aveva già raggiunto la cattedra; O'Connor aprì il primo cassetto e ci buttò dentro l'iPod sequestrato. - Sei dentro la mia aula e hai il dovere di assistere a tutto quello che dico. Sei uno studente e questo è il tuo compito: se ti dico di leggere ad alta voce tu lo fai, e io ho anche il diritto di metterti un voto. Se poi hai deciso di restare una capra, la prossima volta evitati lo scomodo di venire a frequentare la lezione! -

Il resto della classe guardò esterrefatta il nuovo docente; sebbene fosse giovane, aveva dimostrato il triplo della risoluzione del loro professore di ruolo. Novotny, come se si fosse offeso dalle parole del docente, mise su un'aria nervosa e, dopo aver recuperato le sue cose dal banco, uscì dall'aula sbattendo la porta alle proprie spalle e mormorò un vaffanculo a malapena udibile.




ndA
Questa storia è una storia già completa ed è stata pubblicato per intero sul mio canale Wattpad. Ho deciso di pubblicarla anche qui per il mio rapporto amore/odio con efp. Spero che vi piaccia.

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Capitolo 2
*** II ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
II.
 

Il giorno successivo non sembrava essere diverso da quello precedente. Giuda si era trascinato fuori dal letto pigramente, quasi volesse una scusa per non andare a scuola, rimpiangendo di non essere lui l'alunno. Alla fine lo aveva fatto, e aveva raggiunto la sala professori perfino con cinque minuti d'anticipo. Aveva recuperato i registri, sbuffato, controllato se avesse con sé una penna, preso del gesso colorato e poi era entrato in aula alle dieci in punto.
Inutile dire che la sua classe era un vero e proprio disastro.

- Ethan, io con te non gioco più: hai un culo pazzesco! -
- Si chiama talento, bro'! -
- Ma hai vinto cinque partite su cinque, tu bari, ne sono sicuro! -

Giuda, già stufo del loro atteggiamento, entrò nell'aula rumorosissima e batté forte la borsa  sulla cattedra per far sentire la sua presenza, e riservò una speciale aria truce a Novotny.

- Non è neanche il suo secondo giorno e già ti odia, - ridacchiò Anderson. - Hai superato il tuo record. -
- Sarà il mio super potere, che ti devo dire... - rispose Ethan. Poi cominciò a dondolarsi sulla sedia poggiando le ginocchia contro il bordo del banco.
- SILENZIO! - urlò Giuda con tono secco. Si sedette dietro la cattedra, fece l'appello e lanciò uno sguardo sommario a tutta la classe. - Ho bisogno di capire qual è il livello della classe, - disse, - per cui oggi interrogherò. -

Una coppia di ragazze aprì il libro alla svelta e cercò di ripassare quanto più possibile nel caso in cui fosse toccato a loro mentre Ethan e Steve, noncuranti, continuavano a parlottare tra loro.

- Anderson, Novotny... giacché avete sempre così tanta voglia di parlare, perché non ci raccontate di John Keats? Anderson, dai, inizia tu. -
- Keats... oh, ehm... - Steve sembrò essere in difficoltà e lanciò uno sguardo al libro aperto del suo compagno di banco. Peccato che la pagina visibile fosse su Shakespeare. - Beh, sì, è un poeta britannico. -
- Questo lo sa pure la pianta sul davanzale, Anderson. Prosegui. -
- Nacque a Londra, nel... millesettecento... ehm... 1785? -
- È una domanda? -
- No, no... nacque a Londra nel... -
- 1795, - lo corresse il docente.
- Sì, nel 1795 e morì molto giovane! - sembrò quasi tirare a indovinare. "Tutti i poeti sono morti giovani," pensò.
- Quando e dove morì? -
- Ehm... 1820? -
- Peccato, c'eri quasi vicino. 1821. -
- Sì... e morì a New York. -
- Roma. -
- A Roma, sì, certo, lo sapevo. Morì a Roma nel 1821. Veniva da una famiglia povera. -
- E che lavoro faceva prima di diventare poeta? -
- Il... il garzone, no? -
- Lavorava come apprendista medico, - suggerì il docente che, udendo una risatina provenire da Ethan, si rivolse a lui. - Novotny, vuoi proseguire tu? -
Ethan sbuffò. - Durante il suo apprendistato al Guy's Hospital, Keats si avvicinò alla letteratura grazie alle opere di Torquato Tasso e alla traduzione dell'Omero. Se, inizialmente, i due studi proseguirono paralleli, nel 1816 John Keats lasciò l'ospedale per dedicarsi completamente alla letteratura. Alla morte del fratello, avvenuta nel 1818, Keats si trasferì a Hampstead. L'inverno 1818–19 fu molto produttivo, in quanto segnò l'inizio del suo annus mirabilis, durante il quale creò gran parte dei suoi componimenti più significativi, tra cui il suo primo libro di poesie, dal titolo "Poems", del quale il componimento "Sleep and Poetry" rappresenta il contributo più rilevante. - Ethan parlò come se fosse un automa, con una flemma stabile e un tono per nulla enfatico. Era come se fosse una voce computerizzata che leggeva la vita di John Keats dalla pagina di Wikipedia.

Il docente sembrò stranito, quasi deluso, dal fatto che fosse così preparato. - Parlami di "Sleep and Poetry". -
- "Sleep and Poetry" è un poema nei cui versi si legge il magico e doloroso incontro tra sonno e poesia. La poesia è la quintessenza dell'espressione dell'uomo, un concentrato di vitalità; il sonno, all'opposto, è l'assenza di tutti quegli elementi che concorrono a generare stupore ed emozioni. -
- Hai mangiato il libro di Letteratura Inglese, stanotte, Novotny? -
- No, - si limitò a dire Ethan. - Se vuole che dica ad alta voce quattro stronzate noiose che ho imparato a memoria lo faccio. -
Steve e altri compagni di classe cercarono di soffocare una risata dopo aver visto l'espressione offesa e arrabbiata del professor O'Connor.
- Quali sono le tre unità in cui è diviso il mondo nel romanzo 1984 di Orwell? In che periodo è vissuta Emily Dickinson? A quale genere appartiene Frankenstein di Mary Shelley? Cos'è il compromesso vittoriano? -
- Vuole davvero che le risponda oppure sta facendo così perché vuole mettermi in difficoltà con queste quattro stronzate? - chiese Ethan, impassibile.
Giuda avrebbe voluto esplodere; si sentiva sinceramente ferito dal fare del ragazzo, che riteneva immotivato e arrogante, e mantenere la calma gli sembrava sempre più difficile. Indeciso se rispondergli per le rime oppure scoppiare a piangere uscendo dall'aula in preda a una crisi, gli rivolse un tono posato. - Tu credi che siano queste quattro stronzate a darmi l'autorità, Novotny? Credi che basti davvero imparare mille pagine a memoria per essere un letterato? Sei davvero convinto che sia diventato un insegnante soltanto perché conosco la vita di John Keats? -
- Beh, io non voglio diventare un letterato, benché meno un insegnante. -
La risposta fu esplicativa abbastanza che O'Connor avrebbe voluto mettergli due solo per l'atteggiamento che aveva assunto tornandosene al banco senza dire una parola o attendere un cenno, cosa che avrebbe fatto volentieri se non si fosse ricordato che lui era un professore e non un adolescente in piena crisi ormonale. Segnò una C- e chiuse il registro. Era troppo stanco per interrogare e anche per spiegare, così si accasciò sulla sedia e si rivolse all'unica ragazza in tutta la classe che aveva mostrato un minimo d'interesse nella sua materia. - Cromwell, per rimanere in tema... cosa ne dici di leggere per tutti noi "Al sonno" di John Keats? -
- Sì, certo professor O'Connor, - rispose la ragazza che si prodigò subito nel cercare la pagina in cui si trovava la composizione.

- Ehi Ethan, - bisbigliò Steve, - secondo me questo qui è un po' toccato. Forse pure più di Garcìa. -

- Cromwell, hai trovato l'opera? -
- Sì, - rispose la ragazza.
- Allora comincia, - disse il professore e incrociò le gambe.
La ragazza si schiarì la voce con un colpo di tosse e poi iniziò a leggere quanto richiesto. - O soave che balsamo soffondi / alla quieta mezzanotte, e serri / con attente e benevole le dita / gli occhi nostri del buio compiaciuti, / protetti dalla luce, avvolti d'ombra / nel ricovero di un divino oblio. -

Ethan annuì e continuò a parlare sottovoce per non farsi sentire dal docente. - Sono uscito con un tipo ieri sera... mi sembrava uno che ci sapesse fare, no? Invece era un imbranato totale. Alla fine sono tornato a casa e mi sono fatto una sega. -

- O dolcissimo sonno! Se ti piace / chiudi a metà di questo, che è tuo, inno / i miei occhi in vedetta, o attendi l'amen / prima che il tuo papavero al mio letto / largisca in carità il suo dondolio. -

- Davvero? Faceva così schifo? -
- Sì. Troppo. Il mio pene si è rifiutato perfino di... -

- Novotny, Anderson, vi costa tanto fare finta di ascoltare? - sbuffò il docente.
- Non mi piacciono le finzioni, non siamo a teatro, - rispose Novotny prontamente. - Ha tutta la classe che sta seguendo, che differenza le fa se chiacchiero con Steve? -
- Tanto per cominciare distrai gli altri con le tue chiacchiere, inoltre vanifichi i miei sforzi di farvi capire qualcosa della mia materia e infine mi metti in difficoltà senza che io ti abbia fatto niente di male, maledizione! -
- Che palle, - sbuffò nuovamente Ethan, quasi fosse incapace di controllare ogni reazione. Roteò perfino gli occhi, seccato, prima di ricominciare a parlare. - Ma si può sapere perché ce l'ha tanto con me? -
- Perché non la smetti di mancarmi di rispetto, Novotny, ecco perché! -
- Faccio così con... -
- Sei completamente disinteressato, ti permetti di fare battutine e non riesci nemmeno a chiudere quella tua stramaledetta bocca per il tempo necessario di ascoltare "Al sonno"! Cromwell, continua e non fermarti! -
- Ehm... io... - La ragazza si guardò intorno con fare circospetto; si sentì come se fosse nel bel mezzo di un ciclone e deglutì. - Poi salvami, altrimenti il giorno andato / lucido apparirà sul mio guanciale... -
- Beh, sa cosa? Non mi interessano le sue lezioni, sono noiose, inoltre io non l'ho mai offesa a differenza sua! Vuole rispetto? Cominci pure col darlo altrimenti io, per seguire il suo esempio, mi sentirò autorizzato a chiamare tutti capre ignoranti! -

Di nuovo, producendo molte pene, / salvami dall'alerte coscienza... -

- Io sto cercando di fare il mio lavoro, Novotny, è il mio secondo giorno e Dio solo sa se riuscirò a mantenere la mia sanità mentale fino alla fine di questa giornata! -
- Ma lo faccia il suo lavoro, chi glielo vieta? Spieghi pure a chi interessa! -

- Che viepiù insignorisce il suo vigore / causa l'oscurità, scavando come / una talpa. Volgi abile la chiave... -

Giuda scrollò le spalle sconfortato. In effetti, perché diavolo si era impuntato tanto su quel ragazzo? Era evidente che lo trovasse noioso, lui più che la materia visto che gli interessava la letteratura in generale, e che quindi non gli avrebbe reso il compito più facile. Restò in silenzio e picchiettò con le dita sulla cattedra ascoltando gli ultimi versi letti dall'unica alunna che lui reputava diligente.

Nella toppa oliata e dà il sigillo / allo scrigno, che tace, del mio cuore. -

- Ma che cazzo vuole questo da me? - bisbigliò Ethan verso l'amico.
- Magari gli piaci, - ridacchiò Steve a bassa voce. - Ha l'aria da checca isterica! -
- Tu dici? A me pare che abbia solamente voglia di cagarmi il cazzo, a cominciare da ieri! -
- Ma sì, non hai visto come si è applicato? Nessuno se lo sta cagando a parte Lisa, lui e Keats, però si è fissato con te! Stammi a sentire... gli piaci. -
Ethan arricciò le labbra pensieroso e restò in silenzio qualche attimo per studiare meglio i lineamenti del professore. Non era male; certo, non che i rossi fossero di suo gradimento ma... - Almeno non è un cesso, sono proprio fortunato! -
Steve ridacchiò e poi, insieme all'amico, restò in silenzio per il resto della lezione. Non che gli interessasse, ma voleva evitare l'ennesima crisi isterica del docente; Ethan sembrava pensarla alla stessa maniera tanto che si era messo a guardare la pioggerella che aveva iniziato a cadere.

La lezione durò almeno un'altra mezz'ora, durante la quale il professor O'Connor spiegò l'evolversi del romanticismo inglese e assegnò per la prossima volta, ossia due giorni dopo. Giuda non aveva più aggiunto altro, né si era prodigato ulteriormente nel rimproverare Ethan; aveva salutato con un generico "arrivederci" e si era avviato verso l'uscita. Fu proprio sulla soglia della porta, appena girato l'angolo, che incrociò Ethan. Giuda si limitò a lanciargli un'occhiataccia ma non disse niente; non ebbe neanche il tempo di proseguire verso la Sala Professori che qualcuno lo chiamò.

- Professor O'Connor! -

Incredibile. Era proprio Ethan colui che lo stava chiamando? Giuda sollevò lo sguardo verso di lui, si soffiò via una ciocca di ricci ribelli e lo fissò con aria truce come a volergli chiedere "e ora che cazzo vuoi?".

- Prima volevo dirle che io faccio così con tutti i professori. Non ce l'ho con lei: sono così. -
- Beh, dovresti migliorare! Un po' di sana educazione non guasterebbe mica, sai? -
- Non sono maleducato. Sono così, - spiegò senza dilungarsi troppo. In realtà, non sarebbe nemmeno riuscito a trovare parole più adatte.
- Il primo caso al mondo di alunno che ce l'ha col professore senza motivo invece che viceversa, e lui dice che non ce l'ha con me ma che è solo "così", - sbuffò il docente.
- Le ripeto che non ce l'ho con lei. -
- Allora perché ti comporti come se mi detestassi a morte? -
- Come se la detestassi a morte? - ripeté Ethan aggrottando le sopracciglia. Sembrava proprio che non avesse capito ciò che intendeva il docente.
Giuda sospirò rumorosamente e poi l'osservò, cercando di capire se fosse serio o meno; però, convinto dalla sua buona fede, gli fece cenno di lasciar perdere. Soddisfatto della reazione del professore, Ethan sorrise vagamente confuso.
- Buona giornata, professor O'Connor. -
- Anche a te, Novotny, - disse il docente. Chissà... magari era un segnale di pace. 

 




ndA
Niente, io a Giuda voglio un gran bene.

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Capitolo 3
*** III ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
III.
 

Il piccolo villaggio di Newcastle, in Nebraska, non offriva grandi possibilità di svago. Non c'erano centri commerciali né locali in cui andare a divertirs: era solo una lunga serie di bungalow adibiti a case che si alternavano a vere abitazioni in mattoncini scuri, alcune di esse adibite a dormitori per gli studenti che provenivano da villaggi ancora più inospitali e che non vantavano nemmeno la presenza di un High School. Molti dei ragazzi si organizzavano per raggiungere le città in zone limitrofe, oppure si radunavano nelle automobili vicino al Pfister Park per chiacchiere, ascoltare musica o farsi una canna. D'inverno era raro che accadesse: faceva troppo freddo e nevicava con violenza per potersi allontanare dal paesello, così ci si organizzava nel cortile adiacente alla scuola o a casa di qualcuno per un party (ma questo solo nel caso in cui si poteva vantare una certa popolarità o inclinazione alla socievolezza).
Ethan non aveva tanti amici e i suoi preferiti non abitavano nemmeno a Newcastle ma a Maskell, il suo paese di nascita, e si erano persi di vista a causa delle diverse scuole superiori. Qualcuno si era trasferito perfino nella capitale, con la speranza di poter diventare un pezzo grosso e lasciare il Nebraska in favore di uno stato più ospitale, altri avevano raggiunto paesi in cui potevano essere ospitati da parenti o amici di famiglia. L'unico amico che Ethan si era portato con sé dall'infanzia era Steve. In genere trascorreva con lui il tempo libero, ma quel venerdì sera gli aveva dato buca per vedersi con una ragazza. Così, solitario, Ethan si trovava seduto su un muretto. Aveva indosso casco e ginocchiere, segno che doveva aver utilizzato lo skate su cui poggiava i piedi, e canticchiava la canzone che era partita dalla sua playlist. Di tanto in tanto giocherellava con una ciocca di capelli che si era ribellata al codino; aveva gli occhi chiusi e sembrava accaldato nonostante le basse temperature.

Giuda, invece, non aveva idea che Newcastle potesse essere tanto deserto. Aveva vagato per le stradine limitrofe alla stanza che aveva preso in affitto (forse avrebbe dovuto capirlo proprio da quello. Non c'erano appartamenti o case disponibili, solo stanze spaziose con al massimo con bagno privato. Non sapendo quanto tempo avrebbe dovuto fermarsi in città, O'Connor aveva preso in affitto una camera per sei mesi nella casa di legno più vicina alla scuola.) e non aveva trovato nemmeno un negozio di fortuna in cui acquistare dei Sausage Roll. Non gli piaceva cucinare e, essendo lì da poco, non aveva avuto tempo di fare provviste... di certo non si aspettava di non trovare nemmeno un ristorante in cui andare a cenare! Non c'era nemmeno anima viva in giro a cui chiedere delucidazioni...
- Che posto di merda, - farfugliò e tirò un calcio a una lattina di birra vuota. Forse era proprio l'ostilità del luogo che creava stress ai ragazzi della sua classe; in effetti, essere un adolescente a lì doveva essere un vero incubo. Rabbrividì, perché faceva freddo, e osservò il movimento della lattina che aveva appena scalciato: era rotolata fino a raggiungere un muretto di mattoncini rossi, lo stesso su cui era seduto Ethan. Giuda inclinò la testa e assottigliò gli occhi per studiare la situazione; Novotny era da solo ("E dov'è la sua spalla, l'ombra Anderson? Forse lo sta aspettando!" pensò), ascoltava musica e aveva l'aria assorta in qualche pensiero. Strano che fosse proprio lui l'unica anima in circolazione. Indeciso se andare da lui o meno, pensò che fare l'ennesimo giro dell'isolato potesse farlo imbattere in un signore del posto, cosa che non accadde e ritornò di fronte alla scuola. Erano trascorsi almeno trenta minuti, poiché aveva camminato lentamente, ma il ragazzo si trovava ancora lì ed era ancora solo. O'Connor si infilò le mani in tasca, faceva davvero freddo, e passeggiò fino a raggiungere Ethan.

- Ehm... ciao Novotny, - salutò. L'alunno sembrò non averlo proprio notato, visto che non si mosse.
- Novotny, - ripeté ad alta voce, - ciao! -
- Uhm? - Ethan sollevò lo sguardo e si rese conto di non essere solo; così, si tolse gli auricolari dalle orecchie e simulò un sorriso. - Ciao! -
Giuda si sedette sul muretto accanto a lui e gli rivolse uno sguardo gentile. - Che ci fai qui? -
- Ascolto musica, - rispose; poi, rendendosi conto di essere stato troppo stitico nella risposta, proseguì. - E mi allenavo con lo skate. Lei che ci fa qui? -
- Io cercavo un posto in cui mangiare, - sbuffò Giuda. - Ma sembra non esserci niente del genere. -
Ethan ridacchiò. - Beh, non troverà ristoranti o pub in città. C'è solo l'Anne's bar in zona, ma bisogna andarci in auto. -
- È molto lontano? - chiese il docente preoccupato.
- No, sono venti minuti con l'auto. -
- E si mangia bene? -
Il ragazzo annuì. - Se le piace la cucina locale, ovviamente. -
- Non ho mai mangiato cibo del Nebraska, - ammise Giuda, - ma non ho vizi sul cibo. -
- Se preferisce l'accompagno, - si offrì l'alunno sorprendendosi di sé. Era perennemente fuori luogo ma sembrava non interessargli, era come se vedesse la sua vita da narratore esterno.
O'Connor lo fissò interdetto e batté gli occhi un paio di volte.
- Il bar è pieno di brutta gente, - spiegò, come se lui fosse un uomo di mondo che aveva abitualmente a che fare con gentaglia del genere. - Inoltre, suppongo che lei non sia abituato a guidare sulle strade di montagna. È molto pericoloso. -
- So guidare benissimo sulle strade di montagna, - mentì il docente. Era perplesso per la proposta quasi scandalosa dello studente ma, dovette ammettere, forse era giusto presentarsi in un posto così con qualcuno del luogo. - Comunque va bene. Andiamo? Ho la macchina nel viale di casa. -
- Vado a posare lo skate a casa. Ci vediamo tra cinque minuti qui? -
- Va bene, - disse Giuda e guardò il ragazzo entrare nella casa proprio di fronte alla scuola. In effetti non ci avrebbe messo più di pochi minuti nel posare la tavola, così si avviò verso casa sua per prendere l'automobile. Era una vecchia cadillac che non aveva speranza di guidare su una strada sdrucciolevole, ma gli aveva detto che sapeva farlo e non avrebbe mai e poi mai fatto la figura dell'imbranato davanti a un alunno.

Quando Giuda arrivò nei pressi della scuola, a bordo della sua auto, Ethan lo stava già aspettando.
- Sali, - l'invitò il docente e il ragazzo entrò, per poi indossare subito la cintura di sicurezza. L'automobile sembrava cadere a pezzi ma appariva ordinata e pulita. - È sicuro di saper guidare in salita su un sentiero sdrucciolevole? - chiese Ethan ancora una volta.
- Sì, - mentì di nuovo il professore e mise in moto.
- Sicuro? -
- Novotny... -
- Ci tengo alla mia vita. -
- Ti sei auto invitato, Novotny, ricordatelo. -
Il ragazzo strinse le spalle e si guardò intorno; certo che sarebbe morto nel giro delle prossime tre ore, si limitò a mettersi comodo. Se proprio doveva morire, tanto valeva farlo con le spalle appoggiate sullo schienale. Soddisfatto di aver zittito l'alunno, Giuda sembrò rilassarsi a sua volta e accese la radio.
- Non c'è campo, - disse Ethan guardando fuori dal finestrino. - Anche il telefono non avrà segnale, almeno fino al bar. Comunque, deve andare diritto e poi prendere la quarta a destra. -
- Ottimo, - farfugliò l'insegnante in tono lamentoso ma seguì le indicazioni del ragazzo senza porsi troppe domande. Del resto, era meglio concentrarsi sulla guida.
Giuda afferrò il volante con entrambe le mani e con una presa salda come se avesse paura di cadere da un momento all'altro, cosa che fece ridere Ethan, e restò con la schiena talmente diritta che la sua testa sembrò essere parte del parabrezza. Odiava guidare e detestava le strade di montagna come quelle. Perché diavolo aveva deciso di trasferirsi nel Nebraska?! Cristo, se gli mancava la frenetica Tampa in quel momento.
L'automobile arrancava e Giuda, troppo spaventato per schiacciare l'acceleratore, si era lasciato sfuggire una leggera imprecazione in una lingua straniera; non aveva mai allentato la presa del volante anche se le sue mani erano madide di sudore.
- Professor O'Connor, - chiamò Ethan. - Guardi che io guido su queste strade già da due anni. Se lei non riesce non c'è niente di male: è normale, non ci è abituato. Facciamo cambio. -
- No. -
- Professore... potrei capire se avesse una Ferrari ma stiamo parlando di una Cadillac nemmeno troppo moderna. -
- Ho detto n... merda, - disse e tirò il freno a mano; l'auto sembrò star scivolando indietro. Faceva freddo, forse il suolo era ghiacciato e perché diavolo non aveva fatto la spesa durante il pomeriggio? A quest'ora si sarebbe trovato in camera sua, magari in video chiamata con la famiglia davanti a un bicchiere di vino frizzante. - Va bene, - acconsentì, sconfitto, al suo allievo.

Incredibilmente, Ethan si sentì subito sollevato; i due scesero, si scambiarono di posto e si accomodarono in auto. Il ragazzo sistemò gli specchietti, il sedile e, solo quando si sentì a posto, mise in moto. Era davvero molto sicuro di sé; sebbene gli costasse ammetterlo, Giuda aveva pensato che il suo imporsi fosse dovuto a una certa arroganza nel vantarsi di dubbie capacità che, invece, si erano mostrate fondate. Il professore tacque per tutta la durata del viaggio. Quando arrivarono a destinazione i due uscirono dall'auto ed Ethan respirò a pieni polmoni.

- Probabilmente nevicherà presto, - disse e lanciò le chiavi all'altro.
- Non si lanciano gli oggetti! - lo rimproverò O' Connor; sembrava non potesse fare a meno di riprendere il ragazzo per i suoi atteggiamenti.
Ethan, però, non gli diede ascolto e camminò rapidamente fino all'ingresso dell'Anne's bar; sembrava un posto molto carino, malgrado la descrizione che il ragazzo aveva fatto prima. L'Anne's bar si trovava letteralmente in mezzo agli alberi e si presentava come una piccola baita di montagna in legno.
- Che fa? Entra? - chiese il ragazzo.
- Uh? Ah, sì, sì, - rispose distrattamente il docente. Era così impegnato a guardarsi intorno che quasi dimenticava che il suo stomaco gli stava chiedendo del cibo.
Quando entrò, l'Anne's gli sembrò ancora più accogliente e delizioso; c'erano un camino, un monitor per il "Friday Night Karaoke", tavoli in legno massiccio, tappeti etnici...
- Ethan! Che ci fai qui? Tutto bene? -
- Sì. -
- Sicuro? -
- Sicuro. -
Una donna giovane, forse della stessa età di Giuda, si asciugò le mani sul grembiule e corse subito da Ethan. Gli poggiò una mano sulla fronte per verificare che non avesse la febbre, gli afferrò le guance costringendolo a guardarla negli occhi e poi gli stampò un bacio sulla guancia.
- Come mai qui, tesoro? E come ci sei arrivato? Hai mangiato? Ti avevo lasciato la cena a casa! -
- Anne, - l'interruppe lui, - sono qui con lui. -
Giuda, ancora sulla soglia, guardò la donna abbozzando un sorriso.
- È nuovo di qui. È il professore di cui ti ho parlato. -
- Ah, il professor O'Connor! Venga, non faccia il timido! -
Il docente obbedì (non sembrava essere sicuro non farlo) e si avvicinò ai due chiedendosi per quale motivo non si era trasferito nell'ospitale, ricca e calorosa California.
- Non sa ancora che qui i negozi chiudono presto e non ci sono ristoranti o cose del genere. È rimasto senza cibo e l'ho portato qui. -
Perfetto, ora aveva fatto anche la figura dell'imbecille. Ethan non perdeva occasione per metterlo in imbarazzo... doveva aspettarselo. - Sì, è difficile abituarsi a queste cose. Vengo da Tampa, dove c'è tutto a qualsiasi ora. -
- Tampa... - ripeté la ragazza con aria sognante. - Non ci sono mai stata! Ma chi gliel'ha fatto fare di trasferirsi qui? -
- Beh, non ci andrai se continui a perdere tempo invece che lavorare. -
L'espressione di Ethan, che fino a quel momento era stata tranquilla e quasi felice, cambiò immediatamente. L'uomo che aveva parlato non doveva essergli molto simpatico e il ragazzo non si risparmiò dal dimostrargli quanto astio avesse in riserbo per lui. - Richard, nessuno ha chiesto il tuo intervento. Perché non torni a lavare i piatti? O forse gli elfi domestici ti hanno sbattuto fuori perché non sei nemmeno capace di fare quello? -
- Ethan... - provò a riprenderlo la donna ma non fece in tempo. L'uomo aveva battuto forte le mani sul bancone, facendolo vibrare, e aveva avvicinato il volto pericolosamente a quello impassibile del ragazzo.
- Stammi a sentire, moccioso, pensi di venire qui e... -
- Richard, - lo ammonì la donna sospirando. - Lascia perdere, lo sai che Ethan non intendeva quello. -
- Intendevo proprio quello, qualsiasi cosa a cui "quello" si riferisca. -
Ethan era rimasto impassibile anche quando Richard lo aveva spinto; aveva solo indietreggiato di un passo per stabilizzare l'equilibrio ma la sua espressione era ormai impostata su "menefreghismo standard". In effetti, a Giuda aveva ricordato la stessa espressione di ostilità che gli aveva riservato come benvenuto.
- Richard, questo è, ehm, il professor O'Connor! Penso sia anche l'insegnante di Steve, vero? Steve Anderson! - La donna, saggiamente, provò a cambiare discorso e il docente decise di assecondarla. Appoggiare lei suonava come seguire le regole di una società civile.
- Steve Anderson, certo. -
- Gli ha messo due proprio ieri, - rise Ethan. Suonò come una risata di sberleffo. Richard gli lanciò un'occhiata colma d'odio; probabilmente non gli diede un pugno soltanto per non traumatizzare subito il professor O Connor. Quest'ultimo era ovviamente a disagio.
- Può recuperare... - si giustificò Giuda.
- Steve è una testa calda, - si lamentò Richard. Beh, almeno su questo erano d'accordo.
- Le piace la cucina del posto, professor O'Connor? - chiese Anne mortificata. Aveva l'aria di essere una giovane molto gentile e dolce; in realtà, almeno all'apparenza, somigliava più a una versione di Ethan più educato e cortese.
- Sono venuto qui proprio per assaggiarla, - rispose il docente.
- Preferisce qualcosa in particolare o lascia fare alla chef? -
- Se la chef è lei, penso che lascerò fare! -
Ethan e Richard assottigliarono gli occhi verso Giuda dopo quell'uscita ma entrambi sorvolarono. Erano troppo impegnati a detestarsi per avere un "nemico" comune.
- Allora si accomodi pure a quel tavolo lì, offre la casa! Ethan, a te cosa porto? -
- Zuppa di funghi? -
- Speravo volessi variare, - sorrise Anne. - Ma va bene, zuppa di funghi. Arrivano subito! -
Giuda ed Ethan si accomodarono al tavolo indicato da Anne. Per il professor O'Connor fu come tagliare il traguardo per primo a una maratona; che rapporto c'era tra Anne, Richard ed Ethan? Perché sembravano detestarsi così tanto? Perché si era fatto trascinare in una cosa così personale?
- È mia sorella maggiore, - disse Ethan come se gli avesse letto nel pensiero.
- Oh. Ecco perché vi somigliate tantissimo! Fisicamente, intendo... lei è gentile. -
Il ragazzo annuì; non sembrava essersela presa per quella critica sottile. - Richard è il cugino di Steve. Sta insieme a mia sorella. -
- E non ti piace Richard, giusto? -
Ethan scosse la testa; non era pronto a parlare della propria sfera personale. Non lo sarebbe stato facilmente e non con il suo professore; in realtà, non sapeva nemmeno perché gli aveva detto quelle cose. Forse, pensò, perché comunque avrebbe conosciuto Anne negli incontri scuola-famiglia.
- Beh, allora, ah... cosa pensi mangerò stasera? - domandò Giuda per sviare il discorso. Era già una situazione surreale, perché renderla imbarazzante?
- Sono sicuro che Anne starà già grigliando qualche animale morto. A me non piace la carne, ma dicono che lei sia molto brava a cuocerla. -
- Il mio stomaco non vede l'ora! -




ndA
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Capitolo 4
*** IV ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
IV.
 

Contro ogni pronostico, la cena stava procedendo davvero bene. Ethan aveva ragione: Anne aveva grigliato delle costolette di bisonte e le aveva condite con dell'ottima salsa gravy. Erano deliziose, tanto buone che Giuda aveva assaporato ogni boccone a lungo. Anche le verdure stufate che aveva preparato come contorno erano squisite, ma la carne era davvero eccezionale. Inoltre, Giuda dovette fare i conti con il fatto che la compagnia di Ethan era piacevole. Era stato tranquillo e sorridente, si era incupito solo quando aveva visto Richard avvicinarsi a sua sorella, e sembrava essersi goduto a sua volta la zuppa di funghi. Avevano parlato di cose futili, come le differenze atmosferiche tra Newcastle e Tampa, dell'accento italiano di Giuda, della peculiarità della cucina del Nebraska e come affrontare la neve. Nessuno dei due era finito con l'invadere lo spazio altrui; paradossalmente, Giuda si sentì più rispettato come persona con cui cenare che come docente.
- Tua sorella è veramente una brava cuoca, - commentò Giuda dopo aver ingoiato l'ultimo boccone. Ethan annuì ma corrucciò subito lo sguardo quando Richard passò al loro tavolo per portare via i piatti. Era evidente che non gli fosse molto simpatico.
- Ecco a voi anche una fetta di torta al triplo cioccolato, - disse Anne sedendosi accanto al fratello. - Piaciuta la cena? -
Il professore sembrò completamente sconvolto: possibile che tutta la gentilezza l'avesse ereditata Anne? Annuì in risposta e le sorrise. - Deliziosa! Ma anche la torta, grazie... che profumo! -
- Non mi piace il cioccolato, - commentò Ethan distrattamente. Giuda trovò l'affermazione piuttosto strana ma non se ne curò più di tanto: era troppo impegnato a gustare il dessert.
- Si dice "grazie" quando ti offrono qualcosa, - lo rimproverò la sorella dandogli un pizzicotto sulla guancia. Sembrava si volessero davvero bene. - Non mi dire che sei così maleducato anche a scuola! -
Giuda iniziò a tossire convulsamente, ma diede la colpa a un pezzettino di pan di spagna che gli era andato di traverso. Ethan scrollò le spalle con la sua indifferenza tipica e inclinò leggermente la testa. - Se non mi rompono le scatole, non lo sono. Altrimenti forse. Un pochino. -
Anne rise; forse percepì quella di suo fratello come una battuta o aveva avvertito una nota di ironia che le era parsa buffa. - Mio fratello fa tutto il tenebroso impenetrabile ma in realtà... -
- Anne. -
- È davvero tenero... -
- Anne! -
- Non è colpa sua, è solo che... -
- Anne! -
- Mi dispiace se le darà del filo da torcere, professor O'Connor, lei sembra così sensibile! -
- Anne!!! - Ethan aveva continuato a chiamarla come se le volesse dire di stare zitta. C'era qualcosa dentro di lui, la stessa che gli aveva fatto diventare le guance rosse, che non gli permetteva di dire altro se non "Anne!". Cosa stava pensando? Perché era arrossito? Sua sorella continuava a parlare con il professore di lui e la situazione gli stava sfuggendo dalle mani; il cuore gli batteva forte, come se fosse impazzito, e l'aria faticava a riempirgli i polmoni.
- Ethan! - esclamarono i due all'unisono, preoccupati.
- Ethan, tesoro, che hai? - chiese la sorella poggiandogli una mano sulla spalla. - Calmati, Ethan, non è successo niente... -
Giuda si sistemò gli occhiali sul naso e si alzò; si avvicinò al ragazzo e provò a parlargli con fare comprensivo. Era un alunno in difficoltà, a prescindere da dove si trovassero, e se voleva conquistare un minimo di fiducia doveva quantomeno provarci. Senza considerare che era umanamente impossibile ignorare il suo malessere. - Vogliamo uscire fuori? Magari un po' d'aria fresca ti farà bene! -
Ethan annuì continuando a respirare a fatica. Anne sembrò sentirsi quasi in colpa, come se la difficoltà momentanea del fratello fosse stata causata da lei; si scostò e fece in modo che i due riuscissero a uscire liberamente. Quando varcarono la soglia della porta, Anne sospirò e poggiò il mento sul tavolo.

- Ancora con quelle sue crisi esibizioniste? -
- Non è esibizionista. -
- Andiamo, vuole stare sempre al centro dell'attenzione! -
- Sta male, Richard! Secondo te perché si vede con Michael?  -
- Fa solo un po' di scena, - commentò Richard.
La donna lo ignorò come al solito. Ogni volta che si parlava dell'argomento, Richard minimizzava il problema di Ethan con frasi come "vuole solo stare al centro dell'attenzione" o "è solo troppo viziato" ... all'inizio, la donna aveva provato a spiegare che le cose non sono sempre facili da decifrare come appaiono in superficie ma non c'era stato modo di farsi capire dal compagno, quindi aveva desistito e aveva iniziato a ignorare i suoi commenti ogni qualvolta se ne presentava l'occasione.
- Porto questi in cucina, - disse Anne. Afferrò poi le stoviglie sporche, sorrise a qualche cliente e si nascose dietro l'anta della lavastoviglie. Sfilò lo smartphone dalla tasca e scrisse un messaggio rapido prima di tornare al bancone.


Nel frattempo, fuori dal locale, Giuda stava morendo di freddo. Nella fretta di uscire non aveva indossato il cappotto e la temperatura era molto più bassa di quanto ricordasse. Ethan sembrava impegnato in un attento e ritmato inspirare ed espirare, quasi come se il darsi un tempo potesse aiutarlo a sentirsi meglio. Forse era così; del resto, c'era pure da dire che Giuda non aveva la minima idea di cosa stesse accadendo. Aveva visto qualche studente fingere un attacco di panico per non essere interrogato e gli era anche capitato che qualcuno soffrisse d'asma in classe ma non così, non in quel modo tanto vero e durante una cena tranquilla.
- Ti senti meglio? - chiese Giuda con voce tremante.
- Ho caldo, - disse e si tolse la felpa con cui era coperto; al di sotto di essa portava una maglia di cotone di una band emo-rock degli anni 2000. Il docente ridacchiò.
- I My Chemical Romance? Sul serio? -
Ethan allungò la felpa verso il professore, che stava visibilmente morendo di freddo, e si sedette sul passamano di legno. Non si domandò il perché di quel gesto ma senza l'enorme felpa l'aria parve arrivargli ai polmoni con più facilità. O forse era solo perché Giuda non l'aveva preso in giro nonostante tutto. - Che ha contro i My Chemical Romance? -
Giuda fu molto sorpreso del gesto del ragazzo tanto che, in un primo istante, si dimostrò titubante nell'accettare la felpa; però faceva davvero troppo freddo per non approfittarne e quindi decise di indossarla. Al ragazzo sembrava andare larga mentre a lui calzava perfettamente. - Niente. Sono la mia band preferita. -
Ethan lo guardò quasi avesse visto un meteorite venire giù dal cielo e batté le palpebre perplesso. - È anche la mia band preferita. -
- Sono stato a un sacco di loro concerti. Pensa che ho anche una foto con Gerard Way! -
Dopo l'affermazione di Giuda, l'opinione che Ethan si era fatto del docente era cambiata radicalmente. Gli sorrise, quasi ammirato, e il suo tono di voce tornò man mano più stabile. - Davvero? -
- Certo. Ovviamente ero in fila già dalla mattina... bisognava conquistare il posto in prima fila! -
Il ragazzo ridacchiò; sembrò stare molto meglio, come se si fosse rilassato dopo un feroce incubo. Giuda lo notò ma non glielo fece pesare e continuò a sorridergli: era difficile fare l'insegnante e lo sarebbe stato ancora di più senza il benestare dei propri studenti.
- Lei è gentile, - disse Ethan, dimenticando il discorso della band. - Sono insopportabile come dice Richard, vero? -
"Sì," avrebbe voluto rispondere Giuda ma scosse la testa. - Forse un po'. Ma se non fosse stato per te sarei rimasto digiuno stasera. -
Il ragazzo sorrise debolmente e annuì. Probabilmente nella sua testa era un modo per scusarsi; il professor O'Connor decise di leggerlo così, almeno, per evitare l'insorgere di ulteriore astio.
- Allora, uhm, mi riaccompagni a casa con la mia auto? È evidente che io non sappia guidare in queste condizioni. Che cosa imbarazzante. -
- Imbarazzante? -
Giuda annuì. - Insomma, sono arrivato fin qui e non riesco a guidare in montagna... -
Ethan appuntò la parola nel cervello, quasi volesse memorizzarla e studiarla, poi scrollò le spalle. - È molto difficile. Mio padre mi ha insegnato a farlo appena ho preso la patente: nel paese dove sono nato è anche peggio. O impari o cammini a piedi che, checché se ne dica, su queste strade è pure peggio. -
L'uomo sorrise ancora e poi rientrò nel locale; recuperò le chiavi dell'auto, il proprio cappotto e il cappello, salutò Anne e Richard e tornò fuori da Ethan. Quest'ultimo era rimasto completamente immobile, quasi fosse diventato una statua di ghiaccio. - Novotny? -
- Presente, - rispose Ethan mettendosi in piedi. Il docente gli lanciò le chiavi e lui le afferrò al volo, poi gli riservò uno sguardo severo. - Non si lanciano gli oggetti, lo sa? - rise. Giuda fece lo stesso... perché sì, era proprio ciò che gli aveva detto quando erano arrivati.
- Sto cercando di ambientarmi con la gente locale, - scherzò.

Si erano messi in auto ed erano partiti verso casa. La radio non funzionava e il telefono non prendeva troppo bene, Giuda riusciva a stento a rispondere ai messaggi sui canali social; Ethan, invece, canticchiava quasi senza rendersene conto. Aveva una voce piacevole, quasi melodica, tanto che Giuda si domandava se non facesse parte di una qualche band o sognasse di fare il cantante. Certo, chiedergli "cosa vuoi fare da grande?" durante il rientro a casa non era una domanda appropriata e quindi aveva deciso di tacere e restare in ascolto.
- Dove abita? - chiese Ethan quando furono nei pressi del centro del paese.
- Di fronte la scuola. Accompagnati a casa e poi raggiungerò la mia umile dimora. -
- Scherza, vero? Se mi vedono uscire dalla sua auto penseranno tutti che io mi sia alleato col nemico. -
- Lo penseranno anche se esci dalla mia auto nel cortile di casa mia, Novotny. -
- Dirò che mi ha rapito, torturato e tenuto in ostaggio. Narrerò le mie gesta epiche nel tentativo di una fuga ben pianificata e riuscita. -
Giuda lo guardò perplesso ma decise di non proseguire oltre nel discorso. Il ragazzo seguì le indicazioni dei cartelli stradali e pochi minuti dopo l'auto fu parcheggiata nel cortile della casa di fronte alla scuola. Uscirono dalla vettura, Ethan restituì le chiavi a Giuda e strinse le spalle. - Allora, buonanotte, - salutò il giovane che, senza colpo ferire, si voltò e fece un passo verso il cancelletto d'uscita.
- Aspetta, Novotny! Sei pazzo? -
- Uhm? Sto tornando a casa. Non mi sembra una cosa folle. Forse lo è? - chiese incuriosito.
L'uomo batté le palpebre perplesso (giurò di non essere mai stato tanto confuso nemmeno durante gli esami all'università) e scosse la testa. - No... no. Ma non puoi andare da solo. -
- Faccio tante cose da solo. Tra due minuti sarò già sotto la doccia. Vede quella? - chiese, indicando una finestra nella casa accanto. - È la finestra della mia stanza. -
- Ti accompagno ugualmente a casa. Se ti derubano nel tragitto? -
- Chi? Gli alberi ghiacciati o gli orsi grizzly della zona? -
- Ci sono gli orsi?! - chiese l'uomo sconvolto.
Ethan rise. - No. Penso si chiami sarcasmo. Forse ironia. La differenza è poca. -
- Tecnicamente, - rispose il docente, - c'è una bella differenza. L'ironia fa sorridere, il sarcasmo ferisce o infierisce. Nel tuo caso era più corretto dire ironia. -
Il ragazzo ascoltò la spiegazione con un interesse che non aveva dimostrato nemmeno nei giorni di lezione; non sembrava finto o superficiale, aveva davvero annotato nella mente la spiegazione del docente. Annuì.
- Allora sì, ironia. Era ironia. Ci sono orsi ma non nei centri abitati, - spiegò.
- Mi sento leggermente più tranquillo, ma non ti lascio andare a casa da solo. -
- Ancora? Ha dimenticato la questione dell'allearsi col nemico? Non la faccia troppo lunga. Ho sempre camminato per queste strade da solo, anche durante la notte. -
- Beh, ma adesso la responsabilità è mia, - sbuffò il docente. - Senti, facciamo così. Ti lascio il mio numero e mi chiami quando sei a casa, ok? Guarderò la finestra per vedere se la luce è accesa, così non imbrogli. -
Ethan roteò gli occhi seccato. - Va bene, - si rassegnò. - Mi dia il suo numero. -
Giuda dettò il numero al ragazzo, che lo salvò nella memoria del cellulare, e attese uno squillo per fare lo stesso. Si sentì immediatamente più tranquillo.
- Ora vai. È tardi. Ci vediamo domani. -
- Lunedì. Domani è sabato, non ci sono lezioni. -
- Ah, già. Lunedì. Ci vediamo lunedì, allora. -
- D'accordo. Buonanotte, - salutò nuovamente il ragazzo che, stavolta, uscì indisturbato.

Giuda lo seguì con lo sguardo per qualche istante, poi decise di entrare in casa. Tolse il cappotto e solo quando andò in camera sua per infilarsi il pigiama (era troppo stanco e confuso per fare una doccia, l'avrebbe fatta il giorno successivo) si rese conto di indossare ancora la maglia del ragazzo. Arrossì violentemente, quasi come se fosse un adolescente e la sua cotta gli avesse rivolto la parola... peccato che l'adolescente fosse Ethan e che lui era un adulto!
"Sono vergognoso," pensò, poi si sedette sul suo letto. "Che diavolo mi prende? Basta una piccola cena insieme... a un ragazzino, che per giunta mi odia quando siamo in classe, e sto qui a fare il fan boy nemmeno fosse Gerard Way."
Giuda sbuffò e sobbalzò appena il cellulare cominciò a vibrare. Non era una chiamata ma solo un messaggio: «Guardi la finestra». Per essere strano, comunque, Ethan era strano. Il professore, però, sorrise tra sé e sé e si affacciò per eseguire quanto richiesto; si intravedeva una luce giallognola e una sagoma che salutava. L'uomo sorrise di nuovo e s'affrettò a rispondere: «Nessun orso grizzly lungo il tragitto?». "Cristo santo, perché gli ho risposto?" si domandò appena premuto il pulsante d'invio. "Sono un imbecille e sono poco professionale."
«No. Un paio di castori hanno provato a estorcermi del cibo in giardino, ma li ho tenuti a bada.»
«Castori?»
«Scherzavo. C'era solo uno scoiattolo sul patio, decisamente non aggressivo.»
«Ottimo!» scrisse Giuda, infine, e poi nascose il telefono sotto al cuscino. Si sfilò le scarpe e i calzini, riponendoli con cura laddove andavano messi, e si spogliò fino a rimanere con addosso solo una t-shirt bianca e un paio di boxer briefs a pois. A pois. Roba serissima. Poi, quando sembrò aver ristabilito l'equilibrio nella Forza, Giuda spense la luce nella stanza e si stese sul letto. Il cuscino vibrò o, meglio, lo fece il cellulare al di sotto di esso.
«Ha lei la mia felpa?»
«La laverò prima di restituirla.»
«Va bene. Buonanotte prof.»
«Buonanotte» inviò e, per essere sicuro di non lasciarsi tentare, spense il telefono e provò a dormire.


*


- Anne mi ha detto che ieri sei andato a cena al pub. Come mai? -
- Ho incontrato il professor O'Connor... o meglio, lui ha incontrato me. -
- Chi è O'Connor? Uno nuovo? -
- Sì. Il supplente. Garcìa sta troppo male per proseguire l'anno. -
- Davvero? Che ha avuto quel vecchiaccio maledetto? -
- Boh. Steve dice qualcosa tipo un infarto. -
- Steve è un idiota. Non dovresti ascoltarlo. -

L'ufficio di Michael era caldo e accogliente. L'arredamento era molto minimale; i mobili erano tutti in legno chiaro, decorati con qualche piantina grassa o volumi di libri dalle copertine colorate. C'era anche un divano con una fantasia che ricordava i colori del Messico, a Ethan piaceva sedersi lì sopra e guardare le montagne dalla finestra mentre parlava con Michael.
- È mio amico, - gli ricordò Ethan.
- Ciò non toglie che sia un idiota, - specificò Michael. - Come hai incontrato il tuo professore? -
- Nel tardo pomeriggio ero andato ad allenarmi con lo skate. A un certo punto ho deciso di sedermi su un muretto e riposare, stavo ascoltando un po' di musica e l'ho visto avvicinarsi. In realtà non mi piace quando interrompono nel bel mezzo di una canzone, - specificò Ethan, - ma Steve dice che... -
- Steve è un... -
- ...idiota, ho capito, - sbuffò il ragazzo. - Steve dice che secondo lui il professore è attratto da me. In realtà è di bell'aspetto, anche se è rosso. Ho pensato che se fossi stato gentile con lui non avrebbe rotto troppo i coglioni. -
- Ethan, - lo rimproverò Michael.
- È una cosa sbagliata? - domandò il ragazzo. Come al solito, sembrava solo voler capire.
- Tu pensi che sia una cosa sbagliata? -
- Non lo so. Gli ho dato la mia felpa. -
- Perché? -
- Faceva freddo. -
- E perché pensi possa essere sbagliato? -
- Non lo so. Ieri... è stato strano. Mentre mangiavamo, Anne è venuta e ha cominciato a dire un sacco di cose... non so descrivere come mi sono sentito. Avrei solo voluto smettesse ed è stato lì che non mi sono sentito al meglio, - sbuffò il ragazzo stendendosi sul divano. Era morbido e comodo.
- Che diceva Anne? -
- Che sono tenero, che non è colpa mia se sono maleducato... io stavo bene con O'Connor. È buono. -
- Ti piace? - chiese Michael sorpreso.
- Non so se è giusto. Però credo di sì. È stato bello... lui è uscito insieme a me, non mi ha preso in giro per le mie cose strane come fa Richard... ehi, perché non dici che Richard è un idiota? -
- Perché lo sai già, - rise l'altro.
- Mh. Non mi piace Richard. Lui non capisce e tratta male mia sorella. Spesso la picchia o le dice cose brutte. Anne piange. Non capisco perché non lo mandi a fare in culo. -
- Sono cose che deve decidere tua sorella, lo sai. -
- Lo so. Ma Richard è un vero stronzo. -
- Ethan... -
- Sì, lo so, ma mi fa incazzare. Vedi? Questo lo capisco. -
- Beh, non pensare a Richard per ora. Dicevi di O'Connor? -
- Oh, sì. Lui mi piace. È uscito con me e abbiamo continuato a parlare... ha detto che gli piacciono i My Chemical Romance! È anche andato a un loro concerto. Poi siamo tornati a casa. Lui ha detto una cosa che non ho capito. -
- Cosa? -
- Ha detto che era "imbarazzante". Lo ha detto quando mi ha chiesto di guidare per tornare a casa. Non penso fosse a suo agio nel guidare in montagna, dice che non lo ha mai fatto. In che senso imbarazzante? -
- Beh, sai. Lui è più grande di te, no? La società si aspetta che una persona più grande sappia fare più cose, che dovrebbe avere più esperienza. -
- Ma non è vero. Voglio dire... io non sono mai andato al mare, sono sicuro che lui lo abbia fatto. Sono due luoghi diversi. Guidare in montagna non è semplice. -
- No, affatto, hai ragione. Non lo è. Ma si sarà sentito imbarazzato perché tu, un suo studente, hai dovuto accompagnarlo a casa. Sai cos'altro è l'imbarazzo? -
- Cosa? -
- Quello che provavi mentre tua sorella diceva a O'Connor "è tenero". Per questo ti sei sentito così. -
- Oh. Era imbarazzo? -
- Penso di sì. -
Ethan immagazzinò l'informazione e proseguì con il racconto. - Comunque, voleva accompagnarmi a casa e io gli ho detto di no. Non abita lontano da me. Mi ha dato il suo numero di cellulare... anche lì ho provato una cosa strana. -
- Cosa? -
- Non lo so. Era strano. È una cosa strana, no? Che cos'è? -
- Forse era preoccupato per te. Era tardi, voleva tornassi a casa al sicuro, no? -
- Sì. Ma è stato diverso. -
- In che senso? -
- Anche i miei amici mi mandano messaggi, ma... ieri sera, quando mi sono arrivati i suoi messaggi, è stato diverso. Ho sentito qualcosa nello stomaco. -Michael sorrise; sapeva perfettamente (o ne era proprio sicurissimo) a cosa si riferisse il ragazzo.
- Quindi, ti piace? -
Ethan annuì.
- Ah, allora non vedo l'ora di incontrarlo domani! -
- Cosa? - urlò il ragazzo visibilmente spaventato. Il cuore iniziò a battergli sempre più forte e sgranò gli occhi spauriti.
- Tranquillo, Ethan. Non gli dirò niente, lo sai: quello che ci raccontiamo resta fra queste mura. -
Il ragazzo, però, non sembrò calmarsi e cominciò a usare le mani come se fossero un ventaglio per farsi aria. Michael, allora, si alzò dalla sedia e lo raggiunse; si ritagliò un angolino di divano sul quale sedersi e lo accarezzò lungo la schiena. - Inspira ed espira, Ethan. Inspira ed espira. -

 




ndA
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Capitolo 5
*** V ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
V.
 

Il weekend di Giuda era trascorso senza troppi intoppi. Ne aveva approfittato per sistemare le sue cose (da quando era arrivato a Newcastle non era ancora riuscito a farlo. Aveva recuperato dalla valigia solo gli abiti da indossare per recarsi al lavoro, ma aveva ancora altra roba da tirar fuori). Aveva anche fatto una video chiamata con gli amici che aveva lasciato a Tampa, scritto ai suoi genitori e rispolverato tutta la camera. Per fortuna aveva il bagno privato; non aveva conosciuto tutti i suoi coinquilini, ma da quello che aveva visto negli spazi comuni non sembravano tenerci particolarmente all'igiene. Era stato così bene, nel suo dolce far nulla, che il lunedì arrivò atteso come una botta sulla fronte. Deciso, però, ad arrivare in aula prima dei suoi pessimi alunni, Giuda aveva aperto gli occhi appena era suonata la sveglia e alle 7:30 del mattino era già in aula sul piede di guerra. 

Michael, invece, era decisamente più allegro; aveva parcheggiato l'automobile nel cortile della scuola, recuperato i caffè take-away che aveva acquistato da Starbucks e sfoggiato i suoi nuovi occhiali da sole per i corridoi della sua ex scuola superiore. Sebbene fosse inverno inoltrato non toglieva mai gli occhiali da sole; qualcuno lo prendeva in giro (con cose tipo: "è per coprire le occhiaie! Chissà che guardi tutta la notte invece di dormire, eh...") mentre altri apprezzavano il suo senso della moda. Salutando assistenti scolastici e alcuni professori, Michael raggiunse l'aula 2-B alle 7:45. Vi entrò come se fosse un rocker atteso a un concerto, allungando un braccio che reggeva uno dei due caffè.

- Professor Garc... professor Garcìa, la vedo ringiovanito, - scherzò.
- Oh, ehm... - borbottò Giuda a metà tra lo spaventato e il sorpreso. - Non sono il professor Garcìa. -
- Questo lo intuisco, - rispose Michael. - Le va ugualmente un caffè? È con la panna! -
- Ehm... grazie, - disse l'altro. Accettò solo perché gli sembrò brutto rifiutare. - Lei è? -
- Io sono Michael Cromwell, consulente degli studenti. Lei, invece? -
- Sono Giuda O'Connor, sostituisco il professor Garcìa. -
- Sono sconvolto, - rise Michael sedendosi su uno dei banchi di fronte al professore. - Era il mio professore durante il liceo. Non l'ho visto assentarsi nemmeno quando si è spezzato una gamba. -
Giuda rise e si accomodò seduto sulla cattedra. - Evidentemente, l'infarto deve averlo fatto rallentare. -
- Già. Poi questa è una classe davvero difficile, - commentò.
- Ho avuto modo di, ehm, avere un'anteprima la scorsa settimana. -
Michael sorseggiò del caffè e scosse la testa ridendo. - Sono sicuro che l'unica più o meno con i neuroni al posto giusto sia mia sorella Lisa. -
- Cromwell! Sì, non ci avevo pensato, - sorrise, - lei è bravissima. È sua sorella? -
- Mi dia pure del tu, - disse con gentilezza il consulente. - Comunque sì, è mia sorella. -
- L'unica a cui non abbia già messo una nota disciplinare! -
- Non ha proprio preso da me, - ammise Michael. - Sono stato l'incubo del professor Garcìa per almeno due anni. -
- Sono sicuro che avrò già diversi incubi a cui badare quest'anno, - si lamentò Giuda.
- Beh... non voglio rubarle altro tempo, - disse Michael rimettendosi in piedi. Fece un altro sorso al caffè e poi sorrise all'altro uomo. - Comunque, dato che resterà qui per un bel po'... forse è il caso di fare una chiacchierata su alcuni dei suoi
studenti, questo pomeriggio. -

- Su alcuni dei miei studenti? - ripeté.
Michael annuì. - Ci sono alcuni casi da tenere sott'occhio, se non le dispiace, magari dopo pranzo... Sa, oggi sono in sede fino al tardo pomeriggio. Magari può fare un salto nel mio ufficio quando ha finito. -
- Sì, volentieri, certo, - rispose Giuda. - E ti porterò un caffè per sdebitarmi, - aggiunse.
- Non si preoccupi, - lo rassicurò l'altro. - Allora a più tardi! - salutò con un cenno e poi uscì dall'aula storcendo le labbra. Era sicuro di essersi perso qualcosa.

 

La campanella suonò. Erano le 8:00 e tutti gli studenti, con pochissima voglia di riprendere le lezioni, iniziarono a entrare nell'edificio e a diramarsi tra le varie aule; Michael individuò sua sorella (con quell'idiota di Steve alle calcagna) e un altro paio di sue conoscenze, ma non sembrò sorpreso di non vedere Ethan. Sorseggiò nuovamente il caffè e si rinchiuse in ufficio, consapevole che l'attendeva un'altra giornata di merda nella sua vecchia scuola.
Michael odiava quel posto. Viverlo da adolescente era stato un vero e proprio incubo; non avrebbe mai dimenticato i pomeriggi passati in punizione per aver picchiato Richard l'imbecille o le innumerevoli volte in cui Anne aveva provato a farlo ragionare. Strano che poi, con il suo bel bagaglio di detenzioni e voti bassi, fosse finito a fare lo psicologo. Si sedette dietro la scrivania, accese il computer (era davvero obsoleto. Aveva ancora un vecchio Win98 e il monitor col tubo catodico) e si sentì più vicino che mai a quella che era stata la sua adolescenza: mediocre.
Ethan si era presentato in aula ampiamente in ritardo, come era suo solito fare. Almeno stavolta aveva avuto la decenza di non bivaccare mentre entrava e prendeva posto.
- Scusi il ritardo, professore, - disse pure. Sembrava quasi un'altra persona.
- Novotny, il giorno che arriverai in orario cadrà il mondo, - commentò Steve e la classe rise. Giuda storse le labbra. - Ragazzi, silenzio. -
Ethan aveva l'aria stanca, come se avesse dovuto affrontare per davvero un orso grizzly nel breve tragitto tra casa sua e l'aula 2-B. Si sedette al banco accanto al suo amico e poggiò con un tonfo i libri e i quaderni sul banco; tolse la penna dai capelli e questi ultimi, lunghi e lucenti, gli scivolarono sulle spalle.
- Quell'imbecille di tuo cugino, - mormorò Novotny per non farsi riprendere da O'Connor, - ha tenuto il bagno occupato per due ore. Perché non te lo riporti a casa? -
- Perché è fidanzato con tua sorella e vivono insieme, - rispose Steve.
- Allora vengo a casa tua. -
- Tu sei pazzo. -
- Tuo cugino è un idiota. -
- Silenzio, Novotny e Anderson! - li riprese, infine, il docente. - Se avete finito coi convenevoli possiamo anche iniziare la lezione. O volete condividere qualcosa col resto della classe? -
- Suo cugino è un idiota, - rispose Ethan serio. Sembrava non aver colto l'ironia (o forse era sarcasmo? Difficile da distinguere, in questo caso) dietro la domanda del docente. "Ah no, forse era una domanda retorica," concluse Ethan e batté gli occhi. La classe rise ed Ethan si sentì fuori luogo per aver risposto a una domanda che, evidentemente, non voleva risposta. - Scusi. -
Giuda avrebbe voluto chiedergli chi diavolo fosse il cugino di Steve ma preferì non gettare benzina sul fuoco e si limitò a lanciare ai due un'occhiata da ammonizione. - Ora, aprite il libro al capitolo numero 7. -

Novotny non aveva voglia di seguire l'ennesima noiosa lezione di Letteratura Inglese. Maledetti inglesi, loro e le loro stupide poesie che parlavano di cose incomprensibili. Però, si disse, non voleva infastidire O'Connor né rendergli la vita impossibile: era stato davvero gentile... e quello scambio di messaggi... Ethan si accasciò silenziosamente con la testa sul banco e voltò lo sguardo verso la finestra: d'improvviso aveva cominciato a piovere e l'acqua veniva giù a secchiate, scivolando a gocce grosse e grasse lungo il vetro. Sembravano quasi delle lumache uscite in cerca di qualche foglia di dente di leone per quanto erano grandi. Riflettendo sulla profondità dell'ecosistema, della pioggia che aveva tolto un alone dal vetro, dalle lumache che mangiavano foglie di dente di leone e su quanto Richard fosse un completo idiota, Ethan socchiuse gli occhi fino ad addormentarsi. La voce melodica di Giuda che, con tono pacato, leggeva l'introduzione di un libro di Mary Shelley, sembrò cullare il ragazzo fino a guidarlo in un sonno profondo che perfino la campanella di fine lezione non riuscì a ridestare.
Steve rise e si avvicinò a Lisa chiedendole di "dare un'occhiata" (tutti sapevano che avrebbe semplicemente fatto una foto e copiato) ai suoi appunti. Tutti gli altri stavano già salutando il professore e rapidamente correvano verso le altre aule.

- Novotny... va bene che Mary Shelley non è Ricky Gervais ma addirittura addormentarsi così impunemente... Novotny! - chiamò ma il ragazzo sembrò non accusare minimamente quella sveglia improvvisata. Considerando quanto era successo quella sera a cena, Giuda pensò che si fosse sentito male (e si diede dell'imbecille per non essersene accorto, "Un mio studente sta male e io penso a Frankenstein!") e si avvicinò subito a lui.
- Novotny! - chiamò ancora. Allungò una mano verso di lui e provò a scuoterlo. - Novotny? -
- Huh? -
- Buongiorno. -
- Mi ero addormentato? - chiese Ethan sorpreso.
- Direi di sì, Novotny. Decisamente inappropriato. -
Ethan sospirò. Era davvero stanco e l'aver litigato con Richard prima di andare a scuola non gli era stato d'aiuto. Scrollò le spalle e infilò penna e quaderno nella messenger bag.
- Tanto non avrei seguito lo stesso, - ammise spudoratamente.
Giuda non aveva riposto alcuna speranza sul fatto che le cose sarebbero potute cambiare dopo quel venerdì sera ma si aspettava almeno un minimo di attenzione da parte del ragazzo, un briciolo di rispetto in più. Beh, riflettendoci, era già tanto che si fosse presentato in aula e se ne fosse stato zitto senza disturbare.
- Potresti almeno sforzarti un po', comunque. È una materia che hai scelto tu, perché ostinarsi così tanto a non seguirne le lezioni? -
- Pensavo fosse diversa, credevo potesse insegnarmi qualcos'altro. È che non la capisco, - spiegò il ragazzo scrollando le spalle. Si alzò, legò i capelli con una penna e mise la messenger bag sulla spalla. - Ora vado. Ho lezione di biologia. -
Indeciso se mettergli o meno una nota disciplinare (si era pur sempre addormentato durante una lezione), Giuda restò in silenzio e si appoggiò al banco, ormai vuoto, del ragazzo; scrollò le spalle e gli fece un cenno rapido di saluto, rivolgendo poi lo sguardo verso Anderson e Cromwell ancora intenti a chiacchierare.
- Steve, lasciala in pace, cazzo, - sbottò Ethan afferrando il polso di Lisa. - Abbiamo lezione con il professor Key adesso. -
La ragazza rise e seguì Ethan senza fare storie; sembrò, anzi, addirittura sollevata dall'esser stata trascinata lontano da Steve.
- Ethan, - chiamò Cromwell camminando accanto al ragazzo. - Secondo te io gli piaccio? -
- In che senso? -
- Nel senso... - Lisa arrossì. - Se gli piaccio. È un tuo amico. Secondo te io gli piaccio? -
Novotny sembrò confuso e batté gli occhi un paio di volte. - Gli piaci in che senso? -
- Ethan... lascia perdere, - sospirò lei affranta. Voleva bene a Ethan ma spesso era davvero difficile comunicare con lui.
Tuttavia, il ragazzo non sembrò voler lasciar perdere e continuò. - Come il gelato alla fragola? -
- Fa schifo il gelato alla fragola! -
- È il gusto preferito di Steve, - rispose Ethan sorridendo.
Lisa arrossì violentemente. - Allora sì, come il gelato alla fragola... -
Il ragazzo sembrò pensarci su seriamente e si voltò verso di lei quando fu vicino alla porta dell'aula di biologia. - Forse un po' di più del gelato alla fragola, - sentenziò e le sorrise.


*

Quando le lancette dell'orologio segnarono le ore 17:00 l'ultima campanella della giornata suonò. Tutti, docenti e alunni, tirarono un grosso respiro di sollievo.
- Piano, fate piano, - borbottò Giuda quando gli studenti dell'ultima classe corsero verso la porta quasi come se stessero scappando dall'inferno. Lui, invece, si accasciò sulla sedia stanchissimo e, quando tutti gli alunni lasciarono l'aula, poggiò la fronte sul bordo della cattedra. Sentiva gli occhi stanchi, doveva andare in bagno e, dopo una lunga giornata ricca di note disciplinari e compiti non svolti, voleva solo fare un bagno caldo e dormire. Invece aveva preso appuntamento con Michael Cromwell e gli doveva anche portare un caffè. "Chissà se la caffetteria è ancora aperta in mensa," pensò. Erano già le 17:00 e non avrebbe fatto in tempo per raggiungere lo Starbucks più vicino e prendergli un Frappuccino. Si massaggiò al centro della fronte per farsi coraggio, infilò rapidamente le sue cose nella borsa e si alzò in piedi; controllò che in aula fosse tutto al posto giusto, che le finestre fossero chiuse, che nessuno avesse lasciato libri o quaderni sopra (o sotto) al banco e poi, dopo aver spento la luce, uscì.
Con la stanchezza dipinta in volto, O'Connor raggiunse la caffetteria e fu sorpreso di trovare un tavolo ancora occupato. Guardando con più attenzione, si rese conto che era Michael la persona a occupare un posto e fu sollevato dal non dover raggiungere l'ufficio, sicuramente angusto, che gli avevano assegnato. Pagò per un caffè lungo e un tè alla menta e, dopo che fu servito dalla gentile e paffuta impiegata, si avvicinò al tavolo vicino la parete di vetro.
- Ciao Michael, - salutò e gli allungò uno dei bicchieri.
- Uh? - l'uomo sembrò sussultare, abbassò gli occhiali da sole, prese il caffè e sorrise. - Ah, O'Connor! -
- Tutto bene? - chiese il docente inclinando la testa.
- Sì, sì, stavo solo pensando, - ridacchiò Cromwell. Spostò con la punta del piede la sedia di legno di fronte a sé e l'invitò a sedersi.
Giuda si accomodò e sorrise a sua volta. - Sembravi molto assorto, in effetti. Disturbo? -
- No, figurati. Ci saremmo anche dovuti vedere a breve... meglio qui che in quel buco del mio ufficio. -
- Allora è davvero angusto come pensavo? -
- Oh sì, e anche pieno di polvere. Ho dovuto prendere un antistaminico poco fa, - sbuffò Michael. - Per questo sono qui ora. A te com'è andata? -
- Ehm, domanda di riserva? -
- È andata così male? -
- In realtà pensavo peggio. Oggi sono stato fortunato. -
- I ragazzi qui sono tutti troppo poco stimolati. Ti renderai conto da solo che non c'è molto da offrire loro, allora trovano un modo per sfogare i super ormoni da adolescenti. Sto parlando come un vecchio, vero? -
Giuda rise ma annuì per dargli ragione. - Un solo pub nel giro di miglia, solo casa e scuola... un bellissimo parco, certo, ma se ci sono gli orsi... -
- Gli orsi? - chiese Michael a bocca aperta.
- Beh, Novotny ha detto che... - Il professore notò lo sguardo dell'altro uomo e poi batté gli occhi. - Mi stava prendendo in giro? -
Il terapeuta scoppiò in una risata fragorosa e non riuscì a bere il suo caffè per almeno qualche minuto.
- Lo prendo per un sì, - sbuffò il professore.
- Ci sono sicuramente orsi e bestie feroci, ma non al parco! -
Giuda scosse la testa amareggiato. - Non posso credere che... -
- Ethan è sempre super serio quando dice qualcosa, è difficile capire quando scherza e quando non lo fa. -
- Direi di sì, visto che ero convinto che prima o poi avrei passeggiato mano nella mano con un orso. -
Il professore sorrise, bevve un altro sorso di tè e guardò fuori dalla finestra. Per un secondo gli sembrò di essere tornato al college quando, dopo le lezioni, chiacchierava con qualche collega del più e del meno.
- Comunque... visto che siamo soli, considerando che nel mio ufficio potrei morire d'allergia agli acari, che ne dici se spostiamo qui la nostra riunione? -
- Va benissimo! Sono stato chiuso tutto il giorno in aula, un po' di spazio in più non mi dispiace affatto. -
Michael sembrò sollevato tanto da poggiare gli occhiali da sole sul tavolo. I suoi occhi erano azzurri e molto chiari, infatti Giuda aveva iniziato a chiedersi se non indossasse gli occhiali da sole per proteggerli.
- Tanto sarò breve, non vedo l'ora di tornare a casa, - ammise Michael; poi iniziò a raccontargli di alcuni problemi con cui avrebbe potuto scontrarsi. C'era qualcuno con una leggera forma di sindrome ossessiva compulsiva, un paio di studenti
che non avevano preso molto bene la separazione dei genitori, una ragazza che aveva tentato il suicidio e che stava lottando contro i suoi demoni interiori e qualcuno con scatti d'ira improvvisi.

- ...e poi c'è Ethan, - disse, - lui è un po'... diverso. -
- Novotny? Che ha, a parte l'abilità di far esasperare i suoi insegnanti? -
- Lui ha un disturbo poco conosciuto e spesso confuso con qualche patologia più grave. Fortunatamente, è solo un analfabeta emotivo. -
- Analfabeta emotivo? -
- Sì, soffre di alessitimia. Ne hai mai sentito parlare? -
- No... di cosa si tratta? -
- L'alessitimia è una condizione di ridotta consapevolezza emotiva, che comporta l'incapacità sia di riconoscere sia di descrivere verbalmente i propri stati emotivi e quelli altrui. Non vuol dire che lui non provi emozioni ma che non è capace di parlarne se non paragonandoli a qualcosa di fisico. Se ci rimane male per qualcosa non lo dirà se non con qualcosa tipo "è stato come spezzarsi un'unghia" o "come cadere dallo skate"... e siamo giunti a questo traguardo dopo anni. -
- Oh... cavolo, davvero? Non riesco a... cioè... -
- Per questo legge molti libri, per imparare nuovi modi di esprimersi, per cercare di capire se qualcuno ha mai descritto il modo in cui lui si sente. Per fortuna è anche una persona molto determinata, quindi si impegna duramente e fa molti progressi, ma quando si trova in una situazione scomoda reagisce sempre in qualche modo strano, come scappare o auto difendersi. A volte, quando è più confuso, ha lievi attacchi di panico. -
A quella frase, Giuda sgranò gli occhi e si bloccò con il bordo del bicchiere poggiato sulle labbra. Ripensò a quando, il venerdì sera, erano andati all'Anne's bar e il ragazzo aveva avuto una piccola crisi respiratoria: si era trattato di un attacco di panico o qualcosa di simile?
- E come... cosa devo fare quando capita? -
- Parlargli di cose a caso, cose che gli piacciono o cose banali sulle quali lui possa fare conversazione. O cacciarlo dall'aula e dargli modo di sbollire. Dipende, in realtà, - disse Michael finendo il suo caffè. Pensò che Giuda fosse un buon insegnante, dopotutto: Garcìa non si era mai davvero preoccupato di questa situazione, tanto che Michael aveva perfino sospettato di non esser stato preso sul serio.
- Da cosa? -
- Beh, dall'intensità dell'emozione che prova! Se... -


- MICHAEL! - urlò una ragazza all'improvviso.
L'uomo si voltò verso di lei, sorpreso, e inclinò la testa. - Lisa sono... -
- Michael, Ethan! È Ethan! - Lisa era rossa in viso e ansimava per la corsa fatta; voleva raggiungere suo fratello più in fretta possibile e quando non l'aveva trovato nel suo ufficio aveva girato quasi tutto l'istituto. - Ti ho provato a chiamare al cellulare! -
- L'ho lasciato in ufficio, - sbuffò Michael mettendosi in piedi.
- Che è successo a Novotny? - chiese Giuda apprensivo. Non capiva perché si preoccupava tanto.
- Lui, beh... ecco... Michael... ve lo dico mentre andiamo in palestra, ok? -
- È tanto grave? -
Lisa annuì e uscì dalla mensa, seguita dai due. - Stavamo facendo il corso di musica, - spiegò indicando i suoi abiti. - Ethan stava suonando il suo violino mentre io stavo pulendo il flauto quando è entrato un gruppetto di imbecilli che ha iniziato a prenderci in giro perché "siamo una banda di sfigati, ah ah, che ridere, avete capito? Banda, perché suonano" e cose così... -
Giuda si era soffermato a pensare all'immagine, per lui idilliaca, dei capelli di Ethan assecondare ogni suo movimento mentre suonava e si era perso parte del discorso; Michael, invece, sembrava confuso.
- Beh, comunque, Ethan stava suonando e ha chiesto a questi imbecilli di fare silenzio. Sono ovviamente finiti alle mani e uno di questi ha... ha spezzato l'arco di Ethan... -
- Oh merda. Il violino che gli ha regalato sua mamma? -
Lisa annuì. - Sì, quello. Comunque lui è rimasto come pietrificato, è stato difficile per me mandare via quei due energumeni, nel frattempo avevano continuato a tirare calci e pugni ma Ethan è come se si fosse bloccato. -
- Chi erano? -
- Quegli imbecilli della sezione D, - commentò Lisa.
Raggiunta l'aula di musica, lo spettacolo che i due adulti si ritrovarono di fronte fu un tantino raccapricciante: Ethan era poggiato con le spalle contro il muro, stringeva tra le mani l'arco spezzato, aveva lo sguardo completamente vuoto e perdeva sangue dal naso e dalla bocca.
- Novotny!!! - chiamò il docente avvicinandosi subito a lui; sembrava quasi un pupazzo per quanto fosse imbambolato. Respirava così tanto impercettibilmente che, per un istante, Giuda pensò di portarlo in ospedale.
- Calma, calma, - disse Michael. - Ehm, perché non andate a prendere qualcosa dall'infermeria? Dobbiamo quantomeno pulirlo da questo sangue, - suggerì.
- Vado io, - disse Lisa preoccupata. - Torno subito. -
Giuda si allontanò un po' per fare spazio a Michael che, con una tranquillità disarmante, si inginocchiò di fronte al ragazzo.
- Ethan, mi senti? -
Nessuna risposta.
- Ethan, - chiamò di nuovo. - Non è tua mamma, - spiegò. - Lo faremo aggiustare. Mi senti? -
Silenzio. Michael tolse gli occhiali e portò una mano tra i capelli del ragazzo, quasi come se volesse accarezzarlo. - Ti hanno rotto l'arco. Sei arrabbiato e triste, perché è l'ultima cosa che ti ha regalato lei. Ma, vedi, l'arco non è tua mamma. Il violino non è tua mamma. Mi senti? -
Ethan continuò a restare immobile e zitto. Giuda faticò persino a credere che quello era lo stesso ragazzo arrogante e maleducato con cui si era scontrato durante il suo primo giorno di scuola e sembrò molto preoccupato nel vederlo così. Tuttavia, restò in silenzio, perché se c'era una cosa da fare era quella di lasciarlo alle cure di un professionista.
Michael sapeva benissimo a cosa era dovuta la reazione del ragazzo; era veramente difficile non poter dar sfogo ai propri sentimenti già da persona sana, figuriamoci gestire un trauma nelle sue condizioni.
- Ethan, - disse nuovamente l'uomo usando un tono dolce. Allungò una mano su quella del ragazzo e provò ad afferrare un pezzo dell'arco rotto; in quel momento Ethan strinse forte il pezzo di legno, come se non gli avrebbe mai permesso di portarlo via.
Lisa tornò con delle garze sterili e un disinfettante. - Come sta? - domandò.
Giuda aprì una confezione monouso di garza, versò su un po' di disinfettante e si avvicinò al ragazzo. Gli faceva veramente schifo il sangue, e faticò a trattenere un verso nauseato, ma si prodigò a pulirgli il viso in prossimità del naso con attenzione.
- Probabilmente brucerà un po', - gli anticipò. Il ragazzo non si smosse.
- Lo aggiusteremo, Ethan. E metteremo in punizione quelli che lo hanno rotto, - continuò Michael.
La pelle intorno al naso del ragazzo sembrò già assumere un colorito violaceo, segno che sarebbe rimasto un bel livido; anche se aveva una grande e spessa corazza, Ethan sembrava essere molto più delicato di quanto non apparisse. Giuda aprì pure una seconda confezione di garza per pulirlo meglio e sembrò dispiaciuto dal vederlo così inerme; cercò di sorridergli per sembrare rassicurante ma fu rincuorato di non essere da solo a fronteggiare una crisi così grossa.
- Dovevo proteggerlo, - sussurrò Ethan con voce spezzata.
Lisa sospirò, paradossalmente sollevata. - Erano due imbecilli grandi e grossi, quegli stronzi! -
- Lisa! - la riprese il fratello.
- Erano proprio stronzi, Michael, e cazzo se non mi iscrivo a un corso di autodifesa entro l'anno... -
- Lisa! - la richiamò di nuovo Michael. - La violenza non risolve i problemi. -
- Beh, se fossi in grado di tirare pugni col cazzo che sarebbero venuti a romperci le palle. Scusa Ethan, è colpa mia. -
Giuda osservò la ragazza con le labbra spalancate: Cromwell, la sua unica speranza in tutta la sezione B, era diventata una scaricatrice di porto.
- Non è colpa tua, Lisa, - rispose Ethan con lo stesso tono lento di prima.
- Però il calcio che gli ho tirato... -
- Lisa!!! - Stavolta Michael rise e scosse la testa. - Ma tu non eri quella gentile tra i due Cromwell? -
- Sono gentile con i miei amici, mica con gli stronzi. -
- Logica inattaccabile, - commentò O'Connor scrollando le spalle. - Comunque, fai questo corso quando il mio incarico sarà finito, ok? Non posso sopportare che anche tu finisca col diventare come tutto il resto della gente di questa scuola. -
- Va bene professore, - ridacchiò lei seguita a ruota dal fratello.
Ethan sospirò, sembrava esausto, come se fosse reduce da una grossa battaglia. Forse era così, pensò Giuda, e la guerra si era svolta all'interno della sua sfera emotiva lasciandolo distrutto.
- Michael, - chiamò Ethan.
- Dimmi. -
- Ti sento. -
Michael sorrise affabile. - Proviamo a sciogliere la matassa, ok? -
Ethan annuì con sommo disappunto da parte del professore che tentava di medicarlo.
- Le sue mani sono così calde, - disse Ethan rivolto a O'Connor. Quest'ultimo sembrò confuso, al contempo Michael scosse la testa.
- Ethan! -
- Ti sento Michael. -
- Però ascolta solo me, ok? -
- Va bene. -
- Sono venuti qui e... cos'è successo? -
- Erano Joel Dickson e Tom Cockshold, dell'ultimo anno della sezione D, - specificò Ethan. - Io stavo suonando, Lisa stava pulendo il flauto... comunque sono venuti qui e hanno fatto qualche battuta che, probabilmente, faceva ridere. Loro ridevano. Io non l'ho capita. -
- "Che banda di sfigati, ah ah, che ridere, avete capito? Banda, perché suonano", - citò Lisa con una smorfia che sottolineava il disprezzo per i due.
- Sì, esatto, quella. Non l'ho capita, - sospirò Ethan, - e non ho riso. Hanno continuato a chiamarci sfigati perché suoniamo, come se la musica fosse roba da sfigati... è roba da sfigati? -
- No, - risposero Michael e Giuda all'unisono.
- A me piace la musica e mi piace suonare, - ammise Ethan scrollando le spalle, cosa che gli causò dolore alle ossa. - Ho detto che se a loro non piaceva potevano pure uscire visto che questa è l'aula di musica... -
- Stronzi, - borbottò Lisa tra i denti guadagnandosi l'ennesima occhiataccia dal fratello.
- Così hanno cominciato a lanciarci addosso cose, poi Joel è venuto a darmi un pugno nello stomaco, a caso. Così gli ho tirato un calcio. A quel punto Tom si è rubato l'arco e... e poi... l'ha buttato a terra e l'ha calpestato fino a quando non l'ha rotto. Ho provato a buttarmi sull'arco per prenderlo da sotto ai suoi piedi, - spiegò Ethan mostrando le mani livide e sporche, - ma non è servito. È rotto. È rotto come me, Michael. -
- Tu non sei rotto, Ethan, - lo rassicurò l'altro. - Faremo riparare quest'arco e ne compreremo uno nuovo, così non dovrai portarlo a scuola, va bene? -
- Sì. -
- Ethan, non sei rotto. -
- Sono rotto, Michael. Se fossi sano avrei riso a quella battuta oppure, non lo so, mi sono perso. Quando l'arco si è spezzato io... io non ricordo cosa è successo dopo. L'arco era rotto. -
- Non sei rotto, Ethan, e quella battuta non faceva ridere. Dickson e Cockshold sono venuti qui solo per fare a botte. -
Il ragazzo non sembrò troppo convinto ma si lasciò andare in un respiro profondo che gli provocò ulteriore dolore fisico.
- Ce la fai ad alzarti? - chiese il professore. - Ti fa male qualcosa? Dobbiamo andare in ospedale? -
Ethan provò a rimettersi in piedi ma il solo tentare di muoversi lo fece gemere dal dolore. - No, - rispose.
Così, Giuda e Michael provarono ad aiutarlo, sostenendolo con le spalle sotto le sue ascelle; con non poche difficoltà, il ragazzo si rimise in piedi. Era evidentemente sofferente.
- Ethan, ora ti alzerò la maglia per vedere se ci sono lividi o segni, ok? Se ci sono dobbiamo andare in ospedale, - l'avvisò Michael.
- Va bene, ma non voglio andare in ospedale. -
- Ethan, non riesci nemmeno ad alzarti, - l'ammonì il terapeuta. - Controlliamo. - Michael gli sollevò la maglia e l'addome sembrava gonfio e violaceo. Avrebbe dovuto portarlo necessariamente in ospedale. - Ethan... -
- Non ci vado in ospedale, - disse il ragazzo prima di sputare un po' di sangue a terra e lamentarsi con un gemito del dolore.
- Invece ci andiamo, e anche di corsa, - sentenziò il docente con tono autoritario. Bello il Nebraska, proprio bello. Accogliente.
- Ho l'auto qui fuori, - disse Michael camminando insieme all'altro uomo per portare fuori il ragazzo. Non era in grado nemmeno di stare in piedi da solo. - Lisa, tu prendi il suo violino, l'arco, la sua roba, la tua e vai da Anne. Avvisala, sono sicura che ci vedremo in ospedale. -
- Sì, capo! - rispose la ragazza; sembrò scherzosa ma era evidentemente preoccupata per il suo migliore amico.

 




ndA
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Capitolo 6
*** VI ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
VI.
 

Se non si voleva attraversare il confine con il Dakota del Sud, dove vigeva tutt'altra regola ospedaliera, l'ospedale più vicino a Newcastle si trovava a circa un'ora di automobile. Una cosa davvero indecente, pensò Giuda guardando fuori dal finestrino.
- A volte, per i casi gravi mandano un elicottero, - spiegò Michael spingendo sull'acceleratore.
- Resta davvero scandaloso, - sbuffò Giuda. - A Tampa è pieno di ospedali o centri clinici. -
- Tampa è una grande città. Qui siamo solo montanari, - scherzò Michael.
- Vergognoso, - ripeté O'Connor che, apprensivo, lanciò uno sguardo su Ethan. Il ragazzo sembrava essersi addormentato con un'espressione dolorante. - Dici che è grave? -
- Spero di no, - rispose l'altro, - in ogni caso l'Osmond General Hospital è efficiente, sistemeranno tutto. -
- Come fate a vivere in questo modo? - domandò Giuda preoccupato. - Se uno si fa male o ha bisogno di punti... -
- Beh, abbiamo un medico nel paese e per le cose più semplici ci si rivolge a lui. Ma in questo caso è più sicuro portare Ethan in ospedale. -
- Sì, concordo, - sospirò mesto. L'idea che si era fatto di una vita in un piccolo paese di montagna che prevedeva pace, tranquillità e giovialità degli abitanti oltre che tanto buon cibo, si stava confrontando con quella che era la realtà dei fatti: comunicazioni e infrastrutture limitate, poca scelta nei supermercati e l'indispensabilità di avere un'automobile anche per svolgere le mansioni più comuni. Giuda si voltò nuovamente per controllare il ragazzo e notò che aveva ripreso a perdere sangue dal naso.
- Penseranno che lo abbia ucciso io, - scherzò Michael, - con tutto il sangue che mi lascerà in auto! -
- È davvero così pericolosa la sua situazione? -
- In realtà sì e no. Dipende: se quei due bulletti non fossero arrivati alle mani, probabilmente non saremmo finiti a doverlo accompagnare in ospedale. Avremmo continuato a parlare e si sarebbe sbloccato, avremmo fatto un po' di terapia e
sarebbe filato tutto liscio come l'olio. -

- Mi domando perché continuare a picchiare un ragazzo che è in evidente stato di shock. Tua sorella ha detto che, quando l'arco si è rotto, Ethan è rimasto immobile così come lo abbiamo trovato! Certo, se fino a poco prima stavano facendo a botte... -
- Con tutti gli ormoni in circolazione e la frustrante realtà in cui abitiamo a Newcastle, non è difficile che i ragazzi si pestino per dare sfogo alla rabbia. Anche quando andavo io a scuola era così ed è un tipico comportamento adolescenziale quello di ricorrere alle mani. A te davvero non è mai successo? -
- Io venivo sempre picchiato al liceo, Michael, - rise. - Ero il classico tipo con gli occhiali, i capelli arruffati, una passione innaturale per i videogame e i voti altissimi in tutte le materie. Devo dire che avevo anche un coraggio sferzante: la mia lingua non lesinava dal rispondere in maniera del tutto sarcastica ai membri della squadra di Football. Il liceo è stato un vero incubo, almeno fino a quando non ho preso lezioni di Taekwondo. -
Michael scoppiò a ridere davanti alla confessione e poi scosse leggermente la testa. - Non avevi istinto di sopravvivenza?! -
- Assolutamente no. Ma mi lasciavano in pace quando perdevo i sensi, cosa che accadeva spesso... a volte fingevo, ovviamente. Una volta su dieci. -
- Immagino che eri anche il tipo che andava a riportare tutto ai professori... -
- Nei minimi dettagli, ovviamente. -
- Cosa che ti costava almeno un altro pestaggio. -
- Se ero fortunato sì, uno solo. -
- L'unica fortuna che hai avuto è stata quella di uscire vivo dall'adolescenza, - ridacchiò Cromwell rallentando. Erano quasi arrivati.
- Sì, mia mamma me lo diceva spesso, per questo poi ho preso lezioni di autodifesa. A quanto pare, ogni giorno lei pensava che sarei morto. -
- Aveva dei validi motivi, oserei dire! -

Michael fermò l'auto nel parcheggio e poi uscì dal cubicolo, sgranchendosi le gambe. Giuda fece lo stesso e aprì la portiera di dietro, con l'intento di svegliare Ethan ancora addormentato sul sedile posteriore. Gli parve davvero impossibile che il ragazzo che lo aveva verbalmente aggredito il suo primo giorno di lavoro fosse lo stesso che ora aveva davanti. Scosse la testa per allontanare il pensiero e allungò una mano per spostargli alcune ciocche di capelli che gli erano scivolate sulla bocca sporcandosi di sangue.
- Novotny, Novotny sveglia! - chiamò. Il ragazzo emise un mugolio stanco ma non diede altri cenni di vita.
- Ehi, Ethan, - disse Michael aprendo la portiera dal lato opposto, - siamo arrivati. Svegliati. -
- Mh... no... non voglio... ospedale... -
- Ethan, siamo arrivati già in ospedale. Forza. Prima ci entriamo, prima ne usciamo! -
Il ragazzo aprì gli occhi lentamente: erano lucidi e stanchi.
- Vieni, dai, - l'incoraggiò il docente, offrendogli la sua spalla.
Ethan, con molta lentezza, si mise seduto; il solo muoversi gli procurò diverso dolore che esternò con dei versi. Michael sembrò preoccuparsi molto, tanto che tolse perfino i suoi inseparabili occhiali da sole prima di accomodarsi accanto al ragazzo.
- Forza Ethan. Quando entreremo in ospedale ti daranno sicuramente qualcosa per farti passare il dolore e vedrai che ti sentirai subito meglio. -
- Non... gli ospedali... non mi piacciono. -
- E a chi piacciono? - rispose il docente. - Anche a me non piacciono, ma a volte è necessario andarci. Come mangiare i broccoli: sono disgustosi ma fanno davvero bene alla salute. -
I due uomini si scambiarono uno sguardo complice e Michael fu piacevolmente sorpreso dalla metafora usata da Giuda: era perfetta e sicuramente avrebbe potuto convincere Ethan. Quest'ultimo, infatti, annuì e sospirò.
- Mi fa male ovunque, - disse.
- Allora andiamo, - l'esortò il docente. - Tieniti a me, - suggerì, infine, con dolcezza.
Ethan rivolse prima uno sguardo a Michael, come se volesse chiedere conferma di qualcosa, e solo quando lui annuì si aggrappò al corpo del professore; poggiò entrambe le mani sulla spalla di Giuda ma non fu sufficiente per tenersi in piedi: non aveva forza nelle gambe e, se O'Connor non l'avesse bloccato, sarebbe caduto per terra. Il ragazzo era visibilmente spaventato e confuso, la quasi caduta gli aveva provocato una violenta fitta allo stomaco che lo costrinse, malvolentieri, a tossire sputando altro sangue.
- Oddio, - esclamò Giuda celando un'espressione di disgusto. Il sangue di Ethan gli aveva macchiato le scarpe. - Presto, Michael! Dobbiamo andare! -
Cromwell si affrettò a chiudere l'automobile e poi si fiondò ad aiutare l'altro a reggere il ragazzo. Raggiunsero l'ingresso del Pronto Soccorso un paio di minuti dopo e furono subito assistiti da un'infermiera. Sarebbe andato tutto per il meglio se Ethan non avesse avuto una paura completamente irrazionale per gli ospedali e i medici. Tremante e incapace di lasciare andare un lembo della giacca di Michael, il ragazzo fu fatto stendere su una barella.
- Ethan, devi lasciare la mia giacca. Non preoccuparti, andrà tutto bene. -
- Non... no, Michael, no, ti prego, - supplicò il ragazzo a occhi sgranati. Tremava ed era evidentemente spaventato e confuso, oltre che sofferente.
- Ethan, - disse Michael in tono accomodante, - davvero, stai tranquillo. - L'uomo gli accarezzò la testa con fare quasi fraterno, poi si rivolse all'infermiera segnalando un'allergia mortale a un antibiotico.
- Michael, no, io sto bene, davvero, torniamo a casa, - disse il ragazzo agitandosi. L'infermiera provò a trattenere Ethan senza riuscirci davvero. - NO! MI LASCI! -
- Ethan! - lo rimproverò Michael, - Stai tranquillo. Ti porteranno solo a fare degli esami, vero? -
- Sì, - rispose l'infermiera, - controlliamo che non ci sia niente di rotto e... -
- Sto bene, - disse Ethan ancora una volta. - Lasciatemi andare! - Non voleva proprio saperne di andare da solo con l'infermiera in un ambiente per lui così spaventoso e ostile. Provò a scendere dalla barella ma fu costretto a contorcersi e gridare per il dolore.

Per Giuda fu una scena del tutto surreale che riuscì duramente a mettere a fuoco. Se durante il weekend si era convinto di aver capito quanto fosse gentile Novotny al di fuori dall'aula scolastica, ora stentava a credere a tutto. L'averlo trovato in aula incapace di reagire, il sentirlo urlare dal terrore e dal dolore in ospedale, il vederlo sanguinante e spaventato mentre gli iniettavano una dose di tranquillante per poter provare a farlo guarire... avvertì la testa esplodergli, come se qualcuno stesse martellando costantemente contro le sue tempie, e decise di uscire per prendere una boccata d'aria.
- Tutto bene? -
La voce di Michael interruppe il silenzio quasi innaturale che si era esteso nel cortile del Pronto Soccorso. Giuda tirò un lungo sospiro di sollievo e poi annuì. - Come sta? -
- Beh, lo hanno portato dentro, - rispose Michael che allungò le braccia per stiracchiarsi. - Credo gli faranno una TAC o qualcosa del genere. Pensano che possa essersi rotto una costola ma non ne sono sicuri. -
O'Connor avrebbe voluto dire qualcosa ma il cellulare dell'altro iniziò a suonare e decise di restare in silenzio.
Michael si allontanò di qualche passo dopo aver risposto. - Anne? -
- Michael! Siete arrivati? Come sta Ethan? -
- Lo hanno appena portato a fare degli esami. -
- È tranquillo? -
- Sai che ha paura degli ospedali, Anne. Comunque è tutto sotto controllo... -
- Io sto arrivando! Ho avuto qualche, ehm, problema di organizzazione... -
- Fammi indovinare... Richard? -
- Michael... -
L'uomo sospirò. - Non correre lungo la strada. Fai attenzione. -
- Non ti preoccupare. Tu fammi sapere se ci sono novità, va bene? -
- Sì, capitano! E, Anne... non correre! -
- Ho capito, tranquillo! A dopo! -
- Ciao, - salutò triste prima di chiudere la telefonata e infilare il cellulare in tasca. Rimase a guardare un albero spoglio muoversi a causa del vento per qualche attimo e poi tornò dal professore che sembrava essere allucinato. - Caffè? -
- Preferirei uno Xanax, - ammise candidamente Giuda.
Michael rise. - Addirittura? -
- Stento a credere che... davvero, faccio fatica... quando sono entrato in classe la prima volta era così spavaldo e poi... -
- Ethan è spavaldo, arrogante, arrabbiato e in piena crisi ormonale come tutti gli adolescenti della sua età, - spiegò Michael. - Non ha niente che non vada. Fa solo più fatica degli altri quando si tratta di esprimere le sue emozioni. Lui non ne sa parlare. È come andare in un paese straniero e non conoscere la lingua, hai presente? Tutto intorno a te si muove, è vivo, e tu sei vivo e bevi caffè come fanno anche loro, passeggi sulle loro strade ma non capisci se il vigile ti chiede di spostarti o se la voce automatica della metropolitana annuncia un ritardo. -
- Ma quando vai in un paese straniero ci resti per un tempo comunque determinato, invece lui è... per lui è sempre così. Deve essere davvero difficile. -
- Lo è, a volte. Altre meno. Col tempo sta imparando a conoscersi e a definire quello che gli piace e quello che non sopporta. È davvero un grande passo avanti... ma quanto accaduto oggi era un fatto troppo grave per lui. L'ha colpito nel profondo e non se lo aspettava, era completamente indifeso nell'oblio in cui si parlava una lingua che non conosceva. -
- Insomma, io venivo pestato, almeno fino a quando non ho frequentato un corso di Taekwondo, ma perché sapevo difendermi fin troppo bene verbalmente! Non so come... non posso lasciare le cose così... -
- E cosa vuoi fare? - chiese Michael. - Tu sei uno dei suoi professori, Giuda. Non sei suo padre, suo fratello, suo nonno né tanto meno il tipo che lo ha ridotto così. Puoi mostrarti aperto nei suoi confronti quando sembrerà ostile ma starà solo cercando di capire, potresti provare a non metterlo in difficoltà chiedendogli "come ti senti", ma il resto non spetta a te. Perfino i sensi di colpa non spettano a te. -
Giuda strinse le spalle, sconfitto. Non sapeva perché aveva preso tanto a cuore il ragazzo; forse perché aveva ammirato, in un certo senso, la stessa sfrontatezza che aveva avuto lui alla sua età oppure perché gli era parso subito un mistero da risolvere, fatto stava che anche se non spettava a lui Giuda non riusciva a darsi pace.
- Entriamo dentro? - chiese, infine, il professore. - Qui si gela. -
- E non è neanche inverno inoltrato, - scherzò Michael.


*


Quando Anne arrivò in ospedale, Michael e Giuda erano seduti sui divanetti in sala d'attesa e non avevano ricevuto notizie dallo staff ospedaliero. Sebbene fossero stati proprio i due uomini a portare il ragazzo in ospedale e Michael si fosse identificato come terapeuta personale di Ethan, non avevano dato loro notizie in quanto non erano membri della famiglia. Così non era rimasto molto da fare se non bere un caffè e scambiare due chiacchiere; i due ne avevano approfittato per conoscersi e scambiare qualche informazione casuale. Giuda era nuovo del posto e l'idea di farsi dei nuovi amici gli piaceva abbastanza; aveva scoperto, infatti, di avere la stessa età di Michael e di condividere con lui molte passioni inclusa quella del DIY. Si erano perfino dati appuntamento nel weekend per bere una birra insieme. La vita sembrava procedere quasi normalmente se non si considerava di trovarsi in un ospedale.
- Allora? - domandò Anne. Aveva l'aria stanca, i capelli scompigliati, gli occhi arrossati e indossava pezzi di tuta diversi. Eppure, pensò Michael, era bella da morire.
- Non ci dicono niente perché non siamo parenti, - disse Cromwell. - Però, ora che sei qui... -
- Quello lì è il dottor Summers, è a lui che hanno affidato Novotny! - disse Giuda.
Anne sorrise verso il professore, sorpresa di trovarlo ancora lì, poi corse subito verso il medico in questione per chiedergli notizie su suo fratello.
- Sono la sorella, - s'identificò subito, - Anne Novotny, - aggiunse e gli mostrò un documento d'identità. Non che ce ne fosse davvero bisogno dato che lei ed Ethan si somigliavano moltissimo. - Come sta, allora? -
Il medico lanciò una rapida occhiata al documento e poi rispose alla ragazza. - Suo fratello ha riportato una frattura alla gabbia toracica. Stiamo aspettando i risultati della TAC per capire se è una frattura multipla o meno, ma è un danno facilmente arginabile e non dovrebbe aver bisogno di alcuna operazione. Lo terremo in osservazione questa notte soprattutto perché gli sono stati somministrati dei tranquillanti, domani faremo una visita di controllo e potrebbe già uscire. -
I tre tirarono un sospiro di sollievo all'unisono, ma fu nuovamente Anne a parlare per prima. - Possiamo vederlo? -
- Sì, certo, una delle infermiere alla reception vi accompagnerà. Ora se non vi dispiace... - si congedò il medico, come a dire che aveva qualche altro impegno da seguire.
- Sì, si figuri, va bene, buon lavoro, - rispose la ragazza che corse, seguita dagli altri due, verso il banco della reception.
- Scusi, - chiamò stancamente Anne. - Siamo qui per Novotny... Ethan Novotny, è mio fratello, - specificò e mostrò il documento anche all'addetta alla reception.
- Potete entrare uno alla volta, - disse la signora.

I tre si scambiarono uno sguardo interrogativo. Giuda fu il primo a tirarsi indietro; del resto, era il suo professore e si trovava lì per caso, mentre Anne e Michael avevano molto più diritto di andare a trovare il ragazzo. Li lasciò mentre decidevano chi sarebbe dovuto entrare prima e si recò verso la toilette; aveva bisogno di sciacquarsi il viso e fare pipì. Non gli piaceva servirsi degli orinatoi, gli ricordavano le prese in giro dei suoi compagni di scuola, ma c'erano solo due toilette di cui una era guasta e l'altra occupata. Così, si avvicinò al lavandino e aprì l'acqua; fece scorrere un po' il getto, mise le mani a conchiglia e si buttò l'acqua in viso. Ripeté il gesto un paio di volte poi afferrò un paio di strappi dal rotolone di carta e si asciugò. Il bagno era ancora occupato per cui non gli restava altro che aspettare. Trascorsero più di venti minuti ma il bagno continuò a essere occupato. Così, pensando che la persona che vi era dentro si fosse sentita male, bussò.
- È occupato, - rispose la persona dall'altro lato.
Giuda aggrottò le sopracciglia: la voce gli sembrò familiare. - Tutto bene? - La domanda restò senza risposta. L'uomo, affranto, roteò gli occhi. Chi glielo aveva fatto fare di trasferirsi in un posto dove tutti erano una comunità a prescindere dal ruolo che ricoprivano? - Novotny, lo so che sei tu. Apri la porta. -
- No, - rispose il ragazzo.
- Novotny, dovresti essere in camera tua! Anne e Michael stanno venendo a trovarti! -
- Non voglio tornare lì den... - Il ragazzo non fece in tempo a rispondere poiché un conato di vomito lo bloccò dal continuare a parlare. Ethan crollò in ginocchio abbracciando il gabinetto e nel cadere fece cascare anche l'asta che reggeva il lavaggio.
- Novotny! - gridò Giuda preoccupato e cominciò a bussare con forza contro la porta. - Apri immediatamente! - ordinò. Il ragazzo non dava segni di vita, se non per quei poco rincuoranti colpi di tosse, e l'uomo stava iniziando a preoccuparsi sul serio. Allarmato, Giuda provò ad aprire la porta ma risultò un gesto inutile visto che era chiusa a chiave.
- Novotny, apri, per favore. Novotny! Andiamo, mi sto preoccupando! Stai bene? Novotny, apri questa cazzo di porta adesso! -
Giuda continuò a bussare alla porta e a chiamarlo ancora per un po', fino a quando non udì il rumore della serratura che si sbloccò. L'uomo aprì la porta rapidamente e la scena che gli si parò di fronte agli occhi fu raccapricciante. Ethan, pallido e con ancora le ferite in evidenza, abbracciava la tazza del water incurante dei capelli che vi erano finiti dentro; inoltre, l'ago collegato alla flebo era ancora infilato sul polso destro.
- Cazzo, Novotny, - gridò il professore che si chinò su di lui immediatamente. Gli scostò i capelli dal viso e si rese conto che erano sporchi di vomito e piscio solo dopo che gli erano gocciolati sui pantaloni. Trattenne una smorfia di disgusto e sbuffò. - Perché non sei rimasto a letto? -
- Non... mi piacciono... gli ospedali. -
- A nessuno piacciono, Novotny, - spiegò il professore ancora una volta, intenerito. Era evidente che il ragazzo fosse sconvolto e che non si trovasse in quelle condizioni solo per quanto accaduto a scuola qualche ora prima. - Ma sei qui per essere curato, così si toglierà quella brutta ferita che hai sulla faccia, ricordi? -
Ethan annuì senza sollevare la testa; provò una strana sensazione di disagio, o meglio, qualcosa che Michael avrebbe definito come tale. Sapeva di essersi sporcato e di essere poco presentabile, non voleva farsi vedere così dal suo professore.
- Ce la fai ad alzarti? -
- Non... lo... so. -
- Dai, ti aiuto io! -
- No, - rispose l'altro.
Ogni volta che parlava con lui, Giuda si sentiva come se stesse tentando invano di addomesticare un animale selvatico. L'uomo sospirò, lasciò la presa dai capelli e prima di alzarsi gli accarezzò la testa. Strappò qualche pezzo di carta igienica per asciugarsi le mani, poi rifece il gesto e porse al ragazzo il secondo strappo. - Se io chiudessi gli occhi e restassi qui in silenzio, così che tu possa prendere il mio braccio, mi permetteresti di aiutarti? -
Doveva aver capito ciò che provava l'altro.
Il ragazzo sgranò gli occhi. - Va... bene...
Giuda, allora, chiuse gli occhi e allungò il braccio verso il ragazzo, in maniera tale che qualora ne avesse avuto bisogno avrebbe potuto aggrapparsi.
Pochi minuti dopo, Ethan e Giuda camminavano lentamente lungo il corridoio per tornare in stanza. Il ragazzo si trascinava con sé il palo della flebo, ma stringeva ancora più saldamente il braccio del professore; non sapeva descrivere come si sentiva in quel momento, ma la presenza di Giuda sembrava confortarlo.
- Grazie, - bisbigliò Ethan stringendo di più le mani sul polso del professore.

La scappatella di Ethan aveva fatto preoccupare molto Anne. Quest'ultima, infatti, non trovando il fratello, aveva già avvertito i medici e gli infermieri; suo fratello era scomparso, com'era possibile? Come ci era riuscito, dopo una dose di tranquillante e sotto gli occhi di tutti?
Così, quando Giuda arrivò a braccetto con l'alunno, fu considerato un vero eroe. Anne corse ad abbracciare il fratello (Ethan emise un mugolio di dolore. I colpi che aveva ricevuto erano stati davvero forti), Michael tirò un sospiro di sollievo e l'infermiera fu felice di non dover più sorbirsi urla disperate.
- Ethan, dove cavolo eri andato? -
Il ragazzo reggeva con la mano destra l'asta del lavaggio e con la sinistra la camicia del professore. Stringeva entrambe le cose con una presa salda, come se avesse paura che potessero scappare da un momento all'altro.
- Dovevo andare in bagno, - rispose poi. Era una menzogna palese ma sembrò convincere tutti i presenti (tranne O'Connor. Il professore era a conoscenza della verità, del suo tentativo di fuga, ma gli aveva promesso che non avrebbe rivelato a nessuno i suoi piani.)
Anne e l'infermiera aiutarono il ragazzo, che non aveva mai staccato la presa dalla camicia del professore, a stendersi nel letto d'ospedale.
- Con la dose di tranquillanti che ha preso non avrebbe dovuto alzarsi, - parlò l'infermiera. Aveva una voce dolce e gli si era rivolta con un tono premuroso, materno.
Ethan sembrò ignorarla e rivolse uno sguardo colpevole a Giuda. Indeciso o meno sul da farsi, alla fine il ragazzo optò per dire una mezza verità. - Ho vomitato quando ero in bagno. -
L'infermiera non sembrò scomporsi e gli rimboccò le coperte con dolcezza. - Lo avevo immaginato. Ora come si sente? -
Il ragazzo sgranò gli occhi, sembrò pietrificarsi; la donna si sentì subito in colpa, anche se non le pareva di aver detto qualcosa di così sconveniente.
- Ethan, - intervenne Michael, - ti fa male ancora la pancia? -
- Un po'... ho dolore allo stomaco. -
- Sarà stato lo sforzo dei conati... -
- Quando posso andare a casa? -
- Ethan, tesoro, - disse Anne accarezzandogli la fronte. - Stanotte dormiamo qui, va bene? -
- Cosa? No! Non voglio dormire qui, - sbottò Ethan; provò a togliersi le coperte e fare come a voler scendere dal letto, ma Michael lo fermò.
- Ethan! Ti hanno picchiato, sei stato molto male e stai ancora vomitando. Ti dovranno fare qualche altra analisi, ci diranno quali farmaci darti e poi torniamo a casa. Per avere i risultati ci vuole un po' di tempo, quindi staremo qui. -
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia; l'intervento di Michael, per quanto serio e risolutivo, non l'aveva convinto del tutto. Afferrò, con la mano destra, il polso del professore (che era rimasto lì vicino. Per quanto invadente e rompiscatole in classe, il docente sembrava essere una persona che entrava in punta di piedi ma rimaneva lì, fermo, nel caso in cui ci fosse bisogno di lui) e lo guardò spaesato. In un certo qual modo, aveva capito di potersi fidare di lui: O'Connor aveva mantenuto il segreto e gli avrebbe, quindi, detto qualcosa di vero.
- Staremo tutti qui? - domandò, come a volergli chiedere di restare.
O'Connor annuì, come a rispondergli nel modo più silenzioso possibile, come a dirgli che sì, sarebbero rimasti tutti lì.

 



ndA
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Capitolo 7
*** VII ***




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Le parole sono giuda


 
VII.
 

Era trascorsa una settimana da quando Ethan era stato dimesso dall'ospedale. Il ragazzo non era potuto rientrare a scuola nell'immediato (i medici gli avevano dato un mese di convalescenza) ma questo non impediva ai suoi amici di andarlo a trovare. Lisa, infatti, si occupava di portargli tutti i giorni l'elenco dei compiti da fare e delle cose da studiare. Molto spesso si intratteneva a casa sua per spiegargli gli argomenti che sembravano più difficili ma anche per fare gossip. La ragazza sapeva che l'amico non era proprio molto interessato all'argomento, ma lui l'ascoltava con attenzione e a lei piaceva trascorrere qualche minuto in più con lui. Insomma, Ethan non era solo e Giuda lo sapeva; tuttavia, non riusciva a non pensare a lui. Qualche volta aveva pensato di chiedere novità a Lisa o di presentarsi a casa dei Novotny, ma aveva scartato l'idea. Avrebbe voluto anche chiedere a Michael ma non voleva dare un'impressione sbagliata, e alla fine non era riuscito a trovare un motivo valido per andare a fargli visita.

- Professore? -
- Mh? - Giuda sollevò lo sguardo. Era seduto dietro la scrivania immerso nei suoi pensieri e aveva perso ogni contatto con la realtà. - Ah... Cromwell! Dimmi tutto. -
La ragazza sorrise con dolcezza. - Oggi vado a trovare Ethan, professore. Volevo chiederle se ha assegnato anche a lui dei testi particolari da leggere oppure no. -
- Oh, ehm... sì. Sì, ma pensavo di portarglieli io, così passo anche a vedere come sta. -
- Oggi andrà in ospedale per dei controlli, credo che non lo troverà. Se vuole sentirlo, posso lasciarle il suo numero e... -
- No, no, non ti preoccupare. Comunque allora lascia perdere, avrà già tante cose da recuperare... poi ci pensiamo ai testi, - disse. Si sentì stupido: come aveva potuto dimenticare di avere il suo numero di telefono? Maledizione. Avrebbe dovuto scrivergli!
- Va bene, professore. Allora ci vediamo domani a lezione! -
- Sì... a domani, - rispose distrattamente il docente.

Giuda, dandosi dell'imbecille, frugò nella borsa e recuperò il cellulare. Cercò il contatto di Ethan e, fregandosene di sembrare poco ortodosso, si sbrigò nello scrivergli un messaggio.

«Ciao Novotny» Scrisse. Inviò.
«Ciao.» La risposta fu secca. Forse non si ricordava a chi apparteneva il numero?
«Sono il professor O'Connor.»
«Lo so.»
O forse ce l'aveva con lui? «Come stai?»

Il telefono smise di vibrare. Trascorsero almeno venti minuti e Giuda non ricevette alcuna risposta. Sconfortato, si infilò il cappotto e decise di andare in caffetteria per bere un tè caldo. Mancava ancora un'ora alla prossima lezione e avrebbe avuto il tempo per bere il tè con calma. Si accomodò al solito tavolo vicino una delle finestre e svuotò due bustine di zucchero nel bicchiere. Aveva bisogno di un po' di dolcezza extra. Fece il primo sorso dalla bevanda e si scottò le labbra. Era ancora troppo calda per lui.
Dopo altri dieci minuti, il telefono vibrò.

«Secondo il medico che mi ha visitato oggi, sto recuperando "alla grande". Non so cosa significhi "alla grande" per lui, ma adesso riesco a respirare senza che mi faccia male lo stomaco. La notte non riesco a dormire. Penso al mio violino e, con l'archetto rotto, non posso nemmeno più suonarlo. Michael dice che si può aggiustare, ma... non è lo stesso. È rotto ora, non so se capisce. Ogni tanto guardo fuori dalla finestra e vedo che c'è la luce accesa nella sua stanza. Perché non mi ha scritto prima? Sono stato davvero educato con lei e trovo il suo comportamento scortese. Credevo che sarebbe venuto a trovarmi. Avevo chiesto a mia sorella di fare la sua torta speciale al caramello, è la mia torta preferita, perché volevo fargliela assaggiare. Lei era stato molto gentile con me in ospedale. Quando siamo tornati, è scomparso. Ora le interessa sapere come sto?»

Ethan era stato un fiume di parole in piena, e c'era da dire solo una cosa: aveva ragione, ma non poteva certo dirgli di aver dimenticato di avere il numero o di non aver pensato di scrivergli (sarebbe sembrata una cosa troppo da vecchi l'aver dimenticato l'esistenza di una comunicazione istantanea come quella). Come fare a uscirne, quindi? Cosa avrebbe potuto dirgli? Perché sentiva di doversi giustificare?

«Ho chiesto a Michael...» inviò. Poi scrisse subito un altro messaggio: «So che avrei dovuto scriverti in prima persona, ma non me la sono sentita.»
«Lei è un bugiardo.»
«Che cosa dici? Non è vero!»
«Lo è. Ha solo dimenticato di avere il mio numero perché è vecchio.»
«Ethan, io...» e cancellò il messaggio. «Ma come cazzo fai?» eliminò anche questo. «È vero. Non mi piace usare il cellulare.»
«Abitiamo di fronte. Avrebbe potuto affacciarsi alla finestra.»

Ma cosa pretendeva? Non era normale che uno studente se la prendesse così tanto per un professore che non chiedeva aggiornamenti sulla sua salute. Un professore che aveva insultato, poi, durante il suo primo giorno di incarico! Giuda borbottò qualcosa e bevve un altro sorso di tè, accigliato. In effetti, il loro rapporto non era propriamente normale: nascondeva nell'armadio ancora la felpa dei My Chemical Romance che gli aveva prestato Ethan, aveva nel cuore un bel ricordo della sera al pub di sua sorella e quella sera in ospedale...

«Può venire oggi, se vuole. Sono già a casa.»

Il professore sorrise tra sé e sé: avrebbe voluto avere almeno metà della sfacciataggine e della sicurezza di Ethan.

«Ho l'ultima lezione tra mezz'ora, ma mi piacerebbe passare subito dopo.»
«L'aspetto.»

Giuda si sentì improvvisamente leggero, come se quello scambio breve ma intenso di messaggi fosse riuscito a cancellare tutte le sue paure. Infilò il cellulare in tasca, afferrò il bicchiere e, sollevato, si diresse verso l'aula. Era ancora presto per la lezione, ma preferiva arrivare sempre prima e non far aspettare i suoi studenti.


*


Se c'era una cosa che Giuda non sopportava, era quella di presentarsi a casa di qualcuno a mani vuote. Generalmente portava sempre qualcosa di gradevole, come una bottiglia di buon vino o una scatola di cioccolatini svizzeri, ma sapeva che non sarebbero state appropriate. Beh, non che il suo rapporto con Ethan fosse davvero appropriato secondo i canoni, ma comunque... voleva fare qualcosa di carino senza eccedere. Così, dopo l'ultima lezione, Giuda era letteralmente scappato dall'istituto. Si era precipitato a casa sua, aveva preso l'auto e aveva guidato per chilometri e chilometri di strada sempre dritta e uguale fino a raggiungere il primo negozio di strumenti musicali. Aveva comprato quello che doveva e se ne era tornato a Newcastle soddisfatto. Era sicuro di aver fatto la scelta giusta.
Nel frattempo, a casa Novotny erano tutti pronti per la cena. Anne era in cucina a preparare da mangiare. Principalmente lo faceva per suo fratello che disprezzava la cucina di Richard, e poi anche perché, in realtà, adorava cucinare. Per questo aveva aperto un'attività di ristorazione.

- Ti serve una mano? - chiese Ethan.
- Uh? Da quando sei qui? -
- Da un po', - rispose il ragazzo, poggiandosi poi contro uno dei mobili della cucina. - Ti guardavo. Sei strana. -
- Ah, io? - rise la ragazza. - E perché? -
- Pensavi a qualcosa? -
- Penso a tante cose, fratellino. -
- Mh. - Ethan corrucciò la fronte e incrociò le braccia. Non era bravo con le parole, non sapeva mai dire nulla sui propri sentimenti, ma sentiva di essere davvero una fonte di preoccupazione per la sorella. - Mi dispiace... è colpa mia. Sono stupido. -
- Ma cosa dici?! - Anne abbandonò mestoli e pentole per avvicinarsi al fratello. - Non dirlo neanche per scherzo, Ethan, o giuro che ti prendo a padellate in testa. -
Ethan sorrise debolmente e allargò le braccia per farsi stringere dalla sorella. I due si scambiarono un lungo e silenzioso abbraccio, fino a quando Ethan non parlò di nuovo. - Ti metto sempre in situazioni scomode. Forse ha ragione quel buzzurro del tuo fidanzato... per pensare a me, ti dimentichi di lui, del locale... di te. -
- Ethan, non devi dare retta a quello che dice Richard. - Anne gli afferrò le guance con dolcezza e gli posò un bacio sul naso. - Io e te siamo fratello e sorella, cazzo. Niente è più importante. Siamo una famiglia. -
Il ragazzo annuì poco convinto e affondò la testa sulla spalla della sorella che, con dolcezza, gli accarezzò i capelli lunghi.
- Forse dovresti pettinarli, - scherzò lei. - Mi si sono incastrate le dita dentro. -
- Mi rompo il cazzo di pettinarli, li taglierò. -
- Ma scherzi?! Non saresti tu senza questi capelli. -
"Non saresti tu", aveva detto. Ma cosa era lui? Ethan era Ethan per i capelli lunghi e quella sua incapacità di capire i sentimenti e parlare come una persona normale? Solo per quello? Non c'era davvero nient'altro a identificarlo?
- Ethan, non far lavorare troppo il tuo cervello. Ti si sta surriscaldando la testa. -
- Se è per questo sta anche bruciando la cena, ma non sono qui a fare troppe storie... -
- Oh cazzo, la cena! - Anne rise e si avvicinò ai fornelli per salvare il salvabile.
Poi, qualcuno suonò alla porta. Ethan inclinò la testa, sorpreso. - Aspettavi qualcuno? - domandò alla sorella.
- No, io no... tu? -
- Mh, può darsi, - rispose il ragazzo sorridendo. Non sapeva come definire quella vibrazione nelle corde del proprio cuore, ma sapeva, sperava, che fosse il suo professore. Ed era proprio Giuda. Ethan sorrise con sincerità. - È venuto davvero? -
- Beh, sono qui, no? - Giuda arrossì ma finse che fu per il contrasto del freddo a contatto con il calore della casa di Novotny. Meno male che Ethan non poteva davvero vederlo, coperto com'era tra sciarpone e cappello.
Il ragazzo annuì in risposta e si spostò dalla porta invitandolo a entrare. - Ciao! - aggiunse, infine.
- Ciao a te, - rispose il professore. C'era un po' di brina sulla grossa sciarpa di lana nel quale era avvolto.
- Ethan, chi è? - domandò Anne che poi si affacciò dalla porta della cucina. - Uh, professore O'Connor! Buonasera, - sorrise la donna.
- Buonasera Anne, - salutò l'uomo. - Come sta? -
- No, no, mi dia del tu. Io sto bene, lei? -
- Allora diamoci del tu! Bene, fa un freddo qua fuori... non sono davvero abituato a questo clima. -
- Eh, sì, è un po' ostico per chi non è nato qui, vero... ma vieni, siediti, togli quella roba da dosso. -
Giuda annuì piano e tolse tutti gli indumenti che aveva utilizzato per coprirsi dal freddo: cappotto, mantella, cappello, paraorecchie, guanti, sciarpa... Ethan rise, divertito.
- Sembra una matreshku, - ridacchiò, beccandosi una gomitata dalla sorella.
- Ethan! - lo rimproverò Anne.
- Un... una cosa? -
- Una matriosca! -
- Beh, un po' è vero, - rise Giuda. - Ma fa davvero troppo freddo per me, - aggiunse e sospirò.
- Vieni a sederti un po' di fronte al camino, - l'invitò la donna indicandogli il divano. Trattenne la curiosità poiché avrebbe voluto chiedergli come mai fosse lì e si limitò a sorridere ospitale.

Poco dopo, quando Anne era ritornata in cucina, Ethan e Giuda restarono da soli sul divano. L'uomo aveva le braccia allungate verso il fuoco con l'intento di scaldarsi le mani; Ethan, invece, era seduto sul divano con le gambe incrociate sotto al sedere e le mani infilate nella tasca della felpa che indossava.
- Sembri stare meglio, - commentò Giuda sollevato.
Ethan annuì. - Ho anche smesso di vomitare quasi tutto quello che mangio. -
- Mi sembra, ehm, una cosa ottima, no? -
- Abbastanza, sì, - rispose il ragazzo prima di chiudersi in un silenzio profondo. In realtà non sapeva cosa dire. Il suo cuore batteva un po' più veloce, questo voleva dire che era contento che Giuda fosse lì? E perché continuava a torturarsi le mani dentro la tasca e a mordicchiarsi le labbra?
Il professore sorrise di nuovo e, quando decise che le sue mani si erano riscaldate abbastanza, si alzò per recuperare un paio di cose dalla sua borsa: uno era un libro dall'aria usurata, l'altro era un pacchettino secco e lungo incartato con eleganza. - Lisa ti ha raccontato qual è stata la mia iniziativa per la classe? -
- Non proprio, ha detto che me ne avrebbe parlato domani... -
- Allora ti faccio uno spoiler, - ridacchiò. Forse pensava di esser stato divertente. - Ho assegnato, come compito per le vacanze di Natale, la lettura di un classico della Letteratura Inglese. Ne ho scelto uno diverso per ogni studente, in base agli interessi e alla personalità... e, per te, ho scelto questo. - Giuda gli allungò il libro consumato. Sembrava essere un'edizione antica e pregiata de "L'isola del Tesoro". Ethan la rigirò delicatamente tra le mani, osservò ogni dettaglio sulla copertina, aprì il libro a metà e l'annusò.
- L'hai mai letto? -
- No. -
- Ti ho dato la mia copia personale. È un libro molto importante per me, - spiegò Giuda rendendosi conto di quanto patetico dovesse sembrare in quel momento. - E anche se non siamo ancora arrivati a quella parte del programma, credo possa piacerti. -
Giuda era molto soddisfatto di quella scelta. Proprio grazie ai battibecchi avuti con il ragazzo, e dopo aver parlato con Michael, aveva rimuginato sull'idea che per far appassionare Ethan alla letteratura non servivano parole audaci e sentimenti complicati, bensì avventure, sogni, mondi fantastici e, perché no, un po' di sana pirateria.
- Di cosa parla? -
- Di pirati, di avventure, di sogni! È un libro in cui c'è davvero tutto! -
Ethan sorrise leggermente e tornò a osservare il libro consumato. Temeva che le pagine si sgretolassero se solo lui le sfiorasse, ma c'era un fascino strano in quel tomo tanto antico, qualcosa che lo richiamava. - Lo devo solo leggere? -
- Lo dovrai leggere e poi scriverci una recensione. Raccontare di cosa parla, chi sono i personaggi, come sono stati costruiti, quale personaggio ti è piaciuto di più, quale di meno... un vero e proprio saggio che parli di questo libro. -
- Quindi se mi facesse schifo, e visto che è il suo libro preferito potrebbe davvero esserci quest'eventualità, io prenderei un voto basso? -
Giuda rise, divertito. - Non ti farà schifo. Ma se dovesse farti schifo, sarò quanto più obiettivo possibile nel valutare la tua recensione. -
- Allora va bene, - rispose Ethan, poi strinse il libro al petto. Era segno che aveva accettato l'incombenza.
Soddisfatto, Giuda allora gli porse il secondo pacchetto. - Questo, invece, è un regalo per te. -
- Perché? - domandò Ethan scettico. - Non è il mio compleanno. -
- Non si fanno regali mica solo al compleanno! -
- Beh, è presto anche per essere Natale. -
- Ma... - Il professore sospirò. - Senti, io sono per metà italiano e dalle mie parti, quando si va a trovare qualcuno che è stato male, gli si porta un pensierino, un piccolo omaggio. -
- E perché? -
- Perché magari può sentirsi meglio se riceve qualcosa di carino, no? -
Ethan non sembrò molto convinto da quella spiegazione e continuò a guardare il pacchetto con una bella dose di scetticismo.
- Se non lo vuoi non fa niente, lo terrò per me, - sbuffò Giuda.
Di tutta risposta, Ethan strinse le mani intorno al pacchetto e gli lanciò uno sguardo deciso. - No, è per me. Quindi è mio. -
Il docente alzò le mani in segno di resa e cominciò a sudare freddo. Mentre Ethan scartava la carta elegante che lui stesso aveva scelto al negozio, Giuda iniziava a vacillare sulle proprie sicurezze: era stato un pensiero appropriato? Forse era stato troppo? Perché si preoccupava così tanto di entrare nelle grazie di un alunno così problematico e permaloso?

Quando Ethan aprì il pacchetto rimase stupito. Certo, lui non sapeva com'era sentirsi stupito; si sentiva come quando stava per avere un attacco di panico senza tutte le cose negative a rivoltargli lo stomaco. Per i primi trenta secondi non ebbe nemmeno il coraggio di respirare, come se avesse paura che il calore del proprio fiato potesse rovinare l'oggetto tanto prezioso che era custodito all'interno del pacco. Poi poggiò il pacchetto in equilibrio sulle proprie cosce e sfiorò l'oggetto con i polpastrelli: era un archetto davvero raffinato, dai toni scuri, che sicuramente avrebbe prodotto un buon suono. Il ragazzo sfilò l'arco dallo scatolo e l'esaminò con accuratezza, lo soppesò, verificò che i crini fossero tesi, ne testò la maneggevolezza.
- È... È... - Ethan rimase a bocca aperta. Giuda pensò di averlo fatto finire in tilt, forse avrebbe dovuto confrontarsi con Michael prima di dargli un regalo del genere? Non gli piaceva? Gli aveva ricordato qualcosa di sbagliato?
Il ragazzo ripose l'archetto con delicatezza nello scatolo e si voltò verso il professore con occhi sgranati e lucidi. - Non so che ho da dire... -
Giuda sorrise nel cercare di essere incoraggiante e di non farlo sentire sotto pressione. - Non devi dire niente, Novotny. Solo... suona, ok? -
- Adesso? -
- Quando vuoi, - rise il professore. - Però suona. -
Ethan annuì. Provò un'irrefrenabile voglia di abbracciarlo ma si trattenne, memore delle parole di Michael.
- Grazie, - aggiunse soltanto con un sorriso. Sembrò essere davvero felice, cosa che sollevò il morale anche di Giuda.
- Di nulla! -
- Disturbo? - s'intromise Anne con allegria.
- Uh? No, no! -
- Disturbi sempre! -
- Cretino, - Anne apostrofò il fratello, ma poi si rivolse rapidamente al docente. - Mi farebbe molto piacere se restassi a cena con noi, Giuda! -
- Cosa... - il professore arrossì imbarazzato. - Sono arrivato a ora di cena? Oddio, sono... mi dispiace, io non... -
- Ma non ci pensare nemmeno, - lo rimproverò Anne. - Se tu non fossi venuto qui uno di questi giorni, ti avrei offerto la cena al pub quando saresti passato. Hai aiutato Michael con Ethan il giorno dell'incidente, devo ringraziarti e offrirti almeno altre dieci cene. -
Giuda strinse le spalle timidamente. - Non ho fatto niente, davvero... -
Ethan preferì non ricordare che gli aveva vomitato addosso e che lui l'aveva sorretto per evitare che gli si sporcassero i capelli (tra le tante cose, questa gli era rimasta particolarmente impressa).
- Ho preparato uno spezzatino, ti piace? -
- Sì, mi piace, ma mi sento davvero in colpa ad accettare... -
- Ma quale colpa, - sorrise Anne che poi gli diede una pacca sulla spalla. Era evidente che fosse lei quella con le doti comunicative migliori della famiglia Novotny. - Ethan, vai a lavarti le mani e poi vieni di là. La cena è pronta! -

 




ndA
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Capitolo 8
*** VIII ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
VIII.
 

- Non mi importa, Steve. Ti è piaciuto passare la notte a Parco della Vittoria? Ora sgancia! -
- Ma sei uno strozzino, Ethan! Sono il tuo migliore amico! -
- Io sono sua sorella, ma si è ugualmente preso tutti i soldi che avevo! -
- Se volete fare uno stile di vita superiore alle vostre possibilità non vedo perché debba rimetterci io. Ora sgancia, Steve! -
- Ma non ce li ho, - sbuffò Steve. - Ho solo 500$, ti ho dato anche il mio cartellino "Esci gratis di prigione", che devo fare? Ti devo dare le mie mutande?! -
Ethan arricciò le labbra riflettendo sulla proposta. - Dipende, quali sono? -
Steve scostò i pantaloni per dare uno sguardo rapido alla biancheria e sospirò. - Quelle con le emoticons. -
- Ma che schifo, Steve! No, grazie, direi che sei eliminato anche tu dal gioco. -
Steve incrociò le braccia indispettito e poi rivolse uno sguardo supplichevole a Lisa. - Ti prego, vendicami tu! -
- Giocare con loro due è davvero impossibile, - rise Anne verso Giuda.
- Me ne sono accorto. Sono stato il primo a essere eliminato! Okay, non sono proprio una cima in economia, ma non pensavo che Monopoli potesse essere tanto competitivo. -
- Con Ethan tutto è competitivo, - spiegò Michael. - Soprattutto i giochi da tavolo. Credo di non aver mai vinto una partita a Risiko! -
- Ti ricordi quando siamo stati svegli fino alle 6:00 perché la partita di T.I.M.E. Stories non era finita ed Ethan non voleva abbandonare la missione? - domandò Anne.
- Ma alla fine abbiamo vinto con ancora del tempo disponibile, - commentò Ethan. - Voi non sapete giocare, - sentenziò, infine.
- E tu non sai vincere. -
- Infatti, - s'intromise Steve. - Ci vuole anche un certo savoir faire per vincere. "Oh, l'avversario ha fatto questa mossa non corretta, che peccato..." -
- Oh, guarda un po', l'avversario è andato su Parco della Vittoria dopo un infausto lancio dei dadi. Ora sgancia! -
Tutti i presenti risero, ormai sicuri che Ethan avrebbe vinto la partita.
- Vabbè, vado a prendere altro vino, - commentò Anne.
- No, per me basta, devo guidare dopo, - sospirò Michael. - E poi non basterebbe una bottiglia intera per cancellare l'offesa dell'ennesima sconfitta a Monopoli! -

Giuda rise e si rilassò contro lo schienale della sedia. Nonostante tutto, aveva trascorso una serata davvero piacevole. In relativamente pochissimo tempo aveva trovato degli amici, partecipato a una serata giochi, riso fino ad avere i crampi allo stomaco... si era sentito davvero a casa, emozione che non aveva forse mai avvertito nemmeno nella casa che aveva condiviso con Cri. La sensazione di estraneità che aveva avvertito durante il suo primo giorno a scuola sembrava ormai un lontano ricordo. Quando si era trasferito a Newcastle, Giuda aveva creduto di sentire la mancanza della propria vita a Tampa. E per un po' era stato così. L'idea di lasciare la città per raggiungere un paesino dimenticato da Dio non gli era parsa più tanto sensata; aveva raggiunto il villaggio con un carico di ansie e paure non indifferente e l'ostilità di Ethan era stata davvero una doccia fredda tra i ghiacciai. Eppure, Anne e Michael erano le persone più gentili che avesse mai conosciuto. L'avevano accolto subito nel loro gruppo, non avevano fatto domande personali o invadenti, erano stati così ospitali... si sentì stupido, d'un tratto, per non essere andato prima a trovare Ethan.

- Ho sempre fatto schifo con i giochi da tavolo, sono abituato a perdere. Ma non mi era mai capitato di assistere a una vittoria così schiacciante! -
- E qui abbiamo uno strozzino, - commentò Steve.
- Siete voi che non sapete giocare. Lisa è ancora nella partita! -
- Sono in attesa trepidante che i dadi ti facciano finire nel mio Hotel di Lusso a Corso Impero. -
- Potrei passarci le vacanze di Natale nel tuo alberghetto, tesoro. -
- Eccolo lì, "Il Grande Gatsby", - scherzò Michael.
- Vabbè, io vado lo stesso a prendere il vino, - disse Anne.
- Ti accompagno, - aggiunse Giuda che, nonostante tutto, non voleva risultare il classico ospite scroccone che non muove un dito quando è a casa di qualcun altro.
Appena i due si allontanarono, Ethan si stese sul tavolo (fregandosene di distruggere l'ordine del tabellone) e si sporse verso Michael, e lo chiamò.
- Uh? Tutto bene? -
- Shh, - lo zittì Ethan. - Parla piano. - Il ragazzo guardò i suoi due amici e poi fece segno a tutti di parlare a bassa voce. - È successa una cosa strana. -
- Cosa? -
Il ragazzo abbassò ulteriormente il tono: non voleva farsi sentire per alcun motivo. - Credo che forse mi piaccia il professore. -
Lisa restò in attesa di un ipotetico seguito della confessione e domandò: - E? Poi? -
- Secondo me anche tu piaci a lui, - disse Steve. - Te l'ho detto anche a scuola. -
- State zitti voi due! - li rimproverò Michael che poi si rivolse a Ethan. - Cosa te lo fa pensare? -
Novotny si guardò intorno per accertarsi che Anne e Giuda non fossero ancora rientrati e poi proseguì. - Quando è arrivato, mi ha portato il libro che aveva deciso di assegnare come compito. Ha detto che è il suo libro preferito, mi ha prestato la sua copia personale. -
- Beh, è stato gentile, - osservò Michael.
- A ognuno di noi ha procurato la copia del libro, - intervenne Lisa. - Forse aveva paura che nessuno li avrebbe davvero acquistati o noleggiati in biblioteca... -
- Io l'avrei scaricato da internet, ma tu vivi nel 1960, quindi va bene. -
Michael trattenne una risata per la battuta di Steve, ma tentò di concentrarsi su Ethan che non aveva ancora terminato il suo racconto.
- Mi ha regalato un archetto per il violino, - dichiarò a voce bassa e dolce. - Ha detto che dalle sue parti si usa portare qualcosa quando si va a trovare una persona. -
- Un archetto per il violino? - domandò Michael.
Steve e Lisa si scambiarono uno sguardo preoccupati, Ethan annuì per rispondere a Michael.
- Sì. È un archetto molto bello, Michael. Ho avuto subito voglia di provarlo, ma dovevamo cenare. -
Michael avrebbe voluto aggiungere qualche ulteriore domanda, ma Giuda e Anne rientrarono in stanza con del vino e alcuni dolcetti. Si girarono tutti verso di loro.
- Tutto bene? - domandò Anne perplessa.
- Sì, scusa, - rispose Michael. - Che sono quelli? Dolci?! -
- C'è sempre posto per il dolce, - commentò Steve.
Ethan rimase in silenzio e fissò le mani di Giuda stringere con eleganza un calice di vino.
- Ma non avete ancora concluso la partita? -
- Non c'è storia, tanto Ethan ha praticamente già vinto. -
- Non saprete giocare ma sapete lamentarvi benissimo, - rispose Ethan passando la mano tra i capelli. Gli altri risero.
- Cambiamo gioco? -

Circa un'ora dopo avevano deciso di creare una sciarada. Le squadre, capitanate rispettivamente da Lisa e Anne, si chiamavano "Giovani" contro "Boomer". La partita stava andando per le lunghe e vedeva i Boomer in netto vantaggio (Ethan non era molto bravo a mimare le frasi. Certo, si era davvero impegnato con la danza dell'accoppiamento degli Erumpent, ma non era stato sufficiente a conquistare un vantaggio). Anne sembrava divertirsi un sacco quando era il turno di Michael, tanto che era sempre Giuda a rispondere correttamente. I Boomer erano in vantaggio di ben sette punti quando si sentì il rumore di chiavi girare nella serratura. Ethan roteò gli occhi istantaneamente: intuì subito chi fosse a essere rientrato. 
Richard, di ritorno dal proprio turno al pub, fu stranito dall'udire risate e gridolini provenire dal salotto. Tolti sciarpa e cappotto, strofinò i piedi sul tappetino all'ingresso e si diresse verso la stanza incriminata.

- Ehi, Richard, sei tornato! - salutò Anne con gli occhi ancora lucidi dalle risate.
Richard li fissò imbronciato. - Mi fa piacere che vi divertiate mentre c'è gente che lavora. -
Michael roteò gli occhi, seccato. Giuda si guardò intorno a disagio.
- C'è sempre gente che lavora, anche quando ti diverti tu, - obiettò Ethan con aria di sufficienza. Michael gli diede una gomitata e Anne, invece, sospirò.
- Siamo venuti qui a trovare Ethan, - rispose Steve. - Poi ci siamo trattenuti un po'. -
Richard si guardò intorno sospettoso, poi si rivolse alla fidanzata. - Beh, se c'era tutta questa gente a casa avresti potuto seguirmi al pub, invece di caricare solo me con il lavoro. -
- Siamo venuti dopo cena, - s'intromise Michael. - Per fargli una sorpresa. -
- Mio fratello non può certo restare da solo a casa dopo quello che ha passato, - aggiunse Anne, - e i suoi amici sono venuti a trovarlo. Sono stati carini. -
Richard non sembrò convinto della cosa e roteò gli occhi seccato.
Assecondando un innato senso di protezione, Ethan abbracciò la sorella. Pur essendo il più giovane tra i due, il ragazzo era molto più alto.
- Dico solo che io ero a lavorare e tu, con la scusa di dover badare al tuo fratellino, eri qui a divertirti. -
Steve roteò gli occhi annoiato. Meno male che non somigliava per niente a suo cugino.
- Scusatemi, - disse preventivamente Anne rivolgendosi al gruppo, poi spostò l'attenzione verso Richard. - Hai rotto il cazzo, - sentenziò. - Sono cinque anni che lavoro al pub e io, e sottolineo io, non ho mai preso un giorno di vacanza per me. Non ho mai fatto nulla per me stessa: lavoro al pub, mi occupo della casa insieme a Ethan, lavo anche i tuoi vestiti di merda, e tu, anche se sporchi quanto me e il mio fratellino, non alzi nemmeno una cartaccia da terra. E ora mi devo subire una tua sceneggiata del cazzo davanti ai miei amici e agli amici di mio fratello perché ti brucia il culo per aver lavorato una serata mentre io ero a casa? -
Per qualche secondo calò il silenzio. Nessuno sembrò avere il coraggio di parlare, ma fu Michael a rompere il ghiaccio. - Lisa, Steve, salutate e torniamo a casa, - disse soltanto. Non era il caso di restare ulteriormente e diventare la scusa per far litigare di nuovo Anne e Richard.
- Oh no, no, state comodi, signori, - rispose Richard con evidente sarcasmo. - Sono io che me ne vado, non vorrei disturbarvi mica o interrompere il vostro divertimento del cazzo. -
- Richard, non vedi che figura stiamo facendo? - sbuffò Anne. - Ci sono gli amici di Ethan, e anche Giuda che nemmeno ci conosce e chissà che... -
- Vai e non disturbarti a tornare, - aggiunse Ethan stringendo di più la sorella. Era chiaro che non aveva percepito per nulla il sarcasmo di suo cognato. A quel punto, attraverso una comunicazione fatta di sguardi insistenti e gesti decisi, Michael spronò Lisa e Steve a lasciare la casa. Steve era molto risentito con suo cugino: insomma, non stavano facendo niente di male, possibile che doveva davvero coprirsi così tanto di ridicolo e polemizzare per qualsiasi cosa? Nervoso, non lo salutò nemmeno. Diede un'amichevole gomitata a Ethan, sorrise ad Anne e uscì. Lisa l'osservò preoccupata e, dopo aver salutato tutti con qualche frase di circostanza, raggiunse Steve.
- Noi ci vediamo domani, - salutò Michael facendo un occhiolino a Ethan. - Ben, buonanotte anche a te! -
- Aspettatemi, vengo anche io, - aggiunse Giuda. Sarebbe rimasto molto volentieri, ma non gli sembrò la serata giusta per farlo. - Anne, Richard, grazie per l'ospitalità, - disse cordiale. Recuperò frettolosamente il soprabito e poi sorrise a Ethan. - Mi raccomando, riposati e fai attenzione! -
Ethan sembrò essere stato travolto dalla confusione tanto da rimanere completamente imperturbabile. Silenzioso e statico, osservò tutti gli ospiti andare via: mantenne lo sguardo fisso verso la porta fino a quando quest'ultima non fu chiusa.
- Ethan... - chiamò la sorella. - Tutto bene? Ti senti bene? -
Il ragazzo non rispose. Si limitò soltanto a lanciare uno sguardo poco amichevole a suo cognato prima di salire le scale per andare in camera sua.
- Ethan! - gridò Anne che poi sbuffò. - Contento? - domandò poi rivolgendosi al fidanzato.
- Molto, - rispose Richard. - Che cazzo, ti pare il caso di stare qui con Michael?! Come se non ci passassi abbastanza tempo, poi. -
- Ah, ecco, eccolo lì il problema: non erano gli amici, la festa, i giochi... ma Michael! Che cazzo, Richard, che problemi hai? -

La loro lite divenne sempre più pesante tanto da riecheggiare nella casa. Ethan conosceva a memoria quel copione: Richard che si lamentava della presenza costante di Michael, Anne che rispondeva che erano amici di famiglia, che ora era anche il terapista di suo fratello, Richard che interrompeva con frasi del tipo "lui è innamorato di te" o "ci prova con te e nemmeno te ne accorgi", pianti, grida, porte sbattute. Stanco da quella sceneggiatura che continuava a ripetersi nel corso degli anni, Ethan si chiuse in camera sua. L'occhio cadde quasi per caso sulla sua scrivania: vi aveva lasciato sopra la busta che aveva portato il suo professore. Sorrise.

"Solo... suona, ok?"

Il ragazzo sorrise di nuovo. Estrasse l'archetto dallo scatolo con pacatezza e lo poggiò cautamente sul letto; recuperò il violino dalla custodia e lo mise accanto all'archetto. Sembravano perfetti insieme, anche se non erano della stessa manifattura. Scattò una foto e la pubblicò su Instagram, usando come didascalia la frase che gli aveva detto Giuda: "Solo... suona, ok?".
Non propriamente soddisfatto, aprì la conversazione WhatsApp con il suo professore e iniziò a registrare una nota audio: non c'erano parole, solo note musicali.

 

*

 

«The light behind your eyes. È una delle mie canzoni preferite dei MCR.»
«Davvero?»
«Sì. È davvero bella al violino. Sei bravissimo.»

Ethan aveva riletto l'ultimo messaggio almeno venti volte e non aveva smesso di sorridere nel farlo. Nonostante sua sorella gli avesse chiesto di non suonare a quell'ora di notte, lui non aveva messo giù il suo violino. La vista dell'archetto nuovo gli aveva dato la carica giusta per farlo e ora avrebbe voluto suonare fino a quando le sue braccia avrebbero retto: sapeva di non essere bravo con le parole, che nonostante il lungo lavoro d'introspezione che faceva con Michael non riusciva ancora a decodificare le proprie emozioni, ma in quel momento poteva dirsi davvero emozionato. Un emozionato generico e positivo, che non avrebbe potuto infilare in qualche categoria personalizzata, ma che era già un passo avanti.

Si addormentò con il cellulare in mano e con un sorriso beato stampato sul viso.

 

*

 

Quando Novotny aveva smesso di rispondergli ai messaggi, Giuda aveva cominciato a preoccuparsi. Erano quasi le cinque del mattino e aveva controllato il cellulare almeno un centinaio di volte, ma Ethan non gli aveva più risposto. Aveva provato a scrivergli un altro messaggio, un semplice "Dormi?" ma non aveva ricevuto alcuna risposta.
Se fosse stato un giorno normale sicuramente non ci avrebbe fatto caso ma, dopo la scenata di Richard, Giuda si preoccupava che Ethan avrebbe potuto fare qualche sciocchezza, qualche atto di cavalleria, o che semplicemente si fosse messo alla discussione tra Anne e il suo fidanzato e ne fosse uscito distrutto.
Chiarito che non avrebbe ricevuto risposta, ma anche che non sarebbe più riuscito ad addormentarsi, Giuda decise di andare a fare una doccia.
Sotto l'acqua calda, rifletté sul fatto che avrebbe voluto una casa tutta sua. Era stato decisamente fortunato ad avere una camera con bagno privato in una casa con dei coinquilini silenziosi e rispettosi, ma gli mancava la libertà di poter girare nudo per casa, di guardare un porno senza le cuffie, di utilizzare qualsiasi scaffale del frigorifero, insomma, la libertà di poter decidere cosa fare o tenere all'interno di un appartamento. Quando viveva in Florida, aveva un grazioso quanto minuscolo monolocale. Non c'entravano molte cose, non aveva spazio per ballare, ma aveva un terrazzino sul quale far crescere i suoi cactus e bere birra messicana al tramonto. Uscito dalla doccia, Giuda si vestì senza troppa attenzione, buttò alla rinfusa delle cose nella propria borsa e scese in cucina con l'intento di farsi un caffè.

- Oh, ciao. Tu sei quello nuovo, vero? -
- Io... sì, cioè, sì. Tu sei? -
- Io mi chiamo Chloe, sono la figlia della proprietaria dell'appartamento, - gli sorrise.
- Ciao Chloe. Io sono Giuda, - si presentò lui sorridendo.
- Vuoi del caffè? Ho anche fatto dei pancake in più! -
- Oggi è la mia giornata fortunata e nessuno me l'ha detto? - rise Giuda. Si accomodò poi al tavolo peninsulare dopo aver recuperato delle posate, dei piatti e due tazze di caffè.
Chloe gli servì i pancakes e si sedette di fronte a lui per fare colazione. - Ti piace Newcastle? -
- Beh, è... piccolo, come paese. Insomma, quando avevo accettato il trasferimento sapevo che fosse un paesello, ma non pensavo che fosse così tanto piccolo. -
- È davvero piccolo, però è il più grande nei dintorni. -
- Il luogo ideale per sparire, - ridacchiò Giuda. - Se fossi un omicida, probabilmente verrei a nascondermi qui. -
- Quindi sei il nuovo Norman Bates? -
- Fai attenzione quando fai la doccia, - disse l'uomo per poi pentirsene subito dopo. Voleva essere una battuta, ma si rese conto che potesse sembrare molesta solo dopo averla fatta. Fortunatamente, Chloe rise di gusto e continuarono a fare colazione insieme.
- Ora devo andare, ma grazie per la colazione. Sei stata molto gentile, - disse Giuda. Salutò di nuovo Chloe e poi uscì.

Una volta fuori dalla staccionata e prima di attraversare la strada, Giuda si soffermò a guardare la casa dei vicini. Nel notare che l'unico suono che riusciva a sentire era il canto soave degli uccelli, tirò un respiro di sollievo. Ma cosa si aspettava? Che non avrebbero mai smesso di gridare, che si sarebbero messi a lanciare oggetti, che avrebbero distrutto la casa? Scosse la testa e desiderò già un altro caffè.
- Ehi, Giuda! -
Giuda si voltò e notò che Anne era fuori in giardino con in mano due grossi sacchi della spazzatura. Istintivamente, le si avvicinò per darle una mano a infilarli nel cassonetto.
- Ciao Anne! Come stai? -
- Un po' stanca, - rispose lei con sincerità. - E tu? -
- Non ho chiuso occhio tutta la notte. Mi dispiace per ieri sera. - Vomitò fuori quelle parole come se non avesse fatto altro che pensare al modo migliore per scusarsi con la sorella del suo alunno.
- Ma cosa... non pensarlo nemmeno, - rispose Anne. - Anzi, è a me che dispiace. Ci stavamo divertendo, è stata una bella serata. -
- Sì, ma... se io non fossi rimasto per cena forse la serata non sarebbe durata così tanto e Richard non se la sarebbe presa tanto. Mi dispiace. -
- Giuda, basta. Sono stata davvero bene ieri, e anche Ethan aveva decisamente bisogno di trascorrere del tempo divertendosi. Non dar retta a Richard, anzi, vieni pure quando vuoi. -
L'uomo sorrise e annuì in risposta, anche se non sembrò essere pienamente convinto.
- Vorresti entrare per un caffè? L'ho fatto pochi secondi prima di uscire qui fuori. -
- No, davvero, grazie. Ho fatto colazione poco fa e devo assolutamente entrare a scuola, - rispose lui. - Come mi manca essere un adolescente e poter bigiare, - rise.
Anne ridacchiò per la battuta. - Sicuro che sia solo per la scuola? -
- Davvero, - rispose Giuda. - Ora vado. Mi ha fatto piacere incontrarti, - aggiunse sorridendo.
La ragazza gli sorrise e poi lo salutò, tornando dentro casa appena Giuda attraversò la strada.


Dopo la terza ora di lezione, il professor O'Connor si pentì amaramente di non aver accettato il caffè di Anne. Ascoltare Cotton mentre recitava la sua recensione al libro che aveva ricevuto in prestito era una vera tortura: mai Frankenstein fu più noioso di quello. Giuda scribacchiò qualcosa sul suo Notepad personale per evitare di appisolarsi. Poi ripensò alla serata precedente, a quanto gli era piaciuto ascoltare Ethan suonare, a come si era divertito a giocare con tutti loro. Riflettendoci, si rese conto che non provava una sensazione simile da molto tempo. Per una serata, dopo anni, si era sentito semplicemente se stesso e doveva ringraziare Ethan per questo, per avergli dato la possibilità di conoscere Anne e Michael. Sentiva di poter dire di aver trovato un paio di amici davvero sinceri. Poi, proprio quando il suo udito si era dissociato dalla realtà, suonò la campanella. L'intera classe tirò un sospiro rasserenato: evidentemente la presentazione di Cotton aveva annoiato ogni essere vivente presente in classe, perfino la sansevieria sul davanzale.
- Allora domani ascolteremo Cromwell e... ehi, fate attenzione, non vi catapultate fuori! -
Il docente sbuffò. Non gli era del tutto chiaro il perché di tutti gli iscritti al suo corso se poi nessuno era davvero interessato alla letteratura inglese.
- Professore! -
Giuda si voltò verso l'alunna che aveva parlato. - Lisa, dimmi tutto. -
- Volevo chiederle se ha sentito Ethan oggi... -
Il professore cominciò a buttare nella propria borsa tutto ciò che si trovava sulla scrivania, incluso il cassino scolastico. Era in evidente stato di agitazione e si rivolse all'allieva con un tono difensivo. - No, perché avrei dovuto?! -
Lisa scrollò le spalle. - È solo che, dopo tutto quello che è successo ieri sera, mi chiedevo se... cioè... io gli ho mandato dei messaggi stamattina ma non ha ancora risposto. Sono preoccupata. -
- Non l'ho proprio sentito, - mentì il docente. - Ma ho visto Anne mentre venivo qui, stava bene ed era tranquilla, quindi Ethan starà bene. -
Lisa non sembrò convinta, ma non le parve il caso di insistere. Scrollò le spalle, sorrise di circostanza e si avviò verso l'uscita a sua volta.
- Forse starà dormendo, non risponderà per quello. -
- Sì, forse è così. Ora ho lezione di chimica, vado altrimenti faccio tardi... buona giornata, - salutò la ragazza e poi uscì.
Rimasto solo con se stesso, Giuda lanciò la borsa sulla scrivania e si abbandonò sulla sedia dopo un sonoro sbuffo. Che modo di fare era stato quello? Perché si era sentito così in difetto da dover andare sulla difensiva? Non era normale, forse, che un professore si potesse umanamente preoccupare un alunno in difficoltà? Si era fatto prendere dal panico senza un vero motivo, era stato stupido.
- Giuda, sei qui? -
- Uh? Ah, Michael! Ciao! -
- Ciao! Come va? -
- Hanno appena distrutto uno dei miei capolavori preferiti, ma a parte questo tutto ok. Tu? -
- Ho sonno. Stanotte ho fatto davvero tardi... Steve era davvero arrabbiato per il comportamento del cugino e non la smetteva di urlare. -
- Richard è stato davvero maleducato, e io che mi lamentavo di Ethan e Steve quando sono arrivato qui. -
Michael rise e poi trattenne uno sbadiglio. - Stavo andando a prendere un caffè, mi chiedevo se ti andasse di venire con me. -
- Più che un caffè, mi servirebbe un calmante, - sbuffò Giuda. -
- Stai bene? -
- Non fare lo psicologo con me, Michael! -
- Non potrei e non lo farei di certo gratis, - rise. - Era solo una domanda generica in seguito alla tua affermazione. Siamo amici, no? -
- Quand'è così... sì, sto bene, è che mi sento stordito. -
- Stordito? -
- Sì. Ho scelto io di lasciare Tampa, ma ora mi manca. Insomma, non avevo idea che esistesse anche l'inverno. -
- Mi stai dicendo che, oltre l'inverno, esiste un'altra stagione? -
- Ho cambiato idea, - rispose Giuda con serietà. - Ora mi serve del vino! -
- Ma siamo a scuola! -
- Ho decisamente scelto il lavoro sbagliato! -
Michael rise ancora.
- Comunque... verrei volentieri, ma tra cinque minuti ho lezione con la classe del primo anno. -
- Allora mi toccherà andarci da solo. Ci vediamo, - salutò Michael prima di lasciare l'aula.
Giuda ricambiò il saluto e fu felice di essere stato definito "amico" da Michael. Era trascorso così poco tempo dal suo trasloco e si sentiva rincuorato di aver trovato un amico così premuroso. Approfittò degli ultimi cinque minuti di pausa per controllare il cellulare, dove trovò una piacevole sorpresa.

«Mi ero addormentato.»

Era un messaggio semplice e non si sarebbe aspettato nulla di diverso. Lasciò scorrere la conversazione e trovò anche una foto che lo fece sorridere.

«Stai leggendo il libro?»
«L'ho appena finito.»
«Di già?», «Ti è piaciuto?»

Non fece in tempo ad aspettare la risposta poiché i primi studenti cominciarono ad arrivare. Il professore ripose il cellulare nella borsa e si alzò in piedi, pronto per la nuova lezione.

 




ndA
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Capitolo 9
*** IX ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
IX.
 

Il mese di convalescenza era durato all'incirca un semestre per Ethan. Il tempo in casa sembrava non trascorrere mai. Una volta ci aveva fatto caso: le lancette avevano impiegato centottanta secondi per completare un giro. Il ragazzo lo aveva riportato alla sorella che, sorridendo, gli aveva detto che era una cosa impossibile. Le uniche volte in cui il tempo tornava a scorrere come da normalità erano quelle in cui i suoi amici andavano a fargli visita o quelle in cui incontrava Giuda dalla finestra. Così, quando il dottore gli disse che era tutto ok e che poteva tornare alla sua vita di sempre, le labbra di Ethan si allargarono in un ampio sorriso.
Dopo il lasciapassare del medico, Ethan era rientrato a casa e aveva iniziato a preparare tutto il materiale di cui aveva bisogno: libri, quaderni, appunti, penne, matite e altri articoli di cancelleria. Aveva addirittura stirato la sua camicia a quadri preferita per l'occasione. Ma, quando si ritrovò di fronte alla porta d'ingresso, il ragazzo fu percosso da un brivido: probabilmente aveva paura.
Osservò gli altri studenti correre felicemente nei cortili, li sentì ridere, vide la noia nei loro occhi... sembrava tutto normale, eppure qualcosa dentro di lui gli suggeriva che non era così, che tante cose erano cambiate, che forse avrebbe fatto meglio a continuare gli studi da casa.

- Tutto bene, Ethan? -
Il ragazzo si voltò di scatto. - Ah, Lisa... - sospirò sollevato. - Non lo so. Ho come la sensazione di non essere mai stato qui. -
- È sempre la stessa merda, - commentò Steve. - Ciao Ethan. -
- Ciao Steve, - rispose il ragazzo.
I tre rimasero bloccati per dei secondi a guardare l'ingresso della scuola in assoluto silenzio.
- Entriamo? -
- Entriamo. -

 

*

 

- Mi hai rotto il cazzo, - gridò Richard. - Sempre dietro a quel ritardato di tuo fratello, sempre al telefono con Michael... -
- E allora vattene, - rispose Anne con semplicità. A conferma di ciò, aprì anche la porta d'ingresso. - Vattene! Adesso! -
- Io vorrei solo che tu mi chiedessi sinceramente scusa! -
- Non credo di doverti alcuna scusa. -
- Sei sempre la solita stronza, - strillò Richard. - Una stronza, questo sei. Stronza! -
- Tu sei pazzo, - ribatté Anne. - Devi farti internare! -
- No, tu ti devi far rinchiudere, insieme a quello spostato di tuo fratello! - Richard calciò via il vaso delle betulle che era sull'uscio facendolo cadere a terra. Uno dei cocci finì proprio accanto ai piedi di Ethan, che aveva appena raggiunto il dialetto di casa.
Il ragazzo si chinò a prendere il pezzo di terracotta. Lo fece con delicatezza, come se stesse toccando un gioiello o un materiale prezioso, e poi lo mise in tasca. Giuda, che stava per aprire la porta di casa propria, si fermò nell'atto di infilare le chiavi nella serratura. Con naturalezza, fece qualche passo indietro per raggiungere il suo alunno preferito senza dare nell'occhio.
- Io non sono spostato, - obiettò Ethan.
- Ethan... - sbuffò la sorella. Anne amava suo fratello, ma era difficile per lei riuscire a stare calma quando lui proprio non capiva che era meglio stare in silenzio.
- Io sono stato paziente con te, - gridò Richard rivolgendosi ad Anne. - Non ho detto nulla neanche quando, quattro anni fa, hai portato in casa questo deficiente, - e indicò Ethan, - niente. Non ti rendi nemmeno conto che hai rovinato tutto! -
- Sei un coglione, - rispose Ethan.

Anne lo guardò esterrefatta, incapace di decidere come sentirsi e cosa fare. Le cose si stavano mettendo davvero male, ed era certa che Richard non si sarebbe calmato facilmente. Non che le importasse, comunque: lui non aveva mostrato un briciolo della sensibilità che stava decantando, non era stato rispettoso nemmeno una volta e né aveva mai provato a interagire con suo fratello.
Nel frattempo, una piccola folla si stava radunando appena fuori dalla staccionata. Newcastle era un paese piccolo, tanto quanto grande era la capacità di impicciarsi della popolazione. Richard era follemente stremato, così tanto che all'ennesima "stranezza" di Ethan non ci vide più dalla rabbia. Le mani si mossero quasi da sole, si chiusero in un pugno colmo di rabbia e frustrazione che puntò alla guancia del ragazzo. Ma non lo colpì.
Non perché non avesse misurato bene le distanze, anzi: la precisione del colpo non era minimamente messa in discussione, era stata calcolata al millimetro; ciò nondimeno non riuscì a colpire il ragazzo. C'era stato un solo dettaglio che non era stato preso in considerazione: l'ingresso in scena di Giuda. Il docente si era schierato in mezzo ai due e, con una rapidità e maestria che sconvolse i presenti, aveva immobilizzato il polso di Richard e l'aveva costretto a fermarsi.

- E tu che cazzo vuoi? -
- Che ti calmi, - rispose Giuda. Non accennò a mollare la presa ben salda sul polso dell'altro. - Non ti sembra di aver dato già troppo spettacolo? -
- A te non sembra di ficcarti in mezzo a fatti che non sono i tuoi? -
- Forse non sono fatti miei, ma nessuno può permettersi di picchiare un'altra persona. Quindi le tue alternative sono due: o te ne vai o chiamo la polizia. -
Richard lo fissò esterrefatto e provò a colpire l'uomo con l'altro braccio. Giuda sogghignò e, con un paio di passi che sembrarono quasi una danza, riuscì a immobilizzare completamente l'avversario che si lamentò per il dolore.
- Devo avvisarti per legge, - aggiunse Giuda, - sono terzo dan di Taekwondo. Quindi, te lo ripeto: puoi andare via in tutta tranquillità o chiamo la polizia. Nel frattempo, posso tenerti immobilizzato qui per ore. -
La folla aveva iniziato a borbottare qualcosa, sorpresa per la mossa e la fermezza di Giuda. Ethan, dal canto suo, afferrò la mano di Lisa e cominciò a respirare affannosamente. Nella sua mente cominciavano ad affollarsi pensieri a cui non sapeva dare un nome; da un lato, era sorpreso per l'intervento del professore, dall'altro era arrabbiato con Richard. Poi bisognava aggiungere la preoccupazione, la voglia di baciare Giuda, la tristezza, la frustrazione, la confusione: non sapeva cosa dover analizzare prima, né quale emozione esternare.
- Ethan, - chiamò Lisa. - Stai tranquillo. Respira profondamente. -
- Che stronzo, - commentò Steve, rivolgendosi al cugino. Recuperò il cellulare dalla tasca. - La chiamo io la polizia! -
Richard lanciò un'occhiata minacciosa al cugino e provò a liberarsi, ma Giuda non gli diede agio di farlo. L'uomo sembrava essere una persona diversa da quella dietro la cattedra; come docente, forse, era un po' imbranato e insicuro, ma nelle vesti di taekwondoka era sicuro di sé e risoluto. Sconfitto, Richard tirò un sospiro. - Me ne vado, - disse.
- Non farti più vedere, - disse Ethan. Lasciò la mano di Lisa e si avvicinò a sua sorella. - Mai più. -

 

*

 

Giuda tirò un sospiro profondo e batté le nocche contro la porta della camera di Ethan. Non attese risposta, perché non se ne aspettava una, e abbassò la maniglia.

- Ethan? -

Il ragazzo non rispose. Era steso sul letto a pancia in su, col violino poggiato sullo stomaco e lo sguardo vacuo concentrato sul soffitto macchiato dalla fioca luce stradale. Giuda entrò cercando di non fare alcun tipo di rumore e accostò la porta delicatamente per richiuderla. Contrariamente alle proprie aspettative, si rese conto che la camera del ragazzo era molto ordinata: certo, aveva una quantità allucinante di cose che potevano descrivere la sua personalità e i suoi interessi, ma erano disposte con una meticolosità che non gli avrebbe mai attribuito. Restò in silenzio qualche minuto e ne approfittò per farsi raccontare, dai libri di Woolf ai vinili dei Metallica, la storia di quella stanza; poi, dopo aver dato un'ulteriore occhiata alla scrivania, decise di rivolgergli la parola.

- Ethan, posso fare qualcosa per te? -

Quasi come se si fosse accorto soltanto in quell'istante che ci fosse qualcun altro nella stanza, Ethan si sollevò lentamente per mettersi seduto a gambe incrociate sul materasso. Il duvet era ricoperto di flanella, morbido e caldo, l'ideale per una serata come quella. Scosse lievemente la testa, come per rispondere che no, non poteva fare niente, e tornò a fissare il vuoto della parete.
Tra le dita, stringeva ancora il coccio di terracotta.

 

*
 

Quando Giuda aprì gli occhi si accorse che era già mattino. La luce del giorno penetrava con un'insolita insistenza attraverso i vetri della finestra. L'uomo sollevò le palpebre con lentezza, come a volersi godere maggiormente il tepore che si era diffuso nella stanza. Impiegò qualche minuto a capire che non si trovava a casa sua, e quando lo fece spalancò gli occhi: dov'era finito?Da steso si posizionò seduto con le gambe fuori dal letto e si guardò intorno. Riconobbe alcuni degli oggetti visti la sera prima e pregò davvero di non essere lì dove immaginava, sperò con forza che fosse tutto un equivoco, un sogno, e si augurò di potersi ancora fidare di se stesso. Poi, Ethan entrò in camera. Lo fece indossando un accappatoio rosa e un asciugamano a fiori con cui si strofinava i capelli. Giuda dovette fare appello a qualunque briciolo di coscienza gli fosse rimasta in corpo per restare, almeno in apparenza, calmo.

- Buongiorno, - disse soltanto.

Ethan, con tutta la nonchalance di cui era capace, si voltò verso di lui. Aveva i capelli elettrizzati dallo strofinio contro la stoffa. - Buongiorno, - rispose. Era troppo concentrato sui capelli per interessarsi del resto del mondo, tant'è che recuperò una spazzola dal cassetto e andrò a sedersi sul davanzale della finestra per pettinarsi.

Giuda poté chiaramente notare che il ragazzo non indossava le mutande. A quel punto, sospirò e si decise a distogliere lo sguardo e seguitò ad alzarsi. In quel momento esatto, quello in cui i pensieri gli s'aggrovigliavano in testa come una matassa di peli nella bocca di un gatto, la sveglia suonò. Giuda si voltò e scoprì che ore fossero; era un dettaglio di cui non si era nemmeno curato ma che d'improvviso diventò di vitale importanza.

- Che cazzo, - borbottò tra sé e sé. Erano le 07:15 del mattino, il che significava che aveva un'ora di ritardo sulla tabella di marcia quotidiano. Raccolse frettolosamente gli occhiali e il maglioncino, poi si focalizzò su un altro dettaglio dimenticato. - Novotny, - chiamò sconvolto.
Sorpreso di essere stato chiamato come a scuola, Ethan gli rivolse uno sguardo interrogativo.
- Che cosa è successo stanotte? -
Ethan scrollò le spalle e smise di pettinarsi i capelli. - Ti sei addormentato qui, - rispose con obiettiva sincerità.
- E perché il mio maglioncino è finito a terra? -
- Devi averlo tolto nel sonno, presumo. -
Giuda non sembrò convinto da quella risposta, ma non voleva né trattenersi oltre né fare la figura dell'imbecille. Si infilò subito l'oggetto della contesa, indossò gli occhiali da vista e fece un passo verso la porta. Si bloccò.
Non poteva andare via senza salutarlo, ma cosa doveva dirgli per non creare ulteriore imbarazzo?
Osservò il ragazzo con la coda dell'occhio. Ethan non sembrava per nulla preoccupato o a disagio; continuava a pettinarsi i capelli con una certa meticolosità, incurante di aver tutto l'armamentario in bella mostra. Giuda quasi invidiava la sua sicurezza di sé, il suo fare le cose senza rimuginarci sopra, la libertà di girare per casa con addosso un accappatoio rosa, il fregarsene dei pregiudizi. Fece per aprire la bocca e dire qualcosa, ma il ragazzo lo anticipò.
- Devi andare via? -
Lui annuì. - È tardi, devo essere in classe tra meno di un'ora e ho ancora addosso i vestiti di ieri sera. -
Il ragazzo strinse le spalle e annuì. - Lo capisco. Hai reso il mio letto più accogliente stanotte. -
- Ma cosa... -
Giuda arrossì violentemente e farfugliò qualche sillaba non ben definita.
- Il tuo corpo diventa più caldo mentre dormi, - cercò di spiegarsi Ethan. Le parole erano sue nemiche; aveva una chiara sensazione in cuor suo che non riusciva a spiegare, e ci provava al meglio delle proprie capacità. - Sei confortevole, - concluse.
- Ecco, io, cioè, beh, sì, non dovrà capitare più, - disse soltanto il docente. - Ci vediamo in classe. -
Prima che il ragazzo potesse anche solo dire qualcos'altro, Giuda si affrettò a uscire dalla stanza. Ethan rimase immobile con la mano che reggeva la spazzola ferma a mezz'aria e lo sguardo fisso sulla porta chiusa. Aveva detto qualcosa di sbagliato? Perché non doveva capitare più?
Giuda gli aveva sempre regalato uno strano senso di protezione e a lui era piaciuto sentirsi così accanto al professore. Per una volta non aveva dovuto difendersi da alcun pregiudizio o insulto; era stato semplicemente Ethan e aveva dormito bene.
Incerto su come sentirsi e su come comportarsi, il ragazzo scrollò le spalle e tornò a prepararsi per andare a scuola.

 

*

 

Ethan non era un grande esperto di comunicazione, ma aveva capito che c'era qualcosa che non andava bene. Giuda l'aveva ignorato durante la lezione (avevano tutti letto qualche passaggio o risposto a qualche domanda) e lui si era sentito arginato. Era quindi rimasto soprappensiero e guardava distratto la vita degli altri passargli davanti. Lisa e Steve avevano provato a interagire con lui, ma le uniche risposte erano state monosillabiche, così avevano rinunciato.

Nel pomeriggio, ancora distratto dal rimuginare, Ethan era andato a fare le prove del coro. Chissà perché si chiamavano così visto che non c'era alcun coro. Aveva avuto modo di suonare il violino a lungo. Aveva ricevuto la solita sfilza di complimenti dalla professoressa, ma non le aveva creduto. C'era ancora qualcosa che lo rendeva titubante; il suono dello strumento era sporco, non andava bene. Quando l'ultima campanella suonò, senza nemmeno preoccuparsi di salutare, Ethan sistemò tutto: caricò in spalla la custodia dello strumento e s'incamminò fino all'uscita dell'edificio. Il violino era più pesante del solito. Non sapeva se fosse soltanto una questione psicologica o meno, ma anche l'aria era più difficile da mandare giù. Lo sguardo più arduo da mettere a fuoco, le gambe più pesanti da trascinare passo dopo passo... che cosa stava succedendo? Strinse le dita intorno alla spallina della custodia e concentrò tutte le proprie forze per continuare a camminare, passo dopo passo.

- Novotny. Novotny, tutto ok? -
Una voce familiare e distorta lo stava chiamando. Ethan era quasi riuscito a uscire dall'istituto quando Giuda lo aveva fermato. Perché gli chiedeva se fosse tutto ok? Dopo averlo ignorato tutta la giornata, poi... assottigliò gli occhi e ascoltò il fuoco che aveva dentro. - Sì, - rispose soltanto. Le fiamme gli morirono in gola.
Giuda non sembrò convinto. - Sei sicuro? -
- No, - ammise il ragazzo.
- Vuoi che ti accompagni a casa? - chiese il docente evidentemente preoccupato per lui.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia innervosito. - Fammi capire, non vuoi dormire con me ma puoi accompagnarmi a casa? -
Giuda sgranò gli occhi e si guardò intorno sospettoso; se qualcuno l'avesse sentito avrebbe potuto pensare passare dei guai molto seri, ma per fortuna non c'era nessuno a quell'ora e quindi si rilassò un po'. - Ethan io... io sono un tuo professore, non... cioè... queste cose non si fanno, non è normale, - cercò di spiegarsi Giuda.
Il ragazzo non parve essere d'accordo. - Beh, ieri sera non la pensava certo così, professore, - l'apostrofò Ethan con astio. Si fece largo con una spallata e lasciò l'istituto.

 

*

 

Giuda era decisamente troppo giovane per fare il professore. Quando glielo aveva detto suo padre, lui aveva risposto che sono i giovani a cambiare il mondo, ma ora che aveva a che fare con Ethan si rendeva conto che forse, se avesse avuto qualche anno in più, le cose sarebbero potute andare diversamente. O forse no, forse non era una questione legata all'età quanto all'atteggiamento che lui stesso aveva avuto nei confronti del ragazzo. Era a questo che pensava Giuda mentre stirava le sue magliette preferite, prima di essere interrotto dalla suoneria del cellulare: erano giorni che non sentiva sua madre, in effetti, per questo rispose e andò a sedersi sul davanzale della finestra speculare a quella di Ethan. Inevitabilmente, finì con lo sbirciare. Le tende non erano tirate e si sentiva autorizzato a guardare quello che accadeva nella camera del ragazzo. Si percepì a metà tra uno stalker e un maniaco, ma non poteva fare a meno di osservare. Solo quando vide che un ragazzo, un altro ragazzo, stava spogliando Ethan capì che avrebbe dovuto smetterla.
Quella notte Giuda non riuscì a dormire. Aveva trascorso ben due ore a guardare il soffitto bianco che sembrava lo schermo di un cinema che proiettava un film che lui non voleva guardare: un paio di mani che spogliavano Ethan, i suoi capelli ondeggianti, il profumo del sesso... non riusciva a togliersi dalla testa la breve immagine di un altro ragazzo che spogliava, che toccava, Ethan, e non sapeva perché.
Aveva preso a pugni il cuscino, aveva calciato le coperte e soffocato un gridolino contro il materasso. Quando la sveglia suonò alle sei del mattino, Giuda era appena uscito dalla doccia. Non aveva voglia di andare a scuola e ancora una volta diede la colpa a Novotny. Così, senza un briciolo di pudore, recuperò il telefono per sbirciare l'account Instagram del ragazzo.
Appena sbloccò lo schermo ricevette la notifica di un messaggio.

«Possiamo vederci?»

Di tutte le cose che voleva fare l'ultima della lista era quella di vedere Michael; un po' perché immaginava quello che aveva da dire, un po' perché l'ultima volta che aveva avuto un meeting con lui erano finiti in South Dakota per andare in ospedale. Tuttavia, non aveva potuto rifiutare. Così, dopo una lunga giornata intensa di lavoro (Ethan non era presente in classe. Stava bene? Oh. Ma certo che stava bene, forse doveva recuperare le energie dopo la performance), Giuda si era recato nell'ufficio angusto e polveroso di Michael.

- Certo che questo posto non è per nulla rassicurante, - disse il docente Michael rise - Lo so. Ho chiesto al preside dei fondi per renderlo almeno vivibile e lui ha risposto "scegli: o il tuo lavoro o lavori di ristrutturazione". -
- Era una scelta chiaramente obbligata! -
Michael rise di nuovo. - Gradisci un caffè? -
- No, grazie. Ne ho bevuti dieci oggi. L'undicesimo potrebbe uccidermi. -
- Allora evitiamo, - borbottò Michael. C'era già troppa carne a cuocere per pensare anche a una morte. - Come stai? -
- Bene, - rispose Giuda, - ho avuto una giornata pesante, ma per fortuna sono giunto alla fine. Tu come stai? -
- Stanco. Te lo confesso: fare la spola tra i vari paesini del circondario vuol dire guidare per un numero spropositato di ore. -
- Immagino... su queste strade poi io non mi sentirei mai al sicuro. -
Michael sorrise, poi spense il computer e spostò il monitor per affacciarsi verso l'altro. - Ti starai chiedendo perché ti ho chiesto di vederci. -
- Sì, ma mi sono anche dato una risposta: Ethan. -
- Perspicace, - commentò l'uomo.
Giuda scrollo le spalle.
- Allora non farò troppi giri di parole, se non ti dispiace. Ti dico solo che tutto quello che diciamo in questa stanza resta in questa stanza. -
Giuda annuì ancora. Non che avesse intenzione di dire qualcosa, soprattutto perché non c'era molto da dire, bensì perché conosceva la legge sulla privacy, - Dimmi. Cosa c'è? -
- No, dimmi tu cosa c'è, - rispose Michael. - Ethan mi ha detto che avete dormito insieme. -
Giuda sgranò gli occhi e divenne rosso quanto i suoi capelli. - No, non è quello che pensi! -
- Io non penso. So che quando Ethan dice "dormire insieme" lo intende letteralmente. Quello che io mi chiedo è cosa è successo. -
- Credo che queste siano cose private... -
- No, no, non lo sono. Sei un suo professore, e se ancora non ho riportato il caso è perché hai aiutato Anne, - ammise Michael. Il suo tono era calmo, spaventosamente vuoto da qualsiasi emozione.
- Ero andato a controllare che stesse bene... non era previsto che rimanessi lì a dormire. Ci siamo messi a chiacchierare, mi aveva preso in giro per il mio accento italiano, voleva sapere com'era la Florida... solo questo. -
- Solo questo? -
Giuda non rispose. Si abbandonò contro lo schienale della sedia e concentrò lo sguardo sulla macchia di muffa che ormai aveva lasciato poco spazio all'intonaco originale. "Solo quello", avrebbe voluto rispondere, ma lo sapeva, lo sapevano entrambi, che sarebbe stata una bugia. Ma, a conti fatti, cos'altro era successo?
- Cazzo, - sbuffò Giuda, - sono malato. Per forza! -
- Perché dici così? -
- Credo... oddio, com'è difficile... credo... credo di provare qualcosa per Ethan. -
La verità gli era colata addosso come una cascata d'acqua gelida. Michael restò in silenzio. - I sentimenti sono complicati, Giuda... -
- È un mio alunno, non è normale! -
- Solo perché è un tuo alunno? Guarda che di casi come il tuo ne è pieno il mondo. -
Giuda non sembrò rassicurato dopo quella risposta. - Forse devo dare le dimissioni e tornare a Tampa... o forse addirittura in Italia! -
- Certo, scappare è sempre la prima scelta, - commentò Michael. - Senti Giuda, fai così: prenditi del tempo per capire cosa provi e se Ethan ti piace davvero ne riparliamo. Ti chiedo solo di non mandargli segnali contrastanti. Lui è già confuso di suo, una cosa del genere sarebbe problematica. -
Come poteva non mandargli segnali del genere se lui anche era confuso? Beh, certo, lui non viveva la stessa condizione del ragazzo, ma comunque... - va bene. Sì, lo farò, - rispose. Ponderò anche sul prendere qualche giorno di riposo, ma temette per il proprio posto di lavoro.
Michael sorrise. - Stasera è venerdì... ti va di andare al bar? -
In realtà, Giuda avrebbe voluto rispondere no, ma per coerenza annuì. - Guidi tu? -
- Sì, ci tengo alla mia vita. -

 

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Capitolo 10
*** X. ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
X.
 

Man mano che la domenica pomeriggio volgeva al termine, il lunedì si faceva minacciosamente più vicino. Così, dopo la classica telefonata con la famiglia, Giuda decise di fare qualcosa per alleviare lo stress, qualcosa che si era ripromesso più volte di non fare più. Eppure si conosceva bene, e sapeva che, prima o poi, ci sarebbe cascato di nuovo; e allora si era preparato una via di fuga. Una volta aperta la finestra, si accomodò sul davanzale e, dopo aver recuperato cartina e filtro, rollò uno spino con dell'erba che aveva acquistato qualche mese prima di giungere a Newcastle. Sperò però che fosse ancora buona.
- Ehi Google, alza il volume, - esclamò. L'assistente vocale eseguì l'ordine e la playlist "Non so perché l'ascolto (ita)" echeggiò nell'aria. Giuda ascoltò con attenzione le parole di quelle canzoni tanto vecchie che piacevano a sua madre, ma non riuscì a spiegarsi come mai continuava ad ascoltarlo. I contenuti erano quasi sessisti e ipocriti, fermi duecento anni addietro, eppure...
Come se il fatto non fosse il suo, cominciò a canticchiare tra un tiro e l'altro. Rabbrividì per il freddo. Sedersi lì con solo una canotta non era stata un'idea brillante, però quando vide di sottecchi la finestra di Ethan aprirsi poggiò la testa contro il muro e sorrise.

Ethan fece capolino dalla finestra e si sedette a sua volta sul davanzale. Fece un cenno di saluto al professore e indicò con lo sguardo la sua sigaretta. Giuda sollevò lo spinello e scrollò le spalle prima di fare un altro tiro. Ethan fece spallucce e accese una sigaretta a sua volta. Giuda sembrò scioccato così come se avesse visto uno Yeti.

- Fumi?! -
- Perché, tu no? -
Il docente si vide costretto a tacere e si concentrò sulla canzone, era una delle preferite di sua madre. Il titolo era "Erba di casa mia".
- Ma tu davvero capisci quello che dice? - chiese Ethan.
L'uomo non rispose, ma schiarì la voce e attaccò all'unisono, - ma un'altra primavera, chissà quando verrà... -
- Che bella lingua, - commentò Ethan realmente affascinato. La trovava molto delicata e musicale, e riteneva l'uomo estremamente sensuale quando la utilizzava. Giuda sorrise e fece un altro tiro alla sigaretta. Avrebbe anche voluto rispondere al ragazzo, ma poi fu interrotto da qualcuno che bussò alla porta di camera sua.
- Ciao Chloe! Tutto bene? -
- Ciao Giuda! Ho fatto un tè, mi chiedevo se ti andasse... -
- Uh? No, grazie, ma sei stata gentilissima. -

Chloe era davvero un'ottima coinquilina; dopo averla salutata con un sorriso, Giuda tornò alla finestra e fu sorpreso di non trovare più Ethan. Fece l'ultimo tiro di sigaretta e poi la spense. Rapidamente recuperò il cellulare per mandargli un messaggio.

«Dove sei finito?»
«Non volevo disturbare.»
«In che senso?»
«Lei e Chloe. Non volevo disturbare lei e Chloe.»

Giuda sorrise come un quindicenne che ha scoperto qualcosa di incredibilmente rilevante sulla sua nuova cotta. «Ethan. Le donne sono un genere bellissimo, ma a me piacciono gli uomini.»

 

*

 

La loro relazione era davvero strana, quasi troppo equilibrata per essere vera: a scuola Novotny continuava a essere annoiato dalle sue lezioni, ma fuori continuavano a parlare e a scriversi con simpatia. Non c'era stato davvero nulla di fisico tra loro, eppure Giuda si sentì indissolubilmente legato a Ethan.
Dopo più di due mesi dalla sigaretta sulla finestra, Giuda decise di parlare con Michael. Odiava il suo ufficio angusto e maleodorante, per cui si presentò da lui con un regalo.
- Ciao Giuda! -
- Ciao Michael. Come stai? -
- Credo di essere ancora nel mondo dei sogni, - commentò distrattamente Michael. - Tu come stai? -
- Io bene, - rispose Giuda. Sembrava sincero. - Ti ho portato una pianta per rallegrare l'ambiente, - aggiunse e gli porse l'orchidea.
- Oh, grazie! - Michael accettò volentieri il regalo e lo posizionò sulla scrivania in modo tale che la flebile luce di un sole timido le desse un po' di calore. Sperò non appassisse come il cactus che gli aveva regalato Anne anni fa. - Dimmi tutto. -
Giuda si sistemò su una delle due sedie disponibili, tirò un sospiro e parlò. Si era organizzato un bel discorso mentalmente, ma ora che era il momento giusto per tirarlo fuori aveva paura.
- È successo qualcosa? - chiese Michael.
- No, no. È solo che... ti ricordi di cosa abbiamo parlato in questo ufficio, l'ultima volta? -
- Sì, certo. -
- Io... io ci ho davvero pensato su. Ho cercato di soffocare tutto perché non mi sembrava normale... io... le conversazioni che ho avuto con Ethan sono state le più stimolanti che io abbia sostenuto da dopo il diploma. Ha un temperamento davvero irriverente in classe, ma è molto intelligente. È... affascinante. -
Michael lo ascoltò in silenzio.
- Mi piace Ethan, - ammise Giuda. - Non è successo nulla tra noi, ma mi piace. -
Michael sorrise anche se era certo che da lì a poco una catastrofe sarebbe sulle loro teste come una cascata di ghiaccio. - Credi che questo possa influenzare il tuo lavoro? -
- No. -
- Pensi di avere, in qualche modo, favorito Ethan solo per ciò che provi per lui? -
- No. -
Giuda pensò all'enorme mole di note che gli aveva inflitto, tutte uguali a quelle che aveva segnato il professor Garcia. Michael sapeva che il suo lavoro gli imponeva di riportare un evento del genere, per tutelare Ethan e la scuola, ma allo stesso tempo aveva paura che Giuda potesse essere rispedito a casa.
- Cosa dobbiamo fare? -
- Devo consultare il regolamento scolastico, - rispose Michael per prendere tempo. - Ti farò sapere. -

 

*

 

«Tu cosa fai lì fuori impalato?»
«Mi hanno appena cancellato il volo per Tampa. Volevo andare lì dai miei per Natale.»
«Perché non vieni a casa mia, allora?»
Giuda fissò l'ultimo messaggio ricevuto per almeno dieci minuti buoni prima di rispondere. «Non ti preoccupare, non voglio dare fastidio.»

Dopo meno di dieci secondi, Anne aprì la finestra e iniziò a gridare. - Giuda! Vieni subito qui. Ethan mi ha detto che ti hanno cancellato il volo, non ti faccio passare il Natale da solo. -
L'uomo sorrise debolmente, imbarazzato. - Ma... -
- Se dici un'altra volta ma mi arrabbio. -
- È solo che... -
- Carbonara con la panna, ananas sulla pizza... -
- Va bene, vengo. Non c'è bisogno di torturare così le persone. -
Anne rise di cuore. - Ti apro la porta. -
Giuda avrebbe voluto posare almeno la valigia prima, ma penso che fare aspettare ulteriormente Anne non fosse una buona mossa. Quando Ethan aprì la porta, Giuda aggrottò le sopracciglia.
- Traditore, - disse.
Ethan rise. - Sapevo di poter contare sulle doti persuasive di mia sorella, - commentò il ragazzo che poi, a caso, lo abbracciò prima di allontanarsi saltellando.
Giuda rimase in stand by per dei secondi, interdetto da quella reazione, poi, dopo un paio di minuti di esitazione, si avviò verso la cucina.
- Posso almeno aiutare ad apparecchiare? -
- Qui è tutto sotto controllo, - disse Anne. Allora Giuda andò in stanza da pranzo e fu sorpreso dal trovare il tavolo così tanto allungato. - Ma quanti siamo? - chiese.
- Sette, - rispose Ethan. - Ma solo perché zia Clodette non viene. -
- Zia Clodette? -
- Sì. Quest'anno ha disertato... per fortuna. Non sai quanti eravamo al ringraziamento, - commentò Ethan.
Giuda scosse leggermente la testa. - Vado a lavare le mani e arrivo. -

Pian piano, cominciarono ad arrivare tutti e tutti furono sorpresi di trovare lì Giuda che dovette spiegare almeno tre volte la storia triste del volo cancellato. Erano lì Lisa, Steve e Michael. Convinto che ci fossero tutti, Giuda fu sorpreso
quando udì il campanello suonare.

- Vado io, - disse Ethan. Era davvero allegro, tanto da raggiungere la porta saltellando. - Papà! - gridò, e senza dare all'uomo modo di entrare gli si tuffò contro abbracciandolo con forza.
Nonostante l'aspetto austero, l'uomo si sciolse subito in un sorriso e ricambiò il gesto del figlio. - Tesoro, come stai? - chiese. Gli baciò ripetutamente la testa, fino a quando Ethan non lo lasciò andare. Era bello vedere come un ragazzo della sua età non si vergognasse minimamente di adorare tanto suo padre.
Reggendo un bicchiere di vino tra le mani sudate, Giuda s'incantò nel notare l'aspetto del signor Novotny. Era un uomo di bell'aspetto che, nonostante l'età, conservava un fascino particolare: non c'era da sorprendersi che i suoi figli fossero entrambi così avvenenti. E, al di là della presenza fisica, sembrava anche un uomo gentile: a primo impatto si poteva pensare a lui come a un boscaiolo rude e burbero, ma una volta visto il suo sorriso non si poteva che farsi l'idea di un uomo semplice e dolce. Bastava osservare lo sguardo colmo d'amore che riservava ai suoi figli.
- Jack! Sono contento che tu sei riuscito a venire, - disse Michael dopo averlo abbracciato. - Ti presento anche Giuda, un nostro amico. -
Il professore arrossì e strinse di più il calice mentre porgeva l'altra mano all'uomo. - Piacere di conoscerla. -
Jack guardò la mano del docente e poi il viso del docente. - Giuda... quel Giuda? -
- No, non quello della Bibbia... cioè, il nome è quello ma sono due persone diverse, - chiarì Ethan con serietà. Scoppiarono tutti a ridere perché era altamente improbabile che Jack si riferisse a Giuda Iscariota, anche solo per una questione di epoche storiche diverse.
- Sì, - s'intromise Anne, - quel Giuda. -
Giuda si guardò intorno confuso, ma quando si trovò stretto fra le braccia muscolose di Jack fu davvero sconvolto.
- Grazie, - disse l'uomo.
- P-per cosa? -
- Senza nemmeno conoscerli, ti sei preso cura dei miei figli. Sono certo che fare da insegnante a Ethan non sia facile. -
Giuda divenne rosso scarlatto, ma ricambiò l'abbraccio volentieri. Quella sera i Novotny dovevano essere in vena di coccole.
- Ora lavatevi le mani, - ordinò Anne, - si mangia! -

 

*

 

Trascorrere il Natale a casa Novotny era qualcosa a cui Giuda non avrebbe mai pensato. Eppure era felice. Certo, gli era mancato non vedere i suoi genitori, ma almeno non era stata una brutta esperienza. Si appuntò mentalmente di dover ringraziare Ethan e Anne per l'idea.
Quando ormai anche l'ultimo goccio di vino era stato bevuto e l'orologio aveva già accennato la mezzanotte, Michael sbadigliò. - Forse è arrivata l'ora di andare, - disse.
- Non ti permettere di fare una cosa del genere, - lo minacciò Anne. - Voi tutti dormirete qui, - disse con tono imperativo, poi guardo anche Giuda e aggiunse: - Tutti. -
Il professore si guardò intorno con aria da gnorri. Non voleva davvero dormire di nuovo a casa Novotny, non ora che la situazione con Ethan si era fatta così strana ed equilibrata.
- È inutile che fai quella faccia. Anzi, ora vado a preparare le stanze, - disse la ragazza.
- Fammi almeno aiutare! - propose Michael. Sapeva di non poter contraddire Anne in alcun modo, tanto valeva allearsi con lei.
- Va bene. -
Steve, Lisa ed Ethan erano in cucina lavare i piatti e, quando Michael e Anna si spostarono sul piano superiore, Giuda rimase da solo con Jack. D'improvviso fu colto da uno strano imbarazzo, tanto che maledì l'aver bevuto l'ultimo sorso di vino dal bicchiere. Per non fare la parte del pigro, si alzò dal tavolo con l'intento di finire di sparecchiare.
- Sai Giuda, - disse Jack dal nulla, - quando Anne mi ha detto che Ethan era in ospedale, ero pronto a mettermi in auto e raggiungere il South Dakota. So quanto mio figlio odi gli ospedali e quanta paura abbia dei medici. Poi Anne mi ha detto che lui in realtà era calmo, che era tranquillo, e la cosa mi ha sorpreso molto. Mia figlia mi ha detto che un suo nuovo professore l'aveva accompagnato insieme a Michael. Io ho chiesto di te, e quando ho scoperto che lo conoscevi da nemmeno da una settimana, ero sconvolto: mio figlio odia la letteratura, gli riesce più difficile da capire di qualsiasi altra materia scientifica e sono sicuro che non è neppure è stato gentile con te, eppure... non l'hai solo accompagnato, sei rimasto lì anche la notte. -
- Io... io non potevo fare altrimenti, - rispose Giuda.
- Non è la prima volta che Ethan affronta momenti del genere. Nessuno dei suoi professori l'aveva supportato così come stai facendo tu. -
- Non potevo lasciare un mio alunno in difficoltà, - chiarì Giuda, - non ho fatto granché. -
- Non sottovalutare quello che hai fatto. Hai un grande cuore, e io ti ringrazio. -
- Non deve ringraziarmi, - si discolpò Giuda. Era davvero in imbarazzo.
Jack gli sorrise. - Non sai cosa significa essere il padre di Ethan. Fino a ora ho trovato solo insegnanti che volevano liberarsi di mio figlio mentre lei ora è qui con noi a festeggiare il Natale. -
Giuda gli sorrise, mascherando il suo senso di colpa. Certo, così come l'aveva posta Jack era stato un bel gesto quello di aiutare il ragazzo, ma era davvero stato fatto solo per bontà d'animo? Alla luce delle ultime rivelazioni, Giuda non si sentì tanto buono e cavalleresco. Guardò il bicchiere vuoto e annusò il profumo di vino che si era impegnato sul vetro mentre sperava che qualcuno arrivasse per interrompere quella conversazione tanto scomoda.
Fu lo stesso Jack a farlo. - Vabbè, poi se consideriamo che Ethan ha preso tutto il fascino da suo padre... -
- Papà, - l'interruppe il ragazzo, - smettila di rompere le scatole alla gente. -
Giuda arrossì violentemente al commento di Jack, ma per fortuna era intervenuto Ethan.
- Ma io non ho fatto niente! -
- Non ti credo, - lo rimproverò il ragazzo, - vai a fare tutto quello che fanno i vecchi alla tua età: dormire! -
- Io non sono vecchio. -
- Lo sei. -

Giuda si trattenne dal ridere e scosse piano la testa. La schiettezza di Ethan gli si era ritorta contro un milione di volte, ma ogni volta ne restava affascinato. Si poteva dire tutto su di lui, tranne che non fosse sincero. E questo era solo da apprezzare.

 

*

 

- Esattamente, da dove sbucano queste? - chiese Michael. In mano reggeva delle lenzuola rosa di seta; sembravano ricamate a mano in un altro secolo.
- Ah, queste? - Jack rise. - Sembrano le lenzuola della prozia Ellen, pace all'anima sua. Spero non siano quelle su cui era stesa quando è morta... -
- Anche se fosse, sono state lavate! - lo rimbeccò Anne. - E poi sono di ottima qualità, soffici e morbide! Devono essere costate un sacco di soldi. -
Michael fece spallucce e aiutò la donna a sistemare il letto per Jack. Secondo un'antica superstizione, fare il letto a tre portava sfortuna e, per questo, Jack si mise da parte. Si soffermò a guardare vecchie foto di famiglia su un comò. Era chiaro che quella stanza non l'usasse a nessuno: c'erano ancora i diari della prozia Ellen, le sue foto e i cuscini che profumavano di acqua di rose. La prozia Ellen usava così tanto profumo all'acqua di rose che era strano che non ne fosse impregnata l'intera casa.
- Vi siete sistemati bene, - commentò Jack. - Mi sembrate felici. -
- Mh? -
- Tu ed Ethan, intendo. State bene qui. Credevo che questa casa fosse ridotta a una catapecchia, ma sono felice di trovarla come un'abitazione accogliente. -
Anne sorrise e poi infilò il cuscino nella federa. - Grazie. -
Jack sorrise con dolcezza. Aveva gli occhi stanchi, un po' per il sonno e un po' per i ricordi che quella casa gli riportava alla mente.
Anche lui era stato felice con la prozia Ellen. Era stata una brava donna, sopra le righe, poco convenzionale, forte e coraggiosa. Probabilmente doveva a lei più di quanto credesse.
- Ethan mi ha anche raccontato di Richard. -
- Papà... -
- Possiamo anche ignorare il discorso, se vuoi, ma sarebbe come ignorare un problema. Hai cambiato la serratura? -
- Non ancora... -
- Come non ancora? - chiese l'uomo. Poi si rivolse a Michael. - E tu che ci sei a fare?! -
- Ehi, con calma, - rispose Michael. - Io mica posso obbligarli a cambiare la serratura! -
- Quello squilibrato ha le chiavi di casa, oh Gesù, siete almeno armati? -
- No! - s'affrettò a dire Anne. - Con Ethan in casa ci mancano giusto le pistole, guarda... -
- E allora cambia le serrature, Anne. Lo sai, sono sempre stato gentile con Richard, nonostante mi stesse sulle palle, ma... adesso basta. Basta! Dopo quello che ho sentito... -
- Ethan ha esagerato... -
- No, no, Anne, Ethan non ha esagerato, - s'intromise Michael. - Cristo, quante volte te lo devo dire? Se non ci fosse stato Giuda qui... non ci voglio nemmeno pensare. Quello è pazzo! -
- Non è pazzo, è solo... sentite, Richard non è un mostro. È solo... -
- Ossessivo? -
- Geloso? -
- Smettetela tutti e due! - li rimproverò la ragazza. Gettò il cuscino sul letto e sistemò il duvet al meglio. - Richard non è un mostro... è solo che, evidentemente, non eravamo fatti per stare insieme. -
- Meno male, - sospirò Jack.
La ragazza si sedette sul letto e nascose il viso tra le mani.
- Anne... - Michael le si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla, poi guardò Jack mestamente. - Senti, Anne. Io, tu e Richard andavamo a scuola insieme, esattamente come fanno Ethan, Lisa e Steve. Eravamo amici, io ho davvero voluto bene a tutti e due, ma... - Michael si morse un labbro dall'interno. Lo fece con così tanta veemenza che poté assaggiare il retrogusto del proprio sangue. - Le cose cambiano, le persone cambiano. Lo hai visto anche con Ethan: è cambiato tantissimo da quando è arrivato qui. Ma... i cambiamenti non sono sempre positivi... e non tutti sono propensi ad accettarli... nemmeno è detto che debbano farlo. -
- Ma è Richard! -
- Sì, ma non è quel Richard. Non è più il Richard che a scuola ti portava i cioccolatini e ti faceva ridere con le sue battute di dubbio gusto, né è il Richard che suonava il basso nella nostra garage band, né è quello che si faceva le canne con me nel seminterrato dei miei. -
- Michael! - lo riprese Jack.
Michael scrollò le spalle, perché tanto la verità non poteva essere cambiata. - La cosa più difficile da accettare è che quel Richard non esiste più. Ha lasciato il posto a quello che hai visto qui fuori qualche giorno fa. E tu meriti più di quello. -
Anne distolse lo sguardo e lo poggiò sulla vecchia abat-jour rosa e impolverata che si trovava sul comodino. Le parole di Michael erano giuste, ma la razionalità e i sentimenti non erano due cose che potevano andare di pari passo. Richard non era lo stesso di qualche tempo prima, così come non lo era più lei. Ma ammettere che i nuovi loro non erano fatti per stare insieme era doloroso quanto inconcepibile.
Michael e Jack lasciarono la stanza, per dare alla ragazza spazio e tempo.

 

*

 

Ethan ammirava la facilità con cui Steve e Lisa, nonostante le premesse di restare svegli tutta la notte, si erano addormentati. Erano ormai quasi le quattro del mattino e lui non era riuscito a chiudere occhio. Decise di alzarsi e andare a fumare una sigaretta. Si districò tra i corridoi facendo attenzione a non svegliare i suoi amici, indossò una t-shirt e una felpa, poi uscì dalla stanza. Camminò piano per non far scricchiolare il legno delle scale, sfilò una sigaretta dal pacchetto e se la mise tra le labbra prima di arrivare in cucina. Il suo piano era di andare a fumare fuori sul portico, ma fu sorpreso di trovare qualcuno già sveglio.
- Che ci fa qua? -
Giuda sobbalzò per lo spavento perché non si aspettava certo di essere interrotto a quell'ora - Ethan, mi hai spaventato! -
Il ragazzo strinse le spalle e aprì la porta di servizio.
- Dove vai? -
- A fumare. -
- Ma sei scalzo! E addosso hai solo le mutande! -
- Ho questa, - rispose Ethan indicando la felpa.
Ah beh, allora... - borbottò Giuda in italiano.
- Cosa? -
- Sicuramente morirai di freddo. -
- No, è più probabile che mi uccida Teddy che il freddo. -
- Chi è Teddy? -
- L'orso Grizzly, - rise Ethan.
Giuda gli rivolse una smorfia perché sapeva (o almeno sperava) che fosse uno scherzo. Quando Ethan uscì, l'altro lo seguì subito. Faceva davvero freddo. O'Connor infilò le mani in tasca per riscaldarle e spostò lo sguardo sui suoi calzini a pois. Era così stupido. Ethan accese la sigaretta e concentrò l'attenzione sulla neve che ricopriva un vaso di azalee morte due estati prima. - Ne vuoi una? -
- No, no, è troppo presto per me... o troppo tardi, forse entrambe. Non ho ancora la forza per fumare. -
Ethan strinse nelle spalle ancora una volta e sembrò riflettere sulle parole di Giuda. Poi diede voce ai propri pensieri. - Secondo me, dovremmo metterci insieme. -
Giuda trasalì e sgranò gli occhi così tanto che parvero uscirgli dalle orbite. - Così, all'improvviso? -
- Perché? -
- Ma... cioè... non siamo mai nemmeno usciti insieme! -
- Ho guidato la tua auto fino al pub di mia sorella, abbiamo anche cenato insieme e ti ho accompagnato a casa. -
- È successo una volta sola... -
- Ti ho anche prestato la mia felpa. -
- Lo so, ma... -
- Ho suonato per te. Mi hai tenuto per mano in ospedale. Mi hai tenuto i capelli mentre vomitavo. Abbiamo dormito insieme, ci vediamo tutti i giorni... -
- Perché tu sei nella mia classe! -
- Vuol dire che scrivi su WhatsApp a tutti i tuoi alunni? -
- Ovviamente no. -
- E allora che obiezione è? - chiese Ethan. Nella sua testa, il discorso non faceva una piega. - Ho anche suonato per te, - ripeté.
Preso alla sprovvista, Giuda lo guardò quasi come se il ragazzo si fosse trasformato in un orso Grizzly per davvero. - Ethan, io... io... -
- Lascia stare, - disse il ragazzo. Sputò fuori l'ultimo fumo e spense la sigaretta. - Vado a dormire. Ciao. -
- Ethan, aspetta! -
- No, - rispose. - Io sono stato gentile con te, ho anche suonato per te! -
- Lo so e mi è piaciuto molto! -
- Tu mi tratti male. -
- Io?! -
- Sì. Dici che non vuoi dormire più con me, ma compri per me un arco del violino, mi mandi segnali contrastanti, io non sono bravo a capirli, cosa vuoi da me? -
- Niente Ethan, è solo... io... non so come fare: sono un tuo professore e non è assolutamente logico quello che sta succedendo. Non saprei come affrontare le eventuali conseguenze, e poi tu sei all'ultimo anno, andrai al college, io chissà in quale altro paese andrò a finire... non vedo come potremmo fare. -
- È solo una scusa, lo sai, vero? -
- Non è una scusa. -
- Senti, - iniziò Ethan con serietà. - Non lo dico per convincerti, perché sinceramente non voglio convincere nessuno a stare con me, ma la tua è una chiaramente una scusa: non esiste singola coppia al mondo che non abbia mai affrontato un problema, e quello lo si fa quando i problemi si presentano. -
- Hai ragione, ma resta il fatto che sono un tuo professore. -
- E quindi? -
- Questo è un dato di fatto, non una scusa. Non credi che possa influire? -
- Su cosa? -
- Sul mio lavoro, sui tuoi studi, su quello che la gente può pensare di me, di te, di noi... -
Ethan scrollò le spalle per esprimere dissenso.
- A me importa, - ribatté Giuda. - Non voglio che qualcuno possa pensare male di te. -
- Di me? -
- Sì. -
- La gente pensa tante cose brutte su di me, nessuna di queste suscita il mio interesse. -
- E poi come fai a stare con me? Non sai nemmeno come sono all'interno di una relazione, non so come sei tu e... -
- Mi sono rotto il cazzo, - concluse Ethan. Gli sembrò di dover giustificare i sentimenti che stranamente era riuscito a decifrare mentre Giuda continuava a presentargli problemi e catastrofi. Stava quasi per rientrare quando improvvisamente cambiò idea. Si avvicinò a Giuda e lo baciò con trasporto. Sorpreso, Giuda non seppe cosa fare. In realtà gli piaceva. Voleva quel bacio, voleva assaggiare le labbra di Ethan, voleva stringerlo a sé e spogliarlo, voleva rotolare insieme a lui tra le lenzuola. Lo voleva. Ricambiò il bacio con la stessa passione e dovete ammettere a se stesso che le sue erano solo scuse, che il ragazzo aveva ragione. Quando le loro labbra si staccarono, Ethan sorrise debolmente. - Le tue sono scuse perché hai paura, - disse il ragazzo. Non sembrava risentito od offeso. Giuda fece per rispondergli, ma Ethan era già rientrato. Restò fuori per un po' a osservare il giardino coperto di neve.

Una volta tornato dentro, Giuda non riuscì a dormire. Si rigirò tra le lenzuola diverse volte, si diede dello stupido per come si era comportato con Ethan e guardò l'orologio: erano le sei e non c'era nessuna notifica. Ma cosa si aspettava? Lanciò il cellulare ai piedi del letto e affondò la testa nel cuscino, poi ci ripensò, recuperò il cellulare e decise di scrivere un messaggio.
«Sei sveglio?»
Quando lo schermo del telefono si illuminò, Ethan aprì gli occhi. «Ora sì.»
«Non volevo svegliarti.»
«Lo hai fatto. Cosa vuoi?»
«Puoi venire qui?»
«No.»
«Perché?»
«Perché se Lisa si sveglia le dovrò dire dove sto andando. E tu sei il mio professore, ma anche il suo, e cosa penserà di te?»
«Ethan, per favore... ho capito che ci sei rimasto male, ma ti sto chiedendo di venire qui...»
«Hai cambiato idea?»
«Solo gli stupidi non cambiano mai idea, diceva James Russell Lowell.»
«Chi è?»
«Se tu fossi attento alle mie lezioni, lo sapresti.»
«Seguo le tue lezioni solo perché mi piace la tua voce e perché sei bello mentre parli di quei morti.»
Nonostante il ragazzo avesse denigrato una delle sue passioni più grandi, Giuda sorrise. «Vieni qui?»
«Apri la porta.»

Giuda di scaraventò fuori dal letto e andò ad aprire la porta. Non ebbe il tempo di dire qualcosa che si ritrovò ancora una volta le labbra di Ethan attaccate alle proprie, ma non se ne dispiacque.

 

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Capitolo 11
*** XI. ***




Disclaimer!
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Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
XI.
 

Quando Lisa aprì gli occhi, fu sorpresa di non trovare Ethan in camera ma, pensando che fosse andato al bagno, non se ne preoccupò più di tanto. Lasciò Steve ancora a letto, infilò le ciabatte e andò in cucina, dove trovò il resto del gruppo già in piedi. - Buongiorno, - salutò.
- Buongiorno a te, - risposero in coro.
- E gli altri due scapestrati dove sono? -
- Dormono ancora? -
- Ethan credo sia in bagno mentre Steve, conoscendolo, si sveglierà appena avrà fame. -
- Io sono appena uscito dal bagno, ma era libero. -
Anne lanciò uno sguardo preoccupato a Michael e, prima che si potesse dire anche solo un'altra parola, si buttò alla ricerca disperata del fratello. - Ethan! Ethan, dove sei? - gridò. Suo fratello era mattiniero ed era strano che a quell'ora non si fosse ancora svegliato. Era quasi certa che si fosse sentito male. - Ethan, tutto ok? -
Disturbato da quello strano trambusto, Giuda aprì gli occhi lentamente. Sebbene fossero quasi le dieci, si sentiva come se fosse appena l'alba. Recuperò gli occhiali dal comodino, li indossò e poi si guardò intorno. Ethan, ancora nudo, dormiva beatamente. Giuda gli scostò una ciocca di capelli che gli si era infilata in bocca e tirò un respiro di sollievo: si sentiva stranamente felice, rilassato e in pace. O almeno fu così per i primi cinque secondi dal risveglio.
Il rumore fastidioso della vibrazione di un cellulare lo riportò alla realtà. Si sporse per controllare il proprio apparecchio ma si accorse che non stava suonando; eppure, il rumore della vibrazione si faceva sempre più insistente. Cercando di non svegliare il ragazzo, Giuda scese dal letto e andò a controllare la tasca della felpa del ragazzo. Non voleva violare la sua privacy, ma solo capire da dove provenisse quel rumore; effettivamente il cellulare di Ethan stava squillando, a chiamarlo era Michael.
Preso dall'ansia, Giuda provò a svegliarlo, senza riuscirci. - Ethan. Ethan! Ethan, svegliati, ti stanno chiamando. Ethan! -
Il ragazzo, di tutta risposta, borbottò qualcosa e tornò a dormire. Il cellulare smise di vibrare. Ancora in preda al panico, Giuda si infilò addosso un paio di pantaloni e continuò a fare dei tentativi per svegliare il ragazzo. Sentì di nuovo una vibrazione, ma questa volta a fare rumore era il suo cellulare.

«Pronto?»
«Giuda! Ah, meno male, sei sveglio.»
«Sì, da pochi secondi. Tutto bene?»
«Sì, sì... sì.»
«E allora perché chiami? È successo qualcosa? Ma poi, non sei a casa dei Novotny?»
«Sì, sono qui. Senti, stiamo cercando Ethan... sai dov'è?»
«Ehm... potrei saperlo.»
«È con te?»
«Mh-mh.»
«Anne lo sta cercando disperatamente. Me lo passi?»
«Sta dormendo...»
«Passam... ah, Anne, sì, è da Giuda... no, aspetta...»
E la linea cadde. Giuda, impalato, fissò lo schermo del telefono per dei secondi che sembrano ore e poi cominciò a scuotere il corpo del ragazzo. - Ethan, cazzo, svegliati! -
- Brblr... -
- Ethan! -
- Ho sonno, - si lamentò lui. - Dormi anche tu. -
- Ethan... -
- Ma come fai ad avere ancora tutte quelle energie? Alla tua età, poi, - lo prese in giro il ragazzo.
Indispettito, Giuda lo spinse giù dal letto con un calcio leggero.
- Va bene, ho capito. Sono sveglio. - Ethan si rimise sul letto, seduto. - Buongiorno. Cos'è tutta questa fretta? -
- Tua sore... - Giuda non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che qualcuno cominciò a bussare insistentemente alla porta.
- Giuda, apri subito! -
Con nonchalance, Ethan si alzò dal letto e si avvicinò alla porta. Era completamente nudo. Giuda era indeciso se stare impalato ad ammirare il corpo del ragazzo oppure ordinargli di vestirsi, e nel dubbio si lasciò bloccare dall'ansia. Il ragazzo poggiò la testa contro la porta, senza aprirla. - Sì? -
- Ethan, cosa si fa lì dentro? -
- Stavo dormendo. È vietato? -
- No, ma perché in camera di Giuda? -
Ethan guardò l'uomo ancora seduto sul letto con aria famelica. Giuda portò le mani a coprirsi le orecchie temendo una risposta super onesta. - Non lo so. Ci siamo messi a parlare e mi sono addormentato. -
Il professore, sconvolto da quella che era parzialmente una bugia, rimase a bocca aperta. Nel frattempo, il ragazzo si era rivestito e aveva aperto la porta.
- Vedi? Sono vivo, - disse.
Anne respirò di sollievo e così fece Giuda. Quest'ultimo, poi, notò sul pavimento l'incarto di un preservativo e lo coprì con il piede. Giuda spostò lo sguardo e non poter fare a meno di notare un sorrisino divertito sul volto di Michael. Era chiaro che avesse capito tutto.
- Buongiorno, - salutò Anne, infine.
Il docente le rivolse un sorriso timido e accennò a un breve gesto con la mano.
- Allora, è arrivato Babbo Natale? - domandò Ethan.
- Babbo Natale porta i regali ai bambini buoni, non a quelli che girano in mutande, - rispose la sorella.
- Non sapevo che il vecchio fosse tanto pudico, - commentò Ethan. - Vorrà dire che andrò a mettere dei pantaloni, - aggiunse e uscì dalla stanza.
- Scusa, - commentò Anne, e seguì il fratello.
Michael, invece, entrò in camera e chiuse la porta.
- Non fare domande, - disse Giuda. Aveva già dovuto affrontare shock a sufficienza per essere sveglio solo da un'ora.
- Non farò domande. -
- E togliti quel sorrisino dalla faccia! -
Michael ridacchiò. - Ma dai, su! È Natale, non posso essere di buon umore? -
- Sì, ma fuori da questa stanza. -
- Quante storie! -
Giuda sospirò e solo allora si alzò in piedi. - Va bene, dimmi tutto. Più mi guardi, più mi sale l'ansia. -
- Sono solo felice che abbiate preso una decisione, ma sono anche curioso di scoprire come andrà a finire questa storia. -
- Io no, - ammise Giuda. Non voleva che quella storia finisse. Era stata una notte, anzi, una prima mattina davvero magica. Fare l'amore con Ethan non era stato solo coinvolgente fisicamente ma anche emotivamente; non si sentiva così trasportato da anni e per qualche secondo si domandò se fosse davvero mai stato davvero così bene.
- Michael, - chiamò Giuda, - credi che bisogna dirlo al preside? -
- Assolutamente no, - rispose lui. - Dire cosa? Io non so assolutamente niente. -
- Ma non è pericoloso? Non tanto per me, ma magari per Ethan... -
- Senti, io ci ho pensato su: Ethan è felice, e anche tu. Credo che dirlo a qualcuno potrebbe solo rovinare l'equilibrio che si è venuto a creare. Non voglio mettere in pericolo nemmeno te. Mi sembrate in grado di rispettarvi a vicenda nonostante tutto. Vediamo come si evolvono le cose, e se dovessero diventare serie e certe allora ne parleremo anche con il preside. -

Giuda annuì piano e allungò le braccia per stiracchiarsi. Forse non c'erano pacchi da scartare per lui, ma sapeva che aveva ricevuto il regalo più bello. Che Natale meraviglioso.

 

*

 

Il pranzo di Natale era stato lungo e abbondante. Giuda era talmente sazio che aveva rinunciato volontariamente al dessert. Aveva mangiato di gusto e aveva apprezzato la cucina di Anne, ma dopo la decima portata il suo stomaco aveva dato forfait. Era stato molto interessante conoscere la famiglia di Ethan: dal loro primo incontro aveva pensato che la sua fosse una famiglia disastrata, invece era felice di essersi sbagliato. Certo, aveva già conosciuto Anne, ma essere stato presentato a Jack aveva tutto un altro fascino. Sembrava anche divertito all'idea che in meno di ventiquattro ore aveva trovato un ragazzo, conosciuto la sua famiglia, rafforzato dei rapporti d'amicizia e mangiato così tanto da scoppiare. Il tempo era trascorso così rapidamente che non si era accorto della sera che era appena scesa, e allora si congedò per fare un colpo di telefono ai suoi genitori. Uscì sul patio, accese una sigaretta e compose un numero di telefono.

- Oh, ciao, ma'! - disse sorridendo. - No, ma', che dici... non potrei mai dimenticarmi di te. No! Non è vero. Ma che c'entra, avevo due anni! Ahhh... senti, ma', non ti chiamavo per avere una cazziata. No! Eh no. No. Ti chiamavo per gli auguri... - Giuda rise. Forse sua madre aveva detto qualcosa di divertente, o di carino, o forse l'aveva preso in giro ancora una volta. Fece un tiro alla sigaretta e sorrise ancora. - Ma', ti prometto che tornerò. Sì, lo so, ma non potevo tornare in auto! Mamma, che dici, ho solo due giorni di ferie e ce ne metterei almeno dieci per... sì, sì, sono certo che me lo rimborseranno. No, non ho ancora chiamato la compagnia... mamma, American Airlines ha cancellato decine di voli, secondo te i loro contact center non sono affollatissimi? Non avevo voglia di passare il Natale in attesa! -

L'uomo strinse la sigaretta tra le labbra e infilò le mani in tasca per scaldarle un po'. Faceva freddo, ma aveva smesso di nevicare. Il giardino era un manto bianco, un Natale come quello delle cartoline, un Natale che non aveva mai vissuto prima d'ora. A Tampa era estate sempre, tutto l'anno, e la neve esisteva solo nei film di Natale oppure nei superstore, dove costava pochi centesimi ed era di plastica. A Giuda piaceva la neve, un po' meno il freddo, ancor meno il vento. Ma la neve era bella: sembrava morbida, una coperta soffice e bianca che cancellava tutto quello che di brutto le stava sotto. Quando smetteva di nevicare il mondo assomigliava alla prima pagina di un quaderno nuovo, era pulito, profumato, bisognava solo scriverci sopra. Ed era  libero di poterci scrivere quello che preferiva.

...ma', scusa, mi ero perso in un pensiero. Che dicevi? Ah! Sì... -

Quando fece l'ultimo tiro dalla sigaretta, la conversazione terminò. Giuda rilasciò lentamente il fumo che aveva respirato, gettò il mozzicone nel posacenere lì presente, espirò e tornò dentro. Una volta in sala da pranzo, notò subito che erano rimasti soltanto Jack e Anne. Gli sembrò un agguato e strinse le spalle. Sperò che gli altri tornassero subito.

- Tutto bene, Giuda? - chiese Anne.
Lui annuì. - Sì, scusate, ero al telefono con i miei genitori... -
- Potevamo fare una video chiamata! - obiettò Anne. - Così vedevano che non trascorrevi il Natale da solo! -
- I miei non sono molto, ehm, tecnologici, ecco, diciamo così. Oltre a mandarvi gli auguri, mi hanno anche detto che vi ringraziano per avermi ospitato. Neanche avessi cinque anni, - borbottò Giuda.
Anne rise.
- Per i genitori, i figli sono sempre piccolini, - ribatté Jack allegro. - Per me, Anne ed Ethan non hanno mai raggiunto i dieci anni d'età. -
- Seh, magari, - rispose Anne.
Giuda sorrise intenerendosi per il commento di Jack. Era chiaro che provasse per i suoi figli un affetto profondo e sincero, un po' meno chiaro che non aveva accennato nemmeno per una volta alla madre dei due Novotny. Tuttavia, gli sembrò indelicato porre la questione.
- Comunque, dove sono tutti? - chiese.
- Ethan, Lisa e Steve sono su da qualche parte. Credo che Ethan e Lisa dovevano aiutarsi l'un l'altra per una questione che non ho capito molto bene, e Steve dava una mano a entrambi. -
- Diciamo pure che Steve ci prova un po' con Lisa, - intervenne Jack con sorriso sornione.
Giuda trattenne una risata, perché aveva pensato alla stessa cosa. - E Michael? -
- Michael è in cucina, sta caricando la lavastoviglie. Gli ho detto di lasciar stare, ma ha insistito... -
Anne non fece nemmeno in tempo a finire la frase che un rumore di vetro rotto provenne dalla cucina. La donna fece per alzarsi, ma Giuda l'invitò a restare seduta. - Vado io, sicuramente Michael avrà fatto un disastro, - commentò, e si congedò. Era la scusa perfetta per sfuggire a un qualsivoglia discorsetto.

 

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Capitolo 12
*** XII. ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
XII.
 

Jack era un uomo davvero piacevole. Era difficile resistere al suo fascino e si faceva ben volere da chiunque; allo stesso tempo, era un uomo che continuava a credere alla bontà delle persone. Nonostante tutto quello che aveva dovuto affrontare nella vita non aveva mai smesso di sorridere e sorrideva anche ora che le vacanze natalizie erano finite e doveva rientrare al paese.
Era quasi mezzanotte e lui si trovava in cucina per bere un bicchiere d'acqua quando sua figlia entrò.
- Sei ancora sveglio? -
Jack annuì e fece un sorso dal bicchiere di vetro. Quei bicchieri dovevano avere un infinità di anni poiché erano già lì pure prima della prozia Ellen.
- Comunque il fidanzato di Ethan è proprio una brava persona. -
- Ethan non ha un fidanzato, - lo corresse Anne.
Jack scoppiò a ridere. - Anne ma sei seria? Come puoi non averlo notato? -
- Ethan e Steve sono solo amici... -
- Quello lo so. Non mi riferivo a Steve, ma a quello lì... quello dal nome strano... Judas o qualcosa del genere. -
- Giuda! Ma non è il suo fidanzato, è solo il suo professore. -
- Tu sei cieca, non vedi l'essenziale, - commentò Jack. L'uomo bevve divertito l'ultimo sorso dal bicchiere d'acqua.
Anne non era molto convinta della teoria di suo padre, ma si rassegnò pensando che fossero solo le teorie di un anziano un po' pettegolo. - Papà... devo chiederti una cosa. -
- Dimmi, tesoro. -
- Ecco... qualche giorno fa, mentre pulivo il vaso con le peonie, il postino mi ha consegnato una strana lettera... -
- Quel figlio di puttana di Richard? -
- No. No, no, - disse lei, - la lettera veniva dalla Russia. -
Jack si pietrificò. Sollevò lo sguardo verso la figlia con fatica, come se le palpebre pesassero una tonnellata a ciascuna. - Dalla Russia? -
- Sì. Non ho capito bene il contenuto... è in russo e io non sono così fluente, ma era firmato da mamma. -
Jack fu costretto a sedersi.
- Papà, stavo pensando che... ecco... sono passati tanti anni, io... forse vorrei rivederla. -
Prima di riprendere a parlare Jack dovette fare un bel respiro profondo. Anika, la sua ex moglie, si era fatta viva: avrebbe dovuto aspettarsi che una cosa del genere sarebbe potuta accadere prima o poi, anche se era stata lei a sparire il giorno del sesto compleanno di Ethan.
Jack lo ricordava bene: non avrebbe mai dimenticato lo sguardo di suo figlio quel giorno. Il piccolo Ethan aveva atteso a lungo il rientro della madre, aveva aspettato che rientrasse per ore, in piedi sulla soglia della porta d'ingresso, stringendo un piccolo peluche a forma di elefante. Per un momento, ripensò allo sguardo vacuo e disperato di Ethan che, lacrimando silenziosamente, guardava verso la strada in attesa che qualcosa cambiasse, che sua madre rientrasse, che le sue paure fossero soltanto vane. Anika, invece, non era tornata. Non lo fece quella sera né varcò più la soglia della porta di casa. Non l'aveva mai più rivista.

Il giorno del sesto compleanno di Ethan era iniziato come un giorno normale. Avevano fatto tutti colazione insieme, Jack aveva accompagnato i figli a scuola e poi era andato al lavoro. In ufficio, l'avevano chiamato dalla scuola; i suoi figli erano ancora nell'istituto poiché la signora Novotny non era andata a riprenderli. Per Jack fu come una doccia d'acqua fredda. Lasciò prontamente il posto di lavoro e si catapultò a scuola, prodigandosi in mille scuse. Tornati a casa, aveva continuato a credere che fosse tutto in regola. Magari Anika stava progettando una sorpresa per il figlio e lui non ne era stato messo al corrente. Lui e Anika erano stati insieme per anni, erano sempre stati una bella coppia, innamorati abbastanza da fare invidia alle altre coppie del quartiere, e non avevano mai litigato né c'era mai stato un allarme... eppure un giorno lei era uscita e non era più tornata.

- Papà? -
- Sì, scusa, tesoro, stavo solo... pensando... -
Anne si sedette accanto al padre. - Se non vuoi io... -
- Anne, quella donna è tua madre. Tu hai il sacrosanto diritto di vederla anche se non stiamo più insieme. -
- Papà... so benissimo che lei ci ha abbandonati. Non voglio perdonarla, vorrei solo chiederle perché, - chiarì la ragazza.
Jack l'abbracciò in silenzio. Anne era una persona sensibile e perspicace, e aveva chiarito subito i suoi dubbi. - Anne, tesoro, tu sei libera di fare qualsiasi cosa tu voglia. Volevo solo chiederti un favore... -
- Tutto quello che vuoi, pa'. -
L'uomo sospirò mentre cercava le parole più adatte per parlare con la figlia. Era difficile dover solo pensare di raccontare quella storia. - Senti... io... io te lo dico, ma tu non dirlo a Ethan. Ok? -
- Perché? È anche sua madre! -
- Lo è, ma... Anne... io non so come dirtelo... -
- Cosa? -
- Ethan era sempre stato un bambino un po'... schivo. Eravamo preoccupati e lo portammo da uno psicologo dell'infanzia, volevamo capire. Lì abbiamo appreso della sua alessitimia. Fortunatamente, fummo rincuorati sulla situazione e il dottore ci spiegò alcune difficoltà che nostro figlio avrebbe potuto dover affrontare nel corso della crescita. Ci diede anche molti consigli, ci raccomandò una terapia costante. Tua madre non fece domande né proferì parola sull'argomento. Però mi resi conto che Anika, nei giorni successivi, cominciò a cambiare atteggiamento nei confronti di Ethan. Mi ricordo che provai a parlargliene ma lei mi disse che era solo la mia immaginazione. Quel giorno... quando ricevetti la chiamata dalla scuola, ebbi paura, ma la paura che stavo provando in quel momento divenne vero e proprio terrore quando tornammo a casa. Sul mio comodino c'era una lettera... ti risparmio i dettagli, ma conteneva i saluti di tua madre. -
- ...come? Ma... non può essere... -
- Per lei era troppo difficile da accettare. Non riusciva a convivere con il pensiero che Ethan non fosse un bimbo normale... -
- Ma Ethan è normale! -
- Lo so! Io lo so. Ma lei non lo credeva tale. -
- Mi stai dicendo che ci ha abbandonati? E che se ne è andata per Ethan? -
Jack annuì. - Anche se tecnicamente tua madre ha abbandonato Ethan. Nella lettera ha scritto che avrebbe voluto portarti con lei... ma i miei avvocati sono stati più bravi. Non volevo che viveste separati. -
Anne lo guardò a occhi spalancati. Ci mise un po' a formulare un pensiero e a dargli voce. - Tu ci avevi raccontato una storia diversa. Ci avevi detto che vi eravate lasciati perché non andavate più d'accordo... -
- E cosa dovevo dirvi? Eravate due bambini! Non potevo farvi crescere con l'idea che vostra madre vi avesse abbandonati! -
- Io... noi avevamo il diritto di sapere la verità! -
- Ma anche di avere una bella infanzia! -
- Senza mamma? -
- Ho cercato di farvi crescere con l'idea che lei avesse lasciato me, non voi. -
Jack dovette fermarsi. Avvertiva le lacrime pizzicargli gli occhi.
- Scusa, - disse Anne. Anche lei cominciò a piangere. Non le piaceva l'idea di aver vissuto una menzogna, ma capiva le scelte del padre. Doveva essere stato difficile per lui omettere un dettaglio tanto grosso. Non voleva, né riusciva, a immaginare quanto suo padre avesse sofferto.
- Non è colpa tua, Anne, non hai di che scusarti. Forse avrei dovuto dirvi la verità, ma la situazione era già abbastanza complicata. Non volevo far soffrire te e tuo fratello... io sono il padre di Ethan, - disse tra i singhiozzi. - Io l'ho portato a casa, gli ho cambiato centinaia di pannolini... gli ho insegnato a leggere, l'ho accompagnato al cinema, ho fatto il tifo per lui quando sbagliava ogni tiro di baseball... non capisco come sia possibile che lei che l'ha portato in grembo abbia deciso di abbandonarlo... non capisco... -
- Tu sei il nostro papà, - sentenziò Anne. Aveva l'animo in subbuglio per tutte le scoperte che aveva dovuto affrontare in pochissimi minuti, e provava una serie di sentimenti contrastanti tra cui primeggiava l'orgoglio di essere figlia di Jack.
- Sei il nostro papà, - ripeté lei. - E tu ed Ethan siete la mia famiglia. Solo voi due. Solo noi tre. -

Ethan, che voleva entrare in cucina per bere un tè, abbassò lo sguardo verso il pavimento e tornò in camera sua.

 

*

 

Ethan non riusciva a prendere sonno. Nella sua testa continuavano a rimbombare le parole che aveva origliato. La scoperta che la madre avesse abbandonato la famiglia a causa sua lo aveva distrutto. Strappò via le cuffie dalle orecchie, cominciò a camminare in tondo nella stanza. Si guardò intorno con la luce debole provenire dalla strada: sulla scrivania c'era una pila infinita di spartiti e testi di musica, vicino al letto il violino, l'archetto che gli aveva regalato Giuda, una fotografia di una famiglia da pubblicità. Fu la prima cosa che volò dalla finestra.
E poi la seguirono, strappati con violenza, Bach, Barber, Bartók, Beethoven, Berg, Brahms, Bruch, Dvořák, Glass, Händel, Haydn, Mendelssohn, Mozart, Paganini, Penderecki, Pergolesi, Prokofiev, Saint-Saëns, Schönberg, Schumann, Schnittke, Shostakovich, Sibelius, Stravinsky, Tartini, Tchaikovsky, Vivaldi, Viotti, Vieuxtemps e Wieniawski. Le pagine con i loro spartiti volteggiavano leggiadre nell'aria gelida di Newcastle, spinte dalla rabbia di Ethan che prendeva la forma di insulti, grida e disperazione.
- Ethan, ma... -
Anne, preoccupata, era entrata in camera sua. Lo guardò inerme, senza sapere cosa fare, senza nemmeno sapere il perché di quella reazione.
- Ethan, fermati... Ethan... -
Subito dopo seguì Jack. Il suo intervento fu più fisico; l'uomo tentò di fermare il ragazzo, di rassicurarlo, ma Ethan lo spinse via. Lo guardò smarrito e continuò a strappare le pagine degli spartiti e a lanciarle dalla finestra. Sembrava un pazzo.
Allarmato da quei rumori, Giuda, che era tornato a casa sua, si svegliò. Erano le tre del mattino. Che diavolo stava succedendo? Non era quello un paese tranquillo? Aprì la finestra per indagare e sgranò gli occhi quando si rese conto di quello che stava accadendo. Senza pensarci due volte, mise al piede gli stivali, si coprì alla men peggio con una vestaglia di pile e raggiunse casa Novotny.
Anne gli aprì la porta, spaventata.
- Che succede, Anne? - domandò Giuda allarmato.
- Non lo so, - disse lei. E scoppiò a piangere. Era stata una serata pesante.
Giuda l'abbracciò per qualche secondo, poi si staccò subito. - Resta qui, vado a vedere io, ok? -
Lei annuì e si lasciò andare sul divano. Aveva così tanto da elaborare che si sentì fortunata per la presenza di Jack e Giuda. Con tutto quello che aveva scoperto nelle ultime ore, non riusciva a trovare la forza per badare al fratello. Chissà che cosa gli era successo... perché reagiva in quel modo? Era la maniera in cui avrebbe voluto reagire lei quando suo padre le aveva raccontato la triste verità. E se... no... non poteva essere, Ethan non poteva saperlo. Non era lì. C'erano solo lei e Jack. Sospirò e decise di tornare sopra.

Nel frattempo, Giuda aveva raggiunto la camera del ragazzo. Quando entrò, Ethan aveva già buttato via tutti gli spartiti e i libri di testo. Jack stava provando a farlo ragionare, ma lui non ascoltava. Ethan si era avvicinato al violino, lo aveva estratto dalla custodia e lo guardava con la rabbia. Aveva preso delle forbici dalla scrivania e gliele aveva puntate contro minaccioso. Le stringeva così forte tra i pugni che era chiaro come il sole che avrebbe voluto accoltellare lo strumento.
- Ethan, che cazzo, basta! - gridò il padre. - Che ti prende?! -
- Ho sentito, - rispose il ragazzo tra i denti. Poi li strinse così forte che si udì uno stridio. - Ho sentito tutto. Tutto quello che hai detto ad Anne. -
Jack rimase pietrificato. - E allora? Se hai ascoltato bene, avrai sentito che... -
- ...che mi ha abbandonato. Che ci ha abbandonati per colpa mia! - gridò il ragazzo.
- ...non è colpa tua! - gridò di rimando l'uomo.
- Lo dici perché ti faccio pena. Perché sono diverso! -
- Ethan, ti prego, non dire così... - Jack sembrò essere ferito dalla frase del ragazzo. Lui lo amava, era suo figlio, avrebbe dato la vita per lui come per Anne.
- Vattene via, - disse il ragazzo.
- No. -
- Ho detto vattene! -
- E io ho detto no!!! -
Il ragazzo allora si avvicinò al padre e lo spinse. Voleva che uscisse, voleva restare da solo e uccidere il violino, così tutto quello che gli rimaneva di sua madre sarebbe scomparso. E non avrebbe mai più suonato, così non ci sarebbe stato più nulla della sua genitrice in lui. Era come una furia. Non la smetteva di spingere suo padre e l'uomo continuava a resistergli.
Giuda, lentamente, si avvicinò a Ethan e lo abbracciò a sua volta. Sapeva di non poter far molto, non aveva nemmeno idea di cosa fosse successo per davvero, ma se c'era una cosa che aveva imparato sul ragazzo era che gridargli contro o impartirgli una condotta non erano strumenti adeguati. Lo avvolse in una presa stretta, salda, calda. Ethan si iniziò a rilassare quasi subito. Giuda lo sentì, avvertì il corpo del ragazzo abbandonarsi pian piano e accasciarsi in avanti. Il docente gli tolse delicatamente le forbici dalle mani non più chiuse in un pugno, le infilò in tasca e tornò ad abbracciarlo. Ethan si era accovacciato su se stesso e aveva cominciato a piangere in maniera silenziosa.
Allora Giuda lo aveva stretto più forte, gli accarezzava i capelli, cercava di cullarlo un po' per quanto la posizione lo permettesse. Non aveva bisogno di parole, non erano l'opzione migliore. Com'era strana la vita. Le parole erano tutto ciò che Giuda amava, il modo di combinarle, ai messaggi che si possono tramandare attraverso uno scritto ben elaborato, la letteratura, i libri. Invece, per Ethan era l'opposto. Le parole erano sue nemiche, lo mandavano in crisi, peggioravano la situazione.
I due restarono così, in silenzio, avvolti in un abbraccio fino a quando Ethan si addormentò.



*

ndA
Non so voi, ma io non sono mai stata una tipa da prestavolto. Eppure, se dovessi immaginare Ethan, credo che lui sarebbe proprio 
così <3
 

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Capitolo 13
*** XIII. ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
XIII.
 

» Toc toc.

Un suono arriva ovattato.

Toc toc. Toc toc. Toc toc toc toc toc.

Sembra essere finto. Non è un suono reale. La realtà è una mattinata tranquilla, una di quelle in cui nei paesi del sud, come la Florida, come a Tampa, il sole non è mai calato. La città sembra essere ancora sveglia, sempre sveglia, sempre attiva.

Toc toc toc toc toc toc...

Ma cos'avrà da insistere. Perché c'è questo. Cos'è.
- Giu', cazzo, Giuda! Ci sei? Dai, lo so che ci sei. Giu', apri questa porta. -
Giuda... Giuda è lui, lo sa. Lo sa. Apre gli occhi nel frastuono del risveglio, ma dorme ancora. Cammina verso la serratura della porta, gli occhi gli bruciano, ma sa che deve aprire. Gira la chiave svogliatamente e fa un passo indietro.
- Cazzo, Giu'. Certo che ce ne vuole per buttarti giù dal letto. -
Giuda ride. Si passa una mano tra i capelli rossicci e torna a stendersi. Intorno a lui la realtà si confonde con la fantasia, i pensieri prendono vita, gli oggetti diventano eterei. - Non ti capisco, - dice in italiano e ride. Le lingue nella sua testa si mescolano, ricorda qualcosa in italiano, altro in gaelico irlandese, ma capisce perfettamente l'inglese americano della persona che gli parla. Lo capisce, ma non lo capisce.
- Ti sei fatto? - gli chiede Cri.
Giuda annuisce. - Un purino. Tha i breagha. -
Cri scuote la testa in segno di disapprovazione. Ma la disapprovazione è quello che Giuda, adolescente e ribelle, cerca. Allora sorride beato e chiude gli occhi. Perché è tardi. È tardi.

«

 

» Toc toc.

Un suono arrivò ovattato.

Toc toc. Toc toc. Toc toc toc toc toc.

Giuda sgranò gli occhi. - Cazzo, - borbottò. - Cazzo, cazzo, cazzo. -
Scattò subito all'impiedi, spalancò le finestre e lasciò entrare una folata di vento e nevischio.
- Giuda, Giuda, ci sei? -
- U-un attimo! - rispose lui. Si spettinò i capelli in cerca di una scusa, indossò la vestaglia e andò ad aprire. - Michael, che ci... -
- Per favore, fammi entrare, - disse lui. Ed entrò senza nemmeno attendere una risposta dall'altro. Una volta all'interno, Michael annusò l'aria e l'occhio cadde sul residuo di una canna mezza fumata.
- Ehm, io... -
- Posso fare un tiro? - chiese.
Giuda, sorpreso, annuì. Michael recuperò un accendino dalla tasca, accese lo spino e fece un lungo tiro. Intrappolò il fumo per qualche secondo e poi lo lasciò andare. - Wow, è bella forte. Non ne fumavo una così dalle superiori. -
- Anche io, - ammise Giuda e strinse le spalle. - È che stanotte non riuscivo a dormire... -
Michael poggiò il sedere sul davanzale, l'unico angolo della stanza che non fosse coperto da libri o vestiti, e fece un altro tiro a occhi chiusi. - Non so che fare, Giuda. Sono bloccato. -
Giuda si sedette sul letto e sospirò. - Ti hanno raccontato tutto? -
- Più o meno... è stato difficile. Anne piangeva al telefono, Jack era chiaramente stremato. Mi hanno detto che sei stato tu a calmare Ethan, quindi ho pensato di fare una capatina qui. -
- È difficile crede che una cosa del genere sia vera, - disse Giuda. Ma che termine di paragone poteva mai avere? Lui aveva dei genitori che lo avevano amato moltissimo, e che continuavano a volergli bene e che non avrebbero mai smesso. Elvira, sua madre, si sarebbe fatta ammazzare per lui, e lo stesso valeva per Finn, suo padre. Nessuno dei due avrebbe mai potuto pensare di abbandonarlo. E invece, la madre di Ethan...
- Non so che pensare. È veramente assurdo, - sbuffò Michael. - Posso finirla? -
Giuda annuì, Michael fumò. - Dentro di me sto sfociando in una guerra. Da un lato c'è il Michael amico di Anne, dall'altro c'è il Michael terapeuta di Ethan. Ed entrambi stanno combattendo per aver la meglio sull'altro. -
Giuda ridacchiò. - Dovevi per forza essere tu il suo terapeuta? -
- Sono l'unico con una laurea e un titolo nel raggio di miglia. Per questo faccio la spola tra dieci istituti. Quando il precedente collega che seguiva Ethan è andato in pensione, non c'era scelta. -
Giuda socchiuse gli occhi nel vano tentativo di riflettere. Appena le palpebre facevano un po' d'ombra, la mente iniziava a viaggiare verso altri mondi. Ora nel Paese delle Meraviglie, poi a Tampa, ma la Tampa di dieci anni prima, poi a Hogsmeade e ancora nell'epoca vittoriana. Nulla che avesse seriamente a che fare con la questione sollevata da Michael. Forse quella canna era troppo forte.
Lo riportò alla realtà il suono di un telefono che l'obbligò ad aprire gli occhi. Michael buttò fuori l'ultimo fumo e rispose. - Pronto? Ah, sì, Anne... sì, tutto ok, dimmi. Mh-h. Mhh-h. Mh. Okay. Sì, arrivo subito, sono da Giuda. Sì, viene anche lui. No, non ti preoccupare. A tra poco! -
- ...esattamente dov'è che verrei anche io? -

 

Non aveva ben chiaro come ci fosse arrivato, ma quando Giuda prese davvero coscienza di sé era seduto sul divano di casa Novotny. Aveva tra le mani tremanti una tazza di ceramica colma di caffè acquoso, le gambe incrociate e ai piedi due calzini spaiati. Il discorso era ricaduto su Ethan, sul dramma degli spartiti gettati dalla finestra, sulla realtà che era stato costretto ad affrontare.
- Che ore sono? - domandò Giuda interrompendo il discorso serio portato avanti da Michael.
Anne, stranita, guardò l'orologio. - È quasi mezzogiorno, perché? -
- Non è strano che Ethan dorma ancora? -
- Ho provato a entrare nella sua stanza, ma dormiva... -
Giuda sbloccò il telefono, aprì un'app, la richiuse, bloccò il telefono e poggiò la tazza di caffè sul piattino abbinato. Colò una goccia di liquido marroncino lungo la ceramica. - Torno subito, - disse.
I tre presenti, straniti, l'osservarono mentre si allontanava.
- Non è strano, oggi? - chiese Anne.
Michael rise. - Ha, ehm, dormito poco! -
- Sarà... comunque, Michael, dicevi? -

 

Nel frattempo, Giuda era arrivato fuori dalla porta della camera del ragazzo. Era rimasto in piedi lì davanti, in silenzio. Annusò i vestiti e i capelli per verificare che non puzzasse troppo di fumo o di sudore, ed entrò. Aprì la porta piano, per non fare rumore, e la richiuse delicatamente una volta dentro.
La stanza era silenziosa e sembrava essere immutata dalla sera precedente. Perfino Ethan sembrava essere rimasto immobile. Giuda passeggiò sullo spazio libero dalle cartacce e dai vestiti, restò in silenzio a osservare la situazione e poi andò a sedersi sul letto del ragazzo. Accavallò le gambe e non disse nulla. Trascorse circa un quarto d'ora in quella posizione prima di suscitare una reazione.
- Pensi di restare così per sempre? -
Giuda ridacchiò. - Le arti marziali richiedono una grossa disciplina. Potrei restare immobile per ore. -
Ethan sbuffò e si nascose sotto le coperte. - Che cosa vuoi? - borbottò. - Tornatene a casa. -
L'uomo poggiò il gomito sul fianco di Ethan e sospirò. - Mi piacerebbe, ma casa mia è a cinque ore di volo da qui. -
- Ah già, dove abita Cri, - si lamentò il ragazzo.
Giuda, in un primo momento, non rispose. Si limitò a sollevare lo sguardo e a scavare nei meandri della sua memoria. Ricordò i giorni del liceo, quello del diploma, la prima stanza condivisa, il primo trasloco. E anche il primo bacio, la prima volta. Tutti i passi importanti della sua vita li aveva fatti insieme a Christopher, con cui era stato insieme quasi dieci anni. Erano stati anni molto intensi, nei quali era passato dall'essere un adolescente all'età adulta. Non solo anagraficamente, ma anche nello sviluppo della propria personalità, inclusa la scoperta della propria forza interiore. Erano due ragazzini quando si erano messi insieme, avevano più o meno sedici anni. Ora di anni Giuda ne aveva quasi ventisei e le cose erano cambiate.
- Non so se Cri abiti ancora a Tampa, - commentò distrattamente. - Ma è stato proprio Instagram quello che ti ha incastrato. Perché fingi di dormire? -
- Perché non ho voglia. -
- Di? -
- Di essere sveglio. -
- Mh, - mugolò Giuda. - Nemmeno io, in realtà. -
- Perché sei qui, allora? -
- Perché tu sei qui, - mormorò Giuda in tono dolce.
Ethan non rispose, ma Giuda percepì che qualcosa si stava muovendo sotto le coperte. Dopo qualche secondo, sbucò dall'enorme duvet il telefono del ragazzo. L'uomo l'afferrò e guardò quello che c'era sullo schermo: era un post più o meno recente, di qualche settimana prima dell'arrivo di O'Connor a Newcastle. Nella foto c'era un giovane aitante, biondo, dai capelli lunghi e il fascino da surfista, che baciava un giovane meno aitante, coi capelli rossi, gli occhiali e l'aria un po' nerd.
- "Sono uscito con un tipo ieri sera... mi sembrava uno che ci sapesse fare, no? Invece era un imbranato totale. Alla fine sono tornato a casa e mi sono fatto una sega." - citò Giuda. - E qualcosa su un pene che si era rifiutato di fare qualcosa. Ognuno ha delle esperienze, Ethan, - rispose Giuda restituendogli il cellulare. - E poi non puoi... - Giuda fu interrotto dallo squillare di un telefonino. Recuperò il proprio dalla tasca e rispose. - Ehi, Michael! Sì, sono vivo... sono di sopra. Sì. Non ti preoccupare... no ma che cosa... ma che... Michael. Va beh, ciao! - Agganciò. - Era Michael. -
- L'avevo capito. -
Ci fu un altro paio di minuti di silenzio, poi Giuda si stese accanto a Ethan ma sopra le coperte. - Ethan... -
- Puoi non parlare, per favore? -
O'Connor roteò gli occhi. - No. Parlare è l'unica cosa che so fare bene, conosco più di tre lingue, potrei parlare per ore. Quindi no. Non posso non parlare! -
- Che cosa vuoi da me? -
- Ethan, io e Cri siamo stati insieme tanto tempo. Non sarei come sono adesso se non l'avessi conosciuto, non voglio rinnegare nulla. L'ho amato molto, forse più di quanto l'ho odiato quando ho scoperto quante volte mi aveva tradito nel corso della nostra relazione. -
Ethan sembrò tapparsi le orecchie. Non voleva ascoltare, era confuso, nemmeno sapeva il motivo dei suoi ultimi gesti. Voleva dormire e restare sotto al duvet tutto il giorno e non dover affrontare tutto il mondo fuori.
- E non posso, né voglio, cancellare le tracce di quello che sono. Perché le lune che ho affrontato, i sorrisi che ho elargito, le lacrime in cui sono annegato, i pensieri che mi hanno tormentato, le stelle, le nuvole, gli aerei che ho preso e quelli che ho perso, la mia Cadillac rosa, i concerti a cui sono andato, le canzoni che ho cantato, tutto, tutta l'aria che ho respirato, hanno fatto sì che io sia qui ora. Con te. -
Qualcosa si smosse sotto le coperte dalle quali fece capolino il ragazzo. - Tu... sai parlare molto bene. -
Giuda sorrise e stava per ripetere il numero di lingue conosceva quando si ritrovò le labbra di Ethan appiccicate contro le sue. Sorrise impercettibilmente nel ricambiare il bacio. Ogni volta che accadeva, Giuda si soffermava a pensare a quanto fossero belle le labbra di Ethan. Il ragazzo, poi, poggiò la fronte nell'incavo tra il collo e le spalle di Giuda. - Puoi parlare anche per me? - bisbigliò.
O'Connor respirò piano, intenerendosi a quella che era chiaramente una richiesta d'aiuto. Avrebbe volentieri parlato una lingua in meno per dare a lui la possibilità di esprimersi al massimo. Gli accarezzò i capelli e lo abbracciò al meglio che quella posizione potesse concedere. - Lo farei, se potessi. -
Ethan, allora, si abbandonò contro il materasso e sbuffò. - Se non suono il violino, non sono niente. E io non voglio suonare più, ma voglio essere qualcosa. -
- Non è suonare il violino che ti rende qualcosa... tu sei tu, indipendentemente da quello che fai. -
- È facile dire così... ma suonare il violino è l'unica cosa che so fare. -
- Non è vero. È solo più facile da vedere, ma sai fare un sacco di altre cose. Sai cantare, per esempio. Ti ho mai raccontato quello che ho pensato mentre ti ho sentito cantare quando guidavi la mia Cadillac per andare al pub di Anne la prima volta? -
Ethan scosse la testa.
Giuda sorrise e socchiuse gli occhi, come a voler evocare l'immagine per descriverla bene. - Niente. Non sono riuscito a pensare. Eri abbastanza concentrato sulla guida, faceva freddo e avevi una ciocca di capelli che ballava vicino al naso. La radio non funzionava, si sentivano i versi dei gufi. E poi, nel silenzio assordante, hai iniziato a cantare soprappensiero... -
But this time, I mean it, I'll let you know just how much you mean to me... - canticchiò Ethan. Ricordava quale canzone canticchiava, poiché era una delle sue preferite dei My Chemical Romance.
O'Connor annuì. - E non sono riuscito a pensare a nulla. Avevi una voce così melodiosa che sono rimasto lì ad ascoltare. Quindi, sai cantare, suoni il violino, vai in skate, fare il modello per Lisa ti viene fin troppo bene e hai ancora un sacco di tempo per iniziare nuovi percorsi, scoprire nuovi hobby. Questa è solo una lista delle cose che sai fare, ma nessuna di queste ti identifica. Come diceva un vecchio saggio: "sono le scelte che facciamo che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità." -
Ethan sbuffò. - Trovi sempre un libro nel quale riconoscersi. -
- È per questo che mi piace la letteratura. -
- Tutti quei morti... -
Giuda scosse la testa amareggiato. - Prima o poi, a furia di leggere, riesci a scovare un autore che si è sentito esattamente come te. E allora capisci che non sei solo e nel libro trovi un amico. -
- Nessuno riesce a descrivere come mi sento io. Chi scrive è bravo con le parole. Io non so fare nemmeno quello che imparano i bambini di tre anni, - sbuffò Ethan e tornò a raggomitolarsi sotto le coperte. Era stanco di sentirsi così, così analfabeta. Voleva dormire.
- Vedi che sei bravo? - disse Giuda abbracciandolo. - Hai saputo descrivere come ti senti, e lo hai fatto tante altre volte. Tu non sei scemo, Ethan. Né diverso. Parli la tua lingua. -
Ethan avvertì qualcosa pizzicargli le mani e una sensazione di calore allo stomaco. Non seppe riconoscere se fosse o meno una cosa positiva, ma Giuda era l'unica persona che riusciva a fargli provare cose in maniera così chiara. Non voleva più dormire, voleva restare tra le braccia di Giuda per tutto il resto del tempo.
Ma l'allineamento dei pianeti non era d'accordo e nemmeno Michael, che bussò alla porta. - Posso? -
Ethan roteò gli occhi ma non cambiò posizione, anzi, afferrò le braccia di Giuda per evitare che la cambiasse lui. - Che c'è, Michael? -
Michael entrò. - Sono venuto a vedere se stai bene. -
- Sto benissimo, grazie. -
- Mi fa piacere saperlo. Vorrei sapere anche un'altra cosa. -
- Che cosa? -
- Perché i tuoi spartiti sono volati fuori dalla finestra, stanotte? -
- Ma alle persone è concesso arrabbiarsi oppure no?! - sbuffò Ethan. Cominciò a gesticolare energicamente, infastidito.
- Certo, ma buttare le cose fuori da una finestra è considerato ancora incivile, lo sai questo? -
- No, - disse Ethan incrociando le braccia. - Mia mamma deve aver dimenticato di dirmelo. Ops. -
Giuda si schiaffeggiò la fronte, Michael scosse la testa. - Ethan... -
- Sto bene, - ripeté. Ed era vero. - Okay, forse mi sono arrabbiato stanotte. E volevo rompere il violino, perché... perché il violino mi ricordava lei. Mia mamma lo suonava e a me piaceva. Ho iniziato a suonarlo quando è andata via perché era come averla con me. Dopo quello che ho ascoltato ieri, mi è sembrato... come dire... tutta una bugia. -
Michael si accomodò ai piedi del letto e l'ascoltava attentamente. Di tanto in tanto, scambiava qualche sguardo con Giuda.
- E allora mi sono innervosito, no? Capita, tu non ti innervosisci mai? -
- Ah, io mi innervosisco un sacco di volte. -
- Quindi non capisco quale sia il problema. -
Cromwell sospirò. - Va bene innervosirsi, e va anche bene prendersela con gli oggetti quando è necessario, ma ieri hai gettato via tutti gli spartiti. Lo sai che è impossibile recuperarli? Sono fatti a pezzi. -
- Era il mio intento, - obiettò Ethan. - Io non voglio più suonare. -
- E questo lo hai deciso stanotte? -
Il ragazzo annuì.
- Una decisione così importante? L'hai presa con così tanta leggerezza? -
- Leggerezza, - lo canzonò Ethan, poi sorrise istericamente. - Leggerezza! - Il ragazzo scosse la testa. - Se mia madre, un giorno, di punto in bianco, ha deciso di abbandonare la sua famiglia, il problema sono io che decido con leggerezza di smettere di suonare? -
- Giuda, scusami, posso chiederti di uscire, per favore? - chiese Michael.
- No, - disse Ethan accigliato. - No, non glielo puoi chiedere. -
Michael guardò l'amico cercando supporto, ma Ethan rincarò la dose. - Siamo nella mia stanza, a casa mia, questo è il mio spazio. -
- Ethan, forse Michael vuole parlare con te in privato, - obiettò Giuda. - Resto comunque qui, magari, ehm, ne approfitto per andare in bagno, no? -
Come se quello potesse essere il peggior tradimento della storia dopo quello di Caino ad Abele, Ethan assottigliò gli occhi e incrociò le braccia. Aveva creduto che sarebbe stato dalla sua parte, soprattutto dopo quello che gli aveva detto quando erano da soli poco prima. Invece subito aveva assecondato Michael, senza colpo ferire, senza nemmeno provarci. Portava il tradimento nel nome. - Sei un giuda, - commentò, infine.
Giuda ricordò le origini del suo nome: in tantissime lingue, e in ogni salsa lo si rigirava, "essere un giuda" voleva dire essere un traditore. Ethan si sentiva tradito? Solo perché gli stava dando spazio e modo di parlare con Michael? Non voleva farlo sentire in soggezione restando lì, ne voleva violare il suo privato, anche se fosse soltanto per mandarlo a quel paese. Scosse piano la testa e uscì dalla camera.

 


*

ndA
Invece Giuda me lo immagino 
così ma con gli occhiali! <3
 

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Capitolo 14
*** XIV. ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
XIV.
 

Giuda guardava il soffitto bianco della stanza in affitto e non aveva un pensiero nella testa. In realtà ne aveva così tanti che, messi insieme, sembravano dissolversi e annullarsi l'uno con l'altro. In particolare la sua mente vagabondava tra queste cose: il volo da Sioux City per Tampa che aveva quel pomeriggio, Ethan, il pacchetto di sigarette vuoto, Ethan, le vacanze natalizie che stavano per giungere al termine, Ethan, la montagna di compiti che avrebbe dovuto correggere e sulla quale non aveva ancora messo mano, Ethan, la Reunion dei blink-182 a cui proprio non riusciva a credere, Ethan, la batteria dell'iPad scarica da due giorni ed Ethan.
Era il 31 dicembre ed erano le sei del mattino, il che voleva dire che erano ben cinque giorni che non aveva notizie dal ragazzo. Le ultime parole che gli aveva rivolto erano state "sei un giuda" (proprio così, in italiano, il suo nome così com'era, non judas, proprio giuda) e poi basta. Dal canto suo, aveva provato a scrivergli qualche messaggio, ma non aveva ricevuto risposta. Poi, a un certo punto, aveva smesso: se non voleva aver a che fare con lui, non avrebbe avuto senso insistere.
Ma ciò che lo teneva sveglio e imprigionato a quell'ora antelucana era il dilemma interiore, l'essere o non essere, glielo dico che parto oppure no. Lanciò uno sguardo allo zaino pronto per il weekend dai genitori, e guardò l'orologio: avrebbe dovuto prendere il volo per Chicago alle 12:55, quindi avrebbe dovuto essere in aeroporto alle 10:55 e considerando che ci avrebbe impiegato trentotto minuti di auto per arrivarci, facciamo quarantacinque se c'era traffico, anzi, facciamo un'ora perché odiava guidare con quel gelo, sarebbe dovuto partire alle 9:55 da Newcastle. Quindi gli restavano circa tre ore per capire cosa fare.
Come prima cosa sbuffò. Perché sbuffare andava sempre bene. Poi si alzò dal letto e camminò in tondo dentro la stanza per sgranchirsi le gambe. Fece anche un po' di stretching. Pulì gli occhiali, aprì la finestra per far entrare l'aria e diede uno sguardo al cellulare. Erano le 8:00 e aveva cinque messaggi non letti, di cui uno di Michael e quattro di sua madre. Sbuffò ancora, poi cominciò a digitare. «Oggi torno a Tampa.»
Un messaggio semplice. Sarebbe tornato a Tampa. Poi lo corresse con «Oggi vado a Tampa» perché "torno a Tampa" poteva anche significare che sarebbe rimasto lì per sempre. Poi lo cancellò. «Tra poco parto per Tampa.» Non andava bene. Cancellò di nuovo. «Oggi parto per Tampa.» Gli piaceva di più "oggi" come parola. Lo rilesse sette volte nemmeno fosse un trattato dell'ONU e poi lo inviò. Attese ben cinque minuti prima di lamentarsi di essere stato ignorato senza motivo, poi scrollò le spalle e decise di andare a vestirsi. Avrebbe volentieri preso il volo in pigiama, ma i suoi genitori non lo vedevano da mesi e voleva fare bella figura quando li avrebbe incontrati. Così indossò un completo casual, pettinò i capelli e mise addirittura un braccialetto. Fece mente locale su quello che c'era o mancava in valigia, infilò i piedi nelle scarpe e prese il cellulare, che vibrò. Aveva vibrato.
Giuda deglutì e sbloccò lo schermo.

«Buon viaggio.»

Buon viaggio. Cosa si aspettava? O meglio, si aspettava davvero qualcosa?
Forse sì. Avrebbe voluto un "mi dispiace", o "possiamo chiarire un attimo?", un qualsiasi altra cosa. E invece, buon viaggio.
Non rispose. Si avvolse in sciarpa e cappotto, recuperò le chiavi dell'auto e decise di partire con un po' d'anticipo.

Buon viaggio, Giuda. Buon viaggio.

 

*

 

L'aeroporto di Tampa era sempre pieno di turisti, in qualsiasi periodo dell'anno. E l'aria condizionata era così alta che per un attimo Giuda pensò di trovarsi ancora in Nebraska. Poi, una volta fuori, il sole caldo della Florida lo avvolse in un tenero abbraccio e allora si sentì a casa.Sentirsi a casa. Che strana espressione. Però si sentì proprio così. Fu circondato dai profumi che aveva annusato tutta la sua vita: i soft ice alla vaniglia, i waffle appena cotti, il caffè, l'odore del mare... quanto gli era mancata, tutta quella vita. Era stato fortunato a poter crescere in una città come quella, piena di alternative, piena di stimoli. Appena varcò l'uscita del terminal, fu travolto da un caldo raggio di sole e dall'abbraccio di sua madre.
- Oh, Giuda, amore! Come stai? Com'è andato il volo? Hai mangiato? Come stai sciupato, meno male che ho buttato un po' di pasta in più! -
- Mamma... mamma... sto soffocando, - provò a obiettare Giuda ma senza davvero ribellarsi. Tra le braccia di sua madre era già tornato bambino e voleva godersi tutto il suo affetto travolgente.
- Lo lasci stare? - borbottò suo padre. - Così morirà asfissiato! -
- Non si può morire asfissiati per un abbraccio! -
- Questo lascialo dire a me, - rispose Giuda. Poi risero tutti e tre.

Casa O'Connor aveva la vista sul mare. Era una tipica villa della Florida, bassa, con quanti più vetri possibile per ammirare l'azzurro dell'acqua e del cielo. Una volta dentro, Giuda avvertì la sensazione di essere un ospite ma anche quella di essere sempre stato lì. Era strano quanto questi sentimenti contrastanti s'annidavano dentro di lui come un groviglio di cavi dietro la televisione.
Sapeva dove trovare ogni cosa, eppure ogni dettaglio era diverso. Il bagnoschiuma era sempre nel mobiletto in basso, ma la fragranza non era più al cotone fresco; le asciugamani erano sempre nel mobile in alto, ma non erano più bianche. Fece una doccia cercando di lavare via i pensieri, indossò un look da festa improvvisato con quello che aveva lasciato lì e raggiunse i suoi genitori in cucina.
- Allora, - disse Elvira. - A breve saranno tutti qui. -
- Tutti chi? -
- Tutti, - si lamentò suo padre. - Proprio tutti: mia sorella col marito e i figli, i due fratelli di tua madre con le loro famiglie e anche quel disgraziato di mio cugino con la moglie. -
- Ah. Beh, dai, ci sta... è la notte di Capodanno... -

Finn O'Connor non era proprio un grande fan delle riunioni di famiglia, a differenza di sua moglie. Ma Elvira era stata così felice nell'apprendere che il figlio avrebbe trascorso Capodanno con loro che non avrebbe mai potuto vietarle la gioia di invitare tutta la famiglia per cena. Non che Finn non fosse legato alla famiglia, voleva bene a tutti ma li preferiva in piccole dosi. Inoltre, avrebbe davvero apprezzato di poter aver occasione di stare un po' da solo col figlio, cosa che non accadeva da un po' a causa della distanza.

- Come sei bello, Giuda, - gli disse poi.
Giuda gli sorrise. - Sono tutto mio padre! -
- Ehi! - obiettò Elvira. - Guarda che tu sei uscito dalla mia vagina, vorrà dire qualcosa! -
Giuda e Finn misero su un'espressione disgustata e poi risero ancora.
- Come ti trovi in Nebraska? -
- Bene, - disse senza esitazione. Un po' troppo, quasi finto. - Sto bene. Ho già degli amici! -
- Quelli con cui hai trascorso il Natale? -
Giuda annuì, poi si rabbuiò per un secondo pensando a Ethan. Buon viaggio. Un messaggio che ancora vagabondava nella testa.
- C'è qualcosa che vorresti dirmi? -
- Va tutto bene, pa', - rispose Giuda. - Sono felice di poter restare qui qualche giorno. Mi serviva un po' di sole. -
Finn non sembrò convinto ma evitò di investigare oltre: il ruolo di detective spettava a sua moglie.

 

Il sole era appena tramontato sulla vigilia di Capodanno e l'aria era piena del suono delle risate e delle chiacchiere mentre la famiglia O'Connor si riuniva per l'ultima cena. Il che era quasi buffo, visto che la maggior parte di loro aveva dei nomi di origine biblica. Il soggiorno era pieno di persone di tutte le età che ricordavano l'anno appena trascorso. Il nonno sedeva sulla sua sedia preferita, sorridente mentre guardava la sua famiglia tutta insieme. Sorseggiava il vino e ascoltava i suoi nipoti raccontargli i loro successi e le loro aspirazioni per il nuovo anno. Pochi istanti dopo, la nonna si era seduta accanto a lui e gli aveva preso la mano, un sorriso si diffuse sul suo viso mentre guardava la stanza piena dei suoi cari. Quando l'orologio si preparava a segnare la mezzanotte, la famiglia si prodigava per accendere le stelline filanti e faceva il conto alla rovescia degli ultimi secondi dell'anno. Il primo "Happy New Year!" fu gridato, la sala esplose in applausi, abbracci e baci.
Gli O'Connor, comunque, adoravano celebrare il nuovo anno con stile. Come ogni anno, si stavano preparando per andare in spiaggia per assistere allo spettacolo pirotecnico che vi si teneva. Erano tutti entusiasti di vivere i festeggiamenti e iniziare il nuovo anno con il botto. Mentre si dirigevano verso la spiaggia, il cielo notturno era limpido e pieno di stelle. Il suono della musica e delle risate riempì l'aria mentre si avvicinavano alla folla che si era radunata sulla sabbia. Gli O'Connor trovarono posto sulla spiaggia in un punto dal quale avrebbero potuto vedere perfettamente i fuochi d'artificio. Si rannicchiarono insieme, godendosi lo spettacolo con lo sguardo rivolto verso il cielo. All'improvviso, i primi fuochi d'artificio lo illuminarono con un brillante spettacolo di colori. La famiglia O'Connor rimase sbalordita quando il cielo si riempì di esplosioni di luce, una più bella dell'altra. Al termine dei fuochi d'artificio, decisero di tuffarsi in acqua e fare un bagno tutti insieme.

Erano ormai le cinque del mattino e Giuda era sveglio da quasi ventiquattro ore. Sebbene il Nebraska sembrasse un vago ricordo, sapeva che non poteva rifugiarsi a lungo nel caldo della Florida. Uscì dall'acqua, s'avvolse in un telo e si stese sulla sabbia. Nonostante l'ora, era ancora calda. Un leggero venticello gli smuoveva i capelli rossicci. In sottofondo, alcuni dei suoi suoni preferiti: i suoi cugini che ridevano, i suoi genitori che si baciavano, i suoi zii che battibeccavano... senza rendersene conto, scivolò nel sonno con il sorriso sulle labbra.


- Ma allora è vero che sei tornato. -
Giuda aprì gli occhi con lentezza e fu piacevolmente sorpreso dalla luce del sole che provava ad accecarlo. Quando riuscì a mettere a fuoco la figura davanti a sé, però, fu meno contento. - Non sono tornato, - disse. - Sono qui in vacanza. -
- E perché non ci hai detto niente? Ho dovuto saperlo da Patricia che ti ha vista in aeroporto. Non hai salutato nemmeno lei. -
O'Connor si alzò in piedi e scacciò la sabbia in eccesso con dei gesti secchi. - Volevo salutare solo la mia famiglia. -
- Noi siamo la tua famiglia. Ce lo dicevi sempre. -
- Voi eravate la mia famiglia, - chiarì Giuda. - Prima che tu mi tradissi e che loro mi mentissero al riguardo. -
- Ancora con questa storia? -
- No. Non ancora. Questa è una storia finita, e noi sappiamo come. - Il tono di Giuda fu auto conclusivo. Raccolse il telo da terra, lo sventolò per far scivolare la sabbia e lo piegò. Nel frattempo, un gabbiano garriva in lontananza.
- A me non piace come è finita. -
- Nemmeno a me, ma che vuoi farci? È andata così. Avrebbe potuto finire meglio? Sì, ma... -
- Avrebbe potuto non finire affatto, - lo rimbeccò Christopher.
- Se tu fossi stato in grado di tenertelo nelle mutande, forse. Ma non è stato così. Quindi non ha senso continuare a parlarne, - rispose Giuda. Poggiò il telo piegato sulla spalla. - Buon anno nuovo, - gli augurò.
- Giuda, aspetta, - cercò di fermarlo l'altro. Christofer gli afferrò un polso e lo strinse saldamente tra le mani. - Ti prego, non andartene. -
Giuda rimase in silenzio senza nemmeno voltarsi. Aveva lo sguardo puntato sulla sabbia giallina e rovente.
-
 Io so amare solo te, - gli confessò Christopher. Lo fece a voce bassa, sembrava sincero. - Hai ragione, sono stato uno stronzo. Ho sbagliato. Ho assecondato i miei impulsi nemmeno fossi un adolescente in piena tempesta ormonale, ho scopato con più gente di quella che hai scoperto tu. Ma io ti amo, e riesco ad amare soltanto te. -
Giuda avrebbe voluto gridare, piangere e scappare contemporaneamente. Poi si ricordò che era un adulto e che avrebbe dovuto reagire come tale; per cui deglutì e provò a utilizzare un tono fermo. - Christopher, io credo che tu debba mettere in discussione la tua sessualità. Non sei fatto per una relazione monogama, e va bene così. Non c'è nulla di male se tutte le persone coinvolte ne sono informate e sono consenzienti. Io sono diverso. Io... io sono come un pinguino. Sono monogamo per eccellenza. E non riuscirei mai ad accettare che il mio partner abbia altre relazioni. -
Cercò di dirlo tutto d'un fiato, poi fece in maniera tale da farsi lasciare il polso. Pensò a Ethan, in realtà. Così lontano da lui, sia fisicamente che spiritualmente. Così assente. - Ciao, - salutò e si avviò verso casa.
Quando raggiunse la casa dei suoi genitori, Giuda li salutò rapidamente e corse in bagno. Tolse i vestiti come in un raptus e si infilò sotto l'acqua bollente della doccia. Si lasciò colpire dal getto per circa dieci minuti buoni prima di avere una reazione. Iniziò a piangere. Perché lui Christofer lo aveva amato. Lo aveva amato tanto, fino a farsi strappare il cuore. Di tanto in tanto, quando la sua mente andava alla deriva, finiva con il raggiungere un posto in cui ancora lo trovava. Perso nella sua testa, lo ritrovava ogni volta. Forse Ethan aveva ragione a essere geloso, in un certo senso. Come poteva Giuda andare avanti se tutto gli parlava di Cri? Come poteva andare avanti quando le cose più belle della sua vita finora le aveva fatte con Cri? Come poteva andare avanti se era ancora intrappolato nel vuoto con il fantasma di Cri e i ricordi della loro storia?
Obiettivamente, Giuda era a conoscenza che la loro relazione non avrebbe potuto ricucirsi in alcun modo, non dopo quello strappo, ma quello che si chiedeva era: come avrebbe potuto andare avanti?
Pianse a lungo sotto la doccia, riversò nei tubi di scarico tutte le lacrime che non aveva consumato fino a quel momento, lasciò che si mescolassero con il bagnoschiuma al cotone e lo shampoo alla vaniglia. Poi uscì, si raggomitolò in un vecchio accappatoio rosa e si stese sul suo letto. Anche quello gli ricordava Cri, le prime seghe che si erano fatti, i primi baci, le prime chiacchiere fino a notte fonda, il sogno di restare insieme per sempre.
Strinse forte gli occhi, sperò in un messaggio da parte di Ethan che non arrivò, s'infilò sotto le lenzuola di cotone e restò così, immobile, a farsi seppellire dagli eventi.

 

*

 

Il Capodanno di Ethan era stato diverso. Lo aveva trascorso, esattamente come Natale, a casa con i suoi amici e la sua famiglia. Era stato divertente, aveva cantato al karaoke, aveva mangiato tanto e quando tutti erano andati a dormire, era rimasto tutto il tempo a chiacchierare con Lisa e Steve.
- Oh, e comunque, - disse Steve, - sai che ci manca? -
- Una canna? -
- Una scopata, - rispose Steve. Ed era serio.
- Che finezza, - lo riprese Ethan. - Però sì. -
- Ma perché pensate sempre al sesso? -
- Perché noi uomini abbiamo un cervello più piccolo, ma più insolente, proprio in mezzo alle gambe. E spesso lo usiamo più di quello nella testa. -
Steve rise ma era d'accordo con l'amico. - Quasi quasi vado in bagno... -
- Oh, andiamo, - sbuffò Lisa che rivolse lo sguardo al cielo per recuperare la pazienza. - Ma vi pare il caso? Sono quasi le quattro del mattino. Abbiamo diciotto anni, quasi diciannove. Dovremmo sentire la vita che ci esplode dentro, uscire, fare baldoria... -
- ...scopare, farci le seghe... -
- ...Steve! -
- Dai, Lisa, non fare la santarellina. Lo so che anche le ragazze provano certi istinti. -
- Ma sappiamo anche contenerli, se necessario. E comunque, è capodanno, ma tu chiuditi pure in bagno a farti le seghe... -
Ethan rise, poi si stese sul divano e socchiuse gli occhi. - Sapete cosa mi piacerebbe fare? -
- Ethan, se dici "scopare" giuro che ti prendo a schiaffi, eh. -
- No, anche se mi piacerebbe, - rispose con sincerità. Ma non voleva scopare per sfogare gli istinti primordiali, no. Voleva fare l'amore con Giuda. Voleva sentirlo di nuovo. Voleva annusare la sua pelle, leccarla, passargli le mani tra i capelli.
Socchiuse gli occhi, perché poteva solo pensarlo. E non gli andava molto. - Vorrei andare al mare. -

- ...al mare? -
Ethan annuì.
- L'ultima volta che ho controllato con Google Maps, nel Nebraska non c'è il mare, - disse Steve.
- Quanto ci si impiega in auto, per andare al mare? -
Steve e Lisa tirarono fuori i cellulari e cominciarono a cercare su Google Maps, ma i risultati non erano stati incoraggianti.
- In qualsiasi direzione, ci impiegheremo non meno di venti ore d'auto. -
Ethan rimuginò un po' su, arricciò le labbra, avvertì una sensazione di sconforto e sbuffò. - Quanto tempo ci vuole per andare a Tampa? -
- Ventitré ore, se partiamo adesso. Ma perché Tampa? -
Ethan scrollò le spalle. - Siamo giovani, è capodanno, dovremmo sentire la vita scorrerci dentro. Vogliamo fare una follia? -

 

*

 

Anne si era svegliata di buonumore. Aveva trascorso una piacevole serata, si era divertita molto con gli amici e la famiglia, era felice di non dover andare a lavoro e non vedeva l'ora di preparare la colazione. Certa che tutti si alzassero tardi, non si sentì nemmeno in colpa per aver messo piede fuori dal letto alle nove passate. Pettinò i capelli, canticchiò la sua canzone preferita, fece una doccia, indossò abiti puliti e scese giù in cucina. La casa era troppo tranquilla e in ordine per essere un Capodanno, ma pensò ingenuamente che i ragazzi avevano spostato la festa in camera di Ethan.
Solo quando si avvicinò al tavolo per iniziare a preparare dei pancakes si rese conto di una busta. C'era scritto: "A voi tutti". Anne l'aprì e la lesse.

«Abbiamo deciso di iniziare l'anno con una follia. Stiamo andando a Tampa. Ci vediamo tra qualche giorno. Vogliamo vedere il mare. - Ethan, Lisa, Steve.»

Lesse quel bigliettino più volte, per esser certa di aver capito bene. Alla decima volta gli occhi le saltarono quasi fuori dalle orbite e subito provò a telefonare ai ragazzi, ma niente, irraggiungibili.

- Michael! Papà!!! -

Michael giocava distrattamente con il bigliettino. Tampa. Perché mai gli sembrava familiare come città...
- È inutile che provi a chiamare. Sono probabilmente alla guida. Se sono partiti in nottata, probabilmente adesso sono nel Kansas o giù di lì. -
- Ma come cazzo è possibile? - gridò Anne. - Come abbiamo fatto a non accorgercene?! -
- Anne, sono ragazzi, avranno avuto l'idea del secolo. Non ti ricordi com'eravamo noi a diciotto anni? -
Jack mise su un'espressione rassegnata. - Una volta ho dovuto guidare dieci ore per venirvi a recuperare da una cella a Denver... avevate violato tutte le regole stradali nella speranza di raggiungere Las Vegas prima che vi beccassi. -
- Ecco, - confermò Michael. - Dobbiamo solo aspettare. -
- Cosa, Michael? Cosa dobbiamo aspettare? Che ci chiami la polizia? O un ospedale? Dobbiamo aspettare che muoiano?! -
- Anne, Ethan guida bene, - la rassicurò Jack. Nonostante fosse in ansia per suo figlio, non voleva di certo che a sua figlia venisse un attacco di cuore. - Ci chiameranno a breve. Vedrai. Poi quando torneranno qui li sgrideremo a dovere. -
- ...Giuda! - esclamò Michael all'improvviso. - Giuda è di Tampa. Ed è a Tampa. -
Anne e Jack guardarono Michael pieni di domande, ma anche carichi di speranze.

 

*

 

"E voglio un pensiero superficiale che renda la pelle splendida... senza un finale che faccia male, con cuori sporchi e le mani lavate..."

Il cellulare di Giuda sembrava suonare a vuoto. In realtà vedeva lo schermo illuminarsi ma non aveva davvero voglia di allungare un braccio e rispondere. Sembrava troppo faticoso. Eppure, la voce di Manuel Agnelli continuava a echeggiare nell'aria. Gli Afterhours suonavano ancora, e ancora, ancora, instancabili. Allora Giuda si arrese alla forza della musica e rispose.

- Pronto? -
- ...Giuda! Sono Michael. -
- Ciao Michael... come stai? -
- Io bene, tu? -
- Mh. A cosa devo questa telefonata? -
Michael percepì che qualcosa non andava, ma doveva rimandare i convenevoli. Non poteva perdersi in chiacchiere con Anne e Jack presenti. - Senti, ehm, hai... hai per caso sentito Ethan in questi giorni? O Lisa? O Steve? -
- No, Michael, nessuno dei tre. Non vedo perché dovrei sentire Lisa o Steve, comunque... a questo punto nemmeno so perché dovrei sentire Ethan, ma vabbè. -
- Capisco. Lo chiedevo perché stamattina ci hanno lasciato un biglietto strano. -
- Che biglietto? -
- "Abbiamo deciso di iniziare l'anno con una follia. Stiamo andando a Tampa. Ci vediamo tra qualche giorno. Vogliamo vedere il mare." -
- Ah. - Giuda scrollò le spalle, poi si perse in un secondo di silenzio che durò un'immensità e sgranò gli occhi. - A Tampa?! -
- Già. Tu... tu sei a Tampa, giusto? -
- Sì... sono dai miei. -
- E non ti hanno scritto? Nessuno dei tre? -
- No, Michael, nessuno dei tre. Cazzo. Come hanno intenzione di raggiungere Tampa?! -
- Guidando, credo. Hanno preso l'auto di Anne. -
- Ma ci impiegheranno un giorno intero... cazzo. Cazzo, maledizione! È pericoloso! -
- Eh, lo so. Non possiamo chiamare la polizia, sai, la cosa delle quarantotto ore... se... se, ecco, dovessi vederli... ci fai richiamare? Siamo un po' in pensiero. -
- Certo, sì... non credo che... cioè... Tampa è una città grande... ma se li vedo, se li sento, io vi richiamo subito. Michael... -
- Dimmi! -
- Avete provato a telefonare? -
- Ripetutamente, ma hanno il cellulare staccato. -
- Capisco. Sì. Se li sento vi faccio sapere. -


*

ndA

Lo so, in questo capitolo sono stata cattivella... ma mi farò perdonare, promesso!
 

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Capitolo 15
*** XV. ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
XV.
 

Da quando aveva ricevuto la telefonata di Michael, Giuda aveva provato a contattare Ethan ripetutamente. Aveva provato a telefonargli senza sosta fino a quando il cellulare non aveva deciso di scaricarsi, ma non aveva ottenuto alcun risultato. Se anche si fosse messo a girare lungo tutta Tampa come un segugio, sarebbe stato impossibile: non li avrebbe mai trovati, non sapeva nemmeno se erano davvero riusciti a raggiungere la città.

Così non gli restava altro che attendere. Guardava lo schermo nero del cellulare e sperava che si caricasse in fretta.

*

Lisa si era addormentata sul sedile posteriore, Steve guidava, Ethan guardava fuori dal finestrino. Ventitré ore in auto sembravano non passare mai, ma ne erano trascorse già diciotto. Avevano fatto poche soste per cibo e pipì, ma finalmente avevano passato il confine con la Florida.
- Ci siamo, amico, - disse Steve. Parcheggiò l'auto su un'area di sosta e guardò Ethan. - Cazzo, che caldo. Mi dai il cambio? -
Ethan annuì e si scambiarono di posto. Cercarono di fare tutto più silenziosamente per non svegliare Lisa, che era stata la prima a guidare di fila per otto ore. Steve aveva guidato un po' di più, e ora toccava a Ethan. Ripartirono poco dopo.
Steve guardò la segnaletica stradale e i cartelli che indicavano "Orlando". Le strade erano così belle, in Florida. Perché non erano nati lì?
- Ethan, ti posso fare una domanda? -
- Certo. Quale? -
- Non fraintendere, eh. Questo viaggio è meglio di farsi una sega in bagno... ma perché siamo venuti qui? -
- Per... per il mare? -
- È una domanda? -
- No, cioè, siamo venuti qui per il mare. -
- Ah. Il mare. E perché stiamo andando a Tampa e non a Miami, per esempio? -
- Perché è la prima città a cui ho pensato. -
- Ethan, io ti voglio bene, ma tu devi essere sincero con me. -
- In che senso? -
- Non è che c'entra il professor O'Connor? -
- Cosa?! -
- Dai. Siamo amici. Me lo puoi dire. -
- Che devo dirti?! -
- Che tu e lui... che voi due... -
- Cosa? - chiese Ethan. Aggrottò le sopracciglia e schiacciò un po' di più l'acceleratore.
- State insieme? - chiese Steve a bruciapelo.
Ethan non rispose. In un primo momento preferì stare in silenzio e si concentrò sulla guida. In un secondo momento, invece, non seppe che dirgli: stavano insieme? Non lo sapeva. Forse aveva fatto una cazzata. Forse erano stati insieme, ma Giuda lo aveva lasciato. O forse si erano lasciati senza dirselo. Perché lui aveva smesso di rispondergli ai messaggi e Giuda non gliene aveva più mandati. Non si erano più sentiti. Forse Giuda era addirittura tornato con Christopher.
- Non... -
- Ethan... non prendermi per culo. Io ti conosco. -
- Non lo so, - rispose Ethan con onestà. - Non lo so. Sono sincero, - specificò. Una lacrima faticava ad aggrapparsi alle sue palpebre e scivolò giù sconfitta.
Steve non disse nient'altro. Quello che aveva visto e sentito gli aveva già fatto capire tutto. - Però chiamalo. Almeno uno dei tre deve scopare, - scherzò poi. - Sennò ci siamo fatti tutto questo viaggio per la gloria. E a questo punto era meglio la sega in bagno. -
Ethan rise e annuì. Sì. Lo avrebbe chiamato non appena arrivati a Tampa.

Quando Ethan riaccese il cellulare, il dispositivo vibrò per quindici minuti di fila per la quantità di notifiche che gli erano arrivate: chiamate da suo padre, da sua sorella, da Michael, da Giuda. Qualcuno doveva averlo avvisato, e sbuffò. Gli aveva rovinato la sorpresa.
«Chiamami quando riaccendi il cellulare. Sono in pensiero per te.»
«Ethan... dimmi solo che stai bene.»
«Chiamami quando arrivi. Tua sorella è in pensiero per te. Metti la cintura di sicurezza. Non bere prima di guidare. Hai preso la crema solare? Protezione 50+. Buon viaggio, a papà.»
«Stavolta l'avete combinata grossa. Ho avvisato Giuda.»
«86 Martinique Ave»

- Allora? L'hai chiamato? - domandò Steve. Gli allungò un Frappuccino al cioccolato.
Ethan gli mostrò l'ultimo messaggio e prese la bibita.
- Andiamo, no? -


 

86 Martinique Ave. Che posto meraviglioso. Ethan non aveva mai visto una strada tanto bella. Il sole non aveva mai baciato la sua pelle con tanta passione, i suoi occhi non avevano mai visto così tante palme verdi, non aveva mai sudato così tanto. La casa al numero 86 sembrava appena uscita da una serie TV anni '90. Il giardino era molto curato e si poteva vedere il mare già solo dal viale d'ingresso. Avrebbe voluto tuffarsi subito.
C'era una signora che potava i rami di un cespuglio. Somigliava un po' a Giuda, Ethan rifletté sulla concreta possibilità che fosse sua madre.
- Tutto bene? - chiese la donna sorridendo. - Vi posso aiutare? -
Le persone erano più allegre e cordiali con il bel tempo. - Cerco Giuda O'Connor. -
- Ah! E tu chi sei? -
- Io... -
- Ethan!!! - Giuda gridò dalla finestra. - Mamma, tienili in trappola, - le ordinò nella loro lingua straniera e poi svanì.
Steve e Lisa risero, poi raggiunsero l'amico. Avevano addosso ancora i vestiti invernali e iniziavano a sentire molto caldo.
- Ehm... gradite un tè fresco? - chiese la signora e li invitò a entrare.

 

Quando Giuda scese giù in salotto, si trovò davanti a una scena surreale: Lisa, Steve ed Ethan bevevano tè freddo e chiacchieravano con Elvira amorevolmente.
- E quindi non avete mai visto il mare? - domandò la donna. - Ma dobbiamo rimediare subito! Allora, in primis vi vado a prendere dei vestiti adatti... sono sicura che faccia caldissimo sotto quelle felpe! -
- Mamma, non essere gentile con loro, non se lo meritano! -
- Vabbè, tu fai il burbero, io vado a prendere dei vestiti. Mi raccomando, bevete, è importante! - disse Elvira prima di uscire dalla stanza.
Giuda aveva addosso un costume colorato e una t-shirt. Anche lui era diverso nel suo habitat naturale, sotto al sole, pronto per andare al mare e con la pelle sporca di sabbia. Ethan lo scrutò con attenzione, guardò le sue caviglie, ammirò le sue gambe, si soffermò sul suo fondo schiena. Ebbe un'erezione e cercò di nasconderla accavallando le gambe.
- Allora, - disse il professore. - Ora mi dovete spiegare che ci fate qui! -
- Non avevamo mai visto il mare! - obiettò Steve. - Volevamo vedere il mare. -
- Prof, la verità è che ci annoiavamo. Ethan era in fase super mal di vivere, Steve voleva chiudersi in bagno a masturbarsi. Io gli ho ricordato che siamo giovani, che siamo nell'età giusta per fare follie... -
- Oh, è importante conoscere il proprio corpo, - obiettò Steve senza un minimo di decenza.
Giuda voleva ridere all'uscita del ragazzo, ma doveva recitare la parte dell'adulto borioso. - E quindi avete rubato l'auto di Anne, spento i cellulari, siete spariti da qualsiasi canale di comunicazione e siete arrivati a Tampa. -
- Esatto. -
Ethan non aveva ancora detto una parola. Era solo... pieno. Tutte le parole gli morivano in gola. Vedere Giuda gli aveva fermato il sangue o forse gliel'aveva messo in circolo più velocemente. Non lo sapeva. Voleva solo scusarsi per avergli risposto male, per non aver più risposto ai suoi messaggi; voleva baciarlo, abbracciarlo, dormire accanto a lui.
- Lo sapete che Anne, Jack e Michael sono in pensiero? Li avete richiamati? -
- Veramente... ehm... no... non ancora! -
- Male. Molto male. -
Giuda recuperò il suo telefono e lo porse ai ragazzi. - Avanti. Fatelo. -
Steve e Lisa si guardarono, poi lanciarono uno sguardo all'altro. Ethan non riusciva a staccare gli occhi da Giuda.
Lisa prese il cellulare offertale e compose il numero del fratello. - Michael... sì... sono Lisa. Sì, siamo arrivati. Stiamo bene. Siamo dal professor O'Connor. Sì. Va bene. Sì. Sì, ti rispondo al cellulare. Sì. Ok. Va bene. Ciao Michael. - e allungò il telefono a Ethan. - Anne vuole sentirti. -
Ethan prese il telefono e chiuse la telefonata. I suoi amici sgranarono gli occhi.
- Oh, Ethan... -
Anne richiamò subito, ma Ethan non rispose. Agganciò nuovamente la chiamata.
- Che succede? - domandò Elvira rientrando. Aveva con sé un costume per Steve, uno per Lisa e uno per Ethan. E poi aveva delle t-shirt recuperate da qualche scatolone, dovevano essere di un Giuda adolescente. Distribuì i vestiti ai giovani, poi guardò suo figlio. Giuda sembrava star passando un brutto quarto d'ora. - Tutto bene, amore? -
In questo momento, vorrei sparire. -
Posso fare qualcosa? -
Porti via quei due? -
Elvira annuì. - Scusate se parliamo italiano di tanto in tanto, ma non vorrei dimenticare la lingua della mia famiglia. Allora... Lisa, giusto? Vieni, ti faccio vedere dov'è il bagno, così ti cambi. E... Steve, no? Vieni su anche tu. Forza, il mare ci aspetta! -
Giuda appuntò mentalmente di dover ringraziare qualsiasi entità di forza superiore per aver fatto sì che Elvira fosse sua madre. Rimasto solo con Ethan, si sedette di fronte a lui, in silenzio. Lo stesso silenzio che era regnato sovrano da quel giorno.
- Non siamo venuti qui per il mare. Forse Lisa e Steve sì, ma io sono venuto qui perché volevo vedere te. -
- Mi avresti visto in classe tra pochi giorni. -
- Volevo vederti ora. -
- Ah, sì? -
Ethan annuì. - Mi dispiace, - disse trascinando via la voce fuori dalla gola. Avrebbe voluto piangere. Perché si sentiva così? Era certo di aver rovinato tutto, di aver distrutto quello strano ma piacevole equilibrio che si era creato tra loro. Ed era altrettanto sicuro che lo strappo venutosi a creare fosse irrimediabile. Forse era già troppo tardi. Era stato stupido guidare tutto un giorno per raggiungere Tampa, era trascorso troppo tempo, probabilmente Giuda si era già incontrato con Christopher e aveva deciso di riprovarci, perché loro erano adulti e lui era solo una testa di cazzo. Strinse le mani in pugni forti e avrebbe voluto gridare, ma restò in silenzio nell'uragano dei suoi sentimenti.
Giuda si alzò, si avvicinò a lui e gli si accovacciò di fronte, ora le loro altezze erano pari. - Lo sai che sarebbe stato sufficiente scrivermi un messaggio, vero? -
Ethan non si mosse. Le labbra di Giuda si muovevano sinuose mentre parlava.
- Che avresti potuto rispondere ai miei messaggi senza rischiare la vita guidando per un numero spropositato di ore per raggiungere il punto opposto degli Stati Uniti... -
Allora Ethan annuì piano. - Ma volevo vederti ora, - bisbigliò. Ed era vero. Poi lo abbracciò. Perché lì poteva, forse. Il gesto non avrebbe raggiunto il Nebraska. Lo strinse forte e lasciò che l'altro facesse lo stesso; Ethan si aggrappò alla maglietta di Giuda quasi avesse il timore che l'uomo potesse decidere da un momento all'altro di allontanarsi. Restarono così qualche minuto, fino a quando non udirono i passi di qualcuno che stava rientrando in stanza. A malincuore, si staccarono.
- Giuda, dè am fuaim a tha seo? -
Giuda sorrise e si voltò verso il padre. - Dadaidh, abbiamo ospiti dal Nebraska. A sorpresa. Lui è Ethan, mamma ha già preso in ostaggio Lisa e Steve. -
- Ah, - l'uomo sorrise gioviale. - Io sono Finn O'Connor, - disse e gli allungò la mano.
Ethan gli afferrò la mano dopo esser scattato in piedi e sorrise a sua volta. - Io sono Ethan Yury Novotny. -
Giuda rifletté che non aveva mai visto Ethan tanto educato come con suo padre, ma scrollò le spalle. - Mamma ti aveva portato dei vestiti, perché non vai a cambiarti? -
- Sì, vado subito! Ma dove? - domandò, poi prese i vestiti che erano rimasti piegati sul tavolo.
- Al secondo piano, la prima porta a sinistra, - rispose Giuda. 
- Allora vado. Grazie, - disse rivolgendosi a Finn. Sorrise ancora e poi salì al piano superiore.
- Giuda... devi dirmi qualcosa? -
- ...cosa? -
- Mah, non so... questi ospiti a sorpresa dal Nebraska... -
Dadaidh... -
- No, dadaidh il cazzo, Giuda. Spiegami che cosa succede. -
- Loro tre sono nella classe che gestisco in Nebraska. A Natale ero a casa di Ethan... -
Finn si soffermò a guardare il figlio come a voler capire il resto della storia senza che lui ne raccontasse una parte. - No, non voglio saperlo, - disse, infine. - Giuda, è il tuo primo incarico lungo da professore e tu... tu... tu seduci un alunno?! -
- Non ho sedotto nessuno! Che cosa dici?! -
- Giuda, guardami negli occhi e dimmi che non è successo quello che penso. -
- Che cosa pensi? -
- Giuda, per l'amor del cielo e mannaggia a me che ho accettato nel darti questo nome! -
- Avete rotto tutti un po' il cazzo con questo fatto che mi chiamo Giuda, - ammise l'uomo. - Io non sono un traditore, non ho fatto niente di male. Che vuoi sapere? Se ho una storia con Ethan? Sì. Sì, ce l'ho, e allora? -
- Sei il suo professore! -
- Lo so! E lo sa anche lui. Incredibilmente, riusciamo dividere perfettamente le due cose. -
Suo padre continuò a rivolgersi a lui con scetticismo. Il suo sguardo disapprovava la scelta del figlio, ma Giuda ci scorse anche un po' di delusione.
- Senti, papà, non l'ho cercato. Non volevo nemmeno avere una storia. Dopo Christopher, io... io volevo starmene per fatti miei. Per questo ho accettato di andare in Nebraska: insomma, un paese di trecento anime al massimo, potevo starmene tranquillo. Quello che c'è con Ethan è capitato. -
Finn scrollò le spalle con disappunto. - Bah... ti sei davvero consolato subito... io non riesco proprio a pensare come sarebbe la mia vita senza tua mamma. -
- Scusami tanto se non mi andava di essere tradito o di essere infelice. -
- E ora sei felice? -
- Ma che domanda è? -
- Hai detto che non ti andava di essere infelice. Ora sei felice? -
- Sto bene. -
- Per questo sei arrivato qui col muso lungo? -
- Papà... stiamo davvero facendo questa conversazione adesso? -
- E quando vuoi farla? Quando tornerai in Nebraska? -
- Senti, - disse Giuda esausto. - A volte capitano dei momenti no. Anche tu e la mamma avete discusso spesso, credi che non ricordi di quando sei andato via di casa per giorni? Sono cose che succedono. È bello che voi due abbiate avuto modo di chiarire, sono certo che vi amate molto. Anche io vorrei un amore come quello che lega te e la mamma, ma non potevo averlo con Christopher. Capisco che vi siate affezionati a lui, ma non era la persona giusta per me, o non lo era più. Quel qualcosa che lega me ed Ethan è sbocciato da poco. Non so cosa mi riserverà il futuro, non mi importa. È complicato stare con lui? Forse un po', ma mi piace. E sto bene. Non è questo che dovrebbe interessarti? -
Finn ascoltò il figlio con attenzione, diede un peso a ogni suo gesto, valutò l'utilizzo dei termini che aveva fatto. Poi sospirò. Non gli tornava tutto e c'era sicuramente qualcosa che non gli aveva detto, ma non si poteva fare altro che dargli ragione: non lo voleva infelice né frustrato. - Stai davvero bene? -
- Sì. -
- Va bene, - si arrese Finn. - Ora ti conviene andare a salvare Ethan e i suoi amici, perché tua madre... insomma, lo sai com'è: quando attacca la chiacchiera potrebbe andare avanti per ore. -
Giuda ridacchiò, poi annuì. Abbracciò suo padre e raggiunse il resto del gruppo.
Finn lo guardò incuriosito... in fin dei conti, doveva ammettere, che un viaggio lungo un giorno lui non lo aveva fatto nemmeno per Elvira. Invece Ethan lo aveva fatto per Giuda.


 

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Capitolo 16
*** XVI ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
XVI.
 

Giuda era di fronte allo specchio di camera sua, nudo. Aveva addosso solo gli occhiali perché gli servivano per guardarsi meglio, per giudicarsi a fondo. Era certo di aver messo su qualche chilo. Non aveva una bilancia per pesarsi ma lo sentiva. C'era un piccolo rigonfiamento intorno all'ombelico, segno che doveva smetterla di mangiare burro e carne. Il suo metabolismo era stereotipicamente abituato al consumo di carboidrati e pesce e non era ancora del tutto riuscito ad adattarsi alla cucina pesante e carnivora del Nebraska. Poi aveva perso tonicità muscolare. Lo vedeva dai polpacci morbidi, dalle braccia magre, dai glutei leggermente pendenti. Infine, era diventato troppo pallido. La sua pelle soffriva per l'assenza del sole e aveva perso colore. Prima era rosea, a tratti lievemente imbrunita (anzi, arrossata) dal sole, ora invece era bianca come il latte, candida come la neve. La poca luce che, timida, appariva al dilucolo non era sufficiente a spennellare colore sull'epidermide. Il sole di Tampa ci aveva provato, ma pochi giorni non erano stati sufficienti.
- A che pensi? -
- Dovrei fare un tatuaggio. -
Ethan arricciò le labbra pensieroso. Faceva troppo caldo per alzarsi dal letto, era piacevole restare steso sotto al condizionatore. Non capiva perché Giuda, invece, aveva preferito mettersi in piedi per guardarsi allo specchio. Non che la visuale gli dispiacesse, anzi. Giuda nudo era un party per i suoi ormoni. - Perché? -
- Sembro un foglio di carta bianco. Tanto vale scriverci su qualcosa. -
- Se vieni qui, ti scrivo io qualcosa addosso. -
Giuda sorrise. - Tipo? -
- Tipo che... sei bello. E che culo! E che mi piace la tua pelle. Perché non vieni qui e facciamo l'amore, che so, altre due o tre volte? -
- ...perché ci possono sentire! -
- C'avranno già sentito prima, capirai... -
Giuda si sedette sul letto, aveva un'aria preoccupata. La verità era che aveva rimuginato a lungo sul "che faccio - glielo dico di Cri? Oppure no?" e ogni volta si era detto che era meglio di no, che tanto non era niente. Però erano a Tampa da quattro giorni, l'indomani avrebbe dovuto lasciare la città per tornare in Nebraska, e non voleva portare con sé anche questo pensiero. Cri voleva lasciarlo in Florida.
- Senti, Ethan, ti devo... dire una cosa. -
- Va bene, dimmi, - borbottò Ethan. Aveva ancora voglia di fare l'amore, così si avvicinò a lui e gli mordicchiò una spalla.
- QuandosonoarrivatoquihoincontratoChristofer. - Lo disse tutto d'un fiato, quasi fosse un'unica parola, e trattenne il respiro.
Ethan sembrò tornare serio tutto d'un tratto. - Intendi @thesexysurfercri? -
Giuda annuì.
- Quello davvero bono con cui stavi? -
Giuda annuì ancora.
- Ah, - disse Ethan. - E? -
- Non è successo niente, - ci tenne a premettere, - anche se mi ha chiesto di riprovarci. - Poi si morse un labbro, pentendosi subito di aver confessato quel dettaglio. Non voleva che Ethan si sentisse, in qualche modo, stizzito. - Gli ho detto che non era il caso, che non era giusto, che non volevo. Perché non voglio! -
Ethan scrollò le spalle e recuperò il cellulare. Aprì Instagram mentre Giuda ancora sudava freddo per l'ansia.
- Ammetterò che ogni tanto mi è mancato, forse mi manca, ma non è lui, è l'idea che avevo di lui, non voglio tornare con Cri, ma credevo di dovertelo dire. -
- Ah, tranquillo, Christopher non mi preoccupa, - rispose Ethan con nonchalance. - Tra l'altro, si è consolato subito, guarda, - gli disse indicandogli lo schermo. Gli mostrò un post su Instagram in cui Christopher dichiarava pubblicamente amore per un tipo che come nickname aveva "@thedarksideoftheholes". - In tutta sincerità, sono più preoccupato per Osvaldo. -
- ...Osvaldo? - chiese Giuda. - E chi è Osvaldo? -
- Il tipo che tua mamma sta cucinando per te. Anche lui è davvero figo... qua in Florida è difficile essere eterosessuali, immagino, - commentò Ethan.
Giuda ridacchiò. - In che senso che mia mamma sta cucinando per me? -
- C'è questo tipo che lavora al supermercato dove va a fare la spesa. Sai che la sto accompagnando sempre, no? È troppo carina tua mamma, mi piace. Comunque, il tipo, cioè Osvaldo, è davvero bello. Ma bello che se non pensi "gliela darei una botta" sei cieco o cretino. -
- ... -
- Beh, comunque, ogni volta che andiamo lì tua mamma non fa altro che dirgli: "dovresti conoscere mio figlio Giuda, ti piacerebbe!" O "anche Giuda è uscito da una storia da poco... poverino, ha il cuore spezzato!" O ancora "qualche volta ti invito a cena, così te lo presento!". -
Ma che cazzo... -
Ethan cercò qualche altra cosa su Instagram e incappò nel profilo di questo Osvaldo. Il suo nickname era normale: @osvaldoloiacono, nome e cognome. Gli mostrò alcuni post. - Vedi? È bello! E anche lui è italo-americano... -
- Bello è bello, senza dubbio... aspetta, fai vedere quella... ah beh, però... dicevi, mia mamma gli ha parlato di me? -
Ethan gli lanciò un'occhiataccia e Giuda scoppiò a ridere. - Sto scherzando! -
- Io non lo capisco se scherzi! -
- Scusa, hai ragione. Però scherzavo. Non devi preoccuparti per Osvaldo... -
- L'importante è che non vai con tua mamma a fare la spesa, - sottolineò Ethan, poi mise via il cellulare.
- Però forse dovrei comprare i pomodori... -
- Te li do io i pomodori, - borbottò Ethan. Poi lo baciò.
Giuda ed Ethan erano stesi su un letto soffice, i loro corpi premuti l'uno contro l'altro mentre si godevano quell'estate in inverno, il canto degli uccelli in lontananza creava un'atmosfera tranquilla. Giuda voltò la testa verso Ethan, il cuore gli martellava nel petto mentre si chinava per un bacio. Le loro labbra si incontrarono timide, poi con passione. Ethan avvolse le braccia intorno all'altro, tirandolo ancora più vicino senza smettere di baciarlo. I loro corpi si premevano l'uno contro l'altro e il calore tra loro aumentava costantemente. Le dita di Giuda tracciarono un percorso tra i capelli di Ethan, assaporando la sensazione di morbidezza mentre si baciavano. Ethan gemette sommessamente, il respiro caldo contro la pelle di Giuda.

Il sole che penetrava attraverso le tende appese alla finestra riscaldava la loro pelle, eppure erano persi l'uno nell'altro, il loro amore era l'unica cosa che contava. Ethan interruppe il bacio, il suo respiro pesante e faticoso. Tra di loro c'era un semplice sguardo, un'occhiata che poteva tradursi con: "ti amo, Giuda" e "ti amo anche io". Non dissero niente. Gli uccellini continuavano a cantare, i loro corpi erano intrecciati, controllati dalla passione, mentre il sole estivo picchiava su di loro. Erano persi nel momento, senza preoccuparsi di nient'altro che l'uno dell'altro.

*

- Giuda? Giu'? Giuda, dimmi che non ti stai facendo una canna! -
- Mamma, ma che... no! - Giuda sbuffò indispettito e si rivestì.
- Mi apri? -
- Un attimo! - gridò. Maledizione, sembrava una congiura, dopo ogni volta che faceva l'amore con Ethan qualcuno doveva bussare alla porta. Lo guardò: Ethan dormiva beato, i capelli disordinati che si erano sparpagliati sul cuscino, la spalla bianca che fuoriusciva dalle lenzuola... ma perché mai si stava rivestendo...
- Oh, Giuda! Tutto bene? -
...ah, ecco perché. Sua madre. - Arrivo, ma non gridare! - Dopo qualche secondo, aprì la porta. - Che c'è? -
- Ce ne hai messo di tempo, - borbottò la donna. - Steve e Lisa sono andati al mare con tuo padre, salvali quando sei pronto. Almeno l'ultimo giorno falli restare in pace... sono così carini... secondo me si metteranno insieme! -
- Anche secondo me, - ridacchiò Giuda. Si ripulì gli occhiali con un angolino della t-shirt che indossava.
- Io vado a fare la spesa. Volevo sapere se Ethan è con te, non era con gli altri due né in bagno. -
Il cervello di Giuda si gelò ma iniziò rapidamente a vagliare tutte le opzioni, ma alla fine aveva solo una scelta: mentire o dire una mezza verità. E non avrebbe avuto senso dire una bugia che avrebbe potuto essere smentita all'istante. - Sì, è di qua. -
- Me lo chiami, allora? - chiese la donna sorridendo. Non fece alcuna illazione, cosa che allarmò l'uomo.
- Perché? -
- Perché vorrei chiedergli se vuole venire con me. Mi serve un baldo giovane che mi aiuti con le buste, e giacché tu non vuoi fare compagnia alla tua povera mamma... -
- ...la mia povera mamma nemmeno me lo ha chiesto, eh! -
- Vabbè, comunque preferisco andarci con Ethan, - rise Elvira. - E poi mi è sembrato particolarmente interessato a Osvaldo... -
- Ma che... mamma! Non gestisci un'agenzia matrimoniale, potresti pure farti i fatti tuoi. -
- E quando li vede i ragazzi belli e abbronzati in Nebraska? Fagli rifare gli occhi ora che è qui! -
- Mamma!!! -
- Quante storie, Giuda... come se fossi cieca... io sapevo che tu eri gay molto prima che facessi outing. -
- Io non ho fatto outing, ma'. Hai fatto tutto tu! -
- Appunto, ora chiamami il baldo giovane! -
Giuda roteò gli occhi. - Mamma, non posso andare da un mio studente e dirgli: "sai, mia mamma vuole portarti a fare boy watching." -
- Se è per questo, non dovresti nemmeno ospitare a casa tre studenti, ma tant'è... tu chiedigli se vuole venire con me, ok? -
- Ok, - rispose accigliato Giuda. Perché non poteva avere una vita normale?
Rientrò in stanza e fu sorpreso di trovare Ethan già rivestito. Inclinò la testa sospettoso.
- Allora vado con tua mamma, - disse Ethan richiudendosi la zip dei jeans. - Ci vediamo dopo in spiaggia? -
Giuda incrociò le braccia. - Quindi ti piace questo Osvaldo. -
- Sei geloso? - chiese Ethan ingenuamente.
- No! Vorrei solo conoscere la verità. -
Ethan scrollò le spalle. - Mi piace tua mamma. -
- ...mia mamma? -
Il ragazzo annuì. - Mia mamma mi ha abbandonato perché io ogni tanto non capisco le cose, tua mamma pur di renderti felice prova a trovarti un fidanzato. Si impegna tanto: non le va bene chiunque, sceglie sempre quelli più carini, ma anche quelli con lo sguardo gentile. E va quasi tutti i giorni a fare la spesa per preparare i tuoi piatti preferiti. Seleziona gli ingredienti migliori, quelli più freschi, per far sì che quello che cucina risulti davvero buono. Mi piace passeggiare con tua mamma, mi piace sentirla parlare. Io non sono cresciuto con una mamma, ma vorrei che... che fosse stata così. Come Elvira. -
Giuda s'intenerì a quelle parole tanto oneste e lo abbracciò per qualche secondo. Non ci aveva pensato, in effetti. Gli stampò un bacio sulla fronte. - Conoscendola, starà origliando tutto da dietro la porta. -
Ethan rise. - Non voglio farla aspettare! A dopo, - salutò e si precipitò fuori dalla stanza.
Elvira, in effetti, era fuori dalla porta e si stava asciugando gli occhi con un fazzoletto di cotone azzurro. Il ragazzo la guardò preoccupato.
- Tutto bene? -
La donna annuì. - Sì, sì... andiamo... hai mai assaggiato gli 'ndunderi? -
- Non so nemmeno cosa siano... -
- È una ricetta antica di Amalfi, la città dove sono nata. Te li preparo... secondo me possono piacerti molto! -
Ethan sorrise e l'abbracciò. - A me piace qualsiasi cosa cucina, non si deve preoccupare! -

*

Finn sedeva nel soggiorno scarsamente illuminato, l'unico suono era il leggero ronzio del suo giradischi. Ad occhi socchiusi, i ricordi si facevano sentire trasportandolo in un tempo diverso. Aveva otto anni, stringeva forte il suo piccolo violino mentre saliva sul palco della scuola. Indossava un abito nero che sua madre aveva scelto per lui, si sentiva orgoglioso e nervoso allo stesso tempo. Le sue dita tremavano mentre posizionava l'archetto sulle corde, ma quando il maestro alzò la bacchetta, le paure di Finn scomparvero, rimpiazzati da un profondo amore per la musica. Ricordava il modo in cui le sue dita danzavano sulle corde, producendo una bellissima melodia che riempiva la sala. Era un pezzo su cui si era esercitato per mesi e lo suonava con tutto il cuore, sentiva la musica impossessarsi del suo corpo. Quando aprì gli occhi, Finn sorrise ai ricordi. Sebbene non suonasse più professionalmente, il violino era sempre stato una costante nella sua vita, portandogli gioia e conforto. Si avvicinò al giradischi, posizionando delicatamente un vinile. Il suono di un assolo di violino riempì la stanza, e Finn chiuse di nuovo gli occhi, perso nella nostalgia del suo passato.
- Il Capriccio del diavolo? - chiese Ethan.
Finn sobbalzò per la sorpresa. - Ah, Novotny... mi hai spaventato. -
- Mi scusi, non volevo. Sono venuto qui per dirle che la cena è pronta. -
- Grazie. Comunque sì, è quello. Lo conosci? -
Il ragazzo annuì. - È una delle suonate più difficili per un violino. Forse la più difficile di tutte. -
- Vero. Infatti non sono mai riuscito a impararla. -
- Suona il violino? -
- Suonavo. Ora è in garage a prendere polvere. -
- Paganini è complicato, ma è uno dei miei preferiti. -
- Tu suoni? -
Ethan fece cenno di sì.
- E cosa? -
- Il violino. -

 

Finn stava ripulendo uno spesso strato di polvere che copriva lo strumento. Sapeva che la polvere avrebbe potuto danneggiare il legno e le corde del suo violino, ma non suonandolo da tempo immemore lo aveva praticamente abbandonato. Iniziò a ripulire la parte superiore, rimuovendo con cura la polvere dalle fa e il ponticello. Poi è passò alla parte posteriore, delicato intorno al rotolo. L'uomo si prese il suo tempo, assicurandosi di rimuovere tutta la polvere da ogni angolo e fessura del suo amato violino. Usò persino un piccolo pennello per entrare nelle zone difficili da raggiungere.
Quando ebbe terminato l'opera, erano trascorse circa due ore. Erano quasi le nove.
- Signor O'Connor, gradisce... uno Stradivari! -
Finn sobbalzò ancora. - Novotny, ma allora mi vuoi far venire un infarto! È la seconda volta stasera. -
- Mi scusi... Elvira mi mandava a chiedere se voleva un caffè... ma quello è uno Stradivari! -
L'uomo annuì. - Un vecchio Stradivari. È stato un regalo di Elvira... il primo che mi abbia mai fatto. -
Ethan ascoltò con calma, ma si sentì molto emozionato. Non aveva mai visto uno Stradivari originale, né ne aveva mai toccato uno. Avrebbe tanto voluto provarlo, ma il signor O'Connor non sembrava molto cordiale. Ethan non era bravo a cogliere i segni, ma gli era stato piuttosto chiaro il fatto di non essergli simpatico. Non sapeva dirsi perché: era certo di essersi comportato bene e in maniera educata, Lisa non lo aveva ripreso nemmeno una volta. Eppure Finn continuava a chiamarlo "Novotny" con distacco e a guardarlo di sbieco, soprattutto quando era vicino al figlio. Forse aveva intuito qualcosa e forse non era d'accordo. Ma non poteva farci nulla.
- È un regalo molto bello, molto importante, - si limitò a dire. Era certo che quelle fossero le parole giuste: una sensazione che non aveva mai provato prima. La mente percosse rapidamente un ricordo recente, Giuda che gli regalava un archetto: ne aveva scelto uno bello, prezioso, forse influenzato dalla passione del padre.
- Vuoi suonarlo? - chiese l'uomo.
Il ragazzo sgranò gli occhi per lo shock. - Io? -
L'uomo annuì.
- ...posso? Davvero? -
- Tieni, - gli disse l'uomo porgendogli lo strumento e l'archetto. - Dovrebbe essere accordato. -
Ethan legò i capelli saldamente con un elastico che portava al polso e poi, col cuore che gli batteva all'impazzata, prese lo strumento con delicatezza. Non aveva mai maneggiato uno Stradivari, chissà com'era il suono.
Si mise in posizione, chiuse gli occhi. Avrebbe voluto che Giuda assistesse alla scena, che lo ascoltasse mentre suonava uno Stradivari. Ma era bello anche così.

In tutta la sua vita fino a quel momento, Ethan aveva imparato a fare bene solo una cosa: suonare il violino. Nonostante il tenue conflitto che si era venuto a creare con questa verità, si poteva dire ugualmente che Ethan era un giovane musicista con una passione per il violino che traspariva ogni volta che prendeva in mano lo strumento. Con ogni nota che suonava riversava il suo cuore e la sua anima nella musica, creando un'esperienza commovente e indimenticabile. Le parole gli erano nemiche da sempre, ma la musica... le note, quelle no. Quelle arrivavano dritte alle orecchie e al cuore di chi le ascoltava. Quando Ethan suonava, si poteva captare un'emozione dietro ogni colpo dell'arco. Sia che suonasse una melodia nostalgica o una melodia vivace e allegra, infondeva in ogni nota un senso di desiderio, gioia o malinconia, come richiesto dalla musica. La sua padronanza del violino era evidente nel modo in cui creava senza sforzo una gamma di toni, da morbidi e delicati ad audaci e risonanti. Ma non era solo la sua abilità tecnica a distinguere Ethan come musicista. Ciò che lo rendeva veramente speciale era il modo in cui si connetteva con la musica a un livello profondamente personale. Quando suonava, era come se stesse comunicando con qualcosa di più grande di lui, qualcosa che trascendeva il tempo e lo spazio. Anche Finn ne era rimasto affascinato. Era davvero disarmato dall'abilità di Ethan, dalla sua bravura, dalle sue emozioni. Dovette sedersi per evitare di essere travolto da quel suono, e pensò che quel violino non era mai stato suonato con così tanta bravura.
Le dita di Ethan si muovevano abili sullo strumento, le note de "Il capriccio del diavolo" si sparpagliavano ovunque. Elvira, Lisa, Steve e Giuda, attratti dalla musica, si precipitarono in soggiorno. Giuda sorrise amorevole, perché poteva davvero sentire tutto quello che provava Ethan. Gli vennero in mente le immagini di qualche sera prima, quelle di Ethan che lanciava gli spartiti fuori dalla finestra in preda alla disperazione e alla rabbia. E ora suonava lì, nel soggiorno di casa O'Connor, senza nemmeno una guida, una delle sonate più difficili per violino. E lo faceva con eleganza e maestria.
Lisa e Steve si presero per mano e, orgogliosi dell'amico, guardavano Ethan colmi di ammirazione. Avevano fatto una vera pazzia nel guidare un giorno intero per raggiungere Tampa, ma ne era valsa la pena. Avevano potuto fare il bagno in una delle acque più belle del mondo, vedere una città nuova, viaggiare attraverso gli Stati Uniti, ma anche conoscere altre realtà al di fuori dei villaggi del Nebraska dai quali venivano. Elvira si accomodò accanto al marito con gli occhi rivolti verso il ragazzo. Lo sentiva suonare e voleva abbracciarlo, lo vedeva muoversi insieme allo strumento e capiva perché suo figlio si era innamorato di lui. Sì, lo sapeva, non c'era bisogno che dicessero nulla: per lei era tutto palese, chiaro come il sole. Ma se volevano mantenere un segreto, lei non lo avrebbe mai rivelato. Guardò il marito e sorrise. Finn gli aveva lasciato suonare il suo Stradivari.
Quando il movimento finì, Ethan tremava. Le emozioni lo avevano travolto così tanto che non sapeva cosa fare. Iniziò con l'allontanare l'arco dalle corde.

- Sei... sei stato davvero bravo, Ethan, - disse Finn. - Hai un dono. -

Ma Ethan non lo aveva sentito. C'era qualcosa che non andava bene. Il suo cuore batteva all'impazzata, il suo respiro era rapido e superficiale. Sapeva cosa stava succedendo: un attacco di panico. Cercò di concentrarsi sul proprio respiro, inspirando ed espirando, ma sembrava che il suo petto si stesse stringendo a ogni respiro. Stordito, poggiò con delicatezza il violino nella custodia. Inciampò mentre si dirigeva verso la porta, aveva la vista offuscata. Aveva bisogno di uscire da lì per sfuggire al caos. La fresca brezza che profumava di mare era rinfrescante, ma non riuscì a calmarlo. Si sentiva come se stesse perdendo il controllo, come se fosse sull'orlo di un crollo nervoso. Dov'era Michael quando serviva? Scivolò lungo il muro, le ginocchia raccolte contro il petto. Seppellì il viso tra le mani cercando di escludere il mondo. Si sentiva come se stesse annegando in un mare di paura e panico. Trascorsero minuti, forse ore. Non era sicuro. Tutto quello che sapeva era che era esausto, fisicamente ed emotivamente. Cominciò lentamente a sentire il senso di oppressione al petto che si allentava. Fece un respiro profondo, e un altro, e un altro ancora. Chiuse gli occhi, cercando di trovare il suo centro.
Quando aprì gli occhi, vide Elvira in piedi davanti a lui. Sembrava preoccupata, ed Ethan si rese conto che doveva aver fatto rumore. Cercò di parlare, ma si sentiva la gola rotta.
- Ti senti bene? - chiese la donna.
Ethan annuì debolmente, lottando ancora per riprendere fiato.
- Va tutto bene, - disse mettendogli una mano sulla spalla. - Respira. -
Ethan chiuse di nuovo gli occhi, concentrandosi sul proprio respiro. Sentì il panico diminuire lentamente, come la marea che sale verso il mare. Era sollevato dalla presenza della signora O'Connor. Dopo qualche minuto, si sentì abbastanza forte da alzarsi in piedi. Guardò la donna e riuscì a fare un piccolo sorriso.
- Grazie. - Ethan si sentiva svuotato e sollevato. Sapeva che gli attacchi di panico facevano parte della sua vita, ma sapeva anche che poteva superarli.
- Va un pochino meglio? - chiese la signora. - Vuoi dell'acqua? Un tè? Una cioccolata calda? Un gelato? -
- Sto bene, grazie, non si preoccupi... -
- "Non si preoccupi" lo puoi dire a chiunque tranne che a me, - scherzò la donna. Gli si avvicinò e, nonostante fosse più bassa di lui, riuscì ad abbracciarlo e ad accarezzargli la testa. Voleva cullarlo, fargli sentire che era tutto okay, che era al sicuro. Ethan ricambiò l'abbraccio della donna. Doveva essere quello l'abbraccio di una mamma. Iniziò a piangere sommessamente, senza nemmeno rendersene conto. Quasi come se avesse percepito i pensieri del ragazzo, Elvira lo strinse con più forza possibile. - Ethan, tesoro, sappi che puoi venire qui quando vuoi. Possiamo andare a fare la spesa insieme, commentare i bei ragazzi che ci capitano a tiro, guardare le soap opera. E possiamo prendere in giro Giuda, giocare a carte e chiacchierare. Ti ho dato il mio numero di cellulare: sarò anche tendente all'essere anziana, ma ho anche WhatsApp. Va bene? -
Ethan annuì piano. Come avrebbe voluto che Elvira fosse sua madre... non sapeva nemmeno descriverlo, dirlo, pensarlo. 
Quando Ethan era scappato via di corsa, Giuda si era subito preoccupato. Non poteva seguirlo, non davanti a suo padre e agli altri due ragazzi. Così aveva guardato verso Elvira. Lei aveva capito tutto e sarebbe riuscita a tenere tutto sotto controllo. Era uscita, aveva incontrato il ragazzo, gli era rimasta accanto. Ma le faceva male il cuore a saperlo tanto sofferente, non poteva lasciarlo andar via così. Gli stampò un bacio sulla testa.
- E poi ti manderò le foto di Osvaldo. -
- Lo seguo già su Instagram, al massimo le mando io a lei! -
- E basta con questa formalità. -
- Le mando io a te, - si corresse.
- Ci conto. -

 

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Capitolo 17
*** XVII ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
XVI.
 

Steve aveva infilato l'ultimo zaino nel portabagagli dell'auto e aveva chiuso il portellone. A occhi socchiusi, si fece baciare dal caldo sole della Florida un'ultima volta. Chissà quando avrebbe potuto godere di un clima così bello di nuovo.
- Senti, Lisa, secondo me dovremmo venire in Florida per il college. Non so come la vedi. -
- A parte che nessuno ha mai detto che dobbiamo frequentare il college insieme, - chiarì Lisa, - e poi sì, la vedo bene. Mi piace qui. -
- Se non apri i libri il college lo vedi solo con il cannocchiale, Anderson, - lo riprese Giuda.
Lisa ridacchiò, Steve sbuffò.
- Io penso che resterò qui, - disse Ethan con serietà. - Non voglio tornare in Nebraska. Non mi va. -
- Eh, anche a me non va, ma dobbiamo risalire gli USA necessariamente. -
- Ma a me piace Tampa! - sbuffò Ethan.
- Avete preso tutto? - chiese Elvira apprensiva. Si avvicinò a Ethan e gli sistemò un paio di ciocche di capelli fuori posto e il colletto della maglia che era al rovescio.
- Sì, ma', abbiamo tutto. Forza, voi tre, salite in macchina! -
- Grazie mille per l'ospitalità, - disse Lisa. Abbracciò Elvira e Finn sorridendo. - È stato molto bello. -
- Mi raccomando, - disse Finn, - fagli leggere almeno un libro all'anno a quel caprone! -
Lisa ridacchiò. - Ci provo! -
- Non sono un caprone, - obiettò Steve. - È solo che mi annoio leggere. Magari provo con gli audio libri... -
Finn e Lisa si scambiarono un'occhiata rassegnata.
- Vabbè, ci provo, avete vinto. Grazie per tutto quello che avete fatto per noi, - salutò Steve. - Spero di rivedervi presto. -
Mentre Lisa e Steve salivano in auto, Giuda salutava suo padre ed Ethan era rimasto avvolto in un abbraccio di Elvira.
- Mi raccomando, mandami un messaggio quando arrivate. Ma non quando sei alla guida! -
Ethan annuì e poi, a malincuore, si staccò dalla donna. Voleva dirle un mucchio di cose ma non sapeva da dove iniziare. Avrebbe voluto ringraziarla per l'ospitalità ma anche per tutto l'affetto di cui gli aveva fatto dono. E poi avrebbe voluto dirle che gli sarebbe mancata, che avrebbe voluto una madre come lei, ma anche che era un'ottima cuoca, che era divertente e che l'aveva fatto ridere come non era mai accaduto prima. Si limitò a guardarla negli occhi per qualche secondo, incerto sul da farsi.
Elvira gli accarezzò una guancia con delicatezza. - Ora va', sennò mi metto a piangere. -
Il ragazzo fece cenno di sì con la testa e prese posto in auto.
- Vi ho preparato qualcosa da mangiare, - disse Elvira porgendo una borsa termica al figlio. - Non è niente di che, ma dovrebbe sfamarvi almeno fino a metà viaggio. -
- Ma', questa borsa profuma di fritto senza nemmeno doverla aprire. Che cosa c'è? -
- ...beh, una frittata di maccheroni! Ovvio, no? La si mangia fredda ed è comoda per uno spuntino in auto. -
Giuda sorrise e annuì. Avrebbe voluto commentare che il colesterolo sarebbe salito alle stelle e lo avrebbe ucciso poco prima di varcare il confine del Nebraska ma non lo fece. Sua madre era sempre dolce e gentile, e quello era l'ennesimo gesto a riprova dell'affetto che provava per lui. - Grazie. -
Elvira diede a Giuda un bacio sulla guancia e gli scompigliò i capelli. - Fate buon viaggio. State attenti. -
- Non ti preoccupare. -
- Giu', a mamma... senti... prenditi cura di quel piccolino, capito? -
- ...mamma? Di cosa parli? -
La donna indicò Ethan con lo sguardo. - Portamelo un po' qui quest'estate, d'accordo? -
- Non ti preoccupare. -
- Così andiamo a trovare Osvaldo... -
- Mamma! Ma che diavolo dici?! -
- E come sei geloso, figlio mio! -
- Io non sono geloso, che c'entra, perché dovrei essere geloso?! -
Elvira ridacchiò. - Lo so io, lo so. Vai, ja'. E scrivimi quando vi fermate. Tenetemi aggiornata. -

*

Dopo quasi sei ore di viaggio, Giuda aveva deciso di fermarsi in un piccolo paesino per una sosta. Aveva bisogno di sgranchire le gambe, fumare, bere un caffè e fare pipì. Avevano visto delle indicazioni per un piccolo diner lì vicino, sembrava essere stato un segno del destino.
Il locale non era molto grande, né sembrava essere particolarmente pulito. A giudicare dalla clientela, lo frequentavano per lo più motociclisti e viaggiatori di passaggio. Non era di certo il posto in cui portare degli studenti, ma a mali estremi...
Il caffè, però, era buono. Certo, non era l'espresso italiano a cui era abituato, ma per gli standard poteva definirsi un buon caffè.
- Vacci piano con quei pancakes, va a finire che ti strozzi, - disse Lisa. Steve sembrava non mangiare da una settimana, anche se aveva fatto fuori quasi tutta la frittata di maccheroni che aveva preparato Elvira.
- Ma sono buoni, - rispose Steve. Ne prese un ultimo pezzo, l'intinse nella salsa burrosa e lo mandò giù.
- Vi aspetto all'auto, - disse Giuda. Era un po' perplesso per la situazione in generale, ma ancora di più per la foga con cui Steve aveva ingurgitato i pancakes.
Prima di uscire, pagò alla cassa.

Una volta vicino l'auto, ne approfittò per accendere una sigaretta. Esalò una nuvola di fumo nell'aria gelida, guardandola dissiparsi nel cielo al tramonto. Perso nei suoi pensieri, si ritrovò a chiedersi come avesse iniziato a fumare. Non riusciva a ricordare il momento esatto in cui aveva preso l'abitudine, ma sembrava che fumasse da sempre. Forse era la pressione dei coetanei, pensò tra sé e sé. Tutti i suoi amici fumavano durante le scuole superiori e lui aveva un incessante bisogno di incastrarsi, di sentirsi accettato. O forse era per lo stress delle lunghe ore trascorse a studiare sui libri, ore in cui spesso desiderava un momento di relax e di evasione. Qualunque fosse la ragione, sapeva di esserne rimasto imprigionato. Fece un altro tiro, gustò il sapore amaro del fumo che gli riempiva i polmoni. Sapeva quali erano i rischi che correva, che avrebbe dovuto smettere. Ma in qualche modo, non riusciva a convincersi a farlo. Finì la sigaretta e ne schiacciò il mozzicone sotto la scarpa, guardandolo sfrigolare e spegnersi.

- Posso guidare io? - chiese Ethan.
Giuda gli lanciò le chiavi dell'auto e annuì. C'era ancora un po' di luce, non sarebbe stato pericoloso farlo guidare.
- È meglio che Steve non guidi... con tutto quello che ha mangiato, rischia una botta di sonno! -
- Quante storie per dei pancakes! - sbuffò Steve. Si posizionò sul sedile posteriore e lasciò aperto lo sportello per far salire Lisa.
- Guarda che mi preoccupo per te! -
- Basta che ti siedi vicino a me e io sto bene. - Forse la frase gli era uscita un po' troppo sdolcinata. Sperò che fosse passata in sordina.
Giuda sorrise, perché l'aveva trovata molto romantica. Lisa arrossì e prese posto accanto a Steve. Ethan mise in moto.

Erano trascorse altre cinque lunghe ore. Ethan guidava la macchina, con Giuda sul sedile del passeggero e Lisa e Steve dietro che dormivano. Ormai era quasi mezzanotte. Erano tutti stanchi, e Giuda aveva controllato ripetutamente Google Maps alla ricerca di un alloggio.
- Ehi, Ethan, - bisbigliò Giuda. Fece attenzione a non svegliare gli altri due.
- Che c'è? -
- Forse ci dovremmo fermare. Siamo tutti molto stanchi, hai gli occhi rossi. Steve e Lisa dormono. Cerchiamo un motel! -
- Ce la faccio. -
Giuda lanciò una rapida occhiata ai ragazzi dietro per sincerarsi che stessero dormendo davvero, poi allungò una mano sulla coscia di Ethan. L'accarezzò piano, con dolcezza. - Ethan, lo so che ce la fai. Ma è meglio se riposiamo. Tanto siamo già a metà strada... non abbiamo mica fretta di arrivare. -
Appena Giuda posò la mano sulla sua coscia, Ethan poté rilassarsi. Avvertì i nervi distendersi, il suo corpo sapeva di potersi abbandonare alla stanchezza. Annuì e, senza dire null'altro, si fermò alla prima piazzola di sosta e spense l'auto.
Giuda scese dall'auto e aprì lo sportello. - Dai, guido io fino al motel. È a venti minuti da qui. -
Il ragazzo passò prima sull'altro sedile, poi ci ripensò e scese dall'auto a sua volta. Era piacevole stare in piedi. Ethan e Giuda sedevano in silenzio sul cofano dell'auto di Anne, stavano fumando una sigaretta mentre guardavano le macchine che passavano sporadicamente. L'unica luce proveniva dal lampione dietro di loro, che proiettava lunghe ombre sulla strada.
L'aria notturna era fresca e frizzante, e il rumore delle macchine che passavano era in un certo senso rassicurante.
Dopo l'ultimo tiro, Giuda si rimise in piedi e si stiracchiò. Avvertì le ossa scricchiolare e pensò che non poteva più permettersi di stare al fresco con tutta quell'umidità. Ethan lo seguì a ruota e lasciò che Giuda gli aprì lo sportello per rientrare in auto e si scambiarono uno sguardo premuroso. Mentre stavano lì in silenzio, Ethan improvvisamente avvolse le braccia intorno a Giuda, avvolgendolo in un abbraccio stretto. Giuda all'inizio fu sorpreso, ma subito si rilassò nell'abbraccio.
- Ethan, - borbottò Giuda, - ma è pericoloso, se si svegliano? -
- E che fa? - chiese Ethan. Tanto Steve e Lisa lo avevano capito che tra di loro c'era del tenero. Lo baciò. Per qualche istante rimasero lì, tenendosi l'un l'altro nell'oscurità. Il calore del corpo di Ethan era confortante e Giuda si ritrovò a sentirsi grato per quel gesto inaspettato. Ricambiò il bacio con passione e cinse il ragazzo per i fianchi. Avrebbe voluto concedersi quelle libertà più spesso.
Alla fine, videro un cartello per un motel sul ciglio della strada. Giuda accostò e scesero tutti dall'auto. Il motel sembrava fatiscente, ma erano tutti troppo stanchi per preoccuparsene.
Nell'atrio furono accolti da un uomo dall'aria stanca dietro il bancone che non si premurò nemmeno di chiedere dei documenti. Diede loro una chiave per una stanza e li informò che la camera 206 era al piano terra ma era l'ultima del corridoio.

Quando arrivarono nella loro stanza, furono accolti da un odore di muffa e da una luce tremolante.
- Incoraggiante, - disse Lisa guardandosi intorno con sospetto.
- È solo per una notte, - disse Giuda, cercando di convincere se stesso quanto gli altri. - Dormiamo un po' e usciamo di qui domattina presto. -
Steve scrollò le spalle. - Secondo me è solo vecchio, - obiettò, - non sembra così sporco. Le lenzuola profumano di pulito e non c'è polvere. Il vero problema è il bagno: è minuscolo! -
- Non ci aspettavamo certo il Ritz all'una di notte lungo una strada secondaria dell'Illinois, no? -
Lisa e Steve annuirono, Ethan non colse l'ironia e restò in silenzio.
- Vabbè, comunque io dormo sopra! - disse Steve che si arrampicò subito sul letto a castello. - Buonanotte! -
- Manco una doccia ti fai? - sbuffò Lisa. - Sei il peggiore, Steve, davvero! -
- Ho più sonno che voglia di lavarmi! -
- Non è voglia di lavarsi, è esigenza di lavarti, Steve, puzzi! -
- Oh Ethan, sta' un po' zitto! Ma sei amico mio o di Lisa? -
- Di entrambi, solo che stavolta ha ragione lei. -
- Mentre discutete, credo che a fare la doccia andrò io! - li informò Giuda che, una volta recuperato il pigiama, andò in bagno.
Ethan era salito sul letto dove si era steso l'amico e dondolava le gambe a penzoloni. Lisa era in piedi davanti a loro e stava mettendo della crema sulle mani.
- Ethan, - lo chiamò Steve, - senti, devo dirti una cosa. -
- Cosa? -
- Steve... -
- No, Lisa, glielo devo dire. Perché siamo amici. -
- Ma non è il caso... -
- Cosa mi dovete dire? -
- Prima... vi abbiamo visti. -
Ethan sembrò stranito e inclinò la testa.
- Intendo, io e Lisa abbiamo visto che tu e il professore vi stavate baciando. -
- Non abbiamo visto un bacio, Steve! È solo che... che ci sembravate molto intimi. -
- ...e quindi? - Ethan sollevò un sopracciglio.
Steve e Lisa si scambiarono uno sguardo preoccupati, ma fu il ragazzo a parlare per primo. - Io lo avevo capito, Ethan, ti ricordi? Ne abbiamo parlato mentre andavamo a Tampa. E poi sono stato proprio io a dirti che secondo me a lui piacevi. Però un conto è pensarlo, un conto è vederlo... ci ha fatto un po' strano, in realtà. -
- Seppure in sostituzione, è comunque un nostro professore... siamo un po' preoccupati, ecco. Anne lo sa? -
- No. No, non lo sa e non lo deve sapere. Non lo deve sapere nessuno, non dovreste saperlo nemmeno voi. -
- Ecco perché siamo preoccupati! Oh Ethan, abbiamo diciotto anni, abbiamo diritto a essere leggeri e superficiali! Se già ci addentriamo nei drammi adesso... -
- ...in storie clandestine e problematiche... -
- ...cosa faremo quando saremo più grandi? -
Ethan rise nervosamente e, con un salto, scese giù dal letto. - Leggeri? Superficiali? Io non sono mai stato leggero e superficiale. Non me lo sono potuto permettere, né ora né quando ero più piccolo. -
- A maggior ragione! - lo riprese Lisa. - Ne hai passate tante, e l'amore dovrebbe essere una cosa bella, libera, felice! Così non lo è... non può esserlo. -

Il ragazzo socchiuse gli occhi e si poggiò con le spalle al muro. Che cosa volevano capirne loro? Che cosa potevano mai sapere? Avevano avuto una vita normale, con una famiglia normale. Lui no. Non era normale nemmeno lui. Non sapeva cosa fosse sentirsi normale, ma quando era con Giuda poteva sentirsi leggero.
Ripercorse mentalmente tutto quello che avevano vissuto insieme nei pochi mesi in cui si erano conosciuti. Era stato un periodo molto intenso. Ethan lo aveva accolto in malo modo, però Giuda era rimasto al suo fianco anche quando lo aveva trovato abbracciato alla tazza del water coi capelli sporchi di vomito. Gli aveva regalato un archetto, aveva guidato la sua Cadillac rosa, avevano cantato insieme le canzoni dei My Chemical Romance. Poi si erano baciati, avevano fatto l'amore, erano rimasti a rotolarsi nelle lenzuola solo perché faceva molto freddo. Parlavano dalla finestra, Giuda borbottava qualcosa in italiano che sembrava buffo. E in ogni momento di crisi, Giuda aveva continuato ad abbracciarlo e a restargli a fianco, rispettando i suoi silenzi e le sue tempistiche. Anche se lui lo aveva cacciato o gli aveva risposto in maniera sgarbata. Non era mai scomparso, nemmeno quando se ne era andato via da Newcastle per qualche giorno. In qualche modo, c'era sempre. Giuda c'era sempre, rimaneva sempre. E questo pensiero, questa presenza, faceva sì che il suo cuore pizzicasse un po'.

- A me non interessa cosa possiate pensare voi. Mi dispiace se non riuscite a capirlo, se vi fa strano. Ma quando sono con Giuda, io mi sento... - Ethan si fermò. Non aveva idea di come descriverlo. - È come quando parte la tua canzone preferita proprio nel momento in cui ne avevi bisogno. Giuda è la canzone giusta al momento giusto. Potrebbe crollare anche tutto il mondo, la galassia, l'universo intero: se io sono con Giuda, del resto del mondo me ne sbatto il cazzo. E allora divento coraggioso, ma anche spaventato, forte, ma anche debole. Ma va bene così, non c'è nessun'altra canzone che vorrei ascoltare. -
Lisa fece per aprire la bocca nel tentativo di dire qualcosa, ma un rumore sordo provenire dal bagno la fermò.
Ethan si precipitò alla porta del bagno e bussò. - Tutto bene? -
Non ebbe risposta, allora bussò più forte. Gli parve di capire come doveva essersi sentito Giuda nel ruolo inverso. - Giuda? Tutto bene? Giuda! Apri la porta! -
La porta non si aprì e allora Ethan decise di forzarla. Per fortuna, non era chiusa a chiave. Ethan entrò in bagno con il cuore che batteva a mille per la preoccupazione. Appena entrato, vide Giuda sdraiato per terra, con gli occhi chiusi e la pelle pallida.
Il panico si impadronì del petto di Ethan, ma si costrinse a mantenere la calma. S'inginocchiò accanto a Giuda e gli posò una mano sulla fronte, sentendo la sua pelle umida.
- Giuda, mi senti? - chiese con voce leggermente tremante.
Non ci fu risposta da Giuda, e la preoccupazione di Ethan crebbe.
- Tutto bene? - domandò Lisa. Quando la situazione le fu più chiara sgranò gli occhi. - Dobbiamo chiamare l'ambulanza! -
- Ma quale ambulanza, - borbottò Steve. Sembrava non poter dormire tranquillo, quella notte. - Spostatevi, fate fare a me! L'ambulanza, - bofonchiò ancora. - Ho fatto un corso di pronto intervento l'anno scorso. Sapevo che mi sarebbe tornato utile nella vita, prima o poi. -
- Smetti di fare il cretino e datti da fare, allora! - lo rimbeccò Lisa.
- Prima di tutto, il bagno è piccolo e siamo in troppi. Andatevene via. -
- Io non me ne vado! -
- Non c'è spazio, Ethan, esci fuori! - gridò Steve.
Lisa lo trascinò appena fuori dal bagno, per dare all'altro amico spazio di manovra.
Steve valutò la situazione: Giuda aveva il viso pallido, un lieve rossore sulla fronte con un piccolo graffio al centro. Doveva aver battuto la testa quando era caduto, ma sembrava non fosse grave. Certo, forse chiamare l'ambulanza sarebbe stata una mossa più intelligente, ma prima di allertare le forze sanitarie del paese poteva valer la pena di provare a fare qualcosa. In primis, gli fece assumere una posizione supina, poi si accertò della presenza della respirazione e del battito cardiaco. Sembrava essere tutto ok, per cui non sarebbe stato necessario chiamare i soccorsi.
- Giuda starà bene, - disse Steve sorridendo dolcemente. Capiva cosa doveva star provando Ethan e non era quello il momento di continuare a discutere della faccenda. Inoltre, Ethan era stato estremamente chiaro su quello che provava per l'uomo. - Vieni qui, bisogna tenergli le gambe alte. Magari a te piace la visuale. -
Lisa tentò di non ridere alla battuta di Steve. In qualche modo, lui riusciva sempre a smorzare i momenti drammatici. Con una battuta ben piazzata, cadeva tutto in risa e le persone si sentivano più rilassate. Era davvero una delle sue grosse qualità.
- Cretino, - lo rimbeccò Ethan, facendo quello che gli chiedeva l'amico.
- Cioè, ora sono pure cretino! Lo sapevo io, che era meglio farsi una sega in bagno, - borbottò fingendosi antipatico.
Mentre Ethan teneva alte le gambe dell'uomo, Steve si guardò intorno: non c'erano finestre, quindi non poteva far entrare aria da fuori. Recuperò un asciugamano e iniziò a soffiare con quello.
Gli occhi di Giuda iniziarono ad aprirsi lentamente.
- Giuda! - chiamò Ethan.
- Alt, - lo rimproverò Steve, - non muoverti da lì, continua a tenergli le gambe alzate. Deve restare così almeno altri cinque minuti. -
- Ma ha aperto gli occhi! -
Giuda, infatti, si guardava intorno stranito. Sembrava un po' confuso, non aveva memoria di come fosse finito lì a terra. Steve gli stava facendo aria con un asciugamano umido, Ethan gli teneva le gambe alte... che cosa era successo?
- Abbiamo sentito un tonfo provenire dal bagno, - disse Lisa, - e quindi abbiamo capito che doveva essere capitato qualcosa. Ethan ha aperto la porta e ti abbiamo trovato a terra. Come ti senti? -
- Hai anche un graffio sulla fronte, devi aver battuto la testa da qualche parte. -
Per qualche attimo, Giuda apparve assente. Impiegò un po' di tempo a tradurre quelle informazioni, non gli era mai capitato. - Mi sento... confuso, - ammise.
- Secondo me, è perché non ha mangiato nulla durante tutta la giornata. Ha bevuto solo caffè! -
- Può darsi, mi sembrava molto stanco. -
- Dai, - si motivò Steve, - Ethan, aiutami a tirarlo su. Magari lo facciamo stendere un po' e andiamo a recuperare qualcosa da mangiare. -
- A quest'ora e in questo buco di paese? -
- Ho visto che c'è un distributore automatico lungo il corridoio, - suggerì Lisa. - Magari si può prendere qualcosa lì... del cioccolato! -
- Mi sembra un'ottima idea, - concordò Giuda che, aiutato dagli altri due, si stese poi sul letto.
- Allora noi andiamo, - annunciò Steve. Afferrò Ethan per il polso e lo trascinò fuori dalla stanza.
I ragazzi giunsero al distributore in silenzio. Quando arrivarono alla macchinetta, ci impiegarono un po' di tempo per decidere cosa prendere: a Ethan non piaceva la cioccolata, quindi non aveva idea di quale barretta avesse il sapore migliore. Nell'indecisione, ne prese tre diverse. Acquistò anche un paio di lattine di tè freddo, che bevve insieme all'amico prima di rientrare in stanza.
- Ti sei preoccupato? - domandò Steve.
Ethan annuì, poi fece un sorso dalla lattina. Era una domanda sciocca e lui odiava il sapore dell'alluminio che si mescolava a quello del tè. - Però la visuale m'è piaciuta, - aggiunse.
Lui e Steve si lanciarono uno sguardo d'intesa e poi scoppiarono a ridere.
- Ti voglio bene, Ethan. -

 

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Capitolo 18
*** XVIII ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
XVIII.
 

«Non ci credo che sono in punizione.»
«Come se loro non avessero mai fatto niente del genere, poi!»
«Dai raga ce lo dovevamo aspettare. Però è stato bello.»
«Domani ricomincia la scuola. Almeno ci vediamo. Lisa, chi abbiamo alla prima ora?»
«Letteratura.»
«CHE PALLE!»
«CHE PALLEEEE»
«Oh Ethan non sputare nel piatto dove mangi!»
«Che palle.»

*

- La vedo abbronzato, prof, dov'è stato di bello in queste vacanze? -
- Non in Nebraska, - rispose Giuda sorridendo. - E voi che avete fatto di bello? -
- Io sono stato a casa dei miei, in un paese qua vicino. -
- Io sono andata in Europa con la mia famiglia, in Francia. Très jolie! -
- Io ho imparato a suonare l'armonica! O meglio, ci ho provato... -

In un'aula ora accogliente, decorata con poster e libri vintage, un gruppo di adolescenti entusiasti si era riunito intorno alla cattedra del loro amato insegnante, il professor O'Connor, desiderosi di condividere le loro esperienze di vacanza. L'eccitazione riempì l'aria mentre raccontavano a turno le loro avventure, le risate punteggiavano le loro conversazioni animate.La stanza brulicava di una vivace miscela di aneddoti mentre ogni studente descriveva con passione i propri viaggi. Robert, con gli occhi che brillavano luminosi, raccontava le sue avventure emozionanti esplorando antiche rovine in Grecia. La classe ascoltava attentamente, affascinata dai suoi racconti di leggende mitiche e paesaggi mozzafiato.Successivamente, Mayli interviene raccontando di aver attraversato le cime innevate delle Alpi francesi, sciato lungo pendii impegnativi e assaporato il gusto di tanti formaggi francesi che le avevano risvegliato le papille gustative. Mentre le discussioni continuavano, le storie di avventure sulla spiaggia in Thailandia, scoperte culturali in Giappone e viaggi in auto attraverso l'Europa la fantasia iniziava a farsi largo nelle loro menti. Ogni studente, a turno, condivideva i momenti salienti, le lezioni apprese, mentre il docente ascoltava orgoglioso e attento.Giuda aveva sempre incoraggiato l'esplorazione e la sete di conoscenza, promuoveva un ambiente in cui i suoi studenti potessero esprimere apertamente le loro esperienze, dopotutto, non era la letteratura stessa un racconto di una vita vissuta o di un sogno mai realizzato?

- Ovviamente non abbiamo letto nemmeno un libro. -
Giuda rise, perché se lo immaginava. - Non mi aspettavo nulla di diverso, lo ammetterò. Ma spero che vi sentiate almeno un pochino in colpa, perché io ho comunque lavorato un po' per voi, eh! -
Dalla borsa, Giuda estrasse una folta pila di fogli che si scoprì essere formata dai compiti che aveva corretto. Iniziò a distribuirli agli alunni singolarmente. - Ho corretto tutte le recensioni che avete scritto sui libri che vi avevo chiesto di leggere. Fermo restando che alcuni di voi meriterebbero di tornare al primo anno di elementari per ripassare la grammatica, mi ha sorpreso vedere di come siete riusciti a legare con i testi assegnati. -
- Prof, ma a me non c'è il voto! -
- Nemmeno a me! -
- Non ci sono voti, - spiegò Giuda. In realtà aveva trascritto una sorta di valutazione sul registro per fini burocratici, ma voleva insegnare loro qualcosa di più. Tornò alla cattedra, appoggiandosi su un angolo. - Non si viene a scuola solo per un numero su un foglio. Voi siete qui per imparare e io sono qui per aiutarvi a farlo, non per giudicarvi mentre lo fate. -
Quella classe tanto scapestrata all'inizio dell'anno era rimasta ammutolita, affascinata dalle parole del docente. Il loro precedente insegnante non condivideva gli stessi valori e loro si erano sentiti più volte solo un numero, cosa che li aveva portati a ribellarsi nei modi più disparati. Invece Giuda, con i suoi poeti morti e le letture extra curricolari, era stato in grado di avvicinarli alla materia.
- Ma perché non è arrivato prima, prof? - chiese Mayli. - Magari mi sarebbe piaciuto leggere. Invece se leggo penso al professor Garcìa e mi passa la voglia! -
- Garcìa... almeno ce ne siamo liberati... non lo vedremo mai più! -
- Che piaga... -
- Ragazzi, - li ammonì Giuda. - Ognuno fa del suo meglio, al massimo delle proprie capacità. -
Ethan lo guardava con aria sognante. Giuda camminava, si spostava qualche ciocca di capelli, si sistemava gli occhiali, rideva per qualche sciocchezza e lui riusciva a pensare soltanto a quante ore mancavano per far sì che smettesse di essere il professor O'Connor. Poi si alzò e si diresse verso la porta, così, con nonchalance, come se il fatto non fosse il suo.
- Novotny, dove vai? - chiese O'Connor stranito.
- In bagno, le devo chiedere il permesso? -
- Beh, sì, in teoria sei in classe, te lo ricordi? -
Ethan scrollò le spalle e uscì. O meglio, ci provò. Appena aprì la porta, si ritrovò di fronte il preside in persona.
- Novotny entra subito dentro! - Lo rimproverò il preside. L'anziano signore spinse Ethan in classe e lo seguì a ruota. - Professor O'Connor, posso? -
- Prego, faccia pure! -
- Vi ruberò solo pochi minuti, - disse il preside Snyder. - Volevo comunicarvi che il ballo di quest'anno si terrà sabato 27 maggio, in palestra, e che il tema è "Una notte nel paese delle meraviglie". Se non sapete cosa sia il Paese delle Meraviglie sono certo che il professor O'Connor possa spiegarlo. -
- A disposizione, ma vi informo che c'è anche un film della Disney per i casi più disperati. -
- Io ho visto quello con Johnny Depp, - commentò Lisa.
- Che bono lui... - disse Willow.
Giuda avrebbe volentieri annuito ai commenti delle ragazze, ma fece cenno loro di lasciar parlare Snyder.
- Inutile dirvi che soltanto gli studenti e i loro invitati potranno partecipare al ballo di fine anno, e che ci aspettiamo da tutti un comportamento impeccabile e rispettoso. Capito, Novotny? - domandò il preside.
Ethan scrollò le spalle, non capendo perché avesse rivolto quella domanda proprio a lui. - Ho capito, ma ora posso andare in bagno? -
Giuda si portò le mani a massaggiarsi le tempie, ormai arreso alla condotta del ragazzo. Snyder, invece, lo prese di petto. - No. Torna a sederti. Non ho finito. -
- Ma io devo andare in bagno! -
- E io sto facendo un annuncio importante, Novotny, e sono il preside. Ti ho detto di tornare a sederti. -
Ethan lo guardò con aria indispettita e poggiò la mano sulla maniglia della porta.
- Novotny, se apri quella porta giuro che ti sospendo, quant'è vero Iddio! -
Giuda gli si avvicinò e gli poggiò una mano sulla spalla. - Per favore, torna a sederti. Appena il preside finisce potrai uscire senza problemi. -
- Io voglio uscire adesso. -
O'Connor avrebbe voluto piangere per la situazione assurda in cui si era trovato, proprio davanti al preside che sembrava chiedergli perché non lo avesse ammonito con più rigore. - Eh, Novotny, e io voglio essere ricco e famoso, ma si sa, l'erba voglio non esiste nemmeno nel giardino del re... dai, - lo esortò. - Solo due minuti, per favore. -
Ethan assottigliò gli occhi, in un pieno dilemma morale: da un lato non voleva mettere Giuda in difetto, dall'altro non voleva darla vinta al preside Snyder. Però poi, in qualche modo, O'Connor ebbe la meglio e il ragazzo tornò a sedersi con il disappunto dipinto sul volto.
- Preside, diceva? -
- Ah, sì, comportamento impeccabile... la festa inizierà alle 21:00, e chiunque vorrà prendere parte all'organizzazione dovrà parlarne con la professoressa Scale. Ci sono domande? -
La classe tacque. Ethan fu tentato dal chiedere se potesse andare in bagno, ma si trattenne.
- Bene. Se avete domande, sapete dov'è il mio ufficio. Buona giornata a tutti, - disse. - Professor O'Connor, vorrei parlarle un minuto in privato. Mi segue fuori, per favore? - chiese, poi uscì, borbottando sul fatto che nessuno dei ragazzi si era degnato di alzarsi in piedi quando era entrato in aula.
- Certo, arrivo, - rispose Giuda. - Novotny, se hai bisogno, puoi uscire! - aggiunse e seguì il preside.
Ethan ci pensò su, e decise di uscire. Si avvicinò alla porta, ma quando udì delle voci si fermò sulla soglia, incuriosito dalla conversazione.
- Professor O'Connor, lei ha fatto un ottimo lavoro con questi ragazzi. -
- La ringrazio. -
- Il professor Garcìa non faceva altro che lamentarsi, e in effetti devo dire che sono sempre stati molto turbolenti... lei è riuscito ad addomesticarli, - commentò ridendo. Forse credeva di risultare simpatico. A Giuda non piaceva quel modo di parlare, per cui si limitò ad ascoltare in silenzio. Il preside parlava dei suoi studenti quasi fossero un branco di animali selvatici da ammaestrare. - Anche se noto, con estrema amarezza, che quel Novotny... nemmeno lei è riuscito a tenerlo a bada... dovrebbe impegnarsi di più. Lui è proprio una piaga sociale. -
Ethan sollevò un sopracciglio e poggiò la mano sulla maniglia, pronto a intervenire. Giuda fu più lesto.
- Preside Snyder, lei non è di Newcastle, vero? -
- Che cosa c'entra?! -
- Allora le parlo di me. Io sono stato un adolescente a Tampa, sa cosa vuol dire? In primis, per me è esistita solo l'estate: tutto era sempre colorato e in fiore, le persone erano in strada felici e sorridenti, la vita esplodeva. C'erano così tante opportunità e così tante cose da fare che mia madre provava disperatamente a contenermi, a trattenere tutta la mia energia. Invece Novotny, e tutti gli altri, sono adolescenti a Newcastle. A Newcastle! Un paese di duecento anime... perdoni il francesismo, ma qui che cosa possono fare? Litigare, rinchiudersi in camera a giocare ai videogame e probabilmente a masturbarsi, nel migliore dei casi. -
- Professore! - lo riprese il preside.
- Se fossi in loro sarei così arrabbiato, ma così arrabbiato... -
- E questo cosa ha a che fare con Novotny? Mi scusi eh, gli altri li ascoltano, anche se stando alla sua opinione sono arrabbiati. -
- Non è una mia opinione, preside Snyder, è la verità. Lei crede che i ragazzi mi ascoltano perché io sono un genio dell'insegnamento che li ha miracolosamente avvicinati al mondo della letteratura? Mi dispiace deluderla, io non sono il professor Keating e questo non è il set di "Dead poets society": mi danno retta perché io racconto loro di cose che non hanno mai visto, di mondi lontani, leggo loro le storie d'amore più belle, le scoperte più avventurose. Io sto dando loro lo strumento dell'immaginazione: ascoltano, leggono e scrivono per sfuggire alla realtà in cui vivono. Lo fanno tutti, Novotny incluso. E per me non c'è gioia più grande che quella di averli in classe il lunedì mattina alle otto. Questi ragazzi si sforzano di uscire dal loro guscio, camminano tra centimetri di neve, e vengono qui ad ascoltare quello che io, il primo cretino che passa, ho da dire. Ognuno a modo suo e con i suoi tempi... e io lo apprezzo. Loro lo capiscono e mi ringraziano comportandosi come poi ha visto. -
- Mi lasci dire che non tutti sono davvero così grati. Forse lei è troppo giovane e troppo buono: andrebbero messi in riga anche con delle punizioni, se necessario. Per esempio, ha messo una nota disciplinare a Novotny? Non mi pare, eppure il suo comportamento è stato disdicevole e irrispettoso. -
- Io non ho alcuna intenzione di mettere note disciplinari, preside... forse non ha capito quello che ho cercato di dirle fino a ora! -
- Al massimo è lei che non si è spiegato bene! - gridò il preside.
Nascosto dietro la porta, a Ethan prudevano le mani. Come si permetteva quel piccolo uomo di gridare contro Giuda, approfittando della propria autorità? 

Lisa, Steve, Robert e Miley si erano avvicinati alla porta e origliavano anche loro la conversazione tra i due uomini fuori.
- Snyder è proprio un coglione, - osservò Steve. Robert annuì.
- Però che uomo, - commentò Maily, - resta calmo nonostante tutto e gli tiene pure testa! -
- O'Connor ha le palle, - disse Robert, - sempre detto. Mica come quel pesce in brodo di Garcìa! -
- Sarebbe stato bello aver avuto O'Connor come professore fin dal primo anno, magari a quest'ora Anderson saprebbe già usare il periodo ipotetico! -
Risero tutti tranne Steve che fece una linguaccia.
- Shhh, - li riprese Ethan. Era contemporaneamente infastidito e orgoglioso dei commenti degli altri su Giuda.

In corridoio, invece, O'Connor era rimasto impassibile. - Non alzi la voce, per favore. -
- Io alzo la voce quanto mi pare! -
- Allora la alzi... magari si sente più grande, magari si sente più forte... faccia quello che vuole. Però per me può anche gridare fino a farsi sentire in Florida, tanto non metterò una nota disciplinare al mio studente solo perché me lo chiede lei. -
- Lei lo sa che, indipendentemente dalla nota, io posso sospenderlo, vero? -
- Lo so, ma credo che lei sappia che può essere considerato abuso di potere. Lei minaccia di sospendere un alunno perché doveva andare al bagno... ci provi, preside, e riceverà una denuncia un'ora dopo al massimo. - Giuda aveva parlato con una pacatezza tale da risultare disarmante. - Se non ha altro da dire, tornerei in classe. -
- Meno male che il suo contratto scade a maggio. Non l'avrei tollerata in giro un giorno in più. Lei andrebbe licenziato per insubordinazione! -
- Sono certo che negli USA vi sia ancora la libertà di parola e di espressione. Mi avvisi pure quando tornerà la dittatura e allora le dirò "sì, padrone". Fino ad allora, io difenderò le mie classi. Buona giornata, preside, - concluse sorridendo, poi entrò in classe e chiuse la porta.
Lisa, Steve, Robert e Mayli restarono impalati a fissarlo, ammutoliti.
- Vorrei tornare alla cattedra, - disse Giuda, - se non vi dispiace rompere le righe per farmi passare. -
I ragazzi si mossero e Giuda raggiunse la posizione.
- Allora, immagino che abbiate origliato tutto con discrezione. -
Lisa, Steve, Robert, Ethan e Miley annuirono, ma erano tutti ancora in silenzio.
- Va bene. Ci sono domande? -
Gli studenti si lanciano sguardi colpevoli e incuriositi, poi Ethan sollevò la mano. Giuda avrebbe voluto battere la testa contro la scrivania; aveva gli occhi stanchi, era reduce da una discussione trafelata col preside e voleva solo due minuti di tranquillità. - Sì, Novotny, chiedi pure... -
Ethan lo guardò con uno sguardo carico di orgoglio: avrebbe voluto baciarlo lì davanti a tutti e far capire al mondo che quello lì era il suo uomo, ma sapeva di non poterlo fare in quel momento. - In che genere si classifica "Alice nel paese delle Meraviglie"? -

*

Il martedì Giuda aveva lezione solo con i ragazzi del primo anno, ma ne approfittava sempre per andare in sala professori e preparare le prossime lezioni o correggere i compiti. Quel giorno era in mensa a svolgere quelle attività curricolari. Accompagnato dalla sua fedele penna viola, era molto assorto in un commento a un tema scritto da un'allieva molto promettente.
- Giuda! - lo salutò una voce familiare.
- Michael, ehi! Come va? -
- Sono stanco. Ho fame, sonno e sinceramente ho anche una certa voglia... una di quelle in cui è previsto stare nudi sul letto. -
- Chi non ce l'ha? - rispose Giuda ridendo.
- Tu come stai? -
- Non mi lamento, però fa freddo. -
Michael prese il posto di fronte a lui. - Qui fa sempre freddo, forse a giugno arriva la primavera. Comunque, Giuda, io devo dirti una cosa per amore del gossip. -
- Vai che quello ci piace! -
- Ho sentito di come hai risposto a Snyder ieri. Sei stato un grande! Grande! Anche se mezza classe è venuta da me preoccupata... sai, avevano paura che ti licenziasse per davvero. -
- Per un attimo, ti confesso, l'ho temuto anch'io. Ma non ho resistito! -
Michael trattenne una risata. - Quel vecchio dinosauro brontolone ragiona come un uomo delle caverne. -
- Credimi, io sono rimasto calmo perché la rabbia proprio non mi appartiene, ma quando ha iniziato a riferirsi ai ragazzi come se fossero un branco di scimmie da addomesticare mi sono saliti proprio i cinque minuti e non ci ho visto più! Non potevo permetterglielo, non ce l'ho fatta... che poi, - rise Giuda, - quando sono rientrato in aula li ho trovati davanti alla porta, in piedi e in silenzio. Sembravano sotto shock. -
- Non sono abituati a professori che prendono le loro parti. Qui hanno tutti paura di perdere il posto di lavoro e hanno anche la mentalità del Medioevo, il che non aiuta. -
- Me ne sono accorto, hanno smesso di salutarmi in sala professori. Per questo sono qui. -
- Sei stato un grande! - ripeté Michael. - Senti, andiamo a prenderci una birra dopo? Devo aggiornarti anche sulla mia situazione sentimentale. -
- Mhhh... a che ora? -
- Ti riporto a casa dal tuo principe, non ti preoccupare, - disse Michael facendogli l'occhiolino.

 

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Capitolo 19
*** XIX ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
XIX.
 

Erano passate da poco le cinque del pomeriggio e solo allora Giuda era riuscito a fermarsi. Il calendario lavorativo, tra lezioni e laboratori, era stato molto intenso. Il mercoledì era il giorno peggiore, quello più incasinato. Ma, alle cinque precise del pomeriggio, Giuda poteva dire di aver scavallato. Il peggio era passato, la settimana sarebbe stata tutta in discesa, e poteva godersi l'unica cosa che avesse un vago sentore di cibo della giornata. Aveva saltato la colazione per non far tardi, non aveva avuto tempo per il pranzo, e ora fissava un tristissimo barattolo di ramen istantaneo. Ci aveva versato dentro dell'acqua bollente e aspettava che fosse pronto.
Che tristezza, si disse, ripensando ai piatti di pasta con la colatura di alici di Cetara che gli preparava sua madre. Lui non era bravo ai fornelli quanto lei, né era capace di trovare gli ingredienti necessari, ma sua madre... lei era davvero bravissima. Non a caso, era una cuoca di professione. Ma i piatti che preparava per lui non avevano nulla a che vedere con quelli che cucinava per i suoi clienti: lui era suo figlio, l'amore che ci metteva dentro non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello che impiegava nel suo lavoro. Gli mancava, in realtà. Gli mancava sua madre. Erano due giorni che non la sentiva, lei gli aveva mandato un messaggio e lui non le aveva ancora risposto. Allora gli venne il lampo di genio: doveva aspettare tre minuti affinché il ramen fosse pronto, e tre minuti erano sufficienti per rispondere a un messaggio.
Recuperò il cellulare dalla tasca, aprì WhatsApp. «Ciao ma'. Tutto ok, mi manchi un po'. Mi manca Tampa. La mia Cadillac soffre il freddo come me.» e... invio. Ecco fatto. Il senso di colpa per non essersi fatto sentire cominciò a scemare un po'. Erano trascorsi due minuti e mezzo, quindi iniziò con lo spezzare le due bacchette di legno. Tre minuti. Perfetto. Sollevò con cautela la pellicola di alluminio e...
- Professore, oh Sant'Iddio, meno male che c'è ancora! -
...e addio pranzo. O cena. Addio cibo. - Mi dica, signora Hazel, cos'è successo? -
- Professor O'Connor, ci sono... studenti... picchiando... - Amy Hazel, la collaboratrice scolastica, era in evidente difficoltà. Doveva aver corso molto, tanto da perdere il fiato.
- Ci sono degli studenti che si stanno picchiando? - chiese Giuda. - Ma dove? -
- Fuori scuola... in cortile. -
Cazzo, era ancora sotto la sua giurisdizione. Lo stomaco ci tenne a sottolineare che non era d'accordo ma Giuda dovette abbandonare il ramen e andare a controllare. Si mosse a passo svelto per raggiungere il cortile quanto prima.
Ma non gliel'avrebbe fatta passare liscia. Chiunque fosse stata la testa calda ad aver dato via a una rissa se la sarebbe vista con tutta l'autorità che ancora non aveva messo in azione. Perché andava bene tutto, ma non s'interrompe una persona mentre sta provando a nutrirsi.

- Che cosa succe... Eth—-Novotny? Anderson! Anderson smettila subito, ma che cazzo! -
La scena a cui stava assistendo era allucinante. In un primo momento non sapeva verso chi andare per primo. Novotny aveva abbracciato Cromwell, la sua migliore amica che piangeva a dirotto e che aveva addosso dei vestiti strappati. E poi c'era Anderson che stava prendendo a botte Cockshold, uno dei due ragazzi che aveva rotto l'archetto del violino di Ethan. Steve lo stava prendendo a pugni con una furia matta, cieca. E allora si avvicinò ai due, cercando di separarli. Fortunatamente ne sapeva qualcosa di combattimenti.
- Anderson, smettila! Smettila! - gli ordinò il docente. Ma il ragazzo nemmeno lo ascoltava. Preso dalla stizza, pensava solo a colpire Tom. Allora Giuda lo strattonò via, costringendolo a una separazione coatta.
Steve diede un paio di pugni al vento e sputò addosso all'altro ragazzo. - Stronzo! Sei una merda! Devi morire! -
- Stiamo calmi! Che cavolo succede qui?! -
- Quel figlio di puttana ha provato a violentare Lisa! - l'informò Steve. E lo disse con una rabbia tale che si udì lo zigrinare dei denti stretti.
L'insegnante, che aveva ormai perso l'appetito, si voltò verso Cockshold. - È vero? -
- Violentare, che parole grosse... volevo solo divertirmi un po'. -
- Ti faccio divertire io, brutta merda! - inveì Steve. Non gli diede un altro pugno solo perché O'Connor riuscì a bloccarlo.
- Adesso andiamo tutti nell'ufficio del preside, non voglio sentire obiezioni. E, vi avviso, sto chiamando la polizia, - disse Giuda mentre componeva il 911.
Lasciò che i ragazzi camminassero davanti a lui, per tenerli d'occhio e assicurarsi che non fuggissero. Aveva il cuore a pezzi per Lisa. Lei era la sua preferita, l'alunna migliore, la studentessa più diligente, senza considerare la sua acuta sensibilità. La vide camminare in silenzio, avvolta dai vestiti strappati, con gli occhi fieri che lacrimavano senza che lei potesse fermarli. Dopo la telefonata, il professore si tolse la giacca di tweed che aveva addosso e la posò delicatamente sulle spalle della ragazza affinché potesse coprirsi o sentirsi più al sicuro.
Appena avvertì il calore dell'indumento gentilmente offerto, Lisa si abbandonò a un sospiro. Fu come un abbraccio delicato, come il primo sole della primavera.

Il Preside e Michael arrivarono prima della polizia, e avevano cominciato a fare i colloqui preliminari con non poca difficoltà. Lisa aveva lacrimato durante tutto il racconto, ed era stato doloroso assistervi mentre spiegava cosa fosse successo.
- Mi aveva chiesto ancora una volta di andare al ballo con lui, e ancora una volta avevo rifiutato. Così sono andata al laboratorio di scrittura del professor O'Connor e sono rimasta lì fino alla fine delle lezioni. Dopo sono uscita, non vedevo l'ora di tornare a casa, ma avevo un appuntamento con Ethan e Steve. Loro non avevano ancora finito... e allora sono andata in bagno. È successo lì. È entrato nel bagno delle ragazze e ha aperto la porta del cubicolo mentre... mentre io ero in bagno... e... e... -
Michael non riuscì ad ascoltare oltre. Si sentiva così tanto male che aveva lasciato l'ufficio del preside per raggiungere Giuda. Il preside, invece, restò lì ad ascoltare in silenzio, mortificato. Era colpa sua, perché aveva risparmiato sulle serrature e perché non era stato in grado di educare i ragazzi al rispetto. O forse era colpa di O'Connor che non era in grado di punirli. Sì, c'entrava anche lui. - Cromwell, la prego. Se non se la sente, non deve raccontare tutto a me. Ma la devo informare che la polizia le chiederà tutto con dovizia di particolare. Si sta parlando, com'è giusto che sia, un'accusa formale e hanno bisogno di prove. Lei se la sente? O preferisce andare in un secondo momento in questura? Posso accompagnarla quando è pronta, non ci sono problemi. -

Mentre i Cromwell erano nell'ufficio del Preside, Giuda era rimasto nell'anticamera insieme ai tre ragazzi. Ethan sedeva su una panca di legno a gambe incrociate e non smetteva di guardare l'amico che, invece, non riusciva a stare fermo. A Steve prudevano le mani così tanto che ogni dieci minuti, al solo pensiero di quello che Lisa stava raccontando, dava un colpo al muro. L'unico motivo per cui non aveva messo nuovamente le mani addosso a Tom era la presenza dell'insegnante di letteratura, che non se la sentiva di riprendere il ragazzo giacché ne condivideva la frustrazione. Così Giuda camminava in tondo rimuginando su quanto fosse difficile vivere a Newcastle. Era vero, certe cose purtroppo accadevano ovunque nel mondo, ma nei piccoli paesi avevano un peso maggiore. Il docente si fermò solo quando fu colto da un capogiro, e lo stomaco gli ricordò che non poteva più attendere. Infatti Giuda era diventato un po' più pallido e fu costretto a poggiarsi con le spalle contro il muro.
- Hai fame? - domandò Ethan preoccupato. Poi si ricordò che erano a scuola e sgranò gli occhi.
Giuda, invece, restò impassibile e annuì. Se non si dava troppa importanza al modo informale di parlare, nessuno ci avrebbe fatto caso, o almeno così sperava. - Non ho avuto modo di pranzare, - ammise.
Allora il ragazzo scavò nella messenger bag e vi trovò dentro una barretta di cioccolato. Non era granché, ma meglio di niente, pensò, poi al motel aveva funzionato. E la porse al docente che accettò e lo ringraziò con un sorriso. Scartò la barretta e le diede un morso: quanto era buono il cioccolato. Non riusciva a pensare ad altro mentre assaporava, senza sensi di colpa, la barretta Milky Way. Che poi, perché Ethan aveva con sé una barretta? A lui non piaceva il cioccolato. Forse gliel'avrebbe chiesto dopo. Poi sobbalzò, perché Steve aveva dato una testata nel muro.
- ...ma che cazzo, - bofonchiò Giuda.
- Steve! - lo richiamò Ethan, - Ti senti bene? -
- NO! - gridò Steve. - No, col cazzo che mi sento bene. Hai capito cos'ha fatto questo stronzo?! -
- Sì, Steve, l'ho capito... ma prendendo il muro a testate non cambi le cose, - disse saggiamente Ethan. Giuda quasi si stupì, abituato a vederlo sotto un'altra luce durante le lezioni.
- Quante storie, - si lamentò Tom. - A voi frocetti non viene mai voglia di scopare? -
Steve era già partito per tirargli un cazzotto nello stomaco, ma Giuda era stato più lesto e l'aveva braccato. - Anderson, respira. Non ascoltarlo. -
- Questa merda ha messo le mani addosso a Lisa, non è necessario ascoltarlo per desiderare di appiccicarmelo sotto le scarpe! -

In quel momento, Michael li raggiunse. Lui era da sempre conosciuto come una persona tranquilla. Non s'arrabbiava davvero mai, era pronto ad ascoltare e in ogni momento rispettoso, responsabile, onesto e sincero: non c'era da meravigliarsi se aveva scelto la carriera di psicologo. Sembrava essere nato per fare quello, e gli riusciva piuttosto bene. Ma quel giorno a Michael giravano i coglioni, gli veniva da vomitare e provava una rabbia tale che proprio doveva lasciar fluire. La collera che sentiva in quel momento non poteva scorrere via da sola, no, doveva essere esternata in maniera palese e condivisibile. Fu questione di attimi, e prima che si potesse dire "machecazzofai", tutto unito e senza respirare, Michael aveva afferrato Tom per il bavero della maglia e lo aveva spinto contro il muro. Ethan e Giuda erano sobbalzati per lo spavento, Steve lo guardava con ancora più ammirazione.
- Mettiamo il caso che a questi frocetti, come li chiami tu, andasse di scopare. Se si comportassero come te, ti abbasserebbero i pantaloni, si tirerebbero fuori l'uccello e te lo ficcherebbero nel buco del culo senza nemmeno uno sputo per lubrificarlo. Dimmi un po', ti piacerebbe? - domandò. Poi lo fece sbattere nuovamente contro il muro. - Allora?! -
- Magari gli piacerebbe, se non l'ha mai prova—-
- Ethan, non è il momento, - disse Giuda. E forse pronunciò il nome del ragazzo con una dolcezza naturale che sembrò fuori luogo per davvero.
- Brutto stronzo! - infierì Steve. Così, giusto per condividere la sua opinione.
Giuda sollevò gli occhi al cielo nel tentativo di recuperare la forza. Non era pagato abbastanza per fare anche da vigile e babysitter. Si avvicinò a Michael e gli mise una mano sulla spalla. - Michael, calmati. E no, non dire altro. Questo è uno che crede ancora che "frocio" sia un insulto, ma cosa ne vuoi sperare? Vieni, dai. Andiamo un attimo fuori. -
Giuda trascinò l'amico fuori dall'anticamera e chiese agli altri presenti di restare in silenzio. Raggiunsero un piccolo balcone e uscirono. Per qualche minuto, il silenzio regnò da padrone. Michael stava attraversando un periodo complicato, e il pensiero di ciò che era accaduto alla sorella sembrava mangiarlo vivo. Chissà a cosa stava pensando mentre si portava le mani alle tempie e scivolava fino a sedersi sulle mattonelle ghiacciate del balcone. O'Connor ne approfittò per fumare una sigaretta. L'atmosfera era diventata pesante, fitta, ingestibile, aveva bisogno di una scappatoia. E l'unica cosa che poteva fare, mentre attendeva l'arrivo delle forze dell'ordine, era fumare una sigaretta.
- Ma come si fa a fare una cosa del genere? - chiese Michael.
- Purtroppo, molte persone non riescono ancora a capire che "no" significa no. Mi dispiace molto per Lisa. -
Michael calciò via un ramo innocente. - Hanno appena diciott'anni. Com'è possibile che pensano a certe cose? Io ho avuto diciott'anni poco tempo fa, non mi sarebbe mai saltato in mente di molestare una ragazza. -
- Non è una questione di età, lo sai meglio di me. Cockshold è una testa calda e anche un bullo. Michael, questo paese è uno sputo. Ti ricordi quando ti ho raccontato del mio sopravvivere a scuola? I bulli a Tampa girano in gruppi, Cockshold è uno solo e quindi si prova a dargli un peso diverso, ma resta ugualmente un bullo. Nella sua testa ha fatto una cosa figa, è probabile che lui si senta pure nel giusto, per questo mi dispiace per Lisa. -
- Non avrei mai pensato di dirlo, - sbuffò Michael, - ma meno male che c'era Steve. Apparentemente è stato lui a sentire Lisa urlare, è entrato in bagno per intervenire. -
- Guarda che lui vuole molto bene a tua sorella, eh. Tu non li hai visti quando eravamo a Tampa. Mio padre, che generalmente è uno che si fa abbastanza i fatti suoi, era convintissimo che fossero fidanzati. -
- Hai una famiglia molto perspicace, - commentò l'uomo. - A quanto pare non si può nascondere nulla. -
Giuda respirò l'ultimo tiro della sigaretta e poi la spinse affondando il mozzicone nella neve sulla ringhiera. - Che piaga. Si sono pure tutti già affezionati a Ethan. -

*

Quella era stata una lunga giornata per Lisa, sembrava essere durata almeno una vita e mezza. Alla fine la polizia era intervenuta ma non aveva potuto fare granché, visto che il reato non era stato consumato e solo il tentativo non era punibile a norma di legge. Era sfumato tutto in un fuoco di paglia. I poliziotti avevano ugualmente trascinato Cockshold in centrale, ma sapevano tutti che se la sarebbe cavata con dei lavori socialmente utili. La situazione aveva fatto incazzare tutti mentre la ragazza era rimasta impassibile. Sembrava aver ingoiato un boccone amaro: non che si augurasse la sofferenza altrui, ma cominciò a chiedersi perché una persona capace di pensieri tanto ignobili potesse cavarsela con così poco. Lei non riusciva a capacitarsene, aveva alternato collera a sensi di colpa, avrebbe voluto piangere e disperarsi ma era rimasta immobile. Sembrava una bambola. Perfino Michael, che queste situazioni le trattava per lavoro, non era riuscito a trovare le parole giuste per rivolgersi a lei. Forse perché era sua sorella e quindi si sentiva più coinvolto...
Quando lasciarono l'edificio scolastico era già buio, faceva freddo e sembrava che a breve avrebbe nevicato. Lisa si era stretta nella giacca che le aveva prestato il professore e rabbrividì. Ethan le si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla. - Vuoi venire a casa mia? Magari troviamo dei vestiti più caldi, - le chiese premuroso. La ragazza annuì piano e, insieme ai suoi amici, si avviò verso casa Novotny.
Giuda accese un'altra sigaretta. Da quando era arrivato a Newcastle il suo bisogno di fumare era diventato sempre più impellente.
- Mi fai fare un tiro? - chiese Michael.
Giuda annuì e gli passò la sigaretta.
- Che cosa devo fare? -
- E lo chiedi a me?! -
- A chi altri? -
- Non lo so, - rispose Giuda con sincerità, - non so neanche se sia giusto fare qualcosa. -
- In che senso? -
- Noi vorremmo che lei ora guarisse subito, che tornasse a essere felice e spensierata, ma credo che abbia il diritto di soffrire e di elaborare le sue emozioni. -
Michael era d'accordo con quello che diceva l'amico ma allo stesso tempo non poteva convivere con l'idea di restare con le mani in mano in un momento del genere.
- Lei ora deve essere arrabbiata, delusa, sconfortata, triste o qualsiasi altra cosa. Forse dovremmo solo aspettare, ricordandole che ha intorno delle persone che le vogliono bene. -
- Non posso restare fermo senza fare niente. Che razza di fratello sarei? -
- Non saresti senza fare niente: le dai del tempo. -
Michael fece un altro tiro e restituì la sigaretta Giuda. - E se la portassi dai miei per qualche giorno? -
Giuda ispirò la sigaretta e poi rabbrividì. Stava davvero iniziando a nevicare. - Perché? A me sembra che lei voglia restare con i suoi amici, - disse O'Connor indicandogli il trio impegnato in un abbraccio di gruppo.

*

Lisa era seduta nella cucina dei Novotny con lo sguardo perso nel vuoto. Qualcosa dentro di lei si era rotto. Il peso del suo dolore era soffocante e riusciva a malapena a respirare. Anne aveva capito che qualcosa non andava nel momento in cui l'aveva incontrata sulla soglia della porta d'ingresso. Gli occhi della ragazza, un tempo scintillanti, erano ora rabbuiati. Non che le facce di Michael, Ethan e Steve fossero messe meglio, ma certamente Lisa le dava più da pensare. Attraverso lo sguardo vacuo della ragazza, Anne poteva percepire il pesante fardello che Lisa stava portando e le si spezzò il cuore.
- Lisa, che succede? - chiese Anne con voce gentile ma insistente.
Lisa esitò, incerta se condividere la profondità della sua disperazione oppure no. Ma qualcosa negli occhi gentili di Anne la fece sentire al sicuro, e cominciò a parlare. Le raccontò della giornata appena trascorsa, dell'episodio avvenuto nei bagni delle ragazze, della prontezza di Steve, della rissa in cortile, dell'interrogatorio con gli agenti di polizia, della soluzione che era sembrata solo una pacca sulla spalla e tanti cari saluti a tutti. Anne ascoltò con orrore mentre Lisa raccontava l'esperienza traumatica appena vissuta, sentendosi incapace di alleviare il dolore della ragazza. Che cosa avrebbe potuto dire? Non c'era parola al mondo che le avrebbe fatto dimenticare un gesto tanto barbaro, né esisteva una soluzione univoca al problema. Ogni esperienza era a sé, ogni persona unica, la sensibilità di ciascuno era prettamente personale. Ma Anne si rifiutava di arrendersi. Sentiva che doveva fare qualcosa per aiutare Lisa, che doveva starle vicina. Lo doveva fare, perché il dolore di Lisa era quello di tutte le donne vittime di violenza, lo voleva fare perché le voleva bene come a una sorella. L'abbracciò, e rimase con lei tutta la notte, tenendola stretta mentre piangeva via il suo dolore. L'unica cosa che poteva fare era offrirle un posto in cui sentirsi al sicuro.

 

«Ethan, sei sveglio?», «Oh, Ethan!», «E rispondi però, che cazzo!»
«Steve, ero al bagno, credo mi sia concesso fare la cacca, no?»
«Che schifo. Comunque sì. Lisa?»
«È di là con mia sorella. Stanotte dorme da noi, credo.»
«Come sta?»
«E come vuoi che stia...»
«Che cazzo. Quella merda di Cockshold... io lo uccido... io lo vado ad aspettare fuori la porta di casa sua e lo gonfio di botte.»
«Steve, non fare cazzate.», «Lisa è più importante.»
«È per lei che lo devo prendere a mazzate, Ethan.»
«Sicuro?»
«In che senso?», «Oh, in che senso?» ... «Ethan?», «Che cazzo, ti sei addormentato?» ... «Ethan?», «Eddai, rispondi, non si lascia un amico in questo stato.» ... «Che palle.»
«Scusa, ero al telefono.», «Che cosa cambia se lo picchi? Lisa starà male ugualmente. E avrà pure l'incombenza di portarti le arance in prigione.»
«Con chi?», «Hai ragione... ma io devo fare qualcosa. Quel coglione ne è uscito indenne. Che posso fare?»
«Diventa presidente e promuovi una legge seria con delle pene vere per chi compie, o tenta, reati di stupro.»
«Ti pare facile...»
«Allora stalle vicino e basta. Buonanotte.»

*

Steve era steso sul letto sfatto e fissava il soffitto. Non riusciva a dormire. La sua mente era divorata dai pensieri su Lisa. Si girava e rigirava, incapace di trovare pace. Qualche volta picchiava il cuscino, altre volte ci soffocava dentro un urlo. Gli occhi gli si riempirono di lacrime, non si era mai sentito così impotente in vita sua. Tutto quello che voleva era che Lisa fosse al sicuro e felice, ed era proprio ciò che non poteva avere. Certo, ora sapeva che lei era a casa di Ethan e che lì non le sarebbe accaduto nulla, ma... avrebbe dovuto proteggerla e non ci era riuscito. Non si sarebbe mai perdonato per questo. Recuperò il cellulare e decise di scriverle un messaggio.
"Ehi Lisa... come stai? Domanda inutile, lo so... ma in qualche modo dovevo pur iniziare questo messaggio. Non so cosa voglio scriverti, non so cosa dovrei dirti. Mi dispiace. Certe cose non dovrebbero capitare, e..." lo cancellò. Non aveva senso.
"Ehi Lisa... mi dispiace per quello che ti è successo. Spero che ora tu ti senta un po' meglio." ...cancellò anche questo. Troppo freddo, impersonale.
"Lisa..." Steve socchiuse gli occhi. Che cosa voleva dirle? "...io sono qui e lo sarò sempre. Ti voglio bene."
Alla fine, premette invio. Sapeva che era improbabile che Lisa rispondesse, ma doveva provarci. Non poteva sopportare il pensiero di non farle sapere che lui c'era e che ci sarebbe sempre stato.
Steve strisciò di nuovo a letto, sentendosi ancora triste e senza speranza, ma sapeva di aver fatto tutto il possibile per ora. Tutto quello che poteva fare era aspettare e sperare che un giorno, in qualche modo, Lisa sarebbe tornata a sorridere. 

 

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Capitolo 20
*** XX ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
XX.
 

Quando la lezione di letteratura finì, gli studenti si catapultarono fuori dall'aula. - Fate piano! - gridò l'insegnante, - Altrimenti vi fate male! -
Giuda infilò in borsa il registro, pronto a tornare a casa. Il venerdì era il suo giorno preferito: le lezioni finivano alle dodici e poi era libero tutto il weekend. Notò poi che Steve era rimasto seduto al banco, quasi non si fosse accorto che la campanella aveva suonato; tanto era assorto nei suoi pensieri che non aveva nemmeno chiuso il quaderno e il libro. Giocherellava con una matita dalla punta spezzata e guardava fuori dalla finestra.
- Anderson, vuoi restare qui a riflettere su quanto è brutto avere diciott'anni e non aver mai letto "Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mr Hyde"? -
- ...eh? - Steve guardò il professore con aria confusa, quasi a chiedersi perché si trovasse lì. Impiegò qualche minuto per ricordarsi che era scuola, si voltò verso O'Connor e poi batté con forza la testa sul banco.
- Oddio Anderson, tutto bene?! -
- Tanto al massimo si rompe il banco... ho la testa dura, - commentò il ragazzo.
Giuda rifletté nuovamente sul fatto che il suo stipendio fosse troppo basso per dover fare anche da babysitter, ma si sedette sul banco di fronte a quello di Steve e incrociò le gambe, pronto all'ascolto. - Che succede? -
- Ho un problema con una ragazza, - si lamentò Steve.
- Che tipo di problema? -
- Un problema, - ripeté il ragazzo rimanendo sul vago.
- Anderson, se ti spieghi magari io ti posso aiutare! -
- Prof, ma lei è gay, che cosa ne vuole sapere di donne?! -
- A parte che questa tua affermazione è molto discriminatoria... per quello che ne sai tu, potrei essere bisessuale! -
Steve batté gli occhi perplesso e il docente restò in silenzio per qualche secondo.
- No, no, proprio no. Comunque, anche se sono gay, ho quattordici cugini di cui solo uno di genere maschile. Ho trascorso metà della mia vita ad ascoltare i problemi di cuore di mia cugina Viola, la mia preferita. Credo di aver accumulato un'esperienza tale da poter aprire una rubrica per la posta del cuore. -
Steve sembrava nutrire ancora qualche perplessità a riguardo, ma che cosa aveva da perdere? Aveva provato a chiedere consiglio a suo cugino Richard, ma era stato inutile; aveva chiesto anche a Ethan ma non ne aveva cavato un ragno dal buco; poi aveva domandato ai suoi compagni di squadra, ma non gli avevano detto nulla in più rispetto a quello che già conosceva. Tanto valeva provare a chiedere a Giuda.
- Mi interessa una ragazza e vorrei invitarla al ballo. -
- Ma? -
- Ma non so se accetterà! E lo so che dovrei provarci, ma forse non è il momento... e se lei dicesse di no rovinerei il rapporto che ho costruito con lei, e non me lo posso permettere. -
- Beh, scusa, hai provato a invitarla come amica? -
- No, certo che no: è la mia occasione per uscire dalla friendzone! -
Giuda sembrò rimuginarci su: era certo che Lisa non avrebbe rifiutato la proposta di Steve, ma dopo tutto quello che le era capitato non sapeva come stava affrontando la situazione.
- Posso parlare con sua cugina Viola? -
O'Connor rise. - Stavo pensando che per lei non deve essere un periodo facile. -
- Lei chi? -
- Lisa, - disse Giuda, - tanto lo so che parlavamo di lei. -
- È così evidente? -
- Se ne è accorto anche Novotny  che generalmente non si accorge di niente, Anderson. -
Steve diede un'altra testata al banco. - Sono un caso grave. -
- Dicevo, questo deve essere un periodo davvero complicato per lei, dopo tutto quello che è successo con Cockshold... insomma, viene qui ogni giorno e rivive tutto come in un loop. Cammina lungo il corridoio, va in bagno, e sicuramente
pensa a cosa le è successo. Anche se Cockshold è stato sospeso, non vive molto lontano da qui... immagino sia anche molto spaventata. -

- Se solo ci ripenso mi prudono ancora le mani. Quel figlio di puttana! Come ha osato?! - ruggì Steve che colpì il banco con un paio di pugni ben piazzati. Giuda restò in silenzio e lasciò che il ragazzo sfogasse la sua rabbia.
- Sai, Anderson, forse lei ha bisogno di un amico ora, di non complicare le cose: so che tu vorresti qualcosa in più... ma il ballo potrebbe essere l'occasione giusta per dichiararsi, no? Lo hai mai visto un film romantico? -
- Mica sono gay io, - rispose Steve. - Scherzo. Sì, li ho visti. - Il ragazzo sospirò e si alzò in piedi. Grazie alle parole di Giuda, era riuscito a riflettere su qualcosa a cui proprio non aveva pensato. Iniziò a sistemare le cose che aveva sparpagliato sul banco per infilarle nella borsa. Aveva fatto bene a parlare con lui. Avrebbe potuto esserci per Lisa nella forma che lei preferiva, e se aveva bisogno di un amico allora lui sarebbe stato il migliore degli amici. E forse aveva ragione O'Connor, avrebbe potuto approfittare del ballo per dichiararsi. - E quindi vado da lei e le chiedo: "ehi Lisa, che ne dici di andare al ballo insieme?" -
- Semplice e diretto. -
- Le farò sapere, - disse Steve. Raggiunse la porta pronto a uscire, ma si voltò verso il docente prima di farlo. - Grazie. -
O'Connor sorrise di rimando e lo salutò con un gesto della mano. Prima di andare via chiuse le finestre e poi uscì: non vedeva l'ora di tornare a casa. Gli vennero in mente prima dei pensieri un po' noiosi sulle cose da fare: fare la spesa, pensare a cosa mangiare, pulire casa. E poi rifletté anche sulla concreta ipotesi di aggiornare il suo guardaroba in favore di qualcosa di più sexy. Si avvolse nel lungo cappotto tartan che indossava e raggiunse l'uscita.

Faceva freddo. Febbraio era un mese davvero strano, un breve concentrato di freddo e neve mentre si aspettava la primavera. La neve era molto affascinante, c'era da ammetterlo. Ed era stato molto divertente costruire pupazzi di neve insieme ad Ethan così come improvvisare una battaglia di palle di neve; certo, era stato un incontro perso in partenza visto che il ragazzo aveva molta più esperienza alle spalle, ma poteva dire di essersela cavata egregiamente. Affondò gli stivali e sprofondò nella neve. Era soffice e morbida, leggermente intiepidita da un timido raggio di sole che provava a fare capolino da dietro le nuvole. Estrasse dalla tasca i suoi AirPods, ma prima di infilarli nelle orecchie si ritrovò, senza volerlo, a origliare una conversazione in cortile.

- Novotny... ecco... come stai? -
- Mh. Sto bene. Tu? -
- Io anche. Senti... volevo chiederti... stai con qualcuno? -
- In che senso? -
- Ecco... io... sai, dopo quello che c'è stato tra noi non ci siamo più parlati... volevo approfittare dell'occasione del ballo. -
- Non ti seguo. -
- Volevo chiederti se ti andava di venire al ballo con me. -

Giuda riconobbe la voce dell'altro ragazzo, era Lucas della sezione C. Aveva detto "dopo quello che c'è stato tra di noi"... chissà a cosa si riferiva. Chissà se Lucas era quello che proprio non ci sapeva fare o quello che nel letto di Ethan ci era arrivato eccome. Costrinse le proprie gambe a muoversi per allontanarsi, non voleva fare la figura dell'impiccione e nemmeno quella del fidanzato geloso. Era già tutto troppo strano per essere così tranquillo e privo di drammi.
Eppure, anche quando al supermercato ci era andato davvero, non poteva smettere di pensarci. Chi era Lucas dei due? E cosa gli aveva risposto Ethan? Aveva pagato il conto e si era rimesso in auto, poi aveva guidato lentamente fino a casa.


*


- Hai finito? - domandò Ethan impaziente.
- Se la smetti di interrompere ogni due minuti forse ce la faccio, - rispose Giuda. - Mi manca solo un paragrafo. -
- Cosa leggi? -
- Alice nel Paese delle Meraviglie. È per domani. -
- Allora nel mentre rispondo ad Elvira. -
- Cioè tu scrivi a mia madre?! -
- Scherzi? Mi scrive più di te e mi dice che io le scrivo più di quel rompiscatole di suo figlio. Che significa "rompiscatole" nel vostro idioma segreto? -
- Non è segreto, è italiano e si può imparare! -
- Mi piacerebbe impararlo, così posso avere anche un idioma segreto con Elvira. - Giuda sollevò lo sguardo al cielo. - Comunque vuol dire una persona fastidiosa. -
Ethan rise, poi si scattò un selfie. Gli piaceva Elvira e le voleva davvero bene. - Tua mamma dice che sono molto bello, ma che dovrei prendere un po' di sole. -
Giuda chiuse il libro. In realtà non era davvero concentrato, aveva bevuto e fumato con Michael tutto il tardo pomeriggio, per cui si sentiva leggero e rilassato. I suoi occhi erano vagamente lucidi, ma restava attento. - Questa cosa che tu e mia madre vi scrivete mi preoccupa. -
- Perché? -
- Perché secondo me ha capito tutto. -
- Certo che l'ha capito. Mica è scema! Me lo ha anche chiesto quando eravamo a Tampa, mi ha domandato se stavamo insieme. -
- Cosa?! E tu che le hai risposto? -
- Le ho detto di no. Oh, ma non mi è piaciuto mentirle: mi ha fatto una strana sensazione qui, - commentò Ethan indicando il cuore. - Ma lei non ci ha creduto, ha detto: "io lo conosco mio figlio, ho visto come ti guarda." -
- Quella è furba come una volpe. -
- Mi ha detto che tanto sa tutto quello che non le dici, anche che ogni tanto ti fumi le canne. -
Giuda tossì esasperato. Quella era un'alleanza da abolire.
- Hai finito? - domandò ancora una volta il ragazzo.
- Sì, ho finito. -
Giuda andò a stendersi sul letto accanto al ragazzo. Era bello poterlo avere tutto per sé in quel piccolo angolo di mondo. Ethan lasciò perdere il cellulare e lo abbracciò.
- Finalmente sei tutto per me! -
- Sempre se non sei impegnato a confabulare con mia madre... -
- No, le ho detto che ora andavo a coccolare quel rompiscatole di suo figlio! -
Inizialmente, Giuda sgranò gli occhi. Poi fece spallucce. - Tanto ormai l'ha capito. Non vale la pena mentirle. -
Il ragazzo restò in silenzio per un po' come se stesse riflettendo su qualcosa di importante. - Io ho due cose da dirti, - esordì poi.
- Quando sei così serio mi fai paura, non so mai cosa aspettarmi. -
- La prima cosa riguarda qualche giorno fa: è stato molto bello quello che hai detto il preside, sai usare le parole molto bene. -
- Grazie! Anche se... vabbè, lui è un po' vecchio stile, ma non aveva proprio tutti i torti... resta comunque il preside e tu gli hai risposto un po' male. -
- Eh, mi sta sul cazzo. -
- Credo che la cosa sia reciproca. -
- Lo penso anch'io. Però quando sei entrato in classe... avevo una voglia che neanche immagini. -
- Ah, sì? - disse Giuda con aria furba. - E adesso no? -
- Sì, ce l'ho, ce l'ho anche adesso, ma devo chiederti prima un'altra cosa. -
- Cosa? -
- Ci vieni al ballo con me? -

*

Giuda era seduto al bancone del pub e aspettava Michael durante il "Friday night karaoke" proposto dall'Anne's bar. Si guardò intorno, ammirando le immagini e i suoni dell'atmosfera vivace. Vide gruppi di amici che ridevano e chiacchieravano, gente che ballava al ritmo della musica e qualcuno che, coraggiosamente, si esibiva sul palco per cantare a squarciagola, alcune con maggior successo di altre.
- Allora, Giuda, cosa ti porto? - chiese Anne sorridendo.
- Non lo so... sono propenso all'analcolico, dopo devo guidare. Cosa mi consigli? -
- Dipende. Sei in vena di qualcosa di dolce o preferisci un sapore più deciso? -
- Punterei sul dolce, - ammise Giuda, e gli venne subito voglia di un Appletini, che per ovvie ragioni non avrebbe potuto bere.
- Ci penso io, - disse Anne rassicurante e iniziò la preparazione di un mocktail.
Dopo pochi minuti, finalmente arrivò Michael, aveva un'aria un po' abbagliata ma entusiasta. Giuda gli fece cenno di avvicinarsi e i due amici si salutarono con una stretta di mano e un abbraccio.
- Scusa il ritardo, - disse Michael, - sono rimasto bloccato nel traffico. C'era un incidente sulla statale. -
- Non preoccuparti, ma... un incidente? Che cosa è successo? -
Mentre chiacchieravano del più e del meno, il presentatore del karaoke annunciò che era possibile presentare le richieste per il secondo giro di cantanti in erba.
- Ti piace il karaoke? - chiese Michael.
- Se sapessi cantare sarebbe meglio... generalmente, mi esibisco solo per i batteri nella doccia. -
Anne rise alla battuta. - Secondo me dovresti provare. Anzi, dovreste provare! -
- Non mi mettere in mezzo, - rise Michael. - Ho già dato la settimana scorsa. -
- Dai, - chiese Anne. - Mi piace quando canti, mi fa ritornare al liceo e al nostro progetto dei "Lime Cats"! -
- ...Lime Cats? -
Michael scoppiò in una risata fragorosa, tanto che i presenti si voltarono a guardarlo. Rise tanto e a lungo, si ritrovò anche ad accasciarsi sotto al bancone, non riusciva a fermarsi. Giuda si voltò dall'altro lato, fingendo nonchalance, poi guardò Anne in cerca di risposte.
- Quando eravamo dei piccoli teen, io, Michael, Richard e Robin, una nostra compagna di classe, formammo una band. La chiamammo "Lime cats"... facevamo cover, niente di originale... eravamo in fissa con gli Yellowcard! -
- Gli Yellowcard! - Giuda assunse un'espressione quasi sognante. - Oddio, anche io ho avuto un lungo periodo emo, - commentò ridendo. - Dalle mie parti erano molto famosi... quanti ricordi... dimmi, Michael, che ruolo avevi nei Lime Cats? -
- Il chitarrista, - disse Michael asciugandosi gli occhi. Aveva lacrimato tanto dal riso. - Lo sanno tutti che il ruolo del chitarrista spetta al più sexy della band. -
- ...veramente, io sapevo che il chitarrista lo faceva chi sa suonare la chitarra, - osservò Giuda.
- Ma anche il più sexy, - aggiunse Michael.
Anne roteò gli occhi fingendo di essere seccata.
- E tu, Anne? -
- Io ero la batterista. -
- ...la batterista?! - Giuda sgranò gli occhi. Non sapeva perché, ma apparve sconvolto all'idea che Anne suonasse la batteria. Forse perché Ethan suonava il violino e quindi avrebbe collegato ai Novotny solo degli strumenti classici, ma si rese conto che era solo una sua convinzione.
- Ero anche brava! La band spaccava, abbiamo pure fatto qualche concertino, aprivamo gli show delle band locali... -
- E poi? -
- Poi Robin ha lasciato la band e si è trasferita in Canada da sua nonna, - sospirò Anne. Era chiaro che fosse dispiaciuta. - Era la mia migliore amica, all'epoca. Non l'ho più sentita dopo... non ha più risposto ai miei messaggi, nemmeno alle
lettere che le ho spedito! -

- Un'altra cosa per cui ringraziare Michael, - commentò inacidito Richard che era appena arrivato. Lasciò una cassa di birra sotto il bancone. Giuda fu sorpreso di apprendere che lavorava ancora lì, era convinto che l'uomo fosse uscito dalla vita dei Novotny. Ethan non lo aveva più nominato, Anne lo aveva lasciato, per cui era certo che la sua teoria rimanesse a galla. Un'altra supposizione errata, la seconda della sera.
- Non è stata colpa mia! -
- Beh, Michael, se tu te lo fossi tenuto nelle mutande forse a quest'ora il concerto dei Rolling Stones lo avrebbero aperto i Lime Cats! -
- Robin aveva delle tette troppo belle per tenerlo nelle mutande, - obiettò Michael accigliato. - E poi a lei piacevo! -
- E fin qui tutto ok. Peccato che le hai fatto sperare in una storia d'amore a cui, invece, nemmeno pensavi! - lo rimproverò Anne.
Giuda sorseggiava il drink mentre ascoltava con attenzione il discorso. Michael e Anne erano state le prime persone gentili che aveva incontrato a Newcastle; si era legato molto a loro due, ma dovette rendersi conto che conosceva ben poco del loro passato. Non che fosse importante, dopotutto era passato, ma restava sempre affascinato dai racconti di vita vera, quasi più che dai racconti fatti d'inchiostro di cui era un assiduo consumatore. Del resto, era proprio la vita a costringerlo a tirare fuori il naso dai libri.
- Avevo sedici anni e pensavo di poter conquistare il mondo! Che poi, a saperlo che sarei rimasto in questo buco... - Michael pronunciò le ultime parole con amarezza malcelata. - Posso avere una birra, per favore? -
Anne annuì e gliene servì una.
- Allora cosa canti stasera? - chiese Giuda per cambiare discorso.
- Dipende da cosa canti tu! -
- Credimi, se cantassi qualcosa al microfono scapperebbero tutti per lo shock! -
- Non devi mica essere un cantante professionista per il karaoke... anzi, più si stona più è divertente! - commentò Anne. A sottolineare quanto appena detto, una coppia di ragazze stava canticchiando una canzone di Lady Gaga.
- Giuda, - disse Michael con serietà. Gli poggiò le mani sulle spalle e lo guardò fisso negli occhi, come se stesse per dire qualcosa di un certo rilievo. - Dobbiamo dare al pubblico una lezione. Basta con tutto questo pop, con la dance e con i nuovi rapper che si credono Eminem. Basta. È tempo di far fiorire nuovamente il punk-rock. -

Giuda e Michael salirono sul palco insieme, ciascuno con un microfono in mano, e iniziarono a cantare a squarciagola "All the small things" dei blink-182. Non erano i migliori cantanti del mondo, ma si stavano divertendo molto e il pubblico sembrava apprezzare la loro esibizione, tanto da cantare "na na, na na, na na, na na, na, na" insieme ai due. Michael l'aveva chiamata l'operazione revival, ma Giuda non aveva mai smesso di ascoltare quelle canzoni che erano fisse nelle sue playlist da almeno una decina d'anni. Avevano addirittura chiesto il bis. Questo voleva dire due cose: o i loro timpani erano belli che andati, o tutto sommato loro due non facevano così tanto schifo. Allora optarono per portare avanti la missione e si dilettarono con "Sk8er boy" di Avril Lavigne, che riscosse lo stesso successo. Nel mezzo del secondo bis, quando il duo stellare si stava esibendo con "Somebody told me" dei The Killers, raggiunsero il locale anche Lisa, Steve, Ethan e alcuni dei loro compagni di classe. Occuparono l'ultimo tavolo libero, poi Ethan andò a salutare la sorella.
- Finalmente stasera c'è una playlist bella. Non era mai capitato. -
Anne storse il naso e si precipitò a dargli un bacio sulla guancia. - Tutto bene? Avete mangiato qualcosa? -
- Sì, tutto bene, e no, abbiamo fame, per questo siamo qui. Cioè, Mayli voleva andare non so dove a prendere una pizza, ma poi ci siamo ricordati del Friday Night Karaoke! -
- Arrivo subito al tavolo, - disse la donna. - voi divertitevi! -
Ethan annuì e tornò dai suoi amici. Aveva l'aria stanca, forse aveva sonno, ma mise su un sorriso nel raggiungere il tavolo.
- O'Connor è bravo anche a cantare, - commentò Mayli. Lo guardava con aria sognante. - È proprio, bravo, intelligente... -
Steve ridacchiò. - Cos'è, Mayli, hai una cotta per il prof? -
- ...è pure bono! - commentò la ragazza.
Ethan le lanciò un'occhiataccia. Se fosse stato possibile l'avrebbe fulminata solo con lo sguardo. Lisa se ne accorse e gli diede una gomitata leggera.
- Beh, è innegabile, - commentò Cromwell. - È figo. -
- Lisa! - l'ammonì Ethan.
- Ma è la verità! -
- Lascia stare, Lisa, - disse Steve. - È che a lui non piacciono i rossi! - aggiunse ridendo.
Ethan gli fece una linguaccia, ma non commentò oltre. Aveva paura di tradire qualche emozione.
- Che bello vedervi tutti qui! - Anne interruppe la discussione, presentandosi al tavolo per le ordinazioni. - Allora, cosa vi porto? -

Durante tutta la serata, Ethan non aveva mai smesso di fissare Giuda. Erano tre giorni che non lo vedeva, gli mancava, e scrivergli dei messaggi non era la stessa cosa di abbracciarlo e sentirne il profumo. Però non poteva avvicinarsi a lui e
abbracciarlo, sebbene avesse voluto potersi concedere una tale libertà, così come avrebbe voluto che lui potesse accompagnarlo al ballo. Era strano. Giuda non era riuscito a inculcargli l'amore per la letteratura, né era stato capace di farlo appassionare alla materia così come aveva fatto con gli altri, ma ora sapeva dare un nome alle cose che provava. Sorrise e si alzò.

- Dove vai? - chiese Steve con la bocca piena di cibo.
- Vado a cantare. -
- Cosa? -
- Uhm... la canzone giusta al momento giusto, - disse soltanto.
Il ragazzo si avvicinò al palco, scelse la canzone e sistemò il microfono. Quando la base partì, socchiuse gli occhi e cominciò a cantare.
These are the eyes and the lies of the taken, these are their hearts but their hearts don't beat like ours. They burn 'cause they are all afraid for every one of us, there's an army of them. But you'll never fight alone 'cause I wanted you to know... -
Seduto al bancone del bar accanto a Michael, Giuda sgranò gli occhi appena avvertì le prime note di quella canzone. Da grande fan dei My Chemical Romance, per lui era impossibile non conoscerla. Si voltò verso il palco e quando vide Ethan lì, in piedi e dietro al microfono, provò una fitta al cuore.That the world is ugly, but you're beautiful to me. Well, are you thinking of me now? -
Giuda lo guardò con aria sognante; Ethan aveva una voce melodica, dolce, piacevole all'ascolto. Non c'era dubbio che la sua esistenza fosse fatta di musica. Ed era la musica più bella che le orecchie di O'Connor potessero ascoltare. Quando il ragazzo si accorse che Giuda si era impalato a fissarlo, gli fece un occhiolino ammiccante.
These are the nights and the lights that we fade in. These are the words but the words aren't coming out, they burn 'cause they are hard to say. For every failing sun, there's a morning after, though I'm empty when you go... I just wanted you to know that the world is ugly... -
But you're beautiful to me... - canticchiò Giuda a bassa voce, quasi muovendo solo le labbra.
Michael ridacchiò sotto i baffi e fece un sorso al drink. - Eh, Giuda... ormai ti abbiamo perso. Finirai a fare il cantante! -
O'Connor sorrise e poggiò una mano sul cuore, come a voler mandare un messaggio a Ethan senza però dire nulla.
Steve aveva osservato la scena intenerito, poi aveva guardato Lisa e le aveva preso la mano sotto al tavolo, in modo che nessuno dei presenti se ne potesse accorgere. Lei gliel'aveva stretta e aveva fatto sì che le loro dita si incrociassero. Il cuore di Steve batteva fortissimo.
- Però che voce, Novotny, - commentò Robert.
- Secondo voi sta dedicando questa canzone a Lucas? - chiese Mayli. - Ho sentito dire che lui voleva proporgli di andare al ballo insieme. -
- ...cosa?! - Steve mise su un'espressione sconvolta. - Lucas?! Ma... che io sappia... no... ma spero di no, Lucas è un broccolo lesso! -
Lisa ridacchiò. - Ma no, Lucas è carino, è gentile, dolce... -
- Eh! - rincarò la dose Mayli. - E poi sono stati insieme, no? Cioè io pensavo stessero insieme! -
- No, sentite, Ethan è il mio migliore amico, lo saprei se stesse con qualcuno. -
Mayli non sembrò convinta dall'affermazione di Steve ma fece spallucce. - Però secondo me la sta dedicando a qualcuno. -

 

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Capitolo 21
*** XXI ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
XXI.
 

- Anderson... -
- Presente, presente, ci sono, - sbuffò l'allievo. -
- Breeden? –
- Ci sono! –
- Cotton? –
- Presente! –
- Cromwell? –
- Eccomi! –
Il professor O'Connor continuò a fare l'appello fino a chiamare Novotny. Niente: Ethan proprio non ce la faceva ad arrivare puntuale in classe per le lezioni di letteratura. Senza remora alcuna lo segnò come assente, poi proseguì l'appello. Quando fu il momento di iniziare la lezione, cominciò a cercare l'agenda personale, ma non la trovò. A quel punto rifletté sulla possibilità di averla dimenticata in sala professori. - Vado un attimo in sala professori, - disse. - Torno subito. Mi raccomando: non parlate a voce troppo alta, il preside oggi è nervoso! - aggiunse e uscì.
Fece per raggiungere la sala professori, ma fu bloccato da uno studente che gli porse una domanda.
- Cerca questa, professore? -
Giuda sollevò lo sguardo: cosa ci faceva la sua agenda tra le mani di Cockshold? E cosa ci faceva lui lì? Non era stata sospeso?
- Che ci fai con la mia agenda? -
- Cercavo informazioni su di lei ma è una persona noiosa.... libri, appunti, lezioni, - commentò il ragazzo sbadigliando, poi gettò l'agenda nel cestino più vicino a lui.
- Ma come ti permetti? - gridò il docente. - Non ce l'hai un po' di educazione? Prendila subito! -
- Sono già nella merda a causa sua, non mi va di infilare anche le mani nella spazzatura per farle un favore! -
- Non mi fai un favore. Sei stato tu a buttarla, se non l'avessi fatto non ci sarebbe stato bisogno di recuperarla. -
Cockshold fece spallucce, segno che non avrebbe cambiato idea. Giuda non aveva voglia di cedere a quel tipo di atteggiamento, non ce l'aveva avuta da adolescente figurarsi adesso da insegnante. - Prendi l'agenda, Cockshold. -
- Se la prenda da solo! -
- Bene, - disse Giuda incrociando le braccia, - resteremo qui fino a quando non riavrò l'agenda che hai rubato e poi buttato nel cestino. E, com'è ovvio che sia, sappi che mi aspetto anche delle scuse. -
- È lei che deve scusarsi con me per avermi fatto sospendere! -
- Per quello che hai fatto, ringrazia gli dei che non sei finito in gattabuia, Cockshold! E con questo atteggiamento stai solo peggiorando la tua situazione! -
- Mi hanno messo a ripulire le strade, può andare peggio?! -
- Certo. Potevi essere in prigione. -
- Per una scopata che non è non c'è neanche stata? -
- Non era una scopata. Tu hai provato ad abusare di una ragazza, devi ringraziare i santi in paradiso, le divinità norrene, la signora dei Cervi e Lucifero in persona se ora sei qui e non in galera! -
- Pensavo di vivere in un paese libero... -
- La tua libertà, però, finisce dove inizia quella degli altri. -
- Bla bla bla, - gli fece il verso il ragazzo. Mise su un sorrisino divertito e tirò fuori l'accendino dalla tasca. - Cosa dice se ora do fuoco alla sua agenda? -
- Che sei un vandalo, che suonerà l'allarme antincendio e che verrà la polizia ancora una volta per colpa tua; ma sei libero di farlo, tanto per restare in tema. -
- Non gliene importa? -
- Guarda... è un regalo di mio padre, mi importa. Ma è solo un'agenda. Mi roderebbe parecchio il culo perché comunque dovrei rifare la pianificazione delle lezioni, ma se ti diverti così fa pure. -
Quasi fosse frustrato dalla nonchalance di Giuda, Cockshold sbuffò sonoramente, poi recuperò l'agenda e gliela lanciò. Si aspettava almeno un grazie, ma il docente si limitò a raccoglierla da terra. Giuda l'aveva recuperata con aria poco entusiasta, poi fece per avviarsi in classe. Quella di Newcastle si stava rivelando l'esperienza di insegnamento più difficile della sua vita. Quando l'aveva accettata, aveva ingenuamente creduto che fosse un paesino tranquillo, mentre ora stava facendo i conti con una realtà allarmante: la scarsa presenza delle forze dell'ordine, ragazzi abbandonati a loro stessi, zero stimoli positivi dall'esterno, un preside severo e un ambiente pieno di pregiudizi. Non c'era da meravigliarsi che sfociasse tutto in atteggiamenti poco rispettosi ai limiti della pacifica convivenza civile.
- Non ho ancora finito, - disse il ragazzo.
Giuda roteò gli occhi e si voltò verso di lui, avrebbe voluto dire qualcosa ma le parole gli sfuggirono appena si rese conto che Tom gli stava puntando contro una pistola.
- Cockshold, metti via quella cosa! -
Le mani di Tom tremavano ma lui non accennava a deporre l'arma.
- Non hai nemmeno diciotto anni. Devi averne ventuno per possedere una pistola, butta quell'arma! - ordinò Giuda. Si era imposto di restare calmo, come gli avevano insegnato durante l'esercitazione d'emergenza, ma era difficile mantenere l'aria composta con una pistola puntata contro: aveva paura, la avvertiva nel petto con il cuore gli batteva forte e nelle gambe che sembravano stare per cedere.
- Lei mi deve aiutare o le sparo, - gridò Tom.
- Va bene, ti aiuto. Metti via quella pistola. Cosa vuoi che faccia, Tom? -
- Deve farmi tornare in classe! Io non merito anche una sospensione! -
Giuda non era proprio d'accordo, ma quello non era il momento adatto per essere onesto: doveva pensare rapidamente, da lui dipendeva anche la sicurezza degli studenti in classe, oltre che della propria vita. E cosa sarebbe successo se qualcuno fosse uscito per andare in bagno? Temeva che Cockshold, disperato, avrebbe potuto commettere qualche gesto sconsiderato.
- Ne parliamo con calma. Ok? Posa quella roba, non metterti nei casini ancora di più... se ti trovano con una pistola tra le mani, la colpa ricadrà anche i suoi genitori. -
- Non voglio parlare, voglio che lei chiami il preside e gli parli. -
- Se posi quella pistola lo faccio. Te lo prometto. -


Ethan era di buon umore; aveva battuto il record di minuti di ritardo a una lezione, ma non gli importava granché. A breve sarebbe stato il compleanno di Giuda e gli era venuta in mente una bella idea per renderlo speciale. Ne aveva parlato anche con Elvira e Finn, che ormai avevano capito tutto ma fingevano di non sapere nulla, e anche loro si erano mostrati entusiasti. Sarebbe stato un bel compleanno. Stava anche facendo pratica con il violino per riuscire a suonare per lui. Gli piaceva suonare per Giuda, lui lo ascoltava sempre con piacere e non si lamentava delle corde che stridevano (cosa che capitava raramente); l'aveva anche incoraggiato a inviare una candidatura per il Conservatorio, cosa per la quale lui aveva rinunciato a causa della scarsa fiducia nelle proprie capacità, e ora aveva un appuntamento per un colloquio conoscitivo. La cosa lo faceva sentire rincuorato, Giuda lo faceva sentire coraggioso. Sebbene fosse ancora molto deluso dal fatto che il violino non era stato sufficiente a far tornare sua madre, era anche molto felice gli avesse portato Giuda.
Si fermò sulla soglia del portone di ingresso e batté gli occhi perplesso: era stato davvero facile descrivere come si sentiva, avrebbe dovuto dirlo a Michael, era certo che ne sarebbe stato contento. Entrò nell'istituto sorridendo felice: non si sarebbe mai aspettato di trovarsi davanti a una scena del genere.

Cockshold stava puntando una pistola contro Giuda. O almeno credeva fosse Cockshold, perché lo vedeva solo di spalle. Giuda si accorse della presenza di Ethan ma fece finta di nulla, sperò che Cockshold non ci facesse caso così che Ethan potesse uscire senza troppi.

- Non le credo, - rispose il ragazzo. - Lei mi ha detto che merito questo! -
- Ed è vero, - disse Giuda che poi si diede della testa di cazzo, - te lo meriti, ma questo non vuol dire che tu non possa avere una seconda possibilità, - cercò di salvarsi in extremis.
Le mani di Tom vibravano quasi fossero state colpite da un teaser. A Giuda era ormai abbastanza chiaro che il ragazzo aveva paura. - Tom, metti giù la pistola, che cosa credi che succederà? Se mi spari io finisco in ospedale, forse sottoterra, ma tu andrai in galera e ti porterai questa cosa sulla coscienza per tutta la vita, davvero, ci penserai su tutto il resto dei suoi giorni e non sarà cambiato nulla, se non in peggio. Vuoi davvero che accada questo? -

Ethan era rimasto lì impalato, esattamente come quando Tom gli aveva distrutto l'archetto del violino. Non sapeva cosa fare: doveva scappare chiamare la polizia? Doveva correre in classe per avvisare i suoi compagni? Mentre rifletteva su quale fosse l'opzione migliore, il suo cellulare vibrò. Cockshold si voltò immediatamente verso di lui.
- Novotny, che bello vederti... oggi becco due piccioni con una fava, - disse Tom.
- Lascialo stare! - urlò Giuda. Ora aveva ancora più paura di prima. Fece per avvicinarsi a Ethan ma Cockshold non era d'accordo.
- Non si muova o sparo! -
- Stavi parlando con me, parla con me. Lascialo stare, hai capito? Lascialo stare! -
Il tono di voce di Giuda si era fatto man mano più tremante, vibrante, urgente: non poteva rischiare che gli facesse di nuovo del male.
- Lui è amico di quella che mi ha denunciato. Magari lei ritira la denuncia, se vede che cosa sono in grado di fare... -
- Non funziona così, Cockshold... lascialo stare! - Gli occhi di Giuda erano sgranati dallo spavento: sapeva che Tom ed Ethan non andavano d'accordo e aveva paura che qualche gesto folle potesse far finire tutto in tragedia.
- La mia amica ha fatto bene a denunciarti! -
- Ethan... - borbottò Giuda. Stava raggiungendo livelli di stress tali che nemmeno fumare un'intera piantagione di marijuana l'avrebbe aiutato.
- Allora farò bene a fare questo, - disse Tom e premette il grilletto.
- NO!!! - gridò Giuda che, in un riflesso incondizionato, saltò addosso a Ethan per proteggerlo. Entrambi caddero a terra rotolando di qualche centimetro.
Ci fu un secondo sparo, probabilmente un colpo partito per errore, che si concluse con un buco sul muro. Giuda aveva abbracciato Ethan con forza, ma sentiva anche un forte bruciore sulla spalla: sapeva di essere stato colpito. Tuttavia, si premurò che Ethan fosse al sicuro, sano e salvo, e poi si alzò in piedi. Avvertiva qualcosa di bagnato e caldo sulla spalla, credette fosse sangue ma preferì non controllare: se lo avesse visto sarebbe svenuto.
Il professore si incamminò verso Cockshold con la camicia che diventava sempre più rossa.
- Giuda! - chiamò Ethan a gran voce, senza più curarsi del fatto di essere a scuola. Ma l'uomo non rispose e allora il ragazzo si riversò in classe in cerca d'aiuto. Trovò i suoi compagni sotto al banco. Lui tremava così forte che non riusciva nemmeno a camminare dritto. - Qualcuno chiami la polizia, per favore, e un'ambulanza, e la polizia, cazzo! - gridò, poi uscì di nuovo.
Steve era sconvolto, avrebbe voluto trattenerlo e chiedergli delle informazioni ma non ne ebbe il tempo. Estrasse subito il cellulare dalla tasca e compose il 911.
Una volta fuori, Ethan si sentì rassicurato dal fatto che Giuda fosse ancora vivo. Gli si avvicinò preoccupato.
- Sto bene, - mentì Giuda che soffriva come un cane. La spalla bruciava, la vista gli si era annebbiata, le gambe erano deboli. Ma non poteva svenire, non poteva perdere i sensi e lasciare Ethan con Cockshold. - Hai vinto, Tom, mi hai preso. Hai vinto. Ora posa la pistola. -
Tom era sotto shock a sua volta. Il rumore del colpo gli aveva causato un leggero acufene mentre il rinculo dell'arma aveva fatto si che si trovasse con le spalle al muro. Giuda capì che il ragazzo fosse spaventato a sua volta, che non era sua intenzione sparargli davvero, che magari voleva solo intimorirlo. Probabilmente nemmeno sapeva che la pistola fosse carica.
Anche il preside, allarmato, si riversò in corridoio. - Che cosa sta succedendo qui?! - gridò.
A passo lento Giuda raggiunse Tom e poggiò le mani su quelle dell'alunno. Giuda aveva le mani gelate, Tom, invece, le aveva calde e sudate. Il docente lo guardò con occhi vacui e sorrise con dolcezza. - Va tutto bene, non ti preoccupare. Mettila giù, per favore. -
Cockshold non accennava a muoversi, era paralizzato dallo shock.
- Butta quella pistola, ragazzo! La polizia sta arrivando! -
- Cockshold, per favore... - Il tono di Ethan era quasi supplichevole, tanto da lasciare il preside perplesso.
- Tom. Io sto per svenire davvero, ma prima di perdere i sensi devo essere certo che tu non faccia del male a Ethan. Me lo prometti? -
Tom riuscì ad annuire piano.
- Grazie, - disse Giuda e cedette.
Ethan gli si avvicinò subito e lo sorresse per evitare che battesse la testa a terra.
- Giuda, Giuda... no, no, no! -
Il preside si asciugò la fronte sudata con un fazzoletto di seta, stava passando un brutto quarto d'ora, anche se O'Connor era quello messo peggio. Tom si accasciò per terra, anche lui vicino al professore, e abbandonò la pistola scoppiando in un pianto disperato. Ethan scostò una ciocca di capelli dalla fronte di Giuda e continuò a chiamarlo, quasi certo che bastasse quello a farlo risvegliare.

Pochi minuti dopo, arrivarono i soccorsi. 

 

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Capitolo 22
*** XXII ***




Disclaimer!
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Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
XXII.
 

Erano trascorse quasi quarantotto ore dall'incidente e Giuda non aveva ancora riaperto gli occhi. I medici non potevano dare notizie a Ethan poiché, come da politica aziendale, avrebbero dato informazioni solo alla famiglia e/o al contatto d'emergenza. La famiglia di Giuda era stata avvertita e sarebbe arrivata a breve con i primi voli disponibili.
Ethan non si era mosso dall'ospedale, anche se non gli era ancora concesso di entrare nella camera in cui Giuda riposava, e si era limitato a guardarlo attraverso le finestre di vetro. Le poche informazioni che aveva raccolto le doveva a un infermiere che, probabilmente intenerito dalla situazione, si era lasciato scappare qualche commento ad alta voce. Giuda non era in pericolo di vita, doveva solo svegliarsi. Ethan doveva solo aspettare.
- Ethan... forse dovremmo andare a casa... sono quasi due giorni che sei qui... -
- Dovresti anche fare una doccia... -
- Io credo che dovreste farvi i fatti vostri, - rispose il ragazzo. - Io resto qui fin quando non si sveglia. -
Anne e Michael si scambiarono uno sguardo preoccupato. Anne non riusciva a capire: tutti volevano bene a Giuda, ma Ethan... sembrava esserci qualcosa in più. Che fosse vero quello che aveva detto Jack a Natale? Stavano insieme per davvero? Erano innamorati? Confusa, Anne si lasciò cadere su una sedia.
- A breve devo andare a lavoro. Resti con Ethan? -
 

- Finn... Finn, caro, ma siamo sicuri che è questo l'ospedale? -
- Elvira! Finn! -
Ethan riconobbe subito le loro voci e si precipitò verso gli O'Connor, salutando con un abbraccio.
- Che hai combinato? - chiese la signora in tono apprensivo. - Sei tutto sporco di sangue... ma... è... è di Giuda? -
Quasi si fosse reso conto solo in quel momento di essere rimasto con gli stessi vestiti addosso dal giorno dell'incidente, Ethan, colpevole, abbassò lo sguardo e annuì. Elvira cominciò a piangere, poi si scusò e si voltò per asciugarsi gli occhi: non le piaceva mostrarsi debole e indifesa. Finn le accarezzò la schiena e le diede un bacio sulla fronte, poi abbracciò il ragazzo ancora una volta.
- Tu come stai? Sei ferito? Ti sei fatto male? -
- Io... no... non mi sono fatto niente, sto bene grazie a Giuda. -
- Meno male, - rispose Finn sorridendo.

Pochi minuti dopo, Anne e Michael si avvicinarono al gruppo. Michael capì subito che quelli erano i genitori di Giuda, la somiglianza era innegabile.
- Io sono Michael, - si presentò.
- Io Finn. -
- Io Elvira. -
- Io Anne. -
- Anne... sei la sorella di Ethan, allora! Giusto? E tu... tu sei il suo fidanzato? -
- No, no, - rise Michael a disagio. - Siamo amici. -
Anne rise imbarazzata a sua volta; Elvira si accorse di aver fatto una gaffe e cercò di cambiare discorso. - Sono contenta di conoscerti. Ethan e Giuda mi hanno parlato molto di te. Anche di te, eh, Michael! Ma più di te, Anne. -
La ragazza ridacchiò perché, per qualche strano motivo, quella donna un po' stralunata le era già entrata in simpatia.
- Grazie per averlo costretto a stare con voi lo scorso Natale. Lo immaginavo già solo e sconsolato, a cercare conforto nella compagnia di poeti morti e tutte quelle robe noiose che piacciono a lui! -
- Lo dico sempre anche io! -
- Avete distrutto la colonna portante della nostra civiltà con questi commenti sulla letteratura, che saprete certamente essere l'anima, il fulcro dell'umanità, il cibo per la mente... ma che parlo a fare... - commentò Finn.
Risero tutti, perché quella era la stessa cosa che avrebbe detto Giuda e sottolineava, ancora una volta, la somiglianza tra i due.
- Allora... sapete con chi devo parlare per avere informazioni su mio figlio? -
- Con la dottoressa Rebecca Mason, - rispose prontamente Ethan. - Ma deve chiedere di lei alla reception. Ti accompagno? Vengo con te. -
Insieme al ragazzo, Finn si avviò al banco d'accoglienza.

Gli altri tornarono a sedersi. Elvira aveva l'aria stanca, il viaggio doveva essere stato lungo e spossante, senza contare che la preoccupazione per suo figlio doveva averle fatto venire un bel po' di pensieri.
- Com'è andato il volo? - chiese Michael per rompere il ghiaccio.
- È stato un viaggio della speranza! Abbiamo comprato un volo carissimo, ma tra ritardi e cancellazioni siamo in giro da due giorni. Mi dispiace non essere arrivata prima. -
- Mica è colpa sua, - disse Anne. - E comunque c'eravamo noi con Giuda nel frattempo. -
- Grazie. Immagino che sia stato difficile anche per quel piccolino di Ethan, dai vestiti che ha addosso credo non si sia mosso da qui... povero... -
Michael annuì. Era davvero chiaro a tutti il legame che intercorreva tra i due, tranne che ad Anne. Lei nutriva ancora qualche dubbio.
- Posso chiedervi cos'è successo? - domandò Elvira.
Anne iniziò a raccontare l'accaduto così come lo aveva comunicato a lei il preside Snyder qualche giorno prima. Le narrò del dialogo che Giuda aveva avuto con Tom. Cercò di utilizzare un tono di voce rassicurante, soppesò le parole per non far preoccupare ulteriormente la signora. Quando ebbe finito la storia, sospirò amareggiata. Elvira ascoltò tutto con attenzione senza fare domande per evitare di interromperla.
- Mi dispiace... deve essere stato difficile per tutti voi... e non oso immaginare per Ethan che trauma questo possa essere! Ma anche per quel ragazzo, quel Tom... è una tragedia. Una vera tragedia. -
Michael, tuttavia, sorrise. - Giuda deve aver preso da lei il suo altruismo, signora. -
- Ma chiamami Elvira, che signora mi fa sentire vecchia! E non darmi del lei, eh! -
- Elvira, Giuda ha preso da te tutto il suo altruismo, - si corresse Michael.
- Eh, ma ha preso pure la testa dura del padre, - commentò la donna che, incapace di placarsi, iniziò a frugare nella borsetta. Estrasse uno scatolino di cioccolatini che offrì ai presenti. - Prendete del cioccolato, vi farà sentire meglio! -
- Ne prendo uno anche io, - disse Finn che era appena tornato. Ne scelse uno alla menta, Anne e Michael ne beccarono uno al latte. Il cioccolato rendeva davvero tutto migliore.
- Ethan, per te ho queste, - disse la donna offrendogli delle caramelle al mou.
Gli occhi del ragazzo si illuminarono dalla gioia e abbracciò la donna in segno di ringraziamento: si era ricordata della sua avversione per il cioccolato e aveva pensato di portargli le sue caramelle preferite. Era stato un pensiero davvero tenero, simbolo di un affetto incondizionato. Forse erano fatte così le mamme.
- Allora, - esordì Finn, - la dottoressa è stata molto rincuorante. Giuda non è in pericolo di vita. Non sono stati lesionati organi vitali, il che mi sembra ottimo... ma ha perso molto sangue, sia quando è stato colpito che nel trasporto in ospedale e anche durante l'operazione. Inoltre, secondo la dottoressa, è probabile che impieghi di più a svegliarsi a causa dell'enorme contingente di sedativi che hanno dovuto somministrargli... però, a quanto pare, il suo corpo ha reagito bene. Vogliono escludere infezioni e verificare il suo stato mentale quando si sveglierà. -
Tirarono tutti un respiro di sollievo.
- Possiamo entrare in camera sua, ma non possono restare più di due o tre persone dopo l'orario di visita. -
- Io sto per andare via, devo aprire il locale, - disse Anne con tristezza. - Michael, tu vieni con me o resti? -
- Considerando che sono in auto con te, devo per forza! -
- Io resto. -
- Ethan... -
- Ho detto che resto. -
- Ethan, - disse Finn. - Perché, invece, non vieni via con me? Pensavo di andare a casa di Giuda per prendere dei vestiti puliti per quando si sveglierà. Magari puoi approfittarne per cambiarti, no? E dopo torniamo qui insieme. Che ne dici? -
- Io... - Il ragazzo sembrò dubbioso. Non voleva che Giuda, risvegliandosi, potesse pensare che lo aveva lasciato da solo.
- Resterò io con Giuda, - disse Elvira. - Tu, tesorino, riposa un po'! Va bene? Tanto puoi risalire con Finn più tardi. -
Ethan avrebbe voluto rifiutare l'offerta, ma poi rimuginò  sul fatto che, forse, a Giuda non avrebbe fatto bene vederlo con i vestiti sporchi di sangue e allora, a malincuore,  accettò la proposta.

 

Durante il viaggio di ritorno, Anne continuò a essere perplessa. Guidava a velocità sostenuta, il che faceva insospettire, e preoccupare, Michael.
- Anne, ma va tutto bene? -
- No, Michael, no. C'è qualcosa che mi sfugge. -
- Cosa? -
- Stavo pensando a Giuda e a mio fratello. Stanno insieme? -
- Anne, ma che ne so, - mentì lui. - Forse? -
- Michael. Ti conosco da vent'anni, so quando dici bugie e so che ora stai mentendo. -
- Senti... Io so qualcosa, lo ammetto, ma non posso dirtelo. Cos'è che ti preoccupa di più? -
- È un suo insegnante... -
- E? -
Anne restò in silenzio per qualche attimo, poi si strinse nelle spalle. - E se Ethan dovesse soffrire? -
- Capita a tutti di soffrire per amore, lo sai... è successo a te, a me, eppure siamo ancora qui, no? -
- E se lui se ne volesse solo approfittare? -
- ...Anne, quel cristiano si è appena fatto sparare per salvarlo! - la rimproverò lui.
La ragazza sbuffò, perché l'amico aveva ragione: era chiaro a tutti che nessuno stava cercando di approfittare di qualcuno. - È solo che... non lo so... a Ethan non piacciono i rossi, né gli insegnanti, né le lentiggini, né i saputelli! -
Michael ridacchiò. - Se io fossi gay, ci proverei con Giuda immediatamente. -
- Ma che dici?! -
- Oh, senti: è proprio bono, - ammise il ragazzo, - poi è premuroso, gentile, intelligente. Ed è rosso... lo sai che io ho un debole per i capelli rossi! -
Anne rise di nuovo e scosse la testa nel fingersi amareggiata. Era bello parlare con Michael, anche nei suoi momenti no. Era proprio fortunata ad averlo nella sua vita.
- ...sì, ci proverei proprio, - disse Michael dopo un lungo momento di silenzio. - Ma quasi quasi ci provo lo stesso... -
- Lascialo stare, altrimenti Ethan ti fa picchiare da Steve! -

 

*

 

Dopo aver fatto una doccia, Ethan aveva raggiunto Finn a casa di Giuda. L'uomo frugava nel disordine del figlio in cerca di qualcosa che avrebbe potuto fargli piacere avere in ospedale. Infilò in una borsa un paio di libri, la foto con Gerard Way, biancheria e vestiti puliti...
Ethan era seduto sul letto che ancora conservava il profumo a cui associava Giuda; era il suo shampoo, ne era certo. Profumava di mela verde e lasciava sempre la scia sia nell'aria che sul cuscino. Il ragazzo appoggiò la testa sul guanciale e socchiuse gli occhi immaginando di star respirando quell'odore direttamente dai capelli rossi del suo fidanzato. Senza rendersene conto, finì con l'addormentarsi e cadde in un sonno dolce e profondo.
Quando Ethan riaprì gli occhi, fuori era ormai buio.
- No, cazzo, - si lamentò Ethan. Certo del fatto che Finn l'avesse abbandonato lì e fosse andato in ospedale da solo, si affacciò alla finestra: fu sorpreso nel rendersi conto che l'uomo si trovava nel cortile di casa Novotny e parlava allegramente con Jack. Suo padre. Chiuse la finestra, forse stava ancora sognando. La aprì ancora una volta e vide davvero suo padre. Che cosa ci faceva lì? Serrò la finestra, chiuse la porta e uscì, salutò rapidamente Chloe e raggiunse i due uomini in cortile. Stavano bevendo una birra e chiacchieravano del più del meno, come se si conoscessero da una vita, probabilmente si erano incontrati cinque minuti prima.
- Papà, che ci fai qui? - chiese Ethan perplesso.
- Una sparatoria nella tua scuola, in cui sei coinvolto, e tu mi chiedi che ci faccio qui?! -
- Beh... -
- Immagina soltanto il colpo che mi è preso nel ricevere una notizia del genere e poi arrivare qui di corsa e trovare la casa completamente vuota... scrivere un messaggio tu mai, eh! -
- Scusa, - disse il ragazzo abbassando lo sguardo.
Jack gli sorrise benevolo. - Finn, ci vuole un sacco di pazienza con questi figli! -
Nel sentirsi stringere dal padre, Ethan cominciò a piangere a dirotto. Aveva accumulato così tanto in quei giorni che aspettava solo un posto sicuro in cui potersi rifugiare e dare sfogo alle proprie emozioni.
- Tesoro, ehi... che succede? -
- Giuda è stato colpito a causa mia! - pianse il ragazzo.
- Ma non è vero, che cosa ti salta in mente?! -
- Se io fossi arrivato puntuale per la lezione lui... io... non... io... è solo colpa mia. -
- Ethan, quel Tom che ha sparato a Giuda lo avrebbe fatto ugualmente: uno non va in giro con la pistola, se non ha intenzione di usarla! -
- E poi non c'entra. Anche se questo Tom non voleva sparare a Giuda, mio figlio è grande abbastanza da prendere le sue decisioni: tu non c'entri nulla, - concluse Finn.
- E se non si sveglia? E se quando lo facesse lui non... - si fermò, si rese conto che stava dicendo troppo e che forse non doveva sbilanciarsi così tanto.
- Ethan, quella testa calda di mio figlio ha compiuto un gesto molto protettivo. Anche molto bello, romantico: ha messo la tua vita davanti alla sua. Si sveglierà, ma preferirà non averlo fatto quando Elvira gli farà una testa tanta di chiacchiere, ma di certo non cambierà quello che prova per te. -
- Ha ragione Finn, - disse Jack. - E ora asciugati gli occhi e accompagnalo in ospedale, che sei l'unico sobrio! -

 

*

 

Elvira aveva ordinato a Finn di comprare del cibo per cena. Ethan non aveva molta fame, ma non poteva rifiutare un pasto che gli era stato offerto. Finn era rientrato in camera con dei noodles di verdure e avevano mangiato tutti insieme. Elvira gli aveva raccontato che Osvaldo aveva ricevuto una promozione al lavoro, Finn gli aveva parlato di autori di musica classica, Ethan aveva fatto un po' di gossip su Steve e Lisa. Dopo cena, Elvira gli aveva insegnato un gioco con le carte napoletane che si chiamava "Scopa". Era un gioco popolare italiano, giocato con un mazzo di quaranta carte con valori da uno a dieci. Il nome del gioco si riferiva al fatto che chi vince solitamente prende buona parte delle carte in gioco, quindi le "scopa via". Aveva perso tutti i match, ma si era divertito molto.
Sul tardi, Finn si era congedato in favore di una pennichella sul divano, russava così tanto che Elvira uscì dalla stanza per cercare un po' di pace e far placare il mal di testa. Certo che non gli avrebbe dato fastidio un po' di rumore, Ethan decise di fare qualcosa, di leggere una storia per Giuda. Aveva sentito dire da qualche parte che le persone, persino quelle in coma, riescono a percepire gli stimoli dall'esterno. Forse era una stronzata, ma aveva bisogno di crederci per andare avanti, doveva appoggiarsi a qualcosa e decise di aggrapparsi al libro che in fin dei conti li aveva fatti unire. Schiarì la voce e cominciò a leggere il primo capitolo de "L'isola del tesoro", il libro preferito di Giuda, ad alta voce.
Cercò di utilizzare intonazioni diverse per rendere più avvincente la narrazione della storia.
"Il dottore..." presi a dire. Ma egli mi tagliò la parola con una voce fiacca ma appassionata. "I dottori..." -
- ... "sono una massa di scope, e quel dottore, che vuoi che sappia, lui, di gente di mare?" -
- Giuda!!! - esclamò Ethan sorpreso. Rimase con il libro a mezz'aria ma si precipitò ad abbracciarlo al meglio delle sue possibilità. - Sei sveglio! -
- Più o meno da quando hai iniziato a leggere, - rispose l'uomo in tono debole. - Ma mi piaceva troppo per interromperti... grazie. -
- E perché diavolo mi ringrazi?! -
- Perché stavi leggendo per me! -
- Ma che... no, io, cioè, io... che... basta, devo chiamare la dottoressa, aspetta un attimo! -
Ethan era confuso e felice. Posò il libro e andò a schiacciare il pulsante per chiamare il personale ospedaliero.

 

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Capitolo 23
*** XXIII ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
XXIII.
 

La dottoressa Mason aveva chiesto un colloquio privato con i genitori di Giuda, come da prassi ospedaliera. Rebecca sorrise loro con dolcezza, per rassicurarli. - Non è nulla di grave, anzi. Vostro figlio è sveglio, sta bene e ci aspettiamo che possa tornare presto a casa. -
Gli O'Connor tirarono un sospiro di sollievo, felici nonostante la stanchezza. - Grazie mille, dottoressa, - disse Elvira con voce tremante per l'emozione. - Quindi possiamo restare con lui? -
- Certamente, - rispose la dottoressa. - Ma c'è qualcosa che dovreste sapere. Giuda ha vissuto un'esperienza traumatica e siamo preoccupati per l'impatto psicologico che potrebbe avere su di lui. -
Elvira e Finn si guardarono con la paura di nuovo presente negli occhi. - Cosa intende? -
- Come saprete, gli hanno sparato. È un'esperienza che può rivelarsi traumatica per chiunque. Faremo venire uno psicologo per parlare con lui e capire se ha bisogno di aiuto per elaborare ciò che ha passato, ma volevo sincerarmi che voi ne foste a conoscenza. Faremo tutto il possibile per aiutarlo a riprendersi, sia fisicamente che emotivamente. -
- Grazie mille dottoressa, - disse Finn.
La dottoressa sorrise ancora una volta. - Di nulla, è il mio lavoro. Ora, se volete, potete rientrare. -
Giuda era seduto sul letto con Ethan di fronte. Erano entrambi in silenzio, pieni di cose da dirsi ma senza sapere da dove iniziare. Dopo essere stato operato, la ferita alla spalla era stata coperta con una medicazione; era gonfia e dolente al tatto, ma l'emorragia si era fermata. L'équipe chirurgica aveva fatto un ottimo lavoro nel pulire la ferita e nel ricucirla, lasciando solo una sottile cicatrice. Giuda era ancora un po' intontito dall'anestesia, ma poteva sentire le bende stringere intorno alla spalla. Cercò di muovere il braccio, ma era troppo doloroso, e sussultò. Abbassò lo sguardo sulla sua spalla e vide il contorno della fasciatura sotto il camice dell'ospedale; sapeva che avrebbe lasciato una cicatrice, ma non gli importava: era grato di essere vivo e che lo fosse anche Ethan.
Trascorsero alcuni minuti di silenzio, ma alla fine Giuda ritenne opportuno intavolare un discorso. Era troppo confuso per pensare a una domanda mirata, per cui sperò di non metterlo troppo in difficoltà. - Come ti senti, Ethan? -
- Io... ho avuto paura, - disse il ragazzo. - Ho pensato fossi morto. -
- Mi dispiace, non volevo farti preoccupare. -
- Non è colpa tua... tu... tu mi hai salvato la vita. Tom mi avrebbe sparato. Quel colpo era destinato a me. Grazie. -
Giuda scosse piano la testa e allungò la mano destra, quella libera dalle fasciature, per prendergli le mani. - Ethan, Tom era venuto per spaventare me. Voleva colpire me, perché nel suo perverso punto di vista sono responsabile per ciò che gli è accaduto. Io ho chiamato la polizia quando lui ha tentato di violentare Lisa... e quindi è a causa mia se lui è stato sospeso e se era finito ai servizi socialmente utili... -
Ethan cercò di trattenere le lacrime. Aveva la gola secca, voleva solo che non fosse mai accaduto nulla di tutto quello. - Se... se io fossi arrivato puntuale in classe non lo avrei interrotto e lui non avrebbe sparato. Forse non saresti nemmeno uscito dall'aula e ora non saresti qui con un buco sulla spalla. -
O'Connor scosse la testa e portò la mano ad accarezzargli la guancia con delicatezza. - Piangi, se hai bisogno di piangere, ma non pensare che sia colpa tua. Non è colpa tua. E poi mi resterà la cicatrice, le cicatrici fanno figo! -
Il ragazzo ridacchiò per la battuta e scosse piano la testa. - Scemo, - disse.
Giuda sorrise divertito e lo guardò ridere con aria sognante. Gli venne in mente della serata al karaoke e il suo sorriso divenne più dolce, il suo sguardo più languido. I loro occhi si incrociarono mentre accorciavano la distanza tra loro e le loro labbra si incontrarono in un dolce, tenero bacio. Sembrava che il tempo si fosse fermato per far sì che potessero godere a pieno del momento. Si allontanarono, le loro fronti si toccarono, sorridendo l'un l'altro. Si scambiarono un altro bacio, questa volta più profondo, più passionale.
- Ehm, ehm, - tossì Elvira entrando in camera.
I due, colti in flagranza, furono costretti a interrompere il bacio ma le loro mani erano ancora unite. La donna non sembrò sorpresa né sconvolta, anzi, sorrise e si avvicinò ai due. - Finn sta parlando con la dottoressa, a breve verrà anche lui. -
Elvira si sedette ai piedi del letto e guardò i due ragazzi con serietà. - Allora avevo ragione! -
Mamma... -
- Eh, mamma! - sbuffò la donna. - Perché eravate convinti di prendere in giro a me, e vabbè... -
- Ma ti pare il momento, ma'?! -
- Scherzi, vero? - domandò la donna inarcando un sopracciglio. - Io sapevo che prima o poi ti avrebbero mandato in ospedale, per questo ti avevo mandato a lezioni di Taekwondo... ma che ci finissi da adulto era inaspettato! -
Mamma... -
Eh, mamma! - si lamentò di nuovo Elvira. - Ma almeno abbi un po' di decenza, e che cazzo! -
Ethan cominciò a ridere, senza riuscire più a trattenersi. Le uniche parole che aveva imparato in italiano erano, appunto, "e che cazzo!". Le aveva imparate perché Giuda le diceva sempre come un mantra tra un'imprecazione e l'altra, erano proprio l'incipit, ma anche il prologo, di ogni maledizione.
- E tu non ridere! -
- Scusate, - disse Ethan alzando le mani in segno di resa.
- Vabbè, comunque. Sono certa che tu abbia il cuore nello zucchero, ma come ti senti? Ti fa male ancora la spalla? -
Giuda scosse leggermente la testa. - Sono troppo imbottito di antidolorifici per sentire dolore, - ammise.
- Comunque, la dottoressa ha detto che possiamo restare un altro poco ma che poi dobbiamo andare via tutti, - comunicò la donna e guardò Ethan. - Anche tu, hai capito? -
Ethan annuì mestamente. - Devo proprio? -
- Sì. Giuda deve riposare. -
Poco dopo, entrò anche Finn. Si avvicinò al figlio per abbracciarlo e dargli un bacio sulla testa.
- La dottoressa dice che ti terranno qui almeno una settimana. Noi resteremo a Newcastle nel frattempo... non ce la sentiamo di tornare a Tampa... -
- E come fate con il lavoro? -
- Al ristorante ci penseranno i miei collaboratori, - disse Elvira.
- E io posso lavorare da casa per un po', la casa editrice è molto flessibile sotto questo aspetto. -
- Preferiamo restare... non ce la sentiamo di lasciarti qui in queste condizioni! -
- Jack e Anne si sono messi davvero a disposizione! -
- ...Jack?! -
- Sì, papà è andato a Newcastle. È stato chiamato per quello che è successo a scuola, si è preoccupato e ha deciso di passare a dare un'occhiata... -
- Una persona veramente squisita, - commentò Finn.
- Lo hai... vi siete... conosciuti? -
- Sì, sì, ci siamo presentati, siamo subito entrati in sintonia! -
Elvira trattenne una risata soltanto immaginando quali potessero essere i pensieri del figlio in quel momento. - Non far surriscaldare la testa, Giuda! -

 

*

 

Giuda non riusciva a stare fermo nel suo letto d'ospedale. Il suo corpo stava recuperando tutte le energie e poteva dire di sentirsi meglio, tutto sommato. Sperava di poter uscire presto. Fortuna nelle sfortune, a causa delle indagini la scuola era rimasta chiusa e le lezioni erano state sospese per due settimane. Almeno non doveva giustificare la sua assenza in aula. Tutti i suoi studenti erano passati a trovarlo, a rotazione. Gli avevano portato fiori, cioccolato e anche dei personalissimi biglietti scritti a mano. Era stato molto dolce da parte loro. Anche Cockshold gli aveva scritto un biglietto. La cosa lo aveva sorpreso molto, ma gli aveva ridato speranza per il futuro. Si ripromise di andarlo a trovare quando sarebbe uscito dall'ospedale.
- Giuda, allora? -
Quando rivolse di nuovo la sua attenzione ai bambini, ne vide un gruppo riunito attorno al letto di Olivia, aspettando con impazienza che continuasse la storia che aveva iniziato a leggere loro.
- Siete tutti pronti per il prossimo capitolo? - chiese Giuda con il sorriso che gli si allargava sul viso mentre i bambini annuivano entusiasti.
Aprì il libro e iniziò a leggere ad alta voce, la sua voce dolce e gentile mentre dava vita ai personaggi. I bambini ascoltavano attentamente, con gli occhi spalancati dalla meraviglia mentre immaginavano il mondo fantastico che stava descrivendo. Quando il capitolo fu finito, i bambini applaudirono, i loro volti erano pieni di gratitudine e ammirazione per quell'uomo di buon cuore che stava portando loro tanta felicità.
- Ci leggi anche il prossimo? -
- Sì, cosa succede a Dorothy? -
- Riesce a sconfiggere la strega cattiva? -
Ethan, appoggiato contro lo stipite della porta, lo guardava con aria divertita. Incrociò le braccia e lo ascoltò leggere un altro capitolo de "Il mago di Oz". I bambini sembravano adorarlo. Come potevano non farlo? Lui era bravissimo. Si calava nei personaggi, recitava ogni battuta, rendeva l'esperienza di lettura un vero e proprio show d'intrattenimento.
Dorothy si sentiva imbarazzata: tutti la credevano una strega potente e lei invece sapeva bene di essere solo una bambina qualsiasi giunta in quello strano paese a causa di un ciclone... oh, ciao! - salutò Giuda notando solo in quel momento la presenza di Ethan.
- Proprio non riesci a non fare l'insegnante, vero? -
Giuda ridacchiò, chiuse il libro e scosse la testa. - Ma loro volevano sapere del viaggio di Dorothy, non è vero? -
- È vero! -
- Dai, Giuda, continua! -
- Più tardi, - rispose l'uomo. - Passo stasera, così leggiamo un capitolo prima di andare a dormire. Va bene? -
I bambini annuirono accettando a malincuore l'offerta dell'uomo e tornarono a giocare.
Giuda raggiunse Ethan e si avviarono verso la caffetteria.
- La dottoressa Mason ti ha detto di riposare. Tu non stai riposando. -
- Sto solo leggendo "Il mago di Oz" a quei bambini... -
- Dovresti stare a letto, magari leggere per fatti tuoi, dormire... queste cose qui! -
- Ma io mi diverto, - obiettò Giuda. - E poi loro mi ascoltano. -
Ethan gli fece una linguaccia. - Come va la spalla? -
- È un po' scomodo avere la fasciatura, ma tutto sommato non mi posso lamentare. Mi fa solo un po' schifo quando cambiano le medicazioni... -
Il ragazzo si fermò prima di raggiungere la caffetteria e sospirò.
- Ethan? -
- Mi dispiace. -
- Ancora con questa storia? -
Ethan annuì. - E poi... perché a breve sarà il tuo compleanno. Avevo avuto un'idea brillante, ma a causa mia forse trascorrerai qui il tuo compleanno! Non è giusto! -
- E che fa? Ho un pubblico di bambini che ascolta le storie che leggo, la posta dell'ospedale che praticamente lavora solo per me, non devo pensare a cosa cucinare e un'equipe dedicata ventiquattr'ore su ventiquattro. È come essere alla spa! -
Novotny non cambiò espressione sul volto, segno che ci era rimasto davvero male. Giuda, allora, provò con un approccio più serio.
- Ethan, davvero... so che è stato brutto. Io non posso sapere quello che hai provato tu, ma se è come quello che ho provato io... dovremmo solo essere felici di essere qui ora a parlarne. Non bisogna trovare sempre un colpevole. Io sto bene, e ogni giorno starò sempre meglio. Un giorno racconteremo di questo episodio a mia cugina Viola e lei risponderà con qualcosa del tipo "in America sono dei pazzi!", ne parleremo ai nostri nipoti e mi considereranno addirittura uno tosto, e la storia diventerà man mano sempre più epica. Forse ci scriverò addirittura un libro, ormai lo fanno tutti. Ma quello che importa davvero, e te lo dico con tutta l'onestà di cui sono capace, è che possiamo raccontarlo. Perché se ne parliamo vuol dire che siamo vivi. -
- Ai nostri nipoti? -
Giuda arrossì e spostò lo sguardo verso un bellissimo muro bianco d'ospedale. - Oh, ehm... -
Ethan sorrise divertito. - E dire che ti ho dovuto quasi costringere... -
- ...a fare cosa? -
- Steve l'aveva capito subito, sai? -
- Ma di che parli?! -
Quasi non ascoltasse le domande di Giuda, Ethan continuò il discorso che aveva iniziato. - Quando sei arrivato in classe il primo giorno e hai iniziato a rompere il cazzo come mai nessuno prima di quel momento, Steve mi ha detto: "secondo me gli piaci". E Steve non è uno molto perspicace. -
- Tu sei arrivato tardi! E ti sei messo a giocare a Candy Crush!!! Non è che stavo rompendo il cazzo per partito preso, eh! -
- Ammetterò che all'inizio mi volevo solo divertire... il piano era sedurti così, forse, avresti smesso di rompere! Però mi hai confuso. -
- ...ma che cazzo! -
- Sì, - disse il ragazzo con aria divertita. - Mi hai davvero confuso, pensa che per un po' ho creduto che tu non fossi gay, e che Steve si fosse sbagliato... cioè... non è che sarebbe stato uno shock, Steve dice un sacco di cagate. Però... sei stato tenero con me, sei stato gentile, e mi sono dovuto impegnare per farti capire che volevi stare con me. È stato un lavoro difficile! -
- Io non volevo stare con te, è capitato! -
Ethan fece un gesto con la mano come a sottolineare quanto fosse sciocco quello che Giuda aveva appena detto. - Racconteremo anche questo. -
- A chi diavolo vuoi raccontarlo?! -
- Ai nostri nipoti, - rispose Ethan con ovvietà. Infilò le mani in tasca ed entrò in caffetteria.
Giuda rimase immobile, perplesso e con un sorriso beato sul viso. Era davvero fortunato.

 

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Capitolo 24
*** XXIV ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
XXIV.
 

Anne e Michael erano nel mezzo di un'accesa discussione. Lei era furiosa con Michael perché aveva appena scoperto che suo fratello aveva una relazione con Giuda, e Michael lo sapeva da sempre ma glielo aveva tenuto nascosto per ovvie motivazioni.
- Come hai potuto non dirmelo? - esclamò Anne con la voce che si alzava per la rabbia mista allo shock.
- Non pensavo fosse compito mio dire qualcosa, - rispose Michael con tono calmo ma sulla difensiva.
- Non è compito tuo? È mio fratello! Come hai potuto tenere nascosta una cosa del genere? -
- Non volevo tradire la fiducia di Ethan. Si è confidato con me in terapia e non è compito mio condividere la sua vita personale con qualcun altro. -
- Ma sapevi quanto sia importante per me sapere della vita di mio fratello. Non posso credere che mi hai tenuto nascosto qualcosa del genere. -
- Mi dispiace, Anne. So che sei arrabbiata, ma questa era la cosa giusta da fare. -
Anne fece un respiro profondo, cercando di calmarsi. - Senti, capisco perché non volevi dirmelo, ma continuo a pensare che avresti dovuto. Sei mio amico e mi fido di te. Avrei voluto saperlo. -
Michael sospirò. - Lo capisco. Mi dispiace che tu ci sia rimasta male, Anne. Ma se tornassi indietro rifarei esattamente le stesse scelte. Il mio compito era educare Ethan nella gestione dell'espressione dei suoi sentimenti, non di divulgare al mondo le sue emozioni. -
Anne guardò Michael, la sua rabbia si stava dissipando. - In che senso "era"? -
- Anne, io... - Michael tentennò nella ricerca delle parole più giuste da dire. - Io credo di non poter più seguire Ethan. Mi dispiace. -
- Perché stai dicendo queste cose, ora? Se è per la nostra discussione, io... -
- No. No, Anne, non è per questa discussione. Potresti anche gridarmi addosso o mandarmi a fare in culo, ma ti ho già detto che rifarei esattamente le stesse cose. Sto dicendo che non posso più seguire Ethan perché sono troppo coinvolto. -
- In che senso? -
Michael dovette alzarsi in piedi e fare un paio di giri intorno al divano prima di parlare, la tensione nella stanza divenne palpabile. - Anne, c'è qualcos'altro che devo dirti, - disse con voce leggermente tremante.
- Cosa? -
- Sono innamorato di te, - confessò Michael guardandola diritto negli occhi.
Anne si sentì mancare il fiato in gola. Non aveva mai pensato a Michael in quel modo prima, certo, avvertiva un legame profondo ma... inevitabilmente, ripensò a Richard e alle volte in cui si era mostrato geloso di Michael. Forse aveva ragione.
- Non so cosa dire, - rispose Anne provando un misto di confusione e rabbia.
- Capisco se non ti senti allo stesso modo, - disse velocemente Michael. - Dovevo solo dirti come mi sento. Non ce la faccio più a tenermelo dentro. Ed è anche per questo che non posso più seguire tuo fratello. -
Anne fece un respiro profondo, cercando di riordinare i suoi sentimenti. - Michael, non ne avevo idea... ho sempre pensato a te come a un amico, come un fratello... -
- Va bene - disse Michael guardando a terra. - Capisco. -
- Ho bisogno di un po' di tempo per pensarci, ma non voglio perdere la nostra amicizia, qualunque cosa accada. -
- Certo, capisco. Ti darò tutto il tempo che ti serve. -

Anne non sapeva cosa riservasse il futuro a lei e Michael, ma sapeva che qualunque cosa fosse accaduta, la loro amicizia sarebbe sempre stata lì. Mentre i due amici sedevano in silenzio, il peso della confessione di Michael aleggiava nell'aria. Se ne accorse anche lui che decise di farsi forza e alzarsi. Si diresse verso la porta e, quando la raggiunse, si fermò e si voltò di nuovo verso Anne. - Voglio solo che tu sappia, qualunque cosa accada tra di noi, apprezzerò sempre la nostra amicizia, - disse Michael con sincerità. Detto questo, le rivolse un piccolo sorriso e lasciò la stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Anne rimase seduta lì ancora per qualche istante, persa nei suoi pensieri, prima di alzarsi e camminare per la stanza. Non sapeva cosa fare o come sentirsi. Non aveva mai pensato a Michael come a un fidanzato, ma d'altro canto il suo uomo ideale era proprio come Michael: buono, gentile, pronto all'ascolto, senza pregiudizi e con la battuta sempre pronta. Una parte di lei era elettrizzata all'idea mentre un'altra parte di lei era spaventata da ciò che avrebbe potuto significare per la loro amicizia.

- Ehi, Anne. Che c'è? Tutto bene? - domandò Elvira.
La signora O'Connor proprio non riusciva a stare lontana dai fornelli. Cucinare era la sua vita, la sua vera passione, ed era grata che fosse anche il suo lavoro. Non voleva di certo sovrastare Anne, ma era felice di poter cucinare per così tante persone. La ragazza fece un respiro profondo prima di parlare.
- Elvira, posso... posso parlarti di una cosa? -
- Certo, che succede? -
- Si tratta di Michael... -
- Il tuo amico? -
Anne annuì. - Mi ha detto che è innamorato di me, - disse Anne, le parole le uscirono in fretta.
Ci fu un momento di silenzio, poi Elvira scrollò le spalle. - Io credevo che voi due stesse insieme! - disse la donna. - Tu che cosa provi per lui? -
- Non lo so, - ammise Anne. - Una parte di me è entusiasta della possibilità di avere una relazione con lui, ma un'altra parte di me ha paura di ciò che potrebbe significare per la nostra amicizia... -
- È una situazione difficile in cui trovarsi. Ma penso che tu debba essere onesta con te stessa su come ti senti. Non sei costretta a ricambiare quello che prova lui. Perché non vai un po' di sopra a riposare? -
Anne annuì, confusa. - È solo che... stanno succedendo troppe cose insieme. Non so più che cosa fare, o cosa pensare... -
Elvira si asciugò le mani con un canovaccio e andò a sedersi di fronte alla ragazza. Le sorrise con dolcezza e le porse un fazzoletto per asciugare le lacrime che aveva cominciato a versare. - Hai ragione, Anne. Ultimamente la vita si è accanita su Newcastle pesante come un tornado, e tu sei proprio al centro. Questo è un periodo difficile per te, per Michael, per Ethan, per Giuda, per Tom, per Jack... per tutti. Ma sai cosa? Dopo il maltempo, il sole sorge comunque. Quando il vento si sarà placato, le cose importanti resteranno attorno a te. Prenditi il tuo tempo, non avere fretta. -
La ragazza si asciugò le lacrime e annuì ancora una volta. - Capisco perché Ethan si sia affezionato tanto a te... -
- Perché sono una vecchia chiacchierona? -
Anne ridacchiò. - Perché sei una persona buona. -

 

*

 

- Mi sembra davvero esagerato avere tre persone solo per riportarmi a casa! -
- Io l'ho detto a tua mamma di restare a casa, ma lei ha insistito... -
- Potevi restarci tu, a casa! -
- Ma che c'entra, è mio figlio! -
- Anche il mio! -
- Meno male che io sono la chauffeur, la mia presenza era inevitabile, - commentò Michael ridendo. Anche Giuda ridacchiò e si sistemò davanti, al posto passeggero. In realtà era contento che ci fossero entrambi i suoi genitori, oltre a Michael. Elvira chiuse il portabagagli dopo averci infilato dentro il borsone del figlio e poi entrò in auto.
- Siamo pronti? Prossima fermata... Newcastle! -
- Oh, comunque devo dire che mi mancheranno i bambini. Mi hanno anche scritto un bigliettino! Certo, è appiccicoso e pieno di glitter, ma sono stati dolcissimi! -
- I bambini sono meravigliosi. -
- Ma poi erano così curiosi e attenti, mi sono sentito utile! -
- Proprio uguale a quelli della scuola dove insegni... -
- Eh, proprio uguale... -
- Avresti dovuto fare il babysitter, - commentò Elvira. - Sarebbe stato un lavoro più sicuro! -
- Ma a me piace fare l'insegnante! -
Elvira borbottò qualcosa su quanto sarebbe stato più bravo e più sicuro fare il babysitter, senza il rischio che qualcuno gli sparasse un colpo. - Oppure dovevi fare la principessa chiusa nella torre più remota del castello... sì, forse quello... -
Per fortuna, Finn era più moderato. - Come va la spalla, figliolo? Ti fa ancora male? -
- Un po', ma credo sia normale. Almeno non ha fatto infezione. La vera scocciatura è poter usare solo un braccio! -
- Come ti capisco, - disse Michael. - Una volta mi sono rotto un braccio a un concerto. Per carità, concerto da paura, ma dopo non potevo neanche andare in bagno da solo. Che schifo. -
Giuda rise. - Io al massimo ho dovuto portare le stampelle. -
- Non mi ci far ricordare, - si lamentò Elvira, - che se ci penso avverto ancora la necessità di picchiarti! -
- Elvira, amore, lascialo stare! -
- Fosse per te, lo dovrei lasciar stare sempre! Tanto, al massimo, lo ritroviamo morto da qualche parte! -
Giuda roteò gli occhi e si rivolse a Michael. - Capisci che è illogico che io sia più o meno sano di mente? -
Michael ridacchiò di gusto, perché l'unica cosa che capiva era l'amore che legava gli O'Connor. Era evidente che Giuda fosse stato cresciuto circondato dall'affetto dei genitori e in un nucleo familiare protettivo e accogliente. - Anche i miei sono così... non sei solo, amico! -

Il viaggio durò poco più di un'ora. Michael parcheggiò nel dialetto di casa Novotny e scese dall'auto stiracchiando le braccia. Lo emularono tutti. Giuda respirò l'aria fresca e pulita a pieni polmoni. Era da quasi dieci giorni che non usciva all'aperto e gli faceva piacere poter sentire il freddo sulla pelle. Forse si stava adattando bene al luogo. Recuperò il borsone dal portabagagli ma Finn glielo tolse dalle mani. - Non devi fare sforzi! - lo ammonì l'uomo.
- Ma sto bene! - si lamentò Giuda. A dire il vero era un po' dispiaciuto di non aver visto Ethan, ma sapeva che le cose ora sarebbero tornate a essere difficili. Fece per andare verso casa, ma Michael lo fermò.
- Dove credi di andare? -
- Ehm... a casa? -
- No. No! Tu non vai a casa. Ordini dall'alto. -
- ...dall'alto? -
- I Novotny comandano, io obbedisco, - sancì Michael.
Giuda sembrò perplesso ma sapeva che era impossibile contraddire un Novotny. Quando entrarono in casa notarono con sorpresa che era vuota. Finn lasciò borsa e cappotti all'ingresso e poi aiutò il figlio a liberarsi del giubbotto. Tutta quella calma era innaturale e sospetta. Michael, però, appariva tranquillo e così erano anche i coniugi O'Connor.
- Ti va qualcosa da bere? - domandò Cromwell. Si comportava come se quella fosse casa sua. Forse un po' lo era, dato che aveva vissuto lì ai primi anni del liceo. Giuda annuì in risposta e lo seguì in cucina.

- SORPRESA! -

Meravigliato, Giuda spalancò gli occhi: nella cucina di casa Novotny c'erano proprio tutti... Anne, Jack, Richard, Steve, Lisa, Robert, Mayli ed Ethan. Non riusciva a credere che i suoi amici si fossero dati tanto da fare per organizzargli una festa a sorpresa. Era davvero stupito. Mentre lo abbracciavano e gli facevano gli auguri, Giuda provava un senso di calore e gratitudine. La stanza era decorata con festoni e coriandoli colorati mentre la torta era un vero e proprio capolavoro. Elvira si era data da fare e aveva preparato la torta preferita dal figlio: al cioccolato e liquore Strega. Era un chiaro segno che fosse tutto già stato premeditato, perché quelli non erano articoli che si riuscivano a trovare al supermercato con facilità.
Fu una festa molto divertente. Jack e Finn si erano sfidati a un torneo di beer pong e dopo avevano finito con l'accasciarsi sul divano in preda ai postumi di una sbornia. Durante la serata, Lisa, Anne ed Elvira si erano alternate nella scelta della musica che variava da Britney Spears a Massimo Ranieri passando per i Queen, cosa che aveva fatto sorridere molto il festeggiato. Steve, Lisa, Robert, Mayli ed Ethan avevano iniziato una lunga partita a Monopoli (il loro gioco preferito), mentre Michael, Giuda, Anne e Richard stavano giocando una tortuosa partita al Cluedo.
- Allora, - annunciò Michael. - Io accuso! È stato il professor Plum, nello studio, con la rivoltella! -
- NO! - sbuffò Giuda, che doveva davvero aver trovato la soluzione, ma che vide i suoi piani andare in fumo dopo la mossa di Michael. La sua pedina, quella del professor Plum, era stata spostata nello studio, ossia sulla parte opposta del tabellone. Non avrebbe avuto la possibilità di arrivare per primo nella stanza giusta. - Io credevo tu fossi mio amico! - si lamentò poi con fare melodrammatico.
Michael lo ignorò e aprì la busta con la soluzione. Aveva sbagliato, ma questo lo sapeva già. - Ops, - finse una delusione e ripose tutto al centro del tabellone.
Giuda tirò i dadi, ma il numero di caselle non erano sufficienti a raggiungere la veranda. Sbuffò e passò il turno ad Anne. - Accuso io, - disse lei felice. - È stato il Reverendo Green, nella veranda, con il candelabro! -
Giuda, in uno slancio di sportività, lanciò le carte sul tavolo. Aveva avuto la vittoria a un passo, ma Michael gliel'aveva soffiata proprio da sotto al naso. Quando Anne aprì la busta notò che la soluzione fosse corretta ed esultò quando si scoprì vincitrice.
- Sei proprio un infame, - commentò Richard. - Cioè, è pure il suo compleanno! -
- Ma io non ho fatto niente, che volete? -
- Eh, c'ha preso per scemi! -
Giuda sbuffò ancora perché doveva, ahimè, dar ragione a Richard. Era strano che gli fosse improvvisamente simpatico? Da quando si era lasciato con Anne lo aveva incrociato poche volte, perlopiù al pub, ma ci aveva parlato solo al Friday Night Karaoke e si era fatto anche due risate. Chissà come mai ora lo stava difendendo. Forse non era così cattivo come pensava, forse lo aveva conosciuto in un periodo di burn out. Era comunque felice che lui e Anne si fossero lasciati, visto che era chiaro come il sole che non erano fatti per stare insieme, ma gli faceva piacere poter conoscere quella nuova versione di Richard. Somigliava molto di più a Steve, così. Comunque, sia Richard che Giuda sapevano come mai Michael aveva fatto quella giocata: aveva tolto la vittoria a O'Connor solo per dar modo ad Anne di vincere la partita.
- Io proprio non capisco a cosa vi riferiate, - obiettò Michael con fare da gnorri.
- Io vado a fumare. Come dice sempre zio Gino, "questa è un'offesa che va lavata con il vino d'annata!" -
- Ma se neanche ti piace davvero, il vino! -
- Che vergogna, - commentò Elvira. - Ti dovrebbero togliere il passaporto. Non te lo meriti! -
- Mamma, potresti essere dalla mia parte, per una volta? -
Elvira scosse la testa e poi prese il posto del figlio al tavolo. - Dai, vorrei giocare anche io. Posso essere la signora White? -

Giuda uscì fuori in giardino e accese una sigaretta. Ci aveva messo qualche attimo in più, ma era riuscito a farcela. Per fortuna, Tom gli aveva sparato alla spalla sinistra, il che lasciava il lato destro in piena mobilità. Riuscì a fare un paio di tiri in pace. L'ultima volta che aveva fumato su quel patio, Ethan lo aveva seguito e gli aveva esposto la teoria secondo la quale loro due dovevano mettersi insieme. A conti fatti, non era passato troppo tempo, ma con tutto quello che era successo sembrava essere trascorsa un'eternità. Non ricordava nemmeno com'era non stare con Ethan. Il ragazzo era stato lungimirante mentre lui solo cieco. Forse aveva ragione sua madre quando gli diceva di aprire gli occhi e di staccarli dalle pagine dei libri su cui ce li aveva incollati.
- Giuda O'Connor... -
Il festeggiato sobbalzò e si voltò verso la persona che l'aveva chiamato. Fu sorpreso che fosse Jack; lo ricordava abbacchiato sul divano insieme a suo padre.
- Signor Novotny, - salutò.
- Tuo padre è una forza della natura, lo adoro. -
Giuda rise ma poi tossì per il fumo che gli era andato di traverso. - Mi era parso che eravate entrati subito in sintonia! -
- In questi giorni abbiamo capito di aver tanto in comune. Non avevo mai incontrato una persona come lui. -
- È un rubacuori, che possiamo farci? -
Jack sorrise e fece un sorso dal bicchiere d'acqua che aveva tra le mani. - Anche tu te la cavi piuttosto bene a rubare cuori, eh! -
"Ci siamo," pensò. Era arrivato il momento del "discorsetto"... se lo sarebbe dovuto aspettare, anche se sperava di avere più tempo per prepararsi. - In che senso? -
- So che in ospedale un esercito di bambini ha fondato un fan club per te... -
Giuda scoppiò a ridere e annuì. Forse aveva pensato male. - Ma quello è il fascino della letteratura, mica il mio! -
- Eh, per i bambini forse sì, ma sicuro non per Ethan: lui la letteratura la odia. -
O'Connor cercò di non farsi prendere dal panico, cosa che durante gli ultimi giorni era capitata molto spesso. Fece un altro tiro per riprendere fiato e poi si rivolse all'uomo. - Quello è stato un caso... -
Jack assunse un'espressione pensierosa, poi scrollò le spalle. - Non so cos'è che provi davvero per lui, ma... voglio dire, mi rendo conto che Ethan possa essere un po' petulante, ma mi auguro che tu abbia l'accortezza di trattarlo con i guanti. -
Giuda socchiuse gli occhi, respirò l'ultima boccata dalla sigaretta e la spense infine nel posacenere lì accanto. Ripensò all'incontro con Tom, alla sicurezza che aveva prima che l'incolumità di Ethan fosse messa in discussione. Quando Cockshold lo aveva minacciato, il primo istinto di Giuda era stato di proteggere Ethan, e non lo aveva fatto soltanto perché era innocente o perché era un suo alunno. Lo aveva fatto perché era lui. E la paura che gli potesse essere fatto del male gli aveva dato la forza di alzarsi, raggiungere Tom e supplicarlo di non fare del male a Ethan. Solo quando Cockshold aveva ceduto alle sue richieste si era concesso il lusso di svenire.
- Non mi permetterei mai di fargli del male, - disse soltanto. Sapeva che l'uomo era il padre, ma non credeva di dovergli delle spiegazioni.
- Bene, - rispose Jack. - Volevo accertarmi di questo. E delle tue intenzioni. Tra voi due c'è una bella differenza d'età. Non è tantissima, ma abbastanza da essere in due fasi della vita diverse... -
- Mi sta chiedendo se ho intenzione di intralciare i piani di Ethan? -
- Più o meno, sì. -
- Signor Novotny, io mi sento offeso, - ammise Giuda. - Lei sa qual è il mio lavoro, giusto? Non potrei mai, mai, ostacolare il percorso accademico e professionale di una persona. Figuriamoci se questa persona è Ethan. -
Jack sembrò soddisfatto dalla risposta. Un po' gli dispiacque che Giuda fosse risentito, ma era certo che un giorno avrebbe potuto capire che preoccuparsi per un figlio è una delle task più impegnative di un padre. - E comunque, ti ringrazio. -
- A me? -
Jack annuì. - Ethan, Anne, Michael, ma anche il preside Snyder... mi hanno detto che è merito tuo se Ethan è incolume. È il secondo Novotny che proteggi. -
- Francamente, signor Novotny, spero non capitino più cose del genere. Alla prossima non so se potrei sopravvivere. -
L'uomo rise, non poteva dargli torto. Non doveva essere stato piacevole per lui. Fece per dire qualche altra cosa ma fu interrotto dall'arrivo del figlio.

- Giuda? Giu... ah, papà. -
Il ragazzo guardò i due come a volerli scrutare. - Va tutto bene? - domandò poi.
- Certo, figliolo! Come mai qui fuori? -
- Ho vinto al Monopoli e mi hanno cacciato dal tavolo. -
- E ci credo, non si può proprio giocare con te al Monopoli! -
- Ma se voi non sapete giocare non è colpa mia! -
- Io ho perso anche a Cluedo, - sbuffò Giuda. Gli bruciava ancora un po'.
- Non sei un bravo stratega, Giuda, dovresti lasciar fare ai professionisti. -
- Ecco qua, abbiamo Seneca Crane! -
- ...chi? -
- Andiamo, Ethan, almeno il fantasy, e che cazzo! Ci hanno fatto pure il film... Hunger Games... ti dice qualcosa? -
- No, non l'ho visto, è troppo mainstream. -
Giuda sollevò lo sguardo al cielo come a voler chiedere clemenza mentre Jack sembrava divertito dalla scenetta. - Vabbè, dai, vado a svegliare Finn. Magari ci facciamo un'altra partita. -
- Sì, pa', ma scegliete un gioco non alcolico. Alla vostra età potreste avere problemi col fegato. -
- Ma guarda tu, - lo riprese il genitore. - Ma come ti permetti? Pensa un po' a te, va! -
- Ma è vero! - obiettò Ethan ridendo. - Non sei più un giovincello. -
- Sarà meglio che vada prima che dica qualcosa di cui mi possa pentire, - borbottò Jack tornando dentro.
Il giovane Novotny, poi, si rivolse all'altro. - Scusa se non sono venuto anche io a prenderti in ospedale. È che mi serviva tempo per metterli in riga! -
Giuda sorrise con aria dolce. - Non devi scusarti per ogni cosa, Ethan. È tutto bellissimo. -
Ethan era felice: si era impegnato molto per cercare di rendere il compleanno di Giuda un giorno speciale. Certo, aveva dovuto modificare leggermente il piano iniziale, ma come poteva sapere che Giuda sarebbe finito in ospedale? Insomma,
gli imprevisti capitano. - Come ti senti? -

O'Connor allungò una mano per intrecciarla con quella del ragazzo e gli rivolse l'ennesimo sorriso gentile. - Ora va meglio. -
Ethan osservò le loro mani incrociate e provò un senso di benessere generale. Sorrise ancora e gli si avvicinò di qualche passo. - Che voleva mio padre? -
- Accertarsi che io tratti bene suo figlio, - ammise Giuda. Non c'era nulla di male, dopotutto. - E dirmi che ho un padre favoloso. Solo a me preoccupa questa cosa? -
- Perché tu non li hai visti insieme in questi giorni. Si sono anche organizzati per andare insieme a Belfast un weekend. Hanno anche prenotato il volo. -
- ...cosa?! - Giuda sgranò gli occhi. - E com'è successa questa cosa?! -
- E che ne so io... forse è una questione di geni... -
- In che senso? -
- Che i miei geni sono attratti dai tuoi, - rispose Ethan con sincerità.
Ethan e Giuda erano ormai vicini, i loro occhi persi in uno sguardo profondo. Ci fu un momento di silenzio mentre entrambi assorbivano il peso dei sentimenti che l'uno provava per l'altro. Alla fine, Ethan si chinò e premette dolcemente le sue labbra contro quelle di Giuda. Fu un bacio gentile, ma appassionato, pieno di tutto l'amore e la tenerezza che avevano tenuto imbottigliato dentro. Quando le loro labbra si staccarono, continuarono a tenere le mani intrecciate.
- Volevo baciarti da quando sei arrivato. Darti un bacio è come tornare a casa, - disse Ethan che sfiorò le labbra di Giuda con le dita.

Il cuore di Giuda sussultò a quelle parole, un sorriso si allargò sul suo volto. Si scambiarono un altro bacio, e poi ancora un altro, e un altro ancora. Mentre stavano lì, persi nel momento, nient'altro al mondo aveva importanza. Finalmente erano insieme e niente avrebbe mai più potuto separarli.

 

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Capitolo 25
*** XXV ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
XXV.
 

Richard era seduto su una panchina durante la pausa proprio sotto al patio. Cercava di riprendersi un po' dal turno, ma anche di smetterla di pensare al lavoro. Avrebbe fatto volentieri una passeggiata, ma pioveva e non aveva voglia di bagnarsi le scarpe. A dire il vero, la sua mente era occupata dalla preoccupazione. Michael era uscito con alcuni suoi amici, erano all'Anne's bar, ma avevano alzato un po' troppo il gomito. Gli amici di Cromwell erano poi andati via e lo avevano lasciato nel locale. Richard l'aveva trovato steso in bagno, non proprio conscio di sé. Sembrava molto ubriaco e incapace di alzarsi correttamente. Inizialmente, Richard aveva pensato di accompagnarlo a casa, ma il suo turno sarebbe finito davvero tardi. Allora aveva pensato di chiedere ad Anne, ma dopo tutto quello che era successo le dispiaceva farle raggiungere il bar nel suo giorno di pausa. Lei ne aveva passate già tante a causa sua e non voleva gettare altra benzina sul fuoco. Così, non rimaneva altro da fare che chiamare Giuda e chiedere il suo aiuto per portare Michael a casa sano e salvo. Tirò fuori dalla tasca il cellulare e compose il numero di O'Connor.
- Ehi, Giuda, sono Richard, - disse appena Giuda alzò la cornetta. - Ascolta, ho bisogno del tuo aiuto. Michael è davvero ubriaco, non riesce nemmeno a stare in piedi... -
Giuda rimase in silenzio per un momento, e Richard poteva sentire la preoccupazione nella voce dell'amico.
- Sta bene? Gli è successo qualcosa? - chiese Giuda.
- A stare bene, sta bene, è solo molto, molto, ma molto ubriaco. Vorrei solo assicurarmi che torni a casa sano e salvo, e so che sei la persona migliore da contattare in questo momento. -
Giuda agganciò e si mise a sedere al centro del letto. Guardò Ethan che dormiva beato e sorrise innamorato. Da quando era finito in ospedale, Ethan non riusciva a staccarsi da lui, e avevano finito con il dormire insieme tutte le notti. Inoltre, l'atteggiamento di Ethan era cambiato anche a scuola: arrivava sempre per primo, andava via sempre per ultimo e, sebbene continuasse a non seguire le lezioni, non disturbava né interrompeva con domande inopportune. All'inizio, Giuda aveva pensato che fosse ancora perché si sentiva ancora in colpa senza motivo, ma poi aveva capito che capitava perché aveva paura che potesse succedere di nuovo. L'inusuale atteggiamento di Ethan, dunque, era un atteggiamento protettivo, non invasivo, che a O'Connor piaceva molto. Dopo aver chiuso la telefonata con Richard, Giuda sapeva di dover uscire e andare a recuperare Michael. Non avrebbe voluto svegliare Ethan, ma sapeva che se il ragazzo si fosse alzato senza trovarlo lì accanto si sarebbe spaventato e avrebbe allertato ogni autorità possibile. Per evitare un disastro nazionale, gli si avvicinò e gli accarezzò la testa con dolcezza.
- Ethan, - sussurrò. - Devo andare via un momento. -
Con gli occhi ancora chiusi, il ragazzo rispose con voce ancora provata dal sonno. - Giuda? Ti senti bene? -
- Sì, non ti preoccupare. Volevo solo dirti che devo uscire un attimo. -
Il ragazzo spalancò gli occhi di botto. - Dove vai? È successo qualcosa? -
- No, no, stai tranquillo. Si tratta di Michael. Richard mi ha chiamato, mi ha detto che è ubriaco al bar... -
- Ah, - borbottò Ethan. Si mise a sedere anche lui al centro del letto e si stropicciò gli occhi. - Vengo con te. -
- No, no, vado da solo! -
- Ma tu non sai guidare! -
- Certo che so guidare! -
- Giuda, - lo ammonì Ethan. - Ti ho visto al volante lungo la strada. -
- Starò attento, - promise Giuda. - Ma credo che Michael abbia bisogno di un amico. -
Il ragazzo rifletté sulla frase dell'altro, avrebbe voluto obiettare ma capì che si trattasse di una situazione delicata. Aveva intuito che era accaduto qualcosa tra Michael e Anne, ed era per quello che Michael passava sempre più di rado. E poi non era da lui ubriacarsi in un bar. Sì, forse Michael aveva bisogno di un amico. - Va bene. Però avvisami quando sei arrivato al bar. -
- Lo farò. -

Giuda percorreva una via innevata e il cuore gli batteva forte per la paura. La strada era insidiosa e scivolosa, e doveva concentrarsi molto per mantenere la macchina in carreggiata. Ethan aveva ragione: lui non sapeva guidare. O meglio, aveva dimestichezza al volante solo sulle strade ben asfaltate e soleggiate. Non era mai stato un pilota e l'aspetto ghiacciato della strada lo rendeva ancora più nervoso. Mentre guidava, la mente di Giuda vagava fino a raggiungere pensieri su tutto quello che poteva andare storto. E se avesse perso il controllo dell'auto? E se fosse rimasto bloccato in un cumulo di neve? E se fosse scivolato fuori strada? Sapeva che doveva rimanere concentrato e mantenere la lucidità se voleva arrivare a destinazione sano e salvo. Forse Richard non aveva fatto la scelta giusta nel chiamare proprio lui. Nonostante la paura, Giuda andò avanti. Prendeva ogni curva con attenzione, azionava i freni con delicatezza e manteneva bassa la velocità. Dopo quella che gli era sembrata un'eternità, Giuda giunse finalmente a destinazione. Entrò nel parcheggio e tirò un sospiro di sollievo. Ce l'aveva fatta! Guardò il paesaggio innevato e, sebbene fosse ancora un po' spaventato, provò anche un senso di orgoglio. Scese dall'auto e si incamminò verso l'ingresso del bar, ma solo dopo aver scritto un messaggio a Ethan.
«Ce l'ho fatta!»
«Stavo iniziando a chiamare il 911.»
«Ci ho impiegato troppo tempo?»
«No, ma ero preoccupato lo stesso. Però sei stato bravo.»
Giuda sorrise e ripose il cellulare in tasca. Ora doveva andare a salvare un amico. Prima di spingere la porta del pub, l'uomo fece un respiro profondo. Una volta dentro, fu investito da un'ondata di calore e di rumore; si guardò intorno per un momento, scrutando la folla finché non vide il suo amico Michael seduto al bar. Si fece strada schivando gli altri clienti e diede una pacca sulla schiena all'uomo.
- Ehi amico, come va? -
Michael alzò lo sguardo, era un po' annebbiato. - Giuda! Ehi amico, che piacere vederti, - farfugliò. Faticava a pronunciare le parole correttamente. - Vuoi un cicchetto? Ti offro un cicchetto, qualcuno porti un cicchetto al mio amico Giuda! -
Giuda scosse la testa. - No, nessun cicchetto! Tu ne hai bevuti già troppi, immagino! -
Michael ridacchiò. - Sì, forse un po' di più di quanto avrei dovuto. -
- Lo so. Ma non c'è problema, ti do un passaggio a casa. -
Michael sorrise con aria da marpione. - Grazie, Giuda. Lo apprezzo. -
- Tutto bene? - domandò Richard sbucando da dietro al bancone.
- Richard! - chiamò Michael. Fece per afferrarlo per il bavero ma riuscì solo a chiudere i pugni in aria. Giuda provò a fermarlo e finì con il ritrovarsi ad abbracciarlo. - Lasciami stare! È colpa sua! -
- Michael, sarà meglio andare, - commentò Giuda. - Scusalo, è ubriaco, non sa di che parla. -
- Vuoi che ti dia una mano a caricarlo in auto? -
- No, no, ci penso io, ma grazie. -
Richard lo accompagnò comunque fino all'auto, aiutandolo con la porta d'ingresso e portando il soprabito di Cromwell. Una volta vicini alla vettura, Giuda aiutò Michael a sedersi sul sedile del passeggero e gli allacciò anche la cintura di sicurezza prima di chiudere lo sportello.
- Lo conosco da una vita, non l'ho mai visto così, - ammise Richard.
- Sta passando un periodo difficile... - cercò di giustificarlo l'amico. - È umano anche lui, dietro la sua professione. È normale. -
- Mi auguro si riprenda. Se c'è qualcosa che posso fare, dimmelo. -
- Non ti preoccupare, anzi, grazie per avermi chiamato. -
Giuda e Richard si salutarono, poi O'Connor andò a sedersi dal lato guidatore e mise in moto. Il rapporto tra Richard e Michael era proprio strano; si conoscevano da sempre, eppure era come se non sapessero nulla l'uno dell'altro. Forse il collante, colei che li aveva tenuti insieme, era stata Anne. Anne... che colpo doveva essere stato per Michael. Dopo tutto quello che era successo a sua sorella, l'incidente a scuola, lo stress, la paura, anche una delusione amorosa. Era troppo da sostenere, troppo per una persona sola, per quanto forte questa persona possa essere. E quanto doveva essersi sentito solo Michael per andare al pub e bere fino a ubriacarsi?

Il viaggio fu tranquillo, con Michael che si appisolava non appena entrarono in strada. Giuda teneva gli occhi piantati sulla strada, assicurandosi di guidare con prudenza mentre percorreva le strade buie e innevate. Quando arrivarono di fronte casa Cromwell, Giuda spense l'auto. Aiutò Michael a scendere dalla vettura e lo accompagnò alla porta.
- Grazie per il passaggio, amico, - mormorò Michael oscillando.
- Nessun problema. Dormi un po', e scrivimi quando ti svegli. -
Michael annuì, poi si fiondò tra le braccia di Giuda e cominciò a piangere. Sorpreso da quella che era una reazione del tutto inaspettata, Giuda ricambiò l'abbraccio. Restarono in quella posizione per qualche minuto, al freddo, fino a quando Michael non lo liberò. Tirò su col naso e poi infilò le mani in tasca. - Ero uscito con degli amici... amici... sì... e poi mi sono trovato da solo. -
- Non importa, Michael, a volte capita. L'importante è che ora tu sia a casa sano e salvo. -
Cromwell annuì. - Chi è che lascia un amico al bar? A bere da solo? -
- Non saprei... -
- Bah, - borbottò Michael. - Ormai mi lasciano tutti da solo. -
- Ma non è vero, e lo sai! Richard era preoccupato, io sono corso subito... e poi anche Anne, lei... -
- Lei non mi vuole, - si lamentò l'uomo. Si sedette sui gradini innevati con un tonfo. Il freddo non sembrava scalfirlo, complice forse l'effetto dell'alcol che aveva in corpo.
- Te lo ha detto lei? -
- Mi ha detto che... che la nostra amicizia è troppo importante. - Michael afferrò un cumulo di neve che prese poi la forma di una palla. Arrabbiato, la lanciò via. - E poi non mi ha parlato più. - Cromwell tirò su con il naso, era chiaro quanto fosse abbattuto.
Giuda gli si avvicinò e si accovacciò di fronte a lui. Gli dispiaceva vedere l'amico in quelle condizioni. Poggiò una mano sul suo ginocchio e lo guardò diritto negli occhi, come a volergli comunicare che lui c'era, ci sarebbe stato. Non avrebbe avuto senso addentrarsi in discorsi che l'altro non avrebbe potuto sostenere, date le sue condizioni.
- Grazie Giuda, - disse Michael, quasi capendo. Forse la parte sobria di lui, nascosta in un angolo remoto del suo cervello, aveva potuto percepire il messaggio non detto.
- Ma va, grazie di cosa? - rispose l'amico. Si rimise in piedi e aiutò Michael a fare lo stesso. - Ora però vai dentro e mettiti a letto, che qui fuori si gela! -
Michael annuì e fece qualche passo verso la porta, poi si voltò verso Giuda che era ancora lì. Rise, perché trovava divertente un pensiero che gli era appena passato nel cervello, e si avvicinò all'amico ancora una volta. E lo baciò. Fu un bacio rapido, a stampo, e rubato. Michael continuò a ridere e sparì dietro la porta di casa, lasciando Giuda sconvolto.

Giuda non poteva proprio smettere di pensarci. Aveva fumato almeno quattro sigarette mentre tornava a casa e, una volta giunto nel vialetto, ne fumò un'altra. Continuava a sentirsi in agitazione, allora recuperò il pacchetto di sigarette per prenderne ancora un'altra ma lo trovò vuoto. Scavò nelle tasche del cappotto ma trovò solo uno spino mezzo fumato; scrollò le spalle e lo accese, certo che quello lo avrebbe calmato. Dopo i primi due tiri, già iniziava a sentirsi meglio. Lo fumò tutto e poi, una volta spento sotto la suola delle scarpe, entrò in casa e salì in camera sua quanto più silenziosamente possibile. Entrò barcollando, la sua mente era annebbiata e si sentiva il corpo pesante: gli effetti della canna che aveva appena fumato iniziavano a farsi sentire.
- Tutto bene? -
Ethan era sveglio. Con ogni probabilità, non era proprio tornato a dormire.
- Sì, tutto bene, - rispose Giuda. Si grattò gli occhi da sotto le lenti e trattenne uno sbadiglio. Ancora soprappensiero, cominciò a togliersi i vestiti con l'intento di infilarsi a letto quanto prima. Mentre si sdraiava sul letto, poteva sentire il mondo girare intorno a lui. Chiuse gli occhi, cercando di ritrovare l'equilibrio, ma fu inutile.
- Sembri un po' strano, - osservò Ethan. - Sei sicuro di stare bene? È successo qualcosa? -
O'Connor spalancò gli occhi, ma vedeva tutto sfocato intorno a sé. Cercò di concentrarsi con l'intento di rispondere al ragazzo, ma i suoi pensieri erano confusi e non riusciva a dare un senso a niente.
- Giuda? -
L'uomo rimase lì per quelle che sembrarono ore, la sua mente vagabondava alla ricerca delle parole più giuste da usare, tra pensieri casuali e ricordi d'infanzia, ma in realtà erano trascorsi a malapena cinque minuti.
- Oh? Giuda?!
- Non è successo niente, ma... Michael mi ha baciato. -
- Cosa?! -
- Era ubriaco! -
- E questo che significa?! Lo ha fatto perché gli piacciono le rosse! -
- Ma io non sono una rossa! -
- È uguale! -
- No, Ethan, non è uguale. Michael è etero. -
- Chi lo dice che non ha cambiato idea? A volte capita, dopo le delusioni d'amore. -
- Ma che... - Giuda sbuffò. Iniziava a sentirsi sempre più rilassato, avrebbe voluto soltanto dormire. - Anche se avesse deciso di riscoprirsi omosessuale, opzione che secondo me non vale nemmeno la pena prendere in considerazione, non vedo come questo dovrebbe... -
- Senti, non è il momento di provare a raggirarmi con la tua dialettica, O'Connor! - obiettò Ethan accigliato. Incrociò anche le braccia per sottolineare il concetto. - Hai baciato un altro! -
- No, Vostro Onore, mi oppongo! Io sono innocente! - esclamò Giuda, nemmeno fosse a un processo. - Io non ho baciato proprio nessuno, a parte te. È stato lui a darmi un bacio. Ma era un bacio a stampo, non consensuale, tra l'altro! -
- Ti piace Michael? -
Ma che cazzo, Ethan, no! No! - Giuda respirò profondamente e poi chiuse gli occhi. Voleva davvero dormire. - Ethan. -
- Giuda. -
Giuda passò la mano tra i capelli di Ethan, poi lo tirò a sé e lo baciò sulle labbra con dolcezza. All'inizio Ethan avrebbe voluto obiettare, ma il sapore della bocca di Giuda era troppo attraente per non farsi sedurre. Il ragazzo sorrise e lo attirò a sé, sentendo il calore del corpo di Giuda contro il suo.
- Così non vale, - si lamentò Ethan contro le labbra dell'altro. - Questa è corruzione bella e buona... -
O'Connor annuì con convinzione. - Era il mio intento! -
Ethan mugolò qualcosa fingendosi contrariato, ma in verità non aveva nulla da obiettare: ok, forse era un po' ingelosito dal presunto bacio di Michael, ma non avrebbe mai messo in dubbio la lealtà del partner. Quando le loro labbra si staccarono, Giuda ne approfittò per abbracciare il ragazzo e chiuse gli occhi.
- A te non piace Michael, vero? -
Giuda scosse la testa. - Ethan, amo solo te, lo sai, - borbottò in italiano. Ormai l'effetto della marijuana era arrivato all'apice del suo potere, ed era difficile per lui restare sveglio. Ethan non capì la frase, doveva essere quell'idioma segreto che lui voleva imparare, ma immaginò fosse qualcosa di molto tenero dal tono con cui l'aveva pronunciata. Si sistemò meglio contro il corpo dell'altro, lo coprì con il duvet e poi sorrise rincuorato.
Si addormentarono pochi minuti dopo, avvolti in un abbraccio.

 

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Capitolo 26
*** XXVI ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


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Le parole sono giuda


 
XXVI.
 

L'indomani, Michael si svegliò con un mal di testa martellante e la bocca secca, il suo intero corpo si sentiva a pezzi, come se fosse stato investito da un camion in autostrada. Gli ci vollero alcuni istanti per ricordare dov'era e capire come ci fosse arrivato. Quando la nebbia della sbornia cominciò a diradarsi, si guardò intorno e si rese conto di essere nel suo letto, a casa. Gemette e seppellì la faccia nel cuscino, cercando di bloccare l'intenso dolore alla testa. Ricordava di aver bevuto troppo la sera prima, ma non riusciva a ricordare tutti i dettagli. Era come se la sua memoria stesse giocando un gioco crudele con lui, stuzzicandolo con scorci di quello che era successo, ma senza dargli abbastanza indizi per ricostruire tutto. Michael si trascinò fuori dal letto e barcollò verso il bagno, sussultando quando la luce brillante assalì i suoi occhi. Si guardò allo specchio e indietreggiò al suo riflesso: i suoi occhi erano iniettati di sangue, la sua pelle era giallastra e i suoi capelli erano un disastro. Se voleva trovare un aspetto positivo della faccenda, e lui ne aveva bisogno, pensò che almeno non puzzava di vomito. Si spruzzò dell'acqua fredda sul viso e cercò di concentrarsi sul presente. Sapeva che doveva prendersi cura di se stesso, anche se ogni fibra del suo essere gli stava urlando di tornare a letto e dormire per liberarsi dai postumi. Doveva essersi ridotto proprio male la sera prima. Che pena.
Michael si diresse lentamente verso la cucina con la testa che ancora gli pulsava. Tirò fuori un bicchiere e lo riempì d'acqua, ingoiandola avidamente. Sapeva di aver bisogno di idratarsi per sentirsi meglio, ma l'acqua aveva ora un sapore piatto e insoddisfacente. Si sedette al tavolo e cercò di ricordare cosa era successo la sera prima: ricordava di essere uscito con i suoi amici, di aver riso e bevuto, ma dopo un certo punto tutto era diventato confuso. Sapeva di aver preso delle decisioni sbagliate, di aver detto e fatto alcune cose che non avrebbe dovuto, ma non riusciva a ricordare bene i dettagli. Mentre sedeva al tavolo fu colpito da un improvviso lampo di memoria. Si ricordò di aver baciato Giuda, il migliore amico che poteva avere al momento, e il suo cuore sprofondò nella vergogna più assoluta. Sentì un'ondata di colpa travolgerlo mentre si rendeva conto di aver avuto degli atteggiamenti inappropriati. Sapeva che doveva scusarsi e sistemare le cose tra loro. Senza esitazione, Michael prese il telefono e compose il numero di Giuda.
- Michael! -
- Ciao Giuda, - disse Michael in tono esitante.
- Come stai? -
- Io sto bene... mi sono svegliato ora. Tu come stai? -
- Sto bene anche io! -
- Volevo solo chiamarti e scusarmi per ieri sera. Ero davvero ubriaco e so che non avrei dovuto baciarti. Mi dispiace se ti ho messo a disagio. - Michael, in preda al rimorso, parlò con urgenza: aveva fretta di scusarsi, di mettere le cose a posto. E non voleva in alcun modo rovinare anche il rapporto che si era venuto a creare con Giuda. Il fatto che relazione con Anne stesse naufragando non era un valido motivo per sabotare anche gli altri rapporti interpersonali.
Ci fu una lunga pausa all'altro capo del filo prima che Giuda rispondesse. - Va tutto bene, Michael, non ti preoccupare. So che eri ubriaco e non intendevi niente. Siamo ancora amici. -
Michael emise un sospiro di sollievo, grato per quel fare tanto comprensivo. - Grazie, Giuda. Lo apprezzo molto. Prometto che non accadrà più. -
- Non lo so... mi è giunta voce che ti piacciono i capelli rossi! -
Cromwell rise a metà tra l'imbarazzato e la flagranza di reato. - E questo te lo ha detto Ethan? -
- Chi altri, sennò? -
- Gesù, dovevo essere stato proprio uno straccio ieri... -
- No, non sono Gesù, sono Giuda! -
- ...no, questa era pessima! -
- Sto provando molteplici battute sul mio nome. Comunque, davvero, non ti preoccupare. È tutto passato. Tu sei sicuro di stare bene? -
- Vuoi la verità? -
- Mh, vorrei aprissi la porta. Stanno arrivando i rinforzi! - disse Giuda e poi agganciò.

 

*

 

Michael e Anne erano seduti sul divano, e ogni tanto si scambiavano delle occhiate nervose. Erano amici da anni, ma qualcosa era cambiato tra loro da quando Michael le si era dichiarato. Era stato un momento molto intenso, ma anche imbarazzante, che si era concluso con un breve allontanamento da parte di entrambi. Da quel giorno, infatti, i due si erano salutati senza poi rivedersi. Almeno fino a quando, di punto in bianco, Giuda, Ethan e Anne si erano presentati a casa di Michael.

Il gruppo di amici si era presentato a casa Cromwell perché Michael era stato male la sera prima a causa di una sbronza, e sapendo che lui non avrebbe avuto la forza di prendersi davvero cura di sé avevano deciso di andare da lui per assicurarsi che avrebbe mangiato e riposato a sufficienza. Ognuno aveva pensato a qualcosa: Anne aveva preparato del cibo, Giuda aveva recuperato analgesici e antidolorifici, Ethan si era procurato una serie di tisane e succhi di frutta freschi, e tutti avevano portato supporto emotivo. Si erano assicurati che mangiasse del cibo, che riposasse e che bevesse a sufficienza. Poi Giuda ed Ethan erano andati in cucina per lavare le stoviglie e avevano lasciato da soli in soggiorno gli altri due.

- Secondo me non dovevamo lasciarli da soli, - disse Ethan in tono vagamente geloso. Nel mentre, asciugava un bicchiere con un canovaccio.
- E perché mai, di grazia? -
- E se Michael ci provasse di nuovo con mia sorella? -
- Ma saranno fatti loro, no? -
- È mia sorella! -
- Ethan... tua sorella ha il diritto di avere una relazione, non credi? -
Il ragazzo non rispose e si limitò a concentrarsi sull'asciugare un bicchiere già asciutto. Stava riflettendo su cosa dire; chiaro, sua sorella aveva il diritto di avere una relazione, ma lui poteva ripercorrere tutti gli amori di Anne e le loro storie. Il primo amore di sua sorella era stato un bambino di nome Klaus, che il giorno di San Valentino aveva dato una cartolina a un'altra bambina. Poi c'era stato Barney, alle scuole secondarie, che l'aveva mollata appena le aveva palpato le tette. Le era poi capitato John, che non l'aveva davvero lasciata in lacrime, no, lui era sparito nel nulla. Chissà che fine aveva fatto. Non l'avevano più rivisto. E, per ultimo, Richard: tra loro le cose non erano andate a finire molto bene. Quindi, per tornare alla domanda, sì, sua sorella aveva diritto a una relazione, ma con riserva. Meritava una persona che le stesse davvero accanto, qualcuno di premuroso e che amasse solo lei.
- Sì, ne ha diritto, però... -
- Michael non vorrebbe mai far soffrire Anne, Ethan. Sbaglio o le è stato sempre accanto? -
Ethan si rifugiò nei suoi pensieri ancora una volta. Chi aveva consolato Anne tra gli abbandoni di Klaus, Barney, John e Richard? Nella vita di Anne, c'era stata un'unica costante: Michael. Lui era sempre stato accanto alla sorella, pronto a passarle un fazzoletto, a regalarle del cioccolato, ad ascoltarla, a guardare un film, ad andare alle giostre. Il ragazzo sorrise. - No, non sbagli. -
Giuda pensò che fosse molto premuroso il modo in cui Ethan si preoccupava della sorella. Lui non poteva capire il legame tra fratelli e sorelle, essendo figlio unico, ma era certo che quello fosse uno degli esempi più belli a cui avrebbe potuto assistere. - Allora smettila di asciugare quel bicchiere! Prepariamo un tè? -

 

Alla fine, Michael ruppe il silenzio. - Quindi, cosa facciamo ora? -
- Non lo so, Michael... io... - Anne sospirò. - Io ho avuto modo di pensare molto al nostro rapporto. Ho dovuto affrontare un sacco di addii e abbandoni, alcuni dei quali molto difficili, ma tu sei sempre stato al mio fianco. Tu ci sei sempre stato per me, e questo per me ha significato molto. Sapevo che, qualunque cosa fosse successa, avrei sempre avuto te a tenermi per mano. -
Michael sorrise, perché era una cosa molto bella da sentir dire. La lasciò proseguire senza interromperla.
Anne fece un respiro profondo e guardò l'amico diritto negli occhi. Sapeva di dover dire quello che aveva in mente, anche se farlo la spaventava. - Michael, tu sei la mia anima gemella. Lo sento in ogni fibra del mio essere. Ti amo più di qualsiasi cosa o persona al mondo. Ma ho paura, - ammise. - Paura di ciò che potrebbe accadere. E se ci perdessimo? E se non riusciamo a farlo funzionare? -
L'espressione di Michael si addolcì e le strinse dolcemente la mano. Aveva il cuore che le batteva forte per l'emozione, avrebbe solo voluto baciarla. - Capisco le tue paure, Anne. Ma non possiamo lasciare che queste ci controllino. Possiamo affrontare le cose solo un giorno alla volta e superare tutti gli ostacoli che incontriamo. Insieme, come abbiamo sempre fatto, perché insieme possiamo affrontare qualsiasi cosa. -
Anne sorrise, sentendosi pervadere da un senso di rassicurazione. Le capitava spesso, le era sempre capitato. Con Michael al suo fianco, sentiva di poter conquistare qualsiasi cosa. Fu lei a fare la prima mossa; si chinò e lo baciò. Nel profondo del suo cuore, sapeva che lui era quello giusto, quello con cui doveva stare.

 

*

 

- Giuda, il dirigente scolastico vorrebbe scambiare due parole con te, - disse Amy.
- Arrivo subito, - rispose il docente.
La campanella era suonata da qualche minuto, ma i ragazzi non erano ancora scappati via. Era bello vederli tanto interessati alla materia. - Scusatemi, mi sono dilungato un po' oggi. -
- Ah, no, prof, per me lei può parlare anche per altre due ore, - rispose Mayli.
- Che lecchina! - commentò Robert. - Però ha ragione. Non vuole raccontarci, che so, di qualche altro poeta che non abbiamo mai sentito nominare? -
Giuda ridacchiò e scosse la testa. - Magari domani. E non dimenticatevi di dare un'occhiata alla vita di Shakespeare! -
Ethan non riusciva a convivere con l'idea che Mayli fosse chiaramente invaghita di Giuda. Incrociò le braccia e le lanciò uno sguardo omicida.
- Ethan, dai, smettila! -
- Di fare cosa?! -
- Di guardare verso Mayli in quel modo. -
- Ma l'hai vista, vero? - disse. - "Può parlare anche per altre due ore!", - le fece il verso poi.
Steve sbuffò mentre Lisa rideva.
- Però ha ragione, - commentò Lisa. - È un bravo insegnante, non ci siamo resi nemmeno conto che la campanella era suonata. Chissà che voleva Amy... -

Il cuore di Giuda stava sprofondando nelle budella mentre si dirigeva verso l'ufficio del preside. Da quando lavorava in quella scuola non era mai stato chiamato prima nell'ufficio del preside, nemmeno quando erano avvenuti episodi sgradevoli. Si chiese cosa potesse essere andato storto, si domandò se Snyder si fosse accorto della relazione con Novotny. Quando entrò in ufficio, il dirigente scolastico alzò lo sguardo e gli fece cenno di sedersi.
- O'Connor, temo di avere una brutta notizia per lei, - cominciò il preside. - Il professor Garcìa sta molto meglio, rientrerà in classe tra due settimane. -
- Ah, - disse Giuda, sedendosi per davvero. Quando era arrivato a Newcastle, lo aveva fatto per un contratto di un anno. Erano passati soltanto otto mesi, il che voleva dire che avrebbe dovuto concludere il suo incarico prematuramente.
- Avevamo pensato di farla restare ugualmente visto l'ottimo lavoro che ha fatto con le classi di cui è responsabile, soprattutto con quelle dell'ultimo anno. Ma non abbiamo budget, purtroppo. -
- Lo capisco. -
- Non mi fraintenda, O'Connor. Apprezzo tutto il duro lavoro che ha fatto per la scuola, e so quanto siano stati impegnativi questi mesi per lei. Non so se il professor Garcìa sarebbe stato in grado di affrontare determinate situazioni con il suo savoir faire, lei è stato davvero superbo. Mi dispiace che debba finire in questo modo. -
- Quindi queste sono le mie ultime due settimane? -
- Sì. Il suo ultimo giorno coinciderebbe con la data del ballo. -
Giuda annuì, sentendosi però sconfitto confitto. Nonostante tutto, gli era piaciuto lavorare alla scuola e si era fatto molti amici tra il personale e gli studenti. Non era sicuro di cosa avrebbe fatto dopo, ma sapeva che, malgrado tutte le cose negative che erano capitate, gli sarebbero mancate la scuola e le persone con cui aveva lavorato.

 

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Capitolo 27
*** XXVI ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
XXVII.
 

La sala da ballo si era trasformata in un magico Paese delle Meraviglie, con luci scintillanti e decorazioni stravaganti che adornavano ogni superficie. L'aria era piena di eccitazione e attesa quando gli studenti, vestiti con i loro abiti migliori e pronti a ballare tutta la notte, arrivarono. Quando il DJ iniziò a suonare, gli studenti si tuffarono sulla pista da ballo, volteggiando e ondeggiando al ritmo. La stanza era piena di risate e gioia, tutti sembravano godersi l'attimo. Le pareti erano ricoperte da funghi giganti, alberi torreggianti e fiori colorati, mentre il soffitto era drappeggiato in un cielo notturno stellato. Il fulcro della stanza era un'enorme teiera traboccante di fiori e circondata da tazze da tè e piattini. Con il passare della serata, l'atmosfera divenne ancora più incantevole. Le luci si abbassarono e una leggera nebbia riempì la stanza, creando un'atmosfera eterea. Le decorazioni a tema "Paese delle Meraviglie" li avevano davvero trasportati in un luogo magico, dove tutto era possibile e dove i sogni si avveravano davvero, tranne quelli di Ethan.
- Ehi, Ethan, ti va di ballare? - chiese Lisa.
Il ragazzo scosse la testa, non ne aveva voglia. Avvertiva qualcosa nello stomaco contorcersi, aggrovigliarsi; voleva addirittura andarsene, ma aveva promesso ai suoi amici che sarebbe rimasto.
- Ma sei così bello ed elegante, non puoi restare in panchina tutta la sera. -
- Non ho voglia di ballare. Poi questa musica fa schifo. -
- Tanto lo so perché stai così, - sentenziò Steve.
- Non per Tu-Sai-Chi. -
- E allora perché non balli? Non hai proprio ballato, a dirla tutta! -
- Perché non mi va! -
- Steve, lascialo in pace, - lo rimproverò la ragazza. Si sedette accanto all'amico e poggiò la testa sulla sua spalla. - Comunque, Ethan, il bianco ti dona. -
- Sei un perfetto Bianconiglio! -
- No, sono una carta francese, - l'ammonì Ethan. Indicò le due spille a forma di picche che portava sulla giacca bianca.
- Perché un due di picche? -
- Perché non ho un accompagnatore, - rispose con ovvietà il ragazzo.
- Ethan... - Lisa sospirò mestamente.
- Lo sapevi che poteva finire così... è sempre il nostro professore, qui dentro. -
Ethan lanciò uno sguardo sconsolato ai suoi amici e poi abbassò gli occhi verso le scarpe scomode che indossava. Avrebbe fatto meglio a non andare al ballo, così non avrebbe visto Giuda vestito tanto elegante e non avrebbe rosicato.

Giuda sembrava appena uscito da un film di Tim Burton. Il suo cappello a cilindro era decorato con una piuma di pavone (e l'immancabile etichetta che recitava "in this style 10/6"), il suo gilè viola era coperto di carte da gioco e i suoi pantaloni erano a strisce bianche e rosse come un bastoncino di zucchero. Si era distinto tra il mare di smoking e abiti da ballo, ma non sembrava preoccuparsene. Anzi, sorrideva allegro nel servire punch analcolico a studenti e colleghi. A fargli compagnia, Michael era vestito da Leprotto Bisestile. Il suo cappello a cilindro era appollaiato in modo precario sulla sua testa, e aveva un papillon verde brillante che si abbinava al panciotto: sembrava un'illustrazione appena uscita da un libro di Lewis Carroll. Il preside Snyder, ben vestito e con un'espressione perennemente severa sul volto, inarcò un sopracciglio vedendo l'abbigliamento dei due. - O'Connor, Cromwell... che diavolo indossate? -
Giuda ridacchiò. - Visto che questa è una festa a tema, mi sono vestito come il Cappellaio Matto. È un ballo di fine anno, non un funerale, no? -
Snyder alzò gli occhi al cielo. - Meno male che non dovrò vederla mai più in giro, O'Connor. Il professor Garcìa tornerà in classe a partire da lunedì. Sia sempre lodato il cielo. -
Michael roteò gli occhi, non era entusiasta all'idea di dover iniziare nuovamente a contrattare con il professor Garcìa. - Stiamo facendo tutti i salti di gioia, - commentò sarcastico.
La palestra era animata dal suono della musica. Il DJ aveva alzato il volume e il basso rimbombava nella stanza. L'energia nella stanza era elettrica e tutti furono sembravano presi dal momento.: le coppie ballavano lentamente mentre gli altri formavano dei cerchi per ballare insieme. Era, a tutti gli effetti, una notte di festa, fatta per scatenarsi e divertirsi.
- Preside, mi scusi, posso farle una domanda? - chiese Giuda.
- Se proprio deve. Mi versi anche del punch, per favore. -
Giuda prese un bicchiere e lo riempì di punch con estrema professionalità, nemmeno avesse fatto quel lavoro per una vita intera. - Tecnicamente, oggi è stato il mio ultimo giorno di lavoro, giusto? -
Il DJ suonava un popolare e vecchio successo pop. Le ragazze strillavano e i ragazzi fischiavano mentre iniziavano a saltare e ballare all'impazzata. La palestra era un mare di corpi sudati fasciati da abiti eleganti che si muovevano al ritmo della musica. Gli studenti cantavano ogni parola, le loro voci riempivano la stanza.
- Sì, come dicevo prima, grazie al cielo, sì, è stato il suo ultimo giorno. -
- E questa del ballo è una cosa extra, no? Cioè, io non sono più un docente di questi ragazzi, conviene con me? -
Michael trattenne una risata. Se aveva imparato a conoscere Giuda, e l'aveva fatto, sapeva che qualcosa stava bollendo in pentola. Lanciò un'occhiata al suo trio di studenti preferito e già pregustava qualcosa di incredibilmente divertente.
Il preside, invece, sembrò stranito dalla domanda, ma annuì. - Sì, convengo con lei. Sta pensando di andarsene e mollare il servizio punch? -
- No, ho preso un impegno e servirò punch finché ce n'è, - disse Giuda. - Volevo solo sapere se conveniva con me. -
- Allora vuole mandarmi a quel paese? -
- Oh, vorrei, ma no, non si preoccupi. Volevo solo sapere questo dettaglio, - ammise Giuda con sincerità. - Se non le dispiace, mi prendo dieci minuti di pausa. Michael, ci pensi tu al punch? -
- Per servirla, mio Cappellaio, - rispose Michael inchinandosi.

Giuda sorrise e si allontanò. Guardò Ethan da lontano, poi si avvicinò al DJ; gli sussurrò qualcosa all'orecchio, come una richiesta, e lui annuì, confuso, confermandogli che sarebbe stata la prossima canzone. Accertatosi di questo, Giuda raggiunse i ragazzi a passo lento. Mille pensieri gli affollavano la mente, il cuore gli batteva forte: stava facendo la cosa giusta? Che cosa avrebbe detto Snyder? E gli altri? E Michael? E Anne? Scosse leggermente la testa come a voler sottolineare uno scacciare via i dubbi, e si ritrovò, deciso, di fronte a Ethan.
Lisa e Steve lo guardarono divertiti.
- Prof, - disse Steve, - sta davvero bene vestito così. -
- Shh, c'è un errore. Io e il preside abbiamo convenuto che, a partire da oggi pomeriggio, io non sono più un vostro professore. -
- Allora la prego, mi dica che l'ha mandato a fanculo! -
- Beh, quasi, ma non sono qui per questo! -
- E per cosa? - domandò Ethan. E comunque anche lui pensava che Giuda stava proprio bene vestito così, ma questo lo pensava ogni volta che lo vedeva. Gli piaceva sempre. Forse doveva dirglielo più spesso?
Giuda sistemò la giacca, il cappello e si schiarì la voce prima di porgere la mano verso Ethan. - Vorresti concedermi questo ballo? -
Dalle casse fuoriusciva una canzone melodica, in lingua italiana. Al centro della pista, Ethan e Giuda ballavano un lento seguendo il ritmo della canzone.

«Cade la neve e io non capisco che sento davvero, mi arrendo...»

Ethan era incredulo, non riusciva né a capire il testo della canzone né a credere che quello che stava succedendo fosse reale. Seguiva i movimenti di Giuda e ignorava tutti gli sguardi sconvolti degli altri presenti.

«Cose che spesso si dicono improvvisando, se mi innamorassi davvero saresti solo tu... l'ultima notte al mondo io la passerei con te...»

Michael aveva messo su un sorriso sornione. - Altro punch, preside Snyder? -
- ...Cromwell! Lei lo sapeva?! -
- Io?! Non sapevo proprio niente. Punch? -
- Lo beva lei, questo punch! Cromwell, se lei era a conoscenza di questo... questo abominio, perché non saprei definirlo in altro modo, sappia che rischia il posto di lavoro! -
- Abominio? Io li trovo carini, - commentò Michael bevendo poi un sorso di punch.
- Che lei abbia gusti discutibili è un suo problema, Cromwell. Se vogliamo trascendere sul fatto che due uomini che ballano insieme è pubblico ludibrio, Novotny è uno studente e O'Connor è un professore! Il suo professore! -
- Mi consenta, preside... non aveva detto a Giuda che conveniva con lui sul fatto che, da oggi pomeriggio, lui non fosse più uno dei professori di quest'esimia scuola? -
Il preside Snyder fece per obiettare, ma tracannò il resto del punch in un unico sorso maledicendo l'assenza di alcol. Michael si sentì soddisfatto e guardò i due sorridendo ancora una volta.

«Ho incontrato il tuo sorriso dolce con questa neve bianca adesso mi sconvolge. La neve cade e cade pure il mondo, anche se non è freddo adesso quello che sento e...»

- Sono molto belli insieme, - commentò Lisa asciugandosi una lacrima con il dorso della mano.
Steve, che dietro suggerimento di Giuda si era agghindato con un fisciù, le porse il fazzoletto di seta dal taschino della giacca. - Conosco Ethan da quando andavamo all'asilo e posso dirti che non l'ho mai visto così felice. -
- Che poi, ti ricordi cosa diceva? -
- "No, i rossi no... non mi piacciono... mi fanno senso, poi sono rossi anche lì sotto, che schifo!" - citò Steve ridendo.
- "Gli occhiali non si possono vedere, fa troppo secchione anni '80!" -
- "Non potrei mai andare con uno che fa il professore... troppo saputello..." -
- "Poi tutte quelle lentiggini..." -
I due scoppiarono a ridere a crepapelle, perché alla fine Ethan aveva finito con l'innamorarsi di un occhialuto dai capelli rossi che di professione era proprio un insegnante.
- È proprio vero, - ragionò Anderson, - non si può scegliere di chi innamorarsi. -
Lisa intrecciò la propria mano in quella di Steve e annuì. - A volte capita e basta. -
- Ehi, Lisa, - disse lui con voce leggermente tremante. - Ho bisogno di parlarti di una cosa. -
La ragazza si voltò verso di lui, i suoi occhi luminosi e curiosi. - Di cosa? -
Steve fece un respiro profondo e la guardò negli occhi. - So che potrebbe sembrare un momento strano per dirlo, ma... ecco... sai... a proposito di innamorarsi, no... ecco... io... sono innamorato di te, Lisa. -
Gli occhi di Lisa si spalancarono per la sorpresa e per un momento sembrò senza parole. Poi un sorriso si diffuse lentamente sul suo viso. - Steve, è davvero molto dolce, - disse. - Ma perché non me l'hai detto prima? -
Steve scrollò le spalle. - Immagino di essere stato troppo spaventato per dire qualcosa, poi sai, tutto quello che è successo... pensa, ne ho parlato anche con il Cappellaio! Ma non ce la facevo più a tenermelo dentro. Dovevo solo dirti come mi sento. -
- Beh, sono contenta che tu l'abbia fatto. Perché... vedi... penso che anch'io potrei essere innamorata di te. -
Il cuore di Steve perse un battito quando sentì le sue parole. Era vero? Lisa si sentiva davvero come lui? Prima che potesse dire qualcosa, Lisa si avvicinò e lo baciò dolcemente sulle labbra. Fu un bacio tenero e fugace, che sottolineò come si sentivano entrambi. Mentre si allontanavano, Steve guardò Lisa negli occhi ancora una volta.
- Sono così felice di avertelo detto, - disse il ragazzo. - Perché ora posso anche dirti che vorrei stare con te. -
Lisa sorrise. - Anche io Steve... anche io. - Si presero per mano e si diressero verso la pista da ballo, pronti a celebrare insieme il loro amore appena nato.

«Amare non è un privilegio, è solo abilità. È ridere di ogni problema mentre chi odia trema.»

Giuda ballava stringendo Ethan e ne approfittò per sussurrargli all'orecchio parte della canzone che stava riempendo la sala da ballo. - Il tuo sorriso dolce è così trasparente che dopo non c'è niente. È così semplice, così profondo, che azzera tutto il resto e fa finire il mondo. E mi ricorda che il coraggio non è come questa neve... -

Ethan di quel testo non ci aveva capito una mazza, ma il tono che usava Giuda era così dolce che lo percepì come un messaggio d'amore. Capitava spesso quando Giuda gli parlava in italiano.

Che cosa strana.

Forse era quello, l'amore. Il dizionario lo descriveva come sentimento di viva affezione verso una persona che si manifesta come desiderio di procurare il suo bene e di ricercarne la compagnia, ma a Ethan non era bastata come definizione: era troppo blanda, troppo superficiale. Nel corso della storia dell'umanità, in nome dell'amore si erano consumati duelli, guerre e si erano vinte battaglie, le persone trovavano dentro una strana forza motrice, qualcosa che li spingesse ad andare oltre, a uscire fuori dagli schemi delle proprie restrizioni. No, la definizione del dizionario non era corretta. Ethan non avrebbe mai saputo descriverlo, proprio lui, come avrebbe potuto fare? Lui che come nemico primario aveva le parole, non sarebbe mai stato in grado di trovare il modo migliore per esprimere il concetto di amore. Ma se gliel'avessero chiesto, lui avrebbe risposto che l'amore era il modo in cui guardava Giuda.

 

 

 

Fine.




ndA
Quando ho finito di scrivere questa storia mi sono sentita come se avessi messo via un pezzettino di me. Spero che sia piaciuta anche a voi, e che vi siate affezionati un pochino a questi due <3
Un saluto,
Nemesis

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Capitolo 28
*** Epilogo ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di coppie slash, se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.


*

Le parole sono giuda


 
Epilogo
 

Amalfi era sempre bella da mozzare il fiato: le spiagge incontaminate, le acque cristalline, i pittoreschi paesini arroccati sulle colline a picco sul mare... L'aria era satura dell'odore salmastro del mare e la leggera brezza offriva una gradita tregua dal calore del sole. Ma la bellezza di Amalfi in estate era una vera e propria festa per i sensi, con i suoi paesaggi naturali incantevoli, la luce calda del sole, il cielo azzurro, le persone accoglienti, il profumo dei limoni.
Il sole batteva forte anche quel giorno. Dalla finestra entrava una luce offuscata leggermente dalle tende che si muovevano sinuose a causa di un lieve venticello. Ethan dormiva. Era nudo a pancia in giù e il lenzuolo si era attorcigliato intorno alla caviglia. I suoi capelli neri e lucenti si erano sciolti durante la notte ed erano finiti sulla faccia di Giuda che riposava affianco a lui.

Quando Elvira entrò nella stanza li trovo così: addormentati, stanchi e felici. Non le importava di vederli svestiti, ormai ci era abituata: era capitato tante volte nel corso degli anni. Era bello vedere quanto amore ci fosse tra loro nonostante tutte le avversità che avevano dovuto affrontare nella vita. Non era stato facile per loro vivere insieme, ma ci erano finalmente riusciti e ora finalmente potevano godersi un po' di tranquillità. All'inizio Giuda non riusciva ad avere una un posto fisso in una città, era stato costretto a girare spesso per gli Stati Uniti, mentre Ethan, invece, era rimasto in Florida a studiare al conservatorio. Quando Giuda aveva ottenuto un ruolo stabile a Miami, Ethan aveva iniziato a suonare il violino in maniera professionale, e questo aveva comportato lunghi periodi di lontananza, tanti viaggi e tanti punti nei programmi fedeltà delle compagnie aeree che volavano per e da Miami. Adesso le cose si erano finalmente sistemate: avevano trovato la loro stabilità, il loro centro. Ed era bello, pensò Elvira, vederli finalmente rilassati l'uno accanto all'altro.
Si schiarì la voce grattando la gola, ma i due non sembrano accusare minimamente il rumore. Allora cominciò a gridare. - Ue, state ancora dormendo? Non lo sapete che è tardi? E poi, andiamo! Sempre a fare le cose zozze, siete due sporcaccioni! -
Ethan si mosse un po' e mugolò qualcosa di indefinito. Aveva ancora sonno, era chiaro.
- Almeno potevate a chiudere a chiave! Io non lo so, ci sono dei bambini in questa casa! Che cosa avremmo detto a quel poverino di Tonino se fosse entrato?! -
- Hai ragione Elvira, - rispose Ethan con la voce stanca, - è che ieri siamo rientrati tardi, non ci abbiamo pensato. -
- La prossima volta sarà meglio se ci pensate, invece! -
- Non credevo che vedermi nudo ti sconvolgesse così tanto. -
- Non è per me Ethan, lo sai benissimo. A proposito, ti è uscito un brufolo sulla chiappa. -
- Un brufolo sulla chiappa?! - Ethan si alzò di scatto e decise di osservarsi allo specchio. Elvira aveva ragione, gli era venuto su un brufolo sul sedere. - Oh no, ho un brufolo sulla chiappa! -
- Quelle sono le bugie, - farfugliò Giuda. Lo fece in un inglese misto all'italiano con la voce impastata dal sonno e tornò a nascondersi con la testa sotto al cuscino. Aveva sonno, voleva dormire, non voleva alzarsi.
Ue, - gridò di nuovo Elvira, - Sono le undici, la colazione in questo albergo è già finita da un pezzo. Perché non andate a giocare fuori in giardino? -
- Mamma, non siamo bambini! -
- Ah no? Strano. Credevo che gli adulti si alzassero prima delle nove. -
Con fare drammatico, Ethan tornò a sedersi sul letto e si coprì con il lenzuolo. - Ho un brufolo sulla chiappa, che cosa orribile. -
- Io te l'avevo detto che quel costume non era buono, - lo rimproverò Elvira. - Quel tipo di stoffa lì irrita, perciò poi ti vengono i brufoli. -
- E ora che faccio? - le chiese Ethan in un sincero e disperato bisogno di consiglio.
- Eh... mo', prima cosa, ti alzi e ti vai a fare una doccia. Poi dopo andiamo a comprare un costume nuovo. Vedi che si toglie in un paio di giorni al massimo, - lo rassicurò la donna. Gli andò vicino e gli stampò un bacio sulla fronte. Poi Elvira
iniziò a parlare in italiano al figlio. - 
Anche tu, muoviti, raggio di sole! Il giorno ti aspetta! -
- Va bene, mi alzo... solo cinque minuti... -

Cinque minuti erano diventati un'ora e mezza, ma alla fine Giuda ce l'aveva fatta. Si era alzato dal letto, aveva fatto una doccia, si era messo il costume da bagno ed era sceso al piano di sotto. La casa in cui risiedevano era di proprietà dei nonni di Elvira, e alla loro morte l'avevano lasciata proprio a lei. Anche se viveva in America, Elvira tornava volentieri in quella casa quando poteva. Ogni estate, Giuda aveva trascorso lì parte delle proprie vacanze. Era bello poter tornare nella stessa casa e incontrare il resto della famiglia che magari non riusciva a raggiungerli in Florida durante l'inverno, e poi aveva modo di godersi una bellissima casa ad Amalfi con la vista sul mare. Giuda adorava poter condividere del tempo con la famiglia, voleva un gran bene ai parenti del lato materno, erano un po' troppo rumorosi ma adorabili. E poi ad Amalfi si mangiava benissimo, era sempre brutto per lui dover tornare poi in Florida; fortunatamente viveva in una città con un clima fantastico, ma le persone... quelle facevano la differenza. Ogni anno, Giuda non vedeva l'ora di tornare ad Amalfi, bere limoncello e chiacchierare con i suoi cugini.
Quando scese in cucina la trovò vuota. Allora mise su una moka e resto lì ad annusare l'odore del caffè che si espandeva nell'ambiente. Una volta salito il caffè, lo versò nella caffettiera e ci aggiunse tre cucchiaini di zucchero, come voleva la tradizione. In quel momento esatto entrarono in cucina Elvira, Ethan e Viola con i suoi due figli, Tonino e la piccola Fabiana. La bimba era in braccio a Ethan e sembrava dormire beata. Era strano vederlo con un bambino così piccolo tra le braccia, ma era anche molto tenero.
Tonino, invece andò subito verso Giuda e lo abbracciò. - Non mi devi lasciare più con loro! -
Giuda rise e gli accarezzò la testa. - Che cosa è successo? -
- Mamma mi fa fare sempre brutte figure. Ha detto al giornalaio che io mi sono fatto la pipì addosso! -
- Cosa?! -
- Ma è successo, - rise Viola, - quando eri più piccolo! -
- Ma che gliene importa, al giornalaio?! Quello poi lo va a dire a Mina e lei non mi guarda più! -
Giuda si sedette e lasciò che il bambino si accomodasse sulle sue ginocchia. - Tonì, capita a tutti i bimbi, sarà capitato anche a Mina! -
- Sono sicuro che a Vincenzo non sia capitato... perciò Mina lo guarda sempre... -
- Lascia perdere, Tonì, - disse Viola, - chillo è 'nu guappo e cartone... -
Ethan non riusciva a staccarsi dalla piccola Fabiana. Era così tenera, piccola, morbida e profumata... e anche la bambina sembrava voler stare in braccio al ragazzo, tanto che se la madre provava ad allontanarla, anche semplicemente per darle da mangiare, la neonata scoppiava a piangere. Allora il ragazzo l'abbracciava, la cullava e le canticchiava qualche melodia dolce per farla rilassare.
Era divertente vedere come riuscivano a comunicare tra loro. Per forza di cose, Ethan aveva dovuto imparare un po' di italiano: non lo parlava benissimo ma riusciva a farsi capire, così come la famiglia di Giuda, pur non conoscendo perfettamente l'inglese, tentava di farsi comprendere. Era molto bello: nessuno parlava davvero la lingua dell'altro, ma riuscivano a comunicare, perché a volte non è la lingua che fa la differenza, ma le persone, la voglia di stare insieme oltre ogni barriera. Giuda era fortunato, aveva una bella famiglia. Erano tutti molto solari, ospitali, c'era sempre posto per qualcuno, per ridere, per giocare, per scherzare, per fare il bagno insieme. Era davvero bello.
Ethan si sentiva a proprio agio con la famiglia di Giuda, lo diceva sempre anche a Michael e a sua sorella Anne. Elvira guardò Ethan con la piccola Fabiana tra le braccia e decise di buttarla lì sullo scherzo. - Vabbè, allora, voi due quand'è che mi date un nipotino? -
A Giuda andò il caffè di traverso e iniziò a tossire. Ethan non si scompose e lasciò che la bambina giocasse con i suoi capelli. - Eh, il nipotino! Io sto provando a convincerlo per sposarci e non ci riesco, tu vuoi il nipotino! -
Viola scoppiò a ridere, Elvira guardò malissimo suo figlio. - Cioè, mi stai dicendo che non vuoi sposarti? -
- Non ho detto questo! - si discolpò Giuda. - È che avevamo altre priorità! -
- A' scusa e' bona! - disse Viola ridendo. - Da quant'è che state insieme? Saranno quasi sette, otto anni! -
- Infatti, - rincarò la dose Ethan. - Otto anni il prossimo dicembre. -
- Giuda! - lo rimproverò la madre.
- Mamma! -
- Lasciatelo stare! - disse Tonino abbracciando Giuda.
- Ethan, figlio mio, fa' una cosa, lascialo perdere a quel disamorato. Te lo ricordi Osvaldo, sì? -
- Basta! - disse Giuda. Si sentiva messo in difficoltà. - Non è vero che non voglio sposarmi. Voglio farlo! E, prima che diciate qualche altra amenità, voglio sposarmi con Ethan! È solo che... - Giuda sbuffò. La verità, era che ne aveva parlato con Jack proprio qualche mese prima. Lui si era mostrato anche propenso alla cosa, ma era anche molto possessivo nei confronti del figlio. In più, era molto preso dal matrimonio tra Anne e Michael, e non aveva avuto la testa per ragionarci su. Così la cosa era caduta nel dimenticatoio, e Giuda conservava nel cassetto un anello che aveva comprato mesi prima, ma che non aveva più dato al fidanzato. - ...è complicato, - disse. Poi abbracciò Tonino.
Fabiana fece una piccola pernacchia e un rivolino di saliva le uscì dalla bocca. Ethan sorrise e le asciugò le labbra con il bavetto giallo che portava al collo.
- Ora chiamo il prete, - esordì Elvira di punto in bianco. - Quello Don Tommaso era un mio compagno di classe alle elementari, vi sposa subito. -
- Mamma! -
- Tanto i testimoni ce li abbiamo, no? Compriamo i biglietti per tutti, li facciamo venire qua. Ed ecco fatto. -
- Elvira, siamo due maschi, non ci può sposare un prete, - la ragguardò Ethan. - Che ore sono? - domandò poi di punto in bianco.
- Le cinque e qualcosa, - rispose Elvira affranta. A volte dimenticava quali erano gli ostacoli che i suoi cuccioli avrebbero dovuto affrontare nella vita. - A che ora devi stare in piazza per lo spettacolo? -
- Alle diciotto e trenta, - disse il ragazzo. - Credo di dovermi andare a preparare. A malincuore, Viola, devo restituirti Fabiana. -
Viola sorrise e recuperò la bambina dalle braccia di Ethan senza sorprendersi quando la neonata iniziò a piangere. La donna la cullò dolcemente e le diede un bacio sulla testa liscia e profumata. - Posso darti un passaggio, Ethan. Ti aspetto. -
- Grazie, - disse il ragazzo sorridendo. Si alzò e andò verso la camera da letto.

 

Ethan rimase a lungo sotto l'acqua calda della doccia. Mentre si insaponava i capelli, la sua mente rimuginava ancora sul presunto matrimonio con Giuda. Lo amava più di ogni altra cosa al mondo. Era il suo migliore amico, il suo confidente e la sua anima gemella. Avevano passato così tanto insieme, dagli alti di viaggiare in luoghi esotici ai bassi di sostenersi a vicenda nei momenti difficili che sapeva di voler passare il resto della sua vita con lui. L'idea del matrimonio vagabondava nella sua testa ormai da un po', e non vedeva l'ora di fargli la proposta. Lo aveva pianificato per settimane, cercando di trovare il modo perfetto per chiederglielo, aveva studiato una versione in inglese e una in italiano, aveva optato per la seconda e aveva cercato di migliorare la sua pronuncia, ma non aveva trovato ancora il momento adatto. Mentre si risciacquava la schiuma dai capelli, Ethan si sentì invadere da un senso di eccitazione e nervosismo. Sapeva che fare la proposta a Giuda sarebbe stato uno dei momenti più importanti della sua vita e voleva che tutto fosse perfetto.
Una volta fuori dalla doccia, Ethan legò i capelli in uno chignon disordinato, si asciugò alla men peggio e avvolse l'asciugamano intorno alla vita. Si prese del tempo per fissarsi allo specchio, poi aprì la finestra e accese una sigaretta. La teneva tra le labbra mentre indossava i pantaloni di taglio classico, quando qualcuno bussò alla porta.
- Un attimo! -
- Ethan, sono io, - disse Giuda.
Il ragazzo abbottonò i pantaloni e aprì la porta. - Ciao. -
- Ciao, - rispose Giuda entrando, poi chiuse la porta alle sue spalle. - Ethan, stai fumando troppo, forse dovresti toglierti il vizio! - E, per coerenza, gli tolse la sigaretta dalle labbra per fare un tiro.
- Guarda che sei tu quello che fuma di più, - lo rimproverò Ethan. - È che sono nervoso. Nervoso o agitato? - gli chiese. A volte, faceva ancora confusione.
- Dipende. È per la serata? -
- Un po', ma quello è bello. È che il maestro... è lei, la B, hai presente? La "B" che non si nomina! -
- Andiamo, ancora? Credevo ti fosse passata! -
Ethan afferrò nuovamente la sigaretta e fece un secondo tiro, poi gliela ripassò. - No. Non mi passerà. Non la sopporto, mi è antipatica, ho accettato di suonare perché mi pagano bene, - ammise candidamente.
Giuda rise e scosse piano la testa, poi fece sedere Ethan su uno sgabello per aiutarlo ad asciugare i capelli ora sciolti. Era in piedi dietro di lui, con in mano un asciugamano, e iniziò ad accarezzargli dolcemente i capelli, assorbendone l'umidità.
- Grazie, - disse Ethan, guardando Giuda attraverso lo specchio.
- Nessun problema, - rispose Giuda con un sorriso. Continuò ad asciugargli i capelli, facendo attenzione a non strofinarli troppo energicamente e a non danneggiare le ciocche. Mentre lavorava, notò quanto fossero morbidi e setosi: adorava i capelli di Ethan, il colore, la consistenza. Quando gli ebbe asciugato gran parte dell'acqua, Giuda prese un asciugacapelli e lo accese. Passò con cura il fon sui capelli di Ethan, usando una spazzola per modellarli e acconciarli man mano che procedeva. Mentre Giuda era all'opera, Ethan chiuse gli occhi e si rilassò, godendosi la sensazione dell'aria calda che gli soffiava sopra la testa. Giuda era una delle poche persone al mondo autorizzate a toccargli i capelli, poiché sapeva come gli piaceva portarli e si assicurava sempre che ogni ciocca fosse completamente asciutta e acconciata proprio come piaceva a lui. Quando ebbe finito, spense il fon e lo mise da parte. Ethan si voltò a guardarlo, sorridendo.
Giuda spense la sigaretta sul davanzale della finestra e lasciò il mozzicone in un posacenere, già traboccante, improvvisato. Per una qualche strana ragione, il cuore di Ethan iniziò a battere forte. Indossò una camicia bianca e l'abbottonò con i gemelli. Eppure, il suo cuore continuava a battere all'impazzata, così tanto che sembrava volergli uscire fuori dal petto. Non era la prima volta che Giuda gli asciugava i capelli, né che si smezzavano una sigaretta in bagno... avevano fatto cose decisamente più scabrose insieme, eppure il sorriso di Giuda in quel momento, attraverso quello specchio, mentre gli asciugava i capelli gli aveva scatenato quella reazione.
Ethan lo sentiva. Era quello il momento.
- Giuda, io... -

- Ethan, sei pronto? Ethan! Dai che facciamo tardi! -
- Arrivo! - gridò Ethan. Poi si voltò verso Giuda. No, non poteva essere quello il momento. Non così, non di fretta mentre era in ritardo per la soirée, non in bagno. - Verrai dopo? -

Giuda annuì, sistemandogli il nodo al papillon. - Ci vediamo dopo. -

 

*

 

Ethan e Giuda si stavano godendo un flûte di champagne ammirando il bellissimo panorama da Villa Rufolo, una bellissima villa situata nell'affascinante città di Ravello sulla Costiera Amalfitana. La villa era circondata da degli splendidi giardini, che offrivano viste mozzafiato sulle montagne e sul mare. I giardini erano pieni di fiori colorati, piante ornamentali e alberi da frutto, e creavano un'atmosfera tranquilla e serena. Una leggera brezza rendeva l'aria estiva più leggera da sopportare.
E quella era davvero una calda notte d'estate, una di quelle in cui le stelle scintillavano sopra di loro nel cielo limpido, il suono delle onde del mare che si infrangono contro gli scogli sottostanti riempiva l'aria, insieme al chiacchiericcio delle persone in lontananza. Ethan indossava ancora il suo completo da musicista, ma anche Giuda era vestito di tutto punto. Era bellissimo.
- ...e quindi non le ho nemmeno risposto male! - disse il ragazzo.
- Sei stato bravissimo, sono fiero di te! -
Ethan sorrise. Giuda lo guardò, si soffermò sul suo bellissimo sorriso incorniciato dalla magica atmosfera della terrazza in stile moresco, e si sentì completo.
- Ethan, - disse poi, con voce leggermente tremante. - Ho questo pensiero nella testa da molto tempo, che ogni volta sopprimo trovando delle scuse che non esistono. Ma non posso più trattenerlo, non posso più fare finta di niente. Io ti amo, Ethan, e voglio passare il resto della mia vita con te. -
Giuda poggiò il flûte per terra, poi frugò nelle tasche della giacca dalle quali tirò fuori uno scatolino. Con il cuore che gli batteva forte, si inginocchiò. - Ethan, mi vuoi sposare? -
Il cuore di Giuda sembrava stare per esplodergli nel petto mentre aspettava la risposta di Ethan. Non riusciva a credere di aver trovato la forza per chiederglielo sul serio. Il silenzio tra loro sembrò protrarsi all'infinito.
La verità era che Ethan sapeva benissimo cosa rispondere, ma era tanto felice da non poter emettere suoni con la bocca. O almeno, così gli sembrava. Che strano, pensò, proprio nello stesso pomeriggio Ethan aveva raggiunto quella stessa consapevolezza di voler stare con Giuda tutto il resto della vita.
- Sì, - disse poi, con le lacrime agli occhi per la commozione. - Lo voglio anch'io, Giuda. Voglio stare insieme a te per sempre. -
A Giuda tutto il mondo appariva totalmente diverso: non era mai stato più felice in vita sua. Dopo essersi alzato, infilò un elegante anello all'anulare sinistro di Ethan e poi lo baciò dolcemente sulle labbra, suggellando la loro nuova relazione con un abbraccio.

Aveva trovato l'amore che aveva sempre desiderato e la persona che aveva sempre sognato di avere al suo fianco.

 

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