Café Madrigal

di MaryFangirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Questa è una fanfiction tradotta dall’inglese, potete trovare i dettagli dell’originale qui sotto.
 
Titolo originale: Café Madrigal
Link storia originale: https://archiveofourown.org/works/36966538/chapters/92228380
Link autore: https://archiveofourown.org/users/too_much_pressure_for_a_username/pseuds/too_much_pressure_for_a_username
 
 
Ho apprezzato molto questa storia, nella sua semplicità e tenerezza. Come segnalato dal rating verde, non c’è nessun contenuto esplicito né controverso, ma devo dire che è raro trovare qualcosa di dolce e piacevole senza bisogno di trame complicate o scene piccanti.
 
La storia è una AU e nessuno dei Madrigal è imparentato con gli altri (tranne Pepa e Antonio, ma sono marginali). Per questo motivo non è presente l’avvertimento ‘incest’. Adoro comunque questa coppia anche in un universo parallelo!
 
Buona lettura
 
 
 
 
-Fanculo a Starbucks-.
 
Il pensiero attraversa la mente di Camilo, non per la prima volta, mentre la terza ora del suo turno volge al termine. Tre ore lunghe, noiose, senza clienti.
 
Onestamente, anche prima che il nuovo Starbucks aprisse dall’altro lato della strada, il Café Madrigal non era mai stato il tipo di locale che attirava la folla. Con la sua facciata esterna semplice e un’umile insegna di legno, sfugge facilmente allo sguardo di chiunque non lo stia cercando appositamente.
 
Camilo sospetta che non sia un caso: spietata quando si tratta dell’arte di preparare caffè e arepa, la signora Madrigal non si è mai prestata a tattiche di marketing rumorose.
 
“Serviamo buon cibo, ottime bevande e con il sorriso” dice spesso con tono deciso, “è questo che la gente ricorda”
 
Camilo non discute con lei, è una nonna single che ha cresciuto una famiglia con un budget ridotto mentre avviava un’attività in proprio, e lui è solo un barista part time che cerca di non abbandonare gli studi (inoltre, lei lo intimorisce un po’). Ma quando nota la folla che si ammassa davanti alle porte di Starbucks, e i granelli di polveri indisturbati che fluttuano nell’aria vuota del Café Madrigal, avverte la frustrazione formarsi come un pugno chiuso nelle viscere.
 
Non ha senso, per lui. Il locale non è granché dall’esterno, ma all’interno le pareti risplendono di tenui sfumature di giallo, rosa e verde, con morbide poltrone color pastello; finestre e tavoli sono adornati da fresche composizioni di garofani e rose che la signora Madrigal annaffia con zelo ogni mattina. Ogni angolo e fessura è decorato con fantasie geometriche intricate, cestini werregue e altri ninnoli realizzati a mano. Gli odori misti di caffè e pasticcini riempiono l’aria di un aroma a dir poco meraviglioso.
 
La sera, i pigri raggi del sole lasciano il posto alla luce lattiginosa della luna e tutto diventa più morbido, più misterioso, i petali dei fiori sembrano traslucidi e vaporosi, il collo d’argento delle caffettiere brilla stranamente, come se il negozio diventasse...non infestato, ma incantato.
 
Okay, a volte Camilo si lascia trasportare. Ma nonostante ciò, sa che il Café Madrigal è speciale. Merita più di pochi clienti abituali e qualche strano turista una volta ogni tanto.
 
Il pomeriggio si trascina, quindi tira fuori il telefono e inizia il suo rituale settimanale di odio, scorrendo dozzine di recensioni su Yelp in merito a ‘l’atmosfera straordinariamente acocgliente’ del nuovo Starbucks. -Quale atmosfera?-, si chiede incredulo. È uno Starbucks: ha la stessa dannata atmosfera di qualunque altro dei milioni di Starbucks esistenti.
 
Il suono di un campanello appeso alla porta lo fa rianimare. “Benvenuo al Café Madrigal, come posso...oh” si sgonfia, “sei solo tu”
 
Mirabel gli sorride, imperturbabile. “Devi darti da fare con l’accoglienza dei clienti” dice con la solita allegria.
 
“Più che altro, dovrebbero esserci, i clienti” brontola Camilo, iniziando a preparare il suo ordine. “Cappuccino al caramello ghiacciato da asporto, con latte di mandorla e cannella?”
 
“Mi conosci, Cami” annuisce lei con un occhiolino, “sono la prima cliente di oggi?”
 
“Sì. So che è più affollato al mattino, ma io non ci sono mai. La signora Madrigal esce a mezzogiorno e Julieta passa solo per portare i pasticcini, quindi difficilmente parlo con un altro essere umano”
 
“Forse non hanno voglia di vederti” scherza Mirabel, scusandosi immediatamente come sempre al minimo accenno di cattiveria. “Scusa. Sono sicura che le cose cambieranno. Luisa e Mariano vengono ancora, giusto? C’è Pepa e Isabela – sempre se vuoi considerarla umana, e non una perfetta principessa delle fate”
 
“Sei tu che l’hai portata qui, ricordi? Fallo di nuovo, Mira, porta qui i tuoi amici e nemici, dacci dei clienti. Sei il nostro portafortuna, l’ha detto la signora Madrigal”
 
Un’altra persona – una migliore – si sarebbe vergognata di usare Mirabel come esca per clienti, ma Camilo è annoiato e disperato. E poi a cosa servono gli amici del cuore?
 
“Cercherò di attirare più vittime al mio ritorno” promette lei, pagando il suo ordine, “ora devo scappare. Nel frattempo, vi trasmetto tutte le mie vibrazioni positive nella speranza che portino altri clienti”
 
“Potresti portare subito i clienti e pensare dopo alle vibrazioni?” esclama Camilo, ma lei è già andata via. La ragazza è veloce, a volte sembra che vada in giro su pattini a rotelle invisibili.
 
Le vibrazioni di Mirabel non devono essere così inutili come credeva, però, perché dopo pochi minuti il campanello suona di nuovo e la porta del locale si apre per la seconda volta nel pomeriggio.
 
L’uomo che entra è piuttosto basso e trasandato, con una massa di capelli neri e un’espressione stranamente nervosa; ricorda a Camilo uno che sa di aver fatto qualcosa di sbagliato e aspetta di essere punito. A giudicare dai suoi vestiti – stivali logori e una camicia molto stropicciata sotto un ampio cappotto verde scuro – o è un professore universitario o un senzatetto. Per l’ultimo caso, la politica del locale dice che Camilo dovrebbe allontanarlo, ma se ne frega; ci sono sempre un sacco di avanzi alla fine della giornata, e ha visto la stessa signora Madrigal distribuirli ai mendicanti in più di un’occasione.
 
Meglio non fare supposizioni, comunque. Camilo finisce di pulire un tavolo e si sposta dietro il bancone, cercando di non sembrare troppo entusiasta davanti a un vero cliente in carne e ossa.
 
“Buon pomeriggio, benvenuto al Café Madrigal” sfoggia il suo miglior sorriso da servizio clienti, “cossa posso prepararti?”
 
L’uomo sobbalza, come avesse ricevuto una scossa elettrica. I suoi occhi guizzano dal menu al Camilo, poi al pavimento, poi di nuovo su Camilo per un istante e ancora sul pavimento.
 
“Uh, ciao, sì” le sue dita giocherellano con la cinghia della borsa a tracolla, “un caffè, per favore”
 
“Certo” Camilo indica il menu. “Abbiamo cappuccini, mocaccini, al caramello...”
 
“Solo un caffè nero, per favore” dice l’uomo. I suoi occhi rimangono incollati al suolo, di tanto in tanto guizzano in modo non necessariamente sospetto, ma neanche tanto normale. Sembra che si aspetti che qualcosa gli si avvicini di soppiatto.
 
Camilo si accorge che non sta soltanto armeggiando con la tracolla della borsa; vi sta affondando le unghie, un po’ rotte e irregolari, con abbastanza forza da lasciare graffi bianchi.
 
L’uomo è chiaramente e profondamente a disagio e non è dell’umore giusto per un’interazione sociale prolungata con uno sconosciuto. Camilo decide di attenersi al minimo indispensabile. “Un dollaro e venti, grazie. Lo vuoi qui o da portare via?”
 
Le spalle dell’uomo si sgonfiano visibilmente un po’ prima di rispondere, con un accenno di sconfitta nella voce. “Qui, per favore”
 
Strana scelta per uno che sembra sul punto di scappare ancora prima di ricevere il suo ordine, riflette Camilo. Il cliente alza appena lo sguardo mentre fruga nel portafogli, pagando il caffè e lasciando una mancia piuttosto consistente. Camilo non è nemmeno sicuro di aver visto quanti soldi gli ha dato, ma non intende lamentarsi.
 
“Il tuo ordine è in arrivo, accomodati dove vuoi” gli dice e l’uomo si dirige subito verso la sedia più vicina.
 
Invece di rilassarsi un minimo, rimane seduto dritto come un bastone, proprio all’orlo della sedia. È strano vedere un tipo così trasandato e spettinato con una postura tanto rigida; la signora Madrigal ne sarebbe orgogliosa. La borsa a tracolla in grembo lo fa apparire un ragazzino nervoso il primo giorno di scuola, anche se l’uomo deve chiaramente avere più di trent’anni.
 
Non guarda Camilo quando gli porta il caffè – non guarda niente, tranne una crepa nel tavolo che sembra focalizzare tutta la sua attenzione.
 
Poi, con aria terrorizzata, afferra la tazza bollente con entrambe le mani e inizia a bere come un forsennato.
 
Per qualche istante, Camilo non riesce a distogliere lo sguardo, in parte impressionato e in parte allarmato. Il caffè dev’essere incandescente. Si costringe a smettere di fissarlo, ma continua a lanciargli occhiate furtive, sentendosi un po’ abbattuto. Gli piace pensare di essere abbastanza bravo nel suo lavoro, e il suo compito è di portare i clienti a sentirsi i benvenuti nel locale, non degli ostaggi.
 
-Amico, se sei così infelice, vattene e basta-, pensa, guardando l’uomo con il cappotto verde che deglutisce un altro sorso di caffè bruciante, come se qualcuno lo tenesse sotto tiro.
 
Sussulta persino al caldo lancinante e si ferma per riprendere fiato, gli occhi grandi e allucinati come avesse appena finito uno sprint. Non ha ancora alzato gli occhi dal tavolo, nemmeno per ammirare i fiori o i disegni sulle pareti. Camilo vorrebbe che lo facesse: forse inizierebbe a rilassarsi un po’ se si rendesse conto di essersi imbattuto in un posto che sembra uscito da una fiaba.
 
Ma il relax chiaramente non è previsto nei piani: il tizio sembra così rigido che l’aria intorno a lui si ferma, come se anche il locale stesse trattenendo il fiato. Camilo è quasi sollevato quando finisce la sua bevanda, si alza di scatto, come se qualcuno gli avesse acceso un petardo sotto il sedere, e corre immediatamente verso la porta.
 
Poco prima di aprirla, i suoi occhi incontrano quelli di Camilo per un fugace momento: sono verdi, tondi e dall’aspetto incredibilmente morbido, nonostante le borse scure sotto di essi.
 
“Grazie per il caffè” dice, con voce un po’ roca, probabilmente per la gola bruciata. “Ciao!”
 
Il campanello suona sopra la porta, e lui è sparito.
 
Camilo strabuzza gli occhi. Dal momento in cui l’uomo è entrato a quando se n’è andato, saranno passati al massimo dieci minuti. Sicuramente è il tempo più breve che un cliente abbia trascorso al Café, tranne per gli ordini take away. Perché si è seduto, poi, se si è limitato a inalare della lava contenente caffeina, con un’aria terribilmente miserabile?
 
Oh beh. Camilo alza le spalle. Il tizio avrà avuto le sue ragioni; e, strambo o meno, ha lasciato una buona mancia. Probabilmente non tornerà, considerato quanto sembrava a disagio. Ma, Camilo pensa, se lo facesse, non sarebbe la cosa peggiore del mondo.

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Passano due giorni, e Camilo non ha dimenticato l’uomo strano vestito di verde. Immagina che non tornerà, il che non è sconvolgente – il 99% delle persone che passano per il Café Madrigal non ritornano mai, dopotutto.
 
Si presenta invece il terzo giorno, con lo stesso cappotto largo e un’aria giusto un pizzico meno a disagio.
 
“Bentornato” lo accoglie Camilo sorridendo, tentando di non apparire sorpreso, “cosa posso prepararti oggi?”
 
“Salve” replica l’uomo, che sorride di rimando; è un’azione piccola, nervosa, e dura un baleno. “Un caffè, per favore”
 
Camilo annuisce. “Nero?”
 
“S-sì, grazie”
 
Questa volta, dopo aver pagato, l’uomo si prende un attimo per guardarsi intorno invece di dirigersi alla prima sedia. Dopo qualche titubanza, si dirige verso la poltroncina verde felpata accanto alla finestra e si accomoda, muovendosi con cautela nonostante i bellissimi garofani che invitano ad avvicinarsi al tavolo e la gradevole luce del sole che filtra dal vetro.
 
Dai, mettiti comodo, sembra suggerire il locale. Sei il benvenuto qui.
 
Il tessuto verde lime dei cuscini si abbina piacevolmente alla tonalità più scura del suo cappotto, e la morbidezza della stoffa sembra addolcire i lineamenti del suo viso.
 
Sta bene lì, pensa Camilo, più a suo agio rispetto alla sedia di legno scelta l’ultima volta.
 
Ancora non è esattamente rilassato, però. Le sue dita si muovono nervosamente dalla tracolla della borsa per battere tre volte sulla superficie del tavolo, rapidamente e deliberatamente: toc, toc, toc. Poi si porta la mano alla tempia e colpisce la testa di lato, altre tre volte in rapida successione.
 
I colpi sembrano abituali, come se li facesse spesso, osserva Camilo lievemente preoccupato. Sono abbastanza sonori da poter far male.
 
L’uomo lascia il caffè a raffreddare un po’ questa volta, sorseggiandolo piano invece di inalarlo direttamente. Dopo aver pulito il bancone e alcuni piatti, Camilo alza lo sguardo e lo trova assorto nella lettura. L’espressione concentrata e aggrottata sul volto dell’uomo conferma la sua ipotesi del professore universitario trasandato, e sorride internamente. È bello vedere qualcuno che legge al Café Madrigal. È una cosa che non vede da quando Starbucks ha iniziato a risucchiare tutti i clienti. I fedeli abituali che continuano a venire leggono poco, ad eccezione di Mirabel che a volte porta qualche libro di testo per studiare in attesa che lui finisca il suo turno.
 
Con la scusa di chiedere all’uomo se desidera altro caffè, Camilo si dirige al suo tavolo e sbircia da sopra la sua spalla. Si aspetta un vecchio volume rilegato in pelle, di storia o filosofia, qualcosa di intellettuale.
 
Invece coglie una rivista sorprendentemente sgargiante. La pagina patinata è piena di foto in primo piano di volti truccati drammaticamente, uomini e donne che posano con costumi appariscenti. In carattere cubitale e in grassetto, il titolo dell’articolo sembra urlare al lettore: LE 10 STAR DELLE TELENOVELE DA TENERE D’OCCHIO.
 
La mente di Camilo vacilla mentre torna al bancone. Beh, quello non se l’aspettava. Forse non è un professore universitario, dopotutto?
 
Molto più tardi nel pomeriggio l’uomo si congeda dopo un’unica tazza di caffè, e Camilo si rende conto di aver dimenticato di offrirgliene ancora.
 
La rivista atrocemente colorata continua a perseguitarlo: la vede ogni volta che chiude gli occhi, sgargiante e pacchiana e completamente in contrasto con la sua prima impressione del nuovo cliente. Forse è un fatto occasionale, pensa. Forse al tizio piace leggere riviste del genere per spegnere il cervello.
 
 
 
Alla fine della settimana, Camilo è stato completamente smentito. L’uomo con il cappotto verde è tornato tutti i giorni, e ogni volta, immancabilmente, ha tirato fuori dalla sua borsa una nuova rivista luccicante. Non sembra nemmeno un modo insensato per passare il tempo, perché non le legge come la maggior parte delle persone legge le riviste, sfogliando pigramente le pagine, lievemente divertite. No, si concentra, chinandosi sulle pagine, come si aggrappasse a ogni parola. Camilo quasi si aspetta che si metta a prendere appunti.
 
Non lo disturba, anche se rende più difficile capire esattamente che tipo di persona sia il suo cliente. Mentre l’uomo divora colonne di pettegolezzi sulle star delle telenovele, è fin troppo assorto per comportarsi in modo impacciato.
 
A volte, invece di una rivista, tira fuori un grande album da disegno rilegato a spirale, del tipo con le pagine strappabili, e inizia a disegnare. Le ore trascorrono in relativo silenzio, disturbato solo dal suono della matita che graffia sulla carta e dalla visita molto occasionale di un cliente.
 
Camilo pensa agli altri clienti con una certa trepidazione, invece che con solita eccitazione. Da quello che ha notato del nuovo cliente, non è sicuro di come reagirebbe alla presenza di altre persone nel locale.
 
Quando Mirabel giunge un pomeriggio, Camilo si prepara: si aspetta quasi che l’uomo in verde le lanci un’occhiata e si precipiti fuori dalla porta.
 
Invece, con sua sorpresa, e grande sollievo, si irrigidisce leggermente e abbassa la testa, fissando risoluto il suo quaderno.
 
Con sollievo ancora maggiore per Camilo, non ha ulteriori reazioni quando, meno di un’ora dopo, e senza apparente ragione, tutti gli altri clienti abituali decidono di passare in rapida successione. Cavoli, forse Mirabel è davvero il loro portafortuna.
 
“Ah, è come se vi foste messi d’accordo” scherza Camilo, preparando l’espresso di Pepa dopo aver consegnato a Luisa e Mariano i loro frappé. “Non vedo essere umano per giorni, e all’improvviso siete qui tutti insieme”
 
“Oh, in ufficio la situazione era folle! A malapena riuscivo a bere un sorso d’acqua, figuriamoci un caffè” sospira Pepa, “ma oggi Antonio doveva gustarsi le tue millefoglie”
 
“Luisa, Luisa, posso fare un giro sulla tua schiena?” cinguetta il bambino, guardando Luisa con soggezione mista ad adorazione. È nel locale da tre minuti e in qualche modo è riuscito a sporcarsi tutto di cioccolato.
 
Luisa ride e lo afferra da sotto le braccia, sollevandolo come una bambola di pezza. “Vola, piccolo!”
 
“Per me un cappuccino alla vaniglia, per favore” chiede Isabela con il solito tono raffinato, mentre Pepa si gira per rimproverare suo figlio. (“Non disturbare Luisa, tesoro, è appena tornata dalla palestra, sarà stanca” – “Non preoccuparti, Pepa, è leggero come una piuma!”)
 
“Certo, mia signora, cappuccino con la migliore schiuma della città in arrivo” Camilo fa schioccare la lingua. Isabela alza gli occhi al cielo ma non commenta; sa che è vero e i suoi follower su Instagram lo ringrazieranno.
 
Mentre prepara tutti gli ordini, lancia uno sguardo furtivo all’uomo con il cappotto verde. Sta ancora disegnando, senza prestare attenzione alle chiacchiere, sembra concentrato e insolitamente...calmo.
 
Oh, pensa Camilo, quasi trionfante. -Qualcuno inizia a sentirsi a proprio agio, qui-.
 
“Posso versarti dell’altro caffè?” gli chiede, quando tutti se ne sono andati e il locale è tornato alla consueta quiete.
 
L’uomo annuisce. “Oh, sì, grazie. Ehm, potrei avere anche un’arepa?” aggiunge subito dopo una breve riflessione.
 
“Certo, la porto subito” risponde Camilo, tornando al bancone. Gli viene in mente che è la prima volta che l’uomo ha ordinato da mangiare, nonostante abbia trascorso molto tempo qui ultimamente. Non sembra che mangi molto.
 
Camilo esamina attentamente ogni arepa e si assicura di scegliere quella più spessa e soffice.
 
Mentre porta l’ordine, osserva non tanto accidentalmente l’album da disegno e intravede quello che sembra un topo che si pulisce i baffi con uno spazzolino da denti. “Carino il topo”
 
L’uomo sussulta e rivolge a Camilo un sorriso tremulo. “G-grazie” esita per un secondo, poi aggiunge: “è un ratto, in realtà”
 
“Ah, scusa...non riesco mai a distinguerli”
 
“N-non è semplice. Per lo più riguarda le dimensioni: i ratti tendono a essere più grandi dei topi. Ma sono anche molto intelligenti. Gli si può insegnare qualsiasi trucco e adorano essere coccolati”
 
“Hai dei ratti domestici?” chiede Camilo. Non è particolarmente curioso dei ratti in sé, ma l’uomo non ha mai parlato tanto e vuole saperne di più. Gli piace sapere cosa appassiona le persone: se si tratta di ratti, così sia.
 
L’uomo si ritrae un po’ alla domanda, gli occhi tornano a terra come temesse il giudizio di Camilo. “Oh, non più. Ne avevo quando ero bambino” sorride, nervoso e imbarazzato. “Scusa. So che la maggior parte delle persone li trova un po’ disgustosi”
 
Camilo osserva i bozzetti sulla pagina. Sono tutti ratti: mentre ballano con il tutù, suonano strumenti musicali, dondolano su un trapezio, scrutano misteriose sfere di cristallo.
 
“Sembra che si stiano divertendo” dice, “mi piacciono”
 
L’uomo gli sorride sinceramente, il viso si illumina facendolo apparire di anni più giovane. “G-grazie! Di nuovo”
 
 
 
Camilo ha iniziato a tenere un registro mentale delle cose che sa sull’uomo con il cappotto verde. In principio senza neanche accorgersene. Ok, sì, forse è un po’ inquietante. Ma non è un’abitudine. Non ha mai passato così tanto tempo con un cliente (con nessuno, in realtà) e ne sa ancora molto poco. Quello che sa si conta sulle dita di una mano.
 
Uno. L’uomo sembra sempre moderatamente ansioso.
 
Due. Continua comunque a venire, per qualche ragione.
 
Tre. È un fan delle telenovele.
 
Quattro. Adora i ratti.
 
Non riempiono nemmeno una mano, e non sembra abbastanza per una persona che Camilo sta vedendo ogni giorno. Quindi, con il passare della settimana, si impegna a osservare con discrezione l’uomo e a raccogliere quante più informazioni possibili. Fa parte del suo lavoro conoscere i clienti in modo da offrire loro il migliore dei servizi, e non è affatto strambo, decide Camilo.
 
Nota che l’uomo si siede sempre sulla poltrona verde accanto alla finestra. Appena si siede, immancabilmente, le sue dita fanno la stessa strana piccola danza: toc toc toc sul tavolo, toc toc toc sulla testa. Deve essere importante per lui, perché sembra sempre intensamente concentrato mentre lo fa – e, allo stesso tempo, mortificato, guardandosi intorno subito dopo per controllare se qualcuno lo ha visto (e in quei casi, Camilo fa in modo di apparire occupato).
 
Comincia a sembrare un po’ più rilassato solo dopo aver passato del tempo a disegnare o leggere le sue riviste. Anche se rilassato non è ancora il termine giusto: rimane teso, ma in modo diverso, perso nel suo piccolo mondo per notare cosa gli succede intorno.
 
Probabilmente per questo è così indifferente agli altri clienti, pensa Camilo, anche quando è difficile ignorarli, come quando Luisa e Mariano sfondano le porte dopo una sessione di sollevamento pesi in palestra, pronti a consumare arepas per il loro giorno libero settimanale. O quando Pepa entra drammaticamente sui suoi tacchi a spallino e tailleur pantalone firmato, parlando a mitraglietta su un cliente o su un altro, mentre Camilo gioca con il figlio (forse ha sorriso una o due volte per il piccolo Antonio).
 
Camilo è grato che gli altri, a loro volta, sembrino rispettare il suo bozzolo. Lo salutano con un sorriso e un veloce ‘Ciao’, che lui ricambia frettolosamente ma con la massima cortesia, nessuno si fa in quattro per intavolare una conversazione con lui. Luisa e Mariano condividono le loro imprese in palestra con Camilo prima di andarsene, Pepa di solito entra ed esce come un turbine, correndo a casa dal marito dopo una frenetica giornata in ufficio. Isabela tende a rimanere più a lungo, ma di solito è troppo impegnata a fare selfie con il suo cappuccino per mettersi a parlare.
 
Anche Mirabel, da animale sociale qual è, mantiene una discreta distanza. A volte lancia un’occhiata all’uomo prima di rivolgere a Camilo uno sguardo consapevole, come se sapesse qualcosa che lui non sa. Camilo non è sicuro che di apprezzare quello sguardo.
 
Nonostante ciò, è contento che i suoi clienti abituali comprendano tacitamente il bisogno di spazio del nuovo arrivato. Camilo spera che si senta tranquillo lì, non solo perché non possono permettersi di perdere altri clienti, ma perché è ciò che il Café Madrigal dovrebbe essere: uno spazio sicuro per tutti.
 
Per questo è inorridito quando, andando a dare altro caffè all’uomo alla fine di un pomeriggio impegnativo ma piacevole, lo trova curvo sul tavolo e sul punto di svenire.
 
“Ehi, va tutto bene?” chiede preoccupato. Ovviamente no, ma l’uomo annuisce furiosamente.
 
“Sì, sto bene” balbetta, prima di fermarsi a riprendere fiato. “Mi dispiace...non è niente di grave, a volte mi succede...”
 
Le dita armeggiano goffamente nella borsa, tirando fuori un tubetto di pillole bianche; apre il tappo, ne versa una in mano e la inghiotte. “Mi dispiace”
 
“Va tutto bene” risponde Camilo, cercando di non lasciar trasparire la crescente preoccupazione. Sa riconoscere i segni di un attacco di panico, anche se non sa nulla dell’uomo. Da quello che può supporre, è lecito ritenere che l’ultima cosa che vuole sia più attenzione.
 
Ma il pensiero di fingere di non accorgersi di niente mentre l’uomo fatica visibilmente a respirare risulta sbagliato, Camilo non ci riesce.
 
Gli piace aiutare le persone, servire loro da mangiare e da bere, ridere delle loro battute, dire loro ciò che hanno bisogno di sentire. È lui che lascia Isabela a bocca aperta, ammirata dai disegni meravigliosamente intricati sul cappuccino, che rallegra Pepa con qualche dolcetto dopo una lunga giornata di lavoro, che dà a Luisa e Mariano la giusta carica per acquisire maggiore forza. In questo momento, vuole aiutare l’uomo che ha di fronte a sentirsi di nuovo bene.
 
“Va tutto bene” ripete.
 
L’uomo chiude gli occhi, gonfiando le guance e rilasciando un respiro tremulo. “Cavoli, Dolores rimarrà delusa” dice, massaggiandosi la fronte, “ero sicuro di potercela fare senza di lei”
 
-Sua moglie?- si domanda Camilo, osservandogli le mani. Nessun anello.
 
“Posso lasciarti un po’ di privacy, se vuoi” offre. “Non posso andarmene perché il mio turno non è finito, ma posso spostarmi in un angolo e mettermi le cuffie, se devi chiamare la tua ragazza. Puoi fingere che io non ci sia”
 
“Dolores è la mia terapista” sbotta l’uomo, le parole escono come un torrente, “ha detto che posso chiamarla se ne ho bisogno, ma se lo facessi ogni volta che mi innervosisco, dovrei cambiare piano tariffario. E non voglio rovinare il suo equilibrio tra lavoro e vita privata, è giovane e ha già tanto da fare. E ora ho preso uno Xanax invece di resistere, e questo significherà fare dei passi indietro quando stavo facendo progressi, e dovrò trovare un altro locale in cui nascondermi prima che inevitabilmente mi ridicolizzi anche lì...”
 
Prima che Camilo possa elaborare il suo fulmineo discorso, l’uomo soffoca con il proprio respiro e riprende a iperventilare.
 
“Come ti chiami?” chiede mentre si siede di fronte a lui, colto dal bisogno di fare qualcosa.
 
L’uomo stringe maggiormente gli occhi. “Bruno” espira tremante, appena udibile.
 
“Bruno” ripete Camilo, per assicurarsi di aver sentito bene. “Okay. Ascoltami, Bruno, non c’è nessuno qui in questo momento. Non ti sei ridicolizzato. Non ti ho visto fare niente di ridicolo. Non importa se devi prendere uno Xanax o chiamare la tua terapeuta o un amico o altri. Sono qui solo per preparare il caffè e pulire i tavoli. Fidati, non stai disturbando nessuno”
 
Camilo mantiene gli occhi su Bruno per essere sicuro che lo ascolti, parlando lentamente, in modo che ogni parola abbia il tempo di essere assorbita e ancorarlo al momento presente. Sembra funzionare – o forse lo Xanax inizia a fare effetto – perché il suo respiro si uniforma lentamente, passando da ansiti rapidi a respiri leggeri ma regolari.
 
“...davvero non ti disturba?” chiede poi timidamente, non incontrando lo sguardo di Camilo.
 
“No. Nemmeno un po’”
 
Bruno chiude le mani a pugno prima di rilasciarli, espirando dalla bocca. Camilo non dice niente, osservando una vena spuntare sul suo avambraccio mentre il muscolo si contrae e si rilassa. Forse dovrebbe tornare a pulire i menu, ma non c’è fretta e ha la vaga sensazione che Bruno abbia ancora bisogno di lui.
 
Quindi aspetta, rendendo consapevolmente il suo respiro più regolare, nel caso possa essergli di aiuto, come fosse il metronomo che riporterà in carreggiata il battito cardiaco frenetico di Bruno.
 
Quando riapre gli occhi, sembrano calmi ma stanchi. Deglutisce con difficoltà e Camilo riesce ad avvertire quanto sia secca la sua bocca. “Posso portarti dell’acqua?”
 
Bruno annuisce, tremante. “Sarebbe bello, sì”
 
Camilo gli porta un bicchiere e l’intera brocca. Non c’è nessun altro, ad ogni modo.
 
Dopo aver bevuto qualche sorso, Bruno gli lancia uno sguardo sia grato che imbarazzato. “Grazie” dice con un debole sorriso, “mi dispiace che tu abbia dovuto vedermi così. Un sacco di dramma per niente”
 
Camilo ricambia il sorriso. “Beh, ci vuole ben altro per spaventarmi. Il dramma è il mio pane quotidiano, dopotutto”
 
“Sei un attore?” chiede l’uomo, rianimandosi leggermente.
 
“È un termine generoso. Cerco di diventarlo”
 
“Si capisce” mormora Bruno, prima di aggiungere subito, “non che tu sia drammatico o falso o altro! Solo che, sai...sei sicuro di te. Te la cavi bene con le persone” si corregge, raddrizzando le spalle come per dimostrare la fiducia di Camilo, “sembra che tu piaccia molto a tutti quelli che vengono qui”
 
È la verità, quindi Camilo non si disturba a negare. È contento, però, di sapere che Bruno se n’è accorto. Fa del suo meglio per rendere felici le persone e ne è orgoglioso.
 
“Sono davvero fantastici. I clienti, intendo. Certo non ne abbiamo molti da quando Starbucks ha aperto dall’altro lato della strada”
 
“Meglio avere tre abituali che trenta nuovi clienti ogni giorno, giusto?” ridacchia Bruno.
 
Alza le spalle come a dire, ‘Cosa vuoi farci?’, apparendo più rilassato rispetto a cinque minuti fa. La conversazione sembra stia funzionando per distrarlo. In parte per via di questo, Camilo decide di proseguire, con un cipiglio fintamente offeso.
 
“Beh, non sono tre” ribatte. “Ce ne sono almeno sei. Allora, Luisa e Mariano, i due più robusti, non puoi non averli notati” precisa, e Bruno annuisce, “Isabela, con tutti i selfie che fa con le nostre composizioni floreali; ha circa un milione di follower su Instagram, pazzesco. Poi ci sono Pepa e suo figlio, li avrai visti, lui è un bambino stupendo. E naturalmente c’è Mirabel”
 
“La ragazza con i capelli corti e gli occhiali” sorride Bruno, “siete una bella coppia”
 
Camilo sbatte le palpebre. “Grazie. In realtà siamo cugini”
 
Prova divertimento all’espressione totalmente mortificata di Bruno per un paio di secondi prima di avere pietà di lui.
 
“Sto scherzando, non siamo cugini, non di sangue comunque. Le nostre madri erano migliori amiche, quindi siamo praticamente cresciuti insieme” spiega, “è come una sorella per me”
 
Bruno emette un gemito e gli lancia uno sguardo leggermente minaccioso, come se volesse arrabbiarsi con lui senza riuscirci. “Hai ragione” ammette, “sono sei clienti abituali: Luisa, Mariano, Isabela, Pepa, Antonio e Mirabel”
 
Qualcosa nel modo in cui pronuncia i nomi – con attenzione, contando ciascuno sulle dita, come li stesse incidendo nella memoria – provoca a Camilo una sensazione di calore.
 
Sorride, correggendolo: “Sette, contando te. Benvenuto in famiglia, Bruno” poiché si rende conto di quanto possa sembrare scoraggiante per uno dalla travolgente ansia sociale, aggiunge rapidamente: “Oh, io sono Camilo”
 
“Camilo” ripete Bruno. “Piacere di conoscerti. Sono Bruno. Ma lo sapevi già”
 
“Sì” Camilo sorride di nuovo, “lo sapevo”.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


Così, la lista di ciò che Camilo sa sul suo misterioso cliente si allunga, passando da quattro punti a otto in un giorno.
 
Cinque. Si chiama Bruno.
 
Sei. Ha una terapista di nome Dolores.
 
Sette. Presta attenzione alle persone intorno lui, anche quando non sembra che lo faccia.
 
Otto. Non ha una moglie, probabilmente.
 
Non significa necessariamente che sia single. E comunque, non sono affari di Camilo.
 
Non sembra però un’ipotesi stravagante. Il fatto che abbia scambiato Mirabel per la sua ragazza suggerisce che non ha molta esperienza in quel campo.
 
Camilo rimugina sui piccoli fatti, setacciandoli mentalmente come chicchi di caffè. Adesso conosce il nome di Bruno, il che è certamente un passo avanti rispetto al dover pensare a lui come ‘l’uomo con il cappotto verde’. Ma una risposta non fa che generare altre domande. Che tipo è Bruno? Come si classifica tra gli altri clienti abituali del Café Madrigal?
 
Alla prima domanda è relativamente facile rispondere, anche se solo in termini vaghi. Bruno è, ovviamente, una persona molto ansiosa. Un po’ ossessiva, anche, a giudicare dalla sua vasta conoscenza sui ratti e dalla sua collezione apparentemente infinita di riviste di telenovele. Non sembra il tipo di persona che si comporta discretamente riguardo ai propri hobby: se gli interessa qualcosa, ci si butta completamente.
 
È un tratto sorprendentemente comune nei clienti abituali del Café Madrigal, riflette Camilo, pensando alla routine in palestra di Luisa e Mariano e al lavoro di Pepa.
 
La seconda domanda è uno schema più difficile da decifrare. A prima vista, Camilo potrebbe essere propenso a pensare che Bruno non si adatti con gli altri clienti abituali: sebbene appaia meno nervoso in loro presenza ad ogni giorno che passa, non tenta mai di interagire con loro. Deve ancora stabilire un vero contatto visivo con un’altra persona.
 
Ma Camilo sta iniziando a capire che Bruno ha un proprio modo di comportarsi con le persone. Non parla, ma Camilo sa che ascolta, o almeno coglie frammenti di conversazione. Sorride guardando il suo album da disegno quando tutti ridono per una battuta, ma solo se è sicuro che nessuno lo stia osservando. Lo fa anche quando gli altri chiacchierano e passano qualche momento piacevole, come fosse il suo modo di contribuire all’atmosfera senza esserne sopraffatto.
 
Non gli piace essere notato, ma nota ciò che lo circonda.
 
 
 
Sebbene Bruno non parli con altri clienti, non ci mette molto a uscire dal suo guscio con Camilo. Il primo contatto è stato apparentemente l’ostacolo più grande da superare; ora che la parte difficile è passata, Bruno sembra felice di chiacchierare quando c’è una pausa, cosa che si verifica la maggior parte delle volte. Partecipa alle conversazioni con un tipo particolare di imbarazzo, come se fosse desideroso di parlare ma si sforzasse di non essere troppo ansioso. Deve sentirsi solo, conclude Camilo con dispiacere.
 
Il più delle volte chiacchierano di cose irrilevanti: il tempo, i ratti che Bruno disegna in situazioni sempre più assurde (a quanto pare gli piace illustrarli nelle sue scene preferite di qualche telenovela), quanto Starbucks faccia schifo (qui è Camilo a parlare maggiormente). Bruno non sembra a suo agio nel parlare di sé, preferendo invece chiedere cose su Camilo.
 
Fortunatamente, Camilo non ha mai avuto ansia da palcoscenico, ed è tranquillo nel condividere praticamente tutto. L’unica cosa che lo sconcerta è quanto Bruno sia attento come ascoltatore: una miriade di microespressioni aleggiano sui suoi lineamenti quando Camilo parla, come se tutto il suo essere assorbisse l’impatto di ogni parola, ogni sillaba. Camilo si conosce, sa che dice un sacco di cavolate, quindi avere la totale attenzione di Bruno gli provoca una strana sensazione nello stomaco. Non vuole sembrare stupido, o peggio, mettere Bruno a disagio.
 
Un giorno, quando Camilo è nel bel mezzo di uno sproloquio sulla fatica di bilanciare gli studi con la sua ‘carriera’ di attore (e si rende conto in ritardo di quanto suoni piagnucoloso), Bruno si acciglia, confuso.
 
“Un momento” dice, inclinando la testa di lato in un modo che Camilo trova carino, “pensavo che studiassi recitazione? Non dovrebbe, ehm, aiutarti con la tua carriera?”
 
“No, i miei genitori si sarebbero sentiti male. Ho lezioni di recitazione nei fine settimana e praticamente ogni volta che ho tempo libero. In realtà studio economia”
 
“Oh, interessante” dice Bruno, ed è la prima volta che Camilo lo vede mentire; non gli riesce molto bene. “Una laurea utile. Ci sono un sacco di opportunità di lavoro”
 
Camilo fa una smorfia. “Sì, è quello che dicono i miei genitori. Non mi piace, però. Ho pensato di abbandonare gli studi”
 
Si aspetta che Bruno provi a dissuaderlo, come ha sempre fatto qualsiasi adulto, dicendogli che una laurea gli aprirà le porte e potrà fare quello che vuole in seguito. Invece, Bruno lo sorprende con un sorriso comprensivo – un’espressione stanca, sconfitta.
 
“Sì, capisco” dice, scuotendo la testa, “l’università può essere...” fa un vago gesto con le mani e una pernacchia, “a volte bisogna soltanto mollare la presa, sai?”
 
“Tu l’hai fatto?” chiede Camilo, incapace di nascondere la curiosità, “hai mollato?”
 
Bruno sbuffa. “Si può dire così. Mi sono preso un anno sabbatico”
 
“Sei un professore? Lo sapevo!”
 
L’uomo guarda se stesso, non sapendo bene se sentirsi lusingato o insultato. “Davvero?”
 
“Dal momento in cui sei entrato” risponde trionfante Camilo. Non dice a Bruno qual era l’altra ipotesi. “Ricordo di averti visto leggere e di aver pensato che doveva essere un vecchio libro pesante di storia o filosofia. Non potevo credere che in realtà stessi leggendo di telenovele”
 
Bruno ride, non apparendo tanto imbarazzato come Camilo si aspettava, quindi decide di spingersi ancora un po’. “Allora, cos’è successo?” chiede andando dritto al punto, ma con tono cauto. “Ti serviva una pausa?”
 
Bruno soffia di nuovo aria dalle guance. Lo fa spesso, nota Camilo, facendo svolazzare alcune ciocche di capelli.
 
“Non tanto dall’insegnamento, ma...da tutto, penso” risponde, “non mi prendevo molta cura di me stesso da un po’ e ogni cosa si è accumulata, perché all’improvviso non riuscivo a fare cose che facevo da anni, e che prima erano divertenti”
 
Distoglie lo sguardo e ridacchia in un modo che vuole apparire disinvolto, ma le sue dita tornano a stuzzicare la tracolla della borsa, la cui pelle inizia a sfaldarsi.
 
“Adoravo insegnare” continua, guardando Camilo con sorprendente serietà, “è ancora così. Non sapevo fare altro, non avevo fatto praticamente altro per anni, ma all’improvviso, dal nulla, non ci riuscivo più. Il pensiero di tutte quelle persone che mi guardavano, senza potermene andare se iniziavo ad andare nel panico, mi terrorizzava. Così ho iniziato a stare di più a casa. Ho smesso di andare al campus, o in biblioteca, o a casa dei miei amici”
 
La tristezza nella voce di Bruno risuona come una campana e Camilo si rende conto, un po’ sconvolto, che non cerca di nasconderla. È un uomo che piange apertamente per la perdita della sua vecchia vita.
 
“Era come avere un campo visivo molto ristretto” continua piano, “come se la mia vita si...restringesse intorno a me. Un sacco di posti sono diventati impossibili da frequentare. Dopo un po’, non riuscivo nemmeno a uscire dal mio studio” Bruno fa una pausa, come se non sapesse dove altro dirigersi. “È davvero spaventoso vedere quanto e con quale velocità il proprio mondo può ridursi” conclude, “fino a quando non rimane che una stanza”
 
Camilo non sa cosa dire. A quanto pare, raramente trova qualcosa da dire con Bruno, e ne è frustrato. Non sa come esprimere la sua compassione quando ciò che Bruno descrive è un dolore così estraneo, così alieno per lui. Vorrebbe quasi viverne un istante, o almeno un ricordo, se non altro per togliere un po’ di quel peso da Bruno.
 
“Sembra uno schifo” dice. -Non posso immaginare quanto sia stato difficile- è ciò che intende realmente, ma Bruno annuisce con veemenza.
 
“Era una vera merda” concorda. Camilo non l’ha mai sentito dire una parolaccia e il termine sembra leggermente inappropriato proveniente dalla bocca di bruno, eppure è stranamente audace; lo dice con gusto, come un ragazzino che prova l’alcool per la prima vista. “È stato uno schifo per molto tempo, ma sai, alla fine mi sono ripreso. Non volevo continuare a essere controllato dalle cose che temevo invece che da quelle che amavo; quindi ho deciso che il modo migliore per non aver paura di qualunque cosa per tutta la vita fosse fingere di non avere paura, solo per un po’. E continuare ogni giorno, per tutto il tempo necessario. Fingere fino a che non diventa reale”
 
Camilo comprende. “Per questo hai iniziato a venire qui?” chiede, “era una cosa che ti spaventava?”
 
Bruno sorride imbarazzato. “Colpevole” scherza, alzando le mani come se si arrendesse, “è piuttosto sciocco, lo so”
 
“Non penso affatto che sia sciocco” dice Camilo, più sincero che mai. Poi gli viene in mente un altro pensiero. “Hai scelto questo posto rispetto a Starbucks perché è sempre vuoto, vero?”
 
“Sì...scusa. Volevo mettermi alla prova, ma ho pensato di procedere a piccoli passi”
 
“Beh, qualsiasi cosa ti porti qui, il Café Madrigal ti ringrazia” risponde Camilo con riverenza, “ma sul serio, penso che tu sia, uh, molto coraggioso. Per esserti spinto fuori dalla tua comfort zone, intendo. Non so se ci riuscirei se fossi nei tuoi panni”
 
Camilo rabbrividisce: le parole gli stanno uscendo in maniera confusa e goffa e patetica, nient’affatto come vorrebbe. Nonostante ciò, Bruno arrossisce come se avesse appena ricevuto il massimo degli elogi.
 
“Non avrei mai potuto farcela da solo” dice subito, “Dolores, la mia terapista, mi ha aiutato. Non so dove sarei senza di lei, a dire il vero”
 
“Sembra che lei ti piaccia molto” commenta Camilo.
 
Il sorriso di Bruno diventa più ampio e affettuoso. “Sì, è fantastica. Prima della prima sessione, ero così nervoso che ho avuto un attacco di panico mentre andavo in clinica. Ho dovuto fermarmi qualche minuto per respirare e le ho detto, ‘Scusa, è la mia prima volta,’ e lei ha risposto, ‘Allora siamo in due’.
 
Bruno ride e Camilo è sorpreso da quanto suoni genuino e felice, meno di un minuto dopo aver descritto quelli che sembravano i peggiori momenti della sua vita. Gli ricorda una mattina di inizio estate dopo una notte tempestosa, incerta ma piena della promessa di calore. “Era appena stata abilitata, quindi io ero il suo primo vero paziente. A volte scherziamo ancora dicendo che sono la sua cavia”
 
Bruno sarebbe una cavia molto carina, pensa Camilo, chiedendosi poi come diamine sia arrivato a quella riflessione.
 
“Beh” dice, schiarendosi la gola, “se mai dovesse passare di qui, le offrirò sicuramente un caffè”
 
 
 
Giorno dopo giorno, Camilo arricchisce la lista di cose che sa su Bruno.
 
Nove. È un professore universitario.
 
Dieci. Ha una paura patologica delle persone, ma allo stesso tempo è premuroso, forse in egual misura.
 
Undici. È molto espressivo nonostante sia così timido, e comunica molto con le mani, agitandole per rimarcare un concetto o gesticolando come un direttore d’orchestra quando inizia un monologo appassionato. Dev’essere un’abitudine presa con gli anni di insegnamento, pensa Camilo.
 
Dopo un po’, smette di tenere il conto di tutte le cose che sa di Bruno, perché diventano troppe – e okay, può ammettere che quella modalità era un po’ inquietante. Ripensa con affettuosa superiorità al se stesso del passato recente, facendo tesoro di ogni minuscolo fatto appreso sull’uomo, come un avaro che conta le monete. Ha fatto strada, da allora.
 
Ma se c’è una cosa che ha capito di Bruno fin dall’inizio, è che è pieno di sorprese. Camilo ne ha una vivida dimostrazione la sera stessa.
 
Sono rimasti solo lui e Bruno nel locale e dovrebbe chiudere, ma è troppo impegnato a divagare su quanto siano odiosi i puristi del caffè nero.
 
“Non fraintendermi: non c’è niente di sbagliato nel preferire il caffè nero, ma perché bisogna comportarsi da stronzi? Che logica c’è nel vedere qualcuno che beve un cappuccino speziato alla zucca e pensare che è inferiore, mentre io, ovviamente, bevo il tipo di caffè superiore, perché è più nero dell’anima di Ben Shapiro...”
 
“Il cappuccino alla zucca non è una bevanda di Starbucks?” chiede Bruno, sorridendo divertito. “Pensavo che odiassi Starbucks”
 
“Lo odio perché è un bastione del capitalismo e ruba tutti i miei clienti, e non per le loro bevande. Comunque, Starbucks non ha ancora un brevetto sui cappuccini alla zucca” aggiunge Camilo e il pensiero gli provoca un brivido fugace lungo la schiena. “Potrei prepararti un cappuccino alla zucca che ti farebbe perdere la testa, se non prendessi il caffè nero. Oh dio, ti prego, non dirmi che sei uno di quegli snob di cui ho parlato male” geme, fingendosi esausto.
 
“Non lo sono assolutamente” ridacchia Bruno, “a dire la verità, preferisco il caffè con latte e zucchero”
 
“Davvero?” Camilo lo fissa, “ma lo prendi sempre nero”
 
Bruno abbassa lo sguardo. “È la cosa più semplice da ordinare, sai?” confessa nervosamente, “non bisogna spiegare. Ordino del caffè nero, ricevo del caffè nero, senza domande. Lo ordino sempre quando sono in pubblico” giocherella con la tracolla della sua borsa, sempre più imbarazzato mentre guarda Camilo. “Poi ho continuato a venire qui e dopo un po’ ho pensato che sarebbe stato troppo strano cambiare, quindi...”
 
Camilo non può fare a meno di provare una piccola fitta di egoistico dolore. “Quindi, tutte le volte che ti ho preparato il caffè...non ti piaceva?”
 
Gli occhi di Bruno si spalancano, allarmati. “No! Voglio dire, sì! Insomma, il tuo caffè è buonissimo” si agita, muovendo le mani, “sei davvero bravo a preparare il caffè, almeno per quanto ne so, non ne bevo molto...”
 
“Non bevi molto caffè?” ripete Camilo, incredulo. “Bruno, è da settimane che vieni qui tutti i giorni: ti piace il caffè?”
 
Bruno arrossisce fino alla punta delle orecchie. “Beh...” fa debolmente, “non lo odio”
 
Camilo incrocia le braccia sul tavolo e vi lascia cadere la testa. “Non posso crederci” sospira, “ti ho servito un sacco di caffè”
 
Non vede il viso di Bruno, ma avverte la mortificazione nella sua voce. “Sei arrabbiato?”
 
Camilo esce dal suo stato lamentoso. “No, non sono affatto arrabbiato. Ma intendo sistemare le cose subito” decide, balzando in piedi e rimboccandosi le mani. “Oggi, per la prima volta, ti preparerò una bevanda che ti piacerà davvero”
 
Bruno lo segue mentre si dirige verso il bancone, balbettando delle scuse (‘Ah, andiamo, Camilo, non devi farlo’). Ma Camilo non si ferma: è deciso a preparargli la dannata bevanda.
 
Si liscia abilmente il grembiule, tamburellando con le dita mentre cerca di ricordare cosa Bruno ordina di solito oltre al caffè nero. Biscotti, millefoglie, cuajada con melao – molti dolci, a pensarci.
 
“Ti piacciono i dolci” conclude, puntando un dito accusatore contro Bruno. “Che ne dici di una cioccolata calda in stile Madrigal? So preparare una cioccolata santafereño pazzesca”
 
Bruno vacilla nella sua protesta, rianimandosi visibilmente. Scuote la testa, ma Camilo capisce di aver stuzzicato il tuo interesse da come i suoi occhi sono diventati ancora più rotondi. “B-beh, se non è di troppo disturbo...”
 
“Non dire altro”
 
Camilo si mette subito al lavoro. A malapena si accorge di come Bruno rimane accanto al bancone, con aria imbarazzata, incerto se rimanere lì o tornare a sedersi. È stranamente esaltante riuscire a fare qualcosa di diverso dal semplice caffè nero per Bruno, qualcosa che richiede più abilità e finezza e, cosa più importante, qualcosa che gli piacerà. Camilo misura il cioccolato e dosa il latte con la precisione di uno scienziato, muovendosi con scatti teatrali. Non è un crimine mettersi in mostra, dopotutto non è altro che un virtuoso barista.
 
Mentre versa la cioccolata fumante in una tazza verde, il naso di Bruno si contrae come i baffi di un topo dopo aver sentito l’odore del formaggio.
 
“Il profumo è incredibile” sospira con un sorriso che gli tira le labbra.
 
Camilo lo guarda severamente. “Frena, non è ancora finita”
 
Senza rispondere all’espressione perplessa d Bruno, si gira, proteggendo la bevanda dai suoi occhi indiscreti. Completa con altro latte, creando uno strato di morbida schiuma, lavorando con attezione in un silenzio concentrato.
 
Dopo qualche minuto, posa la tazza su un piattino abbinato e la adagia cerimoniosamente sul bancone. “Ta-da! Una cioccolata santafereño per il gentiluomo”
 
Camilo trattiene il respiro mentre Bruno prende la tazza e si blocca, con un’espressione meravigliata. Invece del solito motivo a cuore o a tulipano, la schiuma è stata abilmente lavorata per disegnare un bianco e paffuto topo, completo di baffi realizzati con la polvere di cacao fondente e una lunga coda che si curva aggraziatamente su se stessa.
 
“Non sono un artista come te” spiega Camilo prima che Bruno possa aprire bocca, sentendosi impacciato ora che il suo fervore creativo si è spento. “Non sono abituato a disegnare ratti, ma ho provato a farlo come uno dei tuoi...carino e un po’ cicciottello...”
 
“È meraviglioso” dice Bruno. Fissa la cioccolata calda, le mani reggono la tazza con una sorta di riverenza. “È...grazie, Camilo”
 
Sta quasi sussurrando, e c’è qualcosa nel modo soffiato in cui pronuncia il suo nome che è Camilo a sentirsi senza fiato. Si schiarisce la voce prima di rispondere.
 
“Non c’è di che. Ah, quasi dimenticavo”
 
Il tocco finale senza il quale nessuna cioccolata santafereño decente può dirsi completa: afferra un paio di pinze e aggiunge uno spesso pezzo di formaggio sul piattino. “Per il topo” dice con un occhiolino.
 
Bruno sorride, sia a Camilo che alla cioccolata, alcune ciocche ricce gli cadono sugli occhi. Ed ecco di nuovo, nota Camilo, la strana sensazione che sta provando sempre più spesso negli ultimi giorni, quella che sta iniziando ad associare a Bruno. Un bizzarro balzo del suo stomaco, come cadesse in una pozzanghera.
 
“Non posso credere che è la prima volta che la prepari così” dice Bruno, fissando la bevanda, “è bellissima, quasi non me la sento di berla”
 
“Per favore, fallo” supplica Camilo, con un sorriso genuinamente dispiaciuto, “è il minimo che posso fare per te, dopo tutti quei caffè neri amari”
 
“Penso che la chiamerò ‘Cioccolata Bruno’” decide più tardi, mentre Bruno è seduto sulla sua poltrona verde, sorseggiando la cioccolata calda con evidente piacere. È totalmente buio fuori adesso e ben oltre l’orario di chiusura, ma Camilo ha tenuto le luci accese solo per loro, e il mondo non smetterà di girare se restano qualche minuto in più. “Non riesco a pensare a nessun altro cliente che sarebbe così felice di vedere un topo nella propria bevanda”.
 
 
 
La nuova bevanda compare sulla lavagna del menù e Camilo comincia ad associare Bruno al profumo della ricca e schiumosa cioccolata.
 
Bruno viene ogni pomeriggio alla stessa ora, esattamente un’ora dopo che Camilo ha cominciato il suo turno. Camilo prende l’abitudine di preparare la cioccolata cinque minuti prima, così che sia pronta e bollente non appena Bruno entra. Lui accetta con gratitudine, ordina un pasticcino da abbinare e ascolta docilmente mentre Camilo ironizza sulla sua golosità per i dolci; poi si accomoda sulla poltrona verde con le sue riviste o l’album da disegno, e le ore scorrono tranquillamente mentre la luce del sole sale e scende dagli interni del Café Madrigal.
 
Tuttavia, non ogni giorno è semplice; Camilo testimonia alcuni attacchi di panico di Bruno e fa quello che può per aiutare, imparando attraverso tentativi ed errori. Quando è grave, Bruno inizia a scusarsi abbondantemente, ripetendo ‘Mi dispiace, mi dispiace’ tra sussulti frenetici.
 
“Non devi scusarti” gli dice Camilo, desidera che Bruno sappia che non ha nulla di cui scusarsi, ma così innesca un ciclo di riscontri angoscianti perché Bruno risponde invariabilmente, ‘Lo so, mi dispiace’.
 
Impara invece a dire, “Va tutto bene”. Di tanto in tanto dice, “Scuse accettate” in tono scherzoso, facendo ridere e rilassare un po’ Bruno, come fossero le parole che ha davvero bisogno di sentire.
 
Ciò fa arrabbiare Camilo, in modo frustrante e inutile contro le misteriose forze invisibili che riescono sia a ferire Bruno che a farlo sentire in colpa. Sa che non è così che funziona, che i nemici di Bruno non sono qualcosa che può affrontare direttamente, ma vorrebbe ci fosse qualcosa in più da poter fare per via di quel feroce bisogno di proteggere, qualcosa di più reale, più concreto. È abituato a lavorare con cose che può vedere, toccare e sentire.
 
Quindi cerca di trasmettere tutto questo in ogni tazza di cioccolata che prepara per Bruno, in ogni arepa leggermente tostata che gli consegna, in ogni spessa fetta di cuajada, servita con sciroppo extra.
 
Lo trasmette nel posto in cui Bruno si sistema tutti i pomeriggi prima del suo arrivo, sprimacciando il cuscino e selezionando i fiori più freschi da lasciare sul tavolo. Vuole che, qualunque cosa spaventi tanto Bruno all’esterno, possa rimanere fuori dalla porta del Café Madrigal. Camilo non ha mai creduto così tanto nell’influenza magica del locale. Immagina giganteschi fasci di luce che sbucano dalle pareti, avvolgendosi con grazia intorno alle preoccupazioni di Bruno per gettarle senza cerimonie fuori dalla porta.
 
-Ci riserviamo il diritto di negare il servizio a schifezze come te.-
 
“Ti dico che questa signora è infestata. Continua a venire qui e un giorno i suoi demoni scacceranno i tuoi” ama dire a Bruno.
 
L’uomo sembra pensieroso. “Risparmierei un po’ di denaro per la terapia” ammette, “anche se mi mancherebbe Dolores. E, aspetta...hai detto ‘signora’?”
 
“Uhm, sì. Ogni caffetteria è una signora, non lo sapevi?”
 
Gli occhi di Bruno si increspano quando ride e, okay, Camilo non è stupido; sa che tutte queste battute innocue con conseguente buffa sensazione allo stomaco sono a un passo dal virare verso un territorio più pericoloso. Sa che dovrebbe fermarsi, o almeno rallentare, finché ne ha il tempo, ma è come se si trovasse sul punto di addormentarsi sul divano, anche se dovrebbe finire un saggio o prepararsi per gli esami. Minimamente consapevole di dover fare la scelta giusta, ma ormai troppo oltre per riuscirci.
 
È così che si comportano gli amici, dice la parte di lui che sta già sonnecchiando. Parlano delle reciproche vite, scherzano e si prendono cura l’uno dell’altro. Lui e Bruno sono amici, così come è suo amico qualunque cliente abituale del Café Madrigal.
 
Diventa un po’ più difficile crederci quando detti clienti abituali accorrono in quello che Camilo sa essere uno dei giorni difficili di Bruno, e si ritrova ad aspettare con ansia che se ne vadano. Certo, è felice di vederli e considera ancora una vittoria ogni visita di un cliente (alla faccia di Starbucks), ma ogni tanto prega silenziosamente che tutti si sbrighino e se ne vadano in modo che Bruno possa restare da solo (alias, così che lui e Bruno possano restare soli).
 
Inoltre, Camilo sa che la normale amicizia non spiega il suo crescente bisogno di toccare Bruno. Non in modo sconcio, solo tocchi casuali. È un ragazzo che ama il contatto fisico, gli piace abbracciare Mirabel quando lei è giù di morale, scambia il cinque con Luisa e Mariano dopo un’intensa sessione di ginnastica, scompiglia i capelli ad Antonio. Si chiede come reagirebbe Bruno a una cosa come una mano sulla spalla, o una leggera pacca sulla schiena. Quando lo sorprende nel suo rituale dei colpi contro il legno, pensa di prendergli delicatamente la mano e tenerla tra le proprie. Immagina di sentire le dita lunghe e nervose contrarsi prima di rilassarsi nel suo palmo, come un uccellino che si addormenta.
 
Certo, Camilo non si consente mai di andare fino in fondo. Non solo risulterebbe inquietante, ma Bruno probabilmente si sentirebbe malissimo se il suo rituale venisse interrotto.
 
Quindi osserva da una distanza di sicurezza, cercando di non risultare troppo evidente mentre guarda le mani di Bruno che si agitano intorno alla sua tazza o sfogliano le pagine di un’altra rivista. Ciò che preferisce fare, però, è guardarlo mentre disegna i suoi amati ratti; dita agili che tengono una matita incredibilmente piccola (ridotta a una punta con una gommina), alternando tratti veloci e ampi a piccoli bozzetti.
 
Un giorno, mentre porta a Bruno la sua nuova bevanda, i suoi occhi catturano uno spettacolo inedito nel suo album da disegno. Invece di ratti, delle figure umane vivacizzano la pagina; Camilo riconosce i volti dalle riviste.
 
“Wow, non sapevo che disegnassi anche persone” commenta, “sono fantastici”
 
“Oh, solo ogni tanto” dice Bruno, scuotendo modestamente la testa, “sono passati secoli dall’ultima volta che ho disegnato qualcosa di diverso dai ratti, quindi sono un po’ arrugginito”
 
Camilo non l’avrebbe detto. Esamina gli schizzi, ammirando la tipica attenzione ai dettagli di Bruno. La stessa coppia appare ripetutamente in pose sempre più melodrammatiche: un uomo dalle spalle larghe con pettinatura pompadour e una donna con un neo sulla guancia.
 
“Deduco che siano i tuoi preferiti” dice divertito, indicandoli, “fammi indovinare: amanti sventurati?”
 
“In realtà è una storia molto tragica” spiega Bruno, un pizzico sulla difensiva, “lei è sua zia, ma non lo ricorda perché soffre di amnesia”
 
“Contorto” sorride Camilo, “non pensavo fossi così strambo, vecchio mascalzone”
 
Senza pensarci, dà una scherzosa gomitata sulla spalla di Bruno. O il movimento è troppo improvviso o Bruno non è abituato a farsi toccare – forse entrambi – perché la sua mano scatta, sorpresa, e l’album da disegno scivola sul pavimento.
 
Camilo lo afferra subito, ma le scuse gli muoiono sulle labbra prima che possa parlare: l’album giace di lato, le pagine aperte a ventaglio gli fanno vedere il disegno seguente agli schizzi dei due amanti.
 
Non è né un ratto né una star delle telenovele: è un giovane con una corporatura snella e lunghi riccioli che gli incornicino il viso, fluttuando appena sopra le spalle. Le labbra sono arricciate in un sorriso malizioso e gli occhi socchiusi risultano innegabilmente affettuosi nonostante un debole luccichio birichino. L’uomo è allungato su quello che sembra un piano di lavoro, appoggiato su un gomito. Il corpo è solo parzialmente abbozzato, ma Camilo riesce a percepirne l’aria sicura e disinvolta, il tono strascicato della voce, l’implicita spavalderia della sua camminata.
 
Sa chi è, naturalmente. Anche un cieco noterebbe la somiglianza.
 
“Questo sono io?” gli esce fuori, perché a quanto pare non può tenere la bocca chiusa. Bruno diventa rosso fino alla radice dei capelli ed è tutta la conferma di cui ha bisogno.
 
Il primo impulso è quello di dire qualcosa di stupido, come ‘Ehi, sono davvero un belloccio’, ma l’espressione di Bruno, che è quella di un uomo che ha appena ricevuto una condanna a morte, gli suggerisce che non è il momento di una sciocca battuta.
 
Camilo afferra l’album e vede Bruno mordersi il labbro, ma non lo fa rotolare fra i denti, lo azzanna abbastanza in profondità da farlo sanguinare.
 
Un campanello di allarme risuona nella sua testa. “Bruno, stai-”
 
“Scusa” interrompe Bruno con voce orribilmente tesa. Si lancia verso l’album da disegno e lo infila nella borsa più velocemente di quanto dovrebbe essere umanamente possibile, quindi corre verso la porta.
 
“Bruno, aspetta-”
 
“Non avresti dovuto vederlo” dice Bruno, e le dita si muovono sulla porta come se volesse disperatamente bussare, “m-mi dispiace tanto”
 
Il campanello sopra la porta emette un suono sorde mentre si apre e si chiude, e lui sparisce.
 
Camilo sbatte le palpebre, sbalordito. Non sapeva che Bruno potesse muoversi così velocemente. Di tutti i diversi scenari che aveva immaginato in cui Bruno scappava dal locale – e ce n’erano stati molti -, questo non è uno di quelli. Si aspettava che inciampasse e sbattesse contro i mobili, non che sgusciasse via agilmente come se avesse pianificato anticipatamente la sua via di fuga (probabilmente lo ha fatto).
 
La tazza con la cioccolata è ancora calda, più che mezza piena.
 
Camilo cerca di non farsi prendere dal panico. Forse non è così catastrofico come sempre. Forse Bruno tornerà tra qualche ora, dopo essersi calmato.
 
Camilo passa il resto del turno a osservare la cioccolata che si raffredda.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


Bruno non torna il giorno dopo. Né quello successivo.
 
Al terzo giorno trascorso dal disastro con l’album da disegno, Camilo si presenta con trenta minuti d’anticipo. Forse Bruno è così imbarazzato che ha deciso di evitarlo e di venire di mattina – tarda mattinata (Camilo ricorda che ha detto che fatica a svegliarsi presto). Forse riuscirà a beccarlo – non per metterlo in trappola, ovviamente, solo per intravederlo.
 
Ma non c’è traccia di Bruno al suo arrivo. Camilo riceve le chiavi dalla signora Madrigal, si mette il grembiule e cerca di non sentirsi troppo deluso.
 
Contro ogni previsione, la giornata è molto impegnativa: un paio di turisti curiosi entrano per prendere dei caffè freddi e scattare una dozzina di foto alle decorazioni e ai cestini werrengue, esaltando la ‘personalità’ del locale. Isabela arriva a metà pomeriggio, seguita da Pepa (senza il figlio) e Mirabel. Le loro voci allegre riempiono lo spazio e la sensazione dovrebbe essere calorosa e accogliente: il suono di solito non manca mai di rallegrare Camilo, anche se intramezzato dai leggeri bisticci fra Mirabel e Isabela.
 
Qualcosa non va oggi: le loro risate sono forti e chiare, ma alle orecchie di Camilo risultano piatte. Sa che non c’è niente che non vada in loro – è lui che si sente un pesce fuor d’acqua. Per una volta, c’è una barriera che non riesce ad oltrepassare: vi sbircia dall’esterno.
 
-È così che Bruno si è sempre sentito?- si chiede Camilo. Un sordo dolore gli si espande nel petto al pensiero.
 
Tenta di distrarsi chiacchierando con Pepa mentre prepara il suo solito espresso. “Allora, dov’è il piccoletto? Lo prende a scuola suo padre oggi?”
 
“Certo! Il compleanno di Antonio sta arrivando, quindi Felix si è preso la giornata libera per portarlo al parco dopo scuola. Ovviamente il grande giorno sarà la settimana prossima, ma abbiamo pensato che non è mai troppo presto per festeggiare – non posso credere che abbia già sette anni!” Pepa è raggiante mentre tutti esplodono in un coro di auguri. Qualcosa sembra colpirla mentre gli occhi percorrono il locale. “A proposito di piccoletti” aggiunge, “dov’è quel tipo magro, sempre così cortese? Quello che sta sempre sulla poltroncina verde”
 
Il dolore nel petto di Camilo diventa una fitta acuta, sorprendento lui per primo per l’intensità. “Si chiama Bruno” dice, senza riflettere se Bruno vorrebbe condividere l’informazione, “non viene da tre giorni, in realtà. Forse è malato” dice, cercando di apparire disinvolto anche se le parole gli suscitano un nuovo allarme – e se Bruno stesse davvero male? “O probabilmente è impegnato” si corregge, “avete sue notizie, per caso?”
 
Solo quando incontra gli sguardi vacui delle sue clienti Camilo si rende conto di aver divagato. La bevanda di Pepa giace dimenticata sul bancone dietro di lui.
 
“Scusa, Cami, non sappiamo niente” dice Mirabel esitante, “onestamente, non ho mai realmente parlato con Bruno”
 
Pronuncia il suo nome come se lo dicesse per la prima volta, il che ferisce un po’ Camilo, anche se sa che non è colpa sua per non averle detto di Bruno. Qualcosa gli ha impedito di sollevare il discorso, apparentemente più forte di oltre vent’anni di amicizia. Aveva la strana sensazione che, condividendo le sue piccole interazioni con Bruno con altri, Mirabel inclusa, avrebbe spezzato una sorta di incantesimo troppo fragile da esprimere a parole.
 
“Nemmeno io gli ho mai parlato” interviene Pepa, “è sempre così silenzioso...penso che non volessi disturbarlo”
 
Le tre donne si scambiano sguardi un po’ preoccupati e colpevoli e Camilo si sente subito male. Solo perché è depresso senza una valida ragione (Bruno sarà probabilmente impegnato a disegnare ratti o altro), non significa che debba guastare l’umore a tutti gli altri.
 
“Ah, non importa” sorride, “mi dispiace di essere un guastafeste, non volevo farvi preoccupare. E non posso lamentarmi di non avere clienti quando le più belle signore della città mi onorano della loro presenza” aggiunge con un inchino.
 
“È okay, tesoro” dice Pepa con un gesto della mano, “non è un problema. Sappiamo che lui ti piace più di noi” aggiunge con un occhiolino.
 
Camilo si finge indignato. “Pepa, luce dei miei occhi! Come puoi dire una cosa del genere?”
 
“Uh, forse perché lo guardi come se volessi saltargli addosso?” sentenzia Isabela.
 
Camilo si strozza con la saliva. “S-scusa?” farfuglia, “sembra che io voglia fare cosa?”
 
Nonostante sembri così misurata e tranquilla, Isabela sa essere straordinariamente schietta quando vuole. Pur conoscendola da mesi, occasionalmente Camilo si ritrova sorpreso da alcune sue uscite espresse con aria impassibile.
 
Questa volta è una di quelle. Camilo osserva le altre due e, con sgomento, le vede lottare visibilmente per trattenere dei ghigni.
 
“L’avete sentita?” chiede, totalmente incredulo.
 
“Non prendi in giro nessuno, caro” risponde Pepa con tono d’intesa, “so che prendi molto sul serio il tuo lavoro, e servi il miglior caffè che io abbia mai bevuto; ma trascorri un sacco di tempo sugli ordini di quel Bruno”
 
“Perché ci vuole molto tempo per la cioccolata santafereño” protesta Camilo, “è così, vero Mira?”
 
Mirabel si guarda le scarpe. “Beh...ti conosco da una vita, Cami” dice titubante, scrollando le spalle mortificata, “e non sei stato esattamente discreto”
 
Camilo si sente come colpito da un fulmine. Tradito, alla luce del giorno, dalla sua più intima amica – chi l’avrebbe mai detto? Torna sul viso vagamente compiaciuto di Isabela, senza parole.
 
“Io...davvero lo guardo così?”
 
“Niente di così rozzo come dice Isabela” lo placa Pepa, lanciando uno sguardo di leggero rimprovero all’altra, “il modo in cui lo guardi è molto dolce. Si capisce, è chiaro a tutti quanto ci tieni”
 
Prima che Camilo possa ribattere (cosa significa ‘è chiaro a tutti’?), lei si inclina e aggiunge con tono cospiratorio: “Inoltre, per quel che mi riguarda, non mi sembra che gli dispiaccia il modo in cui lo guardi”
 
Isabela sbuffa. “Questo è un eufemismo”
 
Mirabel ridacchia e lo stupore di Camilo raggiunge livelli record. I momenti di complicità tra Mirabel e Isabela sono rari; non ha mai pensato che, tra tutto, l’argomento Bruno le avrebbe unite, e lui non è nemmeno presente.
 
Le parole di Pepa risuonano nella testa di Camilo per il resto della giornata, molto tempo dopo che tutti se ne sono andati e lui rimane fino all’ora di chiusura.
 
-Il modo in cui lo guardi è molto dolce. Si capisce, è chiaro a tutti quanto ci tieni.-
 
-Non mi sembra che gli dispiaccia il modo in cui lo guardi.-
 
Camilo immagina di non doversi sorprendere. Nulla di tutto ciò è così inaspettato: le strane sensazioni allo stomaco, gli impulsi casuali di prendere la mano di Bruno o ravviargli i capelli, tutto questo dev’essere stato evidente. Nonostante le lezioni di recitazioni, non ha mai saputo controllare le proprie espressioni facciali. La consapevolezza gli ha almeno risparmiato l’umiliazione di scoprire i propri sentimenti tramite altri: sa di essersi innamorato di Bruno ormai da un po’, forse fin da quando ha messo piede per la prima volta al Café Madrigal.
 
È chiaramente cotto, oramai. Se avesse avuto bisogno di altre prove a riguardo, la costante irrequietezza degli ultimi tre giorni sarebbe stata più che sufficiente. Scoprire di essere stato così lampante al punto che chiunque se n’è accorto è stata solo la ciliegina sulla torta.
 
Il pomeriggio si allunga fino a sera e Camilo aspetta il più a lungo possibile finché non può più ignorare l’elefante nella stanza: per il terzo giorno di fila, Bruno non si fa vedere al Café Madrigal.
 
Mentre si prepara a chiudere per la notte, un familiare suono raggiunge il suo orecchio e si gira abbastanza velocemente da provocarsi un colpo di frusta. “Bruno?”
 
Nessuno. Camilo scuote la testa. Potrebbe giurare di aver sentito il sommesso ‘Ehi’ di Bruno nell’oscurità.
 
Ma parla con il nulla. È ora di chiudere: il locale risulta vuoto in modo inquietante, come un palcoscenico dopo che tutti gli attori se ne sono andati. O un fantasma lo ha ingannato, o sta iniziando a perdere la testa per la situazione con Bruno.
 
Ha sempre saputo che questo posto è infestato.
 
 
 
A Camilo piace pensare di essere un ragazzo paziente. Deve esserlo: i clienti non abituali del Café Madrigal impiegano anni per decidere cosa prendere, esprimendosi con ‘Oooh’ e ‘Aaah’ davanti alla cassa per lunghi minuti. Quindi sì, sa essere paziente.
 
Tranne, a quanto pare, quando si tratta di Bruno.
 
Se la terza volta non è andata bene, succederà alla quarta, aveva pensato Camilo. Ma il quarto giorno era arrivato e passato, e così il quinto, e il sesto, senza traccia di Bruno. Mentre l’ottavo giorno si avvicina, Camilo prova una sensazione molto sgradevole.
 
Onestamente non ricorda di essersi mai sentito così male – non durante la settimana degli esami finali, non dopo aver rotto con il suo primo ragazzo, non quando i suoi genitori l’avevano fatto accomodare illustrandogli il piano decennale che avevano programmato per lui, caratterizzato da una carriera di successo e un’adorabile casalinga pronta a dare loro dei nipoti prima che lui arrivasse ai trent’anni.
 
Sta diventando nervoso e distratto, confonde gli ordini e commette errori come un ragazzino al primo giorno. Errori goffi e stupidi che lo rendono irritabile: il suo sorriso per i clienti è rigido come una maschera rimasta sul viso troppo a lungo e, a giudicare dalle monete in diminuzione nel barattolo delle mance, la gente se n’è accorta.
 
Ma non c’è niente da fare, perché è passata ufficialmente una settimana intera e Bruno non è ancora tornato.
 
Camilo ha già superato alcune cotte precedenti: questa è mille volte peggiore. Perché questa volta Camilo non ha un numero di telefono a cui inviare un messaggio alle tre del mattino; non ha un altro luogo di ritrovo in cui potersi imbattere ‘accidentalmente’ in Bruno dopo il lavoro; non ha nemmeno conoscenti in comune da cui avere notizie.
 
E Bruno non è semplicemente un ragazzo carino che ha catturato l’attenzione di Camilo. È un uomo che ha una profonda paura dei luoghi pubblici e dell’interazione sociale – basandosi sul poco che ha condiviso con Camilo, ha trascorso la maggior parte dell’anno passato vivendo in completo isolamento, pietrificato dal solo pensiero di uscire di casa. È uno che ha dovuto lottare con la sua peggiore paura solo per mettere piede in un locale mezzo fallito, qualcuno per cui il Café Madrigal è stata l’unica porta sul mondo esterno.
 
Ora che questa porta si è chiusa, dove altro può andare Bruno?
 
“Ehi, Camilo, stai bene?”
 
La voce di Mariano lo desta dai suoi pensieri giusto in tempo perché si accorga che sta versando troppo latte di mandorla nel suo ordine. Il bicchiere trabocca e, con sorpresa, Camilo se lo rovescia addosso.
 
“Merda!” impreca Camilo, “scusa, Mariano, te ne faccio un altro”
 
“Non preoccuparti” dice Mariano con un sorriso rassicurante. “Stai bene?” chiede, con voce preoccupata, “sembri un po’ sulle nuvole e...non so, un po’ giù oggi”
 
Camilo scrolla le spalle mentre fa del suo meglio per asciugare il latte versato con il grembiule. “Ho solo molte cose per la testa” aggrotta la fronte davanti alla grande macchia verde che si allarga sul tessuto giallo mentre inizia a preparare di nuovo l’ordine. “Sai com’è, ho un locale da mandare avanti”
 
Gli occhi di Mariano si addolciscono, facendolo apparire un orsacchiotto di peluche. “È per il signor Bruno? Avete litigato” chiede con tono leggermente più basso, avvicinandosi. “Mirabel mi ha detto che non viene da una settimana”
 
Camilo fa quasi cadere anche il secondo bicchiere. “Co-? No, non abbiamo litigato. Te l’ha detto Mirabel?” chiede, sconcertato. “Non litigo con i miei clienti”
 
Mariano alza le mani in segno di scuse. “Scusa, non sapevo che fosse solo un cliente. Pensavo fosse...” si agita, cercando le parole, “insomma, pensavo che foste intimi” termina imbarazzato.
 
Camilo si domanda cosa volesse realmente dire. Pensava che lui e Bruno fossero...cosa?
 
Intimi. Pensava che fossero intimi.
 
“Beh, siamo in due” replica.
 
Il silenzio che segue è pesante come il piombo. Si rende conto troppo tardi di quanto sia amara la sua voce, di quanto suoni infelice. I muscoli del suo viso sono tesi per aver forzato un sorriso per troppo tempo, e sa che deve apparire un po’ più che ‘giù’ al momento.
 
La tensione nell’aria sembra quella in cui il cameriere lascia cadere una grossa pila di piatti in un ristorante affollato e, a peggiorare le cose, l’espressione di Mariano inizia a sembrare quella di un cucciolo preso a calci. “Camilo, non intendevo...”
 
“Un caffelatte matcha con latte di mandorla in arrivo” interrompe Camilo, “scusa per l’attesa, te lo porto in un secondo”
 
Solo poche ore dopo, dopo aver raccontato l’intera conversazione a Mirabel davanti a dei muffin, Camilo comincia a sentirsi un po’ meno mortificato.
 
“Scusa se ho detto a Mariano che Bruno non viene da una settimana” dice lei con una smorfia, “non volevo trasformarlo in un pettegolezzo. Ero solo preoccupata per te”
 
“Lo so, non sono arrabbiato. Né con te né con Mariano. Solo non mi aspettavo che mi chiedesse se avessimo litigato”
 
Mirabel ridacchia. “Conosci Mariano: è un tesoro, ma sa essere un po’ ottuso. Ricordi quando aveva una cotta per Isabela?”
 
Camilo rabbrividisce. “Di sicuro non il suo momento migliore. Ma ehi”, aggiunge alzando una spalla, “chi sono io per giudicare”
 
Mirabel gli colpisce leggermente la spalla con la propria, una vecchia abitudine rimasta dai tempi dell’infanzia. “Ci tieni davvero a lui, eh?”
 
Lui emette un lungo sospiro, così lungo che rimane senza fiato. “Non so cosa fare. Mariano ha detto che pensava che io e Bruno fossimo intimi, Pepa ha accennato al modo in cui lo guardavo, e ora non riesco proprio a smettere di pensare...e se lo avessi spaventato? Se fossi risultato inquietante? Se avesse pensato che volessi troppo da lui?”
 
“Sei così sicuro che voleste cose diverse l’uno dall’altro?” domanda Mirabel cautamente.
 
Camilo capisce cosa intende. Ripensa all’ultima volta che ha visto Bruno: lo schizzo incredibilmente bello del suo viso sulla pagina, l’espressione sconvolta di Bruno mentre recuperava l’album. “...non lo so. Forse gli piacevo anch’io, ma non ho detto le cose giuste al momento giusto” sospira di nuovo, brevemente. “Se non altro, pensavo fossimo amici. E gli amici rimangono in contatto. Non scompaiono”
 
Mirabel annuisce, ma mentre Camilo parla, si rende conto che quello che prova è troppo urgente, troppo disperato per essere amicizia. Cerca di pensare a come si spiegherebbe con Bruno se fosse presente, ma niente appare del tutto giusto.
 
-Dovresti dirmelo se hai bisogno di aiuto. Se non stai bene, voglio saperlo.-
 
Per la prima volta in vita sua, Camilo ha perso di vista qualcuno senza possibilità di contattarlo. Si chiede vagamente come poter realizzare un volantino per una persona scomparsa senza sapere nulla di lei. Nessun indirizzo, né numero di telefono, nemmeno un cognome.
 
Descrizione: cliente preferito. Risponde al nome di Bruno. Alto circa un metro e settantacinque, con capelli neri spettinati e occhi verdi. Occupazione precedente: professore universitario. Occupazione attuale: lettore di tabloid e illustratore di ratti.
 
Camilo prende in considerazione l’idea per alcuni secondi prima di rendersi conto di quanto sia pericolosamente vicino a contemplarla seriamente. La signora Madrigal lo avrebbe ritenuto impazzito se l’avesse visto attaccare volantini per un cliente abituale che non si faceva vedere da una settimana. Ancora più importante, Bruno lo avrebbe odiato. Per uno così timoroso di attirare l’attenzione, vedere la sua faccia su un foglio sarebbe stata la realizzazione di un incubo.
 
Meglio lasciarlo in pace, come farebbe qualsiasi persona normale. Nello stesso tempo, Camilo pensa a Bruno, da solo nel suo appartamento, a battere sul legno mentre il mondo si restringe ancora una volta intorno a lui, e gli viene da vomitare.
 
 
 
“Se continui così, diventerai uno scheletro” gli dice un giorno la signora Madrigal mentre gli porge le chiavi per il pomeriggio.
 
Camilo si guarda. “Di cosa parla, signora? Sono il ritratto della salute”
 
Lei scuote la testa in segno di disapprovazione. “Sei sempre stato pelle e ossa, figliolo, ma ultimamente è peggio del solito”
 
“Mi piace pensare di essere un ragazzo di bell’aspetto, ma...”
 
“Non mangi abbastanza e sembra che tu non abbia nemmeno dormito” continua lei senza pietà, “se non ti prendi più cura di te stesso, sarai uno scheletro per la fine del mese – e gli scheletri non vanno bene per gli affari”
 
Per sottolineare le sue parole, poggia un piatto pieno di arepas sul tavolo che Camilo sta pulendo. “Mangia; le ho preparate solo per te. Mangia quello che puoi ora e porta il resto a casa per cena. Ti serve cibo vero, non quei noodles istantanei che i ragazzini mangiano ogni giorno”
 
La bocca di Camilo si riempie di saliva, l’appetito si risveglia per la prima volta da giorni. È vero che ha mangiato male e non ha dormito bene (ha avuto lo stesso incubo per diverse notti di fila – Bruno da solo in una stanza simile a una caverna con le porte sbarrate, circondato da sabbia che cadeva), ma il cibo della signora Madrigal farebbe venire fame a un morto.
 
Morde un’arepa e si sente in visibilio. “Si è superata, signora” dice con la bocca piena, divorando il resto. “Non ero così affamato da secoli”
 
“Certo che no” lei alza le spalle, “sei malato d’amore”
 
Mai in un milione di anni Camilo si sarebbe aspettato di sentire questo termine dalla voce della signora Madrigal. ‘Malato d’amore’ risulta così frivolo e sciocco, tutto il contrario della signora anziana che lui è orgoglioso di avere come capo. Per un secondo, Camilo pensa abbia parlato con sarcasmo, ma lei è mortalmente seria.
 
“Prego?” chiede dopo aver ingoiato un altro boccone.
 
“Pensi che non riconosca i sintomi? Sei di pessimo umore, dimentichi di mangiare, perdi il sonno; tutto perché sei preoccupanto da morire per qualcuno che ami, qualcuno che è prezioso per te” il bagliore consapevole nei suoi occhi si attenua in una foschia malinconica mentre si siede di fronte a Camilo. “Come moglie, madre e nonna, temo di doverti dire che non esiste una cura”
 
Camilo esita. Da un lato, si fida della signora Madrigal. D’altra parte, lei è pur sempre il suo capo, e lui non è sicuro di poter ammettere apertamente di aver perso la testa per un cliente, uno che lui stesso potrebbe aver spaventato e allontanato dal locale.
 
Per fortuna, lei sembra cogliere la sua riluttanza, spingendo il piatto verso di lui prima di scegliere con cura alcuni piccoli fiori di campo dalla composizione floreale sul tavolo. “Non devi parlarmene. Ma volevo ricordarti di non trascurare la salute” le sue dita forti e aggraziate iniziano a intrecciare i fiori con facilità. “Vorrei fare di più per aiutarti, caro, ma come ho detto...nessuna cura. In questa vita, amare significa avere paura”
 
“Mi è difficile immaginare che lei abbia paura di qualcosa, signora” ammette Camilo con un sorriso.
 
“Ah!” emette una risata, acuta e secca, mentre le sue dita lavorano rapidamente sui teneri steli. “Ho avuto paura da molto prima che tu nascessi, Camilito, ed è tutto a causa dell’amore. Amare qualcuno significa preoccuparsi, avere paura per quella persona, specialmente se è lontana. Sono venuta in questo paese da sola, a parte i tre bambini che portavo in grembo. Il mio Pedro mi ha inviato per mesi una lettera dopo l’altra. Ogni giorno ne aspettavo una e ogni notte restavo sveglia a chiedermi quando sarebbe arrivata la successiva”
 
Camilo aggrotta la fronte. È la prima volta che la sente parlare delle circostanze del suo arrivo nel paese. “Non sapevo che fosse venuta qui da sola” dice piano, “pensavo che lei e suo marito vi foste sistemati insieme”
 
La signora scuote il capo. “Ci abbiamo provato, lui doveva rimanere indietro. Il mio amore per lui giunse insieme alla paura. Mi tenevano compagnia la notte: era come dormire con la sua sagoma al mio fianco. Non ho mai smesso di preoccuparmi per lui, anche molto tempo dopo aver saputo che non c’era più speranza, né lacrime da versare”
 
Chinata sui minuscoli fiori, il suo viso appare composto e irremovibile come sempre. Gli anni l’hanno solidificata invece di logorarla. A parte qualche ruga intorno agli occhi, la sua fronte è liscia come pietra.
 
Camilo deduce che il suo dolore sia stato scavato troppo in profondità e per troppo tempo per risalire in superficie. Si sente giovanissimo e trasparente accanto a lei, come un mollusco dal guscio traslucido.
 
Ma non c’è giudizio nei suoi occhi quando lo guarda e sorride. “Mi preoccupo per lui ancora adesso – un uomo morto da cinquant’anni! Quando mi sveglio e c’è il sole penso, ‘Devo ricordare a Pedro di mettersi il cappello, se lo dimentica sempre’, e poi ricordo. Sono vecchia da molto tempo, forse sto perdendo i colpi anch’io”
 
Camilo le stringe la mano. “Non potrebbe mai succedere, signora. La sua mente è fresca e luminosa come i fiori che tiene in mano”
 
“Non sprecare le tue dolci parole con me, Camilo. Conservale per la persona che ti ha fatto perdere il sonno, chiunque sia”
 
Camilo guarda il piatto di arepas: la prima cosa che abbia servito a Bruno. Ricorda di aver notato quanto fossero sottili i suoi polsi mentre prendeva l’arepa. Si chiede cosa stia mangiando Bruno adesso.
 
“Come si fa?” chiede, “quando non c’è modo di contattare, e tutto ciò che rimane è aspettare e sperare. Come si supera senza impazzire?”
 
“Io prego. Ho sempre pregato per avere la pazienza e la forza di amare, e Dio non mi ha mai deluso” prende la mano di Camilo e i fiori, ora intrecciati in un piccolo braccialetto, circondano il suo polso, come un portafortuna per bambini. “Dovresti fare un tentativo, figliolo”
 
Camilo non le dice che non è religioso; ma molte ore dopo, alla fine di un’altra giornata passata a sentire il cuore in gola ogni volta che la porta si apriva, il consiglio gli torna in mente.
 
È stata una giornata lunga e impegnativa e la serata è incantevole nella sua tranquillità. Dopo aver chiuso a chiave, Camilo si ferma a guardare la piccola caffetteria, buia e sonnecchiante alla luce delle stelle; quasi la sente russare.
 
Vorrebbe che Bruno fosse qui adesso. Gli piacerebbe molto – si infilerebbe nel letto come una perla in velluto scuro, con la sensazione di aver vissuto una bella giornata.
 
Inatteso e indesiderato, un pensiero terribilmente sdolcinato aleggia nella sua mente: forse Bruno sta guardando le stesse stelle al momento. Sbuffa; è più probabile che Bruno sia curvo davanti alla tv con le tende tirate, guardando altre stelle, quelle delle telenovele. Camilo sente un sorriso tirargli le labbra, prima di essere colpito nello stomaco da un’improvvisa ondata di angoscia.
 
La verità è che non sa affatto quello che Bruno sta guardando in questo momento, e osservare tutte le stelle del mondo non gli darebbe alcun indizio. Bruno potrebbe essere in preda a un orribile attacco di panico, potrebbe essere morto e le stelle continuerebbero a brillare altrettanto luminose. Come diavolo ha fatto qualcuno a credere di leggervi il futuro, si chiede Camilo, scrutando il cielo. Non può pregare come la signora Madrigal, non ha mai creduto nel suo Dio, ma per una volta vorrebbe che ci fosse qualcuno o qualcosa ad ascoltarlo.
 
Al posto di un potere superiore, la prima cosa che gli viene in mente è il Café Madrigal.
 
-Ti prego- supplica silenziosamente il locale che conosce così bene, -se c’è mai stato un momento in cui sei stata magica, questo è quello giusto. Va bene se non ricambia. Anche se non lo rivedrò più, starò bene prima poi. Ho solo bisogno che lui stia bene. Per favore, fa’ che stia bene.-
 
Una calda brezza serale soffia, facendo tintinnare dolcemente le tegole sul tetto del locale. Il suono ricorda a Camilo i sonagli di un tempio e il suo cuore si sente un po’ più leggero.
 
 
 
Il giorno dopo, Camilo ha a malapena il tempo di allacciarsi il grembiule e prepararsi per l’inizio del turno prima che il campanello sopra la porta del caffè suoni. Si raddrizza come un suricato, una nuova speranza si espande nel suo petto.
 
Si sgonfia quando Mirabel entra e Camilo cerca di non apparire deluso. Questa volta c’è una nuova presenza che lui non riconosce: una giovane donna che sembra avere qualche anno in più di lei, con un delicato viso innocente e capelli castani ricci raccolti in una bandana rossa.
 
“Ehi, Cami, questa è la mia amica Dolores del corso di danza” presenta Mirabel entusiasta, “le ho parlato un sacco di questo posto e finalmente ha avuto un po’ di tempo per passare”
 
“Benvenuta al Café Madrigal” sorride Camilo, “è sempre bello incontrare uno degli ostaggi di Mira, spero non ti abbia torturata troppo per portari qui”
 
La donna sorride pudicamente alla battuta. “In realtà era da tempo che volevo venire qui” dice con voci così bassa che lui fatica a sentirla, “uno dei miei pazienti dice che è il posto che preferisce in città”
 
Qualcosa scatta nel cervello di Camilo. Dolores. ‘Uno dei miei pazienti’. Potrebbe essere...?
 
“Hai un paziente che si chiama Bruno?” sbotta prima di fermarsi.
 
Dolores emette uno squittio, come se l’avesseto sorpresa a dire qualcosa che non avrebbe dovuto. “Non posso discutere i dettagli dei miei pazienti senza consenso...”
 
“No, lo so, scusa, non volevo ficcanasare” interrompe Camilo, farfugliando. La sua lingua improvvisamente sembra troppo grande per la sua bocca. Quindi lei è Dolores, la terapista di Bruno, la persona che probabilmente lo ha aiutato a superare più attacchi di panico di quanti Camilo possa contare, la persona che lo ha condotto al Café Madrigal. Se c’è qualcuno che può dare a Camilo un’idea di come stia Bruno, e indicargli che probabilità ci siano che lo rivedrà, è lei.
 
Non può rovinare tutto.
 
“Non devo sapere nulla di privato, ma...se lo conosci, puoi...” Camilo inghiotte il groppo in gola, dolorosamente consapevole di quanto stia apparendo strambo. “Puoi almeno dirmi se sta bene?” chiede.
 
Dolores non dice nulla a lungo, fissandolo con un’aria strana nei suoi occhi da cerbiatta, quasi come se lo stesse riconoscendo. Il che non ha senso, dato che Camilo è abbastanza sicuro di non averla vista prima in vita sua.
 
“Sta bene” risponde alla fine. La sua voce è attentamente neutra, non tradisce alcuna emozione, ma non lascia spazio all’incertezza.
 
E tutta la tensione che si è accumulata in Camilo per più di una settimana sparisce.
 
Bruno sta bene.
 
È come se qualcuno gli avesse allentato una vite nelle articolazioni: la gola, le spalle si rilassano. Camilo ha la sensazione di essere uscito dalla doccia più lunga e calda della sua vita. Le sue ossa sono diventate liquide.
 
Riesce ad annuire. “Bene. Questo, uhm, è un bene” forse è la cosa migliore che abbia sentito.
 
Dolores lo sta ancora fissando e Mirabel sembra decisamente perplessa, quindi Camilo si riprende abbastanza da prendere i loro ordini e iniziare a prepararli automaticamente. Mentre le sue mani eseguono i movimenti con poco o nessun input dal cervello, fatica a tacere. Ora che la domanda più grande e urgente ha avuto risposta, ne spuntano altre mille, come al gioco in cui c’è da colpire le talpe.
 
-È stato fuori casa? Parla con qualcuno? Gli manca la mia cioccolata? Quando tornerà?-
 
Camilo consegna alle ragazze il loro resto, porta le bevande e si ricorda di tenere il naso fuori dagli affari altrui. Solo perché Bruno sta bene non significa che abbia intenzione di presentarsi presto al Café Madrigal.
 
E se non dovesse più tornare...beh, Camilo si era detto che lo avrebbe accettato.
 
Nonostante tutto, non riesce a impedirsi di lanciare qualche occhiata verso Dolores. Lei se ne accorge, ovviamente; mentre saluta i pochi altri clienti abituali che passano più tardi nel pomeriggio, lui avverte rapidi sguardi furtivi da parte sua, come piume che gli solleticano la nuca.
 
Quando si alza per andarsene, Camilo ricorda improvvisamente della promessa fatta a Bruno, dalla quale sembrano passati secoli.
 
“Aspetta” la chiama mentre apre la porta, “la prossima volta, ricordami di offrirti un caffè. Il primo ordine è offerto dalla casa. Politica aziendale”
 
Dolores gli lancia un’altra lunga e silenziosa occhiata, il suo sguardo è stranamente penetrante nonostante sia gentile. È una terapista: Camilo si sente un esemplare di insetto particolarmente vulnerabile osservato al microscopio. Sente anche che lei si sta sforzando per non sorridere.
 
“Grazie” dice infine con la sua voce bassa, “me ne ricorderò per la prossima volta”
 
È tutta la conferma di cui Camilo ha bisogno. La prossima volta – ci sarà una prossima volta. Sarebbe tornata con altre notizie di Bruno. Non da condividere con Camilo, ovviamente, ma è comunque un ponte, un collegamento. Se mai fosse successo qualcosa di brutto a Bruno, in un modo o nell’altro gliel’avrebbe letto in faccia. Meglio che cercare un segno nelle stelle.
 
-Sono senza speranza- pensa mentre la porta si chiude dietro Dolores.
 
Una voce incerta interrompe i suoi pensieri. “Ehi, Camilo. Quella ragazza...ha detto che tornerà?”
 
Camilo si volta e vede Mariano con un’espressione così palesemente speranzosa che deve mordersi il labbro per trattenere una risata.
 
“Probabile, dato che le ho promesso un caffè gratis” dice, “mi spiace, penso che dovrai aspettare la sua terza visita per offrirle da bere”
 
Si sente un po’ in colpa quando Mariano arrossisce come una barbabietola fino alla radice dei capelli, ma non abbastanza da cancellare il ghigno sulla sua faccia. In effetti, non smette di sorridere per il resto della giornata, mentre serve i clienti, lava i piatti e anche quando pulisce un grumo non identificato dall’aspetto particolarmente ostinato dal lavandino.
 
Sorride ancora mentre rassetta il locale e si prepara a chiudere per la notte. Prima di spegnere le luci, si volta a osservare la poltrona verde accanto la finestra dove Bruno era solito sedersi. Sembra bizzarramente immobile senza di lui, con i suoi tic, sfogliando la sua rivista o disegnando. L’aria intorno pare ronzare in attesa, come se mani invisibili indicassero a qualcuno di sedersi.
 
“Sì, manca anche a me” dice Camilo con affetto. Non si imbarazza a parlare al caffè quando non c’è nessun altro. “Grazie per aver vegliato su di lui”
 
Il locale non risponde, ma Camilo sente che la sua gratitudine è stata accettata.
 
“Sta bene” dice un’ultima volta mentre chiuda, perché ha bisogno di risentirlo ad alta voce. Bruno è al sicuro, è tutto ciò che conta. Può smettere di preoccuparsi.

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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ***


Non smette di preoccuparsi.
 
Anzi, peggiora. Non riesce a concentrarsi alle lezioni né a dormire la notte né a focalizzarsi abbastanza da ascoltare Mirabel che gli racconta della sua giornata. Ora che sa che Bruno sta bene – o almeno, non è in pericolo immediato – non può fingere che le sue ragioni per preoccuparsi non siano del tutto egoistiche. Continua a dimenticare le battute durante le lezioni di recitazioni e a volte non le frequenta neanche per fermarsi al caffè, nel caso Bruno torni. Un giorno annulla un appuntamento per tagliarsi i capelli solo per presentarsi presto al locale, anche se la signora Madrigal chiaramente non è contenta di vederlo due ore prima del suo turno.
 
“Lavori troppo, figliolo” lo rimprovera e Camilo cerca di non alzare gli occhi al cielo. Da che pulpito viene la predica.
 
Tuttavia, inizia a pentirsi di aver ignorato il parrucchiere quando i suoi riccioli continuano a tornargli sugli occhi mentre prepara l’ordine di Isabela. Lei deve aver notato la sua aria stanca, perché non dice nulla sulla differenza sostanziale tra schiuma e caffè, si limita ad alzare un sopracciglio perfettamente delineato in un modo che chiaramente significa che sarà meglio che non trovi un capello, lì dentro.
 
“Hai un elastico da prestarmi?” chiede Camilo nel momento in cui Mirabel varca la soglia alla fine della giornata.
 
“Ciao anche a te” sbuffa lei, frugando nella borsa perché ovviamente ha una dozzina di elastici per capelli nel caso qualcuno possa averne bisogno.
 
“Scusa” dice Camilo, raccogliendo i capelli in una disordinata coda. “Sono felice di vederti. È stata una lunga giornata”
 
Mirabel osserva il locale vuoto, i tavoli e le sedie immacolati che a malapena sono stati spostati. “Non sapevo che i venerdì fossero così impegnativi da queste parti”
 
“Non impegnativa” corregge Camilo, “solo lunga”
 
Mirabel gli sorride confortante, riportandolo a quando aveva cinque anni e piangeva come una fontana dopo aver perso l’orsacchiotto che lei gli aveva promesso che avrebbero ritrovato – sarebbe saltato fuori, prima o poi.
 
“Tornerà, Cami” dice, stringendogli la spalla.
 
“Come lo sai?” chiede Camilo, un po’ allarmato dal suono rauco della sua voce, “Mira, è sparito da quasi un mese”
 
“Due settimane non sono un mese” sottolinea Mirabel, “e non chiedermi come lo so. Lo so e basta”.
 
 
 
-Sono davvero passate solo due settimane?- si chiede Camilo dopo che Mirabel se n’è andata, pulendo i tavoli mentre si prepara per chiudere il locale. È strano come il tempo possa allungarsi, lungo e fluido come vetro fuso, prima di congelarsi in una forma solida che confonde per la sua piccolezza e semplicità: due settimane, quattordici giorni.
 
Gli occhi di Camilo si posano sulla poltrona verde vicino alla finestra e si rende conto che è lo stesso tempo trascorso da quando qualcuno vi si è seduto. Nessuno vi si è avvicinato da quando Bruno l’ha lasciata. Non c’è motivo per cui i clienti la evitino: è graziosa e imbottita, un ottimo posto per osservare la gente e oziare al sole. Ora che Camilo si prende il tempo di guardarla realmente, però, sembra un po’ più...abbandonata del solito, come sgonfiata su se stessa.
 
“Non fare così” dice alla poltrona, cercando di apparire più allegro di quanto si senta. “Hai sentito Mira: tornerà”
 
La poltrona sembra fissarlo dubbiosa.
 
“Non so quando, ok?” ribatte. “E non serve tenere il broncio. Non ti deve niente. Non mi deve niente. Abbiamo solo chiesto che stia bene, ricordi?”
 
La poltrona rimane silenziosa.
 
Camilo sospira. “Mi dispiace, non volevo scattare così. La verità è che non ho idea se tornerà mai. So che Mira intendeva farmi sentire meglio, ma non può vedere il futuro o-”
 
Il suono di un campanello interrompe il suo monologo, sottile e chiaro nella sera. Deve essere un senzatetto in cerca di avanzi o qualcuno che si è smarrito e ha bisogno di un bagno, pensa Camilo. Si alza, si gira e quasi cade.
 
“Ehi” lo saluta Bruno, entrando mentre si chiude la porta alle spalle.
 
Ha la stessa vecchia borsa a tracolla e lo stesso cappotto verde troppo grande. La camicia che indossa sotto però sembra nuova, o almeno stirata, il che è una novità. Forse è per questo che ha quell’aura sconosciuta che Camilo riesce a descrivere come salutare, come di qualcuno che lentamente inizia a riprendersi da una lunga convalescenza. Le borse sotto gli occhi sono un po’ più leggere di quanto Camilo ricordi e i suoi capelli sono più vaporosi che mai.
 
Ha un bell’aspetto: nervoso, come al solito, ma anche quasi stranamente...propositivo. Camilo pensa al primo giorno in cui Bruno è entrato, come aveva inalato il suo caffè, come un uomo in missione, prima di scappare altrettanto velocemente.
 
Il suo cervello cerca qualcosa da dire – qualsiasi cosa – e prevedibilmente trova la peggiore opzione possibile. “Stavo per chiudere”
 
“Oh, scusa” Bruno fa un immediato passo indietro, “posso tornare un altro giorno, o-”
 
“No!” Camilo quasi urla. Si rimprovera per il sussulto di Bruno, ma non può biasimarlo. “Uh, scusa. Volevo dire, non c’è problema”
 
“Sei sicuro?”
 
“Certo”
 
Camilo si schiarisce la gola. Ora che ha avuto qualche secondo per riprendersi, riesce a sorridere. “È passato un po’ di tempo. È bello vederti”
 
Bruno ricambia il sorriso, tremulo. “È bello vedere anche te”, si guarda i piedi, le dita giocherellano di nuovo con la tracolla della borsa e, Dio, Camilo non si è reso conto fino ad ora di quanto quell’immagine fosse diventata familiare, di quanto fosse sbagliata la sua assenza.
 
Un brivido gli sale in petto, stringendogli il cuore in una morsa gelida: e se avesse frainteso tutto dall’inizio alla fine? E se avesse letto troppo in tutti quegli strani sguardi e bizzarri sentimenti? Per tutto il tempo, ha gettato le sue speranze in un lungo tunnel incredibilmente buio, ascoltando gli echi di una risposta; avvicinandosi di soppiatto ora gli dà la terribile sensazione che non ci sia mai stato nessuno dall’altra parte.
 
Bruno incluna leggermente il capo, come colpito da un pensiero improvviso. “I tuoi capelli” riflette, “sono diversi”
 
La mano di Camilo raggiunge i propri ricci e ricorda distrattamente che è la prima volta che Bruno lo vede con i capelli raccolti. A malapena, in realtà: la coda è molto sciolta. Il suo aspetto deve essere disastroso. “Volevo tagliarli” dice debolmente.
 
“No, voglio dire...ti stanno bene” Bruno continua a fissarlo con quello sguardo stranamente distante, poi sbatte le palpebre e si colora di una leggere sfumatura rosa. Lo stomaco di Camilo pare essere caduto dopo aver mancato un gradino.
 
“Vuoi sederti?” chiede, sperando di non suonare troppo disperato.
 
Bruno scuote il capo. “No, sono a posto, io, uhm” inizia, infilando la mano nella borsa e tirando fuori l’album da disegno. “Posso...posso mostrarti una cosa?”
 
Sembra più nervoso, nient’affatto al livello di serenità che erano riusciti a raggiungere prima che se ne andasse. Camilo suppone che sia verosimile dopo due lunghe settimane di silenzio, e tenta – fallendo – di non agitarsi troppo.
 
“Certo” risponde, sforzandosi di sorridere, “mi sono mancati i tuoi ratti”
 
Bruno sfoglia goffamente l’album per trovare la pagina che desidera e dato che non sembra volersi accomodare, Camilo si avvicina fino ad essere accanto a lui.
 
Sbircia l’album ed emette un piccolo suono sorpreso quando, invece dei familiari roditori, vede delle persone. La sua gente, per l’esattezza: tutti i clienti abituali del Café Madrigal, in piccole e paffute caricature, ma impossibili da non riconoscere.
 
C’è Isabela con una ghirlanda di fiori e viti intrecciate tra i capelli, che regge una delicata tazza di porcellana con il mignolo alzato. Vestita con un tailleur pantalone a righe in stile anni 80 con enormi spalline, Pepa cammina su una corda tesa con tacchi comicamente alti mentre tiene in equilibrio una valigetta sulla testa, e un adorabilmente minuscolo Antonio si aggrappa alla sua gamba.
 
Due piccoli Luisa e Mariano sfoggiano i bicipiti l’uno all’altra, impegnati in un feroce braccio di ferro. Con un ampio sorriso, Mirabel gira con una gonna ridicolmente ampia, mentre delle stelline fuoriescono dai suoi riccioli.
 
“Wow” esala Camilo, “devi farmelo appendere” osserva i dettagli dei vestiti, ogni minima espressione facciale amorevolmente ricalcata. Meravigliato, allunga la mano per afferrare l’album. “È perfetto. Ci sono tutti”
 
Bruno annuisce, compiaciuto dalla sua reazione e Camilo è così sollevato, così felice di vederlo che non resiste alla tentazione di scherzare. Solo un po’. “Beh, non tutti” aggiunge sfacciatamente, “e io? Sono io che gestisco questo posto, no?”
 
Bruno gli rivolge uno sguardo stranamente intenso e, con una mossa insolitamente audace, sposta la mano su quella di Camilo che regge l’album, le dita tremano leggermente mentre gira lentamente e con cautela sulla pagina successiva.
 
Il cuore di Camilo si agita fino a fermarsi per quello che sembra un intero minuto. Eccolo ritratto sul foglio, mentre sorride a se stesso. Ma non è un bozzetto: è un ritratto completo dipinto con delicate ombre acquerellate, ricco di quelle sottili sfumature che possono derivare solo dal tempo, dallo sforzo e dalla devozione. Il grembiule intorno alla vita è del colore dei girasoli, la calda tonalità degli occhi è più dorata che marrone. La posa è la stessa del primo schizzo di Bruno, ma più rilassata, quasi languida. Il Camilo del ritratto incluna un fianco di lato con una grazia che eclissa di gran lunga qualsiasi posa abbia mai assunto nella vita reale, appoggiando un gomito sul ripiano del Café Madrigal mentre sorride davanti a una tazza di cioccolata calda.
 
Il vero Camilo che sa che è cioccolata calda, non può che essere la cioccolata di Bruno, per via del minuscolo topo tracciato sulla superficie schiumosa della bevanda.
 
Camilo sente di non avere abbastanza occhi per osservare il ritratto. Ne è così assorbito che si accorge a malapena che Bruno sta parlando di nuovo e si allunga per riprendere l’album nelle sue mani.
 
“Mi dispiace, davvero. Volevo tornare prima, ma ci è voluto molto più tempo per finirlo di quanto mi aspettassi e ho dovuto ricominciare da capo tante volte perché volevo farlo bene. Non è perfetto, ovviamente, è passato molto tempo dall’ultima volta in cui ho ritratto delle persone. Quindi va bene se non ti piace. Ma, uhm, se invece ti piace, puoi...tenerlo”
 
“Lo hai fatto per me?” chiede Camilo, uscendo dalla sua trance.
 
“Sì” risponde Bruno, “ho pensato che fosse il minimo dopo tutti quei caffè che mi hai preparato. Solo se lo vuoi, però” si affretta ad aggiungere, “non sei costretto ad accettarlo, naturalmente, ma se ti va, posso strappare la pagina, è davvero facile con questo tipo di album...”
 
“Mi piaci” dice Camilo.
 
“Ha le pagine strappabili, vedi, è comodo...” Bruno si ferma nel mezzo della sua frase, alza lo sguardo e sbatte le palpebre. “S-scusa, cos’hai detto?”
 
“Mi piaci” ripete Camilo e sa che Bruno non può interpretare male quelle parole perché sta per fare la confessione più schietta e imbarazzante della sua vita. “Mi piace tutto di te. Mi piacciono i tuoi capelli, le tue mani e il tuo stupido cappotto verde, e mi piace il modo in cui ridi quando non c’è nessuno. Mi piace come parli della tua vita, sia le parti belle che quelle brutte. Mi piace la tua espressione quando disegni i ratti o leggi delle star delle telenovele. Mi piacciono tutte queste cose, molto, e mi sono davvero mancate mentre eri via”
 
Bruno lo fissa come se il suo cervello si stesse riavviando. Appoggia tremante l’album sul tavolo e apre la bocca per dire qualcosa, ma la richiude. La apre e la richiude come un pesce fuor d’acqua.
 
“Ehi, hai bisogno di sederti?” chiede piano Camilo, iniziando a rimpiangere la propria franchezza. Qualcuno doveva aver sganciato qualche bomba con più grazia.
 
Bruno fa alcuni respiri profondi. “No, va bene, sto bene” per una frazione di secondo le sue mani si chiudono a pugno, chiaramente desiderose di eseguire il rituale dei colpi, ma si fermano e si rilassano. “Quindi, hai appena detto che ti...ti piaccio”
 
La sua voce suona molto più stabile di quanto Camilo si sarebbe aspettato, il che lo fa sentire sia sollevato che umiliato. “Sì” dice, “forse non nel modo più eloquente, ma, uhm, questo era il succo”
 
“E-e lo pensi davvero?”
 
La risposta è facile. “Assolutamente”
 
Bruno fa un altro respiro profondo, passandosi una mano tra i capelli e, dannazione, ora non è davvero il momento di notare quanto sia sexy. Per quanto ci provi, Camilo non riesce a leggere la sua espressione: un acceso rossore si diffonde sul suo viso e i suoi occhi sono molto luminosi, ma l’aria che ha, come se fosse sul punto di svenire, non è esattamente incoraggiante.
 
“Camilo” inizia, “non so se...se è una buona idea che io ti piaccia. Non mi conosci nemmeno. Sono solo uno strambo cliente che ha iniziato a venire qui perché il resto del mondo era troppo spaventoso. Se abbiamo...iniziato a parlare, è perché stavi facendo il tuo lavoro”
 
“Lo pensi davvero?” chiede Camilo, mortificato.
 
“E sei così giovane” continua Bruno, “ho quasi quarant’anni, Camilo, sono vecchio. Mio dio” aggiunge, con un’espressione di orrore, “potresti essere uno dei miei studenti”
 
“Ma non lo sono” sottolinea Camilo, “e non significa granché. Sono sicuro che potresti avere studenti più vecchi di te”
 
“Sì, ma non è questo il punto-”
 
“Il punto è che pensi che sarebbe sbagliato se ci frequentassimo, o non provi lo stesso per me?” chiede Camilo senza mezzi termini, “perché se è la seconda opzione, è totalmente comprensibile e possiamo dimenticare tutto quello che ho detto. Ma se è la prima, sono un adulto e non c’è alcuna dinamica di potere in ballo. Non ho iniziato a parlarti perché ero costretto a farlo. So di essere un barista eccezionale, ma non mi sforzerei mai di parlare con qualcuno con cui non voglio solo per il mio lavoro”
 
“Non è la seconda opzione” dice Bruno e il cuore di Camilo si ferma per la seconda volta durante la giornata, con tutta la grazia di un personaggio dei cartoni animati che si schianta contro un muro.
 
Anche se gli ci vuole un po’ per elaborare le parole, è impossibile fraintendere. Il viso di Bruno è rosso vivo e i suoi occhi fissano furiosamente il pavimento, ma la sua voce è stata forte e chiara. Forse Camilo dovrebbe essere sempre così schietto.
 
“Ah no?” chiede, la voce un po’ incrinata per la sorpresa.
 
“Certo che no” risponde Bruno con un sorriso dolce, un po’ incredulo, come se la sua risposta fosse fin troppo ovvia, prima di schiarirsi la voce. “Più o meno è quello che volevo dirti...o mostrarti, con il ritratto” abbassa di nuovo lo sguardo, il suo sorriso diventa impacciato. “Quando ho iniziato a lavorarci, tre settimane fa, ero così paranoico all’idea che mi beccassi mentre ti fissavo e mi chiedessi che problemi avevo. Per questo ci è voluta un’eternità solo per uno schizzo. Poi ho dovuto scegliere i colori giusti e ho impiegato altri cinque giorni. Ho anche ricominciato a uscire. Sono andato al parco e qualche volta sono anche riuscito a tornare in biblioteca”
 
“È fantastico, Bruno” dice Camilo, pieno di orgoglio. “Congratulazioni”
 
“Solo poche ore alla volta” precisa umilmente Bruno, “rientravo a casa e ogni giorno lavoravo al ritratto. Quando ne ho parlato con Dolores, lei ha detto che avrei dovuto pensare di mostrartelo. Non dovevo...dirti quello che provavo, se dirlo apertamente faceva troppa paura, ma se passavo così tanto tempo a pensare a te, forse meritavi di saperlo” aggiunge, le guance rosee per l’imbarazzo.
 
Camilo deglutisce. “Anch’io ho pensato a te” ammette. “Ogni giorno. Ho cercato di trovare un modo per contattarti, ho perfino contemplato l’idea di attaccare dei volantini per persona scomparsa”
 
Bruno ride genuinamente, una breve esplosione di allegria che gli fa arricciare gli angoli degli occhi e gocce di luce solare liquida entrano nel cuore di Camilo. “Mi dispiace di averti fatto preoccupare scomparendo così” dice, “non sono stato un ottimo cliente, né amico”
 
“Potremmo essere amici per davvero, non solo conoscenti che si incontrano in un bar” offre Camilo, “o magari” aggiunge, correndo su una speranza cieca e disperato ottimismo, “potremmo uscire insieme. Se ti va. Giusto per vedere come va. Nessuna pressione, nessun vincolo”
 
Un debole sorriso si allarga sulle labbra di Bruno. “Nessuna pressione è un concetto che il mio cervello di solito fatica a comprendere”
 
“Se decidiamo di smettere dopo un’uscita, ti prometto che potrai sempre venire qui tutti i giorni e io ti preparerò la cioccolata. Certo, all’inizio potrebbe essere imbarazzante: probabilmente sembreremo due idioti e proveremo a fingere che non sia mai successo. Ma alla fine diventerà qualcosa di cui ridere, tra amici”
 
“Non sarebbe strano per te?” chiede Bruno timidamente, “servire cioccolata al tizio che ti ha friendzonato?”
 
“Ti prego” glissa Camilo, “se avessi paura di mettermi in imbarazzo, non avrei mai possibilità come attore. Inoltre, mi piace la friendzone. È un posto fantastico. Tutti hanno bisogno di amici”
 
Bruno ride piano, ma sembra che cominci a capire. Incoraggiato, Camilo fa un passo avanti.
 
“Il punto è che non dobbiamo essere nulla per cui non sei pronto” dice con attenzione, “ma possiamo essere tutto ciò che vuoi che siamo. È vero che non ti conosco molto bene. Ho tanto da imparare. Quello che so è che la tua amicizia non è un premio di consolazione. Essere nella tua vita, come amico o altro, è una cosa che non darò mai per scontata”
 
Bruno deglutisce. Da così vicino, Camilo può vedere il suo pomo d’Adamo nel pallore della sua gola, può vedere la punta della lingua rosa che guizza fuori per inumidirsi il labbro inferiore. “Penso” inizia Bruno, gli occhi scivolano sulle labbra di Camilo, “che saremmo buoni amici”
 
“Ottimi” concorda Camilo in un mezzo soffio.
 
Non sa altro, perché un attimo dopo si china e chiude lo spazio tra le sue labbra e quelle di Bruno.
 
Per una frazione di secondo il suo cuore esplode ed è convinto di aver rovinato tutto, il pensiero -Avrei dovuto chiederglielo, volevo chiederglielo- attraversa la sua mente a un ritmo frenetico, ma il suo cervello si zittisce molto velocemente quando si rende conto che la bocca di Bruno si muove contro la sua, calda e morbida e dal vago sapore dolce. Tutti i pensieri vengono spazzati via e si avvicina di più, incastrandosi bene per baciare Bruno più profondamente, le mani che si alzano a stringergli il viso.
 
Le guance di Bruno sono leggermente ruvide sotto le dita, il suo odore gli riempie i polmoni con il fresco profumo di dopobarba, le mani di Bruno sono arricciate intorno alla sua camicia, tirando leggermente il colletto in un modo che gli fa battere forte il cuore. Poi proseguono fino ai capelli, toccandoli quando con riverenza; la coda si scioglie facilmente, così come il nodo allo stomaco di Camilo – quello presente dal primo giorno in cui Bruno non si era presentato al locale, da quando l’album da disegno era scivolato per terra, da quando Camilo aveva visto sorridere per la prima volta il suo cliente più silenzioso e si era chiesto come farlo accadere di nuovo.
 
Quando si separa per prendere aria, con l’intenzione di chiedere a Bruno se ha fatto bene, se è andato troppo veloce, viene accolto da due occhi verdi socchiusi e labbra rose lucide semiaperte in attesa. Una ciocca è caduta sul viso di Bruno e Camilo cede finalmente alla tentazione ormai vecchia di sistemargliela delicatamente dietro l’orecchio.
 
Le palpebre di Bruno si chiudono come colte da stordimento, come fosse stato addormentato dal bacio di uno spirito invisibile.
 
Qualcosa nella nuda franchezza della sua espressione – il visibile rossore sulle sue guance – spezza ciò che rimane della determinazione di Camilo. Bacia Bruno di nuovo, con più forza, trascinando le mani lungo la schiena dell’uomo e inghiottendo avidamente il piccolo suono di sorpresa che emerge dalla sua gola.
 
-Ho mentito- pensa Camilo, mentre una mano si infila tra i riccioli disordinati di Bruno, l’altra passa sotto la camicia e trova la strada verso la pelle nella parte bassa della schiena.
-Non voglio essere suo amico-
 
Come potrebbe bastare l’amicizia, ora che sa com’è baciare Bruno, avere quelle mani delicate ed espressive che si arrampicano per attirarlo di più, sentire quella voce bassa sospirare così dolcemente per lui quando le loro labbra si allontanano solo per incontrarsi di nuovo l’istante successivo?
 
Bruno sembra condividere la sensazione, a giudicare da come il suo corpo si scioglie mentre Camilo stringe possessivamente la presa sulla sua vita, dal modo in cui la sua bocca si apre teneramente per la lingua di Camilo, da ogni lamento soffocato e gemito che risuona come un chiaro ‘Sì’ alla domanda di Camilo.
 
“Posso offrirti da bere?” chiede Camilo quando finalmente, finalmente si separano, entrambi senza fiato e fuori di testa. “Non per forza qui. Possiamo andare dove vuoi”
 
Bruno sbatte le palpebre, riemergendo dal suo stordimento. Lentamente, un sorriso folgorato si allarga sul suo volto. “Qui va bene” gli risponde, con occhi pieni di qualcosa che sembra meraviglia. “Mi piace qui”.

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