La Casa Dei Gelsi

di ClostridiumDiff2020
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 01 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 


Prologo



 

 
 
 
All'ombra di quell'albero poteva percepire la lieve brezza che gli portava il salmastro odore del mare, il sole scivolava lentamente oltre l’albero assonnato.
 
Aveva fatto nuovamente quei sogni, il teschio, il vetro in frantumi e infine nel sangue aveva intravisto lei.
Lo aveva osservato con grandi occhi di smeraldo ricolmi di lacrime poi si era chinata per baciarlo e lo aveva pugnalato al cuore con una lama sottile.
 
Poteva sentire ancora il profumo delle more di gelso come i suoi capelli scuri che gli solleticavano il volto avvolgendolo in un abbraccio di dolore donandogli un risveglio avvolto dalla perdita.
 
Ormai solamente quello gli rimaneva, il Nulla avvolto dalle sue grida.
Il teschio rosso, vetri infranti e un pugnale nella notte.
Dall’incidente in avanti ogni volta che chiudeva gli occhi solo quello emergeva dalle profondità della sua coscienza.
 
Quando scappava dalla sua stanza neanche tentava di lasciare l’edificio.
In fondo che senso aveva andarsene?
Così si ritrovava sotto a quell’albero, era così simile al suo sogno, lo stesso dove quella ragazza dagli occhi splendenti poneva fine alla sua esistenza.
Un bacio dal fruttato sapore metallico.
Osservava la distesa azzurra all’orizzonte chiedendosi dove diavolo stesse andando a finire la sua esistenza.
Ogni notte sognava di morire tra le braccia di un’estranea e ad ogni alba si risvegliava da solo in un letto di ospedale ridotto a un contenitore vuoto.
 
 
«Ti dispiace se mi siedo accanto te?»
 
Sollevò lo sguardo e un ragazzo con una camicia rosa gli sorrise.
 
Lo aveva altre volte girellare come lui in quel parco, soprattutto all’alba e al tramonto, quando entrambi avrebbero dovuto trovarsi chiusi nella propria stanza.
Forse era proprio grazie a lui che doveva le sue piccole fughe?
 
Lo osservò di sottecchi mentre rideva divertito.
Capelli arriffati, grandi limpidi occhi color giada e una risata nasale e acuta.
Magrolino e minuto, non aveva l’aspetto di un ladro provetto.
Eppure era piuttosto sicuro che se fosse quel folletto pelle e ossa la causa dell’apertura della sua camera cella.
 
Una brezza li raggiunse e il ragazzo si strinse nella maglia cercando di nascondere alla vista le bende che aveva ad entrambi i polsi, si abbracciò tremante e rimase in attesa finché non gli venne fatto cenno di sedersi.
 
Gli afferrò la mano con energia.
«Mi chiamo John…» esclamò il ragazzo sedendoglisi accanto.
 
L’altro lo scrutò torvo osservano la propria mano stretta tra le piccole mani di quel bizzarro folletto.
 
«Mi chiamano William!»
Non era troppo convinto della sua risposta, quel nome gli suonava starano, sbagliato.
«O almeno questo è il nome che sta scritto qua…» concluse mostrandogli il braccialetto che riportava scritto il suo nome e la data di nascita.
 
WILLIAM RUSSO, 19 novembre
 
«Io non ricordo di aver mai avuto questo nome…»
 
Le piccole mani del folletto giocherellarono con quello che William sentiva come il suo guinzaglio. Quel bracciale sembrava impossibile da rimuovere.
Aveva trafugato anche un coltello per tentare ma era stato del tutto inutile.
 
«Non ho memoria di quasi niente in effetti…»
Borbottò cercando di ignorare il fastidio che gli dava il movimento delle dita del ragazzo.
 
Si voltò ad osservare quel sorridente volto gentile. Aveva grandi occhi da bambino.
«Credo che ti si addica, William...Ma potrei chiamarti Bill, che ne pensi? Potrebbe essere più adatto a te?»
 
Bill
 
Billy, quel nome alle sue orecchie aveva retrogusto amaro ma familiare.
Aspro, come un frutto acerbo dal menzognero incantevole profumo.
William scosse la testa lasciando scivolare via la mano dalla presa dell'altro.
 
«No William va benissimo…»
Deglutì infastidito.
Non era certo di quella scelta ma non desiderava nemmeno darsi un nome a caso o peggio un numero
 
19111977, poteva essere un buon nome?
 
«Se preferisci puoi chiamarmi Johnny! Lo fanno tutti! All'inizio mi infastidiva ma, ormai è come un paio di scarpe strette. A furia di indossarle si sformano e diventano perfette per i propri piedi…»
 
Restano comunque alquanto dolorose…
 
«Preferisco usare John»
Tagliò corto.
Non avrebbe preso parte a quella tortura, se quello stupido nomignolo gli stava stretto come un cappio non lo avrebbe stretto ancora.
 
Il ragazzo scoppiò a ridere e alle orecchie di William ricordò un tenue scampanellio.
«Non apprezzi molto i soprannomi vero?»
 
William scosse la testa.
Non ricordava molto e quel poco gli appariva così sciocco e inutile.
Come ogni discorso che cercavano di intrattenere con lui, vuoti rituali svuotati di ogni senso o significato.
 
Sapeva di non volere lo zucchero nel tè.
Di amare le lame e odiare le costrizioni, quando lo stringevano a morte nei momenti di troppa agitazione si sentiva morire.
Di adorare camminare a piedi scalzi nell'erba e restare ore a fissare il mare da sotto quell'albero… Le poche cose che quel puzzle che si ritrovava per mente gli concedeva trattenere a sé.
 
Così come era certo di non amare i diminutivi o i vezzeggiativi.
Forse perché gli risuonavano in modo doloroso alle orecchie.
 
Billy, Bill…
Queste erano le sole cose che sapeva di se stesso dopo l'incidente.
 
Niente documenti certi, solo una foto consunta con un nome e una data.
Non una valigia, solo una giacca nera sporca di sangue, dei pantaloni strappati e un volto inciso da profonde cicatrici, recanti una storia che nessuno riusciva a decifrare.
 
Si osservava di rado allo specchio. Quei segni gli ricordavano ciò che non riusciva a recuperare facendolo solamente arrabbiare.
Aveva preso a pugni la parete della sua stanza fino a farsi sanguinare le nocche, finché non lo avevano bloccato.
 
Era ben conscio di dove lo avrebbero portato i suoi scoppi di ira, le sue reazioni ardenti! Lo aveva visto fare ad altri Ospiti di quell’adorabile luogo di cura.
Lo avrebbero dichiarato pericoloso per se stesso e per gli altri prima, lo avrebbero trattato con docce gelate e scariche elettriche.
Legato per giorni, settimane e infine, una volta constatato l’inefficacia dei trattamenti sarebbero arrivati all’estrema cura.
 
Se gli attacchi di rabbia non si fossero comunque placati, nonostante le docce gelate, i farmaci e le interminabili ore passate legato ad un letto a lacerarsi la pelle ruggendo alla notte, allora lo avrebbero cancellato dall'esistenza.
 
La chiamavano lobotomia transorbitale.
Ne aveva già visto gli effetti su un altro paziente.
Gli avrebbero piantato un punteruolo nell'occhio destro, spaccandogli il cranio, lacerandogli la mente trasformandolo in una bambola mansueta facile da gestire.
Completamente vuota…
 
Per calmarlo, per aiutarlo a essere più sereno dicevano ma di fatto cancellando quelle poche cose che lo rendevano ancora certo di esistere.
Non si sarebbe ricordato di adorare il tè, e non avrebbe avuto più alcuna importanza in che modo lo avessero chiamato.
 
Forse avrebbe ancora apprezzato quel profumo di fiori ma di certo non avrebbe ricordato di aver mai sognato una ragazza dagli occhi di smeraldo e a nessuno sarebbe importato.
Sarebbe esistito sempre di meno fino a svanire del tutto.
 
Forse avrebbe vagato ancora in quel bel parco come un fantasma.
L’ombra di un vivente che raccoglieva sassi alla ricerca di qualcosa che non avrebbe mai più potuto raggiungere, la propria anima.
 
Una mano gli sfiorò il volto facendolo sussultare.


«Scusa…» gli disse John ritraendola rapido «Solo che non volevo che andasse perduta…»
Una goccia salata gli scivolò tra le labbra, inumidendo il suo amaro sorriso.
Perché crucciarsi, nessuno lo avrebbe ricordato… Ben presto avrebbe scordato anche quel momento ridotto al Nulla.
 
Non voleva smettere di esistere perché anche solo quella tenue scintilla di memoria era preziosa e non desiderava di disperdesse in un asettico mare di indifferenza.
John giocherellò di nuovo con il braccialetto al polso di William premette in un punto e glielo sfilò via sorridendo e beandosi dei suoi grandi occhi scuri sgranati e illuminati da una gioia inattesa.





(Revisionato il 06 maggio 2023)

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Capitolo 2
*** 01 ***




Capitolo 01

 
 

We lay my love and I beneath the weeping willow.
Siamo sdraiati il mio amore ed io, sotto il salice piangente.
But now alone I lie and weep beside the tree.
Ma ora da solo mi sdraio e piango accanto all'albero.


Singing 'Oh willow waly' by the tree that weeps with me.
Canto 'Oh salice piangente' vicino l'albero che piange con me.
Singing 'Oh willow waly' till my lover return to me.
Canto 'Oh salice waly' fino a che il mio amante ritorna da me.


We lay my love and I beneath the weeping willow.
Siamo sdraiati il mio amore ed io, sotto il salice piangente.
A broken heart have I. Oh willow I die, oh willow I die.
Un cuore spezzato ho. Oh salice muoio, oh salice muoio.
 
Amare veramente un'altra persona vuol dire accettare che o sforzo di amarla valga il dolore di perderla…
(The Hunting of Bly Manor )

 
 


William si svegliò con quelle parole ancora aggrappate a quelle labbra, poteva avvertirle sulla sua fronte, vere quanto l’odore del sangue che gli riempiva le narici mentre caldo gli colava lungo il viso.
 
Ringhiò contro se stesso riuscendo solo a tendere la stoffa della camicia di forza, torcendosi dolorosamente le braccia.
 
L'infermiere si era affacciato e scuotendo la testa aveva bofonchiato.
 
«Prima dovrà calmarsi perché io non entro là dentro con quella furia»
E lo aveva lasciato solo, a dissanguarsi furente sul pavimento.
 
Quelle parole lo avevano fatto infuriare ancora di più.
Aveva urlato contro quell’idiota ma anche contro se stesso.
Si odiava per quello stato pietoso. Ridursi in quel modo per di più solamente per un incubo. O per essersi dimenato così tanto da essere caduto dal letto urtando la testa e attorcigliandosi come avrebbe fatto una zanzara nella tela di un ragno finendo per farsi solo più male.
 
Nessuno era venuto per lui in quel luogo dimenticato da Dio.
Che razza di stronzo doveva essere per essersi ridotto così…
Solo e indesiderato…
Con la sola compagnia di spettri notturni e teschi insanguinati e un albero…
Un albero perfetto sotto cui chiudere gli occhi e lasciarsi andare per sempre, sparendo nell’oblio.
 
«Will!»
 
La voce di John lo raggiunse da sotto la porta.
 
La speranza si fece strada per breve istante nel cuore di William sostituita rapidamente da nuova rabbia.
Era sempre così!
 
Il suo corpo vibrava quasi non riuscisse a trattenerla.
Usciva da lui incontrollabile, lo portava a urlare e desiderare di fare a pezzi ogni cosa.
 
«Vattene maledizione! Lasciami stare!»
 
Mentre la furia prendeva il controllo della sua voce, come un mostro nero lacerante, il suo cuore gemeva sofferente.
 
No! Ti prego! Non andartene anche te, non lasciarmi affogare tra gli incubi!
 
Non voleva che se ne andasse!
Era forse la sola persona in quel maledetto posto che aveva mostrato del vago interesse nei suoi confronti.
Forse l’unica anima in tutto il globo che sembrava interessarsi a lui, per quanto William non riuscisse a capirne la ragione.
Come non comprendeva perché quel ragazzo gentile fosse rinchiuso in un manicomio, era certo che fosse a modo suo un indesiderato.
 
Il silenzio che sopraggiunse andò a riempirsi di lacrime amare.
Bruciavano roventi nei suoi occhi.


Stava per urlare ancora tra i singhiozzi di frustrazione quando la porta si aprì e John scivolò nella stanza richiudendosela alle spalle.
 
Come lo vide si precipitò al suo fianco e lo strinse.
 
Avrebbe voluto ribellarsi a quella stretta premurosa.
Sapeva quanto il ragazzo volesse solamente aiutalo ma non riusciva a permettergli di farlo.
 
John si discostò per osservarlo.
«Vattene!»
Si sentiva così stupido mentre suoi grandi occhi scuri si riempivano di lacrime.
 
«Ho preso la chiave dall' altro infermiere di turno! Non è difficile sai? Quando è appagato con i pantaloni alle caviglie non fa caso a nient'altro! Non potevo aspettare l’alba, ero preoccupato! Temevo che ti fossi fatto davvero male... Hai fatto un bel tonfo sai?»
 
William si immobilizzò mentre con respiro ansante elaborava ciò che l'atro gli aveva detto.
 
Nel buio silenzio John gli prese il volto tra le mani per studiarlo con attenzione.
 
Il respiro ansimante di William si regolarizzava e John ne approfittò per finire di districarlo dalla trappola di stoffa che lo bloccava.
 
Il ragazzo infine premette la manica del suo pigiama sulla sua fronte sanguinante.
Quel gesto così semplice eppure inatteso.
 
William lo osservava cercando di ponderare ogni parola.
Quella frase lanciata con così tanta noncuranza lo aveva stordito, gli riportava alla mente fitte dolorose e la spalla gli scattò in alto.
 
In quegli interminabili giorni aveva notato gli sguardi che l'anziano guardiano rivolgeva a John ma non pensava che l'atro potesse essere interessato.
Ogni parola del ragazzo una pugnalata che accentuava il dolore alla spalla.
«Perché ti sei piegato a quel bastardo?»
Il ragazzo alzò i suoi occhi di giada al cielo come se William avesse detto qualcosa di molto stupido.
 
«Te l’ho detto! Mi servivano quelle chiavi! Ti avrebbero lasciato a terra anche fino a domani…»
 
«Ma…Tu non puoi essere…»
William non riusciva a trovare le parole.
La rabbia defluiva via sostituita da nausea e sconcerto.
Non si era piegato quando Arthur aveva richiesto il suo pagamento, nonostante fosse stato solamente un ragazzino ci aveva provato e lui gli aveva spezzato il braccio.
E poi si era preso comunque il suo premio.
A chi importava di un bambino in una casa-famiglia, a chi importava di un ex soldato rinchiuso in un ospedale psichiatrico.
 
John gli si avvicinò e il suo respiro gli solleticò la pelle.
 
«Avevi bisogno d'aiuto…»
 
Chiuse gli occhi mentre quel fosco passato si affievoliva nel pozzo profondo da dove trasudava.
 
«Io sto bene…» borbottò William con voce spezzata.
 
Sto bene, sto bene...
 
Quelle parole risuonavano sempre più vuote e prive di significato.
 
Le lacrime continuavano a scendere mentre ripeteva come un mantra quelle parole vuote.
 
«Sto benissimo... Sto bene…»
 
Quando le labbra di John gli si posarono sulla fronte ogni cosa gli crollò addosso.
Gli incubi, i ricordi frammentati che gli impedivano di mettere a fuoco cosa lo avesse condotto in quel luogo strappandolo ai suoi compagni… Alla sola famiglia che avesse mai avuto.
Cosa lo aveva portato via dall’esercito, sfregiato il volto e spezzettato ogni pensiero?
Come era sopravvissuto alla sua infanzia? Ai soprusi della casa-famiglia di quell’uomo dagli occhi di ghiaccio, Arthur?
Cosa?
 
Non riusciva a mettere ordine a capire!
 ripeté con sempre meno convinzione.
 
Rimasero immobili avvolti dalla notte finché i tremori di William non si placarono, solo allora John si distaccò nuovamente e gli tampinò ancora con cura la ferita alla fronte che aveva ripreso a sanguinare.
 
«Non riuscivo a dormire nemmeno io sai? Osservavo dalla finestra il nostro albero fortunato e... Avrei giurato di aver visto una figura seduta sotto di esso. Mi sono detto, Sragiono! Solo tu e io i sediamo là e tu eri qua in isolamento! È tanto che non ci vado, non riesco senza di te!»
 
John parlava a ruota libera e la sua voce squillante cullava e placava la mente confusa di William fino a quando le parole non emersero.
 
«Da quando sono qua sogno sempre le stesse cose! Priama vedo il mio riflesso in frantumi! Il mio volto è una maschera lacera! I capelli impastati di sangue e cos’ tanto dolore da perdere la ragione! Sono certo di aver perso tutto quello che mi ha sempre definito, ogni possibilità di riscatto e realizzazione! Di essere completamente assolutamente... spezzato... Urlo e a quel punto dovrei svegliarmi e invece mi ritrovo sotto a quell'albero e sto morendo. Una chiazza scarlatta mi sgorga dal petto. Ancora terrore! Una figura dagli occhi verdi mi fissa… Cerco di chiamarla ma non trovo la voce mentre il mio sangue nutre quell’albero e dilaga tra le radici e impregna in terreno… Mi sveglio urlando perché non ricordo quel nome, non mi resta nulla solo dolore e senso di perdita!»
 
John si appoggiò alle spalle di William e i due rimasero in silenzio.
William neanche si era accorto di aver stretto il polso di John con forza.
 
«Vorresti uscire adesso e sgranchirti le gambe?» esclamò John improvvisamente.


«Sei sicuro? Non è rischioso se ci beccano?»
John gli sorrise divertito.
«Questa è la parte divertente! Ma sta pure tranquillo, non permetterò che ti vedano O che ti facciano ancora del male!»
 
William si rialzò a fatica, si lasciò accompagnare da quel folletto dagli occhi scintillanti.
I muscoli gli dolevano per quella lotta contro le contenzioni e per la prolungata immobilità.
 
Era stato quel bacio, aveva scacciato ogni grammo di rabbia, perché aveva ricordato di averlo già ricevuto, era stata l’ultima sensazione piacevole prima di risvegliarsi.
Non era stata la furia a destarlo ma un accecante senso di perdita.
Non era riuscito a confessarlo a John, temeva che questo lo avrebbe portato lontano.
 
E poi che poteva dirgli mai?
 
Ricordo che tu mi hai baciato sotto all’albero mentre stavo morendo dissanguato?
Rammento il profumo dei tuoi capelli come se mi avessero accompagnato per tutta la mia vita?
 
Preferì tacere e lasciarsi condurre verso il loro rifugio.
 
 
L'albero lo osservava in silenzio e lo giudicava, William ne era certo.
 
«Mi detesta, sente la mia follia e vorrebbe solo che fossi colpito da un fulmine…»
 
A William scappò una mezza risata.
 
«Credo che odi molto di più me sai? Forse ricorda il mio sangue e ne è ancora affamato… Ho macchiato i suoi frutti... Ho insozzato il suo candido nettare…»
 
Si sorprese delle sue parole, come se a pronunciarle fosse stato qualcun altro attraverso la sua voce.
 
«Ho letto in un libro! Pare che le more di gelso un tempo fossero solo bianche e che il sacrificio di due amanti ai loro piedi ha cambiato per sempre il loro aspetto! L'albero si è nutrito del loro sangue come del loro dolore, come nel tuo sogno!»
 
William si portò le mani al petto, come se potesse ricordare il dolore di quella ferita.
«Sono il suo cibo…»
«Gesù Will che cosa macabra! Scusa so che non ami i soprannomi necessito di chiamarti in un modo più semplice e immediato…»
«Fa come vuoi…» borbottò William.


John gli sfiorò di nuovo la fronte mentre un rivolo di sangue gli scivolò sulle ciglia.
«Cerchiamo di non nutrirlo di nuovo!»
 
Era un gesto semplice ma William lo trovava dolorosamente confortante.
 
Aveva appena chiuso gli occhi quando una lieve brezza gli sfiorò la nuca portandogli il dolce profumo dell’albero in fiore.
Lei era davanti a lui e lo osservava con due occhi di smeraldo scintillanti. Era sopra di lui e lo osservava con sguardo colmo di rimprovero.
Per un attimo credette che fosse un'allucinazione, ma poi la donna parlò.
«Voi due non dovreste stare qua a quest'ora!»

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