Det vidunderligste - Il miracolo

di aelfgifu
(/viewuser.php?uid=432825)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Come nasce un amore? ***
Capitolo 2: *** La restituzione ***
Capitolo 3: *** Jäd ***
Capitolo 4: *** Al Resi ***
Capitolo 5: *** Det vidunderligste ***
Capitolo 6: *** Alle persone coraggiose ***



Capitolo 1
*** Prologo. Come nasce un amore? ***


1. Prologo. Come nasce un amore?
 

POV Marie

 

“Uscita” n. 1. Al Caffè Schröder. Motivo ufficiale: spiegare a S. il funzionamento del corso di scienze della comunicazione.

 

“Uscita” n. 2. All’università. Motivo ufficiale: tour conoscitivo. Nota bene 1: S. si è conciato in modo che quasi non lo riconoscevo neanche io.

 

“Uscita” n. 3. A casa sua. Motivo ufficiale: portargli i libri con i miei appunti (idea mia quella di prestargli i miei libri). Nota bene: mi ha offerto succo di mirtillo rosso, lui ha bevuto solo acqua minerale. Non mi sarebbe bastato scolarmi una bottiglia di Jack Daniel’s per sopravvivere all’imbarazzo.

 

“Uscita” n. 4. Alla Allianz Arena. Motivo ufficiale: abbiamo visto la partita casalinga Bayern-Werder Brema. S. aveva uno stiramento alla gamba sinistra e non giocava. P.S. Siamo stati sotto la costante osservazione del presidente,  seduto due file più su di noi, il quale ha tirato un sospiro di sollievo quando gli hanno detto che sono la figlia dell’allenatore. Nota bene: quando vuole, S. sa essere allegro e spiritoso. 

 

“Uscita” n. 5. Säbener Straße. Motivo ufficiale: party di Natale. S. in pullover e jeans. S. è come il Mark Darcy di Bridget Jones, bello con qualunque schifezza addosso. Il bianco gli sta particolarmente bene. 

 

“Uscita” n. 6.  All’università. Motivo ufficiale: aperitivo con la fidanzata di mio fratello. Nota bene: la prof è spaventosa ma simpatica. Karl non c’era, meno male. 

 

“Uscita” n. 7. Al Caffè Schröder. Motivo ufficiale: festeggiare i risultati degli esami del semestre. Nota bene: S. è andato meglio di me. Nota bene 2: dove trova il tempo per studiare?!? 

 

“Uscita” n. 8. All’Englischer Garten. Motivo ufficiale: restituzione dei libri. Nota bene: S. mi ha fatto trovare un picnic a sorpresa. C’erano anche i vol-au-vent al formaggio: mi ha visto mentre mi sbafavo tutto il vassoio dei vol-au-vent alla festa di Natale del Bayern. Aaargh!!! Mi sarei sotterrata!

 

“Uscita” n. 9. Al gattile di Moosach. Motivo ufficiale: il figlio di Drener vuole un gatto e S. gli ha promesso che l’angioletto gliene farà arrivare uno. La sottoscritta è intervenuta in qualità di consulente esperta di sensibilità infantile (e ti pareva). Nota bene: le addette del gattile hanno chiesto a S. se vuole fare loro da testimonial. Stronze, smorfiose, vi odio. 

 

“Uscita” n. 10. S. mi ha chiesto di uscire. “Dove vuoi andare? Cosa ti piacerebbe fare?” Non ho saputo cosa rispondere.“Allora va bene se decido anche per te?” Ho detto di sì. Ha deciso che andiamo a teatro.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La restituzione ***


2. La restituzione

Il momento è topico: martedì mattina si vedono per la restituzione dei libri.

"Che ne dici, ci vediamo all’Englischer Garten a ora di pranzo?”

“Ma no, posso passare io da te, oppure puoi dare i libri a mio padre…” 

“Che brutto fare così. Ci vuole una bella boccata d’aria, ora che le giornate diventano più calde!” (Parla lo svedese che ha sempre fame di sole, naturalmente). 
Marie andrebbe anche dentro un vulcano in eruzione, se lui glielo chiedesse. Invece va all’appuntamento e trova il suo nuovo collega comodamente spaparanzato sotto un albero, la bicicletta appoggiata accanto al tronco, i libri accuratamente sistemati in una cartella trasparente e un cesto da picnic accanto ai libri. 
 
“Ciao. Spero che tu non abbia pranzato!” 
Marie gli siede vicino, avendo cura di lisciare per bene il vestito leggero che ha messo oggi e dandosi della scema per non avere deciso di indossare invece un bel paio di comodi pantaloni (bugiarda, la rimprovera una vocina, non hai messo i pantaloni apposta, volevi che lui ti guardasse le gambe, non fare l’ipocrita). Marie pensa: e avrei voluto pure che mi guardasse il décolleté, ma mannaggia, io ho un décolleté inesistente! 
 
Levin apre il cesto e glielo mette sotto il naso: 

“Dici che va bene? Non ti farò morire di fame?” 

“Mi sembra una piccola dispensa molto ben fornita…” 

“Ci sono anche i vol-au-vent con la crema di formaggio, so che ti piacciono”. 

“E come lo sai?” 
“Ecco i libri” Levin le tende la cartella. “Grazie per avermeli prestati. Le tue annotazioni mi sono state molto utili”. Un piccolo ghigno. “Per quanto riguarda i vol-au-vent, alla festa di Natale ho visto che erano di tuo gradimento…”

Marie vorrebbe sparire dalla faccia della terra: al party di Natale del Bayern aveva fatto fuori mezzo vassoio di vol-au-vent al formaggio.  

(Intermezzo n. 1)
 
Marie è molto curiosa, sempre piena di domande. Quando ha fatto notare la cosa a Karl, lui, il bravo fratello maggiore, ha sghignazzato: “Era un trapano elettrico anche da piccola. Stava sempre a chiedere il perché e il percome. Pecché Kall? Pecché? Pecché? E a quanto pare non ha perso il vizio!”
 
“Ma a me non dispiace la sua curiosità” avrebbe voluto obiettare lui, ma ha preferito lasciar perdere
 
Marie fa domande che all’apparenza sembrano ingenue ma colpiscono nel segno. Anche ora, mentre si liscia le pieghe del suo vestitino primaverile, chiede di botto:
“Ma voi, mentre siete in campo, vi accorgete di tutto il chiasso che c’è intorno?” 
Lui la guarda un momento, un po’ meravigliato, poi risponde:
“No; per quanto rumore ci sia, noi non lo sentiamo, siamo troppo concentrati sul gioco”. 
 
Marie arriccia le labbra, in quel simpatico movimento un po’ allegro e un po’ stizzoso che fa sempre quando qualcosa non le torna. 

“Mio padre ha giocato per vent’anni e allena da altri venti, mio fratello è il capitano del Bayern Monaco, eppure a loro questa cosa non l’ho mai chiesta, non mi è mai venuto in mente”. 

Levin non risponde subito; sta versando del succo di mirtillo rosso in due bicchieri di carta. Lo fa in modo attento, preciso, metodico. Quando ha terminato, riavvolge il tappo della bottiglia, posa la bottiglia accanto a lui, prende uno dei bicchieri e lo porge a Marie: 

“Prego!” 

“Grazie!” Marie gli prende il bicchiere e, per caso o non per caso, le sue mani finiscono per sfiorare quelle del giovane. 

“Di niente” Levin le lancia uno dei suoi micidiali sorrisi per metà angelici e per metà diabolici “si vede che sono io a ispirare questo tipo di domande. Ti faccio pensare al silenzio?”

“Al silenzio in mezzo a tanto rumore…” 

“Sì, il silenzio in mezzo a tanto rumore”. 

Marie beve, a sorsetti, meditabonda, mentre Levin si sdraia per quanto è lungo, sistemandosi gli occhiali scuri sul naso e intrecciando le braccia dietro la testa. L’ombra delle foglie mosse dal vento gli passa e ripassa sulla faccia. Marie lo guarda come ipnotizzata e spera che le lenti fumé gli impediscano di vedere cosa sta succedendo. Come sei bello, pensa Marie, e non sa che intanto Stefan a sua volta sta pensando che gli piacerebbe saltare su e stritolarla in un abbraccio di quelli che dicono tutto, ma proprio tutto, ma non può, non deve, quel piccolo elfo sbarazzino che gli siede accanto si spaventerebbe a morte.

“Prendi qualcosa da mangiare” le dice con tono calmo e paterno “sennò ti ubriachi, solo col succo di mirtillo”.  

Marie fa un verso come qualcuno a cui vada di traverso quello che sta bevendo, poi esplode in una risata scampanellante.  “Mi sa che tu lo sei già, ubriaco!” 

Levin solleva il suo bicchierino di carta, vuoto. 

 

Marie non sa cosa le stia succedendo. Le ronza la testa e si sente più leggera dell’aria. 

“Ma veramente, era corretto quel succo di mirtillo?” 

“Perché?” 

“Perché mi sento come se fossi ubriaca”.  

“Non è il succo di mirtillo, sta’ tranquilla”. 

“OK…”

Per vincere l’imbarazzo, Marie apre la cartella e prende tra le mani uno dei libri che Stefan le ha restituito e comincia a sfogliarlo a caso. Poi s’interrompe, avvicina il libro al viso e comincia ad annusare le pagine. 

Incuriosito dallo strano rumore, Levin si solleva a sedere, si tira su gli occhiali sulla fronte. 

“Che fai?” chiede. 

Marie sorride e gli tende il libro aperto. 

“Annusa! È molto leggero, ma se avvicini il naso si avverte. Le pagine profumano di sapone di Marsiglia” gli fa notare, mentre Stefan prende il libro e annusa anche lui, con più delicatezza di Marie. 

“È il tuo profumo” spiega Marie, con gli occhi pieni di allegria. “Anche tu profumi di sapone di Marsiglia”.

“Sono allergico ai saponi e ai deodoranti troppo aggressivi” dice lui. 

“Hai lasciato il tuo profumo tra le pagine!” commenta Marie.

E all’improvviso si guardano negli occhi, ma subito arrossiscono entrambi, abbassano le orecchie come due asinelli mortificati e guardano una di qua e l’altro di là. 

Il fatto è che anche se non ci si pensa mai, parlare a una persona dell’altro sesso della sensibilità della propria pelle è un discorso che implica un alto grado di intimità. Loro due, come ci sono arrivati? Ma forse anche prestare i propri libri a qualcuno implica un alto grado di intimità. Forse la loro intimità è davvero nata con quel passaggio di libri, con lui che ha ripercorso i passi di Marie, leggendo le stesse pagine, soffermandosi sulle sue annotazioni. 

“È possibile che trovi qualche mia nota a matita, mentre studiavo ho preso qualche appunto a margine, non ho pensato a cancellarlo”. 

“E perché avresti dovuto cancellarlo? Mica hai scritto cose sconce?” chiede Marie fulminea. Stefan si prende il viso tra le mani, ridendo: 

“Sei impossibile, lo sai?” 

Marie s’infila un vol-au-vent in bocca e a bocca piena risponde

“Perché? Cos’ho detto?” 

“Niente! Ma sei di una franchezza impressionante!” 

 

*** 

 

La prima cosa che Marie fa, quella sera a casa, è mettersi a sfogliare i libri per cercare le annotazioni di Levin. Che sono in svedese, accidenti a lui, le tocca tradurle con Google Translate. E alcune parole non si trovano neanche nei dizionari, come quella che trova dopo l’ultima riga dell’ultima pagina dell’ultimo paragrafo dell’ultimo capitolo. 

 

Tack, Marie-älva jäd

 

Tack ci sta; vuol dire grazie.

Anche älva ci sta: vuol dire fatina. Magari anche in Svezia le fate sono creature che aiutano le persone in difficoltà. Che carino, però. 

Jäd non riesce a trovarlo da nessuna parte.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Jäd ***


3. Jäd 
 

Il tarlo non abbandona Marie per settimane: non riesce a scoprire quella stupida parola in nessun dizionario, e per ovvi motivi non può chiedere spiegazioni a S. Per la disperazione ha preso appuntamento anche con la lettrice di svedese del Nordisches Seminar, la quale si è sentita presa in giro perché lei è una “pérsòna sérìa”, e l’ha anche congedata in malo modo. Come ultima spiaggia, Marie ha deciso di ricorrere alla ragazza di suo fratello, che in mezzo ai dizionari ci vive, anche se la soluzione non le appare ottimale: prova sempre una certa timidezza nei confronti di Julia Gutenbrunner, non sa nemmeno se darle del tu o del lei, potrà confidarle una cosa così personale? Ma alla fine il desiderio di capire prevale e Marie va a incontrare la prof per così dire su campo neutro, cioè al ricevimento studenti. 

“Ehilà, Marie! Hai deciso di cambiare corso di studio?” la saluta la prof vedendola entrare. 

“Ho bisogno di un’informazione” risponde Marie sedendosi. Ed espone la questione. La prof consulta diversi dizionari cartacei, cerca la parola sui dizionari online, e non trova niente. 

“Be’, la cosa si fa interessante” ride, raddrizzandosi sulla sedia ergonomica. “Vorrà dire che dovremo fare un supplemento d’indagine. Puoi dirmi in che contesto hai trovato questa parola?” Marie cerca di tergiversare; se spiegasse tutto spiattellerebbe alla prof l’intera storia. Ma Julia la fissa stringendo le pupille: “Hai paura di sapere cosa significa quella parola o non ti fidi di me?”

Così Marie parla, e tenendo le dita incrociate pensa: fa’ che non vada a raccontare tutto a Karl o peggio al diretto interessato. Fa’ che non mi faccia domande indiscrete. Ma Julia non le pone nessuna domanda indiscreta; aggrotta solo le sopracciglia per un momento, poi le distende e sorride. 

“Mmm. Forse potrebbe essere questo”. Apre un cassetto, tira fuori un foglio bianco, afferra una penna posata lì sulla scrivania e scarabocchia qualcosa sul foglio. Poi lo piazza sotto il naso di Marie. C’è scritto: 

 

j     ä     d

 

Rapidamente, Julia mette un punto a destra di ciascuna lettera: 

 

j.        ä.        d. 

 

“Se è come credo, jäd non è una parola autonoma, sono i suoni iniziali delle parole di una frase fusi insieme” spiega. “Insomma, una specie di acronimo occasionale, svedese, personale, leviniano”.

“E che vuol dire?” chiede Marie. 

Julia non risponde alla domanda. “Ci sono un po’ di cose che dovresti raccontarmi” scandisce invece, facendo l’aria severa. 

 

(Intermezzo n. 1)

 

Come sono diversi! Karl agisce d’istinto e di rapina, mentre Levin costruisce strategie, sta attento ai dettagli, aspetta il feedback dalla controparte. È ammirata dal modo di fare di Stefan: si sta avvicinando alla piccola Schneider poco alla volta, vuole darle tempo e modo per sentirsi a suo agio dentro a un sentimento nuovo. Non sono bellissimi questi piccoli messaggi che le lascia, questi piccoli enigmi su cui la fa scervellare? E ogni piccolo messaggio compreso e ogni piccolo enigma decifrato è un passo che Marie fa verso di lui. J. ä. d., benedetto ragazzo!

 

“… hai suggerito tu la rappresentazione?” 

“Ahah, no, l’ha suggerita Stefan. Io non avrei saputo da dove cominciare!” 

“La prossima volta che uscite lancia tu una proposta”. 

“Anche se volessi andare al luna park?” 

“Che c’è di male ad andare al luna park?” 

“Ma potrebbe pensare che sono solo una ragazzina!”

”Ma no che non lo penserebbe”.

”Come fai a dirlo?” 

“Non lo penserebbe, fidati. Per certi aspetti tu sei più avanti di lui: non lo hai aiutato ad ambientarsi in un mondo che fino a qualche mese fa gli era completamente sconosciuto?”

“Se lo dici tu”. 

“Non devi aver timore di lui. Di fare brutta figura, dico. Né di me, se è per questo” Julia ride allegramente. “E che andate a vedere di bello?” 

“Casa di bambola”.

“Apperò! Roba seria!”

“Dici che mi devo preparare?” 

“Non pensarci neanche. Stai andando a teatro, non a fare un esame!” 

“Ma non vuoi proprio dirmi cosa significa j.ä.d.?”

“Prima andatevi a vedere Ibsen e poi ne riparliamo” taglia corto Julia

 

(Intermezzo n. 2)

 

Casa di bambola, nientemeno! Chissà che cosa ha in mente quel diavolo di uno svedese? P.S. Annotiamoci questo: conoscere è amare, e voler conoscere è già amare.

***

Nota di Ælfgifu: avrei voglia di spoilerare tutto e raccontarvi subito che cos'è il j.ä.d... ma provo a resistere, in modo che lo scopriate insieme a Marie. Julia ovviamente ha capito di che si tratta, ma secondo me aspetta che sia Levin a spiegarlo a Marie 😉

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Al Resi ***


Premessa di Ælfgifu. Per capire il capitolo, bisogna conoscere almeno a grandi linee la trama di Casa di bambola
 

4. Al Resi 

 

POV Marie

 

Ci vediamo davanti al Resi alle 19,15. Stefan si è scusato cento volte per aver scelto un giorno feriale, ma tra gli allenamenti, il campionato, la Champions League, il penultimo turno della Coppa di Germania e tutto il resto, non ultimi i suoi studi, non riesce quasi mai ad essere libero nel fine settimana. Oh, stupido! ho pensato. Come se questo fosse importante. In compenso, per la cena ha prenotato un tavolo al ristorante del teatro. “Così non dobbiamo andare a destra e sinistra”. Mi sono scervellata per giorni su cosa mettere: non vai a teatro in jeans e maglietta. Però non è neanche una première, quindi l’abito lungo non va bene. Poi è una soirée, quindi andarci troppo casual non va bene nemmeno: un tocco di classe ci vuole (specialmente se poi andremo a cena). E sarà meglio andare sui colori scuri. Alla fine ho scelto il mio vestitino blu al ginocchio dall’orlo svasato con giacchino spezzato in vita e décolletées dal tacco piccolo, abbinamento blu-beige. Più di così non saprei fare. E ho passato un’ora di fronte allo specchio frugando nei miei trucchi. Marie, tu sei così maldestra col make-up, non esagerare: per non esagerare non mi sono truccata quasi per nulla. Se S. viene in smoking me lo mangio. 

 

***

 

Non è in smoking! Arriva dalla parte opposta alla mia col suo passo diritto e veloce, le mani nelle tasche, gli occhi puntati davanti a lui.  Blazer scuro, camicia bianca, pantaloni morbidi, sneaker chic. Più sportivo di me. Meno male, avevo paura di aver sbagliato tutto. 

 

*** 

 

Sul programma c’è scritto che è una rivisitazione in chiave contemporanea del dramma di Ibsen.  Alcuni aspetti della vicenda sono stati modificati, per adattarli meglio al contesto del ventunesimo secolo. Quello che è stato cambiato è l’intreccio secondario, cioè la storia di Kristine e Krogstad. I due sono due impiegati di banca in lotta per una grossa promozione, Kristine è una mamma single, Krogstad s’incazza più per ambizione delusa che per paura del licenziamento.  Poi finiscono veramente per innamorarsi. E Nils decide di lasciar perdere il suo ricatto non perché la sua posizione economica è stata ripristinata, ma per amore di Kristine.

 

*** 

 

Quando le luci si spengono,  anche l’enigmatico ragazzo seduto alla mia destra diventa un’ombra, e l’attenzione va tutta a quel che avviene sul palcoscenico. S. segue l’azione concentrato, senza parlare, mentre a me sfugge ogni tanto qualche esclamazione, la storia effettivamente in certi momenti fa incazzare di brutto! Ho paura che la signora accanto a me mi zittisca scocciata, ma al momento dell’intervallo mi accorgo che s’era appisolata già da un po’. S. e io andiamo a prenderci da bere al bar del foyer. Io mi gusto l’espressione delle donne che appuntano sguardi ammirati sul mio accompagnatore, e diciamo la verità, S. è lo stile fatto persona. Datemi un decimo del suo stile, io sono così goffa! 

“Allora, ti sta piacendo?”

“Molto!” 

“Meno male, avevo paura che lo trovassi un po’ noioso”. 

Gli racconto della nostra vicina di posto che ha ronfato per quasi metà della rappresentazione, e lui ride di cuore. Perché ride così poco, questo musone? Sentirlo ridere è come sentir scorrere un ruscello in mezzo a un prato ed entrarci dentro a piedi nudi, ti riempie di allegria.

 

*** 

 

Al terzo atto, quando  Torvald legge la lettera n. 1, sento la mano di Stefan che afferra la mia: “Guarda, guarda che cosa succede ora…”

E così, le mani strette, assistiamo col fiato sospeso al capovolgimento e al dénouement finale.  

 

***

 

Mentre aspettano che venga servita loro la cena, i nostri discutono del dramma. Marie sostiene che Torvald non ha poi tanto torto: Nora non è innocente, ha veramente fatto qualcosa di illegale, e così facendo si è resa vulnerabile al ricatto.  

“Non è quello il problema” replica Levin “il problema è che lei è ignorante, non sa nulla di come va il mondo, quando si è trovata in difficoltà non aveva nessuna idea delle norme e delle leggi, nessuno le poteva dare un consiglio, ha cercato di agire come poteva. È questo che il marito dovrebbe capire e non capisce. E poi è un vile e un egoista, non vede altro che la sua reputazione rovinata, non gliene frega niente di sua moglie. Vedi come cambia subito idea quando capisce che l’ha scampata…” 

“Ed è allora che la moglie cambia idea su di lui”. 

“Già, lui era subito disposto a sacrificarla, quando lei si era messa nei guai per aiutarlo”. 

“E lei pensa, ma come, il capo di casa, il grande avvocato, l’uomo a cui credevo di potermi appoggiare…” 

“È per quello che se ne va. Perché per cambiare Torvald ci vorrebbe un miracolo: lui è il prodotto della società in cui vive, non potrebbe essere diverso da com’è. Anzi, potrebbe esserlo, ma questo richiederebbe tantissimo coraggio da parte sua. E lui questo coraggio non ce l’ha”.

“Però anche lui alla fine si chiede se possa avvenire un miracolo!” 

“No: lui si domanda che cosa sia il miracolo di cui parla Nora. Non capisce nulla, fino alla fine!” 

“Tu ci credi ai miracoli?” chiede Marie. 

Lui risponde: 

“Io so, e lo so per certo, che i miracoli accadono”. 

“E credi nelle fatine buone che aiutano gli esseri umani?”

“No, credo che ci siano persone buone come le fatine delle fiabe… Marie-älva” Stefan sorride. “Hai letto le mie annotazioni”.

“E le ho anche dovute tradurre con Google Translate! Potevi scrivere in tedesco”. 

“No. Visto che sei così curiosa, ho voluto renderti la vita difficile”. 

“Sapevi che sarei andata a leggere?” 

“Of course!” 

“Ma che stronzo!” Marie è diventata rossa come un pomodoro maturo. “Lo hai fatto apposta!”

“Sì, l’ho fatto apposta. Ho scritto quelle note per te”.

“E lo hai fatto anche apposta a scrivere parole che non si trovano da nessuna parte?” 

Stefan ammicca: “Cioè?”

"Cioè jäd. Che cavolo di parola è? Ero andata perfino a chiedere alla lettrice di svedese, all’università, e lei mi ha cacciato dicendo che è una persona seria e non risponde a domande stupide”.

“E poi hai chiarito il mistero?” 

“Macché. Ho chiesto a Julia. Julia mi ha detto che è un acronimo, ma non ha voluto spiegarmi cosa significa -“  

“Julia, giustamente, ha aspettato che te lo spiegassi io. Significa j.ag ä.lskar d.ig” la interrompe Levin, improvvisamente serio. 

Marie gonfia le guance: “Grazie tante, ne so quanto prima! Che vuol dire jag älskar dig?” 

Levin non sa rimanere serio più a lungo di fronte a quel piccolo elfo biondo ed esile che sbuffa d’impazienza: 

“Ti ho detto anche troppo. Cercatelo, curiosona!”

Lei gli rivolge uno sguardo indignato, tira fuori l’iPhone dalla borsetta e glielo agita in faccia: 

“Ecco! Lo cerco subito! Come si scrive?” 

“J di Jena, A di Aquisgrana, G di Goslar; A con l’Umlaut; L di Lipsia, S di Salzwedel, K di Kaiser, A di Aquisgrana, R di Rostock, D di Düsseldorf, I di Ingelheim, G di Goslar” recita pazientemente Levin, e Marie con la testa china sul cellulare non può vedere che sulle labbra gli è sbocciato un sorriso radioso.

La piccola Schneider digita furiosamente e dà l’invio. Dopo due secondi alza la testa e guarda confusa il suo accompagnatore: “Mi prendi in giro?” 

Levin scuote la testa. “Ti sembro un tipo che prende in giro le persone?”

E siccome Marie è rimasta così, con la mano sollevata e il telefono nella mano, e lo guarda come se non capisse più nulla, come qualcuno che sta per scoppiare a piangere, lui si alza, le va vicino, si china su di lei, le fa una carezza sui capelli, le sussurra contro la guancia: “Jag älskar dig”. 

E poi la bacia.  

 

*** Note di Ælfgifu. 

 

  1. Ci siamo finalmente! J.ä.d. = jag älskar dig, e cioè “ti amo”, in svedese. 
  2. “Resi” è il Residenztheater di Monaco di Baviera, una delle istituzioni più prestigiose della città, che propone un repertorio contemporaneo ma anche molti classici del teatro. 
  3. Il miracolo di cui si parla in Casa di bambola nell’originale norvegese suona come det vidunderligste, letteralmente “la cosa più meravigliosa, la cosa più miracolosa”.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Det vidunderligste ***


5. Det vidunderligste 

 

Al termine della cena decidono di fare una passeggiata in centro, ma in realtà non importa loro un fico secco dove stanno andando, continuano solo a camminare in mezzo alla gente e alle luci come due mezzi ubriachi, mezzi storditi, o piuttosto due che non hanno ancora ben compreso che cosa sia successo, la mano di Stefan saldamente intrecciata a quella di Marie. 

Camminano in silenzio per un po’, avvolti in una bolla di beatitudine, poi Marie alza la testa verso Levin e domanda:

 

“Mi parli del miracolo?”

 

Lui annuisce. E mentre continuano a camminare, inizia il suo racconto. 

 

“Lo scorso aprile, del tutto casualmente, ho letto un libro di racconti bellissimi e inquietanti, in uno dei quali il protagonista avrei potuto essere io, e ho voluto conoscere la loro autrice. Siamo diventati amici. L’ho  anche invitata a una nostra partita casalinga contro l’Eintracht, con tanto di posto riservato in tribuna vip, e ho chiesto a tuo fratello di fare gli onori di casa, tanto lui non giocava. Quindici giorni dopo siamo andati a Lisbona e abbiamo vinto la Champions League. e come ben sai Karl si è rotto il polso segnando il gol che ci ha fatto vincere. Mentre eravamo sull’aereo durante il viaggio di ritorno mi sono messo a rileggere i racconti di Julia, li avevo portati con me come portafortuna, ma ero stanco, mi sono addormentato di colpo e il libro mi è ruzzolato dalle mani. Karl, che era seduto accanto a me, lo ha raccolto e si è messo a leggere anche lui quei racconti bellissimi e inquietanti. Aveva appoggiato il libretto sul tavolino, teneva ferme le pagine col braccio sinistro e sfogliava con la destra. Aveva un’aria così corrucciata mentre leggeva. Quando mi sono svegliato e l’ho visto così, non ho più avuto dubbi che tra lui e Julia sarebbe nato qualcosa, anzi forse era già nato, quella sera allo stadio.

Durante le vacanze sono tornato in Svezia. Sono andato a Stoccolma a trovare i miei genitori, ho fatto visita alla tomba di Katarina, e poi ho passato due settimane a Lund con mio fratello e la sua famiglia. Ho due nipotini terribili, ti piaceranno. Magdalena ha tre anni, para i tiri di suo fratello che ha il doppio della sua età e tre mesi fa ha adottato una gattina bianca di nome Ljus, è la sua mamma ufficiale. Ola invece ha sette anni, è in seconda elementare e sta sfiancando mio fratello e sua moglie perché lo iscrivano alla scuola calcio. Effettivamente pare che abbia della stoffa…”

 

“E ti pareva! Dev’essere di famiglia”

 

“Il mio amico Henk Larsson mi aveva invitato ad andarlo a trovare e così ho fatto tappa da lui a Malmö prima di andare a Lund. Abbiamo rievocato i vecchi tempi. La sua compagna aspetta un bambino e lui sta pensando di lasciare il calcio tra tre-quattro anni; vuole essere un padre presente per il figlio che verrà, e dopo avere appeso gli scarpini al chiodo sta progettando di studiare scienze motorie e diventare insegnante di educazione fisica o prendere il patentino come allenatore, insomma, vorrebbe lavorare con i ragazzi. Mi ha chiesto cosa volessi fare io una volta lasciato il calcio giocato. Io gli ho detto che se il fisico non mi lascia a piedi potrei giocare anche fino a quarant’anni, ma che, dopo, non mi dispiacerebbe lavorare come giornalista sportivo. Non avevo mai pensato a una eventualità simile, mi ci ha fatto riflettere proprio la domanda di Henk, ma ho continuato a pensarci, e quando sono tornato a Monaco, parlando con tuo fratello, mi è venuto in mente che anche tu studi scienze della comunicazione. E quando ti ho visto venirmi incontro al Caffè Schröder, mio simpatico elfetto, min lilla älva, qualcosa si è spezzato”.

 

“Spezzato come?”

 

“Nel senso di qualcosa che fa crack. Un ramo che si spezza. Una lastra di ghiaccio che si rompe e scioglie il fiume che riprende a scorrere durante il disgelo. Ho sentito chiaramente un crack dentro al mio corpo, avevo paura di essermi fratturato qualche osso da qualche parte”. 

 

Stringe Marie a sé e le posa un piccolo bacio sulla tempia.

 

“Ho vissuto la primavera e l’estate scorsa così, come sospeso. Mi rendevo conto di quanto tutto fosse così spaventosamente bello - quanto fosse bello che qualcuno avesse scritto quei racconti, che il Bayern avesse vinto la Champions League, che Karl si fosse rotto il polso per segnare il gol della nostra vittoria, che Henk stesse per diventare padre, che la mia nipotina avesse un micino bianco come la neve. Intanto, io ero come in attesa che accadesse qualcosa. Evidentemente stavo aspettando te, Marie-älva” 

 

Marie ridacchia, imbarazzata:

 

“Me? Ma…” comincia a dire, e vorrebbe dire: ma io sono così goffa, e così poco sofisticata, e ho le lentiggini sul naso, e non ho visto la morte in faccia… 

 

In risposta, Levin le stringe la mano più forte. 

 

***

 

Un libro è l’ascia per il mare ghiacciato che è in noi (Franz Kafka)

L’eterno elemento femminile ci spinge in alto (J. W. Goethe)

 

E dopo Ibsen, anche il commento musicale a tutta la storia dev’essere scandinavo: https://m.youtube.com/watch?v=HFeG1GlI328&list=PLfiMjLyNWxeYHg2ouJB6kCZLdEAiSjzNP&index=1&pp=iAQB8AUB (A-ha, “I’m in” - “True North”, 2022)

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Alle persone coraggiose ***


6. Alle persone coraggiose

 

La settimana successiva, Marie va a trovare la prof al suo ricevimento studenti. 

“Non hai voluto dirmelo, vero?” 

“Che cosa?” 

“J.ä.d.” le ricorda Marie. 

“Ah, j.ä.d.!” Julia si dà un colpetto sulla fronte con due dita. “Allora l’enigma è svelato?” 

“Me lo ha spiegato Stefan”. “Bene. Era giusto che fosse lui a farlo”. Julia guarda la sorellina del suo ragazzo di sotto in su. “E dunque?” “

“Eeeee dunque…” comincia Marie, arrossendo. 

“Ok, ok, stop, non dire niente, non voglio conoscere i fatti vostri!” si schermisce Julia, agitando le mani davanti a sé. “E poi ti capisco, non credo di essere una destinataria naturale di confidenze sentimentali, immagino di essere più simile a una vecchia zia che alla… ehm, ragazza di tuo fratello”.

" 'Ragazza’ non ti si addice molto” spara Marie, senza riflettere come al solito. Solo nel momento in cui l’ultimo suono esce dalle sue labbra si rende conto che le sue parole potrebbero aver offeso Julia, e si porta una mano sulla bocca. 

“Be’, in effetti una delle prime cose che ho detto di me a tuo fratello è stata la mia età” commenta Julia “ma a quanto pare non è servito come deterrente”. Marie vorrebbe sprofondare un chilometro sottoterra: “Non volevo dire che sei vecchia!” 

Julia scoppia a ridere e guarda l’orologio. “Ti va di aspettarmi? Il ricevimento finisce tra mezz’ora. La vecchia zia può invitarti a pranzo?” 

Marie arrossisce fino alla radice dei capelli.

 

*** 

 

Julia è rimasta fedele al proposito, non chiede niente. Invece racconta di sé: “Già trovarmi quel bel giovanotto svedese alla presentazione del libro per me era stato come prendere una botta in testa. Poi mi invita alla partita, e bum! Altra botta in testa. Poi, mentre sono seduta lassù in tribuna e rimugino tra me e me su quanto sono fuori posto, mi sento chiamare, e chi vedo davanti a me? Karl-Heinz Schneider. Terza botta in testa. Non ci capivo più nulla. Non ricordo neanche se il Bayern abbia vinto quella partita. Veramente Karl mi spiegava anche il gioco, ma io stavo ad ascoltare la sua voce, non quello che diceva. E poi… poi tuo fratello ha fatto tutto lui, o quasi. Dice che se non si fosse rotto il polso sarebbe venuto da me non appena tornato da Lisbona”. 

“Ma non ti sono mai venuti dubbi?” 

“Hai voglia. La prima cosa che mi sono chiesta è: ma a me piace lui o piace il calciatore famoso?” 

“E…?” 

“Il fatto che Karl è un campione di calcio corrisponde grosso modo al fatto che io sono una studiosa: entrambi abbiamo una passione in cui cerchiamo di eccellere, non per gli applausi, ma perché amiamo lottare, spingerci più in là, superare confini, realizzare qualcosa che prima non c’era: credo che ci accomuni questo”.

Julia tace, rimesta con la forchetta nel piatto. Marie ha l’impressione che voglia dire qualcosa ma non ne abbia il coraggio. Poi la prof posa la forchetta e fissa Marie negli occhi:
"Noi ci lasciamo sempre intrappolare dalle leggi non scritte. Ci vergogniamo, ci censuriamo perché ci sono queste barriere che sì, sono invisibili, ma quando ci andiamo a sbattere contro ci facciamo un male cane: non puoi fare questo, non puoi fare quello, sei troppo brutto, troppo stupido, troppo vecchio, troppo magro, troppo grasso, troppo alto, troppo basso, troppo povero, troppo ricco, troppo diverso, troppo fuori posto, hai troppo da perdere. Basterebbe avere un po’ di coraggio, ma per molti fare quel salto è qualcosa di terrorizzante, di impensabile. Torvald Helmer non capisce che il miracolo è avere il coraggio della verità”. Afferra il bicchiere: “Karl e Levin sono due ragazzi coraggiosi e il loro coraggio ha aiutato anche me a non avere paura. Quindi, anche se ho solo acqua nel bicchiere, propongo un brindisi alle persone coraggiose".

***

È assurdo dice la ragione,

è quel che è dice l'amore,

è infelicità dice il calcolo,

non è altro che dolore dice la paura,

è vano dice il giudizio,

è quel che è dice l'amore,

è ridicolo dice l'orgoglio,

è avventato dice la prudenza,

è impossibile dice l'esperienza,

è quel che è dice l'amore.

(Erich Fried)

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4057828